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Italian Pages 634 [602] Year 2005
INDICE Premessa .. Introduzione Tipologia dei labra
Tipologia dei supporti . Materiali Sistemi produttivi e committenza .. Cronologia
Catalogo: Labra Supporti APPENDICI: 1) Elementi frammentari pertinenti a Jabra . 11) Labra documentati dalle fonti . Elenco delle abbreviazioni Inpici:
m
Indice dei materiali dei labra. . Indice topografico dei labra Indice dei materiali dei supporti Indice topografico dei supporti Referenze fotografiche (labra) Referenze fotografiche (supporti) Didascalie delle figure Tavole
Catalogo dei labra
"T
Catalogo dei supporti ..
Appendicel .
"ll giusto è tranquillissimo, l'ingiusto è pieno della piü grande inquietudine" Ericuro, Massime Capitali
PREMESSA
Questo volume sui Jabra può essere considerato la continuazione e il completamento di quello su “Vasche di età romana in marmi bianchi e colorati”. Infatti, l’esame dei bacini tondi, di cui molti ancora in situ, ha permesso di analizzare meglio le funzioni di questi manufatti; così come la testimonianza di numerosi esemplari semilavorati, alcuni dei quali rimasti in cava, ha consentito un più attento esame delle modalità di lavorazione e di diffusione di questi prodotti nel mercato antico. I labra e i supporti sono stati esaminati sia dal punto di vista archeologico, che da quello storico-antiquario, appartenendo alla “storia” del manufatto anche la ricostruzione, attraverso lo studio dei documenti grafici e letterari, medievali e moderni, delle vicende post-antiche da esso vissute Come nel precedente volume, l’analisi dei prototipi in ambito greco, delle diverse funzioni svolte dai Jabra, dei materiali utilizzati e delle tipologie è stata sviluppata nella prima parte del volume, completata da una sintesi sui sistemi produttivi e sulla committenza e un epilogo conclusivo sulla cronologia.
1I catalogo dei labra e quello dei supporti sono stati ordinati in primo luogo
in base al materiale utilizzato e, all’interno di ogni gruppo di materiale, in
ordine topografico di luogo di conservazione: prima sono elencate le opere conservate all’estero, poi quelle italiane, lasciando per ultime quelle presenti a Ostia, nella Città del Vaticano e a Roma, essendo tra loro strettamente connesse. Nelle due appendici sono raccolti gli elementi frammentari e i Jabra non
più reperibili, documentati dalle fonti letterarie e grafiche. Le tabelle finali offrono un quadro riassuntivo dei risultati ottenuti, con gli indici dei materiali e gli indici topografici dei labra e dei supporti, arricchiti dalle indicazioni della tipologia, della provenienza e delle dimensioni. Preciso che questo lavoro è stato avviato nell’ambito delle attività di ricerca della cattedra di Archeologia e Storia dell’arte greca e romana dell’Università degli Studi di Roma, Tor Vergata, coordinate dal prof. A. Giuliano, che ringrazio sentitamente.
Per la realizzazione di questo volume, il contributo fondamentale lo devo a Matthias Bruno, il quale mi ha indicato numerose opere conservate a Roma, ad Ostia e in altri siti archeologici; mi ha fornito generosamente tutte le indicazioni e il materiale fotografico dei labra e dei supporti conservati in ambito greco, microasiatico e libico; ha seguito pazientemente tutte le fasi di compilazione del lavoro, rileggendo con grande attenzione la redazione finale, sempre prodigo di informazioni c di consigli: preziosissimi quelli sui materiali, che, insieme agli scritti di Raniero Gnoli e di Patrizio Pensabene, hanno costituito le fondamenta del presente lavoro. A me, ovviamente, vanno ascritti tutti gli errori riscontrabili nella compilazione. La mia riconoscenza va a Daniela Bonanome, per la sua fattiva collaborazione: oltre a fotografare tutte le opere conservate in ambito urbano, ostiense e vesuviano, e a riprodurre le immagini da libro, mi ha accompagnata pazientemente nelle ricognizioni, offrendomi aiuto e suggerimenti, insieme al suo costante e amichevole incoraggiamento I negativi delle fotografie realizzate dalla Bonanome si conservano nell'Archivio Fotografico della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, di cui la Bonanome è funzionario responsabile. I disegni delle tipologie dei labra e dei supporti sono stati realizzati dall’arch. Mario Chighine, al quale rivolgo un riconoscente ringraziamento per avermi aiutata, nonostante i suoi numerosi impegni. Un ringraziamento particolare va a Maria Grazia Granino Cecere per le indispensabili informazioni sul materiale epigrafico. Vorrei, inoltre, ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile l'esame delle singole opere, agevolandomi nella ricerca: per i Musei Vaticani tendo ringraziare sentitamente Paolo Liverani e Giandomenico Spinola; per
il Museo Nazionale Romano, Matilde De Angelis d’Ossat, Rosanna Friggeri, Sergio Mineo, Rita Paris; per la Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma, Eugenio La Rocca, Paolo Arata, Carmela Camardo, M. Luisa Cardilli, Rossella Motta, Claudio Parisi Presicce, Riccardo Santangeli Valenzani; per l'Antiquarium del Celio, Carla Salvetti; per il Museo
Barracco, Maresita Nota; per la Soprintendenza ai Beni Archeologici di
Roma, Palatino, Irene lacopi, Stefania Trevisan; per la Soprintendenza Archeologica di Ostia, Anna Zevi Gallina, Jane Shepherd; per la Soprintendenza dell'Etruria Meridionale, Anna Maria Moretti Sgubini; per il Lapida-
rio di Trieste, M. Vidullo Torlo; per il Museo Archeologico Nazionale di
Napoli, Paola Rubino; per gli scavi di Pompei ed Ercolano, Pier Giovanni Guzzo; per i rinvenimenti in Libia, Luisa Musso; per le Chiese e le Basiliche da me visitate, il personale ecclesiastico e laico, che si è sempre dimostrato disponibile e cortese; si vuole, inoltre, ringraziare la Procuratoria
della Basilica di S. Marco a Venezia, la Direzione della Galleria Palatina di Palazzo Pitti e della Fabbrica di Palazzo Vecchio a Firenze. 10
Questo libro è per i mici genitori. Senza il loro aiuto non avrei potuto dedicarmi a questa ricerca, ma li ringrazio soprattutto per avermi insegnato, con la rettitudine esemplare della loro esistenza, i principi morali, che sono alla base di una vita giusta, dignitosa e onesta. Ai miei figli regalo questo lavoro: poca cosa rispetto ai preziosi doni che ogni giorno mi offrono. Roma, 12 maggio 2004
ANNARENA AMBROGI
n
INTRODUZIONE
1 labra riuniti in questa raccolta si caratterizzano per una forma emisferica, schiacciata sul fondo, più o meno profonda, e per un profilo unitario ad arco di cerchio, che dal labbro, generalmente estroflesso o più raramente a bordo liscio, passa al corpo, dalla curva piü o meno accentuata, per finire sul fondo piatto, segnato da uno stacco ad angolo ottuso. Il supporto, unico e cen-
trale, può presentare forme diverse: a doppo calice, a colonnina, campani forme, a rocchetto, a plinto e a bulbo. È testimoniato, inoltre, un tipo di labrum più
complesso, caratterizzato
dall’aggiunta di preziosi motivi decorativi, quali baccellature o scanalature!, kymatia ionici sul labbro, anse arricchite di serpenti e maschere barbate, e da una tettonica più articolata, il cui profilo discontinuo crea uno stacco netto tra labbro, collo, pancia e fondo. In questa raccolta sono considerate le vasche con pareti lisce, più frequenti, e quelle con pareti scanalate o baccellate, più rare: esse, nonostante alcune variazioni tipologiche e formali, costituiscono un complesso piuttosto omogeneo, che si può circoscrivere in un’unica classe, i cui limiti cronologici ed ambiti produttivi, le cui funzioni e caratteristiche funzionali si possono considerare unitariamente. Sono, invece, da escludere le tazze in marmo, pertinenti ad una categoria a sé stante, per la forma e la decorazione particolarmente ricche e complesse,
derivanti dai preziosi prototipi toreutici di età ellenistica?. Queste tazze si differenziano dai labra, per la presenza di complessi manici e di preziosi supparticolarmente elaborati, in forma di tripodi, a volte figurati, e per una 1 Nel presente catalogo è stato inserito il [brum con corpo baccelato ai Musei Vaticani (L. 62), Ja sua forma rientra, infati, nel tipo lussuoso, pur essendo privo di ans 2 Si ricorda come csempio i cratere bronzeo iscritto sur, donato da Mitridate Bupatore, re del Ponto, morto nel 63 aC, all'associazione degli Eupatorist, forse con sede ad Atene 0 a Delos, rinvenulo ad Anzio, collocato nel Palazzo dei Conservatori, probabile bottino di guerra in una delle campagne conto il e del Ponto: StuaRT JONES, Pal. Cons, p. 175, n. 0, v. 62; HEL, n.961 13
tettonica in genere più articolata del corpo, dal profilo discontinuo®: alla concavità del collo, incavato in una scozia, si contrappone la convessità della zona inferiore, spesso baccellata. A seconda dell’articolazione di quest'ultima, le tazze si possono distinguere in un tipo particolarmente largo e basso, in cui dalla spalla si digrada con una curvatura quasi orizzontale nel fondo ampio e schiaceiatot. L'altro tipo, invece, si caratterizza per una metà inferiore più capiente, gradatamente incurvata verso il fondo a formare quasi un’emisfera, le cui pareti sono spesso decorate; anche questo tipo presenta ‚chi supporti a tripodi e figuratis. Il collo e la spalla, infatti, sono sontuosa2 Sulla definizione di queste tazze si veda il volume della Grasinger (D. Grassivara, Römische Marmorkratere, Mainz am Rhein 1991,p. 221 s, con elenco delle operc) che definisce Becken und Schalen, è più bass rispetto el diametro con pareti subito incurvate fino al labbro, quei oratecontenitori da motivi cui vegetalcorpo figuri. Rappresentazioni paritali di fontane con vasche di questo tipo si conservano nelle case vesuviane: Js 1979, passim. “A questo tipo appartengono: i bacino baccellato su supporto formato da re ileni accovacciati al Palazzo dei Conservatori, da Vila Cacai, di tà 88); la tazza 1956, p. 185I av.s, n.7 a;40,D. tav.Must, (LirrotD augustea (Gus, I Museo Mussolini, Roma 1939,p. 112, n.28, tav LXX, fig. 276; Stuart Joxts, Pal. Cons,p. 1485. n. 34, tv. 51); la tazza, le cui pareti sono riccamentedecorate con gini foglio acantine, dll Esqulino datata in età augusta, attualmente nella Centrale “Montemarini(GusMAN,I tav. 24; Must,op. cit, p. 105 s. n. 6, av. LXI, ig. 243; STUART JONES, Pal. Cons, p. 42,n. 22, tv. 51; HU. v. SCHONEBECK, Ein hellenisisches Schalenornament, ia Mnemosynon Th Wiegand, München 1938, p. 54 ss, tavv. 19.21); al Louvre si conserva una tazza del IL secolo dC. su tripode con gambe decorate da tal floreali in marmo rosso (GuSWAN, I, av 169, 2); la particolare tazza neoattica con thiasos marino sll'allo collo posta su tre zampe fein, la cui datazione oscilla tra il 100 a.C. e eta augustea,al Museo Nazionale Romano, n. inv. 113189 (Mus. Naz Rom. I, lp. 255 ss, n. 159: R. Pants); le due tazze con scene figure sul collo, conservate al Museo Torlonia (GrassivoER, op. cit,p. 221, H, J con bibl. prec.) una con scene dionisiche, alta la cosiddetta “tazza Albani” di eta augustea con fregio raffigurante le fatiche di Ecole(L. Corus, Orest. und Jphigenie in Tauris, in RM, 49, 1934, p. 277 s, figa. 15-18). Un semplice bass caino a profilo continuo, in pavonazzett, con una rosetta scolpita all'intero, presenta una tazza su tripode ai Musei Vatican: AMELUNO 1908,p. 398 s, n. 247, tv. 35. Interessante un frammento di tazza al Museo Archeologico di Tarragona, con due maschere dionisiache, una imberbe e una barbuta, e ma ionico sul labbro: GRASSINGER, op. cit, p.222, N, tv. 325, fg. 227. Ricordiamo anche alcuni frammenti di tzzecon gri Fymatialesbi sul laboro: H. FRONING, Marmor-Sohmuckreief mit griechischen Mythen dm 1 Te. Chr, Mainz am Rhein 1981, av. 59,34-5; GRAssINGER, op. cit, p.221,C, D, E. Nei centri vesuviani sono testimoniate alcune di queste tazze marmoree: due conservate nel magazzino del Foro di Pompei; cft anche SPAZZOLA 1928, tav. 1,43. Questi esemplari vesuviani sono uti di notevole qualit: di quelle pubblicate dallo Spinazzola, una presentala consueta formaa Kantharos con manici doppi, corpo boccellato e labbro con oval, lata, preziosa in basanite, si caratterizza per il complesso sostegno in forma di Scilla. Delle alte due conche pornpeiane, una (inv. n. 20656) ha un prezioso ombelico a doppia corolla di petali al'ntemo c lal (iv. n. 39577) a pancia sotlineata da trecce doppie; ricercati anche i ricchi labbri vegetalizzti o con kyma ionico. Da Stabia, dalla villa del Pastore in località Varano, proviene un'altra vasca (inv. n. 63894) ansata, con colo ricnranto © breve e abbombata, su un ricco supporto vegetalizzto. pancia3 Tipico esempio di questo gener è la tazza in marmo bianco, su supporto moderno, rinvenuta a Riva del Garda, datata nell'ultimo quartodel sccolo d.C. c considerata un importante elemento d'arredo di una vill presso il lago: A. Srexuco, Una vasca marmorea a Riva del Garda, in Studi Trentini di Scienze Storiche, 30, 1951, p. 279 s ; A. Mosca, La grande tazza marmorea di Riva del Garda, in Arch. Class, 49, 1990, p. 411 ss; ID, Ager Benacensi S. Carta archeologica di Riva delGarda e di 14
mente omate con motivi vegetali, scene figurate e comici, mentre la pancia e il fondo sono generalmente decorati con fini baccellature. Alcune tazze del tipo schiacciato presentano un fondo circolare e un collo quadrangolares. Queste opere appartengono ad un ambito produttivo diverso rispetto a quello dei labra: si tratta di oggetti di pregevole fattura, espressioni del gusto neoclassico, legati ad una committenza particolarmente facoltosa e destinati ad ambiti in genere privati. Esse si diffondono soprattutto tra l’età tardo-repubblicana e la prima età imperiale, ma sono ampiamente attestate anche in età adrianea e antonina. Sono esclusi dalla raccolta anche i tavoli marmorei circolari, dal fondo completamente piatto e dal bordo leggermente rialzato. Essi, infatti, rientrano nella classe delle mense da tavolo, piuttosto che in quella dei bacini: questi ultimi presuppongono una certa profondità, che, sebbene minima, possa comunque permettere la raccolta dell’acqua, mentre i tavoli circolari, spesso utilizzati come fontanelle ornamentali negli atria e nei giardini delle abitazioni romane o come fonti sacrali presso tempi e santuari, facevano zampillare l’acqua dal centro, lasciandola subito defluire dai bordi, senza che si potesse raccogliere al loro interno, se non per formare un sottile velo d’acqua”. La vastità della ricerca, sia dal punto di vista cronologico che geografico, essendo le vasche tonde su supporto centrale prodotte in modo continuativo e pressoché identico per forme e funzioni, lungo un ampio arco temporale, che va dall’età arcaica fino a quella tardo-antica, mi ha indotto a delimitare il
Arco, Trento 2003, p. 85, fg. 34: si rat di una tazza originariamente ansata, di 137 em di diametro, con ata carenatura, ornata con una cornice ad astragali € una doppia treccia, al disopra della quale corre un fregio figurato, lacunoso nella parte superiore, con puttini vendemmianti immersi in tralci di vite. Analoga è la forma di due eatini, uno, con racio vegetale sul colo e supporto con cavalli, conservato nella Sala dei Busti nei Musei Vaticani, databile nel I secolo d.C. (GUSMAN, I, tv. 67=AMELUNG 1908, p. 508 sn. 312, tav. 66) alto con teste leonine su colonna tortie al centr e tre pilastri con tralci vegetali e piedi eonini, proveniente da Villa Adriana, ora al Louvre (GUSMAN, I, tav. 2). Un tino in alabastro, con anse vegetali, datato ne I secolo d.C. è conservato negli Uffizi (MANSUELLI 1958, I, p.97, n.196, fig. 196). Una conca sostenuta da sfingi proviene da Pompei: SPAZZOLA 1928, tav. 42. Ricordiamo, inoltre, una tazza singolare ai Musei Vaticani Loto 1956, p. 57, tav. 22) formata da un calice di trentadue foglie, le cui punte sono rovesciate verso l'esemo a formare il labbro, S Esemplari di questo tipo sono ai Musei Vaticani: GUSMAN, I, tav. 7b (età traianea)-LiPPOLD 1956, p.374, n.6, tav. 163; Lireot 1956, p. 205, n. 70, tav. 101 Gn alabastro); GUswAN, I, tav. 110=Ametung 1908, p. 702, . 435, tav. 77 (da Villa Adriana), Ricordiamo anche la tazza, tonda allinlemo e ‘quadrata all'estero, posta nel peristilo della casa di Caecilius Jucundus a Pompei 7 Moss (Moss 1989, p. 34, nota SI) preferisce la definizione di bacino piatto; anche il Ginouvis (Gmouvös 1962, p. 85 s. tav. XX, n. 59) a proposito di un esemplare delio (DrsonnA 1938, av XXI, n. 149: tavolo) parla di vasca, sottolineando che già dall'età arcaica e vasche si devono distinguere in vasche a segmento di sfera c vasche a fondo piatto. Su questi tavoli marmore circolari Deowna 1938, pp. 52, 56 ss, tavv. XXI, nn. 148-149; XXV, nn. 177, 179, 180; Mus. Naz. Rom, 1,2, p.1335, n. 34 (A. MANODORIM, BERTINETT); GEORGE 1998, p. 82 s. 15
campo di indagine all’ambito urbano, periferico e provinciale di età romana. Del periodo tardo-repubblicano sono stati presi in esame esclusivamente i prodotti rinvenuti in Occidente, specificando l'origine greco-orientale dei rari esemplari d'importazione (ad esempio le vasche dei relitti di Spargi e di Ventotene). Non sono stati, invece, considerati i numerosi esemplari di età ellenistica rinvenuti in ambito greco, in quanto prodotti dell'artigianato ellenico (in particolare si ricordano i numerosi esemplari di Delos ed Olynthus, esaminati complessivamente nel quadro introduttivo, ad eccezione di alcuni esemplari delii, esemplificativi delle tipologie esaminate). Le vasche realizzate in età romana, ma rinvenute nell’arca greca e greco-orientale, sono state inserite nel catalogo, in quanto manufatti dell’ambito provinciale romano.
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PROTOTIPI E FUNZIONI
Nella terminologia antica si incontrano diversi nomi latini indicanti vasche, bacini, fontane e piscine, ma poiché ciascuno di essi ha varie accezioni, molte incertezze gravano ancora sul riconoscimento dei termini moderni equivalenti?. Il termine alveus si riferisce a recipienti cavi, in genere di grandi dimensioni, a volte con manici, realizzati in marmo, pietra o legno; essi possono con tenere acqua (per bere, lavarsi, per il lavaggio del neonato, per fontane nei giardini), vino, cereali e raccolti vari. Alvei sono definiti gli utensili per la cucina, le mangiatoie o i trogoli per gli animali d'allevamento, ma anche i bacini per immersione nei caldaria delle terme? La concha, con il suo diminutivo conchula, può indicare vasi di grandezza e di uso diversi, spesso in forma di conchiglia. È realizzata generalmente in metalli vari
ed è utilizzata per bere, per contenere il sale e l'olio o per lavarsi, come vasca da fontana, come unità di misura, per dono votivo, come fonte battesimale. 11 lacus?, con il suo diminutivo lacusculus, ha varie accezioni: contenitori di vino, mosto, olio, succhi di frutta; vasi per salamoia; riserve d’acqua; fontane; vasche nei bagni; fontane come doni votivi; lavatoi; abbeveratoi; a volte il termine si associa a piscina, in particolare nelle ville e negli impianti termali. La forma non è indicata con precisione dalle fonti: il lacus, comunque, doveva essere cavo, privo di copertura, molto grande e capiente. Dalle epigrafit si evince con certezza che con il termine lacus si designa un 1 Sulle denominazioni latine di vasche e bacini vari, con elenco delle funzioni e delle citazioni nella letteratura antica: W. Hitaens, Lateinische Gefässnamen, Düsseldorf 1969, nn. 13 (alveus), 109 (concha), 110 (conchula), 201 (labellum), 202 (labrum), 203 (lacus), 204 (lacusculus), 224 (luter), 342 (solium), con ampia bibl. prec. Sulla terminologia antica si vedano le note seguenti relative ai singoli termini latini. 2 Vmv,, V.0. 3 Sul termine lacus si vedano da ultimi: Lerzwe 1990,p. 63 ss; MALISSARD 1994, p. 21 ss; Det Chicca 1997, p. 231 ss, con bibl. pre. * CIL, I, 2, 1529; CIL, X, 5807.
grande bacino alimentato da un acquedotto. A partire dall'età augustea’, lacus indica la vasca della fontana pubblica, alimentata generalmente dall'acquedotto cittadino e composta, nella sua forma basilare poi arricchita ed articolata, di una vasca rettangolare formata da quattro lastre di pietra, unite da grappe metalliche, e di un pilastro munito della bocca d'acqua (saliens), ornato a rilievo con teste umane e ferine, o rosette e ornati vari; la fontana pubblica poteva essere indicata anche con il termine saliens$, in quanto vasca con getto d’acqua zampillante. Il nome lacus indica anche un bacino artificiale costruito per raccogliere l’acqua di una sorgente, come nel caso del lacus o fons Iuturnae. Il lutér, dal greco \ovrrjp, è un recipiente in bronzo per lavarsi le mani all’ingresso dei templi; un vaso per acqua; un dono votivo su base. Il solium è la vasca da bagno con acqua calda, sia il tipo in cui si sta seduti, sia il grande bacino, usata anche per bagni terapeutici e di vapore. Solia sono utilizzati in agricoltura e come sarcofagi: in quest’ultimo caso le fonti ricordano in oro, in marmo: porfido® e in argilla. Il labrum e il suo diminutivo labellum indicano bacini e vasche circolari per contenere acqua, realizzati in argilla, bronzo, marmo, pietra e porfido, da utilizzare nel bagno privato e nelle terme pubbliche. Labra erano anche fontane, bacini ornamentali di residenze private, vasche d'acqua lustrale, recipienti vari ed urne funerarie. È questo il termine latino che meglio si adatta a defini-
re le vasche della classe in esame. Nella letteratura moderna con il termine labrum si intende una grande vasca dal fondo piatto, con un labbro incurvato verso l’esterno, posta su un supporto. L'esame delle numerose vasche tonde conservatesi, induce a rilevare che il labbro estroflesso non costituisce un carattere determinante del 5 Det Chicca 1997, p. 234 ss. il tipo-base di queste fontane, più semplice e rudimentale, di cui alcuni esemplari si conservano a Pompei ed Ercolano (sui Laufbrunnen pompeiani si veda infra nota 246), a Roma fù affiancato e poi sostituitoda modelli iù rifiniti: sull'evoluzione delle fontane: Neverauro 1965; IT. Lavaone, Fontane e Ninfei, in Civiltà dei Romani. La cità il territorio, l'impero, a cura di S. SETT, Milano 1990, p. 125 ss. Una svolta decisiva nellincremento e nell'evoluzione delle fontane pubbliche si ebbe con l'edilità di Agrippa (33 a.C.) e la sua riorganizzazione del settore dell’agua publica: si veda infra note 232-242. © Il termine saliens/salientes si riferisce all'acqua zampillante füoriuscente da tubi (sia zampilli omamentali,che cannelle d'acqua funzionali all’atingimento) e, per sineddoche, alle fontane zampillanti: Cic, Quint. fr 3,1,3; VITRUV. VIII, 3,1; cf. LETZNER 1990,p. 75 ss.; DEL Chicca 1997, p. 240 ss, in particolarep. 244-246: il termine saliens equivale allo zampillo e quindi alle fontane da esso caratterizzate, sia private che pubbliche; esso si può riferire sia in particolare allo sbocco d'acqua, come parte essenziale del lacus, sia in generale alle fontane pubbliche di destinazione utilitaria, come sinonimo di lacus, che specificatamente alle piccole fontanelle pubbliche. Si veda sul termine saliens anche la nota 238. 7 Cfi: LTÜR, III, 1996, s. v. lacus Auturnae, p. 168 ss. con bibl. relativa (E.M. STEINBY). 8 Suer., Nero, 50: le ceneri di Nerone furono deposte in un solium porphyretici marmoris 18
labrum, essendone privi alcuni esemplari”; è meglio, quindi, parlare più semplicemente di vasche tonde con fondo piatto, su supporto unico. Nelle fonti antiche il termine Jabrum'® è piuttosto generico: il vocabolo, forma contratta di lavabrum (o lavacrum)! dal verbo lavo (lavarsi), ha come significato primario quello di vasca per acqua", rilevando l'evidente legame con la tradizione del bagno; il labrum, infatti, indica anche il bacino in cui si effettuava il bagno dei bambini. Il labrum è generalmente di forma rotonda's, può presentare a volte manici!5 e sostegni a colonnetta in marmo: labellum marmoreum cum columella. Sono inoltre ricordati labra metallici con supporti" e vasche marmoree con fistule plumbee e rubinetti dorati. Il termine si può riferire sia a un tipo di fontana, che a bacini di generi e dimensioni diversi, con varie funzioni: vasche per l'igiene personale, vasche termali, vasche cultuali!*.
Vitruvio® per labrum intende la vasca termale, che riceve luce dall’alto, attorno alla quale si fa circolo per effettuare le abluzioni, posta nella schola. Frequenti sono i [abra installati nelle terme pubbliche per le abluzioni e le vasche per bagni e lavaggi privati presenti in ambito domestico?!, 9 Sulla non costante presenza del labbro, eft. anche: LerzNER 1990,p. 93. 10 Sul termine e sulle funzioni del labrum: DAREMBERO, SAOLIO, I, 2, 1904, s. v. Labrum, p. 881 s. (E. SagLIO);RE, XII, 1924c. 2855, s. v. Labrum (Huc); E. DE RUGGIERO, Dizionario epigrafico di antichità romane, IV, 1942 ss., p. 328, s. v. Labrum (DE RUGGIERO-BARBIERI); Kleine Paul, I, c. 431,s. v. Labrum (Goss); Oxford Latin Dictionary, I, 1968, p. 992,s v. Labrum Thesaurus Linguae Latinae, VII, 2, 1970-79, c. 812 s. s. v. Labrum (FLURY). Per un discorso complessivo sul vocabolario termale e in particolare sul termine labrum: R. REBUFFAT, Vocabulaire thermal, in Les Thermes romains 1991, p. | ss; LETZNER 1990, p. 92 55. MauissaRD 1994, p. 22 Mak VicTORIN., Gramm. VI 9,20: et pro lavabro potius labrum; Isto, Orig. 20,68. 12 Parlano genericamente di labra contenenti acqua: CATO, De re rustica 10,4 (labra aquaria); Vera, Aen. 8,22; 12, 417; cfr: CLAUD. DON, den. 12, 415; CHARIS, Ex arte gramm. exc. 553,38 (ed. Keil); CvPR. GALL.,n. 54; Passio Sancti Montan. ex Gemellis, BHL 2, p. 876, n. 6009, ediz. P. Franci de’ Civium, Scriti Agiografii, I, Studi e Testi, 221, Città dei Vaticano 1962,p. 199 ss. cap. VIII (p. 267): “qui sedens super labrum aquarum". 13 Ist, Orig. XX 68 14 Coin, De re rustica, XII 52,10 (..in rotundum labrun... 15 Caro, De re rustica, 154 (labrum con quattro anse per misurare il vino), 16 CIL, XIV, 2215, vv. 8-19: stele iscritta da Nemi. Cfr- anche CIL, VI, 10237,v. 5: cippo marmoreo dalla via Labicana, loc. Centocelle: labrum cum fulmentis marmor(eis), fulmentis sta per sostegni 17 Vurc., Exod. 30,18; 31,9; 35,16; 38,8; 39,39; 40,11; OntG., in exod. homil. XIII 3 (p. 273,11, ed. BAEHRENS) #8 CIL, VIII, 23991 19Ps, Asc., Div Caec. p. 101: alii delubra dicunt et templa in quibus sunt labra corporum abluendorum. Significato sacro ha il vocaboloin: CIL, II 6689; CIL, XII, 919. 20 Virauy.,V, 10, 4 21 Sulla funzione di vasca per lavaggi del labrum: DAREMBERG, SAGLIO, I, 1, 1877, s. v. Balneum, Balneae, p. 648 ss, in particolare sul labrum p. 656, figg. 757-758 (E. SAOLIO). Alcune epigrafi citano Jabra in ambito balneare privato e pubblico: CIL, II, 5181,23; CIL, X, 19
Le fonti menzionano Jabra in funzione di fontane pubbliche e private. Livio ricorda due labra marmorei che P. Cornelio Scipione l' Africano, nel 190 a.C., prima della partenza per l'Asia in qualità di legato del fratello Lucio, aveva fatto collocare di fronte ad un nuovo fornix da lui innalzato in Capitolio. Il fornix, connesso con due immagini di cavalli e sette statue di bronzo dorato??, doveva scavalcare il clivus Capitolinus c probabilmente costituire un ingresso monumentale al Campidoglio2. Plinio il giovane descrive nel cortile di una sua villa, ai piedi dell’ Appennino toscano, un labrum marmoreo, da cui traboccava l'acqua, posto tra quattro alberi di platano. Ammiano Marcellino, alla fine del IV secolo, ricorda che “in hac urbe inter labra ingentia...obeliscos vidimus"5. Sono testimoniati anche labra per contenere le pietanze?, per la lavorazione degli alimenti e per la fabbricazione del vino e dell’olio: Catone? menziona, a proposito dell'attrezzatura necessaria per coltivare un oliveto e un vigneto, un labrum eluacrum (vasca per lavare), un labrum lupinarium (per il residuo acquoso lasciato dall’olio fatto sgocciolare dalle olive torchiate), labra aquaria e labra olearia. Columella? ricorda un labrum per deporvi i fichi durante il processo di essiccazione e labra per la lavorazione dell’olio e degli unguenti? Virgilio» menziona labra per il mosto: ...spumat plenis vindemia labris. Vengono, inoltre, ricordati labra ripieni d'acqua in cui é stato immerso ferro rovente, ottima cura contro elefantiasi®* 817; CIL, XIV 2119. Tinozze per lavare sono ricordate da Catone: Caro, De re rustica, 104; 11,3: labrum eluacrum. Labra per bagni sono ricordati da Ovidio: Ovm., bis, 477; Fast IV, 761. 22 Probabilmente, secondo Coarell, si trattava delle statue-ritraio della gens Cornelia e non. dei segni dello zodiaco (così in SPANO 1950, p. 173 ss. ove si dimostra che le sete statue rappresentavano le divinità dei sette pianeti c che il collegamento con i due labra rendeva l'insieme un settizodio-ninfeo con valenza magico-astronomica, a protezione dell'arco stesso e del suo autore). Il fornix dell African è il secondo arco onorario ricordato a Roma dopo i fornices Stertini, eretti nel 196 a.C. nel Foro Boario, 23 Liv, XXXVII 3,7: P. Cornelius Scipio Africanus, priusquam profisceretur,fornicem in Capitolio adversus viam qua in Capitolium escenditur cum signis septem auratis e equis duoBus et marmorea duo labra ante fornicem posuit; ct. S. DE MARIA, Gli archi onorari di Roma e dell Italia romana, Roma 1988,p. 263,n. 52, fig. 37, con bibl. prec.; LTUR, Il, 1995, s. v. Fornix Scipionis, p.266 s. con bibl. prec. (F. COARELLI); LTUR, Il, 1995, s. v. Fons Scipionum, p.261(E. Par). 24 Pr, Epist. V 6,20; cfr note 177 e 298. 25 Aun, XVII 4,6: labra (Codex Fuldensis, Roma Vat.Lat.1873) o delubra? 26 Pers, Sat IT, 102. 27 Caro, De re rustica 10,4; 11,3; 13,2; 662. 28 CoLUM., De re rustica, XII 15,3 (per essiccare i fichi); XII 52,10; $2,11-12; 54,2 (per fare olio e unguenti) 29 Cfr. anche Puin., Nat hist. 15, 22 (. praeterea concha...). 30 Vera, Georg. Ii,6 31 Cast. AUR., Chron, IV 1,12. 20
1I nome greco equivalente è loutér o loutérion, da lotio™, lavarsi: esso indica una conca su alto piede, il cui approvvigionamento idrico è esterno, in genere con un getto d’acqua fuoriuscente da una protome ferina posta in alto. Questo tipo di vasca, già noto con rare attestazioni in età più antica, è particolarmente diffuso dall’età arcaica, in ambito sia religioso, con funzione cultuale e votiva, che laico, per uso igienico-terapeutico e funzionale, e lo si ritrova in forme analoghe fino all'età romana, Gli studiosi tendono a differenziare, in base alla loro funzione e destinazione, i termini loutérion e perirrhantérion, che si riferiscono entrambi allo stesso tipo di bacino su alto piede, definendo con il primo termine, più generico? sia i bacini adoperati come contenitori d’acqua per l'uso civile e domestico, che quelli per l’uso religioso. Con il termine perirrhantérion™ si indicano più specificamente i bacini con peculiare destinazione sacrale: essi possono essere posti su un semplice piede a colonnetta o su supporti più elaborati, costituiti anche da elementi figurati; secondo alcuni studiosi tale termine è da riservarsi esclusivamente a quest’ultimo tipo con sostegno figurato»$. I perirrhantéria venivano collocati nei santuari e in altre aree sacre, ove fungevano da contenitori di acqua lustrale% per svolgere i riti di 32 P. CuawrRaine, loi, in Dictionnaire étimologique de la langue grecque, Vl, Paris 1974. 33 Sul loutérion: DareMBERO, Saco, I, 1, 1877, s. v. Balneum, Balneae, p. 651, fig. 748 (E. Sacto); III, 2, 1904, s. v. Louter, Loulerion, p. 1317 (E. POTTER); s. v. Lustratio. Instruments de purification, p. 1408 (A. Boucné Lect£ng); H. KENNER, Das Luterion im Kult, in JOAI, XXIX, 1935,pp. 109 ss; DEONNA 1938, p. 73 ss. note 1-5; GiNOUvEs 1962, pp. 51 ss 77 ss. 224 ss. (sui bacini per il bagno di purificazione del defunto), 272 ss. (sui bacini per il bagno prematrimoniale), 308 (sui bacini posti nei santuari); Iozzo 1981, p. 143; D. UGOLINI, Tra Perirrhanteria, Louteria e Thymiateria, Note su una classe ceramica da S, Biagio della Venella (Metaponto), in MEFR, XCV, I, 1983,p. 449 ss.; 10720 1989,p. 8 ss. K. SCULEBMANN, Das Louterion in Kult, Alltag und Kunst, Frankfurt 1991. Lo stesso tipo è, comunque, attestato fin dal TL millennio in Grecia c nel Vicino Oriente. 34 Sul termine Perirrhantérion: RE, XIX, 1937, c. 856 s, sx. Mepippavripia (L. Zienen); DaREMBERG, SAGLIO, IIl, 2, 1904, s. v. Lustratio, p. 1408 (A. Bovcié-Lecueneg); 1. Ducat, Périrrhanthéria, in BCH, LXXXIII 1964, p.577 ss; Hieset 1967, p. 85; FW. HAMDORE, Lakonische. Perirrhanierien, in AM, LXXXIX, 1974,p.47 ss; lozzo 1981,p. 143; lozzo 1989, p. 9 s. 35 Secondo lo lozzo con il termine perirrhanterion si indica esclusivamente un bacino ci colare, con funzione cultuale, posto su supporti figurati, mentre il outérion è una conca su alto piede, impiegatosia in funzione religiosa, che civile, domestica e privata: 10720 1981, p. 143 s Secondo il recente studio di Kerschner sui materiali egineti — KERSCHNER 1996 — per perirrhantérion si deve intendere un bacino di forme e materiali terracotta, metallo, pietrae marmo) diversi, su support sia a colonnetta, i più diffusi, sia figurati, con una funzione esclusivamente cultuale, tanto che egli sottolinea la dificoltà di distinguere se si tatti di un perirrhantérion o di un loutérion, nel caso in cui non si conosca l'uso del pezzo. 36 L'uso di vasche su alto piede per contenere l’acqua lustraleè attestato da testimonianze letterari, epigrafiche e iconografiche: Gmouvts 1962, p. 299 ss; RE. WYCHERLEY, The Athenian Agora, Ill, Literary and Epigraphical Testimonia, Princeton N. Jersey 1957, p. 218, n. 714; DareMeRo, Sacto, I, 2, 1904, p. 1408, s. v. Lustratio (A. Boucn£ Lecuero);DA. AMYx, The 21
purificazione, prima di entrare nel luogo sacro: per aspergersi o piü semplicemente per immergere la mano destra a simboleggiare una purificazione totale; bacini potevano anche essere offerti dai fedeli come doni votivi alle divinità?. Già in età micenea si hanno due precoci testimonianze della diffusione del tipo della vasca tonda su alto piede, sia in contesto funerario che civile: una & fornita da un bacino in rosso antico?, proveniente dal Palazzo di Micene, decorato con spirali in rilievo lungo il bordo aggettante del labbro; la seconda, sempre da Micene, è costituita da un sostegno in rosso antico”, in forma di colonnetta rastremata ad entrambe le estremità, rinvenuto in una tomba (n. 88) datata nei secoli XV-XIV a.C.
Da Corinto, Atene, Egina, Olynthus, Delos, dalla Laconia, da Samo, dall’Asia Minore, dalla Magna Grecia e dalla Sicilia provengono numerosi bacini su alto piede, che vanno dall’età arcaica a quella ellenistica, sia in terracotta, sia in pietra o in marmo, che in metallo®, la cui valenza laica o religiosa è da determinarsi in base alla funzione del luogo di rinvenimento, essendo la tipologia sostanzialmente omogenea. Nelle case di Olynthus“! sono stati rinvenuti numerosi frammenti di bacini, in marmo e in terracotta, dalla forma a segmento di cerchio, in genere assai teso, posti su supporti a colonnina, liscia 0 scanalata, a volte sormontata da un vero capitello con abaco ed echino conAttic Stelai. II. Vases and Other Containers, in Hesperia, XXVII, 1958, p. 221 ss. (molto esauento sulla funzione e forma del loutérion greco). 37 Si vedano le schede nel catalogo degli esemplari da un mitreo di Ostia (L. 168) e da Trieste (L. 185-188), 38 Museo Archeologico di Atene, inv. n. 2771. Misure: diametro, cm 60; h. cm 13. Per le informazioni su questo bacino e sul supporto di Micene si ringrazia Matthias Bruno. 39 Museo Archeologico di Atene, inv. n. 3159. 4° PeRNICE 1932, p. 38 ss, tavv. 24-28 (in particolare: p. 42, tav. 26,3: bacino circolare in terracotta da Giardini presso Palermo e supporto a colonnetta scanalato da Selinunte); DEONNA 1938, p. 73 ss; ROBINSON 1930, pp. 64 ss, 92, figg. 171, 173, 174, 175, 176, 200, 204; RoBINSON, GRAHAM 1938, p. 317 ss, tav. 78 (Sui bacini in terracotta e in marmo, rinvenuti nelle case di Olynthus); RosmsoN 1946,pp. 218, 229, 242, avv. 186,1-2; 187,1; 191,2; 211,1; 218; 219,1-2; 220 (bacini tondie sostegni a colonnetta licia o, in maggioranza, scanalata, in marmo e pietrae terracotta rinvenuti nelle case di Olynthus); 220; HieseL 1967, in particolare pp. 4 ss., 79 ss,,tavv. 1-12 (sostegni), 13-17, 20 (bacini) (sui bacini samii e i loro support, sulla loro funzione, analizzandone l'evoluzione tipologica dal VII secolo a.C. fino all’età romana); HAMDORE, art. it. a nota 34, p. 47 ss, tavv. 21-30 (sui bacini marmorei su supporti figurati femminili, data bili tra il Vile il VI secolo a.C., rinvenuti a Samos, Isthmia, Sparta, Olimpia, Kamiros); 10220 1989, p. 7 ss. Sui bacini e sostegni in pietra e in marmo rinvenuti nel santuario di Aphaia ad Egina: T, ScHAFER, Aigina. Aphaia Tempel, XV. Becken und Ständer aus Marmor und Kalkstein, in AA, 1992, p. 7 ss: i supporti sono a colonnetta, in genere scanalata, con capitello di tipo dorico, mentre i bacini sono generalmente piuttosto patti larghi, a volte con iscrizione. votiva sul bordo superiore del labbro. 41 Si veda nota 40: ROBINSON 1930, pp. 64 ss. 92, figa. 171, 173, 174, 175, 176, 200, 204; ROBINSON, GRAHAM 1938, p. 317 ss. tav. 78. 2
cavo e terminante in una base a toro, Tutti i bacini presentano al di sotto una sporgenza quadrangolare che si incastra nell'incavo corrispondente sulla somdei supporti®. Un loutérion particolarmente lussuoso, in marmo, presenta una decorazione dipinta sulla sommità del supporto scanalato®. L'importanza dei rinvenimenti di Olynthus è determinata dagli avvenimenti storici della città*^: nella collina meridionale la prima occupazione risale agli inizi del VI secolo a.C., mentre nella collina settentrionale i rinvenimenti sono successivi al 432 a.C., quando in seguito all’anoikismös la collina venne pianificata e occupata da case; il terminus ante quem per i rinvenimenti è fornito dalla distruzione di Olynthus ad opera di Filippo II nel 348 a.C., in seguito alla quale il centro venne progressivamente abbandonato, cosicché le testimonianze più tarde di monete e manufatti risalgono alla fine del IV secolo a.C. Probabilmente in concomitanza con la fondazione di Cassandreia nel 316 a.C,, la città fu definitivamente abbandonata; nessuna testimonianza storica ed epigrafica menziona una continuità di vita oltre la fine del IV secolo. Le monete della prima dinastia macedone sono concentrate nel quartieri N-W: l'unica. zona della città che mostra testimonianze di rioccupazione; gli oggetti più tardi, infatti, non provengono da contesti significativi per l'occupazione delle case. Questo fa sì che i manufatti e gli oggetti di arredo, collocabili cronologicamente tra il 432 e gli anni subito successivi alla metà del IV secolo a.C., siano giunti a noi in situ, fornendo un'interessante documentazione sull'organizzazione e sull’utilizzo delle stanze e dei suoi arredi. Il Cahill ha recentemente preso in esame alcune case della collina settentrionale e della sezione orientale delle ville, analizzandone sia la struttura architettonica e l’organizzazione dello spazio domestico, che gli arredi in essi rinvenuti, rimasti in situ dopo la distruzione di Filippo. Tale studio accurato permette di rilevare che i loutéria rinvenuti nelle case di Olynthus erano posti per la maggior parte nei pastàdes, più raramente in altri ambienti. Essi testimoniano, in contrasto a quanto affermato dal Pernice“s sulla rarità dell’uso dei bacini nelle case private in età più antica, la grande diffusione di questi esemplari nelle abitazioni di età classica di Olynthus.
42 Si conserva un bacino marmoreo, quasi integro, già restaurato in antico con grappe, del diametro di 85 cm, inserto in un supporto scanalato (h. cm 43): ROBINSON 1930, p. 67, figg. 174,175. ‘3 OlynthusXII, 1946, p. 246 s, tav. 218-220; Gmouvts 1962, figg. 61-62. 4 Sulle vicende storiche e sui rinvenimenti archeologici di Olynthus,di recente: N. Cat, Household and City Organization at Olynthus, New Haven-London 2002, p. 23 ss, con ampia bibliografia precedente. 45 Canitt,op. cit, figg. 20, 21,24, 25, 28, 29, 31, 32,35. 46 Pernice 1932, p. 43 23
Le testimonianze fornite dai materiali rinvenuti sono affiancate dalle numerose rappresentazioni di loutéria sulle pitture vascolari*, Sin dal VI secolo a.C., infatti, vasche tonde su alto piede, a volte con capitello ionico, sono raffigurate sulla ceramica attica a figure nere, in scene di carattere cultuale o laico, genericamente collegato al bagno. Sono attestate in età arcaica anche raffigurazioni di loutéria pertinenti all’impianto di fontane monumentali: in particolare esse ricorrono, con un’iconografia pressoché identica, nelle rappresentazioni dell’agguato di Achille a Troilo presso la fontana, nelle quali Peroe greco si nasconde tra gli arbusti, dietro il pilastro sostenente la bocca a protome leonina, il cui getto d'acqua cade in un bacino emisferico, posto su alto 0 basso piede. Questa scena è dipinta, per citare solo alcuni esempi, sulla famosa fiasca corinzia firmata da Timonidas®, pertinente al corinzio medio e datata intorno al 580 a.C.; su una coppa attica a figure nere del gruppo di Siana del secondo quarto del VI secolo a.C., conservata al Metropolitan Museums, su una hydria tirrenica a figure nere contemporanea alla precedente e conservata nel medesimo musco$!; ed anche nella pittura funeraria etrusca: nelT'affresco della Tomba dei Tori a Tarquinia*?, della fine del VI secolo a.C. La frequenza di queste raffigurazioni in ambiti diversi sottolinea come questo tipo di fontana per attingere acqua fosse la più diffusa in età arcaica. Scene di bagno con giovani donne ed efebi, nudi o vestiti, che eseguono lavaggi in genere parziali o per aspersione presso bacini circolari su alti soste47 Cfi DroNwA 1938,p. 75, nota 4, con ampia bibliografia fig. 70; GINOUVES 1962, p. 21 ss., con ricco repertorio iconografico. Il recente articolo di Pfisterer-Haas (S. PristERER-HAAS, Madchen und Frauen am Wasser, in Jdl, 117, 2002, p. 1 ss) prende in esame le rappresenta zioni vascolari,dal VI al IV secolo a.C., con il tema dell’acqua, sia in ambito mitico, che soprattutto laico: donne nude o vestite al bagno. Nei vasi attici a figure rosse numerose sono le scene con giovani donne disposte ntomo a loutéria su alto, raramente basso, piede a colonneta, spes5o nell'atto di immergere le mani nell'acqua: quando sono raffigurate nude (Ip, ibidem, p. 40 ss., figg. 47-55), le fanciullo rappresentano, più che etere, atlete o meglio parthenoi intente a lavarsi; quando, invece, le fanciulle appaiono vestite con chitone e himation e con una cuffia sulla testa (ID. ibidem, p. 48 ss, figg. 56-63), a volte accompagnate da uomini o da croi, sono da tarsi come giovani coppie ateniesi che si incontrano presso un loutérion, Una delle più antiche rappresentazioni di un bacino circolare, piuttosto profondo, su alto piede a colonnetia con capitello ionico, è sul frammento di un’anfora a figure nere dall'acropoli di Atene: B. Grass, E. LANOLOTZ, Die antiken Vasen von der Akropolis zu Athen, I, Berlin 1925, p. 106, n. 887, tav. 5. 45 Sull’iconografia di Troilo: EAA, VII s. v. Troilo e Polissena, p. 1007 ss. (E. Parınenı). Sulla fiasca corinzia: E. PFUAL, Malerei und Zeichnung der Griechen, München 1923, tav. 40, n. 174;H. Payne, Necrocorinthia, Oxford 1931,pp. 73, 103, 314, tav. 34,5; LL. Benson, Die Geschichte der korintischen Vasen, Basel 1953,p. 59, n. 105.1; D.A. Amyx, Corinthian VasePainting of the Archaic Period, Berkeley-Los Angels-London 1989, p. 201, n. 1, tav. 84 50 CVA., Metropolitan Museum, New York, 2, IIH, p. 1 s. n. 2, av. I. 51 PrISTERER-HAAS, art. it. a nota 47,p. 6, fig. 4. 52 M. PattoTTINO, La peinture étrusque, Genève 1957, p.31. 24
gni a colonnetta, diventano frequenti nella ceramica a figure rosse attica, italiota e siceliota®, a partire dal secondo terzo del V secolo a.C., ma con anticipazioni attiche già nell'ultimo ventennio del VI secolo a.C. in una kalpis di Euthymides: questa è la prima raffigurazione di donne nude presso un loutérion*', Donne vestite riunite intorno a un /outérion, spesso colte nell'atto di lavarsi le mani, sono raffigurate nei tondi interni delle Aylikes di Douris, attivo nella prima metà del V secolo a.C., c dei suoi contemporaneiss. Queste raffigurazioni vascolari testimoniano che il tipo della vasca tonda su alto piede era legato inizialmente al lavaggio con doccia o per aspersione presso la fontana pubblica; solo più tardi si diffuse l’uso di bacini simili nelle stanze da bagno delle case private, nei ginnasi e negli stabilimenti balneari. Dalla metà del IV secolo a.C., nella ceramica i louferia compaiono, in forme sempre più trascurate, soprattutto in scene di carattere generico. Presso conche emisferiche, con getti che scaturiscono da teste leonine, si lavano donne e uomini nudi, stanti, se il supporto scanalato è alto, inginocchiati, se il piede è basso (più raro): queste scene di bagno sono frequentemente rappresentate su vasi greci e 53 Un repertorio completo di raffigurazioni di donne, nude o vestite, presso un loutérion sulla ceramica attica a figure rosse si trova nel già citato articolo di PrisTERER-HAAS, art. cit. a nota 47, p. 36 ss. (docce), p. 40 ss. (loutérion), con catalogo dei vasi. Ricordiamo ad esempio uno stamnas attico del 440/30 a.C. a Monaco, con donne che si lavano ad un bacino perfottamente emisferico, su piede a colonnetta con capitello ionico: Heinz 1983, p. 32, fig. 23; PFURL,op. cit. (a nota 49), p. 568, n. 564, tav. 221 (età periclea); PFISTERER-HAAS, art. cil. a nota 47, p. 42, fig. 51. In una Aylix attica a figure rosse della collezione Schimmel a New York, una donna vestita si sta lavando le mani in un loutérion su alto piede a colonnetta: KaPITAN 1979, fig. 1. Della ceramica italiota ricordiamo: un cratere apulo a calice del pittore di Hearst, conservato a Lecce, in cui compare una scena comica tra un satiro, Hermes e una fanciulla, che si sta pettinando presso una vasca circolare su alto piede: C.VA., 1, Lecce, IV Dr, p. 3 s, tavv. 2,3; 3,1-2; A.D. TRENDALL-A. CAMBITOGLOU, The red-figured Vases of Apulia, Y, Oxford 1978, p. 12, n. 36; una oinochoe lucana del pittore di Amykos, degli ultimi decenni del V secolo a.C., con due giovani nudi che si apprestano a lavarsi presso un bacino su alto piede: A. TRENDALL, The red-figured vases of Lucania, Campania and Sicily, Oxford 1967, p. 42, n. 191, tav. 15. Interessante & anche il cratere a volute dello stesso pittore lucano, conservato a Ruvo, con il mito degli Argonauti, in cui è raffigurato un bacino su bassa colonnina scanalata, alimentato da un getto d'acqua fuoriuscente da una protome leonina posta in alto: Ip., ibidem, p. 47 s., n. 243, tav. 19. Un'altra testa leonina funge da bocca di fontana presso un Bacino su alta colonnina, posto tra due donne nude, in un cratere a campana, attribuito al pittore lucano di Creusa, della fine V-inizi IV secolo a.C.: Ip., ibidem, p. 96, n. 502, tav. 47. Grande loutéría su alte colonnine lisce o scanalate sono raffigurati in scene di tocletta con donne vestite, su alcuni vasi campani del gruppo definito da Trendall “apulianizing”, attivo nel 340-320a.C. (ID:, ibidem, p. 497,n. 412-413,tav. 192-193;p. 517, n. 622, tav. 202; p. 519, n. 644, tav. 204) e con donne nude su vasi sicelioti del gruppo Lentini-Manfria, databili nei decenni intorno alla metà del IV secolo a.C. (ID, ibidem, p. 588, n. 25, tav. 227; p. 597,n. 80, tav. 233). 5 PFISTERER-HAAS, art. cit a nota 47,p. 22, fig. 23 acc. 55 PFISTERER-HAAS, art. cit. a nota 47, p. 48, figg. 56, 57. 56 lozzo 1981,p. 144. 25
italioti. In essi, oltre al lavaggio parziale, & attestato anche il bagno completo: una donna nuda seduta dentro un loutérion è dipinta in una hydria italiota al Museo di Siracusa”. Loutéria per lavarsi sono raffigurati su gemme greche del Ve IV secolo a.C. 5, su specchi etruschi, su un rilievo fittile da Corinto, probabilmente di età severa® e su una placchetta eburnea etrusca al Louvre, datata nel VI secolo a.C. 61, con una scena di banchetto, in cui un servitore si lava le mani in un bacino su piede, posto davanti ad una Kline. Le raffigurazioni vascolari offrono poche indicazioni sull’evoluzione tipologica del loutérion, sottolineando, comunque, che non esistono diversificazioni, nella forma e nell'ornato, tra quello d'uso religioso e quello d'uso laico. Il louterion conserva uno schema d'insieme quasi immutato nel tempo, con poche variazioni: il bacino si caratterizza per una forma emisferica, che negli esemplari più antichi presenta un profilo continuo, con bordo a fasce convesse e fondo arcuato. A partire dal primo quarto del V secolo a.C., il fondo si appiattisce e i bordi si raddrizzano, conferendo al recipiente maggiore capacità e profondità. Le raffigurazioni vascolari del IV secolo a.C. confermano questa tipologia di vasca, senza variazioni rimarchevoli, se non un eccessivo decorativismo. Il bacino si imposta su un alto fusto cilindrico, in genere scanalato, a volte liscio, sormontato da un capitello ionico a volute, caratteristico degli esemplari della fine del VI e del primo quarto del V secolo a.C., ma ancora testimoniato nel IV secolo, o da una fascia ornata, in genere con ovoli®. In basso il piede si allarga sempre più, fino a formare una base ad U, cioè con una depressione attorno al fusto, forse per raccogliere l'acqua debordante o meglio a scopo decorativo. L'aggiunta di un plinto distinto, la comparsa delle scanalature, spesso terminanti superiormente in linguette, e di un echino alla sommità derivano dai moduli dell’architettura monumentale. II tipo di supporto a colonnetta continuerà, senza particolari variazioni nella struttura d’insieme, in età ellenistica, arrivando inalterato fino all’età romana. Dalle raffigurazioni vascolari si evince che queste vasche dovevano essere alte circa 80 cm, per cui il bagnante doveva piegarsi in avanti e flettere leggermente le ginocchia per lavarsi le mani e le braccia. Probabilmente esistevano anche vasche su piedi 37 KantràN 1979, p.97, fig. 2. 58 A, FURTWAENGLER, Die antiken Gemmen, I, Leipzig-Berlin 1900, p. 59 5, tav. XII, nn. 31, 39; p. 69, tav. XIV, n.30;p. 89, tav. XVIII, nn. 36, 38 9 MonAntLincei, XX, 1910, c. 80 5, fig. 48; F. INOhIRAMI, Monumenti etruschi, IL, 1, Fiesole 1824, p. 335 ss, tavv. XXVII, XXVIII, XXIX, XXX. © D.M. Robinson, Terracottas from Corinth, în AJA, X, 1906, p. 161 s. tav. XI, n. 8, 61 L. PoLLAK, Archaische Elfenbeinreliefs, in AM, XXI, 1906, p. 316, n. 1, p. 324 s. tav XVI, © Ginouvîs 1962, p. 82 ss, figg. 50, 51, 56. © lozzo 1981,p. 191, 26
più bassi, una specie di compromesso tra la vasca di tipo abituale e la vaschetta a tre piedi corti: lo documentano alcuni vasi soprattutto del IV secolo a.C., ma tale forma è già attestata nel VI secolo&“. II cratere attico, rinvenuto in una necropoli di Rutigliano® (Bari), datato nell'età dei pionieri a figure rosse, all’ultimo ventennio del VI secolo a.C., presenta su una facciata una interessante scena di bagno femminile, ambientata in un edificio con colonna dorica: al centro domina un loutérion su piede a colonnetta scanalata, con capitello a ovoli e base tipica ad U; due donne nude, di profilo, convergono verso di esso. Quella a sinistra, inclinata e con le gambe leggermene flesse, si sta lavando, immergendo l’avambraccio destro nel catino, mentre la donna a destra versa il contenuto di un'idria nel loutérion, facendo cadere l’acqua in eccesso sul suolo. Questa pittura vascolare documenta l'utilizzo a scopi igienici dei loutéria, evidenziando come l’approvvigionamento avvenisse a mano con recipienti (idrie verosimilmente) pieni di acqua calda e come il liquido in eccesso traboccasse liberamente dal bordo. Inoltre, conferma che per lavarsi ci si doveva inclinare e flettere leggermente. Interessanti sono una statuetta femminile in terracotta, rinvenuta in una tomba tarantina, rappresentante un’Afrodite Callipigia nuda nell'atto di lavarsi presso un labrum (per abluzione, non per immersione, data la piccolezza del recipiente) posto al suo fianco; un rilievo votivo da Ischia, dedicato alle Ninfe, databile nella prima metà del III secolo a.C., con la dedicante nuda che attinge l’acqua da un louterion su sostegno a colonnina.
La presenza del bagno privato all'interno delle abitazioni greche (Balaneion, Loutrén) fu comune ai Greci sin da tempi molto antichi. Lavaggi, sia con abluzioni parziali di mani e piedi, che con bagni completi per immersione, sono ricordati già nei testi omerici®; nell’ Odissea vengono citati bagni caldi?^, sebbene non ancora d’uso abituale e quotidiano, essendo per lungo tempo preferiti i 64 Gisouvîs 1962, p. 835, fig. 8. 55 M. Jarıa, Il cratere di Rutigliano, in RM, XIX, 1904,p. 80 ss.; PERNICE 1932,p. 43 s. fig. 17. 68 E. De Juuus,D. LotACoNo, Taranto. II Museo Archeologico, Taranto 1986, p. 374, n. 457. 57 S; Apamo MUSCETTOLA, Gli ex-voto alle Ninfe di Ischia: la parabola di una cultura marginale, in RIASA, 57, 2002, p. 56 ss. fig. 18. Nell'articolo sono ricordati anche un rilievo voti o sempre di Ischia, di età tiberiana, e un'applique bronzea da Pompei, in cui è raffigurata la dedicante accovacciata, che si lava i capelli con la testa riversa in un loutérion, poggiato a terra: In, ibidem, figg, 9, 10. 58 Cf, DAREMBERG, SAGLIO, I, 1, 1877, s. v. Balneum, Balneae,p. 648 ss. (E. SAGLIO); per un riesame più recente delle usanze relative al bagno nel mondo greco e romano, sulla base delle notizie letterarie © dei reperti archeologici, si veda il testo, con bibliografia precedente, in Pasoumuccı 1987,p. 11 ss. 59 Lavaggio parziale: Od. 1.136, 146; 4. 52; 7.172; 10.182; 15.135; 17.91; 19386-388. Bagno completo ad immersione: I. 10.576; 14.6; 22.444; Od. 448; 10.361-363; 17.87. 70 II. 14.6; 22,444; Od. 10, 358-362. 27
bagni freddi nelle acque di mari e fiumi?t. Le abluzioni avvenivano, in questo primo periodo, per mezzo di una vaschetta rotonda”? di metallo, d'argento, o anche di terracotta o pietra, senza piede o con una base piana; il bagno completo per immersione, invece, si effettuava in una stanza apposita, posta vicino ad un focolare per scaldare l'acqua versata in una larga conca? di legno o terracotta o. metallo. Sin dall’età arcaica e ancor più nel periodo classico (quando si diffuse pienamente la presenza del bagno nelle abitazioni), sono attestate nelle case greche e siciliane vasche oblunghe e profonde (pyeloi)" in terracotta, per il bagno di pulizia che di rilassamento. In età ellenistica, in concomitanza con la diffusione dell’uso, già attestato in piena età classica, di articolare il bagno, distribuendo le varie operazioni balneari (bagni caldi, saune, aspersioni, unzioni) in stanze differenti, ancora disposte in modo irregolare e ineguale, i pyeloi furono riservati al solo bagno di riposo, mentre per il bagno di pulizia si utilizzava un altro tipo di vasca con piccolo sedile e una cavità anteriore per raccogliervi l’acqua. Nei bagni privati, sin dall’età arcaica e poi in età classica, dovevano esserci anche vasche circolari su alti piedi, i loutéria, per le abluzioni. 1 bagni pubblici in Grecia sono collegati al mondo sportivo: alle palestre e ai ginnasi. Sin dall’epoca arcaica sono attestati i bagni nei ginnasi, per pulirsi dopo l’attività ginnica’s, caratterizzati sin dalla prima fase (entro la fine del V secolo a.C.) dalla presenza della consueta vasca circolare (loutér, louterion) su alto piedistallo o su colonnetta: il bagno per abluzioni si faceva spesso all'aria aperta o, comunque, in questo periodo non esistevano ambienti differenziati con specifiche funzioni. Sul finire del V secolo a.C., con l'introduzione di un'articolazione più complessa dei ginnasi (con stanze per i bagni di vapore e stanze per le frizioni), le abluzioni, sempre con acqua fredda, avvenivano in uno specifico ambiente isolato (loutrón), in cui si predilesse l'utilizzo di vasche rettangolari (lenof) poste lungo le pareti", Le piscine erano poco frequenti nei ginnasi, dove il bagno di pulizia ad abluzione veniva preferito a quello per immersione. In epoca classica e soprattutto in quella ellenistica, si diffusero gli stabilimenti pubblici per il bagno (ba/aneîa)”, luoghi di piacere e di ritrovo per tutte le classi sociali, soprattutto per le più umili: questi stabili7111 10.572.574;Od. 696. 7? Lébes: Gisouves 1962,p. 51 ss 73 Asáminthos: GisouvéS 1962, p. 29 ss 74 Amarocı 1995,p. 11 15 Ginouvis 1962, p. 124 ss; HEINZ 1983, p. 37 ss. imouvts 1962, p. 77 ss. 77 Ginouves 1962,p. 129 ss. 78 Gmiouves 1962, p. 183 ss. Balaveion/Balaneia e gli altri termini dello stesso ambito lessicale, ignorati da Omero, non sono attestati prima dell’epoca classica: P. CHANTRAINE, Dictionnaire étimologique de la langue grecque, II, Paris 1968,s. v. Balaneis, p. 159 s. 28
menti provocarono la riprovazione di coloro che difendevano l’antico uso di
lavarsi con moderazione, rispetto al nuovo costume di farsi il bagno una o più volte al giorno. I complessi termali greci presentano strutture differenziate a secondo della funzione, con vestiboli, spogliatoi (apodytéria), sale rettangolari o circolari con pyeloi, a volte con una thdlos, ricoperta da una cupola, con apertura centrale, per i bagni di vapore, il cui primo esempio attestato è a Gortys®. Ciò che contraddistingue i bagni pubblici dai bagni dei ginnasi è la presenza nei primi di sistemi di riscaldamento: bracieri per riscaldare l’acqua da versare nelle vasche e, a partire dalla tarda età ellenistica, l’ipocausto, cioè l'impianto di riscaldamento sotterraneo, con forno e condotti fitili per la dif fusione del calore sotto il pavimento, per i bagni di vapore, e con una caldaia vicina, per riscaldare l'acqua delle vasche da bagno? L'esistenza dei bagni femminili è attestata già in Esiodo®!. Le scene di toilette femminile, frequenti sulle rappresentazioni vascolari, devono situarsi în casa, ma alcune scene di bagni collettivi di donne sono da ambientarsi probabilmente in stabilimenti pubblici®, in cui dovevano distinguersi locali destinati alle sole donne ed altri destinati ad ambedue i sessi. Stabilimenti pubblici con funzione terapeutica, in collegamento con sorgenti di acque termali, esistevano nei santuari di Asclepio®, come ad Epidauro, dove
sopra il “bagno greco” vennero edificate le terme romane. Vasche e vaschette rotonde, poste 0 no su piedi, a volte infisse nel suolo, rispondevano, inoltre, ai diversi bisogni domestici, come contenitori di preparati culinari ad esempio (il kärdopos è il recipiente per la preparazione dei cibi*), © industriali: le case private, i negozi e i magazzini di Delos ne forniscono alcune interessanti testimonianze®S. Su uno skyphos a rilievo, di età ellenistica, conservato al Museo Nazionale di Atene, è raffigurata una scena di lavoro in un'officina o in un mulino con uno schiavo che setaccia la farina in una vasca
tonda, capiente, su alto piede a colonnetta®s, Statuette fittili al Museo Nazionale di Atene rappresentano una donna presso una vasca tonda, su piede liscio o scanalato, contenente vari oggetti”. L'uso di conche per lavare i panni, per 7 Ginouvés 1962,p. 198 ss; BRODNER 1983, p. 12 ss; HEINZ 1983, p. 36. 50 Gmouvts 1962, p. 205 ss: BRODNER 1983,p. 18 ss. 81 EstoD,, Opere e i giorni, 153 82 Gmouves 1962, p. 220 ss. 53 Gmouvis 1962, pp. 349 ss., 354, 358 s. *4 Kerschnen 1996,p. 103. 85 DeoNvA 1938, p. 75, nota 2, con elenco dei pezzi e bibliografia 36 Pa. Vensakis, in Ephrch, 1914, p. 50, tav. I fig. 3; K. Kovrounionss, in ibidem, 1917, p. 151 ss; E Courny, Les vases grecs à reliefs, BEAR, 125, Paris 1922,p. 300 ss, fig. 56 Drona 1938, p. 76, nota 5. 87 E, WineR, Die Typen der figurlichen Terrakotten, Berlin-Stuttgart 1903, p.34, mn. 8,9; Dcowsa 1938, p.76, nota 6. 29
impastare e pestare il grano è testimoniato dalle terracotte, sin dall’epoca arcaica, e dalle numerose rappresentazioni sulla ceramica attica a figure rosse? Su una lekythos attica a figure rosse, da Ruvo, datata nel 390 a.C. circa, sono rappresentati i preparativi per le feste di Adone, con alcune donne e un erote recanti semi e rami piantati nella metà superiore di anfore rotte, mentre nei pressi è un incensiere in forma di bacino tondo, ansato, su alto piede a colonnetta® 1 perirrhantéria erano collocati sia all'ingresso del témenos, che davanti all’altare o all'entrata del tempio; a volte erano posti all’interno del tempio stes o: nel pronao o nella cella®, Bacini per le abluzioni lustrali si trovavano anche nei luoghi di riunione, come l'agorà e anche le palestro?i. Agli ingressi dell'agorà di Atene, ritenuta incontaminabile durante le assemblee popolari, erano collocati bacini su alto piede, presso i quali i partecipanti alle assemblee svolgevano le purificazioni rituali. Del perirrhantérion omato di un pesce dorato, situato presso la porta Graphé nel santuario di Apollo a Delos®, si dovevano servire coloro i quali volevano purificarsi prima di entrare nel vicino Ekklesiasterion, edificio per le assemblee, già esistente nel V secolo a.C.: ciò dimostra come anche gli edifici pubblici d'uso civile rivestissero nell'antichità una valenza sacrale, con la conseguente necessità di purificazioni per chi vi accedesse. Il perirrhantérion su piede a colonnetta® il tipo più diffuso, la cui forma è in comune con i loutéria, compare già nel VII secolo a.C. con esemplari in terracotta, cui seguono successivamente quelli in pietra e in metallo; più tardi compaiono i perirrhantéria in marmo, ampiamente diffusi in epoca arcaica e classica. 1 perirrhantéria nei santuari valevano, soprattutto nel VI e V secolo a.C., anche come doni votivi; alcuni dei bacini per lustrazioni rinvenuti a Samos, a Delos, ad Atene e a Lindos recano le iscrizioni dedicatorie dei fedeli e degli amministratori del santuario”. Bacini con funzione votiva sono stati rinvenuti 88 Gmouvis 1962,p. 78. ® CVA, Karlsruhe, badisches Landesmuseum, I, München 1951, p. 32 s, tav. 27, 1-4 30 KERSCHNER 1996, p. 107 ss. 91 DaREMBERG, SAGLIO, II, 2, 1904, s. v. Lustratio,p. 1408, fig, 4681. 92 Uno scolio ad Eschine — AESCHIN. III (Ktesiphon) 176 ss. - ricorda i perirrhantéria delagora: eft. anche ArScHIN. 1 (Timarchos) 21; ARISTOPIAN., Achern., 21 s. A propositodei bacini lustrali presso l’agorà di Atene: WYCHERLEY, op. cit. a nota 36,p. 218,n. 714: nell'agorà i bacini lustrali segnavano i limiti a scopo religioso, in modo simile agli horoi. 93 La Graphé fu crett alla fine del V-inizi del IV secolo a.C., mentre il portico fu aggiunto probabilmente soltanto nel III secoloa.C. Cfi: R. VaLLOIS, Topographie délienne. I, in BCH, 53, 1929, p. 305 s; Ph. BRUNEAU, J. Ducat, Guide de Delos, Paris 1983, pp. 146, 159, n. 35, 47 % li Kerschner (KERSCHNER 1996, p. 1005, tav. 24, 1-4) clenca alcune raffigurazioni vascolari, a figure nere e rosse, e parietal in cui compaiono bacini circolari su alto piede, in scene di valenza cultuale. 5 Alcuni bacini e numerosi frammenti con dediche attestanti il loro ruolo religioso provengono da Delos: DEONNA 1938, p. 73 ss. Sugli esemplari iscritti di Samo, Lindos, Atene si vedano le note 78, 79, 80. 30
nell'Heraion di Samo, databili i più antichi nel VII secolo a.C. e i più recenti in età romana; due esemplari sono stati scoperti sull’acropoli di Lindos, dedicati ad Atena, datati nel VI e V secolo a.C. Numerosi sono i frammenti di perirrhantéria, alcuni iscritti con dediche ad Atena, venuti alla luce sull’acropoli di Atene? essi si possono suddividere in due tipi, uno a segmento di sfera, ascrivibile al periodo dal 500 al 480 a.C., l'altro a fondo piatto, con bordo modanato a toro, databile tra il 530 c il 480 a.C.; in essi la cornice a cyma reversa compare solo dopo il 480. Le dimensioni appaiono variabili, con una media intorno ai 70/80 em. Nel IV secolo a.C. e poi in età ellenistica non ci sono sostanziali cambiamenti tipologici. Dal santuario di Aphaia ad Egina provengono alcuni perirrhantéria in calcare e in marmo, di forma circolare e, più raramente, rettangolari”: si tratta di doni votivi, come anche i resti delle iscrizioni rivelano. 1 bacini in calcare costituiscono il gruppo più antico, databili tra la seconda metà del VI e il 500 a.C., quando, con la ricostruzione del tempio, compaiono più frequentemente i bacini in marmo, in genere parioo nassio; ciò coincide con la fine della produzione locale e l’importazione dei perirrhantéria dalle Cicladi. Dapprima domina il tipo più profondo; dal 480 a.C. si incontra anche il bacino basso, a forma di piatto, con cyma reversa. I supporti egineti sono del consueto tipo a colonnetta scanalata, a volte con linguette all’attacco delle scanalature. AI Museo Archeologico del Pireo, proveniente da Ilioupolis, si conserva un perirrhantérion in marmo bianco venato di grigio (probabilmente marmo imeZio)! di forma a catino, sul cui bordo superiore piatto è incisa un'iscrizione dedicatoria in greco, con lettere rubricate: dudorabes [...}rpowos rv Mov. Si tratta di due dedicanti, Dwrd8ns e [...]rpotos, che hanno offerto l'oggetto in pietra. L'iscrizione è in dialetto ionico-attico. Le lettere presentano caratteristiche paleografiche riconducibili all'età arcaica!: il theta a 96 HteseL 1967, loc. ci. a nota 25: secondo lo Hiesel il termine loutéria indica un tipo di utensile, mentre perirrhantéria definisce la funzione sacra dell’utensile. Egli suddivide in tre gruppi i bacini dell'Heraion di Samo, partendo dall'età arcaica (nn. 82-95), in cui il bacino presenta una forma semplice, a segmento di cerchio, con bordo piatto e decoro esterno con linee parallele rilevate, a volte con dedica incisa, passando all'età classica (nn. 94-97), con esemplari, databili dalV alla fine del IV secolo a.C., simili ai precedenti,ma con una cyma reversa sotto le linee, e infine alla forma tarda (nn. 98-108), di età romana, con esemplari piatt, con fondo orizzontale e labbro largo e sporgente; a parte ricorda il gruppo delle grandi vasche marmoree (n. 109-116), con comici sotto il labbro, decorate da motivi vegetali oda ovoli e astragali, databili alcune ancora nel tardo VI- inizi V sccolo a.C. Sono testimoniati a Samo anche due frammenti di vasche scanalate (an. 146, 151) 97 Ginouves 1962,p. 84. 98 Ginouves 1962, p. 85, nota 4. % SCHAFER art. cit. (a nota 40), p. 7 ss. 100 Inv. n. 531. La vasca, mutiladi un lungo tratto del bordoe della parete, è stata restaurata con una integrazione in marmo diverso; diam. circa cm 50. 101 Cfr. LH. JEFFERY, The Local Scripts of Archaic Greece, Oxford 1990, p. 66 ss. Ringrazio Barbara Savo per le utili osservazioni paleografiche. 31
cerchio crociato, che coesiste in Attica con il nuovo theta col punto iscritto
dall'inizio del VI all'inizio del V secolo a.C.; il phi a cerchio tagliato da un’asta verticale che non sporge dal corpo; il ni con aste molti divaricate, di cui il secondo molto aperto e retrogrado un ricordo di bustrofedismo; il lambda con angolo acuto in basso; l’a/pha con asta diagonale, attestata in Attica dalla metà del VI secolo a.C.; il delta a triangolo; l'epsilon con codolo in basso e le tre aste oblique utilizzato nell’ Attica arcaica per esprimere sia l'epsilon che Peta, cosi anche l'omicron di $uvrábes sta per omega; il sigma nella forma abbreviata a tre tratti, la più comune in età arcaica, ma con spigoli addolciti; infine, l’uso del compasso per il theta e l’omicron è attestato dall'inizio del VI secolo a.C. Il nome @r\wrd8ns è ampiamene testimoniato in Attica!®, dall'età arcaica al I secolo a.C.; un éuvoráóns è ricordato in una stele in pentelico del Pireo, datata nel IV secolo a.C.!%. È interessante notare che la forma di questo bacino votivo presenta strette analogie tipologiche con alcune vasche di età imperiale romana del III tipo, rinvenute ad Ostia (L. 168) e a Trieste (L. 185-188), le quali avevano anch'esse funzione votiva, come è rivelato dalla dedica iscritta sul bordo e dal rinvenimento in contesti religi Il tipo di bacino circolare, profondo, posto su un alto sostegno, realizzato in terracotta e di qualità e raffinatezza elevate, costituisce una classe ampiamente documentata a Corinto! a partire dagli ultimi decenni dell” VIII secolo a.C. e attestata soprattutto in età arcaica e classica. Questo tipo di bacino veniva usato, in base ai dati di rinvenimento, sia per destinazioni laiche, funzionali ed igieniche, che religiose. L'analisi dei materiali rinvenuti induce lo 1022015 ad affermare che variando le funzioni, non muta la tipologia, la quale rimane identica sia per gli usi sacri che per quelli profani. Quindi, la distinzione terminologica tra loutérion e perirrhanterion dipende unicamente dalla funzione momentanea, non da differenzazioni tipologiche, con l'unica eccezione degli elaborati e monumentali bacini marmorei dei grandi santuari, per i quali si deve usare la sola denominazione di perirrhantéria.
102 A Lexicon of Greek Personal Names, I, Attica, M.J. OSBORNE, S.G. Bvext (ed), Oxford 1994, p. 463 s. tl 16, 13, 2460 104 Si rata di più di cento pezzi, rinvenuti a Corinto, da arce pubbliche (quali l'agor le botteghe asud della stod meridionale, ginnasioc il Centaur Bath, forse una Lesche), con fünzione prevalentemente laica, ad eccezione verosimilmente dei bacini dell'agorà, da aree sacro (quali lAsklepieon, il cosiddetto Peribolo di Apollo, la Fontana Sacra, l santuario di Demeter © Kore), con una funzione lustale c votiva, e da arce industriali, quali i quartiere Ceramico, dove i Bacini venivano prodotti © dove avevano anche una destinazione funzionale: M. 10220, Corinthian Basins on high Stands, in Hesperia, LVI, 1987, p. 385ss. 10220 1989, p. 10 s. 195 fozz0 1989,p. 27 s 32
1. Pireo, Museo Arch., perirrhantérion in marmo bianco con iscrizione (foto M. Bruno).
Alcuni bacini delii litici, marmorei o in metallo!%, fungevano da contenitori di acqua lustrale per i riti di purificazione, come le due piccole vaschette tonde in marmo bianco, provenienti dai Sarapeia A e B di Delos, dal cui bordo si prolunga una mensola appena sgrossata, che serviva per incastrare la vasca nel muro. Analoghe funzioni lustrali dovevano svolgere una stele mar-
morea con vaschetta dal Sarapeion C!% e un'altra vasca tonda, in marmo, con mensola dall” Heraion, sempre di Delos, mentre ad un uso domestico o industriale era destinata una conchetta marmorea simile, rinvenuta presso il Lago Sacro!®. Le dediche iscritte sui numerosi frammenti di vasche in marmi bianchi c neri, rinvenuti a Delos presso aree o edifici sacri, attestano l'uso cultuale dei bacini stessi, alcuni databili in età medio e tardo-ellenistica™®, Le funzioni laiche prevalgono a Delos per i bacini circolari di età ellenistica, a parti106 Deonna 1938, p. 73 ss., con elenco dei bacini con dediche inciso, dedicati a divinità orientali nei Sarapeia e nel santuario siriaco, a Zeus, nel tempio di Zeus Cinzio, ad Apollo, presso l’agorà dei Competaliasti © il Porinos Oikos. 107 DzoNA 1938, p. 73, tav. XXXI, an. 219-220, 108 Deowna 1938,p. 74, tav. XXVII,n. 195, fig. 89. 109 Drona 1938, p. 74, tav. XXVII, nn, 221-222. 110 Deonna 1938, p. 74 s.
re dal III secolo a.C., come documentano i numerosi esemplari, soprattutto marmorei, ma anche litiei e fittili, rinvenuti nell’isola in edifici pubblici e privati!l!, ove servivano per le abluzioni igieniche, nelle palestre, ginnasi e nei bagni, oppure per scopi domestici e industriali, nelle case, botteghe e magazzini. Essi ripropongono la consueta sezione a segmento di cerchio del bacino e la forma a colonnetta, liscia o scanalata, del supporto; alcuni piccoli sostegni in marmo e in terracotta, scanalati, lasciano supporre al di sopra di essi coppette o bruciaprofumi o altri oggetti!!; tre frammenti marmorei testimoniano l'esistenza di un bacino decorato con scanalature a girandola!, Nei corfili di numerose case delie sono attestate anche vasche circolari, monolitiche, su larghi supporti a colonna"‘S, che raccoglievano l’acqua piovana. Grandi conche circolari, più raramente ovali, apode, in marmi bianchi, grigiastri e pietra lavica, sono documentate in numerose case e botteghe di Delos!!*. Essendo il fondo arrotondato, esse dovevano essere poste su un bancone, su un suppor1o a tre o quattro piedi o essere affondate nel suolo, come è testimoniato dagli esemplari più grandi, con l'esterno solo sgrossato!"”. Esse servivano per diversi lavori domestici, lavaggi e abluzioni!!, e industriali. TI Kapitän ha pubblicato 16 bacini, di cui 13 in terracotta e tre in pietra, provenienti da carichi naufragati di navi greche!!. Si tratta di loutéria e supporti, alcuni uniti in un unico pezzo"? altri separati (come gli esemplari in marmo), databili dal tardo VI secolo a.C. a circa la metà del II secolo a.C., ad eccezione del frammento di bacino di Terrasini forse più tardo del II secolo a.C. e del supporto frammentario in marmo di fine esecuzione, del consueto tipo a colonnetta scanalato e ricca base di tipo attico, rinvenuto nel relitto sardo della fine del II secolo a.C.-inizi I secolo a.C. di Spargi, La Maddalena. Ricordiamo, 11 Deos 1938,p. 75 ss. 77 s, 80. 12 Si veda la schedaL. 131 113 Donna 1938, tav. XXXI,nn. 225, 226, fgg. 106, 107. 1H Deowwa 1938, fig. 108 715 Deowna 1938,p. 775. nn. 228-233, tay, XXXIL 116 Dronava 1938,p. 80, n. 241-247, tav. XXXIV. 177 Deora 1938, nn, 246-7, tav. XXXIV. 715 Ad esempio quella posta nel cortile del ginnasio: DEONNA 1938, n. 245, 19 Kamran 1979, p. 97 ss condal bordo liscio 0 a fasce fiti realizzati in un unico pezzo con il bacino 120 Loutéria centriche e il supporto a colonnetta liscia, da Capo d'Alì (Messina), da Siracusa, da Terrasini (Palermo), Stentinello (Siracusa), Cabrera (Baleari), da Hvar e Mali Löin) (coste iugoslave), Bodrum (Turchia), databili tra la fine VI secolo a.C. € il IV-I secolo a.C.: KAPITÀN 1979, p. 99, mn. 1-9, figg. 3-15. Loutéra fiti con supporto, liscio o scanalato, separato, dai relitti di Capo Graziano a Filicudi, di Terrasini, Cape d'Agde (Francia), databili nel III secolo a.C.: KAPITÀN 1979, p. 107 ss, nn. 10-13, figg. 16-22. Louteria in pietra e marmo con supporti lavorati a parte, da Siracusa, Kyrenia (Cipro), Spargi (La Maddalena), databili tra il IV e il tardo I secolo a.C. Kapitan 1979, p. 110 ss. n. 14-16, figg, 23-26. 34
inoltre, il supporto in pietra vulcanica, più rozzamente eseguito, dall’antico piccolo porto di Siracusa, la cui forma, con venti scanalature e base a disco simile a quelia di molti altri supporti in marmo e terracotta, per esempio quelli di Olynthus, è tipica della prima età ellenistica, e il loutérion frammentario dal relitto di Cipro del 300 a.C.12!, Secondo il Kapitän questi bacini presenti nei relitti naufragati svolgevano sulle navi una funzione rituale; essi, infatti, non facevano parte del carico trasportato, essendo stato rinvenuto in ciascun relitto un solo esemplare, né potevano servire per i lavaggi quotidiani sulla nave, essendo i servizi igienici riservati alle navi particolarmente grandi e lussuose. Dalle fonti antiche!?? abbiamo notizia delle cerimonie religiose e dei sacrifici propiziatori effettuati sulle navi: questi bacini, in qualità di perirrhantéria, contenevano l'acqua lustrale necessaria nei rituali marittimi, per esempio il lavaggio lustrale che precedeva la libagione con il vino, prima della. partenza; oppure potevano essere connessi con i sacrifici, come le coppe contenenti varie offerte lanciate in mare mentre ia nave si allontanava dal porto. Secondo il Kapitän il posto più probabile a bordo di una nave per porre un bacino sarebbe stato la poppa, presso un piccolo altare o sacrario, come è raffigurato su alcune rappresentazioni di antiche navi mercantili (ad esempio sul rilievo Torlonia!) 1 bacini circolari conservatisi, integri o per lo più in stato frammentario, di cui alcuni risalenti all’età arcaica!™, la maggior parte all’età classica ed ellenistica, con una grande fioritura in quest'ultimo periodo, concordano, quindi, con i dati riguardanti l'uso, la forma e l'evoluzione tipologica desumibili dall’analisi delle rappresentazioni vascolari. I bacini greci risultano realizzati in vari materiali, terracotta’, metallo, pietra e marmo, e si caratterizzano per la forma a conca circolare su alto piede, liscio 0 scanalato, terminante in una specie di capitello. II supporto può essere o tutt'uno con la vasca, come in genere accade negli esemplari in terracotta, o separato da essa, come è più frequente nei bacini in pietra e marmo, in tal caso spesso presenta in alto un incavo centrale per accogliere il tenone sporgente dal 121 KaprtàN 1979, p. 112, n. 16, fig. 26; p. 110s, n. 14, figg. 23, 24; p. 111 s, n.15, fig. 25 122 Sulle cerimonie propiziatorie fate dai marinai sulle navi: ARgiAN., Kynegetikos 53, 2; EnKteros 3, 21, 12; Tuc. 6, 32; APPIAN., Bella civiliaV, 96, 401; Liv. XXIX 27, 1-5. 123 KpirAN 1979, p. 115 s. fig. 28, nota 30. 12 Si ricordano ad esempio i frammenti di bacini in pietra, nel magazzino dell'Heraion di Samo: HieseL 1967,p. 79 s,nn. 77-79, tav. 13;p. 80,n. 81, tav. 14 (con iscrizione sul bordo). 125 Loutéria ftili su alto piede sono attestati a Delos, Egina, Olinto, ma anche in Italia meridionale, sin dal V secolo a.C. Gli esemplari calabresi (10720 1981,p. 178 ss.) presentano le stesse caratteristiche e la stessa linea evolutiva degli alti esemplari diffusi nel mondo greco; come questi erano adibiti a funzioni igieniche, a purificazioni rituali, ai bagni dei ginnasi e ad usi domestic. 35
fondo del bacino. 1 bacini fittili rinvenuti nell’agorà ateniese, databili tra la fine del VI secolo a.C. e la prima metà del IV secolo a.C., presentano ricchi ornati: baccellature, onde correnti, trecce!%. In marmo è il bel bacino circolare milesio, conservato a Berlino e datato in età arcaica!??: esso è a conca emisferica con quattro maniglie a rocchetto sul bordo piatto, il supporto a colonnetta liscia termina in un capitello stilizzato con toro e calice svasato e a metà altezza del fusto un anello a doppio toro. Un unicum costituisce il bacino circolare di marmo, conservato a Malibù, che presenta una scena marina dipinta al suo interno, Quest'opera singolare è stata interpretata come bacino votivo, dedicato in un tempio o in un santuario, databile tra la fine del IV secolo c gli inizi del III secolo a.C., secondo alcuni di origine itaiota, secondo altri paria; la scena, dipinta a tempera su marmo, rappresenta tre Nereidi su ippocampi e kefoi c Thetis che mostra lo scudo di Achille. Le vasche d’uso pubblico ricevevano l’approvvigionamento idrico dalPesterno, da una bocca posta in alto. Le conche situate nelle case private, inizialmente, venivano riempite prendendo l'acqua con un recipiente da un pozzo da una cisterna. In un fondo di una Aylix attica a figure rosse! è raffigurata una scena di bagno, in cui una donna accovacciata si lava i capelli presso un loutérion su alto piede a colonnetta, mentre un dolium, con la probabile funzione di riserva d’acqua, è disegnato di fianco, in basso. Più tardi, in età ellenistica, anche le vasche in contesti privati vennero alimentate direttamente dalPalto con una bocca d'acqua. Gli esemplari di età ellenistica sono di piccole e medie dimensioni, avendo in genere un diametro intorno ai cm 92 e un’altezza interna di cm 15 circa; dal fondo piatto si staccano nettamente le pareti incurvate, che formano un segmento di cerchio assai teso c terminano con un labbro generalmente evidenziato. Il sostegno si caratterizza per una forma a colonna, spesso scanalata, sormontata da un capitello e poggiata su una base allargata. In ambito romano l'uso del labrum è ampiamente attestato sia in ambito pubblico che privato. Le funzioni, come nel mondo greco, si possono distinguere in religiose e laiche; la valenza laica si esplica sia a livello igienico-tera1261 sostegni di questi bacini ateniesi sono generalmente a colonnetta scanalata,fr. B.A. Sparkes, L. TALCOTT, Black and Plain Pottery of the 6th, Sth and 4th Centuries b.C, The Athenian Agora, XII, Princeton 1970, pp. 218 s ., 366 ss. nn. 1854-1883, figg. 16, 20, tavv. 88-89. 127 PERNICE 1932, p. 47 s, tv. 314. 125 Misure del bacino: h. cm 30, 8; diam. cm 60 (con le anse), 56 (al labbro). Ctt. C.C. VenvuLE, The God Apollo. A Cerimonial Table with Griffins and a Votive Basin, in The LP Getty Museum Journal, 15, 1987, p.32, fig. 3 a-b;H. BRECOULAK, L'esperienza del colore nella pittura funeraria dell Italia preromana. V-Ill secolo a.C., Napoli 2001, p. 24, fig. 51. 129 In: DaremBERG, SAGLIO, IV, 1, 1907, s. v. puteus, p. 780 s, fig. 5895 (A. JaRDé). 36
peutico, relativa al bagno e alla pulizia personale™, sia utilitario, per l'uso domestico e agricolo?!, che ornamentale, come fontana. La funzione igienica e quella omamentale si attestano sia in ambito pubblico (terme, fori) che privato (domus con bagni e giardini). La funzione religiosa, cultuale e votiva, derivata direttamente dal mondo
greco e legata ad un contesto essenzialmente pubblico, è testimoniata sia
dalle fonti che dalla documentazione archeologica: entrambe attestano l’esistenza di vasche tonde, contenenti acque lustrali, installate all'ingresso dei tempi e nei santuari!™, per compiere i rituali di purificazione!S, e di conche iscritte esposte nei luoghi sacri come doni votivi. Il grande labrum in bardiglio (L. 129*), eretto nell'angolo della piattaforma antistante il tempio detto dell’Ara della Regina a Tarquinia, conserva, incisa nell’ombelico, l’iscrizione in cui si ricorda che Q. Cossutius, quattuorviro del municipio tarquiniese, fece erigere nella primissima età augustea, con una somma di denaro destinata ai giochi, la fontana, la cui funzione cultuale è testimoniata dalla collocazione davanti al tempio
e, quasi in linea, ma all'angolo
opposto, con l’altare monumentale, e confermata dalla presenza di un foro per la fuoriuscita della cannula di adduzione dell'acqua lustrale. Quattro interessanti esempi di labra votivi sono le conche con dediche incise sul bordo, una a Mithra e quattro alla Bona Dea, rinvenute rispettivamente ad Ostia (L. 168) e a Trieste (L. 185, 186, 187 anepigrafe, 188), le quali testimoniano come per la funzione religiosa, in ambito urbano e periferico, fosse prediletto il tipo III a catino, di piccole dimensioni, con bordo superiore piatto, su cui veniva incisa l’iscrizione dedicatoria. Il bordo piatto rivela, inoltre, che l’acqua, probabilmente proprio per la sua valenza sacra, non dovesse tracimare dal bordo: essa restava contenuta entro il recipiente, in cui i fedeli immergevano le mani per lavarsele ed aspergersi. Le cinque conche sono prive di foro per l’adduzione dell’acqua, confermando l'usanza greca, già ricordata, di riempire manualmente questi contenitori versandovi dentro l’acqua contenuta in vasi. La derivazione diretta dal mondo greco è confermata dal perirrhantérion conservato nel Museo del Pireo: 130 Con il termine latino balneum o balineum, derivante da quello greco balaneion, si indicava in antico sia il bagno in generale, sia l’edificio dei bagni, che il bagno caldo e artificiale, in contrapposizionea quello freddo e naturale: DaREMBERG, SAGLIO, I, 1, 1877, s. v. Balneum, Balneae, p. 651 ss. (E. S4GLIO) 131 A parte sono da considerarsi i labra per l'uso agricolo: RE, XII, 1924, c. 286 (Huc), Thesaurus Linguae Latinae, VII, 2, 1970-79, c. 812 (FLURY) 152 Cfr. DarEMBERG, SAGLIO, Ill 2, 1904,p. 882, s. v. labrum (E. SAGLIO); Grsouves 1962, p. 310, Cic, De Leg. U, 24: "nam illud vel aspersione aquae vel dierum numero tollitur". 153 Sulla valenza purificatrice dell’acqua: 1. ScuerreLownz, Die Sündentilgung durch Wasser, in Archiv für Religionswissenschafi 17, 1914, p. 353 ss. 37
anch'esso appartiene al TII tipo a catino, di piccole dimensioni, e come gli altri cinque esemplari italici, di forma analoga, presenta una dedica incisa. sul bordo. I labra di Trieste, con i loro supporti frammentari, dovevano raggiungere un'altezza complessiva di circa 80-90 cm, dimostrandone l'utilizzo pratico per le purificazioni rituali e confermando, inoltre, l'altezza consueta dei perirrhantéria greci, perfettamente adatta alle abluzioni delle mani. Essi recano incise le dediche alla Bona Dea, il cui tempio, localizzato al centro di Trieste, fu eretto all’inizio del I secolo d.C. e rimase in uso fino al IV secolo d.C.!%; la cronologia dei /abra potrebbe ascriversi al II secolo d.C. L'uso dell’acqua nel culto mitriaco è testimoniato da Giustino!s, da Tertulliano! e da Porfirio"? Per i neofiti le abluzioni multiple costituivano una sorta di battesimo destinato a lavare le macchie morali; le lustrazioni dovevano avvenire in modi e con effetti diversi a seconda del grado di iniziazione: esse potevano consistere sia in una semplice asper-
sione i acqua benedetta, sia in un bagno vero e proprio (forse a questo allude il termine lavacrum usato da Tertulliano). Tra gli arredi utilizzati nel culto mitriaco sono attestati i bacini in pietra e in marmo™, circolari per il fuoco alimentato con la pece, disposti in vari luoghi per riscaldare e illuminare l’ambiente, e quelli, circolari e quadrati, con quattro bocche esterne, in funzione di contenitori d’acqua per i rituali di purificazione compiuti dai fedeli (bacini posti all’ingresso del santuario) e dai sacerdoti (bacini posti vicino all’altare). Queste vasche potevano assumere anche la forma di una conchiglia! di patere e crateri, fittili o in pietra, spesso ornati con animali mitriaci, tra cui il serpente simbolo del genio ctonio protettore delle sorgenti!^, Ricordiamo, oltre al labrum votivo di Ostia, un supporto in porfido (S. 14), con canaletta interna per l'approvvigionamento idrico, il quale si conserva in situ nel mitreo del Circo Massimo a Roma', confermando la
734 Sul culto della Bona Dea: H.H.1. Brouwen, Bona Dea. The sources and a description of the cult, Leiden 1989. Sul tempio della Bona Dea a Tergeste: ID, ibidem, p. 422 ss. 135 Gusr., Apol. 1,66: èv rois vo? Mißpa puompiors rorfpiov Baros Tidera. 136 Text, De bapt. 5: sacris quibusdam per lavacrum initiantur Isidis aut Mithrae. In, fr.d (€ IL, p. 51, L. 4): Bxpiationem delictorum de lavacro repromitti. 157 poss,de antro Nymph. Vie XVII: napa rü Míópa è parip dvrl Tig mis 755 Cfi: R. Fonaen, Das Mitra-Heiligtum von Königshofen bei Strassbrug, Stuttgart 1915, p. 29 ss, tav. IX, figg. 11-15, 159 È. Cumont, Textes et Monuments figurés relatifs aux mystéres de Mithra, Bruxelles 1899, p. 499, ig. 430, 439: da un Mitreo in Pannonia. 140 Si veda l'elenco di vasi, bacini c crateri rinvenuti nei mitre: in G. BecaTT, / Mitrei Scavi di Ostia, II, Roma 1954, p. 85, nota 16. 141 Sul mitreo del Circo Massimo: T. CoARELLI, Topografia mitriaca di Roma, in Mysteria Mithrae, Atti del Seminario Int, Roma e Ostia 28-31 Marzo 1978, a cura di U. Bianca, Leiden 38
pertinenza al culto mitriaco di Jabra e di vasi marmorei e fittili, contenitori di acqua lustrale per lo svolgimento dei rituali‘. La presenza dei labra nei contesti sacri, nei santuari, presso i templi, in funzione di contenitori di acqua lustrale, è testimoniata da numerosi esemplari: la vasca posta nel quadriportico del tempio di Apollo a Pompei (L. 184); il labrum di Bolsena che la tradizione letteraria attribuisce al tempio di Apollo (L. 32); il bacile conservato presso il tempio di Roma e Augusto a Leptis Magna (L. 54). Ricordiamo anche il labrum rinvenuto nel santuario di Olimpia (L. 140), ritenuto inizialmente pertinente al ninfeo di Erode Attico, ma più recentemente considerato facente parte di una fontana a zampillo costruita in età romana davanti al terzo intercolumnio orientale del lato meridionale del tempio di Hera, in base a notizie ottocentesche relative al rinvenimento del labrum proprio in questo punto. Il lussuoso bacino nell'4ntiquarium Forense (L. 170), rinvenuto nell'area del lacus Iuturnae a Roma, potrebbe essere messo in relazione con la valenza sacrale della fonte. Labra con funzione sacrale sono documentati anche dalle fonti epigrafiche: un’iscrizione rinvenuta a Beirut ricorda che “Statilius Maximus [la]brum [IJacus sacrum restituit", mentre in un cippo marmoreo l'iscrizione dedicatoria menziona un labrum, di cui il cippo costituiva probabilmente il sostegno, dedicato dal sacerdote Silvinus al Genio di una stazione viaria sulla strada tra Burdigala (Bordeaux) e Aginnum (Agen), in Aquitania; su un cippo rinvenuto a Henchir Khemissa (Africa proconsolare) è incisa un'iscrizione votiva del 233 d.C., in cui si ricorda che due edili realizzarono a proprie spese, pro salute di Severo Alessandro e di sua madre Giulia Mamea, una “fistula plumbea cum epitonio aereo” per far zampillare l'acqua sul “labrum lapideum”!5. 11 labrum frammentario recentemente scoperto nel Templum Pacis (L. 19) rivestiva sia una funzione ornamentale che rappresentativa, senza escludere l'originaria valenza cultuale di contenitore di acqua lustrale in un luogo pubblico, dove si svolgevano attività religiose e civiche. Una dedica cristiana, probabilmente votiva, conserva il frammento di bacino in pavonazzetto dal Palatino (L. 63).
Un singolare bacino, che non rientra nelle tipologie dei Jabra in esame, avendo l'interno non incavato, ma piatto come fosse la mensa di un tavolo, proviene da Borgo S. Giovanni presso Lanuvio (RM) ed è conservato nel
1979, pp. 74, 78, con bibl. prec. In generale sulla topografia mitriaca di Roma ed Ostia: ID, ibi dem, p. 69 s; ID, Topografia dei Mitrei Ostiensi, ibidem, p. 81 s. Î Si veda la scheda relativa nel catalogo. Sul mitraismo: Mysteria Mithrae, op. cit. Sulla liturgia del mitraismo: CUMONT, op. cit, p. 313 ss.; U. BIANCHI, The religio-historical question of the mysteries of Mithra, in Mysteria Mithrae, op. cit, p. 3 ss. 143 CIL, III, 6689; CIL, XIII, 919; CIL, VIII, 23991. 39
Museo Nazionale Romano!**, Es o presenta sull'orlo superiore gli incassi e i resti dei perni delle lettere in bronzo dell'iscrizione dedicatoria, che ricorda il dono del bacino da parte dell'edile Scanzio, il quale si era anche occupato dell’adduzione idrica per mezzo di tubature: sono ben visibili un foro circolare al centro e uno più piccolo, quadrangolare, verso il bordo. L’opera è da porre in relazione con una fonte sacra connessa con il tempio di Ercole: il bacino doveva svolgere una funzione cultuale durante le cerimonie religiose. Alcune particolarità del testo inducono a datare l’opera nella metà del III secolo a.C., costituendo l'esempio più antico di iscrizione realizzata in lettere metalliche. La valenza cultuale dei labra si perpetuò immutata fino al mondo cristiano, quando il termine continuò a designare le acquasantiere per le abluzioni purificatrici poste all’ingresso delle chiese e in particolare il fonte battesimalet, A Delos, nell'Ekklesiastérion riutilizzato per il culto cristiano, si conserva un frammento della grande vasca battesimale in forma di labrum 19, bacini sono riutilizzati verosimilmente come fonti battesimali anche ad Efeso (L. 56 e probabilmente L. 107) e Priene (L. 122). A Roma il grande labrum porfiretico reimpiegato nella Basilica di S. Maria Maggiore (L. 14) ha tuttora la funzione di fonte battesimale; mentre a Venezia il piccolo bacino in porfido (L. 10) è stato riutilizzato come acquasantiera. Come contenitore di acqua lustrale fu riutilizzata in età moderna anche la vasca veronese in porfido (L.
11).
In ambito romano i Jabra con funzioni pratiche igienico-terapeutiche sono i più ampiamente documentati: le fonti antiche e i ritrovamenti attestano un’ampia diffusione delle vasche tonde sia nelle terme pubbliche che nei bagni privati, ove oltre alla funzione refrigerante e terapeutica, rivestivano anche un'evidente funzione ornamentale', sottolineata dalla monumentalità e preitt dei materiali usati per alcuni esemplari. 14 TI bacino è in marmo lunense; diam. cm 124; h. em 15: CIL, I, 2, 2443; HetntG 1969, p. 315, n. 2391; Mus. Naz, Rom, 1,2, 1981,p. 133 s, n. 34 (A. ManoDO®I, M. BERTINETT): R. WacuteR, Aliiateinische Inschrifien. Sprachliche und epigraphische Uniersuchungen zu den Dokumenten bis ea 150v. Chr, Bem, Frankfurt, New York, Paris 1987, p. 391 s.;G. AurOLDı, Augusto e le iscrizioni: tradizione ed innovazione. La nascita dell'epigrafia imperiale, in Scienze dell'Antichità, 5, 1991, p. 580; R. FriacERi, La collezione epigrafica del Museo Nazionale Romano alle terme di Diocleziano, Roma 2001,p. 34. I bacino rientra piuttosto nella tipologia delle mense dei tavoli marmorei circolari di cui si é discusso alla nota 7 dell"Inroduzione c di cui si parlerà a nota 191 345 Cfr RE, XI1,1924,c. 286: s. v. labrum (Hvo); Givouvis 1962, loc. ci. 146 Anasras. Bibl, De viis pontif. Rom., 1718, p.39; cf. Sibon. GLOSS. in Sae Script. VII, p.412, Antv: "labrum et labum..in quo lavantur sacerdotes" 16 Vattoss, art it. (a nota 93), p. 282, tav. XII; DEONNA 1938, p. 74. 148 La presenza di labra con funzione omamentale di gioco d'acqua negli impianti termali è stata già sottolineata da: MANDERSCHEID 1991, p. 52; MANDERSCHEID 1994, pp. 24 s, 55 s. 40
È dagli ultimi decenni del III secolo a.C. che nel mondo romano iniziò a diffondersi l’uso dei bagni pubblici, definiti in età imperiale thermae'®. Il bagno pubblico si affiancò e progressivamente si sostitui a quello domestico, il quale, però, sopravvisse nelle dimore private più ricche, articolandosi in forme sempre più complesse e differenziate, e rispondendo a funzioni svariate, per cui il bagno da elementare norma igienica, cominciò ad assumere una funzione salutare, divenendo anche un raffinato piacere, uno svago!* Il bagno domestico in età più antica era praticato, nella maggior parte dei casi, in un unico, piccolo ambiente buio, posto accanto alle cucine, per sfruttame il calore, e fornito di tinozze o catini di metallo o in muratura, raramente di vasche marmoree, per lavarsi, e a volte di panchine per il bagno di sudore; bagni privati di questo tipo
sono attestati nelle ville rustiche di età repubblicana del Lazio!st. Seneca in un’epistola scritta dopo la metà del I secolo d.C. ricorda con rimpianto l’austerità di P. Cornelio Scipione Africano, che nel suo balneolum angustum e buio si
lavava, secondo la consuetudine antica, parzialmente ogni giorno e ogni otto giorni faceva il bagno completo!s2. Le fonti latine con il termine /avatrina o latrina'S® indicavano genericamente questi bagni elementari, alludendo all’antica usanza di lavarsi, non interamente e non quotidianamente, solo braccia e gambe, e riferendosi più specificatamente proprio al recipiente, con cui si facevano questi lavaggi parziali. Questo tipo elementare di bagno era già da tempo attestato in Grecia, Campania e Sicilia, e diffuso particolarmente dal III secolo a.C. Dalla fine del IIT-inizi del Il secolo a.C. si diffuse l'uso del bagno intero da effettuarsi in un’apposita stanza da bagno e in ambienti più complessi: con il 149 Termine derivante dal greco thermés, caldo: eft. ERNOUT, MEILLET, loc. cit. Sul bagno pubblico c bagno privato, cf. Pasquinuccı 1987, p. 17. Varie sono le ipotesi relative al problema delle origini e dello sviluppo iniziale dei bagni pubblici romani; le fonti letterarie ed cpigrafiche inducono ad identificare nel I1 e nel Il secolo a.C. il periodo centrale dell'evoluzione ^i questo tipo di edificio, le cui radici, pero, affondano più profondamente nel passato; sulla genesi del bagno pubblico romano, recentemente: G.G. FAGAN, The Genesis of the Roman Public Bath: Recent Approaches and Future Directions, in AmerJournal of Archaeology, 105, 2001, p. 403 ss. 130 Sulle funzioni terapeutiche e di svago dei bagni nel mondo romano e sulla validità delidroterapia, si veda di recente: R. JACKSON, Spas, waters and hydrotherapy in the Roman world, in Roman Baths and Bathing 1999, p. 107 ss. Sulla presenza dei bagni privati elle ricche domus © nelle lussuose ville rustiche e costiere della Campania: McKav 1975, pp. 100 ss., 140. 151 Fannicorn 1976,p. 29 ss.34 ss.: gruppo. Sono bagni estremamente semplici, senza suspensurae, composti di un unico ambiente, accanto alla cucina, munito a volte di vasca, a volte di sole panchine per le sudationes. In questo primo gruppo, coincidente con la diffusione in pittura del Te Il stile, rientrano sia i bagni a scopo igienico, che quell terapeutici per i bagni di sudore. 152 Sex, Epist. 86, 4-12 (Seneca disdegna anche l'uso invalso ai suoi tempi di lavarsi con acqua molto calda); ct. Caro, Apud Non. 108 s. 153 Now., De compendiosa doctrina, p. 212, s. v. latrina; VaRRO, De lingua latina 5.118 e 9.68; Vrmuv,, VI, 6, 2 4l
termine di balineum/balneum!5 le fonti indicavano un bagno completo, installato sia in dimore private che in edifici pubblici appositi, composto nei primi tempi di sole due stanze (una per gli uomini e una per le donne) ed usato semplicemente per lavarsi; stanze per i bagni di vapore, riprese dai Greci, furono introdotte nel II secolo a.C. Successivamente, come testimoniano le villae e le domus tardo-repubblicane e imperiali, il bagno privato fu ampliato c articolato in vari locali!ss: venne cosi ad essere composto, nella forma più semplice, di laconicum'$ o caldarium, oppure di laconicum e tepidarium, a volte con un apodyterium!5; mentre nella forma più complessa il bagno privato era fornito, come quello pubblico, di un apodyterium, un laconicum, un caldarium, un tepidarium e un frigidarium. La vicinanza delle cucine (Fabbricotti: gruppi I e II) in età medio e tardo-repubblicana era considerata una necessità per la presenza in esse della caldaia. Successivamente, nelle ville più lussuose, non fu più cosi vincolante, perché furono costruiti dei veri e propri quartieri riservati ai bagni, con praefurnium' indipendente dalle cucine (es. la villa S. Marco a Stabia: dal cui 154 Evidente prestito dal greco: A. Ernour, A. MEILtET, Balneum e thermae, in Dictionnaire étimologique de la langue latine, Paris 1979. Le fonti (VaRRo, De lingua latina 8. 48, 68; Casusrio, Ars grammatica 1.99) distinguono il singolare balneum, cioè il bagno privato, dal plurale balnea, cioè i bagni pubblici. Tale distinzione non si trova, però, nelle iscrizioni: E. DE RUGGIERO, op. cit. I, 1895, p. 964 ss. s. v. Balneum. 155 Fappricort 1976, pp. 41 ss. 58 ss. II gruppo (2-5) con bagni di uno o due ambienti sempre annessi alle cucine. 156 La sauna come mezzo terapeutico decongestionante era nota sin dall'antichità: inizial mente l’ambiente si riscaldava con stufe, poi, con l'introduzione dell'ipocausto, anche il laconicum ne venne provvisto: cfr. Pasquinvces 1987, p. 38: F.I. SHEPHERD. Il laconicun, sostitu to nella sua funzione di camera sudationis dal caldarium con labrum, ritorna di moda nel periodo clandio-neroniano: esempio la casa di Julia Felix a Pompei (II gruppo della Fabbricott) 15 Lo spogliatoio era assente a volte nci bagni privati, ma sempre presente nelle terme pubbliche: Pasquivuccr 1987, p. 28: S. Sromr. 158 Fannnıcortt 1976, p. 86 ss: IT gruppo. ILI ei III gruppo sono databili dopo l'invenzione del riscaldamento ad ipocausto, con il praefirnium inizialmente posto nell adiacente cucina, € prima del 79 d.C., in coincidenza con la diffusione dell'uso del vetro alle finestre, introdotto nel primi decenni del [secolo d.C., e l'afermarsi del II e del IV stile in pittura. [locali da bagno inizialmente venivano riscaldati direttamente con grandi bracier; all'inizio del I secolo a.C. l'introduzione del riscaldamento indiretto ad ipocausto rivoluziond la tecnica costruttiva dei bagni: 'invenzione del riscaldamento ad aria calda, convogliata in intercapedini del pavimento con suspensurae, e delle pareti doppie si fa risalire a L. Sergio Orata, cittadino romano di Lucrino, intomo alla fine del Inizi del I secolo a.C., che si era ispirato al sistema di riscaldamento natu rale della zona dei Campi Flegrei (eft. PASQUINUCCI 1987, p. 40: E.I. Snnt). I calore veniva ottenuto mediante l'accensione di un forno a legna, hypocausi, posto inizialmente al di sotto dell'ambiente da scaldare, poi di fianco con la costruzione del praefurnium, cioè dll’antiforno i alimentazione laterale, agibile da un corridoio di servizio. Le suspensurae, comunque, erano già attestate nel mondo greco, sin dal II secolo a.C.; l'invenzione di Orata, quindi, dovette consistere più probabilmente nell introduzione del bagno a vapore nellutiizzo di grandi recipienti d'acqua messi a bollire sul forno per sfruttarne il vapore. Sul passaggio dal primitivo riscaldamento con bracieri all'invenzione dell'ipocausto: F. KRETSCHMER, Die Entwicklungsgeschichte des antiken Bades und das Bad auf dem Magdalensberg, Düsseldorf 1961 42
apodyterium proviene il frammento di labrum L. 129; la tiberiana villa Jovis a Capri!s9). La villa rustica di Popidio Floro in contrada La Pisanella a Boscoreale!% presenta un tipico bagno privato: esso è annesso alla cucina con praefurnium ed è composto di un caldarium, conservatosi integro, con vetri alle finestre e nell'abside un labrum di marmo bianco (L. 144), alimentato da due fistulae desinenti in due rubinetti, mentre una vasca in muratura si trova lungo la parete opposta, e di un frigidarium, anch'esso con labrum (L. 74). Questo bagno è stato probabilmente costruito fra il terremoto del 62 d.C. e l’eruzione del 79. Altri esempi di bagni simili si trovano nelle ville intorno Roma!#1; anche a Capri, nella villa Jovis, nel bagno, attribuibile alla seconda fase della villa, sempre di età tiberiana, si notano un frigidarium, un fepidarium e un caldarium con due absidi contrapposte: una più grande per la vasca in muratura, l'altra minore per il labrum. La vasca tonda conservatasi nella domus tardo-repubblicana (L. 174) del Foro Romano, attribuita ad Emilio Scauro, è situata nel frigidarium dell'impianto termale, che occupava il piano sotterraneo della casa, le cui strutture murarie sono attribuibili agli anni intorno alla meta del I secolo a.C. Labra nelle stanze da bagno delle ville private sono considerati da Cicerone una necessità! e sono ricordati anche da Petronio! La valenza ornamentale rivestita dai labra. nei bagni privati è rivelata da alcuni versi delle Silvae di Stazio, in cui è descritto il ricco bagno di Claudius Etruscus, abbellito da bacini, alcuni realizzati in materiali particolarmente preziosi, in bronzo e in argento!&, con ricchi giochi d'acqua. Il sistema di riunire in un unico padiglione, annesso alla villa, i diversi ambienti del bagno si diffuse soprattutto dal II secolo d.C. nelle ville rustiche e imperiali. Negli appartamenti urbani delle insulae, per la riduzione degli spazi e per l’esistenza delle terme pubbliche, non si costruirono più ambienti termali privati, se non raramente e molto tardi, quando ci fu un ritorno alle domus private di lusso. Labra erano assai frequenti, non solo nei bagni, ma anche in altri ambienti delle case e ville romane. Negli atria, nei giardini di cortili e peristili rivestivano una funzione sia omamentale che utilitaria, come vasca di transito per l’acqua di irrigazione, che attira gli uccelli: elemento particolarmente amato 159 Cf. McKay 1975, pp. 118, 120, 124 s, figg. 45, 48; FABBRICOTT 1976,p. 100 s, fi. 44. Su VillaS. Marco si veda la recente monografia: La Filla San Marco a Stabia, Collection du Centre J. Bérard, 18, Collection de l'École Frangaise de Rome, 258, 1999, a cura di A. DARBET, E Masino. 160 DELLA CORTE 1921, p. 442 ss, in particolarep. 449 ss.; FABBRICOTTI 1976,p. 60, fig. 25. 161 Fasarıcortı 1976,p. 8255 162 Cic., Fam. XIV, 20: labrum st in balineo non est, ut sit (epistola a sua moglie Terenzia del 1 ottobre 47 aC). 16 Peron, Sat. 73, 4. Lucr., De Rer.Nat. VI, 800: «solio ferventis aquai». 16 Star., Sil. I, 5, 47-50 (labrisque); cfr. S.T Busch, Versus balnearun. Die antike Dichtung über Bäder und Baden im römischen Reich, Stuttgart-Leipzig, 1999, p. 4. 43
nei giardini, in base alle testimonianze pittoriche e letterarie!cs, Fontane con labra zampillanti, insieme a statue, panchine, alberi ed aiuole, decoravano i cortili-giardino costruiti all’interno delle più ricche insulae ad appartamenti“. Importante è il ruolo rivestito dai giardini! nello sviluppo dell’architettura domestica c pubblica, sia civile che religiosa, in ambito urbano, italico e provinciale, a partire già dal IV-III secolo a.C. In età tardo-repubblicana e imperiale i giardini assumono un’importanza ancora maggiore: se ne crearono non solo nei peristili e nei cortili interni delle domus private, ma anche presso complessi pubblici (fori, templi, terme e ginnasi), strutture commerciali (locande e alberghi) e presso strutture agricole (in queste ultime con una
predominanza delle funzioni utilitarie e commerciali). Le città vesuviane offrono vivide testimonianze dell’esistenza di spazi verdi pubblici in aree sacre, nelle terme, in ristoranti, locande, alberghi e negozi!®. La piazza del Foro Triangolare a Pompei, con fontanella formata da un labrum (L. 158), che raccoglieva l’acqua di una canaletta passante attraverso una colonna del portico, era frequentata per passeggiarvi anche dopo la distruzione del tempio dorico, in seguito al terremoto del 62 d.C.; la palestra delle terme del Foro pompeiane fungeva da giardino vero e proprio, anch'esso con labrum, posto al centro (L. 125). Grandi ville con ampi giardini, ricchi di statue c fontane, e pitture di giardini sono attestate ad Oplontis, Stabia, Boscoreale, Boscotrecase, Samo, nell'area suburbana di Pompei e di Ercolano! rivelando un'evidente differenza tra le ville di città, rivolte verso l'interno della casa, con peristilio-giardino, e chiuse all'esterno, e quelle di campagna (rusticae), circondate da giardini e completamente integrate nel paesaggio circostante, grazie anche ai portici. Nei giardini erano coltivate piante sempreverdi, fiori stagionali multicolori e numerosi alberi da frutto. L'acqua necessaria, zampillante da getti a volte fuoriuscenti da statuette, veniva raccolta in bacini, canali e laghetti, che costituivano l’elemento predominante della decorazione accessoria dei giardini romani, insieme a statue, crateri, rilievi, mobili da esterno e recinti, secondo 165 Come ci informa Plinio il Giovane nella sua descrizione della sua vill in Toscana: PLIN., Epist. V, 6, 22-23. 166 A tal proposito si veda il disegno ricostruttivo di I. Gismondi della casa dei Dipinti (I, IV, 4) ad Ostia: McKay 1975, p. 97, tav. 31. Sull’utilizzo domestico-funzionale dell’acqua nelle domus e nelle insulae: MALISSARD 1994, p. 30 ss.; sull'uso dell'acqua come elemento di piacere, come decoro, nelle case, nei palazzi imperiali: MALISSARD 1994, p. 75 ss. 167Va precisato che quando parliamo di giardini ci riferiamo agli spazi verdi allestiti nei cortili interni o nei peristili porticati delle case romane, altra cosa sono gli atria che in età imperiale, come vedremo, si arricchirono di piante e fiori entro cassette poste lungo i bordi degli impluvia. 168 JasuemsKi 1979, p. 155 ss: sui giardini, sia reali che dipinti, c Parchitettura pubblica. 169 JasuemsKi 1979,p. 315 ss.
il modello greco!” noto in santuari, ginnasi e parchi, con l'aggiunta di elementi
tipicamente italici!”!. È, infatti, accertato che i ricchi palazzi e case di
età ellenistica, con i loro grandi cortili interni colonnati, costituirono i prototipi per i giardini, ugualmente colonnati, delle ville romane'”, con evidenti similitudini nella utilizzazione e disposizione delle statue tra gli elementi floreali (si confrontino i cortili interni delle case delie). Esistono, comunque, delle divergenze, ad esempio nella pianificazione centralizzata e simmetrica delle fontane nei giardini romani, non pienamente riscontrabile nel mondo greco!”, Senza voler confrontare direttamente il cortile interno di una casa romana con quello di una casa greca, possiamo affermare che il cortile aperto greco corrisponde grosso modo all'atrium della casa romana, sottolineando però che nessuno dei due era inteso come giardino. II giardino vero e proprio, infatti, è l’hortus, che nella tipica domus italica del tardo IV e del IIT secolo a.C. si situava nella parte posteriore della casa e fungeva da giardino di servizio", L’atrio, invece, inizialmente coperto, poi compluviato, si arricchì di colonne, prima in numero di quattro agli angoli dell’impluvium, poi moltiplicate in una forma simile al peristilio. L’impluvium, un tempo bacino di raccolta dell’acqua piovana, necessaria per il fabbisogno domestico, con il miglioramento delle condizioni igieniche in età tardo-repubblicana divenne una piscina ornamentale, con tubature fittili o plumbee collegate alle condutture cittadine, e con piante e fiori, con cui si cercava di portare il paesaggio campestre esterno all’interno della casa, come rivelano anche le pitture parietali. È nel Il e I secolo a.C. e ancor più nella prima età imperiale che si diffonde la moda di inserire all’interno della casa il peristilio, sistemato come un rigoglioso giardino all’aperto, circondato da un colonnato (peristylum) tutintorno. La struttura del peristilio romano deriva da forme dell'architettura greca, adattate però ad esigenze abitative tipicamente romane, basate sul tradizionale legame tra casa c giardino e l’innato bisogno naturalistico, mentre l'aspetto e l’organizzazione dell’arredo dipendono dai kepoi nei santuari, parchi pubblici e ginnasi greci, che erano solitamente arricchiti di statue, picco170 Sui giardini greci: CARROLI-SPILLECKE 1989. Sulla disposizione della statuaria nei cortili interi nelle case delie di età tardo-ellenisica: M. KREEB, Untersuchungen zur igürlichen Ausstattung delischer Privathäuser, Chicago 1988, p. 13 ss. 771 Sui giardini romani e sulla mescolanza del modello greco con gli elementi italici M. CaRROLI-SPILLECKE 1992; In, Römische Gärten, in Das Wrack 1994, p. 901 ss., con bibl. prec. Sui giardini dei peristilia, ornati con fontane ¢ arredi marmorei vari, e sui piccoli giardini con piscinette e fontanelle, si vedano gli esempi citati in: JASHEMSKI 1979; JASHIEMSKI 1993 72 CaRROLL-SPILLECKE 1989, p. 63 ss 173 Si vedano alcune case con fontane nei cortili a peristilio di Pella: CARROLI-SPILLECKE 1989, p. 62 ss, fig. 27. 1H CARROLI-SPILLECKE 1989, p. 64, fig. 32. 45
li tempietti e oggetti di culto”. L’arredo statuario, in genere composto da imitazioni di opere d'arte greche, disseminato tra alberi e fiori, diventa fondamentale anche per i giardini romani d'uso domestico: in ambito privato e profano si richiama l'aspetto e la sistemazione (in un ambito pubblico e sacrale) dei giardini nei santuari e nei ginnasi greci. Ipoteticamente si è proposta l'esistenza già nel mondo greco di età ellenistica di una plastica da giardino in ambito profano e privato"; ma l'esistenza di giardini di piacere privati in epoca ellenistica, ricchi di statue e altri oggetti scultorei disseminati tra piante e aiuole, da cui sarebbero direttamente derivati, nell’aspetto e nella funzione, i più tardi giardini romani, rimane un'ipotesi. Il giardinaggio, a Roma e nelle città italiche, era, comunque, un’arte importata: i primi giardini di diletto noti a Roma sono proprio quelli dei filelleni P. Cornelius Scipio Aemilianus Africanus Minor e Decimus Junius Brutus Augur nel tardo II secolo a.C. La straordinaria diffusione di fontane con vasche nell’edilizia domestica, in atria c giardini, risulta documentata dai numerosi ritrovamenti di conche e dei loro supporti c dalle notizie delle fonti letterarie ed epigrafiche: Plinio il giovane'?, parlando della sua villa in Toscana, descrive un labrum marmoreum da cui trabocca (exundat) l’acqua, posto nel giardino e circondato dai platani. Un giardino monumentale, inquadrato da costruzioni, con una facciata ad emiciclo si trovava nella terrazza settentrionale del palazzo domizianeo sul Palatino, nella zona corrispondente alla cosiddetta Vigna Barberini: in seguito alla riorganizzazione adrianea dell’area centrale, furono disposte a sud, di fronte all’emiciclo domizianeo, due fontane con labra marmorei, di cui gli scavi recenti hanno rimesso in luce tubi di piombo, resti del bacino di raccolta di una fontana e un frammento in porfido di labrum (L. 20)". I numerosi rinvenimenti nelle domus vesuviane ed ostiensi e le raffigurazioni di finti giardini nelle pitture parietali testimoniano la frequente presenza di Jabra nelle case sin dall’età tardo-repubblicana. La funzione di queste fontane doveva essere duplice: funzionale, ma soprattutto ornamentale. Da Ostia antica provengono numerosi esemplari di Jabra in marmi bianchi e colorati, posti su piedistalli a colonnina e utilizzati prevalentemente come fonta175 McKay 1975, pp. 39, 46: secondo cui i giardini colonnati derivano da una contaminatio tra i peristili dei ginnast e delle palestre greche c gli splendidi giardini pubblici © privati (paradeisoi) del Vicino e Medio Oriente; CARROLL-SPILLECKE 1989, p. 64 s. 176 Basandosi su alcune opere di genere ellenistiche, di cui purtroppo raramente sono noti i luoghi di collocamento originari, Ridgway (B. Sismonpo Rınaway, The Setting of Greek Sculpture, in Hesperia, 40, 1971, p. 351 ss.) © Laubscher (H.P. LAUBscHER, Fischer und Landleute, Mainz am Rhein 1982, p. 85 ss.) propongono l'esistenza di un produzione scultorea (statuedi contadini e pescatori, ma soprattutto di satri e ninfe, collegate a piscine c fontane) da esporre nei giardini privati e in ambito profano, nella Grecia di età ellenistica. 177 Pun, Epist. V 6,20. 178 Sui ritrovamenti nell'area della Vigna Barberini cfi: nota 113 del Catalogo dei Labra. 46
ne omamentali! all'interno di edifici sia pubblici che privati, ove abbellivano cortili, giardini di domus (L. 61, 75, 87) e di caseggiati (L. 33, 163); ambienti centrali di terme (L. 72, 862, 111, 164), di ninfei (L. 69)18 e di thermopolia (L. 88). Un utilizzo funzionale-igienico è attestato con certezza solo nel caso del bacino su basso supporto conservato nelle latrine delle terme del Foro (L. 165). Una funzione sacra ha il catino con dedica votiva rinvenuto nel mitreo della planta pedis (L. 168): esso doveva servire per le abluzioni purificatrici. 1 Jabra di Ostia variano per forma, dimensioni e lavorazione; molti gli esemplari semilavorati (L. 52, 55, 70, 71, 76, 163, 165, 167) di cui alcuni posti in uso in età tardo-antica (L. 61, 75, 87, 111). La presenza sul fondo del catino di un tubo di piombo o di bronzo rivela che l’alimentazione avveniva per mezzo di uno zampillo centrale. Caratteristica la sistemazione a giardino dell’area interna del complesso residenziale signorile, detto delle case a Giardino, con ben sei fontane, in una delle quali si conserva un grosso frammento di labrum (L. 33): la sistemazione di questo complesso residenziale è dovuto al piano regolatore adrianeo del 128 d.C. circa. A Ostia la costruzione di fontane e ninfei pubblici è attestata già nella prima metà del I secolo d.C., in seguito alla realizzazione del primo acquedotto in epoca augustea e della grande canalizzazione cittadina delVeta di Caligola. Un incremento delle fontane pubbliche, non solo nella quantità, ma anche nella varietà tipologica!Si, si riscontra in età flavia e nel Il secolo d.C., mentre una forte riduzione è testimoniata nel III e IV secolo. Del IV secolo è il ninfeo pubblico a camera, detto degli Eroti, in cui si conserva un labrum (L. 69) su supporto non pertinente: entrambi i pezzi sono antecedenti al loro utilizzo in età tardo-antica. Le fontane domestiche con vasca scoperta o coperta, alimentate dalla rete idrica cittadina, sono attestate solo a partire dal II d.C., soprattutto nei cortili interni delle insulae. Cospicua è la documentazione di fontane ornamentali e ninfei articolati nelle ricche dimore del UT e IV secolo'®, in genere 179 Sulla classificazione tipologica e sulle caratteristiche tecniche delle fontane ostiensi, pubbliche e private, si rimanda a RICCIARDI, ScRINARI 1996, II, p. 9 ss. 150 I bacini del ninfeo degli Eroti e della domus delle Colonne sono pertinenti a fontane d'uso privato; quello nell'ambiente centrale delle termo dei Cisiariî, come spiega la Ricciardi — RICCIARDI, SCRINARI 1996, I1, p. 9 s. -, a fontane d'uso promiscuo. La studiosa, infatti, fa una. netta distinzione fra fontane pubbliche, costruite con fondi dello Stato o donazioni di privati alla collettività, alimentate da acqua usibus publicis, e fontane private, erette da privati, la cui acqua, ottenuta per concessione, era pagata allo Stato; in quest'ultime rientrano anche le fontane costruite in terme private, alberghi, collegi e condomini. Promiscue, infine, sono le fontane costruite in cortili, strade interne c nelle terme pubbliche, che, pur essendo servite dalla rete idrica cittadina, ricevevano un compenso dai privati che ne usuftuivano. 181 Nel I secolo sono attestate, oltre alle semplici vasche scoperte, anche fontane coperte e ninfei a facciata 182 Si rimanda a RICCIARDI, ScRINAR! 1996, II, con bibl. prec. La situazione è riassunta in: A. SCHMOLDER, Le ravitaillement en eau, in Ostia. Port et porte de la Rome antiqua,J.P. DescorupRES, Genève 2001, p. 100 ss. 47
con la presenza di labra sbozzati giacenti nella Marmorata ostiense e impiegati per la prima volta in epoca tarda (L. 61, 75, 87).
Nelle case dei centri vesuviani le fontane si diffusero in modo capillare a partire dall’età augustea, quando, in seguito al collegamento di Pompei e probabilmente anche di Ercolano all’acquedotto del Serino'® e all’installazione di una rete di condutture di piombo, si ebbero grandi cambiamenti nelle case, con la fioritura dei bagni privati e l'aumento degli arredi: in particolare variò l'aspetto degli atria, che si arricchirono di vasi floreali e di più articolati complessi-fontana, e dei giardini nei peristili. In quest'ultimi, fino ad allora costi tuiti unicamente di piante e fiori, si eressero fontane, che divennero di moda proprio a partire dall'età augustea. Le fontane costituirono l'elemento centralizzante di molti giardini (ad es. la casa del Fauno), ma non di tutti, poiché alcuni di essi non presentavano fontane o ne avevano, ma in posizione secondaria rispetto ai numerosi ornamenti accessori, quali statuaria, erme, pinakes, oscilla: il tutto articolato, comunque, secondo quell’attenta disposizione organicamente simmetrica, che, come si è detto, è tipica dell’articolazione dei 183 È incertose Pompei in età preromana (in età sannitica o tra la fine della seconda guerra punica e la guerra sociale) avesse già un acquedotto o se l'acquedotto sia stata creato soltanto dopo la fondazione della colonia romana nell’80 a.C. (in età tardo-repubblicana o in età augustea). resti dell’acquedotto conservatisi sono indubbiamente di età augustea: probabil‘mente agli inizi dell’etä augustea, in coincidenza con un generale miglioramento di tutte le infrastrutture cittadine, Pompei fu collegata al grande condotto idrico del Serino, le cui condutture furono deviate verso questo centro, verso Nola e forse verso Ercolano, per sostituire un precedente acquedotto, che probabilmente funzionava male. La costruzione dell'acquedotto augusteo è stata collegata, pur senza prove, ad Agrippa. Pochi sono i resti dell’acquedotto ad Ercolano ed incerta è la cronologia dell'introduzione: G.C.M. Jansen, Water systems ‘and sanitation in the houses of Herculaneum, în MedNedRomAntiquity, 50, 1991, p. 161 Notevoli furono le conseguenze della costruzione dell'acquedotto augusteo nei centri vesuViani: grazie all'aumentata capacità di alimentazione idrica, ampi strati di popolazione poteTono usufruire dell’acqua diretta, non soltanto per le necessità personali e domestiche, ma anche per abbellire i giardini con piccoli ninfei e fontane a zampillo. I bagni privati a Pompei ed Ercolano furono realizzati per la maggior parte proprio in età augustea; si diffusero anche le fontane pubbliche per chi non poteva permettersi un collegamento diretto. Prima di questo sistema di approvvigionamento idrico, la popolazione prendeva l’acqua da pozzi e cisterne. Nonostante ciò, però, tra il 62 d.C., quando il terremoto dovette danneggiare le condutture, e il 79 d.C. l'acquedotto augusteo funzionò poco e male. Sul problema dell’acquedotto di Pompei ed Ercolano, da ultimo: N. DE Haan, Privatbäder in Pompeji und Herkulaneum und die städtische Wasserleitung, în Geschichte der Wasserwirtschaft und des Wasserbaus im Mediterranen Raum, 8 Int.Symposium zur Geschichte des Wasserbaus, Mitt.Leichoweiss-Inst. Wasserbau, Unix. Braunschweig, 117, 1992, p. 423 ss. 134 Sulla varietà della plastica accessoriae sulle piccole sculture, in marmo e in bronzo, che rivelano l'influsso della plastica greca di età arcaica, classica, ma soprattutto ellenistica, sulla produzione artistica romana, si vedano: DWYER 1982, p. 121 ss; W.F. JASHEMSKA, Antike römische Garten in Campanien, in CARROLL SeILLECKE 1992,p. 182 s. I soggetti prediletti da questa "plastica da giardino” sono in genere quelli dionisiaci, ben connessi con l’acqua e la vegetazione ed anche con il motivo del banchetto, spesso svolgentesi nei pressi dei giardini pompeieni. 48
giardini romani. Nelle case pompeiane sono testimoniate varie strutture idriche': piccoli ninfei ad edicola o grandi ninfei a pareti architettoniche, dislocati in pseudo-peristili o in piccoli giardini; bacini di raccolta o piscinae (villa San Marco a Stabia), posti nel centro dei peristili ed alimentati da getti d'acqua zampillanti da mensae marmoree, colonnette, statuette; piccole fontane composte di labra o di vasche rettangolari ed alimentate da statuette su podia © da erme, erette nei peristili. Queste fontanine venivano dislocate o al centro o alla periferia del giardino, lungo il colonnato, presso cui correvano le canalette di scolo del tetto; in tal modo si poteva facilmente risolvere il problema
del drenaggio delle fontane, richiamando nel complesso il sistema di adduzione e di scarico delle fontane poste presso gli impluvia negli atri. I bacini nei peristili avevano una funzione sia pratica, per i bisogni della casa, che esteti-
ca, sottolineata dalla disposizione simmetrica o centralizzata di esi. Quasi un unicum costituisce l'esempio del peristilio-giardino nella casa dei Vettii, che
conserva un’inconsueta quantità di vasche (vasche rettangolari del tipo A. Il e
labra: L. 103, 123, 156, 157), statuette ed ornamenti, disposti tra loro secondo quella perfetta pianificazione simmetrica, tipicamente romana, che non trova una corrispondenza puntuale nelle ville e nei palazzi greci di età ellenistica. Caratteristici sono gli articolati complessi-fontana eretti negli atria delle case pompeiane, attestati sin dagli inizi del I secolo a.C.1%, ma divenuti popolari nel periodo augusteo!#? c particolarmente diffusi in età imperiale. Con il miglioramento dell’approvvigionamento idrico gli impluvia, non più usati per la raccolta dell’acqua piovana a scopo utilitario, diventarono articolati complessi omamentali. Nello studio recente del George' sui complessi a fontana costruiti lungo i lati brevi degli impluvia negli atria pompeiani, si evidenzia che essi si caratterizzano per la combinazione di un piedistallo parallele185 Cfr. H. Laurer-Bure, Zur architektonischen Gartengestaltug in Pompeji und Herculaneum, in Neue Forschungen in Pompeji, hersg. B. ANDREAE,H. Kvrueeis, Recklingen 1975, p. 169 s .: nell'esame dei ninfei e delle fontane a parete vesuviane, l'autrice sostiene T'origine nel primo-ellenismo, probabilmente nell'edilizia alessandrina delle fontane a nicchia; Dwyer 1982, in particolare p. 116 ss. 186 11 complesso con labrum, pilastro e puteale presente nell’atrium della casa delle Nozze d'Argento, contemporaneo alla realizzazione dell'atrio, è di età sillana: PERNICE 1932, p. 47, 1.4, tav. 31,2 187 Si ricordi a partie da questo periodo il miglioramento del sistema di approvvigionamento idrico a Pompei e il conseguente aumento delle fontane: si rimanda alla nota 183. In età imperiale, inoltre, si registra un cambiamento di utilizzo dell’atrium e dell’impluvium: quest'ulimo, infatti, non füngendo più soltanto da bacino di raccolta dell'acqua piovana, cominciò ad essere decorato lungo i suoi bordi con fioriere, fontane zampillanti e oggetti omamentali accessori, che resero l'atrio sempre più somigliante ad un giardino ameno. Comunque, oltre all'acqua fomita dall’acquedoto cittadino, per i bisogni idrici domestici si utilizzava ancora in età imperiale l’acqua piovana raccolta nella cisterna sotto limpluvium: MeKav 1975,p. 48 s. 18 GeorGE 1998, p. 82 ss.
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pipedo, collocato sul bordo dell’impluvium, a volte sormontato da una statua 0 un vaso, da cui esce uno zampillo, di un bacino rotondo (un labrum è presente nell’impluvium della casa delle Nozze d’Argento!®: L. 155) o rettangolare (nelle case pompeiane di A. Octavius Primus e di M. Obellius Firmus'%), posto direttamente all'interno dell’impluvium, che raccoglie il getto d’acqua; © di un ulteriore elemento, contrapposto al bacino e collocato all'esterno delT'impluvium, consistente in un tavolo marmoreo con mensa rettangolare su due trapezofori o circolare su un unico piede??!, o in un puteale cilindrico, a volte scanalato e ornato in alto da un fregio con triglifi e metope. Dickmann"? delinea una successione in questi complessi a fontana caratteristici degli impluvia: inizialmente, in età tardo-repubblicana, è testimoniata la presenza del solo puteale dietro l’impluvium'%; subito dopo, sempre in età tardo-repubblicana, venne aggiunta la mensa marmorea a due piedi, cui successivamente fu unito anche un bacino tondo o rettangolare, insieme alla base parallelepipeda con piccola scultura, come Wasserspeier, alterando così la sistemazione 189 George 1998, fig. 7. 190 George 1998, figg. 4, 5. 191 Sui tavoli da giardino, ampiamente diffusi nel genere delle sculture decorative: Moss 1989, p. 238 ss. (sulla varietà di funzioni dei tavoli marmorei, in ambito sia pubblico che privato, sia sacro che profano: come tavoli votivi, su cui si disponevano le offerte o che sostenevano statuette di culto, 0 come altari, collocati sia in templi e santuari, sia nei sacrari domest ci; come tavoli apotropaici; come tavoli da pranzo veri e propri; come tavoli onorari di benefattori e patroni; come tavoli funerari presso le tombe; come vasariae mensae per poggiarvi vasi per vino ed acqua o decorativi; come banconi di negozi); e da ultimo, L. FARRAR, Ancient Roman gardens, Somerset 1998,p. 37ss. Riguardo alle mensae su monopoli a colonna rinvemute negli atri, sui bordi degli impiuvia (cinque esemplari), nei giardini e peristili (sei esemplari) delle case pompeiane, il Moss evidenzia che, mentre negli atria veniva prediletta una collocazione simmetrica e, quindi ben visibile già dall’ingresso, del tavolo sull’asse fauces/impluvium, in una posizione centrale all'intemo dell’atrium, nei perstili e nei giardini, invece, domi nava una disposizione asimmetrica e decentrata dei tavoli su colonne, che ne impediva la centralità visiva per far spaziare lo sguardo tut atom allo spazio aperto. Queste differenze di collocazione e di funzione sono motivate dal Moss proprio dalla forma stessa del tavolo su monopodio: multi-facciale e non-assiale. Tale forma corrisponde alla molteplicità di collocazioni nelle abitazioni private: atri, giardini, peristili triclini (ANDERSSON 1991, p. 553), sacraria c stanze secondarie. Tre tavoli marmorci furono riusati come fontane e installati probabilmente (non conoscendosi il luogo esatto di rinvenimento) nelle piscine dei peristili di tre case pon peiane (Moss 1989, 324 s., nn. A 347-349: case VII, 12. 23; VII, 14. 4; IX, 2.7-8. Cfr. giù: Dwyer 1982, p. 65, fig. 81). Essi documentano la semplicità c la funzionalità del sistema di adduzione: una canaletta di alimentazione era fatta passare, non visibile, all'interno del fusto del supporto c al centro del tavolo era inserito un elemento bronzeo, in un caso un serpente, da cui usciva improvviso e inaspettato lo zampillo, con vivace effetto illusionistco. Tali monopodi sono attestati anche in ambito pubblico: religioso (area sacra suburbana di Ercolano) c secolare (quadriportico presso il Teatro Grande di Pompei) (Moss 1989, p. 325 s). 192 J-A. DICKMANN, Domus frequentata. Auspruchsvolles Wohnen im pompejanischen Stadthaus, München 1999, p. 301 5. 195 Io, ibidem, fig. 82: domus 14,5. 50
originaria con il solo puteale'%; tale composizione è testimoniata anche in età imperiales, A volte sono testimoniati casi di labra marmorei posti al centro dell'impluvium, come nel caso della casa dei Ceii (L. 154). Nell'atrium della villa di Settefinestre su un lato breve si disponevano un labrum (L. 128) e un puteale affiancati'%, Un topos nel repertorio iconografico romano delle pitture parietali e dei mosaici conservatisi a Roma e relle città vesuviane il tema del finto giardi10/9), particolarmente diffuso dall’età augustea alla fine del I secolo d.C. Queste panoramiche vedute si sviluppano sulla parete, in genere suddivise in pannelli o, più raramente, a sviluppo continuo?*; a volte, invece, si concentrano in piccoli quadretti appesi’. T lussureggianti giardini2%, le cui componenti floreali e faunistiche sono rese con grande realismo, sono recintati da incannucciate e staccionate lignee, con esedre e nicchie rientranti, entro cui sono collocati canthari, crateri e labra, marmorei o in metallo, posti su alti piedi o su treppiedi, dai quali fuoriescono zampilli scenografici e sui cui bordi si abbeverano uccellini. Spesso queste fontane da giardino appaiono più complesse, con statue di ninfe, centauri o sfingi che fungono da supporti dei bacini, oppure con sculture (in genere statuette di Venere, sileni, satiri e ninfe), poste su pilastri, da cui fuoriesce il getto d'acqua che cade nel bacino antistante: di queste fon194 I, ibidem,fig. 83: domus delle Nozze d' Argento. 195 Ip, ibidem, fig. 85: domus di Obellius Firmus. 196 10, ibidem, p. 176, fig. 48. 197 La numerosa documentazione è esaurientemente raccolta in: JASHEMSK! 1979, p. 5 ss. sulle pitture di giardini, JASHEMSK! 1993, p. 313 ss., con bibl. prec: catalogo dei giardini dipinti, dei mosaici derivanti da pitture di giardini e delle rappresentazioni di giardini. Sul paesaggio nella pittura parietale campana: WJ. TH. PETERS, /I paesaggio nella pittura parietale della Campania, in AA.VV, La pittura di Pompei, Milano 1991 (1999), p. 243 ss. S. DE Cano, Due ‘generi nella pittura pompeiana: la natura morta e la pittura di giardino, in ibidem, p. 257 ss. 198 Jasticusi 1979, p. 59, fig. 96: casa VII, II, 30. Sul finto giardino a sviluppo continuo della villa di Livia a Prima Porta, probabilmente l'esempio più antico (30-20 a.C.) di questo genere pittorico, si veda: R. Sanzi Dt Mino, /I giardino dipinto della Villa di Livia a Prima Porta, in Palazzo Massimo alle Terme, a cura di A. LA REGINA, Milano 1998, p. 197 ss. con bibl. prec. Secondo Jashemski le prime pitture di giardino sono quelle dell Auditorium di Mecenate, (LTUR, III, 1996,p. 70 ss, s. v. horti Maecenatis: Ch. HAUBER): il terminus ante quem dell'acquisizione dei terreni all’ Esquilino da parte di Mecenate è fornito dalla satira I, 8 di Orazio databile fra il 38 e il 35 a.C. Secondo la Jashemski, inoltre, Studius, attivo in quel periodo, non fù il creatore delle pitture di giardino: JaswEMSKI 1979, p. 86. 199 | piccoli quadri con scenette di giardini, frequenti nelle pareti di II e IV stile, sono considerati da alcuni di origine ellenistica, da altr, invece, semplici disegni di architetti o schizzi di giardini reali: JaswEMSKI 1979,p. 79. 200 I gusto per i parchi verdi popolati da animali var, i paradeisoi, termine con cui i greci definivano i giardini reali dei re persiani, si diffuse nel mondo greco, a partire da Alessandro Magno e dai suoi successori, e po nel mondo romano, dopo la conquista del mondo ellenistico, con la creazione di grandi riserve di caccia (Varrone); JASHEMSKI 1979, p. 68 ss. sui contenuti di queste pitture di giardini: asus 1979, p. 80 ss. 51
tane con sculture figurate il Grimal2™ sottolinea la duplice funzione decorativa e allusiva ai temi sacri, in genere di ambito dionisiaco. Secondo Jashemski i pittori di finti giardini riproducevano sulle pareti immagini riprese direttamente dalla realtà circostante?" In alcune di queste raffigurazioni sono inseriti, come si è già detto, anche i labra: a Pompei, nella casa dei Ceii è dipinto un bacino dello stesso tipo di quello bronzeo della casa del Menandro, nel cui balneum è raffigurato un erote che appoggia una mano sul bordo di un labrum del tipo V a coppa; nella diaeta della casa del Matrimonio di Alessandro (VI, Ins. occ. 42) tra realistiche margherite spicca un labrum del tipo III a catino, con pareti baccellate%, molto simile a quello marmoreo, proveniente verosimilmente dall'area vesuviana e conservato nei magazzini del Museo Archeologico di Napoli (L. 151); in un pannello di provenienza sconosciuta, proprietà di una. collezione privata svizzera, datato nel I secolo d.C., è rappresentato un labrum del tipo II a bacile, con zampillo e supporto sostenuto da una sfinge?, Nel cortile-giardino della villa di Poppaea ad Oplontis in due pannelli sono raffiguradue coppe ansate e baccellate, del tipo neoattico, poste su supporti in forma di candelabra vegetali?®. Nella fontana a mosaico della casa del Matrimonio di Alessandro è rappresentato un labrum del tipo III a catino su supporto liscio?%. Nell’ Auditorium di Mecenate a Roma, della prima età augustea, ninfeo degli horti Maecenatis all’Esquilino, è raffigurato un labrum su piedistallo scanalato, all'interno di una nicchia transennata™”, Pertinenti agli arredi di domus e ville più o meno lussuose sono alcuni labra
rinvenuti a Chiragan (L. 115), a Delos (L. 131), a La Mola di Montegelato
(L. 146), a Roma negli ambienti a carattere abitativo sotto la Basilica di S. Giovanni (L. 171), nell'edificio sotto il Museo Barracco (L. 90). Una tradizione non controllabile ricorda che il labrum riutilizzato come fonte battesimale nella Basilica di Santa Maria Maggiore (L. 14) proviene da Villa Adriana Come si è già detto, frequente è la provenienza dei labra dagli impianti termali, ove svolgevano varie funzioni: oltre a favorire i bagni di vapore, essi permettevano igienici lavaggi preliminari e abluzioni rinfrescanti ai frequentatori accaldati dall’alta temperatura presente all'interno delle stanze? (L. 51, 65, 84, 165, 178); inoltre potevano rivestire anche una funzione puramente ornamenta201 P. Grit, Les jardins romains, Paris 1969, p. 298 s. 202 Jasuenscı 1979, p. 87. 203 Jasaewskt 1993, p. 348 ss, fig. 12. 204 Jasitensks 1993, p. 392, fig. 475. 205 Jasutemskt 1993, p. 378's,figg. 447-448. 206 Jasntemski 1993, p. 393, fig. 478, 207 Cfi nota 198; JASHEMSK! 1979, pp. 80; 86; Jasıtauskı 1993,p. 383 ss.,n. 128, fig. 464. 208 [a funzione di lavabo dei labra negli impianti termali è più volte ribadita in: Mawpesscutip 1994, pp. 24 ss, 50. 52
2. Pompei, casa del matrimonio di Alessandro (da: Jasıızmskı 1993, fig. 12).
le con giochi d'acqua? (L. 145, 181). Lo storico bizantino Olimpiodoro vide nelle terme di Diocleziano ben 3200 piccoli bacini di marmo e altri simili nelle terme di Caracalla; il Barbault, nel ‘700, a proposito delle terme di Diocleziano, ricordava le "conche dette labra...che si vedevano ancora numerose a Roma", sostenendo che i bacini citati da Olimpiodoro dovevano essere piuttosto grandi. © seminterrati?!9, In una stampa della fine dell'800 di E. Paulin?! è raffigurato il frigidarium delle terme di Diocleziano, con la proposta ricostruttiva degli arredi scultorei, tra cui spicca in primo piano un labrum monumentale, sostenuto da un supporto scanalato con Tritoni inginocchiati, che fungono da cariatidi; intorno ad esso bagnanti immaginari si rinfrescano immergendo le braccia nelle sue acque. Fontane monumentali costituite da bacini di raccolta circolari con labra sono raffigurati in un acquerello e in un disegno ricostruttivo del frigidarium delle terme di Caracalla di Viollet-le-Duc”. 209 Sulla funzione omamentale dei labra nelle terme: MANDERSCHEID 1994, pp. 24 s., 55 s. 210 J, BARBAULT, Les plus beaux monuments de Rome ancienne, Roma 1761, p. 62. 211 E. PavLIN, Thermes de Dioclétien, Paris 1890, tav. 24; cfr. M. SERLORENZI, S. LAURENTI, Terme di Diocleziano. Santa Maria degli Angeli, Roma 2002, p. 52. 212 Le voyage d'Ialie d'Eugóne Viollet-le-Duc 1836-1837, Firenze 1980, p. 152, n. 139; p. 154, n. 140, 53
Labra sicuramente provenienti da terme pubbliche sono: quello in via dei Staderari proveniente dalle terme Neroniane-Alessandrine (L. 51); dalle terme di Tito proviene il Jabrum in granito del Foro (L. 35), reimpiegato nella fontana del Cortile del Belvedere; forse nelle stesse terme è stato rinvenuto anche il bacino posto davanti Villa Medici (L. 53). Bacini di dimensioni simili sono supposti da Manderscheid anche per le terme di Caracalla?"; in queste terme erano forse stati riutilizzati i due labra lussuosi, pertinenti alla collezione Famese (L. 8, 9); probabilmente dalle terme di Caracalla provengono i frammenti del bacino porfiretico analogo al precedente (L. 3), conservati a KleinGlienicke. Forse da impianto termale ostiense (terme sotto via dei Vigili o terme di Nettuno) proviene il bacin lino in via dei Vigili (L. 86) Alcuni labra sono tuttora conservati in situ in impianti termali pubblici e pi vati: a Roma, nei bagni privati (L. 174) dell’edificio repubblicano alle pendici settentrionali del Palatino; ad Ostia nelle terme dei Cisiarii, d'uso privato, collegiale, nel frigidarium © caldarium (L. 164); a Pompei nella palestra (L. 125) e nel caldarium maschile (L. 160) delle terme del Foro, nel caldarium femminile delle terme Stabiane (L. 126). Ancora in situ sono i tre esemplari conservati ad Ercolano: nell’apodyterium maschile delle terme del Foro (L. 84), nell’atrio (L. 145) e nel caldarium (L. 85) delle terme Suburbane; nel caldarium degli impianti termali della villa di Settefinestre (L. 127); nel caldarium (L. 144) e nel frigidarium (L. 74) della villa di N. Popidius Florus a Boscoreale. Dall'apodyterium dei bagni di villa San Marco a Stabia (L. 129) proviene un frammento di conca ansata. Nelle province settentrionali si conservano bacini ancora in situ: nelle terme di Rottweil (L. 189), nel caldarium di Heerlen (L. 177), nel bagno del castro militare di Hüfingen (L. 178), nei bagni privati della villa di Polich (L. 181); nelle province orientali: nel frigidarium delle terme pubbliche del Piccolo Ginnasio a Pergamo (L. 65), nelle terme di Adriano a Leptis Magna (L. 82), nelle terme di Kladeos ad Olimpia (L. 121). Incerta & la provenienza dalle terme di due esemplari ad Efeso (L. 56, 107), di uno ad Otrang (L. 180). Delle due vasche a Verona (L. 11, 106) si
ricorda la provenienza dalla piazza del Duomo, dove secondo alcuni erano le terme romane, mentre secondo studi recenti vi si trovava un quartiere residenziale con ville, giardini e bagni privati. Un labrum non finito, con ampio ombelico centrale, del tipo I a vasca, è testimoniato nelle terme romane di Champlieu, nell’antica Gallia Belgica (Picardia)?!4. I labra termali potevano essere collocati in vari ambienti, ma il luogo prediletto era il caldarium: qui oltre all’alveus, cioè alla grande piscina comune per immersioni in acqua calda, è spesso presente anche un bacino tondo su alto 213 MAnDerscheip 1991, p. 50. 214 Ne è data un'immagine in Archeo, XVIII, 1, 203, gennaio 2002, p. 20. 54
piede. Esso veniva inserito nella nicchia absidale, definita da Vitruvio?! schola. labri?, un luogo di attesa con sedili marmorei, in cui il labrum era collocato sotto un’apertura, in modo che i bagnanti, che si disponevano intorno ad esso non potessero oscurare con la loro ombra la luce, che arrivava dai lati oppure obliquamente dall’alto: la sua prima comparsa è testimoniata ad Olimpia nel 100 a.C. circa?!7. La forma vitruviana dei caldaria con alveus-piscina e labrum nell’abside è attestata soprattutto nell'area campana, a partire dall'ultimo quarto del I secolo a.C.2, Il labrum nell'abside del caldarium doveva servire i zialmente, secondo la successione stabilita da Eschebach, per l’evaporazione acquea, che favoriva la traspirazione dei bagnanti?!, e, contemporaneamente 0 successivamente al cambiamento di funzioni del labrum stesso, per le opera218 Vimwv. V, 10,4: Magnitudines autem balneorum videntur fieri pro copia hominum; sint ita compositae. Quanta longitudo fuerit tertia dempta, latitudo sit, praeter scholam labri et alvei, Labrum utique sub lumine faciundum videtur, ne stantes circum suis umbris obscurent lucem. Scholas autem labrorum ita fieri oportet spatiosas, uti, cum priores occupaverint loca circum, spectantes reliqui recte stare possint. Alvei autem latitudo inter parietem et pluteum ne ‘minus sit pedes senos, ut gradus inferior inde auferat et pulvinus duos pedes. 216 Sulla schola labri, da ultimi: F. YeodL, Baths and Bathing in Classical Antiquity, New York 1992,p. 3765, con bibl pree; A. BOUET, Les thermes privés et publics en Gaule Narbonnaise, Ec. Frane. Rome, 320, 2003 (2004), pp. 40 s. (sulla tipologia del caldarium con o senza schola labr), 57s. (sulla funzione della schola fabri), Solo un terzo dei bagni privati tardo-repubblicani e protoimperiali in Campania e nel Lazio è provvisto di un abside per la schola, mente gi altri due terzi hanno solo una nicchia peril labrum: Settfinestre 1985,II p. 62: M. De Vos; PASQUINUCCI 1987, p.49: E.I SHEPHERD. A propositodi una simile collocazionein una nicchia si veda la scheda relati va ai due labra di Setefinesre; nel caldarium femminile delle terme Stabiane a Pompei il labrum è semplicemente accostato al Jato breve di fondo, senza abside, né nicchia (L. 126) 17 A. MALLWTZ, Olympia und seine Bauten, München 1972, p. 272-3, fig. 226: il quale aveva già suggerito che l'abside fosse servito come rudimentale aconicum con il vapore umido emesso dal labrum ripieno di acqua calda 218 Sulla varietà delle forme del caldarium, dalle prime forme più semplici, a pianta rettnsolare con abside, a quelle pi complesse, con più absidi e nicchie, e sui suoi componenti: PAsauısuccı 1987, p. 48 ss EJ. SHEPHERD, con bibl. prec. Sulla schola labri e sul cambiamento di funzione del labrum, con la cessazione del riscaldamento dell'acqua: da produttore di vapore. umido a contenitore di acqua fredda per abluzioni rinfrescanti: H. ESCHEBACH, “...Laconicum et destrictarium faciund... ocarunt..". Untersuchungen in den Stabianer Thermen zu Ponpeji, in RM, 80, 1973,p. 235 ss. fig. 64-66; ESCHEBACH 1977,p. 156 ss; ESCHEBACH 1979, p. 43 s. tav. 31. Secondo lo Yegill «op. cit a nota 216, p. 377- la successione stabilita dallo Eschebach è troppo rigida; cf. anche NIELSEN 1990, pp. 3, 33, fig. 75, che non concorda con il riconoscimento di due periodi nel caldarium delle terme Stabiane, avendo Vitruvio perlato di una coesistenza di laconicum e di labrum. La studiosa sottolinea che, quando si diffusero nei bagni le piscine comui, si introdussero contemporaneamente i abra nei caldaria, per permettere alla gente di lavarsi prima di entrare nell'alveus; usanza già nota nell'86-82 a.C. Sempre secondo la Nielsen, a partire dal IT secolo d.C, il labrum nell'abside del caldarium venne sostituito da un alveus; il labrum nel caldarium, quindi, è testimoniato soprattutto nella prima età imperiale. Inoltre, eft. HEINZ 1983, p. 32 s. secondo cui il labrum nell'abside del caldarium doveva servire a refigerare le persone accaldate dalla elevata temperatura raggiunta dall'ambiente (circa 50°) e soprattutto dal pavimento (circa S5-57°); ella stessa opinione anche il Weber-WeBER 1996, pp. 18 ss. 56 ss. 219 Così anche: De Vos 1982, p. 201. 55
zioni di pulizia preliminare con lo strigile (descrictarium), secondo Nielsen e Bouet, e per le aspersioni rinfrescanti, secondo Heinz e Weber, necessarie a causa dell’alta temperatura che si raggiungeva nell’ambiente. I! Weber sottolinea che il labrum era alimentato con una conduttura esterna, separata da quella che adduceva acqua calda nella piscina.
1 labra erano, inoltre, presenti anche nelle stanze fredde delle terme: in genere negli apodyteria 21, più raramente nei tepidaria ?2, nei frigidaria 23 e negli atria, dove rivestivano funzione di lavabo, fontanella per bere e rinfrescarsi, o di scenografico gioco d'acqua. Piccoli labra sono attestati anche nelle latrinae pubbliche, spesso connesse ai complessi termali: qui il labrum, in funzione di lavabo, costantemente ricolmo d'acqua, serviva anche ad alimentare la canaletta, scavata lungo il basamento dei sedili, in cui venivano immerse le spugne immanicate, usate per la pulizia e a volte ricordate anche nelle fonti antiche22s. Il piccolo bacino su basso piede conservato nella forica delle terme del Foro di Ostia (L. 165) doveva probabilmente essere usato a tale scopo. I Labra, in bronzo e in marmo2*, venivano anche offerti in dono nelle terme da personaggi facoltosi. Gli strumenti usati per versare acqua sui corpi o per far portare acqua agli inservienti delle terme erano larghi mestoli con manici, brocche e secchi in forma troncoconica?7, potevano 220 Sulla presenza dei labra al di fuori dei caldaria: MANDERSCHEID 1994, p. 50 s. 221 NIELSEN 1990, pp. 68, 158: in connessione con il pediluvio o per lavarsi prima e dopo gli esercizi, soprattutto nelle terme più antiche; si vedano ad esempio le sezioni maschili delle terme del Foro e di quelle Suburbane di Ercolano (Nrrtstx 1990, C. 38-39), in particolare nelle terme del Foro di Ercolano l'apodyterium del reparto maschile presenta sulla parete di fondo, entro un'abside, un labrum in marmo su supporto (L. 84), che doveva servire peri lavaggi parziali con acqua fredda, prima di entrare nelle sale del bagno. 222 NIELSEN 1990, C. 177: Vindonissa 223 NiriseN 1990, C. 158: Aventicum, Nella domus tardo-repubblicana alle pendici setentrionali del Palatino (L. 174), il labrum si trova nel frigidarium del balneum, adibito sia a funzioni private, ingresso dagli ergastula, che pubbliche, ingresso dal clivus Palatinus. Dal frigidarium delle terme del Piccolo Ginnasio a Pergamo proviene il labrum L. 65. Un labrum è stato ricostruito nel frigidarium delle Thermae maiores di Aquincum: M. Kaba, Thermae maiores in Aquincum, in Budapest Régiségei, XXXIV, 2001, p. 135 5, fig. 15, 224 Ad esempio L. 145 nell'atrio delle terme Suburbane di Ercolano, con funzioni puramente ornamentali. 225 MARtIALIS, Epigrammata, XII, 48,4-7; Sen., Epist. 70, 20. Sui labra con funzione di avabi nelle latrine: MANDERSCHIFI 1994,p. 26. Sulluso delle spugne immanicate: PASQUINUCCI 1987, p. 66: M. BRANDO, C. GUARGUAGLIN; JANSEN, op. it. a nota 183,p. 1565s, fig. 16. 28 CIL, IX, 3677 (iscrizione murata nella Chiesa di S. Sabina a S. Benedetto — ant. Marsi Marruvinum, Regio IV — in cui si ricorda la costruzione ad opera di Alfia Quarta del bagno femminile, con un labrum aeneum); CIL, X, 817: bacino marmoreo nel caldarium delle terme del Foro pompeiane: L. 160. Anche il bacino frammentario L. 82 di Leptis Magna dalle terme di Adriano conserva l'iscrizione dedicatoria. 227 Sul labrum come contenitore di acqua freddae sugli strumenti utilizzati nelle terme: R. Nexova-MERDIANOVA, Roman bronze vessels as part of instrumentum balnei, in Roman Baths and Bathing 1999, p. 133 s, figg. 4, 5. 56
essere fatti in legno, di doghe lignee intrecciate con fasce metalliche, o in bronzo. Da Cuma proviene un sostegno scanalato in marmo bianco, probabilmente pertinente ad un labrum, sul cui listello superiore corre una dedica in lingua osca, che ricorda l'acquisto di un oggetto (fliteam = labrum?) offerto da parte di personaggi della famiglia cumana degli Heil, membri della Vereia, istituzione militare cittadina, dedicato in un luogo pubblico preromano: secondo Sgobbo nel gymnasium, sede della Vereia. Il sostegno, conservato nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, era collocato, in fase di riutilizzo, in un ambiente dell’edificio termale romano, databile nel I secolo d.C., mentre Viscrizione, riferibile alla funzione originaria, è stata datata alla fine del III o al II secolo a.C., Il Foro e le terme cumani rivelano la prosperità raggiunta dalle città osche della Campania nel III e II secolo a.C. e l'omogencità culturale esistente tra le città osco-sannitiche e i centri romani dell'area campana. Cuma rimase indipendente da Roma fino alle guerre sociali, ma già nel 180 a.C. ottenne dal Senato di Roma di poter utilizzare pubblicamente la lingua latina. labra rivestivano un ruolo fondamentale nella composizione di fontanelle e fontane monumentali? d'uso pubblico o privato: es i occupavano una posizione centralizzata o una disposizione decentrata, ma simmetrica, libera o funzio228 Come appaiono nei mosaici di un bagno di Ostia (NieLseN 1990, p. 77, fig. 42) e di Piazza Armerina (NIELSEN 1990, p. 76, fig. 40). 29 Settore epigrafico del Musco Archeologico Nazionale di Napoli, inv. n. 183127. Bibliografia: W. Jouanvowsky, in FA, XX, 1965, p. 173,n. 2600;G. Tocco, Saggi di scavo nella città e nella necropoli di Cuma, in Atti XV Convegno Studi Magna Grecia, La Magna Grecia nell'età romana, Taranto 1975, Napoli 1976, II,p. 491, tav. XVII, 2; A.L. PtospociMI, L'osco, in Popoli e Civiltà dell'Italia antica, Lingue e Dialetti, 6, Roma 1978, p. 860, nota 25; 1. Scosno, Il maggior tempio del Foro di Cuma e la munificenza degli Heii cumani in epoca sannitica, in RendAccarchNapoli, LIL 1977, p. 255 s, avv. X, XI; P. Poccerm, Nuovi documenti italici, Pisa 1979, p.97 ss, n. 134; M. TotLLI, La romanizzazione dei territori italici, în La cultura italica. Atti del Convegno Soc.lial. Glottologia, Pisa 19-20 dic.1977, Pisa 1978, p. 79 (quest ultimo propone una datazione delle terme, in base all'iscrizione, al 180 a.C.). Ii sostegno è alto cm 102 compreso il piano superiore, cm 82 il solo supporto; ha una circonfesenza di cm 190 al listello iscritto, di cm 310 alla base; il lato del plinto quadrangolare misura em 107. Esso si compone di un piano superiore circolare, di cui si conserva appena un quarto, lavorato a subbia, con una canaletta incavata, concentrica al bordo, e un incavo quadrangolare (largh. cm 25) al centro; il supporto presenta trentadue scanalature di tipo ionico, un capitello costituito da un abaco, con listello e toro, e un alto echino; nella base si succede un ovolo liscio e un'alta fasciaa gradina; anche il plinto quadrangolare è lavorato a gradina. Il supporto è stato trovato in via Vecchia di Licola, nei pressi della cosiddetta "Tomba della Sibilla" esso era collocato entro un bacino quadrato (cm 250 di lato, prof. em 10), rivestito di marmo, inserito nel pavimento. La presenza di questo bacino di raccolta ha indotto ad identificare l'oggetto come sostegno di un labrum, non rinvenuto. Essendo il contesto archeologico, in base ai dati di scavo, ascrivibile all'età augustea, è ipotizzabile un reimpiego del support. 250 Sulla terminologia antica relativa alle fontane pubbliche, da ultimi: LETZNER 1990, pp. 24 s , 62 ss; DEL CHICCA 1997, p. 231 ss; Gmorto 1999,p. 71 ss, Sulla terminologia e sulla tipologia delle fontane in ambito romano: Gros 1996,p. 418 ss. 57
nale ad una struttura architettonica, non solo nei giardini delle domus private e imperiali, ma anche negli spazi pubblici, come piazze, strade, incroci, santuari, fori, rivestendo una funzione pratica (utilitas) di approvvigionamento idrico per la popolazione, ma anche di abbellimento (amoenitas) dei luoghi pubblici; la funzione ornamentale col passare del tempo divenne predominante rispetto all’immediata valenza utilitaria. Le fontane, inoltre, dovevano conservare, se installate presso templi o all’interno di aree sacre e piazze forensi, l'originaria funzione religiosa, anch'essa passata col tempo in secondo piano rispetto alla. sempre crescente valenza rappresentativo-decorativa, La comparsa a Roma di labra per fontane in luoghi pubblici si può sicuramente stabilire all’inizio del II secolo a.C., se non addirittura prima: Livio ricorda due labra marmorei fatti erigere da P. Cornelio Scipione nel 190 a.C., prima di partire per l'Asia, davanti ad un fornix, all’ingresso del Campidoglio???, Le due vasche, come sottolinea Coarelli2®, costituiscono la più antica testimonianza dell’uso del marmo a Roma ed, inoltre, segnano la nascente sensibilità per il decoro architettonico delle fontane pubbliche, se non già l’inizio di un loro processo di monumentalizzazione.
Properzio™, agli inizi del regno di
Augusto, descrivendo la combinazione di statue e giochi d'acqua nella porticus Pompei, ricorda la piacevolezza dell'acqua scrosciante ovunque nella città. In effetti, nelle fontane pubbliche l’acqua doveva scrosciare continuamente senza interruzione, secondo il principio caratterizzante tutto il sistema idrico romano? Plinio2*, a proposito dell'intensa attività svolta da Agrippa nel 33 a.C., anno in cui rivesti la carica di edile, ricorda la costruzione di settecento lacus??? (termine che indica, a partire dall’età augustea, la fontana pubblica per eccellenza), cinquecento salientes (cioè la fontana pubblica con getto d'acqua zampillante in una vasca?, anche sinonimo di lacus) e centotrenta castella (cioè i ser-
791 Sulla valenza omamentale delle fontane: elemento di piacere visivo e sensoriale, pe la bellezzae la freschezza che da esse emanava, cfr. MALISSARD 1994, p. 97 ss 232 Liv., XXXVII 3,7. Già in nota 20. Su questo arco trionfale © sui due archi onorari pompeiani, di Germanico e di Caligola, muniti entrambi di vasche, si veda: SPANO 1950, p. 173 ss. in particolarep. 177.8. 233 Si veda nota 22. 2% Proven, I, 32, 11-15:..et leviter nymphis tota crepitantibus urbe cum subito Triton ore recondit aquam. 255 DEL Chicca 1997, p. 243, nota 78, 256 Pu, Nat. hist. XXXVI, 121. Su questo passo ¢ sul numero di lacus © salientes citati: Der Cacca 1997, p. 245. 257 Sulla tipologia del lacus e sulla bibliografia relativa si vedano le note 1, 3-7 238 Sul termine saliens: nota 6; ff. LETZNER 1990, p. 63 ss; DEL Chicca 1997, p. 240 ss; Girorro 1999, p. 73. Sulle accezioni del termine munus-munera, cfi DEL CHICCA 1997,p. 246 ss. Gmorto 1999, p. 75 ss, secondo la Del Chicca non si trata di un sinonimo di castella, né di ninfeo; esso doveva riferirsi ad installazioni idrauliche munite di un bacino, in genere non grandioso, con relativi giochi d'acqua e sculture omamentali: il termine è stato genericamente tradotto in “fontane artistiche" o “fontane omamentali", da legarsi alla specifica accezione di 58
3. Napoli, Museo Arch. Naz., inv. n. 183127, sostegno marmoreo con iscrizione, da Cuma (foto D. BONANOME).
batoi di carico, di distribuzione e di raccolta, nei tratti intermedi e terminali degli acquedotti, talvolta arricchiti nella facciata da fontane, le cosiddette mostre d’acqua?39). È proprio con Agrippa che si ha un notevole incremento nel
numero e un arricchimento dell'apparato decorativo nelle fontane pubbliche. Incremento continuato sotto Claudio? fino all’età tarda: l’ampliamento e il miglioramento della rete idrica, apportati nei secoli, permisero la creazione di sempre più numerose fontane, destinate non soltanto all’approvvigionamento “dono, offerta". Ghiotto precisa infatti che il “vocabolo indicava l'offerta ovvero la cura edilizia e la manutenzione della fontana come opera al servizio della cittadinanza, realizzata per iniZiativa pubblica, imperiale oppure privata”. A volte queste fontane monumentali pubbliche veni vano commissionate dagli imperatori, come largizioni, munera imperiali a scopo propagandistico; tale scopo è riscontrabile anche nell’evergetismo privato 259 Cf. Vimuv,, VIII, 6, 1-2. Sui castella aquarum, da ultimi: G. Tenescm GRISANTI, Gli acquedotti, in Civiltà dei Romani. La città il territorio, l'impero, a cura di S. Serris, Milano 1990, 122 5; I RRA, Le testimonianze archeologiche, in Unlitas necessaria. Sistemi idraulici nell'Italia romana, a cura di 1. RIERA, Milano 1994,p. 263 ss, con bibl. prec. 240 Suer., Claud. 20, 2. Nel 52 d.C. per volere di Claudio si condusse a Roma l’agua Claudia con l'Anio novus e si edificarono plurimos et ornatissimos lacus. Sul passo: GHIOTTO 1999, p. 73, note 17-18, 241 Cataloghi Regionari agli inizi del IV secolo d.C., ricordano 1352 lacus: eff: A. NORDH, Libellus de regionibus Urbis Romae, Lund 1949, p. 105, 7. 59
idrico della popolazione, ma anche all’abbellimento dei luoghi pubblici. Un passo di Marziale?? relativo al lacus Orphei e un frammento della Forma Urbis Romae, che rappresentatre elementi circolari allineati (il centrale di m 5-6 circa di diametro, i laterali di m. 2,5-3)?%, permettono al Coarelli di ipotizzare che il lacus Orphei fosse una fontana con una struttura complessa, situata presso la piazza di S. Martino ai Monti e composta probabilmente di “tre bacini (forse grandi tazze di granito, del tipo utilizzato negli edifici termali, che presentano dimensioni analoghe)”. La parte monumentale del /acus Orphei sarebbe stata costituita dalla facciata dell’edificio retrostante, una specie di scaenae frons, con tre aperture in asse con i bacini sottostanti e una ricca decorazione plastica (Orfeo con il suo corteggio di animali e Ganimede). 1 Cataloghi Regionari, menzionano nella Roma del IV secolo ben 1352 lacus e 15 ninfei. Ammiano Marcellino ricorda che, alla metà del IV secolo d.C., a Roma si potevano ancora vedere obelischi e labra ingentia? Dalla semplice fontana d’uso civico, in forme architettonicamente non elaborate, del genere dei fontanili pubblici? costruiti lungo le strade di Pompei (semplici lacus), si sviluppò un tipo di fontana monumentale a struttura architettonica e decorativa più complessa. Il punto di partenza di questa evoluzione verso forme più articolate è attestato in età tardo-repubblicana, con la fontana sulla via Appia presso Formia, mentre un punto di arrivo per gli ornatissimi lacus avviene già nel I secolo d.C. con la fontana di Vespasiano a Side, proto-
tipo delle fontane pubbliche a facciata monumentale che si affermarono, secondo Settis prima nelle città orientali, a partire dal Il secolo d.C". Tali fontane monumentali pubbliche, come si è già detto, venivano definite, perlo242 Sulle testimonianze archeologiche e letterarie di fontane pubbliche a Roma, si veda la voce lacus con le varie denominazione in S.B. PLATNER, T. Ansbv, A Topographical Dictionary of Ancient Rome, Oxford 1929, p. 310 ss; E. Nast, Bildlexikon zur Topographie des antiken Rom, 1, 1961; Il, 1962; L. RICHARDSON jr, A New Topographical Dictionary of Ancient Rome, Baltimore-London 1992, p. 229 ss.; GROS 1996, p. 422 ss. 23 Mast. 10, 19, 1 ss. Sul lacus Orphei: da ultimo, con bibl. prec.; LTUR, III, 1996, s.v. lacus Orphei, p. 171 (F. CoareLL); eff. Deu. Chicca 1997,p. 251 s. 244 Fr. 608, Pianta marmorea, tav. 56. 245 Amx, XVII 4, 6; oft. già nota 25 246 Sui fontanili pubblici, denominati dagli archeologi tedeschi Laufbrunnen (si veda p. 18, nota 5): H. EscHeBACK, T. Scire, Die öffentlichen Laufbrunnen Pompejis, in Pompei, Herculaneum, Stabiae, Pompei 1983, p. 11 ss.; H. EscHEBACH, Katalog der pompejanischen Laufbrunnen und ihre Reliefs, in Antike Welt, 13, 1982, 3, p. 21 ss. 247 Ci. SETTIS 1973, p. 738 ss.; Gros 1996, p. 424ss. La fontanadi Formia costituisce uno dei più antichi esempi di fontana con facciata e bacino anteriore, precursore dei grandi ninfei a scaenae frons; sebbene la datazione del Neuerburg ala fine del II inizi del secolo a.C. sia considerata troppo alta, si tratta, comunque, di un edificio di tà tardo-repubblicana: NEUERBURG 1965,p. 147, n. 59; LETZNER 1990, p. 438 s. n. 313; Gros 1996, p. 424. Sulla fontana di Side: A. Morin MAnSeL, Die Ruinen von Side, Berlin 1963, p. 70 ss. 60
meno fino alla metà del I secolo d.C., con vari vocaboli: lacus, salientes, castella, munera, o perifrasi?'*, Per un termine specifico si deve attendere il II secolo, quando il significato del nome nymphaeum si estese, oltre l’originaria sfera semantica di grotta sacra alle Ninfe®® (e, per estensione, di recinti sacri alle ninfe, contenenti sorgenti naturali o fontane interamente o parzialmente architettoniche), ad indicare proprio un tipo di fontana monumentale. pubblica, ad esedra. Fino all'intero I secolo d.C., infatti, né a Roma? né nel resto dell’Impero esisteva un termine particolare per indicare la fontana monumentale pubblica, definita genericamente lacus o saliens più ornatus rispetto alle semplici fontane funzionali (anch’esse: lacus/saliens): questo perché la fontana monumentale non nacque come edificio diverso rispetto alla fontana. funzionale, ma anzi si sviluppò contemporaneamente a questa, senza poter avere una sua fisionomia autonoma, né dal punto di vista architettonico né da quello lessicale. Solamente all'inizio del II secolo d.C.251, o come sostiene Ghiotto®® già sullo scorcio del I secolo d.C., si ha testimonianza dell’uso del termine vundatov /nymphaeum nell'accezione più ampia di fontana monumentale pubblica?9?, ad esedra, inserita nel tessuto della città e di uso tradizionalmente non sacro? Valenza recepita prima nella parte orientale dell’Impero, secondo Settis, o contemporaneamente tanto in Oriente che in Occidente, secondo Ghiotto. Durante il II secolo si registra una straordinaria fioritura del ninfeo a pianta semicircolare®, architetture che si possono ricondurre all’archetipo della grotta naturale (specus) con sorgente, cioé al nymphaeum inteso nella sua accezione originaria. Il ninfeo ad esedra è documen248 Un esempio è la formula Meta Sudans, già attestata in Seneca: SEN, Epist, 56,4; su tali denominazioni: GHIOTTO 1999, p. 74s. 29 Poeotus Meta, De Chorographia II, 3. 250 Serms 1973, p. 737. 251 Sms 1973, p. 705 ss; cfr. LP. DARMON, Nymfarum domus. Les pavements de la maison des Nymphes à Néapolis (Nabeul, Tunisie) et leur lecture, Leiden 1980, p. 87, nota 9; LETZNER 1990,p. 60 s. 252 Gmorro 1999, p. 79 s. 253 Si ricorda l'iscrizione — [GR III, 1273 - relativa al ninfeo di Es-Suweida in Siria. (Soada Dionisiade), dedicato a Traiano e costituito da una fontana monumentale a pianta semicircolare. 254 Lo scopo principalmente pratico e laico, sia nella funzione di approvvigionamento quotidiano per la popolazione, che in quella di giochi d'acqua, puramente decorativi, per cui tali fontane venivano costruite, non implica più un valore sacro, ma neppure lo esclude sempre: SeTns 1973, p. 708. Sulla definizione di esedre e ninfi, sulla genesi e sull'uso del termine nymphaeum: Serris 1973, p. 661 ss, in particolarep. 737 ss. Sulla tipologia dei ninfei nel mondo romano: Neurgsura 1965, p. 27 ss; F. Gase, Brummen und Nymphàen, in Wasserversorgung 1987,p. 118 ss.; LETZNER 1990, pp. 24 ss. 117 ss. Gros 1996,p. 420 ss. Sulle denominazioni delle fontane monumentali pubbliche romane dall'età repubblicana all’età tardo-antica, da ultimo cfr: GHIOTTO 1999, p.71 ss. 255 Cfi. Gros 1996,p. 425 ss. 61
tato in Grecia®s, già in età adrianea con la fontana dell'agorà di Atene? e con il sontuoso ninfeo dedicato da Erode Attico?** nella metà del II secolo ad Annia Regilla e a Zeus nel santuario di Olimpia, e ancor prima in Oriente, con il ninfeo traianeo di Soada Dionisiade, Es-Suweida, in Siria (la più antica fontana pubblica di questo tipo a noi nota). Del 190-191 d.C. & la monumentale fontana di Gerasa®®, in cui il labrum (L. 48) serviva da bacino di raccolta. In età severiana, il modello si diffuse anche in Africa, Fontane monumentali nelle citià italiane sono molto rare nel I secolo a.C. c ancora nel 14.C.: a Roma la più antica fontana è il lacus Juturnae, ai piedi del Palatino, tra il tempio di Vesta e quello dei Dioscuri, il cui impianto originario con un bacino rettangolare si data a dopo il 168 a.C.; presso il tempio di Venus Genetrix nel Foro di Cesare si ricorda la fontana delle Ninfe di Appiade?“t. La prima grande fontana urbana, con evidente ruolo scenografico, è quella a sette nicchie, alternate quadrangolari e semicircolari, ancora visibili ai piedi del muro di sostruzione orientale della terrazza del tempio di Claudio, in via Claudia, databile nel terzo quarto del I secolo d,C.2®. La fase più antica della Meta sudans potrebbe essere anticipata dal regno di Domiziano all'età augustea. A Ostia la maggior parte dei ninfei conservatisi si datano nel IIT 256 Per un quadro riassuntivo sulle fontane e sui ninfei in Grecia e in Oriente: F. GLaseR, Antike Brunnenbauten (KPHNAI) in Griechenland, Wien 1983, con catalogo delle fontane e dei ninfei nel mondo greco, dal VII secolo aC. al II secolo d.C, e analisi della loro tipologia, delle funzioni civili, utilitarie e sacre; S. WaLkER, Roman Nymphaea in the Greek World, in S. MacnzADy, EH. THoMesox (ed), Roman Architecture in the Greek World, London 1987,p. 60 ss. Gros 1996, p. 24 s; DORL-KLMIGENSCHNID 2001, con catalogo delle fontane lussuose delle città microssiatiche dal IV secolo a.C.; e nelle province romane d'Occidente: Gros 1996, p. 434 ss, con bibl. prec. 257 La grande fioritura del ninfeo pubblico ad esedra, eretto nei centri urbani o nei santuari, avviene in Grecia in epoca antonina. Îl ninfeo dell’agora fü iniziato sotto Adriano, ma terminato intorno al 140 d.C.: Gros 1996,p. 425, fi. 477. 258 Sul ninfeo di Erode Attico ¢ sulla sua datazione, si rimanda alla scheda relativa al labrum in marmo bianco (L. 140) posto in relazione col ninfco 259 Per la bibliografía sul ninfeo di Gerasa, si veda la scheda relativa (L. 48) al bacino in granito rosa di Assuan; cfr. C.H. KRAELING (ed), Gerasa City of the Decapolis, New Haven 1938, p. 21; R. Wenning, in Der Königsweg. 9000 Jahre Kunst und Kultur in Jordanien Ausstellungkatalog Köln, Köln 1987, p. 265, fig. p. 266; A. SeGAL, Town Planing and “Architecturein Provincia Arabia, BAR Intern. Series, 419, 1988,p. 23, figa. 52, 54; Gros 1996, p.427, fig, 481 263 Gros 1996, p. 438 ss: qui sono attestati, concentrati principalmente sotto la dinastia severiana, sia monumenti a pianta centrale e ad esedra (ricordiamo il grande ninfeo di Leptis Magna, che unisce l'esedra alla decorazione architettonica tipo scaenae fons), che a facciata monumentale (il Seprizonium di Lambaesis, con sette nicchie) 261 R.B. ULRICH, The Appiades fountain of he Forum Julium, in RM, 93, 1986,p. 405 ss. 282 Lerzwer 1990, p. 421 s; GRoS 1996,p. 422, fig, 474. 263 Meta sudans, 1, Un'area sacra in Palatio e ia valle del Colosseo prima e dopo Nerone, a cura di C. PANFLLA, Roma 1996. 62
secolo d.C. o nel secolo successivo, mentre nessuna delle fontane ad esedra semicircolare, tuttora visibili lungo il decumanus, rimonta oltre l'inizio del 1I secolo d.C.2. Il ninfeo degli Eroti, del tipo a camera, nel cui cortile è posto un labrum (L. 70), è del IV secolo d.C. Se il grande edificio ritrovato presso Villa Cardito a Pozzuoli si potesse datare veramente alla fine del Linizi del 1I secolo d.C., come propone Neuerburg, allora avremmo uno dei primi esempi occidentali di fontana a esedra semicircolare con ali quadrangolari laterali; ma l'analisi della struttura muraria induce ad abbassare la datazione nel 150160 d.C.25. A Roma il nuovo significato di ninfeo come fontana monumentale pubblica è testimoniato nelle fonti letterarie ed epigrafiche solo a partire dalla fine del III secolo d.C.2%. L'uso del termine nymphaeum in senso laico si diffuse ovunque velocemente, fino a designare anche altre tipologie di fontane monumentali pubbliche, come quelle con imponenti facciate rettilinee, scenografiche. I ninfei di quest'ultimo tipo a facciata rettilinea o a m, con avancorpi laterali, arricchiti da strutture architettoniche complesse, inquadranti statue di divinità, sovrani ed evergeti locali, sono ampiamente testimoniati in Asia Minore nel II secolo d.C. Che in questi ninfei monumentali fossero spesso inseriti labra in marmi bianchi e colorati lo attestano i rinvenimenti di Messene, nella fontana di Arsinoe (L. 119), di Byblos®, di Gerasa (L. 48) e di Perge (L. 112: di età adrianea): in calcare è il labrum sulla facciata del ninfeo di Ura/Olba (Cilicia) (L. 182: 119-211 d.C.). Forse il catino semilavorato (L. 120) rinvenuto a Mileto nell’agorà grande era pertinente al ninfeo, nei cui pressi si conserva. Anche il bacino di Efeso (L. 107) poteva essere pertinente ad uno dei numerosi ninfei e fontane della città, secondo Dorl-Klingenschmid. 264 LETZNER 1990, p. 87 ss; Gros 1996, p. 423. 265 Gros 1996,p. 424. 266 Serns 1973, p. 727 ss; GHIOTTO 1999, p. 80 ss, note 76-87,in cui sono riportate iscrizioni (di età dioclezianes), passi dei Cataloghi Regionari (di età costantiniana), dell'Historia Augusta (prima metà del IV secolo) in cui vengono citati ninfei. Soltanto due sono gli edifici di Roma definiti dalle fonti come nymphaea e attualmente identificabili con certezza: il ninfeo di Alessandro Severoe il Settizodio severiano: bibliografia citata in GHIOTTO 1999, p. 81 ss, note 15, 88-119. 267 L'iscrizione di Gortina (CIL, Ul, 13566), datata al 180-192 d.C., menzionante un nymphaeum, potrebbe riferirsi a uno dei due ninfei noti a Gortina, quello presso il Pretorio o quello presso la “Megäli Porta”, entrambi datati nella seconda metà del Il secolo d.C. (SETS 1973, p. 727; A.A. ORTEGA, Gortina: il Ninfeo presso il Pretorio, in ASAtene, LXIV-LXV, 198687, pp. 131 ss. 171 ss), e quindi potrebbe costituire la prima attestazione nota dell’applicazione del termine ad una fontana monumentale pubblica a facciata rettilinea. Sui ninfei a facciata: Gros 1996, p. 427ss. 263 Al ninfeo di Byblos, eretto ai piedi dell’acropoli, è pertinente un vaso marmoreo, molto profondo, senza anse e con scanalature tortili: J. LAUFFRAY, Une fouille au pied de l'Acropole de Byblos, in BMusBeyrouth, 4, 1940, p. 17 ss, tav. HI. 6
1 ninfei italici non sviluppano la stessa monumentalità di quelli grecoorientali, se non nella versione più tardiva dei Septizodia®®, Sul significato di questo tipo di decoro "teatrale" dei ninfei a facciata, quasi scaenae frontes, gli studiosi si sono a lungo interrogati. Il Gros, recentemente, ha sottolineato come la commistione di immagini divine, imperiali e di evergeti sulle facciate dei ninfei, sia simbolo di un universo stabilizzato e gerarchizzato, in cui il potere discende da un ordine cosmico immutabile e benefico. Queste composizioni, perciò, conferiscono un valore religioso a questo tipo di fontana, che, merita più degli altri tipi la denominazione di ninfeo, mettendo in scena la sacralizzazione di un sistema che pretende di garantire l'armonia del cielo e della terra; il sistema di colonna-trabeazione serve a circondare le effigi divine e umane della indispensabile dignitas””. Della Roma di piena e tarda età imperiale, a parte i ninfei e i giochi d’acqua che allietavano la Domus Augustana al Palatino, sono rimaste ben poche testimonianze di munera 0 nymphaea con virtuosistiche facciate architettoniche: le vicende storiche e le caratteristiche urbanistiche di Roma hanno certamente influito nella riduzione delle vestigia e della monumentalità dei ninfei stessi, che certo dovevano animare in gran numero i quartieri dell’Urbe ancora in età antonina e severiana??. Delle opere monumentali, entrambe tarde, ricordiamo il Nymfeum Alexandri, così citato nei Cataloghi Regionari, o Oceani solium, eretto da Alessandro Severo sull'Esquilino su un monumento trionfale di età domizianea, ed articolato su tre livelli, di cui il terzo presenta l'aspetto di un’esedra fiancheggiata da due archi laterali”, e il famoso Septizodium, costruito da Settimio Severo nel 203 d.C., nell'angolo sud-est del Palatino, di fronte alla via Appia, definito dalle fonti antiche sia come Seprizodium o Septizonium, che come nymphaeum, e costituito di una grande facciata a tre esedre, su tre ordini sovrapposti di colonne? TI nome e la funzione sono stati variamente interpretati, sottolineando il riferimento alle sette immagini dei pianeti e il significato astrale; il rinvenimento di una statua di divinità fluviale con un animale, munito di canaletta, e di un labrum porfiretico frammentario (L. 15) confermano che
si tratta di una fontana monumentale del tipo di ninfeo a tripla esedra. I numerosi Jabra citati pertinenti a ninfei di vario tipo costituiscono una componente essenziale dell'intero complesso: sia come elemento isolato, libe269 Sui Septizodia: SETTIS 1973, p. 718 ss, 722 s .; LETZNER 1990,p. 99 ss; GROS 1996, p.431 ss 270 Gros 1996, p. 429 s. 271 Sui ninfei a Roma nel Ie II secolo, cf. Gros 1996,p. 431 ss. 272 G. Teorscin Grisantı, I “trofei di Mario”. I ninfeo dell'acqua Giulia sull'Esquilino, Roma 1977. 273 Sul Settizodio severiano e sulla bibliografia relativa, da ultimo: LTUR, IV, 1999, s». Septizonium,p. 269ss. (G. PISANI SARTORI). 64
ro rispetto all’impianto (labrum nel ninfeo ostiense degli Eroti, del tipo a camera: L. 69), sia come elemento complementare, funzionale, inserito nella struttura architettonica (labrum all'interno del ninfeo costituito da un monopteros corinzio nell’agorä di Argo?) o come bacino di raccolta (nel ninfeo di Gerasa del tipo a facciata monumentale: L. 48, e verosimilmente nel Settizodio: L. 15). Una posizione secondaria, decentrata occupa il labrum in situ nella fontana a facciata monumentale di Arsinoe a Messene (L. 119), dove esso raccoglieva le acque convogliate da una canaletta conservatasi intatta sul lato orientale, cui doveva probabilmente corrisponderne un’altra simmetrica e speculare con labrum connesso, sull’altro lato. La funzione di tali labra è prevalentemente ornamentale, come rivelano sia la posizione a volte secondaria rispetto al bacino principale, sia la ridotta capacità idrica, sia l'uso del marmo colorato, la cui valenza decorativa veniva esaltata dalla velatura dell’acqua, che ricadeva scenograficamente dal bordo. I Jabra posizionati in basso, accessibili al pubblico, come quelli dei ninfei di Gerasa e di Messene, servivano, inoltre, da riserve pubbliche per il prelievo dell'acqua necessaria al fabbisogno quotidiano dei privati, conservando cosi una importante funzione utilitaria. Le fonti e la documentazione archeologica testimoniano che anche i teatri erano muniti di opere idrauliche, consistenti in fontane e giochi d’acqua, cui erano pertinenti bacini: Plinio? ricorda che il teatro di Emilio Scauro a Roma, eretto nel 52 a.C., aveva una vasca e un euripus. Nella Forma Urbis severiana alle estremità della scaenae frons del teatro di Pompeo appaiono due absidi, secondo Spano due ninfei. Il teatro di L. Cornelio Balbo, inaugurato nel 13 a.C., doveva essere ornato di fontane: in piazza Cairoli fu trovato nel 1750 un bacino di granito grigio (circonferenza m 22) portato nella Villa Albani, mentre un altro bacino circolare, sempre in granito del Foro, scoperto nello stesso sito nel 1887 (L. 38), è stato riutilizzato nella fontana eretta in 27411 ninfeo nell’agorà di Argo fü eret alla fine del I secolo d.C. (I fase: in età domizianea), con preciso valore sacrale, collegato alle fonti e ai culti locali, divenuto alla fine del ILinizi II secolo (I fase) un semplice monumento d'acqua, privo di valore religioso, composto, secondo la ricostruzione di Marchetti e Kolokotsas, di un monopteros con colonnato corinzio sostenente un tetto embricalo, al cui interno su un podio si elevava un bacino circolare da cui doveva uscire uno zampillo: P. Marcuern, K, KOLOKOTSAS, Le mmphée de l'agora a Argos. Fouille, étude architecturale et historique, Études Péloponnésiennes, XI, Paris 1995, p. 32 ss, tavv. 5, 6; cf. Gros 1996, p. 426, fig. 479. 275 Come documentano la vasca frammentaria in porfido rinvenuta nel Septizodium e ora conservata nella Chiesa di S. Maria Antiqua (L. 15) e la vasca in granito rosa di Assuan nel ninfeo di Gerasa (L. 48). Sulla vasca integra in marmo bianco generalmente attribuita al ninfeo di Erode Attico ad Olimpia, ma più probabilmente pertinente ad una fase romana deil’Heraion, si veda la scheda relativa 316 Pun, Nat.hit. VI, 26. Sul collegamento tra fontane c teatri SPANO 1913,p. 143 ss; Stan 1952, p. 151 ss; da ultimo sul teatro di Pompeo, con bibl. pree.: LTUR, V, 1999, sw. Theatrum Pompei p. 35ss. (P. Gros) 65
età moderna nella stessa piazza?”. A Pompei il teatro grande è fornito nell'orchestra di ben sei vasche, circolari e rettangolari, che si succedono e si sovrappongono nel tempo. A Daphne, sobborgo di Antiochia, Malalas deserive un “éarpov Tdv imydv Aáóvme e un “BeaTp(d.ov"s, più che un teatro, un santuario delle fonti in forma di portico curvilineo inquadrante uno o più fontane, costruito in età adrianea?”. Rare le testimonianze archeologiche di fontane isolate, costituite di vasche tonde di grandi dimensioni e in marmi preziosi, collocate negli spazi pubblici importanti: le piazze forensi, dove si svolgeva la vita associativa e soprattutto politica della città: a Roma l'impluvium nell’area del Comizio?® raccoglieva l’acqua defluente da un ampio labrum, che alcuni studiosi identificano in quello porfiretico conservato nella Sala Rotonda ai Musei Vaticani (L. 12), altri in quello in piazza del Quirinale (L. 36). In giallo antico è il labrum di piccole dimensioni (L. 73), conservato nell'Antiquarium forense, proveniente dal Foro Romano. Il grande supporto di porfido, ora nell'Antiquarium del Celio?! doveva sorreggere un’enorme vasca, verosimilmente porfiretica, collocata nella piazza antistante I'Hadrianeum. Incerta è l'identificazione dei frammenti del labrum porfiretico recentemente rinvenuto nel Templum Pacis (L. 19) con la fontana ricordata in una notizia di Procopio®, relativa al Foro della Pace; la localizzazione nei pressi dell’ingresso del Templum Pacis, lungo il lato nord-occidentale, di un impluvium di fontana ricavato nella pavimentazione della piazza, fa supporre che il bacino porfiretico possa essere pertinente a questo impluvium e che insieme potessero costituire una fontana monumentale eretta davanti ai propi del foro: esempio eloquente di commistione di funzioni: decorativa, rappresentaa e sacra. Nella piazza del Foro Triangolare a Pompei è collocato sullo stilobate del portico settentrionale un labrum (L. 158), già citato. È evidente che queste fontane poste nelle piazze forensi rivestissero una primaria funzione rappre277 O, Rıcırrer, Topographie von Rom, Nördlingen 1901, p. 222; H. JORDAN, Topographie der Stadt Rom im Alterthum, II, Berlin 1871, p. 436. Le fonti antiche sul teatro di Cornelio Balbo: Suet, Aug. 29; Dio Cass, LIV, 25; LXVI, 24; Pu, Nat ist. XXXVI, 11, 60; Notitia Reg, IX. #78 Maratas, Chronographia, XI, p. 278 (ed. DINDORF). 279 Spano 1913, p. 109 ss. SPANO 1952,p. 144 ss; R.H. CHOWEN, The Nature of Hadrian's Theatron at Dafne, in AJA, 60, 1956, p. 275 ss; GROS 1996, p. 442. 280 Sull'impluvium del Comizio: BONI 1900, p. 296 ss. fig. 1 ss; LANCIANI 1900,p. 15 ss; Hosen, Jahresbericht über neue Funde und Forschungen zur Topographie der Stadt Rom, 1 Die Ausgrabungen auf dem Forum Romanum 1898-1902, in RM, 17, 1902, p. 33; G. Luci, Roma antica. I centro monumentale, Roma 1946, p. 120; DELERUFCK 1932,p. 189; VaRMING 1965, p. 115 ss. figg. 8, tav. II,c. 2M G, Garn, in BullCom, 26, 1898, p. 40 ss; Drunnusck 1932, p. 184 s, fig. 89; Pensanene 1994, p. 202,n. 16; PENSABENE 1998 b, p. 347, tav. 2,1 282 Procor., Bell. Goth. VII, XXI, 11 ss. 66
sentativo-ornamentale, pur conservando il ricordo dell’originario valore sacrale di contenitori di acqua lustrale per le purificazioni rituali, cui erano tenuti coloro che si apprestavano ad entrare nei luoghi di riunione nelle agorai greche: un esempio lo offe l’impluvium presso il Comizio e la Curia a Roma. I labra potevano servire anche come abbeveratoi per gli animali: lo testimoniano due rilievi della prima età imperiale, del genere idillico-bucolico, conservati uno, frammentario, nel Museo degli Uffizi a Firenze, l’altro nella Sala degli Animali dei Musei Vaticani?8*. Nel primo si vede una mucca che beve; nel secondo è raffigurato un contadino con una vacca, che, mentre allatta un vitellino, si abbevera ad un labrum posto su un alto supporto, all'ombra di un platano, e rifornito da un getto fuoriuscente da una protome felina su un pilastro; sullo sfondo un tempio. Queste scene potrebbero non essere generiche scene di campagna, ma scene votive di lustrazioni ambientate in santuari campestri: il ramoscello tenuto dal contadino potrebbe fungere da aspersorio. 1I fatto che i labra potessero essere usati per funzioni tanto diverse e collocati in luoghi così vari è dovuto proprio alla loro stessa forma, rotonda, che permetteva una molteplicità di visioni e, quindi, di collocazioni: il labrum poteva essere in una posizione centrale e libera, così da poterlo ammirare girando intorno alla circonferenza (piazze, giardini, ambienti termali), oppure poteva essere inserito in una struttura (ninfei), o addossato ad una parete c ad un porticato o incassato in un angolo, così da permettere una veduta solo frontale (aree templari e ambienti utilitari di edifici pubblici e privati), oppure poteva far parte di un complesso articolato con altri elementi, per i quali si prediligeva una visione assiale (atria e peristili delle domus). La flessibilita di funzioni e collocazioni motiva la straordinaria diffusione di questa classe, sia dal punto di vista geografico che cronologico. Dalle testimonianze archeologiche, letterarie ed epigrafiche è possibile comprendere il funzionamento dei labra: l'approvvigionamento dell'acqua avveniva attraverso una conduttura fittile o plumbea (fistula aquaria), dotata di rubinetti e valvole di arresto (epitonium)?*5, la quale entrava all'interno del piede e termina253 MansuELLI, Uffizi,I p. 169, n. 145 284 AMELUNG 1908, p. 358 s. n. 157, tav. 38 285 Sui rubinetti si vedano infra note 291 e 303. L'iscrizione di Henchir Khemissa — CIL, VIII 23991 -, già citata a nota 143, parla di una “fistula plumbea cum epitonio aereo ad labrum lapideum aqua uft] saliret". Cfr. DEL CHICCA 1997, p. 240s., nota 62. A volte i testi antichi preferiscono il termine silanus o silanum, che designava in origine una maschera e che poi diven46, per metonimia, l'equivalente di fontana. Sulla rubinetteria in bronzo utilizzata dai Romani per chiudere, scambiare e svuotare le acque negli impianti idraulici, si vedano: F. KAFTZSCHMER, La robinetterie romaine, in RevArchEst, XI, 1960, p. 89 ss; B. GOCKEL, Römische Armaturen, in Wasserversorgung im antiken Rom, Munchen: Wien 1982, p. 207 ss, fig. 86-92; EFL. FassireLL, Roma, tubi e valvole, Milano 1990. 67
va in un boccaglio posto al centro della vasca, nel mezzo del disco rilevato286. Questo sbocco era in genere costituito di un tubo di bronzo o di piombo, da cui fuoriusciva a pressione uno zampillo verticale (saliens) scenografico, come mostrano alcune pitture parietali. A volte il foro di uscita del tubo di alimentazione sul fondo poteva essere decentrato, come testimoniano alcuni esemplari ostiensi: le due vaschette della domus delle Colonne (L. 75) e del ninfeo degli Eroti (L. 69)". In tal caso non c'era uno zampillo a pressione, ma l'acqua doveva sgorgare dal fondo, riempiendo lentamente il contenitore. In altri casi, invece, nel mezzo della vasca poteva formarsi una colonna d'acquao esserci un vaso, da cui fuoriusciva lo zampillo?*. Esistono inoltre testimonianze di conche di dimensioni inferiori poste al di sopra del labrum principale: a questo scopo erano forse utilizzati alcuni dei bacini pid piccoli rinvenuti?®: ad esempio la conca porfiretica nel Museo Torlonia (L. 18). L'afflusso idrico poteva anche essere esterno alla vasca stessa, priva in tal caso di fori sul fondo, come accade in quasi tutti gli esemplari pompeiani. Il labrum allora veniva addossato ad una parete, dalla quale fuoriusciva la cannula di alimentazione (come nel caso del labrum nel frigidarium delle terme di Pergamo, L. 65, alimentato da una cannula fuoriuscente da una nicchia nel muro), il cui finale poteva essere in forma di oggetti vari (vasi, pigne, ecc.) 0 di maschere (ferine: pantera, lupo, come nella schola labri del caldarium delle terme Suburbane di Ercolano: L. 85; o maschili barbate: Oceano, Sileno)®!. In altri casi il labrum era posto davanti ad un pilastro, in genere sormontato da una statua (di Venere, ninfe, satiri, amorini: come ad esempio nel ricco peristilio-giar286 Come prova dell'esistenza di tubature d'affiusso si possono considerare i fori passanti nel centro delle numerose vasche conservate; cfr. MANDERSCHEID 1994, p. 254. 287 Sulla domus delle Colonne: G. Becartı, Case ostiensi del tardo impero, in BdA, 33, 1948, p. 212; Baccini LeoraRi 1979, pp. 25, 28, nn. 82, 85; RICCIARDI, SCRINARI 1996, II, p. 138s, n. 129, figg. 246, 247. Sul ninfeo degli Erot si veda ia scheda relativa. 288 Cf. DELERUECK 1932, p. 171. Un'aquila d'argento con un serpente negli artigli si posava su una colonna d'acqua, che si sollevava al centro della vasca, circondata da colonne marmoree lisce, un tempo nel palazzo di Costantino Porfirogenito a Costantinopoli: DELBRUECK 1932, p. 192: X secolo. Due bacini scanalati presentavano al centro una colonna d'acqua nel ninfeo Lateranense: DELBRUECK 1932,p. 186 s: metà del V secolo. 289 Cosi doveva essere nel ninfeo Lateranense: DELBRUECK 1932,p. 186 s. 290 MAnDERSCHEID 1994, p. 243 s. n. 129, fig. 181 291 Sugli sbocchi di fontana bronzei in forma di oggettidi teste di pantera, di lupo o di altri animali, a maschera silenica o di Oceano 0 con più complessi gruppi scultorei: KRET¢scHMER, art. cit a ota 285, p. 89 ss, figg. 25-30; NEUERBURG 1965, p. 97 ss; più recentemente si veda” no: Dwyer 1982, p. 59s, figg. 70, 71, 73: bocche bronze in forma di pavone, di tre delfini, di pigna immagazzinate in una stanza presso il viridarium della casa del Camillo a Pompei; È. Tatamo, Materiali relativi ad alcuni impianti idraulici antichi provenienti da Roma, in AALVV,II trionfo dell'acqua: Acqua e acquedotti a Roma. IV sec. a.C. -XX sec., Roma 1986, p. 169 ss. nn. 7, 8,9, 10: sbocchi in bronzo in testadi pantera e di lupo, alcuni provenienti dal ninfeo di via G. Lanza; FASSITELLI, op. cit a nota 285, pp. 85, 92 s. 98, 100: si ricordano i ubinett ei finali di tubo in forma di animali da Vindonissa (Windish), Colonia e Londra. 68
dino della casa dei Vetti e nel peristilio della casa pompeiana della Fortuna; statue bronzee di Apollo e Diana alimentavano i bacini nel portico del tempio di Apollo a Pompei) o da un vaso, da cui usciva il getto d'acqua (in caso di statue il getto poteva uscire o direttamente dalla figura stessa o più spesso dall’oggetto o animale tenuto in mano dalla figura), oppure davanti ad un’ erma (come ad esempio nel giardino della casa dei Fettii e nell'atrio delle terme Suburbane di Ercolano), dal cui pilastro sgorgava lo zampillo. La tradizione let eraria ricorda che il fonte battesimale un tempo nel Battistero Lateranense era alimentato da figure di animali d'oro e d'argento, poste sul bordo del bacino, mentre la fontana nell’atrio della Chiesa Nuova costantinopolitana, secondo le fonti bizantine, era riempita da zampilli che fuoriuscivano da un colonnato disposto a cerchio intorno al bacino. Si ha, inoltre, testimonianza di alcune vasche, in genere di piccole dimensioni, collocate nei bagni e nei giardini delle domus, ma anche di edifici pubblici, le quali non presentano alimentazione intema, né alcuna struttura esterna da cui alimentarsi: in tal caso dovevano essere riempite manualmente?" o con la pioggia (come ad esempio alcune vasche nel giardino della casa dei Vettii). Anche i bacini lustrali dovevano essere riforniti manualmente e per essi non era prevista la scenografica ricaduta dell'acqua in eccesso. Per le vasche con approvvigionamento esterno si perde la totale visibilità di tutte le parti dell'opera: l’accostamento della vasca ad una parete o ad un pilastro impedisce la libera circolazione tutt'intorno, permettendo una visione solo frontale. I Jabra, inoltre, potevano essere inseriti all'interno di piscinae, come nella casa di Apollo o in quella degli Amorini Dorati a Pompei. Per i labra con approvvigionamento interno o estemo l’afflusso dell'acqua si deve supporre continuo, così come per le piscine e le vasche da bagno delle terme pubbliche e dei bagni privati?, Le vasche conservatesi non forniscono una testimonianza esplicita di come avvenisse in antico il deflusso delle acque eccedenti. Esse generalmente presentano, come si è detto, un unico foro sul fondo per l'afflusso, solo raramente è documentato un ulteriore foro per il deflusso: a volte, quando è presente, si può pensare ad un particolare impiego del labrum all’interno di una più complessa struttura. Come nel caso della vasca rinvenuta presso /'Heraion di Olimpia L. 140°, che presenta due fori: uno per lo zampillo centrale, l’altro per il deflusso. L'acqua di scarico del labrum si raccoglieva in un condotto circolare al di sotto dello stiloba29211 riempimento manuale dei loutéria è testimoniato anche sulle rappresentazioni vascolari a figure rosse, ad esempio in un vaso con scena di efebi che si lavano: M. TISCHDEIN, Collection of engravings from ancient vases..in the possession of Sir W-Hamilton, Napoli 1791, U p.146 5, tav, 58 293 M. DE Vos, A De Vos, La Rocca, Guida archeologica di Pompei, Milano 1976 (2 ed 1994), p. 283 s, 287. 294 MANDERSCHEID 1991, p. 55. 295 Si veda la scheda relativa. 69
te, da dove veniva incanalata nella tubazione del sottostante bacino; ciò è funzionale sia nel caso di un’originaria collocazione presso l'intercolumnio delT'Heraion, che nel caso di una pertinenza ad uno dei monopteroi del ninfeo di Erode Attico. Due fori sono presenti anche nella vasca della Sala Rotonda nei Musei Vaticani (L. 12), uno al centro e uno sul lato, piuttosto irregolari, e nella vasca della Collezione Ludovisi (L. 66), anch’essi uno centrale e l’altro decentrato, entrambi otturati da tasselli marmorei. Nella vasca in Palazzo PallaviciniRospigliosi (L. 81) si vedono tre fori, chiusi da tasselli, uno al centro, più grande e due più piccoli, laterali. Se il foro è di forma irregolare, deve essere attribuito ad un reimpiego oppure, se non è passante, va meglio interpretato come incavo per Vinserimento di un elemento decorativo? Il labrum (L. 119) conservato perfettamente in situ nella fontana di Arsinoe a Messene, approvvigionato da una canaletta esterna, è provvisto di un foro passante, decentrato, per la fuoriuscita dell'acqua. La mancanza di un secondo foro nella maggior parte delle vasche esaminate permette di affermare che il deflusso delle acque di scarico solitamente non era regolamentato con canalette, ma avveniva per tracimazione, con la ricaduta scenografica dell’acqua in eccedenza dai bordi della vasca nel basso bacino di raccolta: un esempio è fornito dall'impluvium del Comizio, che raccoglieva le acque defluenti o del labrum porfiretico in Vaticano (L. 12) oppure del bacino in piazza del Quirinale (L. 36). Inoltre, la forma del labbro, con la sua estroflessione e la superficie arrotondata per permettere una migliore ricaduta dell’acqua, testimonia la fondatezza di questa supposizione?” Plinio il giovane? descrive nella sua villa un boschetto di platani con un labrum marmoreo da cui aqua exundat. Inoltre, fino alla regolamentazione voluta da Augusto delle concessioni dell’aqua publica ai privati, soltanto l’acqua che tracimava dalle fontane pubbliche poteva essere prelevata dalla popolazione? 296 A tal proposito si ricordano il piccolo foro non passante al centro del labrum nelle terme dei Cisiaril ad Ostia — MAnDERSCHEID 1994,p. 34,n. 3, fig. 16; RICCIARDI, SctiNARI 1996, I, p. 58, n. 49, fig. 89 - e il grande foro passante nella vaschetta di Pölich, adatto forse ad una duplice funzione: per l'inserimento della cannula e di un elemento decorativo, cfr MANDERSCHEID 1994, p. 254 s. n. 143, figg. 187-8. 297 La frequente mancanza di canalette di deflusso - già notata in precedenti studi MANDERSCHEID 1994, pp. 244, 289,319 — è stata accertata dall’autrice del presente lavoro prendendo in esame numerosi esemplari di labra; anche le fontane moderne, in cui sono stati riutilizzati abra di età romana alla maniera antica, mostrano che l'acqua defluisce dal labbro sporgente: ad esempio la fontana posta davanti all'ingresso di Villa Medici (L. 53) 28 Pun, Epist. V 6, 20 289 Cosi ci informa Frontino (De Aquae, 94, 9; 87, 20; 88, 25): prima di Augusto questa era l'unica forma di utilizzo privato dell aqua publica, garantit, dietro pagamento del canone (vectigal), ai proprietari di bagni privati c di attività artigianali. In epoca augustea si stabilisce il modo in cui il castellum aquae dovesse distribuire l'acqua a pozzi e fontane pubbliche, ai bagni e, separatamente, alle case private, che dovevano pagare una tassa: VITRUV., VIII, 6. 70
Nelle stanze da bagno delle terme l'acqua scorreva liberamente sui pavimenti fuoriuscendo sia dalle piscine in muratura, dotate di condutture di afflusso, ma non di sbocchi di uscita, sia dai Jabra, anch'essi privi di tubi di scari2030: ne consegue che i pavimenti erano sempre umidi e bagnati, anche a causa dell'umidità stessa degli ambienti. Il libero scorrimento dell'acqua sui pavimenti termali è confermato dall'inserimento di soglie rialzate tra tepidaria e caldaria nei bagni di alcune case e dalla presenza di tubi di scarico a livello del pavimento conservati nei (epidaria?0!. Interessante la testimonianza fornita dalla fontana con labrum ed erma di Apollo nell'atrio delle terme Suburbane (L. 145): essa è alimentata da un tubo di adduzione secondario, rispetto alla fistula principale, fuoriuscente dal pilastro dell’erma, la cui chiave di arresto è posta sul pavimento poco prima del punto di immissione del tubo nel pilastro. Ciò rivela che l’approvvigionamento idrico del labrum poteva essere arrestato e così il libero deflusso delle acque in eccesso», Le testimonianze archeologiche dimostrano che il principio del rubinetto con chiusura diretta era già noto in età romana. Infatti l’adduzione di labra e di bacini termali veniva regolata da queste chiavi di arresto che, però, non erano accessibili a tutti: l'azionamento dei rubinetti di chiusura e apertura era vietato agli ospiti delle terme ed era riservato al solo personale di servizio‘®. 1I bacino inferiore di raccolta dell'acqua ricadente dal labrum poteva essere o del tipo dell’impluvium presso la Curia, incassato nel pavimento circostante, senza delimitazioni, ad eccezione di una bassa comice, oppure del tipo a bacino piatto, tondo o rettangolare™, con bassi zoccoli di contenimento, costituiti di lastrine marmoree incastrate verticalmente nel pavimento.
300 ManperscHEID 1994, pp. 64 s. 71 301 Si vedano le case di Caesius Blandus c del Menandro e quella delle Nozze d Argento a Pompei: FaBaRICOTTI 1976,p. 107. 502 ParraLarDo, MANDERSCHEID, in bibl di L. 145, p. 180. 30) MANDERSCHEID 1994, p. 71, nota 330. Sui rubinetti e sulle valvole si vedano note 285 e201 304 Quest'ultimo caso è frequentemente documentato: ad esempio nel ninfeo degli Eroti ad Ostia e nel triclinio estivo della casa di Nettuno e Anfitite ad Ercolano, dove rimane il solo bacino di raccolta in marmo bianco, con foro al centro, in cu era incassato il supporto. n
TIPOLOGIA DEI LABRA Nei labra di età romana viene riproposta una tettonica del tutto analoga a
quella dei loutéria e perirrhantéria greci. Il bacino, in genere poco profondo, può essere di piccole (diametro inferiore a cm 150), di medie (cm 150-300) e grandi dimensioni (diametro superiore a cm 300); solo eccezionalmente si caratterizza per una monumentalità ignota al mondo greco. Le pareti, la cui curvatura è più o meno accentuata, sono, nella maggior parte degli esemplari (ad esclusione del tipo lussuoso), a profilo continuo ad arco di cerchio; esse terminano o con un labbro estroflesso o con un bordo piatto. Nel caso di labbro estroflesso esso presenta in genere la fascia superiore arcuata, il bordo anteriore piatto c un guscio inferiore, che segna il passaggio dal labbro alla parete; raramente il profilo è in forma di toro (L. 53), di mezzo toro (Salonicco L. 141) 0 a becco di civetta (es. L. 148). La fascia arcuata superiore del labbro può essere ornata con un kymation ionico (a volte con ovoli così allungati da sembrare baccellature: L. 152); nella maggioranza dei casi è liscia. Nel caso di
labbro non estroflesso, il bordo superiore è in genere piatto o leggermente
arcuato; in alcuni esemplari è attestata la presenza sul bordo di un solco inscri to, inciso a volte al centro di due anelli piatti (Dion: L. 118; Pölich: L. 181), a volte a separazione di un anello interno piatto e uno esterno arcuato (Dion: L. 133) o di due anelli incurvati (Nikopolis: L. 139), che formano un profilo sinuoso, composto di una scozia tra due tori. Generalmente il fondo esterno del /abrum si presenta piatto, segnato con uno spigolo ad angolo ottuso, che sottolinea lo stacco tra parete e fondo; a volte sporge un tenone per poter incastrare meglio la vasca nel supporto, munito dell’incasso corrispondente. Raramente il profilo del bacino forma una curva semicircolare continua, senza lo stacco dal piano di fondo: soltanto in
alcuni Jabra del tipo a piatto e negli esemplari non finiti (L. 75), in cui il fondo veniva livellato nelle fasi finali di lavorazione. In base all'inclinazione delle pareti, il fondo può essere più o meno ampio; ne derivano forme piuttosto aperte, quando il piano è ampio e le pareti salgono più ripidamente, quasi perpendicolari, o forme più chiuse, quando il fondo è piccolo e le pareti si incur-
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vano in modo più accentuato, formando un arco di cerchio. All’interno la vasca presenta frequentemente un disco ornamentale in rilievo! del tipo a clipeo, composto in genere di un bottone centrale a cupola schiacciata, circondato da una gola a profilo ondulato e da un toro, in successione concentrica, più o meno articolata, con l'aggiunta di altri elementi. A volte il disco è decorato con elementi floreali (L. 22, 148, 151) o figurati (gorgoneia: L. 5, 27, 149, 150; divinità marina: L. 26); singolare è l'ombelico della conca al Museo Archeologico di Napoli (L. 147) occupato da un clipeo con bustino-ritratto.
Rari sono i casi di vasche con pareti esterne scanalate (L. 64, 115, 146), baccellate (L. 62, 130, 151, 170, 175, 181) oppure ornate con decori vegetali (L. 152, 170, 179), con maschere barbate sporgenti dal collo (L. 149, 150) o con teste ferine aggettanti (L. 105, 130) o con entrambi questi ultimi due elementi (L. 154). Due gli esemplari con scanalature a raggiera sulle pareti interne (L. 148, 151); un labrum di questi (L. 151) presenta scanalature all'interno
e baccellature all’esterno, ad imitazione del guscio di una conchiglia. 1 labra, pur rifacendosi tutti, ad eccezione di quelli più lussuosi, ad una tipologia comune, si possono suddividere, in base alla maggiore o minore capienza ed apertura, alla maggiore o minore incurvatura delle pareti, alla diversa estensione del fondo e alla presenza o assenza del labbro estroflesso, nei seguenti tipi TIPO I a VASCA: forma piuttosto “aperta”; si tratta del tipo più consueto, di medie e grandi dimensioni. Le pareti, gradatamente incurvate, terminano in un labbro estroflesso, in genere con fascia piatta anteriore e bordo incurvato superiore 0 a toro (L. 53), per agevolare la scenografica ricaduta dell’acqua in eccesso. L’incurvatura delle pareti si stacca nettamente dal fondo piatto, di medie dimensioni. La circonferenza superiore è notevolmente maggiore rispetto a quella del fondo. A volte l'ombelico interno è ornato con un gorgoneion (L. 5, 27) o una divinità marina (L. 26) o un rosone (L. 22). Il I tipo è realizzato soprattutto in porfido (nove esemplari), in graniti grigi (otto) e in granito rosa di Assuan (cinque), più raramente in breccia corallina (due), in alabastro fiorito (due), in granito nero di Siene (uno), in pavonazzetto (uno), in cipollino (due) e in rosso ammonitico (uno). Quindi per il tipo a vasca si nota una netta predilezione per le pietre dure egiziane, come porfido
e graniti, dei quali evidentemente era possibile estrarre e trasportare grossi blocchi dalle cave, mentre sono raramente attestati i marmi più teneri, come cipollino, giallo antico c alabastro fiorito. È assente completamente la basani! Caratterizza quasi tute le vasche in marmi bianchi e colorati di grandi dimensioni; manca a volte in quelle di piccole dimensioni.
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te. I tipo, inoltre, è raramente documentato nei marmi bianchi (L. 138, 141); non attestato nei marmi grigi (ad eccezione di L. 121, ad Olimpia, forse del tipo 1), nel bardiglio e nelle pietre locali: ciò rivela la predilezione per esso di pietre più preziose e costose, con cui realizzare manufatti particolarmente sontuosi e importanti da destinare, come si evince dall'indice topografico, ad un contesto pubblico, ufficiale, legato prevalentemente alla committenza imperiale, Come risulta evidenziato dal fatto che le vasche del I tipo provengono per la maggior parte da Roma (tuttora a Roma: L. 15, 20, 22, 36, 38, 39, 50, 51, 53; in Vaticano: L. 12, 34, 35, 49, 190; a Parigi: L. 26, 27); raramente da Ostia (L. 86) e da residenze imperiali: Tivoli, Villa Adriana (L. 14: secondo la tradizione); Salonicco, Rotonda di S. Giorgio (L. 141). È isolatamente attestato anche in centri italici (Verona: L. 11, 106) e provinciali: Efeso (L. 56, 107), Gerasa (L. 48), Nikopolis (L. 138), Pergamo (L. 40, 41). Una probabile provenienza romana è ipotizzabile per i pezzi conservati a Firenze (L. 5, 6), Londra (L. 28) e Richmond (L. 4). 1 luoghi di utilizzo del I tipo, quando sono documentabili, attestatano, una predilezione per le terme (L. 51, 537, 562, 86? 1062, 1072, 121), le piazze pubbliche e i fori (L. 129, 362), i ninfei monumentali (L. 15, 48) e le ville imperiali (L. 142, 20). Due labra a vasca sono stati lasciati semilavorati nelle cave presso Pergamo di granito misio (L. 40, 41): entrambi presentano l'ombelico centrale delineato, ma non finito. TIPO II a BACILE: forma piuttosto “aperta”; si tratta di una vaschetta del tipo della precedente, ma di piccole dimensioni (diametro inferiore a em 150), sempre con labbro estroflesso, raramente con il fondo interno omato da un ombelico.
IL Il tipo è documentato in soli due esemplari porfiretici (L. 10, 16), in tre
di basanite (L. 23, 24, 25: questi sono gli unici bacini documentati in basani-
te), in uno di africano verde (L. 54), in uno di serpentina moschinata (L. 66), in uno di portasanta (L. 74), in uno di verde antico (L. 79), in due di cipollino (L. 85,91), in uno di bigio morato (L. 105), in uno di breccia corallina (L. 109), in uno di breccia di Sciro (L. 110), in uno di pietra locale, tipo travertino (L. 184), in uno di pietra calcarea (L. 179). Le maggiori attestazioni si hanno in giallo antico (L. 67, 70, 73), in marmi grigi (L. 116, 117, 124, 125, 127, 128) e soprattutto nei marmi bianchi (L. 142, 144, 145, 148, 149, 150, 158, 159, 161, 162, 163, 166, 172, 173). Come si vede questo tipo è utilizzato per marmi e pietre colorate costose e, in alcuni casi, piuttosto rare, ma anche per bacini in materiali più modesti; dominano i marmi bianchi. In rari casi il labrum è arricchito di foglie (L. 179), di cornici (L. 159), di protomi leonine (L. 105) o di anse (L. 142). Tre esemplari in marmo bianco, rinvenui nell’area vesuviana, presentano ricche decorazioni: pareti scanalate c corolla floreale (L. 148) o gorgoneia nel clipeo centrale e maschere barbate sul collo (L. 149, 150). Per 75
quanto concerne i luoghi di provenienza, il II tipo è attestato ovunque: sia nell'ambito ostiense (L. 24, 70, 163, 166), campano (L. 74, 85, 110, 124, 125, 144, 145, 148, 149, 150, 158, 159, 184), italico (L. 127, 128) e provinciale (L. 116, 117: Dion; L. 54: Leptis Magna; L. 179: Mainz; L. 67: Pergamo; L. 142: Sparta), sia in quello urbano (L. 16, 66, 73, 79, 91, 105, 109, 172, 173); alcuni labra provengono da carichi naufragati (L. 161, 162). Uno si conserva a Venezia (L. 10), un altro, di incerta apparenenza al tipo II, in collezione privata (L. 25). Le funzioni documentate per il II tipo sono: termale (L. 74, 85, 125, 127, 144, 145), domestica (L. 116 e 1172, 128, 163), pubblico-rappresentativa (L. 73, 142, 158) religiosa (L. 54, 184), di numerosi è ignota (L. 10, 16, 23, 24, 25, 66, 67, 79, 91, 105, 109, 124, 159, 166, 172, 173, 179). Un bacile è semilavorato (L. 70); uno di Ostia è frutto della rilavorazione di una base (L. 163). TIPO III a CATINO: forma piuttosto “chiusa”; si tratta di una vasca di piccole e medie dimensioni, di forma emisferica, molto profonda, con pareti che si incurvano formando un perfetto quarto di cerchio e che si concludono superiormente con un taglio piatto e liscio, senza labbro estroflesso. Raro l'ombelico interno (sbozzato in L. 89 e 93, a girandola in L. 151). II tipo III a catino è attestato in trentuno esemplari (di uno la tipologia è incerta: III 0 IV tipo L. 89); la maggioranza è di piccole dimensioni, soltanto tre labra sono di medie dimensioni (L. 55, 80, 120). Numerosi i labra a catino semilavorati, rimasti nelle cave di Dokimeion (L. 134, 136), di Nicotera (L. 44; di L. 45, con disco centrale abbozzato, non si può specificare la tipologia) e del distretto di Moria a Lesbo (L. 92-101), oppure posti in uso, non finiti, in varie strutture, come l'esemplare rinvenuto presso il ninfeo di Mileto
(L. 120), due di Trieste (L. 185, 187) e quelli numerosi di Ostia: i labra presenti presso il Decumanus maximus (L. 55), nell’Edificio fuori Porta Marina (L. 61), nelle terme del Foro (L. 165) e i due conservati nel Piccolo Mercato (L. 167, 169). L. 89, di incerta tipologia (III o IV), è un semilavorato proveniente dai depositi lungo il Tevere: attesta, insieme agli altri di Ostia, l'usanza di sgrossare i pezzi in cava e spedirli così nei luoghi di destinazione, dove venivano completati. Alcuni semilavorati di Ostia sono stati impiegati in età tarda prelevandoli dai depositi marmorari, dove erano rimasti inutilizzati. I materiali prediletti per questo tipo sono: il bigio antico di Lesbo (L. 92-101), il marmo bianco (L. 131, 134, 136, 151, 165, 167, 168, 169) e la pietra calcarea (L. 181, 185, 186, 187, 188), in esemplari di provenienza provinciale (Trier) e periferica (Trieste). Singoli labra sono attestati in grigio venato di Eraclea (L. 120), in granito di Nicotera (L. 44), in africano verde (L. 55), in giallo antico (L. 69), in pavonazzetto (L. 61), in cipollino (L. 89), in verde antico (L. 80), in fior di pesco (L. 82). Gli esemplari di medie dimensioni sono in marmi colorati: marmo grigio (L. 120), verde antico (L. 80) e africano, varietà verde (L. 55).
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Il tipo III è documentato soprattutto a Ostia (L. 55, 61, 69, 165, 167, 168,
169); quattro catini sono conservati a Trieste L. 185-188), gli unici Jabra noti.
provenienti da questo centro. Due soli labra di III tipo sono conservati a Roma (L. 80, 89%). Singoli esemplari del tipo sono presenti a Napoli (L. 151), Leptis Magna (L. 82), a Delos (L. 131), a Mileto (L. 120) e a Pólich (L. 181). È interessante notare che per le vasche votive è prediletto proprio il tipo III esse sono attestate ad Ostia (L. 168) e a Trieste (L. 185-188). L'assenza del labbro estroflesso e la terminazione del bordo superiore in una fascia piatta per-
metteva di accogliere l'iscrizione dedicatoria. Due esemplari sono stati utiliz-
zati in ninfei: quello di Mileto (L. 120) e quello di Ostia (L. 69). Alcun labra. di tipo III sono pertinenti all’arredo domestico (L. 61: Ostia; L. 131: Delos; L. 181: Pólich); due esemplari sono stati utilizzati nelle terme: nelle terme di Adriano a Leptis Magna (L. 82), con iscrizione dedicatoria di un privato Gera, edile, e ad Ostia in ambienti secondari e con funzione utilitaria (L. 165). TIPO IV a CONCA: forma piuttosto "chiusa". Vasca di medie e piccole dimensioni, di forma emisferica come quella del catino, ma con labbro estroflesso, del tipo di quello della vasca (1) o del bacile (II): generalmente il labbro presenta una fascia piatta anteriore e un bordo incurvato superiore. ILIV tipo a conca è documentato in ben sedici esemplari, più quattro incerti: uno perché semilavorato (L. 89); quello sotto il Barracco (L. 90) per alcune anomalie, come ia presenza di cornici sulla pancia e lo schiacciamento della. parte inferiore; quello di Stabia (L. 129) e di Priene (L. 122) per lo stato frammentario. La maggioranza é di piccole dimensioni; cinque di medie (L. 58, 60,
81, 87, 122); nessun esemplare & di grandi dimensioni. Alcuni presentano le pareti baccellate (L. 175), scanalate (L. 64), anse elaborate (L. 129); singolare è l'ombelico con bustino-ritratto infantile (L. 147) nella conca in marmo bia co al Museo Nazionale di Napoli. Pochi sono i pezzi semilavorati: tre pei nenti al naufragio di Punta Scifo (L. 58, 59, 60), in pavonazzetto; due a Ostia (L. 71, 87). 1 materiali delle conche sono molto vari, pur mancando i graniti: è attestato il porfido rosso in due labra di piccole dimensioni (L. 7, 18); sono documentate conche in pavonazzetto (L. 58, 59, 60, 64), in giallo antico (L. 71),
in verde antico (L. 81), in cipollino (L. 84, 87, 89, 90), in bigio di Lesbo
(L. 104), in bardiglio (L. 123, 129) e in pietre locali (L. 183). Tre soli esem-
plari di piccole dimensioni sono in marmo bianco (L. 147, 154, 175). Le conche sono utilizzate soprattutto in contesti privati, con funzioni laiche: termali (L. 129) e omamentali nelle domus: L. 87, 90, 123, 154. Un solo esemplare è in uso nelle terme pubbliche (L. 84: nelle terme del Foro di Ercolano). TIPO V a COPPA: forma aperta, con fondo breve, senza labbro estroflesso, raro è l'ombelico interno (L. 118, 133). Soltanto tredici (L. 139 è incerto
per lo stato frammentario) sono gli esemplari di questo tipo, dî cui dieci di piccole dimensioni, due di medie. Forse a questo tipo appartengono i due labra n
lasciati sbozzati nelle cave del Mons Porphyrites (L. 1 e 2). Cinque coppe sono semilavorate: tre ad Ostia (L. 75, 76, 111), di cui una in situ nella domus delle Colonne; una quarta vasca sbozzata & nelle cave di Simitthus (L. 68) e una quinta è a Sabratha (L. 102). I marmi usati sono il portasanta (L. 75, 76), la breccia di Sciro (L. 111), il greco scritto (L. 65), il giallo antico (L. 68), il bigio di Lesbo (L. 102, 103), il marmo grigio (L. 118) e il marmo bianco (L. 133, 139, 156). Le funzioni attestate sono o termali (L. 65, 111, 1182, 133?) o domestico-omamentali (L. 75, 103, 156). La coppa a Nikopolis L. 139 potrebbe provenire dalla Basilica A (riutilizzo?) TIPO VI a BACINO: forma molto “aperta”; vasca di medie e grandi dimensioni, con ampio fondo piatto, a volte ornato internamente da un ombelico, e pareti che salgono verso l'alto appena arcuate o perpendicolari al fondo, da cui si staccano bruscamente con un angolo quasi retto, cosicché la circonferenza superiore misura approssimativamente come quella inferiore. Le pareti terminano superiormente con un taglio netto e sono in genere prive di labbro estroflesso; fa eccezione la vasca nel caldarium maschile delle Terme del Foro pompeiane (L. 160). Gli esemplari a bacino sono quindici, di cui undici di medie dimensioni, due soltanto di grandi dimensioni e uno di piccole. Questo tipo è caratteristico degli impianti termali: sia nelle province nordiche (L. 177, 178, 180, 189), con esemplari in pietra calcarea e arenaria; sia a Roma, nella cosiddetta casa di Emilio Scauro (L. 174); ad Ostia, in marmo bianco (L. 164); sia a Pompei (L. 126, 160, con iscrizione dedicatoria), in marmo bianco e grigio. Due esemplari sono tuttora in situ nella fontana monumentale di Arsinoe a Messene (L. 119) e in un ninfeo di Perge (L. 112). Due labra a bacino svolgevano una funzione cultuale: il primo è quello posto nel ninfeo di Erode Attico ad Olimpia (L. 140), il quale aveva in origine una valenza sacrale, essendo collocato presso il tempio di Hera; il secondo & quello tuttora in situ nell’angolo nord-est del piazzale del tempio detto Ara della Regina a Tarquinia (L. 129*). Un bacino frammentario & documentato ad Alba Fucens (L. 143). Due i bacini semilavorati rimasti nelle cave del Mons Claudianus: L. 29, con ombelico sbozzato, ¢ L. 30, del secondo la tipologia è incerta. I materiali usati per questo tipo sono poco ricercati: soprattutto è documentato il marmo bianco (sei esemplari: L. 140, 143, 160, 164, 174, 176); poco frequenti sono il marmo bianco-grigio (L. 119) e grigio (L. 126; 129*) e le pietre calcaree e arenarie (L. 177, 178, 180); un solo esemplare (L. 29) è nel preZioso granito del Foro e uno in marmo rosa brecciato (L. 112). TIPO VII a PIATTO: forma completamente “aperta”, poco profonda, con un labbro estroflesso (a) oppure senza labbro (b). Questo tipo è poco diffuso: un esemplare di piccole dimensioni è in porfido (L. 13); uno di medie dimensioni è in granito del Foro (L. 33, utilizzato come fontana nelle Case a Giardino di Ostia); un frammento in pavonazzetto (L. 63) è al Palatino; tre, di piccole dimensioni, sono in marmo bianco (L. 137 al Museo di Kavala; L. 153 da Ordona; 78
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Tavola tipologica dei labra: tipi I, Il, III, IV (dis. Arch.M. Chighine).
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L. 157 nel peristilio della casa dei Vettii). Una forma mista tra il tipo VII e l'VIII ha un piccolo bacino in marmo bianco, rinvenuto nei pressi della Basilica Lateranense a Roma (L. 171): anch'esso forse da un contesto abitativo.
TIPO VIII, LUSSUOSO: dal panorama dei Jabra romani dominato da una sostanziale uniformità tettonica, si distaccano alcune vasche, le quali per la ricchezza delle forme, dei materiali e degli ornati costituiscono un gruppo a parte, che potremmo definire lussuoso o fastoso. Questo gruppo al suo interno non presenta una sostanziale uniformità, cosicché ciascun esemplare per le sue peculiarità costituisce un unicum. Al tipo lussuoso appartengono importanti opere rcalizzate in porfido: la vasca frammentaria rinvenuta recentemente nel Templum. Pacis (L. 19) e le due gemelle conservate nel giardino e nel magazzino del Museo Archeologico Nazionale di Napoli (L. 8-9: tutte e tre si caratterizzano per una forma più articolata, dal profilo discontinuo, con una separazione netta tra il collo, ad alta scozia, e la pancia, a profilo convesso, e per una ricca decorazione del labbro e delle anse. Queste ultime, come si può ricostruire dai frammenti pervenutici, si impostavano verticali sopra l'orlo, conferendo alla vasca la forma di un kantharos. Sulla pancia, tra i finali delle anse, sono scolpite in forte aggetto due teste maschili barbate, che dovevano probabilmente raffigurare o divinità fluviali, genericamente collegate con il culto delle acque, o Asclepio stesso, cui si richiamano anche i serpenti dei manici. Oltre alle duc vasca citate, è testimoniata un'altra opera pertinente alla stessa tipologia: si tratta dei tre frammenti porfiretici, conservati a Potsdam, murati nel giardino del castello di KleinGlienicke: (L. 3). Anch’essi si caratterizzano per la successione di labbro con ovoli, scozia e pancia convessa, e per le anse riccamente ornate, con serpenti, conchiglie, bulbi di papavero e foglie di acanto. La testimonianza dell’esistenza di altri labra di questo tipo lussuoso è fornita da tre maschere in porfido di divinità barbata, dello stesso genere di quelle della vasca restaurata di Napoli, conservate una a Vicenza, un’altra un tempo nello stesso castello di Potsdam, ora in un Museo di Ginevra e una terza in proprietà privata a Vico Equense* (si vedano le schede relative), probabilmente più tarda delle opere e dei frammenti precedentemente menzionati, ascrivibili secondo il Delbrueck al II secolo, mentre quest’ultima viene attribuita al IV secolo d.C. Una testa di serpente conservata a Parigi, in collezione Hayford Peirce”, un frammento di porfido con una conchiglia, a Villa Albanis e un frammento porfiretico di una testa di Gorgone, conser2 DeLBRUECK 1932, p. 178 ss, tav. 81, fig, 82-85 (A e C); GOETHERT 1972, p. 47, tav. 127, ab. 3 Gormizat 1972, p. 47, n. 22 a,b, tav. 82 4 DeLBRUECK 1932, p. 190 s. tav. 82. 5 DELBRUECK 1932,p. 173, tav. 82. S DELARUECK 1932,p. 244, 7 DetaRvEcK 1932,p. 175, fig. 79. * Detenueck 1932,p. 183, fig. 88 80
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Tavola tipologica dei labra: tipiV, VI, VII, VIII (dis. Arch. M. Chighine)
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vato nel castello di Klein-Glienicke?, dovevano far parte delle anse di bacini della stessa tipologia. Dalle testimonianze del Delbrueck, dai resti di Potsdam e dai rinvenimenti recenti nel Foro della Pace si deduce che, oltre ai pezzi sporadici di difficile attribuzione, sono documentabili con certezza almeno tre esemplari in porfido pertinenti a questo tipo di labrum lussuoso. Le tre maschere, la testa di serpente, la testa di Gorgone, il frammento con conchiglia e la notizia del catalog0 del Museo Borbonico del 1830, che ricorda nei giardini Famesiani, oltre alle due vasche ora a Napoli, un’altra simile, attestano l’esistenza di altri esemplari porfiretici pertinenti alla stessa tipologia. I frammenti porfiretici di un altro labrum sono conservati in un deposito dei Musei Capitolini (L. 17); difficile è stabilirne la tipologia. Note dalle fonti letterarie tarde sono alcune vasche porfiretiche, disperse, probabilmente pertinenti allo stesso tipo lussuoso delle due vasche Farnese: il Liber Pontificalis descrive nel ninfeo Lateranense", eretto da papa Ilario (461468) davanti all’oratorio di S. Croce, numerosi bacini in porfido, tra cui una tazza ansata, inserita nel lacus centrale. A Costantinopoli, nell'atrio della Chiesa Nuova!!, consacrata da Basilio I nell’881, c'era un bacino con manici serpentiformi e disco centrale forato. Niceta Coniate ricorda una vasca porfiretica con serpenti avvolti in spire intorno al bordo!?, trasferita dal giardino del Grande Palazzo di Costantinopoli nell’atrio della Chiesa dei 40 Martiri e datata dal Delbrueck nel Il secolo, come quelle Famese. Altre vasche in porfido sono ricordate un tempo a Costantinopoli, anch'esse pertinenti probabilmente al tipo lussuoso, arricchito con maschere barbate, serpenti e alti zampilli d'acqua; il Delbrueck le attribuisce ad età tarda: al IV e addirittura al X secolo! La Passio quattuor coronatorum' segnala, in età dioclezianea, conchae e lacus riccamente ornati con acanto ed elementi figurati. Vasche del tipo lussuoso in porfido sono, dunque, testimoniate sia dalla documentazione archeologica che letteraria: forme ed omati sembrano costanti, sebbene con lievi variazioni; la collocazione appare connessa all’ambito pubblico e all’ufficialitä di corte. Secondo il Delbrueck il tipo fastoso, pecu-
liare all'interno di una produzione più generica e uniforme, risalirebbe alla
9 Goemueat 1972, p. 15, n. 82, tav. 34 10 Liber Pontificali, 1, p. 242, cfr. 246, nota 5 (ed. DUCHESNE); DELBRUECK 1932, p. 186 s. 1 DELBRUECK 1932,p. 191 s., con bibi. prec. 12 Dernausck 1932, p. 192, con bibl. prec. 13 Dexarveck 1932,p. 191 s "+ Pornva., Passio Sanctorum Quattuor Coronatorum, Acta Sanctorum Novembris, ll, 1910, ed. DELEHAYE, dies 5-8, p. 797, 3-4; eft. G.B. De Rossi, in BullArchCrist, 3 ser. IV, 1879, p.47 ss 82
toreutica tardo-ellenistica, probabilmente alessandrina!“. La ricchezza formale di queste conche di tipo lussuoso e l'esclusività del materiale usato, il porfido, avvalorano quanto già constatato dal Delbrucck riguardo l’intera classe delle vasche tonde in porfido: secondo lo studioso tedesco queste opere, proprio per le evidenti difformità di misure e proporzioni, nonostante l'omogeneità tetto-
nica e formale di base, non erano prodotte in serie con dimensioni costanti, ma
dovevano essere realizzate unicamente su richiesta. Llabra che si distaccano dalle forme più consuete, quindi, non sono molti: le vasche e i frammenti porfiretici sopra citati, che già nella preziosità del materiale e nella raffinata esecuzione rivelano la loro eccezionalità, e poche altre, come la vasca in granito grigio, di medie dimensioni, riutilizzata in via dei Fori Imperiali a Roma! (L. 37). Anch'essa appartiene al tipo lussuoso, benché sia priva di anse; la sua maggiore profondità ed altezza, rispetto alla forma più bassa, allargata e schiacciata della vasca Farnese, avvicina quest'opera alla ricostruzione del labrum del Templum Pacis. Di incerta tipologia una vasca frammentaria in porfido a Villa Albani (L. 21). Abbiamo anche tre interessanti testimonianze di labra
in marmo bianco e di piccole dimensioni pertinenti a questo tipo lussuoso, particolarmente ricchi per omati e cornici: una conca che decora l'atrio della casa delle Nozze d’ Argento a Pompei (L. 155) ripropone il profilo sinuoso, sebbene particolarmente schiacciato, e le anse, elementi tipici degli esemplari maggiori di questo tipo; una vaschetta rinvenuta nella villa di C. Valerius Faustus (L. 146) a Montegelato, oltre al profilo sinuoso presenta scanalature e una cornice ionica; un piecolo labrum proveniente da Roma e ora a Copenhagen (L. 130), oltre alle baccellature, presenta protomi di ariete. Ai Musei Vaticani si conserva un labrum in pavonazzetto, di medie dimensioni, pertinente al tipo VIII, arricchito di baccellature (L. 62). Di particolare raffinatezza e ricchezza decorativa è lo straordinario esemplare di medie dimensioni, proveniente dall’area del sacrario di Giuturna (L. 170), che presenta comici ioniche, raffinati fregi vegetali sul collo e baccellature sulla pancia. La vasca soltanto sbozzata, di medie dimensioni, conservata presso le cave di granito dell’isola d"Elba" (L. 42), in base alle due anse serpenti» formi, con una conchiglia abbozzata nella parte interna sopra il labbro, e alla caratteristica successione strutturale, con labbro sporgente, collo rientrante (come sembrerebbe testimoniare l'alto fascione incavato) e pancia convessa, potrebbe ascriversi alla tipologia lussuosa. Le vasche di questo tipo VIIL in marmo bianco e di piccole dimensioni sembrano prediligere una funzione ornamentale, domestica, mentre i più grandi esemplari in prestigiose pietre colorate, destinati a contesti 15 DeLBRUECK 1932, p. 22 s. 16 Buzzi 1980,p. 181, fi. 188. 17 G. TEDESCHI GrisaNTI, in Niveo de Marmore, a cura di E. CASTELNUOVO, p. 45. 83
pubblici (terme soprattutto, ma anche Fori), fungevano da fontane monumentali altamente rappresentative. Il labrum rinvenuto presso il sacrario di Giutuma è forse collegabile a valenze cultuali, legate all'acqua e alla sacralità del luogo. II labbro decorato con una cornice ionica, composta da ovoli rigonfi, tondeggianti, entro gusci rilevati, alternati a sottili punte di freccia, a volte delimitati in alto con una serie di perline, è frequente nei bacini marmorei, baccellati, con manici articolati e ricchi sostegni, di cui si è già parlato, espressione del gusto neoclassico, diffusi tra l'età tardo-repubblicana e l'età adrianeoantonina!*, Anche i monumentali crateri a calice e le grandi conche emisferiche in bronzo, oggetti eccezionali di rappresentanza, prodotti tra il I secolo a.C. e il 1 secolo d.C., ad imitazione di modelli toreutici greci, dei quali è documentata una cospicua serie in marmo!” e numerose riproduzioni in decorazioni parietali e musive, si caratterizzano per il labbro omato con il kymation ionico, di tipo classicistico®, Ricordiamo in particolare una conca emisferica in bronzo, al Museo Nazionale di Napoli, proveniente forse da Ercolano, la quale presenta manici formati da due coppie di leoni con due serpenti e un kymation ionico sul labbro?!, Sempre dai centri vesuviani si hanno interessanti testimonianze di labra raffigurati sulle pitture parietali, caratterizzati da cornici ioniche sul labbro e da forme articolate con collo incavato e pancia convessa?, vicine nella tettonica al nostro tipo lussuoso. 1 labra di tipo lussuoso, nei motivi ornamentali e nelle forme, rivelano una sostanziale, seppur generica dipendenza dalle opere toreutiche di età ellenistica, come già sottolineato dal Delbrueck, dimostrando l’ampia diffusione di alcuni elementi omamentali, come i kymatia ionici per decorare bordi e fasce, e di alcu18 Si vedano le note 2-6 dell Introduzione. 19 Sulle conche tonde e sui crateri neoattici, in bronzo e in marmo, imitazioni di protoripi toreutic di età ellenistica, diffusi nel periodo tardo-repubblicano c nella prima età imperiale, a Roma e nei centri vesuviani: PERNICE 1925, pp. 8 $s. 37 ss.; H.U. von ScHORNEDECK, Ein hellenistisches Schalenornament, in Mnemosynon Th. Wiegand, München 1938, p. 54 ss.; W. Focus, Die Vorbilder der neuattischen Reliefs, in 20 ErgH. Jdl, 1959, p. 108 ss. 146 ss. Notevoli gli esemplari dei Musei Capitolini: STUART Jones, Mus. Cap. p. 105 s, n. 31 a, tav. 28; StuaRt JONES, Pal. Cons,,p. 39 ss, nn. 1-2, tav. 15; del Louvre a Parigi, il noto cratere Borghese, e del Museo del Bardo a Tunisi, crater di Mahdia, opera di officine neoattiche della finc del li secolo a C.: FUCHS, op. cit,p. 108 ss, nn. 1-3, tav. 23-25; del Museo Nazionale di Napoli: SrNAZzoLA 1928, tavv. 42, 48, 270; Puce 1925, tavy. IIl, IX, XI-XIV; Il bronzo dei Romani a cura di L. Prezio Bigot., Roma 1990,pp. 121 ss. 283 s. nn. 120-121, figg. 237, 238, 239 (ME. Mica); degli Uffizi, il vaso Medici: MANSUELLI, Uii, p. 180 ss.n. 180; e del Musco Nazionale Romano: Mus. Naz. Rom.I, 1, nn. 146, 148 (R. PARIS), 160(P. RENDW) 20 Sulle riproduzioni musive di bacini cmisferici, da ultimo: PIRZIO Bixott, op. cit, p. 122, figg. 189, 228 (mosaici da Capua e Pompei); p. 125, fig. 21 (emblemada Villa Adriana, da un quadro di Sosos a Pergamo del I secolo a.C.) 21 Persie 1925, tav. IT; SPINAZZOLA 1928, tav. 270. 22 Tu. Kraus-L.v. Mart, Pompeji und Herculaneum, Köln 1973,p. 75, fig. 86. 84
ne forme articolate per contenitori di vario genere. Si vedano ad esempio due preziosi thymiateria in argento, della prima età ellenistica (fine TV-secondo quarto del III secolo a.C.), conservati nel Museo del Cairo e provenienti da Tuch-elKaramus? (opere alessandrine?) e un thymiaterion simile della Collezione Rothschild, proveniente da Taranto e databile nel III secolo a.C2*. In essi, la forma a conca dell'incensiere su alto sostegno troncoconico, baccellato o scanalato, ¢ il bordo ornato da ovoli ricordano la forma ad arco di cerchio schiacciato e il labbro con comice ionica delle nostre vasche. Piccoli vasi in argento, con sostegno scanalato e conca circolare, della prima eta ellenistica, rinvenuti in Russia meridionale ed ora all’Ermitage®, presentano una forma molto simile a quella degli incensieri egiziani; di essi alcuni sono muniti di coperchio e sono stati interpretati più che come saliere, come piccoli recipienti per le abluzioni. Ciò dimostra come in ctà ellenistica il tipo della conca emisferica su alto supporto fosse polifunzionale, potendo essere adottato sia per la funzione di lavabo, che per quella di incensiere o addirittura di saliera. Il collegamento con opere toreutiche di arte alessandrine è documentato da alcuni piatti e bacini di età tardo-classica ed ellenistica, di cui alcuni in argento pertinenti al tesoro di Tuch-el-Karamus®, caratterizzati dallo stesso stacco netto tra collo svasato e pancia emisferica presente nelle vasche di tipo lussuoso. Ricordiamo, infine, un piatto emisferico in bronzo, conservato all’Ermitage, con anse sopraelevate formate da due serpenti, Je cui teste si toccano in alto, e da una testa di Gorgone tra li attacchi, sul bordo”. La consuetudine di porre maschere in corrispondenza degli attacchi delle anse sulle pance di bacini e vasi monumentali è ampiamente attestata, sia in recipienti metallici (come in due crateri a calice ansati, in bronzo, da Pompei, di cui uno databile nella seconda metà del I secolo a.C.?*, con gli attacchi delle anse in teste di Medusa, e l’altro con attacchi in forma di teste maschili barbate), sia nei numerosi crateri caliciformi marmorei, con maschere barbate, a volte caratterizzate come teste sileniche?!. 2 Praowmer 1987,p. 202, n. 5, tav. 2, acc; p. 203,n. 10, tav. 4, a-e; Ios, Alexandria im Schatten der Pyramiden, Mainz am Rhein 1999, p. 40, figs. 61, a-b; 62;63. 24 P. WUILLEWMER,Le Trésorde Tarente (Collection Rothschild), Paris 1930, p. 48 ss, tav. VI 25 M. Ascii, in AnninstCorrärch, XII, 1840, tav. C, n. 9; Antiquités du Bosphore cimmérien conservées au Musée impérialde l'Ermitage, St.Péterbourg 1854, 1, tav. XXXVIII, n. 4; PrROMMER 1987, p.51; Prrowneer 1987, p. 75, fig. 110 26 PrrommeR 1987, p. 142 ss. (sul tesoro di Tuch-el-Karamus), p. 267 ss, tavv. 6-10 (Becher); 11-15 (Phialen); 25 (Schalenprofile). 37 Antiquitäs du Bosphore cimmérien, op. cit, I, tav. XLIV, 2. 28 Pernice 1925, p. 41, tav. XIV; Pırzıo BiroLi, op. cit, p. 284, n. 121, figg. 238, 240. 29 Museo Borbonico, VI, 1830, tav. LXI 30 Si vedano gli esemplari citati a nota 19. 31 Stuart Jones, Mus. Cap. n. 31 a, tav. 28; STUART Jones, Pal.Cons,, nn. 1-2, tav. 15; Mansuetti, Uffizi, I, p. 180 s, n. 180. 85
Dall’analisi tipologica sin qui effettuata emerge la sostanziale uniformitä tipologica dei labra, con rare variazioni determinate dall’aggiunta di elementi omamentali, strutturali, quali cornici modanate, baccellature, scanalature, o di elementi plastici a rilievo, rari sulle anse e sulle pareti, più frequenti sull’ombelico. Si è visto, infatti, che alcuni labra sono impreziositi dalla presenza di protomi a rilievo sul fondo: il labrum in porfido al Museo Bardini di Firenze (L. 5) presenta un gorgoneion; quello in marmo bianco nei magazzini del Museo Archeologico di Napoli (L. 147) un singolare busto-ritratto; i due Jabra gemelli nei magazzini napoletani recano un gorgoneion (L. 149,150); i due Jabra in alabastro al Louvre, una maschera di divinità barbata (L. 26) e un gorgoneion (L. 27); quello in porfido a Villa Giulia a Roma (L. 22), un rosone a due corolle di petali altemati; corolle presentano anche i labra vesuviani (L. 148, 151). Lo Spinazzola ricorda un labrum da Paestum, che recava sul fondo un gorgoneion®. Protomi animali decorano il collo di tre esemplari, fungendo da sbocchi di scenografici getti d’acqua: il labrum in marmo bianco del tipo VIII (L. 130), a Copenhagen, con teste di ariete; quello in marmo bianco (L. 154) del tipo IV nella casa dei Ceii, con teste di leone, cinghiale, cane, pantera, toro c agnello; e infine il labrum in bigio morato del tipo II al Museo Nazionale Romano (L. 105), con sei protomi leonine. Le protomi di leone e i gorgoneia hanno un significato prevalentemente protettivo? sia su edifici templari e funerari, che sui sarcofagi romani. Sin da età arcaica nel mondo greco fungevano da gocciolatoi nelle grondaie? e da bocche di fontane; ed è con quest’ultima funzione che le protomi ferine sono state poste al di sotto del labbro nelle vasche citate: dalle fauci aperte, infatti, zampillavano scenografici getti d’acqua. Gli animali raffigurati in questi Jabra richiamano simbologie legate alla sacralità dell’acqua, alle sue valenze salutari e utilitarie, e alle divinità della Natura, in particolare al mondo dionisiaco*. Come il gorgoneion® presenta, accanto alla funzione apotropaica, una connessione con il mondo dionisiaco, così il leone può 32 SewazzoLa 1928, p. XII 33 Sulla valenza apotropaica della protome lconina e del gorgoneion e sullo sviluppo di entrambi i motivi: AmsROGI 1995, pp. 24 ss. 3% Sulla diffusione dall'età arcaica di gocciolatoi fitili a protome leonina in Grecia c in Italia: P. PeNSABENE, Terrecotte del Museo Nazionale Romano, I, Goceiolatoi e protomi da sima, Roma 1999, p. 19 ss, nn. 1-189. 35 Sul legame con il mondo dionisiaco delle protomi di leone e di pantera, quest’ultimo anitoda Dioniso, suo compagno in moltissime raffigurazioni: AMBROGI 1995, p. 26, 36 Sul gore gorgoneion, motivo antichissimo e diffusissimo nel mondo greco, etrusco e romano, sulle sue valenze simboliche e sulla sua tipologia: AMBROGI 1995, p. 26 s., nota 100. 86
essere interpretato sia come guardiano della purezza dell'acqua", che come simbolo di Dioniso®. Anche la pantera e il toro sono animali dionisiaci, sebbene essi, come sostiene l' Andersson a proposito del labrum L. 154, richiamino più probabilmente non tanto gli attributi del dio, ma particolari metamorfosi. Le altre specie animali presenti nei labra, il cinghiale, il cane, l’agnello e l'ariete, sono anch'esse attestate, in ambito greco, italico e romano, sia come gocciolatoi?, sia come figure di fontana^^, a volte limitate alla sola testa, a volte a figura intera. Questi animali sono più o meno direttamente connessi con l'acqua, perché vivono dentro o presso di essa, o perché compagni di divinità in relazione con tale elemento vitale. Nel cane si uniscono simbologie diverse, ma complementari: nel mondo greco-romano dall'originaria funzione di cacciatore e accompagnatore di divinità collegate alla caccia si arriva al ruolo di guardiano e compagno, sia in ambito mitologico che storico (Plutarco*! ricorda che i cani erano custodi del Campidoglio, quando nel 390 a.C. sopraggiunsero i Galli), coesistendo anche valenze genericamente apotropaiche. Queste ultime giustificano la frequenza di rappresentazioni di cani in mosaico e in pittura nelle domus: i cani danno il benvenuto agli ospiti e allontanano le avversità, custodendo la casa. È per questo che sono molto diffusi nell'edilizia privata in Italia i gocciolatoi a protome canina, soprattutto tra il I secolo a.C. e il 1 d.C. Queste originarie valenze apotropaiche sono certamente alla base della raffigurazione di teste di cane e di leone nel labrum pompeiano e in quello del Museo Nazionale Romano. A testimonianza della diffusione di teste di animali come bocche di fontana ricordiamo un finale di conduttura in forma di testa di cane*?,
37 O. Kerzen, Die antike Tierwelt, I, Leipzig 1909, p. 48; F. Mutimann, Weihreliefan Acheloos und Naturgottheiten, in AK, 11, 1968, p. 31: il leone è inteso come «mvodiha£. Sulla consuetudine di raffigurare il leone nelle fontane e sorgenti: E. Curmius, Die Plastik der Hellenen an Quellen und Brunnen, Berlin 1876, p. 143 ss; KAPOSSY 1969, p. 51 s 38 Sull'interpretazione delle maschere leonine nelle fontane come simboli dionisiaci: E.R Goovenouch, Jewish Symbols in the Greco-Roman Period, VII, New York 1958, p. 58 ss. 39 Una serie di lastre di gronda con gocciolatoi a protome canina e un gocciolatoio angoli re a protome di cinghiale sono stati rinvenuti in una villa del suburbio romano, in lo Vignacce Maffi, la cui continuità di vitaè attestata fino al IV secolo, se non addirittura al V: B. AbEMBAI, F. TAGLIETTI, M.G. Granino Ceceré, Hercules Sospitalis da una Villa del Suburbio Romano, in RendPontácc, LXXIV, 2001-2002, p. 128 ss. Sul tipo e sull’associazione protome canina c protome di cinghiale, sui gocciolatoi a protomi di pantera: PENSABENE, op. ci. a nota € nel Lazio nel34, p. 47 ss. nn. 192-439 (protome canina: ampiamente diffusa in Campania nella prima età imperiale);p. 230, n. 439 (protome di cinghiale: nel etd tardo-repubblice ana mondo greco è attestata, insieme alla protome di cane, nella sima del tempio di Artemide ad © nel Lazio sin dals. nn. 190-191 (protome di pantera: attestate in Etruria Epidauro);p. 145 Peta arcaica), ‘0 Sulle figure di fontana: Curtius, op. cita nota 37; Karossy 1969; KLEMENTA 1993. 41 Puur., Camill, 27. 42 K. Grewe, Römische Wasserleitungen nördlich der Alpen, in Wasserversorgung 1988, p.47, fig. 1 87
in bronzo, rinvenuta a Xanten (Vetera II), dalle cui fauci aperte sgorgava l’acqua in un bacino. L'accampamento di Vetera II fu costruito dopo la distruzione del primo accampamento nel 71 d.C.; esso rimase attivo fino all'invasione dei Franchi nel 276 d.C. Una testa bronzea di lupo con le fauci spalancate, datata nel I secolo d.C., é forse pertinente ad una fontana o alla decorazione di una barca imperiale®. Confronti diretti con la testa di cane del labrum L. 154 non sono possibili, per la diversità dei materiali e della tecnica usati; generiche analogie iconografiche sono individuabili nella forma del muso e della corona di ciuffi di peli che incomniciano lateralmente e inferiormente la testa. Allo stesso modo non si possono stabilire confronti tecnico-stilistici con le numerose statue di animali a figura intera, in marmo e in bronzo, per la maggiore corsività e stilizzazione delle protomi dei labra: come esempio si cita la statua di cinghia le accovacciato nella Sala degli Animali ai Musei Vaticani“, il cui naturalimo e preziosimo nella resa del pelame, sono soltanto lontanamente riecheggiati nella testa del labrum sopra citato. Alcuni dei nostri labra sono arricchiti con anse elaborate in forma di serpente: anche questo è un animale collegato direttamente con l’acqua e perciò frequentemente utilizzato come elemento di fontana** TI serpente è sia un animale dionisiaco, portato come simbolo bacchico al braccio o sul seno, sia un attributo di Asclepio (coluber Aesculapii o flavescens)?, divinità connessa con l'acqua, soprattutto nella sua valenza terapeutico-salutare. Le anse in forma di serpente richiamano evidentemente tutte queste simbologie, alludendo sia alla valenza ctonia del serpente, che a quella di protettore delle sorgenti c delle acque Si è detto che un altro elemento decorativo dei labra è il motivo vegetale: rosoni e calici di foglie, simboli generici della fertilità della natura, messi in relazione, sin dalle origini, con la sfera dionisiaca®. Documentato è il legame con l’ambito acquatico: il calice di foglie è frequentemente rappresentato nelle fontane a rhyton neoattico. Un velato richiamo alla simbologia dionisiaca possiamo vedere nella raffigurazione del doppio calice di foglie nel labrum. Mainz (L. 179), nel doppio rosone sul fondo del labrum porfiretico ora a Villa Giulia (L. 22) e nelle corolle dei bacini vesuviani L. 148 e 151, sebbene la 43 Lungh. cm 22,5: in Minerva, Sept/oct. 2003, vol. 14,n. 5, p. 28, fig. 6 (asta primaverile 2003), 44 AMELUNG 1908, p. 376,n. 206, tav. 41 45 Karossy 1969, p. 32s. 46 Paovenr. I 5 eff: CURTUS, op. cit. a nota 37, p. 16. #7 KELLER, op. cita nota 37, p. 284 ss. Su Asclepio e Dioniso, con il suo corteggio, come figure di fontana: KArossy 1969,p. 21 ss. 48 Becam, 1 Mitre, loc. cit. (a nota 140), p. 85, nota 16. 9 Sui ritratti in calci di foglio e sul significato simbolico del calice: H. JucKER, Das Bildnis. in Blätterkelch, Lausanne und Freiburg 1961; cf. ANDERSSON 1991, p. 558, note 69-71 88
valenza puramente decorativa prenda normalmente il sopravvento in motivi decorativi così generici. Il busto-ritratto inserito nel disco interno? della vasca di Napoli (L. 147) è un motivo singolare, testimoniato unicamente in questo labrum, sebbene busti di divinità siano frequentemente rappresentati al centro di piatti votivi: due busti, raffiguranti la coppia divina di Mercurio e Rosmerta, fuoriescono dall’ombelico di un piatto d’argento, datato in età adrianeo-inizioantonina, proveniente dal santuario di Mercurio a Berthouvillest. A Delos sono frequenti piatti con al centro il busto di Apollo o i busti della coppia divina di Iside e Serapide®?; busti della coppia e anche di Arpocrate sono raffigurati sul fondo di coppe in terracotta di epoca ellenistica e su lampade di età romana, rinvenute ovunque in Italia: nel Piceno, a Roma, in Campania, nel Bruttium e in Sicilia*>. Busti-ritratto di filosofi sono utilizzati come elementi di fontane: in alcuni casi dalla bocca fuoriescono cannule, da cui scaturiva l’acqua. Ricordiamo anche l'uso di porre, in età ellenistica e nella prima età imperiale, busti decorativi su phialai, su coperchi di pissidi, sui fulcra delle klinai, raffiguranti Dioniso e il suo corteggio, Artemis, Nikai ed anche bambini (eroti, Dioniso bambino, satiro bambino, bambini generici)ss. Nella scheda relativa si è discusso sull’identificazione del bustino in un fanciullo dedicato ad Iside. La probabile provenienza del labrum da Pompei è confortata dall'esistenza accertata in questa città vesuviana di un tempio dedicato ad Iside, la cui erezione si ascrive alla fine del II secolo a.C. Il tempio, distrutto dal terremoto del 62 d.C., fu ricostruito subito dopo a spese di Numerio Popidio Ampliato, a nome del figlio di sei anni Celsino, che nonostante l'età e l'origine libertina, fu ammesso nel consesso dell'ordo decu3? L'ombelico assumerebbe in questo caso la funzione di clipco, sul cui significato simbolio, spesso ricorrente in ambito funerario: F. MATZ, Ein römisches Meisterwerk. Der Jahresseltensarkophag Badminton-New York, 19 ErgH. Jl, 1958, p. 146; GM.A. HANFMANN, The Season Sarcophagus in Dumbarton Oaks, Cambridge Mass. 1951, I, pp. 38 ss., 257; H. BRANDENBURG, Meerwesensarkophage und Clipeusmotive. Beiträge zur Interpretation rómischer Sarkophagrelief, in Jdl, LXXXI, 1967, p. 195ss.; R. Winkts, Clipeata Imago, Bonn 1969; F. Matz, Stufen der Sepulkralsymbolik in der Kaiserzeit, in Ad, 1972, p. 103 s.; J. ENGENANN, Untersuchungen zur Sepulkralsymbolik der späteren römischen Kaiserzeit, in JB. ‚für Antike und Christentum, IL ErgH, Münster 1973, p. 35 ss. 5t TL Jucker, Das Bildnis in Blätterkelch, Lausanne- Freiburg 1961,p. 161, fig. 44, con bibl, prec 52 L. Ropexr, Nowelles remarques sur I'"Édit d’Eriza”, in BCH, 54, 1930, p. 263, nota 1 53 M. MALAE, Les cultes isiaques en lialie, in Hommages à M.J. Vermaseren, IL Leiden 1978, p. 638,n. 2; p. 645, nn. 333e, 3331, 341a;p. 650, n. 434i;p. 651,n. 2; p. 652, n. 14; p. 654, n. 31;p. 655,n. 32; p. 658, n. 1; p. 659, nn. 2 (4crae), | (Agrigento);p. 660, nn. 6p. 661, n. 1 (Morgantina); p. 661,n. 1 (Motyca); p. 662, mn. 13, 14, 15, 16,17 Si Karossy 1969, p. 46. 55 Cfi. B. BARR-SHARRAR, The Hellenistic and Imperial Decorative Bust, Mainz am Rhein 1987, in part. sui busti di bambini: p. 102 ss 89
rionum, il senato cittadino®, I resti del santuario pompeiano permettono di ricostruime la complessa pianta: sul muro di fondo del portico settentrionale si aprivano vari ambienti, tra cui un angusto sotterraneo, dove era installato il bacino per l'acqua lustrale, detto purgatorium. L'acqua sacra per le purificazioni rituali era un elemento fondamentale del culto isiaco®7; secondo De Caro da questo bacino sotterraneo si attingeva probabilmente l'acqua usata nelle cerimonie del tempio e dei sacelli privati pompeiani; nel tempio stesso o in uno di questi sacelli privati fu probabilmente dedicato il labrum in esame. Piü complessa & l'interpretazione delle teste barbate scolpite in prossimità delle anse negli esemplari di Napoli (L. 8, 9) e testimoniate anche in tre frammenti sporadici (Museo svizzero, Museo di Vicenza, Vico Equense). Due protomi barbate sono raffigurate sulla pancia del labrum in granito grigio in via dei Fori Imperiali (L. 37). Il carattere di queste teste maschili barbate e l'attributo della corona di canne palustri, presente in tutti gli esemplari ad eccezione della testa vicentina, farebbero pensare ad una divinità fluviale, da confrontarsi con le statue di personificazioni fluviali sdraiate, così diffuse in ambito ellenistico-romano. La presenza di ampie foglie poste sulla nuca negli esemplari di Napoli e del Museo svizzero è un richiamo evidente alla fertilità, tipico delle divinità egizio-ellenistiche. Più caratterizzata appare la maschera conservata a Vicenza, essendo il modio, i fiori e i boccioli di loto scolpiti sulla sua testa, attributi specifici di Serapide. Queste maschere barbate si rifanno tutte ad un modello iconografico comune, eseguito, però, con alcune differenze tecnico-stilistiche: più semplificate e sommarie le due teste del labrum L. 37; più schematica e con volumi più schiacciati la testa a Vicenza; raffinata la maschera svizzera, naturalistica nel volto e nei capelli, ma di un arcaismo calligrafico nella barba a boccoli calaistrati; con una forte plasticità e un vivo naturalismo sono rese le due maschere del labrum L. 8. Il frammento con barba rimasto della vasca L. 9 sembrerebbe del tutto simile alle teste di L. 8, cosi come gli altri resti, tanto da indurre ad ipotizzare un’unica mano esecutrice e un unico progetto. Maschere barbate simili a quelle dell’esemplare Farnese (L. 8) sono documentate, come già sottolincato dal Delbrueck, nei bronzi egiziani di età elleni56 Sul tempio di Iside a Pompei e sullarivo di Iside în Campania e in Talia tramite Delos Alla ricerca di side Analisi, studi e restauri dell Iseo Pompeiano nel Museo di Napoli, cura di S. De Caro, R. CanTiLena, U. Sampato, Roma 1992; F. Zev, Sul tempio di Iside a Pompei, in Alla ricerca di Iside a cura di S. ADAMO MUSCErToLA, S. DE Cano, in La Parola del Passato, 49, 1994, p. 7 ss. S. DE Cano, L Iso di Pompei, in ide, a cura di A. ARSLAN, Milano 1997, 5.338 ss. 57 Grovenate, Sat. VI, $37. Sul culto di Iside nell'impero romano: A. Gri, side imperiale. Aspetti storico-culturali del culto isiaco al tempo degli imperatori romani, in side, op. cit,p. 120 ss. 90
stico-romana, in particolare come appliques su vasi bronzeis*: un esempio lo fornisce un esemplare di età tardo ellenistico-romana proveniente da Meroé, ora a Miinchen, decorato con due maschere di Sileno. In un vaso in porfido al Museo di Angers®, datato dal Delbrueck nel II secolo d.C., ma non dopo l'età adrianea, si stagliano sotto il labbro due maschere di Sileno, che si avvicinano alle teste barbate del labrum Farnese, per la presenza della fascia lunata sulla
fronte, per l'identico trattamento delle ciocche dei capelli sui lati del viso, a
cordonature lisce, appena ondulate, separate da solchi profondi, per la similitudine del disegno della bocca, dal labbro inferiore più carnoso, per i baffi a tortiglione; diversa è la resa degli occhi. Possiamo, comunque, escludere con
certezza l’identificazione dei due personaggi del labrum L. 8 con un Sileno, perché non mostrano orecchie appuntite. Le altre due maschere di Vicenza e del Museo svizzero sono più lontane, sia iconograficamente che stilisticamente da quelle del vaso porfiretico di Angers: quella di Vicenza ha baffi e capelli simili, ma la resa è più semplificata e corrente. La maschera svizzera, invece, appare molto più attenta e raffinata, soprattutto nella complessa trattazione di barba c capelli. In particolare l’acconciatura della barba con lunghi boccoli a cavaturacciolo, allineati in due gruppi contrapposti, separati nel mezzo, è caratteristica delle raffigurazioni di Sileni nei busti decorativi in bronzo, diffusi dal III secolo a.C. alla metà del II secolo d.C.@, ed anche di erme barbate in marmo di divinità bacchiche, in cui ritoma il caratteristico contrasto tra la morbidezza scomposta dei capelli e la compattezza arcaistica della barbası Secondo il Finati® la maschera barbata del labrum Farnese (L. 8) sarebbe da identificare con Esculapio: la testa, i quattro papaveri e i serpenti indicherebbero la pertinenza della vasca ad una fonte lustrale, sacra al culto di Esculapio. Gerhard e Panofka, invece®, propongono Serapide, benché le teste siano prive di modio, supponendo, però, di vedere l'attacco di un fiore di loto, attualmente non distinguibile. La mancanza di connotazioni e di attributi più specifici induce a riconoscere nelle maschere barbate sopra citate, ad eccezione di quella di Vicenza, generici riferimenti a divinità fluviali®, connesse con il culto delle acque e delle sorgenti. Simili sono l'iconografia della testa virile, matura, dall'espressione malinconica, coperta dalla lunga barba e l’attributo della corona vegetale. In 58 P. Penpnizer, Bronzes grecs d'Feypte de la collection Fouguer, Pais 1911, avv. IX, XL 59 Sul "vaso di Cana”, h. cm 47: DELBRUECK 1932,p. 201 s, fig. 105, tv. 93 @ Bara SHARRAR, op. cit a nota 55, p. 84 ss, C 1-49, 61 Stuart Jones, Mus. Cap. p. 145s. n. 17, av. 37. © Real Museo Borbonico, VI, 1830, p. ss, tav. 12. © Bibl in L. 8 64 Sulle divinità faviali: Kuzmraca 1993, 91
particolare possiamo evidenziare che i capelli a lunghe ciocche ondulate, divi si da una scriminatura centrale e pettinati indietro sulle orecchie, ricordano l'acconciatura tipica di numerose statue del Nilo'5; anche la barba folta, chiusa e compatta, senza finali abboccolati isolati, compare in alcune statue del Tevere, del Nilo e di generiche divinità fluviali®. Confronti tecnico-stilistici puntuali si possono trovare nella testa in marmo scuro simile alla basanite, pertinente alla statua sdraiata del Nilo nei Musei Vaticani, atrio del Torso del Belvedere, datata nella tarda età adrianca. Il confronto, per la trattazione della morbida massa di barba e capelli, le cui ciocche sono separate da solchi profondi di trapano e segnate da sottili striature di scalpello, per la resa della zona oculare e frontale, animata da forti contrasti chiaroscurali, per i morbidi passaggi di piano tra guance, zigomi sporgenti, bocca, piccola e camosa, e per le superfici perfettamente levigate, è diretto con le maschere porfiretiche del labrum L. 8 e con quella nel Musco svizzero, sebbene quest’ultima, simile nello schema iconografico, si differenzi per una resa più finemente calligrafica. La resa a tortiglione dei baffi delle maschere nelle vasche L. 8 e L. 37 e nella maschera di Vicenza è una schematizzazione raffinata del tipo di baffi a brevi ciocche a virgola, parallele, presente nelle teste virili barbate, come ad esempio nella statua del Tevere al Louvre, dall'Iseo Campense, datata in età tardo-adrianea®?, mentre i baffi della maschera nel Museo di Ginevra, a ciocche lunghe, lisce, disposte ad arco ai lati della bocca e teminanti in due riccioli contrapposti, sono più vicini alla resa naturalistica di quelli del Nilo vaticano, nell'atrio del Torso del Belvedere, contemporaneo al Tevere sopra citato. È stata già sottolineata la presenza nella vasca L. 8 dei fiori di papavero e dei serpenti, attributi caratteristici di Asclepio, cui si richiama anche l’iconografia del volto, peraltro simile a quello delle divinità fluviali. La documentazione plastica attesta che le statue di Asclepio venivano utilizzate anche come figure di fontana, trattandosi di una divinità collegata all’acqua e alle sue valenze salutari. Non si può, quindi, escludere una voluta contaminazione iconografica e simbolica tra le divinità fluviali e Asclepio, intesa a sottolineare la funzione igienico-terapeutica dell’acqua sgorgante dal labrum, nonché la sacralità di queste fontane, sottolineata dalla loro provenienza da contesti in genere pubblici,
quali terme e fori.
5 Kuna 1993, tav. 4, fig. 7, tav. 5, fig. 9 (Campidoglio); tav. 7, fig. 13 (Norfolk, Holkham Hall; tav. 11, fig. 21, tav. 14, fig. 27 (Vaticano, Atrio del Torso del Belvedere); tav. 11, fig. 22, tav. 12, fig. 23, av. 13, fi. 25 (Vaticano, Museo Pio-Clementino, Braccio Nuovo). 8 KLEMENTA 1993, tav. 3, fi. 6, tav. 4, fig. 8 (Museo Capitolino); tav. 7, fig. 14 (Vaticano, Cortile del Belvedere); tav. 33, fig. 65 (Museo Civico di Bologna); tav. 33, fig. 66 (Museo Nazionale di Krakau) T KLeMENTA 1993, p. 55 ss, B 3, tav. 12, fig, 26 68 Karossy 1969, p. 21. 9
Due maschere barbate, di tipo arcaistico, sporgono dal collo dei due Jabra gemelli vesuviani (L. 149, 150): i baffi e i riccioli spiraliformi sulla fronte richiamano il volto di Acheloo, sebbene manchino le corna e le orecchie taurine, attributi tipici di questa divinità fluviale. La presenza del kymation ionico sul labbro di numerosi labra (L. 3, 8, 9, 19, 37, 62, 130, 146, 147, 152, 159, 170, 173) non offre dati cronologici precisi: le comici con ovoli dei labra, infatti, non sono canoniche e non sono puntualmente confrontabili con le modanature architettoniche, in cuii singoli elementi sono profondamente separati l'uno dall'altro con solchi che creano forti chiaroscuri, mentre nei labra la cornice ionica è ridotta ad una fascia unitaria, su cui sono disegnati in leggero aggetto, ma mai separati da solchi profondi, ovoli, gusci a nastro piatto, e triangolari punte di freccia, a volte con dorso rilevato. In L. 3, 8, 9 e 19 l'unico confronto possibile è con il tipo di ovolo, più largo alla base, ma non proprio appuntito al vertice, presente nei kymatia ionici architettonici di età adrianea c antonina®, con un evidente indurimento in L. 19, che potrebbe indicare un abbassamento cronologico in età severiana. Il kymation ionico in L. 37, 130, 146, 159 appare ulteriormente semplificato: i gusci diventano un lungo nastro piatto, uniforme, ininterrotto, che circonda gli ovoli, arrotondati, formando una serie di archi continui. A volte, invece, gli ovoli si allontanano dalla loro forma originaria, allargandosi al vertice come alla base ed assumendo una forma quadrangolare, dagli angoli arrotondati: quasi delle linguette, separate da sottilissimi listellini (L. 147, 152, 173) o da minuscole punte di freccia ridotte a unghie (L. 62). Spesso l'attacco superiore degli ovoli è sottolineato da una serie di perline.
© Cu, Leon, Die Bauornamentik des Trajansforum und ihre Stellung in der früh- und mittelkaiserzeitlichen Architekturdekoration Roms, Wien, Köln, Graz 1971, p. 267 s. tavv. 99-102.
TIPOLOGIA DEI SUPPORTI
1 supporti dei labra si possono ascrivere sostanzialmente a sette tipologie: TIPO I, a doppio calice contrapposto; TIPO II, a colonnina; TIPO III, campaniforme;
TIPO IV, a rocchetto; TIPO V, a plinto; TIPO VI, a bulbo.
TIPO I: in genere molto sviluppato in altezza, con fusto a doppio calice contrapposto, Esso presenta un basamento e un calice inferiore, di maggiore altezza, slanciato e fortemente svasato verso il basso, scanalato o liscio. II calice superiore, separato da quello inferiore con un tondino, che stringe il fusto a due terzi o a tre quarti dell'altezza totale, è molto più breve, fortemente strombato e sempre liscio; termina con un’alta fascia liscia o, più raramente, con più articolate modanature. Esistono due sottotipi: a, b. Il sottotipo a è caratterizzato dalla presenza delle scanalature nel calice inferiore: nella maggior parte degli esemplari le scanalature sono di tipo dorico, con spigoli combacianti, di raccordo, ad angolo vivo o appena smussato; meno numerosi sono i supporti con scanalature di tipo ionico, separate cioè da un listello piatto. Le scanalature terminano in alto
ad angolo diritto; in questo punto possono essere accompagnate da linguette piatte. Sul basamento le scanalature si allargano con terminazioni a cucchiaio. II sottotipo b presenta il fusto liscio. La parte finale del fusto si allarga gradatamente, in entrambi i sottotipi, facendo si che il fusto presenti una costante rastremazione, che culmina nell'apertura della base, per cui il diametro di base è di gran lunga maggiore rispetto a quello superiore. Il sottotipo più rappresentato è quello a, scanalato (quarantacinque esemplari, di cui due incerti, contro i sedici del sottotipo b), con i sostegni più preziosi, sia per materiale che per esecuzione. Al tipo I appartengono alcuni esem-
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plari, piuttosto rari, il cui calice inferiore è arricchito da un cespo di foglie rovesciate (S. 181, 182, 202, 222).
Le misure dei supporti del tipo I oscillano tra i cm 50-60-66, con alcuni esemplari che arrivano fino a cm 91 (S. 2). Solo i sostegni con cespo vegetale (S. 182, 202, 222) sono piü bassi: dai cm 20 ai 46. Questo tipo è documentato in quasi tutti i materiali marmorei (porfido, basanite, granito rosa di Assuan, pavonazzetto, rosso antico, cipollino, marmi bigi, grigi e bianchi) e nei più svariati ambiti: urbano, periferico e provinciale. A questo tipo (I, b) appartiene la "S. Colonna della Flagellazione”, conservata in una piccola cappella a destra del sacello di San Zenone nella Basilica di Santa Prassede a Roma, entro un reliquiario di bronzo dorato eretto nel 1898, su disegno di D. Cambellotti. La tradizione ricorda che essa fu trasportata nel 1223 da Gerusalemme a Roma dal Cardinale Giovanni Colonna, condottiero della sesta Crociata, e da lui collocata nel suo Titolo di S. Prassede, precisamente nel sacello di S. Zenone fino al 1699, quando Mons. Ciriaco Lancetta la fece spostare nella cappellina, dove ancora oggi si trova, Alta cm 63, presenta un anello a toro a tre quarti dell’altezza e una base con listello e alto toro; una fascia corona la sommità. Il materiale, particolarmente prezioso e raro!, è un granito a grandi grani bianchi, a volte appena rosati, e cristalli neri oblunghi, detto appunto “granito della Colonna”. Tradizionalmente è ritenuta la colonna alla quale Gesù Cristo fu legato per essere flagellato, come è raffigurato în due affreschi presenti nella stessa Basilica: uno nella navata centrale, eseguito nel 1594-1596 da A. Ciampelli, e un altro sopra il portale laterale del sacello di San Zenone, eseguito da F. Gai nel 1863, con il Cristo, costretto
a terra, legato per i polsi alla colonnina. È considerata dalla Marchei un soste-
gno di tavolo e dallo Gnoli un sostegno di tipo e fattura egiziani.
TIPO Il: anch'esso è molto sviluppato in altezza, ma in genere è più uniforme nel profilo; è costituito di un fusto a colonnina, piuttosto diritto, che mantiene un diametro pressoché costante, rastremandosi appena; il fusto può essere o scanalato nei due terzi inferiori (a) o liscio (b). Il coronamento ripropone in forme stilizzate un “capitello” di tipo dorico, con una modanatura inferiore a profilo rigidamente obliquo 0 a cavetto e fascia superiore finale, in aggetto; a volte questi due 1 SullaS. Colonna della Flagellazione e sul granito della Colonna: B. DavanzATI, Notizieal pellegrino della Basilica di S. Prassede, Roma 1725, p. 409 ss. (il quale sostiene che avvenneTo due flagellazioni: una nel palazzo di Caifa, legato ad una colonna alta; l'altra nel pretorio di Pilato, legato alla piccola colonna in questione); G. DE ANGELIS d'Ossat, Christianus Magister ei marmi della Basilica di S. Prassede in Roma, Marmi Pietre e Graniti, Roma 1930, p. | ss. Grot: 1971, p. 124 ss; Mietscx 1985, p. 69, nn. 802-803, tav. 23; GNOLI 1988,p. 150 s; Marmi antichi 1998, p. 220, n. 70; P. GaLLio, La Basilica di Santa Prassede, Genova 1998, p. 37. 96
4, Roma, Basilica di S. Prassede, S. Colonna della Flagellazione (Foto A. AMBROGI).
elementi si semplificano in due listelli digradanti o si arricchiscono di una modanatura a gola. Nel sottotipo II a, tra il coronamento e le scanalature si estende un
collarino a fascia liscia. La base può essere variamente articolata: di tipo attico o
a semplice disco liscio o con una gola. In questo tipo in genere la base presenta un diametro uguale o di poco superiore a quello dell'abaco. Alcuni esemplari (es. S. 10, 11) hanno il fusto troncato in alto e segnato da un semplice anello, a fascia o a tondino. I sottotipo più diffuso è quello a, scanalato (con ottantatré esemplari; mentre b è rappresentato da sessantatré), soprattutto nei marmi grigi, bianchi e nelle pietre locali; nei marmi colorati è, invece, più attestato il sottotipo b, liscio. Le provenienze accertate sono sia da Roma e Ostia, che da ambiti periferici (Ercolano, Pompei, Trieste) e provinciali (soprattutto greco e greco-orientale). Per il tipo II sono utilizzati il porfido, l'africano, il pavonazzetto, il greco scritto, la Jumachella, il portasanta, il verde e il rosso antico, il cipollino, i marmi bigi, il raro gabbro eufotide, la breccia di Sciro, i marmi grigi, bianchi e le pietre locali.
A questo tipo II appartengono alcuni supporti semilavorati, che, sebbene non finiti, presentano ben delineata la forma a colonnina. Gli esemplari del tipo II appaiono più slanciati: più sottili e più alti rispetto alle altre tipologie. Le misure oscillano tra i em 60-70, mentre i supporti 97
semilavorati sono pit alti, superando in alcuni casi il metro. Rari esemplari scendono sotto i cm 50. Dal tipo II a canonico si differenziano due supporti: uno a Cirene (S. 128), scanalato con capitello di tipo ionico, e uno a Thasos (S. 85), il quale presenta scanalature tortili. Ulteriori eccezioni del tipo II sono: un supporto con fusto e base ottagonale pertinente al labrum delle terme dei Cisiarii (S. 235) e tre sostegni a colonnina abbombata in basso: uno ostiense (S. 65) e due a Dion (S. 92 e 95), di cui uno con scanalature tortili. La colonnina abbombata è a metà tra il tipo II e quello VI a bulbo, con un maggiore sviluppo in altezza. TIPO III, campaniforme: supporto particolarmente sviluppato in larghezza e in genere in dimensioni monumentali. È costituito da un fusto a campana, con
profilo a guscio più o meno accentuato, delimitato inferiormente da un plinto in genere ottagonale, sormontato da un toro e da un listello rientrante. Superiormente presenta un anello a tondino o a fascia liscia rilevata.
Esistono due sottotipi: quello A, a semplice campana, si conclude in corrispondenza dell’anello. Il sottotipo B, invece, presenta un ulteriore sviluppo al di sopra dell’anello, con un collarino modanato, a profilo diritto 0 svasato, più breve rispetto alla campana inferiore, delimitato superiormente da un disco aggettante. Questo sottotipo B si suddivide ulteriormente in a: con fusto scanalato; e b: con fusto liscio. Il tipo III è rappresentato da soli quattordici supporti: si caratterizza per la monumentalità e il maggiore sviluppo in larghezza del fusto, rispetto all'altezza. Il sottotipo più attestato è III B, b (con dieci esemplari); due soltanto sono del tipo III B, a, e due di quello III A. L'altezza oscilla tra i cm 58 e i 98, con una media di cm 70-80. Sono testimoniati solo esemplari in marmi colorati, preziosi: ben sei esemplari sono in porfido (S. 4, 5, 7, 8, 9, 13) e tutti provenienti da Roma; otto in
granito del Foro (S. 20-27:
questo è l’unico tipo di sostegno attestato per il
granito del Foro) di provenienza urbana e uno da Bolsena.
TIPO IV, a rocchetto: è composto di un corpo cilindrico, con un maggiore o minore sviluppo in altezza, delimitato in alto e in basso da cornici modanate; a volte il basamento presenta tre peducci di base. Il fusto può essere, più raramente (S. 233) strigilato (a) o più frequentemente (diciassette esemplari) liscio (b). A questo tipo appartengono due esemplari di dimensioni monumentali (S. 33 a Roma, S. 81 a Verona), in marmi colorati (rosso ammonitico e aftica-
no, varietà verde) che si avvicinano, per misure e tettonica (maggiore sviluppo in larghezza, struttura larga e bassa), agli esemplari di III tipo. Gli altri sostegni sono di dimensioni minori e sono realizzati in pavonazzetto (uno ad Ostia: S. 40), portasanta (ben sei esemplari di Corinto, Cos, Efeso ed Epidauro: S. 45, 46, 47, 50, 51, 52), in marmo rosso brecciato (S. 88 a Thasos), in marmi grigi (S. 102 a Pompei) e in marmi bianchi (S. 130 a Cirene, S. 203, 204 a
98
Tavola tipologica dei supporti: tipi I, I (dis. Arch. M. Chighine).
Pompei, S. 232, 233, 234 a Ostia); un unico pezzo (S. 263) in pietra locale a Pompei. Questo tipo è prediletto nell’ambito periferico e provinciale (soprattutto greco-orientale); è presente con un solo esemplare, molto prezioso per materiale (africano, varietà verde), a Roma (S. 33). Le dimensioni sono molto
ridotte in altezza, arrivando al massimo a cm 50 (S. 33) e al minimo a cm 18 (S. 52); la media oscilla tra i cm 30 e i 40.
TIPO V, a plinto: si tratta di un supporto di altezza ridotta, composto del bas mento e del breve fusto dal profilo più o meno svasato, in un solo caso (S. 176: Veria) con scanalature tortili (a) o, in sette esemplari, liscio (b). Il supporto termina in alto sia con un coronamento modanato, sia senza, con un semplice taglio piatto dei fusto. In genere i suoi esemplari sono alti cm 20-34: un supporto arriva a cm 46
(S. 71: semilavorato) e uno a cm 62,7 (S. 138).
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Il tipo V è attestato negli esemplari in pavonazzetto del carico di Punta Scifo (S. 35, 36, 39); in due in bigio, uno (S. 78) a Pergamo e uno semilavorato nelle cave di Lesbo (S. 71); in alcuni in marmo bianco a Efeso (S. 138), a Veria (S. 176), a Ostia (S. 236), a Roma (S. 239). TIPO VI, a bulbo: si compone di un plinto quadrangolare, su cui si imposta un dado a bulbo, schiacciato, espanso in basso, delimitato superiormente da un listellino liscio e un tondino. Quest'ultimo tipo è attestato soltanto in due esemplari (S. 82: h. cm 41, interrato, e S. 83: h. cm 58,5), entrambi ostiensi e in rosso ammonitico. 1I tenone sporgente dal fondo esterno del bacino, da incastrarsi nell’incavo sul piano superiore del supporto, presente in alcuni esemplari greci?, si ritrova anche sui fondi delle vasche tonde romane, come testimoniano il monumentale labrum porfiretico nella Sala Rotonda dei Musei Vaticani? e gli incassi corri spondenti sui piani di posa di numerosi sostegni (ad esempio in quelli ostiensi) 1 supporti del I tipo possono acquistare aspetti diversi, a seconda delle proporzioni dei singoli componenti: possono essere, perciò, più larghi e bassi oppure, come nella maggior parte degli esemplari, più sottili e allungati, assumendo un aspetto quasi colonniforme molto vicino a quello dei supporti del I tipo. Entrambi i tipi Le II si avvicinano alle tipologie adottate per i piedi di tavolo*: un esempio eloquente lo forniscono gli esemplari ancora in situ nelle case pompeiane, come il tavolo su supporto scanalato del tipo II a, conservato nell’atrio della casa di Obellius Firmus. Quando i supporti si conservano isolati, privi cioè dell'oggetto sostenuto sopra, è purtroppo assai difficile stabilire, solo in base all’analisi tipologica, la pertinenza ad un tavolo o ad una vasca. I sostegni del I e II tipo venivano ‘utilizzati anche come sostegni di statue: un esempio sembra offerto dal supporto del tipo I a, in marmo bianco, sostenente il gruppo di Amore e Psiche, conservato nella domus ostiense omonima, sebbene manchi la certezza che si tratti della funzione originaria, trattandosi di un riutilizzo forse legato all'epoca tarda. La funzione si può definire con certezza solo nei casi in cui i supporti siano completi di bacino o qualora i sostegni presentino all'interno la canaletta, cavata in genere con la tecnica del carotaggio, per l'inserimento del tubo di afflusso (è stato possibile
211 Pernice (PERNICE 1932, p. 45) precisa che quasi tutti sostegni esaminati presentano sul piano superiore un leggero incavo, in corrispondenza dell'arrotondamento del bacino, oppure un buco quadrangolare di fissaggio per il pemo sul fondo della vasca. 3 Della numerosa bibliografia si ricordano: DELBRUPCK 1932, p. 188 ss, tav. 84; VARMING 1965, p. 105 ss, fig. 7, tav. I; LieroLp 1936,p. 149; Gout 1988, p. 130, nota 2, fi 42. “La pertinenza ad una stessa tipologia dei supporti di tavoloe di quelli di bacino € giù stata sottolineata da: PERNICE 1932; DEONNA 1938; Moss 1989, vedi iia 100
WA
ALS WB Tavola tipologica dei supporti: tipo III (dis. Arch. M. Chighine).
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accertarlo in S. 2, 3, 8, 14, 40, 97, 122, 167, 184, 197, 206, 270; impossil accertare la presenza del foro passante nei supporti riutilizzati per sostenere altri oggetti: es. S. 6, 16, 70, 80, 105, 181, 237, 272), mentre per tutti gli altri esemplari,
sprovvisti di canaletta e di oggetto sostenuto, Pattribuzione rimane incerta. Gli incassi che sono spesso presenti nel piano superiore indicano genericamente l'inserimento di un elemento sovrastante. Comunque, per i supporti privi di canaletta non può essere esclusa la pertinenza a bacini, poiché alcune vasche, specie quelle di dimensioni minori, potevano usufruire di un approvvigionamento esterno o manuale e quindi non necessitavano obbligatoriamente di canalette passanti all’interno dei supporti: ciò è confermato dal fatto che molti dei /abra catalogati non presentano sul fondo un foro passante. Incerta è la pertinenza anche dei supporti non finiti, poiché la foratura doveva avvenire solo in una fase successiva di lavorazione. È necessario, inoltre, segnalare che ad Ostia, dove sono stati impiegati
vasche e sostegni semilavorati, l'approvvigionamento idrico è stato a volte ottenuto con una canaletta posta all'esterno del piede e fuoriuscente attraverso un foro decentrato nel bacino (L. 69, 75). Per completezza documentaria e poiché è impossibile stabilire un criterio assoluto di attribuzione, si è deciso di schedare tutti i supporti noti, con o senza canaletta, non potendo escludere per nessuno di essi la pertinenza a labra; in particolare nel caso degli esemplari realizzati in marmi colorati è più probabile l'attribuzione a vasche, essendo i tavoli d'arredo in genere realizzati in marmo bianco, I supporti del III tipo, campaniforme, per la presenza delle canalette in alcuni esemplari (S. 8), per la preziosità dei marmi colorati, in cui sono stati realizzati, e poiché la maggioranza di essi sostiene tuttora un bacino, possono con certezza riferirsi esclusivamente a Jabra, anche quando il bacino sovrastante manchi. L'assenza di canalette nel IV e nel V tipo impedisce la sicura attribuzione a vasche. La minore altezza degli esemplari di questo tipo (difficilmente superano i cm 40) fa supporre un uso particolare delle vasche da essi sostenuti, come nel caso del labrum ostiense (L. 165) con supporto pertinente (S. 236), il cui utilizzo è collegato all'uso della latrina. Anche per questi tipi la pertinenza a labra rimane incerta. La molteplicità d’uso dei supporti marmorei in esame è confermata dal fatto che si registrano grandi concentrazioni di supporti in luoghi in cui non sono attestati Jabra o ne sono documentati in numero minore rispetto ai bacini rinvenuti: ne deriva che tali supporti fossero destinati a sostenere anche tavoli, statuette e di altri oggetti marmorei. 5 Una grande concentrazione di supportisi riscontra ad esempio ad Argo: S. 113-121, 241-244; a Cirene: S. 127-131, 246-249; a Delos: S. 48,90, 132-133; a Dion: S. 84, 91-95, 135-136; ad Efeso S.49-51, 137-138; a Mileto: S. 74-76, 148-159; a Misträ: S. 160-164; a Thasos: S. 85, 88, 170-172. 102
vl
Tavola tipologica dei supporti: tipo IV, V, VI (dis. Arch. M. Chighine).
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1 supporti più importanti, per materiale, dimensioni e qualità formale, sono quelli monumentali e nei marmi e pietre colorate più preziosi del tipo I e IT, mentre i pezzi più correnti, per resa (più sommaria e trascurata) e materiale scelto (in genere marmi c pietre locali) sono del tipo II a colonnetta liscia o scanalata. Per questi ultimi si puó supporre una produzione in serie. Per agevolare la lettura del catalogo c la ricerca dei singoli pezzi, si è deciso di esaminare insieme, in un'unica scheda, i Jabra completi dei propri supporti, mentre i sostegni isolati sono stati schedati a parte, fornendone i dati essenziali, escludendo, però, dal catalogo i numerosi prototipi classici ed ellenistici di Olynthus, di Delos (ad eccezione di alcuni pezzi esaminati de visu), già dettagliatamente analizzati nelle opere monografiche del Robinson e del Deonna. Degli esemplari pompeiani, sapientemente studiati dal Pernice, sono stati considerati solo quelli che l'autrice ha potuto analizzare direttamente in una ricognizione effettuata nei centri vesuviani I sostegni dei tipi Ie II si rifanno sostanzialmente alla tipologia più consucta dei supporti di loutéria e perirrhantéria greci, come attestano sia i rinver menti che le rappresentazioni vascolarié. In tutto il mondo greco, sin dall'età arcaica, ma soprattutto nel IV secolo a.C.” e in età ellenistica, si diffonde straordinariamente il tipo di supporto, liscio o scanalato, uniforme nell’impianto di base (con ampia svasatura in basso, su base circolare liscia e capitello stilizzato con abaco, a lastra tonda liscia, ed echino a calice dal profilo più o meno incavato), con lievi variazioni negli elementi secondari. Numerosi esemplari, in terracotta, pietra e marmo, sono stati rinvenuti ad Atene (dall’agorä e dall'acropoli), Egina, Amicle, Olynthus*, Tracia, Priene, Mileto, Pergamo, Delos, Samo’, Abdera, Kephalovrysion, Mitilene, Sicilia e Magna Grecia (Gela, Himera, Gioia del Colle, Caulonia, Hikkara, Cuma)!®. In seguito al decreto di 6 Si vedano le note 40-57 di Prototipi e Funzioni. Cfi: anche RICHTER, Ancient Furniture, p. 87; DEONNA 1938, p. 49, figg. 70-71 T'Un fusto liscio su base circolare c plinto quadrangolare è già testimoniato a Corinto nella prima metà del VI secolo a.C.: S. Wemeero, Corinthian Relief Ware: Pre-Hellenistic Period, in Hesperia XXIII, 1954,p. 127 s., nota 121, tav. 301, fig. 1 ® Ci. note 40.45: Ronınson 1930, p. 64 ss. figg. 173, 176; ROBINSON, GRAHAM 1938, p. 318 s. tav. 78; ROBINSON 1946, pp. 213, 218, tav. 187,1-2;p. 229, tavv. 191,2, 219,2; p. 242, tav. 211,1; p. 246 s, tavv. 218, 219,1: si tratta di supporti a colonnetta con fusto liscio o scanaJato, a volte con linguette in alt, sia in terracotta che in marmo, con incavi quadrangolari sulla sommità per l'inserimento del tenone quadrato sporgente dal fondo del bacino. 9 Lo Hiesel (Hieset 1967,p. 8 s nn. 117-118, tav. 17) ricorda due soli esemplari scanalat, di cui uno rinvenuto in una case di età romana; anch egli nota l'uniformità formale di questi sostegni a colonnetta e propone una differenzazione di funzione in base all'altezza: i supporti più bassi erano pertinenti a bacini, quelli più alt (h. cm 70-100) a tavoli 10 DEONNA 1938, p. 49 ss; 10220 1981,p. 186, nota 150 con ampia bibliografía relativa ai namerosi esemplari, realizzati in materiali var, ma appartenti allo stesso tipo nello schema general. 104
5. Ostia antica, domus di Amore e Psiche, sostegno del gruppo statuario (foto D. BONAMONE).
Demetrio Falereo, nel 317 a.C., contro il lusso eccessivo delle tombe! alcuni sostegni a colonnetta di bacini, in genere in marmo imezio, furono modificati, eliminando parzialmente le scanalature ed incidendovi un’iscrizione, trasformandoli così in colonnette funerarie con la funzione di semata!?. In Sicilia e in Magna Grecia, il tipo di supporto a colonnetta è noto sin dal terzo quarto del V secolo a.C., come documentano le raffigurazioni vascolari! ci supporti dei loutéria fittli calabresi!*. Il Pernice sostiene che i supporti fitti li siciliani e magnogreci sono stati eseguiti in tutti i periodi, già in età arcaica, ma soprattutto nel IV secolo a.C. e in età ellenistica!S, venendo poi adottati 1 Ci, De leg. 11,26, 64. 12 A. Conze, Die attischen Grabreliefs, IV, Berlin u. Leipzig 1911-1922,pp. 5 ss, 11 s, tavv. COCLXXVI-COCLXXVII; Pesce 1932, p. 43 s, fi, 18 33 Penice 1932,p. 38 ss. figg. 8,9, 10: suddivide in trc tpi i sostegni di bacini documentati sulle rappresentazioni vascolari dell’Italia meridionale. Y Si veda ad esempio la già citata raffigurazione di un labrum su alto piede liscio in un craterea calice apulo del pittore di Hearst: si veda nota 53 di Prototipi e Funzioni (TRENDALL, Camprroctou, op. cit.p. 12,n. 36). Sui loutérafitili in alia: 10220 1981,p. 143 ss. 15 Pernice 1932, pp. 38 ss 50, tavv. 24-28, 1-5. 105
anche in eta romana. Lo lozzo, dall’esame del materiale fittile calabrese, conclude che il tipo di supporto a corpo cilindrico, strombato in basso, liscio o scamalato, con base circolare su plinto quadrangolare (suddiviso nei gruppi C e D), trova, nello schema generale, ampi confronti con i supporti a colonnetta, in terracotta, pietra e marmo, attestati in tutto il mondo greco fino all'epoca romana. Questo tipo di sostegno conserva nel tempo una forma costante, con lievi variazioni solo nella presenza o meno delle scanalature (il cui avvento, di fondamentale importanza, si può fissare nella prima metà del V secolo a.C..9), del capitello, ad imitazione delle colonne (attestato fin dal VI secolo a.C.")), del plinto quadrangolare (già documentato nella prima metà del VI secolo a.C.) e nell’aggiunta, attestata negli esemplari più recenti (tardo-ellenistici), dell’anello aggettante a due terzi dell’altezza del fusto. Il motivo dell'anello a tondino, secondo il Pemice, è molto più antico dei supporti da lui esaminati: esso risale ai prototipi bronzei arcaici e la sua creazione è forse da attribuire alla metallurgia ionica del VII e VI secolo a.C., da cui è passato ai supporti in argilla c in pietra, come dimostra il piede marmoreo del labrum già citato, di età arcaica, proveniente da Mileto e conservato a Berlino's. Nei supporti dei bacili in bronzo l'anello sporgente aveva la funzione pratica di impedire alle mani di scivolare, quando l'oggetto veniva sollevato per essere spostato. Le lunette o linguette, presenti sulla sommità delle scanalature dei supporti, appaiono, prima rigonfîe e ben profilate, poi sempre più sottili e piatte, come riflesso della grande architettura. Già note negli edifici del VI secolo e della prima metà del V secolo a.C., divenute canoniche nell’architettura del periodo ellenistico! si ritrovano frequentemente sui sostegni di bacini e träpezai fittili e di pietra di età ellenistica. Secondo il Pemice le linguette nelle scanalature dei supporti di tavoli e vasche derivano dai supporti dei crateri bronzei e da lì sono passate nei vasi in pietra; esse sono attestate a partire almeno dagli inizi del IV secolo a.C.? fino all’inizio del I secolo a.C.; mentre in età sillana?! non sono più documentate. Nell'analizzare la tipologia dei supporti di vasche, non possiamo prescindere dai risultati degli studi tipologici svolti dal Pernice, dal Deonna e dal 16 10220 1981,p. 187. 17 In un esemplare fitile da Babés: G. Daux, Chronique des Fouilles en Gréce en 1958. Babés, in BCH, LXXXII, 1959, p. 658, fig. 16 (frammento di perirrhantérion con capitello dorico, in terracotta, del diametro di em 34). 18 Pernice, 1932, p. 475, tav. 31,4 19T. Frre, Hellenistic Architecture, Rome 1965,p. 128, fig. 9. 20 PeRNICE 1932, p. 40 ss. Un supporto fitt di provenienza magnogroca, ricoperto di vernice nera brillante e di esecuzione straordinariamento fine, è conservato a Berlino: la sua der vazione da prototipi bronzei è sotolincata dalla presenza delle linguette, delle scanalature nettamente profilatee dalla fine comice con ovoli, che oma il bordo estroflesso del calice superio. re: PERNICE 1932, p. 48, tav. 31,5. 21 Piaice 1932, p. 48 ss. 106
Moss sui supporti pompeiani e delii. II Pernice”? suddivide, sottolineandone l'origine ellenistica ed articolandone la successione cronologica, i supporti pompeiani in quattro tipi, basandosi sulla composizione dei capitelli e delle basi e sulla forma del fusto, liscio o scanalato. Egli definisce i supporti esaminati solo raramente Beckenfüße, mentre usa più spesso il termine generico Untersätze, non facendo distinzioni formali fra i supporti di tavolo, il cui piano superiore generalmente è completamente piatto, e i sostegni di vasca che, invece, presentano sul piano o un incavo, corrispondente all’arrotondamento inferiore del bacino, o un buco quadrangolare per il fissaggio del perno al fondo della vasca. Il primo tipo del Pernice (2 a: tuffzeitlicher Typus), il più antico, alto dai 50 ai 63 cm circa, è analogo ai supporti raffigurati sui vasi dell'Italia meridionale e siciliani ed è confrontabile con gli esemplari sud-italici, siciliani, attici ed egineti. Esso è attestato dal periodo più antico (Tuffzeit) fino all’età romana, quando è ampiamente diffuso anche a Roma, in età premperiale e imperiale”. In questo gruppo i più antichi e caratteristici sono gli esemplari in argilla?*, più economici, raramente usati successivamente; dei pezzi in pietra (travertino e marmo), più alti e slanciati di quelli fitili, solo alcuni appartengono al periodo più antico. Questo tipo si caratterizza per il fusto sottile, scanalato (diciotto o venti scanalature)”, con o senza? linguette nell'attacco superiore; in alto, un anello con toro aggettante separa le scanalature dal capitello, che è formato da una scozia o alto calice allargato e da una lastra piatta superiore circolare, su cui poggiava la vasca. L'anello a toro, il calice svasato e il fusto scanalato del supporto 2 a (simile al nostro I a) riconducono all’età più antica, essendo noti già in età classica ed ellenistica: ne deriva, secondo il Pernice, che i supporti pompeiani di questo tipo siano tipologicamente i più antichi. 1I secondo tipo (2 b) è cronologicamente più tardo del precedente: i suoi esemplari, tutti in marmo, sono ascrivibili all'età sillana e pre-imperiale??. Essi presentano il consueto fusto scanalato, allargato alla base; al di sopra delle sca22 Pernice 1932, pp. 45 ss, 52, tavv. 28-34. 23 Di età pre-imperile e imperiale sono gli esemplari in marmo: PERNICE 1932, p. 46 s. tavv, 30, 4, 5 (pre-imperial); 31, 1 (pezzo tardo); 31, 2 (età sillana); e alcuni în travertino: PERNIcE 1932, tav. 29, 5, 6; 30, 1, 2, 3 (questi supporti in travertino sono tipologicamente del primo tipo, sebbene alcuni siano più tardi: tav. 30, 3; pochi quelli pertinenti al periodo più anti00 -Tufkeit: es. tavv. 29, 5,6; 30, 1). 24 Simili nella forma ai supporti itii dala Sicilia e dallItalia meridionale: PERNICE 1932, avv, 28, 6, 7:29, 1-4 35 Le scanalature ampie indicano un'età più antica, ancora pre-imperiale: PERNICE 1932, p.47, tav. 30,4 28 Secondo il Pernice (PERNICE 1932, p. 46) gli esemplari più antichi sono quelli senza lin guette, avendo notato la loro assenza nelle rappresentazioni vascolari dell’Italia meridionale. 27 Praouce 1932,p. 48 ss, tav. 32, 1-6. 107
nalature (diciotto o piü spesso venti), prive di linguette, corre un colletto a fascia liscia, sopra cui si allarga il capitello con l'echino dal profilo obliquo, come quello delle colonne tardo-doriche, e con l’abaco costituito da due strette fasce, sovrapposte, digradanti (il nostro II a). Il primo supporto di questo tipo citato dal Pernice & quello nella casa del Fauno (S. 206), che viene considerato dal Mau un'opera preromana per le lettere osche presenti sul piano superiore, mentre il Pernice posticipa la cronologia nel periodo della colonizzazione romana, in età tardo-repubblicana?®, affermando che l'uso della lingua osca non costituisce una prova sicura di cronologia preromana, essendosi continuata ad usare, certamente tra gli artigiani, anche dopo la colonizzazione. 1I terzo tipo (2 c: spdittuffzeitlicher und sullanischer Typus) è un attarda‘mento del primo tipo 2 a: i suoi esemplari si datano nella più tarda Tuffeit e nella prima età sillana. Caratteristiche sono le minori scanalature negli esemplari più antichi (alcuni in travertino hanno solo dodici o quattordici scanalature; mentre la maggior parte ne ha venti). Questi supporti (il nostro II a), senza anello a toro, presentano un piccolo echino incavato; sono realizzati per la maggior parte in travertino, pochi gli esemplari in marmo. Il gruppo si divide in due varianti: a) senza collarino tra scanalature ed echino®; b) con alto collarino?!, Secondo il Pernice queste due varianti non sono contemporanee. La seconda forma è più tarda, essendo più vicina al tipo 2b, per la presenza del collare, ed avendo un maggior numero (quasi sempre venti) di scanalature; inoltre alcuni esemplari sono in marmo, mentre nella prima variante, risalente ancora alla Tuffzeit, sono attestati solo supporti in travertino. II quarto tipo è di età imperiale (2 d): si distingue dal tipo 2 b per la ricca base modanata, di gusto classicistico (il nostro II a); il Pernice ascrive gli esemplari all’età imperiale, forse dall’età augustea. L'ambivalenza tipologica dei supporti di tavolo e di quelli di labrum e la difficoltà di attribuirli con sicurezza ad una o all’altra classe è ribadita anche nell’opera del Deonna, il quale nell’esaminare sia i tavoli, con ripiano circolare o rettangolare, che le vasche tonde di Delos, sottolinea che i supporti in forma di colonna, lisci 0 scanalati, possono essere pertinenti ad entrambe le classi, come dimostrano gli esemplari conservatisi completi delle loro mense o dei loro Jabra’, Delos ha una ricca documentazione di sostegni di tavolo a colonnetta in marmo bianco, oppure grigiastro, nero o rosato, in calcare, in granito, in pie28 29 30 21 22 33 108
Pensice Pernice Pernice Pernice Pernice Deowna
1932, 1932, 1932, 1932, 1932, 1938,
p. 48,n.1, tav. 32,2. p. 50 ss tav. 33, 2, 3 tavv. 3, d, 5;34, 1 p. 53, tav. 34, 3. pp. 48 ss, 73 ss
tra lavica e in terracotta“, testimoniati sin dall’arcaismo fino all’ellenismo e all'età romana. I supporti, in pietra o marmo, presentano forme a volte più tozze, a volte più slanciate; il fusto, liscio o scanalato, è rastremato, con fianchi incurvati; a volte però è quasi rettilineo e conserva la stessa larghezza per tutta l'altezza. Il fusto termina in basso con una base circolare, più o meno larga, ma mai con un plinto quadrangolare, e in alto con una cornice modanata, formante un capitello. Basandosi sulle variazioni che questi elementi possono subire, il Deonna distingue ben cinque tipi: il primo ha una base larga, che si raccorda al fusto con una forte curvatura, Fortemente incurvato è anche il capitello, che forma una specie di canestro, sottolineato da un cordone in rilievo (tipo 2 a del Pemice e nostro tipo I); le scanalature in genere terminano in alto con linguette. Il secondo tipo è simile al primo, ma senza cordone di stacco tra capitello e fusto, separati da una semplice risega. Il terzo tipo si caratterizza per una base meno larga, i fianchi appena incurvati, il capitello e la base si raccordano al fusto con una curva appena accennata e una fascia liscia al di sotto del capi-
tello; le scanalature sono prive di linguette (tipo 2 b del Pernice e nostro II a). Il quarto tipo presenta un capitello poco sporgente, fianchi quasi verticali e base modanata del tipo ionico (nostro tipo II a). Il quinto tipo, senza ornamentazioni, riassume semplificando i tipi precedenti (nostro tipo II b). Il decoro di que-
sti supporti, somigliante a quello degli esemplari pompeiani, ripropone gli stessi motivi di altri oggetti d’arredo di forma cilindrica, come le vere di pozzo: a) il fusto può essere liscio, così è attestato in esemplari dei tipi I, II, IV; b) il fusto liscio è ornato da una fila di ovoli al di sotto del capitello, in un esemplare del tipo I; c) il fusto è scanalato su un lato, liscio sull’altro; d) il decoro più frequente consiste in scanalature coprenti tutto il fusto: le scanalature hanno a volte spigoli ad angolo vivo, come quelle delle colonne doriche, a volte sono separate da un listello piatto, come quello delle colonne ioniche, più raramente sono separate da un filetto mediano. Esse terminano in alto ad angolo diritto”, ad arco di cerchio; oppure con linguette piatte? o segnate da un filetto mediano verticale*; sulla base le scanalature si concludono ad arco di cerchio, inserendo a volte, tra un arco e l'altro un fiore scolpito!" 34 DEONNA 1938,p. 49, tav. XXII,nn. 150, 154, figg. 72, 73: gli esemplari in terracotta di Delos dovevano poggiare su un plinto quadrangolare ed essere dipinti, come alcuni esemplari di Olinto. 35 DeONNA 1938,p. 51 5, avv, XXI-XXILXXIII-XXIV. 36 Deona 1938, tav. XXIII, n. 157. 37 Donna 1938, tav. XXIII, nn. 160-162. 38 Dronsa 1938, tav. XXII, n. 163 39 Deonna 1938, tav. XXIII, nn. 156, 158. 40 DeowNa 1938, tav. XXIII,n. 157. 41 DeoNNA 1938, tav. XXII, n. 157; tav. XXIV, n. 172. 109
Questi supporti a colonnetta potevano sostenere, oggetti vari, come statue, lampade c vasi. Su piccoli piedi marmorei scanalati, con un foro mediano, attestati a Delos, potevano essere posti? vaschette marmoree di ridotte dimensi 0 anche bruciaprofumi o altri piccoli oggetti Evidente è la somiglianza tra i supporti delii e quelli vesuviani: un’esportazione di pezzi prodotti dalle attivissime officine delie nelle ricettive terre vesuviane può spiegare le strette analogie. D'altronde sui reciproci rapporti ed influssi fra Delos e Pompei gli studiosi hanno già discusso a proposito dei lussuosi trapezofori a lastra con alle estremità grifi alati e al centro viticci complessi, rinvenuti a Delos® e, del tutto identici, in Italia (ad esempio quelli in marmo pario della casa di Cornelio Rufo a Pompei’): secondo Coarelli ciò testimonierebbe, oltre al grande favore goduto da questo tipo di trapezoforo nel mondo romano, la consuetudine ad esportare da Delos a Pompei tali manufatti, in contrasto con quanto, invece, sosteneva Deonna, secondo cui tali trapezofori sarebbero stati importati a Delos dall’Italia. Lo studio complessivo più recente sui supporti di tavolo è la dissertazione del Moss, il quale riunisce in un unico gruppo il tipo a colonnetta, sia scanali ta che liscia”, sostenendo che la diffusione di questo tipo come sostegno tavolo è un'invenzione essenzialmente romana‘, Egli concorda con i suoi predecessori affermando che esemplari quasi identici potevano essere utilizzati per sostenere sia tavoli che bacini; perciò egli considera soltanto i pezzi trovati completi di mensa superiore e quindi sicuramente identificabili come trapezofori. Il Moss nota che l'altezza media di questi trapezofori, circa 65 cm, è così bassa da suggerire la presenza di una base; supposizione, peraltro, confermata da alcuni esemplari pompciani*® conservatisi integri, con base quadrangolare, e anche da alcuni supporti di Jabra, qui di seguito catalogati (es. S. 44). Nonostante la natura essenzialmente architettonica dei supporti a colonna, le terminazioni inferiori profondamente incavate delle scanalature, le cornici arrotondate o ad astragali, che hanno l’aspetto di appliqués, suggeriscono che
i loro immediati prototipi siano coroplastici?.
#2 Moss 1989, p. 320. 43 Dona 1938,p. 765, tav. XXXI, n. 225, figg. 106-107: nn. inv. 1114, 7042 (h. 1011 cm) # Deowwa 1938,p. 32 ss, tav. XVI, 112. 45 Perouce 1932,p. 1, fig. 1 = SPINAZZOLA 1932, tavv. 37.38. 46 E. ConRLU, Il commercio delle opere d'arte in età tardo-repubblicana, in Revixit Ars, Roma 1996, p. 316. 47 Moss 1989, pp. 33 ss. 320 ss, 671 ss. tipo 7. 48 Moss 1989,p. 34, 49 Moss 1989,nn, A 333, 334, 337, 339, 341, 352. 50 Ipotesi convalidata dai numerosi pezzi paralleli in terracotta, noti a Pompei, in Italia meridionale,in Siciliae in Grecia: Moss 1989, p. 36, nota 55. 110
1 supporti in marmo e in pietre e calcari locali di età romana rinvenuti in Cisalpina sono stati recentemente catalogati e analizzati in relazione alla loro tipologia, cronologia, funzione e distribuzione da Slavazzist. Egli suddivide i sostegni in due tipi principali: il primo gruppo, al quale sono ascrivibili piü di una ventina di esemplari, alti circa cm 25-27, è caratterizzato da un’elegante
colonnina svasata, il cui fusto presenta scanalature verticali, più raramente, o
tortili, più frequentemente. Il fusto è sormontato da un disco piatto, a volte eseguito a parte, con kymation ionico sul bordo, e completato in basso da un plinto quadrato, in genere con piedini d’appoggio. Secondo Slavazzi il modello del tipo tradizionale a scanalature verticali fu assimilato in Cisalpina grazie ad esemplari bronzei e marmorei del tardo-ellenismo, ivi importati. Il prototipo fu riprodotto in Italia settentrionale, adattandolo al gusto locale e rielaborandolo nella variante, considerata locale da Slavazzi, con scanalature tortilis2. È da
notare, però, che supporti a colonnina tortile (eccezione del tipo II del presente catalogo) e a plinto tortile (tipo V, a) sono testimoniati anche al di fuori dell’Italia settentrionale: si ricordino ad esempio S. 85 di Thasos, S. 116 di Argo, S. 179 dell’area vesuviana, S. 176 di Veria. Il secondo tipo dello Slavazzi si compone di un cilindro liscio, delimitato alle estremità da una doppia cornice modanata fortemente aggettante; la base presenta tre piedini d’appoggio. Le misure standard oscillano per il diametro tra i cm 20 e i 28 e per Paltezza tra i cm 19 e i 23, risultando il diametro maggiore rispetto all'altezza: ciò conferisce al supporto proporzioni schiacciate. Questo secondo tipo deriverebbe da prototipi lignei, oggi perduti, e, sempre secondo Slavazzi, sarebbe stato realizzato al tornio; i pezzi noti in Italia settentrionale sono tredici, di cui uno solo in marmo, il resto in calcare locale®. Al primo tipo norditalico corrispondono sostanzialmente i supporti riuniti nei tipi I e II della presente raccolta; questi ultimi si differenziano però per la quasi costante assenza sia dei piedini di base e per la rarità del disco con comice ionica, diretto portato del prototipo greco. Il secondo tipo cisalpino corrisponde perfettamente al nostro IV tipo, a rocchetto. Secondo Slavazzi il primo tipo probabilmente funVE Savazzi, Sostegni scanalati e modanati. A proposito degli arredi in marmo e pietra di età romana in Cisalpina, io Il modello romano in Cisalpina, a cura di G. SENA CHIESA, Firenze 2001, p. 93 ss. Sugli arredi delle domus in Cisalpina, si veda anche dello stesso autore: L arredo delle domus norditaliche dall'età ardorepubblicana alla media età imperiale, in Abitare in Cisalpina, a ‘cura di M. VERZAR Bass, in Antichità Altoadriatiche, XLIX, Trieste 2001, I, p. 127 ss. 52 Sugli esemplari del primo tipo dello Slavazzi, realizzati in calcare d’Aurisina, sia con scanalature verticali, sia tortili, documentati ad Altino cfr.: M. TireLLI, Tasselli per la ricostruzione dell'edilizia privata di Altino romana, in Abitare in Cisalpina, op. cit. p. 498, note 61,62, fig. 10 c-d. 53 Sugli esemplari del secondo tipo dello Slavazzi, sempre in calcare d'Aurisina, testimoniati ad Altino: TigeLLI, ibidem, p. 498, note 62, 63, fig. 10 e-f. n
geva da sostegno di lucerne; anche il secondo, in base alla presenza in alcuni esemplari di un incavo superiore, doveva sostenere un elemento lavorato a parte, forse una vasca. La quasi totalità degli esemplari nord-italici provengono da domus, in alcuni casi dai giardini; solo per il primo tipo è attestato anche un utilizzo in ambito pubblico: in aree di destinazione civica (complessi termali e forensi) o sacrale. La produzione di questo genere di arredi va collocata fra l'età tardo-repubblicana e la prima e media età imperiale; sono documentati alcuni casi di reimpiego in età tardo-antica. Lo Slavazzi suggerisce l'esistenza di varie officine dislocate in Cisalpina (sicuramente a Luni per i supporti in marmo lunense e forse ad Aquileia per quelli in calcare locale, oltre a probabili centri secondari di produzione) e un ampio raggio di distribuzione in ambito nord-italico. Egli, infatti, afferma che non esistono testimonianze di supporti del secondo tipo al di fuori della Cisalpina: ciò è contraddetto dai numerosi esemplari di IV tipo qui catalogati, rinvenuti in ambito periferico (Ostia, Verona, Pompei), provinciale (Corinto, Cos, Efeso, Thasos, Cirene) e anche urbano (S. 33), e realizzati in materiali vari (pavonazzetto, portasanta, marmo rosa brecciato, africano verde, marmi grigi e bianchi e pietre locali); se ne deduce che questo tipo di supporto fosse molto diffuso in età romana in tutto l'Impero c che dovesse essere realizzato in vari centri di produzione.
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MATERIALI
Le fonti antiche menzionano labra realizzati in vari materiali: in pietra!, in marmo? bianco o colorato, in metallo, ferro, argento? o bronzo*. Sono ricordati anche labra fictilias. Tre labra bronzei sono stati rinvenuti nell’area vesuviana: una piccola conca, di elegante fattura, fu scoperta nell'atrio della ricca casa del Menandro (1, X, 4) a Pompeis. Originariamente era probabilmente collocata nell'impluvium dell’atrio o nella schola labri del caldarium del bagno, in cui una parete affrescata mostra figure femminili che si lavano ai lati di un labrum alimentato da un getto fuoriuscente da un pilastro retrostante?. Il labrum è attualmente conservato nel Magazzino del Foro di Pompei, posto su un supporto scanalato in marmo (S. 103): esso si caratterizza per la ricca decorazione finemente cesellata. Il labbro estroflesso è ornato lungo il bordo esterno con un elegante kymation ionico, mentre la parte superiore è formata da fasce concentriche lisce e da due cornici, di cui una più alta a bande separate da solchi e una sottile, ad astragali. L'ombelico (diam. cm 30) è composto di tre cerchi concentri1 Cfr i brani già citati: CoLux. XII 15,3; CIL VIII 23991. 2 Liv, XXXVII 3, 7; Pun. Epist. V, 6, 20. 3 Bacili (QéBnres) argentei sono ricordati nell'Odissea: Od. 1.137; 4.53; 7.173; 10.369; 15.136; 17.92. Cit anche: Star, Silv I, 5, 48: bagno di Claudio Etrusco, già citato a nota 164 di Prototipi e funzioni. 4 Vera, Aen. 8, 22; PAUL. FEST. p. 40 v. 14 S; VuLo, Exod30,18; 38,8; Oni6., In exod homil. XII 3; Iso. Orig. XVI 7,12; CIL, IX, 3677: labrum aeneum cum foculo; CIL, XIV, 2119: labrum [ae]neum cum salientibus; Dacia, 1, 1924, 246 n. 6; cfr. Dr RUGGIERO, BaRnıER, op. cit a nota 10, p. 328. 5 Cyr. GALL, num. 54. Nell'anibitodi un uso specificatamente agricolo: CoU. XII 15,3. 6 Inv. n. 25893 (ex 4261). H. cm 15; diam. cm 100; circonf. cm 311. Squassi 1954, fig. 85; Menander. La casa del Menandro di Pompei, a cura di G. STEFANI, Milano 2003, p. 126, A 17. Dai centri vesuviani provengono anche crateri caliciformi, vasi vari c conche emisferiche in bronzo: cfr. bibliografia a nota 19 del paragrafo sul a Tipologia dei labra; SPINAZZOLA 1928, tavy, 270-277, 280-281 7'H. BeveN, Die pompejanische Wanddekoration vom zweiten bis zum vierten Stil, Il, Den Haag 1960, fig. 64. 113
ci, separati da bordini cordonati: il cerchio mediano é ornato con una serie di foglie lanceolate, separate da punte di frecce, mentre il bottone centrale presenta una doppia corolla, quella interna a sedici foglie, quella esterna a undici foglie con nervature interne e punta ripiegata in alto, alternate a boccioli di fiori con quattro brevi petali. Sul fondo esterno è saldato un piatto convesso, liscio. L’opera, di qualità elevata, è stata realizzata probabilmente sul finire dell’età giulio-claudia: l’ultimo proprietario della Casa del Menandro, un Poppaeus, potrebbe essere un parente di Poppea, la moglie in seconde nozze di Nerone. Un labrum simile, sempre in bronzo e proveniente da Pompei, è conservato nei magazzini del Museo Nazionale di Napoli, posto su un raffinato supporto marmoreo a colonnetta con cespo vegetale (S. 181). Il bacino presenta una forma del tutto analoga al precedente, con il piatto convesso saldato sul fondo esterno, e un ricco labbro estroflesso, ornato sulla fascia superiore da una successione di cornici concentriche, composte da una fascia liscia, piatta, una treccia, elegantemente incisa, e un tondino cordonato, da cui si diparte un kyma ionico. L'ombelico è anch'esso finemente decorato: esso si compone di un disco abbombato,
formato da due cerchi concentrici, separati da cornici bordate da
sottili tondini; all’interno del cerchio esterno è rappresentata, con l’inserimento di sottilissime lamelle di rame in due tonalità, una teoria di sedici margherite ad otto petali, alternati quattro di colore più scuro e quattro più chiaro; anche le margherite si alternano: una con i petali disposti a croce, più stretti c allungati, l'altra dai petali a goccia. Il cerchio interno presenta una ricca composizione floreale, che parte dal centro, composto da un cerchio di otto tondini, alternati chiari e scuri, disposti intorno ad un tondo centrale; da quelli chiari si dipartono boccioli trilobati, scuri, mentre da quelli scuri complessi boccioli stilizzati, chiari, in forma di pelte contrapposte. Il terzo bacino in bronzo si trova a Pompei, nella Casa dell’ Efebo (1, VII,10)?: esso è posto su un podio cilindrico in muratura, in un piccolo ambiente adibito a bagno privato, collegato con il caldarium e il prefurnio; il labrum è di forma emisferica, con bassi peducci d'appoggio, labbro estroflesso e piccoli manici. Un bacile bronzeo di fontana, datato nel I secolo d.C., è stato rinvenuto in una villa nel suburbio di Aosta: l'ombelico interno è in forma di una corolla di foglie lanceolate, finemente incise!. Queste conche in bronzo presentano una forma del tutto analoga a quella dei labra marmorei del tipo II a bacile: le prime si caratterizzano per le picco8 Inv. n. 6885. H. cm 15; diam. em 85; diam. ombelico cm 25. SPAZZOLA 1928, tav. 40. 9 L. EScHEBACI, Pompeji, in Wasserversorgung 1987,p. 205, fig. 8. 10Archeologia in Valle d'Aosta. Dal Neolitico alla caduta dell'impero romano. 3500 a.C. V secolo d.C.,a cura di R. MoLLO MEZZENA, F. MEZZENA, Aosta 1985, p. 102, fig. 43; SLAVAZZI, ari it. a nota 51 del prec. paragrafo, p. 133 s. 114
6. Napoli, Museo Arch. Naz., inv. 6885, labrum in bronzo da Pompei (fotoA. Amarocı).
le dimensioni e per la grande finezza e ricchezza ornamentale del labbro e dell'ombelico.
La maggior parte delle vasche tonde pervenuteci sono realizzate in pietre e marmi bianchi e colorati!!; tra i marmi, particolarmente diffuso è il marmo bianco, nei suoi vari tipi e provenienze: quello lunense, quello delle cave microasiatiche e greche!?. In marmi bianchi sono scolpiti ben quarantasette esemplari di cui soltanto dieci di medie dimensioni, uno di grandi dimensioni, mentre la maggioranza è di piccole dimensioni, spesso al di sotto del metro. Del II tipo a bacile si hanno ben quattordici pezzi, tutti piccoli, di cui due (L. 149, 150) con gorgoneia nel centro e maschere barbate sul collo, e uno (L. 148) scanalato, con corolla nel centro; del II a catino se ne conservano
otto, anch'essi di piccole misure, di cui uno con iscrizione votiva e un altro 41 Si rimandaa: AmbrOGI 1995, p. 29 ss, per l’analisi dei marmi colorati già esaminati nell'ambito delle vasche con apertura oblunga e rettangolare. In questo paragrafo, invece, analizzeremo i marmi non presi in considerazione nel summenzionato testo c aggiorncremo, qualora sia necessario, quanto precedentemente scritto. 12 Sui vari tipi di marmo bianco e sulle cave, si veda il recente volume, con ampia bibliografia e riesame delle problematiche: ATTANASIO 2003 115
(L. 151) scanalato internamente, baccellato esternamente e con corolla nel clipeo; del IV tipo a conca si registrano solo tre piccoli esemplari, uno arricchito con teste ferine (L. 154), uno con bustino-ritratto nell’ombelico (L. 147), uno con baccellature (L. 175). Del V tipo a coppa si hanno tre esemplari: un labrum (L. 156) della casa dei Vettii in Paros 2, uno a Dion (L. 133) e un terzo a Nikopolis (L. 139). Ben sei sono i Jabra del VI tipo a bacino, tutti di medie dimensioni, di cui uno con iscrizione dedicatoria (L. 160). Del VII tipo a piatto si hanno tre esemplari di piccole dimensioni (L. 137, 153, 157: Paros 2); L. 171 mescola il tipo VII con I’ VIII, Quattro sono quelli dell" VIII tipo, lussuoso: tre di piccole dimensioni, di cui uno con teste di ariete e baccellature (L. 130) e uno scanalato (L. 146); uno di medie dimensioni (L. 170) ricca-
mente ornato con fregi vegetali e baccellature. Di un esemplare frammentario non è definibile la tipologia (L. 152): restano, comunque, gli attacchi delle anse. Nell'elenco dei Jabra in marmi bianchi si nota, oltre alle piccole dimensioni della maggior parte degli esemplari, anche la grande varietà tipologica: sono, infatti, testimoniati tutti i tipi, ad eccezione del I a vasca, al posto del quale si predilige il Il tipo a bacile di piccole dimensioni. Pochi sono i labra in marmi bianchi attestati a Roma e solo due di misure notevoli: uno del tipo VIII (L. 170) con decoro vegetale, proveniente dall’area del sacrario di Giuturna e uno del tipo VI a bacino (L. 174) dai bagni della domus tardo-repubblicana alle pendici del Palatino. Dalla periferia urbana provengono due piccoli bacini frammentari: uno ornato con baccellature nella Borgata Ottavia (RM) (L. 175) e un altro da Nomentum (L. 152), con kyma
ionico sul labbro, ornati vegetali e anse. Numerosi, invece, sono i Jabra in marmo bianco attestati nell’area vesuviana: uno da Boscoreale (L. 144), uno da Ercolano (L. 145), sette da Pompei (L. 154-160): pertinenti all’ambito termale e domestico soprattutto; uno (L. 158) è nel Foro Triangolare; probabilmente da Pompei proviene anche il bacino con bustino-ritratto (L. 147). Nell'area vesuviana sono stati verosimilmente rinvenuti altri quattro Jabra (L.
148-151), riccamente ornati con baccellature, scanalature, maschere bar-
bate e corolle nei clipei. Oltre a quest'area campana, le attestazioni maggiori si banno ad Ostia con sette Jabra (L. 163-169), di cui uno in pentelico (L. 163), rilavorato da una base, gli altri in lunense (L. 164, 165, 166, 169). Essi provengono dalle terme (L. 164 e 165), dal Thermopolium (L. 163) e dalla zona
della Porta Marina (L. 169). Interessante è il catino con iscrizione votiva dal
mitreo in planta pedis (L. 168), che presenta una straordinaria somiglianza con i quattro esemplari a Trieste (L. 185-188), realizzati in pietra calcarea, con misure simili, identica
tipologia (III) e iscrizioni votive sul bordo. Tre sono i
labra semilavorati in situ nelle cave di Dokimeion (L. 134-136); due altri
(L. 161-162) facevano parte di carichi di navi naufragate. Due Jabra in marmo bianco sono documentati a Dion (L. 132: proconnesio, 133: tipo tasio), uno a 116
Kavala (L. 137), due a Nikopolis (L. 138, 139) e uno a Salonicco (L. 141). Gli altri labra, di cui si conosce la provenienza, sono pertinenti a contesti pubblici (L. 142: teatro) o privati, domestici (L. 131, 1432, 146, 171). L. 140 di Olimpia,
ricollocato nel Ninfeo di Erode Attico, era in origine presso il tempio di Hera.
In marmi bianchi sono realizzati ben centotrentaquattro supporti: trentotto
del tipo I, di cui quattro, gli unici, con cespo vegetale (S. 181, 182, 202, 222) e uno a Mistrà (S. 164) con iscrizione, ottantasei del tipo II, di cui cinque semilavorati (S. 131, 147, 151, 158, 171), cinque senza lisciatura finale (S. 198, 209, 217-219), uno ottagonale (S. 235). Sei gli esemplari del tipo IV; quattro del V; nessuno del III, che sembra riservato ai materiali colorati, più preziosi. La diffusione è ovunque, sia nelle province orientali, che nordiche; numerosissime le testimonianze nell’area vesuviana. Pochi gli esemplari ostiensi (S. 228-236); rari quelli urbani (S. 237-240). Nei marmi grigi e bianco-grigiastri locali sono attestati un labrum semilavorato del III tipo a catino, di medie dimensioni (L. 120), presso il Ninfeo nelagora grande di Mileto; un frammento probabilmente del IV tipo a conca, di medie dimensioni (L. 122), conservato nella Chiesetta bizantina di Priene; un frammento nella Basilica A di Amphipolis (L. 114). Un frammento scanalato di piccole dimensioni (L. 115) si conserva in situ nella villa romana di Chiragan, unico esemplare in marmo grigio locale rinvenuto nelle province settentrionali. Un labrum pertinente alla fontana di Arsinoe a Messene (L. 119) è del VI tipo a bacino e di medie dimensioni. Sempre in marmo bianco-grigio ricordiamo una vasca del I tipo, probabilmente, collocata nelle terme di Kladeos ad Olimpia (L. 121). Tre labra in marmo grigio sono stati rinvenuti a Dion, due del Il tipo a bacile (L. 116, 117) e uno del V a coppa (L. 118). 1 supporti nei marmi grigi sono diciotto: ben cinque a Dion (S. 91-95), nove nell’area vesuviana (S. 96-104), uno a Delos (S. 90), uno a Calcide (S. 89), uno urbano (S. 106). Sei labra di piccole c uno di grandi dimensioni, sono realizzati nel marmo grigio, in cui è verosimilmente da riconoscere il bardiglio, marmo con screziature o macchie grigiastre cavato a Luni, largamente impiegato fin dalla prima età augustea. Di questi, quattro sono del II tipo a bacile (tutti di piccole dimensioni); due del IV a conca (piccole dimensioni); uno del V tipo a coppa (piccole dimensioni). Del VI a bacino è un labrum di medie e uno di grandi dimensioni. La maggiore concentrazione di labra in bardiglio è a Pompei: tre esemplari (forse quattro: il materiale di L. 126, non ben identificabile, potrebbe essere bardiglio), uno dalla casa dei Vettii (L. 123), uno dalle terme del Foro (L. 125); un labrum si conserva nel Magazzino (L. 124). Un esemplare ansato
frammentario è stato rinvenuto a Stabia (L. 129) nelle terme della villa San Marco. Due (L. 127 e 128) provengono dalla villa romana di Settefinestre. Un esemplare si trova a Tarquinia, davanti al tempio detto Ara della Regina 117
(L. 129%): essendo di maggiori dimensioni, è realizzato accostando due metà perfettamente combacianti. Il fatto che per l'unico labrum piü grande si sia ricorso a questa tecnica e che tutti gli altri bacini siano piccoli indica che il bardiglio non poteva essere estratto in grandi blocchi. Quattro supporti sono in bardiglio: tre (S. 97, S. 98 di L. 123, S. 99 di L. 124) a Pompei e uno ai Musei
Vaticani (S. 105). Le cave di Luni? furono aperte nelle tre vallate di Colonnata, Miseglia e Torano, alle pendici del monte Sagro, sullo scorcio della prima metà del I secolo a.C., quando sembra che Mamurra, il praefectus fabrum di Cesare, abbia. organizzato, su incarico di Cesare stesso, lo sfruttamento sistematico di questi. tre bacini, che nel I secolo d.C., sotto Tiberio, diventarono di proprietà imperiale. L'uso del marmo lunense è così ampiamente attestato in eta augustea in tutti gli importanti edifici pubblici di Roma, che Augusto potè vantarsi di lasciare una città di marmo: quello appunto di Luni, al posto di una in mattonil. Da queste cave provenivano un marmo bianco statuario, in concorrenza con quello pario, e altri grigio-venati o grigi; questi ultimi detti bardigli, simili ai bigi antichi dell’Asia Minore. In breccia locale è un labrum semilavorato di piccole dimensioni (L. 113) al Museo di Eretria. Nelle più povere pietre calcaree e arenarie locali abbiamo dodici esemplari (L. 179, 184: II tipo; L. 181, 185, 186, 187, 188: III tipo; L. 183: IV tipo; L. 177, 178, 180: VI tipo; di L. 182 la tipologia è imprecisabile) per la maggior parte di piccoli dimensioni, tre soli di medie dimensioni. Cinque piccoli Jabra sono del III tipo a catino, di cui tre con iscrizioni votive (L. 185, 186, 188), provenienti da contesti sacri; due sono del tipo IT a bacile, di piccole dimensioni e tre del VI tipo a bacino, di cui due di medie dimensioni c uno di piccole. I Jabra in pietre calcaree e arenarie provengono dall'ambito periferico (area campana, Italia settentrionale) e provinciale: nordico (Germania, Olanda) e greco-orientale (Ura, Cilicia: L. 182); da contesti pubblici: ninfei (L. 182), terme (L. 177, 178, 180), luoghi di culto (L. 184: Pompei, tempio di !3 Sui marmi bianchi e ibardigli di Luni: GnoLI 1971, p. 229; E. DoLci, Carrara, cave antiche, Carrara 1980; Misisci 1985,p. 60, nn. 634-641; E. DOLCI, Marmora lunensia: quarrying technology and archeological use, in N. Herz, M. WAELKENS (ed), Classical Marble, NATO, Asi Series, 153, Dordrecht, Boston, London 1988, p. 77 ss; GNOLI 1988,p. 265; Marmi antichi 1989,p. 153; E. Dotct, L.Nista, Marmi antichi da collezione. La raccolia Grassi del Museo Nazionale Romano, Catrara 1992, p. 66; BRUNO 2002, p. 280. Strabone (Geogr. V, 2, 5), alla fine del secolo a C. - inzio del secolo d.C., menziona le cave di Carrera con i marmi bianchi * il bardiglio, già allora ampiamente diffusi 14 TI primo esempio noto di uso su larga scala del marmo lunense è in genere considerata la ricostruzione della Regia nel 37 a.C. Sull'ativita edilizia di Augusto: SUET., Aug. 28; cf. M. BRUNO et AL, Provenance and distribution of white marbles in temples and public buildings of Imperial Rome, in ASMOSIA, V, London 2002, p. 289 ss. 118
Apollo; L. 185, 187, 188: Trieste, tempio della Bona Dea, L. 186: votiva in ambito domestico); e privati (L. 181: Pölich, terme di una villa). In pietre locali sono documentati trentadue supporti, quasi tutti del tipo II, due del tipo I a (8. 254, 258) e uno del IV (S. 263); gli ambiti di diffusione sono o periferici o provinciali: Argo, Astros, Cirene, Tolemaide, Cos, Rodi, area vesuviana, Trieste. Tre sostegni ad Ostia (S. 269-271) e uno ai Musei Vaticani (S. 272). Le considerazioni, che possono emergere dall’osservazione delle tabelle topografiche e dei materiali, riguardano sia il numero notevole dei labra e dei supporti realizzati in marmi bianchi, grigi, in pietre bianche locali e nel marmo grigiastro, anche in bardiglio, sia la loro grande concentrazione nell’area vesuviana. Il primo dato rivela un interessante contrasto con quanto documentato
per le vasche oblunghe di tipo A e B, i cui esemplari in pietre e marmi bianchi costituiscono una minoranza. Il secondo dato evidenzia la povertà di marmi colorati, costosi, in questa zona campana: ad eccezione di un esemplare in portasanta a Boscoreale (L. 74) e di due in cipollino (L. 84, 85) ad Ercolano, a Pompei sono testimoniati solo Jabra in marmo bianco, pietre calcaree, bardiglio e bigio di Lesbo. La mancanza assoluta di marmi e pietre colorati, più costosi, insieme alle piccole dimensioni di quasi tutti i Jabra ivi rinvenuti, rivela il livello medio-basso della committenza pompeiana, in genere privata. È da notare, inoltre, che gli unici Jabra di dimensioni superiori al metro sono collocati in contesti pubblici: Foro Triangolare (L. 158), tempio di Apollo (L. 184), terme del Foro (L. 160), terme Stabiane (L. 126); solo questi due ultimi casi superano i due metri di diametro. Notevole è la differenza rispetto ai rinvenimenti di Ostia antica, dove sono attestate quasi tutte le varietà di marmi colo-
rati in uso per i labra e per i supporti, ad eccezione del porfido e del granito rosa di Assuan, e tutte le varietà tipologiche dei bacini e quasi tutte (manca il tipo IIT) quelle dei supporti, con un maggior numero di pezzi di medie e gran
di dimensioni. Evidentemente le maggiori possibilità economiche degli Ostiensi e la presenza di ricchi depositi di marmi in città e presso il porto, permetteva loro commissioni più prestigiose. 1 /abra presenti ad Ostia e nei centri vesuviani rivelano un impiego prevalentemente privato, nell’ambito domestico, con utilizzi ornamentali © igienico-funzionali, ma anche pubblico, soprattutto nelle terme e presso contesti pubblici, fori, templi e ninfei. Si distinguono, per qualità esecutiva, per ricchezza di forme e dimensioni spesso notevoli, i Jabra realizzati in marmi colorati, soprattutto in quelli più preziosi, come porfido, granito grigio, cipollino, pavonazzetto, giallo antico; la basanite c il granito rosa di Assuan sono meno attestati. Quasi tutta la gamma dei marmi colorati usati in antico è documentata, anche se, in alcuni casi, in 15 AmBROGI 1995,p. 29, nn. 20 (2), 21 (2), 22, 23, 24, 25, 26, 97, 98, 99, 100. 119
singoli esemplari. La maggiore preziosità dei labra è data dalle dimensioni, dalla presenza di elementi omamentali aggiunti e dal tipo di marmo usato: l'acqua esaltava il colore del marmo, conferendogli brillantezza ed intensità cromatica. La qualità tecnica è sempre di alto livello per i labra in pietre e marmi colorati, mentre per quelli in marmi bianchi la resa è a volte mediocre o addirittura sommaria per le vasche in pietre calcaree. Non sempre le piccole dimensioni delle vasche coincidono con esecuzioni trascurate e materali poveri. In genere i labra nei materiali più economici sono di piccole dimensioni e di forma e resa più semplificate, mentre la maggior parte delle opere di grandi dimensioni, oltre ad essere realizzata in materiali costosi, è scolpita con grande maestria e perizia tecnica. Si hanno, però, anche labra piccoli resi in materiali preziosi, come porfido, verde antico, basanite, portasanta e giallo antico. Le opere più prestigiose erano destinate soprattutto a funzioni primarie (igienico-ornamentali, sacro-ornamentali), in contesti in genere pubblici, quali piazze forensi, terme e residenze imperiali. Quelle più semplici erano utilizzate soprattutto in contesti privati, per scopi ornamentali (in atria e peristili) e funzionali (bagni).
1 labra porfiretici riuniti nella presente raccolta sono ventidue. In porfido!
sono realizzati i labra più prestigiosi: quelli appartenenti alla tipologia VIII,
lussuosa (ben cinque esemplari: L. 3, 8, 9, 19, 21, tutti di grandi dimensionit?), la più complessa e articolata, e quelli del tipo I a vasca (nove pezzi: L. 4, 5, 6, 11, 12, 14, 15, 20, 22; otto di medie e uno di grandi dimensioni). Pochi esemplari appartengono al II tipo a bacile (due: L. 10, 16), al IV a conca (due: L. 7, 18) e al VI a piatto (uno: L. 13): essi sono tutti di piccole dimensioni. Gli altri tipi non sono attestati. Riguardo alle dimensioni possiamo dire che in porfido sono realizzati soprattutto Jabra di grandi e medie dimensioni, raramente di piccole (quattro esemplari); tutti, comunque, si caratterizzano per l’eccellenza dell’esecuzione, che ne sottolinea l’esclusività e unicità, sia di produzione che di utilizzo. In porfido sono realizzati quindici supporti, di cui ben sei esemplari del tipo monumentae III B, di provenienza urbana, ad eccezione di S. 7 vero-
nese (di L. 11). Sette sostegni sono del tipo I, di cui quattro scanalati, per la maggioranza di provenienza urbana (per S. 2 è genericamente indicata l’Italia, ma è probabile che la provenienza sia Roma stessa), ad eccezione di S. 3 a Montecassino e S. 6 a Palermo. Due esemplari sono più semplici del tipo II b 16 Labra porfiretii sono ricordati anche dalle fonti: AMBROS., Epist. 53,4: porphyreticum labrum; Pass. Thom. 141,15: in labro purpureo. 17 Di questi cinque Jabra, uno (L. 8) in realtà ha un diametro leggermente inferiore ai 3 metri: cm 296 © così doveva essere anche il frammentario L. 9: un altro (L. 21) è così frammentario da non poterne stabilire le misure, sebbene il tipo e ie dimensioni del kymation ionico facciano supporre un'opera di grandi dimensioni 120
e di piccole dimensioni. La qualità formale dei supporti in porfido è molto elevata, come sempre accade per le opere realizzate in questo materiale prezioso; in particolare di grande raffinatezza e monumentalità sono gli esemplari III B. (S. 4, 5,7, 8, 9 di L. 14, S. 13) e La, Ib (S. 1, 2, 3, 6, 12, 14, 15 diL. 81).1 due esemplari del tipo II b (S. 10 e 11) sono strutturalmente e formalmente meno ricercati, ma sempre di buona qualità. Le vasche in porfido provengono per la maggior parte da contesti pubblici con funzioni civili, politiche, o residenziali, c dipendono generalmente da committenze imperiali: così i labra dal Templum Pacis, forse dall’impluvium del Comizio, dalle terme, forse da Villa Adriana, dal Palatino, dal Settizodio. I rinvenimenti si riferiscono quasi eschusivamente a Roma, con rare eccezioni in centri divenuti sedi di residenze imperiali, in età tardo-romana: Trier, o in età successiva: Verona'®. Per la vasca di Venezia (L. 10) si può ipotizzare una provenienza da Costantinopoli, come per molti dei materiali antichi conservati in questa città. L'uso del porfido principalmente destinato ad opere di committenza imperiaJe e la valenza simbolica che tali manufatti assumevano in età antica come imagines del potere imperiale sono stati ribaditi da tutti gli studiosi che si sono occupati di questa pietra, a partire dal Delbrueck®. La ricerca più recente ha sminuito, o sostanzialmente negato, la derivazione dall’Egitto tolemaico della connota18 Proprio il Monastero presso la Basilica di S. Zeno, era stato prescelto, nella seconda metà del X secolo, dall'imperatore Ottone I e dai successori come residenza, nei periodi in cui soggiomavano a Verona. La Basilica stessa fu fatta costruire da Pipino, re d’Italia, figlio di Carlo Magno, morto nell'810. 19 DELBRUECK 1932,p. 13 ss. Alcuni studiosi (MieLScH 1985, p. 64 s, nn, 698-712, tav. 21; Kuzın 1988, pp. 3 ss. 55 ss, in part. p. 95 ss. da ultimo ha riassunto la questione: L. FAEDO, 7 porfidi: “imagines” di potere, in Aurea Roma. Dalla città pagana alla città cristiana, a cura di S. Esoui, E. La Rocca, Roma 2000, p. 61 ss.) hanno manifestato riserve sull’interpretazione del Delbrueck, secondo il quale nella predilezione degli imperatori romani per il porfido è da vedere un’imitazione di comportamenti dei dinastiellenistici. Gli studiosi, smontando le argomentazioni del Delbrueck, hanno sottolineato la mancanza di documentazione archeologica di un uso del porfido con connotazione regale nella scultura di ctà ellenistica, sebbene sia documentato che nello stesso periodo le vest inte di porpora fossero segno di regalità. Infatti non sono noti rtratti e sarcofagi in porfido né dei Tolemei (attestati nei graniti e in basalto), né degli altr dinastiellenistici, Una descrizione topografica di Alessandria di età cristiana, ora perduta (ctr. G. Born, Fouilles è la colonne théodasienne, Mém. Soc. Archéol. Alexandrie, Alessandria 1897, p. 43 s.) afferma che nella tomba di Alessandro, attorno al sarcofago del condottiero macedone, ne erano disposti altri ott di porfido: se questa notizia fosse vera sarebbe un'importante conferma dell'uso regale del porfido in età tolemaica: così in: Lucci 1964,p. 238 s. Ma quest'informazione, riportata da un manoscritto copto, confonde la tomba di Alessandro con un sepolero tardo-imperiale, eretto probabilmente nei pressi della colonna detta di Pompeo. Mancano manufatti in porfido databili con certezza prima dell'età tiberiana: il ritratto a Palazzo Doria è moderno e quello di Gaio Cesare a Karlsruheè da alcuni considerato antico, da altri moderno. Il capitello con protomi di elefante al Vaticano oscilla tra l'età augustea e il Il secolo d.C. È solo nel Il secolo d.C. che le cave del Mons Porphyrites iniziano ad essere sfruttate intensivamente. Sulle cave del Mons Porphyrites: MAXFIELD, PEACOCK 2001 121
zione regale del porfido nell'età imperiale romana®, È stato anche sottolineato
che nelle cave di porfido non si hanno tracce di interventi tolemaici?!. L'iscrizione più antica ritrovata sul Mons Porphyrites è di età tiberiana; ad eccezione dell'iserizione di Baton del 152-151 a.C. e della statua frammentaria di regina al Louvre, del III-II secolo a.C. 2, mancano, inoltre, manufatti che attestino con certezza l'uso del porfido prima di tale data. Nel I secolo d.C. inizia in Italia un limitato mercato del porfido: in edifici di proprietà imperiale soprattutto, ma anche nell'edilizia privata, è attestato l’uso di tarsie pavimentali e parietali in porfido®. L'utilizzo intensivo del porfido in architettura e in scultura è attestato soltanto dal II secolo d.C. È, infatti, in età traianea che fiorisce la prima grande moda del porfido, che caratterizza tutto il Il secolo d.C., con un intenso sfruttamento delle cave, documentato dai ritrovamenti archeologici e dalle fonti letterarie ed epigrafiche. Le sculture e le colonne in porfido erano commissionate soprattutto dalla casa imperiale: alcuni labra citati e il grande supporto ora nell'4ntiquarium del Celio, che presuppone un bacino dal diamero di quasi m 4, rinvenuto tra la basilica di Nettuno e I'Hadrianeum, ne sono una chiara dimostrazione. Che anche i ricchi privati potessero acquistare colonne porfiretiche lo testimonia il celebre episodio narrato nell’ Historia Augusta relativo allo stupore provato da Antonino Pio alla vista delle colonne in porfido nella domus di Valerius Homullus, console del 152. Questo passo è stato, però, in parte ridimensionato dalla critica più recente: non più emblematico delle strette limitazioni sulla commercializzazione del porfido e dell'esistenza di un divieto imperiale”, ma soltanto rivelatore della pos20 In contrasto si veda GREGARFK 1999, p. 38 s, n particolare nota 39: ove la studiosa ricolJegail porfido come simbolo di potere al significato di sovranità assunto dal colore porpora sotto i Tolomei. Sostiene, inoltre, che, sebbene il porfido fosse noto agli Egiziani, in tà faraonica, fu usato raramente ed esclusivamente per vasi. Soltanto sotto i Tolemei l'interesse per questo materiale aumentò. Secondo la studiosa, l'assenza del porfido nella statuaria egizia è dovuta presumibilmente al fato che in Egitto, a differenza del mondo greco, la porpora non era considerato un colore legato alla sovranità. 21 Sul porfido si veda anche il recente catalogo della mostra parigina: Porphyre 2003. Qui si sottolinea che la realizzazione in età faraonica di rari vasi di porfido fa pensare solo ad un lizzo sporadico c che l'uso in età tolemaica è solo ipotetico e non legato all'esaltacione del sovrano. All'età tolemaica sono ascritti un torso di regina e la stele di Baton a Thera: Porphyre 2003, p. 42 ss. nn. 2, 2 Porphyre 2003, p. 42 ss, nn. 2-3, con bibl. prec. 23 I Delbrueck ascrive i primi lavori in porfido all'età augustea (DELBRUECK 1932, pp. 36 5. 214); cosi anche GREGAREK 1999, p. 38. Quest ultima sostiene, però, che Augusto volle evitare l'uso del porfido, proprio perché simbolo del potere monarchico. Le testimonianze archeologiche confermano che il porfido è in uso, in piccole quantità sotto Caligola (frammenti di porfido nelle navi di Nemi): Dooce, Waan-Penkis 1992, p. 23, nota 8. Le testimonianze dell'uso del porfido in età romana sono state recentemente riproposte in: Porphyre 2003, p. 27 ss. 4 Hist Aug., Ant Pius 11, 8, 25 L’aver riservato, nel regno di Nerone, l'utilizzo delle migliori qualità della porpora alla sola casa imperiale può aver implicato una simile restrizione anche per il porfido, sebbene nei 122
sibilita per i privati di acquistare nel mercato dei marmi della media eta imperiale lastre di rivestimento e colonne in porfido e dell'alto costo di quest'ultime. Nel III secolo si riduce notevolmente l'uso del porfido, che vive una seconda grande fioritura in età dioclezianea e costantiniana, quando è documentato il momento di massimo utilizzo di questa pietra, soprattutto, ma non esclusivamente, per opere di committenza imperiale, in particolare per i ritratti dei sovrani, per gli elementi architettonici dei loro palazzi e per i sarcofagi imperiali». L'indicazione del costo elevatissimo del porfido, il più alto, nell’Editto dei prezzi di Diocleziano, emanato nel 301 d.C." conferma l'esistenza di un mercato libero di questo materiale, ancora disponibile all'inizio del IV secolo. Dopo l'età costantiniana la moda del porfido diminui, con una fortissima riduzione dell'attività nelle cave del Mons Porphyrites. Esse sembrano definitivamente abbandonate nel 451, anno del concilio di Calcedonia. La serie dei sarcofagi imperiali a Costantinopoli dimostra che il porfido, sporadicamente, fù utilizzato fino alla metà del V secolo d.C.: l'ultimo imperatore inumato nel porfido è Marciano, morto nel 457. 1 monarchi bizantini, considerandosi Romani, sentivano il porfido come proprio: gli spolia porfiretici provenivano, infatti, da Roma stessa. Una stanza tutta rivestita di porfido, la porphyra era una stanza nel Palazzo imperiale costantinopolitano dove nascevano i futuri imperatori, detti appunto porphyrogeniti®. Tl porfido rivesti un profondo significato simbolico nel cerimoniale di corte bizantino, come è documentato dagli scritti di Costantino Porfirogenito e dal suo utilizzo nel Grande Palazzo e nella Chiesa di Haghia Sophia a Bisanzio. Nel mondo medioevale il riuso del porfido rivestì un particolare significato per i primi monarchi come Carlo Magno e Ottone 1° e nella Sicilia normanna del XII seco1o®. Il Vasari?! afferma che il riuso del materiale antico era necessario, perché regni di Caligola e di Nerone ne sia attestato un uso anche privato: M. ReiwtoLD, History of Purple as a Status Symbol in Antiquity, Brussells 1970, p. 50. 26 Dall'età diociezianeail porfido è il materiale prediletto perle statu-ritratto imperiali, con una stretta corrispondenza tra questa predilezione per il porfido e la trasformazione in senso trascendentale, soprannaturale del potere imperiale: Porphyre 2003, p. 35 ss. 27 M. GUARDUCCI, La pubblicazione in Italia del calmiere di Diocleziano, in RendAccLincei, 8, 18, 1963, p. 43 ss.; S. Laurrer, Diokletians Preisediki, Berlin 1971, 33 (p. 192-193); M. Giaccueno, Edictum Diocletian et Collegarum de pretiis rerum venalium, I, Genova 1974, 31.2105) 38 Cosi ci informa Anna Comnena, principessa bizantina, figlia di Alessio I (1081-1118) Ava Counena, Alexiad, VI, VII, 2, trad. Sewren 1969,p. 196 2 D.PS. Peacock, Charlemagne’ black stones: the re-use of Roman columns in early medieval Europe, in Antiquity 71, 1997, p. 709 ss. 30 J. DEER, The Dynastic Porphyry Tombs of the Norman Period in Sicily, Dumbarton Oaks Studies, 5, Cambridge Mass. 1959, 31 G. Vasari, Le vite de’ pittori, scultori ed architetori, 1550 (1 ed), Firenze 1878 (ed. MILANES!), pp. 110 55, 108 ss: sul porfido, sulle opere porfiretiche conservate a Roma, sulle difficoltà di lavorazione dei contemporanei; p. 113: sulle cave smarrite. 123
non si conosceva più la localizzazione delle cave di porfido. Egli, inoltre, ci ricorda che la tecnica di lavorazione del porfido, dimenticata nel Rinascimento, fu riscoperta da Leon Battista Alberti, il quale, inventando uno strumento particolare con rotelline e temperandolo nel sangue di capra (becco), riuscì a scolpire il nome di Bemardo Oricellario nella soglia della porta principale di Santa Maria Novella a Firenze. Nel 1555, su ordine di Cosimo I, Francesco del Tadda riuscì a realizzare una fontana con vasca in porfido, consacrando la sua carriera alla lavorazione di questa pietra. È, comunque, probabile che la capacità di lavorare
il porfido non si fosse mai persa del tutto. La piccola scultura di Venere e Cupido di Pier Maria Serbaldi” da Pescia, datata all’inizio del XVI secolo, mostra che era perfettamente possibile lavorare il porfido prima della metà di quel secolo. Le ricerche condotte recentemente sul Mons Porphyrites da Maxfield c Peacock? hanno rilevato che l’attività estrattiva fu più o meno continuativa in età romana fino alla chiusura dell'attività alla fine del IV o inizio del V secolo d.C. Riguardo alla tecnica di estrazione, la ricerca sul campo ha dimostrato che i blocchi erano estratti e lavorati in cava, come nel Mons Claudianus, ma nel Mons Porphyrites fu fatto largo uso del sistema basato sui blocchi semplicemente rimossi con la leva e lasciati rotolare giù sul pendio, mentre la lavorazione avveniva in basso, nelle piazzole ai piedi. Peculiare di queste cave è la presenza di blocchi sfaccettati, i quali rappresentano un tentativo di ridurre il peso senza sacrificare materiale servibile. Nelle piazzole delle cave la maggioranza di colonne, vasche, bacini (due sono i /abra semilavorati, L. 1 e 2, rimasti in cava) e statue veniva sbozzata per essere poi rifinita nelle botteghe di Alessandria, specializzate nella lavorazione delle pietre dure egiziane. Lo studio del porfido nel mondo antico è reso difficile dal problema del riuso, per cui la distribuzione attuale del materiale è un riflesso ridotto e alterato della situazione originaria. Per la caratterizzazione del porfido, le ricerche recenti hanno portato all'individuazione di un tipo con presenza di fenocristalli rosa originario probabilmente dalle cave di Nord-Ovest; in quelle di Nord-Ovest veniva estratto il porfido nero con una sfumatura verdastra, che è assente nel porfido nero cavato nel campo Bradford-Lepsius. Dalle cave del Lykabettus, sempre sul Mons Porphyrites, proviene un porfido con un'alta concentrazione di minerali scuri ferromagnesiaci; anche il porfido “brecciato” è originario del Lykabettus.
Nel
tipo brecciato sono
le colonne
porfiretiche
del Battistero
Lateranense a Roma, edificato tra il 320 e il 325 d.C.: ciò suggerisce che nel Lykabettus l’attività si concentrò nel IV secolo. 32 AM. Gust, P. MAZZONI, A. PAMPALONI MARTELLI, II Museo dellOpificio delle Pietre Dure a Firenze, Milano 1978, p. 271 s. (PAMPALONI MARTELLI). 33 MaxrigLD, Peacock 2001. 124
Meno frequenti, ma a volte con esemplari di grande interesse, sono le vasche e i supporti in verde e giallo antico, in basanite, africano rosso e verde, portasanta, cipollino e pavonazzetto.
In basanite sono attestati solo tre esemplari, tutti del II tipo a bacile (di uno la ti pologia è incerta: L. 25) e tutti di piccole dimensioni. Essi si conservano uno a Ostia antica (L. 24), uno a Potsdam (L. 23) e uno in collezione privata (L. 25). È interes-
sante notare che, mentre per le vasche oblunghe di tipo A e B^ sono documentati in basanite pezzi notevoli, di grande raffinatezza, per i labra questa pietra è attestaa poco e solo per piccoli pezzi dell'unica tipologia a bacile. Dei supporti in basanite abbiamo solo due esemplari: unodi incerta tipologia (S. 17di L. 25), peril mancato esame autoptico, e uno del tipo I a, conservato ai Musei Vaticani (S. 16), di elevata qualità. Ricordiamo l'uso eccezionale della basanite per ritratti soprattutto imperiali e la limitazione della produzione statuaria e ritrattistica quasi esclusivamente a commissioni urbane e della casa imperiale. La massima diffusione di questa pietra, usata oltre che per la scultura, anche per gli oggetti d'arredo, come bacini, trapezofori, ma mai in architettura, si ha durante il secolo d.C. e soprattutto sotto i Flavi, mentre dopo l’età adrianea l’uso della basanite diminuì notevolmente. In alabastro fiorito sono attestati solo due labra (L. 26, 27), entrambi conservati al Louvre e provenienti da Marmorata. All'interno le vasche sono arricchite da un ombelico figurato. Nei graniti grigi sono realizzati ben diciotto esemplari (incerto L. 190), di grande valore sono le sette vasche (L. 32, 34, 35, 36, 37, 38, 39), finite, rese in granito del Mons Claudianus (o granito del Foro). Nove appartengono al I tipo a vasca, otto sono di grandi dimensioni (L. 34, 35, 36, 38, 39, 40, 41, 1902) e una (L. 32), molto lacunosa, è probabilmente soltanto di medie dimensioni. AI II tipo a catino appartiene un solo esemplare di piccole dimensioni; del VI a bacino abbiamo un labrum di grandi dimensioni; del VII a piatto un altro di medie dimensioni. Al tipo VIII, lussuoso, appartengono due esemplari di medie dimensioni. La tipologia più rappresentata per il granito del Foro è il I tipo di grandi dimensioni, spesso monumentali. I contesti di provenienza, spesso ignoti o incerti, sono per la maggior parte urbani: terme di Tito (L. 35), Porto (L. 37), impluvium del Comizio? (L. 36). Un esemplare proviene da Ostia (L. 33), dalle Case a Giardino, un altro è a Bolsena (L. 32). Numerosi sono ancora nelle cave, lasciati semilavorati: L. 29, 30, 31, 40, 41, 42, 43, 44, 45; essi testimoniano l’uso di sbozzare in cava le opere in granito del Mons Claudianus®, ma anche quelle in misio, nel granito elbano e di Nicotera.
34 AmROG! 1995, nn. 7, 42, 43, 44, 45, 46, 47: datate tra l'età flavia c gli inizi del Il secolo dC. 35 Il granito del Foro, di fatto, è una granodiorite, come lo definiscono i geologi. Sulle cave del Mons Claudianus: PEACOCK, MAXFIELD 1997, p. 317 ss. 36 PEACOCK, MAXFIELD 1997, p. 199 s. 125
I supporti in granito del Foro sono dieci: otto del tipo III e di dimensioni monumentali, legati a contesti urbani, ad eccezione del supporto (S. 20) sotto. al labrum di Bolsena (L. 32). Cinque si conservano al di sotto dei labra originari, dello stesso materiale (S. 20, 21, 22, 25, 27 quest’ultimo forse in granito:
si rimanda alla scheda L. 190); uno (S. 26) sostiene un bacino in materiale diverso (L. 53). Due supporti del tipo Ia (S. 18, 19) sono probabilmente in granito del Foro: es i non sono pertinenti alle vasche che sostengono (L. 26, 27). La distribuzione limitata?” di opere scultoree in granito del Foro e l'uso ristretto a contesti imperiali? suggeriscono che la pietra estratta dal Mons Claudianus costituisse un materiale speciale, destinato soprattutto a Roma e a pochissime altre località, il cui uso era sottoposto al monopolio statale e probabilmente limitato alle sole ordinazioni imperiali, per i grandi complessi edilizi finanziati dall’imperatore. Le opere semilavorate rimaste in cava (soprattutto colonne, capitelli, bacini) testimoniano che la produzione al Mons Claudianus non era standardizzata, ma avveniva in gran parte su precise ordinazioni, ciò sembra confermato anche dai tre Jabra semilavorati, già citati, abbandonati in cava, i quali non presentano misure e rapporti proporzionali costanti da poter ipotizzare una produzione in serie. La monumentalità e la pertinenza a contesti pubblici dei Jabra e dei supporti in granito del Mons Claudianus presenti nella
nostra raccolta confermano l’esclusività dei manufatti realizzati in questo materiale. Il fatto che un labrum in cava (L. 29) presenti delle ricuciture con grappe, testimonia il grande valore attribuito nell'antichità ai manufatti marmorei, in particolare in granito del Foro, per cui si cercava di recuperare e utilizzare al massimo i pezzi lesionati, riparandoli con grappe“. Come il porfido, anche il granito del Foro diventò simbolo del potere imperiale^!, per cui il suo valore era dato, più che dal fattore economico, dal prestigio insito nell’uso privilegiato, 37 Opere in granito del Mons Claudianus sono documentate assai raramente in Egitto, ad Alessandria; forse ad Instanbul, nella Chiesa di Haghia Sophia; nell'agorà di Smime, nella Basilica di S. Giovanni ad Efeso, nella Basilica di Corinto, nel teatro di Taormina, nel mausoleo di Diocleziano a Spalato, a Firenze e a Ravenna. 38 Ad esempio nella Basilica Ulpia, nel Pantheon, nella Villa di Adriano a Tivoli. Sulla restrizione dell'uso del granito grigio del Mons Claudianus a ordinazioni imperiali: D.PS. Peacock, O. Wiruiaws-THorre, R.S. THORPE, A.G. TixDLe, Mons Claudianus and the problem of the "granito del foro”: a geological and geochemical approach, in Antiquity, LXVIII,n. 259, 1994,p. 209 ss, part. 29 ss. PEACOCK, MAXFIELD 1997,pp. 317 ss 334 (con elenco dei monumenti di committenza imperiale). 39 PEACOCK, MAXFIELD 1997, p. 213 s. 49 Ci. P. PENSABENE, Le cave del Mons Claudianus: conduzione statale, appalti e distribuzione, in JRA, 12, 1999, p. 728 ss. 4 Sul valore simbolico del granito del Foro: DPS. Peacock, Mons Claudianus and the Problem of the “Granito del Foro”, in Archeologia delle attività estrattive e metallurgiche, a cura di R. FRANCOVICH, Firenze 1993, p. 49 ss.; PENSABENE 1998 b, p. 348 55; PENSABENE, art. ct. (nota 40) 1999, p. 721 ss. 126
inaccessibile a committenti non ufficiali, privati, per i quali erano, invece, destinati altri graniti “di sostituzione”, come quelli dell’Elba e di Nicotera, quello troadense o il misio di Kozak Dag®. L'unico commercio attestato per il grani
to del Foro è quello legato al riutilizzo di scarti di lavorazione per pavimenti in
opus sectile. L'attività estrattiva del Mons Claudianus si concentra tra l'età neroniana e il regno di Severo Alessandro; tale cronologia concorda sostanzialmente con quella di produzione dei più notevoli complessi in questa pietra rinvenuti a Roma: dalla Domus Transitoria neroniana e dalla Domus Aurea®, con un forte incremento nella prima metà del II secolo d.C. (Basilica Ulpia, Villa Adriana, tempio di Venere e Roma), all'età severiana (terme di Caracalla) e probabilmente aureliana (tempio di Serapide a Roma). La menzione della pictra nell’ Edictum de pretiis dioclezianeo, in un periodo in cui mancano testimonianze di attività in cava, è probabilmente da spiegarsi con la presenza in età tarda di materiale in circolazione per il riuso, come documentano le due coppie di colonne in granito grigio riutilizzate nelle terme dioclezianee romane e nel mausoleo di Spalato. I labra realizzati in granito del Mons Claudianus possonno, quindi, inserirsi cronologicamente nel periodo di intensa attività estrattiva e produttiva, tra la metà del I secolo d.C. e i primi decenni del III secolo d.C., con una concentrazione in età adriana e antonina. Più minuta è la grana del granito grigio dell’Elba, detto con quello del Giglio anche “granitello antico”, di cui si conservano due Jabra non finiti nelV'isola d’Elba (L. 42, 43). Il bacino L. 42 presenta già sbozzate le anse in forma di serpente, caratteristiche del tipo VIII lussuoso, attestando che una parziale rifinitura avveniva già in cava e che dovevano circolare modelli dei labra e/o maestranze in grado di eseguire questa particolare tipologia più articolata. Il granito elbano è stato usato in età romana, come attesta un'ara votiva dedicata ad Ercole della prima età adrianea, rinvenuta in località Secchetto. I siti
estrattivi antichi* furono aperti alle pendici del Monte Capanne, nelle località di Pomonte, Cavoli, Vallebuia, Fosso dell'Inferno e Secchetto, dove si conservano numerosi manufatti sbozzati (fusti di colonne e le nostre due vasche), altri si trovano in prossimità della costa. È attestato un riuso delle cave nei
secoli XI e XII per la costruzione del Duomo di Pisa. II granito grigio di Nicotera è usato solo in Calabria‘s: due /abra semilavorati, di piccole e medie dimensioni, sono rimasti nella cava in località Agnone (L. 44, 45) In granito rosa di Assuan sono attestati sei esemplari, di cui uno semilavorato a Philai (L. 47), cinque di grandi dimensioni e del I tipo a vasca (L. 46, L.
22 43 44 45
Sui graniti di sostituzione: PENSAGENE 1998 b, p. 349. Cf. Dopo, WarD-PERKINS 1992, p. 23 s. nota 8. Sul granito grigio dell'Elba: GnoL 1988,p. 154, fig. 102; BRUNO 2002,p. 283. PENSABENE 1998 b, p. 350. 127
48, L. 49, L. 50 e 51). Questi ultimi sono conservati ad Alessandria (L. 46), nella Città del Vaticano (L. 49), a Gerasa (L. 48) e due a Roma (L. 50, 51). Un labrum a Roma (L. 51) proviene da un contesto pubblico: le Terme NeronianeAlessandrine. In granito rosa sono realizzati tre supporti del tipo I b: uno a Tolemaide (S. 30), uno ad Alessandria (S. 28) sostenente tuttora il labrum pertinente (L. 46) e uno (S. 29) a Londra riutilizzato come sostegno della vasca in granito nero (L. 28), di cui di seguito tratteremo. In granito nero è attestato solo il labrum appena citato, conservato a Londra (L. 28), di provenienza ignota e del I tipo a vasca. T’africano è documentato in soli quattro Jabra e tre supporti, di cui alcuni di eccezionale valore. La varietà rossa è attestata nel labrum L. 53, del I tipo a vasca, con supporto del tipo III B, b, riutilizzato nella fontana antistante Villa Medici, proveniente forse dalle terme di Tito. Nello stesso marmo sono stati scolpiti una vasca frammentaria e semilavorata di probabili grandi dimensioni da Ostia (L. 52) e due supporti sempre ostiensi (S. 31, 32), del tipo II, di cui uno semilavorato, Nella varietà verde abbiamo un labrum del II tipo a bacile, di piccole dimensioni, rinvenuto nel tempio di Roma e Augusto a Leptis Magna (L. 54), e uno (L. 55) del III tipo a catino, di medie dimensioni, semilavorato, da Ostia antica. Nella stessa varietà è realizzato il sostegno di dimensioni monumentali della Chiesa dei SS. Nereo e Achilleo, del tipo IV b (S. 33). Il marmo africano, nelle varietà rosso e verde, corrisponde al marmor luculleum degli antichi*e, estratto a Teos in Asia Minore, lungo e sotto la superficie del laghetto di Kara Gil", Esso fu uno dei primi marmi introdotti in età tardorepubblicana a Roma, in grandi blocchi e in colonne’, tra cui sono famose le colonne della basilica Emilia, messe in opera già nella prima metà del I secolo a.C.; quelle importate a Roma da Scauro, edile nel 58 a.C., per il suo teatro provvisorio e da lui trasferite nell'atrio della sua casa sul Palatino, poi rimos^6 In ricordo di L Licinio Lucullo che per primo introdusse a Roma tale pietra; console nel 74 aC. proconsole d'Asia nel 73-69 e della Cilicia nel 73-68; alla guida dellesorcito dal 74 al 67.4. durante la terza guerra mitridaica: PLUT, ActoMos: PLN. Nat hist XXXVI, 49. 37 Le cave di Teos sono state scoperte nel 1966 da Ballance: MH. BALLANCE, The origin of “Africano”, in BSR, XXXIV, 1966,p. 79 ss, tav. XIX. Sul marmo alricano: J.B, WARD PERKINS, “Marmo Africano e “Lapis Sarcophagus”; in RendPontAcc, XXXIX, S I, 1966-61, p. 127 5; Gott 1971, p. 147 ss.; DWORAKOWKA 1983, passim; Mituscn 1985, p. 54 s.nn, 418-459, tav. 13; GNOLI 1988, p. 174 ss, figg. 133-135, 193, 197; Marble. Art Historial and Scientific Perspectives on Ancient Sculpture, Papers ‘Symposium Dep. Antiquities and Antiquities Conservation, J.P. Getty Museum 1988 (1990), p. 253 ss. (DOWRAKOWSKA); Marmi antichi 1998,p. 133 ss: GREGAREK 1999, p.41 48 Le colonne della Basilica Emilia furono ammirate da Plinio (Pum, Nat Hist. XXXVI, 102), insieme ai barbari in pavonazzetto. Sulle colonne di Scauro: PLIN., Nat. Hist. XXXVI, 6 Sulle colonne in africano introdotte nell’arhitettura urbana: Gut 1988, p. 174 s; PENSABENE 1994, p. 307 s. 128
se probabilmente da Augusto e riadattate nel teatro di Marcello (dedicato nel 13 a.C.); le colonne in africano del tempio di Apollo Sosiano e del Templum Pacis vespasianeo. L'uso più intenso, limitato per la sua durezza in genere a colonne, che venivano esportate semilavorate, spesso monolitiche, e a lastre per incrostazioni, va dall’età augustea alla metà del II secolo: una testimonianza notevole è nel pavimento del Foro di Augusto e del tempio di Marte Ultore. Dopo gli Antonini diminuì l’importazione in Italia di africano: lo Gnoli
non condivide l'opinione del Ballance, secondo cui le cave furono abbando-
nate verosimilmente nella seconda metà del II secolo, e ritiene che pezzi di
dimensioni minori e di peggiore qualità continuarono ad essere estratti almeno fino alla metà del III secolo. D'altronde esso compare ancora nell’Editto di Diocleziano, tra i marmi più costosi. Giustamente lo Gnoli sostiene che, anche se le cave allora non fossero state più attive, una gran quantità di blocchi di africano, già cavati, doveva essere disponibile nel mercato. L’africano, comunque, non è una pietra comune: lo Gnoli ricorda pezzi e colonne di notevoli dimensioni solo in pochi siti: Roma, Ostia, Villa Adriana, alcune ville laziali e campane, nei teatri di Arles e d'Orange e a Iol Cesarea; in Asia Minore solo ad Efeso e a Pergamo. Il labrum di Villa Medici e il supporto nella Chiesa dei SS. Nereo e Achilleo, in africano rosso e verde, testimoniano, per le loro dimensioni e la finezza esecutiva, l’eccezionalità dell’uso di tale pietra, sottolineando la qualità straordinaria dei due esemplari, probabilmente importati a Roma in uno
stato di semilavorazione, come accadeva in genere per i pezzi in marmo africano, e poi finiti a destinazione da scalpellini specializzati. Le tre vasche frammentarie di Ostia e Leptis Magna confermano un uso limitato a rari esemplari, sempre di qualità elevata. In pavonazzetto sono attestati quattro Jabra del IV tipo a conca (L. 58, 59, 60, 64), di cui uno scanalato, due di medie e due di piccole dimensioni. Singoli esemplari sono testimoniati nel I tipo (L. 56: medie dimensioni), nel III tipo (L. 61: piccole dimensioni), nel VII tipo con labbro estroflesso, su cui corre l’iscri-
zione (L. 63) e nell’ VIII, lussuoso con baccellature (L. 62), di medie dimensioni. Interessanti gli esemplari di Punta Scifo (L. 58, 59, 60), pertinenti tutti al IV
tipo a conca, di cui due di dimensioni superiori ai due metri, testimoni, con gli
altri bacini non finiti rinvenuti nelle cave e negli altri carichi naufragati (Spargi, L. 161; Ventotene, L. 162), dell'organizzazione dell'industria litica antica, che usualmente faceva sbozzare i labra in cava per poi rifinirli a destinazione: sia quelli in pavonazzetto, in porfido, nei graniti, in cipollino, in giallo antico, che quelli in marmi bianchi. Sempre dalla nave naufragata di Punta Scifo provengono cinque supporti in pavonazzetto (S. 35-39), tre del tipo V b, con bacino pertinente (L. 58-60), uno (S. 38) del tipo I b e uno (S. 37) in forma di base modana-
ta, tutti senza politura e con zampe leonine appena sbozzate. In pavonazzetto 129
brecciato è realizzato un supporto ad Ostia del tipo IV b (S. 40). In pavonazzetto sono realizzati anche un supporto di Leptis Magna (S. 34) del tipo II b, uno (S. 41), probabilmente in parte antico, posto sotto L. 62, conservato ai Musei Vaticani, del tipo La, di fine esecuzione, e uno (S. 42) aVilla Albani (di L. 64). Tn similgreco scritto & realizzato il piccolo labrum del V tipo a coppa (L. 65), proveniente dalle terme di Pergamo; in greco scritto il supporto in collezione privata (S. 43), del tipo II b. Le cave di greco scritto sono presso Annaba (antica Hippo Regius), sul promontorio di Cap de Garde, in Algeria®; esse furono sfruttate per uso locale già dalla metà del I secolo a.C. La presenza accertata di questo marmo ad Ostia in età tardo-flavia induce ad ipotizzare l’uso contemporaneo anche a Roma, sebbene qui il greco scritto sia attestato solo in strati di Il secolo. Questo marmo, pur non potendosi considerare pregiato, fu molto diffuso nell’architettura dell’ Africa nord-occidentale. Un unicum è documentato dalla vasca, già Boncompagni Ludovisi, ora a Palazzo Altemps (L. 66), del II tipo a bacile e di piccole dimensioni, realizzato nella rarissima serpentina moschinata* La provenienza dell’opera è ignota: forse abbelliva gli horti Sallustiani. La serpentina moschinata fu cavata, sin
dal periodo faraonico, nel Uadi Atallahs!, vicino al Uadi Hammamat; essa era limitatamente diffusa: Io Gnoli ricorda, oltre al famoso cane nel Palazzo dei Conservatori, un piccolo cinocefalo di età egizia nel Museo Gregoriano Egizio e un frammento di tazza trovata fra le rovine di Villa Adriana. "Un'altra rarità è costituita dal supporto e dal suo plinto (S. 44), conservat nel magazzino del Musco Archeologico di Napoli, realizzati in lumachella orientale, impropriamente detta d'Egitto. Si tratta di un marmo molto raro e pregiato, impiegato a Roma sin dall'età augustea, cavato in piccoli pezzi in Tunisia, nelle cave di Hencir el Kasbat (Thuburbo Maius), per realizzare soprattutto mattonelle, tarsie e oggetti di non grandi dimensioni. In giallo antico sono attestati sette Jabra, tutti di piccole dimensioni, di cui tre del II tipo a bacile (L. 67, 70, 73), uno del III tipo (L. 69), uno del IV (L. 71) e uno del V (L. 68). Quattro labra sono ad Ostia antica, due in conte49 GoLi 1971, p. 225; P. PENSABENE, Sull'inpiego del marmo di Cap de Garde, in Studi Miscellanei in memoria di G. Becatti, 22, Roma 1976, p. 177 ss; Gott 1988, p. 261, nota |; Marmi antichi 1998, p. 237, n. 83. 50 PENSABENE, BRUNO 1998, p. 12: serpentina moschinata; Marmi colorati, 2002, p. 380 s. n. 83: M. De ANGELIS D’Ossar: verde ranocchia. Sul verde ranocchia, pietra dl tipo delle ser“ pentine: GnoLI 1971, p. 134; GNoLI 1988,p. 160 s. Marmi antichi 1998,p. 294, nn. 131-132. 51 Sulla serpentina moschinata: GNoLI 1971, p. 133; MIELSCH 1985, p. 63, nn. 638-674, tv. 20; GnoLı 1988,p. 159; PENSABENE 1994, pp. 117, 119; Marmi antichi 1998,p. 291, n. 129; PrisanenE, BRUNO 1998,p. 12. Gsou 1971,p. 172 s; Mitsct 1985, p. 41, nn. 129-134,tav. 4; GNout 1988, p. 201 s; Radiance in Stone. Sculptures in Colored Marble from the Museo Nazionale Romano, ML. ‘ANDERSON,L. NISTA (ed.), Rome 1989,p. 82 ss Marmi antichi 1998, p. 242,n. 89. 130
sti d'uso pubblico (L. 69: ninfeo degli Eroti e L. 72: terme della Marciana) e
due fuori contesto (L. 70, 71), semilavorati, quindi pertinenti ai depositi di marmi sbozzati importati a Ostia e qui immagazzinati. Un labrum & a Pergamo (L. 67); uno a Roma (L. 73), proveniente dal Foro Romano e uno (L. 68) &
stato lasciato, semilavorato, nelle cave stesse di Simitthus. E interessante evi-
denziare che nessun supporto è attestato in giallo antico. Solo tre esemplari sono documentati in portasanta, tutti di piccole dimensioni: due (L. 75, L. 76) del V tipo a coppa, entrambi ad Ostia e semilavorati, di cui uno impiegato in età tarda nella domus delle Colonne. Un altro pezzo (L. 74) è del II tipo a bacile, dal frigidarium della villa di Popidius Florus a Boscoreale. In portasanta abbiamo dieci supporti: due semilavorati (S. 53 e 54) ad Ostia, dall’edificio fuori Porta Marina, pertinenti al tipo II; sei del tipo IV ^b da Corinto (S. 45, 46), Cos (S. 47), Epidauro (S. 52) ed Efeso (S. 50, 51) e due del tipo II b a Delos ed Efeso (S. 48, 49) In verde antico sono state realizzate solo cinque vasche, di cui una frammentaria (L. 78) da Ostia antica, e due a Roma: una, di piccole dimensioni, del II tipo (L. 79) dagli scavi del Governatorato ai Musei Capitolini e una (L. 81), medie dimensioni, del tipo IV a Palazzo Pallavicini-Rospigliosi, la cui semplicitä formale è esaltata dalla raffinatezza esecutiva. Due frammenti sono stati lasciati sbozzati nelle cave di Chassambali a Larissa (L. 77). Il labrum (L. 80) al Museo Torlonia, del tipo III e di medie dimensioni, è probabilmente in verde antico e non in breccia verde. Un supporto semilavorato del tipo II, in verde antico, è conservato a Corinto (S.
55).
Una vasca ellittica in verde antico,
restaurata nel secolo XIX, datata in età tardo-imperiale, è conservata nel Museo dell'Opificio delle Pietre Dure a Firenze®* In rosso antico sono documentati solo tre supporti: uno (S. 58) ad Ostia (del tipo 1 a?); uno a Rodi (S. 57) del tipo I a, in rosso antico dell'isola; uno nella. penisola di Mani (S. 56) semilavorato del tipo II. Importanti sono le precoci testimonianze del bacino e del supporto da Micene, già citati, che attestano l'uso del tipo e del marmo? già in età micenea. L'utilizzo del rosso antico in questo periodo è sontuosamente testimoniato dalla facciata del cosiddetto tesoro di Atreo a Micene; già precedentemente i Cretesi avevano realizzato in rosso antico piccoli oggetti, come lampade, vasi e rhyta In fior di pesco abbiamo un unico pezzo: un labrum del III tipo, pervenutoci in un solo frammento, rinvenuto a Leptis Magna nelle terme di Adriano 53 Sull'uilizzo del rosso antico in età egea: GnoLi 1988,p. 189, fig. XXX; Marmi antichi 1998, p. 288. Si Giusti, Mazzoni, PAMPALONI MARTELLI, op. cit. a nota 32 p. 316, n. 454, tav. 384 vento MARTELL): inv. n. 1853, em 158 x 19, h. cm 118; posta su un piede di breccia ar cana e una base di granito rosa, aggiunti nell’800. 131
(L. 82). È proprio in questa città che si registra il più cospicuo utilizzo di questo marmo, comunque ampiamente diffuso in tutto l'impero, soprattutto per
colonne e rivestimenti parietali. Le cave si trovano in Eubea centrale, vicino ad Eretria (odierna Ned Psara) e non lontano da Calcide®s In cipollino sono attestati ben nove esemplari per la maggior parte di piccole dimensioni: due del II tipo a bacile (L. 85, 91), quattro (L. 84, 87, 89, 90, degli ultimi due la tipologia è incerta) del IV tipo a conca. Un solo esemplare (L. 86) & del I tipo a vasca e di medie dimensioni; uno frammentario (L. 88) è di dubbia pertinenza al I tipo. Di medie dimensioni è un semilavorato nelle cave di Kylindri (L. 83). Due labra in cipollino si conservano in situ ad Ercolano (L. 84, 85), nelle terme del Foro ¢ in quelle Suburbane: sono di piccole dimensioni, uno del II tipo e uno del IV. Tre sono gli esemplari ad Ostia antica (L. 86, 87, 88); tre quelli conservati a Roma (L. 89, 90, 91): un semilavorato dai depositi marmorari presso il Tevere, uno a Villa Albani e uno nell'edificio romano sotto il Museo Barracco. In cipollino sono documentati dodici supporti (S. 59-70); undici del tipo II b: da Ostia (S. 66, 67, 68, 69 semilavorato), Ercolano (S. 60, 61), Pompei (S. 62, 63, 64) e uno (S. 70) ai Musei Vaticani; uno ostiense (S. 65) rappresenta un'eccezione del tipo II b. Un supporto ercolanense (S. 59) è del tipo I b. In marmi bigi si hanno numerosi Jabra e supporti. In bigio di Lesbo abbiamo un labrum rifinito (L. 104), di piccole dimensioni e del tipo IV, conservato nel magazzino del Foro di Pompei, e un piccolo labrum del V tipo della casa dei Vetti (L. 103). Dieci Jabra in bigio di Lesbo (L. 92-101), di dimensioni piccole e medie (un solo esemplare di medie: L. 93), si conservano sbozzati, insieme ai loro suppporti, nella cava del distretto di Moria: essi sembrano appartenere al tipo III a catino. Una vasca in bigio (L. 102) semilavorata, del V tipo a coppa, anch'essa di piccole dimensioni, con un'iscrizione incisa, è stato rinvenuta a Sabratha. Un labrum (L. 105) in bigio morato del Il tipo a bacile, di piccole dimensioni, arricchito con proto-
mi leonine, è conservato nel Museo Nazionale Romano, rinvenuto nelle fondazioni del Teatro Drammatico Nazionale, via IV Novembre. Due supporti, uno del tipo II b (S. 77 di L. 65) e uno del V b (S. 78), in bigio di Lesbo sono attestati nel Museo di Pergamo; tre sostegni sbozzati in bigio di Lesbo si conservano nella cava del distretto di Moria (S. 71-73). Un supporto in bigio lumachellato di Lesbo, del tipo I b, è conservato a Pompei (S. 79). Tre supporti in marmo bigio di Eraclea, due del tipo I a (S. 74, 75) e uno del
tipo II b (S. 76), sono documentati a Mileto
55 Sul fior di pesco: Gnoti 1971,p. 157 ss. Mistscu 1985,p. 57, nn. 548-560, tav. 16; Goti 1988, p. 184ss; Marmi antichi 1998,p. 212. 132
1 bigi antichi venivano estratti in vari luoghi della costa e della fascia insulare dell’Asia Minore: a Rodi (la cui varietà presenta venature dorate?7),
Cos, Lesbo (varietà lumachellata), Teos. Per il periodo tardo un altro sito estrattivo è anche a St. Beat nei Pirenei. Quello di Lesbo, utilizzato nell'isola
sin dall’età del Bronzo, è tra le varietà più chiare: fu esportato soprattutto in
età imperiales: ed è ricordato, come marmor Lesbium, nell’Editto dei prezzi di Diocleziano tra i marmi meno costosi (40 denari a piede cubico). L’economicità dei bigi, in confronto alle altre pietre colorate, spiega perché siano così diffusi, per la statuaria e per l'architettura, soprattutto privata (colonne di medie dimensioni e lastre di rivestimento), a Roma, dove cominciano ad essere importati in età flavia, in Italia (attestati a Pompei ed Ercolano) e nelle province fino all’epoca bizantina. A Lesbo le cave antiche sono visibili presso Mitilene, ma soprattutto a 2 km a est del villaggio di Moria, dove Pensabene ha svolto una ricognizione nel maggio 1992, durante la quale sono state rinvenute e inventariate 209 opere sbozzate, rimaste in cava: fusti di colonne, bacini, sostegni, basi, blocchi parallelepipedi e blocchi di architravi», tutti di piccole e medie dimensioni. Un'ulteriore ricognizione, avvenuta nello stesso anno ad opera della University of British Columbia®, ha permesso di tracciare una prima carta dell'area centrale delle cave del distretto di Moria. Il bigio cavato in quest’area è scuro, spesso con venature più chiare, a volte bianche; frequenti le inclusioni conchiglifere che conferiscono un aspetto lumachellato a questo marmo. Nelle cave di Moria non si sono trovate sui manufatti sigle e iscrizioni, ad eccezione di alcune lettere greche, utilizzate come numerali; né si sono trovati manufatti sbozzati non architettonici: le opere di scultura dovevano essere lavorate nei luoghi di destinazione da blocchi grezzi importati dalle cave. Per l'inizio dello sfruttamento delle cave di Moria abbiamo un ter-
minus post quem fornito dalla base eretta a Delos, con marmo bigio probabil-
mente di Lesbo, poco dopo la metà del III secolo a.C. in onore di Filetero, fondatore di Pergamo: città assai vicina a Lesbo, di cui utilizzò spesso il marmo (ricordiamo ad esempio i supporti S. 77 e 78). Il bigio di Lesbo, anche nella varietà lumachellata, fu esportato, principalmente per uso architettonico (Soprattutto colonne), e per gli arredi marmorei (i Jabra e i sostegni inseriti nel 56 GnoLi 1971, p. 152 ss; MiziScH 1985, p. 595,nn. 621-623,av. 18; GNOLI 1988,p. 179s Marmi antichi 1998,p. 158 s, n. 16, con bibl. prec; PENSABENE 1998 a, p. 175 ss. 57 Pun, Nat hist. XXXVI, 172. 58 Plinio -PLIN., Nat hist. XXXVI, 44- lo avvicina ai marmi cicladici e di Thasos, definendolo bianco bluastro. Nero lo descrive Filostrato: PHILOSTR, Piae Sophist. I, 8. 59 risultati di quella campagna di ricognizione sono stati pubblicati nel gid citato articolo: Pınsanene 1998a, p. 175 ss ® Chi. R. MILLAR, H. WILLIAMS, The Roman Quarry at Moria, Mytilene, in Echos du Monde Classique/Classical Views, 37, 1993, p. 211 ss. 133
catalogo lo dimostrano), in molte città dell’impero romano, sia d’Oceidente (come è testimoniato anche dal supporto S. 79 di Pompei in bigio lumachellato) che d’Oriente. La fine dello sfruttamento delle cave à dovuto, non per esaurimento dei filoni marmoriferi, ma per la cessazione della richiesta di questo marmo, come dimostra il gran numero di oggetti sbozzati lasciati in cava. L'impiego di bigio di Lesbo per le colonne di età bizantina di Alessandria rivela la continuità d'uso in tale periodo. Il bigio moratos veniva cavato in Grecia (penisola di Mani), in Asia Minore, a Chios e a Djebel Aziz (Tunisia); esso fu particolarmente amato nel 1I secolo d.C., soprattutto sotto il regno di Adriano, in particolare per realizzare statue (ad esempio i due centauri da Villa Adriana al Museo Capitolino) e rare opere decorative, tra cui la più notevole è il labrum n. 105. La vasca monumentale (L. 106: tipo I) con supporto (S. 81: tipo IV b) riutilizzata nella fontana di piazza delle Erbe a Verona, forse proveniente dalle terme della città, sembrerebbe realizzata in rosso ammonitico o breccia rossa di Verona, una breccia cavata in Val Pantena e Valpolicella‘ e destinata soprattutto ad un uso locale. Due sostegni ostiensi (S. 82, 83), unici esemplari del tipo VI, sembrano appartenere ad una simile formazione geologica, probabilmente non di origine veronese, ma centro-appenninica, dove sono attestate formazioni di rosso ammonitico. Sempre ad Ostia, fusti di simile pietra sono utilizzati nel peristilio interno del Palazzo Imperiale, fornendo, se pertinenti alla prima fase costruttiva di Antonino Pio, un terminus post quem all'introduzione del rosso ammonitico ad Ostia e a Roma stessa. Matthias Bruno nota che l'utilizzo. di una pietra italica in un contesto così importante, induce a riflettere sulla definizione di "pietre di sostituzione" per i marmi colorati estratti in Italia In breccia corallina sono realizzate tre sole vasche, di cui due del I tipo: una, su supporto non antico, ad Assisi (L. 108), di medie dimensioni e una (L. 107) ad Efeso, la cui provenienza dalle terme o dal ginnasio è incerta, e un labrum (L. 109) del IL a bacile di grandi dimensioni, al Palazzo dei Conservatori, molto restaurato. Con tale denominazione è indicata una breccia cavata a Vezirhan presso Bilecik in Bitinia. L'utilizzo in età imperiale è vario, soprattutto per colonne e bacini®; secondo lo Gnoli l’impiego a Roma è successivo al regno di Tito. 61 Gyour 1971, p. 165 s; MIELSCH 1985, p. 57, n. 544, tav. 16; GNOLI 1988, p. 192 5; Marmi antichi 1998, p. 160, n. 17. Un riesame del problema delle cave è stato recentemente effettuato da: M. BRUNO, P. PLANTE, The "lapis taenarius” quarries of Cape Tainaron (Mani Peninsula, S: Peloponnesus, Greece), in LAZZARINI 2002, p. 163ss. 52 Mietscu 1985, p. 52, nn, 395-397; G. De Vecch, L.Lazzarını, Marmi e pietre di Padova romana, in Padova Romana, a cura di G. ZaMeteRi, M. Cisorro NALON, Padova 1994, 111; Bruno 2002, p. 277 © Gvou 1971, p.203 s Metscit 1985, p.45 s, nn. 201-250, tav 7-8; GNOLI 1988, p.238s; Marmi antichi 1998,p. 166,n. 22. 134
In breccia di Sciro* sono realizzati quattro supporti (uno da Dion, S. 84, del tipo II b; uno da Thasos, S. 85, del tipo II a; uno a Napoli, S. 86, del tipo II b; uno ad Ostia antica del tipo II b) e due labra. Uno semilavorato è conservato ad Ostia antica, nelle terme del Filosofo (L. 111), è del V tipo a coppa e di piccole dimensioni. Un altro (L. 110), ben rifinito, del II tipo a bacile, di piccole dimensioni, si trova nei magazzini del Museo Archeologico di Napoli, forse di provenienza vesuviana. I siti estrattivi della breccia di Sciro, detta anche dei Settebassi dai marmorari per la grande quantità di frammenti rinv nuti nella villa detta dei Settebassi, sulla via Tuscolana a Roma, in locali Osteria del Curato, si trovano nell'isola di Sciro (Cicladi) e nelle isolette vicine. A Roma la Breccia di Sciro era già nota in età augustea‘S; le cave furono sfruttate fino all'epoca tardo-antica. Tale breccia è ricordata nell’Editto dei prezzi di Diocleziano. Essa fu ampiamente diffusa a Roma e in tutta Italia, soprattutto in ville ed edifici privati, per la decorazione pavimentale e parietale; è attestato anche l'utilizzo per colonne monolitiche. Basandosi sull'assenza di questa pietra nei grandi complessi imperiali e sulla quasi totalità dei rinvenimenti in edifici privati, lo Gnoli ritiene che le cave di Sciro non fossero di monopolio imperiale. In marmo rosa brecciato locale è un labrum del tipo IV a bacino, di medie dimensioni (L. 112), conservato in situ presso il ninfeo sulla Via Colonnata di Perge; in marmo rosso breceiato è un supporto a Thasos del tipo IV b (S. 88) Il rosso brecciatos, marmor carium o iassense, veniva cavato in Caria. I Romani lo usarono certamente dal III secolo in poi, ma probabilmente cominciarono a cavarlo già in età flavia, sotto Domiziano, preferendo il rosso brecciato al cipollino rosso. Esso è utilizzato in lastre parietali, lastre di sarcofagi, crustae e tessere musive e piccole colonne. Le attestazioni più numerose sono a Roma, Ostia e în vari centri dell’Asia Minore. 1I gabbro eufotide®? è presente in un solo esemplare: un supporto (S. 80) ai Musei Vaticani, del tipo II b. È una pietra, proveniente dal deserto Orientale egiziano, raramente usata in antico, in genere per pavimenti del I-II secolo.
L'uso per un supporto appare, quindi, una singolarità.
5^ Sulla breccia di Sciro: Consi 1845,p. 198 ss; GNoLI 1971,p. 198 ss.; DWoRAKOWSKA 1983,pp. 23,25,102, con bibi. prec.; MIELSCH 1985, p. 47, nn. 273-315, tavi. 9, 10; Got 1988, p. 232 ss.; Marmi antichi 1998,p. 193 s. ‘6 Smas., IX, 437; Puin., Nat hist, XXXI, 2, 29; XXXVI, 16, 130. % Sul rosso brecciato: GNoL 1971, p. 210 s; MONNA, PENSABENE 1977, p. 109 ss. MietscH 1985, p. 46,nn. 257-259, tav. 8; GnoLI 198, p. 244 s,, fig. 245; Marmi antichi 1998, p 289,n. 127. 67 Const 1845, rist. NAPOLEONE 2001, p. 115, nota 178; Gwoui 1971, p. 132; MiELSCH 1985, p. 70, nn. 815-819, tav. 24; Gnotı 1988,p. 158 5, fig. 116; Marmi antichi 1998,p. 210s. 135
SISTEMI PRODUTTIVI E COMMITTENZA
Per lo studio delle officine c dei sistemi produttivi di labra e sostegni è molto utile la sintesi del Moss a proposito dei trapezofori e supporti marmorei. Il Moss!, in base alle differenze tecnico-stilistiche riscontrate negli 850 sostegni rinvenuti in Italia, afferma che dovevano esistere numerose piccole officine, indipendenti e lontane dalle cave, in grado di rifornirsi dei vari tipi di marmi bianchi e colorati, estratti in Grecia, Africa e Asia Minore. Cercando di definire l'organizzazione dell'industria marmoraria romana, lo studioso osserva l'esiguità delle testimonianze in grado di avvalorare sia l'ipotesi di un gran numero di officine attive in Grecia per il mercato italiano, sia la supposizione fatta dal Cohon per i trapezofori neoattici dell'esistenza di regolari spedizioni a Roma di opere semilavorate da ultimare nell’Urbe?. Il Moss osserva che i trapezofori e i supporti realizzati in marmi importati, bianchi e colorati, si distinguono per forme, motivi, stili e tecniche (maggiore accuratezza esecutiva e più puntuale rifinitura) dai sostegni in marmi italici. L’alto livello tecnico-stilist co di tutti i trapezofori realizzati in marmi importati, rinvenuti in Italia (alta qualità non presente nei pezzi simili, eseguiti in marmi italici), è dovuto evidentemente al fatto che i produttori degli arredi in marmi importati appartenessero ad un livello superiore nella scala gerarchica delle botteghe marmorarie. I loro prodotti erano probabilmente accessibili soltanto a uno strato superiore della committenza e la legge commerciale imponeva che il rapporto tra la qualita tecnica del manufatto e il valore del marmo impiegato fosse alla pari Il Moss, inoltre, esclude definitivamente l’ipotesi che la maggior parte delle officine marmorarie, produttrici sia di arredi marmorei che di altre classi di manufatti, lavorasse esclusivamente un solo tipo di marmo. Il sistema produt! Moss 1988,pp. 193 ss., 206 ss. 2 R. Conon, Greek and Roman Stone Table Supports with Decorative Reliefs (Diss.), New York 1984, p. 11 s. il Cohon ricorda che in età imperiale i supporti di tavolo potevano essere parzialmente scolpiti ad Atene c poi rifiniti a destinazione. 137
tivo antico si basava, infatti, sulla specializzazione individuale, per cui in ogni officina si lavoravano vari tipi di marmo, ciascuno ad opera di specialisti, i quali utilizzavano per i marmi importati un unico modello, diverso da quello adottato dagli scalpellini di marmo lunense. La diffusione dei trapezofori realizzati in marmi stranieri fornisce interessanti indicazioni sulla localizzazione delle botteghe che li scolpivano. Essi sono stati trovati principalmente nell'area centrale della costa occidentale italiana, dal Lazio alla Campania: il centro di lavorazione dei marmi stranieri era, quindi, in questa zona, dove giungeva la maggior parte dei marmi spediti dalla. Grecia, dall'Egitto e dall’ Asia Minore e dove si svilupparono i più attivi mercati e porti di approdo e le piü esperte officine marmorarie: numerose sono le botteghe accertate nell’Urbe c nella zona intorno al golfo di Pozzuoli?. Pozzuoli fu, infatti il piü grande scalo dei commerci marittimi da Oriente e da Occidente diretti a Roma fino a tutto il I secolo a.C., superato solo in età imperiale da Ostia, che con Claudio e definitivamente con Traiano fu dotata di impianti portuali adatti al nuovo ruolo assunto da Ostia/Porto di scalo commerciale principale di tutto l’impero. I sistemi di spedizione dei marmi stranieri verso la costa occidentale dell'Italia sono documentati dai ritrovamenti di carichi di navi naufragate, come quello già citato di Punta Scifo e quello presso l'isola delle Correnti (Sicilia orientale), comprendenti blocchi e oggetti non finiti realizzati in marmi microasiatici. Sul tipo di produzione delle officine. italiche, il Moss rileva che non vi sono testimonianze significative che possano convalidare l'ipotesi di officine attive per una produzione in serie. La migliore testimonianza di una grande officina (o di un gruppo di piccole officine strettamente collegate), da localizzare nell’area della baia di Napoli o nei pressi di Roma (alcuni di questi pezzi provengono da Ostia), è offerta da una serie di supporti con protome di lince, realizzati per la maggior parte in marmo microasiatico, una piccola parte in marmo lunense e un pezzo in pietra nera (bigio morato?). La distribuzione degli arredi marmorei, quindi, rafforza l'impressione generale che il marmo importato sia stato lavorato principal3 Sculture non finte, numerose copie di singole opere c i calchi di Baia documentano che la zona intorno al golfo di Pozzuoli era costellata di officine marmorarie. Sulle testimonianze puteolane, oltre il già citato Futvo, loc.cit: P. ZANcANI MovTUORO, Repliche romane di una statua fidiaca, în BullCom, 61, 1934, p. 40 ss; A. De Fnaxciscis, Officina di scultore a Pozzuoli, in Economia e società nella Magna Grecia. Atti del XII Convegno di Studi sulla Magna Grecia. 1972, Napoli 1973, p. 277 ss; M. Sınpernno, Il maredi marmo, Napoli 1981, tavv. 14 e 18; C. LaxpweHR, Die antiken Gipsabgüsse aus Baiae, Berlin 1985; C. GASPARRI, L'officina dei calchi di Baia, in RM, 102, 1995, p. 173 ss. 4 Sul carico di Punta Scio, si vedano le schede relative ai Jabra con supporti ivi rinvenuti Sul secondo carico: G. Karträn, Schifffrachten antiker Baugesteine und Architeektuteile vor den Küsten Ostsiliens, in Klio, 39, 1961, p. 282 s. 3 Moss 1988,p. 214, cat. ABI, ALIO, A117, C43, C44, nota 43. 138
mente nelle città portuali più grandi. A conferma di cid il Moss cita i numerosi supporti in granito egiziano, in basalto e in porfido, trovati nell'area urbana e campana‘; il fatto che le opere realizzate in tali pietre egiziane siano state scolpite in officine italiche e non siano state importate già finite, è dimostrato dai pezzi parzialmente lavorati trovati in Italia. Tutti questi manufatti scultorei, databili in età imperiale, forniscono un'ulteriore prova di quanto già noto sul commercio dei marmi che si diffuse straordinariamente durante il I secolo d.C.: era lo stesso controllo imperiale delle cave che facilitava l'estrazione e la spedizione di una gran quantità di marmo a prezzi economici. Ovviamente si preferiva il trasporto via mare dei blocchi cavati; il trasporto via terra si utilizzava soltanto quando si dovevano inviare prodotti finiti ai mercati interni disseminati nel territorio. La distribuzione dei trapezofori in marmo lunense conferma, secondo il Moss, questo sistema di produzione e di distribuzione. L’unica attività scultorea in larga scala che è stata sicuramente
accertata nell'area di Carrara è relativa all'abbozzo di elementi architettonici, mentre poche sono le testimonianze riguardanti una produzione in serie di arredi in marmo lunense" Le grandi officine, organizzate in modo più articolato, probabilmente producevano un vasta gamma di oggetti marmorei, pertinenti a classi diverse. Lo testimoniano un sarcofago trovato ad Efeso”, su cui è scolpita una scena raffigurante l’attività di un’officina marmoraria, nella quale si stanno eseguendo contemporaneamente una statua togata, un busto togato e un supporto di tavolo, e il ritrovamento promiscuo di statue, supporti marmorei e pezzi sbozzati, appartenenti ad una bottega di Delos. Se ne è dedotto che proprio le officine di sarcofagi, considerate come quelle più altamente specializzate delle botte: ghe antiche di scultura, producessero, oltre ai sarcofagi, anche un’ampi gamma di opere varie, come statue, statuette, rilievi, trapezofori e basi!': og5 Moss 1988, p. 215, cat. ASI, A107, A218, C48, D79, D80. 7 La produzione in serie si diffonde nel periodo tardo repubblicano- inizio imperiale per quegli oggetti fatti a matrice, come terra sigillata, terracotte architettoniche, rilievi campana, metalTia stampo e vetri soffiati a matrice. I! numero graffito (LXXIX o LXXXIX) su un supporto di tavolo trovato nella casa di Sirico a Pompei (VII 1, 25, 47) (G. Mivexvisi, Notizia degli scavi di Pompeiin BullArcheolNapoletano, 8, 1852, p. 61 (LXXIX); G. Fivant, Relazione degli scavi di Pompei da marzo 1852 a dicembre 1855, in Museo Borbonico, 15, 1856, p. 6 s. (LXXXIX)), documentando il sistema di numerazione dell’officina esecutrice (il tavolo faceva parte di una serie di 79 0 89 pezzi uguali), costituisce il caposaldo per la teoria della produzione in serie di arredi marmorei * Sarcofago rinvenuto nel 1895: G. MENDEL, Catalogue des sculptures grecques, romaines et byzantines, Costantinople, I, 1912, p. 78 ss.n. 13; Koch, SICHTERMANS 1982,p. 522 3 A. JaRDE, Fouilles de Délos, in BCH, 39, 1905,p. 46 ss. eft. COHON,op. cita nota 2, p. 153 ss; Moss 1988, p. 220. 10 4. Wiscarrz, Kaiserzeitliche Sarkophage in Myra, in AA, 1971,p. 94 ss; G, Koch, Zu einem Reliefin der Alsdorf Foundation, in AA, 1978, p. 121. Cr. Moss 1988,p. 220 s.
getti figurati e oggetti non figurati venivano, quindi, realizzati nella stessa. bottega. Questa tendenza alla produzione promiscua nelle officine marmorarie rientra nella generale organizzazione dell'industria romana, almeno a partire dalla tarda età repubblicana: la stessa varietà produttiva caratterizzava anche le officine coroplastiche. Secondo il Moss la specializzazione nelle officine antiche avveniva principalmente a livello individuale!': artigiani con differenti competenze tecniche lavoravano fianco a fianco nella stessa officina. Questo tipo di organizzazione delle officine romane spiega la grande. diversità di stili e l'infinita varietà di interpretazioni formali negli arredi marmorei rinvenuti in Italia. Mentre la tipologia e l'iconografia dei supporti di tavolo in marmo derivavano quasi sempre da modelli comuni ampiamente circolanti, la grande diversità stilistica, tecnica e formale rivela, invece, che la produzione era affidata ad innumerevoli piccole botteghe, isolate Puna dall’altra??. Nell'industria marmoraria antica frequente era l'imitazione in materiale locale delle forme e delle iconografie dei prodotti? importati, di maggior livello qualitativo, ad opera di botteghe indigene, che si rivolgevano ad un mercato più economico. La manifestazione più evidente di questo fenomeno è l’imitazione dei sarcofagi attici da parte di officine locali, diffuse dalla Spagna alla Siria; ma lo stesso processo imitativo doveva interessare altri settori dell'industria marmoraria romana, tra cui anche quello degli arredi domestici in marmo. Secondo il Moss's questo settore minore aveva una struttura meno cen-
tralizzata, con prodotti spesso eseguiti nelle vicinanze delle cave e distribuiti
?1 La documentazione epigrafica conferma che la specializzazione in una particolare tecnica o nello scolpire un certo genere di opere era principalmente individuale, piuttosto che di bottega: CIL, VI, 9402, 9403, 9824. Cfr anche: P. PENSABENE, Osservazioni sulla difusione dei marmi e sul loro prezzo nella Roma imperiale, in Dialdrch, 3, 1, 1983, p. 61; S. DE Mania, I problema del corinzio-italico in Talia settentrionale, in MelRome, 93, 1981, p. 589 ss, fgg. 1-3. 12 L'ampia varietà stilistica e formale è testimonianza dell'isolamento in cui ciascuna bot tega lavorava: cfr. Moss 1988,p. 223. Questa situazione è confrontabile con le officine che producevano gli altari dei Lari Augusti, le quali avevano pochi o nessun contatto formale tra loro, sebbene utilizzassero modelli comuni: P. Zanker, Über die Werkstätten augusteischer Larenaltare und damit zusammenhängende Probleme der Interpretation, in BullCom, 82, 1970TI p. 14788. 75 Molti dei trapezofori campani che possono essere assegnati a officine locali sono scolpiti in pietra calcarea compatta che nella sua varietà più porosa viene chiamata spesso travertino, sebbene abbia poco in comune con il classico travertino laziale. Con questa pietra, che deriva da una serie di depositi nella valle del Samo, sono stati realizzati trapezofori dei tipi più semplici, lisci o scanalati, raramente con decorazione a rilievo, rivenuti esclusivamente entro i confini occidentali della Campania: le officine che li producevano devono essere localizzatoI 1 Cfr Koch, SICHTERMANN 1982,p. 470 ss. In particolare peri sarcofugi di Aquileia: H. Gasto, Die Werkstattgruppen der oberitalischen Sarkophage, Bonn 1973, p. 13 s 15 Moss 1988, pp. 201 5, 223, cat. A312, A313; p. 224 ss. 140
solo nelle aree limitrofe!s, come suggerisce la mancanza totale di marchi o lettere di assemblaggio nei pezzi rinvenuti. Botteghe locali di questo tipo sono attestate soprattutto in Campania, Venetia e Histria, intorno Aquileia", ma la diffusione dei trapezofori testimonia che esse dovevano essere presenti, in più piccola scala, ovunque nella penisola. Alcuni di questi supporti “d’imitazione” sono di notevole qualità", ma la maggioranza è eseguita sommariamente e rozzamente, a conferma che? i prodotti realizzati in materiali locali da officine indigene sono di qualità inferiore. Essi costituivano un'alternativa meno costosa alla produzione marmorea d’importazione: l'uso di pietre estratte in cave vicine e la destinazione ad un mercato essenzialmente locale permetteva di ridurre fortemente le spese di trasporto, che aumentavano significativamente il prezzo degli arredi in marmo; anche la riduzione del lavoro necessario per scolpire questi materiali più rozzi permetteva di contrarre ulteriormente i costi. Il Moss ricostruisce l’attività di una piccola officina marmoraria, situata presso il Teatro Grande (VIII, VII, 24) di Pompei, “specializzata” nella produzione di monopodi in forma di erme miniaturistiche in marmi vari, bianchi e colorati, nella tecnica dell’assemblaggio del marmo e della riparazione di sculture rotte con grappe metalliche, resine, pece, collanti. In questa bottega venivano assemblate le varie parti dei supporti di tavolo (i busti delle erme e i 16 CR. le due vasche semilavorate ancora giacenti nella cava di granito di Nicotera (L. 44, 45); sulla distribuzione locale di questi manufatti: A. SOLANO, Su una cava romana di grani10 a Nicotera, Marmi antichi, in Studi Miscellanei, 26, 1981-83, a cura di P. PENSABENE, Roma 1985,p. 83 ss. 7 Nell'area intorno Aquileia si localizzava un gruppo di officine specializzate nella lavorazione di pietra locale adattà per la scultura, la cosiddetia “pietra d'Istria” e "calcare d'Aurisind (Moss 1988, pp. 63, nota 17: 227 note 63-64-65), in cui venivano realizzati soprattutto monumenti funerari, distribuiti anche lontano, ad esempio nel Norico. Gli arredi in pietra prodotti ad ‘Aquileia sono, invece, rimasti nelle immediate vicinanze e le officine che li produssero possono essere definite come local. 75 Moss 1988, p. 227, A204, C95, C27. 19 Ciò risulta già appurato per alti classi di prodotti: ad esempio le imitazioni in calcare dei sarcofagi aquileicsi nella regione Venetia-Histria sono sempre di qualità inferiore rispetto a quelli prodotti dalle officine più grandi: GABELMANN, op. ct. a nota 14, p. 79s 20 Moss 1988, p. 229 ss. busti di erme miniaturistiche sono stati irovat n gran numero e in diversi materiale non solo a Pompei, ma ovunque in Italia e al di fuori della penisola; molti di questi busti specialmente quelli in giallo c rosso antico, presentano, però, caratteristiche comuni da fame ipotizzare la realizzazione in un'unica officina. È evidente, per le peculiarità tecniche, come i fori di trapano minuscoli, e per la particolare lucidatura opaca dei pezzi, che nessuno dei fusti in giallo o rosso antico, rinvenuti a Pompei sia stato scolpito in loco; i busti delle erme, inoltre, appaiono spesso uniti ai pilastri in modo grossolano. Il Moss afferma che i fusti, per la grande varietà di stili e materiali, devono essere stati seguiti da botteghe situate fuori Pompei cd importati già finiti dall’officina pompeiana in esame. Quest fusti furono adattati anche per funzioni diverse: lo dimostra il fatto che alcuni di essi presentano il retro picchiettato per aderire meglio, mentre l'utilizzo come monopodi di tavoli prevede una disposizione libera, con il rero visibile e quindi ben liciato. 141
fusti) “prefabbricate” in altre officine produttrici "all'ingrosso", attive fuori Pompei. La ricostruzione dell’attività di questa piccola bottega campana ci aiuta a comprendere meglio l’organizzazione dell’industria marmoraria romana: poiché le officine prelevavano la merce da magazzini di stoccaggio, sembra probabile che molte di queste opere fossero eseguite su ordinazione, in base ad una selezione operata dal committente stesso, sia del tipo di marmo che dei pezzi da usare. 1 carichi di navi naufragate nel Mediterraneo?!, tra la fine del II e la prima metà del I secolo a.C., permettono di seguire le rotte commerciali del mondo antico e di conoscere la frequenza dell'importazione in Occidente di oggetti di lusso in bronzo e in marmo, provenienti dal Mediterraneo orientale: da Delos, come testimonia il relitto di Spargi?; dall" Attica, come attesta il carico di Mahdia, partito probabimente dal porto ateniese del Pireo. Questi prodotti di arredo erano destinati alla ricca committenza romana per abbellime le sontuose dimore?*: questo traffico di oggetti di lusso, iniziato in seguito alle conquiste romane dei centri greci del Mediterraneo, si sviluppò a partire dalla fine del II secolo a.C. Il carico naufragato a Punta Scifo, databile intorno al 200 d.C. e composto di colonne, supporti e labra semilavorati e di blocchi sgrossati provenienti dalle cave di pavonazzetto a Dokimeion rivela, inoltre, la consuetudine di semilavorare gli oggetti in cava per ridurre il peso e i costi. Il trasporto da Oriente a Occidente di manufatti e materiali 21 Vedi note 119-123. Sui ritrovamenti di relitti di navi adibite al trasporto di statuaria ed oggetti artistici nel Mediterraneo,si veda: F. Getsponr, Antike Wrackfunde mit Kunsttrasporien im Mittelmeer, in Das Wrack 1994, I, p. 759 ss, con bibl. prec. I numerosi ritrovamenti di relitti (circa 30) di navi costituiscono la documentazione direta più importante per la conoscenza del commercio delle opere d’arte e di artigianato in cà tardo-repubblicana: cît. P. GIANFROTTA, P. Posty, Archeologia subacquea, Milano 1981, p. 102 ss; F. CongetLI, Il commercio delle opere d'arte in età tardo-repubblicana, in Revixit Ars, Roma 1996 (già in Dial. Arch, 1, 1983), p.317 s. Le navi che trasportavano vino verso la parte orientale del Mediterranco potevano cai care, al ritorno, opere d'arte c di artigianato locale: ID., ibidem,p. 326. 2 Sul relitto di Spargi: N. Lawpootia, II saccheggio della nave romana di Spargi, in RivStudiLiguri, XXX, 1964, p. 258 ss; GIANFROTTA, POMEY, op. ci. a nota 21, pp. 114 s. 338; BELTRAME 1998, p. 38 ss. 23 Sul relito di Mahdia c sugli alti ritrovamenti subacquei: G. BaUCHHENS, Die Fracht, in Das Wrack 1994, I, p. 168, tav. 6, 7, 8. Dai frammenti rinvenuti nel relitto di Mahdia si possono ricostruire crateri, candelabri marmorei e mense di tavoli rotondi o basse conche, con Aymatia ionici sui bordi estroflessi: H.-U. Cami, O. DRAGER, Die Marmorkandelaber, in Das Wrack 1994, I, p. 239 ss; cfr. D. GRASSINGER, Die Marmorkratere, in Das Wrack 1994, I, p. 259 ss,in part. sui tavoli: p. 276 ss., nn. 30-42, figg. 32,33. La nave di Mahdia, proveniente dal Pireo, trasportavaun carico commerciale, databile tra la fine del I secolo a.C. e gli inizi del I secolo a.C. (ag. la distruzione del Pireo da parte di Silla nell’86 a.C. tp. le colonne di imezio della casa di L Licinius Crassus sul Palatino, le prime utilizzate in una domus privata, intorno al 100 aC, diretto certamente a Roma. 24 Cfi. COARELLI,art. cit a nota 21, p. 312 ss; BELTRAME 1998, p.41 142
poteva avvenire sia per via diretta, che indiretta: in quest'ultimo caso il commercio marittimo veniva organizzato nei grandi porti di "ridistribuzione", localizzati lungo le coste campane®s. 1I rinvenimento a Delos di più di centosessanta sculture e di frammenti marmorei, semilavorati? e la scoperta nel quartiere di Skardhana di un'officina di bronzisti per la fabbricazione di fulcra ed altre appliques in bronzo”, attestano che nell’isola, in età tardo-ellenistica, furono attive botteghe marmoree e bronzistiche per la produzione di statuaria ideale e iconica, soprattutto di piccole dimensioni, di mobilia e di arredi2, con artigiani stanziati sul posto? già a partire dalla seconda metà del II secolo a.C. Quindi Delos fu, soprattutto durante la prima metà del I secolo a.C., una delle principali protagoniste, in concorrenza con Atene, del commercio di questi prodotti artigianali destinati al mercato occidentale, in particolare all’Italia centro-tirrenica. Gli studi recenti di Jockey hanno accertato l’esistenza di tre botteghe marmorarie a Delos,
attive tra la fine del IT e i primi anni del 1 secolo a.C.; i rinvenimenti nella casa del Diadumeno indicano, però, non tanto l'esistenza di una bottega vera e propria, quanto l’attività occasionale di alcuni artigiani operanti sul luogo di desti nazione dei manufatti. Le due officine attestate nell’agorà degli Italiani costi tuiscono un chiaro esempio di officine con una produzione eterogenea di rilievi, copie e in particolare di oggetti d’arredo, come i trapezofori (la cosiddetta 25 Come è rivelato dalla presenza nei carichi naufragati di anfore di origine tirrenica, imbarcate evidentemente insieme ai prodotti orientali. Sul commercio marittimo in età romana: J. Nitro Prieto er 4L, Excavacions arqueolögiques subaguatiques a Cala Culip, 1, Girona 1989, p. 239 ss. J.P. MOREL, Le commerce à l'époque hellénistique et romaine et les enseignements des épaves, in G. VoL, Archeologia subacquea e commerci in età tardo-antica, Firenze 1998, p. 485 ss 26 Sulla presenza a Delos di botteghe di marmorari e di bronzisti: cfr. MARCADÉ 1969, pp. 83 ss, 102 ss. Sulla identificazione di una "scuola" delia già si è espresso il Marcadé — MARCADE 1969, p. 249 ss, — il quale, evidenziandone le componenti e le caratteristiche, è giunto a definire la scultura delia una école manguée e a considerare impropri sia il termine "scuola" che quello di “koiné”. Sui rinvenimenti nella bottega dell'agorà degli Italiani a Delos i trapezofori non finiti: DEONNA 1938, pp. 40, 45 s.; Moss 1988,p. 124s. Da ultimo sulle caratteristiche della produzione c sulle officine di Delos nell'età tardo-ellenistica: JOCKEY 1995, p. 87 ss; JOCKEY 1998,p. 117 ss. 2° G. Sienesr, Mobilier délien en Bronze, in BCH, Études Déliennes, suppl 1, 1973, p. 555 ss. iritrovamenti bronzei di Skardhana si datano non anteriormente al secondo quarto del I secolo aC. © attestano l'esistenzadi un'officina bronzistica locale, producente questi articoli di lusso. 28 Plinio vantava l'antica tradizione dell'arigianato in bronzo delio, la cui specialità era la produzione di letti decorati, lecti deliaci o triclinia aerata: Pin, Nathist. XXXIII, 144; XXXIV, 9, 14-15. Il Coarelli (COARELLI, art. cit. a nota 21, p. 316 s) ha già sottolincato la Straordinaria importanza dell'attività artigianale delia, i cui manufatti erano destinati, oltre che al mercato locale, soprattutto all'esportazione. 29 Prima, gli artisti ativi a Delos, provenivano da località estere e lavoravano nell'isola solo saltuariamente: cfr. J. MARCADE, Au musée de Délos, in BEFAR, 215, 1969, p. 79 ss 143
garden sculpture). 1 materiale della bottega della stoà di Filippo, invece, offrono la testimonianza di una produzione specialistica, in serie, standardizzata di statuette di Afrodite di tre diversi tipi. La nascita e l’espansione delle officine delie furono agevolate”! dalla facilità di trasporto dei prodotti, grazie anche all'esistenza di un commercio già fiorente di altre merci (schiavi, vino, olio). Inoltre, l’artigianato delio fu probabilmente favorito dalle difficoltà in cui si trovarono le botteghe ateniesi in seguito al saccheggio di Atene e alla distruzione del Pireo ad opera di Silla nell'86 a.C. Già intorno alla metà del I secolo a.C., però, l'importazione dal Mediterraneo orientale degli oggetti d’arredo sembrerebbe terminata, in concomitanza con la nascita di una produzione artigianale, presto fiorente, in territorio laziale e campano (in particolare nei centri di Pozzuoli, importante terminale dei commerci marittimi, sia orientali che occidentali, diretti a Roma, e di Pompei)®. Il saccheggio di Delos da parte dei pirati, avvenuto nel 69 a.C., determinò la rapida decadenza di tutte le attività produttive e commerciali dell’isola. È probabile che, in seguito a ciò, gli artisti delii si siano trasferiti in Italia: le affinità formali esistenti tra i trapezofori di produzione delia e quelli di produzione locale costituiscono un'ulteriore conferma di tale ipotesi? A partire dalla metà del I secolo a.C., si costituirono, quindi, importanti centri di produzione (con la collaborazione di artigiani greci immigrati, in particolare delii) di oggetti di arredo, tra cui anche vasche e labra, in ambito laziale e campano. Ciò appare confermato anche dai labra e dai supporti esaminati nella presente raccolta, i cui esemplari più antichi, di fabbricazione locale, risalgono proprio all’età tardo-repubblicana. L’opera più antica, databile intorno alla metà del I secolo a.C., è la vasca 30 A. StewaRT, Greek Sculpture. An Exploration, New Haven-London, 1990, p. 226. 31 Sulla presenza a Delos di cave di marmo, che avrebbero anch'esse facilitato la produzione artigianale locale, gli studi recenti (Pri. Fraisst, T. Kozet, Una carriére de marbre au Sud-Est du Cynthe, in BCH, 115, 1991, p. 283 ss.) hanno evidenziato l'esistenza di cave di marmo di scarsa qualità, che varia dal bianco al blu-grigio, utilizzato soprattuto per opere architettoniche, mentre per la statuaria, sin dall'inizio, veniva prediletto a Delos l'uso di marmo importato da Nasso, Paros e anche dal’ Attica, Il riconoscimento, operato da Jockey Qocxev 1998, p. 182 s. di una tecnica tradizionale delia, caratterizzata dalla combinazione di ‘due marmi diversi, il cosiddetto metodo composito, sia per la statuaria ideale che per le statue ritratto, attestata a Delos in età tardo-ellenistica e poi (dopo il sacco dei pirati del 69 a.C.) trasferita a Cos (R. KaBUS-PREISHOFEN, Die hellenistische Plastik der Insel Kos, AM, Beihef 14, 1989, pp. 215 ss. 224s. 245 ss, nn. 36, 37, 42, 56), evidenzia l'uso in scultura di marmi loca li bianchi e blu-grigiasti, 32 La nascita c lo sviluppo di questo fiorente artigianatoin Italia centrale è testimoniato dagli di arredo rinvenuti in Italia, quali sono quasi tutti di produzione locale e per lo più di età imperiale (come attestano anche i labra e i supporti esaminati nel catalogo). Moss 1988, pp. 206 s. 212 s, 229 ss, (sull’offieina di Pompei). 33 Cli CoaRkLLI, art. cit. a nota 21, p. 317. Lo confermano anche i support raccolti nel mostro catalogo: S. 48, 62-64, 79, 90, 97-104, 132-134, 197-226, 260-265. 144
(L. 174) nella casa tardo-repubblicana, attibuita ad Emilio Scauro, di produzione urbana, molto vicina agli esemplari termali rinvenuti a Pompei ed Ercolano, databili tra la fine del I secolo a.C. e l'età flavia. Nelle officine urbane e campane la produzione si incrementó particolarmente tra la fine del I secolo a.C. e il I d.C., con più consistenti testimonianze nella piena età imperiale, quando la produzione dei labra conobbe il momento di massima espansione, con la realizzazione delle opere più preziose, per le quali si perfezionaTono tecniche e forme, con l'utilizzo di marmi d'importazione, prestigiosi, a volte rari, grazie all'apertura di nuove cave (Mons Claudianus) c allo sfruttamento intensivo di quelle già note. Riguardo alle conclusioni del Moss, secondo cui la lavorazione dei trapezofori in marmi importati avveniva del tutto in Italia, nelle grandi officine urbane e campane, in cui erano attivi scalpellini specializzati nella lavorazione di questi marmi, è necessario approfondire alcuni aspetti del sistema produttivo antico per meglio comprendere quali siano stati i produttori dei labra.
e a quale clientela essi fossero destinati. Per prima cosa, bisogna esaminare le
caratteristiche strutturali e i sistemi di lavorazione di alcuni dei più diffusi marmi colorati d'importazione. Sono note la particolare durezza e la difficoltà di lavorazione di basanite, porfido e graniti egiziani, per cui si ritiene che, almeno all’inizio della produzione scultorea romana, gli oggetti realizzati in queste pietre colorate fossero eseguiti e rifiniti completamente in Egitto, presso le cavedi estrazione e nelle officine di Alessandria, ove la lavorazione di pietre molto dure aveva una lunga tradizione e gli artisti locali avevano particolare dimestichezza con esse’. I centri principali di lavorazione delle pietre dure egiziane erano dislo-
cati o presso le cave di estrazione o ad Alessandria. I manufatti potevano essere completamente eseguiti e rifiniti (in genere colonne ed elementi architettonici) nelle officine situate presso le cave? oppure potevano essere sbozzati 34 Così in: DELERUECK 1932,p. 3 ss; ANDERSON, NISTA,op. ci. a nota 52 del paragrafo sui Material, p. 36; GREGARFK 1999, p. 47. 35 Ciò è testimoniato dal torso in “basalto” conservato a Zurigo, del tardo II secolo aC, il quale si caratterizza per le braccia tagliate a metà e forate per il fissaggio della parte restante, lavorata separatamente, secondo la tecnica tipicamente egiziana dell'esecuzione a pezzi assembiati, Cfi; GREGAREK 1999, pp. 47, 257 s, F9, fi. 13 36 Dalle fonti letterarie tarde sappiamo che alcune opere erano completate in cava. Dalla Passio dei SS. Quattro Coronati (PoRPivR., Passio Sanctorum Quattuor Coronatorum, op. cit. a nota 14 del paragrafo sulla Tipologia dei labra,p. 748-784. Cfr. DELBRUECK 1932, p. XIX; Porphyre 2003, p. 30 5) si arguisce che le sculture ordinate da Diocleziano (capitelli, colonne, statue di Vittorie, Amorini e una statua di culto di Asclepio, il cui rifiuto di esecuzione valse il martirio agli scultori) dovevano essere inviate finite dalle cave di porfido. 37 Le officine situate sul Mons Porphyrites rimasero attive fino al 350 d.C. circa. Cit. DevaRveck 1932, p. 11 ss: gli scalpcllini che lavoravano presso il Mons Porphyrites furono 145
in cava? e spediti semilavorati ad Alessandria (in genere statue c opere più complesse). Nella capitale egiziana esistevano officine specializzate, attive dalla prima fase produttiva fino al periodo più tardo», quando, in età doclezianea e costantiniana, esse conobbero una grande fioritura nel realizzare opere (soprattutto ritratti e sarcofagi) destinate principalmente, ma non esclusivamente, alla committenza imperiale. Nelle officine alessandrine, inoltre, venivano eseguite sculture complete, a partire dalle prime fasi lavorative, ed anche opere semilavorate per l'esportazione. In alcuni casi e soprattutto nella fase matura! della produzione scultorea romana (media età imperiale), le opere in pietre dure egiziane potevano essere finite a Roma da officine urbane, in cui erano attivi specialisti egiziani*?, come rivelano i numerosi pezzi semilavorati rinvenuti nell’Urbe®®. Riguardo alla tecnica di lavorazione del porfido, il Delbrueck* precisa che è una pietra dura, ma non fragile, c che le difficoltà di lavorazione sono state in gran parte esagerate. Lo studioso esclude per la realizzazione e politura di colonne e recipienti tondi l'uso del tornio; visibili, invece, sono le tracce dell'uso della sega, presenti sugli orli e i profili di vasi e vasche's. Gli studi più assunti nelle altre cave del deserto arabico. Forse ancora per un secolo continuano ad essere scolpiti i semplici sarcofagi porfiretici, ma certamente nella seconda metà del IV secolo il Mons Porphyrites era completamente spopolato. 38 Comeè testimoniato dal rinvenimento presso le cave di un gran numero di pezzi semilavorat (bust, vasche, bacini, morta, capitelli, fusti di colonne), È interessante il dato ricordato dal Delbrueck (DELBRUFCK 1932, p.3, nota 8) della presenza di blocchi semilavorati di porfido negli impianti del vicino Mons Claudianus: probabilmente per smaltire la produzione temporanicamente in eccesso al Mons Porphyrites, i blocchi erano stati sbozzati al Mons Claudiamus. 39 Di bottega egiziana, verosimilmente alessandrina, sono considerati alcune statue imperiali tetrarchiche: la statua colossale seduta, probabilmente di Diocleziano, al Museo di Alessandria, e i due gruppi tetrarchici della Biblioteca Vaticana e della Basilica di S. Marco: da ultimo FAEDO, op. cit. a nota 19 del paragrafo sui Materiali,pp. 65, 562 s. cat. n. 218. Di fabbricazione egiziana sono anche i sarcofagi imperiali costantinopelitani in porfido e i due di Elena e Costantina ai Vaticani: FAEDO, op. cit,p. 65. 0 Lo testimonia il rinvenimento in Alessandria di un coperchio ultimato di sarcofago di età diocleziance, verosimilmente destinato ad un Mausoleo imperiale, eretto al di fuori dell'Egitto: Deunausck 1932, pp. 3 s, 219; GREGAREX 1999, p. 48, nota 87. 41 GREGAREK 1999, p. 47 s, note 87, 88, #2 La presenza di artisti alessandrini a Roma è presumibile gia nel ITI secolo a.C., quando, in seguito al trattato di amicitia stipulato tra Roma e l'Egitto nel 272 a.C. si intensificarono gli scambie le relazioni tra i due paesi, Le fonti — Diop. SiC. Bibl. Stor, XXXL18 — ricordano un Demetrio topogräphos di origine alessandrina,trasfertosi a Roma prima del 164 a.C. L'arrivo a Roma di artisti e artigiani egiziani aumentò certamente dopo il 31 a.C., con la conseguente trasmissione su larga scala alle officine locali di conoscenze tecniche altamente specialistiche. 5 Secondo alcuni studiosi (DELRUECK 1932, p. 3 ss; Lucci 1964, p. 233) nelle botteghe romane le opere giungevano dalle cave già semilavorate, solo raramente venivano eseguite completamente a Roma da blocchi di cava. 4 Drianvrck 1932, p. 4 ss. 45 Come anche alcuni frammeni del labrum del Templum Pacis (L. 19) conservano, 146
recenti hanno evidenziato nell’estrazione e lavorazione del porfido e delle altre pietre dure egiziane tre tecniche: la segagione, il taglio e la politura o finitura* La segagione avveniva con l'uso di una sega non dentata e con l'aggiunta di acqua e sabbia, che permettevano di tagliare lastre o blocchi. Questa tecnica. antica si è conservata nel Medioevo, quando le colonne antiche di porfido venivano segate per farne rotae o lastre per i pavimenti. La tecnica a taglio, con T'uso di oggetti a percussione (picconi, punte, scalpelli, mazze e mazzette), difnente in metallo, in genere litici, è ampiamente utilizzata in antico. Infine la politura avveniva per abrasione con l'aiuto di altre rocce: arenarie, silice. 1 manufatti più importanti in porfido venivano ordinati in genere dalT'Amministrazione imperiale per usi specifici; tali commissioni dovevano essere accompagnate da progetti”, per la maggior parte elaborati presso VAmministrazione centrale: nel I secolo d.C. ad Alessandria presso il Praefectus Aegypti, nel Il e INI secolo a Roma, e in età tarda nelle città più importanti d'Oriente, Nicomedia e dal 324 a Costantinopoli. Soltanto per
tipologie fisse, quali bacini, vasche, conche e vasi di forma comune, non erano indispensabili progetti ed erano sufficienti ordinazioni su misura;
comunque, di solito le cave egiziane non lavoravano autonomamente, ma su
commissione. L'utilizzo dei progetti subi col passare del tempo cambiamenti: in età traianeo-adrianeo-antonina erano inviati modelli, in genere uguali per tutte le cave; in età tardo-antica, invece, l’amministrazione centrale per gli ordini più importanti mandava nei luoghi, in cui si dovevano svolgere i lavo1i, non i progetti, ma gli artisti stessi. Così nella già citata Passio quattuor. coronatorum
Diocleziano
invia dai Balcani al Mons Porphyrites
un'intera
spedizione di lavoro, costituita da ingegneri, filosofi, che dovevano dirigere i lavori e riferire all’imperatore, e da scultori, artifices; le loro opere venivano inviate all’imperatore ultimate. La Passio non cita statue imperiali, sebbene
esse fossero continuamente richieste; probabilmente le statue-ritratto dell’imperatore venivano eseguite da officine particolari, attive, secondo il Delbrueck, in cava Riguardo alle modalità di lavorazione del giallo antico, la Gregareks, basandosi sulla rarità dei ritrovamenti in Tunisia di sculture in tale marmo, deduce che il marmor numidicum dovette essere destinato soprattutto all'esportazione. Ilrinvenimento nelle cave di Chemtou di pezzi di scarto di colonne e lastre per incrostazioni testimonia che il marmo veniva lavorato almeno in parte nelle cave tunisine e che le opere in giallo antico venivano esportate semilavorate o anche com-
45 L'argomento è riassunto in: Porphyre 2003, p. 18. 47 Sui modelli e gli artisti di opere in porfido: DELBRUFCK 1932,p. 10, 48 GREGAREK 1999, p. 48. 147
pletamente finite. Nella fabrica, scoperta nel praesidium presso le cave, mancano testimonianze della produzione del I e degli inizi del II secolo d.C., mentre i rinvenimenti attestano una vivace attività dalla seconda metà del II fino alla metà del III secolo d.C.: oltre a numerosi scarti di lavorazione, sono state rinvemute molte statuette di Afrodite sbozzate, ascrivibili al III secolo (periodo in cui l’uso dei marmi colorati in Italia andava ormai scomparendo), prodotte esclusivamente per il mercato locale, utilizzando i pezzi di scarto della lavorazione del marmo. Quindi, mentre le prime opere in giallo antico (ad esempio le erme dionisiache, per la maggior parte databili nel I secolo e rinvenute quasi tutte in Italia‘) vennero prodotte, se non proprio in Italia, almeno esclusivamente per l'esportazione, successivamente nel tardo II-III secolo si sviluppò una produzione locale, che usava il giallo antico per temi iconografici indigeni. Per il sistema produttivo delle opere in pavonazzetto il Pensabene, ripreso dalla Gregarek*!, basandosi sulla testimonianza offerta dal carico naufragato a Punta Scifo, afferma che le opere in marmo bianco e in pavonazzetto venivano lavorate nelle cave di Dokimeion o nelle loro immediate vicinanze, come la documentazione cpigrafica attesta, ad opera di maestranze docimee, le quali sbozzavano e scolpivano in loco opere (come bacini e supporti) fino quasi alla finitura o fermandosi a diversi stadi di lavorazione? (sarcofagi, grandi sculture e piccola statuaria "di appartamento", elementi architettonici e di arredo). L’ultimazione delle opere poteva avvenire nel luogo di esportazione, grazie a maestranze locali 0 ad artisti docimei ivi trasferitisi: la presenza di tali artisti attivi in altre località, non si sa se in pianta stabile o no, è testimoniata dalle iscrizioni. La scuola nelle cave di Dokimeion era certamente attiva nel Il e III secolo d.C., come si evince sia dalle epigrafi che dal carico di Punta Scifo, da datarsi intorno al 200 d.C. Le sigle incise sulle colonne e sui blocchi naufragati sono di questo periodo; la data consolare più recente che si trova ripetuta su alcune colonne è quella dei consoli Severo e Vittorino, mentre il riferimento ai consoli del 197 d.C., Laterano e Rufino, su alcuni blocchi, attesta che essi prima di essere imbarcati erano stati fermi nelle cave o a Synnada almeno tre anni 29 Essendo testimoniate solo in Tunisia: a Chemtou e nei Musei di Utica, Tipasa e Cartagine, mentre non si conoscono esemplari simili in Italia: GREGAREK 1999,p. 48, note 90-91. 50 GREGAREK 1999, D 9 ecc. 51 PENSABENE 1978, p. 111 s; GREGAREK 1999, p. 49 s. 521 carico di Punta Scifoè composto di pezzi, esportati via mare, eseguiti in marmi diversi (bianco c pavonazzetto da Dokimeion, bianco dal Proconneso), fabbricati nel e cave di estrazione o nelle loro immediate vicinanze © lasciati in diversi stadi di lavorazione (alcuni appena sbozzati alti, come le colonne, profilati con la superficie lisciata, seppure rozzamente; altri ancora quasi completamente finiti, ad eccezione della politura finale c dell'intaglio dei dettagli, come i bacini ei supporti) 53 Cosi anche PENSABENE 1998 b, p. 356 s. 148
Il catalogo dei labra e dei supporti raccoglie numerosi esemplari non finiti, conservatisi nei siti estrattivi o nei luoghi di esportazione e collocazione. Questi labra e supporti realizzati in marmi e pietre differenti, semilavorati nei diversi gradi di esecuzione e con tecniche diversificate a seconda. del materiale e delle cave di estrazione, rivelano che le forme assunte dai bacini e dai sostegni nei vari stadi di produzione sono sostanzialmente le stesse per tutti i tipi di materiali usati e quindi per tutte le officine. Questa omologazione formale e tecnica testimonia che i manufatti venivano prodotti in larga scala su modelli standard“, secondo le richieste della commit-
tenza pubblica e privata. L’uniformitä dei processi produttivi permette di ricostruire la successione delle fasi lavorative: il primo stadio di lavorazione dei labra, eseguito in cava sul blocco grezzo, estratto in modo informe o rozzamente parallelepipedo, consisteva nella prima sbozzatura grossolana a colpi di piccone, fino ad arrivare ad una preliminare definizione della forma, con un contorno grosso modo emisferico e il piano superiore piatto, lavorato con la subbia grande. Nel secondo stadio veniva definita la circonferenza della vasca, incidendo un primo cerchio sul piano superiore del blocco, che corrispondeva al contorno esterno del labbro del bacino. Venivano sommariamente definiti i particolari, come ornati aggiunti e anse, sbozzati con la subbia grande. Nel terzo stadio si creava la concavità interna: utilizzando la subbia grande con colpi inferti perpendicolarmente si ribassava il piano orizzontale del labbro, segnando il bordo interno con una circonferenza a colpi di scalpello continuo, da cui partivano lunghi colpi di subbia, a volte diagonali, per creare le pareti interne, e colpi più irregolari e brevi per cavare il fondo, da cui spesso emergeva una sporgenza centrale per segnare l'ombelico. Nel quarto stadio si giungeva a forme più definite: si arrivava ad una semirifinitura a subbia media di tutte le superfici, esterne ed inteme. Successivamente esse venivano ripassate con la subbia piccola e la gradina, in modo da modellare meglio i profili interni ed esterni, segnando più attentamente i particolari, fino a giungere a un buono stato di finitura. La prassi comune sembra quella di rifinire prima il labbro, definendone il profilo e le eventuali parti sporgenti, e di risparmiare gli omati aggiunti, quali anse ed altri elementi ornamentali; gli strumenti usati erano lo scalpello piatto e la gradina. Quindi si rifiniva la concavità interna e la rotondità esterna. I primi quattro stadi erano di solito eseguiti nelle piazzuole di cava, sia che si trat-
54 Analoghi modi di produzione di massa sono già stati sottolineati per i manufatti architettonici, a proposito di esemplari sbozzati in marmo lunense e in proconnesio, da: PeNSABENE 1998, in part. p. 343. Nelle cave dell’isola di Proconneso si conservano alcuni labra semilavorati, di piccole dimensioni (diam. cm 60-70 circa). 149
tasse dei marmi bianchi, che dei colorati, come le pietre dure egiziane (porfido, basanite e graniti) e i marmi piü teneri, quali portasanta, giallo antico, pavonazzetto, ecc.s. Questa era per i labra la condizione più adatta al trasporto, essendo la forma ben definita, ma con la superficie ancora grezza, e i dettagli solo risparmiati; il peso era ridotto al minimo per un più agevole trasporto, pur senza dover correre il rischio di danneggiare le parti in aggetto, che non erano ancora state rifinite. A confermare questa prassi lavor tiva abbiamo da una parte l'assenza nelle cave di labra già finiti o nelle fasi finali di rifinitura e dall'altra la presenza in cava di numerosi esemplari semilavorati, lasciati nei primi quattro stadi di lavorazione: due bacini, rozzamente cavati internamente e sbozzati esternamente a colpi di subbia grande, nelle cave del Mons Porphyrites (L. 1, 2); due con forme più definite, di cui uno con disco interno per l’ombelico e l’altro con ancora ben visibili i segni di cunco e la sigla “RACLP”, formula abbreviata di controllo contabile, nelle cave del Mons Claudianus (L. 29, 30, 31); altri due labra, dai profili appena sbozzati, nelle cave di Nicotera (L. 44, 45); due nelle cave dell’isola d'Elba, di cui uno (L. 42) presenta gli abbozzi delle anse, la cavità interna non ancora scavata, né il profilo del fondo esterno segnato, mentre l’altro (L. 43) ha l'interno appena incavato e l'esterno rozzamente sbozzato a piccone e subbia grande. Due bacini sono stati lasciati nelle cave pergamene con i contorni, il labbro e l’ombelico già ben definiti (L. 40, 41); un labrum. a Simitthus con i contorni ben definiti, tipici dell'ultimo stadio di semilavorazione (il quarto) effettuato in cava (L. 68); uno nelle cave di Kylindri a Myloi in Eubea, con abbozzi delle anse e labbro rifinito (L. 83); tre esemplari sbozzati all’esterno e incavati internamente nelle cave di Dokimeion (L. 134, 135, 136); uno frammentario presso le cave di Chassambali a Larissa (L. 77). Dieci labra (L. 92-101) e tre supporti (S. 71, 72, 73) semilavorati sono rimasti nella cava del distretto di Moria a Lesbo: essi documentano tutti e quattro gli stadi del processo di semilavorazione in cava; in L. 93 è accennato anche l'ombelico. Un'ulteriore conferma che i pezzi venissero semilavorati fino al quarto stadio nelle cave e poi trasportati, in genere via mare, nei luoghi di destinazione è fornita dai labra pertinenti al carico naufragato a Punta Scifo (L. 58, 59, 60; S. 34, 35, 36, 37, 38). Alla stessa conclusione si giunge esaminando i labra semilavorati presenti nei luoghi di esportazione. A parte rari casi, quali i Jabra conservati a Sabratha (L. 102), a Eretria (L. 113), a Mileto (L. 120) e a Trieste (L. 185 e 187), tutti lasciati nel V stadio di finitura finale, con pareti ripassate a subbia piccola e a gradina, 55 Si è già visto che di officine presso le cave si hanno testimonianze fino all'età tardo-antica nel Mons Porplyrites c, almeno per il II Il secolo, a Dokimeion c a Chemtou. 150
la maggior parte dei labra giunti semilavorati nei siti di esportazione sono documentati ad Ostia. Questi esemplari ostiensi sono per la maggioranza lasciati nel quarto stadio di lavorazione (L. 61, 70, 71, 76, 87, 111, 165, 169); sbarcati a Porto, venivano immagazzinati nei depositi della Statio Marmorum di Porto e a volte ultimati nelle officine di Porto o di Ostia, la cui attività & testimoniata sia dai Jabra e dai supporti ostiensi rimasti in uno stato di quasi finitura (quinto stadio: L. 55, 75, 167; S. 231), che da quelli completamente rifiniti e levigati (L. 24, 33, 69, 72, 78, 86, 88, 164, 166, 168; S. 31, 40, 58, 65-68, 82, 83, 87, 228-231, 233-236, 269-271) Infatti, la rifinitura e la lisciatura finali venivano effettuate in genere nel luogo di impiego dei manufatti. Nel quinto stadio veniva lisciata la superficie. ancora grezza con la subbia piccola e poi con la gradina e la raspa venivano rifiniti i particolari e gli ornati, con scalpelli a varie punte. La rifinitura finale e la levigatura, nel sesto stadio, consisteva nel completamento degli ultimi dettagli, nell'eliminazione delle imperfezioni e dei segni lasciati dagli strumenti e nella lucidatura delle superfici: operazioni eseguite con raspe abrasivi specifici, a secondo del tipo di marmo. Il quinto e il sesto stadio venivano eseguiti in genere nelle officine attive presso le marmorate dei centri d’importazione. Per quanto riguarda le vasche in pietre dure egiziane (porfido, basanite, gra ti), si è visto che il lavoro di sgrossatura e definizione della forma avveniva nelle cave, mentre il lavoro di completamento e di rifinitura era eseguito, come supposto per la statuaria e per le opere più complesse, sia ad Alessandria che a Roma (almeno nella media età imperiale), dove erano attivi artigiani specializzati nella lavorazione delle pietre dure egiziane. Questa ricostruzione del processo produttivo è confermata dall'esame dei supporti semilavorati qui catalogati. Si può, infatti, enucleare un'analoga successione degli stadi di lavorazione, supponendo, come per i Jabra, che le prime fasi fossero eseguite presso i siti estrattivi e la rifinitura finale avvenisse in genere nei luoghi di destinazione. Nello stadio iniziale il supporto riceveva una prima sbozzatura grossolana a colpi di piccone, fino ad arrivare ad un contorno approssimativamente cilindrico. Come per i fusti delle coonne, venivano poi definiti l’asse centrale sulla testata, punto di riferimento per le successive fasi, e le altezze delle estremità modanate, incidendo una linea come limite tra il fusto e l'inizio delle cornici. Seguiva la sbozzatura e semirifinitura a subbia media di tutte le superfici, cominciando dalle testate, i cui contorni erano fissati da una circonferenza incisa e i cui piani venivano appianati con una picchiettatura a subbia piccola nella fascia esterna e con una rozza sbozzatura a subbia media nel cerchio centrale. Questo è il grado di finitura dei supporti pronti per essere inviati dalle cave nei luoghi di destinazione, dove effettuare la finitura e la lisciatura finale. Nelle ultime fasi tutte le superfici erano ripassate con una lavorazione a subbia piccola; in genere si ri151
finivano prima il “capitello” e la base, con subbia piccola e gradina, e poi il fusto. Successivamente le superfici venivano definitivamente levigate, lisciati i particolari ed eliminati i segni lasciati dagli strumenti, come per i labra. Nel piano di posa superiore, ulteriormente lavorato con la gradina, la zona centrale veniva lasciata più grossolana per un migliore ancoraggio del bacino oppure vi veniva praticato un incasso per l'alloggiamento del tenone sul fondo del labrum corrispondente. Questa successione delle fasi di lavorazione è documentata dai supporti conservati: quelli rimasti a Moria nelle cava di Lesbo (S. 71-73) sono lasciati nell'ultimo stadio di semilavorazione effettuato nelle cave, lo stesso attestato nei semilavorati di Ostia (S. 32, 53, 69), che sono stati spediti sbozzati a subbia, con le varie parti delineate e segnalate da lince incise. Il supporto semilavorato in rosso antico (S. 56), riutilizzato nella Chiesa di Keria, nella penisola di Mani, potrebbe essere stato sbozzato presso le cave di rosso antico, presenti proprio nel promontorio del Tenaro; quello in marmo bianco locale, non finito, rinvenuto negli scavi di Mani (S. 147) attesta una lavorazione in loco del materiale indigeno. Ciò è testimoniato anche da altri supporti non finiti, realizzati in materiali locali e sbozzati in officine indigene, presso le cave: i due supporti di Mileto (S. 151, 158) nel marmo bianco della vicina Eraclea; quello a Thasos (S. 171) nel bianco tasio di Aliki c il sostegno a Tolemaide (S. 252) in pietra vulcanica locale. I supporti potevano anche essere inviati dalle cave in uno stadio più avanzato di lavorazione, con tutti i particolari rifiniti e le superfici lisciate a gradina, come testimoniano quelli rinvenuti nel carico naufragato a Punta Scifo (S. 35-39), ai quali manca solo la politura e l'ultimazione delle zampe ferine. Che la lavorazione finale avvenisse nei luoghi di esportazione, come si è visto per i Jabra, è testimoniato sia dai supporti inviati sbozzati a destinazione: a Cirene (S. 131, in proconnesio) e a Corinto (S. 55, in verde antico), sia dai sostegni ostiensi rifiniti in loco, che da quelli privi solo della politura (S. 232). Interessante è l'attestazione di ben cinque supporti in marmi grigi e bianchi (S. 101, 198, 209, 217, 218, 219) finiti, ma non ancora lisciati, posti in uso nei giardini e negli atri delle case pompeiane, mentre uno più rozzamente lavorato (S. 262) è collocato nel ninfeo della casa del Centenario. I marmi grezzi e i manufatti semilavorati erano inviati dalle cave di estrazione e di prima lavorazione, direttamente o indirettamente, a Roma, dove approdavano nel porto marittimo di Portus?) presso Ostia. Qui i materiali veni56 L'esistenza in Asia Minore di centri di raccolta di materiali vari, provenienti da cave diverse, è testimoniato dal carico naufragato a Punta Scifo, composto sia di oggetti in marmo sinnadico, che di pezzi in marmo proconnesio: cfr. MONNA, PENSABENE 1977, p. 65 s . 57 Sui porti di Ostia e Portus: MAISCHBERGER 1997, p. 33 ss, 55 ss. (sl trasporto delle merci tra Porto e Roma). 152
vano immagazzinati e in alcuni casi lavorati: i cospicui rinvenimenti di marmi bianchi (meno rappresentati perché piü richiesti, e quindi subito smaltiti) e di marmi colorati nella parte settentrionale dell'isola Sacra, sulla sponda sinistra. dell'antica Fossa Traiana (canale di Fiumicino) o all'interno del canale stesso indicano che i depositi ele officine marmorarie erano dislocati in queste zone periferiche e fuori dal porto. Le attività di scarico e di stoccaggio dei materiali a Porto, in base ai dati epigrafici, non cominciarono prima dell’etä domizianea e aumentarono notevolmente soltanto in età traianeo-adrianea. Da Porto la maggior parte dei marmi riprendeva la navigazione, per via fluviale, verso Roma, dove il più importante luogo di approdo e di deposito, attivo dalla tarda età repubblicana, era l'Emporium**, denominato nel Medioevo Marmorata, con i connessi Horrea 9 situati sulla riva sinistra del Tevere, nella pianura tra Aventino e Testaccio. Che i Jabra venissero inviati dalle cave con le forme definite, ma le superfici non ancora lisciate e i particolari non ultimati, lo testimonia il b cino L. 90 conservato nell’ Antiquarium del Celio a Roma, proveniente probabi mente proprio da questi depositi situati lungo il Tevere®. L’Emporium, oltre che centro di deposito dei marmi importati dalle cave imperiali, era anche sede degli uffici della Statio Marmorum, in cui i funzionari imperiali controllavano e gestivano la mercesi. Da qui i semilavorati venivano distribuiti nelle officine urbane competenti per il completamento e la rifinitura. I rinvenimenti a Marmorata di numerosi blocchi sbozzati e di sculture semilavorate rivelano l’importanza di questo porto urbano e dei suoi depositi, mentre la presenza di immense quantità di schegge di marmi bianchi e colorati attesta che all’Emporium esistevano anche officine" dove i materiali potevano essere o ultimati oppure sottoposti ad 58 Su Emporium e Marmorata: 3.C. Fant, The Roman Imperial Marble Yard in Portus, in Ancient Stones (ActaArchLovMon,4, 1992), p. 115 ss LTUR, I, 1995, s. v. Emporium,p. 221 ss. (C. Moccneaciani Carpano); III, 1996, s. v. Marmorata, p. 223 (M. MAISCHBERGER); MAISCHBERGER 1997, p. 61 s 5° LTUR, ll, 1996, s. . Horrea Galbana, p. 40 ss. (E. COARELLI). Sulla tesaurizzazione nella Statio Marmorum dei marmi più preziosi, quali portasanta, africano, giallo antico, granito grigio del Mons Claudianus e il marmo statuario di Paros, e sulla presenza in questi di sigle di cava e di controllo: PENSABENE 1998 b, p. 354 ss. il quale sottolinea come per i marmi meno costosi, quali proconnesio, bigio antico di Lesbo, greco scritto di Ippona, graniti della Troade, dell'Elba, della Misia e lunense, manchino o siano scarse le sigle complesse e non sia testimoniato un grosso accumulo. 0 Si ricorda anche la vasca semilavorata, di cui non si può riconoscere il materiale, del tipo B.I, conservata in piazza Don Bosco a Roma: AMBROGI 1995,p. 158s. n. 84 ‘61 Sull'organizzazione del sistema amministrativo, da ultimo: PENSABENE 1998 b, p. 358 ss. con bibl. prec. Sulla localizzazione della statio marmorum esulla lettura del termine statio in senso concreto di edificio amministrativo o in senso astratto di settore dell'amministrazione Maiscunerae 1997, p. 139 ss. '8 Sui blocchi grezzi di cava rinvenuti a Marmorata e sulla possibile presenza a Testaccio di magazzini c botteghe marmorarie, da ultimo: PENSABENE 1998 b, p. 359, nota 122, con bibl. prec. 153
un'ulteriore lavorazione per ridurre il peso superfluo, prima del loro invio a destinazione. I due labra in alabastro, conservati al Louvre (L. 26, 27) e rinvenuti proprio a Marmorata, possono costituire una testimonianza ambivalente: la loro completa finitura è indicativa sia dell’esistenza in zona di officine, se inviati semilavorati, sia della attività di scalo marmorario di opere complete, se giunti a Roma già ultimati. Una grande concentrazione di elementi prelavorati e di opere incompiute è attestata nella zona del Campo Marzio settentrionale e occidentale*: tra i rinvenimenti predominano le colonne semilavorate e il granito. L’identificazione di quest’area, da parte del Lanciani, come sede di numerose botteghe marmorarie**, va rivista in base alle considerazione del Maischberger®, il quale, evidenziando la concentrazione dei rinvenimenti nelle zone a ovest e a nord dello Stadio di Domiziano fino alle sponde del Tevere e più a nord-est fino al Mausoleo di Augusto, individua in quest'aree non veri e propri depositi, ma i resti dell'attività marmoraria di officine che operavano in stretta relazione, seppur ad una certa distanza, con i cantieri edili impegnati nelle grandi opere di ristrutturazione e monumentalizzazione del Campo Marzio in seguito all’incendio dell'80 d.C. L'analisi delle diverse fasi del processo produttivo dei labra e dei supporti ha dimostrato che si seguivano parametri fissi su modelli standard; le officine, dislocate presso le cave o nei centri d’importazione, basandosi sulle richieste del mercato o su commissioni specifiche, per i prodotti piü pregiati, si concentravano sugli otto tipi-base dei Jabra (I’ VIII esclusivamente su ordinazioni dirette), sui sei tipi dei supporti, sulle dimensioni (dipendenti da poche misure-base, con i loro multipli e sottomultipli), e sugli eventuali ornamenti aggiunti (kymatia, baccellature, protomi, motivi vegetali, ecc.). Questa orga nizzazione quasi® industriale della produzione dei labra e dei supporti, che, peraltro, affonda le sue radici nella produzione in serie dei sostegni a colon-
© Come ad esempio i rinvenimenti di blocchi c di sculture di Daci in via del Governo Vecchio e in via dei Coronari. Sul Campo Marzio occidentale e settentrionale: cfr. GNOLI 1971, p.23 s; GNoL 1988,p. 31 s; MAISCHBERGER 1997, pp. 95 ss, 108 ss. Il Lanciani aveva erroneamente localizzato la Statio dell’ Amministrazione dei marmi sotto la Chiesa di S. Apollinare; anche l'identificazionc da parte dello stesso studioso dei resti di strutture portuali rinvenuti presso Tordinona con un molo per lo sbarco dei marmi, va riesaminata considerando l'esistenza di altr scali fluviali in corrispondenza delle sponde tiberine del Campo Marzio: LaNciaNi,[, p. 8 .; ID. Studi d’artist nella Roma antica, in BullCom, 50, 1922, P. 65; cfi: GNoLI 1988, p. 32, nota 1 5 Maiscunraorn, loc cit, 66 È necessario sottolincare che per i Jabra e i supporti in porfido, graniti, basanite, non si può parlare di produzione standardizzzata. Queste opere prestigiose venivano eseguite solo su precise ordinazioni: si veda supra, p. 145 ss. 154
netta ad opera delle officine greche di età ellenistica®, permetteva lo stoccaggio di una certa quantità di pezzi pronti o quasi pronti e una diffusione su larga scala in grado di soddisfare le numerose richieste del mercato sia pubblico, che. privato. Che i labra venissero in genere eseguiti in connessione con i supporti pertinenti é testimoniato dai pezzi naufragati a Punta Scifo, dai rinvenimenti in cava dei semilavorati (ad esempio il materiale rimasto nel distretto estrattivo di Moria a Lesbo) e dagli esemplari conservatisi completi di vasca e sostegno: tenoni sporgenti dal fondo del labrum e incassi combacianti, scavati sul piano superiore del supporto, permettevano l’incastro perfetto dei due elementi. Grazie a questa efficiente organizzazione del lavoro in serie i costi potevano essere. i produzione contratti. Ne deriva certo una produzione sostanzialmente omogenea, per cui la maggiore o minore qualità di queste opere dipende unicamente dalla scelta del materiale e delle dimensioni. Stabilito che i primi stadi di lavorazione di labra e supporti avvenivano in genere sulle piazzole dei siti estrattivi, mentre le ultime fasi di rifinitura e lisciatura si svolgevano nei centri d’importazione e/o di destinazione, affrontiamo ora il problema di come fosse organizzato questo lavoro finale e dove e da chi venisse eseguito. Le officine antiche erano molto ben organizzate al fine di economizzare al massimo tempo, spazio e forza lavoro, razionalizzando la produzione: i grandi centri produttivi erano articolati in botteghe che realizzavano opere scultoree figurate, statuaria a tutto tondo e opere a rilievo, e in botteghe in cui si scolpiva il materiale non figurato, come elementi architettonici e oggetti di arredo. Già il Lanciani** aveva distinto le botteghe degli “scultori”, dove si eseguivano le opere plastiche, da quelle in cui lavoravano “scarpellini ornatisti, marmorari, intagliatori, musaicisti...". Le prime si trovavano
dislocate in varie zone della città, mentre le officine degli "scalpellini marmorari" erano riunite "nel lembo settentrionale della pianura cistiberina, fra I'Agone e Ponte, ossia tra S. Apollinare ed il molo di sbarco di Torre di Nona". Queste distinzioni sono spiegabili con le necessità pratiche di trasporto dei pezzi ultimati, più pesanti e ingombranti quelli architettonici © quindi da realizzare in luoghi più agevoli per gli spostamenti o in relazione con i cantieri edili. Anche secondo la Gregarck le officine che a Roma eseguivano colonne ed elementi architettonici erano diverse da quelle che scolpivano opere plastiche figurate e che questi due diversi tipi di botteghe sorgevano in luoghi differenti della città. e alle interessanti osservazioni del Moss: p. 137 ss. a quanto già scritto supra 67 Si rimanda in part. pp.139-140, 68 LANCIANI, I, oc. cit; LANCIANI, art. cit. nella nota 64. © GregaREK 1999, p. 50. 155
Oltre a questa probabile distinzione di base tra officine di opere figurate e officine di architettonici e di oggetti d’arredo, non dobbiamo immaginare ulteriori suddivisioni basate sui materiali o sulle tipologie: la specializzazione, come ha già sottolineato il Moss, avveniva all'interno di ogni grande officina. a livello individuale. Le specializzazioni individuali sono rintracciabili già nelle officine attive presso le cave. Il Pensabene, riprendendo una teoria del Bruzza”, sottolinea, infatti, che gli operai attivi nelle cave erano suddivisi in numerose specializzazioni, per cui alcuni scolpivano gli elementi architettonici, altri la decorazione figurata: ciò non va inteso come prova di un livello tecnico notevole, ma come conseguenza del carattere primitivo degli utensili, il cui uso richiedeva un’alta qualificazione dei singoli operai. L'artigianato artistico antico di età imperiale sviluppò, per la varietà e la vastità della richiesta, un’organizzazione di tipo industriale, altamente diversificata e specializzata: così nell'esecuzione degli elementi architettonici, diverso era lo scultore dei capitelli da quello dei fregi, e nella statuaria iconica, lo scultore del corpo da quello del ritratto”!. Lo stesso accadeva per la lavorazione dei sarcofagi, in cui i volti, lasciati sbozzati, venivano completati al momento dell’acquisto da artigiani specialisti nell’esecuzione di ritratti, diversi da quelli che avevano realizzato i fregi. Si può, quindi, ipotizzare che ogni importante bottega di Roma o di altri grandi centri produttivi presentasse al suo interno le varie specializzazioni tecniche: scalpellini di marmi bianchi e di marmi colorati, scalpellini di rilievi e di opere a tutto tondo, ecc. Questi artigiani dovevano, inoltre, essere ben organizzati gerarchicamente, con una netta ripartizione delle competenze, in base alle capacità tecniche e alle esperienze professionali: su tutti dominava il capo-officina, che dirigeva i lavori, fornendo modelli c bozzetti e affidando, con la sua supervisione, l'esecuzione agli aiutanti, in base alle loro specifiche mansioni”. È probabile che i labra con i loro supporti fossero realizzati dalle stesse maestranze che eseguivano i mobilia marmorei e le cosiddette "sculture da giardino" (tavoli, candelabri, puteali c trapezofori)?. I labra in marmi importati, giunti sgrossati nei luoghi di destinazione (Ostia, Roma, Pozzuoli ecc.) venivano trasferiti nelle officine marmorarie locali per essere completati e finiti. In base a quanto si è già detto a proposito della lavorazione delle pietre 7 L. BRUZZA, Iscrizioni dei marmi grezzi, in AnnInst.,42, 1870,p. 106 ss. part. p. 129; P. PensaBene, Considerazioni sul trasporto di manufatti marmorei in età imperiale a Roma e in altri centri occidentali, in Dial. Arch. 6, 1972, p. 352, nota 110. 7! Ci. EAA, Il, SuppL, p. 271,s. v. Copie e copisti (C. GASPARRI) 72 Era il capo-officina che in genere firmava l'opera, con la formula ex officinae il nome in genitivo: PENSARENE, art. cit, in Dial. Arch, 3,1, 1983, p. 61 73 Si è già detto di questa particolare produzionea proposito delle ffi di Delos: Jockey 1998, p. 179. 156
dure egiziane, possiamo supporre che l'esecuzione dei labra realizzati in tali
materiali, di cui molti pertinenti al tipo lussuoso, richiedeva competenze tecniche specifiche, con una profonda conoscenza del materiale e della strumentazione. Erano pertanto eseguiti o presso le cave o ad Alessandria, oppure erano realizzati o solo ultimati nell Urbe, da artigiani altamente specializzati e di comprovata abilità tecnica, di origine o di cultura egiziana. Questi scultori, che potevano vantare di essere gli eredi diretti dell'antichissima tradizione scultorea egiziana”, immigrati a Roma già prima dell'età tardo-repubblicana”s, riuscirono a trasmettere agli scalpellini urbani la loro straordinaria abilità sia nello sgrossare sia nella politura finale, che richiedeva metodi particolarmene laboriosi e sofisticati nel caso delle pietre dure colorate. Anche i bacini di piccole e medie dimensioni, in marmi bianchi e in pietre colorate tenere d'importazione, sono in genere opere di alto livello qualitativo, eseguite da specialisti marmorari, immigrati dalle terre d’origine dei marmi o locali, ma con competenze specifiche. Probabilmente gli specialisti nella lavorazione di marmi e pietre colorati d'importazione costituivano lo strato più alto nell’articolazione gerarchica delle officine. I loro prodotti erano i più prestigiosi: la finezza esecutiva, la ricchezza del materiale e spesso? le grandi dimensioni contribuivano a rendere unici questi labra. Un discorso a parte meritano i labra e i supporti realizzati in materiali locali da botteghe indigene e rinvenuti in centri periferici e provinciali. Si tratta di bacini in genere di piccole dimensioni, raramente medie (L. 122, 177), eseguiti più modestamente ad imitazione dei prodotti in marmo; essi utilizzano pictre e calcari locali, spesso piuttosto rozzi, lavorati verosimilmente in prossimità delle cave. I supporti in pietre locali sono quasi? esclusivamente del tipo II a colonnetta, liscia e scanalata, di dimensioni minori?* e di esecuzione più corsiva. La committenza doveva essere indigena, con una distribuzione limitata alle aree limitrofe ai centri produttivi. Questa produ7" In Egitto lo sfruttamento delle cave di marmi colorati è attestato sin dall’cä predinastica: ad esempio l'uso del “basalto verde” è documentato per utensili e statue già da allora: Gnecarek 1999, p. 37. L'uso dei marmi colorati in Egitto continua in età faraonica e tolemaica: RD. Kur, Die Steine der Pharaonen, München 1981; U.-W. Gans, Hellenistische Architekurteile aus Hartgestein in Alexandria, in AA 1994, p. 433 ss; su tale argomento si rimanda a quanto detto nel paragrafo sui materiali 75 Sulla presenza di scalpellini specializzati a Roma e ovunque venisse richiesto l'uso del marmo colorato: cfr. R.M. SCHNEIDER, Coloured marble. The splendour and power of imperial Rome, in Apollo. The Int. Magazine of Arts, July 2001,p. 3 ss, in part. p. 7. Sugli scultori egiziani: nota 42. 76 Ma non sempre: si pensi al raffinato baci i verde antico, dl diametro di soli em 174; L. 81. 77 Due esemplari del tipo I: S. 254, 258; uno del IV:S. 263; tutt e tre di provenienza 78 La media oscilla tra i cm 50-60, con alcuni di cm 30.40. 157
zione minore, locale, di labra e supporti è attestata in Italia settentrionale?, in Campania®, nelle province nordiche! ed anche in Grecia? e in Cirenaica®. A proposito della Grecia continentale, insulare e orientale è necessario inserire in questo discorso anche i numerosi labra e i supporti in marmi bianchi e grigi di produzione e diffusione solo locale*: in tutti questi esemplari la qualità dei materiali e la resa formale è, comunque, sempre di buon livello. È interessante notare che i bacini e i supporti d’ambito greco sono quasi esclusivamente realizzati in marmi e pietre locali, poco prestigiosi, ad eccezione di rari casi come i supporti in pentelico e proconnesio a Cirene (S. 127-131): ciò dimostra che queste opere, nel mondo greco di età romana, erano considerati prodotti secondari L'area di distribuzione dei bacini e supporti in materiali locali corrisponde alPincirea a quella della produzione minore, indigena, di trapezofori in pietre locali analizzati dal Moss. Così i due labra (L. 183 e 184) e i due supporti (S. 260, 261) pompeiani risultano realizzati in una pietra calcarea porosa, simile al travertino, estratta nella valle del Samo, già attestata per i trapezofori. Anche i labra di Trieste (L. 185-188) si possono confrontare con i sostegni rinvenuti in Histria, Veneto e Norico, realizzati in pietra d’Istria e in calcare d' Aurisina. I labra ci supporti resi in questi materiali più poveri non sono in genere eseguiti rozza‘mente (tranne alcuni: S.
107, 245, 248, 249, 272) e, a parte rari esemplari (ad
esempio: L. 180), richiamano sostanzialmente i modelli più colt, riproponendo alcuni tipi consueti (labra II, III, IV.VI), a volte arricchendo le pareti csterne con motivi vegetali (L. 179) o con baccellature (L. 181). Queste officine indigene,
probabilmente attive presso le cave locali lavoravano basandosi sui modelli for-
PL. 185-188, S. 266-268: Trieste, pietra calcarea, piccole dimensioni. 30 L. 183 c 184: Pompei, pietra calcarea, piccole dimensioni;S. 260-265, travertino, tufo, calcare. S. 254-259: arca vesuviana, calcare tipo Samo. IL. 177: Heerlen, pietra calcarea, medie dimensioni; L. 178: Hüfingen, pietra calcarea, piccole dimensioni; L. 179: Mainz, pietra calcarea, piccole dimensioni; L. 180: Otrang, arenaria, piccole dimensioni; L. 181: Pölich, pietra calcarea, piccole dimensioni. Sulle cave di pietre vulcaniche in Germania: Steinbruch und Bergwerk. Denkmäler römischer Technikgeschichte wischen Eifel und Rhein, Mainz 2000 : L. 113: Bretria, breccia locale, piccole dimensioni. S. 241-244: Argo, S. 245: Astros, 5.250, ou, 3 51: Ra pietre vulcaniche locali. 33 S, 246-249: Cirene,S. 252-253: Tolemaide, in pietre vulcaniche scure 94 L. 114-118 (L. 118: di ambito regionale, Pangeo?),S. 89-95: Amphipolis, Dion, Delos, Calcide, marmo grigio locale. L. 133, 137, 138, 139,S. 107-111,125-126, 132-138, 142-144, 147, 165-166, 176: Ambracia, Amicle, Amphipolis, Dion, Efeso, Filippi, Kalamata, Kavala, Calcide, Delos, Mani, Nikopolis, Pella, eria, marmo bianco locale. L. 122: Priene, marmo grigio locale, medie dimensioni. S. 148-159: Mileto, marmo bianco della vicina Eraclea. Per le indicazioni sui materiali dei labra citati di ambito greco e greco-orental si ringrazia Matthias Bruno. Sulle cave dei marmi bianchi: ATTANASIO 2003, p. 154 ss. 158
niti dalla produzione superiore, urbana‘. Esse si rivolgevano ad una clientela indigena, meno abbiente, desiderosa di acquistare altemative piü economiche alle costose vasche in marmi importati; la lavorazione in loco riduceva i costi, elimi nando le spese di trasporto dal prezzo complessivo del prodotto finito. Le funzioni dei labra di questa produzione locale sono sia religiose (L. 185-188: votive; L. 184: cultuali; L. 138, 139: da Basiliche paleocristiane: di riutilizzo?) che civili (L. 118?, 133?, 177, 178, 1802, 181: bagni pubblici e privati).
La distribuzione dei labra e dei loro supporti fornisce informazioni eloquenti sulla dislocazione delle officine che li realizzarono o meglio Ii ultimarono, una volta giunti a destinazione: a parte gli esemplari isolati, i rari raggruppamenti (a Dion: L. 116-118, 132-133, S. 83, 89-93, 134-135; Pergamo: L. 40-41, 57, 65, 67, S. 75-76, 166; Trieste: L. 185-188, S. 265-267), i semilavorati in cava e i pezzi naufragati, grandi concentrazioni sono documentate nell'area centrale della costa occidentale tirrenica, dal Lazio alla Campania®. In questa zona dovette concentrarsi il grosso della produzione di labra e supporti di età romana, con officine disseminate presso i centri portuali e i mercati più importanti, dove arrivavano i materiali grezzi o sbozzati e dove maggiore era la richiesta: ad Ostia, nella zona vesuviana (a Pozzuoli e a Pompei) e a Roma stessa. Dalla capitale provengono gli esemplari più notevoli, per dimensioni, qualità, tipologia e ricchezza dei materiali: i labra e i supporti nei graniti egiziani, in basanite, in porfido sono stati scoperti quasi tutti a Roma” Dell’organizzazione delle officine urbane si è già detto: per i labra e i supporti in esame si è ipotizzato che essi fossero realizzati, in toto o solo rifiniti, in una grande officina oppure in varie piccole officine collegate tra loro, specializzate nella lavorazione dei mobilia, degli elementi architettonici, delle lastre parictali c pavimentali, in breve dei manufatti non figurati in marmi bianchi e colorati d'importazione. È probabile, inoltre, che i labra in marmo bianco italico (L. 171, 172, 173, 174, 176) siano stati eseguiti da scalpellini di livello 55 Con ciò si conferma quanto scritto dal Moss a proposito dei trapezofori d’imitazione, creati da botteghe indigene: Moss 1988, pp. 63, 201 s, 223. #6 Boscoreale: L. 74, 144; Città del Vaticano, da Roma: L. 12, 13, 34, 35, 45, 49, 62; Ercolano: L. 84, 85, 45; Firenze, da Roma?: L. 5, 6, 7; Napoli, da Roma: L. 8 e 9; Ostia anti» ca: L. 24, 33, 52, 55,61, 69, 70,71, 72, 75, 76, 78,86, 87, 8, 111, 163, 164, 165, 166, 167, 168, 169; Pompei: L. 103, 104, 123, 124, 128, 126, 154, 155, 156, 157, 158, 159, 160, 183, 184; Roma: L. 14, 15, 16, 17, 18, 19,20, 21, 22, 36, 37, 38, 51, 53,63, 64, 66, 73, 79, 80, 81, 89, 90, 91, 105, 109, 170, 171, 172, 173, 174,176, 190; Stabia: L. 129. 57 Con rare eccezioni: in cavaL. 29, 30 (Mons Claudianus), L. 1,2 (Mons Porphyries), ad Alessandria(L. 46, . 27) dove, come si gid detto, esistevano officine per la lavorazione e finitura delle opere in pietre dure; a Venezia (L. 10); a Verona(L. 11, S. 7); Bolsena (L. 32, 5.20); a File (L. 47), a Gerasa (L. 48), a Palermo (S. 6); a Montecassino (S. 3) Due support in por do sono conservati a Copenhagen (S. 1) e a Magdeburg (S. 2). Un piccolo labrum in basanite, 24, e un esemplare in granito del Foro, L. 33, provengono da Ostia. 159
inferiore, attivi o nelle stesse officine in cui si lavoravano i labra in marmi importati oppure in altre botteghe minori, sempre urbane, che, imitando le tipologie (I, VI, VII) dei pezzi più prestigiosi, creavano esemplari meno costosi per una clientela meno abbiente. Un altro centro di produzione particolarmente attivo si sviluppò nel polo commerciale e produttivo di Porto/Ostia. L'esistenza di una fiorente attività artigianale ostiense è confermata dalla presenza negli scavi di Ostia di numerosi labra non ultimati (L. 52, 55, 61, 70, 71, 75, 76, 87, 111, 165, 167, 169) e supporti semilavorati (S. 32, 53, 54, 69, 232), di cui alcuni furono messi in opera, successivamente alla lavorazione, nelle domus tardo-antiche (es. domus delle Colonne -L. 75-, edificio fuori Porta Marina -L. 61, 87; S. 32, 53, 54, 69), mentre altri rimasero nei depositi (come le vasche non finite conservate nelle piazzole presso il Museo di Ostia: L. 70 e 76, e il supporto S. 232), che erano certo numerosi ad Ostia e a Porto®, per lo stoccaggio e lo smistamento dei blocchi di marmo e dei prodotti, in attesa di essere trasferiti a Roma o ultima ti in loco. L'attività di officine marmorarie ostiensi è stata già individuata per diverse classi di manufatti, quali elementi architettonici, ume e sarcofagi”, ed è confermata dalla presenza ad Ostia di collegia di scultori orientali specializzati nella lavorazione di pietre estratte nelle loro terre®!. Ne consegue che certamente artigiani in grado di scolpire labra e supporti in pietre e marmi importati erano attivi a Ostia e a Porto. È interessante notare che i Jabra rinvenuti
nell'abitato antico di Ostia sono in genere di piccole o medie dimensioni, con funzioni prevalentemente laiche, in ambito domestico (L. 33, 61, 75, 78, 87, 163) e pubblico (L. 24, 69, 72, 862, 88, 111, 164, 165), in ambienti termali e
85 Pochi sono infatti gli esempari finiti e messi in opera: L. 24, 33, 69, 72, 86, 88, 164, 166, 168. Un esemplare ostiense presenta (L. 76) diversi livelli di lavorazione, dimostrando che il pezzo è stato in lavorazione proprio a Ostia. ® L'esistenza ad Ostia e Porto di magazzini, in cui i pezzi importati, semilavorati o in blocchi grezzi, venivano accatastati, costituendo della scorte, fonti di approvvigionamento fino all'età tardo-antica, è stata recentemente ribadita da Pensabene, in: P. PENSABENE, Reinpiego e deposito di marmi a Romae a Ostia, in Aurea Roma 2000, p. 341 ss. La consuetudine di depositare enormi quantitativi di marmi a Porto c nei magazzini urbani della Statio marmorum è attestata dall'età flavia a quella antonina: ft. PENSABENE 1998, p. 363s. 50 Sulla specificità delle officine e delle maestranze attive ad Ostia e a Porto nella fabbricazione dei sarcofagi, i cui tipi a ghirlande e a srigilature appaiono elaborati proprio dalla creatività ostiense: H. HERDEIORGEN, Girlandensarkophage aus Ostia, in Roman Funerary Monuments in the J.P. Getty Museum 1, Occasional Papers of Antiquities 6, Malibu 1990, p. 96 5; ID., Stadiromische und italische Girlandensarkophage, ASR VI, 2, 1, Berlin 1996, p. 28; N. AcnotI, Officine ostiensi di scultura funeraria, in Ostia e Portus 2002, p. 194 ss., in par. p.201; sui sarcofagi ostiensi: Ip, sarcofagi e le lastre di chiusura di loculo, in Scavi di Ostia XII. La Basilica cristiana di Pianabella, a cura di L. PaRoDt, I, Roma 1999. Sulle ume ostiensi: L. Biani, M. BONANNO ARAVANTINOS, Una tradizione di scultura funeraria microasiatica a Ostia,in BollArch, 8, 1991, p. 1 s. 91 Cit P PENSABENE, I capiteli Scavi di Ostia, VII, Roma 1973, p. 18. 160
di ristorazione; un solo piccolo catino ha funzione votiva (L. 168). Le vasche ostiensi documentano l'intera gamma dei tipi formali, ad eccezione dell VIII, lussuoso, e una grande varietà di marmi colorati, ad esclusione del granito rosa di Assuan e del porfido (un solo esemplare L. 33 è in granito del Foro), confermando la valenza elitaria e l’uso in ambito prevalentemente urbano di queste pietre. I supporti ostiensi presentano tutte le tipologie, ad eccezione della III, con dimensioni medie che oscillano tra i 50 e i 70 om di altezza per i tipi I, II e VI, con altezze superiori per i semilavorati e dimensioni minori per i tipi TV (cm 26-39) e V (em 20). Anche per i supporti è attestata una grande varietà di marmi e pietre colorate, con l'esclusione però di porfido e graniti L'utilizzo nelle domus tardo-antiche di labra non finiti, uniti in modo approssimativo a supporti non pertinenti, testimonia la scarsità della manodopera e il rarefarsi dell’attività estrattiva e del commercio dei marmi in questo periodo”, attestando, peraltro, che ancora grande doveva essere la quantità di scorte accumulate nei magazzini ostiensi, sia di pezzi semilavorati, che di opere rifinite, come attesta la vaschetta in giallo antico nel ninfeo degli Eroti (L. 69), del IV secolo d.C. Nel periodo che va dal IV ai primi decenni del V secolo si nota ad Ostia una notevole ripresa dell’attività edilizia, soprattutto domestica; le lussuose domus tarde rivelano, nelle strutture e negli arredi, l'utilizzo sia di materiali realizzati appositamente per esse, che di pezzi di reimpiego, alcuni rimessi in uso così come erano, altri, invece, riadattati per le nuove esigenze. Le officine attive in questi tardi cantieri dovevano approvvigionarsi presso magazzini di stoccaggio "promiscui": pieni, cioè sia di blocchi grezzi importati su specifica ordinazione, sia di pezzi importati e immagazzinati in epoche precedenti, che di marmi di spoglio. L'utilizzo delle scorte marmorarie® è ben 92 Nel III secolo d.C. si registra una forte diminuzione dell'aflusso di marmi: la riduzione delle imprese edilizie, enorme accumulo di marmi importati precedentemente a Roma ed Ostia © la pratica del reimpiego resero meno necessaria l'importazione di grandi quantità di marmi nell'Urbe durante il IL secolo, si veda: PENSABENE 1998, p. 363 s., con bibl. prec. 95 Le scorte risalenti alla media età imperiale (periodo di grande produttività delle cave imperiali e di stoccaggio nei magazzini di Roma, Ostia ¢ Porto di una straordinaria quantità di marmi) a volte rimasero a lungo inutilizzate nei depositi prima di essere messe in opera. Sui reimpieghi ad Ostia si veda anche: P. PENSABENE, M. BRUNO, / marmi dei ninfei ostiensi, in ucciso, ScrinaRi 1996, II, p. 282 ss. La lunghezza del periodo di stoccaggioè confermata dalla testimonianza di un blocco di granito del Foro trovato nell'edificio fuori Porta Marina a Ostia, in attesa di essere tagliato e utilizzato nella domus tardo-antica, dopo esser rimasto conservato in un magazzino imperiale ostiense per almeno due secoli: PENSABENE 1994, p. 156, fig 192, cat. 105. Sulla colonna in granito rosa, estratta nelle cave di Assuan intorno al 105/106 d.C. ed utilizzata circa sessanta anni più tardi come füsto per la colonna di Antonino Pio, eretta nel 161 d.C: MaiscubeRGER 1997, p. 145 ss, con bibl. prec. Per la sua eccezionale altezza, 50 piedi, sono incerti sia l’identificazione del complesso per cui era stata in origine ordinata: Pantheon, tempio del divus Traianus nel Foro di Traiano o terme di Traiano nell'Oppio, sia il luogo in cui fu depositata: cave, depositi di Portus o dell’ Emporium o nel Campo Marzio? 161
documentato nell’edificio fuori Porta Marina”, datato tra il 385-390 e il 395 circa, dai quattro supporti (S. 32, 53, 54, 69) e dai due Jabra (L. 61, 87), non finiti, che erano stati prelevati dai depositi e radunati per essere utilizzati nelVarredo: l'interruzione improvvisa dei lavori nel 395 circa ne ha impedito l'ultimazione e la collocazione. Il labrum semilavorato della domus delle Colonne (L. 75) è stato messo in opera su un supporto finito (S. 228), non pertinente e di marmo pentelico, testimoniando la disinvoltura con cui nel periodo tardo venivano create opere miste, unendo elementi semilavorati a pezzi già ultimati c reimpiegando opere più antiche, in grado di conferire decus e dignitas ai nuovi edifici. Questi bacini e supporti di utilizzo tardo risalgono probabi mente alla media età imperiale, essendo simili a quelli in opera negli edifici di TI secolo.
L'alto numero di labra e supporti rinvenuti in Campania, nell’area vesuviana, riflette la vivacità del mercato e della produzione campana. L’eruzione del Vesuvio avendo sigillato e conservato perfettamente le strutture abitative, ha lasciato in situ tutti gli arredi domestici e da giardino, permettendo di conosceme l’uso, la collocazione e il funzionamento. Come già rilevato dal Moss per i trapezofori campani, la maggior parte delle vasche e dei supporti rinvenuti nei centri vesuviani possono essere assegnati a officine locali, le quali realizzarono molti Jabra in marmo bianco (L. 144, 145, 147, 148, 149, 150, 151, 154, 155, 156, 157, 158, 159, 160), alcuni in marmo grigio, bardiglio (L. 123, 124, 125, 126, 129) e in una pietra calcarea locale, a volte porosa e simile al travertino, cavata nella valle del Samo (L. 183, 184); rarissimi i marmi colorati, come portasanta (L. 74 a Boscoreale), cipollino (L. 84, 85 ad Ercolano) e bigio di Lesbo (L. 103 a Pompei); completamente assenti i più costosi giallo antico, portasanta, graniti, basanite, porfido, pavonazzetto. La situazione descritta per i Jabra è confermata dall'analisi complessiva dei supporti campani. Rari in pietre e marmi colorati: sei sostegni
in cipollino (tre a Ercolan
S. 59-61; e tre a Pompei: S. 62-64); uno in breccia di Sciro (S. 86) conservato nei magazzini del Museo di Napoli. Completamente assenti i marmi colorati
più costosi, tenendo presente che non sono di produzione locale i supporti porfiretici S. 4 e 5 provenienti da Roma. La stragrande maggioranza dei supporti
conservati a Ercolano, Pompei e al Museo Archeologico Nazionale di Napoli,
provenienti dall'area vesuviana, sono o in marmo bianco-grigiastro, a volte in
94 Sulla lussuosa aula con decorazione in opus sectile presso Porta Marina e sulla funzione dell'edificio: sede collegiale, luogo di insegnamento filosofico o meglio domus tardo-antica con sontuosa aula di rappresentanza: PAvoLIN 1983, p. 168 s; ID., Seminario di Archeologia Cristiana, in RAC, LXVII, 1991, p. 165; da ultimo: F. GUIDOBALOI, La decorazione in ‘opus sec tile” dell'aula, in Aurea Roma 2000, p. 251 ss, con bibl rec $5 Sul valore simbolico attribuito in età tardo-antica all'utilizzo di pezzi di reimpiego: PENsABENE, loc ci. a nota 89. 162
bardiglio (Ercolano S. 96; Pompei S. 97-101, 103, 104), o grigio-rosato (S. 102), in marmo bianco (Napoli S. 179-196; Pompei S. 197-226) oppure in pietre locali (Napoli S. 254-259; Pompei S. 260-265). Importanti testimonianze sono fornite da un supporto in bigio di Lesbo lumachellato (S. 79) e da uno in Iumachella orientale (S. 44). I labra campani sono realizzati secondo i tipi consueti (II, IV, V, VI, VII) in genere di piccole dimensioni, raramente medie (L. 160); un solo esemplare è del tipo VIII, lussuoso (L. 155). Un labrum è decorato con protomi ferine (L. 154), uno con una cornice ionica (L. 159), mentre un altro reca un’iscrizione dedicatoria (L. 160); un solo frammento appare ansato (L. 129). La produzione campana si caratterizza, quindi, a parte rare eccezioni, per la povertà dei materiali, e ridotte dimensioni: un generale tono minore. Essa. doveva essere rivolta ad una committenza certamente locale e in genere di medie disponibilità economiche. Le maggiori possibilità finanziarie di un committente desideroso di ostentare le proprie ricchezze si ravvedono nell’uso di moltiplicare il numero dei Jabra all'intemo della propria abitazione (come nella casa dei Vettii a Pompei c nella villa di Popidius Florus a Boscoreale). L'impiego dei labra campani è soprattutto privato, ma anche pubblico, sia civile, in ambito termale (L. 84, 85, 125, 126, 145, 160) e forense (L. 158), che religioso (labrum presso il tempio di Apollo a Pompei: L. 184). La dimostrazione che i bacini dell'area vesuviana fossero fabbricati localmente in botteghe specializzate nella produzione dei mobilia marmorei™, dislocate tra Pozzuoli e Pompei, è confermata dalle peculiarità caratterizzanti la maggioranza di questi labra: per primo ricordiamo l'uso diffuso proprio a Pompei, Ercolano e Stabia del marmo grigio con macchie biancastre, a grana fine, opaca, in cui è da riconoscersi probabilmente il bardiglio proveniente da Luni, raramente? attestato nei Jabra di diversa provenienza. Caratteristica dei bacini vesuviani è anche la fascia superiore del labbro estroflesso, che si piega verso l'interno formando un angolo retto dal profilo tagliente, mentre negli altri esemplari il passaggio dal labbro alla parete interna avviene di regola con un arco dolcemente incurvato. Inoltre, a conferma della vivace produttività dei centri vesuviani, in particolare di Pompei, ricordiamo che sono attestate quasi tutte le tipologie dei Jabra, mentre tra i supporti si nota una predilezione per i tipi I (in alcuni casi arricchiti con un cespo vegetale: S. 181, 182, 202, 222) e II, con rare attestazioni del tipo IV. Da notare anche l'assenza di labra non finiti ci rarissimi supporti lasciati a gradina e non ancora lisciati (S. 101, 198, 209, 217-219). 1 labra pompeiani sono in genere alimentati dall’esterno, con cannule fuoriuscenti da pilastri, erme, statue, colonne o dalle pareti (L. 85), oppure manualmente 0, se posti all’aperto, con l’acqua piovana, svolgendo in que96 Moss 1988, p. 229 ss 37 In bardiglio sono i due esemplari di Settefineste: L. 127 e 128. 163
sto caso anche la funzione pratica di riserva idrica. A Pompei soltanto quattro
labra (L. 126, 151, 154, 160, 184) e tre supporti (S. 97, 197, 206) hanno fori
passanti per le tubature di adduzione; è forato anche un sostegno al Magazzino del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, proveniente probabilmente dall’area vesuviana (S. 184).
Si è già evidenziato che i pezzi campani presentano stringenti analogie tipologiche e tecnico-stilistiche con la produzione greca di età ellenistica, testimoniata dai ritrovamenti di Delos. Il grande mercato e centro di produzione di Delos deve aver costituito il principale tramite di diffusione del tipo della vasca circolare su alto supporto a colonnetta dal mondo greco a quello italico e romano. La vicinanza tra i prodotti di Pompei e quelli greci conforta quanto già rilevato dal Moss” riguardo alla tendenza da parte delle officine italiche a imitare in marmi locali tipologie c iconografie di opere importate, prodotte fuori dalla penisola. La collocazione, il materiale, le dimensioni e la qualita tecnica delle vasche prese in esame, possono fornire informazioni sul tipo di committenza. Abbiamo già sottolineato la netta distinzione da fare tra i labra in materiali importati e quelli in pietre locali; nelle opere del primo gruppo al prestigio del materiale si unisce in genere la ricercatezza formale e l'alto livello qualitativo. Un'ulteriore differenzazione è da fare all’interno del primo gruppo, tra i marmi importati più preziosi e quelli meno costosi: basti pensare agli alti prezzi del porfido, del serpentino, del pavonazzetto, dell’africano e del verde antico”, attestati nell’Editto dei prezzi di Diocleziano, da contrapporsi ai meno costosi: graniti di Assuan e del Mons Claudianus, © ai più economici: proconnesio, breccia di Sciro, bigio di Lesbo e bianco di Taso. La critica recente! ha evidenziato il simbolismo insito nei colori e in determinate pietre: la scelta di un tipo di marmo e di conseguenza il suo valore economico dipendevano proprio dalla fama c dal prestigio ad esso connessi, pit che dalla sua qualità. Le opere. scultoree realizzate in porfido, granito del Foro, granito di Assuan, basanite, pavonazzetto, portasanta, africano, rosso e verde antico assumevano il conte98 Moss 1988,p. 223 s. 99 Il porfido costava più (l'indicazione delle decine è lacunosa) di 200 (probabilmente 250)
denari per piede cubico (729,57 cm) (o per piede quadrato come sostengono: S. CORCORAN, J DELAINE, The Unit Measurement of Marble in Diocletian Prices Edict, in JRA, 7, 1994, p. 263. 55): il serpentine, 250; l'africano, 150; la siente, il cipollino e il granito grigio del Mons Ciaudiamus, 100; i pavonazzett el giallo antico, 200; i verde antico, 150. I proconnesio solo 40 denarii, come la breccia di Sciro e il marmo lesbio (bigio antico); il tasio costava 50 denari Talabastto 75. Cf LAUFFER, op. cit a nota 27 del paragrafo sui Materiali, 33.1 a-l GiaccHERO, op. cit, 31, p. 210s.; PENSARENE, op. cit. a nota 11, 1983,p. 55 ss. in par. p. 57 100 RM, Scuvtioé, Bunte Barbaren, Worms 1986; PENSABENE 1998 b, p.35583 ID. Nuove immagini del potere romano. Sculture di marmo colorato nell'Impero romano, în Marmi colorati 2002,p. 83 so 164
nuto simbolico intrinseco di questi materiali, diventando rappresentative del
censo, della cultura e delle possibilità economiche del committente. La prediJezione per questi marmi era motivata anche dal fatto che essi provenivano da cave in cui erano attive officine “di fama”, per la loro lunga e affermata tradizione artistica. Ne consegue che i labra in marmi e pietre colorati, soprattutto egiziani, siano riferibili ad una committenza particolarmente esigente, spesso rappresentata dalla stessa casa imperiale (soprattutto per il porfido e i graniti) o, comunque, da personalità facoltose, con grandi disponibilità economiche; tale clientela appare legata all’Urbe o gravitante intorno ad essa, come confermano le notizie relative alla provenienza delle opere. Infatti, i [abra rinvenuti a Roma sono caratterizzati, oltre che dai materiali piü prestigiosi, da dimensioni notevoli, da una tecnica più accurata e da forme a volte più articolate: qui era concentrato sia il grosso della produzione, come precedentemente affer-
mato, sia la maggioranza delle commesse più ricche. Spesso si trattava di ordinazioni ufficiali, di ambito imperiale, per realizzare fontane da erigere o in luoghi pubblici o nelle residenze di corte, come simboli eloquenti del potere eco-
nomico e politico di Roma e della sua classe dirigente. Lo testimoniano i labra porfiretici del Templum Pacis, di Napoli, della Sala Rotonda in Vaticano, il supporto in porfido dall’area dell’Hadrianeum e le grandi vasche in granito riutilizzate nel Belvedere Vaticano e nella fontana di Montecavallo. È nella media età imperiale, particolarmente nell’età adrianea e antonina, che si hanno le ordinazione dei labra più fastosi, per forma, materiale e dimensioni. Committenti meno esigenti, ma comunque con una certa disponibilità economica, potevano permettersi di ordinare vasche in marmi colorati, ma di dimensioni minori, come testimoniano le conche conservate ad Ostia, che servirono ad abbellire le dimore private (L. 33, 61, 75, 78, 87), ma anche i luoghi
e gli edifici pubblici (L. 55, 69, 72, 86, 88, 111, 164), e quelle di Boscoreale (L. 74) ed Ercolano (L. 84, 85). Singolare è il caso del labrum semilavorato in granito grigio dell'Elba (L. 42): la tipologia lussuosa e le dimensioni presup-
pongono una committenza di alto livello, che, però, contrasta con l'utilizzo di
una “pietra di sostituzione”, quale è il granito grigio dell’Elba. Da chi era stata ordinata questa vasca di medie dimensioni, del tipo VIII, che, invece di servirsi del più nobile granito del Foro, utilizza un granito più economico? Probabilmente da un committente privato, di elevate possibilità economiche,
che voleva eguagliare in quanto a tipologia e dimensioni le commissioni pubbliche, servendosi di un materiale meno esclusivo. Oppure è da ridiscutere il ruolo svolto dalle “pietre di sostituzione” nella produzione scultorea antica? Una committenza pubblica ha ordinato il grande bacino in granito del Foro, probabilmente per abbellire l’area sacra del tempio di Apollo a Bolsena (L. 32). Un discorso a parte meritano due Jabra in porfido, non urbani: uno, riutilizzato nella Basilica di S.
Marco
a Venezia
(L.
10, forse proveniene
da
165
Costantinopoli, dove le fonti attestano l'esistenza di numerosi labra porfiretici; il secondo è nella Basilica di S. Zeno a Verona (L. 11) ed è da collegare alle importanti valenze spirituali rivestite dalla Basilica e dalla piazza antistante nell'ambito della contrapposizione tra sovranità temporale e sovranità vescovile nella Verona medievale. Negli ambienti periferici e provinciali le richieste dovevano essere più modeste sia nel numero che nella qualità, ad eccezione delle province orienta-
li e di cultura greca, come dimostrano alcuni esemplari di pregio, rinvenuti ad Amphipolis (L. 114), Dion (L. 116, 117, 118, 132, 133), di Kavala (L. 137), Nikopolis (L.
138, 139), Messene (L.
119), Olimpia (L.
121, 140), Salonicco
(L. 141), Efeso (L. 56, 107), Pergamo (L. 57, 65, 67), Perge (L. 112), Gerasa (L. 48): essi provengono per la maggior parte da complessi pubblici e, quindi, rispondono a ordinativi imperiali o del ricco evergetismo locale!0. Ricordiamo anche il piccolo labrum frammentario da Sparta (L. 142), arricchito di anse e comici, probabile commissione pubblica, essendo stato rinvenuto vicino al teatro, presso la cui parados sinistra fu costruito un ninfeo, e la vasca in pietra calcarea tuttora in situ nel ninfeo di Ura (Olba) (L. 182).
Nelle province nordiche e nella periferia italica, i labra nei marmi e nelle pietre locali furono realizzati, come si è già detto, per una clientela indigena, che a causa delle minori disponibilità finanziarie, richiedeva opere che costituissero un’alternativa economica ai costosi arredi urbani.
101 L, 56, 65, 107, 118, 121, 133: dalle terme o da un ninfeo;L. 48, 112, 119: da ninfei; L. 140: dal tempio di Hera 166
CRONOLOGIA
Il Delbrueck circoscrive il periodo di produzione dei labra porfiretici del tipo VIII, lussuoso, tra l'età traianea e quella costantiniana; in particolare, pone all'inizio della serie proprio la vasca di Napoli (L. 8), ascrivendola all'età traianeo-adrianea, e il supporto conservato nell’Antiquarium del Celio (S. 8), databile nel II secolo d.C., in base all’indicazione cronologica fornita dal contesto di provenienza (basilica di Nettuno e Hadrianeum). La datazione di quest'ultimo può essere più precisamente ascritta all'inizio dell'età antonina, supponendo la sua pertinenza all'area del complesso dell’ Hadrianeum, dedicato da Antonino Pio nel 145 d.C.!. All’etä adrianea si possono attribuire gli esemplari porfiretici della Sala Rotonda in Vaticano (L. 12), del Museo di Napoli (L. 8 € 9) e di Palazzo Pitti (L. 6), tutti di grandi dimensioni. Con queste vasche sono connessi i frammenti conservati a Klein-Glienicke (L. 3). Il confronto diretto con la già citata testa del Nilo ai Musei Vaticani, atrio del Torso del Belvedere?, induce a precisare la datazione di L. 8 nella fase tarda del periodo adrianeo; contemporanca dovrebbe essere la maschera barbata nel Museo svizzero. In queste teste maschili si ritrovano i caratteri tipici della tarda età adrianea: la nettezza d’intaglio dei particolari, come palpebre, arcate sopraccigliari e contomo delle labbra, la levigatezza delle guance e i morbidi contrasti tra l'incavo delle tempie e la sporgenza degli zigomi, il bulbo oculare convesso e liscio, la finezza calligrafica nell’incisione delle rughe frontali. La maggiore accentuazione dei contrasti chiaroscurali e il maggiore calligrafismo superano il compassato classicismo della prima età adrianea. Di poco posteriori, ma sempre entro il I secolo d.C., potrebbero essere datate le maschere della vasca L. 37 (via dei Fori Imperiali) e quella nel Museo Civico di Vicenza. Il frammento porfiretico di labrum da Vigna Barberini (L. 20) si può ascrivere all’età ! Sull’Hadrianeum: Tempio di Adriano, a cura di L. Cozza, Roma 1982, con bibl. prec.; LTUR, IM, 1996, s. v. Hadrianus, Divus, Templum, Hadrianeum, p. 7 s. (M. CiPoLLoNE). 2 KLEMENTA 1993,p. 22 ss., A 13, tav. 1, fig. 21, tav. 14, fig. 27. 167
adrianea, perché pertinente ad una delle due fontane con labra costruite in seguito alla riorganizzazione dell'area voluta da Adriano. Secondo il Delbrueck & difficile stabilire con assoluta certezza la datazione di alcuni esemplari: la maggior parte dei Jabra e dei supporti porfiretici sono del II secolo d.C (vasche di Richmond: L. 4, della Galleria Borghese a Roma: L. 16, della Basilica di S. Maria Maggiore: L. 14), mentre solo pochi sono del TII secolo (il labrum a Venezia: L. 10) o del IVIII secolo (il bacino a Verona, S. Zeno: L. 11). Di età dioclezianea o addirittura più recente è il gorgoneion all'interno della vasca nel Museo Bardini (L. 5), realizzato quando, in base alle testimonianze della Passio’, sappiamo che nel Mons Porphyrites venivano
ancora lavorate vasche lussuose; ordini successivi furono fatti per i complessi del Palazzo e delle Chiese di età costantiniana. La ripresa dello schema iconografico del gorgoneion già proposto nella vasca al giardino di Boboli*, di età severiana, con la maschera tonda e l’acconciatura a raggiera fortemente schematizzata, rivela una datazione più bassa della protome del labrum L. 5, per le forme più corsive, per la semplificazione del disegno e l'appiattimento dei volumi. Probabilmente al II/IV secolo va ascritta la conca con iscrizione di Palazzo Vecchio (L. 7). AI IV secolo si data il supporto della Catacomba di S. Panfilo. Queste opere più recenti si caratterizzano per una certa pesantezza strutturale e la minore accuratezza esecutiva. All’inizio dell’etä severiana va probabilmente posto il labrum del Foro della Pace (L. 19), per l’accentuato spessore delle pareti, la struttura più pesante e un'esecuzione meno puntuale delle cornici, rispetto alla maggiore raffinatezza ed eleganza formale dell’analogo esemplare napoletano. Al IV secolo si può probabilmente attribuire il labrum L. 1, semilavorato, rinvenuto in un'area. estrattiva del Mons Porphyrites attiva nella fase tarda. I tre esemplari in basanite (L. 23-25) vanno datati tra l'età flavia e quella adrianea, visto che questo è l'arco cronologico di massima diffusione dell'uso di questa pietra.
Uno dei labra più antichi proviene da Roma: è quello rinvenuto nella casa tardo-repubblicana di Emilio Scauro (L. 174), alle pendici del Palatino. Sia la conca che il supporto sono identici a quelli presenti nella terme di Pompei (L. 126: terme Stabiane, caldarium femminile; L. 160: terme del Foro, caldarium maschile). Il labrum, in base all’identica struttura muraria del supporto e degli ambienti originari della domus, si può datare con certezza intorno al 50 a.C.: si tratta, quindi, di uno dei più antichi esemplari attestati in ambito ‘urbano, ancora in situ.
3 Si veda l'appendice con elenco delle vasche citate dalle fonti e non più documentabili. 4 Annrocı 1995, p. 130 ss,B. L 51. 168
A cavallo tra la produzione ellenistica e quella romana e a dimostrazione della continuità produttiva e formale, sono le opere delie ricordate (L. 131, S. 48, 90, 132, 133, 134) e i labra pertinenti ai carichi dei relitti di Ventotene (L. 162) e di Spargi (L. 161), databili nel I secolo a.C.; in particolare il naufragio della nave di Spargi si può datare tra la fine del II secolo a.C. e il 75 a.C.: i suoi mobilia sono ritenuti da alcuni studiosi di produzione delia. All'età augustea è stato datato il labrum rinvenuto nell'area del lacus Iuturnae (L. 170), da connettersi probabilmente alla ristrutturazione dell’area in seguito alla ricostruzione augustea del tempio dei Castori e alla risistemazione del lacus. Il ricco ornato vegetale di questo labrum, per la raffinata ricerca spaziale e per il vivace pittoricismo che si manifestano nell’elegante sovrapporsi di foglie d'olivo e di frutti e nell’ondulato dispiegarsi dei rami, per il naturalismo degli uccellini, per la metallica nettezza dell'intaglio di baccellature e cornici, rientra in pieno nel raffinato gusto classicistico di età augusteo-tiberiana, trovando confronti numerosi nella produzione contemporanea. di rilievi, vasi, trapezofori, altari e urne, nelle cui raffigurazioni a tema vegetale trionfano sempre il naturalismo, il senso spaziale c la raffinata eleganza del rilievo, dall’intaglio netto su un aggetto bassissimo*. Alla primissima età augustea appartiene il labrum in bardiglio posto davanti al tempio detto Ara della Regina a Tarquinia (L. 129*), interessante testimonianza in ambito etrusco-romano. Ad una fase compresa tra la metà del I secolo a.C. e quella del I secolo d.C. si ascrive il labrum frammentario pertinente agli arredi domestici degli ambienti sotto la Basilica di S. Giovanni (L. 171). La cronologia del labrum (L. 105) in bigio morato del Il tipo, con protomi leonine, conservato al Musco Nazionale Romano, può essere fissata tra l'età adrianea, periodo in cui si riscontra la maggiore diffusione di opere in bigio morato, e l’età antonina, cui appartengono le teste feline, di pantera e di leone, scolpite in basso, al centro di alcune vasche del tipo Be: con esse le nostre teste leonine condividono il robusto plasticismo dei musi e il duro linearismo delle incisioni che segnano occhi, naso e criniera. I labra e supporti dei centri vesuviani costituiscono un preciso punto di riferimento cronologico, essendo il grosso degli esemplari circoscrivibili tra il terminus ante quem del 79 d.C. e il terminus post quem dell’età augustea, 5 A parte l'ovvio richiamo al rilievo con girali d’acanto del recinto dell’ Ara Pacis Augustae, possiamo ricordare, come esempio, due ume cinerarie al Museo Archeologico di Perugia, di età augustea: Sivw 1987, p. 93, n. 10, avv. 5 d, 62-5; p. 94s, n. 15, tav. 7 c-e;A. AMBROG!, Sarcofagi e urne con ghirlande della prima età imperiale, in RM, 97, 1990,p. 181 ss, tav. 49; p. 189 ss. tavv, 50-51; e un’uma a Mentana, di età augusteo-tiberiana: Ip, ibidem,p. 192 s. tav. 52. 6 Auproat 1995, B. I. 34, 36, 66, 102. 169
quando, con la realizzazione dell’acquedotto del Serino, aumentó notevolmente la disponibilità delle risorse idriche: & infatti dalla fine del I secolo a.C. che si nota un notevole incremento degli impianti idrici c delle fontane e fontanelle nelle case pompeiane ed ercolanensi. Questi limiti cronologici permettono di ascrivere gli esemplari vesuviani al gruppo più antico: tra il 1 secolo a.C. e l'età flavia, con una forte concentrazione tra l'età augustea e il restauro successivo al terremoto del 62 d.C. Tra gli esemplari più antichi ricordiamo a Pompei: il complesso-fontana nell’impluvium della casa delle Nozze d'Argento (L. 155) datato dal Pernice in età sillana; il labrum nel Foro ‘Triangolare (L. 158) di età tardo-repubblicana o augustea. Il labrum nel caldarium maschile (L. 160) delle terme del Foro può essere datato con certezza al 3/4 d.C. grazie alla sua iscrizione; alla media età augustea si ascrive il bacino nella palestra delle stesse terme (L. 125). La fontana nel quadriportico del tempio di Apollo (L. 184) può datarsi tra la ristrutturazione augustea e il restauro dopo il terremoto del 62 d.C. Probabilmente in occasione dei restauri successivi al 62 d.C., il labrum L. 126 fu collocato nelle terme Stabiane. In seguito alla ristrutturazione avvenuta intorno alla metà del I secolo d.C. o al restauro post-terremoto, fu realizzato il complesso impianto, ricco di fontanelle, del peristilio della casa dei Vettii (L. 103, 123, 156, 157). Ad Ercolano il bacino (L. 84) nelle terme del Foro si può ascrivere, con le strutture murarie del complesso stesso, o all’età cesariana o a quella giulio-claudia, mentre i due Jabra nelle terme Suburbane (L. 85, 145) possono essere stati realizzati o in occasione della costruzione dell’edificio in età augustea o in seguito ai restauri dopo il 62 d.C. II frammento di bacino (L. 129) rinvenuto nelle terme della villa San Marco a Stabia si può attribuire alla prima età imperiale. Le teste ferine del labrum dei Ceii (L. 154) presentano forme classicheggianti, ma con una viva sensibilità cromatica, evidente nelle masse pelose e nei musi fortemente plastici, che induce a datare l'opera nell’età neroniano-flavia. Il labrum con bustino di fanciullo, conservato nei magazzini del Museo Archeologico Nazionale di Napoli (L. 147), può essere datato, per le caratteristiche iconografiche del ritratto, tra l'età tardo giulio-claudia c il 79 d.C. 1 due labra pertinente agli impianti termali della villa di Boscoreale (L. 74 © 144) sono stati realizzati verosimilmente tra il 62 c il 79 d.C., probabile periodo di costruzione del bagno stesso. ALI secolo d.C. si data il labrum bronzeo di Aosta, mentre alla fine delVeta giulio-claudia viene assegnato quello, sempre bronzeo, dalla casa del Menandro. Tra gli esemplari ostiensi il labrum più antico potrebbe essere quello in cipollino conservato in via dei Vigili (L. 86), se pertinente alle terme sottostanti la via, costruite in età tiberiano-claudia; se, invece, provenisse dalle vicine terme di Nettuno, la cronologia si abbasserebbe all’età adrianea-antonina, 170
tenendo presente che queste terme si stabilirono su impianti precedenti di età domizianea. Basandoci sulla datazione delle strutture murarie degli edifici in cui sono stati rinvenuti, per i labra in probabile collocazione primaria, si possono proporre le seguenti datazioni: l'età adrianea per il frammento in granito del Foro (L. 33), conservato nel cortile delle Case a Giardino”, la cui costruzione risale all'età tardo-adrianea, e per il bacino nelle terme dei Cisiarii (L. 164), se pertinente all’impianto originario, altrimenti lo si deve datare al III secolo 4.C., quando le strutture subirono dei rifacimenti. II catino nella forica delle terme del Foro (L. 165) potrebbe datarsi alla fine del regno di Antonino Pio, se realizzzato in occasione del primo impianto e non per i restauri tardi. Il bacino
rinvenuto nel mitreo della planta pedis (L. 168) può essere datato alla fine del ILinizi del III secolo d.C., basandoci sulle discordanti proposte cronologiche, che considerano il mitreo eretto o nell’etä di Commodo (secondo Becatti) o nelVeta severiana (secondo Zevi). AI III secolo d.C. si datano le strutture del caseggiato del termopolio, nel suo ultimo rifacimento, e del termopolio sulla via di Diana: è probabile che in questo periodo siano stati realizzati la vaschetta (L. 163) in pentelico, ricavata da una base ionica della prima metà del II secolo d.C., e il frammento di bacino in cipollino (L. 88), se quest’ultimo è pertinente al termopolio. AI IV secolo si può ascrivere l'impianto delle fontane che utilizzano Jabra più antichi nella domus delle Colonne (L. 75), nell'edificio fuori Porta Marina (L. 61, 87), nel ninfeo degli Eroti (L. 69) e nelle terme del Filosofo (L. 111), costruite nel IV secolo su un santuario collegiale di età severiana. I due labra (L. 61, 87) c i quattro supporti non finiti (S. 32, 53, 54, 69) rinvenuti nell'edificio fuori Porta Marina dovevano essere utilizzati in quest'edificio come primo impiego, dopo un lungo immagazzinamento nei depositi; i dati cronologici desumibili dall’edificio stesso non possono, perciò, fornire elementi per la datazione dei materiali di arredo ivi rinvenuti. Quindi, i labra. nelle strutture antiche di Ostia si possono ascrivere sostanzialmente a due periodi: o al II secolo d.C., quando, grazie ai continui miglioramenti e ampliamenti della rete idrica cittadina, a Ostia si diffondono fontane e ninfei pubblici e privati di vario tipo, o al III-IV secolo, quando si registra un incremento in ambito domestico, aristocratico, delle fontane e dei ninfei, tenendo però presente che alcuni Jabra attestati in edifici tardi non sono coevi alle strutture, ma sono stati ivi impiegati dopo un lungo deposito e, quindi, probabilmente sono ascrivibili anch'essi alla media età imperiale (L. 61, 69, 75, 87) I quattro Jabra votivi conservati a Trieste (L. 185-188) sono stati datati da alcuni nell’ultimo quarto del I secolo a.C., in base alla cronologia del sacello 7 Sebbene non abbiamo alcuna certezza della pertinenza del frammento al complesso abitativo. 1
della Bona Dea, da altri, invece nel II secolo d.C., in base ai dati epigrafici (Sticotti). La somiglianza di questi con il catino marmoreo ostiense (L. 168), rinvenuto nel mitreo della planta pedis, induce a preferire una datazione al II secolo d.C. I labra realizzati in granito del Mons Claudianus possono inserirsi cron logicamente nel periodo di intensa attività estrattiva e produttiva, tra la metà del I secolo d.C. e i primi decenni del III secolo d.C., con una concentrazione in età adrianea e antonina. 1 bacini pertinenti a ninfei sono databili con certezza, basandosi sulla cronologia del ninfeo stesso: il labrum pertinente al ninfeo di Perge (L. 112) è databile in età adrianea, quello di Ura/Olba (Cilicia) (L. 182) è ascrivibile al 199-211 d.C.; la vasca in granito rosa (L. 48) del ninfeo di Gerasa si data nel 190-191 d.C. Il labrum nella fontana di Arsinoe a Messene (L. 119) è probabilmente ascrivibile alla seconda fase edilizia della fontana e pertanto è databile in età neroniana. Per la cronologia della vasca rinvenuta presso il ninfeo del teatro di Sparta (L. 142) abbiamo un possibile terminus post quem, essendo il ninfeo probabilmente posteriore alla costruzione del teatro, che fù ricostruito in età tardo-flavia. L'iscrizione incisa sul supporto S. 164, conservato a Mistrà, fornisce la datazione dell’opera in età adrianca ALTI secolo d.C. è stato datato il labrum in marmo bianco al Museo di Dion (L. 133), proveniente probabilmente dalle Grandi Terme, erette intorno al 200 d.C.: si potrebbe allora abbassare la datazione della vasca, se in collocazione primaria, alla fine del II secolo d.C.; se anche il labrum L. 118 fosse pertinente alle Grandi Terme di Dion, lo si potrebbe ascrivere allo stesso periodo. Una cronologia certa ci viene offerta dal carico di Punta Scifo, che in base alle sigle di cava incise su alcuni pezzi si può datare intorno al 200 d.C., tenendo presente che i manufatti potevano essere importati anche più tardi rispetto all'estrazione e che, quindi, la cronologia potrebbe slittare di qualche decennio: alla fine del II secolo d.C. si datano, perciò, i Jabra e i supporti in pavonazzetto pertinenti al carico: L. 58-60, S. 35-39. Per gli altri bacini in marmo docimeo (L. 56, 57, 61, 62, 63, 64) la cronologia, se non ancorata ad altri elementi datanti, oscilla tra il I e il III secolo d.C., periodo di attività accertato della scuola docimea. I dati forniti dai luoghi di provenienza degli altri Jabra in pavonazzetto non sono determinanti: L. 56 di Efeso, ora nella Chiesa di S. Maria, costruita riadattando I’Olympieion adrianeo, forse proviene dalle Grandi Terme; L. 61 è stato rinvenuto nell’aula dell’edificio fuori Porta Marina: ivi portato per un primo impiego tardo, dopo un lungo periodo di deposito; L. 62 trova confronti con opere classicistiche della prima e media età imperiale, ma la sua antichità appare dubbia; L. 63 reca un'iscrizione eseguita probabilmente in occasione del riutilizzo, all’inizio del V secolo d.C.; L. 64 è stato rilavorato in età moderna. 172
All'età severiana si può ascrivere, in base all'iscrizione, il frammento in
fior di pesco a Leptis Magna (L. 82).
Concludiamo, sottolineando che nella media età imperiale si può datare la maggior parte dei labra realizzati nei più pregiati marmi e pietre colorati, particolarmente amati in età adrianea e antonina, quando, grazie all’impulso conferito da Adriano? alla monumentalizzazione dei “complessi d'acqua", a Roma c in tutto l'impero ci fu un'eccezionale fioritura di fontane, fontanelle e ninfei,
nei quali spesso i labra costituivano un complemento fondamentale. L'uso e
l'ampliamento di tali opere idrauliche continuò ininterrotto fino alla tarda antichità, caratterizzando l'aspetto e la vita di Roma. La datazione all'inizio del V secolo d.C. dell'iscrizione sul frammento di labrum L. 63 indica, se non la realizzazione del bacino, di ritilizzo, la continuità d'uso di esso ancora nel V secolo; indicazione confermata dal labrum in porfido a Firenze (L. 7), anch'esso con. iscrizione aggiunta verosimilmente nel V-VI secolo d.C. E soltanto nel 537, durante l'assedio del goto Vitige?, che furono manomessi gli acquedotti, con la conseguente riduzione e il progressivo abbandono delle fontane e delle opere idrauliche presenti nell’Urbe. Fino ad allora, nonostante le crisi politiche ed economiche, i romani avevano continuato ad arricchire Roma di acquedotti agua Antoniniana, VAqua Alessandrina) e di terme (di Caracalla, di Diocleziano), con un'accurata opera di manutenzione delle opere già esistenti. La realizzazione nel III e IV secolo di labra, a volte in marmi preziosi (come il bacino frammentario in porfido del Templum Pacis, L. 19, probabilmente di età severiana), rivela che ancora in età tarda la città era abbellita con fontane pubbliche di grande prestigio. I Cataloghi Regionari'? enumerano, in età costantia-
na, da 856 a 951 balnea e 11 grandi stabilimenti termali per una popolazione che contava un milione e mezzo di individui. Nonostante la dissoluzione dell’impero d'Occidente alla fine del V secolo d.C., Roma riuscì a sopravvivergli
e l’acqua dei suoi acquedotti continuò a scorrere ancora per molto. Teodorico,
alla fine del V secolo, fece eseguire restauri alla rete idrica urbana: l'antica capi-
tale evidentemente conservava intatti i suoi bagni, le sue terme, le sue fontane e i suoi acquedotti. I venti anni di guerra (535-555) tra goti e greci di Bisanzio
5 Sia nelle province: un “teatro-ninfeo” delle fonti a Daphne, sobborgo di Antiochia (per la bibliografia si veda la nota 279 di Prototipi e funzioni), l'acquedotto Zaghouan-Cartagine, le terme di Leptis Magna, i restauri della Peirene a Corinto e della sorgente del Letoon di Xanthos, che a Villa Adriana, in cui egli sperimentò vari tipi di edilizia idraulica. Adriano, inoltre, istitui una nuova festa in onore delle fonti da celebrarsi annualmente il 23 giugno: MALALAS, Chronographia, XI, 278. 9 Roma, difesa da Belisario, non riuscì a respingere l'atacco di Vitige: PROCOP., Bell.Gorh 1,XIX, 13 10 Vacenmini, ZUCCHETT, I, pp. 89 ss. (Curiosum urbis Romae regionum XIII), 164 ss. (Notitia urbis Romae regionum XIII) 173
prostrarono definitivamente l’Urbe: devastata più volte, ormai priva di importanza economica e politica, essa si ridusse ad un sobborgo. Alla metà del VI secolo Roma né poteva, né voleva mantenere in buono stato i suoi grandi acquedotti. Alla fine del millennio la maggior parte del sistema di approvvigio-
namento idrico aveva cessato di funzionare e con esso anche le numerose fontane avevano smesso di zampillare. Ma i Jabra disseminati nell’Urbe, rimasti visibili nei secoli o riscoperti occasionalmente, furono riutilizzati a partire dal ‘400 fino ad oggi, in funzione di abbeveratoi e fontanili pubblici!? o di suggestive fontane in piazze e nobili dimore, conservando intatte le loro antiche prerogative, in una città che da sempre è ammirata per la bellezza e la scenografica monumentalità delle sue numerose fontane.
7 1 riutilizzi quattrocenteschi sono della metà del secolo: il labrum nella fontana del Marforio, c della fine: la fontana in piazzaS. Pietro, L. 34 12 Come la fontana quattrocentesca, detta del Marforio, che fungeva da abbeveratoio pubblico in Campo Vaccino. 15 L. 34: fontana di piazzaS. Pietro, 1490; L. 35: fontana del Belvedere, inizi del ‘500; L. 53: fontana avanti Villa Medici, fine del ‘500;L. 36: fontana di piazza del Quirinale, 1817; L. 38: fontana di piazza Cairoli, fine dell'800; L. 51: fontana in via dei Staderari, 1987; L. 91, 190: fontane a Villa Torlonia, già Albani 174
CATALOGO
DEI LABRA
1.12
Luogo di conservazione: Mons Porphyrites 1) cava di Nord-Ovest 9, area 1; 2) presso il vil aggio di nord-ovest, presso l'ingresso della cosiddetta capanna Blacksmith, in cu si conserva anche una vasca ovale, oti e non finita, del tipo B 1. Luogo di provenienza: in sit. Portido rosso L. I: diam. em 132, prof. em 18-27, bordo largh. cm 16. L. 2: diam. cm 90 circa, bordo largh. cm 15 circa. L. 1: bacino è rotto in due parti diseguali;L. 2: integro. Si tratta di due labra non finiti rinvenuti nelle cave del Mons Porphyrites Il bacino 1) presenta la forma esterna appena definita, con le pareti rozzamente lavorate a colpi di subbia grande; l'interno è stato quasi del tutto scavato con la subbia grande; il bordo superiore appare spianato a colpi di subbia (III stadio), si scorge ancora la linea guida circolare, interna. Nello stadio finale esso sarebbe dovuto appartenere, per la forma aperta e la poca profondità, al tipo V a coppa o, se provvisto di labbro estroflesso, che sarebbe stato ricavato in uno stadio successivo di lavorazione nello spessore della parete, al tipo II a b Il bacino 2) è dello stesso tipo, poco profondo, lasciato nello stesso stadio di semilavorazione: il profilo esterno è rozzamente rifinito, la cavità interna non è stata completamente scavata e resta ancora una parte da eliminare; il bordo del labbro è spianato, La ceramica ritrovata nella capanna Blacksmith va dalla metà del II secolo all’età tardo romana; mentre la cava in cui si conserva il bacino 1) appartiene alla fase tarda di utilizzo del complesso estrattivo, forse si può attribuire al IV secolo d.C. Bibliografia: MAXFIELD, Peacock 2001,p. 166, fig. 4.61; p. 196, figg. 5.6,5.8 L.3 Luogo di conservazione: Potsdam, castello di Klein-Glienicke, giardino, murata nella parete II settoreG. Inv. Gl. 160.
1 Anrocı 1995,p. 19 ss. 175
Luogo di provenienza: forse dalle terme di Caracalla Porfido rosso. a) frammento del bacino: lungh. cm 95; h. cm 52. b) frammento di ansa: largh. cm 36,5;b. cm 43. c) frammentodi ansa: largh. cm 38,5; h. cm 35. Si conservano tre frammenti, di cui una parte consistente del corpo del bacino, e due frammenti di un'ansa, murati nella parete in una posizione erronea, perché le spire del serpente dovrebbero stare verso destra
II frammento a) conserva una grossa porzione del labbro e della pancia di un bacino: il labbro, estroflesso e particolarmente arcuato, presenta al di sopra di un listello piatto, che sottolinea il bordo finale, un kymation ionico, con ovoli appiattiti e larghi, e ampie punte di freccia. Dalla scozia, che si forma sotto l'stroflessione del labbro, si stacca con una carenatura la pancia del vaso, fortemente incurvata. Bugne scheggiate si possono osservare sul labbro al di sopra del kymation ionico; sulla pancia si conserva il resto di un serpente. Il pezzo b), rotto tutt intorno, consiste in un frammento di ansa, delimitata a destra dal corpo di un serpente in posizione eretta; una simile raffigurazione doveva essere posta nella parte sinistra, ora mancante. La superficie tra i due serpenti è occupata da una conchiglia appesa, con un bulbo di papavero e una foglia di acanto. 1I frammento di ansa c) conserva un tratto del corpo del serpente, con la conchiglia, il bulbo di papavero e la punta di una foglia d'acanto. 1 frammenti sono pertinenti ad un'unica vasca del tipo più lussuoso, l'VIII, testimoniato dalla vasca porfiretica nel giardino del Museo di Napoli. La somiglianza con questo labrum e le indicazioni che accompagnano il disegno del Palladio (si veda la scheda di L. 8), in cui si ricordano vari vasi di porfido nelle terme di Caracalla, induce a supporre una provenienza dei frammenti in esame dalle suddette terme. TI labbro con kymation ionico è del tutto simile a quello della vasca in granito sulla via dei Fori Imperiali (L. 37). I tre frammenti sono ricordati sia nell'inventario della collezione di Klein Glienicke del 1885 redatto dal Bergau, che in quello del 1938 del Sievers? Accanto a questi frammenti fino al 1931 si conservava anche la testa in porfido di una divinità barbata, pubblicata dal Delbruecl?, attualmente in un Museo di (Si rimanda alla scheda relativa nell’appendice 1) Bibliografia: GoETHERT 1972, p. 47, n. 222 a,b, tav. 82. 4 Luogo di conservazione: Gran Bretagna, Richmond, Doughty House. Luogo di provenienza: dal commercio antiquario. Porfido rosso. Diam. cm 188; h.em 36; prof. cm 19. Diametro del disco ornamentale: cm 45. La superficie appare completamente lisciata con un intervento moderno.
La vasca presenta un labbro sottile, estremamente aggettante, con nastro anteriore liscio, insolitamente basso. Essa è pertinente al I tipo a vasca. Dalla rientranza sotto2 Cfr. GormueRT 1972, in bibl. 3 DELBRUECK 1932, p. 173, tav. 82. 176
stante parte l'incurvatura della parete, che scende con una curva continua fino al fondo, anch'esso leggermente arcuato. II disco ornamentale si compone di un bottone centrale circondato di un anello concentrico, rialzato intorno al bottone, circoscritto da un tondino in rilievo. Non ci sono fori. Il supporto di granito bianco e nero è moderno, come suppone anche il Delbrueck. 1I Delbrueck propone una datazione ipotetica della vasca nel II secolo d.C. La vasca, secondo l'autrice del presente lavoro, per il tipo di lavorazione, è stata fortemente rilavorata: lo rivelano il tipo di labbro assolutamente inconsueto per le vasche antiche, la meccanica lisciatura della superficie. Bibliografia: Det naurck 1932,p. 175, tav. 86, figg. 77-78.
Luogo di conservazione: Firenze, Museo Bardini, sala IX,n. 389, inv. n. 242. Luogo di provenienza: il Delbrueck sostiene che, secondo una non definita tradizione orale, mon documentata dalla letteratura archeologica, la vasca originariamente fosse in Palazzo Peruzzi. Tale notizia non trova conferma nei recenti studi sulle antichità dei Peruzzi. Porfido rosso. Diam. circa em 269;h. em 75; diam. del disco centrale em 35. Si conserva circa metà della vasca. I labbro presenta numerose scheggiature e una lacuna.
labrum, di medie dimensioni, è del tipo più consueto I, a vasca: presenta un labbro fortemente estroflesso, con alto nastro anteriore liscio e bordo superiore leggermente ricurvo. Le pareti particolarmente arcuate, sono incurvate fin sul fondo, breve. 1I disco centrale, interno, è ornato con una testa di Medusa, con la fronte corrugata, I corti capelli incomiciano, con ciocche irsutea S, superiormente e intorno alle tempie, il volto tondo, paffuto; intorno alle guance due file di tre riccioli chioccioliformi alludono ai serpentelli. Due serpenti sono stati schematicamente annodati sotto il mento; iride segnata da un solco circolare. La maschera di Medusa appare contraddistinta da alette distanziate e appena sollevate sopra la fronte, con tracce delle protomi serpentine, da ciocche corte disposte a raggiera intorno al viso tondo e ritorte sui corpi anguiformi annodati sotto il mento, dal volto pieno, con espressione patetica, sottolineata dagli occhi sbarrati, dalle palpebre spesse e dalla bocca digrignante senza indicazione dei denti: essa è confrontabile iconograficamente con la protome raffigurata nella vasca dell'anfiteatro di Boboli 4, datata in età severiana, sebbene quest'ultima presenti una resa più accentuatamente patetica, in forme plastiche più volumeriche e chiaroscurate. Secondo il Delbrueck, seguito dalla Faedo e da chi scrive, la stilizzazione del gorgoneion e la maggiore rigidezza della forma della vasca e la grossolanità esecutiva inducono ad ascrivere l'opera all'età dioclezianea. Bibliografia: DELARUECK 1932,p. 175 6, tav. 88, a-b; E, NERI LUSANNA,L. FAEDO, Museo Bardini a Firenze, Milano 1986, p. 199,n. 2 , figg. 30,31 (L. FAEDO). 4 Ausroci 1995,B. I. 51. Cît supra, p. 865. 177
L.6 Luogo di conservazione: Firenze, Palazzo Pitti, “Sala della Tazza”, all'ingresso della Galleria Palatina, inv. OdA 1911, n. 1536. Luogo di provenienza: un tempo a Roma, Villa Medici, nello “Stanzone detto il Restauro" (Diodato Ray); trasferito a Firenze nel 1789. Il luogo di rinvenimento a Roma è ignoto. Porfido rosso. Diam. em 250; citconf. cm 800; b. cm 48; disco diam. em 70; circonf. del cerchio in aggetto sul fondo: cm 370. Labbro: h. em6; spess. cm 11.
La vasca è stata restaurata nell’Opificio delle Pietre Dure a Firenze, nella metà del XIX secolo. Tutta la superficieè stata rilevigata; sono state inserite integrazioni in porfido brecciato e di grane diverse. Anche gli ornati sono stati ritoccati: le modanature del labbro e dell’ombelico centrale sono frutto del restauro ottocentesco. Il supporto attuale, non antico, è interamente fatto di pietra o di mattoni e rivestito di malta laterizia, dipinta ad imitazione del porfido. Un restauro professionale del labrum era stato già effettuato nel 1762, quando era a Villa Medici. 11 labrum è del tipo T, a vasca. Un tenone a disco aggettante sporge dal fondo: esso doveva servire per incastrare il supporto originale 11 Delbrueck propone una datazione nel II secolo d.C. Il restauro ottocentesco ha certamente alterato la superficie e la forma originaria del labbro e dell'ombelico: il primo, infatti, ha un aggetto inconsueto nelle conche antiche e una complessa e insolita articolazione. Il piano superiore è a due livelli: un bordo più interno piatto, da cui si stacca, al di sotto di un gradino, un toro fortemente aggettante, seguito in basso da un listellino e da un più ampio cavetto, delimitato da un listello sporgente, sotto cui si incurva la parete liscia, che si ferma, senza stacco, sul fondo piatto, piuttosto ampio. La successione di toro, listellino e cavetto del labbro richiama quella dei bordi delle vasche oblunghe con corpo semicilindrico e apertura rettangolare (AMBROGt 1995, A. II), cui si sono verosimilmente ispirati i restauratori. L'ombelico è della forma consueta, con anello esterno e cupola schiacciata centrale, al cui interno si stacca un ampio bottone arcuato. L'anello, però, più articolato del solito, presenta una sezione con un listello di base, su cui si impianta un altro listello rientrante e al di sopra un tondino: questa più ricca articolazione potrebbe dipendere dal restauro ottocentesco. Per concludere, possiamo affermare che all'intervento moderno si devono il labbro e la fascia sottostante, l'ombelico, la rilevigatura e le integrazioni di tutta la superficie sia interna che esterna. Il labrum di Palazzo Pitti un tempo era a Roma, nella Villa Medici, ove era conservato nello "Stanzone detto il Restauro”, cioè nella diaeta disegnata dall’ Ammannati peril prospetto sottoil Boschetto. Qui nel 1762 ricevette un primo intervento di restauro professionale, piuttosto costoso. Il supporto era in granito grigio, come ricordano i documenti d'archivio; dopo il trasferimento a Firenze non si ha più notizia di questo piede. Nelle liste redatte nel 1787, relative alle antichità di Villa Medici da trasferire a Firenze, viene ricordata una “tazza di porfido rosso di diam. di circa 22 pal. (misura sbagliata: in realtà di circa 11 palmi, come asseriscono altri documenti), con piede baccellato di granito bianco e nero, tanto la tazza che il piede quasi tutto rilavorato”. Oltre a questo grande labrum a Villa Medici, il Delbrueck ricorda un bacino più piccolo, sempre porfiretico, del diametro di 6 palmi, che fu trasferito a Firenze nel 1788, e di cui non si conosceva più la colloca178
ziones. I documenti d'archivio relativi ai trasferimenti dalla Villa Medici a Firenze negli anni 1787-1789 menzionano un labrum porfiretico minore, rispetto a quello di Palazzo Pitti, identificato dalla Capecchi con il bacino attualmente a Palazzo Vecchio (L. 7): potrebbe forse trattarsi della stessa opera. Ti labrum monumentale in esame giunse a Firenze ne! 1789, dove Pietro Leopoldo, su progetto di Niccolò Gaspare Paoletti, avrebbe voluto riutilizzarlo nella fontana di piazza Santa Croce. Ma lo stato di conservazione era tale che si rinunciò al progetto, essendo necessarioun complesso restauro, cosicchè la grande tazza rimase per tutti gli anni 90 accantonata. Nelle liste parigine relative ai marmi antichi da prelevare a Firenze dopo l'ingresso dell’Armata napoleonica, il 15 ottobre del 1800, la tazza è menzionata, ma non fu portata via: essa rimase a Firenze senza, pero, trovare ancora una degna collocazione. Infatti nel 1808 era nei depositi di San Lorenzo, insieme al labrum porfiretico più piccolo e ad altre statue in porfido trasferite da Roma nel 178889, Finalmente nel 1840 la tazza fu portata nel laboratorio dell'Opificio delle Pietre Dure, dove venne fortemente restaurata, come si è già detto. I lavoro era completato probabilmente nel 1854-55, quando Leopoldo Il di Lorena commissionò a Giovanni Dupré di realizzare un nuovo supporto, il cui modello in gesso, donato dagli eredi Ciardi Dupré nel 1968, è attualmente a Montecatini Terme, nell’ Accademia Scalabrino. Il progetto del Dupré, però, non fu mai portato a compimento per le diff coltà politiche nel frattempo sopraggiunte. Già nel 1841 la grande tazza era stata destinata a una delle sale di Palazzo Pitti, ma fu soltanto il 5 aprile del 1858 che si richiese di trasferire la razza dall'Opificio al Palazzo. L'inventario del 1861 la registra nella Sala incompiuta, da dove fu poi trasferita nella “Saletta della Tazza”, il cui nome è documentato solo nel 1922. È in occasione di questa definitiva collocazione che fu realizzato il supporto attuale. Bibliografia: Doc. Ined., IV, 1880,p. 79, n. 57; A. Zopi, Notizie storiche sull'origine dei lavori in pietre dure, Firenze 1841, p. 127; DELBRUECK 1932,p. 176 s. tav. 85; N. CIPRIANI, La Galleria Palatina nel Palazzo Pitt a Firenze. Repertorio illustrato di aut 1 dipinti, le sculture, gli affreschie gli arredi, Firenze 1966,p. 7; CAPECCHI, PAoLETTI 2002, pp. 28, 35 s. fig. 28; G. Capecchi, La “razza” di porfido da Villa Medici a Pitt, in Palazzo Pitti. La reggia rivelata, Firenze 2004, pp. 155 ss. 611, n. 154. Disegni = Dioparo Rav, 1778, Roma, Villa Medici, Stanzone detto il restauro, particolare (Palazzo Pitti in bibl, fig. 1) L.7 Luogo di conservazione: Firenze, Palazzo Vecchio, Cortile della Dogana, addossato al muro od utilizzato come fontanella, Luogo di provenienza: ignoto. Probabilmente un tempo a Roma, in Villa Medici. Trasferito a Firenze nel 1788, Porfido rosso.
5 Doc. ined., IV, p. 80 s. n. 163; DeL&RUECK 1932,p. 177. Cfr. CAPECCHI, in bibl, 2004, pp. 155, 156, con bibl. prec. 179
Diam. em 140; circonf. cm 450; h. em 36 circa; h. del labbro cm 6 circa; spess. del labbro cm 6. Una lunga frattura, restaurata con stuccoe sei grappe metalliche, percorre la vasca sul fondo fino al labbro; in corrispondenza della linea di frattura un frammento del labbro è stato riattaccato. Lungo la parte anteriore del labbro sono stati resi 16 incassi verticali, con tondino superiore (h. cm 3,5), disposti a intervalli regolari (tra i 26 e i 28 cm). Quattro fori passanti, attualmente richiusi, resi nel sottolabbro in forma tonda e regolare, sboccano all’interno della vasca, formando intorno al foro di useita, tondo, un incavo rettangolare con sommità arcuata. Sulla parete esterna sono resi rozzamente due cerchi inscritti: quello esterno, incavato, circonda il bottone centrale, liscio (cioè dello stesso livello della parete antica).
La vasca, di piccole dimensioni, è del tipo IV a conca, con profilo ad arco di cerchio, ad eccezione del breve fondo piatto dello stesso diametro del piano del supporto, e labbro estroflesso, con profilo fortemente arcuato, a becco di civetta. Il profilo della vaschetta si caratterizza per una curvatura costante e continua fino al fondo, a formare una conca. Il disco centrale è composto da un anello, con sezione a tondino, che circonda una grande cupola particolarmente schiacciata, da dove attualmente fuoriesce una cannulas. Secondo il Delbrueck il labbro sembra essere stato un tempo rivestito di una fascia metallica, come mostrano le diciotto (in realtà sedici) incisioni verticali rese sul bordo esterno, in cui dovevano inserirsi i perni; all'interno si notano 4 più grandi incisioni diritte, radiali. Sul bordo superiore del labbro, a sinistra, è incisa un'iscrizione lunga 24 cm, con lettere greche maiuscole, alte circa 2 cm. 1I Delbrueck nota che queste lettere, dall'incisione attenta (almeno nella prima parte; la parte finale è più trascurata), sarebbero state coperte dalla fascia metallica. Secondo il Delbrueck le prime sei lettere si compongono in un nome proprio: Oionós; delle seguenti quattro lettere l’ultima non è sigma, ma kappa, di cui è segnato il tratto superiore obliquo, si avrebbe così la parola diak per didkonos; ep starebbe per episkopou in genitivo. Seguono due pi e un rho; secondo il Delbrueck esse compaiono molto simili nei bolli di lampade egizie tardo-antiche, come abbreviazioni del nome di un vasaio, ad esempio Pamprépias?. L'iscrizione indicherebbe quindi il nome e la qualifica di un diacono vescovile; la effettiva formula di fondazione sarebbe da integrare: Oionós didkonos episkopou Pamprépios (*Pamprepios di Oion diacono vescovile”) Per il Delbrueck l'iscrizione non è databile, seppure difficilmente può essere stata incisa precedentemente o successivamente al IV secolo. Sono possibili due altre letture: [Epio uv] Qptovos. Stavettiod) mpleoßurepov) “Di Orion illustre presbitero” [zpóvox] 'Oplovos. iacerrlod) mlariplös) “Al tempo di Orion padre venerando'". L'analisi paleografica evidenzia alcune caratteristiche: l'occhiello del P aperto; l'Q di forma angolare con le tre stanghette verticali parallele; Y e X sono di forma lunata;
5 La parte centrale della cupola appare restaurata; secondo il Delbrueck il disco sarebbe stato forato nel mezzo per far uscire la cannula dell'acqua e a suo tempo richiuso. Non si può dire se anche in antico la cupola foss stata forata al centro, come appare ora con il tubo a maniglia che vi fuoriesce TM. Fuispers Prrur, Roman Ehnasya 1904, London 1905, p. 14, tav. 73, 158-179. 5 La prima è stata proposta dal prof. Santo Lucà, i quale posticipa la datazione al X-XI secolo; la seconda dal prof. Gianfranco Fiaccadari, il quale propone una cronologia al V secolo. Ringrazio sentitamente entrambi per la fattiva collaborazione. 180
IA presenta il filetto obliquo che tocca la base dell'asta sinistra. Alcune lettere appaiono fuse tra loro: Q e P iniziali, O e N successivo, TT o doppio IT, a secondo delle letture, e il P finali. Le lettere hanno un modulo regolare, soltanto 1’O, di forma tondeggiante, e il; sono di un modulo più piccolo. L'iscrizione, per la forma delle lettere, presenta la grafia caratteristica delle epigrafi bizantine di V e VI secolo. Ti soprannome’ Qpiuv/”Qpelew Orion è attestato per una sola volta a Pompei (1 se. aC.-1 sec. d.C.), in Sicilia (Siracusa, età imperiale), a Sparta (212 d.C.)!, per tre volte ad Atene (II-III secolo d.C.)!2, a Creta (173 a.C.), a Marmarica (II secolo d.C.) e per ben sette volte a Cirene (dal II secolo a.C. al II .C.)!. 1I supporto, non pertinente, è moderno. Nelle liste di antichità presenti a Roma nella Villa Medici da trasferire a Firenze, in occasione della spoliazione della Villa avvenuta negli anni 1787-1789, viene ricordato, oltre al grande bacino di porfido oggi a Pitti (L. 6), un bacino porfiretico minore con un’iscrizione greca. Questo labrum fu portato nel marzo 1788 a Livorno e subito dopo a Firenze. Qui, pur essendo stato inizialmente destinato ad ornare un cortile di Palazzo Pitti, rimase a lungo (almeno sino al 1808) inutilizzato, abbandonato insieme al labrum monumentale L. 6 e ad alcune statue di porfido, nei depositi di San Lorenzo. L'indicazione dell'iscrizione greca presente in questo bacino minore induce la Capecchi ad identificarlo nel labrum porfiretico in esame, sul cui labbro effettivamente corre un'epigrafe greca. Non è, pero, esatto il riferimento iconografico indicato dalla Capecchi, secondo la quale il labrum di Palazzo Vecchio sarebbe da riconoscersi nel bacino raffigurato da Hubert Robert al centro della Loggia dei leoni di Villa Medici, in una veduta eseguita nella metà del X VIII secolo. In realtà nel disegno del Robert è raffigurata la conca moderna in granito di Spagna, che nel XVII secolo rimpiazzò il labrum in verde antico o breccia egiziana L. 80, attualmente conservato a Roma nel Museo Torlonia. Quest'ultimo era stato utilizzato come bacino della fontama con il Mercurio volante in bronzo, realizzato nel 1580 dal Giambologna e trasferito nella metà del XVIII secolo al Museo del Bargello di Firenze. L'identificazione con il labrum di Palazzo Vecchio è, inoltre, smentita dalla diversità della forma del bacino disegnato dal Robert, privo di labbro. Magister Gregorius'^, a proposito della prima sistemazione del monumento equestre del Marco Aurelio al Laterano, menziona quattro colonne bronzee del basamento originario, forse identiche a quelle vicine al monumento, su cui erano collocate le due leonesse egizie in basanite, ora sulla scalinata del Campidoglio, e un bacino sistemato davanti al Marco Aurelio. Questo bacino, secondo il Gramaccini, potrebbe essere identificato con la vasca porfiretica collocata a Firenze nel cortile anteriore di Palazzo 9 PM. Fraser, E. Martuews, 4 Lexicon og Greek Personal Names, ILA, The Peloponnese, Western Greece, Sicily and Magna Grecia, Oxford 1997, p. 482; CIL, IV 3340.85,9. 10 Fraser, MATTHEWS, op. cit, IITAp. 482; A. FERRUA, Note e giunte alle iscrizioni cri stiane antiche della Sicilia, Cit del Vaticano 1989, p. 63, n. 241 (Siracusa). 7! Fraser, MATTHEWS, op. cit, ILA, p. 481; 1G, V, 1, 685,7. 12 Fraser, MATTHEWS, op. cil, II, Attica,ed. M.J. OspoRNe,S.G. ByRNE, Oxford 1994, p. 481, 12. 15 Fraser, MATTHEWS, op. cit, I, The Aegean Islands, Cyprus, Cyrenaica, Oxford 1987, p. 488, 1 (Crei); 2,3,4,5,6,7,8 (Cirene); 9 (Marmarica), 14 GrAACCINI 1997,p. 145. 181
Vecchio, che raccoglie l'acqua di un putto del Verrocchio: in realtà la vascaè opera del Tadda!5. Ricordiamo, comunque, che di vasi porfiretici nella Basilica e nella piazza Lateranensi parla anche l'Albertini?s. Secondo il Delbrueck l’opera in esame è di età costantiniana: la ricorda come esempio delle tarde ordinazioni fatte ancora alle cave del Mons Porphyrites per i palazzi e le Chiese costantiniane!”. Si potrebbe anche ipotizzare una provenienza della vasca da Costantinopoli!®, L'esame della documentazione induce ad avanzare un'ultima ipotesi, secondo cui potremmo riconoscere in questo labrum fiorentino il bacino tondo un tempo davanti al Pantheon, ivi attestato dalle fonti letterarie e iconografiche del ‘400 e ‘500, vendi to nel 1592 al marchese d’Este e trasferito a Ferrara, attualmente non più reperibile, cui peraltro la Capelchi ricorda una trattativa di acquisto da parte del granduca di Toscana proprio nel 1592!9. L'iscrizione allora potrebbe riferirsi alla sua collocazione nella piazza del Pantheon, che può verosimilmente risalire, prima ancora del XII secolo (testimonianza del Magister Gregorius), già al VII, quando Bonifacio IV (608-615) dedicò l’edificio alla Vergine. Anche i disegni, soprattutto quello del Pollaiolo, e le stampe raffiguranti la piazza del Pantheon sembrano confermare questa ipotesi: il labrum disegnato appare di piccole dimensioni, in forma di conca ad arco di cerchio, con labbro estroflesso ben indicato, proprio come il bacino in esame. Bibliografia: DeLSRUECK, pp. 171, 177, tav. 87, fig. 81; Caveccut, Paoterri 2002, p. 35, nota 145; Carsccin, art. cit. (L. 6),p. 155ss, nota 3. 1.89
Luogo di conservazione: Napoli, Museo Archeologico Nazionale: il labrum restaurato è nel cortile occidentale; i frammenti del secondo labrum sono conservati nove nel magazzino Cavaiole e sci nel cortile suddetto. Luogo di provenienza: la vasca L. 8 nel ‘600 si trovava, insieme a S. 4 e 5, in palazzo Farnese a Roma, come ricorda l'inventario della collezione redatto nel 16972; da lì fa tra‘ferita, con L. 22, S. 4 e 5, nel Museo di Napoli nel 179621. Nella tavola del catalogo del Musco Borbonico del 1830 la vasca appare posta su un plinto ottagonale (ora al Museo Archeologico Nazionale di Napoli) e su un altro supporto (S. 5= D+E del Delbrueck), poi venduto all’antiquario Jandolo nel 192922, insieme alla vasca porfiretica, di dimensioni minori, ora a Villa Giulia (L. 22). Entrambe le opere potrebbero provenire dalle terme di Caracalla: ale provenienza 6 indicata nel ‘500 dal Palladio (dal frigidarium= “dal cortile senza logge”) e riportata dal Lanciani nel 1897. I Finati nel catalogo del Museo Borbonico 15 DeLBRUECK 1932, p. 178. 16 Atnermv 1510,p. 486, v. 10. 17 Deterveck 1932, in bibl Si veda infra Appendice I, nn. 5-9: le fonti ricordano ben cinque bacini a Costantinopoli. 19 Si veda la scheda in Appendice Il, n. 1. Cfr. CAPECCHI, art. cit. (L. 6),p. 155, nota2. 20 Doc. Ined.,I, 1879, p. 389. I Finati, in bibi, ricorda i giardini Famesiani. 21 Doc. Ined., 1,1878,pp. XI, 166 s. 247. 22 Supporto È € plinto D del Deibrucck-Detarusck 1932, fig. 82. Attualmente è posta sul supporto C, la cui pertinenza è comunque incerta. 182
del 1830 ricorda che la conca costituiva uno degli ornamenti dei giardini Famesiani (Palazzo Farnese) “in compagnia, per quanto dicesi, di un aliro simile, di cui rimangono tu tora alcuni frammenti ed il piede" quindici frammenti conservati nel Museo Archeologico di Napoli (L. 9), appartenenti ad una vasca del tutto simile a quella restaurata, confermano l'esistenza di un altro Jabrum analogo al primo. Si tratterebbe, quindi, di due Jabra identici provenienti probabilmente dalle terme di Caracalla, poi entrati nella collezione di Palazzo Farnese e infine trasferiti a Napoli alla fine del ‘700. Gerhard e Panofka annotano che la vasca era nella collezione Gargiulo Porfido rosso. L.8, vasca: diam. cm 296; circonf. cm 967; h eirca em 59. H. della maschera cm 54; spessore del labbro cm 24; h. della pancia cm 34 circa; diam. del disco interno cm 98, Misure. del kymation: h. totale della comice em 12,5/13,5; h. dell'ovolo (senza guscio) em 7, con guscio cm 9,5/10; h. dl listellino inferiore cm 3/3,5 Supporto (S. 4): h. cm 98,5; diam, cm 160. Plinto superiore a sedici lat: largh del lato cm 35; h. cm 8. Pinto inferiore a oto lati largh. cm 72,h. cm 17. L. 9 nel magazzino Cavaiole: 1) cm 31 x 72 x 47; 2) cm 93 x 62; 3) cm 100 x 22 (h. del fondo) x 30; 4) em 50 58; 5) cm 57 x 40; 6) cm 44 30; 7) cm 20 x 46, foro circolare non. passante: diam, cm 1,5: 8) cm 40 x 25, foro non passante: diam. cm 2,5; 9) lungh. em 55, h. cm 25, largh. cm 40. Frammenti nl cortile occidentale: 10) lungh. em 51,h. em 55, spess cm 20; 11) cm 51x32; 12) cm 60 x 32; 13) lungh. em 49, h. em 45, spess. cm 20; 14) cm 72x45 x 8; 15) cm 40x 30 x 18. IL labrum restaurato (L. 8) è ricomposto da vari frammenti, più di un terzo della vasca è stato ricostruito in cemento rosso. AI tempo del Delbrueck, come lo studioso ricorda, le anse erano state completate in gesso: tale restauro fu in seguito eliminato. Un recente restauro dell'opera (a. 2003) ha permesso di ricomporre parzialmente una delle anse, aggiungendo parte dell’alzata; il frammento è tenuto da tre perni metallici, inseriti in tre fon, già esistenti (dovuti a restauri precedenti), nella rottura superiore della foglia. Una. corda metallica, passata attraverso la parte superiore delle teste barbate, stringe la vasca tutt'intorno. Numerose scheggiature negli ornati. Anche il supporto si presenta fortemente scheggiato, soprattutto alla base, e percorso da lunghe linee di fattura. Dell’altro labrum (L. 9) si conservano quindici frammenti, comprendenti elementi delle pareti, del fondo, delle anse serpentiformi, della parte inferiore di una maschera barbata e dell'ombelico interno. In alcuni pezzi si conservano evidenti resti di incrostazioni calcaree. Il frammento con barba e quello con parte dell'ombelico costituiscono dei doppioni rispetto agli elementi analoghi presenti in L. 8, dimostrando con ciò di appartenere ad un'altra vasca, del tutto simile: L. 9. La vasca restaurata (L. 8) appartiene al tipo VIII, lussuoso: essa presenta un labbro fortemente sporgente, la cui fascia anteriore appare riccamente omata con un kymation ionico, di tipo classicistico. Dal sottolabbro dirito e liscio si incava una scozia rientrante (h. cm 10), da cui si stacca la curva convessa del corpo della vasca, formando un gradino dal piano inclinato, più o meno ampio (larghezza del piano: cm 1-1,5), in alcuni punti con bordo stondato e în alti, acuto a formare quasi un gradino ad angolo retto. Alla carenatura esterna corrisponde quella interna, per cui dalla parete fortemente convessa del collo si passa, attraverso un gradino rientrante, anch'esso più o meno squadrato, alla 2511 Palladio, infatti, annota “questi vasi sono di porfido e stanno ne le terme di antonino”: LANCIANI 1985 (1897), in Dil, p. 462. 24 Breccia di porfido, secondo il Delbrueck, simile a quella dei Daci in Firenze; in breccia di porfido sono secondo il Delbrueck anche i Jabra L. 6, 14, 16. Si tratta di una varietà del porfido rosso: cfr. MiELSCH 1985,n. 705, tav. 21. 183
pancia incavata. La pancia all'esterno digrada dolcemente, senza stacchi netti, verso il fondo piatto. Il kymation ionico presenta ovoli rigonfi, delimitati da gusci a listello, alterati a punte di frecce, a volte ben rifinite, altre meno: le freccette, complete di dorso diritto e punta a V, risultano in alto rilievo rispetto al fondo ribassato; alcune volte, invee, il solo dorso è rilievo, più o meno accentuato, fino ad appiattirsi del tutto, sembrando quasi una punta liscia di lancia. In corrispondenza delle anse la sequenza del kymation ionico appare alterata, mal eseguita: tuta la fascia appare schiacciata, non diritta, e in alcuni punti rialzata; gli elementi del kymation non sono ben disegnati e rifiniti; la stessa carenatura risulta come sollevata. Evidentemente in corrispondenza delle anse si doveva chiudere e riunire la lavorazione delle due facce: le alterazioni nel disegno e la trascuratezza dell'esecuzione in queste due zone rivelano le difficoltà di suddivisione degli spazi e di esecuzione della comice ornata nel più complesso punto di raccordo delle due emisfere. Il disco interno è del tipo consueto ombelicato, delimitato da un anello a sezione rettangolare, seguito da una fascia concentrica ad andamento sinuoso (tipo gola rovescia), al cui interno, dopo un solco profondo, si stacca un'ampia cupola schiacciata, dalla base a listello diritto. Doppie anse serpentiformi dalla pancia salgono in alto, sopravanzando il labbro, per poi ridiscendere sulla fascia superiore di esso. Tra i finali sulla pancia si staglia una maschera maschile, barbata, in fortissimo aggetto. Delle anse sono conservati gli attacchi, sul labbro e sulla pancia, ai lati della maschera; parte delle alzate interne e un segmento della sopraelevazione. Ciò permette di ricostruime 'aspetto originario: la fascia di ciascuna ansa è composta dai corpi affiancati di due serpenti, fasciati nella curva esterna da una ampia benda, stretta anteriormente în un nodo erculeo. Le parti anteriori dei serpenti si inarcano, parallele, verso il basso per poi divaricarsi, appiattendosi lungo il bordo, con andamento sinuoso: i loro corpi sono superiormente lisci, mentre i ventri, squamati, sono segnati da incisioni orizzontali parallele; delle teste ne rimane una soltanto. Essa presenta guance incavate da cui emergono i piccoli bulbi oculari a rilievo, ampia bocca tagliata da un solco, tre brevi incisioni parallele sopra la fronte e due doppie incisioni arcuate sul retro, che segnano la nuca. Nel segmento intemo delle anse, tra i corpi dei due serpenti, sono contrapposte due lunghe foglie, volte una verso l'esterno e l'altra verso l'interno, dirette in giù e con le punte, ripiegate in fuori, che toccano il bordo della vasca. Le foglie, di forma lanceolata, presentano una superficie increspata da rialzi disposti obliquamente, a “spina di pesce”, rispetto alla nervatura centrale rilevata, che nella foglia interna appare delimitata da due solchi paralleli. Nella parte interna dell'ansa, al di sotto della foglia è scolpita una conchiglia con ampie scanalature, disposte a pettine; nei quattro spazi di risulta tra la foglia, il bordoe la conchiglia, pendono quattro fiori di papavero, con i corpi sferici segnati da solchi paralleli, su corti steli. Gli attacchi inferiori delle anse sono costituiti dalle code dei due serpenti, intrecciati in spire anelliformi, fortemente aggettanti (spessore esterno ‘em 5,5-8): i due serpenti, infatti, ancora paralleli, dopo essere ridiscesi, arcuandosi verso l'estero, giungono a toccare la nuca della testa barbata, sopra cui si staglia una foglia lanceolata, ondulata, la cui punta ripiegata tocca la fronte della maschera. Ai suoi lati i serpenti si divaricano, formando con le code attorcigliate spire ornamentali?S. In questi finali i corpi dei serpenti sono del tutto lisci, senza squame, soltanto in una spira anelliforme si nota il particolare del dorso rilevato, presente anche nel frammento del labrum 25 Si veda il disegno in Real Museo Borbonico, VI, Napoli 1830, tav. 12 = DELERUECK 1932, tav. Bla. 184
del Foro della Pace. Le due teste barbate presentano lunghe capigliature, strette sulla nuca da una corona di canne palustri con germogli appuntiti, e bipartite sulla fronte in due masse voluminose, pettinate indietro, le quali coprono in parte le orecchie ed incorniciano il volto con lunghe ciocche parallele, lanose, appena ondulate, separate da ampi solchi; la fronte è stretta da una benda. I baffi spioventi, tortigline, circondano la bocca carnosa, appena dischiusa; la folta barba è pettinata lateralmente in più corti riccioli, mentre sul mento, la “mosca” è bipartita in due lunghi boccoli, speculari. Gli occhi, molto grandi, a mandorla sono delimitati da palpebre nettamente intagliate, dai bordi acuti; il bulbo è liscio. Il volto appare fortemente chiaroscurato, con la fronte percorsa da una profonda ruga orizzontale e con due bozze sollevate alla radice del naso, la netta arcata sopraccigliare ombreggia l'occhio incassato; gli zigomi pronunciati sporgono sulle guance e le tempie incavate; la bocca, piccola, ma camosa, circondata dai baffi, crea un ulteriore contrastodi luci e di ombre; la capigliaturae la barba esaltano i contrasti cromatici. Le incertezze esecutive, già evidenziate, quali l’imperfetto raccordo delle due emisfere in corrispondenza della zona delle anse, la non finitura di alcuni elementi, come le freccette degli ovoli, la differente rifinitura di alcune parti, come le spire serpentine con o senza dorso rilevato, il diverso spessore della carenatura, rivelano alcuni dati interessanti. Esse documentano che la vasca non era un prodotto eseguito in serie, su modello predefinito, ma che ci troviamo di fronte ad un'opera prima, per l'esecuzione della quale mancavano coliaudati modelli di riferimento; alle difficoltà dovute all'unicità dell’opera si univano, infine, la durezza della pietra usata e la complessità delTomato e della tettonica. La vasca appare non completamente rifinita, alcuni elementi sono stati lasciati semilavorati. Da notare, inoltre, che la superficie, ovunque perfettamente levigata, nella zona intorno agli anelli serpentiformi e alle maschere barbate è lasciata sgrossata: forse perché poco visibile. 1I carattere della testa, l'abbondante e articolata acconciatura, la bocca camosa, socchiusa, dal labbro inferiore sporgente, la corona di canne palustri farebbero pensare ad una divinità fluviale, da confrontarsi con le teste delle statue di personificazioni fluviali sdraiate, così diffuse in ambito ellenistico-romano®®, Lievemente diverse risultano le due teste barbate, conservate una a Vicenza, con modio e loti sul capo (un Serapide?), più appiattita nella struttura e più schematica nella resa di barba e capelli, e quella un tempo a Klein Glienicke, ora in un Museo svizzero, più vicina alle nostre per la struttura massiccia del capo e il forte aggetto, per la foglia posta sopra il capo e la resa più naturalistica del volto, ma con una diversa articolazione della folta barba a cavaturaccioli, disposti in una rigida composizione simmetrica, di gusto più calligra co. Più naturalistica è la resa dei capelli e della corona di canne palustri, con foglie più numerose e mosse. Secondo il Finati la testa barbata è da identificare con Esculapio; la testa, i quattro papaveri e le serpi forse indicano che la vasca era pertinente ad una fonte lustrale sacra al culto di Esculapio. Gerhard e Panofka, ricordando una vasca simile rinvenuta nelle terme di Caracalla, con teste che per il modio si possono certamente identificare con Serapide, propongono il riconoscimento nelle teste barbate della vasca in esame di Serapide, benché prive di modio, ma forse con un lotus di cui essi vedono l'attacco. 26 Sull'identificazione del personaggio barbato si rimanda alla più ampia discussione svolta a proposito della tipologia dei labra: p. 90 ss. 185
Dei quindici frammenti conservati nel Museo Archeologico di Napoli (L. 9), nove sono nel magazzino Cavaiole, sei nel cortile occidentale. Fssi sono pertinenti al fondo, alla parete superiore, alla pancia e alle anse di un labrum del tipo VIII, lussuoso, rivelandone l'aspetto originario, con anse serpentiformi, maschere barbate, ombelico, scozia e pancia convessa: la stessa forma della vasca restaurata, con la quale doveva condividere anche le misure e la resa tecnico-stilistica, tanto da far pensare alla realizza zione di ambedue le opere da parte di una stessa maestranza. II labbro è decorato anteriormente con un kymation ionico; sui suoi bordi restano tracce delle foglie lanceolate, fortemente venate, delle anse serpentiformi, i cui finali attorcigliati si conservano sui frammenti della pancia. L'interno doveva essere ombelicato, come si vede da un frammento comprendente l'anello esterno e la fascia ondulata del clipeo. Si conservano alcuni tratti della carenatura, interna ed esterna, che rivelano come l’angolo in aggetto, se si tratta di quella estema, o rientrante, se pertinente all'interno, non sia sempre uguale: a volte appare nettamente tagliato a formare un angolo retto od ottuso, altre volte, invece, forma un arco stondato. Il kymation ionico è identico a quello del labrum intero, con ovoli quasi triangolari, molto camosi, punte di freccia, con dorso rilevato; anche in questi frammenti la resa non è sempre uguale. Rimane, inoltre, un interessante frammento di una maschera barbata: si tratta della parte inferiore, comprendente la barba, a riccioli, e le ciocche, lunghe e ondulate, dei capelli sui lati. Il frammento è molto rovinato, soprattutto sul lato anteriore destro, ma è, comunque, visibile la somiglianza con le maschere barbate della vasca restaurata. I fori non passanti presenti in tre frammenti sono simili a quelli presenti in L. 8 e sono, quindi, dovuti ad interventi di restauro, probabilmente moderni. 1I Delbrueck, considerando le irregolarità esecutive e le disinvolte soluzioni compositive, sostiene che la vasca L. 8 non può essere stata prodotta prima dell'età traianea: probabilmente è dell'età traianeo-adrianea. La vasca L. 8 è ricordata nell’inventario di Palazzo Famese del 169727, con i due supporti porfiretici (S. 4, 5), e poi nell'inventario del Nuovo Museo di Napoli del 179628, dove sono menzionati anche i due supporti citati e il labrum L. 22. Nel volume VI del catalogo del Museo Borbonico del 1830 la vasca L. 8 è rappresentata soste muta da S. 5 (supporto E e plinto D, secondo la denominazione del Delbrueck®); il commento del Finati, come si è già scritto, ne ricorda la provenienza dai giardini Famesiani, insieme ad un altro labrum in frammenti (probabilmente L. 9) e ad un piede (S. 42). Nel volume VII del medesimo catalogo, del 1831, il supporto S. 4 sostiene la vasca L. 22. Verosimilmente la vasca L. 8 proviene dalle terme di Caracalla; lo testimonia un disegno del Palladio, in cui è raffigurato un labrum con supporto, in sezione, e un parti colare delle anse ornate con una maschera e dei serpenti: l'esemplare è assolutamente identico alla vasca in esame, sia per la forma esternaed interna, compreso il bottone centale, che per gli omati delle anse. Il sostegno è identico a quello E + D del Delbrueck (S. 5). Il Palladio accompagna il disegno con una didascalia, in cui annota che “questi vasi sono di porfido e stanno ne le terme di antonino”. Anche il Vasari, alla metà del 21 Doc. Ined.,I, 1879,p. 389. 28 Doc. Ined.,1, 1878,p. 247, nn. 201, 202, 203, 204. 29 DELBRUECK 1932, tav. 8la. 30 Vasant 1550, I, p. 108, 186
‘500, parlando del porfido menziona, senza però precisare il luogo di collocazione: “fontane con teste di varie maschere, intagliate con grandissima diligenza”. Dalla documentazione letteraria e figurativa raccolta possiamo tracciare la storia dei pezzi porfiretici citati: nel ‘500, nel frigidarium delle terme di Caracalla, ivi posti in collocazione primaria, si conservavano vari di “questi vasi”: uno doveva essere la vasca restaurata L. 8; un altro lo si potrebbe riconoscere nci quindici frammenti conservati nel Museo Archeologico di Napoli: L. 9; i sostegni di tali vasche potrebbero essere stati i supporti S. 4 (C) e S. 5 (E + D). Forse dalle stesse terme provengono anche i frammenti a Klein-Glienicke (L. 3) e la maschera barbata nel Museo svizzero, molto simili ad L. S. Anche la vasca L. 22 potrebbe essere ascritta alle terme di Caracalla e poi alla collezione Farnese, visto che la si ritrova citata nell'inventario del Nuovo Museo di Napoli del 1796, insieme a L. 8 e ai due supporti citati, e raffigurata nel catalogo del 1831, sostenuta da S. 4, tutte opere ricordate come provenienti dalla collezione Famese. Non abbiamo certezze sull’appartenenza a L. 8 sia del supporto S. 4 (C), secondo l'odierna sistemazione, sia di S. 5, posto precedentemente a sostegno della stessa vasca, come testimonia la raffigurazione del 1830 nel catalogo del Museo Borbonico. L'attuale supporto (S. 4), mono! i forma a campana, del tipo III B b, si compone di due plinti, quello inferiore ottagonale, quello superiore, più basso, di sedici lati, e di un listello, il cui piano superiore si incava in corrispondenza dell'attacco allargato del fusto, con profilo a cavetto restringentesi verso l'alto. Due tondini, a due terzi dell’altezza totale, segnano l’attacco della parte superiore, composta da un collarino, con un profilo leggermente arcuato, e da un'alta fascia diritta. Il Delbrueck lo data nel II secolo d.C. Questo sostegno, di cui abbiamo già ricordato le citazioni e raffigurazioni, è verosimilmente da identificarsi con il piede porfiretico ricordato dallo Hülsen?!, di forma ottagonale facente parte della collezione Farnese, trasferito poi al Museo di Napoli e conservato in uno dei cortili interni del Museo. Le misure di questo piede, secondo lo Hülsen, sarebbero corrispondenti a quelle della vasca in porfido ricordata dal Ligorio come proveniente dall'impluvium del Comizio: diam. pal. 6/, alto pal. 3/2, come già riportato nell'inventario del 1805? delle sculture antiche nel Museo. Le misure riportate dallo Hülsen e indicate dal Paribeni (h. cm 90, largh. di ogni lato dell’ottagono cm 70) risultano di poco inferiori a quelle del supporto in esame. Bibliografia: E. GermarD, TH. PANOFKA, Neapels antike Bildwerkwe, Stuttgart-Tubingen 1828, p. 49 s.,n. 161; Real Museo Borbonico,VI, Napoli 1830, p. 1 ss, tav. 12 (S. 5+L. 8) (G. Fiam); Real Museo Borbonico, VII, Napoli 1831, frontespizio (S. 4 + L. 22);A. RuEscH, Guida illustrata del Museo Nazionale di Napoli, Napoli s.d. (1908), p. 287, n. 1256; D. Bassi et Al., Das Nationalmuseum in Neapel,p. 212, n. 852; Doc. Ined, I, 1878, p. 247, nn. 201 (L 8), 203 (S. 5), 204 (S. 4); Doc. Ined I, 1879,p. 389 (L. 8, S. 4, 5); LANCIANI 1985 (1897), . 462, fig. 208; DeLBRUECK 1932,pp. 178'ss., 181 s. tav. 81, figg, 82-85 (L. 8, 5.4); GoETHERT 1972, p. 47, tav. 127, ab. Disegni: =A. PALLADIO, in LANCIANI 1985 (1897), p. 462, fig. 208,
31 HOLSEN 1902,p. 35, nota 1 32 Doc.Ined.IV, 1880,p. 211, n. 487. 187
10 Luogo di conservazione: Venezia, Basilica di S. Marco, nella navata centrale, a destra. Luogo di provenienza: ignoto. Porfido rosso. Diam. cm 150; circonf. cm 470;h. cm 25;. Labbro: b. em 1,5; spess. cm 6,5. Nell'interno sotto il labbroè stato posto un anello in metallo, a sezione concava, tenuto con una base di cemento. La superficie interna è particolarmente incrostata di calcare, essendo stata riutilizzata come acquasantiera. Tre lunghe fratture percorrono le parcti, partendo dal labbro e scendendo fino al fondo. Sul labbro sono presenti una piccola scheggiatura e un incavo, probabilmente reso in età post-antica, forse per appoggiarvi sopra qualcosa o per agevolare il deflusso dell'acqua.
La vasca è del tipo II a bacile, di piccole dimensioni. Essa presenta un labbro aggettante del tipo consueto, con una fascia piatta anteriore particolarmente sottile e un bordo superiore leggermente incurvato. Le pareti digradano, incurvandosi dolcemente verso il fondo, senza uno stacco netto. Il fondo è piatto e lasciato grezzo, non lisciato, mentre perfettamente levigata risulta l’intera superficie sia interna che esterna. I disco centrale è composto da un anello a tondino spigoloso (cioé a sezione quadrata superiormente), che delimita l'ampia cupola ad emisfera schiacciata, con un bottone incavato, ma non forato?, nel mezzo. La vasca non presenta fori, né tracce di rilavorazione, 1I Deibrueck propone una datazione nel III secolo d.C., affermando che la vasca veneziana, nel taglio, è più recente di quella a S. Maria Maggiore; mentre la forma del disco centrale ripete quella dei tardi esemplari al Museo Bardini e a Palazzo Vecchio. La vasca è attualmente posta su un rocchio di colonna în granito grigio. Un tempo, invece, era posta su un piede non pertinente (h. cm 101), composto di tre parti: la parte centrale, in marmo pentelico e consunta nella zona inferiore, è sicuramente antica. Il supporto è ricomposto con tre pezzi di lavorazione e conservazione diversi, collegati lun con l'altro per mezzo di elementi intermedi riccamente decorati. La parte inferiore si compone di un fusto cilindrico, liscio, profilato superiormente e inferiormente, sostenuto da quattro piedi con artigli alati. Questo pezzo è di un marmo diverso rispetto a quello della parte centrale, che con certezza è da considerarsi antica. Quest’ ultima si compone di un'ara cilindrica, modanata inferiormente c superiormente, decorata con onde marine, delfini e conchiglie, dietro cui s’innalza un tridente. La parte superiore, sempre in pentelico, profilata sopra e sotto e decorata con eroti, è considerata dal Diitschke®# un lavoro della fine del XV secolo.
Bibliografia: L. CicooARA, Le fabbriche più cospicuedi Venezia, Venezia 1815,1, p. 161, tay, 123; DetaRurcx 1932, p. 190, fgg. 94-95, Lu Luogo di conservazione: Verona, Basilica di S. Zeno, a sx. dell'ingresso principale. Luogo di provenienza: un tempo nella piazza davanti alla Basilica. Il Simeoni, 'Ederle e il Franzoni sostengono genericamente che la vasca proverrebbe dalle terme romane o da qual33 Il Delbrueck sostiene, erroneamente, che il disco è forato nel mezzo. 3 DotscHKE 1882, p. 156 s, n. 397. 188
che lussuoso bagno privato. La tradizione veronese afferma che questa vasca e quella riutilizzata in piazza delle Erbe provengono dalla zona del Duomo, dove si è supposto esistesse un complesso termale, sebbene più recentemente si sia più propensi ad ipotizzarvi un quartiere residenziale: su ali problemi si veda la scheda della vasca in piazza delle Erbe (L. 106) Vasca e supporto in porfido rosso. Vasca: diam. cm 271; circonf. cm 851;h. cm. 45; spess. del labbro em 14; h. della fascia anteriore del labbro cm 5. Supporto: h. cm 81; circonf. anello superiore cm 360. Molto rovinato il disco centrale, sia nell'anello che nella cupola, fortemente lacunosa. Numerose scheggiature c fratture su tutta la superficie. Due grandi restauri con tasselli in porfido sul labbro, di cui uno con vistose tracce di cemento; un piccolo restauro in cemento sul bordo superiore. Due scheggiature e una profonda lacuna irregolare lungo le pareti Un frammento del labbro è stato riattaccato con cemento; dal basso si stacca una frattura che va verso il fondo. Tre lunghe fratture percorrono il corpo della vasca. Due fori non passanti, irregolari, interessano il labbro, forse servivano in età post-antica ad agganciare qualche elemento metallico. Il supporto presenta un ampio restauro nella parte superiore, rotta: cemento e mattoni sono stati inseriti per riempire lo spazio vuoto tra il lacunoso piano supe» riore di appoggio c il fondo della vasca. Numerose scheggiature interessano il supporto, soprattutto lungo i bordi. Il plinto ottagonale è stato cementato al suolo,
Labrum di grandi dimensioni, del I tipo a vasca, con labbro estroflesso del tipo consueto, con fascia anteriore piatta e bordo superiore ricurvo. La curvatura della parete digrada dolcemente fino a giungere al fondo, piatto e ampio, con un diametro superiore a quello del supporto (sporge per un raggio di cm 58). All’interno del cavo un grande disco ornamentale, molto rovinato, composto di un anello a sezione arcuata, schiacciata superiormente, e di una cupola schiacciata, lacunosa. Non ci sono fori nella vasca. 1I supporto, pertinente (S. 7), è del tipo III B b, con plinto ottagonale, sormontato da un toro e un listello liscio, al di sopra del quale si imposa il fusto dal profilo a guscio, stretto superiormente da un tondino, a due terzi dell'altezza totale. Il collarino è a fascia ribassata, delimitata superiormente da un’altra fascia in aggetto TI Delbrueck data la vasca tra il Il e il II secolo d.C. Inizialmente il prezioso labrum si trovava fuori dell'edificio, nella piazza davanti alla Basilica di S. Zeno?*, vicino alle mura cittadine; lo attesta una xilografia della civitas Verona del XV secolo. Secondo il Simeoni doveva servire per le abluzioni rituali dei fedeli. Nel 1693 il Comune si preoccupò delle condizioni di abbandono in cui versava la vasca e nel 1703 accettò l'offerta dell'abate Alvise Priuli di metterla al coperto in una stanza del cimitero, dove è ora il prato a sud della Basilica. Nel 1707 fu trasferita nella stanzetta addossata alla Basilica, accanto alla facciata, come testimoniano le stampe seicentesche di Ligozzi, di Frambotti, di Michieli e anche una stampa ottocentesca*, nelle quali la vasca è disegnata fuori S. Zeno a destra dell'ingresso, di fronte al muro di cinta dell’annesso cimitero. Sul piedistallo venne posta una lamina inscritta: “Porphyrites pretiosum Zenonis potentiae in superos testimonium, huc transatum iussu et expensis Aluysii Prioli commendat. 1707”, riportata dal Da Persico e 35 La Basilica benedettina di S. Zeno, nota come S. Zeno maggiore, con annesso Monastero, sorge in un'area cimiteriale romana, in cui fu sepolto S. Zeno: qui fu edificato nel IV-V secolo un sacello, su cui si elevò nel IX secolo la Basilica a tre navate absidate, voluta da Pipino, re d'Italia c figlio di Carlo Magno. II vicino Monastero fu prescelto nel X secolo dall'imperatore. Ottone 1 e dai suoi successori come residenza, quando sostavano a Verona: cfr. test citati in bibl. 36 La stampa dell’800 riproduce esattamente quelle seicentesche: Nella bella Verona, a cura di PP. BauanoLs, Bologna 1972, fig. a p. 216, a. 189
menzionata per la semplicità dell'incisione dal Maffei”. Nel 1819 però il Municipio volle sgombrare tutto il lato meridionale e così demoli la stanzetta in cui era conservata la vasca, che fu portata dentro la Basilica di S. Zeno nel sito attuale, dove un tempo si trovava il vecchio Carroccio comunale, il quale, essendo stato nel 1164 a Vaccaldo il propulsore della sconfitta subita da Federico Barbarossa, poi usato per portare in giro i| vessillo di S. Marco, era divenuto il simbolo delle libertà comunali prima della signoria scaligera. Il Carroccio rimase nella Basilica fino al 1583 quando alcuni monaci tedeschi, allora residenti nell’ Abbazia, lo distrussero. In ricordo del trasferi‘mento della vasca, il Municipio fece incidere sulla lamina con l'iscrizione dell’ Abate, le due seguenti iscrizioni: "Labrum idem lastrale, disiecta aedicula Decuriones in Basilica interiori conlocaverunt XII Kalendas Aprilis Anno MDCCCXVIIII. Antiquitatis studio colendo prospiciendoque templi turrisque sacrae lateri aediculam evertere inque Ecclesia labrum lastrale ex porphysite conlocari Decuriones curarunt anno MDCCCAVIIII”. Iscrizioni entrambe riportate dal Da Persico, perché la lamina non si vede più. II Simeoni, il Delbrueck e l'Ederle riportano la leggenda, secondo cui la vasca proverrebbe dall’Oriente: le scheggiature sulla vasca sarebbero i segni delle unghie del diavolo, che per ordine del Santo l’avrebbe trasportata dalla Siria a Verona®. L’Ederle precisa che la vasca fu dono del “re Gallieno”; a Gallieno si deve il ripristino, nel 265 &.C,, della cinta muraria tardo-repubblicana di Verona. Una nuova cinta fù successivamente costruita dal re goto Teodorico (493-526), che nel 489 sconfisse Odoacre e s'insediö a Verona, sebbene la residenza reale si trovasse a Ravenna, in un grandioso palazzo sotto il colle di S. Pietro“, di cui rimangono forse dei resti: il labrum potrebbe provenire da questo edificio. Il Gramaccini, basandosi sulle notizie desunte dalla xilografia, sostiene che la disposizione della vasca nella piazza davanti alla Basilica di S. Zeno ricorda lontanamente la piazza romana lateranense con la sua concha porfiretica, in cui Costantino fa battezzato, convertendosi al Cristianesimo. Il grande labrum davanti a S. Zeno riforniva i membri della Diocesi di acqua potabile e rimandava in senso metaforico, come fontana della misericordia e della benevolenza (Jacobus da Voragine), ai doveri pastorali della Chiesa veronese. All'inizio del Medioevo la Basilica di S. Zeno era stata il centro religioso e civile di Verona. Le sue campane regolavano il corso della giornata, Il diritto del Vescovo, ivi manifestatosi, di esercitare dominio e controllo sulla città stessa, rimase incontrastato fino all’inizio dell’età dei Comuni. Allora si formò un'area di sovranità temporale lontana da quella spirituale: la piazza delle Erbe assurse a nuovo centro politico e amministrativo e assunse conseguentemente ogni compito distributivo e regolatore, che prima spettava al vescovo. Cansignorio (13591375) intervenne nella ristrutturazione della piazza delle Erbe. Le innovazioni tecni: che, da lui ordinate, della torre del Gardello e della fontana zampillante erano in comne con la primitiva organizzazione della piazza: la vasca della nuova fontana della piazza delle Erbe era simile a quella di S. Zeno, così da costituire ivi una rinnovata revoca all'autorità del Vescovo. La fontana definiva il centro della città nel 37 In Simon, in Bibl, p. 62. 38 G.B. Da Prasıco, Descrizione di Verona e della sua provincia, Verona 1820, I, p. 108. 39 BRUONOLI (a cura di), op. cit. a nota 36, p. 20: ricorda la medesima leggende, ma con il trasporto della vasca da Roma. 49 BnucNoL (a cura di), op. cit. a nota 36,p. 31. 190
segno dell’autoritä degli Scaligeri. La resistenza Ii tematizzata contro i barbari moderni aveva raggiunto nel coronamento della nuova fontana con l'antica statua femminile un evidente inasprimento. Questa statua era stata scelta con avvedutezza non diversamente dalla vasca della fontana, per sottolineare la restituzione alla piazza della sacralità delle origini. Per quanto riguarda la Madonna di Verona si trattava, sempre secondo il Gramaccini, di una chiara scoperta del preumanesimo veronese. La statua, come afferma l'iscrizione sullo zoccolo, attualmente al Museo Maffeiano, si trovava nel Capitolio, emblema e Palladium della città. Presso il Capitolium rimase, fino a quando il vescovo Zeno (362-371), costruttore della Chiesa più tardi a lui dedicata, la fece abbattere. Bibliografia: B. GiuL1aRi, La coppa di S. Zenone, Verona 1884; L. Simeoni, La Basilica di S. Zeno în Verona, Verona 1909, p. 61 s.; A. Da Lisca, La Basilica di S. Zenone in Verona, Verona 1941,p. 173; DeisRUECK 1932, p. 190 s,, fig. 96, tav. 86; C. EDERLE, La Basilica di S Zeno, Verona 1953, p. 22 s; L. FranzonI, Verona. Testimonianze Archeologiche, Verona 1965, p. 55 ss; Ritratto di Verona, a cura di L. Pure, Verona 1979, p. 53, nota 226 (G.P. MARCHINI): p. 345 ss, figg. 195, 203, 208 (G. Bontit1); Gramaccinı 1997,p. 231 ss. Stampe: — P. Licozzi, pianta di Verona (1620), particolare della zona di S. Zeno, Bibl. Civica Verona (Bore, in Pueri, in bibl, fig. 195); — P. FrAMBOTTI, pianta di Verona (1648), particolare della zona di S. Zeno, Bibl. Civ. ‘Verona (BORELLI, in Pure, in bibl. fig. 203); = P. MicmieLs, pianta di Verona (1671), scorcio della zona di S. Zeno, Bibl. Civ. Verona (Bowes, in PuPPI, in bibl, fig. 208). Lal
Luogo di conservazione: Musei Vaticani, Museo Pio-Clementino, Sala Rotonda, inv. n. 261. Luogo di provenienza: alcuni studiosi, ra cui il Delbrueck e il Varming?!, hanno proposto come luogo di provenienza la zona del Comizio, a circa 11 m di distanza dalla Curia c non. del tutto in asse con la sua porta, basandosi sul testo del Ligorio, i quale, descrivendo le spoliazioni di ruderi nei pressi dell'edificio di Santo Adriano (Curia), in cui egli identificava il tempio di Vulcano, ricorda: "havante al portico (della Curia) era stato posto un gran vaso di porfido, che serviva per fonte dilubrale del tempio, il quale era molto rotto, fu portato prima il corpo della tazza da papa Giulio II nel giardino di Santi Apostoli che hanno hereditato i signori Colonnesi et poscia da papa Giulio I è stato portato nella sua vigna fuor della porta Flaminia”. Spinola giudica la notizia del Ligorio, confermata dal Vasari, come la più atteniile. I Delbrueck ipotizza, in contrasto con il Lanciani? che la vasca in esame originaria mente si trovasse sull'inpluviun, tuttora visibile davanti alla Curia, le cui dimensioni ben si accordano con quelle della vasca porfretica in esame e i cui resti furono scoperti in occa41 Devarueck 1932, p. 189; VARMING 1965,p. 108 ss. 22 Cfr. Hotsex 190,p. 35. 43 Lanciant, II p. 190; Lancianı 2 ed, I, p. 211 ss. Cft. Lanctant 1900, pp. 16, 24 s: in base alle dimensioni il Lanciani sostiene che la vasca dell'impluvium doveva essere del tipo di quella a Montecavallo. 4 Boni 1900,p. 295 ss, fig. 1 ss; LANCIANI 1900,p. 15 ss; HOLSEN 1902, p. 33;G. Luana, Roma antica. Il centro monumentale, Roma 1946, p. 120; DELBRUECK 1932, p. 189; VARMING 1965,p. 115 ss, figg. 8, tav. I,c. 191
sione degli scavi effetuat nel 1900 davanti a S. Adriano, inseriti nel lastricato dell’area del Comizio. L'inpluvium a bacino piatto (a), circolare, era originariamente composto da otto lastre di marmo bianco, finemente lavorate di cui rimangono quattro, con al centro le tracce del piede ottagonale della vasca); al di sotto delle lastre correva un canaletto (b), che attraversava l'impluvio, parallelo alla facciata della Curia. Secondo il Boni? questo canaletto doveva alloggiare il condotto per l'alimentazione della fontana, avendovi trovato tracce di una conduttura di piombo; invece secondo il Lugli seguito dal Varming, si tratterebbe meglio di un rigagnolo. Dall'altra pate del canaletto si estende un lastricato di pietre iregoaridi travertino (D, che sporgono parzialmente sul bordo del canaletto c che devono essere più recenti del lastricato marmoreo, secondo il Boni sarebbero medioevali, notevolmente secondo lo Hülsen del V secolo. L'impluvio si sovrappone, ed è quindi posteriore, sia ad una fila di lastre di marmo grigio (c), con impronte di una cancellata, che ad uno strato di grandi latroni rettangolari in marmo bianco (d) finemente lavorati, con incavi destinati ad alloggiare sei plinti (€). In quest’ultima pavimentazione marmorea forse si possono riconocere resti del portico eretto davanti alla Curia di Augusto. Quasi ad angolo retto con il canaletto (b), sotto il lastricato in travertino, si rinvennero i resti di un condotto in piombo?!, pertinente verosimilmente al condotto di alimentazione della fontana. Dalle lastre conservatesi è possibile valutare il diametro dell'impluvio, che doveva essere di m 5,20; mentre i lati del plinto ottagonale risultano di lunghezza diversa: uno misura m 1,36; l’altro m 1,20%2. La ricostruzione dell'impluvio realizzata dal Varming è stata ottenuta dalla misurazione delle lastre nello stato attuale e sulla base dei resoconti del Boni. Su due lastre il Varming ancora leggeva le tracce di una B e di una F (rest di una progressiva numerazione A-H). Secondo To Hülsen? il ductus di queste lettere risalirebbe al V o al VI secolo; mentre le lastre dell'impluvio, qualitativamente superiori, farebbero supporre un'età notevolmente più antica. Ne consegne, secondo il Varming, che le lastre dell'impluvio furono prelevate da un altro luogo e trasportate ove attualmente si conservano. I Lanciani deduce che la fontana potrebbe essere stata eretta dopo gli anni 356-359 d.C.55 Probabilmente in seguito all'incendio appiccato dai goti di Alarico nel 410 d.C., fu necessario eseguire lavori nella Curia ¢ nella piazza antistante: i restauri furono eseguiti dal prefetto Neratius tra la fine del IV e gli inizi del V secolo d.C. Il Secretarium Senatus (S. Martina) fù riparato nel 452 dal prefetto Flavio Annio Eucario Epifanio, nell'anno del trasferimento ad opera di Valentiniano III della residenza imperiale da Ravenna a Roma. Secondo il Lanciani è in questo periodo che la fontana davanti la Curia sarebbe stata eret45 Varna 1965,p. 115 s. fig. 8 45 Bont 1900,p. 319, fig. 15. 47 Bont 1900,p. 306. 48 LuLi 1946, op. cit,p. 120. 4° Bont 1900, pp. 303, 339; HoLsew 1902, p. 31 50 Hosen 1902, p. 33. 51 Bot 1900,p. 305. 52 Per le misurazioni si randa all’accurato testo di VaRminG 1965, p. 116, nota 83; gi LaxcANI 1900,p. 14. 53 Boni 1900, p. 296, fig. 1. Le lastre, spesse em 9 (5 pollici romani), sull’orlo 9 cm di h. L'orlo ha un margine largo c piatto all’esterno, seguito da una grande ed elegante cornice lega germente avvallata, larga cm 12, e verso il piano del fondo termina in una piccola modanatura. Le lastre conservatesi rivelano tracce evidenti del dilavamento dell'acqua cadente 5 HoLsen 1902, p. 34, nota 2. 55 Periodo della seconda prefettura cittadina di Memmius Vtrasius Orfitus, che fece porre due piedistalli, presso l'arco di Settimio Severo, verso l'Argiletum, in onore dell’imperatore Costanzo: LANCIAN: 1900, p. 15; Höcsen 1902, p. 33; CIL VI, 31395,cf. ibidem, 1161, 1162. 56 Lanctant 1900, p. 16. 192
7. Roma, Foro Romano, impluvium davanti alla Curia (foto A. AMBROGI). ta, anzi meglio ristabilita, essendo le lastre dell’impluvium troppo finemente sagomate per essere di un'epoca così tarda: in tale occasione vennero trasportate al Comizio una vasca originariamente collocata in un altro luogo, a noi ignoto, e le lastre, contrassegnandole con le. prime oto lettere dell’alfabeto, per poterle ben riposizionare nella nuova collocazione. Sulla datazione delle lettere nel V-VI secolo il Lanciani concorda con lo Hülsen. Quindi, questa fontana del Comizio, costruita in epoca tarda, doveva essere composta, in base ai resti dell'impluvium, da un supporto ottagonale e da una razza rotonda7. Questa fontana rimase a lungo in funzione fino alla rovina degli acquedotti, secondo il Lanciani, visto Jo stato di erosione e le incrostazioni sulle lastre. Sia per la tazza di granito ora a Montecavallo, che per quella in porfido nella Sala Rotonda è stato individuato come luogo di rinvenimento la zona del Comizio ed entrambe sono state attribuit ll fontana dell'impluvium nel Comizio: in particolare a vasca in granito (L 36) sembra identificabile con quella ritrovata nel 158853 proprio di fronte alla statua del Marforio, cioé a circa 50 m dall'impluvio. Il Varming?? sostiene che la vasca in porfido, pur provenendo dalla zona del Comizio, non fosse pertinente all'inplviun, cui, invece, apparteneva, seguendo l'opinione del Lanciani®, la tazza di Montecavallo (L. 36), la quale ben si accorda con l'impluvio: la caduta dell'acqua formerebbeun cerchio dal diametro di circa m 5,20, perfettamente corrispondente al diametro dell'impluvio (m 5,20); anche il piedistallo delta tazza di granito, di cui non è noto esatto luogo del rinvenimento, si accorda con l'impronta ottagonale del plinto sull’impluvio.
5711 Boni vi immagina sopra un kantharos: BONI 1900, p. 306; o Hülsen — HOLSEN 1902, p.35 — esclude il vaso marmoreo ora nel Giardino dei Cinquecento, un tempo nella Chiesa dei SS. Apostoli: Mus. Naz. Rom, I, 7,2, p. 566 ss, XXV, 37 (A. AMBROGI) 58 Nel punto A della fig. 3 del Varming: Varounc 196. 39 Ricostruzione a: VARMING 1965, fig. 9. 6 Lanciani 1900, pp. 16, 24,25. 193
Alcuni studiosi avanzano altro proposte riguardo al luogo di provenienza della tazza porfietica in esame: ad esempio la piazza antistante il tempio di Serapide(o del Sole come ipotizza il Lanciani®), presso l'odierno giardino Colonna sul Quirinale. Il Massi sostiene che “stette lungamente avante le terme diocleziane”; mentre lo Squassi afferma che proviene dalle terme di Tito. Il Pistolesi ha ipotizzato come luogo di origine le terme di Tito o la Domus Aurea®2, quest'ultima ipotesi è condivisa da alcuni, ma criticata dal Varming, secondo il quale tale provenienza sarebbe plausibile, ma non confortata da prove. Infatti lo studioso danese suppone che il Pistolesi si sia rift alle notizie settecentesche di Giovanni Pietro Chattard®, che ricorda il ritrovamento sotto Innocenzo VIII di una “bellissima Tazza di porfido di larghezza palmi trentadue, seguito nelle Terme di Tito”, collocata dal medesimo Pontefice nella sua villa fuori Porta del Popolo e Successivamente, sotto Clemente XI, trasportata nel Cortile delle Statue, dove ancora al tempo di Chattard, si conservava dentro “un casotto di legno”; confondendo le informazioni sulla vasca di porfido con quelle riguardanti la vasca di granito nel Cortile del Belvedere, che realmente fu portata in Vaticano dalle terme di Tito durante il pontificato di Giulio IL Effettivamente le misure indicate (corri spondenti a più di m 7) si possono riferire solo alla vasca in granito, e non a quella in porfido in esame (diam. cm 476). “Tani afferma che la vasca monolitica fu trovata fra le rovine delle terme sull'Esquilino e che potrebbe essere un bacino di una fontana della Domus Aurea. Porfido rosso Diam. cm 476 (14 e 1 piedi romani); circonf. del labbro m 14, 43; h. circa em 60. Diam. del disco centrale: cm 156. Diam. del foro passante al centro ella vasca: cm 10. La vasca presenta numerose fenditure lungo le pareti e lacune integrate in porfido, sia sulle pareti che sul labbro; due tasselli di restauro anche sui due dischi sporgenti sul fondo. Manca il piedistallo originale, sostituito con un appoggio a quattro piedi, di metallo, in forma di teste e zampe feline. La superficie esterna della vasca è stata levigata nel ‘700 per volere di Pio VI che la fece restaurare ed anche completamente liscare. Si tratta del più grande labrum monolitico esistente, realizzato in porfido: è del tipo 1 a vasca. Il labbro estroflesso è del tipo consueto, con bordo superiore lievemente incurvato e nastro anteriore piatto e liscio; con un guscio si passa alla parete della vasca, la cui curvatura disegna un arco lieve e costante, che continua, dopo un'accentuazione dell’inclinazione, segnante il passaggio col fondo, con una flessione più lieve, fino alla zona centrale, piatta, del fondo. Nel vano interno, al centro, si solleva l’ombelico composto da un toro, un listellino, da cui si stacca il corpo centrale ondulato, completato superiormente da un bottone circolare. Dal fondo esterno della vasca sporge il tenone, che si incastrava nell’incavo, dalle forme e dimensioni corrispondenti, scavato nel supporto perduto, per assicurame il fissaggio™. I tenone è formato da due elementi concentrici inscritti l'uno nell'altro, di cui il minore in aggetto rispetto al primo: un grande disco circolare (diam. cm 172, spess. cm 5), da cui si stacca un più piccolo ottagono, sporgente (spess. cm 6). Soltanto la fascia esterna del primo clemento è lisciata, mentre il resto del tenone è lavorato a gradina. La vasca presenta sul fondo due fori passanti, di forma irregolare, di cui uno, più grande (em 10), al centro 51 LANCIAN, I p. 190. € PistoLESI 1829, V, in bib © Carano, in bibl, p. XXIV; III, Roma 1767, p. 127. + La presenza del tenone sul fondo esterno delle vasche tonde è costante anche nel mondo greco in loutéria e perirrhantéria: si veda tra i tanti citati a nota 40 del paragrafo su Prototipi e funzioni: Ropınson 1930; RoemsoN 1946, loc cit. 194
dell’ombelico e uno laterale più piccolo (cm 5), fuoriuscente estemamente a fianco del disco tondo. Non sappiamo se questi fori siano stati fatti al momento della realizzazione della vasca o successivamente, vista la forma irregolare. Il Delbrueck propone una datazione ipotetica nel II secolo d.C ; la levigatura moderna della superficie ne altera l'aspetto originario, rendendone difficile la lettura Le dimensioni straordinarie, la preziosità dell'opera rendono probabile una datazione nella media età imperiale, tra l'età adrianea e antonina. Le prime notizie sulla vasca porfiretica in esame le abbiamo nel *500 dal Ligorio, da cui, come si & già detto, sappiamo che un gran vaso di porfido, posto davanti al portico della Curia, evidentemente non interrato, ma ben visibile in superficie, fu fatto trasportare da Papa Giulio II (1503-1513) nei giardini dei SS. Apostoli, di proprietà dei Colonna: tale trasferimento, confermato anche dall’Albertini®, avvenne fra il 1503 (anno dell'insediamento di Giulio II) e il 1509, quasi a risarcimento dei grossi dissidi scoppiati fra Fabrizio Colonna, ghibellino, scomunicato, gli Orsini, guelfi, e papa Alessandro VI Borgia. La vasca fü poi donata da Ascanio Colonna a Papa Giulio IIT (1552) e portata nella vigna del Papa sulla Flaminia. Il Ligorio®, inoltre, parlando delle spoliazioni del card. Du Bellay presso il tempio di Vulcano, precisa che il catino porfiretico posto davanti al portico del tempio “era molto rotto . non ha il suo proprio piede, il quale (piede) havendolo trovato il suddetto (Card.) Giovanni Bellaio nel spiantare li fondamenti del portico del tempio (di Vulcano = S. Adriano/Curia) lo imbarcò con l'altre cose cha haveva spogliate et per giuditio d’Iddio sono annegati”. La notizia di questo naufragio, avvenuto nei pressi del mare di Piombino nel giugno 1550 ad opera dei pirati turchi, è confermata da una lettera del Card. Du Bellay, conservata nella Biblioteca Nazionale di Parigi*?: in essa si parla con rammarico della perdita di “una pietra di porido, la più eccellente che fosse nella cristianità”, forse destinata al re. II Lanciani si mostra scettico sulla veridicità delle notizie riportate dal Ligorio a proposito dei rinvenimenti presso il “Tempio di Vulcano”: ricordando il bacino porfiretico (diam. 520 cm) scoperto davanti alla Curia nel gennaio del 1900 e da lui pubblicato nel Bullettino Comunale del 1900, non presta fede alle notizie ligoriane relative alla scoperta del catino di fontana ai tempi di Giulio II e sul suo trasferimento prima dai Colonna e poi con Giulio III in Villa Giulia. Secondo il Lanciani questo racconto del Ligorio si fonda sul dono fatto realmente da Ascanio Colonna a Giulio III della famosa tazza di porfido, descritta dal Cancellieri nelle Effemeridi letterarie di Roma dell’aprile 1821 e di cui parla Francesco Valesio e di cui nulla si sa sull'origine: forse stava sulla piazza del tempio del Sole nel giardino Colonna; è certo, comunque, secondo il Lanciani che “nulla abbia che vedere col Comizio”. Vera, inve-
6 Li a vide nel 1510 l'Albertini: Auuerrist 1510, fol. 54 v. “in ecclesia Sancti Petri et Mariae maioris et Sanctorum Apostolorum et in plates ipsarum sunt labra porphiretica maximae pulchritudinis", in VALENTINI, ZuccuETT, IV, 1953, p. 486. & Codice Pari. 1129 c. 320, in LaNcian, Il p. 189 s; Lanctast 2 ed,I p. 210ss. Sugli scavi condotti dal card. De Bellay tr il 1548 e il 1550 presso la Chiesa di S. Adriano c sul conseguente naufragio presso il mare di Piombino: C. BERNARDI Satvern, /I naufragio presso Piombino di un navile carico di “anticaglie” romane nel 1550, in L'Urbe, 38, 1975, 6, p. 185. nota 8: qui il passagio “il quale havendolo trovato." iene interpretato riferito non al piede, ma al vaso; ne consegue in al caso che nel naufragio di Piombino annegarono sia i piede che il bacino porfretci. 57 Bibl. Nat. Pari, Ms. Fr, 20.446, i. 335, 195
ce, sarebbe la notizia ligoriana sul piede della tazza tolta dal Du Bellay: il pezzo sarebbe naufragato presso il golfo di Lione. Certi sono, inoltre, secondo il Lanciani gli scavi fatti davanti alla Curia dal cardinale Du Bellay, forse nel 1548, e la scoperta del bacino di fontana, tornato nuovamente in luce nel 19006. Si tratterebbe, quindi, di due notizie diverse: una relativa ad un bacino porfiretico rinvenuto nel 1900 davanti alla Curia e l’altra riguardante la tazza porfiretica passata dai Colonna a Giulio III, d'ignota origine. Errata l’ipotesi dello Hiilsen, secondo cui uno dei piedistalli porfiretici del Museo Archeologico di Napoli, di provenienza Farnese (S. 4 e 5), potrebbe essere quello trovato dal Bellay: le dimensioni, infatti, non corrispondono, essendo molto inferiori. Tracce del portico citato dal Ligorio, considerato falso dal Lanciani, si possono forse riconoscere nei sei incavi per plinti, rinvenuti durante gli scavi del 1899-1900, ai piedi della scala della Curia®. Una moneta, raffigurante probabilmente la Curia di Augusto, rivela che l’edificio era dotato di un portico di quattro colonne ioniche. Il Lugli?o suppone che i sei plinti siano i resti del portico della Curia augustea, e probabilmente non di quella dioclezianea. Il Varming, però, ipotizza che due di questi plinti siano stati tolti al momento della collocazione della fontana del Comizio, visto che i piani di appoggio dell’impluvio e dei due plinti si intersecano; ne consegue che questo portico deve essere scomparso già in antico, prima della sistemazione della fontana, e che il Ligorio non può aver visto questo portico davanti S. Adriano. D'altronde Lucio Fauno e Bernardo Gamicci, alla metà del ‘500, avevano sottolineato la mancanza del portico davanti al Tempio di Satumo (cioè di S. Adriano/Curia)"!. Probabilmente il Ligorio fantasiosamente completa l’edificio della Curia con un portico, in base alla fama dei ruderi scomparsi nei pressi di S. Adriano. Infatti fino all'inizio del ‘500 esistevano resti di un edificio antico di ordine dorico vicino alla Curia, raffigurato in disegni cinquecenteschi??, tra cui importante quello di Giuliano da Sangallo”, quelli di Antonio da Sangallo il Vecchio e di Sangallo il Gobbo, i disegni di Bramantino” e di Antonio Labacco’S. In base alle descrizioni e al disegno di Giuliano da Sangallo del 1480 circa, in cui l’edificio si intravede dietro il fornice centrale dell'arco di Settimio Severo, i ruderi, scomparsi almeno per quanto concerne le parti superiori nel decennio successivo al 1500, del portico di ordine dorico del Ligorio dovrebbero essere situati nell’angolo nord-occidentale della Basilica Aemilia 58 Lascia, I p. 190; LANCIANI 22 ed. Il, p. 213; cf. BERNARDI SALVETTI,art. ci. a nota 66, p. 19, nota8. © G. Bost, Roma III. Nuove scoperte nella città e nel suburbio, Nsc 1900, p. 306. 79 G. Luci, Roma antica. Il centro monumentale, Roma 1946,p. 120. 71 Loco Fatno, Delle antchit della città di Roma, Roma 1553, I, fol. 51 (De antiquitatibus ecc. 1549); BERNARDO GAMUCCI, Libri quattro dell'antichità della cittàdi Roma, 1565, I fol. 20 rs. 72 Elencati in: LANCIANı, L'aula egli uffici del senato romano, in AttidccLincei, 1883, p. 30; cfr. VutING 1965,p. 110, nota 60. 73 Nast, Bildlexikon, 1, p. 178; E. PETERSEN, Yom alten Rom. Berühmte Kunststäten, I, Leipzig 1911,p. 45, fig. 25; Bacpwiv Brown, in bL, p. 77; EoGER, I, 1931, av. 8. 74 BALDWIN BROWN, in bibl. tav. IV. 75 G. Moworrı (a cura di), Le rovine di Roma al principio del secolo XVI. Studi del Bramantino (Bartolomeo Suardi), Milano 1975, tav. XXXV. 76 ANTONIO LABACCO, Libro d'A.L. appartenente a l'architettura nel quale figurano alcune notabili antichità di Roma, Roma 1557, tavv. 17-18. 196
Ledificio, secondo il Varming, era forse quadrato, in base alla riproduzione di Labacco, con il lato misurante circa m 15. Le fondamenta del portico sussistevano ancora probabilmente nel 1548, quando il cardinale du Bellay fece scavare intorno. S. Adriano, di cui dal 1546 ebbe la diaconia. Le notizie del Ligorio, confermate dal Vasari, dal Ficoroni e dal Fea, sui successivi trasferimenti della vasca porfiretica in esame appaiono esatti. Nel 1552 da Ascanio Colonna fu donata a Papa Giulio III, forse in ringraziamento delle migliorate relazioni tra i Colonna e il papato, dopo le difficoltà con Paolo III la stessa vasca che mezzo secolo prima i Colonna avevano avuto in dono da Giulio 1177, Giulio III fece trasferire la tazza porfiretica nella sua villa fuori porta Flaminia, dove venne inclusa in una fontana ereita nel cortile grande, su disegno di Bartolomeo Ammannati. La vasca porfiretica, essendo molto rovinata, fu fatta restaurare da Giulio III con integrazioni in granito dell’Elba’8, come ci informano il Valesio e il Vasari”, che narra delle difficoltà di lavorare il porfido e del restauro, per il quale si chiese consiglio anche a Michelangelo, che però dovette rinunciare all'impresa di lavorare questa dura pietra. La tazza venne poi confiscata da Pio IV al cardinale Innocenzio del Monte, erede di Giulio III, divenendo così proprietà della Camera Apostolica?? Il Vasari afferma che la tazza rimase per un po’ di tempo sulla piazza della Certosa?! (S. Maria degli Angeli) e che successivamente, nel 1717 per volere di Clemente XI (1700-21), fu trasportata nel Cortile Ottagono delle statue del Belvedere®, dove rimase circa mezzo secolo, ricordata più volte dal Ficoroni*®. Nel cortile la tazza occupò il posto che prima era del torso del Belvedere, entro un casotto ligneo che la proteggeva fino a una decisione definitiva sulla sua collocazione. Probabilmente con essa si voleva creare una nuova fontana, visto che il Boissard già nel 1597 ricordava nel cortile un “fons elegans"; ma non sembra che la vasca porfiretica sia mai stata utilizzata come fontana Nell'agosto del 1772, si pagò Parchitetto Simonetti per la cera usata per creare il modello della vasca porfiretica da collocarsi, per volere di Clemente XIV (1769-
77 CanceLtiERI, in bibl; BALDWIN BROWN, in bibl, p. 32, 108 s; DELBRUECK 1932,p. 189s Lirrotp 1936, p. 149s. 78 Cvceccism, in bibl; DELDRUECK 1932, p. 189. 79 Vasari 1550, I, p. Dil; cft: CANCELLIERI, in BIBL, p. 43 ss; eff. anche quanto afferma E. Valesio, citato da LANCIANI,I, p. 190; ed. 1990, I, p. 211 30 LANcIANt, IIl, p. 30, 32; A. MICHAELIS, Geschichte des Statuenhofes im vaticanischen Belvedere, in Jal, V, 1891, p. 54 31 NelP'atrio dei pp. Certosini alle Terme ricorda una vasca di porfido anche il Bianchini: Biaschnn, Veron, 355, in Lancianı, IIl, p. 30. L'affermazione del Vasari è contestata dal Cancellieri (CANCELLIPRI, in bibl. p.43). 3211 Cortile Ottagono, creato da Papa Giulio I gli inizi del '500, è denominato Cortile delle Statue o Cortile delle Statue del Belvedere o, brevemente, ma erroneamente, Cortile del Belvedere, in realtàè parte integrante del più vasto complesso edilizio del Cortile de Belvedere: ebbe nel tempo varie sistemazioni, definitivi i lavori della seconda metà del ‘700: PIETRANGEL! 1998,in bibl, p. 421 ss. Si veda anche la scheda relativa a L. 35. #3 Il Ficoroni ricorda la vasca nel Cortile del Belvedere, Iamentandone anche lo stato di abbandono, sia nelle Vestigia del 1744, che nella riedizione del 1757 di Roma Antica del 1741, ad opera di Piccola Galeotti (Ficoroni 1741, I, p. 123, n. 12). #41. Bosssaro, Romana arts topographiae... et antiquitatum partes sex, Frankfurt 1597, p. 12. 197
1774), nel mezzo del Cortile delle Statue; e proprio nel centro vi appare raffigurata da Vincenzo Feoli, secondo il progetto del Simonetti, con controvasca in travertino alla base per raccogliere l’acqua. Dal Ficoroni*s e dal Cancellieri®® sappiamo che il pontefice Clemente XI, nel 1711, fece portare al Belvedere otto colonne di porfido dal Pantheon, per utilizzarle con la grande vasca, cosa che però non avvenne, come riveano le descrizioni del Keyssler nel 1740 e del Lalande nel 176577. Liverani ricorda i diversi progetti che proponevano di porre la vasca al centro del cortile in un padiglione ottagonale o sotto un ricco baldacchino sostenuto dalle otto colonne porfiretiche del Pantheon?*, I disegni stilisticamente non ascrivibili a Carlo Fontana, secondo il Liverani, potrebbero essere attribuiti a Giovanni Battista Contini, piuttosto che a Francesco Fontana, già morto nel 1708. Clemente XI fece nuovamente restaurare la vasca, eliminando le integrazioni marmo bianco di Giulio III e inserendo al loro posto frammenti di porfido rosso, grazie alla rinnovata capacità di scolpire il porfido, sviluppatasi già ad opera di Francesco del Tadda, che nel 1557 aveva realizzato una piccola fontana di porfido, sistemata a Palazzo Vecchio in Firenze®. La vasca rimase al centro del Cortile delle Statue fino al 1786-87; nel 1787 Papa Pio VI la fece nuovamente restaurare ed anche levigare ad opera di Giovanni Pierantoni®, Nel 1792 fu posta nella Sala Rotonda, come la raffigura Giovanni Volpato e come segnala E.Q. Visconti nella pianta del Museo Pio Clementino?!, sorretta dai quattro sostegni metallici con teste e zampe leonine. Il Massi sottolinea che la Sala Rotonda fu fatta costruire da Pio VI su progetto di Michelangelo Simonetti proprio per potervi collocare la vasca porfiretica. Annibal Caro, ammirato dalle dimensione di quest'opera, defini la vasca grande “se non quanto la Francia, poco meno”. Bibliografia: Pirro Ligorio, Cod. Paris ital,n. 1129, c. 328 s. (in: HOLSEN 1902, p. 32s; Laxciani, Il,p. 189); Vasari 1550, I, p. 111; Massi 1856,pp. 127, 134, n. 557; Fea 1790, p. 123, n. 12; Ficorost 1744, I, pp. 133, 193; Il, p. 17; GP. CHATTARD, Nuova descrizione del Vaticano, U, Roma 1767, IL p. XXV; lll p. 131; P. Mass, Indicazione antiquaria del Pontificio Museo Pio-Clementino, Roma 1792, p. 118; E.Q. Viscown, Il Museo Pio-Clementino, 1, Roma 1782, pag. VIII, pianta: E; F. CANCELLERI, Lettere... intorno la meravigliosa tazza di porfido,
85 Ficonowt 174 , I, pp. 133, 193; Il p. 17. 86 Cancetuen, in bibl, pp. 42, 46: il quae, inoltre, ci informa, riportando una lettera del Ficoroni, che Clemente XII progettò di eollocarla nella piazza del Quirinale davanti i Dioscuri, al posto della tazza del Marfori. #7 1G. Kevsster, Neueste Reise, III, Hannover 1740-41, I, p. 800; J.EF. DE LALANDE, Voyage d'un francois en Lai, fait dans les années 1765 & 1766, IM, Yverdon 1169, p. 188 #È . Jacob, Italienische Zeichnungen der Kunstbibliothek Berlin. Berlin 1975, p. 8, n. 401; A. BRAHAM-H. HaceR, Carlo Fontana. The Drawingsat Windsor Castle, 1971,p. 176, in. 598° 600, fig. 465-7; S. PasqUALI, I progetti per il Pantheon promossi da Clemente Xi (1700-1721), in Quad. Ist. St. Architettura, II, 15-20, 1990-92, p. 782, figg. 7.787-788, note 40-41; Ip, I Pantheon, Architettura e antiquaria nel Settecento a Roma, 1996, p. 41, fig. 24. #9 DELBRUECK 1932,p. 178, fig. ap. 192. 90 CaSCELLIRL, in Bibl, p. 47 ?! Sulla formazione e composizione del Museo Pio-Clementino: H. von Sreunen, Das Museo Pio-Clementino, in H. BECK, PC. Bot, W. Prinz, H. von STEUBEN (a cura di), Antikensammlungen im 18. Jahrhundert, Berlin 1981, p.149 ss. 198
in Effemeridi letterarie di Roma, IM, aprile 1821, p. 42 ss; PIstOLESI 1829, V, p. 206, t. 101 (delle terme di Tito); Beschreibung Rom, I, 1, 1834, p. 224; Ninev 1838, parte antica, Il, 1839, p. 752; Corsi 1845, p. 396; A. Micuatuss, Geschichte des Statuehofes im Vatikanischen Belvedere, in Jdl, 5, 1890,p. 53 s. con bibl, prec.; HOLSEN 1902, p. 31 ss; G. BALDWIN BROWN, Vasari on technique, London 1907, p. 32, 108 s; LANCIAN, II,p. 189 s 29 cd, IL p.211 ss. (da Ligorio deriva Panvinius Cod Vat lat. 3439, fol. 46, eft. R. LANCIANI, L'aula e gli Uffizi del Senato, in MemAccLincei, 3, 11, 1883, p. 31); LANCIANI, IT, p. 30 s. (> Lancuni,2 ed, Il, p. 42); Tant 1927, p. 19, tav. V b; Lireotb 1936,p. 149 s. n. 557, tav. 35; DELERUECK 1932, p. 188 ss, tav. 84; SQUASSI 1954, p. 81 ss, fig, 84; VARMING 1965, p. 105 ss, fig. 7, tav. Ill; Gnotr 1971,p. 105, nota 5, fig. Q a p. 99:C. PiemaNoELI, 7 Musei Vaticani al tempo di Pio VI, in RendPontAccRomArcheologia, 49, 1976-77, p. 215; PIETRANOELI 1987 a, p. 475; PieTRANGELI 1987 b,p. 138,n. 557; GNoLI 1988, p. 130, nota2, fig. 42; PIETRANGELI 1988, pp. 148, 150, fig. ap. 149; PIFTRANGELI 1993,p. 306; Liverani 1998, p. IX, fig. 1, con bibl prec.; C. PIETRANGELL I] Cortile delle Statue nel Settecento, in Il cortile delle Statue 1998, p. 423, 426,427 ss. fig. 10; SPINOLA 1999, I, p. 243s, n. 1, fig. 40; CAPECCHI, PAOLETTI 2002, 5.51, fig. 29.
Stampe: — V. Feouy incisione settecentesca, Cortile delle Statue, Musei Vaticani (neg. XI-34-21; XII-33-14) (in PIETRANGELI 1987 b, p. 135; PIETRANGELI 1988, p. 149; II cortile delle Statue 1998, p.425, fig. 10); G. VoLPATO, incisione colorata, La Sala Rotonda, München, Bayerisches taatsbibliothek Gn PiemanceLi 1987 b, p. 137); — GB. Contin, Windsor Castle, proposta per la sistemazione della vasca porfretica sotto un baldacchino nel Cortile delle Statue (CHATTARD, loc.ct in bil; LIveRANI 1998, fig. 1), 13 Luogo di conservazione: Città del Vaticano, Musei Vaticani, Magazzino ex Ponteggi. Luogo di provenienza: ignoto. Porfido rosso. Lungh. lato rotto irregolarmente cm 73; lungh lato dal taglio netto cm 54; h. max. em 15; spess. max del fondo cm 8. Rimane solo un grosso frammento triangolare della vasca. Il frammento appare rotto con una frattura irregolare su un lato, mentre nell'altro lato il taglio è netto e regolare. Sul bordo superiore rimane un incasso per grappa a farfalla. Il fondo esterno, in corrispondenza della linea di taglio, è percorso orizzontalmente da un breve canale incavato.
Il frammento conserva uno spicchio della vasca, che per la sua ridotta profondità rientra nella tipologia VII a piatto, sottotipo a. Si conserva un ampio tratto del labbro estroflesso, che presenta la tipologia consueta con nastro anteriore, molto sottile (h. em 1,5), liscio e piatto, e bordo superiore leggermente arcuato (largh. cm 7). Il fondo, ampio, non è segnato, sia internamente che esternamente: la curvatura della parete continua ininterrotta sul fondo, formando una linea quasi orizzontale. Bibliografia: inedito. L. 14 Luogo di conservazione: Roma, Basilica di S. Maria Maggiore, fonte battesimale. Luogo di provenienza: una tradizione non verificabile la ricorda proveniente da Villa Adriana. 199
Vasca e supporto in porfido rosso. Vasca: diam. cm 256; circonf. cm 802; h. cm. 38. H. tot. cm 109. Supporto: h. (senza plinto) cm.71; diam. in basso cm 116, in alto cm 96. La vasca è interessata da alcune scheggiature e lievi fenditure, in particolare nella zona del labbro. Una lunga frattura percorre la vasca dal labbro fin sull'attacco del supporto, Un foro tondo è stato aperto probabilmente in un secondo tempo, o comunque successivamente alla realizzazione dell'opera, vista la rozzezza dell'esecuzione, sul fondo della vasca, lateralmente; all'interno del foro sono ancora visibili resti del tubo in metallo. Il punto di unione tra il corpo della vasca e il supporto è stato completato con dello stucco colorato. Lievi scheggiature e fratture sono presenti sul sostegno, soprattutto nella zona inferiore; unapiù ampia rottura interessa il toro inferioree l’inizio delle baccellature; una scheggiatura tondeggiante è stata integrata, come la precedente rottura, con stucco colorato di bordeaux. Il plinto quadrangolare di base è moderno, in sostituzione del consueto plinto ottagonale, mancante. L'interno della vasca non è visionabile, essendo chiusa dal coperchio modemo.
11 labrum del I tipo a vasca presenta un labbro a listello aggettante, piatto nella parte superiore e anteriore. La lieve curvatura della parete si interrompe nettamente all'attacco con il fondo, molto ampio e completamente piatto. Il supporto (S. 9), anti«o, del tipo III B a, presenta, dal basso, un plinto quadrangolare, formato da tre lastre rettangolari di porfido sovrapposte, modemo, cui segue la parte antica composta della base con alto toro c basso listello, del fusto allargato con scanalature ioniche, separate da larghi listelli e originantisi da linguette appena accennate, sopra cui si imposta un anello articolato in un tondino tra due trochili; segue un collarino dal profilo a guscio e un'alta fascia aggettante. La decorazione in bronzo del supporto e le sculture bronzee del coperchio sono state fuse dall'argentiere Giuseppe Spagna, su disegno del Valadier; su uno dei coperchi delle vaschette per l’acqua benedetta è indicato l’anno 1825. 11 Delbrueck propone una datazione nel II secolo d.C. e considera non verificabile la tradizione che indica come luogo di provenienza Villa Adriana. Davanti a S. Maria Maggiore il Rucellai nel 1450% ricorda un bacino di grandezza corrispondente al nostro; anche l'Albertini menziona labra porphyretica; queste opere non sembrano più ricordate dagli autori successivi. Non corrispondente al bacino porfiretico del Rucellai, posto davanti alla Basilica, è, secondo il Delbrueck, una tazza ansata marmorea, anch'essa collocata un tempo Ii, della quale esiste un disegno di S. Peruzzi? Il Pietrangeli% ricorda, a proposito della fontana di S. Maria Maggiore eretta nel 1615, che essa sostituisce una “antichissima fontana” composta da un “vaso di porfido retto da colonne". Questa vasca battesimale non appartiene, secondo il Delbrueck, ai vecchi possedimenti della Basilica; probabilmente Leone XII intorno al 1825 la fece trasferire nella Basilica dagli Appartamenti Borgia (dal Delbrueck). Nel 1845 il Corsi ricorda la gran92 “Item fuori sulla piaza dirimpetto alla porta di mezo uno vaso di porfido d'uno pezzo ritratto a modo di tazza in su colonnette (o colonnetta?), che il diametro suo può essere braccia 4 in $ (72403 m)”. 3? Satustio PERUZZI, Firenze, Uffizi, arch. 447 (BARTOLI 1914-1922, IV, tav. 398, n. 720); cf G. Biasorn, Le Basiliche romane di 5. Maria Maggiore e S. Martino ai Monti nei disegni degli Uffizi di Firenze, in DissPontAccRomArcheologia, 13, 1918, p. 260, av. 47, 4, nella cui didascalia si paria di marmo. % PiFTRANGELI 1974 (1995), p. 15, 200
de tazza di porfido nel Battistero di S. Maria Maggiore. II Battistero fu creato da Giuseppe Valadier, trasformando il coro invernale della Basilica,
Bibliografia: RUCELLAI 1450,p. 569; ALBERTINI 1510, $5 A; A. Vauentis, La Patriarcale Basilica Liberiana, Roma 1839, p. 20; Const 1845, p. 306; Deuörueck 1932,p. 187 s v. 83, fig. 93; Gnouı 1971,p. 55, fig. SI; GNo 1988, p. 69, fig. 51; Santa Maria Maggiore a Roma, a cura di C. PIeTRANGELI, Firenze 1988, p. 310 ss L.1S Luogo di conservazione: Roma, Foro Romano, Chiesa di S. Maria Antiqua. Luogo di provenienza: Roma, Palatino, Settizodio, dall'escdra mediana. Porfido rosso. Diam. cm 260 circa; h. max cm 44 circa; largh. curva superiore del labbro cm 23; h. del labbro cm 6; spess. del fondo cm 29-30, max cm 32; anello rilevato dell'ombelico h. em 2,5, largh.cm. 4,5; corda dell'ancllo cm 33. Restano 14 frammenti di varie dimensioni.
1 frammenti conservatisi permettono di ricostruire un labrum del tipo 1 a vasca. Il labbro è del tipo consueto con nastro anteriore liscio e piatto e lieve curvatura del bordo superiore; l'interno presenta un lieve, ma ampio incavo; le pareti appaiono particolarmente spesse. Nel cavo interno l'ombelico è reso, in modo piuttosto insolito, con un anello rialzato a listello liscio, con sezione rettangolare, vuoto nel mezzo. 1 frammenti della vasca sono stati rinvenuti nell’area del Septizodium severiano, in corrispondenza dell’esedra mediana. Il contiguo rinvenimento di un frammento decorativo raffigurante una divinità fluviale semisdraiata su un fondo roccioso con a lato un animale mutilo, all’interno del quale è stato ricavato il canale per l'alloggiamento di una fistula, ribadisce la funzione di ninfeo ormai comprovata del Settizodio? e rivela come le esedre, che ripartivano la fronte del monumento, contenessero statue e labra per i giochi d'acqua. Bibliografia: 1.acopı, G. Tenowt, I! Settizodio severiano, in BollArch, 1-2, 1990,p. 150 ss. fig. 12 (ipotesi ricostruttiva); Gros 1996, p. 433. L.16
Luogo di conservazione: Roma, Galleria Borghese, sala IV, nv. n. 166. Luogo di provenienza: ignoto. Porfido rosso. Diam. cm 88; circonf. cm 277;h, (senza piede) cm 20. H. del piedecm 21 95 Sul Septizodium di Settimio Severo e Caracalla, costruit al'amivo della via Appia ai piedi della residenza imperiale, definito dalle fonti come mmphaeum (su tale monumento si veda supra nel paragrafo di Prototipi e funzioni, p. 64, nota 273), e sulle implicazioni astrologichedel termine septizodium: Serms 1973,p.722 ss LETENER 19900, p. 448 5, n, 336, con amplia bibliografia; GRos 1996, p. 432 s. 201
Alcune fratture attraversano il corpo; il labbro presenta varie rotture: alcuni pezzi spezzati ‘sono stati riuniti e riattaccati. Una scheggiatura tondeggiante sulla curvatura della parete, in basso, è stata restaurata con stucco bordeaux. Piede moderno.
La vasca, di piccole dimensioni, è del tipo II a bacile. Essa presenta un labbro a listello aggettante, piatto nella parte superiore e anteriore. Manca l'ombelico all’intemo. Le pareti si incurvano dolcemente fino al fondo piatto. Il piede è moderno, contemporaneo e della stessa fattura della vasca in porfido (inv. n. 164), identica per forma e dimensioni”, posta simmetricamente e specularmente a quella in esame sull’altro lato del gruppo berniniano del ratto di Proserpina?': opera eseguita nel ‘700 da Paolo Sa 11 Delbrueck nell'elenco iniziale delle vasche® indica come datazione il Il secolo, mentre nella scheda relativa propone una cronologia tarda. II Corsi®®, nel 1845, ricorda una fazza di rosso antico nella camera del candelabro: forse si tratta di questa vaschetta. Bibliografia: A. Nipuy, Monumenti scelti della Villa Borghese, Roma 1832, p. 94; E.Q. Viscovn, Monumenti Borghesiani, Milano 1837, p. 64; NissY 1838, Il,p. 920, n. 42: A. Venturi, Il Museo e la Galleria Borghese, Roma 1893, p. 35;G. Gtusnı, La Galerie Borghése et la Ville Humbert Premier à Rome, Roma 1904, p. 28; DeLbRUECK 1932, p. 185, fig. 90; P. DELLA PERGOLA,La Galleria Borghese. Le sculture dal secolo XVI al XIX, Roma 1954,p. 60: AA.VV, I marmi antichi della Galleria Borghese, Roma 2003, p. 207 s. n. 190, con bibl. prec. 1.17 Luogo di conservazione: Roma, grottoni sotto’ Ara Coeli (magazzini dei Musei Capitolini). Luogo di provenienza: ignoto. Porfido rosso. 1 frammenti sono di piccole e medie dimensioni. Si conservano circa undici frammenti
1 frammenti conservano parti delle pareti, concave all'interno e convesse all'esterno, e del labbro estroflesso, delimitato anteriormente da un listello piatto, di un labrum, probabilmente di grandi dimensoni. Un altro frammento di porfido (24,4 x 19,6 x 36,9), di incerta identificazione, conservato nello stesso luogo dei frammenti esaminati, presenta un kyma ionico, composto da grandi ovoli rilevati, alternati a punte di frecce triangolari, un cavetto, un toro e l'attacco di baccellature, Se questo frammento fosse pertinente ad un labrum, esso potrebbe essere dello stesso genere dî quelli al Museo Archeologico Nazionale di Napoli (L. 8, 9) e delle vasche frammentarie a Klein-Glienicke (L. 3) e del Templum Pacis (L. 19). La mancanza di un approfondito esame autoptico impedisce la defi zione del tipo e la determinazione delle misure. Bibliografia: inedito.
25 Solo leggermente più ampia: il diametroè di cm 89,2. 978. Sracciots, Le collezioni della Galleria Borghese. Roma, Milano 1981, av. 96. 98 DeteRUECK 1932, pp. 170, 185. 9 Consi 1845, p. 322. 202
L.18 Luogo di conservazione: Roma, Museo Torlonia, inv. n. 193. Luogo di provenienza: ignoto. Porfido rosso. H. em 50. Buono stato di conservazione.
Piccola conca emisferica, del tipo IV a conca con labbro inconsueto, per l'eccessiva sporgenza e peril profilo a becco di civetta. 1I Delbrueck suppone che si tratti di una di quelle vaschette da porre in alto, da cui far defluire l’acqua in un bacino sottostante; egli data l’opera nel II secolo. Bibliografia: P. E. Viscovmi, Catalogo del Museo Torlonia di sculture antiche, Roma 1876, n. 193, tav. 49; DELSRUECK 1932, p. 188, fi. a p. 169. L.19 Luogo di conservazione: Roma, Foro della Pace, magazzini della Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma; il n. 23 si conserva nel Foro di Cesare. Luogo di provenienza: durante le operazioni di scavo, condotte nell'inverno e nella primavera del 1999, nell'area relativa al Templum Pacis, sono venuti alla luce 52 frammenti di un labrum in porfido, di notevole grandezza. I frammenti, di cui soltanto cinque sono di grandi dimensioni, sono stati ritrovati in un'area limitata situata nei pressi del lato nord-occidentale del complesso, il ato confinante con il Forum Transitorium, ornato con enormi colonne in africano accostate alla parete di fondo. I pezzi 1-22 e 24 sono stati rinvenuti dis seminati in quest'area, collocati in giaciture secondarie altomedioevali, insieme ad altri pezzi frammentari in marmo bianco ecolorato, pertinenti ad elementi architettonici e decorativi del Foro della Pace. Alcuni frammenti (nn. 1-7) si trovavano in una fossa di spoglio medioevale vicino all'ingresso, accanto alla fogna ottocentesca, ad un livello leggermente superiore (circa 30-40 cm) rispetto al pavimento originario della piazza vespasianea; un altro pezzo è stato rinvenuto nella fossa di spoliazione della fondazione del colonnato del portico sud-ovest, che, in posizione sopraelevata rispetto al pavimento della piazza, delimitava sui due lati, nord-est e sud-ovest, il foro. Un grosso frammento (n. 9) è venuto alla luce ad un livello superiore rispetto alle fondazioni del portico, in uno strato di spoglio altomedioevale, accanto ad una colonna rotta, in granito rosa, del portico vespasianeo. Soltanto un pezzo (n. 23) proviene dallo scavo effettuato nel 1998 nel Foro di Nerva: lo scheggione, comunque, è stato rinvenuto proprio nella zona di confine con il Templum Pacis, quindi in un luogo vicinissimo a quello in cui sono stati scoperti gli altri frammenti. Anch'esso era situato in una giacitura secondaria, di ambito rinascimentale. Il maggior numero di frammenti (an. 25-52) si trovava inserito in un tratto di muro a secco di età altomedioevale, costruito direttamente sopra il pavimento originario del Foro vespasianeo, nei pressi dell'ingresso e proseguente sotto via dei Fori Imperiali. Questo rinvenimento, l'ultimo in ordinedi tempo (giugno 1999), permettedi chiarire anche gli alti: evidentementela vasca, dopo esser stata ridotta in frammenti, f riutilizzata, insieme ad altri materiali di spolio, nel muro medioevale. 1 pezzi, venuti alla luce precedentemente in rinvenimenti sporadici, ma pur ‘sempre limitati ad una zona ben circoscritta, situata nei pressi del muretto, dovevano essere stati anch'essi reimpiegati nella medesima struttura; la successiva distruzione di alcuni tratti del muro ha determinato la dispersione nell'area circostante dei pezzi porfirtici in esso inseriti. T frammenti sono în porfido rosso di ottima qualità, con finissimi fenocristali rosa-biancastri c fondo di colore uniformemente rosso-paonazzo; sono presenti rare venature rosate. Misure generali del Jabrum: diametro esterno circa cm 350; diametro intero circa em 290; 203
diametro del disco centrale cm 100. Misure dei singoli frammenti!®: 1) lungh. cm 37, spess. ‘em 10,5; 2) em 22 x 26, spessore del labbro cm 10; 3) lungh. max em 52, h. max cm 34, spess. della parete: sopra la carenatura cm 18, sotto cm 32 ; 4) lungh. em 52,h. max cm 26, hh, min, cm 22,5, spess. cm 36 ; 5-6) lungh. max dei due frammenti riuniti cm 79, largh. max della curvatura cm 26,5; spess. em 11;7) lungh. cm 27, b. cm 5, spess. cm 21; 8) m 7x 4,5 X2 em di spessore; 9) lungh, max cm 82, h. cm 40, spess. cm 47, h. del labbro all'esterno. cm 10; 10) lungh cm 35, b. cm 15, prof. cm 8; 11) lungh. cm 22, h cm 10, prof. cm 11; 12) lungh, cm 21, h. cm 10; 13) lungh del ymaem 8, lungh. max em 29, h. cm9, spess. cm 9; 14) lungh. del kyma em 11, lungh. max cm 22, h. max cm 7, spess. cm 5; 15) lungh. cm 22, h. cm3, spess. cm 11; 16) lungh. cm 10, h. cm 3,5, spess. cm 8; 17) lungh. max cm 21, i cm 2,5, spess. cm 8; 18) lungh, max cm 16, h. cm 4, spess. cm 9; 19) cm 9 x 7 x 2; 20) cm. 1X 122; 21) em 11 x 7 x 6; 22) em 8 x 9x 21; 23) cm 57 x 47 x 21,5 di spessore della parete; 24) em 15 x 15 x 21,5 di spessore della parete; 25) lungh cm 12, h. cm 23, spess. cm 23; largh. del corpo del serpente cm 8; 26) lungh. cm 23, h. em 11,5, spess. cm 20; 27) lungh. max cm 45,5,h. max cm 14; spess. cm 14,5; 28) lungh. max em 15, h. cm 18, spess cm 20; 29) lungh. max cm17, h. cm 10, spess. emi; 30) lungh. max cm 22,5,h. cm 7, spess cm 21; 31) lungh. max cm 27,5, b. cm 13, spess della parete cm 21; 32) lungh. cm 2, h. cm 18, spess. cm 13,5; 33) lungh max cm 25, h. cm 7,5, spess. cm 14; 34) lungh. max cm 22, h. cm T; spess. cm 11; 35) lungh. max cm 21,h. em 4, spess. cm 10; 36) lungh. max cm 12, b. cm 5, spess. cm 10; 37) lungh. della parete antica cm 6,h. cm 4, spess. em 12; 38) lungh. parete antica cm8, h. cm 4, spess. cm 14; 39) lungh. cm 6, h. cm 4, spess. cm 6; 40) lungh. cm 12,h. cm 3,5, spess. em 12,5; 41) lungh. cm 11,5,h. cm 4, spess. cm 11; 42) lungh. cm 20, h. cm 17, largh. superf. antica cm 12; 43) lungh. cm 12, h. cm 3, spess. cm 12,5; 44) em 23 x 27 x 8; 45) em 47 x 22 x 6; 46) lungh. superf. antica cm 5, h. spess. cm 21; 47) lungh. superf. antica cm 5, h. cm 1,5, spess. em 14; 48) em 7x7 cmx 4,5, 3,5 49) cm 8 x9 x 2; 50) cm 6 x 4,5 x 1,5; 51) cm 14 x 39 x 4; 52) lungh. max superf. antica cm 12,h. cm 3,5, spess. cm 13, Misure del kymation ionico:h. dell’ovolo cm 7,5 senza comici, cm 15 con comici;h. della. freccia cm 14; h della fascia superiore cm 3,2 (al solco); h. della fascia inferiore cm 3,5/4. Misure dello spessore della parete: spess. medio della pancia cm 21; subito sotto la carenatura cm 21,5; subito sopra la carenatura cm 18,5; prima della curvatura del labbro cm 15; labbro cm 10,5 1 frammenti 5 € 6 combaciano e costituiscono l'ampia parte superiore, leggermente incurvata, del labbro; il frammento 5 presenta in basso una porzione della superficie incavata dello stacco dal sotolabbro al collo. I frammenton. si attacca al grosso pezzo n. 9, per ‘una lunghezza complessiva di cm 103. I frammenti nn. 13, 1, 10, 11 combaciano perfettamente (nella successione indicata), ricostruendo un altro lungo tratto (lungh. max cm 61) della fascia anteriore del labbro decorato con ovoli, al di sotto si conserva la superficie piatta del sottolabbro e l'attacco dell'alt scozia. Si conservano 52 frammenti; di questi soltanto cinque sono di grandi dimensioni, i restanti di medico piccole dimensioni. Le rotture, dai agli quasi tutti obliqui, appaiono intenzionali, causate da colpi di mazza, con cui si è percosso il grande labrum per ridurlo in pezzi da riutilizzare nella muratura altomedioevale. Il labrum, però, è stato rotto non solo con la mazza, ma anche con il fuoco, come rivelano le particolari rotture presenti sul frammenton. 4 e che dimostrano come sul fondo sia stato acceso un fuoco, che ha fatto “esplodere” il porfido, provocandone la frammentazione. 1 pezzi conservatisi, appartenendo a parti diverse del labrum, permettono di ricostruime con sicurezza l'intera struttura: si conservano, infatti, elementi del labbro, del sottolabbro, del collo, della pancia e del fondo; resta anche un piccolo frammento (n. 100 Nei casi di frammenti rotti su tutte le facce o di difficile definizione, si indicano solo le misure di ingombro. 204
25) dell’ansa. Grazie alla ricostruzione dell'impianto complessivo, con l’ipotetico riposizionamento dei singoli frammenti, è possibile definire con assoluta certezza la forma originaria, che era quella di una vasca tonda con il collo, dal profilo concavo, separato con un'acuta carenatura dalla pancia convessa, le cui pareti, gradatamente incurvate, terminavano sul fondo piatto, decorato all'interno da un disco ombelicato. Il labbro si presenta fortemente sporgente, con il profilo anteriore notevolmente incurvato, mentre quello superiore è più schiacciato (frammentinn. 5, 6, 7); la parte sottostante è completamente piatta e liscia (frammenti nn. 18, 39). Un kymation ionico, di tipo classicistico, decora la fascia anteriore del labbro: si compone di ovoli rigonfi, con guscio piatto e rilevato, alternati a punte di freccia, dal dorso in aggetto (frammenti nn. 1,2,3,9, 10, 11, 12, 13, 14, 26). Il kyma è delimitato superiormente da una fascia piatta, segnata da un solco nettamente inciso, reso con una lamina metallica (la cosiddetta molletta), una specie di sega, che sfregava la superficie con sabbia ed acqua, incidendola profondamente (frammento n. 15), e inferiormente da una fascia liscia in rilievo. Dal sottolabbro piatto inizia il collo, che si incurva in dentro (frammenti nn. 8, 16, 17, 19, 20, 21, 34, 36, 38), formando un'alta scozia, da cui inferiormente si stacca, con un gradino inclinato aggettante, costituente quasi una carenatura (frammentinn. 32, 33), la curva convessa della pancia (frammenti nn. 3, 9, 23, 24, 27, 30, 31, 37, 40, 41), che digrada dolcemente verso il fondo, con un’incurvatura lieve. Alla carenatura estema corrisponde quella interna, con un gradino inclinato rientrante, posto leggermente più in basso, (frammenti nn. 3, 9, 29, 52), che sottolinea il passaggio dalla linea convessa del collo alla curva contrastante della pancia (frammenti nn. 23, 24, 43, 46, 47, 51). Si conserva un grosso frammento del fondo (n. 4): l’interno, meno levigato, rivela un tratto del disco centrale, con il tondino e l'attacco o del bottone cupoliforme o della gola ondulata che a volte è inscritta all’intemo del tondino. La superficie esterna del fondo, che appare completamente piatto, è lasciata grezza. La vasca doveva avere due anse del tipo a serpenti intrecciati, stando al piccolo frammento rinvenuto, che presenta una spira di serpente, con sovrapposizione delle due estremità; la pelle è liscia e una spina centrale rialzata sottolinea il dorso. Di due altri frammenti, combacianti (nn. 42 e 45), non possiamo dire con certezza a quale parte della vasca appartengano: essi sono caratterizzati, nelle brevi porzioni di parete antica conservatesi, da una superficie lisciata meno attentamente, leggermente incurvata e da un repentino rialzo ad un'estremità. Il confronto con il frammento di ansa n. 25, che presenta anch'esso attorno alla spira una superficie poco levigata, e i rialzo perpendicolare alla parete fanno pensare che si tratti di due pezzi pertinenti alla zona dei manici, forse all'attacco del corpo del serpente, molto aggettante, o di un altro elemento omamentale. È da notare che alcuni pezzi hanno una parte della superficie antica, non finita, ma lasciata grezza: si tratta dei frammenti nn. 26 e 34, pertinenti al labbro e al sottolabbro, i quali nella zona corrispondente al piano superiore, quasi piatto, presentano la superficie ribassata e lavorata con la subbia. Il kymation ionico del frammento n. 26, inoltre, reca un vano incavato nell'ultimo ovolo a formare un dente. Un incavo simile lo troviamo anche nel pezzo di labbro n. 2, mentre il foro conservatosi nel frammento 1. 44 sembrerebbe indicare la presenza di un perno, probabilmente metallico. La lavorazione a subbia dimostra che la superficie non terminata doveva essere non visibile. Non è possibile, però, pensare che la vasca fosse addossata o inserita in una parete perché la cornice ionica esterna appare rifinita, mentre risulta incompleta la parte superiore e interna del labbro; si può supporre allora che in un punto (0 in più punti?) del labbro fosse alloggiato, superiormente e intemamente, un elemento aggiunto, forse în altro materiale, agganciato grazie a denti e perni. 205
Il pezzo n. 28 reca singolari segni di lavorazione: quattro canali (ciascuno del diam. di circa 5,5 cm) affiancati hanno tagliato verticalmente una parete, lasciando sul fondo un solco circolare piatto (non conico, come in genere accade con la punta di trapano), che compare anche in un altra zona. Questi canali sembrerebbero essere stati effettuati, più che con un trapano, mediante un oggetto metallico cilindrico vuoto (una cannula) fatto sfregare sulla superficie del porfido insieme alla sabbia, che ha lasciato delle striature parallele lungo le pareti. Questi singolari segni non sembrano attribuibili alla fase originaria della vasca, ma piuttosto ad un momento successivo. Dall'esame dei frammenti conservatisi possiamo dedurre con certezza che si tratta di una vasca tonda del tipo VIII, lussuoso: un labrum particolarmente prezioso, per il materiale usato, per la complessa ed elegante articolazione tettonica e per il ricco ornato, la cui lavorazione rivela una straordinaria perizia, sottolineando l’unicità c la qualità superiore di quest’ opera monumentale. La vasca, è dello stesso tipo di quella porfiretica, conservata nel giardino del Musco Archeologico Nazionale di Napoli (L. 8): simile è il kymation ionico nel disegno degli ovoli e delle frecce, sebbene nei frammenti romani la resa appaia più appesantita e l’intaglio meno netto e preciso, ad esempio le punte di frecce presentano solo il dorso evidenziato, manca in tutti i frammenti conservatisi la testimonianza della punta a V, che compare in alcuni tratti del kymation della vasca Farnese. Le dimensioni sono analoghe: la fascia inferiore (manca nella vasca di Napoli la fascia superiore delimitata dal solco inciso) è di cm 3-3,5 nella vasca di Napoli, cm 3,5-4 nei frammenti romani; l'ovolo misura in entrambe le opere cm 7-7,5 e il guscio cm 1-1,5; l'altezza della faccia anteriore del labbro è di cm 10 circa in entrambi. Anche il disco ombelicato sembrerebbe analogo, manca però nel frammento n. 4 l'anello esterno listelliforme. La mancanza di frammenti pertinenti con certezza alla parte inferiore della vasca del Foro della Pace impedisce di conosceme l'altezza e quindi la sua profondità. In base all’incurvatura delle pareti nella zona della pancia subito sotto la carenatura, si può ricavare un'altezza approssimativa della vasca, che verrebbe a presentare una forma più capiente e un maggiore sviluppo della pancia rispetto all'opera di Napoli. La vasca romana sembrerebbe più pesante, con un profilo ad arco di cerchio, più rigonfio; maggiore sembra anche lo spessore delle pareti. Il labrum Famese si caratterizza per una forma piuttosto allargata e schiacciata, conferitale dall’ampiezza del fondo piat o e dalla ridotta altezza delle pareti. Il piccolo frammento di un'ansa in forma di spire di serpente intrecciate avvicina ulteriormente il Jabrum in esame a quello di Napoli. Il pezzo di ansa sembrerebbe corrispondere alla porzione di attacco degli anelli serpentiformi sulla pancia: simili sono la forma del corpo, con dorso rilevato, e Je dimensioni. Ulteriori analogie si riscontrano in alcune misure: il disco interno misura circa 100 cm di diametro nella ricostruzione della vasca del Foro della Pace, cm 98 nell’esemplare Farnese; il diametro esterno del contenitore risulta maggiore nell’opera romana: 350 cm circa contro i 296 cm del labrum partenopeo. Anche le carenature interna e esterna appaiono analoghe, per la forma a gradino inclinato e le misure. A labra dello stesso tipo del nostro appartengono i frammenti porfiretici conservati a Potsdam, murati nel giardino del castello di Klein-Glienicke (L. 3) e la maschera porfiretica barbata ora in un Museo svizzero!0, ma un tempo anch'essa a KleinGlienicke, provenienti forse dalle terme di Caracalla; la maschera barbata a Vicenza, 101 Detpausck 1932,p. 173, av. 82. Si veda la scheda relativa in Appendice I 206
ritenuta anch’essa appartenente alle terme di Caracalla'®2; quella in proprietà privata a Vico Equense'®; una testa di serpente conservata a Parigi, in collezione Hayford Peirce e un frammento di porfido con una conchiglia, a Villa Albani!®*. La vasca in via dei Fori Imperiali a Roma (L. 37) è vicina a quella in esame, per il kymation ionico, la forma ed anche per l'altezza e le proporzioni tra collo e pancia: questo bacino è, infatti, piuttosto profondo e capiente, come doveva essere il labrum del Foro della Pace; lontani entrambi dalla forma allargata e schiacciata della vasca di Napoli. Queste vasche del tipo lussuoso sono connesse all'ambito pubblico e all'ufficialiorte e dovevano essere realizzate unicamente su richiesta, Secondo il Delbrueck il tipo fastoso, peculiare all’interno di una produzione più generica e uniforme, risalirebbe alla toreutica tardo-ellenistica, probabilmente alessandrina’® II labbro decorato con una comice ionica trova confronti tipologici con quelli dei bacini, baccellati o con scene figurate, con manici articolati e ricchi trapezofori, diffusi nella prima età imperiale, oggetti di pregevole fattura, espressione del gusto neoclassico!%. Anche i monumentali crateri a calice e i bacini emisferici in bronzo, oggetti eccezionali di rappresentanza del I secolo a.C. e I secolo d.C.197, presentano il labbro ornato con un kymation ionico!" IL labrum del Foro della Pace, alla luce di quanto detto sopra, si inserisce perfettamente in questo gruppo di vasche monumentali e fastose, costituendo un esemplare determinante ai fini della definizione sia tipologica che cronologica dell'intera classe. Esso doveva svolgere la funzione di fontana monumentale: la forma e i resti di calcare presenti in alcuni frammenti lo confermano. Sebbene i pezzi rinvenuti non rechino tracce di fori, ad eccezione del piccolo foro di trapano nel frammento n. 44, peraltro di incerto utilizzo, e di canalette, il confronto con gli altri labra dello stesso tipo induce ad ipotizzare anche per il nostro un sistema di approvvigionamento tramite tubazione interna e un deflusso mediante la libera e scenografica ricaduta dell’acqua dal labbro incurvato. Il confronto con la vasca di Napoli e con i frammenti di Klein-Glienicke fanno propendere per una datazione del labrum in età adrianea, sebbene la trattazione un po! pesante del kyma ionico, meno puntuale (si veda per esempio la trattazione più sommaria delle frecce e l’intaglio meno netto dei gusci degli ovoli), la forma meno slanciata e il notevole spessore delle pareti siano indizi di una cronologia più tarda, che abbassano la datazione all'età severiana; dal Settizodio severiano provengono alcuni frammenti di un altro labrum porfiretico, che presenta anch'esso pareti e un fondo parda scheda relativa in Appendice I veda scheda relativa in Appendice I 104 Si vedano le due schede relative in Appendice I 105 DELBRUECK 1932, p. 22 s. 106 SPINAZZOLA 1928, tavy. 41, 42, 43, 107 Notevoli gli imponenti esemplari marmorei dei Musei Capitolini: BORKER 1973, p. 285, fig. 1; del Musco Nazionale Romano: Mus. Naz. Rom.,I, 1,pp. 233, 235, nn. 146, 148(R PARIS); p. 257 ss. n. 160(P. REND); del Museo Nazionale di Napoli: SeinazzoLa 1928, tav. 8,e del Louvre: W. Fuchs, Die Vorbilder der neuattischen Reliefs, 20 ErgH. Jal 1959, p. 108 ss, n. I, tavv 23 b,24 b. 108 Cfi: Il bronzo dei Romani, a cura di L. Pırzıo BizoLt, Roma 1990, pp. 121 ss. 283 s., n. 120-121 (crateri bronzei a calice da Ercolano e Pompei), figg. 237, 238, 239; p. 122, figg. 189, 228 (mosaici da Capua e Pompei); p. 125, fig. 21 (emblema da Villa Adriana, da un quadro di Sosos a Pergamo del Il secolo a.C.). 207
ticolarmente spessi!®. Forse in occasione dell'intervento di Settimio Severo nel Templum Pacis si realizzò il grande c lussuoso labrum porfiretico!!0, La scoperta dei frammenti nell'area nord-occidentale del Templum Pacis!!! permette di circoscrivere il sito originario di collocazione nella zona d'ingresso, lungo il lato. nord-occidentale, ornato con enormi colonne in africano accostate al muro di fondo. Proprio in questa zona, nell’angolo occidentale, in stretta prossimità con il luogo di ritrovamento dei frammenti porfiretici, è stato scoperto un impluvium frammentario: si tratta di due lastre (di cui una spezzata in vari punti, mentre dell’altra se ne conserva solo una parte) pertinenti alla pavimentazione del foro, in marmo bianco, che rilevano evidenti le tracce della presenza di una fontana. Si notano, infetti, l'impronta di un angolo del supporto di un bacino a pianta esagonale, un foro tondo, regolare, e le tracce evidenti della corrosione provocata dalla caduta e dallo scorrimento dell’acqua di una fontana. L'acqua, defluendo dal labbro di un bacino rotondo, ha corroso la superficie marmorea formando un solco circolare, di cui è attualmente visibile un breve arco, in diretta corrispondenza alla ricaduta verticale dell'acqua, mentre all'interno del cerchio il dilavamento più superficiale è stato causato dal ristagno che l’acqua formava prima di incanalarsi nel foro di scolo, aperto in collegamento con la canaletta sottostante. Il piano di posa del supporto è lavorato a gradina, accorgimento tecnico consueto, utilizzato per far ben combaciare due elementi marmorci, senza farli slittare. Queste due lastre della pavimentazione costituivano in antico, insieme ad altre purtroppo non conservatesi, un impluvium di fontana, del tipo di quello davanti alla Curia. Le lastre dell'inpluviun, rispetto alla altre della pavimentazione della piazza, presentano un leggero ribasso del livello: forse proprio per evitare che l’acqua di scolo della fontana allagasse la zona circostante; possiamo anche supporre l'esistenza di una barriera, costituita forse da una comice in rilievo, come nell'impluvium della Curia, andata perduta. La vicinanza di queste lastre con il luogo di rinvenimento dei frammenti del labrum e le misure coincidenti del cerchio di ricaduta dell'acqua con la circonferenza del bacino fanno supporre che questo impluvium fosse pertinente al bacino porfiretico € che insieme costituissero le componenti di una fontana monumentale eretta all'ingresso della piazza. Suggestiva appare alla luce di questi rinvenimenti la testimonianza di Procopio!!2, il quale, parlando del Foro della Pace, ricorda che proprio davanti alla piazza c'era una fontana antica (orı 56 mis dpyata mpd Tabs di THis dyopäs ptm), con al di sopra un bue di bronzo, sul quale un tempo si issó un toro castrato, presagio della vittoria di Narsete sull’ostrogoto Totila. La citazione dello storico bizantino, mancando ulteriori prove documentarie, non permette la sicura identificazione della vasca in esame con quella da lui menzionata, ma attesta, comunque, la presenza all’ingresso del Templum Pacis di una fontana ancora esistente nel VI secolo d.C. La supposta collocazione del labrum porfiretico all'entrata di una zona pubblica, di interesse civile e religioso, appare giustificata, oltre che da una valenza ornamenta10 Cfr L. 15. 110 Sull'uso del porfido c sulla sua valenza simbolica, si rimanda al paragrafo relativo al Materiale, p. 121 ss. T1 Sul Templum Pacis: H. BAUER, Kaiserfora und Janustempel, in RM, LXXXIV, 1977, p. 301 ss; R.B. LovD, Three Monumental Gardens on theMarble Plan, in AJA, LXXXVI, 1982, p. 91 ss; J.C. ANDERSON, The Historical Topography of the Imperial Fora, Bruxelles 1984,p. 101 ss. T1 Procop., Bell. Goth. VIM, XXI, 11 ss. 208
le, anche da una funzione più prettamente cultuale, conforme, come si è detto, all'usanza, già greca e poi romana, di porre davanti a templi e santuari vasche tonde per effettuare le aspersioni purificatrici. Non è da escludere l'esistenza di un labrum gemello al nostro; le due vasche avrebbero potuto essere poste simmetricamente ai lati dell’ingresso. Poteva esistere anche una sola vasca come testimonia il labrum decentrato, all'ingresso del portico del Foro Triangolare di Pompei, Del Templum Pacis sappiamo che la costruzione avvenne nell'età di Vespasiano, che lo inaugurò nel 75 d.C., e che un grosso restauro fu effettuato sotto Settimio Severo (nella copertura del portico in marmo proconnesio). Gli scavi più recenti hanno accertato un intervento anche in età adrianea (basi per statue nell’area della piazza). Il labrum porfitetico potrebbe essere stato collocato nella piazza in occasione dell’intervento adrianeo o meglio, viste le caratteristiche tecnico-stilistiche dell'opera, durante il più complesso restauro severiano.
Bibliografia: A. AMBROGY, Labrum porfiretico rinvenuto nel Templum Pacis. Note Preliminari, in BullCom, XCIX, 1998 (2000),p. 257 ss; Marmi colorati 2002, 9.398 s. . 104 (A. Annocı) 1.20 Luogo di conservazione: Roma, deposito scavi. Luogo di provenienza: Roma, dagli scavi dell'ex Vigna Barberini, Palatino. Porfido rosso. Misure non rilevabili Rimane un solo frammento, comprendente il labbro e parte della parete.
Frammento di un labrum, verosimilmente del I tipo a vasca, con labbro sporgente, leggermente curvato nel lato superiore. Il labrum proviene dall'area dell'ex Vigna Barberini!, nel settore nord-est del Palatino: qui si avvicendarono nei secoli complessi monumentali caratterizzati dalla presenza sistematica di giardini, a partire da una, o più d'una, ricca dimora aristocratica dell'inizio dell'età augustea, distrutta verso la fine degli anni *60 del I secolo d.C. i cui resti furono inglobati nella terrazza settentrionale del palazzo domizianeo, su cui sorgeva un giardino inquadrato da costruzioni, con una facciata ad emiciclo, e fino al grandioso complesso religioso che l’imperatore Eliogabalo dedicò alla divinità omonima. Una riorganizzazione dell’area centrale della Vigna Barberini fu intrapresa da Adriano; in seguito a questo intervento, nella parte sud, di fronte al grande emiciclo domizianeo, furono disposte simmetricamente due fontane con Jabra marmorei, con orientamenti convergenti e leggermente obliqui rispetto a quelli dei viali. Di queste fontane si conservano il frammento in questione e un bacino di base!!4, costituito da una lastra di marmo quadrata, come fondo, e da quattro lastrine lunghe e strette, messe
113 Sugli scavi nell'area dell'ex Vigna Barberini si veda la guida alla mostra: I! giardino dei Cesari. Dai palazzi antichi alla Vigna Barberini, sul Monte Palatino, a cura di F. VILLEDIEU, Roma 2001. 114 Ip, ibidem,pp. 67, 74 fig. 47. 209
di taglio sui lati. Sul fondo si conserva l'impronta circolare del piede della vasca. Gli scavi hanno messo in luce le tracce e i resti dei tubi di piombo per l’adduzione e l'evacuazione delle acque di queste fontane. Bibliografia: inedito. L.21 Luogo di conservazione: Roma, Villa Torlonia, già Albani, murato sul retro del Coffeehouse. Luogo di provenienza: ignoto. Porfido rosso. H. cm 44,5; la conchiglia è h. cm 24,5; spessore medio cm 10. Frammento forse del bordo superiore di un bacino.
Si tratta di un frammento verosimilmente del bordo superiore di un bacino. Resta un tratto del labbro, al di sotto del quale è scolpita in rilievo una conchiglia, che forse costituiva l’attacco di un'ansa particolarmente elaborata, del tipo di quelle della ricca vasca porfiretica napoletana (L. 8). Se questa ipotesi fosse esatta il frammento potrebbe essere pertinente ad una vasca del tipo VIII lussuoso. 1I Delbrueck propone una datazione nel II secolo d.C. Bibliografia: DELERUECK 1932,p. 183, fig. 88; Villa Albani, V, 1998, p. 386, n. 905, tav. 171 L.22 Luogo di conservazione: Roma, attualmente conservata in un'ala del giardino all'italiana del Museo di Villa Giulia, affidata in custodia giudiziaria alla Soprintendenza Archeologica dell'Etruria Meridionale. Luogo di provenienza: la vasca, forse pertinente alla collezione Famese, fu trasferita alla fine del ‘700 a Napoli, nel Musco Archeologico; venduta nel 1929 all'antiquario Jandolo di Roma, venne poi trasferita a Firenze in una collezione privata. Porfido rosso. Diam. cm 205; raggio cm 102,5; circonf. del labbro cm 629,5; h. em 72. Diam. dell’ombelico em 63. H. nastro piatto del labbro cm 3; prof. dell'incavo max. cm 16/17. Ricomposta, riassemblando ben 13 grossi frammenti, più altri di piccole dimensioni (ad opera della restauratrice Priscilla Grazioli Medici, che restaurò anche la vasca di via dei Staderari) (L. 51); le linee di frattura sono state riunite con materiale colloso rosato erestaurate ponendo piccoli tasselli di porfido a coprire le fenditure, i cui bordi sono stati regolarizzati per permettere l'inserimento dei tasselli. Nel 1983 il restauratore Pietro Dalla Nave si preoccupò di rinsaldare i piccoli tasselli. Attualmente questi inserti sono di nuovo per la maga gior parte dissaldati Il rosone presenta una punta di foglia scheggiatae due piccole fratture.
IL labrum, del tipo Ta vasca, ha il labbro consueto con nastro anteriore liscio e piatto e bordo superiore leggermente arcuato; un guscio sottolinea il passaggio alla parete, la cui flessione lieve e costante continua fino al fondo, da dove si stacca il tenone sporgente. Esso è composto da due dischi concentrici, di cui l'inferiore più piccolo e appena visibile, perché incastrato nel supporto acantiforme, antico ma non pertinente, in marmo bianco, attualmente posto a sostegno del labrum. 210
ILrosone interno è costituito da due corolle sovrapposte, composte di quattro foglie lanceolate alternate, con bottoncino centrale rilevato, incavato al centro con un foro triangolare; il disco di base presenta la superficie lasciata sbozzata, non lisciata, probabilmente per creare un vivace contrasto coloristico rispetto alle foglie ben levigate. Questo tipo di ombelico a doppia corolla deriva dai prototipi metallici: lo rivelano due esemplari bronzei di Pompei e di Aosta!!5, i quali presentano un bottone centrale rilevato in forma di fiore stilizzato a doppia corolla di foglie lanceolate, finemente cesellato. Entrambi gli esemplari si datano nel I secolo d.C. La datazione della conca proposta dal Delbrueck nel II secolo appare valida, per la forma elegante dell’opera e per la raffinata esecuzione del motivo floreale. La vasca, probabilmente appartenuta alla collezione Farnese, fu trasferita, insieme a L. 8, 9 e S. 4, 5, a Napoli, nel Museo Archeologico, dove è ricordata nell’inventario del 1796 e nel volume VII del Rea! Museo Borbonico, pubblicato nel 1831, sul cui frontespizio è disegnata la vasca in esame, con un’ampia lacuna delle pareti, posta sul supporto napoletano S. 4 (= C del Delbrueck), ora sotto il labrum L. 8. Fu venduta, insieme al summenzionato supporto, nel 1929 all’antiquario Jandolo di Roma; trasferita poi a Firenze in una proprietà privata (in una piccola villa di proprietà di una signora americana), dove è ancora testimoniata nel 1952 dal Delbrueck. L’opera in esame, probabilmente insieme alla base di colonna ornata con calici d’acanto, in marmo bianco, riutilizzata come suo basamento, fu venduta il 27.7.1970 dall’antiquario Lapiccirella di Firenze (Lungamo Vespucci, 18 Firenze) a Jean Paul Getty, che la trasferì nella sua villa “Porta Vecchia” a Palo Laziale. Deceduto Getty, la villa con annessi e pertinenze venne venduta dagli eredi, residenti negli Stati Uniti, ad eccezione della vasca e del capitello, che dovevano essere trasferiti negli USA. In seguito ad un sopralluogo nella villa, effettuato il 13.5.1980 dalla Guardia di Finanza di Ladispoli, le due opere, già imballate per l'espatrio, vennero poste sotto sequestro il 20.6.1980 e affidate temporaneamente alla società di trasporti ARAS, nei cui magazzini, siti in via del Rosmarino n. 29, in Acilia, erano state nel frattempo depositate. Sottoposte a vincolo archeologico con Decreto Ministeriale del 22.12.1980, furono poi affidate in custodia giudiziaria dal 9.12.1981 alla Soprintendenza Archeologica dell'Etruria Meridionale e conservate nel Museo di Villa Giulia!"®, Nel novembre del 1983, essendosi già svolto il processo contro gli Getty per tentativo di esportazione non autorizzata all’estero di bene archeologico di rilevante interesse, il Tribunale di Roma ordinò il dissequestro della vasca, con la base, e la sua restituzione agli eredi Getty, i quali, però, a tutt'oggi hanno lasciato il prezioso materiale depositato presso la Soprintendenza. Nel 1983 la vasca, essendosi dissaldatisi i piccoli inserti di porfido posti nelle fratture e lacune nel precedente restauro, venne nuovamente restaurata ad opera di Pietro Dalla Nave, il quale fece aderire i piccoli inserti impiegando resine che ne garantissero l'adesione nel tempo, e fu protetta da un doppio sistema di sicurezza con tettoia lignea ed impalcatura metallica. In una lettera del 22.2.1989 se ne proponeva l'acquisto al Ministero dei Beni Culturali e Ambientali. 115 Si veda supra, p. 88 5 116 Si ringrazia Anna Maria Moretti Sgubini, Soprintendente per l'Etruria Meridionale, per la disponibilità con cui mi ha permesso di esaminare e di fotografare il labrum, meitendomi a disposizione tutta la documentazione relativa 2n
Bibliografia: Doc. Ined,, 1, 1878,p. 247,n. 202; Real Museo Borbonico, VII, 1831, frontespizio e testo relativo; DstaRUEck 1932,p. 178, 181, fig. 86;p. 244 s, figg. 120-121; PuLvers 2002, p. 204, n. 205. 1.23 Luogo di conservazione: Potsdam, castello di Klein-Glienicke, giardino, murata nella parete IV settore D; inv. Gl. 237. Luogo di provenienza: ignoto. Basanite. Diam. cm 108,5;h. cm 22; prof. cm 18. Si conserva circa metà del bacino.
Si tratta della metà circa di una vasca rotonda del tipo II a bacile, con sottile labbro estroflesso, definito anteriormente da un basso listello piatto. Le pareti si arcuano formando una curva costante fino al fondo breve e piatto, così da disegnare un segmento di cerchio. II sostegno non è pertinente. La Belli data genericamente la vasca nel I-II secolo d.C. Bibliografia: GormiERT, 1972,p. 47, n. 223, tav. 83; Mizzsci 1984,p. 532, n. 223; R. BELLI Pasqua, Sculture di età romana in “basalto”, Roma 1995, pp. 51, 110, n. 72. 1.24 Luogo di conservazione: Ostia antica, ex sala III del Magazzino, inv. n. 14270. Luogo di provenienza: Ostia antica, rinvenuta nel 1958 nella via del Serapeo. Vasca in basanite. Diam. cm 79; h. em 17,5. La vasca si conserva completa, ma rotta in sette frammenti e ricomposta. All'interno, nel centro, è stato inserito un tubo metallico moderno. Alcune fratture interessano la superficie.
Si tratta di una vasca del tipo II a bacile, di piccole dimensioni, con al centro un foro passante. Le pareti terminano in un labbro leggermente estroflesso, formato di una breve fascia liscia anteriore e di un bordo superiore appena incurvato, Nella foto della Soprintendenza di Ostia la vasca appare posta su un supporto in cipollino non pertinente (S. 66): esso èdel tipo ITb, con base di tipo attico con due tori segnati da listellini, separati da una scozia, e sommoscapo a cavetto e due listelli digradant. Bibliografia: EI santuario de Serapis en Ostia, a cura di R. Mar, Tarragona 2001, p. 231, n.5, fig. dab. 1.25 Luogo di conservazione: collezione privata. Luogo di provenienza: ignoto. Dal mercato antiquario. Basanite, Diam. del bacino em 112; h. del supporto cm 63. Buono stato di conservazione. 212
Dalla brevissima descrizione fatta dalla Belli!!? si arguisce soltanto che si tratta di un bacino tondo su un supporto scanalato (S. 17), ma non è specificato né lo stato di conservazione, né tantomeno la tipologia della vasca e del supporto. L'esemplare in esame sembrerebbe compagno di quello conservato a Klein-Glienicke, visto il materiale usato c le misure analoghe. Non sapendo se il labrum in esame è integro o frammentario, non possiamo avanzare ulteriori ipotesi: se fosse frammentario si potrebbe addirittura pensare alla pertinenza del nostro pezzo al bacino tedesco. Le due lettere incise sul sostegno K A potrebbero interpretarsi o come forma di numerazione o come sigle di cava o di lavorazione!!?, essendo le sculture in basanite probabilmente sbozzate in cava e rifinite nel luogo di destinazione!!9. Nelle cave di Uadi Hammamat è attestata la presenza di lettere incise su alcuni blocchi di architrave sgrossati, della prima età adrianea!?0, La Belli, basandosi sulla forma delle lettere e sul profilo della vasca, data l'esemplare in esame in età augustea; l'impossibiltà di visionare la vasca e le poche notizie fomite impediscono di confermare la cronologia proposta. Bibliografia: R. BELLI PASQUA, Nuovi contributi allo studio della scultura in grovacca, in Xenia Antigua, VIL, 1998, p. 28, fig. 5. 1. 26-27
Luogo di conservazione: Parigi, Museo del Louvre, Salle du Manége, MA 82, MA 90. Luogo di provenienza: si tratta di due delle quattro vasche tonde in alabastro rinvenute agli inizi del 700 a Roma, presso Marmorata, negli Orti Sforza Cesarini, ricordate dal Ficoroni, di cui due (o re?) passarono nella collezione Albani!2! e poi, nel 1815, vennero trasferite a Parigi Vasche in alabastro fiorito. Supporti in granito del Foro. 1.26 (n. 82): diam. em 215; h. cm 44, L.27 (7 n.90): diam. cm 199; h. em 44. S. 18: h. cm 58,5;S. 19: h. em 61,5. Buono stato di conservazione. Si tratta due vasche tonde, su piedistalli antichi, ma non pertinenti, del tipo I a (S. 18, 19), con plinto quadrangolare, toro, fusto con scanalature ioniche, stretto da un anello a tondino a due terzi dell’altezza; il calice superiore è concluso da un ovolo liscio. I labra sono del I tipo a vasca, con labbro estroflesso, dal profilo a becco di civetta. Nell'ombelico interno in uno è raffigurata una testa di Medusa, nell'altro una testa di Oceano barbato e coronato di foglie di canne. L'ombelico ornato con una testa di Medusa ricorda le vasche al Museo Bardini di Firenze (L. 5) e al Museo Archeologico di Napoli (L. 149, 150). 117 La figura 5 ~ in BELLI PASQUA, in bibl. — si riferisce al calco delle lettere incise sul sostegno. 118 Iscrizione e lettere come marchi di cava e di fabbrica sono attestate in altr abra (L. 68, 70) in alcuni supporti (S. 206, 220, 225). Sulle sigle di cava: PENSABENE 1994,p. 321 ss. 119 Si veda supra nel paragrafo sui Materiali e i sistemi produttivi. Cîr. Door, WarpPer is 1992,p. 22 ss. 120A, BERNARD, De Koptos a Kosseir, Leiden 1972, p. 116 ss., nn. 54e 55. 121 Si veda la scheda della vasca L. 64 213
Le due vasche sono menzionate dal Ficoroni e dal Winckelmann!22. Entrambi ricordano quattro vasche tonde, di alabastro fiorito, rinvenute durante il pontificato di Papa Clemente XI (1700-1721) negli Orti Sforza Cesarini, presso il porto tiberino a Marmorata, due delle quali (due secondo il Ficoroni nel 1744, una nell’edizione del 1741), ridotte in pezzi, vennero comprate dall’abate Fontana e utilizzate per "tavole da appartamenti”, mentre le altre due (due in Ficoroni nel 1744, tre nell’edizione del 1741), vennero in possesso del cardinale Alessandro Albani. Il Ficoroni ricorda che sul fondo interno in una (0 in due) era scolpita una rosa, nell’altra una testa di Medusa, con capelli serpentini e che per questi ricchi omati le due conche non dovevano essere state usate come vasche da bagno, ma come opere ornamentali. Il Winckelmann ricorda che una conca era decorata al centro con una testa di Medusa, mentre l’altra con una testa di un Tritone o di una divinità fluviale; egli precisa che non presentando alcuna apertura esse dovettero avere una funzione omamentale in un edificio. È probabile che il Ficoroni abbia erroneamente indicato una rosa al centro, anziché una testa maschile barbata, come realmente compare in uno dei due labra del Louvre e come già risulta indicato dal Winckelmann e poi precisato nel catalogo del Clarac del 1841, in cui si descrive una maschera di Tritone barbato, e nel catalogo redatto nel 1922 da Héron de Villefosse e Michon, i quali descrivono una maschera di divinità marina (n. 82) e una di Medusa (n. 90) e collocano le due conche alabastrine nella Sala delle Cariatidi, confermando il rinvenimento a Marmorata e la provenienza Albani. Nel catalogo dello Charbonneaux del 1963 sono ricordate nel Vestibolo dei Prigionieri Barbari, precisando che una presenta nel centro un medaglione con testa di Oceano barbuto e coronato di canne; entrambe vengono datate nel II secolo d.C. Soltanto il Clarac menziona i supporti, precisando che sono antichi, non pertinenti e in “granito grigio della Tebaide”. Sulla vendita della collezione Albani e sull’acquisizione parigina, nel 1815, dei due labra alabastrini ha scritto recentemente Wünsche! ricordando le trattative intercorse tra il principe Carlo Albani e il re francese Luigi XVIII, per la restituzione delle circa centotrenta sculture trasferite nel 1798, per ordine di Napoleone, nel Museo omonimo. Di esse solo settanta furono restituite al principe Albani, il quale le pose in vendita nel 1815 a Parigi. Di queste sculture circa venti furono acquistate dal Louvre!%, allora diretto da E.Q. Visconti; le restanti dalla Gliptoteca di Monaco, con trattative svolte da Martin von Wagner e Leo von Klenze. Bibliografia: FicoRONI 1741, p. 126s. n. 23; FicoroNI 1744, I, p. 193 s; J.J. WINCKELMAN, Geschichte der Kunst des Altertums, Il, 1776, p. 864 s. F. DE CLARAC, Musée du Sculpture anti: que et moderne, 1,2, Paris 1841, p. 994s. n. 635, tav. 256; A. HERONDe ViLLEFosst,E. MICHON, Musée National du Louvre. Catalogue sommaire des Marbres Antiques, Paris 1922, p. 5, nn. 82 (ombelico con maschera di divinità marina), 90 (con maschera di Medusa); J. CHARBONNEAUX, La Sculpture Grecque et Romaine au Musée du Louvre, Paris 1963, 9.99, nn. 82 e 90; R. WÜNSCHE, "Góltliche, passliche, wünschenswerthe und erforderliche Antiken”, in Ein griechischer Traum. Leo von Klenze der Archäologe, Ausstellung, Glyptothek München, München 1986, p. 22 s., fig. 16; MaiscHBERGER 1997, p. 82, nota 334; CaPECCHI,at. cit. (L. 6), p. 155, nota
122 In Bibl Si precisa che l'Autrice non ha potuto effettuare su questi due esemplari né un'indagine autoptica, né un esame delle fotografie, che, sebbene richieste, non le sono pervenute 123 Ein griechischer Traum, in bibl. p. 22. 124 Si veda anche la scheda di L. 39 con le notiz e relative al trasferimento parigino dei quattro satii, un tempo pertinenti alla grande fontana del giardino di Villa Albani. 214
28 Luogo di conservazione: Londra, British Museum, ingresso. Luogo di provenienza: ignoto. Vasca in granito nero di Assuan; supporto in granito rosa di Assuan. Misure non rilevabili Scheggiature in vari punti.
La vasca è del tipo I a vasca, con fondo breve, da cui si staccano le pareti, che si aprono incurvandosi gradatamente fino al labbro, segnato da un listello estroflesso, con bordo superiore appena ricurvo. Il supporto, antico, del tipo I b (S. 29), presenta una base, composta di un'alta fascia e di un listello, e un sommoscapo con alta fascia; ‘un anello a tondino separa i due calici a due terzi dell'altezza. Bibliografia inedito L. 29-30-31
Luogo di conservazione: Egitto, cave del Mons Claudianus, Uadi Umm Hussein. Luogo di provenienza: in situ; due vasche si conservano presso la cava di estrazione. Vasca 29: cava 75; vasca 30: cava 130; vasca 31: cava 59. Granito del Foro. L.29 diam. cm 390, spess. cm 50, diam. dell'omphalos cm 140;L. 30 diam. cm 670, diam. del disco centrale cm 550; L. 31 diam. em 520, disco centrale diam. cm 360, spess. cm 60. La prima vasca (29) è rotta in due parti diseguali, tenute insieme da cinque grappe metalli che; L. 30 è in parte interrata; L. 31 è integra.
La vasca L. 29, dalla cava 75, semilavorata, presenta una forma piatta e allargata, del tipo VI a bacino; all'interno un omphalos centrale a disco piatto, con cupola schiacciata (h. cm 15), intorno al quale restano segni di picchiettature con punta fine e rari colpi di cuneo. La vasca termina con un orlo dal taglio netto (em 30) e con il bordo esterno verticale (cm 10), priva di labbro estroflesso. La superficie è lavorata a subbia. Il pezzo, rottosi durante la lavorazione in cava, è stato restaurato in antico. Questo esemplare si può confrontare con quello della fontana di Montecavallo, pur essendo il presente di maggiori dimensioni. La vasca L. 30, dalla cava 130, è in parte interrata; anch’essa è solo sgrossata. La superficie del labbro (largo em 60), rialzato, è lisciata con la subbia, mentre l'invaso centrale è più grossolanamente sbozzato. Nella zona centrale, più sporgente, sono ancora visibili i segni del cuneo utilizzato per l'estrazione, mentre ad un'estremità sono incise le seguenti lettere: RACLP. Si tratta di una sigla di controllo contabile, che ricorre spesso nei marmi di varie cave, da sola o associata ad un numero. Essa è attestata anche in altri pezzi estratti nelle cave del Mons Claudianus; è stata avanzata l'ipotesi che significhi approvato o ufficialmente controllato. Tale sigla costituisce un terminus ante quem di datazione per la vasca: poiché gli ultimi blocchi di cava iscritti sono attestati nell’età di Alessandro Severo! il pezzo in esame deve essere datato precedentemente.
125 PENSADENE 1998, p. 363. 215
Entrambe le vasche presentano forme ben definite (IV stadio di lavorazione), con il labbro più lisciato rispetto alle altre superfici, lavorate a colpi di subbia media e piccola. Del terzo bacino (L. 31) non abbiamo illustrazione, sappiamo che si tratta di un blocco rozzamente circolare, con bordo lisciato, sollevato rispetto all'area centrale, che presenta al suo interno una rozza protuberanza, Un altro bacino!26 è stato rinvenuto nell'edificio secondario del Forte, delle cucine; esso, di forma emisferica, molto capiente, con largo orlo identificato con un mortaio ed associato alle attività culinarie. L’interno e il bordo superiore appaiono lisciati, mentre la superficie esterna è appena sbozzata. Due blocchi di granito si conservano nella cava 79127, appena sbozzati, con una preliminare forma a fungo: forse bacini nella prima fase di lavorazione. Bibliografia: Th. Kraus, J. Roper, W. MOLLER-WiENER, Mons Claudianus-Mons Porphyrites, in MDAIKairo, 18, 1967, p. 149, tav. XLIX, c, d; D.PS. Peacock, Rome in the Desert. A Symbol of Power, University of Southampton 1992, p. 13; PEACOCK, MAXFIELD 1997, p. 83, fig. 2.51 (mortaio);p. 202, fig. 6.32; p. 204, fig. 6.41; pp. 214, 221. 1.32 Luogo di conservazione: Bolsena, via Roma, retro del vecchio Palazzo Comunale, Luogo di provenienza: secondo la tradizione riportata all* Adami la vasca proviene dal tempio di Apollo. Vasca e supporto in granito del Foro. Largh. max cm 260 x 267; spessore del fondo cm 8; diam. dell'omphalos: cm 145, Supporto: h. cm 59; circonf. cm 378 (fascia superiore). La vasca è rotta tut'intorno al piano di fondo; mancano le pareti eil labbro: soltanto in tre zone resta l'attacco dell'incurvatura della parete. Alcune scheggiature interessano il tondino estemo dell'ombelico. Un'ampia lacuna è presente in basso nel supporto; scheggiature nel toro centrale.
Della vasca rimane il fondo, piatto e molto ampio, e l'omphalos centrale, composto di un'alta comice a tondino, un’alta gola, una risega e un bottone centrale. Dai resti © dal disegno dell’ Adami si evince che il labrum integro doveva essere del I tipo a vasca. Il supporto (S. 20), pertinente alla vasca, lavorato a parte, è del tipo III B b, incorniciato inferiormente da un toro e un listello. Un anello a tondino segnai due terzi dell'altezza del fusto, al di sopra di esso si imposta un collarino a cavetto, sormontato da un'alta fascia diritta Nel disegno dell’ Adami la vasca appare quasi integra, con due lacune sul labbro, fortemente sporgente e dal profilo arrotondato. L'autore settecentesco la ricorda in piazza di S. Cristina (o piazza della Collegiata). Il labrum doveva ornare uno degli edifici dell'antica Volsinii romana, sviluppatasi sulle sponde del lago, dopo il 264 a.C., e divenuta municipio di prima importanza in età repubblicana e imperiale, come attestano i resti del foro, delle terme, del teatro, dell’anfiteatro e di alcune ricche domus. Bibliografia: 1970), p. 210.
A. Abamt, Storie di Volseno, TI, Roma 1734-1737 (rist. anastatica Bologna
126 Peacock, MaxrıcıD 1997, p. 83, fig. 2.51 127 Peacock, MAXFIELD 1997, p. 202, fig. 6.33, a-b. a) diam, max em 265; spess. max em 64; b) diam. max cm 265; spess. max em 72. 216
8. Bolsena, labrum (L. 32), da: ApaMl, Storie di Volseno, Il, 1734-1737. L.33 Luogo di conservazione: Ostia antica, Case a giardino, fontana centrale del lato N-O. Luogo di provenienza: dagli scavi. Granito del Foro. H. cm 29; largh. (arco di cerchio) cm 122; spess. parete cm 7. Spess. del bordo cm 6. Si conserva un grosso frammento della vasca, con il labbro. Due incassi per grappe, di cui uno con resti metallici, sono presenti lungo le rotture sulla parete esterna.
Si tratta di una vasca, fin ta c ben levigata, di medie dimensioni, del tipo a piatto (VII b), senza labbro estroflesso. La curva delle brevi pareti termina superiormente in un semplice bordo, dal taglio netto; il fondo, ampio e non segnato, forma una linea quasi orizzontale. Il frammento è conservato în una delle fontane del Caseggiato, ma non abbiamo certezza che esso sia pertinente all’impianto originario del complesso, né che sia stato rinvenuto dove attualmente si conserva. Questo grande centro residenziale!28 fu rea128 Sulla datazione, in base ai bolli lateriz, delle Case a Giardino: Meicos 1960, p. 548; PavoLiNi 1983, p. 156 s; J. DELAINE, Building activity in Ostia in the second century AD, in Ostia e Portus 2002, p. 52 s. 217
lizzato in età tardo-adrianea; esso era composto di tabernae, di 18 grandi appartamenti e di una ricca residenza, ed era arricchito di fontane omamentali, Bibliografia:
inedito.
L.34 Luogo di conservazione: Città del Vaticano, piazza S. Pietro, fontana sul lato destro di chi guarda la Basilica di S. Pietro, Luogo di provenienza: ignoto. Vasca e supporto in granito del Foro. Diam. cm 450 circa; h. cm 72. La vasca presenta il bordo dilavato c in vari punti scheggiato; numerose fratture alle pareti. Superficie con ampie incrostazioni di calcare e muffe, assent solo nel fondo, intorno all'attacco con il supporto. Insert in cemento nella zona di unione del fondo della vasca con il supporto. I supporto presenta numerose scheggiature, sopratutto lungo il oro superioree il bordo del listllino posto sopra il toro di base; il toro superiore presenta un'ampia lacuna. Due integrazioni in cemento interessano la arte alta del piede, nella zona tra il istelloe il guscio, di cui una breve c una. più ampis,al’estremitä della uale fuoriesce una fistula chiusa da un tappo.
La vasca e il supporto appaiono antichi e pertinenti. I labrum, del tipo I a vasca, presenta pareti di un forte spessore e un labbro dal nastro anteriore aggettante, liscio e piatto. La curvatura costante delle pareti continua fin sul fondo, breve, dal raggio poco pitt ampio dii quello del supporto. I sostegno (S. 21), del tipo II B b, si caratterizza per una successione dal basso di un alto toro e di un sottile sello, su cui si imposta l'atto fusto, dal profilo a cavetto, stretto adue terzi dell'altezza da un anello a tondino, seguito da un collarino a guscio e da una fascia diritta. I supporto antico poggia su un piedistallo ottagonale moderno, di travertino, omato su due facce, opposte, con gli stemmi di Paolo V Borghese. La vasca antica è stata riutilizzata nella costruzione della fontana a due catini, eretta per volere di Innocenzo VIII nel 1490 e restaurata, riutilizzando lo stesso bacino antico, nel 1614 da Carlo Maderno; affiancata nel *600 da una fontana, posta a sinistra. (con vasca moderna), che il Bernini costruì quasi gemella alla precedente e che fu inaugurata nel 1675. Fu sotto Innocenzo VIII (G.B. Cibo) (1484-92), che venne costruita nel 1490 in piazza S. Pietro una grande fontana, in seguito al ripristino dell'acquedotto di papa Damaso. Già precedentemente esisteva una fontana nella piazza, prima della ricostruzione della basilica iniziata nel 1506 dal Bramante, sotto Giulio II; forse si trattava della stessa fontana che allietava il quadriportico (detto "Paradiso"), antistante l'antica Basilica costantiniana, iniziata da Papa Silvestro nel 324 e terminata nel 349. Secondo il Mastrigli tale fontana fu fatta costruire sul finire del V secolo da papa Simmaco. Gli autori antichi descrivono la fontana, cosiddetta del Paradiso, adorna della pigna bronzea tolta dal mausoleo di Adriano e posta nel cortile denominato della Pigna, entro un grande nicchione costruito dal Bramante! Innocenzo VIII volle rinnovare la memoria dell'antica fontana, facendo costruire nella piazza, leggermente decentrata verso destra, quasi in asse alla via Alessandrina 129 CALLARI 1945, in bibl; VENTURI, SANFILIPPO 1996, p. 115 218
(Borgo nuovo) una fontana costituita da una ampio bacino, antico, al cui centro un alto sostegno a forma di stelo sosteneva un catino minore, anch'esso antico (L. 49). Stefano Infessura, diarista romano, ricorda che nel 1490 venne eretta dalle fondamenta una fonte nobilissima con due catini rotondi sovrapposti!. Pit particolareggiato un documento di pagamento del 3 settembre 1490, in cui si descrive la fontana decorata di tre teste che buttavano acqua alternate a tre stemmi innocenziani attomo al catino più alto!!. L'Albertini, nel 1510, ricorda nella piazza: "fons... ab Innocentio et Alexandro... instauratus”. Alessandro VI (Borgia, 1492-1503), dieci anni pià tardi, ordind il restauro della. fontana ad Alberto Panieri da Piacenza, coadiuvato dal Bramante, facendo eseguire semplici lavori di ripristino e un pit efficace afflusso dell'acqua, per cui la fontana rimase strutturalmente identica con l'inserimento di quattro teste bovine di bronzo (simbolo dei Borgia)'??. Secondo il D'Onofrio!®, il Bramante che venne a Roma nella. seconda metà del 1499, citato dal Vasari!3* come “sotto-architetto di papa Alessandro VI alla fonte di Trastevere, e parimenti a quella che si fece in su la piazza di S. Pietro”, non c'entra affatto con l'architettura della fontana, come invece ritengono alcuni studiosi!3®, Fu, inoltre, aggiunto, sempre per volere di Alessandro VI, un beveratoio per gli animalit3é con prospetto marmoreo, posto accanto alla fontana, come mostrano due dei tre disegni di Heemskerck del 1533 circa, il disegno del Dosio del 1561 circa e l'incisione del van Cleef della metà del ‘500. II beveratoio, costituito di una vasca antica del tipo A.I , riceveva l'acqua da un prospetto in marmo, ornato di teste di bue e dagli stemmi dei Borgia La fontana del 1490 rimase inalterata fino agli inizi del '600, ma con problemi di efficienza, risolti con l'allaccio della nuova acqua Paola (affacciatasi sul Gianicolo nel 1612). Nel 1536 la descrive il Fichard come pienamente efficiente; nel 1587 il Buchellius invece scrive: "incuria pene collapsos et siccatos, ab Alexandro VI, ut indicant insignia, olim erectos”!5?. Un restauro venne effettuato anche da Giulio II della Rovere, come dimostra la sovrapposizione di una ghianda al sommo dello stelo, simbolo della quercia araldica di Giulio II, come rivela il disegno di Heemskerck. 130 G. GrimaLoi, Descrizione della Basilica antica di S. Pietro in Vaticano, in Cod. Barb. lat. 2733, Bibli. Ap. Vat. 1972 (ed. a cura di R. Niaot), p. 439. 151 ASV, Divers. Camer., arm. 29, vol. 47, c. 212 in data 3 sett. 1490: cfr. D'ONOFRIO 1986, nota 11 p. 286,133 Alcuni documenti d'archivio, relativi ai pagamenti dei lavori effettuati sotto Alessandro VI, c il codice Barberiniano — lat, 2451, c. 15 — dimostrano che la fontana rimase identica: ff. D'Oxorsio 1986, p.288, note 13, 14, 16, 17. Secondo altri (VENTURI, SANFILIPPO 1996, in Bibl.) il restauro di Alessandro VI comprese anche l'aggiunta di un terzo catino dal quale si affacciavano le quattro teste di toro bronzee, che versavano acqua nel bacino intermedio. Dopo la morte di Papa Borgia le teste bovine vennero sostituite da quattro putti. 155 D'ONOFRIO 1986, p. 290, nota 17. 134 Vasant 1550, IV, p. 79 135 G. GiovannoNI, Saggi sull'architettura del Rinascimento, Milano 1935, p. 74; G. DE ANGELIS D'Ossar, Preludio romano del Bramante, in Palladio, 1966, p. 90 ss; A. BRUSCHI, Bramante architetto, Bari 1969, p. 837; Venturi, SanFiLIPPO 1996, in bibl 156 Si trata della vascadi tipoA. Il ra în piazza di S. Marta: Axmroci 1995, p.94 ss. n. 12. 157 J, FIcHARD, Observationes antiquitatum et aliarum rerum memorabilium quae Romae videntur (1536), in Frankfurt. Archiv alt D. Liter. Gesch., II, 1815, p. 26, secondo cui la fontana nel 1536 era ancora in piena efficienza; ma nel 1587 sia ia fontana che il beveratore erano “collapsos et siccatos”; A, BUCHELLIUS, Iter italicum, 1587, in ASP, 1900, p. 57. 219
Nel febbraio del 1614, sotto Paolo V (Borghese, 1603-1621), nei documenti di archivio è attestato un contratto con alcuni scalpellini per la realizzazione del “fontanone di S. Pietro et la fontana di S. Giacomo Scossacavalli" entro marzo", di cui fu architetto Carlo Mademo!®9. Il Mademo fece demolire la fontana e la riedificd, nella esatta ubicazione precedente, riutilizzando in gran parte la costruzione innocenziana. Eliminò le varie memorie dei tre pontefici (Innocenzo, Alessandro e Giulio) e tolse il secondo cat no in alto, sostituendolo con un nuovo bacino rovesciato, ornato con tre ordini di foglie 'embricate, per una più scenografica ricaduta dell’acqua. L'antica vasca di granito venne riutilizzata dal Maderno!, ed anche l'alto supporto centrale, cui furono addossate quattro volute con maschere a sostegno del catino rovesciato. Tutta questa composizione, prima sostenuta da un basso basamento circolare, venne sollevata di circa 3 m, poggiandola su un alto basamento ottagono omato con i simboli dei Borghese (simile a quello della fontana del Belvedere), posto all'interno del grande bacino di raccolta mistilineo, circondato da due gradini e dalle consuete colonnine con sbarre di ferro. Quando Alessandro VII (Chigi,1655-67) iniziò le demolizioni per l'erezione del colonnato della piazza, si decise per una più adeguata sistemazione della fontana, pensando di erigere una seconda fontana, per cui le due opere simmetriche sarebbero state poste una per parte sull’asse che dai due emicicli del colonnato passa per l'obelisco. Il Papa si raccomandò con l'architetto, il Bernini, di ampliare il bacino di raccolta della fontana vecchia e di utilizzare per la fontana nuova, se è possibile, la tazza di Campo vaccino, altrimenti una di travertino!4!; ma in un brano del codice Chigi (H. Il. 22, c. 231) del 7 gennaio 1667 si dice che la “tazza di porfido (L. 12) che si trova nella vigna di Papa Giulio, con tutto che sia di misura aggiustata al bisogno è troppo nobile, venendo stimata dal Cav. Bernino 30 mile scudi; onde si è risoluto di farla di travertino”. A tal proposito il D’Onofrio!#2 afferma che in realtà venne utilizzato un catino in granito di ignota provenienza. L'8 gennaio 1667 il Bernini dette inizio al lavoro di costruzione delle platee perle due fontane; il 22 maggio Alessandro VII morì senza poterle vedere realizzate. La fontana del 1490, rielaborata dal Maderno nel 1614, venne demolita dal Bernini e riedificata, con qualche modifica, spostata sulla destra della piazza, sotto al palazzo Apostolico, senza gradini attomo e, secondo la consuetudine beminiana, con il bacino di raccolta più basso, Per la fontana gemella di sinistra (guardando la Basilica) si attesero altri dieci anni venne infatti inaugurata definitivamente il 28 giugno 1677, sotto Innocenzo XI. La fontana in realtà venne costruita ed ultimata sotto Clemente X (Altieri, 1670-1676), il cui stemma è infatti raffigurato sull’ottagono di base; ma dopo una prima inaugurazione il 29 giugno 1675, la fontana rimase non funzionante per mancanza di acqua!®.
138 D'ONOFRIO 1986,p. 290 ss, note 19, 20. architettiri Maderno: G. BAOLIONE, Le vie de'pittoi, scuetlto 139 Sulla patedel , Roma mitä scultura, 1642, p. 96 (da cui dipende: F. MARTINELLI, Roma ornata dall'achitettura, pitte ura Firenze 1969, p. 282) 140 Che il bacino della fontana paolina sia quello antico è affermato anche in: VALENTINI, Zuccuer, IV, p. 542, nota4 al testo dell’ Albertini. 14 Sui documenti d'archivio e sulle vari fusi di costruzione delle due fontane: D’ONOFRIO 1986,p. 294 ss, nota 30. 12 D'ONOFRIO 1986, p. 296, nota 30. 143 Sulle vicende relative alla costruzione ad opera del Bernini, e non di Carlo Fontana, di questa seconda fontana in piazza S. Pietro: D'ONOFRIO 1986,p. 296 ss, nota 31-35. 220
Per la nuova fontana, il Bernini si rifece rigorosamente al modello di quella più antica e, attenendosi alle raccomandazioni fatte da Alessandro VII, utilizzò una conca di travertino, come si può vedere ancora oggi, sebbene l'esame autoptico sia reso difficile dallo spesso strato di incrostazioni, che solo in rari punti lasciano intravedere il travertino. Inoltre scolpi quattro mascheroni nelle volute di sostegno sotto il catino superiore e sui riquadri dell’ottagono di base quattro coppie di delfini e lo stemma di Clemente X. Il Ficoroni cita due “gran conche di graniti tebaide, che formano alte fontane di copiosa acqua nella grande piazza Vaticana”, senza precisare altro. Il Corsi menziona ai lati dell’obelisco due “grandi tazze di granito bigio con fontane”. Tre stampe del Piranesi del 1748 e una di Rossini del 1832 raffigurano piazza S. Pietro con le due fontane gemelle, ai lati dell'obelisco. Il Nibby ricordando le due fontane gemelle, precisa che quella verso il Palazzo Apostolico “era situata molto più in basso che non sta adesso" e che fu abbellita da Paolo V; l'altra fu fatta costruire da Alessandro VII e collocata al suo posto sotto Clemente IX (Rospigliosi,1667-69), quando la prima fu traslocata; qui il Nibby è inesatto perché il progetto interrotto dalla morte del papa, fu ultimato dal successore Clemente X. Da notare che il supporto antico appare simile nelle dimensioni c nella tipologia ai due supporti, uno conservato nei giardini di Palazzo Barberini (S. 24), l’altro (S. 23) nella Basilica di S. Paolo, anch'essi in granito grigio. Bibliografia: ALBERTINI 1510, p. 486; FicoRONI 1744, I, p. 193; Nispy 1838, parte moderna, I, p. 603, tav, XXXVI; Const 1845,p. 392; MACVEAGH 1915, p. 3 sz TANI 1927,p. 73 ss., tav. LAXXVI-LXXXVII b; MasrricLi 1928, Il,p. 107 ss.; CaLLARI 1945,p. 203 ss;B. DI Gabbo, Le fontane di Roma. Rilievi, Roma 1964,p. 113 ss.; VARMING 1965, p. 143,nt. 112; Morton 1966, p. 205 ss, tav. 25; PiETRANOELI 1974 (1995), p. 116; Brızzı 1980, p. 84 ss.. fig. 87-90; D'Oxornio 1986, p. 285 s ., figg. 255-262, 268-272; VENTURI, SANFILIPPO 1996, p. 90 s .; PuLvERS 2002, pp. 92 s., 672, nn. 1483-4. Disegni: = MARTEN VAN HEEMSKERCK, 1533 ca: tre disegni raffiguranti piazza S. Pietro: 1) Chatsworth, Coll. Duke of Devonshire, n. 839 (HOLSEN, car 1916, Il, fig. a p. 71; EGGER 1932, I, p. 23 s, tav. 18; J. Byam Suaw, Old Master Drawings from Chatsworth, London 1973, p. 4l, fig. 87 b; D'ONOFRIO 1986, fig. 259; Lanciani 28 ed. I, fig. 44: scuola di M.V. Heemskerck; TANI 1927, tav. LXXXVIIJ; 2) e 3) = Vienna, Albertina (HOLSEN, East 1916, Il, p. 68 ss, lav, 130; EcGt 1932, I, tav. 17; D'ONOFRIO 1986, figg. 258, 260 = Garats 1995, I, B38); — ARISTOTELE Da SaNGALLO (metà del ‘500?), Firenze, Uffizi, Arch. 1710 v (schizzo sommario, citato in D'ONOFRIO 1986, p. 291, nota 18); = GA. Dosio, 1561/64: Borgo Nuovo (Alessandrino) originale perduto, un tempo a Firenze, Uffizi dis. arch. 2580/A (Eger 1932, 1, p. 20, tav. 16; LAnCIAN 22 ed., 1, fig. 45; C. Acıpinı, in Roma Antica, Roma 1976, p. 34 s. n. 5; D’ONOFRIO 1986, fig. 257; GaRMS 1995, 11,159); = C. MADERNO, bottega del, progetto per la ricostruzione della fontana di destra di piazza S. Pietro, Wien, Albertina (D'ONoFRIO 1986, fig. 262) Stampe: = H. van CLESF o CLEVE (metà del *500) (D'ONOFRIO 1986, fig, 256); = L: BUFALNI, pianta di Roma (1551), fol. A (F. Ente, Roma al tempo di Giulio HI. La pianta di Roma di Leonardo Bufalini del 1551, Roma 1911); = U. PIARD, pianta di Roma (1555), particolare (Fautaz, II tav. 223); 221
9. (L.34.
~ E Licio, piantadi Roma (1557), particolare (FAUTAZ, IL tav. 226); = G.A. Dosio, pianta di Roma (1561), particolare (Fruraz, I, tav. 229); = G.E Camocio, pianta di Roma (1569), particolare (FRUTAZ, I, tav. 234); — G. BRAUN, S. NovetLAnus, F. HOGENBERG, pianta di Roma (1575), particolare (FRUTAZ, 1I, tav. 235); a zd, DU PRA pina i Roma (1577) priolare (Fu, Il v 251; D'ONOFRIO 1986, ig. 261); ~ A. TEMPESTA, pianta di Roma (1593), particolare (FruTaZ, I, tav. 269); — E De PaoLı, piantadi Roma (1623), particolare (FRUTAZ, I, tav. 303); = Gi van Scivcx, pianta di Roma (1630), particolare (FRUTAZ, II tav. 328); — L. CUL, Prospectus locorum Urbis Romae insign., Roma 1666 (T. ASHBY,L. Cruyl ele sue vedute di Roma, Roma 1923, p. 228, fig. 6; B. Jar, J. Connors, Vedute Romane di Lievin Cruyl, Roma 1989, cat. 21); — FALDA, Le fontane, I, tav. 3; — PaRASACCH 1697, tav, 23; — Piranesi 1748, I, avy. 3, 4, 5; — L. Rossi 1832: L. Rossini Incisore. Vedutedi Roma 1817/1850, a cura di L. Cavazzı, ME. Trrron!, Roma 1982, tav. 33. Dipinti: G. LomsarpeLLI della Marca, 1588 ca, ultimo affresco della terza Loggia vaticana (citato in D'ONOFRIO 1986, p. 291, nota 18); — J.J. van SWANERURG, 1628, Copenhagen, Statens Museum for Kunst (GARMS 1995, I, p.49, fig. 43); — G. van WITTEL, primo decennio del XVIII secolo, Vienna, Kunsthistorisches Museum (Gans 1995,I, p. 74 s. fig. 67); 222
È E p 11. Fontana di Piazza S. Pietro, PARASACCHI 1697, tav. 23 (L.34). 223
1.35
Luogo di conservazione: Città del Vaticano, vasca riutilizzata nella fontana di Paolo V. Borghese, al centro del Cortile del Belvedere, nel palazzo del Vaticano. Luogo di provenienza: da Roma. Nel XV secolo è attestato in una vigna nei pressi del Colosseo, accanto a resti monumentali attribuibili alle terme di Traiano (Varming) o a quelle di Tito (da cui secondo Cassio, Ficoroni, Corsi, Morton, Callari ed Ercadi, proviene opera in esame); ricordiamo che la confusione sorta nel Rinascimento tra le terme di Tito © quelle di Traiano fu risolta da Lanciani!# nel 1895 distinguendo definitivamente i due complessi c attribuendo le rovine del Colle Oppio comunemente chiamate "Terme di Tito” alle terme di Traiano. Vasca e supporto in granito del Foro! Vasca: diam. cm. 680 (si rata della vasca più grande esistente a Roma) h. cm 75. Supporto: hem 70. Labbro scheggiato e parzialmente restaurato; un bordo di metallo è stato aggiunto lungo tutto il labbro, per fur cadere meglio l'acqua. Un inserto in cemento unisce il fondo della vasca al supporto. La superficie della vasca è lievemente incrostata; rare fratture alle pareti. I supporto presenta una grossa integrazione in cemento sulla gola e sul plinto, in corrispondenza della cannula che raccoglie l'acqua di ricambio. Secondo l'Ercadi questa grossa rottura che interessa il lato settentrionale © parte degli altri si è prodotta durante l’instllazione seicentesca; il piede appare decentrato di circa cm 5 verso NE e ruotato in senso destrorso di circa 4°. La base di Paolo V è in cattivo stato di conservazione; le figure dei draghi sono estremamente erose. La fontana è composta da un grande bacino di raccolta a pianta mistilinea, un quadrato con ciascun lato aperto in un elemento curvilineo, e da un vasca antica posta su un piedistallo ottagonale. Al di sopra, negli anni ‘60 fu posta una vasca di dimensioni minori, un tempo in mezzo al cortile della Pigna!€. Il Jabrum, del I tipo a vasca, presenta un labbro estroflesso, con nastro anteriore piatto e liscio e bordo superiore I vemente arcuato; un guscio segna il passaggio alle pareti della vasca, che si inclinano dolcemente verso l'ampio fondo piatto. Il Varming, che ha potuto visionare internamente la vasca, svuotata dall'acqua, asserisce che il bacino intero è stato scavato per metà altezza; definisce il rialzo di “forma molto semplice”. Lo spessore decresce dal fondo verso il centro, 1I supporto (S. 22), antico, del tipo III A, si compone di un plinto ottagonale, un fusto dal profilo sinuoso, a gola rovescia, incomiciato da un listello, un tondino e una fascia liscia. Secondo il Varming e l'Ercadi, sia il piedistallo che il plinto ottagonale sono originali; nel disegno di Naldini del 1558 circa, la vasca è raffigurata con il suo basso supporto, al centro del Cortile del Belvedere, Le prime notizie sulla vasca in esame risalgono alla metà del XV secolo: nel 1450, infatti, la vasca fu descritta da Giovanni Rucellai, il quale l'aveva vista "in una altra vigna appresso al Coliseo, dove si vede molte anticaglie, dove si mostra esservi stata una terma, precisando le misure del vaso molto grande, di giro datorno di braccia XL 14 R. LaNCIANI, Gli scavi del Colosseo e le terme di Tito, in BuilCom, 1895, p. 110 s . Sulle terme di Tito e sulle terme di Traiano, si vedano: TUR, V, s. v. Thermae Titip. 665. (G. CARUSO); 5.v. Thermae Traiani,p. 67 ss. (G. CARUSO-R. VoL), con bibl. prec. 145 Il Ficoroni definisce la vasca di "granitello orientale”, mentre il Cassio precisa di “granito numidico”. 146 VanMie 1965, p. 122, nota 90. 224
et il diamitro suo di braccia XII, ritratto a modo di un piattello”, il materiale “di granito" e la presenza di un “piedistallo di sotto". Come nota il Varming, le misure risultano un po' abbondanti (il diametro, infatti, traducendo le braccia fiorentine in metri risulterebbe essere di circa 7 metri); secondo il Varming i resti termali ricordati dal Rucellai corrisponderebbero a quelli delle terme di Traiano. La provenienza dalle terme di Tito è sostenuta da Cassio, Ficoroni, Corsi, Morton e altri. Il testo del Rucellai è convalidato dalla raffigurazione dalla pianta Strozzi!*”, che nel 1474 raffigura il labrum nel suo posto originario, prima della rimozione di Giulio I : la vasca & posta su un alto piedistallo in un'area delimitata da due grandi absidi, pertinenti secondo la Cesarano alle terme traianee, al di sotto da un edificio curvilineo basso e lungo, su cui si aprono una serie di archi e che potrebbe riferirsi ai resti della sostruzione della grande esedra terminale delle terme di Traiano, e in alto dalla didascalia “Capoccie”, toponimo medievale delle Sette Sale, cisterna delle stesse terme. Alessandro Strozzi non indica altro toponimo, probabilmente perché le fonti letterarie a lui precedenti e contemporanee, ad eccezione dei Mirabilia! che menzionano il Palatium Traiani, non riconoscevano nelle rovine ancora esistenti sul colle Oppio le terme di Traiano. In effetti le rovine conservatesi nell'area originariamente occupata dalla Domus Aurea sul colle Oppio hanno originato notevoli difficoltà interpretative, essendo stata l’area neroniana obliterata dalle costruzioni flavie e traianee: in particolare la terrazza inferiore venne occupata dalle terme di Traiano, mentre quelle di Tito trasformarono i bagni privati ad ovest in terme pubbliche. Lo stesso autore della pianta Strozzi pone erroneamente il toponimo thermae Titi et Vespasiani tra il Colosseo e Ja Meta Sudans, mentre nelle fonti precedenti, ad eccezione di Flavio Biondo che identifica le terme di Tito nelle rovine presso S. Maria Nova, scompare il ricordo di queste terme flavie, per cui successivamente con il nome di terme di Tito 0 di Vespasiano vennero indicati i resti della Domus Aurea o delle terme di Traiano. È merito del Laneiani!®, aver identificato, in base ai disegni del Palladio delle terme di “Vespasiano”, il complesso delle terme di Tito. Secondo la Cesarano, comunque, i resti monumentali vicini al labrum disegnati nella pianta Strozzi non si possono riferire alle terme flavie, ma a quelle di Traiano, come la coincidenza con le raffigurazione di Du Perac e del Piranesi sembrano confermare. La pianta Strozzi deriva da un prototipo databile alla meta del XV secolo noto da altre tre copie: le tre piante di Roma, miniate da Pietro del Massaio nella seconda metà del XV secolo per le illustrazioni della traduzione latina della Cosmographia Ptolomei. Anche in queste tre piante è rappresentato sul colle Oppio il labrum in esame!*0. Il Varming, si è già detto, ha proposto la collocazione originaria della vasca in esame nelle terme di Traiano, dichiarandosi però incerto se essa fosse pertinente al primo impianto domizianeo o al restauro traianco o ancora alla Domus Aurea. Lo studioso danese preferisce supporre che la vasca originariamente fosse al centro della grande esedra delle terme di Traiano, le cui rovine si situano lungo il pendio del Colle Oppio verso il Colosseo, dove probabilmente si estendeva la vigna menzionata dal Rucellai, e non nel frigidarium, che si trovava nella zona della Chiesa di S. Pietro in Vincoli, dove si sviluppò un'altra vigna. Il Varming, 147 CesaRano, in bib. p. 161 s. fg. 7. 158 Mirabilia, in VALENTIN-Zuccuern, Il, p. 21. 149 Lancianı, loc. ci. a nota 144 150 PietRo DEL Massaio, Pianta di Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 277, £. 131 r; eft: Cesarano, in bibl, fig 2. 225
12. Cortiledel Belvedere,G. Dosto, 1561 ca., Uffizi, arch. 2559/A (da EcorR, I, tav. 51) (L.35).
inoltre, sottolinea come proprio sotto l'esedra si trovino i resti di un grande peristilio rettangolare pertinente al complesso della Domus Aurea, nel cui centro si conservano ti di un bacino da fontana, con il quale potrebbe essere messa in relazione la vasca in esame, e non quella porfiretica della Sala Rotonda'st. L'Ercadi, nel suo recente articolo, sostiene che la vasca originariamente si trovava nelle terme di Tito. Basandosi sul disegno del Palladio! egli la localizza sulla vasta terrazza divisa in due dalla scalinata, necessariamente accompagnata da un’altra vasca gemella, perduta. Tale collocazione è attestata anche nei Mirabilia e nelle fonti da essi derivate, che ricordano sul Celio nelle terme Massimiane, da identificarsi con le terme di Tito, due vasche rotonde! Dall'indicazione del Rucellai e dalla raffigurazione dello Strozzi sembrerebbe che la vasca nel terzo quarto del ‘400 fosse intera; mentre nell'iscrizione del 1504 di Giulio I si dice che il labrum era temporum iniuria confractum. Secondo il Varming le rotture della vasca potrebbero risalire a prima del 1450, essendo rimasto il monte 151 Varaamso 1965,p. 129, fig. 12, tav. VL. 152 ANDREA PALLADIO, in G. ZORZI, / disegni delle antichità di Andrea Palladio, Venezia 1958, p. 65 s. figg. 89.9 153 Mirabilia, n. 28: "in Celio monte,..ante thermas Maximianas, ubi fuere. Miracole, n. 11: "Nanti lo termine di Maximiano foro doi conke..”.; Anonimo Magliabechiano: "in Caelio monte. ante thermas Maximianas fuerunt due conchae..". Cfr. D'ONOFRIO 1988, pp. 96, 190 226
13. Fontana del Belvedere, ParasaccHI 1697, tav. 36 (L. 35).
Esquilino privo d'acqua dal 537 al 1585, se non addirittura dal 104 d.C. quando un incendio rovinò i resti della Domus neroniana. Ne conseguirebbe che le riparazioni effettuate sulla vasca, ricordate dall'iscrizione di Giulio I, sarebbero anteriori al 1450. Giulio II della Rovere, divenuto pontefice, decise di collegare il palazzo Vaticano al Belvedere di Innocenzo VIII, mediante due ali, il cui asse principale sarebbe stato sottolineato nel 1504 dalla vasca in esame, centro ideale del "Gran Teatro del Belvedere”, concepito da Giulio II in perfetto accordo con il Bramante'™, La grandiosa concezione del progetto è testimoniata dal disegno realizzato intorno al 1560 da Giovanni Battista Naldini, in cui è raffigurato il Cortile del Belvedere, con in primo piano la vasca in esame. Essa, con il suo piede antico, venne posta su una base ottagonale aggiunta dal Bramante (come compare sul disegno del Dosio agli Uffizi, del 1561 circa). Questa base doveva essere, secondo l'Ercadi, piuttosto bassa e costituita da un nucleo in muratura rivestito di blocchi di marmo, su cui fu scolpita un'epigrafe commemorativa. II testo fu copiato nel 1616 da Giacomo Grimaldi, canonico, archivista e notaio della Basilica di S. Pietro, e poi riprodotto dal Forcellat5 e più recentemente dal Nigg]!5%. Nell'epigrafe si precisava che il labrum, largo 23 piedi e mezzo (in realtà 23 piedi), proveniente dalle terme di Tito alle Carine, fu trasportato nei giar154 AcKERMAN, in bibl; da ultimo: Cu.L. Frome, 7 ire progetti bramanteschi per il Cortile del Belvedere, in Il Cortile delle Statue 1998, p. 17 ss 155V, FORCELLA, Iscrizioni delle chiese e dari edifici di Roma, VI, Roma 1875,p. 55, n. 122. 156 R. Nic, in GRIMALDI, op. cit. a nota 130, p. 328. 227
dini Vaticani e furono restaurate le sue rotture, dovute alle offese dei tempi, nel primo anno del pontificato di Giulio II, nel 1504. Il Grimaldi nel suo testo aggiunge che la circonferenza della vasca è di 105 palmi (in realtà 95,5) e che la vasca, in granito, insigne monumento della potenza romana, fu sottoterra dal tempo di Pio IV, fino a quando Paolo V la dissotterrò e la pose su una base di travertino, ornata di draghi e dello stemma di Paolo V. TI Bramante organizzò il pendio del colle di S. Egidio su tre ripiani: in quello inferiore (Cortile del Belvedere), come racconta il Vasari, pose la grande vasca circolare di granito, in esame, mentre in quello superiore (Cortile della Pigna) collocó una vasca circolare più piccola, sempre in granito, quella che più tardi, nel 1835, venne trasferita nel cosiddetto Giardino Quadrato (L. 190): un disegno di Giovanni Antonio Dosio (1560-1565) riproduce le due conche già a posto; la fontana con vasca antica del Cortile della Pigna compare ancora in un'incisione ottocentesca!” L'Ercadi propone un'ipotesi ricostruttiva della vasca con la base del Bramante, integrando il disegno del Naldini con la trascrizione del Grimaldi!*3, e annota la co servazione, sotto il rivestimento impermeabile dell'attuale fontana, alla quota del pav mento del cortile, di un anello di quasi m 10 di diametro, composto di conci in travertino (larghi circa cm 40, alti cm 15), delimitante originariamente una pedana attorno alla base cinquecentesca. Due documenti di contabilità degli anni 1505-1507!9, ricordano il trasporto della conca grande e di quella più piccola al Belvedere e i lavori per la sistemazione della prima, cioè di quella in esame, menzionando anche un canale murato di 70 canne (m 156), commissionato dal Bramante, che si doveva innestare in un acquedotto preesistente, probabilmente quello dell'Acqua Alsietina, utilizzato fin dall'antichità e che forni l’acqua alla fontana presso S. Maria in Trastevere e dal 1490 alla fontana di Innocenzo VIII in piazza S. Pietro. L'acquedotto e la fontana del Belvedere è brevemente descritta anche dall’ Albertini, nel 15101 e dal Fulvio nel 1527. In base alle raffigurazioni della prima metà del ‘500, il labrum era posto in basso, probabilmente al di sopra di un bacino di raccolta, che, sebbene non compaia nei disegni, doveva pur esserci. La fontana del Belvedere quindi veniva ad assumere un aspetto simile a quello della fontana che anticamente era davanti alla Curia. Forse il Bramante sistemando la vasca si ispirò alla sua collocazione originaria, basandosi sull’osservazione diretta del luogo di provenienza. Secondo il Pietrangeli (1987) il basamento del Bramante doveva essere basso, come rivela anche il disegno del Dosio, non diverso da quello che tuttora sorregge la conca, sovrapposto a quello ottagonale del Maderno. Sembra che intorno alla metà del ‘500 la fontana del cortile del Belvedere abbia smesso di funzionare, infatti nel disegno del Dosio, eseguito dopo il 1562, il labrum appare asciutto, privo d’acqua, visto che è ben visibile il disco centrale rilevato. Nel 1565 la fontana del Bramante fü tolta dal centro del cortile per volere di Pio seguito alla risistemazione del cortile inferiore del Belvedere, con
157 In Morrow 1966, fig. a p. 203. 159 ACKERMAN, in Bibl p. 152 (documents): Archivio della Fabbrica di S.Pietro I, fol 58 160 Acsi 1510, in bibl: “est atque (2) fons in loco, qui Belvidere dicitur cum puteo atque (?) aquaeductibus subterraneis miro artificio constructus, a milliario Il ad Urbem perductus a tua S. (Giulio ID". Ch. A. ScuMARsow (hrsg), F. Albertinus, De Mirablibus novae bis Romae, Heilbronn 1886, p. SÌ 158 Ercapi 1995, fig. d.
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l'opera di Pirro Ligorio, per l’organizzazione di un torneo in occasione delle nozze di suo nipote Annibale Altemps con Ortensia Borromea, celebrate il 5 marzo 156561. Risultando impossibile rimuovere la pesante vasca antica, essa, con la sua base, fu interrata nell'angolo destro del cortile!©2, dove rimase fino alla sua riscoperta nel 1608 e al dissotterramento nel 16090. Secondo il Varming la vasca fu riscoperta durante i lavori per l'ala della Biblioteca inaugurata da Paolo V, nel 1611. Infatti Paolo V, che fece costruire e restaurare diverse fontane, rinnovando interamente l'acquedotto alsietino (denominato poi Acqua Paola, come la grandiosa fontana omonima al Gianicolo), caduto in disuso intorno al 1598, fece anche risistemare nel 1609-10 ad opera di Carlo Maderno (lo stesso che rifece la fontana di Innocenzo VIII in piazza S. Pietro) la fontana disattivata del Belvedere. Il Cassio, nel 1756, ricorda tale ripristino, citando la vasca rotonda antica. di granito numidico e riportando le due iscrizioni della base, che menzionano la ricollocazione ad opera di Carlo V della vasca proveniente dalle terme di Tito, già utilizzata da Giulio II 16. Le iscrizioni rimasero a lungo nascoste sotto uno strato di alghe, che venne pulito dal Varming, quando studiò la vasca nel 1965, ritrascrivendo le due epigrafi di Paolo V, fino ad allora rimaste neglette. L'incisione del Falda documenta in. linea di massima l'aspetto della fontana del Belvedere realizzata dal Mademo, aspetto tuttora rimasto invariato. Il Mademo, a differenza del Bramante che aveva posto la vasca antica in basso, rispettandone la sistemazione originaria, la collocò in alto, sopra una grande base ottagonale, costituita da un nucleo in muratura rivestito di lastre di travertino, intorno alla quale progettò un ampio bacino di raccolta a pianta mistilinea, circondato a sua volta da un recinto di 16 pilastrini con la ringhiera in ferro, visibile nella stampa del Falda e poi abolito in epoca moderna. La base ottagonale, come si è detto, fu ornata su due lati con le epigrafi commemorative, sui lati settentrionale e meridionale dallo stemma di PaoloV, sugli altri quattro lati dallo stemma con il drago araldico della famiglia Borghese. La fontana si caratterizzava per lo zampillo centrale e per altri quattro zampilli, che partendo dal bacino di raccolta dirigevano i loro getti in alto verso la vasca. Questi zampilli periferici erano probabilmente originali, essendo documentati nel disegno edito nel 1637 dal Parasacchi, sebbene siano non convergenti al centro, ma diritti nella incisione settecentesca di Pannini e Montagu c nella raffigurazione del Caucig; essi però sono assenti nell’incisione del Falda della fine del ‘600. Da ciascuna fauce dei draghi fuoriusciva un tubo in piombo per l'acqua, di cui 161 ACKERMAN, in Bibl, p. 183 (documents): 195-1565. 20 gennaio-15 febbraio (Archivio di Stato, Roma. Camerale I, Cam. Fabbr. 1521, fol. 130 sg, 1520, fol. 230): . per levarneli impedimenti del Teatro da basso del Belvedere per l'apparecchio della Giostra et mettere in piano et levare la gran Conca del mezzo.” Cassio 1756, l p. 375. Il tomeo è rappresentato in una incisione spesso riprodotta dal Lafror (cs: P. LETAROUILLY, Le Vatican et la Basiliquede Saint Pierre, 1862) 162 Cfr Lanciant, IL p. 216(7 Lanciai 3° ed, II, p. 238). 163 AF. Orton, Documenti sul Barocco in Roma, Miscellanea della R. Società Romana di Storia Patria, Roma 1920,p. 123, Avvisi di Roma (Urin. lat. 1076, fol. 736 v.) 1608, 11 otto‘re;p. 302, Archivio di Stato, Roma, Depositeria generale, 1609,p. 5, 19 gennaio. 164 Cassio 1756, p. 375 s. Le epigralidi Paolo V sono ricordate anche da Ehre: F. Fari, Roma al tempo di Clemente VIII, La pianta di Antonio Tempesta del 1606 (1593), Citta del Vaticano 1932, appendice I: La grande veduta Maggi-Mascardi (1615) del Tempio e del Palazzo Vaticano, Roma 1914, p. 18, n. 69, nota 1; A. Ciaccontus, Vitae et res gestae Pontificum Romanorum et Cardinalium ab initio eclesiae urg. ad Clementem IX, Roma 1677, IV, p. 394. 229
ne rimangono tuttora tre!. Probabilmente i getti periferici non riuscirono a convivere con gli zampilli uscenti dai draghi. Attualmente la fontana presenta un solo zampillo centrale. Che i quattro zampilli fossero fin dall'origine nella fontana è ulteriormente precisato da un passo della vita di Paolo V del domenicano Bzowski, pubblicata nel 162516, che descrive la fontana voluta da Paolo V, dal cui catino si solleva un alto getto d'acqua, mentre “dalla vasca l'acqua erompendo da quattro tubi arriva fino ai bordi del catino”. Sotto Pio XI, alla fine degli anni venti del nostro secolo è stata aggiunta al di sopra della grande vasca principale una vasca di granito rosa più piccola, già utilizzata come bacino superiore nella fontana innocenziana di piazza S. Pietro (L. 34), poi rimossa e più tardi riutilizzata per realizzare una nuova fontana nel Bastione di Maestro delle Mura Vaticane (L. 49). Sia il Varming che l'Ercadi notano l'anomalia per cui il livello dell'acqua del bacino di raccolta supera le modanature inferiori, oramai del tutto irriconoscibili, della base ottagonale. Secondo Ercadi questa situazione era probabilmente così sin dalla ricostruzione seicentesca, se l'incisione del Falda, eseguita nel 1680, riproduce in modo esatto le modanature superiori, ma non quelle inferiori, evidentemente anche allora sommerse. L'ipotesi di un innalzamento dell’orlo e del livello della vasca, o di un abbassamento del nucleo centrale appaiono entrambe illogiche. L’Ercadi pone un accento particolare sulla realizzazione piuttosto scadente della fontana da parte del Maderno, tanto da avanzare l'ipotesi di un errore iniziale nella impostazione della base ottagonale. Secondo il Varming, invece, l'elevazione di circa cm 50 del livello del terreno intorno alla fontana ha fatto sì che, seguendo il bacino inferiore il cambiamento di livello, il profilo inferiore della base si venisse a trovare sotto le acque del bacino. Bibliografia: RuceLLAI 1450, p. 579 (in VaLexmni-ZucceTm, IV, p. 417 s); ALBERTINE 1510, I, fol. 96 a (in Vatexmii-ZuocHermi, IV,p. 543);A. FuLviO, Delle Antichità della città di Roma, 1527, con le aggiunte di G. FERRUCCI, Venezia 1588,p. 184 (in Lancia, 1, p. 155; LANCIA, 2° ed. I, p. 288 s .); Ficonont 1744,I, p. 193; Il p. 17; Cassio 1756, p. 375 s. Corsi 1845, p. 394; TANI 1927,p. 83, tav. XCVI a; Cattani 1945, p. 220; VARMING 1965, p. 122 ss., figg. 10-13; Morton 1966,p. 215; Brizzi 1980,p. 316, fig. 420; D'ONOFRIO 1986, p. 518, fig 474; PrereaNGeLt 1987 a, p. 475 ss.; Ercapi 1995,p. 239 ss; C. PIETRANGFLI,La fontana del Belvedere, in Roma, questa nostra città, Roma 1997,p. 111 ss.; PULVERS 2002,p. 892,n. 2000. Disegni: — Anonimo Fiorentino, 1520-25, Soane Museum, London, "Conor" libro di schizzi, fol. 17 (IS. ACKERMAN, The Cortile del Belvedere, Città del Vaticano 1954, fig. 1); Axronio Di SANGALO il giovane, scuola di, circa 1541, Uffizi, Firenze, Arch. 1355 (AckERMAN, op. cit, fig. 4); ~ G.B. NALDINI, circa 1560/61, Cambridge, Mass., Fogg Art Museum, inv. 1934.214 recto (Ercapi 1995, figg. 3, 3a; Cit.L. Frommer, in If cortile delle Statue 1998, fig. 13;Cx. THEM, Das römische Reiseskizzenbuch des Florentiners Giovanni Battista Naldini. 1560/61, München. 2002, p. 110 ss. n. 35); = G.A. Dosto, post 1562, Firenze, Uffizi, dis. arch. 2559/ (Ecora 1932, 1, p. 32, tav. 51; asc 1965, fig. a p. 137; PierRANCELI 1987 a, fg. 1)
165 Ancora visibili, sebbene non funzionanti, come testimoniata giàdal Varming: VaRMING 1965, p. 135, e dall’Ercadi (VaRMNG 1965, fig. 12). 16 PIErRANGELI 1987, p. 481. 230
Stampe: = Pierro DEL Massai, pianta di Roma, Biblioteca Apostolica Vaticana, Urb. lat. 277, £. 131 t (AL. CESARANO, Crypiae e Speluncae nella pianta Strozzi, in RendAccLincei,9, V, 8, 1997,p. 150, fig. 2); ‘A, STROZA pianta di Roma (1472), Bibliot. Laurenziana, Codice Rediano 77, ff. VIIv.Ville, (Cesarano, in bibL, p. 147 ss, figg. 1,3, 7,9, 10); — L Bratt, pianta di Roma (1551), fo. A (EARLE,op. cit L. 34; ACKERMAN,op. cit,fig. 5); E Licinio, pianta di Roma (1557), particolare (FRutAz, II tav. 226); = G.A. Dosio, pianta di Roma (1561), particolare (FRUTAZ, II, tav. 229); — G. Braun, $. NoveLLanus, F. HOGENDERG, pianta di Roma (1575), particolare (FRUTAZ, I, tav. 235); — E. De Pao, pianta di Roma (1623), particolare (FRUTAZ, II tav. 303); FALDA,Le fontane, I, tav. 4 (VARMING 1965, fig. 13; ERCADI 1995,fig. 10); = G. Lauro, Antiquae Urbis Splendor, Roma 1642, tav. 158 (Gans 1995, II, B. 37); = E-Paxwint,D. Montaau, incisione, Musei Vaticani (PrerRANGELI 1987a, fig. 3); = E CAvcio, Vienna, Akademie der bildenden Künste (PIETRANOELI 1987 a, fig. 4); - PARASACCHI 1697, tav. 36. L.36
Luogo di conservazione: Roma, piazza del Quirinale o di Montecavallo, ri fontana, Luogo di provenienza: la vasca in esame è stata identificata da parte della bibliografia con quella ritrovata nel 1588 in Campo Vaccino, presso la Chiesa dei SS. Luca e Martina, dove serviva da catino alla fonte del Marforio, come testimoniano le fonti quattrocentesche e cinquecentesche. Il Lanciani!67 sostiene che nell'arca del Comizio dovevano trovarsi due fonti: una quella dell'impluviun, davanti alla Curia Iulia, di cu si è gi parlato (L. 12), Valtra pertinente al Marforio, che si trovava sempre nel Comizio, ma in un'altra zona, a nord di S. Martina edell'arco di Settimio Severo. Il Lanciani sottolinea le analogie delle misure del labrum della fontana di Montecavallo (diam. cm 602) con quelle dell'inpluvium (diam. ‘em 520); il diametro massimo del piede, che misura cm 280, coincide con il segno lasciato nell'impluvium dal supporto della vasca. Anche il Varming!6$ considera probabile l'ident ficazione del bacino della fontana di Montecavallo con quello dell'impluvio del Comizio; lo studioso però sottolinea che tale sistemazione sarebbe avvenuta in un secondo momento. Vasca e supporto in granito del Foro! Diam. em 610 (20!/ piedi romani). Le pareti sono molto spesse: quasi 40 cm (Verming). La vasca dovrebbe pesare circa 30 tonnellate (Varming). La vasca presenta la superficie completamente incrostata e risulta difficile risalire alla superficie antica, ad eccezione di alcuni brevi tati in cui l’acquaè scorsa con minore insistenza; ‘orpo dovrebbe, comunque, essere molto danneggiato, perché come ci racconta il Lanciani cra diventato consueto, al tempo degli scavi di Napoleone I al Foro, far passare i cari allintemo della vasca, che allora era in Campo Vaccino, per far bagnare le ruote Il Varming afferma che la “vasca è stata rotta, e l'orlo è, in qualche punto, abbastanza malandato”. Un grosso tassello rettangolare c due alti piccol e regolari sono presenti nel labbro; alcune fratture attraversano le pareti della vasca, Il nastro superiore del supporto è scheggiato e 167 168 169 chiccio antico,
Lanciani 1900, pp. 16,24, 25 Varsın 1965, p. 136 Lo Gnoli identifica il materiale nel granito del Foro. Il Ficoroni precisa: "granito biantramischiato di nuvolette nere". Secondo il Varming si tratta di un granito detto mischio venato di grigio, con probabilità di provenienza orientale. 231
ha due tasselli in granito di restauro; altri due tasselli sono nel toro superiore. Due lunghe fratture verticali percorrono il sostegno: una parte dal toro superiore fino a quello inferiore e altra va dalla sommità alla base del supporto; altre brevi fratture interessano il toro inferiore Trail corpo della vasca e il supporto c'è un inserto di collegamento in cemento e mattoni
La vasca si caratterizza per un ampio fondo piatto, da cui si stacca l'incurvatura. delle pareti, che si concludono con il consueto labbro estroflesso, con fascia anteriore piatta e superiore leggermente incurvata. L'interno!??, poco profondo, presenta al centro un ombelico formato da un nucleo centrale cupoliforme, circondato da un anello rialzato. Il Varming nota alcune irregolarità nella forma della vasca, essendo asimmetrico il profilo in alcuni punti e presentando la planimetria un cerchio imperfetto (con uno scarto tra diametro piccolo e diametro grande di soli cm 5 circa). Egli evidenzia, inoltre, che la vasca di Montecavallo si differenzia dalla forma consueta degli altri labra, caratterizzate da un accentuato passaggio dal fondo al lato; mentre l’opera in esame ha un profilo molto più ripido e la curva di passaggio dal fondo alla parete è molto accentuata. L'opera, comunque, rientra nel I tipo a vasca, con labbro sporgente. TI Varming sottolinca che l'acqua cade dalla vasca nel bacino di raccolta, disegnando un anello estremamente preciso, del diametro massimo di circa m 5, posto a cm 60-80 dall'orlo del bacino. Il rialzo centrale, a forma di disco, nel cavo della vasca non doveva sostenere alcuna base; la cima risulta coperta da una calotta di cemento (larga cm 50 circa) colata intorno al tubo dello zampillo. Il vano interno non è molto scavato, lasciando pareti (con uno spessore di quasi cm 40) e fondo piuttosto spessi. I supporto (S. 25), probabilmente quello originale, è del tipo III B a!7! ed è composto in basso di un toro corposo, sormontato da un basso listello e dal fusto, con profilo a cavetto, ornato da una serie di 80 scanalature di tipo ionico, con larghi listelli di separazione, sormontato a due terzi dell’altezza da un tondino. Al di sopra il collarino, con profilo a cavetto, e un nastro piatto in forte aggetto, seguito da una rientranza, su cui poggia, collegato da un inserto in cemento e mattoni, il piano di fondo della conca. La vasca in esame è da mettersi in relazione con le notizie quattrocentesche e cinquecentesche relative alla statua colossale di divinità fluviale, denominata dalle fonti medioevali Marforio!”2, posta fin dal Medioevo ai piedi del Campidoglio presso il Carcere Mamertino, ed alla conca collocata presso di essa. Per primo il Rucellai!? ricorda nel 1450 la statua del Marforio con "uno vaso o vera concha appresso". Il Muffel nel 14521% sostiene che presso il Carcere di S. Pietro, dinanzi al Marforio, c'erano ben “due conche di marmo larghe circa sette tese (Klafter: misura di lunghezza norimberghese = m 1,75), cioè m 12/13, e quindi di un diametro di circa m 4. Questa discordanza in due fonti quasi contemporanee stupisce: il Varming ipotizza che nel 1450 ci fossero due vasche, non una, senza escludere la possibilità che tra il 1450 e il 170 Per l'interno si veda la sezione in: RAKOD, RODER, MOLLER-WIENER, in bibl. fig. 13, 171 Un piedistallo simile a quello in esame, con scanalature nel fusto inferiore, è attestato al di sotto del bacino battesimale in porfido a S. Maria Maggiore (S. 9). 172 Sulla vicende del Marforio: PIFTRANOELI 1957, in bibl, con bibl. prec. cindicazioni delle fonti antiquarie. 173 RUCELLAI 1450, p. 579 (= VALENTIN, ZuccHeTTI, IV,p. 417); eff: LANCIANI 1900,p. 19. 174 A, Micuasuss, Le Antichità della città di Roma descritte da Nicolao Muffe, in RM 1888, p. 268 (= VALENTINI, ZUCCHETTI, IV,p. 367); LANCIANI 1900,p. 19. 232
1452 ne sia stata aggiunta un'altra. Una vasca tonda & raffigurata in una pianta di Roma del 1470775, posta tra la torre dei Conti (Turris comitum) e il Campidoglio, fra la Colonna Traiana (Adriana!) e un edificio con la cupola (probabilmente la Curia. Iulia, cioè S. Adriano, o il tempio di Antonino e Faustina, con dietro la cupola dell’Heroon Romoli): si tratta verosimilmente della grande vasca dinanzi al Marforio, la cui presenza, quindi, è ampiamente documentata per il periodo trail 1450 e il 1470. 1I diametro di circa m 4 suggerito dal Muffel sembrerebbe escludere l'identificazione delle vasche da lui citate con quella in esame di piazza Montecavallo. II Varming, allora, propone che la misura indicata dal Muffel si riferisse ad una sola vasca, quella completamente visibile, citata anche dal Rucellai; mentre la seconda, essendo in parte seminascosta in terra, non sarebbe stata misurata dal Muffel, né ricordata dal Rucellai In questa vasca interrata si potrebbe allora riconoscere la grande conca in esame, che ha un diametro superiore ai m 6. Secondo il Varming la vasca dal diametro di m 4 scomparve dal luogo intorno al 1500. Vicino all’arco severiano, il Marforio è ricordato dall’anonimo di Einsiedeln! prima del 1084, quando in seguito all'incendio normanno ebbe inizio l'interramento della valle del Foro. La statua colossale viene costantemente menzionata nelle guide dei pellegrini!” eil locus Marforii ricorre, come denominazione topografica nei documenti del *4007*, fino al ‘500, indicando appunto la piccola piazza tra il Carcere Mamertino ©. Martina. Ed è proprio nella piazzetta ai piedi del Monte Capitolino, nel lato sudest, denominata Tria Fata, presso la chiesa dei SS. Luca e Martina e vicino all’arco di Settimio Severo, che nel gennaio del 1588 venne alla luce una conca di granito, come ci testimoniano Flaminio Vacca!” e il resoconto del ritrovamento, negli Awisi del 23 gennaio 1588!®. Essendo stato deciso di trasferire il Marforio, il 6 gennaio venne rimosso e trasportato in piazza S. Marco e poi il 20 in Campidoglio, per abbellire la piazza con una nuova fontana, costruita soltanto nel 1594 su disegno di Giacomo della Porta. La fontana cinquecentesca, prima della costruzione del palazzo del Museo, costituiva un complesso prospetto monumentale a due piani aperto sulla piazza; in seguito al completamento del palazzo, ultimato nella metà del ‘600, la fontana fu rimossa e dopo varie vicende fù ricostruita per volere di Clemente XII, nel 1734, diversa da quella cinquecentesca, inserendo il Marforio in una nicchia scenografica, addossata alla parete di fondo del cortile interno del palazzo, come tuttora si può ammirare. 175 G-B. De Rossi, Piante iconografiche e prospettiche di Roma anteriore al secolo XVI, Roma 1879, capo XVI, p. 90 ss. tav. Ill, Cod. Vat. Urb. 277. 176 Cfr. Beschreibung Rom, Il, 1, p. 37 s. H. JORDAN, Topographie der Stadt Rom im Alth rhum, U, Berlin 1871, p. 348 s; VALENTIN, ZuccHerm, II, p. 177, 3. 177 Mirabilia, 24: “Ante privatam custodiam Mamertini templum Martis (S. Martina)”, in Vauenrist, Zuccnerm, II, p. 25, 4; MARTI POLONO: “Item sub capitolio ubi iacet simulacrum. Mamertini fuit templum Jovis", in LANCIANI 1900, p. 17. 175 Lacum 1900, p. 17 s 179 Vacca 1594, in bibl. "appresso il suddetto arco (di Settimio Severo) vi era la statua di Marforio sopra terra e li Romani volendo ornare la fonte in piazza Agone, la levarono, e condottola fino a S. Marco, si pentirono e la fecero condurre in Campidoglio dove oggi serve per Fiume alla fonte sopra la Piazza (ora nel cortile del Museo Capitolino). Nel levare dal detto luogo la Statua, vi trovarono quella Gran Tazza di granito, che ora fa fonte in mezzo al Foro Romano e serve per dar bevere alle bestie delle quali ivisi fa mercato (destinata alla fontana da collocarsi avanti l'obelisco del Quirinale)”; cf. LANCIAN 1900, p. 18 ss. 180 Lacus, IV, p. 102. 233
In un disegno di Marten van Heemskerck del 1536/9! è raffigurata la statua del Marforio in primo piano e dietro di essa una tazza rotonda con una testa barbata dalla. cui bocca fuoriesce l'acqua. Il Varming sottolinea che nella vasca disegnata dal van Heemskerck non sia da riconoscere la vasca descritta dal Rucellai e dal Muffel: è probabile che nello stesso foglio siano state disegnate opere non in relazione fra di loro. Non si tratta certo del labrum in esame, anche perché il disegno ripropone una situazione antecendente alla scoperta del catino in granito pertinente alla fonte, avvenuta. soltanto nel 1588. Potrebbe allora trattarsi della seconda conca ricordata dal Mute! presso il Marforio? La tazza del disegno cinquecentesco sembra tipologicamente simile a quella in granito di via dei Fori Imperiali (L. 37), che ha un diametro di soli cm 190. Essendosi scavato nei pressi del luogo in cui si trovava il Marfori, i del 1588, si rinvenne la “conca di mischio antica”, rimasta interrata, anch'essa destinata alle fontane del Campidoglio'®2 II Vacca 1%, descrivendone la scoperta, aggiunge che la vasca "hoggi serve alla fonte che stà in mezzo del Foro Romano; serve per dar da bere alle bestie, che in quel loco se ne fà mercato”. Infatti dopo il ritrovamento, la grande vasca di granito rimase per alcuni anni dove era stata trovata, abbandonata nei pressi di S. Martina!*, fino a quando il 22 ottobre 1593 si decise di destinarla alla realizzazione di una fonte in Campo Vaccino: la tazza venne trasportata nel mezzo di Campo Vaccino, vicino alle tre colonne del tempio dei Castori, e rifornita dall'Acqua Felice. La grande vasca tonda, il suo rinvenimento presso il Marforio e il conseguente trasferimento in Campo Vaccino, per volere di Sisto V, sono descritti nella metà del ‘700 anche da Alberto Cassio, sebbene egli riferisca erroneamente che la conca è in "rosso granito tebaico". Il bel fontanile di Campo Vaccino'® fu costruito nel 1593 da Bartolomeo Bassi!%, su disegno di Giacomo della Porta!#, riutilizzando la vasca antica in granito rinvenuta presso il Marforio, con il suo basamento, per elevarla alquanto sul bacino rotondo di raccolta, incassato al livello del suolo. Il mascherone barbato, da cui usciva l’acqua, scolpito da Bartolomeo Bassi, venne affisso ad un elaborato prospetto, composto di un muro profilato a volute e sormontato da un frontone arcuato, sotto cui si stagliava l'iscrizione dedicatoria!*8, come si vede in cinque disegni: in due di Stefano della Bella del 1636, in un disegno di Carlo Fontana del 1706, nella raffigurazione (con un muro rettilineo, senza volute) di p. van Bloemen (16571720) e in un disegno dell’anonimo Pacetti del 1720 circa; c in due vedute: una di van Poelenburgh del 1620 e un olio su tela attribuito a Monaldi e Agnesi del ‘700. Nella veduta di fantasia di Groenewegen del 1629, la vasca appare con al centro un cippo parallelepido con maschere barbate. Nel dipinto di van Swanevelt del 1631 in Campo 181 Horsen, Bocer 1913, I p. 11, av. 20, fol. 19 182 CF. ORBAAN, La Roma di Sisto V negli Avis, in Arch Soc.Rom Storia Patria, 33, 1911, p. 303; PreTRANGELI 1957, in bibl, p. 299; LANCIANI, IV, p. 102; D'ONOFRIO 1957, p. 131 s. #83 Vacca 1594, in bibl. 184 Lanciani 1900, p. 22. 185 D'ONOFRIO 1957, p. 108 186 Sui conti di pagamento a Bartolomeo Bassi per l'omamento della fontana nella piazza di Campo Vaccino, su disegno di Giacomo della Porta: v. P PEOCHIAI, Acquedotti e fontane di Roma nel Cinquecento, Roma 1944, p. 92 s; in Archivio Capitolino, cr. IV, vol. 95 c. 325, in data 29 ago. 1593 187 Cfr A. DI Castro, in bibl, p. 33, note 174, 175. 183 Riprodotta da M. Unauno Bici, Notizia della famiglia Boccapaduli, Roma 1762, p. 197. 234
Vaccino compare la grande vasca che riceve acqua dal consueto muro con volute, sormontato da un frontone, dietro al quale si trova un'altra vasca presso cui alcune donne lavano i panni. II Ficoroni, nel 1744, ricorda che in Campo Vaceino una "conca di ‘forma circolare d'un granito particolare di color bianchiccio tramischiato di nuvolette nere, la cui circonferenza è di palmi 92" costituisce una abbeveratoio per bestiame. La fontana di Campo Vaccino subi nel tempo un notevole interro: nel 1816, anno della sua rimozione, la vasca era ricoperta di terra fino all'orlo. Il Lanciani!® ricorda, infatti, i racconti del padre sui carrettieri di Campo Vaccino, adibiti agli scavi di Napoleone I, i quali erano soliti passare sul bacino per bagnare lc ruote dei loro carri La fontana rimase, comunque, inalterata nella sua composizione, a prescindere dall’ipotetica aggiunta nel ‘700 di un bacino minore sul retro, come sembrerebbero indicare le stampe del Piranesi di Campo Vaccino e una veduta di van Swanevelt, fino a quando nel 1816 la grande vasca in esame venne rimossa, essendo stato progettato sotto Pio VII di riutilizzarla!® in piazza di Montecavallo, presso i Dioscuri. In questa piazza, già nel 1786 Papa Pio VI aveva fatto erigere uno dei due obelischi del mausoleo di Augusto, cambiando la disposizione dei Dioscuri ivi posti da Sisto V ed eliminando una precedente fontana??!. Di questa più antica fontana, costruita per volere di Sisto V nel 1588, su progetto di Domenico Fontana, si persero le tracce, in seguito alla rimozione avvenuta intorno al 1792; essa è, però, ampiamente documentata da dipinti e stampe seicenteschi e settecenteschi!”. Tl progetto della nuova fontana di Montecavallo, realizzato dal Cancellieri, fu approvato nel 1790, ma non venne allora effettuato: fu Pio VII che finalmente ne attuò il progetto. Carlo Fea fece restaurare la vasca antica, trovata infranta in due pezzi. Lo scavo per le fondamenta della tazza fu realizzato il 18 agosto 1817 e la fontana fu completata pochi mesi dopo. L'architetto Raffaele Stern, incaricato di elaborare il progetto della nuova sistemazione della fontana, riunì alla vasca in granito il grande piedistallo, che venne riscoperto il 23 marzo del 1811193 nel Foro Romano, verosimilmente nello stesso luogo in cui era stata risco189 LaNctant 1900,p. 23. 190 LANCIANI 1900,p. 23 s; D'ONOFRIO 1957, p. 108. 191 Sui Dioscuri e sulle vicende di questi e del labrum sotto Pio VI, cfr. CANCELLIERI in bibl,p. 165 s 16? Sulla fontana cinquecentesca di Sisto V, costruita nel 1588 da Domenico Fontana, in piazza Montecavallo, demolita alla fine nel 1792, si vedano le seguenti raffigurazioni: due disegni di anonimi del XVII secolo, uno ad Oxford, Chirst. Church, Coll. of Drawings, n. 609, e l'altro a Firenze, Uffizi dis. cat. pacs, n. 651 (Facer 1931, II p. 35, tavv. 82, 83); stampe del Falda: FALDA, Le fontane, I, tav. 6 (cft. D'ONOFRIO 1986, fig. 205); di Tiburzio Vergelli 1693 (cfi. D'Ovorkio 1986, fig. 207); di Lieven Cruyl, 1664-1665, Museo di Roma, un tempo all’Albertina di Vienna, n. 20972 (Eooer 1932, II, p. 35 s, tav. 4; eft. C. PIETRANGELL in BollCom, XIX, 1972, p. 192,n. 5 fig. 235; D'ONOPRIO 1986, fig. 208); due stampe del Piranesi (Priest 1748, L tavv. 25, 26; cf. MORTON 1966, fig. a p. 136) c i dipinti di Gaspard van Mittel (Buzzi 1980, fig. 59) e dei Pannini (Tani 1927, taw. LXXV, a-b). Secondo Pietrangeli (Preteancett 1974, in bibl.) la seconda vasca è da identificarsi con quella presente in un cortile del convento dei SS. Apostoli 193 I piedistallo è ricordato dal Cancellieri (CanceLLIERI, in Bibl, p. 167) affermando che è stato scoperto "negli ultimi scavi”. Il rinvenimento del piede è ricordato nel Giornale del Campidoglio del 23 marzo e del 20 aprile 1811, in cui si precisa che, in occasione del diseppelJimento della vasca di granito, utilizzata come fontana al centro della piazza del Foro, si scoprì il piede che la sostenevae che era rimasto interamente sepolto, ma perfettamente conservato: in LANciani 1900, p. 24; of. CALLARI 1945,p. 117; VARMING 1965,p. 104. 235
perta la vasca, e che per dimensioni e materiale sembrerebbe pertinente alla vasca stessa. Nel 1829 il Rossini rappresenta in due vedute la piazza del Quirinale con la fontana di Pio VIL Il Corsi, nel 1845, ricorda in piazza del Quirinale una “tazza con fonte. di granito bigio trovata presso la Chiesa di S. Luca", di palmi 111 di circonferenza. Anche il mascherone venne riutilizzato: trasferito dopo la demolizione della fontana in un magazzino, fu riesumato nel 1827 e fu collocato sulla fontana-sarcofago del porto Leonino alla Lungara!%, nella sponda destra del Tevere. Verso il 1890 fu tolto anche da lì, in occasione dei lavori di arginatura del Tevere. Dopo una lunga permanenza nei magazzini comunali, nel 1936 venne trasportato in piazza Pietro d'Illiria per la realizzazione di una fontana, accanto alla chiesa di S. Sabina, dove tuttora si trova, insieme ad una vasca ovale, del tipo B. I. a.5*. Bibliografia: Vacca 1594, mem. 69 (= in Fea 1790, p. 68); PARASACCHI 1697, tav. 4; Ficoron! 1744, I, p. 191; Cassio 1756, I, p. 342 s; F. CANCELLIERI, /I mercato, il lago dell Acqua Vergine ed il Palazzo Panfiliano nel Circo Agonale, Roma 1811, p. 167; Consi 1845, p. 309; LANCIANI 1900, p. 13 ss; MACVEAGH 1915,p. 287 ss; Tani 1927, p. 55 s. tavv. LXXV ab, LXXVI; MastRIGLI 1928, IL p. 95 ss.; CALLARI 1945,p. 116 s C. PIETRANGELI, La fonte di Marforio, in Capitolium, XXXIII, 1957, p. 8 ss. (= in PieTRANGELI 1995, p. 299 ss.); VARMING 1965, p. 95 ss, figg. 3, 4, 5, 6, tav. II; Morrow 1966, p. 133 ss; Tu. Kraus, J. Roper, W. MULLER-WitEt, Mons Claudianus-Mons Porphyrites, in MDAIKairo, 22, 1967,p. 149, fig, 13; Gnout 1971,p. 122 ss., fig. 174; PiemRaNOELI 1974 (1995), p. 113; Baızzı 1980, pp. 59, 154, 157, figg. 59, 161-3; PierRANGELI 1987 a, p. 475; GnoLI 1988, p. 148, fig. 174; D'ONOFRIO 1986, p. 232 ss., 243, figg. 201-8, 217-220;A. DI CastRo, Rivestimenti e tarsi marmoree, in Marmorari e argentieri a Roma nel Lazio tra Cinquecento e Seicento, Roma 1994, p. 33, figg. 101-102; Ventu,, SANFILIPPO 1996, p. 169; PuLvERS 2002, pp. 82 ss., 615, n. 1334
Disegni della fontana di Campo Vaceino del 1593: = STEFANO DELLA BELLA, 1636, Firenze, Uffizi, Coll. Santarelli,n. 12572; Uffizi, n. 5995 (Eooux 1931, I, p. 15, tav. 20; D'Oxortuo 1986, fig. 217); — C. FONTANA, disegno del 1706 (D'ONOFRIO 1986, fig. 218); — R VAN Brotuts (1657-1720), disegno, coll. priv. (A. Di Castro, in bibl, fig. 101); - Anonymus PACETTI, 1720 ca., Berlin, Kupferstichkabinett n. 14273 (EcGER 1931, II, p. 16, tav. 23).
Stampe: — M.Greuren, 1618 (Gans 1995, II, E21); Faia, Li giardini, tav. 5 (Gas 1995,Il, E 22); FALDA, Le fontane, I, tav. 6 (fontana. cinquecentesca di Domenico Fontana); = Anonimo, da1.G. GrArvius, Thesaurus Antiquitatum Romanorum, IV, 3 (1696) (Gas 1995, 1, È 20) (fontana cinquecentesca di Domenico Fontana); — Piranesı 1748, I, tav. 83, 84 (fontana di Campo Vaccino) (MORTON 1966, fig. ap. 138); — L. Rossi, Le antichità romane ossia Raccolta delle più interessant vedute di Roma anti ca, Roma 1829, vv. 15-16 Pitture: C. van PorteNpuRGH, 1620, Parigi, Museo del Louvre: veduta di fantasia del Campo Vaccino e del Palatino (Gans 1995, I, p. 36, fig. 28); ~ P. GROENEWEGEN, 1629 ca, Amsterdam, Rijksmuseum: veduta di fantasia del Palatino (Gass 1995, I, p. 37, fig. 29); 194 D'ONOFRIO 1986, fig. 219. 195 Cfr. Amnroaı 1995,p. 140,n. 56. 236
= V. va Swanevetr, 1631, Cambridge, Fitzwilliam Museum: Campo Vaccino (Gars. 1995,1, p. 39, fig. 32); — E. MoNALDLP. Anssı (attr), 1760 circa, Roma, Museo di Roma, inv. 441, olio su tela: Campidoglio, parte del Foro Romano e monti visti dal Palatino (GaRMS 1995, I, C 31). L.37 Luogo di conservazione: Roma, lato orientaledi via dei Fori Imperiali, entro la nicchia centrale del muro di sostegno di Villa Rivaldi. Precedentemente nel Collegio Germanico dei Gesuiti!®, Luogo di provenienza: un tempo pertinente alla fontana eretta nel cortile della Curia Innocenziana in Palazzo Montecitorio. Proveniente dagli scavi di Porto. Granito del Foro!” Diam. cm 190 circa; h. em 65 circa. Superficie ricoperta quasi ovunque di spesse incrostazioni in calcare. Lacune e scheggiature sul labbro; due integrazioni in marmo sul labbro; di un'alta integrazione sul retro non si riconosce il materiale. Numerose fratture percorrono le pareti. La maschera di destra (verso il Colosseo) presenta una lacuna sul naso e una sui capelli; quella di sinistra (verso piazza Venezia) è completamente ricoperta di calcare. Un ampio foro regolare è stato reso in basso, di fianco al fondo.
Si tratta di una vasca molto profonda, con labbro estroflesso, curvo superiormente e con listellino piatto anteriormente. La curvatura è decorata da un kyma ionico, con larghi e piatti ovoli, alternate a larghe punte di frecce. Al di sotto del labbro, la parete si incurva in dentro, formando un largo cavetto, da cui parte l'incurvatura delle pareti, che si conclude sul breve fondo piatto. Due maschere decorano la vasca: si tratta di maschere maschili barbate, con corona di canne palustri sulla fronte, che richiamano le personificazioni delle divinità fluviali. La ricca acconciatura presenta una scriminatura centrale c lunghe ciocche portate indietro a formare una calotta spessa e compatta, percorsa da lievi striature parallele; dietro le grandi orecchie scoperte, i capelli formano una spessa ciocca liscia, tagliata all'altezza dei lobi. La folta e lunga barba si caratterizza per le ciocche corpose, arricciate in fondo e percorse da solchi più profondi. La bocca, dalle labbra camose e socchiuse, è segnata superiormente da folti baffi, mentre il mento è coperto da ciocchette brevi e diritte, separate da leggere incisioni. La fronte è percorsa da un solco orizzontale e sottolineata da bozze sopraccigliari accentuate; gli occhi, grandi e senza indicazioni interne, sono circondati da spesse palpebre. La vasca è del tipo VIII, lussuoso, per il labbro aggettante, ornato con un kyma Jesbio, per l’articolata successione di collo concavo e pancia convessa; se ne distacca per la mancanza delle anse e per le proporzioni più tozze. La tipologia della vasca in esame si avvicina, sebbene in forme più semplificate, alle nobili vasche porfiretiche di Napoli (L. 8, 9), del Templum Pacis (L. 19) e di Klein-Glienicke (L. 3). La maschera barbata si può confrontare con quella porfiretica di Vicenza. La vasca è riutilizzata come fontana nella nicchia centrale del muro di sostegno di Villa Rivaldi, ideato e disegnato dal Mufioz, in occasione della sistemazione di via dell'Impero, inaugurata il 28 ottobre 1932. 196 Fontana, in bibl. p. 26. 197 Secondo J.A. Harrell si tratterebbe di granito delle cave di Uadi Umm Huyut: in bibl. Si ricorda anche un supporto rimasto nelle cave: IDD., ibidem, p. 291, fig. 16. 237
L'opera era pertinente alla fontana eretta su disegno di Carlo Fontana nel 1696 nel gran cortile della Curia Innocenziana (Palazzo Montecitorio), dove costituiva il bacino superiore, mentre per quello inferiore era utilizzato il labrum frammentario in granito rosa (L. 50), attualmente conservato, con gli altri marmi della fontana, nel deposito comunale dei Lungotevere Aventino. II labrum in esame era stato rinvenuto a Porto, come ricordano Munoz, Pietrangeli e Brizzi, in occasione di scavi effettuati nello stesso anno dell'erezione della fontana. Quando a fine "800 il Palazzo Montecitorio fu adibito a sede del Parlamento, il cortile fu trasformato nell’ Aula Comotto e la fontana fu rimossa: il labrum presente fu successivamente collocato in via dei Fori Imperiali. Si ricorda un disegno di Martin van Heemskerck'®8, conservato a Berlino, che raffigura una vasca con maschera maschile barbata, dello stesso tipo di quella in esame: simili sono il labbro e la forma della vasca, dal collo rientrante e dalla pancia particolarmente espansa, simile è la maschera. La vasca è disegnata davanti alla statua del Marforio, nella sua antica collocazione presso S. Martina. Il Rucellai!®, nel 1450, decrive il Marforio “con un vaso ovvero concha appresso", che viene identificata con la vasca in granito del Quirinale?00. Nel disegno cinquecentesco dalla bocca della maschera esce un getto d’acqua. Nell'esemplare in esame le bocche non sembrano forate o forse lo erano e sono state otturate nell'ultimo riutilizzo: la patina calcarea sulla maschera di sinistra rende impossibile individuare un eventuale tassello, che non è chiaramente visibile nemmeno in quella a destra. Bibliografia: C. FONTANA, Discorso sopra l'antico Monte Citorio situato nel Campo Marzio, Roma 1708,p. 26; A. Munoz, Via dei Monti e via del Mare, Roma 1932, p. 32 ss., fige a pp. 25, 27; PIErRANGELI 1974 (1995), p. 116; Brizzi 1980,p. 181, fig. 188; 1. Insotera, F. Penzco, Archeologia ecittà. Storia moderna dei Fori di Roma, Bari 1983, figg. 99-101; J.A. HARRELL, V. Max Brows, L. LAZzARIN, Two newly discovered Roman Quarries in the Eastern Desert ofEgypt, in Actes IV Conférence Int, ASMOSIA IV, Bordeaux-Talence 1995, Bordeaux 1999, p. 285 ss, in part. p. 291 s. 1.38 Luogo di conservazione: Roma, piazza Cairoli, nel giardino pubblico di fronte alla Chiesa di S. Carlo ai Catinari Luogo di provenienza: rinvenuta ai tempi del Ficoroni, che la descrive nel 1744, affermando che si rinvenne rifacendo una casetta presso S. Carlo ai Catinari c che fu collocata per terra nella piazzetta della Renella??, Richter e Spano ricordano due rinvenimenti in piazza Cairoli: uno nel 1750 di un bacino di granito nero e bianco, della circonferenza di m 22, che fu portato in Villa Albani; l’altro nello stesso posto, nel 1887, di un bacino poi collocato nella stessa piazza, dove si ritrovò anche il Marte Ludovisi
198 Martin van Heemskerck (1532-1536): Hosen, Eacen 1913, I, tav. 20, fol. 19 , testoa p. 11; D'ONOFRIO 1986, p. 260, fig. 233. 19 Rucetta! 1945, p. 579. 200 Ci A. MIcHABLIS, in RM, 1891, p. 50; si veda la scheda di L. 36 201 Ficorosa 1744, in bibl: “nel rifarsi una casuppola presso il Palazzo di Santa Croce (presso S. Carlo ai Catinari) si ritrovò per fondamento la conca circolare di granitello bianco orientale di circonferenza palmi cinquantasei, che al presente si vede per terra nella piazzetta della Renella (Arenella, Aremula)”. 238
14. La statua del Marforio e un labrum, M. van HEEMSKERCK, 1532-36, Berlino, fol. 19 r (da HOLsEN, EcceR 1913, 1, tav. 20). Granito del Foro202. Diam. circa cm 310; h. circa cm 67. La superficie è completamente ricoperta di incrostazioni calcaree. Un breve incavo rettangolare è stato reso sulla parte anteriore del labbro. Sul fondo è visibile non chiaramente otturazione di un foro in posizione decentrata.
La vasca, antica, è stata riutilizzata nella fontana del giardino di piazza Cairoli, inserendola al centro di un grande bacino di raccolta di forma ottagonale e ponendola su un supporto moderno in granito grigio, sul quale sono stati applicati delfini di bron20 e la data, sempre in bronzo, del 1890, anno della realizzazione della fontana. Al di sopra della vasca antica è stata posta una ulteriore vaschetta tonda su sostegno scanalato, entrambi modemi e in marmo bianco. Il labrum è del tipo più consueto a vasca (D), con pareti gradatamente incurvate e nettamente staccate dal fondo piatto e di medie dimensioni. Una lieve asimmetria è evidente nell’incurvatura delle pareti, più accentuata nella metà verso viale Arenula. I labbro, molto poco aggettante, presenta un profilo ricurvo nella parte anteriore, più schiacciato in quella superiore. Una bugna quadrangolare, appena rilevata, è presente nella vasca: si tratta probabilmente di una delle bugne che venivano lasciate per agevolare il trasporto. In un angolo dello zoccolo si legge la firma incisa di Ed. André, che disegnò la fontan 1I Brizzi sostiene che la vasca, antica, proviene da piazza Cenci, dove fu rinvenuta in seguito a scavi eseguiti nel 1887, durante i lavori di risanamento del Ghetto. Il 202 Ben visibilesul fondo estero, non inerostato, Secondo Mastrigli Brizziè in granitodi Baveno. 239
Ficoroni, già nel 1744, ricordava il ritrovamento di una vasca, affermando che fu scoperta nelle fondamenta di una casetta presso S. Carlo ai Catinari e che fu poi poggiata a terra nella piazza della Renella. Piü che pensare ad un’unica vasca, rinvenuta una prima volta nel ‘700 presso S. Carlo ai Catinari, lasciata nelle vicinanze, lungo via Arenula, e successivamente interratasi ed ignorata, per essere poi riscoperta alla fine dell’800, quando si indicò come luogo del rinvenimento la vicina piazza Cenci, è meglio immaginare due ritrovamenti effettuati in due periodi diversi, ma nella stessa piazza, di due Jabra distinti, uno, come sottolineano Richter e Spano trasferito in Villa Albani, l’altro lasciato in piazza Cairoli: quest’ultimo è il labrum riutilizzato nella fontana in esame. Bibliografia: Ficooni 1744, I, p. 192; O. RicuteR, Topographie der Stadt Rom, München 1901, p.222; MastRiGLI 1928, IL p. 456 ss. SPANO 1952,p. 152; VaRMING 1965, p. 143, nota 112; Bruzzi 1980, p. 226, fig. 268; PierRaNGELI 1987 a, p. 475; PuLvERS 2002, pp. 32, 226, 646, n. 307. L.39 Luogo di conservazione: Roma, Villa Torlonia, già Albani, giardino2®. Luogo di provenienza: ignoto. Granito grigio, probabilmente del Foro. Misure non rilevabili. Dalla documentazione fotografica si evidenziano alcune fratture.
Si tratta di un labrum antico, del tipo I a vasca con labbro estroflesso, riutilizzato nella grande fontana collocata nell’area centrale del giardino inferiore di Villa Albani, nel mezzo di un bacino di raccolta circolare. 1l labrum è posto su un supporto a campana, liscio, a sua volta collocato su un basamento parallelepipedo, con quattro aquile agli angoli. Nel *700 la fontana aveva un aspetto diverso, come mostrano le stampe di G. Vasi del 1761, di G.P. Panini, di D. Magnan del 1775/6, e del Piranesi, in una veduta del giardino del 1762/3 e in una riproduzione della fontana del 1778: in origine il labrum antico era sostenuto da quattro sileni?% e la fontana nel complesso era più alta. I sileni, alla fine del XVIII secolo, furono trafugati per volere di Napoleone, insieme a molte altre antichità romane, e trasferiti a Parigi, dove tuttora si conservano. La grande fontana nel giardino di Villa Albani subi di necessità dei cambiamenti: la vasca antica, conservata, fu posta sul basamento con quattro aquile e festoni, come la descrivono le guide del 1803 e del 1869 e come tuttora si conserva. 205 Per le informazioni relative ai labra citati in questa scheda si ringrazia il prof. Carlo Gaspari 204 Si tratta della fontana citata nelle concordanze in: ALLROGGEN-BEDEL, in bibl, p. 362, A 328;A2 316; A3 505. 205 Attualmente sono conservati al Louvre: Musée Nationale du Louvre. Catalogue sommaire des marbres antiques, Paris 1922, 597-600. Essi sono citati negli elenchi del 1801 stilti dal Valadier delle antichità del Museo Pio Clementino, del Musco Capitolino, della Casa Albani e di altre collezioni, partite per Napoli da Ripa Grande di Roma: GaseaRRt, in bibl, p. 401,A. 328. I quatro ileni-Atanti nel 1815 furono installati come elementi architettonici sulla parete posteriore della Sala del Tevere del Museo parigino, poi sostituiti con le quatto caritidi acquisite per Monaco: Forschungen 1982, tav. 105, fig. 211. 240
II Vasi e il Piranesi specificano che la vasca è antica, in granito egizio. Antico potrebbe essere anche un altro labrum usato come fontana nello giardino superiore, a sinistra guardando il Casino?%, presso la Chimera. Bibliografia: S.A. MoRCELLL, Indicazione antiquaria per la Villa suburbana dell'eccellentissima casa Albani, Roma 1785, n. 328; D. MAGNAN, La città di Roma, I, Roma 1779, tav. 40; S.A. MorceLLI, C. FEA, Indicazione antiquaria per la Villa suburbana dell'eccellentissima casa Albani, Roma 1803, n. 316; S.A. MonceLLI, C. Fea, PE. Visconm, La Villa Albani descritta, Roma 1869, n. 505; TaNt 1927, tav. LXXIX a-b; MasrRioLI 1928, II, p. 386 ss; Buzz 1980,p. 267, fig. 334; Forschungen 1982, tav. 12, fig. 12; tav. 15, fig. 15; tavv. 104° 105, figg. 209-211; tav. 112, fig. 221; tav. 127, fig. 249; tav. 128, fig. 250; A. ALLROGOENBevet, Die Antikensammlung in der Villa Albani zur Zeit Winckelmanns, in Forschungen 1982, p. 320; C. Gasrarki, Die Skulpturen der Sammlung Albani in der Zeit Napoleons und der Restauration, in Forschungen 1982, pp. 389, 395; Villa Albani, V, 1998, tav. 213.
Stampe: = G. Vasi, 1761 (Forschungen 1982, v. 9, fig. 9; = GP. Paint (Forschungen 1982, av. 1, fig. 11), = GE. Piranesi, 1762/3 (Forschungen 1982, av. 12, fig. 12); - D. Maanan, 1775/6 (Forschungen 1982, ta. 105, fig. 210); Piranesi, 1778 (Forschungen 1982, ta. 104, fig. 209). 40-41 Luogo di conservazione: Pergamo (att. Bergama), cave presso il monte Kozak, Luogodi provenienza: in situ. Granito misio. L. 40: diam. cm 415; L. 41: diam, cm 320. Entrambe le vasche sono interrate nella parte inferiore; la vasca piccola (L. 40)è lacunosa tutt intorno al disco centrale.
Si tratta di due grandi labra con disco centrale, non ultimati, del tipo I a vasca. La più grande (L. 40), ben conservata, presenta il consueto labbro estroflesso, con superficie superiore piana; le pareti si incurvano dolcemente verso il fondo, che, essendo interrato, non sappiamo se sia liscio o fornito di una sporgenza per permettere l'incastro con il supporto. L’omphalos centrale, non ultimato, presenta una conformazione a due dischi concentrici, di cui l'interno, sopraelevato, appare piatto. La vasca (L. 41), più piccola e lacunosa, presenta una forma analoga alla precedente, con omphalos simile, a due dischi concentrici, ma con una cresta che corre tutintorno al bordo del disco inferiore. Secondo il Rad lo stadio di rifinitura dell'omphalos nella vasca (L. 40) è più avanzato che nella vasca (L. 41), in cui troviamo ancora la cresta circolare di definizione della eirconferenza del disco. Si tratta, comunque, di opere nell'ultimo stadio di semilavorazione (il IV) effettuato in cava, prima di essere inviate a destinazione, dove sarebbero state rifinite e levigate. 206 Si trata della fontana raffigurata in primo piano da Piranesi, 1762/3; cfi. ALLROGGENBeet, in bibl, p. 320 (ingresso sulla via Salaria). 241
Bibliografia: W. RApr, Antike und moderne Granitsteinbrüche im Kozakgebirge bei Pergamon/Bergama, in IstMitt, 47, 1977,p. 453, tav. 63, 3-4; fig. 1, a-b. 1.42 Luogo di conservazione: Isola d'Elba, cave di granito grigio, Fosso dell'Inferno Secchetto, località “Le Formiche”. Luogo di provenienza: in situ. Granito grigio dell’Elba. Diam. em 213; h. em 82; largh. del labbro cm 25. Buono stato di conservazione.
La vasca semisbozzata (II stadio) & stata denominata, per la sua forma particolare, “la nave”. Essa non è stata scavata internamente; alcuni elementi decorativi già abbozzati permettono di individuare nel manufatto un labrum del tipo lussuoso, con anse anguiformi. Una fascia rilevata, segnata internamente da un gradino, indica l'ampiezza del labbro. L’interno, ancora pieno, è stato ribassato nelle due zone più esterne con colpi di subbia media, mentre una ampia fascia interna, non ancora ribassata, è lavorata a subbia grande. I! bordo superiore del labbro è lisciato con colpi di subbia piccola inferti verticalmente in modo da picchiettare la superficie. Esternamente il profi10 è stato definito solo nella parete superiore, sgrossata a colpi di subbia grande, mentre il fondo non è ancora incurvato ed è lavorato a colpi di piccone. Due anse serpentiformi, sopraelevate rispetto al bordo, si staccano con un forte aggetto dalle pareti; pur essendo soltanto sbozzate, a colpi di subbia grande e media, se ne può individuare Ja forma: esse dovevano salire con due tronchi cilindrici paralleli, stretti all'altezza dell’orlo da un balteo, sollevandosi sopra il labbro per poi divergere, allungandosi in direzioni opposte e terminando con teste di serpente, anch'esse appena abbozzate; all’intemo, il punto di massima altezza è sottolineato da una valva di conchiglia sbozzata. I due corpi serpentiformi in basso divergono nuovamente, formando delle spire specularmente opposte. Le anse in forma di serpente, che si snodano lungo il labbro e sulla pancia della vasca, e la conchiglia all’interno sono elementi presenti nelle due vasche porfiretiche di Napoli (L. 8, 9) e di Klein-Glienicke (L. 3). Un'alta fascia incavata si sviluppa, al di sotto del labbro, ai lati dell’ansa: da lì si doveva probabilmente ricavare la rientranza del collo, per cui, se la vasca fosse stata ultimata, avrebbe dovuto assumere una forma similea quella delle vasche del tipo VITI lussuoso, come la vasca porfiretica di Napoli, con labbro aggettante, collo concavo e pancia convessa e ricche anse serpentiformi. Bibliografia: TEDESCHI GRISANTI 1992,p. 45; M. BRUNO, in Marmi colorati 2002, p. 283, fg. 7. L.43 Luogo di conservazione: Isola d'Elba, cave di granito grigio, Fosso dell'Inferno Secchetto, località “Le Formiche”. Luogo di provenienza: in situ. Granito grigio dell'Elba. Diam. cm 190; h. em 59; spess. del labbro em 24-29. Grosse fratture percorrono la vasca. 242
Si tratta di una vasca circolare lasciata sbozzata: l'esterno & ancora nella prima fase di sbozzatuta con il contorno del fondo non definito, lavorato con il piccone, mentre la parete superiore è sgrossata con la subbia grande. La cavità dell’interno (III stadio) è stata in parte scavata a colpi di subbia media. Bibliografia: TEDESCHI GRISANTI 1992, p. 45; BRUNO, art. cit. (L. 42), p. 283. L. 44-45 Luogo di conservazione: Nicotera (Catanzaro), cava in località Agnone, L. 44: settoreA (angolo estremo sud); L. 45: settore B. Si conservano sul terreno, tra altri materiali di cava. Luogo di provenienza: in situ. Granito grigio di Nicotera. L. 44: diam. cm 85; h. cm 26; prof. em 15. L. 45: diam. cm 192;h. cm 35; prof. cm 25; diam. del disco centrale cm 54. Integri
Due conche di granito, una più piccola e una più grande, sagomate, ma non finite. L. 44: si tratta di un bacino circolare del tipo III a catino, con alla base un ampio avanzo del piano di stacco. Sul piano superiore è stata definita l'ampiezza del labbro con un anello piatto a rilievo: all'interno la superficie, appena incavata, è rozzamente sbozzata a subbia. La vasca più grande (L. 45), lasciata nello stato di semilavorazione, è di forma troncoconica rovesciata, profondamente incavata; il profilo è rettilineo; il labbro aggettante è superiormente piatto; la base piana. Sul fondo intemo è abbozzato rozzamente il disco centrale. Solano suppone che il bacino fosse destinato ad un uso locale come fontana, posto su un supporto in forma di bassa colonna, rinvenuto vicino ad esso. I due manufatti sono prodotti semilavorati rimasti in cava; la lavorazione del granito nella cava di Agnone, attiva dalla fine del I secolo d.C. e sfruttata ampiamente nei secoli successivi, fino al IV secolo d.C., come attestano anche il concomitante sviluppo urbanistico del centro di Nicotera, lo sfruttamento di fattori economici agricoloartigianali e la floridezza del vicinissimo porto emporiale. I manufatti, per la maggior parte elementi architettonici (colonne, architravi) e d'arredo (vasche), secondo Solano, erano destinati in parte all'esportazione, ma in parte dovevano essere utilizzati local mente, come probabilmente il grande bacino (L. 45) rimasto in cava, alcuni rocchi di colonna e una lastra impiegati nel territorio circostante il luogo di estrazione. Bibliografia: A. SoLANO, La cava romana di granito di Nicotera, Nicotera 1985, pp. 20, 23, tavv. 6, 8; A. SOLANO, Su una cava romana di granito a Nicotera, in Marmi Antichi. Problemi d'impiego, di restauro e d'identificazione, a cura di P. PENSABENE, Studi Miscellanei, 26, 198183, Roma 1985,pp. 86, 87,n. 16, tav. 2, figg. 1,3. L. 46 Luogo di conservazione: Alessandria (Egitto), Museo greco-romano, giardino. Luogo di provenienza: dagli scavi Vasca e supporto in granito rosa di Assuan. Misure non rilevabili. Scheggiature lungo i bordi del clipeo centrale e sul labbro. Lacune sulle pareti esteme. 243
I Jabrum è del tipo 1 vasca, di grandi dimensioni, con labbro appena estroflesso, a profilo ricurvo. Nell'interno, al centro si solleva il clipeo composto di un tondino, un’alta gola e un bottone appena arcuato. In età moderna sono state inserite la canaletta per lo zampillo e la tubatura per il deflusso delle acque. 11 supporto (S. 28), antico e pertinente, è del tipo I b, con toro inferiore, anello a tondino che stringe il fusto, liscio, a due terzi dell’altezza, e comice superiore. Bibliografia: inedito. L.47 Luogo di conservazione: File (ant. Philai, Egitto), presso il Padiglione di Traiano. Luogo di provenienza: in situ. Granito rosa di Assuan. Misure non rilevabili Grosse scheggiature sulle pareti
Vasca circolare, semilavorata: l'estemo è grossolanamente sgrossato a colpi di piccone. L'interno è cavato e il bordo del labbro appare lisciato. La forma, sebbene ancora in fase di sbozzatura, sembrerebbe del tipo a catino (III), priva di labbro estroflesso. Dal centro della cavità interna emerge, fino all’altezza del bordo delle pareti, un cilindro forato nel centro: forse da eliminare per rendere il consueto disco emergente centrale; il foro potrebbe essere la segnalazione dell’asse centrale, punto di riferimento durante la Javorazione. Più probabilmente, però, nonsi tratta di una vasca, ma di una macina.
Bibliografia: J. RODER, Zur Steinbruchgeschichte des Rosen-granits von Assuan, in AA, 1965,c. 47. 1.48
Luogo di conservazione: Gerase (Giordania), ninfeo. I ninfeo, nel 1925-26, fu scavato parZialmente da Horsfield Luogo di provenienza: in sit, Granito rosa di Assum. Misure non rilevabili. Alcune frature percorrono le pareti tenute unite da un nastro metallico stretto intomo al labbro. I Jabrum è del I tipo a vasca, con fondo ampio e pareti dolcemente incurvate, terminanti in un labbro arrotondato, appena estroflesso. Il labrum è posto su un basso supporto cilindrico, non pertinente. Il labrum fungeva probabilmente da bacino di raccolta dell'acqua fuoriuscente dallo scarico centrale della piscina semicircolare del ninfeo, il quale aveva una facciata ad esedra, con nicchie per statue, disposte su due (Browning) o tre (Segal) piani, e grandi colonne davanti alla piscina. T getti di scarico del muro di contenimento della. piscina uscivano da sette maschere leonine, di questi sei andavano a finire in sci dischi incavati sul gradino lungo il muro di contenimento della piscina, mentre solo il getto centrale finiva nel labrum posto sul pavimento di fronte al ninfeo (Horsfield, Browning). Il monumentale edificio fu completato nel 190 d.C. circa. Il Khouri sostiene che il catino fu aggiunto al ninfeo più tardi, in età bizantina. 244
Bibliografia: G. HonsrirL.o, Jerash: Annual Report on Works of Conservation, 1925-26, în Government of Trans-Jordan Antiquities Bulletin, 1, 1926, p. 2, tavv. Fl, CH. KRAELING (hrsg.), Gerasa. City of the Decapolis, New Haven 1938, tav. VI a, pianta (Fisher) XXVIII; I. BROWNING, Jerash and the Decapolis, London 1982, p. 144 ss., figg. 78-81; R. KitouRt, Jerash, London-New York 1986, p. 77 ss.; R. WENNING, Der Königsweg. 9000 Jahre Kunst und Kultur in Jordanien und Palästina. Ausstellungskatalog, Köln 1987, p. 265, fig. a p. 266; W.L. Mac DoNALD, The Architecture of the Roman Empire, il, New Haven, London 1987, p. 106, fig. 105; A. Seat, Town Planning and Architecture in Provincia Arabia. The Cities along the Via Traiana Nova in the Ist-3st Centuries, C.E. BAR International Series 419, Oxford 1988, p. 23, figg. 52-54; Dori-KLincensceab 2001, fig. 18, 49 Luogo di conservazione: Città del Vaticano, riutilizzata nella fontana eretta sul Bastione di Maestro, all'estremità settentrionale della cinta vaticana. Luogo di provenienza: ignoto. Granito rosa di Assuan. Diam. cm 300 circa. Numerose scheggiature interessano il labbro; il bordo superiore è stato coperto da una fascia piatta di cemento su cui sono stai fissati quattro beceucci in piombo, dai quali scendono gli zampilli. Una lacuna tondeggiante sulla parete, da cui si diparte una frattura verticale, è stata rappezzata in cemento.
Questo labrum, del I tipo a vasca, presenta il consueto labbro a listello anteriore liscio e piatto, al di sotto del quale con una risega parte l’incurvatura della parete, che scende dolcemente fino all’ampio fondo piatto. Il sostegno è moderno; lo zampillo centrale, verticale lancia l’acqua in alto, mentre i quattro beccucci del labbro fanno scendere l’acqua nel bacino inferiore di raccolta, in travertino. Questa vasca era stata riutilizzata come bacino superiore nella primitiva fontana monumentale di piazza S. Pietro, eretta da Innocenzo VIII nel 1490 e illustrata dai disegni eseguiti da M. van Heemskerck prima del 1536. L'acqua scaturiva nel bacino inferiore attraverso sei bocche laterali, che sebbene otturate, sono tuttora visibili insieme con l'impronta dei boccagli bronzei che omavano le bocche e che sono stati successivamente asportati?0?. Quando il Mademo ristrutturò la fontana di piazza S. Pietro, in seguito all’immissione dell'acqua Paola, riutilizzò la maggior parte degli elementi precedenti, ma sostituì il bacino in esame con uno in travertino, ornato da tre file di grosse foglie embricate. Alla fine degli anni venti del secolo scorso, la vasca fu posta al di sopra del bacino principale della fontana nel Cortile del Belvedere (L. 35), da dove fu rimossa nello scorso decennio per essere collocata nella posizione attuale. Bibliografia: D'ONOFRIO 1988, p. 315 ss.; ERCADI 1995, p. 246 ss. fig. -9; PuLvERS 2002, p. 897, n. 2004. Disegni: = M. van HEEMSKERCK, 1535 circa (elenco disegni in L. 34)
207 Cfr. Ercapi 1995, fig. 9. 245
1.50 Luogo di conservazione: Roma, Deposito della Sovraintendenza Comunale sul Lungotevere Aventino. LA 271, 278, 286. Un tempo pertinente alla fontana nel cortile della Curia Innocenziana (Palazzo Montecitorio) Luogo di provenienza: Ostia, Porto: dalla zona del porto di Traiano. Granito rosa di Assuan. Misure dei tre frammenti principali: LA 286: h. cm 50, largh. cm 220, lungh. cm 350. LA 271: h. cm 69, largh. cm 145, lungh, em 355. LA. 278: h, cm 60, largh. cm 260, lungh. cm 230, Largh. fascia superiore del labbro cm 23; spess. cm 31; diam. ombelicocm 65. Diam. ipoteticocm 540 (diam. palmi 21, 5: Cassio). Si conserva più della metà della vasca, rota in tre grossi frammenti e in uno scheggione del labbro. Rimangono numerosi incassi per grappe metalliche lungo i bordi di rottura dei frammenti c presso il labbro.
Si tratta di una vasca del I tipo, con labbro estroflesso e ombelico nel centro. Il labbro presenta la fascia superiore completamente piatta, mentre l'aggetto è arrotondato a formare un toro, con un profondo guscio sottostante. L'ombelico, in forte rilievo, si compone del bottone centrale piatto, circondato da un profondo solco e da una comice concentrica, a sezione arcuata. La vasca era pertinente, con il labrum L. 37, alla scenografica fontana nel cortile semicircolare della Curia Innocenziana, di prospetto all'ingresso su piazza Montecitorio. Alimentata dall' Acqua Felice, ricevette come bacino inferiore la grande conca in esame, descritta dal Fontana e dal Cassio: “di granito orientale”, rinvenuta dal Fontana stesso a Ostia, nel Porto di Traiano, il cui trasporto costò ben 300 scudi, La fontana fu realizzata nel 1696 su disegno di Carlo Fontana e collocata in una nicchia incavata al centro dell'emiciclo29: in basso si trovava il bacino in esame, che raccoglieva l’acqua fuoriuscente dal piccolo labrum L. 37, alimentato da un alto zampillo; ai lati erano poste due colonne di granito trovate durante i lavori di sterro della Curia. Un'iscrizione commemorativa, al di sopra della nicchia, ricordava l’erezione dell’edificio, cominciato a costruire dal Bernini nel 1650 e acquistato, ancora incompiuto, da Innocenzo XII nel 1692, che lo volle adibire a sede di tribunali. Il Palazzo, denominato Curia Innocenziana, fu completato nel 1697 da Carlo Fontana. Quando nel 1870 vi fu installato il Parlamento, il cortile fu trasformato in aula per i deputati dall’ing. Comotto. La fontana e l’epigrafe relativa furono rimosse e al loro posto fu ricostruita una pic ola fontana, composta di un sarcofago appoggiato al muro del piccolo cortile, ripristinato in dimensioni ridotte Della vasca rimane poco più della metà: ci si domanda se essa sia stata rotta a metà appositamente per adattarla alla pianta della fontana eretta da Carlo Fontanao se, invece, sia giunta così frammentaria dall’antichità. Quest'ultima ipotesi sembrerebbe la più probabile, visti lo stato frammentario dei resti, che presentano linee di frattura apparentemente casuali, e la presenza di incavi per grappe di restauro lungo i bordi dei frammenti: trasportata dalle cave di Assuan, dovette rimanere inutilizzata nei depositi di Porto, forse proprio perché si era rotta nel trasporto; metà di essa fu ricomposta, restaurata ed inserita nella nicchia della fontana. Il Fontana, comunque, citando la vasca non fa riferimento a rotture, né, in generale, al suo stato di conservazione. 208 F. Borst, in F. Borsi, G. Broken, M. Ves 1985,p. 68 ss, figg. 114-117, 131 246
i Il Palazzo di Montecitorio, Roma
Ricordiamo che il Vacca??? menziona il rinvenimento accanto alla Chiesa di S. Eustachio, nel XVI secolo, di tre bacini tondi, di cui due Jabra rotti e uno integro.
Quest'ultimo è stato identificato con il Jabrum attualmente în via dei Staderari (L. 51), al quale si avvicina l'opera in esame, per le misure, sebbene il diametro supposto dei labrum frammentario sia probabilmente maggiore, per il materiale e la tipologia.
Bibliografia: Fontana 1708, op. cit. (L. 37), p. 26 s.; Cassio 1756,p. 349; Consi 1845, p. 321; CALLARI 1945, p. 222 ss; VaRMING 1965, p. 143, nota 112. L.51
Luogo di conservazione: Roma, piazzetta tra via dei Staderar e piazzaS. Eustachio, dietro Palazzo Madama (Senato) Luogo di provenienza: Roma, comunemente come luogo di originaria collocazione si considerano le terme Neroniane-Alessandrine, in Campo Marzio2!. La vasca fu rinvenuta nel 1983 tra Palazzo Madama e Palazzo Carpegna, durante i lavori di ristrutturazione della zona di Palazzo Madama, nei pressi di S. Eustachio, La vasca era rota in sette grandi frammenti; l'ottavo, che sarebbe servito alla ricostruzione integrale dell'opera, c il supporto non furomo trovati I luogo di ritrovamento in piazzaS. Eustachio è all'incirca a metà tra le terme Neroniane-Alessandrine2!! e le terme di Agrippa; non è escludibile perciò, secondo Manderscheid2!2, la provenienza della vasca dalle terme di Agrippa; sebbene alti suppongano una pertinenza al frigidarium delle terme Neroniano-Aleessndrine, È probabile che la. vasca sia stata rotta volutamente in epoca tardo-antica e che i suoi frammenti siano stati trasportati dove è stata rinvenuta, forse per ritilizzali Granito rosa di Assuan, Diam. cm 530 circa; circonf. del labbrom 18, 955. Spess. delle pareti: 30/40 cm. Profondità dell'incavo nelle vicinanze del labbro: cm 26. H. del nastro piatto del labbro: cm 6, 5. Ricomposta da sette frammenti, ne manca uno per la restituzione integrale. I restauro e la sistemazione attuale della vasca come fontana sono stati eseguiti dalla Ditta Medici di Priscilla Grazioli Medici, con la collaborazione di R. Gnoli, tra il maggio del 1985e il 22 dicembre 1987. La grande lacuna centrale (cm 210 x 90) è stata integrata con un nucleo in cemento armato in accaio inox, rivestito superiormente con lastrine in granito di Assuan moderno e inferiormente in conglomerato epossidico fatto con graniglia di granito di Assuan. Tasselli in granito rosa a massello triangolari e tasselli intrsiati furono disposti lungo la parete concava e lungo quella convessa. Il labbro, scheggiato e consunto in numerosi punti, fu restaurato lasciando visibile il più possibile il bordo originario, con l'eccezione di alcune parti ricostruite (Ia metà verso Palazzo Madama) con tasselli in granito rosa. Il foro antico d’immissione fu riempito a piombo colato affinché restasse il segno della testimonianza antica. Per il riutilizzo della vasca è stato eseguito dalla Ditta Medici anche il supporto in marmo di Carrara. La superficie c l'intemo del labrum appaiono attualmente molto incrostati I labrum è del tipo La vasca. Il labbro estroflesso presenta un nastro anteriore piatto e liscio, con bordo superiore arcuato; un guscio al di sotto segna il passaggio alla 209 Vacca 1594, mem. 34. 210 ManperscHem, 1988, p. 185; MANDERSCHEID, 1994, p. 20 s; secondo il Varming (Vm 1965, p. 143, nota 112) il labrum è stato rinvenuto a Porto. 211 Sulle terme Neroniane-Alessandrine: NIELSEN 1990, I, p. 45 s; I, C.2, p. 2, fig 51 Mowpeascitip 1994, p. 20 247
parete. Sulle pareti in alto, poco sotto il labbro, sono incise rozzamente e a distanza irregolare sei tabelle rettangolari (h. cm 6, 5, lungh. cm 22, 5) lisce, incassate. Nella cavità interna si trova al centro il consueto ombelico in aggetto, accanto al quale fuoriesce una cannula in metallo per l’adduzione dell’acqua. L'ombelico in forma di clipeo si compone di un anello rilevato esterno, all’interno del quale si articola una larga fascia a gola rovescia, seguita da un anello a tondino, che circonda un bottone, separato da un profondo solco inciso. Sotto la vasca al centro si stacca il tenone sporgente (cm 60 x 60 x 15) La mancanza del foro nella sezione riportata dalla Ghini?!3, rivelerebbe, secondo Manderscheid2!4, che l'apertura presente nella vasca sia stata fatta al momento del rit lizzo modemo. Ciò è contraddetto dalle osservazioni della restauratrice Grazioli Medici, la quale afferma che in uno dei frammenti, a cm 80 dal bordo, all'inizio della curva, c'è un foro (diam. cm 25) più largo e irregolare all’esterno, ristretto all’interno da una camicia di malta, dentro cui fu trovato un tratto di tubo di piombo antico di adduzione. La vasca poggia su un piedistallo moderno, in marmo bianco venato di grigio (Carrara), realizzato ad imitazione del supporto antico (S. 4), del tipo ILL B b, sostenente il /abrum porfiretico al Museo Nazionale Archeologico di Napoli (L. 8): esso si compone di un plinto ottagonale, un toro e un listellino; il fusto, dal profilo a scozia, è diviso a due terzi dell'altezza da un tondino; il coronamento è a fascia. Probabilmente si tratta di uno dei “re piatti di granito dell'Elba” che nel XVI secolo furono trovati nelle vicinanze della Chiesa di S. Eustachio, presso le terme Neroniane, di cui parla il Vacca, il quale ricorda che al tempo di Pio IV il più bello ed integro fu donato a Rotilio Albertini, che lo trasportò fuori Porta Portese in una sua villa. Gli altri due erano rotti e il Vacca non ricorda “che se ne facesse”, forse furono lasciati sul posto; misuravano trenta palmi circa di diametro, erano ben lavorati e con “graziosa modinatura”. “Vasa marmorea” sono menzionati, agli inizi del ‘500, nella piazza di S. Eustachio e altrove dall’ Albertini?!S. Il Ficoroni?! ricorda che vicino a S. Maria in Publicola fu trovata una tazza di smisurata grandezza in “granito dell'Elba” € che precedentemente nel rifondare il palazzo de’ Cenci a S. Eustachio era stata trovata un’“altra grandissima tazza di granito, che aveva le maniglie lavorate della stessa pietra”, ma che non venne mai estratta perché si trovava troppo in profondità sotto il palazzo. La vasca in esame, riscoperta nel 1983 nella zona di Palazzo Madama, nei pressi di S. Eustachio, si può identificare con una di queste opere sopracitate. Nel 1987 la vasca fu collocata nello slargo, riutilizzandola come conca di fontana.
Bibliografia: VACCA 1594, mem. 34; G. Gut, Le Terme Alessandrine nel Campo Marzo, in MonAnitinci, Ser. Mis. I, 4, 1988,p. 160, fg. 17, ft anche p. 130; GroLi 1988,ig. 185; p. Graziou MEDICI, La nuova fontana del Senat, in 1’ Urbe, gennaioltebraio 1988, p. 5 ss: Maxperscit 1989, p. 76, fig. 10; HL. MaNDERSCHID, La gestione idrica delle terme di Caracalla alcune osservazioni, in Les Thermes Romains, Cll.Ee, Franc. de Rome, 142, 1991, p. 50, fig 2; MaNDERscHEID, 1994, p. 20 s. n.9, fig. 9; VENTUR, SaNriLio 1996, p. 189 Pianta prospettica: R. Lancıanı, Forma Urbis Romae, Milano 1893-98 (riediz. 1988), fol. 15.
213 Gum, in bibl, fig. 17. 214 MANDERSCHEID 1994,p. 20. 215 Aunrerısı 1510,p. 486, n. 16. 216In Fra 1790, p.171, n.112. 248
L.52 Luogo di conservazione: Ostia antica, Piccolo Mercato, inv. n. 63 (provvisorio) Luogo di provenienza: dagli scavi Africano (varietà rossa), Lungh. max cm 66; largh. del bordo cm 50; spess. cm 21 TI frammento è rotto su tre lati
Si tratta di un grosso frammento del fondo e di parte della parete di una vasca tonda di notevoli dimensioni, non finita. Resta un tratto del bordo, tagliato diritto e privo di estroflessione, e della parete esterna: le superfici sono sgrossate a subbia. Bibliografia: inedito 1.53
Luogo di conservazione: Roma, Monte Pincio, davanti a Villa Medici. Luogo di provenienza: forse a vasca in esame è da identificarsi con quella cit dal Vacca2!7, rinvenuta nei pressi della Chiesa di S. Giovanni della Malva, poi acquistata da Ferdinando de’ Medici, che la portò nel giardino della sua villa al Pincio. Un'altra ipotesi, basata su una notizia di Alberto Cassio? fa provenire la vasca dalle terme di Traiano (dette dagli eruditi del ‘700 di Tio) Vasca in africano (varietà rossa)?!9. Supporto e plinto ottagonale in granito del Foro. Vasca: diam, cm 415 (714 piedi romani); h. cm 45 circa. Spess. del fondo: cm 25 circa Spess. delle pareti cm 15. Prof. interna max em 32. Rialzo circolare: raggio cm 54. Secondo il Varming il peso complessivo dovrebbe aggirarsi intorno alle 10 tonnellate. Circonf. del labbro: m 13,13 Supporto: h. cm 58. Plinto: h. cm 30. La vasca è stata ricomposta da vari frammenti, riassemblati e tenuti uniti con un dopi anello stretto al di sotto del labbro, di cemento quello inferiore e di metallo quello superiore. Alcuni tasselli di restauro sono stati inseriti nelle lacune, numerosi sul labbro. Tasselli di restauro sono presenti nel supporto, con gli incavi per l'inserimento di grappe metalliche, tote, sul toro di base. Sul fondo è presente una fessura con otto grappe metalliche di restauro. La vasca e il piedistallo hanno le superfici molto incrostate, soprattutto nella parte verso il Pincio, a causa dello scorrimento dell'acqua. Secondo il Varming la cima dell'ombelico è stata tagliata in occasione della sistemazione davanti a Villa Medici, per porvi sopra il giglio bianco simbolo dei Medici, poi sostituto dalla palla in marmo biano. In realtà la cupola centrale dell’ombelico appare integra. La vascaè stat restaurata nel febbraio-aprile 1988 La fontana si compone di un bacino di raccolta, ottagonale, inserito nel lastricato, e della vasca rotonda antica, posta su un robusto piedistalio e su un plinto. Il piedistallo (S. 26), antico, ma non pertinente, del tipo III B b, poggia su un toro e un listello, sopra cui si apre la campana dal profilo a cavetto, delimitata superiormente da un anello liscio. Il collarino superiore ha un profilo a cavetto ed è coronato da una fascia diritta. 217 Vacca 1594, mem. SI 218 Cassio 1756,p. 3. 219 Varming: granito; Brizzi e D’Onofrio: granito bigio; Loutier: marmo africano. 249
II plinto, anch'esso antico?29, ma distinto dal sostegno, è di forma ottagonale: presenta un alto zoccolo aggettante, un listello a profilo obliquo, un nastro liscio rientrante, sormontato da un listello a profilo obliquo e da una fascia superiore in aggetto. Il plinto è dello stesso tipo di quello in porfido al Museo Nazionale di Napoli (S. 5) Il labrum è del I tipo a vasca. Il bordo superiore della vasca è composto da un labbro, il cui profilo arrotondato forma un toro (h. cm 7,5). Nel cavo interno??! della vasca è scolpito al centro un ombelico, formato da un anello estemo, appena rilevato, con inscritta una fascia dal profilo a gola diritta, cui segue un altro anello a mezzo toro, da cui si stacca, separata da un profondo solco, la cupola centrale, con la sommità schiacciata. In occasione della sistemazione davanti a Villa Medici, un giglio??? fu posto nel mezzo dell’ombelico. Secondo una credenza popolare il giglio fu sostituito con la palla di pietra, che la regina Cristina di Svezia, arrivata a Roma sul finire del 1655, sparò con un obice di Castel Sant” Angelo, colpendo il portone della villa. L'episodio non è ricordato né in un inedito manoscritto romano, dal titolo “Racconto istorico del Trionfo in Vaticano di Cristina di Svezia”23, che narra dettagliatamente la visita del 7 gennaio 1656 nella fortezza di Castel Sant'Angelo, né nel diario dell'avvocato Carlo Cartari, prefetto dell'archivio di Castel Sant’ Angelo. Alberto Cassio, nel 1756, cita la fontana, posta davanti all’ingresso, con ancora il suo giglio, da cui sgorga l’acqua. Secondo il D'Onofrio nella leggenda della cannonata di Cristina contro la Vil a Pinciana è da riconoscere una popolaresca e simbolica proiezione dello scontro di Cristina con la Spagna, con la cui corte venne ai ferri corti durante il soggiorno romano, e in particolare con il cardinale Gio. Carlo dè Medici, legatissimo alla Spagna, di cui curava gli interessi nella Curia romana. Il Varming afferma che nulla ha trovato per accertare quando il giglio bianco venne sostituito con l’attuale palla in pietra, rimanendo piuttosto perplesso in relazione alla storia della palla lanciata da Cristina di Svezia. II nome di "fontana di Corot” attribuito alla vasca pinciana deriva dal bell'olio su tela, conservato a Beauvais e realizzato dal pittore francese nel 1826-8 circa, del quale esistono anche altre tre versioni autografe, ma di un formato più piccolo: a Reims, a Dublino e in collezione privata. Il disegno preparatorio è conservato al Museo del Louvre. La vasca in esame e il panorama davanti a sè, a partire dal ‘600 diventano il 220221 ILa Varming ipotizza che sia moderno: VARMING 1965, pp. 87, 8. vasca nell'estate 2002 è stata svuotata, permettendo a chi scrive di esaminame l'intemo. questo A proposito ricordiamo la testimonianza del Varming, il quale, avendola anch'egli vista svuotata dell’acqua, afferma che una lieve depressione si ota internamente nella zona di passaggio dal fondo alla parete, mentre la profondità intera subito dopo l'ombelico è di cm 20-22, nell’angolo vicino alla parete è di cm 30-32. Esternamente, una curvatura regolare segna dolce: ‘mente il trapasso dalle pareti al fondo, piatto, molto ampio (raggio di em 130). Secondo il Varming il fondo assolutamente piatto della vasca, le conferisce un aspetto "cascante", mentre le altre tre vasche da lui prese in esame, quella nel cortile del Belvedere, la vasca nella Sala Rotonda in Vaticano c quella della fontana di Montecavallo, presentano il fondo concavo o con la forma di un cono molto appiattito. A giudizio di chi scrive, essa non presenta un profilo delle pareti e del fondo diverso da quello delle alte tre opere: tutte rientrano nel 1 tipo a vasca, di grandi dimensioni, con fondo molto largo, appiattito, e pareti incurvate a formare un arcodi cerchio molto aperto, più ripido in quella di Montecavello 222 Cassio 1756, p. 325, 223 Urb. lat. 1681,c. 203; ff. in D'ONOFRIO 1986, p. 227. 224 Archivio di Stato, Roma, Fondo Cartari, vol. 77, cc. 142 v. -143, 225 Cassio 1756, p. 325, . 2. 250
soggetto prediletto di innumerevoli vedute, un classico del genere: la fontana fu ritratta dai pittori francesi (Fragonard, Hubert Robert, Vernet e, il già citato Corot), tedei, olandesi (van Rysselberghe, G. van Wittel-il Vanvitelli), svizzeri, inglesi, russi danesi e molti italiani?6; notevoli gli schizzi e gli olii raffiguranti la vasca nei primi decenni del ‘900 eseguiti da Maurice Denis?" Della sistemazione modema della fontana, che conserva sostanzialmente quella antica, non si conosce l’autore; abbiamo, però, un terminus ante quem: il 1593, anno di edizione della pianta di Roma del Tempesta, in cui per la prima volta compare la fontana allestita davanti alla facciata di villa Medici. Proprio in quegli anni, con esattezza nel 1584, terminarono i lavori di ristrutturazione della villa, edificata originariamente nel 1564 dal cardinale Giovanni Ricci di Montepulciano, su progetto di Nanni di Baccio Bigio. La villa fu poi acquistata dal cardinale Ferdinando de’ Medici (1549-1609) e in tale occasione subi rilevanti modifiche su progetto di Bartolomeo Ammannati. La fontana era rifornita dail’ Acqua Felice, già nel 1587 fatta giungere alla villa pinciana ad opera del card. Ferdinando; la villa precedentemente era rifornita della sola Acqua Vergine, sollevata con un pompaggio fin sul colle pinciano; fu in seguito all’adduzione dell’ Acqua Felice che venne costruita la fontana in esame. Secondo il Brizzi il cardinale Ferdinando de’ Medici acquistò la vasca antica nel 1587 per farla sistemare da Annibale Lippi. La vasca, allineata con l'obelisco e le due fontane del giardino della villa, avrebbe dovuto far parte di un complesso molto più grandioso di quello effettivamente realizzato: un particolare della veduta della villa, realizzata dallo Zucchi (15411596) in uno stanzino, rivela che in origine era stata progettata una prospettiva spettacolare, mai realizzata a causa della partenza per Firenze di Ferdinando, divenuto nelottobre del 1587 granduca di Toscana. L'incisione dello Specchi del 1699 dimostra che in quell’anno la fontana era già in funzione, con un alto zampillo. Fu l’architetto Giuseppe Valadier (1762-1839), su incarico dello Stato Pontificio, che, tra il 1816 e il 1819 (prima dell’arrivo di Corot), realizzò la passeggiata del Pincio, attinente la villa e collegata a piazza del Popolo tramite rampe carrozzabili Inesatta è la proposta di D'Onofrio e di altri2 di identificare il labrum antico in esame con uno dei due che il cardinale Ferdinando de’ Medici acquistò: uno dagli Orsini, che lo tenevano nella piazza di S. Salvatore in Lauro, e l’altro dai frati di S. Pietro in Vincoli, che ab antiquo lo conservavano dinanzi alla loro Chiesa. In realtà il D'Onofrio confonde la vasca tonda in esame, che non è in granito bigio, come egli asserisce, ma in africano, con le due vasche in granito grigio di forma D. I. a, esistenti una presso S. Salvatore in Lauro e l’altra presso S. Pietro in Vincoli, entrambe trasferite prima nei giardini di villa Medici e poi a Firenze e attualmente conservate nel giardino di Boboli2. Una vasca tonda in africano viene citata sia dal Vacca, nel 1594 (piatto...di marmo bigio africano), sia da un documento dell’ Archivio di Stato del 30 maggio 15792! 226 AA.VV, La vasca del Pincio, in bibl. p. 23 ss. 227 AA.VV. La vasca del Pincio, in bibl, p. 57 ss, nn. 68-75, 228 Anche il Varming fissa l'erczione della fontana intorno al 1590. 229 D'ONOFRIO 1957, p.97 s. si vedano anche AA.VV,La vasca del Pincio, in bibl, p. 18 55 Venturi, SanFILIPPO 1996 , in bib 750 Annot 1995, nn. 51-52, p. 130 ss. 231 Vacca 1594, mem. 51; Archivio di Stato, Roma, 1579, 30 maggio, c. 585: of. LANCIANI, Tp. 112s. 251
essa, rinvenuta nei pressi della Chiesa di S. Giovanni della Malva, fu acquistata da Ferdinando de’ Medici, che la portö nel giardino della sua villa al Pincio, dopo averJa tagliata in due tondi: "e perchè era grosso di fondo, misi in considerazione al cardinale che ne segasse due tondi; e cosi fece e sono ancora in detto giardino... ". La vasca di S. Giovanni della Malva era spezzata in tre parti e priva del piede; misurava “circa venti palmi di larghezza..." (più di 4 m circa). Le dimensioni, il tipo di marmo e la collocazione in villa Medici indurrebbero ad identificare l’opera citata dal Vacca con il labrum in esame, rotto e restaurato in più punti, sebbene non sembri proprio segato sul fondo. Il Varming, il quale sostiene erroneamente che la vasca pinciana sia in granito, nega una tale identificazione, sia perché la vasca in esame non appare segata sul fondo, sia perché il piatto ricordato dal Vacca doveva essere posizionato all'intemo del giardino della villa. Una fontana con una vasca è raffigurata nel giardino di Villa Medici in un disegno conservato nella Biblioteca ducale di Chatsworth, in un'incisione edita dal de Rossi??? e in una veduta di Villa Medici del Falda233. Il Corsi, nel 1845, ricorda la “tazza di marmo lesbio con fontana", di fronte a Villa Medici. Il Varming identifica la vasca in esame con quella menzionata dal Cassio nel 1756%, il quale ricorda una vasca che il cardinale Alessandro de’ Medici fece trasportare dalle terme di Tito (in realtà le terme di Traiano) nella sua villa pinciana, per costruire una fontana con l'Acqua Felice. La vasca, quindi, potrebbe essere stata trasportata a Villa Medici dal cardinale Alessandro, poi Papa Leone XI, quando era titolare di S. Pietro in Vincoli, la cui vigna si estendeva proprio sul terreno dei ruderi delle terme di Traiano (dette di Tito dal Cassio). Lo studioso danese, inoltre, rileva una certa affinità tra la vasca in esame e quella nel cortile del Belvedere, proveniente dalle terme di Traiano. Secondo il Varming? la fontana del Pincio costituisce la testimonianza più diretta dell'aspetto originario delle fontane con vasche nell'antichià. Egli asserisce che la sistemazione di tale vasca sia una ricomposizione corretta di una fontana romana, corrispondendo approssimativamente alla descrizione fatta dal Rucellai della grande vasca in granito allora ancora collocata nella vigna presso il Colosseo, poi riutilizzata dal Bramante per la fontana del Belvedere, in un aspetto che probabilmente era quas identico a quello della fontana costruita nel Comizio. L'esempio della fontana del Pincio sottolinea, secondo il Varming, l’infinita semplicità compositiva e l'effetto di grande monumentalità delle antiche fontane romane. Bibliografia: VACCA 1594, mem. 51; Cassio 1756, pp. 3, 325; Const 1845,p. 325; MAC VeacH 1915, p. 169 ss; TANI 1927, p. 63, tav. LXXXII a; MastRiGLI 1928, Il, p. 164 ss; Varın 1965,p. 87 ss, figg. 1, 2, tav. I; MORTON 1966, tav. 8; PIETRANGELI 1974 (1995), p. 113; Bruzzi 1980,p. 42 5, figg. 41-42; D'ONOFRIO 1986, p. 227 5, figg. 196-200; PIFTRANGELI 1987 a, p. 475; AA.VV, La vasca del Pincio da Corot a Maurice Denis, Roma. Museo Napoleonico 12 dic. 1987-31 gennaio 1988, Roma 1987; Tuta 1989, p. 472,n. 719; VENTURI, SANFILiPPo 1996, p. 119; PuLvERS 2002,p. 848,n. 1901 232 Roma, Bibl. dll’Ist. di Arch. e St. dell'Arte: Lancia», II,p. 117 7 Lancianı 2° ed, Il, p. 118 ss, fig. 84. 233 FALDA,Li giardini, tav. 7 234 Cassio 1756, p. 3; VARMING 1965,p. 94. 235 Varna 1965, p. 136s 252
Disegni: — J.W. Goerue, disegno a matita, penna ed inchistro nero, eseguito nel 1787, durante il suo soggiomo romano, Weimar, Goethe Museum (.W. Gore, Maggio in alia, Vicenza 1985 cf Brizzi 1980, fig. 42; Garws 1995, II, F 9); — T. RIcHOMME, disegno a mina di piombo, Paris, Ecole Nat. Sup. des Beaux-Arts, inv E.A. 1508 (AA.VV,, La vasca del Pincio, in bibl., p. 37, n. 30.
Stampe: — A. TEMPESTA, pianta di Roma, 1593, Paris, Bibl. Nat. (VaRMING 1965, fig. 2; ToULIER 1989, fig.n. 16); = M. GREUTER, pianta di Roma, 1618, Paris, Bibl. Nat. (TOULIER 1989, n. 17); Anonimo tedesco, 1612; = G. Macar, pianta di Roma, 1625, Roma, Bibl. Nat. Centr. (TovLIER 1989, n. 19); MG. De Rossi, piantadi Roma, 1668, Paris, Bibl. Nat. (TOULIER 1989, n. 20); G. van SCHAYCK, pianta di Roma, 1630 (Fauraz, Il, tav. 324); FALDA, Li Giardini, av. 8 (TOULIER 1989, n. 31); = G.B. FALDA, pianta piccola di Roma, 1667, Roma, Bibl. Nat. Centrale (TouLIER 1989, 2.21; — G.B. FALDA, pianta grande di Roma, 1676, Paris, Bibl. Nat. (TOULIER 1989, n. 22); — GB. FALDA, I! nuovo teatro delle fabbriche et edifici in prospettiva di Roma moderna, IV (disegnato ed intagliato da A. Sreccu), Roma 1699, tav. 11, (TOULIER 1989,p. 108, n. 98) ben visibile è la palla al centro, da cui esce lo zampillo; = G. ZoccHi, Veduta di Villa Medici e del giardini di Trinità dei Monti, metà XVIII secolo, Paris, Galerie Perrin (La Filla Médicis, I, Rome 1991, fig. 6); = Anonimo, pianta di Vila Medici, 1770-1787circa (TouLier 1989,n. 35); - Dioparo Ray, pianta del giardino di Villa Medici, 1778, Archivio di Stato, Firenze, SFFL, pianta 614 (CaPeccet, PAoLErTI 2002, p. 23, fig. 24); — C. PerCIRR, PL. Fontaine, Choix des plus célébres maisons de plaisance de Romeet de ses environs, Paris 1809, tav. 9 (TOULIER 1989,p. 110, n. 100); = LHL Legas, 1807 o 1811, Paris, Ec. Nat. Sup. des Beaux-Arts, Coll. Lesoufache, inv. 3518 (TOULIER 1989, p. 112, n. 104); — L. RossiNı, / monumenti più interessantidi Roma, Roma 1818, Roma, Ist. Naz. Grafica 52K. 19, 27 (TouLieR 1989, p. 120,n. 115); = A. UacEnt, lues. Edifices de la Renaissance, Roma 1827, tav. 15 (AA.VV,,La vasca del Pincio, in bibl, p. 19, n. 16); — V BattARD, La Villa Médicis à Rome, Paris 1847, tav. 10 (TOULIER 1989, p. 220,n. 241).
Dipinti: ‘LB. Camille Conor, 1826-1828ca: Musée départemental de Oise, Beauvais, inv. 84-82 (ove 1989, p. 220, n.240); The Hugh Lane Municipal Gallery of Modern Art, Dublin, inv. 550 (Vnum 1965, fig. 1); Musée Saint-Denis, Reims, inv. 928-13.4; Collezione Rouar, att collocazione sconosciuta, Louvre, Paris, inv. RF 8993 (disegno preparatorio); ~ Maurice Devis, ante 1903, Musée départemental de ’Oise, Beauvais (Touuier, 1989, p. 220, n. 242); Sui dipinti di Corot e di Denis e sulle innumerevoli vedute della fontana, si rimanda all’esaustivo catalogo della mostra: AA.VV., La vasca del Pincio, in bil. L.54 Luogo di conservazione: Leptis Magna, Tempio di Roma e Augusto. Luogo di provenienza: Leptis Magna, in situ. Africano (varietà verde). Diam. cm 74 (raggio cm 37); h. max. cm 23; spess. em 8. Si conservano sei frammenti pertinenti ad un'unica vasca. 253
Si tratta di una vasca di medie dimensioni, rotta in sei frammenti, non completa, del tipo IT a bacile, con labbro sporgente, dalla superficie superiore piatta (largh. cm 4,5) € dal bordo anteriore liscio e diritto (h. cm 2,5), e con pareti accentuatamente incurvate verso il fondo, ampio e piatto. ILtempio di Roma e Augusto a Leptis, costruito in pietra sul lato nord-occidentale della piazza del Foro Vecchio, rail 4 eil 19 d.C., fu ricostruito in marmo nel I secolo d.C. Bibliografia: inedito. 1.55 Luogo di conservazione: Ostia antica, decumanus maximus, presso l'Oratorio cristiano, Luogo di provenienza: dagli scavi Africano (varietà verde). Diam. cm 196; bordo cm 8; raggio interno em 46; h. cm 33 circa. Si conserva circa metà della vasca.
Si tratta di una vasca del tipo III a catino, non rifinita. Il fondo esterno è sottolineato da un piccolo disco a rilievo (diam. cm 18; h. cm 1,5), da cui si stacca la parete che si incurva costantemente a formare un arco di cerchio e termina superiormente con un taglio netto, liscio, privo di labbro estroflesso. La vasca è nel penultimo stadio di lavorazione: l'esterno presenta la superficie semirifinita, mentre l’intemo è stato lisciato a gradina, ma non ancora levigato. Nell'incavo interno si possono osservare sette buchette disposte su due archi concentrici: forse la vasca venne utilizzata per un gioco con le biglie,che dovevano essere lanciate dall'alto e fatte correre intorno all'invaso della vasca fino a farle cadere nelle buchette. Bibliografia: inedito. 1.56 Luogo di conservazione: Efeso, Chiesa di S. Maria, seconda abside, Luogo di provenienza: forse sia questo bacino che l'altro in breccia corallina (L. 107) provengono da una delle grandi terme di Efeso. Pavonazzetto. Diam. cm 239 (di restauro); h. cm 44, Ombelico: diam. min. cm 45; max cm 78. La vasca, molto lacunosa, è stata fortemente restaurata: conserva l’interno e circa metà della parete con il labbro; il resto è di restauro.
Si tratta di un grande labrum del tipo I a vasca, con labbro estroflesso, leggermente incurvato superiormente (largh. cm 20) e con nastro piatto anteriormente (h. cm 5); nel mezzo un ombelico di forma consueta, con bottone rigonfio, circondato da un anello, il cui profilo sinuoso forma una gola diritta. Un foro passante (diam. cm 7) è aper10 a fianco dell'anello. Il labrum si trova nella Chiesa episcopale di S. Maria, famosa per il concilio del 431, durante il quale si proclamò Maria Theotokos. La Chiesa fu costruita riadattando la parte. occidentale del portico meridionale di un edificio del II secolo d.C. identificato inizialmente come Mouséion o secondo altri come mercato o basilica, per la presenza di nume254
rose piccole stanze, interpretate come botteghe; più recentemente, grazie agli scavi condotti dall'Istitoto Archeologico Austriaco nel 198423, identificato nell’ Olympieion, costruito in età adrianea, tempio monumentale diptero, caduto in rovina in età tardoantica (verosimilmente distrutto dai Goti nel 263 d.C.), subi un'ulteriore distruzione fino alle fondamenta alla fine del V secolo. Gli ambienti meridionali furono riutilizzati, riadattandoli parzialmente al culto cristiano, secondo gli studiosi già in epoca costantiniana o poco dopo. È probabile che in tale occasione sia stato riutilizzato il labrum, prelevandolo o dalle terme o da un altro contesto pagano e collocandolo nell'abside della Chiesa. Le campagne di scavo austriache hanno portato al rinvenimento di una moneta nelle fondamenta della prima Basilica colonnata, che ne posticipa la cronologia successivamente al 474, circa mezzo secolo dopo il Concilio del 431. Più tardi fu eretta nel muro meridionale della Chiesa una piccola cappella, ad ovest della quale in età medioevale fi creato un cimitero, mentre a nord fu costruita una sala indipendente a due navate, forse destinata ai pellegrini, con annesso cimitero medioevale. Bibliografia: P. Scherrer, Ephesos. Der neue Führer, Wien 1995, p. 182, fig. 1. 1.57 Luogo di conservazione: Pergamo, Kizil Avlu. Luogo di provenienza: dagli scavi? Pavonazzctto. Lungh. max cm 51; largh. max cm 30; spessore del fondocm 11. Ombelico: diam. max cm 32; min. cm 19. Tenone: diam. cm 15. Rimane soltanto la parte centrale, con il bottone e il tenone al di sotto
Il pezzo presenta l'ombelico, composto di un ampio bottone centrale rigonfio, incorniciato da un anello dal bordo esterno rialzato. Il tenone, di forma troncoconica, è sbozzato con la subbia. II pezzo in esame e il frammento L. 67 si conservano a Kizil Avlu, presso la cosi detta Basilica o Sala rossa: un edificio in laterizio situato nel paese moderno di Bergama, costruito probabilmente durante il regno di Adriano. Si compone, ad est, di un’immensa corte anteriore, sotto cui corre in diagonale un tunnel doppio, costruito già in antico, che raccoglie le acque del fiume Selinus. Sul lato occidentale si dispongono gli ambienti costruiti in laterizio, con rivestimenti e cornici in marmo: al centro l'edificio principale è fiancheggiato da due ambienti rotondi, davanti ai quali si aprono due cortili, circondati da portici su tre lati. Probabilmente il complesso era dedicato a divinità egizie, forse a Serapide, accompagnato da Isis e Arpocrate, per i quali si svolgevano riti legati all’acqua, come dimostra la presenza di numerosi bacini. frammenti dei due labra potrebbero, quindi, ben inserirsi in questo contesto antico. In età bizantina si costrui una Chiesa con muri in pietra nella sala interna dell'edificio principale, in cui probabilmente furono riutilizzati i due labra. Bibliografia: inedito. 236 G. WiPLINGER, G. Wıach, Ephesos. 100 Jahre Österreichische Forschungen, Wien, Köln, Weimar 1995, pp. 114 ss., 1165.
1.58
Luogo di conservazione: Crotone, Museo Civico, giardino Luogo di provenienza: rinvenuta in mare nel 1909 nella rada di Crotone, presso Punta Scifo, on lontano da Capo Colonna, pertinente adun carico di marmi naufragato. Vasca e supporto in pevonarzeto Diam. max estero cm 237; diam. terno cm 189; h. max em 120 (altezza totale con supporto); h. vasca cm 103, Sia il supporto che la vasca hanno la superficie corrosa; due rotture sono presenti sul labbro. Labrum, non completamente finito, del IV tipo a conca, molto capiente c profondo, da cui si incurvano gradatamente le pareti, che si svasano al di sotto del labbro estroflesso, costituito da un listello liscio anteriore, al di sotto del quale si conservano otto protuberanze appena sbozzate, di dimensioni varie. I labbro internamente forma in due punti opposti un angolo con la parete interna, come nell'esemplare di Taranto, mentre per il resto la zona di congiunzione tra labbro e parete interna appare arrotondata. Si conserva anche il supporto (S. 35), piuttosto basso, del tipo V b, a plinto (dello stesso tipo di quello della vasca nella forica delle terme del Foro di Ostia: S. 236), composto da un fusto dal profilo a cavetto, incomiciato inferiormente e superiormente da un alto listello, molto simile a S. 36 di L. 59. Questa conca e le due successive, sempre pertinenti al carico naufragato a Punta Scifo, sono state inviate dalle cave di Dokimeion in uno stadio di quasi finitura: mancano soltanto l'eliminazione delle bozze sotto il labbro e la levigatura finale. Secondo l'Orsi sia i due labra di Crotone che quello di Taranto, opere d'arte romana abbastanza progredita, dovevano essere stati realizzati per destinarli a! culto, come bacini lustrali e per i sacrifici nel santuario di Hera Lacinia, presso cui sono stati rinvenuti, la cui continuità di vita in età imperiale romana è attestata dalle fonti epigrafiche (CIL, X, n. 106). Le vasca in esame, insieme alle altre due menzionate (L. 59, 60), fanno parte del carico di una nave naufragata, che trasportava vari oggetti, per la maggior parte appena sbozzati, realizzati in marmo bianco e in pavonazzetto di Dokimeion e in marmo proconnesio, provenienti, quindi, da cave diverse (secondo l'Orsi tutte le opere del carico da lui pubblicate nel 1911 e 1921 erano in marmo lunense). I rinvenimenti avvennero in vari periodi: nel 1908, 1909, 1915 e 1972, ma sempre nello stesso punto: sul fondo sabbioso a circa 6-7 m di profondità e alla distanza di circa 200 m dalla spiaggia di Punta Scifo, in un'area di circa 50 x 50 m. Si tratta di fusti di colonne sbozzate, blocchi sbozzati di dimensioni e forme diverse, basi, altari e cippi, vasche e sostegni, una tavola marmorea intatta. In particolare sono venute alla luce numerose vasche, con i relativi supporti: le due vasche gemelle, ma di diverse dimensioni, di Crotone e la vasca conservata a Taranto, rinvenute tra il 1908 e il 1909; sei altre vasche, di cui cinque di grandi dimensioni e una più piccola (diam. cm 150), con sei sostegni (uno con iscritto sul piede: EA), si rinvennero, nella stessa zona, nella primavera del 1915, insieme ai resti lignei della nave naufragata??”. In una ricognizione effettuata nell’ottobre del 1975, il Pensabene è riuscito a trovare soltanto 27 pezzi del carico, di cui la maggior parte in pavonazzetto, localizzati nella Prefettura di Taranto, nel Museo e nel Castello e lungo il molo di Crotone, den237 P. Orsi, in Nsc 1921, p. 493 ss 256
tro e intorno la Chiesa locale di Corazzo vicino Rocca di Neto. A Capo Colonna, inoltre, nel 1972 è stata portata a riva un'altra vasca dopo una tempesta, dimostrando che altri pezzi dello stesso carico naufragato sono ancora in mare2%. Il Pensabene?? ricorda cinque vasche in pavonazzetto (tra cui le due di Crotone e quella di Taranto), e quattro supporti, con zampe leonine di due differenti tipi, sempre in pavonazzetto (S. 35, 36, 39 delle vasche L. 58, 59, 60; S. 37 e 38, isolati). Le vasche, a differenza delle colonne e dei blocchi appena sbozzati, sono quasi finite, mancando soltanto la politura finale della superficie e l'intaglio delle otto protuberanze sotto il labbro, che dovevano servire non soltanto a rafforzare il labbro e a far passare una corda per le operazioni di trasporto e spostamento, ma probabilmente anche come elementi decorativi da scolpire una volta che il bacino fosse arrivato a destinazione. Anche i sostegni rinvenuti a Punta Scifo presentano la superficie finita, ma non lisciata, pronta per la politura finale; soltanto le zampe leonine sono ancora sbozzate. Le vasche di Punta Scifo si possono datare intorno al 200 d.C. Bibliografia: P. Orsi, in Nsc 1911, Suppl. p. 119 ss., fig. 102; MoNNA, PrNsABENE 1977, pp. 54, 65 55, fig. 13; PENSABENE 1978, pp. 107 ss., 114, n. 2, fig. 3A, B. 59 Luogo di conservazione: Crotone, Museo Civico. Luogo di provenienza: stessa provenienza di L. 58. Vasca e supporto in pavonazzetto Diam. interno cm 81; h. cm 68. Sia il supporto che la vasca hanno la superficie corrosa,
Vasca, non finita, simile alla precedente, ma di dimensioni minori: tipo IV a conca. Dal fondo largo e piatto, si incurvano gradatamente le pareti, terminanti in un labbro estroflesso, formato da un basso listello liscio anteriore, al di sotto del quale si conservano le otto bugne sbozzate che dovevano servire per l'ancoraggio delle funi utilizzate per il trasporto. Il supporto (S. 36), basso, simile al precedente, è del tipo V b, a plinto, incomiciato inferiormente e superiormente da un listello. Bibliografia: Orsi, art. cit. (L. 58),p. 119 ss, fig. 102; Monna, PENSABENE 1977, pp. 54, 65 ss, fig. 34; PENSABENE 1978, pp. 107 ss. fig. 4; Villa Albani, I, 1990,p. 85 (C. GASPARRI) L. 60 Luogo di conservazione: Taranto, Prefettura Luogo di provenienza: rinvenuta nel 1908 in mare, presso Crotone, nello stesso luogo in cui sono state scoperte le due vasche precedenti, ora a Crotone. Vasca e supporto in pavonazzetto, 238 N. Lam&oGLIA, Ricerche sottomarine sul litorale ionico (1973), in RivStudLiguri, 40, 1974, p. 158 ("bacino in marmo lunense, del diametro di m 2"); cfr. MONNA, PENSABENE 1977, p. 67, nota 41 259 Pensasene 1978,p. 108. 257
Diam. cm 210; h. em 90; h. del supporto cm 29; spessore delle pareti: 7-10 cm. Il bacino è rotto in due parti lungo una linea irregolare sul fondo; una lacuna è presente all'inizio della linea di frattura.
Vasca circolare, simile alle due precedenti di Crotone, non completamente finita. Il bacino ha una forma a conca (IV tipo), terminante in un labbro estroflesso, piatto superiormente e con listello liscio anteriore. La parte interna del labbro è arrotondata ad eccezione di due punti in posizione opposta, che formano un angolo con la parete interna. Sotto il labbro, esternamente ci sono otto protuberanze rettangolari, disposte simmetricamente. Il supporto (S. 39), dello stesso tipo dei due di Crotone: il V b, a plinto, incorniciato inferiormente e superiormente da un alto listello aggettante. Bibliografia: Orsi, art ci. (L. 58), p. 119 ss. fig. 101; Mona, PENSABENE 1977, pp. 54, 65 ss, figg. 12 e 35; PENSABENE 1978,pp. 107 ss, 114, n. 1, fig. 2A,B. 1.61 Luogo di collocazione: Ostia antica, Piccolo Mercato. Luogo di provenienza: Ostia antica, dall'aula decorata in opus sectile dell'edificio fuori Porta Marina. Il Becatti narra che la vasca venne trovata rovesciata sul suolo battuto, privo di pavimentazione, dell'aula. Pavonazzetto. Diam. est. cm 123; diam. int. em 93; circonf. cm 384; h. em 38 ; spess. del bordo cm 14; diam. del disco centrale cm 30. Integro. Superficie completamente coperta di patina grigiastra e di incrostazioni micacee.
Vasca circolare, non finita, del tipo III a catino, con pareti che si incurvano dolcemente formando un'emisfera appena schiacciata; il bordo superiore forma una larga fascia piatta. La vasca è stata lasciata nel IV stadio di semilavorazione: il piano superiore del labbro è lavorato a subbia piccola e delimitato lungo l'orlo interno con una linea continua di subbia, dalla quale partono i colpi di subbia media e piccola per rendere la concavità intema. La superficie estema è picchiettata con la subbia media. Presenta sia intemamente che esternamente un disco centrale rilevato. Bibliografia: BECATTI 1969,p. 25, tavv. XXIV,1,2; XXV,l; XXXI,1; PENSABENE 1994, p. 158, n. 113, 1.62 Luogo di conservazione: Musei Vaticani, Museo Pio-Clementino, Vestibolo Rotondo, inv. n 1144. Luogo di provenienza: Roma, trovato, sotto Pio VI (1775-1799), a Valle dell’Infernetto (a nord-ovest di Monte Mario) e portato in Vaticano. Qui fa esposto dapprima nel Vestibolo Rotondo, poi, al tempo di Pio VII (1800-1823), venne portato nella sala detta del Camino nell’appartamento Borgia, finché alla metà del XIX secolo fu di nuovo riportato nel Vestibolo Rotondo, dove la raffigura Vincenzo Feoli Vasca c supporto in pavonazzetto. Diam. cm 200; h. tot. em 135. La vasca presenta due lungho fratture che la attraversano e due tasselli rettangolari per 'occlusione di due incassi per grappe. Un tassello rotondo è posto accanto al rosone centrale. 258
La rosetta sul fondo non è antica. Il supporto, che appare antico fino al toro, presenta vari tassellini e una più grande integrazione nella parte finale delle scanalature. Il toro, realizzato nello stesso marmo della vasca, sembrerebbe pertinente al supporto, sebbene sia separato; è fratturato in vari punti. La parte sottostante, formata da un alta scozia e da un plinto quadrangolare, è realizzata sempre in pavonazzetto, ma da un blocco diverso rispetto al resto: essa è un'integrazione aggiunta successivamente. Lo Amelung annota che il piede è tutto di restauro. Anche Spinola sottolinea che la grande rosetta sul fondo e il supporto sono frutto di integrazioni moderne.
Si tratta di una vasca tonda sagomata, con il corpo baccellato. II labbro, particolarmente aggettante, è ornato con una serie di ovoli in forma di linguette, appena abbombati, separati da punte di frecce con dorso rilevato, dalla sezione triangolare. Il sottolabbro rientra fortemente, formando nel collo un'alta scozia, che termina in un listello aggettante, sotto cui si imposta la pancia convessa, ornata da baccellature, disposte a raggiera, particolarmente rigonfie soprattutto nella parte superiore, in corrispondenza della carenatura. Le baccellature si concludono presso l’anello esterno del tondo liscio del fondo, aggettante. La carenatura esterna corrisponde all'intemo con una morbida rientranza, che segna lo stacco dalla parete convessa del collo a quella incavata della pancia. Il rosone posto al centro costituisce, come si è detto, un'integrazione. La vasca appartiene, per il profilo discontinuo, al tipo VIII, lussuoso, sebbene se ne allontani, per la presenza delle baccellature, l'assenza di maschere e anse e per il labbro diversamente ornato, differenziandosi sostanzialmente dai labra precedentemente trattati pertinenti a tale tipo. 1I supporto (S. 41), probabilmente antico, è del tipo 1 a e si compone di un ampio toro, di un listello, sopra cui si imposta il calice inferiore ornato di scanalature di tipo ionico, concluso superiormente da un anello a tondino, tra due listellini; il breve calice superiore si apre in una cornice ionica aggettante, ornata di larghi ovoli e punte di frecce, come il labbro della vasca, sopra cui corre un listello e una gola diritta, singolare in questa posizione. I plinto con gola e lo zoccolo quadrangolare, sempre in pavonazzetto, sembrerebbero non antichi. II supporto scanalato, con la caratteristica corolla rovesciata, decorata con kyma ionico, ripropone forme già note nei preziosi crateri a calice in bronzo, derivanti da esemplari torcutici greci, di età ellenistica2%, diffusamente riprodotti in marmo. La vasca è dello stesso tipo e presenta le stesse baccellature particolarmente rigonfie di quelle nelle vasche realizzate in età moderna, come la vasca conservata in Villa Albani?4!, e quella, di piccole dimensioni, nella collezione Zeri; differenziandosi dalla tipologia e dalla lavorazione dei labra € dei vasi antichi?%. È molto probabile che anche la vasca vaticana sia stata realizzata, o quantomeno rilavorata in età moderna. 240 Cfr. un esemplare al Museo Nazionale di Napoli: PERNICE 1925, p. 38 ss, fig. 48, tav XII; Pırzıo BrRoUt, op.cit,p. 283,n. 120, fig. 237, 239. 241 Inv. n. 37: Villa Albani, I, 1990, p. 83 s. n. 175, tav. 44 (C. GASPARRI. 222 Per un confronto con baccellature kymatia antichi si vedano le seguenti opere: il vaso del monumento del Navarca ad Aquileia, di gusto ellenistico: VSM. SCRINARI, Museo Archeologico di Aquileia. Catalogo delle sculture romane, Roma 1972, p. 28, n. Sl; il cratere eoattico di ctà augustea dei Musei Vaticani: Lirroto 1956, p. 305 s, n. 33, tav. 167; il vaso di età augustea nel Musco dei Conservatori: GUSMAN, I, tav. 7 a; la tazza di età traianea ai Musei Vaticani: Limroto 1956,p. 374,n. 6, tav. 163; nel vaso biansato della Galleria dei Candelabri nei Musei Vaticani, del primo periodo imperiale: LirroL. 1956,p. 386, n.30, tav. 165. 259
Bibliografia: P. Massi, Indic. Ant. Museo Pio Clementino, 1792, p. 18, n. 8; PISTOLES! 1829, III, p. 64 s., tav. 20; Beschreibung Rom, II, I, 1834, p. 5; HeLnic, n. 135; AMELUNG 1908, p. 30 s. n.9, tav, 3; LANCIANI, IV, p. 10 (LaNciant 22 ed., IV, p. 15); PIETRANGELI 1988, p. 144, n. 8, fig. a p. 143; Mosca 1990, art. cit. a nota 5 dell’Introduzione,p. 422, fig. 11; PietrANORLI 1993,p. 314; SrıxoLa 1996, I, p. 16,n. 8; B. ANDREAE (brsz), Museo Pio Clementino. Cortile Ottagono, Berlin, New York 1998,p. 39, tav. 398, n. 9 (P. Liverant), Putvers 2002, p. 900, n. 2014. Stampe: = V. Feott, Musei Vaticani, Vestibolo Rotondo (Mus.Vat. neg. n. XI-34-22). L.63 Luogo di conservazione: Roma, Antiquarium Palatino, inv. n. 49.590 (10868). Un tempo al Museo Nazionale Romano. Luogo di provenienza: Roma, Palatino. Pavonazzeto Cm 88 x cm 44; spess. della parete cm 8. Bacino rotto su tre lati, si conserva un tratto del labbro c parte della parete.
Frammento di vasca del tipo VII, a piatto, di medie dimensioni. L'ampio labbro estroflesso, leggermente arcuato sulla fascia superiore, si conclude con un finale a becco di civetta. Sul bordo superiore si conserva l'iscrizione frammentaria: Fl(avius) Arbazac(ius) v(ir) i(nlustris) com(es) et paltric(ius)---?] All'inizio dell'iscrizione è incisa una croce, con punte apicate ; la lettera L ha rasta inferiore inclinata verso il basso; la Z ha l'asta superiore incurvata e l’inferiore inclinata; dopo FL è presente un’hedera distinguens. Si tratta di una dedica fatta da un senatore, di fede cristiana. Questo Flavius Arbazacius potrebbe aver avuto rapporti di parentela con il Flavius Arbazacius noto come governatore della Panfilia nel 404 d.C. (PLRE Il Arbazacius 1), essendo il cognomen Arbazacius, iranico, molto raro. Difficilmente può trattarsi dello stesso personaggio, poiché è poco probabile che il governatore della Panfilia possa essere stato menzionato in un'iscrizione urbana. L’epigrafe è considerata una dedica di ambito sacro dalla bibliografia, ma non si può escludere, non conoscendo bene il luogo venimento e quindi il contesto di appartenenza, una valenza funeraria. La datazione dell'iscrizione è unanimemente posta all'inizio del V secolo d.C. Giacché il labrum, per il profilo del labbro e l'esecuzione, non è ascrivibile ad un'età cosi tarda, si può ipotizzare un riutilizzo nel V secolo, con l'aggiunta dell'iscrizione dedicatoria, mentre la vasca apparterrebbe alla piena età imperiale. Bibliografia: CIL, VI, 41406 (= 31978); ILCY 199 A; C.L. Visconti,R.A. LANcIANı, Guida del Palatino, Roma 1873, p. 68; R. PARIBENI, Le Terme di Diocleziano e il Museo Nazionale Romano, 28 ed., Roma 1932, p. 156, n. 380; PLRE II, Arbazacius 2. 1.64 Luogo di conservazione: Roma, Villa Torlonia, già Albani, inv. n. 42 Luogo di provenienza: ignoto. Vasca e supporto in pavonazzetto. Vasca: diam. cm 120.; h. vasca cm 34;h tot. cm 118. Supporto: h. cm 75. Il bacino è stato ricomposto, riunendo più frammenti 260
Vasca di forma emisferica, con labbro leggermente in aggetto, a profilo ricurvo: tipo IV a conca. Le pareti sono decorate con scanalature, disposte a raggiera, separate da un dorso incurvato. I! piede (S. 42) è del tipo II a, con scanalature tortili; la parte inferiore del fusto, prima della svasatura finale, si riduce di diametro. La base & formata da un toro su un plinto ottagonale. Lo zoccolo, quadrangolare, è indipendente. Gasparri suppone che le scanalature siano frutto di una rilavorazione modera di un pezzo antico. Il supporto tortile, a causa del restringimento in basso, rivela di essere un pezzo finito a metà, rilavorato successivamente (difficile stabilire quando) con il decoro a spirale su tutto il corpo. Ignota la data dell'ingresso del pezzo nella collezione. A Villa Albani, ora Torlonia, sono ricordate varie vasche tonde; dalla collezione Albani provengono due vasche in alabastro fiorito, ora al Louvre (L. 26, 27) Due conche sono ricordate anche dal Varming. Nel giardino della Villa sono presenti due fontane con vasche tonde?4. L’impossibilitä di visitare la villa e, di conseguenza, di visionare direttamente le vasche ivi conservate, ha reso difficile all'autrice lo studio e la catalogazione: sono perciò qui schedate solo quelle opere, che, essendo puntualmente descritte dalla letteratura moderna e riprodotte in nitide fotografie, possono essere catalogate con certezza. Bibliografia: MorceLLI, FEA, Viscontt,op. cit. (L. 39), n.42; Villa Albani, IL, 1990,p. 84 ss. n. 176, tav. 45 (C. Gasparri). 1.65 Luogodi conservazione: Pergamo, Musco, cortile centrale, inv.n. A/5105. Luogodi provenienza: Pergamo, Acropoli, dal frigidarium delle terme del Piccolo Ginnasio, presso il quartiere residenziale, a nord della terrazza di Demetra. All'estremità orientale del Bacino peri lavaggio dei piedi prima di entrare nell piscina del figidarium, inserita in una nicchie Vasca in marmo bianco a grana grossa, venato di grigio (tipo greco scritto), probabilmente locale. Supporto in marmo bigio di Lesbo. Vasca: diam. cm 120; h. cm 30-35. Supporto: h. cm 60circa; diam. inf. cm 35. La vasca è rottaal centro; conserva una parte del tassello di restauro; numerose fratture percorrono le pareti.
Vasca del tipo V a coppa molto aperta, con fondo breve e senza labbro estroflesso; le pareti si concludono con un bordo appena incurvato. Il supporto (S. 77) è del tipo Il b, rastremato, incorniciato in basso da una fascia e una modanatura a profilo obliquo, in alto da una modanatura a profilo obliquo e da una fascia in aggetto. Il fondo lacunoso è stato restaurato gia in antico con un tassello polilobato, di cui si conserva la metà circa. La vasca veniva rifornita di acqua da un tubo posto nella nicchia; l’acqua di scolo che scorreva giù dai bordi della vasca defluiva nel bacino di raccolta per il lavaggio dei piedi Bibliografia: MANDERSCHEID 1994, p. 243 s., n. 129, fig. 181 243 Varmano 1965, p. 143, nota 112. 244 Cfi. L. 39, 245 Cfy. MANDERSCHEID 1994, fig. 181. 261
L. 66
Luogo di conservazione: Roma, Palazzo Altemps. Luogo di provenienza: Roma, già Collezione Boncompagni Ludovisi; acquistata nel 1901 dallo Stato Italiano e trasferita nel Museo Nazionale Romano, inv. n. 8655. Attualmente in Palazzo Altemps, sala delle Ere. Serpentina moschinata dello Uadi Atallh?*6. Secondo Capranesi, De Lachenal c De Angeli 'Ossat si tratterebbedi mermo verde ranocchia (ofie): il verde ranocchiaè una pietra delle serpentine, originaria del Piemonte, raramente usata in età tardo-imperiale. Diam, cm 148; circonf. em 436; h. em 33; spess. del labbro cm 8. Un grosso tassello sul labbro ¢ su parte della parete sottostante. Undici tasselli oblunghi in serpentina, sono stati posti in sostituzione di vecchie grappe metalliche, precedentemente utilizzate per stringere i lembi di tre lunghe fratture, che percorrono la superfie esterna ed interna della vasca. I tasselli in pietra serpentina si dispongono sei all’esterno e cinque all’intemo, in corrispondenza, ma non in perfetto collegamento gli uni con gli ai. Il sostesno, in bardiglio di Carrara, è moderno. La vasca presenta un labbro non aggettante, di forma singolare: con il bordo superiore composto da due fasce concentriche, intemamente in forma di listello liscio e appiattito, esternamente con comice a profilo ondulato e ribassato. La vasca è molto aperta e poco profonda, con pareti convesse, la cui ampia svasatura continua fino al fondo, piatto e breve esternamente, molto allargato e piuttosto appiattito internamenla sua forma è ascrivibile al tipo II a bacile. All'interno due tasselli di restauro otturano due fori: uno più grande centrale e uno minore, laterale. Da quello centrale, sicuramente realizzato in antico, doveva fuoriuscire la cannula di piombo, che alimentava con uno zampillo il labrum. Il foro laterale, non sappiamo se antico o realizzato in età modena, doveva servire per il deflusso delle acque; entrambi vennero poi richiusi con i due tasselli in serpentina, tuttora present. In occasione di un primo restauro i pezzi fratturati della vasca furono riuniti con delle grappe metalliche; queste furono successivamente eliminate, colmando gli incavi con i tasseli oblunghi in serpentina, attualmente visibili. La superficie interna della vasca appare quella originaria, come dimostrano i lievi rigonfiamenti ondulati ancora visibili in corrispondenza delle grosse venature, evidentemente più dure, del marmo. Il labbro, essendo inconsueto nella tipologia dei labbri delle vasche antiche e sembrando la superficie di lavorazione non antica, più lucida e meccanicamente lisciata, diversa da quella dell'interno e simile a quella dell'esterno, potrebbe essere stato rilavorato e rilucidato in epoca moderna. Trestauri con i vari tasselli, la rilucidatura della vasca e l'aggiunta del supporto, in bardiglio, moderno, sono ascrivibili ad interventi di età moderna, forse in occasione dell'ingresso della tazza nella collezione Boncompagni Ludovisi, verosimilmente nella prima metà del XIX secolo. II labrum, infatti, non compare negli inventari del Sei e Settecento. Esso viene ricordato nel 1842, nell'elenco della collezione curato da Capranesi. Precedentemente , nell'inventario del 5 maggio 1819 delle opere conservate nel Casino dell’ Aurora, si cita “un vaso di pietra serpentina"?^.. Nell’atto di vendita della collezione allo Stato Italiano, nel 1901, la vasca è citata insieme alla serie di colonne e di basi in marmo antico. 246 PensaBeNe, BRUNO, in bibl 247 Mus. Naz. Rom, 1,4, p. 176. 262
Secondo la De Lachenal è da escludersi che in origine la vasca costituisse il bacino di una fontana, a causa della mancanza del foro per il condotto interno della fistula acquaria; ne ipotizza, perciò, un generico uso omamentale, forse in ambito terma1e24$, datando l'opera nella piena età imperiale. Di fori, in realtà ne esistono due, come dimostrano i due tasselli di restauro circolari, di cui uno più grande proprio al centro della vasca, probabilmente antico. La De Lachenal segnala, inoltre, la singolarità della forma, escludendo l'ipotesi di una rilavorazione in epoca moderna, riconnettendola a prototipi toreutici di minori dimensioni. Bibliografia: F. CaPranest, Sculture antiche esistenti nella Villa di SE. il Principe D. Antonio Boncompagni Ludovisi, Roma 1842, p. 12, n. 27; Tu. Schreiner, Die antiken Bildwerkwe der Villa Ludovisi, Leipzig 1880, n. 27; C.L. Visconti, I! Museo Ludovisi, Roma 1891, p. 39; S. AURIGEMMA, Le Terme di Diocleziano e il Museo Nazionale Romano, Roma 1970,n. 214; Mus. Naz. Rom., 1,4, 1983,p. 176 (B. Pauma); Mus. Naz. Rom. I, 5, 1983,p. 3. (L. De Lachenat); PENSABENE, BRUNO 1998,p. 12; Marmi colorati 2002,p. 380 s., n. 83 (M. De AnoeLIS d'OSSAT) 67 Luogo di conservazione: Pergamo, il Avlu (cd. Basilica Rossa). Luogo di provenienza: dagli scavi Giallo antico. Lungh. max cm 65; larghi max cm 36; b. max cm 31. Spess. della parete cm 6-8. Rimane soltanto una grossa scheggia della parete fino al labbro.
Si tratta di un frammento di vasca con parete incurvata terminante in un labbro estroflesso, composto di un listello liscio anteriore (h. cm 2) e di una fascia piatta superiore (largh. cm 5,5), che si incontrano ad angolo retto. Probabilmente il frammento era pertinente ad un labrum del tipo II a bacile, di piccole dimensioni. Sull'originaria collocazione di questo frammento si rimanda alla scheda di L. 57, pertinente allo stesso contesto. Bibliografia: inedito L.68
Luogo di conservazione: Simitthus, Praesidium romano presso le cave, ErgastulumFabrica: navata F, zona di ingresso. Luogo di provenienza: forse in situ Giallo antico. Diam. cm 148; h. cm 56; bordo cm 10; prof. interna cm 20; h. della fascia esterna del labbro cm 10. Alcune fratture percorrono la superficie.
248 La pertinenza ad un impianto termale di età imperiale è ribadita dalla De Angelis d'Ossat, in bibl. 263
Vasca di forma aperta, dal fondo ampio e piatto, da cui si staccano le brevi pareti incurvate, terminanti in un bordo piatto: tipo V a coppa. La vasca & lasciata nel IV stadio di semilavorazione, con le forme già definite e l'interno cavato; le superfici rese a subbia grande e media; il bordo rifinito a subbia piccola. Lungo la fascia esterna del labbro sgrossato corre l'iscrizione di probabile lettura: “ex ratfione) F(elicis)”. La Ratio Felicis si data tra il 96 e il 111 d.C25; questo Felix si può identificare con il libertus nominato in un'iscrizione votiva urbana del 28 gennaio 115 d.C.2%. La vasca potrebbe essere stata eseguitanel praesidium, nella sola fase di sbozzatura; la Fabrica però è stata costruita nel 154 d.C.: la vasca allora non può provenire originariamente da questo edificio, non ancora esistente nella prima metà del II secolo d.C. Il Rakob ipotizza che il labrum inizialmente fosse stato posto davanti all’impianto dei lavacra. Bibliografia: F. Raxos, Das Römische Steinbruchlager (praesidium) in Simitthus, in Simitthus II, Mainz am Rhein 1995, p. 77 ss, tav. 76, e, f, g; P. PENSABENE, M. Bat ‘Aggiornamenti, nuove acquisizioni e riordino dei marmi di cava dal canale di Fiumicino, in Marmi Antichi I1 1998, p. 16, nota 41 L. 69 Luogo di conservazione: Ostia antica, ninfeo degli Eroti (Reg. IV, Is. IV, 1), inv. n. 1255 (o 1225). Luogo di provenienza: in situ Vasca: giallo antico; supporto c plinto in marmo bianco Iunense, Vasca: diam.cm 85; h. cm 24,5; circonf. cm 269. Supporto: h. cm 57; plinto: h. cm 25,5; listello superiore largh. cm 37. La vasca, che presenta una sbreccatura sul labbro, ha la superficie ricoperta di licheni. Il plintoè rivestito di una patina grigiastra; il supporto presenta rare scheggiature lungo i bordi € un forellino (non passante) su una scanalatura.
La fontanina è composta di una vasca, finita e ben levigata, di forma emisferica, con fondo piatto, breve, da cui si staccano le pareti incurvantisi gradatamente ad arco di cerchio, terminanti superiormente con un taglio netto, liscio, privo di labbro retroflesso (tipo III acatino). La vaschetta poggia su un supporto (S. 229) del tipo II a, composto dal basso di un listello rientrante, un toro e un corpo cilindrico, rastremato, con scanalature di tipo dorico e linguette all’attaccatura. Il plinto di base è a forma di dado, modanato superiormente e inferiormente, con un listello liscio e una gola rovescia. L’interno della vasca, piuttosto profondo e completamente arcuato, senza stacco dal fondo, presenta un piccolo foro regolare, passante (diam. cm 1), leggermente decentrato, uscente all'esterno di fianco al supporto. La vasca doveva ricevere l'acqua dalla canaletta che passava attraverso il foro; mentre il deflusso doveva avvenire, come di consueto, lungo i bordi della vasca, per cadere poi nel bacino di raccolta, di forma quarata, composto di un muro rivestito di lastre di marmo bianco giustapposte. Nel bacino di raccolta non sono presenti fori per far passare la canaletta di adduzione, ma è presente, in un angolo, un foro per lo scarico esterno. 29 Ci. Kraus 1993, p. 565. 250 Kraus 1993, p. 57, nota 117, 264
Il supporto non è pertinente alla vasca, essendo di dimensioni troppo grandi, cosi come il plinto risulta invece troppo piccolo; si tratta di un riassemblaggio di clementi diversi, effettuato probabilmente in età tardo-antica, in occasione della realizzazione del ninfeo. Il labrum non è contemporaneo, ma precedente all'impianto di IV secolo. La fontanina si trova al centro di un ninfeo pubblico a camera, di forma trapezoidale, ricavato su edifici precedenti e databile nel IV secolo d.C; la costruzione è in mattoni e opus listatum, tipico del IV e V secolo. Il ninfeo si distacca dagli altri ninfei di IV secolo per il suo carattere di recinto chiuso, tutto riccamente rivestito di marmi, con nicchie ornate con statue più antiche del ninfeo®?, Il Neuerburg cita il bacino in esame a proposito dell’usanza in età romana di utilizzare nei ninfei sculture ed elaborati effetti d’acqua; a volte venivano usati bacini in marmo o in bronzo, del tipo di quello in esame e dei bacini negli atrii e peristili delle case pompeiane, collocati accanto a pilastri e colonne. Lo studioso asserisce che il bacino in giallo antico sostituisce un bacino asportato nell'ultima guerra. Bibliografia: NEvERBURO 1965,pp. 45,97, 190,n. 128, fig. $3; Lerzwen 1990,p. 318, n.95, tav. 34, 2; Riccianpi, Scrimari 1996, II, p. 224 s, 292, n. XIX, figg. 406, 409, 410; P. PENsABENE, I rivestimenti marmorei del Ninfeo degli Eroti ad Ostia, in Atti del VI Colloguio dell’ AISCOM, Venezia 20-23 gennaio 1999, Ravenna 2000, p. 345. 70 Luogo di conservazione: Ostia antica, piazzoledei marmi, inv. n. 2971 Luogo di provenienza: dagli scavi, poi depositata nei "Grottoni" e da Ii trasferita nelle piazzole dei marmi, dove attualmente si conserva. Giallo antico. Diam. cm 103; h. cm 28. Manca un terzo della vasca; un'ampia lacuna interessa il bordo, la sottostante parete c una grossa porzione del bacino; tre fratture si notano all'interno.
Piccola vasca, non ultimata, di tipo aperto, poco profondo, a bacile (II). Le pareti si staccano nettamente dal fondo, molto largo e piatto, sia all'interno che all'estemo. Lo stadio di semilavorazione è il IV: l’ultimo effettuato in cava. Il labbro estroflesso presenta anteriormente un listello piatto c superiormente un bordo appiattito, sgrossato a colpi di subbia inferti perpendicolarmente a picchiettare il piano, la concavità interna è scavata a colpi di subbia grande; all'esterno, sia il listello del labbro che la parete, sono sbozzati più finemente con la subbia piccola e la gradina. Non si individuano fori. Il bacino differisce da quello simile, in portasanta, sempre ostiense n. inv. 29711 (L. 76), in quanto la sua sezione non è semicircolare, bensì col fondo piatto sia internamente che esternamente, in modo analogo al fondo del bacino fuori Porta Marina (L. 87): in questo stadio di semilavorazione era già stato appianato il fondo, per creare una superficie di appoggio al sostegno. Anche il bordo in questa fase di lavorazio251 Sul ninfeo degli Eroti si veda bibliografia precedente in Lerzwer 1990, p. 318; Ricciarni, ScRINARI 1996,I, p. 224 ss, n. XIX. figg, 406-412. 352 PavoLINI 1993,p. 191. 265
ne appare piuttosto spesso e piatto: sul bordo esterno presenta la seguente iscrizione: [ex] rat(ione) Felicis Au[g(usti)] s[e]r(vi). Sul bordo superiore, in corrispondenza della precedente iscrizione, se ne intravede una seconda, appena visibile e frammentaria, di cui si leggono le lettere: A L V. Secondo la Baccini Leotardi la vasca in esame è da ricollegarsi a due blocchi sbozzati in giallo antico, menzionanti lo stesso schiavo imperiale Felix, legato allo sfruttamento delle cave di marmo numidico a Simitthus ai tempi di Domiziano: fino al 107 d.C. egli svolse la sua attività in qualità di Augusti servus, poi come affrancato imperiale. Ciò dimostra che questa vasca e la n. 29711 vennero lavorate in cava, nello stadio in cui ci sono pervenute, e poi spedite per essere ultimate nel luogo di destinazione. Ciò è confermato anche da P. Pensabene e M. Bruno, nel loro articolo in Studi Miscellanei, in cui la vaschetta in questione viene citata proprio come prova che dalle cave gli oggetti venivano esportati in uno stato di semilavorazione e che venivano successivamente rifiniti a destinazione. Un'iscrizione simile compare nella vasca in giallo antico (L. 68) posta nel praesidium romano presso le cave di Simitthus. In entrambi i casi le superfici delle vaschette recano tracce di sbozzatura a subbia e le iscrizioni si trovano lungo il bordo esterno dei manufatti: Pensabene e Bruno ne deducono che le due vaschette furono prodotte in una stessa officina, controllata dalla Ratio Felicis e attiva tra il 96 e il 111 d.C253 Bibliografia: BacciN: LEOTARDI 1979, p. 25 s., n. 82, tavy. XXV2, XXVI,I; PENSABENE 1994, p. 107, n. 45, figg. 125c 127; PENSABENE, BRUNO, art. cit (L. 68), p. 16, nota 41 1.71 Luogo di conservazione: Ostia antica, giardinetto presso gli uffici, riuti nella, inv. n. 257 (provvisorio). Luogo di provenienza: dagli scavi. Giallo antico H. cm 27; diam. em 89,5; circonf. cm 282. Integra, superficie talmente incrostata da rendere difficile l'identificazione del marmo. Rare scheggiature.
Vasca non finita, di piccole dimensioni, del tipo a conca (IV), con pareti che internamente si incurvano in una linea continua di forma emisferica, mentre all'esterno si staccano dal breve fondo piatto risalendo in alto piuttosto bruscamente; un'alta fascia, aggettante e piatta, conclude all’esterno la vaschetta. Al centro è presente un piccolo foro regolare. La vasca è stata lasciata nel IV stadio di lavorazione: la forma è definita, la superficie è sata ripassata a subbia piccola e gradina, ma non ancora levigata. 1I sostegno attuale, non pertinente, è un rocchio di colonna con toro inferiore, in travertino. Bibliografia: inedito.
25 Cit. Cu. Dueoss, Étude sur l'adiinitration et l'exploitation des carrires marbres, porplyre, grant, ete dans le monde romain, Paris 1908, p. 59, n. 68 (14560); Brcirm 1969, 9. 35: KRAUS 1995, p. 565. 266
n Luogo di conservazione: Ostia antica, terme della Marciana, catasta di marmi. Luogo di provenienza: dagli scavi. Giallo antico. Largh, max em 22; h. max em 10,5. Resta solo un frammento comprendente il labbro.
Frammento di labrum, con labbro leggermente estroflesso a fascia piatta anteriormente e bordo superiore appiattito. Dal frammento si può desumere che la vasca intera dovesse appartenere al tipo IV a conca, di medie dimensioni. Bibliografia: inedito. L.73 Luogo di conservazione: Roma, Soprintendenza Archeologica di Roma, Antiquarium del Foro Romano, S. Maria Nova, secondo piano del chiostro, inv. n. 3155. Luogo di provenienza: Roma, dagli scavi dcl Foro Romano. Giallo antico. Diam. cm 112; circonf. cm 378 ca; h. cm 24,5. La vasca è stata restaurata, ricomponendo cinque grossi frammenti e colmando le lacune con cemento e pezzettini di marmo omologo.
La vasca è del tipo II a bacile, di piccole dimensioni, presenta un labbro aggettante, con nastro anteriore e bordo superiore piatto e liscio. L'incurvatura della parete disegna un arco, dalla svasatura accentuata e costante, il quale continua, dopo un aumento dell'inclinazione in corrispondenza del passaggio al fondo, con una flessione più lieve, fino alla limitata (diametro del fondo piatto cm 37) zona centrale, piatta, della vasca. La vasca non presenta alcun foro. Bibliografia: Marmi colorati 2002,p. 382,n. 84 (A. CIOFFARELLI). L.74 Luogo di provenienza: Boscoreale, contrada Pisanella, vill rustica di n. Popidius Florus, Frigidarium. Luogo di conservazione: in situ, Bacino in portasanla; sostegno in marmo bianco. Vasca: diam. cm 74; sostegno: h. cm 60. Buono stato di conservazione.
II piccolo labrum è del I tipo a bacile, con fondo largo e piatto e labbro estroflesso, appiattito sul bordo superiore. Il supporto (S. 177), del tipo I a, si conclude in una fascia piatta su cui si aprono le scanalature del calice inferiore, stretto in alto da un anello a tondino, sopra il quale si imposta il calice superiore leggermente svasato. Il labrum, proveniente dal frigidarium, era collocato subito a nord della vasca rettangolare; quest’ultima e l'opera in esame ricevevano l’acqua da due condotti di piombo, che adducevano acqua dall’esterno, scaricando, l'uno nella vasca, l'altro nel 267
labrum, mediante due rubinetti di bronzo, in forma di boccale e di protome leonina?5 Il bagno fu costruito tra il 62 e il 79 d.C.255 Bibliografia: DeLLa Corre 1921,p. 453, fig. 17 B. L.75
Luogo di conservazione: Ostia antica, domus delle Colonne, angolo nord-est del cortile porticato centrale, occupato al centro da un ninfeo2$5 (Reg. IV, Is. II, 1). Luogo di provenienza: in situ. Vasca: portasanta; supporto: marmo pentelico. H, tot, cm 71. Vasca: diam. est. cm 95, int. cm 70; circonf. cm 299 ; h est. cm 22, int. cm 16. Supporto: h. cm 49. Manca la parte inferiore del supporto, rotto al di sopra dei finali delle scanalature; il kyma ionico si conserva per un breve trato. La superficie della vasca nella parte esterna c sul bordo è completamente ricoperta di licheni. Tut’intorno al foro c'è un’ampia scheggiatura Vasca non finita, di forma emisferica, poco profonda, del tipo V a coppa. Le pareti si incurvano gradatamente a formare un arco di cerchio, senza bruschi passaggi dal fondo breve e piatto, e terminano in alto con un bordo netto, privo di labbro estroflesso. La vasca è stata lasciata nel penultimo stadio di lavorazione (VI). La forma è ben definita, le superfici interne sono variamente trattate: nel tondo interno centrale appaiono più rifinite, lisciate con lo scalpello, mentre la parete e il bordo superiore sono ancora trattati a subbia piccola. L'esterno della vasca è lasciato più rozzamente sgrossato a subbia media. Un piccolo foro regolare (diam. cm 1) leggermente decentrato doveva servire per l’adduzione dell’acqua; il foro passante, fuoriesce all'esterno, di fianco al supporto. Il supporto (S. 228), di elegante fattura, è del tipo I a, stretto a due terzi del fusto da un anello a toro. I calice inferiore, al di sotto di un collarino liscio, presenta scanalature di tipo dorico. Il calice superiore, breve e molto svasato, si conclude con un’estroflessione ornata esternamente con un kyma ionico, con ovoli, alternati a punte di frecce. La domus delle Colonne?5?, posta all'angolo fra il cardo maximus e via della Caupona, è la più imponente delle domus signorili che sorsero in quella zona nel tardo impero. Essa presenta tre fasi edilizie: un impianto laterizio della prima metà del Ill secolo e due ristrutturazioni nel IV secolo. Nella terza fase edilizia venne rialzato il livello del cortile (D), pavimentato di marmi e dotato di un pozzo, del ninfeo, con due absidi e il labrum in esame, e di una vasca con colonne addossata al ninfeo. labrum potrebbe essere contemporaneo alla terza fase edilizia e all’installazione del ninfeo oppure, più verosimilmente, si tratterebbe di un’opera realizzata precedentemente (media età imperiale), spedita semilavorata dalle cave e conservata nei depositi marmorari ostiensi, come dimostra la somiglianza con i due Jabra semilavorati in 254 Deira Conte 1921, fig. 18, nn. 10e 12. 255 Si veda supra, p. 43, 256 Sul ninfeo della domus delle Colonne: RICCIARDI, ScRINARI 1996, I, p. 222 s. n. XVII, figg. 401-403, 357 Pavotint 1983,p. 191s. 268
portasanta e in giallo antico nelle piazzole dei marmi (L. 70, 76): solo successivamente, in età tarda e in occasione della creazione del ninfeo, fu utilizzata, senza essere ultimata, ponendola su un supporto finito, non pertinente. Secondo la Ricciardi la vasca, d'uso privato-domestico, va datata nel IV-V secolo 4.C., considerando la sua forma tipica del periodo tardo ed avvicinandola alla vasca nel piazzale di Porta Marina, che, però, è di tutt'altro tipo. Il sostegno, simile a quello che si trova sotto la vasca del ninfeo degli Eroti (S. 229) e al supporto nel cortile della casa del Fauno a Pompei (S. 206), è di fattura precedente alla ristrutturazione della casa, ed è quindi di riuso: per la datazione si può proporre, per l'eleganza formale e la resa del kyma, la prima età imperiale. Bibliografia: G. Becarri, Case ostiensi del tardo impero, in BollArte, 33, 1948, p. 212; Bacci Lrorardı 1979,pp. 25, 28, nn. 82, 85; RICCIARDI, ScRINARI 1996, II, p. 138 s. n. 129, figg. 246, 247. 76 Luogo di conservazione: Ostia antica, piazzole dei marmi, inv. n. 29711 Luogo di provenienza: dagli scavi, poi depositata nei “Grottoni”. La Baccini Leotardi afferma che gran parte del materiale da lei esaminato, un tempo giacente all'isola Sacra, venne trasportato nella zona degli scavi nell'autunno del 1959; altri reperti si sono aggiunti successivamente in seguito a nuovi ritrovamenti nelle aree degli scavi stessi e in particolare nel canale di Fiumicino. Portasanta. Diam. cm 91; h. cm 31 Una frattura attraversa diametralmente la vasca, dividendola in due parti, dal centro della frattura se ne stacca un'altra ortogonale che arriva fino al bordo; entrambe le rotture sono riunite nella zona centrale con stucco. Una rottura interessa il bordo.
Vasca di piccole dimensioni, del tipo V a coppa, di forma emisferica, con curvatura graduale e continua delle pareti, sia all'interno che all'esterno. Il fondo, ancora incurvato, doveva essere livellato durante la rifinitura. Le pareti terminano in alto con un taglio netto e piatto. La vasca non finita è rimasta nel IV stadio di semilavorazione: il bordo e la cavità interna presentano due diverse fasi di lavorazione. Un terzo del bordo, ancora piatto e più largo, e la superficie interna corrispondente, più spessa rispetto alla restante parete, corrispondono alla prima fase di lavorazione della cavità intema. Il cerchio rimanente del bordo e la restante superficie interna corrispondono alla seconda fase di lavorazione, con un ulteriore approfondimento della cavità e un assottigliamento del bordo. In queste due fasi di lavorazione è riscontrabile l'uso della subbia; sulla superficie esterna si riconosce l’uso della subbia grande. Questo Jabrum testimonia che la forma del bacino veniva definita già al momento dell estrazione del blocco?S*, Nessun foro è presente ancora in questo stadio preliminare di lavorazione, Bibliografia: Baccrst LEOTARDI 1979, p. 28 s., n. 95, tavv. XXV, 2, XXX, 1; PENSABENE 1994,p. 100, n. 40, figg. 124e 126; Marmi colorati 2002,p. 520 s. n. 274 (A. AMBROGI) 258 PENSADENE 1994,p. 100,n. 40, figg. 124, 126. 269
1.77 Luogo di conservazione: Larissa (Tessaglia), presso Chassambali, cave di verde antico. I due frammenti, collocati uno sopra l'altro, si trovano lungo la strada per Chassambali, oltre il versante del monte Mopsion dove si trovano le cave. Luogo di provenienza: in situ. Verde antico. Frammento maggiore: diam. max cm 197, diam. int. max cm 100; h. cm 49; bordo sup. largh. tot. cm 47; bordo est. h. cm 21; prof. tot. cm 19. Frammento inferiore: cm 200 x 170 (ingombro max). Si conservano due frammenti, di cui quello superiore costituisce quasi la metà del labrum.
Due frammenti di un Jabrum semilavorato, di forma aperta. Le superfici sono lavorate a subbia, la parte centrale è appena accennata, essendo il bordo troppo spesso. Bibliografia: inedito. 1.78
Luogo di conservazione: Ostia antica, Domus Fulminata (Reg. I, s. VII, 4) Luogo di provenienza: dagli scavi. Verde antico IL riquadro ricomposto è alto cm 130 e largo cm 104. I frammenti sono spessi cm 4,5. 1 frammenti della vasca sono stati riuniti, con cemento, a formare un quadro di form solare, attaccato ad una parete È difficile determinare con certezza la forma originaria della vasca: la leggera
incurvatura dei frammenti fa pensare ad una vasca di notevoli dimensioni e di forma aperta; non si conserva alcun frammento del bordo. Bibliografia: inedito. 1.79
Luogo di conservazione: Roma, Museo Capitolino, attualmente nella terza sala dei culti orientali, precedentemente conservato nei magazzini del Museo, inv. n. 3560. Luogo di provenienza: Roma, scavi del Governatorato. Verde antico. Diam. cm 90; h. em 30 ca. Si conserva un'ampia porzione, completa di labbro, e cinque frammenti di varie dimensioni, di cui due con il labbro. La vasca risulta essere stata precedentemente restaurata, come mostra il largo frammento del bordo riattaccato alla porzione più ampia.
Si trata di una piccola vasca molto aperta e poco profonda (II tipo a bacile), con il labbro estroflesso del tipo consueto, leggermente ricurvo superiormente e con basso listello liscio anteriore. Nell'intemo un ombelico (diam. cm 19) tondo in aggetto sul fondo, con un rialzo nel mezzo, forato al centro (diam. cm 6). Il foro circolare appare irregolare e incrostato di ruggine. 270
Accanto alla vasca è conservato un supporto non pertinente, in marmo bianco, del tipo I, con base a fascia e anello a tondino a tre quarti dell’altezza. II calice inferiore è decorato con un cespo di foglie acantine, rivolte in basso. Bibliografia: inedito. . 80
Luogo di conservazione: Roma, attualmente al Museo Torlonia di via della Lungara; già bacino della fontana del Mercurio volante, a Villa Medici nella Loggia dei leoni, Nel 1767 il labrum fu trasferito a Villa Albani, nell'emiciclo, e successivamente al Museo Torlonia Luogo di provenienza: ignoto. Verde antico?9 (o breccia verde egiziana Diam. cm 185;h. tot cm 166, Buono stato di conservazione. Grande vasca, priva di labbro sporgente, con pareti gradatamente incurvate, del tipo III a catino. Questo labrum è collocato su un supporto moderno, a sezione ottagonale, composto di peduccio in marmo caristio, plinto di bigio africano, base e cimasa di giallo antico. Precedentemente il labrum si trovava a Roma, in Villa Medici, nella Loggia dei leoni, riutilizzato come bacino della fontana con il Mercurio volante in bronzo, realizzata nel 1580 dal Giambologna?!. La vasca antica, essendosi rotta, fu sostituita nel XVII secolo da una conca moderna in granito di Spagna, a sua volta rimpiazzata nel XIX secolo da una in marmo bianco. I labrum antico, acquistato nel 1767 dal cardinale Alessandro Albani, fu trasferito nella Villa omonima, dove venne posto nell'arcata sesta dell'emiciclo, come ricordano sia un disegno di PA. Päris, raffigurante l'emiciclo di Villa Albani, in cui si vede in primo piano un grande labrum su un supporto scanalato, sia i cataloghi delle antichità conservate nella Villa, redatti nel 1785 e nel 18032. Il Mercurio volante fu, invece, trasferito a Firenze nella metà del XVIII secolo e posto nel Museo del Bargello, dove tutt'ora si conserva. Alla fine del XIX secolo 259 11 materiale rimane incerto, non avendo potuto eseguire un esame autoptico: secondo Visconti e Gnoli si tratta di breccia verde egiziana, ma più probabilmente il labrum è in verde antico. 26 Il Visconti — VISCONTI, in bibl — ha sottolineato la rarità del materiale usato (lapis hekatontalithos), picira durissima (GNOLt 1988, p. 117 ss), di cui Ferdinando aveva raccolto tutti gli esemplari noti a Roma al suo tempo: un barbaro seduto, oggi al Louvre, due colonne e la tazza in esame, la quale, peraltro, costituirebbe il pezzo di maggiori dimensioni in breccia egiziana finora rinvenuto. La tazza venne acquistata nel 1767 dal cardinale Alessandro Albani per arricchire la sua collezione di pezzi in pietre dure preziose. 261 Sulle vicende della fontana del Mercurioa Vil a Medici: GasPaRRı, in bib, 1991, p. 460, 483; sul Mercurio: P. ARIZZOLI-CLEMENTEL, La décor intérieur et l'ameublement de la villa Medicis à l'époque du cardinal Ferdinand, in La Villa Médicis, Il, Rome 1991, p. 513. 262 Si vedano le concordanze in: ALLROGGEN-BEDEL, in bibl. p. 367, A 429, che si riferiscono alla vasca nell'emiciclo di Villa Albani, citata nei cataloghi del 1785 e del 1803, mentre non è più ricordata nel 1869 (MoRCELLI, Fea, VISCONTI, op. cit. in L. 39). 271
fu restituita la fontana della Loggia dei leoni con la sistemazione di una copia del Mercurio. Due vedute della Loggia suddetta, realizzate nella meta del XVII secolo, una da un anonimo, l'altra da Stefano della Bella, raffigurano la fontana del Mercurio con il labrum in esame, mentre la stampa del Venturini rappresenta più probabilmente la conca moderna in granito di Spagna, così come la veduta di H. Robert, menzionata inL. 7. Bibliografia: MORCELLI,op. cit (L. 39), 1785,n. 429; MoncELLI, Fea, op. ci. (L. 39), 1803, n. 411; Beschreibung Rom, 1, 2, 1838, p. 544, n. 1; Th. SCHREIBER, Museo Torlonia in Trastevere, in ArchZeit, 37, 1879,p. 66; C-L. Visconmi, 1 Monumenti del Museo Torlonia, Roma 1885, p. 372 s. n. 506, tav. CXXIX; GNoL 1971,p. 96, nota 3; C. GasrarRi, Materialiper servire allo studio del Museo Torlonia di scultura antica, in MemAccLincei, 8, 24,2, 1980, p. 215 s. n. 506; Gnout 1988, p. 120, nota 3; C. Gasmarnı, La collection d'antiques du Cardinal Ferdinand, in La Villa Médicis, Il, Rome 1991, p. 460, nota 74, p. 483, nota 167; ID, in J marmi antichi di Ferdinando. Modelli e scelte di un grande collezionista, in Villa Medici. Il sogno di un Cardinale. Collezioni e artisti di Ferdinando de’ Medici, a cura di M. Hochmann, Roma. 1999, pp. 53, 172, fig. 11
Disegni: = Anonimo, veduta della Loggia dei leoni a Villa Medici (metà del XVII secolo), Valence, Musée des Beaux-Arts (La Filla Médicis, I, Rome 1991, p. 349, fig. 6; p. 459, fig. 13); — STEFANO DELLA BELLA, veduta della Loggia dei leoni a Villa Medici (metà del XVII secolo), Philadelphia, Museum of Art, inv.n. 1978-70-81 (La Filla Médicis, II, Rome 1991,p. 472, fig. 39); — PA. PA, veduta dell’emiciclo di Villa Albani (1770-1774), Besancon, Bibliothèque Municipale, col. Paris, vol. 480,n. 55 (GARMS 1995, II, 1.71).
Stampe: — GF. Vexrurna, Villa Medici, facciata orientale (1684), acquaforte (Carsocht, PAOLETTI 2002, fig. 136) 1.81 Luogo di conservazione: Roma, Palazzo Pallavicini-Rospigliosi, Direzione Coltivatori Diretti, sala delle conferenze, inv n. 126. Luogo di provenienza: ignoto. Vasca in verde antico; inserto in africano; supporto in porfido rosso. Vasca: diam. cm 173-4; circonf. (subito sotto il labbro) cm 523; raggio cm 90; h. cm 42 circa. Supporto h. cm 65; circonf. sup. cm 224; circonf. inf. cm 279. Inserto: h. cm 16. La vasca presenta una lunga linea di frattura dal labbro fino al centro e due altre fratture intersecantisi, con un tassello rettangolare in verde antico. Tre tasselli circolari chiudono tre fori, di cui uno più grande è stato realizzato (probabilmente in età antica) quasi al centro e due ai lati, più piccoli e irregolari, realizzati (forse in età moderna) verosimilmente per far passare i tubi per l'arrivo c il ricambio dell'acqua. La superficie della vasca è ben levigata © non reca tracce di incrostazioni di calcare. Il supporto presenta la superficie del piano superiore sbozzata, per farla meglio aderire al fondo della vasca. Un grande tassello di restauro, in porfido, è stato posto in alto nel supporto, dal nastro superiore alla gola sottostante: in questo tassello la superficie superiore è ben levigata, a differenza della parte originale lasciata grezza; piccole scheggiature interessano i bordi del nastro di restauro. Il supporto presenta varie scheggiature e rare fratture sul nastro superiore e sul listello inferiore; le fratturc sono state otturate con stucco rosato. 272
15. Emiciclo di Villa Albani, P. A. PARIS, Besancon, Bibl. Munic., 1770-74 (da Gas 1995, II, L 71),
La vasca, di medie dimensioni, presenta un labbro leggermente arcuato superiormente, con un incurvamento a becco anteriore; un guscio segna il passaggio alla parete, la cui dolce inclinazione continua, più leggera, anche sul fondo, che non è piatto La forma, piuttosto chiusa e molto capiente, si pud ascrivere al tipo IV a conca. Dal fondo si staccano (sempre in un unico blocco di verde antico con il corpo della vasca) un breve disco sporgente, dai lati leggermente inclinati, e un alto disco più piccolo, concentrico, dal profilo a cavetto: si tratta del tenone da inserire nell'originario supporto. Tra il fondo della vasca e il supporto è stato posto un elemento di unione in africano, composto da una fascia di base, un listellino, una scozia, un listello e un toro, aggettanti. Il supporto (S. 15), antico, è del tipo I b, stretto da un tondino sottile, che separa il calice inferiore, fortemente rastremato, da quello superiore, molto breve. Il fusto è incorniciato inferiormente da un toro di base e da un listellino, mentre superiormente si conclude con un alto listello sporgente. Il Ficoroni, nel 1744, ricorda che nella Galleria Rospigliosi si conservava una conca circolare "del più bel verde antico”, di palmi ventidue di circonferenza. Anche il Corsi, nel 1845, menziona una "grande e rarissima tazza di verde antico del diametro di palmi 8”; nella ristampa a cura di Caterina Napoleone il pezzo viene datato al IIFIV secolo d.C. Bibliografia: FicoRONI 1744, I, p. 191; Const 1845, p. 300; GnoLi 1971,p. 55; Delle pietre antiche. I trattato sui marmi romani di Faustino Corsi, a cura di C. NAPOLEONE, Milano 2001, figo. 90-1 273
1.82 Luogo di conservazione: Leptis Magna, terme di Adriano. Luogo di provenienza: in sit. Fior di pesco. Largh, max. em 48; h. em 29,5; bordo largh, cm 6; spess. parete cm 8-9, Foro passante: diam, cm4. Resta solo un grosso frammento dal bordo al centro; sulla linca di frattura è presente un incasso (em 8,5 x 3 x 1,2) per grappa di restauro.
Si tratta di un grosso frammento di una vasca del tipo III a catino. La parete termina con un bordo leggermente arcuato, sulla cui parte anteriore & incisa l'iscrizione dedicatoria, mutila (h. lettere cm 5-6): [Js Geta aedfilis) ex mulifis—] Sul fondo esterno è stato lasciato un piano circolare (diam. cm 31) non levigato, lavorato a subbia, per permettere una migliore adesione al piano superiore del supporto. Un foro passante per la canaletta di approvvigionamento è presente al centro. Il labrum è stato realizzato da un edile con i proventi delle multe. Il cognomen Geta è piuttosto frequente tra i privati di Leptis, come testimoniano alcune iscrizioni dedicatorie di età severiana26, che ricordano un Marcus Calpurnius Geta Attianus, un Cornelius Geta e un Pompeius Geta, quest’ultimo autore, insieme alla moglie, di una dedica in memoria del figlio su una base riutilizzata in un muro tardo della palestra delle terme di Adriano. Anche per il labrum si può proporre una datazione in età severiana264, periodo in cui è documentato a Leptis l'utilizzo del fior di pesco. Il riesame dell'iscrizione dedicatoria delle terme di Adriano, ha permesso di abbassare la datazione del completamento dei lavori al 137 d.C. Esse subirono una radicale ristrutturazione in età commodiana?% e forse ulteriori modifiche in età severiana. Bibliografia: R. BARTOCCINI, Le Terme di Lepcis, Mon. Aft Ital, IV, Bergamo 1929, p. 96; 1M. Revnotps, JB. Warp Perkins, The Inscriptions of Roman Tripolitania, n. 597; MawpeRscuEID 1994,p. 197 s., n. 86 1.83
Luogo di conservazione: Myloi (Eubea), eave nel distretto di Kylindri Luogo di provenienza: in situ. Cipollino grigi. Diam. cm 275; largh. max con le bugne cm 350; h. max della part visibile cm 45; spess. del labbro cm 50. La vasca è quasi completamente interrata, emerge il solo labbro. 263 ReyoLDs, WARD PERKINS, in bibl, an. 90, 402, 419 (dedica a Marco Aurelio), 433, 592, 607, 649, 364 1| Bartoccini (in bibl) afferma che la forma della lettera S è quella tipica dell'epoca dei Severi 265 1C. Fant, IRT 794b and the Building History of the Hadrianic Baths at Lepcis Magna, in ZPE, LXXV, 1988, p. 291 ss. tav. IX b; G. Dr Vita Évraro, Lepcis Magna: contribution à la terminologie des thermes, in Les thermes romains 1991, p. 35 ss. 274
La vasca circolare è semilavorata, presenta l'interno in parte scavato. Il labbro è estroflesso, con fascia anteriore piatta e ampia incurvatura del bordo superiore; la superficie appare ben lisciata. Due ampie bugne parallelepide si staccano dal labbro, sopraelevandosi in alto e sporgendo lateralmente; probabilmente vi si dovevano ricavare le anse. Kozelj considera la vasca di Myloi come un bacino per contenere l’acqua necessaria a raffreddare il metallo dopo la fusione e il martellamento degli utensili da lavoro danneggiati, che venivano riparati negli ateliers presenti presso le cave. Alcuni dei bacini esaminati da Kozelj erano destinati a contenere piccoli focolari per la fusione degli attrezzi rovinati, mentre altri erano delle riserve d’acqua per il raffreddamento degli stessi. Il bacino in esame, pero, per la forma perfettamente circolare e la presenza di un labbro, sembrerebbe più pertinente alla classe dei labra, che a quella dei bacini per la lavorazione o riparazione degli utensili di cava, i quali si caratterizzano per forme più irregolari
Bibliografia: T. KoztL,, Les carrieres des époques grecque, romaine et byzantine, in LC. Fant (ed), Ancient Marble Quarrying and Trade, in BAR, Int. Series 453, 1988, p. 7, tav 4, n.3 1.84
Luogo di conservazione: Ercolano, terme del Foro (VI 1-10), sezione maschile, apodyteLuogo di provenienza: insit Vasca e supporto in ipollino. H. tot. cm 94. Vasca: diam. cm 122; circonf. cm 384; h. cm 27. Supporto: h cm 65; circonf. max capitello cm 158; circonf. max base cm 180 La vasca presenta numerose fratture e scheggiature. Una frattura percorre anche la base del supporto, Uno strato di incrostazioni calcare ricopre le parti estere del labrum e pare del support. Labrum del tipo IV a conca, profonda e capiente, con fondo piatto c largo e labbro appena estroflesso, composto da una fascia anteriore piatta e un bordo superiore anch'esso completamente appiattito; l'incontro tra esso e la parete incurvata interna forma uno spigolo acuto, vivo. Non c'è foro sul fondo. Il supporto (S. 59), del tipo I b, rastremato, & stretto a tre quarti dell'altezza da un anello, che separa il calice inferiore, terminante in un disco circolare e in un listello, digradanti, da quello breve superiore, formato da un collarino svasato, sormontato da una gola diritta e da due listelli digradanti TI labrum è stato posto nella nicchia incavata sul lato breve nord-orientale delVapodyterium della sezione maschile; esso serviva ad effettuare le abluzioni preliminari prima di entrare nelle sale interne del bagno. Tl supporto in muratura di forma oblunga (cm 197 x 147) inserito in una nicchia incassata nel lato breve sud-occidentale del caldarium (H) della sezione femminile c il supporto circolare (diam. cm 212) in muratura nella schola labri del caldarium (D) della sezione maschile testimoniano che due altri Jabra, di notevoli dimensioni, si trovavano nelle terme del Foro, datate in età cesariana o giulio-claudia; essi furono rimossi probabilmente in epoca borbonica. Bibliografia: DE Vos 1982,p. 297; PAGANO 1997, p. 42. 275
L. 85 Luogo di conservazione: Ercolano, terme Suburbane, caldarium, schola labri. Luogo di provenienza: in situ Vasca e supporto in cipollino. Labrum: diam. cm 141; circonf. cm 444;h. em 23; prof. em 19. Sostegno: h. tot. cm 69. Fusto: h. em 55; circonf. max capitellocm 149. Base: h. cm 16; circonf. max cm 171. Plinto: h. em 9; largh. lato cm 59,5. Il labrum è stato ricomposto da dieci pezzi; numerose scheggiature interessano il labbro. Supporto lievemente scheggiato; una lunga frattura è presente in alto, in corrispondenza del capitello; un’ampia rottura interessa la base; la superficie presenta incrostazioni calcaree, soprattutto sulla base. Una frattura percorre orizzontalmente il plinto.
Labrum del tipo II a bacile, di grandi dimensioni, con fondo piatto e largo. I labbro estroflesso si caratterizza per la fascia piatta anteriore e il bordo superiore anch'esso piatto e liscio. L’interno non presenta né ombelico né foro. L'alimentazione idrica avveniva dall'esterno: il tubo di adduzione fuoriesce dalla parete, al di sotto della finestra del caldarium, terminando con una maschera a testa di lupo? posta sopra il bacino. II sostegno (S. 60), del tipo IT b, è composto di tre parti separate: il plinto quadrangolare, la base, il fusto rastremato, liscio, unito al coronamento. La base presenta ‘un toro, un listello, una scozia, un toro, tra due listelli e infine una gola diritta. Il coronamento si compone di un listello, una gola diritta e un listello. La vasca, posta nell'abside, la cosiddetta schola labri, sul lato breve orientale del caldarium, serviva per rapide abluzioni di acqua fredda; il rifornimento dell'acqua avveniva tramite il secondo tronco della fistula, la quale si biforcava prima di immettersi nel praefurnium in due tronchi: uno si immetteva nella caldaia, il secondo, invece, le girava attorno dall'estero e serviva ad aggiungere acqua fredda all'acqua bollente e ad alimentare il labrum per le abluzioni rinfrescanti, fuoriuscendo con la bocca a testa di lupo? Al di sopra della fontana si trova una doppia finestra rettangolare, che ancora conserva resti dei doppi infissi di legno e degli spessi vetri. AI momento dell'eruzione la finestra si frantumò e la vasca fu sospinta in avanti; la sua impronta nel tufo vulcanico è tuttora visibile nel luogo di ritrovamento: in essa sono inseriti i frantumi del vetro della finestra. Le pareti del caldarium recano una splendida decorazione in stucco con motivi architettonici fantastici a rilievo di IV stile. Il supporto, fino a poco tempo fa sostituito da una base con quattro sostegni metallici, è stato recentemente ricollocato in situ. Le terme Suburbane furono costruite per legato del senatore di età augustea M. Nonio Balbo, proconsole di Creta e Cirene e patrono della città di Ercolano, il quale abitava nella sontuosa casa del Rilievo di Telefo, eretta al di sopra delle terme. Fu proprio questo personaggio o uno dei suoi discendenti ad aprire le terme al pubblico, dopo 266 Pagano 1997, fig. ap. 33. La testa di lupo, ora nel magazzino archeologico di Ercolano, ta sostituita con una copia. Sugli sbocchi di fontana in bronzo a testa di pantera, di lupo o di altri animali, a maschera silenica, di Oceano o con più complessi gruppi scultorei, oltre alla bibliografia citata in nota 291 del paragrafo Prototipi c funzioni, si vedano: NEUERBURG 1965, p.97 ss; TALAMO, art. cit a nota 291, p. 169 ss, nn. 7, 8, 9, 10: sbocchi in bronzo in testa di pantera c di lupo, alcuni provenienti dal ninfeo di via G. Lanza. 267 Cosi anche PAGANO 1997, in bib. 268 PAPPALARDO, MANDERSCHEID, in bibl, p. 182. 276
averle scorporate dalla casa sovrastante. La costruzione dell'edificio in opera reticolata si dovrebbe datare in epoca augustea o giulio-claudia; i restauri alle strutture murarie e il rifacimento della decorazione parietale di quarto stile avvennero nella prima età flavia, in seguito alle distruzioni causate dal terremoto del 62 d.C29. Le terme Suburbane, certo allacciate all'acquedotto urbano, si distinguono dalle altre terme vesuviane, per l'impianto più lussuoso, con l'innovativa piscina calida con il samovar, e la concezione architettonica, che si rifà ad una progettualità colta, di stampo urbano, Bibliografia: Pagano 1997,p. 33, fig. ap. 32; U. PAPPALARDO, H. MANDERSCHEID, Le Terme Suburbane di Ercolano. archiettura, gestione idrica e sistema di riscaldamento, in RivStPomp, TX, 1998, p. 182, figg. 22; U. ParraLARDO, The Suburban Baths of Herculaneum, in Roman Baths and Bathing 1999, p. 237, fig. 11 L.86 Luogo di conservazione: Ostia antica, via dei Vigili (Reg. Il Is. I, 4) Luogo di provenienza: la vasca, che non è conservata in situ, potrebbe provenire o dalle terme sotto la via dei Vigili o dalle vicine terme di Nettuno. Cipollino. Diam. max cm 230, ricostruibile cm 240; raggio em 120; h. em 75. Manca il supporto; numerose scheggiature lungo il bordo del bacino. La superficie è completemente incrostata di grigio, con licheni. La vasca è interessata da un'ampia lacuna sul fondo c su parte della parete, restaurata già in antico come attestano gli incassi per otto grappe a coda di rondine. La vasca in parte è interrata.
Labrum del tipo I a vasca: le pareti, dall’ampio fondo piatto, si incurvano gradatamente verso l’alto, terminando con un labbro estroflesso, con superficie superiore appiattita (larga cm 14) e il nastro anteriore liscio (h. cm 3,5). Al centro del fondo è stato praticato un foro passante (diam. cm 9). Nel volume curato dalla Ricciardi la vasca è datata ipoteticamente nell’età di Claudio. La vasca si trova all’incrocio tra via dei Vigili e via della Palestra. Sotto il livello adrianco della strada si conserva un mosaico precedente, pertinente ad un edificio termale dell'età di Tiberio o di Claudio?" si tratta delle più antiche terme note archeologicamente a Ostia, approvvigionate dal primo acquedotto, costruito probabilmente sotto Tiberio. Queste terme furono abolite nell'età domizianea e sostituite dalle terme sottostanti a quelle di Nettuno. Queste ultime furono costruite per volere di Adriano, inaugurate sotto Antonino Pio, nel 139 d.C. e restaurate nel tardo II e nel IV secolo. La caserma dei Vigili fu eretta tra l'età traianca e l'inizio di quella adrianea?”!. Se la vasca in esame appartenesse realmente alle terme sotto 269 Sulle terme Suburbane di Ercolano, da ultimo: PAPPALARDO, in Bil, p. 229 s. con bibl. rec 270 avout 1983, p. 57-58; MEIGS 1960, p. 406; J. DELAINE, Building activy in Ostia second century A.D., in Ostia e Portus 2002, p. 62 s. 771 Su via dei Vigili e sulla caserma dei Vigil: L. PASCHETTO, Ostia colonia romana, Storia e Monumenti, DissPontAccRomArcheologia,X, 2, 1912, p. 285 ss; D. VaguERI, in NSc 1912, p. 204 s. 277
la via dei Vigili, la si potrebbe datare tra l'età tiberiana e quella claudia e considerarla uno dei più antichi esemplari in ambito urbano e ostiense, ma non si può escludere una pertinenza alle terme di Nettuno, con un conseguente abbassamento cronologico al II secolo d.C. Bibliografia: Mercos 1960,p. 406; Ricciarpi, Scamanı 1996, II, p. 59,n. 52, figg. 91, 92. L.87
Luogo di conservazione: Ostia antica, piazzale fuori Porta Marina, cortile porticato dell’edificio tardo con aula decorata in opus sectile (Reg. Mf, Is. VII, 8). Luogo di provenienza: la vasca non è precisamente in situ; in origine, comunque, era probabilmente in uno degli ambiente dell’edificio??? Cipollino. Diam. est. cm 155, int. cm 121; circonf- cm 492 ; h. cm 45. Alcune fratture sono presenti lungo il bordo; una grossa scheggia è stata riattaccata. Bordo interno cementati in vari punti con calce. Due grappe metalliche, cementate, sono visibili sulla parete esterna, in corrispondenza di una frattura e della scheggia sul bordo. Vasca circolare, non finita, su supporto cilindrico, forse un rocchio di colonna, non pertinente, di riutilizzo. Il bacino, non finito, è di forma piuttosto chiusa, a conca (tipo IV), con pareti gradatamente incurvantisi verso l’alto, senza stacco netto dal fondo, € quasi verticali nella parte alta. Al di sotto del bordo (a cm 7) è segnato un solco sulla parete esterna, che doveva segnare il limite inferiore del labbro, che a lavorazione ultimata doveva risultare del tipo consueto, estroflesso. Sul bordo superiore si conserva una sigla di cava (h. cm 6, 5):-R- LIII. La R barrata in mezzo sta per recensitum, cioè indica che il pezzo è stato controllato. Le pareti, sia all’interno che all'esterno, sono soltanto sbozzate: la vasca è rimasta semilavorata nel IV stadio, con forme ben definite, superfici semirifinite a subbia grande all'esterno, a subbia ‘media nelle pareti interne e a subbia grande sul fondo. Il fondo interno, molto largo e poco profondo perché non del tutto scavato, presenta nel mezzo un cerchio rialzato, con al centro un foro da cui fuoriesce una fistula moderna, attualmente chiusa. Un'altra fistula modema corre all’esterno, lungo il profilo della vasca, alla cui parete è tenuta aderente con il cemento; la fistula sbocca all'interno della vasca al di sotto del bordo superiore. Questa fistula esterna, quella interna e gli interventi di restauro in cemento e con grappe indicano che la vasca in età moderna è stata riutilizzata a scopo decorativo, ponendovi sotto il supporto cilindrico e collocandola presso l'ingresso, attualmente chiuso, lungo la strada per Fiumicino; la vasca non è probabilmente in situ, sebbene si possa supporre che provenga comunque da un ambiente dell’edificio con opus sectile. La fontana è definita dalla Ricciardi d’uso privato-collegiale ed è datata in età tarda: IV-V secolo d.C. La vasca in esame e quella in pavonazzetto (L. 61) erano state riunite, insieme ad altro materiale (fusti di colonne, sei blocchi di marmo numidico, dei quali due con 772 TI decumanus maximus termina davanti all’ingresso colonnato del complesso edilizio fuori Porta Morina, con aula decorata in opus sectile. Su questo complesso e sull’ opus sectile si veda la nota 94 dei paragrafo Sistemi produttivi e committenza. 278
iscrizioni dell’eta domizianea e del 132 d.C2”, un blocco anepigrafe in granito del Foro? e quattro sostegni di bacino: S. 32, 53, 54, 69, tutti in marmi colorati), nell'edificio fuori Porta Marina per essere utilizzate nel suo arredo?7*. Molto probabil‘mente tutti questi pezzi furono presi dai depositi dello scalo marmorario di Porto, nei quali ancora in epoca tardo-antica si conservava un gran numero di manufatti semilavorati e di blocchi di cava, estratti in età precedente e importati ad Ostia, dove rimasero inutilizzati per diversi secoli. I! numero di sostegni di bacini rinvenuti nell’area (quattro) possono far pensare ad una doppia destinazione, in quanto nell'edificio sono stati rinvenuti solo due bacini (L. 61, 87). Bibliografia: Baccını LeotarDi 1979, pp. 25, 28, nn. 82, 85; PENSABENE 1994,p. 157, n. 112, fig. 193; Ricciarp, Scrinanı 1996, Il, p. 112, n. 104, fig. 195. 88
Luogo di conservazione: Ostia antica, Thermopolium sulla via di Dian, inv. n. 1239 (provvisorio) Luogo provenienza: probabilmente dal Thermopolium. Cipollino. Largh. max cm 29; h. max em 30. Labbro: h. cm 2,5; spess. cm 7. Si conserva un frammento della vasca, comprendente un tratto del bordo e della parete incurvata. Frammento di una vasca, con parte del labbro estroflesso, composto di una fascia anteriore liscia e un bordo superiore piatto, c della parete incurvata. Le superfici sono completamente lisciate. L’opera in origine doveva essere di medie dimensioni € probabilmente del tipo a vasca (I L'edificio si data nel III secolo 4.C.276, Bibliografia: inedito. 1.89 Luogo di conservazione: Roma, Antiquarium del Celio. Luogo di provenienza: di questa vasca, così come dell'opera in granito grigio, probabile cli peo o mola?7, e degli altri blocchi, fusti, capitelli e basi semilavorati conservati nell'Antiquarium del Celio, si ignora la provenienza, ma si può ipotizzare che facessero parte di depositi della Marmorata, lungo il Tevere?'*, ivi conservati,nello stadio di sbozzatura e semilavorazione, dopo essere giunti a Roma dalle cave di estrazione.
273 Pensapene 1994,p. 107,n. 44, fig. 129. 274 Pevsaene 1994, p. 137, n.105, fig.192; Marmi colorati 2002, p. 526 ss, n. 285 (M. Bruno), 275 PENSABENE 1994, p. 156. 276 Mricos 1960, p. 428. 277 PENSABENE 1994, pp. 196 5,200, n. 15. 278 PENSABENE 1994,p. 196 279
Cipollino. Diam. max cm 101; circonf. cm 340; b. cm 60; diam. del disco di appoggio cm 35; spess. del disco em 2. Tntegro.
Si tratta di una vasca di forma emisferica, sbozzata esternamente a colpi di subbia. Lo scavo dell'interno appare appena iniziato (terzo stadio di lavorazione). Il fondo esterno presenta un rialzo in forma di bottone leggermente sporgente. Probabilmente l’opera finita, per la forma emisferica, avrebbe assunto l'aspetto o del tipo a catino (UN) o a conca (IV), entrambe forme chiuse e profonde. Bibliografia: PENSABENE 1994, pp. 196, 200, n.9. L.90 Luogo di conservazione: Roma, Museo Barracco, edificio romano, attualmente posto su un blocco di travertino di fronte all'odierno ingresso della cripta. Luogo di provenienza: il labrum fu scoperto durante gli scavi del 1899, effettuati sotto il cinquecentesco Palazzo Le Roy, poi Regis-Linotte, attuale sede del Museo. Cipollino. Diam. em 71 circa; h. cm 29. Si conserva circa metà dell'opera, con parte del fondo, delle pareti e del labbro, Macchie nerastre di cemento all'interno. Un foro circolare passante (diametro cm 10), in posizione decentrata, è stato otturato. Il fondo, all'esterno, è stato in parte ribassato, scalpcllandolo rozzamente.
La vasca, di piccole dimensioni, presenta una forma singolare: per le misure, il labbro, la capienza c l’incurvatura delle pareti si avvicina al tipo della conca (IV), da cui però si distacca per lo schiacciamento della parte inferiore e per la cornice modanata che corre a metà altezza, nel punto di massima espansione del corpo, ed è composta di un toro c un listellino. Tale corniceè ignota ai labra riuniti in questa raccolta, ad eccezione della vasca porfiretica di Palazzo Pitti, che presenta un listello aggettante a del mitare la fascia al di sotto del labbro, probabilmente dovuto ad una rilavorazione moderna. II labbro si presenta del tipo a toro, cioè a profilo arrotondato sul davanti e leggermente schiacciato superiormente; un listello corre al di sotto di esso. La vaschetta è stata rinvenuta nel complesso edilizio di età romana, scoperto nel dicembre del 1899, sotto il Palazzetto della Famesina in via dei Baullari, durante i lavori di restauro dell’edificio. Alla profondità di m 4 sotto l'attuale livello stradale, si scoprirono due lati incompleti di un cortile porticato, alcune lastre della pavimentazione e parte degli ambienti che su tale peristilio si aprivano?” Vi si riconoscono quattro fasi costruttive: alla fase più antica appartengono duc brevi tratti di un muro in laterizio, rasati, e una parte della pavimentazione ancora in situ, composta da lastre di 279 G. Garni, Notizie di recenti trovamenti di antichità in Roma e nel suburbio, in BullCom, 1899, p. 257 s; C. PierranoEtI, Il Museo Barracco nella “Farnesina ai Baullari”, in Capitolium, 23, 1948, p. 143; A.M. Coumi, Notiziario di scavi e scoperte in Roma e Suburbio. 1946-1960, in BullCom, 90, 1985, p. 375; da ultimo: Cimino, Le PERA, in DibL, p. 84 ss. tavi IIL, figg. 66-76. 280
marmo bianco. Pertinente a questa prima fase è il bacino quadrangolare (cm 97,5 x 87), in marmo bianco, inserito nel pavimento originario, di cui mantiene l'orientamento e Ja quota: esso probabilmente costituiva il bacino di raccolta delle acque ricadenti dal labrum in esame. Il bacino presenta al centro un foro regolare (diametro em 10) per il passaggio della canaletta di afflusso, che attraverso il supporto, purtroppo disperso, ma del quale rimane la traccia circolare (diametro cm 64) sul piano d'appoggio rozzamente scalpellato, giungeva alla vaschetta, la cui bocca per lo zampillo si apriva probabilmente proprio nel foro un po” decentrato, attualmente richiuso, dello stesso diametro di quello del bacino di raccolta. Questo bacino, delimitato da una parete (h. esterna em 13) con bordo sagomato, conteneva le acque fuoriuscenti dal labrum; l'eccesso veniva convogliato in un condotto di deflusso, attraverso un incavo praticato nella parete meridionale del bacino. Alla seconda fase appartengono i due lati incompleti del portico, con sei colonne di reimpiego ed intercolumni chiusi da bassi tramezzi in opus vittatum, decorati con affreschi e opus sectile, e gli ambienti che su di esso si affacciano, con pavimentazione in opus sectile. In un momento successivo all'impianto del peristilio, fu addossata ad uno dei tramezzi sul lato meridionale esterno la vasca di tipo A. II su supporti non pertinent), Le ultime vicende dell’edificio sono legate alla trasformazione d'uso, testimoniata dalla mensa ponderaria, addossata al secondo tramezzo dell’ambulacro meridionale del portico, e dal muro in opus vittatum. 11 complesso edilizio venne inizialmente connesso dal Marucchi e dallo Hülsen con gli stabula factionis prasinae, in particolare con le “stalle” della factio prasina®®!, mentre altri lo identificarono con una ricca casa romana di età tarda2®2, Più recentemente è stato genericamente attribuito ad un edificio pubblico™®, Il recente restauro dell'area ha permesso di evidenziare le varie fasi costruttive e di avanzare alcune ipotesi interpretative. Per la fase più antica, è probabile che la grande area scoperta, con il labrum in esame, fosse pertinente al vasto comprensorio degli stabula delle quattro più antiche fazioni del circo, ormai comunemente individuato in questa zona del Campo Marzio. Nella seconda fase si inserì in quest’area scoperta il peristilio, con gli ambienti annessi, quasi interamente edificati con materiali di spoglio: i marmi policromi e gli affreschi degli intercolumni tramezzati permettono una datazione intorno alla seconda metà del IV secolo d.C. In quest’epoca la zona fu interessata da una riorganizzazione, che permise la privatizzazione di molti edifici pubblici: l’area, un tempo occupata dagli stabula della fazione prasina, divenne forse pro250 Cano, Le PERA, in bibl, p. 116, fig. 83. Si ricorda anche la vaschetta rinvenuta nello stesso sito: AMBROO! 1995,p. 101 s,A. IL 21. 281 Su questa identificazione con gli stabula: O. MARUCCHI, in DissPontAccRomArcheologia, Il 7, 1900,p.417 s; PIETRANGELI, art. a nota 279,p. 143; il Tomassettinon è d'accordo con la pertinenza di questi ambienti agli stabula: G. Towassern, Scoperte recenti nel Palazzetto della Farnesina in via dei Baular, in BullCom, 28, 1900, p. 333 5; incerto è il Marchetti Longhi: G. MarcHert Lovom, Stabula factionum, in MenAceLincei, XVI, 1922, p. 166, fig, 47. Da ultimo si veda: Ciano, LE PERA, in bibl, p.98, note 70-75. 282 Lanciani2° cd, I, p. 268 s.; LANCIA 22 ed. I p. 16. 283 H. Mietsc#, Gli afreschi della Farnesina ai Baullari in Affreschi romani dalle raccolte dell'Antiquarium Comunale, Roma 1976, p. 49; F. CoaReLUI, Il Campo Marzio Occidentale. Storia e Topografia, în MEFRA, 89, 2, 1977, p. 840, nota 81; ID., Guida di Roma, Roma 1980, p. 249. 281
prietà del padre di papa Damaso (366-384)?%, il quale effettivamente costruì la sua Basilica nell’area degli stabula factionis prasinae, sfruttando edifici precedenti, divenuti probabilmente di proprietà paterna. È, quindi, possibile che la seconda fase del complesso con peristilio, identificabile come peristilio di una domus, sia attribuibile alla fase edilizia damasiana. Nelle fasi successive avvenne un cambiamento d'uso dell'edificio, forse a scopi commerciali, come l'inserimento della vasca c della mensa ponderaria testimoniano, ma di cui non si può definire la cronologia. TI labrum, appartenendo probabilmente alla prima fase edilizia del complesso, va datato antecedentemente alla seconda metà del IV secolo d.C. (II fase), sebbene la singolare articolazione del profilo faccia sorgere qualche dubbio sull'antichità dell'opera Bibliografia: M.G. Cio, S. Le Pera, Museo Barracco. Storia dell'edificio, Roma 1995, pp. 89, nota 48, 117, fi. 66, 69. 1.91 Luogo di conservazione: Roma, Villa Torlonia, già Albani, inv. n. 114; precedentemente usata come fontana nella Loggia del Bigliardo. Luogo di provenienza: ignoto. Vasca in cipollino; supporto in marmo grigio. Vasca: diam. em 113;h. tot. cm 108; h. cm 24, Supporto: h. cm 63; Buono stato di conservazione. I due plinti di base sono moderni. il supporto non è pertinente.
Vasca con ampio fondo piatto, da cui si stacca la ripida curvatura delle pareti, che terminano superiormente in un labbro arcuato, appena evidenziato (tipo II a bacile). Il supporto (S. 106), non pertinente, è del tipo II b, rastremato; la base è costituita da un alto toro e da un listello. Bibliografia: MORCELLI,op. cit. (L. 39), 1785,n. 253; MorCELLI, FEA, op. cit (L. 39), 1803, n. 243; Cost 1845, 3° ed, p. 312; MonceLLI, FEA, Visconti, op. cit. (L. 39), 1869,n. 114; Villa Albani, 1, 1990, p. 367, n. 258, tav. 256 (C. Gaspare). 92-101 Luogo di conservazione: Lesbo, cave nel distreto di Moria. Luogo di provenienza: in situ Marmo bigio di Lesbo. 92) h. cm 50; spess. labbro cm 9,5. 93) diam. cm 180; h. em 55; spess. labbro cm 15. 94) diam. est, em 90, diam. int. cm 63; h. cm 27; spess. labbro cm 12. 95) diam. cm 66;h. cm 28, 96) diam. circonferenza incisa cm 58,5; h. cm 24; largh. max. cm 80. 97) diam. cm 94; h. em 26; spess. labbro cm 11. 98) diam. sup. em 60; h. cm 24; spess. labbro cm 11. 99) diam. bacino cm 63;h. em 63; spess. labbro cm 8,5. 100) s.m. 101) diam. em 62; h. em 20; spess. labbro em 8. 284 Su questa ipotesi: Chino, LE PERA, in bibl, p. 100, note 93-97, con bibl. prec. 282
92) visibile per circa un terzo. 93) manca un quarto delle pareti del bacino, fratturatosi lungo una venatura bianca. 94) integro. 95) integro. 96) integro. 97) integro. 98) integro. 99) integro. 100) integro. 101) integro.
Si tratta di dieci labra sbozzati, abbandonati nel luogo di estrazione. Essi testimoniano tutte le fasi di lavorazione (quattro stadi) cui venivano sottoposti i bacini direttamente. in cava, prima di essere trasportati nei luoghi di destinazione, dove erano rifiniti. La sola sbozzatura della superficie estera a colpi di subbia grande per conferire la forma arrotondata è ben visibile nei bacini L. 92, 93, 95, 98, 99, 100. La concavità interna veniva scavata in un secondo momento: i bacini L. 95 e 96 presentano il piano superiore non ancora scavato, rozzamente spianato a colpi di subbia; sul piano è incisa la circonferenza corrispondente al contomo estemo del labbro. Nei bacini L. 92, 93, 94, 97, 98, 99, 100 T'interno è stato già incavato; L. 93 presenta la sporgenza rilevata dell’ombelico. Il piano orizzontale del labbro è lavorato a colpi di subbia grande, inferti verticalmente, in modo da picchiettare la superficie, ed è limitato lungo il bordo interno con una linea di subbia continuo, da cui inizia la concavità interna, realizzata con lunghi colpi di subbia, diagonaJi in corrispondenza delle pareti; nel fondo sono visibili e strisce arcuate c irregolari rese a subbia piccola. Il n. 100 conserva ancora i segni del piccone. Il centro del bacino n. 93 presenta un rialzo circolare piatto, ribassato rispetto al labbro di circa cm 12; la rottura Tungo la venatura del marmo deve essere stata la causa dell’interruzione del lavoro. Lo stato di semilavorazione impedisce di definire con certezza la tipologia dei labra nello stadio finale di lavorazione: probabilmente essi sarebbero appartenuti al tipo TII a catino. Bibliografia: PrxsaBene 19985, p. 180 ss., nn. 2, 19, 20, 28 bis, 35, 36, 101, 103, 134, 202, tav 5, 1-2; 6, 1-6; 7, 14. L. 102 Luogo di conservazione: Sabratha, Museo Punico. Luogo di provenienza: dagli scavi, Marmo bigio. Diam. cm 66,5: h. em 15; spess. bordo cm 4,5. Scheggiature lungo il bordo; un tratto della parete ricurva è ricomposto da vari frammenti
Si tratta di una vasca tonda del tipo V a coppa, privo di labbro sporgente, con parete ricurva, terminante in un bordo piatto, c fondo piatto di media ampiezza. Lungo il bordo superiore è incisa l'iscrizione frammentaria e di lettura incerta, con probabile dedica a Saturno, il cui nome è accompagnato dall'appellativo di dominus, frequentemente riscontrato in Africa per questa divinità? L'interno della vasca, non ancora levigato, presenta, al di sotto del bordo, incise in modo rozzo e in grandi dimensioni le seguenti lettere, sigle di cava, forse un numero di produzione: XCIX. Bibliografia: inedito. 285 Sull'appellativo dominus di Saturno, che, sebbene non sia il più frequente, risulta il più importante:M. LEGLAY, Saturne African. Histoire, Paris 1966,p. 124 s., nota2. 283
L. 103
Luogo di conservazione: Pompei, casa dei Vett (VI, XV, 1), peristilio. Labrum nell’angolo nord-est (a destra dell'ingresso): inv. n. 58764 (vasca) - 58776 (supporto) Luogo di provenienza: in situ. Vasca in bigio di Lesbo. Supporto in lunense. Vasca: diam. cm 54; circonf. cm 170; h. cm 15. Supporto: h. cm 62 circa. La vascaè sata ricomposta da numerosi frammenti Labrum del tipo V a coppa, a forma aperta, senza labbro estroflesso; il bordo è breve; le pareti si incurvano dolcemente verso l'alto, fino ad arrivare, formando un arco, al bordo, tagliato piatto superiormente e anteriormente a listello diritto, non sporgente. II supporto (S. 212) è del tipo I a, con linguette nell'attacco delle scanalature doriche; la base ha un plinto circolare a fascia e un toro. I calice superiore, molto breve, svasato, è separato dal fusto con un anello a tondino e si conclude in una fascia piatta Nella vasca in esame c in quella L. 123 della casa dei Vetti i supporti non armonizzano perfettamente con i bacini; lo stesso succede in L. 156 e 157, nei quali, sebbene il marmo del supporto sia dello stesso tipo di quello del bacino, l'aspetto è ben diverso. Il bacino in esame e il supporto sono in marmi diversi lesbio e lunense. Nessun altro giardino conservato ha così tante fontane e sculture omamentali come il giardino nel peristilio della casa dei Ver: i getti d'acqua sprigionati da una dozzina di statue (se ne conservano nove) su piedistalli, collocate negli intercolumni del portico, si riversano in otto bacini su alti piedi, posti presso la canaletta di scolo che corre lungo i quattro lati del giardino. La sistemazione attuale di tutti gli elementi d’arredo del peristilio è quella originale. 1 bacini agli angoli sono rotondi (se ne conservano tre; di quello dell'angolo sud-est il bacino è perduto, resta solo il supporto), mentre quelli che sono posti al centro di ciascun lato sono rettangolari (del tipo A. II); un labrum è al centro. Le due statue, poste all'estremità settentrionale ad alimentare un bacino rettangolare, sono in bronzo e raffigurano due giovani nudi, con papere e grappoli nelle mani; le altre statue sono marmoree (due sono perdute; una è a Parigi; quattro sono state rubate © ritrovate in frammenti). Il bacino tondo meridionale è alimentato da due erme marmoree bifronti: una con Sileno c Baccante, l’altra con Dioniso e Arianna. Oltre a queste dodici fontane con statue e vasche, ci sono due piccole fontane con bacino basso, rettangolare, e zampillo semplice in una, conico nell’altra, all’interno del giardino. Ricchi arredi sono, inoltre, presenti tra le colonne: tre tavoli marmorei, di cui due circolari e uno rettangolare. L'impianto idrico, con le sue condutture, è perfettamente conservato ed ancora utilizzato. Le fontane scaricano nella canaletta di scolo, che raccoglie anche l’acqua piovana dal tetto. Questa ricca varietà di sculture da giardino, pur essendo di media qualità, è tipica del gusto della classe dei ricchi commercianti degli ultimi anni di vita della città. T proprietari della casa, i fratelli liberti, A. Vettius Restitutus e A. Vettius Conviva, infatti, erano homines novi di quel periodo. È stato sottolineato dagli studiosi come questa ricca mobilia da giardino costituisca un interessante modello dell’ostentazione della ricchezza e del lusso: riempiti di fontane, piante, sculture e altri oggetti marmorei, ad imitazione dei giardini di ville e parchi, i piccoli giardini delle domus pompeiane assumono un carattere rappresentativo, celebrativo del proprietario, la cui ricchezza e importanza sociale si manifestava anche utilizzando vari tipi di marmi non statua284
126, La recente campionatura dei marmi utilizzati negli arredi del peristlio27 ha rilevato che il tipo di marmo costitui un criterio importante nella sistemazione delle opere e che tale sistemazione probabilmente sia stata dettata da una volontà consapevole di riunire un'ampia varietà di marmi bianchi e grigi: pentelico e Paros 2 soprattutto, ma anche lunense (bianco e bardiglio), tasio, lesbio grigio e proconnesio. La varietà dei marmi utilizzati è un’esplicita dichiarazione di lusso: il marmo lunense era diventato abbastanza economico e facilmente reperibile in età tardo-neroniana/inizio-flavia a Pompei, perciò i Vetti si vollero distinguere preferendo altri tipi di bianchi. Da ciò deriva il presupposto che i Romani colti dell’epoca fossero in grado di distinguere le varietà dei marmi bianchi. I Ver, comunque, non erano abbastanza ricchi e potenti da poter ottenere i nuovi marmi policromi, popolari nella contemporanea architettura ufficiale di Roma. La casa si caratterizza per un impianto originario a due atri, che risale ad età più antica. L'abitazione fu ristrutturata forse in occasione dell'acquisto da parte dei Vetti, intorno alla metà del I secolo d.C.; fu poi ulteriormente rinnovata dopo il terremoto del 62d C28. Bibliografia: PERNICE 1932,p. 47, n. 5; MCKAY 1975,p. 56 ss., tav. 22, fig.21; JASHEMSKI 1979,p. 35, figg. 54, 56, 57, 58; RICHARDSONjr. 1988,p. 326; Jasuemski 1993,p. 153 ss. figg. 166, 173; Lazzanint 2002,p. 309 ss., nn. 9-10, figg. 2, 4, 5. L.104 Luogo di conservazione: Pompei, magazzino del Foro, inv. n. 39579. Luogo di provenienza: dagli scavi. Labrum in matmo bigio di Lesbo; supporto in cipollino. Vasca: diam. cm 60; circonf. cm 189; h. cm 20. Supporto: b. tot. cm. 76; circonf. inf. cm 67. Rare scheggiature sul labbro della vasca; il supporto presenta in alto un'ampia rottura.
La vasca, di piccole dimensioni, è del tipo chiuso, a conca (IV), con labbro estroflesso, formato da una fascia anteriore piatta c bordo superiore anch'esso appiattito; il passaggio tra questo e la parete interna è smussata ad arco. Il fondo è piatto c piuttosto largo, le pareti ripidamente incurvate. Manca il foro di alimentazione. II supporto (S. 63), in marmo diverso, è probabilmente non pertinente: esso risulta evidentemente troppo grande ed alto per la piccola e stretta vaschetta. È del tipo Il b, rastremato, delimitato inferiormente da un plinto quadrangolare, una gola diritta e un istello; superiormente da un cavetto c un listello. ibliografía: inedito.
286 Sulle sculture da giardino e sul gusto sfarzoso, rappresentativo del peristilio della casa dei Vetti: JR. CLarKe, The Houses of Roman Italy 100B. C.-A. D. 250. Ritual, Space and Decoration, Berkeley, Los Angeles, Oxford 1991, p. 208 ss; P. ZANKER, Pompei. Società immagini urbane e forme dell'abitare, Torino 1993, pp. 184ss 208ss. Ip. Pompeii Public and Private Life, Cambridge Mass., London 1998, p. 191 s; LAZZARINt 2002, p. 309. 287 LAZZARINI 2002,p. 309 ss. 285 RICHARDSON jr. 1988, p. 324 ss. 285
L.105 Luogo di conservazione: Roma, Museo Nazionale Romano, Sala 5, inv. n. 361 Luogo di provenienza: Roma, rinvenuta nel 1885 nelle fondazioni del Teatro Drammatico Nazionale, in via IV Novembre. Bigio morato. Diam. cm 108, Ricomposta da vari frammenti. Non pertinente la basetta in fior di pesco.
Piccola vasca in forma di elegante bacile (tipo II). All’interno presenta profonde scanalature, che partono dal centro e vanno ad allargarsi verso l'esterno. Il labbro, leggermente estroflesso, è composto anteriormente di due tondini sovrapposti, dai quali si staccano sei piccole protomi leonine, forate, da cui fuoriusciva l'acqua. La vasca non presenta fori per canalette d’approvvigionamento: evidentemente l'immissione dell'acqua doveva essere esterna Due confronti per la forma della vasca con teste ferine, come bocche di scenografico deflusso dell’acqua, li abbiamo con la vasca dei Ceii e con quella alla Gliptoteca di Copenhagen, sebbene in entrambi i casi le protomi di animali siano di maggiori dimensioni. Due vasche su treppiedi, conservate al Louvre, presentano teste lconine, da cui scorreva fuori l’acqua: una vasca, in mamo, proviene da Villa Adriana e presenta le protomi sotto l'orlo; l'altra, in marmo rosso, reca un kyma ionico sul labbro e baceellature2®. Ambedue si datano al II secolo d.C. Secondo la Paris la nostra vasca si può datare in età adrianea, quando venne ampiamente usato il marmo bigio morato.
Bibliografia: R. LaNcia Ancient 1888,Ron., p. 299;R.1, PaRIBENt, n. $90; AURIGENMA,op. cit (L. 66), n.Rome,n, Sl; London Mus. Naz. 1979, Hi,op.p. i.128,(L. n.63),92 (Panis). L. 106
Luogo di conservazione: Verona, piazza delle Erbe, r lizzata nella fontana di Madonna Verona. Luogo di provenienza: il Gramaccini genericamente afferma che la vasca proviene dalle terme romane. Come perla vasca nella Basilica di S. Zeno (L. 11), a tradizione sostiene una provenienza dalla piazza del Duomo. Rosso ammonitico di Verona?®. H. della vasca cm 27; h de labbro cm 8; spess. del bordo superiore cm 28 Superficie completamente incrostata di uno spesso strato di calcare. Una fascia piatta di metallo, attualmente anch'essa completamente incrostata, circoscrive l'intera vasca, el di sotto dl labbro. Fratur e restauri sembrano interessare la superficie. I supporto, incrosta10, sembrerebbe antico c pertinente nella pate superiore, fino al di sotto del toro inferiore; Ja parte inferiore è moderna 289 GusMan, II, tav. 169; I, tav. 2. 290 Lo spesso strato di incrostazioni di calcare rende difficile la lettura del materiale; in alcuni brevi tratti velati da un più sottile strato di calcare si può riconoscere il rosso di Verona. Si tratterebbe, invece, di porfido secondo Marchini, e di granito, secondo Gramaccini 286
L'opera, di grandi dimensioni, & del I tipo a vasca, con fondo piatto molto ampio, da cui si stacca la parete, che si incurva appena verso il labbro, estroflesso, leggermente arrotondato anteriormente € piatto superiormente. TI supporto (S. 81), antico nella parte superiore, è del tipo IV b, a rocchetto. Si compone dall'alto di una fascia, un toro, un listello rientrante, un guscio e un toro minore, da cui si stacca il cilindro inferiore rotto. La parte al di sotto, moderna, presenta il corpo cilindrico, completato da una base modanata, composta di una gola, una risega e un listello. La vasca è stata riutilizzata nella fontana detta di Madonna Verona, costruita al centro di piazza delle Erbe, nel sito in cui si è ipotizzato fosse l'antico Foro romano®!; si è già detto della funzione di centro politico, amministrativo e commerciale che assunse in età comunale piazza delle Erbe, ricalcando quindi le antiche funzioni della sottostante piazza romana. Durante il principato di Cansignorio (1359-1375) venne eretta, nel 1368, la fontana di Madonna Verona, probabile opera di Bonino da Campione, il quale utilizzò la conca e la statua femminile antica, detta popolarmente “Madonna Verona”, in quanto la tradizione, già dal XIV secolo vi vedeva la personificazione della città. La statua forse proveniva proprio dall'area del Foro e del Capitolium, dove dovevano essere disposti statue, altari e basi onorarie e votive; in occasione del riutilizzo le vennero rifatte le braccia e la testa. Secondo una diffusa tradizione la scultura sarebbe quella ricordata in un" epigrafe2®? datata nel 379 d.C., menzionante una statua proveniente dal Campidoglio ed innalzata nel Foro durante l'impero di Graziano, Valentiniano e Teodosio, secondo alcuni in occasione della visita di Graziano in luglio e agosto, ad Aquileia, a Milano e verosimilmente anche a Verona; mentre secondo altri per l’espressione dell’epigrafe "beatitudine temporum" sarebbe meglio pensare all’indulgentia debitorum seu tributorum concessa nello stesso anno. Un'altra tradizione sostiene che la statua provenisse dalla facciata del teatro. Sulle vicende riguardanti la risistemazione ad opera del Cansignorio di piazza delle Erbe, si rimanda alla scheda relativa alla vasca nella Basilica di S. Zeno (L. 11). La tradizione sostiene che dalla zona di piazza del Duomo provenissero due vasche monolitiche in porfido rosso”, di cui una in piazza delle Erbe e l'altra nella Chiesa di S. Zeno. Nella piazza del Duomo si era voluto ipotizzare, in base ai rinvenimenti archeologici della fine dell’800, l'esistenza di un grande complesso termale, ma secondo studi più recenti i dati raccolti durante gli scavi di fine secolo possono essere meglio interpretati supponendo che la zona fosse anticamente occupata da un quartiere residenziale, con ville, giardini e bagni privati e anche con piccoli templi?%. Bibliografia: Franzoni, op. cit. (L. 11), p. 110 ss.; Purm, op. cit. (L. 11), p. 13 ss. (GP. Marcin),p. 53s. (G.P. MarcHma), p. 171 ss. figg. 70, 117(F. ZULIAN}), p. 240 (P. BRUGNOLI),
291 Sul riconoscimento del sito dell’antico Foro nell'attuale piazza delle Erbe, con alcu ne variazioni: P. MARCONI, Verona Romana, Verona 1937, p. 76; G.P. Marcnmi, Verona Romana, c F. ZuLIANI, La città comunale, in L. PUPPI, op. cit. (L. 11), p. 54, nota 235; p. 195, con bibl. prec.; G. CAVALIER! MANASSE, Nuove indagini nell'area del Foro di Verona (Scavi 1989-1994), in AntAltoAdriatiche, XLII, 1995,p. 241 ss.; M. BOLLA, Archeologia a Verona, Milano 2000, p. 39 ss. 32 CIL, V 3332. 233 MARCHINI,art. cit a nota 291,p. 53. 294 Sugli scavi egli studi riguardanti la zona di piazza del Duomo: MARCH, ar. cit a nota 291,p. 53 ss, con bibl. prec 287
fig. 175 (E. Concia), p. 345 ss, figg, 198, 204, 210 (G. Borzuu); P. MARTON, Verona, München 1991, pp. 14, 31, tav. 80; GrAMACcINI 1997, p. 231 ss.
Stampe: = G.B. Meco, piazza delle Erbe, su disegno di Pırrro Mictiti, 1671 (MARTON, in bibl, fig. ap. 14); G. Moore, litografia di piazza delle Erbe, su disegno di DoweNICO QuaGLIO, 1845, (Makro, in bibl, ig. ap. 31); P. Licozzi, pianta di Verona, 1620, particolare con piazza delle Erbe, Biblioteca Civica Verona, Sez Stampe (MARCHINI, in Purr, in bibl fig. 70); ~ P. Licozzı, Pianta di Verona, piazza delle Erbe, Bibl.Civ. Verona (Boat, in Pur, in bibl, fig. 198); È. Framsorn, Pianta di Verona, 1648, particolare del centro con piazza delle Tbe, Bibl Civ. Verona (BorELLI, in Pupryjn bil, fg. 204; = P. Micureu, pianta di Verona, 1671, particolare del centro con piazza delle Erbe, Bibl.Civ:Verona (Bonet, n Pure, in bil, ig. 210) L.107 Luogo di conservazione: Efeso, Plataia Koressos, strada del teatro, presso un edificio absidato. Luogo di provenienza: forse sia questo bacino che l'altro conservato nella Chiesa di S. Maria (L. 56) provengono da una delle grandi terme di Efeso; la Dorl-Klingenschmid lo inserisce tra i Jabra pertinenti a ninfei in Asia Minore e lo cita insieme agli esemplari di Perge (L. 112) e Ura/Olba (L. 182); in effetti ad Efeso sono presenti i resti di numerose fontane e ninfei monumentali. Il bacino in esame, detto «fonte battesimale di S. Giovanni», fu ritrovato nelle rovine situate tra la biblioteca ¢ la collina dello stadio da un iato e il teatro c il porto dall'altro; è stato messo in relazione con l’edificio absidato posto più a sud, datato nel V o VI secolo, in cui si conserva una pittura di S. Giovanni. L'edificio aveva forse Ta funzione di Chiesa proto-bizantina, anche se non si può escludere un utilizzo profano. Secondo il Keil la vasca non aveva rapporti con l’edificio absidato, ma apparteneva in origine al cortile del ginnasio. In ctà bizantina il bacino fu posto sulla strada, la Plataia Koressos, conducente dallo stadio al teatro. Dori-Klingenschmid cita questo labrum tra quelli pertinenti a ninfe, attestati in Asia Minore. Breccia corallina. Diam. cm 478; h. cm 95. Ombelico: diam. int. em 200; diam. est. em 263. Si conservano circa due terzi della vasca; il labbro è scheggiato in vari punti e fortemente abraso; varie fratture percorrono il pezzo; la superficieè ricoperta di incrostazioni c funghi
L’opera è del I tipo a vasca, di dimensioni monumentali, con fondo largo e piatto, da cui si staccano le brevi pareti incurvate, che si concludono in un labbro estroflesso, dal profilo arrotondato. L’interno cavo, poco profondo, è occupatoda un ampio ombelico, in forma di un grande clipeo, sopraelevato, leggermente affossato al centro. Il fondo esterno presenta un tenone sporgente, circolare, per permettere l’incastro con il corrispondente incavo del supporto. Se si accetta la funzione di Chiesa dell’edificio absidato, si può ipotizzare la pertinenza del grande bacino marmoreo, riutilizzato come fonte battesimale. Bibliografia: J. KriL, in 0/4, 1926, p. 262; ScHERRER, op. ci. (L. 56), p. 166, 184; Dont Kumeuscu 2001, p. 112,fig. 72 b. 295 DorL-KLINGENSCHMID 2001, p. 178 ss, nn. 15-31 288
L. 108 Luogo di conservazione: Assisi, Sacro Conventodi S. Francesco, presso la portineria. Luogo di provevienza: ignoto. Breccia corallina. Diam. cm 180 cirea; h. cm 43. ‘Una grande lacuna triangolare della parete è stata restaurata inserendo due frammenti in calcare grezzo, uniti con stucco e tenuti con due grappe metalliche. Il labbro presenta alcuni punti restaurati e rare sbrecciature. Tre cannule in metallo sono state inserit in età moder‘na al di sotto del labbro, così come la cannula dirita al centro dell'invaso. Forte deposito di calcare all'interno, al di sotto del labbro.
Si tratta di un labrum di medie dimensioni del tipo 1 a vasca, con labbro arrotondato e appena estroflesso; dall’incavo inferiore parte la forte curvatura della parete, graduale e costante, fino al fondo piatto, breve. All’interno il fondo è liscio, privo dei bottone rilevato. La vasca è poggiata su un supporto, non antico, composto di due elementi: uno superiore (b. cm 65) in pietra locale (pietra rosa del Subasio), rovesciato, composto di un toro, di un corpo cilindrico svasato e di un’alta base abbombata, incorniciata superiormente e inferiormente da due listelli sporgenti. Al di sotto si sovrappongono due tronchi cilindrici, rastremati, in pietra grigia. La vasca è stata riutilizzata come fontana, ponendola sui due supporti, e issandola al centro di un bacino di raccolta in blocchetti parallelepipedi di pietra rosa del Subasio. II riutilizzo è successivo alla costruzione della Basilica inferiore: 1230. Probabilmente in questa occasione è stato realizzato il supporto in pietra rosa. Bibliografia: inedito. L. 109 Luogo di conservazione: Roma, Palazzo dei Conservatori, sala dei Capitani, inv. n. 2836. Luogo di provenienza: ignoto. Breccia corallina. Diam. cm 140,8; circonf. cm 442; h. cm 31 ca. La vasca frammentata è stata restaurata, probabilmente in età moderna: della parte antica si conservano sei frammenti di varie dimensioni, riassemblati e completati in breccia corallina.
Si tratta di una vasca frammentata, ricomposta con sei frammenti originali, integrati. La vasca, del II tipo a bacile, presenta un labbro leggermente estroflesso, incurvato superiormente, segnato anteriormente con una rientranza, sottolineata da una incisione, che corre al di sotto del bordo. L’interno della vasca è ricoperto di gesso; sembrerebbe esserci nel mezzo un ombelico rilevato, che all'esterno corrisponde ad una parte di restauro in breccia. Il sostegno è moderno. Bibliografia: Marmi antichi 1989, p. 167, fig. 22 c. 289
1.110 Luogo di consevazione: Napoli, Museo Archcologico, magazzino. Luogo di provenienza: probabilmente dall'arca vesuviana. Breccia di Sciro. Diam. cm 126; h. cm 25. Ricomposta da numerosi frammenti tenuti insiemeda grappe metalliche, di cui alcune sono state tolte, riempiendo gli spazi vuoti con cemento.
Labrum del tipo II a bacile, il labbro è appena sporgente con breve listello anteriore piatto e fascia superiore liscia, appiattita. L’interno è privo di ombelico e di fori. Bibliografia: inedito. L.111 Luogo di conservazione: Ostia antica, terme del Filosofo. Luogo di provenienza: non in situ, proveniente dagli scavi Breccia di Sciro. Diam. tot. cm 67; h. cm 19; spess della parete cm 8. Si conserva circa metà della vasca; lacunosa la zona del labbro un ulteriore ribassamento si nota ad un'estremità dell'intero.
Si tratta di una vasca di piccole dimensioni, non finita (quarto stadio): le pareti sia all'esterno che all'interno sono sgrossate con la subbia grande; sul bordo superiore piatto, ribassato con colpi di subbia piccola inferti perpendicolarmente, è stato inciso un solco che definisce la circonferenza interna del bacino: si tratta dei segni di preparazione per approfondire e lisciare la cavità interna. Un bottone rialzato è presente sul fondo esterno della vasca. La vasca appare poco profonda: finita avrebbe dovuto appartenere al tipo a coppa (V), verosimilmente senza labbro estroflesso. Il livello di lavorazione di questo labrum è fermo alla prima fase di preparazione del blocco, eseguita usualmente ancora in cava: la sua presenza ad Ostia farebbe pensare al prelievo dai depositi ostiensi di un blocco grezzo, lavorato sin dalle prime fasi nella Marmorata di Ostia Bibliografia: inedito. 1.112 Luogo di conservazione: Perge, via Colonnata, nei pressi del ninfeo munumentale (F3) alle pendici meridionali dell'acropoli. Luogo di provenienza: in situ. Marmo rosa brecciato locale. Diam. cm 158; h. cm 43; spess. del labbro cm 8; diam. del disco centralecm 79, Bordo lacunoso in alcuni tratti; presenti alcune fratture. Superficie interna consunta,
La vasca è del tipo a bacino (VI), senza labbro estroflesso, con bordo superiore piatto L'ampio fondo piano presenta all'interno il disco tondo rilevato, composto da due scudi concentrici, di cui quello centrale in maggior rilievo; all’esterno del disco si nota un foro. 290
Il ninfeo F3 di Perge? è datato dalla Dorl-Klingenschmid in età adrianea, basandosi sull'apparato scultoreo, di cui fanno parte due statue di Adriano; lo Strocka lo data in età tardo-adrianea, mentre il Mansel propone una cronologia più bassa, nell'età di Caracalla, prendendo spunto dall'iscrizione di Aurelius Seilanus Neronianus, che in realtà si riferisce ad un restauro tardo dell’edificio. 1I labrum, quindi, può essere datato in età adrianea. Bibliografia: Dori-KLmceNscHMI 2001,p. 228 s, fig. 72 a. 1.113 Luogo di conservazione: Eretria, giardino del Museo. Luogo di provenienza: ignoto. Breccia locale di Eretria Misure non rilevabili Si conservano due terzi della vasca; superficie consunta.
Vasca tonda semilavorata (III stadio): l’intero è cavato; le superfici esterne ed interne sono rozzamente lavorate con il piccone e la subbia grande. Bibliografia: inedito 114 Luogo di conservazione: Amphipolis, Basilica A. Luogo di provenienza: in situ? Marmo grigio, Spess. del bordo cm 8-10. Si conserva un solo frammento.
Piccolo frammento di un labrum, di grandi dimensioni, con parete abbastanza spessa e con incurvatura della parete interna. Bibliografia: inedito L. 115 Luogo di conservazione: Chiragan, villa romana nel sud-ovest della Francia, pianura di Martres-Tolosanes (limite estremo della Narbonense). Luogo di provenienza: in siu. Marmo grigio italico (lunense grigio?) Diam. circa cm 100. 296 Sul ninfeo F3: A.M. ManseL, Die Nimphaeen von Perge, in Inst Mitt, 25, 1975, p. 367 ss, in part. p. 369 ss. tav. 69, 1; 70, 1; VIM. Srrocka, Das Marktior von Milet, 128 BWPr, 1981, p. 39, fig. 69; Dorı-KuingenscHND 2001, p. 228 s.n. 85. 291
Rimangono due frammenti, Restano tracce del fuoco che ha sbiancato il colore del marmo Goulin),
Si tratta di due frammenti di un labrum con scanalature, che si diramano dal ci colo di base, costituito da un anello in rilievo, fino al bordo aggettante del labbro estroflesso. Le scanalature presentano una doppia bordura e una disposizione a raggiera.
Bibliografia: ML. Jouum, Les Éiablsenents Gallo-romains de la plaine de MartresTolosanes Pais 1901 p. 5 s, mn. $182, v. VII, TW. Porret-A.C. KING (ed), Excavations at the Mola di Monte Gelato, Arch. Monographs Br School at Rome, 11, Roma 1997, p.211 L. 116 Luogo di conservazione: Dion, Museo, giardino, catasta di marmi. Luogo di provenienza: ignota, ma si può ipotizzare una pertinenza alla cosiddetta villa di Dioniso, Marmo bianco-grigiastro. Diam. max cm 75; largh. max em 40. Rimane un grosso frammento.
Si conserva un frammento di un labrum di medie dimensioni, del tipo II a bacile, comprendente meno della metà della vasca. Il labbro, appena estroflesso, si compone dei bordo superiore piatto (largh. cm 5) e della fascia anteriore, anch'essa piatta (h. cm 2,5). Bibliografia: inedito 1.17 Luogo di conservazione: Dion, Museo, giardino, catasta di marmi. Luogo di provenienza: ignoto, ma si può ipotizzare, come per il procendente frammento, una pertinenza alla cosiddetta villa di Dioniso. Marmo grigio con venature bianche. Raggio max cm 74; largh. max cm 65, Rimane uno spicchio del labrum.
Si tratta di un frammento di un labrum di medie dimensioni, del tipo Il a bacile, con labbro composto di un bordo superiore piatto (largh. cm 4) e di una fascia anteriore piatta (cm 1,7), appena sporgente dalla parete. La superficie esterna è lasciata grezza, lavorata a subbia. Bibliografia: inedito. L. 118
Luogo di conservazione: Dion, Museo, portichetto occidentale. Luogo di provenienza: Dion, probabilmente dalle Grandi Terme, Marmo grigio venato, a cristalli medio-grandi: forse di ambito regionale (Pangeo?). Diam. to. cm 150; h. cm 34; largh, bordo sup. cm 6; diam dell'ombelico cm 50. Lacunoso il labbro; completamente abraso superiormente l'ombelico. 292
Labrum del V tipo a coppa, del tutto simile a quello in marmo bianco al piano terra del Museo di Dion (L. 133), per i quali, vista la somiglianza, & ipotizzabile la medesima provenienza. Anche in questo il labbro, non estroflesso, termina in modo singolare, ma simile a quello dell’opera gemella: il bordo superiore, qui completamente appiattito, è percorso da un solco, che divide la fascia in due anelli concentrici. All'interno è scolpito il consueto ombelico con largo bottone, abraso, circondato da una gola rovescia e un toro. Bibliografia: inedito. L. 119
Luogo di conservazione: Messene, fontana di Arsinoe. Luogo di provenienza: in siu. Marmo bianco-grigio a cristalli medi, di provenienza peloponnesiaca (probabilmente dalla penisola di Mani). Diam. cm 210; spess. delle pareti cm 14; diam. dell’ombelico cm 60. Mutilo di uno spicchio, a fianco del finale della canaleta. Una frattura taglia quasi a met i labrum. Labrum del tipo VI a bacino, con fondo largo, pareti brevi, terminanti in un bordo dal profilo appena arcuato. All'interno, sul fondo, si stacca un ombelico tondo composto da una comice a fascia piatta e una cupola schiacciata, concentriche. Un foro passante (diam. cm 4), perfettamente circolare è stato decentrato al lato dell’ ombelico. I labrum si trova alla fine di una canaletta marmorea, che delimita il fianco orientale della fontana monumentale (lungh. m. 40), costruita nell’agorà di Messene, ad occidente della stoà settentrionale e ad est del teatro. Tra la terminazione della canaletta c la vasca, che si trova ad un livello più basso, è stato inserito, già in antico, un tratto in muratura di raccordo; la vasca è collocata su un podio in muratura. In questa fontana si può riconoscere quella menzionata da Pausania”, denominata di Arsinoe, figlia di Leucippo: essa era alimentata dalla sorgente Klepsydra. Gli scavi, effettuati a partire dal 1958, hanno messo in luce i resti di un’esedra semicircolare e di un colonnato dorico, pertinente alla facciata monumentale, ascrivibili alla prima fase edilizia della fine del III secolo a.C. La fontana fu distrutta nel I secolo d.C., tra l'età tiberiana e quella neroniana; la ricostruzione avvenne, come testimonia l'iscrizione incisa sul piedistallo rettangolare, in età neroniana, La terza e ultima fase si caratterizza per l'inserimento di due podi rettangolari, simmetricamente aggettanti alle estremità delle ali, e si può datare alla fine del III secolo d.C., in base al rinvenimento di una moneta di Diocleziano®®. La vasca tonda si trova in corrispondenza del podio di S-E: è probabile che in origine fosse collocata sopra questo podio, ivi posta, però, in collocazione secondaria, essendo più probabilmente pertinente alla fase precedente, neroniana, poi rimessa in opera in età dioclezianea. 297 Puis, IV3.6. 298 Sulla fontana di Arsinoe: PG. TucmeLis, in Praktika, 147, 1992, p. 79 ss; 148, 1993, p. 69 ss. 149, 1994,p. 70 ss; 150, 1995, p. 56 ss. 151,1996,p. 149 ss,fig. 6; 152, 1997,p. 89 S; Ip. Archaia Messene, Athena 1999, p. 54 ss.; EAA, suppl. II, s. v. Messene, p. 631 s. con bibi. prec. (P. TueMeLIS) 293
Bibliografia: PG. THEweLis, in Praktika, 148, 1993, p. 71, tav. 44; DoRL-KLINGENSCHMID 2001,p. 112, nota 525. L.120
Luogo di conservazione: Mileto, agorà grande, tra porta n. 11 e ninfeo (dietro la sol, presso la fontana monumentale). Luogo di provenienza: dagli scavi dell’agorà Marmo grigio venato di Eraclea. Diam. cm 163;h. cm 32; diam. dell'ombelico cm 48. Si conserva metà vasca, in parte interrata, con altri frammenti sparsi intorno. Un ampio canale con un affossamento finale si è formato sl fondo, intorno all'ombelico. L'identificazione del tipo di labrum è reso difficile dal cattivo stato di conservazione e dal parziale interramento di ciò che rimane: sembrerebbe una vasca del tipo IN a catino, per la curvatura interna delle pareti, che terminano in un bordo appiatti-
to; sul fondo, al centro si solleva un ombelico cilindrico, schiacciato superiormente.
Le pareti esterne sono lavorate a subbia; le superfici interne sono ripassate a gradina, ma non ancora levigate.
Bibliografia: inedito. 1.121
Luogo di conservazione: Olimpia, terme di Kladeos. Luogo di provenienza: in situ Marmo bianco-grigio venato del Peloponneso (?) Lungh. max. em 74; largh. max. em 71; spess, cm 11-18. Si conservano due frammenti, pertinent al fondo e alle pareti, manca labbro. Rimane l'ncavo a fascia di una grappa metallica perduta. Dai due frammenti si può ricostruire una vasca di medie dimensioni, essendo la lunghezza massima meno della metà dell'opera integra. L'incurvatura delle pareti appare lieve, ad arco di cerchio molto ampio; lo stacco dal fondo non è netto; non c'è alcun accenno ad un ombelico. È difficile stabilire il tipo: dall’ampiezza del fondo, dall’apertura delle pareti se ne può ipotizzare uno molto aperto, probabilmente il I tipo a vasca. Bibliografia: inedito. 1.122 Luogodi conservazione: Priene, Chiesetta bizantina, navata centrale, inv. n. K 95. Luogodi provenienza: ignoto. La collocazione nella chiesaè probabilmente secondaria. Manno leggermente grigiastro, a grana media, locale: dalla cava di monte Mikale. Lungh. max cm 89; largh. max cm 76; spess. della parete cm 10. Rimane solo un grosso frammento della vasca. 294
Si tratta del frammento di una vasca con pareti leggermente incurvate e labbro ‘appena estroflesso, con superficie piatta superiormente e listello aggettante anteriore dai bordi smussati. Rimane un tratto dell’ombelico centrale, del tipo consueto, con anello dal bordo esterno rigonfio e bottone intero ricurvo. La vasca integra poteva ‘appartenere al tipo IV a conca. Bibliografia: inedito. L. 123
Luogo di conservazione: Pompei, casa dei letti (VI, XV, 1), peristilio. Labrum nell'angolo nord-ovest (a destra del lato di fondo): inv. n. 58770 (supporto)-58771 (vasca). Luogo di provenienza: in situ. Vasca e supporto in bardiglio. H. tot. em 82. Vasca: diam. cm. 62; circonf, cm 195; h. em 16. Supporto: h. cm 66; circonf. sup. em 51; circonf, cm 53. Plinto: b. cm 7; largh. lato cm 24. Incrostazioni calcaree rivestono le superfici; rare scheggiature sul bordo; rotto un angolo del plinto.
Labrum del tipo a conca (IV), di forma emisferica, con bordo breve e labbro estroflesso a fascia piatta. Il supporto (S. 98) è del tipo II b, con il plinto, lavorato a parte, consistente in uno zoccolo quadrangolare su cui si imposta un anello a gola diritta. La. base del supporto presenta un semplice listello in aggetto; il coronamento & composto di una gola diritta, sormontata da un breve listello e da una fascia liscia. Il bacino è pertinente al supporto, inserito dal Pernice nel primo gruppo 2 a. Bibliografia: MCKAY 1975,p. 56 ss., tav. 22, fig. 21; Jasutskt 1979, p. 35, figg. 54, 56, 57, 58; RICHARDSONjr. 1988, p. 326; JASHEMSKI 1993,p. 153 ss, fing. 166, 173; LAZZARINI 2002,p. 309 ss., n.8, figg. 2, 4, 1.124 Luogo di conservazione: Pompei, magazzino del Foro, inv. n. 39578. Luogo di provenienza: dagli scavi. Vasca e supporto in bardiglio (2). Labrum: diam. cm 97; circonf. cm 303; h. cm 19. Supporto: h. cm 59. La vasca è ricomposta da veri pezzi, riuniti con grappe metalliche e un'integrazione in cemento. Il supporto presenta varie fratture sulla base.
11 labrum è del tipo II a bacile, con fondo piatto e largo e con labbro estroflesso formato da una fascia anteriore piatta e un bordo superiore appiattito, ricurvo nel punto di incontro con la parete esterna. Non sono presenti fori. Il supporto (S. 99) è del tipo II a, con ventiquattro scanalature di tipo dorico, separate da dorsi acuti sottilissimi dalla sezione arrotondata; la base è a disco circolare. Un collarino liscio divide la superficie scanalata dal coronamento; quest’ultimo è composto da un cavetto e una fascia liscia. Bibliografia: inedito 295
1.125
Luogo di conservazione: Pompei, terme del Foro, giardino palestra. Luogo di provenienza: i siti? Vasca in badigtio(). Supporto in cipollino. Pinto in marmo bianco (unense?) Vasca: diam. cm 101; circonf. m 318:h. cm 25. Supporto: h. cm 67; circont, sup. cm 76; circonf, inf. cm 91. Pinto: h. cm 10; largh. Ito cm 56. La vascaè ricomposta da var pezzi riuniti da grappe metalliche e da integrazioni La vasca è del II tipo a bacile, con fondo piatto e largo, pareti arcuate verso il labbro estroflesso, composto di una fascia anteriore piatta e un bordo superiore arcuato gradatamente verso l'intero. Il supporto (S. 64) è del tipo II b, incorniciato in basso cinalto da due listelli digradanti, di maggiori dimensioni quelli esterni. A parte è lavorato il plinto quadrangolare, con anello a gola diritta, entro cui si innesta la base del sostegno. Eschebach sostiene che la palestra fu ornata dal labrum nella fase costruttiva medio-augustea delle terme del Foro. La Jashemski sottolinea la funzione di giardino della palestra di queste terme; il labrum che si suppone sia stato trovato li, in realtà non è menzionato in alcun resoconto. Bibliografia: JAStEMSK! 1979,p. 164, fig. 248; ESCHEBACK 1991,p. 281 1.126 Luogo di conservazione: Pompei, terme Stabiane (VII, I, 8), caldarium femminile. Luogo di provenienza: in situ Materiale di difficile lettura, essendo la superficie molto dilavata ed ancora ricoperta di intonaco: sembrerebbe trattarsi di marmo grigio (lunensc?)?®. H. tot. cm 88. Vasca: diam. cm 215; circonf. cm 678; h. cm 23. Basamento: h. cm 65; diam. em 193; circonf. cm 581. La superficie interna è molto incrostata; il bordo è dilavato e con numerose scheggiature; due grappe metalliche antiche sono visibile sul bordo.
1I labrum è del tipo a bacino (VI), caratteristico degli ambienti termali: presenta il fondo molto largo e completamente piatto c le pareti che salgono quasi verticali verso il bordo, piatto e privo di labbro estroflesso. All'interno del bacino si notano tre incavi circolari (diam. cm 4,5, prof. mm 2) forse per il posizionamento di un'alzata. Al centro del bacino fuoriesce la terminazione della cannula di bronzo di approvvigionamento (diam. cm 4,6-9,6; h. em 1,8), mentre un canale ad anello, concentrico al bordo ed interrotto sul lato di fondo, risulta incavato rispetto al piano del labrum. Il labrum in esame si trova sul lato di fondo del caldarium femminile, privo di abside e a pianta rettangolare, con copertura a botte c una finestra rettangolare al di sopra del bacino. Esso poggia su un ampio basamento cilindrico, realizzato in muratura di laterizi; il rivestimento ad intonaco ricopre il sostegno e due terzi della parete estema del labrum. 259 Secondo Eschebach, Michaelis, Minervini si tratterebbe di “basalto” 296
Le terme Stabiane sono le più antiche di Pompei*®®: la prima fase edilizia, comprendente il pozzo, le piccole celle con vaschette, una cisterna e probabilmente una latrina, potrebbe risalire addirittura alla fine del IV secolo a.C., quando servivano come bagno per gli atleti che frequentavano l'attigua palestra trapezoidale. L'impianto generale risale, invece, al II secolo a.C., al momento della pianificazione urbanistica dell'intera. Pompei, quando il complesso venne trasformato in bagno pubblico, con settori maschile * femminile. L'iscrizione menzionante un restauro, avvenuto poco dopo la fondazione della colonia romana, rivela che nell'80 a.C. il grosso del complesso do il piano attuale. Dei lav ancora in corso al momento dell'eruzione, sebbene la sezione femminile già funzionasse; pitture e stucchi di quarto stile appaiono ultimati. Come nelle terme del Foro, l'originario (dei primi anni della colonia sillana) laconicum (bagni di aria calda e secca) nella. sezione maschile venne trasformato in un secondo momento in un frigidarium. ‘Una pittura del caldarium femminile, eseguita da F. Gigante, al Museo Nazionale di S. Martino a Napoli, raffigura il labrum in esame?! Un supporto in muratura è presente nella schola labri del caldarium maschile delle stesse terme, testimoniando l'esistenza di un altro labrum, dello stesso tipo di quello in esome??: il supporto, di forma cilindrica è realizzato con blocchetti parallelepipedi di pietrae intonacato; misura nel diametro superiore cm 230, mentre in quello inferiore cm 257. Bibliografia: G. Mineavini, Notizia de' più recenti scavi di Pompei, in BullArchNapoletano, n. S. IV, 1856, p. 164;A. MichAELIS, Die neuen Bäder in Pompeji, in ArchZeitung, 17, 1859, p.32, tav. CXXIV, E; Sauassı 1954, fig, 83; Escuenach 1977, figg. 3 à, 6a, 13; EscutmAci 1979, pp. 14 s, 44, tavv. 20 a-b,21 b-c, 47 b, 49 a; De Vos 1982,p. 201; RICHARDSONjr. 1988,p. 101 L. 127-128
Luogo di conservazione: Poggio di Settefineste, villa. L. 127: in una cella dei nuovi alloggi servili, ambiente 105. L. 128: un frammento è stato trovato nel piazzale d'ingresso dei nuovi alloggi servili lato sud; l’altro nell'atrio (ambiente 19) Luogo di provenienza: L. 127: dal caldarium delle grandi terme;L. 128: nell'inpluvium. Marmo grigio cm(bardiglio?) L. 127: diam. 105; spess. cm 3-5. L. 128: diam. cm.130; spess. em 4-7 (lo spessore della parete aumenta verso il fondo). L. 127: rimaneun ampio frammento dal fondo al bordo. L. 128: rimangonodue frammenti Si tratta di due labra frammentari, semilavorati, del tipo a bacile (II), con labbro estroflesso, piatto superiormente; la parete esterna, arcuata, è lavorata a gradina, mentre l'interno è levigato. Il fondo è piatto all'esterno, leggermente concavo all'intemo. La lavorazione a gradina dell’esterno non necessariamente deve significare una non finitura del pezzo, ma un espediente per far meglio aderire al bacino ad esempio l’intonaco, come accade in alcuni labra termali posti su supporti cilindrici in muratura intonacata (es. L. 126, 160). 300 RicHARDSON jr. 1988, p. 100 ss. 301 Esciemaci 1979, tav. 49a. 30? EscuERACH 1979, p. 11, tav. 43e. 297
Mancano i supporti e il luogo esatto di collocazione; il ritrovamento di un frammento nell'atrio (ambiente 19) fa pensare che il labrum (L. 128) fosse posto nell'inpluvium, presso la bocca della cisterna, dove fungeva da bacino per l'acqua attinta, per Ja pulizia dell'ambiente o per le abluzioni di mani e piedi. La collocazione del bacino L. 127 nel caldarium (ambiente 49) delle grandi terme (I periodo), sul forno o nella nicchia a sud di questo è considerata dalla De Vos probabile per analogia con simili ioni in altri caldaria: un terzo dei bagni privati tardo-repubblicani c protoin Campania e nel Lazio manca della schola labri. Un'altra possibile localizzazione & nel periodo II del giardino turrito (ambiente 159), allora trasformato in xystus, per l’uso dei palestriti. La villa, con le sue pars urbana e pars rustica, appartiene nella sua fase originaria al periodo che va da Cesare ai Flavi, mentre la sua fase secondaria va da Traiano agli Antonini, quando vennero costruiti i nuovi alloggi servili? nel corpo centrale della villa, le ultime attività e le spoliazioni sono attestate in età severiana Bibliografia: Settefinestre. Una villa schiavistica nell'Etruria romana, a cura di A. Caranpini, A. Ricci, Modena 1985, II, p. 62 ss, tav. 13.1-2 (M. DE Vos). L. 129 Luogo di conservazione: Stal , magazzino della Soprintendenza di Castellammare, inv. n. 6038571. Luogo di provenienza: Stabia, da Villa San Marco, terme, apodyterium. Marmo grigio (bardiglio?). Lungh. max cm 15; h. max cm 33. Tavoletta sopra l'ansa: largh. em 12; spess. cm 9,5. Resta un grosso frammento della parte superiore con un tratto del labbro e un'anse.
Si tratta di un frammento di labrum, probabilmente del tipo a conca (IV) con anse a tavoletta, molto capiente e con labbro estroflesso. II labbro è caratterizzato dal bordo superiore leggermente rialzato, al di sotto del quale parte l’incurvatura anteriore del labbro a becco di civetta. Si conserva una delle due anse, composta di una tavoletta rettangolare sporgente dal bordo, sotto cui si attaccano due maniglie tubolari, termianti inferiormente in due borchie circolari attaccate alla pancia della vasca; una foglia allungata è incisa su ciascun lato dell’ansa. Il frammento è stato scoperto nell'apodyterium delle terme: doveva servire per rapide abluzioni. La Miniero lo data nella prima età imperiale, datazione che potrebbe essere confermata dalle stesse fusi edilizie della villa, costruita nell'ultimo quarto del 1 secolo a.C. e poi rinnovata in alcuni ambienti, tra cui anche quelli termali, nella prima metà del I secolo d.C. 1I marmo grigio, bardiglio, è caratteristico di molte vasche e di numerosi supporti rinvenuti a Pompei. Nella stessa villa è stato scoperto un cratere di fontana in alabastro, con due anse, che era posto all'estremità della piscina nel peristilio a giardino®%*. Sempre da Stabia, 308 Settefinestr, in bibl. 1, p. 177, fige. 167, 168. 304 Jasinski 1979, p. 3305, fig: 530. 298
dalla villa del Pastore®®, proviene una tazza (inv. n. 63894) ansata in marmo pario, con collo rientrante e pancia breve e abbombata, su un ricco supporto vegetalizzato: si tratta di una pregevole opera dello stesso genere di altre due conservate a Pompei, nel magazzino del Foro (inv. nn. 20656; 39577): di questa preziosa classe di tazze marmoree, espressione del gusto neoattico, si è già parlato nell’introduzione, Bibliografia: P. Mnstero, in La Villa San Marco a Stabia, a cura di A. Baxser, P. MINIERO, Collection du Centre J. Bérard, 18. Collection de l'École Francaise de Rome, 258, 1999, p. 310, fig. 697. L.129* Luogo di conservazione: Tarquinia, area del tempio detto Ara della Regina, angolo nord-est della prima terrazza. Scoperto negli scavi del 1938. Luogo di provenienza: Tarquinia, in sit Marmo grigio lunense: bardiglio. Diam. em 300; h. em 32. IL labrum presenta varie fratture. Una metà è fortemente lacunosa sul fondo, sulle pareti e in particolare sul labbro, il cui bordo integro è visibile in alcuni tratti. Rispetto all’epoca del ritrovamento una scheggia con sei lettere si è staccata dall’ombelico. Il basamento reca un'integrazione in mattoni, probabilmente frutto di un restauro moderno.
Labrum del tipo VI a bacino, poco profondo, con ampio fondo piatto c pareti incurvate, terminanti in un bordo liscio (largo cm 13,5). L'opera è stata realizzata accostando due metà ricavate mediante segagione da un unico blocco di marmo aperto “a specchio”, come rivelano le venature. Le pareti di giunzione sono state rifinito a gradina, permettendo alle due metà di combaciare perfettamente, senza bisogno di inserire grappe di vincolo. L'uso della tecnica di esecuzione con due parti congiunte è già attestata per il bardiglio, che in genere non veniva estratto in blocchi di grandi dimensioni. 1I fondo è decorato con un ampio ombelico, fortemente aggettante, il cui profilo si articola in un nucleo centrale piatto, delimitato da un cerchio incavato profondamente (considerato da Romanelli e da Torelli un incasso per il fissaggio di un ornamento verticale), e in una doppia corona a due fasce concentriche, l'intema liscia, l'esterna a cavetto, Al centro esatto dell’ombelico è conservato il foro passante (diam. em 7) per il tubo di adduzione dell'acqua. Lungo la parte alta della fascia esterna dell’ombelico corre l'iscrizione O. Cossutius P. f. Ilvir i(ure)[d(icundo)de sua] pec(unia) pro ludis. 1I fondo piatto è sgrossato a subbia media, mentre la parete esterna è rifinita a gradina. L'interno è ben lisciato. Il bacino poggia su un basamento in muratura, di forma cilindrica, composto di blocchi rozzamente parallelepipedi in macco, disposti su due file, con un'integrazione in mattoni, probabilmente moderna. . Il labrum si conserva in situ nell'area del tempio detto Ara della Regina. È collocato nella prima terrazza, ma al livello della piazza sottostante, nell'angolo nord305 JastEMSKI 1979,p. 333, fig. 534. 299
est, in uno stretto spazio triangolare pavimentato con lastre di nenfro, cui si accedeva da ponente per mezzo di una scaletta di sette gradini. La prima terrazza, che all'estremità sud-est conserva i resti di un grande altare, costituiva l'area destinata ai sacrifici e alle cerimonie sacre; essa rimase in uso per tutta l’epoca etrusca e poi in quella romana. II tempio, forse dedicato ad Artumes, omologa etrusca di ArtemisDiana, è una delle massime testimonianze pervenuteci dell’architettura templare etrusca. Nel suo impianto generale l’edificio appartiene ad una prima fase edilizia della prima metà del IV secolo a.C., con una successiva graduale trasformazione della decorazione fittile che va dagli inizi del [II secolo a.C. fino alla tarda età repubblicana. L'edificio di IV secolo sostituì un tempio arcaico rimasto a lungo extra-urbano, sorto nella metà del VI secolo a.C. La frequentazione di quest'area sacra continuò anche dopo la conquista romana, avvenuta agli inizi del III secolo a.C. All'epoca del municipio, nella prima età imperiale, l'area si popolò di statue e monumenti commemorativi, tra cui i fasti del collegio dei 60 aruspici e gli elogia degli Spurinnae. Ed è proprio nella primissima età augustea che il labrum in esame fu dedicato, come ci informa l'iscrizione, dal quattuorviro del municipio tarquiniese, Q. Cossutius (già noto nell'iscrizione sepolcrale della prima età augustea: CIL, XI, 3374), utilizzando la somma in origine destinata ai ludi, che come magistrato supremo avrebbe dovuto dare, forse in occasione della sua elezione. La datazione nella prima eta augustea è assicurata dalla grafia, dalla forma arcaica del numerale e dall'assenza del cognomen. La fontana di Cossuzio svolgeva primariamente una funzione cultuale di contenitore dell’acqua lustrale necessaria ai rituali di purificazione, che avvenivano durante le cerimonie sacre, tenutesi sul piazzale antistante il tempio. Il foro passante al centro dell’ombelico è una testimonianza dell'esistenza di una tubazione per il rifomimento idrico. Non meno importante era la funzione ornamentale della fontana, sottolineata dalla grandiosità delle dimensioni, dalla scelta del materiale e dalla ricca articolazione del disco centrale.
Bibliografia: P. RoMANELLL, Tarquinia. Scavi e ricerche nell'area della città: 5. Tempio ra della Regina’, in NSc 1948, p. 258 = AE 1951, 185; E44, VII, sv. Tarquinia, fig. 741 (M. Patcortmo-G. Corona); M. ToreLL, Elogia farguiniensia, Firenze 1975, p. 164, n. 14, tav. XXVII, 1-2; M. Toretti, Etruria, Roma-Bari 1980, p. 136; G. CoLonwa, 1 tempio detto Ara della Regina a Tarquinia, in Santuari d'Etruria,a cura di G. CoLonwa, Milano 1985, ig. a p.71; G. CoLonwa, Urbanistica e architettura, in Rasenna: Storia e civil degli Etruschi, I, Milano 1986, figg. 389, 391 L. 130 Luogo di conservazione: Copenhagen, Ny Carlsberg Glyptothek, inv. n. 1663, Luogo di provenienza: acquistata nel 1898 a Roma; provenienza sconosciuta Marmo bianco. Diam. cm 58; h. cm 45. La superficie è molto dilavatae in alcuni punti è fessurata. Rotture sulle teste di ariete c sui bordi. Piede perduto. Labrum di tipo lussuoso (VIII), per il profilo sinuoso del collo incavato a scozia
e della pancia ricurva, particolarmente profonda. Dalla zona tra il labbro estroflesso e l'attacco della pancia si staccano quattro teste di ariete, con le corna che toccano il 300
labbro, il cui bordo esterno è ornato con un kymation ionico, con ovoli, dal guscio a listello piatto, e punte di freccia, mentre il bordo interno presenta una serie di linguette piatte. I collo è lisci; la pancia è decorata all'esterno di baccellature, restringentisi in basso e con finale superiore arcuato e rigonfio, contornato da un bordino. L'interno è soltanto rozzamente levigato. Nel fondo è reso un foro circolare di cm 5 di diametro, il quale conforta l'ipotesi già avanzata dal Poulsen che si tratti di un bacino di fontana. Il labrum viene datato nel II secolo d.C. La vasca, per la decorazione a teste ferine, è vicina ai Jabra della casa dei Ceii a Pompei (L. 154) e del Museo Nazionale Romano (L. 105). Bibliografia: POULSEN 1951,n. 505; STUBBE OstERGAARD 1996,p. 232, n. 133. 131 Luogo di conservazione: Delos, nella parte inferiore del quartiere del Teatro. Luogo di provenienza: Delos, in situ. Vasca e supporto in marmo bianco. Vasca: diam. cm 60;h. cm 15. Sostegno: h. cm 55. La vasca è fortemente lacunosa.
Si tratta di una vasca di piccole dimensioni e di forma perfettamente emisferica (tipo III a catino), priva di labbro estroflesso. Il sostegno (S. 134) è del tipo IIb, rastremato, su base a listello liscio; il fusto termina in alto con un cordone in rilievo, da cui parte la svasatura del cavetto, sormontato da una fascia liscia Bibliografia: DEONNA 1938, p. 76, tav. XXXI, nn. 223-224. L. 132 Luogo di conservazione: Dion, Basilica cimiteriale. Luogo di provenienza: in situ ? Marmo proconnesio. Misure non rilevabili Si conserva un solo frammento. Frammento di labrum, di medie dimensioni. Forse il frammento si trova in situ; la Basilica Cimiteriale di Dion®% si trova vieino alle Grandi Terme e alle mura meridionali, essa fu costruita nel V secolo d.C. all'esterno della città, nella zona di un cimitero dell'epoca. Bibliografia inedito.
306 D. PANDERMALIS, Dion, Atene 1997, p. 44 s. 301
one: Dion, Museo, Luogo di provenienza: Dion, dalle GrandipianoTermetera? Marmo bianco a cristalli medi, molto brillanti, locale. Diam. circa em 120-140; bordo largh. cm 6, Labrum integro; supporto in frammenti, Vasca su supporto scanalato, di cui si conservano solo due frammenti inferiori e otto scanalature. La vasca è del tipo V a coppa, con labbro, non estroflesso, che termina superiormente con un bordo ondulato, formato all’interno di un listello all'esterno di una fascia arcuata, separati da un solco incavato. All'interno è presente l'ombelico composto di un piccolo bottone centrale, piatto, circondato da una cornice a gola rovescia e da un finale a toro. La vasca è datata nel Il secolo d.C. Le Grandi Terme, da cui è stata ipotizzata la provenienza della vasca in esame, sono le più monumentali a Dion, dove negli scavi recenti sono stati rinvenuti ben dieci complessi termali307. Le Grandi Terme furono costruite nell'ambito di un più vasto programma edilizio, intorno al 200 d.C. Bibliografia: inedito. L. 134-135-136 Luogo di conservazione: cave di Dokimeion, Bacakale. Luogo di provenienza: in situ. Marmo bianco di Dokimeion. L. 134: diam. em 90. L. 134: rottura sul bordo;L. 135: divisa in due parti;L. 136: integra.
Si tratta di tre vasche abbandonate semilavorate nelle cave: l’intero è stato cavato a subbia grande (III stadio); il profilo esterno è grossolanamente definito a colpi di subbia grande. La vasca L. 134 è del tipo III a catino; la L. 135 sembrerebbe un fusto di colonna rilavorato, che è stato cavato all’interno, per farne probabilmente una vasca circolare; il piccolo bacino L. 136 al di sotto è anch'esso del tipo III a catino. Bibliografia: inediti. 1.137 Luogo di coservazione: Kavala, Museo Archeologico, cortile interno. Luogo di provenienza: ignoto. Vasca: marmo bianco a grana medio piccola (locale?). Supporto: marmo bianco tasiodi Ali. Diam. circa cm 100. Vasca ricomposta da più frammenti; supporto con rotture alla base. 307 PANDERMALIS, op. cit a nota 306, p. 33 ss. 302
Labrum del tipo VIL a piatto, con labbro appena aggettante. in formadi mezzo toro; sotto corre un anello a fascia piatta Il sostegno (S. 145) è del tipo I a, con sedici scanalature doriche e un'ampia base a fascia. Il calice superiore si compone di due cavetti digradanti e di una fascia liscia, sotto cui si staccano le scanalature, con linguette ad arco. Bibliografia: inedito. 1.138 Luogo di conservazione: Nikopolis, Basilica B, atrio a peristilio Luogo di provenienza: in situ ? Marmo bianco locale (7). Misure non rilevabili Tntegro; superficie incrostata.
Labrum di grandi dimensioni, del I tipo a vasca, con labbro leggermente estroflesso a fascia anteriore piatta. Bibliografia: inedito. L. 139 Luogo di conservazione: Nikopolis, Museo, giardino posteriore. Luogo di provenienza: Nikopolis, forse dagli scavi nuovi della BasilicaA. Marmo bianco locale (7). Raggio max cm 78; largh. max cm 70; spess. parete cm 14. Rimane un frammento della parete c del fondo.
Frammento di un labrum, probabilmente del tipo V a coppa. Il labbro non è aggettante; il bordo superiore presenta il profilo ondulato, formato da una scozia tra due tori, di cui quello esterno leggermente sopraelevato. Bibliografia: inedito. L.140 Luogo di conservazione: Olimpia, presso il ninfeo di Erode Attico, monoptero occidentale. Schleif e Weber affermano di aver fatto porre il bacino davanti al ninfeo?s, Luogo di provenienza: il labrum è stato rinvenuto nel 1877 presso l'angolo sud-est del tempio di Hera,
305 in Kunze, SchLeit, in bib, p. 75. Sul ninfeo si veda anche: WALKER, Loc it. a nota 256 del paragrafo Prototipi e funzioni. 09 Si veda la foto degli scavi dell’Heraion nel 1877-78, in cui a sinistra, in primo piano compare il labrum in esame per metà ancora interrato: CURTIUS, ADLER, TREU, in bibl, tav. I Schleif e Kunze — in Kunze, SCHLEIF, in bib, p. 76 — erroneamente scrivono che il bacino è stato rinvenuto nell'angolo sud-ovest 303
Marmo bianco, probabilmente pentelico. Diam. cm 219 circa; h. cm 29 circa. Fratture lunghe le pareti; bordo scheggiato in vari punti.
La vasca tonda è del tipo a bacino (VI), con ampio fondo piatto e priva di labbro; le pareti si incurvano leggermente sul fondo per poi salire quasi diritte verso il bordo, cosicché il diametro di base è di poco inferiore aquello superiore. Il bordo reca lungo tutta la circonferenzaun solco inciso. All’interno, sul fondo, è raffigurato il consueto disco, composto di un ampio anello sagomato, circondante un bottone centrale abbombato, entro il quale è aperto un foro, da cui doveva uscire la canaletta per lo zampillo. All’interno delaperturasi conserva ancora incassato un elemento che ne restringe il diametro interno di em 17, lasciando per la canaletta di afflusso solo mm 5 di diametro; cosicché si è ipotizzato che, invece dell’uscita della cannula per lo zampillo, il labrum avesse al centro del disco una piccola colonnina con la cannula. Un ulteriore foro tondo è reso accanto all'anello estemo del disco: esso doveva servire per il deflusso delle acque. L'acqua di scarico del labrum si raccoglieva in un condotto circolare al di sotto dello stilobate, da cui veniva incanalata nella tubazione del sottostante bacino rettangolare. IL labrum è stato posto al centro del monoptero occidentale del ninfeo monumentale dedicato da Erode Attico ad Annia Regilla e Zeus, eretto all'estremità occidentale della terrazza dei Thesauroi, presso l'angolo nord-occidentale dell’Heraion di Olimpia?!0, L'attribuzione del bacino al ninfeo di Erode Attico risale allo Schleife al Weberd!!, i quali nel loro studio del 1944 sostennero che, per forma, dimensioni e tipo di lavorazione, il bacino era pertinente ad una delle due costruzioni rotonde del ninfeo, in cui fungeva da fontana a zampillo. I due studiosi individuarono pochi resti del nucleo in muratura dello zoccolo. La pertinenza al ninfeo del labrum è ripresa da numerosi studiosi?!, tra cui il Glaser?! il quale, nella sua monografia sulle fontane greche, riassume la situazione degli studi sul ninfeo di Erode Attico, riportando le ipotesi di Schleif e Weber, con i loro disegni ricostruttivi. Il ninfeo viene, perciò, ricostruito con una grande esedra centrale, affacciantesi su un bacino superiore semicircolare e su uno rettangolare, posto ad un livello inferiore, alle cui estremità si ergono due ‘monopteri, ciascuno omato con un labrum da cui zampilla l’acqua, fuoriuscente da una sottile colonnina. Sul muro divisorio tra il bacino superiore e quello inferiore, è collocato un toro in marmo con l'iscrizione dedicatoria di Regilla. Nell’esedra sono disposte, in un'unica fila di nicchie, al cui centro troneggia la figura di Zeus, le statueritratto dei membri della famiglia di Erode Attico e della casa imperiale degli Antonini, di cui quelle di Adriano, Antonino Pio e di Marco Aurelio sono poste sull’attico®!4. La 310 Sulla tipologia del ninfeo di Frode Attico e per i disegni costruttivi,si vedano: Scnucır, Wesen, in bibl,p. 53 ss, figg. 5-21, tavv. 22-38; GLASER, in bibl, p. 110 s. n. 75, figg. 204209; Bot, in bibl. Da ultimo sul ninfeo di Erode Attico: M. GALLI, Die Lebenswelt eines Sophisten, Mainz am Rhein 2002, p. 222 ss. 31 In Kunze, Scuete, in bibi, p. 76. 312 Of, Sertis, in bibl; MALLWNTZ 1972, p. 151 313 GLASER, in bibl 314 GLASER, in bibl. fig. 206, Sull’apparato iconograficodel ninfeo: Serts, in bibl,p. 5, i quale sottolinea come la figura di Zeus costituisca il fulero del sistema iconografico, cui si affiancano, quasi in albero genealogico marmorizzato, le statue di Marco Aurelio, del ricco evergeie c dei membri delle rispettive famiglie 304
datazione della costruzione viene stabilita in un arco di tempo che va dalla meta del II secolo alla metà del TII secolo. Bol?!5, nel 1984, seguito recentemente anche da Gall?!6, ipotizza una diversa ricostruzione del ninfeo di Erode Attico, datandolo nel 149-153 d.C.: l’esedra è decorata con due piani sovrapposti di nicchie con statue e i due monopteroi presentano, invece dei bacini zampillanti, le due statue-ritratto di Erode Attico, togato, e di Antonino Pio © Marco Aurelio, corazzato. Bol, infatti, sostiene che il labrum, non pertinente al ninfeo di Erode Attico, costituiva una fontana singola, visto che del bacino compagno non è stato finora rinvenuto alcun frammento. Sottolineando che la vasca è stata rinvenuta davanti all’angolo sud-est del tempio di Hera e riprendendo una ipotesi già avanzata nell'800?! e riproposta nelle piante riportate in Dérpfeld?!8 e Mallwitz3!9, ipotizza che il labrum appartenesse ad una fontana a zampillo costruita in età romana davanti al terzo intercolumnio orientale del lato meridionale dell’Heraion. Questa fontana doveva essere di forma rettangolare, con un’ apertura interna di m 3,26, entro cui si collocava il bacino tondo che, per la sua vicinanza al tempio, doveva svolgere una funzione cultuale. Bibliografia: E. Currius, F. ADLER, G. Treu, Die Ausgrabungen zu Olympia, Il, 18771878, Berlin 1879, p. 9, tavv. ll; E. Kunze, H. Scire, Obmpische Forschungen, I, Berlin 1944, Das Nymphaeum des Herodes Attikos, p. 75 5, fig. 19, tavv. 32,33 (H. Scuietr, H. Weste); S. SETT, Il ninfeo di Erode Attico a Olimpia e il problema della composizione della Periegesi di Pausania, in AnnPisa, XXXVII, 1968, p. 4, fig. 3, tav. I, Il; A. MALIWITZ, Olympia und seine Bauten, München 1972, p. 149 ss, fig. 120; F. GLaseR, Antike Brunnenbauten (KPHNAI) in Griechenland, Wien 1983, p. 110, fig, 209; P. Boi, Das Statuenprogramm des Herodes-Atticus-Nymphäeums, Olympische Forschungen, XY, Berlin 1984,p.61, nota 187, tav.69; Mac DONALD, op. ci. (n bibl. L. 48),p. 102, fig. 102; Gros 1996, p. 4255, fig. 478. L. 141 Luogodi conservazione: Salonicco, Rotonda di S. Giorgio. Attualmente (estate 2003) è collocato su un plinto nel lapidario a destra della Chiesa (lato sud) vicino all'area degli scavi nuovi. Vasca, inv. n. AV’ 3283/1; sostegno, inv. n. AT 3283/2. Luogodi provenienza: ignoto. Marmo bianco a cristalli medio-grandi, simile al marmo tasio. Diam. cm 180 circa. Vasca integra, percorsa da numerose linee di frattura; labbro scheggiato in vari punti Sostegno con numerose fratture; rotture ¢ lacune sulla sommità e sulla base.
Labrum del 1 tipo, con labbro, appena aggettante, dal profilo a mezzo toro. All'interno presenta l'ombelico composto da un ampio bottone appena arcuato, segna-
315 Bor, in bibl. Il Gros data il ninfeo nel 153 d.C. 316 Gatlı,op. ct. a nota 310, p. 222 ss,fig. 90 (disegno ricostrutivo del Bol). 317 E. Cuerius, F. Anus (hrsg), Olympia, I, Berlin 1892, tav. 18, 1935, p.179, tav. 9 (pianta di Schleif), fig. 46 DORPFELD,, Das Alt-Olymp 318 ia, Berlin 319 A.W. MaLtWITZ Heraion von Olympia una seine Vorgänger, in Jdl, 81, 1966, p. 312 5. fig.3. 305
to da un'incisione e inscritto in una comice a gola rovescia; al centro è stato praticato un incasso quadrangolare, con al suo interno un ulteriore incavo circolare. L’incasso è stato fatto forse successivamente, per un riutilizzo. Due fori per l'adduzione dell’acqua sono presenti: uno vicino all'umbone, l'altro sull’incurvatura della parete verso l'alto. Il sostegno, del tutto insolito per un labrum, probabilmente non pertinente, è costituito da un largo pilastro, svasato verso l'alto e con quattro protuberanze verticali, quasi calici stilizzati, con un alto fusto e una campanula aperta in alto. L'Edificio ottagonale del complesso palaziale dell’imperatore Galerio, forse pertinente ad una fase successiva del complesso e sul cui uso sono state formulate diverse ipotesi (mausoleo, tempio o sala del trono), fu trasformato in epoca paleocristiana in Chiesa dedicata a S. Giorgio, Bibliografia: inedito. L.142 Luogo di conservazione: Sparta, catasta di marmi dietro il frontescena del teatro Luogo di provenienza: Sparta, il labrum poteva essere pertinente o alla decorazione marmora del teatro o, meglio, al ninfeo, i cui resti sono presenti nella parodos sinistra del tea tro. Marmo bianco peloponnesiaco, Lungh. max em 83; largh. max cm 53; spess. em 6. Si conserva solo un frammento della vasca, la cui superficie è ricoperta di incrostazioni; tre fori circolari per grappe di restauro sono allineati presso una linea di frattura
Si trata del frammento di una vasca tonda, di piccole dimensioni e poco profonda, con labbro leggermente sporgente (tipo II a bacile). Sulla parte espansa corre un motivo a rilievo, composto da un tondino da cui si stacca una serie di foglie d’acqua con nervatura centrale rilevata, rivolte in su, su due file sovrapposte, alternate; in alto la comice è chiusa da un cordino attorcigliato. Dal labbro si stacca una piccola ansa a presa piatta, incavata inferiormente, che taglia la cornice; mentre all’altra estremità del frammento si nota un elemento arcuato con bordo rilevato: forse un'altra ansa. Nella parados sinistra fu eretto, successivamente al teatro, un ninfeo: è probabile che il frammento in esame fosse pertinente a quest'ultimo. Bibliografia: inedito. 1.143 Luogo di conservazione: Alba Fucens (Massa d’Albe), vani settentrionali delle terme su via dei Pilastri, Luogodi provenienz n situ? Marmo bianco Iunense Lungh. max del labbro cm 80;h. cm 35; spess. cm 18-20.
320M. Vickens, Observationson the Octagon at Thessaloniki, in RS, LXII, 1973, p. 111 ss. 306
Si conserva un solo spicchio, con il labbro; sulla parete esterna, al di sotto del bordo rimanc un incasso per grappa. La sezione del lato più corto appare perfettamente lisciata, come se fosse stato sogata.
1I breve frammento permette di riconoscere una vasca molto poco profonda, del tipo a bacino (VI), con fondo largo e completamente appiattito c pareti diritte, cosicché il diamentro del fondo è identico a quello dell'apertura superiore. I fondo è lasciato grezzo. | labrum si conserva negli ambienti pertinenti al complesso termale di Alba Fucens. Bibliografia: inedito. L. 144 Luogo di conservazione: Boscoreale (Na), contrada Pisanella, villa rustica di N. Popidius Florus, caldarium. Luogo di provenienza: in situ. Marmo bianco?! Vasca: diam. cm 91. Supporto: h. em 66. Buono stato di conservazione.
Il bacino è del tipo II a bacile, con fondo largo c piatto e labbro estroflesso, appiattito superiormente. Il supporto (S. 178) è del tipo IIb, rastremato, con base attica, composta di una scozia tra due tori. Secondo il Pernice è del tipo più antico: 2 a. Il labrum si trovava nell'abside che si apre nella parete orientale del caldarium (schola labri), negli ambienti termali della villa rustica. L'abside è illuminato, come di co sueto, da una finestra, munita di una lastra di vetro, posta al di sopra del labrum, e più in alto, nella volta da un’altra finestrina. La conca riceveva acqua dall’estemo, da due fistulae che, attraversando il muro della nicchia, scaricavano le loro acque da due rubinetti, privi di ornati. Nella parete occidentale era la vasca rettangolare del bagno caldo. Ti bagno privato di questa villa rustica è del tipo consueto con praefurnium nella cucina, cui succedevano il caldarium e di seguito gli altri ambienti. Nel frigidarium si trovava un'altro labrum simile a questo, ma in portasanta (L. 74) e con supporto scanalato. La decorazione parietale della villa rustica va dal Il al IV stile. Bibliografia: Det
Corre 1921, 453, fig. 17 A; PERNICE 1932,p. 47, n.6.
1.145 Luogo di conservazione: Ercolano, terme Suburbane, atrio tetrastilo. Luogo di provenienza: Ercolano, terme Suburbane, in sit. Marmo bianco a grana fine, opaco, con macchie grigiastre (lunense?). Diam. cm 92; circonf. cm 290; h. cm 21 La vasca è rotta in numerosi frammenti, ricomposti con cemento e gesso; scheggiature lungo il labbro.
321 Non meglio identificabile. 307
Si tratta di una vasca di piccole dimensioni, piuttosto profonda, del tipo a bacile (I), con fondo piatto piuttosto largo. Il labbro è appena estroflesso, con fascia anteriore breve e piatta, di poco aggettante, e bordo superiore appena incurvato. La vasca poggia su un sostegno in tufo, probabilmente non pertinente, di forma cilindrica (h. em 85), con scanalature piatte, appena accennate, completamente intonacato. Nella vaschetta si versava l’acqua zampillante da una fistula fuoriuscente dal pil stro dell’erma con testa di Apollo laureata (attualmente sostituita da una copia in gesso), nume tutelare della terma, opera classicheggiante romana di alta qualità, databile in età augustea e forse pertinente alla collezione d'arte di Marco Nonio Balbo, cui appartenevano anche rilievi neoattici, oscilla e un'erma di Menandro. La fontanella è alimentata da un tubo di adduzione, che devia dal condotto principale e che fuoriesce dal pilastro dell’erma con uno sbocco in bronzo. L'acqua che traboccava dal labrum cadeva nel bacino di raccolta, che fungeva anche da impluvium, riempiendolo e rendendo di conseguenza assolutamente inaccessibile sia l’impluvium stesso, che il labrum, al quale è perciò da attribuire una funzione puramente omamentale di semplice gioco d’acqua, escludendo una funzione pratica, di lavabo o di fontanella per bere. Di fianco all'erma, è visibile una chiave di arresto posta sul pavimento poco prima del punto di immissione del tubo nel pilastro, che permetteva di disinnestare il labrum dall'impianto generale: ciò dimostra che il libero deflusso dell’acqua ricadente dal labrum poteva essere arrestato quando era necessario, probabilmente per penuria d'acqua. Il contesto architettonico in cui è inserita la fontana, il piccolo atrio tetrastilo, viene datato all’inizio dell'età flavia, intomo al 70 d.C., in occasione probabilmente dei rifacimenti effettuati dopo il terremoto del 62 d.C., in seguito al quale furono rifatte anche le decorazioni parietali in IV stile. Questo genere di piccoli atri avevano funzione di disimpegno ed erano un elemento integrante della tipologia delle terme.
Bibliografia: Tu. Kraus, L. v. MATT, Pompeji und Herculaneum, Köln 1973, p. 131, fig. 154; II. Mrciscu, Römische Stuckreliefs, in 21 ErgH. RM, 1975, p. 141 s. n. 33; H. MANDERSCHEID, Die Skulpturausstattung der kaiserzeitlichen Thermenanlagen, Berlin 1981, p. 82, tav. 23, n. 126; BRODNER 1983, p. 61 s, T 36 a; W. Hem, Römische Thermen Badewesen und Badeluxus im Römischen Reich, 1983, fg. 61; MANDERSCHEID 1989, p. 78, fig. 12; ID., La gestione idrica delle terme di Caracalla: alcune osservazioni, în Les Thermes Romains 1991, p. 52, fig. 6; MANDERSCHEID 1994, pp. 24's. 55 s PAGANO 1997, p. 30, fig. a tav. I; U. PaPPatanbo, IL Manoenscheib, Le Terme Suburbane di Ercolano Archiettua, gestione idrica e sistema di riscaldamento, in RivStPomp, IX, 1998, pp. 174, 180, figg. 5, 6, 7, 8, 25; U. ParrALARDO, The suburban Baths of Herculaneum, in Roman Baths and Bathing 1999,p. 233, figg. 4,5, Marmi colorati 2002, fig. a p. 365. L. 146 Luogo di conservazione: La Mola di Montegelato (RM). Luogo di provenienza: La Mola di Montegelato, cortile della villa di Gaius Valerius Faustus, rinvenuto nel riempimento superiore della peschiera,
322 MANDERSCHEID 1989, p. 78; MANDERSCHEID 1994, pp. 24 s, 55 s; PAPPALARDO, MANDERSCHEID, in bibl,p. 180. 308
Marmo bianco a grana fine (lunense?). Diam. esterno probabile cm 104; h. cm 225; largh. max cm 54. Si conserva un grosso frammento del labrum.
Si tratta del frammento di un /abrum scanalato, dalla forma articolata in labbro sporgente, decorato con un kyma ionico, collo rientrante in una scozia e pancia conves a scanalata. Esso richiama in dimensioni ridotte il tipo lussuoso (VIII). Il fondo, breve, è piatto e liscio. Il kyma si compone di larghi ovoli, incomiciati, alternati a punte di frecce; superiormente corre una serie di perle in rilievo. L'interno della vasca è finemente lisciato. L'esterno della pancia reca un decoro a girandola, alternante scanalature concave a baccellature convesse, profilate, separate da punte di frecce. Un motivo simile con scanalature concave ad elica recano tre frammenti marmorei di vaschetta tonda a Delos™ Il frammento di labrum è stato rinvenuto, insieme ad altri oggetti, quali una statua frammentaria di ninfa giacente e una grande cratere marmoreo, nel riempimento superiore (databile nel tardo II secolo) della peschiera, che si trovava nel cortile della lussuosa villa residenziale, appartenente probabilmente a Gaius Valerius Faustus e sviluppatasi in due fasi distinte presso la Mola di Montegelato. La vasca, secondo il Potter, sarebbe quindi pertinente alla prima fase della villa, ascrivibile agli inizi del 1 secolo d.C.; essa doveva far parte di una fontana, di cui costituiva il bacino su cui ricadeva l'acqua zampillante da un elemento esterno, forse la statua di ninfa giacente, anch'essa databile al I secolo d.C+%. Intomo al 200 d.C., è testimoniata una distruzione sistematica della villa, che nel Il secolo (II fase) si era trasformata da residenza di lusso in tenuta agricola, con l'abbattimento di pareti e pavimenti e la rottura degli arredi, tra cui anche il Jabrum in esame, che venne ridotto in pezzi e gettato, insieme agli altri oggetti, nella peschiera, abbandonata e riempita di detriti. Bibliografia: PorreR, KING, op. cit. (L. 115), p. 210s. n. 4, figg. 144-5; TW. Portes, La Mola di Montegelato, in Montegelato: Mazzano Romano. Stratigrafia storica di un sito della campagna romana, a cura di B. AMENDOLEA, F. FebeLI BERNARDINI, Roma 1998, p. 10. L. 147 Luogo di conservazione: Napoli, Museo Archeologico Nazionale, magazzino, inv. n. 120308. Luogo di provenienza: da Pompei. Vasca c supporto: marmo bianco, lunense (?). Vasca: diam. cm 84 (senza anse),h. cm 23. Supporto: h. tot. cm 83; capitello: h. cm 15; sostegno tortile: h. cm 60; base h. cm 8. La vascaè ricomposta da vari frammenti, tenuti stretti da una corda metallica sotto il labbro.
La vasca è del tipo IV a conca, con due anse a tavoletta, composte ciascuna di una piastra rettangolare, incavata sul lato lungo, sporgente dal bordo, sotto cui si attaccano due maniglie tubolari ad arco di cerchio, che si collegano inferiormente alla pancia 323 DEONNA 1938,p. 77, fig. 108. 324 T.W. POTTER, A.C. KING, Scavi a Mola di Monte Gelato presso Mazzano Romano, Etruria Meridionale, in Archeologia Medievale, 15, 1988, p. 262. 309
mediante due borchie circolari, dal profilo a gola diritta. Il labrum presenta il consueto passaggio ad angolo retto tra labbro c parete interna, caratteristico delle vasche pompeiane; sulla fascia superiore si succedono un nastro liscio, una fila di perline e un ymation ionico. Il fondo esterno della vasca è sostenuto da un piatto circolare. L’interno si caratterizza per un singolare ombelico, un unicum tra i labra fin qui esaminati: vi è raffigurato, a rilievo molto alto, il busto di un fanciullo indossante una tunica e una toga, il cui lembo gettato sulla spalla sinistra forma una larga fascia (sinus), tenuta stretta con la mano destra, mentre la sinistra è portata aperta sotto il petto. Il busto è ampio e comprende parte del torace. Il fanciullo presenta il cranio superiormente rasato, mentre corte ciocche a virgola incomniciano i lati del volto, sulle tempie; una lunga ciocca intonsa, percorsa da brevi incisioni, segna sul retro il contomo del cranio. La resa dei capelli non è ben rifinita. Il volto è paffuto, con guance arrotondate e piccolo mento; la fronte è alta e abbombata; le orecchie sono piccole. Sotto le arcate allungate, gli occhi sono grandi, con le palpebre superiori camose, incurvate quasi a semicerchio, e con bulbo oculare arcuato e forato. Il naso è minuto; Ta bocca è piccola e camosa. II lavoro è piuttosto corsivo, sia nella resa dei particolari del volto, che nella resa delle pieghe della tunica, rade e schiacciate. La lunga ciocca intonsa, il pa\\6s, è simbolo di consacrazione agli dei, in particolare il ciuffo, portato o sulla nuca o dietro l'orecchio destro, riproduce il ricciolo di Horus-Harpokrates*® e contraddistingue i bambini consacrati ad Iside?%6. Anche la larga fascia piatta posta a tracolla sulla spalla sinistra è un elemento distintivo del costume rituale isiaco?-?. Le immagini di bambini e fanciulli votati al culto isiaco sono particolarmente frequenti durante il I secolo d.C., mentre in seguito decrescono, ma sono attestate fino al IV secolo d.C. Durante la prima età imperiale essi portano solitamente i capelli non tagliati ed una lunga treccia intonsa%8; nel III e IV secolo si afferma una nuova acconciatura che predilige i capelli cortissimi o rasati e una sola lunga ciocca??. Il nostro ritratto si caratterizza per un tipo di acconciatura vicina al primo gruppo per le ciocche sulle tempie, pettinate secondo la foggia in uso nell’età giulio-claudia™, da cui però si distacca per la rasatura sulla fronte. Il volto, per la forma globulare del cranio maggiormente sviluppato nella parte superiore, con la tipica fronte abbombata, per le guance patfute e levigate, gli occhi grandi, con palpebra superiore molto spessa, ricorda i ritratti di fanciulli su monumenti funebri di età augustea e giulio-claudia della corrente classicistica, carat325 Su Horus e Harpokrates, Y Horus infante, la cui iconografia è caratterizzata dalla lunga ciocca sopra l’orecchio destro: LIMC, IV, s.v. Harpokrates, p. 415 ss. (TRAM TAN Tr B. Jarcra, S. POULIN); LIMC, V, s.v. Horos, p. 538 ss (MO. JENTEL). bambini e fanciulli consacrati ad Iside: G. Becarn, Una stele ostiense del Tardo Impero Le One tte Xt 108, p. 50/ss; V. von GoNzeNBACH, Untersuchungenzu den Knabenweihen im Isiskult der römischen Kaiserzeit, Bonn 1957; A. Frova, Un bronzo alessandino a Luni, in Alessandria e il mondo ellenistico-romano. Studi in onore di A.Adriani, a cura di N. Bonacasa e A. Dt Vita, Roma 1983, p. 174 s. 327 Chi. la stele ostiense di fanciullo del tardo impero: BECATTI, artc. a nota 326, p. 49 s. 328 Un esempio di ritratto di età claudia: Mus. Naz. Rom., I, 9, 1, p. 180 s, R 137 (D. Caxoiui0) 329 Un esempio di ritratto tardo: Mus. Naz. Rom. 1,9, 2, p. 388, R 291 (D. CaNDILIO), 330 Cir. WB. Gerke, Untersuchungen zum römischen Kinderportràt von den Anfängen bis in hadrianische Zeit, Hamburg 1968; Z. Kiss, L'iconographie des princes julio-claudiens au temps d'Auguste et de Tibére, Warszawa 1975. 310
terizzati da una semplificazione delle superfici e dalla genericitä dei tratti somatici™ La posizione delle braccia, piegate e portate al petto, con la testa reclinata sulla spalla destra richiama un motivo iconografico diffuso nelle rappresentazioni di Eros bambino o di un generico fanciullo che stringe al petto una farfalla, simbolo di Psyche, ossia, in ambito funerario, dell'anima: citiamo la statua framentaria di un fanciullo nudo, con una lunga ciocca a treccine sopra l'orecchio destro, nella collezione Doria Pamphilj>™, attribuita alla metà del II secolo d.C., e un medaglione in gesso, conservato al Musco di Kabul ed ascritto alla metà del II secolo a.C, in cui è raffigurato un busto di Eros bambino, la cui iconografia è del tutto identica a quella del bustino in esame. Un identico motivo iconografico viene adottato, togliendo o inserendo la farfalla, per temi diversi e in ambiti cronologici e produttivi lontani. La vasca è sostenuta da vari elementi non pertinenti, connessi insieme, dal basso: la base presenta un plinto quadrangolare liscio, una gola diritta e un toro; il sostegno (S. 179) a colonnina tortile, del tipo II a, è segnato a metà altezza da un sottile anello in rilievo c incomiciato inferiormente da un listellino e superiormente da una gola diritta tra due listelli. AI piatto già citato della vasca, si collega il capitello corinzio a foglie lisce. L'opera è menzionata dallo Spinazzola, secondo il quale, per la presenza del busto infantile, si tratta di un labrum per i lavaggi dei bambini. La provenienza da contesti vesuviani e le caratteristiche del ritratto inducono a datare l'opera tra la tarda età giulio-claudia e il 79 d.C. Bibliografia: Sniazzora 1928, p. XII, fig. 4. 148 Luogo di conservazione: Napoli, Museo Archeologico Nazionale, magazzino Cavaiole, inv. 1. 268. Luogo di provenienza: probabilmente dall'arca vesuviana. Vasca c supporto: marmo bianco. Vasca: diam. esterno max cm 60; diam. della conchiglia cm 45; h cm 12; diam. ombelico cm 12, H. tot. em 65. Supporto: h. cm 53. Labbro lacunoso in più punt; delle due anse rimangono solo gli attacchi. I supporto è integro.
Labrum su un supporto del tipo II a colonnetta. La vasca presenta pareti lisce alPestemo, mentre l'interno è a forma di conchiglia con scanalaturea raggiera, i cui lobi superiori sono segnati da un bordo rilevato. Al centro l'ombelico è costituito da una doppia corolla di petali alternati, di forma lancelata, con nervatura centrale rilevata; il pistillo è formato da sei elementi semicircolari disposti intorno ad uno stame circolare. Sul sottolabbro e sulla pancia restano tracce delle anse doppie a bastoncello, con attacchi in forma di fogliette lanceolate. Il labrum è del II tipo a bacile, con l'aggiun331 Chi, F. Sinn, Vatikanische Museen. I. Die Grabdenkmäler, 1, Relief, Altäre, Urnen, Mainz am Rhein 1991, p. 29 s. n. 8, tavv. 14-18 (età inizio-augustea); p. 69 s,n. 36, tavv. 103105, 126 (età tardoclaudia-neroniana) 332 Su tale tema iconografico in ambito funerario: Villa Doria Pamphili, p. 97, n. 121, tav.
LXIII (B. Pala) 333 BARR-SHARRAR, op. cit nota 55 del paragrafo Tipologia dei labra, p. 162, P 5, tav. 76.
an
ta nel sottolabbro di una fascia aggettante dal profilo sgusciato, sotto cui inizia l’incurvatura della pancia. Il labbro, molto sporgente, presenta la superficie superiore arcuata, sottolineata nel punto di massima espansione da un anello rilevato, mentre il lato inferiore è appena ricurvo; sul davanti manca la consueta fascetta piatta: la terminazione è infatti in forma di becco ricurvo, del tipo a civetta. Il fondo del bacile si caratterizza per la presenza di un piatto. Il supporto (S. 180), del tipo II a, presenta una base, segnata da un alto listello, un fusto scanalato, rastremato, chiuso superiormente da un collarino liscio, sopra cui si stacca una modanatura a profilo obliquo e la fascia finale liscia. TI profilo dal contrasto incavo/convesso, il taglio acuto delle scanalature, il labbro a becco di civetta, la raffinatezza c ricchezza degli ornati, la nettezza dei segni rivelano la derivazione dell’opera dai più preziosi prototipi metallici. Bibliografia: inedito L. 149-150 Luogo di conservazione: Napoli, Museo Archeologico Nazionale, magazzino Cavaiole. Luogo di provenienza: probabilmente dall’area vesuviana. Marmo bianco. Diam. cm 67; h. cm 13; diam. ombelico em 20. Integr
Le due vasche, gemelle per dimensioni, forma e ornati, sono del tipo II a bacile, con l'aggiunta di un listello sporgente che separa il collo dalla pancia. I labbro estroflesso è del tipo consueto con superficie superiore arcuata e bordo anteriore piatto; la superficie inferiore si incava a formare un guscio. Due protomi maschili barbate si staccano dal labbro fin nella pancia: esse sono di tipo arcaistico, con tre file di riccioHi spiraliformi sulla fronte e un’acconciatura a lunghi boccoli paralleli sulla nuca; da dietro ciascun orecchio scendono cinque boccoli corposi, disposti a ventaglio. La barba pesante a ciocche appena ondulate, dal taglio piuttosto squadrato, circonda mento e guance; i folti e lunghi baffi si arcuano verso il centro, incorniciando le labbra. I baffi e i riccioli sulla fronte richiamano il volto di Acheloo, mancano, però, le coma e le orecchie taurine proprie di questa divinità fluviale, rappresentata in genere in forme miste: taurino-antropomorfe o anguiformi. All'interno l'ombelico, incomiciato da un tondino, presenta un gorgoneion in rilievo, del consueto tipo “bello”, con capelli anguiformi, da cui spuntano le brevi ali, e le due lunghe ciocche legate sotto il mento con un nodo erculeo. II trapano è presente soltanto sui riccioli frontali delle maschere barbate e sulle ciocche del gorgoneion. Un evidente gusto arcaistico caratterizza la resa delle maschere barbate, mentre il gorgoneion risente di un più forte classicismo. Bibliografie: inediti. L.151 Luogo di conservazione: Napoli, Musco Archeologico Nazionale, magazzino Cavaiole, inv. n.207. 312
Luogo di provenienza: probabilmente dall’area vesuviana Marmo bianco. Diam. cm 53; h. em 16, Integro.
Labrum di piccole dimensioni, del tipo III a catino, le cui pareti, scanalate all’intemo e baccellate all'esterno, somigliano a un guscio emisferico di conchiglia. Il bordo superiore, piatto, è inciso nel mezzo. L'ombelico interno è formato da una corolla a sei petali disposti a girandola; un foro passante ne buca il centro. Un labrum con pareti intemamente scanalate ed estemamente baccellate molto simile al nostro è raffigurato sulla parete settentrionale della diaeta della casa del Matrimonio di Alessandro a Pompei**. Bibliografia: inedito. L. 152 Luogo di conservazione: Nomentum, Casali di Mentana, Romitorio. Luogo di provenienza: ignoto. Marmo bianco. Misure non reperibili. Si conserva un frammento dell'orl.
Frammento di orlo e di parete di un labrum di piccole dimensioni, con labbro estroflesso, segnato all'esterno e all'intemo da un gradino; la fascia superiore è decorata con un kymation ionico, non canonico, con ovoli così allungati da sembrare baccellature e con punte di freccia estremamente sottili. Nell'incavo al di sotto del labbro si conservano una rosellina ad alto rilievo, a cinque petali, e l'attacco dell’ansa, i cui due finali sono visibili in basso, sulla pancia. Bibliografia: C. PALA, Nomentum, Forma Italiae, Regio /12, 1976,p. 31 s., figg. 36,37. L. 153 Luogo di conservazione: Ordona (prov. Foggia). Luogo di provenienza: ignoto. Marmo bianco. Largh. max. em 42; h. em 6,5; largh. del bordo cm 2. Frammentario, si conserva circa un terzo dell'insieme.
Si tratta di un esemplare, frammentario, del tipo VII a piatto, molto aperto e poco profondo; il fondo interno non appare segnato. Il bordo superiore appare tagliato orizzontalmente, privo di estroflessione. 33 Jussit 1993, fig.12. 313
L'Evers cita come esemplari di confronto un bacino di Lanuvio?** e una serie di piani di tavolo di Delos? e di Egina®7.
Bibliografia: C. Evers, Les sculptures d’Ordona, in Ordona IX, Rapports et Études, prés par J. MERTENS, Bruxelles tome 1997, p.291,n. 41,fig. 79 L.154 Luogo di conservazione: ignoto. Il labrum è stato rubato nel maggio del 1993, Luogo di provenienza: Pompei, casa dei Cei (I, VI, 5) atrio, al centro dell'inpluvium. La base fu trovata nel 1914 nel centro dell’impluvium, il bacino davanti alla porta che conduceva nel sottoscale, sebbene anch'esso in origine si trovasse nell’impluvium. Probabilmente, come spesso accade nei rinvenimenti archeologici campani, la conca, durante l'eruzione, fu spostata e nascosta in un posto considerato più sicuro, Vascae supporto in marmo bianco. Vasca: diam. cm 44,5; b. cm 18,5. H. tot. em 38,5. Supporto: h. em 20;, Bacino rotto în due e restaurato già in antico, con una grappa in bronzo e una in piombo. Moderno il tubo bronzeo posto all'interno del bacino.
Labrum di piccole dimensioni, ma con una ricca e singolare omamentazione figurata e vegetale: a sette foglie lanceolate si alternano sette teste ferine, dalle cui fauci aperte dovevano uscire i getti d'acqua. Il labbro a listello diritto, aggettante, reca sul bordo due cerchi concentrici, digradanti; in quello interno, ribassato, sono stati incavati sette fori passanti per altrettanti zampilli. L'acqua che ricolmava l’interno si raccoglieva in queste sette canalette interne, per poi fuoriuscire zampillando dalle maschere ferine, mentre al centro della vasca c’è uno sbocco con tubo metallico, di restauro, da cui doveva uscire un alto e lungo getto. Sotto il labbro si staccano le pareti, dolcemente incurvate, del bacino, di forma emisferica, piuttosto capiente: del tipo a conca (IV). Il bacino è esternamente decorato con un calice di sette foglie lisce, con punte ripiegate in fuori e nervatura centrale incavata, le cui estremità sono collegate le une alle altre a formare arcate profonde. Nello spazio arcuato tra una foglia e l'altra si inseriscono, alternativamente, sette teste ferine fortemente prominenti (h. del rilievo cm 8), naturalisticamente rese, nella seguente successione: leone, cinghiale, cane, pantera, leone, toro con le zampe anteriori ripiegate, e agnello. Il sostegno (S. 202) è del tipo I, con anello rilevato a due terzi dell'altezza: il calice superiore è stretto da una fascia ornata di una serie di linguette piatte, delimitata in alto da un tondino. La parte inferiore è ricoperta di lunghe foglie acantine, rivolte in basso e sovrapposte alternativamente: quattro grandi e quattro piccole, che si concludono sul profilo concavo della svasatura finale. Esse sono rese in modo naturalistico, con forti contrasti chiaroscurali nei bordi ondulati e nei profondi “occhi”. Al di sotto una base quadrangolare è composta di un listello e di una comice obliqua; lo zoccolo appare di un marmo più scuro. Della Corte nella descrizione del sostegno e del labrum ricorda che entrambi sono forati. 335 Mus. Naz. Rom., I, 2, p. 133 s, n. 34 (A. MANODORI,M. BERTINETT) 336 DEONNA 1938, p. 56-61, tav. X, n. 77, tav. XXV, n. 179. 357 Tu. Scnären, in 44, 1992, 1, pp. 7-38. 314
Si tratta di un pezzo estremamente singolare; un confronto è noto in un esemplare alla Gliptoteca di Copenhagen (L. 130); mentre una conca di basalto ansata al Museo Nazionale di Napoli presenta due teste leonine aggettanti, sul bordo superiore? una vasca con quattro piccole teste leonine si conserva al Museo Nazionale Romano (L. 105). Ad Aschaffenburg, un tempo nella Gliptoteca di Monaco (inv. n. 435), si conserva una conca marmorea baccellata, con Ima ionico sul labbro e un complesso supporto composto di tralci vegetali, tre zampe leonine, sopra le quali si ergono tre teste di animali (tra cui un leone e un cervo) sporgenti dalla pancia del vaso®9. Secondo Andersson la resa dell’acanto sul supporto è caratteristica dell’età flavia; le teste ferine sono state scolpite con grande espressività. L’unicitä e l’alta qualità del prodotto inducono ad ipotizzare che sia stato prodotto in un importante centro artistico. Tracce evidenti d'uso in antico sul fondo del labrum testimoniano che esso era stato già usato ancor prima di giungere nella casa dei Ceit, dove, nell’impluvium, non vi sono resti di tubature per l’approvvigionamento dell'acqua. Andersson rifiuta l'opinione di alcuni studiosi, secondo i quali alcune delle fontane pompeiane non ricevevano acqua ed avevano una funzione puramente decorativa Egli ricorda che una fontana in una casa romana era molto più di un elemento di scultura esclusivamente ornamentale; tuttavia, esistevano le cosiddette pseudo-fontane, che realmente erano destinate a rimanere asciutte, senza acqua: si tratta di quei complessi posti sul bordo degli impluvia come fossero fontane, composti ad esempio di una statua e di un tavolo (come la famosa Venere “in bichini”con il tavolo di fronte, nella casa di Venere). In queste pseudo-fontane il tavolo veniva posto di fronte alla statua, ad imitazione di un bacino di fontana", e non, come di consueto negli atria, dietro la scultura. Secondo Andersson?! i pilastri posti al centro degli impluvia pompeiani erano sostegni di tavoli, non di labra. Egli, infine, suggerisce che il Jabrum in esame fosse destinato, una volta che la casa avesse finalmente ricevuto l'approvvigionamento idrico, non all'atrio, ma piuttosto al piccolo giardino della casa, che doveva avere la funzione di triclinio estivo. Al centro del triclinium la fontana poteva essere ben osservata dai commensali reclinati ed inoltre il suo evidente significato dionisiaco sarebbe stato più appropriato; è proba bile, infatti, che molti vasi marmorei romani con motivi dionisiaci fossero usati proprio nei triclinia. ‘Andersson, analizzando il significato delle teste ferine, la cui presenza in un labrum è eccezionale, sostiene che il leone, in particolare, può essere interpretato come protettore della purezza dell'acqua?*? o come simbolo dionisiaco?6; anche la pantera e il toro sono animali dionisiaci, sebbene essi, nell'opera in esame, richiamino più probabilmente non tanto gli attributi del dio, ma particolari metamorfosi. Le 338 SpinazzoLa 1928, tav. 43, 339 M, Papini, Palazzo Braschi. La collezione di sculture antiche, Roma 2000, p. 30, fig. 25. 340 Sulle composizioni di labra, tavoli, puteali e pilastri poste sui bordi degli impluvia, ci. GeoRGE 1998,p. 82 ss. e suprap. 45 ss. in part. p. 49 ss, note 188-196. 341 ANDERSSON 1991, p. 560, nota 80. 32 O. KEILER, Die antike Tierwelt, I, Leipzig 1909, p. 48; F. MuruANN, Weihreliefan Acheloos und Naturgottheiten, in AK, 11, 1968, p. 31. 343 Sull'interpretazione delle maschere leonine come simboli dionisiaci nelle fontane: E.R. GoopenouGH, Jewish Symbols in the Greco-Roman Period, VII, New York 1958, p. 58 ss. 315
sette foglie formano un calice: elemento collegato sin dalle origini alla sfera dionisiaca e presente anche nelle classe delle fontane a 7/yton neoattico. Il labrum è stato certamente realizzato prima del 79 d.C., probabilmente in età flavia. In un ambiente chiuso della casa dei Ceiî sono, inoltre, conservati quattro supporti, di cui uno in terracotta, gli altri tre in marmo (S. 203-205). Bibliografia: M. DELLA CORTE, in Nsc 1914,p. 294s.; D. Mice, Casa dei Celi (16, 15). Hauser in Pompeji, 3, München 1990, p. 22, figg. 90, 130-138; ANDERSSON 1991, p. 544 ss, figg. 1 ss; GEORGE 1998 p. 90, nota 37. L.155 Luogo di conservazione: Pompei, casa delle Nozze d’Argento (V, I, 1), atrio, impluvium. Luogo di provenienza: in situ Vasca: marmo bianco. Supporto: bigio di Lesbio, varietà lumachellata. Vasca: diam. cm 78; circonf. cm 247; h. cm 18; diametro dell'ombelico: cm 18. Supportoh. tot. cm 74; circonf. capitello em 97; circonf. base cm 130; h. plinto cm 7; largh, lato cm 52. IL labrum è rot o in vari pezzi, restaurato con grappe; rotte le anse. II supporto presenta una
Il labrum, di piccole dimensioni, è del tipo VIII lussuoso, peril profilo discontinuo collo incavato ¢ pancia convessa, molto schiacciata) e la presenza delle anse. Di quest’ultime, purtroppo perdute, restano soltanto i due attacchi in alto, sul labbro, e quello unico in basso, sulla pancia, con al di sotto tre foglie lanceolate in rilievo. La vasca, poco profonda, presenta un labbro estroflesso, dalla fascia anteriore breve e piatta e dal bordo superiore arcuato, la cui curva continua verso l’interno, formando un arco continuo con la parete interna. Al di sotto del labbro si incava il collo formando una scozia, dal cui aggetto inferiore, a spigolo carenato, si stacca l’incurvatura della pancia ad arco di cerchio. II fondo mostra l'ombelico composto da due anelli concentri, dal profilo sinuoso, culminanti al centro in un bottone inciso, rotondo. Il supporto (S. 79), del tipo I b (ascritto dal Pernice al tipo più antico 2 a), ha plinto e fusto realizzati in un unico blocco. Sul plinto quadrangolare si impostano un breve listello, un'alta cornice a gola diritta, un toro e un breve listello. Il fusto rastremato è stretto a tre quarti dell'altezza da un anello a tondino, sopra cui si stacca il calice superiore, molto breve e svasato, incomiciato superiormente da una fascia a profilo in parte obliquo e da un listello finale. Secondo il Pernice, il complesso è contemporaneo all'erezione dell'atrio, realizzato in età sillana®*. La casa, che si distingue per la monumentalità, è sorta nel corso del II secolo a.C., come dimostra proprio il vasto impluvio rettangolare, con il tetto compluviato con grondaie in forma di teste leonine e antefisse a palmetta. Secondo la consueta successione dei complessi a fontana degli atria pompeiani, il lato breve presenta un puteale all'esterno dell'impluvium, il piedistallo rivestito di lastre marmoree, collocato tra lo zoccolo e il fondo dell’impluvium, e il labrum nell’impluvium stesso. Dal 34 Sul calice di foglie “Blatikelch”: JUCKER, op. cit. a nota 51 del paragrafo Tipologia dei labra; cf. ANDERSSON 1991, p. 558, note 69-71. 343 Rıcnrnsonjr. 1988,p. 155 ss. 316
piano superiore del piedistallo fuoriesce il tubo in piombo di alimentazione della fontana: probabilmente sopra doveva essere collocata una statua. La vasca con il resto del complesso a fontana è ascrivibile, seguendo la datazione proposta dal Pernice, in età sillana (primo quarto del I secolo a.C.). Bibliografia: Pernice 1932,p. 47, n. 4, tav. 31,2; Kraus, MATT, op. cit. (L. 145), p. 62, . 74; DE Vos 1982, p. 211; EScHEBACH, ESCHEBACH 1995, fig. 64.2; GzoRcE 1998, p. 90, 1 L. 156 Luogo di conservazione: Pompei, casa dei Vert (VI, XV, 1), peristilio, inv. n. 58778 (vasca) = 58777 (Supporto), angolo sudovest. Luogo di provenienza: in situ. Vasca e supporto: marmo pario! H. tot. cm 74, Vasca: diam, cm 65; circonf. cm 205; h. em 21. Supporto: h. totem 57; cir conf. sup. cm 67; circonf. inf. cm 80, Plinto: largh. lato cm 30. La vasca presenta diverse fratture e rotture, tenute insieme da grappe bronzee; sul supporto restano tracce del mordente rossastro, che veniva steso sulla superficie come base per la colorazione finale.
Bacino del tipo a coppa (V): di forma quasi emisferica, con fondo breve e senza labbro estroflesso, con semplice bordo, tagliato piatto superiormente. Il supporto (S. 213) è del tipo II a, con sedici scanalature doriche, che si aprono in basso sulla base a fascia liscia. Il plinto, lavorato a parte, presenta uno zoccolo quadrangolare e un anello a gola diritta. I fusto, al di sopra delle scanalature, ha un alto collarino liscio. Il coronamento ha un listello a profilo rigidamente obliquo, sormontato da altri due listelli digradanti. I marmo del supporto è dello stesso tipo di quello del bacino, ma di aspetto diverso. II supporto è del tipo 2 b del Pemnice, tardo-repubblicano. Bibliografia: Peanice 1932, p. 50,n. 27; EScHEBACH 1978, fig. 142; JastEMSK: 1979, p. 35, figg. 54, 56, 57, 58; RICHARDSONjr. 1988, p. 326; JasueMsKI 1993, p. 153 ss. figg. 166, 173; LAZZARINI 2002, p. 309 ss. nn. 19-20, figg. 2, 4, 8b. L. 157
Luogo di conservazione: Pompei, casa dei Vert (VI, XV, 1), peristilio. Vasca sn. i; supporto inv. n. $8795 (labrum al centro del peristilio). Luogo di provenienza: in stu Vasca e supporto: marmo perio”. H. tot. cm 67. Vasca: diam. cm 74; circonf. cm 227; h. em 9. Supporto: h. cm 58; circonf, inf. cm 97. La vasca presenta diverse fratture, i frammenti sono ricongiunti con il cemento; il capitello del supporto presenta un'ampia lacuna; il fusto reca una lunga fratura longitudinale. 346 Paros 2 da Chorodaki: LAZZARINI 2002, in bibl. 347 Paros 2 da Chorodaki. 317
Vasca del tipo a piatto (VII) senza labbro estroflesso: il bacino & molto aperto e basso, con fondo largo e piatto, segnato da uno spigolo ad angolo ottuso; le pareti terminano con un bordo netto, piatto, Il supporto (S. 214) è del tipo I b. La base si compone di un toro tra due listelli il fusto liscio, leggermente rastremato, & stretto a tre quarti dell'altezza, da due tondini; la svasatura del breve calice superiore termina in due listelli digradanti. Il marmo del supporto è dello stesso tipo di quello del bacino, ma di aspetto diverso, II supporto è del tipo 2 b, tardo-repubblicano, secondo la classificazione del Pernice. Bibliografia: Jaswenski 1979, p. 35, figa. 54, 56, 57, 58; RICHARDSON jr. 1988,p. 326; IasHEMSKI 1993, p. 153 ss. figg. 166, 173; Lazzarini 2002, p. 309 ss., nn. 14-15, figg. 2, 6,9. L.158 Luogo di conservazione: Pompei, Foro Triangolare (VIII, VII, 30), portico settentrionale. Luogo di provenienza: in situ. Vasca e supporto in marmo bianco Iunense, Vasca: diam. cm 121, circonf. em 380; h. em 17; prof. cm 11,5. Supporto: h. tot. em 90; cir conf. max capitello cm 75; h. plinto cm 11,5; largh. lato cm 67. La vasca 6 stata molto restaurata, con integrazioni in cemento e un anello metallico sul fondo. Il supporto presenta un'ampia rottura alla base; alcune scanalature sono scheggiate.
La vasca è del II tipo a bacile, con fondo piatto e largo. Il labbro è estroflesso, con fascia anteriore breve e liscia e bordo superiore appiattito, il cui passaggio alla parete interna è segnato da uno spigolo acuto. La vasca non presenta alcun foro, essendo alimentata dall'estemo. II labrum è stato posto in età moderna (Pernice) sul supporto, originariamente non pertinente. Il supporto (S. 220) è del tipo II a, con venti scanalature di tipo ionico. Un collarino liscio separa le scanalature dal coronamento. Il fusto termina in una base circolare posta sul plinto quadrangolare. Il coronamento è composto da un listello rigidamente obliquo e da due brevi listelli digradanti. Il Penice inserisce il nostro supporto nel tipo 2 b attestato in età tardo-repubblicana. Sul piano superiore, attualmente non più visibile, il Mau ricorda incise le lettere osche K, 4, M. La fontana si trova quasi al centro del breve portico settentrionale, posta sul gradino di base e accostata alla terza colonna (da sinistra), la quale all'altezza del labbro della vasca è stata rozzamente incavata. La colonna, inoltre, al di sopra dell'incasso presenta due canali paralleli, scavati orizzontalmente nel secondo rocchio, per far passare il tubo di piombo che alimentava la fontana e che saliva da terra verticalmente addossato al primo rocchio, in corrispondenza della scanalatura, più profondamente incavata. Nei disegni ricostruttivi di F. Mazois si vedano la posizione della fontana simmetrica rispetto all’ingresso (a dx.) e il suo funzionamento con la colonna dorica, da cui fuoriesce un getto d'acqua, che cade nel labrum sottostante, posto sul gradino inferiore allo stilobate. 1 portici furono costruiti nella seconda metà del Il secolo a.C. per valorizzare la piazza dominata dal vetusto tempio Dorico, eretto già nella seconda metà del VI seco34 RICHARDSON jr. 1988, p. 67 ss. periodo del tufo) 318
lo a.C. e ampiamente rimaneggiato nei secoli, fino al I secolo d.C. Vicino alla fontana c'è la base di una statua dedicata a M. Claudius Marcellus, nipote di Augusto e patrono della colonia di Pompei E probabile che il labrum sia stato realizzato in età tardo-repubblicana o augustea; il supporto, non pertinente, è databile in età tardo-repubblicana. Bibliografia: F. Mazoss, Les ruines de Pompéi, Il, Paris 1829, tav. X, figg. 1, Il; PERNICE 1932,p. 49, n.3, tav. 32, 5; A. Mav, Segni di scarpellino di Pompei, in RM, X, 1895, p. 49 ss; JASHEWSKI 1979,p. 1563, fig. 243;DE Vos 1982, p. 64;H. EscHEBACI, Katalog der pompejahischen Laufbrunnen und thre Relies, in Antike Wel, 13, 1982, 3, p. 22, fig. 5; H. ESCHEBACH, T. ScuAreR, Die öffentlichen Laufbrunnen Pompejis, in Pompeii, Herculaneum, Stabiae, Pompei 1983,p. 28, fig. 39 a-b; RICHARDSON jr. 1988,p. 67 ss. fig. 5; JASHEMSKI 1993, p. 222, n. 460, figg. 255-256; Escnenach, ESCHERACH 1995, fig. 41.1 1.159 Luogo di conservazione: Pompei, magazzino del Foro. Luogo di provenienza: dagli scavi Marmo bianco con venature grigie (lunense). Diam. cm 58,5; circonf. cm 181,5; h. em 12,5. Varie fratture percorrono il pezzo, restaurato con gesso e grappe.
Vaschetta del tipo a bacile (II), con fondo piat o e largo e labbro estroflesso ornato con un kyma ionico, delimitato superiormente da un lstello. Bibliografia: inedito. L. 160 Luogo di conservazione: Pompei, terme del Foro (VII, 5), caldarium maschile, abside. Luogo di provenienza: Pompei, in situ Marmo bianco lunense. Vasca: diam. cm 239; circonf. cm 748; h. cm 33,5; diam. dell'ombelico cm 85. Supporto: circonf. cm 608. Labbro molto levigato; alcune lettere bronzee sono scomparse ed altre appaiono molto consunte.
IL labrum è del tipo a bacino (VI), consueto nelle terme: si tratta di un’ampia vasca con fondo piatto e largo da cui si staccano le pareti che salgono quasi perpendicolari al labbro, che in questo esemplare è eccezionalmente presente, nella forma di una sottile fascia anteriore, liscia e appena sporgente, mentre il bordo superiore è leggermente arcuato, Su quest'ultimo corre l'iscrizione in lettere bronzee: Cn. Melissaeo Cn. f. Apro, M. Staio M. f. Rufo II vir(is) () iter(um) i(ure) d(icundo) labrum ex d(ecreto) d(ecurionum) ex p(ecunia) p(ublica) f(aciundum) c(uraverunt). Constat ((sestertium)) BCCL. Cnaeus Melissaeus Aper figlio di Cnaeus e Marcus Staius Rufus figlio di Marcus, duoviri con potere giurisdizionale per la seconda volta, per delibera decurionale fece10 eseguire la vasca a pubbliche spese. Il costo è di 5.250 sesterzi. Le pareti esteme appaiono non lisciate, lavorate a gradina, nella parte inferiore del labrum, che doveva 319
essere ricoperto di intonaco come il supporto in muratura. All'interno un complesso umbilicus emerge, composto di un’alta cupola dal profilo a gola diritta, che si stacca dal fondo con un basso listello e culmina al centro con un anello incavato intorno al bottone centrale rilevato, da cui fuoriesce ancora la cannula bronzea di alimentazione idrica (si veda il bel disegno del Mazois). Il labrum è su uno zoccolo cilindrico in muratura rivestito di intonaco. L'iscrizione permette di datare l'opera nel 3/4 d.C. (in base a CIL, X, 824) e potrebbe fornire, secondo lo Eschebach, una prova della cronologia del cambiamento avvenuto negli impianti di riscaldamento del caldarium™®, La vasca, in cui doveva esserci acqua fredda’®, è al centro della schola labri che si apre sul fondo del caldarium; al di sopra di essa si apre una nicchia quadrangolare per le lampade e, più in alto nella cupola emisferica dell’abside, una finestra circolare. Tre altre finestre rettangolari sono aperte al centro del soffitto voltato, secondo l'insegnamento vitruviano, per cui la luce doveva filtrare dall'alto, in modo che i frequentatori ponendosi attorno alla vasca non creassero zone d'ombra. Le terme vennero costruite nel secondo quarto del I secolo a.C., cioè nei primi anni della colonia sillana?*!, su una precedente struttura balneare di età sannitica (prima metà del II secolo a.C.); esse vennero più volte rimaneggiate in età augustea e claudia: l’ultimo periodo costruttivo si data a dopo il terremoto del 62 d.C. Sono divise in due sezioni, una maschile e una femminile, con ingressi separati. Nella prima età augustea, intorno al 30 a.C., vennero costruiti, secondo le norme vitruviane (V 10, 4), l'abside nel caldarium maschile per la schola labri, sul lato breve meridionale, e la nicchia nel lato settentrionale del caldarium femminile; entrambi ricostruiti nella media età augustea (circa 3/4 d.C.). È in questo periodo che vennero collocati i due labra nei caldaria. Secondo Liselotte Eschebach non potendo far passare la vasca in esame, per la sua grandezza, attraverso alcuna porta, fu rotto il retro dell'abside; in occasione della conseguente ricostruzione fa ricavata la finestra sulla volta. L'alta temperatura raggiunta nel caldarium (circa 40-45°) necessitava della presenza di acqua, anche scorrente sul pavimento, per rinfrescarsi; per questo vennero collocati i labra. Nel caldarium maschile la volta a botte è baccellata in senso trasversale, al fine di incanalare i vapori, come è documentato anche in altri caldaria (es. anche ad Ercolano nelle terme del Foro di Ercolano). Nel caldarium della sezione femminile (attualmente sfruttata come deposito di materiale archeologico dalla Soprintendenza), meno grande e d’impianto piuttosto irregolare, nella nicchia a pianta quadrangolare ricavata nel lato breve occidentale si conserva il solo sostegno cilindrico®? in muratura, che doveva sostenere un labrum marmoreo, simile a quello del caldarium maschile; esso era inserito in una grande nicchia accanto al praefürnium. Nelle terme Suburbane, situate nella zona sud-ovest della città, subito fuori Porta Marina, scavate negli anni ’80353, si conservano le tracce dell'esistenza di tre labra: 34° Su tale cambiamento di funzione, ef. supra Prototipi e funzioni, nota 218. 350 EscHEBACH 1991, p. 266. 351 RICHARDSON jr. 1988, p. 147 ss. 352 EScuEBACH 1991, p. 268, figg. 9, 51. 353 Sulle terme Suburbane di Pompei: L. JacontLLI, Pompei. Lo scavo delle Terme Suburbane. Notizie preliminari, in RivStudPomp, 1, 1987, p. 151 ss; To., Terme Suburbane. Stato attuale delle conoscenze, in ibidem, 2, 1988, p. 202 ss. ID, Le Terme Suburbane di Pompei: 320
uno trovava posto nell'abside semicircolare finestrata del caldarium; di esso restano tracce della base. Un piccolo labrum, non più esistente, alimentatoda un getto d' fuoriuscente da un rubinetto in bronzo, conservatosi, doveva trovarsi in un ambiente probabilmente destinato a svolgere la funzione di sala di attesa, ove i bagnanti si detergevano prima di immergersi nell’attigua piscina calda. Di un terzo labrum si conservano tracce nella Jatrina. Queste terme, costruite (1 fase) tra la fine del I secolo a.C. e gli inizi del 1 secolo d.C. e ristrutturate (II fase, cui appartengono la sistemazione attuale del caldarium e del vano-sala d'attesa) in seguito al terremoto del 62 d.C., trovano confronti con altri complessi termali dell’area vesuviana eretti verso la meta del I secolo .C., sebbene rivelino alcune novità rispetto al percorso canonico e una più complessa articolazione di alcune sale termali, come il frigidarium e il caldarium. Bibliografia: CIL, X, 3, 817; F. Mazots,Les ruines de Pompéi, II, Paris 1829, p. 76s. tav. XLVII, fig. II, XLIX, fig. in basso; J. OveRBECK,A. Mau, Pompeji, 1884,p. 210; KRAUS,v. Mart, op. cit. (L. 145),p. 55, fig. 57; Escneaach 1978, fig. 55; ESCHEBACH 1979, p. 44; E. La Rocca, M.A. DE Vos, Pompei, Milano 2000,p. 140 s.; DE Vos 1982, p. 52; EScHEBACH 1991, pp. 266 s. 274, figg. 37, 38, 39, 42, 44; RICHARDSONjr. 1988,p. 150; WEBER 1996, p. 56 ss., fig. 45. L. 161 Luogo di conservazione: Sassari, Soprintendenza Archeologica. Inv. n. 15964. Luogo di provenienza: Spargi (Sassari) carico della nave ivi naufragata: il materiale scultoreo del relitto è di provenienza greca, forse delia. Marmo bianco (greco insulare ?). Vasca: forse diam. cm 50; supporto: circonf. em 18, h. max cm 26. Supporto mutilo superiormente.
Si tratta di due pezzi pertinenti al carico naufragato a Spargi. Kapitän ha proposto che il supporto costituisse il piede del labrum, ricostruendo in tal modo un ipotetico loutérion per pratiche cultuali a bordo della nave. La vasca, recuperata dai clandestini e documentata da due fotografie, è di piccole dimensioni e del tipo Il a bacile. TI supporto (S. 227), ritenuto inizialmente una colonnina pertinente ad un sacello presente sulla nave (Lamboglia), è del tipo II a, con scanalature ioniche e base attica, composta da un trochilo tra due tori, delimitati da listelli. Sia la vaschetta che il supporto sono confrontabili con quelli provenienti da Delos e dalle città vesuviane; si può proporre una datazione tra la fine del II e gli inizi del 1 secolo a.C. I carico della nave naufragata a Spargi fu individuato nel 1957; le prime campagne di scavo avvennero sotto la direzione di Lamboglia negli anni 1960-64; ulteriori ricerche furono effettuate nel 1976; il carico fu purtroppo oggetto di continue depredazioni. architettura e distribuzione degli ambienti, in Roman Baths and Bathing 1990, p. 221 ss; A. DE ‘SIMONE,A. RINAURO, Pompei, Terme Suburbane, in Restaurare Pompei, Milano 1990,p. 141 ss. EscueBAct 1991, p. 257 ss. JAcoBELL, Die Suburbanen Thermen in Pompei, in ArchKorrBl,23, 1993, p. 327 ss H. MANDERSCHEID, Bemerkungen zur Wasserbewirtschaftung der Suburbanen Thermen in Pompei, in ibidem, p. 337 ss. 321
TI naufragio dovette avvenire trala fine del II secolo a.C. e il 75 a.C. I carico della nave era composto di oggetti di arredamento di produzione greca, verosimilmente delia, in base al confronto con opere ivi rinvenute, di eta tardo-cllenistica. Il carico di manufatti delii doveva essere stato imbarcato sulla nave o direttamente a Delos, principale protagonista del commercio tra Oriente e Occidente, o indirettamente in uno dei grandi port di ridistribuzione, posti lungo le coste campane, come la presenza di anfore di origine tirrenica e di ceramica a figure nere sembrerebbe indicare. In Occidente la nave era attesa da un ricco personaggio, che avrebbe dovuto arredare la sua domus con il prezioso carico di mobilia, che, purtroppo a causa di un violento abbordaggio, naufrag®. Bibliografia: N. LamnoGLIA, scavo 1958, in Atti Il Congresso p. 156, fi. 13; Ip, art. cit. (a nota fig. 5; Kaprrän 1979,p. 112, fig.
La nave romana di Spargi (La Maddalena). Campagna di Int. Archeologia Sottomarina, Albenga 1958, Cuneo 1961, 22 del paragrafo su Sistemi produttivi e committenza), p. 265, 26; BELTRAME 1998,p. 39, figg. 3, 4.
L. 162 Luogo di conservazione: Ventotene (isole Pontine). Luogo di provenienza: Ventotene, rinvenuta a Santo Stefano, nel carico della nave ivi naufragata. Marmo bianco. Misure non rilevabili Buono stato di conservazione.
Vaschetta circolare, dello stesso tipo (II a bacile) di quella di Spargi. TI relitto è databile alla metà del I secolo a.C., ne consegue per quest'opera una datazione nella prima meta del I secolo a.C. Bibliografia: P. GIANFROTTA, in Le isole Pontine, Roma 1986, p. 214 ss.; BELTRAME 1998, p.41, nota 63. L. 163 Luogo di conservazione: Ostia antica, caseggiato del Termopolio, con funzione di ristoro e alloggio, cortile (Reg. I, Is. I, 5). Inv. n. 1221 Luogo di provenienza: in situ Vasca in pentelico; supporto in cipollino. Bacile: diam. est. cm 62, int. cm 44; h. cm 18; prof. int. em 12; circonf. cm 198. Supporto: h.tot. cm 79; base diam. cm 36; circonf. della base cm 112. Ben conservati il supporto è incrostato di calcare. I labbro della vasca presenta due scheggiature,
Vasca rilavorata, di piccole dimensioni, del tipo a bacile (IT) con fondo piatto e largo, da cui si staccano, ad angolo quasi retto, le pareti svasate verso l'alto e term manti in un labbro estroflesso formatoda un listellino sormontato da un toro, dal bordo superiore piatto. Le superfici non sono tutte ben levigate c rifinite: il toro del labbro è levigato, mentre al di sotto, a partire dal listellino, le pareti non sono lisciate. Il fondo è finito c lisciato. L'interno, concavo, si presenta levigato e con al centro un foro otturato di gesso bianco, forse il foro per lo zampillo; secondo la Ricciardi si conservava no tracce del tubo bronzeo. Decentrato sul fondo del catino si nota un foro più ampio 322
(cm 7 x 6), di forma irregolare, passante sul fondo; esso venne richiuso, probabilmente in antico, otturandolo superiormente con uno scheggione di marmo scuro e inferiormente con il cemento. La vasca è stata realizzata riutilizzando una base ionica composita, rovesciata e rilavorata: della base si conserva il toro, che nella vaschetta costituisce il labbro, mentre la parte sottostante è stata ribassata, lavorando la superficie con la subbia per eliminare le modanature originarie. La base era stata intagliata senza plinto; sulla parte grezza si riconoscono ancora parte delle due scozie. Il foro passante era in origine la cavità del perno di vincolo; si conservano anche la canaletta e un altro foro. Il supporto (S. 65), forse trovato in situ, è di forma singolare a colonnina sagomata, rigonfia in basso; lo si può considerare un'eccezione del tipo II b, con influssi dei tipo VI per il rigonfiamento inferiore (cfr. S. 92 e S. 95). Una fascia liscia lo delimita superiormente e inferiormente. La base riutilizzata potrebbe essere datata, per il marmo e il profilo del toro, nella prima metà del II secolo d.C. La fontanina, d'uso privato, pertinente all'ultimo rifacimento del caseggiato, risalente nella sua struttura originaria ad età adrianea, viene datata dalla Ricciardi nel III secolo d.C. La vaschetta si trova in posizione decentrata nel piccolo ambiente dietro l’abside; nell’ambiente accanto, con banchina, si conserva un bacino quadrangolare di raccolta, delimitato da lastrine marmoree, che potrebbe essere pertinente proprio alla fontanina in esame, forse spostata in età moderna. Bibliografia: R. PARipeNI, in Nsc, 1916,p. 401 ss.; RICCIARDI, Scrmvari 1996, Il p. 21, n.8, figg. 13, 14. 164 Luogo di conservazione: Ostia antica, terme dei Cisiarii. Attualmente si trova in un ampio ambiente rettangolare, tra le sale A e B. (Reg. IL Is. II, 3) Luogo di provenienza: probabilmente in origine era © nel caldarium o nel frigidarium; a causa del cattivo stato di conservazione del contesto non è possibile avanzare una più pr cisa ubicazione originaria. Vasca: marmo bianco lunense. Supporto: marmo tasio dolomitica di Capo Vathy. Vasca: diam. est. cm 187, int. em 170; h. cm 29; spess. em 10-12. Supporto: h. em 72,5; lungh. lato base cm 20, Manca uno spicchio della vasca. Tre incassi per grappe, con resti di piombo, sono visibili nella. parete esterna, in connessionecon e fratture: si trata di grappe moderne. La vasca è roa in cinque grossi frammenti, di cai uno costituito dall’ombelico centrale, che € staccato dal fondo con una linea di frattura netta, con le pareti del taglio lisce; soltanto in due brevi punti, in corrispondenza delle fratture sul fondo, il taglio appare iregolare. Sullo spessore dell'ombelicosi nota un foro (non passante, attualmente profondo cm 4; diam. esterno, più largo, cm 4), con tracce di piombo. Si rata ello stesso piombo rimasto negli incassi per grappe. Tondini metallici i intravvedono nelle fessure degli spicchi della vasca, tondini che servono a tenere uniti i frammenti. I supporto presenta due lunghe rotture verticali. La rottura della vasca potrebbe, quindi, essere intenzionale (forse per fame calce in età post-antica™), senza poter però escludere che si tatti 354 Due calcare sono attestate proprio nelle terme dei Cisiarii. Sulle calcare ostiensi: P. Lenzi, “Sita in loco qui vocatur calcaria ": attività di spoliazione e forni da calce a Ostia, in Archeologia Medievale, 25, 1998, p. 247 ss., in particolare sulle due calcare rinvenute nelle terme dei Cisiari: p. 256,n. 1, fig. 8; n.2, fig. 9. 323
di fratture accidentali, dovute all roturadel pezzo, poi riassemblato in età moderna, regolariz zando le linee di fratturae tenendo insieme i pezzi con grappe e tondini metallici.
Si tratta di una vasca circolare su un alto supporto (S. 235) del tipo II, a pianta ottagonale, la cui base si allarga con una cornice a profilo obliquo e un'altra a fascia, sempre ottagonale. La vasca, del tipo a bacino (VI), presenta una forma aperta, allargata, particolarmente schiacciata, con ampio fondo piatto c pareti diritte, che si staccano dal fondo, con una curva brusca, che forma all’intemo un angolo quasi retto, e salgono in alto, quasi perpendicolarmente, terminando con un taglio piatto, senza labbro estroflesso. L'ombelico (diam. cm 66) si presenta in forma di cupola emisferica, schiacciata; nella parte centrale si nota un cerchio a bottone rilevato (diam. cm 15), composto da un primo anello liscio e un secondo anello concentrico, sgrossato; al centro si nota un piccolo buco, non passante (diam. cm 1; soltanto per cm 2 si approfondisce nella superficie), probabilmente da connettersi con una decorazione metallica del labrum, fissata nel buco. Manderscheid asserisce che, essendo il centro del labrum non forato, afflusso dell'acqua doveva provenire dall'estemo. Ciò rende probabile la collocazione presso una parete. Nel volume curato dalla Ricciardi si parla, invece, di foro per lo zampillo, scambiando verosimilmente il breve buco con un foro passante; la fontana vi è definita d’uso promiscuo-collegiale, essendo pertinente alle terme della corporazione dei Cisiarii, la cui struttura è di età adrianea, con rifacimenti del III secolo d.C. a quest'ultima fase apparterrebbe la vasca in esame. Il labrum si trova al centro di un vasto ambiente rettangolare di disimpegno, che collega l’ambiente B absidato e riscaldato (forse il tepidarium), come dimostrano le suspensurae sotto il pavimento*, ad un altro ambiente riscaldato: A. A sud dell'ambiente in cui si conserva il labrum rimangono i resti della vasca di raccolta, presso cui era il serbatoio e la noria, che raccoglieva l'acqua del pozzo sottostante®“. Al di sotto delle suspensurae delle saleA e B si trova un pavimento in cocciopesto, pertinente a un edificio la cui fase più antica è della fine del I secolo a.C., denominato magazzini repubblicani, probabilmente erroneamente, in quanto più che di magazzini doveva trattarsi di un impianto commerciale con botteghe, sul tipo di un bazar. Nella terza fase, in età adrianea, l’edificio, perse in parte il suo carattere commerciale, poiché tutta l'ala nord fu ricostruita e trasformata in bagni: le terme dei Cisiarii, cioè terme pertinenti a uno dei collegia (associazioni) dei carrettieri: Cisiarii, dal cisium (sorta di calesse). Le terme vennero successivamente più volte rimaneggiate e ampliate; rifacimenti notevoli furono effettuati (quarta fase) attorno al IIT secolo: in particolare la sala B subi un grosso ampliamento in eta severiana, con l'aggiunta dei praefurnia. Le indagini effettuate recentemente sotto il pavimento della sala B, non hanno evidenziato nulla delT'impianto antico, perché agli inizi del "900 venne fatto sotto il pavimento, sfondato dal crollo del soffitto con gli stucchi, un lavoro di consolidamento che distrusse gli elementi antichi delle terme. Non si hanno tracce, perciò, delle tubature di adduzione del labrum stesso, tanto da rendere dubbia la pertinenza in antico della vasca alla sala B. Bibliografia: PAvouwt 1983, p. 51; MANDERSCHEWD 1994, p. 34,n. 3, fig. 16; RICCIARDI, Scrmarı 1996, p. 58, n. 49, fig. 89. 355 Per queste notizie si ringrazia la dott.ssa Bedello della Soprintendenza Archeologica di Ostia. Cft, PAVoLINI 1983, pianta a p. 50. 356 Chr. RICCIARDI, SCRINAR! 1996, I, p. 157 s., n. 29, fig. 242. Sulle terme dei Cisiari: G. Becam, Mosaici e pavimenti marmorei, Scavi di Ostia, IV, Roma 1961, p. 39 ss. 324
L.165 Luogo di conservazione: Ostia antica, terme del Foro, forica (Reg. I, Is. XII, 6) L'ubicazione attuale è nello stretto angolo della latrina trapezoidale delle terme, tra l'ingrosso dalla stradae il passaggio alla palestra. Luogo di provenienza: è incerto se sia in situ o se sia di recupero osporadica. Marmo bianco lunense. Vasca: diam. est. cm 87 ca, int. cm 71; h. cml8. Supporto: h. cm 20; largh. lato della base cm 40, La grossa lacuna nella parte centrale del bacino non permette di determinare se originariamente ci fosse un foro per l'afflusso delle acque. Quattro lunghe fratture radiali partono dalla lacuna centrale; grappe metalliche, poste esternamente, uniscono le parti frammentarie. Ampia scheggiatura sul piedistallo. Superficie incrostata.
Vaschetta, non finita, del tipo a catino (II), di forma emisferica. L'intemo è lisciato e manca della parte centrale, dove secondo la Ricciardi probabilmente era il foro per l'afflusso idrico. Manderscheid, invece, ipotizza che, non potendosi vedere nel centro della vasca alcuna apertura, l’approvvigionamento dell’acqua doveva provenire dall’estemo, verosimilmente dalla parete. La superficie esterna è sgrossata con la subbia piccola, mentre il bordo superiore è ben levigato. L’interno della vasca, lisciato, presenta numerosi segni di colpi di uno strumento appuntito (piccone?) Il supporto (S. 236) è del tipo V b, a plinto compone dal basso di una base quadrangolare, su cui si imposta un toro, un listellino e un corpo con profilo a scozia. Il piano supcriore si presenta ben lisciato solo sul bordo, delimitato da un solco; mentre la parte interna, su cui poggiava il supporto della vaschetta, è lasciata grezza; al centro è presente un buco irregolare, non passante, da cui si stacca un solco incavato, obliquo, che si arresta prima del bordo; si tratta della canaletta per la colata del metallo del perno che serviva ad unire la base all'elemento superiore: un ulteriore sostegno o meglio la vaschetta stessa. È probabile, infatti, che questo basso supporto costituisca l’unico elemento di sostegno del Jabrum: lo fa pensare la forma stessa della basetta, che nel breve fusto presenta un guscio espanso in alto, per formare un piano più ampio su cui porre Ja vasca. Loutéria su basso sostegno sono ampiamente documentati nel mondo greco, come è stato detto nella parte relativa alla tipologia, soprattutto per funzioni igieniche. Il labrum si trova in un angolo della latrina, accessibile sia dalla palestra delle terme, sia dal Cardo Maximus. Le terme del Foro, le più tarde fra le grandi terme pubbliche di Ostia, furono costruite per un'iniziativa del governo centrale, grazie alla liberalità di M. Gavio Massimo, prefetto del pretorio di Antonino Pio. I bolli laterizi colocano la costruzione nel 160 d.C. Notevolissimi restauri furono effettuati nel IV secolo e forse ancora nel V secolo*57, Non sappiamo se la vaschetta si trovi nella posizione originaria. La Ricciardi ipotizza che la vaschetta, essendo l’unica fontanina a piede trovata in una latrina ostiense, sia di recupero o sporadica; mentre giustamente Manderscheid sostiene che è in situ Nel volume delia Ricciardi il bacino è datato nel III-IV secolo d.C.; la probabile pertinenza all'impianto originario delle terme permetterebbe di anticipame la cronologia alla fine del regno di Antonino Pio. La funzione della vaschetta, in base alla presenza del basso piedistallo, deve essere stata diversa, né legata al lavaggio di mani, né alle consuete aspersioni; in tali casi, 357 Mei00s 1960, pp. 411 ss., 548, 551; Pavoumt 1983, p. 108 325
infatti, sarebbe stata posta su un piede più alto. Nelle latrine sappiamo dalle fonti che erano usate delle spugne per la pulizia personale?55; dopo l'uso queste spugne potev. no essere pulite in un piccolo bacino o nella canaletta corrente lungo i bordi della lat na, davanti ai sedili stessi. Verosimilmente il piccolo labrum in esame doveva svolgere la funzione di bacino per pulire le spugne. Bibliografia: MANDERSCHEID 1994,p. 45 5. n. 21, fig. 32; RICCIARDI, SCRINARI 1996, p. 42, 1.31, fig. 60, L. 166 Luogo di conservazione: Ostia antica, Piccolo Mercato, inv. n. 1246. Luogo di provenienza: sequestro del 1987; precedentemente conservata nel “sottotempio”. Marmo bianco lunonse. Diam. cm 97,5; circonf. cm 305; h. em 22. Buono stato di conservazione; poche scheggiature interessano i bordi. Un ampio foro irregolare, di forma ellittica, è stato aperto sul fondo al centro (dimensioni em 7,5 x 12,5).
Piccolo bacino, completamente rifinito, del tipo a bacile (I). Le pareti si staccano dal fondo incurvandosi dolcemente verso l'alto e terminando con un labbro estroflesso, fortemente incurvato in basso, a formare un quarto di cerchio, con il bordo inferiore tagliato nettamente: a becco di civetta. Al di sotto del labbro corre una modanatura composta di un breve listello sormontato da un toro. Questo tipo di cornice è una caratteristica dei perirrhantéria greci in marmo, di età classica: alcuni esempi li fori scono dei frammenti rinvenuti nel santuario di Aphaia ad Egina?®, datati nella prima età classica, i frammenti iscritti dall’acropoli di Atene, datati da Raubitschek nel periodo successivo al 480 a.C., e quelli di età classica dell’ Heraion di Samo*t, Bibliografia: inedito. L. 167 Luogo di conservazione: Ostia antica, Piccolo Mercato. Luogo di provenienza: da Ostia antica. Marmo bianco. Diam. em 56; circonf. em 182; h. cm 18. Buono stato di conservazione. Superficie ricoperta di incrostazioni di licheni.
Si tratta di una vasca, semilavorata, del tipo a catino (IIT). L’interno, piuttosto profondo, perfettamente rifinito e ben lisciato, presenta un'incurvatura continua emisferi358 MARTIALIS, Ep. XII, 48,4; SEN, Epist. 70,20. 359 G.CM. Jansen, Water systems and Sanitation in the houses of Herculaneun, in MedNIRome, 50, 1991, p. 156 ss, fig. 16. 360 Siren, Aigina, artcit. a nota 40 di Prototipi e funzioni, p. 4 ss, nn. 9,10, figg. 14-19. 361 A.E. RAUBITSCHEX, Dedications from the Athenian Akropolis, 1949, Gruppe 3: nn. 362365; HIESEL 1967, pp. 82, 86 s, nn. 94-97, tav. 15, 326
ca, che si conclude con un bordo tagliato superiormente nettamente, senza estroflessione, ripassato con la subbia piccola. L’esterno risulta, invece, appena sgrossato a subbia media e piccola (V stadio di lavorazione) Bibliografia: inedito. L. 168 Luogo di conservazione: Ostia antica, Grottoni al Piccolo Mercato, inv. n. 31021. Luogo di provenienza: da Ostia antica, trovata il 14/4/39 e il 26/5/39 rotta in due pezzi nel mitreo della planta pedis (reg. Il, is. XVII, 2). Marmo bianco (pentclico?). Diam. em 60; circonf. cm 90; h. cm 39; Vasca frammentaria, ricomposta da 4 grossi frammenti; manca di un pezzo. Due pezzi presentano una superficie ricoperta di un sottile strato di patina porosa c giallastra (a di sotto della quale, in una sbreccatura, si vede il marmo bianco uguale a quello degli altri due frammenti)
Si tratta di una vasca di forma emisferica, del tipo a catino (IIT), senza labbro estroflesso e con fondo largo e piatto, completamente rifinita. Sul fondo estemo si stacca un disco in rilievo, soltanto sbozzato, che doveva servire ad incastrare il labrum nel supporto. Il bordo superiore tagliato nettamente, presenta una superficie piatta, su cui è incisa, in bei caratteri apicati un'iscrizione con lettere alte cm 2,2: [Deo injvicto Mithrae d(ono) d(edit) M. Umbilius Criton cum Pyladen vili[co]. Il labrum fu dedicato a Mitra da parte di Marcus Umbilius Criton e Pylades nel mitreo ostiense cosiddetto della planta pedis, per la singolare raffigurazione che ritorna sia sul pavimento di cocciopesto, che su quello a mosaico*®?. Zevi propone un'integrazione più completa della parte iniziale dell'iscrizione, inserendo in corrispondenza della lacuna [deo in], mentre Becatti riteneva che si dovesse completare con la sola sillaba [in], non essendoci abbastanza spazio per deo 0 Soli, che di solito compaiono nella formula dedicatoria completa: deo/Soli invicto Mithrae, sebbene sia attestata anche la formula abbreviata /nvicto Mithrae. Il cognomen Criton e il nome Pylades sono di greculi; il primo dedicante per il prenome e il gentilizio sembrerebbe collegarsi ad un Marcus Umbilius, forse il senatore M. Umbilius Maximinus, patrono del corpus lenunculariorum tabulariorum auxiliariorum ostiensium nel 192 d.C., residente probabilmente ad Ostia, attestato in tre iscrizioni ostiensi®®. Un Kriton Athenaios firma in greco il gruppo di Mitra tauroctono®™ rinvenuto nel mitreo ostiense sotto le terme omonime; il gruppo, datato dal Becatti nella seconda metà del II secolo, fu collocato nel mitreo in un secondo momento, nella prima metà del III secolo. Più che un liberto, Criton 362 Sul mitreo: Becarn, in bibl, p. 77 ss. 363 CIL, XIV, 177 e 251; in un frammento di albo collegiale M. Umbilius Maximinus è ricordato tra patroni: Zevı, in bibl, p. 190 s. fi. 16. Una base di statua ritrovata nel serapeodi Ostia ricorda un M. Unbilius Arnensis Maximinus Praetextatus, figlio del senatore omonimo; sull'iscrizione da ultimo: Zev, in bibl, p. 189 s. 364 Brcarri,in bibl, p. 32 ss, tavw. XXVIIE-XXX. 327
potrebbe essere, secondo Becatti, un cittadino romano che ha ottenuto la cittadinanza grazie al senatore Marcus Umbilius Maximinus, di cui avrebbe assunto i nomi, aggiungendovi come cognomen il suo originario nome greco. Secondo Becatti è più che probabile che il dedicante del labrum sia lo stesso autore del gruppo mitraico*, il quale venuto da Atene a Roma, dopo aver scolpito il Mitra tauroctono intorno al 160-170 d.C., si ingraziò il senatore Umbilius, riuscendo ad ottenere la cittadinanza romana qualche decennio più tardi; in seguito dedicò labrum a Mitra, quale fedele iniziato ai misteri mitraici. La sua attività artistica si svolse perciò, secondo il Becatti, all'epoca di Marco Aurelio e di Commodo. Non così la pensa Zevi, il quale esclude, per ragioni cronologiche, una relazione dell’Umbilio Critone, che risulta contemporaneo del senatore M. Umbilio Massimino, attestato in età severiana, con lo scultore ateniese Kriton, scultore neoattico di età antonina, che firma il gruppo mitraico* delle terme di Mitra. Le conclusioni cui giunge lo studio di Zevi inducono, quindi, a collocare il ciclo degli Umbilii del serapeo in epoca severiana e non in epoca antonina, come aveva affermato il Becatti. Nella dedica del bacino marmoreo Criton si associa a un Pylades vilicus, forse un contadino greculo, un maggiordomo o amministratore di una delle tenute ostiensi del senatore. Per il Becatti i caratteri epigrafici permettono di datare l'iscrizione, e quindi la dedica del labrum, nell'età di Commodo; ma, in base alle osservazioni di Zevi, la datazione della vasca va posticipata in età severiana. Tl labrum doveva costituire un elemento importante dell’arredo cultuale? del mitreo della planta pedis, che sorge nella metà sinistra di un edificio a pilastri connesso al serapeo*#®, complesso edilizio realizzato in età adrianea, rimaneggiato in età severiana e probabilmente rimasto in uso fino al IV secolo d.C. Il mitreo fu impiantato, secondo Becatti, sotto Marco Aurelio e Commodo, tra il 176 e il 180 d.C. Zevi riesamina tale cronologia, suggerendo, proprio in base ad un'analisi sui rapporti tra lo scultore Kriton e il senatore M. Umbilio Massimino, una datazione dell'installazione del mitreo in età severiana. JI labrum conferma l'uso di collocare simili recipienti presso l'ingresso di un edificio sacro, per le abluzioni rituali Bibliografia: G. Bscarr, / Mitrei, Scavi di Ostia,I, Roma 1954,p. 83, tav. XVI,2; EAA, IV, sw. Kriton,p. 415s. (L. GueRRIN); F. Zevı, Iscrizioni e personaggi nel Serapeo, in El san” mario de Serapis en Ostia, a curadi R. MAR, Tarragona 2001, p. 192 s. figg. 18,19. 365 Del gruppo di Kriton si conosce una seconda replica, coeva e probabilmente della stessa mano: G. Btcrn, Una copia Giustiniani del Mitra di Kriton, in BdA, 42, 1957, p. 1 ss. Incerti restano, invece, i rapporti tra il Kriton del Mitra ostiense © il Kriton ateniese, autore insieme a Nikolaos della cariatide di Villa Albani, proveniente probabilmente dal Triopio di Erode Attico: Villa Albani, II, 1990,p. 90 ss, n. 178. 366 La cronologia del gruppo mitraico di Kriton è stata rialzata agli anni 140-150, o in età traianea, nel I secolo o addirittura in età ellenistica: cf. Zevı, in bibl, p. 193 s., note 111-115, con bibliografia relativa alla discussione sulla datazione del gruppo, 367 Sui bacini con dediche a divinità, attestanti il loro ruolo religioso: DEONNA 1938, p. 74 5s. Si vedano anche le schede relative ai due Jabra dedicati alla Bona Dea a Trieste (L. 185-188). 368 Sul serapeo ostiense: MAR (a cura di), in bibl. 328
L. 169 Luogo di conservazione: Ostia antica, ingresso agli scavi presso Porta Marina. Luogo di provenienza: dagli scavi. Marmo bianco lunense. Diam. cm 48,5; b. cm 23; largh. bordo cm 3,5. La vaschetta, è stata incastrata nel muro con il cemento, per fame il bacino di una fontanella: sono visibili i due terzi dell'emisfera.
Si tratta di una vaschetta non finita, di piccole dimensioni, in forma di catino (11). 1I labbro presenta la superficie superiore piatta lavorata a subbia piccola; la cavità interna è stata ribassata a colpi di subbia piccola; il contorno esterno, semicircolare, è stato appena sgrossato a colpi di subbia grande. Bibliografia: inedito. L. 170
Luogo di conservazione: Roma, Soprintendenza Archeologica di Roma, Antiquarium Forense, S. Maria Nova, Il piano, stanza anteriore al salone delle conferenze. Inv. n. 3165 Luogo di provenienza: dall'area del sacrario di Giutuma. Marmo bianco lunense Misure della vasca reintegrat: diam. cm 215; circonf. cm 606; h, cm 90; spessore del abbro em 20 circa. H. del collo cm 28 (dal labbro alla comice inferiore compresa); h. della pancia cm 30 (escluse le cornici) h. dl fondo cm 32 (a partie dalla comice superior). Opera estremamente lacunosa: la vasca è stata ricomposta riunendo ventotto frammenti e rifacendo in gesso le parti mancanti. 1 frammenti conservati sono relativi a tutte le diverse part dell'esemplare: ciò ha reso possible la sua esatta ricostruzione. Di un'ansa si conservano solo gli attacchi; l’altra ansa è completamente di restauro. Manca il piede, La superficie marmorea originaria presenta rare abrasioni. Non si conservano notizie sul restauro e sulla ricomposizione del labrum; la scheda RA (12/00047696 del 9.7.1976) di C. Cerchiai afferma soltanto che il pezzo “è ricomposto di numerosi frammenti”. Secondo le notizie orali trasmesse dal personale del Lapidario®® l’opera sarebbe stata restaurata circa 40 anni fa Si tratta di un grande labrum ansato, del tipo lussuoso (VII), ornato sul collo e sulla pancia da fregi con rami di olivo ed uccellini. Il labbro, estroflesso, presenta un profilo a becco di civetta, al di sotto del quale l’accentuato incavo del collo forma un’alta scozia. Segue il corpo perfettamente emisferico, separato dal collo con una comice a toro tra due listellini; esso si articola in due ampie fasce orizzontali, una sulla pancia della vasca e l'altra sul fondo, separate da una banda liscia tra due sottili tondini. Del labbro si conserva solo un piccolo frammento, decorato con un kyma ionico, con ovoli, delimitati dal guscio a bordino piatto, e freccette. Gli attacchi sup riori delle anse sono posti, in posizione assiale, in corrispondenza della parte inferiore del collo e della cornice con toro; la loro diramazione inferiore è in forma di ramo d'olivo, da cui si snodano, a due a due contrapposti, con andamento ondulato, i quat36 Da TamMisro, in bibl, nota 88. 329
tro rami principali d’olivo con uccellini (se ne conservano due interi??? due acefali e tre frammentari) che beccano i frutti e le foglie; tale decorazione è resa a rilievo piuttosto basso, ricco di sfumature e di articolate variazioni di piano, e si sviluppa lungo l’intera fascia sulla pancia della vasca. Il medesimo ornato si ripete in modo del tutto analogo sulla parete concava del collo, riempiendo completamente la superficie fino sotto l’estroflessione del labbro; nei pochi frammenti conservatisi di questa zona non appaiono però gli uccellini e il rilievo appare più alto e corposo. Il fondo è ornato con baccellature, molto schiacciate, profilate c separate da piccole punte di lancia. Dal fondo si staccano, inoltre, disposti a due a due e convergenti (i due di un’ansa sono completamente di restauro), gli attacchi inferiori delle anse, di forma tubolare (diam. nel punto di rottura: 10 x 12 cm), con bordi schiacciati e finali che si assottigliano gradualmente. Singolare è la decorazione vegetale a rami d’olivo con uccellini??! che trova confronti piuttosto in ambito funerario”2. L’olivo, consacrato a Minerva, si riscontra meno frequentemente dell'alloro, molto più diffuso™”, e raramente con questo andamento ondulare, tipico invece delle decorazioni d'acanto. Come orato di un oggetto in marmo lo ritroviamo su una colonnina frammentaria conservata nel Palazzo dei Conservatori”, di provenienza ignota, datata alla fine del I secolo d.C., decorata da olivi con uccellini che ne beccano i rami, fuoriuscenti da un cespo di acanto alla base della colonna. Lo stesso motivo dei rami ondulati, che, come nel labrum in esame, si sviluppano dalle anse ramiformi, si ritrova, sebbene con uccellini posti sotto e non in mezzo ai rami, sul cratere marmoreo, molto restaurato, conservato nei Musei Vaticani??5 Il motivo delle anse ramiformi, i cui racemi si trasformano sulle pareti del vaso in sottili ramificazioni ad andamento sinuoso, ma senza uccellini, si ritrova in un vaso marmoreo del Museo Nazionale Romano, datato in età augustea”, e nella tazza preziosamente ornata al Palazzo dei Conservatori?"", anch'esso di età augustea. ‘Tammisto ipotizza che il bacino, essendo di notevoli dimensioni, potesse svolgere la funzione di fontana, o comunque una funzione rappresentativa, in un luogo pubblico. È probabile che il labrum in esame fosse situato proprio nella zona del lacus luturnae, come peraltro indicano alcuni denari della gens Postumia in cui i Dioscuri sono raffigurati nell’atto di abbeverare i loro cavalli ad un bacino circolare, e che il Boni interpreta “in atto di abbeverare i loro cavalli alla fonte di Iuturna”, nonostante che il bacino sui denari sia stato considerato un simbolo della fonte e non una rappresentazione di un reale labrum eventualmente situato in essa. In base alla sua funzione
370 Riconosciuti da Tammisto in Passeriformes sp., probabilmente Syividae sp. 371 Sulla decorazione vegetale con motivi animalistici: JM.C. TOYNBEE, J. WARD PERKINS, The Peopled Scroll: a Hellenistic Motifin Imperial Art (BSR 18), 1950. 372 Esempi si hanno su alcune ume funerarie della prima età imperiale, con rami di olivo incrociati o pendenti da teste di ariete: St 1987, p. 146s, n. 217, tav. 42 ab; p. 154, n. 253, tav. 46 a; AMBROGT 1990, art.cit, p. 189 ss, tavv. 50-51, con annotazioni sul simbolismo fune: ario dell'olivo. 373 Cfr. A. ALFONDI, Die zwei Loorbeerhäume des Augustus, Bonn 1973. 374 Sruant Jones, Pal.Cons., p. 241, n. 52, tav. 99. 375 Nella Galleria dei Candclabri (inv. n. 2406): GUSMAN,I, tav.49; Liprot 1956,p. 128 5. n. 35, tav. 63: sono antichi solo il piedee probabilmente un pezzo del decoro vegetale, il resto376è moderno. Mus. Naz. Rom. 1,2, p. 121 ss, n. 27 (A. MANODORI) 377 Sunk Jones, Pal.Cons.,p. 142, n. 22, tav. 51; BORKER 1973,p. 283 ss, fig. 1 330
rappresentativa il Tammisto non esclude nemmeno una provenienza da un altro contesto, ad esempio dalla casa delle Vestali o dall' Athenaeum. L'opera in esame è stata datata in età augustea. I gusto pittorico, la spazialità e ariosità dell'ornato vegetale, l'attenta ricerca naturalistica che si afferma anche nei particolari minuti, l'eleganza della raffigurazione, che ricorda opere toreutiche nella resa delle baccellature e delle anse, sono tutti elementi peculiari della raffinata plastica di età augustea e della prima età giulio-claudia. L'utilizzo del solo scalpello e l'assenza completa del trapano concordano con questa proposta cronologica. Bibliografia: G. Bow, Il sacrario di Juturna, in NSc 1901, p. 126, fig. 118; A. Tammısro, Sarcofagi, fontanelle, labrum, rilievi, in Lacus Iufurnae (a cura di E.M. STem8Y), I, Roma 1989, p. 249 ss, figg. 17-19. L. 171 Luogo di conservazione: Roma, Basilica di S. Giovanni in Laterano, magazzini sotterranei, inv. n. 55919 (ex 29). Un tempo nel giardino dei Padri Pallotti. Luogo di provenienza: Roma, dagli ambienti a carattere domestico sotto la Basilica di S. Giovanni Marmo bianco a grana fine. H. max totale, compreso il tenone ad anello esterno, cm 16; diam. em 62 circa. Rimane cirea metà della vasca, priva del bordo; scheggiature e lacune in vari punti della superficie.
Si tratta di un labrum che mescola varie forme: il tipo VII a piatto, per il fondo largo e l’altezza ridotta, al tipo VIII, lussuoso, per il profilo quasi carenato; sebbene si allontani da entrambi i tipi, per il forte rigonfiamento sul fondo ¢ per la fascia a baccellature, che segna il corpo nel punto in cui si restringe per poi estroflettersi verso il bordo, mancante: la forma risulta essere più simile ad una kylix o ad una patera. Il fondo interno appare al centro lievemente rigonfio, con un piccolo foro (diam. cm 1,5), dal taglio irregolare, per la canaletta dell’acqua. All’esterno sul fondo si stacca un tenone in forma di anello (diam. cm 22), cavo, in cui si doveva inserire il piano superiore, sporgente, del supporto. Questo labrum, insieme ad un altro grosso frammento?” in marmo bianco, con Aymation lesbio, forse pertinente alla parte inferiore di un puteale, faceva parte degli arredi di alcune strutture a carattere domestico, situate al di sotto della Basilica, databili tra l'età flavia e l'età di Settimio Severo, quando avvenne l'interramento per la costruzione dei Castra®”. Gli arredi domestici sono attribuibili ad una fase compresa tra la metà del I secolo a.C. e quella del I secolo d.C. Bibliografia: Laterano. 1. Scavi sotto la Basilica di S. Giovanni in Laterano. I materiali, a cura di P. Liverani, Città del Vaticano 1998, p. 81, n. 413, tav. XXXIII, fig. 279 (G. SPOLA).
378 Inv. n. 39355, rinvenuto negli scavi del 1963-67 nell’area lateranense, anch'esso conservato nei sotterranei della Basilica: LIveRANI, in bibl, p. 50,n. 205, tav. XIX, fig. 146 (G. SeivoLA). 39 Sulle linee evolutive del quartiere lateranense in età imperiale fino alla tarda antichità: Liveranı,in bibl, p. 7 ss. (P. LIVERANI). 331
1.17
Luogo di conservazione: Roma, Museo Nazionale Romano, primo giardinetto su via Ceraia, riutilizzata come vasca di fontana. Luogo di provenienza: ignoto. Marmo bianco (tasio?) Diam, cm 142; circonf. cm 458; h. cm 24; spess. del labbro cm 7. 1 disco rilevato centrale misura: b. cm 8,5, diam. sup. cm 26 circa, inf. cm 40 circa. Supporto: h. cm 34. Labbro molto scheggiato c corroso; la superficie esterna presenta incrostazioni di calcare, causate dallo scorrimento delle acque. Due integrazioni in cemento sono state realizzate sul bordo; lungo le rotture della parete antica, in corrispondenza del restauro più ampio, restano quatto incassi, con resti del metallo delle grappe. A fianco del disco, in occasione del riuso, è stato eseguito un foro regolare (diam. cm 4,5); da cui passa una tubatura modena. I sup” Porto è quasi completamente ricoperto di una patina nera. In occasione del riutilizzo i disco centrale, già rotto, è stato in parte ricoperto di blocchetti di tufo e mattoncini, con cemento. L'opera è del tipo II a bacile, con ampio fondo largo e pareti che si incurvano gradatamente fino al labbro, in forma di toro, sottolineato da un listello. All'interno si solleva un alto disco rastremantesi verso l'alto; il piano superiore presenta il bordo sopraelevato. Il supporto (S. 239), forse moderno, è del tipo V b, a plinto, impostato su un'alta base cilindrica, da cui si stacca un toro e un listello Bibliografia: PULVERS 2002, p. 350, n. 627. L.173 Luogo di conservazione: Museo Nazionale Romano, giardino del chiostro, ala VI, inv. n. 39041, Luogo di provenienza: Roma, largo di S. Susanna, rinvenuto durante la costruzione del palazzo per il Ministero dell'Agricoltura. Marmo bianco a grana media. Largh. max cm 100; h. cm 22 circa; spess. cm 4 (parete)-6 (fondo); largh. labbro cm 7,5. Si conserva meno della metà del bacino; incrostazioni e mui sulle superfici.
Nonostante si conservi un solo grosso frammento del labrum, è possibile risalire alla forma completa che doveva essere del tipo Il a bacile poco profondo, con labbro estroflesso, composto da un listello superiore piatto e liscio e da una comice anteriore ad ovoli e punte di freccia, alternate. Il fondo non è segnato; l'incurvatura esterna continua sul fondo senza interruzione, soltanto più piatta, formando quasi una linea orizzontale. Il kymation ionico orna frequentemente i labbri di vasi e tazze marmoree e di Jabra in bronzo e in marmi bianchi e colorati*0. La resa minuta e raffinata del kymation nell'esemplare in esame si allontana dal gusto più robusto dei kymatia presenti nei Jabra porfiretici, avvicinando il frammento alle opere in marmo bianco, in particolare a quelle con una resa degli ovoli allungati, quasi baccelli (L. 152). TL frammento viene datato nel I secolo d.C., senza fomire dati determinanti Bibliografia: NSc 1907,p. 680; Mus. Naz. Rom., I, 3, p. 139, VI, 2 (M. Cita). 380 Sulla diffusione dell’omato con ovoli per labbri di vasi e conche, si rimanda a p. 93 332
L.174 Luogo di conservazione: Roma, Palatino, pendice settentrionale, in situ: nel settore degli ambienti termali, pertinenti alla domus tardo-repubblicana situata a sud della basilica di Massenzio e ad ovest dell'arco di Tito, nell'angolo trail clivus Capitolinus e la Sacra via. Luogo di provenienza: la vasca è tuttora in situ Marmo bianco (iunense?) Diam. em 172,5; spess. delle pareti: em 7,5; h. em 18. Manca un piccolo spicchio; tutta la superficie risulta ffatturata: i vari pezzi sono stati rimessi insieme, restituendo quasi completamente la vasca, le cui pareti all'esterno sono sostenute da sbarre metalliche. Le pareti risultano corrose in ampie zone.
Si tratta di un ampio e basso bacino, posto su un largo supporto cilindrico in opus reticulatum, che conserva a sinistra, nell'angolo venutosi a formare tra il sostegno e il tratto tardo di muro posteriore, ancora tracce dell’intonaco originario che fasciava il supporto, dimostrando che originariamente si doveva girare tutt’intorno al labrum. All'interno la vasca presenta un fondo piatto, estremamente largo; l'incurvatura delle pareti è ad arco di cerchio: il labrum si può attribuire al tipo VI a bacino, tipico degli ambienti termali, sebbene si differenzi per le pareti incurvate e non diritte, quasi verticali, come quelle di solito presenti nel tipo VI. Le pareti non presentano superiormente un labbro estroflesso, ma terminano all'esterno con un taglio netto, che si flette incurvandosi leggermente verso l'interno. Al di sotto del labbro, in corrispondenza del muro in reticolato che si innestaa destra sul labrum, è stato praticato un foro, probabilmente per l'afflusso delle acque provenienti da una canaletta, che doveva attraversare il muro in reticolato suddetto. [n corrispondenza del foro il labbro appare avvallato e fessurato. Le pareti esterne del labrum sono ben levigate superiormente, tutt'intorno al labbro, mentre al di sotto la superficie, leggermente ribassata, è lavorata a gradina e in alcuni punti notevolmente corrosa: probabilmente la superficie irregolare della vasca doveva essere livellata con uno strato di intonaco, come testimoniano gli esemplari simili pompeiani. La vasca in esame si trova, ancora in sifu, în una delle stanze con muri in opera quasi reticolata, abbastanza regolare, e pavimenti a mosaico bianco e nero, appartenenti al settore dei bagni di un edificio tardo-repubblicano, situato alle pendici settentrionali del Palatino, tra la via Sacra e il clivo Palatino. La costruzione fu scavata e restaurata dal Boni?®', al quale si deve la denominazione di “casa repubblicana”, venne poi in parte cdita dal Lugli®®, ed estensivamente indagata nel 1985-1988 dal Carandini. Il Lugli vi riconosceva un edificio a due piani, adibito a lupanare: il piano interrato, costruito in un secondo momento (intorno al 50 a.C.), con numerosi piccoli ambienti, ciascuno fornito di un letto e di un tombino per 10 scolo delle acque, allineati simmetricamente lungo i corridoi; quello sovrastante, di età precedente (intomo all’80 a.C.), con ambienti disposti intorno ad un atrio. Il lupanare era unito ad una caupona, nel piano superiore della costruzione, e ad un balneum. nel piano seminterrato, con vasca circondata da mosaico, calidario con prefumio e il grande labrum marmoreo in esame. Il piano interrato rimase sigillato dall'incendio 381 Scavi mai pubblicati, brevi notizie 1899-1906. 382 Lucu, in bibl,p. 139 ss.
: Tu. ASBHY, in Classical Rewiew, XIIT-XX,
333
neroniano, mentre il livello superiore fu più volte trasformato e rimase in uso fino ad epoca tarda3® In questa costruzione in opera “quasi reticolata” abbastanza regolare, il Carandini, in contrasto con il Lugli e riprendendo la tesi del Boni, ha riconosciuto? una ricca domus tardo-repubblicana, che è stata ipoteticamente identificata con quella di M. Emilio Scauro, pretore nel 56 a.C. Il padre, M. Emilio Scauro, console nel 115 a.C., mori tra il 90 e l°88 a.C., lasciando in eredità la casa al figlio pretore. Quest'ultimo la demoli insieme a quella di Gn. Ottavio, console del 165 a.C., ristrutturandola, fra il 74 e il 58 a.C., in una nuova c unitaria dimora, con il piano interrato di circa cinquanta celle, sopra cui si estendeva un grandioso atrio tetrastilo, che si apriva probabilmente sul clivo Palatino. Le celle costituivano gli alloggi degli schiavi domestici della casa (ergastulum), cui era annesso un balneum®®. Nel 53 a.C. il complesso abitativo di Emilio Scauro venne acquistato da Clodio, insieme alla casa di L. Licinio Crasso; la domus di M. Emilio Scauro, tuttavia, conservò il proprio nome fino all’età giulio-claudia. L'ultima menzione della casa di Scauro, prima dell’incendio neroniano, risale alla prima metà del I secolo d.C., quando diventò proprietà di Gaio Cecina Largo, console nel 43 d.C. c amico di Claudio. La Tomei?%6 sottolinea che la eccessiva ristrettezza delle celle, invivibili per servi con famiglia e, in contrasto, la presenza di alcuni elementi di lusso, come l'annesso impianto termale e gli intonaci dipinti, appaiono inspiegabili in un ergastolum. L'esame dei materiali di scavo del Boni, in particolare i migliaia di frammenti di terra sigillata italica, di bicchieri e le numerosissime luceme, databili tra l'età augustea e quella flavia, rivela che nell'edificio intensa era l'attività del bere e del mangiare e che le luceme dovevano servire per illuminare le stanzette del piano interrato. La costruzione, situata presso un importante incrocio stradale tra la via Sacra e il clivo Palatino, doveva essere un grande caupona, in cui, come era consueto nell'antichità, si eserci tava, ma solo secondariamente (vista la mancanza di temi erotici nella decorazione parietale e nelle luceme), la prostituzione: si trattava cioè, per la Tomei, di un grande © frequentato albergo dell'inizio del I secolo d.C. La vasca, con il supporto cilindrico, faceva, quindi, parte del balneum realizzato sul lato sud-ovest del piano interrato dell’edificio; secondo Papi dellimpiat to termale ipogeo restano l’apoditerio, il frigidarium con vasca e il labrum in esame, il caldarium, di cui si conservano parte di una vasca rivestita in mosaico bianco e nero, con resti del pavimento in mosaico bianco con suspensurae, un laconico all'estremità meridionale della casa, pavimentato in mosaico, con tubuli lungo le pareti, c forse un tepidario con mosaico in bianco e nero. L'impianto di riscaldamento era alimentato da un prefurnio. Il labrum è dello stesso tipo di quello presente nel lato occidentale del caldarium femminile delle terme Stabiane e nel caldarium maschile delle terme del Foro di Pompei (L. 126, 160). Questo tipo di vasca a bacino, con fondo ampio e piatto e con pareti poco incurvate, ter-
383 Cfi M.L. GuaLanDi, in BullCom, XCI, 1986, p. 431 ss 384 Così: A. Cannon, Schiavi in Talia, Roma 1988, p. 364 ss, con bibliografia precedente, fig. 2; Ip, Campagne di scavo delle pendici settentrionali (1985-1988), în Boll Arch, I 1990, p. 159 ss. Sulla domus di Emilio Scauro: LTUR, I, 1995, p. 26 (E. Pari) 385 Cfi Papi, in Bib, p. 434 ss, fig. 131 396 M.A. Tout, Domus oppure Lupanar? I materiali dallo scavo Boni della ‘Casa Repubblicana” a ovest dell'arco di Tito, in MEFRA, 107, 1995, 2, p. 549 ss. 334
minanti in un bordo diritto, privo di labbro estroflesso, sulta, perciò, caratteristi co degli impianti termali, La realizzazione della vasca è contemporanea alla costruzione degli ambienti con muri in opera “quasi reticolata” e pavimento in mosaico bianco e nero, sui quale successivamente si impostarono i muri realizzati con coementa irregolari di marmo, selci mattoni; un tratto rettilineo di questo muro più tardo passa dietro e sopra il labrum, inglobando in esso un quarto della sua circonferenza. La vasca va, quindi, datata intorno alla metà del I secolo a.C. Bibliografia: G. Luo, Monumenti minori del Foro Romano, Roma 1947, p. 159;E. Parı, Pendici settentrionali del Palatino, in BullCom, XCI, 2, 1986, p. 435. L. 175 Luogo di conservazione: Roma, Borgata Ottavia, loc. tenuta della Lucchina (Monte Mario, via Trionfale), tenuta Colonna Oddone, murato sulla facciata del casale, via della Lucchina, 86. Luogo di provenienza: ignoto, Marmo bianco. Largh. max. em 31,5. Resta meno della metà del labrum originario. La parte conservata è percorsa da una grossa fratture.
Si tratta di un grosso frammento di un Jabrum di piccole dimensioni, del tipo IV a conca, con le pareti baccellate, sia all'interno che all'esterno. II labbro, leggermente sporgente, è ornato con foglie d'acqua in due file sovrapposte. Bibliografia: S. Mineo, in BullCom,CI, 2000,p. 414, fig. 193 L. 176
Luogo di conservazione: Roma, Villa Medici, giardino, nella zona riquadrata con aiuole separate da viale, che si sviluppa a desta, entrando. Luogo di provenienza: ignoto Marmo bianco lunense. H. cm 35; spessore del bordo cm 11, del fondocm 17. Frammento più grande: em 83 x 115, curva em 120; frammento più piccolo: cm 73 x 84, curva cm 108, Restano due grossi frammenti; in quello più piccolo corre una lunga frattura dal bordo al fondo. Una grossa scheggiatura interessa il bordo del frammento più grande Rimane meno della metà di una grande vasca del tipo a bacino (VI), con fondo largo e piatto e pareti quasi perpendicolari, prive di labbro. L’interno c il fondo sono completamente lisciati, mentre la parete esterna è lavorata a gradina per tutta la sua altezza; nel frammento più piccolo la parete esterna appare più levigata, forse per una maggiore usura. La lavorazione a gradina sulla parete esterna e la forma a bacino largo e piatto richiamano le vasche di tipo termale vesuviane e quella urbana, nell'edificio republicano alle pendici settentrionali del Palatino (L. 174): ciò induce ad ipotizzare anche 335
per la vasca di villa Medici una pertinenza ad un ambiente termale. La lavorazione a gradina dell’esterno può far pensare all'uso di ricoprire le vasche di questo tipo con uno strato di intonaco o di malta idraulica idrorepellente, così come il supporto in muratura. Sui terreni di Vil a Medici e del convento di Trinità dei Monti si estendeva l’area degli Horti LucullianP** Gli scavi recenti condotti dall’ École Francaise de Rome sul versante occidentale della collina del Pincio hanno portato numerosi dati nuovi sulla topografia antica di questo settore: dai resti, rinvenuti nel giardino antistante la facciata posteriore della villa, del palazzo tardo-imperiale (di Onorio), al grande ninfeo giulio-claudio di Trinità dei Monti e al tempio conservato sotto il Pamaso del cardi nale Ferdinando. Un'incisione del Greuterì!, del 1618, conservata a Parigi nella Biblioteca Nazionale, riproducente il giardino di Villa Medici, raffigura la porzione destra (entrando) del giardino suddivisa in 16 aiuole, all’interno delle prime due in seconda fila, sono disegnate due vasche tonde: si potrebbe supporre che una di queste vasche sia quella in esame, in considerazione anche del fatto che il luogo in cui essa si conserva è vicino, se non lo stesso, a quello in cui è raffigurata la vasca nella stampa. Draltronde, fontane con vasche tonde sono raffigurate in alcune stampe seicentesche anche nel parterre dell’obelisco, di fronte alla facciata posteriore di Villa Medici®®. Bibliografia: inedito. L. 177 Luogo di conservazione: Heerlen, Museo delle Terme, inv. n. 13422. Luogo di provenienza: Heerlen (Olanda), terme, caldarium. Pietra calcarea. Diam. em 126. Si conserva un terzo della vasca, con l'unbilicus centrale.
Frammento di un labrum in pietra, del tipo a bacino (VI), privo di labbro estroflesso: tipo consueto nei caldaria. I centro è occupato da un ombelico decorativo in rilievo, formato da una cornice estema a fascia piatta, un anello a toro, una gola articolata, un altro toro e un bottone centrale a cupola schiacciata. Manca un foro per Palimentazione idrica; probabilmente l’afflusso dell'acqua doveva essere esterno. Il labrum probabilmente si trovava in origine nell'abside del caldarium (schola labri) Bibliografia: A-E. van Girrew, Thermen en Castella te Heerlen, in L'Antiquité Classique, 17, 1948,p. 215 s.; H.J. ScHantes, A. Rıscht, G. Precht, Die römischen Bäder. Führer und Schriften des Archäologischen Parks Xanten, n. 11, Köln 1989, p. 26, fig. 25; MANDERSCHEID 1994,p. 184, n. 72, figg. 134-5; WEBER 1996,p. 18 ss, fig. 12.
387 Sugli Horti Luculliani: H. Broise, V. JoLIVET, Il giardino e l'acqua: l'esempio degli Horti Luculliani, in Horti Romani. Atti Convegno Int, cura di M. Cima, E. LA Rocca, Roma 1999, p. 189 ss. 388 TouzieR 1989, n. 17. 389 TOULIER 1989, n. 73 (acquaforte di Domenico Bun, 1602); n. 75 (G.B. FALDA, 1667) 336
L.178 Luogo di conservazione: Hüfingen, castro militare; attualmente conservata all'interno dell'edificio di difesa ad est della natatio, essendo stata messa al posto dell'originale una copia integrata sul supporto originario completato in età moderna, Luogo di provenienza: Hüfingen, bagno del castro militare, abside su lato occidentale. Pietra calcarea. Diam. cm 208; foro centrale: diam. cm 8, Si conserva un grosso frammento della vasca.
Si tratta di un frammento di vasca tonda del tipo a bacino (VI), posta su un supporto in muratura, con integrazioni moderne. La vasca termina superiormente con un taglio netto della parete (nella forma tipica delle vasche per bagni e terme), senza labbro estroflesso. All’interno è presente un lieve rialzo graduale della zona centrale, nel mezzo della quale si nota un incavo a forma di anello (diametro di circa 10 cm), sgrossato, che forse fù realizzato per incassarvi una applique metallica. Nel centro della vasca si conserva il foro regolare per l’approvvigionamento dell'acqua, grazie ad una conduttura di adduzione, passante per il supporto. Bibliografia: A. EckeRLE, Römische Badruine in Hifîngen, Läkrs. Donaueschingen, Freiburg 1970, fig. I f (ricostruzione del labrum); MANDERSCHEID 1994,p. 186,n. 75, fig. 139. L. 179
Luogo di conservazione: Mainz, Landesmuseum, inv. n. 76/210 e 78/21. Luogo di provenienza: Mainz, rinvenuta ra KarmeliterstraBe © dietro Christofsgasse nella zona di Algesheimer Hof. Pietra calcarca biancastra. Diam. cm.118; h. cm 26 circa. Buono stato di conservazione. Si tratta di una vasca del tipo a bacile (II), aperta, con labbro appena estroflesso e bordo arrotondato. La parete esterna presenta una decorazione a doppio calice di foglie lanceolate, lisce, con bordo e nervatura centrale in rilievo, tra due solchi. L'interno è liscio. La vasca è posta su un piedistallo a colonna, probabilmente non antico, composto di tre parti separate, con due finali a disco, fortemente svasati; al centro del fondo è stato aggiunto un sostegno (forse in occasione di un riutilizzo in eta moderna ?), che sostiene un grosso pesce, da cui doveva uscire il getto d’acqua. La vasca è datata all'inizio del Il secolo d.C. Bibliografia: inedito. L. 180 Luogo di conservazione: Otrang. Luogo di provenienza: Otrang, il sito preciso non può essere stabilito, dalla zona dei due grandi impianti balneari Arenaria. 337
Diam, esterno cm 110 circa, diam. interno em 85; h. circa cm 4. Foro: diam. cm 8 circa. Rimane un pezzo dello zoccolo e un grosso frammento del bacino, comprendente parte del fondo e della paret.
Si tratta di un grosso frammento di vasca con ampio fondo piatto e pareti che si incurvano quasi perpendicolarmente: probabilmente del tipo a bacino (VI) consueto negli impianti termali. Il supporto si compone di un largo cilindro liscio. La fuoriuscita dell’acqua di alimentazione avveniva dallo sbocco della conduttura verticale, posto al centro della vasca. L'appartenenza a uno dei due bagni rinvenuti a Otrang è probabile, ma non è possib le individuare il luogo di collocazione originario, sebbene Cüppers senza fondamento proponga l’atrio. Bibliografia: W. Heinz, Römische Thermen, Zürich-München 1983,p. 31, fig. 22; Manenscicib 1994,p. 236,n. 120, fig. 176; H. COpPERS, Römische Villa Otrang, Mainz 1990,p. 12. L. 181 Luogo di conservazione: Trier, Rheinisches Landesmuseum, inv. n. 30.377. Luogo di provenienza: Pölich (presso Trier), bagni di una villa romana, Pietra calcarea. iam. cm 84; h. cm. 34; spess. parete cm 8. 1I terzo superiore della vaschetta è integrato, ad eccezione di un piccolo frammento del bordo conservatosi
Si tratta di una vasca di forma emisferica, del tipo a catino (II), la cui parete in alto non si estroflette in un labbro aggettante, ma termina con due cornici, un listello piatto c una gola diritta; il bordo superiore è diviso da un solco in due anelli concentrici. Il corpo del bacile è percorso da baccellature, che in modo stilizzato sembrano imitare una decorazione a conchiglia. Dal fondo fin sul bordo si stacca un'appendice ad angolo retto, larga cm 36, che sul piano inferiore ha un incavo rettangolare, al cui interno si apre un foro circolare, regolare (diam. cm 16); secondo Manderscheid questa appendice indica che il bacile stava su un pilastro. L'apertura circolare sul fondo può essere stata realizzata per introdurre un tubo metallico per l'afflusso delle acque Sorprendente però è, secondo Manderscheid, la considerevole ampiezza del foro, che sembrerebbe indicare un doppio uso, di afflusso e deflusso? Oppure un foro così ampio potrebbe indicare l'aggiunta di un elemento decorativo, eventualmente figurato, in questa apertura per la fuoriuscita delle acque di alimentazione. 1I Koethe, nel suo articolo sui bagni di alcune ville romane nel distretto di Trier, menziona la presenza in essi di labra in pietra o in ferro”, Egli ricorda che di questi
3900. Pane, Die Römer in Wittenberg, 3, 1932, p.90. L'osservazione che labra eppaionosotan1o nella prima etd imperiale ha valore, per Koche (nota 61) soltanto per un determinato tipo di bacino. Egli elenca ulteriori esempi di bacini e vasche in pietra su support cilindrici nelle ville di Laufen (nz fur Schweiz, Alkde. 25,1923,p. 197)e i St-Ulich (Loth. Jahrb f Gesch Alkde 10,1898, p. 183). Un circolare sostegno in muratura per un labrum si conserva in una villa di Lemicrs (Oudhei Mededeel, 15, 1934, pp. 18 ss, 23, fgg. 12, 17. Da ricordare infine Chirgan, Fischbach, Hanlip, Jemellee un esemplare conservatos da Hatonchátel pubblicato in Congrrch. 19, 1846,p. 19. 338
labra in pietra si & conservato il solo esemplare di Pölich, ma non nella sua collocazione originaria, mentre uno da Wasserliesch è andato perduto. Bibliografia: Trierer Zeitschr, 6, 1931,p. 191 s, tav. 9 (vasca); ibidem, 8, 1933, p. 143 (supporto); H. Koetme, Die Bäder römischer Villen im Trierer Bezirk, im Bericht.rémerm Kommission, 30, 1940, pp. 84, 110 s, tav. 5, 2; MANDERSCHEID 1994,p. 254 s. n. 143, figg. 187-8. L.182 Luogo di conservazione: Ura (ant. Olba), Cilicia, Ninfeo. Luogo di provenienza: in situ Pietra calcarea. Diam. cm 160; h. cm 35. Buono stato di conservazione.
Labrum pertinente al ninfeo con facciata a colonne di Olba, costruito, in base al'iscrizione dell’acquedotto, nel 199-211 d.C. La vasca è collocata all’estremitä destra, davanti al prospetto del bacino rettangolare; non ne è precisabile la tipologia. Bibliografia: A. Wıuneı.m, Monumenta Asiae Minoris Antiqua, 3, 1931, p. 83 ss; DorKuncexscHmm 2001, p. 251 s. n. 118, figg. 76, 178. L. 183 Luogo di conservazione: Pompei, magazzino del Foro, inv. n. 39580. Luogo di provenienza: dagli scavi. Vasca in pietra calcarea locale; supporto in marmo bianco-grigiastro. Vasca: diam. cm 72,5; circonf. cm 227; h. em 27. Supporto: h cm 63; circonf. all’abaco cm 80; circonf. al toro inf. cm 91. La vasca presenta varie fratture e il labbro molto scheggiato; il supporto è ben conservato.
IL labrum è del tipo a conca (IV), con fondo breve e labbro sottile, appena estroflesso, composto da una fascetta anteriore liscia e un bordo superiore appiattito, formante uno spigolo acuto nel punto di incontro con la parete interna. Manca il foro. Il supporto (S. 104) è del tipo II b, presenta una base, di tipo attico, con toro, listello, scozia, toro, listello; il coronamento è composto di un tondino, una gola diritta e un doppio listello digradante, Non è certo che la vasca e îl supporto siano pertinenti, in considerazione anche della diversità dei materiali Bibliografia: inedito, L. 184 Luogo di conservazione: Pompei, tempio di Apollo (VII 7, 32), angolo orientale del quadriportico in tufo, sul gradino in tufo davanti allo stilobate. Luogo di provenienza: in situ. 339
Vasca in pietra calcarea locale; supporto in marmo bianco. Vasca: diam. cm 106; circonf. cm 330; h. cm 20, Supporto: h. tot. cm 83; h. del fusto senza base: cm 68; h. della base cm 15. Il bacino è stato ricomposto da numerosi frammenti, con grappe ed integrazioni in cemento; scheggiature sul fondo. Il supporto presenta scheggiature sul capitello e sulle scanalature
TI labrum è del Il tipo a bacile, con fondo largo e piatto e labbro estroflesso, con breve fascia anteriore liscia e bordo superiore appiattito, che forma uno spigolo acuto nel punto di incontro con la parete interna. Un piccolissimo foro passante (diam. cm 0,5), regolare, è reso in posizione decentrata. Il bacino è stato posto in età modema sul piede in marmo, non pertinente. Il supporto (S. 225) è del tipo II a, con venti scanalature di tipo ionico, prive delle linguette; un collarino liscio separa le scanalature dal coronamento. La base è circolare, su plinto quadrangolare; il coronamento è composto da una comice a profilo obliquo, un breve listello e una fascia segnata in basso da un solco inciso. Secondo il Pernice il supporto, del tipo 2 b, fu realizzato in età tardo-repubblicana, contemporaneamente al primo restauro del tempio. Sul piano superiore del supporto, non più visibile, il Mau sostiene che erano incise le lettere osche K, 5 e forse V, come sul supporto di bacino nella casa del Fauno (S. 206), sul cui piano superiore sono incise le lettere K, M con tre cerchietti di interpunzione. Secondo il Pernice l'utilizzo delPalfabeto osco non indica una datazione in età pre-romana, essendo la lingua osca ancora utilizzata a lungo, dopo la colonizzazione romana, dagli artigiani? Un altro piccolo supporto marmoreo dello stesso tipo, ma più tardo??, si trova nell'angolo occidentale del peristilio del tempio (S. 226), rivelando l'esistenza anche in questo angolo di una fontana. Queste duc fontane ricevevano l'acqua probabilmente dalle due statue bronzee di Apollo con l'arco e di Diana (ora sostituite da copie, mentre gli originali sono al Museo Nazionale di Napoli), le cui basi sono presenti una nell'angolo est, l'altra in quello ovest, presso le due fontane. Il tempio di Apollo, il cui culto a Pompei risale alla prima metà del VI secolo a.C., stato concepito secondo il modello ellenistico della piazza porticata con tempio. Alla fine del II secolo a.C. era il più importante centro religioso della città; nel 10 a.C. il lato orientale fu in parte murato. Il restauro, che non cambiò la pianta generale augustea, venne intrapreso dopo il terremoto del 62 d.C.; non era ancora ultimato al momento dell'eruzione. Bibliografia: Mau, art cit. (in bibl L, 158),p. 49 s; PERNICE 1932, p. 48 s, n. 2, tav. 32, I; Escurnach 1978, fig. 18; Dr Vos 1982, p. 31; RICHARDSON jr. 1988, p. 9l; ESCHEBACH, EScHEBACK 1995, fig. 49.1. L. 185-186-187-188 Luogo di conservazione: Trieste, lapidario Tergestino, castello di San Giusto, orto Lapidario, inv. nn. 2267 (185), 31556 (186), 31557 (187), 31558 (188), Luogodi provenienza: Trieste (Tergeste). labra inv. nn. 2267, 31358, 31557 sono stati rinvenuti nel 1910, insieme ai supporti frammentari (inv. n. 1363, 12632, 12633), nell'area tra il Corso e le vie di S. Lazzaro e di Santa Caterina, tra i muri di un edificio templare, che,
391 Pernice 1932,p. 48,n. 1, tav. 32,2 392 Pernice 1932, p. 49, nota 2. 340
basandosi sulle dediche iscritte sui Jabra stessi, doveva essere dedicato alla Bona Dea. I frammento inv. n. 31556 è stato rinvenuto da Puschi nel 1892 nel comune di Nabresina (Auresina), tra i rest di ville romane. Pietra d'Istria Inv. n. 2267 (L. 185). Vasca: diam. cm 60,5; diam, base cm 36,5; h. em 13,5; spess. em 3,5. Supporto (S. 266): diam. sup. cm 18,5. Inv. n. 31556 (L. 186). Vasca: largh. (corda) cm 28; h. cm 11,5; spess. del bordo em 4. Inv. n. 31557 (L. 187). Vasca: diam. cm 63; diam. base em 28; h. cm 18; spess. bordo cm 4. Supporto (S. 267): diam. della base em 25, Inv. n. 31558 (L. 188).Vasca: diam. cm 61; diam. base cm 24; h. cm 16; spess. cm 3,5. Supporto (S. 268): diam. della base cm 22. Del labrum inv. n. 31556 (L. 186) rimane un frammento, comprendente un breve tratt dell Jabbro e della parete sottostante. Il labrum inv. n. 2267 (L. 185) è stato restaurato ed integrato: della conca rimangono due pezzi, uno della parte inferiore e l'altro della metà superiore; conserva il supporto originario. Anche della conca inv. n. 31557 (L. 187) rimane solo la metà, rotta in sei frammenti, ricongiunti. Si conserva circa metà della conca inv. n. 31558 (L. 188), restaurata e reintegrata, con un grosso frammento del fondo, per tutta la lunghezza del diametro, e un breve frammento della parete con il labbro iscritto, Si conservano anche i supporti relativi della tre vasche dal santuario della Bona Dea: del sostegno del labrum inv. n. 2267 rimane la parte superiore; di quelli delle altre due, inv. nn. 31557 e 31558, restano le part inferiori Si tratta di quattro labra della stessa forma emisferica, del tipo a catino (III), poco profondo, le cui pareti brevi e accentuatamente incurvate terminano, senza labbro estroflesso, con un taglio netto, che forma un bordo piatto, diritto, su cui, in ben tre esemplari, è incisa l'iscrizione votiva. Il fondo del catino è largo e piatto. Il piccolo frammento di Nabresina apparteneva ad un labrum simile nella forma agli altri tre, ma di dimensioni minori; le pareti appaiono ben levigate in ogni parte. La superficie della parete esterna appare nel pezzo inv. n. 2267 (L. 185) lisciata a gradina, mentre l’estemo di L. 187 è non lisciato, lavorato a subbia piccola. Le pareti interne e i bordi appaiono ben levigati in tutti e quattro gli esemplari. Il labrum L. 185 presenta nel fondo esterno un prolungamento cilindrico (diam. cm 3,25; h. cm 1), privo della punta, che si incastra nel foro circolare (diam. cm 3,8; prof. cm 2,5) praticato sulla faccia superiore del sostegno. Sulla superficie piatta dei bordi superiori di tre labra sono incise, in bei caratteri regolari, le seguenti iscrizioni: inv. n. 2267 (L. 185): Barbia L.l. Stadium B(onae) D(eae) míerito??!] (oppure míagistra] o ministra]. inv. n. 31558 (L. 188): Barbia [ inv. n. 31556 (L. 186): [-—-] Ursa B(onae) Dfeae) [- —] Ire labra 185, 187, 188 conservano i supporti originali (S. 266, 267, 268) (inv. nn. 1363, 12632, 12633), frammentari, del tipo II b, leggermente rastremati, delimitati inferiormente da un plinto a fascia liscia c da un toro; il coronamento presenta una gola. rientrante e un listello piatto. La parte superiore conservatasi nel supporto del labrum 185 rivela che queste colonnine presentavano nel piano un incavo per alloggiare il tenone sporgente dal fondo della vasca. Secondo lo Sticotti Paltezza complessiva della vasca e del supporto è all'incirca di cm 90. 393 Questa integrazione è proposta in Inscriptiones Italiae, in bibl. 394 Queste due ultime integrazioni sono proposte da STICOTTI, in bibl, quale titoli sacerdotal dell'offerente. 341
Tutte e quattro le vasche non hanno sul fondo alcun foro per l'approvvigionamento idrico, ciò rivela che esso doveva avvenire manualmente, come in genere accadeva per i perirrhantéria greci Le tre vasche iscritte furono dedicate dai fedeli alla Bona Dea, antica divinità latina, il cui culto, ampiamente diffuso a Roma e in tutta l'Italia, era legato alla feconditä e alla salute ed era caratterizzato da riti misterici, riservati esclusivamente alle donne’. Secondo Sticotti il culto della Bona Dea a Trieste e il nome Barbia sono da riconnettersi alla componente medio-italica dei primi coloni di Tergeste. Il Brouwer sottolinea che la nomenclatura delle dediche rimanda a Aquileia, forse luogo d’origine della gens Barbia, composta per lo più da mercanti; è probabile che il culto della Bona Dea sia stato introdotto a Trieste proprio da Aquileia. I caratteri epigrafici identici delle iscrizioni di L. 185 e L. 188 fanno supporre che la Barbia sia la stessa: si tratterebbe di una liberta di Lucio Barbio Lucullo o del figlio Lucio, ricordati, insieme ai loro liberti, nella stele sepolcrale con ritratti, datata nel II secolo d.C., riutilizzata nella porta maggiore di S. Giusto. Stadium è probabilmente un cognomen. Le iscrizioni votive incise sui tre labra hanno indotto a stabilire che l'edificio sacro in cui sono stati rinvenuti fosse dedicato alla Bona Dea; il complesso presenta, accanto alla cella, due stanze probabilmente utilizzate come ripostiglio e come apothecae. II ritrovamento nello stesso edificio di un’iscrizione, datata nella seconda metà del 1 secolo a.C.-inizi del I secolo d.C.3%, che ricorda la costruzione di un edificio (quello di Bona Dea, se l’opera era in situ e non vi era stata trasportata in un secondo tempo, quando fù rimaneggiata per essere riutilizzata come capitello di pilastro) a spese pubbliche, ad opera dei duoviri Lucius Apisius e Titus Arruntius, e di alcune monete permette di ascrivere l'erezione del tempio della Bona Dea ai primissimi anni dell'impeTo e ne testimonia l'uso fino al IV secolo d.C37?. Le tre vasche iscritte e quella anepigrafe, identica alle altre, sono del tutto simili a quella dedicata a Mitra nel mitreo ostiense della planta pedis: il tipo a catino evidentemente era prediletto per la funzione cultuale, come contenitore di acqua lustrale. Ciò è confermato dal perirrhantérion conservato al Pireo. Tali labra per adempiere alle lustrazioni rituali erano collocati all'ingresso del luogo sacro. In base alla datazione dell'erezione del sacello della Bona Dea, i catini sono stati datati da alcuni nell'ultimo quarto del I secolo a.C., senza escludere però una cronologia più tarda, proposta da Sticotti, basandosi sull'analisi dei caratteri epigrafici, e fissata nel II secolo d.C. Bibliografia: A. Puschi, Scoperte archeologiche, in Archeografo triestino, XVIII, 1892, p. 266; P. Sricorri, Recenti scoperte di antichità avvenutea Trieste e nel suo terri. torio, in Archeografo triestino, XXXIV, 1911, p. 191 ss; Inscriptiones Italiae, X, IV, Roma 1951, a cura di P. Sricorti, nn. 1, 2, 306; H.H.I. Brouwer, Bona Dea. The sources ‘anda description of the cult, Leiden 1989, pp. 123 s., 126 s., 422 ss., nn. 123, 125, tav. XXXIX, fig. 123; M. ViputLi Torto, I! Lapidario Tergestino al Castello di San Giusto, Trieste 2001, p. 75.
395 Sul culto della Bona Dea: BROUWER, in bibl. 396 Scorr,, in bibl, p. 198 s. fig. 14. 397 Cir. VioutLt Torto, in bibl. p. 73 ss. 342
L. 189 Luogo di conservazione: Rottweil, davanti al portone occidentale della Chiesa di Pelagio. Luogo di provenienza: Rottweil, terme sotto la Chiesa di Pelagio. La vasca è stata ritrovata sotto un pilastro della Chiesa, dove probabilmente era stato riutilizzato come parte delle fondamenta, in corrispondenza dell'estremità destra. Il luogo originario di collocazione non si può più precisare; è certo da cercare in uno degli ambienti delle terme: nel tepidarium o nel caldarium. Materiale non indicato. In base alle fotografie si potrebbe supporre una pietra calcarea. Diam. cm 210; h. cm 44; diam. del foro centrale cm 8 Nel disegno di Paret l'apertura centrale appare consumata. II sostegnoc l'aggiunta in pietra posta al centro, da cui fuoriesce una canaletta, sono moderni,
rata di una vasca piatta e larga, del tipo a bacino (VI) con spesse pareti, che si piegano, dal fondo ampio, quasi ad angolo retto verso l'alto, assottigliandosi notevolmente nella parte finale € terminando in un bordo tagliato, privo di labbro estroflesso. Nell'interno, la parte centrale è particolarmente rialzata, tanto da essere alla stessa altezza del bordo esterno. L'approvvigionamento dell'acqua doveva avvenire per mezzo di una tubatura verticale, che fuoriusciva nel mezzo della vasca, come testimonia il foro praticato al centro di essa. La vasca è stata riutilizzata come fontana, ponendola su un supporto moderno. Bibliografia: O. Paget, Die Siedlungen des römischen Württemberg, Stuttgart 1932,p. 90, fig. 58;A. Roscu, Das römische Rottweil, Stuttgart 1981, pp. 63, 65, 66, figg. 31, 33, 34; MANDERSCHEID 1994,p. 257 s. n. 145, fig. 191 L. 190 Luogo di conservazione: Città del Vaticano, Musei Vaticani, al centro del Giardino Quadrato Luogodi provenienza: ignoto. La spessa patina di calcare impedisce di vedere la superficie originaria; probabilmente si tratta di granito? Misure non rilevabili La vasca è completamente ricoperta di uno strato di calcare. Lungo il bordo superiore, scheggiato in vari punti, è stata posta una fascia di piombo per ampliare il labbroe permet tere una migliore caduta dell’acqua.
I labrum, di grandi dimensioni, è del I tipo a vasca, con labbro estroflesso, del tipo consueto a nastro aggettante, dalla rientranza al di sotto del quale inizia l'incurvatura della parete, che scende dolcemente fin sul fondo piatto, piuttosto largo. Il supporto è del tipo III B b (S. 27), con toro e listello alla base, anello a tondino al di sopra del fusto dal profilo a cavetto, sormontato da un collarino a coronamento. La vasca era un tempo nel Cortile della Pigna, ivi posta dal Bramante nell’ambito del progetto di sistemazione del pendio del colle di S. Egidio: lì la raffigura già il Dosio e ancora un incisore ottocentesco. Nel 1835 la fontana fu rimossa per far posto 398 Cfi Masrriatt 1928, in bibl; PIETRANGELI 1987 a, p. 477. 343
alla base della colonna di Antonino Pio per volere di Gregorio XVI, che fece trasferire la vasca nel Giardino Quadrato. Il piedistallo quadrangolare, su cui sono scolpite le armi di Papa Cappellari, è moderno. Il Corsi? ricorda nel giardino del Palazzo Pontificio una tazza di granito grigio; potrebbe trattarsi della vasca in esame. Bibliografia: Masreictt 1928, II, p. 374 ss.; PIETRANGELI 1987 a, pp. 475, 477; PULVERS 2002. p. 880, n. 1980. Disegni: = G.A. Dosto, circa 1561, Firenze, Uffizi, arch. 2559/A (VARMING 1965, fig. a p. 137; PrerRaNOELI 1987 a, fig. 1); Stampe: ~ incisione ottocentesca: cortile della Pigna (cfr. MORTON 1966, fig. a p. 203)
399 Const 1845, p. 395, 344
CATALOGO
DEI
SUPPORTI
SAI Luogo di conservazione: Copenhagen, Ny-Carisberg Glyptothek, inv. n. 1920. Luogo di provenienza: acquistato a Roma nel 1902. La collocazione originaria è ignota. Porfido rosso. H. cm 60; diam. inf. cm 60; diam. sup. cm 43. Due grosse lacune interessano la base il piano superiore; il toro di base è stato scalpellato in vari punti
Si tratta di un supporto del tipo Ib, con calice inferiore liscio, molto rastremato alla base; composta di un alto toro e un listellino. Un collarino a tondino stringe il fusto a due terzi dell’altezza. Il calice superiore si svasa leggermente c si completa con una fascia diritta. Bibliografia: Ny Carlsberg Giypiotek. Billedtavler til Kataloget over Antike Kunstvaerker, Kjobenhavn 1907, tav. X, n. 129; POULSEN 1951, cat. n. 129; STUBBE OSTERGAARD 1996,p. 232, n. 134. 82 Luogo di conservazione: Magdeburg, Duomo. Luogo di provenienza: probabilmente Ottone I portò il sostegno dali'alia per la costruzione del Duomo. Thietmar racconta dell'acquisto di marmo costoso, però senza indicare da dove fu preso. Porfido rosso. Supporto: h. cm 73, diam, em 124. Plinto: b. cm 18, diam. cm 113, TI supporto, riutilizzato come fonte battesimale, è stato rovesciato c incavato nel piano inferiore.
11 supporto (A) e il plinto (B), in base alle dimensioni diverse c al tipo di lavorazione, non sono pertinenti. Il supporto, rovesciato, è del tipo I be si compone dal basso di un alto plinto ottagonale, il cui piano inferiore è stato scavato a formare una conca emisferica, seguito da un toro e un listello; il calice inferiore, liscio, è stretto superiormente da un anello a tondino, sopra cui si stacca il calice superiore, dal profilo a guscio, che si conclude con una fascia liscia. Il supporto è forato nel mezzo. Il plinto (B) ottagonale, si articola in una fascia centrale ribassata, segnata da una linca incisa 345
e delimitata inferiormente e superiormente da gole e listelli; il piano di posa circolare si rialza in un disco sottile, che accoglie la fascia finale del sostegno, rovesciato; nel mezzo è forato. 11 Delbrueck propone una datazione ipotetica nel II secolo d.C. Bibliografia: C.L. BRANDT, Der Dom zu Magdeburg, 1863, p. 82; DELBRUECK, p. 173 s, fig. 75-76. 5.3 Luogo di conservazione: Montecassino (FR), Museo dell’ Abbazia. Luogo di provenienza: la tradizione lo considera proveniente dal tempio di Apollo, situato sull'acropoli di Casinum. Sicuramente si tratta di un pezzo antico trovato sul posto. Porfido rosso. H. em 57; diam. sup. cm 30; circonf. inf. cm 147; circon£. sup. cm 94. II plinto quadrangolare è moderno, reso con lastrine giustapposte di porfido. I supporto presenta numerose fratture e restauri moderni di parti lacunose, integrate con restauri in porfi do. Resti di mastice rosso scuro sono presenti nell’incavo e nelle fratture.
Supporto del tipo 1 a, con calice inferiore scanalato, stretto superiormente da un anello atondino e incomiciato inferiormente da un alto toro c un basso listello. Il coro‘namento presenta una fascia liscia. Le scanalature, con attacchi a brevi linguette, sono di tipo ionico: profonde, con ampia apertura a cucchiaio alla base, separate da uno spesso listello piatto. Il piano circolare superiore, inscritto intemamente con un rozzo solco, presenta un incasso quadrangolare (cm 10 x 10), leggermente restringentesi verso il basso, per l'inserimento della vasca; al centro dell’incasso si apre il foro circolare (di cm 4 di diametro) attraverso cui passava il tubo metallico di adduzione dell’acqua della fontana. Il piano superiore presenta nel bordo esterno al solco una superficie perfettamente Jevigata, mentre all'intemo il piano è grezzo, così come l’incasso, Ti supporto dalla tradizione è considerato la base che sosteneva l’ara dell’antico tempio di Apollo, che si ergeva sull’acropoli, fortezza-santuario dell’antico abitato di Casinum, sui cui resti S. Benedetto costruì l'Abbazia. La biografia del Santo, scritta da Gregorio Magno, narra che S. Benedetto giunto sulla rocca di Montecassino distrusse la statua di culto di Apollo, abbattè l'ara e proprio nel luogo dove era il tempio pagano costruì un oratorio a S. Martino e dove si trovava l’ara, quello di S. Giovanni. Nel Monastero esisteva anche un’altra base antica!: si trattava di un sostegno a doppio cal ce contrapposto, rastremato in basso, con scanalature nei due terzi inferiori e parte supe riore liscia, delimitata da un anello a tondino (tipo I a). Esso era in verde antico e andò purtroppo perduto durante la seconda guerra mondiale; si trovava nel portico d'ingresso della Chiesa, dove sosteneva un’antica croce bronzea ed era a sua volta posto sopra una colonna tortile medioevale. È questo sostegno în verde antico in realtà la base considerata dalla tradizione sostegno della statua di Apollo, abbattuta da S. Benedetto: il Pantoni giustamente nota l'esiguità delle dimensioni del supporto (largo alla base cm 44 ed alto cm 47) per poter sostenere effettivamente una statua di culto; il dato tradiziona| Panton, in bibl, p. 88, fig. 49. 346
le risale all'epoca desideriana. La confusione probabilmente deve essere avvenuta, a causa della somiglianza tipologica, dopo la scomparsa del primo esemplare. Comunque, la presenza del foro all'interno del pezzo in esame rivela che si tratta non di una base di statua, viste anche in questo caso le piccole dimensioni, ma certa» mente di un sostegno di vasca circolare, attraverso cui passava la tubazione per l'approvvigionamento dell’acqua. Bibliografia: A. PanTONI, L'Acropoli di Montecassino e il primitivo Monastero di San Benedetto, in Miscellanea Cassinese,43, 1980, p. 89; B. D’ONORIO,G. SPINELLI, L'Abbazia di Montecassino, Roma 1982, p. 76, fig. 36. S.4 di L.8 8.5 Luogo di conservazione: Plinto D (Delbrueck): Napoli, Museo Archeologico Nazionale, cortile d'ingresso in via di S. Teresa 2. SupportoE: ignoto. Venduto nel 1929 all’antiquario Jandolo di Roma. Luogo di provenienza: Roma, terme di Caracalla, frigidarium (Palladio). Porfido rosso. Plinto: h. cm 23; diam, max (parte inf)cm 173; diam. sup. cm 117; diam. cerchio interno a gradinacm 107; lato sup. cm 68, inf. cm 72. Supporto: h. circa cm 56 (secondo l'inventario del Museo di Napoli); diam. circa cm 155 (secondo il disegno del volume sul Museo Borbonico), Pinto: una lunga frattura percorre longitudinalmente il piano, altre tre rotture partono trasversalmente dalla prima. Supporto: non reperibile.
I supporto è del tipo III B, b, la cui campana è incomiciata in basso da un alto toro e un listelio e superiormente da un anello a tondino; il collarino superiore ha un profiJo a cavetto ed è sormontato da un'alta fascia diritta. Il plinto ottagonale (attualmente rovesciato) è composto a metà altezza da una fascia liscia ribassata, inquadrata inferiormente e superiormente da un listello obliquo e da una fascia diritta, più ampia quelTa inferiore. Plinti a fasce ribassate e variamente articolate, ma di minori dimensioni, sono frequenti: ricordiamo ad esempio il plinto di S. 2. 11 supporto in esame (E del Delbrueck) era stato precedentemente posto con il plinto (D) sotto la vasca porfiretica restaurata nel cortile del Museo di Napoli (L. 8), mentre il supporto S. 4 sosteneva il labrum L. 22, come appare nel volume VII del Real Museo Borbonico (cfr L. 8-9). Nel disegno del Palladio, nel frigidarium delle terme di Caracalla è raffigurata la vasca L. 8 posta sul supporto e sul plinto in esame: potremmo ipotizzare che, se il labrum L. 8 è pertinente al supporto C, il labrum frammentario L. 9 potrebbe essere stato sostenuto dal supporto È e dal plinto D, sebbene il Delbrueck abbia evidenziato che il diametro del piano superiore circolare del plinto sia troppo piccolo per il piede E. Bibliografia: Doc. Ined, 1, 1878, p. 247, n. 203; Doc. ined, ll, 1879, p. 389; Real Museo Borbonico, VI, Napoli 1830, tav. 12, p. 1 ss; DeLBRUECK 1932,pp. 178 ss, 182, fig. 82, tav. 8I alto. Disegni = A. PALLADIO, in LANCIANI 1985 (1897), p. 462, fig. 208. 347
5.6 Luogo di conservazione: Palermo, Museo Archeologico Nazionale Luogo di provenienza: ignoto. Porfido rosso. H. cm 53 (senza il piano aggiunto); diam. inf. cm 45; circon£. inf. em 140; circonf. sup. em 73, Manca il plinto di base, scolpito a parte. La parte superiore del supporto è stata tagliata al di sotto del listello finale. Quest'ultimo è stato sostituito con un piano non pertinente, sbozzato tut'intomo a formare una fascia circolare; originariamente il piano doveva essere quadrangolare, come rivela un breve tratto rettilinco, non sbozzato. Alcune lacune e scheggiature interessano il toro e il listello inferiori.
Supporto del tipo I a, composto dal basso, di un toro, un listellino rientrante, da cui inizia il fusto rastremato, con 16 scanalature ioniche, segnate in alto da linguette lisce. Un anello a tondino stringe a due terzi dell'altezza il fusto, nel punto di massimo restringimento, sopra cui si stacca il calice superiore, appena svasato. Un piano circolare, non pertinente, è stato poggiato sul supporto, per meglio sostenere una statuetta di Bes? II Delbrueck propone una datazione nel II secolo d.C. Bibliografia: DELERUSCK 1932,p. 182 s, fig. 87. S.7di L. 11 8.8 Luogo di conservazione: Roma, Antiquarium del Celio, inv. n. 35179. Luogo di provenienza: rinvenuto a Roma, in via dei Burrö, nei pressi dell’ Hadrianeum, 2 m sotto il lastricato moderno. Porfido rosso. H. cm 75; raggio della parte superiore cm 72. Diam. in origine cm 240; circonf. em 754 (secondo icalcoli del Gatti e del Delbrueck). Lungh. del lato del plinto cm 91,5. Rimane un quarto del supporto, con un lato completo del plinto e parte dei due lati contigui,
Si tratta di un frammento di un supporto del tipo IIIA, di grandi dimensioni, composto dal basso, di un plinto, in origine ottagonale, seguito da un toro, un listello, e dal fusto con profilo arcuato a formare una scozia, coronato in alto da una fascia piatta, aggettante. Nel piano superiore è ricavato un incasso circolare (diametro cm 35,5, profondità cm 11) per l’alloggiamento del bacino; al centro dell'incasso è stata cavata con la tecnica del carotaggio la canaletta (diametro cm 4), che attraversa verticalmente il supporto per tutta la sua altezza (ben visibile lungo il lato fratturato): in essa doveva essere inserito il tubo di adduzione dell’acqua. La presenza di questa canaletta rende certa la funzione del pezzo come supporto di una vasca circolare di fontana. Il Gatti e il Delbrueck precisano che il canale presentava ai loro tempi incrostazioni d’acqua, attualmente non più visibili 2 Marmi colorati 2002, p. 304 s. n. 5 (G. SARA). 348
Secondo il Delbrueck il luogo di ritrovamento induce ad ipotizzare una datazione nel II secolo d.C., cid & confortato dal confronto con i due torsi togati in Laterano, di età antonina, che sono stati realizzati in un porfido simile a quello del supporto in esame. Una precisazione della cronologia all'inizio dell'età di Antonino Pio può essere proposta, basandoci sul luogo del rinvenimento: i pressi dell Hadrianeun. TI Pensabene, rivelando le grandi dimensioni dell'esemplare, suppone che si tratti di un elemento semilavorato in cava, poi rifinito nel luogo di impiego; le misure. ipotetiche del bacino superiore potevano aggirarsi sui m 4 di diametro. Due sono i labra che potrebbero adattarsi a tali misure: L. 12 nella Sala Rotonda ai Musei Vaticani, il cui diametro è di cm 476, e L. 19 dal Templum Pacis, del diametro di cm 350 circa; ma i luoghi di provenienza di questi Jabra e del supporto in esame. non corrispondono. Bibliografia: G. Garry, in BullCom, 26, 1898, p. 40 ss.; DELBRUECK, p. 184 s. fig. 89; Pensanene 1994, p. 202, n. 16; P. PENSARENE, II fenomeno del marmo nella Roma tardo-repubblicana e imperiale, in Marmi antichi II, 1998, p. 347, tav. 2,1; Marmi colorati 2002, p. 399, n. 103 (S. VIOLANTE). S.9 di L. 14 5.10 Luogo di conservazione: Roma, Battistero di S. Giovanni in Laterano, riutilizzato come sostegno dell'acquasantiera moderna, posta a destra dell’ingresso. Luogo di provenienza: ignoto. Porfido rosso. 1 . cm 47; eirconf. inf. cm 133, circonf. sup. cm 54. Alcune fratture e varie schegglature interessano il tronco del supporto. Dicci forellini sono stati incavati, a distanza regolare, tutt'intorno il piano incurvato della terminazione del tronco, sopra il listello di base.
Si tratta di un supporto di piccole dimensione e del tipo IIb, con fusto liscio, chiuso superiormente da un anello a tondino (non è possibile accertare se in origine il fusto terminasse al tondino o se sia stato scapitozzato per il riutilizzo); la base è composta di un alto toro e un listelo. Bibliografia: inedito, su Luogo di conservazione: Roma, Catacombe di S. Panfilo, via G. Paisiello, sotto la Chiesadi S. Teresa (Salaria vetus); secondo piano, cubicolo doppio. Luogo di provenienza: ignoto. Porfido rosso. H. cm 47,5; diam. max cm 35; diam. sup. cm 25; lungh. lato del plinto esagonale cm 24. Rare scheggiature sulla superficie. 349
Si tratta di un supporto del tipo II b, chiuso superiormente da un anello a fascia liscia, sopra cui rientra una breve porzione del tenone, rozzamente scalpellato, da inserire nel fondo del bacino (oppure si tratta di una rottura intenzionale della parte superiore?); la base è composta di un plinto esagonale e di due listelli digradanti Lo Josi, descrivendo la crypta in cui si trova l'oggetto in esame e dove venne celerata Messa dal VII al IX secolo, afferma che sul pavimento giacciono molti frammenti in porfido e pavonazzetto, attualmente scomparsi, ad eccezione di una lastra in porfido incastrata nella sporgenza parallelepipeda sul fondo del cubicolo. Lo studioso ne suppone un riuso con funzione di sostegno o Janx per lampade. Lo Josi inoltre ipotizza che l'iscrizione, con lettere în porfido, trovata fuori posto e menzionante lavori di restauro compiuti da due liberti, Vitalio e Quodvultdeus, per refrigerium dei domini Teofilo e Pontianete, e tutto ciò che è in porfido (il porfido dell'iscrizione appare essere lo stesso del supporto) nella crypta siano opere fatte eseguire dai due liberti, insieme all'altare. 1I Delbrueck, non essendo riuscito a trovare la cripta, si chiede, basandosi sulle indicazioni dello Josi, se tra i frammenti di porfido si possano trovare i resti della vasca. Egli, inoltre, afferma che la forma conica, senza anello (in realtà l'anello c'è), rimanda al IV secolo d.C. La lastra piatta di porfido, che è murata nel cubicolo, non si può ascrivere ad una vasca, per l'esiguo spessore e per le pareti diritte. 1I supporto è stato riutilizzato nella catacomba: la cronologia del settore in cui si trova il doppio cubicolo, la parte più antica del complesso di S. Panfilo, risalente alla seconda metà del III secolo d.C., costituisce un terminus ante quem per la datazione del supporto în esame. Bibliografia: E. Jost, La via Salaria Vetuse i suoi cimiteri cristiani, in RAC, 1, 1924, p.97, fig. 51; DELBRUECK 1932,p. 185, fig. 92;U. BroccoLi, Corpus della Scultura Altomedievale, VII,5, 1981,p. 90 s, n. 16, tav. VI. s. Luogo di conservazione: Roma, Chiesa dei SS. Cosma e Damiano, cappella del Crocifisso. Luogo di provenienza: ignoto. Porfido rosso. H. cm 69; diam. inf. cm 56. Scheggiature lungo i bordi; manca il consueto plinto ottagonale.
11 supporto, del tipo I a, si compone dal basso di un alto listello, un toro, un listello; il calice rovesciato è omato con profonde scanalature ioniche, con linguette agli attacchi. A due terzi dell'altezza il fusto è stretto da un tondino, cui segue il breve calice superiore, dal profilo a cavetto, chiuso da una fascia liscia. Il supporto è stato inserito, rovesciato, al di sotto dell’altare della cappella del Crocifisso; è visibile attraverso un'apertura ovale al centro del paliotto. 1I Delbrucck propone una datazione ipotetica nel II secolo d.C. Bibliografia: MaraNGONI, p. 303; LANCIANI, II, p. 207 s.; DELERUECK 1932, p. 185, fig. 91. Disegni: — Sallustio Peruzzi, Firenze, Uffizi, arch. 446 (Barrout 1914-1922,IV, tav. 398,n. 718), 350
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16. Sostegno scanalato nella Chiesa dei SS. Cosma e Damiano, S. Peruzzi, Uffizi, (da BartoLI, IV, tav. 308, n. 718) (S. 12). S.13 Luogo di conservazione: Roma, Chiesa dei SS. Nereo e Achilleo, riutilizzato, insieme al supporto simile in africano verde, come sostegno del pulpito, posto a sinistra, in corrispondenza del terzo pilastro della navata sinistra. Luogo di provenienza: secondo il Ficoroni e il Lanciani la base porfiretica proviene dalle terme di Caracalla; il Lanciani precisa che fu rinvenuta durante gli scavi del 1868 nella piscina del repidarium. Porfido rosso. H. cm 64; circonf. superiore cm 312; lungh. di un lato del plinto cm 55. I bordo superiore presenta numerose scheggiature. Nella parte inferiore una lunga linea di frattura arcuata arriva fin sul plinto. I plinto stesso è molto scheggiato lungo i bordi; rotto uno spigolo; mentre una più ampia lacuna, in parte integrata, interessa un lato.
Supporto di grandi dimensioni, del tipo III B, b. La campana è delimitata in basso da un plinto ottagonale, un toro e un listellino, e in alto da un anello a tondino, sopra cui si stacca il collarino a fascia rientrante, leggermente arcuata, e l'alta fascia aggettante. Non possibile stabilire se questo e l'altro supporto in africano, della varietà verde (S. 33), siano forati al centro: le grandi dimensioni fanno, comunque, propendere per la pertinenza a vasche monumentali Il supporto è stato riutilizzato nel presbiterio come sostegno del pulpito, di pianta ottagonale, ponendogli sopra il supporto S. 33, rovesciato. II pulpito venne innalzato 351
in occasione della ricostruzione della Chiesa avvenuta negli ultimi anni del *500 per volere del cardinal Baronio, sotto il pontificato di Clemente VIII. TI Fontana afferma che il pulpito è uno dei pochi elementi (insieme al mosaico e alla sedia pontificale) dell’edificio precedente riutilizzato nella ricostruzione carolingia di Leone IR. La vicinanza delle terme di Caracalla induce a ipotizzare una provenienza di questo e dell’altro supporto in africano verde dal complesso antoniniano. Tale provenienza è già stata indicata dal Ficoroni e dal Lanciani, e ripresa recentemente dalla Turco. Il Ficoroni ricorda anche tre altre basi, una seminterrata davanti alla porta della Chiesa, con una colonna di granito sopra. Un'altra viene ricordata dal Ficoroni davanti alla bottega del De Marchis nel viottolo detto di Scanderbech, ai piedi del Quirinale. Un'altra. base simile venne comprata dal Ficoroni, che ne fece fare due tavoli tondi, mandati al re di Polonia. Il Lanciani mostrando anche l'immagine di uno dei capitelli delle colonne delle terme afferma che essi erano “dalla foggia estremamente complessa”. La Turco definisce sia il pezzo in esame che quello in africano verde “basi”, in particolare il primo sarebbe una base di colonna. Bibliografia: FicoronI 1744, I, p. 84; LANCIANI 1985 (1897), p. 465, fig. 209; A. GUERRIERI, La Chiesa dei SS. Nereo e Achilleo, Città del Vaticano 1951, p. 93 ss, figg. 22,23; M.G. Turco, La Chiesa dei SS. Nereo e Achilleo nel parco dell'Appia antica. La definizione del progetto cinquecentesco nel manoscritto baroniano, in Palladio, 7, 1994, p. 221, figg. 4, 12, 13 Stampe: — G. Foytana, Raccolta delle migliori Chiese di Roma e suburbane, 1, Roma 1855, tav. XLII, fig. 3. S.14 Luogo di conservazione: Roma, mitreo presso il Circo Massimo. inv. n. M M 189. Luogo di provenienza: in situ. Porfido rosso. H. max cm 64; diam. inf. cm 76 circa; diam. sup. em 32 circa. TI calice al di sopra del collarino è rotto e rimane solo parte del piano superiore originario; la base è scheggiata tut'intorno, ad eccezione di un arco di cerchio. Lacunose due scanalature.
Si tratta di un supporto del tipo La, con base composta di un alto toro e un breve listello. Il calice rovescio presenta, al di sotto del collarino, venti scanalature di tipo ionico, profondamente incavate, separate da listelli piatti, su ciascuno dei quali è scolpita una lancia, rivolta in basso, la cui punta romboidale presenta il dorso rilevato, mentre il fusto è contomato da un solco profondo. II calice superiore, estremamente rovinato, è svasato; la superficie del piano superiore non è perfettamente lisciata; nella parte centrale è scavato un incasso quadrangolare (em 11 x 11; h. cm 5), il cui interno è forato (diam. cm 6) dalla canaletta resa con la tecnica del carotaggio, per l'inserimento del tubo di adduzione. 1I supporto di notevole qualità, si avvicina a quello conservato nella Chiesa dei SS. Cosma e Damiano. Bibliografia: inedito. 3 Sulle vicende costruttive della Chiesa dei SS. Nereo e Achilleo: GuenIeRI, in bibl 352
S. 15 di L. 81 S.16 Luogo di conservazione: Musei Vaticani, galleria dei Candelabri, settore IV, inv. n. 2670. Luogo di provenienza: non proviene dalla via Ostiense, come precedentemente si credeva. Basanite. HI. cm 73,3; lungh lato della base em 37. Rare scheggiature sul bordo superiore e lungo gli spigoli della base.
Supporto del tipo Ta. Presenta un’alta base quadrangolare a fascia mediana ribassata, inquadrata inferiormente e superiormente da un listello obliquo e da una fascia liscia; al di sopra corre un toro e un listllo. I calice inferiore, rastremato, è percorso da sedici scanalature di tipo ionico: ampie e fonde, separate da listelli piatt, piuttosto larghi; le scanalature sono ornate superiormente da linguette piene in rilievo. Ti calice superiore, separato da quello inferiore con un tondino, è svasato e incorniciato da una fascia in aggetto. Sul piano superiore si intravede l’invaso per l'alloggiamento del fondo della vasca, attualmente coperto quasi completamente dalla base del vaso postovi sopra. Bibliografia: Lirrotp 1956, p. 316,n. 51, tav. 144. S. 17 di L. 25 S. 18-19 di L. 26-27 S. 20 di L. 32 S. 21 di L. 34 S. 22 di L. 35 $.23 Luogo di conservazione: Roma, Basilica di S. Paolo f. 1. m. lapidario estemo. Luogo di provenienza: ignoto. Granito del Foro. H. max cm 85; h. del plinto cm 18; largh. max del plinto cm 150. Supporto rotto tutt intorno; si conserva il nucleo c solo una porzione del fusto, con le modanature. Scheggiato l’aggetto del tondino.
Supporto del tipo III B, b, del tutto identico, per forma e materiale, sebbene con dimensioni leggermente superiori, al pezzo successivo di Palazzo Barberini. Presenta un alto plinto quadrangolare, un toro e un basso listello, sopra cui si sviluppa il fusto liscio, con profilo a cavetto, stretto da un corposo tondino a due terzi dell'altezza. La parte superiore del supporto ha un collarino rientrante, dal profilo leggermente arcuato, sopra cui doveva correre una fascia aggettante, ipotizzabile in base al confronto con 5.24, essendo la parte finale rotta tutt'intorno e superiormente. Bibliografia: inedito. 353
5.24 Luogo di conservazione: Roma, Palazzo Barberini, nel giardino di pertinenza della Galleria Nazionale di Arte Antica. Collocato a sostegno della stele egizia. Luogo di provenienza: ignoto. Granito del Foro. H. cm 78-79; circon£. inf. 533; circonf. sup. 383; lungh lato del plintoem 167. Superficie rivestita di una patina giallo-rossastra e verdastra. Numerose scheggiature interossano il bordo superiore e gli spigoli delle cornici. Il tondino è lacunoso in due punti. Il plinto è spezzato in un angolo.
1I supporto è del tipo III B, b, con alto plinto quadrangolare, toro e basso listello, sopra cui si sviluppa il fusto liscio, con profilo a cavetto, stretto da un corposo tondino a due terzi dell'altezza. La parte superiore del supporto presenta un collarino rientrante, dal profilo leggermente arcuato, e una fascia aggettante. Le grandi dimensioni e la forma confrontabile con i supporti di Napoli (S. 4, 5), di S. Zeno (S. 7), di Bolsena (S. 20), di piazza S. Pietro (S. 21), di Villa Medici (S. 26), del Giardino Quadrato (S. 27) e della Chiesa dei SS. Nereo e Achilleo (S. 13) permettono di identificare in questo pezzo e nel precedente, assolutamente identico, un supporto di vasca. 8.25 di L. 36 S. 26 di L. 53 S. 27 di L. 190 S. 28 di L. 46 S. 29 di L. 28 5.30 Luogo di conservazione: Tolemaide, Museo, giardino. Luogo di proveninenza: dagli scavi di Tolemaide. Granito rosa di Assuan. H, cm 62; diam. inf. cm 44; diam. sup. cm 30. Licvi scheggiature sul bordo superiore e sul toro mediano.
Si tratta di un supporto del tipo 1b; a due terzi dell'altezza un anello a tondino stringe il fusto, sotto cui si sviluppa il calice inferiore, incomiciato da un toro di base e da un listellino, mentre il breve calice superiore termina in una fascia aggettante liscia. Bibliografia: M. D'ESTE, Sculture egizie ed egittizzanti nel Museo di Tolemaide, in La Cirenaica in età antica. Atti del Convegno Int. Studi, Macerata 18-20 maggio 1995, a cura di E. Catani, SM. MARENGO, Roma 1999, p. 185, tav. VIII 354
8.31 Luogo di conservazione: Ostia antica, Piccolo Mercato, inv. n. 51927. Luogo di provenienza: dagli scavi. Africano (varietà rossa), H. cm 63; diam. inf. cm 31; diam. sup. em 26; circonf. inf. cm 104; sup. cm 83,5. Superficie dilavata; scheggiature sul bordo superiore
Supporto, completamente rifinito, del tipo II b, incorniciato inferiormente da una fascia liscia, su cui si imposta la svasatura leggera del fusto. Il coronamento è con una modanatura a profilo obliquo e una fascia diritta. Il piano superiore presenta un incavo quadrato (cm 10 x 10). Bibliografia: PENSADENE 1994, p. 377, fig. 382. 5.32 Luogo di conservazione: Ostia antica, edificio fuori Porta Marina. Luogo di provenienza: Ostia antica, vani adiacenti all’aula decorata in opus sectile. Africano (varietà rossa) H. cm 75; diam. inf. cm 35; diam. sup. cm 27. Superficie ricoperta di incrostazioni,
Supporto non finito, del tipo TI: essendo solo sbozzato non possiamo sapere se nella fase finale il fusto sarebbe stato scanalato o lasciato liscio. Inferiormente e superiormente sono indicate le comici mediante sottili solchi, che segnalano la successione di un alto plinto, una cornice, sopra cui si imposta il füsto, delimitato superiormente da una comice e un'alta fascia piatta Bibliografia: Becarrı 1969, p. 33; PENSABENE 1994,p. 157, n. 109, fig. 195, 5.33 Luogo di conservazione: Roma, Chiesa dei SS. Nereo e Achilleo, riutilizzato, insieme a quello in porfido, come supporto del pulpito. Luogo di provenienza: ignoto. Africano (varietà verde) H. cm 50; circonf. inf. cm 293; circonf. sup. cm 319. Alcune scheggiature c una frattura interessano il bordo superiore. Vari piccoli restauri in stucco interessano la superficie, piccoli lstllini dello stesso marmo sono stati inseriti per colmare une lacuna della fascia inferiore.
Si tratta di un supporto, riutilizzato rovesciato, del tipo IV b, a rocchetto, di grandi dimensioni. Il corpo cilindrico appare incomiciato in basso da un'alta fascia sporgente di base, seguita da un cavetto, un toro e da un listello. In alto (nella posizione originaria) il corpo cilindrico si conclude in una fascetta aggettante. Bibliografia: GueRRIERI,op. cit. (S. 13), p. 93 ss, figg. 22, 23. Stampe: = FONTANA, op. cit. (S. 13), tav. XLII, fig. 3. 355
S.34 Luogo di conservazione: Leptis Magna, Mercato, lato occidentale del colonnato. Luogo di provenienza: Leptis Magna, dagli scavi Pavonazzetto. Diam. sup. cm 18,5; diam. inf. 27,5; h. cm 49. Rotto superiormente.
Si tratta di un supporto del tipo II b, con base composta di una fascia liscia e una gola rovescia. Bibliografia: inedito. S. 35 di L. 58 S. 36 di L. 59 8.37 Luogodi conservazione: Crotone, Castello. Luogo di provenienza: rinvenuto in mare nel 1915 nella rada di Crotone, presso Punta Scifo, non lontano da Capo Colonna, pertinente ad un carico di marmi naufragato (sul carico si vedano le schede relative ai Jabra ivi rinvenuti: L. 58, 59, 60). Pavonazzetto. H. cm 41, 7; lato del plinto em 95. Mancano un angolo e parte del plinto; superficie ricoperta di incrostazioni marine.
Base modanata, il cui zoccolo è formato da una fascia ribassata, tra due listelli aggettanti, più alto quello inferiore, ai cui angoli si staccano le zampe leonine appena sbozzate. Sopra questo zoccolo si imposta un'alta gola diritta, sormontata da uno stretto listello. La superficie non ha ricevuto la politura finale. Il supporto, secondo Pensabene, richiama vagamente una base ionica: potrebbe essere stato utilizzato come supporto di bacino. Bibliografia: P. Orsi, in Nse, 1921, p. 494; PENSARENE 1978,pp. 107 ss., 114 s., n. 4, fig. 6. 5.38 Luogo di conservazione: Crotone, magazzino del Museo Civico. Luogo di provenienza: rinvenuto in mare nel 1915 nella rada di Crotone, presso Punta Scifo, non lontano da Capo Colonna, pertinente ad un carico di marmi naufragato. Pavonazzetto. H. cm 50; largh. del lato del plinto di base cm 76. Piccole abrasioni e incrostazioni marine sulla superfice.
1I supporto è del tipo 1 b, a due calici contrapposti, separati da un tondino. La base è composta di un'alta fascia ribassata (si confronti la base simile di S. 37), tra 356
due listelli sporgenti, più alto quello inferiore, ai cui angoli si staccano le quattro zampe leonine. Le zampe feline sono appena sbozzate, la restante superficie è ultimata, ma non levigata. Il coronamento presenta una cornice in forte aggetto, a profilo arcuato. Mentre l'Orsi parla semplicemente di “basi quadrate con zampe” leonine, senza specificarne l'uso, il Pensabene ipotizza che il supporto dovesse sostenere un bacino simile alle vasche di Crotone e Taranto, sebbene esse abbiano piedi di forma diversa (S. 35, 36, 39); non di meno un'altra funzione non può essere esclusa. 1 sostegni rinvenuti a Punta Scifo, attualmente rintracciabili sono cinque: tre (S. 35, 36 e 39), posti sotto le vascheL. 58, 59 e 60, sono del tipo V b; due, isolati (S. 37 e 38) sono di tipo diverso: S. 37 è una base modanata; S. 38 è del tipo I b. Tutti non sono stati ancora levigati, così come le corrispettive vasche; bozze e zampe feline sono lasciate sbozzate, per evitare rotture durante il trasporto. Bibliografia: Orsi, ar. cit. (S. 37), p. 494; Mona, PENSABENE 1977, pp. 54, 65 ss. fig. 36; PENSABENE 1978, pp. 107 ss., 114, n.3, fig. 5 S. 39 di L. 60 5.40 Luogo di conservazione: Ostia antica, Piccolo Mercato. Luogo di provenienza: dagli scavi. Pavonazzetto. H. cm 26; diam. sup. cm 25; circonf. sup. cm 79, inf. cm 86. Rare scheggiature lungo il bordo superiore.
Supporto in pavonazzetto, nella varietà brecciata*, completamente finito, del tipo IV a rocchetto, sottotipo b, delimitato inferiormente da una base a fascia piatta su tre peducci, sopra cui si imposta un’alta gola rovescia. Superiormente il rocchetto termina in un cavetto e in un breve listello finale. Il piano superiore presenta un grande foro passante reso con la tecnica del carotaggio (diam. cm 8), tra due più piccoli fori non passanti (diam. cm 2), che dovevano servire il primo a far passare il tubo di afflusso e gli altri due, invece, ad assicurare l'aggancio al bacino sovrastante. Bibliografia: PEnsanene 1994,p. 377, fig. 383. S. 41 di L. 62 S. 42 di L. 64 4 Gnoli - GnoLı 1988, p. 169 — definisce brecciata la varietà "com macchie pavonazze di grandezza uguale alla massa bianca”. 357
5.43 Luogo di conservazione: Roma, collezione Del Bufalo. Luogo di provenienza: dai dintorni di Gabii (Roma). Greco scritto H. tot. cm 69; largh. del lato della base cm 27,5. Sbreccature sulla base e sulla parte superiore; base per metà mancante; patina calcarea sulla superficie.
Supporto del tipo II b, con base formata da uno zoccolo quadrangolare e da una fascia liscia; il coronamento è composto di una gola rovescia e un’ alta fascia. Nel piano superiore è visibile il foro (diam. cm 8) per l'inserimento dell'oggetto da sostenere. Bibliografia: Marmi colorati 2002, p. 391, n. 93 (D. DEL Burato). 5.44 Luogo di conservazione: Napoli, Museo Archeologico Nazionale, magazzino. Luogo di provenienza: probabilmente dall'arca vesuviana. Lumachella orientale o d'Egitto. Supporto: h. cm 50, diam. sup. cm 18. Plinto: lungh. lato cm 30. Integri sia il supporto che il plinto.
Supporto del tipo II, b. Il fusto rastremato termina con una fascia liscia aggettante ed è coronato da un listello, che si imposta sulla svasatura del sommoscapo. Il piano superiore è incavato con un foro non passante (diam. cm 7). I plinto è di forma parallepipeda, con quattro peducci angolari. Plinti rettangolari simili, ma con profilo incavato, formato da una fascia rientrante, inquadrata inferiormente e superiormente da un listello e da una fascia obliqua, sono testimoniati in S. 16 e in altri due esemplari: uno rettangolare ostiense, in porfido verde egiziano*, databile nel II-III secolo d.C., e uno quadrangolare in basanite, datato nel ILL secolo d.C.6 Bibliografia: inedito. S.45 Luogo di conservazione: Corinto, lungo la strada del Lechaion. Luogo di provenienza: dagli scavi. Portasanta H. cm 31; diam. sup. cm 31, inf. cm 38. Scheggisture lungo il piano di appoggio superioree sulla base
Supporto, completamente finito, del tipo IV b, a rocchetto, dall’altezza ridotta e dal diametro elevato, di forma cilindrica, la cui base, impostata su tre peducci, si articola
$ Marmi colorati 2002, p. 391, n. 94 (M. Bruno) 6 Marmi colorati 2002, p.397 5, n. 102 (D. Det BUFALO). 358
in una fascia liscia aggettante e in una alta gola rovescia. Superiormente è incori to da una gola rovescia e un listello. Il piano superiore non presenta né fori, né incassi di aggancio. Il supporto è molto simile a quello in pavonazzetto brecciato al Piccolo Mercato di Ostia (S. 40). Bibliografia: inedito. S. 46 Luogo di conservazione: Corinto, piazzale davanti al Museo. Luogo di provenienza: dagli scavi Portasanta. H. cm 29; diam. inf. cm 26,5. Lacunosa la parte superiore; scheggiature sulla base.
Supporto dello stesso tipo del precedente (IV b), a rocchetto; il corpo è incomiciato superiormente e inferiormente da una gola rovescia. Un plinto a fascia liscia completa il supporto; resta un peduccio di posa. Bibliografia: inedito. 5.47 Luogo di conservazione: Cos, lungo il decumanus. Luogo di provenienza: dagli scavi. imilportasanta H. cm 30,5; diam. sup. cm 29. Superficie in vari punti scheggiata.
Si tratta di un supporto del tipo IV b, a rocchetto, la cui base si compone di un’alta fascia aggettante, di un listello e un cavetto. Superiormente corre una gola rovescia. 11 piano di posa e d'appoggio sono sbozzati in modo grezzo. Bibliografia: inedito. 5.48 Luogo di conservazione: Delos, quartiere del Teatro, casa del Dioniso, peristilio interno. Luogo di provenienza: in situ. Portasanta. H. cm 70; diam. inf. cm 40; diam. sup. cm 30. Scheggiature soprattutto lungo i bordi.
Supporto semirifinito, del tipo II b, incomiciato inferiormente e superiormente da una semplice fascia liscia 1I Deonna lo inserisce nel V tipo semplificato, senza omamentazioni. 359
Bibliografia: J. CHAMONARD, Fouilles de Délos. La maison du Dionysos, in BCH, XXX, 1906,p. 562, n. 12, fig, 25; DEONNA 1938,p. 52, av. XXIII, fig. 164. 5.49 Luogo di conservazione: Efeso, Prytaneion. Luogo di provenienza: dagli scavi. Portasant. H. cm 53; diam, inf. cm 34; diam, sup. cm 22. Rotto superiormente; scheggiature varie sul fusto c in particolare sulla base,
Supporto del tipo II b, mancante della parte superiore; la base si compone di un plinto quadrangolare e di un listello. Bibliografia: inedito S. 50-51 Luogo di conservazione: Efeso, Chiesa di S. Giovanni Luogo di provenienza: dagli scavi. Portasanta. Supporto 50 (dx.): h. cm 26; diam. sup. cm 32, Supporto51 (sx.): h. em 36; diam. sup. cm4l. Sche ture e rotture lungo i bordi delle cornici di base e di quelle superiori.
Si tratta di due supporti, quasi identici, diversi solo nelle dimensioni, del tipo IV b, a rocchetto, entrambi incomiciati inferiormente e superiormente da un breve listello c una gola rovescia. Piano superiore sbozzato, piatto, privo di incavi. Bibliografia: inediti. 8.52 Luogo di conservazione: Epidauro, teatro, Luogo di provenienza: dagli scavi. Portasanta. H. (senza peducci) cm 18, Scheggiata tut'intomo la modanatura superiore; varie sbreccature sulla superficie.
Si tratta di un supporto del tipo IV b, a rocchetto. Il fusto, di forma cilindrica, presenta una modanatura superiore scheggiata tutt’intorno; in basso è incomiciato da un'alta fascia liscia, aggettante, terminante in bassi peducei rettangolari, e da una gola rovescia, Il piano superiore, liscio, non presenta né fori, né incassi 1I supporto è del tutto simile ai due di Corinto nello stesso materiale (S. 45, 46). Bibliografia: inedito. 360
5.53 Luogo di conservazione: Ostia antica, lungo il decumanus maximus presso Porta Marina. Luogo di provenienza: dai vani adiacenti all’aula con opus sectile dell’edificio fuori Porta Marina, Portasanta. H. cm 78; diam. inf. cm 33; diam. sup. cm 29. Superficie ricoperta di incrostazioni di licheni.
I1 supporto non finito, è grossolanamente sbozzato (1 fase). Esso è del tipo II; sono sbozzate le comici inferiori (fascia e toro) e quelle superiori (gola, probabilmente rovescia, e fascia). Non c'è il foro per la canaletta, né incavi per l'incastro della vasca. 1I supporto è stato posto su una base attica, finita, con plinto quadrangolare. Il pezzo insieme ad altri tre sostegni tutti provenienti dall'edificio fuori Porta Marina (S. 32, 54, 69), è pertinente ad un gruppo di materiali, radunati in quell’edificio per essere utilizzati nel suo arredo. Lì rimasero, inutilizzati, in seguito all’arresto dei lavori non molto dopo il 394 d.C. Essi erano stati prelevati dai depositi dello scalo marmorario di Porto, dove certamente ancora in epoca tardo-imperiale si conservava un gran numero di blocchi di cava. Il numero di sostegni di bacini (quattro) maggiore rispetto a quello dei bacini (due: L. 61, 87) rinvenuti nell'area fa supporre una doppia destinazione dei primi, così come i fusti semilavorati che dovevano essere destinati sia per colonne, che per taglio di lastre Bibliografia: Becartt 1969, p. 32, tav. XXXII,4; PENSABENE 1994,p. 157, n. 110, fig. 197. 5.54 Luogo di conservazione: Ostia Antica, edificio fuori Porta Marina. Luogo di provenienza: csedra dell’edificio fuori Porta Marina. Portasanta”. H. cm 74; diam. inf. em 31, diam. sup. em 25. Buono stato di conservazione.
Supporto del tipo II, non finito, sbozzato a subbia. La fascia superiore è più attentamente sgrossata a gradina; la base, segnalata per la maggiore sporgenza, è sgrossata a subbia piccola, mentre l'intero tronco del supporto è più grossolanamente trattato a sabbia grande. Sono segnalate appena le cornici inferiore e superiore. Bibliografia: Becarrı 1969, p. 30, tav. XXX, 2; PENSABENE 1994,p. 157, n. 108, fig. 194; Marmi colorati 2002, p. 520, n. 273 (A. AMBROGI) 55 Luogo di conservazione: Corinto, Basilica di Lechaion, tra il Battistero e la navata sinistra. Luogo di provenienza: dagli scavi. 7 Erronea è l'indicazione di bigio afticanato e di marmo grigio. 361
Verde antico. H. cm 105; diam. inf. cm 27; diam. sup. cm 22. Buono stato di conservazione.
Supporto del tipo II, non finito. Presenta un fusto liscio, leggermente rastremato. Bibliografia: inedito. S.56 Luogo di conservazione: penisola di Mani (Peloponneso meridionale, dalle pendici Taigeto a Capo Matapan), paesino di Keria, Chiesa di Aghios Johannis, presbiterio. Luogo di provenienza: ignoto. Rosso antico. H. cm 70; diam. inf. cm 50; diam. sup. cm 30. Buono stato di conservazione.
del
Supporto, non finito, del tipo II rastremato; termina con una base semplice a fascia liscia; una fascia simile delimita il coronamento. Bibliografia: inedito. 57 Luogo di conservazione: Rodi, giardino del Museo. Luogo di provenienza: ignoto. Rosso antico (o rosso di Rodi?) Misure non rilevabili. Buono stato di conservazione.
Si tratta di un supporto del tipo I a, attualmente collocato rovesciato. Le scanalature doriche presentano in alto un toro c un anello di linguette. I fusto si conclude con uno stretto lstello, il cui piano è liscio e non presenta incassi di aggancio; forse doveva essere inserito nella base mancante, lavorata a parte. I calice superiore, liscio, termina in una fascia piatta. Bibliografia: inedito. 5.58 Luogo di conservazione: Ostia antica, Piccolo Mercato. Luogo di provenienza: dagli scavi. Rosso antico. H. max em 23,5; diam. sup. em 10,5. II supporto è rotto superiormente c inferiormente tut intorno alla base. La superficie appare incrostata in più punti. Scheggiature lungo i bordi delle scanalature, 362
E difficile stabilire con certezza la tipologia, mancando completamete la parte superiore: la forte svasatura della parte inferiore fa pensare al tipo 1 a, con una probabile terminazione afascia. La superficie è articolata con profonde scanalature doriche. Non ci sono fori. Bibliografia: PENSADENE 1994, fig. 385 S. 59 di L. 84 S. 60 di L. 85 6 Luogo di conservazione: Ercolano (Na), casa del Tramezzo carbonizzato (II 11), atrio, al centro dell'inpluvium. Luogo di provenienza: in sit. Cipoilino. H. cm 69; dia, sup. cm 21; circonf. inf. em 70; circonf. sup. cm 67. Buono stato di conservazione.
11 supporto è del tipo IIb, incorniciato da un'alta fascia aggettante sopra e sotto. Il piano superiore presenta un incasso circolare (diam. cm 6). L'inpluvium, originariamente ad un livello più basso con pavimento a frammentini marmorei bianchi e grigi inseriti in un letto di cemento, fu restaurato con lastre di marmo bianco, poste ad un livello pit alto, contemporancamente alla ridipintura di tutta la casa con affreschi di tardo terzo stile, in epoca giulio-claudia. Bibliografia: inedito. S. 62 Luogo di conservazione: Pompei, casa della Fortuna (o dello Specchio) (IX, VII, 20), peristilo Luogo di provenienza: in situ. Gipollino. TI. tot. cm 79. Supporto: h. cm 70; diam. inf. cm 23; diam. sup. cm 20. Plinto: h. cm 9; largh. lato cm 28. Buono stato di conservazione.
11 supporto è del tipo II b, incorniciato inferiormente da un listello e un cavetto e superiormente da una gola rovescia e un listello. Il plinto presenta uno zoccolo quadrangolare con al di sopra un anello a gola rovescia. La Jashemski ricorda nel peristilio di questa casa un bacino marmoreo rotondo su monopodio alto 70 cm, con vicino una statua bronzea, conservata nel Museo nale di Napoli, raffigurante un amorino con un delfino sulla spalla destra, 363
dalla cui bocca fuoriusciva il getto d'acqua ricadente nel bacino$; il bacino non è più in situ. La casa, con solo peristilio, un tempo costituiva la parte posteriore dell’abitazione IX, VII, 25, dalla quale si separò in epoca romana; ristrutturazioni avvennero subito dopo la deduzione della colonia nell'80 a.C.; alcuni restauri furono effettuati dopo il sisma? Bibliografia: JASHEMSKI 1993,p. 240 ss. S. 63 di L. 104 S. 64 di L. 125 S. 65 di L. 163 S. 66 di L. 24 8.67 Luogo di conservazione: Ostia antica, fontanella presso le piazzole dei marmi. Luogodi provenienza: dagli scavi Cipollino. H. cm 64,5; circonf. inf. cm 87,5; circonf. sup. em 69,5. Rare scheggiature sulla base. Supporto, completamente rifinito, del tipo II b, rastremato, presenta un'articolata base di tipo attico, con toro, listellino, scozia, toro ¢ listello. In alto il supporto si conclude con una gola diritta, un listello e un'alta fascia. Bibliografia: inedito. 5.68
Luogo di conservazione: Ostia antca, Piccolo Mereato, inv. n. 51928, Luogo di provenienza: dag scavi Cipoilino. IL cm 67; diam. inf. cm 25; diam. sup. cm 13,5; circonf. inf. cm 74; crconf. sup. cm 43 Scheggiature lungo il bordo superiore; superficie dilavata Supporto, completamente rifinito, del tipo II b. Il supporto è incorniciato da una semplice fascia piatta e superiormente da un listello rientrante e da un'alta fascia liscia 8 Jaswenski 1993, fig. 274-275. 9 RICHARDSON jr. 1988, p. 224. 364
aggettante. Il piano di posa superiore, leggermente concavo, presenta un incavo irregolare all'incirca quadrato. Bibliografia: PensaseNE 1994, p. 377, fig, 381 S. 69 Luogo di conservazione: Ostia antica, edificio fuori Porta Marina. Luogo di provenienza: Ostia antica, vani adiacenti all'aula con decorazione in opus sectile. Cipollino. H. cm 94; diam. inf. cm 31; diam. sup. cm 30. Superficie incrostata.
Si tratta di un supporto del tipo II, solo grossolanamente sbozzato a subbia, non mate le comici: il tronco, lievemente assottigliato al centro, si allarga alle Sul piano di fondo, appena sgrossato, si leggono tre lettere, di cui la prima di difficile interpretazione: [-] 4 L. Bibliografia: BECATTI 1969, p. 32; PENSABENE 1994,p. 157, n. 111, fig. 196. 8.70 Luogo di conservazione: Musei Vaticani, Galleria dei Candelabri, settore IV, inv. n. 2605. Luogo di provenienza: ignoto. Cipollino. H cm 83; diam. base cm 96,5; diam. sup. cm 77. Integro, ad eccezione di un tassello di restauro sul bordo superiore. La superficie à stata completamente lisciata in seguito ad un restauro settecentesco ad opera del Lisandronil
Supporto del tipo II b, la cui base si compone di una fascia, una gola diritta e un listello; è incomiciato superiormente da un basso listello, una gola diritta e una fascia finale. TI plinto cilindrico inferiore e la cornice a profilo ondulato superiore sono aggiunte moderne. Probabilmente più che di un supporto di vasca, vista l'altezza superiore alla media, si tratta di una colonnina. Il Lippold è incerto sull'antichità del pezzo. Bibliografia: LireoLd 1956, p. 368,n. 113, tav. 157, 71-72-73 Luogo di conservazione: Lesbo, cave del distretto di Moria. Luogo di provenienza: in situ. 10 Sull'attivià di scultore © Clementino dal 1778 al 1793: R. Settecento, in Sculture romane E. DesenzDETTI, Roma 2002, p.
restauratore di Ferdinando Lisandroni, attivo nel Museo PioCARLONI, Sculture e finanzieri in "società" nella Roma di fine del Settecento, IL, La professione dello scultore, a cura di 191 ss. in part. p. 200. 365
Bigio antico di Lesbo. S. TI: h. cm 46; lati del plinto cm 68 x 63; diam. sup. circa cm 45; h. del plinto cm 19. S. 72: b. cm 80; diam. inf. cm 29; diam. sup. cm 30. S. 73: h. cm 74; diam. inf. cm 22; h. scapo cm 5. Inicgri
Si tratta di tre supporti semilavorati, lasciati nei primi stadi di lavorazione per essere esportati e rifiniti a destinazione. S. 71 è del tipo V a plinto, con base parallelepi peda. La superficie è sbozzata a colpi di subbia grande, irregolari sul fusto, a linee dritte e parallele su due lati della base; il bordo superiore è limitato da due solchi paralleli, che segnalano i limiti delle comici. S. 72 è del tipo II a colonnetta, con superficie lavorata a subbia grande. Un solco circolare segnala il limite interno della base e del capitello. Questo supporto è pertinente al bacino sbozzato (L. 94, Pensabene n. 28 bis) rinvenuto sempre a Moria, nello stesso settore, il 9. S. 73 è del tipo Il a colonnetta: il fusto è lavorato a colpi obliqui di subbia piccola e mostra l’inizio di una trincea per dividerlo. Lo scapo è rifinito a gradina e separato dal fusto da una fila di brevi colpi verticali, paralleli. Secondo Pensabene lo si può interpretare come sostegno di bacino per l'evidente espansione dell’estremità. 3
Bibliografia: PENSABENE 1998 a, p. 181,n. 27, tav. 10, 1-2 (S. 71); p. 182,n. 29, tav. 5,1 e (8.72);p. 182, n. 31, tav. 15,4 (S. 73).
8.74 Luogo di conservazione: Mileto, Museo, inv. n. E 3262. Luogo di provenienza: dagli scavi. Marmo bigio a grana fine di Fraclea. H.em 50. Alcune scheggiature lungo i bordi di cornici e scanalature.
Supporto del tipo I a, con sedici scanalature, molto simile al supporto milesio S. 149 (inv. n. E 3261). La base si compone di un listello, una fascia, una gola rovescia e un fistellino. Il calice superiore è incomiciato in basso da un anello a tondino e in alto da una fascia, una gola rovescia, un tondino, un cavetto e un listello finale. Bibliografia: inedito. 8.75 Luogo di conservazione: Mileto, giardino del Museo. Luogo di provenienza: dali scavi Marmo bigio a grana fine di Eraclea. H. em 38 Rotto nella parte inferiore; scheggiature nella parte superiore.
Supporto del tipo I a, con venti scanalature del tipo dorico, con bordo acuto, combaciante e linguette nell'attacco superiore. Il calice inferiore, scanalato, è stretto da un toro, a tre anelli, di cui il centrale più largo e sporgente; il calice superiore è liscio e fortemente svasato. Bibliografía: inedito. 366
5.76 Luogo di conservazione: Mileto, giardino del Museo. Luogo di provenienza: dagli scavi, Marmo bigio a grana fine di Eraclea. H, cm 60 circa. Scheggiature nella parte superiore.
Supporto del tipo II b, rastremato, incomiciato in basso da un'alta fascia liscia sul plinto quadrangolare; in alto termina con una successione di fasce digradanti Bibliografia: inedito. S. 77 di L. 65 5.78 Luogo di conservazione: Pergamo, giardino del Museo. Luogo di provenienza: dagli scavi. Marmo bigio di Lesbo. Misure non rilevabili. Scheggiature lungo l'anello e il piano superiore, scheggiato un angolo del plinto di base.
Basso supporto del tipo V b, a plinto liscio, il cui fusto, appena rastremato, si conclude in una base quadrangolare, un alto toro e un listello. Il coronamento è composto da un toro e un listello; sul piano superiore, lavorato a gradina, si apre un incavo circolare, non passante. Bibliografia: inedito S. 79 di L. 155 5.80 Luogo di conservazione: Musei Vaticani, Galleria dei Candelabri, settore IV, inv. n. 2658. Luogo di provenienza: ignoto. Gabbro cuforide!! H. cm 50, 5; diam. sup. 22, 5; diam. inf em 36. Integro; rare scheggiature nel bordo inferiore.
Supporto del tipo II b, con fusto molto rastremato, incorniciato inferiormente da una fascia liscia e superiormente da due listelli digradanti. ?! Lippold: granito “egiziano”, macchiato di nero-bianco. 367
L'incavo tondo, per l'allogiamento dell’elemento superiore, è stato colmato per porvi sopra un vaso. Il supporto per l'aspetto campaniforme si distacca dai tipi consueti di sostegni; forse questa tettonica piuttosto anomala si rifà a forme egizie: è, infatti, dal deserto orientale egiziano che proviene il gabbro eufotide!?. Lo Gnoli afferma che il piede in esame è l'esempio più cospicuo di questa pietra. Il Pietrangeli ne ribadisce l'antichità, mentre secondo Pensabene e Bruno il supporto è forse moderno.
Bibliografia: LmvoLo 1956, p. 323, n. 62; vou 1971, p. 132; GNOU 1988, 159; PierRANGELI 1993,p. 311; Marmi antichi 1998, p. 210, n. 63, fig. 62 c; PENSABENE, p.BRUNO 1998, p. 12. S. 81 di L. 106 8.82 Luogo di conservazione: Ostia antica, sul decumanus maximus presso l'aula di Marte e Venere, inv. n. 19467, Luogo di provenienza: dagli scavi. Rosso ammonitico. H. (escluso il plinto interrato) em 41; diam. sup. cm 47; circon£. inf. cm 170; circonf. collo cm 130. Il plinto, interrato, è rotto tutt’intorno; molto scheggiato il bordo, con una grossa lacuna in corrispondenza dell’incavo quadrangolare.
Si tratta di un singolare supporto, probabilmente di vasca, del tipo VI a bulbo, molto espanso alla base, impostato su un plinto quadrangolare, assolutamente identi o, per forma e dimensioni, al successivo, conservato presso la Sinagoga (S. 83). Poco conservato è il plinto di base, su cui si imposta il fusto a bulbo, terminante in un listello e un toro. Il piano superiore presenta due incavi quadrangolari con canaletta, di cui uno lacunoso. Senza foro passante. Bibliografia: Marmi colorati 2002, p. 391,n. 95 (A. AMBROGI), 5.83 Luogo di conservazione: Ostia antica, presso la Sinagoga. Luogo di provenienza: dagli scavi Rosso ammonitico, IH. tot circacm 58,5; diam. inf. 54,5; diam. sup. cm 47,5; lato del plinto em 57,5,h. del plinto cm 10 circa; circonf. inf. cm 170, circonf. del collo em 131. Sehesgiaur lungo il bordo superiore; manca un angolo del pinto, Superficie incrostata di licheni, 12 noui 1971,p. 132, fig. 116; GNoLI 1988,p. 158 s., fig. 116. 368
‘Supporto identico al precedente (S. 82), del tipo VI, con plinto quadrangolare. Superiormente si conclude con un listello e un toro. Il piano superiore presenta due incavi quadrangolari, ciascuno con una canaletta volta verso l'esterno. Il pezzo è ben rifinito, manca un foro passante. Di questo tipo si conosce solo l'esemplare in esame e il precedente, anch'esso ostiense e nello stesso materiale. Bibliografia: inedito, 5.84 Luogo di conservazione: Dion, Museo, portichetto orientale Luogo di provenienza: dagli scavi. Breccia di Sciro. H. circa cm 90. Integro.
Supporto del tipo II b, incorniciato inferiormente e superiormente con una fascia. liscia e un listellino, Bibliografía: inedito. S.85 Luogo di conservazione: Thasos, magazzino del Museo, inv. n. 2450. Luogo di provenienza: dagli scavi Breccia di Sciro. H. cm 40; diam. inf. cm 23,5. Rotto superiormente.
Supporto del tipo IL a, con scanalature tortili; la base si compone di un’alta fascia e un listellino. Bibliografia inedito S. 86 Luogo di conservazione: Napoli, Museo Archeologico Nazionale, magazzino. Luogo di provenienza: probabilmente dall'area vesuviana. Breccia di Sciro H. max cm 39; diam. sup. cm 10. Rotto superiormente.
Piccolo supporto del tipo II b, terminante in un alto plinto e in una gola rovescia. Da confrontarsi con il supporto successivo in breccia di Sciro da Ostia, inv 57737 (S. 87): quello puteolano è più piccolo, ma è dello stesso tipo, con una stessa articolazione delle modanature inferiori. Bibliografia: inedito. 369
5.87 Luogo di conservazione: Ostia antica, Piccolo Mercato, inv. n. 57737. Luogo di provenienza: da Ostia antica, precedentemente conservato nel Sotto Tempio. Breccia di Sciro. H. cm 63; diam. inf. cm 26; diam. sup. cm 16; circonf. inf. cm 82. Una grossa lacuna sul coronamento; scheggiature sull'orlo inferiore.
Supporto del tipo II b, leggermente rastremato, incorniciato inferiormente da una fascia diritta e da una gola rovescia. Superiormente presenta una gola rovescia, una fascia diritta aggettante. Il piano superiore, non lisciato, è ribassato e presenta al centro un foro circolare, regolare (diam. cm 2,5), non passante, all'interno del quale si conserva l'attacco di un perno di ferro a sezione quadrangolare, tenuto fermo da un amalgama di piombo; il perno doveva servire per fissare l'oggetto posto al di sopra: probabilmente un Jabrum. Il piano inferiore, lavorato a gradina, presenta al centro un piccolo foro irregolare, ripieno di residui terrosi, nel quale doveva essere inserito un perno metallico destinato a fissare il plinto di base, lavorato a parte. Bibliografia: Marmi colorati 2002, p. 396 s. n. 101 (A. AMBROG!). S. 88 Luogo di conservazione: Thasos, magazzino del Musco, inv. n. 3362. Luogo di provenienza: dagli scavi Marmo rosso brecciato. H. cm 18; diam. cm 31, Rotto superiormente c inferiormente.
Supporto del tipo IV b, a rocchetto (cfi. supporti S. 45 e 46 di Corinto in portasanta e supporto S. 40 di Ostia in pavonazzetto breceiato), incorniciato inferiormente da un listello e una gola diritta e superiormente da una gola rovescia. Bibliografia: inedito. 5.89 Luogo di conservazione: Calcide, Museo Archeologico, giardino. Luogo di provenienza: dagli scavi. Marmo bianco grigiastro a grana fine (calcare semicristallino?). H. cm 60 circa; diam. inf. em 40 circa; diam. sup. cm 29, Rare scheggiature sui bordi
Sostegno del tipo II b, con plinto a fascia thos a foglie d'acqua con nervatura centrale lanceolate con nervatura centrale; al di sopra riore è stato scavato un incasso circolare per Bibliografia: inedito. 370
liscia. II capitello si compone di un kalae doppio bordo inciso, alternate a foglie un abaco a fascia liscia. Sul piano supel'inserimento del labrum.
5.90 Luogo di conservazione: Delos, casa nel quartiere del Teatro. Luogo di provenienza: in situ
Marmo grigiastro a grana fine. H.cm 63.
Lacunosi il piano superiore e la base.
Supporto del tipo I a, con scanalature doriche allargantesi alla base, costituita da uno zoccolo liscio. A due terzi dell’altezza un collarino delimita superiormente le scanalature. Sul piano superiore si notano gli incassi per l’ancoraggio della vasca. Secondo la suddivisione del Deonna appartiene al tipo 1, d. Bibliografia: DeoNNA 1938, p. 51, tav. XXII, fig. 155. 5.9 Luogo di conservazione: Dion, Museo, portichetto orientale. Luogo di provenienza: dagli scavi. Marmo grigio venato (locale?) H. circa cm 50. Rotta la sommità; fratture lungo il fusto
Supporto del tipo I a, con scanalature doriche. II calice inferiore è delimitato in basso da un plinto a listello liscio e superiormente da un anello a fascia liscia, sopra cui rimangono i resti dell'attacco del calice superiore, mancante. Bibliografia: inedito. 8.92 Luogo di conservazione: Dion, Museo, portichetto orientale Luogo di provenienza: dagli scavi. Marmo grigio venato (locale?) H. circa cm 80. Integro; fratture sul coronamento e sul fusto
IL supporto è un'eccezione del tipo IIb, essendo lacolonnetta bombata in basso, incorniciata superiormente e inferiormente da una fascia lisca e un lstello a profilo obliquo.
Lo stesso tipo a colonnetta bombata in basso è documentato ad Ostia (S. 65 di L. 163) e a Dion (S. 95) con scanalature tortili Bibliografia: inedito. 5.93 Luogo di conservazione: Dion, Museo, portichetto orientale. Luogo di provenienza: dagli scavi 371
Marmo grigio venato (locale?). H. cm 60 circa, Integro; scheggiature lungo i bordi.
Supporto del tipo I! il cui fusto, leggermente rastremato, termina con una fascia diritta c una gola rovescia. Il coronamento è composto da una gola rovescia e una fascia diritta. Bibliografia: inedito. 5.94
Luogo di conservazione: Dion, Museo, portchetto orientale. Luogo di proveni i scavi. Marmo grigio venato (locale). H. circa cm 60. Rotto superiormente. Essendo rotto superiormente, è dif icile stabilirne la tipologia: la lieve rastremazione del fusto fa propendere per il tipo IIb. La base è costituita da un plinto a fascia diritta. Bibliografia: inedito. 8.95 Luogo di conservazione: Dion, Museo, portichetto orientale. Luogo di provenienza: dagli scavi Marmo grigio venato (locale?) H. circa cm 90. Integro,
Supporto eccezione del tipo II b, con cui terminazione inferiore si compone di lo, mentre il coronamento ha una cornice La forma singolare si ritrova, sebbene Ostia (S. 65) e un altro di Dion (S. 92).
colonnina bombata e a scanalature tortili, la una fascia liscia, una gola diritta c un listela cavetto e un fascione liscio. con superficie liscia, in due supporti: uno di
Bibliografia: inedito. S. 96
Luogo di conservazione: Ercolano (Na), casa del Salone Nero (VI, 11-13), perisii, il supporto si trova al centro del giardino. Luogo di provenienza: in si. Marmo bianco-grigiastro a grana fine, opaca (bardiglio?) H. cm 65; diam. cm 27; circonf. max inf. cm 89; eirconf. max sup. cm 87. Interrato il toro inferiore; scheggiature alla base 372
Supporto del tipo II b, la cui base, di tipo attico, presenta una scozia tra due tori, delimitati superiormente da un listello. Il coronamento è formato da un listellino, una gola diritta, un listello e una fascia, digradanti. Sul piano superiore è reso un incasso circolare (diam. cm 7) al centro per permettere un migliore incastro del labrum. La Jashemski ricorda al centro del peristilio-giardino un bacino tondo marmoreo su piede: attualmente si conserva in situ il solo supporto. Bibliografia: JAsHEMSKt 1993, p. 271, n. 556. 5.97 Luogo di conservazione: Pompei, casa di Sallustio (VI, II, 4), pergolato del rriclinium estivo. Luogo di provenienza: Pompei, dalla casa di Sallustio. Bardiglio. H. cm 70; diam. sup. cm 29; circonf. inf. cm 116. Rotto il listello superiore del coronamento; una frattura percorre il fusto longitudinalmente; scheggiature sui tori di base.
Supporto del tipo II b, la cui base, di tipo attico, è formata da una scozia tra due tori, delimitati superiormente da un listellino. Il coronamento si compone di un listellino, una gola dirit a, un listello e una fascia digradanti. II fusto è forato per Pinse mento del tubo di adduzione (diam. cm 10). 1I supporto è del tutto simile, nella forma e nelle modanature, che imitano dirett mente basi attiche e capitelli dorici, al supporto di Ercolano precedente S. 96, dimensioni solo leggermente inferiori. La casa, una delle più antiche conservate del periodo del tufo (200-80 a.C.) al cui nucleo originario fu aggiunto il quartiere nord-orientale nel I secolo a.C., fü attri buita erroneamente al C.Sallustius ricordato sulla facciata; nel 1806 si rinvenne un sigillo in bronzo con il nome del vero proprietario: A. Cossius Libanus. Nell'ultimo periodo l’intero complesso fu trasformato in albergo; il triclinio estivo appartiene proprio a questa fase alberghiera. II Pemice lo ascrive ai supporti di età imperiale 2 d. Bibliografia: PeRNice 1932, p. 53, tav. 34,6. S. 98 di L. 123 5.99 di L. 124 S. 100-101 Luogo di conservazione: Pompei, casa I, XIII, 2, (S. 100) giardino, inv. n. 58035; (S. 101) stanza attigua al giardino, inv. n. 58048. 13 RıcuanDson jr. 1998, p. 107 ss. 373
Luogo di provenienza: dalla casa I, XIII, 2. Marmo bianco-grigiastro. S. 100: b. cm 50; diam. sup. cm 21; circonf. inf. cm 89; S. 101: h. cm 60; diam.sup. cm 22; citconf. sup. cm 75; diam. inf. cm 29. S. 100) rotture sul piano superiore; S. 101) scheggiature sul piano superiore; rotture sulla base,
S. 100 è del tipo IIa, con dodici scanalature doriche, separate dal coronamento con un collarino liscio. La base è composta della consueta fascia liscia. Il coronamento presenta un cavetto e un doppio listello digradante. Il piano superiore conserva l'incasso circolare (diam. 6), privo di foro passante. S. 101 è del tipo II a, con sedici scanalature doriche; la base è a fascia liscia e il coronamento è composto di un cavetto e di un listello. Sul piano superiore si nota l'incavo circolare (diam. cm 8), senza foro passante. La superficie del supporto non è stata ben levigata, è lisciata a gradina. La casa, affacciantesi su via dell’ Abbondanza, risale nel suo impianto originario all’età sannitica, con atrio decorato in primo stile, mentre un ambiente è restaurato in secondo stile. Bibliografia: inediti. S. 102 Luogo di conservazione: Pompei, magazzino del Foro, inv. n. 44721 Luogo di provenienza: dagli scavi. Marmo grigio e rosa, H. em 22; diam. cm 20. Lievi scheggiature,
Si tratta di un supporto del tipo IV b, a rocchetto: il fusto cilindrico è concluso da un plinto a fascia liscia, con peducci di appoggio, seguito da una gola rovescia e un listello. In alto è coronato da una gola rovescia e una fascia liscia Bibliografia: inedito. 03 Luogo di conservazione: Pompei, magazzino del Foro, inv. n. 25893. Luogo di provenienza: Pompei, casa del Menandro (1, X, 4). Marmo bianco-grigiastro, oem 59; conf del toro in. em 89; ciconf. sup. (abaco) em 68. lino: hem 3,5; ug em 31 Scheggiature in vari punti
II supporto è del tipo I a, con dodici scanalature separate da un listello piatto (di
tipo ionico), mentre il finale arrotondato è incorniciato da un bordino a sezione semicircolare. Le scanalature presentano ciascuna nell'attacco superiore una linguetta ret374
tangolare rilevata; nella parte finale le scanalature si alternano a punte di freccia, con costolatura rialzata centrale. II plinto, separato dal supporto, è quadrangolare. La base è del tipo attico, con scozia tra due tori. Il calice superiore, appena svasato, è separato da quello inferiore da un tondino e si conclude in un listellino e in una fascia liscia. Una lastra in marmo bianco è stata aggiunta tra il capitello e il labrum, Il supporto sostiene un Jabrum in bronzo, di elegante fattura, con decori eseguiti con straordinaria finezza. Nell’abside (schola labri) del caldarium del bagno privato della grande casa, il cui ultimo proprietario apparteneva ad una ricca famiglia di Pompei, la gens Poppaea, forse imparentata con Poppea, la seconda moglie di Nerone, si conserva ancora il foro per la cannula dell'acqua che doveva alimentare il labrum, Bibliografia: inedito. S. 104 di L. 183 S. 105 Luogo di conservazione: Musei Vaticani, galleria dei Candelabri, settore IV, n. 69. Luogo di provenienza: ignoto. Bardiglio. TI. cm 58; diam. inf. cm 39; diam. sup. em 33,5. Buono stato di conservazione.
Supporto del tipo I a, con anello a tondino che, a due terzi dell'altezza, separa il breve calice superiore, liscio e fortemente svasato, da quello inferiore percorso da sedici scanalature ioniche, segnate all'attacco da linguette piene, rilevate. La base, di tipo attico, si compone dal basso di un toro, un listello rientrante, una scozia e un toro con listellino rientrante. Bibliografia: Liprouo 1956, p. 328, n. 69, tav. 147. S. 106 di L. 91 S.107
Luogo di conservazione: Ambracia, Museo Archeologico, ingresso Luogo di provenienza: dagli scavi Marmo bianco local Misure non rlevabi Una frattura percorre il plinto, in parte restaurato. Superficie coperta di una patina grigiostra. 375
Supporto del tipo II b, rastremato, incomiciato in basso e in alto da una fascia. Il piano superiore presenta un incavo quadrangolare. Bibliografia: inedito. S. 108 Luogo di conservazione: Ambracia, Musco Archeologico, interno. Luogo di provenienza: dagli scavi. Marmo bianco acristalli piccoli, locale. H. cm 60 circa. Integro.
Supporto de! tipo Ia, con venti scanalature doriche e linguette, appena accennate, agli attacchi. Un sottile anello a tondino stringe il fusto a tre quarti dell'altezza. Il plinto è a fascia liscia con bordi rilevati; la sommità presenta un piano circolare. Bibliografia: inedito. 5.109 Luogo di conservazione: Amicle (Amyklai) (Sparta), Chiesa di Prophit Elias, reimpiegato nella bifora della facciata Luogo di provenienza: ignoto. Marmo bianco (di Mani?) Misure non rilevabili Manca la parte inferiore e la base del fusto; scheggiati listelli delle scanalature.
Si tratta di un supporto del tipo I a. Il fusto, mancante della parte inferiore e della base, presenta scanalature di tipo ionico, che nella sommità presentano un collarino a linguette, delimitato superiormente da un sottile tondino. AI di sopra il calice superiore è svasato e termina în una fascia liscia e diritta. 5.110 Luogo di conservazione: Amphipolis (Macedonia), Basilica F Luogo di provenienza: in situ? Marmo bianco. H. circa cm 65. Rotto alla base c superiormente; scheggiature lungo i bordi
Supporto del tipo 1 a, il cui calice inferiore presenta scanalature doriche, con attacco a linguetta appenna accennata. Non si conserva la base. Un anello a tondino sottolinca la separazione tra i due calici contrapposti. Il coronamento è rotto tutt'intorno; sul piano superiore è reso un incasso quadrangolare. Bibliografia: inedito. 376
mm Luogo di conservazione: Amphipolis, Basilica A. Luogo di provenienza: in situ? Marmo bianco a grana media, tipo tasio. H. circa cm 65; diam. inf. cm 45. Rotto alla base; rotto superiormente; scheggiature lungo i bordi.
Supporto del tipo II a, con scanalature doriche, che partono al di sotto di un collarino liscio. Mancano le estremità inferiore e superiore, di cui resta solo l'attacco della comice a profilo obliquo. Bibliografia: inedito. 8.112 Luogo di conservazione: Amsterdam, Allard Pierson Museum, inv. n. 3509. Precedente‘mente nella collezione P. Amdt a Monaco, nella collezione C.W. Lunsingh Scheurleer, The Hague 1920/24. Nella collocazione attuale dal 1934. Luogo di provenienza: ignoto. Marmo bianco, probabilmente greco insulare. H. cm 54,7; diam. della base c della sommità cm 32,2; diam, del fusto cm 19,4, Bordi superiori e inferiori rotti in alcuni punti; superficie del fusto lisciaa
Si tratta di un supporto del tipo II a. Il fusto, non rastremato, presenta ventiquattro scanalature, con bordo unico (tipo dorico) e prive di linguette all'attacco, su un plinto rotondo a fascia liscia. Il coronamento si compone di una modanatura a profilo rigidamente obliquo e doppio listello. Un collarino liscio separa le scanalature dal coronamento. Al centro del piano superiore si nota un foro quadrato di 9x9 cm. I! supporto, ascritto da Moorman all’età ellenistica, mtra nella tipologia pi diffusa di supporto a colonnetta di età romana. Bibliografia: E. MooRMANN, Ancient Sculpture in the Allard Pierson Museum Amsterdam, Amsterdam 2000, p. 193 s. n. 260, tav. 92. S. 113-120 Luogo di conservazione: Argo, giardino del Museo Archeologico. Luogo di provenienza: dagli scavi. Marmo bianco. H. cm 60-65 circa. Alcuni integri, altri lacunosi.
Si tratta di otto supporti del tipo II, a colonnetta: alcuni scanalati (I a), altr lisci (11); uno (116) presenta una scanalatura tortile (Il a) su una base ad alto cavetto Bibliografia: inediti. 377
S.121 Luogo di conservazione: Argo, giardino del Musco Archeologico. Luogo di provenienza: dagli scavi. Marmo bianco. Misure non rilevabili. Scheggiature lungo il bordo superiore.
Supporto del tipo I a, con plinto a fascia liscia e con scanalature di tipo dorico nel lungo calice inferiore, delimitato da un anello a due tondini. Il calice superiore, breve e svasato, è coronato da un doppio listello. Sul piano superiore è stato scavato un grande incasso circolare. Bibliografia: inedito. S. 122-123-124
Luogo di conservazione: Avenches (Svizzera) (ant. Aventicum, capitale degli Elvezi), magazzino, inv. mn. 1899/3180 (S. 122); 1902/3255 (S. 123); disperso, un tempo ad Avenches, poi trasportato con le altre antichità a Berna (S. 124). Luogo di provenienza: S. 122) rinvenuto nel 1899 durante gli scavi dell’associazione Pro Aventico nel teatro, nelle dirette vicinanze della Dee Madre in trono. S. 123) trovato nel 1902 a Pré-Vert. S. 124) scoperto nel 1751 durante gli scavi a Derrière la Tour. Venne alla luce presso i due grandi ambienti con il mosaico di Dioniso, Ariannae lo zodiaco (ala occidentale del complesso edilizio del tipo a palazzo) Marmo bianco a grana media (S. 122) e a grana fine-media (S. 123). S. 122)h, max cm 14,8; probabileh tot. cm 70 circa. Base: largh. cm 27,5; prof. cm 254. Diam. inf. dell'alzata conica cm 21,5. Foro: diam. max 4,5 circa; h. cm 8,2. S. 123)h to. cm 4,5; largh. cm 5,9; prof. maxem 8, Base cm 6,2 x 5,9 x 1,2. S. 124) in base alle indica zioni dei disegni conservati lh approssimativa dovrebbe essere di circa cm 48,75. S. 122) si conservano due frammenti, combacianti, della parte inferiore del supporto, con due piedi leonini, scheggiati; S. 123) resta un piede ferino della base, scheggiato in alcuni punti; S. 124) disperso, Si tratta di tre esemplari appartenenti allo stesso tipo II b, con fusto liscio, rastremato, base parallelepipeda, con agli angoli quattro piedi leonini di appoggio, le cui dita ungulate poggiano su una basetta a disco. I tre disegni del pezzo disperso (S. 124), eseguiti nel Settecento dallo Schmidt e dal Gruner, mostrano come doveva essere il pezzo integro, con fusto terminante superiormente in un doppio tondino aggettante e in un disco su cui si doveva appoggiare il bacino; in due di questi disegni il supporto è appoggiato su un basso bacino rettangolare. L'incavo forato, nell'esemplare S. 122, per l'inserimento del tubo di approvvigionamento idrico accerta la pertinenza dei supporti a piccoli labra; pertinenza confermata dai disegni dell'esemplare S. 124, in cui è segnato il foro di uscita della canaletta, in alto, sebbene il pezzo sia ricordato nei manoscritti dello Schmidt come parte di candelabro. Secondo il Bossert si tratta di opere locali, come mostra l'esecuzione approssimativa dei piedi felini, con particolari segnati da rozzi tratteggi; colpisce, tuttavia, l'esecuzione accurata e sapiente del cono interno e della base. Si potrebbe trattare di pezzi importati semilavorati e poi rifiniti nel luogo di destinazione. 378
Nel caldarium delle terme “En Perruet” ad Avenches negli anni '50 si rinvennero la base e un frammento di labrum, circa un quarto, con pareti esterne ornate da nervature a conchiglia's Bibliografia: M. Bossext, Germania Superior. Civitas helvetiorum: Aventicum. Die figürlichen Reliefs von Aventicum, VII, Lausanne 1998, pp. 40, 94, nn. 14, 15,47 (con indicazioni bibliografiche dei tre disegni dello Schmidt e del Gruner riproducenti il pezzo scomparso a mota 1), tav. 8. S. 125-126 Luogo di conservazione: Calcide, Museo Archeologico. Luogo di provenienza: dagli scavi Marmo bianco. H. em 50-60 circa. Lievi scheggiature lungo i bordi.
Si tratta di due sostegni identici del tipo I a, con scanalature doriche nell'alto calice inferiore, che si conclude in un plinto a fascia liscia; il breve calice superiore è delimitato inferiormente da un tondino e superiormente da una fascia liscia. Bibliografia: inediti 8.127 Luogo di conservazione: Cirene, Foro, cosiddetto Cesareo. Luogo di provenienza: dagli sca Pentelico. H. max em 44; diam. inf. cm 36; diam. sup. cm 24. Spezzato superiormente, rotta tutt'intorno la base. Supporto del tipo II a, con scanalature doriche, leggermente rastremato, con terminazione inferiore a fascia liscia Bibliografia: inedito, 5.128 Luogo di conservazione: Cirene, presso le cosiddette Piccole Terme (età traianea) o Terme Bizantine. Luogo di provenienza: in situ? Marmo bianco (pentelico?) H. tot. cm 62; fusto h. cm 46; capitello largh. cm 46; diam. sup. cm 36; diam. inf. cm 60 circa. Scheggiature alle estremità. 14 G. Th. Schwarz, Avenches. Les thermes „En Perruer". Fouilles de l'hiver 1957/58, in Ur-Schweiz, 22, 1958,p. 19, fig. 19; ManpeRScHEID 1994,p. 133, D 22. 379
Si tratta di un supporto del tipo II a, con fusto rastremato terminante in una fascia liscia di base e coronato da un “capitello” di tipo ionico. Il fusto è percorso da scanalature doriche, con una corona di linguette pendenti dalla fascia liscia superiore; su questa si imposta, separato da un piccolo listello, il “capitello” ionico, con bordo rilevato nella parte superiore e parte centrale leggermente incavata a seguire l’andamento ondulato delle volute. Bibliografia: inedito. S. 129-130 Luogo di conservazione: Cirene, santuario di Apollo, parte bassa, presso l'ingresso. Luogo di provenienza: dagli scavi. Proconnesio. S. 129: h. tot. cm 58; diam. inf. cm 40; diam. sup. max em 18. S. 130: h. tot. cm 46; diam. inf em 32. Entrambi presentano Ja parte superiore scheggiata e lacune alla base.
S. 129) supporto del tipo II a, con fusto percorso da scanalature di tipo dorico, che terminano, allargandosi, su un ampio plinto a fascia liscia. Superiormente il fusto è incorniciato da una fascia liscia in aggetto, S. 130) supporto del tipo IV b, a rocchetto. Il fusto è lievemente rastremato ed è incomiciato in basso da un'alta fascia liscia, una gola rovescia e un listello. Superiormente il fusto è stretto da un anello piatto, sopra cui si stacca il coronamento appena conservato, di cui rimangono alcuni resti della modanatura a profilo incurvato. Bibliografia: inediti 8.131 Luogo di conservazione: Cirene, santuario di Apollo. Luogo di provenienza: dagli scavi. Proconnesio. H. tot. cm 61; diam. inf. cm 27; diam. sup. em 17. Rotte le estremità.
Supporto del tipo IIb, rastremato, con plinto a fascia liscia. Il pezzo è semirifinito. Bibliografia: inedito. S. 132-133 Luogo di conservazione: Delos, casa nel quartiere del teatro. Luogo di provenienza: in situ Marmo bianco a grana fine. S. 132: h. em 67; S. 133: h. cm 60-70 circa, Lacunosi i piani superiori e le basi, 380
Due supporti, uno (S. 132) del tipo I a tipo IL a (tipo III d del Deonna); la base è due terzi dell'altezza un collarino delimita piano superiore, molto ampio si notano gli
(tipo I d del Deonna); l’altro (S. 133) del sottolineata da un plinto a fascia liscia. A superiormente le scanalature doriche. Sul incassi per l’ancoraggio della vasca.
Bibliografia: DEONNA 1938,p. 51 s, tav. XXIII, figg. 156, 160. S. 134 di L. 131 8.135 Luogo di conservazione: Dion, Museo, portichetto orientale. Luogo di provenienza: dagli scavi. Marmo bianco. H. circa cm 60, Grossa scheggiatura sul coronamento.
Supporto del tipo II b, con plinto a fascia liscia e coronamento a gola rovescia e fascia diritta. Bibliografia: inedito. 5.136 Luogo di conservazione: Dion, Museo, giardino, catasta di marmi. Luogo di provenienza: dagli scavi Marmo bianco a grana media (regionale). Misure non rilevabili. Rotta la base, manca la parte superiore.
Supporto dal fusto con scanalature doriche, che si aprono inferiormente su una fascia liscia. L'ampia svasatura alla base fa supporre un tipo I a. Bibliografia: inedito 5.137 Luogo di conservazione: Efeso, Prytaneion. Luogo di provenienza: dagli scavi Marmo bianco di Efeso, H. max em 36; diam. inf. cm 26,5. Scheggiato intorno al bordo superiore; rotto inferiormente.
Supporto del tipo I b; uno stretto anello separa a due terzi il calice superiore, leggermente svasato, terminante in un listello piatto, scheggiato tutt'intorno. Bibliografia: inedito. 381
S. 138 Luogo di conservazione: Efeso, strada peril teatro, nel ginnasio del teatro. Luogo di provenienza: dagli scavi. Marmo bianco di Efeso. H. cm 62, 7; diam. sup. cm 38. to: lungh. lato cm 61. Incasso circolare superiore: diam. em 22; prof. em 3,7. Superficie incrostata in alcuni punti; scheggiata la parte superiore.
Supporto del tipo V b, a plinto. II fusto liscio, con profilo a cavetto, termina in un listello liscio su un base quadrangolare. Il coronamento si compone di una gola rovescia e di una fascia liscia appena aggettante. Il piano superiore presentaun incavo circolare. Bibliografia: inedito. 5.139 Luogo di conservazione: Epidauro, Basilica cristiana. Luogo di provenienza: dagli scavi. Marmo bianco a grana fine. H. cm 60; diam. inf. max cm 53 (ricostruito cm 70 circa); diam. sup. cm 32. Rotta la base e la sommità. Superficie incrostata.
Si tratta di un supporto del tipo I a, con venti scanalature doriche, i cui attacchi sono sottolineati da linguette pendule; un sottile tondino segna l'inizio del calice superiore. La base, molto rovinata, si compone di un sottile toro, una fascia ribassata e un listello in aggetto. Non ci sono fori passanti Bibliografia: inedito 140 Luogo di conservazione: Eretria, Museo Archeologico, portico d'accesso. Luogo di provenienza: dagli sca Marmo bianco (appena grigiastro) a grana medio-grande (tipo proconnesio oppure Paros I). H. cm 60 circa; diam. sup. cm 30 circa; diam. inf. cm 40 circa Rotta la modanature superiore; scheggiature lungo i bordi delle scanalature.
Si tratta di un supporto del tipo Il a, con sedici scanalature di tipo dorico; il plinto è a disco con fascia liscia; in alto il coronamento si compone di un listello e di una fascia liscia, molto sporgente. Sul piano superiore è stato praticato un incasso quadrangolare. Bibliografia: inedito. S. 141 Luogo di conservazione: Eretria, Musco Archcologico, giardino. Luogo di provenienza: dagli scavi. 382
Marmo bianco (appena grigiastro) a grana medio-grande (tipo proconnesio o Paros ID. H. cm 57; diam. inf. cm 40; diam. sup. cm 22. Lacunosa la parte superiore,
Si tratta di un supporto del I b: a doppio calice rovesciato, stretto a due terzi delF'altezza da un tondino corposo; il calice inferiore è liscio ed è delimitato da un plinto a fascia piatta. Bibliografia: inedito. 5.142 Luogo di conservazione: Filippi, Chiesa Ottagona, corridoio trasversale tra atrio e aula ottagona. Luogo di provenienza: Filippi, forse dalla Basilicao dalle vicine terme. Marmo bianco di Filippi H. tot cm 61; diam. inf. max cm 39. Incasso del piano di posa cm 10 x 10, prof. em 2. Lacunosa la parte inferiore; rotta la sommità
Supporto del tipo II a, con scanalature doriche e plinto a listello piatto. Il coronamento è costituito da un listellino, un collarino liscio, in aggetlo, e una modanatura con profilo a cavetto, sormontato da un disco piatto. Bibliografia: inedito. S. 143 Luogo di conservazione: Kalamata, Museo Archeologico. Luogo di provenienza: dagli scavi. Marmo bianco di Mani. IL circa cm 60; diam. inf. cm 30; diam. sup. circa em 25, Alcune rotture e scheggiature interessano le estremità.
Supporto del I tipo b, terminante in un plinto a fascia liscia. A tre quarti dell’altez2a, il restringimento del fusto è sottolineato da un tondino; il calice superiore si conclude con una fascia liscia Bibliografia: inedito. 5.144 Luogo di conservazione: Kalamata, Museo Archeologico, inv. n. 659. Luogo di provenienza: da Vassiliko. Marmo bianco venato con grana medio-fina da Mani H. cm circa 70; diam. inf. cm 40 circa; diam. sup. cm 30 circa. Scheggiature nei bordi alle estremità. 383
Supporto del I tipo b; a tre quarti dell'altezza si stacca un tondino; la base è di tipo attico: un trochilo tra due tori, incomiciati superiormente da un listellino. II calice superiore termina in una fascia sormontata da un ovolo liscio. Bibliografía: inedito. S. 145 di L. 137 S. 146 Luogo di conservazione: Leptis Magna, ingresso scavi. Luogo di provenienza: dagli scavi. Marzo bianco. Misure non rilevabili. Rotto il coronamento; una lunga frattura obliqua attraversa il fusto; scheggiature sulla base
Si tratta di un supporto del tipo II a. La base, di tipo attico, si compone di una scozia tra due tori, incorniciati da listelli. Il fusto rastremato è cinto nel sommoscapo da una fascia liscia, sotto cui si staccano le profonde scanalature, separate da un listello piatto (di tipo ionico). Il coronamento è composto di un listellino basso, di una modanatura a profilo arcuato, di un listello e di un tondino finale. Bibliografia: inedito. S. 147 Luogo di conservazione: Penisola di Mani (Laconia), scavi Luogo di provenienza: in situ? Marmo bianco locale. H. cm 58; diam. inf. cm 30. Fratturato in senso verticale; grosse scheggiature alle estremità.
Sostegno, non finito, del tipo II, incorniciato inferiormente e superiormente da un’ampia fascia aggettante. La superficie, non ancora lisciata, è sbozzata a subbia. Bibliografia: inedito. S. 148 Luogo di conservazione: Mileto, ginnasio, iato orientale. Luogo di provenienza: dagli scavi. Marmo bianco a grana fine di Eraclea. H. cm 57; diam. inf. cm 46 circa; diam. sup. cm 23, Superficie consunta; lacunosa la base; eraso il capitello. 384
Supporto del tipo II a, con venti scanalature di tipo dorico, a bordo unico, acuto. Le scanalature si allargano in basso terminando sul plinto a fascia liscia; la parte superiore del fusto è liscia. Il coronamento, completamente eroso, doveva essere del tipo consueto con modanatura a profilo obliquo e fascia liscia. Bibliografia: inedito. 149 Luogo di conservazione: Mileto, Museo, inv. n. E 3261 Luogo di provenienza: dagli scavi Marmo bianco a grana fine di Eraclea. H. cm 50 circa. Rare scheggiature, particolarmente lungo i bordi delle cornici.
Supporto del tipo I a, molto allungato, con venti scanalature di tipo dorico, che si allargano con i loro finali a cucchiaio sulla base composta di un plinto a fascia segnato a metà da un tondino, seguito da una gola rovescia e da un listellino finale. Il calice superiore, liscio, è segnato in basso da un anello a tondino; al di sopra il coronamento si compone, dal basso, di una gola rovescia, una fascia a profilo obliquo e da un listello aggettante. Bibliografia: inedito. 150 Luogo di conservazione: Mileto, giardino del Museo. Luogo di provenienza: dagli scavi Marmo bianco a grana fine di Eraclea. H. cm 60, Rotto inferioremente; bordi delle scanalature vati; scheggiature sul coronamento. Supporto del tipo II a, con diciotto scanalature di tipo dorico; il terzo superiore del fusto presenta un collarino liscio. Il coronamento si compone di una modanatura dal
profilo rigidamente obliquo e di una fascia liscia, segnata superiormente da un tondino finale. Bibliografia: inedito. S.151 Luogo di conservazione: Mileto, giardino del Museo. Luogo di provenienza: dagli scavi. Marmo bianco a grana fine di Eraclea. H. cm 60; diam. sup. cm 25. Superficie in vari punti incrostata.
385
Sostegno del tipo II, non finito: il pezzo è stato appena sgrossato a colpi di subbia, delincando le sporgenze del capitello e della base. Sul piano superiore è reso un incavo quadrangolare. Bibliografia: inedito. S. 152-158 Luogo di conservazione: Mileto, giardino del Museo. Luogo di provenienza: dagli scavi. Marmo bianco a grana fine di Eraclea. H. cm 60 circa.S. 157:h. circa cm 45. S. 158: h. cm 70 circa. I supporti presentano scheggiature e rotture soprattutto in corrispondenza delle basi e dei capitelli
Si tratta di sette supporti: il secondo da sx. (S. 152) è del tipo I b, dal calice inferiore a scozia, con un anello a tondino a due terzi dell'altezza. II supporto successivo (S. 153) è del tipo II b, con un plinto a fascia sporgente, scheggiato tutt'intorno. Il pezzo S. 154 è del tipo Il a, con scanalature di tipo dorico, su un plinto cilindrico a fascia piatta; al di sopra delle scanalature il consueto collarino liscio, da cui si stacca Pattacco del coronamento, rotto. Il supporto S. 155 è dello stesso tipo II a, ma con il fusto più largo e con il coronamento a cavetto e a fascia piatta, in parte conservato. Il pezzo S. 156 è del tipo II b, rastremato, con plinto a fascia liscia; al di sopra il coronamento è rotto tutt'intorno. Resta solo il fusto liscio e il plinto a fascia liscia del supporto S. 157, probabilmente del tipo II b. Il pezzo S. 158 è sbozzato a subbia; la parte superiore e quella inferiore si allargano per formare plinto e coronamento: probabilmente una volta finito sarebbe stato del tipo IL Bibliografia: inediti. 5.159 Luogo di conservazione: Mileto, piazza a nord del Delphinion. Luogo di provenienza: dagli scavi. Marmo bianco a grana fine di Eraclea. H. cm 64; diam. inf. cm 38; diam. sup. em 27. Superficie particolarmente inerostata; rotture alle estremità
Supporto del tipo II b, rastremato, incomiciato inferiormente e superiormente da una fascia liscia, in aggetto. Bibliografia: inedito. S. 160-164 Luogodi conservazione: Misträ (Sparta), Chiesa Metropolis, cortile d’ingresso (S. 160-163) e cortile interno (S. 164). Luogo di provenienza: ignoto. 386
Marmo bianco a grana fine. S. 160: h. max cm 50; diam. inf. cm 30; diam. sup. cm 22. S. 161: h. cm 61; diam. inf. cm 58; diam. sup. cm 35. S. 162: h. circa cm 55; diam, sup. cm 16. S. 163: h. cm 59; diam. inf. em 42; diam. sup. cm 18. S. 164: h. cm 58; diam. inf. cm 29; diam. sup. cm 39. Il supporto S. 160 presenta la parte superiore del coronamento rotta; S. 162 èrotto inferiormente c superiormente;S. 161 c 164 appaiono in buone condizioni, con poche scheggiature; S. 163 manca della parte superiore.
Si tratta di cinque supporti finiti: S. 160 & del tipo II b, rastremato e terminante in un plinto a fascia liscia; la sommità rotta conserva il tondino, l'attacco di una modanatura aggettante e sul piano superiore un incavo circolare. S. 161 e 162 sono del tipo II a, con scanalature doriche: S.161 ne presenta venti e si conclude in basso con un ampio plinto a fascia liscia e in alto con una modanatura liscia, molto svasata. S. 163 © 164 sono del tipo I, sottotipo a, con fusto a doppio calice rovesciato, delimitato a due terzi dell'altezza da un'alta fascia segnata da un tondino; il calice inferiore presenta scanalature doriche; S. 164 ne ha venti, con linguette all’attacco. La terminazione di S. 164 si presenta in forma di base attica con trochilo tra due tori delimitati da un listel1o; quello di S. 163 appare simile sebbene i due tori appaiano molto schiacciati. Sul bordo superiore di S. 164 è inciso: Aropáropo[s] ‘A[Bprav]od; sulla fascia sopra e sotto il toro corre un’altra iscrizione: Katoapos Zoripos (per Zuripos). Iscrizioni onorarie dell'imperatore Adriano con analoga formula sono frequentemente attestate nella zona di Sparta (IG, V, 1, 381-405): nella stessa Chiesa Metropolis di Mistrà è testimoniata una conca in marmo bianco con medesima formula (IG, V, 1, 382). II supporto S. 164, in base all'iscrizione, è databile in età adrianea; ad esso è avvicinabile per forma, e quindi per cronologia, S. 163. Bibliografia di S. 164: CIG, I, 1309; IG, V, 1, 383. S. 165 Luogo di conservazione: Pella, casa di Dioniso, peristilio ionico. Luogo di provenienza: in situ. Marmo bianco a grana fine, leggermente venato, regionale. H. circa om 65. Rotto sulla sommità. Sostegno del tipo II a, con scanalature doriche, del tutto simile al successivo. Il coronamento è composto da un anello appena convesso, un cavetto, una fascia piatta e un tondino. Brevi linguette sono segnate all'attacco delle scanalature. Bibliografia: inedito. S. 166 Luogo di conservazione: Pella, Museo Archeologico, giardino. Luogo di provenienza: dagli scavi. Marmo bianco a grana fine, leggermente venato, regionale. H. circa em 65. Integro, con una scheggiatura sul bordo. 387
Sostegno del tipo Il a, con scanalature doriche, i cui finali si allargano sul plinto, formato da una fascia diritta tra due tori; delle brevi linguette segnano l’inizio delle scanalature. Il coronamento è formato da un anello appena convesso, un cavetto, una fascia piatta e un tondino. Bibliografia: inedito. 5.167 Luogo di conservazione: Pergamo, Grande Ginnasio. Luogo di provenienza: dagli scavi. Marmo bianco a grana media. H. cm 60 circa; diam. inf. cm 77; diam. sup. em 66 circa (parte conservata max cm 59). 11 coronamento è lacunoso, rotto in due punti
Si tratta del tipo I a, con venti scanalature del tipo dorico, a bordo acuto combaciante, con larghe linguette arcuate nell’attacco superiore. Il fusto termina in un plinto circolare a semplice fascia liscia; il calice superiore è molto breve e fortemente svasato; è segnato inferiormente da un tondino ed è chiuso sulla sommità da un disco a fascia liscia. Sul piano superiore, lisciato, è reso, in posizione decentrata, un incavo quadrato, in cui si apre, in un angolo, la canaletta per il tubo di approvvigionamento. Bibliografia: inedito. S. 168 Luogo di conservazione: Rodi, giardino del Museo. Luogo di provenienza: ignoto. Marmo bianco. Misure non rilevabili Rotto superiormente.
Supporto del tipo II a, rastremato; una fascia liscia delimita le scanalature superiormente. Bibliografia: inedito, S. 169 Luogo di conservazione: Salonicco, Rotonda di S. Giorgio. Luogo di provenienza: ignota Marmo bianco a cristalli medi. H. circa cm 60; diam. inf. circa cm 50-60. Manca la parte superiore; fratture nella parte superiore. 388
Si tratta di un supporto probabilmente del tipo II a, con diciotto scanalature doriche, i cui finali si allargano su un plinto a fascia piatta Bibliografia: inedito. S. 170 Luogo di conservazione: Thasos, agora romana, lungo il portico sud-est. Luogo di provenienza: dagli scavi. Marmo tasio di Aliki H. tot em 66; diam. inf. max cm 35. Rotto inferiormente; lacunoso il coronamento; abrasi i bordi di separazione delle scanalatu-
Sostegno del tipo Ia, con venti scanalature doriche; un anello a tondino segna i tre quarti del fusto. Il calice superiore è chiuso da un tondino, tra due listelli Bibliografia: inedito. 8.17 Luogo di conservazione: Thasos, agora romana, lungo il portico sud-est. Luogo di provenienza: dagli scavi. Marmo tasio di Aliki H. max cm 76; diam. inf. cm 26,5; scapo h. cm 10, sporge cm3; diam. frattura superiore om 15, Manca la sommit
Supporto del tipo II, sbozzato, incomiciato inferiormente da un'alta fascia liscia. Bibliografia: inedito. 8.172 Luogo di conservazione: Thasos, agorà romana, lungo il portico sud-est. Luogo di provenienza: dagli scavi Marmo tasio di Aliki HH. max cm 58; diam. inf. max cm 24,5; diam. max sup. cm 23; scapo h. em 5. Incasso piano sup. em 10x 10, prof. cm 2,5 Rotto il capitello.
Sostegno del tipo II b, incorniciato superiormente e inferiormente da un disco a fascia piatta, rotto superiormente. Sul piano di posa è stato ricavato un incasso quadrangolare. Bibliografia inedito 389
8.173 Luogo di conservazione: Varsavia, collezione Radziwill, Nieborów, s.n. i. Luogo di provenienza: ignoto. Marmo bianco a grana grossa. H. cm 47, largh. del plinto cm 56; spess. cm 56. Si conserva integro, la superficie è leggermente abrasa e scheggiata, soprattutto lungo i bordi delle scanalature,
Supporto del tipo II a, con scanalature doriche. La base è formata da un plinto di forma quadrangolare, sul cui piano superiore è inscritto un disco sottile dal profilo a toro. La base della colonnetta è posta su un supporto (moderno?), lavorato a parte, decorato con piedi leonini agli angoli, simile alle basi di S. 122, 123, 124. La colonnetta si conclude sulla sommità in un anello a fascia liscia, con linguette nella parte inferiore, e in un basso tondino. Sul ripiano superiore è visibile un incavo circolare, regolare, che doveva servire per fissare un oggetto nel sostegno. Secondo Mikocki il piede doveva sostenere un vaso, o meglio un labrum, in base ai confronti con i numerosi supporti a colonnetta rinvenuti a Delos, Olynthus, Pompei e a Roma; sostegni vasche o di tavoli, della stessa tipologia di quello in esame, sebbene quest'ultimo presenti una svasatura molto più accentuata alla base, che lo avicina, secondo il Mikocki, di più agli esemplari greci. Egli ascrive il pezzo, se antico, all’età tardo ellenistica-inizio imperiale, considerando però anche la possibilità che si tratti di un prodotto non antico, di un'eccellente imitazione moderna realizzata per la collezione Nieborów. Bibliografia: T. Mixockı, Corpus Signorum Imperii Romani, III, 2, 1999, p. 38 .,n. 17, tav 13,1; W. Piwrowski, J. Mikockt, Er in Arcadia ego. Muzeum Ksieiny Heleny Radzinillowe), Warszwa 2001,n. 71, p. 154. 5.174 Luogo di conservazione: Varsavia, collezione Radziwill, Nieborów. Inv. n. Nb 239 MNW. Luogo di provenienza: ignoto. Marmo bianco a grana grossa. H. cm. $8, diam. inf. cm 45, diam. sup. cm 36. Numerose scheggiature sul fusto (tagliati i bordi delle scanalature) e sulla base, lacunoso il coronamento.
I supporto è posto su una base moderna con comici vegetali ed è sormontato da un tamburo anch'esso modemo, decorato da un motivo a meandro, e da una piccola fontana a scale, rovesciata. Il supporto è del tipo 1 a, con scanalature ioniche, con linguette agli attacchi. La parte antica presenta una base di tipo attico, con trochilo tra due tori, bordati da brevi listelli. Una fascia liscia, sormontata da una gola rovescia e un listello, separa il calice inferiore da quello superiore, breve e svasato, sormontato da due dischi a doppio gradino aggettante. Nella bibliografia il pezzo viene definito monopodium, supporto di tavolo, del tipo assai diffuso nell'antichità, in particolare a Delos, con i cui esemplari il pezzo polacco presenta strette analogie, c, in base agli studi del Moss e del Pernice, è datato tra il 1 secolo a.C. e il d.C.; si avanza anche l'ipotesi che sia servito da sostegno di un vaso in pietra, fissato nell'incavo, tuttora visibile nel piano superiore. 390
Bibliografia: Mikockı, op. cit. (S. 173),p. 37 s. (con bibl. prec.), n. 15, tav. 12,2; T. Mikocki, Les anciennes collections d'Antiquités en Pologne, in Archeologia, 36, 1985, p. 76, n. 52; Prwrowskı, Mikocka, op. cit. (S. 173), n. 72, p. 154. S.175 Luogo di conservazione: Varsavia, Museo Nazionale, inv. n. 198943. Un tempo nella collezione von Waldow a Kónipswalde (Lubniewice), nel 1947 trasferito dal Museo Poznati al Museo Nazionale di Varsavia. Luogo di provenienza: forse dall'Italia. Marmo bianco. H. cm 76,5; diam. cm 34. Molto danneggiato: numerose scheggiaturee rotture sul fusto e sulle comici. La base, la cui pertinenza al supporto è dubbia, è lavorata a parte.
Supporto del tipo II a, leggermente rastremato, incorniciato in basso da una fascia diritta, al di sotto della quale è stato posto uno zoccolo cilindrico, probabi mente non pertinente, formato da due listelli digradanti. Nella parte superiore si stacca una fascia liscia leggermente aggettante. Nel piano è visibile un incavo per il fissaggio di un elemento. Mikocki definisce anche questo supporto come monopodium, sottolineando la grande diffusione di questa classe di monumenti nel Mediterraneo orientale e in Italia, con una impossibilità di datarlo più specificamente che nel basso Ellenismo — inizio dell'Impero. Bibliografia: Mixockı, op. cit. (S. 173), p. 38,n. 16, tav. 12,3 5.176 Luogo di conservazione: Veria (Macedonia), Museo Archeologico, giardino-Iapidario. Luogo di provenienza: dagli scavi. Marmo bianco a grana media, regionale. HI. tot. em 38; lato plinto cm 40. Manca la sommità.
Sostegno del tipo V a, il cui fusto presenta scanalature semi-tortili, su un plinto quadrangolare, irregolare. La sommità, lacunosa, conserva l’attacco delle scanalature con una fascia liscia terminante in linguette arcuate. Bibliografia: inedito. S. 177 di L. 74 S. 178 di L. 144 S. 179 di L. 147 391
S. 180 di L. 148 S.181 Luogo di collocazione: Napoli, Museo Archeologico Nazionale, magazzino. Luogo di provenienza: probabilmente dall'area vesuviana. Marmo bianco.
HL cm 50; circonf. inf. cm 125; circonf. sup. cm 78 Integro.
Supporto del tipo I, il cui calice inferiore, molto allungato, è ornato da un cespo di foglie triangolari, ondulate, da cui spuntano doppi racemi annodati e terminanti in boccioli, alternate a lunghe foglie dalle sottili nervature, come plissettate. La base presenta un plinto liscio, un alto toro e un listellino. Il calice superiore, breve e svasato, è incorniciato superiormente da un anello a tondino e da un’alta fascia. Il supporto è stato posto a sostegno di un labrum in bronzo, inv. n. 6885. Bibliografia: inedito. S. 182 Luogo di conservazione: Napoli, Museo Archeologico Nazionale, magazzino. Luogo di provenienza: probabilmente dall’area vesuviana. Marmo bianco. H. cm 46; diam. sup. cm 19. Scheggiato superiormente.
Supporto del tipo I, il cui calice inferiore, al di sotto di una fascia liscia, è rivestito di sei lunghe foglie appuntite e con nervatura centrale marcata, alternate: tre esterne a lunghi bordi frangiati, le cui punte sono ripiegate verso sinistra (rispetto a chi osserva) c tre interne, a bordi dritti. La base presenta un alto toro e un sottile listello. Il calice superiore, alto e svasato, è delimitato in basso da un tondino e in alto da un coronamento a disco aggettante, sul cui bordo anteriore è scolpito un kyma ionico. Bibliografia: inedito. 5.183 Luogo di conservazione: Napoli, Musco Archeologico Nazionale, magazzino. Luogo di provenienza: probabilmente dall'arca vesuviana. Marmo bianco. H. cm 48. Integro.
Supporto del tipo IIa. I plintoè a fascia piatta, sopra cui si aprono i finali delle scanalature di tipo ionico, nascenti da un collarino a fascia liscia. Il coronamento si compone di una modanatura a sezione obliqua, un listello, un tondino c una fascia piatta. Bibliografia inedito. 392
S. 184 Luogo di conservazione: Napoli, Museo Archeologico Nazionale, magazzino. Luogo di provenienza: probabilmente dall’area vesuviana. Marmo bianco. H. cm 55, circonf. inf. cm 67. Integro.
Supporto del tipo II a, con quattordici scanalature doriche, nascenti da un collari no a cavetto liscio, sormontato da un listello. La base, di tipo attico, presenta dal basso un toro, un listello, una scozia e un toro tra due listellini. TI coronamento, molto articolato, si compone di una gola diritta, un listello e una fascia in aggetto. Il supporto è attraversato da una canaletta (diam. cm 3) per il tubo di adduzione: certamente esso doveva sostenere un labrum. Bibliografia: inedito. S. 185-186 Luogo di conservazione: Napoli, Museo Archeologico Nazionale, magazzino. Luogo di provenienza: probabilmente dall’area vesuviana. Marmo bianco. S. 185: h. cm 53;S. 186: h. em 55. Rotture sulle sommità c sulle basi; scheggiature lungo i bordi scanalati
Entrambi i supporti sono del tipo IIa, rastremato, con scanalature doriche; il plinto è composto di una semplice fascia liscia. S. 185 conserva parte del coronamento a cavetto e disco superiore. Bibliografia: inediti. 187-190 Luogo di conservazione: Napoli, Museo Nazionale Archeologico, magazzino. Luogo di provenienza: probabilmente dall’area vesuviana. Marmo bianco. H. cm 50-53. Scheggiature e rotture varie.
1 tre supporti S. 188, 189, 190 sono del tipo II a, con scanalature doriche; terminazioni a semplice fascia liscia e coronamenti di tipo consueto, con modanature a cavetto e fascia diritta sovrastante. S. 187 è del tipo I a, con breve calice superiore, svasato, segnato in basso da un anello, sotto cui nascono le scanalature doriche, con le caratteristiche linguette agli attacchi. Bibliografia: inediti. 393
191-196 Luogo di conservazione: Napoli, Museo Archeologico Nazionale, magazzino. Luogo di provenienza: probabilmente dall'area vesuviana. Marmo bianco. Le altezze oscillano tra cm 52, 56, 65. Alcune rotture sono presenti alle estremità e sui fusti.
Si tratta di sei supporti del tipo II a, con scanalature doriche. Le terminazioni sono costituite da un semplice listello, ad eccezione di una (S. 191), di tipo attico, con scozia tra due tori, segnati da brevi listelli. Le sommità si compongono di modanature a cavetto e a fascia diritta, sotto cui si staccano le scanalature o direttamente (S. 192, 195) o separate da un collarino liscio (S. 191, 193, 194, 196). Bibliografia: inediti. S. 197-198
Luogo di conservazione: Pompei, casa degli Amorini Dorati (VI, XVI, 7), vasca del peristi lio (S. 197); lato orientale del peristilio (S. 198) Luogo di proveincza: in sia? Marmo bianco. S. 197)h cm 60; diam. sup. cm 6; circonf inf cm 102;S. 198) h. cm 58; circont in. cm 96; circonf. sup. cm 56. S. 197) superficie dilavata e incrostata; i supporto, rotto lungo tuta laltezza, manca di una scanalatura. S. 198) buono stato di conservazione. S. 197 è del tipo I a, con plinto a fascia liscia e calice inferiore percorso da sedici scanalature di tipo ionico, nascenti da un breve collarino, sormontato da un tondino. Il calice superiore svasato è incorniciato da un coronamento a doppio listello digradante. Il supporto presenta una canaletta (diam. em 6) rozzamente scavata all’interno per l'inserimento del tubo di alimentazione. II supporto è posto su un piedistallo parallelepido, poggiato a sua volta, sul bordo curvo della vasca-piscina incavata al centro del giardino. Per il Pemice è del tipo 2 a e il materiale è travertino: la mancanza di linguette testimonicrebbe l'antichità del pezzo. S. 198 è del tipo I a, su plinto a fascia diritta; il fusto ha venti scanalature doriche, segnate negli attacchi da linguette arcuate; la sommità è segnata da un semplice basso listello. Il supporto appare non ancora polito, con le superfici lisciate con la gradina. Da alcuni graffiti, si è dedotto che la casa, una delle più belle di Pompei, appartenesse alla gens Poppaea, una ricca famiglia di Pompei forse imparentata con la seconda moglie di Nerone. L'edificio e i suoi arredi appartengono alla fase finale, tra il terremoto del 62 e l'eruzione del 79 d.C. Bibliografia: Pernice 1932,p. 46, tav. 30, 1 (S. 197).
15 RICHARDSONjr. 1988, p. 314 ss. 394
5.199 Luogo di conservazione: Pompei, cosiddetta casa Bacco (att. sede dei custodi), giardino d'ingresso. Luogo di provenienza: dagli scavi. Marmo bianco. H. cm 61; diam. sup. em 15; circonf. inf. em 58; eirconf. sup. em 47. Buono stato di conservazione.
Si tratta di un supporto del tipo II b, leggermente rastremato, con base di tipo attico, composta di due tori tra una scozia. Il coronamento ha una gola diritta e un doppio listello digradante. Bibliografia: inedito. 5.200 Luogo di conservazione: Pompei, casa di L. Caecilius Jucundus (V, I, 26), ambiente presso Vatrio. Luogo di provenienza: in situ. Marmo bianco. H . cm 53; diam. sup. cm 21; circonf. inf (base) cm 89. Superficie particolarmente dilavata in basso; due grandi rotture sul piano superiore.
Supporto del tipo II a, con plinto a fascia liscia. I fusto presenta scanalature doriche, con linguette arcuate all’attacco e dorsi acuti, combacianti. Il coronamento è formato da una modanatura a cavetto e un listello liscio. Il piano superiore presenta il consueto incavo quadrangolare (cm 8 x 8,5), privo di foro passante. Per il Pemice costituisce un esempio tardo del tipo 2 a. La casa nel 79 d. C. era abitata da quel Z. Caecilius Jucundus, argentarius (banchiere), di cui ci è pervenuto l'archivio di 154 tavolette cerate relative a transazioni commerciali. Bibliografia: Persice 1932, p. 47, n. 2, tav. 30,4. 5.201 Luogo di conservazione: Pompei, casa di L. Caecilius Jucundus (V, 1,26), nell’intercolumnio del colonnato del peristilio. Luogo di provenienza: in situ. Marmo bianco. H. cm 46; circonf. inf. (base) cm 170; circonf. sup. em 54. Il pezzo è rotto superiormente, al di sopra delle scanalature.
Il supporto è del tipo II a, con venti scanalature doriche. La base è composta da una semplice fascia liscia Nella classificazione del Penice, il sostegno appartiene al tipo 2 c. Il supporto non è pertinente alla vasca attualmente posta al di sopra: quest'ultima appartiene ad una tipologia non esaminata nella presente ricerca (tonda nella parte 395
inferiore, quadrangolare in quella superiore). Secondo il Pemice il pezzo originario & stato tolto già in antico e sostituito con il bacino tuttora visibile. Bibliografia: Pernice 1932, p. 52, n. 3. S. 202 di L. 154 S. 203-205 Luogo di conservazione: Pompei, casa dei Ceii (I, 6, 5), ambiente interno. Luogodi provenienza: dalla casa dei Cei. Marmo bianco. Misure non rilevabili. Tutti i supporti presentano varie rotture sui capitelli c sulle basi
S. 203 è del tipo IV b, incomiciato inferiormente da una cornice aggettante rotta c da un piccolo toro; la modanatura superiore si compone di un cavetto e un listello sporgente. S. 204 è del tipo IV b, incomiciato inferiormenteda una fascia diritta, sormontata da un alto cavetto, e superiormente da un cavetto e un listello diritto finale. S. 205, rovesciato, è del tipo Il b, con fusto rastremato, incomiciato inferiormente da un listello diritto e da una modanatura a profilo obliquo e superiormente da un listello in aggetto. Bibliografia: inediti S. 206 Luogo di conservazione: Pompei, casa del Fauno (VI, XII, 2), al centro del primo peristilio, Luogo di provenienza: in situ Marmo bianco. H. tot. cm 83; diam. sup. em 57; circonf. inf. cm 200; circonf. sup. cm 182; largh. del lato del plinto cm 84. Poche scheggiature sui dorsi delle scanalature
Supporto del tipo II a, con venti scanalature ioniche, precedute da un alto collari no a fascia liscia; esse si allargano, terminando sul plinto a listello liscio, che si appoggia su uno zoccolo quadrangolare, lavorato a parte. Il coronamento è formato da una modanatura a profilo rigidamente obliquo, sormontato da due bassi listelli digradanti, di cui quello superiore è sottolineato inferiormente da un solco. Il piano superiore, rozzamente sbozzato, presenta un incasso quadrangolare (cm 14 x 14), con all’interno il foro passante della canaletta (diam. cm 7). Il supporto si trova al centro di una pedana composta da sei blocchi di tufo, formanti un bacino di raccolta quadrangolare (h. cm 11; cm 219 x 217), delimitati estemamente da un bordo rialzato con listello e gola diritta; la stessa modanatura incornicia l'apertura quadrangolare centrale, entro cui è perfettamente inserito il plinto del supporto. II Pernice inserisce il supporto in esame nel tipo 2 b. La presenza delle lettere osche K M, con tre cerchietti in fila di interpunzione, non comporta necessariamente una 396
datazione in età pre-romana dell’opera!s, che probabilmente è da scriversi, secondo lo studioso, all'età repubblicana. La casa, a due atri e due peristili, fu costruita nella prima metà del II secolo a.C., in due fasi, sui resti di un'ampia abitazione con hortus del III secolo a.C.!7 Il primo peristilio fü eretto nell’antico hortus agli inizi del II secolo a.C. Nella seconda fase, verso la fine del Il secolo a.C., la casa fu ampliata con l'aggiunta del secondo peristilio e con la trasformazione delle colonne doriche in ioniche nel primo peristilio. Tutto il complesso, forse appartenente all'antica famiglia campana dei Satri, fu allora decorato con stucchi in primo stile e con i famosi mosaici. Bibliografia: Mau, art.cit. Gn bibi. L.158),p. 49 s; PERNICE 1932,p. 48, n. 1, tav. 32, 2. S. 207-208 Luogo di conservazione: Pompei, casa della Fontana Piccola (VI, VIII, 23); S. 207) inv. 1, 58508, atrium; S. 208) inv. n. 58500, cubiculum. Luogo di provenienza: S. 207: in situ. S. 208: dalla casa. Marmo bianco. S. 207)h. cm 67; diam. inf. cm 67 circa; diam. sup. cm 47; circonf, sup. cm 149. S. 208) h. em 63; diam. sup. em 29; circonf. inf. cm. 108. S. 207) la base è per metà lacunosa; scheggiature lungo il bordo del coronamento. S. 208) la zona superiore delle scanalature è molto abrasa; scheggiature lungo il bordo superiore.
S. 207 è del tipo I a, la cui base, a fascia liscia, è segnata da un solco inciso. 11 cali ce inferiore reca ventiquattro scanalature doriche, nascenti da un collarino a fascia liscia; al di sopra un anello a toro segna l’attacco del brevissimo calice superiore, svasato, concluso in un abaco ad alto listello. Nel piano superiore, sbozzato, è reso un incasso quadrangolare (cm 11 x 12). Il supporto è posto sul bordo di un lato breve dell'impluvium; sul lato opposto si conserva un bacino di raccolta quadrangolare, forato al centro. S. 208 è del tipo IL, con venti scanalature doriche (Pemice: 2 c, l'identificazione, però, non è certa). La base è a listello liscio. Il coronamento presenta una modanatura a gola diritta e un listello liscio, in aggetto. Un alto collarino liscio separa il coronamento dalle scanalature. I! piano superiore, sbozzato, presenta un incavo quadrangolare (em 9 x 9). Bibliografia: PeRwice 1932, p. 51, tav. 33,5 (S. 208), S. 209-210 Luogo di conservazione: Pompei, casa della Fortuna (o dello Specchio) (IX, VII, 20), S. 209) atrio; S. 210) peristilio. Luogo di provenienza: dalla casa. Marmo bianco.
16 Come sostiene il Mau, in bibl. 17 RicHARDSONjt. 1988,p. 115 ss, 168 s. 397
S. 209)h. cm 29; diam. sup. cm 18. S. 210) h. cm 56; diam. sup. em 24 S. 209: estremità sono scheggiate e rote. S. 210: scheggiatoi bordo superiore; rotto il plinto. S. 209 è del tipo II b, incomiciata inferiormente e superiormente da un listello esterno e un cavetto. La superficie, non ben levigata, è lavorata a gradina. S. 210 è del tipo I a, ornato nel calice inferiore da venti scanalature ioniche, con linguette agli attacchi. Il plinto è a fascia liscia. I calice inferiore termina in alto con un collarino liscio, separato dalle scanalature con un tondino. Il calice superiore, complesso, si imposta sul tondino con un collarino liscio, una fascia, un listello, un cavetto c una fascia finale. Il piano superiore reca un incavo circolare (diam. cm 7). Il Pernice lo ascrive al tipo 2 a, tardo. Bibliografia: PeRnice 1932, p. 46, tav. 30, 3 (S. 210). S.211 Luogo di conservazione: Pompei, casa del Triclinio (V. I . 4), atrio, all’interno dell'impluLuogo di provenienza: in situ. Marmo bianco. Hom 56 circa, Rare scheggiature.
Supporto del tipo II a, con scanalature, prive di linguette, di tipo dorico; il plinto è a fascia liscia. Il coronamento è composto di un alto cavetto e di un listello liscio. Il Pemice lo ascrive al tipo 2 c, nella variante più tarda. Bibliografia: PeRNICE 1932, p. 52, n. 6 S. 212 di L. 103 S. 213 di L. 156 S. 214 di L. 157 8.215 Luogo di conservazione: Pompei, casa dei Vesti (VI. XV. 1), peristilio (supporto del labrum angolare, mancante, a sinistra ell'ingresso). Luogo di provenienza: dalla casa. Marmo bianco a grana grossa, traslucido (pario?) H. cm 64; diam. sup. cm 23,5; circonf. inf. em 93; circonf. sup. em 75. Inerostazioni scure sulla superficie.
Supporto del tipo Ia, con base di tipo attico composta di un trochilo, tra due tori, ciascuno dei quali stretto fra listellini. Il calice inferiore presenta, al di sotto del collarino liscio, diciotto scanalature di tipo dorico, il cui attacco è sottolineato da corte linguette ad arco, appena accennate. I calice superiore, complesso, si compone dal basso del con398
sueto anello a tondino, sopra cui si impostano un listello svasato, segnato da un solco, e un alto cavetto; il coronamento ha un listellino, una gola rovescia e una comice superiorea fascia piatta. Sul piano superiore, rozzamente sbozzato, si nota un incavo quadrangolare (cm 7 x 7), con al centro un foro tondo non passante, Tipo 2 d del Pernice. Bibliografia: PeRwice 1932,p. 53, tav. 34, 5; Jasurtski 1979,p. 35, figg. 54, 56, 57, 58; Jasnemsxı 1993, p. 153 ss., figg. 166, 173. S. 216-218
Luogo di conservazione: Pompei, casa I. XIIL 2, (S. 216) atrio, presso l’impluvium, inv. 1, 78033;(S. 217) ambiente intero, inv. n. 58053, (S. 218) ambiente intero, s. n. inv Luogo di provenienza: in sit Marmo bianco. S. 216)b. tot. cm 65; diam. sup. cm 42; circonf. inf. cm 58; S. 217)h. cm 38,5; diam. sup. em 21; diam. inf. cm 23; S. 218) h. cm 36; diam. sup. cm 21. S. 216) parte superiore rotta in più punti; S. 217), rovesciato, presenta rotture nella parte superiore c in quella inferiore; S. 218), rovesciato, reca scheggiature sul bordo inferiore e rotture alla sommità S. 216 è del tipo 1a, con plinto a fascia diritta; il calice inferiore presenta ventidue scanalature di tipo dorico, segnate superiormente da linguette rilevate. Un anello a tondino separa i due calici; di quello superiore rimane l'attacco della modanatura a cavetto. Il piano superiore conserva l’incasso quadrangolare (cm 12) e una lettera 8, rozzamente incisa. 5. 217, rovesciato, è del tipo II b, con il fusto leggermente rastremato, che termina in un plinto a fascia liscia, mentre superiormente è incomiciato da un cavetto e un listello. La superficie è lavorata a gradina. S. 218 è del tipo II b; non polito, è lavorato a gradina. II fusto cilindrico, appena rastremato è incomiciato dall’attacco della base, rotta, e da una gola rovescia e una fascia diritta. Bibliografia: inediti. 5.219 Luogo di conservazione: Pompei, casa VI. XIV. 23, atrio, all'interno dell'impluvium. Luogo di provenienza: in situ Marmo bianco. H. cm 53; circonf. inf. em 82. II coronamento è rotto superiormente; la superficie è molto dilavata nella parte inferiore.
1I supporto è del tipo II a, con plinto a fascia liscia e fusto percorso da scanalature di tipo dorico, nascenti direttamente al di sotto del coronamento, che è formato da un cavetto e da due listelli digradanti. La superficie, lavorata a gradina, non è stata levigata. Il piano superiore, rotto, conserva l'incavo circolare, privo di foro. Il Pernice attribuisce il pezzo (l'identificazione non è certa) al tipo 2 c. Bibliografia: Persice 1932, p. 51, tav. 3, 2. 399
220 di L. 158 8.221 Luogo di conservazione: Pompei, magazzino del Foro, inv. n. 47288, Luogo di provenienza: dagli scavi. Marmo bianco. H. em 60; diam. inf.cm 49; diam. sup. cm 39. La base reca un'ampia rottura; il coronamento è lacunoso in due punti; alcune scheggiature sono sulle scanalature.
I supporto è del tipo I a, con venti scanalature di tipo ionico, ciascuna nascente da una linguetta in rilievo. La base, di tipo attico, presenta un alto toro, un listellino, una scozia c un toro sottile tra due listellini, Un anello a tondino separa il calice inferiore da quello superiore, molto breve, sormontato da una fascia liscia; Il piano superiore, appena sbozzato a subbia, ha un incavo quadrangolare (cm 10 x 10) Nel Pernice si ricorda nel giardino di G. Spano un sostegno di bacino marmoreo identico a quello in esame, del tipo 2 a, ma l’identificazione non è certa. Bibliografia: PERNICE 1932, p. 47, n.3, tav. 31,3. S. 222 Luogo di conservazione: Pompei, magazzino del Foro, inv. n. 44361 Luogo di provenienza: dagli scavi. Marmo bianco. Hem 41; diam. sup. cm 25; circonf. di base em 99,5. Buono stato di conservazione.
Supporto del tipo I a, con calice inferiore decorato da un cespo vegetale. La base è a fascia liscia. Il calice superiore, breve e svasato, è separato da quello inferiore con un anello a tondino e termina superiormente con una corolla aperta in fuori, ornata da un kyma ionico. Il cespo vegetale, rivolto verso il basso, presenta un primo calice di foglie polilobate, al di sotto del quale spunta un secondo calice composto da un’alternanza di foglie acantine frangiate e di foglie lanceolate, con bordo e nervatura rilevata. Le foglie hanno le nervature in rilievo c i lobi segnati da profondi fori di trapano. Il piano superiore reca il consueto incavo per incastrarvi il perno fuoriuscente dal fondo del bacino: esso è circolare (diam. cm 6) e non forato. Bibliografia: inedito. 5.223 Luogo di conservazione: Pompei, magazzino del Foro, inv. n. 44681 Luogo di provenienza: dagli scavi Marmo bianco. HL cm 71; diam. sup. cm 43; circonf. inf. (toro inf) cm 158. Scheggiature sul lstello superiore c sul toro inferiore. 400
Supporto del tipo II a. La base, di tipo attico, si articola in un toro, un listello, una scozia e un toro tra due listelli. Un collarino liscio delimita superiormente le scanalature, che in numero di venti e di tipo ionico, ornano il fusto rastremato. Il coronamento si compone di uno stretto listello, una gola diritta e due listelli digradanti Un supporto del tutto simile a quello in esame è menzionato dal Pernice nella casa VI, VIII, 20, del tipo 2 d. Bibliografia: Pernice 1932, p. 53, tav. 34,3. 5.224 Luogo di conservazione: Pompei, magazzino del Foro, inv. n. 40002, Luogo di provenienza: dalla casa VI, XVI, 15. Marmo bianco. H.cm 51; diam. sup. cm 15; circonf. inf. cm 66; circonf. sup. cm 49. Scheggiature sul listell inferiore e sui finali delle scanalature.
Supporto del tipo IIa, con plinto a fascia liscia. Al di sotto dell'alto collarino liscio si staccano le quattordici scanalature doriche. Il coronamento presenta una modanatura ad alto cavetto e una fascia diritta. Il piano superiore presenta un incavo circolare rozzamente incassato (diam. cm 6, 5), privo di foro passante. 1I Pernice ascrive il pezzo al tipo 2 c. Bibliografia: PeRnice 1932, p. 52, tav. 34,2. S. 225 di L. 184 8.226 Luogo di conservazione: Pompei, tempio di Apollo (VII. VIL. 32), angolo occidentale del quadriportico, sul gradino in tufo davanti allo stilobate. Luogo di provenienza: in situ. Marmo bianco. HH. cm 64; diam. sup. cm 27; circonf. sup. cm 77,5. Manca quasi completamente il coronamento; la superficie è molto erosa; rottura alla base.
Supporto del tipo II a, con finale a disco circolare e con fusto rastremato, a venti scanalature doriche, senza linguette agli attacchi. Un collarino a fascia liscia separa le scanalature dal coronamento, di cui resta solo l'attacco. II supporto è posto direttamente su un blocco parallelepipedo di tufo, appoggiato al secondo gradino della crepidine. Dietro al supporto, sullo stilobate, accanto alla colonna angolare del lato meridionale, è conservato un pilastro parallelepipedo sul cui piano superiore si vedono due cerchi incisi e un foro: si tratta verosimilmente della base della statua bronzea di Diana, da cui doveva uscire lo zampillo raccolto in basso dal bacino perduto. Bibliografia: RICHARDSON jr. 1988, p. 91 401
S. 227 di L. 161 S. 228 di L. 75 S. 229 di L. 69 5.230 Luogodi conservazione: Ostia antica, Piccolo Mercato, inv. n. 51932. Luogo di provenienza: dagli scavi. Marmo bianco. H. cm 53; diam. inf. em 27; diam. sup. em 19. Scheggiature nel piano superiore; manca un'ampia porzione della base.
11 supporto, del tipo Ib, stretto a due terzi dell’altezza da un anello a tondino, sopra cui si stacca il calice superiore, breve e svasato, terminante in una fascia liscia; in basso la svasatura del fusto termina in una base anch'essa a fascia. Sul piano di posa è resa una cavità circolare per l'incastro della vasca. Bibliografia: inedito. 5.231 Luogodi conservazione: Ostia antica, via dei Molini, inv. n. 1411 (provvisorio). Luogo di provenienza: dagli scavi Marmo bianco. H. max cm 68; diam. sup. cm 16,5; circonf. inf. cm 94,5; circonf. sup. cm 54. Completamente ricoperto di una patina grigiastra. Manca la parte superiore, rotta al di sotto del coronamento, di cui resta solo un piccolo spuntone aggettante. Alcune scheggiature sulla base. Un frattura longitudinale percorre il supporto per tutta Paltezza,
Supporto del tipo II b, rastremato e terminante in una base di tipo attico, composta di una scozia tra due tori con un listello superiore. Nel piano di rottura superiore si conserva un incavo circolare (diam. cm 6).
5.232 Luogo di conservazione: Ostia antica, davanti il Museo, posto a sostegno di un sarcofago. Luogo di provenienza: dagli scavi. Marmo bianco lunense. H. cm 36, 5; circonf. della base cm 114, sup. cm 110, del fusto cm 98. Rotture intorno alla base e sulle modanature superiori. 402
Supporto del tipo IV b, a rocchetto, con base composta di plinto a fascia diritta e gola rovescia. II coronamento superiore è formato di una gola rovescia e una fascia liscia. I fusto è lavorato a gradina, mentre base e coronamento sono ben levigati. Bibliografia: inedito. S. 233 Luogo di conservazione: Ostia antica, davanti il Museo, posto a sostegno di un sarcofago. Luogo di provenienza: dagli scavi. Proconnesio. H. cm 38; circonf. della base cm 124, sup. cm 107, del fusto cm 104. Rotto superiormente, manca parte del coronamento c della sommità delle srigilature.
Supporto del tipo IV a, con rocchetto strigilato; la base si compone di un plinto a fascia diritta e di una gola rovescia. Il coronamento, lacunoso, conserva solo parte della comice inferiore, dal profilo arcuato. Bibliografia: inedito. 5.234
Luogo di conservazione: Osta antca, davanti il Museo, posto a sostegno di un sarcofago. Luogo di provenienza: dag scavi Proconnesio. H. cm 39; circonf. della base cm 96, sup. cm 84, del fusto cm 78. Scheggiature sulle comici. Supporto del tipo IV b, a rocchetto. La base è formata da un plinto a fascia diritta e da una gola diritta; il coronamento presenta una comice anomala con profilo sinuoso, composto dalla successione di un toro e un cavetto, c un'alta fascia superiore diritta. Bibliografia: inedito. S. 235 di L. 164 S. 236 di L. 165 8.237 Luogo di conservazione: Musei Vaticani, galleria dei Candelabri, settore IV, inv. n. 2324, Luogo di provenienza: ignoto. Marmo bianco. H. cm 54; largh. plinto em 57. Bordî scheggiati; alcune integrazioni di restauro sui finali del kymation ionico e delle scanalature. 403
Supporto del tipo I a, stretto a due terzi dell’altezza da un tondino. Il calice inferiore presenta delle scanalature di tipo dorico, con brevi linguette agli attacchi; esso si conclude con un breve listello, sotto cui si sviluppa il plinto quadrangolare. I calice superiore termina in una cornice aggettante decorata anteriormente con un kymation ionico. Il supporto è stato posto a sostegno di una tazza non pertinente, formata da una corona di foglie lanceolate. Bibliografia: LirroLo 1956,p. 57, n. 106, tav. 22; Hilla Albani, I, 1990,p. 87 s., nota 8 (C. Gaspannı), 5.238 Luogo di conservazione: Musei Vaticani, galleria dei Candelabri, settore IV, inv. n. 2615, Luogo di provenienza: ignoto. Marmo bianco, probabilmente lunense. H. cm 66, 5; diam. inf. cm 28; sup. cm 26. Rare scheggiature interessano i bordi delle scanalature e la base.
Supporto del tipo IIa, con plinto aggettante a fascia liscia e fusto rastremato, su cui, al di sotto di un alto collarino a fascia piatta, corrono le scanalature doriche. Il coronamento presenta una modanatura a profilo obliquo, sormontata da un doppio listello digradante. II piano superiore, occultato al centro dalla base del vaso postovi sopra, sembrerebbe liscio. Bibliografia: LirroLD 1956, p. 359 s. n. 102, tav. 157. 5.239 di L. 172 5.240
Luogo di conservazione: Roma, Orto Botanico, giardino. Luogo di provenienza: ignoto. Marmo bianco. HL cm 50; diam. cm 40, Supporto rotto a metà altezza; schegeiata la base. Si tratta di un supporto del tipo II a, con corpo rastremato percorso da scanalature doriche e con plinto a fascia liscia, aggettante. Bibliografia: C. Fatascst, I materiali epigrafici e architettonici dell'Orto Botanico, in BollArch, 41-42, 1996,p. 185, n. 10, fig.49. . 241-244 Luogo di conservazione: Argo, giardino del Museo. Luogo di provenienza: dagli scavi Pietra vulcanica scura. HI. cm 60-65 circa, 404
Alcune lacune interessano i bordi e il plinto.
Si tratta di quattro supporti del tipo IL a. Bibliografia: inediti. 5.245 Luogo di conservazione: Astros, Monastero di Loukous, cortile interno. Luogo di provenienza: ignoto. Pietra vuleanica nera. H. cm 50; diam. inf. em 31; diam. sup. em 19. Integro.
Si tratta di un supporto del tipo II a, con diciotto scanalature doriche; il plinto è ad alta fascia; le scanalature sono delimitate in alto da una fascia liscia. La lavorazione è piuttosto sommaria. Bibliografia: inedito S. 246-247
Luogo di conservazione: Cirene, ingresso degli scavi, presso l’agorà Luogo di proveninenza: dagli scavi Pietra vulcanica nera.
S. 246: h. max. cm 31; diam, cm 21. S, 247: h. max cm 50; diam. inf. em 36; diam. sup. max em22. Supporto a sinistra (S. 246): si conserva la parte superiore, scheggiata in alto. Supportoa destra (S. 247): manca il coronamento; scheggiata la base.
Si tratta di due supporti dello stesso tipo II a. Il plinto è costituito da una fascia liscia. Le scanalature (diciotto in S. 246; venti in S. 247) sono in entrambi di tipo dorico e sono delimitate superiormente dal consueto collarino a fascia piatta. Nella parte superiore il supporto di sinistra conserva l'incasso rettangolare, in cui si doveva incastrare il tenone della vasca o del piano di tavolo corrispondente. Bibliografia:
inediti.
S. 248
Luogo di conservazione: Cirene, santuario di Apollo, parte bassa, presso l'ingresso. Luogo di provenienza: dagli scavi Pietra calcarea (tipo poros). H. cm 60; diam. inf. cm 42; diam. sup. max em 19. Rotto superiormente; spezzato il plinto. Supporto di tipo II b, con fusto liscio rastremato e terminante in un plinto a fascia. Bibliografia: inedito 405
5.249 Luogo di conservazione: Cirene, santuario di Apollo. Luogo di provenienza: dagli scavi, Pietra vulcanica. H. cm 61; diam. inf, cm 46; diam. sup. cm 36. Rotto il plinto.
Supporto del tipo Il b, con fusto rastremato, terminante in basso in un plinto a fascia liscia e in alto con una modanatura a cavetto e una fascia diritta, percorsa da un solco incavato. Bibliografia: inedito. 5.250 Luogo di conservazione: Cos, agora, presso la Basilica protocristiana del Porto. Luogo di provenienza: dagli scavi. Pietra vulcanica. H. cm 54; diam. inf. cm 43. Buono stato di conservazione.
Si tratta di un sostegno del tipo Il a; il plinto è a fascia liscia. Superiormente il sommoscapo è segnato da una fa liscia, sopra cui si stacca il coronamento composto da un cavetto e una fascia liscia. Il supporto è simile a quello di Tolemaide (S. 253). Bibliografia inedito. 5.251 Luogo di conservazione: Rodi, giardino del Museo. Luogo di provenienza: ignoto. Pietra vulcanica. Misure non rilevabili. Manca la base.
Supporto, rovesciato, del tipo II a, con scanalature doriche, nascenti da un collarino liscio, sopra cui si imposta la modanatura dal profilo obliquo e la fascia liscia, segnata nella zona mediana da un solco. Bibliografia: inedito. 8.252 Luogo di conservazione: Tolemaide, casa dei Capitell ionici, peristilio. Luogo di proveninenza: in situ. Pietra vulcanica violacea. 406
H. tot. cm 59,5; diam. inf. 40,5; diam. sup. 23. Spezzato il bordo superiore.
Si tratta di un supporto del tipo II b, rastremato. Il fusto termina con una base a fascia liscia. Superiormente presenta un incasso quadrangolare (cm 9 x 9; prof. cm 4) per alloggiare il tenone corrispondente all’oggetto superiore (tavolo o vasca?). II supporto non è ben lisciato nella parte superiore del fusto, mentre quella inferiore è lasciata sbozzata Bibliografia: inedito 8.253 Luogo di conservazione: Tolemaide, Museo, giardino antistante. Luogo di proveninenza: dagli scavi Pietra vulcanica nera. H. cm 61; diam. sup. cm 27; diam. inf. cm 41. Superficie in alcuni punti incrostata.
Si tratta di un supporto del tipo II a, con plinto a fascia liscia e fusto rastremato, con scanalature doriche, delimitate superiormente da un collarino liscio. 1l coronamento ha un cavetto e una fascia diritt finale. Bibliografia: inedito. S. 254-259 Luogo di conservazione: Napoli, Museo Archeologico Nazionale, magazzino. Luogo di provenienza: probabilmente dall'area vesuviana. Calcare tipo di Samo. H. oscillante tra i cm 52, 55 e 48. Alcuni integri, con lievi scheggiature altri lacunosi sulle sommità
Quattro (S. 255-257, 259) supporti del tipo II a, con scanalature doriche, nascenti in alcuni casi da un collarino liscio. Le basi presentano plinti a disco liscio; le sommità, modanature a cavetto e fasce diritte. I supporti S. 254 e S. 258 sono del tipo Ta, con scanalature doriche e anello a tre quarti del fusto; il calice superiore è svasato (molto breve in S. 254) e termina în un doppio listel o digradante. Bibliografia: inediti. 5.260 Luogo di conservazione: Pompei, magazzino del Foro, inv. n. 44678. Luogo di provenienza: dagli scavi Travertino. H. cm 68. Poco rimane del coronamento, rotto in vari punti; base spezzata a metà. 407
Supporto del tipo II a, con venti scanalature di tello con un collarino a fascia liscia. Le scanalature lare. Il coronamento è composto di una modanatura fascia diritta. Sul piano superiore, molto rovinato, senza foro. 1I Pemice lo ascrive al tipo 2 c.
tipo dorico, separate dal capiterminano su un plinto circocon profilo a cavetto e di una resta l’incavo quadrangolare,
Bibliografia: Prxice 1932, p. 51, tav. 33,3. 8.261 Luogo di conservazione: Pompei, magazzino del Foro, inv. n. 44209, Luogo di provenienza: dagli scavi Travertino. H. cm 55; diam. sup. cm 25; circonf. alla base cm 76. Piano superiore, rotto lateralmente.
Supporto del tipo II a, con dodici scanalature di tipo ionico; un collarino piatto, liscio, separa il coronamento dalla parte scanalata del fusto, terminante in un plinto a fascia diritta. Il coronamento si compone di un cavetto e di due listelli digradanti. II piano superiore presenta un incavo circolare (diam. cm 6), senza foro passante. Bibliografia: inedito. S. 262-263
Luogo di conservazione: Pompei, casa del Centenario (IX. VII. 6), ninfeo: S. 262) allinterno della piscina; S. 263) nella nicchia superiore (rovesciato) Luogo di provenienza: dalla casa Tufo. 5. 262) h. cm 34; diam. sup. cm 25; circon£. inf. cm 68; circonf. sup. cm 58. S. 263)h. cm 27; diam. em 27; circonf. inf. cm 85; circonf. sup. cm 76. 5. 262) il coronamento e la base sono rotti; S. 263) buono stato di conservazione. S. 262 è del tipo II b, non finito, incorniciato in basso dal plinto, molto rovinato, e superiormente da una modanatura a profilo obliquo e da una fascia diritta. S. 263 è del tipo IV b, a rocchetto liscio appena rastremato, incorniciato inferiormente e superiormente da una fascia e un cavetto. La casa è sorta nel periodo del tufo (II secolo a.C.); intorno all'inizio del I secolo d.C. fu ristrutturata e vi si installò un bagno privato e il ninfeo a fontana in fondo al peristilio. La nicchia mosaicata di quest’ultimo conteneva!* una statua di Ermatodito: il sostegno 263 ne costituiva forse la base. Bibliografia: inediti
18 DE Vos 1982, p. 213. 408
S. 264-265 Luogo di conservazione: Pompei, magazzino del Foro, S. 264: inv. n. 44117. Luogo di provenienza: Pompei, da via dell’ Abbondanza (S. 264) Pietra calcarea. S. 264: h. cm 61; diam, sup. cm 21; circonf. inf. cm 76; circonf, sup. em 66. S. 265:h. cm 60. S. 264: scalpellata la parte superiore, rotto il fusto in basso; scheggiature lungo i bordi delle scanalature. S. 265: manca la parte inferiore
Supporti del tipo II a, con scanalature di tipo dorico, che nascono al di sotto di un alto collarino liscio. Il coronamento di S. 264 è scalpellato tutt'intorno; nel piano superiore è stato scavato un incavo quadrangolare (cm 8 X 8). Bibliografia: inediti. S. 266 di L. 185 S. 267 di L. 187 S. 268 di L. 188 S. 269 Luogo di conservazione: Ostia antica, Piccolo Mercato, inv. n. 51918. Luogo di provenienza: dagli scavi. Calcare nero (dalla Tolfa?). TI. max cm 47; diam. inf. cm 30; circonf. inf. cm 93; circonf. sup. cm 50. Rotto superiormente; scheggiature sulla base; zoccolo frammentario
Supporto, completamente rifinito, del tipo II a, rastremato, con scanalature di tipo dorico, terminanti in basso in una fascia liscia, che precede l'imoscapo modanato con un listello. La base è di tipo attico e si compone di un toro, una scozia, sottolineata da due listelli sottili, e di un toro. Bibliografia: Pexsancne 1994, fig. 380. 5.270 Luogo di conservazione: Ostia antica, Piccolo Mercato, inv.n. 51938. Luogo di provenienza: dagli scavi Calcare grigio. H. cm 66; diam. inf. cm 28; diam. sup. cm 23; circonf. inf. em 88, circonf. sup. cm 75. Scheggiature sul bordo superiore e sulla base.
Supporto, completamente rifinito, del tipo II b, rastremato; la base, di tipo attico, presenta una scozia tra due tori, delimitati superiormente da due sottili listelli. Il coro409
namento si compone di una gola diritta, un listellino e di una fascia aggettante. Nel piano superiore è stato scolpito al centro un incavo circolare (diam. cm 7, prof. cm 2) con una canaletta (diam. cm 4), resa con la tecnica del carotaggio, in cui doveva essere inserito il tubo di adduzione dell'acqua. Bibliografia: inedito. 8.271 Luogo di conservazione: Ostia antica, Piccolo Mercato, inv. n. 51931 Luogo di provenienza: dagli scavi. Pietra calcaren. H. em 54; diam. inf. cm 29; diam. sup. cm 25; circonf. inf. cm 95; circonf. sup. em 81. Scheggiature lungo le scanalature; manca un frammento del plinto.
Supporto, completamente rifinito, del tipo II a, rastremato, con scanalature di tipo dorico, che si staccano dal collarino a fascia liscia. Il plinto si compone di un'alta fascia liscia; il coronamento, separato dal collarino con un solco, presenta un cavetto € una fascia diritta. Il piano superiore conserva un incavo quadrangolare, riempito di piombo. Bibliografia: PeNsaBENE 1994, fig. 378. 8.272 Luogo di conservazione: Musei Vaticani, galleria dei Candelabri, settore IV, inv. n. 2717. Luogo di provenienza: ignoto. Pietra calcarea. H. cm 69; diam. inf. cm 101; diam. sup. cm 84. Varie fratture interessano la superficie. Alcune rotture sui listelli superiore e inferiore.
Supporto di tipo II b, rastremato, incorniciato in basso da una fascia aggettante e in alto da un coronamento composto di comici digradanti: un cavetto, un listello, un alto cavetto e una fascia diritta Il piano superiore forse presentava originariamente un incavo per l'alloggiamento del fondo della vasca, attualmente riempito con stucco per uniformare il piano di appoggio dell’uma sovrastante. Bibliografia: Lierow 1956, p. 281, n. 13.
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APPENDICE 1 ELEMENTI FRAMMENTARI PERTINENTI A LABRA Luogo di conservazione: la maschera si trovava in originc a Palermo, in Villa Altichiero. Successivamente fu collocata fino al 1931 nel castello di Klein-Glienicke a Postdam, insieme ai tre altri frammenti porfireici di labrum (L. 3) pubblicati dal Goethert. Nella metà degli anni "60 dello scorso secolo la maschera è ricordata nella collezione privata di R. Schmidt a Solothurn!?. Attualmente si trova nella collezione del Musée Barbier-Mueller a Ginevra (10, rue Jean-Calvin), inv. 204-12. Luogo di provenienza: ignoto. Porfido rosso. H. cm 43. La maschera & priva del naso (nella fotografia pubblicata da Delbrueck compare completa ‘con il naso di restauro), rotture dietro le orecchie; scheggiature sulla barba,
La Maschera raffigura un volto maschile barbato, di tipo patetico con occhi spalancati e atteggiamento triste della bocca. La superficie posteriore è piana. I capelli molto lunghi sono ondulati e divisi in due masse voluminose, pettinate indietro e portate sopra le orecchie; dalla scriminatura centrale pende sulla fronte un breve ricciolo. Presenta baffi sinuosi, terminanti ciascuno in un ricciolo, ai lati della bocca. La barba, lunga e molto abbondante, è pettinata schematicamente, con corposi boccoli rigidamente avvi tati, divisi al centro e disposti in due gruppi simmetrici e speculari, ciascuno composto di cinque lunghi boccoli, paralleli; nella scriminatura centrale sono inseriti brevi riccioli ondulati. Sulla testa si posa il finale di una foglia piatta, ampia e liscia, pendente, con nervatura centrale rilevata, mentre ai lati spuntano ramoscelli di canne palustri. Le ciocche dei capelli sulla nuca sono segnalate da profondi solchi incisi, paralleli e ondulati La presenza della foglia è interpretata da Jucker come un simbolo della fertilità, tipico nelle divinità egizio-ellenistiche. La maschera, in base al confronto diretto con il labrum porfiretico di Napoli (L. 8), in cui due teste analoghe ornano la parte inferiore delle anse, tra le code attorcigliate dei serpenti, doveva essere pertinente ad un'ansa serpentiforme di una vasca circolare simile a quella campana; le misure si differenziano di soli 10 cm (h. cm 43 della maschera in esame, cm 54 della vasca Farnese). La maschera barbata in esame potrebbe essere pertinente ad un labrum del tipo di quello L. 8. Numerosi sono i frammenti 19 Cfi: RAcz e JucKER in bibl. 411
noti relativi a labra porfiretici analoghi: oltre a quelli nel Museo Archeologico di Napoli (L. 9), abbiamo gli altri frammenti a Klein-Glienicke (L. 3) e le maschere di Vicenza e di Vico Equense. Sia la maschera vicentina, che i frammenti tedeschi sono ricordati provenienti dalle terme di Caracalla, dove sono menzionati dalle fonti antiquarie vari labra, poi acquisiti alla collezione Farnese. Un ulteriore mascherone, con attacco di ansa, sempre in porfido, era un tempo a Roma, a Palazzo Lazzaroni. Il Delbrueck, al quale il principe Federico Leopoldo di Prussia non aveva permesso di visionare il pezzo, indicò come luogo di conservazione: früher Schloss Glienicke bei Potsdam, sottolincando che nella vendita della collezione, avvenuta nel 1931, la testa non sembra comparire. Egli pubblica due fotografie (prospetto e profilo) della maschera, proponendo una datazione nel II secolo. Annota, inoltre, che il pezzo era ricordato in un'opera, a lui ignota, con tavole litografiche della metà del XIX secolo, in cui anche la provenienza del pezzo era ricordata. Il Delbrueck non cita gli altri frammenti di labrum porfiretico conservati a Klein-Glienicke. Il Goethert afferma che accanto ai tre frammenti di labrum da lui esaminati, si conservava fino al 1931 a Klein-Glienicke la maschera barbata in esame, poi andata dispersa; lo stesso ricorda anche il Klein. Secondo il Delbrucck la maschera si potrebbe datare nel II secolo d.C. Zimmermann data la maschera nel 150-200 d.C., ritenendola raffigurante forse Serapide o un’altra divinità esotica. Egli, inoltre, ne sottolinea il gusto classicistico d'ispirazione alessandrina. Bibliografia: DELBRUECK 1932,p. 173, tav.82; GoETHERT 1972, p. 47; 1.RAcz, Antikes Erbe. Meisterwerke aus Schweizer Sammlungen, Zurich 1965,n. 140; H. JUCKER et AL, Kunst der Antike aus Privatbesitz Bern, Biel, Solothurn, Solothurn 1967, p. 89, n. 231 (A. Leibundgut); H. JuckeR, rez. in Museum Helveticum, 31, 1974, p. 191; KLeW 1988, p. 84, C2; LL. Zine MERMANN, Art Antique dans les Collections du Musée Barbier-Mueller, Paris 1991,p. 156, n. 49. Luogo di conservazione: Potsdam, castello di Klein-Glienicke, cortile, parete VIII G, inv. n. 159. Luogo di provenienza: ignoto. Porfido rosso. H. em 73; largh. cm 77,5. Resta solo un frammento, rotto in due parti e ritagliato tutt'intorno, con una porzione della capigliatura.
Si tratta di un frammento pertinente ad un labrum. Si conserva parte dell’acconciatura di una testa: i capelli sono articolati in spesse e lunghe ciocche ad onde sinuose, che si intrecciano tra loro, separate da profondi solchi e segnate da nette incisioni che si susseguono parallele all'interno di ciascuna ciocca. Le ciocche sembrano partire dall'alto e da sinistra, snodandosi verso destra (di chi guarda): forse è un frammento della parte in alto e a destra di una testa. Il tipo di chioma, lunga e spettinata, la corposità delle singole ciocche, anguiformi, l'ondulazione accentuata, fanno sup: porre che si tratti di un frammento pertinente ad una testa di Gorgone20. La capiglia20 È il Mielsch — in bibl. — che individua nel frammento un gorgoneion, in contrasto con
il Goethert— in bibl. — che attribuisce il pezzo ad un monumentale rivestimento di parete con gioco di onde. 412
tura nel suo insieme doveva essere molto ricca, tanto da occupare con le sue lunghe ciocche ondulate gran parte dello sfondo, formando quasi una raggiera. Questo genere di acconciatura & caratteristica del gorgoneion del cosiddetto tipo bello, il cui archetipo da alcuni è considerato di età classica, creazione di Fidia, da altri di età ellenistica o anche di età imperiale romana, riconoscendo nell'opera una creazione classicistica?!. La testa di Gorgone decorava probabilmenteil fondo interno di un labrum, come già attestato nella conca in alabastro al Louvre e in quella porfiretica a Firenze, al Museo Bardini, in cui però la corona di capelli è estremamente breve e compatta, con ciocche appena ondulate nella metà superiore, articolate in ciuffi paralleli, a raggiera, e stretti riccioli spiraliformi nella parte inferiore del viso, non nella consueta disposizione a ciocche lunghe e sciolte, disposte disordinatamente intorno al volto. Così appare la ricca capigliatura anguiforme del gorgoneion conservato a Roma in Palazzo Colonna??: la protome, restaurata con integrazioni nel ‘600 da S. Calci, è scolpita all’intemo, ma in posizione non proprio centrale, di un disco leggermente concavo (secondo il Delbrueck). Il Delbrueck propone un datazione in età adrianeoantonina. Gli occhi hanno grosse pupille incavate; fori di trapano evidenziano gli angoli della bocca e degli occhi. Bibliografia: GoerHERT 1972,p. 15,n. 82, tav. 34; MiELScH 1984, p. 532, n. 82. Luogo di conservazione: Parigi, Collezione Hayford Peirce. Luogo di provenienza: il Delbrueck afferma che il pezzo proviene dall'Egitto Porfido rosso. Lungh. circa cm 22. Rotto sul retro, tagliato in basso.
Testa di serpente, naturalisticamente resa, con scaglie sulla nuca, occhi tondi, contomati da palpebre spesse, al di sotto dell'arcata orbitale sporgente. La testa era probabilmente sul bordo di un bacino, come nell’esemplare di Napoli, e costituiva la parte finale delle anse. Bibliografia: DeLSRUECK 1932, p. 175, fig. 79. Luogo di conservazione: Vicenza, Museo. Luogo di provenienza: proviene da Roma, dalle terme di Caracalla; donata, insieme ad altre antichità scavate lì, dai conti G. di Velo nel 1820 al Museo. Porfido rosso. H. cm 48 circa. I volto senza barbaè h. 30 cm circa.
21 Sulla Gorgone: LIMC, IV, s.v. Gorgo, Gorgones,p. 285 s . (I. Krauskorr),sx. Gorgones Romanae, p. 345 ss. (O. PAOLETT). Per i tipo di acconciatura molto ricca e articolata in ciocche ondulate aperte a raggiera, si veda il gorgoneion sul fondo della tazza Farnese, anch'essa varia‘mente datata, tra l'età dell'altare di Pergamo el'età di Cleopatra VII (eft. LIMC, IV, p. 305, n.223) 22 DevaRUECK 1932, p. 78 ss, fig. 28; C. NAPOLEONE, a cura di, Delle pietre antiche di Faustino Corsi, Milano 2001, fig. a p. 2. foto DAI, Rom, n. neg. 30. 347) Diametro: cm 143. 413
Lievi scheggiature; rotta la punta del naso; lacunoso il finale destro della barba. Sulla tempia destra, sui capelli, si nota l'inizio di un piccolo puntello angoloso, diretto obliquamente verso l'alo, che il Delbrueck non sa spiegare.
Maschera barbata, di tipo patetico, pertinente ad un bacino di lusso. Gli occhi sono spalancati; i capelli, molto lunghi, sono bipartiti al centro della fronte c pettinati indietro, a spesse ciocche appena ondulate, lanose, fino a coprire le orecchie; dalla scrim natura centrale pende sulla fronte un breve ricciolo. Folti baffi a tortiglione e una lunga barba coprono ia parte inferiore del volto: la barba presenta sulle guance una fila di più brevi ciuffi a virgola, seguiti da più corpose e lunghe ciocche ondulate, separate da solchi profondi e segnate da più lievi incisioni. Intorno alla testa gira un tralcio. Sopra la fronte è reso un piccolo modius, su cui è posto davanti un fiore di loto aperto, rotto, tra due boccioli lici. L'immagine per il Delbrueck corrisponde ad una divinità dell’acqua, sebbene la presenza del modio e dei fiori di loto faccia piuttosto pensare a Serapide. È interessante la testimonianza di Gerhard e Panofka’, i quali ricordano una vasca rinvenuta nelle terme di Caracalla, simile a quella famesiana (L. 8), con teste, che per il modio si possono certamente identificare con Serapide: forse il frammento in esame, anch'esso proveniente dalle terme di Caracalla, era pertinente alla vasca citata dai due studiosi 0, comunque, ad una delle vasce tonde ricordate dalle fonti antiquarie in queste terme (vedi scheda L. 8). Ti Delbrueck propone una datazione nel II secolo d.C. Rispetto alla maschera del Museo svizzero e alle due teste del labrum L. 8, quella in esame appare di più corsiva esecuzione; l’iconografia è simile, ma più semplificata nei particolari, più appiattita nella ricerca volumetrica, meno attenta ai plastici virtuosismi delle altre. Bibliografia: DOTSCHKE 1882,p. 8, n. 26; DELARUECK 1932, p. 190 s. JUCKER er,op. cit,
(App. 1), p. 89.
Luogo di conservazione: Vico Equense, proprietà privata (S.S. Gargiulo). Luogo di provenienza: da Vico Equense, trovata secondo il Delbrueck negli anni °30. Porfido rosso. Misure non rilevabili Frammentaria
1I Delbrueck ricorda questa maschera barbata di divinità, attribuendola ipoteticamente ad un bacino e, in base all'analisi stilistica, propone una datazione nel IV seco-
lo. Gli occhi erano incastonati in materiale diverso, sulla testa si nota un solco, forse per l'inserimento di una corona. Bibliografia: Deumurck 1932,p. 244 s.
2 Gennaro, PANOFKA, op. cit. in bibl. di L. 8, VI, 1830, p. 1 ss. 414
APPENDICE u LABRA DOCUMENTATI DALLE FONTI Un tempo davanti al Pantheon. Nel 1592 la vasca fu inviata a Ferrara, dove non è più testi moniata, Porfido rosso. Diam, em 150 circa
La vasca era del tipo consueto, con labbro incurvato e disco omamentale all’intemo. Attestata nel ‘400 davanti al portico del Pantheon, ma probabilmente ivi posta già precedentemente, accanto alla vasca porfiretica, riutilizzata come sepoltura di Clemente XII in S. Giovanni in Laterano®4, ai due leoni in granito nero, i quali furono rimossi nel 1586 per volere di Sisto V, che li riutilizzò nella fontana del Mosè dell'acqua Felice, e vennero infine trasportati nell'Ottocento in Vaticano da Gregorio XVI. Nella seconda metà del XII secolo, la Narratio de mirabilibus urbis Romae, scritta probabilmente dall'inglese Magister Gregorius, informa che di fronte al portico del Pantheon ci sono "conchae et vasa alia miranda de marmore porfirico et leones et cetera signa de eodem marmore usque in hodiernum diem perdurant". Gli stessi oggetti sono ricordati nel ‘400 dal Rucellai, che menziona una “bella petrina” tra la conca porfiretica, i due leoni e due vasetti di porfido, e sono raffigurati alla fine del XV secolo da Simone del Pollaiolo e da un disegnatore anonimo, i quali rappresentano, accanto ai due leoni e alla grande vasca porfiretica, una vasca rotonda su un supporto cilindrico (un Tocchio di colonna), posta all'estremità destra di chi guarda, mentre l’autore anonimo del Codex Escurialensis disegna soltanto la vasca Corsini e il labrum, senza i leoni L’Albertini, agli inizi del XVI secolo, menziona in piazza di S. Maria Rotonda “vas porphyreticum cum alio parvo mirae pulchritudinis”: se nel primo vaso possiamo riconoscere la vasca in cui poi fu sepolto Clemente XII, nell’altro piccolo si deve intendere il labrum in esame. 1l tedesco Fichard, che visitò Roma nel 1536 ricorda una grande vasca in cui forse un tempo venivano lavate le vittime per i sacrifici. Anche nel disegno di Marten van Hecmskerck (1532-1536) e nella stampa del Du Perac del 1575 è raffigurata, all’estremità destra davanti al portico, la vasca tonda con la vasca Corsini e i due leoni. Il labrum è, inoltre, citato insieme alla vasca Corsini dal Fulvius (1527) "doi vasi di porfido”; dall’Aldrovandi (1562) "vi son anco due vasi di porfido l'un tondo l’altro 24 Asoc 1995, p. 68 ss, n.3. 415
in figura di arca, credono alcuni che fussero qui questi vasi trasferiti dale therme di Agrippa che erano qui presso"; e dall Ugonio (1588). Il bacino rotondo in esame nel 1592 ormai ridotto in cattive condizioni di conservazione, fu venduto dai Canonici del Pantheon al marchese d'Este, per 150 scudi e fu, quindi, trasferito a Ferrara? Nella piazza del Pantheon dovevano essere presenti anche due vasi in porfido, probabilmente già ricordati dal Magister Gregorius "..vasa alia miranda...", visti ancora dal Rucellai, ma non più menzionati dalle fonti cinquecentesche. La citazione del Muioz%, il quale afferma che uno dei vasi, rotto, fu venduto nel 1544 al marchese di Ferrara, è forse riferibile al bacino rotondo in esame, venduto nel 1592, oppure si riferisce ad uno dei vasi menzionati dal Gregorius. Secondo l'Eroli (1895) le due vasche porfiretiche davanti al Pantheon furono scoperte prima del pontificato di Eugenio IV (1431-1444), in disaccordo a Flaminio Vacca (01594), L'esame delle fonti letterarie permette di ipotizzare che le opere elencate per la prima volta dal Magister Gregorius fossero state collocate davanti al Pantheon prima ancora del XII secolo; probabilmente esse erano lì già nel VII, quando Bonifacio IV (608-615) dedicó l’edificio alla Vergine? Nella stampa di Schenk del 1705 davanti al portico del Pantheon ricompaiono sia ileoni, che la vasca Corsini con il bacino tondo in esame, sebbene da tempo tutti questi monumenti fossero stati trasferiti altrove. In base alle raffigurazioni di questo bacino in disegni e stampe si pud notare una certa somiglianza con quello porfiretico aFirenze, nel Cortile della Dogana a Palazzo Vecchio (L. 7) Bibliografia: Macister GregorIUS, Narratio de mirabilibus urbis Romae, in VALENiNi-Zuccuer, II, p. 136 s.; RUCELLAI 1450, in VaLeNtINI-ZUCCHETTI, IIT,p. 410 = in G. Marcorn, Il Giubileo dell'anno 1450... in ArchSocRomanaStoria Patria, V, 1881, p. 573; ‚Auer 1510,p. 486,v. 11-12;A. FuLvius, Delle Antichità di Roma, Roma 1527, con le annoazioni di Girolamo Ferrucci, Roma 1588, £. 177; J. FICHARD, Observationes antiquitatum et aliarum rerum memorabilium quae Romae videntur, in FrankfurtArchivAeltLiterGeschichte, Il, 1815,p. 56; U. ALDROVANDI, Delle statue antiche, che per tutta Roma, in diversi luoghi, e cose si veggono, Venezia 1562, ed. S. Reinach 1975, p. 312; P. Usonto, Historia delle Stationi di Roma, Roma 1588, stat. LII, 310; G.C. VALLONI, Cod. Archivio Capitolare della Rotonda, n. XVII, 1670; oft. R. LANCIANı, in NSc, 1881, p. 268; G. Erout, Raccolta generale delle iscrizioni pagane e cristiane esistite ed esistenti nel Pantheon di Roma, Nami 1895, p. 346 s; DELBRUECK, pp. 159 ss., 188; D'ONOFRIO 1986, p. 107 s., nota 5, fig. 74. Disegni: — SIMONE DeL POLLAIOLO, detto il Cronaca (1457-1508): Firenze, Uffizi, Coll. Santarelli, 160 r (BartoL: 1914-1922, I, tav. XIII, fig. 27; EGGra II, 1932, fig. 19); - Codex Fscurialensis (1480-1491). f. 43 v (H. Foot, Codex Escurialensis. Ein Skizzenbuch aus der Werkstatt Domenico Ghirlandaios, Wien 1905, p. 116 s.; Bagrou 1911, p. 27, fig. 4; are I, 1932, fig. 20);
25 GC. VuLoN, in bil ft: Frot,in bil. La Capecchi(art. cit in L. 6, p. 155, nota2),ricorda una ratiativa di acquisto di questo labrum da parte del granduca di Toscananel marzo 1592. 26 A. Muno2, in NuovoBullArcheolCristiana, 18, 1912,p. 35. 27 Vacca 1554, mem. 35; seguitodal Lanciani. R. LAnciaNı, NSc, 1881,p. 268 28 Ci. Detanutice 1932, p. XXI, 161 416
— Anonımodel XV secolo, ultimo quarto, Louvre, Cab. des Dessins,n. 11029 (Eoors 1932, II, p.38, tav. 92; BaeroLi 1911, tav. XLVID; ‘Magri van HzeMsKERCk (1532-1536), Berlin Kupferstichkabinet. 10 (EaoeR 1932, I, p. 39, tav. 93; HOLSEN, EaceR 1913, I, p. 7, tav. 11, f. 10 ; D'ONOFRIO 1986, fig. 74). Stampe: E. Du Pénac, vestigi dell'antichità di Roma, Roma 1575, ta. 35 (LaNctaNt 2* ed. I, fig. 89); — P Schenk, Roma aeterna, Amsterdam 1705, tav. 67. 2
Un tempo a Roma, Battistero Lateranense. Disperso. Porfido rosso.
La vasca è ricordata nel Liber Pontificalis al tempo di papa Silvestro (314-335); era in porfido ma completamente rivestita d’argento (cosicché era possibile sbagliarsi sul materiale); nel mezzo c'era una colonna porfiretica con una tazza d'oro, che portava una lampada (quindi non si trattava di una fontana zampillante); sul bordo (che doveva essere molto largo) un agnello d’oro e sette cervi d’argento da cui usciva il getto d’acqua (presso l'agnello zampillava l’acqua in quattro zampilli dalla roccia); ai lati dell’agnello si ergevano le statue d'argento, alte 5 piedi, di Cristo e Giovanni Battista, Il Delbrueck data la vasca in età costantiniana. Bibliografia: Liber Pontficalis, ed. Ducusswe 1, p. 174, 9, cfr. p. 192, nota 44 ss; DELARUECK 1932,p. 186. 3
Un tempo a Roma, Ninfeo Lateranense. Dispersi. Porfido rosso.
Nel Ninfeo, che papa Ilario (461-468) eresse con le spolie davanti all'oratorio di S. Croce, si trovavano numerosi bacini porfiretici: A) un bacino molto grosso, con una tazza ansata nel mezzo, da cui zampillava in alto l’acqua; B, C) a entrambi i lati un bacino più piccolo, scanalato, con una colonna d’acqua centrale. In libera traduzione il passo suona come segue: "Hilarus eresse... il ninfeo e il portico triplo davanti all Oratorio di S. Croce, dove c'erano colonne di altezza straordinaria, cosiddette tebane (granito); (egli eresse inoltre) ... i due bacini scanalati con colonne porfiretiche perforate, versanti acqua (nel mezzo della vasca), e. nel mezzo (del portico triplo) un lacus porfiretico con una tazza ansata versante acqua nel mezzo; ...incorniciato era (il triplo portico) a destra e a sinistra nel mezzo da recinti bronzei e da colonne con frontoni e trabeazioni (nel portico stesso), dappertutto ornato (l'intero Ninfeo) con mosaico, così come con colonne aquitanie, tripolitane e porfiretiche”. Secondo il Delbrueck la tazza ansata nel lacus centrale richiama la vasca sontuosamente decorata a Napoli Il Delbrueck pone questi bacini del Ninfeo lateranense nel 461-468, nel periodo di papa Hilarus. Bibliografia: Liber Pontificalis, ed. Docutswt, I, p. 242, cf. p. 246, nota 5 (elenco); Deusrusck 1932, p. 186, 417
Un tempo a Roma, Villa Doria Pamphilj. Disperso. Porfido rosso, 1I Ficoroni ricorda in Villa Doria Pamphilj una gran tazza baccellata di porfido. Le scanalature sono piuttosto singolari; bacini di porfido baccellati si trovavano nel Ninfeo Lateranense (vedi scheda relativa), Bibliografia: DeLERUECK 1932,p. 185. Un tempo a Costantinopoli, nell’atrio della Chiesa dei SS. Apostoli. Disperso. Il bacino secondo il Delbrueck apparteneva certamente alla costruzione di Costanzo Il Porfido rosso.
Nicolaos Mesarites si avvicinò al bacino di porpora splendente, “plynös”, ed ammiró come l'acqua traboccava e piccoli pezzetti di pane galleggiavano nel mezzo per gli uccellini, Il Delbrueck propone una datazione tarda, nel IV secolo d. C. Bibliografia: Nicor4os Mesanıres, II, c. 41, 3, in G. Downey, Nicolaos Mesarites, Description of the Church of the Holy Aposiles at Constantinopole, in Transactions Amer. Philosophical Soc. Philadelphia, 47, 1957, pp. 893, 916; DELERUECK 1932,p. 191 6
Un tempo a Costantinopoli, Boukoleon. Disperso. Porfido rosso.
Piccola vasca, "lekanís", che qualcuno in seguito ad una scommessa svuotà. Bibliografia: Nicetas ConiaTA, De Manuele Comneno, IIl, c. 4, p. 149, 15; J.P. RICHTER, Quellen der byzantinischen Kunstgeschichte, Wien 1897, n. 825; DELBRUECK 1932,p. 191. 7
Un tempo a Costantinopoli, nell'atrio della Chiesa Nuova, Disperso. Porfido rosso.
Vasca riutilizzata come fontana nell'atrio della Chiesa Nuova, consacrata nell’881 da Basilius 1. “Ad ovest nell'atrio della Chiesa stanno due bacini, "phidlai",... quello a sud di pietra egiziana, che noi siamo abituati a chiamare romano.” Ad essa sono pertinenti anche serpenti, forse i manici, di buona fattura. Nel suo centro si sollevava uno strobilo, “ströbilos”, forato; bianche, piccole colonne stanno circolarmente a guisa di un girotondo (cioè in cerchio), forate, portanti superiormente un architrave continuo; sopra tutto ciò sgorgava l'acqua sul pavimento e il fusto "pythmén" (supporto) del bacino e bagnava quello posto sotto (impluvium)”. Secondo il Delbrueck quest'opera è confrontabile con la vasca lussuosa di Napoli ed è da datarsi nel II secolo d.C. 418
Bibliografia: CONSTANTINUS PORPAYROGENTTUS, Basilium Macedonem (THEOPANES CONTINusrus V, 83), p. 327; RICHTER,op. cit. (n.6),n. 957, eft. CEDRENUS I, p. 240; DELBRUECK 1932, pds. 8
Un tempo a Costantinopoli, nel vecchio Palazzo. Disperso. Porfido rosso.
La vasca (?) in porfido, “plynds”, con serpenti avvolti in spire intorno al bordo, era stata trasferita dal giardino del Grande Palazzo nell'atrio della Chiesa dei 40 Martiri, nel 1185 (Andronicus). Il termine "plynós" è indeterminato per quanto riguarda la forma, sebbene, come giustamente afferma il Delbrueck, la decorazione con serpenti faccia pensare a un bacino. 1I Delbrueck propone una datazione nel Il secolo. Bibliografia: NiceTas CHONIATA, De Andronico Comneno, Il, c. 6, p. 431 s.; RICHTER,op. cit (n. 6),n. 497; DeteRUECK 1932,p. 192. 9
Un tempo a Costantinopoli, nel palazzo di Costantino Porfirogenito. Disperso. Porfido rosso.
AI centro della vasca, “phiäle”, c'era un "aulós" (una colonna d'acqua) su cui si posava un'aquila in argento con un serpente negli artigli. Il bacino era circondato da un cerchio di colonne marmoree lisce. Secondo il Delbrueck si tratta di un'opera del X secolo. Bibliografia: TueorHanes CoNTiNUATUS, VI, c. 24,p. 451, 4 s.; RICHTER, op. cit. (n. 6), n. 865; Drunaueck 1932, p. 192.
419
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INDICE DEI MATERIALI DEI LABRA (L.) Numerazione progressiva. Tipologia" PORFIDO ROSS T Mons Porphyrites 2 Mons Porphyrites 3 Potsdam. 4 Richmond 5 Firenze 6 Firenze 7 Firenze 3 Napoli 9 Napoli 10 Venezia 11 Verona 12 Città del Vaticano 13 Città del Vaticano 14 Roma 15 Roma 16 Roma 17 Roma 18 Roma 19 Roma 20 Roma. 21 Roma 22 Roma.
Diametro?
Semilavorato (cava), V a coppa (7) [132 Semilavorato (cava), V a coppa (7) VIII, lussuoso Grandi dimensioni Ta vasca 188 Ta vasca, gorgoneion nel centro — 269. Ta vasca 250 TV a conca, con iscriz 140 VIII, lussuoso 296 VIII, lussuoso 2967 TI a bacile 150 Ta vasca. 271 Ta vasca. 476 Frammentario VII a piatto Piccole dimensioni Ta vasca. 256 Ta vasca. 260 circa Ta bacile 88 ? Grandi dimensioni TV a conca Piccole dimensioni VIII, lussuoso, 350 Ta vasca. Medie dimensioni Frammentario VIII, lussuoso? 2 Ta vasca, rosone nel centro 205
' Con il termine “semilavorato” si indica un labrum non finito, qualsiasi sia lo
stadio di lavorazione. Nel caso di “semilavorati”, la tipologia si precisa soltanto qualora possa essere stabilita con una certa sicurezza. Con “frammentario” si indica un pezzo di cui a volte resta troppo poco per poterne riconoscere la tipologia. Il diametro è quello esterno ed è sempre espresso in centimetri. Qualora non si abbiano le misure o qualora si tratti di frammenti, la grandezza verrà indicata, se esistono elementi validi per poterlo fare, nei seguenti modi: piccole dimensioni, per un labrum il cui diametro sia inferiore a cm 150; medie dimensioni, per uno con il diametro tra cm 150 e 300; grandi dimensioni, per un pezzo il cui diametro superi em 300. 433
BASANITE:
23 Potsdam 24 Ostia 25 Coll.Pivata
Tra becile Ta bacile Ta bacile?
ALABASTRO FIORITO: 26 Parigi 27 Parigi
Ta vasca, divini marina nel centro [215 Ta vasca, gorgoneion nel centro [199
GRANITO NERO. (Bonde
Iv
GRANITI GRIGI: 29 Mons Claudianus 30 Mons Claudianus 31 Mons Claudianus 32 Bolsena 33 Ostia 34 Città del Vaticano. 35 Città del Vaticano 36 Roma 37 Roma 38 Roma 39 Roma. 30 Pergamo 41 Pergamo, 42 Isola d'Elba 43 Isola d’Eiba 44 Nicotera 45 Nicotera
434
Semilavorato (cava) VI a bacino Semilavorato (cava) ‘Semilavorato Ta vasca. Frammentario VII a piatto. Ta vasca Ta vasca Ta vasca VITI, lussuoso, Ta vasca Ta vasca. Semilavorato (cava) I a vasca. ‘Semilavorato (cava) Ta vasca Semilavorato (cava)VIIL, lussuoso ‘Semilavorato (cava) Semilavorato (cava) Ill a catino — Semilavorato (cava)
TORS 79) 112
[Medic dimensioni
390 550 (zona centrale) 520 267 min.
Grandi dimensioni 415 320 [213 190 [85 197
GRANITO ROSA: 36 47 48 49 50 51
Alessandria File (Philai) Gerasa Città del Vaticano Roms Roma
Ta vasca Semilavorato, Ta vasca, Ta vasca Ta vasca Ta vasca
Grandi dimensioni Grandi dimensioni 300 circa. 540 530
AFRICANO, varietà rossa: 32 Ostia Semilavorato, Tiammentario. 53 Roma Ta vasca
Grandi dimensioni 415
AFRICANO, varietà verde: 34 Leptis Magna, TI a bacile 55 Ostia Semilavorato III a carino
7a? 196
PAVONAZZETTO: 36 Eso 57 Pergamo, 58 Crotone. 59 Crotone 60 Taranto 61 Ostia 62 Città del Vaticano 63 Roma 64 Roma
239 Medic dimensioni? 237 81 Gnterno): piccole dimensioni. 210 123 200 Medie dimensioni 120
Ta vasca. Frammentario ‘Semilavorato IV a conca ‘Semilavorato IV a conca Semilavorato IV a conca Semilavorato III a catino VIII, lussuoso, baccellato VII a piatto, con iseriz TV a conca, scanalato
GRECO SCRITTO (simil) [65 Pergamo
IV a coppa
Ti20
435
SERPENTINA MOSCHINATA: [66 Roma
[Ir a bacile
Ls
GIALLO ANTICO: 67 Pergamo, 68 Simitthus 69 Ostia 70 Ostia 71 Ostia 72 Ostia. 73 Roma.
Tra bacile Semilavorato (cava) V a coppa TIT a catino ‘Semilavorato II a bacile Semilavorato IV a conca. Frammentario JL a bacile
Piccole dimensioni 148 85 103 89,5 7 12
PORTASANTA: 74 Boscoreale 75 Ostia. 76 Ostia
Tra bacile Semilavorato V a coppa Semilavorato V a coppa
TA 95 91
VERDE ANTICO: TI Larissa, 78 Ostia 79 Roma. 30 Roma. SI Roma
Semilavorato, frammentario Frammentario Ta bacile IIIa catino IV a conca
Medie dimensioni 130 x 104 max. 90 185 174
FIOR DI PESCO: Bas Magna
436
[Ir a catino, con iscriz
[Medie dimensioni
]
_]
CIPOLLINO: 33 Mylo 84 Ercolano 85 Ercolano 36 Ostia 87 Ostia 88 Ostia 39 Roma 90 Roma 9I Roma
Semilavorato TV a conca TI a bacile Ta vasca ‘Semilavorato Frammentario ‘Semilavorato TV a conca ? TI a bacile
(cava) IV a conca. I a vasca 7 III o IV?
275 122 141 228 155 Medie dimensioni 101 TI 1
MARMI BIGE
37 Lesbo 33 Lesbo 94 Lesbo 95 Lesbo 96 Lesbo 37 Lesbo 98 Lesbo 99 Lesbo 100 Lesbo 101 Lesbo 102 Sabratha 103 Pompei 104 Pompei 105 Roma (bigio morato)
Semilavorato (cava) Hs cating Semilsvorato (cava) II a catino Semilsvorato (cava) Ill a catino Semilavorato (ceva) TI a catino Semilsvorato (cava) Il a catino Semilavorato (cava) I a catino, Semilavorato (cava) II a catino Semilavorato (cava) II a catino Semilavorato (cava) Il a catino Semilavorato (cava) IN a catino — Semilavorato V a coppa, con_iseriz Va coppa TV a conca [Il a bacile, con protomi leonine
|? [67 [66,5 5a 60 [108
ROSSO AMMONITICO:
106 Verona BRECCIA CORALLINA: 107 Efeso 108 Assisi 109 Roma
Tra vasca
Ta vasca Ta vasca II a bacile
[Grandi dimension
_]
378 180 140,8
437
BRECCIA DI SCIRO:
T10 Napoli II Ostia
Tra baciie Semilavorato Va compa
MARMO ROSA BRECCIATO: Ge INTEREST
136 [67
[ise
1
BRECCE LOCALE [113 Eretria,
MARMI GRIGI TH Amphipolis 115 Chiragen 116 Dion 117 Dion II Dion 119 Messene 120 Mileto 121 Olimpia 122 Priene 123 Pompei 134 Pompei 125 Pompei 126 Pompei 127 Settimane 128 Senehinestre 129 Stabia 139° Tarquinia
438
[Semilavorato
[Piccole dimensioni
Frammento Grandi dimensioni Frammentario, seanaato 1007 Frammentaro I bacile Medie dimension Frammentario Ira baıle Medie dimensioni Va coppa 150 Via bacino 201 Semilavorato TIT a cati 163 Ta vasca? Medie dimensioni Frammentaio IV a conca? Medie dimensioni IV s conca 62 abaci CH TI a bace TOI Vi a bacino 215 irs bacile 105 Ta bacile 130 Frammentario IV a conca) Ansato _ [Piccole dimensioni VI a bacino, con iseriz 300
]
MARMI BIANCHI: 130 Copenhagen 131 Delos 132 Dion 133 Dion 134 Dokimeion. 135 Dokimeion 136 Dokimeion 137 Kavala, 138 Nikopolis 139 Nikopolis 140 Olimpia. 141 Salonicco, 142 Sparta 143 Alba Fucens 144 Boscoreale 145 Ercolano 146 Montegelato 147 148 149 150
Napoli Napoli Napoli Napoli
TST Napoli 152 Nomentum 153 154 155 156 157 158 159 160 161 162 163 164 165 166
Ordona Pompei Pompei Pompei Pompei Pompei Pompei Pompei Spargi Ventotene Ostia Ostia Ostia Ostia
VITI lussuoso, con teste di ariete e [58 baccellature TI a catino GO Frammentario Medie dimensioni Va coppa 120-140 Semilavorato (cava) II a catino — [90. Semilavorato (cava) Piccole dimensioni Semilavorato (cava) Ila catino — [Piccole dimensioni VII a piatto 100 circa Ta vasca Grandi dimensioni Frammentario V a coppa. "Medie dimensioni VI a bacino 219 Ta vasca 180 Ti a bacile, ansato, con comice a_ [Piccole dimensioni foglie d'acqua. Frammentario VI a bacino IL a bacile DI Ta bacile 92 Frammentario VITI, lussuoso, con_|104 circa scanalature e cornice ionica TV a conca, ansato, con busting [84 II a bacile, ansato, corolla nel 60 centro, interno scanalato II a bacile, con due maschere $7 barbate e gorgoneion nel centro II a bacile, con due maschere oT barbate e gorgoneion nel centro lla catino, esterno baccellato, 133 interno scanalato, con corolla nel centro Frammentario, ansato, con comice | Piccole dimensioni ionica e omati floreali Piccole dimensioni VII a piatto TV a conca, con fogliee teste ferine | 44,5, VIII, lussuoso, 78 Va coppa 65 74 VII a piatto Ta bacile 121 TI a bacile, con comice ionica 58,5 VI a bacino, con iscriz 239 Ta bacile 50 circa La baile. Piccole dimensioni La bacile (rilavorazionc) 62 VI a bacino 187 Semilavorato TIL a catino, 87 TI a baile, con toro e listello 973 439
167 168 169 170 TTI 172 173
Ostia Ostia. Ostia Roma Roms Roma Roma
36 60 485. |215 62 142 Medie dimensioni
174 Roma 175 Roma 176 Roma
Semilavorato II a catino, III a catino, con iseniz. ‘Semilavorato II a catino VIII, lussuoso, con cornice ionica, fregi vegetali e baccellature Vite VIII II a bacile Frammentario II a bacile, con cornice ionica VI a bacino Frammentario IV a conca, baccellato VI a bacino
PIETRE LOCALI: 177 Heerlen 178 Hüfingen 179 Mainz 180 Otrang 181 Trier 182 Ura (Olba) 183 Pompei 184 Pompei 185 Trieste 186 Trieste 187 Trieste. 188 Trieste.
VI a bacino VI a bacino Ta bacile, con calice di foglie VI a bacino: III a catino, baccellato ? IV a conca Tra bacile ‘Semilavorato III a catino, con Frammentario II a catino, con Semilavorato IIT a catino III a catino, con iscri.
Medie dimensioni 208 118 110 84 160 72,5 106 60,5 Piccole dimensioni $3 61
MATERIALE NON RILEVABILE: 189 Rottweil VI a bacino 190 Citta del Vaticano — la vasca
440
172,5 Piccole dimensioni Medie dimensioni
210 (Grandi dimensioni
INDICE TOPOGRAFICO!
Numerazione — Provenienza — Materiale
DEI LABRA
Tipologia
Dimensioni
ALBA FUCENS (Massa d'Albe - Abruzzo) 143 Via delle — [In sim? Marmo bianco | Frammentario, VI Tabernae a bacino ALESSANDRIA (Egitto) "46 Museo grecoromano
Granito rosa
[Ta vasca
Grandi dimensioni
Marmo grigio
|Frammentario — [Grandi dimensioni
Breccia corallina
Ta vasca
AMPHIPOLIS (Macedonia)
114 Basilica A
[Tn situ?
ASSISI (Perugia) 108 Sacro Convento di S, Francesco.
BOLSENA (Lazio) 32 Via Roma | Bolsena, tempio | Granito grigio [Ta vasca di Apollo del Foro
780
267 min.
' L'indice topografico è organizzato in base ai luoghi di conservazione dei
singoli pezzi, disposti in ordine alfabetico. Nel caso in cui il luogo di conservazione coincida con quello di provenienza, nella casella della provenienza si indicherà "in situ".
441
BOSCOREALE (Campania) 74 Villa di Tn situ N.Popidius Florus, frigidarium 144 Villa di Tn situ. N.Popidius Florus, caldarium CHIRAGAN (Francia) 115 Villa Tn situ romana
Portasanta Marmo bianco
TT a bacile
74
| Ta bacile
DI
Marmo grigio | Frammentario, italico scanalato
[1007
| Granito grigio del Foro Granito?
la vasca Ta vasca
Granito rosa | Porfido
[Ta vasca Ta vasca
680 Grandi dimensioni 300 circa 376
CITTÀ DEL VATICANO
35 Cortile del [Roma, terme di Belvedere | Tito 190 Giardini Vaticani 49 Mura Vaticane 12 Musei | Roma, dalla zona Vaticani, Sala | del Comizio. rotonda Pertinente all'impluvium del Comizio (Delbrueck)? T3 Musei Vaticani, magazzini 62 Musei |Roma, Valle Vaticani dell’Infernetto 34 Piazza S.Pietro
Porfido
Frammentario, VII a piatto |Pavonazzetto | VIII, lussuoso, baccellato. Granito grigio [Ta vasca del Foro,
| Piccole dimensioni | 200 350
‘COPENHAGEN 130 Ny Carlsberg ] Da Roma Giyptothek
442
Marmo bianco | VINI, lussuoso [58 con teste di ariete € baccellature
CROTONE (Calabria) 38 Museo [Punta Scifo civico (naufragio) 59 Museo} Punta Scifo civico (naufragio)
| Pavonazzetto | Pavonazzetto
| Semilavorato IV a] 237 conca | Semilavorato IV a] 81 (interno) conca
DELOS (Cicladi)
131 Quarters del [In site Teatro
Marmo bianco — [ill a caino
DION (Macedonia) 13 Basics [In site? Maro Cimiteriale proconnesio 116 Museo] Dalla ed. Villa | Marmo bianco. di Dioniso? | griginstro 117 Museo | Dalla ed. Villa | Marmo grigio di Dioniso? | venato TIS Museo |Dalle Grandi | Marmo grigio Terme? venato 133 Museo [Dalle Grandi | Marmo bianco Terme? DOKIMEION (Frisia) 134 Cave — [oss 135 Cave [Masi 136 Cove [msi ELBA (Isola di) TI Cavepresso — [insit Fosso dd'Inferno Secchetto 43 Cave peso | In si Fosso dell’Infemo Secchetto
[60
Frammentarıo — [Medic dimensioni | Frammentario, ITa | Medie |bacile dimensioni | Frammentario, Ira | Medie bacile dimensioni |V acoppa 150 | Va coppa 120-140
Marmo bianco [Senilavorato Ilia [99 catino Mano bianco | Semilavorato | Piecole dimensioni Marmo bianco | Semilavorato MI a | Piccole catino dimensioni Granito grigio] dell'Elba Granito grigio dell'Elba
Semilavorato VIN, [213 lussuoso |Semilavorato — [199
443
EFESO (Lidia) 36 Chiesa di S. [Dalle terme? Pavonazzeito — [Ta vasca Maria 107 Plataia | Daun ninfeo (Dori | Breccia corallina |Ta vasca Koressos Klingenschmid)? Dalle terme? Dal ginnasio (Keil)?
239 378
ERCOLANO (Campania) 4 Terme del Foro, | In situ apodyterium maschile 145 Terme Tn siu Suburbane, atrio 85 Termo Tn sita Suburbane, caldarium ERETRIA (Eubea) TI3 Museo
444
IVa conca
122
Marmo bianco | Ta bacilc Cipollino Ta bacile
92 m
Breccia locale]
FILE (Egitto) #7 Padiglionedi [ In situ Traiano FIRENZE 3 Museo Bardini | $ Palazzo Pitti _| 7 Palazzo Vecchio
Cipollino
Granito rosa
Prec. in Palazzo [Porfido Peruzzi? Prec. a Roma, _|Porfido Villa Medici Prec. a Roma, | Porfido Villa Medici
Semilavorato
| Piccole dimensioni
| Semilavorato
Ta vasca, gorgoneion nel centro, Ta vasca IVa conca, con iseriz.
269 250 |140
GERASA (Giordania)
38 Ninfeo
[Insite
IEERLEN (Olanda) T77 Masco] Terme, delle Terme _ | caldarium HUFINGEN
Granito rosa
[Ta vasca
Pietra calcare | VI a bacino
Grandi dimensioni Medie dimensioni
(Germania)
178 Casıro militare
| Castro miliare, | Petra calcarea | VIa bacino bagno
208
KAVALA (Tracia)
[GTMuo
—T
[Mano bianco | Vil s piano — — [100 circa
LARISSA (Tessaglia) 77 Chassambalı, [In site
Verde antico]
Semilavorato frammentario
(cava),
presso le cave
| Medie dimensioni
LEPTIS MAGNA (Tripolitania) Si Tempio di [msi Alicano, TT a baci 77 Roma e Augusto varietà verde 82 Terme di |msim Fior di pesco | Il a catino, con | Medie Adriano iseri dimensioni LESBO (Sporadi)
92 Diseno di Moria (cave) 93 Distretto di Moria (cave) 94 Distretto di Moria (cave) 95 Distretto di Moria (cave) 96 Distretto di Moria (cave)
[In [In [In [In [In
situ situ sire situ sita
Bigio Bigio Bigio Bigio Bigis
di di d di di
Lesbo Lesbo Lesbo Lesbo Lesbo
| Semilavorato (cava) I a catino | Semilevorato — (cava) II a catino | Semilavorato (cava) II a catino [ Semilavorato (cava) I a catino | Semilavorato (cava) IIa catino
[180 190 186 156,3 445
97 Distretto di Moria (cave) 98 Distretto di. Moria (cave) 99 Distretto di Moria (cave) 100 Distretto di Moria (cave) 101 Distretto di Moria (cave)
In sim In situ In situ [Tn situ | Jn situ
LONDRA 28 British Museum
Bigio di Lesbo | Bigio di Lesbo | Bigio di Lesbo |
Semilavorato (cava) II a catino. Semilavorato (cava) II a catino Semilavorato (cava) II a catino Bigio di Lesbo | Semilavorato (cava) III a catino Bigio di Lesbo | Semilavorato (cava) II a catino
Granito nero
MAINZam Rhein 179 Dalla zona di Landesmuseum | Algesheimer Hof
[Ta vasca
Pietra calcarea
93 $0 63 $2
Medie dimensioni
[llabacle, calice di foglie
[118
Marmo bianco. | WIabacino grigio
[201
Grigio venato di Eraclea
[163
MESSENE (Messenia) 119 Fontana di Arsinoe
[ In situ.
MILETO (Caria) 120 Agora grande, [In situ presso ninfeo MONS CLAUDIANUS (Egitto) 29 Cave Tn situ 30 Cave Tn situ 3T Cave Tn situ
446
|Semilavorao IIl a catino
Granito grigio] Semilavorato Via bacino Granito grigio | Semilavorato Granito grigio | Semilavorato
[390 350 (zona centrale) 520,
MONS PORPHYRITES (Egitto) T Cave Tn situ 2 Cave Tr situ
Porfido Porfido
SemilavoratoVa — coppa? Semilavorato V a coppa?
[132
MONTEGELATO (Roma) 146 La Mola [La Mola, villadi | Marmo bianco | Frammentario, VIII, | 104 circa C.Valerius lussuoso, Faustus scanalature e cornice MYLOI (Eubea) B Cave i — [Insitu Kylindri (Karystos) NAPOLI 8 Musco Archeologico Nazionale 9 Museo Archelogico | Nazionale 110 Museo | Archeologico Nazionale 147 Museo | Archeologico Nazionale T48 Museo | Archeologico Nazionale 149 Museo — | Archeologico Nazionale 150 Museo | Archeologico Nazionale
cipollino
Porfido
semilavorato
Vill lussuoso —
Palazzo Farnese. Terme di Portido Vili, Tussuoso — Caracalla? Prec. a Roma, Palazzo Farnese Area vesuviana? | Breccia di Sciro | Il bacile Pompei
Marmo bianco | IV a conca, ansato, con bustinoritratto, cornice Area vesuviana? | Marmo bianco | Ila bacile, ansato, interno scanalato, corolla nel centro, Area vesuviana? | Marmo bianco [Ila bacile, con due maschere barbate e gorgoneion nel centro Area vesuviana? | Marmo bianco | Ila bacile, con duc maschere barbate e gorgoneion nel centro
275
[296 [2967 T26 | 84 |60 [67 | 67
447
TST Museo] Archeologico Nazionale
Area vesuviana? | Marmo bianco _ | I a catino, interno 53 scamalato, esterno baccellato, corolla nel centro
NICOTERA (Catanzaro) Hi Covain — [Inst località Agnone 45.Cava in| Tn sitw località Agnone NIKOPOLIS (Epiro) 138 Basilica B ] Tn sim? 139 Museo | Basilica A? NOMENTUM (Mentana) 152 Casali di Mentana
Granito grigiastro Granito grigiastro
Semilavorato Ma catino Semilavorato
Termo Bianco [Ta vasca | Marmo bianco | Frammentario,Va coppa? Marmo bianco
[Frammemaro, ansato, comice ionica, omati floreali
OLIMPIA (Elio) 140 Ninfeo di | Dall'angolo SE | Marmo bianco] Via bacino Erode Attico | del tempio di Hera 121 Terme di [In situ Marmo bianco. [Ta vasea? Kladeos grigio ORDONA (Foggia) 183
448
Marmo bianco]
Vila piatto
[85 1192
Grandi dimensioni | Medio dimensioni | Piccole | dimensioni
B Medie dimensioni Piccole dimensioni
OSTIA ANTICA (Roma) 33 Case a Tr situ? Granito grigio | Frammentario, VII | Medie Giardino, fontana del Foro a piatto dimensioni. 163 Caseggiato [In sim Marmo bianco — [Il a bacile 62 del Termopolio, (rilavorato) cortile 55 Decumanus | Da Ostia antica | Africano, varietà | Semilavorato II a | 196 maximus, verde catino Oratorio. cristiano 75 Domus delle In situ Portasanta Semilavorato Va [95 Colonne, cortile. conca 87 Edificio fuori [Dall Edificio? | Cipollino Semilavorato IV a | 155 Porta Marina, conca cortile 7I Giardino [Da Ostia antica | Giallo amico |Semilavorato IV a | 39,5 presso gli Uffici a conca 24 Magazzino — | Via del Basanite TL a bacile 79 Serapeo. 5 Ninfeo degli In situ Giallo antico [Ml a catino 85 Eroti 70 Piazzole dei |Da Ostia antica | Giallo antico |Semilavorato Ta | 103 marmi bacile 76 Piazzole dei |Da Ostia antica | Portasanta Semilavorato Va [91 armi coppa 52 Piccolo Da Ostia antica | Afficano, varietà |Semilavorato, | Grandi Mercato rossa frammentario |dimensioni 61 Piccolo Edificio fuori | Pavonazzetto | Semilavorato Ill a | 123 Mercato Porta Marina, catino aula 166 Piccolo | Da Ostia antica | Marmo bianco |ITabacile,con 197.5 Mercato toro c listello 167 Piccolo | Da Ostia antica | Marmo bianco | Semilavorato Ill a | 36 Mercato catino 168 Piccolo |Mitreo della | Marmo bianco [IM a catino, con |60 Mercato, planta pedis iscriz, Grottoni 169 Porta Marina | Da Ostia antica | Marmo bianco | Semilavorato Il a | 48,5 (ingresso scavi) catino 78 Domus Tn situ Verde aniico | Frammentario — |130x 104 Fulminata. max, 164 Terme dei | Dal caldarium | Marmo bianco | Via bacino 187 Cisiarii o frigidarium?. 111 Terme del [Dalle terme | Brecciadi Sciro | Semilavorato Va |67 Filosofo coppa 165 Terme del [Tn sin Marmo bianco — |Semilavorato Ml a | 87 Foro, forica catino 72 Terme della | Dalle terme | Giallo antico |Frammentario |? Marciana
449
88 Thermopolium| In situ? Cipollino di Diana 86 Via dei Vigili [Dalle terme | Cipollino solto via dei Vigili? OTRANG (Trier-Germania) Geo [Dalle terme? PARIGI 26 Love 2 Louvre
|Roma, Marmorata |Roma, Marmorata
PERGAMO (Misia) 40 Cave sil Tmsim monte Kozak 41 Cave sul — In situ monte Kozak 57 Kizil Avlu | Tn situ? (cd. Basilica. rossa) 67 Kizil Avia | Tn situ? (cd. Basilica. Rossa) 65 Museo Dalle terme del Piccolo Ginnasio, frigidarium PERGE (Pamphylia) 112 Via Troim colonnata, ninfeo F3
450
[Arenaria
FrammentarioTa vasca? Ta vasca
[Via bacino
Alabastro fiorito | Ta vasca, divinità marina nel centro Alabastro Norito [Ta vasca, gorgoneion nel centro
Granito grigio, misio Pavonazzetto
|Medie dimensioni 228
[110
[215 199
SemilavoratoTa [415 vasca |SemilavoratoI a [320 vasca |Frammentario |Medie dimensioni?
Giallo antico [Il a bacile |Greco seritto | (simil-)
|Vacoppa
Piccole dimensioni 120
Marmorosa brecciato
|Viabacino
[138
]
POMPEI (Campania) 154 Casa dei Cell, atrio 155 Casa delle Nozze d'Argento, atrio, impluvium 103 Casa dei Vettii, peristilio 123 Casa dei Vesti, peristilio 156 Casa dei Vettii peristilio 157 Casa dei
[In situ
Marmo bianco
[Tn situ
Marmo bianco
Tr Tr Tr Tr
Bigio di Lesbo coppa Bardighio TV a conca Marmo bianco | Va coppa (Paros 2) Marmo bianco | Vil apiatto —
158 Foro Triangolare 104 Magazzino del Foro 124 Magazzino | del Foro 159 Magazzino del Foro 183 Magazzino | del Foro 184 Tempiodi Apollo, quadriportico 160 Terme del — Foro, caldarium maschile 125 Terme del — Foro, palestra 126 Terme Stabiane, caldarium femm.
Tr situ Marmo bianco — [la bacile |Dagli scavi | Bigio di Lesbo [IVa conca Dagli scavi | Marmo grigio | Ita bacile (Bardiglio? |Dagli scavi |Marmo bianco [Ila bacile, cornice ionica Dagii scavi | Pietra calcarea — [IV aconca locale [In sim Pietra calcarea — [la bacile locale [In situ Marmo bianco | Ia bacino, con iscriz. [In situ Marmo grigio [Ita bacile (Bardiglio?) Te sim Marmo grigio |Viabicino
Vettii, peristilio
situ sim situ situ
POTSDAM (Berlino-Germania) 3 Castello di | Terme di Klein-Glienicke | Caracalla ? 23 Castello di Klein-Glienicke
[lVacona, 144,5 foglic e teste forine | VIII, lussuoso | 78
(Paros 2)
Porfido, Basanite
VIII, lussuoso Tra bacile
54 $2 65 |74 TH 80 97 385 725 106 | 239 Tor [215
Grandi dimensioni 108,5
451
PRIENE (Caria) 122 Chiesena bizantina RICHMOND (Gran Bretagna) 3 Doughty Commercio House antiquario
Marmo grigio | Frammentario IV a | Medie locale conca? dimensioni Porfido
Ta vasca
188
ROMA 89 Antiquarium [Dai depositi__| Cipollino Semilavorato Ill | 101 del Celio. lungo il Tevere? o1V? 73 Antiquarium | Foro Romano | Giallo antico [lia bacile 112 Forense. 170 Antiquarium | Dall'area del |Marmo bianco | Vill, lussuoso, |215 Forense sacrario di lunense cornice ionica, Giuturna fregi vegetali e baccellature 63 Antiquarium | Palatino Pavonazzetto [VII a piatto, con | Medie Palatino iseriz, dimensioni 171 Basilica di S. | Prec. giardino dei | Marmo bianco | VIL VIII 62 Giovanni, Padri Pallottini magazzini 14 Basilica di S. | Tivoli, Villa [Porfido Ta vasca 256 Maria Maggiore | Adriana? 15 Chiesa di S. | Settizodio Porfido Ta vasca 260 circa Maria Antique 90 Edificio Tn situ Cipollino lVacma? [TI romano sotto Museo Barracco 16 Galleria Porfido Tra bacile ss Borghese 50 Lungotevere | Porto Granito rosa [Ta vasca 340 Aventino 19 Magazzini — [Templum Pacis |Porfido VIII, lussuoso [350 Comunali 17 Musei Porfido 7 Grandi apitolini, dimensioni magazzini 79 Museo Scavi del Verde antico [Il a bacile 39 Capitolino. Governatorato 105 Museo Nelle fondazioni | Marmo bigio [il a bacile, con | 108 Nazionale del Teatro morato protomi leonine Romano Drammatico Nazionale, via IV Novembre 452
172 Museo Nazionale Romano 173 Museo Nazionale Romano 18 Museo Torlonia 30 Museo Torlonia
Marmo bianco
[Ila bacile
132
LargoS. Susanna | Marmo bianco | Frammentario II | Medic abacile, con | dimensioni cornice ionica Porfido IV a conca Piccole dimensioni Prec Villa Verde antico — [Ua catino 185 Medici Collezione Albani 20 Palatino Palatino, Vigna | Porfido, Ta vasca Me Barberini, dimensioni iardino 174 Palatino, _ | Edificio Marmo bianco [VI a bacino 172,5 pendici sett repubblicano, ambienti termali, frigidarium 66 Palazzo Prec. collezione |Serpentina Ta bacile 148 Altemps Ludovisi moschinata 109 Palazzo dei Breccia Tra bacile 170,8 Conservatori corallina SI Palazzo Verde antico — [IVa conca 174 PallaviciniRospigliosi 38 Piazza Cairoli | Presso S. Carlo ai | Granito grigio |Ta vasca 310 Catinari (ares — |del Foro teatro di Balbo) 36 Piazza del | Chiesa dei SS. | Granito grigio |Ta vasca Gio Quirinale Luca e Martina. | del Foro Pertinente all’Impluvium del Com (Lanciani, Varming)? 175 Tenuta Marmo bianco | Frammentario IV | Piccole Colonna (Borgata a conca, dimensioni Ottavia) baccellato 37 Via dei Fori | Dagli scavi di | Granito grigio |VII, lussuoso | 190 Imperiali Porto. Un tempo | del Foro in Palazzo Montecitorio 5T Via dei Terme Neroniane-| Granito rosa — [Ya vasca 330 Staderari (Palazzo | Alessandrine Madama) 21 Villa Albani Porfido Frammentario | Non VIII, lussuoso? | rilevabili 4 Villa Albani Pavonazzetto — [IV aconca, 120 seanalato 453
DI Villa Albani 39 Villa Albani 23 Villa Giulia | Collezione Farnese? Proc. a Napoli, Mus.Arch.Nazionale 53 Villa Medici, | Terme di Tito — piazzale oppure presso antistante Chiesa di S. Giovanni della Malva? 176 Villa Medici, | In situ? iardino
Cipollino Tra bacile 13 Granito grigio [1a vasca Grandi dimensioni Porfido Ta vasca, rosone | 205 nel centro [Africano rosso |Ta vasca
HH
Marmo bianco [VI a bacino
Medie dimensioni
ROTTWEIL (Germania) 189 Chiesa di S. | Terme sotto Ia | Non rilevabile | Vi abacino Pelagio Chiesa di S. Pelagio
[210
SABRATHA (Tripolitania) 102 Musco |Da Sabratha Punico
[Marmo bigio
]Semilavorato Va coppa, con iseriz,
SALONICCO (Macedonia) TAT Rotonda di S. Giorgio
Marmo bianco
[Ta vasca
180
SETTEFINESTRE (Ansedonia-Etruria mer.) 127 Villa Tn situ, Marmo grigio romana caldarium (Bardiglio? 128 Villa Im situ, atro |Marmo grigio romana. (Bardiglio?)
[Ma bacile [Ta bacile
105 130
SIMITTHUS (Numidia) 68 Cave, Tn sini? Praesidium romano.
Semilavorato V a[ 148 coppa
454
Giallo antico
[66,5
SPARGI (Sassari)
Gai
[in sim (nauiragio)] Marmo bianco
SPARTA (Laconia) 142 Tono [In star
|M abiele —
socks
—]
Marmo bianco” [Il a bacile anseto, | Piccole comice con foglie | dimensioni d'acqua
STABIA (Campania) 139 Magazzino Villa San Marco, [Marmo grigio | Frammentario IV | Piccole terme, (Bardiglio?) |a conca? ansato | dimensioni apodyterium. TARANTO (Puglia) GO Prefemura | Punta Scifo (naufragio) TARQUINIA Etruria mer) 129° Ara della | Tn si Regina
| Pavonazzetto
Bardiglio
| Semilevorato IV a] 210 conca VI a bacino,con [300 iscra
TRIER (Germania)
TEL Rheinisches [ Polich, villa, Landesmuseum |bagni TRIESTE 185 Lapidario, Castello diS. Giusto 186 Lapidario, Castello di S. Giusto 187 Lapidario, Castello di S. Giusto 188 Lapidario, Castello di S. Giusto
| | | | | | | |
| Pietra calcarea [Ila corno, — [94 baccellato
Pietra Tempio della Bona Dea Nabresina Pietra romana Tempio della | Pietra Bona Dea Tempio della | Pietra Bona Dea
calcarea
Semilavorato IT a] 60,5 catino, con iscriz calcarea | Frammentario III | Piccole a catino, con | dimensioni iscriz. calcarea | Semilavorato IIT a] 63 catino calcarea [INa catino, con_[61 iscriz.
455
URA (OLBA) (Cilicia) [182 Ninfeo
Tin situ
[Pietra calcarea]?
[i60
]
VENEZIA 10 Basilica di S. Marco.
Porfido
Tra bacile
150
[lia bacile
Piccole dimensioni
Ta vasca
bn
Ta vasca.
Grandi dimensioni
VENTOTENE (isole Pontine) 162
Santo Stefano | Marmo bianco (naufragio)
VERONA TI Basilica di S._] Zeno
Dalle terme o da | Porfido un quartiere residenziale? 106 Piazza delle | Terme romane? | Rosso Erbe ammonitico COLLEZIONI PRIVATE Ds
456
I
[Basanite
[ia tacie?
112
]
INDICE DEI
Numerazione progres PORFIDO ROSSO: 1 Copenhagen 2 Magdeburg 3 Montecassino A Napoli di L. 8 5 Napoli 6 Palermo, 7 Verona di L- IT S Roma 9 Roma di L. 14. 10 Roma 11 Roma 12 Roma 13 Roma 14 Roma 15 Roma di L. 8T
MATERIALI
DEI
SUPPORTI
(S.)!
Tipologia.
Altezza
Tb Tb Ta Bb TI B, b+ Pinto Ta JU B. mA TB. a Ib Tb Ta ENI Ta Ib
[5] 91 57 985 S6 circa +33 53 SÌ 75 71 Er] 473 69 64 64. 65
BASANITE: 16 Città del Vaticano Ta 17 Collezione privata di L. 25 | scanalato
733 63
GRANITO DEL FORO: 18 Parigi di L. 26. 19 Parigi di L. 27 20 Bolsenadi L, 32,
ED
Ta Ta IU B.E
* Nel caso di supporti tenenti tuttora Jabra, si è proceduto all'inserimento di essi nella numerazione generale dei supporti, mettendo nel catalogo dei supporti il riferimento alle singole schede relative del catalogo dei Jabra. Con l'indicazione. “fi.” Si precisa che il supporto è rotto e di conseguenza l'altezza non è quella
originaria.
457
ZI 22 23 24 25 26
Cini del Vaticano di L 33 Cini del Vaticano di L:35__| Roma Roma. Roma WL 36 Roma diL. 53
77 Cini del Vaticano 1.1900)
[8.6 HLA. I B.E TUB. THB. THB.
3 78-75 E
TB
GRANITO ROSA. TE Alessandria dL. 46 29 Londra diL 28 30 Tolemside
IV Tb ib
[3
AFRICANO, varietà rossa 31 Ostia 32 Ostia
Du Semilavorato TI
$5 75
AFRICANO, varietà verde: [3 Roma PAVONAZZETTO: 37 Legs Magna 35 Crotone di L. 38 36 Crotone di I. 39 37 Crotone 38 Crotone 39 Taranto dT. @ 40 Ostia 41 Cità del Vaticano dT. 62 42 Roma di L. 64
458
vs
[a
mi tO] ‘Vb (senza poiture) 17 cies V (senza politura) Base modanata (senza potum] | 31.7 Tb (Genza politura) 30 V b (senza politura) 29 ib 26 1a in 7
GRECO SCRITTO [33 colle private
Dr
ICH
LUMACHELLA: [3 Napoli
Tug
[59
PORTASANTA: 35 Corinto 46 Corinto 47 Cos 48 Delos 49 Efeso 50 Efeso 51 Efeso 52 Epidauro 53 Ostia 34 Osti
Wo IVO, IVO nb Tb, Vb IVO, vb Semilavorato IL Semilavorato IL
31 29 30,5 70 33 26 36 18 86 74
VERDE ANTICO: [55 Corinto
[Semitavorato Il
105
ROSSO ANTICO: 5% Mani, penisola di (Grecia) | Semilavorato I . 57 Rodi, Ta 58 Ostia Tal CIPOLLINO: 39 Ercolano di L. 84 60 Ercolano di L. 85 61 Ercolano 62 Pompei 63 Pompei diL. 104 64 Pompei di L. 125 65 Ostia di L. 163 66 Ostia di L. 24 67 Ostia 68 Ostia
Im Im Ib Ib Tb Tb Lb ecc Ib Tb Jb
]
70 33
65 69 69 79 76 67 79 GIS 67 459
© Osta 70 Cit del Vaticano
Senilavorato IT Ib
MARMI BIGI: Ti Lesbo 72 Lesbo 73 Lesbo 74 Mileto 75 Mileto 76 Mileto TI Pergamo di. 65 78 Pergamo 79 Pompei (lumachellato) 155
Semilavorato V (cava) [46 Semilavorato TT (cava) — [80 Semilavorato IT (cava) — [74 Ta 30 Ta 38 hn 60) ib 60 circa Vh
GABBRO EUFOTIDE. [S9 Cii dei Vaticano: ROSSO AMMONITICO: SI Verona di L_ 106 82 Ostia 83 Ostia BRECCIA DI SCIRO #4 Dion 35 Thasos 36 Napoli 87 Ostia
di L.
DI 83
| Ib
74
[uv
1503
We VI VI
3 (nero) 58,5
T Ta m ib
39 40) 39 $3
MARMO ROSSO BRECCIATO Eis Live
Ds
460.
MARMI GRIGI 39 Calcide 30 Delos S1 Dion 32 Dion 93 Dion 94 Dion 95 Dion 96 Ercolano 97 Pompei 98 Pompei di L 123 99 Pompei diL. 124 TOO Pompei 101 Pompei 102 Pompei 103 Pompei 104 Pompei di L. 183 105 Città del Vaticano 106 Roma di L. 91
TB Ta Ta Tb ecc. Tb Ib Lb ecc. Ib mb lib Ta [ri II a (senza politura] IVO Ta nb Ta mb
MARMI BIANCHI: 107 Ambracia. Ib 108 Ambracia Ta 109 Amicle Ta 110 Amphipolis (Macedonia) | Ta 111 Amphipolis Ta 112 Amsterdam Ta 113 Argo. Ta 114 Argo Ta 115 Argo Ib 116 Argo Ma 117 Argo Ta 118 Argo ib 119 Argo Ta 120 Argo Ib 121 Argo Ta 122 Avenches (Svizzera) Tb 123 Avenches Tb 124 Avenches (disperso) ib 125 Calcide Ta 126 Calcide Ta 127 Cirene [n 128 Cirene Ta 129 Cirene Ta 130 Cirene IVO
0 circa 63 50 circa 80 60 60 90 65 70 6677 59 50 60 22 59 63 58 63
60 circa 5 65 54,7 Fr Fr. 60-65 60-65 60-65 60-65 Tr. 60-65 To circa. 875 circa 50-60 30-60 44 62 38 46 461
131 132 133 134 135 136 137 138 139 140 141 142 143 144 145 146 147 148 149 150 151
162 163 164 165 166 167 168 169 170 171 172 173 174 175 176 177 462
Cirene Delos Delos DelosiL. 131 Dion Dion Efeso Efeso Epiduaro Eretria Eretria Filippi Kalamata Kalamata Kavala di L. 137 Leptis Mani, penisola di Mileto, Mileto Mileto, Mileto Mileto, Mileto Mileto, Mileto, Mileto Mileto, Mileto, Mileto Mistrà Mistrà Mistrà Mistra Misträ Pella Pella Pergamo Rodi Salonicco Thasos Thasos Thasos Varsavia Varsavia Varsavia Veria (Macedonia) Boscoreale di L. 74
Semilavorato Ta a ib Tb Ta? Tb Ve Ta Ta 1b pn Ib Ib Ta Tra Semilavorato Ta Ta Ta Semilavorato Ib Tb Tra Ta Ib Tb Semilavorato Ib Jb Ta nn Ta Ta, con iscriz Ta Ta Ta la Ta Ta ‘Semilavorato Ib Ta Ta Ta Va Ta
II
GI 67 60-70 55 60 circa 36 62,7 60 60 circa 57 61 60 circa 70 circa.
I Il
I
IT
E 37 30 60 60 60 60 60 60 60 45 70 64 50. 61 55 5 38 65 65 60,
circa circa. circa circa circa. circa (fc
50 66, 76 58 AT 38 165. 38 60
178 179 180 181 182 183 184 185 186 187 188 189 190 191 192 193 194 195 196 197 198 199 200 201 202 203 204 205 206 207 208 209 210 211 212 213 214 215 216 217 218 219 220 221 222 223 224
Boscoreale di L. 14 Napoli di L. 147 Napoli di L. 148 Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Napoli Pompei Pompei Pompei Pompei Pompei Pompei di L. 154 Pompei Pompei Pompei Pompei Pompei Pompei Pompei Pompei Pompei Pompei diL. 103 Pompei di L. 156 Pompei di L. 157 Pompei Pompei Pompei Pompei Pompei Pompei diL. 158 Pompei Pompei Pompei Pompei
ib Ta la 1, con cespo vegetale 1, con cespo vegetale Ta Ta Ta lla la Ta Ta Ta Ta lla Ta Ta Ta Ta Ta II a (senza politura) Tb Ila Ila 1, con cespo vegetale IVO We Im Ta la lla Tb (senza politurz) Ta la la na Tb Ta Ta TL b (senza politura) IIb (senza politura) Ta (senza politura) Ta Ta 1, con cespo vegetale Ia la
33 67 63 29 36 56. 62 57 67 64 65 385 36 53 90 60 41 71 51 463
225 226 227 228 229 230 231 232 233 234 235 236 237 238 239 240
Pompei diL. 184 Pompei Spargi di L. 161 Ostia di L. 75 Ostia di L. 69 Ostia Ostia. Ostia Ostia. Ostia Ostia di L. 164 Ostia di L. 165 Città del Vaticano, Città del Vaticano Roma di L. 172 Roma.
PIETRE LOCALI: DAI Argo 242 Argo 243 Argo 244 Argo 245 Astros 246 Cirene 247 Cirene 248 Cireno 249 Cirene 250 Cos 251 Rodi 252 Tolemaide 253 Tolemaide 254 Napoli 255 Napoli 256 Napoli 257 Napoli 258 Napoli 259 Napoli 260 Pompei 261 Pompei 262 Pompei 263 Pompei 264 Pompei 265 Pompei 266 Trieste di L. 185 267 Trieste di L. 187 464
Ta la Ta Ta Ta Ib Tb IV b (senza politura) Wa Wb JI ottagonale Vb Ta Dn Vb Ta
68315 64 26 49 37 33 sE 365 38 39 723 20 5a 66.5 34 50
Ta Ia Ta Ta nn Ila Ta Ib ney Ta Ta Semilavorato IL b Ila Ta Ta Ta Te Ta a Ta Ta Semilavorato IL b IVO Ta Ta Tb Ib
60-65 60-65 60-65 60-65 50 31 50 60 61 54 395 61 48-52 48-52 48-52 48-52 48-52, 48-52, 68 35 34 27 61 60,
268 269 270 271 272
Trieste di L_ 188 Ostia Ostia. Ostia. Città del Vaticano
IB Ta Ib Ta Tb
47 66 54 69
INDICE TOPOGRAFICO DEI SUPPORTI (S.) Numerazione Provenienza — Materiale ALESSANDRIA (Egitto) 78 Museo greco Granito rosa romano (L. 46) AMBRACIA 107 Museo 108 Museo AMICLE (Sparta) 109 Chiesa di Prophitis Elias AMPITIPOLIS (Macedonia) 110 Basilica T 111 Basilica A AMSTERDAM 112 Allard Pierson Museum ARGO TI Museo 114 Museo 115 Museo 116 Museo 117 Museo 118 Museo
Tipologia.
Dimensioni
[16
Marmo bianco Marmo bianco
[1b [1a
Marmo bianco
[Ta
Marmo bianco Marmo bianco
[la [lia
$5 $5
Marmo bianco]
Wa
Ex]
armo Marmo Marmo Marmo Marmo Marmo
bianco bianco bianco bianco bianco bianco
[Wa [Ua |b [Ma (one) [Ita [IIb
GO circa
Fr Fr 60-65 | 60-65 60-65 60-65 467
TIS 120 121 241 242 243 244
Museo Museo Musco Museo Musco Musco Museo
Marmo bianco [Ila Marmo bianco [Ib Marmo bianco [Ta Pietra vulcanica [Ila Pietra vulcanica | Ta Pietra vulcanica [Ila Pietra vulcanica [lla
ASTROS 245 Monastero di Loukous.
Pietra lavica — [Ia mera
AVENCHES (Svizzera) 122 Teatro Marmo bianco 123 Pré-Vert Marmo bianco 124 (disperso) [Derrière la Tour | Marmo bianco BOLSENA 20 Via Roma (1.32)
| Bolsena, Tempio | Granito grigio di Apollo
BOSCOREALE 17 Villa di Tn situ N.Popidius Florus, frigidarium (1.79 178 Villa di Ta sim N.Popidius Florus, caldarium (L. 144) CALCIDE 59 Museo 125 Museo. 126 Museo.
468
Fr 60-65
[Ib (forato) lib. [IIb
30
[70 circa 48, 75 circa
[IB
>
Marmo bianco
[Ta
$0
Marmo bianco
fib
$6
Marmo bianco. rigiastro Marmo bianco Marmo bianco
Tb, Kalathos | 60 circa vegetale. Ta 30-60 Ta 30-60
CIRENE 127 Foro 128 Piccole Terme
Marmo bianco — [Ma (pentelico) Marmo bianco — [lla,con (pentelico?) capitello Proconnesio Ta Proconnesio We
129 Santuario di Apollo 130 Santuario di Apollo. 131 Santuario di Apollo 248 Santuario di Apollo 249 Santuario di Apollo 246 Scavi, presso. ‘Agorà 247 Scavi, presso Agorà
Proconnesio Semilavoratollb Calcare Ib Pietra vulcanica — llb Pietra vulcanica — [lia nera Pietra vulcanica [Ma nera.
CITTÀ DEL VATICANO 27 Cortile del Terme di Belvedere (L. 35) | Traiano? 27 Giardini Vaticani (L. 190) 16 Musei Vaticani Roma, Valle doll"Infernetto 70 Musei Vaticani 30 Musei Vaticani 105 Musei Vaticani 237 Musei Vaticani 238 Musei Vaticani 272 Musei Vaticani 21 Piazza S.Pietro (L.34) COPENHAGEN T Ny Carlsberg Glyptothek.
|Roma
Granito grigio Granito?
[MA BO
Basanite |Pavonazzeto Cipollino Gabbro eufoude Bardigho Marmo bianco — Marmo bianco — lunense Calcare Granito grigio —
Ta [Ia ie [Ib Ta [Ta [lla
Porfido,
nu [II Bib
Tb
EI 162 EJ 36 | 61 $0 Gi ESI Mm)
DI E 50,5 58 34 66,5 $9
©
469
CORINTO 35 Basilica di Lechaion 45 Strada del Lechaion 46 Museo
Verde antico Portasanta Portasanta
cos 250 Agorà, Basilica. protocristiana del Porto 47 Decumanus CROTONE 35 Museo civico (L.58) 36 Museo civico (L. 59) 37 Castello 38 Museo civico
| Punta Scifo (naufragio) | Punta Scifo (naufragio) Punta Scifo (naufragio) | Punta Scifo (naufragio)
| | | |
[Semilavorato 11 [IVb [IVb
[105 3T 29
Pietra lavica
Ta
34
Portasanta
We
305
Pavonazzeto — [V b Genza T7 circa politura) Pavonazzetto | Vb (senza politura) Pavonazzetto | Base modanata_| 41,7 (senza politura) Pavonazzetto [Ib (senza 30 politura)
DELOS 38 Casa del Dioniso 90 Casa nel quartiere ellenistico 132 Casa nel quartiere. ellenistico 133 Casa nel quartiere. ellenistico. 134 Quartiere del Teatro(L. 131)
470
Tn situ
Portasanta D Marmo grigio — |a
70 GI
[Tn situ
Marmo bianco
[la
$7
| Jn situ
Marmo bianco
[ita
60-70
[In situ
Marmo bianco
| 1b
35
DION $4 Museo 91 Museo 92 Musco 93 Museo 94 Museo 95 Museo 135 Museo 136 Museo.
Breccia Marmo Marmo Marmo Marmo Marmo Marmo Marmo
EFESO 30 Chiesa di S. Giovanni 51 Chiesa di S. Giovanni 138 Ginnasio del teatro 49 Prytaneion 137 Prytaneion EPIDAURO 139 Basilica cristiana. 52 Teatro ERCOLANO 96 Casa del Salone Nero 61 Casa del Tramezzo carbonizzato, atrio, impluvium 59 Terme del Foro, ‘apodyterium maschile (L. 84) 60 Terme Suburbane,
[In situ Tn situ
di Seiro [Tb grigio [la grigio [Ib ecc. grigio — [llb grigio — [IIb grigio — [I b ecc bianco — IIb. bianco 1a?
30. 50 circa 80 60 60 (f 90 60 circa Fr.
Portasanta Portasanta Marmo bianco efesino Portasanta Marmo bianco efesino
Dz3 Wo [Vb Ib [ID
26 36 927 3m) 36
Marmo bianco Portasanta
[Ta vb
$0 Tg
Marmo bianco. grigiastro Cipollino
[Mb Tb
$5 [7]
[In situ.
Cipollino
TE
$5
Tn situ
Cipollino
Tb
$9
caldarium (L. 85)
ET
ERETRIA 140 Museo TAT Museo
FILIPPI 142 Chiesa Ottagona
terme.
Marmo bianco (Proconnesio o Paros 2) Marmo bianco. (Proconnesio o Paros 2)
lia
60 circa
T5
57
Marmo bianco di Filippi
[lla
$1
KALAMATA 143 Museo 144 Museo
Vassliko
KAVALA 145 Museo (L. 137)
Marmo bianco di Mani | Marmo banco di Mani
[Ib [Tb
Marmo bianco tasio di Ali
[Ta
[Marmo bianco
[ia
60 circa TO circa
LEPTIS MAGNA (Libia) [136 Ingresso scavi T
LESBO TI Distretto di [In siu Moria (cave) 72 Distretto di |n situ Moria (cave) 73 Distretto di | In situ Moria (cave)
472
Bigio di Lesbo [ Bigio di Lesbo | Bigio di Lesbo |
I
Semilavorato V — 46 (cava) Semilavorato II 180 (cava) Semilavorato I [74 (cava)
LEPTIS MAGNA
Dieu
— T
LONDRA D Beh Museum (L. 28) MAGDEBURG [puso — Tias MANI, penisola di S6 Kein 147 MILETO 148 Ginnasio 74 Musso, 75 Museo 76 Museo 149 Museo 150 Musco TST Museo 152 Museo 153 Museo 154 Museo 155 Museo 156 Museo 157 Museo
158 Musco
[pavonazzetto Gutes
[Toro
[16 —
VET]
[I5
[hay
— [51
Rosso antico — [Semilsvorato II [76 Marmo bianco — | Semilavorato TI [58
Marmo bianco di] Eraclea Bigio di Eraclea Bigio di Eraclea Bigio di Eraciea Marmo bianco di] Eraclea Marmo bianco dif Eraclea Marmo bianco di] Eraclea Marmo Bianco dip Eraclea Marmo bianco dip Eraclea Marmo bianco di] Eraclea Marmo bianco di Eraclea Marmo bianco di] Eraclea Marmo bianco di Eraclea Marmo bianco di] Eraclea
Tra [Ta [Ia [116 1a Tra Semilavoratoll 1b Tb Tra Ta 1b
37 30 38 60 30 To [69 GO circa [I GI circa GI circa [I
IT b
‚45 circa (fr.)
Semilavora- 170 toll 473
159 Piazza a nord del Delphinion
Marmo bianco di Eraclea
oF
MISTRA* 160 Chiesa Metropolis 161 Chiesa Metropolis 162 Chiesa Metropolis 163 Chiesa Metropolis. 164 Chiesa Metropolis
Marmo Marmo Marmo Marmo
30 dI EE 39
MONTECASSINO 3 Musco Casinum, tempio cll Abbazia. di Apollo
Porfido
NAPOLI 7 Musco Archeologico Nazionale (L. 8) 5 Museo Archeologico Nazionale 44 Musco Archeologico Nazionale 86 Museo Archeologico Nazionale 179 Museo Archeologico Nazionale (L. 147) 180 Museo Archeologico Nazionale (L. 148) 181 Museo Archeologico Nazionale
474
bianco bianco bianco bianco
Marmo bianco
Ta, con iscriz.
38
Ta (forato)
37
Porfido
TBD
98,3
Porfido
TBD Plinto Tb
36 circa + 23
‘Area vesuviana? Breccia di Sciro
mo
9m)
Pompei
Marmo bianco
Ta (torile)
‘Area vesuviana?
Marmo bianco
Ta
Rome, terme di Caracalla, frigidarium ‘Roma, terme di Caracalla, frigidarium ‘Area vesuviana?
Lumachclla
‘Area vesuviana? Marmo bianco
T con cespo Vegetale
30
30
182 Museo Archeologico Nazionale 183 Museo Archeologico Nazionale 184 Museo Archeologico Nazionale 185 Museo Archeologico Nazionale. 186 Museo Archeologico Nazionale 187 Museo Archeologico Nazionale 188 Museo Archeologico Nazionale. 189 Museo Archeologico Nazionale. 190 Museo Archeologico Nazionale 191 Museo Archeologico Nazionale 192 Museo Archeologico Nazionale 193 Museo Archeologico Nazionale 194 Museo Archeologico Nazionale 195 Museo Archeologico Nazionale 196 Museo Archeologico Nazionale 254 Museo Archeologico Nazionale
Arca vesuviana?
Marmo bianco
T con cespo vegetale
36
Area vesuviana?
Marmo bianco
Area vesuviana?
Marmo bianco
Tra (forato)
EJ
Area vesuviana?
Marmo bianco
Ta
33
Area vesuviana?
Marmo bianco
Ta
55
Area vesuviana?
Marmo bianco
Ta
30-53
Arca vesuviana”
Marmo bianco
Ta
30-55
Arcs vesuviana?
Marmo bianco
30-53
“Area vesuviana?
Marmo bianco
3933
Area vesuviana? Marmo bianco
5156
Area vesuviana? Marmo bianco
3156
Arca vesuviana?
Marmo bianco
32-56
Area vesuviana?
Marmo bianco
Area vesuviana?
Marmo bianco
$5
‘Area vesuviana?
Marmo bianco
65
‘Area vesuviana?
Calcare tipo Sarno
4852
38
475
255 Museo Archeologico Nazionale 256 Museo Archeologico Nazionale 257 Museo Archeologico Nazionale 258 Museo Archeologico Nazionale 259 Museo Archeologico Nazionale OSTIA 65 Caseggiato — del Termopolio, cortile (L. 163) 82 Decumanus ‘maximus, Aula di Marte e Venere. 228 Domus delle Colonne, cortile (L.75) 32 Edificio fuori Porta Marina. 54 Edificio fuori Porta Marina. 69 Edificio fuori Porta Marina. 66 Magazzino (L. 24) 232 Museo, ingresso 233 Museo, ingresso 234 Museo, ingresso 229 Ninfeo degli Eroti (L. 69) 67 Piazzole dei 31 Piccolo Mercato 40 Piccolo Mercato 476
‘Area vesuviana? | Calcare po Samo
[la
4852
Area vesuviana? | Calcare Sarno ‘Area vesuviana? | Calcare Sarno “Area vesuviana? | Calcare Sarno ‘Area vesuviana? | Calcare Sarno
tipo —
[Ifa
48:52
ipo
[Ila
48-52
tipo —
|Ta
48-32
ipo
[lla
33:52
Cipollino
Weve.
79
Rosso ammonitico
E
"41 (interrato)
Marmo bianco
[la
39
[In situ
[In situ [In situ | In situ | Tn situ
7n situ
Africano, varietà | Semilavorato | 75 rossa i Portasanta Semilavorato | 74 I Cipollino ‘Semilavorato [94 I Cipollino Tb Marmo bianco |IVb enza 136,5 politura) Marmo bianco [lVa 3g (strigliato) Marmo bianco |IVb 39 Marmo bianco [lla 37 Junense Cipollino mb $45 Africano rosso [lb Pavonazzetto | IVb (forato) Brecciato
$3 126
38 Piccolo Mercato 68 Piccolo Mercato 87 Piccolo Mercato 230 Piccolo Mercato 269 Piccolo Mercato 270 Piccolo Mercato. 271 Piccolo Mercato 53 Porta Marina, decumanus 83 Presso Ta Sinagoga 235 Terme dei — Cisiarii (L. 164) 236 Terme del — Foro, forica (. 165) 231 Via dei Molini PALERMO 6 Museo Archeologico Nazionale PARIGI 18 Louvre (L. 26)
Rosso amico Cipollino
| Ta? Jb
235 (80) $7
Breccia di Sciro | Il Marmo bianco [Ib Calcare bigio [Ma (della Tolfa?) Calcare grigio | Ib (forato)
$5 33 3705) |66
[In situ?
Ta E Semilavorato | 86 ul Rosso vi SES ammonitico Marmo bianco | II ottagonale [72,5
[In situ?
Marmo bianco
[VB
20
Marmo bianco
[IIb
Br)
| Edificio fuori Porta Marina
Calcare | Portasanta
Porfido,
Roma, Oni Granito del — Sforza Cesarini | Foro (Marmorata) 19 Louvre (I, 27) | Roma, Oni Granito del Sforza Cesarini | Foro (Marmorata)
Ta
53
[la [1a
477
PELLA 165 Casa di Dioniso, peristilio 166 Museo PERGAMO 167 Grande Ginnasio 77 Museo (L. 65) 78 Museo
Marmo bianco Marmo bianco,
Marmo bianco | Dalle terme del Bigio di Lesbo Piccolo Ginnasio, rigidarium Bigio di Lesbo
POMPEI 197 Casa degli Amorini Dorati, vasca del peristilio 198 Casa degli Amorini Dorati, peristilio 199 Casa Bacco, 200 Casa di L.Caecilius Jucundus 201 Casa di L.Caecilius Jucundus, peristilio 202 Casa dci Ceii, atrio, impluvium (L. 154) 203 Casa dei Celi 204 Casa dei Ceir 205 Casa dei Ceii 262 Casa del Centenario, ninfeo 263 Casa del Centenario, ninfeo
478
Tn situ.
Ta Tra
GI 5
Ta (forato) ie
© GO circa
VE
Tn situ?
Marmo bianco
Ta (forato)
$0
Tn sin
Marmo bianco
EJ
Tn sita
Marmo bianco Marmo bianco
Tra (senza politura) ny Ta
Tr sita
Marmo bianco
Ta
46
Tr situ
Marmo bianco
T, con cespo Vegetale
20
Casa dei Celi Casa dei Celi Casa dei Ceti Tn situ.
Marmo bianco, Marmo bianco Marmo bianco Tufo
VE IVO Ib Semilavorato IL b 34
Tn situ.
Tufo
ve
GI 53
37
206 Casa del — Fauno, I peristilio 207 Casa della — Fontana Piccola, atrio. 208 Casa della | Fontana Piccola, cubiculum. 62 Casa della — Fortuna, peristilio 209 Casa della Fortuna, atrio 210 Casa della Fortuna, peristilio, 79 Casa delle Nozze d'Argento, atrio, impluvium (L. 155) 97 Casa di Sallustio ZIT Casa del — Triclinio, atrio, impluvium 98 Casa dei Vettii, peristilio (L. 123) 212 Casadei — Vettii, peristilio (L. 103) 213 Casa dei — Vetti, peristilio (L. 156) 214 Casa dei Vetii, peristilio (L.157) 215 Casa dei — Vetti, peristilio 100 CasaI, XIII, giardino. 101 Casa, XIIL2, ambiente presso il giardino 216 Casa I, XIIL2, atrio, impluvium. 217 Casa I, XIIL2, atrio, impluvium
[In sinu
Marmo bianco [IIa (forato)
83
[In situ
Marmo bianco
[Ta
$7
Casa della |Fontana Piccola. [In situ
Marmo bianco
[IIa
$3
Cipollino
Tb
79
Marmo bianco
IIb (senza politura) [la
79
Bigio di Lesbo lumachellato
|Tb
74
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70
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Marmo bianco. grigiastro (bardiglio) Marmo bianco
[Ia
36
Tr sim
Bardiglio
Tb
$6*7
In situ
Marmo bianco lunense Marmo bianco Paros 2 Marmo bianco Paros 2 Marmo bianco Marmo bianco. grigiastro Marmo biancogrigiastro Marmo banco Marmo bianco
|Ta
$2
lla
37
|16
$7
|Ta [Ila [IIa (senza politura) [Ta [l b (senza politura)
$4 30 $0
Marmo bianco [In-situ
[In situ In situ [In situ
[In situ [Tn situ
36
$5 385 479
DI CasaI, XIIL2, [In situ atrio, impluvium, 219 Casa VI, XIV, [In situ 23, atrio, impluvium 220 Foro Ta sim Triangolare, porticoN (L. 158) 63 Magazzino del | Dagli scavi Foro (L. 104) 99 Magazzino del Foro (L. 124) 102 Magazzino del Foro 103 Magazzino _ | Casa del del Foro Menandro. 104 Magazzino del Foro (L. 183) 221 Magazzino del Foro 222 Magazzino del Foro 223 Magazzino del Foro: 224 Magazzino del Foro 260 Magazzino del Foro 261 Magazzino del Foro. 264 Magazzino del Foro. 265 Magazzino del Foro. 225 Tempio di [Tn situ. Apollo, quadriportico (I. 184) 226 Tempio di — [In situ Apollo 64 Terme del__| In situ Foro, palestra (L. 125) RODI 57 Musco 168 Museo 251 Museo 480
Marmo bianco
[IIb (senza politura) Marmo bianco [Il a (senza politura)
36
Marmo bianco
[ila
ED)
Cipollino Marmo grigio (bardiglio?) Marmo grigio © rosa Marmo bianco. grigiastro Marmo bianco. grigiastro Marmo bianco Marmo bianco
Tb [Ha
76 39 22 59 63 © E
Marmo bianco Marmo bianco Travertino Travertino
JIVE [Ta [I5 [Ta |l, con cespo vegetale. [lla [IIa Ta Ta
7i 5i $8 35
Calcare Calcare Marmo bianco
Ta Ta [lla
Gi (fe) 9m) 68 FIS
Marmo bianco
[lla
ay
Cipollino
D
$7
Rosso antico [Ia Marmo bianco | Ma Pietra vulcanica [Ma
33
©) (f)
ROMA 3 Antiquarium del | Roma, Viadei Celio Burrò (Hadrianeum) 3 Basilica di Villa Adriana S. Maria Maggiore (L.14) 23 Basilica di S. Paolo 10 Battistero di S. Giovanni 11 Catacomba di S. Panfilo 12 Chiesa dei S . Cosma e Damiano. 13 Chiesa dei Terme di SS. Nereo e Caracalla, Achilleo tepidarium 33 Chiesa dei SS. Nereo e Achillco 14 Mitreo del Tn situ. Circo Massimo 239 Museo Nazionale Romano (L.172) 240 Orto Botanico 15 Palazzo PallaviciniRospigliosi (L. 81) 24 Palazzo Barberini 25 Piazza del Roma, Chiesa Quirinale (L. 36) | SS. Lucae Martina. Pertinente all’impluvium Comizio (Lanciani)? 32 Villa Albani (L.64) 106 Villa Albani (L.91) 26 Villa Medici | Terme di Tio (L.53) oppure presso Chiesa di S. Giovanni della Malva?
— [Porfido ? — Porfido
TTA (forato)
[75
Ba
7i
Granito del Foro |B, b
85
Porfide Porfido Porfido
ib Tb Ta
37 353 $5
Porfido
BB
$3
Africano verde
[IVb
30
Porfido
Ta (forato)
[64
Marmo bianco (tasio?) Marmo bianco Porfido
[Vb
34
[la 1b
Som. 65
[B.S _|MB,a
78-79
[Ma [Mb [MB
75 $3 3$
Granito grigio dei | Granito grigio del Pavonazzeto Marmo grigio |Granito grigio
481
SALONICCO 169 Rotonda di S. Giorgio
Marmo bianco
[lia
$0
msi (naufragio)
Marmo bianco
[Ma
26
TARANTO 39 Prefettura — | Punta Scifo (L.60) (naufragio)
Pavonazzeno
|Vbsena politura)
[29
SPARGI DIC 161)
THASOS 170 Agorà Tr situ? romana, portico SE 171 Agorà Tr situ? romana, portico SE 172 Agorà Tn situ? romana, portico SE 35 Museo 88 Museo TOLEMAIDE 252 Casa dei [in siru Capitelli ionici, peristilio 30 Museo 253 Museo
Marmo bianco tasio | Ta $6 di Aliki Marmo bianco tasio | Semilavorato | 76 di Aliki u Marmo bianco tasio | Tb E di Aliki Breccia di Sciro__ Marmo rosso brecciato
[Ila (tortile) | 406) Wb 18 (1)
Pietra vulcanica | Semilavorato Violacea mb Granito rosa Tb Pietra vulcanica | Ma mera
TRIESTE 266 Lapidario, Tempio della] Pietra calcarea — [lib Castello di S. | Bona Dea Giusto (L. 185) 267 Lapidario, | Tempio della | Pietra calcarca [Ib Castello di S| Bona Dea Giusto (L. 187, 482
[59,5 82 61
368 Lapidario, | Tempio della Castello diS. | Bona Dea Giusto (L. 188) VARSAVIA 173 Collezione Radziwill, Nicborów 174 Collezione Radziwill Nieborów 175 Museo Nazionale
Dall'ialia?
VERIA (Macedonia) [ire viso _T
[Piewa calcarea
[I5
Marmo bianco
[Ia
37
Marmo bianco
[Ta
EJ
| Marmo bianco
[lla
765
[Ve (nilo)
T3807
[Manno Bianco
VERONA. 7 Basilica di S. [Dalle teme Porfido Zeno (L. 11) | pubbliche o da un quartiere residenziale? BI Piazza delle | Terme romane? | Rosso Erbe (L. 106) ammonitico? COLLEZIONI PRIVATE 1701.25) Mercato antiquario #5 Del Bufalo | Gabi
Basanite Greco serio
ma
a
Wb
seanalato — [63 [Mb co)
483
errperererererrerererererr
perrepeoerrer
REFERENZE FOTOGRAFICHE (LABRA)
Foto: da GorTHERT 1972, tav. 82, n. 222 a Museo BarDini A. AMBROGI A. AMBROGI (L. 7 b: calco dell'iscrizione) D. BONANOME D. BonanoME A. AMBROGI A. AMBROGI Musei Vaticani Arch. Fot. neg. n. XIIL 32.18 D. BONANOME DAI Rom. neg. 1933.88- 1933.89 D. BONANOME D. BONANOME Musei Capitolini, Archivio Fotografico A. AMBROGI (a,b), Disegni G. MULAS (cd) A. AMBROGI D. BoNANOME Soprintendenza Arch. Ostia, neg. n. 494 M. Bruno A. AMBROGI D. BonaNOME D. BONANOME D. BonaNOME D. BONANOME D. BoNANOME D. BONANOME M. Bruno: M. Bruno A. GIULIANO M. Bruno M. E Rotso D. BONANOME Sovr. MMd neg. n. 28 357/304 25 D. BONANOME D. BONANOME D. BONANOME(a), M. BRUNO (b) 485
®
Fatal al al at al aioli al alalalal aint st alalaiat rerrrererrerrerrererrrerererrore
M. Bruno D. BoNANOME M. BRUNO M. Bruno D. BONANOME Mus. Vatic. Arch. fot. neg. n. XVIIL31-25 Sopr. Arch. Roma, Archivio Fotografico M. BRUNO D. BONANOME M. BRUNO D. BONANOME D. BoNANoME D. BoNANOME M. BRUNO D. BoNANOME D. BONANOME D. BoNANOME M. BRUNO D. BONANOME Musei Capitolini, Archivio Fotografico da CLL. Visconti, I Monumenti del Museo Torlonia, tav. CXXIX, n. 506 D. BONANOME D. BONANOME D. BONANOME D. BONANOME D. BoNANoME D. BoNANOME D. BONANOME D. BONANOME Da Villa Albani, II, tav. 256, n. 258 D. BONANOME D. BONANOME Sopr. Arch. Roma, Archivio Fotografico A. AMBROGI M. Bruno A. AMBROGI Musei Capitolini, Archivio Fotografico A. AMBROGI D. BonanoME M. BRUNO M. Bruno M. BRUNO M. Bruno M. BRUNO M. Bruno L. Di Blast M. Bruno
PSEUSPEEEEEEEEKE
perrerrcrererrerererererererererererereorerreerereeo
M. Bruno D. BoNANOME D. BONANOME D. BONANOME D. BONANOME D. BONANOME M. Bruno Ny Carlsberg Giyptothek, neg. n. 1663 Bruno BRUNO Bruno Bruno Bruno Bruno Bruno Bruno Bruno BONANOME BoNANOME BoNANOME Bonanome BoNANOME BONANOME GEN 35232 D. BoNANOME D. BONANoME D. BonanoME D. BONANoME D. BONANoME D. Bonanome D. BoNANOME D. BONANOME D. BONANOME D. BONANOME D. . BONANOME D. BONANOME A . AMBROGI A . AMBROGI A AMBROGI A . AMDROGI D. BONANOME D. BONANOME Lapidario Tergestino neg. n. 23148-23036 Lapidario Tergestino neg. n. 23147 Lapidario Tergestino neg. n. 23035 Lapidario Tergestino neg. n. 23034 487
REFERENZE FOTOGRAFICHE (SUPPORTI)
Foro: Ny Carlsberg Glyptothek Marburg, Bildarchiv, neg. n. 23.193 A. AMBROGI D. BONANOME
i
EBPPDODOZZIOZEZZEZvVvDO
i. 76,152,153,154,155,156,157,158
E
33
Museo Arch. Naz, Palermo, neg. n. 11365 D. BONANOME D. BONANOME A. AMBROGI D. BoNANOME D. BoNANoME D. BONANOME A. AMBROGI D. BONANOME M. Bruno. BoNANOME BoNANOME BONANOME BONANOME | BRUNO BRUNO i. BRUNO Bruno BRUNO BONANOME BONANOME BRUNO BRUNO BONANOME BONANOME BONANOME BONANOME BONANOME BONANOME BONANOME BRUNO 489
100
113-120, 241-244 2 127 128 136 138 139 140 142 143 146
EKEEKEEEEEEEEZEEKEEEEEE EE
89
M. D. D. D. M. M. ‘A. D. M. M. M. D. D. D. D. D. D. D. M. M. M. M. M. M. M. M. M. M.
Bruno BoNANOME BONANOME BONANOME BRUNO Bruno AMBROGI BoNANOME Bruno BRUNO Bruno BonaNOME BoNANoME BONANOME BONANOME BONANOME BonanomE BONANOME BRUNO Bruno BRUNO Bruno Bruno Bruno Bruno BRUNO Bruno BRUNO BRUNO Bruno BRUNO BRUNO BRUNO BRUNO BRUNO BRUNO Bruno BRUNO Bruno BRUNO Bruno. Bruno Bruno Bruno Bruno . BRUNO . BRUNO BRUNO BRUNO Bruno
nh hh D P o P P PAPE OA TA TD TO VO VA TD TD TVA VA VE TO (A VA UO VD V V V2 VA V2 V2 TD VA VA (P VP VA VP to to ^
M. Bruno s. m M. Bruno EH 176 D. BoNANOME i81 D. BONANOME 182 D. BONANOME . 183, 184,187 D. BONANOME 185, 186, 182, 86, 44 183, 184,187, 188, 189,190, 254, 255, 256, 257 D. BONANOME D. BONANOME 186 D. BONANOME 191,192 D. BoNaNoMe 193, 194, 195, 196 D. BONANOME 197 D. BONANOME 198 D. BoNANOME 199 201 206 D. BoNANOME 207 D. BoNANOME 208 D. Bonanome 209 D. BONANOME 210 D. BONANOME 215 D. BONANOME 216 D. BONANOME 218 D. BonanoME 219 D. BONANOME 21 D. BONANOME 22 D. BoNANOME 23 D. BoNANOME 224 226 Sopr. Arch. Ostia R 6118/7 230 D. BONANOME 20 D. BoNANOME 232 D. BONANOME 233 D. BONANOME 234 D. BONANOME 237 D. BONANOME 238 M. BRUNO 245 M. BRUNO 246,247 M. BRUNO. . 250 M. Bruno 252 M. Bruno 253 D. BoNANOME 254, 255, 256, 257, 258,259, 189,190 D. BoNANOME 260 D. Bonanome 261 D. BONANOME 262 D. BONANOME 264, 265 Sopr. Arch. Ostia R 6124/19 269 D. BoNaNoMe 270 D. BonaNOME 2n D. BONANOME 2n 491
FOTO APPENDICE I
Amd Ape. 2 App. 3
492
Da: ZIMMERMAN Art Antique, N, n. 49 Gortuerr 1972, tav. 34,n. 82 Vicenza, Museo
DIDASCALIE DELLE FIGURE
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16.
— Pireo, Museo Arch., perirrhantérion in marmo bianco con iscrizione (foto M. BRUNO). — Pompei, casa del matrimonio di Alessandro (da: JASHEMSKI 1993, fig. 12) Napoli, Museo Arch. Naz., inv. n. 183127, sostegno marmoreo con iscrizione, da Cuma (foto D. BONANOME). Roma, Basilica di S. Prassede, S. Colonna della Flagellazione (foto A. AMBROG!), Ostia antica, domus di Amore e Psiche, sostegno del gruppo statuario (foto D. BONANOME). Napoli, Museo Arch. Naz, inv. n. 6885, labrum in bronzo da Pompei (fotoA. AmsROGI) Roma, Foro Romano, impluvium davanti alla Curia (foto A. AMBR001). Bolsena, labrum (L. 32), da: ADAMI, Storie di Volseno, II, 1734-1737. Piazza S. Pietro, M. van HEEMSKERCK, 1535 ca., Chatsworth, 839 (da EoctR, I, tav. 18) (L. 34). _ Piazza S. Pietro e Borgo Nuovo.G. A. Dosto, 1561-64 (da Ecce, I, tav. 16) (L. 34). Fontanadi Piazza S. Pietro, PARASACCHI 1697, tav. 23 (L. 34) Cortile del Belvedere,G. Dosto, 1561 ca., Uffizi, arch. 2559/A (da EER, I, tav. 51) (L. 35), Fontana del Belvedere, PARASACCHI 1697, tav. 36 (L. 35). La statua del Marforio e un labrum, M. VAN HEEMSKERCK, 1532-36, Berlino, fol. 19 r (da HOLSEN, EGGER 1913 I, tav. 20). Emiciclo di Villa Albani, P.A. PArıs, Besancon, Bibl. Munic., 1770-74 (da Gams 1995, Il, L. 71) Sostegno scanalato nella Chiesa dei SS. Cosma e Damiano, S. Peruzzı, Uffizi (da BartoLI, IV, tav. 398,n. 718)(S. 12).
Tavole tipologiche dei labra: disegni Arch. M. Chighine Tavole tipologiche dei supporti: disegni Arch. M. Chighine
493
499
501
503
504
505
507
508
509
L 510
m
Sil
L. 19. Pianta, sezione e prospetto. Ipotesi ricostruttiva. Dis. G. Mulas. 512
513
1.32 514
515
L.35 516
1.38 519
L.43
L.47
522
L. 52
525
529
L. 63
530
L. 69 532
L.73
L.72 534
L.76 535
537
538
L. 83 539
L.85
L.86 540
541
1671
543
L. 104
L. 105 544
sold
545
L. 108
L. 109 548
549
L. 113
L. 116, L. 117 550
L. 119 551
L. 122 552
553
554
L. 129*
L.129* 555
L. 129 556
L. 134
L. 137 557
558
L.141
559
L. 142
L. 143 560
562
563
564
L.151
565
566
L. 158 567
568
569
L. 166 570
L. 167
5n
L. 170
L. 170 sn
L.170
L.171 57
L.172
L.173 574
575
L.179
L.182 576
577
LASS
578
L. 187
579
583
584
585
586
8.13, 8.33
587
588
5.44
5.45 590
5.46
ea E a
591
8.55
8.57
593
5.67 594
595
8.75
En S. 76,S. 152, S. 153, S. 154,S. 155,S. 156, S. 157, S. 158 596
5.78 597
S. 82
5.83
S. 93, S. 94, S. 95, 5.84 598
5.85
599
S. 132, S. 133, $. 90
S. 91,8. 92 600
S. 101, S. 217
602
S. 102
S. 105
$.107
S. 108 603
S. 109
S. 113 - S. 120, S. 241 - S. 244
$.127 605
606
S. 161 609
610
S. 169
S. 170 p
8.176
612
S. 181
S. 184, S. 183, 8. 187 613
S.44
8.257
S. 189
8.1855
S. 186
8.255
S. 86
S.188
S. 183
S. 184
8.187
S. 196
S. 193
5.194
S. 195
615
8.197
S. 198
617
618
620
8.232
8.233
621
5.245
S. 246, 8.247 622
8.250
623
a 8$ a
625
626
Appl
App. 3
629.