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Italian Pages [149] Year 2012
Memorie Suessane di Matidia Suessa: Città e territorio dagli Aurunci all’età romana Soprintendenza ai Beni Archeologici di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta
Sergio Cascella Maria Grazia Ruggi D’Aragona
BAR International Series 2445 2012
ISBN 9781407310497 paperback ISBN 9781407340241 e-format DOI https://doi.org/10.30861/9781407310497 A catalogue record for this book is available from the British Library
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Index Introduzione iii Maria Grazia Ruggi D’Aragona Premessa iv Sergio Cascella, Maria Grazia Ruggi D’Aragona 1. Cenni geografici e geologici 1 Sergio Cascella, Maria Grazia Ruggi D’Aragona 2. La Preistoria 3 Sergio Cascella 3. La fase preromana 5 Sergio Cascella Gli Ausoni 5 Gli Aurunci 8 4. Gli Aurunci nell’area di Sinuessa 13 Maria Grazia Ruggi D’Aragona 5. Lo scontro con Roma 17 Sergio Cascella 6. La colonia latina di Suessa 19 Sergio Cascella Fortificazioni e porte 19 L’impianto urbano 22 L’Arce: le nuove acquisizioni 23 Il foro 29 7. La fase medio repubblicana 33 Sergio Cascella La città: testimonianze archeologiche 33 Il territorio: lo sviluppo economico 33 8. Il rinnovamento sillano della città 37 Sergio Cascella Restauro delle mura di cinta 37 Il foro d’età sillana: il criptoportico 38 Spolia di un edificio d’età sillana reimpiegati nell’area del teatro 40 L’anfiteatro 42 9. La colonia augustea 45 Sergio Cascella Infrastrutture ed edifici pubblici: il foro 45 Frammenti di un complesso scultoreo d’età augusteo-tiberiana 45 Il teatro augusteo 48 Il territorio: testimonianze di vita economica 54 10. Il periodo Antonino: Matidia Minore e Suessa 57 Sergio Cascella Un impero al femminile 57 11. Matidia Minore e le infrastrutture pubbliche di Suessa 61 Sergio Cascella Cura viarum 61 Cura aquarum 61
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12. La risistemazione dell’area forense 65 Sergio Cascella, Maria Grazia Ruggi D’Aragona La Bibliotheca Matidiana e il cosiddetto Aerarium 65 Le sostruzioni del foro 67 13. Matidia Minore e il restauro del teatro 71 Sergio Cascella Un terremoto del II sec. d.C. 71 Il riassetto urbanistico dell’emiciclo superiore 71 Edificio scenico: il lavoro di maestranze urbane o campane? 72 La pavimentazione dell’Orchestra 76 La basilica meridionale e il Ninfeo del Nilo 78 La basilica settentrionale: i frammenti della decorazione scultorea 80 Porticus post scaenam 82 L’horologium idraulico del teatro 82 Struttura teatrale e propaganda imperiale 83 14. La decorazione scultorea del teatro: nuove acquisizioni 85 Sergio Cascella Iconografia di Matidia Minore e propaganda politica 85 Frammenti di una nuova statua bicroma dal teatro 85 Una statua bicroma di Matidia Minore da Minturnae (?) 86 15. L’abitato d’età medio imperiale 89 Sergio Cascella 16. Un esempio di edilizia privata: lo scavo della villa suburbana in località Gagliardelle 93 Sergio Cascella Inquadramento topografico 93 La basis villae 93 L’articolazione planimetrica della domus 93 Pars rustica 95 Pars urbana 99 Apparati decorativi 104 Le fasi del complesso 114 Appendice: La ceramica della villa 117 17. La viabilità del territorio 121 Sergio Cascella, Maria Grazia Ruggi D’Aragona Le vie verso il suburbio nord-orientale e l’Ager Vescinus 121 La Via Suessanis e le necropoli 122 La Via Suessa-Minturnae 126 La Via Suessa-Teanum 127 Abbreviazioni Bibliografiche 131
Referenze fotografiche Tutte le foto sono state eseguite da Sergio Cascella, tranne le fig.4,58,94,95,165,167 fornite gentilmente dal Sig. Elio Fiorito; Le fig.6-11,18,40-41,43-45,96-173-174,179-181 sono state concesse dall’archivio fotografico della Soprintendenza di Napoli e Pompei; La fig.170 da La Campania paese per paese, La grande Enciclopedia dei Comuni d'Italia, Editore Bonechi, vol. IV, 1999, sotto voce Sessa Aurunca, p.222.
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Introduzione Maria Grazia Ruggi D’Aragona
In occasione della Settimana per i Beni Culturali svoltasi nel maggio 2005, venne aperta al pubblico la mostra “Memorie Suessane di Matidia: Città e territorio dagli Aurunci all’età romana”. La mostra, allestita presso il Castello Ducale di Sessa Aurunca, nelle sale messe a disposizione dell’amministrazione comunale, aveva lo scopo di illustrare le principali scoperte archeologiche effettuate, nella città e nel suo territorio, durante le campagne di scavo, eseguite dall’allora Soprintendenza ai Beni Archeologici di Napoli e Caserta, tra il 1995 e il 2005, ricerche compiute sia con fondi del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, che con fondi P.O.R. Regionali. In quegli anni i frutti della ricerca furono davvero notevoli se si pensa che nell’area urbana sono stati portati completamente in luce uno dei più grandi e sfarzosi teatri dell’Italia romana e parte di una villa suburbana, decorata con pregevoli affreschi e mosaici, mentre nel territorio, l’esecuzione di opere irrigue realizzate dal Consorzio Aurunco di Bonifica in località Piscinola, hanno permesso di gettare un raggio di luce sulle dinamiche insediative dell’area posta a est di Suessa. L’indagine archeologica ha, infatti, restituito un’estesa necropoli i cui materiali, anche se relativi ad un periodo piuttosto avanzato (metà del IV sec.a.C.), costituiscono non solo le prime tracce scientificamente recuperate del mitico popolo degli Aurunci, ma anche la base per tentare un primo inquadramento socio-culturale di questo popolamento, almeno nella fase immediatamente precedente la conquista romana. Sebbene che l’interesse suscitato da quelle scoperte sia stato notevole, non bisogna dimenticare che in realtà l’attività di tutela e ricerca, oggi svolta dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici di Salerno, Benevento, Avellino e Caserta, prosegue anche se con minore clamore, come dimostrano i piccoli interventi di scavo eseguiti nell’area del Castello Ducale e soprattutto il paziente lavoro di revisione e studio dell’enorme massa di materiale recuperato negli anni precedenti. Ciò detto, volendo dare un seguito al volume sul Teatro Romano di Sessa Aurunca, pubblicato nel 2002, si è scelto di dare alle stampe un ulteriore studio che raccolga i risultati degli ultimi scavi eseguiti sia nell’area del Teatro Romano, che in quella della adiacente villa suburbana svolti tra il 2003 e il 2005. Infine, non mancherà un rimando alla figura di Matidia Minore, a cui appartengono i frammenti di una seconda statua in marmo colorato e ad alcune infrastrutture sparse nell’area della città antica. Un sentito ringraziamento va ai Soprintendenti succedutisi nella direzione della Soprintendenza di Napoli e Caserta e di Salerno, Benevento, Avellino e Caserta, Stefano De Caro, Fausto Zevi, Valeria Sampaolo, Maria Luisa Nava e Adele Campanelli; a tutta l’amministrazione comunale di Sessa Aurunca e in particolare ai Sindaci Elio Meschinelli e Luciano Di Meo, ed ancora al Geometra Elio Capomacchia, per aver in tutti i modi agevolato il nostro lavoro durante le operazioni di scavo. Infine, ringraziamo il personale dell’Ufficio per i Beni archeologici di Mondragone e sede di Sessa Aurunca, per il sostegno dato durante le operazioni di scavo eseguite presso il teatro romano e la villa suburbana, all’assistente Biagio Bergantino, alla Sig.ra Angela Passaretta e infine al direttore dei lavori Ingegnere Angelo Maisto. Si ringrazia, inoltre, il personale del laboratorio, gli addetti alla vigilanza: Sandro Fasulo, Franco Mastroluca, Dino D’Addeo di restauro del Museo Archeologico di Napoli, diretto dalla Dott.ssa Luigia Melillo, Umberto Minichiello e i suoi collaboratori, agli Architetti e Disegnatori Alfredo Balasco, Fabia Sampaolo, Ruggero Morichi, Rosario Paone, Giuseppe Bruno, Maria Cerovaz e Raffaele Donnarumma che hanno curato i rilievi archeologici.
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Premessa Sergio Cascella, Maria Grazia Ruggi D’Aragona
Nel quadro del popolamento dell’Italia antica il territorio abitato dal mitico popolo degli Ausoni - Aurunci1 è oggi amministrativamente diviso tra Lazio e Campania. In particolare, alla provincia di Caserta, appartengono i comuni di Sessa Aurunca, Rocca d’Evandro e Cellole mentre a quella di Latina i comuni di Minturno e Castelforte. L’area oggetto del nostro studio, pur essendo ricchissima di testimonianze storiche e archeologiche, è ancora poco nota nei suoi aspetti caratterizzanti. Ciò è dovuto in massima parte allo scarso interesse che gli archeologi hanno riservato a questa regione. Infatti, se si eccettuano le poche notizie date da qualche ricercatore locale2, l’unico studio che a tutt’oggi costituisce la base scientifica di partenza per la conoscenza delle dinamiche insediative di questo territorio resta quello realizzato dall’Arthur (ARTHUR 1991). A questo deficit di natura culturale si deve aggiungere quello derivante dalla effettiva mancanza di siti archeologici la cui scomparsa, particolarmente evidente lungo la fascia costiera, è imputabile allo scellerato sviluppo urbanistico e pseudo turistico degli ultimi decenni. Il nostro studio non ha la pretesa di colmare queste lacune, poiché non è frutto di un’attività di ricerca topografica sul territorio, ma solo quella di fornire una sintesi storica e archeologica basata sia sull’edito, che sui dati delle più recenti attività di scavo eseguite per conto della Soprintendenza nell’area del comune di Sessa Aurunca. Ovviamente, occorre precisare che lo studio e l’elaborazione dell’intera problematica che queste scoperte hanno suscitato è ancora in corso, per cui il contributo che segue dovrà considerarsi assolutamente preliminare, tanto che alcune considerazioni e conclusioni potrebbero essere suscettibili di importanti variazioni.
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Per una sintesi sui rinvenimenti di quest’area cfr. Gasperetti 1999. Villucci 1980a; Villucci 1980b; Crimaco 2005.
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1. Cenni geografici e geologici Sergio Cascella, Maria Grazia Ruggi D’Aragona
Il comprensorio di Sessa Aurunca (Fig. 1) è caratterizzato da una bassa pianura costiera delimitata a nord dal bacino idrografico del Garigliano e dai Monti Aurunci, a sud dallo sbarramento del massiccio calcareo del Monte Massico e a nord-est dall’imponente mole del Roccamonfina. L’assetto geomorfologico di quest’area è il risultato di una complessa vicenda strutturale iniziata nel Miocene (DE MAGISTRIS 1993) quando successive e ripetute trasgressioni marine sommersero parte della piattaforma carbonatica che, emersa nel corso del Cretaceo, costituisce la base tettonica di questo territorio. Violente crisi orogenetiche portarono, nel Pliocene inferiore e medio, all’innalzamento di questi sedimenti che, sottoposti ad enormi pressioni, iniziarono a corrugarsi formando a sud il Monte Massico e a nord i Monti Aurunci i quali assunsero la morfostruttura attuale circa 700 mila anni fa. Nel Pleistocene medio gli ultimi eventi geologici di un certo rilievo determinarono la completa colmatura della depressione carbonatica che si era formata tra questi due complessi montuosi per effetto di potenti orizzonti vulcanoclastici attribuibili in massima parte all’attività del Roccamonfina le cui ultime manifestazioni eruttive si datano a circa 50 mila anni fa (DE RITA, GIORDANO 1996). Successivamente,
nel corso dell’Olocene, cessata ogni attività vulcanica, questo substrato geologico ha subìto quei lenti processi di sedimentazione e disfacimento dei litotipi vulcanici che hanno portato alla formazione dell’attuale copertura pedologica costituita, nella piana costiera, da depositi deltizi e alluvionali, lungo le falde del Roccamonfina, da imponenti colate piroclastiche e sui versanti del Massico da terreni fiscioidi terziari. Nell’attuale copertura vegetale di questo paesaggio si alternano relitti della foresta sempreverde mediterranea formata da lecci, carpini, roverelle, mirto, carrubo e aree rimboschite con pini, robinie e cipressi, mentre il versante meridionale del Roccamonfina è ricoperto da boschi cedui di castagno che si stemperano in campagne sfruttate intensivamente con colture cerealicole, frutteti, vigneti e oliveti. Infine, particolarmente brusco è il passaggio tra i settori montani del Massico e del Roccamonfina e la fascia costiera contraddistinta da una disordinata e convulsa urbanizzazione legata allo sviluppo turistico di quest’area.
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2. La Preistoria Sergio Cascella
contrada Quintola e quelli compiuti nella stessa epoca presso Masseria Piscinola, nella frazione S. Castrese (TOMMASINO 1942.42 ss.; PAGANO 1982; VILLUCCI 1980b) consentono di affermare che le più antiche tracce del popolamento recente di quest’area risalgono al periodo eneolitico.
Lo scenario naturale appena descritto, oggi come nell’antichità, offriva condizioni molto favorevoli allo stanziamento umano tanto più che la fertilissima e tenera coltre vulcanica che ricopre questo territorio era solcata da numerosi corsi d’acqua a regime torrentizio che col loro incessante scorrere assicuravano un’abbondante riserva idrica e avevano formato profonde forre utilizzate come naturali vie di comunicazione.
Infatti, i reperti rinvenuti, costituiti nel primo caso da manufatti litici e da un vaso a corpo globulare su base piatta e nel secondo da un unico vaso d’impasto a corpo globulare e collo cilindrico, sembrano rientrare pienamente nella facies culturale del Gaudo, anche se le modalità di ritrovamento e lo scarso numero di questi oggetti non sono sufficienti per valutare la reale entità e distribuzione sul territorio di questo popolamento.
La frequentazione umana è attestata sin dalla più lontana preistoria come dimostra la pista di impronte fossili chiamata volgarmente “Ciampate del Diavolo”. Le impronte, rinvenute nell’area del comune di Tora e Piccilli, appartengono ad un gruppo di due individui del genere Homo Heidelbergensis che più o meno 350 mila anni fa fuggiva dal Roccamonfina in eruzione.
Le cose non vanno meglio per ciò che riguarda gli insediamenti dell’età del bronzo1 che sembrano essere scarsamente presenti sul territorio. In questo caso, però, la mancanza di attestazioni potrebbe essere imputabile non solo alla cronica mancanza di scavi e ricerche di superficie, ma anche alle variazioni climatiche degli ultimi 3.000 anni (CAIAZZA 1999; ORTOLANI 2003) che potrebbero aver spazzato via la maggior parte dei siti. Infatti, l’alternanza di periodi a regime pluviometrico caldo e di mini ere glaciali molto piovose, ha determinato in quest’area imponenti fenomeni erosivi lungo i versanti più esposti e deposizionali nelle aree colluviali, ove si registra una forte aggradazione del piano di campagna.
A circa 50.000 anni fa (Paleolitico Superiore) è invece databile un paleosuolo recentemente rinvenuto durante gli scavi eseguiti dall’Università di Roma “La Sapienza” (PENNACCHIONI, PIPERNO 2006) presso la grotta di Roccia San Sebastiano, in località “Incaldana”, nel comune di Mondragone. Tale livello, caratterizzato da una grande abbondanza di manufatti litici riferibili al Musteriano, documenta la presenza di gruppi di neandertaliani nell’area aurunca. Questo strato più antico è a sua volta coperto da livelli con resti di fauna e manufatti litici attribuibili alle cosiddette culture Aurignaziana e Gravettiana databili a 30-20.000 anni fa. Venendo ad epoche più vicine a noi, i rinvenimenti effettuati negli anni ’40 del ’900 presso Masseria Sacconara, in
Per un quadro generale sulle emergenze di epoca preistorica, cfr: A Arthur 1991. 23 ss. e da ultimo Crimaco 2009.29 ss. 1
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3. La fase preromana Sergio Cascella
Gli Ausoni
principali vie fluviali di penetrazione verso l’entroterra. Forse una funzione diversa ebbe il santuario chiamato Trifanum, la cui etimologia del nome indurrebbe ad identificare con un’area sacra di tipo federale. Purtroppo di quest’ultimo sito, citato da Livio a proposito degli avvenimenti del 340 a.C. e della sconfitta subita dagli Aurunci, non conosciamo l’esatta l’ubicazione6, mentre dei suddetti templi di Marica e di Panetelle sono state scavate alcune strutture e molti materiali votivi, utili per la definizione culturale di queste comunità tra il VII e il VI sec. a.C.
Rispetto alla situazione precedente, una maggiore definizione acquistano i lineamenti culturali del popolamento che in età arcaica era stanziato in questo territorio e che possiamo definire Ausone. È oramai accertato che la presunta appartenenza dell’intera Italia meridionale al popolo degli Ausoni è solo un mito letterario, la cui complicata genesi è stata straordinariamente chiarita dall’insuperato lavoro di E. Lepore (LEPORE 1989.70). Lo stesso autore avanzava l’ipotesi che gli Ausoni, stanziati alle soglie del primo millennio in buona parte della Campania, siano poi stati progressivamente respinti da popolazioni di stirpe opica1, ristrutturandosi in quell’area marginale della regione che è oggetto di questo studio (LEPORE 1989.72).
In entrambi i santuari la ceramica di gran lunga più attestata è quella d’impasto (Mingazzini 1938.832 ss.; tav. XXVIIXXXIV) caratterizzata da un nucleo interno nerastro e da una superficie marrone con sfocature arancio. Con questo tipo di argilla sono stati fabbricati alcuni recipienti la cui tipologia è solo in parte riconducibile a forme che trovano confronti nelle aree limitrofe (TALAMO 1993.92.).
Questo processo di aggregazione diede luogo ad una sfaccettata e complessa articolazione sociale in cui il sito di Cales, posto ai margini di quest’area e gravitante culturalmente verso Capua, si sviluppò velocemente in un insediamento urbano vero e proprio, pur mantenendo alcuni caratteri peculiarmente Ausoni2, mentre la regione orbitante intorno al bacino del Garigliano, geograficamente isolata dagli sbarramenti montuosi dei Monti Aurunci e del Monte Massico, indugiò in forme insediative più arcaiche. L’organizzazione di quest’ultima parte del territorio sembra fosse imperniata (CERCHIAI 1995.174 ss.) su due santuari principali, il tempio situato alla foce del Garigliano e dedicato alla ninfa Marica3 e il santuario dedicato ad una ignota divinità femminile alla foce del Savone in località “Panetelle”4, intorno ai quali orbitavano una indefinita quantità di luoghi di culto minori.
Accanto a questi materiali sono presenti alcuni recipienti meno grezzi caratterizzati da un impasto di minor spessore e da una superficie rossa lisciata a stecca: si tratta del cosiddetto “bucchero rosso”7 presente nei corredi funerari della Campania settentrionale (JOHANNOWSKY, 1983.34 ss.), ma che nel territorio caleno acquista una maggiore raffinatezza e un repertorio formale peculiare poiché fu utilizzato dalle aristocrazie locali per la composizione di ricchi corredi funerari (PASSARO, CIACCIA 1996.101 ss.). In entrambi i santuari si registra la scarsa presenza di ceramica d’importazione greca ed etrusca (TALAMO 1993.93), fatto che rafforza il quadro di un popolamento che ha una limitata propensione ad acquisire beni di lusso. Ciò non solo è espressione della marginalità economica di quest’area rispetto alle principali rotte del commercio greco ed etrusco con cui, invece, è intimamente legata la pianura campana e il Golfo di Napoli, ma è certamente segno dell’arretratezza culturale8 di queste popolazioni la cui struttura sociale non portò alla completa emersione di quell’élite aristocratica,
Questi due centri cultuali, oltre ad assolvere ad una modesta funzione emporica5, costituivano un presidio per il controllo del territorio di cui rappresentavano i limiti nord e sud, essendo posizionati a guardia della via costiera e delle due 1 Sull’emersione dell’ethnos degli Opici, sulla distinzione tra Ausoni e Opici e sull’evoluzione del processo culturale che ha relegato gli Ausoni ai margini dell’area campana, cfr. Cerchiai 1995.21 ss. 2 Cales era considerata ancora una città aurunca all’epoca dello scontro con Roma. Cfr. LIV. Hist., VIII, 16.1-10. 3 Sul culto di Marica cfr. Tommasino 1925.60 ss.; p.96 ss.; Mingazzini 1938.941 ss.; Tommasino 1942.263 ss. 4 Chiosi 1993. 101 ss.; Talamo 1993.87 ss. 5 Sul problema delle rotte marittime arcaiche tra l’area etrusco-laziale e Campania e sul ruolo svolto dallo scalo commerciale alle foce del Garigliano, cfr. Talamo 1987.169. Sul ruolo svolto dal Savone come via di penetrazione verso il futuro Ager Falernus, cfr. Falcone 2009.21 ss.
6 LIV. Hist.,VIII,11; “Trifanum inter Sinuessam Minturnasque is locus est”. 7 Questo tipo di ceramica è adoperato dagli archeologi per mettere in rapporto le manifestazioni della cultura materiale Ausone con quelle limitrofe della cosiddetta “Civiltà della valle del Liri“, cfr. Johannowsky 1983.289 ss. 8 Talamo sostiene che i motivi dell’isolamento culturale di queste popolazioni non sono solo da imputare alla particolare orografia dell’area, ma anche a fattori culturali. Cfr. Talamo 1987. 167 ss.
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Memorie Suessane di Matidia
bisognosa di autorappresentarsi con beni di lusso che, invece, nella cosiddetta mesogeia campana, favorì quei processi di aggregazione politica sfociati nella formazione di una società di tipo urbano. Il carattere locale e rurale di queste comunità è reso manifesto dalla presenza in questi santuari di ex voto costituiti essenzialmente da vasetti miniaturistici e da rozze figurine umane di terracotta che solo di rado evolvono in vere e proprie statue votive di maggiori dimensioni. Ciò nonostante, il consueto quadro di un mondo Ausone arcaico privo di un’articolazione sociale interna più complessa, tutto racchiuso in se stesso ed influenzato esclusivamente dalla cultura della valle del Liri9, potrebbe non corrispondere interamente al vero. È, infatti, evidente che le antefisse con protome femminile entro nimbo provenienti dal santuario della ninfa Marica10, di evidente produzione capuana e cumana, potrebbero essere indizio della presenza nel santuario di una casta sacerdotale o di un’autorità federalmente riconosciuta che era in grado di coordinare la cura delle cose sacre e di commissionare a maestranze e ad officine straniere la decorazione architettonica del tempio. In quest’ultimo caso tale élite dovette probabilmente avvalersi della mediazione di Cales11, per l’approviggionamento di materiale coroplastico capuano, mentre è probabile che i rapporti con Cuma fossero più diretti, come tra l’altro sembrerebbero attestare la tradizione che vede la presenza nel santuario di un simulacro di Artemide proveniente dalla città euboica e un’edicola dedicata a Venere Marina di cui era visibile la dedica in greco (Mingazzini 1938.942). Purtroppo gli indizi a nostra disposizione sono ancora troppo labili per poter azzardare una qualsiasi ipotesi di stratificazione sociale più complessa del consueto stereotipo. Al contrario, nonostante la devastazione perpetrata dagli scavatori clandestini sin dalla fine dell’800, sfugge a questo quadro il sito di Cales ove la frattura culturale (GUADAGNO 2004.24) con il mondo più propriamente ausone è chiaramente riconoscibile negli oggetti etrusco-corinzi di alcuni corredi tombali, nella importante stele funeraria con decorazione fitomorfa di tipo samio dalla necropoli di Montanaro e nella famosa Kore o Afrodite di Sessa12.
F. Coarelli identifica Minturno con la moderna Traetto, cioè con l’insediamento in cui in epoca medievale si rifugiarono gli abitanti della romana Minturnae (COARELLI 1993.19 ss.), Vescia con il moderno sito di Castelforte, mentre non abbiamo dati sufficienti per identificare con certezza Ausona14. L’unico abitato arcaico di tutta l’area, purtroppo solo parzialmente indagato, è quello identificato a ridosso dell’attuale abitato di Sessa Aurunca presso Masseria Irace, località poco distante dal cosiddetto Ponte Ronaco (Fig. 1). Sebbene il pessimo stato di conservazione del sito (TALAMO 1987.10 ss.), dovuto allo sfruttamento intensivo dei suoli, ha consentito di recuperare solo materiale ceramico molto frammentato e poche tracce dello zoccolo di fondazione di una capanna, lo scavo ha rivelato molti dati interessanti. Infatti, contrariamente a quanto ci si sarebbe aspettato, il sito sembra essere sopravvissuto senza apparente soluzione di continuità sino all’avanzato III sec. a.C., quindi oltre la fondazione della vicinissima colonia latina di Suessa (TALAMO 1987.177 ss.). Considerando che la ricerca archeologica di superficie sembra aver rilevato in tutta l’area intorno a Sessa Aurunca la presenza di altri insediamenti arcaici (VILLUCCI 1980b.50), è forse lecito ipotizzare, in virtù di quelle dinamiche interrelazionali che legavano tra loro insediamenti confinanti di tipo pagano-vicanico, che lo stanziamento fosse connesso politicamente con un altro sito ausone, probabilmente posto sulla vicinissima altura di Sessa Aurunca. Questo assetto, secondo P. Talamo (TALAMO 1987.177), si sarebbe perpetuato anche quando su quest’ultimo sito venne fondata la colonia latina di Suessa, determinando la sopravvivenza all’impatto romano dell’abitato di Ponte Ronaco sino a quando la funzione accentratrice della colonia romana ne assorbì ogni ragion d’essere. Purtroppo quest’ipotesi allo stato attuale non è verificabile dato che il centro storico di Sessa Aurunca è dal punto di vista archeologico sostanzialmente inesplorato. Riteniamo però probabile che future ricerche stratigrafiche possano chiarire quest’aspetto, anche se è molto probabile che le tracce di una frequentazione arcaica siano state in granparte cancellate dallo straordinario sviluppo urbanistico che la città ha avuto in epoca romana e medievale.
Allo stato attuale della ricerca le uniche notizie sull’organizzazione politica degli Ausoni-Aurunci sono desumibili da Livio13 che, riferendosi ad un’epoca posteriore e allo scontro con Roma, afferma che questo ethnos, almeno nelle fasi più antiche, doveva essere distribuito in tre insediamenti rurali o forse sarebbe meglio dire in tre villaggi di tipo pseudo urbano: Minturnae, Vescia ed Ausona.
La situazione, invece, potrebbe essere alquanto diversa nell’immediato suburbio dove alcuni indizi, non ancora confermati, individuerebbero la presenza di un santuario di epoca arcaica lungo il versante sud-occidentale dello sperone tufaceo che a sud delimita l’attuale abitato di Sessa15. Sembrerebbe, infatti, che nell’immediato dopoguerra, nell’area di una cava di tufo situata a valle di Villa Tuozzi, sia stato trovato materiale votivo fittile e bronzeo databile tra il VII e il VI sec. a.C. del tutto simile a quello attestato nel santuario di Marica e di Panetelle.
Sull’importanza che svolse il Liri come via di penetrazione commerciale e culturale, cfr. Coarelli 1993.19. 10 Mingazzini 1938. 720 ss., Tav. I e ss. 11 Cerchiai 1995. 175; Johannowsky 1976.773 ss. 12 La cosidetta Afrodite o Kore di Sessa, oggi conservata al British Museum, costituisce uno dei migliori esempi di bronzistica votiva di stile tardo arcaico. Essa rappresenta una giovane offerente, vestita con un chitone aderente, opera probabilmente di un artigiano etrusco di Capua. 13 LIV. Hist., IX, 25. Com’è noto Livio è una fonte che comporta una serie di problemi che la storiografia recente ha ben evidenziato: cfr da ultimo Zannini 2009.26 ss. con bibliografia riferita alla questione liviana in nota. 9
Qualora questo dato fosse archeologicamente confermato, Allo stesso modo resta ancora irrisolto il problema dell’omissione da parte di Livio del sito di Sinuessa tra le città della Pentapoli Aurunca e quello della sua presunta identificazione con un fantomatico insediamento greco di nome Sinope. Cfr. Coarelli 1993.20 ss. 15 Ringrazio per la notizia il Sig. E. Fiorito. 14
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Sergio Cascella: La fase preromana
Fig. 1 Il territorio tra il Garigliano e il Savone: I principali siti ausoni (rielaborazione da Arthur 1991)
esso potrebbe costituire senz’altro un indizio della presenza di un abitato arcaico sul sito occupato poi dalla città romana così come i frammenti di statuette e di ceramica miniaturistica confermano la presenza di un luogo di culto nel vicinissimo insediamento di Ponte Ronaco (TALAMO 1987.178). Il ruolo di controllo del territorio svolto dal nostro ipotetico santuario è inoltre avvalorato dalla sua stessa collocazione lungo un antico tracciato viario ai cui lati sono state rinvenute aree di dispersione superficiale di ceramica di impasto (VILLUCCI 1980b.50). Questi frammenti costituiscono ciò che resta di insediamenti o aggregati rustici disposti lungo una viabilità campestre che sarebbe poi stata ricalcata dalle sistemazioni stradali di epoca romana riferibili alla via Suessa-Minturnae (cd. Appia II - Fig. 12) e alla via Suessa-Teanum e attraverso le quali erano collegate la valle del Garigliano e la pianura campana.
proprio il sito di Ponte Ronaco ove fu individuato un vasto sepolcreto in granparte distrutto dallo scavo dei clandestini e dall’apertura di una cava di pozzolana. Dei materiali venne recuperato il corredo di una tomba intatta databile alla fine del VII sec. a.C. (JOHANNOWSKY, 1983.209 ss.) composto da 10 vasi di impasto di cui otto grezzi, uno a superficie rossa e uno a decorazione geometrica sovradipinta. Quest’ultimo, che trova scarsi confronti nell’ambito campano tranne che per qualche esemplare capuano, viene considerato da P. Talamo (TALAMO 1987.151) come il frutto episodico di un artigiano locale che volle applicare al suo repertorio reminescenze artistiche esterne al suo mondo di cui forse non aveva nemmeno una conoscenza diretta. Infine, poco distante da questo primo rinvenimento, nel 1964, presso Masseria Olivetone, il prof. M. Villucci (VILLUCCI 1980a.149 ss.; VILLUCCI 1980b.46) riuscì a salvare un gruppo di 4 vasi di impasto probabilmente appartenenti ad un unico corredo. Si tratta di una piccola scodella frammentata, di un’anfora (Fig. 2) a corpo ovoide costolato con alto collo cilindrico, raccordato al corpo da due anse legate da un bastoncello, forma ben attestata nelle necropoli di Presenzano e di Alfedena16 e di due olle (Fig. 3) a corpo ovoide decorate con cordoni digitalati (TALAMO 1987.53;115).
La scarsità di elementi impone cautela nel dare un significato più preciso a questi dati, ma in prospettiva tutto ciò è senz’altro il campo più fecondo per un serio survey archeologico del territorio aurunco dal quale poter ricavare maggiori dati sulle dinamiche insediative d’età arcaica. Anche le necropoli di questo periodo sono assai poco conosciute. In sostanza le uniche evidenze riguardano
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Talamo 1987.53;136;163.
Memorie Suessane di Matidia
Fig. 2 Sessa Aurunca, anfora di impasto dalla necropoli di Ponte Ronaco (VI sec. a.C.)
Fig. 3 Sessa Aurunca, olla di impasto dalla necropoli di Ponte Ronaco (VI sec. a.C.)
Gli Aurunci
regione e dall’altro la trasformazione del nome di questo ethnos in Aurunci17.
Una cesura tra la fase arcaica e quella che precedette lo scontro con Roma si ebbe nel corso del VI sec. a.C., con la rottura della continuità culturale che esisteva tra la Campania settentrionale e molti centri ausoni del Lazio meridionale che furono occupati dai Volsci. Le conseguenze di questi avvenimenti furono da un lato, un ulteriore ridimensionamento territoriale del popolo ausone che, nel quadro del più generale popolamento campano, era oramai confinato alla estrema propaggine settentrionale della
E. Lepore (LEPORE 1989.71 ss.), attraverso l’analisi storiografica, ha ben evidenziato quest’ultimo passaggio, registrando la graduale scomparsa del più antico sostrato Ausone, presente in Ecateo e Timeo e la comparsa del più recente etnico di Aurunci, passando per una fase intermedia I Volsci sostituirono al suffisso -ni di Ausoni, il loro suffisso -ci, mutando il nome in Aurunci con conseguente fenomeno del rotacismo della s. 17
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Sergio Cascella: La fase preromana
Fig. 4 Sessa Aurunca, cratere a campana con scena di convito dalla necropoli di Ponte Ronaco (IV sec. a.C.)
Fig. 5 Sessa Aurunca, lekythos a figure rosse e skyphos a vernice nera dalla necropoli di Ponte Ronaco (IV sec. a.C.)
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Memorie Suessane di Matidia
testimoniata da Dionigi di Alicarnasso che parla degli Auronici. Questo processo di differenziazione etnica non sembra per il momento però trovare riscontro nei contesti archeologici. Infatti, la standardizzazione tipologica delle terrecotte votive di produzione locale e la scarsa presenza di elementi allogeni recuperati nel santuario di Panetelle presso Sinuessa (CHIOSI 1993.104) confermano che almeno la struttura sociale delle comunità, rurali di fedeli non è affatto mutata rispetto al periodo precedente. Tuttavia, un quadro più definito sull’articolazione socio-culturale delle comunità aurunche che dovevano risiedere negli abitati di questo periodo, viene dallo studio delle necropoli. Nell’area di Suessa, per le devastazioni operate dagli scavatori clandestini, esse sono purtroppo assai scarse. Una vasta necropoli di tombe a cassa di tufo, databile tra il IV e il III sec. a.C., sita nei pressi del già citato insediamento di Ponte Ronaco, venne completamente distrutta nei primi anni ’80 a seguito di sbancamenti per migliorie fondiarie. Si deve solo all’interessamento del Prof. M. Villucci (VILLUCCI 1980b. 49 ss.) se qualche reperto è stato salvato dalla dispersione sul mercato antiquario. Tra questi i più interessanti sono costituiti da una cratere (VILLUCCI 1980b. 52), da una lekythos e da uno skyphos. Il primo vaso è un cratere a campana (Fig. 4), di probabile produzione tardo attica (avanzato IV sec. a.C.), parzialmente conservato. La decorazione, che è bordata alla base da un meandro e sull’orlo da un ramo di olivo, è composta da due pannelli inquadrati dalle anse che sono decorate da un kymation ionico e da una palmetta che sembra nascere da volute. L’unica scena visibile rappresenta un convito con due coppie di banchettanti distesi sulle klinai avanti alle quali sono disposte le mense. Sebbene lo stato di conservazione sia cattivo è molto probabile che questo esemplare possa rientrare nella più tarda produzione del cosiddetto “Pittore Del Tirso Nero” che sembra prediligere questo tipo di rappresentazione, peraltro abbastanza diffusa in ambito campano18.
Fig. 6 Sessa Aurunca, località Piscinola, tomba n. 83
in cassa di tufo e in cassa di tegole con copertura piana, contenenti pochi vasi di uso comune e qualche oggetto a vernice nera, sono certamente da mettere in relazione agli strati sociali meno ricchi della popolazione mentre, una più evidente funzione di rappresentanza politica è espressa dalle tombe a cassa di tufo con copertura a doppio spiovente, caratterizzate da motivi ornamentali e modanature intagliate nella pietra e da un corredo che si distingue per la ricchezza e qualità degli oggetti (Fig. 6). Questi ultimi sono costituiti da vasellame a vernice nera e a figure rosse prodotte da officine cumane e della pianura campana, in particolare dalla bottega del “Pittore Di Vitulazio”.
Il secondo vaso è una lekythos a figure rosse (Fig. 5.1) decorata con un volto femminile reso di profilo a sinistra, con i capelli racchiusi in un sakkos, prodotta dell’officina del cosiddetto “Pittore Di Vitulazio”19 mentre lo skyphos a vernice nera (Fig. 5.2) è un tipico prodotto delle officine della Campania settentrionale.
In attesa di uno studio esaustivo, dai primi dati presentati (NAVA 2006.604 ss.) sembrerebbe emergere un popolamento oramai culturalmente ben inserito nel più vasto fenomeno di koinè culturale che caratterizza in generale le comunità campane dove, alla tradizionale stabilità sociale che aveva contrassegnato il popolo ausone in tutto il periodo arcaico, si è sostituita un’articolazione interna più complessa con l’emersione di un ceto aristocratico che cerca di uniformarsi agli standards delle oligarchie campane.
Fortunatamente a far fronte a questo desolante quadro, fatto di evidenze recuperate in modo piuttosto rocambolesco, giunge nel 2005 il rinvenimento, in località Piscinola, di un vasto sepolcreto miracolosamente sfuggito al saccheggio dei clandestini, scoperto grazie alla realizzazione di opere di irrigazione agricola. La necropoli era costituita da 50 tombe, databili tra la fine del V e il IV sec. a.C. Le inumazioni
Confermerebbero quest’ipotesi la presenza di anfore e oggetti riferibili al consumo del vino anche se, alcuni elementi, lasciano intravedere qualche caratteristica peculiare che distingue ancora gli Aurunci dal resto delle popolazioni campane. Ci riferiamo in particolare al rituale funerario (NAVA 2006.605) che differisce da quello attestato
Beazley 1963.1431; Beazley 1971. 491 Vasi di questo ceramista sono presenti a Caudium (Museo Archeologico Nazionale del Sannio Caudino - sala IV) e Capua (Capua, Museo Campano, sala XII, vetrina 29 , inv. 551). 19 Villucci 1980b. 52; sulla produzione di questo pittore, cfr. De Filippis 2007.133 ss. 18
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Sergio Cascella: La fase preromana
nelle altre necropoli coeve per il fatto che il corredo, anziché essere posto all’interno della cassa, si trova all’esterno di essa.
la suddetta fonte numismatica, se ne fosse confermata la cronologia, testimonierebbe a nostro parere qualcosa di più importante e cioè che gli Aurunci, nel corso della seconda metà del IV sec. a.C., stavano subendo una profonda riorganizzazione della loro struttura socio-economica, passando da un popolo di pastori e agricoltori che abitavano in pagi sparsi nel territorio, ad un’organizzazione politica e sociale superiore. Infatti, nella legenda delle sopraccitate monete, la parola Aurunkud sembrerebbe essere riferita ad Ausona-Aurunca, che quindi sarebbe assurta da semplice villaggio a vera e propria metropoli degli Aurunci, mentre il termine Makdiis dovrebbe essere riferito al magistrato preposto alla monetazione.
Un’ulteriore conferma che nel IV sec. a.C. gli Aurunci, pur mantenendo aspetti politici propri, fossero stati in qualche modo assorbiti culturalmente dalle genti osco-sannite, viene anche dalle fonti epigrafiche e numismatiche che testimoniano inequivocabilmente che la lingua ufficiale degli Aurunci era l’osco (BELOCH 1989.12). Infatti, su alcuni blocchi di tufo venuti in luce in località “Sorgente”, nel comune di Roccamonfina (PETTERUTI 1983.199 ss.), compaiono iscrizioni in lingua osca che fanno riferimento a Mifineis, così come sulla ben nota serie di monete bronzee (POOLE 1963.75) databili a prima del 313 a.C., che mostrano, sul dritto, il volto di Apollo laureato e, sul verso, un delfino con in esergo la legenda su due righe, AurunkudMakdiis, intervallate da una clava. Ma oltre a ciò, proprio
Per quanto detto sinora sarebbe quindi lecito ipotizzare che alcuni degli abitati degli Aurunci si fossero evoluti in senso urbano o pseudo urbano, ma ovviamente solo la ricerca archeologica potrà, forse, chiarire quest’aspetto.
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4. Gli Aurunci nell’area di Sinuessa Maria Grazia Ruggi D’Aragona
A questo periodo (prima metà del IV sec. a.C.) appartiene una necropoli scoperta nel territorio di Mondragone, in località La Starza S. Angelo, lungo la strada che conduce a Falciano del Massico. Sono state portate in luce 4 tombe a cassa di tufo databili all’avanzato IV sec. a.C., di cui tre orientate secondo l’asse nord-sud e una est-ovest. Le sepolture, fortunatamente ancora intatte, giacevano a circa 1 m. di profondità con la copertura e la cassa costituite da lastroni di tufo grigio.
medio, inquadrabile cronologicamente verso la fine del IV sec. a.C., probabilmente all’ultimo quarto del secolo. La ceramica a vernice nera sembra essere di fabbricazione locale sia per l’argilla, di color beige-arancio con molti inclusi di pirossene, che per la vernice iridescente e quasi metallica, in alcuni casi sfocata. Gli esemplari sono costituiti da uno skyphos (Fig. 8.1), da due coppette (Fig. 8.2), della serie del Morel 2424 (MOREL 1981b.169) e da un askos (Fig. 8.3), lacunoso di parte dell’orlo, con alto collo, corpo ad otre e piede ad anello. Quest’ultimo, tipico dei contesti tombali campani, trova confronto con esemplari simili provenienti dalle necropoli di Ponticelli e di Qualiano (GIAMPAOLA 1985.304;318) databili alla prima metà del IV sec. a.C. Infine, tra il vasellame a vernice nera, è attestata una patera (Fig. 9) ricomposta da più frammenti, con orlo appiattito e vasca emisferica schiacciata, decorata all’interno con una serie di rotellature in cui sono stampigliati palmette raccordate da bende che
Nella tomba n. 6, la meglio conservata (Fig. 7), sono stati rinvenuti resti ossei appartenenti ad un adulto posto in posizione supina, con il capo a sud, le braccia distese lungo il corpo e il corredo deposto entro due nicchie che si aprivano lungo il lato est della tomba. Il corredo è costituito da 4 recipienti a vernice nera, 2 a figure rosse, 2 acromi e 4 oggetti di ornamento personale in bronzo. Questi reperti per la loro qualità e tipologia denotano un tenore di vita
Fig. 7 Mondragone, località La Starza, tomba n. 6
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Memorie Suessane di Matidia
Fig. 8 Mondragone, località La Starza, tomba n. 6 , ceramica a vernice nera
Fig. 9 Mondragone, località La Starza, tomba n. 6 , patera a vernice nera
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Maria Grazia Ruggi D’Aragona: Gli Aurunci nell’area di Sinuessa
Fig.10 Mondragone, località La Starza, tomba n. 6 , ceramica acroma
Fig.11 Mondragone, località La Starza, tomba n. 6 , ceramica a figure rosse
circondano nella parte centrale 5 quadrati con all’interno dei meandri.
è legato al possesso della terra. L’olletta stamnoide (Fig. 10.1) lacunosa di un’ansa, forse rotta ritualmente, è tipica dei contesti campani, come attestato dagli esemplari della necropoli di Castel Capuano a Napoli, dalle tombe 92 e 94 della necropoli di Ponticelli, dalla tomba 14 di Qualiano (GIAMPAOLA 1985.318). L’olla a corpo ovoide (Fig. 10.2) è anch’essa un tipico recipiente per derrate alimentari, spesso associata, come nel nostro caso, alla patera a vernice nera che viene posta sulla bocca del recipiente come coperchio.
La ceramica acroma, costituita da un’olla e da uno stamnos, utilizzati come contenitori di derrate agricole, assume un significato ben preciso. Questi recipienti sono, infatti, indice di una società in cui l’occupazione del territorio rurale è stabile e in cui si praticano colture specializzate come l’olivo o la vite. È, dunque, ovvio che la loro presenza connota anche lo status sociale del defunto il cui benessere
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Memorie Suessane di Matidia
La ceramica a figure rosse appartiene all’ultima fase di produzione campana. Si tratta di fabbriche teanesi e cumane che producono oggetti che nel repertorio tipologico si rifanno ai prototipi attici del periodo precedente, mentre le decorazioni e lo stile diventano molto correnti e in qualche caso assolutamente scialbi, con una sintassi decorativa di genere e dalla qualità molto bassa. In particolare il cratere a campana, integro (Fig. 11.1), è decorato con serie di foglioline di olivo stilizzate, al di sotto delle quali compaiono, sui due lati, due volti di donna posti di profilo con capigliatura raccolta dietro la nuca e sulla fronte un diadema sovradipinto in bianco.
Il secondo esemplare a figure rosse è costituito da situla o “Bail-Amphora” integra (Fig. 11.2), con due grandi palmette stilizzate che dividono i due lati del vaso, ove compaiono due figure maschili ammantate, poste di profilo. La tecnica e il repertorio figurativo indurrebbero ad attribuire questa anfora ad un’officina cumana, come attestano alcuni esemplari integri, molto simili, provenienti dalla necropoli di Ponticelli (TRENDALL 1967.470). Infine, gli oggetti di ornamento personale, tutti in bronzo, sono costituiti da due anelli a fascia semplice, privi di decorazione e da due fibule in bronzo, decorate con un arco semicircolare allungato con costolatura centrale, molla unilaterale e staffa orizzontale, tipi attestati in numerosissimi contesti campani.
Le condizioni di conservazione non consentono un’analisi più precisa, anche se è molto probabile che questo vaso possa essere attribuito all’officina del “Pittore di Vitulazio”.
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5. Lo scontro con Roma Sergio Cascella
Con la stipula del trattato del 354 a.C.1, in cui Romani e Sanniti si divisero le sfere d’influenza politica e militare per il controllo del Lazio meridionale e della Campania settentrionale, ha inizio una serie di avvenimenti che nel giro di 40 anni portarono all’annientamento degli Aurunci. Come è stato giustamente messo in evidenza (COARELLI 1993.22 ss.), quest’alleanza strinse d’assedio i popoli Campani e Latini che furono costretti a muovere guerra contro Roma. Il conflitto si concluse nel 340 a.C. con il trionfo dei consoli C. Tito Manlio Torquato e Publio Decio Mure che sconfissero la coalizione antiromana presso il Veseris2, assicurandosi il controllo sul Lazio meridionale, sugli Aurunci e sull’intera pianura campana. Roma riorganizzò amministrativamente questo vasto territorio con diverse forme di controllo politico-militare (SALMON 1985a.218 ss.): alcune comunità di lingua latina vennero incorporate nello stato romano, altre divennero colonie e città federate, i Campani ebbero lo status di cives sine suffragio, conservando una formale autonomia, mentre tutto il territorio posto a nord del Volturno divenne Ager Falernus3.
presente sull’altura oggi occupata da Sessa Aurunca intendendo, in questo modo, proprio il sito dalla romana Suessa. Infine, è stato anche ipotizzato (SALMON 1985a.227, nota 132) che la distruzione di Aurunca da parte dei Sidicini possa essere un’invenzione annalistica di Livio, concepita per giustificare la fondazione nel 334 a.C. della colonia di Cales6, dedotta col fine di assicurarsi il controllo delle comunicazioni interne tra Lazio e Campania tramite la sistemazione di un vecchio tracciato che prese il nome di Via Latina. In ogni caso tutto ciò suscitò il risentimento dei Sanniti che si sentirono sempre più minacciati dalla crescente potenza di Roma, tant’è che nel 316 a.C. essi riuscirono a staccare (SALMON 1985a.244) gli Aurunci dall’orbita romana avendo libero accesso al loro territorio per compiere numerose scorrerie nell’area laziale sino alle porte di Ardea7. Ovviamente, la violenta reazione di Roma non tardò ad arrivare visto che nel 314 a.C. i consoli C. Sulpicio Longo ed M. Petelio, con quattro legioni, riunirono di nuovo quelle parti del Lazio e della Campania che erano state distaccate dai Sanniti, punendo il popolo aurunco per il suo tradimento con una tale ferocia da determinarne di fatto il definitivo annientamento8.
Malgrado ciò, la regione non poteva considerarsi pacificata. Infatti, Roma dovette intervenire già nel 337 a.C. quando, secondo Livio, i Sidicini, riluttanti alla dominazione di Roma, obbligarono gli Aurunci che invece, in seguito alla loro non certo spontanea deditio vi erano rimasti fedeli, ad abbandonare la loro principale città Ausona-Aurunca, che fu distrutta e a rifugiarsi in una delle loro roccaforti di nome Suessa4. Purtroppo la ricerca storico-archeologica non è ancora riuscita a far luce su questa complessa catena di eventi e sulla identificazione dei toponimi riportati da Livio, ma sembra chiaro che Aurunca e Suessa non siano la stessa cosa.
A questi tragici avvenimenti fece seguito prima la confisca delle terre degli Aurunci che divennero Ager Publicus Populi Romani, poi, nel 313 a.C. per presidiare la regione appena conquistata, la deduzione della colonia latina di Suessa9. Naturalmente, il massacro e la deportazione di ciò che restava degli Aurunci e l’immissione di circa 6000 coloni (che con le loro famiglie dovevano raggiungere il ragguardevole numero di circa 20000 persone), significò “la sostituzione materiale della popolazione precedente con quella romana” (COARELLI 1993.24).
Aurunca potrebbe essere identificata con una delle ben note cinte fortificate localizzate sul Roccamonfina, a cui si devono associare le fortificazioni di Monte Cicoli e di Cascano, la cui natura militare sembra essere incontestabile5 mentre, non è certo che Suessa coincida con il sito della omonima colonia latina. È però plausibile che Livio abbia proiettato in un’epoca precedente la versione latina del toponimo osco con cui veniva identificato l’oppidum
Il processo di romanizzazione del territorio fu tanto rapido che alla fondazione di Suessa seguì, nel 312 a.C., a decisione di costruire la via Appia10, il cui percorso (Fig. 12), una LIV. Hist., VIII, 16.1-10. Salmon 1985a.244;264, nota 93. 8 LIV. Hist., IX, 25.9. 9 LIV. Hist., IX, 28, “Suessa et Pontiae eodem anno coloniae deductae sunt”. 10 Con la costruzione dell’Appia si portava a compimento la realizzazione delle due principali vie di penetrazione verso il meridione d’Italia, l’una interna (via Latina) e l’altra costiera (via Appia) che di fatto consentirono a Roma di controllare il territorio campano. Per le ultime acquisizioni sul tratto campano della via Appia e sulle problematiche ad esso connesse, cfr. Arthur 1991.48 ss.; Zannini 2002. 6 7
LIV. Hist., VII, 19.4; DIOD. SIC., XVI, 45.8 LIV. Hist., VIII, 11. Sull’identificazione del toponimo Veseris con il vulcano Roccamonfina, cfr. Coarelli 1993.23. 3 Johannowsky 1975; Guadagno 1987; Vallat 1984. 4 LIV. Hist., VIII, 15.1-4. 5 Conta Haller 1978.47 ss.; 53 ss.; Arthur 1991.31;39;56 ss. 1
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Memorie Suessane di Matidia
Fig.12 Il territorio tra il Garigliano e il Savone: viabilità e principali siti di epoca romana (rielaborazione da Arthur 1991)
volta oltrepassato Minturno, è da alcuni studiosi fatto passare per Sessa (ARTHUR 1991.50 ss.), bypassando Sinuessa. È invece molto probabile che il tradizionale percorso Minturnae-Sinuessa-Forum Claudii11 sia stato concepito tra il 307 a.C., epoca del secondo consolato di Appio Claudio Cieco, e il 296 a.C., anno della fondazione delle due colonie romane di Minturno e Sinuessa12, tanto più che la regina viarum, attraversando queste città, ne
costituiva il decumano massimo. C’è tuttavia da considerare che sebbene l’occupazione romana fosse stata violenta e rapida, la trasformazione del territorio deve essere avvenuta meno velocemente di quello che si riesce a cogliere, passando necessariamente per un periodo di transizione e assestamento di cui è testimonianza il citato insediamento di Ponte Ronaco, sopravvissuto alla fondazione di Suessa per almeno un paio di generazioni.
La confusione è stata probabilmente generata in epoca alto medievale dalla caduta in disuso del tratto costiero dell’Appia per i ben noti fenomeni di impaludamento, a favore del tragitto interno Minturnae-Suessa-Capua che in quell’epoca sostituì effettivamente il vecchio tracciato. Cfr. Zannini 2002.61. 12 Come è stato giustamente notato le due colonie gemelle vennero fondate nelle vicinanze delle aree un tempo occupate dai due santuari ausoni di Marica e Panetelle, assolvendo, quindi, alla stessa funzione strategico-militare di controllo del territorio, cfr. Cerchiai 1995.174. 11
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6. La colonia latina di Suessa Sergio Cascella
Al di là delle strade e delle infrastrutture di cui veniva dotato un territorio di recente conquista, il primo mezzo attraverso cui Roma veicolava modelli culturali, ideologici e politici, fu proprio l’imago che dava alle sue colonie. Infatti, è innegabile che, sebbene formalmente le colonie di diritto latino non fossero politicamente un’emanazione diretta dell’Urbe1, dal punto di vista urbanistico e architettonico avessero proprio Roma come parametro di riferimento (TORELLI 1990.47).
e l’istituto scolastico “C.Lucilio”, per poi piegare verso sud, giungendo all’altezza di Viale Trieste ed estendendosi nell’area occupata dal giardino di Villa Tuozzi, ove se ne conservano alcuni resti4. Del tutto incerto è, invece, il percorso delle mura lungo il versante meridionale della scarpata. Infatti, nell’area compresa tra villa Tuozzi e via S. Sevile, rimasta fuori dall’urbanizzazione medievale e moderna5, non esistono resti emergenti, tranne qualche avanzo franato e riutilizzato in edifici posteriori. Nonostante ciò, è probabile che le fortificazioni, seguendo il ciglio della scarpata, coincidente nel primo tratto con via Franale, delimitassero lo sperone tufaceo che a sud e a est costituiva il limite naturale dell’abitato caratterizzato su questo lato da un’imponente strapiombo. Tale percorso appare essere abbastanza probabile non solo per evidenti ragioni morfologiche, ma perché alcuni brandelli delle fortificazioni appaiono inglobati nelle mura medievali che probabilmente ne hanno ricalcato il cammino.
Fortificazioni e porte Pertanto la prima immagine della mutata situazione politica fu per ciò che restava degli Aurunci la costruzione delle possenti mura di cinta di Suessa che, con le implicazioni giuridico-religiose che esse comportavano (GROS 2001.28 ss.), costituirono la materializzazione del nuovo status cui essi furono costretti ad adeguarsi in posizione subalterna rispetto ai nuovi padroni2. Vista la mancanza di scavi regolari, il percorso seguito dalle fortificazioni può essere ricostruito solo in base a ciò che ancora oggi emerge in superficie3. Sommando i tratti conosciuti con quelli sulla cui probabilità si è abbastanza sicuri, esse si estendevano per una lunghezza complessiva compresa tra 2,5 e i 3 km circa, adattandosi alla morfologia della collina su cui fu fondata la città.
Per la costruzione della cinta muraria venne impiegato il tufo color ocra del Roccamonfina, tagliato e messo in opera secondo la tecnica costruttiva dell’opus quadratum. I blocchi, che hanno misure abbastanza costanti, oscillanti tra i 58 e 60 cm nel lato breve e 1-1,15 m circa nel lato lungo, sembrano essere disposti in un’unica cortina di tre file per uno spessore complessivo di circa 1,80-2 m (Fig. 14). Per assicurare la stabilità della murazione i blocchi sono posti in opera a diatoni e ortostati alternati (LUGLI 1957.181 ss.; ADAM 1989.118): si intervallano, infatti, file di blocchi in opera isodoma, filari con blocchi sistemati solo di testa e filari misti.
Partendo da nord e procedendo verso ovest (Fig. 13), le mura si articolavano lungo un percorso corrispondente al lato nord-orientale del Castello Ducale per poi piegare a gomito verso ovest, seguendo un andamento ricalcato da via A. Moro; da qui aggiravano l’area oggi occupata piazza di S. Giovanni a Villa, piegando nuovamente verso sud, passando a monte del teatro romano sino al Convento di S. Stefano. Da questo punto, piegando verso ovest, le mura proseguivano lungo via 4 Novembre sino alla chiesa di S. Maria Regina Coeli da dove, seguendo la scarpata tufacea, esse aggiravano a nord il campo sportivo, il fabbricato oggi sede del Consorzio Aurunco
Tra i tratti giunti sino a noi, quattro sono di particolare rilievo, poiché meglio conservati: il primo (Fig. 12.1) è collocato nella Piazza d’Ercole (VALLETRISCO 1978.65; VILLUCCI 1995.50), dove il palazzo del Municipio ha Due tratti muro sono attualmente visibili nella scarpata sottostante il viale Trieste, in prossimità dell’odierno ufficio postale. Il primo nucleo è costituito da due file di blocchi (lungh. 4-5 m circa) visibili tra la vegetazione spontanea mentre, il secondo nucleo è costituito da quattro file di blocchi, conservati per circa 6,50 m di lunghezza al di sotto della strada, cfr. Valletrisco 1980.64. Ringrazio per queste notizie il Sig. E. Fiorito. 5 Sul restringimento dell’abitato in epoca altomedievale, cfr. Colletta 1996.51 ss. 4
Sull’ordinamento giuridico che regolava la deduzione delle colonie latine e in generale su questo tipo di istituzione, cfr. Salmon 1985b; Laffi 2007. 2 Sull’utilizzo delle colonie latine come mezzo di integrazione della popolazione indigena, cfr. Gabba 1990.12 3 Sulle mura di Suessa, cfr. Valletrisco 1978; Sommella 1987; Sommella 1991.181; Villucci 1995.11; Colletta 1996.44. 1
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Memorie Suessane di Matidia
Fig.13 Sessa Aurunca, planimetria della città antica, rielaborazione dell’aerofotogrammetrico 1:5000 di Sessa Aurunca
inglobato un tratto delle fortificazioni visibili in due punti. La parte a vista (Fig. 15) comprende una decina di assise composte di blocchi disposti in filari in opera isodoma nella parte bassa, mentre nella restante essi sono disposti alternativamente di taglio e di testa.
Caserta nella Proprietà Pietosi (Fig. 13.2). Lo scavo6 ha evidenziato almeno tre fasi cronologiche, di cui la più antica è costituita da una parte delle mura di cinta della fine del IV sec. a.C. La struttura in blocchi di tufo, posta in luce per una 6 Lo scavo si è esteso su una lunghezza di 20 m, 6-8 m di larghezza ed ha raggiunto la profondità massima di 5 m dal piano di calpestio attuale. La superficie, sottoposta a profondi movimenti di terra effettati nei decenni passati, mostrava una stratigrafia d’interro molto disturbata. Al di sotto di uno strato di 40-50 cm di humus agricolo, che costituiva l’attuale piano di campagna, è apparso un deposito della potenza di 4,80 m di spessore, costituito da macerie edilizie antiche e moderne miste a scarsi frammenti ceramici.
Un altro tratto delle mura è venuto in luce lungo il ciglio della scarpata posta alle spalle della Chiesa di S. Giovanni a Villa a seguito di uno scavo di emergenza eseguito da parte della Soprintendenza Archeologica di Napoli e
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Sergio Cascella: La colonia latina di Suessa
lunghezza di 4 m e per un’altezza di 2 m, è disposta secondo l’asse nord-sud, quindi perpendicolarmente all’andamento del pendio che è invece est-ovest, giustificando l’ipotesi che essa possa essere parte di un avancorpo. Il terzo e più grande tratto (Fig. 13.3) emerge a monte del Teatro Romano (MAIURI 1961.59; CASCELLA 2002.27). Qui le mura, di cui è attestata la presenza per una lunghezza di un centinaio di metri, sono visibili per circa 30 m di lunghezza e 6 m di alt. Di esse si conservano 10 assise di blocchi (Fig. 16). alternativamente disposti solo per testa e solo per taglio, che nel lato sud scompaiono al disotto della via 4 Novembre per riaffacciarsi dall’altro lato della strada nelle strutture del Convento di S. Stefano. Il quarto avanzo di muro (Fig. 13.4) è venuto in luce durante gli scavi della villa suburbana sita presso il Teatro Romano. Poco oltre la parte postica della basilica meridionale del teatro, è infatti emersa una lunga struttura in opera reticolata, con funzione di basis villae (vedi infra) che si sovrappone ad una struttura più antica formata da blocchi di tufo (Fig. 17) che, per un primo tratto, mantiene lo stesso orientamento, per poi deviare assumendo una giacitura diversa (75° nord-est, 275° sud-ovest). Non siamo in grado di dire se questa murazione fosse presente anche nell’area poi occupata dalla struttura in reticolato, poiché non se ne conservano tracce, ma è probabile che essa giaccia nel sottosuolo antistante la villa suburbana per alcune decine di metri, costituendo la prosecuzione della basis. Del muro restano quattro filari sovrapposti di blocchi che, nel primo, sono posti per testa, perfettamente perpendicolari al suolo, mentre nei tre filari successivi, essi sono posti per taglio con la facciavista inclinata a formare un muro di contenimento a scarpa. La assoluta uniformità di materiali e tecnica di esecuzione, fa identificare questa struttura con un tratto delle fortificazioni del IV sec. a.C.
Fig.14 Sessa Aurunca, Teatro Romano, punto di sovrapposizione tra le mura del IV sec. a.C. e il rifacimento sillano del I sec. a.C.
Il dato interessante è però costituito dal fatto che questo avanzo del muro di cinta non sembra avere alcun collegamento con quello visibile a monte del teatro, poiché è ubicato di gran lunga più a valle, anzi proprio alla sua base. Ciò fa supporre che lungo questo versante i diversi salti di quota in cui si articolavano i fianchi dell’insediamento erano probabilmente provvisti di muri di contenimento e rinforzo formanti ampie terrazze, forse utilizzate originariamente per la collocazione delle macchine belliche, ma che nelle epoche successive divennero degli ottimi spiazzi per l’edificazione di complessi edilizi a carattere residenziale (vedi infra). Anche per ciò che riguarda la dislocazione delle porte urbiche siamo poco informati poiché nessuna di esse è conservata nell’attuale tessuto cittadino7. Ciò nonostante, l’ubicazione di due di esse può essere ricostruita con maggiore precisione; una porta si trovava allo sbocco del cardo massimo, in Piazza d’Ercole, lì dove sino al Livio riporta la presenza delle mura e delle porte a proposito degli avvenimenti del 199 a.C.: “Ab Suessa nuntiatum est duas portas quodque inter eas muri erat de caelo tactum…”, cfr. LIV. Hist., XXXII, 1. 7
Fig.15 Sessa Aurunca, Palazzo del Municipio, Mura del IV sec. a.C.
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Memorie Suessane di Matidia
Fig.16 Sessa Aurunca, Teatro Romano, particolare delle mura del IV sec. a.C.
scolastico “C.Lucilio”, sito all’incrocio tra Viale Trieste e la strada Sessa-Fasani. In quella occasione9 si rinvennero due tratti delle mura del IV sec. a.C. e i resti della porta meridionale della città (JOHANNOWSKY 1975.15;VILLUCCI 1995.23). È molto probabile che un’altra porta fosse ubicata in località S. Sevile dove pare fossero ancora visibili dei resti all’epoca del De Masi (DE MASI 2000.172). Se fossero presenti altri varchi nelle fortificazioni, questi dovevano certamente essere di difficile accesso per la presenza dell’alta scarpata di tufo, ed in ogni caso non possediamo dati sufficienti per una loro precisa localizzazione. Infine, ritornando lungo la cinta muraria a nord-est dell’abitato, tra le proprietà Perrotta e Casale, esistono i resti di una posterula di cui oggi sono ben visibili gli stipiti laterali, sormontati da un arco in conci di tufo, fiancheggiati da un tratto delle mura urbiche (VILLUCCI 1980c.1 ss.). L’impianto urbano Fig.17 Sessa Aurunca, Villa Romana, basis villae, tratto di mura del IV sec. a.C.
Nonostante l’ininterrotta continuità di vita del sito, siamo in grado di avere un quadro generale sufficientemente chiaro della topografia della città antica10. I pochi elementi certi sono costituiti dalla rete viaria principale, dall’ubicazione dell’arce, del foro e dei principali edifici pubblici di spettacolo.
1824 esisteva la Porta del Trofeo (VILLUCCI 1995.50) che probabilmente ne aveva ereditato la funzione. È, infatti, molto probabile che il citato tratto di mura inglobato nel palazzo del Municipio, fosse parte della cortina immediatamente al lato della porta. All’altro capo del cardo massimo, la scoperta più importante8 fu fatta durante la costruzione del complesso
I grafici e i rilievi eseguiti in occasione di questi scavi pare siano stati consegnati al comune di Sessa Aurunca, ove non sono per il momento più reperibili. 10 Sull’impianto urbano di Suessa, cfr. Johannowsky 1975.6 ss.; Valletrisco 1978.59 ss.; Sommella 1988.44 ss.; Valletrisco 1990.39 ss.; Arthur 1991.55 ss. 9
Pratica Archivio Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta S8/8-1. 8
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L’area delimitata dalle mura di cinta, essendo costituita da un pianoro posto longitudinalmente lungo le falde del Roccamonfina, era caratterizzata da una notevole pendenza, ancor oggi nettamente percepibile, ma che in antico doveva essere maggiormente evidente, tanto che, come testimoniano i resti archeologici nell’area del foro (vedi infra), i vari salti di quota dovevano essere in parte contenuti da muraglioni di sostegno, probabilmente raccordati alla viabilità cittadina per mezzo di scalinate. Una siffatta morfologia condizionò inevitabilmente sia la sistemazione dell’impianto viario che quello dello smaltimento delle acque reflue. Infatti, come accadde in molte città collinari di nuova fondazione (SOMMELLA 1988.233), l’impianto urbano (Fig. 13) venne organizzato su due assi principali: un cardo massimo, corrispondente forse ad un più antico percorso di crinale, orientato nord-est/sud-ovest e un decumano massimo, orientato nord-ovest/sud-est. Il cardus maximus, lungo circa 800 m, è certamente identificabile con l’attuale Corso Lucilio, poiché in seguito ad alcuni lavori pubblici effettuati nel 198411, in corrispondenza della rampa di scale che dal Corso Lucilio porta a Piazza Turpilio, è stato rinvenuto, a circa 1,52 m al disotto del piano di calpestio attuale, un tratto di basolato costituito da selci in pietra lavica (Fig.18), mentre, allo stato attuale nessun rinvenimento archeologico conferma l’identificazione del decumano massimo con le attuali via Roma e via Mozart. Il rinvenimento di questo tratto di selciato antico conferma che il brusco cambiamento di direzione assunto dal cardo, in corrispondenza dell’attuale via Ferranzio, è un fatto antico, non imputabile quindi a mutazioni di giacitura assunte dell’impianto urbano in epoca post classica. È, infatti, innegabile che il percorso del cardo massimo era in questo punto l’unico possibile, in quanto condizionato dalla forma stessa dell’altura su cui venne fondata la città.
Fig.18 Sessa Aurunca, Corso Lucilio, tratto del basolato romano
orientamenti. Infine, nella giacitura di questo lato del cardo, ha giocato senz’altro un ruolo fondamentale la necessità di raccordare l’asse viario principale della città con la viabilità extraurbana che, come detto, prendeva le mosse dalla porta ubicata in Piazza d’Ercole.
Difatti, nel tratto compreso tra la porta meridionale (circa quota 130 s.l.m.) e via Ferranzio (circa quota 185 s.l.m.), procedendo verso nord-est, il percorso della strada taglia le curve di livello, assicurando un facile smaltimento delle acque meteoriche, come attesta l’impianto fognario dell’area forense presente tra le strutture del cosiddetto Erario, sostanzialmente parallelo al percorso del cardo (vedi infra). Nel tratto via Ferranzio-Piazza d’Ercole, invece, la strada dovette necessariamente assumere una giacitura diversa, procedendo nel punto più alto, alla base dell’arce, dato che questa parte dell’abitato degrada verso sud-est da quota 200 sino a quota 150 s.l.m. Fu quindi necessario, per favorire il ruscellamento e lo smaltimento delle acque reflue in quella direzione, innestare sul cardo (SOMMELLA 1991.181) la viabilità minore, che formava insulae rettangolari secondo una disposizione per strigas. Purtroppo, la mancanza di scavi stratigrafici nel centro storico, non consente di comprendere come fu risolta, nel punto di cerniera, l’intersezione tra questi due differenti
L’Arce: le nuove acquisizioni L’Arx, che coincide con l’altura che in epoca medievale verrà occupata dal Castello Ducale, era probabilmente delimitata da una cinta muraria, realizzata in blocchi di tufo, di cui un brandello, che sembra originarsi dalla cortina ancor oggi visibile nella Piazza d’Ercole, è inglobato nelle strutture del palazzo municipale. Ad un rifacimento d’età imperiale, è pertinente, invece, l’imponente muro in opera mista che sul fianco ovest sostruisce la collina del Castello (Fig. 19). Di questo è visibile la struttura cementizia, in cui si distinguono ancora molto bene i marcapiani e tre grossi arconi di scarico in bipedali inglobati nelle strutture medievali. Della parte sommitale, si conserva, nell’attuale sistemazione urbanistica della collina del Castello, l’originaria articolazione in due alture, oggi corrispondenti all’area di Piazza Castello e alle strutture stesse della rocca. Purtroppo, non abbiamo alcun dato circa l’assetto della terrazza inferiore, mentre, una serie di indagini
Archivio della Soprintendenza Ai Beni Archeologici di Napoli e Pompei, pratica S11/18. 11
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alle aree oggi occupate dal cortile interno e dal retrostante giardino pensile, entrambe oggetto di due saggi di scavo. Questi sondaggi hanno permesso di raccogliere alcuni dati che, ovviamente, sono tutt’ora oggetto di riflessione e studio e di cui daremo delle informazioni che, occorre precisare, devono essere considerate del tutto preliminari. Saggio1 Il primo saggio, effettuato nel cortile interno14, ha rilevato che la sommità dell’altura era costituita non da roccia tufacea, che si ritrova alla base della collina, ma da terreno pozzolanico poco consistente anche se ben livellato. Questo banco naturale, che si trova a circa 1 m di profondità sotto l’attuale pavimentazione del cortile, conferma quanto detto prima e cioè che, in questo punto, l’intera storia insediativa del sito, sintetizzabile in quattro fasi di occupazione, si è stratificata in poco meno di 1,20 m di spessore. Difatti, dopo aver rilevato una canaletta di epoca relativamente recente (Fase IV), sul lato occidentale del saggio sono venuti in luce alcuni nuclei cementizi di epoca post classica (Fase III) che potrebbero essere datati all’epoca del castrum suessanum (Fig. 21.A), la cui presenza è documentata al ben noto Placito del 963 d.C. (GENTILE 1988.51; VILLUCCI 1995.37). Questo primo dato è di estrema importanza poiché, se confermato, testimonierebbe che all’epoca della ricostruzione normanna del castello, ciò che rimaneva del castrum, venne probabilmente in gran parte abbattuto. Almeno due di questi frammenti di muratura erano in giacitura secondaria, essendo stati probabilmente coinvolti nei lavori di sistemazione e livellamento operati dai Marzano a partire dal XIII secolo, epoca alla quale si fa rimontare la creazione del cortile interno, mentre un terzo, sebbene demolito nella sua parte sommitale, era ancora nella sua originaria posizione.
Fig.19 Sessa Aurunca, Castello Ducale, particolare delle sostruzioni settentrionali
archeologiche eseguite in occasione dei recenti lavori di restauro effettuati nel Castello Ducale12, hanno in parte fatto luce sulla sistemazione della parte più alta dell’arce. L’assistenza alle operazioni di consolidamento eseguite nelle fondazioni, nelle murature e negli ambienti archivoltati disposti al disotto degli attuali piani di calpestio del primo piano, ha innanzitutto rivelato che nessun elevato antico è stato inglobato tra le strutture del Castello Ducale che, nelle sue varie fasi di sviluppo, ha sin dalle origini insistito sullo stesso luogo dell’Arce, azzerando ad ogni sua ricostruzione i livelli di frequentazione precedente, tanto che in alcuni punti le stratificazioni antiche si trovano immediatamente al di sotto delle pavimentazioni attuali.
Quest’ultimo aveva in parte sigillato una calcara15 (Fase II), solo parzialmente scavata (Fig. 21.B), che in base ai pochi frammenti ceramici trovati nello strato posto al disotto di essa, potrebbe essere databile ad epoca tardo antica e alto medievale. Questo livello rappresenta un’importante cesura nella storia del sito poiché esso copriva un muro di fondazione (Fase I) che, probabilmente in epoca tardo antica, era stato uniformemente livellato sino alla quota di spiccato16.
Inoltre, è apparso subito chiaro che questa parte dell’Arce si articolava in due livelli, altimetricamente leggermente sfalsati. Tale differenza, visibile anche lungo il versante ovest della collina (Fig. 20)13, corrisponde grosso modo
Si tratta di un’imponente fondazione in cavo armato
Ringrazio la Prof.ssa R. Carafa e l’architetto V. Guadagno per aver fornito i rilievi archeologici e per il prezioso scambio di opinioni avuto con loro durante le operazioni di consolidamento e restauro del Castello Ducale, eseguiti nell’autunno del 2008. Ringrazio, inoltre, i sempre illuminanti consigli e insegnamenti che il prof. Villucci ha voluto darmi in occasione di alcune sue visite al cantiere di scavo. 13 Nelle strutture di contenimento visibili lungo via A. Moro è chiaramente distinguibile una muraglia, rivestita in laterizio, che si appoggia a quella più antica in opera mista, la cui sommità è chiaramente più bassa di circa un paio di metri rispetto a quella adiacente.
La scelta di effettuare i due saggi nelle aree suddette è stata dettata dalla considerazione che queste erano quelle che presentavano minori probabilità di essere state disturbate nel corso del periodo medievale e moderno dalla creazione di ambienti ipogei e sottoservizi. 15 Di questa struttura, anche’essa demolita sino alla quota di imposta dell’attuale pavimentazione del cortile, resta solo la parte basale della vasca. 16 Ciò rende lecito ipotizzare che l’elevato di quest’edificio doveva risultare essere già distrutto o lo fu proprio in occasione della formazione del suddetto strato altomedievale.
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Fig.20 Sessa Aurunca, Castello Ducale, Sostruzioni settentrionali
Fig.21 Sessa Aurunca, Castello Ducale, veduta d’insieme del saggio 1
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Fig.22 Sessa Aurunca, Castello Ducale, saggio 1
(GIULIANI 1991.127) di epoca romana (Fig. 21.C), di cui sono stati individuati due tratti angolari: uno all’interno di questo saggio (Fig. 22, 24.A), seguito per 5 m in direzione nord-ovest/sud-est e per altri 5 m in direzione nord-est/sudovest (Fig. 23) e un secondo segmento, apparso per almeno 6 m di lunghezza in direzione nord-est/sud-ovest e per circa 3 m in direzione nord-ovest/sud-est, venuto in luce durante gli scavi per la creazione della tromba dell’ascensore di servizio ad una serie di locali, coincidenti con la fronte sud-est del Castello, che verranno in futuro adibiti a Museo Civico (Fig. 24.B).
eccezionali degli elementi lignei utilizzati per la sua costruzione, non solo la avvicinano a quelle di alcuni monumenti della Roma imperiale (ZEGGIO 1999.117 ss.), ma può essere spiegata solo se si ipotizza che essa venne costruita per consolidare il terreno e sostenere un edificio altrettanto imponente. Infatti, ricongiungendo planimetricamente i resti individuati, si ottiene un’area rettangolare di circa 25 x 15 m, orientata con l’asse maggiore nord-est/sud-ovest (Fig. 24), corrispondente probabilmente a quella di ingombro dell’edificio. Ovviamente a questo punto è lecito domandarsi di quale tipo di edificio può trattarsi? Le norme augurali prevedevano che all’interno dell’abitato venisse scelto un luogo elevato (Arx) ove collocare i sacra e l’auguraculum, ovvero il tempio augurale della città (TORELLI 1990.46). Riconoscere in questa struttura le fondazioni o i muri di contenimento della platea di un edificio identificabile con la fase d’età imperiale20 del tempio augurale della colonia, costituisce certamente un’ipotesi molto suggestiva, forse suffragata da alcuni elementi che potrebbero essere concordi con un’identificazione di questo genere. Infatti, l’inclinazione di circa 40° nord-est dell’asse principale dell’edificio sembra coincidere con quelle del cardus maximus (Corso Lucilio) e con la giacitura della limitatio agraria d’età triumvirale o protoaugustea del territorio di Sessa, che è costituita da un catasto di circa 20x20 actus21. È, infatti, noto (TORELLI
La fondazione, larga 1,45 m e profonda circa 6 m (Fig. 25), è costituita da un durissimo calcestruzzo in cui sono stati allettati inerti composti da grosse schegge di pietra lavica, disposte accuratamente per livelli successivi. Ai due lati della struttura si notano, in perfetto stato di conservazione, le impronte dell’armatura lignea utilizzata per la sua costruzione. Sono visibili le tracce orizzontali del tavolato17, quelle verticali dei ritti18 e le impronte lasciate dai saettoni19 di collegamento (Fig. 26) che, a differenza del resto dell’armatura, vennero recuperati a mano a mano che si effettuava il getto, segandone la parte centrale e lasciando solo le estremità agganciate ai ritti. L’imponenza di questa fondazione e le dimensioni Le tavole avevano un’altezza media di circa 25 cm e uno spessore di circa 5-6 cm. 18 I ritti, erano distanziati di circa 1,10 m l’uno dall’altro ed erano a sezione quadrangolare di circa 15-17 cm di lato. 19 I saettoni, in base alle tracce che essi hanno lasciato sul conglomerato, erano distanziati verticalmente di circa 1,10-1,20 l’uno dall’altro, per cui si contano almeno 5 file di travi verticali, forse corrispondenti ad altrettante giornate lavorative relative alle operazioni eseguite per il getto di calcestruzzo. 17
Nessun tipo di materiale archeologico è stato rinvenuto nel cavo di fondazione, per il fatto che esso sostanzialmente coincide con la fondazione stessa. Solo un piccolo gruppo di intonaci dipinti e ceramica, scoperto nella parte iniziale dello scavo effettuato per la creazione della suddetta ascensore, sembrerebbe riferirsi ad un orizzonte cronologico databile grosso modo al periodo augusteo. 21 Arthur 1982a.177; Arthur 1991.41 ss.; Chouquer 1987.172 ss. 20
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Fig.23 Sessa Aurunca, Castello Ducale, saggio 1, veduta d’insieme della fondazione romana
Fig.24 Sessa Aurunca, Castello Ducale, posizionamento della fondazione di epoca romana
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Fig.25 Sessa Aurunca, Castello Ducale, particolare della fondazione romana nel vano dell’ascensore
Fig.26 Sessa Aurunca, Castello Ducale, saggio 1, particolare dell’armatura lignea sulla fondazione romana
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Fig.27 Sessa Aurunca, Castello Ducale, saggio 2, particolare del crollo altomedievale
riscontrata nel primo. Infatti, al di sotto di circa 80 cm di suolo umificato, contenente materiale ceramico di tutte le epoche, sono apparsi diversi nuclei cementizi, presumibilmente riferibili ad età alto medievale, in evidente giacitura secondaria, tra cui un frammento di parete (spess. 60 cm. ca.) eseguito in una rozza opera incerta (Fig. 27) formata da scapoli legati con malta di scarsissima qualità, piena di grumi di calce non sciolta. A circa 1,20 di profondità è apparsa un imponente muro di epoca romana (Fig. 28), dello spessore di circa 3 m, che presenta lo stesso orientamento del muro di fondazione trovato all’interno del cortile.
1990.46) che l’orientamento del tempio augurale della città serviva da base per tracciare le linee delle strade urbane e campestri, come avviene a Cosa o Alba Fucens22. Naturalmente la scarsità di elementi e la limitatezza dell’esplorazione impongono prudenza nella valutazione di questi dati, che sicuramente andrebbero arricchiti con altri elementi e ulteriori approfondimenti, anche se la presenza di ambienti ipogei quasi in ogni locale del primo piano del Castello e la creazione nel corso del ’900 di un’intricata rete di sottoservizi e superfetazioni, hanno irrimediabilmente compromesso la stratigrafia, rendendo pressoché impossibile quest’operazione.
La struttura appare spaccata in tre tronconi da due profonde fratture che hanno determinato un’accentuata inclinazione dei frammenti del muro verso nord e sud, segno che in profondità la struttura ha avuto un cedimento strutturale, forse dovuto ad un movimento franoso. Pertanto, per ragioni di sicurezza, ed in prospettiva di una futura esplorazione integrale di quest’area, al momento non è stato possibile né allargare né approfondire il saggio per verificare la facciavista della struttura. In ogni caso l’elevato dell’edificio doveva essere realizzato in opera mista o completamente in laterizio, visto che l’interfaccia portata in luce si interrompe in coincidenza di un marcapiano realizzato in bipedali, di cui restano solo le impronte.
Purtroppo, nulla possiamo dire sull’articolazione planimetrica e sull’elevato di questo presunto edificio essendo questo completamente scomparso. Il sistematico livellamento della fondazione alla quota di spiccato e la contemporanea mancanza di strutture murarie riutilizzate in quelle medievali, avvalorerebbe però l’ipotesi che l’elevato dell’edificio fosse costituito non da muratura in concreto cementizio, ma da una struttura in blocchi (probabilmente tufo) che, una volta spoliata, non ha lasciato alcuna traccia. Saggio 2 Nel secondo saggio, effettuato nel giardino pensile, si è riproposta una sequenza stratigrafica simile a quella
Il foro
Sulle connessioni tra organizzazione degli spazi rurali ed urbani e i templa augurali, cfr. Brown 1960; Torelli 1966; Catalano 1978.440 ss.; Cifarelli 2003.105;
Purtroppo, le scoperte archeologiche effettuate nell’area forense per il momento si limitano al solo disseppellimento
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Fig.28 Sessa Aurunca, Castello Ducale, saggio 2, struttura di epoca romana
Fig.29 Sessa Aurunca, Planimetria dell’area del foro
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del criptoportico repubblicano, effettuato dal Maiuri nel 1926, per cui della sistemazione della piazza del periodo in cui fu impiantata la colonia non conosciamo nulla. Ciononostante, in base a ciò che è desumibile dai resti attualmente visibili, tutti riferibili ad epoche posteriori, il foro (Fig. 29), posto immediatamente a nord-ovest dell’incrocio tra decumano e cardo, dovrebbe corrispondere con l’area occupata oggi dalle piazze Tiberio Massimo e S. Giovanni a Villa.
La piazza aveva una lunghezza presunta di circa 100 m e una larghezza di 60 m (circa 6000 m.q.)23 ed era limitata a est da una serie di monumenti, tra cui sono riconoscibili i resti di un edificio che comunemente viene identificato con l’Aerarium, a sud dal tracciato del cardus maximus (Corso Lucilio), ad ovest dal criptoportico di epoca repubblicana e da un edificio sepolto al di sotto della Chiesa di S. Anna ed infine, a nord, dalle strutture rinvenute in proprietà Pietosi.
Sul rapporto percentuale tra le superfici foro-città, cfr. Conventi 2004.159
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7. La fase medio repubblicana Sergio Cascella
La città: testimonianze archeologiche All’interno dell’area urbana la mancanza di scavi stratigrafici ha comportato la completa assenza di testimonianze archeologiche relative al periodo medio repubblicano. Tuttavia, alcuni reperti recuperati nel 1972 dal Prof. M. Villucci e dal Sig. E. Fiorito (VILLUCCI 1980a.160) durante i lavori di rifacimento della strada Sessa-Fasani, gettano un tenue raggio di luce sul periodo compreso tra la fine del III e il II sec. a.C. Il sito, individuato poco lontano dall’istituto scolastico “C.Lucilio”, presso un capannone utilizzato come autorimessa, si trovava in antico immediatamente fuori la cinta urbana, a ovest della la porta sud-occidentale della città, lungo il tratto iniziale dell’antica via per Minturnae.
Fig.30 Sessa Aurunca, Via Fasani, terrecotte votive III-II sec. a.C.
Tra il molto materiale disperso si riuscirono a salvare alcuni frammenti di coroplastica votiva che denunziano la presenza in questo luogo di un santuario suburbano di epoca medio repubblicana. Il materiale recuperato dalla stipe votiva ammonta, purtroppo, a soli 4 pezzi: si tratta di ex voto anatomici in terracotta di tipo laziale, 2 piedi e 2 teste (Fig. 30-31) giovanili, forse femminili, caratterizzate da una struttura del viso sommaria, con mento piatto, occhi indicati con un globetto, privo di pupilla, capigliatura a melone, coperta da un velo aderente alla testa, elementi, questi, che indicano una datazione piuttosto bassa (fine III- inizi II sec. a.C.) per questi reperti, che rientrano pienamente nella temperie culturale che caratterizza altri siti campani di questo periodo, come Capua (BONGHI JOVINO 1965.24 ss.; 91) e Panetelle (CHIOSI 1993.158), ed in generale riflettono la oramai avvenuta romanizzazione. Il territorio: lo sviluppo economico Il particolare status giuridico degli abitanti di Suessa comportava una serie di obblighi nei confronti di Roma1 tra cui quello di fornire contingenti militari per la difesa dello stato romano. Ciò accadde nel 295 a.C. quando, durante le battaglie intraprese da Roma nel Sannio, Suessa fu costretta a fornire una coorte di legionari. Al contempo, però, la colonia godeva di una formale autonomia amministrativa che le consentiva addirittura di esercitare lo ius monetandi. 1
Fig.31 Sessa Aurunca, Via Fasani, ex voto anatomici III-II sec. a.C.
LIV. Hist., X,33.
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Memorie Suessane di Matidia
Al periodo immediatamente successivo alla deduzione, e in particolare tra il 280 e il 268 a.C., si fanno risalire le emissioni monetali di Suessa2 costituite da didrammi d’argento nel cui diritto si trova una testa laureata di Apollo e nel rovescio la figura di un giovane cavaliere che conduce un secondo cavallo mentre, nell’esergo, compare la leggenda SVESANO espressa in caratteri latini3.
battuta d’arresto. Nel 217 a.C., infatti, il console Fabio Massimo9, acquartierato nei pressi del monte Massico, evitò forse la distruzione di Suessa sbarrando il passo alla cavalleria numidica che stava devastando il contiguo Ager Falernus giungendo sino alle porte di Sinuessa10. A partire dai primi anni del II sec. a.C., l’evidenza archeologica dimostra che ci fu una graduale ripresa che si tradusse in una capillare occupazione del territorio. A quest’epoca, infatti, si datano quasi tutte le villae rusticae identificate sul terreno attraverso vasti spargimenti di cocciame e strutture affioranti in opera incerta poggianti su terrazzamenti realizzati in opera poligonale e quadrata (PROIETTI 2002.50 ss.). È chiaro, però, che quest’improvviso exploit appare ai nostri occhi molto più enfatizzato di quanto forse lo fu in realtà. Infatti, l’uso massiccio che in questo periodo si cominciava a fare dell’opus caementicium, indubbiamente, determinò da un lato, la rapida scomparsa delle labili tracce dell’uso del suolo relative al periodo precedente, e dall’altro, per noi, la percezione che la maggior parte degli insediamenti nasca proprio in quest’epoca.
Il rinvenimento di monete di Suessa in tutta la pianura campana e in numerosi tesoretti monetali sparsi per l’Italia centro meridionale4, attesta che la città aveva raggiunto un certo grado di floridezza economica e commerciale senz’altro basato anche sullo sfruttamento del suo fertilissimo ager che ben presto dovette popolarsi di case coloniche5, forse identificabili con i tecta descritti da Livio6. Del resto, le anfore vinarie del tipo greco-italica arcaica7, recuperate nei corredi della necropoli aurunca di località Piscinola (NAVA 2006.605), sono probabilmente di produzione locale ed attestano che, sin dalla seconda metà del IV sec. a.C., il territorio era ampiamente sfruttato come sembrerebbe attestato da un catasto di epoca preromana (Suessa I), caratterizzato da una maglia di 8x8 vorsus, esteso tra Suessa e Sinuessa (CHOUQUER 1987.170).
Tuttavia, questo apparente clima di crescita economica fu accompagnato da uno stato di tensione e di latente insofferenza sociale nei confronti di Roma. Difatti qui, come altrove, la città soffriva per i prolungati spopolamenti determinati dai massicci reclutamenti di legionari compiuti durante le guerre annibaliche11. Queste tensioni sfociarono, nel 207 a.C., nel rifiuto da parte di Suessa12 di fornire soldati per le truppe romane impegnate nella guerra contro Cartagine, circostanza che scatenò la ritorsione del senato romano che punì severamente la città imponendole un doppio tributo13. Pochi decenni dopo, il quadro socioeconomico mutò nuovamente: infatti, dopo la conquista della Grecia e dell’Asia, avvenuta tra il 188 e il 146 a.C., affluirono in questa parte d’Italia enormi masse di schiavi e prigionieri di guerra che furono impegnati nella coltivazione su scala industriale di vitigni pregiati dai quali si ricavava il Falerno14. La gestione di questa moltitudine doveva certamente essere molto complessa tanto da generare ben presto forti tensioni che nel 135 a.C. sfociarono nella ribellione di 450 schiavi a Minturnae15 e l’anno successivo, nei pressi di Sinuessa, nella rivolta di circa 4000 schiavi che furono giustiziati con la crocefissione. Al di là del valore aneddotico, questi episodi riflettono i profondi mutamenti che la conquista dell’oriente ellenistico aveva determinato sul contesto socio-economico della regione.
Tuttavia, le indagini superficiali (CRIMACO 1993.32 ss.; PROIETTI 2002.23 ss.), registrando una scarsissima presenza di siti archeologici anteriori alle guerre annibaliche (PROIETTI 2002.52), non sembrano suffragare quest’ipotesi, anzi dimostrerebbero che Suessa, all’inizio della sua storia, abbia scarsamente utilizzato il suo territorio a fini agricoli8. C’è da chiedersi quanto un’ipotesi di questo genere sia accettabile visto che non conosciamo le fasi più antiche delle ville d’età medio e tardo repubblicana di questo territorio, poiché nessuna di esse è stata oggetto di scavi sistematici. In ogni caso è molto probabile che, a causa delle incursioni cartaginesi compiute durante le guerre annibaliche, lo sviluppo agricolo dell’Ager Suessanus abbia subito una SAMBON 1903. 852 ss.; BORRELLI 1927 Non mancano pareri contrari circa l’inizio di questa monetazione, che alcuni studiosi fanno risalire addirittura ad un’epoca antecedente la deduzione della colonia, cfr. Petteruti 1983.92 4 Rinvenimenti di tesoretti monetali romano campani sono attestati in vari siti, cfr., ad esempio, Mazzei 1995.78. 5 Certamente il potere romano, all’indomani della deduzione della colonia, adoperò ciò che restava delle popolazioni autoctone come manodopera servile nello sfruttamento agricolo del suo territorio, cfr. Arthur 1991.100. 6 LIV. Hist., XXII, 14.7 7 Si tratta di anfore note come MGS V, la cui produzione è attestata tra la fine del IV e l’inizio del III a.C. Su questo tipo di contenitori, cfr. Vandermersch 1994.76 ss. 8 Gli studiosi francesi del gruppo di Chouquer e Vallat, identificano nell’attuale maglia di vie campestri estese a nord-ovest della città, verso il Garigliano, la adsignatio del 313 a.C. (Suessa II) costituita da una maglia per strigas, cfr. Chouquer 1987.171. Questi studiosi osservano che tale catasto si interrompe in prossimità dell’asse viario cd. Appia II, che in realtà è identificabile con la via Suessa-Minturnae, che sicuramente ripercorre un tragitto di epoca preromana, ma che questi studiosi evidentemente identificano con l’Appia vera e propria, o almeno con la prima fase di essa, usando questo dato come termine cronologico per datare questo presunto catasto. Dunque questo è un caso in cui tali identificazioni, basate per ora solo osservazioni prive di riscontri archeologici sul terreno, devono essere prese con il beneficio d’inventario. Su quest’argomento, cfr. Compatangelo 2002.67 ss. 2
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La trasformazione di un’economia basata su piccoli appezzamenti di terreno, coltivati dagli stessi coloni, Sulle proprietà di Fabio Massimo in questa parte della Campania, cfr. Arthur 1991.63. 10 LIV. Hist., XXII, 13-14. 11 LIV. Hist., XXXVI, 3; Proietti 2002.52 12 LIV. Hist., XXVII, 9,7. 13 LIV. Hist., XXIX, 15 14 Gli studiosi pare siano propensi per una familiarità del vino aurunco col il più celebre Falerno, la cui produzione era concentrata nell’area di Falciano del Massico. Sul vino Falerno cfr. Tchernia 1986.330 ss. 15 OROSIO, Hist.V,9; Frederiksen 1981.277. 9
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Sergio Cascella: La fase medio repubblicana
in un’economia imperialistica imperniata sulla villa di produzione schiavistica16, favorì la formazione di vasti latifondi posseduti da pochi aristocratici17 i cui interessi qui, come in altre zone d’Italia, inevitabilmente entrarono in collisione con i progetti di Tiberio Gracco. Eletto tribuno nel 133 a.C., Tiberio Gracco tentò di ricostruire il ceto dei piccoli proprietari proponendo una riforma agraria, nota come Lex Sempronia, che rifacendosi alle leggi Liciniae-Sextiae, disponeva una serie di norme finalizzate ad evitare la concentrazione di grandi porzioni dell’agro pubblico nelle mani di pochi. Nonostante fosse stata duramente osteggiata tale riforma venne approvata ed applicata anche a Suessa con la creazione di un nuovo catasto18. Ad età graccana, infatti, viene datato un catasto le cui maglie, con un modulo di 13 actus, orientate N. 58° E, si estendono a sud-ovest di Suessa, tra il Massico e l’area di Cellole (CHOUQUER 1987.172). Purtroppo però, al di là di ciò che riporta il liber coloniarum, la mancanza di scavi e ricerche ci impedisce di avere un riscontro preciso su come le proprietà furono riorganizzate in questo territorio.
Fig.32 Sessa Aurunca, Villa Romana, bollo su vernice nera
Sebbene in quest’epoca la produzione agricola doveva giocare sicuramente un ruolo fondamentale, il tessuto economico della città doveva essere basato anche su una notevole industria manifatturiera visto che Catone incluse Suessa da nella lista di località utili per l’approvvigionamento di canestri, carri, parti lignee dei torchi e trapeta19.
Ad una produzione locale potrebbe riferirsi anche un altro bollo in cartiglio quadrangolare, rinvenuto in più esemplari nell’area del teatro e della villa suburbana. Il marchio, Q.BV/SANA, espresso con caratteri latini, disposto su due righe sopra una clava con bastone nodoso (Fig. 32), non sembra trovare alcun riscontro con il coevo materiale di sicura provenienza e fabbricazione calena i cui prodotti, fortemente imposti sul mercato, avevano un’ampia e capillare diffusione. Vasi a vernice nera riportanti simboli erculei sono stati prodotti a Cales in epoca annibalica (fine III-II sec.a.C.) (PEDRONI 2001.207 ss.). Purtroppo, per la maggior parte di essi, provenendo da recuperi fortuiti, non è possibile stabilire con certezza né una cronologia precisa, né se questo tipo di vasellame fosse o meno realizzato esclusivamente per un uso cultuale21. I simboli erculei riportati sui vasi caleni come la clava isolata, resa in varie foggie, la cuspide di freccia e l’unione clava-freccia, non sembrano però essere mai associati ad elementi onomastici complessi22, ma solo a qualche lettera singola.
Non è altresì escluso che, a partire dalla fine del III sec. a.C. sino al II-I sec. a.C., la vivacità dell’industria suessana possa essere confermata anche da una cospicua produzione locale di ceramica a vernice nera. W. Johannowsky ha, infatti, riconosciuto tra i materiali del santuario di località Loreto a Teano, un fondo con il bollo C.PACT.C.F.SVES (JOHANNOWSKY 1963.140 ss.), caratterizzato da un’argilla giallognola simile a quella dei vasi trovati a Minturnae in uno scarico, il cui materiale (KIRSOPP LAKE 1934-5.107 ss.) dovrebbe essere databile ad un’epoca posteriore al 295 a.C. La firma con l’aggiunta dell’etnico SVES(anus) venne interpretata come un’indicazione geografica di appartenenza del ceramista e della sua produzione. J. P. Morel (MOREL 1988.56 ss.), invece, ritiene quest’elemento riconducibile a prodotti eseguiti in filiali periferiche rispetto ad un’officina che poteva trovarsi anche molto distante20.
Dunque il bollo sessano Q.BV/SANA, in cui l’elemento principale è quello onomastico, rientrerebbe in una serie finora conosciuta solo nel territorio compreso tra Suessa e Minturnae dove questi prodotti sono abbastanza attestati23. Inoltre, i nostri frammenti sono caratterizzati da un’ingubbiatura nera, aderente e lucida e da un’argilla,
Sulle conseguenze che ebbero le guerre annibaliche e lo sradicamento delle masse contadine sull’agricoltura italica e più in generale sulle trasformazioni dell’uso della terra nella Campania tardo repubblicana, cfr. Frederiksen 1981.266 17 Frederiksen 1981.277, nota 27. 18 LIB.COL. I, 235,1-21: “Suessa Aurunca, muro ducta. Lege Sempronia est deducta. Iter populo non debetur. Ager eius pro parte limitibus intercisiuis et in lacineis est adsignatus”. Ad età graccana viene datato un catasto le cui maglie, con un modulo di 13 actus, orientate N. 58° E, si estendono a sud-ovest di Suessa, tra il Massico e l’area di Cellole. Cfr. Chouquer 1987.172. 19 CATO, De Agr. 22.3; 135.1-3; 146.1. 20 In ogni caso Morel ritiene questo bollo originario di Teano e non di Sessa, cfr. Morel 1981a.85 ss. 16
Pedroni 2001.223 ss. Il Pedroni ipotizza, in base al fatto che questi vasi riportano solo simboli afferenti alla sfera di Ercole e non di altre divinità, che questo tipo di produzione rappresenti una sorta di decima pagata dal ceramista per ingraziarsi il favore del dio. 22 Pedroni 2001.218 ss. Pedroni riporta che lo scarico caleno che ha restituito bolli con simboli erculei, ha dato anche bolli in cartiglio rotondo in cui nomi e lettere non sono però associati a quegli stessi simboli. 23 Kirsopp Lake 1934-5.98; Mingazzini 1938.899 ss., tav. XXXIX. Fondo con bollo quadrato, L.OP (clava); Fondo con bollo quadrato, Q.V (clava); Fondo con bollo quadrato, P.L (clava); Fondo con bollo quadrato, L.SE (clava); Fondo con bollo quadrato, VAL (clava) 21
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Memorie Suessane di Matidia
color nocciola, che include piccoli granuli di calcite e di pirossene, mentre, sebbene solo ad un’analisi autoptica, sembrerebbe assente la mica che invece caratterizza l’impasto comunemente attribuito alle ben note officine calene (PEDRONI 2001.25 ss.).
Infine, è interessante notare che il simbolo della clava si avvicina moltissimo a quello che compare nella ben nota serie monetale aurunca coniata immediatamente prima della deduzione della colonia latina (POOLE 1963.75).
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8. Il rinnovamento sillano della città Sergio Cascella
Qualche anno dopo la trasformazione di Suessa in municipium1 (90 a.C.), durante lo scontro tra Mario e Silla2, la città si schierò per quest’ultimo finendo per essere assediata ed espugnata da Sertorio3. Non abbiamo dati per valutare l’impatto di questi avvenimenti sulle strutture della città e sulla sua compagine sociale, ma è molto probabile che Suessa dovette subire una dura ritorsione. Tuttavia, come sembrerebbe attestare una epigrafe monumentale (Cil. X 4751), in seguito alla vittoria di Silla la città dovette riprendersi velocemente, anzi il dittatore le concesse concreti riconoscimenti ispirati non solo dalla fedeltà tenuta da Suessa durante la guerra civile, ma anche al fatto che Silla probabilmente aveva cospicui interessi economici in quest’area tanto da lasciarne traccia nell’onomastica locale. Infatti, un certo A. Opimius C.F. Sulla porta il suo cognomen attestando la presenza di proprietà fondiarie forse direttamente riconducibili al dittatore (ARTHUR 1991.55).
esemplificato dalla fase tardo-ellenistica (II-I sec. a.C.) di Pompei (MUSCETTOLA 1991.75 ss.), sono da assegnare una serie di costruzioni tese ad arricchire il centro monumentale della città. Di esse, purtroppo, ci resta ben poco tranne il criptoportico forense che insieme al Teatro costituisce l’unico monumento di epoca romana di Sessa Aurunca ad essere stato oggetto di uno scavo sistematico. Restauro delle mura di cinta Gli studiosi che si sono occupati della topografia dell’antica Suessa interpretano i resti di strutture in opera quasi reticolata rinvenuti in più occasioni lungo il tracciato delle mura di cinta in blocchi di tufo, con un rifacimento delle stesse databile ad epoca sillana (VALLETRISCO 1978.64). A nostro parere, gli elementi attualmente disponibili, più che un organico programma di restauro delle fortificazioni, testimoniano che le mura del IV secolo sono state oggetto di occasionali lavori di riparazione4.
In ogni caso, superato questo periodo, il secondo venticinquennio del I sec. a.C. si dovette aprire all’insegna di una rilevante crescita economica e culturale certamente stimolata anche dalla conquista dell’oriente mediterraneo susseguente alle guerre mitridatiche. Questa circostanza, infatti, convogliò verso la Campania un grande afflusso di ricchezze materiali, idee e manodopera schiavile specializzata, in quanto costituita da artigiani e artisti che contribuirono ad ellenizzare definitivamente la società romana trasformandola completamente. Qui, come in altre città dell’area campano-laziale, questo contesto incrociò sicuramente le ambizioni politiche delle aristocrazie municipali che crearono anche a Suessa le premesse per un fase di grande sviluppo sociale che si tradusse in un sostanzioso rinnovamento dell’edilizia pubblica ispirato direttamente ai canoni urbanistici ed architettonici delle città dell’oriente greco.
Ciò potrebbe essere il caso del tratto conservato per molti metri di lunghezza e circa 4 m di altezza, in proprietà Sasso, nel punto in cui via A. Moro sbocca nella Piazza S. Giovanni a Villa. Contrariamente, il grandioso muro di contenimento portato in luce nell’area del Teatro Romano per circa 50 m di lunghezza e 12 m d’altezza, realizzato anch’esso in opus quasi reticulatum di tufo giallastro (Fig. 33) con testate angolari in opus vittatum mixtum, potrebbe essere indiretta testimonianza del rifacimento sillano del foro, che ebbe come conseguenza la riorganizzazione della viabilità connessa, la defunzionalizzazione di una parte delle fortificazioni del IV secolo e il conseguente allargamento del pomerio verso occidente. Infatti, nell’area a monte del teatro, il muro, invece di riprendere l’andamento della fortificazione più antica come sarebbe stato logico nel caso si fosse trattato di un restauro, venne appoggiato perpendicolarmente ad essa (Fig.14), in asse con il braccio nord-sud del criptoportico, creando una nuova area libera da costruzioni di circa 30 m di larghezza e 50 m di lunghezza che oggi giace al di sotto della via 4 Novembre. In assenza di scavi, non siamo in grado dire quanto quest’area venne urbanizzata, ma in base ai dati attualmente disponibili, si può ipotizzare che, a seguito di lavori di riassetto urbanistico eseguiti in quest’epoca,
A questo periodo, che in Campania è mirabilmente 1 CIC. Phil. XIII, 8: “Lautissimum oppidum nunc municipum honestissimorum, quondam colonorum, Suessam”. Sul problema del cambiamento di status giuridico delle colonie di diritto latino in municipi, cfr. Humbert 1978.181 ss. La ragione del cambiamento di status giuridico è probabilmente da ricercarsi nel più generale processo di ristrutturazione amministrativa cui fu sottoposto il territorio della colonia nel periodo successivo alle guerre annibalica e sociale, cfr. Petteruti 1983.137; Laffi 2001.113 ss. 2 Nell’88 a.C., Gaio Mario, scappato da Roma, per sfuggire ai sicari di Silla, rimase nascosto per alcuni giorni nel locus di Marica che si estendeva a sud di Minturnae. Cfr. PLUTARCO, Marius, 37-39; APP. Civ., 1-61. 3 APP. Civ. I, 85
Quanto questi lavori di restauro siano da riconnettere ai danni inferti alle fortificazioni durante l’assedio di Sertorio è al momento impossibile dirlo.
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Memorie Suessane di Matidia
del mondo romano. Il criptoportico mostra una pianta ad U costituita da tre bracci di cui quello centrale, est-ovest, è lungo quasi 76 m. mentre dei bracci minori, l’orientale, con andamento nord-sud, è lungo 40,70 m, e l’occidentale, divergente rispetto all’altro, è ancora quasi completamente interrato poiché giace al disotto di una casa colonica. Ogni navata è divisa in due gallerie adiacenti larghe 3,25 m, coperte con volte a botte, poggianti sui muri perimetrali, realizzati in opus incertum di tufo locale e su una fila centrale di pilastri costruiti con blocchi di tufo raccordati da archi a tutto sesto. Il Criptoportico, già conosciuto al tempo di T. De Masi (DE MASI 2000.194), era sistemato a ridosso del lato sudoccidentale del foro, lungo un versante che degradava verso la cinta muraria in blocchi di tufo risalente al 313 a.C. Questo sbalzo altimetrico venne sistemato creando un terrazzamento che fu occupato dal criptoportico che con il suo lato lungo fungeva anche da sostruzione a questo lato della platea del foro. I criptoportici a tre bracci di Allifae e di Capua5, anch’essi localizzati nell’area forense, hanno la parte aperta rivolta proprio verso il foro ed quindi logico che fossero funzionali alla piazza. Il Criptoportico di Sessa mostrando, invece, la parte aperta rivolta verso il teatro fa presumere che esso potesse essere collegato a qualche edificio, probabilmente un tempio (JOHANNOWSKY 1973.152)6, affacciato su questo lato del foro e forse preceduto da un chalcidicum7. Purtroppo, solo future ricerche potranno chiarire cosa nasconde il terrapieno oggi occupato dal giardino annesso al convento di S. Giovanni a Villa che, in epoca medievale, si è impiantato sul criptoportico.
Fig.33 Sessa Aurunca, Teatro Romano, Mura di epoca sillana
si dovette necessariamente creare un percorso alternativo e parallelo al cardo massimo, che raccordasse il foro alla viabilità gravitante sul nuovo quartiere sud occidentale della città, di cui il suddetto muro costituirebbe la sostruzione. Se così fosse, ciò dovette implicare necessariamente, a monte del suddetto bastione, l’apertura di una porta nel tratto di mura del IV secolo sepolte sotto l’attuale via 4 Novembre, di cui forse una traccia è costituita da uno stipite in blocchi di tufo conservato per circa 4 m di altezza, posto lungo il lato esterno sud-orientale del criptoportico, mentre a valle, questa strada, venne successivamente riconnessa alla monumentale via gradinata che in età protoaugustea permetteva di raggiungere l’area del teatro e la villa suburbana sia dal foro che dal cardo massimo (CASCELLA 2002.92 ss; CASCELLA 2006.89 ss.).
Si è molto discusso sulla specifica destinazione della parte ipogea del monumento. La presenza di una elegante decorazione in stucco, riferibile però al successivo periodo augusteo, dimostra che il suo scopo non poteva essere solo quello di contenimento del terreno, ma è molto probabile che esso doveva svolgere una funzione pubblica da riconnettere in qualche modo all’area forense. Forse il rinvenimento sull’intonaco di disegni e graffiti riecheggianti acclamazioni gladiatorie ed esercitazioni in lingua latina e greca, hanno fatto supporre che, almeno nella fase d’età imperiale, una parte dell’edificio fosse utilizzato anche come scuola (DELLA CORTE 1939.189 ss.). In ogni caso, questi elementi testimoniano inequivocabilmente che il criptoportico doveva essere percorribile e ben illuminato dai 30 lucernai a gola di lupo, posti sulla parete occidentale, quella aperta verso il teatro e l’ipotetico tempio.
E’ importante sottolineare, però, che i recenti scavi compiuti nell’area del teatro, non hanno fatto chiarezza su come il muro in opera quasi reticolata, che piega ad angolo retto, così come l’attuale muraglione di contenimento del belvedere che si affaccia sul teatro, sia stato attraversato dalla suddetta viabilità e come esso si raccordasse alle fortificazioni più antiche che dovrebbero correre al di sotto delle fondazioni del Convento di S. Stefano.
Tutto ciò rende necessario una serie di considerazioni circa
Il foro d’età sillana: il criptoportico
Per il criptoportico di S. Maria Capua Vetere, cfr. Quilici 2008.93 ss. Maiuri, invece, riteneva che il criptoportico di Sessa facesse parte di un ginnasio annesso ad un altro edificio pubblico, forse una terma, cfr. Maiuri 1961.60. 7 L’esempio del criptoportico di Aosta è esemplificativo del fatto che la sua costruzione, oltre ad assolvere come a Sessa una funzione di contenimento della platea del foro, servì anche a creare una piattaforma, rialzata di alcuni metri rispetto alla piazza, su cui porre, in maniera ideologicamente enfatizzata, un tempio. Cfr. Gros 2001.128. 5 6
Il disseppellimento del criptoportico repubblicano (Fig. 34), effettuato da A. Maiuri nel 1926 (MAIURI 1961.55 ss.; JOHANNOWSKY 1973.143 ss.), portò in luce un edificio (Fig. 35) che nel suo genere è uno dei meglio conservati
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Sergio Cascella: Il rinnovamento sillano della città
Fig.34 Sessa Aurunca, Criptoportico, posizionamento topografico
crypta della summa cavea a non meno di 10 m. Dunque il passaggio tra foro e criptoportico era probabilmente possibile nell’area posta a valle del braccio settentrionale ove il pendio, digradando dolcemente, consentiva la sistemazione di una rampa di collegamento tra le terrazze soprastanti il teatro e il criptoportico8. Quest’ipotesi è confortata dal fatto che l’attuale ingresso al monumento avviene attraverso la volta crollata del braccio meridionale
le percorrenze e la localizzazione dell’ingresso antico al monumento. L’accidentata morfologia del fianco sud-est del declivio che dal foro si estende verso il teatro, resa ancor più impervia dagli imponenti sbarramenti architettonici costituiti dalle fortificazioni del 313 a.C. e da quelle in opera quasi reticolata generalmente datate ad età sillana, resero, lungo questo lato, fisicamente impossibile ogni collegamento diretto tra foro, criptoportico e teatro. Infatti, anche quando in epoca augustea venne costruito quest’ultimo monumento, i vomitoria di accesso alla summa cavea, dovevano essere posti a non meno di 5-6 m al di sotto della quota di calpestio del soprastante criptoportico, mentre addirittura gli ingressi al lato meridionale della
Future ricerche dovranno, inoltre, chiarire in che modo venne aggirato l’ostacolo costituito dalle mura del IV sec. a.C. che pure dovevano seguire il naturale strapiombo della collina girando alle spalle dell’attuale chiesa di S. Giovanni a Villa, come hanno dimostrato i recenti saggi eseguiti in proprietà Pietosi. 8
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Memorie Suessane di Matidia
Fig.35 Sessa Aurunca, Criptoportico, veduta d’insieme
che, però, in antico era probabilmente cieco. Infatti, le strutture murarie in opera incerta che lo delimitano furono costruite contro il terrapieno contenuto dal muro di fortificazione del IV sec.a.C., nel quale non sembra essere ricavato alcun passaggio.
non fu portata a termine poiché questi materiali vennero sigillati dall’improvviso crollo delle strutture laterizie della porticus del teatro, verificatosi probabilmente in seguito al terremoto che, nel 346 d.C., colpì il Sannio e la Campania settentrionale9.
È, dunque, probabile che l’ingresso antico al criptoportico sia da collocare all’estremità del braccio settentrionale del monumento che è, purtroppo, ancora interrato. Inoltre, lo scavo del piazzale esterno al versante occidentale della summa cavea del teatro, ha mostrato che il muro di contenimento del terrazzo su cui è impostato questo lato del criptoportico, si interrompe nei pressi di alcune strutture, provviste di più varchi di ingresso, che dovevano costituire un punto di snodo tra la rampa di accesso alla crypta del teatro e l’eventuale passaggio che conduceva al criptoportico e al foro. Anche in questo caso l’indagine archeologica si è dovuta fermare, per cui quest’ultima ipotesi potrà essere verificata solo in seguito a future ricerche.
Il materiale, frutto delle spoliazioni tardo antiche, comprendeva due gruppi di frammenti: uno costituito da blocchi di calcare e marmo, sicuramente provenienti dalle strutture d’età imperiale del teatro ed un altro, composto da circa una quarantina di blocchi di tufo, di cui una decina con decorazioni inquadrabili cronologicamente ad epoca tardo repubblicana. Quest’ultimi sono riconducibili a pilastri d’anta costituiti da semicolonne (Fig. 36), sormontate da capitelli corinzi, di cui si sono recuperati due esemplari (Fig. 37) e da capitelli ionici, rappresentati da un unico frammento (Fig. 38), sormontati da una trabeazione dorica (Fig. 39), tutti con resti evidenti dell’intonaco bianco di rivestimento (CAPALDI 2007.139). Dato che lo studio dell’intero contesto di scavo e di questi materiali in particolare è ancora in corso, in questa sede ci limiteremo solo fornire qualche spunto di riflessione circa la loro possibile provenienza e il loro inquadramento stilistico.
Spolia di un edificio d’età sillana reimpiegati nell’area del teatro Durante lo scavo della porticus post scaenam del teatro (CASCELLA 2007) si rinvenne a valle del monumento un’area di stoccaggio di blocchi architettonici pronti per essere frantumati e riutilizzati come pietrame da costruzione. L’operazione di sgrossatura dei blocchi
Ciò premesso, in primo luogo non siamo in grado di dire con certezza se questi blocchi siano o meno riferibili alla 9
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Cil. X, 2337, 2338; Cascella 2007a.51 ss.
Sergio Cascella: Il rinnovamento sillano della città
Fig.36 Sessa Aurunca, Teatro Romano, materiale di spoglio, frammenti di semicolonne
Fig.38 Sessa Aurunca, Teatro Romano, materiale di spoglio, capitello ionico
Fig.37 Sessa Aurunca, Teatro Romano, materiale di spoglio, capitello corinzio
Fig.39 Sessa Aurunca, Teatro Romano, materiale di spoglio, trabeazione dorica
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Memorie Suessane di Matidia
decorata verso il nucleo interno del podio, potevano essere tranquillamente riadoperati in facciavista che peraltro era rivestita da lastre di marmo.
spoliazione di un unico edificio e qualora lo fossero, essi potrebbero aver fatto parte di un porticato a due ordini, corinzio l’inferiore, ionico il superiore, secondo lo stile e i modelli dell’architettura pubblica della fine del II e della prima metà del I sec. a.C. (MUSCETTOLA 2007.210). In aggiunta, la giacitura secondaria in cui questi materiali sono stati trovati, non ci consente di sapere dove fosse collocato l’edificio da cui essi sono stati tratti.
Riguardo l’inquadramento stilistico degli elementi decorati, purtroppo si può dire poco poiché, come detto, i blocchi sono stati rilavorati. È molto probabile che i capitelli corinzi, di cui sopravvivono solo parte delle volute minori, appartengano al tipo definito “Capitello Corinzio Normale” comparso in Italia già nella prima metà del I sec. a.C., ma il cui uso è all’inizio associato ai tipi di più antica ascendenza ellenistica (HESBERG 1981.27).
A tal proposito i dati a nostra disposizione suggeriscono due ipotesi: alcuni blocchi, per il tipo di pietra e di lavorazione, si avvicinano molto a taluni elementi architettonici, anch’essi in tufo, provenienti dal giardino soprastante il criptoportico di epoca repubblicana. Si potrebbe quindi ipotizzare che essi siano riconducibili allo smantellamento di un portico posto probabilmente nel peribolo sacro circoscritto dal suddetto monumento di epoca sillana. Tuttavia, osta quest’ipotesi, l’illogicità di trasportare dei pesanti materiali architettonici lontano dall’abitato ove essi potevano essere facilmente riutilizzati affrontando, tra l’altro, un lungo percorso caratterizzato da un notevole sbalzo altimetrico. Pertanto è più probabile che i blocchi provengano da un’area relativamente vicina a quella in cui essi sono stati depositati, cioè dal teatro. Anche se lo scavo integrale di questo monumento ha dimostrato che l’edificio della prima età augustea10 non sembra essere stato preceduto da nessuna struttura dello stesso genere, la presenza di grumi di malta cementizia (Fig. 37) su quasi tutte le facce decorate e intonacate dei blocchi di tufo, le tracce di lavorazioni atte ad eliminare le superfici sporgenti, come le volute del capitello ionico e le foglie di quello corinzio, ci portano a considerare ancora un’altra ipotesi che ci sembra la più verosimile. È, infatti, molto probabile che questi blocchi provengano effettivamente dal teatro dove, però, erano stati già riutilizzati in epoca augustea. Infatti, la pratica di riadoperare materiali da costruzione non è certo solo una caratteristica tardoantica o altomedievale, ma è una consuetudine abbastanza diffusa anche nelle epoche precedenti (PENSABENE 1998.13 ss.; MORETTI 2001.10.).
Il capitello ionico, invece, conserva parte dell’abaco e quasi tutto l’echino ad ovoli, mentre sono molto danneggiate la fila di perline e fusarole, così come la parte sommitale delle scanalature della semicolonna ed addirittura mancano completamente le volute. L’echino è caratterizzato da una forte rigidità dell’intaglio dei gusci dal particolare taglio a V molto profondo, in cui compaiono ovoli di forma sferica, come nei capitelli della basilica di Pompei (OHR 1973.139 fig.8). Le linguette di separazione, anch’esse del tutto simili a quelle dei capitelli pompeiani, sono di forma appuntita e schiacciata, caratterizzate da una costolatura centrale molto rilevata. Questo tipo di capitello secondo il Napoli (NAPOLI 1950.258), che stilò una prima classificazione dei capitelli ionici pompeiani a quattro facce, dovrebbe essere datato tra la metà del III e la metà del II sec. a.C. La moderna ricerca archeologica ha, però, abbassato notevolmente questa cronologia tra la fine del II sec. e i primi anni del I sec. a.C. (FERGOLA 1988.52 ss.). Riguardo il frammento di architrave di stile dorico, esso potrebbe essere pertinente alla trabeazione posta al di sopra delle colonne ioniche, come accade nel peribolo del tempio di Apollo a Pompei dove i triglifi sono caratterizzati da due glifi e da un metopa quadrata, priva di decorazioni come nell’esemplare sessano. Da questa breve disamina sembra evidente che questi materiali, prima di essere riadoperati nel teatro, abbiano potuto far parte di un portico a due ordini, databile ad epoca sillana, di cui si ignora la collocazione, ma che probabilmente deve essere stato smembrato durante i rifacimenti di epoca augustea che interessarono i monumenti della vicina area forense.
Lo scavo del teatro ha, infatti, rilevato che l’edificio scenico, a differenza di quanto solitamente attestato (CASCELLA 2006.88 ss.), non era costituito da solide murature in opera laterizia, ma da una struttura in opera quadrata di blocchi di tufo, in parte ancora conservata, per la quale non è escluso che siano stati riutilizzati materiali provenienti dallo smantellamento di un altro edificio, forse localizzato nel vicino foro. Pertanto il deposito di blocchi di tufo potrebbe costituire il frutto della spoliazione tardoantica di uno dei podi del primo ordine della scena. Avvalorerebbe quest’ipotesi il fatto che siano stati riadoperati blocchi di tufo pertinenti a pilastri d’anta e non elementi a tutto tondo dato che i primi, nella parte posteriore, sono del tutto simili a un comune blocco parallelepipedo di tufo e quindi, opportunamente lavorati e disposti con la parte
L’anfiteatro Di quest’edificio, di cui in passato pare si scorgesse in località “Vigna del Vescovo” l’imponente muro in opera incerta della summa cavea11, non si conosce nulla tranne una generica localizzazione. Nemmeno la foto aerea costituisce un valido aiuto poiché la presunta area in cui esso dovrebbe essere localizzato è stata invasa da una fittissima vegetazione
La datazione ad età augustea del teatro romano di Sessa Aurunca è stata per prima ipotizzata da Johannowsky, cfr. Johannowsky 1973.145, e poi confermata dai recenti scavi, cfr. Cascella 2002.27; Cascella 2006.81. 10
De Masi 2000.197; Valletrisco 1978.70. Oggi l’area ove presumibilmente dovrebbe sorgere l’anfiteatro è di difficile accesso ed in ogni caso di esso pare non emergere nulla in superficie. 11
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Sergio Cascella: Il rinnovamento sillano della città
ed è stata oggetto negli ultimi anni di molti accumuli di detriti e scarichi di macerie. Una sommaria ricognizione dei luoghi fa intuire che la conformazione dell’area dovette favorire la costruzione di un edificio in gran parte addossato al crinale naturale, quindi
molto simile a quella del teatro. In ogni caso si doveva trattare di una costruzione imponente se un’iscrizione del tempo di Antonino Pio riferisce di fastosi giochi finanziati da C. Titio Chresimo (Cil. X 4760).
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9. La colonia augustea Sergio Cascella
Durante il travagliato periodo della guerra civile tra Ottaviano e Antonio, Suessa fu teatro di sanguinosi avvenimenti che ne turbarono la vita sociale ed economica. Cicerone1 ricorda che alle porte della città vennero massacrati un gruppo di veterani delle legioni di Cesare2 che Antonio riteneva essere sicari di Ottaviano. Nonostante l’intimidazione Ottaviano proprio in Campania arruolò oltre 3000 uomini promettendo loro una paga ed evidentemente delle terre3 cosa che, all’indomani della battaglia di Azio, rimasto unico padrone di Roma, dovette affrontare mettendo mano alla riforma e alla riorganizzazione dello stato. Egli stesso, infatti, ricorda nelle Res Gestae4 di aver fatto ampio ricorso alla pratica della colonizzazione fondando ben 28 colonie che gli permisero di stanziare nei territori delle città italiche un enorme numero di reduci.
da capitelli a palmette e volute (Fig. 41). A questa stessa epoca si deve riferire anche la pavimentazione del foro di cui una parte ancora in situ venne intercettata durante lavori pubblici eseguiti presso l’incrocio tra la piazza Tiberio Massimo ed il Corso Lucilio. La pratica S9/23 della Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta attesta, infatti, che il 15-051930 fu rinvenuto, ad una profondità di m 1,90, una pavimentazione in lastre rettangolari di calcare, seguita per circa 9 m di lunghezza e 1 m di larghezza. Granparte della pavimentazione, che venne smantellata in epoca medievale e reimpiegata nelle fabbriche della cattedrale romanica (ACETO 1983.44 ss.), recava incisa una iscrizione monumentale6 in lettere di bronzo (Alt. cm. 23,5), ad imitazione di quella che compariva nel lastricato del Foro Romano e di quelle di molte altre città italiche7. Il testo, nonostante siano conservate 14 lastre, è difficilmente ricostruibile poiché solo poche di esse conservano più di due o tre lettere in sequenza. In ogni caso, è molto probabile che l’iscrizione riportasse la dedica a un F.AEM(ilius) o Aemilianus8 che presumibilmente, in qualità di [II]VIR, rifece a sue spese la pavimentazione del foro (Fig. 42).
Tra le colonie è da annoverare quella che venne dedotta a Suessa col titolo di Colonia Iulia Felix Classica Suessa5, tra il 30 ed il 28 a.C., come confermerebbe la mancanza dell’epiteto Augusta. Dunque, è plausibile che l’adsignatio d’età triumvirale riscontrabile nel territorio (CHOUQUER 1987.172 ss.) sia stata concessa ai veterani della Legio XXX dopo la loro partecipazione sia al bellum siculum, contro la flotta di Pompeo, che alla battaglia di Azio tanto che la colonia si fregiò dell’epiteto di Classica. Lo scioglimento della legione, successivo a questi avvenimenti, potrebbe così coincidere con la deduzione della colonia e con le suddette assegnazioni viritane (GIZZI 1994.172 ss.).
Purtroppo, anche per questo periodo la assoluta mancanza di indagini archeologiche non ci consente di conoscere nulla degli edifici che si dovevano affacciare sulla piazza. Frammenti di un complesso scultoreo d’età augusteotiberiana
Infrastrutture ed edifici pubblici: il foro Il rinnovato clima di pacificazione generale che caratterizzò l’Italia augustea produsse le condizioni ideali per un diffuso benessere economico che ebbe i suoi effetti anche Suessa, dove gran parte degli edifici pubblici esistenti subirono rifacimenti mentre altri vennero costruiti ex novo.
Sono probabilmente da riferirsi agli edifici del foro o quanto meno all’area circoscritta dal criptoportico, alcuni frammenti di sculture recuperate da A. Maiuri durante gli scavi del 1926. Tra questi spiccano un torso in marmo bianco, appartenente ad una scultura virile in nudità eroica (Fig. 43); una statua di togato, acefala (Fig. 44); un altro frammento di togato, di cui si conserva la base con la cista (Fig. 45). Accanto a questi reperti, che potrebbero avere una datazione anche sensibilmente posteriore, vennero
Nell’area del foro le strutture murarie del Criptoportico d’età sillana furono rivestite con un nuovo apparato decorativo in terzo stile (JOHANNOWSKY 1973.155), costituito da riquadri in stucco bianco scanditi da lesene (Fig. 40) sormontate
Cil. X, 4743 Roma, cfr. Romanelli 1965.379 ss.; Ferentinum, cfr. Quilici 1995.226; Venusia, cfr. Marchi 1997.54 ss.; Anxur-Terracina, Coppola 1984.348; Pompeii, cfr. Sogliano 1925.253; Velleia, cfr. Aurigemma 1940; Saepinum, cfr. Cianfarani 1938.48; Atina, Della Corte 1926.255. 8 A. Aemilius ripavimentò il foro augusteo di Terracina. Cfr. Coppola 1984.357 6
CIC. Phil. III, 4; IV, 2; XII, 18. 2 SVET. Caes., 20.3; Sullo stanziamento dei veterani di Cesare in Campania, cfr. Camodeca 1991.32 ss. 3 CIC. Ad Att. XVI,8 4 R.G. 28.1; SVET. Aug.46 5 Cil. X, 4832. 1
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Memorie Suessane di Matidia
Fig.40 Sessa Aurunca, Criptoportico, decorazione in stucco di età augustea
Fig.42 Sessa Aurunca, Duomo, lastra pavimentale dall’area del Foro
Fig.41 Sessa Aurunca, Criptoportico, decorazione d’età augustea, particolare di un capitello di lesena
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Sergio Cascella: La colonia augustea
Fig.43 Sessa Aurunca, Curia Arcivescovile, statua virile in nudità eroica
Fig.44 Sessa Aurunca, Curia Arcivescovile, togato
Fig.45 Sessa Aurunca, Curia Arcivescovile, frammento di statua di togato
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Memorie Suessane di Matidia
Fig.47 Sessa Aurunca, ritratto di Tiberio (POLLINI 2005)
nell’area del soprastante foro11. Tuttavia, non si può completamente escludere che essi possano provenire dal riempimento di macerie che occludeva il tratto meridionale della crypta della summa cavea del vicinissimo teatro che venne parzialmente sterrata in nella stessa occasione.
Fig.46 Sessa Aurunca, ritratto di Druso maggiore (DE FRANCISCIS 1979)
Dunque, non è escluso che le due teste possano far parte della decorazione scultorea del sacellum posto sulla sommità del teatro e dedicato al culto imperiale.
recuperati anche due teste ritratto (DE FRANCISCIS 1979.19 ss.) in cui forse sono da riconoscere le fattezze di Druso Maggiore (Fig. 46) e certamente quelle di Tiberio (Fig. 47). Queste due sculture furono trafugate durante la Seconda Guerra Mondiale dalle truppe alleate che avanzavano verso nord ed essendosene perse le tracce esse sono state ritenute disperse per oltre 60 anni. Tuttavia, recentemente quella attribuita a Tiberio9 è ricomparsa in una collezione privata americana10. J. Pollini (POLLINI 2005.55 ss.), che ha esaminato questo ritratto (alt.32,5 cm), non conoscendo la bibliografia precedente e la effettiva provenienza del reperto, lo ritiene proveniente dal nord Africa e lo attribuisce al tipo VI della sua tipologia, datandolo all’ultimo periodo di regno del successore di Augusto.
Il teatro augusteo Fin dall’alto Medioevo le rovine del teatro romano di Suessa furono utilizzate come una immensa cava di pietre. Ciò ha inevitabilmente comportato gravi danni strutturali e lacune incolmabili per la comprensione di alcune parti dell’apparato decorativo di quest’edificio. Tuttavia, nonostante le depredazioni, lo scavo sistematico iniziato nel 1995 e concluso nel 2006, ha riportato alla luce l’intero monumento che è apparso in tutta la sua grandiosità. Oltre alle strutture murarie, conservate in alcuni punti per oltre 15 m di altezza, lo scavo ha restituito più di 35000 pezzi di marmo appartenenti sia alle membrature architettoniche, che alla decorazione scultorea fatto, questo,
Se questi due ritratti provengono dallo strato di riempimento del criptoportico è molto probabile che essi siano pertinenti ad un monumento ufficiale da collocarsi probabilmente
Ringrazio il Dott. G. Scarpati per avermi segnalato lo studio del Pollini e rimando ai suoi lavori per ulteriori approfondimenti: Ritratti romani dall’Italia meridionale: sulla produzione in marmo di età imperiale, Tesi di Dottorato, Università degli Studi di Napoli “Federico II”, a.a. 20082009, pp. 27-43, tavv. XVI-XIX, e Un ritratto di Tiberio da Sessa Aurunca ritrovato. Note su un probabile ciclo suessano di statue onorarie giulioclaudie, in c.s. nei RANap. 11
Contrariamente il De Franciscis riteneva che questo ritratto potesse essere attribuito a Germanico. 10 Purtroppo la collezione privata ove il ritratto pare sia conservato resta anonima, pertanto è possibile che tra i suoi materiali vi possa essere anche l’altra testa che invece continua ad essere dispersa. 9
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Sergio Cascella: La colonia augustea
Fig.48 Sessa Aurunca, veduta aerea del Teatro Romano
che fa del teatro di Suessa uno dei più ricchi e fastosi dell’Italia antica.
La sua stessa collocazione a valle del foro e del criptoportico repubblicano (Fig. 34), pur ricordando alcune soluzioni urbanistiche adottate nelle città ellenistiche e più da vicino i prospetti dei santuari campano-laziali di epoca tardo repubblicana, risponde pienamente ai dettami dell’urbanistica augustea, che tende a relazionare strettamente piazza forense e teatro. È, infatti, alle imponenti architetture marmoree dei teatri e degli edifici pubblici che circondano i fori delle città romane, che viene delegato il ruolo di palcoscenici privilegiati per la celebrazione del potere imperiale13.
Posizionamento, Cronologia e Strutture Il teatro romano12, costruito in occasione della deduzione della colonia d’età protoaugustea, venne collocato a ridosso dell’abitato (Fig. 48) che ancora alle soglie dell’età imperiale era in gran parte definito dalla cinta muraria in blocchi di tufo risalente al 313 a.C. L’ampio catino della cavea (90 m di diametro ca.), aperto lungo il declivio sud-occidentale dello sperone tufaceo su cui venne fondata la colonia latina, subì, in epoca medievale, la spoliazione di gran parte delle gradinate costituite da blocchi di calcare, cosa che ha consentito di approfondire l’indagine archeologica sino al banco roccioso rivelando che nessun edificio dello stesso genere ha preceduto il teatro d’età imperiale. Le condizioni orografiche del sito hanno inevitabilmente condizionato l’orientamento del teatro. Infatti, a differenza di quanto prescritto da Vitruvio, che indica come sia preferibile esporre la cavea verso settentrione, l’edificio è perfettamente orientato est-ovest (260°ovest/80°est), divergendo dall’asse maggiore del foro (310°nord-ovest/130°sud-est) e dalla maglia degli isolati relativi all’impianto urbano.
Il teatro sembra essere stato costruito in un’unica soluzione, utilizzando strutture in opera cementizia rivestite con un paramento in opus reticulatum di tufo locale utilizzando cubilia tronco piramidali di 6-7 cm di lato, allettati con un’ottima malta stilata tra i giunti che non sono perfettamente regolari. La tessitura del paramento è a parete piena, priva di ricorsi, ma provvista di stipiti in vittato misto costituiti da un blocchetto di tufo e tre mattoni. Con questa tecnica sono state realizzate le murature della crypta della summa cavea, i setti radiali e gli ambienti annessi che reggevano la media cavea lì dove il banco di tufo non era presente, la parodos meridionale, il canale dell’auleo e le due versurae, anche se in quest’ultimo caso le testate dei muri furono rinforzate con stipiti realizzati con tegole fratte. Su questi argomenti cfr. Rossetto, Sartorio 1994.101; Bejor 1979.124 ss.; Frezouls 1983.112 ss.; Torelli 1983.248 ss.; Gross 1987.319 ss. 13
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Cascella 2002; Cascella 2006, pp. 79 ss.; Cascella 2007a.45 ss.
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Memorie Suessane di Matidia
La parete ovest dell’iposcenio, forse perché nascosta sotto il tavolato ligneo del palcoscenico, è invece realizzata con un’opera reticolata dall’esecuzione più approssimativa e dal modulo leggermente più grande, mentre il proscenio è costruito interamente in mattoni.
grado di sapere quale impatto ebbe questa sistemazione sulle eventuali rampe di accesso ai vomitori della summa cavea, mentre è chiaro che il già angusto passaggio posto alle spalle del sacello, stretto tra la facciata del teatro e i muri di sostruzione occidentali del terrazzo racchiuso dal criptoportico18, venne ulteriormente a restringersi a solo 1,50 m, rendendo impossibile il passaggio degli spettatori che pure dovevano accedere alle gradinate superiori del teatro.
Strutture in opera quadrata di blocchi di tufo14, in un caso decorate con una tecnica a bugnato, furono utilizzate per la costruzione dei parasceni, della porticus post scaenam (CASCELLA 2007.48), dei pilastri che reggevano le volte della crypta della summa cavea, dei podii e il muro di fondo dell’edificio scenico.
La decorazione architettonica d’età augustea: maestranze e committenza
In questo periodo lo sbalzo altimetrico tra la terrazza del criptoportico e il teatro doveva essere ancor più accentuato di quanto è possibile vedere oggi, poiché la summa cavea era delimitata da un prospetto, realizzato in opus reticulatum, non dissimile da quello che oggi è possibile vedere lungo il perimetro esterno degli anfiteatri di Cassino (TANZILLI 2004.97 ss.) e Nola. È, inoltre, probabile che a questa facciata dovevano addossarsi rampe di gradini che permettevano di raggiungere gli otto vomitoria collocati lungo l’attico, da cui sporgevano anche le mensole che reggevano i pali del velarium, attraverso i quali era possibile accedere alle gradinate.
Sicuramente la parte scenograficamente più impressionante del teatro doveva essere costituita dall’edificio scenico (Fig. 49), lungo quasi 40 m e alto almeno 25 m, composto da tre ordini di 84 colonne, realizzate in vari marmi colorati tra cui sono riconoscibili la Breccia di Settebassi, il Giallo Antico, il Portasanta, il Pavonazzetto e il Fior di Pesco e il Greco Scritto, mentre le trabeazioni, i capitelli e le basi erano probabilmente in marmo Lunense. Sfortunatamente, di queste ultime membrature nessun frammento è stato rinvenuto poiché queste parti furono completamente sostituite nel rifacimento d’età medio imperiale. Ciò nonostante in quell’occasione alcuni elementi furono reimpiegati e sono giunti sino a noi: si tratta di una base e di un capitello di lesena compositi del primo ordine. Questo capitello (Fig. 50), conservato per circa la metà della sua grandezza (alt. cm 50; lungh. abaco cm 48; lungh. base cm 40; spess. cm 5,5), è caratterizzato da un grande fiore con bulbo trilobato, posto al centro dell’abaco, al di sotto del quale si dispone un kyma ionico con ovuli e dardi semplici e una fila di perline e astragali. Il kalathos mostra due corone di foglie d’acanto con la costolatura centrale limitata da due solchi che si svasano verso l’alto e il basso. Intorno si raccolgono i tre lobi con cinque fogliette a punta che toccandosi formano zone d’ombra ovali e triangolari con vertice aperto. Le volute sono vegetalizzate con fiore centrale che non ne occupa tutta l’ampiezza. I lobi superiori di ogni foglia sono fortemente ricadenti verso l’esterno (PENSABENE 1973.106 ss.).
La crypta, accessibile tramite quattro ingressi, di cui uno posizionato sul lato nord e tre su quello sud, era illuminata da numerosi lucernai a bocca di lupo e da nove vomitoria che, aprendosi lungo il muro15 della praecintio, davano accesso ai sedili della media cavea. Al centro del settore superiore delle gradinate, probabilmente nel corso del secondo venticinquennio del I sec. d.C., fu eretto un sacellum dedicato al culto imperiale. Di esso non ci resta nulla in elevato, poiché le sue strutture furono coinvolte nel crollo delle volte dell’ambulacro, mentre ben conservato è il basamento eseguito con muri appoggiati in parte ai muri perimetrali della crypta e in parte ai pilastri che reggevano le volte. Forse a questo stesso periodo, per una ragione che è probabilmente imputabile a fenomeni di cedimento del costone tufaceo nel settore nord della media cavea, si rese necessario rinforzare il prospetto esterno della crypta addossandovi una nuova facciata costituita da un fronte in cui si aprivano una serie di arcate cieche16 che, appoggiate alle precedenti strutture17, coprirono molti dei lucernai che rischiaravano l’interno dell’ambulacro, inserendosi al di sotto delle mensole del velarium che risultarono sistemate sulla cresta del nuovo prospetto. Oltre a ciò non siamo in
Riguardo i frammenti di colonna, le dimensioni dell’imo e del sommo scapo (diam. cm 62,5; diam. cm 58), rendono plausibile un’altezza originaria dei fusti del I° ordine stimata in 5 m (17 piedi ca.). Trentadue frammenti di notevole grandezza ricostruiscono quasi per intero 8 delle 14 colonne in Breccia di Settebassi, caratterizzate da 24 scanalature separate da listelli con terminazioni ad arco e dal terzo inferiore rudentato (Fig. 51). Delle colonne a fusto liscio in Pavonazzetto e in Portasanta si sono trovati i frammenti pertinenti all’avancorpo posto a settentrione della valva regia che era fiancheggiata da due colonne corinzie a fusto scanalato in marmo Giallo Antico di cui
Tali strutture andarono in parte a coprire alcuni ambienti di carattere residenziale, realizzati in opera reticolata, databili, quindi, a poco prima della costruzione del teatro cfr. Cascella 2006.87. 15 I resti di questo muro e dell’intera crypta furono visti ancora in elevato sul finire del XIX sec. Sembra, inoltre, che nella praecintio si aprissero numerose nicchie per statue. Cfr. De Masi 2000.193 ss. 16 Queste strutture sono realizzate anch’esse in reticolato (cubilia in tufo di 8 cm di lato), con piedritti in vittato misto e ghiere d’arco in blocchetti di tufo. 17 È oggi possibile verificare l’appoggio tra le due strutture attraverso una breccia praticata nel muro della crypta agli inizi del ‘900. Che questo prospetto sia posteriore al precedente è evidente dal fatto che esso, privo di un paramento nella parte postica, si addossa, coprendolo, al paramento in reticolato della fase precedente. 14
Queste strutture, databili anch’esse al periodo giulio-claudio, costruite in opera reticolata (cubilia di 8 cm di lato) con ammorsature e testate in blocchetti di tufo (20 x 8 cm), furono appoggiate alla cortina in blocchi di tufo del IV sec. a.C. 18
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Sergio Cascella: La colonia augustea
Fig.49 Sessa Aurunca, Teatro Romano, ricostruzione dell’edificio scenico
una è quasi interamente conservata mentre dell’altra restano molti frammenti non ricostruibili.
secondo ordine, nessun frammento della trabeazione è stato rinvenuto.
Sebbene tutti i fusti delle 28 colonne del II° ordine abbiano in comune una serie di caratteristiche formali e metriche, come con il rapporto di 1:8 tra la base e l’altezza (alt. m 4,55 = 15 piedi ca.), sulla loro disposizione non abbiamo dati certi. È molto probabile che 14 colonne a fusto liscio in marmo Portasanta (Fig. 52), alcune delle quali quasi completamente conservate, fossero sistemate sui podi laterali alle edicole corrispondenti alle sottostanti porte laterali, mentre colonne a fusto liscio in Fior di Pesco fiancheggiassero gli avancorpi laterali alla nicchia centrale della scena dove erano sicuramente sistemate due colonne con scanalature tortili in Pavonazzetto, interamente conservate, e un’edicola sostenuta da due colonne con scanalature tortili in Giallo Antico.
Malauguratamente, riguardo la fase augustea del teatro, la completa assenza delle trabeazioni e degli altri marmi bianchi scolpiti, ad eccezione del suddetto capitello di lesena, non ci consente di formulare un’ipotesi plausibile su quali maestranze vennero impiegate nella realizzazione della decorazione architettonica. È però credibile che un cantiere di tale complessità e grandezza, ove furono usati marmi pregiatissimi provenienti da cave imperiali, non poteva essere certo affidato a officine marmorarie locali. È quindi senz’altro probabile che siano state utilizzate maestranze urbane come del resto confermano le stesse caratteristiche tecniche e la raffinata esecuzione dei fusti delle colonne, chiaramente attribuibili al lavoro di scalpellini avvezzi a lavorare questo tipo di materiali, evidentemente per una committenza pubblica.
Del III° ordine si sono rinvenuti solo alcuni tronconi di colonna a fusto liscio (alt. presunta m 4,16) in marmo Fior di Pesco e Greco Scritto mentre, come per il primo e il
Un uso così ampio e precoce di materiale marmoreo pregiato, lavorato da maestranze di primo livello, non
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Memorie Suessane di Matidia
Fig.50 Sessa Aurunca, Teatro Romano, capitello composito della fase augustea
Fig.52 Sessa Aurunca, Teatro Romano, colonna in Portasanta dal II° ordine della scena
stupisce nella Campania della prima età augustea. Non è, infatti, qui il caso di ricordare gli interessi politici ed economici che la famiglia imperiale e in genere la classe dirigente romana aveva in questa regione, tanto che essa fu ben presto aggregata al Lazio nella Regio I Augusti. Per questi motivi la marmorizzazione delle città campane fu molto precoce ed è ben documentata a Napoli19 (Tempio dei Dioscuri e recentemente il santuario di P.zza Nicola Amore scoperto durante gli scavi della linea 1 della Metropolitana), a Pompei20 (Tempio della Fortuna Augusta, edificato da M.Tullius nel 2-3 d.C., Tempio di Venere ed Edificio di Eumachia di età augusteo-tiberiana) e a Pozzuoli21 (Capitolium, cd. Tempio di Augusto), dove ricchi liberti ed esponenti delle aristocrazie locali, legati in qualche modo al potere imperiale22, usarono il marmo delle cave di Luni per le membrature architettoniche di edifici pubblici e religiosi. Adamo Muscettola 1985.196 ss.; BRAGANTINI 2010.607 ss. Pensabene 1995-96.45 ss. 21 Zevi 2008.240 ss. 22 Per limitarci al solo caso di Pozzuoli cfr. Zevi, Valeri 2000.22 ss.; Valeri 2005.31 ss. Più in generale cfr. Bodei Giglioni 1990.107 ss.; Sear 2006.13 ss. 19
Fig.51 Sessa Aurunca, Teatro Romano, colonna in Breccia di Settebassi dal I° ordine della scena
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Sergio Cascella: La colonia augustea
È altresì certo che per gli stretti rapporti che legavano Roma e le dinastie imperiali alla Campania, l’uso dei marmi colorati fu altrettanto notevole (PENSABENE 2005.69 ss.; DEMMA 2007. 233 ss.) specialmente nei teatri, nelle terme e nei macella23. Purtroppo, di questi materiali e delle maestranze che operavano nelle principali città campane della prima età imperiale, oggi non abbiamo che una pallidissima idea. Ciò è dovuto principalmente alle massicce e sistematiche spoliazioni cui gli edifici di queste città sono stati soggetti in età medievale. Tuttavia, a questa regola e per ragioni particolari, sfuggono i teatri di Teano24 e di Sessa Aurunca dove un largo uso di materiali così costosi fornisce certamente uno spaccato del tenore di vita che pervase queste città a partire dall’età di Augusto sino a tutto il II sec. d.C. Il caso del teatro di Sessa Aurunca non può, però, essere risolto solo in una generica elargizione imperiale di materiali provenienti dalle cave statali utilizzati da maestranze locali che si rifacevano ai modelli urbani, come ad esempio accade per taluni marmi pompeiani (cornici e capitelli del Tempio della Fortuna Augusta). Infatti, anche se non abbiamo alcun riscontro epigrafico, l’uso enfatizzato di un così alto numero di colonne in marmo colorato, quali simbolo di lusso e ricchezza, l’enorme sforzo organizzativo che fu messo in atto per l’approvvigionamento e il trasporto di questi materiali e l’impiego di costose maestranze specializzate sia nell’esecuzione delle strutture murarie, che delle decorazioni architettoniche e scultoree, implica necessariamente un intervento diretto dell’imperatore o di uno dei suoi familiari nella costruzione del teatro. Non è però escluso che a quella del princeps si sia affiancata anche l’azione di qualche ricco personaggio dell’elite locale che, attraverso la donazione di una parte dell’edificio o di alcune decorazioni (imitatio Augusti), intese inviare un chiaro messaggio politico alla sua comunità cittadina.
Fig.53 Sessa Aurunca, Testa ritratto di Livia Augusta
assise in trono: due maschili, di cui abbiamo solo alcuni frammenti, verosimilmente identificabili con due imperatori e due femminili di cui, invece, restano quattro grossi pezzi. Quest’ultimi, rinvenuti franate lungo le gradinate poste immediatamente a valle del sacellum, sono riconducibili a due statue: la prima rappresenta Diva Livia Augusta, di cui rimane la parte inferiore del corpo panneggiato e la testaritratto (Alt. 80 cm.; n. inv. 287037) scolpita con il collo in unico blocco di marmo (Cascella 2002.48, figg. 10-11).
In ogni caso, nel teatro di Sessa la celebrazione del programma politico augusteo non fu solo affidato solo ai messaggi propagandistici espressi dalla decorazione architettonica, ma soprattutto a quella scultorea di cui, purtroppo, non ci è giunto nulla. Per contro è ben documentata quella del periodo giulio-claudio a cui si possono riferire le statue del sacello in summa cavea (Cascella 2002.46 ss.).
Il volto (fig.53) presenta i capelli divisi da una scriminatura centrale in grandi ciocche ondulate che si dispongono ai lati della testa mentre, dietro la nuca, essi sono raccolti in una crocchia. L’atteggiamento ieratico e idealizzato del volto, evidenziato da labbra sottili, dal naso dritto e dai grandi occhi senza pupille fa propendere per un ritratto post-mortem, appartenente al tipo Kiel/Salus (Bartman 1999.145, fig.116) che appunto risale al periodo claudio.
Questo gruppo statuario, che è l’unico sopravvissuto al restauro di epoca antonina, in origine comprendeva probabilmente quattro imponenti sculture (Alt. circa 3.50 m) in marmo bianco, probabilmente greco, rappresentate Per i teatri della Campania romana, cfr. Pensabene 2005; Per il Macellum di Puteoli, cfr. Demma 2007.77 ss.; per il Sacello degli Augustali di Miseno, cfr. Pensabene 2008.190 ss.; Per il tempio corinzio di Pozzuoli cfr. Demma 2007.140 ss.; Per l’area sacra di Ercolano, cfr. Guidobaldi 2008.55 ss. 24 D’AVINO 2002.317 ss.; SIRANO 2005.399 ss. Sirano 2010.101 ss.; JURGEN BESTE 2010.119 ss. 23
Senza dubbio anche la seconda statua, di cui rimane la
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Memorie Suessane di Matidia
parte inferiore del corpo panneggiato e la testa-ritratto (Alt. 80 cm.; n. inv. 297039), dovrebbe rappresentare un personaggio femminile della dinastia giulio-claudia che, però, a differenza del primo, presenta maggiori difficoltà di riconoscimento. Infatti, a dimostrazione della vexata quaestio sulla distinzione tra i ritratti delle varie principesse della famiglia di Augusto e in specialmodo delle figlie di Germanico e Agrippina, sta il fatto che in un primo momento tale ritratto (fig.54) è stato identificato con quello di Agrippina Maggiore (Cascella 2002.48) e successivamente con quello di Agrippina Minore (Valeri, Zevi 2004.128). Attualmente, dopo un esame approfondito stimolato anche dalla ricerca di S. Wood (Wood 1995.457 ss.), proponiamo di attribuire questo ritratto a Giulia Drusilla, sorella di Caligola morta nel 38 d.C. Giulia Drusilla rappresenta uno dei punti più alti toccati dal riconoscimento pubblico del potere dinastico delle donne della famiglia imperiale da parte di un imperatore romano. Infatti, gli onori che Caligola concesse alla sorella Giulia costituiscono quasi un unicum tanto che Giulia fu nominata nel testamento dell’imperatore come erede del suo imperium ed addirittura fu la prima donna di stirpe imperiale ad essere deificata con il nome di Diva Drusilla Panthea (Wood 1995.458). Fig. 54 Sessa Aurunca, Testa ritratto di Giulia Drusilla
In realtà dietro questo atteggiamento c’è un disegno politico di Caligola ben preciso. L’imperatore intendeva non solo dare a Giulia Drusilla un ruolo istituzionale molto simile a quello che Livia ebbe per Augusto, ma in mancanza di un suo figlio, anche quello di prosecutrice della dinastia imperiale, pilotando il matrimonio della sorella con Marco Emilio Lepido. Dunque un compito più consono ad una moglie che alla sorella dell’imperatore. Ciò, ovviamente, nell’ambito dello scontro di poteri tra Caligola e i suoi detrattori, annidati specialmente tra i ranghi del senato, non fece altro che alimentare accuse di eccessi, amori incestuosi e omosessuali sulla cui veridicità ancora ci si interroga (Wood 1995. 458 ss.).
che caratterizza la capigliatura di questa statua. Infatti, sebbene il tipo di acconciatura, comune a tutt’e tre le sorelle di Caligola (Wood 1995.463), sia costituita da una scriminatura centrale da cui si sviluppano morbide ciocche ondulate che terminano dietro al collo con riccioli disposti a spirale e sulla fronte con una corona di piccoli riccioli ad anello (Wood 1995.467), la chioma è impreziosita da un diadema e da un›infula che è presente anche nell’unico ritratto sinora sicuramente attribuito a Giulia Drusilla, quello proveniente dal Teatro Romano di Caere (Wood 1995.471, figg.15-17).
La morte prematura di Giulia sconvolse i piani dinastici di Caligola che da un lato si vide costretto ad accelerare la deificazione della sorella al fine di perpetuarne temporaneamente il ruolo e dall’altro favorì la proliferazione negli edifici pubblici di statue e gruppi dinastici (Wood 1995.460) di cui il ritratto proveniente del Teatro Romano della cittadina campana, se l’identificazione risultasse attendibile, costituirebbe un’ulteriore attestazione. Ovviamente dopo la morte di Giulia e dopo quella di Caligola, il ruolo politico della principessa decadde quasi subito, così come l’uso di copiare le sue immagini fatto, questo, che potrebbe restringere la datazione del gruppo scultoreo e quindi anche quella del Sacellum in Summa Cavea, alla parte finale degli anni ‘30 del I sec. d.C., anche se alcuni ritratti di Giulia pare siano presenti ancora nei primi anni del principato di Claudio (Wood 1995.465).
Secondo la studiosa americana l’infula non solo connoterebbe le donne di rango come sacerdotesse del culto imperiale, ma fu anche un elemento caratteristico dei ritratti femminili a cui si voleva conferire un’aura di “santità”: insomma, Susan Wood crede che l’infula indichi lo status di Diva assunto da Giulia dopo la sua morte. Dato che è molto probabile che dopo la deificazione di Giulia la statua di Caere sia stata rilavorata proprio per aggiungere l’infula, è evidente che il ritratto di Sessa, se esso è effettivamente quello della sorella di Caligola e se davvero l’infula sta ad indicare lo status di Diva, non mostrando segni di rilavorazione, sia databile a dopo la morte e deificazione di Giulia Drusilla, pertanto l’intero sacello o perlomeno una parte della sua decorazione scultorea potrebbero datarsi a dopo il 38 d.C. Il territorio: testimonianze di vita economica
A ogni buon conto, al fine di precisare ulteriormente la datazione del ritratto ci viene in soccorso un elemento
La centuriazione d’età augustea (ARTHUR 1982) di Suessa,
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Sergio Cascella: La colonia augustea
specialmente lungo la fascia costiera, è stata profondamente alterata da un’interrotta fascia di lottizzazioni legate allo sviluppo urbanistico e pseudo-turistico del litorale. Gli interventi edilizi, realizzati per lo più al di fuori di qualsiasi programmazione e strumento urbanistico, hanno spesso distrutto le stratigrafie e i contesti, con la conseguente dispersione dei materiali archeologici. Una tale distruzione ha in pochi anni determinato la quasi completa disintegrazione dell’antico paesaggio, più di quanto secoli di frequentazione non avevano fatto.
enormi ricchezze, non solo con la commercializzazione dei prodotti agricoli, ma anche con quella derivante da attività artigianali di vario genere, tra cui facevano spicco i prodotti laterizi (tegole, dolia) e quelli ceramici. Uno di questi personaggi fu Quadratus Maesianus Celsus (Cil. X, 4749) che sotto l’impero di Augusto scalò tutte le tappe del cursus honorum pervenendo alle più alte cariche (Xvir, trib.milt. e quaest.urb.) dell’amministrazione centrale tra cui il senato26. Come era consuetudine, Maesianus Celsus associò l’esercizio di queste prestigiose cariche pubbliche ad una notevole attività imprenditoriale che egli svolgeva in un vasto latifondo localizzato nel territorio della colonia (ARTHUR 1987.62).
Al contrario, il territorio che si sviluppa a nord-ovest dell’abitato di Sessa Aurunca, verso le falde del vulcano Roccamonfina e lungo il corso del Garigliano, è ancora caratterizzato da un’occupazione del suolo di tipo rurale che ha permesso la conservazione di numerosi siti rilevati dalle recenti attività di survey archeologico25. Un discreto numero di villae, cisterne, impianti produttivi e tratti cospicui della viabilità antica, testimoniano la vocazione agricola di questo territorio a partire dalla fine del II sec. a.C.
I resti della sua villa27, identificati in località “S. Donato”, frazione di S. Castrese, sulla riva sinistra del Garigliano (PROIETTI 2002.44), sono costituiti da una imponente basis in opera poligonale e da alcune strutture in opera incerta e reticolata che si distendono su un’area di circa un ettaro ove affiorano enormi quantità di frammenti fittili che coprono un arco cronologico compreso tra il II sec. a.C. e il V sec. d.C. Tra questi è degno di nota un frammento di lastra campana (inv.322172), databile ad età augustea (Fig. 55). Di essa resta la metà sinistra, delimitata in basso da un listello, adorno con un fregio ad archetti e palmette, mentre del rilievo centrale resta la metà inferiore di un satiro inginocchiato, di cui si scorge anche parte della nebride, intento probabilmente a raccogliere grappoli d’uva. Si tratta di uno dei soggetti più cari all’iconografia delle lastre campane, in cui scene di vendemmia si alternano quelle di pigiatura. La scena è ricavata dalla stessa matrice di un frammento recuperato a “Tor Bella Monaca” presso Roma che trova confronto con altri simili presenti tra le strutture della villa imperiale di Ventotene (ROSSINI 2007).
La produzione e lo smercio dei prodotti della terra, che già avveniva tramite importanti vie di comunicazione terrestre (JOHANNOWSKY 1975.3 ss.), nel corso del I sec. a.C. si avvalse del potenziamento di infrastrutture portuali disposte lungo il Garigliano, che venne ampiamente sfruttato per convogliare le merci verso lo scalo commerciale di Minturnae che costituiva il naturale punto di raccolta e redistribuzione via mare dei prodotti di questo ricco entroterra. Il rinvenimento di un tratto di strada basolata e di una serie di strutture portuali, composte da taberne e fornaci di anfore, in località “Porto” a Rocca D’Evandro (CHIOSI 1991.121 ss.), attesta la produzione di tegole e anfore Dressel 1b da parte della gens Lucceia e dei suoi liberti, Mosca e Antiochus, evidentemente interessata a commercializzare i prodotti vinicoli della parte più settentrionale dell’ager suessanus e calenus.
La villa, ubicata a poche centinaia di metri dal corso del fiume, ha inoltre rivelato la presenza di strutture riferibili probabilmente ad un approdo e quelle pertinenti ad una fornace di anfore individuata dall’Arthur in alcuni saggi di scavo eseguiti nei primi anni ‘80. Le anfore, del tipo Dressel 28 e 2/4, caratterizzate da un’argilla di un colore arancio chiaro con inclusi vulcanici e calcarei, riportano sulle anse il bollo (inv. 322134) MAESCELS o MAESCES (TCHERNIA 1996.207 ss.) (Fig. 56) che, a riprova dell’ampiezza dei commerci dei prodotti campani di questo periodo, sono attestati in gran parte del bacino occidentale del Mediterraneo e lungo le coste dell’Africa settentrionale28.
In età augustea questo sistema si diffonde in maniera ancor più capillare (ARTHUR 1991.55 ss.) tant’è che, in questo ristretto ambito territoriale, ben tre siti, riferibili a ville di produzione poste lungo il corso del fiume, mostrano chiari indizi di essere associate ad altrettante fornaci che producevano anfore e ceramica comune (PROIETTI 2002. 54). La compagine sociale che tirava le file di questo commercio non era sempre costituita dai coloni che, più che badare alle terre loro assegnate, tentava sempre più spesso di arricchirsi avventurandosi in speculazioni fondiarie che finirono per avvantaggiare i nuovi ceti emergenti. Infatti, molti personaggi locali di rango equestre, dopo la fine delle guerre civili, che avevano segnato il tramonto dell’antica aristocrazia fondiaria repubblicana, acquisirono in questo modo notevoli estensioni di terre (latifundia), accumulando
Un altro bacino di produzione artigianale doveva essere posto lungo la Via Suessanis, nella zona a valle dell’odierno cimitero di Carano. In quest’area, fino a qualche anno fa, lungo un tratto di strada romana ancora visibile tra la folta Cebeillac Gervasoni 1983.86 ss.; Tchernia 1996.207 ss.; Cil. X, 4749. Alcuni componenti della sua famiglia ricoprivano ancora un ruolo importante nella città nel tardo II sec. d.C. come attesta una iscrizione datata al 193 d.C. in cui compare un decurione di nome M. Maesius Q[….], cfr: Cil. X, 4760b. 28 Tchernia 1986.151 ss.; Miro’1989.225,316, nn.75,77; Arthur 1991.74 ss. 26 27
Villucci 1979.41 ss; Villucci 1980c.20 ss; Crimaco 1993.32 ss; Proietti 1993.71 ss.; Proietti 2002.23 ss.; Crimaco 2005.61 ss. 25
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Memorie Suessane di Matidia
Fig.57 Sessa Aurunca, Antiquarium, matrice per antefisse
Fig.55 Sessa Aurunca, Antiquarium, lastra campana
Fig.58 Sessa Aurunca, Depositi della Soprintendenza, iscrizione funeraria
vegetazione, si rinvenivano in superficie molti scarti di fornace, pertinenti a tegole e anfore, tra cui è degna di nota una matrice per antefisse fittili a palmetta (Fig. 57), mentre un frammento di iscrizione funeraria redatta su un blocco di calcare bianco, che forse può essere associato ad un altro frammento, molto simile, reimpiegato nella “Masseria delle Monache” presso il vicino comune di Cellole (PAGANO, VILLUCCI 1986.60), attesta la presenza in questa zona dei Caecilii. Il primo frammento (Fig. 58) riporta, in caratteri databili al I sec. d.C., parte della seguente iscrizione: [.] (Ca)ECILIVS /[..]BACCHIVS/[…](f)ECIT/ [...], mentre un secondo frammento, reimpiegato nella suddetta masseria, mostra il seguente testo: Q.CA(ecilius ?)/Q.L.[…].
Fig.56 Sessa Aurunca, Antiquarium, ansa di anfora con bollo Maescels
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10. Il periodo Antonino: Matidia Minore e Suessa Sergio Cascella
Un impero al femminile
la pronipote dell’imperatore Traiano, si venne a trovare nella scomoda posizione di essere anche un potenziale rivale di Adriano nella successione imperiale, tanto più che Traiano, nell’ultimo periodo della sua vita, pare avesse avuto dei ripensamenti su chi dovesse succedergli5. In ogni caso, in seguito alla morte di Adriano, Matidia divenne zia (matertera) del nuovo imperatore Antonino Pio, acquistando finalmente un notevole prestigio che mantenne sino alla sua morte avvenuta nel 165 d.C. durante il regno di Marco Aurelio.
Prima di esaminare la documentazione archeologica che testimonia l’intensa attività di Matidia Minore a Sessa Aurunca è opportuno ricordare a grandi linee le vicende biografiche di questo personaggio. Matidia Minore1 nacque a Roma intorno all’80 d.C., forse dal primo matrimonio che la madre Salonia Matidia Maggiore ebbe con il senatore L. Mindius2 nel qual caso dovremmo parlare di Mindia Matidia. Infatti, nelle iscrizioni a lei riferibili il gentilizio Vibia, che caratterizza la titolatura della sorella Sabina, figlia del console Lucio Vibio Sabino, non compare mai. Sebbene fosse stata introdotta sin da bambina alla corte imperiale Matidia restò in ombra per quasi tutta la sua vita, offuscata dalle figure della madre e della sorellastra andata in sposa ad Adriano nel 117 d.C. Matidia, che secondo l’opinione comune era nubile, fu dunque solo una principessa di secondo piano, relegata alla funzione di dama di compagnia della sorella Sabina, compito che interpretò sino alla morte di quest’ultima avvenuta nel 137 d.C.3. A questo punto è d’obbligo chiedersi: per quali motivi una principessa di rango come Matidia sia stata relegata ad un ruolo così marginale? Il fatto che tutte le testimonianze archeologiche ed epigrafiche che la riguardano siano posteriori alla morte di Sabina e di Adriano sta chiaramente a significare che Matidia Minore fu da questi deliberatamente esclusa dall’esercizio del potere.
Tutto ciò però non le bastò per essere definitivamente legittimata; infatti, a differenza della madre e della sorella, Matidia non venne mai proclamata Augusta6. Al di là della veridicità o meno di queste congetture resta il fatto che l’appannata immagine di Matidia proposta dalle fonti ufficiali è stata negli ultimi anni stravolta dai dati acquisiti durante gli scavi e le indagini eseguite a Sessa Aurunca. La documentazione archeologica campana ci ha restituito il vero volto di Matidia: quello di una donna desiderosa di affrancarsi dalla condizione marginale ove era stata relegata per gran parte della sua vita. Antonino Pio assecondò e forse favorì questa smania tanto da concederle di apparire in una posizione di assoluto rilievo nelle iscrizioni ufficiali, atteggiamento questo non certo dettato solo da un animo benevolo ma da uno scopo ben preciso. Matidia Minore, infatti, essendo rimasta l’unica esponente vivente della famiglia imperiale, divenne per Antonino Pio la sola che potesse garantire la legittimità del suo potere.
Le ragioni di un tale comportamento sono solo in parte da ricercare nel rapporto di parentela indiretta che legava Vibia Sabina e Mindia Matidia, poiché è più probabile che alla base ci fossero le ragioni politiche adombrate da F. Chausson4, il quale ritiene che Matidia sia divenuta vedova precocemente essendosi sposata, probabilmente nel 100 d.C., forse con uno dei quattro consoli assassinati all’inizio del regno di Adriano.
Ciò è esemplificativamente testimoniato dal fatto che nelle dediche ufficiali Matidia è citata quale figlia della Diva Matidia Augusta, nipote della Diva Marciana Augusta, sorella della Diva Sabina Augusta, ma soprattutto come matertera (zia) dell’imperatore Antonino Pio, stabilendo così un inequivocabile legame di parentela tra il nuovo princeps e la domus augusta.
Se ciò fosse vero questo presunto marito, avendo sposato Ricordiamo che il cognomen Matidia deriva da quello del nonno C. Salonius Matidius Patruinus, sposo di Marciana, sorella di Traiano e madre di Matidia Maggiore. 2 Hemelrijk 1999.301, nota 100; Mari 2004.27 ss.; Reggiani 2007.25. Sugli antenati di Matidia Minore, cfr. Chausson 2006.79 ss; 85 e ss. 3 Adriano solo di rado le concesse gli onori della ribalta pubblica come accadde nel 128 d.C. quando Matidia ebbe l’onore di accompagnare l’imperatore in Grecia e in Asia Minore. Cfr. Mari 2004.28. 4 Chausson 2006.67 ss.; p.68, nota 245. 1
Ritornando alla munificenza pubblica che Matidia Minore Sulla possibilità che l’adozione e la susseguente proclamazione di Adriano ad imperatore fosse frutto di un intrigo di corte ordito da Plotina e da Matidia Maggiore cfr. Mari 2004.19 ss. 6 Sulle donne della famiglia antonina, cfr. Mari 2004.15 ss; Chausson 2006 5
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Memorie Suessane di Matidia
Fig.59 Sessa Aurunca, Corso Lucilio, iscrizione dei minturnenses a Matidia Minore
espresse a Suessa questa contraddice nei fatti l’ipotesi di una Matidia nubile. Infatti, se effettivamente fosse confermato il suo status giuridico di donna non sposata, “in virtù delle leggi Iulia e Papia Poppaea ...” (REGGIANI 2007.24) Matidia avrebbe dovuto subire delle forti limitazioni patrimoniali che certamente non le avrebbero consentito un’attività evergetica così intensa. Matidia, invece, non solo aveva vasti possedimenti in Campania che fece amministrare dai suoi procuratori7, ma si rese benemerita
presso le popolazioni di Minturnae, Sinuessa e Suessa8 (Fig. 59) partecipando attivamente alla vita economica di queste città, finanziando con inusitata larghezza di mezzi la costruzione e il restauro di molti edifici e infrastrutture pubbliche che conferirono a queste città quel carattere di urbanitas che è proprio delle grandi città romane. In questo modo Matidia, forse proprio in contrasto con i limiti che le erano stati imposti a Roma, affermò il suo potere personale ponendo il suo nome addirittura prima di quello di Antonino
Cil. X, 4746 : AGATEMER LIB(ertus) PROC(urator) e Cil. X, 4747 : T(itus) FLAVIUS AVG(usti) LIB(ertus) ONESIMVS CAMPANVS. Quest’ultima iscrizione, oggi rotta in due frammenti, è conservata presso la Curia Arcivescovile S. Germano. 7
Dedica dei Suessani: Cil. X, 4745; dedica dei Minturnensi: Cil. X,4744; dedica dei Sinuessani: Cil. X, 3833. 8
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Sergio Cascella: Il periodo Antonino: Matidia Minore e Suessa
Pio sulle dediche di numerosi edifici di Suessa che divenne un suo feudo.
Addirittura F. Chausson (CHAUSSON 2006.120) ipotizza che alcuni membri della gens Mindia possano essere originari di quest’area, tra cui il presunto padre di Matidia Minore, L. Mindius Pollio o L. Mindius Balbus entrambi proconsoli di Bithynia sotto l’impero di Claudio.
Riguardo l’origine dei possedimenti campani9 di Matidia una parte di essi è certamente riconducibile all’eredità trasmessale della madre, come attesta un’iscrizione di un procuratore di Matidia Maggiore rinvenuta presso Allifae (Cil.IX, 6083-4), mentre è possibile che la restante parte derivasse dal patrimonio paterno come lascerebbe supporre il rinvenimento, effettuato tra il territorio di Suessa e quello di Sinuessa, dell’iscrizione10 relativa al liberto L. Mindius Thelymorphus (Eph.Ep.VIII,566) che elevò un cippo funerario al suo alumno, L. Mindius Thelymorphanus.
Con la morte di Matidia, purtroppo, tramontò anche per Suessa questa feconda stagione di prosperità. Infatti, le sue proprietà confluirono nel patrimonio dell’imperatore Marco Aurelio e di sua figlia, Vibia Aurelia Sabina (Cil. X,4763), che si limitarono solo a farlo amministrare, senza più prodursi in atti evergetici degni di nota.
È molto probabile che Matidia Minore abbia avuto nel territorio aurunco una residenza degna del suo rango. Su quest’argomento, cfr. Pagano, Villucci 1991.287 ss.; Cascella 2002.89 ss., mentre sulla villa che Matidia possedeva nei pressi di Roma, cfr. Iorio 2004.143 ss. Oltre ai possedimenti campani, è molto probabile che Matidia Minore abbia avuto molti interessi economici anche nella provincia d’Asia dove fu onorata con due statue, una ad Alexandria Troas e un’altra ad Ephesos. Il patrimonio asiatico di Matidia Minore, ereditato probabilmente dal padre, dovette essere amministrato da molti procuratori e liberti i cui figli, a partire dall’età di Commodo, assursero in quella provincia a importanti cariche pubbliche come nel caso di M. Aurelius Mindius Matidianus Pollio, pubblicano, àrchōn e appaltatore della Quadragesima Portus Asiae. Cfr. Barresi 2003.335; Chausson 2006.75 ss.; Hirschfeld 2009.28. 10 Contrariamente alcuni studiosi ritengono che questo personaggio non sia un liberto di Matidia Minore: cfr. Granino Cecere 2007.43, nota 20. 9
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11. Matidia Minore e le infrastrutture pubbliche di Suessa Sergio Cascella
Cura viarum
II sec. d.C. A quest’epoca, infatti, debbono ascriversi i perfetti paramenti murari delle pilae (Fig. 61), realizzati in laterizio con ricorsi e marcapiani di bipedali che rivestono un durissimo nucleo cementizio, realizzato con un’ottima malta in cui sono annegate schegge di tufo grigio e lava trachitica provenienti evidentemente dalla lavorazione del basolato stradale. I paramenti laterizi delle pile, che hanno un fondazione realizzata in cavo armato (Fig. 62), almeno in un punto sono coperti da una fodera in reticolato di tufo grigio, la cui tessitura è del tutto simile a quella usata nelle ristrutturazioni volute da Matidia Minore nell’area del teatro. Le ghiere delle arcate sono realizzate in bipedali come le cornici che con il loro sviluppo sottolineano l’andamento a schiena d’asino del ponte che unisce le due sponde del fiume che si trovano a quote diverse. Le volte a botte, decorate con un cassettonato rivestito in stucco (Fig. 63), sostengono la strada che era delimitata da bassi muretti e che fu riparata con un acciottolato presumibilmente di epoca rinascimentale.
Il protagonismo di Matidia è testimoniato in tutte le iscrizioni rinvenute nel territorio aurunco tra cui quella presente su un miliarum, oggi reimpiegato nelle murature di una farmacia sita lungo il Corso Lucilio a Sessa Aurunca (PAGANO, VILLUCCI 1991.287 ss.). [Mati]DIA. AVG.(ustae) | [Fi]L(ia) [Divae. S]ABINAE. AVG.(ustae) [So]ROR. [Imp(eratoris) Anto]NINI. AVG.(usti) PII. [P(atris) P(atriae) Ma]TERTERA. VII A quale strada si riferisce il settimo miglio è una questione ancora aperta. Sebbene la via che univa Suessa a Sinuessa abbia un percorso di circa 7 miglia è poco probabile che si possa trattare di questa strada. È, invece, più verosimile che la pietra miliare sia pertinente alla via che da Suessa conduceva all’Ager Vescinus. Com’è noto, infatti, presso Suio, distante poco meno di 20 km da Sessa, esistevano le famose Thermae Aquae Vescinae che all’epoca di Settimio Severo erano certamente di proprietà imperiale tant’è che questi fece lastricare una strada che dalle terme conduceva a Minturnae1. È probabile dunque che questi bagni costituissero una parte delle vaste proprietà che Matidia possedeva nel territorio aurunco e che alla sua morte passarono di mano in mano sino ai Severi2.
Cura aquarum Durante lo scavo del teatro sono state rinvenute 6 fistule plumbee (CASCELLA 2002.89 ss.; CASCELLA 2006.103) con il bollo MATIDIAE AVG(ustae) FIL(iliae) (Fig. 64) associato a quelli di due plumbarii Q. CLASSICVS PRIMVS FEC(it) e M. ENNIVS EVARISTVS FEC(it)4. Che la Matidia di questi marchi sia da identificare con Matidia Minore è un fatto certo poiché i tubi trovati a Roma e ad Ostia5, riferibili a Matidia Minore, mostrano iscrizioni del tutto uguali che difficilmente possono essere confuse con quelle della madre, Matidia Maggiore, in quanto, queste ultime, riportano l’iscrizione [S]ALONIAE MATIDIAE AVG(ustae) SOR(oris) F(iliae)6.
Ritornando alla via che univa Suessa a Sinuessa (Via Suessanis) l’ipotesi di attribuire a Matidia Minore la costruzione del cd. Ponte Ronaco è per noi non priva di suggestioni anche se al momento, purtroppo, di ciò non possediamo alcun riscontro epigrafico.
Ovviamente una tale quantità di frammenti bollati7 non costituisce solo un’ulteriore testimonianza del rifacimento del teatro voluto da Matidia, ma è una prova indiretta di un
Grandioso, quanto mai sconosciuto, esempio di architettura romana3 questo ponte, che scavalca il Rio Travata per mezzo di 21 arcate (Fig. 60), costituisce un’altra testimonianza delle ristrutturazioni cui furono soggette tutte le infrastrutture della città nella prima metà del
Ad uno schiavo di questo stesso plumbarius è riferibile una fistula plumbea rinvenuta nei resti di una villa sita alle pendici di Monte Ofelio. Il tubo conservava un bollo che riportava chiaramente la seguente iscrizione: M. ENNIVS GLYCON FECIT. Cfr. Tommasino 1925.334. 5 Roma: MATIDIAE AVG. F., cfr. Cil. XV, 7306. Ostia: MATIDIAE AVG(ustae) F(iliae), cfr. Cil. XV, 1978. Sull’attribuzione di queste fistule a Matidia Maggiore o Minore, e sul fatto che spesso nelle iscrizioni che fanno riferimento a Marciana, Matidia Maggiore e Sabina, da morte, esse vengano citate come Augustae e non come Divae, cfr. Chausson 2007. 6 Pietrangeli 1951.17 ss. 7 Almeno 6 fistule riportano i bolli di Matidia. 4
AE 1982,153=AE 1989,144; AE 1982,153=AE 1989,145 Ancora nel 211-212 d.C., presso le terme, fu posto un ex voto al Genio Aquarum Vescinarum da due servi dispensatores, affinchè fosse propiziato il ritorno di Caracalla e Geta, impegnati in Britannia. Cfr. AE 1914, 217. 3 Per un inquadramento generale su questo monumento cfr. Jhonson 1940.465; Valletrisco 1978.63; Radke 1981.136 ss.; Colletta 1987.489 ss.; Carafa 1989.71 ss; Villucci 1995.109 ss.; Arthur 1991.52 ss.; Rocco 1996.29 ss. 1 2
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Memorie Suessane di Matidia
Fig.60 Sessa Aurunca, Ponte Ronaco, veduta generale
Fig.61 Sessa Aurunca, Ponte Ronaco, particolare di una delle pilae
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Sergio Cascella: Matidia Minore e le infrastrutture pubbliche di Suessa
Fig.62 Sessa Aurunca, Ponte Ronaco, particolare delle fondazioni
Fig.63 Sessa Aurunca, Ponte Ronaco, particolare della volta
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Memorie Suessane di Matidia
più vasto programma di restauro che dovette interessare l’intero impianto di approvvigionamento idrico della città. Nonostante molti resti di acquedotti emergano in più punti del territorio nessuno di essi è stato oggetto di ricerche sistematiche. T. De Masi riferisce che nelle località Gorga e Tuoro erano visibili due porzioni di acquedotto, proveniente dal Roccamonfina e proseguente verso Suessa, costituito da uno speco in opera reticolata (DE MASI 2000.199). Resti di un altro condotto, conservato per oltre 200 m e realizzato con strutture in opera incerta, è venuto in luce presso la frazione di Lauro di Sessa tra la S.P.123 e la S.S.4308. Infine, ruderi di altri due acquedotti scavati nel banco di pozzolana e rivestiti di opera reticolata, sono visibili in sezione lungo via Cecasole, ad ovest della cinta muraria (PAGANO 1996.107) e in località Costa Melagrano (GASPERETTI 1997.249).
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Fig.64 Sessa Aurunca, Teatro Romano, fistula con bollo di Matidia
Ringrazio la dott.ssa A. De Filippis per quest’informazione.
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12. La risistemazione dell’area forense Sergio Cascella, Maria Grazia Ruggi D’Aragona
La Bibliotheca Matidiana e il cosiddetto Aerarium
realizzati con coppi accostati, che testimoniano la funzione di sostruzione di questo muro. È, dunque, probabile che tra il prospetto dell’erario e la struttura in laterizio esistesse un intercapedine che servisse a raccogliere e smaltire le acque drenate dal terrapieno retrostante il muro2.
Delle numerose dediche trovate nel territorio di Sessa Aurunca due iscrizioni frammentarie sono riferibili ad edifici che si dovevano trovare in prossimità del foro. Della prima (PAGANO, VILLUCCI 1986.53 ss) si conserva, purtroppo, solo un frammento che non consente di sapere né chi fossero dedicanti, né a quale edificio appartenga:
La struttura concamerata dei locali seminterrati (Fig. 65) è perfettamente leggibile: gli ambienti sono accessibili tramite una rampa di scalini che porta all’ingresso antico composto da un vano quadrangolare3 con stipiti e architrave costituiti da blocchi monolitici di pietra calcarea, che sono stati rimossi in epoche successive.
[Matidiae] [Aug(ustae) Fil(iae)] DI[vae Sabina] E. AVG.(ustae) SO[rori Imp(eratoris) Antoni]NI. AV[g(usti) Pii P(atris) P(atriae) Materterae…] [……..]
Da questo piccolo vano si diparte un corridoio che immette nell’ambiente A, a pianta rettangolare4 con pavimento in cocciopesto, orientato con l’asse principale nord-sud e coperto con una volta a botte (Fig. 66). Lungo la parete est il pavimento forma una sorta di bancone largo 1,60 m mentre, sul lato occidentale, si inclina a formare una rampa che per mezzo di una porta immette nell’ambiente B.
La seconda iscrizione, databile all’anno 193 d.C., cita la Bibliotheca Matidiana (Cil.X, 4760) quale sede per le riunioni del senato cittadino.
Questa seconda stanza (Fig. 67), coperta anch’essa con una volta a botte ed orientata nord-sud, mostra una pianta rettangolare5 parzialmente ingombra di detriti e macerie che invadono tutto il lato ovest mentre, lungo quelli est e sud, il piano pavimentale in cocciopesto si cela sotto pochi centimetri di terra.
Questo monumento, intitolato probabilmente a Matidia Minore e quasi certamente da lei costruito, non è stato ancora localizzato. Tuttavia, poiché le biblioteche romane, in specialmodo quelle dei municipi e delle colonie, erano adoperate per diverse finalità, non ultima quella di archivio di stato1, non è escluso che gli ambienti del cosiddetto Aerarium, databili intorno alla metà del II sec. d.C., possano costituire la parte ipogea di questa biblioteca che dunque potrebbe essere collocata proprio nell’area forense. I resti dell’erario, situati lungo il lato orientale della piazza Tiberio Massimo, riutilizzati come fondazioni di costruzioni medievali, furono prima ritenuti parte di un complesso termale (DE MASI 2000.195 ss.; TOMMASINO 1925.297 ss.), poi riconosciuti come tali dal Pagano (PAGANO 1994.). L’edificio era composto da due piani di cui quello emergente alla quota del lastricato del foro, è molto mal conservato. Di questo oggi è visibile parte di una parete in opera mista lunga 12 m, alta 5 m, inglobata nel palazzo Tiberio. La parete mostra nella parte bassa i resti del rivestimento in cocciopesto, mentre a circa 4 m di altezza sono inseriti una serie di sfiatatoi per il drenaggio,
Al centro della parete orientale si apre l’entrata all’ambiente C. L’accesso a questo locale è costituito da un ingresso a saracinesca foderato da due stipiti in pietra calcarea su cui poggiava l’architrave6. I due piedritti laterali presentano, lungo tutta la loro altezza, delle guide o binari a sezione quadrangolare, scavati all’interno degli stessi blocchi, mentre nel nucleo della volta è ricavato un taglio, largo quanto il vano d’ingresso, usato per alloggiarvi probabilmente una saracinesca7 metallica (cataracta), manovrata evidentemente da un locale posto al piano superiore. L’ambiente C si presenta con una pianta trilobata
La Valletrisco, identifica questo muro come parte di una grande fontana monumentale. Cfr. Johannowsky 1973.143 ss.; Valletrisco 1990.66 ss. 3 Dimensioni: Largh.1,55 m; alt. 1,65 m. 4 Dimensioni: Lungh. 4,75 m; largh. 3,70 m; alt. 3 m. 5 Dimensioni: Lungh. 12,20 m; largh. 4,70 m; h. 4,50 m. 6 Dimensioni Vano: Largh. 1,10 m; Stipiti: alt. 3,50 m, largh. 80 cm; lungh. 1,17 m; spess. 1 m. 7 Prof. 3,50 m. 2
La doppia funzionalità delle biblioteche romane è riflessa anche dall’ambiguità dello stesso termine latino bibliotheca, con cui si indicava sia l’archivio di stato che l’edificio preposto a contenere le collezioni di volumina. 1
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Memorie Suessane di Matidia
Fig.65 Sessa Aurunca, planimetria dell’aerarium
costituita da corridoi di uguali dimensioni8, coperti a volta9 e terminanti con delle absidi (Fig. 68). Una grossa breccia, praticata nell’abside posta alla fine del braccio sud, dà oggi accesso ad una fogna che bordava il lato meridionale dell’edificio10.
mostrano una messa in opera omogenea che non presenta rimaneggiamenti o rappezzi. Le uniche variazioni nella composizione dei paramenti sono riscontrabili nei punti ove l’edificio confinava con la nuda roccia, dove si è preferito usare il paramento in mattoni per arginare la diffusione dell’umidità13. Pochi sono gli erari riconosciuti e ben conservati nel mondo romano: limitandoci alla Campania, oltre all’erario di Pompei14 e di Neapolis15, questo di Suessa potrebbe essere uno dei complessi più grandi e meglio conservati.
Questa canalizzazione è costituita da un condotto a sezione rettangolare11 su cui si imposta una copertura a cappuccina di sesquipedales (Fig. 69). L’intera costruzione è stata realizzata in un’unica soluzione e pare non abbia avuto rifacimenti nel corso dei secoli. Ciò è ricavabile dal fatto che le strutture murarie in opera mista, di reticolato con specchiature e ammorsature in laterizio12,
Questa tecnica edilizia viene usata in Campania sistematicamente a partire dalla prima età flavia sino
Largh. 2,95 m; lungh. 5 m, mentre l’altezza è conservata solo per circa 3 m, in quanto l’ambiente è ancora riempito da un interro di circa 1,70 m di spessore. È ovvio quindi che in base a questi dati il pavimento antico si trovi alla stessa quota dell’attiguo ambiente B. 9 La volta del braccio est è leggermente più alta di quelle dei bracci nord e sud. L’ambiente era rischiarato da tre lucernai a gola di lupo posti nelle volte nei pressi delle semicupole delle absidi di fondo, tranne che per il braccio est che essendo costruito contro terra ha il lucernaio nel punto di incrocio tra le tre volte di copertura dell’ambiente C. 10 La presenza di questo condotto conferma che l’ambiente C è costruito entro il banco tufaceo che ad oriente sovrastava il foro. 11 Largh. 50 cm; alt. 2 m, compreso 1 m circa di interro. 12 Lugli 1957.521 ss; Adam 2003.151 ss.
Quest’espediente è stato adottato sia nel braccio est dell’ambiente C che lungo al parete sud del corridoio di accesso all’ambiente A, mentre un unico arco di scarico in bipedales è presente nella tessitura della parete sud dell’ambiente A. 14 Situato nel foro a nord del tempio di Apollo (Pompei VII 7, 27-29). Si tratta di due piccoli ambienti seminterrati coperti con volte a botte, cui si accede da uno stretto passaggio munito di una solida porta fiancheggiata da stipiti in blocchi di lava. 15 Anche in questo caso si tratta di ambienti costruiti in opera mista databili ad epoca flavia, cui si accede tramite uno stretto passaggio fiancheggiato da un architrave in calcare, mentre qui come a Sessa, la suddivisione interna sembra suggerire che una parte di esso fosse adibito all’alloggio del corpo di guardia. Cfr. De Simone 1985.185 ss.
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Sergio Cascella, Maria Grazia Ruggi D’Aragona: La risistemazione dell’area forense
alla seconda metà del II sec.d.C. in tutte le più grandi realizzazioni architettoniche. Dato che è praticamente impossibile elencarle tutte si pensi solo, in ambito sessano, alle strutture costruite da Matidia nel vicino teatro romano, al cosiddetto tempio di Nettuno (terme imperiali) e all’Anfiteatro maggiore di Pozzuoli, sino agli esempi adrianei del cosiddetto tempio di Venere a Baia. La mancanza di confronti rende particolarmente difficoltosa l’identificazione della funzionalità dei tre ambienti. L’ambiente A, potrebbe essere identificabile con una sorta di vestibolo; nel successivo ambiente B, potrebbe essere riconoscibile il tabularium (archivio di stato), ove era alloggiato l’ufficio degli addetti alla riscossione dei tributi mentre la particolare posizione dell’ambiente C, privo di uscite se non l’ingresso che era sbarrato da una grata metallica, fanno identificare questo vano con il tesoro vero e proprio della colonia. Le sostruzioni del foro Le sostruzioni settentrionali del foro sono venute in luce
Fig.66 Sessa Aurunca, aerarium, ambiente A
Fig.67 Sessa Aurunca, aerarium, ambiente B
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Memorie Suessane di Matidia
Fig.68 Sessa Aurunca, aerarium, ambiente C
in seguito ad uno scavo di emergenza16 eseguito da parte della Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta nella Proprietà Pietosi. Lo scavo ha, evidenziato almeno tre fasi cronologiche: la più antica, di cui si è già discusso, è costituita da una parte delle mura di cinta del IV sec.a.C. realizzata con blocchi di tufo del tutto simili a quelli visibili in altri tratti della cortina muraria. La seconda è testimoniata dalla presenza, nel settore sudest, di un lungo muro, con andamento est-ovest, realizzato in opera incerta, databile alla prima metà del I sec.a.C.17, mentre le tracce più consistenti sono relative all’ultima fase, databile alla metà del II sec. d.C. In quest’epoca l’area venne occupata da una costruzione (Fig. 70) in opera mista di reticolato e laterizio18, realizzata Lo scavo, che ha raggiunto la profondità massima di 5 m dal piano di calpestio attuale, mostrava una stratigrafia fortemente disturbata da profondi movimenti di terra effettati nei decenni passati. Al di sotto dell’attuale piano di campagna, è apparso un deposito della potenza di 4,80 m di spessore, costituito da macerie edilizie antiche e moderne miste a scarsi frammenti ceramici. 17 La struttura è conservata per circa 10 m di lunghezza, 1 m di altezza e 40 cm di spessore. 18 La muratura è visibile per 5,10 m di lunghezza, 4 m di altezza e 2 m di spessore. Lungo il tratto rettilineo essa mostra un paramento in opus vittatum, composto da due specchiature di 1,30 m circa di altezza, realizzate in blocchetti di tufo (dim. 8 x 20 cm), sovrapposte ed intervallate da un ricorso di 6 mattoni (lateres di 29 cm di lunghezza e 3 cm di spessore) su cui poggia una fila di bipedali che funge da marcapiano. Un secondo ricorso, uguale al predente, divide questa zona dalla soprastante specchiatura in opus reticulatum, realizzata con cubilia di 7x7 cm perfettamente messi in opera, mentre la testata d’angolo, lungo il lato est, è realizzata con ammorsature e denti di 3 blocchetti di tufo. 16
Fig.69 Sessa Aurunca, aerarium, fogna
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Sergio Cascella, Maria Grazia Ruggi D’Aragona: La risistemazione dell’area forense
Fig.70 Sessa Aurunca, Proprietà Pietosi, particolare delle strutture del II sec. d.C.
contro terra che, con un andamento rettilineo est-ovest, interrotto da un’abside19, sostruiva il lato settentrionale della soprastante piazza forense.
Largh. 4 m, alt. 5 m, prof. 1,50 m. L’associazione di reticolato, ricorsi in mattoni e testate angolari in tufelli, daterebbe questa struttura alla prima metà del II sec. d.C. Cfr. Adam 2003.146 ss., fig. 312. 19
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13. Matidia Minore e il restauro del teatro Sergio Cascella
Un terremoto del II sec. d.C.
[Matidia.Divae.Matidi]A[e.A]VG.FIL.DIVAE. MARCI[anae.Aug.Neptis.]/ [Divae.Sabinae.Aug.Sor]OR.[I]MP.ANTONINI.AVG.PII. [P.P.Matertera]/ [Theatrum.Terrae.Motu.Con]LAPS[u]M.ITEM. PORTICV[m. C]ONIVNC[tam.S.P.Restituit]/
È molto probabile che nei primi anni del II sec. d.C un terremoto abbia danneggiato gravemente il teatro augusteo di Suessa e molti altri edifici della città. Una testimonianza di quest’evento sismico potrebbe venire da un frammento epigrafico che giaceva sin dai tempi di T. Masi (DE MASI 2000.188) nel “giardino dei P.P. Minori di S. Francesco, contiguo al fondo Gagliardella dove trovasi il Teatrum” (TOMMASINO 1925.330).
In particolare furono ricostruite la porticus in summa cavea, la scaenae frons, la pavimentazione dell’orchestra, le due basilicae laterali, la porticus post scaenam, i rivestimenti marmorei dell’intero teatro, un numero imprecisato di sculture e ritratti, tra cui quelli della famiglia imperiale ed infine la viabilità esterna alla parte sommitale del teatro che venne completamente rifatta.
Tale marmo, presente ancora al tempo di G. Tommasino, mostrava un’iscrizione frammentaria che può essere così integrata:
Il riassetto urbanistico dell’emiciclo superiore
[Imp. Caes. Divi. Hadr]IANI. FIL. [Divi. Traiani. Part]HICI. NEP. [Divi. Nervae. Aug. P]RON. T. AELIVS. [Hadrianus. Anto]NINVS. AVG. PIVS [Pontif. Max. Tr]IB. POT. II. COS. II. P.P. [Porti]CVM. PENE. COLLAPSVM. [S]VESSANIS. S.P. RESTITVIT
Partendo proprio da quest’ultimo punto, come detto è probabile che i lavori di ripristino e consolidamento promossi da Matidia non si limitarono al solo teatro, ma dovettero interessare anche la vicina area del foro, con ripercussioni evidenti sulla viabilità di accesso al monumento che mutarono radicalmente l’aspetto esteriore dell’ambulacro della summa cavea. Difatti, il prospetto dell’emiciclo fu interrato sino alla quota delle mensole del velario con un’operazione che comportò dapprima la chiusura con tamponature in muratura delle arcate cieche e poi la realizzazione di sette barbacani, costruiti in opus mixtum di reticolato e laterizio (Fig. 71), che contraffortarono a meridione l’alto muro in opus quasi reticulatum appartenente all’ampliamento sillano delle mura di cinta della colonia.
Il testo, databile al 139 d.C., fa riferimento alla ricostruzione di un portico quasi completamente crollato che l’imperatore Antonino Pio ricostruì a sue spese. Il luogo in cui era conservata quest’iscrizione, che dovrebbe coincidere con uno dei giardini posti nelle vicinanze del Criptoportico repubblicano, potrebbe avvalorare l’ipotesi che la ricostruzione possa aver interessato una parte di qualche edificio situato nei pressi dell’area forense, forse proprio il chalcidicum che circondava o precedeva l’edificio circoscritto dal Criptoportico.
Queste murature sono costruite con un paramento in opera mista costituito da specchiature di opera reticolata di tufo grigio (cubilia di 7-8 cm di lato, perfettamente tagliati e messi in opera), ricorsi in mattoni (6 lateres), marcapiani in bipedali (ogni 22-24 file di mattoni) e testate in vittato misto, composti da un blocchetto di tufo alternato a due filari di mattoni. L’uso del tufo grigio in luogo del classico tufo color ocra del Roccamonfina, riscontrabile anche in altri monumenti della città e del suburbio databili alla prima metà del II sec. d.C., come i piloni del cd. Ponte Ronaco, lascerebbe ipotizzare l’apertura in quest’epoca di cave di Ignimbrite Campana i cui giacimenti affiorano nel territorio a sud-ovest della città.
In seguito a quest’avvenimento Matidia, seguendo una consolidata tradizione che dall’epoca di Augusto vide l’imperatore e i componenti della casa imperiale coinvolti nella costruzione di edifici civili e religiosi (Kienast 1999.417 ss), non si lasciò sfuggire l’occasione di sfruttare a fini autocelebrativi il completo rifacimento del teatro di Suessa come dimostra una monumentale iscrizione marmorea, databile tra il 137 e il 150 d.C.1, trovata durante gli scavi della basilica meridionale del teatro: Cascella 2002.85 ss; Cascella 2006.101 ss. I frammenti di questa iscrizione, redatta su lastre di marmo lunense, furono trovate sull’ingresso che dalla basilica meridionale conduceva alla relativa parodos. Ringrazio il prof. F. Chausson per le delucidazioni che cortesemente a voluto darmi in merito alle corrette integrazioni del testo antico: cfr. Chausson 2008. 1
Una volta costruiti questi speroni, che affondarono le loro fondazioni nella colmata che si era realizzata, il nuovo
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Memorie Suessane di Matidia
Fig.71 Sessa Aurunca, Teatro Romano, particolare delle strutture del II sec. d.C.
l’ingresso al teatro d’età augustea, venne tagliata ed i gradini di tufo sostituiti con scalini in calcare.
piazzale, più alto del precedente di almeno 6 m, venne pavimentato in opus spicatum di mattoncini (Fig. 72). Il piano, soggetto ad un forte colluvio, fu inclinato verso l’emiciclo del teatro ove una canaletta, collegata a nord e sud con discendenti costituiti da tubuli di terracotta, provvedeva a smaltire le acque meteoriche nell’impianto fognario.
Edificio scenico: il lavoro di maestranze urbane o campane? La grandeur imperiale di Matidia si manifestò in tutta la sua magnificenza nella ricostruzione del frontescena (Fig. 75) del teatro2.
Le mensole del velario, che si vennero a trovare al livello del piano di calpestio, furono isolate creando un muro che definì nuovamente l’emiciclo, disponendosi parallelamente al precedente attico in opera reticolata. Il nuovo prospetto, realizzato completamente in laterizio, con archi di scarico in bipedali (Fig. 73), formò un corridoio di servizio (Fig. 74) che isolò e protesse i pali del velario, ma nello stesso tempo permetteva, attraverso appositi varchi, l’accesso ai vomitoria che davano sulla summa gradatione.
Il lavoro commissionato previde: la completa ricostruzione della porticus in summa cavea costituita da oltre 80 colonne ioniche, alte circa 4 m, realizzate con fusti in Granito Misio e capitelli e basi in marmo Proconnesio; il restauro con perni e staffe (Fig. 76) di gran parte delle 84 colonne della prima fase della scaenae frons e la sostituzione dei fusti irrimediabilmente danneggiati con colonne in Granito della Troade, Cipollino, Portasanta e Pavonazzetto3. Vennero, inoltre, rimpiazzati con marmo Proconnesio tutte le basi e i capitelli delle colonne e gli architravi dei tre ordini mentre i rivestimenti parietali dell’edificio scenico furono arricchiti con lastre di marmo Africano, Cipollino, Pavonazzetto, Greco Scritto e Giallo Antico che efficacemente giustapposte dovevano formare pannelli e riquadri sottolineati da cornici e listelli in Rosso
Questa sistemazione comportò ovviamente l’esecuzione di due rampe, una a nord e una a sud che permisero di superare i dislivelli creati e consentendo a sud l’ingresso dalla viabilità cittadina e a nord dal passaggio che metteva in comunicazione il teatro con il foro. La rampa di gradini posta a sud, l’unica sinora scavata, si raccordava per mezzo di un camminamento pubblico all’ingresso meridionale del teatro costituito da uno scalone che in seguito fu in parte demolito ed allargato.
Per un inquadramento generale sull’uso dei marmi e sulle maestranze impiegate nel Teatro Romano di Sessa Aurunca, cfr. Cascella 2009b. 3 Desidero ringraziare il Dott. Matthias Bruno per i consigli che mi ha dato circa le identificazioni dei vari tipi di marmo. 2
Questa scalea, che già univa il cardus maximus con
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Sergio Cascella: Matidia Minore e il restauro del teatro
Fig.72 Sessa Aurunca, Teatro Romano, particolare della pavimentazione in opus spicatum
Fig.73 Sessa Aurunca, Teatro Romano, particolare delle strutture del velarium
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Memorie Suessane di Matidia
Fig.74 Sessa Aurunca, Teatro Romano, particolare del corridoio del velarium Fig.76 Sessa Aurunca, Teatro Romano, colonna in Portasanta con incassi per grappe di restauro
Fig.77 Sessa Aurunca, Teatro Romano, particolare dell’epistilio del primo ordine Fig.75 Sessa Aurunca, Teatro Romano, particolare della ricostruzione della scena
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Sergio Cascella: Matidia Minore e il restauro del teatro
Fig.78 Sessa Aurunca, Teatro Romano, particolare della cornice del primo ordine
di questi ateliers, che definisce “Officina Campana”, sia probabilmente da localizzare a Puteoli, città della cui importanza politica, economica e culturale non è qui il caso di dissertare.
Antico, Alabastro Fiorito, Portasanta e Breccia Corallina (CASCELLA 2009,38 ss.). Tutto ciò fu realizzato con l’uso di materiali costosissimi, messi in opera da maestranze di prima scelta, per un costo complessivo difficilmente quantificabile, ma che si dovette aggirare nell’ordine di molte centinaia di migliaia di denari4.
Il momento di formazione di queste officine (DEMMA 2007.218 ss.) sarebbe maturato nel periodo traianeo quando confluirono in Campania e nel vicino Sannio le maestranze impegnate nella decorazione architettonica e scultorea dell’Arco di Traiano a Benevento e forse di molti altri monumenti celebrativi di questo periodo fatto, questo, che ruppe una consolidata tradizione stilistica che aveva caratterizzato la decorazione architettonica di tutti i monumenti pubblici campani d’epoca flavia.
L’alta qualità della decorazione scultorea e la raffinatezza di esecuzione degli elementi architettonici giunti sino a noi, ha fatto giustamente ipotizzare che Matidia abbia impegnato botteghe di scultori che lavoravano esclusivamente per la casa imperiale (CASCELLA 2002.67 ss.; VALERI, ZEVI, 2004.128 ss.) e maestranze urbane specializzate nella lavorazione di marmi e graniti colorati per i fusti delle colonne e marmi bianchi (principalmente Proconnesio) per i capitelli, le basi e le trabeazioni (PENSABENE 2005.97).
Proprio negli elementi architettonici della scena del teatro di Sessa (CASCELLA 2002.55 ss.) si coglie la prima fase di lavorazione di quest’officina. La trabeazione del primo ordine (Fig. 77), eseguita in marmo Proconnesio, mostra alcuni elementi in particolare il kyma lesbio dell’epistilio5, l’anthemion che decora la cornice6, il kyma di foglioline acantizzanti e la forma quadrangolare dei dentelli raccordati da un listello liscio, privo di occhielli7, in cui sono ravvisabili elementi che rimandano al decorativismo d’epoca tardo flavia (Fig. 78).
Come era stato già velatamente evidenziato sin dal primo momento dello scavo (CASCELLA 2002.58), è però molto probabile che Matidia più che di un’officina di scalpellini proveniente direttamente da Roma, si sia avvalsa di una o più botteghe campane che in questo periodo avevano raggiunto un altissimo livello qualitativo tanto da essere sistematicamente impegnate, tra l’epoca traianea e quella adrianea, nella realizzazione di alcuni tra i più imponenti monumenti finanziati dallo stesso potere imperiale. Il Demma (DEMMA 2007.341) ritiene che uno
Al contrario tipicamente antoniniani sono i capitelli ionici della porticus in summa cavea e quelli corinzi8 dell’edificio
Nell’Edictum de pretiis rerum venalium dell’epoca di Diocleziano, il Porfido egiziano e il Serpentino greco costavano 250 denari al piede cubo, il Giallo Antico 200 denari, l’Africano 150 denari, il Cipollino 100 denari, i Graniti grigi circa 100 denari, il Proconnesio 75 denari e la Breccia di Settebassi 40 denari. Cfr. Gnoli 1971. 14 ss.
Leon 1971, tav. 123, 1-4, pp. 99 ss. Leon 1971, tav. 95,1; 137,4 7 Strong 1953, pp. 121 ss. 8 Almeno tre capitelli provenienti dal Teatro sono reimpiegati nel colonnato interno del Duomo romanico.
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Memorie Suessane di Matidia
piuttosto lunga, estesa sino al regno di Gordiano III. Infatti, è molto probabile che una successiva generazione di maestranze, sulla scorta dell’esperienza sessana, abbia realizzato, in età severiana, la decorazione architettonica del teatro di Teano (PENSABENE 2005.97). Riguardo la provenienza del marmo, P. Pensabene (PENSABENE 2005.97) ritiene che i fusti per le colonne e gli altri blocchi di marmo siano giunti a Suessa direttamente dalla Statio Marmorum di Roma o di Portus, anche se riteniamo che città di primaria importanza come Neapolis, Puteoli, Nuceria, Capua, Teanum Sidicinum e la stessa Suessa, spesso sedi di proprietà imperiali ed atti di evergetismo per così dire statali, avessero un’altissima richiesta di marmi pregiati che forse era più facile soddisfare se immaginiamo l’esistenza di una Statio Marmorum Campana, una sorta di ufficio distaccato, localizzabile forse nello stesso porto di Puteoli, dove è probabile che esistesse anche una dependance dell’ufficio del Praefectus Annonae. Infine, sebbene le documentazioni epigrafiche testimonino una notevole devozione degli abitanti di Sinuessa e Minturnae verso Matidia, che evidentemente li aveva beneficiati in qualche modo, ciò che resta delle decorazioni architettoniche degli edifici pubblici di Minturnae non sembra evidenziare l’impiego delle stesse officine che hanno lavorato a Sessa. Infatti, a giudicare dai pochi elementi architettonici riferibili alla decorazione della scena del teatro of Minturnae (MESOLELLA 2004-2005.635 ss.), è probabile che il rifacimento d’età antonina di questo monumento non sia stato realizzato con un intervento diretto del potere imperiale. Le cornici in Proconnesio10 invero sono probabilmente opera di un’altra bottega campana, di buon livello, ma che si ispira a modelli dell’architettura microasiatica (MESOLELLA 2004-2005.646.) piuttosto che a quelli urbani cui si rifanno le trabeazioni del teatro di Sessa che, sebbene riutilizzasse una notevole massa di materiale architettonico, impiegò massicciamente i marmi imperiali dando a questo teatro una veste monumentale difficilmente paragonabile con altri edifici dello stesso genere dell’Italia romana.
Fig.79 Sessa Aurunca, Teatro Romano, capitello ionico e corinzio
scenico (Fig. 79), anch’essi in marmo Proconnesio, quest’ultimi realizzati forse dalla stessa officina che ha lavorato i capitelli dell’anfiteatro di Capua (DEMMA 2007.209), ma non necessariamente dalla stessa che ha realizzato le trabeazioni del teatro di Sessa. Tali capitelli, che mostrano forti punti di contatto con altri manufatti presenti sia in ambito campano che nord africano, sono caratterizzati da un intaglio molto basso con nella parte inferiore del kalathos due corone di foglie d’acanto con lobi e fogliette lievemente lanceolate e nella parte inferiore della prima corona con lobi sovrapposti. Tra le foglie della seconda corona, divise da costolature leggermente svasate alla base, nascono i caulicoli, suddivisi in scanalature verticali con orlo a sepali dritti. Infine, sopra le foglie centrali nascono delle foglie lisce che reggono l’abaco col suo fiore decorato da una serpentina9.
La pavimentazione dell’Orchestra L’ostentazione del potere personale di Matidia Minore si espresse anche attraverso la realizzazione della splendida pavimentazione marmorea dell’orchestra che, per preziosità degli elementi costitutivi e per la grandezza dell’area interessata (diam. 15 m ca.), può essere paragonata solo alle pavimentazioni in marmo presenti nei più importanti luoghi del consenso imperiale quali i fori e i templi di Roma.
L’esame comparato dei materiali puteolani (Macellum e cosiddetto Tempio Corinzio) e di quelli provenienti da altri siti campani (Teano, Capua e Benevento) fa ritenere (DEMMA 2007.341) che l’officina abbia avuto una vita
L’accurata pulizia delle impronte lasciate dalle lastre e Non si è in grado di attribuire con certezza alla fase antonina i fusti di colonna in Bigio Antico, Portasanta, Cipollino grigio e Granito Rosso di Assuan trovati durante lo scavo del monumento che è avvenuto negli anni ’30 del XX secolo. 10
Leon 1971.219, tav. 88; Pensabene 1973.64, n. 247, tav. XXIII, LXXXII; Pensabene 2001.67 ss., fig. 4. 9
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Sergio Cascella: Matidia Minore e il restauro del teatro
Fig.80 Sessa Aurunca, Teatro Romano, ricostruzione virtuale del pavimento dell’orchestra
alcuni frustuli delle stesse ancora in situ hanno permesso la ricostruzione del disegno originario e l’identificazione dei marmi adoperati nella pavimentazione marmorea riferibile al rifacimento realizzato da Matidia Minore11. Lo schema compositivo era formato da un modulo reticolare di lastre rettangolari di Cipollino (largh. 30 c m=1 piede ca.; lungh. 1,20 m ca.), il cui punto di incrocio era evidenziato da crustae quadrangolari forse di marmo Portasanta (30x30 cm). Questo schema (Fig. 80) generava una sequenza di quadrati (lato 1,20 m=4 piedi ca.) campiti in Giallo Antico e marmo bianco al cui interno si alternavano tondi (spess. 2 cm, diam. 90 cm=3 piedi ca.) in Porfido Verde (Ieracites) (Fig. 81) e quadrati (90 cm di lato ca.) in Porfido Rosso egiziano (Porphyrites). Nell’ultimo periodo di utilizzo del teatro, nei pressi dell’accesso alla parodos meridionale, la pavimentazione dell’orchestra necessitò di un restauro che venne eseguito con l’inserzione di lastre di recupero in marmo bianco. È ovvio che durante le fasi di abbandono la disponibilità di una grande quantità di marmi così pregiati rese immediatamente appetibile il riuso di questo materiale specialmente per ciò che riguarda i preziosissimi porfidi egiziani, che dovettero essere certamente riutilizzati per la decorazione di qualche importante edificio. Purtroppo l’assoluta mancanza di dati
Fig.81 Sessa Aurunca, Teatro Romano, lastra in porfido verde egiziano dal pavimento dell’orchestra
circa la fase tardo antica e paleocristiana di Sessa Aurunca e delle aree circonvicine non ci consente di conoscere se questi materiali vennero o meno reimpiegati localmente. Come dimostrano la partitura decorativa e l’uso del modulo quadrato di 4 piedi romani12, è indubbio che la pavimentazione dell’orchestra ha come modelli di
La pulizia dello strato di preparazione e allettamento delle lastre ha evidenziato in più punti la presenza di un precedente strato preparatorio evidentemente riferibile alla pavimentazione della fase augustea di cui ignoriamo sia la sintassi decorativa che i materiali impiegati. 11
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Guiglia Guidobaldi 1983.49 ss.; Guidobaldi 1985.176 ss.
Memorie Suessane di Matidia
riferimento i prototipi urbani presenti sia nel Foro di Augusto, che nei rifacimenti adrianei dei principali monumenti di Roma (VITTI 2002.139 ss.), ma soprattutto la composizione del pavimento della Basilica Ulpia nel Foro di Traiano (PACKER 2001.179). Riguardo la realizzazione delle partiture pavimentali di questi grandi complessi è stato notato (PACKER 2001. 181) che sia nella scelta dei marmi da utilizzare, che dal punto di vista metrico, vi è una precisa corrispondenza tra pavimentazione e alzati circostanti. Tutto ciò è difficilmente apprezzabile nel teatro di Suessa poiché sulla planimetria, l’alzato e la disposizione dei vari tipi di colonne della frons scenae possiamo solo formulare delle ipotesi che sebbene siano ben fondate sui tratti conservati e sulle porzioni di crollo trovate in giacitura primaria, dal punto di vista metrico non ci consentono di avere una rispondenza reale tra i vari elementi.
ai restauri del teatro fatti eseguire da Matidia e fiancheggiata da pareti arricchite da un’abbondante decorazione marmorea e scultorea, di cui non ci resta nulla, ma che di certo doveva impressionare non poco gli spettatori che si accingevano a prendere posto sulle gradinate del teatro. In particolar modo, le imponenti strutture14 realizzate in opera mista di reticolato e laterizio, costruite inglobando in parte le murature in opera quadrata della fase precedente ed in parte lasciandole a vista come elemento decorativo, formano un complesso assiale e simmetrico (30 x 30 m) diviso al suo interno in un nucleo centrale a pianta quadrangolare (Fig. 82A) su cui lateralmente si affacciano due sale minori (B-C), fiancheggiato ad occidente da una vasta aula (D) a pianta rettangolare (30 x 6,50 m), posta in asse con lo scalone d’ingresso (E) e con la navata più esterna della porticus post scaenam, di cui può considerarsi un prolungamento.
La basilica meridionale e il Ninfeo del Nilo Lungo il versante sud-ovest dell’edificio scenico, Matidia fece eseguire vasti sbancamenti che comportarono la demolizione di parte del parascenio meridionale e la costruzione di un corpo di fabbrica che fece assumere alla basilica meridionale13 del teatro forme monumentali (Fig. 82).
Sul lato est si disponeva l’ingresso monumentale (F) alla parodos meridionale, impreziosito sia dal recupero architettonico delle strutture in opera quadrata della fase precedente, che dalla suddetta iscrizione dedicatoria di Matidia, mentre il versante ovest era animato da una grandiosa fontana-ninfeo (G) che costituiva una delle mostre terminali dell’acquedotto pubblico fatto costruire o ricostruire da Matidia Minore.
I lavori si resero necessari per rispondere sia ad esigenze pratiche, quali quella di creare un imponente foyer capace di accogliere la grande massa di spettatori che attraverso il monumentale scalone accedeva al teatro, che a quelle di autocelebrazione. Infatti, anche in questo caso Matidia Minore non mancò di sfruttare al massimo le potenzialità evocative messe a disposizione dall’architettura d’età imperiale creando un monumento nel monumento.
Di quest’impianto si è scavata la vasca (lungh. 10 m; largh 1,60 ca.) e le tre nicchie soprastanti di cui quella centrale a pianta semicircolare e quelle laterali a pianta rettangolare. Le tre nicchie erano rivestite con lastre di marmo, mentre il catino della volta della nicchia centrale era ricoperta con un mosaico a tessere di pasta vitrea blu. Al di sopra delle nicchie e della vasca era esposta un’altra iscrizione monumentale15 che faceva da contr’altare a quella sull’ingresso alla parodos, il cui stato frammentario non consente alcuna ricostruzione, ma che molto probabilmente riportava una dedica a Matidia Minore quale finanziatrice della ricostruzione dell’acquedotto.
In effetti, questa grandiosa aula non ha più nulla dei classici parascaenia, che in età romana caratterizzano i locali posti lateralmente alla scena e che nella maggior parte dei casi avevano funzione di camerini per gli attori e depositi di materiale scenico. Difatti, chi scendeva lungo il monumentale scalone che collegava il teatro al cardus maximus della città, progressivamente si immetteva in un edificio che si presentava come un’enorme basilica civile a più navate, retta da massicce strutture rivestite in marmo che sorreggevano le volte arricchite da stucchi policromi.
Questa struttura, che testimonia come “l’architettura delle fontane e dei ninfei, per sua stessa natura è …. uno dei canali di espressione della cultura urbana…..strumento immediato di visibilità evergetica” (TOMASELLO 2005.191), era sicuramente rivestita da lastre di marmo policromo e inquadrata da una abbondante decorazione architettonica. Difatti, la struttura laterizia delle nicchie (Fig. 83) è arretrata rispetto al margine della vasca antistante tanto da permettere l’inserimento di lesene e trabeazioni su lastre che dovevano essere rettilinee al di sopra delle nicchie laterali, mentre è molto probabile che un archivolto, poggiante su lesene laterali, coronasse la nicchia centrale.
Alla base dello scalone, alla propria destra, si poteva ammirare una grande fontana-ninfeo, adorna di marmi e statue, mentre di fronte un portale lasciava intravedere la fuga prospettica costituita da pilastri e archi di circa 60 m di lunghezza, che formava la navata più esterna della porticus post scaenam. Proseguendo a destra ci si immetteva nel corpo centrale della basilica che aveva sullo sfondo l’ingresso alla parodos meridionale, sormontata dall’iscrizione dedicatoria relativa
Ovviamente mancano del tutto i dati circa il tipo di marmi utilizzati così come mancano indizi per determinare
13 Ricordiamo che il termine “basilica”, adoperato per indicare i due parascenia, trova fondamento in un’iscrizione relativa al teatro di Gubbio (Cil. IX, 5820) ove i due foyer vengono denominati basilicae. Cfr. Frezolous 1982.343 ss.; Gross 2003.191 ss.
Alt. massima conservata 7 m; spess. 2 m. Purtroppo di quest’iscrizione, redatta anch’essa su lastre di marmo lunense, si sono recuperati solo pochi frammenti che riportano solo qualche lettera. 14 15
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Sergio Cascella: Matidia Minore e il restauro del teatro
Fig.82 Sessa Aurunca, Teatro Romano, planimetria della basilica meridionale
l’originaria altezza della struttura, oggi conservata sino a 3,80 m, ma che in origine doveva raggiungere i 5-6 m di altezza. Infine, questa quinta architettonica era impreziosita da un complesso scultoreo di notevole qualità artistica: nelle nicchie laterali erano probabilmente poste due statue femminili, di una delle quali è stata recuperata la metà inferiore, riconducibile al tipo della Venere Marina, mentre la nicchia centrale, che aveva funzione di fontana come attestano le cospicue concrezioni calcaree sulle murature, era decorata con una scultura trovata riversa nella sottostante vasca, riferibile ad una divinità fluviale la cui altissima fattura attesta ancora una volta essere un prodotto eseguito da officine urbane che lavoravano per la casa imperiale, mentre gli attributi la fanno facilmente identificare con la rappresentazione del Nilo (CASCELLA 2002.84). In merito al sistema di adduzione dell’acqua è accertata la presenza di una canalizzazione (H) che, distaccandosi dal ramo principale dell’acquedotto, convogliava l’acqua dal soprastante abitato al ninfeo. Tale condotto raggiungeva la parete ovest della basilica, innestandosi nella parte posteriore della fontana ad una quota prossima all’imposta della volta della nicchia centrale che era, come quasi tutta la struttura, costruita contro terra. Visto lo stato di conservazione non abbiamo, purtroppo, tracce materiali di
Fig.83 Sessa Aurunca, Teatro Romano, particolare del ninfeo del Nilo
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Memorie Suessane di Matidia
Fig.84 Sessa Aurunca, Teatro Romano, Basilica meridionale, decorazione a stucco della volta
anch’essa realizzata con murature in opus mixtum di reticolato e laterizio.
questo innesto, mentre è mirabilmente conservato il locale di servizio posto dietro la fontana, ove probabilmente esisteva il sistema di manutenzione dell’impianto e dove è stata trovata una fistula di piombo con bollo frammentario riferibile a Matidia Minore.
La sala, aperta a est sulla parodos settentrionale e a sud sui due bracci della porticus post scaenam, nella forma in cui ci è giunta deve essere attribuita ai rifacimenti voluti da Matidia Minore. La costruzione andò a sostituire completamente una precedente sala di cui non conosciamo nulla, tranne alcuni lacerti di strutture in opera reticolata visibili nei pressi dell’ingresso alla cripta in cui è stato trovato l’affresco del Genius Theatri (CASCELLA 2002.91 ss.; CASCELLA 2006.95 ss.).
I resti dei nuclei cementizi delle volte crollate permettono di visualizzare il sistema di coperture della basilica costituite da volte a botte sugli ambienti laterali e da una volta a crociera che sormontava la parte centrale, i cui piedritti, forse, erano decorati da quattro colonne a fusto liscio in Granito del Foro di cui sono state recuperati molti scheggioni tra i materiali dello strato di riempimento. L’effetto monumentale era accentuato dal cassettonato in stucco policromo (Fig. 84) delle volte e da una ricca decorazione marmorea che rivestiva le pareti. Questa era costituita da una zoccolatura in lastre di Greco Scritto della variate chiara (lungh. m 1 ca.; alt. cm 40), separata da una cornice in marmo bianco da lastre di Cipollino (spess. 5 cm) che giungevano sino a m 2 di altezza sulla zoccolatura. Chiudeva in alto una cornice in marmo bianco che separava il rivestimento marmoreo da quello pittorico che doveva raggiungere l’imposta delle volte.
Nonostante il divario volumetrico con la basilica meridionale anche quest’aula era riccamente decorata; i resti dei fori lungo le pareti fanno ipotizzare che nella prima fase di utilizzo i muri, per almeno 2 m di altezza, fossero rivestiti da lastre marmoree che, a giudicare dai tasselli rimasti, dovevano essere forse in marmo Pavonazzetto. Successivamente, in epoca tarda, probabilmente in concomitanza con i rifacimenti del III sec. d.C. (CASCELLA 2006.104 ss.), questa decorazione venne sostituita da uno strato di intonaco dipinto di pessima qualità che imitava una incrostazione marmorea.
La basilica settentrionale: i frammenti della decorazione scultorea
Ad una altezza di circa 2 m, lungo la parete nord e lungo quelle ovest ed est, si disponevano sette nicchie per statue alternativamente a pianta rettangolare e semicircolare, sormontate da piattabande in bipedali e volte a catino.
La basilica posta sul lato settentrionale della scena (CASCELLA 2006.96) faceva da contr’altare alla grande aula prima descritta. Questa (Fig. 85), stretta tra il costone tufaceo e la scaenae frons, più modesta nelle proporzioni rispetto alla precedente (Lungh.15 m; largh. 9 m.), era
Non sappiamo se anche lungo la parete sud, quella realizzata in blocchi di tufo e facente parte della prima fase dell’edificio scenico, fossero state ricavate le stesse
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Sergio Cascella: Matidia Minore e il restauro del teatro
Fig.85 Sessa Aurunca, Teatro Romano, planimetria della basilica settentrionale
Fig.86 Sessa Aurunca, Teatro Romano, Basilica settentrionale, statua di satiro
nicchie poiché la sua spoliazione non ne ha lasciato tracce. La disposizione delle nicchie lungo la parete nord è in stretta relazione con il portico posto dietro la scena e di conseguenza con la basilica meridionale. Infatti, esse erano collocate in asse con le entrate settentrionali e meridionali delle navate del portico che erano abbastanza alte da permettere a chi le percorreva di vedere le sculture in esse contenute. Delle 7 statue, grandi 1/3 del vero, presenti in quest’ambiente sono state trovate molte schegge, purtroppo poco significative tranne quattro pezzi di maggiori proporzioni pertinenti a due sculture che fanno ipotizzare la presenza di un ciclo rappresentante forse il thiasos dionisiaco. Benché lo studio di queste sculture sia ancora in corso, per completezza, in questa sede si è ritenuto di darne qualche notizia di carattere preliminare. In entrambi i casi si tratta della rielaborazione romana di un tipo scultoreo che ha il suo archetipo nel famoso satiro di Prassitele16; i primi due frammenti17, in marmo bianco, forse greco, sono costituiti da una base ovale modanata su cui poggia parte una figura 16 17
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Bol 1989.102 ss., 25, taf. 45. N.Inv.297561. Alt. 40 cm; Largh 38 cm.
Memorie Suessane di Matidia
Fig.88 Sessa Aurunca, Teatro Romano, Porticus post scaenam, rivestimento marmoreo
una folta capigliatura cinta da una corona di frutti da cui sporgono le orecchie appuntite, mentre il corpo seminudo è coperto da una nebride allacciata sulla spalla sinistra. Il viso rivolto verso il basso e lo sbilanciamento del fisico, che crea una curva sinusoidale verso la sua sinistra, fa ritenere che anche questa scultura avesse come sostegno un tronco d’albero su questo lato e che forse tenesse tra le mani un oggetto. Porticus post scaenam Anche della decorazione marmorea della porticus post scaenam, ricostruita da Matidia (CASCELLA 2007.45 ss.) in forma di una doppia stoà lunga quasi 60 m, resta ben poco. Le pareti mostravano (Fig. 88) una zoccolatura e una predella in lastre di Greco Scritto della variante scura (alt. 40 cm; lungh. m 1) separate per mezzo di un semplice listello di marmo bianco. In base ai frammenti trovati nello strato di riempimento è molto probabile che nella parte superiore tale decorazione fosse conclusa da una zoccolatura costituita da lastre di Pavonazzetto e da una piccola cornice che divideva il rivestimento marmoreo da quello dipinto, di cui si sono trovate ampie porzioni.
Fig.87 Sessa Aurunca, Teatro Romano, Basilica settentrionale, statua di satiro
L’horologium idraulico del teatro maschile giovanile con le gambe e i piedi incrociati, appoggiata ad un tronco che sta alla sua destra e da cui pende parte di una nebride (Fig. 86).
Ai rifacimenti voluti da Matidia Minore sono probabilmente attribuibili tre installazioni idrauliche poste nell’angolo sud-est del piazzale antistante la summa cavea del teatro a ridosso dei paramenti delle mura di cinta del IV sec.a.C. e del I sec a.C.
Altri due frammenti appartengono ad una scultura, anch’essa in marmo bianco18, rappresentante un giovane fauno (Fig. 85) di cui si conservano la testa e il tronco privo degli arti. La testa, fortemente scheggiata, mostra i tipici tratti del giovane satiro sorridente con grandi occhi a mandorla, zigomi pronunciati ed il volto inquadrato da 18
Il primo ambiente (Fig. 89a) a pianta quadrangolare, realizzato contemporaneamente ai contrafforti delle mura sillane prima citati e ad essi simile nella tecnica costruttiva, era adoperato come camera di ispezione delle condutture (GASPERETTI 1997.248 ss.) che provvedevano a smaltire nel sistema fognario l’acqua di una vicina
N.Inv. 318213. Alt. 90 cm.
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Sergio Cascella: Matidia Minore e il restauro del teatro
Fig.89 Sessa Aurunca, Teatro Romano, planimetria dell’horologium
fontana pubblica (Fig. 89b) e quelle usate in un altro impianto a questa addossata. Quest’ultimo è costituito da un basamento (Fig. 89c) quadrangolare (3x3 m; alt.1,50 m ca.) in opera mista (uguale alle strutture dei barbacani prima descritti) privo apparentemente di canali o tubazioni idriche di adduzione alla cui base però è sistemato un basso impluvio (Fig. 89d), posto a livello del pavimento in spicatum, realizzato in blocchi di tufo sagomati provvisti di un infundibulo di scarico collegato al sottostante sistema fognario.
espelleva ad ogni ora un galleggiante o una pallina di bronzo che cadeva nella bassa vasca antistante, segnando il passaggio delle ore19. Se questa supposizione, che dovrà essere suffragata da ulteriori indagini, risultasse veritiera a monte di questi resti dovrebbero trovarsi quelli di un castellum aquae secondario da cui si dipartivano le cannule in bronzo o piombo dell’impianto idrico20. Struttura teatrale e propaganda imperiale La rilevante valenza ideologica e politica che ebbe l’atteggiamento munifico di Matidia Minore nel rifacimento del teatro di Suessa, quale luogo privilegiato del suo consenso, si avvalse di particolari simmetrie e corrispondenze architettoniche che mettevano in relazione i simboli del potere imperiale e la stessa figura di Matidia. Quest’aspetto è stato evidenziato dallo scavo
Se cronologicamente queste strutture sono per giacitura e tecnica edilizia ben inquadrabili cronologicamente alla prima metà del II sec. d.C., più problematica appare l’interpretazione dell’ultimo impianto. Ciò nonostante è possibile che il basamento posto vicino alla citata fontana sia stato realizzato per sostenere un horologium idraulico (clepshydra) che tramite un sistema di canne e condotti
Si doveva trattare dell’elaborazione di una di quelle geniali intuizioni degli studiosi alessandrini (PLIN, Hist. nat., VII, 215.) del III e I sec. a.C. (Erone di Alessandria) le cui conoscenze confluirono prima negli scritti di Ctesibio e poi in quelli di Vitruvio (VITR. IX), i quali codificarono le indicazioni per realizzare orologi anaforici ed idraulici. 20 Orologi idraulici sono attestati in altri teatri, come la clessidra presente nel teatro di Leptis Magna, cfr. Caputo 1987.109 (bibliografia in nota). 19
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che ha permesso di contestualizzare ciò che restava dell’apparato decorativo rendendo lecita la ricostruzione virtuale dell’architettura del teatro21 e dello spazio figurativo. È infatti solo in quest’ottica che è stato possibile formulare un’ipotesi circa la funzione di un basamento in conglomerato cementizio collocato al centro della conistra (Fig. 80). Questa struttura, in origine rivestita di marmo pregiato, doveva costituire la piattaforma su cui era disposta una tribuna d’onore o più verosimilmente una cathedra (LA ROCCA 2007.75 ss.) di cui si sono rinvenuti due frammenti in marmo (Fig. 90) pertinenti alla gamba e alla spalliera. L’unicità e la particolare posizione di questo seggio ne fanno qualcosa di più dei semplici sedili marmorei22 che solitamente erano riservati alle autorità o ai notabili locali. Difatti, il supposto trono era posto lungo un asse ideale che univa i due fulcri che nel teatro erano riservati alla rappresentazione del potere imperiale: a nord-ovest il sacellum in summa cavea e a sud-ovest le nicchie poste al centro della frons pulpiti e soprattutto della frons scaenae. Si può dunque avanzare l’ipotesi che i resti in questione possano essere identificati con la tribuna d’onore riservata proprio a Matidia che da questa posizione poteva contemplare se stessa nella statua bicroma (VALERI, ZEVI 2004.128 ss.) che la rappresentava come una dea al centro della scena.
21 22
Cascella 2002. Tav. IV-VII; Cascella 2009.24, fig.3 De Bernardi Ferrero 1970.13; Sear 2006.341
Fig.90 Sessa Aurunca, Teatro Romano, particolare del trono dall’orchestra
14. La decorazione scultorea del teatro: nuove acquisizioni Sergio Cascella
Iconografia di Matidia Minore e propaganda politica Indubbiamente la suddetta ricostruzione suscita una ovvia domanda: quali concetti intendeva veicolare Matidia attraverso la sua immagine? È abbastanza logico pensare che i frequentatori del teatro nell’osservare la sua statua enfaticamente inserita al centro dello sfarzoso frontescena avessero chiaro che Matidia intendeva porsi al di sopra di tutti. Questo primo chiaro messaggio, che ben si accorda con la volontà di preminenza che si deduce dalla sua documentazione epigrafica, si associa ad un secondo chiaro intento che era quello epifanico. Quest’ultimo era reso manifesto dalla scelta di rappresentare Matidia in forma di Aura velificans e non come una Venere o più semplicemente come una degna rappresentante della stirpe imperiale.
Fig.91 Sessa Aurunca, Teatro Romano, frammenti di panneggio in marmo grigio
Possiamo, infatti, solo immaginare lo stupore che doveva suscitare la rappresentazione del leggiadro corpo di Matidia che, investito dal vento, sembrava atterrare al centro della frons scaenae in una sorta di apparizione divina carica di forza irradiante. Al confronto il classicheggiante ritratto della sorella Sabina (CASCELLA 2002.71; VALERI, ZEVI 2004.136) sembra quasi essere stato inserito nella decorazione scultorea del teatro solo per un doveroso omaggio opportunistico.
è chiaro se in quest’epoca essa avesse ancora un qualche significato nel pantheon locale2 Frammenti di una nuova statua bicroma dal teatro Nello strato di riempimento compreso tra la basilica meridionale e la scena sono stati recuperati 7 frammenti pertinenti al panneggio (Fig. 91) e alla gamba destra di una statua femminile in marmo grigio rappresentata con una veste che il vento fa aderire al corpo (Fig. 92).
È dunque chiaro che la scelta di rappresentare Matidia come un’aura sia stata dettata non dalla volontà di interpretare gli ideali di antica ascendenza augustea, quali la fedeltà allo stato e alle tradizioni religiose tipici delle auguste, ma piuttosto da una volontà autocelebrativa attuata attraverso la valorizzazione dell’aspetto benefico di tale personificazione. Infatti, dal momento che Aura, figlia di Peribea, moglie del titano Lelanto, era dea delle brezze e più in generale dei fenomeni naturali che favoriscono la fecondità e la pienezza dei campi, è credibile che in questo modo si fosse voluto assimilare Matidia ad una salvifica dea dell’abbondanza1 personificando così la sua munificenza che, elargita a piene mani, rendeva ricca Suessa.
Il fatto che il frammento di gamba mostri nella parte inferiore l’incavo per l’incastro del piede consente di ipotizzare che questa scultura, come quella di Matidia recuperata nello scavo della scena, utilizzi il marmo bianco per la testa e le parti nude del corpo. In analogia con quest’ultima statua il tipo di marmo grigio (ATTANASIO, BRUNO 2008.224 ss.) impiegato per il panneggio è quello proveniente dalle cave di Göktepe in Turchia (YAVUZ 2009.93 ss.), distante circa 70 km da Aphrodisias, da dove peraltro provengono anche le colonne del frontescena dell’Odeon di questa importate città.
Oltre a ciò non siamo in grado di dire se con questa rappresentazione si sia anche inteso assimilare Matidia a Marica, la principale divinità degli Aurunci, poiché non
È dunque molto probabile che questi frammenti appartengano ad una replica o ad una statua molto simile alla oramai famosa Matidia (CASCELLA 2002.71 ss.;VALERI, Le evidenze archeologiche sembrano indicare che già in epoca tardo repubblicana Marica avesse perso le caratteristiche arcaiche di “Signora della Natura” essendo stata assimilata ad Iside Pelagia: cfr. Mingazzini 1938.935. 2
Ciò, forse, sarebbe potuto essere testimoniato dagli attributi, oggi purtroppo persi, che la statua aveva nelle mani. 1
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Memorie Suessane di Matidia
Fig.92 Sessa Aurunca, Teatro Romano, frammento di gamba destra di statua in marmo grigio
Fig.93 Sessa Aurunca, Teatro Romano, ritratto di Matidia Minore
ZEVI 2004.130 ss.) ed è altresì verosimile che essa sia stata eseguita dalla stessa bottega anche se, viste le dimensioni, questa scultura dovrebbe aver avuto proporzioni più aderenti a quelle naturali. Infine, non è escluso che la seconda testa ritratto di Matidia Minore (Fig. 93), recuperata anch’essa nella stessa porzione fortemente disturbata dello strato di crollo (CASCELLA 2002.70; VALERI, ZEVI 2004.138), le sia pertinente.
In quell’occasione si rinvenne “…una statua di donna panneggiata di bigio morato con testa di marmo bianco senza una mano, e senza l’estremità de’ piedi, da alcuni creduta la ninfa Marica, e da altri una Faustina Maggiore bellissima.”. La scultura, di cui sono attualmente perse la testa e le altre parti in marmo bianco, sebbene di qualità inferiore rispetto alla Matidia di Sessa, rappresenta anch’essa una figura femminile librata in aria, con il panneggio svolazzante e aderente alle forme del corpo. Tuttavia a differenza della statua di Sessa questa è realizzata in solo blocco di marmo grigio4 come quelle facenti capo alla danzatrice di Perge, ai gruppi delle Niobidi e delle Menadi delle terme di Caracalla, a quelle dalla villa dei Quintili (VALERI, ZEVI 2004.131) e all’Iside Pelagia dal tempio della Fortuna Primigenia di Palestrina (AGNOLI 2002.31 ss.). Analogamente alla Matidia di Sessa, anche questa statua doveva essere posta in una nicchia con staffe e perni che le permettevano di assumere una posa tutta sbilanciata in avanti che, però, doveva essere priva del nimbo che invece doveva sovrastare la testa della Matidia di Sessa. Come il Pagano5, riteniamo molto probabile, visti gli interessi che Matidia Minore aveva anche nella colonia di Minturnae, che questa statua
Una statua bicroma di Matidia Minore da Minturnae (?) L’analogia tra il tipo di marmo grigio di questa seconda scultura non è riscontrabile solo con la più famosa statua di Matidia, ma anche con un’altra scultura (Fig. 94) conservata nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli (inv.0685) tra quelle facenti erroneamente parte della collezione Farnese. Recenti ricerche sembrerebbero attribuire questa scultura all’area archeologica di Minturnae3.L’analisi della documentazione d’archivio effettuata da M. Pagano ha difatti messo in evidenza che Domenico Venuti, allora direttore della fabbrica di porcellane di Capodimonte, venne incaricato dal re di Napoli ad effettuare scavi nell’area dell’anfiteatro o del teatro (?) di Minturno denominata emblematicamente “Virilasci”.
Per un elenco completo delle sculture note in marmo grigio cfr. AGNOLI 2002.39, nota 149. 5 Pagano, Pisciandaro 2006, IV. 262, nota 24. 4
Ruesch 1911.685 (sn); Pagano 1995.65; Pagano, Pisciandaro 2006, IV.56. 3
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Sergio Cascella: La decorazione scultorea del teatro
Fig.94 Napoli, Museo Archeologico Nazionale, statua femminile in marmo grigio da Minturno
la rappresenti e non è improbabile che similmente a ciò che accadde a Sessa questa immagine fosse posta nel teatro o nel vicino anfiteatro. A tal proposito sarebbe molto interessante riuscire a recuperare, tra l’enorme quantità di materiali giacenti nei depositi del MNNap, la testa di questa statua che, se risultasse essere un ritratto di Matidia Minore, restituirebbe senz’altro un’ulteriore prova della stupefacente presenza di questo personaggio della famiglia imperiale nell’area aurunca. Riguardo l’iconografia, questa
statua non sembra essere assimilabile ad un’Aura, ma forse ad una Nike priva di ali, che potrebbe trovare il suo prototipo nella scultura greca della seconda metà del V sec. a.C.6. Nikai prive di ali sono rare, ma attestate come la famosa Nike sulla prora della nave dell’Agorà di Cirene7 o la statua in bigio morato trovata a Ostia da alcuni studiosi identificata con una Nike, ma che a nostro modesto parere è stata giustamente riconosciuta come una Iside Pelagia o Pharia da F. Zevi8.
La Rocca 1989.180, n. 167, con bibliografia di confronto. Per una bibliografia completa sulla nike di Cirene, cfr. Guerrini 1979.25, nota 19 8 Zevi 1997.28 ss.; Zevi 2002.302 ss. Per la disputa sulla identificazione, cfr. Agnoli 2002.39, nota 146. 6
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15. L’abitato d’età medio imperiale Sergio Cascella
Fig.95 Sessa Aurunca, via Delio, ritratto romano reimpiegato
L’ininterrotta continuità di vita del sito ed il persistente riuso disorganico e parcellizzato delle strutture antiche, hanno fatto lentamente sparire l’antica Suessa nelle strutture delle abitazioni del centro storico. Per questi motivi, a differenza del materiale marmoreo di spoglio, tra cui è degno di nota un bel ritratto murato in un palazzo posto alle spalle di via Delio (Fig. 95), nessun edificio d’epoca romana è pienamente riconoscibile e analizzabile all’interno dell’organizzazione spaziale della città medievale. Nondimeno fu proprio l’utilizzo di questi resti, come cantinati e sottofondazioni degli edifici moderni, che ha condizionato la fisionomia e l’assetto del tessuto urbanistico posteriore, consentendo la conservazione sino ai giorni nostri dell’impianto viario antico. Al contrario, la mancanza della fase urbanistica medievale1 lungo il versante meridionale della città, ha favorito la rapida e massiccia urbanizzazione del secondo dopoguerra che ha irrimediabilmente cancellato ogni traccia del quartiere di epoca medio imperiale, esteso tra il teatro e la porta meridionale della città (vedi infra). Pertanto i dati sulla topografia di quest’area sono assai scarsi: gli unici resti ancora visibili sono costituiti da un lungo muro in opera mista di reticolato e laterizio2, inglobato nel muro Ricordiamo che sino al XIX secolo il limite meridionale dell’abitato era costituito dalla Porta dei Cappuccini che venne costruita verso la metà del XV secolo, consentendo l’annessione al tessuto urbano del cosiddetto borgo inferiore, cfr. Villucci 1995.23. 2 Lungh. conservata 10 m. 1
Fig.96 Sessa Aurunca, Viale Trieste, statua di Attis
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Memorie Suessane di Matidia
Fig.97 Sessa Aurunca, Viale Trieste, statua di Musa Fig.98 Sessa Aurunca, Curia arcivescovile, colonnina votiva
di contenimento ovest del campo sportivo (VALLETRISCO 1977.64 ss.), che insieme ad altri resti emergenti in più punti, testimonia la presenza di una o più domus nel sottosuolo compreso tra il suddetto campo sportivo e la cinquecentesca Chiesa di S. Maria Regina Coeli.
1982.37 ss.), e una statuetta acefala raffigurante una musa (Fig. 97) che F. De Franciscis (DE FRANCISCIS 1979.21 ss.) data al III sec. d.C. Infine, occorre ricordare che la documentazione epigrafica, sebbene non sia di nessun aiuto per la ricostruzione della topografia della città antica, attestata la presenza di balnea, di thermae (Cil.X, 4754)3, del sacello degli Augustali, del collegio dei bisellarii (Cil.X,
Ad un’altra casa romana si riferiscono i resti di un balneum, di cui sono ben visibili le suspensurae, conservate alle spalle dell’Istituto Scolastico “C.Lucilio”, a cui forse sono da riconnettere i resti distrutti nel 1963 in occasione della costruzione del Consorzio Aurunco. Pare, infatti, che in questa zona fossero emersi alcuni ambienti con pareti dipinte e pavimenti a mosaico, all’interno dei quali si recuperarono una scultura tipo Paride o Attis (Fig. 96) in marmo bianco, priva degli arti e della testa (VILLUCCI
3 De Masi 2000.180. La presenza di una statua eretta al Genius Coloniae è attestata nell’area del teatro con frammento del’iscrizione dedicatoria e della cornucopia. Cfr. Cascella 2007a.50. Sempre dal teatro, tra il molto materiale conservato nei depositi, è stato riconosciuto un frammento epigrafico relativo ad un personaggio, di cui non conosciamo il nome, che era Sacerd. Cerialis.
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Sergio Cascella: L’abitato d’età medio imperiale
4760-4762) e forse di un’area sacra dedicata ad Iside e Serapide (Fig. 98)4.
N. inv. 249012, archivio fotografico Soprintendenza Archeologica di Napoli e Caserta. La bella colonnina votiva in alabastro, riporta i nomi dei due duoviri dedicanti, Q. Baebius e C. Birrius e la menzione del culto di Iside e Serapide. Un Q. Baebius compare in un’iscrizione musiva, come finanziatore del rifacimento del pavimento del sacello degli Augustali a Miseno. Cfr. Borriello 1987.21 ss. L’iscrizione è stata rinvenuta presso Piedimonte del Massico, borgo prossimo alla città, ove molti edifici incorporano elementi di spoglio provenienti sia da sepolcri monumentali, eretti lungo la Via Suessanis, che materiale architettonico proveniente dall’area urbana, Cfr. Malaise 1972.98; Sirano 2006.151 ss. 4
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16. Un esempio di edilizia privata:
lo scavo della villa suburbana in località Gagliardelle Sergio Cascella Inquadramento topografico
più antica formata da blocchi di tufo che, per un tratto, mantiene lo stesso orientamento del muro più recente, poi devia il suo percorso assumendo una giacitura nord-est/ sud-ovest, ripresa anche dai soprastanti ambienti della villa. Questa sistemazione venne stravolta nella prima metà del II sec. d.C. in seguito alla costruzione del monumentale ingresso meridionale al teatro voluto da Matidia Minore. Infatti, gran parte del camminamento di accesso alla villa e tutto il lato orientale del suddetto muro in reticolato venne distrutto, tanto che oggi di esso è visibile solo il troncone che si innesta nello scalone d’ingresso al teatro.
La villa suburbana di Sessa Aurunca (CASCELLA 2009b.99 ss.) è situata nella parte più occidentale dell’uliveto della Gagliardella1, tra l’omonima via che dal Viale Trieste raggiunge il Teatro Romano (Fig. 34-48), e la base del declivio su cui insiste la chiesa di S. Maria Regina Coeli. Nata verso la fine del II sec. a.C. come azienda agricola di piccole dimensioni, la villa venne aggregata in epoca augustea ad un quartiere di abitazioni che, trasbordando dai limiti imposti dalle fortificazioni del 313. a.C, digradava dal cardus maximus sino alla porticus post scaenam del teatro. Ciononostante, anche durante il periodo imperiale, la villa pur rappresentando una delle ultime propaggini di una serie di terrazzamenti ad uso abitativo, conservò il suo carattere di azienda agricola come testimonia il settore per la produzione del vino, ubicato nell’area settentrionale della pars rustica.
L’articolazione planimetrica della domus La villa (Fig. 100), che è stata portata in luce solo per la parte ricadente nell’area demaniale facente parte del comprensorio archeologico del Teatro Romano, è composta da circa 20 ambienti. Nella parte produttiva sono facilmente riconoscibili: il torchio (amb. X), il lacus (amb. VI), una cisterna (amb. XVII) e l’ergastulum (amb. XIII, XIX). Questi ambienti sono separati, tramite un corridoio (amb. IX), da una successione di stanze attinenti alla parte padronale in cui si individuano: il larario (amb. XIV), il talamo, con la sua anticamera (amb. VII, XII), il triclinio (amb. V) e un’exedra (amb. VII) che funge da elemento di raccordo per gli ambienti I-III e XX-XXI che ruotano su un grande peristilio (amb. IV).
La basis villae Tra lo scalone di accesso alla basilica meridionale del teatro (Fig. 99) e le strutture della villa, esisteva una porzione di terreno libera da costruzioni forse identificabile con una sorta di locus publicus che separava nettamente il complesso pubblico da quello privato. Questa sistemazione dovette restare sostanzialmente immutata sino agli ultimi anni del I sec. a.C. quando, in concomitanza con i rifacimenti che trasformarono la piccola azienda agricola d’epoca tardo repubblicana in un complesso di una certa imponenza, venne creato un camminamento che, innestato lungo il lato occidentale del suddetto scalone, raccordava la villa con la viabilità del quartiere meridionale della città. Le strutture di questo braccio secondario, tagliando le curve di livello del declivio, giungevano alla quota del piano di calpestio del teatro formando, lungo la direttrice est-ovest, un lungo muro che costituiva sia la delimitazione meridionale del piazzale antistante la porticus post scaenam, che la basis villae. Il muro, databile alla prima età augustea, è costruito in opus reticulatum con cubilia di 8-8,5 cm di lato (Fig. 17) e si estende per circa 26 m di lunghezza e oltre 2 m di altezza: all’estremità sud-ovest, esso si sovrappone ad una struttura 1
Fig.99 Sessa Aurunca, Villa Romana, basis villae , veduta generale
Sulla presenza di quest’uliveto cfr. De Masi 2000.193.
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Memorie Suessane di Matidia
Fig.100 Sessa Aurunca, Villa Romana, planimetria
Purtroppo l’ingresso principale della villa e l’ambulacro meridionale del portico, non sono stati esplorati poiché giacciono al di sotto dei terreni su cui insiste un moderno fabbricato.
sviluppati secondo l’asse nord-est/sud-ovest, creando una linea spezzata che generava l’area del peristilio (amb. IV). Questa divergenza venne corretta nelle ultime due fasi di vita del complesso adeguando, quest’ultimo gruppo di ambienti, agli orientamenti prevalenti nella parte occidentale della casa.
La necessità di adeguare l’edificio all’andamento naturale della scarpata, impose due orientamenti diversi alla sequenza degli ambienti. I locali V-XIX, limitati a settentrione dal salto di quota dalla basis villae e a meridione dal taglio operato nel banco tufaceo, hanno mantenuto, sin dalla fine del II sec. a.C., la direttrice estovest, mentre gli ambienti I-IV e XX-XXI, adeguandosi al declivio che digrada verso la cavea del teatro, si sono
Infine, per quanto concerne gli elevati, le murature, conservate per un’altezza media di circa 1,40 m, con punte di oltre 2 m negli ambienti XII, XVI e XX, sono realizzate in quattro tecniche murarie diverse: l’opera incerta, il quasi reticolato, il reticolato e l’opera mista.
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Sergio Cascella: Un esempio di edilizia privata
Fig. 101 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente X, planimetria
Pars rustica
ricavati i foramina (20x20 cm) per gli arbores, mentre al centro della pavimentazione vi sono i resti dell’arca lapidum (diam. 1,40 m) utilizzata per schiacciare le vinacce.
Torcular, ambiente X.
La camera di manovra, pavimentata in terra battuta, è posta a circa m 1 più in basso rispetto al forus che era contenuto da un muro costituito da blocchi di tufo di circa 1x1 m. Contro questa struttura furono appoggiati due stipites in opus vittatum sorreggenti l’asse trasversale a cui erano sospese le carrucole (trochleae) e le corde che assicuravano la trazione del prelum sul calcatorium. Tali funi erano arrotolate attorno alla sucula che era collegata a due arbores fissati in due basi in trachite, ognuna delle quali era provvista di un foro quadrangolare (30x30 cm). Due canalizzazioni, provenendo dal pavimento del forus, conducevano una verso l’ambiente XVIII, probabilmente adibito a cella vinaria, così come avviene nel torchio della villa dei Misteri a Pompei, e l’altra, probabilmente realizzata in un momento successivo, alle spalle del lapis pedicinus, ove era collocato un ambiente destinato a lacus (amb. VI), analogamente a quanto è possibile vedere in altri impianti produttivi della prima età imperiale (MEDRI 1982)
Secondo la tipologia dei torchi a leva proposta dal Brun2, la macchina utilizzata nella villa suburbana di Sessa è del tipo C. Non si tratta certo un impianto paragonabile a quelli delle grandi ville di produzione, ma piuttosto di un piccolo torchio che consentiva di effettuare una produzione vinicola probabilmente limitata solo all’autoconsumo. L’ambiente X (10x5 m) è delimitato da pareti in opus quasi reticulatum (alt. cons. 40 cm), rivestite in cocciopesto, così come il piano di calpestio che è bordato con un pulvino a sezione semicircolare. Secondo norma, il torchio (Fig. 101) è diviso in due spazi caratterizzati da un dislivello di circa 1 m. All’estremità orientale si colloca il forus o calcatorium (3,60x4 m), di cui è ben conservato il lapis pedicinus3 (Fig. 102), costituito da un blocco in trachite in cui sono Cotton 1979.62 ss., tav. XIII; Cotton, Metreaux 1985.65 ss.; Brun 1986.121 ss.; Renda 2001.57 ss. 3 Le basi in pietra dei torchi erano eseguite sul posto, come testimonia un pietrino mal riuscito nell’area dell’Ager Falernus, cfr. Zannini 2001.36, così come le parti lignee, per le quali Sessa era famosa, cfr. CATO, De Agr. 146, 1. 2
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Memorie Suessane di Matidia
Fig.102 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente X, torcular
Lacus, ambiente VI.
Ergastulum, ambiente XIII
Il lacus (Fig. 103) mostra due fasi di utilizzo. Nella prima, si trattava di un piccolo ambiente rivestito in opus signinum, probabilmente utilizzato per le periodiche manutenzioni degli arbores del prelum; nella seconda, l’ambiente (1,20x1,60 m) venne parzialmente interrato per ospitare al centro un dolium, privo dell’orlo, in cui, tramite un versatoio di terracotta, dal calcatorium si riversava il liquido di spremitura per la prima fermentazione (lacus).
Alla fine del suo percorso, il corridoio IX immetteva in un ambiente (5x5 m; alt. cons. 2,50 m) a pianta quadrangolare delimitato da muri in opus incertum e coperto da un tetto di tegole e coppi che è stato trovato in posizione di crollo sullo strato di abbandono. L’identificazione con un ergastulum, ovvero con il locale adibito al ricovero degli schiavi, è suggerita dal fatto che questa stanza, sebbene sia posta all’interno del settore produttivo della casa, è nettamente separata da qualsiasi altro ambiente poiché, una volta sbarrata la porta, non è possibile uscirne. Infatti, come indicato dalle prescrizioni degli antichi agronomi5, nessuna parete di questo locale comunica direttamente con l’esterno della villa. Inoltre, alcuni fori, presenti nel muro est, suggerirebbero la presenza di ancoraggi per catene e ceppi in ferro (Fig. 104) con cui legare gli schiavi, i quali potevano adoperare come orinatoio un piccolo pozzo nero situato nell’angolo sud-ovest della stanza.
Andron, corridoio IX Un ingresso (largh. 1,60 m) e un gradino mettevano in comunicazione il torcular con il corridoio XI (braccio est-ovest, 1,20x10 m; braccio nord-sud, 1,20x6 m) che, con la sua pianta ad L pavimentata in solido cocciopesto, permetteva l’accesso agli ambienti XIII e XVIII, rispettivamente utilizzati come ergastulum e forse come cella vinaria4. Dell’ambiente XVIII si è potuto scavare solo parte dell’angolo sud-est in quanto la restante è stata distrutta dall’apertura di un vialetto che da via Gagliardelle accede ad una casa privata. 4
CATO, De Agr. 14,2; 15; VARR., De re rustica 1,14,4; COL., De re rustica 1,6. 5
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Sergio Cascella: Un esempio di edilizia privata
Fig.103 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente VI, lacus
Fig.104 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente XIII, particolare della tecnica edilizia
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Memorie Suessane di Matidia
Fig.105 Sessa Aurunca, Villa Romana, scala d’accesso al canale XVI
Fig.106 Sessa Aurunca, Villa Romana, canale XVI, veduta generale
Infine, una cella (amb. XIX), molto angusta (3x2 m), priva di rivestimenti e comunicante tramite una piccola porta con l’ambiente XIII, potrebbe aver svolto il ruolo di deposito per gli attrezzi di lavoro.
quest’interstizio, che era accessibile dalla rampa di gradini che ad est lo collegava al peristilio6 (Fig. 105), venne foderato con murature in opera incerta, solo per i primi m 8 di lunghezza. Purtroppo, lo stato di conservazione di questa parte della struttura non ci consente di comprendere in quest’epoca quale utilizzo si facesse di questo spazio.
Cisterna, ambiente XVII La cisterna, a pianta quadrangolare (6x6 m), con pavimento e pareti conservate per circa 2 m di altezza, mostra uno spesso rivestimento in cocciopesto che, laddove manca, rivela che la cisterna venne aggiunta solo successivamente al corpo centrale della villa. Tuttavia, il suo uso non deve essere stato molto prolungato dal momento che, nel corso degli ultimi anni di vita del complesso, essa venne defunzionalizzata rasando la parete occidentale sino all’altezza della linea di spiccato.
Successivamente, nella prima metà I sec. a.C., si provvide a rivestire la restante parte, con una cortina in opera quasi reticolata, trasformando l’intercapedine in un canale di raccolta7 delle acque meteoriche che erano convogliate in una cisterna posta all’estremità ovest del condotto. L’attuale sistemazione, invece, rimonta al periodo augusteo quando venne rifatta la pavimentazione e il rivestimento in opus signinum delle pareti.
Condotta di smaltimento delle acque, canale XV-XVI
La pavimentazione è costituita da un letto di 25 tegole piane (Fig. 106), bordate da pulvini, che mostrano i seguenti marchi di fabbrica in cartiglio rettangolare: CAVINI,
Lo sbancamento del tenero costone tufaceo nel settore sudovest della villa, fu compiuto al fine di creare un piano adatto alla costruzione degli ambienti nord occidentali della casa. L’intercapedine (20x1, m 50) formatasi tra lo spiccato delle pareti meridionali degli ambienti e la sezione esposta del banco tufaceo è stata oggetto di tre successive sistemazioni.
La rampa d’accesso posta nell’angolo sud ovest del cortile IV, che è composta da 7 gradini in blocchi di tufo (largh. cm 1,20; pedata: cm 3538; alzata: cm 22), permetteva di superare il dislivello di m 1,10 circa, compreso tra il cortile IV (quota 150,67 s.l.m.) e il ballatoio collocato a livello della cresta del costone tufaceo (quota 151.74 s.l.m.). 7 Il canale prosegue, con la stessa forma e inclinazione, per circa 11,50 m di lunghezza, da quota 151,56 s.l.m. sino, a quota 150,01 s.l.m., coprendo un dislivello di circa 1,55 m. 6
La prima è databile alla fine del II sec. a.C. quando
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Sergio Cascella: Un esempio di edilizia privata
Fig.107 Sessa Aurunca, Villa Romana, bollo su tegola CAECILI.AMP(liati))
PECELLIAE8 e CAECILI.AMP(liati)9 (Fig. 107) che è uno dei bolli su tegola più diffusi di tutta l’area sessana. Questo marchio, infatti è presente con molti esemplari nell’area del Teatro Romano e su alcune tegole usate per la copertura di tombe alla cappuccina rinvenute nel territorio circostante la città. P. Arthur (ARTHUR 1991.84 ss.) ritiene possibile che queste tegole fossero prodotte in una villa, con annesse fornaci, posta nell’area di Forum Popilii.
Fig.108 Sessa Aurunca, Villa Romana, bollo su tegola ANTIOCH[…]
Una serie di indizi, però rivela che l’attuale sistemazione è frutto del rimaneggiamento di un ambiente precedente. Infatti, il più recente dei due depositi è l’ambiente XXI che è delimitato ad ovest da strutture in opera mista, mentre la presenza di un precedente rivestimento in intonaco dipinto sui muri in opera quasi reticolata dell’ambiente I denuncia che questa stanza in origine apparteneva alla parte padronale della casa.
Infine, due bolli in cartiglio semicircolare, ANTIOCH(i) […] (Fig. 108) e C. SULPIC(i) […], forse potrebbero attestare occasionali lavori di ripavimentazione effettuati verso la fine del I sec. d.C. Deposito, ambiente XX. L’ambiente XX è stato solo parzialmente portato in luce. Di esso sono attualmente visibili la lunga parete nord-sud (Lungh. 17,50 m) e parte di quella est-ovest, sulla quale si apre una porta che davaaccesso all’ambiente IV. I muri perimetrali, che affondano le fondazioni nel piano di calpestio formato da un livello di terreno battuto10, sono costruiti con un paramento in opus reticulatum11 che si eleva per circa 2,50 m. su uno spiccato formato da una fila di sesquipedales. Lo spessore delle pareti, e la presenza lungo quella nord-sud di 6 archi di scarico in sesquipedali (Fig. 109), farebbe supporre l’esistenza di un piano superiore di cui, per il momento, non abbiamo trovato traccia negli strati di riempimento.
Pars urbana Cubicula, ambienti II e III In una prima fase (Fig. 139), l’ambiente II (3,20x4,50 m) era collegato, tramite due porte, con gli ambienti III e I. In seguito, questi passaggi furono chiusi poiché questa parte della casa venne trasformata in un settore servile. Dopo che l’ambiente V fu trasformato in triclinio, l’ambiente II venne aggiunto nuovamente alla pars urbana tramite una porta che sbrecciò la parete ovest. Il pavimento in battuto di scaglie di calcare e marmo è abbastanza ben conservato, mentre sono scarsi i resti della decorazione pittorica.
Depositi, ambienti I e XXI.
L’ambiente III. (3x3 m), nella prima fase di utilizzo, era collegato tramite due porte al giardino del peristilio e all’ambiente II. Questa sistemazione venne alterata quando furono tompagnati questi ingressi e furono creati quelli che attualmente lo collegano con l’exedra VII e con l’ambiente I. Il locale assume, quindi, una funzione di passaggio tra la parte padronale e quella servile, pur non perdendo il suo carattere residenziale evidenziato dai resti della decorazione pittorica visibili lungo la parete est.
Gli ambienti I e XXI (Fig. 137) sono complementari avendo la stessa pianta e dimensioni (8x3 m). La presenza di un piano di calpestio in terra battuta e di un sottile strato di intonaco bianco che ricopre le pareti, farebbe supporre che questi locali, nella loro ultima fase di utilizzo, siano stati adoperati come depositi.
Arthur 1991.105, fig.21.1 Arthur 1991.120, sito C42. 10 Questo strato, nelle fasi precedenti, costituiva il giardino dell’ex viridarium del peristilio. 11 La muratura mostra (dal basso verso l’alto) un ricorso di 3 mattoni (lungh. cm 23; spess. cm 3; spess. malta cm 1,50) su cui viene realizzata una fascia in opera reticolata (alt.m 1,50), chiusa in alto da un altro ricorso in mattoni. Il paramento è costituito da cubilia (cm 8 x 8) in tufo grigio e ocra, mescolati senza nessun intento decorativo. 8
Triclinium, ambiente V
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È molto probabile che nel I sec. a.C., l’ambiente V (6,70x4,10 m), fosse complementare al triclinio VII, mentre è chiaro che, in seguito alle ristrutturazioni d’età augustea, esso fu trasformato in triclinium (Fig. 110). I rifacimenti
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Fig.109 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente XX, particolare della tecnica edilizia
Fig.110 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente V, planimetria
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Sergio Cascella: Un esempio di edilizia privata
Fig.111 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambienti VIII, XII, planimetria
farci comprendere appieno la planimetria e la funzione di questi locali. Tuttavia, è probabile che essi costituissero due camere separate e che almeno l’ambiente XII fosse annesso alla pars rustica della villa, come sembrerebbe testimoniare un ingresso situato lungo il lato settentrionale dell’ambiente. È, invece, del tutto incerto lo sviluppo planimetrico dell’ambiente VIII, di cui si conserva solo parte della parete settentrionale poiché, nella prima metà del I sec. a.C., granparte di queste strutture vennero demolite per far posto a quelle in opera quasi reticolata con cui venne modellato l’attuale assetto.
comportarono la chiusura dell’ingresso più antico, che era posto nell’angolo sud-ovest della stanza, l’apertura di un nuovo accesso nella parte centrale della parete meridionale e il rifacimento dell’apparato decorativo. Della decorazione pittorica restano scarse tracce mentre è stata recuperata integralmente la pavimentazione musiva. Questa, composta da un disegno geometrico di tessere bianche e nere, circonda un emblema in opus sectile policromo, collocato in posizione decentrata lungo il lato est dell’ambiente. Successivamente, nel corso del I sec. d.C., fu aperto, al centro della parete est, un altro ingresso che metteva in comunicazione questa stanza con il contiguo ambiente II.
I rifacimenti previdero: nell’ambiente XII, la chiusura dell’ingresso settentrionale e il collegamento con l’ambiente VIII, ottenuto tramite una breccia che fu praticata nella parete orientale mentre, nell’ambiente VIII, la realizzazione delle pareti orientale e meridionale diedero la definitiva pianta quadrangolare alla camera che fu resa accessibile da un ingresso posto sul lato meridionale. Non abbiamo elementi per affermare che le due camere fossero già in quest’epoca usate come thalàmos (XII) e
Amphithalàmos e thalàmos, ambienti VIII e XII Un’attenta analisi della stratigrafia muraria (Fig. 111) rivela che i due ambienti sono il risultato di una lunga vicenda edilizia svoltasi tra il periodo tardo repubblicano e la prima età imperiale. Lo stato di conservazione delle strutture in opera incerta (fine del II sec. a.C.) che delimitavano l’ambiente XII e parte di quello VIII, non è sufficiente a
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Memorie Suessane di Matidia
Fig.112 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente VII, planimetria
amphithalàmos (VIII), mentre quest’uso appare certo nel successivo periodo augusteo quando, in concomitanza con le ristrutturazioni che interessarono gli ambienti V, VII e XIV, venne murato il più antico accesso all’ambiente VIII e fu aperto l’attuale ingresso lungo la parete est. In questo modo la planimetria dei due locali venne adeguata alle prescrizioni vitruviane, secondo le quali, il thalàmos e l’amphithalàmos, devono essere concamerati ed avere ingressi assiali (Vitr. De Arch. VI, 4-1). Ovviamente, a questo stesso periodo rimontano le tracce delle pitture in III stile e i pavimenti in semplice cocciopesto, dell’ambiente XII (dim.4x4,10 m), e in cocciopesto con crustae di marmo e emblema in mosaico, dell’ambiente VIII (dim.5x4 m). Infine, l’ultimo rimaneggiamento è databile al periodo giulio-claudio, quando venne rifatta la decorazione pittorica del thalàmos XII.
lo mette in comunicazione con l’exedra VII. La parete sud, inoltre, confinando con il canale XVI, fu isolata con una intercapedine di tegole mammate per evitare che l’umidità danneggiasse l’intonaco dipinto. Sul fondo dell’ambiente fu sistemato il larario costituito da un altarino in muratura (largh. 1,20 m; alt. 1 m), rivestito con lastre di marmo Greco Scritto e Lunense, che probabilmente, secondo uno schema largamente attestato nell’area vesuviana, aveva sulla sommità un piccolo tempietto in muratura. Exedra-triclinio, ambiente VII L’ambiente (10,80x6,30 m) è accessibile ad est, attraverso l’ambiente III, e ad ovest, da un ingresso che lo collegava alla pars rustica della villa. È probabile che, sino al periodo augusteo, esso possa essere stato usato come triclinio estivo. Infatti, la pavimentazione, costituita a settentrione, da un battuto di scaglie di calcare decorato con un puntinato di tessere nere, e a meridione, da un mosaico a tessere bianche e nere, che forse circondava un emblema centrale, ben si adatta a questa funzione (CASCELLA 2007b.35 ss.).
Lararium, Ambiente XIV. Il lararium (Fig. 112) fu collocato in un ambiente (4,10x3, m 70) ricavato nel periodo augusteo smembrando un ambiente che in precedenza era forse funzionale all’amphithalàmos VIII. L’attuale vano è delimitato a nord, da strutture in opera quasi reticolata, ad ovest da un tramezzo (spess. 30 cm) in opera cementizia, a sud da un muro in opera incerta e da un portale (largh. 2, m 80) che, sul fianco est,
Inoltre, in quest’epoca, non esistendo l’ingresso all’ambiente VIII che, come abbiamo visto, avveniva
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Fig.113 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente IV, particolare della vasca
lateralmente dall’ambiente XIV, e quello all’ambiente V, spostato nell’angolo nord-ovest della stanza, il triclinio aveva una sua continuità perimetrale spezzata solo dall’ampio portale che, sul lato est, attraverso tre passaggi (largh. 2,20 m) decorati con soglie musive e fiancheggiati da due semicolonne in mattoni, donava una splendida vista sul giardino del peristilio.
Delle strutture murarie che lo delimitavano conosciamo molto poco: Infatti, l’ambulacro sud è sepolto al di sotto dell’area non esplorata, quello ovest è costituito dall’ambiente VII, quello orientale è andato in gran parte distrutto dopo la costruzione dell’ambiente XX mentre, il lato settentrionale del giardino, privo di colonne, terminava contro le pareti meridionali degli ambienti I e III. Inoltre, l’ambulacro e il colonnato del lato meridionale, si interrompevano contro un muro che nascondeva la scarpata tufacea raccordando il peristilio all’ingresso dell’ambiente VII. La parte centrale del giardino, sino a tutto il I sec. d.C., era ravvivata da un elegante gioco di fontane costituito da una vasca (3x2 m; alt. 40 cm) a pianta rettangolare contornata da 7 basi su cui erano poste delle sculture utilizzate come fontane. Le fontane gettavano i loro zampilli nella suddetta vasca (Fig. 113), costruita in opus vittatum di tufo grigio e rivestita di lastre marmo bianco, che era collegata ad una fogna, accessibile tramite un pozzetto di forma rettangolare13 (Fig. 114), che si immetteva in un collettore di maggiori dimensioni che sfociava a valle della basis villae14.
L’ambiente perse la sua funzione di triclinio nel periodo augusteo (Fig. 112) quando, l’apertura dell’ingresso agli ambienti V e VIII e la creazione del larario, lo trasformarono in una sorta di exedra che, sino all’ultima fase di vita del complesso, provvide a ridistribuire le percorrenze tra l’area est e quella ovest della casa. Successivamente, ma non siamo in grado di precisare né quando, né per quale motivo, la parte musiva che si estendeva a tutta la metà meridionale dell’ambiente, fu sostituita con l’attuale battuto. Peristilium, ambiente IV. Il peristilio (dimensioni portate in luce: 16x12 m) è anch’esso il risultato di più fasi edilizie, succedutesi dal I sec. a.C. al II sec. d.C. (Fig. 100). Il primo impianto consisteva in un triportico quadrangolare, di almeno 22 m di lato, formato da colonne in mattoni12 raccordate da un basso muro in opera quasi reticolata di tufo grigio.
Un primo rimaneggiamento di questo complesso è databile ad epoca giulio-claudia quando la costruzione degli ambienti XX e XXI comportò l’abolizione di una parte Lungh. m 1; largh. cm 70; prof. m 1. Questo collettore è venuto in luce durante i recenti lavori di sistemazione della strada di accesso al teatro. 13
Lungo il lato meridionale sono visibili 4 colonne: diam. cm 50; alt. m 1,65; intercolunnio m 2; alt. presunta m 4. 12
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Fig.114 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente IV, impianto fognario
colonne dell’ex viridarium del peristilio. Le basi attiche (Fig. 115), poste a 3,50 m l’una dall’altra, sono in marmo bianco lunense15, mentre i fusti16 (alt. 4,20 m) sono realizzati in granito grigio della Troade, di cui uno è conservato integralmente (Fig. 116), anche se ricomposto da due frammenti17 combacianti, mentre dell’altro si sono trovate solo schegge.
del giardino e forse delle colonne del lato est del portico. Successivamente, probabilmente nei primi anni del II sec. d.C., il peristilio perse definitivamente la sua funzione di giardino interno alla casa giacché, l’area del viridarium, venne coperta con un pavimento in opus spicatum. Nonostante questo tipo di impiantito venga solitamente associato ad un uso rustico e servile dello spazio abitativo, il nuovo ambiente IV non perse del tutto il suo carattere signorile dato che, il sistema di fontane presente nella fase precedente, continuò a funzionare, anche se in uno spazio parzialmente coperto.
Il granito della Troade, estratto presso Pergamo, è uno dei più diffusi nel mondo romano ed era utilizzato principalmente per colonne di medie e piccole dimensioni. Si tratta in ogni caso di una pietra che denota un alto tenore di vita del proprietario della villa, se solo consideriamo gli altissimi costi del trasporto, tanto che essa veniva usata comunemente in edifici pubblici, come nel caso del vicino teatro ove colonne in questo granito facevano bella mostra al secondo ordine del fronte scena.
Difatti, la creazione del pavimento in mattocini e l’abolizione delle canalette in cui sfociavano le pluviali del precedente peristilio, fanno presupporre che granparte dell’ambiente IV sia stato testudinato. La copertura, nella parte centrale, poggiava su due colonne in granito grigio che, insieme alle due semicolonne dell’ambiente VII, formarono una sorta di piccola corte interna, forse scoperta, come lascerebbe supporre l’inclinazione che il pavimento assume in questo punto.
I pavimenti: mosaici e battuti La villa dispone di un ricco campionario di pavimentazioni appartenenti sia alla parte padronale che a quella rustica: in
Apparati decorativi
Plinto: cm 72 x 72; alt. plinto cm 8; primo toro alt. cm 8; scozia cm 7; listello superiore cm 3. 16 Il fusto è pari esattamente a otto volte il diametro dell’imo scapo, che è di cm 52, mentre il sommo scapo, di cm 44 di diametro, è uguale ad 1/5 del diametro dell’imo scapo. Per il granito troadense, cfr. Ponti 2002.291 ss. 17 Primo frammento, lungh. m 2,70; secondo frammento, lungh. m 1,50. 15
I marmi All’interno della villa, l’uso del marmo era limitato alle
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Sergio Cascella: Un esempio di edilizia privata
Fig.115 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente IV, base della colonna
quella servile, oltre ai semplici cocciopesti, nell’ambiente IV è presente uno splendido esempio di opus spicatum, databile tra la fine del I e l’inizio del II sec. d.C., in cui la monotona sequenza di spine di pesce è ravvivata dall’inserimento di una fila di bipedali che riprende la planimetria delle pareti (Fig. 117). Le pavimentazioni della parte padronale, databili alla fase augustea, sono costituite da un battuto di scaglie di calcare, presente nell’ambiente II, da un pavimento in opus signinum con crustae marmoree ed emblema in tessellato policromo nell’ambiente VIII e da tessellati geometrici bianchi e neri negli ambienti VII e V, ove compare anche un emblema in opus sectile policromo. Triclinio V: Il pavimento del triclinio V (Fig. 110) è composto da una fascia (largh. 40 cm) esterna di tessere (lato 7 mm) di calcare bianco, disposte obliquamente18, a cui fanno seguito due fasce di tre tessere nere che circondano l’area centrale (3,10x5,80 m) decorata con un motivo geometrico, realizzato con tessere bianche e nere (Fig. 118), composto da quadrati adiacenti e in opposizione (BALMELLE 2002.180, fig. 119c). L’insieme è interrotto, lungo la parte est, da un emblema, che mostra una cornice (1,50x1,60 m), composta da quattro gigli (Fig. 119), opposti per il gambo, che formano un motivo cruciforme mentre i petali, nell’incrociarsi con quelli contigui, generano una forma circolare (BALMELLE 2002.64, fig. Questo uso di disporre le tessere obliquamente fuori e dentro il campo incorniciato dalla doppia fascia nera è un elemento tipico del periodo augusteo, spesso associato ad una decorazione a lithostroton. Cfr. Blake 1930.60, tav. 18. 18
Fig.116 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente IV, colonna in granito della Troade
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Fig.117 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente IV, particolare della pavimentazione
Fig.118 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente V, mosaico, veduta generale
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Fig.119 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente V, particolare della cornice dell’emblema
25 g). Al centro è un tappeto quadrangolare (m 1x1) in opus sectile di marmi policromi (Fig. 120) formato, sui lati, da quattro crustae rettangolari, realizzate in Bardiglio di Carrara e Giallo antico; la zona centrale è occupata da due crustae quadrangolari in Giallo antico, ai cui lati si dispongono crustae rettangolari in marmo Africano in cui sono inseriti rombi in Giallo antico. Le rimanenti parti sono occupate da crustae quadrangolari in Pavonazzetto. Una datazione ad epoca augustea potrebbe adattarsi a questo tipo di pavimentazione non solo per le dimensioni ridotte delle tessere e per il tipo di disegno geometrico abbastanza comune (MORRICONE MATINI 1967.76, fig. 73), ma anche per lo schema delle crustae, che rientra nel tipo definito “modulo quadrato reticolare” (GUIDOBALDI 1994). Non contrasta l’uso dei marmi colorati che a partire dall’età di Augusto in poi iniziarono ad essere presenti in pavimentazioni e decorazioni parietali sia di edifici pubblici, che di ambito privato19.
onde correnti sinistrorse21 anch’esse in tessere nere. Una ulteriore fascia contorna una decorazione composta da elementi curvilinei stilizzati opposti per la parte interna che è concava. Un altro riquadro, più interno, introduce alla successiva decorazione che è costituita da una pelta a volute. L’ultima cornice delimita la parte centrale del mosaico formata da un quadrato che racchiude una decorazione circolare composta da sei fusi formanti un esagono concavo con fiore a sei petali. L’interno di ogni petalo è campito con tessere bianche, nere, gialle e in pasta vitrea blu. Emblemata di questo tipo compaiono in epoca augustea, come attestato dalla soglia del tablino n. 6 della casa di C. Cuspius Pansa a Pompei22, spesso associati a pitture di III stile. Infine, una porzione del mosaico venne restaurato in un momento successivo con l’inserzione di una crusta di marmo Greco Scritto. Il triclinio-exedra VII: L’exedra VII (Fig. 112) mostra l’uso di due tipi di pavimentazioni separate da un listello in marmo bianco: La porzione settentrionale è costituita da un battuto di scaglie di calcare decorato con file di tessere nere formanti una fitta maglia di quadrati puntiformi23. Nella
L’amphithalàmos VIII: L’amphithalàmos VIII conserva la pavimentazione in opus signinum decorata con crustae marmoree policrome di forma irregolare20, al cui centro venne inserito un emblema quadrato in mosaico (Fig. 121), realizzato con tessere di 6 mm di lato, delimitato da una fascia di 5 tessere nere a cui fa seguito un motivo ad
Blake 1930.78, tav. 17, fig. 8; Guidobaldi 1980.114, tipo b7-8, fig. 36-107-119; POMPEI. PITTURE E MOSAICI, IV, 1993.860, fig. 174. 22 POMPEI. PITTURE E MOSAICI, I, 1990.483 ss. figg. 41 a-c. 23 Questa decorazione è tipica dei pavimenti in cocciopesto il cui uso inizia in epoca medio repubblicana e si prolunga sino ad età augustea. Cfr. POMPEI. PITTURE E MOSAICI, III, 1991.19 ss. Il battuto in scaglie di calcare ha un confronto preciso con il pavimento dell’atrio n. 2, e con l’impluvio, della Casa del Frutteto a Pompei. Cfr. POMPEI. PITTURE E MOSAICI, II, 1990.1, fig. 15; POMPEI. PITTURE E MOSAICI, IV, 1993.87 ss., fig. 40, 48. Infine, un pavimento simile è presente nell’ambiente 35 della villa di S. Rocco a Francolise. Cfr. Cotton 1985.90. 21
De Vos 1979.174 ss. Triclinio 18 della Casa del rilievo di Telefo ad Ercolano, cfr. Guidobaldi 2006. 253 ss., fig. 148. 20 Questo tipo di pavimenti, utilizzati a Pompei già nel II stile, divengono tipici del periodo augusteo essendo spesso associati a pitture di III stile. Cfr. POMPEI. PITTURE E MOSAICI, I, 1990.802, fig. 4 e 25; POMPEI. PITTURE E MOSAICI, IV, 1993.230, fig. 46, 56-57. L’uso del marmo Numidico nei pavimenti è testimoniato a Pompei nella Casa del Complesso dei Riti Magici. Cfr. Pompei Pitture e Mosaici, III, 1991.191, fig. 29. 19
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Fig.120 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente V, particolare dell’opus sectile
Fig.121 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente VIII, emblema
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Fig.123 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente XII, particolare della parete ovest
Fig.122 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente VII, particolare del mosaico Fig.124 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente XII, particolare della parete sud
parte meridionale, invece, è presente un tessellato bianco e nero (Fig. 122), solo parzialmente conservato (3x1,70 m), delimitato da una fascia decorata con una treccia semplice arrotolata attorno ad un bottone centrale. La fascia racchiudeva una doppia serie di pannelli quadrangolari, di cui ne restano 3 quasi integri e frammenti di altri 4, contenenti all’interno varie figurazioni geometriche. I pannelli sono tra loro separati da fasce a tessere bianche campite da clessidre realizzate con tessere nere.
pittorico, che a giudicare da quel poco che resta potrebbe, forse, essere attribuito ad una fase finale del III stile. È ben conservata la predella di base che mostra, su un fondo giallo oro, una decorazione suddivisa in pannelli, delimitati da fasce verdi e rosse, campiti con motivi vegetali di colore verde e rosso porpora (Fig. 124). Lo schema decorativo della zona mediana, ripetuto su tutte le pareti, è tripartito in riquadri a fondo bianco, di cui quello centrale, più grande, è diviso da quelli laterali, da due fasce, rosso porpora, alla cui base si notano, su entrambi i lati, sottili colonne giallo oro con base attica (Fig. 125).
Questo mosaico è probabilmente databile alla fine del I sec. a.C., infatti, alcuni motivi specifici, come le clessidre e le svastiche, trovano innumerevoli confronti in pavimentazioni databili proprio a quest’epoca24.
Dei soggetti figurati che dovevano animare le pareti, non ci resta nulla, tranne due sottili decorazioni vegetali, poste ai lati della base di un candelabro intorno a cui si avvolge un delfino (Fig. 126) visibili sulla parete sud.
Le decorazioni pittoriche Ambiente XII: Le pareti dell’ambiente XII mostrano due strati di pittura sovrapposti (Fig. 123): i resti di quello più antico si scorgono lungo la parete ovest, dove è possibile vedere parte di una decorazione in III stile, pertinente alle fasce inferiore e mediana, entrambe a fondo nero.
Larario XIV: La decorazione pittorica del lararium (amb. XIV), forse inquadrabile in una fase di passaggio tra III e IV stile (Fig. 127), si compone di una zoccolatura (alt. 80 cm) divisa in tre pannelli rettangolari (lungh. 90 cm), separati da riquadri verticali più piccoli (25x80 cm) che, su un fondo giallo oro, mostrano piccole figure in gran
In seguito su quest’intonaco venne steso un nuovo strato Lancha 1977.108 ss. fig. 66; POMPEI. PITTURE E MOSAICI, III, 1991.676, fig. 201a. 24
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Fig.125 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente XII, particolare della parete est
Fig.126 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente XII, particolare della parete sud
Fig.127 Sessa Aurunca, Villa Romana, Larario XIV, veduta generale
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Fig.128 Sessa Aurunca, Villa Romana, Larario XIV, particolare della parete nord
parte evanide, costituite da motivi fitomorfi (Fig. 128) e piccole maschere gorgoniche dai contorni poco distinguibili (Fig. 129). Una sottile predella viola separa la zoccolatura dalla zona mediana, che riprendendo lo schema della parte inferiore, è divisa nei canonici tre riquadri, di cui purtroppo resta ben poco. Il triclinio-exedra VII: Al momento dello scavo, del complesso apparato pittorico che caratterizzava l’ambiente VII, solo la parete sud (Fig. 130) presentava in situ parte della decorazione (lungh. 7 m; alt. cons. 1,60 m) mentre, dei dipinti presenti sulle altre pareti, si sono recuperati molti frammenti negli strati di riempimento. Lo stato di conservazione della parte ancora a vista era pessimo, non solo per la perdita di tutta l’estremità est dell’affresco, ma anche per il fatto che molti particolari, realizzati con colori sovradipinti, risultavano al momento della scoperta quasi scomparsi.
Fig.129 Sessa Aurunca, Villa Romana, Larario XIV, particolare della predella di base
Davanti questa quinta scenica si collocano tre personaggi, alti in origine circa m 1, raffigurati stanti sul podio, davanti le edicole di fondo. Di questi ne sono visibili due, parzialmente conservati, rispettivamente all’estremità ovest e nella parte centrale della parete, mentre del terzo restano solo frammenti. Scendendo nei particolari, sul margine ovest della parete è visibile il primo riquadro (87x60 cm), delimitato da una cornice (largh. 14 cm) a fondo rosso, il cui lato è una figura femminile (alt. conservata 80 cm) conservata dalla vita in giù, stante di ¾, con la gamba destra leggermente flessa verso l’interno. La figura, di cui sono evanidi i piedi, è vestita con un peplo viola caratterizzato da profonde pieghe verticali accentuate da un forte chiaroscuro.
Del dipinto si conserva la zoccolatura costituita da un alto podio, articolato in plinti aggettanti, su cui poggiano almeno 4 colonne, di cui si vedono solo le tracce di quelle del lato ovest, prive, però, delle linee che disegnavano le scanalature e le modanature delle cornici. Queste colonne sono disposte davanti la parte mediana dell’affresco il cui fondale è costituito da riquadri monocromi che comprendono una edicola centrale, di maggiori dimensioni a fondo giallo oro, a cui lati si dispongono due pannelli minori a fondo rosso, fiancheggiati a loro volta da due edicole simili a quella centrale, ma più piccole, disposte alle estremità della parete, in maniera speculare.
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Fig.130 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente VII, veduta generale
Seguono le prime due colonne che inquadrano il pannello (63x86 cm), disposto sul lato destro rispetto all’edicola centrale (Fig. 131), che mostra, su un fondo monocromo rosso porpora, una piccola vignetta, di cui si scorge solo la parte inferiore di una figura, probabilmente femminile, posta accanto ad un altro oggetto. L’edicola centrale (1,20x1, 45 m), presenta una larga fascia color rosso porpora che incornicia il fondo giallo-oro, cui è sovrapposta una figura matronale (Fig. 132). Questa, posta di ¾ verso la sua sinistra, con la gamba destra leggermente flessa (alt. cons. 85 cm), è avvolta in un pesante peplo, il cui colore varia dal verde scuro al viola, cui è sovrapposto un himation rosato che, coprendo il braccio sinistro portato in alto, ricadeva sullo stesso lato con eleganti pieghe ondulate. Il braccio destro, disteso lungo il corpo, mostra la mano, con il polso e le dita ornati da monili aurei, mentre regge obliquamente un oggetto. Questo ha l’aspetto di un’asta metallica, il cui fusto nodoso, sembra terminare con un elemento più o meno globulare. Si tratta ovviamente di un attributo, forse una fiaccola, prerogativa di una figura mitologica, in ogni caso di difficile interpretazione. Un ulteriore oggetto, di cui restano tracce di colore giallo-oro, sembra fuoriuscire dalle pieghe dell’himation. Donano spessore e rilievo alla figura le pieghe del panneggio rese con sfumature di colore fortemente contrastate e la sua ombra proiettata sul pannello retrostante, ombra i cui particolari sono meglio conservati sulla parte in basso a destra della figura.
personaggio, di cui è stato trovato un frammento nello strato di crollo. Si tratta di parte del volto di una figura maschile che comprende gli occhi, il naso pronunciato e l’alta fronte incorniciata da una folta capigliatura (Fig. 133). Ad una prima analisi appare suggestivo accostare ciò che resta di questa pittura ad un soggetto simile, adoperato in scala minore nella decorazione della diaeta n. 30 della villa di S. Marco a Stabiae25. Infatti, il personaggio femminile, posto nell’edicola centrale potrebbe avere qualche parallelo con l’Ifigenia che regge il palladio, con la differenza la fiaccola nella figura stabiana è tenuta nella mano destra lungo il corpo, mentre a Sessa essa converge verso il centro della figura. Continuando in questo raffronto, anche l’altra figura femminile, rappresentata di profilo nell’angolo ovest della parete, potrebbe essere avvicinata alla figura femminile con pisside dell’affresco di Stabiae, naturalmente ciò implicherebbe che il frammento di figura maschile appartenente alla parte sinistra della composizione pittorica suessana, sia quella di Perseo, che è invece ben conservata a Villa S. Marco. Ovviamente lo stato preliminare degli studi, ma soprattutto le cattive condizioni di conservazione, rendono al momento difficile un più preciso inquadramento iconografico e stilistico, anche se lo schema generale dell’affresco potrebbe avere qualche parallelo con alcune composizioni di quella fase del IV stile caratterizzata dalla riproposizione di alcuni elementi del II stile, come le scaenam frontes26.
Purtroppo la perdita della decorazione sulla parte sinistra della parete è pressoché totale, ma nonostante questo è molto probabile che si ripetesse specularmente lo schema presente alla destra dell’edicola centrale con un altro riquadro dinanzi al quale si doveva trovare un terzo
Eriston 1999.212 ss., pl. XII, n. 6. Cfr. le note 112-123 per i confronti pompeiani e in genere nel resto del mondo romano. 26 Una pittura anch’essa animata da personaggi di grande proporzione, compare nell’esedra della casa I, 3, 25, datata a poco prima del 79 d.C. Cfr. Peters 1982.638, fig. 2. 25
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Fig.131 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente VII, particolare della parete sud
Fig.134 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente VII, particolare della figura di Dioniso
Fig.132 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente VII, particolare della figura femminile B Fig.135 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente VII, particolare di una figura maschile
Cosa fosse rappresentato sulle altre pareti dell’ambiente è impossibile dirlo poiché delle decorazioni pittoriche ci sono giunti solo frammenti con elementi figurativi accessori, come candelabri, vasi potori in vetro e bronzo dorato, mentre su altri brani d’intonaco vi sono resti di figure umane di piccole proporzioni. Di queste ultime, che compaiono su un fondo bianco, sono di particolare interesse due frammenti di cui uno riporta una figura maschile nuda (Dioniso ?) che regge nella destra un tirso (Fig. 134), ed un altro con il volto di una figura maschile, dal volto contrito, cui le sovradipinture donano un certo senso plastico (Fig. 135). È molto probabile che questi frammenti appartengano a quei pinakes che, su fondo bianco, mostravano figurine, forse pertinenti al tiaso dionisiaco, eseguite di getto nella parte alta dell’affresco.
Fig.133 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente VII, particolare del volto della figura maschile C
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Fig.137 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente VII, particolare del soffitto con scena di gineceo
Fig.136 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente VII, particolare del soffitto dipinto
Al di sotto dei livelli di riempimento dell’ambiente VII, lo strato di crollo posto a contatto col pavimento, conteneva centinaia di frammenti relativi al soffitto dipinto, costituito verosimilmente, da pannelli giustapposti, probabilmente inquadrabili anch’essi nell’ambito del IV stile (NUNES PEDROSO 1999.267 ss.). Lungo la parete meridionale si è rinvenuto un nucleo di frammenti ancora in connessione che permette di ipotizzare quale fosse lo schema decorativo. Ogni riquadro era costituito da una serie di pannelli, dipinti a fondo rosso, verde e giallo, recanti piccole scene figurate, disposti attorno ad un medaglione circolare, campito in rosso e forse recante una figura (Fig. 136). La porzione di soffitto recuperata comprende due pannelli rettangolari affiancati.
Fig.138 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente VII, particolare del soffitto
Il secondo pannello (Fig. 138) è campito da una fascia posta al centro, nel senso della lunghezza, ulteriormente divisa in due quadretti laterali che inquadrano al centro una vignetta rettangolare (40x20 cm), che ha al centro una figura di delfino che si intreccia ad un mostro marino, di cui è chiaramente visibile la coda, mentre i due quadretti laterali, portano al centro una decorazione circolare in cui sono dipinte piccole testine con un petaso giallo oro sovrastato da un cimiero e da due ali laterali. Le fasi del complesso
Il primo, su fondo rosso scuro (Fig. 137), mostra una scena di gineceo costituita da due figure femminili affrontate, di cui la prima, rappresentata seduta su un trono, sta impartendo un ordine alla seconda figura che è stante ed ha il viso rivolto verso la domina. Di entrambe le figure sono conservate abbastanza bene le teste e i particolari del volto resi con un forte chiaroscuro, mentre sono poco visibili i dettagli delle vesti che erano resi con colori sovradipinti.
L’analisi delle tecniche costruttive e della stratigrafia orizzontale dei muri, ha permesso di tracciare a grandi linee la storia costruttiva del sito che è ovviamente il risultato di un processo di sovrapposizioni, obliterazioni e ricostruzioni, raggruppabili in almeno 7 fasi di occupazione databili tra la fine del II sec. a.C. e la metà del II sec. d.C., o forse poco oltre.
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Fig.139 Sessa Aurunca, Villa Romana, ambiente VII, pianta delle fasi degli ambienti I-III, XX-XXI
l’edificio viene ricostruito (fase 3) con muri in opus quasi reticulatum28. L’intervento nel settore occidentale della casa tese a conservare gli ambienti precedenti (amb. VIII – XI – XII – XIII - XIX), modificandone però le percorrenze e la volumetria, mentre la maggior parte delle murature del settore orientale venne abbattuta (Fig. 139.A) con la creazione di un peristilio (amb. IV) e di un vasto triclinio (amb. I) preceduto da due ambienti ad esso complementari (amb. II-III). Il triclinio I29 in questo periodo aveva un ruolo centrale: le originarie percorrenze prevedevano che dagli ambienti III e II, comunicanti tra loro e con il peristilio, si potesse accedere a questo locale tramite una porta posta al centro della parete orientale dell’ambiente II. Saggi eseguiti al disotto degli ambienti I e XXI hanno portato in luce parte
Verso la fine II sec. a.C. venne organizzato il primo nucleo (fase 1) di quella che forse era una piccola casa colonica i cui scarsi resti sono venuti in luce al di sotto del piano di calpestio dell’ambiente XIX. Qui si è rilevata la fondazione di un muro a cui è associato un pozzo, scavato nel banco di pozzolana, riempito con materiale ceramico che ne daterebbe la chiusura agli anni finali del II sec. a.C. In quest’epoca, lungo il versante nord del banco tufaceo, viene eseguito uno sbancamento per la creazione di un piano su cui fu costruito un nuovo edificio (fase 2), probabilmente obliterando il primo insediamento. Le strutture murarie, realizzate in opus incertum27 e conservate in alcuni punti (amb. XIII) per oltre m 2 di altezza, hanno subito notevoli rimaneggiamenti durante gli interventi posteriori, tanto che è oggi difficilmente comprensibile uno sviluppo planimetrico e funzionale della villa di questo periodo. Verso la metà del I sec. a.C.
Il paramento è formato da blocchetti di tufo grigio o ocra, di circa cm 11 di lato, messi in opera con giunti non regolari. Le testate e gli stipiti sono realizzati in blocchetti di tufo grigio nell’ambiente XVI, mentre in tutti gli altri sono in opus vittatum mixtum. Queste strutture somigliano a quelle del periodo Ia della villa di S. Rocco a Francolise, datate al periodo sillano, cfr. Cotton 1985.27. La tessitura dei paramenti ricorda, inoltre, quella dell’ampliamento delle mura di cinta della città, datate anch’esse genericamente al periodo sillano. 29 L’ambiente in questa fase aveva una grandezza di m 8 x 7. 28
Le strutture in opera incerta di calcare o tufo utilizzate nella villa di S. Rocco a Francolise sono state datate tra il 120 e l’80 a.C., cfr. Cotton 1985.12. 27
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della pavimentazione del triclinio che era costituita da un battuto in opus signinum, probabilmente decorato con un emblema centrale, arricchito da crustae di marmo bianco di forma esagonale30, tipo che di frequente compare nelle abitazioni di Pompei del I sec. a.C. (PERNICE 1938.122.), ove è associato a pitture di primo e maggiormente di II stile31. In età augustea (fase 4) nell’ala nord-ovest della casa vennero rifatti gli apparati decorativi degli ambienti I-II-III,V,VII, XII e XIV, adeguandoli ai nuovi standard in voga al quel tempo, mentre il settore orientale della villa subì modifiche strutturali, realizzate con muri in opus reticulatum. Infatti, nella fase precedente, quest’area era occupata dagli ambienti I, II e III, orientati secondo l’asse est-ovest e dal peristilio che, adeguandosi al pendio naturale, determinavano la parziale rotazione dell’edificio verso nord-est.
in un cavo armato nel pavimento della fase precedente, su cui fu sistemato lo spiccato del muro33. L’ultima fase di occupazione della casa è quella che si sviluppa dalla seconda metà del I sec. d.C. sino alla metà di quello successivo (fase 6). Pochi furono gli interventi strutturali, tranne la creazione dell’ambiente IV, identificabile con l’originario giardino del peristilio, che già in età augustea era stato ridotto di quella parte in cui fu costruito l’ambiente XX e che venne completamente eliminato con la trasformazione del viridarium in un’area pavimentata in opus spicatum. Il tono utilitaristico dato alla corte dall’uso di questo tipo di pavimentazione, venne mitigato dalle due colonne in granito della Troade che, al contrario, donavano una certa monumentalità all’edificio che è tipica del II sec. d.C. Infine, tutti i dati sembrano indicare che l’abitazione venne improvvisamente abbandonata (fase 7), probabilmente intorno al terzo venticinquennio del II sec. d.C. Lo strato di abbandono, posto a contratto con le pavimentazioni, è infatti apparso privo di butti o scarichi di ceramica che solitamente si rinvengono in edifici in fase graduale di disfacimento. La dinamica di formazione dello strato di abbandono nell’impianto di raccolta e smaltimento delle acque (amb. XVI) è stata, invece, assolutamente diversa. Questo canale, infatti, fu interrato volontariamente con un butto terreno misto a ceramica, costituita quasi esclusivamente da vasellame integro o quasi, cosa che rende plausibile l’ipotesi che si tratti di parte dell’istrumentum domesticum in uso poco prima dell’abbandono della villa.
La costruzione dell’ambiente XX stravolse questa planimetria creando un vasto locale che invase gran parte dell’originario viridarium, rettificando di nuovo l’asse di sviluppo della villa secondo la direttrice est-ovest. Verso la metà del I sec. d.C., gran parte del versante settentrionale della casa venne accorpato al settore servile (fase 5) smantellando l’originario ambiente I, che fu diviso in due unità uguali con la creazione dell’ambiente XXI32. La ristrutturazione, venne realizzata tompagnando l’accesso al triclino che fu smembrato e collegato con il solo ambiente III. In quest’occasione l’originario pavimento in signino venne obliterato con un battuto di terra nel costruendo ambiente XXI, mentre nella restante parte fu coperto da un battuto di calce e pozzolana che riveste anche il vicino ambiente III, come dimostra il fatto tra i due locali non c’è soluzione di continuità. La costruzione dell’ambiente XXI si realizzò inserendo tra la parete ovest dell’ambiente XX e quelle occidentali dell’originario ambiente I, un muro in opus mixtum, costruito con una trave di fondazione, eseguita
Concludendo, non sappiamo per quale motivo, negli anni intorno la metà del II sec. d.C., quando la città vive un nuovo periodo di splendore, questa casa viene sgombrata e abbandonata. In ogni caso i luoghi restarono abbandonati sino alla fine dell’epoca antica quando i resti della villa sparirono al di sotto di circa m 4. di macerie e terreno.
Piastrelle in marmo o pietra di forma esagonale, compaiono in battuti di cocciopesto di molte case pompeiane: cfr. POMPEI. PITTURE E MOSAICI, III, 1991.406, fig. 1; POMPEI. PITTURE E MOSAICI, IV, 1993.860, fig. 47. 31 Battuti di questo genere rivestono anche gli ambulacri dei peristili, i cubicola e gli spazi di raccordo con le stanze di rappresentanza in cui compaiono pavimenti in signino decorati con puntinati di tessere bianche e i cosiddetti scutulata pavimenta dove, al cocciopesto e alle tessere di marmo bianco, si sostituiscono crustae in marmo colorato. Cfr. POMPEI. PITTURE E MOSAICI, I, 1990.121, parte prima, fig. 5; p. 619, figg. 58, 62; p. 847, figg. 27-28; p. 919, fig. 26; POMPEI. PITTURE E MOSAICI, V, 1994.197, figg. 3-4; p. 486, figg. 26-27. 32 Il rinvenimento nella fossa di fondazione di un asse di bronzo, databile a dopo il 22 d.C., con sul dritto la testa di Augusto radiata e la legenda DIVVS AVGVSTVS PATER e sul verso la raffigurazione di un altare sotto cui è la legenda PROVIDENT, daterebbe la realizzazione di questo locale almeno al secondo venticinquennio del I sec. d.C., cfr. Mattingly 1976. 30
Il muro (largh. cm 45; alt. cm 80), costruito su un marcapiano di bipedali, venne realizzato in reticolato (cubilia cm 9 x 9) con testate e ammorsature di 6 mattoni (spess. cm 3,5; lungh. cm 23; modulo di 5 mattoni e 5 letti di malta: cm 27,5). 33
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Appendice:
La ceramica della villa Durante lo scavo della villa sono stati rinvenuti due grossi contesti ceramici: il primo è attinente al periodo augusteotiberiano (fase 4), quindi al momento in cui la vecchia azienda agricola d’età repubblicana si sviluppa in una sontuosa villa suburbana, il secondo all’epoca antonina (fase 7), vale a dire nel momento in cui l’abitazione viene di colpo abbandonata. Dato che la ceramica rinvenuta è stata e sarà oggetto di una serie di studi ad hoc (Cascella 2011.105 ss.), in questa sede, per completezza della documentazione, daremo solo delle notizie di carattere preliminare che possano fornire un quadro generale sui tipi e le produzioni attestate per le varie epoche. Il primo gruppo è stato rinvenuto durante la parziale esplorazione dello strato di terreno che costituiva il piano di calpestio dell’ambiente XX. Tra le varie classi ceramiche, spicca un gruppo di frammenti in Terra Sigillata decorata a rilievo appartenenti alla produzione aretina di M. Perennius e tra questi due crateri sono di particolare interesse. Il primo (Fig. 140), conservato al 60% ed attribuibile all’officina di M. Perennius Bargathes, mostra un profilo caratterizzato da un alto orlo a fascia, leggermente curvo verso l’interno del vaso e sottolineato da un bordo a mandorla, impostato su una bassa vasca emisferica, poggiante su un piede elegantemente profilato. Si tratta di una forma tipica del periodo tiberiano (Consp. 1990.178, forma 9.1.1), la cui decorazione è limitata in alto da una sequenza di ovoli profilati con coronamento a bottoncini e linguetta separatrice ed in basso da una fila continua di rosette costituite da un bottone centrale circondato da sette bottoncini più piccoli. Al di sotto degli ovoli è la firma BARGATE (OCK 2000, n. 1404. 3, p. 321) resa entro un cartiglio puntinato in cui si evidenziano quattro bottoncini ai quattro angoli mentre è probabile che, nella parte mancante del cratere, fosse presente la firma M. Peren. La porzione centrale del vaso è occupata dalla decorazione a rilievo rappresentante il mito della caduta di Fetonte e la metamorfosi delle Eliadi (Cascella 2011.166 ss; Palange 2009. Teil I.100 ss.; Teil II, taf.43, Komb.Per 3).
Fig. 140 Sessa Aurunca, Restituzione grafica del cratere di M. Perennius Bargathes.
le parti superiori del corpo rappresentate come un albero nascente dalle spalle e dalla testa. Questo vaso, che appartiene alla cosiddetta terza fase dell’officina di M. Perennius, quella di Bargathes che subentrò nella conduzione dell’atelier verso la fine del periodo augusteo, mostra una complessa raffigurazione gia nota da una matrice conservata al Museum of fine art di Boston (Chase 1916, p .72 ss., tav. XIV - XV.). Il nostro esemplare ne costituisce dunque un’ulteriore attestazione, ma al contempo anche un elemento di novità. Infatti, sebbene gli elementi costitutivi della decorazione della matrice di Boston siano tutti presenti e ampiamente messi in evidenza, la resa e la disposizione delle figure sul nostro esemplare mostra delle notevoli differenze (Cascella 2011.169 ss).
Fetonte (fig. 141), colto nell’attimo della morte, essendo caduto dal carro solare, è rappresentato seminudo, con il corpo in posizione supina. Alle sue spalle, compare Eos rappresentata frontalmente, con le braccia aperte così come le grandi ali che sono dispiegate. Alla sinistra di Fetonte è rappresentato Helios in groppa ad un cavallo, lanciato all’inseguimento di una coppia di destrieri. Seguono, nella parte poco conservata del vaso, un altro gruppo di tre figure (Diana, Giove, Teti), di cui sono visibili le parti basse degli ampi panneggi e le figure delle Eliadi, di cui si scorgono
Da ciò si desume che la decorazione del cratere di Suessa, sia stata tratta da una matrice diversa da quella di Boston fatto, questo, che ci autorizza a credere che nell’officina di Bargathes esistessero almeno due stampi con la rappresentazione di questo mito, ottenuti con gli stessi punzoni, ma diversamente accoppiati ed alcuni dei quali sicuramente ritoccati.
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Memorie Suessane di Matidia
Fig. 141 Sessa Aurunca, cratere di M. Perennius Bargathes: particolare delle figure di Fetonte ed Eos.
invece attribuibile alla quarta fase dell›atelier di Perennius, quella retta, almeno sino ai primi anni del principato di Claudio, da Saturninus e Crescens. Della decorazione di questo vaso (fig. 142), conservato per il 35% e dal profilo molto elaborato, restano una serie di piccole appliques che ornano l’orlo e parte della decorazione a rilievo presente sulla vasca del calice. Le appliques, in forma di maschere sileniche, hanno un confronto preciso con un’identica figura presente su un frammento di calice proveniente da Cosa (Marabini 2006, p.160, n. 74) mentre, la decorazione a matrice è costituita da una serie di elementi vegetali
In mancanza di elementi certi, non siamo in grado dire quale delle due matrici sia quella più antica e originariamente pensata dal ceramista, tuttavia resta il fatto che tale rappresentazione costituisce sicuramente una testimonianza di come a partire dal periodo tiberiano, il repertorio stilistico aretino si affranchi progressivamente dai modelli neoattici del periodo augusteo legati da un lato ai consueti cicli delle Nereidi, di Ercole, delle Muse e dall’altro quelli connessi alla sibologia dionisiaca. Il secondo cratere (Consp. 1990, p. 179, forma R.9.2) è
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Sergio Cascella: Un esempio di edilizia privata
Fig. 142 Sessa Aurunca, cratere di M. Perennius Crescens: particolare della decorazione.
formata, in basso, da una sequenza di baccellature ad una sola costolatura mentre, nella parte superiore, da un girale sinuoso e continuo composto da una serie di cornucopie giust’apposte da cui si dipartono steli manoscritti che terminano in grappoli di uva e rosette.
antonina (Cascella 2012) sono stati rinvenuti all’interno dello strato con cui si interrò il canale XVI. Il fatto che questo butto sia costituito quasi esclusivamente da vasellame integro, rende plausibile l’ipotesi che per questa colmata si sia usato parte dell’istrumentum domesticum in uso nella villa poco prima del suo abbandono, fatto che ci consente di avere uno spaccato della circolazione dei materiali ceramici, di epoca medio imperiale, in questa parte della Campania.
La decorazione è facilmente attribuibile alla bottega di Crescens sia per la presenza del bollo mutilo M. (Peren) / C(rescent), che per l’elemento decorativo in forma di cornucopia che trova un confronto preciso tra i punzoni di questo ceramista trovati nell’officina recentemente scavata e studia a Scoppieto (Bergamini 2008, pp. 135 ss. nn. 242246; p.140 n. 255; Bergamini 2010, p.84 - 86, fig.9).
Per quel che riguarda le ceramiche fini la sigillata orientale B2 è attestata con un piatto Forma 60-Atlante II (Hayes 1985.64, tav. XIV, n. 7) e una coppa Forma 80 - Atlante II (Hayes 1985, p. 69, tav. XV, n.15), entrambi databili nel periodo compreso tra il 100 ed il 150 d.C.
I reperti ceramici che invece costituiscono il contesto d’età
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Memorie Suessane di Matidia
1981.29 ss., tav. XV, n. 3), la cui produzione è attestata ad Ostia in contesti della metà del II secolo. Infine, molti frammenti ricostruiscono il classico coperchio Hayes 20 (Carandini, Tortorella 1981.28 ss. tav. XIV, n. 14), costantemente presente in altri contesti coevi (Garcea 1983-4.252 ss., tav. III.4). Ugualmente interessante è la presenza di una produzione locale di ceramica a pareti sottili affine a quella identificata e circolante nella stessa epoca in area flegrea mentre, assolutamente in linea con i dati riscontrati ancora in area flegrea1, è la presenza delle lucerne attestate quasi esclusivamente con il tipo a becco tondo prodotto in area nord africana dalle ben note officine di di Ciundrac, C.Iuni Alexi e Aufifron, così come le anfore che vedono una scarsa presenza di prodotti spagnoli e egei a favore di quelli nord africani e locali che ancora sono presenti con un 40% circa delle attestazioni.
La sigillata africana A1 la fa da padrona con cinque coppe Hayes 8a (Carandini, Tortorella 1981.26 ss., tav. XIV, n. 4), tre coppe coppe emisferiche Hayes 9 (Carandini, Tortorella 1981.27 ss., tav. XIV, nn. 10-11), due coppe forma Hayes 2 (Carandini, Tortorella 1981.24 ss., tav. XIII, n. 12), una coppa Hayes 34 (Carandini, Tortorella
1
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Garcea 2005, pp. 131 ss.
17. La viabilità del territorio Sergio Cascella, Maria Grazia Ruggi D’Aragona
La viabilità del territorio suessano si articola su quattro assi principali che collegavano Suessa all’Ager Vescinus, a Minturnae, a Sinuessa, a Teanum Sidicinum e alla viabilità regionale costituita dalle vie Latina e Appia. Ovviamente a tali tracciati principali si dovevano collegare una fitta rete di vie secondarie, solo in parte selciate, legate alla struttura agricola del territorio compreso ad occidente tra il suburbio della città e la fascia costiera e ad oriente tra questo e le falde del vulcano Roccamonfina. Le vie verso il suburbio nord-orientale e l’Ager Vescinus Dalla porta urbana, collocata in corrispondenza di Piazza d’Ercole, si originava una strada che procedeva verso nord-est, lungo un tragitto che può essere identificato con l’attuale via S. Biagio, lungo la quale è facile intravedere numerosi basoli in lava leucitica riadoperati nelle facciate dei vecchi edifici che la fiancheggiano. Il percorso di questa strada doveva essere più o meno rettilineo sino all’altezza dell’attuale Ospedale Civile, dove si biforcava formando un asse viario che puntava decisamente verso nord-ovest, probabilmente in direzione dell’Ager Vescinus, ed un altro che, oltrepassando il fianco orientale del Roccamonfina, si raccordava alla via Latina (QUILICI 1990.47 ss.), giungendo nella valle di Mignano Montelungo, mettendo in comunicazione la città con Casinum, Teanum e Cales. Del tratto di strada diretto verso il Pagus Vescinus, in località Belvedere, ne sono stati individuati e portati in luce circa un centinaio di metri lineari (Fig. 143) per una larghezza compresa tra i 2,80 e i 3 m. Il selciato, oggi non più visibile, è composto di basoli di pietra calcarea, fiancheggiati da cordoli che delimitano le crepedini.
Fig.143 Sessa Aurunca, via Belvedere, strada romana
nicchie, mentre la camera E, a pianta circolare, non mostra alcun incavo nelle pareti.
Durante l’indagine archeologica si individuò una camera scavata nel banco tufaceo (Fig. 144), costituita da un vestibolo (A), aperto sulla strada, che introduce in uno spazio (Alt. 3,40 m) su cui affacciano 4 camere adiacenti. La prima cappella (B), a pianta quadrangolare (Alt. 1,95 m) e copertura a calotta, mostra un arcosolio lungo il lato ovest; la seconda e terza camera (C-D), a pianta semicircolare con copertura a semicupola (Alt. 3 m), presentano rispettivamente, la prima, una nicchia e la seconda, tre
Nonostante il sepolcro sia stato trovato privo di inumazioni, è molto probabile che esso sia databile ad epoca paleocristiana, visti i vicinissimi resti della catacomba di S. Casto, sorta probabilmente su una basilica ad corpus (DIAMARE 1906) sviluppatasi nei pressi di un sepolcro d’età imperiale. Il secondo asse viario è conservato poco oltre la località Ponte (VILLUCCI 1979.55 ss.), ove emergono vari tratti del basolato, costituito da selci in trachite vulcanica, che in un
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Memorie Suessane di Matidia
Fig.144 Sessa Aurunca, via Belvedere, Sepolcro rupestre
punto sono visibili per oltre 250 m di lunghezza e circa 4 m di larghezza (Fig. 145).
TRAIANI. HADRIANI. AVG.(usti) PONTIF.(icis) MAX.(imi) TRIB.(unicia) POT.(estate) VI. CO(n)S.(ulis) III. VIAM. SVESSANIS. MVNICIPIBVS. SVA. PEC.(unia) FEC.(it)
La Via Suessanis e le necropoli Secondo la Historia Augusta (Hadr. 9.6) l’imperatore Adriano, prima di intraprendere il suo viaggio nelle province dell’impero, visse in Campania per un lungo periodo, soccorrendo molte città che avevano bisogno di finanziamenti per il ripristino di infrastrutture pubbliche.
L’iscrizione fa riferimento al rifacimento della via Suessanis, nota per i grandiosi resti del ponte romano conosciuto col nome di “Ponte Ronaco”. La via, che collegava Suessa a Sinuessa e all’Appia, ripercorrendo un percorso utilizzato sin da epoca arcaica (JOHANNOWSKY 1981.3 ss; ARTHUR 1991.48 ss), usciva dalla città attraverso la porta urbica identificata presso l’istituto scolastico “C.Lucilio”, proseguendo dritta sino all’incrocio con il moderno Ponte Aurunco.
L’intervento adrianeo a Suessa è testimoniato da un’iscrizione monumentale1 (Fig. 146), oggi reimpiegata nella facciata della chiesa di S. Matteo, ma che in origine doveva forse essere collocata sul piedritto di un monumento commemorativo:
Lungo questo primo tratto, oggi completamente distrutto, la via era fiancheggiata da una necropoli di epoca imperiale costituita da singoli monumenti di un certo impegno architettonico e da gruppi di tombe alla cappuccina. La pratica S8/13 dell’archivio della Soprintendenza
[Imp. Caes. Div]I. TR[aiani. Pa]RTHICI. FIL.(ii) DIVI. NERVAE. NEP.(otis) 1
Cil. X, 4756, 122 d.C.
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Sergio Cascella, Maria Grazia Ruggi D’Aragona: La viabilità del territorio
Archeologica di Napoli e Caserta, attesta che un notevole numero di sepolture fu rinvenuto e scavato nei primi anni ’50 del ‘900, durante la costruzione delle case popolari del “Rione Semicerchio”. Le tombe, di epoca tardo imperiale, si disponevano intorno ad un grande mausoleo, conservato oltre per 2,50 m di altezza, a basamento circolare costruito interamente in opera laterizia2. Alcune di queste tombe presentarono, al momento della scoperta, l’interno della cassa intonacata e dipinta con un fondo rosso, delimitato in alto da fregi floreali in nero e celeste, alternati a disegni geometrici resi a rilievo con l’uso dello stucco. Alcune di queste decorazioni addirittura portavano il nome del defunto, come nel caso di una certa Galatia, mentre, in altre sepolture più semplici, vennero rinvenute monete in bronzo del tempo di Diocleziano e lucerne di produzione africana con il monogramma costantiniano. Purtroppo, ancora una volta, dobbiamo amaramente constatare che di tutto questo non solo non esiste alcuna documentazione, ma nemmeno si sa dove siano finiti i reperti recuperati, tra cui pare vi fossero anche numerose iscrizioni in marmo. Poco oltre l’incrocio con il moderno ponte aurunco, terminato l’abitato di Sessa Aurunca, la strada antica emerge in superficie con quasi 300 m lineari di basolato (Fig. 147), realizzato con selci di trachite vulcanica perfettamente conservati, ed una larghezza costante di 4 m. Lungo il margine est della strada, poco oltre l’incrocio con il viale Trieste, sono visibili, semisepolti dalla vegetazione, i resti di una necropoli monumentale caratterizzata dalla fitta serie di sepolcri di cui si scorgono le facciate, realizzate con eleganti paramenti in laterizio databili al II sec.d.C. (Fig. 148).
Fig.145 Sessa Aurunca, Roccamonfina, via Roccolana
Solo uno di questi monumenti funerari, sito tra l’edificio dell‘Enel e la Masseria Buonamano, è stato oggetto di uno scavo sistematico, purtroppo ancora inedito. Si tratta del classico recinto in forma di tempietto costruito in mattoni (lateres) e bipedali, allettati con una malta molto depurata, stesa in letti di piccolo spessore (3-5 mm) che formano spartiti architettonici di grande eleganza. Nel corso del II sec.d.C. a Roma e nelle altre città italiche, questi recinti soppiantarono i classici mausolei gentilizi, rivestiti di blocchi di calcare o marmo, che avevano caratterizzarono le necropoli romane di epoca tardo repubblicana e primo imperiale. Questa standardizzazione delle tipologie architettoniche e decorative, e l’uso di materiali da costruzione più economici che si riscontra in questo periodo, sono indice di un mutamento profondo della società romana ove il culto della personalità del singolo cittadino viene accantonata a favore della esaltazione del gruppo familiare o sociale. Ciò, dovuto probabilmente all’affermazione di religioni e credenze orientali, ebbe come conseguenza la diffusione Fig.146 Sessa Aurunca, Corso Lucilio, iscrizione dedicatoria della Via Suessanis
Purtroppo di questi rinvenimenti non esiste alcuna documentazione, cfr. Villucci 1980a.153 ss. 2
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Memorie Suessane di Matidia
Fig.147 Sessa Aurunca, Via Suessanis, veduta generale
Fig.148 Sessa Aurunca, Via Suessanis, Sepolcro, veduta generale
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Sergio Cascella, Maria Grazia Ruggi D’Aragona: La viabilità del territorio
Fig.149 Sessa Aurunca, Via Suessanis, Sepolcro, planimetria
massiccia dell’inumazione che trovarono in monumenti funerari di questo genere una loro collocazione in arcosoli e deposizioni in fosse terragne all’interno della costruzione. L’edificio (Fig. 149), posizionato sul fronte strada, mostra un basamento in opus testaceum (lateres: lungh. 22-25 cm; spess. 5 cm), conservato per 50 cm di altezza e 8,35 m di lunghezza3, su cui si imposta un altro basamento leggermente arretrato, formato da due file di mattoni. Su questa struttura di base furono realizzate una serie di modanature, ottenute con sesquipedali sagomati in varie forme, su cui poggiano quattro lesene, probabilmente corinzie, rilevate di 5 cm rispetto alla parete di fondo e distanziate di 1,82 m l’una dall’altra (Fig. 150). Le lesene, impiantate su basi attiche realizzate utilizzando come plinto un bipedale e sesquipedali sagomati per le modanature, compaiono sull’intera facciata del monumento prospiciente la strada mentre, sui lati lunghi del monumento, sono presenti solo con due esemplari. Si accedeva all’interno del sepolcro da una porta laterale, collocata lungo il lato ovest, che immetteva in un unico ambiente interno a pianta rettangolare (7x5 m ca.) realizzato con murature in opera laterizia spesse 66 cm comprendendo il basamento esterno e circa 45 cm lungo gli alzati. Gli angoli interni dell’edificio erano rinforzati da pilastri in laterizio, addossati alle pareti, a pianta quadrangolare di circa 89 cm di lato che forse avevano la funzione di facilitare il sostegno della copertura dell’edificio. Lungo le Fig.150 Sessa Aurunca, Via Suessanis, Sepolcro, particolare della tecnica costruttiva
Lateres di 25 cm. ca. di lunghezza, spessore 4,5 cm.; spessore malta 1 cm. 3
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Memorie Suessane di Matidia
Fig.151 Sessa Aurunca, Via Suessanis, Sepolcro, particolare della tomba 12
per Fasani. In quest’area (Masseria Pimpinella), durante operazioni di rifacimento dell’impianto fognario, eseguiti negli anni ’70 del secolo scorso, si rinvenne la facciata in opera laterizia di un mausoleo e un vasto sepolcreto con oggetti ceramici, in gran parte dispersi, databili tra il I sec. a.C. e il II sec. d.C. Grazie al prof. M. Villucci e al sig. E. Fiorito, si poterono recuperare un piccolo nucleo di oggetti tra cui fanno spicco una serie di balsamari in terracotta e vetro colorato (Fig. 153) ed alcune olle fittili, provviste di coperchio, utilizzate come cinerari (Fig. 154). A questi materiali, databili ad età augustea, faceva da contraltare l’iscrizione marmorea di Ennia Ianuaria databile alla prima metà del II sec.d.C.
pareti interne e nella parte centrale erano disposte, a volte su due file sovrapposte, almeno 15 inumazioni con fondo e copertura di tegole piane (Fig. 151), mentre altre sepolture a bauletto con copertura in muratura erano collocate lungo i lati esterni del recinto funerario (Fig. 152). I molti resti di nuclei cementizi, affioranti nelle campagne circostanti, rendono probabile la presenza di altre sepolture monumentali di questo genere, lungo il tragitto della strada che giunge sino al ponte Ronaco. Una volta oltrepassato il Rio Travata per mezzo del suddetto ponte, la via scendeva verso il cimitero di Carano4 per poi procedere in direzione di Sinuessa. Il segmento finale della Via Suessanis e il suo innesto sull’Appia, è stato individuato nel corso del 1999-2001, durante i lavori di costruzione della canalizzazione idropotabile dell’area litoranea massicana, localizzata lungo l’attuale SS.7 Domitiana, tra il km.13+430 e il 13+478. Il tratto di strada, posto al disotto dell’attuale piano di campagna di circa 80 cm, conservato per circa 40 m di lunghezza e una larghezza di circa 4 m, è anche in questo punto costituito da selci in basalto con rappezzi formati da basoli in calcare di dimensioni minori (CONTI, RUGGI D’ARAGONA 2002.54 ss.).
D. M. S. M. ANNIO. IANV ARIO. CONIVGI. EN NIA. IANVARIA CVMQVAVIXIT. AN NIS. XII. B. M. F. Da questa strada, poco oltre il citato bivio, si distaccava un diverticolo che correndo alla base dello sperone tufaceo circoscritto dalle fortificazioni settentrionali, ed innestandosi su via dell’Immacolata, via Gagliardelle e il vallone Fossitiello, giungeva sino al teatro al quale, in antico, era dunque possibile accedere anche dalla via Suessa-Minturnae (CASCELLA 2007.45 ss.).
La Via Suessa-Minturnae Della strada che collegava Suessa a Minturnae5 emergono ancora cospicui avanzi del lastricato poco oltre il bivio
È indubbio che anche questa via abbia ripercorso un itinerario più antico, ma è altresì certo che essa sia stata usata sino ad epoca tardo antica (JOHANNOWSKY 1975.15 ss.) (V-VI sec.d.C.); anzi, il tragitto Minturno-Sessa-
Lungo i bordi questa strada sino a pochi anni fa era possibile vedere numerosi basoli divelti della via romana. 5 De Masi 2000.163 ss; Valletrisco 1978. 62 ss; Colletta 1989.43 ss.; Villucci 1980a.156 ss; Villucci 1995.11 ss. 4
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Sergio Cascella, Maria Grazia Ruggi D’Aragona: La viabilità del territorio
Fig.152 Sessa Aurunca, Via Suessanis, Sepolcro, particolare delle tombe 1-4
Fig.154 Sessa Aurunca, Antiquarium, olla cineraria
urbica7. La via, più volte ripavimentata nel corso dei secoli8, discendeva lungo la scarpata costeggiando la mole dell’anfiteatro, guadando il Rio Travata, per poi risalire poco oltre il moderno Ponte Aurunco.
Fig.153 Sessa Aurunca, Antiquarium, balsamari vitrei
Da questo punto in poi la via, coincidendo solo per una piccola parte con l’attuale percorso della SS7 Appia, risaliva sino al passo posto presso l’abitato di Cascano, per immettersi nell’ager Falernus, raccordandosi quindi alla viabilità dei territori di Cales e Teanum.
Capua (cd. Appia II) assunse grande importanza in epoca alto medievale rappresentando una variante dell’antico percorso dell’Appia (ARTHUR 1991.50; ZANNINI 2002.17 ss.), con cui si cercò di evitare l’area pedemontana di Sinuessa e del Pagus Sarclanus, soggetta a vistosi fenomeni di impaludamento conseguenti al disfacimento delle infrastrutture di drenaggio delle campagne coltivate e ad eventi alluvionali traumatici, forse conseguenti a temporanei mutamenti delle condizioni climatiche6.
Nel corso degli anni ’80 del ‘900 furono a più riprese individuati molti nuclei di sepolture comprese tra l’età tardo repubblicana e quella augustea. Anche in questo caso furono recuperati alcuni reperti tra cui fanno spicco una serie di balsamari fittili (Fig. 155) e di urne cinerarie tra cui un’olla caratterizzata da un orlo a listello su un corpo globulare e da un coperchio realizzato appositamente.
La Via Suessa-Teanum La strada, che collegava Suessa a Teanum e Cales, pavimentata con grossi selci di pietra lavica, prendeva le mosse dalla località S. Sevile, lungo il percorso meridionale delle mura della città, dove pare si aprisse un’altra porta
La peculiarità di queste urne è costituita da un’abbondante decorazione pittorica sovradipinta sull’argilla già cotta (Fig. 156). Si tratta quasi sempre di una serie di fasce o, come in questo caso, di un girale floreale stilizzato. Tale tipo di recipiente è tipico dei contesti funerari d’epoca tardo repubblicana (fine del II-I) dell’alto casertano; esemplari
Alcuni miliari dell’Appia, nella zona del canale dell’Agnena a valle del Demanio di Calvi, ed il relativo basolato, giacevano a circa 6 m. di profondità dall’attuale piano di campagna. Cfr. Zannini 2002.61. Inoltre, è sintomatico che Suessa sia inserita negli itinerari medievali con tappa obbligata per chi da Roma vuole raggiungere la Terra Santa, dimostrando che il percorso di questa strada è stato in funzione sino almeno al XVI sec. Cfr. Carafa 1989.75. 6
De Masi 2000.197 ss.; Johannowsky 1975.15; Valletrisco 1978.63; Fiorito, Villucci 1980.33 ss.; Villucci 1980a.170 ss. 8 A tal proposito segnaliamo un miliarum riferibile alla via SuessaTeanum, databile ad epoca augustea, cfr. Pagano, Villucci 1986.56 ss. 7
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Memorie Suessane di Matidia
Fig.155 Sessa Aurunca, Antiquarium, balsamari fittili Fig.157 Sessa Aurunca, proprietà Puglisi, Via Suessa-Teanum, veduta generale
molto simili, contenenti monete databili dalla fine del II sec.a.C. alle soglie dell’età augustea, sono stati rinvenuti nell’area calena e teanense, come quelli recuperati durante lo scavo della necropoli di Orto Ceraso a Teano9. Nel 1981 uno scavo di emergenza, effettuato in proprietà Puglisi, portò alla scoperta di un altro tratto dell’antico percorso della via Suessa-Teanum. La strada, del tutto simile a quella precedentemente descritta, mostra un selciato costituito da basoli in pietra calcarea, posto in luce per circa 30 m lineari (Fig. 157) fiancheggiato, sul versante nord, da 6 monumenti funerari. Si tratta di recinti, databili alla seconda metà del I sec. a.C., a pianta quadrangolare, contenenti urne in terracotta seminterrate all’interno del piano di calpestio che era costituito da terreno battuto. La funzione del recinto non è solo quella di racchiudere ed isolare il campo di urne, verosimilmente appartenenti tutte ad una sola famiglia, ma è il segnacolo stesso delle sepolture che, nel nostro caso, assume una certa dignità architettonica, avvalendosi di cornici scolpite in pietra tufacea o calcarea, che ne costituiscono la decorazione architettonica. I recinti 1 e 2, a pianta quadrangolare di circa 4 m di lato, mostrano murature in una rozza opera reticolata spesse 50 cm, con deposizioni in urne che furono trovate completamente sconvolte. Questi due monumenti, addossati l’uno all’altro, formano un gruppo leggermente distanziato da quello comprendente le tombe 3,4,5,6. Fig.156 Sessa Aurunca, Antiquarium, olla cineraria
Di Giovanni 1995.16 ss., fig.20; altri contenitori simili, purtroppo ancora inediti, sono stati recuperati, da chi scrive, nella stessa necropoli durante una successiva campagna di scavo. 9
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Sergio Cascella, Maria Grazia Ruggi D’Aragona: La viabilità del territorio
Fig.158 Sessa Aurunca, proprietà Puglisi, planimetria tombe 3-4
Quest’ultimi recinti, anch’essi a pianta quadrangolare di circa 4 m di lato, mostrano strutture murarie conservate purtroppo solo a livello delle fondazioni nei recinti 5 e 6, mentre i cinerari, costituiti dalla classiche olle a fondo piatto e orlo distinto con coperchio erano in ottimo stato. Il gruppo di edifici 3 e 4 sono quelli conservati meglio. Di questi il numero 3 (Fig. 158) costituisce l’area di sepoltura vera e propria, cinta su tre lati e contenente le urne cinerarie, mentre l’edificio 4 è il monumentum, costituito da una struttura a dado simile ad un altare. Il basamento, poggiante su una zoccolatura delimitata in alto da una cornice elegantemente sagomata (Fig. 159), era costituito da un nucleo in caementicium rivestito di lastre di tufo imitanti una facciata in opera quadrata sulla cui sommità doveva forse essere posta l’iscrizione. Chiudeva in alto una cornice sagomata in blocchi di tufo trovata in parte nello strato di crollo relativo a questa struttura.
Fig. 159 Sessa Aurunca, proprietà Puglisi, Tomba 3, particolare della decorazione architettonica
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Abbreviazioni Bibliografiche
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