Dea Caelestis. Studi e materiali per la storia di una divinità dell'Africa romana 9788862273176, 9788862273183

Erede storica della grande divinità protettrice di Cartagine (Astarte o forse, più probabilmente, Tinnit), la dea Caeles

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Italian Pages 152 [143] Year 2010

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Table of contents :
SOMMARIO
Prefazione
1. Introduzione : la Dea Caelestis come problema storico-religioso
2. Uno sguardo alla storia degli studi
3. L’eredità fenicio-punica : da Astarte e Tinnit alla dea africana
3. 1. Introduzione
3. 2. Astarte
3. 3. Tinnit
3. 4. Astarte e Tinnit
4. Le culture di sostrato : gli apporti Libico-Berberi
4. 1. Problemi di indagine
4. 2. Caelestis e i Libico-Berberi
5. Africa romana
6. Il culto di Caelestis tra ‘centro’ e ‘periferia’
6. 1. Dèi africani e Impero : problemi di metodologia
6. 2. Caelestis tra ‘centro’ e ‘periferia’
6. 2. 1. L’evocatio di Tinnit/Iuno (Caelestis)
6. 2. 2. Il rientro
6. 2. 3. Caelestis e gli imperatori : in ‘periferia’
6. 2. 3. 1. Le dediche pro salute imperatoris
6. 2. 3. 2. L’oracolo, il peplo e il potere centrale
6. 2. 3. 3. Caelestis e i Severi : un rapporto speciale ?
a. Le monete dei Severi
b. Iulia Domna e Caelestis
c. Conclusioni
6. 2. 4. Caelestis ed Elagabalo : dalla ‘periferia’ al ‘centro’
7. La diffusione del culto di Caelestis in Africa
7. 1. Africa Proconsularis
7. 2. Provincia Byzacena
7. 3. Provincia Tripolitana
7. 4. Provincia Numida
7. 5. Numidia Proconsularis
7. 6. Mauretania Sitifensis
7. 7. Mauretania Caesariensis
7. 8. Conclusioni
8. La diffusione del culto di Caelestis fuori dall’Africa
8. 1. Roma e Italia
8. 2. Hispania
8. 3. Britannia
8. 4. Germania
8. 5. Dacia
8. 6. Pannonia
9. I luoghi e le forme del culto
9. 1. I luoghi di culto
9. 2. Le forme del culto
9. 2. 1. Il personale
9. 2. 2. I riti
9. 2. 3. I fedeli
9. 3. Misteri di Caelestis ?
9. 4. Caelestis e gli ‘eretici’
10. La personalità di Caelestis
10. 1. Un problema di metodo
10. 2. Le testimonianze epigrafiche
10. 2. 1. Gli epiteti
10. 2. 2. Le identificazioni e le associazioni
10. 2. 3. I compagni
10. 3. Le testimonianze letterarie
10. 4. Le testimonianze iconografiche
11. Conclusioni
APPENDICI
a. Le fonti letterarie
b. Le fonti epigrafiche
Elenco delle abbreviazioni
Bibliografia
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Dea Caelestis. Studi e materiali per la storia di una divinità dell'Africa romana
 9788862273176, 9788862273183

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CO LLEZIONE DI S TU DI FENICI 44.

DEA C A E L E ST I S STUDI E MATERIALI PER LA STORIA DI UNA DIVINITà DELL’AFRICA ROMANA M A RI A G RAZ IA LAN C E LLOT T I

pisa · roma fa bri z i o s e r r a e d i t o r e mmx

Sono rigorosamente vietati la riproduzione, la traduzione, l’adattamento, anche parziale o per estratti, per qualsiasi uso e con qualsiasi mezzo effettuati, compresi la copia fotostatica, il microfilm, la memorizzazione elettronica, ecc., senza la preventiva autorizzazione scritta della Fabrizio Serra editore®, Pisa · Roma. Ogni abuso sarà perseguito a norma di legge. Proprietà riservata · All rights reserved © Copyright 2010 by Fabrizio Serra editore®, Pisa · Roma. * www.libraweb.net issn 1591- 8882 isbn 97 8- 88- 62 2 7 - 317 - 6 i s bn e let t ronic o 97 8- 88- 62 2 7 - 318- 3

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Quando ti metterai in viaggio per Itaca devi augurarti che la strada sia lunga, fertile in avventure e in esperienze. I Lestrigoni e i Ciclopi o la furia di Nettuno non temere, non sarà questo il genere di incontri se il pensiero resta alto e un sentimento fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo. In Ciclopi e Lestrigoni, no certo, né nell’irato Nettuno incapperai se non li porti dentro se l’anima non te li mette contro. Devi augurarti che la strada sia lunga. Che i mattini d’estate siano tanti quando nei porti - finalmente e con che gioia toccherai terra tu per la prima volta : negli empori fenici indugia e acquista madreperle coralli ebano e ambre tutta merce fina, anche profumi penetranti d’ogni sorta ; più profumi inebrianti che puoi, va in molte città egizie impara una quantità di cose dai dotti. Sempre devi avere in mente Itaca raggiungerla sia il pensiero costante. Soprattutto, non affrettare il viaggio ; fa che duri a lungo, per anni, e che da vecchio metta piede sull’isola, tu, ricco dei tesori accumulati per strada senza aspettarti ricchezze da Itaca. Itaca ti ha dato il bel viaggio, senza di lei mai ti saresti messo sulla strada : che cos’altro ti aspetti ? E se la trovi povera, non per questo Itaca ti avrà deluso. Fatto ormai savio, con tutta la tua esperienza addosso già tu avrai capito ciò che Itaca vuole significare. Constantinos Kavafis, Itaca

ai miei figli francesco e michela

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SOMMARIO Prefazione

11

1. Introduzione : la Dea Caelestis come problema storico-religioso 2. Uno sguardo alla storia degli studi 3. L’eredità fenicio-punica : da Astarte e Tinnit alla dea africana 3. 1. Introduzione 3. 2. Astarte 3. 3. Tinnit 3. 4. Astarte e Tinnit 4. Le culture di sostrato : gli apporti Libico-Berberi 4. 1. Problemi di indagine 4. 2. Caelestis e i Libico-Berberi 5. Africa romana 6. Il culto di Caelestis tra ‘centro’ e ‘periferia’ 6. 1. Dèi africani e Impero : problemi di metodologia 6. 2. Caelestis tra ‘centro’ e ‘periferia’ 6. 2. 1. L’evocatio di Tinnit/Iuno (Caelestis) 6. 2. 2. Il rientro 6. 2. 3. Caelestis e gli imperatori : in ‘periferia’ 6. 2. 3. 1. Le dediche pro salute imperatoris 6. 2. 3. 2. L’oracolo, il peplo e il potere centrale 6. 2. 3. 3. Caelestis e i Severi : un rapporto speciale ? a. Le monete dei Severi b. Iulia Domna e Caelestis c. Conclusioni 6. 2. 4. Caelestis ed Elagabalo : dalla ‘periferia’ al ‘centro’ 7. La diffusione del culto di Caelestis in Africa 7. 1. Africa Proconsularis 7. 2. Provincia Byzacena 7. 3. Provincia Tripolitana 7. 4. Provincia Numida 7. 5. Numidia Proconsularis 7. 6. Mauretania Sitifensis 7. 7. Mauretania Caesariensis 7. 8. Conclusioni 8. La diffusione del culto di Caelestis fuori dall’Africa 8. 1. Roma e Italia 8. 2. Hispania 8. 3. Britannia 8. 4. Germania 8. 5. Dacia 8. 6. Pannonia 9. I luoghi e le forme del culto 9. 1. I luoghi di culto 9. 2. Le forme del culto 9. 2. 1. Il personale 9. 2. 2. I riti 9. 2. 3. I fedeli 9. 3. Misteri di Caelestis ? 9. 4. Caelestis e gli ‘eretici’ 10. La personalità di Caelestis 10. 1. Un problema di metodo 10. 2. Le testimonianze epigrafiche 10. 2. 1. Gli epiteti 10. 2. 2. Le identificazioni e le associazioni 10. 2. 3. I compagni 10. 3. Le testimonianze letterarie 10. 4. Le testimonianze iconografiche  

















13 15 21 21 23 24 27 30 30 31 34 40 40 41 42 44 45 45 46 47 47 48 49 49 52 52 57 58 58 60 60 61 61 65 65 69 71 72 72 73 75 75 77 77 80 82 87 89 90 90 91 91 93 97 99 103

sommario

10 11. Conclusioni

108

appendici a. Le fonti letterarie b. Le fonti epigrafiche

113 121

Elenco delle abbreviazioni Bibliografia

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PREFAZIONE « Homo sum : humani nihil a me alienum puto »  





Publius Terentius Afer, Heautontimorumenos, v. 77

I

l presente lavoro è un’indagine sulla figura e sul culto della dea Caelestis, divinità dell’Africa romana di epoca imperiale. Attraverso il riepilogo e l’analisi dei dati disponibili, rivisti secondo un’ottica aperta all’approccio antropologico e storico-religioso, si è cercato di ricostruire la figura di questa divinità dalle molteplici sfaccettature e dalla storia complessa. Un’attenzione particolare, indispensabile per ogni lavoro che voglia raggiungere dei risultati scientificamente attendibili, è stata riservata alla lettura delle fonti, epigrafiche, letterarie e iconografiche, cercando di non piegarle alla conferma di una tesi elaborata a priori ma avendo cura di contestualizzarle, nella misura del possibile, all’interno dell’orizzonte storico-culturale in cui furono prodotte. Si spera così di aver contribuito a una messa a punto per studi futuri che dovranno approfondire vari aspetti che, proprio per la natura di questo lavoro, sono stati qui accennati o solo parzialmente analizzati. L’obiettivo principale è stato infatti quello di fornire uno status quaestionis sulla dea Caelestis che potrà costituire la base per una sempre più puntuale focalizzazione di questo personaggio divino e della sua storia. Questo libro è il risultato di una ricerca condotta grazie al contributo della Alexander von Humboldt Stiftung che

mi ha generosamente consentito un lungo soggiorno di studio in Germania. Ho avuto così il privilegio e l’onore di poter lavorare sotto la guida del Prof. B. Gladigow presso il Seminar für Indologie und Vergleichende Religionswissenschaft (Abteilung für Religionswissenschaft) di Tübingen. Desidero ringraziare il Prof. Burckhardt Gladigow per la sua costante disponibilità tanto sul piano scientifico che su quello umano, che ha permesso che il mio lavoro procedesse proficuamente. Ha inoltre seguito questa ricerca il Prof. Hubert Cancik. Un ruolo fondamentale, come sempre, ha svolto in tutte le fasi dell’indagine il Prof. Paolo Xella, a lui questo libro appartiene più che a qualsiasi altro e certo senza di lui non sarebbe mai stato nemmeno immaginato. Neppure il più caloroso dei ringraziamenti potrà mai colmare il mio debito infinito nei suoi confronti. Alcuni amici e colleghi hanno seguito questo lavoro nelle diverse fasi della stesura dandomi preziosi consigli e suggerimenti, in particolare voglio ricordare qui i Professori Maria Cruz Marín Ceballos, Andrea Ercolani e Cesare Letta per la lettura attenta e le impagabili osservazioni. A Francesco e Michela chiedo scusa per il tempo loro sottratto che spero di poter parzialmente risarcire con la dimostrazione che, attraverso la forza di volontà e il coraggio di sognare, possiamo risalire le voragini più scoscese e ricominciare a vivere, sempre.

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1. INTRODUZIONE : LA DEA CAELESTIS COME PROBLEMA STORICO-RELIGIOSO  

E

rede storica della grande divinità protettrice di Cartagine (Astarte o forse, più probabilmente, Tinnit), la dea Caelestis vede il proprio culto diffondersi in tutta l’Africa del Nord in un periodo che va dal II al IV sec. d.C. (con il floruit che dura sino alla metà del III), ma restando ancora abbastanza popolare, nonostante il tendenziale declino, fino all’epoca di Sant’Agostino. Paredra del grande Saturnus, dio che incarna in Africa l’identità etnico-culturale degli “indigeni”, – detta Iuno/ Dea Caelestis, o più semplicemente Caelestis – essa segue generalmente le orme del suo divino sposo per quanto riguarda i luoghi e certe forme di culto. In quanto divinità femminile, però, essa se ne discosta sotto vari aspetti, dalla tipologia dei fedeli alle particolarità del suo culto e alle varie sfaccettature della sua personalità, testimoniate, tra l’altro, dalla sfera degli epiteti che mettono soprattutto in rilievo la sua caratteristica di madre universale (ma, al contempo, anche di vergine celeste !), amata e adorata non solo presso i ceti popolari e rurali, ma anche fra gli abitanti dei centri urbani. Nonostante la relativa abbondanza di fonti che riguardano la dea (archeologiche, epigrafiche, letterarie, iconografiche), si hanno in generale dati limitati e di scarsa varietà da utilizzare, sicché storia, personalità, simbologia, attribuzioni di Caelestis, nonché impatto e funzioni storicosociali del suo culto, non sono stati ancora esplorati a fondo. È mancato, in particolare, uno studio che analizzasse sia i processi storico-religiosi anteriori al pieno affermarsi del suo culto (che rivela debiti al sostrato libico-berbero e soprattutto punico), sia gli autonomi sviluppi di esso, sia ancora gli influssi ricevuti e le interazioni con i culti e le figure di altre divinità, romane e non. Esistono tuttavia i presupposti per far avanzare le ricerche. Il presente lavoro ha dunque come obiettivo quello di tentare di colmare tali lacune e di approfondire una serie di problemi che gli studi precedenti, per varie ragioni, non hanno esaminato in tutte le loro implicazioni. Per quanto riguarda gli antecedenti storici della dea, da un lato, una questione lasciata aperta è quella della precisa messa a fuoco dei rapporti – morfologici e funzionali – di Caelestis con le dee puniche Astarte (Ôštrt) e Tinnit (tnt), a loro volta unite da una relazione di somiglianza/identità difficile da decifrare : dee e culti che ne hanno profondamente e variamente influenzato la figura al punto che si può fondatamente postulare una continuità-eredità storica. Dall’altro lato, un problema complesso da riaffrontare è quello relativo alla questione della sua interpretatio romana, non tanto a livello di teonimi (Iuno pare prevalere nettamente), quanto soprattutto a livello di epiteti (caelestis, regina, mater, virgo), vari e non tutti bene inquadrabili, ai nostri occhi, in un sistema coerente di simboli e funzioni. Un ulteriore fondamentale problema è quello della polifunzionalità che, attraverso le numerose epiclesi, le fonti

sembrano attribuire alla dea Caelestis. Ciò che va particolarmente analizzato è se ciò sia dovuto soltanto alla nostra incapacità di leggere i dati (a causa di chiavi interpretative troppo scontate o inadeguate), ovvero se i legami che Caelestis di volta in volta mostra con la maternità, la verginità, i fenomeni atmosferici, gli animali, la terra, il mondo dei morti, etc., siano realmente aspetti caratterizzanti di una figura che si presenta e si sviluppa invece sempre più in senso nettamente universalistico. Quest’ultimo problema, poi, deve essere affrontato utilizzando una specifica metodologia storico-comparativa, attenta sia alle forme simboliche che alle funzioni, che miri comunque a inserire ogni valutazione e confronto nell’ambito di precisi contesti storico-culturali. Ancora da chiarire restano poi non pochi aspetti del culto di Caelestis e, in particolare, se in certe sue manifestazioni sia lecito individuare fenomeni di “misticismo” – sul termine e sul concetto si tornerà più avanti – ragguagliabili a quelli degli altri culti misterici diffusi nel bacino del Mediterraneo in età imperiale. Ancora, occorre approfondire l’interpretazione di quelle fonti che accennano all’esistenza di oracoli nell’ambito del suo culto. Un’ulteriore questione di fondo che occorre studiare nei suoi vari aspetti e implicazioni è quella relativa ai meccanismi storico-religiosi e socio-culturali che permisero al culto di Caelestis di valicare i confini africani e diffondersi altrove, come ad esempio nella penisola iberica, a Roma e sul territorio italico, nelle province del Nord e dell’Est dell’Europa. In che misura ciò si dovette ad un accoglimento “dal basso”, in che misura ciò fu agevolato dall’adozione a livello di “corte” ? Fino a che punto si fusero organicamente le tradizioni indigene e quelle altre, contestuali e coeve, con cui la dea e il suo culto ebbero di volta in volta a confrontarsi ? In definitiva, come si vede, molte sono le questioni – generali e particolari – che sono state lasciate aperte o alle quali si è data finora una risposta insoddisfacente, anche tenuto conto dei nostri limiti documentari. Ben a ragione scriveva pochi anni fa E. Lipin´ski che questa figura « (…) mériterait une grande monographie », 1 mancanza tanto più sentita, se si pensa agli splendidi risultati conseguiti da Marcel Leglay nei suoi volumi dedicati a Saturne Africain. 2 Attraverso l’adozione di un metodo adeguato e di rinnovate ottiche di indagine, insieme all’attenta e sistematica riconsiderazione di tutti i materiali già noti e nuovi, questo studio si propone quindi, pur tenendo conto del dossier documentario molto problematico, di ricostruire un quadro quanto più possibile completo e coerente della personalità di Caelestis, del suo culto, del suo ruolo nell’ambito dei rapporti tra la provincia africana e il potere imperiale. Nel corso del lavoro, per comodità di esposizione, ho utilizzato l’espressione “cultura africana” nella piena con-

1  Lipin´s ki 1995, p. 151.

2  Leglay 1966a, MSA I e II.

















introduzione

14

sapevolezza di peccare in genericità. L’Africa, all’arrivo dei Romani, è già da millenni un crocevia importante di popoli e culture diverse : i Fenici in particolare, e poi i Cartaginesi, insediati variamente lungo le coste africane, ma ben presenti anche nelle aree interne, si sono direttamente confrontati con le diverse culture e tradizioni indigene, non restando naturalmente immuni dagli influssi egiziani – una cultura prestigiosa più di ogni altra ai loro occhi – e neppure da articolati processi di ellenizzazione. Il territorio che in seguito viene occupato dai Romani, d’altra parte, è tutt’altro che omogeneo dal punto di vista delle tradizioni culturali : esso può essere stato più o meno, o affatto, influenzato dalla civiltà punica. Quando uso l’espressione “cultura africana” 3 intendo quindi riferirmi a una realtà molto generica, precedente l’occupazione stabile e amministrativamente organizzata del territorio nordafricano da parte dei Romani. Naturalmente, ogni volta che sarà necessario, eviterò questa definizione generica per meglio caratterizzare il sostrato a cui mi riferirò di volta in volta, come ho tentato di fare ad esempio nei capitoli relativi agli “antecedenti” locali di Caelestis. Per quanto riguarda il termine “romanizzazione” e l’espressione “resistenza alla romanizzazione”, rimando al cap. 5 in cui si dibatte ampiamente il problema di questa

terminologia e la sua applicabilità negli studi. In ogni caso, nel corso della trattazione, ho in qualche caso usato “romanizzazione” in senso molto generale per far riferimento al periodo in cui l’Africa orbitò intorno a Roma e al suo Impero. I nomi delle divinità più note e quelli dei personaggi storici famosi sono trascritti mantenendo la forma originale, in latino o in greco traslitterato. Con il maiuscoletto si evidenzia la prima citazione di un epiteto divino nell’ambito della relativa trattazione ; sempre con il maiuscoletto si evidenzia la prima occorrenza dei nomi di luoghi ai quali si riferiscono le testimonianze in Appendice. Per la divinità fenicio-punica tnt, è ormai definitivamente stabilita la fondatezza della vocalizzazione Tinnit, in luogo di quella tradizionale e più popolare di Tanit, ed è perciò che sarà la prima ad essere qui adottata. 4 Le fonti letterarie sono menzionate facendo riferimento ai testi riportati nell’Appendice A (citazione : A più numero di riferimento). Le fonti epigrafiche sono riportate nell’Appendice B e citate con : B più lettera maiuscola e numero di riferimento (la lettera maiuscola corrisponde all’iniziale dell’area di provenienza, secondo un criterio storico-geografico di diffusione del culto).

3  In questo caso il problema è l’aggettivo “africana”, ma anche per quello che riguarda il sostantivo “cultura” i problemi definitori non mancano. Cf. anche Rives 1995, pp. 14-15.

4  Cf. Müller 2003.













2. UNO SGUARDO ALLA STORIA DEGLI STUDI

Q

uesto capitolo non intende presentare una rassegna critica sistematica degli studi su Caelestis, che vengono menzionati, valutati e utilizzati nel corso del lavoro in relazione ai differenti aspetti e problemi posti di volta in volta dall’indagine, ma solo segnalare i momenti forti nella storia di questa ricerca. I primi tentativi di sistematizzare in un quadro storico coerente le varie testimonianze sulla figura e il culto di Caelestis risalgono essenzialmente alla prima metà del secolo scorso e l’impostazione data dagli studiosi dell’epoca è rimasta pressoché invariata fino ai nostri giorni. Se vogliamo trovare delle novità non dobbiamo aspettarcele dalle grandi sintesi, 1 ma piuttosto cercarle in studi relativi a problemi particolari : i contributi di carattere generale si rivelano invece spesso monotonamente debitori l’uno dell’altro. Se questo è abbastanza comprensibile per quanto riguarda la presentazione delle fonti documentarie, che non hanno subito sconvolgimenti dall’aggiungersi al dossier di nuovi sensazionali documenti, meno lo è la ripetitività che si riscontra a livello di interpretazione dei dati, in cui si sarebbe dovuto invece tener conto delle nuove metodologie d’indagine e dei progressi, conseguiti soprattutto nello studio della cultura e della religione fenicio-punica. Non si pretende qui di riportare una rassegna esaustiva di tutti gli studi sulla dea, ma di dare conto degli apporti più rilevanti che hanno segnato la storia degli studi. 2 Già agli inizi del ‘900 si registrano studi pionieristici su Caelestis di varia ampiezza, con tentativi (prematuri, ma coraggiosi) di sintesi parziali, soprattutto nell’ambito o a seguito di scavi e studi archeologici (A. Merlin), 3 o all’interno di sintesi su Cartagine e la civiltà africana pre-romana e romanizzata (A. Audollent, J. Toutain e, soprattutto, St. Gsell, la cui trattazione della religione nord-africana nell’antichità rappresenta tuttora un punto di riferimento essenziale). 4 Nuovi materiali per la ricerca, più che nuovi studi, sono poi forniti da vari altri studiosi, autori di contributi minori di carattere archeologico ed epigrafico (scavi di luoghi di culto, pubblicazioni di iscrizioni). Il primo autore a cui fare serio riferimento è però Franz Cumont 5 che, nella voce Caelestis redatta per la RE (1899) riesce, in poche colonne, a fornire un quadro chiaro delle fonti sia epigrafiche che letterarie. Per Cumont non ci sono dubbi, Caelestis è il nome latino della divinità più importante di Cartagine, Tinnit. 6 Il problema sollevato dalla molteplicità di associazioni/identificazioni di Caelestis con altre divinità e il proliferare dei suoi epiteti dipenderebbero, a suo avviso, dal fatto che Tinnit, come le altre divinità semitiche, non avrebbe, a differenza delle divinità greche,

una individualità ben definita : « Je nachdem man die eine oder andere ihrer Eigenschaften hervorheben wollte, hat man sie verschiedenen abendländischen Göttern gleichgestellt, aber völlig entsprechen sie keinen ». 7 Menzioni di nomi e attributi si susseguono nel lavoro di Cumont senza però essere sufficientemente contestualizzati, anche se questo è abbastanza comprensibile nell’ambito di una voce di enciclopedia. Anche per quanto riguarda il culto, lo studioso belga presenta in successione le varie fonti disponibili alla sua epoca. Nel suo lavoro sulla Cartagine punica (1901), un vasto spazio è dedicato a Caelestis da A. Audollent. 8 Egli inserisce le informazioni su tale divinità seguendo una parabola cronologica che inizia con il ritorno dei Punici nella colonia di Cartagine dopo la distruzione della città e arriva fino alla definitiva cristianizzazione dell’Africa romana. Proprio intorno al culto di Caelestis si sarebbero radunate e coagulate le ultime forme di resistenza al Cristianesimo trionfante. Audollent cerca di spiegare, storicamente e razionalmente, da una parte il rapporto tra Tinnit e Caelestis, dall’altra la proliferazione di nomi e attributi applicati a quest’ultima. Secondo un processo che ai suoi occhi appare del tutto lineare, Iuno Caelestis sarebbe stato il binomio nome-epiteto con cui i Romani avrebbero cercato di ‘tradurre’ l’espressione punica tnt pn bÔl. Il nome Iuno sarebbe andato nel tempo scomparendo, per lasciare il posto – sicuramente nel III secolo – al solo epiteto Caelestis. Tinnit e Iuno avrebbero potuto essere equiparate per la medesima funzione di signore materne, benefiche e potenti. Più difficile era, per Audollent, spiegare la “traduzione” dell’epiteto “volto di Baal” con l’aggettivo Caelestis. I Semiti, secondo lo studioso, avrebbero avuto una tendenza a mettere in campo un’immagine definita, laddove “noi” preferiamo servirci di un’espressione astratta. Ambedue gli epiteti « (…) personnifient la grande puissance féminine du ciel, qui domine sur la lune et les étoiles, sur les phénomènes d’en haut, la pluie et le tonnerre. C’est la vierge valeureuse qui fait sentir à tout l’univers sa bienfaisante influence ». 9 Audollent accosta poi Caelestis ai ritratti che Apuleio fa di Isis e lo ps. Luciano della dea di Hierapolis, per passare successivamente a enunciare tutte le assimilazioni di Caelestis con le diverse divinità. Lo studioso fa però una distinzione tra quello che dovevano pensare i comuni devoti e le speculazioni di un’élite intellettuale : « Le foules qui se portaient aux autels de Caelestis et dont les inscriptions reflètent les sentiments la désignaient sous ce nom par habitude. Les autres appellations, plus insolites, ne seraient-elles par le fait de la minorité instruite ? ». 10 Ci

1  Recentemente A. Cadotte (Cadotte 2007) ha sostenuto la necessità di tornare alle grandi sintesi per quanto riguarda lo studio delle divinità dell’Africa romanizzata. La sua posizione sarà ampiamente esposta e commentata più avanti. 2  Ulteriori approfondimenti più specifici nel cap. 5. 3  Il contributo di questo studioso è enorme, si ricordi almeno il suo lavoro sul santuario di Thinissut, Merlin 1910. 4  Per i riferimenti bibliografici vedi sotto. 5  Cumont 1899. Una prima rassegna di fonti epigrafiche e letterarie

in W. Roscher (hrsg.), Ausfürliches Lexicon der griechischen und römischen Mytologie, Leipzig 1884-1937, II, 1, s.v. Iuno Caelestis, coll. 612-615, e di quelle epigrafiche in De Ruggiero 1900.   6  Sulla motivazione dell’adozione di questa forma al posto della più comune Tanit, cf. Xella 1991, p. 21 n. 2 ; Müller 2003.   7  Cumont 1899, col. 1249. Naturalmente tale valutazione risente di certi orientamenti e pregiudizi ideologici di quell’epoca.   8  Audollent 1901, pp. 369-400. 9  Ibidem, p. 374. 10  Ibidem, p. 378.











































dea caelestis

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sarebbero stati quindi almeno due livelli ideologici a cui corrisponderebbero classi di iscrizioni differenti. Un’efficace rassegna dei documenti relativi al culto di Caelestis si deve a H. Frère (1907), 11 il quale tenta una sistemazione delle fonti individuando alcune caratteristiche specifiche nel rituale, nel sacerdozio, nelle feste pubbliche. Tra le tante osservazioni dello studioso, alcune ancora attuali, altre inevitabilmente superate da studi successivi, una sua considerazione sul rapporto tra Baal Hammon e Tinnit mi sembra non abbia avuto l’attenzione che avrebbe meritato. ������������������������������������������������ Si tratta, a dire il vero, della citazione e valorizzazione di un passo di J. Toutain del quale Frère ben comprende l’importanza : « Baal et Tanit expriment deux notions étroitement liées : les deux faces d’un être unique et tout puissant, maître absolu des cieux et de la terre, père de toute vie, d’un seul et même dieu en apparence dédoublé ». 12 ��������������������������������������������������� Si tratta di un’osservazione fondamentale, che permette di mettere sotto la giusta luce i rapporti strettissimi, anche se non facilmente definibili, esistenti tra Saturnus e Caelestis. Proprio J. Toutain 13 dedica largo spazio a Caelestis nel suo enorme lavoro sui culti indigeni e locali nelle province latine (1920). Anche per lui Caelestis è il nome latino della più antica divinità poliade di Cartagine, Tinnit. La sua connessione con Saturnus, anche se non attestata esplicitamente con frequenza, sarebbe deducibile dagli epiteti che essi condividono e dai soprannomi analoghi. Come avviene per gli studiosi che l’hanno preceduto, anche per Toutain l’identificazione perfetta tra Tinnit e Caelestis comporta che i simboli della prima (palme, caduceo, il c.d. simbolo di Tinnit, etc.) possano considerarsi propri anche della seconda. Toutain ci presenta Caelestis come una dea legata al cielo, dalle caratteristiche lunari, portatrice di fertilità e fecondità, tanto vegetale e animale che umana. È la grande divinità universale e al tempo stesso la dea poliade protettrice di città, borghi, proprietà fondiarie. Condivide con Diana la verginità, con Iuno aspetti coniugali e materni, è Nutrix e, come Demeter e altre dee orientali, porta il kalathos simbolo delle sue prerogative ctonie. La descrizione di Isis consegnataci da Apuleio è chiamata in causa come modello anche per Caelestis. Secondo Toutain, poi, la coppia Saturnus-Caelestis sarebbe fondamentalmente estranea al pantheon romano, anche se rimarrebbe difficile valutare l’incidenza di Libico-Berberi e Fenici nella sua caratterizzazione. Il lavoro di U. Antonielli (1922) 14 è dedicato in particolare all’iconografia di Tinnit-Caelestis. Anche in questo caso, quindi, si parla delle due dee come dello stesso personaggio divino, anzi tutto lo studio è una sorta di storia della rappresentazione di questa unica divinità, a partire dalle sue raffigurazioni aniconiche e poi, attraverso le influenze ellenizzanti, fino alla sua formalizzazione in sembianze antropomorfe. Per quanto oggi si possa mettere in dubbio la rigidità dei passaggi da una fase iconografica all’altra, l’articolazione elaborata dall’autore delle rappresentazioni di Caelestis in forma umana secondo quattro

tipi fondamentali è tuttora valida, come si evince anche dalle recenti voci del LIMC a cura di La Rocca e di Bullo o dal contributo all’iconografia di Caelestis da parte di Cordischi. 15 Antonielli ricorre al concetto di sincretismo, sul piano della rappresentazione, già a partire dalla raffigurazione di Tinnit, che sarebbe stata arricchita da quelle di Astarte, di Atargatis, di Isis-Hathor e, successivamente, con l’influenza dell’iconografia greca, da quelle del pantheon ellenico. A questa serie di autori i quali, con maggiore o minore novità o brillantezza, hanno tentato di caratterizzare la figura di Caelestis mettendo in risalto, da una parte la dipendenza da Tinnit, dall’altra la stretta connessione con varie divinità greco-romane, si contrappone l’approccio di St. Gsell. Nel IV libro del suo monumentale lavoro sulla storia antica dell’Africa del Nord (1920-1927), 16 lo studioso in questione prende in considerazione le divinità del pantheon cartaginese. È quasi esagerata, ma senz’altro benefica, la cautela con cui Gsell si propone di analizzare la figura di Tinnit. Innanzitutto, ed è questa la differenza principale rispetto agli altri contributi, lo studioso sottolinea come le identificazioni tra le divinità cartaginesi e quelle romane abbiano potuto implicare, nel processo di “traduzione”, delle trasformazioni che, non avendo termini di confronto, non siamo in grado di valutare. Nel caso di Caelestis, ad esempio, essa avrebbe potuto ereditare da Tinnit le caratteristiche lunari, ma quest’ultima poteva esserne a sua volta debitrice al sostrato libico. D’altra parte, faceva notare Gsell, mentre è Astarte/Aphrodite a guadagnarsi l’epiteto greco di Ourania, si hanno attestazioni di una dea cartaginese identificata con Hera/Iuno. Difficile capire quale divinità si celasse dietro questo nome e Gsell ipotizza che Astarte fenicia, identificata in Oriente con Aphrodite/Venus, potesse essere in Occidente associata piuttosto a Hera/Iuno. Ma poi egli aggiunge che Iuno è Tinnit, e sarebbe anche la divinità a cui i Romani avrebbero dato il nome dell’italica Ops. Infine, ancora a Tinnit andrebbe ricondotta la divinità menzionata come Nutrix. Il suo nome più usuale sarebbe stato però Caelestis, corrispondente all’Astarte fenicia, in Oriente Aphrodite/Venus, in Occidente Hera/Iuno. A conferma di ciò parlerebbe il fatto che mentre in Africa non c’è menzione di Venus Caelestis, vi compare invece Iuno Caelestis. Il problema, per Gsell, era sapere se con il nome di Caelestis fossero state identificate due distinte divinità – Tinnit e Astarte – oppure se si trattasse di una sola. Egli non giunge a una risposta definitiva, ma la sua osservazione è di estremo interesse : esse finirono comunque per essere confuse dagli “esterni” alla religione punica e in seguito dagli abitanti della seconda Cartagine. In ogni caso, continuava Gsell, Tinnit sembra essere una forma africana di Astarte. Un ragionamento di questo tipo può forse apparire macchinoso, ma certamente ha il vantaggio di affrontare il problema di fondo degli “antecedenti” di Caelestis, un problema che, troppo disinvoltamente, tanto i predecessori di Gsell, quanto anche molti dei suoi successori, hanno tentato di risolvere

11  Frère 1907. 12  J. Toutain, Les cités romaines de la Tunisie, Paris 1896, cit. in Frère 13  Toutain 1920, pp. 15-119. 1907, p. 27. 14  Antonielli 1922.

15  La Rocca 1990 ; Cordischi 1989-1990 ; Bullo 1997. 16  Gsell 1920-1927, IV, pp. 243-277. Nel 1929 viene pubblicato un lungo articolo di Dölger sulla dea poliade cartaginese che riunisce le più importanti fonti letterarie su di essa (Dölger 1929).



























uno sguardo alla storia degli studi

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invocando un generico sincretismo come chiave di lettura di un personaggio dalle molteplici sfaccettature. Gli anni centrali del secolo scorso sono stati egemonizzati dall’autorità di G. Ch. Picard, il quale si è più volte sforzato di fare il punto sulla questione dei culti punici romanizzati. 17 Il suo apporto è consistito soprattutto in alcune sintesi, che tuttavia non hanno segnato effettivi progressi e che, non di rado deboli sotto il profilo metodologico, trovano un limite nella conoscenza solo indiretta che ha l’autore delle fonti fenicie e puniche. Un accento particolare viene posto da Picard sugli aspetti “mistici” presenti nei culti più importanti dell’Africa romanizzata, un’interpretazione che avrà un grande successo negli studi successivi. Sul culto di Caelestis non è stato però aggiunto nulla di sostanzialmente nuovo rispetto alle interpretazioni dei suoi predecessori. 18 La migliore trattazione “indiretta” del tema in questione resta senza dubbio quella contenuta nella monografia di M. Leglay su Saturne Africain 19 in cui l’autore, pur senza occuparsi direttamente di Caelestis, 20 sfiora di continuo questo tema indicando, attraverso l’analisi della figura e del culto del suo paredro, il cammino da seguire anche per una ricerca concernente la sua divina compagna. In particolare, Leglay ha sottolineato lo stretto rapporto che lega Saturnus a Caelestis evidenziandone la complementarità nell’ambito del loro legame tradizionale. 21 Con il lavoro di Leglay possiamo considerare concluso il periodo fondante e “creativo” nella storia della ricerca su Caelestis. Gli studi successivi i quali, direttamente o indirettamente, riguardano la dea, non si distanziano sostanzialmente, sul piano interpretativo, da quanto già scritto in precedenza, anzi spesso vi si trovano riportati interi brani di opere di studiosi più antichi, più o meno disinvoltamente parafrasate. Questo non esclude però che, dal punto di vista della sistemazione delle fonti o dello studio filologico di nuovi documenti, essi non si rivelino talvolta preziosi. Il lato carente è, occorre sottolinearlo ancora, per lo più quello dell’interpretazione storico-religiosa della figura e del culto di Caelestis. Qui di seguito si darà conto solo di alcuni contributi di maggior respiro, con l’avvertenza che, nel corso della trattazione, la bibliografia in questione verrà di volta in volta menzionata e, ove necessario, commentata. Il primo tentativo di sintesi, dopo gli studi della prima metà del ‘900, si deve a G. H. Halsberghe nel 1984, 22 nella serie ANRW. Come è nello stile dei contributi di questa collana, il lavoro si articola in una serie di paragrafi che trattano delle origini, dello sviluppo e della decadenza del culto della Dea Caelestis nel mondo romano. Per quanto utile, esso resta un lavoro sostanzialmente compilativo, che non aspira a grandi novità interpretative. Qui, infatti,

anziché una sintesi storica, viene riproposta una pur ordinata esposizione di dati e testimonianze, che non segna alcun progresso sostanziale nella conoscenza del personaggio divino. Va segnalato inoltre che, nella sua indagine, quelli che Halsberghe definisce come fenomeni di identificazione, assimilazione e soprattutto sincretismo – che la divinità avrebbe subito per sua intrinseca (in)consistenza – sembrano esistere di per sé, come un grande flusso trasformatore e totalizzante. Il sincretismo, in particolare, è usato come un passepartout per spiegare ogni aspetto più o meno oscuro e apparentemente incoerente della personalità della dea. 23 Dal punto di vista metodologico, una svolta (sia pure, in un certo senso, indiretta) è invece segnata dal libro di M. Bénabou sulla “resistenza africana alla romanizzazione”, 24 che attira fortemente l’attenzione sull’apporto creativo (quindi non solo passivo) del sostrato africano nell’impatto con la civiltà romana, i suoi usi, i suoi culti. Le sue considerazioni riguardano solo in parte Caelestis, ma sono importanti per le loro implicazioni e perché aprono un fronte problematico sinora quasi ignorato. Il lavoro di Bénabou ha trovato entusiasti seguaci e implacabili critici, contribuendo in ogni caso all’elaborazione di nuovi approcci d’indagine allo studio dell’Africa romana : su questo lavoro si tornerà più approfonditamente nel capitolo relativo a tale argomento. 25 Negli anni più recenti, pur in assenza di uno studio d’insieme, vengono progressivamente accumulandosi contributi e materiali di vario tipo. Si tratta in generale di studi analitici e puntuali su singoli documenti o gruppi di documenti che, pur senza dar luogo a reinterpretazioni ampie, arricchiscono il dossier di Caelestis, rendendo in un certo senso ancora più evidente l’esigenza di una sintesi complessiva, che riepiloghi e reinterpreti l’insieme delle fonti. 26 Da quest’ultimo punto di vista, tra l’altro, stimoli ulteriori vengono ormai periodicamente dai risultati presentati ai convegni sull’ “Africa Romana”, che migliorano il quadro generale delle nostre conoscenze sull’antico Maghreb con la pubblicazione e lo studio di nuovi documenti, rendendo ancora più articolato e ricco di dati il contesto nel quale fiorì il culto di Caelestis Africana. Si segnalano ancora le raccolte specifiche sulle iscrizioni relative alla dea Caelestis in Africa (Bullo 27), in Spagna (García y Bellido, 28 Marín Ceballos 29), in Italia (Cordischi 30). Sintesi sull’ iconografia sono poi le già menzionate voci del LIMC redatte da La Rocca e Bullo. 31 Per quanto questi lavori siano eccellenti dal punto di vista della completezza, hanno però il limite intrinseco di presentare Caelestis solo attraverso un certo tipo di documenti, offrendo di conseguenza una visione parziale della dea e del

17  Cf. soprettutto la monografia di Picard 1954. 18  Nel 1961 esce per la RE la voce di W. Eisenhut “Virgo Caelestis”, che prende in considerazione solo le fonti in cui la dea è così nominata, cf. Eisenhut 1961. 19  Leglay 1966a, a cui si aggiungono i due volumi di fonti MSA I e II. 20  Le sono dedicate solo poche pagine “ufficiali” (Leglay 1966a, pp. 215-222), ma i riferimenti alla dea e al suo culto sono continui lungo tutta la ricerca. 21  Leglay 1966a, p. 217. 22  Halsberghe 1984. 23  Il dibattito contemporaneo su questo termine e i suoi usi è, come è noto, amplissimo. Qui si ricorderà solo che, nel nome di F. Cumont, ben due convegni internazionali vi sono stati recentemente dedicati, Bonnet – Motte 1999 e un altro, tenutosi sempre a Roma nel 2006, i cui atti sono

in corso di stampa. Sui problemi metodologici più generali del sincretismo cf. Xella 2009, a cui far riferimento anche per l’ampia e aggiornata 24  Bénabou 1976. bibliografia. Cf. anche il cap. 6. 25  Cf. nel cap. 5. 26  Cf. ad es. Ben Abdallah – Ennabli 1998 ; Benseddik 1984 ; Ben Abdallah 1999a ; Bonnet 1991 ; Broquier-Reddé 1992 ; Bullo – Rossignoli 1998 ; Cordischi 1989-1990 ; Dareggi 1998 ; García-Bellido 1998 ; Marín Ceballos 1994 ; Piso 1993 ; Rodríguez Colmenero 1998 ; Vidman 27  Bullo 1994. 1984 ; Wurnig 1999. 28  García y Bellido 1957 e 1967. 30  Cordischi 1990. 29  Marín Ceballos 1993. 31  La Rocca 1990 ; Bullo 1997.





























































dea caelestis

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suo culto. Essi, e in particolare le raccolte di S. Bullo e M.C. Marín Ceballos che si distinguono per accuratezza ed esaustività, hanno costituito un punto di riferimento insostituibile nella mia indagine. Studi più recenti non sembrano in conclusione apportare modifiche di rilievo a quanto già riportato. Si possono qui, a titolo di completezza, menzionare le considerazioni di Lipin´ski 32 e di García-Bellido 33 che, ciascuno dal proprio punto di vista, propongono nuove interpretazioni sulla dea, senza risultare d’altra parte completamente convincenti, almeno nella valutazione della scrivente. Una sintesi con la menzione delle fonti letterarie è presentata nel volume di S. Benko, The Virgin Goddess, anche se la sua tesi di fondo secondo cui « (…) there is a direct line, unbroken clearly discernible, from the goddes-cults of the ancients to the reverence paid and eventually the cult accorded to the Virgin Mary », 34 richiederebbe un approfondimento che in questa sede non è possibile intraprendere. Una attenzione particolare, infine, merita la recente monografia di Alain Cadotte 35 della quale ho preso conoscenza quando questo mio lavoro era già completato. Essa è dedicata all’interpretatio romana delle divinità locali nell’Africa del Nord durante l’Alto Impero e in essa un ampio spazio viene riservato alla dea Caelestis. Ho quindi ritenuto fondamentale confrontarmi con i risultati dello studio in questione. La vastità del lavoro, l’imponente sforzo di revisione delle centinaia di epigrafi esaminate, l’attenta lettura degli epiteti e delle associazioni divine, rende senz’altro il lavoro di Cadotte apprezzabile e un’utile fonte per la conoscenza di questa documentazione e della sua collocazione spaziotemporale. Quando, però, dal piano squisitamente filologico ed epigrafico si passa a quello dell’interpretazione, sono ravvisabili alcune criticità che inducono a utilizzare con estrema cautela questo lavoro dal punto di vista storicoreligioso. Mentre rimando ai capitoli successivi eventuali riferimenti all’interpretazione di Cadotte inerenti la dea Caelestis, ritengo qui necessario discutere le linee di fondo dell’approccio metodologico dello studioso al fenomeno dell’interpretatio romana che vengono chiaramente formulate nell’introduzione e nelle conclusioni del volume. Nell’introduzione lo studioso determina le coordinate spazio-temporali della sua indagine : la parte orientale dell’Africa del Nord e il periodo tra Augusto e Diocleziano. Uno studio che esclude quindi programmaticamente molte testimonianze contemporanee – dentro e fuori dell’Africa – o situate in epoche differenti – come, ad esempio, le sopravvivenze dei culti in epoca cristiana – con i comprensibili limiti che qualsiasi operazione di “sezionamento” a tavolino comporta. Cadotte lamenta la mancanza di uno studio generale e recente sulle divinità africane romanizzate. Ma l’assenza di grandi affreschi onnicomprensivi, negli studi attuali, piuttosto che un limite, deve considerarsi un guadagno, come insegna la storia degli studi. Le grandi sintesi, infatti, soprattutto nello studio di contesti culturali fortemente caratterizzati dal sincretismo, non offrono  













32  Lipin´ski 1995, cf. ad es. pp. 137 ss., 435 ss. 34  Benko 2004, p. 4. 33  García-Bellido 1991 ; 1997 ; 1998. 36  Pavis D’Escurac 1975-1976. 35  Cadotte 2007. 37  Ben Abdallah – Ennabli 1998. Cadotte menziona altri autori ma solo in bibliografia. 38  Cadotte 2007, p. 6.  



chiavi di lettura adeguate a esplorare fenomeni che vanno invece esaminati proprio nella loro specificità. Questo è il motivo per cui il mio lavoro percorre un itinerario inverso rispetto a quello che propugna Cadotte : non dalle sintesi generali (e, necessariamente, generiche) ai singoli temi, bensì al contrario, dall’analisi di precisi casi di studio ben contestualizzati alla valutazione d’insieme. Per quanto riguarda Caelestis poi, la bibliografia appare insufficiente : gli studi menzionati da Cadotte, oltre a essere limitati, si fermano a Pavis D’Escurac, 36 con l’eccezione dell’articolo di Ben Abdallah-Ennabli. 37 L’impianto del lavoro, a detta dello stesso Cadotte, si basa sulla volontà di offrire uno studio globale sugli dèi dell’Africa del Nord. L’approccio dello studioso, che ritiene limitativa l’analisi dei singoli casi, ha come presupposto l’idea che « (…) la religion d’un peuple forme un tout, un ensemble de cultes divers qui n’évoluent pas en vase clos ; pour saisir en profondeur la nature des influences diverses dont ils sont l’object, il devient alors nécessaire de les analyser globalement ». 38 Traspare qui chiaramente il concetto di religione come canone astratto, come sistema, quale è difficilmente applicabile ai politeismi del mondo antico. L’obiettivo della ricerca di Cadotte che, essendo posto a priori, ne rivela la debolezza metodologica e il vizio di forma, appare quindi la dimostrazione che « (…) les dieux traditionnels africains, quoique recouverts par des divinités romaines, ont pour la plupart conservé une large part de leur nature d’origine et sont restés africains dans l’esprit ». 39 Parlare di “natura d’origine” e di “spirito” intrinseco significa dotare le divinità considerate di vita propria, di un’essenza che le pervaderebbe attraverso la storia. Un approccio metodologico inammissibile : un’analisi, per potersi considerare storica (e non teologica), deve infatti mirare alla ricostruzione delle figure divine (complessi simbolici prodotti dalle culture umane) evidenziandone funzioni e prerogative, elementi tradizionali e trasformazioni spazio-temporali, ma sempre all’interno dei diversi contesti storico-culturali esaminati e non come entità ontologiche che da essi, in minima parte o in tutto, trascendono. Partendo dal presupposto appena segnalato, appare normale per Cadotte parlare di interpretatio romana e graeca come di fenomeni “naturali”, 40 quando sarebbe stato indispensabile definirli “culturali”. E sulla stessa scia interpretativa, afferma lo studioso, se gli dèi africani sono stati « (…) recouverts d’un vernis romain, ils ont néanmoins conservé, durant tout la période qui nous intéresse, une grande part sinon l’essentiel de leur personnalité originelle ». 41 Definire l’interpretatio romana come una vernice postulando un’ “essenza della personalità originale” significa operare arbitrariamente una categorizzazione astorica delle divinità considerate. Lo studio di un fenomeno storico-religioso nel tempo comporta la ricostruzione, nei limiti del possibile, dei percorsi che hanno portato alla trasformazione di una determinata divinità o di un determinato culto ; non si possono pertanto selezionare parti o elementi e considerarli come “originali” : ogni  





































39  Ibidem, p. 7. 41  Ibidem, pp. 9-10.

40  Ibidem, p. 9.

uno sguardo alla storia degli studi divinità, in qualsiasi momento della sua storia, è un’unità in sé coerente, così la concepisce chi la venera, così deve considerarla chi la studia. Anche per quanto riguarda l’analisi sociale del culto degli dèi africani, il lavoro di Cadotte suscita qualche perplessità. Egli �������������������������������������������������������� presenta la posizione dei dignitari locali come determinata da un “dilemma” tra la scelta dei vecchi e dei nuovi culti, 42 un approccio psicologistico che sembra implicare una scelta “a tavolino” : « Il s’agissait de continuer à honorer le dieu local et traditionel, mais en lui donnant une allure romaine, d’abord en l’identifiant au dieu latin avec le quel il partageait le plus de points en commun, puis en romanisant son culte par l’érection d’un ou de plusiers monuments (…) conformes à l’esprit et à l’esthétique gréco-romains, par la reforme terminologique du clergé (…) et enfin par l’adoption des usages romains pour invoquer la divinité (…). De la sorte le culte ainsi trasformé apparaissait tout à fait conforme aux usages romains, sans que le dieu ne perde nécessairement sa personnalité d’origine auprès des populations locales qui, hors de voies officielles, continuaient sans doute à l’invoquer selon la façon traditionnelle, du moins au début ». 43 Ritenere ���������������� il sincretismo un’operazione coscientemente e artificialmente ricercata dalle élites indigene ha come conseguenza la liceità, da parte dello studioso, di porsi una domanda che, dal punto di vista storico-religioso, appare priva di senso : « (…) comment savoir, lorsqu’une divinité composite est mentionnée dans un document, à la quelle de ses identités son adorateur s’adresse de préférence : la romaine ou l’autre ? ». 44 Più fondatamente, il documento è lo strumento per mezzo del quale è possibile cercare di ricostruire la personalità di una determinata figura divina in uno specifico contesto spazio-temporale ; se si tratta, come nel caso delle divinità dell’Africa imperiale, di figure che affondano la loro origine nel passato libico-berbero e/o punico, sarà importante rintracciarne gli elementi tradizionali e quelli nuovi, ma senza mai cercare di separarli : essi concorrono tutti a pieno titolo alla caratterizzazione della loro personalità. L’interpretatio romana non può quindi essere considerata come semplice “vernice”, ma rappresenta il risultato di un processo di riadattamento a cui i fenomeni religiosi – come, del resto, gli altri fenomeni culturali – sono sottoposti nel continuo mutare dei contesti socioculturali di cui sono espressione. Più interessante appare invece il tentativo di Cadotte di catalogare le iscrizioni distinguendole per provenienza geografica in quanto ciò permette « (…) à l’observateur attentif de saisir à sa pleine mesure l’importance des particularités locales en plus de pouvoir dresser plus facilement un tableau des panthéons régionaux et de saisir les différentes relations que les différentes divinités d’un lieu donné pouvaient entretenir entre elles ». 45 D’altra parte, il peso che lo studioso attribuisce al materiale epigrafico comporta, a mio avviso, una visione parziale del fenomeno religioso considerato. Per sua stessa ammissione « (…) le sources littéraires, nusmimatiques et archéologiques ont été également utilisées quand elles venaient compléter avec ef 

































42  Ibidem, p. 11. 44  Ibidem, p. 12. 46  Ibidem, p. 15. 48  Ibidem.

43  Ibidem, pp. 11-12. 45  Ibidem, p. 14. 47  Ibidem.

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ficacité les données épigraphiques ». 46 Cadotte definisce i documenti epigrafici « (…) de loin les plus importants », 47 tuttavia anche su questi compie una selezione in base a un criterio a dir poco arbitrario : « Évidemment, face à l’abondance des inscriptions, il a fallu procéder à une sélection et n’ont été répertoriées que celles qui concernaient clairement une ou plusieurs divinités paraissant constituer l’interpretatio romana d’un dieu local, en montrant des particularités qui semblaient résulter de mélanges des traditions différentes, soit des épithètes africanisantes ou sémitisantes, des associations peu communes résultant de substrats lybico-puniques, ou un contexte archéologique laissant entrevoir une altération de la nature traditionnellement romaine de la divinité ». 48 Il fatto che in alcuni luoghi ci siano attestazioni delle divinità senza queste caratteristiche non significa necessariamente che non ci sia anche lì in atto un processo di reinterpretazione, ecco perché sono fondamentali gli apporti di tutte le fonti documentali. Decisamente inammissibile è infine l’affermazione di Cadotte che il pantheon africano « (…) a conservé l’essentiel de sa personnalité malgré (corsivo mio) plusieurs siècles de domination romaine ». 49 Simili giudizi di merito non possono essere presi in considerazione in un lavoro che si vuole scientifico. Nelle sue conclusioni lo studioso ripropone i punti-cardine della sua interpretazione. In particolare, egli ribadisce la superficialità della romanizzazione che lo porta a definire l’interpretatio come un “compromesso”, che avrebbe consentito agli Africani di continuare a coltivare la “fede berbera” adottando le istituzioni romane e, al tempo stesso, attraverso la romanizzazione, le tradizioni africane avrebbero trovato nuovi modi di espressione. 50 Ancora altre osservazioni potrebbero essere fatte sull’approccio metodologico utilizzato da Cadotte ma, ai fini della mia indagine, sono sufficienti le considerazioni finora presentate. Ho ritenuto però necessario dedicare ampio spazio alla discussione del lavoro di Cadotte dal momento che lo studioso, pur con presupposti e metodologia fondamentalmente differenti dai miei, affronta anch'egli il tema della romanizzazione delle divinità africane. Il confronto con il suo approccio e con le sue tesi di fondo, e la comparazione tra il materiale da entrambi raccolto, ha costituito infatti un ulteriore stimolo ad approfondire molti aspetti della mia analisi. Questa rassegna sulla storia degli studi, senza avere pretese di esaustività, è servita a mettere in luce i limiti dei due principali metodi d’indagine con cui è stata esaminata la figura di Caelestis : da una parte, il tentativo di inserirla all’interno delle grandi sintesi sulla religione africana che, peccando in genericità, ha avuto come conseguenza una rappresentazione della divinità non del tutto aderente ai dati oggettivi posseduti ; dall’altra, lo studio meticoloso ma settoriale delle fonti che ha prodotto risultati inevitabilmente parziali. Va però aggiunto che, accanto a questi limiti, i lavoro degli studiosi menzionati ha determinato anche guadagni notevoli per quanto riguarda la conoscenza della dea e della sua storia. Saranno proprio questi a costituire il punto di partenza della mia indagine.  





























49  Cadotte 2007, p. 20. E ancora a p. 385 in riferimento alle divinità africane in epoca romana (corsivi miei) : « (…) ceux-ci, malgré des noms latin et en dépit de leurs vêtements gréco-romains, n’ont jamais véritablement 50  Ibidem, p. 423. perdu leur identità libyco-punique ».  





3. L’EREDITÀ FENICIO-PUNICA : DA ASTARTE E TINNIT ALLA DEA AFRICANA  

hiunque si trovi a occuparsi di religione e religioni dell’Africa romana deve misurarsi con il lavoro di M. Leglay ; la grande competenza con la quale lo studioso affronta una mole di materiale enorme è fuori discussione. Se, come è destino di tutti i lavori scientifici, negli anni successivi alla sua pubblicazione nuove piste di indagine e nuovi documenti hanno modificato o reso meno solide alcune interpretazioni di Leglay, nulla può essere tolto al valore basico di una ricerca che resta ancora oggi esemplare. Una critica tanto severa quanto, a mio avviso, inconsistente, è stata recentemente indirizzata alla monografia di M. Leglay su Saturnus africano. 1 Dal momento che tale critica potrebbe essere rivolta anche al presente lavoro, sarà da una riflessione su quello di Leglay che prenderà le mosse questo capitolo. Stupisce non poco il giudizio espresso in un libro recente da Ch. Frateantonio, secondo la quale « (…) das Defizit dieses Vorgehens liegt darin, dass das Verhältnis punischer und römischer Saturnkulte zueinander unklar bleibt und die lokalen Religionsgeschichten auf einzelnen Kult beschränkt bleiben ». 2 La risposta alla seconda obiezione è ovvia : avendo Leglay scelto come oggetto del suo studio Saturnus non era né previsto, né tanto meno possibile, che egli ricostruisse ogni volta la storia religiosa dei numerosi centri esaminati. Lo studioso francese non ha comunque trascurato questo aspetto e, nella sua rassegna sulle fonti, egli indica sempre, per i diversi centri considerati, le attestazioni relative ad altri culti oltre a quello di Saturnus. Per quanto riguarda l’altra obiezione, che potrebbe essere sollevata anche nei confronti del presente studio in riferimento ai rapporti tra Tinnit e Caelestis, quella cioè riguardante il problema, molto spesso incontrato, di chiarire i rapporti tra culto punico e culto romano, l’indeterminatezza che la studiosa rileva non è da imputare a Leglay, ma alle fonti stesse. La loro rassegna rivela che in molti casi un determinato culto, attestato in epoca pre-romana, continua a essere praticato anche in seguito e si passa, senza evidenti fratture, da manifestazioni “genuinamente” (almeno in apparenza) puniche a forme devozionali più “romane”, senza che sia possibile fissare la linea di demarcazione che dividerebbe i due tipi di culto. Il formulario delle iscrizioni può, ad esempio, esprimersi secondo i canoni della tradizione epigrafica latina e le rappresentazioni iconografiche risultare ancora largamente debitrici alla tradizione punica ; ancora più complicati appaiono poi quei casi in cui, nonostante l’ epoca tarda, ci imbattiamo in stele anepigrafi rozzamente decorate. Tan-

to per il culto di Saturnus quanto per quello di Caelestis non esiste naturalmente una data ufficiale a partire dalla quale, in tutti i centri africani dove tali culti sono attestati, si sia abbandonato il retaggio punico in favore di forme più o meno romanizzate. 3 Solo in alcuni casi questo processo è abbastanza chiaro e documentato, come ad esempio a Thinissut ; in altri luoghi probabilmente tale processo non è mai avvenuto, come in qualche santuario sperduto dell’entroterra ; in altri casi ancora forme diverse possono aver convissuto fianco a fianco, come dimostra l’esistenza in piena epoca flavia di un sacerdote di Baal Hammon e Tinnit. 4 Fatta questa premessa, in questo capitolo mi propongo, senza la pretesa di scrivere una monografia nella monografia, di riesaminare quegli aspetti di Caelestis che sembrano appartenere alla sua eredità punica e, di riflesso, fenicia. 5 Un punto di fondamentale importanza è, conseguentemente, la messa a fuoco dei rapporti – morfologici e funzionali – che legano Caelestis alle dee fenicio-puniche Astarte (Ôštrt) e Tinnit (tnt). 6 Nella storia degli studi si è quasi sempre fatto riferimento a Caelestis come alla forma romanizzata di Tinnit. Qualche voce discordante ha poi chiamato in causa anche Astarte, senza che si sia riusciti a fornire prove convincenti in un senso o nell’altro. Ciò sembra derivare dal fatto che le due dee fenicio-puniche sono, a loro volta, unite da una relazione di somiglianza/identità difficile da decifrare. 7 In ogni caso, entrambe hanno profondamente e variamente influenzato la figura di Caelestis al punto che si può fondatamente postulare una continuità-eredità storica, anche se Caelestis, qualunque siano i suoi antecedenti, è comunque una divinità specifica con caratteristiche sue proprie che ne fanno qualcosa di diverso da una semplice “traduzione”. Anche alla luce di tutto questo, a maggior ragione, risulta necessario indagare sul suo passato per rintracciare gli aspetti di continuità che presenta questa figura rispetto ai suoi possibili antecedenti e per meglio individuare le caratteristiche nuove che le consentono di assumere un ruolo speciale nel dialogo tra la periferia provinciale e il centro dell’Impero. D’altra parte bisogna fare attenzione a non attribuire a Caelestis una vita propria, scissa dal contesto storico-sociale che di volta in volta la crea, la modifica, l’adatta. Gli studiosi, come già detto, si dividono tra quanti, la maggior parte, vedono Caelestis come l’equivalente romano della punica Tinnit, 8 e quanti, invece, a dire il vero un’esigua minoranza, invocano Astarte come suo diretto antecedente. 9 In entrambi i casi rimane un ampio margi-

1  Leglay 1966a e i complementi apportati in Leglay 1988. 2  Frateantonio 2003, p. 37 n. 77. 3  Cf. ad esempio il santuario di Cartagine, Hurst 1999. 4  Cf. Baradez 1957. 5  Sulle diverse forme in cui la tradizione punica continua a sopravvivere in epoca romana cf. tra gli altri Millar 1968 e, più recentemente, Fantar 1990 e Vismara 1990. 6  Le due dee sono prese in considerazione solo per quanto riguarda

i loro aspetti strettamente funzionali alla ricerca in corso senza nessuna pretesa di fare il punto sulla loro morfologia, per cui si rimanda agli studi più recenti e accreditati. 7  Aspetto sottolineato numerosissime volte nella bibliografia relativa. 8  Questa opinione è condivisa dalla maggior parte degli studiosi, cf. cap. 2. 9  Cf. Lipin´s ki 1995 seguito da S. Bullo, cf. Bullo 1994, p. 1597 e Bullo – Rossignoli 1998, pp. 256-257.

3. 1. Introduzione

C

































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ne di ambiguità e il riferimento all’una o all’altra dea non riesce comunque a dare ragione della complessa personalità di Caelestis. 10 Ciò è, a mio avviso, dovuto a due problemi di importanza fondamentale. Il primo, come sopra accennato, riguarda i rapporti tra le due dee fenicio-puniche che, pur distinte nelle loro prerogative, appaiono inequivocabilmente legate da una stretta relazione e, in molte circostanze, presentano una certa sovrapposizione di qualità e attributi. Il secondo problema riguarda invece la storia di Caelestis : questa divinità appare “ufficialmente” più di un secolo dopo la distruzione di Cartagine. Dobbiamo pensare che Tinnit (ma anche Astarte) abbia continuato a essere venerata anche dopo la sconfitta dei Punici, ma non sappiamo bene secondo quali forme e modi. Quando compare Caelestis, o meglio Iuno Caelestis, abbiamo già a che fare con una divinità che si è scelto di venerare con un nome romano. Per quanto ella costituisca la versione latinizzata della divinità poliade cartaginese, la sua “traduzione” non può non aver coinvolto, oltre al livello linguistico, anche quello ideologico. E questo passaggio risulterà più chiaro nella storia successiva della dea che pur rimanendo, anzi proprio perché rimane, “africana”, diventa una delle interlocutrici privilegiate del potere imperiale in questa provincia. La continuità che lega Tinnit e Astarte a Caelestis non va tanto ricercata a livello di personalità individuale, 11 quanto soprattutto funzionale. Caelestis trova una propria collocazione nel nuovo pantheon romano-africano coprendo dei campi d’azione che non coincidono in toto né con quelli di Tinnit né con quelli di Astarte, ma che nella sua figura sono assorbiti attraverso una rielaborazione di aspetti e caratteristiche di entrambe. Il fatto stesso che gli antichi abbiano “tradotto” con il nome di Hera/ Iuno tanto (quello di) Tinnit che (quello di) Astarte mette già in evidenza la difficoltà di una perfetta e univoca identificazione della dea greco-romana con una delle due divinità fenicio-puniche. 12 Quando ci troviamo di fronte al solo nome di Hera/Iuno possiamo forse domandarci se dietro si celi Astarte o Tinnit, ma quando accanto a questo compare l’epiteto di Caelestis, possiamo essere sicuri che siamo davanti a qualcosa di totalmente nuovo. M. Sznycer, tra gli altri, ha chiaramente messo in luce i limiti insiti nei tentativi di trovare precise e costanti identificazioni tra divinità puniche e nomi greco-romani : « (…) il ne faut jamais perdre de vue que cette tendance à l’identification n’était nullement uniforme, tout en étant

unilatérale. Les identifications variaient suivant le lieu et la date. Quand un auteur grec, par exemple, nous présente une divinité phénicienne ou punique affublée de son nom grec équivalent, il est souvent malaisé de discerner la nature véritable de cette identification ou de savoir dans quelle mesure elle a pu être partagée par les uns et par les autres. Dans cette perspective, l’utilisation systématique et globalisante de ces identifications en vue de définir les traits d’une divinité phénicienne ou punique ou de délimiter sa place dans le panthéon constitue sans doute une erreur de méthode ». 13 Si tratta di un problema complesso che, in alcuni casi, ha suscitato ampi dibattiti senza che sia stato possibile giungere a soluzioni definitive. 14 Una delle testimonianze da cui più chiaramente emerge la difficoltà di individuare le divinità fenicio-puniche celate dall’interpretatio classica è il celeberrimo “giuramento di Annibale” menzionato da Polibio 15 e pronunciato dal generale cartaginese nell’ambito del patto da lui stipulato, nel 215 a.C., con il re Filippo V di Macedonia. Nel giuramento, probabile versione greca di un testo punico, 16 sono menzionate varie divinità 17 tra cui Hera e il daivmon Karchdonivwn. Come per le altre, anche per queste ultime due non è stato possibile stabilire con certezza a quali divinità puniche si facesse riferimento e le ipotesi degli studiosi hanno oscillato tra Tinnit e Astarte. 18 Un’altra fonte classica di estremo interesse, ma anch’essa non priva di ambiguità per quanto riguarda l’interpretatio, è l’Eneide in cui Virgilio, come è noto, fa di Iuno la dea protettrice della città di Cartagine e dei suoi abitanti. Uno studio di F. Della Corte 19 ha analizzato i passi che la riguardano delineandone i tratti caratteristici e cercando di valutare in che misura le dee che effettivamente erano venerate dai Punici possano aver influito nell’elaborazione della Iuno virgiliana. Una sua prima osservazione riguarda il fatto che la Iuno presentata da Virgilio è una dea profondamente legata ai Cartaginesi, che ella predilige sopra tutti e a cui essi tributano un culto importante. 20 Il riferimento al carro e alle armi che la dea teneva nella città 21 non sarebbero però da ricondurre ai tratti bellicosi di una dea punica, ma sarebbe dovuto piuttosto alla proiezione che Virgilio fa su questa figura delle caratteristiche della Iuno sabina di Tivoli, come emerge dal commento di Servio. 22 Le testimonianze di Ovidio, 23 Apuleio 24 e Tertulliano 25 mostrano di dipendere, almeno in parte, da Virgilio, soprattutto per quanto riguarda la collocazione del tempio di Iuno. 26 Alle caratteristiche guerriere della dea si aggiungono quelle legate alla sfera del matrimonio, affini a quelle di Hera-Zygia

10  Cadotte 2007 mentre da una parte considera la possibilità che Caelestis abbia mutuato tratti da entrambe le dee (p. 77), dall’altra ritiene possibile operare una distinzione tra i casi in cui Caelestis ha come antecedente Astarte e quelli in cui ha invece Tinnit (p. 84). Si tratta di una distinzione, a mio avviso, inconsistente in quanto Caelestis è, in ogni caso, una divinità “altra” rispetto a Tinnit e Astarte e presenta non solo elementi di continuità con esse ma anche differenze rilevanti, aspetti che vanno considerati in un quadro unitario senza sezionamenti “a tavolino”. 11  Cioè come semplice “traduzione” in termini latini del nome e del personaggio divino punico. 12  Sintesi delle fonti in Bonnet 1996, pp. 102-104. 13  Sznycer 1995, p. 102, cf. anche Sznycer 1981, in partic. pp. 425-426 e prima ancora Xella 1971. 14  Sul problema dell’interpretatio cf. cap. 6.1 e in part. n. 1. 16  Cf. Bickerman 1944. 15  Polyb., VII 9, 1-4. 17  Cf. Xella 1971 ; Huss 1986 ; Ribichini 1991 e gli altri autori menzionati nelle note successive.

18  Ad esempio Hera viene identificata con Astarte da Ribichini 1991, p. 28 e da Lipin´s ki 1995, p. 148. È invece identificata con Tinnit da Picard 1954, p. 84 ; Février 1956, p. 17. Il daivmon Karchdonivwn è Tinnit per Ribichini 1991, p. 28 e Marín Ceballos 1995, p. 838 ; uno sdoppiamento di Tinnit 19  Della Corte 1979. per Gsell 1929, p. 266. 21  Ibidem. 20  A 38. 22  Serv., In Verg. Aen. I 12 e inoltre I 16 ; II 614 ; I 8, menzionato in Della Corte 1979, p. 652. Aggiunge lo studioso : « L’immagine della Iuno Curitis, presente a Virgilio, non esclude la possibilità che una divinità guerriera di sesso femminile fosse venerata prima in Fenicia e poi a Cartagine, ma tutto lascia credere che il pubblico romano recepisse l’immagine ben nota 23  A 23. di una Iuno italica, mentre ignorava la Iuno punica ». 25  A 34 e 36. 24  A 2. 26  Non va però sottostimato il fatto che Apuleio e Tertulliano, entrambi africani, avevano una conoscenza diretta di Cartagine e della sua topografia.











































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dea caelestis Di conseguenza è in riferimento ad Astarte che la colonia graccana fondata sulle macerie di Cartagine sarebbe stata chiamata Iunonia. Per Lipin´ski, quindi, la Iuno o Dea Caelestis romano-africana « (…) répond à Astarté et pas à Di conTannit, comme on le soutient habituellement ». 32 ������� seguenza Tinnit sarebbe da identificarsi solo con la dea leontocefala africana e con le romane Ops e Nutrix. Questi pochi esempi bastano a far riflettere sulle difficoltà e i limiti di una lettura delle fonti che utilizzi un codice di “traduzione” rigido e, soprattutto, applicabile in tutte le circostanze. Le scelte dei singoli, siano essi gli scrittori classici o i dedicanti delle epigrafi, sono legate a fattori molteplici e rispondono a esigenze diverse, che vanno approfondite individualmente senza tentare di tracciare un quadro sistematico che, come tale, non è mai esistito. Passiamo ora a esaminare alcuni dei tratti salienti delle due divinità fenicio-puniche per evidenziare i possibili influssi esercitati sulla personalità della dea Caelestis.

e Iuno Lucina. Lo studioso deduce che la sovrapposizione delle caratteristiche di Iuno e Venus per quanto riguarda la sfera dell’amore, abbia potuto portare alla “confusione” tra le due dee, con la conseguenza che, nell’Africa romana, a Cartagine la dea punica tutelare della città è chiamata Iuno mentre a Sicca è Venus. La dea in questione sarebbe, per Della Corte, Astarte, la quale mostra un carattere dalle molteplici sfaccettature che variano nel tempo e nello spazio. Secondo lo studioso, quindi, la Iuno virgiliana sarebbe da connettere con Astarte, anche se egli aggiunge che « col fare di Iuno la dea che ha sotto la sua tutela Cartagine, Virgilio, pur non discostandosi dalla interpretatio romana della greca Hera, deve aver avuto sentore dell’esistenza anche di un’altra dea punica, spesso collegata con Astarte, Tanit ». 27 Secondo Della Corte la Iuno di Malta è « (…) a un tempo tanto Astarte, quanto Tanit e per i Greci Hera ». 28 L’ipotesi di Della Corte è che Astarte e Tinnit, che erano distinte in ambiente punico, non avrebbero avuto più culto per il secolo successivo alla distruzione di Cartagine. Successivamente, in seguito alla romanizzazione, « (…) Astarte si identificò con Iuno ; Tanit, mentre da parte greca continuò ad identificarsi con Hera, da parte romana finì, sotto l’impero, per diventare Dea Caelestis, il cui nome in fondo altro non era se non un epiteto ; la dea fu assimilata, a sua volta, a causa della fecondità di cui era protettrice, con Ops la moglie di Saturno ». 29 Lo studioso, che propone una distinzione troppo netta tra l’interpretatio romana di Astarte e quella di Tinnit, dimentica però che Caelestis fu, all’inizio della sua storia, invocata come Iuno Caelestis e che solo in seguito fu identificata per mezzo dell’epiteto senza il nome. Ancora più ipotetiche si rivelano le sue tesi in relazione all’identificazione, in alcuni casi, di Tinnit-Caelestis con Aphrodite-Venus, 30 trattandosi di un’identificazione non provata e mai attestata in Africa. Basandosi sulla descrizione della Iuno virgiliana e senza le cautele avanzate da Della Corte, E. Lipin´ski connette senza sfumature Astarte a Caelestis escludendo ogni contatto tra la dea dell’Africa romana e Tinnit. Egli, facendo appunto riferimento a Virgilio, deduce dalla sua testimonianza che il tempio che Didone dedica a Iuno vada identificato con quello di Astarte, divinità guerriera, dal momento che nel santuario erano custodite le armi e il carro della dea. Il santuario, sempre secondo Lipin´ski, distrutto nella presa di Cartagine, era stato poi ricostruito in epoca romana e dedicato a Iuno Caelestis « (…) qui n’etait que la continuation de l’Astarté de la première Carthage ». 31

Prima di rivolgerci alle testimonianze su Astarte è opportuno almeno menzionare la dea definita come “Regina del cielo” che compare nell’Antico Testamento, in due passaggi del profeta Geremia, 33 e nelle lettere aramaiche di Hermopolis, 34 la cui identificazione con Astarte è però discussa. 35 Alla dea Astarte, con particolare riguardo alla raccolta delle fonti disponibili, soprattutto scritte, è stata recentemente dedicata una monografia da parte di C. Bonnet, 36 alla quale quindi rimando per un’analisi esaustiva della dea e del suo culto. Mi limiterò qui a evidenziare quegli aspetti della sua personalità che si avvicinano alle prerogative di Tinnit e che possono essere entrati in gioco nell’elaborazione della figura di Caelestis. Nell’introduzione al suo lavoro la Bonnet sottolinea come, parlando di Astarte, si debba far riferimento a micro-realtà culturali e storiche che variano nel tempo e nello spazio e che mettono in luce ora uno ora un altro dei suoi diversi aspetti. 37 Per quanto riguarda la Fenicia, la Bonnet individua alcuni degli attributi più ricorrenti della divinità : « Liée à la guerre et à la chasse, déesse céleste ou astrale, déesse marine, protectrice de la descendance, de la famille et tout particulièrment de la maison royale, elle n’est donc pas seulement une déesse de l’amour et de la fécondité. Elle a en outre une importante dimension poliade qui n’a pas échappée aux auteurs classiques eux-mêmes ». 38

27  Della Corte 1979, p. 657. 28  Ibidem. 29  Ibidem. 30  La notizia di Val. Max. II, 6, 15 non è da riferirsi al culto di Caelestis e l’identificazione di Firmico (A 14) sembra dovuta a un’interpretazione personale dell’autore in base al parallelo tra le credenze dei Siriani e quelle degli Africani. 31  Lipin´s ki 1995, p. 147. 32  Ibidem, p. 148. Lo studioso menziona poi una serie di fonti classiche per accreditare l’ipotesi di una perfetta corrispondenza tra la Iuno punica e Astarte, ma esse sono presentate in modo troppo semplicistico, senza alcuna contestualizzazione storica e culturale ; basti dire che egli menziona Tertulliano che stabilisce un parallelo tra Caelestis africana e Astarte siriana per aggiungere poi in nota che Tertulliano stesso si guarda bene dall’identificarle, cf. Lipin´s ki 1995, p. 149. Allo stesso modo egli utilizza le fonti epigrafiche e iconografiche : sulla stele di Mididi, dove Caelestis sul leone compare accanto a Saturnus, Lipin´s ki identifica la dea con Cybele e in un’iscrizione di Thinissut dà, come alternativa equivalente a C(aelesti) A(ugustae) S(acrum), C(ybelae) A(ugustae) S(acrum), idem, p. 151. L’inten-

to è ovviamente quello di negare ogni possibile identificazione tra Tinnit e Caelestis. 33  Ier. 7, 17-18 e 44, 15-28. 34  TSSI II 137 ss. Sulle lettere di Hermopolis cf. soprattutto Milik 1967. 35  Probabile riferimento, più che ad Astarte, a Ishtar, cf. Olyan 1987 e Dahood 1960 (che pensava all’ugaritica Shapash). La Bonnet propone di non ricercare dietro a questa espressione il riferimento a una divinità precisa : « Derrière cette appellation devons-nous forcément rechercher un nom ? Par ce titre, ne désignerait-on pas, une fois encore, la déesse cananéenne, dont l’aspect céleste était effectivement important, surtout à une époque où l’astralisation des cultes, sous influence effectivement babylonienne, était assez marquée ? Qu’elle fut Astarté, Anat, Ashéra ou Ishtar était peut-être indifférent aux fidèles qui s’adressaient à elle sous cet appellatif, d’autant que l’Ancien Testament nous a antérieurment fourni plus d’un indice d’une confusion entre Ashera et Astarté », Bonnet 1996, p. 62. 36  Bonnet 1996, per i limiti obiettivi che impediscono un approfondi37  Ibidem, p. 15. mento dell’iconografia cf. p. 17.

















3. 2. Astarte







































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Astarte è identificata con varie divinità, Hera/Iuno, Leucothea/Mater Matuta, Artemis, Hathor e Isis, anche se la sua interpretazione più tradizionale è quella con Aphrodite. 39 Come Aphrodite Ourania essa è menzionata due volte dalla comunità ascalonita di Delos 40 e ancora con tale epiteto ricorre in una dedica del Pireo da parte di un abitante di Kition. 41 Nelle fonti classiche è a partire da Erodoto, 42 da cui dipende Pausania, 43 che Aphrodite Ourania viene ricondotta ad Astarte e a un’origine orientale (da Ascalona sarebbe passata a Cipro e poi a Citera). Al di là dell’effettiva realtà storica di questa testimonianza, la Bonnet fa notare che, in ogni caso, per la tradizione classica, Ourania rimandava a un contesto orientale e che, attraverso i Fenici, il suo culto si era diffuso a Cipro e in Grecia. Per i Greci la dea in questione sarebbe stata Astarte e prima ancora Ishtar, anche se poi l’appellativo di Ourania si sarebbe staccato da un rapporto così stretto con l’Oriente per raggiungere una propria autonomia. 44 Tale appellativo era del resto conforme alle prerogative uraniche e astrali di Astarte come ha messo in evidenza S. Ribichini. 45 I Greci, che la interpretavano come Aphrodite, aggiungevano appunto l’epiteto Ourania, 46 e connotazioni astrali sono rinvenibili in fonti classiche di vario genere. 47 La dea appare poi in stretta connessione con un astro specifico, in particolare la stella del mattino. 48 Secondo Ribichini « prima ancora di Tanit (…), Astarte è rmpn, secondo una particolare ideologia religiosa che la vede regina del cielo, la identifica con un astro (…) e ne colloca il “volto” nella realtà del cielo stellato, nel regno di quel Baal signore dei cieli a lei connesso in un insieme di rapporti che purtroppo per la gran parte ci sfuggono, ma nei quali vanno ora più verosimilmente inserite e riconsiderate le origini di espressioni come pn bÔl e šm bÔl, sì da chiarire sempre meglio la complessa e problematica personalità della principale dea fenicia ». 49 Nel suo aspetto di signora del pantheon e protettrice della regalità e della città, Astarte viene assimilata a Hera, 50 mentre per l’ambito della caccia la dea si avvicina ad Artemis. 51 Per quanto riguarda l’Africa, 52 non c’è dubbio sulla presenza di un culto di Astarte a Cartagine e in altri centri,

A Tinnit è stata dedicata una monografia da F.O. Hvidberg-Hansen, 60 la quale raccoglie un vasto materiale presentato però senza un sufficiente rigore metodologico. A parte il fatto che le testimonianze su Caelestis vengono sistematicamente proiettate all’indietro per evidenziare caratteristiche che sarebbero proprie di Tinnit, appare subito chiaro che l’obiettivo dello studioso è quello di collegare la dea punica alla ÔAnat di Ugarit. Da qui lo sforzo sistematico di Hvidberg-Hansen di stabilire uno stretto parallelo tra le funzioni di Tinnit e quelle di Artemis, per poi mettere in risalto le affinità di quest’ultima con ÔAnat. In particolare, lo studioso ritiene che l’identificazione di Tinnit con Artemis non dipenda tanto dalle caratteristiche lunari, incerte per la prima e tarde per la seconda, quanto piuttosto dall’iconografia di entrambe che le vede alate e bellicose. Ma questo secondo tratto, per quando riguarda Tinnit, non appare nelle fonti a nostra disposizione e può essere invocato solo a prezzo di un’evidente forzatura. 61

38  Ibidem, p. 49. 39  Sul problema del sincretismo Aphrodite/Astarte cf. da ultimo Budin 41  IG 4636. 2004 e Ribichini 2005. 40  ID 1719 e 2305. 42  Her. I 105 e 131. 43  Paus. I 14, 7, secondo cui, però, il culto di Ourania risalirebbe agli Assiri e da questi sarebbe passato a Cipro e ad Ascalona e in seguito a Citera. 44  Bonnet 1996, pp. 89-90 ; sul culto di Aphrodite Ourania e le sue connessioni con l’Oriente cf. anche Osanna 1993. 45  Cf. Ribichini 1985, pp. 77-92. Nelle iscrizioni fenicie e puniche questo aspetto della dea sarebbe deducibile dall’associazione con il Signore dei cieli Baal Shamem e dall’iscrizione del re Eshmunazor dove Astarte è detta abitare nei šmm ∆drm (KAI 14, l. 16) ; infine la dea sarebbe da identificarsi con la mlkt šmyn dei testi aramaici di Hermopolis, cf. Ribichini 1985, p. 87 con bibliografia relativa e Ribichini 2005. 46  Cf. Erodoto, Pausania e le iscrizioni di Delos già menzionate. 47  Cf. Ribichini 1985, pp. 86-87. Lo studioso menziona le testimonianze di Her. V 6, 4 ; Luc. De Syr. Dea, 4 e Aug. De civ. Dei, VII 15 per una sua identificazione con la Luna ; le iscrizioni dalla Siria di epoca ellenistica e romana (su cui Vattioni 1972) ; le identificazioni di Astarte con Asteria, Astroarche, Astronoe e Leucothea. 48  Le fonti citate da Ribichini 1985, pp. 87-90 con riferimenti bibliografici : Suid. ∆Astajrth (a 4221) ; Sozom. Hist. eccl. II 5 ; Eus. PE I 10, 31 (riporta Filone di Byblos) ; monete di Tiro del III sec. d.C. (CCBM, Phoenicia

[Tyre], p. 283 n. 435 e 290 n. 471) e di Sidone (CCBM, Phoenicia [Sidon], pp. CXIII, 175 ss.) ; l’immagine aniconica della dea a Pafo (Serv. In Verg. Aen. I 720 ; Tac. Hist., II 3) ; stele di Yehimilk (CIS I, tav. I) ; una tessera da Palmira, la notizia di Isacco di Antiochia sul termine “Stella” e infine il passo di Amos 5 : 26, ripreso in Atti 7 : 43 con i relativi commentari (Ribichini 1987, 49  Ribichini 1985, pp. 91-92. pp. 81-86 e 89-90). 51  Ibidem, p. 95. 50  Bonnet 1996, p. 90. 52  Bonnet 1994 e 1996, pp. 97-108 ; una buona sintesi in Marín Cebal54  CIS I, 3914. los 1999. 53  Cf. Moscati 1968. 56  Ibidem, pp. 97-98. 55  KAI 73. 58  Ibidem, pp. 102-104. 57  Ibidem, pp. 106-108. 59  Ibidem, pp. 104-105. 60  Hvidberg-Hansen 1979, sintesi in Id. 1986. Cf. la favorevole recensione di Ferron 1986 e invece le fondate critiche di Moscati 1981. 61  Hvidberg-Hansen 1979. Egli si basa sulle monete di Ascalona dell’epoca di Adriano e di Antonino Pio su cui è ritratta una divinità femminile armata accompagnata dalla legenda “Fanhbalo~”, ma si tratta di una testimonianza isolata che non trova riscontro altrove. Un altro dato che l’autore prende in considerazione è la figura di Iuno nell’Eneide ma i suoi tratti guerrieri, come ha messo in evidenza Della Corte 1979, sono mutuati verosimilmente dalla Iuno laziale. Per quanto riguarda la rappresentazione della dea in forma leontocefala, il fatto che possa essere stata influenzata da quella dell’egiziana Sekhmet non implica che Tinnit ne condivida i tratti guerrieri. I tentativi di García-Bellido 1989, 1991 e 1998,















una presenza che, a differenza di quanto da alcuni sostenuto, 53 dovette essere continua e risalire alle origini stesse della città. I testimoni dell’arcaicità del culto sarebbero l’attributo di “libanese”, 54 che andrebbe riferito tanto a Tinnit che ad Astarte, e l’iscrizione su un medaglione databile al 700 a.C. 55 in cui la dea è menzionata insieme con Pygmalion. Questo nome rimanda all’ambiente dei Fenici di Cipro, dove conducono anche alcune tradizioni letterarie. Per quanto riguarda l’onomastica, è sufficiente consultare il repertorio elaborato dalla Bonnet alla fine del suo volume per verificare il permanere di una tradizione di antroponimi in cui è menzionata Astarte. 56 Fuori da Cartagine, in connessione con il culto di Astarte, possono menzionarsi Sousse, Mactar, e forse Kerkouane e Sicca Veneria. 57 Per quanto riguarda le fonti classiche, la Bonnet sottolinea come con il nome di Iuno si faccia riferimento a volte ad Astarte e altre a Tinnit senza che sia possibile stabilire un criterio univoco, 58 problema che si ritrova nell’iconografia dove non è facile distinguere le immagini delle due dee. 59  































3. 3. Tinnit  



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dea caelestis

Fig. 1. Statua fittile femminile, leontocefala, stante (Tinnit ?). Thinissut. III sec. a.C. Museo di Nabeul (LIMC VIII/2, s.v. Tanit, n. 7).  

Fig. 2. Rilievo in marmo con immagine di (Virgo) Caelestis seduta su leone. Ain Amara. Parigi, Museo del Louvre (LIMC VIII/2, s.v. Virgo Caelestis, n. 12).

l ’ eredità fenicio-punica: da astarte e tinnit alla dea africana

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La qualità virginale di Tinnit, che essa condividerebbe con Artemis, emerge poi solo nell’appellativo di Virgo dato a Caelestis, ma nulla dice che questo fosse un tratto qualificante già della dea punica. 62 Alla luce di queste osservazioni, non mi sembra opportuno rimandare alla suddetta monografia per quanto riguarda le informazioni su Tinnit le quali, in ogni caso, dato il carattere e i limiti delle fonti disponibili, sono ancora oggetto di ampie discussioni fra gli studiosi. Sull’importante dea poliade di Cartagine in epoca punica – testimonianze a partire da V sec. a.C. – si sono infatti riversati fiumi di inchiostro nel tentativo di determinarne al meglio origini e funzioni. Attestazioni inequivocabili ne documentano la presenza già in Fenicia 63 a partire dal VII-VI sec. a.C., 64 e appaiono così superate quelle teorie che ne facevano una divinità africana, dalle origini locali o egiziane. 65 Ciò non toglie che, nel suo passaggio da Est a Ovest, la dea abbia potuto assumere aspetti diversi da quelli che rivestiva in Oriente anche per influssi locali. Il suo culto in Fenicia non doveva essere primario 66 e, secondo un’iscrizione ritrovata a Sarafand-Sarepta, 67 emerge che vi era una stretta associazione tra Tinnit e Astarte, venerate nello stesso santuario. 68 Tale associazione si fa più distinta a Cartagine, dove un’iscrizione 69 del IV-III sec. a.C. attesta che le due divinità avevano differenti santuari anche se in probabile relazione. Tinnit è, innanzitutto, la “Signora” (rbt) del tofet, e questa funzione è esercitata in stretto rapporto con Baal Hammon. Il fatto che a Cartagine, dal V secolo in poi, la dea sia menzionata nelle iscrizioni prima del suo paredro non dimostra, a mio avviso, una sua “supremazia” rispetto al primo, quanto piuttosto una sua funzione particolare, come si evince anche dal suo epiteto caratteristico di pn bÔl. Tinnit è il “volto di Baal”, cioè la parte conoscibile e rivolta verso gli uomini del dio, 70 intermediatrice tra mondo umano e mondo divino. Attraverso la sua intercessione le preghiere e i sacrifici degli uomini giungono a Baal Hammon e, sempre attraverso la sua mediazione, egli concede loro ascolto e grazie. È veramente una madre (∆m) 71 misericordiosa, protettrice della sfera della fecondità, delle donne desiderose di concepire o di portare serenamente a termine la gravidanza, dell’infanzia e della famiglia. Queste prerogative Tinnit le condivide con il suo paredro, Baal Hammon, padre ancestrale e benefico. 72

È stato osservato che il numero enorme di dediche alla dea nel tofet determini un’impressione falsata della sua « (…) importanza effettiva nel pantheon e nel culto », 73 affermazione sorprendente dal momento che il tofet era il massimo santuario punico e che i riti che in esso si celebravano costituivano un culto a tutti gli effetti. La presenza sulle stele di epiteti di eccellenza come “madre”, “signora”, “nostra signora” rivela quindi la posizione prominente che la dea ricopriva nel pantheon. Alle caratteristiche nutrici e materne di Tinnit ha dedicato un articolo C. Picard, 74 il cui punto di partenza è un lavoro di M. Renard 75 su la Nutrix Saturni africana di epoca romana. Lo studioso aveva indicato come antecedente di tale personaggio il bassorilievo scolpito sul dorso di una Tinnit in trono ritrovata a Cartagine da P. Cintas. In esso la dea è rappresentata (forse) con un bambino tra le braccia 76 e la Picard si propone nel suo contributo di offrire altri paralleli. Ella menziona l’iconografia di Isis lactans che, in epoca ellenistica, avrebbe costituito il modello per le rappresentazioni della Tinnit punica : gli abiti della dea egiziana, rappresentata sui rasoi punici, 77 mostrano indubbie affinità con quelli di Tinnit sul sarcofago di Santa Monica e, nella sua forma leontocefala, a Thinissut. 78 A questa iconografia se ne affianca una più ellenizzante, derivata dalle immagini di Demeter-Kore, di cui sono un interessante esempio la statua già menzionata della c.d. “Gran Dama” scoperta da Cintas e la rappresentazione su un pendente proveniente dalla necropoli di Santa Monica, 79 in cui la dea è velata e accompagnata da simboli astrali : sarebbero questi gli antecedenti della più tarda Nutrix di Thinissut. 80 M.C. Marín Ceballos ha poi studiato le rappresentazioni di Tinnit nutrice nella Penisola Iberica, individuandone i prototipi in Grecia, poi passati nel mondo punico attraverso la Sicilia. 81 Un culto legato alle donne e alla sfera della femminilità è del resto già attestato a Sarepta nell’edificio in cui è stata ritrovata l’iscrizione che menziona Tinnit-Astarte. 82 Un’altra importante funzione di Tinnit sembra essere quella di dea del destino. C. Grottanelli 83 ha studiato le testimonianze inerenti a questa prerogativa : in un’iscrizione di Nora, dalla Sardegna, 84 datata tra la fine IV e il II sec. a.C., comparirebbe in riferimento a Tinnit l’appellativo gd, cioè Fortuna (Tyche). Ma Tyche è anche il Genius della città, tutelare e non strettamente legato al “destino” se non

di trovare attributi guerrieri nelle rappresentazioni di Tinnit su monete e in altri documenti iconografici o epigrafici sono altrettanto aleatori.

70  Cf. Michelini Tocci 1963, spec. p. 271 e Ribichini 1985, pp. 77-81. In greco l’epiteto è traslitterato fane bal o fenh bal a El-Hofra (ILAfr II, 505 e 507 ; KAI 175 e 176) ; in alcune monete da Ascalona del II sec. d.C. fanhbalo~ (CCBM, Palestine, pp. LXI-LXI, 129) ; in un’iscrizione latina da Sarmizegetusa di epoca imperiale troviamo infine menzionato il nome Benefal (B D 8). 71  Come tale è menzionata in CIS I, 195, 1-2 e 380, 4-5. 72  Su Baal Hammon cf. la monografia di Xella 1991. 74  Picard 1969. 73  Grottanelli 1982, p. 104. 76  Cintas 1952. 75  Renard 1959. 78  Cf. cap. 10.4. n. 296. 77  Cf. cap. 10.4. n. 366. 79  Cf. cap. 10.4. n. 368. 80  Cf. cap. 10.4. n. 369. La studiosa menziona anche una stele di Tharros su cui sarebbe rappresentata la dea con un bambino. Si tratta, più verosimilmente, del sacerdote/sacerdotessa che accompagna la vittima al sacrificio. Si tratta della stele n. 142 in Moscati – Uberti 1985. 81  Marín Ceballos 1987 ; 2001-2002 ; Marín Ceballos – Horn 2007. 83  Grottanelli 1982. 82  Pritchard 1978, p. 107. 84  RÉS 1222 (ICO Sardegna 25).























62  Ibidem, p. 20. 63  Per le attestazioni di Tinnit in Fenicia cf. Moscati 1979 ; Bordreuil 1985 ; Stieglitz 1990 ai quali va aggiunto ora Müller 2003. 64  Secondo Bordreuil 1985, p. 82,« au plus tard au VI siècle av. J.-C. ». 65  Bibliografia in Matthiae Scandone 1976 che, al di là dell’ipotesi dell’origine africana di Tinnit, fornisce interessanti informazioni sulle divinità con le quali Tinnit può essersi confrontata al suo arrivo in Africa, sul problema cf. cap. 4. 66  Sznycer 1995, p. 108 ; Bordreuil 1985, p. 85. 67  Pritchard 1978, pp. 104-107 e 1982 : hsml. ∆z pÔ | l šlm. bn m | pÔl bn Ôzy. l | tnt Ôštrt (« questa statua ha fatto šlm figlio di mpÔl figlio di Ôzy per Tinnit – Astarte »). Sull’iscrizione di Sarepta cf. Amadasi Guzzo 1990. 68  I due nomi sono giustapposti formando una “diade”, fenomeno non raro nel mondo fenicio-punico e che coinvolge divinità diverse. 69  Ritrovata nel 1898 nei pressi di Cartagine, a Bordj-Djedid, da Delattre, CIS I, 3914 (RÉS 17 = KAI 81) ; Inizio : lrbt lÔštrt wltnt blbnn (Alla/e signora/e Astarte e Tinnit del/nel Libano).



































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dea caelestis

in senso lato. Esso si ritrova a Ibiza, in Spagna, 85 sempre in connessione con Tinnit. Grottanelli riporta poi la tesi di Y. Yadin, 86 dichiarandone deboli gli argomenti etimologici a dimostrazione di Tinnit quale “dea del fato”, 87 mentre giudica più convincenti quelli storici : Yadin stabilisce un parallelo tra Tinnit e Manawat, dea palmirena, nabatea e meccana, menzionata anche nel Corano che, come Tinnit a Cartagine, era a Palmira associata a Baal Hammon. Il suo nome significherebbe “porzione, destino” e quindi avrebbe una funzione simile a quella di Tinnit gad. 88 Successivamente M.C. Marín Ceballos ha approfondito la questione : 89 la studiosa fa riferimento a J. Teixidor che ha studiato il termine gad nella Palmira ellenistico-romana, 90 sottolineando come questo concetto si trasformò nel corso del I millennio passando da quello di una divinità legata al destino a quello di una divinità protettrice di individui e luoghi. Marín Ceballos mette poi in risalto l’affinità con le testimonianze puniche su Tinnit a Ibiza e a Nora. Nel “giuramento di Annibale” è poi menzionato il daivmon Karchdonivwn e la studiosa fa notare che, all’epoca di Polibio, il termine daivmon indicava un essere intermediario tra gli dèi e gli uomini, personificazione della forza divina sul destino di uomini e cose. Allo stesso universo concettuale andrebbe riportato il termine genius che compare, abbreviato, sul denarius di C. Metello su cui è rappresentata Tinnit come divinità leontocefala. 91 Gad, daimon, genius sono, nelle diverse testimonianze presentate da Marín Ceballos, tutti da rapportare a Tinnit, e mettono in luce la sua funzione di protettrice e “fortuna” del paese e degli uomini che lo abitano. La rappresentazione di Tinnit come dea leontocefala sembra doversi riconnettere a questo universo concettuale. Marín Ceballos prende in considerazione tale iconografia e i suoi antecedenti 92 giungendo a conclusioni interessanti. Il leone appare in relazione con diverse dee dell’area semitica occidentale, 93 ma è particolarmente importante l’iconografia relativa alla dea egiziana Sekhmet, che era ampliamente diffusa nel mondo fenicio-punico, 94 e il fatto che Astarte in Egitto fu identificata con essa. 95 Marín Ceballos è propensa però a non ricercare una connessione tra la Sekhmet egiziana e Tinnit sotto il segno della guerra, trattandosi piuttosto, a suo avviso, dell’utilizzazione di

un’iconografia esterna per veicolare un concetto religioso punico. 96 L’immagine del leone, in questo caso, piuttosto che alludere a una caratteristica bellicosa della divinità, servirebbe dunque qui a sottolinearne il legame con la terra africana. D’altra parte esisteva, almeno a partire dal V secolo, un’iconografia di Sekhmet alata con dettagli che inducono a pensare a una rielaborazione punica dell’immagine della dea egizia. 97 Dal IV secolo l’immagine della dea alata serve a rappresentare Tinnit, come attestano il sarcofago di Santa Monica e alcune figurine ritrovate nella grotta di Es Cuyram a Ibiza, in cui la dea indossa un abito particolare in forma di ali ripiegate. 98 Tra le altre caratteristiche di Tinnit vanno ricordate anche quelle ctonie e psicopompe, come attestano i reperti che la riguardano e che sono stati ritrovati in prossimità di tombe. 99 Al culto di Tinnit sembrano associati dei manufatti particolari, dei “bruciaprofumi” a forma di testa femminile sormontata da un kalathos. 100 L’origine di questa iconografia sembra essere la Sicilia, in particolare l’area interessata dalla presenza punica (zona tra Selinunte e Lilibeo) ; esemplari si ritrovano anche a Cartagine e nel Nord Africa, in Sardegna e in Spagna. La Marín Ceballos ipotizza una derivazione dai busti di terracotta, tipici nella Sicilia greca, che rappresentano Demeter e Kore. D’altra parte, dato che nella produzione greca non si riscontrano i “bruciaprofumi”, essi devono quindi essere propri del culto punico 101 che si è ispirato qui come in altri casi, a modelli e schemi di origine straniera.

85  KAI 72 (ICO Spagna 10). 86  Yadin 1970. 87  Riconoscimento del nome Tinnit in documenti nabatei e in un’iscrizione “protosinaitica”, cf. Grottanelli 1982, p. 111. 88  Grottanelli 1982, pp. 111-112. Lo studioso non ritiene invece che, nell’iscrizione dacica in cui compare accanto a Manavat (sic) Benefal, questo possa intendersi come Fenebal e considerarsi attributo di Manawat, 89  Marín Ceballos 1995, pp. 838-839. ibidem, p. 111. 90  Teixidor 1979, pp. 88-100. Già W. Röllig in KAI II, p. 91 aveva messo in relazione il termine con Gad di Pamira e Dura Europos da identificarsi con Tyche. Su Gad nel Vicino Oriente nelle iscrizioni aramaiche e nella scultura nei primi tre secoli della nostra era cf. Kaizer 1997 e 1998. 91  Cf. cap. 10.4. n. 297. Più in generale sul legame tra divinità femminili e leoni cf. Belén – Marín Ceballos 2002. 92  Marín Ceballos 1995. La studiosa esamina il denarius di C. Metello, le terrecotte di Thinissut, la statua di Bir-Derbal, l’altare votivo di Tiddis, un anello proveniente dalla necropoli dei Rab (Santa Monica), alcuni scarabei dalla Sardegna e un porta-amuleti dalla necropoli di Kerkouane, Marín Ceballos 1995, pp. 827-830. 93  Cf. Ribichini 1995, pp. 23-25 e anche Gubel 1985. 95  Ibidem, p. 833. 94  Marín Ceballos 1995, pp. 832-833. 97  Ibidem, p. 835. 96  Ibidem, p. 840. 98  Tema studiato approfonditamente da Aubet 1976, cf. Marín Ceballos 1995, p. 836 e anche Bullo – Rossignoli 1998, pp. 252-254. Secondo

M.E. Aubet sono riscontrabili tre tipi iconografici : quello in cui le ali sono rappresentate come un manto, quello in cui le ali avvolgono la parte inferiore del corpo e un terzo tipo in cui le ali si sovrappongono in piccoli avvolgimenti che si succedono fino ai piedi. Nelle monete di Metello si trova la rappresentazione di una divinità leontocefala con l’abito del tutto simile a quello del sarcofago di Santa Monica, appartenente al secondo tipo secondo la classificazione della Aubet, e in cui è da riconoscere una rappresentazione di Tinnit (cf. Marín Ceballos 1995, p. 836-837). Secondo la Aubet (1976, p. 79), è rilevabile un’influenza dell’iconografia isiaca in questo tipo di rappresentazioni la quale, però, si riscontrerebbe solo a un livello formale.   99  Marín Ceballos 1987. Tra le varie testimonianze la studiosa menziona un gruppo scultoreo proveniente da Elche in cui è rappresentata un’immagine femminile dal manto alato che va identificata con Tinnit accompagnata da una sfinge (pp. 65-66). Il culto alla dea a Elche rivelerebbe dunque un carattere funerario : “Es evidente que en este caso actúa como guía y conductora en el camíno de la esfinge y su montura hacia el mas allá, por tanto como divinidad sicopompa”(p. 66). 100  Cf. Marín Ceballos 1987 ; 2001-2002 ; Marín Ceballos – Horn 2007 con bibliografia precedente e particolare riguardo alla Spagna. 101  Marín Ceballos 1987, p. 55. 102  A Pyrgi Astarte è identificata con l’etrusca Uni, nelle fonti greche con Leucothea-Eleuthia (=Matuta), cf. Bonnet 1986.











   



























3. 4. Astarte e Tinnit Il problema del rapporto tra le due dee fenicio-puniche è molto difficile da risolvere alla luce della documentazione disponibile, che è scarsa e ambigua. Le due iscrizioni già menzionate, quella di Sarepta e quella di Cartagine, rivelano entrambe una relazione tra le due divinità anche se di tipo differente, senza che sia però possibile stabilire quali ne fossero i termini e le dinamiche. Un interessante aspetto del rapporto tra Astarte e Tinnit è quello indicato da C. Grottanelli che, sottolineando come la prima sia legata all’aurora 102 e la seconda alla ‘for 

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tuna’, propone che esse formino una diade analoga a quella romana che associa, dal IV sec. a.C. almeno, Matuta e Fortuna. 103 Lo studioso ipotizza una derivazione della diade romana da quella fenicia fornendo un ulteriore riscontro in ambiente semitico occidentale. In alcune sure del Corano, 104 infatti, la dea meccana Manaat 105 ha due sorelle legate alle diverse fasi del pianeta Venere, riproponendosi così il medesimo rapporto tra divinità del destino e divinità dell’aurora. Si tratta di un’ipotesi (comparativa) affascinante che, purtroppo, non può fondarsi su prove decisive. Recentemente si è proposto di vedere un’ulteriore testimonianza della correlazione tra le due dee in un’iscrizione bilingue (II – III sec. d.C.) proveniente da Deir elQal‘a, nei pressi di Beirut, 106 pubblicata per primo da S. Ronzevalle 107 e rivista successivamente da Ch. ClermontGanneau. 108 L’iscrizione è incisa su un cippo quadrangolare e mentre il testo in greco è facilmente leggibile a eccezione della parte inferiore perduta, il testo latino è di più difficile interpretazione dal momento che sono state incise solo le lettere iniziali delle parole. 109 L’attenzione degli studiosi si è rivolta ai nomi delle divinità in greco e latino e agli eventuali dèi locali che l’interpretatio grecoromana avrebbe celato. A proposito delle iniziali C S che nel testo greco corrispondono a Hera neotera, preceduta poco prima dalla menzione di Hera, 110 Ronzevalle aveva proposto di scioglierle in C(aelestis) S(yrorum), mentre Clermont-Ganneau, pur indicando come possibili alternative anche C(aelestis) S(anctissima) e C(ornelia) S(upera), era propenso a vedere nelle iniziali la sigla di C(aelestis) S(ohemia), ovverosia la madre di Elagabalo divinizzata, proprio in relazione all’espressione greca “nuova Iuno” la quale « implique a priori quelque impératrice romaine divinisée ». 111 C. Bonnet ritiene che nell’iscrizione sia invece attestata un’identificazione tra Hera Neotera e la dea Caelestis, di conseguenza ci sarebbe un legame tra Hera e Hera Neotera comparabile a quello tra Iuno Regina e Caelestis. Prendendo spunto da un articolo di L. Moretti, 112 che raccoglie la documentazione relativa alla divinità chiamata appunto Neotera e attestata soprattutto in Egitto, la Bonnet afferma che « (…) la diffusion de sa dévotion, les caractérisations diverses dont elle est l’objet et son entourage cultuel indiquent que l’ont a bel et bien affaire à une divinité, sans doute désignée ici par une épithète qui la qualifie de manière spécifique ». 113 La studiosa, seguendo ancora Moretti, 114 propone di identificare la dea Neotera con Nephthys, la sorella più giovane di Isis e ipotizza che « le recours à l’épithète de Néotéra, pour qualifier la seconde Héra, vénérée aux côtés de Baal Marqod et du “Nom” divin, peut donner à penser que les visiteurs du lieu avaient conçu le rapport unissant les deux déesses sur le modèle de celui que, en égypte, unissait Isis et Nephtys. Héra Néotéra/Nephthys était donc perçue comme la soeur cadette et la compagne d’aventures d’Héra/ Isis avec laquelle elle formait une paire divine et présentait

bien des traits communs ». 115 ������������������������ Hera Neotera, che avrebbe come corrispondente latino C(aelestis) S(anctissima), andrebbe poi identificata con Tinnit. In conclusione, l’iscrizione sarebbe una testimonianza di come, in epoca romana, i Fenici romanizzati e i Romani “fenicizzati” concepissero il rapporto tra Astarte (Hera – Iuno – Isis) e Tinnit (Hera Neotera – Caelestis – Nephthys) : il modello teologico sarebbe stato quello egiziano del rapporto tra sorella maggiore e sorella minore, espresso però secondo una terminologia classica. 116 Questa interpretazione, per quanto affascinante, è però basata su alcuni presupposti congetturali che la rendono altamente ipotetica. Il primo è che Hera e Hera Neotera del testo greco siano nella medesima relazione funzionale che Isis e Nephtys. In particolare, appare discutibile il parallelo tra Hera Neotera e Nephthys. La Bonnet infatti sembra dimenticare che il termine Neotera è utilizzato nell’iscrizione come attributo di Hera e quindi potrebbe non avere niente a che fare con la dea Neotera studiata da L. Moretti la quale, invece, è più frequentemente assimilata ad Aphrodite. A me sembra plausibile l’ipotesi di Clermont-Ganneau secondo cui la madre di Elagabalo, che in alcune monete porta il titolo di Venus Caelestis e Iuno Regina, potesse apparire come una “Hera più giovane” senza che questo comporti un necessario rapporto con la dea Neotera. Il resto dell’ipotesi della Bonnet si basa sul fatto che l’abbreviazione C S sia da sciogliere in C(aelestis) S(anctissima) con preciso riferimento alla dea africana. Tutta la documentazione su Caelestis rivela però che, quando il nome di questa dea appare nelle iscrizioni fuori dell’Africa, i dedicanti evidenziano dei legami, sia come individui che come membri di comunità, con l’Africa stessa. Negli altri casi, caelestis è piuttosto attributo di altre divinità. Nel caso dell’iscrizione qui considerata il dedicante porta un nome semitico, forse arabo, 117 comunque estraneo a quei contesti dove, solitamente, è attestato il culto della dea. Tutt’al più si può pensare a un atto devozionale basato su preferenze personali dal momento che l’eventuale presenza di Caelestis su un’unica iscrizione rende difficile immaginare che, indistintamente, i “visitatori” del luogo avessero concepito un rapporto tra Astarte e Tinnit modellato su quello tra Isis e Nephthys e lo rileggessero in chiave Hera – Hera Neotera/Iuno Regina – Caelestis. Il rapporto tra Astarte e Tinnit appare in ogni caso particolarmente stretto anche se, allo stato attuale delle conoscenze, le coordinate precise ci sfuggono, mentre sono evidenti alcuni ambiti di reciproca interferenza. Forse chi si è avvicinato di più al vero, pur non arrivando a formulare un’ipotesi definita, ma fornendo importanti suggerimenti, è stato St. Gsell nel momento in cui si è chiesto se, dietro il nome di Caelestis, ci fossero due diverse divinità – Tinnit e Astarte – oppure una sola. Pur non giungendo alla soluzione del problema, Gsell fornisce però un’interessante chiave di lettura : le due dee fenicio-puniche, anche

103  Grottanelli 1982, p. 114, con bibliografia alla n. 36. 104  37, 53 e 71. 105  Il cui antecedente è la palmirena Manawat. 106  Bonnet 1991. 107  Ronzevalle 1903. 108  Clermont-Ganneau 1905, pp. 37-41. 109  Testo greco (OGIS) : qew`/ ajgivwJ/ bavl / kai; qea`/ H|era k(ai;) qe[a`]/ / Sivma/ kai; newtevra/ / H|era/ K(ovinto~) ∆Ancarhno;~ Eujtuvch~ calkourgo;~ kai; […] […] . Testo latino : I O M B E I R E I S E C S Q A E V L A S.

110  Hera qui menzionata corrisponde alla I(uno) R(egina) del testo latino che compare anche in altre iscrizioni, cf. Bonnet 1991, p. 77. 112  Moretti 1958. 111  Clermont-Ganneau 1905, p. 37. 114  Moretti 1958, p. 208. 113  Bonnet 1991, p. 81. 116  Ibidem, p. 83. 115  Bonnet 1991, p. 81. 117  Cf. Ronzevalle 1903.















































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se in origine diversificate, finirono comunque per essere confuse dagli “esterni” alla religione punica e, in seguito, dagli abitanti della seconda Cartagine. 118 Tinnit, secondo Gsell, può considerarsi una forma africanizzata di Astarte, della quale manteneva i tratti essenziali con l’aggiunta di nuovi aspetti e, accanto a essa, continuava a essere venerata, in un tempio proprio, l’antica Astarte tiria. 119 Secondo S. Moscati, invece, Tinnit da divinità fenicia autonoma sarebbe stata in seguito assimilata ad Astarte ; analoga circostanza si sarebbe ripetuta in Occidente con la novità della definitiva sostituzione della seconda con la prima : Tinnit sarebbe quindi « (…) una figura divina originariamente non definibile ma presto assunta come dea-madre, assimilata ad Astarte e sostituita a essa nel mondo punico ». 120 Il rapporto tra le due dee in Africa, secondo la Bonnet, andrebbe invece considerato non in termini di concorrenza, ma piuttosto di complementarità. 121 L’interpretatio classica delle due divinità ha contribuito a complicare le cose, almeno dal nostro punto di vista. 122 Mentre l’identificazione con Aphrodite/Venus è esclusiva di Astarte, quella con Hera/Iuno sembra essere stata prerogativa di entrambe le divinità, cosicché non è sempre possibile risalire dal nome greco-romano all’antecedente fenicio-punico, specie in quei luoghi, come la penisola iberica, in cui per entrambe le dee vicino-orientali possiamo rintracciare una lunga tradizione di culto. 123 Nel caso specifico di Caelestis, poi, porre la questione in questi termini appare metodologicamente scorretto e non conduce a risultati apprezzabili. Se già in epoca punica le caratteristiche di Astarte e di Tinnit erano in qualche

misura sovrapponibili, e questo ha proprio come conseguenza un’identificazione di entrambe con Hera/Iuno, al momento della “nascita” di Caelestis tutte e due le dee sembrano in qualche maniera contribuirvi. 124 Credo perciò che il problema vada riformulato in questi termini : Caelestis, dea della nuova Cartagine romana, eredita una serie di caratteristiche e funzioni che appartenevano già alle due dee fenicio-puniche. 125 Piuttosto che ricercare in una delle due il “diretto” antecedente, sembra allora più importante stabilire come e perché certi tratti delle loro personalità continuano a sopravvivere mentre altri sono perduti o relegati in secondo piano. Tale indagine andrebbe condotta attraverso uno studio dei rapporti tra Tinnit e Astarte in Africa che, allo stato attuale della documentazione, non è assolutamente possibile ricostruire. D’altra parte, una continuità di culto appare inequivocabilmente stabilita tra Tinnit e Caelestis, come si evince dai santuari e dalle testimonianze iconografiche, 126 questo senza escludere il contributo che può avere dato anche Astarte alla caratterizzazione della dea Caelestis. Un altro aspetto che mi sembra importante sottolineare è la dimensione celeste di Astarte che, in lingua greca, è stata resa attraverso la denominazione della dea come Aphrodite Ourania : si tratta di una tradizione dalla storia articolata e complessa che chiama in causa anche la divinità siriana Atargatis. 127 È a questa tradizione che vanno ricondotte le attestazioni, riscontrate in varie parti dell’Impero ma mai in Africa, relative a Venus Caelestis a cui, a mio avviso, la dea Caelestis è del tutto estranea.

118  Gsell 1920-1927, IV, p. 265. 119  Ibidem. 120  Moscati 1981, p. 113. 121  Bonnet 1996, p. 97, con riferimento a Gsell. 122   Status quaestionis e fonti in Ribichini 2005. 123  È questo il caso, ad esempio, dei numerosi toponimi in cui è menzionata Hera/Iuno, cf. Strab. II 5, 3 e III 5, 5 ; Mela II 96. Il santuario di Phosphoros o Lux Dubia menzionato da Strabo III 1, 9 (cf. anche Mela III 4 e Marcian. Heracl., Perip. 9, 10) è forse da rimandare ad Astarte per le sue connessioni con la stella del mattino, cf. Marín Ceballos c.s. Plinio IV 120 a proposito dell’isola Erytheia dice che Timeo e Sileno la chiamavano Aphrodisias e gli indigeni insula Iunonis. Per le dee della fertilità e della fecondità venerate in Spagna all’epoca romana, cf. Mayer – Rodà 1986. 124  Anche Cadotte 2007 considera « (…) la possibilité que la déesse

Caelestis de l’époque romaine, bien qu’identifiée à Tanit, ait aussi hérité de certaines caractéristiques que Tanit aurait emprunté à Astarté, c’est-à-dire, (…) : son nom, Caelestis, dérivé sans doute, des surnoms d’Astarté ( ∆Asteriva et Oujraniva), son animal attribut et, sans doute, son assimilation à Junon » (p. 77). Ma è senz’altro troppo meccanicistica la distinzione che suggerisce secondo la quale l’epiteto Caelestis « (…) lorsqu’elle s’applique à Junon, désignerait la déesse Astarté (ou éventuellement une assimilation Tanit/ Astarté), alors que la domina ou la dea Caelestis désignerait Tanit » (p. 84). 125  Cf. ad esempio i tratti aurorali di Astarte e quelli di dea del destino di Tinnit messi in luce da Grottanelli 1982 nella sua ipotesi. 126  Cf. ad esempio le testimonianze del santuario di Thinissut (Merlin 1910) e gli scavi condotti da Hurst a Cartagine (Hurst 1999), per l’icono127  Cf. cap. 10.2. grafia cf. cap. 10.4.

































4. LE CULTURE DI SOSTRATO : GLI APPORTI LIBICO-BERBERI  

a monografia di M. Bénabou 1 sulla resistenza africana alla romanizzazione, pur con tutti i limiti che le sono stati riconosciuti, costituisce indubbiamente una pietra miliare negli studi sull’Africa romana. Questo è dovuto non solo e non tanto ai risultati da lui effettivamente conseguiti, 2 quanto piuttosto all’impostazione da lui data al problema della “romanizzazione”, impostazione con la quale si sono dovuti confrontare tutti coloro che, in questo ultimo trentennio, di tale epoca si sono occupati. 3 In particolare, Bénabou ha cercato di rintracciare, nei limiti di una documentazione in larga misura prodotta o gestita dai “conquistatori” Romani, quegli aspetti culturali di origine indigena ancora persistenti all’interno del nuovo contesto politico e culturale. A prescindere dalla tesi di fondo dello studioso, che ha interpretato volentieri questi aspetti come segni di una “resistenza” tendenziale alla dominazione, il quadro che emerge dalla sua indagine ha restituito agli Africani un proprio spazio e un proprio contributo alla formazione di quel fenomeno storico, culturale e politico che molto genericamente viene definito come “Africa romana”. 4 Per quanto riguarda la religione, Bénabou dedica un’intera sezione del volume alla “resistenza religiosa”, 5 cercando di ricostruire il primitivo sostrato indigeno con il quale si confrontò dapprima la religione punica e, successivamente, quella romana e mettendo in evidenza gli aspetti creativi di tali processi che, fondendo elementi di-

versi, diedero vita a un fenomeno religioso del tutto originale. 6 Occorre però aggiungere che, quando dal piano metodologico si passa a quello più specifico dell’analisi dei dati, la situazione è molto meno promettente e Bénabou non sembra apportare in proposito un contributo particolarmente innovativo. Sulla c.d. religione libico-berbera 7 si sono versati fiumi di inchiostro ma, purtroppo, nella maggior parte dei casi gli studiosi si sono limitati a ripetere, con qualche lieve aggiornamento bibliografico, 8 le osservazioni fatte a suo tempo da J. Toutain 9 e ampliate da G. Ch. Picard. 10 Certo, nessuno si sognerebbe ora di ripetere il giudizio politically uncorrect di quest’ultimo sui Libici e la loro religiosità 11 ma, nel parlare della religione libica, si continuano a usare disinvoltamente espressioni quali “pratiche magico-religiose” 12 o “incarnazioni del sacro”, 13 espressioni troppo generiche che da tempo sono state bandite dal linguaggio degli storici delle religioni. Elementi fondamentali dell’antica religione libico-berbera sarebbero – seguendo la impostazione degli studi attuali – il culto prestato a montagne, grotte e acque, 14 pietre, 15 vegetazione, 16 animali, 17 astri, 18 uomini, soprattutto il culto dei morti e, in particolare, dei re defunti. 19 A questo tipo di culti sarebbe seguita una “personalizzazione del sacro” con l’individuazione di dèi dotati di nome proprio, 20 considerata dagli studiosi, secondo una logica di stampo evoluzionistico (vero e proprio animismo tyloriano), come un reale salto qualitativo. 21

1  Bénabou 1976. 2  Risultati, comunque, di notevole livello. 3  Per le tesi di Bénabou e le critiche ricevute, cf. cap. 5. 4  Per la presenza dell’elemento indigeno nelle città dell’Africa romana cf. gli studi ormai classici di Thompson 1969 e Lassère 1977, pp. 439-463. Sui matrimoni misti in situazione di “frontiera” cf. Cherry 1998. 5  Bénabou 1976, pp. 259-380. 6  « (…) dans presque tous les cas, il s’agit moins peut-être d’une interpretatio africana – ce qui supposerait un système d’équivalences ou de correspondences terme à terme entre divinités africaines et romaines – que d’une véritable contamination, opérée spontanément et anarchiquement par les fidèles. Contamination qui touche à la conception même de la divinité aussi bien qu’aux formes du culte, et qui donne une tonalité particulière à l’ensemble des religions païennes de l’Afrique romaine (…). à travers ces transformations, c’est finalement le rôle des “survivances” qui est le problème central. Mais peut-être faut-il, pour comprendre ce rôle, renoncer au terme des survivances, qui donne une idée fausse de la réalité qu’il sert à désigner. Ce terme implique en effet qu’il s’agit d’éléments résiduels, de blocs erratiques dans un cadre qui n’est pas fait pour eux. (…). Or (…) ce n’est nullement le cas, puisque au contraire, ces prétendus survivances servent souvent de fondement aux développement ultérieurs. C’est dire qu’elles correspondent à un besoin et sont chargées d’une fonction précise : ainsi, c’est seulement lorsqui’il peut, par quelque trait, se rattacher à la tradition libyque ou punique, qu’un dieu romain transplanté en Afrique rencontre le véritable public populaire. Loin d’être des traces figées d’un indéracinable conservatorisme, elles témoignent d’une aptitude à intégrer les innovations, aptitude qui est le signe même de la vie », Bénabou 1976, pp. 379-380. Sul concetto di “riplasmazione dinamica” come superamento di quello di “sopravvivenza” ha dedicato larga parte dei suoi studi A. Brelich, cf. Montanari 1988 ; Lancellotti 2005 e 2006. 7  Con l’aggettivo “libico-berbero” intendo qui fare riferimento, genericamente, all’elemento indigeno africano escludendo i Punici. Dove si riterrà necessario si utilizzerà una terminologia più specifica. 8  Cf. ad es. oltre al già menzionato lavoro di Bénabou, Decret – Fantar 1981, pp. 243-275 ; Camps 1995, pp. 143-176 ; Tommasi Moreschini 2002, 9  Toutain 1920, pp. 15-119. pp. 275-279.

10  Picard 1954, pp. 1-25. 11  « Sauf peut-être dans les régions les plus profondément pénétrées par l’influence punique, et organisées par les rois numides, les Libyens semblent ainsi s’être montrés incapables de parvenir véritablement au concept d’une divinité personnelle. La déconcertante stérilité de leur nature, incapable lorsqu’elle n’est pas contrainte par une autorité extérieure, de dépasser les formes les plus primitives de l’activité humaine, se révèle aussi clairement dans le domaine de la religion que dans celui de la politique ou de l’économie », Picard 1954, p. 25. 12  Contro tale espressione Bénabou 1976, pp. 267-268, mentre essa è invece usata come titolo di paragrafo in Decret – Fantar 1981, p. 243. 13  Cf. Bénabou 1976, p. 268, parla di “manifestazioni del sacro” Camps 1995, p. 144. 14  Toutain 1920, pp. 45-54 li menziona però come luoghi di culto ; Picard 1954, pp. 4 e 10-11 ; Bénabou 1976, pp. 269-270 e 272-276 ; Camps 1995, pp. 144-147. 15  Picard 1954, pp. 5-6 ; Bénabou 1976, p. 271 ; Decret – Fantar 1981, pp. 252-253. 16  Picard 1954, pp. 10-11 ; Decret – Fantar 1981, pp. 250-252. 17  Toutain 1920, pp. 38-39 ; Picard 1954, pp. 11-12 ; Bénabou 1976, pp. 276-278 ; Decret – Fantar 1981, pp. 253-257 ; Camps 1995, pp. 149-152 (restìo a parlare di una vera e propria zoolatria) ; cf. anche Tommasi Moreschini 2002 con particolare riferimento alla Iohannis di Corippo. 18  Picard 1954, pp. 21-22 ; Bénabou 1976, pp. 278-281 ; Decret – Fantar 1981, pp. 259-261 ; Camps 1995, pp. 148-149. 19  Toutain 1920, p. 39 ; Picard 1954, pp. 12-14 ; Bénabou 1976, pp. 281285 ; Decret – Fantar 1981, pp. 257-259 ; Camps 1995, pp. 152-153. 20  Ulteriori problemi di distinzione nascono con la suddivisione in “geni” e “divinità”, cf. Bénabou 1976, pp. 295-296. 21  « Personnalisation de la divinité, caractère officiel de certains cultes, aspect romanisé de la plupart des fidèles ainsi que des accessoires du culte, tout indique que nous n’avons plus affaire à la simple magie primitive (corsivo mio). Est-ce à dire que celle-ci a disparu ? Certaiment pas. Mais les traces qu’elle a pu laisser sont difficiles à déceler. Au contraire, les documents relatifs aux divinités que nous venons d’étudier plaident d’emblée en faveur du caractère romanisé du culte qu’elles suscitent. Lorsqu’un

4. 1. Problemi di indagine

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dea caelestis

Alla mancanza di dati diretti gli studiosi hanno creduto di potere, almeno in parte, supplire attraverso l’utilizzazione, più o meno pronunciata, di usi e credenze popolari extra-islamiche riscontrabili nell’Africa del Nord contemporanea, considerati come permanenze di antichissime tradizioni locali. 22 A prescindere dalla discutibile validità di una simile impostazione metodologica, più o meno accettabile, nello studio dell’antica religione libica, resta il dato di fatto che la documentazione scarna e di difficile interpretazione costituisce un grave impasse per la ricerca. Le nostre conoscenze sull’ideologia religiosa indigena sono ancora molto limitate e una consultazione diretta delle fonti epigrafiche ci è preclusa, dal momento che la lingua libica non è ancora del tutto decifrata. 23 Per quanto riguarda le fonti indirette, la situazione è altrettanto complicata : anche dove noi percepiamo un’influenza del sostrato locale sulla mentalità punica e successivamente su quella romana, il processo di rielaborazione è così avanzato da rendere impossibile distinguere con esattezza le stratificazioni e i differenti contributi. 24 D’altra parte la maggior parte delle testimonianze scritte ci proviene dalle epigrafi in lingua latina e dalle testimonianze degli autori cristiani, due fonti che vanno accuratamente decodificate. Le epigrafi testimoniano, con l’uso stesso di una lingua “importata” e ufficiale, un processo avanzato di adeguamento e integrazione alla nuova realtà culturale, mentre non resta testimonianza di quanti continuarono ad adorare le proprie divinità secondo gli usi tradizionali senza avvertire la necessità, o non potendo economicamente permettersi, di lasciare traccia indelebile della propria devozione. L’analisi dei nomi trascritti ha poi evidenziato che, in alcuni casi, gli dèi menzionati hanno nomi di origine semitica, lasciando così intravedere un lungo percorso di sovrapposizioni e integrazioni che, dal piano onomastico, devono necessariamente ripercuotersi su quello ideologico, certo precedente all’arrivo dei Romani in Africa. 25 Tali processi rielaborativi continuano in epoca romana : un esempio per tutti è quello che riguarda la nascita e l’attestazione di un culto ai Dii Mauri, denominazione collettiva con cui

vengono invocate le divinità indigene tanto in ambienti “civili” che militari. 26 Le testimonianze degli autori cristiani costituiscono un prezioso serbatoio di informazioni anche se va tenuta in debito conto la pregiudiziale condanna nei confronti degli dèi politeistici e il fiorire di questi ultimi in un’epoca già profondamente segnata dai processi rielaborativi della “romanizzazione”.

individu, une famille ou une cité prennent la peine d’élever un temple, de dédier une statue, un autel, ou simplement une courte inscription à une divinité, et qu’ils choisissent de s’exprimer en latin, en pareille initiative, quelle que soit la divinité à laquelle elle s’adresse, révèle déjà une attitude religieuse influencée par l’imitation des religions élaborées (corsivo mio). Elle ne peut être le fait que de gens ayant acquis, au voisinage des cultes romains ou puniques, le goût ou l’habitude de pratiques religieuses étrangères à l’héritage culturel proprement africain. Si bien que les dédicaces latines aux dieux indigènes témoignent de l’effort de certains Africains pour associer aux croyances traditionnelles des pratiques nouvelles : elles marquent donc, en même temps, une volonté de romanisation et les limites de celle-ci », Bénabou 1976, p. 305. Appena più avanti egli configura anche la possibilità che la presenza di queste divinità dai nomi africani possa costituire un “ritorno” da parte degli indigeni “romanizzati” alle loro divinità ancestrali (ibidem, p. 306). Picard 1954 ritiene probabile che il pantheon libico-berbero rappresentato a Vaga corrisponda a un politeismo modellato su quello fenicio, p. 24. Per Decret – Fantar 1981 l’acquisizione di un’identità da parte delle divinità libiche è invece un processo ben anteriore all’arrivo dei Romani (p. 266). Genericamente Camps 1995 parla di « (…) un stade supérieur sinon de religiosité du moins de conceptualisation » in cui « le divin répandu dans la nature se personnalise » (p. 153).

Bénabou 1976, pp. 272-273 ; Decret – Fantar 1981, pp. 244-246 e Camps 1995, p. 147. 23  Cf. Sznycer 1995, p. 112. 24  Già Toutain 1920 aveva affermato che « (…) il ne nous paraît pas possible de déterminer avec précision ce qui, dans les cultes indigènes des Africains de l’époque romaine, représente plus spécialement l’importation punique et ce qui doit être consideré comme survivances berbères », p. 45. Uno studio pioneristico sui rapporti tra Punici e Libico-Berberi è quello di Basset 1921 ; sulle interrelazioni tra religione libico-berbera, punica e romana cf. Decret – Fantar 1981, pp. 270-275. Camps 1995 pp. 108-115 mette ben in evidenza il complesso rapporto che si instaura tra le popolazioni libico-berbere e quella fenicia e che contribuirà alla nascita della cultura punica. Una particolare importanza riveste in questo senso la rete di relazioni che si viene a creare tra gli empori cartaginesi (o gli antichi fondaci fenici assoggettati successivamente a Cartagine), Cartagine e i reami indigeni, di cui un esempio è la politica di alleanze matrimoniali. Questa interpenetrazione lascerà le sue tracce anche nella religione. Sul problema cf. anche Tommasi Moreschini 2002, p. 277 n. 34. 25  Sui nomi delle divinità africane e gli eventuali imprestiti punici cf. Camps 1990 e Vattioni 1994. 26  Sul carattere di questi dèi e sui loro devoti è sorta una vivace discussione tra gli studiosi cf. Camps 1954 e 1990 ; Leglay 1957 ; Bénabou 1976, 27  Matthiae Scandone 1976. pp. 309-330 ; Fentress 1978. 28  Vedi infra. 29  Status quaestionis in Matthiae Scandone 1976.



























4. 2. Caelestis e i Libico-Berberi Tenendo presente questo stato di fatto, appare subito chiaro che cercare di individuare se e in che misura la religione libico-berbera abbia contribuito alla formazione della figura divina di Caelestis è impresa pressoché disperata. Ho perciò scelto di seguire due piste, le uniche che mi sembra possano portare a qualche risultato, ma senza la pretesa di scoprire un “antecedente” libico-berbero alla dea dell’Africa romana. La prima pista è rivolta a cercare di stabilire quali figure divine femminili fossero presenti nell’universo ideologico indigeno e quali ruoli e funzioni esse rivestissero. La seconda pista riguarda invece la messa a fuoco (nella misura del possibile) delle prerogative di Caelestis che potrebbero essere state più propriamente africane. Tutto ciò senza però dimenticare che, in ogni caso, tali eventuali prerogative non possono essere considerate come qualcosa di “aggiunto” alla dea, ma ne costituiscono i tratti peculiari e originali allo stesso livello di tutte le altre. Le prime si fondono con le seconde in un amalgama nuovo e originale che non è certo determinato dalla loro semplice sommatoria. Un’ipotesi, superata dalle più recenti testimonianze sulla presenza di Tinnit in Fenicia già in epoca piuttosto antica, proponeva la nascita di questa dea in terra nordafricana grazie soprattutto alle influenze egiziane. 27 In particolare, si tentava di stabilire un nesso tra Neith e Tinnit mediato dalla dea africana che Erodoto 28 identifica con Athena. 29 Neith avrebbe condiviso con tale divinità i tratti guerrieri e quelli virginali, nonché il rapporto con l’acqua e con il  















22  Sono menzionati praticamente da tutti la processione della “fidanzata della pioggia” e i bagni durante il solstizio d’estate, attualmente praticati nell’Africa del Nord, come persistenze di antichissime tradizioni rituali per la propiziazione delle piogge, cf. ad es. Picard 1954, p. 10 ;  





le culture di sostrato: gli apporti libico-berberi

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cielo e si sarebbe probabilmente esercitata un’influenza della prima sulla seconda. Se dobbiamo escludere la genesi di Tinnit in ambito nordafricano, non possiamo però negare a priori che essa abbia subito gli influssi, nel corso del tempo, delle divinità femminili locali. 30 Resta il fatto che due dei tratti tipici di Neith e dell’Athena africana, quello virginale e quello bellicoso, non sembrano essere affatto prerogative di Tinnit e anche il rapporto con l’acqua – ma piovana ! – è un tratto che (per quanto ne sappiamo) appartiene a Caelestis piuttosto che alla dea punica. La tesi dell’esistenza di una grande dea libico-berbera in qualche maniera analoga alla punica Tinnit e alla romana Caelestis non sembra, allo stato attuale delle nostre conoscenze, potere essere accolta : anche i contesti appaiono differenti e non sembra esistita una “metropoli”, in quella cultura, minimamente ragguagliabile a Cartagine. 31 Le fonti, epigrafiche, iconografiche e letterarie, attestano comunque la presenza, nel novero degli dèi indigeni, di alcune divinità femminili le cui caratteristiche appaiono però piuttosto sfuggenti. Per quanto riguarda le fonti epigrafiche e iconografiche, possediamo un bassorilievo proveniente da Béja (Vaga), in Tunisia, e databile al II-III sec. d.C. Vi sono rappresentate sette divinità tra cui due femminili. La prima, che porta il nome di Varsissima, 32 veste una lunga tunica più una cappa di scaglie o piume, la testa è coperta da un velo o da un mantello. Le mani sono appoggiate al grembo. In un altro rilievo proveniente da Henchir Ramdan, 33 sempre in Tunisia, sono rappresentate tre teste di dèi con i rispettivi nomi, uno dei quali è Varsis, che potrebbe essere integrato come Varsis(sima). È stata collegata a Varsissima anche la dea Varsutina Maurorum menzionata da Tertulliano. 34 La seconda divinità femminile presente sul rilievo di Béja, chiamata Vihinam, 35 è rappresentata con il capo coperto e vestita di una lunga tunica più una cappa di scaglie o piume. Tra le mani tiene un oggetto in forma di crescente interpretato come un forcipe (o delle cesoie). Ai piedi della dea compare un fanciullo nudo. Dietro di lei un altro fanciullo. Recentemente M. Fantar ha raccolto una serie di testimonianze su un gruppo di sette dèi maschili accompagnati da una dea. Il primo documento menzionato è un bassorilievo ritrovato a Borj Helal 36 su cui sono rappresentati otto dèi, con un’unica divinità femminile che è posta al centro. L’arco di datazione, molto ipotetico, va dal 201 al 46 a.C. Un secondo rilievo proviene da Henchir Oulad Abid vicino a Bou Salem e vi sono rappresentati otto busti di cui uno forse femminile. 37 Un rilievo rupestre da Chem-

tou presenta sette dèi e una dea ; 38 in un altro, proveniente invece da Thunusida – 2 km a sud ovest di Borj Helal, nei dintorni di Chemtou – sono rappresentate otto divinità, sette cavalieri e, probabilmente, una dea. 39 Passando invece alle fonti letterarie, è molto noto il passo di Erodoto 40 in cui vengono menzionate le usanze dei Libici abitanti nei pressi del lago Tritonide. I Machyles e gli Auses annualmente celebravano una festa in onore di una divinità da Erodoto identificata con Athena. 41 Faceva parte dei festeggiamenti un combattimento a colpi di pietre e bastoni tra fanciulle. Quelle che soccombevano a seguito delle ferite erano considerate false vergini. Prima del combattimento, la più bella delle fanciulle, coperta di un’armatura e di un casco corinzio, era trasportata su un carro intorno al lago. Racconta ancora Erodoto che la dea identificata con Athena era figlia di Poseidon e della ninfa del lago Tritonide, ma che si era rivoltata contro suo padre facendosi adottare da Zeus. Tertulliano, 42 infine, attesta che Varsutina era per i Mauri quello che Caelestis era per gli Afri e Atargatis per i Siriani. Queste le magre testimonianze in nostro possesso relative alle divinità libico-berbere, dalle quali è lecito, pur con molta cautela, trarre qualche considerazione. 43 Varsissima, così come appare nel rilievo di Béja, non è dotata di alcun attributo, nulla possiamo quindi dire sulle sue prerogative. Se è a lei che va ricondotta anche la menzione di Varsis, a Henchir Ramdan, possiamo soltanto attestare una eventuale diffusione del suo culto. È possibile fare un ulteriore piccolo passo avanti se si ammette una connessione tra questa divinità e la dea Varsutina menzionata da Tertulliano, dato che in questo caso avremmo infatti a che fare con la dea più importante del pantheon libico. 44 L’altra dea presente a Béja, Vihinam, appare maggiormente caratterizzata : tra le mani stringe un oggetto interpretato come un forcipe e ai suoi piedi è raffigurato un fanciullo (un altro è alle sue spalle, in alto). Per questa ragione, a partire da A. Merlin, si è pensato che si trattasse di una dea legata al parto e più in generale alla fecondità. 45 Difficile capire, infine, quali siano le caratteristiche e le funzioni della dea libica attestata da Erodoto e che si nasconde dietro il nome di Athena, anche se sembra essere una divinità guerriera e in stretto legame con le fanciulle. La sua importanza è ribadita dallo storico greco poco più avanti, quando egli afferma che solo a lei, oltre al sole e alla luna, gli abitanti delle sponde del lago Tritonide offrivano sacrifici. 46

30  Scrive Moscati 1981, p. 113 che « (…) le stesse ricerche sulle convergenze africane possono riprendere un significato se vengono intese non più a sostegno di un’etimologia definitivamente superata, bensì a testimonianza della storia e degli sviluppi di una figura divina che, trapiantata in un ambiente diverso, può bene non essere stata insensibile (purché lo si 31  Cf. ad es. Camps 1995, p. 158. dimostri) alla sua influenza ». 33  CIL VIII 14444. 32  Cf. El Khatib Boujibar 1997a. 35  Cf. El Khatib Boujibar 1997a. 34  A 35. 36  Ennaïfer 1982 ; Fantar 2002, pp. 223-227. 37  Fantar 2001, p. 227. 38  Rakob 1993, pl. 85a e b ; Khanoussi – Ghaki 1995, p. 172 ; Fantar 2001, p. 227. 39  Khanoussi – Ghaki 1995, pp. 172-174, Fantar 2002, p. 227. 41  Sull’argomento cf. Ribichini 1978. 40  Her. IV 180. 42  A 35.

43  Fantar 2002, pp. 228-233, intravede anche dietro Venus di Sicca e Astarte di Medidi delle divinità indigene. 44  Decret – Fantar 1981, p. 267, Varsutina sarebbe stata per i Berberi non romanizzati (Mauri) quello che Caelestis era per i Berberi romanizzati (Afri). 45  Merlin 1947, pp. 365-366. Merlin ipotizza che Vihinam possa considerarsi « (…) une déesse de la naissance, des accouchements » (p. 366), in base a due termini comparativi : il primo riguarda la statua di Hera ad Argos menzionata da Suidas, munita di cesoie, per essa si è pensato (Waelcker) a una Hera Eilithya ; il secondo riguarda la Iuno Martialis su monete coniate a Roma nel III sec. d.C. in cui la dea è rappresentata con le cesoie, seduta e attorniata da due infanti. Non è d’accordo sull’interpretazione dell’oggetto tra le mani di Vihinam come forcipe o cesoie Picard 1954, p. 24. 46  Her. IV 188.





























































dea caelestis

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Allo stato attuale delle nostre conoscenze è quindi estremamente difficile pronunciarsi in merito all’eventuale influsso che queste divinità hanno potuto esercitare sulla formazione della figura di Caelestis. Secondo M. Decret e M. Fantar oltre a Tinnit è possibile ipotizzare, forse, negli antecedenti di Caelestis, anche una divinità libica, come ad esempio l’Athena di Erodoto o Vihinam 47 o Varsutina. 48 Con maggior margine di probabilità si può comunque affermare che l’esistenza di queste divinità può avere contribuito in generale all’accettazione e alla diffusione di Caelestis in Africa. 49 Passiamo ora a esaminare le caratteristiche di Caelestis più propriamente “africane”. È oggetto di discussione se si possa identificare con Caelestis la Dea Maura di un’epigrafe da Albulae 50 in cui si parla del restauro del suo tempio. Secondo Bénabou, il riferimento non è a un’imprecisata dea maura ma a una divinità ben nota e che, quindi, non ha bisogno di essere nominata. 51 Esistono, d’altra parte, una Diana Maurorum 52 e una Ceres Maurusia. 53 Già J. Toutain aveva ipotizzato che potesse trattarsi di Caelestis e Bénabou lo ha seguito nell’ipotesi. 54 In particolare, Bénabou confuta l’asserzione di G. Camps 55 secondo cui la dea Maura non può identificarsi con Caelestis in quanto il nome di quest’ultima è troppo diffuso perché se ne utilizzi uno differente. Bénabou ribatte che, proprio perché il nome di Caelestis era diffuso, si poteva anche chiamarla dea Maura senza paura di essere fraintesi. 56 L’altro argomento addotto da Camps è che, a Theveste, un sacerdos di Caelestis esegue una dedica ai Dii Mauri e sarebbe strano che egli la annoverasse fra gli altri dèi senza invocarla specificamente. Ma questo, per Bénabou, avrebbe senso se il nome di dea Maura fosse da inscriversi tra quelli dei dii Mauri, mentre lo studioso pensa che tale appellativo per Caelestis non implicasse il suo inserimento nel novero indistinto dei dii Mauri. 57 Una menzione congiunta di dii Mauri e Caelestis si ritroverebbe poi, per Bénabou, nell’iscrizione di Rapidum se si accetta la lettura Caeles in alternativa a quella, altrettanto incerta di Caesss. 58

Bénabou vede un ulteriore riferimento alla dea Maura, e quindi a Caelestis, nella menzione di Maura nella dedica degli iuuenes di Saldae. 59 Se si accettano le osservazioni di Bénabou, appare possibile dedurne che la dea Caelestis era vista e considerata, almeno in certe circostanze, come una divinità particolarmente legata all’elemento indigeno al punto tale da essere identificata attraverso l’etnico con cui, genericamente, si faceva riferimento a esso. Quando dal piano delle identificazioni passiamo a quello degli attributi il discorso si fa ancora più insidioso. Quali sarebbero i tratti “autenticamente africani” di Caelestis ? Un celebre passo di Erodoto, 60 già menzionato sopra, afferma che i Libici sacrificavano soltanto al sole e alla luna. 61 Solo con un altissimo grado di cautela si è ipotizzato un possibile influsso di queste credenze su Tinnit ed eventualmente Caelestis, 62 fermo restando che, come ha sottolineato Leglay, il crescente nelle rappresentazioni di Caelestis indica un generico riferimento astrale piuttosto che uno specifico legame con la luna. 63 Due caratteristiche di Caelestis, riscontrabili tanto nelle fonti epigrafiche che in quelle letterarie, appaiono invece più strettamente connesse all’ambiente africano e non sembrano ritrovarsi tra gli attributi specifici né di Tinnit né di Astarte. Si tratta dell’importanza della dea come dispensatrice di pioggia 64 e del suo stretto rapporto con l’agricoltura e la vita dei campi. 65 Un altro elemento che può essere ricondotto all’ideologia africana è, infine, il legame della dea con il leone. Se è vero che questo legame prende forme iconografiche di tipo orientale – ma non solo, come attesta la rappresentazione di Tinnit/Caelestis leontocefala – esso è teso a esprimere la natura ‘africana’ della dea attraverso l’animale che dell’Africa è il simbolo per eccellenza. Per quanto limitate e caute, queste osservazioni, basate su un materiale laconico, rappresentano un importante elemento nell’analisi della complessa personalità di Caelestis.

47  L’insegna di Vihinam sul rilievo di Béja sembra un forcipe o un crescente : si domandano Decret – Fantar 1981, p. 266, se non ci si trovi davanti a una dea della fecondità omologa a Tinnit e a Caelestis. 48  Decret – Fantar 1981, p. 272 : « On trouve, sous un bandigeonnage latin, des éléments qui, imbriqués intimement les uns dans les autres et s’assimilant les uns les autres, appartiennent à des univers différents : le substrat libyque et des apports extérieurs venus d’Orients et peut-être d’ailleurs ». 49  « Autant que Varsissima et Varsutina, Vihinam aurait contribué à la diffusion et à la popularité de Tanit et de Caelestis », Decret – Fantar 50  CIL VIII 21665. 1981, p. 266. 52  Sitifis, CIL VIII 8436. 51  Bénabou 1976, p. 312. 53  ILAlg l 2033. 54  Toutain 1920, p. 38 ; Bénabou 1976, p. 312. 56  Bénabou 1976, p. 313. 55  Camps 1954.

57  Ibidem. 58  Bénabou 1976, p. 313 n. 16. Obietta però fondatamente Camps 1995, p. 148, che la posizione di Caelestis nell’epigrafe, dopo Victoria e prima degli dèi Mauri è in contraddizione con il suo carattere eminente nel pantheon africano. D’altra parte va osservato che, nella medesima epigrafe, anche Saturno non è in primo piano (B A7. 6). 60  Her. IV 188. 59  Bénabou 1976, pp. 313-315. 61  A eccezione dei rivieraschi del lago Tritonide su cui vedi sopra. 62  Cf. Toutain 1920, p. 45 e Picard 1954, p. 21. 63  Leglay 1966, p. 172. 64  Cf. Tertulliano (A 32) ; iscrizione di Naraggara (B A1. 70). 65  Come testimoniano i numerosi luoghi di culto rurali ; cf. anche l’aggetivo spicifera nell’iscrizione di Magnae (B B 3) ; la gemma di Nemencha con le spighe, cf. cap. 10.4. n. 1598.































































5. AFRICA ROMANA

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ei capitoli precedenti si è cercato, per quanto la documentazione lo rendesse possibile, di rintracciare gli eventuali “antecedenti” della dea Caelestis tanto nelle tradizioni religiose fenicio-puniche che in quelle libiche. Occorre però dire che la dea Caelestis, come tale, è una divinità propria dell’Africa romana : sarà quindi necessario cercare di chiarire, almeno nelle grandi linee, cosa intendiamo con quest’ultima espressione. La definizione in termini culturali di ciò che si intende con Impero romano, gli effetti dell’impatto dell’esercito prima e dell’amministrazione poi, su quelle che vennero chiamate “province”, è infatti al centro di un vasto dibattito che negli ultimi anni si è fatto particolarmente vivace. Una volta scartato come inadeguato il concetto di “romanizzazione”, intesa nel senso di un intervento consapevole e programmatico perseguito da Roma per sollevare dalla barbarie i popoli sottomessi, ci si è posti il problema di indagare con maggiore profondità i rapporti tra il “centro” e la “periferia”. Una particolare attenzione è stata rivolta agli “indigeni”, non più considerati solo come i passivi ricettacoli delle imposizioni esterne. Volumi collettanei, incontri di studio e contributi specifici hanno così dato vita a un dibattito che, per ragioni non solo scientifiche ma anche politiche, ha spesso assunto toni accesi. Non essendo certo possibile qui affrontare tutti i temi e riesaminare tutta la bibliografia sull’argomento, si è cercato pertanto di selezionare i contributi apparsi come i più originali allo scopo di delineare le attuali linee di tendenza nell’analisi di quella che – vale la pena ribadirlo – solo per convenzione definisco “romanizzazione” dell’Africa. 1 Una rassegna di questo tipo prende obbligatoriamente le mosse dal libro di M. Bénabou, La résistance africaine à la romanisation, pubblicato nel 1976, 2 che tante discussioni ha suscitato tra gli studiosi. Come l’autore chiarisce fin dal titolo dell’opera, lo scopo del suo studio è quello di individuare tutti quegli elementi che permettano di ricostruire la storia di una “resistenza” africana alla “romanizzazione”. 3 Il concetto di resistenza abbraccia, nel lavoro di Bénabou, un raggio piuttosto ampio di situazioni : « (…) résistance s’entend au moins de trois façons différentes : d’abord, dans le domaine militaire, comme réaction de lutte dirigée contre une occupation étrangère ; puis dans le domaine politique, comme force de conservation s’opposant à l’innovation et au mouvement ; enfin, dans le domaine psychologique, comme tentative de protéger une part de sa personnalité contre l’influence d’autrui ». 4 Si tratta dunque, per lo studioso, di vedere i vari modi in cui la cultura romana e quella africana si incontrano tenendo in considerazione che, da entrambe le parti, si mette in atto un gioco com-

plesso di acquisizioni e reinterpretazioni, di accettazioni e di rifiuti. Questa premessa, che sembra porre sullo stesso livello le due culture, viene però superata nel momento in cui l’autore parla della cultura romana come di un « système organisé et achevé » 5 e quindi suscettibile di essere studiato con relativa facilità, mentre di quella africana come l’espressione di una società dominata e sottomessa, difficile quindi da rintracciare, essendosi frammentata e dispersa. Fedele a quanto si è proposto nell’introduzione, Bénabou inizia la sua indagine dalla resistenza militare 6 per passare poi a quella culturale, che egli rintraccia attraverso lo studio della religione, dell’urbanesimo romano e della realtà tribale africana, della lingua, dell’onomastica. Nelle conclusioni Bénabou distingue, tra i Romani (siano essi originari o naturalizzati) perfettamente integrati e gli Africani che rimasero al di fuori della cultura importata, un terzo gruppo, estremamente vario e certo molto esteso, 7 i cui membri sarebbero stati sottomessi a influenze contraddittorie : « (…) tantôt, naturellement désidereux de s’élever dans la hiérarchie sociale, ils adoptent avec empressement certains des traits de l’oligarchie dominante ; tantôt, se sentant proche encore de la société indigène, ils restent fidèles à leurs traditions et résistent aux innovations (…) il est probable qu’à l’intérieur même de chacun subsiste une pluralité de conceptions du monde et de réactions possibles (libyque, punique, romaine) qui souvent coexistent sans se mêler, sans qu’il en résulte de confusion ». 8 In un contributo che viene pubblicato nello stesso anno del suo libro, 9 Bénabou offre una sintesi delle sue tesi. Innanzitutto, egli cerca di definire chiaramente il concetto di “resistenza” che riporta anche in questo lavoro alle sfera militare e a quella culturale. Nella prima il rifiuto della dominazione straniera si attua attraverso il ricorso alle armi, nella seconda l’opposizione è di tipo diverso, non è organizzata, può essere collettiva o individuale, essa si rivolge verso ciò che arriva da fuori e si accompagna al desiderio di mantenere la propria identità. 10 Per quanto riguarda la “romanizzazione”, Bénabou sottolinea come questa non si è potuta realizzare solo per imitazione, ma ha dovuto necessariamente implicare, se non un progetto, almeno una politica di incoraggiamento da parte dei conquistatori. Dal punto di vista culturale egli propone poi di considerare come “resistenza” tutto ciò che manifesti fedeltà alle proprie origini : « (…) soit par les refus de l’apport romain, soit par l’adoption sélective de formes culturelles romaines qui sont intégrées dans un contexte africain, mais plus ou moins remodelées en fonction de cette intégration ». 11 A due anni di distanza dalla sua uscita, il volume di Bé-

1  Per una bibliografia completa e aggiornata si rimanda a Mattingly 2  Bénabou 1976. 1997b e Woolf 1998. 3  Entrambi questi termini saranno poi oggetto di discussione negli stu4  Ibidem, p. 17. di successivi relativi a tale argomento. 5  Ibidem, p. 19. 6  Sull’analisi delle fonti relative allo studio della resistenza militare cf. le osservazioni di Février 1981.

7  Questo gruppo « (…) est lui-même hiérarchisé à l’infini et, par ses franges supériore et inférieure, il touche aux deux autres groupes », ibidem, 9  Bénabou 1976a. p. 584. 8  Ibidem. 10  Sulla posizione degli Africani nei confronti della dominazione romana si era pronunciato, sempre nel 1976, anche T. Kotula sottolineando la varietà di posizioni, dall’imitazione alla resistenza bellica, assunte dagli 11  Bénabou 1976a, p. 373. indigeni, Kotula 1976.



























































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nabou è al centro di una serie di contributi che appaiono sugli Annales ESC (1978). Apre la rassegna Y. Thébert 12 con un intervento piuttosto critico. Egli solleva a Bénabou due obiezioni concernenti il suo approccio verso gli “indigeni” : la prima riguarda il suo ricorso a un non troppo velato determinismo geografico e la seconda contesta l’uso del criterio dell’antichità per distinguere l’autentico “africano”. Le critiche più importanti riguardano però la nozione stessa di “resistenza” proposta da Bénabou che, secondo Thébert, riposa su una visione dualistica della storia. Essa contrappone Romani e Africani e considera quello che si trova fra questi due opposti come qualcosa di indefinito : « (…) la coupure principale reste cependant celle qui passe entre l’élément indigène d’une part et l’élément romain de l’autre : le rest n’est que transition, mélange, dégradé, susceptible d’être constamment remis en question ». 13 Thébert spiega che la sua critica non è volta a negare che, almeno in una prima fase, la cultura romana si sia trovata in una posizione dominante, ma ritiene che non vadano negate « (…) les causes proprement africaines de l’évolution du pays ». 14 Egli lamenta poi che, nel tentativo di ricostruzione di una storia dell’Africa, sia stata totalmente trascurata la documentazione archeologica e che Bénabou abbia fermato la sua indagine alla fine del III secolo d.C., tagliando fuori il secolo seguente che è invece di straordinaria importanza per comprendere la storia africana successiva. Allo stesso modo la storia dell’Africa romana va connessa con quella dell’Africa pre-romana, tanto per quanto riguarda il territorio cartaginese che per quello numidico. Questo ampliamento delle coordinate storiche permette di non considerare la conquista romana come un evento ex abrupto e restituisce all’Africa il suo ruolo di punto di contatto nel bacino mediterraneo che la caratterizza sin da epoche antiche. L’aspetto fondamentale trascurato nel libro sarebbe però, per Thébert, la “lettura sociale della romanizzazione”. Questo tipo di approccio rivela, come caratteristica propria dell’Impero romano, il ricorso alle élites locali nella gestione della “cosa pubblica”. La conseguenza è « (…) l’émergence systématique des élites “indigènes” aux plus hauts niveaux politiques et administratifs » che favorisce « la formation d’une classe dirigeante à l’échelle du monde méditerranéen ». 15 Thébert recupera il concetto di “resistenza” a patto però di inserirlo all’interno del contesto sociale africano : « (…) s’il se produit une résistance, son caractère non résidera pas tant dans le fait qu’elle sera dirigée contre une culture importée que dans le fait qu’elle sera l’attitude de certains Africains hostiles à une mutation politique et sociale dont les agents essentiels sont en Afrique même et qui, au niveau culturel, prend la forme d’une intensification des rapports avec le monde méditerranéen, c’est-à-dire, à l’époque, d’une romanisation ». 16 La critica di fondo di Thébert a Bénabou è, in conclusione, di aver contrapposto i due concetti di “������������� �������������� romanizzazio-

ne���������������������������������������������������������� ”��������������������������������������������������������� e “����������������������������������������������������� ������������������������������������������������������ resistenza������������������������������������������� ”������������������������������������������ senza tener conto dell’articolazione della società africana, dei differenti interessi delle varie realtà, dei diversi livelli in cui si sono verificati gli incontri e gli scontri con i conquistatori. Queste considerazioni saranno riprese da altri studiosi, non sempre con la stessa finezza di indagine, e ripetute quasi invariate in molti contributi. All’intervento di Thébert segue la risposta di Bénabou, 17 il quale nella premessa sottolinea come, dietro le critiche al suo libro, molto spesso si nascondano motivazioni politiche piuttosto che scientifiche. Lo studioso passa poi a esaminare i punti fondamentali della recensione di Thébert, negando sia di valutare gli elementi indigeni in base alla loro antichità, sia di fare del determinismo geografico. 18 All’accusa di dualismo – cioè di porre in contrapposizione dialettica “romanizzazione” e “resistenza” – Bénabou replica che l’obiettivo di Thébert è quello di presentare la storia africana come lineare, minimizzando costantemente l’impatto della conquista romana. 19 Arrivando infine al problema più importante, quello dell’assenza di una differenziazione sociale nell’analisi della popolazione africana, Bénabou rimanda al concetto da lui utilizzato di “romanizzazione selettiva”, il quale implica che solo una parte degli Africani ebbe accesso alla cultura e alla lingua latina. 20 Infine egli sottolinea come, per quanto l’accettazione della cultura romana sia stata una scelta delle élites locali, è impossibile pensare che questa sia del tutto sfuggita al controllo dei conquistatori, i quali certo giocavano un ruolo di primo piano nella concessione della cittadinanza a singoli e a comunità. « Peut-on, » si domanda Bénabou, « dans ces conditions, faire une lecture sociale de la romanisation en refusant de tenir compte de l’intervention romaine dans le processus ? ». 21 L’ultimo intervento, quello di Ph. Leveau, 22 è anch’esso una risposta a Thébert. Leveau ������������������������������� vede nel lavoro di Bénabou una proficua reazione a un certo modo di fare storia : « Le nationalisme historique qui transforme les Romains de civilisateurs en exploiteurs et les vaincus de brigands en résistants me paraît une sane réaction éclairant une autre face de la réalité historique ». 23 Scegliendo coscientemente di utilizzare la nozione di capitalismo come strumento euristico, Leveau ritiene di poter concludere che la società africana in epoca romana corrispondeva « (…) aux critères d’une société coloniale, c’est-à-dire : implantation d’un groupe d’immigrants venus de la puissance dominante (negotiatores et coloniae), dépendance politique (le statut provincial), appropriation des terres avec utilisation de la main-d’oeuvre bon marché (colonat), trasformation des structures socio-politiques du pays dominé en fonctions d’intéréts et de modèles étrangers (corpus mancinien, urbanisation) ». 24 Pochi anni dopo, nel 1982, E. Fentress, in un contributo sugli studi più recenti sull’Africa romana, tornerà a occuparsi del libro di Bénabou. 25 Anche la Fentress, come già Thébert, lamenta l’assenza della cultura materiale nell’analisi dello studioso e ancora, come Thébert, ritiene

12  Thébert 1978. 13  Ibidem, p. 70. 15  Ibidem, p. 77. 16  Ibidem, p. 78. 14  Ibidem, p. 71. 18  Ibidem, pp. 84-85. 17  Bénabou 1978. 19  Ibidem, pp. 86-87. 20  Anche dal punto di vista della mobilità sociale la situazione degli Africani non era idilliaca, solo le classi più alte della società africana ebbero

la possibilità di inserirsi e partecipare della vita pubblica nell’Africa romana, per gli altri le possibilità di ascesa sociale erano remote, cf. Garnsey 21  Ibidem, p. 88. 1978, p. 248. 23  Ibidem, p. 89. 22  Leveau 1978. 24  Ibidem, p. 91. Sull’uso della categoria di “colonialismo” tra gli altri Stoler 1989 ; Thomas 1994.

















































































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che una grave pregiudiziale allo studio della cultura africana sia la mancanza di attenzione verso le strutture della società, insistendo sul fatto che doveva « esistere una certa relazione funzionale tra l’accettazione di una data cultura e il proprio peso nella società che la produce ». 26 Nella stessa rivista appare anche un contributo di R. Sheldon 27 che si propone di analizzare i concetti di “romanizzazione”, “acculturazione” e “resistenza” nella storia del Nordafrica. Si tratta, in sostanza, di un contributo più riassuntivo che propositivo. Dopo aver scartato i concetti di “romanizzazione” e di “resistenza” come chiavi di lettura inadeguate a penetrare la storia dell’Africa romana, la Sheldon sembra piuttosto scettica anche sull’adozione del concetto di “acculturazione”. Il fatto che l’antropologo abbia a che fare con società “vive” per il reperimento dei dati, mentre lo storico utilizza interlocutori non più in grado di parlare, non mi pare però un presupposto valido per negare l’operatività del concetto di “acculturazione” per gli studi storici, come sostiene la Sheldon. È ovvio che ci si dovrà basare su fonti differenti ma tale concetto, con opportuni correttivi, rimane un utile strumento di accesso alla comprensione dei fenomeni di incontro/scontro tra culture differenti. 28 Evidentemente il problema dell’acculturazione nasconde una più profonda diffidenza verso il contributo dell’antropologia per gli studi storici. Scrive la Sheldon : « Se gli antropologi hanno contribuito in qualcosa al lavoro degli storici, si tratta di questo : il più grande impedimento per comprendere una cultura è quello di tenere separati nell’analisi, i vari aspetti dell’organizzazione sociale, la cui essenza si definisce nella reciproca interazione. Ed è proprio a questo risultato che porta l’uso dell’acculturazione ». 29 La prima affermazione non mi sembra condivisibile nella sua formulazione : per la comprensione di una cultura non sono solo gli aspetti dell’organizzazione sociale a non dover essere tenuti separati, ma tutti gli elementi della cultura stessa, di cui l’organizzazione sociale è solo uno tra i molti. Il fatto che Bénabou non abbia utilizzato nella sua indagine la cultura materiale, come fa rimarcare l’autrice più avanti per evidenziare i rischi dell’uso del concetto di acculturazione, rimane un problema relativo alla scelta di questo singolo autore ; l’antropologia dal canto suo, non ha mai negato l’apporto fondamentale della produzione materiale, come si evince già dalla classica definizione di cultura data da Tylor. La seconda affermazione mi appare del tutto fine a se stessa e quindi non ritengo il caso di commentarla. Quanto all’importanza dell’antropologia negli studi storici, al contrario di quanto afferma la Sheldon, essa mi sembra non solo elevata, ma addirittura fondamentale, come dimostrano i risultati raggiunti nel campo della storia delle religioni. 30 Nel corso dell’ultimo ventennio numerosissimi sono stati gli studi dedicati al problema della conquista romana : si è cercato di definire meglio i concetti relativi, di affinare gli strumenti di analisi, di indagare gli specifici contesti, evitando affrettate generalizzazioni. Tra le varie opere ne

ricorderemo alcune particolarmente interessanti per la nostra ricerca. Nel volume collettaneo dal titolo The Early Roman Empire in the West, 31 M. Millett affronta, da un diverso punto di vista rispetto alla Sheldon, il problema del concetto di “romanizzazione” e l’operatività della nozione di “acculturazione”. 32 Egli ritiene questa nozione particolarmente valida perché aiuta a distaccarsi dalla visione della “romanizzazione” che emerge dalle fonti testuali e che si è imposta negli studi. 33 Lo studioso propone poi un modello di “romanizzazione” come « (…) results of accident of social and power structures rather than deliberate actions » in cui « (…) the motor for the Romanization can be seen as internally driven, rather than externally driven ». 34 Lo scopo dei conquistatori era quello di governare attraverso le élites locali e questo fu possibile attraverso la rapida istituzione di un’amministrazione civile. Il governo era quindi affidato alle élites locali le quali agivano seguendo i princìpi romani all’interno di una « Roman style constitution ». Da ciò consegue che gli indigeni che furono coinvolti nell’amministrazione accolsero volentieri la “romanizzazione”, che consentiva loro di mantenere un’alta posizione sociale nella comunità la quale, anzi, si rafforzava nell’identificazione con il potere romano. La ricerca e l’utilizzo di simboli “romani” da parte di queste élites sarebbe poi penetrata per emulazione anche negli altri strati della società. Si tratta di un approccio alla “romanizzazione” che vede Roma come centro di irradiazione di cultura, ma rimanda il processo di “acculturazione” interamente all’interno della società provinciale che liberamente sceglie di acquisire elementi culturali romani, e questo a partire dai suoi livelli più elevati via via fino a quelli più modesti attraverso un processo di emulazione pacifico e volontario. Anche per P.A. Brunt 35 le élites locali giocano un ruolo fondamentale nella costruzione dell’Impero romano che, d’altra parte, avrebbe avuto scarsa possibilità di sopravvivenza senza la loro presenza e collaborazione. Comunque, anche se solo en passant, Brunt pone l’attenzione al fatto che, mentre è possibile conoscere il livello di adesione delle classi superiori alla cultura romana, non siamo in grado di accertare quanto « (…) that loyality penetrated the masses. They do not speak to us on parchment or stone ». 36 Nell’ambito di un’ampia rassegna sull’archeologia dell’Africa romana, D.J. Mattingly e R. B. Hitchner 37 dedicano un grande spazio alle voci “cultura” e “religione” affrontando il problema della “romanizzazione” con grande equilibrio. Il giusto approccio nello studio dell’Africa romana risiede nella consapevolezza che « (…) Romano-Af���������� rican society is a new world, different from what had gone before and equally distinct from other parts of the Empire. The outward symbols of civilization (art, architecture, iconography, literature, dedications etc.) exhibit, each in their own way, a search for accomodation and common meaning between the Roman state and African society ». 38 Gli autori descrivono questo particolare rapporto come « a

25  Fentress 1982. 26  Ibidem, p. 109. 28  Vedi n. 65. 27  Sheldon 1982. 29  Sheldon 1982, p. 104. 30  Si pensi anche a quell’importante corrente degli studi storici sorta in Francia, ma ormai ampiamente diffusa, che in Italia è conosciuta come “antropologia del mondo antico”.

32  Millet 1990. 31  Blagg – Millet 1990. 34  Ibidem, p. 38. 35  Brunt 1990. 33  Ibidem, p. 37. 37  Mattingly – Hitchner 1995. 36  Ibidem, p. 277. 38  Ibidem, p. 205.



































































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very complex process of multi-cultural fusion and change ». 39 Passando a esaminare i materiali archeologici, sono sempre messi in luce gli apporti che provengono sia dalla cultura punico-africana che da quella romana e l’originalità con cui esse si fondono per produrre nuove forme di rappresentazione. Una valida messa a punto del problema dei rapporti tra “centro” e “province” è la raccolta di contributi apparsa nel 1997 e curata da D.J. Mattingly. 40 L’introduzione al volume, redatta dal curatore, 41 mette sul tavolo una serie di considerazioni di estrema importanza. Mattingly, ribadendo quanto già sostenuto nell’articolo scritto con Hitchner, sottolinea l’importanza di non intendere la “romanizzazione” come un atto unilaterale, ma neanche come un atto bilaterale, quanto piuttosto “multi-direzionale” poiché non segue sempre il medesimo processo ma si realizza in molte forme differenti e seguendo percorsi variati. Il tanto contestato concetto di “resistenza” non va aprioristicamente scartato, ma piuttosto inserito all’interno di una più vasta rete di rapporti di potere tra Roma e province di cui esso costituisce solo una possibilità tra le altre. J.C. Barrett, 42 da parte sua, pone l’accento su come la “romanizzazione” sia un’esperienza che è possibile analizzare solo a livello individuale perché è vissuta diversamente da soggetto a soggetto e si diversifica nel tempo e nello spazio. 43 In controtendenza rispetto a quanti attribuiscono ai Romani un ruolo quasi “inconsapevole” nella “romanizzazione”, W.S. Hansen 44 sostiene che « (…) both the acquisition of an empire and the assimilation of its occupants were deliberate and related acts, the latter being just one of the many ways in which Rome exercised control over her empire ». 45 Nei ������������������������������������������ territori annessi il controllo amministrativo era usualmente lasciato alle élites indigene le quali vennero deliberatamente “romanizzate”. Tra gli strumenti adoperati a questo scopo Hansen menziona : l’urbanizzazione, 46 con la conseguente necessità per gli individui « (…) to conform to Roman mores in specific acts relating to local government » ; 47 il conferimento della cittadinanza ai magistrati municipali e alle truppe ausiliarie in congedo ; la promozione del culto imperiale e, più in generale, dell’ideologia imperiale. C.R. Whittaker 48 giudica il concetto di “resistenza” non funzionale alla comprensione della “romanizzazione”, dal momento che ogni singola società è composta di individui diversi e possiede differenti sistemi di valore, di conseguenza « (…) different choice are made between competing systems according to one’s class or group interests, and Roman culture was simply one more choice, which naturally appealed more to the rich, ruling élites than to the poor. But, since élites were consistently mobile and were themselves socially entwined with their poor compatriots, there was infiltration from one set of values to

another ». 49 Certo, �������������������������������������������� quest’ultima affermazione appare, almeno nel caso dell’Africa, piuttosto difficile da sostenere, poiché per le classi più basse della popolazione ben scarse erano le possibilità di decollo sociale. 50 Nell’ambito di un incontro sulla religione nelle province romane 51 A. Bendlin presenta un contributo sulla comunicazione religiosa nell’Impero romano. 52 Egli sottolinea il ruolo importante che svolsero nell’Impero le élites provinciali le quali avevano interessi prettamente locali. 53 Lo studioso propone poi alcuni modelli di comunicazione provinciale che sarebbero determinati dall’attrazione verso il “centro”, ma con una tendenza alla rielaborazione locale. La relativa omogeneità di atteggiamento da parte delle élites indigene delle diverse province deriverebbe dal fatto che « (…) power groups across the empire belonged to a roughly homogeneous stratum of aristocratic land-owners and entrepreneurs with similar attitudes and similar aims, namely the accumulation of material and symbolic capital ». 54 Bendlin suggerisce allora di parlare piuttosto che di “romanizzazione” di un « (…) process of local imitation of desiderable cultural values removed from their original context, particulary as the adaption of such symbols (…) did not correlate with an overriding economic or social integration of local communities into the empire as a whole. Instead, it seems, those values became the prevalent code of communication about élites status at a local level ». 55 In un contributo sulle persistenze puniche nella Sardegna romana, 56 P. van Dommelen espone alcune osservazioni sui concetti di “colonialismo romano” e “resistenza” locale : né colonizzatori né colonizzati possono considerarsi entità nettamente definite, in quanto ogni società colonialista « (…) is made up of a range of social groups with different intentions and interests. As a consequence, below the manifest opposition between colonisers and colonised some groups may cooperate across the colonialist divide, while others can be excluded by both side ». 57 Particolarmente ricco di nuovi spunti sul concetto di “romanizzazione” è lo studio che G. Woolf dedica alla Gallia romana. 58 Egli prende ugualmente le distanze sia da quanti vedono nella “romanizzazione” il risultato di un progetto sistematicamente portato avanti dai conquistatori, sia da quanti invece la considerano una conseguenza del desiderio di emulazione degli indigeni. In riferimento alla Gallia, egli parla del ruolo giocato dai Romani, dai Galli e da coloro che partecipavano a entrambe le culture nella costruzione della cultura gallo-romana. 59 Nel capitolo dal titolo The Civiling Ethos Woolf analizza l’ideologia che accompagna i Romani nella conquista di un territorio che si fa sempre più vasto, chiedendosi in che modo essi concepissero l’Impero e la sua espansione. Il punto di vista più interessante gli sembra quello degli intellettuali che dovettero in qualche maniera “conferire senso” (cioè at-

39  Ibidem. 40  Mattingly 1997. 42  Barrett 1997. 41  Mattingly 1997a. 44  Hanson 1997. 43  Ibidem. 45  Ibidem, p. 67. 46  Sul ruolo della città per l’affermazione dei valori imperiali cf. Fentress 2000 e in particolare Zanker 2000. 48  Whittaker 1997. 47  Ibidem, p. 67. 49  Ibidem, p. 149.

50  Cf. Bénabou 1976, p. 586 ; Garnsey 1978, p. 248. 52  Bendlin 1997. 51  Cancik – Rüpke 1997. 53  Bendlin parla della « (…) provincial preference for channeling local resources into local, and not into senatorial or provincial, office », ibidem, 55  Ibidem, pp. 55-56. p. 43. 54  Ibidem, p. 55. 57  Ibidem, p. 34 56  Van Dommelen 1998. 59  Cf. ibidem, p. 22 n. 74. 58  Woolf 1998.



















































































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tribuire valore) all’azione dei condottieri. Le opere di Strabone e di Pomponio Mela rivelano chiaramente un’ottica romano-centrica, con una categorizzazione del mondo conosciuto secondo la suddivisione nelle diverse province. Ma quello che è ancora più interessante è l’emergere, a partire dalla fine del I sec. d.C., del concetto di humanitas che « (…) distinguished an élite as cultivated, enlightened, humane and so fitted to rule and lead by example, but it also encapsulated a set of ideals to which all men might aspire ». 60 La conquista si legava così all’idea di aiutare a sviluppare negli altri popoli ciò che essi potenzialmente possedevano. 61 Questo concetto di humanitas si definisce anche e soprattutto in contrapposizione con quello di barbarie che si situa al polo opposto e rappresenta il totalmente “altro”, quello con il quale non è possibile dialogare, perché non esiste una traducibilità per le rispettive categorie culturali. Solo chi accettava un rapporto in termini comprensibili per la cultura romana poteva essere preso in considerazione e, eventualmente, guidato verso il conseguimento dell’humanitas. Il conferimento del diritto latino si proponeva così come un primo passo che, d’altra parte, favoriva chi meglio era integrato nella nuova cultura, come coloro che rivestivano le magistrature nelle città. Il concetto di humanitas attribuiva valore anche all’azione delle élites locali che, da un punto di vista ideologico, erano legittimate ad agire come dispensatrici di cultura ai loro subordinati. 62 La critica ai concetti di “romanizzazione” e “resistenza”, così come erano presentati nel lavoro di Bénabou, è stata costruttiva nella misura in cui ha contribuito a una revisione di questi concetti e a una migliore contestualizzazione sociale e culturale dei protagonisti, conquistatori e conquistati, nella storia dell’Impero romano. Non mi sembra, tuttavia, che il problema centrale sollevato da Bénabou sia stato risolto del tutto. La maggior parte degli studiosi si è infatti soffermata sulle élites locali mettendone in risalto l’adesione al modello romano. In pratica si è molto studiata quella parte della società provinciale che maggiormente beneficiava del nuovo status, mettendo generalmente in subordine il fatto che, oltre agli indigeni naturalizzati cittadini romani, ricchi e desiderosi di scegliere forme di autorappresentazione in linea con la cultura acquisita, esisteva un cospicuo numero di indigeni, cittadini romani o meno (non importa), che ne restava ai margini, quando non ne era completamente escluso. Per quanto si voglia criticare Bénabou, e a volte fondatamente, non si può negare il valore del suo tentativo di ricostruire, anche se in modo sicuramente schematico, parziale e frammentario, 63 l’universo ideologico dei Libico-Berberi in epoca romana. Il suo fondamentale errore strategico sembra risiedere piuttosto nel fatto di essersi voluto servire di un termine non politicamente neutro come quello di “resistenza” – a poco o nulla sono valsi i

suoi tentativi di spiegarlo o ridimensionarlo – che ha indubbiamente offerto il fianco a molte critiche. La critica più costruttiva rimane finora quella avanzata da Thébert che ha, per primo, messo in evidenza i pericoli del dualismo insito nella semplice contrapposizione tra “romanizzazione” e “resistenza”, ponendo soprattutto l’accento sulla necessità di un approfondimento dello studio della composizione della società africana. Questo non significa però fermare le proprie analisi alle élites dirigenti, come si è fatto in molte analisi successive. Qualsiasi studio che si occupi in un modo o nell’altro di aspetti della vita culturale dell’Africa romana non può prescindere dal prendere una posizione precisa rispetto al dibattito qui presentato. Appare ormai chiaro che non si può usare il termine “imperialismo” senza specificare che si tratta di un termine di comodo e che non lo si può applicare a Roma con lo stesso portato ideologico con cui si applica agli stati moderni. Roma non aveva né i mezzi né gli obiettivi coercitivi dell’imperialismo moderno ma, soprattutto, come ha ben chiarito Bendlin, non aveva neanche un concetto di impero comparabile a quello con cui questo termine viene utilizzato attualmente : « (…) the empire as whole was represented through isolated landmarks in the form of texts, images and symbols only », 64 esisteva concettualmente un “centro”, Roma, e tutto il resto era “periferia”. L’imperialismo romano si basava sul reperimento delle ricchezze locali, beni e soldati, senza un progetto ideologico ragguagliabile a quelli a noi oggi familiari e che sostanziano il nostro concetto di “imperialismo”, e per questo fu prevalentemente espansionista. Anche il concetto di “romanizzazione” va usato solo a fini euristici, dal momento che è un grande contenitore all’interno del quale si situano realtà così differenti che esso finisce altrimenti per perdere tutta la sua pregnanza. Al contrario la nozione di “resistenza” non va generalizzata perché, soprattutto a livello culturale, i processi di interscambio tra differenti civiltà sono così complessi che la perdita o il mantenimento di un elemento tradizionale in una situazione nuova non può essere certo considerato la prova di un rifiuto verso il “nuovo”. In questo senso sembra particolarmente proficuo il ricorso alle teorie antropologiche sull’incontro-scontro fra culture con una particolare attenzione verso il concetto di “acculturazione” che, se correttamente applicato, può aprire interessanti piste di indagine. 65 Naturalmente va tenuto in conto che, così come è generico il termine “romanizzazione”, altrettanto e forse più lo è quello di “cultura africana”, che può essere utilizzato anch’esso solo convenzionalmente e che richiede nell’analisi dei singoli casi specifici chiarimenti. Una cosa è parlare, ad esempio, dell’impatto della conquista romana sui grandi ed evoluti centri punici, un’altra è se prendiamo in considerazione invece le tribù

60  Ibidem, p. 55. Sul concetto di humanitas cf. anche Gordon 1990, pp. 235-237. 61  « Earlier justifications of imperialism had been based on the idea that each war was individually righteous, a bellum iustum, but the notion of Rome as propagator of humanitas provided a sanction for the entire process of world conquest », ibidem, p. 57. 62  « The motivations of individuals are always difficult to disentangle, and it is probable pointless to attempt to disentangle cultural action designed as a conscious strategy for self advancement from that prompted

from a deep internalization of elite Roman values, but there is a clear convergence between the pragmatic interests of new Gallo-Roman aristocratics and the civiling ethos of empire’s ruling classes », ibidem, p. 74. 63  Questo dipende però dalle fonti disponibili. 64  Bendlin 1997, p. 37. 65  Sul concetto di acculturazione esiste una vastissima bibliografia, tra cui si veda in particolare Redfield – Linton – Herskovits : SSRCS, 1954 ; Berry 1980 e per un’applicazione nello studio delle province romane, Woolf 1998, pp. 15-16.



































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nomadi dell’interno, per non parlare dei regni africani oppure di quelle zone che conoscevano insediamenti di cittadini romani già prima della caduta di Cartagine. A loro volta queste diverse realtà erano in contatto più o meno

profondo con altre culture del Mediterraneo, come quella greca, egiziana e fenicia. È chiaro che ci si trova davanti a un quadro dalle mille sfumature che devono di volta in volta essere indagate e valorizzate.

6. Il CULTO DI CAELESTIS TRA ‘CENTRO’ E ‘PERIFERIA’ 6. 1. Dèi africani e Impero : problemi di metodologia  

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egli studi sulla religione nelle province romane, per lungo tempo si è fatto ricorso a un approccio che chiamava in causa, da una parte, i culti locali, dall’altra, la religione romana e il culto imperiale, analizzandoli e risolvendoli attraverso i concetti di sincretismo, interpretatio, 1 romanizzazione e resistenza. 2 Recentemente è stata però messa in risalto l’inadeguatezza di tali nozioni per esprimere una realtà dalle molteplici sfaccettature, come quella rappresentata dalla situazione delle province sotto l’Impero. Nel caso del sincretismo poi, più in generale, è stata messa in dubbio l’operatività stessa di questo concetto nel campo della storia delle religioni. Si è aperto così un ampio dibattito che ha diviso gli studiosi tra quanti ritengono che vada definitivamente abolito e quanti invece credono che possa essere ancora utilizzato con opportuni correttivi. 3 Va da sé che tanti studiosi continuano invece a usare il termine nei loro lavori senza minimamente accennare ai problemi che l’uso di questa nozione continua a sollevare. Mi propongo in questo paragrafo di passare in rassegna, almeno nelle grandi linee, i contributi più interessanti sulla questione in particolare riferimento all’Africa romana. Una prima tappa di questo percorso è rappresentata dal contributo sull’Africa, offerto da M. Leglay 4 nel Convegno sul sincretismo tenutosi a Besançon nel 1973. 5 Lo studioso individua due forme di sincretismo. La prima è da lui definita “sincretismo di assimilazione” e, al suo interno, egli distingue i casi di assimilazione semplice, quelli con adattamento delle divinità e conseguente arricchimento della loro personalità, e quelli in cui si riscontra un’assimilazione cumulativa. Nel primo tipo rientrerebbero le varie divinità indigene o puniche che vengono invocate sotto un nome romano. La categoria proposta da Leglay non è però del tutto accettabile, poiché non è possibile pensare che il nome romano si limiti a “tradurre” una divinità locale senza che questo implichi la benché minima interpretazione. E infatti lo stesso Leglay è costretto a concludere che : « (…) chaque divinité représente un cas d’espèce. Du moins y a-t-il entre toutes un caractère commun : quel que soit le processus et quelles que soient les modalités de l’assimilation, celle-ci reste toujours incomplète ». 6 Questo è chiaramente un giudizio etic, che esprime cioè il punto di vista dello studioso, ma che non doveva concernere quanti adottavano nomi romani per le divinità locali. Nell’assimi 



















1  Sulla nozione di interpretatio e i suoi problemi di applicabilità cf. il classico Wissowa 1916-1919 ; Bloch 1976a ; Girard 1980 ; Letta 1984 ; Barié 1985 ; Webster 1995 ; Spickermann 1997 ; Cadotte 2007. 2  Su questi due concetti e i loro limiti cf. cap. 5. 3  La bibliografia sul sincretismo è sterminata, si veda almeno a partire dagli anni ‘60 : Baird 1967-1968, 1971 e 1975 ; Hartman 1969 ; Pye 1971 e 1994 ; Smith 1971 ; AA.VV. 1973 e 1983 ; Capps 1973 ; Biezais 1975 ; Dunand – Lévêque 1975 ; Pearson 1975 ; Berner 1976 ; 1979 ; 1982 ; 1991e 2001 ; Colpe 1975, 1977 e 1987 ; Wiessner 1978 ; Rudolph 1979 ; Martin 1983, 1987, 1993, 1994, 1996, 2000 e 2001 ; Droogers 1989 ; Gort – Vroom – Fernhont  



















































lazione con adattamento Leglay include quei casi in cui le divinità greco-romane, per meglio adattarsi alla personalità delle divinità locali, mutuano da altri dèi caratteri nuovi. Con l’assimilazione cumulativa, invece, si moltiplicano, attraverso attributi ed epiteti, le assimilazioni divine e, conseguentemente, le prerogative di una determinata divinità. Il secondo tipo di sincretismo, definito di associazione o giustapposizione, comprenderebbe invece quelli che Leglay chiama “raggruppamenti di divinità associate”, cioè quei casi in cui in un medesimo testo sono menzionati più dèi e le “formule sincretistiche” come ad esempio di Augusti, o di omnes o di et deae omnes e Caelestes Augusti o Augustae. Lo schema presentato da Leglay è molto ampio, così inclusivo che finisce per togliere pregnanza al termine stesso di sincretismo. In esso si trovano a confluire infatti fenomeni molto differenti : i casi presentati nel sincretismo di associazione o giustapposizione, ad esempio, sembrano rientrare nel fenomeno più generico del culto in una religione di tipo politeistico in cui i devoti volentieri fanno riferimento a più divinità. 7 Senza entrare qui in merito all’uso del termine sincretismo, già problematico di per sé, mi sembra però opportuno rilevare che esso, utilizzato da Leglay come categoria puramente descrittiva, non fa progredire molto sul piano della comprensione dei fenomeni (non aiuta cioè a comprendere i fenomeni da un punto di vista storico). La maggior parte delle divinità viene fatta afferire nella categoria dell’ “associazione pura e semplice”, ma lo studioso è poi costretto a fare numerosi distinguo per ammettere, alla fine, che le situazioni variano caso per caso. Un po’ riduttiva appare poi, nella parte finale, la distinzione tra un sincretismo mistico e filosofico proprio delle élites colte e uno magico e superstizioso appartenente invece ai livelli popolari. Questi due “sincretismi”, se così li vogliamo definire, non sono impermeabili l’uno all’altro, ma interferiscono costantemente tra di loro arricchendosi vicendevolmente. Si tratta inoltre di una distinzione obsoleta dal punto di vista della storia degli studi, con la contrapposizione tra “popolare arretrato” e classi alte “superiori”, laddove, ad esempio, il fenomeno “magia” era tutt’altro che esclusivo degli strati inferiori. Su un piano più strettamente sociologico si pongono invece le osservazioni di P.-A. Février sull’attribuzione di un nome romano, o meglio dell’identificazione di dèi romani con divinità indigene. Secondo questo studioso, in tale operazione sarebbe manifesto il desiderio delle élites municipali di stabilire una connessione con Roma e i suoi dèi : « La traduction, si elle les trahit, les valorise en les  







– Wessels 1989 ; Sabbatucci 1990 ; Ries 1993 ; Schreite 1993 ; Motte – Pirenne-Delforge 1994 ; Stewart-Shaw 1994 ; Aigmer 1995 ; Canfora 1995 ; Dolazelova – Horyna – Papoušek 1996 ; Webster 1997 ; Bonnet – Motte 1999 ; Turcan 1999 ; Light 2000 ; Bernand – Capone – Lenoir – Champion 2001 ; Benavides 2001 ; Cassidy 2001 ; Droge 2001 ; Lincoln 2001. Per quanto riguarda la metodologia cf. Xella 2009. 5  AA.VV. 1975. 4  Leglay 1975. 6  Leglay 1975, p. 137. 7  Pertinenti mi sembrano le critiche in Bénabou 1986, pp. 329-331.  

































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identifiant à un monde connu ; elle leur donne une garantie, comme une monnaie faible s’alligne sur une monnaie forte ». 8 In occasione di un Convegno tenutosi nel 1983, M. Bénabou presenta un contributo sul sincretismo religioso in Africa. 9 È importante constatare che, in questo lavoro, lo studioso ha certamente tenuto conto delle critiche che, a suo tempo, Y. Thébert aveva sollevato su alcuni aspetti del suo volume sulla “resistenza africana alla romanizzazione”. 10 Nell’analisi di Bénabou un’attenzione particolare è infatti riservata alla componente sociale della popolazione africana. In primo luogo, egli esamina quello che definisce il “sincretismo municipale” con riferimento alle divinità con nome romano che assurgono al ruolo di geni municipali o divinità protettrici della città. Sotto il nome latino si nasconderebbe una più antica divinità locale. Tale cambiamento si riscontrerebbe in quei centri che sono rapidamente diventati municipi e la “traduzione” sarebbe una sorta di prezzo “politico” da pagare : « (…) la divinité d’allure romaine est là pour couvrir tout le champ des activités officielles auxquelles elle est d’emblée liée ». 11 Lo studioso è convinto che si possa parlare di un’effettiva fusione tra divinità romane e divinità africane solo per una ristretta minoranza della popolazione africana, mentre nel resto dei casi si assisterebbe a una molteplicità di soluzioni che dipendono dalle specifiche situazioni dei diversi gruppi sociali interessati : « Ou bien ils relèvent des tentatives imposées d’en haut par Rome dans le cadre d’une politique d’intégration des élites ; ou bien ils relèvent du désir mimétique d’une partie de la population africaine, et, dans ce cas, il faut encore distinguer entre les initiatives de personnages officiels parlant au nom de la communauté et celles des individus ou des groupes familiaux agissant à titre privé ». 12 Negli studi più recenti si è preferito definire i rapporti tra Roma e province in termini di “centro” e “periferia”, 13 mettendo in luce le specificità dei diversi territori e, conseguentemente, i differenti modi in cui la cultura romana ha dialogato con le comunità con cui è venuta in contatto. Da ciò deriva che, in ogni specifica situazione, gli esiti sono diversi ed è impossibile parlare genericamente di una “religione dell’Impero”. 14 In ogni provincia, e in modo non uniforme anche all’interno di ciascuna di esse, si viene a creare un’interazione tra centro e periferia a livello amministrativo, politico e religioso che deve essere indagata con particolare attenzione tanto nella direzione del centro verso la periferia, che in quella dalla periferia verso il centro. 15 Non pochi studi hanno sottolineato il ruolo fondamentale che, nelle scelte religiose “ufficiali”, è giocato dalle éli-

tes provinciali e dal loro modo di accogliere e reinterpretare i valori culturali del modello “centrale” che appaiono loro particolarmente importanti. 16 Lo stesso culto imperiale, ritenuto l’elemento coibente nella realtà multiculturale delle province, non solo non era praticato simultaneamente nei vari luoghi, ma non seguiva nemmeno la medesima procedura, tendendo a diversificarsi nelle diverse parti dell’Impero. 17 Secondo A. Bendlin bisognerebbe concepire « (…) the religious life of the city-state as flexible and open, containing only a minimum of communally elaborated rules, as outlined by a local calendar, religious tradition, élite initiative, or imperial intervention ». 18 La permeabilità che permette il passaggio delle divinità greco-romane nei panthea provinciali e viceversa, non può spiegarsi solo nei termini di una politica di “romanizzazione” o di una “resistenza” ad essa, trattandosi di una caratteristica funzionale del politeismo sempre virtualmente aperto all’ingresso di nuovi elementi religiosi. 19 Un’analisi esemplare, dal punto di vista dei rapporti tra “centro” e “periferia” e viceversa, è quella recentemente compiuta da J.B. Rives a proposito di Cartagine. 20 Questo studioso, attraverso un’indagine minuziosa delle fonti su Cartagine e, in parallelo, di quelle su Thugga, ricostruisce i complessi rapporti tra élites africane, potere centrale e iniziative religiose, delineando il ruolo dell’ordo decurionum, dipendente da Roma ma dotata di ampia autonomia, in materia di sacra publica, non solo per quanto riguarda i culti prestati alle divinità ma anche per quello rivolto all’imperatore. In particolare, per quanto riguarda le divinità indigene, Rives sottolinea l’importanza che rivestiva il loro culto come elemento di orgoglio e identità locale per le élites indigene. Poco proficua al chiarimento del problema appare la posizione di A. Cadotte. 21 Anche questo studioso si inserisce nel filone di studi che sottolinea il contributo delle élites indigene alla romanizzazione delle divinità africane. Lo studioso tuttavia interpreta il fenomeno come una sorta di operazione a tavolino coscientemente operata dai dignitari locali che, in questo modo, realizzano un vero e proprio “compromesso” 22 attraverso l’applicazione una “vernice” 23 romana sugli antichi dèi africani. 24

8  Février 1976, p. 310. 9  Bénabou 1986. 10  Nel volume si faceva infatti riferimento significativamente a una “africanizzazione” delle divinità romane, spostando quindi il problema completamente sul versante della ricezione africana di quanto proveniva da Roma. Non a caso si parlava per questo problema di un « (…) nouvel aspect de la résistance religieuse à la romanisation » (Bénabou 1976, p. 331). 11  Bénabou 1986, p. 326. Cf. cap. 5. 12  Ibidem, p. 332. 13  Sulla definizione in termini sociologici di “centro” e “periferia” e i rapporti tra queste due entità cf. per tutti lo studio classico di Shils 1975. 14  Cf. Rüpke 1997. 15  Una buona sintesi di questo approccio in Kunz 2003, pp. 1-25. 16  Bendlin 1997. Ma diceva cose poi tanto diverse Bénabou quando so-

steneva che per “resistenza” culturale si poteva intendere « (…) l’adoption sélective de formes culturelles romaines qui sont intégrées dans un contexte africain, mais plus ou moins remodelées en fonction de cette intégration » (Bénabou 1976a, p. 373) ? A parte l’uso più o meno discutibile del termine “resistenza”, mi sembra che egli avesse ben presente il tipo di ricezione dinamica da parte dei provinciali di elementi culturali romani. 17  Rüpke 1997, pp. 15-16 ; Bendlin 1997, pp. 45-46. 18  Bendlin 1997, p. 48. 19  Sul non esclusivismo del politeismo cf. Gladigow 1990. 21  Cadotte 2007. 20  Rives 1995. 23  Ibidem, pp. 10 e 385. 22  Ibidem, pp. 2 e 423. 24  Sui limiti dell’approccio metodologico di Cadotte cf. cap. 2.





























































6. 2. Caelestis tra ‘centro’ e ‘periferia’ Per quanto riguarda l’oggetto della presente ricerca, siamo davanti a una situazione particolarmente interessante. Caelestis era ed era considerata una dea africana, ma questo suo carattere indigeno non ne ostacola però l’ascesa, anzi, per una serie di circostanze che vedremo subito, esso  







il culto di caelestis tra ‘centro’ e ‘periferia’ è l’elemento che la rende lo strumento elettivo del dialogo tra il potere imperiale e l’élite romanizzata africana. Ciò avviene attraverso una serie di viaggi, siano essi reali o immaginari poco importa, che la portano da Cartagine a Roma, poi ancora in Africa e di nuovo nella capitale, ma senza farle mai perdere quelle caratteristiche che ne fanno il “Genius dell’Africa”.

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L’incontro “ufficiale” tra la dea protettrice di Cartagine 25 e i Romani avviene, almeno secondo le fonti letterarie classiche, durante la seconda e la terza guerra punica, nel contesto di quel rituale romano conosciuto come evocatio. Le testimonianze sono però tarde : la prima fonte è il commentario all’Eneide di Servio, la seconda sono i Saturnali di Macrobio. Secondo Servio durante la seconda guerra punica Iuno (Caelestis) fu exorata 26 e nella terza fu da Scipione translata a Roma. La testimonianza di Macrobio, attraverso l’intermediazione di Sammonico Sereno, risalirebbe all’antichissimo libro di un certo Furio. Gli studiosi sono propensi a identificare quest’ultimo con L. Furius Philo, proconsole nel 135 a.C., il quale apparteneva alla cerchia degli intimi di Scipione Emiliano. 27 Si tratterebbe quindi di una testimonianza praticamente contemporanea agli eventi. Il passo di Macrobio inserisce il riferimento a Cartagine all’interno di un discorso più vasto sull’evocatio : questo rituale, egli racconta, si svolgeva al momento della conquista di una città sia perché altrimenti la città non si sarebbe potuta conquistare, sia perché gli dèi non possono essere fatti prigionieri. Si invitavano così le divinità tutelari della città assediata ad abbandonarla e a passare dalla parte dei Romani. Per evitare di essere loro stessi oggetto di un simile trattamento, i Romani tenevano segreto non solo il nome della divinità protettrice, ma anche il nome latino della propria città. 28 L’evocatio implica quindi l’ “appropriazione”, tramite chiamata prima della distruzione di una città nemica, della divinità poliade straniera, e ciò si realizza solo attraverso la conoscenza del nome divino proprio. L’utilizzo di un nome sbagliato può quindi rendere vano l’atto, ecco perché Scipione si rivolge alle divinità cartaginesi, e soprattutto a quella poliade, attraverso l’espressione si deus si dea est, 29 il che evitava qualsiasi possibile fraintendimento. Il generale esorta gli dèi ad abbandonare il popolo e la città cartaginesi con la promessa di ricevere templi e giochi a Roma. Alla evocatio, sempre secondo Macrobio, seguiva poi la devotio della città alle divinità infere. La comprensione dei passi di Servio e Macrobio si collo-

ca all’interno del più vasto problema dell’interpretazione dei dati sull’evocatio, un problema che non è possibile ovviamente affrontare qui e per il quale rimando alla bibliografia pertinente, 30 soffermandomi soltanto sulla discussione più recente. Tra le teorie più nuove sulle funzioni di questo antichissimo rituale romano, è di particolare interesse quella proposta da J. Rüpke il quale attira l’attenzione sul fatto che, con l’evocatio, si dissolvono i confini sacri della città che può essere così conquistata. Il trasferimento a Roma della divinità evocata non appare invece un elemento necessario perché il rituale sia portato a compimento. 31 A. Blomart, 32 invece, allarga i confini geografici dell’evocatio e nega che essa sia connessa esclusivamente con la guerra, inserendo così nel dossier di questo rituale, eventi come l’introduzione del culto di Asclepius a Epidauro o quello di Cybele a Roma. Di opinione contraria è G. Gustafsson 33 secondo cui l’evocatio è strettamente connessa alla conquista militare e si basa sulla “chiamata” della divinità e sulla promessa di un voto che può essere, ma non è necessariamente, l’istituzione di un culto della divinità a Roma. 34 Questo rituale legittima religiosamente la conquista che appare così appoggiata sia dai propri dèi sia da quelli nemici. 35 Per quanto riguarda più specificamente Iuno (Caelestis) bisogna dire che G. Wissowa 36 e K. Latte 37 consideravano apocrifa la tradizione riportata da Servio sull’evocatio della dea cartaginese durante la seconda guerra punica e ritenevano la notizia di Macrobio il frutto di una leggenda sorta sotto Settimio Severo. Per V. Basanoff, 38 invece, che riconosce piena credibilità ai passi di Servio e Macrobio, l’exoratio di Iuno menzionata da Servio deve considerarsi come una contromossa rispetto agli atti di devozione compiuti nel 205 a.C. da Annibale nei confronti della Iuno di Capo Lacinio (Hera Hoplosmia), nei pressi di Crotone. 39 Il successivo riferimento a un trasporto a Roma di Iuno (Caelestis) durante la terza guerra punica implica, sempre secondo Basanoff, che fosse stata pronunciata l’evocatio, come testimonia appunto Macrobio. Il problema che a Roma, però, non ci sia per quella data alcuna testimonianza dell’esistenza di un tempio della dea, viene risolta da Basanoff attraverso l’ipotesi di un suo accoglimento nel tempio di Iuno Moneta. Successivamente il simulacro della dea sarebbe stato riportato in Africa al tempo della fondazione della Colonia Iunonia da parte di C. Gracchus. 40 Poiché la colonia era a tutti gli effetti territorio romano, la promessa di Scipione sarebbe stata pienamente mantenuta. Anche J. Le Gall 41 riconosce pieno valore a Servio e Macrobio, ma rifiuta l’idea che la dea cartaginese sia stata effettivamente traslata a Roma, ritenendo che le promesse

25  La dea poliade della Cartagine punica è Tinnit, nelle fonti sull’evocatio si parla di Iuno cartaginese che, come sappiamo, sarà poi chiamata Caelestis. Per coerenza faremo quindi riferimento alla dea evocata come a Iuno, aggiungendo tra parentesi Caelestis. 26  Exorare non significa “evocare” ma piuttosto “placare”, “addolcire”, cf. Palmer 1974, p. 49. 27  Cf. Basanoff 1947, p. 4 ; Berti 1990, p. 70 e n. 14. 28  Sul nome segreto della divinità protettrice di Roma cf. Basanoff 1947, pp. 17-31 e Brelich 1949. 29  Questa non è però un’espressione esclusiva dell’evocatio, cf. Alvar 1985.

30  Si vedano tra gli altri Wissowa 1909 e 1912 ; Basanoff 1947 ; Brelich 1949 ; Van Doren 1954-1955 ; Latte 1960 ; Le Gall 1976 ; Heussler 1979 ; Alvar 1985 ; Rüpke 1990, pp. 162- 164 ; Blomart 1997 ; Gustafsson 1999. 32  Blomart 1997. 31  Rüpke 1990. 34  Ibidem, p. 160. 33  Gustafsson 1999. 36  Wissowa 1909 e 1912, p. 374. 35  Ibidem, p. 166. 37  Latte 1960, p. 125 n. 2 e p. 346 n. 4. 38  Basanoff 1947, pp. 63-65. 39  Tit. Liv. 28, 46, 15-16 ; Pol. III 33 ; Cic., De div. I 48-49 ; cf. Bloch 1976a. 40  Basanoff 1945, pp. 66, riprende qui una suggestione di Cumont 41  Le Gall 1976. 1899, p. 1248.

6. 2. 1. L’evocatio di Tinnit/Iuno (Caelestis)  

































































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dell’evocatio, templi e giochi, erano probabilmente compiute in loco, nel paese stesso della divinità che era ormai territorio romano a pieno titolo. 42 Questa supposizione troverebbe conferma in un’iscrizione concernente un’evocatio che proviene da una città della Cilicia, Isaura Vetus, datata al 75 a.C., e che sembra essere stata realizzata per essere collocata in un tempio. J. Rüpke nota come le ultime due testimonianze 43 di evocatio, quella a Cartagine 44 e quella a Isaura Vetus, non comportano più, a differenza delle precedenti, la costruzione di un tempio a Roma. Questo diverso atteggiamento si spiegherebbe con l’evoluzione del pantheon romano determinata dalla conquista dei popoli italici e dalla massiccia “importazione” di nuove divinità durante la seconda guerra punica. Le divinità straniere o sono già “romane” o sono così distanti culturalmente da non suscitare alcun interesse. 45 In un articolo del 1990 N. Berti 46 tenta di fare un bilancio valutando i pro e i contro circa la storicità dell’episodio di evocatio a Cartagine. A favore del pronunciamento della formula da parte di Scipione Emiliano giocherebbe la sua propensione verso il tradizionalismo in materia religiosa. La studiosa cita poi un’ode di Orazio e un passo dei Fasti di Ovidio che alluderebbero a un’assenza della dea dall’Africa durante il I sec. a.C. 47 L’assenza di un culto alla dea a Roma in questo periodo deporrebbe tuttavia a sfavore dell’evocatio. Secondo la Berti, però, alcuni atti religiosi compiuti da Scipione a Roma potrebbero rientrare nell’assolvimento della promessa fatta dal condottiero e rivolta a tutti gli dèi cartaginesi. Si tratterebbe dell’erezione del tempio di Ercole e dell’indizione di ludi. La fondazione della Colonia Iunonia da parte di C. Gracchus avrebbe segnato probabilmente il ritorno della dea sul suolo africano. 48 G. Gustafsson sembra per contro abbastanza scettica sulla storicità del racconto dell’evocatio a Cartagine che invece, assieme a quello su Veio, si collocherebbero piuttosto a un livello mitico e teologico. 49 Entrambi questi avvenimenti, la presa di Veio e quella di Cartagine, rappresentano infatti degli eventi-cardine nella storia di Roma, pertanto essi « (…) have been schematised and given both a more fixed ritual form, deeper mythical connections, and a more theologically legitimating framework than was actually and historically the case ». 50 La testimonianza di Macrobio andrebbe poi messa in relazione con l’esperienza traumatica del sacco di Roma avvenuto appena prima della redazione dell’opera. 51 Sulla storicità dell’evocatio di Cartagine non sembra quindi che si sia ancora raggiunto un accordo definitivo anche se gli ultimi studi, eliminando l’istituzione di un culto a Roma come conditio sine qua non per il rituale, permettono di superare una delle principali obiezioni alla ve-

ridicità delle testimonianze, cioè la mancanza di qualsiasi attestazione relativa al culto di Iuno (Caelestis) a Roma in questo periodo. Rimane però aperta la questione di cosa intendesse Servio quanto affermava che, durante la terza guerra punica, la dea fu portata a Roma. Difficile credere che, in ogni caso, la dea abbia riattraversato poco tempo dopo il Mediterraneo per prendere posto nel tempio della nuova colonia graccana, mentre è più verosimile pensare che non si sia mai spostata dall’Africa. Per quanto mi riguarda, e soprattutto per i fini di questa ricerca, non è tanto importante stabilire se Caelestis fosse andata davvero a Roma, dal momento che, in ogni caso, questo soggiorno non lasciò tracce significative nel culto ; forse non è nemmeno davvero importante stabilire se la dea fosse realmente evocata, quanto piuttosto capire quando e perché questa tradizione si andò consolidando. In breve, ciò che possiamo storicamente dedurre è che, a un certo punto della storia di Iuno (Caelestis), fu importante affermare che la dea era l’antica divinità poliade cartaginese e che essa, chiamata ritualmente dai Romani, aveva accettato di lasciare il suo popolo e la sua città, per diventare la dea di un altro popolo e di un’altra città. Se consideriamo poi che questo popolo nuovo era più precisamente quello dei cittadini romani d’Africa e che la nuova città era la nuova colonia romana di Carthago, allora forse le cose appariranno più chiare. Se anche la dea non ha mai lasciato l’Africa, questo non è importante perché fu comunque “immaginato” che lo facesse e ci si è comportati “come se” lo avesse veramente fatto. In questo modo Iuno (Caelestis) dimostra di essere profondamente diversa dai suoi “colleghi” divini africani, essa è l’unica dea veramente “esportabile” e di fatto viene, almeno simbolicamente, “esportata”. Anche il suo “ritorno” mostra valenze simboliche importanti : quando il culto della dea riappare a Cartagine, esso non è più quello di Tinnit, ma non è neanche quello di una dea completamente romana : la dea Caelestis è insieme africana e romana, essa può veramente farsi la dea protettrice dei Romani d’Africa, antichi o nuovi che siano. Il processo che si è cercato fin qui di delineare non è un processo storico in senso tradizionale, il passaggio dalla Tinnit punica alla dea Caelestis romana non è certo così lineare né dovette avvenire in modo simultaneo in tutta l’Africa romana, come se si fosse trattato di una sorta di “conversione”. Sul piano simbolico, invece, l’episodio dell’evocatio non solo legittima la caduta di Cartagine attraverso il consenso della stessa dea che ne era la protettrice, 52 ma crea un rapporto permanente tra Roma e questa divinità la quale, non a caso, diventa (per i Romani !) il simbolo stesso dell’Africa (addomesticata ?). E questo non è naturalmente senza conseguenze importanti per la storia futura delle relazioni tra Roma e Caelestis.

42  Diversamente Cordischi 1990, p. 164, pensa che a Roma fu trasferito il culto ma non la statua della dea. 43  Nel caso di Cartagine, ovviamente, la datazione non risale alla fonte ma all’epoca dei fatti narrati. 44  A cui attribuisce quindi piena autenticità. 45  Rüpke 1990, p. 164. 46  Berti 1990. 47  Cf. ibidem, p. 72. 48  Cf. anche Zecchini 1983, p. 152 ; Halsberghe 1984, p. 2208. 49  « On the one hand, therefore, evocatio can not be regarded as a complete fiction, although we do not have access to sufficient evidence for

drawing any definite historical or ritualistic conclusions. On the other hand, evocatio has received a particular symbolic position since it has been associated with two particularly decisive historic conquests, and since other possible cases have not been preserved, so that the custom has been schematised and idealised, and elaborated mythically and theologically, in ancient writing as well as in modern research », Gustafsson 1999, p. 162. 51  Ibidem, p. 165. 50  Ibidem, p. 161. 52  Appiano menziona, nell’appassionata preghiera di Benno ai Romani di risparmiare la città e ciò che vi è di più caro in essa, la boulaiva qeov~, la dea protettrice del Consiglio (App., Hist. Rom., Lyb. 84).











































il culto di caelestis tra ‘centro’ e ‘periferia’ 6. 2. 2. Il rientro L’ipotesi del “rientro” della dea protettrice dei Cartaginesi in Africa è correlata all’idea che questa se ne sia allontanata. In realtà, come abbiamo visto, non vi sono prove di un suo effettivo soggiorno a Roma dopo l’evocatio. La Cartagine punica, come è noto, fu rasa al suolo e, nel 112 a.C., C. Sempronius Gracchus fonda al suo posto la colonia Iunonia, il cui nome sembra appunto far riferimento all’antica divinità poliade cartaginese secondo la “traduzione” latina. Con la morte di Gracchus la colonia scomparve anche se ai cittadini romani che vi si erano insediati fu permesso di restare. Per volontà di Cesare venne poi fondata la Colonia Concordia Iulia Karthago (44 a.C.) che, se ripristinava il nome della città antica, non faceva più menzione della dea. 53 È abbastanza naturale pensare che, in tutto questo periodo, il culto verso la dea protettrice della città non sia mai scomparso, anche se non ci è dato sapere con quale nome (punico ? latino ?) fosse invocata né secondo quali forme venisse venerata. 54 D’altra parte è impensabile che, nel momento in cui appare Iuno Caelestis, essa possa essere considerata semplicemente la “versione” latina della punica Tinnit. Vicende politiche e trasformazioni culturali hanno sensibilmente cambiato il suo pubblico di fedeli che, nelle fonti scritte, si esprimono in latino e sono ormai nell’orbita romana. Ovviamente queste considerazioni valgono per la città di Cartagine, mentre nelle campagne o nei centri meno coinvolti dalla “romanizzazione” si dovette continuare ancora a lungo a venerare le antiche divinità puniche secondo forme più tradizionali di culto. Appare importante sottolineare, quindi, che, per quanto la dea Caelestis possa aver ereditato da Tinnit (ma anche da Astarte) prerogative e funzioni, queste vengono reinterpretate all’interno del nuovo contesto culturale in cui gli Africani appartenenti alle classi più elevate della società giocano un ruolo importante a partire dal II sec. d.C. La prima testimonianza esplicita di Caelestis è letteraria. Si tratta del famoso passo delle Metamorfosi di Apuleio, in cui la dea è rappresentata mentre attraversa il cielo sul dorso di un leone, una rappresentazione tra le più caratteristiche di questa divinità. Ma Apuleio la chiama ancora, semplicemente, Iuno. 55 A Cartagine esisteva un tempio della dea che due te 









53  Cf. Cristofori 1989 ; Gros 1990. 55  A 2. 54  Cf. Rives 1995, pp. 162-163. 56  Per il medaglione cf. cap. 10.4. n. 302 e Quodvultdeus (A 25), cf. Rives 1995, p. 66. 57  Rives 1995, p. 72. « The cult of Caelestis was in a way representative of their city ; by obtaining imperial patronage for it, the élite enhanced their own status as well as that of their city » (ibidem, p. 76). 58  Cf. cap. 10.4. n. 297. Sulla rappresentazione di Tinnit come leontocefala cf. l’analitica indagine di Marín Ceballos 1995. Sulla numismatica nelle provincie romane si veda, nell’ambito del progetto del British Museum “Roman Provincial Coinage”, Burnett – Amandry – Ripolles 1992 ; Burnett – Amandry – Carradice 1999 ; Burnett – Amandry – Ripolles 1999 ; Burnett – Amandry – Ripolles – Carradice, 2006 ; Spoerri Butcher 2006 ; Heuchert – Howgego online. 59  Cf. cap. 10.4. n. 296. 60  L’alternativa, che non differisce nella sostanza, è G(enius) T(utelaris) A(fricae). 61  Non sappiamo se la dea leontocefala venisse chiamata Iuno (Caelestis) o Tinnit all’epoca di Metello, ma il permanere della statua nel santuario di Thinissut anche nell’epoca in cui, con certezza, la divinità templare era Caelestis chiarisce inequivocabilmente la relazione e la continuità tra le due divinità.  

















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stimonianze collocano con tutta probabilità all’epoca di Marco Aurelio. La prima è un medaglione del 153 d.C. su cui è rappresentata Caelestis sul leone sullo sfondo di colonne ; la seconda è invece la tarda testimonianza di Quodvultdeus che riferisce che, sul frontone del tempio della dea, era scritto : Aurelius pontifex dedicavit. 56 L’iniziativa della sua costruzione deve però essere imputata non all’imperatore ma all’ordo decurionum. 57 Nella storia di Caelestis non vanno però trascurati i denari coniati in Africa (48-46 a.C.) da Q. Caecilius Metellus Pius Scipio, generale pompeiano, come soldo per le truppe. 58 Sul verso è rappresentata la Vittoria mentre sul recto appare l’immagine di una divinità leontocefala in tutto simile a quella in terracotta ritrovata nel tempio di Thinissut dedicato a Baal Hammon/Saturno e Tinnit/ Caelestis e datata al III sec. a.C. 59 Nella parte superiore si legge GTA, da sciogliersi con ogni probabilità in G(enius) T(errae) A(fricae) 60 o, ancora meglio, salvaguardando così il genere femminile della dea, G(enetrix) T(errae) A(fricae). Se la figura leontocefala sulle monete di Caecilius Metellus, come tutto lascia credere, è Tinnit/Caelestis, 61 si deve immaginare che, già a quell’epoca, la dea avesse assunto caratteristiche tali da renderla adatta a rappresentare non solo Cartagine ma più in generale l’Africa e, nello stesso tempo, a renderla gradita anche ai Romani. 62 Un’operazione di compromesso che non si può immaginare senza il contributo di personaggi indigeni favorevoli all’integrazione con i conquistatori. Tinnit/Caelestis quindi, molto probabilmente, era concepita come Fortuna Africae, un tratto che deriva dal suo compito di protettrice di Cartagine. 63 Ma oltre a questo ruolo Caelestis sembra aver ricoperto quello, più circoscritto, di divinità poliade di alcune città africane. 64 A Thuburbo Maius una dedica associa inequivocabilmente Caelestis al genio della città (I-II sec. d.C.) 65 e le numerose iscrizioni che menzionano il Genius civitatis ne attestano l’importanza nella vita religiosa municipale. 66 Anche a Oea, 67 probabilmente, il genio cittadino era associato alla dea, come sembra evincersi dall’immagine sul frontone del tempio a lui dedicato. 68 A Cirta, infine, la menzione di sacerdoti di Caelestis Sittiana attesta che la divinità era sentita come la protettrice degli abitanti della città (dea patria), la Colonia Cirta Sittianorum. 69 Nei casi in cui Caelestis è associata al  































62  Abbastanza congetturale mi sembra la supposizione che « (…) proprio attorno al culto di questa dea si fosse raccolta la fazione anticesariana e nazionalista che combatteva dalla parte dei poimpeiani », Bullo in Bullo – Rossignoli 1998, p. 254, che riprende una suggestione di Picard 1954, p. 49 n. 4. 63  Il rapporto tra Caelestis e l’Africa divinizzata ritorna in una dedica a Lucus Augusti, in Spagna, dell’epoca di Settimio Severo (B H 4). Per Tertulliano, Caelestis è la dea dell’Africa per eccellenza (A 33 e 35). Caelestis non può considerarsi, a Cartagine, il Genius della città, almeno nel senso dato a esso dai Romani, se è da identificarsi con il Genius Carthaginis la statua maschile ritrovata sulla Byrsa (cf. Lepelley 2001, p. 53). La dea era in ogni caso l’indiscussa divinità protettrice della città, cf. Agostino (A 6 e 7). Una distinzione era già evidente, del resto, nella dedica di Apulum, in Dacia, dove appaiono Caelestis e il Genio cartaginese (4B D 4). 64  Per le funzioni poliadi esercitate da Tinnit cf. cap. 10. 2. 66  B A1. 27, 28, 29, 30, 31. 65  B A1 20. 67  Cf. cap. 10.4. n. 374. 68  Improbabile invece un’eventuale identificazione come Genius Coloniae di Lepcis Magna proposta da Floriani Squarciapino 1967. 69  B A4. 10-11.  



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genius municipalis essa appare l’incarnazione divina della città stessa e il suo culto corrisponde a una « (…) forme de patriotisme municipal » 70 in quanto la dea diventa « (…) l’expression sacrée de la collectivité, transcendant les individus et la génération présente, mais limitée aux dimensions de la cité, dont le génie était, comme pour l’individu, le double divin ». 71 Anche in altri luoghi Caelestis è la divinità protettrice della città, la dea patria dei suoi abitanti. L’attribuzione alla dea del ruolo di divinità tutelare della città, sebbene dovesse essere un aspetto già presente nella Tinnit punica, non poté che essere ribadito e promosso da quella classe sociale che partecipava alla gestione politica e religiosa dei centri urbani e che, evidentemente, trovava in Caelestis le qualità adatte a ricoprire questa particolare funzione civica.

Un certo numero di iscrizioni connettono Caelestis con il culto imperiale. 72 Tra le divinità locali, non è certo l’unica a testimoniare questo legame, come dimostrano tra l’altro le dediche da parte di devoti del culto di Saturnus. 73 Leglay ha sottolineato come non tutte le dediche pro salute imperatoris possono essere messe sullo stesso piano, in quanto ubbidiscono a motivazioni diverse. 74 Un primo gruppo di dediche comprende quelle a carattere “ufficiale”, promosse cioè da una comunità ed eseguite sia da un gruppo di individui sia da singoli che comunque hanno ricevuto un incarico in forma “pubblica”. 75 Per quanto riguarda questo tipo di dediche, quattro sono individuabili nelle fonti su Caelestis. In un’iscrizione da Mustis dedicata al Genio della città, Pluto Frugifer, si ricorda che Marcus Cornelius Laetus, flamen perpetuus, IIvir e sacerdote di Caelestis e Aesculapius, opera degli ampliamenti e migliorie nel tempio della dea Caelestis pro salute imperatoris Antonino Pio. 76 Il suo atto avviene decreto decurionum. Successivamente lo stesso sacerdote offrirà un tempio e una statua di Tellus allo stesso imperatore e ai suoi liberi. 77 Una quarantina di anni dopo, 78 un alto rappresentante della stessa comunità, C. Orfius Luciscus, che fu IIvir iterum quinquennalis e praefectus iure dicundo pro IIviris e anche lui sacerdote della dea Caelestis e di Aesculapius, dedica pro salute dell’imperatore Commodo una statua a Ianus nel foro di Marsyas, simbolo della libertà municipale. 79 Un’altra iscrizione a carattere ufficiale è quella di Lambaesis in cui si ricorda la dedica di un tempio a Caelestis, iniziato a costruire nove anni prima e ultimato in occasione del viaggio in Africa di Settimio Severo e della sua famiglia nel 202-203. 80 Il completamento del tempio si in-

quadra in un atto ufficiale di lealtà imperiale, è fatto pro salute degli imperatori Settimio Severo, Caracalla e Geta (poi martellato), e delle imperatrici Iulia Domna e Plautilla (poi martellato). Tale gesto è perfettamente comprensibile dal momento che il dedicante, Claudius Gallus, era legatus pro praetore in Numidia (201-205 d.C.) e apparteneva all’entourage di Settimio Severo. 81 I cuncti seniores di Thala eseguono una dedica alla dea per la salute di Settimio Severo e Caracalla. 82 A Thugga ancora un alto rappresentante dell’élite cittadina e flamen perpetuus dona il terreno per l’erezione del tempio alla dea pro salute dell’imperatore Alessandro Severo e di Iulia Mamea. 83 Thugga era coinvolta in un progetto urbanistico avviato con Adriano e che continua nel II secolo, riguardante edifici tanto a carattere pubblico che a carattere religioso. Lo stesso tempio di Caelestis è edificato utilizzando un simbolismo architettonico che si ritrova in altre costruzioni a carattere imperiale. 84 Una sola dedica può essere ascritta a quel tipo di iscrizioni che Leglay rimanda a un’associazione di tipo “funzionale”, determinata cioè dal fatto che ogni atto religioso eseguito all’interno di un dominio dell’imperatore non può che vederlo menzionato in primo piano. 85 Si tratta dell’iscrizione che ricorda la consacrazione di un tempio alla dea da parte dei coloni del Fundus Turris Rutundae, che era appunto una proprietà imperiale, pro salute imperatoris Massimino ( ?). 86 La maggior parte delle dediche pro salute imperatoris rientra però nell’ambito della devozione personale. Quelle concernenti Caelestis sono otto. Converrà qui passarle brevemente in rassegna. Un’iscrizione da Cartagine, eseguita da una donna per ordine della dea e pro salute imperatoris, è purtroppo mutila e non è possibile riconoscervi il nome dell’imperatore, anche se è stato ipotizzato che si tratti di Antonino Pio. 87 In un’iscrizione da Sabratha una coppia esegue una dedica alla dea Caelestis pro salute degli imperatori Marco Aurelio e Commodo (raschiato via) e dell’imperatrice Bruttia Crispina (raschiato via) e in onore dei suoi due figli defunti. 88 Probabilmente un liberto imperiale che esercitava la funzione di procurator è il dedicante di un’iscrizione a Caelestis pro salute et aeternitate dell’imperatore Caracalla e di sua madre Iulia Domna, trovata recentemente a Cartagine. 89 L’erezione di un tempio a Caelestis viene ricordata in una dedica dal proprietario o dal gerente del Fundus Seneciosus pro salute dell’imperatore Elagabalo. 90 Due iscrizioni da Madauros, contemporanee, sono eseguite in occasione della dedica di due are, rispettivamente a Mercurius e a Lilleus, pro salute imperatoris Alessandro Se-

70  Lepelley 2001, p. 40. 71  Ibidem. 72  È d’obbligo rimandare a questo proposito alla serie di volumi di Fishwick editi tra il 1987 e il 2004. 73  Sul rapporto imperatore e dèi in Africa romana cf. Smadja 1985 e, più in generale, cf. Kuhoff 1990. 74  Leglay 1966, pp. 248-253. 75  Ma questa distinzione non può essere troppo rigida, cf. Février 76  B A1. 54. 1976, p. 312. 77  B A1. 55. Le due iscrizioni datano al 145 d.C. o poco dopo. 78  È da datare dopo la XIII potestà tribunizia di Commodo, tra il 10 dicembre 187 e il 9 dicembre 188.

79  Questo potrebbe forse far pensare che Mustis fosse un municipio dai tempi di Caesare. Sulla storia di Mustis cf. cap. 7.1. n. 104. 81  Leglay 1956. 80  B A4. 26. 83  B A1. 46. 82  B A2. 2. 84  Dareggi 1990. La costruzione del tempio risale all’impero di Ales85  Leglay 1966, p. 249. sandro Severo (222-235 d.C.). 86  B A1. 52. Se l’imperatore è Massimino, la data è il 235 d.C. Se si tratta di Antonino Pio, la datazio87  B A1. 2, cf. Picard 1959, p. 45. ����������������������������������������� 88  B A3. 2. Datazione : 178-180 d.C. ne è tra il 138 e il 161 d.C. 89  B A1. 6. Da datare tra 211 e 217 d.C. 90  B A4. 14. La datazione è tra il 218 e il 222 d.C.













6. 2. 3. Caelestis e gli imperatori : in ‘periferia’  

6. 2. 3. 1. Le dediche pro salute imperatoris











































il culto di caelestis tra ‘centro’ e ‘periferia’

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vero da parte dei sacerdoti del culto della dea Caelestis. In entrambe è specificato l’impegno economico personale. 91 In una lunga iscrizione da Thamugadi i rappresentanti del sacerdozio della dea Caelestis fanno una dedica pro salute imperatoris ; si pensava che il nome cancellato fosse quello di Carinus, più recentemente si è proposto invece Iulianus. I dedicanti specificano che l’impegno economico e l’iniziativa sono personali. 92 Un’iscrizione purtroppo molto danneggiata da Thuburbo Maius presenta una dedica pro salute imperatoris ------Antoninus. 93 Una seconda dedica presenta la formula pro salute, ma non è possibile desumere se sia a favore dell’imperatore o di un privato. 94 I dati relativi a Caelestis sembrano confermare le conclusioni di Leglay a proposito di Saturno, anche se con qualche interessante differenza. È attestata infatti, per la dea, una serie relativamente limitata di dediche “ufficiali” e, al contrario, una abbastanza sostanziosa di dediche di tipo personale. Tra gli imperatori più menzionati, proprio come nel caso di Saturno, compaiono Antonino Pio, Commodo e i Severi. Da una parte, quindi, si registrano manifestazioni di lealismo al potere imperiale, dall’altra parte abbiamo un attaccamento e una propensione verso particolari imperatori che, a diverso titolo, si sono interessati a questa provincia. Le dediche personali non vanno considerate un atto estemporaneo da parte di devoti entusiasti, poiché esse sono ben inserite all’interno dell’ideologia imperiale e promuovono, anche se a un livello diverso rispetto a quelle ufficiali, il senso di appartenenza e partecipazione all’Impero. 95 Come osserva Rives le élites locali, attraverso il culto imperiale, si associavano strettamente al potere centrale, ricavandone una posizione di prestigio agli occhi dei loro concittadini. Un processo simile doveva verificarsi anche nelle iniziative individuali, in occasione delle quali il dedicante che si rivolgeva al dio pro salute imperatoris si sentiva inserito in un rapporto particolare che coinvolgeva sé stesso, la divinità e l’imperatore. 96 Il numero delle testimonianze può forse sembrare esiguo, ma a queste dobbiamo aggiungere tutti quei casi in cui noi troviamo un flamen perpetuus che riveste anche funzioni sacerdotali nel culto di Caelestis o che effettua una dedica alla dea. Anche in mancanza di iscrizioni “ufficiali” a sancirle, è chiaro che le due devozioni, quella al culto imperiale e quella per la dea africana, erano perfettamente compatibili. Un ulteriore elemento di riflessione lo fornisce l’iscrizione di Lambaesis. È sicuramente degno di attenzione il fatto che la massima carica della Numidia, il legatus Claudius

Gallus, scelga di celebrare il passaggio di Settimio Severo e della sua famiglia in Africa attraverso il completamento di un tempio in onore della dea Caelestis. La scelta non è certamente casuale, ma deve essere stata determinata da motivazioni politiche e religiose. Può sembrare ovvio che si scelga una divinità africana per onorare un imperatore africano, ma perché proprio Caelestis ? Forse perché tra tutte le divinità locali era la più adatta a fare da mediatrice tra “centro” e “periferia”. In quanto dea poliade indigena era l’emblema stesso dell’Africa, ma come dea evocata aveva viaggiato, realmente o simbolicamente, fino a Roma. Caelestis era poi tornata – forse non se ne era mai andata – ad abitare nella sua patria originaria ma ormai trasformata dalla presenza romana. 97 Un’associazione, quella tra Caelestis e Impero, che continuerà e si esprimerà anche attraverso altre forme. Fuori dall’Africa l’unica dedica pro salute imperatoris che è possibile menzionare è quella da Apulum, in cui il dedicante si rivolge a Iuppiter Optimus Dolichenus e alla Dea Magna Syria Caelestis pro salute imperi romani et legionis XIII Geminae. 98 Si tratta di una dedica eseguita da un sacerdote di Iuppiter Dolichenus legato alla legione menzionata. Egli, attraverso quest’atto di devozione, ha probabilmente voluto onorare le sue divinità ancestrali – vista la sua probabile origine siriana – e dimostrare la sua lealtà all’imperatore, tanto attraverso l’identificazione della Dea Syria con Caelestis, divinità particolarmente cara ai Severi, che attraverso la formula pro salute dell’Impero romano e della legione.

91  B A5. 1-2. Da datare tra 222 e 235 d.C. 92  B A4. 23. La datazione è tra il 283 e il 285 d.C. 94  B A1. 17. 93  B A1. 24. 95  Février 1976, parla di una « (…) utilité opératoire pour la réalisation de l’harmonie de l’Empire » (p. 311). Scrive la Dareggi 1990, p. 201 : « Renforçant les rapports entre les descendants des anciens colons et des indigènes romanisés, le culte impérial, on le sait, fut l’un des canaux privilégiés de la propagande politique émanant du “centre du pouvoir”, en même temps que l’un des instruments utilisés par les notables des villes pour tisser des rapports avec Rome ». Secondo Whittaker 1997, p. 160, mentre in epoca giulio-claudia l’urbanizzazione e la nascita delle colonie aveva portato una separazione culturale e religiosa tra le élites e gli strati più poveri della popolazione, a partire dal II sec. d.C. si fa avanti una nuova

élite, « (…) many of them originating from secundary rural centres, whose power derived from systematic exploitation of the rural poor and whose ambition was fired by the rewed offerted by Romanization. Local religion, therefore, was being used to play an integrating rôle between coloni and domini, together with the imperial cult. Saturn, Caelestis, Jupiter and Mercury, usually associated with the emperor, became gods of the estates and 96  Rives 1995, pp. 51-63. the rural markets ». 97   La funzione mediatrice di Caelestis potrebbe essere un’ “eredità” di Tinnit il cui epiteto   caratteristico, pn bÔl (“volto di Baal”) ne rivela il ruolo di intermediaria tra sommo potere divino e umanità. Cf. in proposito cap. 99  9.2.2. 3.3. 98  B D 2. 101  Syme 1968, pp. 139-140. 100  Barnes 1970. 103  A 16. 102  Zecchini 1983.

















6. 2. 3. 2. L’oracolo, il peplo e il potere centrale















Rimandando per le informazioni più dettagliate sulle manifestazioni oracolari nel culto di Caelestis a quanto esposto nel capitolo 9, 99 mi limiterò qui a esaminare le fonti che attestano un rapporto tra i profeti della dea e il potere imperiale. Si tratta, a dire il vero, di due testimonianze piuttosto controverse, ma non per questo meno prive di interesse, contenute entrambe nella Historia Augusta. Le menzioni Caelestis nella Historia Augusta sono state ritenute prive di ogni veridicità da T.D. Barnes 100 e prima di lui da R. Syme. 101 Un’interessante revisione delle testimonianze da parte di G. Zecchini 102 ha invece dimostrato come, pur con tanti problemi e difficoltà, esse siano nel loro insieme attendibili. Il primo dei passi in questione 103 riferisce che, durante i primi anni dell’imperium di Antonino Pio, il proconsole dell’Africa chiede alla sacerdotessa di Caelestis di pronunciarsi sulla situazione pubblica e sul regno di Antonino.  













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La sacerdotessa risponde in modo non chiaro tant’è che si capisce a cosa voglia alludere solo nel III secolo, in occasione dell’assunzione del nome di Antonino da parte di Diadumeniano, il figlio di Macrino. L’autenticità dell’episodio specifico è difficile da dimostrare con certezza, ma è almeno altrettanto difficile provarne la falsità. Per quanto riguarda la nostra indagine, mi trovo d’accordo con Zecchini che ritiene che, anche se l’episodio in sé è un’invenzione, è certo vero che « (…) un’invenzione risulta più efficace, se almeno il punto di partenza è vero ». 104 Non c’è motivo di dubitare che nel tempio di Caelestis funzionasse un oracolo e quello che è per noi importante notare è che, nella testimonianza sulla vita di Macrino, si dice che il proconsole d’Africa interrogò la sacerdotessa di Caelestis ut solebat. Se quindi l’episodio specifico può essere inventato o rimaneggiato, il fondamento che lo rendeva credibile risiedeva verosimilmente nel fatto che una consultazione “politica” dell’oracolo non era eccezionale, ma rientrava invece nella consuetudine. Sembra particolarmente sospetto il fatto che egli affermi che il console consultava l’oracolo anche de suo imperio, cioè nella speranza di sentirsi preannunciare che sarebbe diventato imperatore, cosa proibitissima e passibile di pena capitale e quindi difficilmente “abituale”. 105 Il secondo passo 106 è ancora più problematico anche perché, in un punto chiave, è corrotto. Esso si riferisce a disordini nell’ordine pubblico occorsi durante il proconsolato di Pertinace in Africa (188-189 o 189-190 d.C.). Per quanto riguarda l’ipotesi di G. Ch. Picard, che si basa su un emendamento del testo, essa è così ipotetica che non può essere presa in considerazione. 107 Resta infatti una pura congettura l’idea che Pertinace abbia sollevato ad arte il malcontento dei sacerdoti della dea per giustificare il ritardo dell’approvvigionamento di grano della capitale e creare così i presupposti dell’ascesa di Aemilius Laetus che, a sua volta, lo renderà imperatore. 108 La lettura del testo non permette purtroppo di stabilire se le sedizioni con cui si trovò a fare i conti Pertinace furono sostenute o avversate dalle profezie. 109 Le altre notizie relative a Pertinace contenute nell’Historia Augusta sono ben documentate : non si vede quindi il motivo di togliere storicità al passo che ha per noi grande importanza perché rivela che gli oracoli della dea potevano superare le vicende individuali e collocarsi in una dimensione “pubblica”, sia che contribuissero a fomentare rivolte sia che si allineassero con l’ordine costituito. Un altro passo ancora 110 menziona un episodio abbastanza rivelatore dei rapporti tra Caelestis e il potere im-

periale. All’epoca di Gallieno, il proconsul Africae, Vibio Passieno, e il dux limitis Libyci, Fabio Pompeiano, appoggiano l’acclamazione a imperatore di un oscuro tribuno, Celso, il quale godrà del titolo per soli sette giorni prima di essere assassinato. Sulle spalle del novello imperatore viene posto il peplo della dea Caelestis. 111 Sulla veridicità dell’episodio sono stati avanzati molti dubbi, poiché di questa vicenda non si hanno altre notizie. Quello che qui è importante notare è che, anche se l’episodio in questione dovesse essere stato inventato di sana pianta, ciò non significherebbe che lo siano altrettanto le sue connotazioni “africane” le quali, anzi, sarebbero state inserite proprio per avvalorarlo. L’idea che il manto, e attraverso questo la dea stessa, conferisse autorità e legittimità all’imperatore neoeletto, ricorda assai da vicino quella relativa a molte tradizioni orientali che affidano a una divinità femminile – in Fenicia ad esempio Astarte – la funzione di conferire e garantire la regalità al prescelto.

104  Zecchini 1983, p. 158. 105  Devo questa riflessione al prof. C. Letta, che mi fa notare che l’espressione de suo imperio non significa “sul regno di Antonino” : l’uso di suo indica con certezza che l’autore allude a un eventuale futuro regno dell’attuale proconsole che sta interrogando l’oracolo ; se avesse voluto riferirsi al regno (già in atto) di Antonino Pio, avrebbe dovuto dire de imperio 106  A 17. eius. 107  Cf. Picard 1959. Per la discussione della sua tesi sui sacrati della dea 108  Ibidem, pp. 59-62. si rimanda al cap. 9.2.1. 109  Anche per questo passo sono debitrice alle riflessioni del prof. C. Letta , secondo il quale, poiché l’autore presenta Pertinace costretto a subire queste sedizioni, l’interpretazione più plausibile dell’ablativo vaticinationibus è causale, “a causa delle profezie”. Secondo Letta, la traduzione data dal Magie nell’edizione Loeb (« (…) he suppressed many rebellions by

the aid of prophetic verses ») forza il testo : per poter dare a vaticinationibus un significato strumentale (“per mezzo di”, “grazie a”), Magie è costretto a dare a perpessus un senso che non può avere (“represse”), mentre l’unica traduzione possibile è “dovette sopportare, subire”). 111  Sul peplo della dea cf. cap. 9.2.2. 110  A 18. 112  Cf. cap. 10.4. n. 303. Per la bibliografia sulle monete nelle province imperiali cf. in questo cap. la n. 58 ; sull’Africa in particolare Alexandropoulos 2000. 113  Sul capo forse una corona turrita, cf. Mundle 1961, p. 233 n. 3. 114  Babelon 1903. 115  Esse rappresenterebbero il mons Zeugitanus da cui provenivano le acque che rifornivano Cartagine. 116  Ulp., Dig. 50, 15, 8, 11. Cf. Mundle 1961, p. 234 e Rives 1995, p. 70. 117  Pera 1979, la tesi è riproposta senza modifiche in Pera 1990.





























6. 2. 3. 3. Caelestis e i Severi : un rapporto speciale ?  



a. Le monete dei Severi La dea Caelestis è raffigurata su emissioni monetali, aurei e denari, di Settimio Severo e Caracalla risalenti al 203204. 112 Sul recto la dea vi appare seduta su un leone che avanza verso destra dove sono rappresentate delle rocce da cui sgorga l’acqua. Caelestis 113 ha nella mano destra un timpano o una folgore mentre tiene con la sinistra uno scettro. All’immagine si accompagna, sul verso delle monete, la scritta INDULGENTIA AUGG(ustorum) IN CARTH(aginem). A cosa si riferisca la legenda non è tuttora chiaro e anche per quanto riguarda le motivazioni per le quali sia stata scelta Caelestis gli studiosi hanno presentato diverse proposte. E. Babelon, 114 connettendo le rocce da cui sgorga l’acqua rappresentate sulle monete con la legenda, 115 riteneva che l’atto di indulgentia menzionato potesse essere ricondotto alla distribuzione dell’acqua a Cartagine e all’abolizione della tassa relativa. I. Mundle ritiene inverosimile che un’emissione tanto importante possa essere ricollegata a un evento così modesto, mentre invece più pertinente le sembra il conferimento dello ius italicum a Cartagine che, come riporta Ulpiano, sarebbe stato concesso dai due imperatori. 116 Secondo R. Pera, 117 invece, che menziona le molte occasioni in cui Settimio Severo dimostra interesse per la provincia africana, la scritta sulla moneta potrebbe alludere al permesso di indire giochi di origine greca, il Pythicus agon.  

















il culto di caelestis tra ‘centro’ e ‘periferia’

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I rapporti tra l’imperatrice Iulia Domna, moglie di Settimio Severo e madre di Caracalla, e la dea Caelestis, sono stati oggetto di numerosi studi. 125 Una corrente interpretativa, che mirava a sottolineare la politica di “orientalizzazione” dell’Impero da parte di Settimio Severo, ha enfatizzato questi rapporti, postulando addirittura un disegno imperiale volto all’identificazione dell’imperatrice con la dea Caelestis. 126 L’ipotesi di una tale identificazione si è voluta fondare su una serie di documenti che sono stati in seguito fortemente ridimensionati eppure, anche fra gli studiosi più esperti di religione romana o del culto di Caelestis, essa continua a essere proposta come un fatto as-

sodato. 127 Non sarà inutile pertanto ripercorrere i termini del problema. Un’iscrizione da Mogontiacum (Mainz), 128 mutila ma ricostruita con generale accordo degli studiosi almeno per quanto riguarda le prime linee, identifica attraverso apposizioni l’imperatrice alla dea Caelestis. A. von Domaszewski aveva messo in connessione questa iscrizione con un’altra, ritrovata a Magnae (Carvoran), 129 che egli riteneva un’ulteriore testimonianza del culto di Iulia Domna come dea Caelestis. 130 A questa ipotesi si era opposto J. Toutain 131 che, in una comunicazione presentata al Comité des Travaux Historiques et Scientifiques, ne aveva demolito i presupposti. In particolare, lo studioso aveva sottolineato come l’iscrizione di Magnae non conteneva alcuna menzione dell’imperatrice e che la circostanza che essa fosse posta davanti alla statua di Iulia Domna, nei giorni in cui nell’accampamento si celebrava il culto imperiale, era una totale illazione. Nel momento in cui Toutain passava però a esaminare gli epiteti e le identificazioni che caratterizzano Caelestis nell’epigrafe dalla Britannia, inspiegabilmente stabiliva un rapporto tra l’assimilazione Caelestis/Atargatis e quella Iulia Domna/Calestis che invece nell’iscrizione non appare. La sua argomentazione proseguiva con l’esame dell’iscrizione di Mogontiacum in cui, a dire il vero, c’è l’identificazione tra Iulia Domna e Caelestis ma non quella tra Caelestis e Atargatis. Toutain concludeva che la teocrasia che assimila Caelestis ad Atargatis « (…) facilite l’assimilation de Julia Domna a Caelestis ». 132 Si tratta di una congettura che non può essere dedotta dalle iscrizioni che al prezzo di una forzatura. Un articolo di I. Mundle, 133 volto a chiarire il ruolo di Caelestis nella politica religiosa di Settimio Severo, ha ripreso e approfondito la questione. Per quanto riguarda l’iscrizione di Magnae, la studiosa sottolinea come essa non possa essere ricondotta all’epoca severiana dal momento che la cohors del dedicante era stata spostata da Carvoran a Bar Hill alla fine del II sec. d.C. 134 La Mundle mette poi in risalto due aspetti fondamentali dell’iscrizione : il primo riguarda il carattere della dedica, che è privato : nell’iscrizione, infatti, non è menzionata l’unità di appartenenza del tribuno che ne è l’autore, né tantomeno l’iscrizione è stata fatta in nome di tale unità. Il secondo aspetto riguarda l’identità del dedicante il cui nome, Caecilius Donatianus, 135 come ha giustamente sottolineato la studiosa, lascia trasparire un’origine africana. La Mundle ne conclude che l’iscrizione è probabilmente un atto di devozione personale da parte di un personaggio che vuole

118  Babelon 1903, p. 163, seguito da Mundle 1961, p. 234. 119  Su questa rappresentazione cf. Leglay 1964. 120  La Pera riprende un’ipotesi di Leschi 1947. 121  Cf. cap. 10.2. 122  « Aut, quod praestare existimo, haec aquae fluentes ad typum principem deae Coelestis pertinent. Fuit haec, teste iterum Tertulliano, pluviarum pollicitatrix, quas facile indicant aquae ex rupe profluentes, quae coelestibus pluviis nutriuntur », Eckhel 1797, p. 184, menzionato in Mundle 1961, p. 235. 123  La Mundle mette in parallelo l’emissione di queste monete con quelle con l’immagine dell’Italia e la legenda parallela INDULGENTIA AUGG(ustorum) IN ITALIAM a cui non è corrisposta un’introduzione del culto della dea Italia a Roma, Mundle 1961 p. 235. 124  Per Rives 1995, p. 70, la presenza della dea sulle monete è solo

« (…) an official aknowledgement that she was the representative deity of Carthage ». 125  Sull’imperatrice e le varie identificazioni, fra cui anche quella con Caelestis, cf. Ghedini 1984. 126  Cf. Domaszewski 1909, p. 148. 127  Si veda ad esempio Turcan 1985, p. 45 e Ben Abdallah – Ennabli 129  B B 3. 1998, p. 178. 128  B G 1. 130  Domaszewski 1909, p. 148. 131  Toutain 1943-1945, ma anche Vogt 1943, p. 360ss. 132  Toutain 1943-1945, p. 311. 133  Mundle 1961. 134  Il termine ante quem sarebbe quindi il regno di Marco Aurelio. La datazione corretta è data da Birley 1939, p. 217. 135  Cf. Thompson 1969, p. 150 e Lassère 1977, p. 452.

Per quanto riguarda l’immagine, Caelestis è qui il simbolo della città di Cartagine 118 ma, come sopra anticipato, l’interpretazione complessiva della raffigurazione non è univoca. Complicata e poco convincente mi sembra la connessione della scelta della dea Caelestis con la fonte di Timgad (Aqua Septimiana Felix). Secondo la Pera la dea patria, menzionata nelle dediche della fonte e rappresentata su un vaso accompagnata da un leone, potrebbe identificarsi con Caelestis 119 e l’acqua che sgorga dalle rocce potrebbe essere appunto quella della fonte che porta il nome dell’imperatore. Questa ipotesi appare debole per più di una ragione : la prima concerne il riferimento della legenda monetale a Cartagine e sarebbe quindi plausibile che il simbolismo della rappresentazione la riguardasse ; la seconda è più cogente perché l’idea che presso la fonte di Timgad fossero guariti da qualche malattia Settimio Severo o Caracalla è una congettura ; 120 infine non si può identificare sic et simpliciter la dea patria di Timgad con Caelestis anche se questa, in circostanze diverse, poté essere concepita come la divinità protettrice dell’Africa. 121 Molto più semplice e coerente con le testimonianze su Caelestis appare invece l’ipotesi di J. Eckhels, accolta anche dalla Mundle : le acque si riferiscono a una delle funzioni essenziali della dea, quella di portatrice delle benefiche acque pluviali. 122 Anche se le monete non indicano l’ingresso di un culto ufficiale della dea a Roma, 123 non si può tuttavia negare il valore “politico” della scelta di Caelestis a rappresentare Cartagine. Gli imperatori, individuando la dea come simbolo dell’antica metropoli punica, ratificavano evidentemente una situazione di fatto 124 ma, nello stesso tempo, la legittimavano e la promuovevano attraverso un atto ufficiale.  





















b. Iulia Domna e Caelestis







































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così onorare la sua dea patria, 136 senza che si possa inferire alcuna connessione con l’imperatrice Iulia Domna. 137 L’iscrizione di Mogontiacum, che invece presenta sicuramente un’identificazione fra Iulia Domna e Caelestis, è però impenetrabile sotto altri punti di vista : non sappiamo né dove fosse originariamente collocata, né il nome del dedicante che era un militare della Legio XXII Primigenia Pia Felix. La datazione, desunta dagli epiteti e titoli di Caracalla e di Iulia Domna menzionati, la colloca tra il 213 e il 217 d.C. Anche in questo caso la Mundle conclude che si tratta di una dedica eseguita per devozione privata da un personaggio che, per nascita o altri motivi personali, era legato alla divinità africana e che, di propria iniziativa, stabilisce un’identificazione fra la dea e l’imperatrice senza alcuna prova che quest’ultima abbia in qualche modo sostenuto, direttamente o indirettamente, l’operazione. 138  







c. Conclusioni Per quanto riguarda i rapporti tra i Severi e la dea Caelestis, dall’esame delle fonti disponibili, la Mundle giunge alle seguenti considerazioni : delle due iscrizioni dalle quali si deduceva che Iulia Domna avesse voluto presentarsi come dea Caelestis, quella di Carvoran si è rivelata senza rapporto, per data e contenuto, con l’imperatrice, mentre quella di Mainz è testimonianza di una devozione privata senza alcun legame con la politica religiosa dei Severi. Le monete con l’effigie della dea non implicano affatto che il suo culto sia stato introdotto ufficialmente a Roma. Infine, le dediche di Lambaesis e di Sabratha, a cui aggiungiamo ora quella di Cartagine, apparterrebbero a una dimensione locale senza necessità di postulare un apporto attivo da parte della casa imperiale. La �������������������� Mundle ne conclude che « (…) die Dea Caelestis für die kaiserliche Familie von weit geringerem Interesse war, als viele Gottheiten, deren Bilder in der Reichsprägung unter Severus immer wieder auftauchen ». 139 Queste considerazioni, corrette in senso generale, meritano però di essere ulteriormente approfondite. Se è vero che la famiglia imperiale non operò attivamente per la promozione del culto di questa dea, ciò non significa che Caelestis non ebbe un ruolo importantissimo di contatto tra la provincia africana e gli imperatori in epoca severa. Ciò deve essere considerato non nel senso di un’ “esportazione” della divinità a Roma, ma in riferimento al ruolo da lei giocato in Africa. 140 Come ho più volte avuto occasione di sottolineare, la dedica di Lambaesis è in questo senso chiarissima : è la dea Caelestis, e nessun’altra, che viene scelta dal legatus della Numidia per accogliere la famiglia imperiale. Anche le monete parlano in tal senso : nel momento in cui si deve rappresentare una divinità che simbolizzi Cartagine, la scelta cade su Caelestis, divinità locale e insieme romana. Insomma, in questo genere di testimonianze Caelestis assomiglia tantissimo, e non può essere diversamente, a  













136  Ed eventualmente stabilire un legame con Atargatis la dea protettrice dell’unità militare di stanza a Carvoran. 137  Cf. Clauss 1999 e risposta di Letta 2002. 138  Le stesse deduzioni in Fishwick 1992, pp. 69-72. 139  Mundle 1961, p. 237. 140  Scrive Rives 1995, p. 69 : « Caelestis was favoured by emperors not because she was a goddess of Rome, but because she was a goddess of Carthage, or perhaps more accurately, the goddess of Carthage ».  





coloro che la “sponsorizzano”. Si tratta delle élites locali dei municipi africani i cui interessi sono strettamente legati a quelli dell’Impero e che fanno di lei un mezzo di comunicazione della propria lealtà, ma anche della propria appartenenza all’Impero. 141  

6. 2. 4. Caelestis ed Elagabalo : dalla ‘periferia’ al ‘centro’  

Le fonti finora prese in considerazione rivelano chiaramente l’esistenza di un rapporto tra Caelestis e gli imperatori romani. Tale rapporto si deve leggere nei termini di una comunicazione tra “periferia” e “centro” in cui Caelestis sembra costituire un mezzo privilegiato. Si tratta di una serie di iniziative che partono quasi esclusivamente dalla “periferia” africana, o sono comunque legate ad essa, e Caelestis ne è la protagonista proprio perché è una dea africana che, in un certo senso, ha imparato a parlare la lingua dei conquistatori. In un momento particolare della sua storia, però, questa divinità oltrepassa i confini africani e ciò non avviene tramite iniziative individuali di fedeli emigrati in altri luoghi dell’Impero, ma attraverso un atto ufficiale decretato da un imperatore. All’inizio del 221 d.C. M. Aurelius Antoninus Elagabalus stabilisce la teogamia tra la dea Caelestis e Sol Invictus, il dio di Emesa di cui egli stesso era sacerdote. Precedentemente l’imperatore aveva pensato di unire Sol Invictus ad Athena e aveva trasportato il Palladium nell’Elagabalium e contemporaneamente aveva scelto per sé una Vestale, Aquilia Severa. Le due unioni risultarono sterili, Elagabalo ripudiò la novella sposa e cercò un’altra unione per il suo dio. Athena, secondo Elagabalo, non era adatta a causa delle sue caratteristiche bellicose e l’imperatore si rivolse a Caelestis. 142 Sulle motivazioni di questa scelta molto si è scritto senza tuttavia apportare argomenti conclusivi. Zecchini propone, ad esempio, di considerare la scelta di Caelestis, dalle duplici caratteristiche di dea feconda e vergine guerriera, come una sorta di sostituzione e di sfida alla triade capitolina. 143 A sostegno della sua tesi, lo studioso menziona il capitello romano in cui accanto al Sol Invictus è possibile vedere rappresentata la dea Caelestis. 144 L’altra dea effigiata non sarebbe, come comunemente si crede, Minerva, bensì sempre la dea Caelestis nelle sue funzioni guerriere. 145 L’ipotesi è suggestiva ma purtroppo non è supportata da prove decisive. Le molteplici sfaccettature della personalità di Caelestis non si possono, a mio avviso, appiattire sulla contrapposizione complementare fertilità/guerra. Bisogna inoltre tenere in conto che il discorso religioso di Elagabalo era fortemente speculativo e forse sarebbe più opportuno fare riferimento a quelle caratteristiche di Caelestis, funzionali ma anche storiche, che la connettono con il mondo vicino-orientale in generale e con la Siria più in particolare. 146 Come è stato opportunamente sottolineato, i comportamenti di Elagabalo, stravaganti agli occhi dei  









142  Cf. Erodiano (A 15). 141  Cf. Rives 1995, pp. 168-169. 143  Anche R. Turcan parla di una contrapposizione tra la triade capitolina e quella di Elagabalo formata da Sol Invictus, Athena e Caelestis, 144  Cf. cap. 10.4. n. 375. Turcan 1985, p. 149. 145  Zecchini 1983, p. 161. 146  In questo senso aveva già visto correttamente Toutain 1943-1945, p. 311.

il culto di caelestis tra ‘centro’ e ‘periferia’

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Fig. 3. Statua fittile femminile assisa in posizione di allattamento (Tinnit ?). Thinissut. I sec. a.C. Museo di Nabeul (LIMC VIII/2, s.v. Tanit, n. 5).  

Fig. 4. Stele votiva in calcare con busto di (Virgo) Caelestis e crescente lunare. Thala. I sec. a.C. Tunisi, Museo del Bardo (LIMC VIII/2, s.v. Virgo Caelestis, n. 15).

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Romani e talvolta apparentemente anche ai nostri, assumono un senso se inseriti all’interno della tradizione religiosa siriana di cui l’imperatore era un sincero devoto. 147 La statua della dea è così portata dall’Africa a Roma insieme alla sua “dote”, cioè il ricchissimo tesoro del suo santuario a Cartagine, e ospitata nell’Elagabalium. In seguito, probabilmente, essa dovette ricevere un tempio tutto per sé sul Palatino. Il fatto che sia stato proprio Elagabalo a costruire il primo tempio “ufficiale” di Caelestis a Roma sembra essere opinione condivisa dagli studiosi che si sono pronunciati più recentemente. 148 Tale è, ad esempio, la posizione di G.H. Halsberghe, che però ritiene che il tempio sia stato dedicato solo nel 259 d.C. La sua deduzione si basa su un’iscrizione in cui compare una dedica, verosimilmente quella della statua della sacerdotessa menzionata. 149 L’iscrizione attesta però solo l’esistenza di un culto a Caelestis sul Palatino in quella data. Già la Mundle aveva ipotizzato che la costruzione del tempio di Caelestis a Roma andasse riportata all’iniziativa di Elagabalo, 150 piuttosto che a quella di Settimio Severo.

L’operazione promossa da Elagabalo, che trasporta Caelestis a Roma e la unisce in nozze mistiche con il Sol Invictus, è un atto non privo di conseguenze politiche e certo manifesta un interesse positivo dell’imperatore verso l’Africa, ma i cui effetti sembrano avere la medesima durata dell’effimero regno di questo imperatore. Caelestis, per quanto non sembra che sia stata rimandata in patria, non riveste alcuna posizione privilegiata tra i culti cittadini in epoca successiva a Elagabalo. Tutto ciò è coerente con quanto finora è emerso sul rapporto tra Caelestis e Impero : esso si basava sul ruolo intermediatore di Caelestis tra Africa e Roma, ruolo che la dea svolge per conto delle élites indigene e che quindi trova la sua naturale collocazione nella provincia. L’atto di Elagabalo promuove, seppure solo per un periodo limitato, Caelestis, ma la priva di questa funzione “connettiva”, e questo è probabilmente il motivo per il quale, a Roma, il suo culto ha una diffusione e una durata limitata, mentre in Africa continuerà a reclutare devoti anche in epoca di avanzata cristianizzazione.

147  Cf. Frey 1989. 148  Così ad esempio Mundle 1961, p. 236 e Cordischi 1990, p. 165. 149  Halsberghe 1984, p. 2214. Ugualmente sorprendente la sicurezza

con cui lo studioso descrive la statua e l’architettura del tempio, visto che né per l’una né per l’altra abbiamo alcuna testimonianza diretta, cf. p. 2214 (statua) e p. 2220 (tempio). 150  Mundle 1961, p. 236.











7. LA DIFFUSIONE DEL CULTO DI CAELESTIS IN AFRICA

U

na ricerca sul culto e sulla personalità di Caelestis che si limiti alla raccolta del materiale epigrafico, iconografico e archeologico e lo studi per classi documentarie, se può soddisfare le astratte esigenze di completezza di un dossier, non conduce evidentemente a risultati rilevanti sul piano interpretativo. Le fonti reperite, per potere essere esaurientemente indagate, vanno contestualizzate all’interno degli specifici ambiti culturali e storici che le hanno prodotte, oltre che essere poi analizzate trasversalmente con adeguata metodologia. Può sembrare un’affermazione piuttosto ovvia, ma gli studi sulla dea, ad eccezione dei pochi riguardanti zone specifiche e circoscritte, hanno proceduto esattamente nella direzione opposta : nell’indagare la personalità della dea si sono, ad esempio, riunite tutte le iscrizioni in cui compariva un determinato epiteto oppure un’identificazione con un’altra divinità, in genere senza considerare i contesti di provenienza. Per quanto riguarda lo studio delle iconografie, si è generalmente proceduto in modo analogo, anche, forse, per le esigenze delle sedi editoriali in cui tali contributi sono apparsi, fornendo cioè un elenco delle testimonianze suddivise per “tipi”. Si rende perciò necessario procedere in una direzione diversa e riportare le varie fonti nei singoli ambienti di provenienza. Si potrà così vedere, forse, in modo più chiaro quali centri furono interessati dal culto della dea e in che misura ; se vi sono delle differenze tra le attestazioni che provengono dai centri urbani più sviluppati e dalle piccole realtà rurali ; se vi sono luoghi in cui è possibile rilevare una confluenza di fonti epigrafiche, archeologiche e iconografiche e altri invece in cui il culto sembra preferire solo alcune forme di comunicazione religiosa a spese di altre. Solo in un secondo tempo si procederà al tentativo di ricostruzione della personalità della dea africana che, proprio a seguito di questa analisi capillare e distinta per luoghi, potrà apparire meno “sincretica” di quanto finora si è pensato, ma certo più coerente e rispondente alla situazione storica. Nell’analizzare le diverse testimonianze sulla dea Caelestis in Africa ho ritenuto importante segnalare, per i diversi luoghi esaminati, 1 anche se solo attraverso brevissimi cenni e nei limiti della documentazione disponibile, le tappe storiche della loro eventuale, “romanizzazione” 2 o la loro posizione marginale rispetto a tale fenomeno. Per i  









1  Per quanto riguarda la maggior parte delle località menzionate si rinvia a Lipin´ski 2004. Ulteriori riferimenti bibliografici sui singoli siti in Cadotte 2007.  2  Intesa qui nel senso dell’acquisizione di modelli urbani e di status giuridico romani. Sull’urbanizzazione dell’Africa romana esiste una letteratura sterminata : mi limiterò a citare gli studi “classici” o quelle opere generali che costituiscono un buon punto di partenza per ricerche più specifiche : Gascou 1972, 1982 e 1982a ; Bénabou 1976, pp. 383-425 ; Lassère 1977 ; Lepelley 1979-1981 e 2001 ; Di Vita 1982 ; Février 1989 ; Mattingly 1995 ; Mattingly – Hitchner 1995. A questo problema è inoltre dedicata buona parte del volume 10/2 di ANRW II ; molti studi particolari con continui aggiornamenti bibliografici negli Atti degli Incontri sull’Africa Romana. Cf. inoltre il cap. 5 di questo volume. 3  Sui rapporti tra Romani e Cartaginesi prima della distruzione di Cartagine cf. Huss 1985 ; Lancel 1992 ; Fantar 1993 ; Palmer 1997 ; Gerhold 2002. Breve ma ottima sintesi recentissima è Amadasi Guzzo 2007. 4  Cf. Cristofori 1989 ; Gros 1990.  





























riferimenti epigrafici e letterari rimando in nota ai testi in appendice, per quelli iconografici al cap. 10.4. 7. 1. Africa Proconsularis Il primo centro da considerare è naturalmente Carthago (Cartagine). Non è certo utile qui riassumere in poche righe la storia di questa città, di fondazione fenicia, faro della cultura punica che si irradiò nel Mediterraneo. Come è noto, dopo le lunghe estenuanti guerre contro i Romani, la città fu presa e completamente distrutta nel 146 a.C. 3 Ricostruita nel 44 a.C., 4 come colonia romana divenne un centro importantissimo dell’Africa. 5 Dell’esistenza di un tempio a Cartagine dedicato a Caelestis abbiamo conoscenza attraverso fonti letterarie piuttosto tarde che ci informano soprattutto sulle ultime fasi della sua storia. Quodvultdeus 6 afferma che vi era un grande santuario dedicato a Caelestis contornato dalle cappelle di altre divinità e dotato una vasta platea decorata preziosamente che si estendeva per circa due miglia. Secondo tale testimonianza, sul frontone del tempio si poteva leggere : Aurelius pontifex dedicavit. È quindi probabile che fosse stato Marco Aurelio a consacrarlo. Sempre secondo il racconto di Quodvultdeus, il tempio fu poi chiuso e presto fu circondato da rovi. I cristiani progettarono quindi di occuparlo per trasformarlo in chiesa. Così, nella Pasqua del 399 d.C., l’arcivescovo Aurelio si insediò in quello che era stato il luogo dedicato a Caelestis. Successivamente nel 421 d.C., per ordine di Costanzo e Augusta Placidia, il tribuno Urso provvide a raderlo al suolo. 7 Da Salviano si apprende che il tempio era intra muros. 8 Recentemente H. Hurst 9 ha tentato di conciliare le testimonianze letterarie 10 con gli scavi archeologici condotti nella zona di Koudiat el-Hobsia, 11 ipotizzando che il santuario della dea si estendesse dalla collina fino alle sue pendici. La platea menzionata da Quodvultdeus sarebbe la via Caelestis lungo la quale si sarebbero svolte le processioni di cui parla Agostino. 12 Sempre da fonti letterarie apprendiamo che il santuario di Caelestis, sia sotto Antonino Pio 13 che sotto Commodo, 14 rivestiva una certa importanza come centro oracolare. Per quanto riguarda le testimonianze archeologiche ed epigrafiche, ecco il quadro disponibile.  

























  5  Cartagine dominava su una serie di pagi (pertica Carthaginiensium) i cui abitanti erano cittadini romani della colonia cartaginese. Molti di questi pagi erano strettamente connessi con civitates peregrinae. Sotto Marco Aurelio è concessa loro una certa autonomia rispetto a Cartagine. In seguito Settimio Severo concesse alla colonia cartaginese lo ius italicum, forse in connessione con la perdita di gran parte del territorio della pertica. Informazioni essenziali sulla vita urbana di Cartagine romana in Gascou 6  A 25. 1982, pp. 201-202 ; 215-217.   7  Ho utilizzato l’edizione critica di Braun 1976, riportata anche in 8  A 26. Hurst 1999, p. 91.   9  Hurst 1999, pp. 90-97. 10  Anche con qualche forzatura, cf. l’interpretazione del passo di Cipriano (A 12) in Hurst 1999, pp. 95-96. 11  Hurst 1999. Interpretazione in senso “archeologico” delle fonti, con differenze rispetto a Hurst in Ben Abdallah – Ennabli 1998. 13  A 16. 14  A 17. 12  A 3 e 4.  

dea caelestis

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Da una cappella della dea accanto al Capitolium oppure dal Capitolium stesso, 15 sulla collina della Byrsa, potrebbero provenire gli ex voto del III sec. d.C. che si trovano ai suoi piedi. 16 Non sono state ritrovate moltissime iscrizioni relative al culto di Caelestis, ma la città si è rivelata in generale piuttosto avara di testi pubblici, e quelli rinvenuti sono molto spesso in condizioni frammentarie. 17 Tre iscrizioni relative a Caelestis sono eseguite per ordine della stessa divinità. 18 Un’altra, proveniente da La Malga, 19 menziona Diana Caelestis. Un’epigrafe trovata recentemente (presso gli scavi della “villa aux Bains”) è databile tra il 211 e il 217 d.C., grazie alla menzione di Caracalla e di sua madre Iulia Domna. 20 Un altare con dedica a Caelestis, 21 della fine del II o della prima metà III sec. d.C., trovato in situ, rende molto probabile la presenza di un santuario di Caelestis anche nella zona di Kram-ouest. Un frammento di altare di provenienza sconosciuta e attualmente conservato al Museo del Bardo presenta un’iscrizione che, in via molto ipotetica, è stata ricostruita come una dedica a Saturnus (interamente restituito) e Caelestis. 22 Tra le attestazioni iconografiche del culto alla dea compaiono alcune lampade in terracotta su cui la dea è ritratta seduta su un leone ; 23 un frontoncino in calcare in cui la dea è ritratta sul felino affiancata da due pavoni ; 24 varie terrecotte con rappresentazione della dea seduta in posizione frontale ; 25 un capitello in marmo proveniente dalle terme di Antonino su cui compare il busto della dea tra due leoni (età severiana) ; 26 un busto in marmo probabilmente del II sec. d.C. ; 27 una testa marmorea ritrovata tra il porto militare e l’antico foro romano. 28 Nei pressi di Cartagine, a Douar ech-Chott, è stata ritrovata un’iscrizione, 29 purtroppo in un terribile stato frammentario, in cui sono menzionati, in lingua greca, strumenti cultuali. Tra essi si riscontra la menzione di un thronos e di un thorax che ha fatto pensare che la lista potesse riferirsi al culto della dea Caelestis. Da Utica (Bordji Bou Chateur) 30 proviene un ex voto di terracotta (I sec. d.C.) che rappresenta la divinità seduta su un trono fiancheggiato da sfingi. 31 Nella cittadella bizantina di Jemajeur (Ksar el-Djir) è stata ritrovata un’iscrizione con dedica di un’ara da parte di un sacerdote e dei suoi figli a una divinità identificata

come Caelestis solo congetturalmente : 32 rimane infatti solo la prima lettera del nome, una C che potrebbe restituirsi tanto C[aelesti] che C[ereri]. Il culto di Caelestis è poi attestato nel Haut Mornag da un’iscrizione sul frontone di un tempio, da cui si evince che quest’ultimo era stato riparato dopo i danni causati dall’impetuosità di un torrente. 33 Il nome di Caelestis è qui accompagnato dall’epiteto Graniana che rimanda probabilmente alla famiglia dei Granii. Nella medesima regione è stato scoperto, alla fine del XIX secolo, un santuario punico (a Henchir-R’Cass) con quattordici stele anepigrafi oggi sparite, che potrebbero essere state dedicate tanto a Tinnit-Caelestis che a Baal Hammon-Saturno. 34 Sul golfo di Tunisi, di fronte a Cartagine, è situata Carpis (Henchir Mraissa). 35 Qui un’iscrizione ci attesta la presenza di un tempio alla dea dedicato da una donna, una flaminica diuae Plotinae, con il concorso del marito, sacerdos publicus, e del figlio, flamen perpetuus ed aedilis. 36 Essa è posteriore al 121-122 d.C., anno in cui morì Plotina. A Tubernuc (Aïn-Tebernok), 37 secondo Leglay, 38 al culto di Saturno doveva essere associato quello della dea Caelestis. Sono state infatti trovate una serie di stele piuttosto rudimentali in cui l’iconografia è tipicamente punica mentre la scrittura, seppure latina, è molto incerta. Solo su una stele compare il nome di Saturnus, mentre nelle altre sono rappresentati simboli, come ad esempio crescente, astro, “segno di Tanit”, palma, che il dio condivideva con la sua paredra. 39 Da Tafeloune 40 proviene un’iscrizione a Caelestis eseguita da un liberto imperiale, intendente del dominio, per la salute di sua moglie. 41 Uno dei siti più interessanti per lo studio del culto di Caelestis è senza dubbio il santuario di Thinissut (Siagu). 42 Esso è di estrema importanza per comprendere gli stretti rapporti di continuità tra Baal Hammon e Saturnus da un lato e tra Tinnit e Caelestis dall’altro : questo luogo di culto, consacrato dapprima alle due divinità puniche 43 fu, in epoca successiva, dedicato al culto di Saturnus e Caelestis. Nel tempio sono state trovate terrecotte che rappresentano tanto Tinnit che Caelestis : 44 dall’immagine leontocefala (III sec. a.C) 45 a quella in piedi sul leone (fine I sec. a.C.) 46, da quella di dea in trono (I sec. a.C.) 47 alla divinità nutrice con bambino (fine III sec. a.C.). 48 Una stele votiva del I sec. a.C. raffigura Tinnit in una nicchia con una

15  Il quale però non deve essere confuso con il tempio di Caelestis, cf. Cagnat 1894 contro Castan : CRAI, 1885, p. 112 ss. 16  Ben Abdallah – Ennabli 1998, pp. 180-181. 18  B A1. 2-4. 19  B A1. 1. 17  Ibidem, p. 175, n. 3. 21  B A1. 5. 22  B A1. 7. 20  B A1. 6. 24  Cf. cap. 10.4. n. 307. 23  Cf. cap. 10.4. n. 309. 26  Cf. cap. 10.4. n. 313. 25  Cf. cap. 10.4. n. 314. 28  Cf. cap. 10.4. n. 352. 27  Cf. cap. 10.4. n. 361. 29  B A1. 8. 30  Utica era uno dei più antichi insediamenti fenici in Africa e, dopo la caduta di Cartagine, vi risiedeva il procuratore della provincia. Era una città molto ricca grazie alla fertilità della pianura della Medjerda e all’attività del suo porto. Utica era municipio romano già nel 36 a.C. e divenne colonia sotto Adriano. Su questo centro cf. Gascou 1982, p. 183. 32  B A1. 9. 33  B A1. 10. 31  Cf. cap. 10.4. n. 318. 34  Lieutenant Hilaire : BACHT, 1898, pp. 177-185 ; MSA I, p. 79. 35  Atl. Arch. Tun., f. 21, La Goulette, n. 15. Era una colonia fondata da Giulio Cesare o da Ottaviano, cf. Lepelley 1981, pp. 103-104 e Gascou 36  B A1. 11. 1982a, pp. 421-242.

37  Atl. Arch. Tun., f. 31, Grombalia, n. 205. Tra Kurubis (Kourba) e Clupea (Kelibia), a 9 km a sud di Grombalia, Tubernuc era un centro agricolo che aveva ottenuto, non si sa in che data, il rango di municipio. 38  MSA I, p. 93. 39  Cat. Musée Alaoui II, tavv. ccxlii 2, 4 ; ccxliii 5 = Bisi 1965, pp. 125-126 = MSA I, pp. 93-96. 40  Atl. Arch. Tun., f. 24, Menzel bou Zelfa, n. 164. A 6 Km a nord di Henchir Diar-el-Hajjej. 41  B A1. 12. 42  Atl. Arch. Tun., f. 39, Hammamet, n. 3. Nei pressi di Siagu, a sud-est della base della penisola di Capo Bon. Era un centro indigeno che cominciò a essere frequentato anche da cittadini romani a partire dall’epoca di Augusto. Su Thinissut cf. MSA I, p. 97 ; Bullo – Rossignoli 1998 ; Zucca 43  Cf. l’iscrizione neopunica KAI 137. 2004. 44  Cf. Zucca 2004. 45  Cf. cap. 10.4. n. 296, datazione Bullo 1998. 46  Cf. cap. 10.4. n. 300, datazione Bullo 1998. Per una datazione all’epoca augustea cf. Zucca 2004. 47  Cf. cap. 10.4. n. 320, datazione Bullo 1998. 48  Cf. cap. 10.4. n. 369, datazione Bullo 1998.

































































































la diffusione del culto di caelestis in africa

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colomba, mentre un crescente lunare è appoggiato sul suo capo. 49 Una dedica a Caelestis si trova sul dorso della terracotta che rappresenta la divinità sul leone. 50 Una seconda iscrizione composta solo di iniziali di parole è stata restituita da A. Merlin come una dedica alla dea. 51 Un tempio è stato rintracciato a Pupput (Souk-elAbiod), 52 ma si ignora a chi fosse dedicato. Dal deposito votivo sono emersi ex voto in terracotta che potrebbero riferirsi al culto di Tinnit-Caelestis, quali ad esempio la rappresentazione della dea seduta con mantello e polos, 53 due colombe, un’immagine di dedicante femminile, un’altra figurina femminile senza attributi. 54 Ad Hammamet, 55 porto situato sul lato orientale di capo Bon, sono state trovate insieme, presso l’altare del Golfo, una statuetta di Saturnus e una di divinità femminile che potrebbe rappresentare la dea Caelestis. 56 Su tre stele di Uthina (Oudna) 57 (fine del I – inizio del II sec. d.C.) una dea, probabilmente Tinnit-Caelestis, tiene nelle mani una melagrana e un grappolo d’uva 58 secondo una rappresentazione che ricorda quella sulle stele de La Ghorfa. 59 A questi documenti va aggiunta una lucerna di terracotta su cui è rappresentata la dea Caelestis su leone. 60 A Giufi (Bir-Mcherga), 61 è stata ritrovata una dedica alla dea da parte di due aediles. 62 Presso il Municipium Aurelium C[…] (Henchir Bou Cha) 63 un’iscrizione fa menzione di una curia caelestia. 64 Un centro importante per il culto di Caelestis è Thuburbo Maius (Henchir Kasbat). 65 Come appare dalle iscrizioni, Caelestis era la patrona della città 66 dove anche Saturnus godeva di una notevole importanza. La dea era invocata tanto come Caelestis che come Iuno Caelestis. 67 Un tempio le era dedicato, ma Caelestis era venerata anche in un altro santuario accanto al suo paredro. Un frammento di statua che riprodurrebbe Tinnit su un trono con sfingi alate (I sec. a.C. – I sec. d.C.) è stato poi ritrovato nel tempio detto “della Baalat”, segno che anche lì si venerava

questa divinità. 68 Un’iscrizione attesta l’esistenza, oltre dei templi, anche di un’edicola colonnata dedicata alla dea. 69 In un’altra epigrafe si fa riferimento a una piccola cappella con esedra che i sacerdoti del Genius civitatis e di Caelestis dedicano a Saturnus. 70 Uno dei dedicanti sembra essere il figlio di uno dei capi annuali del collegio sacerdotale di Caelestis, per decreto dei quali viene eseguita un’iscrizione in onore alla dea. 71 Un cospicuo numero di iscrizioni fa poi riferimento al Genius municipalis o civitatis che, però, difficilmente, in quanto di sesso maschile, può essere identificato con la dea. 72 Un altare, reimpiegato nel santuario di Baal HammonSaturnus e Tinnit-Caelestis quando venne trasformato in chiesa, presenta un’iscrizione 73 che, nella parte superiore, oggi perduta, Merlin aveva proposto di completare con Cereri, probabilmente influenzato dalla presenza nel tempio di un cippo votivo neopunico su cui era rappresentato un maiale. 74 Secondo Leglay l’iscrizione andrebbe invece reintegrata con il nome di Caelestis o, in alternativa, con quello di Mars, in analogia con un’altra dedica trovata reimpiegata nell’anfiteatro. 75 Dalla zona delle Thermae Aestivales proviene infine un frammento di statua in marmo (II sec. d.C.) che rappresenta la dea in trono, ai cui piedi è accucciato un leone. 76 Non lontano da Thuburbo Maius, a Pont du Fahs, è stato ritrovato un frontoncino su cui compare una dedica alla dea, probabilmente da parte di un liberto, per la salute del suo patrono. 77 Nella regione di Bou Arada sorgevano due centri : Apisa Maius 78 e Apisa Minus. 79 Nei loro dintorni è stato ritrovato il frontone di una piccola cappella sul quale, probabilmente, è ritratta la dea in trono (I sec. a.C. – I sec. d.C). 80 In un’iscrizione di Vallis (Sidi-Medien), 81 che si data al 132 d.C., uno structor afferma di avere eretto due colonne nel tempio della dea. 82 Siamo a conoscenza dell’esistenza di un tempio di Caelestis a Tuccabor (Tukâber) in base a un’iscrizione che

49  Cf. cap. 10.4. n. 346. 50  B A1. 13. 51  B A1. 14. 52  Atl. Arch. Tun., f. 39, Hammamet, n. 14. Si trova a 42 km a sud-est di Uthina e a 17 km a sud-ovest di Neaples. Pupput era colonia romana sotto Commodo, cf. Gascou 1982, p. 205. 53  Cf. cap. 10.4. n. 322. 54  Sul santuario di Pupput e il materiale votivo cf. Merlin : BACHT, 1912, pp. ccxxvii-ccxxix e xcviii-xcix. 55  Atl. Arch. Tun., f. 39, Hammamet. Non si conosce bene la sua storia in epoca romana, cf. MSA I, p. 101. 56  Cf. cap. 10.4. n. 373. 57  Atl. Arch. Tun., f. 30, Oudna, n. 48. Il centro, a 32 km a sud-est di Cartagine, era una colonia romana dall’epoca di Cesare o di Augusto. Sembra che Adriano abbia favorito la trasformazione in cittadini romani degli incolae o degli indigeni che abitavano nel suo territorio o che da esso dipendevano. Su Uthina cf. Gascou 1982, p. 186. 59  Cf. sotto. 58  Cf. cap. 10.4. n. 356. 60  Cf. cap. 10.4. n. 309. 61  Atl. Arch. Tun., f. 18, Oudna, n. 17. Situata a 50 km a sud-ovest di Cartagine e a 15 km a nord di Thuburbo Maius, Giufi era civitas nel 228 d.C. e, tra il 229 e il 235, municipio grazie ad Alessandro Severo. Su Giufi cf. 62  B A1. 15. Lepelley 1981, pp. 112-113 e Gascou 1982, p. 141. 63  Su Municipium Aurelium C[…] cf. Gascou 1982, pp. 204-205. 64  B A1. 16. 65  Atl. Arch. Tun., f. 39, Zaghouan, n. 67. Thuburbo Maius si trova nella pianura del Fahs a 60 km a sud-est di Tunisi. Era un centro di origine punica che ricevette lo status di municipio sotto Adriano e fu poi colonia onoraria con Commodo. La civitas più antica doveva essere strettamente legata a Cartagine, mentre non è dimostrabile l’esistenza di contempora-

neo pagus, cf. Lepelley 1981, p. 199 ; Gascou 1982, pp. 185-186 e Gascou 1982a, pp. 201-202. 66  Riferimento esplicito in B A1. 20. Cf. Poinssot : CRAI, 1915. 68  Cf. cap. 10.4. n. 317. 67  B A1. 17-26. 70  B A1. 32. 71  B A1. 20. 69  B A1. 23. 72  B A1. 27, 28, 29, 30, 31. Cf. Letta 2003, in part. p. 229 n. 46. 73  B A1. 33. 74  B A1 33, cf. MSA I, p. 117, 4. Nel frontoncino di Apisa Maius un maiale è raffigurato accanto alla dea Caelestis, cf. Ferchiou 1998. 76  Cf. cap. 10.4. n. 311. 75  ILTun 709 = MSA I, p. 117, 5. 77  B A1. 34. 78  Atl. Arch. Tun., f. 34, Bou Arada, n. 111. A 85 km a sud-ovest di Cartagine e a 12 km circa dalla riva sinistra dell’oued Miliane nei pressi dell’attuale Tarf-ech-Chena, Apisa Maius era una civitas governata, al principio, da sufeti. Nel 201 d.C. è menzionato anche un consiglio di decurioni. Diventa municipio durante il III secolo, cf. Lepelley 1981, pp. 84-86 e Gascou 1982a, p. 279. 79  Apisa Minus era situata a poca distanza da Apisa Maius e, ancora al tempo di Antonino Pio, era amministrata da due sufeti, cf. Beschaouch 80  Cf. cap. 10.4. n. 328. 1982. 81  Atl. Arch. Tun., f. 27, Medjez-el-Bab, n. 117 e 120. Vallis è ubicata a 59 km a sud-ovest di Cartagine e a 10 km dalla riva destra del Bagrada, sulla via da Cartagine a Theveste. Sotto Commodo a Vallis erano presenti due comunità diverse, probabilmente un pagus di cittadini romani e una civitas peregrina. Non si sa con esattezza quando divenne municipio, forse sotto Settimio Severo. Tra la prima metà del III secolo e il 324 Vallis diventa colonia, cf. Lepelley 1981, pp. 230-231e Gascou 1982a, p. 280. 82  B A1. 35.













































































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dea caelestis

riferisce di un suo ampliamento. 83 Un’altra iscrizione con dedica di un tempio proviene da Henchir Negachia. 84 Due iscrizioni funerarie da Bisica Lucana (Henchir Bijga) 85 attestano la presenza di sacerdoti della dea Caelestis. 86 Da questo centro proviene anche una testa marmorea che potrebbe essere una rappresentazione della dea, con il capo velato e una piccola falce di luna sulla fronte. 87 Una dedica alla dea è eseguita dalla civitas peregrina di C. Suct--- (Henchir Brigata). 88 Nelle vicinanze di Thabbora (Henchir Tambra), 89 esattamente a Henchir bel Azeiz, esisteva un’edicola votiva risalente alla prima metà del I sec. d.C. di cui rimangono i due piccoli frontoni. Nel primo è rappresentato un crescente con rosa sormontato da un vaso e fiancheggiato da due rose a sei petali inscritte in un cerchio, a sinistra compare un altro vaso. Al di sotto, l’iscrizione specifica che fu il possessore del fundus a edificare il templum (cioè l’edicola). 90 Nel secondo frontone compare un simbolo militare martellato e rimaneggiato. Leglay segnala la presenza di un tempio di Caelestis 91 a Thignica (Aïn-Tounga), 92 dove era molto popolare Saturno che aveva lì un santuario. Tre iscrizioni provengono da Thubursicu Bure (Teboursouk), 93 due menzionano Iuno Caelestis, 94 una delle quali è stata ritrovata in un tempio, mentre la terza è una dedica a Caelestis. 95 La città di Thugga (Dougga) 96 fu al centro di una politica di costruzioni iniziata con Adriano e che continua durante il II secolo. Un tempio alla dea Caelestis fu edificato sotto Alessandro Severo e la forma particolare del porticato sembra metterlo in relazione con altri edifici legati al culto imperiale. 97 Al culto imperiale va pure connessa un’iscrizione che ricorda il donatore del terreno su cui fu eretto il santuario, un alto esponente dell’élite locale, che compare anche in altre iscrizioni, tutte ritrovate nel santuario o nei suoi pressi. 98 Nella dedica si menzionano

due statue d’argento della dea. Un’altra epigrafe ricorda la dedica di un simulacro e di un’esedra per Iuno Regina su ordine della dea Caelestis. 99 Quindi in questo contesto le due dee appaiono chiaramente differenziate : una è quella romana, l’altra è l’indigena. Un’iscrizione ricorda l’erezione di un arco, per decreto dei decurioni, da parte della comunità del Pagus Thac--(Aïn Taki), 100 ma forse nella dedica erano coinvolti anche i non romani. 101 Da un’iscrizione sappiamo che un tempio con colonne fu dedicato alla dea Caelestis per la salute dell’imperatore Massimino ( ?) dai coloni del Fundus Turris Rutundae (Sidi-Khalifa) 102 per mezzo del loro rappresentante (magister) ; 103 l’esecuzione è affidata alla sovrintendenza di un sacerdote. Se si ristabilisce il nome di Massimino, la datazione è il 235 d.C. A Mustis (Henchir Mest – Le Krib) 104 c’era un tempio di Caelestis, come rivela in due iscrizioni la presenza di un sacerdote del suo culto associato a quello di Aesculapius. Nella prima (da datare al regno di Antonino Pio, dal 145 in poi), dedicata a Pluto Frugifer e pro salute imperatoris, il dedicante, flamen perpetuo, duumviro e sacerdote ufficiale di Caelestis e Aesculapius, attesta l’erezione di una statua di bronzo e la costruzione di un portico a quattro colonne nel tempio di Caelestis. Egli fa anche restaurare un portico a quattro ( ?) colonne eretto da suo nonno e in rovina. 105 Lo stesso dedicante, diventato duumvir quinquennalis, offre il tempio e la statua di Tellus per la salute di Antonino Pio (145 d.C. o poco dopo). 106 Il culto di Caelestis e quello di Aesculapius risultano associati anche in un’altra iscrizione (da datare tra il 10 dic. 187 e il 9 dic. 188) pro salute imperatoris Commodo, da Henchir-el-Oust ai limiti del territorio mustitano. 107 Un’ulteriore dedica alla dea appare su un’ara mutila. 108 Da Henchir Belda proviene un’iscrizione con dedica congiunta a Caelestis e Ceres. 109

83  B A1. 36. 84  B A1. 37. 85  Atl. Arch. Tun., f. 34, Bou Arada, n. 95. A 30 km a ovest di Thuburbo Maius, non distante da Avitta Bibba, Bisica Lucana era originariamente una città peregrina, poi divenne municipio sotto Adriano. Assurse al rango di colonia tra il 257 e il 318, cf. Lepelley 1981, p. 84 e Gascou 1982a, p. 87  Cf. cap. 10.4. n. 351. 278. 86  B A1. 38 e 39. 88  B A1. 40. 89  Atl. Arch. Tun., f. 33, Teboursouk, n. 243. Thabbora si trova sulla riva destra dell’oued Siliana, a 94 km a sud-est di Cartagine. Sappiamo che fu municipio ma non in quale data lo divenne, cf. Lepelley 1981, p. 170 e 90  B A1. 41. Gascou 1982a, p. 290. 91  MSA I, p. 125 n. 5 che fa riferimento a Atl. Arch. Tun., f. 26, n. 109, T. 92  Atl. Arch. Tun., f. 28, Oued-Zerga, n. 109. Thignica si trovava a 18 km a nord-est di Thugga in una zona di estremo interesse agricolo. Era un antico villaggio molto punicizzato e fu trasformata in municipio sotto il regno di Settimio Severo e Caracalla. Con molta probabilità è il risultato di una fusione tra un pagus cartaginese e una civitas peregrina, cf. Gascou 1982, pp. 210-211. 93  Atl. Arch. Tun., f. 33, Teboursouk, n. 27. Thubursicu Bure, a 8 km a nord-est di Thugga e a 13 km a sud-est di Thignica, divenne municipio sotto Settimio Severo e Caracalla (198-211 d.C.). Forse, in analogia con altri insediamenti della zona, precedentemente c’erano un pagus cartaginese e una civitas poi confluite nel municipio. Sotto Gallieno diventa colonia, cf. Lepelley 1981, pp. 206-207 ; Gascou 1982, pp. 210-211 e Gascou 1982a, pp. 95  B A1. 43. 276-277. 94  B A1. 42 e 44. 96  Atl. Arch. Tun., f. 33, Teboursouk, n. 183 e pp. 3-5. A 100 km circa a ovest di Cartagine, a 8 km da Teboursouk, Thugga era adatta tanto all’agricoltura che alla pastorizia. Era un antica città numidica, poi punicizzata e soggetta a Cartagine. Nel 46 a.C., dopo la vittoria di Cesare, entra nell’orbita romana. La civitas è amministrata da sufeti ed è collegata a un pagus

di cittadini romani i quali sono in connessione con la colonia cartaginese. Sotto Settimio Severo le due entità sono fuse in un unico municipio. Diventa colonia sotto il regno congiunto di Valeriano e Gallieno (253-260 d.C.), cf. Lepelley 1981, p. 87 e Gascou 1982, pp. 163-164.   97  Cf. Dareggi 1988 e Sebaï 1999. 98  B A1. 45-49.   99  B A1. 50. 100  Atl. Arch. Tun., f. 35, Teboursouk, n. 195. Pagus Thacc--- si trovava 5 km a sud di Agbia. Non è sicura una connessione con il Mun(icipium) Tac(iensum) che si trova a circa 5 km di distanza, cf. Gascou 1972, p. 174. 101  B A1 51, cf. Bullo 1994, p. 1598. 102  Saumagne : BACHT, 1927, pp. 103-108 = Id. : CT, 10 (1962), pp. 257262. Il fundus si trovava nei pressi di un’istallazione romana che domina il marabout di Sidi-Khalifa e faceva parte del Saltus Neronianus ; era quindi un dominio imperiale. I coloni avevano raggiunto una certa autonomia e un certo benessere economico visto che sono in grado, a proprie spese, di restaurare un tempio della dea. Negli atti del Concilio di Cartagine nel 411 è ricordato il vescovato di Turris Rutunda cf. Saumagne : BACHT, 1927, p. 103  B A1. 52. 106. 104  Atl. Arch. Tun., II, f. Jama, n. 3. Mustis era un centro situato a 120 km a est di Cartagine, sulla via Cartagine-Sicca Veneria, a 12 km da Thugga e a 10 km da Uchi Maius. Tre sono le ipotesi sulla sua storia in relazione alle attestazioni epigrafiche : la prima è che fosse un municipio di Cesare a cui erano stati dati dei privilegi da un Aurelius (Marco Aurelio, Caracalla), la seconda che fosse un municipio fondato da Iulia Domna e Caracalla, la terza che fosse un municipio creato da Marco Aurelio. Ancora nel IV secolo è ricordata come municipio, cf. Lepelley 1981, pp. 218-219 ; Gascou 105  B A1. 54. 1982, p. 210-211 e Gascou 1982a, pp. 274-275. 107  B A1. 56. 108  B A1. 53. 106  B A1. 55. 109  B A1. 57.













































































la diffusione del culto di caelestis in africa

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È stata ritrovata, nel 1897, a Biia (Aïn-Battaria), 110 una favissa che conteneva trentuno stele votive. Non si è potuto rintracciare alcun tempio e, secondo Leglay, poteva esserci stato un semplice santuario a cielo aperto di tipo “punico-berbero”. Le rappresentazioni sono molto semplici ma rivelano un ampio simbolismo astrale che Leglay mette in relazione sia con Baal Hammon-Saturnus che con Tinnit-Caelestis. 111 Una stele funeraria del I sec. a.C. da Bulla Regia (Hammam-Darradji) 112 mostra il busto femminile della dea Tinnit poggiato sul crescente lunare. 113 Caelestis è stata recentemente identificata anche con la statua di una dea, nel portico del tempio di Apollo, che tiene nelle mani cornucopia e scudo, è provvista di ali e indossa un peplo e un’egida. 114 Un’iscrizione è dedicata a Iuppiter Optimus Maximus e Caelestis. 115 Secondo Leglay a Thuburnica (Sidi Ali Belkacem) 116 esisteva, oltre al culto di Saturnus (che qui era importante vista la presenza di un tempio), anche quello di Caelestis. 117 Nei pressi di Bir-Derbal, 118 nella regione di Ghardimaou, è stato ritrovato un santuario rurale dedicato a Saturnus. 119 Tra le terrecotte del tempio compare anche una statua femminile leontocefala a grandezza naturale, che risale ad epoca imperiale, 120 da identificare con TinnitCaelestis. In cinque stele provenienti dalla regione Beja-Le Kef, ora conservate a Leiden, il registro superiore è andato parzialmente o totalmente perduto. Per Leglay il dio rappresentato è Saturnus, 121 secondo la Wurnig si tratta invece di Nutrix Caelestis. 122 Da Mididi (Henchir Medded) 123 proviene una stele funeraria (II sec. d.C.) che nel registro più alto, del quale la parte superiore è andata perduta, presenta la raffigurazione di una divinità femminile. Secondo Leglay si tratta di Tinnit, associata a Saturnus sia come Caelestis che come Ops. Caelestis compare anche nel registro inferiore, su un leone, accanto a Saturnus e con altre divinità. 124

Un gruppo di stele (risalenti alla prima età imperiale), oggi conservate in vari musei, provengono dalla pianura di La Ghorfa (tra Thougga, Kef e Mactar), vi compare un personaggio divino con melograno e grappolo d’uva o cornucopie, identificato come “ipostasi di TanitCaelestis”, 125 che ricorda quello rappresentato sulle stele di Uthina e che si ritrova su una stele di Mactar, 126 località che rimase fedele alla cultura libico-punica fino al II sec. d.C. Altri paralleli provengono da Medeïna (Althiburos). 127 A Simitthus (Chemtou) 128 c’era un tempio di Caelestis del quale rimangono i resti. Un’iscrizione fa riferimento a una curia caelestiae, 129 mentre un’altra menziona una sacerdotessa del culto il cui nome, Martha, tradisce una possibile origine orientale. 130 Altre iscrizioni provengono dalla cava di marmo, ma il nome officina Caelestis è una congettura suggerita dalla vicinanza del tempio della dea e dal fatto che altri nomi di divinità compaiono per ateliers o zone di estrazione. 131 Un’iscrizione funeraria da Masculula (Henchir Guergour) 132 menziona un sacerdote di Caelestis che era anche flamen perpetuus. 133 A Sicca Veneria, 134 su una stele votiva (I sec. a.C.), è rappresentato il busto femminile della dea Tinnit dietro la quale spuntano i due corni della luna. 135 Di due iscrizioni rinvenute, una è un ex voto eseguito pro salute di Lucius Sentius Fortis, dominus del dedicante ; 136 la seconda è in onore di Marcus Herculianus Publius, patrono del dedicante, Plotius Felix, sacerdote di Caelestis. 137 Cadotte menziona per Sicca anche un’altra iscrizione 138 che però, secondo il CIL, risulta provenire dalle vicinanze di Pont du Fahs. 139 Nei pressi di Sicca un’iscrizione menziona l’erezione di un tempio a Iuno Caelestis da parte di due (o tre ?) personaggi di cui resta solo il cognomen. 140 Dal Fundus Tapp--- (Jenan-ez-Zaytoûna) proviene un’iscrizione con dedica a Caelestis. 141 In un’iscrizione opera del Pagus Veneriensis (Koudiat es-Souda) 142 sono elencate le tariffe sacrificali rela-

110  Atl. Arch. Tun., f. 42, Enfida, n. 12. A 65 km a sud di Cartagine, Biia compare nelle epigrafi come civitas, in seguito, non si sa quando, fu trasformata in municipio o colonia, cf. Lepelley 1981, pp. 279-281 ; Gascou 111  MSA I, pp. 247-254. 1982a, p. 305. 112  Atl. Arch. Tun., f. 34, Fernana, n. 137. Situata a 147 km a sud-est di Cartagine, sulla strada per Hippo Regius, in una zona favorevole alla ceralicoltura, Bulla Regia era l’antica residenza del re numida Hiarbas. In seguito fu oppidum liberum, sotto Cesare o Augusto, e, tra il 110 e il 112, divenne municipio. Ebbe il titolo di colonia da Adriano. Il processo di “romanizzazione” culturale avvenne assai precocemente, cf. Lepelley 1981, 113  Cf. cap. 10.4. n. 344. p. 87 e Gascou 1982, pp. 163-164. 114  Cf. cap. 10.4. n. 376. L’ipotesi, dovuta a García-Bellido 1998, è corredata da una documentazione imprecisa e da un’interpretazione fantasiosa, che rende difficile accoglierla. Cf. anche le più caute osservazioni di F. Chaves Tristán e M.C. Marín Ceballos in Chaves Tristán – Marín 115  B A1. 58. Ceballos 2004, pp. 369-370. 116  Atl. Arch. Tun., f. 33, Ghardimaou, n. 7. A nord di Ghardimaou, sul confine tra la regione fertile di Bulla Regia e una zona montagnosa poco romanizzata, Thuburnica fu fondata da veterani e divenne municipio all’inizio dell’impero, in seguito fu elevata a colonia nel corso del II sec. 117  MSA I, p. 277. d.C., cf. MSA I, p. 274. 118  Atl. Arch. Tun., f. 33, Ghardimaou. 119  Carton : CRAI, 1918, pp. 338-347 ; MSA I, pp. 287-288. 121  MSA I, pp. 291-293. 120  Cf. cap. 10.4. n. 298. 122  Wurnig 1999, pp. 44-56. 123  Atl. Arch. Tun., II, f. d’El-Ala, n. 4. Mididi, a sud-est di Mactar, era un antico centro indigeno poi punicizzato e infine romanizzato, cf. MSA I, p. 297. Sulle epigrafi puniche ivi rinvenute e il loro contributo storico cf. da ultimo Vattioni 1994a.

124  Cf. cap. 10.4. n. 305. 125  Picard 1954, p. 114. Cf. cap. 10.4. nn. 356-359. In genera126  Merlin : BACHT, 1951-1952, pp. 98-100 = Bisi 1967, p. 121. ���������� le sulle stele di Mactar cf. Bisi 1967, pp. 119-122. Più recentemente Xella 1991, pp. 74 ss. e note 180 ss. In generale per questi siti cf. il DCPP e Krings 127  Bisi 1967, pp. 122-123. 1995. 128  Atl. Arch. Tun., f. 31, Ghardimaou, n. 10. A 10 km circa a ovest di Bulla Regia, Plinio menziona Simitthus come oppidum civium Romanorum. Augusto nel 27 a.C. vi stabilisce una colonia di veterani. Importanti le sue cave di marmo di proprietà imperiale, cf. Lepelley 1981, pp. 163-164 e Ga 129  B A1. 59. scou 1982, p. 141. 131  B A1. 61-63. 130  B A1. 60. ������������������������������� era un centro numidi132  Atl. Arch. Tun., f. 38, Ouargha, n. 1. Masculula co a 30 km a sud-ovest di Chemtou e a 20 km a nord-ovest di Kef. Cittadini e residenti erano riuniti in un conventus, da cui derivò un pagus o un oppidum già prima di Augusto, cf. Bassignano 1974, pp. 136-137. 133  B A1. 64. 134  Atl. Arch. Tun., f. 44, Le Kef, n. 145. A 170 km a sud-ovest di Tunisi, Sicca Veneria era un’antica città fenicia. Entrata a far parte del regno numida, fu annessa al territorio romano dopo la vittoria di Cesare a Thapsus. Divenne una colonia di veterani sotto Ottaviano (prima del 27 a.C.), cf. Lepelley 1981, pp. 156-157 e Gascou 1982, p. 141. 136   B A1. 65b. 135  Cf. cap. 10.4. n. 345. 138   Cadotte 2007, p. 581, 137   B A1. 65a. iscrizione n. 301. 140  B A1. 65. 139   B A1. 34, CIL VIII 23858. 141  B A1. 66. 142  Atl. Arch. Tun., f. du Ksour, n. 77. Dipendeva da Sicca Veneria.















































































dea caelestis

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tive ad alcune divinità, tra cui Caelestis, 143 altre iscrizioni simili sono state ritrovate a Idicra, dove non compare Caelestis ma Nutrix. 144 Un’iscrizione funeraria proviene dalle rovine situate a 1 km a sud-ovest del villaggio di Nechmeya. 145 Vi è menzionato un bambino di nome Phosphorus, il cui padre si chiama Collegius Caelestinus. 146 Si è ragionevolmente ipotizzato che entrambi i nomi abbiano a che fare con un circolo di devoti della dea Caelestis. 147 Un tempio e delle stele votive attestano un culto a Saturnus a Civitas Popthensis (Ksiba – Henchir el-Okseiba). 148 Fra le stele ritrovate, alcune sono catalogate da Leglay come già romanizzate ma ancora molto debitrici alla tradizione punica. Su una di esse sono rappresentati due bucrani, uno più grande e uno più piccolo, che rappresenterebbero, secondo lo studioso, Saturnus e Caelestis. 149 A Hippo Regius (Bône) 150 esisteva un tempio a Saturnus, precedentemente dedicato a Baal Hammon e Tinnit. 151 Tra gli ex voto più antichi (I sec. a.C. – I sec. d.C.), Leglay ne attribuisce due 152 al culto di Caelestis, data la presenza su di essi di un simbolismo particolare : sulla prima stele (I sec. a.C.) in alto si trovano un grande crescente e una stella a sei raggi, in basso una donna nuda, la dedicante, che tiene nelle mani un dolce e una colomba, al fianco una palma. 153 Sulla seconda stele compare in alto un grande crescente che circonda un disco con undici raggi. Al di sotto la dedicante velata e nuda tiene nelle mani una palma sormontata da una granata e un dolce a forma di corona. 154 Una conferma dell’esistenza di una venerazione della dea accanto a quella di Saturnus verrebbe dalla grande presenza di dedicanti donne, anche se il nome della dea non compare nelle iscrizioni. 155 In un’epigrafe, trovata tra resti archeologici situati ai bordi dell’Oued el-Hamman, nella Piana della Rokba, è attestato un sacerdote della dea che fu anche pontifex. 156 A Naraggara (Sidi Youssef) 157 è stata ritrovata, di fronte alle terme, una lunga iscrizione redatta metricamente in forma di inno. La divinità a cui è dedicata, viste le caratteristiche e le funzioni che le vengono attribuite, sembra essere con buona verosimiglianza Caelestis. 158 Forse è databile al III sec. d.C. L’iscrizione di Ouest (Hencir Bîr el-Achmîn) attesta  



la presenza di una curia salinensis, 159 che potrebbe far riferimento alla dea Caelestis per cui è attestato, presso Ulpiano, l’epiteto di Salinensis. 160  



7. 2. Provincia Byzacena































143  B A1. 67. 144  MSA II, pp. 64, 1-2. 146  B A1. 68. 145  Atl. Arch. Alg., f. 9, nn. 82 e 83. 147  Cf. cap. 9.3. 148  Atl. Arch. Alg., f. 19, El-Kef, n. 37. Era un borgo agricolo luogo di scambi commerciali tra la gente della pianura e quella delle montagne, cf. 149  MSA II, p. 426, 3. MSA II, p. 420. 150  Atl. Arch. Alg., f. 9, Bône, n. 59. Hippo Regius era un centro berberopunico, dopo la caduta di Cartagine entrò a far parte del regno numidico per diventare infine, nel 46 a.C., città romana. 152  MSA I, p. 438. 151  MSA I, pp. 431-434. 154  MSA I, p. 438, 9. 153  MSA I, p. 438, 8. 156  B A1. 69. 155  MSA I, p. 435. 157  Atl. Arch. Alg., f. 19, El-Kef, n. 73. Situato a 33 km a ovest di Sicca Veneria e a 46 a est di Thagaste, è un sito già frequentato in età pre-romana, non si conosce il suo statuto in epoca romana. 159  B A1. 71. 160  A 37. 158  B A1. 70. 161  Atl. Arch. Tun., II, f. Thala, n. 77. A 53 km a sud di Sicca Veneria, a 20 km a ovest di Ammaedara, si trova a più di 1000 m di altezza in una zona poco popolata. Antico centro indigeno, Thala divenne un castellum peregrino, probabilmente nell’orbita di Ammaedara. Non si sa se divenne in seguito municipio anche se, nel corso del III secolo, appare organizzata secondo una struttura municipale, cf. Lepelley 1981, pp. 315-316.

Nel centro di Thala 161 tre templi erano dedicati rispettivamente a Caelestis, Saturnus e Pluto. Il tempio della dea, che esisteva già nel 209-210, era dotato di un portico colonnato e di una gradinata, come risulta da un’iscrizione. 162 Un’altra dedica a Caelestis per la salute di Settimio Severo e Caracalla è opera dei cuncti seniores. 163 Una stele votiva (I sec. a.C.) mostra il busto femminile della dea Tinnit dietro la quale spuntano i due corni della luna. 164 Su una fascia d’argento da un corredo funerario (I sec. d.C.) è rappresentata, accanto a Saturnus, la dea Caelestis. 165 Una stele, reimpiegata come soglia di porta, presenta nel registro superiore quattro cornucopie incrociate due a due. Esse potrebbero rappresentare la coppia Tinnit-Caelestis e Baal Hammon-Saturnus. 166 Il santuario di Henchir es-Srira 167 è provvisto di due cellae le quali, secondo Leglay, sarebbero rispettivamente per Saturnus e Caelestis. In una stele, di cui rimane solo il registro superiore, è rappresentata in una nicchia una testa femminile e, al di sopra di essa, un crescente sormontato da un disco a otto raggi. Leglay interpreta la figura come una rappresentazione di Tinnit-Caelestis. 168 Il culto di Caelestis è attestato ad Hadrumetum (Sousse) 169 da un’iscrizione funeraria che una sacerdotessa di Caelestis fa eseguire per suo marito sacerdote di Pluto. 170 Una seconda iscrizione è stata ritrovata a ovest di Kalâa Srira, su una collina che domina l’Oued Laya. Si tratta di una placca di marmo mutilata della parte superiore ; la dedica, che inizia con Iu---, è eseguita per decreto dei decurioni. 171 È stata proposta la ricostruzione Iu[noni Caelesti Aug(ustae) sac]rum (200 d.C). Due lucerne di terracotta, su cui è rappresentato il busto della dea poggiato su falce lunare, sono conservate nel Museo di Sousse. 172 A pochi chilometri da Hadrumetum, a El-Kenissia, 173  



























163  B A2. 2. 164  Cf. cap. 10.4. n. 343. 162  B A2. 1. 166  MSA I, pp. 302-303. 165  Cf. cap. 10.4. n. 335. 167  MSA I, p. 307. Tra Kairouan e Kasserine, a 17 km a ovest di Hadjebal-Aïoun, sul fianco est del Djebel Mrilah c’è una pianura, a nord-ovest di essa, su una roccia, si trova un santuario di Saturnus. 168  MSA I, p. 317, 28. 169  Atl. Arch. Tun., f. 48, Sousse, n. 16. A 150 km a sud di Cartagine, è situata in una zona particolarmente favorevole all’oleicultura. Hadrumetum era un antico sito fenicio frequentato già dal VI sec. a.C. Essendosi alleata a Roma durante la seconda guerra punica, divenne una città libera, privilegio che fu revocato da Cesare per la sua posizione filo-pompeiana. Sembra che Traiano abbia direttamente elevato Hadrumetum allo status di colonia. Tra le ragioni di questa promozione, oltre all’importanza economica della coltivazione dell’ulivo, anche l’attività portuale, cf. Lepelley 1981, pp. 261-264 ; Gascou 1982, pp. 169. Sui materiali epigrafici punici, cf. 171  B A2. 4. da ultimo Fantar 1995. 170  B A2. 3. 172  Cf. cap. 10.4. n. 347. 173  Atl. Arch. Tun., f. 57 (Sousse), n. 70. A 6 km a sud di Hadrumetum. Sul santuario cf. Carton 1906.  

la diffusione del culto di caelestis in africa

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sorgeva un santuario frequentato in epoca punica e neopunica.

luna. 185 Nei pressi di Tripoli, a Sciara Sciat, è stata ritrovata una statua di Caelestis. 186

7. 3. Provincia Tripolitana

7. 4. Provincia Numida

A Zita (Zian) 174 si trovava un tempio dedicato alla dea Caelestis. È stata rinvenuta un’iscrizione con dedica alla dea che sembra menzionare un collegio sacerdotale. 175 È attestato un tofet a circa 300 m a est delle rovine di Sabratha 176 (in uso tra la metà del III sec. e il I sec. a.C.). Su una base, ritrovata a poca distanza da questo santuario, presso il porto, in un’iscrizione (datata agli anni 178-180 d.C.) si richiede l’intervento della dea per la salute degli imperatori Marco Aurelio e Commodo e di Crispina. 177 Una prima martellatura elimina il nome di Crispina (intorno all’autunno 192) e, alla morte di Commodo, anche il suo nome è eraso. Nel 195, con la riabilitazione di Commodo da parte di Settimio Severo, il nome viene di nuovo inserito. Sulla base della vicinanza tra il tofet e l’iscrizione è stata ipotizzata la presenza di un santuario di Caelestis. 178 Un’altra iscrizione trovata nel portico a nord del forum menziona una curia caelestia o Caelestis (II-III sec. d.C.). 179 Una statuina di divinità forse identificabile con Caelestis, è stata infine ritrovata nel tempio di Iuppiter. 180 A poca distanza da Lepcis Magna, 181 su una collina, un tempio rupestre era dedicato a Caelestis. 182 A Oea (Tripoli) 183 il Genius municipalis era legato a Caelestis, come appare dall’immagine rappresentata sul frontone del tempio dedicato al Genius. 184 Nel Museo Archeologico di Tripoli si trova una lucerna di terracotta proveniente da una tomba di Gargaresc. Su di essa è rappresentato il busto della dea Tinnit su falce di

A Calama (Guelma), 187 in Algeria, dove è attestato un intenso culto a Saturnus, è stata ritrovata un’iscrizione alla dea Caelestis. 188 Una stele votiva del II sec. d.C. dal santuario di Thibilis (Announa) 189 rappresenta la dea su leone, identificata dalla dedica. 190 In un’altra stele contemporanea e proveniente sempre dal santuario, la dea è rappresentata in trono tra due accoliti. 191 Un rilievo da Aïn Amara (5km da Announa) rappresenta la dea su leone e con i piedi appoggiati su una sfera. 192 Da Guelaa bou Aftane 193 proviene un’iscrizione funeraria di un sacerdote di Caelestis, 194 mentre altre due iscrizioni menzionano sacerdoti di Saturno. 195 Da Ad Molas (Henchir Sidi Brahim) 196 ci è pervenuta una dedica a Caelestis con scioglimento di voto. 197 Come rivelano altre due iscrizioni, vi si venerava anche Saturnus. 198 Ad Aquae Flavianae (Henchir el-Hammam) 199 è stata trovata un’iscrizione che menziona il restauro, da parte di un liberto imperiale, di un tempio di Caelestis ridotto in rovina. 200 Da un’altra iscrizione si evince che esisteva anche un tempio di Saturno. 201 Un’iscrizione di Vicus Phosph(ori) (Henchir Oued Kerouf) 202 ricorda la costruzione di un tempio alla dea che proteggeva il vicus. 203 A Sila 204 una dedica a Caelestis è eseguita da un liberto imperiale. Il santuario di El-Hofra, posto su una collina a un chilometro a ovest di Costantina, rivela una lunga frequen-

174  A 93 km a sud-est di Tacapae, nella penisola di Zarzis. Sono stati trovati testi punici e neopunici che attestano l’antica frequentazione del sito dove era importante l’oleicoltura. Divenne municipio ma non è possibile determinare la data, cf. Gascou 1982a, p. 308. Sul sito cf. Taborelli 1992 175  B A3. 1. e 1995 (nuovi documenti). 176  Sabratha è situata a 60 km circa a ovest da Tripoli ; il suo porto naturale ne fece un emporio punico. Passata sotto il controllo romano, le fonti la menzionano come civitas e come civitas libera. Ebbe il suo periodo di massima prosperità sotto gli Antonini e, al massimo alla fine del III sec. d.C., divenne colonia, cf. Lepelley 1981, pp. 372-373 e Gascou 1982a, p. 177  B A3. 2. 309. 178  Cf. Taborelli 1992, che spiega la mancanza di resti con il fatto che in Tripolitania si usava per i monumenti un’arenaria friabile e che proprio sul luogo dove sarebbe stato eretto il santuario è stata impiantata successi179  B A3. 3. vamente una tonnara (p. 92). 180  Cf. Brouquier-Reddé 1992, p. 188. Che si tratti di una statua di Caelestis è un’ipotesi di Bartoccini 1927, p. 51, 54. 181  Era un antico e importante centro fenicio che, dopo la seconda guerra punica, passa sotto il controllo di Massinissa. Successivamente fu civitas foederata di Roma (111 a.C.), privilegio revocato da Cesare nel 46 a.C. per la sua posizione filo-pompeiana. Nel corso del I secolo d.C. fu avviato un grande processo di “romanizzazione” anche se il controllo della città restò sotto i sufeti. Divenne municipio dopo Vespasiano e infine colonia sotto Traiano. Nuovi privilegi, come lo ius Italicum, le furono concessi da Settimio Severo che proprio a Lepcis Magna era nato, cf. Lepelley 1981, pp. 335-336 ; Gascou 1982, pp. 170-171 e 216-217. Per aggiornamenti ampia 182  B A3. 4. bibliografia in Quaderni di Archeologia della Libia. 183  A 65 km a est di Sabratha e a 110 km a ovest di Lepcis Magna. Si può ipotizzare che fosse municipio in epoca antonina dal momento che Apuleio, nell’Apologia, menziona un quaestor. La prima menzione di Oea come colonia è datata al 163-164 d.C., cf. Gascou 1972, p. 174. 184  Cf. cap. 10.4. n. 374. Cf. Letta 2003 in part. p. 229 n. 46. 186  Cf. cap. 10.4. n. 362. 185  Cf. cap. 10.4. n. 378. 187  Atl. Arch. Alg., f. 9, Bône, n. 146. A 27 km a nord-est di Thubursicu

Numidarum e a 23 km a nord-est di Thibilis, Calama era fortemente connotata in senso punico, in epoca tardo imperiale si trovano ancora iscrizioni in neopunico. Nel periodo in cui era comunità peregrina, Calama era retta da sufeti e da un princeps. Probabilmente fu Traiano, in relazione al fatto che si trovava in una zona ottima per la cerealicoltura, a trasformarla in municipio, spingendola così alla romanizzazione. Tra il 211 e il 283 assume il titolo di colonia, cf. Lepelley 1981, pp. 90-91 ; Gascou 1982, pp. 176-177 e Gascou 1982a, pp. 271. Sulle numerose iscrizioni provenienti da questo sito, cf. da ultimo Jongeling 2008, pp. 228 ss. 188  B A4. 1. 189  Atl. Arch. de l’Alg., f. 18, Souk Ahras, n. 107. Si trovava a 23 km a sudovest di Calama e a 85 km a est di Cirta, in una zona molto montagnosa, era un centro a carattere indigeno e rurale. Non si sa se fosse abitata in epoca pre-romana, nel II secolo d.C. era un pagus nell’orbita della confederazione cirtiana, ma con larga autonomia. La promozione di Thibilis in municipio va forse collegata alla dissoluzione della confederazione cirtiana, tra il 253 e il 268 d.C., cf. Lepelley 1981, pp. 477-479 e Gascou 1982a, pp. 264-266. 190  Cf. cap. 10.4. n. 301. Per l’iscrizione B A4. 2. 192  Cf. cap. 10.4. n. 306. 191  Cf. cap. 10.4. n. 324. 193  Atl. Arch. Alg., f. 18, Souk Arrhas, n. 200. A 23 km ovest-nord-ovest da Thubursico Numidarum e a 23 km a sud di Calama, non ci è pervenuto l’antico nome romano del centro. Si sa che fu municipio prima del 212 194  B A4. 3. d.C., cf. Gascou 1972, p. 202. 195  MSA II, p. 12. 196  Atl. Arch. Alg., f. 18, n. 417. A 5km a nord-nord -ovest di Madauros. 198  MSA I, pp. 363-364, 4-5. 197  B A4. 4. 199  Atl. Arch. Alg., f. 18, Souk Ahras, n. 108. A 5 km a nord-nord ovest di Madauros, corrispondeva probabilmente a una proprietà imperiale, cf. 201  MSA II, p. 11. MSA I, p. 11. 200  B A4 5. 202  Atl. Arch. Alg., f. 18, n. 163. A una quindicina di chilometri a ovest di Gaiaufala (Ksar Sbahi), a circa 35 km a sud-sud-est di Thibilis. 204  B A4. 7. 203  B A4. 6.





































































dea caelestis

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tazione a partire dalla fine del III sec. a.C. Gli scavi hanno portato alla luce un primo santuario costituito da un corpo centrale e una corte intorno, un deposito votivo che ha riconsegnato circa 700 stele, con iscrizioni in punico, neopunico, greco e latino, infine un edificio di epoca romana. Alla luce delle centinaia di dediche scoperte, l’insieme si è rivelato come un santuario punico-romano dedicato a Baal Hammon-Kronos-Saturnus e a Tinnit-Caelestis. 205 Due iscrizioni funerarie di Cirta (Costantina) 206 riguardano in particolare sacerdoti di Caelestis, i quali sono definiti di primo e secondo rango, il che attesta evidentemente l’esistenza di una gerarchia sacerdotale nel culto. 207 Alla dea è conferito l’epiteto di Sittiana, ad affermare lo stretto legame con la città (Colonia Cirta Sittianorum). Delle altre due iscrizioni che presentano una dedica alla dea è da sottolineare quella in cui è essa invocata come Fortuna Caelestis. 208 Una lucerna di terracotta, su cui è rappresentato il busto della dea poggiato su falce lunare, è conservata nel Museo di Costantina. 209 Un’iscrizione nel Museo di Costantina fa riferimento alla costruzione di un piccolo santuario della dea dedicato da un liberto. 210 Al di sopra dell’iscrizione sono rappresentati una corona, una palma, un animale che corre verso sinistra (leone ?), un pesce e una colomba. 211 Da Castellum Tidditanorum (Le Kheneg) 212 proviene un altare dedicato alla dea dalla res publica Tidditanorum, 213 posteriore al 269 d.C., cioè alla dissoluzione della confederazione cirtiana. 214 Rimangono pochi resti di un antico santuario che Leglay attribuisce, per il tipo di reperti che provengono dai dintorni, a Baal Hammon-Saturnus. 215 Da questo luogo di culto proviene un altare con rappresentazione di un betilo che termina con un busto femminile leontocefalo (probabilmente databile alla metà del I sec. d.C.). 216 Carcopino riferisce di aver visto nel magazzino degli scavi una statuina di una divinità seduta tra leoni, senza poter dire se si tratta di Caelestis o Cybele. 217 Un’iscrizione dal Fundus Senec(iosus), sul versante orientale del Chettabah, presso Mastar, ricorda la costruzione di un tempio alla dea (oppure a Iuno) Caelestis pro salute imperatoris (forse Elagabalo) da parte del magister o procurator del Fundus Seneciosus. 218

A Cuicul (Djemila) 219 c’era un importante culto di Saturnus e a lui è dedicata, da un sacerdote di Caelestis, una stele a quattro registri in cui, in posizione preminente, è raffigurato il dio. 220 Nei pressi di Idicra (Aziz-ben-Tellis), 221 a Rouchaed e a Kef Tazerout, due iscrizioni 222 menzionano la costruzione di templi in onore alla dea, molto probabilmente si tratta di cappelle votive. A Henchir Rohbane, a 500m a nord-ovest di Theveste (Tébessa), 223 nel 1879 fu trovato un caveau murato pieno di oggetti di uso cultuale, la maggior parte dei quali riferibile al culto di Saturnus. Numerose sono le ipotesi su questo “nascondiglio” : Leglay, in particolare, si domanda se non sia semplicemente la favissa del tempio di Saturno. 224 Tra gli oggetti reperiti alcuni si riferiscono a un personaggio divino femminile : due teste femminili ; due statuette di dea seduta su trono fiancheggiato da tori da comparare con la stele di Henchir Gounifida ; 225 un frammento di statuetta di dea in piedi con in braccio un bambino nudo. Nella favissa è stata ritrovata anche una dedica a Ops. 226 Sempre a Henchir Rohbane si trovava un tempio dedicato alla dea Caelestis, di cui un’iscrizione menziona un sacerdote. 227 Il dedicante di un’altra iscrizione fa costruire dei pilastri e un arco, forse all’entrata del recinto sacro. 228 Dal santuario proviene una statua in calcare che rappresenta la dea in trono (III sec. d.C.). Un’altra attestazione epigrafica (fine I sec. – metà II sec. d.C.) menziona la munificenza di un duumvir o flamen che dedica una statua a Calestis, una alla dea Virtus e un signum argenteum al dio Aesculapius. 229 Un altare con dedica è stato ritrovato presso la presa d’acqua dell’acquedotto. 230 Il tempio della dea doveva essere vicino a quello di Saturnus, come si evince da iscrizioni a lui dedicate e trovate nei pressi. Nel Museo di Tébessa è conservato un bassorilievo in cui sono rappresentati a mezzo busto due personaggi divini, il primo, maschile e barbuto, porta un pendente in forma di disco, l’altro, femminile, porta invece un pendente a forma di crescente lunare. Leglay propone di vedere qui la coppia Saturno-Caelestis con i contrassegni di iniziazione che l’autore riconosce in molte rappresentazioni di dedicanti. 231 Anche in altre località nei dintorni di Theveste compa-

205  MSA II, pp. 22-26. 206  Atl. Arch. Alg., f. 17, Constantine, n. 126 et Add. Centro indigeno, subì, a partire dal II sec. a.C., un’estesa punicizzazione. Era la capitale del regno numida e fu donata da Cesare a Sittius insieme a un vasto territorio che doveva fungere da cuscinetto tra il regno di Bocchus e l’Africa Nova. Da Cirta dipendevano le città di Rusicade, Chullu e Milev. Dopo il 251 la confederazione fu dissolta e Cirta divenne capitale provinciale della Numidia cirtea, il cui territorio coincideva con quello della confederazione con l’aggiunta della regione di Cuicul, cf. Lepelley 1981, pp. 383-384 ; Ga207  B A4. 10 e 11. scou 1982, pp. 177-178. 208  B A4. 8 e 9 (menziona Fortuna Caelestis). 210  B A4. 12. 209  Cf. cap. 10.4. n. 347. 211  J. Carcopino : CRAI, 1942, p. 310. 212  Atl. Arch. Alg., f. 17, Constantine, n. 89. Era un borgo fortificato nell’ambito della confederazione cirtiana. 213  B A4. 13. 215  MSA II, pp. 32-35. 214  Cf. Bullo 1994, p. 1598. 216  Cf. cap. 10.4. n. 299. 218  B A4. 14. 217  J. Carcopino : CRAI, 1942, p. 38. 219  Atl. Arch. Alg., f. 16, Setif, n. 233. A 83 km a ovest di Cirta, a 38 km a nord-est di Sitifis, Cuicul si trova in una zona montagnosa, su uno sperone di roccia alla confluenza di due ouad. Probabilmente si tratta di una co-

lonia di veterani fondata sotto Nerva o Traiano e il suo territorio doveva anteriormente far parte della confederazione cirtiana. Ai tempi di Commodo e in epoca severiana ci fu un’espansione urbanistica della città, cf. Lepelley 1981, pp. 402-403 e Gascou 1982, p. 141. 220  B A4. 17. 221  Atl. Arch. Alg., f. 17, Constantine, n. 214. Sulla strada che unisce Milev a Cuicul. Sembra che sotto i Severi Idicra sia diventato il centro di raggruppamento dei Suburberes sedentarizzati, cf. MSA II, p. 63. 222  B A4. 15 (Rouchaed) e 16 (Kef Tazerout). 223  Atl. Arch. Alg., f. 29, Thala, n. 101. Theveste è ubicata a 38 km a sudest di Ammaedara. Di origine antica, il centro fu conquistato dal generale cartaginese Annone nel III sec. a.C. Da Ammaedara era stata portata qui la Legio III Augusta, in seguito stanziata a Lambaesis. Forse Theveste fu eletta a colonia da Traiano (prima menzione 180-182 d.C.), per compensarla di questa perdita. Era un centro importante sia per la posizione strategica che per l’oleicultura, cf. Lepelley 1981, pp. 185-186 e Gascou 1982, pp. 224  MSA I, pp. 332-333. 173-174. 225  Cf. cap. 10.4. n. 329. 226  CIL VIII 16527 = ILAlg I, 3011 = MSA I, p. 333, 6. 228  B A4. 18. 229  B A4. 21. 227  B A4. 20. 231  MSA I, p. 346, 32. 230  B A4. 19.







































































la diffusione del culto di caelestis in africa

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iono attestazioni del culto della dea : a Henchir Gounifida 232 su due stele votive la dea è rappresentata nel registro superiore accanto a Saturnus ; 233 a Morsott 234 è stata rinvenuta una stele con rappresentazione di Caelestis e Saturnus, in cui la dea è notevolmente più piccola del dio ; 235 da Nemencha proviene una gemma con raffigurazione della dea con mazzo di spighe e cornucopia. 236 Da Henchir Gounifida o da Tébessa proviene infine una fascia bronzea su cui è rappresentata, insieme a Saturnus, la dea Caelestis. 237 A Vazaivi (Aïn Zoui) 238 è attestata una dedica di un altare, eseguita da un militare al momento del congedo, in onore di Saturnus, Caelestis, Mercurius e Fortuna come dii iuvantes. 239 Da Thamugadi (Timgad) 240 proviene un’iscrizione di fondamentale importanza per quanto riguarda la conoscenza dell’organizzazione del personale del culto. 241 Vi sono elencati infatti sacerdotes, canistrarii e sacrati della dea. Il nome di uno dei canistrarii ritorna poi in un’altra iscrizione. 242 Una serie di stele (II sec. d.C.) trovate in punti differenti, quasi tutte reimpiegate, è stata messa da Leglay in connessione con il culto di Caelestis. Si tratta di una stele a tre registri, nel cui timpano la rappresentazione di una conchiglia simboleggerebbe la divinità ; 243 una stele a due registri che presenta nella parte superiore di nuovo una conchiglia ; 244 una stele a due registri, su cui, nel timpano, è rappresentata una figura femminile nuda fiancheggiata da una conchiglia e una pigna ; 245 una stele con nicchia in cui è rappresentato un busto femminile dai lunghi capelli coperti da un velo ; 246 una stele a tre registri su cui, in alto, al centro c’è un uccello, che potrebbe essere la rappresentazione simbolica di Caelestis, fiancheggiato dal busto di Saturnus e di un altro personaggio ; 247 una stele rotta in alto e in basso, nella quale si vedono solo i piedi di due divinità che potrebbero essere Saturnus e Caelestis. 248 In un’altra stele, nella nicchia centrale, è rappresentata una coppia. L’uomo porta al collo un disco, la donna ha una falce lunare sulla fronte : secondo Leglay si tratterebbe

di simboli di iniziazione. La mano dell’uomo è sul ventre ingrossato della donna. 249 Infine va ricordata una stele in cui la dea è rappresentata con la falce di luna. 250 A Lambaesis (Lambèse – Tazoult) 251 un’iscrizione è dedicata alla dea dalla res publica Lambaesitana, e ne autorizza la spesa l’ordo decurionum. 252 Di estremo interesse si rivela una seconda iscrizione che menziona il completamento di un tempio alla dea, iniziato da Iulius Lepidus Tertullus (194-195), ad opera di Claudius Gallus (201-205), legatus in Numidia al tempo del viaggio di Settimio Severo e della sua famiglia (202-203). 253 Essa attesta l’importanza “politica” di questa divinità che accoglie e protegge l’imperatore (africano anche lui !) in trasferta. 254 In una tomba punica del I sec. d.C. a nord-ovest di Batna (tra Lambaesis e Diana Veteranorum – Zana), nella località di Oum el-Asnam, è stato trovato un frontale argenteo al cui centro sono rappresentati Caelestis e Saturnus. 255 Tra le pietre di un tumulo arabo sono stati rinvenuti cinque altari quadrangolari dedicati ad altrettante divinità : Caelestis, 256 Iuppiter, Pluto, Saturnus, Victoria. 257

232  Atl. Arch. Alg., f. 29, Thala, n. 96. A 14 km a nord di Tébessa. 233  Cf. cap. 10.4. n. 329. 234  Atl. Arch. Alg., f. 29, Thala, n. 66. Nei dintorni Tébessa. 236  Cf. cap. 10.4. n. 304. 235  Cf. cap. 10.4. n. 330. 237  Cf. cap. 10.4. n. 335. 238  Atl. Arch. Alg., f. 39, Chéria, n. 49. Era un posto di polizia a sud-est di Mascula. 239  B A4. 22. 240  Atl. Arch. Alg., f. 27, Batna, n. 255. Thamugadi, in Numidia, si trova a 20 km a est di Lambaesis e a 150 km a ovest di Theveste. La colonia fu fondata nel 100 d.C. da Traiano con manodopera militare (Legio III Augusta) : era un avamposto romano in una zona ancora “barbara”. Nel II secolo conobbe una grande prosperità grazie all’oleicultura e in epoca severiana ebbe un certo sviluppo monumentale, cf. Lepelley 1981, pp. 444-446 e 241  B A4. 23. Gascou 1982, p. 174. 243  MSA II, p. 139, 19. 242  B A4. 24. 245  Ibidem, p. 140, 22. 244  Ibidem, 20. 247  Ibidem, pp. 141-142, 24. 246  Ibidem, 23. 249  Ibidem, pp. 147-148, 42. 248  Ibidem, pp. 143-144, 32. 250  Ibidem, p. 155, 61. 251  Atl. Arch. Alg., f. 27, Batna, n. 222-223-224. In Numidia, a 12 km a est di Batna. Il centro nasce con l’insediamento della Legio III Augusta sotto Traiano o Adriano, ma prima c’era già un’istallazione militare romana a partire da Tito, cf. MSA II, p. 80 e n. 1. Sotto Antonino Pio è un vicus, con Marco Aurelio acquisisce lo status di municipio di diritto latino, erano cittadini romani quindi solo i veterani e gli elementi dell’élite locale più romanizzati. Sembra che sia diventata colonia nel periodo in cui fu dissol-

ta la legione, probabilmente tra il 247 e il 284 d.C., cf. Lepelley 1981, pp. 417-418 ; Gascou 1982, pp. 198-200 e Gascou 1982a, p. 262. 253  B A4. 26. 252  B A4. 25. 254  Sull’iscrizione cf. Leglay 1956. 256  B A4. 27. 255  Cf. cap. 10.4. n. 335. 257  CIL VIII 4287-4290 258  Atl. Arch. Alg., f. 18, Souk-Ahras, n. 432. A 73 km a ovest di Sicca Veneria e a 25 km a sud di Thagaste, Madauros esisteva già dalla fine del III sec. a.C. In seguito, in epoca flavia, fu fondata una colonia di veterani con il doppio scopo di controllare il vicino paese getulo dei Musulami e di avviare un processo di “romanizzazione” della città e dei suoi abitanti, cf. Lepelley 1981, pp.127-128 e Gascou 1982, p. 163. 260  B A5. 3. 259  B A5. 1 e 2. 261  Atl. Arch. Alg., f. 16, Sétif, n. 177. A 22 km a nord-est di Sitifis. Non si sa se divenne municipio prima o ad opera di Caracalla, cf. Lepelley 1981, 262  B A6. 1. pp. 508-510 e Gascou 1982a, p. 258. 263  Atl. Arch. Alg., f. 16, Sétif, n. 196. Situata sugli altipiani del Sétif, sulla via che va da Cirta a Sitifis, sembra che Mopth--- sia stata fondata come colonia da Nerva per rafforzare la vicina Sitifis, a meno che non fosse in origine dipendente proprio da quest’ultimo centro. Godeva di un’importante posizione strategica ed era anche un centro agricolo, cf. Gascou 264  B A6. 2. 1982, pp. 167-168. 265  Atl. Arch. Alg., f. 16, Sétif, n. 364. Ubicata a 131 km a ovest di Costantina e a 38 km a sud-ovest di Djemila-Cuicul, l’imperatore Nerva vi stabilì una colonia di veterani, il sito era però già abitato da popolazione indigena. Sitifis occupava un posto importante sia dal punto di vista della posi-







































































7. 5. Numidia Proconsularis Due iscrizioni, databili all’epoca di Severo Alessandro, menzionano a Madauros (presso Mdaourouch) 258 due sacerdoti di Caelestis, di origine straniera, che portano il medesimo cognomen. 259 Sono eseguite pro salute imperatoris e nella prima il sacerdote si rivolge a una divinità chiamata Lilleus, nella seconda a Mercurius. In un’altra iscrizione il riferimento a Caelestis è congetturale. 260  





7. 6. Mauretania Sitifensis







A Satafis (Aïn-Kebira) 261 è stata trovata un’iscrizione con una dedica a Caelestis datata al 250 d.C. 262 Un’iscrizione di Mopth--- (Mons) 263 menziona i cultores della curia X caelestina, i quali dedicano un altare a Iuppiter Optimus Maximus. 264 Su una stele a due registri da Sitifis (Sétif) 265 è forse  











dea caelestis

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rappresentata la dea seduta su un leone con mantello e scettro. 266 In un’iscrizione, un devoto di Saturnus 267 dedica un altare a Mercurius su ordine di Caelestis. 268 Le altre due iscrizioni da questa località sono dediche per scioglimento di voto. 269 Un’iscrizione da Thamallula (Ras el-Oued) 270 presenta una dedica alla dea Caelestis. 271 A Ad Sava M. (Hammam Guergour) 272 un’iscrizione reca una dedica ex imperio deae. 273  















A Caesarea (Cherchel) 282 il culto di Caelestis è documentato da una rappresentazione della dea seduta proveniente dall’isola del faro 283 e da una lucerna di terracotta su cui è rappresentato il busto della dea poggiato su una falce lunare. 284 Non mi sembra possibile invece attribuire al culto di Tinnit-Caelestis l’altare presentato da N. Benseddik e proveniente dal Museo di Cherchel. 285 Non ci sono elementi peculiari che lo connettano con la dea e i simboli rappresentati (orecchie, palma) possono riferirsi anche a Saturnus, il cui culto è attestato in questo centro. 286 Esistono poi alcune iscrizioni che, presentando solo il nome del dedicante e la formula di scioglimento di voto, non possono essere attribuite con sicurezza né a Caelestis né a Saturnus ; 287 dal momento che, però, sono state ritrovate delle dediche per Saturnus e nessuna per Caelestis, è più probabile che siano da riferire al primo. 288 L’attestazione della presenza di un tempio ad Albulae (Aïn Témouchent) 289 dedicato alla dea Caelestis, ci proviene da un’iscrizione secondo cui gli equites (della città) hanno restituito o restaurato per la dea il tempio su ordine della stessa divinità. 290 Da Thysdrus (El-Djem) 291 provengono degli ex voto in terracotta sui quali è rappresentata la dea seduta su un trono con sfingi alate. 292  









7. 7. Mauretania Caesariensis Presso Auzia (Aumale) 274 una serie di iscrizioni è stata ritrovata nello stesso santuario ; una di esse è un ringraziamento alla dea da parte di un figlio che vede tornare incolumi i suoi genitori da un viaggio, 275 le altre invece sono rivolte agli dei (dee) Caelestes (Caelestae) augusti (augustae) e riguardano, tra l’altro, la dedica di altari e il restauro di un tempio. 276 E. Charrier aveva attribuito una ventina di stele anepigrafi, trovate a Rapidum (Sour Djouab) 277 e oggi scomparse, al culto di Ceres e Saturnus, Leglay pensa invece che la dea in questione sia Caelestis. 278 In questa località è stata ritrovata anche un’iscrizione in cui la presenza del nome di Caelestis è congettura probabile e in cui sono nominate molte divinità del pantheon romano insieme con Saturnus, (Caelestis) e gli Dei Mauri (255-259 d.C.). 279 A Tipasa (Tifech) 280 la sopravvivenza del culto di Baal Hammon e Tinnit in epoca romana è attestata da una tomba con materiale di età flavia in cui era sepolto un sacerdote addetto al culto delle due divinità puniche. 281  

















zione, che permetteva il controllo della pianura, che da quello economico, trattandosi di un luogo fertile e propizio alla cerealicoltura, cf. Lepelley 1981, pp. 497-498 e Gascou 1982, pp. 166-167.















7. 8. Conclusioni Rimandando al cap. 10 per quanto riguarda l’analisi dettagliata degli attributi, delle associazioni e identificazioni della dea con altre divinità, mi limito qui a presentare una breve sintesi dei dati che emergono dalla rassegna delle diverse località in cui compare Caelestis. 280  Atl. Arch. Alg., f. 4, Cherchel, n. 38. Città portuale a 70 km da ovest di Algeri, forse anticamente era soggetta a Cartagine e in seguito fu inclusa nei regni di Syphax e di Massinissa. Era un municipio latino e solo l’aristocrazia godeva della cittadinanza romana, cf. Gascou 1982, pp. 56-57 e 181 ; 281  Baradez 1957. Lancel 1982. 282  Atl. Arch. Alg., f. 4, Cherchel, n. 16. Fondaco punico (Iol) fu poi capitale del regno numidico. Giuba II la chiama Caesarea e sotto Caligola diventa capitale della provincia romana di Mauritania Cesariense, cf. MSA II, p. 314. Su Cherchel, dati essenziali e bibliografia in Lancel – Lipin´ski 1992. 284  Cf. cap. 10.4. n. 347. 283  Cf. cap. 10.4. n. 326. 285  Benseddik 1984. 286  Il motivo delle orecchie è ampiamente attestato nell’iconografia punica ma anche in quella greco-romana con riferimento al fatto che il dio “ha ascoltato” le preghiere dei suoi devoti, per il collegamento orecchie287  Cf. MSA II, p. 314, 2. Mens Bona cf. Cenerini 1986. 288  Le iscrizioni sono CIL VIII 9332-9339 e 20970-20972. 289  A 72 km a ovest di Orano, a 54 km a nord di Oulaed Mimoun-Altava (Atl. Arch. Alg., f. 31, Tlemcen, n. 9). Il centro si trovava nella parte occidentale nella Mauretania Cesariense, a 15 km dalla costa e a 340 km da Cesarea. Si tratta di un agglomerato urbano che si sviluppa intorno a un avamposto militare, il Praesidium Sufative, creato nel 119 d.C. Un’iscrizione del 299, relativa a una ristrutturazione del tempio della Dea Maura, rivela la presenza di duumviri ed edili, il che testimonia che Albulae era diventata una comunità romana, cf. Lepelley 1981, p. 521 e Gascou 1982a, pp. 290  B A7. 7. 241-242. 291  Thysdrus, città dalla vocazione commerciale, è citata da Plinio come oppidum liberum. Fu fatta municipio sotto Settimio Severo. Nel II secolo appare come una città economicamente florida, grazie soprattutto all’oleicoltura. Forse la promozione a municipio fu ritardata dai discendenti dei veterani di Cesare e Augusto che volevano mantenere il loro status privilegiato rispetto al resto della comunità. Diventa colonia tra il 244 e i primi anni del regno di Diocleziano, cf. Lepelley 1981, pp. 318-322 ; Gascou 1982, pp. 217-218 e Gascou 1982a, pp. 302-303. 292  Cf. cap. 10.4. n. 319.  

266  Così pensano Audollent 1901, p. 378 e La Rocca 1990, 164. Secondo Leglay è una rappresentazione di Saturno, MSA II, p. 274, 14. 267  Cf. MSA II, p. 268, 5, data : 236 d.C. In un’altra stele Mercurius compare accanto a Saturnus ma in una posizione subordinata (è più piccolo), 269  B A6. 3 e 5. MSA II, pp. 274-275, 15. 268  B A6. 4. 270  Atl. Arch. Alg., f. 26, Bou-Taleb, n. 19. A 57 km a sud-ovest di Setif, Thamallula faceva parte dei centri fortificati (castella) nella pianura del Setif, sorti all’inizio del III sec. d.C. Successivamente può darsi che sia diventata un municipio, cf. Lepelley 1981, p ; 510 e Gascou 1982a, pp. 257-258. 271  B A6. 6. 272  Atl. Arch. Alg., f. 16, Sétif, n. 6. A nord-ovest di Setif. Non si sa se fu fatta municipio prima o dopo Settimio Severo, cf. Gascou 1982a, p. 258. 273  B A6. 7. ���� 274  A 124 km a sud-est di Algeri (Atl. Arch. Alg., f. 14, Médéa, n. 105). Ubicata nella Mauretania Cesariense, a 85 km a sud-est di Rusguniae e a 90 km da Rusuccuru, la sua posizione permetteva di controllare il collegamento tra gli altopiani del Setif e la valle del Chélif. Il sito risalirebbe addirittura a una fondazione fenicia. Era un centro dalla connotazione militare come attestano le fortificazioni. È colonia sotto Settimio Severo e Caracalla (tra 198 e 211) ma si ignora quando divenne municipio, cf. Lepelley 1981, pp. 534-537 e Gascou 1982, pp. 207-209. 276  B A7. 1, 3, 4, 5. 275  B A7. 2. 277  Atl. Arch. Alg., f. 14, Médéa, n. 90. Nella Mauretania Cesariense, a 33 km da Auzia. In origine era un accampamento militare fortificato tra due torrenti, costruito per ordine di Adriano nel 122 d.C. Il centro era costituito da veterani e da un gruppo di locali che si erano stabiliti nei pressi del campo per ragioni di sicurezza. Successivamente tra il 167 e il 275 diviene municipio. In seguito fu distrutto da un’incursione di ribelli e ricostruito sotto la tetrarchia, cf. Lepelley 1981, pp. 541-542 e Gascou 1982a, pp. 244-246. 279  B A7. 6. 278  Cf. MSA II, pp. 311-312, 3.  





la diffusione del culto di caelestis in africa

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Caelestis è definita Augusta nella maggior parte delle iscrizioni nordafricane. 293 Se nella menzione degli Dei Caelestes nelle iscrizioni di Auzia fosse compresa anche la dea, come sembrerebbe avvalorare il fatto che queste dediche sono state ritrovate nel medesimo luogo da dove proviene una riferita alla sola Caelestis, allora varrebbe anche per lei l’epiteto di Sanctissima, attestato a Lepcis Magna, del resto la dea è già definita come Sancta a Thuburbo Maius e a Sitifis. 294 Sempre ad Auzia la dea è venerata in una dedica come Redux et Conservatrix domus suae, in riferimento a un viaggio andato a buon termine compiuto dai genitori del dedicante. A Vicus Phosph(ori) essa è onorata come Aeterna. L’epiteto di Virgo compare una sola volta, ad Albulae, dove la dea è definita anche Magna. A Cartagine si parla del Numen Invictum. Fino al III sec. d.C. in Africa la dea è chiamata Iuno Caelestis e solo lentamente il nome proprio tende a scomparire. Menzioni di Iuno Caelestis 295 le troviamo a Cartagine, a Thubursico Bure, presso Sicca, a Henchir Negachia, a Thuburbo Maius. È incerto se il nome Iuno compaia o meno nell’iscrizione di un tempio presso il F. Senec(iosus). Una dedica in forma di inno ritrovata a Naraggara e risalente forse al III sec. d.C. descrive Iuno secondo le prerogative proprie di Caelestis. L’epiteto Regina è sicuramente da ricollegare alla sua stretta connessione con Iuno. A Thuburbo Maius abbiamo infatti una dedica a Iuno Caelestis Regina. 296 Una precisa distinzione tra le due divinità è invece testimoniata a Thugga dove, per ordine di Caelestis, viene dedicato un simulacrum a Iuno Regina. Una dedica a Cartagine fa riferimento a Diana Caelestis ed è difficile capire se si tratti qui di un’associazione tra le due divinità o piuttosto Caelestis sia un aggettivo volto ad ampliare le prerogative della divinità romana in senso astrale. 297 Un ruolo fondamentale che sembra svolgere Caelestis in Africa è quello di divinità protettrice di città o di gruppi, in continuità con quello che dovette forse essere il ruolo di Tinnit, divinità poliade di Cartagine. 298 A Thuburbo Maius la dea è associata al Genius municipalis e forse ugualmente avveniva anche a Oea. A questa concezione e funzione della dea rinviano i due epiteti di Sittiana e Graniana. Il primo, in particolare, mette la colonia Cirta sotto la protezione della dea, il secondo ne fa la custode personale della famiglia dei Granii. Anche l’invocazione a Fortuna Caelestis a Cirta va inserita in questo contesto ideologico, ricollegandosi con le più antiche prerogative di Tinnit. Una trattazione a parte meritano le attestazioni relative alla dea Nutrix o a Ops che potrebbero nascondere, sotto nomi diversi, la stessa dea Caelestis, venerata qui con una particolare accentuazione delle sue prerogative di nutrice che costituivano già un aspetto importante della personalità di Tinnit. 299

Il paredro di Caelestis, Saturnus, a differenza di quando ci aspetteremmo, compare in poche iscrizioni in chiara relazione con la dea. In un’iscrizione di Cartagine il nome di Saturnus è pura congettura, a Cuicul un sacerdote di Caelestis dedica una stele a Saturnus, a Sitifis, al contrario, un sacerdote di Saturnus per ordine di Caelestis esegue una dedica a Mercurius. 300 Un’altra divinità che appare strettamente associata a Caelestis è Aesculapius. In tre dediche da Mustis è menzionato un sacerdote di Caelestis ed Aesculapius. 301 Un sacerdote di Aesculapius e Iuno è poi menzionato a Thizica. Questa associazione potrebbe risalire – ma si tratta di una pura ipotesi – a un più remoto rapporto tra Astarte e Eshmun. Che un altro sacerdote di Caelestis e Aesculapius di Mustis esegua una dedica a Pluto Frugifer non deve sorprenderci né indurci a difficili speculazioni : il dio era il Genius della città e quindi riceveva particolari attenzioni. Non sappiamo invece se il sacerdozio di Pluto per il marito e quello di Caelestis per la moglie, che sono attestati in un’iscrizione di Hadrumetum, siano dovuti a una relazione specifica tra le due divinità e non al caso. 302 Diversa è la situazione per quanto riguarda Mercurius 303 al quale, a Madauros, un sacerdote di Caelestis esegue una dedica e che a Sitifis, su ordine di Caelestis, riceve una dedica da parte di un sacerdote di Saturnus. Si tratta di stabilire se esistesse una specifica correlazione tra queste divinità tenendo in conto che il Mercurius africano è una divinità dalle caratteristiche specifiche, legata alla vegetazione e in particolare alla coltivazione delle olive. Forse per le sue caratteristiche “giunoniche” Caelestis è associata a Iuppiter Optimus Maximus a Bulla Regia o forse perché quest’ultimo era in Africa, in alcuni casi, identificato con Saturnus. 304 Il fatto che a Mopht--- i cultores della Curia X Caelestina eseguano una dedica a Iuppiter Optimus Maximus potrebbe significare solo che l’impegno religioso della curia in questione andava oltre la devozione alla divinità che la patrocinava. Per quanto riguarda Venus, non è attestato, in Africa, alcun tipo di identificazione o di associazione con Caelestis nelle iscrizioni. A Madauros una dedica a Venus Erycina sarebbe stata ordinata da Caelestis, ma il nome di quest’ultima è ricostruito. Per quanto riguarda la sacerdotessa di Hadrumetum che si chiama Porcia Veneria, andrebbe innanzitutto dimostrato se davvero può considerarsi una prostituta sacra liberata 305 e poi se ci sia una connessione tra la sua attività precedente e l’ufficio prestato al culto di Caelestis. Ad Henchir Belda Caelestis è associata in una dedica a Ceres e le prerogative agrarie di queste due divinità sono sufficienti a giustificarne l’accostamento. A Theveste un sacerdote di Caelestis esegue una dedica agli dèi Mauri i quali sono menzionati anche a Rapidum in un’iscrizione che coinvolge anche varie altre divinità e, forse, anche Caelestis (restituzione ipotetica).

293  Su questo e gli altri epiteti relativi alla dea Caelestis cf. cap. 10.2.1. 294  L’epiteto di “santo”, in greco o in latino, contraddistingue spesso una divinità semitica cf. cap. 10 n. 43. 295  Cf. cap. 10.2.2. 296  Sull’epiteto di Regina cf. cap. 10.2.2. 297  Sul problema cf. cap. 10.2.2. 298  Cf. cap. 10.2.2. Su Tinnit come Fortuna cf. cap. 3.3. 299  Su Nutrix e Ops cf. cap. 10.2.2. Su Tinnit con bambino cf. cap. 3.3. e, per l’iconografia, anche cap. 10.4.

300  Ma non è questo il piano su cui va ricercato il complesso rapporto che lega queste due divinità, cf. cap. 10.2.3. 301  Due vanno riferite alla stessa persona. 302  Su Pluto africano cf. cap. 10.2.3. 304  Cf. cap. 10.2.3. 303  Su Mercurio africano cf. cap. 10.2.3. 305  Così ipotizzano molti studiosi, cf. da ultimo Bullo 1994, p. 28, p. 1604 che riprende Frère 1907.





























dea caelestis

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A Vazaivi Caelestis appare menzionata insieme a Saturnus, Mercurius e Fortuna, e collettivamente ricevono l’epiteto di dei iuvantes. Anche a P. Veneriensis la dea compare con altri dèi, in un’iscrizione che specifica quali animali vadano sacrificati ad ogni singola divinità. Un primo bilancio basato sull’analisi delle iscrizioni africane ci rivela un quadro abbastanza diverso da quello che solitamente viene fatto per Caelestis, considerata dea “sincretistica” per eccellenza e caratterizzata dall’identificazione con diverse divinità. La dea che stiamo qui studiando riceve il nome latino di Iuno e in seguito l’appellativo di Caelestis. Ma la Iuno africana, la Caelestis, non si confonde con la Iuno capitolina dalla quale rimane, almeno agli occhi degli Africani e nelle iscrizioni, ben distinta. L’epiteto Caelestis prende poi il sopravvento e finirà per soppiantare del tutto il nome proprio a cui era legato. Le iscrizioni non sembrano rivelare altre identificazioni, l’unica menzione enigmatica viene da Cartagine dove la dedica è rivolta a Diana Caelestis. Si potrebbe ipotizzare che, in questo caso, piuttosto che stabilire un’identificazione tra Diana e Caelestis, si siano volute ampliare le prerogative della prima attraverso un aggettivo dalla portata cosmica ma, come fa notare giustamente Rives, 306 è difficile pensare che a Cartagine questo attributo fosse usato senza voler coinvolgere la dea Caelestis. Diverso è invece il caso della dedica a Fortuna Caelestis. Qui ci troviamo probabilmente in una situazione di continuità rispetto alle prerogative di Tinnit e che il ruolo di Tyche sia un aspetto qualificante di Caelestis appare chiaro dalle iscrizioni che la associano al Genius municipalis di differenti centri. Caelestis appare poi associata a diverso titolo anche con altre divinità : poche iscrizioni menzionano Saturnus, alcune ci attestano un preciso rapporto con Aesculapius e una relazione difficile da definire con Mercurius. Altre divinità le sono accostate in circostanze “contingenti” (dediche, tariffe sacrificali), senza però rivelare alcun rapporto sistematico. La sola analisi delle iscrizioni non è naturalmente sufficiente a decifrare la complessa personalità di Caelestis in Africa, 307 ma quando dal linguaggio “scritto” si passa a quello “figurato” il discorso si fa particolarmente difficile. 308 Senza voler entrare qui nello specifico campo degli studiosi dell’arte fenicio-punica, credo che sia a tutti nota la grande ricettività di questa cultura nei confronti di modelli stilistici provenienti da altri ambienti, come l’Egitto o la Grecia. Anche prima della “traduzione” romana delle divinità puniche, queste erano rappresentate secondo forme fortemente ellenizzate. L’utilizzo di questi schemi artistici “allogeni” non implica però necessariamente una interpretatio ideologica completa che avviene molto più lentamente delle mode/convenzioni artistiche. In sintesi,

le rappresentazioni possono rifarsi a tradizioni artistiche e modelli che non vanno considerati tout court delle “interpretazioni”. Si possono assumere, cioè, modelli senza che venga trasformato il messaggio religioso e un ruolo importante gioca anche il livello culturale, sociale e sicuramente economico dei committenti e le finalità per le quali veniva prodotto il pezzo. Nel caso di Caelestis, ad esempio, tipi iconografici più strettamente orientalizzanti sembrano convivere con rappresentazioni di tipo greco-romano che tendono a loro volta a modellarsi su tipologie già consolidate. 309 Se ci limitassimo però a indagare Caelestis soltanto attraverso la documentazione che la menziona esplicitamente, credo che rinunceremmo a capirne molti aspetti. 310 Così, grazie soprattutto al lavoro certosino di Leglay, siamo oggi in grado di rintracciare o presumere un culto di Caelestis anche in quei luoghi dove non compaiono iscrizioni con il nome della dea e neanche immagini direttamente riconducibili alla sua più diffusa iconografia. L’attestazione del culto è però resa possibile da indizi come la presenza di una divinità femminile accanto a Saturno in luoghi che già conobbero un culto a Baal Hammon e Tinnit, la quale appare spesso delineata solo attraverso rappresentazioni simboliche. Si pensi ad esempio alle stele di Tubernuc, alle figurine in terracotta del santuario di Pupput, alle tre stele di Uthina e a quella di Mactar, a quelle di La Ghorfa, al frontoncino di Apisa Maius, al simbolismo delle stele di Biia, a quello della stele di Civitas Popthensis, alle rappresentazioni di Hippo Regius e di Henchir es-Srira, alle stele ormai perdute di Rapidum. Le testimonianze africane su Caelestis, nel loro complesso, mettono in luce due aspetti fondamentali della sua personalità. Da una parte, il suo legame con le strutture urbane, legame stretto al punto tale da fare di Caelestis non solo la dea patria ma addirittura la divinità poliade, lo spirito stesso, della città. 311 Dall’altra parte, appare indubbia e ben attestata la sua connessione con le acque pluviali e la fertilità dei campi. Entrambe queste sfere di azioni si congiungono e si potenziano nella dimensione celeste a cui si riferiscono quegli epiteti di eccellenza che la accompagnano in moltissime dediche. La distribuzione geografica del suo culto è varia e troviamo attestazioni di culto della dea tanto in centri urbani di un certo livello, come ad esempio Cartagine, Thugga, Cirta, Thuburbo Maius, quanto in luoghi meno coinvolti dall’urbanizzazione. Usiamo quest’ultima espressione perché ci pare che la distinzione tra centri urbani e centri rurali non renda adeguatamente la situazione. Troviamo infatti attestazioni di culto della dea nelle campagne, ma bisogna certo distinguere tra le dediche dei ricchi liberti delle proprietà imperiali, quelle dei proprietari di fondi

306  Rives 1995, p. 189. 307  « Archaelogy could shed further light on many aspects of (…) African religions, but as long as epigraphy remains the key tool of research on religion in Roman Africa, the importance of such anepigraphic cults will be minimized », Mattingly – Hitchner 1995, p. 208. Di idea diversa appare M. Sebaï (1999) nel suo contributo sulla vita religiosa a Thugga, laddove sostiene di aver iniziato la sua indagine alla ricerca del fondo religioso indigeno nell’Africa proconsolare ma che poi, nel corso del suo lavoro, si era resa conto che questo “fondo” era andato via via sfumando. Scopriamo qualche riga più sotto che la Sebaï ha utilizzato solo il materiale epigrafico, come stupirsi allora che i culti pre-romani costituissero più

l’eccezione che la regola ? Francamente sorprendente appare poi il rifiuto di utilizzare le fonti archeologiche con la motivazione che si tratta di rapporti di scavo degli inizi del ’900. 308  Sulla personalità di Caelestis che emerge dall’iconografia cf. cap. 10.4. 309  « The iconography of “authentically” indigenous Western provinces is itself a result of cultural borrowing from the Graeco-Roman canon », 310  Cf. anche Février 1976, p. 311 e 319. Bendlin 1997, p. 57. 311  Ma può intessere un rapporto particolare anche con settori specifici della comunità come nel caso delle Curie che a lei sono intitolate.

























la diffusione del culto di caelestis in africa terrieri, quelle di comunità di coloni, magari proprietari di piccoli appezzamenti ma cittadini romani a pieno titolo e i centri a cui si alludeva prima. In questi luoghi, che non hanno lasciato che rare testimonianze scritte in latino, dove forse questa lingua si parlava a stento, il culto di questa divinità e del suo paredro Saturnus appaiono in stretta continuità con i precedenti culti locali.

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Va d’altra parte aggiunto e ribadito che non è opportuno creare una barriera troppo netta tra queste due realtà : così come gli ambienti rurali non sono tutti poveri, allo stesso modo la devozione nei centri urbani non è appannaggio esclusivo delle élites : interessi diversi si intrecciano e, ciascuno a suo modo, contribuiscono ad arricchire la personalità di Caelestis.  



8. LA DIFFUSIONE del culto DI CAELESTIS FUORI DALL’AFRICA

D

opo aver passato in rassegna le fonti sul culto di Caelestis in Africa avendo cura, per quanto possibile, di ricontestualizzarle all’interno dei diversi ambienti in cui furono prodotte, esaminerò ora le testimonianze che provengono da altri luoghi. I risultati, come si vedrà in seguito, mostrano un quadro molto diverso da quello che la maggior parte degli studi precedenti ha presentato. Il culto della dea, lungi dall’essere ampiamente praticato nell’Impero, sembra rimanere confinato all’iniziativa di quegli Africani che, sia come individui che come comunità, si trovavano a vivere una condizione di emigranti e per i quali la venerazione della dea rappresentava un mezzo per restare legati alla propria cultura d’origine senza peraltro che questo potesse impedire, in qualche caso, che si verificassero “contaminazioni” con altre divinità venerate sul posto. Anche nel caso di Roma, in cui la presenza della dea venne sancita addirittura attraverso un decreto imperiale, il culto sembra non essere mai uscito da una dimensione “privata”, o comunque molto ristretta.

doppie piante dei piedi vanno ricondotte a Caelestis. Esse sono state ritrovate nei pressi del Foro Olitorio (ma si tratta di un reimpiego). In entrambe tra le piante dei piedi appare una colomba, uno dei simboli della dea. Un’iscrizione sepolcrale menziona un princeps sacerdotium deae Caelestis (fine II – inizi II sec. d.C.). 10 Sul sacerdozio della dea Caelestis a Roma abbiamo un’altra informazione desunta da una base di statua ritrovata nei pressi dell’arx. 11 Nell’epigrafe in questione sono menzionate le sacerdotiae del culto insieme con sacratae e canistrariae. Si tratta di un testo di grande interesse perché, oltre alle informazioni sui sacerdoti del culto, documenta che nel 259 d.C. esisteva un tempio di Caelestis nella parte settentrionale del Colle Capitolino, nei pressi del santuario di Iuno Moneta. Un’iscrizione che riferisce del dono di una conduttura d’acqua (o qualcosa di simile, il testo parla di aque( !) [ins] trumentum) da parte di un padre e un figlio, è dedicata al dio Sabazius e solo per congettura è stata riferita anche a Caelestis. 12 Una dedica che proviene, infine, dal c.d. “santuario siriaco” del Gianicolo menziona una Venus Caelestis che però potrebbe anche essere Atargatis. 13 Le rimanenti epigrafi costituiscono semplici dediche. Passando alla documentazione iconografica, oltre al già menzionato frontoncino possiamo aggiungere soltanto un capitello forse proveniente dall’Elagabalium sul quale è rappresentato il dio solare di Emesa. 14 Ai suoi lati la statua di Minerva e, forse, quella di Caelestis. Altre informazioni sul culto della dea a Roma sono ricavabili dalle testimonianze letterarie sul suo “matrimonio mistico” con Sol Invictus promosso dall’imperatore Elagabalo. Sul tempio della dea non abbiamo riscontri archeologici e datazione e topografia rimangono ipotetiche. A Ostia, che era il porto di Roma, abitavano persone di varia provenienza così come intere comunità straniere. 15 Un’epigrafe è stata ritrovata in un sacello ricavato all’interno di un magazzino (I-II sec. d.C.). 16 La dedica alla divinità è stata fatta per comando ricevuto in sogno ma l’identificazione del Numen Caelestis con la dea non è affatto provata. Dalla necropoli di Portus 17 proviene un’epigrafe funeraria redatta in esametri (II sec. d.C.) di un soldato nato a Cartagine che racconta di essere arrivato, attraverso il mare, fino a Roma grazie alla protezione della dea. 18 Una dedica da Aefula a Bona Dea Sanctissima Caelestis, non ha niente a che fare con la dea Caelestis, poiché la dea in questione è Bona Dea. 19 Una dedica piuttosto tarda (IV sec. d.C.) da Baiae 20e due altre da Puteoli 21 menzionano Venus Caelestis. In  







8. 1. Roma e Italia Il problema dell’introduzione del culto di Caelestis a Roma non ha ancora trovato una soluzione unanime. Secondo quanto riportano le fonti relative alla sua evocatio, la dea dovrebbe essere stata portata a Roma alla fine della terza guerra punica. 1 Non si può dire con certezza se questo trasferimento sia realmente avvenuto o meno, perché la prima fonte databile a Roma è della prima metà del I sec. d.C. Si tratta di un frontoncino di cui rimane solo una parte e su cui è rappresentata la dea seduta sul leone. 2 Per quanto riguarda le iscrizioni, attualmente se ne conoscono ventisette provenienti da Roma e dal resto dell’Italia, anche se non tutte possono essere ricondotte con sicurezza al culto della dea. La più antica è l’iscrizione eseguita per la salute di Traiano in onore di Venus Caelestis e di tutti gli dèi, probabilmente da parte di un liberto imperiale. 3 Al II sec. d.C. risale la dedica fatta su comando della dea per il dio Pluto. 4 Per ordine della dea è dedicata anche una lastra marmorea su cui sono raffigurate due orecchie, una corona e un rametto di palma (III sec. d.C.) ; 5 un’altra epigrafe eseguita per ordine di Caelestis presenta sulla stele l’immagine di un’ara e il braccio di un uomo con un falcetto, forse il sacerdote o una divinità (III sec. d.C.). 6 Una lastra iscritta, ritrovata sul Celio, presenta la raffigurazione di due paia di piedi, una rivolta verso l’alto e l’altra verso il basso, la dedica risulta fatta da leones (III sec.d.C.). 7 Altre due lastre, una iscritta 8 e l’altra anepigrafe, 9 con  

















  1  Sul problema cf. cap. 6.2.1.   3  B R 6. 4  B R 12.   7  B R 4.   9  Guarducci 1946-1948, pp. 15-16.



2  Cf. cap. 10.4. n. 308. 5  B R 1. 6  B R 3. 8  B R 10. 10  B R 7. 12  B R 11.

11  B R 9. 13  B R 13. Per l’identificazione cf. infra. 14  Cf. cap. 10.4. n. 375. 15  Su questo centro cf. i dati essenziali in Uggeri – Kockel 2000, con riferimenti bibliografici. 16  B I 1.



















17  Sotto Traiano viene costruito Portus, un porto artificiale a circa 3 km da Ostia. Gradualmente accanto a esso si viene creando un insediamento con necropoli, cf. Sauer 2001 con bibliografia recente. 19  B I 3. 18  B I 2. 20  Nella parte occidentale del Golfo di Pozzuoli, cf. Garozzo 1997 con bibliografia. 21  La città era un insediamento sannita. Durante la seconda guerra punica fu presa dai Romani e divenne una colonia maritima (194 a.C.). Importante snodo commerciale, le sue acque termali ne fecero uno dei

65 la diffusione del culto di caelestis fuori dall ’ africa quella da Baiae si parla del restauro di un tempio della troppo oltre definendolo un culto esclusivo di schiavi e lidea, 22 nella prima da Puteoli (134 d.C.) è menzionato inberti, forse addirittura limitato ai soli Africani. 38 I nomi dei vece un taurobolio in onore di Venus Caelestis, 23 nella sededicanti sono molto comuni tra i liberti, ma non esclusivi di tale ambito. 39 Il culto della dea a Roma, circoscritto e conda si ricorda la dedica di un tempio a Venus Caelestis pro salute di Caracalla e di sua madre (213-217 d.C.). 24 Una privato, era comunque dotato di un apparato sacerdotale gerarchizzato analogo a quello attestato in Africa. terza iscrizione, sempre da Puteoli, menziona Caelestis Due stele presentano un doppio paio di piante di piedi ma, dato il suo stato estremamente frammentario, non è che vengono usualmente connesse alle dediche di itus e possibile stabilire se il teonimo fosse preceduto dal nome reditus. 40 Un recente studio su questo tipo di iconografia di Venus. 25 Vi si menzionano varie offerte per il culto. ha però messo in luce la riduttività di una tale interpretaUna dedica di età imperiale da Venafrum 26 menziozione, dal momento che tale motivo, dalle molteplici vana un collegium cultorum Bonae Deae Caelestis, 27 ma anche rianti, poteva essere usato in circostanze e con significati in questo caso, come per Aefula, Caelestis sembra essere diversi, mentre le piante dei piedi possono rappresentare l’epiteto di Bona Dea senza alcun riferimento alla divinità tanto quelle dei devoti che quelle della stessa divinità. 41 africana. Un’epigrafe di Bovianum Undecumanorum 28 ricorda Gli epiteti della dea, come avviene in Africa, oscillano tra quelli volti ad amplificarne le prerogative come Domil’erezione di un tempio o di un’ara da parte di una donna na, Invicta, Triumphalis e quelli che invece ne circoscrivono a Venus Caelestis. 29 il raggio di azione, caratterizzandola come divinità protetDue iscrizioni da Pola 30 e una da Aquileia 31 contentrice di un determinato luogo e di coloro che vi abitano. In gono dediche a Venus Caelestis. 32 questo senso vanno senz’altro interpretate le espressioni Una coppia di sposi a Mediolanum 33 fa una dedica al Numen praesens e praesentissimus Numen locis montis Tarpei. dio Pantheus per ordine di Diana Caelestis. 34 Nell’epigrafe che contiene quest’ultima formula Caelestis A Karales un cippo funerario menziona una donna riceve anche l’epiteto di Virgo, che compare in una dedica che si chiama Valeria L(a)urens Caelesitana. 35 africana e in una dalla Britannia. Le testimonianze rinvenute a Roma e in Italia, nel loro Una dedica a Invicta Caelestis Urania è stata ritrovata sul complesso, non sono né abbondanti né rivelatrici di un Celio ed è stata eseguita da leones, ovvero da iniziati al culculto particolarmente diffuso. to del dio Mithra. È il caso di domandarsi se Caelestis non Per quanto riguarda l’esistenza di un tempio dedicato vada qui considerato come l’epiteto di Urania e quindi alla dea a Roma abbiamo solo testimonianze indirette e senza riferimento alla dea Caelestis che nessun’altra teimplicite. Sia per la data della sua erezione che per la sua stimonianza connette con l’ambiente mitriaco. 42 D’altra ubicazione non vi è accordo tra gli studiosi. 36 Se si passa poi alle testimonianze dirette, il risultato è parte ∆Afrodivth OuJraniva o OuJraniva è in alcune testimoforse ancora più deludente. Il frontoncino del I secolo 37 nianze letterarie la “traduzione” greca di Astarte. In altri casi OuJraniva corrisponde alla dea Caelestis come fedele in cui appare la dea, se testimonia la presenza di un culto, indica anche che questo doveva essere di proporzioni motraduzione del nome stesso della divinità. 43 Si può pensadeste, una piccola cappella posta forse sull’arx. re che i dedicanti dell’epigrafe avessero voluto ampliare e Dobbiamo concludere con Rives che il culto non fu mai potenziare le prerogative della divinità da loro chiamata ufficiale come si è invece supposto ? Credo di sì. L’atto di Urania attribuendole l’epiteto di Caelestis. Due dediche romane menzionano Venus Caelestis. La Elagabalo fu estemporaneo, il culto non si radicò minimaprima sarebbe la più antica testimonianza del culto di Caemente e finì con l’imperatore stesso. Forse però è spingersi  













































luoghi di villeggiatura privilegiati dall’aristocrazia romana, cf. Gulletta – Steinbauer 2001 con bibliografia recente. Pozzuoli fu un centro portuale e commerciale che vide incrociarsi e convivere varie divinità orientali, i loro culti e i loro fedeli, cf. Tran Tam Tinh 1972.

35  B I 14. 36  Cf. Guarducci 1946-1948 ; Coarelli 1988, pp ; 405-409 ; Cordischi 1989-1990, pp. 331-332 e 1990, pp. 165-167. 37  Cf. Guarducci 1946-1948, pp. 21-24. 38  « Apolastus and his brother were almost certainly freedmen, as indicated by their names. The other inscription may for a moment seem more impressive, but undoubtedly comes from the same milieu. The title honorifica femina is lofty-sounding but unparalleled, while the aspirations to rhetorical elegance are marred by numerous error of grammar and spelling. What we have is the record not of an official cult, but of some private association of freedwomen for the worship of Caelestis, in which they could imitate the manners of the élite. The individuals mentioned in the other inscriptions seem to belong to the same class ; at least one of them is probably an immigrant from Africa. The cult of Caelestis in Rome, then, was purely a private affair, limited to the freed classes and perhaps even to those of African origin » (Rives 1995, p. 69). 39  Alcuni di questi personaggi sono da Solin 2003 classificati tra gli incerti per quanto riguarda il loro status sociale. 40  Guarducci 1946-1948, pp. 13-16 ; Cordischi 1990, p. 166 ; 181-182. Più in generale Guarducci 1942-1943. 41  Cf. Dunbabin 1990. È interessante notare che le due lastre, in un secondo impiego, sono entrambe posizionate sul pavimento di un edificio, la prima addirittura come soglia, forse a indicare passaggi e direzioni ? 42  Per la dedica in un probabile mitreo di Ostia cf. sotto. 43  Cf. Tram Tan Tinh 1972, p. 138 ; Cordischi 1990, p. 161.  







23  B I 5. 24  B I 7. 25  B I 6. 22  B I 4. 26  Città sannita nella valle del Volturno, divenne colonia con Augusto, cf. Marciano 2003, con riferimenti bibliografici e menzione delle fonti. 27  B I 8. 28  Città del Sannio, divenne colonia in epoca flavia (73/75 d.C.). Vi si trovava un antico santuario indigeno, cf. Buonocore 1997 con bibliografia. 29  B I 9. 30  Pola si trova a sudovest della penisola istriana su un ampio golfo e protetta dall’antistante isola di Brioni, caratteristiche che ne fanno un porto ideale. Era un centro degli Illiri, dopo la conquista romana dell’Istria (178-177 a.C.) vi stanzia una flotta romana e diventa un importante nodo strategico militare. Si sviluppa anche un insediamento civile e tra il 42 e il 31 a.C. Pola diviene una colonia, cf. Fellmeth 2001 con bibliografia aggiornata. 31  Aquileia è colonia latina nel 181 a.C. e più tardi è menzionata come municipium, cf. Dietz 1996 con bibliografia. 32  B I 10 e 11 (Pola), 12 (Aquileia). 33  Mediolanum fu fondata nel IV sec. a.C. dagli Insubres e conquistata nel 222 a.C. da Cn. Cornelius Scipio. Nell’89 a.C. ottiene il diritto latino e nel 49 a.C. quello romano, cf. Heucke 1999, con bibliografia recente. 34  B I 13.













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lestis a Roma (I sec. d.C.), ma è certo difficile stabilire con certezza se si stia facendo riferimento qui alla dea africana. In Africa, infatti, non troviamo mai questa associazione di teonimi e la dedica in questione è eseguita a titolo personale da un probabile liberto imperiale per il quale non si può invocare un’origine africana. In Africa, inoltre, le dediche più antiche pro salute imperatoris da parte di devoti di Caelestis risalgono ad Antonino Pio. Anche l’altra dedica non può essere con sicurezza ascritta alla dea Caelestis, 44 essa è stata ritrovata nel “santuario siriaco” del Gianicolo e attribuita con buoni argomenti ad Atargatis. 45 D’altra parte il nome del dedicante sembra rivelare un’origine africana e quindi una possibile connessione con la dea Caelestis. Le iscrizioni della Campania, che fanno tutte riferimento a Venus Caelestis, presentano lo stesso problema interpretativo ; esse comunque sembrano rimandare a un contesto siriano piuttosto che africano. In particolare, il rituale del taurobolio è totalmente estraneo al culto della dea Caelestis. 46 Lo stesso problema di identificazione si riscontra nelle dediche di Bovianum Undecumanorum, Pola e Aquileia, tutte in onore di Venus Caelestis. Per quanto riguarda poi l’associazione tra la dea Caelestis e altre divinità, il rapporto di Caelestis con Sabazius è frutto di una congettura che non mi sento di condividere. Essa si basa sul fatto che in un’epigrafe di Roma Caelestis riceve l’attributo di Triumphalis e che su un’altra epigrafe trovata nello stesso luogo della prima (ma si tratta di reimpieghi) è menzionato Sabazius e un’altra divinità, il cui nome non è però leggibile, con il medesimo appellativo. Trattandosi della dedica di una conduttura d’acqua, i due dèi dovevano perciò essere venerati nello stesso tempio o in templi vicini. 47 Questa ipotesi ha dato poi il via a un’altra serie di congetture : a Ostia è stata ritrovata una dedica fatta al Numen caelestis. Questa divinità è stata identificata con Caelestis sulla base del fatto che nel sacello è stata trovata un’altra iscrizione che menziona Iuppiter Sabazius. M. Guarducci, che considera il luogo un sabazeo sulla base della sua associazione tra Caelestis e Sabazius nella dedica di Roma, conclude che il Numen in questione è la dea. 48 G. Becatti 49 aveva invece riconosciuto nel sacello un mitreo che eventualmente ospitava anche un culto di Sabazius. Il dedicante dell’iscrizione al Numen è lo stesso che esegue un’altra dedica, ritrovata non lontana dall’altra, all’Invictus Sol Omnipotens e in cui a Mithra è dato l’epiteto di Caelestis. Questa dedica insieme alla forma del locale erano prove sufficienti, per Becatti, per proporre la sua interpretazione. Cordischi adduce a favore dell’ipotesi della Guarducci il fatto che, nel sacello, sono state trovate due impronte di piedi, e questo costituirebbe un’analogia con le altre impronte sulle dediche per la dea a Roma e in Spagna, e aggiunge che Ostia ospitava una colonia di Africani. 50 A

mio avviso la teoria di Becatti resta la più aderente alle prove effettivamente possedute e quindi questa iscrizione andrebbe espunta dal dossier relativo a Caelestis. Una relazione tra Pluto e Caelestis è invece chiaramente rinvenibile nella dedica eseguita al dio per ordine della dea. Secondo Cordischi 51 essa rivelerebbe una connessione tra Caelestis e il mondo funerario, ma il nome del dedicante, di probabile origine africana, spinge a guardare alle prerogative che a Pluto vennero attribuite in quella provincia. 52 Per concludere sulle dediche a Roma e dintorni, bisogna ricordare l’epitaffio di Portus che, come ha giustamente sottolineato Cordischi, si limita a menzionare il fatto che un soldato nativo di Cartagine, nel suo viaggio attraverso il mare, era sotto la protezione della dea, e quindi non può certo essere addotto come testimonianza di un culto della dea a Portus. 53 L’identificazione/assimilazione tra la dea Caelestis e Bona Dea sembra anch’essa destinata a essere smentita : gli studiosi sono d’accordo di eliminare dal dossier di Caelestis l’epigrafe da Aefula datata al 88 d.C. in cui si ricorda l’erezione di un tempio alla Bona Dea che riceve qui, oltre all’epiteto di Sanctissima, anche quello di Caelestis. 54 Anche la Bona Dea Caelestis menzionata a Venafrum è quasi certamente Bona Dea con l’epiteto Caelestis. Tran Tam Tinh pensava a un’identificazione tra le due divinità, 55 Cordischi ritiene invece che non ci siano argomenti sufficienti per prendere posizione. 56 Ma l’eventuale, labile, legame tra le due dee che quest’ultimo propone, attestato dalle statuette di Bona Dea nel tempio di Sabazius a Roma, si regge su alcune congetture di difficile accettazione. La prima riguarda le statuette stesse, che non è sicuro che rappresentino la Bona Dea ; la seconda propone che ci fosse un rapporto tra Sabazius e Caelestis, rapporto che, come abbiamo visto, è assai incerto. Brouwer invece apporta un contributo importante alla discussione : a Venafrum esistevano anche dei cultores Iovis Caelestis, e dato che in questo caso Caelestis è chiaramente un epiteto, è probabile che si trattasse di un epiteto anche per la Bona Dea. 57 L’iscrizione di Mediolanum, infine, che menziona Diana Caelestis, non offre alcun elemento che ci aiuti a capire se ci troviamo davanti a un’associazione di divinità oppure a un epiteto di Diana anche se, va ricordato, una Diana Caelestis è invocata anche in Africa. Il riferimento a Pantheus a cui l’iscrizione è dedicata non aiuta molto, dato che questo epiteto è comune a diverse divinità. Un cippo funerario da Karales menziona una donna, Valeria L(a)urens Caelesitana, il cui cognomen era stato messo in connessione con la dea Caelestis. 58 Tale connessione si è rivelata errata essendo il cognome riconducibile a un etnico sardo 59 e quindi dobbiamo eliminare anche questa attestazione dal dossier sulla dea.

44  Cordischi la inserisce nelle dubbie. 45  Hajjar 1977 II, 288B e 1985 III, pp. 234-235, identifica la divinità con la Venus Heliopolitana che egli considera una forma particolare di Atargatis (1977 II, pp. 453-455, 1985 III, p. 197). Per la discussione cf. Cordischi 1990, p. 185. 46  Sul problema dell’identificazione di Venus Caelestis, cf. cap. 10.2.2. 48  Ibidem, p. 19. 47  Guarducci 1946-1948, pp. 16-19. 49  Becatti 1954, p. 116. 50  Cordischi 1990, p. 186, ma sulla diffusione di tale motivo iconografico cf. Dunbabin 1990. Tralascio la problematica e a mio avviso impro-

babile ipotesi della Floriani Squarciapino di un precedente sabazeo dove si venerava anche Caelestis, poi trasformato in mitreo (Floriani Squarciapino 1962, p. 65 ss.). 51  Cordischi 1990, p. 164, ma già Guarducci 1946-1948, p. 20. 53  Cordischi 1990, p. 167. 52  Cf. cap. 10.2.3. 54  Cf. Brouwer 1989, n. 70 ; Cordischi 1990, p. 188. 56  Cordischi 1990, p. 192. 55  Tran Tam Tinh 1972, p. 28. 58  Sotgiu 1988, pp. 616-617, E3. 57  Brouwer 1989, p. 375. 59  Ruggeri 1991, pp. 905-907.













































67 la diffusione del culto di caelestis fuori dall ’ africa Al termine di questa rassegna sulle testimonianze del In una dedica da Italica (Santiponce) 67 rivolta alla Domina Regina da un sacerdote della colonia è rappresenculto di Caelestis a Roma e in Italia si deve constatare che tato un paio di piedi. 68 È di epoca posteriore a Traiano dal quelle sicuramente attribuibili a questo contesto non sono momento che Italica è menzionata come colonia ed essa molte : abbiamo dovuto espungere dal dossier molti casi in lo diventa sotto Adriano. cui Caelestis è soltanto un attributo di una divinità diffeUna seconda epigrafe, molto frammentaria, con doppie rente e i legami con il culto di Sabazius o con quello di Mipiante di piedi, di cui un paio con sandali e l’altro senza, thra, che non sono supportati da alcuna prova concreta. per Caelestis Pia Augusta, dovrebbe provenire dall’anfiteaUn grande problema aperto rimane poi l’identificazione tro. 69 della divinità chiamata Venus Caelestis. Ancora un’iscrizione con piante di piedi non può però In particolare, emerge con chiarezza che le testimocon sicurezza essere ascritta al culto di Caelestis. 70 Si legge nianze su Caelestis a Roma sono scarse e nessuna è di tipo infatti DOMINAE CVRANI, in cui C e V sono unite. Garufficiale, circostanza singolare dal momento che, almeno cía y Bellido scioglie in C(aelestis) Urani(a), 71 ma è possidurante il regno di Elagabalo, a questa divinità venne ribile leggere anche Ourani(a), 72 o come propone la Canto, servato un trattamento davvero speciale proprio da parte Cur(atrix) animae. 73 dell’imperatore. Possiamo immaginare che, mentre l’opeAll’entrata nord dell’anfiteatro di Emerita Augusta razione di Elagabalo fu e rimase un atto isolato e certo (Mérida), 74 sulla parete destra in alto, è stata ritrovata sopportato – ma non appoggiato – dai Romani, un culto una dedica a Inuicta Caelestis Nemesis. 75 privato di Caelestis, in cui sembrano coinvolti principalIn una dedica da Ebusos (Ibiza) a Iuno Regina, 76 Garmente individui di origine africana o comunque straniera, cía y Bellido propone di leggere Iuno Caelestis, 77 mentre siano essi cittadini, liberti o schiavi, doveva esistere indiMommsen aveva letto Iuno Mater e Hübner Iuno Vetus. 78 pendentemente dalle strategie ufficiali della classe dirigenSecondo Mayer si dovrebbe leggere più semplicemente te. Sono i loro atti di pietà privata a essere rimasti quali Iuno Regina, senza escludere che si tratti di un’interpretestimonianze dell’esistenza di un culto tributato alla dea, tazione di Tinnit/Dea Caelestis : la famiglia di dedicanti mentre dell’introduzione ufficiale ad opera di Elagabalo è la stessa a cui appartiene un sacerdote di Aesculapius, non rimane, oltre alle fonti letterarie, che un capitello prodivinità sotto la quale si nasconde un dio punico. 79 veniente probabilmente dall’Elagabalium. 60 Un’ara è stata costruita e dedicata alla dea Caelestis per suo ordine 80 a Elx (Elche). 81 8. 2. Hispania A Tajo Montero 82 sono state ritrovate alcune stele Anche questa regione non si rivela particolarmente ricca anepigrafi, quattro delle quali si trovano attualmente a di documentazione pertinente alla presente indagine. Madrid, le altre a Londra. La stele qui considerata è priva Da Tarraco (Tarragona) 61 proviene un’epigrafe della parte superiore, su di essa è raffigurato un personagfuneraria di un sacerdote della dea eseguita da suo figlio gio femminile nudo che García y Bellido identifica con (seconda metà del II – inizio I sec. d.C.). 62 È importante al Tinnit-Caelestis. 83 riguardo notare che nella città era presente una notevole Su un’altra stele sono incise due teste, una femminile e comunità di Africani. 63 una maschile, secondo García y Bellido si tratterebbe di Due epigrafi sono state ritrovate a Lucus Augusti Tinnit-Caelestis e di Baal Hammon-Saturnus. (Lugo), 64 di cui la prima è una dedica per scioglimento di La divinità rappresentata sui mosaici di Gerona e Barvoto. 65 La seconda è eseguita da un liberto imperiale 66 e cellona con corona turrita e su leone sarebbe, sempre vi sono enumerati gli dèi del dedicante, da una parte quelper lo stesso studioso, la dea Caelestis. 84 Nell’antico santuario indigeno di Torreparedones li imperiali, poi quelli africani, Africa Caelestis e Frugifer, e (Castro del Rio-Baena, Córdoba) 85 è stata ritrovata infine quelli iberici (epoca di Settimio Severo, fine II sec. una testa (I sec. a.C.), 86 probabilmente appartenente a una d.C.).  

























































60  Cf. Cordischi 1990, p. 165 che riporta la bibliografia precedente, sul rapporto tra Caelestis e l’imperatore Elagabalo cf. cap. 6.2.4. 61  La città si trova sulla costa occidentale della Spagna. Era provvista di un porto, l’insenatura è però oggi insabbiata. Importante punto di appoggio per i Romani, fu dotata di una possente cinta muraria. Sotto Cesare divenne colonia Iulia Urbs Triumphalis Tarraco. Ebbe la sua massima fioritura tra il I e il II sec. d.C., cf. Stepper 2002, con citazioni epigrafiche e bibliografia aggiornata. 62  B H 1. 63  Da Tarraco proviene la metà delle dediche a opera di Africani in Spagna, cf. García y Bellido 1964, p. 238. 64  Città sulla costa orientale della Spagna, fu fondata da P. Fabius Maximus, legatus nel 12 a.C. Costitutiva un punto di collegamento tra il Nordovest della penisola iberica e l’Impero. Nella città, capitale della Callaecia, in epoca imperiale, si teneva un importante mercato provinciale. 66  B H 4. 65  B H 3. 67  Fondata nel 206 da P. Cornelius Scipio e abitata da veterani, diviene municipium con Cesare e colonia con Adriano. Vi stazionavano la legio VII e la cohors III Gallica, cf. Barceló 1998 con riferimenti epigrafici e bibliografia. Sulla presenza del culto della dea a Italica cf. Beltrán Fortes – 69  B H 5. Rodríguez Hidalgo 2006. 68  B H 7. 70  B H 6.

71  Così anche Beltrán Fortes – Rodríguez Hidalgo 2006, p. 1445. 72  Cf. García y Bellido 1967, p. 145 e n. 1. 73  Canto 1984, p. 185 n. 7. 74  Fu fondata molto probabilmente nel 25 a.C. da Publius Carisius in nome dell’imperatore Augusto per sistemare i veterani delle legioni V Alaudae e X Gemina. Designata provincia della Lusitania fu per questo motivo oggetto di grandi lavori urbanistici. 75  B H 8. 77  García y Bellido 1967, p. 145. 76  B H 9. 79  Ibidem, pp. 701-702. 78  Cf. Mayer 1990, p. 700. 80  B H 10. 81  Centro appartenente ad Alicante nei pressi della costa orientale della penisola iberica. Fu abitata fin da epoca preistorica e distrutta dai Cartaginesi. Ribattezzata dai Romani Colonia Iulia Ilice Augusta incontrò un periodo di grande prosperità. 82  Località situata a sud di Estepa, l’antica Astapa, in provincia di Siviglia. 83  Cf. cap. 10.4. n. 378. 84  Cf. cap. 10.4. n. 379. 85  L’antico centro di Torreparedones risale al VI sec. a.C. e si trova nella campagna cordovana, tra Castro del Río e Cañete de las Torres. 86  Cf. cap. 10.4. n. 377.

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divinità femminile, con dedica alla dea Caelestis, 87 insieme con altri ex voto di tipo iberico, tra cui una statuina in pietra forse leontocefala. 88 La documentazione sulla dea Caelestis in Spagna, a un esame accurato, appare piuttosto scarna. 89 La sua presenza non sembra essere conseguenza di una politica imperiale di diffusione del suo culto, anche se le dediche, a eccezione di quella di Torreparedones, sono tutte databili al II-III sec. d.C. Il culto della dea deve sicuramente molto al precedente influsso della cultura fenicia in Spagna 90 ma, soprattutto, alla presenza di Africani nella penisola iberica. Tanto la dea Tinnit che Astarte sono attestate in Spagna e, come sappiamo, costituiscono gli antecedenti feniciopunici della Caelestis romana. Un problema interpretativo nasce dal fatto che molti toponimi della costa iberica più prossima all’Africa menzionano Iuno senza che sia possibile stabilire quale delle due divinità si nasconda dietro il nome romano. Le menzioni poi di Iuno senza epiteti in alcune iscrizioni non consentono, a mio avviso, di inserirle nel dossier di Caelestis, non essendoci alcuna prova che esse facciano riferimento a questa dea anche se non possono essere scartate a priori. 91 Nel santuario di Torreparedones, nella campagna cordovana, la testa con dedica a Caelestis sembra attestare un culto della dea già nel I sec. a.C. Secondo Marín Ceballos l’ex voto è da attribuire a personaggi di origine africana, probabilmente dei punici romanizzati. Non si deve però pensare a un santuario dedicato a questa dea, in quanto si tratta di un luogo di culto iberico. Secondo la Marín Ceballos, infatti, « Non resultaría pues extraño que un púnico-romano, asentado o de paso en la ciudad turdetana, ofreceria un exvoto en un santuario ibérico. Pudiera ser que dicho santuario estuviese consagrado a una divinidad femenina asimilabile a Caelestis, pero también pudo darse el hecho de que el fiel cartaginés encontrarse en el citado santuario simplemente un lugar sagrado o numinoso, donde le resultaría más fácil la aproximación a sus propios dioses ». 92 Per quanto riguarda l’identificazione tra Caelestis e altre divinità, mentre si può parlare di un rapporto tra Nemesis e Caelestis, si deve essere più cauti circa la loro identificazione. Le due divinità condividono un sacello nell’anfiteatro di Italica, mentre nell’iscrizione di Emerita, secondo Leglay, Caelestis e Invicta sono solo epiteti di Nemesis. 93 A parere della Marín Ceballos, il fatto che le due divinità, sebbene non identificate, appaiono a Italica nella medesima

cappella, è prova della loro intima relazione nell’ambito degli anfiteatri e pertanto nell’iscrizione di Emerita devono considerarsi assimilate. 94 Si tratterebbe però, in questo caso, dell’iniziativa di un unico individuo che spinge fino all’identificazione una relazione che, normalmente, era piuttosto di associazione. È inoltre necessario ricordare che entrambe le divinità presentano un rapporto particolare con Fortuna. 95 L’associazione tra Nemesis e Caelestis sarebbe stata promossa dalla popolazione di origine africana residente a Italica, che avrebbe visto nella dea Nemesis che presiedeva ai giochi elementi in comune con la dea africana. 96 Un ulteriore dato di riflessione proviene da una dedica a Nemesis in greco da Roma sulla quale si legge : Megavlh Nevmesi~ hJ basileuvousa tou` kovsmou, in cui « regina del cosmo » può considerarsi un equivalente di Caelestis, 97 il problema quindi rimane aperto. Di particolare interesse è la dedica di Lucus Augusti eseguita da un liberto imperiale che menziona gli dèi della casa imperiale, le divinità ancestrali e quelle del luogo in cui egli presta servizio. 98 I suoi dèi patroni sono Africa Caelestis e Frugifer, cioè Saturnus. Non sorprende l’identificazione tra la dea Africa e Caelestis, che si ritrova già attestata in Africa. 99 In Spagna Caelestis riceve, oltre al consueto epiteto di Augusta, quello di Domina e, in un’unica attestazione, di Pia. Invicta è invece legato alla sua eventuale identificazione con Nemesis, anche se questo aggettivo trova paralleli a Roma. Alcune iscrizioni con raffigurazioni di piante di piedi provenienti da Italica sono state ascritte al culto di Caelestis. In realtà una sola vi afferisce con certezza e proviene da un sacello nell’anfiteatro. Il fatto che siano state rinvenute altre iscrizioni con piedi ma per differenti divinità, sempre nell’area dell’anfiteatro, ha fatto pensare che si trattasse di ex voto tipici di questa città in un certo periodo. D’altra parte, la loro cospicua presenza induce a postulare l’esistenza di più luoghi di culto all’interno del recinto dell’anfiteatro. 100 Le altre due iscrizioni attribuite a Caelestis non è sicuro che provengano dal medesimo luogo della prima e neanche che facciano riferimento alla dea africana. 101 In una di queste, molto probabilmente, si menziona la Domina Curatrix animae. Ciò esclude, come proponevano altre ipotesi di ricostruzione, un nesso diretto con la dea Caelestis, potendosi attribuire tale espressione anche a Isis o a Nemesis. 102 La stessa incertezza si riscontra per l’altra iscrizione in cui la dea è chiamata solo attraverso i suoi

87  B H 2. 88   Marín Ceballos – Bélen 2002-2003. 89  Sulla religione in Spagna in epoca romana cf. la sintesi di Vázquez Hoys 1987 e Blázquez 1991. 90   Gli influssi della cultura fenicia in Spagna sono oggetto di una bibliografia sterminata, per uno sguardo d’insieme aggiornato e con rimandi ai lavori più recenti cf. Ferrer Albelda 2002 e Bélen – Marín Ceballos 2005. 91  Le iscrizioni sono menzionate da García y Bellido 1964, pp. 24292  Marín Ceballos 1994, p. 225. 243. 93  Leglay 1958, p. 151. 94  Marín Ceballos 1993, p. 841. Per un “sincretismo” tra Nemesis e Caelestis si era già pronunciata Canto 1984. 95  Cf. cap. 10.2.2. Meno probabile quella via Cybele, cf. Marín Ceballos 1993, p. 834. 96  È questa l’opinione della Marín Ceballos che si domanda se questo collegamento con Nemesis e gli anfiteatri non fosse già presente in Africa

(Marín Ceballos 1993, p. 835). Ma tale relazione non sembra, allo stato attuale delle conoscenze, proponibile per l’Africa. Scrivono Beltrán Fortes – Rodríguez Hidalgo 2006, pp. 1447-1448 : « Centrándonos en el caso italicense, podemos pensar que una vinculación previa entre ambas diosas traería como consecuencia la ubicación de su santuario en el Anfiteatro,o bien que la misma presenzia de ese santuario justificó el proceso de sincretismo entre ambas, pero no existen a nuestro juicios argumentos determinantes en uno u otro sentido. Áunque es evidente que no existen testimonios del sincretismo o identificación de Caelestis y Nemesis fuera de estos ejemplos, lo que parece apuntar mejor a la segunda solución ».   97  Cf. Canto 1984, p. 186 e nn. 10 e 11.   98  La discussione sull’identificazione delle divinità è riportata da Marín Ceballos 1993, pp. 837-838.   99  Sul rapporto dea Africa e Caelestis cf. cap. 10.2.2. 101  Ibidem, p. 829. 100  Marín Ceballos 1993, p. 828. 102  Ibidem, p. 830.

















































la diffusione del culto di caelestis fuori dall ’ africa

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Fig. 5. Stele funeraria con immagine di Caelestis seduta su leone (al di sopra dell’edicola). Tunisi, Museo del Bardo (LIMC V/2, s.v. Iuno, n. 166).

Fig. 6. Rilievo su frammento di timpano in marmo, con immagine di Caelestis seduta su leone in corsa. Metà ca. del I sec. d.C. Roma, Musei Capitolini (LIMC V/2, s.v. Iuno, n. 162).

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epiteti, Domina e Regina. Essi si confanno tanto a Caelestis, che però è Regina solo nella sua identificazione con Iuno Regina, che a Isis. Anche Nemesis riceve frequentemente l’epiteto di Regina. 103 Per quanto riguarda il motivo iconografico delle piante dei piedi, questo sembra non potersi collegare all’organizzazione dei munera da parte dei magistrati locali, come aveva proposto la Canto. 104 Si tratta di una rappresentazione largamente diffusa in cui entrano in gioco simbolismi diversi (a seconda dei luoghi, del numero di piante di piedi, della loro posizione) che vanno di volta in volta verificati. 105 Nel caso dell’iscrizione per Caelestis si tratta di un doppio paio di piedi, uno nudo e l’altro con sandali. Sono state avanzate diverse ipotesi su questo tema iconografico, che potrebbe rappresentare i piedi della divinità e quelli del dedicante e che sembra legato in particolare alle divinità egiziane anche se, appunto, a Italica è associato anche con Nemesis e Caelestis. 106 Passando alla documentazione iconografica, bisogna dire che Leglay ha ridimensionano in modo drastico il numero delle raffigurazioni della divinità in Spagna rispetto a quelle a suo tempo proposte da García y Bellido. Per quanto riguarda la prima stele di Tajo Montero, se è vero che il volatile sul frontone e la palma ricordano le stele africane, non è affatto sicuro che il personaggio femminile nudo sia la divinità la quale, di solito, non si trova nel registro centrale, ma in quello superiore. Potrebbe trattarsi più verosimilmente della dedicante 107 la cui rappresentazione nuda non è rara. 108 Per i due volti presenti su un’altra stele, la mancanza degli attributi tipici di Saturnus (velo, falce) rende difficile l’identificazione. 109 Ugualmente problematica rimane l’identificazione con Caelestis della dea su leone che figura nei mosaici di Gerona e Barcellona. Potrebbe infatti trattarsi di Cybele, in onore della quale si celebravano i ludi Megalenses, 110 né sembra che la presenza della palma a sinistra della dea, nel mosaico di Barcellona, sia prova sufficiente per identificarla con Caelestis. Il volto della dea potrebbe essere quello raffigurato sull’ex voto di Torreparedones a cui potrebbe far riferimento anche la statuina leontocefala. Dall’analisi dei documenti iberici emerge dunque che in Spagna Caelestis è una divinità straniera, venerata dagli Africani o dagli indigeni romanizzati più fortemente influenzati dalla cultura africana. 111 Il suo stretto legame  

con la terra d’origine è confermato dall’identificazione con la dea Africa, mentre l’apporto più originale della penisola iberica alla morfologia del personaggio appare quello della relazione, e forse identificazione, con la dea Nemesis in relazione ai giochi, anche se non è possibile comprendere fino in fondo le ragioni di questa connessione. 8. 3. Britannia

















103  Ibidem, pp. 830-831. 104  Dunbabin a proposito dell’interpretazione della Canto scrive : « She is surely correct in denying that these are votive dedications of gladiators, but her interpretation of them as all set up by magistrates about to celebrate a munus seems forced : the goddes’ aid might be invoked for a variety of undertakings, not all directly connected with the amphitheatre », Dunbabin 1990, p. 91, n. 31. 105  Cf. Dunbabin 1990 e Marín Ceballos 1993, pp. 831-832 ; Beltrán Fortes – Rodríguez Hidalgo 2006, pp. 1448-1450. 106  C. Letta mi suggerisce che la relazione tra Nemesis (strettamente legata all’anfiteatro) e Caelestis attestata in Spagna potrebbe forse essere legata alla provenienza africana delle fiere per le venationes. Il legame tra Caelestis e l’anfiteatro in relazione alle belve per le venationes è ipotizzato anche da Beltrán Fortes – Rodríguez Hidalgo 2006, pp. 1445-1446. 107  M. Blech ha proposto l’identificazione con Apollon, Blech 1982. 109  Ibidem. 108  Leglay 1958, p. 152. 110  Marín Ceballos 1993, p. 841 n. 95. 111  Leglay 1958, pp. 151. 112  L’insediamento civile non aveva le funzioni di una vera e propria  









Da Corstopitum/Coriosopitum (Corbridge) 112 (forse III sec. d.C.) proviene un altare su cui sono rappresentati un genio coronato con mano destra su un altare e cornucopia e un Cupido alato con falcetto e grappolo d’uva. Ai lati dell’altare due medaglioni con ritratto. L’iscrizione è una dedica, eseguita per ordine del dio, a Iuppiter Dolichenus, a Caelestis Brigantia e a Salus da parte di un centurione della legio VI Victrix. 113 A Cilurnum (Chesters – Northumberland) 114 è stato rinvenuto un altare (epoca di Adriano o posteriore) su cui sono rappresentati una patera e un giogo, esso presenta una dedica a Bona Dea Regina Caelestis. 115 È stato ritrovato a Magnae (Carvoran), 116 nella fortezza, un altare su cui è inscritto, in senari giambici, un inno alla Virgo Caelestis, il cui dedicante è il tribunus in praefecto (tra 197-217 d.C.). 117 La dea riceve molti epiteti ed è identificata con la Mater deum, Pax, Virtus, Ceres, la Dea Syria. Su un rilievo di altare compare invece una dedica a Regina Caelestis. 118 Il culto di Caelestis in Britannia è attestato da poche iscrizioni, alcune delle quali però di estremo interesse per comprendere certi aspetti della personalità della dea. L’inno di Magnae definisce la dea Virgo Caelestis e la rappresenta incedente sul leone e coronata di spighe, essa è creatrice di giustizia e fondatrice di città, misura la vita e pesa i diritti di ciascuno. È identificata con altre divinità come la Madre degli dèi, Pax, Virtus, Ceres, la dea Syria. Si tratta di una dedica fatta a titolo personale dal militare che, con ogni probabilità, era un africano. Egli era un ufficiale della cohors I Hamiorum, un reggimento di arcieri siriano che manteneva probabilmente un carattere etnico 119 e che sembra avesse una speciale devozione per la dea Syria. 120 È chiaro che, in questa iscrizione, si è voluta rappresentare la dea Caelestis nelle sue prerogative di onnipotenza e come dispensatrice di ordine cosmico e di giustizia, caratteristiche che la contraddistinguono anche  

















città, ma presentava elementi di pianificazione urbanistica. La fortezza era uno dei più importanti centri vicino al Vallo di Adriano, strategicamente collocato in una posizione di rilievo sul fiume Tyne. Il forte che sorgeva nei pressi fu costruito per la prima volta da Agricola, successivamente fu incendiato forse a seguito di una ribellione intorno al 100 d.C. In seguito esso fu ricostruito ed ebbe un’importante funzione strategico-militare. Il centro è menzionato nella Geografia di Tolemeo, nell’Itinerario antonino (tardo II sec. d.C.) e forse nella Cosmologia di Ravenna. Vi stazionarono la Legio II Augusta, la Legio VI Victrix, contingenti della Legio XX Valeria, cf. 113  B B 1. Priestley 1967, pp. 52-54 e Wacher 1975, p. 405. 114  Il forte si trova nel punto in cui il Vallo attraversa il North Tyne. È menzionato nella Notitia Dignitatum (fine IV – inizi V sec. d.C.) e nella Cosmologia di Ravenna. Esisteva anche un insediamento civile. Su Chester 115  B B 2. cf. Bidwell 1997, passim. 116  Era un castellum romano lungo il vallo adrianeo, anche se un po’ più a sud di esso. Vi stazionava la Cohors I Hamiorum, cf. Todd 1999 con 118  B B 4. bibliografia. 117  B B 3. 120  Cf. Mundle 1961, p. 230. 119  Frere 1967, p. 219.

71 la diffusione del culto di caelestis fuori dall ’ africa Il dedicante, del quale ignoriamo il nome e ogni partiin Africa. Oltre che con altre divinità dalle spiccate concolare sulla sua origine, appartiene all’ambiente militare, notazioni fertilistiche, come la Madre degli dèi e Ceres, molto probabilmente si tratta di un ufficiale. In tale ambienCaelestis è identificata con le astrazioni divinizzate Pax e te confluivano, come è noto, individui provenienti da ogni Virtus che ne amplificano le prerogative. Un ruolo speciale parte dell’Impero che hanno ovunque lasciato testimoniansembra giocare l’assimilazione alla dea Syria, forse in conze isolate di devozioni personali a particolari dèi, spesso nessione con il ruolo svolto da quest’ultima nel presidio quelli della propria patria. Questa dedica è l’unico caso di militare e con l’origine dei componenti del reggimento. un’identificazione tra Iulia Domna e la dea Caelestis, frutto Un’altra iscrizione menziona invece Regina Caelestis, di una devozione speciale che rimane appunto un unicum. appellativi che riceve la Bona Dea a Cilurnum : il nome del La presenza di una singola dedica dalle caratteristiche dedicante sembra però di origine africana e la dedica pocosì particolari non permette in alcun modo di ipotizzare trebbe essere allora stata eseguita proprio per la dea afril’esistenza di un culto di Caelestis a Mogontiacum. cana. Nel menzionato caso di Cilurnum, invece, gli epiteti Regina e Caelestis sono entrambi riferiti a Bona Dea : alla luce dei documenti provenienti dall’Italia è forse opportu8.5. Dacia no pensare che la dedica sia eseguita solo per Bona Dea. Nella Dacia sono state ritrovate diverse iscrizioni con deUn’iscrizione da Corstopitum presenta una dedica in dica a Caelestis. Nella provincia si contano numerosi culti cui, accanto a Iuppiter Dolichenus e a Salus, compare Bridedicati alle divinità delle diverse parti dell’Impero, la cui gantia Caelestis. Brigantia è una divinità indigena caratdiffusione fu favorita senz’altro dalla presenza di individui terizzata da alcuni tratti comparabili con quelli della dea e comunità di diversa origine etnica. Un importante ruolo africana : è una divinità rurale, legata alla fertilità e ai racgiocano le divinità siriane che troviamo accostate anche colti e ai corsi d’acqua, oltre a essere eponima del popolo alla dea africana. dei Brigantes. Non so se questo possa essere sufficiente Ad Apulum (Alba Iulia) 125 sono state ritrovate quattro a spingere il dedicante a operare un’assimilazione tra le dediche a Caelestis. La prima invoca Baltis 126 Caelestis, 127 due dee, oppure se l’epiteto di Caelestis costituisca semplinella seconda, con Iuppiter Dolichenus, è menzionata Dea cemente un’amplificazione delle prerogative di Brigantia Suria Magna Caelestis. 128 Uno schiavo imperiale esegue (Iuppiter Dolichenus è detto Aeternus). Anche l’associauna dedica (198-211 d.C.) al Numen Caelestis. 129 Un’ultima zione con Iuppiter Dolichenus e Salus non aiuta molto a epigrafe riguarda invece Caelestis, Aesculapius, il Genius chiarire la questione. 121 Carthaginis e il Genius Daciarum. 130 Le quattro iscrizioni relative a Caelestis in Britannia Due dediche da Sarmizegetusa (Varhély), 131 di cui sono, soprattutto, in connessione con contesti militari e una alla dea Caelestis 132 e l’altra alla Caelestis Virgo Augunon sono qui presenti, a differenza dell’Italia o della Spasta, 133 sono eseguite da schiavi imperiali, uno dei quali fa gna, comunità di Africani. La devozione verso questa dea erigere addirittura un tempio a sue spese. Un’iscrizione in è legata quindi all’iniziativa dei singoli. Tre sono i nomi senari giambici apposta su un altare (III sec. d.C.), sempre dei dedicanti che compaiono sulle epigrafi, due dei quadallo stesso centro, informa che, a differenza che agli altri li hanno molto probabilmente origini africane. La terza dèi a cui si offre incenso e vino, a Caelestis va offerto muliscrizione è quella in cui compare Brigantia Caelestis che, sum, cioè vino misto a miele. 134 a mio avviso, non può essere con certezza ascritta al culto La dedica a Iuppiter Dolichenus e alla Dea Suria Magna della dea africana, così come sarei propensa ad attribuire Caelestis (probabilmente degli inizi II sec. d.C.) è stata troesclusivamente al culto della Bona Dea quella che provievata nei pressi del castrum di Apulum, essa è eseguita per la ne da Cilurnum. Anche qui si conferma un legame forte salute dell’Impero e della legio. Il dedicante è un sacerdote tra la dea Caelestis e l’Africa. di Iuppiter Dolichenus, il cui nome rimanda a un’origine siriana, ma è difficile stabilire con certezza se qui egli stia 8. 4. Germania facendo riferimento, oltre alla dea siriana, anche a quella Proviene da Mogontiacum (Mainz) 122 una dedica alla africana. Un legame tra le due divinità era forse avvertito soprattutto negli ambienti più sensibili alle speculazioni dea Caelestis identificata con Iulia Domna in onore delteologiche, anche se può rimanere il dubbio che Caelestis la Legio XXII Primigenia. 123 Sembra ormai chiaro 124 che non sia qui solo un epiteto. 135 Problemi simili riguardano questa associazione è frutto dell’iniziativa individuale del dedicante, senza che si possa in alcun caso ipotizzare che la dedica a Baltis Caelestis, anche in questo caso, se non l’imperatrice l’abbia in qualche modo volontariamente fasi tratta di un epiteto, troviamo un’associazione tra una vorita. divinità femminile siriana e Caelestis. 136  





































121  Cf. cap. 10.2.2. 122  Il castrum Mogontiacum fu fondato dal generale Druso nel 13 a.C. Era un’importante città militare, sede di legioni, per la sua posizione sulla confluenza del Main con il Reno, dove probabilmente stanziava una flotta fluviale, cf. Wiegels 2000, con bibliografia recente. 124  Cf. cap.6.2.3.3.b. 123  B G 1. 125  Nella Dacia Apulensis, era un importante crocevia la cui economia si basava sull’agricoltura e l’estrazione dell’oro. Era qui installato l’accampamento della Legio XIII Gemina vicino al quale sorge il municipium Aurelium Apulense, sotto Commodo colonia. All’epoca di Settimio Severo vi si insediano molti veterani, cf. von Bredow 1996 con bibliografia. 127  B D 1. 128  B D 2. 126  Ovvero la Baalat.

129  B D 3. 130  B D 4. 131  Era un importante centro in epoca preromana, vi teneva la residenza il re dei Daci. La sua posizione strategica ne fa un importante snodo militare romano. La colonia fu fondata a circa 40 km di distanza, cf. Burian 133  B D 5. 2001 con bibliografia. 132  B D 6. 134  B D 7. 135  Così Merlat menzionato in Sanie 1981, pp. 43-44. Non mi pare proponibile l’identificazione tra addirittura tre divinità, cioè Dea Syria, Magna Mater e Caelestis (cf. Piso 1993, p. 224, n. 8), magna è qui un attributo di eccellenza, del resto non ignoto a Caelestis in Africa. 136  Su Baltis Caelestis cf. cap. 10.2.2.

dea caelestis

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M. Baˇrbulescu riunisce le tre dediche degli schiavi imperiali considerandole, più che manifestazioni di devozione personale, dimostrazioni di lealtà politica nei confronti dell’imperatore che, sicuramente in una e probabilmente anche nelle altre due, è Settimio Severo. 137 Non credo che si debba però operare una distinzione così netta tra devozione privata e lealtà all’imperatore : gli schiavi in questione erano strettamente legati alla casa imperiale dalla quale traevano benessere e protezione, non sembrerà allora così strano che condividessero o almeno manifestassero anche le preferenze religiose dell’Imperatore. Preferenze che, d’altra parte, non hanno mai fatto parte di un esplicito programma di “orientalizzazione” dell’impero, come si è talora pensato. 138 Lo stesso discorso vale per la dedica in cui compare la Dea Syria Magna Caelestis, che è eseguita pro salute imperii romani et legionis XIII che, se effettivamente fatta da un sacerdote di Iuppiter Dolichenus attaché o comunque legato alla legione, appare perfettamente congrua alle sue funzioni. Ma anche se non fosse questo il caso, la lealtà verso l’impero non offusca in ogni caso la personale devozione verso alcune divinità che vengono “scelte” a difendere la pace e la prosperità dell’impero. Va però aggiunto che quest’ultima dedica, a differenza delle altre tre, chiama in causa un contesto culturale differente. È indubbia l’attenzione del dedicante verso il suo ambiente di provenienza ed è senz’altro un’ipotesi allettante quella di considerare Caelestis il nome della dea africana piuttosto che un epiteto della Dea Syria. Non sembra qui il caso di menzionare come parallelo l’iscrizione di Magnae che è inserita in un contesto totalmente diverso : in quel caso si tratta di un africano che si confronta, nell’accampamento dove presta servizio, con il culto della dea siriana, patrona del reggimento. La dedica appare il frutto di una devozione personale anche se nutrita di suggestioni esterne che, appunto, trovano riscontro nell’ambiente in cui fu prodotta. Differentemente la dedica di Apulum è la dedica di un individuo la cui origine è, senza ombra di dubbio, siriana : qui il processo potrebbe essere stato inverso e il dedicante potrebbe essere stato stimolato nell’identificazione, oltre che da tutta un serie di funzioni e attributi comuni delle due dee, dall’atteggiamento favorevole dei Severi verso la dea africana. Lo stesso discorso vale per la dedica a Baltis, anche qui, però, Caelestis potrebbe essere solo un epiteto. Un interesse verso le divinità africane trapela anche dall’iscrizione proveniente da un tempio di divinità palmirene a Sarmizegetusa, in cui sono invocati come dei patri Malagbel, Bebellahamon, Benefal, Manavat. 139 Mentre Malagbel e Manavat (Manawat) sono divinità note a Palmira, 140 le altre due dovrebbero essere gli africani Baal Hammon e Tinnit Penebaal. 141 Da sottolineare che qui la divinità africana è accostata a Manavat, dea del destino assimilabile alla Tyche greca e la Fortuna latina le quali, a loro volta, richiamano le prerogative di Tinnit come Gad. 142 Non si tratta di una testimonianza che possiamo ascrivere

direttamente al dossier di Caelestis, ma è comunque interessante evidenziare la presenza, nel pantheon palmireno di Sarmizegetusa, dei due dèi punici. Il dedicante, P. Aelius Theimes, tradisce una sicura provenienza palmirena, anche se si rivela ben inserito nella comunità locale. 143 L’unica dedica derivante da un influsso africano diretto sarebbe, per Baˇrbulescu, quella da Apulum del legatus Augustorum legionis XIII Geminae e governatore della Raetia, in onore di Caelestis, Aesculapius, il genio di Cartagine e quello delle Dacie. È molto probabile infatti un’origine africana del dedicante che si rivolge al Genius locale associandolo ai propri dèi ancestrali. 144 Sintetizzando i dati ricavabili dalle iscrizioni della Dacia, un importante elemento di distinzione è la provenienza dei dedicanti. Quella del legatus della legione XIII Gemina è strettamente connessa con le sue origini, mentre quelle degli schiavi, di casa imperiale, vanno ricollegate allo stretto rapporto di questi con i propri padroni, un rapporto con la casa imperiale o comunque una devozione particolare verso le divinità care agli imperatori potrebbe essere all’origine della dedica di Apulum. Le altre dediche sono invece da inserire in un contesto fortemente influenzato dalla cultura e dalla religione siriana e non possono essere acquisite con sicurezza nel dossier della dea africana. D’altra parte, se si preferisce invece postulare un rapporto tra la dea siriana e quella africana, è da immaginare che esso si sia basato in larga misura su affinità funzionali e iconografiche tra le due divinità, nonché sul favore con cui gli imperatori Severi guardavano ai due ambiti religiosi a cui queste dee appartenevano.

137  Ba¬r bulescu 1994, p.1322-1323. 139  B D 8. 138  Su questo tema cf. cap. 6.2.2.3.b. 140  Cf. Teixidor 1979 ; Gawlikoski 1990. 141  Su Fenebal cf. tra l’altro pp. 196-198 ; Xella 1991, pp. 198, 203. 142  Sul problema cf. capp. 3.3 e 10.2.2. 143  È duumviralis nella colonia. 144  Ba¬r bulescu 1992, p. 1323.

145  A tre chilometri a nord di Flórián tér, nel centro di Óbuda, fu fondata nel I sec. d.C. dalle legioni romane, accanto all’insediamento militare si sviluppò un centro civile. La città fu abbandonata nel IV secolo. 146  B P 2.1. 147  L’antica città sorgeva presso Dorf Drnovo a 6 km da Krsko, 30 km a ovest di Zagabria ed era un importante punto di incrocio viario, cf. Hof148  B P 1.1. filler – Saria 1938, pp. 108-109. 149  Cf. Selem 1980, p. 263.



























8. 6. Pannonia Ad Aquincum (Budapest), 145 nella Pannonia Inferior, è stata ritrovata un dedica a Iuno Caelestis da parte di un alto funzionario romano. 146 L’iscrizione è di particolare interesse perché è l’unica a menzionare Iuno Caelestis fuori dall’Africa. Non si ha alcun elemento per stabilire un’eventuale relazione tra il dedicante e la provincia africana. Dalla Pannonia Superior, ed esattamente dal Municipium Flav. Latolicorum Neviodunum (Drnovo presso Krsko), 147 proviene una sola altra dedica, ma di estremo interesse, perché la dea africana è qui associata con una altrimenti sconosciuta Dea Coryphea. 148 Non è possibile qui parlare di un epiteto, dea Coryphea e Caelestis Augusta sono separate da un sive. Il dedicante dell’epigrafe era un dipendente della Legio X Gemina, legione che aveva spesso soggiornato in Oriente contribuendo alla diffusione del culto di Iuppiter Dolichenus in Pannonia e nell’Impero. È stato ipotizzato che il dedicante fosse un cartaginese, 149 in ogni caso, anche se ciò corrispondesse al vero, questo non ci aiuterebbe a comprendere l’associazione tra le due divinità. Secondo  









73 la diffusione del culto di caelestis fuori dall ’ africa gliora, poche essendo le dediche in generale, pochissime Selem 150 l’associazione con la Dea Coryphea sarebbe da quelle attribuibili con certezza al culto di Caelestis che apconnettersi con il ruolo della dea Caelestis, divinità regpaiono legate all’ambiente degli immigrati Africani : unica gitrice del cielo e della terra. Certo appare strana per un Africano la scelta come epiteto di Caelestis di Coryphea, di traccia interessante è la probabile connessione con Nemeorigine greca e poco noto. 151 È più probabile che si tratti sis e i giochi nell’anfiteatro. Spostandoci verso le zone più lontane dell’Impero, se di una divinità locale o conosciuta dal dedicante in qualdiminuiscono le iscrizioni, esse aumentano però di inteche altro luogo e poi da lui associata alla dea ancestrale. resse per quanto riguarda i contributi che ne vengono alla L’unico parallelo plausibile sembra essere quello con Arteconoscenza della personalità di Caelestis. Esse appaiono in mis Corypheia, tenendo anche conto che già la dea Tinnit larga parte connesse con l’ambiente militare e, anche qui, era stata, ad Atene, identificata con Artemis e che in due l’apporto degli Africani è essenziale. In Britannia tanto l’indediche, una dall’Africa l’altra dall’Italia, è invocata come no di Magnae che la dedica a Brigantia Caelestis rivelano Diana Caelestis. operazioni di carattere teologico-sincretistico sulla diviniAlla fine di ogni paragrafo relativo a una parte diversa tà africana che, anche se vanno ricondotte a strategie dedell’Impero, ho proposto alcune considerazioni sull’imvozionali personali, non sono per questo meno importanportanza del culto di Caelestis nella regione considerata. ti. È davvero difficile pensare che siano frutto di semplici Adesso mi sembra opportuno tirare qualche breve concluriflessioni individuali. Ad esse può essere aggiunta l’iscrisione di carattere più generale. zione dalla Pannonia con la menzione di una altrimenti Il culto di Caelestis, che molti studi del passato, neanche sconosciuta Dea Coryphea. La dedica di Mogontiacum, troppo lontani, presentavano come ampiamente diffuso in anch’essa promanante da un ambiente militare, identifitutto l’Impero e fortemente sostenuto da iniziative impeca Iulia Domna con la dea africana, un’iniziativa privata riali, deve essere drasticamente ridimensionato. A Roma, rimasta senza alcun seguito. Un caso a parte è la Dacia in nonostante la hierogamia promossa da Elagabalo tra il Sol cui, accanto alle dediche degli schiavi imperiali e a quella Invictus di Emesa e la dea africana, il culto non sembra di un alto ufficiale di probabile origine africana, si trovano oltrepassare i confini di un ambiente ristretto e privato. Aniscrizioni legate all’ambiente siriano che rivelano un’idenche per quanto riguarda il resto dell’Italia le testimonianze tificazione tra divinità femminili siriane e la dea africana. sicure sono scarse, una volta espunte quelle relative a Venus Anche in questo caso, però, siamo davanti a un fenomeno Caelestis, che non deve essere messa in relazione diretta locale e dovuto a iniziative individuali che trovano però un con Caelestis. Un certo interesse riveste la dedica di Mediointeressante termine di confronto nelle speculazioni dotte lanum a Diana Caelestis, che trova un parallelo a Cartagine. degli autori classici. Passando alla Penisola Iberica, la situazione non mi 





150  Ibidem, p. 264.

151  Su questo epiteto cf. cap. 10.2.2.

9. I LUOGHI E LE FORME DEL CULTO 9. 1. I luoghi di culto

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ei santuari delle divinità africane anche in epoca romana si mantennero in alcuni casi le più antiche tradizioni architettoniche, come ad esempio quella dei santuari a cielo aperto o di tipo “orientale”, con celle disposte al centro o in fondo a corti. 1 Nelle iscrizioni relative a Caelestis sono spesso ricordati dei templi fatti costruire da singoli personaggi o da piccole comunità. Come si evince anche da qualche scoperta archeologica, in molti casi abbiamo a che fare con edicole, sacelli, piccole cappelle, semplici naiskoi, eretti in campagna o in piccoli centri rurali. A questi edifici complessivamente modesti fanno da contrappunto i templi cittadini, per alcuni dei quali abbiamo anche testimonianze monumentali. Il culto di Caelestis, in qualche caso, si accompagna a quello di Saturnus, dato che sono i santuari di questo dio a ospitare i donativi per la dea. Nel caso di Thinissut appare invece il contrario, poiché è la dea ad essere titolare del tempio, anche se la presenza del paredro è attestata dalla statua votiva, da stele e iscrizioni che ne testimoniano il culto. Del più importante luogo di culto destinato alla dea, quello che, secondo Agostino, riempiva le strade di Cartagine di una folla enorme di devoti, non rimangono oggi che scarsissime tracce archeologiche. 2 Una vasta area sacra dedicata a Caelestis è stata identificata a Koudiat el-Hobsia e dintorni, all’interno della cinta muraria romana. In continuità con R. Cagnat 3 e A. Audollent, 4 H. Hurst 5 ha infatti proposto di collocare il tempio di Caelestis nell’area dell’antico santuario di Tinnit. Tale ipotesi è suffragata dall’esame archeologico della zona che, per il periodo romano, Hurst riassume così : « Remains of a great terraced structure was axially placed with respect to the summit of the hill and, possibly, the W side of the harbour. On the summit of the harbour was another substantial structure, probably Roman in origin, close to which was found a small statue of Fortuna. On the slopes of the hill immediately south of the terraced structure there appear to have been temples of Saturn and Venus, and another monumental structure lay to its north. The terraced structure was built on the site of a Punic sacrificial precinct with dedications to Baal and Tanit ‘face of Baal’. The architectural arrangement implies that the entire hill was treated as a unity, functioning as sanctuary with the principal shrine on the summit and those of related deites on the lower slopes and a major processional approach provided by the terraces ». 6 Anche la c.d. “Chapelle Carton” sarebbe, secondo Hurst, da annoverare tra i luoghi di culto di Calestis, in continuità con quello di Tinnit. 7 Si è ipotizzata la presenza di un santuario di Caelestis  



















1  Pensabene 1989, p. 433. Per i santuari in Africa cf. Brouquier-Reddé 2  Per le fonti letterarie cf. cap. 7.1. 1992. 4  Audollent 1901, pp. 263-264. 3  Cagnat 1894. 6  Ibidem, p. 94. 5  Hurst 1999. 7  Ibidem, p. 98 ; cf. Bénichou Safar 2004. 8  Ben Abdallah-Ennabli 1998.  

extra muros, a 1,25 km a sud-est della collina di el-Hobsia, nella zona di Kram-ouest. 8 All’origine di questa ipotesi sta il ritrovamento di un altare ex voto dedicato alla dea e sicuramente in situ. Nei dintorni si sono poi ritrovati resti di pavimentazione in mosaico e altri elementi architettonici. Un altro centro dove il culto di Caelestis fu particolarmente sviluppato, Thuburbo Maius, ha lasciato maggiori testimonianze monumentali. Sono infatti individuabili almeno tre edifici in qualche modo riconducibili a Caelestis e al suo culto. Il primo è il santuario detto “della Baalat”. 9 Il nome dell’edificio deriva da un frammento di statua di divinità femminile seduta su trono con sfingi : si tratta di una divinità punica in seguito romanizzata alla quale però non possiamo dare un nome preciso. Il recinto sacro ha un perimetro rettangolare eccetto sul lato di entrata, situato a nord-est, dove è semicircolare. Il tempio, situato all’estremità sud-ovest del recinto, ha le caratteristiche proprie di un tempio romano : è dotato di un podio a cui si accede da una scalinata e di un pronaos a quattro colonne. Le cella presentava una nicchia dove era posta la statua di culto. Davanti alla scalinata restano le tracce di un altare. Affiancato al tempio della Baalat si trova il santuario di Caelestis, 10 accanto all’uscita est. Vi si accede attraverso una porta a tre archi. La corte era pavimentata in marmo e circondata da portici su due lati. Sono presenti due esedre, in una delle quali è rintracciabile la base di una statua. Un’iscrizione trovata non lontano fa riferimento proprio alla costruzione di un’esedra e all’erezione di una statua. 11 All’estremità della corte doveva trovarsi il tempio propriamente detto che non è più possibile rintracciare a seguito della costruzione di un altro edificio. A Thuburbo Maius si trova infine un santuario dedicato a Tinnit e Baal Hammon 12 datato al II o all’inizio del I sec. a.C. Esso fu in seguito ristrutturato lussuosamente sotto Commodo. Secondo Leglay può considerarsi come una costruzione architettonicamente intermedia tra il santuario di Thinissut e quello di Thugga (dedicato a Saturnus). Da uno spazio lastricato si accede a una corte porticata, sul fondo è collocata la cella a cui si giunge da due entrate. Nel IV secolo d.C. sul tempio fu eretta una chiesa cristiana. Anche a Thugga fu elevato, sotto Alessandro Severo, un tempio alla dea Caelestis 13 il quale si trova all’estremità occidentale della città. L’edificio, periptero esastilo, di stile prettamente romano, è elevato su un alto podio a cui si accede da una gradinata ed è circondato da un’ampia corte semicircolare porticata. Il piano del portico si presenta rialzato rispetto al livello della corte. Ancora di impianto romano doveva essere il tempio di Oea dedicato al Genio della Colonia (associato forse a Caelestis). 14 Esso fu innalzato tra il 183 e il 185 d.C., gra 

















  9  Su cui cf. Lézine 1968, pp. 21-23. 10  Ibidem, pp. 23-24. 11  B A1. 30. 12  Merlin : BACHT, 1912, pp. cclxxii-cclxxx ; MSA I, pp. 113-115. 13  Dareggi 1988. 14  Caputo 1940 ; Di Vita 1982.  





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zie alla liberalità di L. Aemilius Frontinus, di famiglia oenense, che fu proconsole d’Asia. Il tempio sorgeva in un punto centrale della città, presso uno dei suoi quadrivi più importanti. Realizzato in marmo, esso era, secondo A. Di Vita, esastilo. Di tipo orientale era invece il piccolo tempio di Caelestis a Zita a circa 300 m dal foro, fuori dalla cinta cittadina. 15 È composto da una larga corte in fondo alla quale si trovano tre stanze. Le due sulla destra si aprono sulla corte e potrebbero essere state delle cellae. La corte è circondata su due lati da un portico. Non è possibile ricostruire la facciata anteriore del santuario, forse c’era una gradinata d’accesso. Sul lato nord-est dell’edificio era situata una grande cisterna con un bacino artificiale di raccolta delle acque che vi defluivano. A una concezione architettonica (e probabilmente religiosa) diversa appartiene il santuario rupestre di Caelestis situato a ovest di Lepcis Magna sulla collina di Mergheb, a 180 m di altitudine. 16 Orientato verso sud, di esso è conosciuta solo la parte esteriore, una piattaforma tagliata nella roccia e una facciata verticale con piccole nicchie per offerte ed ex voto. Altri templi cittadini, di ampiezza più o meno estesa, sono menzionati nelle epigrafi. Ne abbiamo notizia per Tuccabor ; 17 Negachia ; 18 Vallis ; 19 Carpis ; 20 Auzia ; 21 Mustis ; 22 Thala ; 23 Theveste (Henchir Rohbane) ; 24 Cirta ; 25 Lambaesis ; 26 Albulae. 27 L’esistenza di altri templi in ambiente rurale – nella maggior parte dei casi dobbiamo però supporre che si trattasse di piccole cappelle votive – ci è testimoniata anch’essa dalla menzione nelle epigrafi. È questo il caso di Rouached ; 28 Haut Mornag ; 29 Thabbora ; 30 Pont du Fahs ; 31 Fundus Turris Rutundae ; 32 Tazerout ; 33 Vicus Phosphori ; 34 Henchir El-Hammam ; 35 nei pressi di Sicca ; 36 Fundus Seneci(osus) ; 37 iscrizione nel museo di Costantina ; 38 Bou Arada (Apisa Maius o Minus). 39 Alcuni santuari, originariamente dedicati a Baal Hammon e Tinnit, appaiono frequentati anche in epoca romana, lasciando pensare che al culto dei due antichi dèi punici sia subentrato, senza soluzione di continuità, quello di Saturnus e Caelestis. È questo il caso, oltre al già menzionato caso di Thuburbo Maius, del santuario extraurbano di Thinissut 40 situato sulla sommità di una collina a nordnord-est delle rovine di Siagu. Le evidenze mostrano che esso subì, nel tempo, delle ristrutturazioni che ne stravolsero l’impianto originale. Un primo blocco rettangolare costituiva il nucleo più antico nel quale i fedeli accedevano dal lato sud. Si entrava in una corte porticata in fondo alla quale si trovavano due celle. Secondo la Rossignoli un intervento successivo definisce all’interno della corte, at-

traverso un muro continuo e una pavimentazione in cocciopesto, nuovi ambienti. Un ulteriore intervento porta all’aggiunta di un grande recinto. La datazione proposta da Merlin per la costruzione e gli interventi sul santuario è un periodo compreso tra I sec. a.C. e I sec. d.C., anche se, come fa notare la Rossignoli, i reperti archeologici dimostrano una frequentazione a partire dall’età tardo-punica fino al IV sec. d.C. 41 Il santuario di El-Hofra, 42 nei pressi di Cirta, mostra una lunga frequentazione a partire dalla fine del III sec. a.C. Gli scavi hanno rivelato un primo santuario costituito da un corpo centrale e circondato da una corte, un deposito votivo che ha riconsegnato circa 700 stele, con iscrizioni in punico, neopunico, greco e latino, e infine un edificio di epoca romana. Secondo Leglay l’insieme va considerato come un santuario punico-romano dedicato a Baal Hammon-Kronos-Saturnus e a Tinnit-Caelestis. A 3000 m a est dalle rovine di Sabratha, è stato scavato un santuario a cielo aperto (tofet) che appare utilizzato dalla fine del II sec. a. C. all’inizio del II sec. d.C. e testimonia un culto di Tinnit. 43 Un cippo in marmo è stato poi scoperto sulla spiaggia nei pressi del porto a Marsa Mta el-Medina a nord-ovest del forum non lontano dal tofet ed è dedicato alla domina Caelestis. 44 Secondo S. Aurigemma, R. Bartoccini, U. Antonielli e, più recentemente L. Taborelli, doveva esserci un tempio nei pressi del luogo del ritrovamento del cippo. Ipotesi negata da A. Merighi che attribuisce i resti al Capitolium. 45 A El-Maden (El-Djem – Thysdrus) doveva esserci un santuario, come lascia pensare il cospicuo numero di terrecotte ritrovate con rappresentazione di Tinnit-Caelestis. 46 A Pupput un tempio è stato scavato da Vaubourdolle e Haack, ma non è chiaro a chi fosse dedicato (Baal Hammon e Tinnit ?). 47 Esso è orientato da nord a sud, con una lunghezza di circa 30 m. A sud è presente una scalinata, a nord il tempio termina con un’abside. Rimane solo il tracciato, l’edificio è suddiviso all’interno da muri perpendicolari. Nell’abside è stato rinvenuto un deposito votivo. Il tempio ritrovato a Henchir es-Srira è addossato alla parete rocciosa ed è ornato da un colonnato. 48 Si possono distinguere due cellae. Leglay ipotizza, sulla base di questa architettura e per il simbolismo di una stele, che esso fosse dedicato a Saturnus e Tinnit-Caelestis, la quale era però in posizione subordinata rispetto al dio. A El-Kénissia è attestato un santuario tipicamente punico e frequentato anche in epoca neopunica con una corte aperta e una cisterna sottostante, un altare in posizione elevata e raggiungibile per mezzo di una gradinata, cappelle contenenti statue e un luogo di sepoltura per le ossa degli animali sacrificati. 49

15  Merlin : BACHT, 1905, pp. ccix-cccx ; Mattingly 1995, p. 132. 16  Clermont-Ganneau 1905, pp. 51-52 ; Broquier-Reddé 1992, pp. 12518  B A1. 37. 19  B A1. 35. 126. 17  B A1. 36. 21  B A7. 1. 22  B A1. 54. 20  B A1. 11. 24  B A4. 18. 25  B A4. 10. 23  B A2. 1. 27  B A7. 7. 28  B A4. 15. 26  B A4. 26. 30  B A1. 41. 31  B A1. 34. 29  B A1. 10. 33  B A4. 16. 34  B A4. 6. 32  B A1. 52. 36  B A1. 65. 37  B A4. 14. 35  B A4. 5. 39  Cf. cap. 10.4, n. 328. 38  B A4. 12. 40  Cf. Merlin 1910 ; MSA I, pp. 97-100 ; Bullo – Rossignoli 1998, pp. 264-267 con pianta.

41  Cf. anche Zucca 2004. 42  Cf. Berthier – Charlier 1955 ; MSA II, pp. 22-26 ; Bertrandy – 43  Broquier-Reddé 1992, pp. 28-29. Sznycer 1987. 44  B A3. 2. 45  Discussione riportata da Broquier-Reddé 1992, pp. 28-29, con riferimenti bibliografici. 46  Merlin : BACHT, 1909, pp. ccxxxiii-ccxxxix. 47  Merlin : BACHT, 1912, pp. ccxxvii-ccxxix con pianta. 48  Carton : BACHT, 1906, pp. cc.ss. ; Hautecoeur 1909 ; MSA I, pp. 30749  Carton 1906. 308 con pianta.











































































































































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A Simitthus sulla “collina sacra” sorgevano tre templi, recentemente scavati, di cui quello alla sommità era dedicato a Saturnus mentre dei due ai lati, dedicati rispettivamente a Caelestis e agli Dei Mauri, sono visibili le rovine. 50 A Calama, 51 dove è attestato un intenso culto a Saturnus un’iscrizione fa riferimento a un tempio a Caelestis. Ugualmente possiamo ipotizzare l’esistenza di un santuario a Thibilis da cui provengono rappresentazioni della dea. A Thignica, 52 secondo Leglay, è attestato un tempio. A Thala 53 sulla collina si erigevano tre templi dedicati a Caelestis, Saturnus e Pluto. Il tempio di Caelestis esisteva già nel 209-210, possedeva un portico, un colonnato e una gradinata come si evince dalla dedica. I luoghi dedicati al culto della dea Caelestis appaiono dunque estremamente vari e non è possibile tentare alcuna tipologizzazione. Mentre i resti archeologici sono, nel complesso, abbastanza scarsi, le testimonianze epigrafiche ci attestano una diffusione piuttosto estesa, tanto nei centri cittadini che in quelli rurali, di santuari dedicati alla divinità. La grandezza e il modello architettonico prescelto erano certamente condizionati dal livello sociale e dall’ambito culturale dal quale provenivano i dedicanti, ma non sembra esservi una dicotomia sociale in corrispondenza alla contrapposizione città/campagna. Così come nelle città, accanto a templi più sontuosi, noi troviamo la menzione di cappelle più modeste, nelle campagne l’erezione di un santuario poteva essere patrocinata tanto dal ricco possessore del fundus, quanto dai liberti imperiali che si occupavano della gestione dei fondi, da gruppi di coloni associati allo scopo oppure da singoli individui dalle possibilità meno che modeste. Ma ancora una volta c’è da aggiungere che, per quanto limitate, le possibilità degli edificatori dovevano comunque essere dignitose e superare il livello della mera sopravvivenza e che essi si muovevano all’interno di un quadro sociale in cui la scelta della lingua latina come strumento di comunicazione ufficiale era ampiamente accettata. Per quanto riguarda la presenza di templi della dea Caelestis fuori dall’Africa, le testimonianze sono molto esigue. Un problema che non ha ancora trovato soluzione riguarda il santuario della dea a Roma. Nonostante le fonti letterarie attestino infatti l’arrivo in grande stile della divinità nell’Urbe, sia essa giunta tramite l’evocatio ovvero, molto più probabilmente, a seguito del decreto di Elagabalo, non sono state ritrovate nella città tracce archeologiche significative circa la presenza di un tempio a lei consacrato. Non c’è accordo tra gli studiosi sulla possibile ubicazione eventuale del santuario della dea a Roma. M. Guarducci, seguita da L. Cordischi, situava il tempio sull’Arx

e precisamente nella parte settentrionale, non lontano da quello di Iuno Moneta. 54 Per F. Coarelli 55 il sacello della dea si sarebbe trovato invece alle pendici del Campidoglio, dove furono ritrovate alcune iscrizioni. Tale ipotesi si basava sul riferimento in un’epigrafe 56 alla dea come numen del mons Tarpeium che, in età imperiale, era il Capitolium. Il tempio della dea sarebbe stato in connessione con il tempio di Fortuna Redux e con la porta Triumphalis, redux e triumphalis essendo due attributi della dea. Ma, come obietta Cordischi, 57 l’aggettivo triumphalis della dea non è necessariamente in relazione con il trionfo e, come aveva già sottolineato la Guarducci, 58 le epigrafi trovate in quella zona provengono da un reimpiego e nulla garantisce che in origine si trovassero nelle vicinanze. L’unica testimonianza archeologica del culto di Caelestis a Roma è un frontoncino, attualmente conservato ai Musei Capitolini, le cui proporzioni modeste non possono certo ricondurlo a un tempio prestigioso. 59 Doveva trattarsi piuttosto di una piccola cappella in cui si praticava un culto privato. All’incertezza dell’ubicazione si aggiunge poi quella relativa alla data di fondazione, poiché gli autori oscillano nell’attribuzione della costruzione tra Caracalla, 60 Settimio Severo 61 ed Elagabalo. 62 Un sacello dedicato alla dea si trova nell’anfiteatro di Italica, in Spagna. Si tratta di una testimonianza molto particolare perché non si conoscono altri templi di Caelestis posti in relazione con anfiteatri. 63 La menzione della costruzione di un tempio alla dea Caelestis fatta da uno schiavo imperiale si trova, infine, su un’epigrafe proveniente da Sarmizegetusa in Dacia. 64 Anche in questo caso si deve pensare più che a un tempio, a un’edicola o a una cappella votiva.

50  Khanoussi – Kraub – Rakob – Vegas 1994, soprattutto pp. 40-41. 51  Toutain 1891, pp. 416-436 n. 25. 52  Atl. Arch. Tun., f° 26, n. 109, T. Menzionato da MSA I, p. 125 n. 5. 53  Cagnat – Gauckler 1898, pp. 32-33. 54  Guarducci 1946-1948, p. 19 ; Cordischi 1990, p. 165. 56  B R 9. 55  Coarelli 1988, pp. 406-409. 57  Cordischi 1990, p. 167. 58  Guarducci 1946-1948, p. 13 e p. 20. 60  Wissowa 1912, p. 374. 59  Cordischi 1989-1990. 61  Thulin 1917, col. 1121. 62  Mundle 1961, p. 236 ; Halsberghe 1984, p. 2214 e 2220 ; Cordischi 1990, p. 165.

63   Sul sacello cf. Beltrán Fortes – Rodríguez Hidalgo 2006. 64  B D 5. 65  Sul sacerdozio nelle province dell’Impero cf. Gordon 1990 ; più in 66  B A1. 54-56. generale cf. Rüpke 2005. 67  Il cognomen indica un’origine africana, cf. Thompson 1969, p. 150 ; Lassère 1977, p. 453. 68  Sull’origine africana di Victor cf. Thompson 1969, p. 150 e Lassère 69  B A1. 64. 1977, p. 454. 70  Anche per questo cognomen si ipotizza un’origine africana, cf. Thom71  B A1. 69. pson 1969, p. 150 ; Lassère 1977, p. 453.





































9. 2. Le forme del culto 9. 2. 1. Il personale Informazioni sul personale addetto al culto della dea Caelestis provengono sia dalla documentazione epigrafica che da quella letteraria. Esamineremo dapprima i dati delle iscrizioni e successivamente quanto emerge dalle testimonianze degli autori classici. In Africa è ben attestato un sacerdozio di Caelestis anche se con interessanti varianti locali. 65 A Mustis 66 esso è associato a quello di Aesculapius e ne fanno parte due cittadini romani, M. Cornelius Laetus 67 e C. Orfius Luciscus, il primo dei quali era anche flamen perpetuus. Anche Caius Pomponius Victor, 68 a Masculula, 69 oltre a essere sacerdote di Caelestis, era flamen perpetuus. Un altro sacerdote della dea, Q. Caecilius Maximus, 70 che ha lasciato una dedica nella piana della Rokba, 71 era anche pontifex.  



















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Molte iscrizioni provenienti da luoghi diversi menzionano semplici sacerdotes Caelestis, alcuni dei quali hanno i tria nomina, altri due o solo uno, spesso di origine incostestabilmente locale. A Theveste 72 porta il titolo sacerdotale Iulius Donatianus, 73 che fa una dedica agli Dei Mauri per ordine di Caelestis ; a Thugga 74 il sacerdote della dea si chiama Magnius Felix Remmianus ; a Sicca 75 è invece Plotius Felix ; 76 a Bisica 77 i sacerdoti sono due, Giudius Felix 78 e Rubrius Rogatus Belalitanus. Ancora a Guelaa Bou Aftane 79 si segnala Mutthun 80 e a Cuicul 81 Rogatus. 82 A Madauros 83 di sacerdoti ne sono menzionati tre : C. Licinius Ciron Cronha, 84 Cocceius Cronha e C. Iulius Surus. 85 Infine a Jemajeur 86 è un sacerdos Caelestis L. Titius Metrianus. A Thuburbo Maius 87 è menzionato in un’iscrizione Celer, molto probabilmente un sacerdos del genius templi. Non mancano menzioni, anche se più rare, di sacerdotesse : a Simitthus 88 Veturia Martha 89 e ad Hadrumetum 90 Porcia Veneria. 91 Altre iscrizioni attestano invece l’esistenza di collegi sacerdotali gerarchizzati. A Zita 92 è nominato come sacerdote della dea Annius Istruge[---], 93 ma sono menzionati anche dei magistri che avevano forse la direzione del collegio sacerdotale, [---]damio | [---]irico e Cari[---]io Gemello. Poco chiara anche la situazione a Thuburbo Maius 94 dove compaiono Daphnius Lupus e L. Memmius, per M. L. Poinssot due sacerdotes Caelestis 95 che, secondo S. Bullo, sovrintendevano annualmente al collegio sacerdotale, 96 mentre per M. Leglay si tratta invece dei sufeti in carica. 97 Daphnius Lupus, comunque, era sacerdos del Genio della città, associato a Caelestis. 98 Anche per quanto riguarda il Fundus Turris Rutundae 99 è difficile dire se il magister L. Cornelius fosse il sovrintendente del collegio sacerdotale o dell’associazione dei coloni che fa la dedica, mentre sicuramente Annius Cornelianus è sacerdos Caelestis. A Cirta 100 è attestato un sacerdos loci primi di Caelestis Sittiana, 101 P. Iulius Martialis, 102 e un sacerdos loci secundi M. Baebius Palmianus. Qui il culto sembrerebbe assumere una dimensione “ufficiale” dal momento che la dea è fregiata del titolo civico di sittiana. Una gerarchia sacerdotale è attestata anche dalla dedica

di Thamugadi 103 che, come vedremo, presenta notevoli affinità con un’iscrizione da Roma. Il dedicante è Publius Sittius Optatus, 104 di rango equestre, il quale è flamen perpetuus( ?) e sacerdos Caelestis( ?) ; gli sono associati nell’iscrizione Octavius Emeritus e Caecilius Frumentius, entrambi sacerdoti della dea. Seguono poi Centrius, Abundius, Grasidius, Felix, 105 Restutus, 106 Sirisinnius, Terentinus, Fortunatus 107 e Extricatus tutti con la qualifica di canistrarius e Communis, Saturninus, 108 Donatus, 109 Vincentius, 110 Fructosus, Vitalis 111 e Felix, 112 sacrati. Si potrebbe trattare di un’associazione privata di cui il primo membro è il patrono. 113 Difficile determinare, infine, chi siano gli equites che restaurano il tempio dedicato alla deae magnae virgini Caelesti ad Albulae. 114 Tra i sacerdoti della dea Caelestis ne compaiono alcuni che dovettero godere di un certo prestigio all’interno della propria comunità : M. Cornelius Laetus, ad esempio, era anche flamen perpetuus, una carica sacerdotale importante, 115 e rivestì le cariche amministrative di duumvir e duumvir quinquennalis, così come C. Orfius Luciscus, che fu duumvir iterum quinquennalis e praefectus iure dicundo pro duumviris. Evidentemente a Mustis, da dove entrambi provengono, il sacerdozio di Caelestis e Aesculapius era appannaggio dell’élite municipale. C. Pomponius Victor e Q. Caecilius Maximus, pur non rivestendo incarichi amministrativi importanti, sono rispettivamente flamen perpetuus e pontifex, cariche sacerdotali di prestigio. Gli altri sacerdoti della dea, dei quali non siamo in grado di ricostruire la condizione sociale, sembrano però tutti di condizione libera, compresi i due che portano solo il cognomen ; l’origine, nella maggior parte dei casi, è africana. Fanno però eccezione i tre sacerdoti di Madauros, due con nomi di origine greca e uno di origine siriana, e il sacerdote di Zita, anch’egli di origine greca. Si tratta con ogni probabilità di liberti, anche se questo dato contraddice l’ipotesi di D. Legrand secondo cui il sacerdozio africano, anche quello delle divinità locali, era precluso a schiavi e liberti, tranne pochissime eccezioni. 116 Di condizione libera anche se di livello sociale non elevato dovevano essere i canistrarii e i sacrati della dedica di Thamugadi.

72  B A4. 20. 73  Forse da ricondurre a Donatianus, cognomen africano su cui cf. Thom74  B A1. 50. pson 1969, p. 150 e Lassère 1977, p. 452. 75   B A1. 65b. 76   Origine africana, cf. Thompson 1969, p. 150 e Lassère 1977, p. 453. Il patronimico è espresso   secondo la   formula semitica, cioè con il genitivo. 77  B A1 38-39. 78  Per Felix vedi n. 76. Il nome del padre, Primus, è probabilmente anch’esso di origine africana, cf. Bullo 1994, p. 1600. 79  B A4. 3. 80  Nome punico latinizzato (in realtà si pronunciava così anche in punico) cf. Lassère 1977, s.v. Datus, p. 452, il patronimico è scritto secondo la formula semitica. Il padre, Victor, ha un nome di origine africana, cf. 81  B A4. 17. Bullo 1994, p. 1600. 82  Cognomen di origine africana, cf. Lassère 1977, p. 454. 83  B A5, 1-3. 84  Cognomen di origine greca, cf. Solin 2003, p. 1117, per Chronius. 85  Potrebbe essere una cattiva traslitterazione di Syrus, molto comune (cf. Solin 2003, pp. 668-669), con evidente allusione all’origine vicino87  B A1. 30. orientale. 86  B A1. 9. 88  B A1. 60. 89  È figlia di Sextus Veturius, italico veterano dell’ala Siliana, il nome di origine aramaica potrebbe essere la conseguenza di un matrimonio misto, 90  B A2. 3. cf. Lassère 1977, p. 42 e Bullo 1994, p. 1604. 91  Si è voluto vedere nel cognomen della donna un riferimento alla sua precedente condizione di prostituta sacra del culto della dea di Sicca, dove

il nome è frequente, cf. Frère 1907, p. 28 e Bullo 1994, p.1604. Su Venerius cf. Lassère 1977, p. 454. 92  B A3. 1. 94  B A1. 20. 93  Sembra di origine greca. 96  Bullo 1994, p. 1604. 95  Poinssot 1915, p. 327 n. 3. 97  MSA I, p. 116 n. 2. Cf. anche Ben Abdallah 1986, pp. 123-124, n. 328. 100  B A4. 10-11. 98  B A1. 32.99  B A1. 52. 101  Cf. anche ILA II 814 dove è menzionato un altro sacerdote loci primi. 102  Martialis è un cognomen di origine africana, cf. Lassère 1977, p. 453. 103  B A4. 23. 104  Per Optatus, di origine africana, cf. Lassère 1977, p. 453. 105  Origine africana, cf. supra n. 76. 106  Nome di origine africana, cf. Lassère 1977, p. 454. 107  Sul cognomen di origine africana cf. Thompson 1969, p. 150 e Lassère 1977, p. 453. 108  Origine africana con chiaro collegamento al dio Saturnus. 109  Di origine africana, cf. Thompson 1969, p. 150 ; Lassère 1977, p. 452. 110  Nome frequente in ambiti cristiani, cf. Kajanto 1965, p. 278. 111  Di origine africana, cf. Lassère 1977, p. 454. 112  Per il nome, di origine africana, cf. supra n. 76. 114  B A7. 7. 113  Cf. Rives 1995, p. 166. 115  Sul flaminato in Africa cf. Bassignano 1974, completato dalle osservazioni critiche di Pflaum 1976. 116  Legrand 1998, p. 968 ; Fishwick 1987-1991, I, 2, pp. 257-294.



















































































































dea caelestis

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Fuori dall’Africa le testimonianze sul sacerdozio della dea Caelestis sono molto scarne, riducendosi a due iscrizioni a Roma 117 e una a Tarraco, in Spagna. 118 A Roma 119 un’iscrizione funebre menziona Caius Varius Apolaustus 120 (forse un liberto) princeps sacerdotium Deae Caelestis. Anche in questo caso si deve ipotizzare un collegio sacerdotale di cui era a capo, appunto, il defunto. Un’altra iscrizione, 121 apposta su una base di statua, presenta invece analogie con l’album di Thamugadi. La statua è dedicata a Flavia Epicharis 122 sacerdotia Deae Virgini Caelestis e honorifica femina, sposata con un sacerdos, Iunius Hylas. Le dedicanti sono altre due honorificae feminae e presumibilmente anch’esse sacerdotesse della dea, Sextia Olympias 123 e Chrestina Dorcadius 124 insieme alle sacratae e alle canistrariae. 125 L’espressione honorifica femina non è altrimenti attestata e potrebbe essere, secondo Cordischi, un titolo legato al culto. 126 Un’altra iscrizione da Roma è una dedica fatta a Caelestis dai suoi devoti, ma il termine è generico e non corrisponde a una posizione precisa di individui nel culto. Non stupisce trovare un sacerdos Caelestis, il cui nome era Gaius Avidius Primulus, a Tarraco 127 dove era attestata una nutrita comunità di Africani. Per quanto riguarda le testimonianze letterarie, Agostino, 128 descrivendo il culto della dea a Cartagine, menziona dei sacrati di Caelestis i quali avrebbero ricevuto un particolare insegnamento. Firmico Materno, 129 invece, in riferimento agli (As)Siri e a una parte degli Africani, parla del culto di Iuno (o Venus vergine) affermando che i suoi sacerdoti la venerano con voce effeminata. Tutto il loro comportamento si baserebbe su un’ “inversione” : 130 si puliscono la pelle, usano ornamenti femminili, si lasciano crescere i capelli e indossano abiti dalle stoffe delicate, il loro andamento è molle e teatrale. Tra le loro attività specifiche ci sarebbe la prostituzione templare e la vaticinazione, che essi esercitano quando sono posseduti dalla divinità. L’insieme delle testimonianze, epigrafiche e letterarie, permette di fare alcune osservazioni. La dea godeva di un culto vasto e organizzato, per lo più a carattere privato. Del personale addetto facevano parte i sacerdoti, uomini e donne, divisi forse in due gradi e subordinati a uno o due sommi sacerdoti (magistri) : essi erano i ministri del culto e gli officianti nei riti ; i canistrarii – portatori di cesta – di ambo i sessi avevano anch’essi funzioni rituali, 131 come appare chiaro anche dal termine

che li designa, ma, in base a varie considerazioni, 132 essi appaiono di dignità inferiore rispetto ai sacerdoti ; una terza categoria, i sacrati, cioè votati o consacrati, presenziava almeno ai riti, anche se ci è ignoto se prendesse parte attiva agli stessi. Dall’insieme dei dati in nostro possesso, dunque, emerge il quadro di un’organizzazione cultuale articolata, complessa. Si ha la sensazione che la differenza tra sacerdoti, portatori di cesta e iniziati non sia soltanto di carattere funzionale. In altri termini, il sacerdote sembra in possesso di un’autorità carismatica che manca alle altre due categorie : naturalmente è anch’egli un sacratus, ma probabilmente è dotato di una preparazione più elevata e profonda, che gli consente di esercitare determinate funzioni rituali non permesse ai semplici sacrati e forse di provvedere all’istruzione dottrinale di quest’ultimi. Questi sacrati, dal canto loro, si rivelano come dei fedeli che hanno subito una sorta di iniziazione preliminare o parziale che, pur legandoli al culto della dea, non impedisce loro di vivere normalmente la vita di tutti i giorni. D’altra parte i sacrati potrebbero più semplicemente essere i fedeli ammessi ufficialmente, cioè la comunità base. È interessante notare poi come, nel culto di Caelestis, vengano alla luce, anche a una disamina appena sommaria, tratti ed elementi sia di origine vicino-orientale che classica. Per quanto riguarda la presenza di elementi orientali nel quadro del culto in esame, è stato notato 133 come i termini sacerdotes e sacrati richiamino da presso – almeno come terminologia d’assieme – i khnm e qdšm della tradizione semitica occidentale già a partire da Ugarit, anche in questo caso ben distinti gli uni dagli altri. 134 D’altra parte va tenuto in conto che il termine sacrati è l’equivalente latino di muvstai e certo, anche se si ipotizza la “traduzione” latina di un precedente termine punico, la scelta della parola sacratus non poteva non chiamare in causa tutto un contesto ideologico di matrice “classica”. Bisogna però aggiungere che termini come muvstai, musthvrion e derivati avevano perso in quest’epoca lo stretto riferimento ai contesti tradizionali dei culti misterici diventando termini di portata più generica e riferibili quindi ad ambiti religiosi di vario tipo. In ogni caso il termine sacrati ricorre sia in culti “orientali” 135 che “classici”, 136 così come i portatori e le portatrici di cesta trovano larga corrispondenza nei culti misterici vicino-orientali 137 e nei

117  Non vengono qui intenzionalmente esaminate le dediche di Roma e dell’Italia in cui si fa riferimento a Venus Caelestis che, a mio avviso, non può essere confusa con la dea africana. Sul problema cf. cap. 10.2.2. 118  Non può essere ascritta con certezza al culto di Caelestis la menzione di un sacerdos Iuni in un’iscrizione di Granada, Museo Archeologico, 119  B R 7. inv. 640 = García y Bellido 1967, 7c. 120  Il nome anche se di origine greca (cf. Solin 2003, pp. 931-932), era diffuso in Africa. 121  B R 9. 122  Origine greca, Solin 2003, p. 937. 123  Origine greca, ibidem, pp. 229-231. 124  Origine greca, ibidem, p. 1009. 125  Il termine ricorre anche nell’epigrafi africane di Cherchel, CIL VIII 9321 e 9337, ma senza riferimento a Caelestis. 127  B H 1. 126  Cordischi 1990, p. 180. 129  A 14. 128  A 4. 130  Peculiare alla stessa dea, i suoi devoti avrebbero “femminilizzato” l’aria identificandola appunto con questa divinità. 131  Per attestazioni in altri culti africani cf. Leglay 1966a, p. 374, n. 8.

132  Posizione nell’elenco del personale del culto, status sociale inferiore. 133  Leglay 1966a, p. 360 ; Picard 1959, p. 43. 134  Cf. Dussaud 1921, p. 327. Su qdš cf. Lipin´ s ki 1992a, con bibliografia orientativa. Anche il flaminato potrebbe nascondere una più antica funzione sacerdotale, cf. Sznycer 1995, p. 112, dove ricorda che a Cartagine esisteva la funzione sacrale di zbhº (o anche bÔzbhº), paragonabile a quella di flamen. 135  Per il culto di Mithra cf. CIL XIV 286 (altre divinità solari CIL VI 730, 737, 742) ; per quello della Magna Mater cf. riferimenti epigrafici in Pavis D’Escurac 1975-1976, p. 230, nn. 125-126. 136  Per il culto di Ceres cf. Passio Perp. et Fel. ; per il culto di Liber a Madauros cf. Aug., Ep. 17. 137  La cesta mistica, destinata a contenere gli oggetti sacri del culto che vengono rivelati all’iniziato, o che ha anche la funzione di contenere i cibi destinati ad essere consumati collettivamente nel banchetto mistico, compare nei misteri dionisiaci, in quelli di Isis, di Cybele e di Demetra, cf. Leglay 1966a, p. 362 con indicazione delle fonti.



























































i luoghi e le forme del culto misteri della religione classica, dove sono qualificati come kanephoroi. 138 La testimonianza di Agostino è certo interessante e apporta nuove informazioni sul culto della dea. In singolare contrasto con le licenziose manifestazioni pubbliche, il vescovo d’Ippona attesta che venivano impartiti ad una ristretta cerchia di sacrati e in condizioni di riservatezza (ubi et quando sacrati Caelestis audiebant castitatis praecepta … nesciebamus) dei castitatis praecepta, in sostanza degli insegnamenti o rivelazioni dottrinali di cui ci sfugge il contenuto eccetto la loro “castità”. Da questa testimonianza di S. Agostino risulta dunque che, per alcuni fedeli del culto denominati sacrati, era riservato un trattamento dottrinale speciale e riservato. Ciò pare confermare quanto già emerso dalle iscrizioni, la presenza cioè, oltre ai sacerdoti, di un numero, che non possiamo quantificare, di “addetti speciali” al culto della dea. Essi ricevevano una serie di insegnamenti che, senza elevarli al livello dei sacerdoti, li distingueva comunque dagli altri devoti. Se questo implicasse poi un particolare stile di vita non è dato saperlo. 139 Per quanto riguarda invece la testimonianza di Firmico Materno, c’è da premettere che egli tratta insieme i seguaci della dea Syria e quelli di Caelestis africana e risulta perciò difficile stabilire con esattezza chi stia descrivendo, anche se non si può escludere a priori l’esistenza di una certa classe di devoti effeminati anche per la divinità africana. Le informazioni che ricaviamo dalle fonti epigrafiche sembrano collegare il livello sociale dei sacerdoti di Caelestis all’importanza che il culto della dea rivestiva nei diversi luoghi, al prestigio che poteva derivare dalla carica di sacerdote della dea come avviene, ad esempio a Mustis. Nella maggior parte dei casi troviamo cittadini di condizione libera e di origine africana, anche se non mancano cognomina che rimandano invece a origini greche o orientali e che fanno pensare che si tratti, con molta probabilità, di liberti. Sul modo in cui venivano reclutati i sacerdoti, sulle loro mansioni, il loro numero preciso all’interno dei collegi, le fonti sono mute. Possiamo solo affermare che tutta la gerarchia sacerdotale era aperta tanto alle donne che agli uomini, anche se i due sessi non sembrano confondersi all’interno dei collegia.

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Sull’insieme dei riti che costituivano il culto di Caelestis le fonti non sono molto numerose né sistematiche, in molti casi abbiamo solo degli indizi di difficile decodificazione. Come aveva a suo tempo già fatto notare Toutain, dobbiamo immaginare che il culto della dea contemplasse tutta una serie di offerte, per così dire, di routine, in quanto largamente condivise da altri culti dell’epoca romana, come primizie, oggetti rituali, figurine votive. 140 Vasellame di

varia misura, unguentaria, bruciaprofumi sono stati ritrovati nei templi, così come numerose lampade di terracotta. 141 Accanto alle rappresentazioni della divinità compaiono anche quelle degli offerenti 142 e quelle delle offerte stesse, come ad esempio le molte colombe di terracotta ritrovate a Thysdrus. 143 Il sacrificio cruento è attestato da un’epigrafe che viene generalmente annoverata tra le “tariffe sacrificali” in lingua latina. 144 Nell’iscrizione di Koudiat es-Souda, 145 dove sono elencate alcune divinità e il corrispondente animale, a Caelestis è riservato un gallo. Una menzione esplicita sul tipo di offerta più consona alla dea proviene da un’iscrizione dacica da Sarmizegetusa, 146 dove è detto che alla dea Caelestis è gradita l’offerta di mulsum, cioè di vino con miele. Non mancavano poi donativi più prestigiosi come le statue d’argento offerte a Thugga. 147 Un discorso a parte merita la menzione di un thorax offerto alla dea da una donna a Carpis. 148 Infatti se per alcuni studiosi si tratterebbe di un busto della dea, 149 altri vi hanno voluto vedere una corazza con riferimento a non altrimenti documentate attitudini bellicose di Caelestis. 150 Questa interpretazione appare poco fondata anche in base al fatto che a dedicare il thorax è una donna. Altri ancora vi hanno voluto vedere un riferimento al peplum della dea, su cui torneremo più avanti. 151 In un’iscrizione di Douar ech-Cchott, 152 nei pressi di Cartagine, è attestata, in condizioni molto frammentarie, una lista di oggetti di culto. Tra questi è menzionato anche un thorax, ragione per cui si è attribuita questa lista al culto della dea, ma ciò non è affatto sicuro. Sulla festa della dea abbiamo la testimonianza di Agostino in due luoghi del De civitate Dei. Nel primo di essi 153 Agostino parla genericamente di spettacoli osceni, con la presenza di invasati e coristi e rappresentazioni indecenti che venivano fatte in onore di dèi e dee, per poi aggiungere i nomi della virgo Caelestis e della Berecynthia, Madre degli dèi. Ciò che viene dopo, cioè il riferimento al bagno sacro, alle canzoni oscene e ai banchetti è da riferirsi, a mio avviso, alla sola Madre degli dèi. Gli studiosi, nella quasi totalità, hanno invece interpretato il passo facendo riferimento a una sorta di associazione, se non identificazione, fra le due divinità il cui culto sarebbe stato analogo. Ma due argomenti ostano a una tale interpretazione : il primo è che nel testo Agostino parla di un rituale legato solo alla Madre degli dèi, come si evince anche dal paragone tra la dea e le madri dei senatori, delle persone oneste e dei mimi. Inoltre le diverse fasi del rituale menzionato sono tutte riscontrabili nelle feste in onore della Madre degli dèi a Roma, 154 mentre non sono documentate per Caelestis. Il passo di Agostino deve quindi essere inteso come una progressiva focalizzazione sul culto della Mater deorum a partire da una generica menzione di feste particolarmente licenziose celebrate per tutti gli dèi, per passare quindi a specificare che queste sono proprie delle due divinità Cae-

138  Sull’argomento esiste un bibliografia vastissima, cf. come primo sguardo d’insieme Roccos 1995 ; Dillon 2003 ; Connelly 2007. 139  Sul problema dei sacrati si tornerà più avanti, cf. par. 3 di questo capitolo. 140  Toutain 1920, p. 65. 142  Ibidem, pp. 64-65. 141  Ibidem, pp. 63-64. 144  Lipin´s ki 1992b e 1995, p. 471. 143  Ibidem, p. 72. 145  B A1. 67. Ma cf. anche le due iscrizioni da Idicra in cui non compare 146  B D 7. Caelestis ma Nutrix, CIL VIII 8246 e 8247.

148  B A1. 11. 147  B A1. 46. 149  Cf. Audollent 1901, p. 384, Frère 1907, p. 21. 150  Hvidberg-Hansen 1979, p. 25 ; García-Bellido 1989, p. 40 e 1998, p. 2 ; Chaves Tristán – Marín Ceballos 2004, p. 370. 151  Zecchini 1983, p. 164 che segue Barbieri 1936, p. 194. 153  A 3. 152  B A1. 8. 154  Il bagno rituale e i banchetti, oppure la processione delle lettighe, a cui va ricondotto l’appellativo di fercula dato alle feste.





9. 2. 2. I riti









































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lestis e la Madre degli dèi, e concentrarsi infine a descrivere quelle di quest’ultima. Diversamente il secondo passo 155 è chiaramente tutto dedicato a Caelestis e, come c’era da aspettarsi, mentre ritorna il tema degli spettacoli licenziosi, non c’è accenno al bagno rituale e ai banchetti. Agostino parla invece del confluire di molta gente al tempio della dea, dove avveniva l’esposizione della statua e davanti a cui si celebravano dei riti particolari. Agostino mette bene in evidenza il contrasto tra la dea vergine, da un lato, e la meretricia pompa, dall’altro. Nonostante il religioso rispetto di cui godeva la dea, in sua presenza erano celebrati dei riti osceni e si sapeva che ciò le era gradito. Sorvolando sul giudizio di merito di Agostino, dal passo ricaviamo che, in determinate occasioni, venivano praticati dei riti al cospetto dell’immagine della dea che erano caratterizzati da una certa licenziosità e dei quali facevano parte anche rappresentazioni mimiche. Tali feste dovevano essere molto popolari vista la nutrita presenza di spettatori. Su quali fossero in dettaglio le rappresentazioni o in che cosa consistessero i riti osceni non è dato saperlo anche se, visto il carattere fertilistico, tanto in connessione con il mondo rurale che con quello della fecondità umana, della divinità, possiamo pensare ad azioni e comportamenti che si riferivano in maniera più o meno velata alla sfera sessuale e riproduttiva. Questo senza però implicare alcun riferimento a un’eventuale prostituzione sacra. Sulla base del carattere “osceno” che Agostino attribuiva alle feste cartaginesi, alla luce di un passo di Valerio Massimo 156 relativo a Sicca Veneria, di una statua itifallica trovata nel santuario di El-Kenissia e dell’esistenza di tale pratica nella tradizione punica, Audollent 157 aveva pensato che il culto di Caelestis contemplasse anche la prostituzione sacra. L’ipotesi è stata confutata da Toutain che ha chiarito come la Venus di Sicca è una divinità completamente diversa da Caelestis, dimostrando inoltre la fragilità generale degli argomenti addotti da Audollent, 158 anche se alcuni studiosi continuano a menzionare il passo di Valerio Massimo tra le fonti su Caelestis. 159 Agostino menziona la statua di culto della dea a Cartagine. Secondo la testimonianza di Erodiano, 160 la statua avrebbe avuto un’origine antichissima risalendo alla nascita stessa della città : essa sarebbe stata eretta da Didone al momento della fondazione di Cartagine. Come scrive giustamente Rives : « The attribution of the statue to Dido is interesting enough, because it shows that they were worshipping the same goddess as their Punic predecessors had, and saw a continuity between the two cults ». 161 Mentre rimane incerto se il rituale dell’evocatio, alla vi-

gilia della distruzione di Cartagine, abbia comportato il trasporto della statua della dea poliade a Roma, appare più sicura la sua traslazione per volere di Elagabalo, anche se non sappiamo se essa fosse riportata nella città africana alla fine del suo effimero regno. In connessione con la statua di culto vi sarebbe la tradizione relativa al peplum di Caelestis che, secondo alcuni autori, andrebbe collegata a quella sul manto che avvolgeva la statua di Tinnit. 162 Nella Historia Augusta 163 si racconta come all’usurpatore Celso, all’epoca di Gallieno, proclamato imperatore in Africa per volontà di Vibio Passieno, proconsul Africae, e di Fabio Pompeiano, dux limitis Libyci, fu messo sulle spalle il peplum della dea. L’episodio è stato considerato del tutto inventato, come ha dimostrato, da ultimo, T.D. Barnes. 164 In ogni caso, come obietta G. Zecchini, anche se l’episodio non si è mai verificato, l’esistenza del peplo e la sua importanza non hanno motivo di essere negati. 165 Lo studioso, che riprende una suggestione di G. Barbieri, ipotizza poi che il thorax 166 menzionato in un’iscrizione da Carpis 167 possa indicare proprio l’indumento, probabilmente un manto purpureo, con cui veniva ricoperta l’effigie della divinità. Un altro punto rilevante da trattare riguarda l’esistenza di processioni nell’ambito delle feste in onore di Caelestis. H. Hurst interpreta la platea annessa al santuario di Caelestis menzionata da Quodvultdeus 168 come una lunga via che dal tempio portava al mare e la connette con il passo di Vittore Di Vita 169 che menziona una via Caelestis. Essa sarebbe da mettere in relazione con le notizie di Agostino relative ai bagni sacri riservati alla dea e alla meretricia pompa. 170 Ma i passi di Agostino non possono essere presi a testimonianza dell’esistenza di processioni per la dea : i bagni rituali, come sopra già osservato, vanno ascritti al culto della Madre degli dèi e meretricia pompa non indica con certezza una processione organizzata, ma potrebbe trattarsi piuttosto di un’espressione di Agostino coniata allo scopo di racchiudere in un’unica immagine l’insieme dei partecipanti ai riti “licenziosi” di cui era stato spettatore. Ciò non esclude naturalmente che la platea possa considerarsi una via collegata con il santuario, forse in qualche rapporto con le cerimonie di culto, e che essa fosse chiamata, appunto, via Caelestis. Due passi dell’Historia Augusta 171 menzionano infine un oracolo di Caelestis a Cartagine. Secondo questi passi, durante il regno di Antonino Pio e all’epoca del proconsolato di Pertinace in Africa (188/189 o 189/190 d.C.), presso il tempio della dea vi erano delle sacerdotesse che, su

155  A 4. 156  Val. Max. II 6, 15. 157  Audollent 1901, pp. 386-389. 158  Toutain 1920, pp. 80-83 ; 228-230. 159  Cf. Halsberghe 1984, pp. 2208. Sulla divinità venerata a Sicca cf. 160  A 15. Bonnet 1996, p. 107 ; Fantar 2002, pp. 228-230. 161  Rives 1995, p. 165. 162  Cf. Audollent 1901, p. 385 ; Toutain 1920 ; Picard 1954, pp. 107-108 e Hvidberg-Hansen 1979, p. 26, che menzionano in proposito Athen. XII 58 (541 a-b). Nel passo in questione, in realtà, non si parla direttamente del peplo di Tinnit : Ateneo, riportando Aristotele (Mirabilia 96, la cui fonte sarebbe Timaeus, cf. Geffcken 1892, p. 96), racconta che Alcistene il Sibarita si era fatto confezionare un mantello estremamente lussuoso e che, esposto durante le feste di Hera Lacinia, l’indumento era stato apprezzato sopra ogni altra cosa. In seguito ne entrò in possesso Dionigi il Vecchio

che lo vendette ai Cartaginesi per centoventi talenti. Ateneo aggiunge che ne parla anche Polemone in un lavoro intitolato Sui pepli a Cartagine. Aristotele dà altre informazioni sulla fattura del manto che era purpureo e riccamente decorato. 163  A 18. 164  Barnes 1970, pp. 96-97. 165  Zecchini 1983, pp. 164-165. Lo stesso Barnes considera la menzione del peplo un mezzo per avvalorare un racconto inventato : « The paraphernalia of the cult of Caelestis merely form part of the historical background against which the Historia Augusta has chosen to set an invented episode (…) », p. 97. 166  Lo consentirebbe uno dei significati di questo termine “indumento di lana o lino”, cf. Zecchini 1983, p. 164 n. 47. 167  B A1. 11. 169  A 40. 170  Hurst 1999, p. 96. 168  A 25. 171  A 16-17.





























































i luoghi e le forme del culto

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Alla vecchia visione del culto di Caelestis come un culto prevalentemente agrario, che coinvolgeva soprattutto gli strati più umili e meno integrati del mondo africano, in-

digeni più o meno romanizzati, liberti, a volte schiavi e poveri contadini, si è andata progressivamente contrapponendo un’altra interpretazione, che ha evidenziato come, nella maggior parte dei casi, i devoti appartenessero a un livello sociale medio, in qualche caso anche alto, della società africana tanto cittadina quanto rurale, ma in ogni caso è stato tenuto per fermo l’aspetto prettamente agrario della divinità. 185 Ancora una volta l’uso esclusivo delle iscrizioni come elemento di valutazione del culto della dea non può che portare a risultati limitati e parziali. 186 Già la scelta del mezzo, l’iscrizione in lingua latina, è rivelatrice di una scelta di comunicazione religiosa “ufficiale”, anche se la tradizione della stele votiva o funeraria iscritta affonda le sue radici nella cultura punica. Restano così escluse dall’analisi quelle manifestazioni del culto che non trovano spazio nel linguaggio scritto e che non possono essere tralasciate senza grave pregiudizio della ricerca. Faccio riferimento ad esempio alle stele anepigrafi che sono state ritrovate in centri agricoli interni e certo ai margini delle attività delle grandi città come Thugga o Cirta. Qui oltre ai mezzi culturali limitati, che impediscono il ricorso alla scrittura e a quelli economici, che rimandano essenzialmente a povere realtà rurali, dobbiamo immaginare che il passaggio dalle forme di culto tradizionali a quelle “romanizzate” sia avvenuto, almeno parzialmente, in tempi molto più lunghi e con modalità diverse rispetto a quelli occorsi nei centri urbani. Quindi, a mio avviso, l’interpretazione della dea Caelestis come divinità a carattere agrario copre solo parzialmente il raggio di azione di questa dea che, invece, rivela una personalità molto più sfaccettata. Il fatto che i maggiorenti dei centri urbani fossero proprietari terrieri rende conto solo in parte della loro devozione per questa dea, che sembra rivestire un ruolo importante nel dialogo con i vertici del potere imperiale. Passiamo ora ad analizzare le informazioni che provengono dalle iscrizioni. Una premessa necessaria riguarda la possibilità di ricostruire dal cognomen dei dedicanti con i tria nomina il loro grado di “romanizzazione”. Questo non può essere accertato solo su base onomastica (presenza o meno di cognomina di origine libica o punica), dal momento che la scelta del nome può essere influenzata da vari fattori, non ultimo – come è ben noto – un certo conservatorismo che è difficile valutare nelle sue conseguenze sul piano culturale. 187 Come è stato giustamente notato, nelle iscrizioni sono menzionati personaggi con nomi africani che hanno il padre con un nome già romanizzato, 188

172  B A7. 7. 173  Barnes 1970, pp. 99-100. 175  B A1. 2-4. 174  Zecchini 1983, p. 167. 177  B A1. 23. 178  B A1. 50. 176  B A6. 4. 180  B I 13. 179  B R 1, 3, 12. 181  Cf. Nock 1925, pp. 95-97 (= Nock 1972, I, pp. 45-48) ; Barnes 1970, p. 100 ; Lane Fox 1986, pp. 150-167. A sogni piuttosto che a visioni pensa Leglay 1966a, pp. 314-342. Per le orecchie rappresentate su un’epigrafe a Roma cf. Cenerini 1986. Il motivo delle orecchie compare anche in qualche raro caso sulle stele puniche. 182  A 14. 183  Non si può prendere in considerazione l’ipotesi di García-Bellido 1987, pp. 145-158 sulle funzioni oracolari di Tinnit in quanto si basa, in larga misura, sulle fonti relative a Caelestis. 184  A Af ka (Bonnet 1996, p. 29) ; a Paphos (ibidem, p 78). Per quanto riguarda Deir el-QalaÔa, visto che è possibile ricostruire tanto [ex respons] o Iunonis Reginae che [ex praecept]o Iunonis Reginae, non credo sia possibile pronunciarsi sull’esistenza di un oracolo (probabilista in questo senso

Bonnet 1991, p. 77). Forse era legata a un antico culto Astarte (o Tinnit ?) la sede oracolare di una Venus marina sull’isolotto di San Sebastian menzionata da Avienus, Or. marit. 313-317. L’isolotto era noto anche a Plinio (IV 120) secondo cui esso era conosciuto con i nomi di Erytheia e Aphrodisias mentre dagli indigeni era detto Iunonis insula. Si ricordi, infine, che è per un oracolo di Iuno che i coloni fondano il tempio della dea a Cartagine nel luogo in cui trovano sepolta una testa di cavallo (A 39). 185  Bullo 1994, pp. 1612-1613. 186   Per una critica all’approccio metodologico di Cadotte 2007 che fa delle iscrizioni la fonte privilegiata per il suo studio sulla romanizzazione degli déi africani in epoca imperiale cf. cap. 2. 187  Lassère 1977, pp. 439-459. Cf. Caquot 157ss., Bénabou 1976, pp. 503578. 188  Thompson 1969, pp. 150-151, Bullo 1994, pp. 1599-1601. La filiazione può essere espressa secondo la formula di tradizione semitica oppure alla latina.

ispirazione diretta di Caelestis, profetizzavano su questioni politiche. Nonostante siano stati sollevati forti dubbi sull’attendibilità storica degli episodi narrati, la presenza di un oracolo legato alla dea non sembra da escludersi. Lo stesso Barnes, uno dei più strenui sostenitori del carattere fittizio degli episodi, ritiene possibile l’effettiva esistenza di un oracolo della dea a Cartagine sulla base di due indizi. Il primo indizio è un’iscrizione di Albulae 172 in cui si afferma che il restauro di un tempio della dea è fatto numine ipso dictante ; il secondo indizio è costituito dall’affermazione dell’autore della Vita Macrini il quale sostiene che, alla sua epoca, l’oracolo era solito vaticinare. 173 Oltre a tutto ciò, va presa in considerazione un’acuta riflessione di Zecchini sul passo di Quodvultdeus relativo agli ultimi tempi di esistenza del tempio cartaginese : in occasione della consacrazione cristiana dell’edificio un “pagano” avrebbe pronunciato un falso vaticinio attribuendolo a Caelestis, cioè che il tempio, la via e i riti antichi sarebbero stati restaurati. Osserva Zecchini che l’attribuzione del vaticinio alla dea « (…) non avrebbe avuto senso, se in passato non fosse stato attivo e non avesse goduto di prestigio presso i pagani l’oracolo vero e proprio della dea ». 174 Altre testimonianze sull’esistenza dell’oracolo appaiono più labili. Non sembra infatti che possano essere addotte come prove in questo senso quelle iscrizioni che contengono espressioni del tipo ex voto iussu deae o ex praecepto deae (Carthago ; 175 Sitifis ; 176 Thuburbo Maius ; 177 Thugga ; 178 Roma ; 179 Mediolanum 180) : esse infatti non presuppongono necessariamente un contesto oracolare, ma potevano far riferimento a visioni o sogni. 181 Ancora meno utilizzabile appare la notizia di Firmico Materno 182 che menziona sacerdoti ispirati e profetizzanti : qui il riferimento sembra essere, infatti, ai seguaci della Dea Syria piuttosto che ai devoti di Caelestis, anche se l’autore ne parla indistintamente. Cercando tra gli “antecedenti” di Caelestis si scopre che la funzione oracolare, più che tipica di Tinnit, 183 era propria di Astarte, 184 una prova in più, se ce ne fosse bisogno, di come le due divinità puniche abbiano entrambe interagito nel concorso alla formazione della figura di Caelestis.  















































9. 2. 3. I fedeli

















dea caelestis

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inoltre non sono quasi mai menzionate le ascendenze materne, con la conseguenza che ci sfugge l’apporto che poteva provenire dall’ambiente culturale della madre. Nell’Africa romana sono infatti frequenti tanto matrimoni misti tra uomini romani e donne locali che viceversa. 189 Se poi, come in molti casi nel culto di Caelestis, le dediche non sono anteriori alla metà/fine del II sec. d.C., ci troviamo davanti a situazioni in cui elementi romani e elementi locali hanno già da qualche generazione sperimentato diversi tipi di convivenza e fusione, giuridica ma anche culturale. 190 Nell’adozione dei nomi romani il prenome e il gentilizio coincidono frequentemente con quelli dell’imperatore regnante o del governatore provinciale al momento dell’acquisizione della cittadinanza romana, ricevuta a titolo privato, o all’elezione della propria città a colonia. Ma essi possono anche derivare da una serie di personaggi importanti come senatori, cavalieri, sacerdoti, patroni municipali, etc. che si sono prodigati in favore dell’ottenimento del privilegio. 191 Se molti cognomina attestati nelle iscrizioni possono essere ricondotti a un’origine africana, i ruoli politici e religiosi svolti da vari personaggi menzionati ne rivelano il vivace e articolato inserimento nella vita cittadina. I liberti occupano in molti casi cariche importanti e rivelano una discreta agiatezza economica che permette loro di intervenire in modo incisivo nella comunità o di dimostrare la devozione verso il proprio patrono con atti religiosi economicamente impegnativi. Nell’ambito cittadino un importante ruolo nell’attività religiosa è svolto dalle curie che in Africa, a differenza di quanto accade nel resto dell’Impero, presentano caratteristiche molto peculiari. 192 Per quanto riguarda le curie che traevano origine da nomi di divinità, si deve pensare che esse si occupassero in modo particolare del santuario della divinità patrona. Le curie riunivano individui di diverse classi sociali e i patroni elargivano denaro a vantaggio dei curiales più poveri, mentre la curia dimostrava la propria gratitudine con l’erezione di statue e la dedica di iscrizioni. Per quanto riguarda le dediche pubbliche, esse sono di numero limitato : due da parte di pagi, una da una civitas e due da res publicae, una da parte dei cuncti seniores. Nelle campagne le iscrizioni testimoniano interventi da parte di proprietari fondiari, ma anche di gruppi di coloni che si riuniscono e, a proprie spese, scelgono di dedicare piccoli santuari alla dea. Questo implica una posizione economica, se non agiata, almeno solida, che permette di oltrepassare i limiti della mera sopravvivenza. Come accennato in precedenza, non mancano poi manifestazioni di devozione da parte di individui dai mezzi più limitati, per non parlare poi di quanti non hanno lasciato come testimonianza che povere stele dai disegni rudimentali.

L’analisi delle iscrizioni in cui sono menzionati i fedeli della dea Caelestis ha portato ai seguenti risultati. Il personaggio più eminente è menzionato a Lambaesis : 193 si tratta di Claudius Gallus legatus pro praetore di Numidia (201-205) 194 che completa il tempio per la dea iniziato da C. Iulius Lepidus Tertullus, precedente legatus della III legione (194-195). Gallus è un alto ufficiale dalla carriera straordinaria e particolarmente vicino a Settimio Severo : il suo gesto evergetico ha sicuramente un valore politico visto che viene a coincidere con il viaggio della famiglia imperiale in Africa. Certo non del calibro di Claudius Gallus, ma comunque personaggio molto in vista è P. Paconius Cerialis, che fu IIIvir e aedilis quaestoriae potestatis a Cirta. Di lui ci è testimoniata una dedica a Fortuna Caelestis, 195 cioè a Caelestis nella sua funzione poliade. 196 Ancora all’élite locale cittadina dobbiamo ascrivere T. Flavius Caelestinus, 197 duumvir o flamen (deve offrire giochi gladiatori) a Theveste. 198 L’Illuminati ipotizza che egli fosse il discendente di un veterano o di un addetto ai servizi della Legio III Augusta in quanto dal suo nome non si deduce un’origine africana. 199 Ma questa origine è effettivamente ravvisabile nel cognomen che rimanda al culto della dea Caelestis. Questo personaggio, che appartiene all’élite locale e occupa una posizione ragguardevole sostenuta da una situazione economica florida, dedica una statua a Caelestis, una a Virtus e una ad Aesculapius. A Carpis, 200 Sextilius Martialis 201 era flamen perpetuus e aedilis. Suo padre, dallo stesso nome, era un sacerdos publicus e sua madre, Cassia Maximula, 202 una flaminica Plotinae divae. I nomi rivelano un’origine locale, le funzioni sacrali dei genitori e quelle politiche e religiose del figlio attestano che si trattava di una famiglia ben inserita nel livello sociale più alto della città. La particolare devozione alla dea è testimoniata dal fatto che la madre le dedica un tempio e padre e figlio contribuiscono ad abbellirlo. M. Cornelius Laetus 203 era flamen perpetuus, sacerdos Caelestis et Aesculapii publicus e IIvir (in seguito IIvir quinquennalis) a Mustis. 204 Questo personaggio sembra rivestire un ruolo importante nella vita cittadina, ricoprendo cariche rilevanti sia dal punto di vista politico che religioso. Il cognomen ne rivela un’origine locale, era iscritto alla tribù Cornelia come tutti i cittadini di Mustis (da Arpino, patria di Mario da cui trae origine il municipio). M. Cornelius Laetus, sacerdote di Caelestis e Aesculapius, fa erigere una statua di bronzo della dea e fa restaurare un portico a quattro ( ?) colonne nel tempio di Calestis pro salute imperatoris. È interessante notare che il portico era stato a suo tempo costruito dal nonno di Cornelius Laetus, segno di una devozione particolare della sua famiglia per questa divinità. Sempre da Mustis 205 arrivano informazioni su un altro

189  Thompson 1969, pp. 143-144. 190  Ibidem ; Lassère 1977, 439-459. Sui matrimoni misti in Algeria cf. Cherry 1998. 191  Cf. ad esempio la lista di senatori fornita da Thompson in connessione con l’Africa nella prima metà del II sec. d.C. e l’apparire del loro gentilizio nei nomi dei cittadini nelle città prese in considerazione dallo studioso, Thompson 1969, pp. 152-167. 192  Sulle caratteristiche delle curiae africane, i tratti ereditati dalle eterie cartaginesi, il loro ruolo politico e sociale, cf. Kotula 1968 e 1980 ; Ga193  B A4. 25. scou 1976. 194  Sul personaggio e l’iscrizione cf. Leglay 1956.

196  Su cui vedi cap. 10.2.2. 195  B A4. 9. 197  Il cognomen lo mette in relazione con la devozione alla dea. 199  Cf. Illuminati 1972, p. 478. 198  B A4. 21. 200  B A1. 11. 201  Martialis è nome d’origine africana, cf. n. 1025. 202  Anche Maximula, come Maximus potrebbe rivelare un’origine africana, cf. n. 993. 203  Laetus dovrebbe avere un’origine africana, cf. Thompson 1969, p. 204  B A1. 54-55. 150 e Lassère 1977, p. 453. 205  B A1. 56.















































i luoghi e le forme del culto

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sacerdote di Caelestis e Aesculapius, C. Orfius Luciscus, che fu IIvir iterum quinquennalis e praefectus iure dicundo pro IIviris. Per quanto riguarda la sua origine, si pone l’attenzione sul fatto che Orfius è un gentilizio che trae origine da Mario – pare fosse originario di Sentino – che quindi risale alla fondazione stessa della città. 206 Anche Orfius Luciscus si rivela un personaggio di spicco della società di Mustis all’interno della quale ricopre importanti cariche politiche. 207 Egli dedica una statua di Ianus Pater nel foro di Marsyas 208 pro salute imperatoris. G. Gabinius Rufus Felix 209 Beatianus è un membro eminente dell’élite cittadina di Thugga, 210 nel momento di rivestire una prestigiosa carica sacerdotale, quella di flamen perpetuus, 211 egli dona il terreno sul quale sarà edificato il tempio di Caelestis pro salute imperatoris. P. Iddibalius Victorinus fu quaestor e aedilis a Giufi. 212 Gentilizio e cognomen sono inequivocabilmente “locali”, translitterato quasi letteralmente dal punico il primo, tradotto il secondo : l’ascendenza punica è ribadita anche dalla filiazione semitica. 213 Il padre, Felix 214 (nome d’origine africana) era flamen ed era stato quaestor. Iddibalius Victorinus esegue una dedica a Caelestis insieme a M. Domitius Victor, 215 anch’egli aedilis, il quale a sua volta è figlio di un altro aedilis, anche in questo caso ricordato attraverso la formula semitica del patronimico, Processanus, anche lui con nome di origine africana. 216 L’iscrizione ci dà testimonianza di due personaggi di origine africana le cui rispettive famiglie, già almeno dalla generazione precedente, appaiono perfettamente inserite nella vita municipale ; l’adesione alle istituzioni romane non impedisce di conservare tradizioni proprie della cultura di provenienza quali l’uso della filiazione secondo la formula semitica. 217 Nella dedica di Thamugadi 218 a Caelestis pro salute imperatoris, al primo posto compare Publius Sittius Optatus, eques Romanus e (forse) flamen perpetuus. Il gentilizio Sittius era molto diffuso nella zona e derivava dal generale di Cesare, P. Sittius, 219 mentre il cognomen rivela un’origine africana. 220 A più divinità è rivolta la dedica di M. Furnius Donatus, di origine africana, 221 cittadino eminente di Rapidum, 222 il quale era anche lui membro dell’ordine equestre, ex prefetto di una tribu indigena e flamen perpetuus. A Thala, 223 Publius Geminius Martialis 224 nell’anno del suo flaminato interviene per eseguire abbellimenti del tempio di Caelestis. Ad Auzia sono state ritrovate nel medesimo luogo due

dediche agli dei caelestes, 225 una deae caelestabus 226 e una alla dea Caelestis. 227 Nella prima, rivolta agli dèi celesti, i dedicanti sono L. Aelius Longinus, patronus coloniae e sua moglie Aelia Saturnina, che è certamente di origine africana. Nella seconda, i due personaggi che restaurano il tempio, Geminius Renatus e G. Attius Plautus, sono IIviri. La dedica alle dee celesti è eseguita da C. Cornelius Aquila già aedilis e poi IIvir, che si associa il padre Cornelius Donatus 228 e il figlio Victor 229 che rivelano entrambi l’origine africana della famiglia. La dedica a Caelestis è eseguita da C. Iulius Libosus per il felice ritorno dei suoi genitori, di indubbia origine africana : C. Iulius Victorinus e Caecilia Namphamina. 230 Anche il nome di sua moglie Ulpia Dativa è di origine africana. 231 In una località denominata Vicus Phosphori 232 la costruzione di un tempio alla dea – che viene indicata come la protettrice di tutto il vicus – è ricordata nella dedica di un proprietario terriero di alto livello del quale si conosce solo il cognomen, Phosphorus. 233 J. Desanges, che mette in relazione questa iscrizione con quella relativa al saltus Poctaniensis Posphorianus, 234 ritiene che il proprietario di entrambi fosse un Antistius precedente, forse il padre, di Q. Antistius Adventus e di L. Antistius Mundicius Burrus, entrambi consolari. 235 Il dedicante presso il Fundus Seneciosus 236 (caduti praenomen e nomen) Post(umus) è un cittadino romano della res publica IIII coloniarum Cirtensium. Riguardo al suo ruolo nel fondo sembra improbabile che abbia esercitato la funzione di actor, vilicus o procurator di solito ricoperte da liberti. Bertrandy ipotizza che possa trattarsi del gerente libero del fondo per conto di un privato o dell’imperatore, del magister di un insieme di coloni o possessores legati al possedimento o, infine, del proprietario stesso del fundus. 237 Il terreno sarebbe appartenuto ai Lollii, una ricca famiglia delle parti di Tiddis. 238 La dedica è fatta pro salute imperatoris. Nei pressi di Thabbora 239 il proprietario (o i proprietari) del fundus che eleva(no) la piccola cappella a Caelestis (datata alla prima metà del I sec. d.C.), doveva(no) aver ottenuto l’appezzamento in seguito alla politica di assegnazione di terre ai veterani da parte degli imperatori. Tale ipotesi sarebbe sostenuta dalla presenza, in uno dei due frontoncini del tempio, di un simbolo militare e dalla datazione del monumento. 240 L. Octavius Felix, decurione di una coorte ispanica ma di provenienza locale, 241 di stanza presso il posto di polizia

206  Cf. Beschaouch 1965-1966 e Lassère 1977, p. 125. 207  Fu duumuir iterum quinquennalis e praefectus i.d. pro duumuiris. 208  Era il simbolo della libertà municipale, cf. Veyne 1961. 209  Non so se qui sia da rintracciare un riferimento all’origine africana del personaggio, su Felix cf. n. 76, porta questo nome anche suo padre. 211  Cf. Dareggi 1988, pp. 200-201. 210  B A1. 46-48. 212   B A1. 15. 213  Iddibalius proviene dal nome punico ’dnb‘l, cf. Benz 1972, pp. 260261 ; per Victor(inus) come nome di origne africana cf. n. 68. 214  Felix è di origine africana, cf. n. 76. 215  Per l’origine africana di Victor cf. n. 68. 216  Su questo nome cf. Lassère 1977, p. 453. 217  Su atti di evergetismo collegati all’edilità cf. Leglay 1990b, pp. 85. 218  B A4. 23. 219  Su questo personaggio cf. Lassère 1977, pp. 166-167 e Sirago 1992. 221  Su Donatus cf. n. 109. 220  Cf. Lassère 1977, p. 453.

222  B A7. 6. 223  B A2. 1. 224  Martialis è nome d’origine africana, cf. n. 102. 226  B A7. 3. 227  B A7. 2. 225  B A7. 1 e 4. 229  Per Victor, cf. n. 68. 228  Su Donatus cf. n. 109. 230  Per il primo vedi nota precedente, per la seconda il nome Namphamina è una traslitterazione al femminile latina del nome punico n‘mp‘m. 231  Cf. cf. Thompson 1969, p. 150 ; Lassère 1977, p. 452. 232  B A4. 6. 233  Su questo nome cf. Lassère 1977, p. 453. Sui suoi possibili risvolti mistici, vedi paragrafo seguente. 234  Pflum 1978, p. 355-360. 236  B A4. 14. 235  Desanges 1989. 237  Bertrandy 1991, p. 161. 238  Sull’iscrizione e i vari problemi di identificazione del nome del fon239  B A1. 41. do e del dedicante cf. Bertrandy 1991. 240  Sul problema cf. Ferchiou 1980, pp. 32-38. 241  Felix è di origine africana, cf. n. 76.



















































































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di Vazaivi, esegue una dedica a varie divinità, fra cui Caelestis, al momento del congedo. 242 A Cirta 243 troviamo una dedica di (…) Horatius Martialis, del quale possiamo dire solo che è di origine africana. 244 C. Caelius Saturinus 245 era invece structor a Vallis, 246 una Caelia Satura 247 è la dedicante di un’iscrizione a Setif. 248 Non sappiamo nulla di M. Manlius Aptus che a Thuburbo Maius 249 per ordine della dea, a sue spese, costruisce un’esedra colonnata, 250 né di P. Geminus Cossus che esegue una dedica alla dea presso il fundus Tapp---. 251 Lo stesso vale per C. Iulius Ingenuus, autore di una dedica a Satafis 252 e per Modius Rusticus che dedica una statua a Thugga. 253 I nomi di una coppia che fa una dedica a Sitifis 254 sono Umbria Domitilla e Pompeius Floridus. A Thuburbo Maius 255 dedicano invece T. Titisenus Salutaris, il cui gentilizio potrebbe essere di origini etrusche, 256 e Lucius Rutilius Macer. Un’origine africana sembrerebbe da attribuirsi a Q. Mattius Primus 257 che a Tuccabor 258 fa dei lavori di ampliamento nel tempio della dea e una gradinata. Interessante il caso di L. Aegrilius Felix Maximus Praenestianus che fa una dedica a Cartagine : 259 il suo soprannome lo indica come un italico mentre Felix e Maximus ne suggerirebbero invece un’origine locale. 260 Ancora da Cartagine 261 proviene la dedica di D. Valerius Phoenix, il cui cognome sembra rivelare un’origine vicino-orientale 262 e quella di Valeria Stacte 263 con cognomen di origine greca. 264 Al genius municipi di Thuburbo Maius, 265 lascia una somma per testamento C. V--------- Campanus, un centurione della XIII legione Gemina, ma il testo dell’iscrizione è molto danneggiato. I tre dedicanti di Thamallula 266 portano tutti il gentilizio Iulius ma tre cognomina di indubbia origine locale : Monosus, 267 Victor 268 e Felix. 269 Un’origine locale va attribuita anche a Modia Victoria che fa una dedica per la dea insieme ai suoi 270 a Thubursicu Bure. 271 Solo un nome portano i tre personaggi che presso Ad Sava M. 272 eseguono una dedica su ordine della dea : essi sono Datus, Furius e Saturninus, 273 mentre dei tre dedicanti di un tempio presso Sicca 274 resta solo il cognomen : Saturninus, 275 Faustus 276 e Ro[…]. Ancora un nome unico porta Respectus 277 che fa una dedica a Henchir Negachia. 278

A Thuburbo Maius 279 un dedicante porta un nome punico translitterato, Muthumbal con il patronimico espresso secondo la formula semitica, anche suo padre ha un nome punico, Aris. 280 Questo è l’insieme delle testimonianze epigrafiche relative ai cittadini liberi. A parte qualche eccezione, i liberti, nell’Africa romana, non rivestono ruoli determinanti nella vita municipale mentre sembrano invece godere, in molti casi, di possibilità economiche. Le loro attività sembrano soprattutto esplicarsi nell’ambito dell’amministrazione delle proprietà terriere e negli affari economici delle città. 281 Molti dedicanti sono liberti di un certo prestigio come Coronatus, 282 che riveste la carica di adiutor tabularii, frequentemente assunta da liberti o da schiavi ; egli finanzia degli abbellimenti al tempio della dea a Henchir Rohbane, 283 dei pilastri e un arco, rivelando così una discreta disponibilità economica. Un actor di cui non conosciamo il nome esegue a Calama una dedica alla dea. 284 Quella dell’actor era una carica importante nell’organizzazione delle proprietà terriere ed era ricoperta di solito da schiavi o da liberti. Un liberto imperiale, probabilmente procurator, è l’autore della dedica di Tafeloune. 285 Anche questa, come quella di actor, era una carica amministrativa che aveva a che fare con la gestione delle proprietà terriere. A El-Hammam 286 un liberto imperiale ripara il tempio (edicola votiva, piccola cappella ?) ridotto in macerie. Molto probabilmente è un liberto imperiale con funzione di procurator che dedica a Carthago 287 un’iscrizione pro salute imperatoris. L. Aemilius Calpurnianus Muse, probabilmente un liberto, 288 dedica forse una statua (di cui rimane solo la base) a Caelestis a Sabratha, insieme a sua moglie, Mucia Pudentilla. 289 Tiberius Claudius Mascellus che fa una dedica a Sila 290 era forse un liberto di Claudio, come indicherebbero praenomen e nomen, mentre il cognomen ne indica l’origine locale. 291 Da un luogo imprecisato nei dintorni di Cirta 292 proviene l’iscrizione che menziona Secundius. Si tratta di un liberto che restaura un piccolo santuario pro salute del suo padrone. Antonius Philetus ; probabilmente un liberto, 293 restaura un tempio (edicola votiva, piccola cappella ?) a

242  B A4. 22. 243  B A4. 8. 244  Cf. n. 102. 245  Forse da leggere qui Saturninus ? Ci sono altri errori nell’epigrafe. 246  B A1. 35. 247  Potrebbe essere una cattiva trascrizione del nome di origine greca Satyra, cf. Solin 2003, p. 439. 248  B A6. 5. 249  B A1. 23. 250  Potrebbe essere la stessa persona che, in un’altra iscrizione, fa una dedica a Iuno Caelestis per la salute di un non meglio precisato imperatore -----------Antoninus. 251  B A1. 66. 252  B A6. 1. 254  B A6. 3. 255  B A1. 20. 253  B A1. 49. 256  Cf. Lassère 1977, p. 135. 257  È un nome mistico diffuso in Africa ma anche in Italia e altrove, cf. Thompson 1969, p. 151 ; Lassère 1977, p. 453. 258  B A1. 36. 260  Cf. nn. 76 e 70. 259  B A1. 4. 261  B A1. 5. 262  Non è un nome comune, comunque si conoscono paralleli, cf. So263  B A1. 1. lin 2003, pp. 1389-1390. 265  B A1. 29. 264  Cf. ibidem, pp. 1238-1239. 266  B A6. 6. 267  È di origine libica, cf. Bullo 1994, p. 1600 n. 29.

269  Cf. n. 76. 268  Per Victor, cf. n. 68. 271  Per Victor, cf. n. 68. 270  B A1. 42. 272  B A6. 7. 273  Per il primo e il terzo è sicura origine locale del nome. Su Datus cf. Thompson 1969, p. 150 ; Lassère 1977, p. 452 ; Saturninus deriva ovviamente da Saturnus. 274  B A1. 65. 275  È di origine africana da Saturnus. 276  Di origine africana, cf. Thompson 1969, p. 150 ; Lassère 1977, p. 452. 277  Sull’origine africana di questo nome cf. Lassère, p. 454. 279  B A1. 25. 278  B A1. 37. 280  Cf. Bullo 1994, pp. 1597-1598. 281  Leglay 1990a, p. 637. 282  Il nome unico ne rivela l’origine sociale, liberto o schiavo, confer284  B A4. 1. mata dalla sua carica. 283  B A4. 18. 287  B A1. 6. 285  B A1. 12.286  B A4. 5. 288  Sull’origine greca del nome cf. Solin 2003, p. 420. 290  B A4. 7. 289  B A3. 2. 292  B A4. 12. 291  Cf. Bullo 1994, p. 1600. 293  Chiaramente di origine greca, cf. Solin 2003, pp. 959-962.



































































































































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Kef Tazerout 294 in favore del suo patrono C. Arrius Antoninus. Dobbiamo pensare ancora a un liberto per la dedica di una cappella alla dea pro salute del suo patrono L. Anniolenus Albanus presso Pont du Fahs. 295 Un’iscrizione funeraria da Nechmeya 296 è dedicata al piccolo Phosphorus il cui nome, che tradisce un’origine africana, potrebbe avere anche connotazioni religiose, 297 a maggior ragione se si accetta che il dedicante (il padre ?) che si chiama Collegius Caelestinus, fosse un affrancato del collegium Caelestis. L’unico individuo di accertata condizione servile è Primigenius che, secondo la ricostruzione degli editori, sarebbe un servus del liberto imperiale Ponticus. 298 Si ipotizza che quest’ultimo fosse procurator marmorum Numidicorum e che l’attività di Primigenius fosse legata alle cave di marmo di Simitthus. 299 Abbiamo testimonianza di dediche a Caelestis anche da parte di comunità : 300 il pagus Thac[ensium] dedica per ordine dei decurioni un arco alla dea. 301 Il pagus Veneriensis in un’iscrizione ricorda un sacrificio diversificato per un certo numero di divinità 302 fra cui Caelestis. 303 Un’altra dedica a Caelestis è invece effettuata dalla ciuitas Suct---. 304 Per decreto decurionum esegue la dedica alla dea la res publica di Lambaesis. 305 Ancora una dedica proviene dalla res publica Tidditanorum. 306 A Thala sono i cuncti seniores a dedicare. 307 Questa panoramica sulle iscrizioni e sulle informazioni che è possibile ricavarne su origine e livello sociale dei dedicanti mostra una realtà variamente articolata che non permette deduzioni generali di qualche rilevanza. Lasciando da parte l’iscrizione di Lambaesis, che menziona un alto personaggio come Claudius Gallus e che costituisce un’eccezione, i cittadini liberi menzionati nelle altre epigrafi tradiscono quasi tutti l’origine africana propria o quella dei loro congiunti. Diverso è il caso dei liberti, imperiali o meno, che possono provenire anche da altri luoghi. Alcune iscrizioni, per il dedicante (proprietario o usufruttuario di un fundus o amministratore o semplice lavoratore) o per i luoghi in cui sono state ritrovate (centri rurali), possono essere ricondotte alla sfera dei bisogni concernenti la prosperità e alla fertilità dei campi. Altre dediche invece, in particolare quelle che definirei “cittadine”, rivelano interessi più specificamente legati alla sfera politica, al prestigio sociale e alla protezione della città e dei suoi abitanti. Nonostante la tendenza attuale a voler ricondurre il culto a un ambiente socio-economico medio-alto, bisogna rimarcare la presenza di un cospicuo nu-

mero di cittadini con un solo nome e dalle indubbie radici locali. Si tratta sicuramente di gente molto modesta che, associandosi in alcuni casi in piccoli gruppi, esegue delle dediche alla dea. Le informazioni sono molto più labili quando dall’Africa passiamo ad altre parti dell’Impero. Per quanto riguarda Roma e il resto dell’Italia, tra i dedicanti non compare alcun personaggio che ricopra cariche pubbliche. A Roma le dediche sembrano essere fatte in prevalenza da liberti. Alcuni di essi rivelano senza dubbio un’origine straniera, come nei casi di T. Annius Hedypnus 308 e di Caius Varius Achilleus 309 che fa una dedica funeraria per il fratello sacerdote della dea. 310 Provenienza o ascendenze africane possono essere attribuite a Aurelius Onesimus 311 e Marcus Antonius Onesimus. 312 Iovinus, infine, è forse uno schiavo. Dai nomi degli altri dedicanti, a volte anche a causa dei danneggiamenti delle iscrizioni, non si possono invece ricavare informazioni sul rispettivo status sociale, è questo il caso di Falcidius H--- 313 e di Caecilius Pra---us con suo figlio Caecilius P---cus. 314 Di Vincentius 315 si sa che è un nome molto frequente in contesti cristiani. 316 Quintus Gargilius Iulianus, figlio di Quintus, era invece un soldato nato a Cartagine e sepolto a Portus. 317 Nessuna informazione, infine, possediamo sulla coppia di Mediolanum, Caius Aurelius Secundus e Valeria Atiliana, che eseguono una dedica a Pantheus su ordine di Diana Caelestis. 318 Nella penisola iberica troviamo una situazione simile. García y Bellido aveva sottolineato come qui i fedeli portassero quasi tutti i tria nomina rivelando una condizione sociale agiata ed escludeva la presenza di schiavi, plebei e affrancati. 319 In realtà in Spagna è attestata la presenza di devoti della dea africana appartenenti a quest’ultima categoria anche se, in ogni caso, la loro condizione economica era certamente buona se non addirittura ottima, come doveva essere ad esempio nel caso di Saturninus, forse di origine africana, liberto imperiale che esegue una dedica a Lucus Augusti. 320 Più difficile da analizzare si rivela un’iscrizione proveniente dal medesimo centro i cui dedicanti sono dei Paterni e Constantii. 321 Il secondo nome, per Leglay, è un signum e non un secondo gentilizio, 322 mentre Colmenero ritiene che l’iscrizione provenga da una famiglia di liberti che ha preso i suoi nomina dall’antico padrone Paternus Costantius o dai suoi antichi padroni Paternus e Constantius. 323 A Tarraco 324 Gaius Avidius Vitalis fa un’iscrizione funebre per il padre sacerdote di Caelestis, si tratta molto

294  B A4. 16. 295  B A1. 34. Secondo Cadotte 2007 n. 301, l’epigrafe sarebbe da collocare a Sicca ma il CIL la situa a Pont du Fahs e l’Epigraphik Datenbank Hiedelberg (HD033147) a Bou Arada, non lontano da Pont du Fahs. 296  B A1. 68. 297  Sull’origine africana di questo nome vedi supra n. 233. Per i risvolti mistici del nome cf. paragrafo seguente. 298  B A1. 63. 299  L’attività dei liberti nelle cave di marmo di Simitthus è testimoniata da quelli di M. Vipsanius Agrippa presso l’officina Agrippae a Simitthus, cf. 300  Cf. Bullo 1994, pp. 1597-1598. Leglay 1990a, p. 628. 301  B A1. 51. 303  B A1. 67. 302  Cf. sulle tariffe sacrificali n. 1067. 305  B A4. 25. 304  B A1. 40. 306  B A4. 13. Sulla datazione dell’iscrizione che si colloca dopo lo sciogli-

mento della confederazione cirtiana, cf. Gascou 1982, pp. 177-178 ; Gascou 1982a, pp. 262-266 ; Bullo 1994, p. 1598. 307  B A2. 1. 308  B R 1. Sul nome cf. Solin 2003, p. 1367. 309  Il nome è di origine greca come quello del fratello, cf. Solin 2003, 310  B R 7. 311  B R 2. pp. 504-506. 312  B R 12. Sul nome cf. Thompson 1969, p. 150. 314  B R 11. 315  B R 5. 313  B R 3. 317  B I 2. 318  B I 13. 316  Cf. n. 1033. 319  García y Bellido 1967, p. 141. 320  B H 4. È in atto un’ampia discussione sulle origini di questo liberto 321  B H 3. su cui si veda da ultimo Colmenero 1998. 322  Leglay 1958, p. 151. 323  Colmenero 1998, p. 1203. 324  B H 1.







































































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probabilmente un africano. A Emerita Augusta 325 è menzionato M. Aurelius Fil--. A causa dello spazio sull’epigrafe le uniche possibilità di restituzione sono Feles o Felix, 326 nel secondo caso è probabile un’origine africana, anche se il personaggio proviene da Roma. Passando a Italica la situazione si fa più complessa, poiché alcune iscrizioni in passato ascritte al culto della dea africana appaiono oggi di attribuzione non del tutto sicura. L’unica che fa certamente riferimento a Caelestis è quella eseguita da Caius Servilius Africanus e dai suoi figli, in cui l’origine del dedicante è evidente. 327 In un’altra epigrafe il nomen del dedicante è totalmente congetturale. 328 Si tratta di P. B(adius ?) Fortunatus, sacerdos Coloniae Aeliae Augustae Italicensium. La divinità è invocata come domina regina e non possiamo essere certi che si tratti di Caelestis, così come è congetturale il riferimento alla dea nella dedica fatta da Lucanus Fidelis (Fedeles). 329 È ugualmente un’ipotesi che nella dedica di Ebusos Iuno Regina sia da identificarsi con Caelestis. 330 Se tale interpretazione venisse accettata, allora dovremmo annoverare tra i fedeli della dea africana L. Oculatio Recto, sua moglie Aemilia Restituta e il figlio, omonimo del padre, L. Oculatio Recto il quale, come apprendiamo da un’altra iscrizione, 331 era un personaggio preminente della società locale, avendo infatti rivestito le importanti cariche di aedilis, duumvir e flamen. Per quanto riguarda la Britannia, a Magnae una dedica alla dea è opera di Marcus Caecilius Donatianus militans tribunus in praefecto, di probabile origine africana, 332 così come africano potrebbe essere Aurelius Martialis che, sempre a Magnae, esegue una dedica per la Regina Caelestis. 333 Infine da Corstopitum proviene un’iscrizione il cui dedicante, Gaius Iulius Apolinaris, è un centurione della Legio VI Victrix, in cui si menziona Brigantia Caelestis, ma è dubbio se vi sia qui un riferimento effettivo alla dea africana. 334 Nel caso della Britannia non è lecito parlare di un culto della dea, quanto piuttosto di tracce di devozioni personali legate soprattutto all’ambiente militare e a un’origine o comunque un rapporto con la terra africana. Lo stesso discorso vale per la Germania, dove è attestata a Mogontiacum una dedica da parte di un ufficiale della Legio XXII Primigenia. Un po’ più articolata è la situazione in Dacia, dove tre dediche, la prima da Apulum le altre due da Sarmizegetusa, provengono dagli ambienti di corte : si tratta infatti di due schiavi di palazzo, Marcianus (Caes. n. verna), librarius 335 e Liberalis (Aug. nostri verna), adiutor tabularii 336 e di uno schiavo imperiale Nemesianus, (Caes. nostri servus) librarius. 337 Dal mondo militare proviene invece l’iscrizione di Apulum 338 fatta da Olus Terentius Pudens Uttedianus, legato della Legio XIII Gemina e governatore della Retia, di probabile origine africana. 339 Forse alla dea africana identificata con la Dea Syria dedica un’iscrizione ad Apulum

Nel paragrafo relativo al personale del culto si è fatta menzione dei sacrati che, dalle fonti epigrafiche, risultano essere una particolare classe di devoti. Come si ricorderà, dalla testimonianza di Agostino si apprende che a essi era riservato un insieme di insegnamenti dottrinali, impartiti in condizioni di riservatezza. 344 Altre fonti, che fra breve esaminerò, fanno allusione a initiati che potrebbero, forse, identificarsi con questi sacrati. La presenza di questi termini, insieme a quello di canistrarii, potrebbe far pensare di trovarsi davanti a un culto di tipo “misterico”. È un problema che si è riproposto più volte nella storia degli studi anche per altri culti, come i cc.dd. “culti orientali” di epoca imperiale, ed è stato originato, in molti casi, dall’ambiguità delle fonti. In esse infatti si trova frequentemente utilizzata una terminologia che apparentemente rimanda a cerimonie misteriche, in particolare a quelle eleusine, ma che in realtà, a partire dall’epoca ellenistica, viene applicata a fenomeni religiosi di vario tipo, compreso il Cristianesimo. Tutto questo ha fatto così nascere l’idea, in qualche caso fondata, ma in molti altri errata, che si abbia a che fare con “culti di mistero”, esoterici e riservati a un numero ristretto di persone legate tra loro da un “segreto iniziatico”. In particolare Cordischi, rifacendosi alla distinzione tipologica proposta da U. Bianchi, tra culti a carattere c.d. “mistico”, “misterico” e “misteriosofico”, ha ipotizzato che il culto di Caelestis, privo di una vera e propria iniziazione, andasse considerato un culto di tipo “mistico”, caratterizzato cioè – secondo la teoria di Bianchi – da una qualche forma di credenza in una sopravvivenza dell’anima post mortem in un contesto astrale. 345 Questo tipo di categorizzazione, a prescindere della sua applicabilità in altri contesti, si rivela senz’altro inadeguato e insufficiente per comprendere il culto di Caelestis. Infatti se da una parte, come vedremo subito, possiamo con un buon margine di probabilità ipotizzare l’esistenza di un’iniziazione, almeno per una parte di devoti, anche se nessun aspetto esoterico connota il culto in senso “misterico”, non possiamo parlare di credenze in un’esistenza side-

325  B H 8. 326  Marín Ceballos 1993, p. 841. 328  B H 7. 329  B H 6. 327  B H 5. 331  CIL II 3662. 332  B B 3. 330  B H 9. 334  B B 1. 335  B D 3. 333  B B 4. 337  B D 5. 338  B D 4. 336  B D 6. Sulla presenza di Africani in Dacia, soprat339  Lepelley 2001, p. 41 n. 9. �������������������������������������������� tutto nell’ambito militare, cf. Ba¬ r bulescu 1994, pp. 1323-1324. 340  B D 2. Il nome è di origine semitica, cf. Berciu – Popa 1964, pp. 477-478, Sanie 1981, pp. 211.

341  Sul problema cf. Sanie 1981, pp. 44-45. 342  B D 9. 344  A 4. 343  B P 1. 345  « In realtà, forse, più che di una iniziazione, propria di una religione “misterica”, nel culto di Caelestis sembra si debba parlare di una dimensione “mistica”, in relazione, assai probabilmente, con l’idea di sopravvivenza nell’aldilà », Cordischi 1989-1990, p. 337 n. 63, cf. anche Cordischi 1990, p. 181. Sulla distinzione bianchiana si veda almeno Bianchi 1982 e la discussione finale che registra una sostanziale opposizione alla sua teoria in Bianchi 1982a.







Flavius Barhadadi, 340 sacerdos Iouis Dolicheni, il quale era in qualche maniera legato alla Legio XIII Gemina, anche se non possiamo considerarlo una sorta di “cappellano militare”. 341 Un personaggio di alto rango Q. Caecilus Rufinus Crepereianus co(n)s(ul), leg(atus) Augg(ustorum) pr(o) pr(aetore) fa una dedica a Iuno Caelestis ad Aquincum, 342 in Pannonia. Ancora a un ambiente militare va ricondotta la dedica sempre dalla Pannonia eseguita da Marcus Aurelius Alexander beneficiarus consularis della Legio X Gemina, per il quale si è supposta un’origine africana. 343  









9. 3. Misteri di Caelestis?



































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rale dell’anima dopo la morte. 346 Il riferimento al mondo astrale risulta infatti essere un tratto qualificante della dea in stretta relazione tanto con la sua antecedente,Tinnit, che con il suo paredro, Saturnus (e prima ancora Baal Hammon), frequentemente caratterizzati da un simbolismo celeste. Può darsi che a un certo momento della storia del culto della dea africana i simboli astrali abbiano potuto alludere anche al soggiorno celeste delle anime, ma questa interpretazione, eventualmente secondaria, non può essere attestata con certezza. Inoltre, nonostante il riferimento alla tipologizzazione bianchiana, non è chiaro cosa Cordischi intenda per culto “mistico” che, secondo Bianchi, implicherebbe un’interferenza tra livello divino e umano che non si riscontra in nessuna testimonianza su Caelestis. 347 Propongo perciò di abbandonare l’ipotesi di Cordischi e di passare a esaminare più approfonditamente le fonti disponibili. È opportuno, per maggiore chiarezza, riportare in anticipo le testimonianze e procedere successivamente a una disamina delle stesse : si vedrà come, in base a certe denominazioni date agli operatori del culto, può essere giustificato il sospetto di trovarci alla presenza di rituali a carattere iniziatico anche se non inquadrati in un culto misterico nel senso pieno del termine. Si aggiunga che, anche nel caso del contemporaneo e parallelo del culto di Saturnus, l’analisi di Leglay ha mostrato come non si possa parlare di misteri in senso proprio. 348 Ecco dunque, a partire dai dati epigrafici, la documentazione che ci interessa. Innanzitutto si deve menzionare un’iscrizione rinvenuta ad El-Djem (antica Thysdrus) in Tunisia, 349 in cui è attestato che la piccola defunta ha ricevuto un’iniziazione prima del compimento dell’ottavo anno d’età. A chi sia stata iniziata, però, non è detto, anche se qualche indizio indurrebbe a pensare che fosse stata consacrata alla dea Caelestis. 350 Più complessi sono i problemi che presenta un’altra iscrizione, rinvenuta nei pressi di Nechmeya (Costantina), su cui ha richiamato l’attenzione Leschi. 351 Si tratta di un’iscrizione sepolcrale dedicata a un ragazzo di nove anni molto probabilmente dal padre. Ciò che fa nascere il sospetto di trovarci in presenza di un fanciullo iniziato è innanzitutto il suo nome : Phosphorus (analogo a Lucifer), un soprannome che sembra possa essere messo in connessione con la dea Caelestis. 352 Venendo al dedicante, Leschi fa notare come Collegius

Caelestinus ricordi il [Col]legius Fabricius di un’iscrizione di Lambaesis : 353 in entrambi i casi il secondo elemento rivela l’appartenenza ad una cerchia, di fabbri nel caso di Lambaesis, ad un collegium di Caelestis nel caso di Nechmeya. 354 Queste due iscrizioni non sono certo di univoca interpretazione e si collegano al culto di Caelestis solo congetturalmente, ma trovano un importante riscontro letterario nella testimonianza di Salviano che scrive a proposito di Caelestis : Quis ergo illi idolo non initiatus ? Quis non a stirpe ipsa forsitan ac natiuitate uotus ?, confermando l’iniziazione di individui fin dalla tenera età e per tradizione familiare. 355 In generale gli studiosi sono stati concordi nel riconoscere nel culto della dea africana la presenza di un rituale di iniziazione. Già Frère, a proposito dei sacrati, aveva affermato che essi sembravano appartenere a culti comportanti in qualche modo un’iniziazione. 356 Il termine sacratus, secondo lo studioso, doveva considerarsi un equivalente del termine greco “ierofante” anche se, nel caso dei sacrati Caelestis, Agostino faceva riferimento a sacerdoti piuttosto che a ierofanti stricto sensu. Picard riteneva « (…) certain qu’il existait des initiés de Caelestis » 357 e anche per Pavis D’Escurac il culto di Caelestis era senz’altro un culto a carattere iniziatico. 358 Ancora da ricordare la posizione di García y Bellido per cui i sacrati appartenevano a una categoria diversa da quella del semplice fedele, 359 e quella di Halsberghe, che li legava a un particolare regime di vita e a una probabile iniziazione. 360 In alcune rappresentazioni iconografiche di devoti del culto di Saturnus e Caelestis Leglay ha creduto di riconoscere dei contrassegni di iniziazione. 361 Una stele da Timgad presenta una coppia di fedeli abbracciati, la donna è incinta e l’uomo tiene la mano sul ventre della sposa. Il personaggio maschile porta al collo un pendente in forma di disco e quello femminile un’acconciatura caratterizzata da una treccia che termina sulla fronte con una mezzaluna. Il disco e il crescente potrebbero essere, secondo Leglay, dei segni di iniziazione 362 e, in un bassorilievo di Tebessa, sarebbero gli stessi Saturnus e Caelestis a indossare i rispettivi contrassegni. 363 Se ognuna di queste testimonianze, presa singolarmente, non ci offre dati circostanziati su un’eventuale iniziazione nel culto di Caelestis, il loro insieme induce a po-

346  Anche i due pavoni rappresentati sul frontoncino del Museo Alaoui non possono, per stessa ammissione di Cordischi (1989-1990, p. 338 n. 67), essere considerati prova certa di credenze nell’immortalità. 347  La dimensione mistica sarebbe riscontrabile, secondo Cordischi 1990, p. 181, nel rito del taurobolio che, come aveva già a suo tempo asserito Pavis D’Escurac, non ha niente a che fare con il culto della dea Caelestis. 348  Leglay 1966a, pp. 361-366. L’autore conclude la sua analisi mostrando come, nel culto di Saturnus, non siano presenti i tratti tipici del culto misterico, ma che si sia trattato di una sorta di “misteri liturgici”, cioè di riti caratterizzati solo in parte da segretezza esoterica. C’è da aggiungere che la documentazione epigrafica e letteraria attinente al culto di Saturnus non menziona né sacrati, né initiati : l’autore ne inferisce l’esistenza dal parallelo culto di Caelestis. 349  Diis Manibus Caluentiae Maiorinae, uixit an(nnos) VIII, | initiata. Ita tibi contingat hunc templum prop(itium) | et quea cupis, ut tu ossa mea non uioles. Pubblicata da A. Merlin (Bull. des Antiquaires de France, 1938, p. 130). Formule simili, ma senza il termine initiatus, si ritrovano in altre epigrafi di El-Djem : cf. AE 1937, pp. 41-43. 350  Il sito, la mancanza di attestazioni analoghe per Saturnus e la scarsa

frequenza nella zona di tracce di altri culti hanno condotto a questa conclusione, cf. Cumont 1942, p. 283, n. 3. 351  B A1. 68. Leschi 1957, p. 108. 352  Cf. Desanges 1989, p. 289, n. 32. 353  CIL VIII 3544 (ILS 7257). 354  Cf. Halsberghe 1984, p. 2217 a proposito della sacerdotessa Porcia Veneria che egli ritiene un’ex-schiava del tempio di Venus a Sicca : « On se rappellera que les esclaves libérés des villes ou des collèges recevaient un nomen gentilicium dérivé du nom de la ville ou du métier des membres du collège. C’est de là que provint un usage semblable pour dénommer les libérés qui étaient auparavant attachés à un temple comme esclaves ». 355  A 26. Cordischi liquida sbrigativamente la testimonianza definendola tarda e generica, Cordischi 1989-1990, p. 338, n. 63. 357  Picard 1954, p. 136. 356  Frère 1907, p. 34. 358  Pavis D’Escurac 1975-1976, p. 230. 359  García y Bellido 1957, p. 21 ss. 360  Halsberghe 1984, pp. 2218-2219. 361  Leglay 1966a, pp. 391-392. 362  MSA II, pp. 147-148, 42 e p. 159, 111, per altri riferimenti iconografici 363  MSA I, p. 346, 32. cf. Leglay 1966a, p. 391, n. 6.































































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Nel suo libro Sulle diverse eresie, Filastrio parla di una setta eretica giudaica che adora una divinità detta Regina, chiamata anche Fortuna del Cielo, che in Africa risponde al nome di Caelestis e a cui offre anche dei sacrifici. Filastrio mette poi in rapporto questa setta con i passi di Geremia relativi alla “Regina del Cielo”. 364 Il passo in questione non è certo in sé molto eloquente, ci sono tuttavia una serie di spunti interessanti che devono essere presi in considerazione. Innanzitutto l’identificazione Regina/Fortuna del Cielo/Caelestis. Anche se il punto di riferimento di Filastrio è Geremia e quindi un contesto vicino-orientale, i nomi di Fortuna del Cielo e di Caelestis si pongono decisamente sul versante africano. Un’iscrizione neopunica da Mactar menziona probabilmente una “Fortuna del Cielo”, gd hšmm che si è proposto di identificare con la Fortuna Caelestis di un’iscrizione latina di Cirta. 365 I rapporti tra la dea africana e la Fortuna, intesa nel senso di Tyche, sono assai stretti e prima di essi sono da sottolineare quelli tra gad e Tinnit. Possiamo quindi pensare che Filastrio davanti all’epiteto di Regina e alla menzione del cielo, abbia concentrato la sua attenzione sui passi di Geremia che gli offrivano un riferimento alla “Regina del Cielo”, ma d’altra parte non va dimenticato che, proprio in Africa, esistevano, nel IV-V sec. d.C., comunità giudaiche 366 e, forse, come si vedrà subito, di giudeo-cristiani. La setta menzionata dovrebbe quindi, con ogni probabilità, collocarsi in ambito africano. In una lettera datata al 386/387 d.C. Agostino parla della sua visita alla comunità cristiana di Thubursicu Numidarum. 367 Nel corso della visita, eseguita con l’intento di riappacificare le diverse fazioni che sconvolgono la comunità con i loro attriti, Agostino manda un messaggio al maior dei Caelicolae il quale, secondo quanto egli stesso ha sentito dire, avrebbe praticato una nuova forma di battesimo. 368 Il Codice Teodosiano menziona due volte una setta dei

Caelicolae che, presumibilmente, dovrebbe coincidere con quella di cui parla Agostino. 369 Si tratta con ogni probabilità di una setta giudeo-cristiana, cioè di convertiti a Cristo ma ancora legati alla Legge (Torah). Nel primo passo (407408 d.C.) si parla di essi come di innovatori in materia di dogmi e si decreta la confisca dei loro edifici sacri. Nella seconda menzione (409 d.C.) essi sono accomunati ai Giudei e ai Samaritani. Non sono chiare le ragioni per le quali vengano menzionati insieme a questi ultimi, di essi si dice che se non riprenderanno entro un anno l’adorazione di Dio e il culto cristiano saranno tacciati di eresia. Sembrerebbe che essi abbiano in qualche maniera “giudaizzato” il culto cristiano o lo abbiano rinnegato dopo essere stati convertiti. In realtà, non si può dire se essi fossero più vicini al versante cristiano o a quello giudaico, dal momento che il primo dei passi li menziona accanto a Donatisti, Manichei e Priscillanisti e lo stesso Agostino ne parla nell’ambito della controversia donatista che sconvolse l’Africa cristiana dei suoi tempi. Alla luce di queste poche notizie si può ipotizzare un legame tra i Caelicolae e la setta eretica menzionata da Filastrio : ci sarebbe in comune l’ambiente “eretico” giudaico(cristiano ?) e, indubbiamente, ben si attaglierebbe agli adoratori di una dea del Cielo/Caelestis il nome di Caelicolae. Del resto “situazioni di frontiera” in cui i neonati Cristiani faticavano a distaccarsi completamente dal loro più antico retaggio religioso sono ben attestate, e proprio in merito a Caelestis, sia dallo stesso Agostino 370 che da Salviano. 371 Questo excursus sui luoghi e le forme di culto relative alla dea Caelestis non può non far riflettere sulla liceità di presentare il culto di questa divinità come un sistema omogeneamente diffuso. In esso si trovano a convivere, infatti, forme di devozione assai diverse tra loro, sia per quanto riguarda gli edifici sacri che per quel che concerne le organizzazioni sacerdotali. L’evidenza delle fonti ha poi rilevato che i fedeli occupano una grande varietà di posizioni nella scala sociale e ciò rende non percorribili le piste di quanti hanno voluto stabilire un legame preferenziale tra la dea e un particolare gruppo sociale. Fuori dall’Africa il culto sembra essere appannaggio soprattutto – ma non esclusivamente – di individui legati per origine o permanenza all’Africa. Il processo reinterpretativo a cui è sottoposta Caelestis nel corso della sua storia, infine, rivela la grande capacità di adattamento di questa figura divina che si rinnova pur mantenendosi nel solco di una tradizione che non viene mai meno. È così possibile che, in epoca di pieno trionfo del Cristianesimo, da una parte continuino a manifestarsi antiche forme di devozione, dall’altra sorgano nuove elaborazioni del culto di cui sembra rimanere traccia persino nelle speculazioni di alcune sette giudaiche e giudaicocristiane.

364  A 24. 365  KAI II, 147, 2 in cui è proposto il paragone con la dedica latina di Cirta ; cf. Jongeling 1984, p. 51, Lipin´s ki 1995, p. 64. Tuttavia di recente Jongeling (Jongeling 2008, p. 124), ha ripubblicato l’iscrizione proponendo di leggere l’espressione “Fortune of the Days”, gd hymm, il che eliminerebbe ogni riferimento uranico.

366  Cf. Monceaux 1902 ; Juster 1914, sui Caelicolae p. 175 n. 3 e p. 177 nn. 1-2. 368  Sui Caelicolae cf. Torhoudt 1954. 367  A 8. 369  A 10-11. Sul libro XVI del Codex in cui sono nominati i Caelicolae cf. De Giovanni 1985, in particolare pp. 97 e 109 e Magnou-Nortier 2002, spe370  A 5-7. 371  A 26. cialmente pp. 254-255 ; 342-345.

stularne l’esistenza con ampia probabilità. Nessun indizio consistente induce invece a ipotizzare l’esistenza di un culto misterico avente come protagonista la dea africana. “Consacrazione” e “iniziazione” non implicano, infatti, necessariamente la partecipazione a rituali di tipo “misterico”, ma rimandano piuttosto a un legame privilegiato tra individuo e divinità il quale poteva, nel caso dei sacrati, spingersi sino a una regola di vita speciale di cui, però, non sappiamo assolutamente nulla. Per quanto riguarda poi le preoccupazioni dei fedeli per la vita oltremondana è lecito supporre che, in analogia con altri culti coevi, una qualche forma di credenza in questo senso si sia sviluppata, ma non possediamo alcun dato certo che ci permetta di approfondire l’analisi in tal senso. 9. 4. Caelestis e gli ‘eretici’



























10. LA PERSONALITÀ DI CAELESTIS no dei problemi fondamentali per la comprensione della personalità di Caelestis è costituito dalla compresenza e, quindi, della necessità di un complesso approccio interpretativo, – nelle fonti letterarie e in quelle epigrafiche – da una parte di un certo numero di epiteti, dall’altra dell’accostamento della dea ad altre divinità. Questa situazione è riscontrabile anche nell’iconografia, dove le rappresentazioni della dea sono molteplici e non è sempre facile capire se si tratti di Caelestis o di altre dee che condividono con la stessa attributi e simboli. Nella storia degli studi si è parlato di questo problema facendo riferimento a termini generici quali sincretismo, identificazione, associazione, quasi considerandoli sinonimi tra loro e invocando una generica “temperie culturale” di sfondo. Spesso gli aggettivi e i nomi attribuiti alla dea sono stati semplicemente elencati senza dare il dovuto risalto ai contesti spaziali e culturali nei quali compaiono. 1 In questo capitolo mi propongo di esaminare i differenti epiteti attribuiti alla dea e le varie divinità con le quali Caelestis si trova in rapporto cercando, nei limiti del possibile, di contestualizzare le fonti e ricostruire così il sottofondo ideologico che si nasconde dietro scelte che non sono certo né casuali né irrazionali. Prima di addentrarmi in questa analisi ritengo però necessario fare qualche precisazione di ordine teorico in merito all’uso dei nomi e degli epiteti divini nelle religioni del Mediterraneo antico. Ciò è necessario in quanto permette di meglio comprendere il ruolo che essi giocavano nella caratterizzazione di un determinato essere divino. A tale riguardo, si ricorderà che B. Gladigow da diversi anni, nell’ambito della sua più vasta ricerca sul politeismo, ha indagato su questo problema, con risultati di estremo interesse di cui si cercherà di dare conto qui di seguito. 2 Nel processo di sviluppo delle culture politeistiche verso il concetto di divinità legata a una specifica “zona”, evidente nella sua stessa denominazione (fiume, montagna, etc.), si affianca e poi si sostituisce quello di “grande” divinità il cui ampliamento del raggio operativo è testimoniato anche dal conferimento di un nome proprio che non può essere immediatamente connesso né a specifiche funzioni né a particolari luoghi geografici. Ma a questa “genericità” fa da contrappeso una serie di opzioni volte a garantire, di volta in volta e secondo le esigenze dei devoti, nella vastità di azione del personaggio divino, interventi specialistici o ad ampliarne le prerogative. L’assunzione di più nomi di divini o di epiteti rientra tra queste opzioni. 3 Il nome di una divinità locale può, ad esempio, entrare a far parte dei nomi “secondari” di una “grande” divinità. In questo modo si conferisce alla divinità locale la forza e l’operatività della divinità maggiore, e quest’ultima, attra-

verso la specializzazione locale, appare in una dimensione più vicina e quindi più “gestibile” da parte dei suoi devoti. Al di fuori delle speculazioni teologiche degli intellettuali, « (…) waren die einfachen Formen einer Theokrasie des hellenist. Synkretismus (…) für den ‘einfachen Mann auf der Strasse’ nicht von älteren kultischen Konvergenzen zu unterscheiden ». 4 È importante distinguere questi livelli, altrimenti si corre il rischio di considerare generali e diffuse interpretazioni sul mondo divino che appartenevano invece a una ristretta élite, come conferma il fatto che esse emergono solo dalle fonti letterarie e non da quelle epigrafiche. L’invocazione della divinità attraverso più nomi aumenta dunque le probabilità di chiamarla nel modo in un certo momento più appropriato ed estende il suo raggio di influenza nei campi di azione delle altre divinità invocate. D’altra parte, l’accostamento di diverse divinità appare, soprattutto nelle speculazioni filosofico-religiose di epoca tardo-antica, non solo come un’enumerazione dei possibili nomi con cui chiamare un personaggio divino, ma anche come il risolversi di diverse entità divine in un unico essere, come ad esempio avviene nel c.d. monoteismo solare. 5 Per quanto riguarda invece gli epiteti, una chiave di lettura di grande interesse individuata da Gladigow è quella dell’ “orientamento”, 6 vale a dire l’insieme di strumenti attraverso i quali in una religione politeistica era possibile agli interessati praticare “correttamente” la “propria” religione. In altre parole, lo studioso cerca di individuare i punti di riferimento, in assenza di una codificazione prestabilita, che consentivano agli uomini di operare una “scelta” tra le diverse divinità senza paura di “sbagliare indirizzo”. Tra le varie possibilità uno strumento di orientamento efficace era quello degli epiteti che rappresentavano concretamente funzioni e qualità dei diversi dèi. Gli epiteti di culto assolvono quindi nel politeismo ad una funzione importantissima, in quanto servono a definire specifici rapporti tra uomini ed esseri divini : « Gegen die Autonomie u. potentielle Irrationalität der grossen Götter konstituiert das System der Epitheta eine Einbindung der Götter in sozialrelevante Schemata ». 7 Gli epiteti entrano allora a pieno titolo nel rapporto tra uomini e divinità, non su un piano speculativo ma nel concreto del culto ; la somma degli epiteti di un dio può « (…) gerade nicht identisch mit der Summe seiner Eigenschaften im Rahmen theologischer Spekulationen sein ». 8 In questo modo la comunicazione tra uomini e dèi si precisa e gli epiteti, trasparenti nel significato a differenza dei nomi propri divini, rassicurano gli individui su un intervento puntuale e concentrato delle grandi divinità, dotate di un potere smisurato e altrimenti ingestibile. 9

1  Cf. cap. 2. 2  Cf. Gladigow 1981, 1983, 1990 e più recentemente 2003. 3  Cf. in particolare Gladigow 1981. 4  Gladigow 1981, col. 1224. 5  Cf. Gladigow 1981, coll. 1221-1222.

6  Cf. soprattutto in Gladigow 1990. 8  Ibidem. 7  Gladigow 1981, col. 1226. 9  « Die prinzipielle Mobilität u. Handlungsfreiheit der grossen Gottheiten ist eingeengt zugunsten einer lokalen oder funktionalen Segmentierung », ibidem, col. 1229.

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10. 1. Un problema di metodo







































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Gli epiteti sono comprensibili solo in rapporto alla divinità e agli altri epiteti, e stabiliscono delle relazioni particolari ad esempio con un particolare luogo, con il culto, con la società, etc. : « Distanz u. Autonomie, Individualität u. freie Mobilität der grossen persönlichen Götter können in einer neuen Weise mit dem Konkreten, Ortsgebundenen, Zeitbestimmten eine Verbindung eingehen ». 10 A livello iconografico la scelta di determinati attributi segue in principio le stesse regole, amplifica cioè le caratteristiche di una divinità, ma al tempo stesso ne specifica i campi di azione. 11 Una tale premessa, forse un po’ “didattica”, mi è parsa però necessaria, visto che lo studio delle relazioni tra Caelestis e altre divinità e l’interpretazione degli epiteti e, sul piano figurativo, degli attributi che la contraddistinguono, costituiscono due momenti fondamentali anche dell’indagine su questa divinità. Il primo problema nel quale ci imbattiamo è quello del nome proprio della dea : Caelestis è grammaticalmente un aggettivo, spesso usato come epiteto per differenti divinità. Nelle prime attestazioni di questo personaggio si parla piuttosto di “Iuno Caelestis”, ma in seguito l’epiteto è andato via via acquisendo spazio rispetto al nome divino addirittura finendo per sostituirsi a esso. 12 Non tutte le attestazioni ci testimoniano però il nome della dea accompagnato da eventuali attributi : in alcuni casi, accanto al nome “Caelestis”, compaiono altri nomi divini rendendo assai difficile stabilire se ci si trovi di fronte a fenomeni di associazione o identificazione tra Caelestis e altre dee, oppure se bisogna considerare Caelestis un epiteto. Il problema si ritrova nell’iconografia che utilizza spesso, per rappresentare la dea, immagini di altri personaggi divini o ne prende in prestito alcuni attributi. Le fonti letterarie poi, addentrandosi in complicate disquisizioni sull’equivalenza tra le figure divine o tentando comparazioni più o meno giustificate, aumentano l’impressione che la dea Caelestis fosse una sorta di camaleonte (Zelig !), dotato di una caratterizzazione molto generica e continuamente bisognoso di essere ridefinito attraverso la personalità di altre divinità. 13 Ai tentativi di definire la personalità di Caelestis come la “sommatoria” dei suoi diversi attributi o appellativi si contrappone quello di spiegarne i differenti aspetti attraverso una sua frammentazione. Solo così mi pare giustificabile il trattamento che le viene riservato nel LIMC. Nel lessico esistono due Caelestis che si concretizzano in due distinte voci, la prima è il sottolemma “Iuno Caelestis” inglobato nel lemma più vasto “Iuno”, la seconda invece è invece la singola voce “Virgo Caelestis”. La difficoltà di individuare

una “Virgo Caelestis” distinta dalla “Iuno Caelestis” traspare dal lavoro stesso dell’autrice della voce apparsa più tardi – la quale è un’ottima conoscitrice della dea – che cerca, non sempre riuscendoci, di evitare di menzionare la stessa iconografia.

10  Ibidem, col. 1236. 11  Ibidem, col. 1230. Nell’ambito dei contributi offerti dai vari studiosi riguardo alla complessità di queste figure divine cui concorrono anche gli epiteti sembrano particolarmente interessanti le osservazioni di Brelich negli studi sul politeismo su cui recentemente cf. Xella 2002. 12  La tesi di Cadotte (Cadotte 2007, p. 84) secondo cui quando è menzionata Iuno Caelestis si designerebbe Astarte e quando compare solo Caelestis il riferimento è a Tinnit è meccanicistica e puramente ipotetica, cf. cap. 3. 13  Sul linguaggio iconografico, le sue unità espressive vedi recentemente Uehlinger 2000. 14   Un’analisi degli epiteti di Caelestis e delle associazioni con altre divinità in Cadotte 2007, pp. 81-  111, senza particolari elementi di origi-

nalità rispetto agli studi precedenti. Nei casi in cui lo studioso presenti interpretazioni innovative o significativamente differenti dalla mia, esse saranno segnalate in nota. 16  B R 9. 17  B B 3. 15  B A7. 7. 18  B D 5. 19  Toutain 1943-1945 ; cf. anche Picard 1954, p. 109. 20  Cf. Gsell 1929, pp. 261-262 ; Halsberghe 1984, pp. 2204-2205 ; Bullo 1997, p. 170. 21  Anche Atargatis in un’iscrizione da Beroea in Macedonia è detta Parthenos, cf. Lightfoot 2003, pp. 538-539. 22  Significato attestato nella stessa lingua latina, cf. Hvidberg-Hansen 1979, p. 24 e n. 188.





















10. 2. Le testimonianze epigrafiche 10. 2. 1. Gli epiteti Dal momento che, come si è visto nel paragrafo precedente, gli epiteti costituiscono un elemento essenziale per la compilazione della “carta di identità” di una divinità, cioè della sua morfologia, sarà utile passarli in rassegna avendo cura di distinguere i luoghi e se, possibile, anche i tempi in cui appaiono. 14 Da questa analisi dovrebbe cominciare a delinearsi il carattere di Caelestis o, forse più correttamente, a evidenziarsi come si configurasse di volta in volta nei diversi luoghi e nei diversi tempi e, al limite per ogni singolo fedele, come un insieme peculiare di “offerta religiosa”, essendo i fedeli stessi a costellarne la personalità divina. Uno degli epiteti più interessanti per i problemi che solleva è quello di Virgo che, come vedremo in seguito, è presente anche nelle fonti letterarie, ma non è frequentissimo nelle iscrizioni. In Africa compare solo una volta, ad Albulae, 15 dove la divinità è detta Dea Magna Virgo Caelestis. Gli altri tre riferimenti provengono da Roma, 16 da Magnae, 17 in Britannia, e da Sarmizegetusa, 18 in Dacia. Per quanto riguarda l’iscrizione di Magnae, J. Toutain proponeva un’interpretazione in senso astrale che però non è facile da accettare. 19 La maggior parte degli studiosi ha rilevato la difficoltà di conciliare la verginità di Caelestis con le sue caratteristiche materne e con quelle ‘coniugali’ rispetto a Saturnus. 20 Il problema tuttavia perde molta della sua importanza se si tiene in considerazione che gli epiteti non sono finalizzati primariamente a stabilire semplicemente dei rapporti di parentela, ma sono elementi a pieno titolo di un codice mirante a plasmare un universo di relazioni, inoltre esplicitano le funzioni della divinità che, di volta in volta, appaiono importanti. Non ha senso cercare una coerenza a partire dal nostro punto di vista : i vari epiteti non costituiscono vari momenti o fasi della storia del personaggio, ma sono validi nelle differenti circostanze in cui vengono applicati. Lo stesso problema si riscontra, ad esempio, nell’analisi degli epiteti di Cybele, ora considerata fanciulla in fiore ora matrona, trattandosi di un’ambiguità ai nostri occhi, ma che gli antichi, evidentemente, non percepivano. 21 L’epiteto virgo va interpretato soprattutto in riferimento alla giovinezza. 22  

























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Il rapporto tra Saturnus e Caelestis non è da intendersi comunque esclusivamente in termini coniugali 23 e la chiave di lettura più soddisfacente va piuttosto ricercata nella relazione che lega i loro antecedenti punici, Baal Hammon e Tinnit : quest’ultima è pn bÔl, il “volto di Baal”, cioè quella parte che il divino rivolge verso il mondo degli uomini. In questo senso Tinnit è molto di più che la sua sposa, essendo espressione stessa della divinità e mediatrice dei suoi poteri. Se poi passiamo a verificare l’occorrenza dell’epiteto di Mater per Caelestis restiamo delusi poiché la dea non lo riceve mai, e gli studiosi sono infatti costretti a far riferimento alle due iscrizioni puniche in cui è Tinnit a essere così chiamata. 24 Non si può tuttavia negare che, nell’iconografia, le caratteristiche materne di Caelestis appaiano piuttosto pronunciate, mentre nelle iscrizioni la funzione materna è esplicitata dalla menzione, in luogo di Caelestis, della dea Nutrix. 25 In ogni caso il termine mater non deve necessariamente ricondurci a un ambito “familiare” in senso tradizionale : come quello di pater, 26 mater è un termine di rispetto e legato alla sfera della fecondità, senza che questo implichi necessariamente che alla divinità siano attribuiti dei figli. 27 Non è possibile presentare una lista dei luoghi in cui Caelestis porta l’epiteto di Augusta a causa della sua altissima frequenza. Nei primi secoli dell’Impero questo appellativo è infatti comunissimo e viene condiviso da divinità anche molto differenti tra loro. 28 D. Fishwick rintraccia la sua origine nell’uso romano di legare una divinità a una particolare famiglia, stabilendo così un rapporto privilegiato. Secondo un uso proprio dell’epiteto, quindi, quest’ultimo, comparendo nelle dediche, esprimerebbe la lealtà dei dedicanti nei confronti dell’imperatore e della famiglia imperiale. Il benessere dell’imperatore, d’altra parte, era garanzia del benessere di ogni membro dell’Impero. Come fa notare Fishwick, questo significato doveva probabilmente, nella quotidianità e nella convenzionalità delle iscrizioni, essere dimenticato e l’appellativo traduceva più semplicemente gli aggettivi “regale” o “imperiale” : « (…) the habit of making a god ‘Augustan’ must be viewed as little more than a mechanical process, a conventional gesture that flattered the emperor or expressed passive sympathy with the state and its policies ». 29 Nel caso di Caelestis l’epiteto serve certamente a conferirle eccellenza senza che però vada perduto il suo legame pregnante con l’imperatore, anzi le due interpretazioni si

completano a vicenda : i dedicanti esprimevano la devozione verso una grande dea e contemporaneamente ne riconoscevano il legame con l’Impero. Probabile traduzione del termine semitico rbt è Domina, con cui è invocata Caelestis a Ad Sava M., 30 a Cartagine, 31 a Thuburbo Maius 32 e a Roma. 33 In Spagna la dedica di Italica 34 menziona una Domina Regina ma non sappiamo se sia da identificare con Caelestis, 35 in quella di Italica il nome della dea è pura congettura, e resta quindi una sola attestazione che proviene da Elx. 36 In punico attributo costante di Tinnit è rbt, “la signora” che corrisponde appunto al latino domina e rientra negli epiteti divini semitici volti a esaltare le qualità “umane” ma eccelse della divinità, 37 in questo caso onnipotenza e sovranità assolute. 38 Altro epiteto da ricondurre senz’altro a una tradizione orientale è quello di Sancta che compare per Caelestis a Lepcis Magna 39 nella sua forma superlativa e a Sitifis ; 40 ad Auzia 41 sono poi nominati degli Dei Caelestes sanctissimi tra i quali potrebbe essere inclusa la dea. 42 Questo aggettivo è tipico nelle religioni semitiche (qdš) mentre il greco a[gio~ è raro e di solito si applica a divinità orientali. 43 Esso farebbe riferimento a una purità rituale e spirituale 44 ed esprimerebbe altresì l’« irriducibilità alla natura umana » 45 del dio. Forse a questa stessa dimensione di purezza va riferito l’epiteto Pia che compare per Caelestis una sola volta in Spagna, a Italica. 46 In una sola dedica, da Vicus Phosphori, 47 Caelestis è detta Aeterna, epiteto che sembrerebbe risalire, anch’esso al sostrato semitico della divinità. 48 L’espressione Redux et conservatrix domus suae è applicata alla dea in un’iscrizione di Auzia, 49 in cui il dedicante ringrazia Caelestis di aver riportato in patria i suoi genitori sani e salvi evidentemente dopo un lungo viaggio. Questa funzione della dea di protettrice nei viaggi trova un riscontro nell’epigrafe funeraria di Portus, 50 dove si ricorda che il defunto compì il lungo viaggio da Cartagine a Roma appunto sotto la guida di questa divinità. Anche S. Bullo 51 mette in relazione la dedica di Auzia con quella di Portus aggiungendovi le iscrizioni romane su cui sono rappresentate delle piante dei piedi, interpretandole nel senso di ex voto di itus e reditus. La presenza in una di queste dell’aggettivo triumphalis sarebbe infine da connettere all’ingresso di Caelestis a Roma al seguito di Scipione. La Bullo segue poi l’ipotesi di F. Coarelli sull’ubicazione del

23  Cf. MSA I, p. 216 n. 2 ripreso da Harlsberghe 1984, p. 2205. 24  CIS I, 195, 1-2 e 380, 4-5. 25  Su questo problema cf. in questo cap. il par. 2.2. 26  Su cui cf. Leglay 1966a, pp. 113-114 ; Gladigow 1981, pp. 1232-1233. 27  Alla luce di queste considerazioni non mi sembra accettabile la distinzione operata da Cadotte 2007, p. 89 secondo cui le caratteristiche materne devono far capo a Iuno e, conseguentemente, ad Astarte, mentre quelle virginali risalgono a Tinnit. 28  Su questo epiteto cf. Leglay 1966a, pp. 129-130 ; Fishwick 1978 e 19871991, II, 1, pp. 446-454 ; Fears 1981, pp. 886-889 ; Gladigow 1981, coll. 12341235 ; Hornum 1993, pp. 37-40 che presenta anche una sintesi sullo status 29  Fishwick 1987-1991, II, 1, p. 448. quaestionis. 31  B A1. 3. 32  B A1. 20. 30  B A6. 7. 34  B H 7. 33  B R 1. 35  E. Lipin´ski, menzionato in Marín Ceballos 1993, p. 831, ha messo in relazione la dedica con un’iscrizione neo-punica di Lepcis Magna (CIL VIII 7) in cui compare l’espressione lrbt lmlkt cioè “alla Signora Regina”,

quindi un esatto equivalente di Domina Regina e che sarebbe da riferirsi a 36  B H 10. 37  Ribichini 1990, p. 131. Iuno. 39  B A3. 4. 38  Leglay 1966, pp. 124-125. 41  B A7. 1. 40  B A6. 4. 42  Non si considera l’iscrizione di Aefula, Italia, che menziona la Bona Dea sanctissima caelestis, dal momento che caelestis è qui un epiteto della Bona Dea, vedi infra. 43  Cf. Williger 1922 ; Delehaye 1964 ; Leglay 1966a, pp. 125-126 ; 44  Leglay 1966, p. 127. Lipin´s ki 1995, pp. 419-420. 46  B H 5. 45  Ribichini 1990, p. 131. 47  B A4. 6. Cadotte propone di ascrivere al dossier della dea anche altre due dediche, una da Madauros (Cadotte 2007, n. 343 = ILAlg I, 2032) e l’altra da Calama (Cadotte 2007 n. 362 = CIL VIII 5375 = ILAlg I, 234), dove 48  Leglay 1966, p. 127. si menziona una dea aeterna. 50  B I 2. 49  B A7. 2. 51  Bullo 1994, p. 1616.





























































































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tempio della dea presso il Foro Olitorio, dove aveva inizio il percorso trionfale e da cui essa avrebbe preso l’epiteto. Dal momento che lì si trovava il tempio di Fortuna e che le dee avevano caratteristiche affini, Caelestis avrebbe mutuato l’epiteto redux da Fortuna e questo poi, attraverso i militari, sarebbe arrivato in Africa. 52 Una ricostruzione, questa, suggestiva, ma che si scontra con alcune obiezioni. La prima riguarda l’interpretazione dell’iconografia delle piante dei piedi. Gli studi più recenti hanno dimostrato che un’interpretazione esclusivamente in termini di itus e reditus non è sufficiente in quanto con tali rappresentazioni vengono simbolizzati diversi rapporti tra dedicante e divinità che vanno precisati di volta in volta. 53 La seconda riguarda l’ingresso della dea a Roma, che non sembra possa farsi risalire al trionfo di Scipione. 54 La terza, forse ancora più decisiva, riguarda il problema dell’ubicazione del tempio della dea : non ci sono prove che esso si trovasse presso il Foro Olitorio, le epigrafi lì trovate sono risultato di un reimpiego. A questo punto vacilla la connessione con il tempio di Fortuna. Ciò non significa che l’epiteto Redux non possa in ogni caso essere stato applicato a Caelestis per le sue affinità con la dea Fortuna ed essere arrivato in Africa portato dai militari. Ma una sola attestazione non sembra così perspicua. Va inoltre detto che il dedicante, menzionando i nomi dei suoi genitori e di sua moglie, ne rivela un’origine indubbiamente africana. Inoltre va aggiunto che tra le funzioni di Astarte c’era quella di proteggere contro i pericoli della navigazione : 55 il dedicante avrà così scelto un epiteto tipicamente romano per esprimere una qualità intrinsecamente propria di Caelestis. Il particolare patrocinio della divinità sulla famiglia evidente nell’espressione Conservatrix domus suae trova un parallelo in un’altra dedica da Auzia 56 dove il dedicante dona un tempio agli Dei Caelestes ob conservationem domus suae. Ritornando all’epiteto Triumphalis delle due dediche menzionate per Roma, 57 se ne può prendere in considerazione una sola, nell’altra infatti il nome della dea è del tutto congetturale. Come ha sottolineato L. Cordischi, questo aggettivo, che esalta il carattere trionfante della divinità, non è da mettere in rapporto con il triumphus. 58 Allo stesso carattere di eccellenza della divinità si collega l’attributo Invicta 59 teso a rafforzarne il carattere « triumphal et dominant ». 60 L’epiteto 61 compare anche a Cartagine 62 dove a essere invictus è il numen deae Caelestis. L’espressio 





ne Dea invicta Caelestis Nemesis in un’iscrizione di Emerita Augusta 63 pone qualche problema in quanto non è sicuro che qui caelestis non sia attributo di Nemesis. 64 Al Numen Caelestis fanno riferimento un’epigrafe da Rouchaed, 65 una da Carthago 66 e una da Apulum, in Dacia. 67 A Roma 68 la dea è detta Numen praesens e Praesentissimus numen loci montis Tarpei. Il Numen caelestis di Ostia, 69 invece, non va riferito alla dea Caelestis. Il concetto di Numen, nel mondo romano, è legato a oggetti, persone, animali differenti, indicando, in linea di massima, la “potenza” che a essi inerisce. 70 Quando è applicato a una divinità esso esprime la sua qualità più intrinseca, è la sua “proprietà funzionale”. 71 Proprio perché è legato in modo così stretto alla divinità esso può essere usato per indicare la divinità stessa. 72  















10. 2. 2. Le identificazioni e le associazioni

























52  Su questa interpretazione e i suoi limiti, cf. cap. 6.1. 54  Sul problema cf. cap. 9.1. 53  Dunbabin 1990. 56  B A7. 1. 55  Cf. ad es. Bonnet 1996, pp. 88 ; 148. 58  Cordischi 1990, p. 168. 57  B R 10-11. 59  B R 2 e 4. 60  Ben Abdallah – Ennabli 1998, p. 178. Sull’epiteto cf. Leglay 1966a, pp. 127-129. 61   Per Cadotte « Ce caractére trionphal de Caelestis est trés certainement le résultat d’une influence   orientale », Cadotte 2007, pp. 86-87 e n. 63  B H 8. 104. 62  B A1. 6. 65  B A4. 15. 64  Sul problema vedi infra. 67  B D 3. 68  B R 5 e 9. 66  B A1. 6. 69  B I 1. 70  Su tale concetto cf. Fishwick 1987-1991, II, 1, 383-384, la n. 38 dà un’ampia bibliografia. 71  « (…) preeminently numen is the functional property of a god and therefore akin to vis divina, sanctitudo. Since numen is what all gods possess, and by virtue of which they manifest their efficacy, numen denotes the quintessential property of a god : that which makes god a god », Fish 















Come si è già accennato, la dea Caelestis, nelle sue prime attestazioni, è chiamata Iuno Caelestis, quindi nel corso del II secolo si preferirà sempre più menzionare semplicemente l’epiteto e, agli inizi del III secolo, sarà solo con quello che ci si rivolgerà alla dea. 73 Su numerose iscrizioni compare quindi il nome di Iuno Caelestis, come a Cartagine, 74 a Thubursicu Bure, 75 presso Sicca, 76 a Henchir Negachia, 77 a Thuburbo Maius 78 e, forse, presso il Fundus Seneciosus. 79 Iuno Caelestis compare anche in un’iscrizione di Aquincum, 80 in Pannonia Inferior, mentre a Ebusos, 81 in Spagna, la sua menzione è solo congetturale. Degna di particolare attenzione è una lunga iscrizione da Naraggara, 82 datata forse al III secolo, un inno a Iuno le cui prerogative menzionate, soprattutto il dominio sull’acqua piovana, fanno pensare che si tratti qui di Iuno Caelestis. 83 A Iuno compete l’epiteto di Regina, 84 secondo la diffusa epiclesi di Iuno Regina. In alcune dediche si trova menzionata Iuno Caelestis Regina con la combinazione dei due differenti epiteti. 85 La differenza tra le due divinità è però espressa chiaramente a Thugga 86 dove, per ordine di Caelestis, viene dedicato un simulacrum a Iuno Regina. Non possono essere considerate né la dedica di Italica, 87 in Spagna, dove non è specificata chi sia la Domina Regina, né quella di Cilurnum, 88 in Britannia, dove Regina e Caelestis sono epiteti di Bona Dea. 89 Congetturale appare l’ipotesi di M. Mayer che la Iuno Regina di Ebusos 90 potesse essere una « interpretatio de una Tanit/Dea Caelestis púnica ». 91  









































wick 1987-1991, II, 1, p. 383. Il termine « (…) traduit sans doute une croyance dans le pouvoir d’intervention de la déesse » (Cadotte 2007, p. 86). 72  Ibidem, p. 384. 73  Cadotte parla di assimilazione tra le due dee (Cadotte 2007, p. 78) ma, a mio avviso, “Caelestis” quando è legato a Iuno è semplicemente un suo epiteto che, successivamente, diventa così specifico e qualificante da poter, da solo, designare la divinità. 74  B A1. 3. 76  B A1. 65. 77  B A1. 37. 75  B A1. 42 e 44. 79  B A4. 14. 80  B P2. 1. 78  B A1. 17 e 23-26. 82  B A1. 70. 81  B H 9. 83  Il controllo sulla sfera meteorologica è comunque già prerogativa della Iuno virgiliana, cf. Della Corte 1979, p. 658. 84  Su Iuno Regina cf. Palmer 1974, nel saggio “Iuno in the Archaic Italy” ; Dury-Moayers – Renard 1981, pp. 168-176. 85  A Thuburbo Maius, B A1. 26 ; a Magnae, B B 4. 87  B H 7. 88  B B 2. 86  B A1. 50. 89  Senza nessuna base l’identificazione della Domina Regina in un’iscrizione dall’Egitto del III sec. d.C. con Caelestis, cf. AE 1999, 1718. 91  Mayer 1990, p. 701. 90  B H 9.  







la personalità di caelestis Due dediche, una da Cartagine 92 e una da Mediolanum, 93 menzionano Diana Caelestis. M. Leglay, seguendo, G.Ch. Picard, a proposito di Diana in Africa, sottolinea come, in generale i suoi tratti siano quelli della divinità greco-romana ma che, nel caso dell’epigrafe cartaginese o di un’altra di Mactar in cui è associata a Liber e Ceres, si tratta probabilmente di una divinità locale che è stata “interpretata” come Diana nel corso del I sec. d.C., come sembra essere confermato dalla menzione, a Sitifis, di una Diana Maurorum. 94 In ogni caso resta il problema di stabilire se la menzione di Caelestis indichi qui un’identificazione tra due diverse divinità oppure sia solo un epiteto. Già St. Gsell, del resto, dubitava che in questa Diana ci fosse da vedere Caelestis. 95 E. Lipin´ski, partendo dal presupposto che dietro Caelestis sia da vedersi Astarte, propone di intendere il teonimo Diana Caelestis come una sostituzione del più comune Diana Lucifera. 96 Un rapporto tra Caelestis e Phosphorus (Lucifer) potrebbe essere, del resto, attestato nell’epigrafia, 97 ma siamo qui su un piano del tutto congetturale che non permette di trarre conclusioni certe. J. B. Rives parla, a proposito della dedica di Cartagine, di un’elaborazione personale della dedicante e, contemporaneamente, afferma che non era unica, come attesta la dedica di Mediolanum. Qui il discorso non appare chiaro : non è certo uno strano caso che si arrivi in due diverse parti dell’Impero a una medesima identificazione tra le due divinità sulla sola base di un’inclinazione personale ? Lo stesso Rives aggiunge infatti in nota che la dedicante cartaginese (e a questo punto direi anche i dedicanti di Mediolanum) avrebbe potuto fare riferimento alla tradizione greco-punica testimoniata da un’iscrizione bilingue da Atene in cui il nome il nome Ôbdtnt è tradotto Artemidoros. 98 Molti studiosi hanno messo in relazione con il culto di Caelestis le iscrizioni in cui compare Venus Caelestis. Si tratta, invece, di una divinità che non ha niente a che fare con la dea africana e che va piuttosto ricondotta alla tradizione inerente alla greca Aphrodite Ourania. È importante notare che in Africa Venus Caelestis 99 non compare mai,  



















  92  B A1. 1. 93  B I 13.   95  Gsell 1929, IV, p. 263 n. 4.   96  Cf. ad es. a Kairouan : BACHT,

94  Leglay 1975, p. 129.

1954, p. 118. Per la tesi di Lipin´ski, cf. 97  Desanges 1989, p. 289 n. 32. Lipin´ski 1995, p. 153 n. 241.   98  Rives 1995, p. 190 n. 29. L’iscrizione a cui fa riferimento è CIS I, 116 = KAI 53. Su una serie di congetture a catena si regge la tesi di Cadotte 2007, pp. 95-98, relativa all’identificazione Caelestis/Diana. Lo studioso postula un’affinità tra la divinità femminile protettrice del cimitero di El-Djem e quella del tofet di Hadrumetum sulla base della presenza di statuine raffiguranti “Diana-Artémis” e il fatto che a El-Djem è presente una raffigurazione di Tinnit mentre il tofet di Hadrumetum è sotto la sua tutela : « (…) l’ensemble de ces documents attéste un rapprochement évident entre la desse Tanit/Caelestis e Diane/Artémis »(p. 97). Un’ipotesi suggestiva che non sembra però essere suffragata da prove certe.   99  La Venus Caelestis dell’iscrizione proveniente dal santuario siriaco del Gianicolo sarebbe per Hajjar da identificare con la Venus Heliopolitana, cf. Hajjar 1977 I, 288B e 1985 III, pp. 234-235. 100  B R 6 e 13. 102  B I 5 e 7. 103  B I 9. 101  B I 4. 105  B I 12. 106  Gsell 1931, p. 259. 104  B I 10-11. 107  Pavis D’Escurac 1975-1976, pp. 229-230. 108  Cf. Settis 1966, pp. 113-124 ; Osanna 1993, pp. 73-76 ; Bonnet 1996, pp. 88-90. Sull’Aphrodite Ourania in Grecia cf. Knigge 1982 ; Edwards 1984 ; Pirenne-Delforge 1988 e 1994. 109  Cf. Her. I 105 e 131 ; Paus. I 14, 7 ; Luc. De dea Syr. 32. Cf. in generale Ribichini 2005.  



















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mentre abbondano le iscrizioni in Italia (due da Roma ; 100 una da Baiae ; 101 due da Puteoli ; 102 una da Bovianum ; 103 due da Pola 104 e probabilmente una da Aquileia 105). Già H. Pavis D’Escurac, riprendendo l’opinione di St. Gsell, 106 aveva sostenuto che la Venus Caelestis di Pozzuoli non doveva essere messa in relazione con la dea africana, ma che si trattava piuttosto di un’Aphrodite Ourania orientale. 107 Il nome Aphrodite, unito all’appellativo Ourania, sembra infatti essere stato usato dai Greci per identificare una serie di dee orientali, tra cui Astarte, per le quali le caratteristiche uraniche non erano necessariamente le più qualificanti. 108 Anche per quanto riguarda le fonti letterarie in lingua greca, come giustamente fa notare L. Cordischi, bisogna distinguere laddove Aphrodite Ourania o Ourania è il corrispondente greco, ad esempio, di Astarte, 109 e dove invece si tratta della dea Caelestis. 110 Ugualmente in latino Venus Caelestis è l’esatto corrispondente di Aphrodite Ourania senza alcun riferimento alla dea africana : si noti ad esempio Apuleio che menziona Venus Caelestis mettendola in relazione con Paphos, dove un culto di Aphrodite Ourania è attestato senza ombra di dubbio. 111 Il rapporto tra Caelestis e Fortuna affonda verosimilmente le sue radici nel più antico legame tra Tinnit e Gad 112 e ne abbiamo un’attestazione epigrafica in un’iscrizione proveniente dalla regione cirtiana 113 dove è appunto invocata Fortuna Caelestis, che è stata messa in relazione una dedica in neopunico da Mactar. 114 La dea Fortuna ha a Roma un culto molto antico e le sue prerogative abbracciano un ampio spettro di funzioni, ma quelle che sembrano aver inciso nella sua associazione con Caelestis riguardano soprattutto l’ambito della protezione collettiva intesa come tutela della città e dell’ordine civile e cosmico. 115 Assimilabile al concetto di Fortuna di un luogo è quello del Genius municipalis, che protegge un determinato centro. 116 Il genius, affine al daimon greco, può appartenere a luoghi, edifici, città, gruppi di uomini o cose. 117 In Africa il culto del genio della città ebbe una grande diffusione. Come scrive Lepelley, « Exalter le génie de sa cité  















































110  Cass. Dio LXXIX 12 (A 9) ; Herodian. V 4-5 (A15). Cordischi 1990, p. 61 n. **. 111  Cf. Pirenne-Delforge 1994, pp. 322-330 ; Bonnet 1996, pp. 75-81. Cf. anche le monete con Iulia Soemia (218-222 d.C.) su cui compare la dea con scettro e pomo e la legenda VENVS CAELESTIS, BMC Emp V, pp. 536537, 44-54. La dea con la legenda VENVS CAELEST anche su una moneta da Magnia Urbica, Ticinum (283-285 d.C.), RIC V 2, p. 185, 345-346, Tav. 8, 4. Come un ibrido, probabilmente una « barbarous imitation » è considerato il tipo con Iulia Domna e la dea con la medesima legenda, ma che al posto del pomo ha una patera, RIC IV/1, p. 173, 604. 113  B A4. 9. 112  Su cui cf. 3.3. 114  Cf. cap. 9.4, dove si menzionano anche gli sviluppi ulteriori di questa identificazione in epoca cristiana. 115  Fortuna è una « (…) divinità dai molteplici aspetti, della quale è tuttavia possibile riconoscere un’originaria unità archetipica dalla quale dipendono le successive specificazioni relative a funzioni riconducibili alla sfera della fertilità femminile, della salute, dell’attrazione erotica e sessuale, ma anche del potere politico e militare, della tutela cittadina e del governo dell’ordine cosmico e planetario », Rausa 1997, p. 125 che fornisce anche un’utile bibliografia di orientamento aggiornata. 116  Kajanto 1981, p. 509, parlando della Fortuna per i Romani, la descrive come un numen che poteva apparire come lo spirito guardiano di persone, popoli, località ma anche giorni o eventi. 117  Sul genius romano cf. Fishwick 1987-1991, II, 1, pp. 382-383.  











dea caelestis

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était d’abord une forme de patriotisme municipal, puisque cette divinité était avant tout l’expression sacrée de la collectivité, transcendant les individus et la génération présente, mais limitée aux dimensions de la cité, dont le génie était, comme pour l’individu, le double divin. Adorer le génie de la cité était donc, pour la collectivité civique, une manière de se vouer un culte à elle-même ». 118 Appare tuttavia azzardata l’identificazione tra la dea e il Genius municipalis, trattandosi quest’ultimo di un principio divino maschile. Più probabilmente la dea fu associata al Genius municipalis a Thuburbo Maius, come si evince dalle iscrizioni, 119 e anche a Oea, dove invece l’associazione è documentata su base iconografica. 120 A Caelestis come Fortuna di un individuo, di una famiglia o di un gruppo, vanno riportati gli epiteti di Sittiana e di Graniana. Il primo compare in due iscrizioni a Cirta 121 e qualifica la dea come protettrice della colonia facendo riferimento ai suoi fondatori, i seguaci di P. Sittius. 122 Nel secondo caso l’iscrizione proviene da Haut Mornag 123 e l’epiteto sembra debba essere posto in relazione con la famiglia proprietaria del fondo, i Granii. 124 Certamente in stretta relazione con questo universo ideologico in cui Caelestis appare come la divinità protettrice di persone, comunità, centri abitati e luoghi è la menzione, in un’iscrizione di Lucus Augusti, 125 in Spagna, di Africa Caelestis, che identifica Caelestis con la Dea Africa. Questa particolare connessione, che in tale formulazione rimane un unicum, sarebbe, secondo P. Le Roux un’ “invenzione” del dedicante quale espressione di una sua personale devozione. 126 Se ciò può essere vero, vista appunto l’unicità di una tale identificazione, va però notato che essa deve riposare su una tradizione più antica e condivisa che la rende del tutto consona tanto al carattere di Caelestis che a quello della dea Africa. 127 Secondo St. Gsell la dea Africa sarebbe nata da uno sdoppiamento di Tinnit. 128 Il legame tra quest’ultima e l’Africa è testimoniato dalla moneta di Metellus con la dea in forma leontocefala e la legenda G(enius) T(errae) A(fricae) 129 che, con tutta probabilità, si richiama a schemi ben più antichi. 130 Di questa primitiva rappresentazione dell’Africa in stretta correlazione con Tinnit 131 rimarrebbe traccia nelle raffigurazioni della dea Africa affiancata da un leone. 132

Una dedica, proveniente dall’anfiteatro di Emerita Augusta, in Spagna, 133 menziona Dea Invicta Caelestis Nemesis, ponendo così il problema dell’eventuale rapporto tra la dea Caelestis e Nemesis. In realtà caelestis potrebbe anche essere soltanto un epiteto di Nemesis, 134 anche se, come fa osservare la Marín Ceballos, la presenza di entrambe le dee nel sacellum dell’anfiteatro di Italica fa pensare a una loro stretta relazione in connessione con questo tipo di luoghi e rende credibile una loro identificazione. 135 A proposito della presenza della dea Nemesis negli anfiteatri, si è posto l’accento soprattutto sul ruolo da questa giocato nel mantenimento dell’ordine statale in relazione alla sua associazione con la giustizia e lo Stato romano. 136 Ella premia i meritevoli e concede la buona fortuna identificandosi con Fortuna e Tyche, 137 prerogative, queste, che non si allontanano molto da quelle di Caelestis, nella sua dimensione, per così dire, civica. 138 Un’iscrizione da Aefula 139 e una da Venafrum 140 menzionano una Bona Dea Caelestis. In entrambi i casi sembra che caelestis vada considerato come attributo della Bona Dea senza alcuna relazione con la divinità africana. 141 Nel primo caso sarebbe l’antichità dell’iscrizione (3 luglio 88 d.C.) e la sua posizione geografica (nell’entroterra laziale) a far dubitare che ci sia un riferimento a Caelestis, 142 nel secondo il riferimento è a un collegium cultorum della Bona Dea Caelestis. H.H. Brouwer pensa che anche qui caelestis, in analogia con la menzione nella stessa città di Cult(ores) Iovis Caelestis, avrebbe la semplice funzione di aggettivo, anche se, aggiunge, « the epithet Caelestis is indicative of foreigners (too ?) being members of this collegium ». 143 V. Tram Tan Tinh pensa invece che il riferimento sia proprio alla dea africana, 144 mentre L. Cordischi, adducendo la scarsità dei dati, preferisce non prendere posizione. 145 A queste iscrizioni ne va aggiunta un’altra da Cilurnum 146 in Britannia, che pure presenta i medesimi problemi interpretativi. L’identificazione tra Bona Dea e Caelestis resta quindi un problema aperto. 147 A Corstopitum, 148 in Britannia, su un altare figura Caelestis Brigantia assieme a Iuppiter Dolichenus e Salus. Tratti della personalità di Brigantia, dea eponima dei Brigantes, possono avere indotto all’assimilazione con Caelestis. Era una dea regionale assimilabile, per certi versi, a una

118  Lepelley 2001, p. 40. 119  Poinssot 1915. B A1. 20, 27, 28, 29, 30, 31. 120  Caputo 1940. Poco convincente l’identificazione con il Genius coloniae di Lepcis Magna proposta da Floriani Squarciapino 1967 e anche quella di García-Bellido 1998 per Bulla Regia. Cf. Letta 2003. 121  B A4. 10-11. 122  Cf. MSA II, pp. 77-79 ; Bullo 1994, p. 1614. 123  B A1. 10. 124  Cf. Lassère 1977, pp. 135-142, Bullo 1994, p. 1610. 126  Le Roux 1985, p. 225. 125  B H 4. 127  Sulla dea Africa cf. Leglay 1964, 1966, 1981 e 1990 ; Salcedo 1996 ; sull’iscrizione di Lucus Augusti cf. il commento di Marín Ceballos 1993, pp. 836-840. È pertanto da respingere l’interpretazione di Castillo 1983 p. 114 e di Speidel 1984, p. 2230, che Victrix, Caelestis e Africa siano tutti epiteti di Venus. A sostegno della sua tesi Speidel accredita un’iscrizione di Roma unanimamente ritenuta falsa, ibidem, n. 21. 128  Gsell 1929, VI, pp. 160-161. 129  Potrebbe sciogliersi con maggior rispetto della femminilità di Caelestis : G(enetrix) T(errae) A(fricae). 130  La rappresentazione della dea leontocefala si ritrova anche in altri luoghi, cf. Thinissut, Bir Derbal e Tiddis, cf. par. 4 in questo capitolo. 131  Leglay 1991, p. 76, dice « confondue » con Tinnit/Caelestis. 132  Salcedo 1996, p. 165, insiste nella distinzione tra il Genius Terrae Afri-

cae e la personificazione dell’Africa : « Las personificaciones des provincias o naciones poseden, ante todo, un carácter político al que puede añadirse el religioso, como en el caso de Africa. Con los genii ocurre lo contrario ; pertenecen al mundo religioso, pero pueden trascender al político ». 133  B H 8. 134  Così pensano Leglay 1958, p. 151 e García y Bellido 1967, p. 91. 135   Ma cf. le cautele di Beltrán Fortes – Rodríguez Hidalgo 2006, 136  Hornum 1993, p. 90. pp. 1447-1148. 137  Marín Ceballos 1993, pp. 833-834. 138  Anche per Nemesis come per Caelestis è attestata una funzione di protettrice della città, cf. Hornum 1993, pp. 41-42. 139  B I 3. 141  Sulla Bona Dea cf. Brouwer 1989. 140  B I 8. 142  Cordischi 1990, p. 188. 143  Brouwer 1989, p. 376. 144  Tran Tam Tinh 1972, p. 166 S. 28. Il sincretismo sarebbe suggerito da paralleli come Bona Dea Venus (CIL VI 76), Bona Dea Iuno (CIL III 50) 145  Cordischi 1990, p. 192. e Bona Dea Hygia (CIL VI 72). 146  B B 2. 147  Non possono essere prese in considerazione le due statuette di Fortuna (o Bona Dea) provenienti dal tempio di Sabazius per l’alta ipoteticità della proposta di M. Guarducci che connette, sul Campidoglio, il culto del dio con quello di Caelestis. Sul problema cf. più avanti. 148  B B 1.



























































































la personalità di caelestis

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Tyche e inoltre era legata all’agricoltura, alla fertilità e all’acqua. 149 La menzione della Dea Syria insieme a Caelestis si trova in due iscrizioni, una da Magnae, 150 in Britannia, l’altra da Apulum, 151 in Dacia. 152 La prima, che inserisce quest’identificazione all’interno di un più vasto reticolo di associazioni, sarà trattata più avanti. Per quanto riguarda invece l’iscrizione da Apulum, ci troviamo ancora una volta di fronte al difficile problema di stabilire se la menzione di Caelestis implichi un riferimento alla dea africana o costituisca solo un attributo. L’epigrafe riporta l’espressione Dea Syria Magna Caelestis, associandola a Iuppiter Dolichenus e il dedicante è di origine siriana. Il culto della Dea Syria è attestato in questa regione, esso fu portato da siriani per poi diffondersi anche fra gli altri gruppi etnici. 153 Molte sono le caratteristiche e le funzioni che le due dee condividono, dall’iconografia che le rappresenta sul dorso di un leone 154 alla corona turrita che ne mette in luce la funzione di Gad/Tyche/Fortuna. 155 La dea siriana era inoltre legata da una serie di connessioni con Astarte. 156 Un’associazione tra Atargatis e Caelestis si trova documentata anche da Firmico Materno. 157 Allo stesso contesto ideologico va riportata un’altra dedica da Apulum 158 in cui si menziona Baltis Caelestis. Si tratta probabilmente qui della Baltis dea di Osrhoene, legata al pianeta Venus. 159 Il culto della divinità, il cui nome è in origine il semplice appellativo di “Signora” (bÔlt), oltre che in Dacia appare diffuso anche in Pannonia accanto a quello della Dea Syria. Anche in questo caso, come per la Dea Syria, si può pensare tanto a un’identificazione, locale, tra Baltis e Caelestis, che a un semplice epiteto. Una dedica dalla Pannonia 160 menziona Dea Coryphea sive Caelestis Augusta, in cui è chiara l’identificazione tra le due divinità. Sulla Dea Coryphea sappiamo in realtà ben poco : l’epiteto coryphaion ricorre per due volte in relazione con Zeus in un’epigrafe di Seleucia di Pieria, 161 secondo W. Dittenberg da mettere in relazione con un passo di Polibio, 162 dove Koryphaion è il nome di una montagna. Pausania 163 usa l’aggettivo come equivalente in lingua greca del latino Capitolinus, epiteto di Iuppiter. In un altro passo di Pausania 164 e in Stefano di Bisanzio, 165 infine, l’epiteto, derivato dal nome di un monte, sarebbe da applicarsi ad Artemis. Dall’insieme di questi dati, l’ipotesi più probabile sembra essere quella che la Dea Coryphea

sia una divinità locale o conosciuta altrove – potrebbe addirittura trattarsi di Artemis Coryphaia – e associata dal dedicante alla dea Caelestis. Se, come è stato ipotizzato, il dedicante è di origine africana, non sarebbe poi così strano trovare menzionata Caelestis in Pannonia. Forse un parallelo può vedersi nelle due dediche a Diana Caelestis provenienti l’una dall’Africa e l’altra dall’Italia, anche se non siamo sicuri che caelestis non sia in questi casi un semplice epiteto, 166 anche se d’altra parte già Tinnit ad Atene era stata identificata con Artemis. 167 L’ultima iscrizione che prenderemo in considerazione non menziona direttamente Caelestis ma una divinità, Panthea, che è stato proposto di identificare con la prima. 168 L’iscrizione proviene da Auzia 169 e connette questa dea con Iuppiter Hammon e Dite. È difficile prendere posizione in proposito anche perché gli dèi qui menzionati non ricorrono che raramente, o mai, nelle epigrafi africane 170 e la dedica rimane quindi un documento isolato, senza termini di paragone. Una discussione a sé meritano due divinità che, senza essere messe nelle fonti in diretta relazione con Caelestis, ne sono in qualche modo interconnesse. Si tratta di Ops e di Nutrix. A prescindere dal ruolo giocato da questi personaggi divini a Roma e in altre parti dell’Impero, è in terra africana che esse sembrano assumere degli aspetti particolari in stretta dipendenza da Saturnus. Entrambe le dee compaiono infatti nelle dediche al dio africano e loro immagini si ritrovano nei santuari di Saturnus. 171 St. Gsell aveva rilevato il fatto che le menzioni di Ops e di Nutrix in relazione con Saturnus implicassero che le divinità menzionate fossero delle figure diverse dai loro corrispettivi latini ; dietro di esse lo studioso rintracciava una più antica divinità africana e, in particolare, Tinnit. 172 Sostanzialmente analoga è la posizione di M. Leglay che individua in Tinnit l’antecedente tanto di Caelestis che di Ops e Nutrix. 173 Possiamo allora pensare che, per ragioni e processi storici diversi che non siamo in grado di comprendere in tutti i passaggi, alla figura di Tinnit, o meglio alle diverse funzioni di Tinnit, furono nell’Africa romana associati personaggi divini diversi con specializzazioni particolari. 174 Nutrix rappresenterebbe in modo specifico gli aspetti legati all’ambito della maternità e soprattutto dell’infanzia, laddove Ops sarebbe legata al concetto dell’abbondanza.

149  Su Brigantia cf. Henig 1986 con bibliografia. 151  B D 2. 150  B B 3. 152  Sulla Dea Syria cf. Lightfoot 2003. Per le fonti cf. Van Berg 1972. 153  Sul culto della Dea Syria in Dacia cf. Sanie 1981, pp. 106-113. 154  Che risale per entrambe all’iconografia di Cybele. Per Atargatis cf. Lightfoot 2003, pp. 20-21. 155  Per Atargatis cf. ibidem, pp. 23-27 e Kaizer 1997 e 1998. 157  A 14. 156  Lightfoot 2003, pp. 58-59. 158  B D 1. 159  Su Baltis cf. Cumont 1896 ; Sanie 1981, pp. 114-116 ; Lipin´s ki 1995, p. 74 ; Bonnet 1996, pp. 22-23 ; Ribichini 2005, pp. 449-450. 160  B P 1. 161  Dittenberger 1903-1905, 245, l. 4 e ll. 29-30. 163  Paus. II 4, 5. 162  Polyb., V 59, 3-4. 165  Steph. Byz., s.v. Korufai`on. 164  Paus. II 28, 2. 166  Vedi sopra. 167   Cf. supra, n. 98, sull’equivalenza Ôbdtnt = Artemidoros in un’iscrizione bilingue da Atene. ��������� dedi168  Rives 1995, p. 191 che in riferimento a Panthea scrive : « (…) the cator apparently applied it to Caelestis, suggesting that she was a deity

who somehow encompassed all the others ». Dubbiosa invece Fentress 169  CIL VIII 9018. 1978, pp. 512-513. 170  Rives 1995, pp. 190-191, fa notare che Iuppiter Hammon, mentre è molto menzionato nella letteratura, compare solo altre due volte nelle iscrizioni africane e che il dio dell’oltretomba, in Africa, porta di solito il nome di Pluto e non quello di Dite. Per MSA II, pp. 308-309 n. 2 Iuppiter Hammon Corniger è Saturnus. 171  Su Ops cf. Pouthier 1981, per le fonti africane in cui è menzionata con Saturnus cf. Leglay 1966a, p. 219 n. 5. Su Nutrix cf. Renard 1959 con le puntualizzazioni critiche di Leglay 1966a, p. 220 n. 3, per un’identificazione tra Nutrix e Caelestis cf. Wurnig 1999 ; cf. anche Bullo in Bullo – Rossignoli 1998, pp. 262-263. Cf. anche Cadotte 2007, pp. 48-51. 172  Gsell 1929 IV, pp. 259-260. 173  Leglay 1966a, pp. 219-222. 174  Non soddisfa l’ipotesi di Leglay 1966a, pp. 221-222 secondo cui il successo di Ops e Nutrix, non anteriore all’epoca severiana vada collocato all’interno di un tentativo, effettuato da parte dei Romani, di ritorno alle loro “radici”. L’epoca considerata vede, infatti, anche il successo di Caelestis, del tutto “nuova” rispetto alle tradizioni romane.









































































dea caelestis

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La dea Caelestis, posta a un livello di maggiore personalizzazione e dotata di un carattere più complesso, sembra allora sussumere e integrare in sé queste caratteristiche, affiancandole ad altre più specifiche come il dominio sulle acque pluviali e la protezione dei centri urbani. Ma, soprattutto, Caelestis è una dea che non si risolve nelle sue specifiche attività essendo, come il suo paredro Saturnus, la dea “africana” per eccellenza, la domina augusta. 10. 2. 3. I compagni











































175  Leglay 1966a ; MSA I e II ; 1988. Una sintesi su Saturnus in Africa in Cadotte 2007, pp. 25-63. 176  Basti pensare al santuario di Thinissut, dedicato in origine a Baal Hammon e Tinnit (KAI 137), che ha poi ospitato il culto di Saturnus e Caelestis, cf. Leglay 1966a, pp. 215-216 ; Bullo – Rossignoli 1998. Su Baal Hammon cf. Xella 1991 e sintesi con recente bibliografia in Marín Ce178  B A1. 32. ballos 1999, pp. 71-72. 177  B A1. 7. 180  B A6. 4. 181  B A4. 22. 179  B A4. 17. 183  B A7. 6. 182  B A1. 67. 184  CIL VIII 4286-4290. 185  Bullo 1994, pp. 1618-1619. La studiosa afferma che le iscrizioni non testimoniano un rapporto privilegiato tra Caelestis e Saturnus, discendenti di Tinnit e Baal Hammon ma solo nel tofet. Va detto però che il tofet era il luogo più sacro di tutta Cartagine e il successivo affermarsi di Saturnus mostra che “gli dèi del tofet” sono al vertice del pantheon punico. 186  Leglay 1966a, pp. 217-218. 187  Cf. Leglay 1966a, p. 216 e qui il par. 4. 188  Come si verifica quando vengono ritrovate figurine che ne riproducono le fattezze. 189  Per la menzione dei luoghi di culto in cui si attestano rapporti tra  













Il paredros per eccellenza di Caelestis è Saturnus sul quale i lavori di Leglay non lasciano praticamente quasi più nulla da aggiungere. 175 Su un piano storico appare ormai indubbio che la coppia Saturnus-Caelestis si presenti come la continuazione e la reinterpretazione in epoca romana della diade punica Baal Hammon e Tinnit. 176 Recentemente però è stata minimizzata la relazione tra le due divinità sulla base dell’esiguo numero di iscrizioni che le coinvolgono insieme : una da Cartagine 177 dove però il nome di Saturnus è congettura ; una da Thuburbo Maius ; 178 una stele di Cuicul che rappresenta Saturnus in posizione preminente, dedicata da un sacerdote di Caelestis ; 179 un’iscrizione da Sitifis dove un fedele di Saturnus dedica a Mercurius su ordine Caelestis ; 180 una da Vazaivi, 181 una da Pagus Veneriensis 182 e una da Rapidum, 183 dove sono nominati insieme ad altri dèi ; a Batna 184 sono documentati vari altari con nomi di dèi fra cui anche i loro. 185 Ritengo che le osservazioni di Leglay in proposito siano tuttora valide. Lo studioso faceva infatti notare che non è in base al numero delle iscrizioni o dei tipi iconografici espliciti che dobbiamo valutare la portata del rapporto tra Caelestis e Saturnus, quanto piuttosto da un’analisi delle loro funzioni. Molti degli epiteti che definiscono la personalità di Saturnus e ne perfezionano il campo di azione sono condivisi da Caelestis ; da un punto di vista operativo i due dèi si presentano come assolutamente complementari. 186 In alcuni monumenti figurati essi appaiono insieme 187 e in molti luoghi di culto dedicati a Saturnus la presenza di Caelestis, se non esplicitamente visibile, 188 è comunque intuibile attraverso un simbolismo figurativo che la richiama. Spesso i due dèi condividono il tempio o hanno i rispettivi santuari vicini. 189  

Un altro personaggio divino con cui Caelestis appare associata in modo non occasionale è Aesculapius. Tre dediche a Mustis 190 sono eseguite da sacerdoti di Caelestis ed Aesculapius, che risultano così strettamente connessi nel culto. A Theveste, 191 in un’iscrizione, è menzionata la dedica di una statua a Caelestis e, contestualmente, di un signum argenteum a Aesculapius. A Thugga un torso di Aesculapius è stato ritrovato nel tempio della dea. 192 Fuori dall’Africa, Caelestis ed Aesculapius sono menzionati insieme ad Apulum, 193 in Dacia, dove, insieme al Genius di Cartagine sono venerati come dèi ancestrali del dedicante che non dimentica però di associare loro il Genius delle Dacie. Tertulliano menziona Caelestis ed Aesculapius l’una di seguito all’altro. 194 Partendo dall’iscrizione di Theveste, in cui sono menzionati sia Caelestis che Aesculapius, A. Illuminati ipotizza che l’associazione tra le due divinità sia sorta in ambito militare. La studiosa non fornisce tuttavia elementi particolari per accreditare questa ipotesi, tranne il fatto che Aesculapius era particolarmente onorato dai soldati della Numidia meridionale, 195 il che non giustifica, a mio avviso, l’associazione con Caelestis per la quale, invece, non è documentata una speciale devozione in ambiente militare. Del resto la Illuminati sviluppa questa ipotesi a partire dall’iscrizione di Theveste in cui, è vero, sono menzionati sia Caelestis che Aesculapius, ma anche la dea Virtus, e nell’ambito di una serie di donazioni che però non implicano necessariamente un rapporto tra le diverse divinità. Questa spiegazione non è soddisfacente anche perché non tiene in conto che il culto di Aesculapius, al suo arrivo in Africa, si innesta su una tradizione fenicio-punica ben consolidata, relativa al dio guaritore, Eshmun. 196 Il rapporto con Caelestis, che appare inequivocabile e non limitato a Theveste e all’ambito militare, potrebbe pertanto risalire al più antico legame tra Eshmun e Astarte 197 o, più plausibilmente essere collegato alle prerogative poliadi di entrambe le divinità. 198 Un legame non sporadico sembra possa ipotizzarsi anche tra Caelestis e Pluto. A Mustis 199 un sacerdote di Caelestis ed Aesculapius esegue una dedica Pluto Frugifer, genio della città. Da un epitaffio della necropoli di Hadrumetum 200 si apprende che un sacerdote di Pluto era sposato con una sacerdotessa di Caelestis. A Roma 201 un’iscrizione è dedicata a Pluto per ordine di Caelestis. Decisamente riduttiva e generica appare al proposito l’in 















Saturnus e Caelestis, cf. Leglay 1966a, p. 216 n. 6, cf. cap. 9.1 e il cap. 7 in cui si riportano per ogni luogo anche il tipo di reperti rinvenuti. 191  B A4. 21. 190  B A1. 53-55. 193  B D 4. 192  Poinssot 1906, p. 338. 195  Illuminati 1972, pp. 477-478. 194  A 32. 196  Cf. Audollent 1901, pp. 400-401 ; Picard 1954, pp. 125-127 ; Leglay ���� 1966a, pp. 245-246 ; Bénabou 1976, pp. 359-362 ; Rives 1995, pp ; 154-157. Sintesi e bibliografia su Eshmun in Marín Ceballos 1999, p. 75. Per le identificazioni e/o associazioni tra Eshmun/Aesculapius/Apollon in Africa, cf. Cadotte 2007, pp. 165-200. 197  Cf. Bonnet 1996, pp. 34-35. Forse a questa coppia, o forse a Aesculapius e Caelestis, fa riferimento l’iscrizione di Thizica relativa a un sacerdote di Aesculapius e Iuno, Picard : CRAI, 1951, p. 308. Cf. anche Cadotte 2007, pp. 98-101. 198   È noto che, sull’acropoli di Cartagine, si ergeva il tempio di Eshmun (= Apollo, cf. Appian., Lyb.   130 ; Strab. XVIII 3, 14) ritenuto il più ricco e prestigioso, a dimostrazione della sua funzione di   protettore della città. 199  B A1. 54. 200  B A2. 3. 201  B R 12.  













la personalità di caelestis

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terpretazione di L. Cordischi, secondo cui le due divinità si trovano in relazione a seguito della connessione della dea con il mondo funerario su cui esercita il suo dominio Pluto. 202 Essa non tiene in conto della circostanza che il dio in Africa riceve un culto importante il che induce a pensare che dietro al nome latino sia celata una divinità locale. 203 Sull’identificazione di questa divinità non c’è però accordo : per S. Ribichini 204 si tratta di BaÔal Addir, legato tanto alla fertilità che all’oltretomba ; E. Lipin´ski 205 pensa invece che si tratti del dio greco portato dalla Sicilia insieme alle Cereres. 206 Due iscrizioni africane connettono la dea Caelestis con Mercurius. In una (Madauros), 207 un sacerdote di Caelestis esegue una dedica al dio, nell’altra (Sitifis), 208 è un devoto di Saturnus a dedicare l’iscrizione a Mercurius per ordine della dea. Accanto al Mercurius della tradizione greco-romana si trova in Africa un’altra divinità con il medesimo nome. 209 Il suo carattere “africano” emerge anche nell’iconografia in cui è rappresentato con uno scorpione e dalle sue connessioni con l’olivo e l’oleicultura, settore dell’agricoltura ben sviluppato nell’Africa romana. La menzione di Caelestis a Bulla Regia 210 insieme a Iuppiter Optimus Maximus potrebbe ricondursi, secondo M. Leglay, all’identificazione tra il dio capitolino e Saturnus, documentata in Africa. 211 Secondo lo studioso dietro a Iuppiter sarebbe da vedere Saturnus. 212 Diversamente M. Bénabou ritiene che la presenza di divinità particolarmente venerate in Africa, come appunto Caelestis e Ceres, accanto a Iuppiter, sia conseguenza dell’attrazione esercitata da Saturnus sul dio ; Bénabou non sembra però ritenere che ciò indichi, nei casi specifici, un’identificazione tra Saturnus e Iuppiter. 213 È difficile capire se anche la dedica a Iuppiter da parte dei cultores della Curia X Caelestina a Mopht--- 214 debba rientrare in questo universo ideologico o non indichi semplicemente che l’intestazione di una curia a una divinità non implicava l’esclusività del culto. Il rapporto tra Caelestis e Sabazius è invece frutto di una congettura. M. Guarducci, basandosi sul fatto che in un’epigrafe di Roma Caelestis riceve l’epiteto di Triumphalis, ha emendato un’altra iscrizione danneggiata inserendovi il nome della dea accanto all’epiteto. 215 Ne derivava che due dedicanti avevano donato una conduttura d’acqua, o qualcosa di simile, a Sabazius 216 e Caelestis. La

Guarducci ne deduceva che i due dèi erano venerati nello stesso tempio o in due tempi vicini, 217 spiegando l’associazione con il fatto che Sabazius « (…) venne sempre più spiritualizzandosi fino ad essere confuso col dio celeste e unico degli Ebrei, Sabaoth (…). Una volta salito dalla terra al cielo, Sabazio poteva ben incontrarsi con Caelestis, la dea del cielo per eccellenza ». 218 Tanto l’associazione tra le due divinità che la motivazione appaiono estremamente ipotetici e poco convincenti. Il rapporto tra queste due divinità non mi sembra quindi, almeno allo stato attuale delle fonti, proponibile. In una dedica in Britannia (Corstopitum) 219 accanto a Caelestis Brigantia e a Salus troviamo menzionato Iuppiter Dolichenus e ugualmente il dio 220 compare insieme a Dea Syria Magna Caelestis ad Apulum. 221 Non possono essere accomunate le due dediche che rivelano delle situazioni completamente differenti. Nel primo caso un centurione dedica a tre divinità che sembra possano essere associate in qualità di divinità guaritrici. 222 L’identificazione tra Caelestis e Brigantia appartiene però a un livello speculativo che è difficile penetrare. 223 Nel secondo caso l’associazione troverebbe una certa coerenza nel fatto che Caelestis sembrerebbe qui essere identificata con la Dea Syria, le due divinità menzionate farebbero riferimento a un retroterra comune anche se una loro associazione è in ogni caso originale. L’eventuale identifcazione di Caelestis con la dea siriana potrebbe essere stata suggerita dalla situazione particolare di Apulum e dai rapporti personali di fedeltà che il dedicante, un sacerdote di Iuppiter Dolichenus legato all’esercito, voleva dimostrare nei confronti della casa imperiale. Anche in questo caso, come si vede, non si riesce a uscire dal livello speculativo per raggiungere conclusioni più sicure. Legami di Caelestis con altre divinità appaiono in altri casi più occasionali e connessi a esigenze specifiche dei dedicanti piuttosto che dovuti a una tradizione religiosa consolidata. È questo il caso dell’associazione di Caelestis con Virtus (Theveste), 224 Ianus (Mustis), 225 Tellus (Mustis), 226 Venus (Madauros, 227 Hadrumetum 228), Dei Mauri (Theveste), Ceres (Henchir Belda), 229 Lilleo (Madauros) 230 in Africa e Pantheus (Mediolanum) 231 in Italia, il che non implica, naturalmente, che questi personaggi divini siano

202  Cordischi 1990, p. 164. 203  Cf. Beschaouch 1971-1972 ; Leglay 1975, pp. 135-136. Su Pluto africa204  Ribichini 1986. no cf. anche Cadotte 2007, pp. 325-341. 205  Lipin´ski 1989. 206  Sintesi delle posizioni in Rives 1995, pp. 140-141. 208  B A6. 4. 207  B A5. 2. 209  Cf. Toutain 1920, pp. 299-307 ; Deonna 1959 ; Leglay 1966a, pp. 242-244, 1967 e 1971, pp. 127-135 ; Bénabou 1976, pp. 341-347. Su Mercurius 210  B A1. 58. africano cf. anche Cadotte 2007, pp. 113-164. 211  MSA I, pp. 233-235. 212  « (…) en plusieurs occasions, on ne peut, face à des inscriptions qui mentionnent Jupiter aux côtés de Caelestis et Cérès, douter qu’il ne s’agisse en réalité de Saturne », ibidem, pp. 234-235. 213  « Nous trouvons (…) d’autres indices de l’attraction excercée sur Jupiter par Saturne dans la présence aux côtés de Jupiter de divinités particulièrement vénérées en Afrique, comme Caelestis ou Ceres », Bénabou 1976, p. 341. Cf. anche Cadotte 2007, pp. 58-62. 215  B R 11. 214  B A6. 2. 216  Su questo dio è disponibile il corpus delle fonti : Vermaseren 1983 ; Lane 1985 e 1989 ; più in generale cf. Johnston 1984 con bibliografia. 218  Ibidem, p. 19. 217  Guarducci 1946-1948, pp. 16-17.

219  B B 1. 220  Per le fonti sul culto di Iuppiter Dolichenus cf. Hörig – Schwerteim 1987 ; più in generale Hörig 1984 ; sul culto del dio in Dacia cf. Popa – Berciu 1978. Per Iuppiter Dolichenus in Africa cf. Cadotte 2007, p. 59 e 221  B D 2. n. 132. 222  Cf. Harris 1967, p. 57. Divinità diverse sarebbero state attratte nell’orbita del culto di Iuppiter Dolichenus (ibidem, pp. 56-57) che a Corstopitum era popolare (ibidem, pp. 55-60). 223  Sembrano troppo generiche le osservazioni di Harris : « Brigantia (…) is by the epithet Caelestis identified as a local aspect of Juno Caelestis or Dea Syria, no doubt in compliment to the Severian dinasty, and so implicitly equated with the consort of Jupiter Dolichenus. (…) The name of the dedicator, Apol(l)inaris, appears to indicate a Graeco-oriental origin, and might perhaps account for the assimilation of Brigantia with the eastern Juno Caelestis, were the inscription infact a unity » (ibidem, p. 57). Le ultime tre linee dell’iscrizione sono infatti erase e riscritte e non si può capire se si tratta di una correzione o di una ridedicazione dell’altare 225  B A1. 56. (ibidem).224  B A4. 21. 227  B A5. 3. 228  B A2. 3. 226  B A1. 55. 230  B A5. 1. 231  B I 13. 229  B A1. 57.







































































































dea caelestis

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giustapposti casualmente : essi si inseriscono all’interno di una trama ideologica in cui si trovano intrecciate motivazioni individuali e collettive, politiche e devozionali che in alcuni casi sono più facilmente deducibili, in altri rimangono più oscure. Virtus, 232 Ianus 233 e Tellus 234 sono, in ogni caso, profondamente legati al potere imperiale, mentre è appena il caso di ricordare la straordinaria diffusione del culto delle Cereres 235 in Africa. Per quanto riguarda gli Dei Mauri 236 sappiamo che essi furono assai popolari tanto tra i soldati che fra i “civili”, Lilleo è una divinità locale, 237 mentre è difficile caratterizzare Pantheus, 238 divinità-simbolo delle speculazioni enoteistiche così in voga in epoca tardo-antica. La menzione di Venus permette qualche ulteriore considerazione, anche se va detto che il nome di Caelestis nell’iscrizione è congetturale. Si tratta infatti qui della Venus Erycina 239 che, come affermano le fonti letterarie, era in stretta connessione con la Venus di Sicca. Da Hadrumetum proviene un epitaffio intitolato a una sacerdotessa di Caelestis che, come sembra rivelare il suo nome, Porcia Veneria, potrebbe essere stata un tempo una prostituta sacra di un tempio di Venus (Astarte), forse proprio quello di Sicca. In due delle iscrizioni menzionate a proposito di Saturnus, quella di Rapidum e quella di Vazaivi, oltre al dio e alla dea Caelestis, compaiono altre divinità. Per quanto riguarda la seconda epigrafe 240 il criterio di inclusione è espicito : Caelestis, Saturnus, Mercurius e Fortuna sono qualificati come dei iuvantes, quindi è la loro qualità di divinità soccorrevoli che li accomuna in un un’unica dedica. Nel caso di Rapidum, 241 anche se è da ricordare che la presenza di Caelestis è qui ipotetica, la dea vi compare eventualmente associata a Iuppiter, Silvanus, Mercurius, Saturnus, Victoria e gli Dei Mauri. È difficile stabilire in entrambi i casi se i dedicanti facciano riferimento alle divinità del pantheon classico o se, dietro l’interpretatio latina, non si nascondano dèi indigeni, come nel caso più esplicito degli Dei Mauri. Un’altra iscrizione proveniente da Pagus Veneriensis 242 menziona gli animali da sacrificare che vanno associati alle divinità. Vi compaiono Iuppiter, Saturnus, Silvanus, Caelestis, Pluto, Minerva e Venus, anche in questo caso possiamo pensare che divinità locali si nascondessero dietro alcuni dei nomi latini. Un ultimo documento epigrafico, infine, merita una trattazione a sé : si tratta di un’epigrafe proveniente da Magnae 243 che si caratterizza per l’accumulazione di epiteti e identificazioni in relazione a Caelestis. Il dedicante, un ufficiale della cohors I Hamiorum, si rivolge alla dea Africana chiamandola Virgo Caelestis ; segue una serie di epiteti relativi alle sue funzioni e prerogative : è spicifera, cioè portatrice di messi, iusti inventrix, scopritrice della giu-

stizia, urbium conditrix, fondatrice di città. Questi epiteti corrispondono pienamente a ciò che sappiamo della dea, il suo ruolo di promotrice della fertilità agraria, quello di protettrice dei centri urbani e della vita sociale. La dea è poi identificata con altre divinità, la Mater divum, Pax, Virtus, Ceres e Dea Syria, il dedicante aggiunge infine che la dea è pensitans lance vitam et iura, cioè soppesa sulla bilancia la vita e il diritto. Quest’ultima espressione si richiama senz’altro agli altri epiteti, la dea sovrintende al corretto svolgersi della vita individuale e collettiva, le sue prerogative poliadi ne fanno una “datrice di identità”. Le divinità a cui è associata sono anch’esse, in un certo senso, “prevedibili”, tutte infatti, in diversa misura, condividono le prerogative della dea menzionate negli epiteti. Il dedicante si sofferma però in particolare sulla Dea Syria : infatti egli asserisce che il culto della dea Caelestis è arrivato dalla Siria in Africa per poi diffondersi dappertutto, il che mette in stretta relazione la dea africana con quella siriana. Si è invocato per questa dedica il clima enoteistico dell’epoca, 244 che spingeva a sussumere diverse divinità in una sola, tuttavia l’epigrafe è anche la testimonianza di una situazione contigente vissuta dal dedicante in prima persona. La Dea Syria era infatti particolarmente venerata dalla truppa presso la quale prestava servizio l’ufficiale, il quale avrà colto una serie di affinità 245 tra la divinità siriana e la divinità africana e avrà voluto onorarle entrambe in questa dedica-inno. 246 Non a caso tra le divinità invocate troviamo menzionata la “Madre degli dèi” che così tante affinità presenta sul piano iconografico con le due dee, e per prima l’associazione con il leone che l’iscrizione ricorda nel primo verso. Il clima religioso dell’epoca offre certo la possibilità al dedicante di esprimere le proprie esigenze spirituali attraverso un linguaggio di epiteti e identificazioni che mantiene però una propria originalità.

232  Cf. Fears 1981 ; per l’Africa Cadotte 2007, pp. 244-250. 233  Per culto di questo dio in epoca imperiale cf. Turcan 1981. 234  Su Tellus-Terra Mater durate il principato cf. Gesztelyi 1981. 235  Audollent 1912 ; Leglay 1975, pp. 136-137 e 1984, pp. 52-54 ; Rives 1995, pp. 157-161. Sugli “antecedenti” dell’introduzione in Africa del culto di Demetra e Core cf. le sintesi di Leglay 1992 e di Marín Ceballos 1999, p. 76, con bibliografia recente ; Ribichini 2008. Cf. anche Cadotte 2007, 236  Cf. cap. 4.2. pp. 343-361. 237  Cf. Bénabou 1976, p. 290 ; Camps 1990, p. 141. 238  Cf. Bendlin 2000 ; Cadotte 2002-2003. 239  Cf. Bonnet 1996, pp. 115-118. Per il culto di Venere in Africa cf. Le-

glay 1984, pp. 49-50. Sulla dea di Erice esiste una tesi di laurea di B. Lietz (Università di Pisa), in corso di pubblicazione. 241  B A7. 6. 242  B A1. 67. 240  B A4. 22. 243  B B 3. 244  « A recognisable type of post-hellenistic henotheising speculation », Lightfoot 2003, p. 81. 245  Sono entrambe “datrici di identità” forte. 246  Per la dedizione della Cohors I Hamiorum alla Dea Syria cf. Mundle 1961, p. 230 ; Harris 1967, p. 105-106. Ancora nel 1999 M. Clauss dava per sicura l’identificazione di Iulia Domna con Caelestis in tale iscrizione cf. Clauss 1999 e la rec. di Letta 2002 che corregge questa interpretazione.























































10. 3. Le testimonianze letterarie Nel paragrafo precedente ho cercato di individuare gli epiteti e le identificazioni/associazioni di Caelestis con altre divinità basandomi prevalentemente sulle fonti epigrafiche e riferendomi a quelle letterarie solo quando l’argomentazione lo rendeva indispensabile. L’analisi delle fonti letterarie richiede infatti un diverso tipo di approccio trattandosi di attestazioni, in molti casi, provenienti da ambienti che non possono considerarsi “neutri”. Fuori dalle citazioni degli storici, le nostre informazioni si devono prevalentemente a intellettuali particolarmente interessati alle speculazioni filosofiche-religiose del tempo ed essi stessi implicati in complesse e personali riflessioni, e agli apologeti della fede cristiana, anch’essi coinvolti, con le prevedibili differenze, a interpretare le antiche divinità e







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Fig. 7. Statua fittile di (Virgo) Caelestis, stante su leone. Thinissut. I sec. d.C. Museo di Nabeul (LIMC VIII/2, s.v. Virgo Caelestis, n. 1).

Fig. 8. Denario di Settimio Severo (201-210 d.C.) ; sul recto immagine di Caelestis su leone in corsa. Londra, British Museum (LIMC V/2, s.v. Iuno, n. 170).  

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i loro culti alla luce della nuova fede. Va quindi attentamente vagliato e decodificato il modo in cui si pongono le informazioni e, soprattutto, quali sono gli obiettivi di chi scrive : speculazione teologica, intenti apologetici, commenti letterari, etc. Le fonti letterarie in lingua latina fino al II secolo d.C. chiamano la dea di Cartagine Iuno, continuando la tradizione che, in riferimento alla divinità poliade della città punica prima della sua caduta, identificava la dea romana con Tinnit. Nel capitolo sull’eredità fenicio-punica ho già fatto allusione alla difficoltà che nasce dal fatto che, in alcuni casi, anche Astarte è interpretata come Iuno, rendendo estremamente precario ogni tentativo di identificare con certezza le titolari fenicio-puniche dei luoghi di culto disseminati nel bacino mediterraneo e attribuiti a Iuno. Problemi interpretativi rivela anche la Iuno virgiliana, 247 figura “costruita” dal poeta fondendo caratteristiche e funzioni della divinità italica con quelle di Astarte e Tinnit. 248 La letteratura successiva risulta in molti casi debitrice all’immagine virgiliana della “Iuno punica”, spesso limitandosi a riprendere spunti suggeriti da Virgilio : 249 basti pensare al celebre Iovisque et soror et coniunx 250 così diffusamente ripetuto. La dea africana protettrice di Cartagine è chiamata Iuno anche da Orazio 251 e da Ovidio. 252 La dea è Iuno anche per Apuleio 253 la cui descrizione nel VI libro delle Metamorfosi, però, non lascia alcun dubbio che egli si riferisca a Iuno Caelestis. 254 Egli, infatti, menzionando i luoghi privilegiati del culto della dea, Samo e Argo, ricorda anche Cartagine. 255 La Iuno cartaginese descritta da Apuleio è una vergine che attraversa i cieli su un leone, in perfetta sintonia con le rappresentazioni iconografiche in cui la divinità appare sul dorso del felino. Nel passo dell’XI libro, 256 in cui Apuleio identifica Isis con altre divinità femminili del Mediterraneo, compare anche Iuno, ma il riferimento è qui più generico ; Apuleio vuole affermare come a tante manifestazioni corrisponda un solo principio divino, il cui vero nome è Isis Regina. Nessun rapporto con Caelestis, infine, nella menzione di Venus Caelestis che, come ho già detto, è messa chiaramente in relazione con Pafo. Riprendendo una suggestione di Ch. Picard, F.E. Hoevels vede un parallelismo nella tendenza sincretistica del culto di Isis e in quello di Caelestis che potrebbe spiegarsi attraverso un influsso del primo sul secondo, del quale potrebbero essere stati portatori intellettuali come Apu-

leio. 257 Anche se più di uno studioso ha trovato che le caratteristiche che Apuleio attribuisce a Isis 258 ben si attaglierebbero anche a Caelestis, 259 nessuna fonte letteraria o epigrafica attesta una qualche associazione o identificazione tra le due dee. Per quanto riguarda l’iconografia, abbiamo invece la testimonianza di una trasposizione di elementi iconografici isiaci sulla dea africana nel frontoncino trovato a Roma e conservato ai Musei Capitolini : la dea, rappresentata mentre è seduta sul dorso di un leone, ha un’acconciatura composta dalle teste di due urei. 260 Delle affinità iconografiche si riscontrano già tra Tinnit e la dea egiziana, come è il caso, ad esempio, delle rappresentazioni della dea con il manto di piume o curotrofa. Ancora Minucio Felice 261 parla di Iuno definendola nunc Argiva, nunc Samia, nunc Poena : una tale apparente genericità è abbastanza sorprendente per un numida che esercitava la professione di avvocato a Cirta anche se, possiamo pensare, egli abbia voluto qui riecheggiare i versi virgiliani. Lo stesso discorso vale per Cipriano, 262 un autore forse cartaginese, che parla di Iuno vel Argiva, vel Samia vel Poena, inserendosi nella tradizione virgiliana. All’epoca di Tertulliano si comincia ad affermare il nome di Caelestis, spesso accompagnato dall’epiteto di vergine. 263 L’apologeta cristiano, che era cartaginese e certo parlava per conoscenza diretta, la definisce Virgo Caelestis pluviarum pollicitatrix, riprendendo un aspetto ben noto della dea, quello del suo dominio sulle acque pluviali, garanzia di raccolti abbondanti. 264 In due differenti opere Tertulliano sottolinea poi il ruolo di Caelestis quale dea protettrice dell’Africa, nello stesso modo che altre divinità custodiscono popoli e provincie differenti. 265 Altri due passi simili, sempre dell’Apologeticum e dell’Ad Nationes, commentano invece Virgilio (I 16-20), 266 non aggiungendo nulla di nuovo per quanto riguarda la conoscenza della personalità di Caelestis. Forse più a un ragionamento personale che a conoscenze obiettive è da ricondurre la bizzarra affermazione di Ambrogio secondo cui Caelestis africana è chiamata Mithra dai Persiani e dai più Venus. 267 Mentre infatti è comprensibile, anche se non del tutto giustificata, una comparazione tra Caelestis e Venus, difficilmente spiegabile è l’accostamento a Mithra per il quale non ci sono paralleli nelle fonti. 268 L’apporto di Agostino alla conoscenza del culto di Cae-

247  A 38-39. 248  Della Corte 1979. 250  Verg., Aen., I 46-47. 249  Ibidem, pp. 652-653. 251  A 19. 252  A 23. L’epiteto caelestis dato a Iuno in Stazio non ha invece alcun riferimento con la dea africana, ma è in riferimento alla sede privilegiata della dea, cf. Stat., Theb. X 68 e 913. 253  Per la Iuno di Apuleio cf. Leglay 1984, pp. 54-57. 254  A 2. 255  Della Corte 1979, p. 653, vede anche in questo passo numerosi echi virgiliani. In ogni caso, l’immagine della dea sul leone è del tutto originale. 256  Apul., Met. XI 5. 257  « So ist auch der Anfang, nicht nur der Schluss des XI. Buches autobiographisch zu verstehen, freilich im Sinne einer geistigen Autobiographie. Als Lucio der Esel wendet sich Apuleius auf der karthagisch-athenischen Stufe (der ganze Roman spielt ja in Griechenland) an die ihm vertraute Himmelskönigin Tanit, deren Ähnlichkeiten mit anderen Göttinen er zwar gefühlt hatte, aber nicht integrieren konnte, und als wahre ‘Königin’ antwortet ihm auf der ägyptischen Stufe Isis. Mit dieser Offenbarung schliesst sich der Kreis : Apuleius war berufen, in sein Heimat zurückgeke-

hrt durch seine Isispropaganda auf den alten Tanit-Caelestis-Kult einzuwirken, so dass dieser unter dem Druck dieser und alterer Einflüsse ebenfalls zur Intellektualisierung gezwungen war », Hoevels 1974, p. 352. Sul culto di Isis in Africa cf. Leglay 1984, pp. 57-60. 258  Su Isis la bibliografia è sterminata, cf. almeno Dunand 1973 e 2000 ; Takáks 1995 ; Bricault 2000, 2001 e 2004. 259  Cf. Audollent 1901, pp. 374-375. Il concetto è ripetuto da altri molti studiosi. 260  Cordischi 1989-1990. 262  A 13. 261  A 22. 263  La dissociazione tra Iuno e Caelestis a partire dalla fine del II secolo ha delle eccezioni, come sottolinea Audollent : Apuleio, Firmico Materno, Marziano Capella, Servio e Cipriano (e Minucio Felice, aggiungerei). Secondo A. Audollent ciò si spiega con il fatto che, nel caso degli ultimi quattro (o cinque), essi riportano opinioni dei loro predecessori, mentre Apuleio parla da « rhéteur savant » e non riflette l’uso corrente, Audol265  A 33 e 35. lent 1901, pp. 371, n. 2. 264  A 32. 267  A 1.  266  A 34 e 36. 268  Secondo McGuire 1936-1937, p. 308, Ambrogio si è sbagliato perché ha pensato che Mithra fosse una divinità femminile.







































































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lestis è enorme anche se, in alcuni casi, gli studiosi hanno sovrainterpretato i passi relativi arrivando a costruire un quadro affascinante ma non del tutto conforme alla testimonianza. Mi riferisco in particolare al passo del De civitate Dei in cui la descrizione delle feste dedicate alla Madre degli dèi è stata invece estesa anche al culto di Caelestis. 269 In altri passi tratti da differenti opere emerge chiaramente che, a Cartagine, il culto di Caelestis poteva apparire, per l’attaccamento dei devoti alla dea e per le sue caratteristiche e funzioni, un grave ostacolo alla cristianizzazione della città. 270 Proprio il passo di Agostino relativo alle feste della Madre degli dèi 271 ha fatto pensare che, nel culto, la Mater deorum e Caelestis fossero in qualche modo identificate. L’altro elemento preso a sostegno di ciò era la presenza in entrambi i culti del rito del taurobolium. Tutti e due questi presupposti si sono rivelati errati, 272 poiché le due dee non furono mai né confuse né identificate. Innegabile è invece una certa sovrapposizione di moduli stilistici di rappresentazione delle due divinità nell’iconografia. Entrambe queste divinità, a cui deve aggiungersi la dea Syria, condividono la rappresentazione che le vede sul dorso di un leone. Il modello di riferimento deve essere stato proprio la Madre degli dèi, sia per Caelestis che per la Dea Syria. 273 Queste ultime due conoscevano infatti entrambe un legame privilegiato con il leone che viene rappresentato in vario modo nell’iconografia, ma la rappresentazione che le vede sul suo dorso, con modium e scettro, deriva certamente da quella della Mater deorum. Proprio questa affinità nelle rappresentazioni può condurre, quando non sufficientemente contestualizzata, a problemi di attribuzione ; è questo il caso ad esempio di molte lampade di terracotta che M.J. Vermaseren descrive come rappresentazioni di “Caelestis-Cybele”. 274 L’uso di moduli iconografici analoghi non implica però alcuna confusione da parte dei devoti, che sapevano sempre a quale divinità si stavano rivolgendo. Firmico Materno, 275 nel quadro di una critica alle teorie razionalizzanti dei filosofi pagani, menziona l’interpretazione secondo cui Assiri 276 e Africani vedono la supremazia dell’aria sugli altri elementi ; essi l’avrebbero divinizzata sotto i nomi di Iuno e Venus Virgo. 277 A partire da questo presupposto, dopo aver ironizzato sulla verginità di Venus e aver ricordato l’incesto tra Iuno e Iuppiter, inizia una lunga descrizione dei sacerdoti della divinità, caratte-

rizzati da effeminatezza. Come si evince proprio da questa descrizione dei sacerdoti della dea, sembra che qui Firmico stia parlando più della Dea Syria 278 che non di Caelestis. La menzione di Venus Virgo colpisce non tanto per l’epiteto Virgo, che è conosciuto non solo per Caelestis ma anche per la Dea Syria, 279 ma per il riferimento a Venus che, per Caelestis, non è mai attestato e che anche per la Dea Syria presenta dei problemi. 280 In ogni caso la testimonianza di Firmico appare piuttosto generica e non sembra possa considerarsi molto più che il frutto di una speculazione personale che lo porta, sulla base di obiettive analogie, 281 a operare un raffronto tra le due divinità menzionate, anche se, nel caso di Caelestis, Firmico non sembra avere informazioni dirette né originali. Nel commento alle Georgiche virgiliane, Servio 282 ribadisce in più passi la posizione di Iuno e Saturnus come dii patrii degli Africani. Anche se la dea è qui chiamata Iuno, in continuità con Virgilio, il riferimento è indubbiamente a Caelestis. Marziano Capella, 283 nordafricano, nel ripartire gli dèi nelle regioni del templum, stabilisce nella quattordicesima posizione Saturnus e Iuno Caelestis, ribadendo ancora una volta lo stretto legame tra le due divinità. Un contributo importante alla storia del culto, ma anche della personalità di Caelestis, proviene da uno storico, Erodiano, 284 che riporta gli avvenimenti relativi al “matrimonio sacro” tra la dea Caelestis e Sol Invictus di Emesa patrocinato dall’imperatore Elagabalo. 285 La hierogamia si doveva infatti basare su una compatibilità tra queste due divinità che dovrà essere approfondita. Tralasciando gli interessi relativi alla ricca “dote” portata dalla sposa, è interessante notare le motivazioni “religiose” che Erodiano dà dell’unione. La prima delle motivazioni, che non sappiamo se attribuire a Elagabalo o a Erodiano, è che Caelestis, a differenza di Minerva, prima “moglie” di Sol Invictus, non è una dea bellicosa : è questa una notazione importante, che quanti sostengono il carattere guerriero di Tinnit e tendono a estenderlo a Caelestis non hanno adeguatamente considerato. La seconda motivazione, anche questa non sappiamo se attribuibile allo storico o all’imperatore, riguarda un altro aspetto della divinità, cioè il suo rapporto con la luna. A Erodiano questo non pare un carattere intrinseco di Caelestis in Africa e quindi lo fa risalire agli antenati Fenici, che avrebbero chiamato la dea ∆Astroavrch e l’avrebbero assimilata alla Luna. 286

269  A 3. Sul problema cf. cap. 9.2.2. 270  A 6-7. 271  Sul culto della Mater deorum cf. la raccolta di fonti Vermaseren 19771989 e le due monografie Borgeaud 1996 e Roller 1999 ; sul suo culto in Africa, cf. in particolare Graillot 1912, pp. 520-533 ; Ferron – Saumagne 1968 ; Pavis D’Escurac 1975-1976 ; Rives 1995, pp. 73-75. Sull’influenza reciproca tra Caelestis e Cybele cf. Cadotte 2007, pp. 105-106. 272  Cf. Gsell 1931 e Pavis D’Escurac 1975-1976, pp. 228-233. 273  Per quanto riguarda la Dea Syria cf. Lightfoot 2003, pp. 20-23. 274  Cf. Vermaseren 1977-1989, V, nn. 56 ; 57 ; 66 ; 76 ; 106 ; 110 ; 113. A esse vanno aggiunte una figurina in marmo di Thuburbo Maius (n. 89) ; un rilievo conservato al Bardo (n. 116) e un rilievo da Thibilis (n.137). 275  A 14. 276  In realtà Siriani, confusione di denominazione piuttosto frequente. 277  Un’analoga critica in Aug., de civ. Dei IV 10. 278  R. Turcan 1982, p. 197, vede un riferimento a Venus-Astarte, ma quanto viene detto da Firmico a proposito del culto si attaglia molto di più alla Dea Syria, cf. Luc., de Dea Syria 51-53. 279  Parthenos in un’iscrizione da Beroea in Macedonia, cf. Lightfoot 2003, p. 538.

280  Quando è menzionata nelle iscrizioni come Aphrodite è sempre accompagnata dall’epiteto hagne, cf. Lightfoot 2003, pp. 37-38, non vanno però dimenticate le sue connessioni con Astarte che, invece, nell’interpretatio greco-latina prende il nome di Aphrodite e di Venus. A Baalbek Atargatis è interpretata come Venus, cf. Hajjar 1977 I-II e 1987 III (titolatura della dea eliopolitana : Aphrodite : 78, 329B ; 334B ; Venus : 79, 147, 211B, 212, 273 ?, 288B, 327). R. Turcan, nel commento al passo, non prende una posizione precisa : parla Venus-Astarte ma poi menziona il commento di G. Heuten che fa riferimento a Ishtar, Turcan 1982, pp. 197-198 . 281  Cf. sopra par. 2.2. Secondo R. Turcan il raffronto nascerebbe dal fatto che entrambe, una in latino e l’altra in greco, erano onorate con l’epiteto di “celeste”, che permetteva di stabilire una connessione con l’aria, 283  A 21. Turcan 1982, p. 197. 282  A 28-30. 285  Cf. cap. 6.2.4. 284  A 15. 286  Cf. sul passo Lipin´s ki 1995, p. 149 ; Bonnet 1996, p. 104 ; Ribichini 2005, pp. 447-448.



















































































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Sembra questa un’operazione creata ad arte, come appare chiaro subito dopo, per giustificare il rapporto tra il dio di Emesa 287 e la dea africana : si tratterebbe di un’unione tra il Sole e la Luna. Le decisioni che spinsero Elagabalo al matrimonio divino sono certo molteplici e toccano interessi economici, di strategia politica ma anche più squisitamente religiosi. 288 La hierogamia, guardata con sospetto in Occidente, era una pratica consolidata in Oriente e l’unione tra le due divinità provenienti dagli estremi dell’Impero aveva certo dei risvolti altamente simbolici. È vero che Caelestis in Africa non è una dea lunare, ma le sue molteplici rappresentazioni con il crescente, e quelle ancora più numerose della sua “antecedente” Tinnit, potevano, almeno da un punto di vista visivo, giustificare la sua presenza accanto al dio del Sole. Tra le motivazioni della hierogamia voluta da Elagabalo si potrebbe forse supporre la volontà di un rilancio dinastico, cioè un richiamo alla dinastia dei Severi, nata dall’unione tra un africano (all’Africa alluderebbe appunto Caelestis) e una siriana che era figlia del sommo sacerdote del Sole Elagabal di Emesa. L’artificiosità del progetto, proprio perché tale, non sopravvisse però all’effimero regno del suo autore.

Un ultimo settore di documentazione da esaminare per tentare di ricostruire la personalità di Caelestis è quello iconografico. Numerosi sono i problemi di cui bisogna tener conto nell’approccio a questo tipo di fonti, tra i quali, nel caso specifico, il principale è che un’iconografia tipica della dea non è sempre riconoscibile : per la sua raffigurazione ci si serve infatti di modelli stilistici presi a prestito da altre rappresentazioni divine. A partire già da U. Antonielli 289 è stata elaborata una tipologia delle rappresentazioni di Caelestis, sostanzialmente ancora adottata dagli studiosi. Antonielli però, stabilendo una linea di continuità senza interruzioni tra Tinnit e Caelestis, inseriva nell’elenco anche le rappresentazioni della dea punica non solo da Cartagine ma anche dalla Sardegna e dalla Sicilia. Tale metodo, anche se a prima vista può apparire troppo comprensivo, dall’altro è suscettibile almeno potenzialmente di mettere in evidenza linee di continuità nelle rappresentazioni delle due divinità. A prescindere dai risultati raggiunti, certo limitati da quanto si sapeva all’epoca sulla dea Tinnit, questo studio costituisce una base di partenza obbligatoria per quanti si apprestino a studiare l’iconografia di Caelestis. 290 A questa prima sistemazione del materiale, si aggiungono ora le due voci del LIMC relative a “Iuno Caelestis” 291 e

a “Virgo Caelestis” 292 che arricchiscono, senza sostanzialmente modificarne la struttura, la tipologia elaborata da Antonielli. In questo paragrafo che, come i precedenti, è volto a tentare di chiarire gli aspetti della personalità di Caelestis attraverso le differenti fonti documentarie, mi propongo di catalogare il materiale non tanto secondo una tipologia stilistica, quanto rintracciando le funzioni, le caratteristiche e gli attributi della dea che, attraverso determinate rappresentazioni, si volevano mettere in evidenza. Non si intende qui proporre una rassegna completa delle rappresentazioni della dea, compito che deve essere svolto dagli specialisti del settore, quanto piuttosto condurre una riflessione critica sui dati iconografici più noti della divinità. Secondo quest’ottica non sarà poi così importante sottolineare i tratti vicino-orientali o greco-romani nella raffigurazione, quanto piuttosto esaminare se, attraverso moduli stilistici diversi, si intendesse mettere in risalto un particolare aspetto della divinità. Non è poi sempre agevole tracciare una linea discriminante su certi tipi di raffigurazione che, a cavallo della nostra èra, passano quasi impercettibilmente da Tinnit a Caelestis. Per tali ragioni, là dove mi sembrerà opportuno, per evidenziare questa continuità, menzionerò anche quei documenti anteriori alle prime attestazioni epigrafiche o letterarie di Caelestis ma assai vicini iconograficamente alle sue raffigurazioni in epoca romana. Il primo di questi tipi iconografici rintracciato riguarda il rapporto tra la dea e il leone. Si tratta di un rapporto molto stretto e continuo, testimoniato nell’iconografia ma anche nelle fonti letterarie 293 e che si riscontra già negli antecedenti punici di Caelestis, Astarte e Tinnit. Quest’ultima in particolare, sotto forma leontocefala, appare come Genius/Fortuna della terra africana. Tale rappresentazione, 294 che potrebbe risalire almeno al III sec. a.C., 295 viene mantenuta a Thinissut 296 anche quando il tempio passa dalla titolarità di Baal Hammon e Tinnit a quella di Saturnus e Caelestis, segno che tale raffigurazione continuava a essere rappresentativa della divinità femminile lì venerata. Analoghi esemplari provengono da altri luoghi ma risalgono a un’epoca più tarda, ulteriore testimonianza della fortuna di questa immagine. Si ricordano qui i denarii coniati in Africa da Q. Caecilius Metellus Pius Scipio tra il 48 e il 46 a.C. ; 297 le statuine nel santuario rurale di Bir-Derbal, nella regione di Ghardimaou 298 di epoca imperiale ; l’ara votiva dal santuario di Baal Hammon-Saturnus a Tiddis 299 del I sec. a.C. Il rapporto tra Caelestis e l’animale è sottolineato anche da altri tipi di rappresentazione : la dea in piedi o, più fre-

287  Sul dio di Emesa cf. Halsberghe 1972 e 1984 ; Turcan 1985. 289  Antonielli 1922. 288  Cf. Frey 1989. 291  La Rocca 1990. 290  Buona sintesi in Brelich 1966. 293  Cf. A 2, 9, 31. 292  Bullo 1997. 294  Sulla dea leontocefala di Cartagine cf. Marín Ceballos 1995. 295  Per la datazione delle terrecotte di Thinissut, cf. Bullo – Rossignoli 1998 ; ma vedi anche Zucca 2004. A questi documenti va aggiunta la statuina votiva in pietra proveniente dal santuario di Torreparedones, presso Cordova, nella Penisola Iberica, cf. Belén – Marín Ceballos 2002-2003. 296  Merlin 1910, 45 = Fantar 1997, 7 = Bullo 1998, 250-254. La dea leontocefala è rappresentata in posizione stante con una lunga tunica e una corta mantellina. La parte inferiore è avvolta da due grandi ali serrate. Il braccio destro è disteso lungo il fianco e nella mano doveva portare un

oggetto, il sinistro è piegato al petto e tiene un oggetto cilindrico spezzato nella parte superiore. Si sono trovati nel medesimo sito esemplari analoghi (Merlin 1910, 7-8, 16-17, 44, 46-47). 297  Merlin 1910, pl. III.3 ; RRC I, 472 n. 460.4 = Sydenham 1952, 1050 = Bullo 1998, p. 251. Figura femminile stante, frontale, con tunica e due ali che aderiscono alla parte inferiore del corpo. La mano sinistra è all’altezza della vita mentre la destra è distesa lungo il fianco e tiene un oggetto di non chiara identificazione (forse un simbolo di tnt), sul capo un disco solare o un modio. 298  Carton : CRAI, I 1918, pp. 338-347 ; MSA I, pp. 287-288. 299  Berthier – Leglay 1958, pp. 52-55 ; MSA II, 35, n. 6 = Bullo 1998, p. 251. Su un lato dell’ara è rappresentata una colonna che termina con un busto femminile a testa leonina con klaft egittizzante.







10. 4. Le testimonianze iconografiche











































la personalità di caelestis

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quentemente, seduta sul dorso del leone, è una delle immagini più diffuse. Tale iconografia non è però originale, essa è mutuata da quella della Mater deorum, con una tale aderenza al modello che non è sempre agevole distinguere tra le due iconografie. La dea in piedi sul leone è attestata a Thinissut 300 (I sec. d.C.) e su un rilievo di Thibilis (II sec. d.C.) ; 301 seduta sul dorso del leone compare, forse, in un medaglione di Marco Aurelio (153 d.C.) ; 302 su monete di Settimio Severo e Caracalla ; 303 su due gemme ; 304 su una stele da Henchir Medded 305 e su una da Aïn Amara ; 306 su un frontoncino conservato a Tunisi 307 e su uno di Roma (circa metà I sec. d.C.) ; 308 su molteplici lucerne di terracotta ; 309 seduta in trono e leontocefala a Torreparedones, in Spagna. 310 In altri casi, invece, il leone è accucciato ai piedi della dea seduta, come nella statua di Thuburbo Maius, 311 oppure, in scene che comprendono anche altri personaggi, esso compare accanto alla dea come in due stele da Gounifida. 312 In un capitello in marmo da Cartagine, di epoca severiana, il busto della dea è affiancato da due leoni. 313

L’immagine di Caelestis seduta su trono, spesso con il capo velato, 314 è un altro tipo di rappresentazione largamente diffuso. 315 Esso si avvale tanto di moduli stilistici orientalizzanti, come ad esempio il trono affiancato dalle sfingi alate, quanto di modelli ellenizzanti. Anche in questo caso il tipo iconografico già apparteneva ad Astarte e Tinnit, il che crea problemi di identificazione laddove i santuari appaiono frequentati ítanto in epoca punica che romana. Per quanto riguarda la rappresentazione del trono con sfingi alate si possono menzionare gli esemplari da Cartagine (IV sec. a.C) , 316 da Thuburbo Maius (I sec. a.C./I sec. d.C.), 317 da Utica (I sec. d.C.), 318 da Thysdrus (I sec. d.C.). 319 Un’antica immagine della dea in trono proviene da Thinissut (III sec. a.C.), 320 a cui si aggiungono esemplari conservati al Bardo ; 321 una statua da Pupput (I sec. d.C.) ; 322 una da Sciara Sciat (II sec. d.C.) ; 323 una stele da Thibilis (II sec. d.C.) ; 324 un frammento di statua da Henchir Rhobane (III sec. d.C.) ; 325 una statua da Caesarea (III sec. d.C.) ; 326 un frammento di statua da Thuburbo Maius ; 327 un frontoncino da Bou Arada (I

300  Merlin 1910, 9 = Antonielli 1922, pag. 52 = La Rocca 1990, 171 = Bullo 1997, 1 = Fantar 1997, 6 = Bullo 1998, pp. 254-257. 301  Merlin, BCTH 1954, 194-195d = Bullo 1997, 2 = Bullo 1998, p. 255. 302  DHM III, 66, n. 662 = Gnecchi 1912, III, p. 39 n. 7 = La Rocca 1990, 169. La dea è seduta su un leone, alle sue spalle un edificio rotondo e un’erma. 303  Antonielli, p. 52, fig. 26 ; La Rocca 1990, 170 = Wurnig 1999, p. 36.   Settimio Severo : RIC IV/1, p. 116, 193 = BMC Emp V, p. 248 s.n. ; RIC IV/1, p. 125, 266 = BMC Emp V, p. 218, 335-338 ; RIC IV/1, p. 125, 267 = BMC Emp V, p. 218 ; 333, 334, 335n ; RIC IV/1, p. 194, 759-60 = BMC Emp V, p. 334, 830 ; RIC IV/1, p. 195, 763, 763A = BMC Emp V, p. 341 s.n. ; RIC IV/1, p. 195, 766, 767A = BMC Emp V, p. 342, 844.   Caracalla : RIC IV/1, p. 231, 130a, b = BMC Emp V, p. 208, 280, 281 ; RIC IV/1, p. 232, 131a, b = BMC Emp V, p. 208, 279 ; p. 209, 282 ; RIC IV/1, p. 279, 415 = BMC Emp V, p. 334 s.n. ; p. 335, 831, 832 ; RIC IV/1, p. 280, 418A = BMC Emp V, p. 343 s.n. ; RIC IV/1, p. 289, 471 (= RIC IV/1, p. 279, 415d) = BMC Emp V, p. 332 s.n. Il denarius di Iulia Domna (RIC IV/1, p. 172, 594) è invece catalogato tra gli “ibridi”, potendosi trattare di una « barbarous imitation », RIC IV/1, p. 172 n.*. La dea in posizione frontale, con corona, è seduta sul leone che incede, nelle mani tiene timpano e scettro, solo timpano, fulmine, fulmine e scettro. Sotto il leone è rappresentata una sorgente d’acqua. 304  Nella prima gemma, di tarda epoca imperiale, la dea sul leone incedente ha una corona turrita e lo scettro, ai suoi lati appaiono i Dioscuri, l’iscrizione la identifica come Hera Ourania, Antonielli 1922, p. 52, fig. 27 = La Rocca 1990, 168 = Wurnig 1999, p. 38, (Coll. Malbourough) . La seconda gemma proviene da Nemencha (SO di Tebessa). La dea è rappresentata sul leone tiene un mazzo di spighe e una cornucopia, Reboud : RNMSAC, 18 (1876-1877), p. 455 = Bullo 1997, 11. 305  Antonielli 1922, p. 56, fig. 40 = MSA I, pp. 297-298, 1 = La Rocca 1990, 166 = Wurnig 1999, p. 37. Nella parte superiore della stele è rappresentata una serie di personaggi divini, al centro Saturnus, alla sua destra Caelestis su leone, a sinistra Ceres, alle due estremità Mars e Neptunus. 306  Reboud : RNMSAC, 18 (1876-1877), p. 455 = Vermaseren 1977-1989, V, p. 50, 13 = Bullo 1997, 12 = Wurnig 1999, p. 36. La dea su leone porta un polos e tiene uno scettro. I piedi poggiano su una sfera. A sinistra appare il busto del Sole a destra un uccello (forse un gallo) su un crescente lunare. 307  La Rocca 1990, 165. La dea, seduta sul leone, tiene una corona, ai suoi lati sono rappresentati due pavoni. 308  Guarducci 1946-1948, p. 22 = La Rocca 1990, 162 = Cordischi 1989-1990 = Wurnig 1999, p. 38. La dea è al centro seduta sul leone, in una mano regge lo scettro, l’altra è mutila. Indossa un lungo chitone e un mantello, mentre il seno sinistro è scoperto. Sul capo indossa una corona con due serpenti urei. In alto una stella, a sinistra Sol con la quadriga che ascende, la parte destra è perduta, verosimilmente era rappresentata Luna. 309  Antonielli 1922, p. 53, fig. 28 = La Rocca 1990, 167 che dà i riferimenti per i diversi esemplari a Cartagine (Cat. Musée Alaoui, p. 60, 113-114 e Mus. Lavigerie, p. 60). Per tipi analoghi ritrovati a Uthina cf. MSA I, p. 350 n. 3 (Gauckler : BACHT, 1897, p. 459, 301 ; Héron de Villefosse : CRAI, 1890, p. 320 ; Delattre : Mém. Ant., 57 [1896], p. 139). 310  Belén – Marín Ceballos 2002-2003.

311  Vermaseren 1977-1989 V, p. 33, 89 = Bullo 1997, 13, proviene dalla zona delle Thermae Aestivales. 312  Nella prima (Gsell 1902, p. 14 ss. = Antonielli 1922, p. 56, fig. 41 = MSA I, p. 349, 46 = La Rocca 1990, 172 = Wurnig 1999, pp. 37-38) il leone, tra Saturnus e Caelestis, volge lo sguardo verso la dea. Nella seconda (Gsell 1902, p. 16 = Antonielli 1922, p. 56, fig. 42 = MSA I, p. 352, 47 = La Rocca 1990, 173 = Wurnig 1999, p. 38) una prodrome leonina è rappresentata tra Sol e Luna in un registro diverso rispetto a quello in cui compaiono Saturnus e Caelestis. 313  Picard 1953, pp. 117-118 = Lèzine 1968a, p. 57 = Bullo 1997, 14. Ritrovato nell’Apodyterium delle Terme di Antonino. J. Carcopino dice di aver visto nella baracca dei capi-cantiere di Castellum Tidditarum una piccola statua « de Caelestis ou de Cybèle », seduta tra due leoni, J. Carcopino : CRAI, 1942, p. 308. 314  Un’immagine di tipo tradizionale che fa parte delle stele del gruppo del Vieil-Arzeu (St. Leu, antico Portus Magnus), rappresenta una dea (Tinnit-Caelestis ?) nuda che tiene allargato con le mani, al di sopra della testa, un velo da interpretarsi come la volta celeste, Gsell : BACHT, 1899, pp. 463-464 ; Doublet 1890, tav. III 4 = Antonielli 1922, p. 55, 24 = Bisi 1965, pp. 140-141 = Bisi 1967, pp. 128-129. 315  Forse è da identificare con Tinnit la figura femminile su due stele da Hadrumetum (V sec. a.C.). La dea è rappresentata di profilo, fasciata in un lungo abito e seduta su uno sgabello. In una delle rappresentazioni la testa è coperta da una sorta di cappuccio. Una mano sorregge una sfera mentre l’altra è protesa avanti, di fronte un braciere, Picard 1971, Cb 1076-1077 = Bisi 1965, pp. 127-129. 316  Cintas : BACHT, 1952. In trono e leontocefala la statuina di Torreparedones in Spagna, Belén – Marín Ceballos 2002-2003. 317  Merlin 1910, 41 = Merlin : CRAI, 1915, p. cxxxvii 1 = Bullo 1997, 3. Fu ritrovata nel tempio c.d. della Baalat, oggi perduta ; una analoga è conservata al Bardo, Picard 1971, Ca 22. 318  Cintas : CRAI, 1952, p. 19 = Bullo 1997, 4. 319  Si tratta di tre esemplari. La dea poggia i piedi su uno sgabello con zampe leonine, Cat. Musée Alaoui (Suppl. I), pp. 168-169 = Merlin : BACHT, 1909, pp. ccxxiii-ccxxxv = Bullo 1997, 5. 320  Merlin 1910, p. 18 = Antonielli 1922, p. 53, fig. 31 = La Rocca 1990, 175 = Bullo 1998, pp. 257-259. 321  Primo esemplare : Cat. Musée Alaoui (Suppl. I), p. 162, 266 = La Rocca 1990, 176. Secondo esemplare : Cat. Musée Alaoui (Suppl. I), p. 167, 299 = Antonielli 1922, p. 53, fig. 32 = La Rocca 1990, 177, analoghi : Cat. Musée Alaoui (Suppl. I), 300-303. 322  Merlin : BACHT, 1912, pp. XCVIII-XCIX = Bullo 1997, 7 = Wurnig 1999, p. 37. 323  Antonielli 1922, pp. 41-42, fig. 1-2 = La Rocca 1990, 174. 324  De Pachtère 1909, p. 50 = Bullo 1997, 8. Accanto alla dea sono rappresentati due accoliti con le braccia alzate. 325  Farges : RMSAC, 1979-1980, pp. 232-233, 31 = Bullo 1997, 9. 326  Gauckler 1895, p. 135 = Landwehr 1993, pp. 77-78, 55 (che la interpreta come Cybele) = Bullo 1997, 10, proviene dall’isola del faro. 327  Cf. riferimenti bibliografici n. 311.





































































































































































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sec. d.C.). 328 Tre stele, due da Gounifida 329 e una da Morsott, 330 rappresentano la dea seduta a fianco di Saturnus. Importante nella rappresentazione della dea è la corona murale che è un tratto comune, anche se non antichissimo, delle rappresentazioni della Madre degli dèi 331 e della Dea Syria, 332 tale attributo, probabilmente, era già proprio di Tinnit. 333 Con la corona murale appare la dea in tre diademi frontali, probabilmente cerimoniali, 334 provenienti da Batna, da Thala e da Henchir Gounifida (tutti del I sec. d.C.), 335 su una gemma della Collezione Malbourough (tarda epoca imperiale), 336 su una stele da Henchir Medded, 337 forse sulle monete di Settimio Severo e Caracalla. 338 Il crescente lunare è un attributo molto frequente nelle rappresentazioni di Caelestis, esso appare già in quelle di Tinnit il cui modello la dea africana pare seguire distaccandosene in quelle raffigurazioni di tipo più ellenizzante in cui è rappresentata secondo l’iconografia di Selene. Il crescente compare anche frequentemente a completamento delle rappresentazioni di Caelestis, e prima di lei di Tinnit, a sottolineare la dimensione non lunare ma genericamente astrale della divinità, 339 come è il caso, ad esempio, della stele da Thibilis. 340 Quando compare da solo nel registro superiore delle stele è simbolo sostitutivo della divinità che può essere tanto Caelestis che Saturnus. 341 È rintracciabile una linea di continuità da esemplari più antichi e riferibili a Tinnit ad altri più tardi che raffigurano Caelestis, nella rappresentazione del busto della dea in stretta relazione con il crescente : si pensi alle stele di

Cartagine, 342 di Thala, 343 di Bulla Regia, 344 di Sicca Veneria, 345 di Thinissut 346 (tutte databili al I sec. a.C.), alle lucerne di terracotta provenienti da Hadrumetum, Cirta, Caesarea 347 o dalla tomba di Gargaresc, 348 alla stele da Thamugadi (II sec. d.C.). 349 In altre immagini, certo debitrici alla rappresentazione di Selene/Luna, la dea ha una piccola falce sulla fronte, come testimoniano una forma di medaglione di terracotta conservato al Bardo 350 e due teste marmoree che Antonielli avverte però di identificare con massima cautela : una testa di statua da Bisica 351 e un’altra testa di statua trovata a Cartagine. 352 La cornucopia appare un altro tratto caratterizzante di Caelestis, tanto che M. Leglay pensa che anche solo questo simbolo basti a evocarla. 353 In una stele da Gounifida 354 la dea tiene in grembo, molto probabilmente, un cestino di frutta ; una gemma da Nemencha presenta la dea sul leone con un mazzo di spighe e una cornucopia. 355 Connesse con il tema della fertilità e dell’abbondanza rappresentato dalla cornucopia, appaiono le rappresentazioni su tre stele provenienti da Uthina (fine I – inizi III sec. d.C.). Su di esse compare un personaggio dal corpo tronco-conico che tiene nelle mani un grappolo d’uva e una granata, che è stato identificato come un’ipostasi di Tinnit-Caelestis. 356 Analoga interpretazione è proposta per l’immagine dal corpo triangolare che tiene in mano due cornucopie da cui escono un melograno e un grappolo d’uva, rappresentata su alcune stele di La Ghorfa (prima età imperiale). 357 A proposito di questi monumenti va det-

328  Ferchiou 1998. Al centro una divinità femminile seduta su un trono. Ai lati un bue e un maiale o un cinghiale. Da entrambi i lati delle rosette e due volatili sopra gli animali. Ai lati estremi in basso del frontone busti di Sol e Luna. 329  La prima presenta nel registro superiore Saturnus e, in dimensioni minori, Caelestis, entrambi seduti, tra di loro un leone ; nel registro successivo sono rappresentate cinque pigne e i Dioscuri a cavallo ; nell’ultimo registro una scena di sacrificio. Nella seconda, nel registro superiore Saturnus, seduto su seggio con protomi caprine, e Caelestis, su seggio con protomi taurine. La dea ha la testa coronata e velata, nelle mani una patera e forse un fiore. Nel registro successivo, separati da una testa leonina, i busti di Sol e Luna. Nell’ultimo registro, dedica a Saturnus. I riferimenti bibliografici alla n. 312. 330  MSA I, pp. 358-359, 56. Rimane solo un frammento. Nella parte superiore tre rose, nel secondo registro due nicchie in cui sono rappresentati Saturnus, più grande, su trono con arieti e Caelestis su un trono con tori. 331  Probabilmente proprio per influsso delle rappresentazioni di Cybele Caelestis avrebbe acquisito questo attributo, cf. Pavis D’Escurac 19751976, p. 229. Per la rappresentazione di Cybele con la corona muraria, non anteriore all’epoca ellenistica cf. Simon 1997, pp. 765-766. 332  Sulla corona murale in relazione alla Dea Syria cf. Lightfoot, pp. 333  Cf. in proposito Marín Ceballos 2007. 22-28. 334  Leglay 1966, pp. 373-374. 335  Batna : Berger 1879 e 1880 = Antonielli 1922, p. 54, fig. 36 = La Rocca 1990, 180 = Bullo 1997, 6. Fu trovato in una tomba punica nei pressi di Batna (Aïn-el-Ksar) e oggi è perduto. Rimane un disegno di Ph. Berger. Tra le varie immagini e simboli divini, al centro due busti separati da una stella, Baal Hammon-Saturnus e Tinnit-Caelestis. Questa ha sui capelli un kalathos o una corona turrita. Analoghi a Thala (Aïn-Khamouda) (Cat. Musée Alaoui, Suppl. II, p. 120, 78) e a Henchir Gounifida (Gsell 1902, pp. 55-56). 336  Riferimenti bibliografici alla n. 304. 337  Riferimenti bibliografici alla n. 305. 338  Elenco e riferimenti bibliografici alla n. 303. Per l’interpretazione del copricapo come corona murale cf. Mundle 1961, n. 3. 339  Leglay 1966a, p. 172. 340  Cf. riferimenti bibliografici n. 301. La dea è rappresentata in piedi sul leone, accanto crescente lunare e conchiglia.

341  Leglay 1966a, pp. 171-172. 342  Berger 1880, p. 21 = Bisi 1965, p. 118 = Bisi 1967, p. 77. La Bisi la ritiene ispirata a una simbologia siriano-ellenistica : vi è rappresentato un busto femminile alato e con i seni nudi che stringe al petto, secondo Berger e Bisi, un crescente con un piccolo disco all’interno, e, secondo Marín Ceballos, una specie di conca carica di frutti in forma di crescente, cf. Marín Ceballos 1987, p. 72 n. 30. 343  Picard 1971, Ca 21 = Bullo 1997, 15 = Wurnig 1999, 36-37. Cf. anche CIS I 182. 344  La Blanchère, Cat. Musée Alaoui, 844 = Picard 1971, Cb 950 = Bisi 1965, pp. 137-138 = Bisi 1967, p. 124 = Bullo 1997, 15. 345  La Blanchère, Cat. Musée Alaoui, p. 70, 848 = Bullo 1997, 15. 346  Merlin 1910, p. 32, 24 = Bisi 1965, p. 138 = Bisi 1967, p. 124 = Picard 1971, Cb 945 = Bullo 1997, 16. 347  Per questi tre siti cf. RA, 1898, p. 234 ; Cat. Musée Alaoui, p. 159 s., 107-109 ; Cat. Musée Alaoui (Suppl. I), p. 185, 769-773 ; Gauckler – Gouvet – Hannezo 1892, p. 58, 8-9 ; Gauckler 1895, p. 71 = La Rocca 1990, 182. 348  Antonielli 1922, pp. 54-55, fig. 37 = La Rocca 1990, 183. 349  MSA II, p. 155, 61 = Bullo 1997, 17 = Wurnig 1999, p. 37. 350  Antonielli 1922, p. 54. 351  Cat. Musée Alaoui, p. 56, 65 = Antonielli 1922, p. 55, fig. 38 = La Rocca 185. Va detto, però, che l’esemplare proviene da un tempio di Venus, cf. Antonielli 1955, p. 55 n. 141. 352  Presso il porto militare e l’antico foro romano, Antonielli 1922, p. 55. La statua presenta sulla fronte un piccolo supporto marmoreo che, probabilmente, sorreggeva un ornamento. Antonielli menziona anche una testa di marmo da Caesarea identificata da Gauckler con Isis, nella città molto venerata, e che, secondo Antonielli, potrebbe invece essere riferita a Caelestis in quanto sul velo che copre la testa c’è un crescente, Antonielli 1922, p. 55 n. 143. 353  MSA I, pp. 302-303 (Thala) ; MSA II, pp. 121-122, n. 8 (Lambafundi). 354  Per i riferimenti bibliografici cf. la prima stele menzionata alla n. 312. 355  Cf. n. 304. 356  Picard 1971, Cb 1072-1074 = Bisi 1965, p. 137. 357  La Blanchère, Cat. Musée Alaoui, 741-752 = Picard 1971, Cb 963-974 = Bisi 1965, p. 133-134 = Bisi 1967, pp. 116-117.





















































































la personalità di caelestis

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to che la testa raffigurata al vertice delle stele, considerata da molti studiosi come femminile e da riferirsi a Tinnit/ Caelestis, 358 secondo alcuni potrebbe invece essere attribuita a un personaggio maschile, da identificarsi verosimilmente con Baal-Hammon/Saturnus. 359 Il legame con la fertilità è attestato anche dal kalathos che in alcune rappresentazioni sormonta il capo della dea, come ad esempio nella statua di Thinissut (III sec. a.C.), 360 in una conservata al Bardo, 361 in quella di Sciara Sciat (II sec. d.C.), 362 o nel busto da Cartagine che, forse, rappresenta la dea : 363 un lungo percorso cronologico che attesta il permanere di tale attributo iconografico nel tempo. In un discreto numero di raffigurazioni compare una divinità nella funzione di nutrice. Questa Nutrix, 364 coerentemente con quanto avviene nelle fonti epigrafiche, è strettamente legata alla funzione materna di Tinnit che riveste anche Caelestis. 365 Nell’iconografia di Tinnit come nutrice sono state riconosciute due linee di tendenza : a una tendenza stilistica orientalizzante vanno ascritte quelle immagini di Tinnit come Isis lactans, come appare su due rasoi funerari cartaginesi, 366 altre invece possono essere ricondotte a un modello ellenizzante come ad esempio una statua da Cartagine (III sec. a.C), 367 un pendente dalla necropoli di S. Monica, 368 una statua da Thinissut (fine III sec. a.C.) 369 e una da Soliman (fine II – inizi I sec. a.C.). 370 Su tre stele nordafricane di epoca romana, delle quali non è possibile rintracciare l’origine, compare, nel registro superiore, una divinità Kourotrophos con bambino che è stata recentemente interpretata come Caelestis-Nutrix. 371 Altri documenti possono essere ascritti, con diverso margine di probabilità, al dossier iconografico di Caelestis, come il busto in marmo da Cartagine ; 372 una statuetta da Hammamet ; 373 la rappresentazione del Genius Coloniae di Oea ; 374 l’immagine su un capitello d’anta trovato a Roma

nelle vicinanze del tempio dei Castori, al Foro, e proveniente, forse, dall’Elagabalium (218-222 d.C.) ; 375 una statua da Bulla Regia ; 376 una testa ritrovata in Spagna nel santuario di Torreparedones ; 377 le raffigurazioni su alcune stele da Tajo Montero 378 e quelle sui mosaici di Gerona e Barcellona. 379 Alla fine di questa, forse troppo rapida, rassegna sull’iconografia di Caelestis emergono alcune considerazioni di estremo interesse. La prima riguarda l’impossibilità di circoscrivere le rappresentazioni alla dea africana escludendo quelle di Tinnit. D’altra parte va sottolineato come un’iconografia certa della dea punica è ancora lontana dall’essere definita con sicurezza 380 e, in molti casi, l’attribuzione di raffigurazioni a Tinnit dipende proprio dal confronto con i dati più tardi relativi a Caelestis. È facilmente intuibile la difficoltà di stabilire con certezza, in mancanza di documenti scritti, il momento in cui una raffigurazione che si ripropone dall’epoca punica fino al tardo impero sia passata a rappresentare Caelestis invece di Tinnit. È questo il caso, ad esempio, dei busti con crescente lunare che affondano le loro radici nella tradizione vicino-orientale o del persistere, in epoca romana, di rappresentazioni di una divinità femminile dalle forme geometrizzanti (corpo a triangolo, volto come cerchio) con grappolo e melograno o, ancora, del riproporsi nel tempo, secondo stili diversi ma sostanzialmente omogenei, della dea seduta su trono. Con un giudizio forse eccessivamente critico e certo banale sulla sensibilità estetica dei Punici, ma sostanzialmente corretto nella sostanza, G. Ch. Picard ha sottolineato come essi non abbiano mai avvertito l’esigenza di creare un tipo canonico per la dea Tinnit ma che abbiano attinto dai repertori di divinità straniere che, per un attributo o per un altro, apparivano idonee a rappresentare la loro divinità. 381 Un’idea più o meno analoga esprime M.C. Marín

358  Cf. bibliografia in Ghedini 1990, p. 240 n. 28. 359  Ghedini 1990. 360  Cf. riferimenti bibliografici n. 320. 361  Per i riferimenti bibliografici cf. secondo esemplare descritto alla n. 321. 362  Per i riferimenti bibliografici cf. n. 323. 363  Antonielli 1922, p. 54, fig. 35 = La Rocca 1990, 184, databile probabilmente al II sec. d.C. 364  Per una raccolta delle fonti cf. Renard 1952. 365  Un’identificazione tra Caelestis e Nutrix è proposta da Wurnig 1999. Un’indagine sugli antecedenti della Nutrix in Picard 1969. 366  Picard 1965-1966, pp. 65-66, 25, p. 70, 34, una Isis lactans p. 70 n. 35 ; 367  Cintas : BACHT, 1952. Picard 1969, pp. 475 e 476. 368  Delattre 1906, p. 13 369  Merlin 1910, 20-21 = Renard 1959, 34 n. 14 = Fantar 1997, 5 = Bullo 1998, pp. 259-263 = Wurnig 1999, p. 41 370  Picard 1969, pp. 479-480 = Fantar 1997, 4 = Wurnig 1999, p. 41. 371  Wurnig 1999, p. 42 (Yale University Art Gallery, New Haven) ; Wurnig 1999, p. 42 (Yale University Art Gallery, New Haven) ; Wurnig 1999 (Martin von Wagner Museum, Würzburg), datata alla seconda metà del II sec. d.C. A questa serie la Wurnig 1999, p. 44, aggiunge anche una stele dalla regione di Beja-le Kef. MSA I, p. 292, n. 4, pensa invece che il personaggio in alto sia Saturnus. La statua in marmo ritrovata a Lambaesis e da Wurnig 1999, p. 41, interpretata come Nutrix, è per Leglay una rappresentazione di Libera (MSA II, p. 81 n. 3 e p. 295 n. 3). 372  Cf. riferimenti bibliografici n. 352. 373  L’identificazione, proposta da Leglay, si basa sul fatto che la statuetta, che riproduce una divinità femminile, è stata ritrovata insieme a una statuetta di Saturnus. Cf. MSA I, p. 101 n. 2. che riprende questa notizia da Cl. Poinssot : Karthago, 6 (1955), p. 38 n. 5, che a sua volta l’aveva recuperata da una nota manoscritta di Louis Poinssot. 374  Cf. Caputo 1940. Sul frontone del tempio dedicato al Genius Coloniae. L’identificazione si basa sulla somiglianza con una statua di Sabratha

da Bartoccini 1927, p. 54, 21, identificata con Caelestis. Sarebbero da ricostruirsi la cornucopia e la patera. 375  Studniczka 1901, p. 273 ss. = Strong 1907, p. 307 ss. = L’Orange 1952, p. 80 = Picard 1953, p. 107 = Bartoli 1956-1957, pp. 29-30 = Mercklin 1962, p. 154 = La Rocca 1990, 163. Vi è rappresentata la pietra di Emesa e, ai suoi lati, raffigurate come statue su piedistalli, Minerva e, molto poco visibile, Iuno (forse Caelestis). 376  Sarebbe Caelestis secondo l’interpretazione di García-Bellido 1998. 377  Morena López 1989, p. 70, 36 = Marín Ceballos 1994. 378  García y Bellido 1967, 8. In una di esse, all’interno di un’edicola, è rappresentata una donna nuda, ai suoi lati una palma e un arco. Per García y Bellido sarebbe Caelestis. Altre stele presentano due teste, una femminile dalle lunghe trecce, l’altra barbuta, si tratterebbe di Tinnit-Caelestis e di Baal Hammon-Saturnus secondo García y Bellido. Leglay 1958, p. 152, ha criticato entrambe le interpretazioni. Per quanto riguarda la prima stele il personaggio si trova nella parte solitamente riservata al dedicante e non in quella della divinità. Per le stele con la coppia non è possibile pronunciarsi, sempre secondo l’opinione di Leglay, perché mancano gli attributi tipici di riconoscimento. 379  García y Bellido 1967, 9. Ma potrebbero essere, più probabilmente, rappresentazioni di Cybele, cf. Marín Ceballos 1993, p. 841 n. 95. 380  Sznycer 1995, p. 108 invita a questo proposito alla prudenza : « (…) il est préférable, en l’absence d’un indice sûr, de rester prudent dans l’identification à la dèesse de certaines statues ou représentations, ou l’attribution ��������������������������������������������������� una bibliografia orientativa sulla rappresentade tel ou tel symbole ». Per zione della dea Tinnit cf. Antonielli 1922 ; Bisi 1965 e 1967 ; Brelich 1966 ; Picard 1969 ; Marín Ceballos 1986 e 1995 ; Baldus 1988 ; Stieglitz 1990 ; Mertens-Horn 1994 ; Fantar 1997 e, con cautela riguardo alle interpretazioni non sempre condivisibili, Hvidberg-Hansen 1979 ; Alexandropoulos 1987 ; García-Bellido 1989, 1991 e 1998. 381  « On le voit, les Puniques, gens peu sensibles à l’art et portés au







































































































dea caelestis

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Ceballos a proposito della presenza di elementi egiziani o greci nell’iconografia punica. 382 L’uso di determinati modelli non implica però, necessariamente, la presa in carico del loro portato ideologico, poiché essi possono essere soggetti alle mode, ai contatti commerciali, a richiami al tradizionalismo o a un desiderio di innovazione formale. Quello che è stato osservato per le raffigurazioni di Tinnit vale anche per l’iconografia di Caelestis : se la scelta di rappresentare la dea seduta su un trono con sfingi o connessa alla falce lunare rimanda indubbiamente a contesti orientali, altre rappresentazioni di Caelestis seguono senz’altro modelli più occidentali, come la dea sul leone o con la corona muraria. Un’iconografia per così dire “di frontiera” rimane quella della divinità nutrice i cui antecedenti possono ritrovarsi tanto nella Isis lactans egiziana quanto nella kourotrophos greca. Se ci basassimo unicamente sul prototipo che ispira queste rappresentazioni dovremmo via via identificare Caelestis con Iuno, la Mater deorum o Isis e continuare a parlare, nel migliore dei casi, di sincretismo se non addirittura, come è stato fatto, di “confusione”, “sovrapposizione”, etc. È questo un modo metodologicamente scorretto di porre il problema. Se è evidente che la mancanza di una rappresentazione “cristallizzata” della divinità, che prevedesse una codificazione dei suoi attributi, ha giocato in favore di una certa fluidità, allargando il campo delle opzioni iconografiche, questo non significa che le scelte siano state improvvisate o irrazionali. La scelta di un modello figurativo avviene sempre all’interno di un quadro ideologico coerente, anche se per noi è molto spesso difficile da ricostruire. Un esame dei tipi iconografici e degli elementi che i devoti scelgono per Caelestis rivela che in essi sono ribaditi i tratti fondamentali della sua personalità, tratti che le appartengono intimamente e non sono frutto di spericolati o meccanici sincretismi. Caelestis è una divinità dalle prerogative cosmiche e la sua maestà è sottolineata dalle innumerevoli rappresentazioni, orientalizzanti o ellenizzanti, che la vedono sedere su un trono. Il suo rapporto con il leone, che eredita da Tinnit, esalta in particolare un aspetto specifico della sua personalità, quello del legame, profondo e fondamentale, con la terra africana. Nell’iconografia questo aspetto viene rappresentato prendendo a prestito modelli figurativi propri di altre divinità e di altri orizzonti religiosi : se Tinnit aveva mutua-

to la sua raffigurazione leontocefala da quella di Astarte e di alcune divinità femminili egiziane, Caelestis utilizza piuttosto le rappresentazioni della Mater deorum, seduta sul dorso del leone o con l’animale accanto a lei, mentre un’immagine in qualche modo intermedia è quella della dea in piedi sul felino. Ma i vari significati che tali rappresentazioni potevano veicolare, come ad esempio i legami con il mondo selvaggio e le attitudini bellicose delle varie divinità, sono superati da una nuova interpretazione, quella di Caelestis (ma anche Tinnit) come dea dell’Africa di cui il leone era uno degli animali-simbolo. 383 Anche la dimensione poliade, così importante sia per Tinnit che per Caelestis, trova in epoca romana una specifica modalità di rappresentazione attraverso il simbolo della corona murale tipica di Cybele, della Dea Syria ma anche di tante Tychai. 384 Nei molteplici documenti in cui Caelestis è accompagnata dal crescente è da vedere non tanto un semplice riferimento alla luna ma, come ha brillantemente chiarito Leglay, 385 piuttosto il dominio della divinità su tutto il cosmo. Già nelle stele del I sec. a.C. noi troviamo l’immagine del busto di Tinnit associata al crescente e, successivamente, Caelestis viene rappresentata attraverso l’iconografia di Selene/Luna. Quest’ultima scelta non implica però un “sincretismo” tra Caelestis e Selene/Luna. Le diverse iconografie servono solo da supporto a un discorso ideologico che si mantiene sostanzialmente nel solco della tradizione anche se si rinnova formalmente. Le rappresentazioni di Tinnit e Caelestis mettono in evidenza anche la loro funzione di promotrici di fertilità e fecondità e a questo ambito vanno infatti riportati gli attributi che a loro si accompagnano quali la melagrana, 386 il grappolo d’uva, 387 la cornucopia, 388 la colomba 389 e l’immagine della dea con il busto nudo. 390 Le rappresentazioni della dea nutrice, che sembrano essere state proprie di entrambe le dee, si riferiscono anch’esse alla funzione di protezione della fecondità che fa delle due divinità delle dispensatrici di nutrimento, benessere e abbondanza nei confronti del singolo come della collettività. Quando poi dalle rappresentazioni delle divinità si passa ai simboli che le accompagnano o le sostituiscono, dobbiamo ammettere che molte associazioni ci sfuggono. Non doveva certo essere così per i loro devoti, a cui bastava evidentemente anche un lieve suggerimento per ricostruire l’intero sistema ideologico con tutto il suo insieme di connessioni e di valenze simboliche.

contraire vers l’abstraction, n’ont jamais su créer un type canonique même pour leur grande dame, comme les grecs l’ont fait pour Athéna, Héra ou Déméter. Au besoin, toute image de déesse, fabriquée dans un lointain atelier grec et pourvue d’attributs correspondant à peu près aux multiples fonctions de Tanit suffisait à la représenter : toute une pacotille de statuettes de terre cuite a ainsi été retrouvée dans les nécropoles de Carthage. Les unes sont coiffées d’une haute tiare, ou la tête couverte d’un voile, assises sur un trône, les mains sur les genoux ; d’autres sont debout, rigides comme des momies. On trouve aussi une déesse coiffée du voile en conque, la poitrine couverte d’un lourd collier, le bas du corps enfermé dans une sorte de gaine qui la fait ressembler à l’Artémis d’Éphèse ; un groupe de deux déesses, l’une portant l’autre, la poitrine ornée du même collier. Il est probable que plusieurs de ces images figurent la Dame de Carthage », Picard 1954, p. 72.

fenicio-cartaginés, que no muestra ningún tipo de escrúpolos hacia ello : iconografías o símbolos egipcios o griegos pueden servir para expresar ideas religioses locales », Marín Ceballos 1995, p. 840. 383  Cf. Leglay 1964, 1966, p. 140 e 1981, Marín Ceballos 1995, p. 840. Sulle rappresentazioni di divinità femminili con leoni cf. Marín Ceballos 1995 ; 2002 ; Belén – Marín Ceballos 2002-2003. Ma chissà quante altre implicazioni ci sfuggono. 384  La prima comparsa della corona murale risalirebbe alla prima metà del IV sec. a.C. sulle monete di Cipro e della Cilicia nelle rappresentazioni delle Tychai, cf. Lightfoot 2003, pp. 23-28. Una raccolta di fonti in Deon385  MSA I, p. 172. na 1940. 386  Cf. ibidem, pp. 203-205. 387  Ibidem, pp. 195-198. Leglay ricorda che il melograno e il grappolo d’uva sono anche simboli d’immortalità ma, allo stato attuale delle conoscenze, nulla possiamo dire su questo tipo di credenze in relazione al culto 389  Ibidem, p. 352. di Caelestis. 388  Ibidem, p. 207. 390  Bisi 1965, p. 118 che però parla di « divinità lunare », interpretando in questo senso la falce che accompagna le rappresentazioni di Tinnit.















382  A proposito della dea leontocefala scrive : « (…) en nuestra opinión estamos una vez más ante la utilización de una iconografía extraña para expresar un concepto religioso púnico, algo muy frecuente en el mundo  































11. CONCLUSIONI

L

’obiettivo di questo lavoro è stato un tentativo di ricostruire, nella misura del possibile, la storia della dea Caelestis e del suo culto, così come della sua morfologia, a partire dagli antecedenti fenicio-punici fino alle ultime manifestazioni sul suolo africano. Tale ricerca è stata condotta parallelamente sul piano della raccolta sistematica delle fonti e su quello dell’interpretazione, in base a varie ottiche di analisi. Presupposti indispensabili del lavoro sono stati la raccolta e il riesame sistematico di tutte le fonti, vecchie e nuove, di carattere archeologico (ivi incluse quelle iconografiche), epigrafico e letterario. Il riesame ha avuto come scopo la ricostruzione più completa possibile della geografia cultuale della dea e delle dinamiche cui tale culto fu soggetto e che, a sua volta, ebbe a promuovere a seconda dei luoghi, delle epoche, dei rapporti con altri culti. Ho cercato di definire l’area di diffusione del suo culto, la struttura e la distribuzione dei suoi santuari (anche in rapporto al suo paredro Saturnus), la tipologia dei fedeli e del personale addetto, gli aspetti peculiari delle cerimonie, le trasformazioni eventuali a seconda dei luoghi e delle regioni di attestazione. Tale ricognizione analitica mi ha permesso di individuare alcune caratteristiche morfologiche e funzionali peculiari della figura di Calestis, anche rispetto ad altre divinità pure ad essa affini e spesso con essa identificate. La ricostruzione è stata condotta in chiave storico-religiosa e, in particolare, utilizzando il metodo storico-comparativo, attento sia alla ricostruzione (diacronica) dei processi di trasformazione/rielaborazione, sia alla ricostruzione (sincronica) dei vari contesti culturali, indagati tanto nella dimensione ideologica che nel loro quadro socio-politico ed economico. L’impostazione storico-religiosa che si è conferita al lavoro ha implicato poi, attraverso l’esame del caso specifico di Caelestis, il confronto con alcuni problemi fondamentali e ricorrenti in questo tipo di studi : dalla messa a fuoco dei particolari valori ideologici che possono essere veicolati da un culto (l’uso “politico” della religione), alla questione della definizione di “sincretismo”. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, ho potuto verificare in un caso concreto la validità euristica di un concetto (appunto, “sincretismo”) che, per essere utile, deve riferirsi a fenomeni specifici di trasformazione di sistemi religiosi, che vadano al di là dei normali dinamismi storici che caratterizzano ogni sistema religioso, mai isolato o isolabile dal suo contesto. Nel caso di Celestis, tale concetto si è dimostrato inadeguato sul piano operativo, mentre più proficua è apparsa l’analisi delle diverse modalità e dei differenti esiti cui ha dato luogo l’incontro/scontro culturale tra la cultura (romana) dei “conquistatori” e il sostrato culturale africano estremamente complesso (tradizioni indigene e successivo adstrato fenicio-punico). Questo tipo di impostazione ha portato inevitabilmente alla messa in discussione di altre categorie concettuali quali “colonizzazione”, “imperialismo”, “resistenza”, usate a volte troppo disinvoltamente dagli studiosi dell’Africa romana (e non solo).  

Nel quadro della religione imperniata su Caelestis emerge una dinamica di rapporti complessa, che va dalla “periferia” (provincia) verso il “centro” (Impero) e viceversa. Essa sembra un elemento caratterizzante della storia di questo culto chiamato a conferire identità a quegli Africani romani che, da una parte, sono e si sentono parte integrante dell’Impero, dall’altra difendono una propria antica e peculiare tradizione (si veda la differente identità dell’africana Iuno “Caelestis” rispetto alla romana Iuno “Regina” della triade capitolina) e questo a prescindere dall’estrazione sociale dei vari fedeli. Nei centri urbani più sviluppati il culto della dea, senza necessariamente acquisire in tutti i casi una dimensione “ufficiale”, appare legato all’élite indigena, anche se non mancano attestazioni di cittadini di condizione sociale più modesta. Nelle campagne e nei centri rurali emergono situazioni diversificate : liberti di condizione agiata, piccole comunità di agricoltori, semplici individui attestano la loro devozione a Caelestis con iscrizioni e dediche di templi. Accanto a queste testimonianze se ne riscontrano altre ad opera di una “moltitudine silenziosa” della quale non sappiamo praticamente nulla. Sono coloro che hanno lasciato traccia del culto alla dea attraverso documenti anepigrafi, stele dalle rappresentazioni spesso rozze e di difficile interpretazione, piccole figure fittili. A questi dobbiamo aggiungere coloro i quali non hanno lasciato nulla di tangibile a ricordo della propria devozione. In questi contesti, inoltre, si avverte con molta più difficoltà che nei centri urbani il passaggio dal culto delle divinità antecedenti l’arrivo dei Romani (siano esse libico-berbere o puniche) a quello della dea Caelestis, come il caso delle rappresentazioni catalogate come Tinnit/Caelestis testimonia. Alla luce di tutto ciò, voler trarre delle conclusioni che, in qualche modo, “sistematizzassero” epiteti, associazioni e identificazioni di Caelestis in un quadro unico e coerente, non solo non mi è sembrata un’impresa facile ma, soprattutto, non mi è parsa un’impresa sostanzialmente corretta. L’identità di Caelestis si costruisce attraverso una rete di funzioni e prerogative che variano di volta in volta col variare dei luoghi e dei tempi. Esse rispondono a esigenze, individuali o collettive, molto differenti, in cui giocano un ruolo importante, oltre al sentimento religioso e a percorsi devozionali spesso molto personali, anche esigenze di definizione di una propria identità, sia quella degli Africani “romanizzati” nella loro terra, sia quella degli Africani all’ “estero”, sia infine quella di non Africani che con la dea entrano in contatto. Per quanto riguarda le attestazioni epigrafiche, in terra africana le prerogative fondamentali della dea, dominio sulla sfera agraria e della fertilità e tutela dei centri urbani, tendono a rimanere costanti. Esse possono però venire “amplificate” da un susseguirsi di attributi o dal potenziamento di un’associazione con altre divinità, oppure “circoscritte” attraverso la menzione di funzioni specifiche, come si evince da attributi che la personalizzano facendone la dea protettrice di un luogo e/o  

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dea caelestis

di una comunità. In questo Caelestis segue strettamente Tinnit, dea cosmica e promotrice della fertilità e insieme dea poliade per eccellenza. Questi caratteri, in piena coerenza, si ritrovano tanto nelle fonti epigrafiche che in quelle letterarie. Al di fuori dell’Africa, le menzioni di Caelestis non possono essere attribuite, con l’eccezione di Roma, a un culto strutturato. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di attestazioni di devozione personale in cui appare, in forma più pronunciata che nella terra di origine, il tentativo di identificare la dea con altre divinità, a volte il percorso speculativo è chiaro, a volte esso ci è precluso completamente. Le fonti letterarie, come già osservato, appaiono in linea di massima in sintonia con quanto emerge dalle testimonianze epigrafiche riguardo a ruolo e funzioni della dea. Va però notato che l’atteggiamento degli autori può mutare radicalmente non solo rispetto alle testimonianze della pietà religiosa, ma anche a seconda del genere letterario utilizzato, che può spaziare dal commento erudito alla riflessione filosofico-religiosa, dal racconto storico o pseudo-storico all’apologetica. Un esempio di transizione può trovarsi nell’inno epigrafico di Magnae, dove invenzione poetica e speculazione teologica si trovano strettamente congiunte in un

atto, quello di una dedica, che è anche e soprattutto cultuale. Lo studio delle iconografie ha rivelato una straordinaria coerenza con quanto è emerso dalla documentazione epigrafica e letteraria. Le funzioni principali di Caelestis, di dominio e controllo della sfera celeste, di promozione della fertilità e della fecondità, di garante della società urbana, il suo doppio rapporto con la vita agraria e la comunità cittadina, il suo ruolo di dea “africana” per eccellenza, si ritrovano tutte attestate nell’iconografia che, forse ancora più che la documentazione scritta, si serve di immagini mutuate da altri contesti religiosi che riprende e interpreta con grande autonomia. Attraverso questo lavoro, da considerarsi come una messa a punto ancora preliminare per futuri, necessari e auspicabili approfondimenti, mi auguro di aver dimostrato il ruolo fondamentale di Caelestis in quel panorama complesso e certo ricco di fermenti ideologici che fu l’Africa romana. Se la mia analisi è riuscita a restituirle, almeno in parte, un’individualità e una coerenza – pur nella molteplicità delle sue prerogative – che troppo affrettate valutazioni “sincretistiche” le hanno spesso negato, posso dire che la mia ricerca, pur con tutti i suoi evidenti limiti, ha centrato l’obiettivo che si era proposta.

appendici

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APPENDICE A LE FONTI LETTERARIE* 1. Ambr., ep. c. Symm., I 18, 30 Si ritus ueteres delectabant, cur in alienos ritus eadem Roma successit ? Omitto absconditam pretio humum, et pastorales casas auro degeneri renitentes. Quid, ut de ipso respondeam quod queruntur, captarum simulacra urbium, uictos deos et peregrinos ritus sacrorum alienae superstitionis aemuli receperunt ? Unde igitur exemplum, quod currus suos simulato Almonis in flumine lauat Cybele ? Unde Phrygii uates, et semper inuisa Romanis non aequae Carthaginis numina ? Quam Coelestem Afri, Mithram Persae, plerique Venerem colunt, pro diuersitate nominis, non pro numinis uarietate.  







Se piacevano loro gli antichi riti, perché Roma la introdusse nei riti stranieri? Tralascio il suolo nascosto da costosi edifici e le case di pastori rilucenti d’oro degenerato. Per rispondere proprio a quello di cui si lamentano, perché – emuli di un’aliena superstizione – hanno accolto statue di città capitolate, dèi vinti e riti stranieri di sacrifici? Da dove dunque l’esempio per cui Cibele lava i suoi carri in un finto fiume Almo? Da dove dunque i profeti Frigi, e i numi dell’iniqua Cartagine sempre invisi ai Romani? Colei che gli Africani venerano come Caelestis, i Persiani come Mihtra, e un gran numero come Venus, per diversità di nomi, non per varietà di numi. 2. Ap., Met., VI 4 Magni Iouis germana et coniuga, siue tu Sami, quae sola partu uagituque et alimonia tua gloriatur, tenes uetusta delubra, siue celsae Carthaginis, quae te uirginem uectura leonis caelo commeantem percolit, beatas sedes frequentas, seu prope ripas Inachi, qui te iam nuptam Tonantis et regina deorum memorat, inclitis Argiuorum praesides moenibus, quam cunctus oriens Zygiam ueneratur et omnis occidens Lucinam appellat, sis mei extremis casibus Iuno Sospita meque in tantis exanclatis laboribus defessam imminentis periculi metu libera. Quod sciam, soles praegnantibus periclitantibus ultro subuenire. Sorella e sposa del grande Iuppiter, sia che dimori nell’antico santuario di Samo, che sola si gloria dei tuoi natali, dei tuoi vagiti e dell’averti cresciuta, sia che frequenti le sedi beate dell’eccelsa Cartagine che ti venera vergine trascorrente nel cielo trasportata da un leone, oppure che presso le rive dell’Inaco, che ti ricorda già sposa del Tonante e regina degli dèi, tu protegga le mura gloriose di Argo, che tutto l’Oriente come Zygia venera e tutto l’Occidente chiama Lucina, sii per me nell’estrema sventura Iuno Sospita e me, sfinita da tante sofferenze patite, libera dalla paura dell’imminente pericolo. Perché so che tu sei solita soccorrere volontariamente le partorienti che sono in pericolo. 3. Aug., de civ. Dei, II 4 Primo ipsos mores ne pessimos haberent, quare dii eorum curare noluerunt ? Deus enim uerus eos, a quibus non colebatur, merito neglexit ; dii autem illi, a quorum cultu se prohiberi homines ingratissimi conqueruntur, cultores suos ad bene uiuendum quare nullis legibus adiuuerunt ? Utique dignum erat, ut, quo modo isti illorum sacra, ita illi istorum facta curarent. Sed respondetur, quod uoluntate propria quisque malus est. Quis hoc negauerit ? Uerum tamen pertinebat ad consultores deos uitae bonae praecepta non occultare populis cultoribus suis, sed clara praedicatione praebere, per uates etiam conuenire atque arguere peccantes, palam minari poenas male agentibus, praemia recte uiuentibus polliceri. Quid umquam tale in deorum illorum templis prompta et eminenti uoce concrepuit ? Ueniebamus etiam nos ali 









quando adulescentes ad spectacula ludibriaque sacrilegiorum, spectabamus arrepticios, audiebamus symphoniacos, ludis turpissimis, qui diis deabusque exhibebantur, oblectabamur, Caelesti uirgini et Berecynthiae matri omnium, ante cuius lecticam die sollemni lauationis eius talia per publicum cantitabantur a nequissimis scaenicis, qualia, non dico matrem deorum, sed matrem qualiumcumque senatorum uel quorumlibet honestorum uirorum, immo uero qualia nec matrem ipsorum scaenicorum deceret audire. Habet enim quiddam erga parentes humana uerecundia, quod nec ipsa nequitia possit auferre. Illam proinde turpitudinem obscenorum dictorum atque factorum scaenicos ipsos domi suae proludendi causa coram matribus suis agere puderet, quam per publicum agebant coram deum matre spectante atque audiente utriusque sexus frequentissima multitudine. Quae si illecta curiositate adesse potuit circumfusa, saltem offensa castitate debuit abire confusa. Quae sunt sacrilega, si illa sunt sacra ? At quae inquinatio, si illa lauatio ? Et haec fercula appellabantur, quasi celebraretur conuiuium, quo uelut suis epulis immunda daemonia pascerentur.  



E prima di tutto perché i loro dèi non vollero preoccuparsi affinché quegli stessi non avessero pessimi costumi? Infatti il vero Dio ha trascurato giustamente coloro dai quali non era venerato; ma quegli dèi, il culto dei quali uomini ingratissimi lamentano che sia loro proibito, perché non hanno aiutato con leggi a vivere bene i propri adoratori? Senz’altro (era giusto che) come questi i loro riti, così quelli curassero le azioni di questi. Ma si risponde che ciascuno è malvagio a causa della propria volontà. Chi può negarlo? Tuttavia invero spettava a dèi provvidi non nascondere i comandamenti di una vita onesta ai propri popoli adoratori, ma esporli con chiara predicazione, e inoltre incontrare e incolpare i peccatori anche per mezzo dei profeti, minacciare apertamente pene a chi si comportava male, promettere premi a chi viveva rettamente. Qualcosa di simile risuonò mai a voce risoluta ed eminente nei templi dei loro dèi? Andavamo anche noi talvolta adolescenti agli spettacoli e alle oscenità dei sacrilegi, guardavamo gli invasati, udivamo i coristi, ci divertivamo ai giochi turpissimi, che erano offerti agli dèi e alle dee, alla vergine Caelestis e a Berecynthia, Madre di tutti, davanti alla cui lettiga nel giorno solenne della sua lustrazione erano cantate pubblicamente da attori pervertiti cose tali che non era decoroso che le udisse, non dico la Madre degli Dèi, ma la madre di un qualsiasi senatore o di qualsiasi uomo onesto anzi invero neanche la madre degli stessi attori. L’umano pudore prova infatti un qualcosa verso i genitori, che non può sottrarre neanche la stessa malvagità. Pertanto gli stessi attori si sarebbero vergognati di fare per scherzo nelle loro case davanti alle loro madri quello sconcio di parole e azioni oscene che eseguivano in pubblico dinanzi alla Madre dei dèi mentre guardava e udiva, una nutrita moltitudine di entrambi i sessi. Questa (moltitudine) se per qualche illecita curiosità potè presenziare in massa, nondimeno dovette andarsene confusa per la decenza offesa. Quali sono i sacrilegi, se quelli sono riti sacri? E cosa è contaminazione, se quella è purificazione? E queste si chiamavano pietanze, quasi si celebrasse un convivio in cui immondi dèmoni mangiassero come ai propri banchetti. 4. Aug., de civ. Dei, II 26 Ubi et quando sacrati Caelestis audiebant castitatis praecepta, nescimus ; ante ipsum tamen delubrum, ubi simulacrum illud locatum conspiciebamus, uniuersi undique confluentes et ubi quisque poterat stantes ludos qui agebantur intensissime spectabamus, intuentes alternante conspectu hinc meretriciam pompam,  

* Gli autori sono presentati in ordine alfabetico.

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illinc uirginem deam ; illam suppliciter adorari, ante illam turpia celebrari ; non ibi pudibundos mimos, nullam uerecundiorem scaenicam uidimos ; cuncta obscenitatis implebantur officia. Sciebatur uirginali numini quid placeret, et exhibebatur quod de templo domum matrona doctior reportaret. Nonnullae pudentiores auertebant faciem ab impuris motibus scaenicorum et artem flagitii furtiua intentione discebant. Hominibus namque uerecundabantur, ne auderent impudicos gestus ore libero cernere ; sed multo minus audebant sacra eius, quam uenerabantur, casto corde damnare. Hoc tamen palam discendum praebebatur in templo, ad quod perpetrandum saltem secretum quaerebatur in domo, mirante nimium, si ullus ibi erat, pudore mortalium, quod humana flagitia non libere homines committerent, quae apud deos etiam religiose discerent iratos habituri, nisi etiam exhibere curarent.  







Dove e quando i consacrati a Caelestis ascoltavano precetti di castità, lo ignoriamo; davanti al suo tempio comunque, dove vedevamo collocato il suo simulacro tutti insieme confluendo e da ogni parte e, dove si poteva stando in piedi, assistevamo con molta attenzione ai giochi che qui si facevano, osservando con sguardo alternante qui la parata lasciva, lì la dea vergine; quella era venerata supplichevolmente, davanti a quella erano celebrate cose turpi; non vedemmo lì pudici mimi, nessuna attrice riservata; tutti gli atti prescritti erano pieni di oscenità. Si sapeva ciò che piaceva alla divinità virginale, e le si offriva ciò che rendeva una matrona più informata (rientrata) a casa dal tempio. Alcune più vergognose voltavano il viso ai movimenti impuri dei mimi e imparavano con intenzione nascosta l’arte della vergogna. Infatti si vergognavano davanti agli uomini di osare guardare a viso aperto gesti spudorati; ma molto meno osavano condannare a motivo del loro cuore casto le cose sacre di colei che veneravano. Tuttavia era mostrato pubblicamente nel tempio, perché lo si imparasse, quel che a casa si cercava di compiere in una segreta intimità, mentre l’umano pudore – ammesso che lì ce ne fosse – si meravigliava assai che degli uomini commettessero forzatamente indecenze umane, che apprendevano addirittura religiosamente presso dèi che – così credevano – si sarebbero irritati se non si fossero curati anche di esibirle. 5. Aug., enarr. in psal., LXII 7 Quamquam, fratres mei, boni christiani et fidelis etiam in hoc saeculo caro Deo sitit : quia si opus est carni pane, si opus est aqua, si opus est uino, si opus est nummo, si opus est iumento carni huic, a Deo petere debet, non a daemoniis, et idolis, et nescio quibus potestatibus huius saeculi. Sunt enim qui, quando famem patiuntur in isto saeculo, dimittunt Deum, et rogant Mercurium, aut rogant Iouem ut det illis, aut quam dicunt Coelestem, aut aliqua daemonia similia : non Deo sitit caro ipsorum. Qui autem Deo sitiunt, undique debent sitire, et anima, et carne : quia et animae Deus dat panem suum, id est uerbum ueritatis ; et carni Deus dat quae necessaria sunt, quia Deus fecit et animam et carnem. Propter carnem tuam rogas daemonia : numquid animam Deus fecit, et carnem tuam daemonia fecerunt ? Qui fecit animam, ipse fecit et carnem : qui fecit ambas res, ipse pascit ambas res. Utrumque nostro Deo sitiat, et ex labore multiplici simpliciter satietur.  













Certamente, fratelli miei, la carne del cristiano buono e fedele anche in questo mondo ha sete di Dio: poiché se la carne ha bisogno di pane, ha bisogno di acqua, ha bisogno di vino, ha bisogno di denaro, se questa carne ha bisogno di una cavalcatura, deve chiedere a Dio, non ai dèmoni e agli idoli e non so a quali potenze di questo mondo. Infatti ci sono coloro che, quando patiscono la fame in questo mondo, abbandonano Dio, e pregano Mercurius o pregano Iuppiter che ne dia loro o colei che dicono Caelestis, o qualche altro dèmone simile: la loro carne non ha sete di Dio. Coloro invece che hanno sete di Dio, devono sentirla sempre, con l’anima, con la carne: poiché anche all’anima Dio dà il suo pane, che è la parola di verità; e Dio dà alla carne le cose che le sono necessarie, poiché Dio fece anima e carne. A causa della tua carne preghi i dèmoni: forse che Dio ha fatto l’anima e la tua carne l’hanno

fatta i dèmoni? Chi fece l’anima, fece anche la carne: chi fece ambo le cose, le nutre entrambe. Ambedue abbiano sete del nostro Dio, e dalla molteplice fatica siano saziate con semplicità. 6. Aug., enarr. in psal., XCVIII 14 Exaltate Dominum Deum nostrum. Iterum exaltamus illum : qui bonus est et cum ferit, quomodo laudandus est, quomodo exaltandus est ? ������������������������������������������������ Tu potes hoc exhibere filio tuo, et Deus non potest ? Non enim bonus es quando blandiris filio tuo, et malus cum caedis filium tuum. Et cum blandiris, pater es ; et cum caedis, pater es : ideo blandiris, ne deficiat ; ideo caedis ne pereat. Exaltate Dominum Deum nostrum, et adorate in monte sancto eius: quoniam sanctus Dominus Deus noster. Quomodo superius dixit : Exaltate Dominum Deum nostrum, et adorate scabellum pedum eius ; intelleximus autem quid sit adorare scabellum pedum eius : sic et modo post exaltationem Domini Dei nostri, ne quis illum praeter montem eius exaltet, commendauit et montem ipsius. Mons ipsius quis est ? Legimus alibi de hoc monte quia lapis fuit praecisus de monte sine manibus, et confregit omnia regna terrae, et creuit lapis ipse (…). Quid est mons unde praecisus est lapis sine manibus ? Regnum Iudaeorum : primo quod colebant unum Deum. Inde praecisus est lapis Dominus noster Iesus Christus : Ipse dictus est : Lapis quem reprobauerunt aedificantes, hic factus est in caput anguli. ������������������������������������������������ Lapis iste praecisus de monte sine manibus, confregit omnia regna terrarum : uidemus confracta ab illo lapide omnia regna terrae. Quae erant regna terrae ? Regna idolorum, regna daemoniorum fracta sunt. Regnabat Saturnus in multis hominibus ; ubi est regnum eius ? Regnabat Mercurius in multis hominibus : ubi est regnum eius ? Fractum est, redacti sunt illi in regnum Christi, in quibus ille regnabat. Regnum Coelestis quale erat Carthagini! ubi est nunc regnum Coelestis ? Lapis ille fregit omnia regna terrarum, lapis praecisus de monte sine manibus.  









































Esaltate il Signore nostro Dio! Continuamente lo esaltiamo: egli che è buono anche quando ferisce, in che modo deve essere lodato, in che modo deve essere esaltato? Tu puoi comportarti in questo modo con tuo figlio, e Dio non può? Non sei infatti buono quando blandisci tuo figlio, e cattivo quando lo picchi. Quando lo blandisci, sei padre, quando lo picchi, sei padre: per questo lo blandisci, affinché non manchi, per questo lo picchi affinché non si rovini. Esaltate il Signore Dio nostro, e adorate nel suo monte santo : poiché santo è il Signore Dio nostro. Come ha detto sopra: Esaltate il Signore Dio nostro, e adorate lo sgabello dei suoi piedi, infatti abbiamo compreso cosa sia a dorare lo sgabello ai suoi piedi: così anche ora dopo l’esaltazione del Signore nostro Dio, perché nessuno lo esalti con l’eccezione del suo monte santo, presenta il suo monte santo. Che cosa è il suo monte santo? Leggiamo altrove su questo monte che dal monte si staccò una pietra non per mano d’uomo, e schiacciò tutti i regni della terra, e crebbe la pietra stessa (…). Qual è il monte da dove si è staccata la pietra non per mano umana? Il Regno dei Giudei: il primo che venerò un unico Dio. Quindi si staccò la pietra nostro Signore Gesù Cristo: lo stesso è detto: La pietra che i costruttori hanno scartata è divenuta pietra angolare. Questa pietra staccatasi dal monte non per mano d’uomo abbatté tutti i regni della terra; la pietra che i costruttori hanno scartata è divenuta pietra angolare: vedemmo abbattuti da quella pietra tutti i regni della terra. Quali erano i regni della terra? I regni degli idoli, i regni dei dèmoni sono stati abbattuti. Regnava Saturno fra molti uomini, dov’è il suo regno? Regnava Mercurio tra molti uomini, dov’è il suo regno? È stato abbattuto, nel regno di Cristo sono ricondotti coloro tra i quali egli regnava. Come era imponente a Cartagine il regno di Caelestis! Dov’è ora il regno di Caelestis? Quella pietra infranse tutti i regni della terra, pietra staccatasi dal monte non per mano d’uomo.  

7. Aug., serm., 105, 9, 12 Carthago in nomine Christi manet, et olim euersa est Caelestis ; quia non fuit caelestis sed terrestris.  

Cartagine permane nel nome di Cristo, e tanto tempo fa è stata abbattuta Caelestis; poiché non fu celeste ma terrestre.

appendice a. le fonti letterarie 8. Aug., epist., 44, 13 Iam enim miseramus ad Maiorem Caelicolarum, quem audieramus noui apud eos baptismi institutorem extitisse et multos illo sacrilegio seduxisse, ut cum illo, quantum ipsius temporis patiebantur angustiae, aliquid loqueremur. Già infatti avevamo mandato a chiamare il Capo dei Caelicolae che, avevamo sentito dire, aveva istituito presso di loro un nuovo battesimo e molti ne aveva sedotti con quel sacrilegio, per parlare con lui di alcune cose, per quanto la strettezza stessa del tempo lo avrebbe permesso. 9. Cass. Dio ., LXXIX 11.3 ss.-12

”Ina de; parw` tav~ te barbarika;~ wj/da;~ a}~ oJ Sardanavpallo~ tw/` ∆Elegabavlw/ h/\de th/` mhtri; a{ma kai; th/` thvqh/ tav~ te ajporrhvtou~ qusiva~ a}~ aujtw/` e[que, pai`da~ sfagiazovmeno~ kai; magganeuvmasi crwvmeno~, ajlla; kai; ej~ to;n nao;n aujtou` levonta kai; pivqhkon kai; o[fin tina; zw`nta ejgkatakleivsa~, aijdoi`a~ te ajnqrwvpou ejmbalwvn, kai; a[ll ja{tta ajnosiourgw`n, periavptoi~ tev tisi murivoi~ ajeiv pote crwvmeno~, - i{na tau`ta paradravmw, kai; gunai``ka, to; geloiovtaton, jElegabavlw/ ejmnhvsteuse kaqavper kai; gavmou paivdwn te deomevnw/. kai; e[dei ga;r mhvte penicra;n mhvte dusgenh` tina; ei\nai aujthvn, th;n Oujranivan th;;n tw`n Karchdonivwn ejpelevxato, kai; ejkei`qevn te aujth;n metepevmyato kai; ej~ to; palavtion kaqivdrusen, e{dna te aujth/` para; pavntwn tw`n uJJphkovwn, w{sper kai; ejpi; tw`n eJautou` gunaikw`n, h[qroise. ta; me;n dh; ou\n e{dna, o{sa ejdovqh zw`nto~ aujtou`, meta; tau`ta eijsepravcqh: th;n de; dh; proi`ka oujk e[fh komivsasqai, plh;n duvo leovntwn crusw`n, oi} kai; sunecwneuvqhsan.

Per tralasciare i canti barbarici che Sardanapalo, insieme con sua madre e sua nonna, cantarono a Elagabalo, e i sacrifici segreti che egli gli offerse, immolando fanciulli e usando incantesimi, ma anche – dopo aver rinchiuso nel tempio del dio – un leone, una scimmia e un serpente, gettando loro genitali umani e praticando altri riti sacrileghi, mentre invariabilmente indossava innumerevoli amuleti; ma, lasciando da parte queste cose, egli arrivò all’estrema assurdità di procurare una moglie per Elagabalo, come se il dio avesse bisogno di matrimonio e figli! E, poiché tale moglie non poteva essere né povera né di basso rango, egli scelse la cartaginese Urania, da là la fece venire e la insediò nel palazzo; ed egli raccolse doni matrimoniali da tutti i suoi sudditi, come aveva fatto per quanto riguardava le sue stesse mogli. Ora tutti questi doni di nozze che furono dati mentre era vivo, furono in seguito restituiti; per quanto concerne la dote, egli dichiarò di non averne ricevuta alcuna, eccetto due leoni d’oro che furono fusi insieme. 10. Cod. Theodos., XVI 5, 43 Omnia, quae in Donatistas, qui et Montenses uocantur, Manichaeos siue Priscillanistas uel in gentiles a nobis generalium legum auctoritate decreta sunt, non solum manere decernimus, uerum in executionem plenissimam effectumque deduci, ita ut aedificia quoque uel horum uel Caelicolarum etiam, qui nescio cuius dogmatis noui conuentus habent, ecclesiis uindicentur. Poena uero lege proposita ueluti conuinctos tenere debebit eos, qui Donatistas se confesse fuerint uel catholicorum communionem refugerint scaeuae religionis obtentu, quamuis Christianos esse se simulent. Et cetera. Tutto ciò che è stato decretato da noi per autorità delle leggi generali contro i Donatisti, che sono detti anche Montenses, Manichei o Priscillanisti, o contro i pagani noi deliberiamo non solo che permanga, ma ancora che sia mandato a piena esecuzione ed effetto, così che sia i loro edifici sia quelli dei Caelicolae – i quali tengono assemblee di non so quale nuovo dogma – siano confiscati a vantaggio delle chiese. La punizione prevista dalla legge dovrà essere applicata, come nel caso di condannati, a coloro che risulteranno confessatamente Donatisti o rifiuteranno la comunione dei Cattolici con dissimulazione, mascherando una religione funesta, sebbene simulino di essere Cristiani. Et cetera.

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11. Cod. Theodos., XVI 8, 19 Caelicolarum nomen inauditum quodammodo nouum crimen superstitionis uindicabit. Ii nisi intra anni terminos ad Dei cultum uenerationemque Christianam conuersi fuerint, his legibus, quibus praecipimus haereticos adstringi, se quoque nouerint adtinendos. Certum est enim, quidquid a fide Christianorum discrepat, legi Christianae esse contrarium. Quam quidam adhuc, uitae suae etiam et iuris inmemores, adtrectare ita audent, ut de Christianis quosdam foedum cogant taetrumque Iudaeorum nomen induere. Et quamuis qui haec admiserint, priscorum principum legibus iure damnati sunt, non tamen paenitet saepius admonere, ne mysteriis Christianis inbuti preuersitatem Iudaicam et alienam Romano imperio post Christianitatem cogantur arripere. La setta dei Caelicolae, finora inaudita, richiederà in un certo qual modo un nuovo crimine di superstizione. Se costoro entro il termine di un anno non ritorneranno al culto di Dio e alla venerazione cristiana, impareranno che anche loro saranno toccati da queste stesse leggi a cui ordiniamo che gli eretici siano sottoposti. È infatti certo che qualunque cosa differisca dalla fede dei Cristiani è contrario alla legge cristiana. Questa (= la legge cristiana) alcuni – immemori della propria vita e della legge – ancora osano maltrattarla così da costringere alcuni Cristiani ad addossarsi la turpe e tetra nomea di Giudei. E sebbene quelli che ammisero ciò sono stati giustamente in base alle leggi degli antichi imperatori, tuttavia non è inutile ripetere spesso gli ammonimenti affinché coloro che sono istruiti/edotti nei misteri cristiani non siano costretti ad adottare la perversità giudaica e aliena all’Impero Romano dopo l’avvento del Cristianesimo. 12. Cypr., acta procons., 2 (…) in uico qui dicitur Saturni inter Veneream et Salutariam. (…) nel vicolo che è detto di Saturno tra la (via) Venerea e la (via) Salutaria. 13. Cypr., quod idola dii non sint, 4 Iuno uel Argiua, uel Samia uel Poena. Iuno o Argiva, o Samia o Punica. 14. Firm. Mat., de err. prof. rel., 4, 1-4 1. Assyrii et pars Afrorum aerem ducatum habere elementorum uolunt et nunc imaginata figuratione uenerantur. Nam hunc eundem, id est aerem, nomine Iunonis uel Veneris uirginis – si tamen Veneri placuit aliquando uirginitas – consecrarunt. Iunonem sane ne et huic deesset incestum, Iouis uolunt ex sorore coniugem factam. Effeminarunt sane hoc elementum nescio qua ueneratione commoti. Nam quia aer interiectus est inter mare et caelum, effeminatis eum sacerdotum uocibus prosecuntur. 2. Dic mihi : hoc numen est quod in uiro feminam quaerit, cui aliter seruire sacerdotum suorum chorus non potest, nisi effeminent uultum, cutem poliant et uirilem sexum ornatu muliebri dedecorent ? Videre �������������������������������������������������� est in ipsis templis cum publico gemitu miseranda ludibria, uiros muliebra pati et hanc impuri et impudici corporis labem gloriosa ostentatione detegere. Publicant facinora sua et contaminati corporis uitium cum maxima delectationis macula confitentur. Exornant muliebriter nutritos crines et delicatis amicti uestibus uix caput lassa ceruice sustentant. Deinde cum sic se alienos a uiris fecerint, adimpleti tibiarum cantu uocant deam suam, ut nefario repleti spiritu uanis hominibus quasi futura praedicant. Quod hoc monstrum est quodue prodigium ? Negant se uiros esse, et non sunt : mulieres se uolunt credi, sed aliud qualiscumque qualitas corporis confitetur. 3. Considerandum est etiam quale sit numen quod sic impuri corporis delectatur hospitio, quod impudicis adhaeret membris, quod polluta corporis contaminatione placatur. Erubescite, o miseri, summitatem : aliter uos deus fecit. Cum cohors uestra ad tribunal iudicantis dei accesserit, nihil uobiscum referetis quod deus qui uos fecit agnoscat. Abicite hunc tantae calamitatis errorem et studia  









dea caelestis

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profanae mentis aliquando deserite. Nolite corpus quod deus fecit scelerata diaboli lege damnare ; calamitatibus uestris, dum adhuc tempus patitur, subuenite. Misericordia dei diues est, libenter ignoscit. Relictis nonaginta nouem ouibus amissam quaerit unam et reuerso pater prodigo filio et uestem reddit et parat cenam. 4. Nolo uos desperare faciat criminum multitudo : deus summus per filium suum Iesum Christum dominum nostrum uolentes liberat et paenitentibus libenter ignoscit, nec multum exigit ut ignoscat. Fide tantum et paenitentia potestis redimere quicquid sceleratis diaboli persuasionibus perdidistis.  



1. Gli Assiri e parte degli Africani pretendono che l’aria abbia la supremazia tra gli elementi e ora la venerano allegorica con rappresentazioni per immagini. Infatti idolatrano questa stessa, cioè l’aria, sotto il nome di Iuno o di Venus vergine – se mai a Venus piacque la verginità. Iuno – certo perché neppure a lei mancasse un incesto! – affermano che, da sorella di Iuppiter, ne divenne sposa. Dunque resero questo elemento femmina mossi da non so quale forma di devozione. Infatti, poiché l’aria è interposta tra il mare e il cielo, la accompagnano con le voci effeminate dei loro sacerdoti. 2. Dimmi: che nume è questo che richiede una femmina in un uomo, a cui il coro dei suoi sacerdoti non può rendere servizio in altro modo che effemminandosi il volto, lisciandosi la pelle, decorandosi il sesso maschile con ornamenti femminili? Si può vedere che ci sono negli stessi templi cose oltraggiose da commiserare con riprovazione pubblica: uomini subire congiungimenti come femmine e svelare quest’onta di un corpo impuro e impudico con gloriosa esibizione. Rendono pubblici i loro misfatti e confessano il vizio del corpo contaminato con il massimo disonore del piacere. Adornano come donne i folti capelli e acconciati con abiti delicati a malapena tengono dritto il capo sulla morbida cervice. Poi quando sono diventati così diversi dagli uomini, colmi del canto delle tibie, invocano la loro dea affinché predìcano, posseduti da uno spirito empio, cose, per così dire, future a uomini creduloni. Che prodigio è questo? Dicono di non essere uomini, e non lo sono: vogliono far credere di essere donne, ma altro dichiara qualunque caratteristica del (loro) corpo. 3. Bisogna anche considerare di che sorta sia un nume che si diletta dell’ostello di un corpo tanto impuro, che s’attacca a membra impudiche, che si placa con la sordida contaminazione fisica. Arrossite, sciagurati!, fino alla sommità: diversamente Dio vi ha fatti. Quando la vostra corte entrerà nel tribunale di Dio al momento del giudizio non porterete con voi nulla che Dio che vi ha fatto possa riconoscere. Rigettate questo errore, causa di simile sciagura, e alfine rinunciate una volta per tutte alle inclinazioni di una mente sacrilega. Non condannate il corpo che Dio ha fatto con la scellerata legge del Diavolo: rimediate alle vostre disgrazie finché rimane ancora tempo. La misericordia di Dio è ricca, perdona volentieri: lasciate le novantanove pecore, cerca l’unica smarrita, tornato il figliol prodigo, il padre gli dà la veste e prepara la cena. 4. Non voglio che vi faccia disperare la moltitudine di crimini: il sommo Dio libera per il tramite di suo figlio Gesù Cristo nostro Signore coloro che lo vogliono e volentieri perdona i penitenti, né esige molto per perdonare. Soltanto con la fede e con la penitenza potete riscattare quel che avete perso a causa delle scellerate seduzioni del Diavolo. 15. Herodian., V 6, 4-5 (…) fhvsa~ de; ajparevskesqai aujto;n wJ~ pavnta ejn o{ploi~ kai;

polemikh/` qew/`, th`~ Oujraniva~ to; a[galma metepevmyato, sebovntwn aujto; uJperfuw`~ Karchdonivwn te kai; tw`n kata; th;n Libuvhn ajnqrwvpwn. fasi; de; aujto; Didw; th;n Foivnissan iJdruvsasqai, o{te dh; th;n ajrcaivan Karchdovna povlin e[ktise, buvrsan katatemou`sa. Livbue~ me;n ou|n aujth;n Oujranivan kalou`si, Foivnike~ de; ∆Astroavrchn ojnomavzousi, selhvnhn ei\nai qevlonte~. ajrmovzein toivnun levgwn oJ ∆Antwni`no~ gavmon hJlivou kai; selhvnh~ tov te a[galma metepevmyato kai; pavnta to;n ejkei`qen crusovn, crhvmatav te pavmpleista th/` qew/` ej~ proi`ka dh; ejpidou`nai ejkevleuse. komisqevn te to; a[galma sunw/vkise dh; tw/` qew/`, keleuvsa~ pavnta~ tou;~ ÔRwvmhn kai; ∆Italivan ajnqrwvpou~ eJortavzein pantodapai`~ te eujfrosuvnai~ kai; eujwcivai~ crh`sqai dhmosiva/ te kai; ijdiva/ wJ~ dh; gamouvntwn qew`n.

(…) ma allora dichiarando che il dio non apprezzava una dea bellicosa e sempre in armi fece venire la statua della dea Caelestis, che i Cartaginesi e gli abitanti della Libia venerano oltremodo. Si dice che Didone, la fenicia, l’abbia fatta innalzare quando fondò l’antica città di Cartagine tagliando a strisce una pelle di bue. E i Libici la chiamano Caelestis, i Fenici l’appellano“Signora degli astri” pretendendo che sia la Luna. Antonino dichiarando dunque che era appropriato il matrimonio tra il sole e la luna, fece venire da laggiù la statua della dea e tutto l’oro, e ordinò di aggiungere in dote alla dea una quantità enorme di denaro. Una volta trasportata la statua, la diede in moglie al dio ordinando che tutti gli uomini di Roma e di Italia facessero festa e che pubblicamente e privatamente facessero ricorso a feste di ogni sorta e banchetti come se davvero si celebrasse un matrimonio tra dèi. 16. S.H.A., Iulius Capitolinus, Macr., 3, 1-4 (…) de ipso quae in annales relata sint proferam : uates Caelestis apud Carthaginem, quae dea repleta solet uera canere, sub Antonino Pio, cum sciscitanti proconsuli de statu, ut solebat, publico et de suo imperio futura praediceret, ubi ad principes uentum est, clara uoce numerari iussit, quotiens diceret Antoninum, tuncque adtonitis omnibus Antonini nomen Augusti octauo edidit, sed credentibus cunctis, quod octo annis Antoninus Pius imperaturus esset, et ille transcendit hunc annorum numerum, et constitit apud credentes uel tunc uel postea per uatem aliud designatum. Denique adnumeratis omnibus, qui Antonini appellati sunt, is Antoninorum numeros inuenitur. Enimuero Pius primus, Marcus secundus, Vero tertius, Commodus quartus, quintus Caracalla, sextus Geta, septimus Diadumenianus, octauus Heliogabalus Antonini fuere.  

(…) su questo riferirò ciò che è riportato negli annali. La profetessa di Caelestis a Cartagine, la quale, ispirata dalla dea, predice solitamente il vero, sotto Antonino Pio al momento di predire il futuro al proconsole, che – come di consuetudine – la stava consultando in merito al pubblico stato e al suo stesso impero, quando si arrivò agli imperatori, ordinò che fosse contato ad alta voce quante volte dicesse Antonino, e allora, tra lo stupore di tutti, pronunciò il nome di Antonino Augusto per otto volte, benché tutti intendessero che Antonino Pio avrebbe regnato per otto anni, ebbene quello aveva superato questo numero di anni, e risultò evidente per i credenti che attraverso la profetessa, allora o successivamente, era stata indicata qualche altra cosa. E infatti, contati tutti coloro che sono stati chiamati Antonini, si scopre questo numero di Antonini. Infatti, gli Antonini furono: Pio il primo, Marco il secondo, Vero il terzo, Commodo il quarto, Caracalla il quinto, Geta il sesto, Diadumeniano il settimo, Elagabalo l’ottavo. 17. S.H.A., Iulius Capitolinus, Pert., 4, 2 (…) dein pro consule Africae factus est. In quo proconsulatu multas seditiones perpessus dicitur uaticinationibus [carminum] quae de templo Caelestis emergunt. (…) quindi fu eletto proconsole d’Africa. Durante questo proconsolato, si dice, dovette sopportare molte ribellioni a causa delle profezie che emergono dal tempio di Caelestis. 18. S.H.A., XXX Tyr., Celsus, 29, 1 (…) Afri quoque auctore Vibio Passieno, proconsule Africae, et Fabio Pompeiano, duce limitis Libyci, Celsum imperatorem appellauerunt peplo deae Caelestis ornatum. (…) Anche gli Africani, promotori Vibio Passieno, proconsole dell’Africa, e Fabio Pompeiano, generale preposto alla frontiera libica, acclamarono imperatore Celso ammantandolo con il peplo della dea Caelestis. 19. Hor., carm., II 1, 25-28 Iuno et deorum quisquis amicior Afris inulta cesserat impotens Tellure : uictorum nepotes rettulit inferias Iugurthae  

appendice a. le fonti letterarie Iuno e qualunque altro dio particolarmente amico degli Afri s’era – impotente – allontanato da quella terra invendicata: i nipoti dei vinti riportò come vittime alla tomba di Giugurta. 20. Macrob., Sat., III 9, 1-9 1. Et de uetustissimo Romanorum more et de occulti���������� ssimis sacris uox ista prolata est. 2. Constat enim omnes urbes in alicuius dei esse tutela, moremque Romanorum archanum et multis ignotum fuisse ut, cum obsiderent urbem hostium eamque iam capi posse confiderent, certo carmine euocarent tutelares deos : quod aut aliter urbem capi posse non crederent, aut etiam, si posset, nefas aestimarent deos habere captiuos. 3. Nam propterea ipsi Romani et deum in cuius tutela urbs Roma est et ipsius urbis Latinum nomen ignotum esse uoluerunt. 4. Sed dei quidem nomen nonnullis antiquorum, licet inter se dissidentium, libris insitum : et ideo uetusta persequentibus quicquid de hoc putatur innotuit. Alii enim Iouem crediderunt, alii Lunam : sunt qui Angeronam, quae digito ad os admoto silentium denuntiat : alii autem, quorum fides mihi uidetur firmior, Opem Consiuiam esse dixerunt. 5. Ipsius uero urbis nomen etiam doctissimis ignoratum est, cauentibus Romanis ne quod saepe aduersus urbes hostium fecisse se nouerant idem ipsi quoque hostili euocatione paterentur, si tutelae suae nomen diuulgaretur. 6. Sed uidendum ne quod nonnulli male aestimauerunt nos quoque confundat, opinantes uno carmine et euocari ex urbe aliqua deos et ipso deuotam fieri ciuitatem. Nam repperi in libro quinto Rerum reconditarum Sammonici Sereni utrumque carmen, quod ille se in cuiusdam Furii uetustissimo libro repperisse professus est. 7. Est autem carmen huiusmodi quo di euocantur, cum oppugnatione ciuitas cingitur : SI DEUS SI DEA EST CUI POPULUS CIVITASQUE CARTHAGINIENSIS EST IN TUTELA, TEQUE MAXIME, ILLE QUI URBIS HUIUS POPULIQUE TUTELAM RECEPISTI, PRECOR VENERORQUE VENIAMQUE A VOBIS PETO UT VOS POPULUM CIVITATEMQUE CARTHAGINIENSEM DESERATIS, LOCA TEMPLA SACRA URBEMQUE EORUM RELINQUATIS ABSQUE HIS ABEATIS, 8. EIQUE POPULO CIVITATI METUM FORMIDINEM OBLIVIONEM INICIATIS, PRODITIQUE ROMAM AD ME MEOSQUE VENIATIS, NOSTRAQUE VOBIS LOCA TEMPLA SACRA URBS ACCEPTIOR PROBATIORQUE SIT, MIHIQUE POPULOQUE ROMANO MILITIBUSQUE MEIS PRAEPOSITI SITIS UT SCIAMUS INTELLIGAMUSQUE. SI ITA FECERITIS, VOVEO VOBIS TEMPLA LUDOSQUE FACTURUM. 9. In eadem uerba hostias fieri oportet auctoritatemque uideri extorum, ut ea promittant futura.  









1. È circolata codesta notizia intorno a un‘antichissima usanza e a riti segretissimi dei Romani. 2. È fatto ben noto che tutte le città sono sotto la protezione di qualche divinità e che era un costume segreto dei Romani, sconosciuto a molti, che, quando assediavano una città nemica e confidavano ormai di poterla conquistare, essi evocavano gli dèi tutelari con una determinata formula: o perché non credevano che potesse essere presa diversamente, oppure, se lo poteva, perché ritenevano nefasto avere divinità catturate. 3. Per questo motivo, infatti, gli stessi Romani vollero che restasse sconosciuto sia il dio sotto la cui protezione è posta la città di Roma sia il nome latino della città stessa. 4. Ma tale nome del dio si trova in qualche libro degli antichi, non di meno tra loro discordanti; e perciò è correntemente noto agli studiosi di antiquaria qualunque opinione circoli al riguardo. Alcuni infatti credettero (che la divinità fosse) Iuppiter, altri Luna; ci sono quelli che (pensavano si trattasse di) Angerona, che con il dito alla bocca indica il silenzio, altri, invece, la cui affidabilità mi pare più sicura, dissero che era Ops Consivia. 5. Invero il nome di questa città anche ai dottissimi è rimasto sconosciuto, temendo i Romani che essi stessi avessero a patire in conseguenza di un rito di evocazione da parte nemica quello che sapevano bene di aver fatto alle città nemiche, se venisse divulgato il

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nome della loro divinità tutelare. 6. Ma bisogna far attenzione a non confondere anche noi ciò che alcuni erroneamente ritennero, credendo che (esistesse) un’unica formula sia per far uscire gli dèi da una qualunque città sia porre sotto incantesimo una città con quella stessa formula. Infatti nel V libro del trattato “Sulle cose nascoste” di Sammonico Sereno trovai entrambe le formule che egli ha affermato di aver trovato nell’antichissima opera di un certo Furio. 7. Ecco la formula con cui si evocano gli dèi quando si cinge d‘assedio una città: SE SEI UN DIO, SE SEI UNA DEA SOTTO LA CUI PROTEZIONE SONO IL POPOLO E LA CITTA’ DI CARTAGINE, E TE SOPRATTUTTO, CHE HAI PRESO SOTTO LA TUA PROTEZIONE QUESTA CITTA’ E IL POPOLO, VI PREGO E VENERO E VI CHIEDO VENIA AFFINCHÉ DISERTIATE IL POPOLO E LA CITTA’ DI CARTAGINE E ABBANDONIATE I LORO LUOGHI, TEMPLI, SANTUARI, CITTÀ E CHE VE NE ANDIATE DA LORO, 8. E INSPIRIATE SU QUEL POPOLO E QUELLA CITTA’ PAURA, TERRORE E DIMENTICANZA, E ABBANDONANDOLI VENIATE A ROMA DA ME E DAL MIO POPOLO. E POSSANO NOSTRI LUOGHI, TEMPLI, SANTUARI, CITTÀ ESSERE A VOI BEN ACCETTI E DA VOI APPREZZATI, E SIATE VOI GUIDA A ME, AL POPOLO ROMANO E AI MIEI SOLDATI, IN MODO TALE CHE NOI POSSIAMO SAPERLO E PERCEPIRLO. SE VOI COMPIRETE QUESTE COSE, FACCIO VOTO DI DEDICARE TEMPLI E INDIRE GIOCHI IN VOSTRO ONORE. 9. Nel pronunciare queste parole bisogna immolare vittime e bisogna che l’ispezione delle viscere prometta il compiersi di tali cose. 21. Mart. Cap., de nupt. Phil. et Merc., I 45, 58 45. Nam in sedecim discerni dicitur caelum omne regiones (…). 58. Bis septena Saturnus eiusque Caelestis Iuno consequenter acciti. Infatti si dice che l’intero cielo possa essere distinto in sedici regioni (…) Nella quattordicesima sono collocati Saturno e di conseguenza la sua Iuno Caelestis. 22. Minuc. Fel., Oct., XXV 9-10 (…) neque enim eos (scil. ai Romani) aduersum suos homines uel Mars Thracius, uel Iuppiter Creticus, uel Iuno nunc Argiua, nunc Samia, nunc Poena, uel Diana Taurica, uel mater Idaea, uel Aegypta illa non numina, sed portenta iuuauerunt. (…) e infatti non vennero in loro aiuto contro i loro stessi uomini né Mars di Tracia, o Iuppiter di Creta, o Iuno ora Argiva, ora Samia, ora Punica, o Diana del Tauro, o la Madre Idea, o quei non certo numi, ma portenti egiziani. 23. Ovid., Fast., VI 45-46 Paeniteat, quod non foueo Carthaginis arces cum mea sint illo currus et arma loco. Mi pentirei di non favorire le rocche di Cartagine dal momento che sono lì il mio carro e le mie armi. 24. Philostr., Divers. Heres., XV 1-2 Alia est heresis in Iudaeis, quae Reginam (adorabat), quam et Fortunam Caeli nuncupant, quam et Caelestem uocant in Africa, eique sacrificia offerre non dubitant, ut etiam prophetae Hieremiae Iudaei tunc dicerent ex aperto, cum moneret eos recedere ab idolis et seruire domino, solumque eum adorare eos debere : irati exclamant, dicentes, ex quo illi, inquit, Fortunae Caeli siue Reginae non sacrificant, ex eo cuncta illis mala et pericula contigisse. Propter quod beatus Hieremias exiens de populo deque ciuitate eorum Lamentationes illius causa impietatis in libro conscripserat, casumque illis atque ciuitati aduenturum non multo post nuntiabat.  

C’è un’altra eresia tra i Giudei, che (adorava) Regina, che denominano anche Fortuna del Cielo, che in Africa chiamano anche Caelestis, e a cui non esitano a offrire sacrifici, come risulta da quanto i Giudei dicevano allora apertamente anche al profeta Geremia, quando li ammoniva ad allontanarsi dagli idoli e a servire il Signore, e che dovevano adorare

dea caelestis

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lui solo: adirati gridano, dicendo che da quando – riferisce (Geremia) – non sacrificano alla Fortuna del Cielo o alla Regina, da quel momento sono capitati loro: mali e tribolazioni d’ogni sorta. A causa di ciò il beato Geremia allontanandosi da quel popolo e dalla loro città, aveva scritto le Lamentazioni in un libro a causa di quella empietà, e annunziava che non molto tempo dopo sarebbe arrivata la rovina per loro e per la città. 25. Quodvultdeus, Lib. de promiss. et praedict. Dei, III 38, 44 Apud Africam Carthagini Caelestis, ut ferebant, templum nimis amplum omnium deorum suorum aedibus uallatum, cuius platea lithostroto pauimento ac pretiosis columnis et moenibus decorata prope in duobus fere milibus passuum pertendebat, cum diutius clausum incuria, spinosa uirgulta circumsepta obruerent uelletque populus Christianus usui uerae religionis uindicare, dracones aspidesque illic esse ad custodiam templi gentilis populus clamitabat. ��������������������������������� Quo magis Christiani feruore succensi ea facilitate omnia amouerunt inlaesi qua templum suo ueri Caelesti regi et domino consecrarent. Namque cum sanctae Paschae sollemnis ageretur festiuitas, collecta illic et undique omni curiositate etiam adueniens multitido, sacerdotum multorum pater et dignae memoriae nominandus antistes Aurelius, caelestis iam patriae ciuis, cathedram illic posuit in loco Caelestis et sedit. Ipse tunc aderam cum sociis et amicis atque, ut se adulescentium aetas impatiens circumquaque uertebat, dum curiosi singula quaeque pro magnitudine inspicimus, mirum quoddam et incredibile nostro se ingessit aspectui : titulus aenis grandioribusque litteris in frontispicio templi conscriptus : Aurelius pontifex dedicauit. Hunc legentes populi mirabantur praesago tunc spiritu acta quae praescius Dei ordo certo isto fine concluserat. Cumque a quodam pagano falsum uaticinium uelut eiusdem Caelestis proferretur, quod rursus et uia et templa prisco sacrorum ritui redderentur, ille, ille uerus Deus cuius prophetica uaticinia nesciunt omnino mentiri nec fallere, sub Constantio et Augusta Placidia quorum nunc filius Valentinianus pius et Christianus imperat, Vrso insistente tribuno, omnia illa templa ad solum usque perducta agrum reliquit, in sepulturam scilicet mortuorum ; ipsamque uiam sine memoria sui nunc uandalica manus euertit.  





In Africa a Cartagine Caelestis – come raccontavano – (aveva) un tempio molto ampio circondato dai santuari di tutti i loro dèi la cui platea – decorata con un pavimento a mosaico e con colonne e pareti preziose – si estendeva nelle vicinanze per circa due miglia. Rimasto chiuso a lungo, con la recinzione ormai invasa per l’incuria da rovi spinosi, quando i Cristiani lo vollero rivendicare all’uso della vera fede, i Gentili andavano dicendo che c’erano, a guardia del tempio, dragoni e serpenti. I Cristiani perciò eccitati ancor più dal fervore, rimossero tutto con facilità rimanendo illesi in modo che consacrarono il tempio al loro vero celeste re e signore. E infatti, quando fu celebrata la festività della solenne Pasqua, una moltitudine si era riunita lì venendo da ogni parte con grande curiosità, il vescovo Aurelio, ora cittadino della patria celeste, padre di molti sacerdoti e degno di essere ricordato, pose il suo trono lì, nel tempio di Caelestis, e si sedette. Io stesso ero presente allora con amici e compagni e allorché l’età impaziente degli adolescenti si voltava qua e là, proprio mentre guardavamo curiosi ogni singolo dettaglio, secondo la grandezza, qualcosa di meraviglioso e incredibile si presentò alla nostra vista: un’iscrizione a grandi lettere di bronzo scritta sul frontone del tempio: Aurelius pontifex dedicauit (Aurelio, il Pontefice, ha dedicato). Nel leggere ciò le persone ammiravano con animo presago ciò che il presciente ordine di Dio aveva mandato a compimento con codesto certo fine. E quando da un certo pagano fu pronunciato un falso vaticinio, come se (provenisse) dalla stessa Caelestis, che di nuovo la via e i templi sarebbero tornati all’antico rituale delle cerimonie, quegli, quel Dio vero i cui vaticini profetici non sanno invero mentire né sbagliare, sotto Costantino e Augusta Placidia il cui figlio Valentiniano, pio e cristiano, è ora imperatore, attraverso gli sforzi del tribuno Urso, tutti quei templi rasi al suolo li lasciò adibiti a campo, cioè destinati

a la sepoltura dei morti; e la mano dei Vandali ha ora distrutto quella stessa via cancellandone il ricordo. 26. Salvian., de gubern. Dei, VIII 2, 9-11 Sed quia de impuritae Afrorum iam multa diximus, nunc de blasphemiis saltim pauca dicamus. Professa enim illic iugiter plurimorum paganitas fuit. Habebant quippe intra muros patrios intestinum scelus, Caelestem illam scilicet Afrorum daemonem dico ; cui ideo, ut reor, ueteres pagani tam speciosae appellationis titulum dederunt ut, quia in eo non erat numen, uel nomen esset, et quia non habebat aliquam ex potestate uirtutem, haberent saltim ex uocabulo dignitatem! Quis ergo illi idolo non initiatus ? Quis non a stirpe ipsa forsitan ac natiuitate uotus ? Nec loquor de hominibus sicut uita ita etiam professione ac uocabulo paganis, et qui sicut profani errant errore, sic nomine ; tolerabilior quippe est et minus nefaria gentilitas in hominibus professionis suae ; illud perniciosus ac scelestius quod multi eorum qui professionem Christo dicauerant, mente idolis seruiebant. Quis enim non eorum qui Christiani appellabantur, Caelestem illam aut post Christum adorauit, aut, quod est peius multo, ante quam Christum ?  











Ma, visto che dell’impurità degli Africani abbiamo già trattato in dettaglio, ora diremo sulla blasfemia per lo meno poche cose. Il paganesimo di moltissimi infatti fu professato lì continuamente. Avevano in verità tra le mura patrie un crimine interno, intendo quella Caelestis, cioè il dèmone degli Africani; a lui, dunque, per quel che penso, gli antichi pagani avevano dato un titolo di denominazione tanto splendida, così che, poiché in lui non v’era numen, almeno ci fosse un nomen, e poiché non aveva alcuna virtù (derivante) dal suo potere, avesse almeno dignità dal vocabolo! Chi dunque non fu iniziato a quell’idolo? Chi non (gli) fu consacrato dalla stessa origine e forse dalla nascita? E non parlo di uomini pagani e per stile di vita e per professione di fede e per scelta dichiarata, i quali, come profani, sbagliano nell’errore e così anche nel nome; più tollerabile è infatti e meno scellerato il paganesimo in uomini che dichiaratamente lo professano. Ciò che è più pernicioso e scellerato è che molti di coloro che avevano fatto professione di fede a Cristo, con la mente servivano gli idoli. Chi infatti tra coloro che erano chiamati Cristiani, non ha adorato quella Caelestis subito dopo Cristo, o – fatto ben peggiore – addirittura anteponendola a Cristo? 27. Serv., in Verg. Aen., XII 841 ‘Mentem laetata retorsit’ iste quidem hoc dicit ; sed constat bello Punico secundo exoratam Iunonem, tertio uero bello a Scipione sacris quibusdam etiam Romam esse translatam.  

“Rivolse la mente rasserenata” codesto (passo) dice proprio ciò; ma è noto che Iuno fu pregata durante la seconda guerra punica, e quindi durante la terza guerra punica fu portata da Scipione con certi riti persino a Roma. 28. Serv., in Verg. Georg., I 498 Patrii dii sunt qui praesunt singulis ciuitatibus : ut Minerua Athenis, Iuno Carthagini.  

Gli dèi patrii sono quelli che sono preposti alle singole città: come Minerva ad Atene, Iuno a Cartagine. 29. Serv., in Verg. Georg., I 729 (…) Saturnum, quem et Solem dicunt, Iunonemque coluisse, quae numina etiam apud Afros postea culta sunt. (…) venerarono Saturnus, che chiamano anche Sole, e Iuno, divinità che anche presso gli Africani furono in seguito adorate. 30. Serv., in Verg. Georg., IV 680 Struxi manibus ; quasi sceleris contaminata, et quasi ipsa interitum sororis adiuuerit. Struxi manibus, subaudis “rogos”. Patrios deos ; Saturnum et Iunonem.  



appendice a. le fonti letterarie “Costruii con queste mani”; come se (si fosse) macchiata del delitto e come se essa stessa avesse contribuito alla morte della sorella. “Costruii con queste mani”, sottintendi “le pire”. “Dei patrii”; Saturnus e Iuno. 31. Tertull., Apol., XII 4 Ad bestias impellimur. Certe quas Libero et Cybele et Caelestis applicatis. Veniamo esposti alle belve. Certo quelle che voi collocate accanto a Liber, a Cybele e a Caelestis. 32. Tertull., Apol., XXIII 2 Ista ipsa Virgo Caelestis pluuiarum pollicitatrix, ipse iste Aesculapius, medicinarum demonstrator, alia die morituris Socordio et Thanatio et Asclepiodoto uitae subministrator, nisi se daemonas confessi fuerint, Christiano mentiri non audentes, ibidem illius Christiani procacissimi sanguinem fundite! Questa stessa Virgo Caelestis, promettitrice di pioggie, questo stesso Aesculapius, dispensatore di medicine, somministratore di vita a Socordio, Tanazio e Asclepiodoto – destinati comunque a morire un altro giorno – se non si confesseranno dèmoni, non osando mentire a un Cristiano, versate lì e subito il sangue di quell’impudentissimo Cristiano! 33. Tertull., Apol., XXIV 3 Unicuique etiam provinciae et ciuitati suus deus est, ut Syriae Astartes, ut Arabiae Dusares, ut Africae Caelestis, ut Mauritaniae reguli sui. Anche ciascuna provincia e ciascuna città ha il suo dio, come la Siria Astarte, gli Arabi Dusares, l’Africa Caelestis, la Mauritania i suoi piccoli re. 34. Tertull., Apol., XXV 8 Vellet ≤et≥ Iuno Punicam urbem “posthabita Samo” dilectam ab Aeneadarum gente deleri Quod sciam : hic illius arma hic currus fuit ; hoc regnum dea gentibus esse, si qua fata sinant, iam tum tendit fouetque (Aen. I 16-20) Misera illa “coniu≤n≥x Iovis et soror” adversus fata non voluit! Plane fato stat Iupiter ipse. Nec tantum tamen honoris fatis Romani dicauerunt dedentibus sibi Carthaginem aduersus destinatum uotumque Iunonis quantum prostitutissimae lupae laurentinae.  



Avrebbe mai potuto volere Iuno che fosse distrutta la città punica, da lei amata e “preposta a Samo”, proprio dal popolo degli Eneadi? Che io sappia: “là erano le sue armi e là il suo carro; che questo sia il regno delle genti, se il fato permette, già allora pretende e cura la dea”. Quella povera “sposa e sorella di Iuppiter” non volle scontrarsi col fato! Addirittura Iuppiter stesso (sotto)sta al fato. E tuttavia i Romani non dedicarono al fato, che consegnò loro Cartagine contro la decisione e il desiderio di Iuno, tanto onore quanto alla prostitutissima lupa laurentina. 35. Tertull., ad nat., II 8, 5 Quanti sunt qui norunt uisu uel auditu Atargatim Syrorum, Caelestem Afrorum, Varsutinam Maurorum, Obodam e[t] Dusarem Arabum, Belenum Noricum (…) ?  

Quanti sono coloro che hanno conosciuto attraverso la vista o l’udito Atargatis dei Sirii, Caelestis degli Africani, Varsutina dei Mauri, Obodas e Dusaris degli Arabi, Belenus dei Norici (…)? 36. Tertull., ad. nat., II 17 Vellet ≤Iuno urbem suam≥ “posthabita Samo” dilectam et utique ab Aeneadarum ignibus adoleri ? ≤Quod sciam≥ : hic illius arma hic currus fuit ; hoc regnum dea gentibus esse, si q≤ua fata≥ sinant, iam tum tendit fouetque (Aen. I 16-20).  

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Misera aduersus fata n≤on voluit≥! Nec tamen tantum honoris Romani fatis decreuerunt, ut dedentibus Carthaginem sibi, quantum Laurentiae! Avrebbe mai potuto Iuno volere che fosse distrutta proprio dai fuochi degli Eneadi la sua città prediletta, “anteposta a Samo”? Che io sappia: “là erano le sue armi e là il suo carro; che questo sia il regno delle genti, se il fato permette, già allora pretende e cura la dea”. Povera, non volle scontrarsi col fato! E tuttavia i Romani non dedicarono al fato, che consegnò loro Cartagine, tanto onore quanto alla Laurenzia! 37. Ulpian., Reg., XXII 6 Deos heredes instituere non possumus praeter eos (…) sicuti Iovem Tarpeium, Apollinem Didymaeum Mileti, Martem in Gallia, Minervam Iliensem, Herculem Gaditanum, Dianam Efesiam, Matrem Deorum Sipylenen, Nemesim quae Smyrnae colitur, et Celestem Salinensem [Sidonensem ? Selenen ? selinensen ?]* deam Carthaginis. *Leglay : Samimensis punico “Celeste”.  







Non possiamo nominare eredi gli dèi eccetto quelli (…) come Iuppiter Tarpeo, Apollon Didimeo di Mileto, Mars in Gallia, Minerva Iliense, Hercules Gaditano, Diana Eresia, la Madre degli dèi Sipilene, Nemesis che si venera a Smirne e Caelestis Salinense dea di Cartagine. 38. Verg., Aen., I 12-33 Urbs antiqua fuit Tyrii tenuere coloni Karthago, Italiam contra Tiberinaque longe Ostia, diues opum studiisque asperrima belli, quam Iuno fertur terris magis omnibus unam posthabita coluisse Samo. Hic illius arma, hic currus fuit ; hoc regnum dea gentibus esse, si qua fata sinant iam tum tenditque et fouetque. Progeniem sed enim Troiano a sanguine duci audierat Tyrias olim quae uerteret arces ; hinc populum late regem belloque superbum uenturum excidio Libyae ; sic uoluere Parcas. Id metuens ueterisque memor Saturnia belli, prima quod ad Troiam pro caris gesserat Argis – necdum etiam causae irarum saeuique dolores exciderant animo ; manet alta mente repostum iudicium Paridis spretaeque iniuria formae et genus inuisum et rapti Ganymedis honores : hic accensa super iactatos aequore toto Troas, reliquias Danaum atque inmitis Achilli, arcebat longe Latio, multosque per annos errabant acti fatis maria omnia circum. Tantae molis erat Romanam condere gentem.  









Vi fu un’antica città, Cartagine, la fondanrono coloni Tirii, lontano di fronte all’Italia e alla foce del Tevere, ricca di beni e fortissima per le passioni di guerra, che Iuno, si dice, abbia amato più di tutte le terre, posposta (anche) Samo. Qui le sue armi, qui il carro fu; che questo sia il regno delle genti – se il fato consente – già allora pretende e cura la dea. Ma aveva sentito che una stirpe di sangue troiano si formava, che un tempo avrebbe abbattuto le rocche tirie; di qui sarebbe giunto un popolo ampiamente sovrano e superbo in guerra per la rovina di Libia; così filavano le Parche. Temendo ciò la Saturnia, e memore della antica guerra, perchè per prima l’aveva mossa a Troia per la cara Argo «per i cari Argivi» né ancora eran cadute dal cuore le cause dell’ira e gli acuti dolori: resta confitto in profondità nella mente il giudizio di Paride e l’oltraggio della bellezza sprezzata e la stirpe odiata e gli onori di Ganimede rapito: accesa (d’ira), i Trioani, avanzi dei Danai e del crudele Achille, sbattuti per ogni mare, lontano dal Lazio teneva: e per molti anni pressati dai fati erravano per tutti i mari. Così tanto costava fondare la gente romana.





39. Verg., Aen., I 441-449 Lucus in urbe fuit media, laetissimus umbrae, quo primum iactati undis et turbine Poeni

dea caelestis

118 effodere loco signum, quod regia Iuno monstrarat, caput acris equi : sic nam fore bello egregiam et facilem uictu per saecula gentem. Hic templum Iunoni ingens Sidonia Dido condebat, donis opulentum et numine diuae, aerea qui gradibus surgebant limina nixaeque aere trabes, foribus cardo stridebat aënis.  

Un bosco vi fu in mezzo alla città, piacevolissimo d’ombra, dove dapprima i Punici sbattuti da onde e bufera scavarono sul posto il segno che la regale Iuno aveva rivelato, la testa di un fiero cavallo; così infatti in guerra sarebbero stati popolo famoso e ricco di vitto per i secoli. Qui la sidonia Didone fondava un immenso tempio a Iuno, ricco di doni e del

nume della dea, soglie bronzee gli sorgevano dai gradini e travi connesse con bronzo, il cardine strideva per le porte bronzee. 40. Vittore di Vita, Hist. persec. afric. provinc., I 3 Sed et urbes quam plurimae aut raris aut nullis habitatoribus incoluntur : nam et hodie si qua supersunt, subinde desolantur, sicut ibi Carthagine, odium, theatrum, aedem Memoriae et uia quam Caelestis uocitabant funditus deleuerunt. Ma anche la maggior parte delle città sono occupate da rari o da nessun abitante: anche oggi se in qualche modo sopravvivono, col tempo diventano deserte, proprio come lì a Cartagine distrussero completamente l’odeon, il teatro, il tempio della Memoria e la via che era detta “di Caelestis”.  

APPENDICE B LE FONTI EPIGRAFICHE A. AFRICA 1. PROVINCIA PROCONSULARIS 1. Carthago (la Malga) CIL VIII 999 = Cadotte 2007, n. 199 Dianae Cael(esti) | Aug(ustae) | Valeria Stac[t]e | d(onum) d(edit) 2. Carthago AE 1925, 32 = ILTun 1052 = Cadotte 2007, n. 197 Pro sal[ute(omini) n(ostri)] ? | Imp(eratoris) Pii Aug(usti) | […i] | un[oni ?] iussu [de]|ae C[a]elestes (sic) […] |ria Sirp[ica ? ex] | u(oto) d(edit)

11. Carpis (Henchir Mraissa) CIL VIII 993/12454 = ILS 4433 = Bassignano 1974, pp. 134-135 = Cadotte 2007, n. 179 Aedem quam Cassia Maximula, flaminica divae Plotinae, Caelesti deae voverat, Sextili Martialis mari|tus, sacerdos publicus, omnibus honoribus functus, et Martialis filius, flamen perpetuus, aedilis, suo | sumtu a solo aedificatam d(ecreto) d(ecurionum), marmoribus et museis et statuae Pudicitae Aug(ustae) et thorace Caelestis | Augustae ornaverunt et die dedicationis decurionibus sportulas dederunt







12. Tafeloune ILTun 843 = Ben Abdallah 1986, n. 428 [------]ae Cl(audiae) Theophilae | [------Iunoni ?]Caelesti sacrum | [------]o Augg(ustorum) lib(erto) proc(uratore)  

3. Carthago ILTun 1053 = Cadotte 2007, n. 196 Iunoni C[aelesti | iu]ssu dominae Vir(ginis ?)  

4. Carthago ILAfr 352 = AE 1913, 47 = Cadotte 2007, n. 195 Caelesti Aug(ustae) sacr(um) | L(ucius) Aegrilius | Felix | Maximus | Praenestianus | iussu deae fecit 5. Carthago Ben Abdallah 1999a, pp. 103-105 = Cadotte 2007, n. 210 Caeles[ti] | sacrum. | D(ecimus) Valerius Phoenix | l(ibenti) a(nimo) u(otum) s(oluit) 6. Carthago AE 1998, 1538 = Ben Abdallah – Ennabli 1998, pp. 175-183 = Cadotte 2007, n. 203 Inuicto numini deae Caelestis. | Pro salute et aeternitate imperi(i) | Domini nostri M(arci) Aureli(i) Seueri | Antonini Pii, Felicis, Aug(usti) et Iuliae | [Aug(ustae), m]atri[s Aug(usti)] et castrorum | [et senatus et pat]riae totiusq(ue) | [domus diuin] ae | [aram ? sua pecunia pos]uit. | [ille-- ?--]us proc(urator) | [Aug(usti) lib(ertus) dedicauit libentiq(ue) animo ?] u(otum) s(oluit)  





7. Carthago (provenienza sconosciuta) Ben Abdallah 1999, pp. 3-4 [Saturno et] de[ae Cael]esti | [Aug(ustis) ---]O | -----8. Douar ech-Chott (nei pressi di Carthago) CIL VIII 12501 = ILS 4922 ....Thyreu.... / Thronos :.... / bis fri.... / lebit no.... / tudinem. / Thyrsos : no.... / tio est sev.... / endo.... / Thorax : .... / deri.... / Histos : dum.... / Caneon : sp.... / noli tim.... / ribus que.... / Cerauniu....

13. Thinissut (Bir bou Rekba) AE 1911, 84 = Merlin 1911, p. 9 = Cadotte 2007, n. 173 C(aelesti) | A(ugustae ?)| s(acrum) | F(…) Satur|ninus P(ublii) fil(ius) | Phae[…]|tanus m(emore) an(imo) u(otum) s(oluit)  

14. Thinissut (Bir bou Rekba) Merlin 1911, p. 27 n. 1 = ILAfr 307 = Ben Abdallah 1986, n. 191 = Cadotte 2007, n. 174 C(aelesti) C(aius) L( ) F( ) p(osuit) ?  

14a. Thinissut (Bir bou Rekba) ILAfr 308 = Cadotte 2007, n. 175 C(aelesti ?). […] I F  

15. Giufi (Bir-Mcherga) CIL VIII 859/12376 = Cadotte 2007, n. 154 Leonti Dardani | Caelesti Aug(ustae) sacrum | P(ublius) Iddibalius Felicis flaminis | quaestorici fil(ius) Pap(iria tribu) Victorinus q(uaestoricius) | et M(arcus) Domitius Processani aedilici | filius Pap(iria tribu) Victor aediles | sua liberalitate fecerunt et ob dedi|cationem epulas decurionibus dederunt. L(ocus) [d(atus)] d(ecreto) [d(ecurionum)] 16. Municipium Aurelianum C[…] (Henchir Bou-Cha) CIL VIII 829 …[Te]rtulli | ……………..|…….. quaestorio | II uiralic(io) fl(amini) p(er)p(etuo) ob eximi|um amorem circa patriam | et praestantem fidel(itatem) qua | sing(ulos) uniuersosq(ue) promeruit | cur(ia) Caelestia patrono











9. Jemajeur (Ksar Djema el-Djir) CIL VIII 24047 C[aelesti ?] A(ugustae) s(acrum) | L(ucius) Titius Metria|nus sacerdos | cum L(ucio) [Titio] Felice | et L(ucio) T[itio] Victor(e) | filis [su]is ara|m cum [fu]ndame|ntis [fec(it)] l(ibenti) a(nimo)  

10. Haut Mornag AE 1909, 9 = ILAfr 345 = Cadotte 2007, n. 183 Caeles[t]i Aug(ustae) Granianae sacr[um | Q(uintus) Voltius Senecio templum ui fluminis ereptum transtulit et a solo fecit idemque dedica[uit]

17. Thuburbo Maius (Henchir Kasbat) ILTun 708 = Ben Abdallah 1986, n. 331 = Cadotte 2007, n. 132 Iuno[ni Caelesti aug(ustae) sacrum)] | pro sa[lute-------] -------] inieno [-------] | [-------]um t[------18. Thuburbo Maius (Henchir Kasbat) ILAfr 226 = Ben Abdallah 1986, n. 326 = Cadotte 2007, n. 143 Caelesti | aug(ustae) sacr(um) | T(itus) Iunius Vic | tor f(ecit) s(ua) p(ecunia) p(osuit) 19. Thuburbo Maius (Henchir Kasbat) ILAfr 227 = AE 1915, 17 = Ben Abdallah 1986, n. 327= Cadotte 2007, n. 140 [Deae o Iunoni Cae]lesti A[ug(ustae)] sacrum | L(ucius) Rutilius | Macer | v(otum) s(oluit) l(ibenti) a(nimo)

dea caelestis

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20. Thuburbo Maius (Henchir Kasbat) ILAfr 228 = AE 1915, 18 = Ben Abdallah 1986, n. 328 = Cadotte 2007, n. 139 [Do]minae Caelesti Aug(ustae) Genio [ciuitatis]| [------] T(itus) Titisenus Salutaris sua pecunia fe[cit------] | dec[reto] ordinis anno Dap(h)ni Lupi et L(ucii) Memm[i------] | [------] Felice de s(uo) 21. Thuburbo Maius (Henchir Kasbat) ILAfr 229 = Ben Abdallah 1986, n. 510 = Cadotte 2007, n. 144 ------Ca]elesti[------] | [------] Aurelio I [------] | [------]mus[------] | [† Aug(ustus ?) N][------] | [  

22. Thuburbo Maius (Henchir Kasbat) ILAfr 230 = Ben Abdallah 1986, n. 329 = Cadotte 2007, n. 145 [------Caeles]ti A[ugustae sacrum------] | [------A]urelio [------] | [-----23. Thuburbo Maius (Henchir Kasbat) ILAfr 231 = AE 1921, 28 = Ben Abdallah 1986, n. 330 = Cadotte 2007, n. 130 Iunoni Cael[esti] | M(arcus) Manlius Aptus iu[ssu deae] | exhedram cum colu[mnis] | de suo fe[cit] 24. Thuburbo Maius (Henchir Kasbat) ILAfr 232 = Ben Abdallah 1986, n. 511 = Cadotte 2007, n. 129 Iun[oni Caelesti A]ug(ustae) sa[crum] | pro sal[ute Imp(eratoris) Caes(aris)------] Antonini [------] | Aug(usti) [------] | M(arcus) Man[-------] | T(iti) fil(ius) [------25. Thuburbo Maius (Henchir Kasbat) ILAfr 233 = AE 1917-1918, 18 = Ben Abdallah 1986, n. 332 = Cadotte 2007, n. 131 Iunoni Caele[sti Aug(ustae) sacrum)] [Muth]umbal Arinis [f(ilius)-------] | Thub(urbo) Mai[us------] | cumm[------

Libero Aug(usto) | sacrum | Pro salute Imp(eratoris) Caes(aris) | [[M(arci) Aureli(i) Commodi Anto[nini Pii Felicis Aug(usti)] | ------]] | [F]abius Victor Sestianus | [------] II prae(fectus) iur(e) dic(undo) sacer|[dos------] Geni(i) municipi(i) suo | [et------] mor[i]s | [---nomine--32. Thuburbo Maius (Henchir Kasbat) ILAfr 255 = AE 1916, 40 = MSA I, p. 116, 2 = Ben Abdallah 1986, n. 343 = Cadotte 2007, n. 133 [Satur]no Aug(usto) sac[r]um | [……e]t Faustus Lupus Daphni f(ilius) sacerdotes Genii ciuit[atis] | […….c]um vo[…… exhe] dra et omnibus ornamentis s(ua) p(ecunia) f(ecerunt) idem(que) dedic(auerunt) d(ecreto) [d(ecurionum)] 33. Thuburbo Maius (Henchir Kasbat) ILAfr 256 = MSA I, p. 117, 4 = Ben Abdallah 1986, n. 344 [Caelesti] Aug(ustae) sa[cr(um)] | Diop(h)anth(u)s | Cittin(is), Dio|phanti (filii), fil(ius), sacerdos | Saturni u(otum) s(oluit) l(ibenti) a(nimo) | et Saturno | palma(m) arg(enteam) | (denarios) X | [s(ua) p(ecunia) f(ecit) ?]  

34. Pont du Fahs (non lontano da Thuburbo Maius) AE 1904, 57 = CIL VIII 23858 = Cadotte 2007, n. 301 Caelesti Aug(ustae) sacr(um) | ………….[p]ro salute L(ucii) Annioleni Albani uoto fecit 35. Vallis (Sidi-Medien) ILTun 1281 = Ben Abdallah 1986, n. 411 C(aio) Iunio Serio | Agurino (sic) | M(arco) Trebio Ser|giano co(n)s(ulibus) | C(aius) C[a]elius Satur|inus structor (sic) | ab Auitnis uotum | soluit columnas | duas in cella Cae|lest[is deae sua pecunia fecit et dedic(auit)] 36. Tuccabor (Tukâber) CIL VIII 1318/14850 = ILS 5422a Caelesti Aug(ustae) sac(rum) | Q(uintus) Mattius Primus | ad ampliationem | templi et gradus | donauit (denarios) CXXV | uot(um) sol(uit) lib(enti) ani(mo)

26. Thuburbo Maius (Henchir Kasbat) ILAfr 234 = Ben Abdallah 1986, n. 333 = Cadotte 2007, n. 128 [Iunon]i Cae|[lesti] Regi[nae Au]g(ustae) sac(rum) | [------] omi|[------

37. Henchir Negachia Peyras : CT, 1988-1989, pp. 14-15, n. 1 = Peyras 1991, p. 55, n. 3 […] aede Iunoni Caeles[ti.. | …]iuccei Respectus…

27. Thuburbo Maius (Henchir Kasbat) ILAfr 235 Conseruatrix ciuium et ciuitates

38. Bisica Lucana (Henchir Bija) CIL VIII 1360 = ILS 4435 Rubrius R(o)|gatus Bel|litanus sa|cer(dos) Cael(estis) uix|it an(nis) LXX | hic sit(us) est

28. Thuburbo Maius (Henchir Kasbat) ILAfr 239 = Ben Abdallah 1986, n. 335 Gen[io-------] 29. Thuburbo Maius (Henchir Kasbat) ILAfr 240 = AE 1916, 39 = Ben Abdallah 1986, n. 336 = Cadotte 2007, n. 149 Genio municip(i) | Aug(usto) sacr(um) | Ex testamento C(aii) V[------] Cam|pani (centurionis) leg(ionis) [-------] (centurionis) leg(ionis) (tertiae decimae) Ge(minae) | qui Genio municip(i) [sui] (sestertium) V (milia) legauit | Iulia [------fl]am(inica) p(erpetua) pro pa[------] | s[------]ius (centurio ?) leg(ionis) (tertiae) Aug(ustae) | (centurio ?) leg(ionis) II [------] qui [----- 



30. Thuburbo Maius (Henchir Kasbat) ILAfr 242 = Ben Abdallah 1986, n. 338 Genio templi sacrum | [---Ce]ler sacerdos suo et Aufidiae Quartillae uxoris suae [nomine] | [------exh]edram cum signo et or[na]mentis omnibus [fecit] idemq(ue) dedicauit d(ecreto) [d(ecurionum)] 31. Thuburbo Maius (Henchir Kasbat) ILAfr 247 = AE 1916, 38 = Ben Abdallah 1986, n. 341 = Cadotte 2007, n. 134



39. Bisica Lucana (Henchir Bija) CIL VIII 23881 V(ixit) a(nnis) LXXI | Gidius Felix Primi | filius sacerdos Caelestis | de suo monumentum sibi 40. C. Suct---- (Henchir Brigita) CIL VIII 23860 = AE 1899, 111 = Cadotte 2007, n. 124 [C]aelestae […] | Aug(ustae) sacr(um) […]| ciuitas […] | Suct[--41. Thabbora, nei pressi (Henchir-Tambra) AE 1980, 917 = Ferchiou : CT, 28 (1980), pp. 9-55, p. 33 [---] fundi posesor (sic) temp(lum) Cael(estis) const(ituit)  

42. Thubursicu Bure (Téboursouk) CIL VIII 1424 = Cadotte 2007, n. 246 Iunoni | Caelesti | Aug(ustae) sac(rum) | Modia Vic|toria cum | sui(s) u(otum) s(oluit) | l(ibenti) a(nimo) 43. Thubursicu Bure (Téboursouk) CIL VIII 26439 Caelesti Aug(ustae) sac(rum)

appendice b. le fonti epigrafiche 44. Thubursicu Bure (Téboursouk) CIL VIII 25994 = Cadotte 2007, n. 247 [I]unoni C|aelesti ?….. | …] den[…  

45. Thugga (Dougga) CIL VIII 26457 = Cadotte 2007, n. 268 Caelesti Aug(ustae) sacr(um) | pro salute Imp(eratoris) Caes(aris) M Aurellii | [[Seueri Alexandri Pii Felicis ]] [Aug(usti)] 46. Thugga (Dougga) CIL VIII 26458 = Bassignano 1974, p. 191 = Cadotte 2007, n. 254 ……………in parentum su[a --- patris et A]villiae Gab[iniae ? Venus]tae matris ex pollicitat[ione--- templum ?] deae Caelestis, [quod ob hon]ore[m fl]amonii perp[etui---] is q(uin)q(uennalis) rei p(ublicae) Thuggensium ante [fieri] ex s(estertium) sexaginta m(ilibus) n(ummum) coeptum est, inlatis sestertium triginta mil(ibus) [n(ummum) quae] at deas Caelestes argenteas fabricanda[s ---]ae Aburnius Avillius F[elix] testamento suo ab heredibus praestari voluit itemque [--]ratis ex testamento Avilli[ae Gabiniae ? V]enustae ex quorum reditu sportulae et ludi praest[are]ntur ; Q(uintus) Gabinius Rufus Felix Beatianus, multiplicata a se pec[unia, p]erfecit excoluit et cum statuis ceterisq(ue) solo privato dedicat[is ---]ae sua liberalitate constitutis [--- ob] diem dedicationis rei p(ublicae) n[u]me[ratis ? ---] ded[it, adiec]tis sportulis et epulo et gymnasio  









47. Thugga (Dougga) CIL VIII 26459 = Cadotte 2007, n. 265 Caelesti Aug(ustae) sacr(um) | [Q(uintus) Gabin]ius Rufus Felix Beatianus liberali| [tates p]arentum mult[i]plicauit excoluit ded(icauit) 48. Thugga (Dougga) CIL VIII 26460 = Cadotte 2007, n. 266 C[aelesti] Aug(ustae) sacr(um) | Q(uintus) Gabinius [Rufus] Felix Beatianus liberal[ita] |tes pare[ntum m]ultiplicauit excoluit ded(icauit) 49. Thugga (Dougga) CIL VIII 26463 = Cadotte 2007, n. 267 ………….Caelesti [Aug(ustae) sac(rum)] | ? [Mo]dius Rusticus M […]……. | ni f(ilii) sui quod ei […| ……G o C] statuam p(ecunia) p(ublica) p[ositam | …de]dic(atam ?) cur(ante) M( ) N( )  



50. Thugga (Dougga) CIL VIII 26474 = AE 1906, 122 = Cadotte 2007, n. 253 Ex praecepto deae Cael[estis] Aug(ustae) | simulacrum Iunonis Reginae | cum exhedra sua | L(ucius) Magnius Felix Remmianus | sacerdos excoluit 51. P. Thac---- (Aïn Taki) CIL VIII 27416 C(a)el[esti Aug(ustae) sac(rum)] | arcum cu[m - - -] | pagus Thac[ensium] | fecit d(ecreto) d(ecurionum) in qu[em] | contuli[t] | s(estertios ?) [- - -] | cum t(oto) orbi (sic) ciuium R(o) m(anorum)  

52. Fundus Turris Rutundae (Sidi-Khalifa) CIL VIII 16411 = ILTun 1568 Caelesti [Aug(ustae)] sacrum [pro] salute | Imp(eratoris) Caes(aris) C / / / / / / / / / / Pii Felicis Aug(usti) pont(ificis) [max(imi) trib(unicia)] potest(ate) p(atris) p(atriae) totiusq(ue) domus | eius diuinae coloni fun[di Tur]ris Rutundae d(ominae) n(ostrae) | Aug(ustae) templum [de]lapsum denuo sua pecunia fecerunt | cum columnis ornatis idem[que] dedicauerunt magisterio L(ucii) Corneli…[su]b cura Anni Corneliani sacerdotis | s………

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53. Mustis (Henchir-Mest – Le Krib) CIL VIII 16415 = Cadotte 2007, n. 290 Caele[sti]| Aug(ustae) | sacr[um] | b(ene) m(erenti) Mu(stitani), ovvero mu(nicipes) 54. Mustis (Henchir-Mest – Le Krib) AE 1968, 595 = Beschauch 1965-1966, pp. 170-173 n. 6 = Bassignano 1974, p. 124 = Cadotte 2007, n. 278 Plutoni Frugif(ero) | Aug(usto), Genio Mustis, | sacrum. Pro salute | Imp(eratoris) T(iti) Aeli(i) Hadrian[i A]ntonini | Aug(usti) Pii, M(arcus) Corneli[us] M(arci) f(ilius) | Cornelia (tribu) Laetus, flamen | perpetuus, (duum)vir, sacerdos | Caelestis et Aesculapii | publicus, cum pro honore | flamoni(i) perp(etui) (sestertium) X (milia) taxas|set et ob honorem (duum)uiratus | sestertium) II (milia), inlatis aerario (sestertium) III (milibus), statuam aeream posuit et in templo Caelestis portic(um) columna/rum (quattuor), ampliata pecu[ni]a, fe|cit. D(ecreto) d(ecurionum). Idem q[uoqu]e [de]dic(auit), ampli| us, in eode[m templo] porticum | columna|rum (quattuor), ampliata pecu[ni]a, fe|cit. D(ecreto) d(ecurionum). Idem q[uoqu]e [de]dic(auit), ampli|us, in eod[dem templo] porticum | auitam, [u]e[t]u[ustate conl]absam [co]lumnis [(quattuor ?)], [adiecta] pecuni[a], | res[tituit].  

55. Mustis (Henchir-Mest – Le Krib) AE 1968, 596 = Beschaouch 1965-1966, pp. 179-182 n. 7 = Bassignano 1974, p. 124 = Cadotte 2007, n. 279 Telluri Aug(ustae) sacrum. Pro salute | Imp(eratoris) Caes(aris) T(iti) Aeli(i) Hadriani Antonini Aug(usti) Pii libe|rorum eius, M(arcus) Cornelius M(arci) f(ilius) Cornel(ia tribu) Laetus, flam(en) | [p]erp(etuus), (duum)uir q(uinquennalis), sacerdos Caelestis et Aesculapii | publicus, templum cum statua s(ua) p(ecunia) f(ecit). D(ecreto) d(ecurionum). 56. Mustis (Henchir-Mest – Le Krib) CIL VIII 16417 = AE 1968, 609 = Beschaouch 1965-1966 I, pp. 190-192 n. 14 = Cadotte 2007, n. 289 [Pro s]alute Imp(eratoris) Caes(aris) M(arci) Aurel(i) Comm[odi] Antonini Pii Fel[icis Aug(usti) German(ici) Sarmat(ici) Brittan(nici), | p(ontificis)] max(imi), trib(unicia) potest(ate) XIII, imp(eratoris) VIII, co(n)s(ulis) V, p(atris) p(atriae), C(aius) Or[f]ius L(ucii) f(ilius) Cor(nelia tribu) Luciscus, prae[f(ectus) i(ure) d(icundo) pro (duum)vir(is), (duum)vir | it]erum q(uin) q(uennalis), sacerdos publicus deae Caelestis et Aesculapi(i), arcum, quem, suo et C(aii) O[rf]i […] n[omine, | p]ro praecipua erga sanctissimum numen relig(ione) proque perpetuo patriae amore, pro[miserat, adiecta | a]mplius statua Iano Patri, perfe[c] it et dedicauit, statuam quoque in foro Mar[sya]e [constituit]. [O]b cuius dedicatione(m) ludos [sc]aenico[s et] epulum curiis et Cerealicis exhibuer[unt]. 57. Henchir Belda CIL VIII 27430 = Cadotte 2007, n. 288 M(arcus) Cornelius | [Cae]lesti et Cereri fecit 58. Bulla Regia (Hamman-Darradji) AE 1955, 124 = Cadotte 2007, n. 228 I(oui) O(ptimo) M(aximo) | et | Caelesti 59. Simitthus (Chemtou) CIL VIII 14613 = ILS 6825 [Et quod]………. |……..[test]amen|[to suo] curiae | [Caeles]tiae hs X | [m(ilia) n(ummum) le]gauit | b(ene) merito p(ro) p(ietate) | curia Caelest(ia) | mesuleum p(ecunia) sua| et exuuias (= exequias) fec(it) | et natalis eius XI k(alendas)| april(es) aepulantur 60. Simitthus (Chemtou) CIL VIII 25648 Veturia Sex(ti) f(ilia) | Martha | sacerda Caelestae | hic sita u(ixit) a(nnis) XCV

dea caelestis

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61. Simitthus (Chemtou) AE 1994, 1871 = Kraus : Rakob 1993, p. 57, n. 14 N(umero) CCXXX[---] of(ficina) Cael(---) | Luciano et Fabino co(n)s(ulibus) | caesura Athenodo(ri) pro(curatoris).  

62. Simitthus (Chemtou) AE 1994, 1874 = Kraus : Rakob 1993, pp. 58-59, n. 27 Pisone et Bolano co(n)s(ulibus) | ex rat(ione) Felicis Aug(usti) ser(ui) | d(e) n(umero) XXX of(ficina) no(ua) Cael(i ?).  



63. Simitthus (Chemtou) AE 1994, 1884 = Khanoussi : Khanoussi – Kraus – Rakob – Vegas 1994, p. 40 Caele{le}sti[---] | Primigenius Pontici Caesari[s---] | uotum [---]  

tus, nam, fratre q[uieto] |Intonas nubigenam terris largita mado[rem]. |Forsitan et superis ammossent saecula [letum], |ni tu per terras discrimines poneres aur[as]. |Quin etiam caeli moles uix firma man[eret], |haec eadem regina deum ni cuncta pr[ofundo] |Aere consurgens fulcires sidera, Iuno. | Incomprensa oculis praesens non cer[neris ulli], |Alterno curans anima redeunte mea[tus], |Et sentire iubes quod cernere posse nega[sti]. |Nesciris tam nota tuis. Sic peruia Phoebo, |Sic pluuiis caelum prohibes concurrere t[errae], |Cum lucis non claudas iter nec noscere f[as est] |Cur eadem uirtus pariter contraria s[umas]. |Sa[lue], vera deum rectrix, Saturnia proles !  

71. Ouest (Henchir Bir el-Achmîn) CIL VIII 12258 [C]uria Salinensis | perfec(it)

64. Masculula (Henchir Guergour) CIL VIII 27476 = Bassignano 1974, pp. 136-137 D(is) M(anibus) s(acrum). | C(aius) Pomponius Vic|tor fl(amen) p(er)p(etuus), sacer| dos Caelestis, pi|[us uix(it) an(nis)---]

72. Ammaedara (Haïdra) AE 1999, 1777 = Cadotte 2007, n. 311 [Saturno et] de | [ae Cael]esti | [Aug(usta) …] O […]

65. Presso Sicca Veneria CIL VIII 27704 = Cadotte 2007, n. 299 Iunoni Caelesti Aug(ustae) sac(rum) [Mar ?]|cii Saturninus Faustus Ro[…]| templum ex uoto feceru[nt]

2. PROVINCIA BYZACENA



65a. Sicca Veneria AE 2002, 1604 = Cadotte 2007, n. 301b M(arco) Herculanio P(ublii) fil(io) | Quirina (tribu) Caluino Pa | coniano praefecto co | hortis prime aequi | tate Hispanorum tribuno aequitum | cohortis prime miliariae Bathao | num duouir(o) q(quinquennali) | Plotius Felix Caeles | tis sacerdos patro | no optimo posuit 65b. Sicca Veneria AE 2002, 1605 = Cadotte 2007, n. 301c Celesti Aug(ustae) sac(rum) | pro salute domi | ni n(ostri) L(ucius) Sentius | Fortis ut(um) fecit 66. Fundus Tapp--- (Jenan ez–Zaytoûna) ILTun 627 Caelesti Aug(ustae) sacr(um) | P(ublius) Geminus Cossus | u(otum) s(oluit) l(ibens) m(erito) 67. Pagus Veneriensis (Koudist es-Souda) CIL VIII 27763 = AE 1914, 83 = ILTun 1638 = MSA I, p. 294 = Ben Abdallah 1986, n. 374 = Cadotte 2007, n. 305 [Io]ui Saturno Siluano Caelesti | Plutoni Mineruae Veneri | Aug(ustis) sacr(um) | [Pagus Veneri]ensis patrono L(ucio) Antonio Brittanno curatori|[bus P(ublio) Oct]auio Marcello sacerd(ote) Saturni Six(to) Oct[auio Felice | Q(uinto) Clodio O] ptato Q(uinto) Vibio Saturnino ex iis quai i(nfra) s(cripta) s(unt) | [uerbecem agnum cap]rum gallum (h)aedillas duas gallinam | C(a)ecilius Esequndus 68. Nechmeya Leschi : BACHT, 1934-1935, pp. 257-258 D(iis) M(anibus) s(acrum) Phosphorus uix(it) a(nnis) IX | Collegius Caelestinus b(ene) m(erenti) | f(aciendum) c(urauit). S(it) t(ibi) t(erra) l(euis)

1. Thala (Le Kef) CIL VIII 23280 = Bassignano 1974, p. 105 = Cadotte 2007, n. 64 Caelesti Aug(ustae) | sacrum. | P(ublius) Gemi[ni]us | Martialis | anno flam(onii) | sui porticum | columnatam cu[m] | gradib(us) VII d(e) s(uo) [f(ecit)] ; | curante L(ucio) Fl(auio) Saluian[o]  

2. Thala (Le Kef) AE 1915, 15/80 = ILAfr 195 = BACTH, 1915, p. xxi = Cadotte 2007, n. 63 Deae Caelesti Aug(ustae) sacrum [Pro salute imperatorum Caesarum] | L(uci) Septimi Seueri Pii Pertinacis Aug(usti) et M(arci) Aureli Antonimi P(ubli) f(ilii) Aug(ugusti) et | P(ubli) S[e]ptimi Seueri [[Getae]] Caes(aris) bis co(n)s(ulis) Au[g(usti) …] | [cun] cti seniores sumpt(ibus) pub(licis) fecerunt e[t dedicauerunt] 3. Hadrumetum (Sousse) CIL VIII 22920 = Ben Abdallah 1986, n. 120 = Cadotte 2007, n. 58 Di(i)s Manibus | P(ublius) Rutilius Maxim[us] sa|cerdos Plutonis h(ic) [s(itus)] est | u(ixit) a(nnis) LX | Porcia Veneria sacer|dos Caelestis uiro pi|issimo fecit 4. Hadrumetum (Sousse) AE 1968, 629 = Foucher 1968, p. 214, n. 14 = Cadotte 2007, n. 56 Iu[ssu Imperatoris ( ?)…] | C[…sac ( ?)]* | rum Imp(eratoris) Caes(aris) L(ucii) | Septimi Seueri Inuicti | Pii Pertinacis Aug(usti) Arab(ici) | Adiab(enici) Part(hici) max(imi), trib(unicia) | potest(ate) VIII, imp(eratoris) XII, co(n)s(ulis) II, p(atris) p(atriae), | d(ecreto) d(ecurionum), p(ecunia) p(ublica). * Cadotte : Iu[noni] | C[celesti ( ?) Aug(ustae) sac]  









69. Piana della Rokba CIL VIII 27721 Caelesti | Aug(ustae) sac(rum) | Q(uintus) Caeci|lius Ma|ximus sa|cerdos | pont(ifex) aram | quam uo|uerat de | suo posuit | II 70. Naraggara (Sidi Youssef) CIL VIII 4635/16810 = ILAlg I, 1185 = Cadotte 2007, n. 336 ……………………………………………………………… |[A] c sce[pt]rum regi cessit, quod solus habe[ret]. |Tu nimbos uentosq(ue) cies ; tibi, Iuno, sono[ras] |Perfacilest agitare me 

3. TRIPOLITANIA 1. Zita (Zian) CIL VIII 22690 = ILAfr 12 = Cadotte 2007, n. 42 Caelestis Aug(ustae) | Annius Istruge[…]| sacerdos anno X […] damio | […]irico et Ca[…]io Gemello | mag(istris) […] ILAfr 12 2. Sabratha CIL VIII 22689 = AE 1903, 355 = IRT 2 = AE 1998, 1518 = Älfoldy 1998, pp. 39-47 = AE 1999, 1780 = Cadotte 2007, n. 38 [Do]minae Caelesti | [pro] salute Impp(eratorum) | [M(arci) A]ureli Antonini et | M(arci) Aureli Commodo (sic) | Augg(ustorum) [[[et]t [Brutt]i[ae] | C[rispinae Aug(ustae)] ]] | L(ucius) Aemilius Calpurni|anus Muse et Mucia Pudentilla eius

appendice b. le fonti epigrafiche

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| ob honorem | L(ucii) Aemili(i) Muciani et | Q(uinti) Aemili Augurini | quondam filiorum | piissimorum d(ederunt et) d(edicauerunt)

D(iis) M(anibus) | P(ublius) Iulius P(ubli) f(ilius) Quir(ina tribu) | Martialis Publi|amus sacerdos | Caelestis Sittian(a)e | loci primi | u(ixit) a(nnis) LXXXV | h(ic) s(itus) e(st)

3. Sabratha IRT 119 C(aio) [Flauio Q(uinti)] fil(io) Pa[p(iria tribu)]| [P]udenti| [flam(ini) perp(etuo)] cu[r]ia Caele[st(is)] | o[b] merita

12. Cirta (Costantina) AE 1942-1943, 88 = Cadotte 2007, n. 451 Ca[ele]sti Aug(ustae) sacru(m) | pro salute patronorum suorum | Secundio libert(us) | templum Caelesti restituit

4. Lepcis Magna (nei pressi di El-Mergeb) CIL VIII 22686 = IRT 268 = Clermont – Ganneau 1905, pp. 51-53 Caelestis sanctissima propitia(m) te (h)a[b]eamus | a m a

13. Castellum Tidditanorum (Le Kheneg) ILAlg II, 3571 Cael[esti] Aug(ustae) sac(rum) r(es) p(ublica) Tid[d(itanorum)]

4. NUMIDIA 1. Calama (Guelma) Toutain 1891, pp. 416-436, 25 Celesti Aug(ustae) | sacrum | /// lis actor | votum quod | promisit | reddidit 2. Thibilis (Announa) AE 1957, 93 = ILAlg II, 4628 = Cadotte 2007, n. 412 Caeles(ti) 3. Guelaa Bou Aftane CIL VIII 16918 = ILAlg I, 577 = Cadotte 2007, n. 350 Mu[i]thun Vic|toris f(ilius) sacerd|dos Caeles|[tis] vixit an(nis) XC [h(ic) s(itus) e(st)] o(ssa) t(ibi) b(ene) q(uiescant) 4. Ad Molas (Henchir Sidi-Brahîm) CIL VIII 16865 = ILAlg I, 2815 Ca[e]lesti Aug(ustae) | sacrum | [Cae]cil(ius) Victor | uotum quod | promisit | redditit 5. Aquae Flavianae (Henchir el-Hammam) AE 1957, 92 = Cadotte 2007, n. 368 92b […]mus Aug(usti) [lib(ertus) …] | [… ma]ceriam templi deae Caelestis […] | […] pecunia a solo restituit

14. Fundus Seneciosus (presso Mastar) CIL VIII 6351 = AE 1991, 1687 = Bertrandy, Armeé romaine, 1991, pp. 157-166 = Bertrandy 1991a Pro sal(ute) Imp(eratoris) C[aes(aris)] | [[M(arci) Aurelii Ant]]|o[[nini]] Au[g(usti) templum Deae (ovvero Iunoni)] | Caelesti Aug(ustae) [---] | L(ucii) f(ilius) Quir(ina tribu) Post[umus, magister ovvero procurator] | fundi Seneci[osi fecit et dedicavit ?]  

15. Rouchaed (tra Milev e Cuicul) CIL VIII 8239/20076 Numini Caelestis | Aug(ustae) Imp(eratore) Traiano Hadri|an(o) Caes(are) Aug(usto) tr(ibunicia) p(otestate) p(ontifici) m(aximo) co(n)s(ule) III Q(uintus) Raecius Quadratus | haec temp[la] fec(it) lil ( ?) nosle ( ?) her(edi) hered(ib)|usue colendum p(osuit ?) d(ie) VII idus sept(embres) | (Lucio) Catillio Seuero II Tito Aurelio (Fuluo) | (Arrio) Antonino co(n)s(ulibus) curatore Rae(ci) o dme  





16. Kef Tazerout (tra Milev e Cuicul) CIL VIII 8241 Caelesti Aug(ustae) sacr(um) | pro salute C(aii) Arri(i) | Antonini n(ostri) Anton(i)us | Philet[u]s s(olvit) l(ibenti) a(nimo) | templi de suo fecit | idemq(ue) [dedicauit] 17. Cuicul (Djemila) AE 1957, 276 = MSA II, pp. 211-213, 7 = Cadotte 2007, n. 461 [Satu]no Aug(usto) sacrum |[…] Rogatus Cael(estis) sac(erdos) u(otum) l(ibenti) a(nimo) s(oluit) cum Iulia Victorina […]

6. Vicus Phosphori (Henchir Oued Kerouf) AE 1913, 226 = ILAlg II 6225 = Cadotte 2007, n. 349 Caelesti aeternae Aug(ustae) | aedem a solo cum pronao et co|lumnis et sedibus Phosphorus | exstrucxit idemq(ue) dedic(auit) | item uicum qui subiacet huic | templo longum 7 CCCL cum | aedificiis omnibus et columnis | et porticibus et arcus IIII | idem fecit et nundinas insti|tuit qui uicus nomine ipsius | appellatur

18. Theveste (Tébessa) AE 1916, 4 = ILAlg I, 2997 = Cadotte 2007, n. 321 Caelesti Aug(ustae) sacrum | ex praecepto numinis | Coronatus Aug(usti) n(ostri) adiut(or) tabul(ari) antas et | arcum a fundamentis constituit et | aedem ornauit et ampliauit l(ibens) a(nimo)

7. Sila ILAlg II 6864 Celesti | Aug(ugustae) sacr(um) | Ti(berius) Claudius | Mascel(lus) sua | pec(unia) fecit

19. Theveste (Tébessa) CIL VIII 1837 = ILAlg I, 2998 Caelesti | Aug(ustae) sacr(um) | L(ucius) Furfanius | Maximus | u(otum) s(oluit)

8. Cirta (Costantina) CIL VIII 6939 = ILAlg II, 468 = Cadotte 2007, n. 434 Cae[l]esti A(ugustae) sacrum | [T(itus) ?] Horatius Mar[t]ial(is) | [ex] viso cap[it]is don(um) | soluit, [n]onis… ? | Maorioscum

20. Theveste (Tébessa) AE 1917-1918, 62 = ILAlg I, 3000 = Cadotte 2007, n. 316 Dibus (sic)Mauris Iul(ius) Do|natianus sacerdos | d[e]ae Caelestis Augustae | ex uiso | suo cum suis omni|bus uotum soluti S

9. Cirta (Costantina) CIL VIII 6943 = ILAlg II, 472 = Cadotte 2007, n. 435 Fortunae | Caelestis | sacrum | P(ublius) Paconius | Cerialis | u(otum) s(oluit)

21. Theveste (Tébessa) CIL VIII 1887/16150 = ILAlg I, 3066 = Illuminati 1972, pp. 472-481 = AE 1977, 859 = Cadotte 2007, n. 315 T(itus) Fl(auius) T(iti) fi[l(ius) Papiria (tribu)] | Caele[stinus (duum)uir ? flamen ?] | mun(us) qui[nque diebus cum] occisioni[b(us) ferarum edidit et] | ob insigne[m erga ciues suos] | et patriam [amorem, statuas] | deae Caele[stis Augustae et] deae Virtut[is posuit, item summam] | (sestertium) L (milia) n(ummum) cur[iis donauit ut ex] | usuris eius q[uotannis epularentur] nata[li suo,] | praeterea [signum argenteum] | dei Aescula[pi Aug(usti) ex p(ondo) lib(ras)] | quinquagi[nta ampliata pecunia | ded]it [idemq(ue) ded(icauit)].





10. Cirta (Costantina) CIL VIII 19512a = ILAlg II, 804 = Cadotte 2007, n. 433 D(iis) M(anibus) | M(arcus) Baebius Pal|mianus sacer|dos loci secun|di templi Sitti|anae qui ui|xit annis | LXXIIII | o(ssa) t(ibi) b(ene) q(uiescant) 11. Cirta (Costantina) AE 1907, 244 = ILAlg II, 807 = ILS 9409 = Cadotte 2007, n. 432





dea caelestis

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22. Vazaivi (Aïn Zoui) CIL VIII 2226/17619 = MSA II, p. 181, 1 = Cadotte 2007, n. 366 C(a)eles[ti] Sa[turno] | Mercurio Fortunae | diis iuuantibus | L(ucius) Octauius Felix dec(urio) | coh(ortis) Hispanor(um) ex b(eneficiario) le(gati) | tempore uotum | soluit. 23. Thamugadi (Timgad) AE 1907, 245 = AE 1987, 1075 = Marcillet–Jaubert 1987, pp. 215 ss. Caelesti Aug(ustae) sacrum | pro salute d(omini) n(ostri) [[---]] Au[g(usti)] | P(ublius) Sittius Optatus eq(ues) R(omanus), fl(amen) [p(er)p(etuus)], | Octauius Emeritus et Caecil[ius] | Frumentius, sacerdotes d[eae], Centrius Abundius, Grasidi[us] | Felix, Restutus, Sirisinn[us], | Terentinus, Fortunatus, Extri[catus], | canistrari(i), et Communis, Sat[urni]nus, Donatus, Vincentius, Fruct[uosus], | Vitalis, Felix, sacrati, de suo fec[erunt]. 24. Thamugadi (Timgad) AE 1987, 1076 = Doisy 1953, n. 5 ? [---] | Grasid[i]us Fel(ix) | cani|strariu|s uot(um) | sol(uit) fe|liciter.  

25. Lambaesis (Lambése – Tazoult) CIL VIII 2592 = ILS 4429 Caelesti | sacr(um) | res publ(ica) Lamb(aesitanorum) | d(ecreto) d(ecurionum) p(ecunia) p(ublica) 26. Lambaesis (Lambése – Tazoult) AE 1957, 123 = Leglay 1956, pp. 300-301 = Cadotte 2007, n. 382 [Pro] salute Invictor(um) Imperr(atorum) Seueri et Antonini sanctissi|[morum Aug]g(ustorum) et Iuliae Aug(ustae) Piae matri(s) Aug(usti) deae Caelestis aedem | [a Lep]ido Tertullo incohatam p[er]fici curauit Cl(audius) Gallus | [leg(atus)] Augustor(um) pr(o) pr(aetore), co(n)s(ul) desig[n(atus), d]onatus donis militarib(us) | [ab in]uictis Imperr(atoribus) secunda Par[t]hica felicissima expedi|[tio]ne eorum, praeposi[t]us uexillationum | [leg(ionum)] IIII Germanicar(um) ex[pe]ditione s(upra) s(cripta), leg[atus] | [leg(ionis)] XXII primig(eniae), curator [ci]uitatis Thessalo| [nice]nsium cum Flauia Silua Prisca c(larissima) f(emina), uxore et | [Fla]uio Catulo Munatiano c(larissimo) p(uero) et Cl(audia) Galitta c(larissima) p(uella) | fili(i)s

2. Mopht--- (Mons) AE 1942-1943, 57 Ioui Opti(mo) | Maximo | cultores | c(uriae) X Cae|lestinae 3. Sitifis (Sétif) CIL VIII 8432 Caelesti Aug(ustae) | sac(rum) | Umbria Domitia | et Pompeius Flor|[i]du[s] [fili]us eius | a(nimo) [l(ibenti) u(otum) s(oluerunt)] 4. Sitifis (Sétif) CIL VIII 8433 Ex praecepto | deae sanct(a)e | Caelestis | Mercurio | Aug(usto) s[acr(um)] | C(aius) Iul(ius) Hospes | u(otum) s(oluit) l(ibenti) a(nimo) | a(nno) p(rovinciae) CXCVII 5. Sitifis (Sétif) AE 1955, 59 Cael(estis) | Aug(ustae) | sacrum | Caelia | Satura | u(otum) s(oluit) | l(ibenti) a(nimo) 6. Thamallula (Ras el-Oued) AE 1909, 127 Caelestia (sic) | sac(rum) | Iulius Vict(or ?) |���������������������� Iulius Feli(x) | Iulius Mono  

7. Ad Sava M. (Hammam Guergour) CIL VIII 20320 Ex imperio dominae | [C]aelesti fecii (= feci ovvero fecit) Datus | Furius Saturninus | suis impe(n)sis feoi (= feci ovvero fecit) 7. MAURETANIA CAESARIENSIS 1. Auzia (Aumale) CIL VIII 9015 Caelestibus Augustis s[anctissimis ?] templum donis e|t numine honoratum uo[to suscepto ob] conseruationem | domus suae T(itus) Aelius Lon[ginus ? col(oniae) patr]onus omnibus ho|noribus sua pecunia [factum et exo]rnatum libens al|taribus dedicauit cum Aelia Lo[ngi fil(ia) ? Satur]nina coniuge fel|(iciter) (anno) p(rouinciae) CLXXI (= 209 d.C.)  





5. NUMIDIA PROCONSULARIS

2. Auzia (Aumale) CIL VIII 20743 = ILS 4431 Caelesti Aug(ustae) reduci et conservatrici domus suae, | quot saluos incolumesque C(aium) Iulium Victoricum et | Caecilia Namphamina (sic) parentes invenerit, C(aius) Iulius Libosus cum Ulpia Dativa uxore ac liberis suis | hanc aram operis quadratari donavit, numi|nique peregre promissum liberus redditit votum | feliciter

1. Madauros (Mdaourouch) CIL VIII 4673 = ILAlg I, 2053 = Cadotte 2007, n. 342 Lilleo Aug(usto), | pro salute Imp(eratoris) Cae[(saris)] | M(arci) Aureli Severi [A]lex[andri P(ii) F(elicis) Aug(usti)], | C(aius) Licinius Ciron ( ?) Cronha, sacerd(os) | Cael(es)t(is), aras suis | sump(tibus) fec(it) et ded(icauit).

3. Auzia (Aumale) CIL VIII 20744 = ILS 4430 Caelestabus Augustis sanctum quod | Q(uintus) Cornelius Aquila q(uaestor) aedil(is) et nunc II uir | uouerat a solo structum sua pecunia | libens altaribus dedicauit cum Corneli[i]s Donato patre et Victore filio pr(ovinciae) CLXXIIII (= 213 d.C.)

2. Madauros (Mdaourouch) CIL VIII 4674/16868 = ILAlg I, 2060 = Cadotte 2007, n. 341 Mercurio Aug(usto) | pro salute Imp(eratoris) Caes(aris) | M(arci) Aureli Seueri | [Alexandri P(ii) F(elicis) Aug(usti)] | Cocceius Cronha | sacerdos Caelesti | im(pensis) suis fec(it)

4. Auzia (Aumale) CIL VIII 20745 Caelestibus Augustis sanctissimisque | templum uetustate dilapsum A(ulus) Gemin[i]u[s] | Renatus et G(aius) Attius Plautus Donatus | duumuiri a solo instrucserunt dedi|caueruntque pr(ovinciae) CLXXXIII (= 222 d.C.)

27. Batna (tra Lambaesis e Diana Veteranorum - Zana) CIL VIII 4286 Caelesti | Aug(ustae) | sacrum



6. MAURETANIA SITIFENSIS 1. Satafis (Aïn-Kebira) AE 1957, 58 Caelestis | Augu(stae) | C(aius) Iul(ius) In|genuus u(otum) s(oluit) | l(ibenti) a(nimo) a(nno) p(rovinciae) CCXI

5. Auzia (Aumale) CIL VIII 20746 = ILS 4432 Diis Caelestibus Augg(ustis) C(aius) Iuli|us Libosus cum suis omnibus | u(otum) s(oluit) l(ibenti) a(nimo) XI kal(endas) Iul(ias) p(rovinciae) CCII (= 242 d.C.)

appendice b. le fonti epigrafiche

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Faccia anteriore : Flauiae Epicha[ridi] | sacerdotiae | Deae Virgini ( !) Caelestis, | praesentissimo ( !) numini ( !) | loci montis Tarpei, | Sextia Olympias h(onorifica) f(emina) | et Chrestina Dorcadius | h(onorifica) f(emina), | honorificae feminae, | coniugi Iuni Hyle sacerd(otis), | una cum | sacratas ( !) et canistrariis, | dignissimae  

6. Rapidum (Sour Djouab) CIL VIII 9195 = MSA II, 1 = AE 1993, 1781 = Salama 1993, pp. 127-140 [D]iis deabusque consecratis u[niversis] | numini Ioui[s] Siluan[o] | Mercurio Saturno Fortunae | Victoriae Cae‹le›s[ti] diis Mauriis | M. Furnius Donatus eq(ues) [R(omanus)] fl(amen) p(er)p(etuus) | ex praef(ecto) g(entis) Masac[esben]or[um] | cum suis fecit e[t dedicau]it. N.B. Non si può escludere la possibilità di intendere (senza correggere il testo) Victoriae Caes[ar(is)] ovvero Caes[ar(iensi)] 7. Albulae (Aïn Témouchent) CIL VIII 9796 = ILS 4434 Q(uod) b(onum) f(austum) f(elix) sit, equites | deae magnae virgini | Caelesti restituerunt | templum. Numine ipso di|ctante, equites constanter eu|m templum restituerunt









Lato sinistro : Dedicata | Idib(us) Nou(embribus) | Aemiliano et Basso co(n) s(ulibus)  

10. Roma Guarducci 1946-1948, 14-15 = AE 1950, 51 = Cordischi 1990, 10 Cele[st]i trium|[ph]ali Iouinus | [u]otum suum | [r]estituit 11. Roma Guarducci 1946-1948, 16-17 = AE 1950, 52 = Cordischi 1990, 10 [-- Ca]ecilius Pra|[-c.3-]us con ( !) filio | suo] A(ulo) Caecilio P|[c.4.-]co pro suam | [salu]tem d(onum) d(edit) aque ( !) | [ins] trumentum | [deo sanc]to Sabazi et | [Celesti] | triumphali  



R. ROMA Esclusa l’iscrizione CIL VI 756 = 30825, per Speidel forse autentica, p. 2230 n. 21 : D(is) M(anibus) s(acrum) Veneri Felici Caelesti Victrici, Cupidini  

1. Roma CIL VI 77 = Guarducci 1946-1948, 1 = Cordischi 1990, 1 T(itus) Annius Hedypnus | Dominae Caelesti | dedit ius|sus a numinae ( !) | eius  

2. Roma CIL VI 78 = Guarducci 1946-1948, 2 = Cordischi 1990, 2 Inuictae | Caelesti | Aur(elius) Onesi|mus d(onum) d(edit)



13. Roma AE 1090, 202 = CIL VI 36793 = Cordischi 1990, 13, con bibliografia C(aius) Aeflanius Martialis + + | Veneri Ca[elest]i | c(onsecrauit) u(otum) m(erito) ? | [--- ?] | ------ ?  





I. ITALIA

3. Roma CIL VI 79 = Guarducci 1946-1948, 3 = Cordischi 1990, 3 Iussu Caele[stis---] | Falcidius H[-----] 4. Roma CIL VI 80 = Guarducci 1946-1948, 4 = Cordischi 1990, 4 Inuicite ( !) Cele|sti Uranie ( !) dona po(suerunt) | GGIFIVVLFI | leones  

12. Roma Guarducci 1946-1948, 20-21 = AE 1950, 53 = Cordischi 1990, 12 Ex imperio dae( !)|ae Caelestis | Domino Plutoni | M(arcus) Antonius | Onesimus fecit



5. Roma CIL VI 545 = 30789 = Guarducci 1946-1948, 5 = Cordischi 1990, 5 Numini praesenti | Caelesti Vincentius d(onum) d(edit) 6. Roma CIL VI 780 = Guarducci 1946-1948, 6 = Cordischi 1990, 6 [Pro salute] | Imp(eratoris) Neruae T[raiani Aug(usti)] | Germ(anici) D[ac(ici) Parth(ici)], | Veneri Cae[lesti Aug(ustae) ?] et diis [omnibus] | Achilleus [Aug(usti) | lib(ertus) ? d(onum) d(edit)]  



7. Roma CIL VI 2242 = ILS 4437 = Guarducci 1946-1948, 7 = Cordischi 1990, 7 D(is) M(anibus) | C(ai) Vari Apolausti. | Pri‘n’cipi sacerdotium ( !) | Daeae ( !) Caelestis, | qui uixit | annis XXVIIII, | C(aius) Varius Achilleus | fratri karissimo et | pientissimo et | incom|parabili, per quem sem|per securior vixit  



8. Roma Tomassetti 1899, p. 286 = CIL VI 36767 = Guarducci 19461948, 8 = Cordischi 1990, 8 [---d]euoti | diuae Celesti 9. Roma Gatti 1892, p. 406 ss. = AE 1893, 79 = Gatti 1896, p. 331 ss. = ILS 4438 = CIL VI 37170 = Guarducci 1946-1948, 9 = Cordischi 1990, 9

1. Ostia Vaglieri 1909, 2 = AE 1909, 110 = CIL XIV 4318 = Guarducci 1946-1948, 19 = Cordischi 1990, 14 Numini C[ae]lesti | P(ublius) Clodius [Fl]auius | Venera[n]dus | VIuir [A]ug(ustalis) | somno monitus fecit 2. Portus (Regio I) Calza 1928, pp. 169 ss. = AE 1929, 139 = CIL XIV 4488 = Cordischi 1990, 15 D(is) M(anibus) s(acrum). | Q(uintus) Gargilius Q(uinti) f(ilius) Iu[li|a]nus, qui et | Semeliu[s], | miles uixit ann(is) XXIII[I] | mens(ibus) III d(iebus) XIII. | [T]unc | Karthago lubens pue[rum] | et suo nomine ( !) Parcae | [C]aelesti monstrante dea pe[r] | caerula ponti | Tyrrhenum per iter placid[a] | labante karina | Italiam ( !) misere. Huic suo | Numine laeto | [k]astrorum decus ac virtu|tum nobile munus | [R]oma aeterna potens | tribuit. Post talia dona | GI[---]I +  



3. Aefula (Regio I) CIL XIV 3530 = ILS 3512 = Brouwer 1989, 70 = Cordischi 1990, 16 Bonae Deae sanctissimae | Caelesti L(ucius) Paquedius Festus, | redemptor operum Caesar(is) | et puplicorum, aedem diritam ( !) | refecit, quod adiutorio eius | riuom aquae Claudiae August(ae) | sub monte Aeflano consumma|uit, imp(eratore) Domit(iano) | Caesar(e) Aug(usto) Germ(anico) XIIII co(n) s(ule) V non(as) Iul(ias)  

4. Baiae (Regio I) Ribezzo 1931, p. 104 ss. = AE 1932, 77 = Tran Tam Tinh 1972, 24 = Cordischi 1990, 17 Hoc locum ( !) a ueteribus bene positum | templum, quod neglegentia operante | visu foedo ( !) esse uidebatur, nunc Turre|nius Caelerinus pastor sacris deae | Veneris Caelestis et cultor deorum, | sumpto ( !) proprio restaurauit  





dea caelestis

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5. Puteoli (Regio I) CIL 1596 = ILS 4271 = Duthoy 1969, 50 = Tran Tam Tinh 1972, 20 = Cordischi 1990, 18 L(ucio) Iulio U[rso Serviano] | co(n)s(ule) III, non(is) O[ct(obribus)], | ecitium, taurobolium | Veneris Caelestae ( !) et panteliu[m] | Herennia Fortunata imperio Dea[e] | per Ti(berium) Claudium Felicem sacerd(otem) | iterata est 6. Puteoli (Regio I) CIL X 1598 = Tram Tan Tinh 1972, 22 = Cordischi 1990, 19 Aug(ustae) sac(rum) [--- ? C]aelestae ( !). | Munera qua[---] | aurum in ipsa dea unci[---] | lunas cum gemmis unci[---] | sole aureum | palma aurea scripla [---] | capita leonina argent[---] | [--- ? gr]aphis argenti. || [--- ? N]omine M(arci) Aeli | [--- ? gem] ma auro clusa | [--- ? p]ost obitum eius | [fil]i posuerunt | [fig] uram Dominae aur(eam) I e(t) ? | [b]aclos inargentat(os) II | [pr] omulsidaria argentat(a) II | [man]telum arg(enteum) unc(iis) III | [---]us Heliodorus  















7. Puteoli (Regio I) De Franciscis 1954, pp. 283 s. = AE 1956, 144 = Tram Tan Tinh 1972, 23 = Vidman 1984, p. 183 = AE 1985, 278 = Cordischi 1990, 20 [Augustae sac]rum Numini [praese]nti Veneri C[aelesti], | [pro salute Imp(eratoris) Caes(aris) M(arci) Aureli An]tonini [Pii Fe] licis Aug(usti) e[t Iu]liae Aug(ustae) Matri A[ug(usti) et castr|orum et Senatus et totius do]mus divin[ae nou]um templum extruxit Asellin[ius ---] | [---]i Demetri [-c.4- lo]c(um) sibi datum ab Appio Cla[udio---] 8. Venafrum (Regio I) CIL X 4849 (= 4608) = ILS 3517 = Tran Tan Tinh 1972, 28 = Brouwer 1989, 75 = Cordischi 1990, 21 Collegium | cultorum | Bonae Deae | Caelestis 9. Bovianum Undecumanorum (Regio IV) CIL IX 2562 = ILS 3169 = Cordischi 1990, 22 Veneri Caelesti | Augustae sacr(um) | Nummia C(ai) f(ilia) Dorcas | s(ua) p(ecunia) f(aciendum) c(urauit) | eademque dedicauit. | L(ocus) d(atus) d(ecreto) d(ecurionum) 10. Pola (Regio X) CIL V 8137 = Forlati Tamaro 1947, 24 = Cordischi 1990, 23 Veneri Caelesti La[---] 11. Pola (Regio X) CIL V 8138 = Forlati Tamaro 1947, 25 = Juric´ Girardi 1979, p. 211 = AE 1980, 247 = Cordischi 1990, 24 Veneri | Caelesti | Acutinus | cun ( !) suis pos(uit)  

12. Aquileia (Regio X) Notiziario Epigrafico 1996, Aquileia 3 V(eneri ?) C(aelesti ?) | Aebutia | Ursina | ex iussu | deae  



13. Mediolanum (Regio XI) CIL V 5765 = Cordischi 1990, 25 D(eo) I(nuicto) Pantheo || iussu | imperioue | Cael(estis) Dianae Aug(ustae) | C(aius) Aurel(ius) Secundus cum | Valeria Atilana | coniuge 14. Karales Sotgiu 1988, pp. 616-617 = Ruggeri 1991, pp. 905-907 D(is) M(anibus). | Valeriae L(a)urenti ( ?) | Caelesitan(a)e (sic) | se uiua fecit

García y Bellido 1967, 1 = Blanco 1968, p. 96 = Bendala 1986, p. 370 = Älfoldy 1975, 438 = Marín Ceballos 1993, 6 D(is) M(anibus) | G(aio) Avidio Primulo | sacerdoti Caelestis | incomparabili (sic) | religionis eius | G(aius) Avidius Vitalis | patri (bene) m(erenti) 2. Torreparedones (Castro del Rio-Baena, Córdoba) Morena López 1989, 65 = Marín Ceballos 1993, 1 Dea Caeletis 3. Lucus Augusti (Lugo) CIL II 2570 = García y Bellido 1950, 158 = García y Bellido 1967, 2 = Marín Ceballos 1993, 3.1 Caelesti | Aug(ustae) | Paterni qui et | Constantii | u(ota) s(oluerunt) 4. Lucus Augusti (Lugo) AE 1973, 294 = AE 1976, 312 = Marín Ceballos 1993, 3.2 (bibl. n. 65) [Numi]nib(us) [Aug]ustor(um) | [Iunoni R]e[gi]nae | Veneri Victrici | Africae Caelesti | Frugifero | Augustae Emeritae | et Larib(us) Calleciar(um) | [S]aturninus Aug(usti) lib(ertus). 5. Italica (Santiponce) Klio, 33 (1940), p. 73 ss. = AE 1944, 69 = Fernández-Chicarro 1950, 12 = García y Bellido 1957, 470-471 = García y Bellido 1967, 4 = Canto 1984, 1 = Hornum 1993, 220 = Marín Ceballos 1993, 2 Caelest(i) Pia(e) Aug(ustae) C(aius) S[ervi]lius ( ?) Africanus cum liberis a(nimo) l(ibenti) u(otum) s(olvit).  

6. Italica (Santiponce) Fita 1908, p. 46 ss. = AE 1908, 151 = Fernández-Chicarro 1950, 3 = García y Bellido 1957, 160 ss. = García y Bellido 1967, 5 = Canto 1984, 7 = Hornum 1993, 222 Lucanus Fedeles M…ae Domin(a)e C(aelesti ?) Urani(ae).  

7. Italica (Santiponce) AE 1908 = Fita 1908, p. 45 ss. = Férnandez-Chicarro 1950, 5 = García y Bellido 1957, 158 ss. = García y Bellido 1967, 3 = Canto 1984, 6 = Hornum 1993, 221 Dominae Regi(n)ae P(ublius) B(adius) Fortunatus Sac(erdos) C(oloniae) A(eliae) Aug(ustae) Ital(icensium) 8. Emerita Augusta (Merida) García y Bellido 1957, p. 473 = García y Bellido 1967, 6 = Galán 1986, 10 = Hornum 1993, 215 = Marín Ceballos 1993, 4 Deae inuictae | Caelesti Nemesi | M(arcus) Aurelius fili[… | Roma u(otum) s(oluit) a(nimo) l(ibenti)| ..r……. 9. Ebusos (Ibiza) CIL II 3659 = García y Bellido 1967, 7a = Mayer 1989, p. 695 ss. [Iu]noni vet( ?) | Reginae | L(ucius) Oculatius | Quir(ina ������������� tribu) Rectus | et [G]eminia G(aii) f(ilia) | Restituta [uxo]r | et L(ucius) Oculatius | Quir(ina tribu) Rectus [f(ilius)] | [cum] suis d(e) s(ua) p(ecunia) f(ecerunt).  

10. Elx (Elche) Corell 1993, 190 = AE 1993, 1067 --- | iussu | dom(inae) Caeles(tis) | aram l(ibens) p(osuit)



H. HISPANIA 1. Tarraco (Tarragona) CIL II 4310 = ILS 4436 = García y Bellido 1957, p. 468 =

B. BRITANNIA 1. Corstopitum (Corbridge) RIB 1131 = JRS, 23 (1943), 78 = ILS 9318 Iovi Aeterno | Dolicheno | et Caelesti | Brigantiae | et Saluti, G(aius) Iulius Ap|ol(l)inaris | c(enturio) leg(ionis) VI iuss(u) dei

appendice b. le fonti epigrafiche 2. Cilurnum – Chesters (Northd.) RIB 1448 = Brouwer 1989, 1361 [B]onae Deae | Regina(e) Cae[l|esti … 3. Magnae (Carvoran) RIB 1791 = CIL VII 759 = ILS 306 Imminet leoni Virgo Caelesti situ | spicifera, iusti inuentrix, urbium conditrix, | ex quis muneribus nosse contigit deos, | ergo eadem Mater diuum, Pax, Virtus, Ceres, | Dea Syria, lance uitam et iura pensitans. | In caelo uisum Syria sidus edidit | Libyae colendum, inde cuncti didicimus. | Ita intellexit numine inductus tuo, | Marcus Caecilius Donatianus militans | tribuno in praefecto dono principis 4. Magnae (Carvoran) RIB 1827 (= 95) Reginae Caelesti Aurelius Martialis G. GERMANIA

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4. Apulum (Alba Iulia) CIL III 993 Caelesti Augustae | et Aesculapio Aug|usto et Genio Carthaginis et | Genio Daciarum | Olus Terentius | Pudens Uttedi|anus, leg(atus) | Augg(ustorum) | leg(ionis) (tertiae decimae) Gem(inae), leg(atus) | Augg(ustorum) pro praet(ore) | [pr]ovinciae R(a)e|tiae 5. Ulpia Traiana Sarmizegetusa (Varhély) AE 1913, 50 = IDR III/2, 17 Caelesti Virgini | Augustae sacr(um) | Nemesianus Caes(aris) n(ostri) | servus librarius tem|plum a solo pecunia su|a ex uoto fecit 6. Ulpia Traiana Sarmizegetusa (Varhély) AE 1930, 139 = Daïcoviciu 1928-1932, 6 = AE 1933, 17 = IDR III/2, 192 Deae Caelesti | sacrum | Liberalis Aug(usti) | n(ostri) vern(a) adiut(or) | tabul(ari) u(otum) s(oluit l(ibens) m(erito) 7. Ulpia Traiana Sarmizegetusa (Varhély) Piso 1993 Caelestis mul|sa propria | placabitur : Ara | hac divis aliis | tura merumq(ue) | damus  

1. Mogontiacum (Mainz) Zangemeister 1892, 5 = CIL XIII 6671 = Toutain 1943-1945, pp. 306-311 = Fishwick 1992, 70-71 [Iuliae Augustae] Caelesti deae | [Matri Imperato]ris Caesaris | [M(arci) Aureli Antoni]ni Pii Felicis | [Augusti Parth] ici Maximi | [Britannici Maxi]mi Germanici | [Maximi, matr]e Senatus, patri|[ae et castror]um, in honorem | [legionis XXII An]toninianae Pr|[imigeniae………….]Quirina An|[…………………………..]

8. Ulpia Traiana Sarmizegetusa (Varhély) CIL III 7954 = ILS 4341 = IDR III/2, 18 Diis patriis | Malagbel et Bebellaha|mon et Benefal et Mana|vat P(ublius) Ael(ius) Theimes (duum)uiral(is) | col(oniae) templum fecit solo et | impendio suo proprio se suisq(ue) | omnibus, ob pietate(m) ipsorum | circa se iussus ab ipsis fecit | et culinam subiunxit

D. DACIA

P. PANNONIA

1. Apulum (Alba Iulia) AE 1903, 58 = Sanie 1981, p. 264 Balti Caelest(i)

1. PANNONIA SUPERIOR

2. Apulum (Alba Iulia) Berciu – Popa 1964, pp. 473-474 = Sanie 1981, pp. 255-256 I(oui) O(ptimo) D(olicheno) et Deae | Suriae magnae | Caelesti pro salu|te perpetui imperi | Romani et leg(ionis) XIII | Gem(inae) Flauuius Bar|hadadi s(acerdos) I(ouis) D(olicheni) ad | leg(ionem) s(upra) s(criptam) u(otum) l(ibens) m(erito) p(osuit) 3. Apulum (Alba Iulia) CIL III 992 Numini | Ca[e]lest[i] | d(eae ?) A(ugustae ?) Marcia|nus u(erna) l(ibrarius) Caess(arum) | nn(ostrorum)  



1. Municipium Flavium Latobicorum Neviodunum (Drnovo presso Krsko) Hoffiler – Saria 1938, 240 = Selem 1980, pp. 262-264 Deae Corypheae | sive Caelesti Aug(ustae) | M(arcus) Aur(elius) Alexand[er] b(ene)f(iciarus) co(n)s(ularis) leg(ionis) X Gem(inae) | v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito) | Lupo. et. Maximo co(n) s(ulibus) 2. PANNONIA INFERIOR 1. Aquincum ILS 3109 Iunoni Caelesti | Caecilius | Rufinus Crepe|rianus co(n)s(ularis) | leg(atus) Augg(ustorum) pr(o) pr(aetore) | u(otum) s(oluit) l(ibens) m(erito)

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ELENCO DELLE ABBREVIAZIONI AE AEspA AfW AHB AJA AJN AmAnthr ANLMem Annales ESC ANRW AntAfr AntCl AntWelt ArchClass AthMitt Atl. Arch. Alg. Atl. Arch. Tun. BA BAA BACHT BACr BMC Emp BollCommArch Roma Cat. Musée Alaoui Cat. Musée Alaoui (Suppl. I) Cat. Musée Alaoui (Suppl. II) CCBM CHR CIL CIS CISA CRAI CT CTHS DA DCPP Der Neue Pauly DHA DHM DissPARA EEA GazArch HispAnt ICO ID IDR IG II ILAfr ILAlg ILS ILTun IRT JahÖ JRA JRS JTS KAI LIMC

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* Novembre 2010 (cz 2 · fg 3)

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