Per una storia della semiotica. Teorie e metodi

Aperto dalla relazione di Umberto Eco, il volume tratta di vari momenti di storia della semiotica, concentrando poi gli

125 90

Italian Pages 542 [544] Year 1981

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD PDF FILE

Table of contents :
Blank Page
Blank Page
Blank Page
Blank Page
Blank Page
Blank Page
Blank Page
Blank Page
Blank Page
Blank Page
Blank Page
Blank Page
Blank Page
Blank Page
Blank Page
Blank Page
Blank Page
Blank Page
Blank Page
Blank Page
Blank Page
Blank Page
Recommend Papers

Per una storia della semiotica. Teorie e metodi

  • 0 0 0
  • Like this paper and download? You can publish your own PDF file online for free in a few minutes! Sign Up
File loading please wait...
Citation preview

AVVERTENZA Mancano le pagg. 454, 455.

PER

UNA STORIA DELLA

SEMIOTICA:

TEORIE E METODI

QUADERNI DEL CIRCOLO SEMIOLOGICO SICILIANO

15-16

AVVERTENZA

Questo volume raccoglie gli atti dell'VIII Convegno Internazionale dell'Asso­ ciazione Italiana di Studi Semiotici. Il Convegno si è potuto realizzare a Palermo nei giorni 22-23 novembre 1980 presso la Facoltà di Lettere e Filosofia grazie all'intervento dell'Università di Palermo, della Presidenza della Regione Siciliana, dell'Assessorato Regionale dei Beni Culturali e Ambientali e della Pubblica Istruzione, dell'Assessorato Regionale Turismo, dell'Azienda Autonoma di Turismo di Palermo e Monreale, dell'Ente Provinciale per

il Turismo.

Il presente volume è stato stampato con il contributo del CNR e dell'Asses­ sorato Regionale dei Beni Culturali e Ambientali e della Pubblica Istmzione.

La redazione del volume è stata curata da Patrizia Lendinara e Maria Caterina Ruta.

INDICE

RELAZIONI P ag .

UMBERTO Eco - Il segno rivisitato

La semiotica medievale:

9

terministi

»

53

MARIA CoRTI - La teoria del segno nei logici modisti e in Dante

))

69

ALAIN REY

))

87

))

105

))

107

))

115

))

123

))

137

))

147

»

1.57

))

167

))

179

))

185

))

193

))

205

ALESSANDRO GHISALBERTI

-

-

Signification et classicisme en France

INTERVENTI STORIA DELLE TEORIE SEMIOTICHE AuGUSTO PoNZIO Lucro MELAZZO KEIR ELAM

-

-

-

Nota introduttiva

Della semiotica e di una linguistica

L'origine e l'infinità della semiosi nella grammatologia

di Alexander Top PASQUALE GuARAGNE LLA - Icone

e

linguaggio verbale in Galilei.

Sulla questione delle macchie solari PATRIZIA

].

MAZZOTTA - 11

problema

del

. segno

nell'>, in Bach , E. & Harms, R., eds., Universals in Linguistic Theory,

New York, Hott. PREDE, MICHAEL

1978

> C5). Qu es ta qualità della mente coincide con lo stesso atto di intendere; non si parla più di essere oggettivo o di rap­ p rese n taz ione ideale, ma solo di un essere soggettivo del concetto, che sj carat te rizza come polarizzazione della mente verso le realtà singolari ,

che rappresenta. Viene cioè abbandonata la teoria del concetto come

immagine o rappresentazione mentale, che era stata condivisa da quasi tutti i pensatori scolastici dei secoli prece den ti , in favore della nuova dottrina del concetto come segno naturale. Siamo di fronte alla con­ s apevole distinzione di un duplice tipo di signifìcatività : c'è un tipo di significatività rappresentativa} quella dell'impronta e del l ' im magine , che consiste in una vera e propria ti-presentazione della cosa signi­ ficata , mediante la quale la mente conosce ricordando ciò che è rappre­ sentato nell'immagine o ciò che ha lasciato l ' i mpronta . La scelta ockha­ mistica è invece per un tipo di s igni ficat iv i tà che potremo chiamare linguistica, che è propria dei termini mentali , orali o scritti in quanto sono segni delle cose; in questo caso non si ha alcun carattere ricor­ dativo, bensl una intellezione diretta . Il livello rappresentativo è nel58

] 'ordine semtottco, ma non è un segno primario, poiché tanto l'im­ pronta quanto Pimmagine presuppongono la conoscenza di ciò di cui �ono l'impronta o l'immagine. Ockham porta questo esempio : « Dal­ l' esperienza risulta che se una persona non ha alcuna conoscenza di Ercole, quando vede la statua di Ercole , non pensa più a Ercole che a Socrate. Se invece prima vede Ercole e conserva una qualche notizia di Ercole, quando successivamente vede una statua simile a Ercole in qualche carattere accidentale esterno, in virtù della vista della statua, anche supposto che non l'abbia mai vista prima , si ricorderà di Ercole . . . Lo stesso accade per l'impronta : se una persona vede le impronte di un bue, si ricorderà del bue abitualmente noto ; ma se prima non ha avuto una qualche conoscenza del bue, non si ricorderà del bue più di quanto non potrà ricordarsi delPasino » C6 ). La carica significativa del termine è invece di tipo primario : come segno naturale , il termine mentale o concetto è una nuda intellezione, un puro riguardamento, una trasparenza della realtà, privo di ogni carattere antico ( anche del tipo dell'essere oggettivo o ideale ). Di nuovo è efficace l'esemplifica­ zione di Ockham : « Si dice perciò che l'atto di intendere con cui cono­ sco un uomo è segno naturale degli uomini : è naturale allo stesso modo in cui il lamento è segno della malattia o della tristezza o del dolore ; ed è un segno tale che può stare al posto degli uomini nelle proposizioni mentali, così come il termine orale può stare per le cose nelle proposizioni vocali » ( 17). Il segno è, per sua natura, un rinvio a qualcos 'altro, un tendere verso ( in - tentio ); il segno naturale ( come accade per il lamento che è segno naturale della sofferenza, o per il riso che è espressione della gioia), esprime direttamente la cosa signi­ ficata, nel senso che non è una risposta a un invio anteriore, non è un ritorno o una reduplicazione, ma si costituisce come un gesto nuovo, un rinvio a una realtà nuova, che viene fatta conoscere. Nell'accezione più comune di significare il segno ha come funzione quella di « impor­ tare qualche cosa, sia principalmente sia secondariamente, sia nel caso retto sia nel caso obliquo , sia facendo conoscere una cosa sia conno­ tandola, oppure signifìcandola in qualsiasi altro modo » ('8); il segno si realizza nel rinviare a, nel porsi per, espropriandosi in favore delle realtà che fa conoscere C9 ). Il segno non è una realtà, ma significa real­ mente. 59

Nulla di nuovo nasce realmente col segno, come accade invece nella conoscenza simbolica ; il segno naturale ha la capacità di fondo di ipotecare la realtà, nel senso di fornire una conoscenza inaugurale, un'apertura ad essa. In quanto segno , il con cet to universale possiede anche la capacità s uppos iz i on a l e , ossia può stare al pos to de l l a cosa s ign ifica ta all 'interno di una proposizione mentale , orale o scritta . Il

t e rm ine supposizione, da sub - ponere� des ig n a l'atto di mettere una

cosa sotto qualche altra cosa , ossia l'atto di rimpiazzare una cosa con un'altra all'interno di una proposizione . In generale però nessun ter­ mine preso significativamente può supporre per una cosa diversa da ciò di cui si p redica veramente (20). Q uando un term i ne viene preso signi fica ti v amen te per Oc kha m può supporre soltanto per delle cose singol ari , extramentali o in t rame n tal i ; e questo è il caso della suppo­ s izi one pe rsonal e , che si dà « qua ndo il termine suppone per il suo

s ignific ato , sia che quel significato coincida con una cosa extramentale , sia che coincida con un termine orale o mentale o scritto, o con una qualsiasi altra cosa immaginabile >) (21 ). Esempio di supposizione per­ sonale: « L'uomo corre », dove il termine uomo non può che stare al pos to di individui concre ti ( Tizio, Caio, Sempronio ), i soli che possono correre. Siccome il termine uomo è sorto nella mente o è st at o istituito nel linguaggio orale e scritto per significare tali individui concreti, ecco che nella proposizione ricordata esso ha la supposizione personale . Altro esempio, addotto dall'autore stesso: « La specie è un univer­ sale », dove il termine specie sta al posto di un concetto della mente, essendo vero che solo i concetti per Ockham sono degli universali; siccome però il term i ne specie è nato proprio per significare dei con, cetti , nella proposizione in esame esso è preso sign ificativamente ha perciò la supposizione personale. ,

Si ha invece supposizione semplice

«

quando un termine suppone

per un conce t to , ma non viene preso significa tivamente » (22). Due risul­

tano perciò le condizioni richieste perché si dia la supposizione sem­ plice: il termine non deve essere preso significativamente, perché tutte le volte che ciò accade si verifica la supposizione personale; inoltre il termine deve supporre per un concetto mentale, ossia per quei segni che si formano naturalmente nella mente dell'uomo, i quali , pur es60

sendo soggettivamente singolari sono segni di una molteplicità di cose, rinviano a una pluralità di cose singolari . Nella proposizione : « L' uomo è una specie » , il termine uomo non può essere preso significa­ tivamen te, nel senso che nessun individuo concreto può essere una specie; il termine uomo significa dunque un concetto : m a un concetto f: una specie non in quanto è quel preciso atto di conoscenza, bensl in quanto è per sua natura capace di significare una molteplicità di indi­ vidui, esattamente quella molteplicità che è significata dal termine specie. Il terzo tipo di supposizione, quella materiale, si verifica quando si danno le stesse condizioni che permettono il verificarsi della suppo­ sizione semplice, pu rché il termine supponga non per un concetto mentale, ma per un termine orale o scri tto. Nell'esempio : > e « falso » . Nel caso di « vero » , si tratta di un termine connotativo, che designa direttamente la pro61

posizione di cui esso si predica, e indiret tamente designa il rapporto che passa fra la proposizione e lo stato delle cose reali. Per conoscere cale rapporto bisogna badare alla supposizione dei termini che for­ mano la proposizione : quando il soggetto e il predicato suppongono per la stessa identica realtà, allora si ha una proposizione vera ; quando j nvece il soggetto e il predica to non suppongono per la stessa realtà , 11lora la proposizione è falsa ( 23). Il vero e i l falso sono dunque riferiti rispettivamente al verificarsi o al non verificarsi della supposizione che i termini hanno nell'ordine che possiedono nella proposizione. Ma anche le altre scienze, e non solo la logica , sono determinate .:lalla struttura semantico-sintattica della supposizione : le cosiddette �cienze reali » (come la filosofia della natura ) non constano diretta­ mente di res) ma risultano da proposizioni i cui termini supponunt pro ipsis rebus extra (24). Nelle scienze razionali, e cioè nella logica, i termini suppongono per delle entità mentali ; nelle scienze reali i termini delle proposizioni suppongono per delle realtà extramentali . «

Per avere un quadro sufficientemente articolato dello sviluppo della semiotica all'interno della logica dei terministi c'è un altro tema da prendere in considerazione ; già il tema della supposizione ci ha mostrato l 'evolversi della semiotica medievale da teoria dei singoli ter· mini a teoria del co-testo e del contesto; un'ulteriore prova di questa evoluzione ci viene dalla discussione sull 'oggetto proprio della cono­ scenza scientifica, sviluppatasi con particolare vivacità nelle principali università europee negli anni fra il 1 320 e il 1 350. Il concetto di scienza r.el medioevo deriva dagli Analitici secondi di Aristotele: il sapere scien­ tifico è quella conoscenza che include in sè la garanzia della propria validità , diversamente dall'opinione, alla quale manca appunto tale ga­ ranzia : questa è formalmente garantita da un procedimento rigoroso, quello sillogistico, in cui poste alcune premesse necessarie, ne deriva una conclusione nuova, parimenti necessaria. Con l'affermazione di Ockham sopra ricordata, ossia che le diverse scienze hanno tutte la caratteristica di essere enunciate mediante proposizioni, si apre la di­ scussione circa il che cosa è veramente conosciuto quando io so (scio ) la conclusione di una determinata scienza . In base a quanto è stato detto sinora, nella formazione della conoscenza scientifica si riscon62

trano tre livelli : al primo livelo stanno le realtà individuali; al se­ condo stanno i termini e al terzo stanno i termini organizza ti in pro­ posizioni ( e quindi la loro supposizione) e i sillogis mi . Nelle conclu­ sioni sc ienti fiche , ciò che è conosciuto primariamente sono le propo­ sizioni; al di là delle proposizioni tuttavia stanno le realtà per le quali i termini suppongono, e sulle quali si conclude l 'atto di cono­ scenza . Chiamiamo questa posizione teorica proposizionalistica; essa si distingue dalla dottrina tradizionale, secondo la quale l'oggetto della conoscenza scientifica è rappresentato dalle res extra animam, e che denominiamo teoria realistica . Una via intermedia tra proposizionali­ smo e realismo è stata proposta da Crathorn ( negli anni 1 33 0 - 32) e perfezionata da Gregorio da Rimini ( negli anni 1 3 4 1 - 45 ) : oggetto della scienza è il significato totale della proposizione, detto latinamente significatum complexe o per complexum (15). Anzi, e la precisazione è esplicita in Gregorio da Rimini, i significati possono essere considera ti di per sé stessi, indipendentemente dall 'attuale esistenza delle propo­ s izion i di cui sono il significato, di modo che un s ignificato può essere detto vero anche quando la corrispondente proposizione vera non viene formulata attualmente , ma può essere formulata. Arriviamo così al complexe significabile, ossia alla teorizzazione di quel significato che esisterebbe anche se non esistesse alcuna proposizione (26). Si può ri­ chiamare, a questo proposito, quanto i più recenti trattati di semiotica generale sottolineano, ossia che l'atto percettivo del destinatario e il suo comportamento interpretativo non sono condizioni essenziali della re­ lazione di significazione, dal momento che la relazione è stabilita per ogni destinatario possibile, anche se di fatto non esiste alcun desti· natario (27). Questo non è che uno degli aspetti di stretta affinità tra le dot­ trine di Gregorio da Rimini e il pensiero contemporaneo; indagando sullo statuto ontologico dei complexe significabilia troviamo infatti il significato o il significabile cui egli si riferisce è il significato totale della proposizione, dove la « totalità » esclude che si tratti della sem­ plice somma dei significati di ogni term ine componente la frase. Il significato totale risulta piuttosto dall'insieme strutturale della propo­ sizione, dove la « totalità » esclude che si tratti della semplice somma 63

dei significati di ogni termine componente la frase. Il significato totale risulta piuttosto dall'insieme strutturale della proposizione e, proprio perché esso non coincide né con le singole realtà extramentali, né con i termini (scritti o mentali) delle proposizioni , si deve concludere che possiede una forma di esistenza sui generis . Ogni significato totale ha quindi un proprio modo di essere e siccome di significati totali ne esistono molteplici, Gregorio ammette l 'esistenza di un mondo di signi­ ficati, in relazione al quale si riconosce la verità o la falsità delle proposizioni . Tale mondo dei significati totali deve, per sua natura, mantenersi sempre identico a sé, al fine di poter garantire la verità, ponendosi cosl come eterno e necessario. Questo universo di signi­ ficati eterni e necessari è stato giustamente rapportato alla teoria degli oggetti del fenomenologo Alexius Meinong e alla teoria degli oggetti della conoscenza del logico Bertrand Russell: per Meinong gli obiet­ tivi ( Obiektive ), che sono gli oggetti del giudizio, « sussistono » ma non « esistono » ; per Russell gli enti logici ( classi, relazioni, ecc.) sono dotati di « sussistenza » fuori della « irrilevante considerazione della mente » e da non confondere con l'esistenza spazio-temporale ( 28 ). L'idea di sussistenza come peculiare modo di essere delle entità logiche viene da lontano, e cioè dal mondo dei significati totali come entità sui generis individuato da Gregorio da Rimini, rispetto al quale presero le distanze gli stessi contempor.:tnei. Già altri terministi han­ no ava nzato riserve critiche su questo punto; meritano di essere ri­ cordate quelle di Buridano : l'esistenza di entità autonome, distinte sia dalle entità del mondo esterno, sia dalle entità mentali riconducibili ai semplici termini o alle proposizioni, urta contro queste difficoltà : o si tratterebbe di un puro nulla , oppure quei significati dipenderebbero da Dio, e perciò sarebbero stati creati e non potrebbero essere eterni . Se poi si sostenesse che il significato totale non dipende da Dio, si dovrebbe affermare che è una causa prima che esiste ab aeterno} anzi, che esistono più cause prime fra loro indipendenti : i significati totali delle diverse proposizioni infatti , dal punto di vista della casualità, si dispongono in un ordine gerarchico tale che alcuni di essi sono cau­ �ati da altri che sono incausati. Per esempio il significato della pro­ posizione infinitiva : « la terra essere interposta fra il sole e la luna », 64

viene definito come causa dell'altra proposiidone « la luna eclissarsi » ; o ancora : « il sole essere lucido » è causa della proposizione infinitiva « l'aria essere illuminata dal sole » . Ma nella serie dei significati che stanno fra loro in rapporto di effetto-causa non si può procedere al­ l'infinito, perciò si deve giungere a un significabile complexe primo, il quale essendo per ipotesi incausato anche rispetto a Dio, si qualifica come una vera e propria causa prima. Si tratterebbe in altre parole di primi enti, naturalmente anteriori alle sostanze e agli accidenti, che potrebbero esistere anche quando tutte le cose fossero andate distrutte, mentre le altre cose non potrebbero esistere senza di essi. Buridano non riesce a convincersi che enti siffatti possano esistere, se non altro perché anche « chimeram non esse » sarebbe un complexe significabile coeterno a Dio, non annullabile nemmeno da Dio stesso (29). Il riferimento a Buridano, per quanto breve, lascia intravvedere il trasferimento sul piano teologico delle tematiche semiotiche, ope­ rato da uno dei maestri che con maggiore impegno hanno sostenuto la necessità di una rigorosa analisi dei termini : quando dalla teoria generale del significato si procede alla verifica della virtus sermonis� i terministi rivelano lo stadio ancora incompleto di formalizzazio­ ne della logica ; il significato dei termini e delle proposizioni man­ tiene un rapporto esistenziale, con riferimento a elementi extralogici, antologici o teologici . Parlare di incompiutezza non significa espri­ mere un giudizio negativo, ma solamente rilevare l'innegabile pro­ gresso compiuto dalle introduzioni contemporanee alla teoria e alla metodologia semantiche. Resta pertanto valido il parere espresso da Roman Jakobson al termine del suo saggio Osservazioni sulle intui­ zioni dei medievali in materia di scienza del linguaggio : al medioevo dobbiamo numerose scoperte linguistiche, che conservano ancor oggi la loro validità e suggestività (30). Oltre agli argomenti precedentemente focalizzati (e cioè la signi­ ficazione, la supposizione, la dottrina del segno, il mondo dei signi­ ficati, e oltre alle grammatiche speculative, possono essere ricordati gli studi medievali di retorica, le discussioni sulle antinomie semantiche attestate dalla vasta letteratura sugli Insolubilia C1), i trattati logici sulle consequentiae, per avere un'idea dell'importanza anche fuori del medioevo delle intuizioni dei maestri dei sec. XIII-XIV. 65

Ai term inisti in particolare riconosciamo un'esplicita consapevo­ lezza dell 'importanza della semiotica, manifestatasi dapprima nella se­ parazione dalla grammatica, ossia con l 'ol trepassamento del modismo , c

poi nella separazione dalla stessa logica , mediante la riflessione sul

segno e sulla polivocità che inevitabilmente lo abita.

66

( 1 ) ARISTOTELE, Elench i Sofistici, l , 165 a 6 - 1.3. Quest'opera era st ata tradotta in latino già da Boezio, ma la traduzione boeziana rimase sconosciu ta ai latini sino al 1 120. ( Z ) ARISTOTELE, Perihermenias, l , 16 a 3 8. (') Cfr. ]. ]OLIVET, Arts dt4 langage et théologie che� Ahélard, Vrin, Paris 1969, p. 19. (4) Ibidem. •

e> R. }AKOBSON, Lo sviluppo della semiotica, Bompiani, Milano, 1978, p. 13. (') Traclaltls de proprielalibtiS Sermonum, ed . L. M. DE RIJK, Logica modernorum, Il, 2 ; Van Gorcum, A sscn , 1967, .pp. 710 7 1 1 . ·

(1) Lucidissima l a distinzione in Pietro lspano : ) n'existent pas dans le temps : les distinctions entre présent, passé et futur, dit-il , sont puremen t relatives à la date du jugement eflectué par la personne qui observe » (H. ELIE, Le complexe significabile, Vrin, Paris, 1936, p. 166, n. 1 ). Per gli obiettivi di Meinong cfr. M. LENOCI, La teoria della conoscen%a in Alexius Meinong. Vita e Pensiero, Milano, 1972, pp. 144 1 52 (") G. BuRIDANO, In V Metaph., q. 7. Cfr. A. GHISALBE.RTI, Giovanni Buridano dalla metafisica alla fisica, Vita e Pensiero, Milano 1975, pp. 69 78. (111) R. ]AKOBSON, Lo sviluppo della semiotica, cit., pp. 75 . 77. •

.

·

( 11 ) Cfr F. BOTTIN, Le antinomie semalllichc nella logica medievale, Antenore, Padova, 1976. .

68

MARIA CoRTI

LA TEORIA DEL SEGNO NEI LOGICI MODISTI E IN DANTE

De vulgari eloquentia Dante afferma che chiun­ que parli di qualcosa deve prima di tutto suum aperire subiectum, cioè In apertura del

«

chiarire il proprio oggetto

tivamente egli parli .

»

affinché si sappia bene di che cosa effet­

È allora pertinente che anche nel nostro caso si

chiarisca che cosa significa collegare alcuni logici modisti, attivi so­ prattutto a Parigi fra il 1 260 e il 1 280 , e Dante : significa voler met­ tere in luce, cosa che finora non è stata fatta, la posizione d'avanguar­ dia del pensiero dantesco, aperto più che non si creda alle novità spe­ culative del suo tempo, anche se a produrle erano avanguardie attive in una perigliosa area speculativa. Si rimanda al proposito a un nostro volume in corso di stampa presso la Società Dantesca, dove si docu­ menta com e Dante potè conoscere tale pensiero d'avanguardia in quel crocevia delle novità che fu a Bologna la Facoltà di medicina e arti nell'ultimo decennio del Duecento.

A Parigi nel ventennio 1 260- 1 280 prendono spicco due movimenti che possono svilupparsi autonomi o intrecciare le loro sorti a seconda dei pensatori su cui puntiamo l'obbiettivo : l'aristotelismo radicale det­ to impropriamente, come dimostrò van Steenberghen C), averroismo

e la grammatica speculativa nella fase modista . Sul primo movimento

ci alletta una riflessione semiotica, ben adatta al pubblico di questo Convegno, in quanto investe i meccanismi stessi della cultura: raristo­ telismo da un lato viene assorbito dalla teologia ad opera soprattutto di Alberto Magno e di S . Tommaso, in quanto efficace strumento di auto-organizzazione del sapere come sistema e di creazione

eli un mo­

dello culturale tomistico del mondo. D'altro lato restano fuori alcuni principi dell 'aristotelismo, teorizzati dallo stesso Aristotele o da Aver­ toè, che turbano il modello creato dalla scolastica, e perciò, pure essen­ do sistematici all'interno dell'aristotelismo puro, diventano asistematici 69

in prospettiva tomts uca . Ecco perché per noi raristotelismo radicale, che ingloba tali principi , non è fenomeno isolato ma da vedersi come complementare al sistema della cultura ufficiale ; mentre per i teologi scolastici è manifestazione abnorme, scorretta , in definitiva errore da condannare. Di qui la conseguenza che ai due rappresentanti più geniali e di forte pensiero, Sigieri di Braban te e Boezio di Dacia, toccò in sorte ]a scomunica con perdita della cattedra in seguito alla famosa condan­ na delle 2 1 9 proposizioni del

7 marzo 1 277 ad opera del vescovo di

Parigi Etienne Tempier. En trambi ques ti filosofi espongono una teoria del segno, ora in accordo ora in di saccordo con quella dell'indirizzo ufficiale; entrambi sono auctoritates dantesche. Boezio di Dacia entra con posizione di maggior rilievo nel nostro discorso, perché egli può porsi a cavallo fra filosofia naturale e logica da un lato e grammatica speculativa dall'altro, costituisce cioè una sorta di collegamento fra i due rami dell 'avanguardia parigina. In quanto filosofo del linguaggio infatti egli fa gruppo con i modisti danesi Simone, Martino, Giovanni, detti tutti di Dacia, denom inazione propria della provincia domenicana comprendente la Danimarca o Dania e la penisola scandinava, inse­ gnanti tutti a Parigi nel periodo indicato. L'appellativo Modisti viene a questi teorici del linguaggio per iJ ruolo centrale che nel loro pensiero assume la teoria dei

modi signi..

ficandi ( « modi di significare » ) . A questa teoria si rifà Dante a pro­ posito della nozione di segno e quindi ci rifacciamo noi, pur tenendo nresente la tecnica combinatoria delle auctoritates o fonti propria della �ltura medievale in genere e di quella dantesca in particolare. È tut· tavia dimostrabile, e altrove lo abbiamo fatto e), che proprio il tratJ

Modi significandi di Boezio offre i fondamenti teorici al De vulgari eloquentia ( teoria degli inventores grammaticae e positores, della forma locutionis, definizione di grammatica ecc. ) oltre a una grande serie di tato

citazioni specifiche. E siccome le fonti non vanno moltiplicate oltre la necessità, quando la trattazione sul segno coincide nei vari modisti o addirittura nei modisti e in Sigieri, retta sia sempre Boezio di Dacia .

è assai probabile che la fonte di­

La teoria del segno e dei modi di significare elaborata dai Modisti 70

rappresenta uno sviluppo speculativo per certi versi molto originale,

anche se prodot tosi su influsso di vari testi : gli Stoici, i commenti ad Aristotele di Severino Boezio , il commento greco di Ammonio al Peri Hermeneias di Aristotele, usato anche nella sua traduzione latina da S . Tommaso C), infine gli stessi testi aristotelici . Alcune di queste fon­ ti sono comuni ai Modisti e a S. Tommaso per ciò che riguarda la teo­ ria del segno, pu r tuttavia il pensiero dei Modisti si costruisce a livello sop rat tu tto di segno verbale in modo assai sistematico, sicché è lecito non solo, ma pertinen te limitare ad essi il nostro discorso in funzione d ella teoria segnica dantesca. Ecco le linee essenziali del discorso modista , ricavato da Boezio di Dacia e da Martino, autore egli pure di un t ra ttato Modi significandi; i1 primo, pensatore più sintetico, geni ale e spesso allusivo , il secondo più analitico e didattico C). A monte naturalmente c'è l a distinzione fra

la comunicazione avente luogo att raverso i signa corporis, cioè signa naturaliter significativa, comu ne ad uomini e animali, e la comunica­ zione tipica dell'uomo il qu a le i n quanto forni to di anima intellectiva o intellectus, crea ai propri fini i segni verbali (signa vocalia). Questi segni verbali hanno in più , rispetto agli altri segni umani e no, una complessità di genesi razionale, per cui « om n i s dictio potest dici si­ gnum , sed non e converso » (5); vi possono sl essere segni intenzionali provenient i da gl i animalia imperfecta, ma l'intenzionalità è altra cosa ,

rispetto alla razionalità .

Solo l'uomo può creare questi segni verbali a struttura razionale ir. quanto solo in lui è innata una forma substantialis locutionis, cioè �ono innati gl i universali linguistici come principi formali. Boezio esem­ plifica il suo pensiero al proposito citando il caso di uomini selvaggi che siano cresciuti in un deserto senza mai aver udito loquela umana: essi si esprimerebbero in base a regole di formazione linguistica uguali ( eodem modo ) i n quanto la lingua è nel suo insieme segno di un'opera­ zione comunicativa comune, naturale e inn ata ( � ) Riflessione alla Rous­ .

in Sigieri di Brabante, cui si deve nelle Quaestiones sulla Metafisica di Aristotele l 'esempio dei due pueri, fanciulletti che igno­ rano qualsiasi lingua, ma che messi insieme in un luogo solitario pas­ sarebbero presto dai gesti (signa corporis) a dare nome alle cose e alla seau che torna

71

organizzazione del loro linguaggio secondo regole innate, che sono uni­ versali

C).

Ma accostiamoci alla nozione modista di segno verbale : in natura

res extra, cioè indipendente dalla nostra conoscenza e a cui �ppartengono i modi essendi ( modi di essere ). Poi ci siamo noi, che abbiamo i modi intelligendi ( modi di conoscenza ), uguali per tutti gli uomini del mondo ; att raverso questi modi intelligendi noi produciamo la res intellecta (la cosa conosciuta ) o significatum. Solo però attraverso i modi significandi ( m . del significare ) il significatum si lega a una vox ( significante), operazione per la quale la vox diviene signum e la res diventa res significata. esiste la

Attenzione però, ci dicono i Modisti , a due aspetti molto impor­ tanti di tutta la questione segnica :

l ) il rapporto fra significato e significante è arbitrario, ha luo­ go nella realtà storica ex institutione, cioè per convenzione, già lo aveva detto Aristotele, e ad placitum. Perché mai ? Il motivo per i Modisti sta in una fondamentale differenza fra i (modi intelligendi) e i (modi significandi): mentre i primi, che sono le leggi del pensiero , apparten­ gono in uguale maniera a tutti gli uomini, i secondi ( modi significandi) si distinguono in due categorie di natura assai diversa: ci sono i modi significandi substantiales o regole linguistiche uguali per tutti gli uomi ­

ni, donde l'esistenza di universali linguistici, e ci sono modi del signi­

accidentales, cioè propri delle varie lingue storiche ( i famosi idyo­ mata plurima dei Modisti e di Dante); il primo fra i modi del signifi­ fjcare

c are accidentali è appunto l 'istituzione di un rapporto fra un signifi� cato e un significante : così, dice Boezio, i greci possono chiamare pos e i latini

antro­

homo la stessa res intellecta, cioè l'uomo;

2 ) il segno sta al posto della res intellecta assoggettata al pro­ cesso di significazione, non sta al posto della res in sé, allo stesso modo come il circulum (cerchio) messo sopra una taverna, dice Martino di Dacia, è segno del vino che si vende e non del vino in sé (Modi sign . 6, 20-23 ) Il segno verbale è quindi un accidens, ma habilius, più ca­ pace di significare che non gli altri segni quali il nutus corporeus (il gesto ), l a conniventia oculorum ( intendersi con lo sguardo) ecc. ( ivi , 7, 1 5- 1 8 ). E ciò non solo perché è un signum compositum ( segno com.

72

posto), formato di un significante e di un significato, ma perché signi­ fica razionalmente qualcosa, ha la ratio significandi aliquid, conferita­ gli questa volta non dai modi di significare accidentali, ma da quelli sostanziali, che sono principi formali universali . Come nell'universo ari­ stotelico la forma dat esse rei, conferisce l'essere alla materia, cosl i

modi del significare sostanziali danno l' essere razionale al segno lingui­ stico, che in sé sarebbe accidentale, ad placitum (8). Come ciò avv iene ? È questo il punto più sottile e mirabile della teoria modis ta, che le conferisce culturalmente la propria identità e che conquistò Dante al momento della sua speculazione sull'universalità del volgare illustre come linguaggio della poe sia . I modi del significare sostanziali sono a loro volta signa ( segni ) dei modi essendi delle cose del mondo, cioè l'organizzazione razionale o forma linguistica del di­

scorso regolato, in cui i segni si ngoli vivono in coerente ed organico rapporto razionale, è segno della organizzazione del reale, della forma

mundi ( ' ). In altre parole, i modi significandi sostanziali , e non acci­ dentali, sono principia prima locutionis, principi generali regolanti l'or­ ganizzazione dei segni per tutte le l i ngue storiche in rapporto all'orga­ nizzazione stessa delle cose in sé. Unicamente attraverso questa opera­

zione non solo semantica, ma sintattica il segno raggiunge la ratio si­

gnificanj__i. Donde la definizione della grammatica specul ativ a come scien­ tia sermocinalis riferibile alla s trut tura del discorso o sermo, come lin­ guistica generale testuale, dove i due termini generale e testuale, si badi bene, sono complementari (Boezio, Modi sign., Quaestiones 6 , 8, 9, 27, 28 . Ma se i modi significandi hanno l'importantissima funzione, al l 'interno della l ingu a, di stare al posto dei modi essendi del reale, allo­ ra la grammatica che li studia è « specul a tiva » nel senso etimologico della parola, cioè specchiante la forma del mondo; a questo punto, pos­ siamo aggiungere noi, la grammatica speculativa è u n vero sistema se­

miotico. Giocando sulla fraseologia della lingua italiana si può dire che tutto ciò ha « lascia to segni >> , e ben profondi , nella teoria dantesca dei simplicissima signa locutionis e della lingua universale poetica. Ma poiché l'attentissimo Dan te eredita dai Modisti, come si vedrà, anche 73

alcune riflessioni sulla tipologia dei segni verbali , ci si consenta qual­ che brevissimo rilievo su tale problematica modista prima di passare la parola a Dante. Dopo aver distinto fra vox significativa in senso

«

estensivo » ( un

cioè fornita della ratio significa ndi ( 19 ),

«

proprio » , i Modisti concentrano le con­

grido di gioia , un lamento ) e vox significativa in senso

�iderazioni teoriche su questo secondo t ipo di segni verbali, i soli che permet tono un discorso semiotico complesso

e

raffinato entro il siste­

ma della grammatica speculativa. Consentono, per esempio, la distinzione fra verità e falsità dei se­ gni , che non ha nulla a che vedere , afferma Sigieri insieme ai Modisti, l'On Ja verità O falsità della I'CS ex tra al posto della quale Sta il segno C1 ), in quanto vero o falso in ambito segnico sono individuati per compara­ tionem ad intellectum. La questione è ripresa e chiarita da Boezia di

aggregatum : questo vuoi dire che il segno non è mai solo qualcosa che sta al posto di una cosa, si­ ?,num rei ma è insieme seg n o o rganizzato da un modus significandi rpecificus cioè è un segno sintattico , correlativo ; è nell'ambito d i que­ Dacia , che definisce il segno verbale un

)

sta aggregazione che si produce il vero e il falso segnico. È vero che già Aristotele e i suoi commentatori , fra cui privilegia mo in questo contesto Ammonio, avevano riferito la nozione di verità e falsità al &intagma o alla frase, ma nei Modisti tale nozione entra in una visione sistematica diversa della significazione, dominata dalla teoria specula­ tiva dei

modi significandi.

In questo ambito anche la nozione di segno verbale equivoco, a fianco dell'univoco e del plurivoco o polisemico, quest'ultimo predi­ letto da Dante , acquista alcuni tratti pertinenti nuovi rispetto, per esempio, al commento al

Peri Hermeneias di Ammonio, dove si insiste

solo sulla non comunanza di significato, nemmeno parziale, delle C"lse che fanno capo a un segno equivoco ( se ci fosse comunanza parziale, avremmo un segno retorico, metonimico, e non equivoco). Perciò se il segno è equivoco, esso richiede nella pratica linguistica, tante propo­

( 13). Più acuto Sigieri che nelle Quaestiones sulla Metafisica di Aristotele, L. IV , Qu. 1 9 , afferma es­ sere funzione dei modi intelligendi l'estrapolare I'unum, il solo signisizioni quanti sono i suoi significati

74

ficato pertinente sul piano contestuale e capace di instaurare il rappor­ to essenziale con la res a livello dei modi significandi, anche se 3 degli elementi (il quarto, l 'aria, viene ignorato) . Ma anche una certa tradizione di misticismo cattolico conduceva a risultati non dissimili, specie nel lavoro dell'esegeta spagnolo Luis de Le6n, De los nombres dc Cristo ( 1 58 3 ) , che anatomizza tutti i nomi biblici di Cristo in termini della verità assoluta ed originaria dei l oro caratteri cos ti tuenti . Ora, Top, malgrado la sua impostazione fortemente teologistica, non ha pretese occultiste o tantomeno m ist iche . In un certo senso, la fede che nutre verso i grafemi ebraici come semplice presupposto storico e scientifico sta a dimostrare i l g rado di codificazione che un tale ebraicismo superstizioso aveva raggiuto (come si vede, tra l'altro, in un altra opera di grammatologia dell 'epoca, il Traité des chilfres ou secrè ­ tes manières d'écrire di Blaise de Vigénère ( 1 586) , che similmente asserisce che l 'alfabeto ebraico è « il più antico di tutti, creato, infatti, dal dito dello stesso Signore » ) . Certamente, questa tradizione per cui litterae sint nomina non promette affatto bene come punto di partenza e di riferimento per una 1 17

dottrina del segno che l 'autore ritiene storicamente verifi.cabile . È in­ dicativo il fatto che poco più di un secolo dopo, un compatriota di Top, anche lui grammatologo , il vescovo William Warburton, avverte la necessità, nel suo influente saggio sulla storia dei geroglifici , di pole­ mizzare, come iniziale presa di posizione razionalistica, precisamente contro simili tesi teistiche e naturalistiche, asserendo che, se Dio creò davvero la prima lingua (insegnandola, comunque , foneticamente ad Adamo) come vuole la Genesi, si trattava certamente di uno strumento rozzo, sterile e limitato, adatto, solo alle necessità pratiche del primo uomo e che l 'uomo stesso doveva migl iorare secondo regole convenzio­ nali successive (The Divine Delegation of Moses, 1 7 3 8 ) . Certo , il garbato scetticismo illuministico di Warburton gli per­ mette di costruire una vera e propria comparazione diacronica dei si­ stemi di scrittura che va ben oltre i limiti imposti dalla pietà apriori­ stica del suo predecessore inglese. Eppure c'è da chiedersi se nell'ap­ parente naiveté, nonché primitivismo di Top, peraltro non privo, per esempio, di un forte senso delle leggi del cambiamento e di un 'ingegno­ sità nell'individuazione di famiglie grafemiche, non ci sia in realtà una concezione più complessa e dialettica del segno. Questo interrogativo sorge quando si va ad esaminare più attentamente il modo in cui Top riformula l'ereditato topos naturalistico-ebraico. Ed è qui, se si vuoi rivedere più dettagliatamente la sua esposizione ed in qualche modo misurare la sua potenza o potenzialità modellizante, che si pone la que­ stione dei termini entro i quali si possa più efficacemente operare una tale valutazione. A tale riguardo, come test case o prova estrema della dialettica epistemica in gioco, ma anche, come vedremo , per ragioni pro­ prio di adeguatezza al materiale in questione, propongo di leggere le pre­ messe di Top attraverso l'apparato analitico più ampio che possediamo, vale a dire le tipologie segniche e la dottrina semiosica di Peirce. Allora, per cominciare logicamente con quella che Peirce chiama la primità , cioè il primo correlato nel rapporto triadico representamen­ oggetto-interpretante, il representamen o segno in sé, nella sua mate­ rialità, leggiamo che i grafemi originari, « le 22 forme incorrotte » , era­ no iscritti sugli oggetti al momento stesso del loro completamento: « E il Signore si rallegrò di restare nella più completa e corrispondente som1 18

ma delle lettere di quest 'alfabeto . Il Signore concluse ciascuna delle sue azioni o creature con questa appropriata dimostrazione ... con il suo stesso dito Egli le disegnò e con il suo spirito le stampò per noi segre­ tamente in tutte le creature » . Si ricorderà che la tricotomia di Peirce rispetto alla primità o representamen in sé distingue fra il qualisegno (un segno che è una pura qualità) , il sinsegno (un segno che è un feno­ meno o evento effettivamente esistente) e il legisegno, una legge che è un segno . Nella loro purità come « forme incorrotte » , e per il fatto che sono iscritti « segretamente » , cioè idealmente , si potrebbero classi­ ficare i grafemi come qualisegni. Ma l'atto stesso di marcare i 22 oggetti , anche segretamente , li semiotizza , cosicché diventano a loro volta segni, ma in questo caso sinsegni, fenomeni reali con funzione segnica , come in­ dica Top quando parla della leggibilità non soltanto dei caratteri divini ma anche delle cose marcate; « Qui la scrittura del Signore sarebbe stata vana se gli uomini non avessero saputo leggere il segno » . In questo mo­ do, i primi segni sono anche stabiliti come una legge o norma per tutti i segni successivi ( « devono essere considerati la madre o matrice di tutti gli altri » ) , sempre determinati dalla legge della leggibilità , che equi­ varebbe alla legisegnicità peirceana . Una simile progressione attraverso i tre gradi o tipi di manifesta­ zione segnica si verifica anche al livello della secondità, il rapporto fra representamen e oggetto. Peirce, nel suo « Che cos'è un segno? » asse­ risce che « Una regolare progressione di uno, due, tre , può essere no­ tata nei tre ordini di segni : Icona, Indice, Simbolo » (2.299), e par­ lando specificamente dei simboli linguistici , scrive che erano « origina­ riamente in parte iconici e in parte indicali » , ma « questi caratteri han­ no da lungo tempo perduto la loro importanza » ( 2 .92) . Per Peirce que­ sta progressione rappresenta un movimento verso una pura segnicità da un'iniziale degenerazione. Ora, nella prima istanza , il grafema di Top è inconfondibilmente iconico in quanto, nei termini di Peirce, « si riferi­ sce all'oggetto che esso denota semplicemente in virtù di caratteri suoi propri » (2.247) . Top racconta che « Dio creò la figura, segno o lettera .del cielo. Ovvero il suo geroglifico. Laddove va notato che Dio dal suo grande intuito divino, diligentemente osservò le forme, le :figure e le li­ nee di tutte le sue opere perché usava lodare la loro perfezione ». I grafe­ mi, quindi , hanno con i loro oggetti un rapporto di rassomiglianza es. .

1 19

senziale, tale da costituire una iconicità assoluta , di tipo diagrammatico (i diagrammi essendo per Peirce segn i iconici « che rappresentano le re­ lazioni - principalmente di adiche, o cansiderate tali - dalle parti di una cosa per mezzo di relazioni analoghe fra le loro proprie parti » ) . Oltre questa concezione iconica , comunque , la relazione reprcsentamen-og­ getto si presenta come un caso estremo di indicalità immediata , di de­ terminazione diretta del segno da parte del fenomeno fisicamente pre­ sente. E solo come terzo momento, vale a dire nel loro manifestarsi al­ l'uomo, e sopratutto con la perdi ta dell 'universale sistema originario, i caratteri assumono la natura di veri e propri simboli , un fatto che prima permette ad Adamo di combinarli in lessemi e sintassi e che poi , dopo il Diluvio, conduce alla loro pura e, per Top, lamentata umaniz­ zazione. Se l'ordine icona-indice-simbolo rappresenta per Peirce, quindi, l'ascesa da una degenerazione pr i m i tiva ad una segnicità pura , per Top costituisce, al contrario, il decadimento da una purità ieratica ad una degenerazione meramente terrestre. Paradossalmente, però, è nell'ambito della terzità semiotica , il rap­ porto segno-interpretante, che il sistema di Top acquista gen u i no inte­ resse. Dico paradossalmente in quanto sembrerebbe che d i interpretan­ te non si potrebbe o dovrebbe parlare quando si tratta di un atto se­ miosico unilaterale, assoluto e soprannaturale. Eppure, è proprio nella complessa dialettica interpretativa suscitata dal primo alfabeto che si manifesta una certa potenza ed ampiezza nella teoria di Top . Ricordia­ mo che a questo proposito la tipologia di Peirce comprende il Rema, segno di possibil ità qualitativa, il dicisegno o segno dicente , segno di esistenza effettiva , e l'argomento, segno di legge . Se le prime due cate­ gorie sono in qualche modo comprese dalla rappresentazione iconica di un ogget to possibile ed ideale (rematico, appunto) e da quella indicale d i un oggetto esistente (dicente) , l'interpretante principale si rileva piut­ tosto un enunciato più articolato. Scrive Top a proposito : « il Signore descrisse tutta la sua opera per ruso e profitto dell'uomo, a cui Egli stesso aveva dato una posizione di primo ordine. Perciò potrei conclu­ dere, che ciascuna di queste lettere ebraiche doveva significare o indi­ care qualche sp eciale esecuzione della creazione . E tanto più, perché i l Signore concluse ciascuna delle sue azioni o creazioni , con questa dimo­ strazione appropriata, Eth, che viene intesa come segno, figura, lettera, 120

forma o marchio ; essendo le estremità delle due ultime lettere dell'al­ fabeto. Come se tutte le cose dovessero essere comprese da questa li­ mitazione o circoscrizione, Bara Elohim (Eth) hashomaim} Dio creò la figura , segno o lettera del cielo » . Nel primo luogo, quindi, i segni sono autosignificanti, avendo per interpretante il segno (etwas Relatives) dell'intenzionalità quale ter­ reno di costituzione dell'attività psichica che si rileva in tale uso di se­ gni. Siamo così ricondotti alla fondamentale questione dell'intenzionalità. ..

,

...

3. La referenzialità della coscienza come dimensione semiotica L'intima connessione esistente tra attività psichica e semiosi è data dalla capacità di rappresentazione; ma se indaghiamo su che cosa v'è di comune di esse, scopriamo che la base del loro reciproco richiamarsi è quella « rélation de renvoi » che, con tennine densissimo di signifi­ cati, Brentano chiamò « intenzionalità » (dr. 1 874 : l , 1 24- 1 25). Dire che ogni coscienza è coscienza di qualche cosa equivale a riconoscere l'essere della coscienza come un essere essenzialmente modificato . Fin dalla sua origine la coscienza è « infetta » dalle « modificazioni » che vi apportano gli « oggetti » con il loro esservi rappresentati. Questa è la ragione profonda del suo essere strutturata secondo lo schema trire­ lativo della semiosi . Come faceva notare Kraus ( 1 924), « bei jedem Vor­ stellen ist Etwas dal das Etwas als Etwas vorstellt. So allgemein diese Charakterisierung vermittels dieses dreifachen " Etwas " ist, so sehr scheint sie doch die adaequateste Kennzeichnung zu sein, die wir ver17.3

mittels der Sprache von dem geheimnisvollen Vorgang de Bewusstseins geben konnen » ( 1 924 : XXX I I ; corsivo dell'A. ) . Nel costituirsi come « relazione a qualcosa come oggetto » , la coscienza rivela insieme la sua « intenzionalità » e la sua « semiosicità » . Tra le molteplici questioni sollevate dall'affermazione brentaniana dell'intenzionalità quale caratteristica dei fenomeni psichici una dell� più importanti concerne la conciliabilità o meno della concezione scola­ stica dell'intenzionalità come esistenza mentale ( o « intensionale » ) de­ gli oggetti pensati e la concezione moderna che la definisce come atti­ vità orientata , direzionalità , referenzialità (aboutness) . Secondo alcu­ ni, la loro incompatibilità sarebbe dimostrata dal fatto stesso che Bren­ tano dovette affrontare la « crisi dell 'immanenza » ( Spiegelberg 1 9 3 6). Attraverso un'analisi dettagliata del pensiero scolastico Marras ( 1 976) mostra che l'idea del riferimento a un oggetto - cioè la presunta conce­ zione moderna dell'intenzionalità, attribuibile a Brentano o a Husserl non solo non è incompatibile, ma costituisce proprio il nucleo teorico dell'idea dell'esistenza « intensionale » . L'argomentazione di Marras si snoda lungo queste due linee principali: l ) gli oggetti esistono nella mente solo come forme capaci di modificarla�· 2) l'esse repraesentativum delle intentiones non va inteso nel senso psicologistico delle idee lockia­ ne quali « immagini )> della realtà, ma nel senso della referenzialità o direzionalità. La caratteris tica principale della relazione che si stabili­ sce tra l'oggetto e la sua rappresentazione mentale è di essere direzio­ nale, di consistere in un « rinvio a » . Ed è in questa prospettiva che la rappresentazione può essere considerata « il tessuto stesso del pensie­ ro )> (Gil 1 980 : 546) . La natura semiotica della rappresentazione costituisce cosl il più saldo fondamento per una considerazione dell 'attività mentale in ter­ mini di teoria dei segni e consente l'affermazione della categoricità del sistema nella strutturazione della psiche umana . In definitiva, l'indagine sulle radici scolastiche della concezione bren­ taniana dell'intenzionalità perviene all'importante conclusione che, se si tiene nel giusto conto che « the species or intentio is also called ver­ bum mentis [ . . ] and that words L . l may be said to represent things in the sense that they signify, stand for or refer to, things, it does not u

"

1 74

.

.

seem altogether implaus ible to suppose that the esse repraesentativum of the species belongs to a logica! order analogous to what we vould now call the semantical or intentional arder of signification, reference or aboutness » (Marras 1 976 : 1 3 5 ; corsivo dell'A. Altre considerazioni su lla necessità di interpretare semioticamente la questione psico-logica dell 'intenzionalità si possono trovare in Chisholm 1 952; 1 95 7 ; 1 96 7 ; Sellars 1 952 ; Smith and Mcintyre 1 9 7 1 ; McAlister 1 9 7 6 ) . Se ciò che cara t terizza l'attività psichica è il suo essere intenzio­ nale, vuol dire che essa è intessuta di verba mentis. Più esattamente si dovrebbe dire che l'intenzionalità struttura la mens nell'ordine del verbum. Co m e il li nguaggio umano è tale in quanto rappresenta la realtà, non solo nel senso che sta per ( « sostituisce ») essa, ma soprattutto perché veicola il riferimento ad essa (secondo il « semantic transparency principle » ) , cosl l'attività psichica è tale perché implica la st essa « pa­ rarelazione » . Per quanto povero di contenuto informativo ciò possa a prima vista sembrare, della coscienza non può non essere vero che è - strutturalmente, funzionalmente e geneticamente - forgiata secondo il tracciato semiosico.

1 75

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI BAUSOLA A., Conoscenza e moralità in Fra11z Brenta11o, Milano, Soc. Ed. Vita e Pensiero, 19. 218 pp. BRENTANO F., Die 25 Habilitatio11sthesen , 1866, in « Ueber die Zukunft der Philosophie

»,

Leipzig, Felix Meiner, 1929, XX + 187 pp. BRENTANO F., Psychologie vom empirischen Standpunkt (1874}, Leipzig, Felix Meiner, 1924,

v. l, XCVII + 279 pp.; 1925, v. II, XXIII + .3.37 pp. a cura di Oskar Kraus).

BRENTANO F., Von der Klassi/ication der psycbischen Phiittomene, Lcipzig, Duncker & Humblot,

Felix Meiner, 1929, XX + 187 pp. BRENTANO F., Wahreit und Evidenz. Erken11lnistheoretische Abhattdltmgen mtd Briefe ausgewiihlt , erliiulert und cingeleitet von O. Kraus, Leipzig, Felix Meiner, 1930, XXXI + 228 pp. BRENTANO F., Die Abkehr vom Nichtrealen (a cura di F. M:Lier-Hillebrand), Bern, Francke Ver­ lag, 1966, XXVI + 441 pp. BRENTANO F., Die Krise der Psychologie, 1927, 19652, Stuttgart, Gustav Fischer (tr. it. di Lucio Pusci, L4 crisi della psicologia, Roma, Armando, 1978, 229 pp.).

BOHLER K., Sprachtheorie, Jena, Fischer, 19.34. CAPRETTINI G.P., Aspetti della Semiotica. Principi e storia, Torino, Einaudi, 1980, 208 pp. CmsHOLM M.R., Inte ntionality and the theory of sis, in « Philosophical Studies », 1952, v . .3.

n . 4, pp. 56-63. CHISHOLM M.R., Perceiving: A Philosophical Study, lthoca (N.J.), 1957. CHISHOLM M.R., Brentano on Descriptive Psychology and the lntentional, in E.N. LEE, M. MAN· DELBAUM (eds.) , Phenomenology and Existentialimt, Baltimore, The Johns Hopkins Press, 1967, VIII + 268 pp. Eco U., Trattato di semiotica generale, Milano, Bompiani, 1975, 420 pp. Eco U., Il pensiero semiotico di ]akobson, ) a Jakobson (v.i.), 1978, pp. 7-28. FAIRBANKS M.]., Peirce on man as a language. A textual interpretation, in , 1970 (19361 ), v. 29, pp. 189·2 16. SroMPF K., Erinnerungen an Franz Brentano, in KRAus O., Franz Brentano. Zur Erkennlnis sei· nes Lebens und seiner Lebre, Miinchen 1919, pp. 87-149. �( Revue Internationale de Philosophie », 1966, v . 20, n. 4, pp. 446-458. VAILATI G., Sulla portata logica della classificazione dei /atti me11tali proposta dal pro/. Franz

TERRELL D.B., Brentano's Argumenl /or Reismus, in

Brenlano, in « Rivista di filosofia », 1901 (ora riprodotto in Scrilli filosofici, Firenze, La Nuova Italia, 1972, 1980), pp. 134-139).

VANNI RoviGHI S., La f'"�so/ia di Edmund Husserl, Milano, Vita e pensiero, 1939. ZuBER R., Sign transparr:ncy and per/ormatives, in SEYMOUR CHATMAN, UMBERTO Eco, ]EAN­ MARIE KLINKENBERG (eds.), A semiotic landscape, Proceedings of the First Congress of the Intemational Association for Semiotic Studies, Milan, June 1974, The Hague, Mou­ ton, 1979, pp. '570.579.

1 77

FURIO SEMERARI

COMUNICAZIONE E PROBLEMA DELL'UDITORIO IN PERELMAN

In Perelman, il problema della comunicazione si specifica come pro­ blema dell 'argomentazione. Per « argomentazione » il filosofo intende la comunicazione finalizzata alla persuasione. Ricorrendo a termini propri della tradizione retorica, egli definisce « oratore » il soggetto argomen· tante, « uditorio » il destinatario dell'argomentazione. L'uditorio, in par­ ticolare, « non si definisce come l 'insieme di coloro che ascoltano un discorso quanto come l 'insieme di coloro verso i quali è diretto il ten­ tativo di persuasione. Può dunque darsi che ciascun oratore si rivolga solo a una parte del pubblico, ai seguaci personali, i quali ne accette­ ranno facilmente le premesse e Pargomentazione » ( 1 976, it. 1 979 : 1 87). Ora, i n Perelman, il problema dell'argomentazione è lo stesso problema dell'uditorio. L'identità dei due problemi si può sostenere sulla base dell 'affermazione perelmaniana che ogni argomentazione deve essere ela­ borata in funzione dell'uditorio cui è diretta (Perelman; Olbrechts-Tyte­ ca 1 958, it. 1 966, 1 977 : 7). L'autore precisa il concetto, osservando che l'oratore deve « adattare » la propria argomentazione all'uditorio cui si rivolge (ivi: 26-7 ). Adattare Pargomentazione all'uditorio significa, poi, fondare Pargomentazione su tesi che l'uditorio già accetta (Perel­ man 1 977 : 35). È per questo che fra le condizioni dell'argomentazione Perelman annovera la conoscenza dell'uditorio da parte dell'oratore : « Per persua­ dere il proprio pubblico, occorre anzitutto conoscerlo, conoscere cioè le tesi che l 'uditorio ammette fin dall'inizio ed alle quali sarà possibile agganciare l'argomentazione » ( 1 976 , it. 1 979: 1 68) . Continua Perel­ man: « È importante non solo sapere quali siano tali tesi, accettate dal pubblico, ma, inoltre, sapere con quale intensività vi si consente, giac­ ché si tratta delle tesi da cui l 'argomentazione può prendere le mosse >>

(ibidem) . 179

Se l'uditorio non aderisce con sufficiente intensità alla tesi su cui l'oratore intende poggiare l'argomentazione, l'oratore cercherà i modi per rinforzare l'adesione dell'uditorio a quelle tesi ( 1 97 7 : 35). Ove non conosca le tesi ammesse dall'uditorio che vuoi persuadere, l'oratore fa­ rà delle ipotesi o delle presunzioni riguardo ad esse ( 1976, it. 1 979 : 1 79). « Tali presunzioni saranno tanto più sicure se esiste un insieme di cognizioni, un codice, un programma politico, un contesto di fatti c di metodi, di valori e di norme che si ritiene che gli ascoltatori , data la loro specializzazione, la loro funzione, la loro appartenza politica o confessionale, ammettono » (ivi : 179-80) . Rivolgendosi « a un pubblico eterogeneo, che può avere opinioni molto varie sul problema in discus· sione » , l'oratore fonderà la propria argomentazione « su tesi general­ mente accettate, sulle opinioni comuni, quelle che dipendono dal senso comune » (ivi: 1 80). Prima di condizionare , eventualmente, per mezzo della propria argomentazione, l'uditorio , l'oratore deve, dunque, lasciar­ si da esso consapevolmente condizionare. Tale condizionamento l'oratore assume se vuole, poi, a sua volta, condizionare l'uditorio . Perelman pone il problema della classificazione degli uditori, pro­ blema già presente alla retorica classica: « Aristotele nella sua Retorica, parlando di uditori classificati in base all'età e alle condizioni di for­ tuna, ha inserito numerose descrizioni sottili e tuttora valide di psi­ cologia differenziale. Cicerone dimostra che bisogna parlare in modo diverso agli uomini "ignoranti e grossolani, che preferiscono sempre l'utile all'onesto", e agli uomini "colti e d'animo raffinato, che pongo­ no la dignità morale al di sopra di ogni altra cosa" . Dopo di lui anche Quintiliano indugia sulle differenze di carattere, importanti per l'orato· re » (Perelman; Olbrechts-Tyteca 1958, it. 1966, 1 97 7 : 22) . Secondo Perelman, « lo studio degli uditori potrebbe costituire anche un capi­ tolo di sociologia, perché le opinioni di un individuo sono legate più che al suo carattere personale, al suo ambiente, al suo gruppo sociale, alle persone che egli frequenta e fra le quali vive » (ibidem) . Gli udi­ tori devono essere classificati, dunque, essenzialmente sulla base della loro appartenenza sociale. La considerazione che ogni argomentazione de­ ve partire da tesi che l'uditorio già ammette, unitamente alla consi­ derazione che gli uditori devono essere classificati essenzialmente sulla

1 80

base del gruppo sociale cui appartengono, porta a concludere che, nella sua argomentazione, l 'oratore partirà da tesi ammesse dal gruppo so­ ciale di appartenenza dell 'uditorio . Per ciò che si è visto che Perehnan afferma sulla intensità dell 'adesione dell'uditorio alle tesi su cui l'orato­ re fonda l'argomentazione, si dirà, inoltre, che l'oratore deve partire da quelle tesi alle quali il gruppo sociale di appartenenza dell'uditorio ade­ risce con particolare intensità . L'oratore, nota Perelman, dovrà adattarsi alle « opinioni dominanti » , alle « indiscusse convinzioni » del gruppo sociale cui l'uditorio appartiene, alle « premesse » che il gruppo « am­ mette senza esitazioni » (ibidem). Il fatto che l'oratore debba partire da tesi ammesse dall'uditorio im­ plica che si avrà persuasione, se l'oratore riuscirà a mostrare all'udito­ rio la congruenza fra le tesi di partenza e le nuove tesi su cui cerca di ottenere il consenso. Si avrà persuasione, in altri termini, se l'oratore indurrà l'uditorio a ritenere che, aderendo alle tesi dell'oratore, non ef­ fettuerà alcun sostanziale mutamento rispetto alle sue attuali convin­ zioni . Se « esiste una forma di condizionamento esercitato dal discor­ so grazie alla quale, alla fine del discorso stesso, l'uditorio non è più esattamente quello che era al principio » (ivi: 25), si deve anche dire che l'uditorio, persuaso dall 'oratore, non è radicalmente diverso da ciò che era prima di accogliere le tesi che l'oratore gli ha proposto. Siamo qui di fronte a una teoria particolare della persuasione, cioè siamo di fronte a una teoria della persuasione orientata nel sen so del rispetto e della conservazione sostanziali della specifica condizione del· l'uditorio.

Il termine «oratore» non ha, in Perelman, un significat o semplice­ mente individuale: esso può indicare anche gruppi sociali (ivi: 340 e sgg.). In modo analogo, il termine «uditorio» può anche indicare sia un singolo individuo (che può coincidere con lo stesso oratore: è il caso della «deliberazione con se stesso», ivi: 38-47 ) sia un gruppo più o meno limi­ tato di individui {ivi: 24-5) s ia ancora, un gruppo o una classe sociale (Perelman 1 968, it . 1 973 : 225) sia, infine, l'intera umanità o, almeno. l'insieme degli « uomini adulti e normali » (è ciò che l'autore chiama « uditorio universale » , Perelman; Olbrechts - Tyteca 1 958 , it. 1 966, 1 97 7 : 32-3 ) . Se si tiene presente la concezione politica perehnaniana , ,

181

si può sostenere che, per rautore belga, ogni gruppo e ogni classe so­ ciale deve trovarsi, insieme, nella posizione deWoratore e i n quella del­ l'uditorio. Secondo Perelman, non esiste una ideolog ia che possa essere privilegia ta in assoluto. E, poiché le diverse ideologie corr ispon dono a determinati gruppi e classi sociali , non esiste un gruppo o una classe che possa essere privilegiata in assoluto. Si dà , invece, una relativa egua­ le validità delle diverse ideologie . Per vi a di questa relativa eguale va­ lidità, s 'impone la necessità di una mediazione , di un reciproco accomo­ damento delle differenti ideologie, reso possibile dal confronto dei gruppi e delle classi . In questo confronto, auspicato da Perelman nelle sue riflessioni di carattere più strettamente politico , ciascun gruppo e cia­ scuna classe viene a trovarsi nelle posizioni che, in sede di definizio ni dei termini della teoria dell'argomentazione, egli indica come tipiche dell'oratore e dell'uditorio, di chi chiede il consenso a qualcosa e di chi è chiamato a dare il consenso a qualcosa, ossia, per ciò che si è visto, ài chi si «adatta » e di colui al quale ci si « adat ta » . Il tipo di società che ha in mente Perelman si configura come un insieme di più sistemi oratore-uditorio rappresentati dai diversi gruppi e dalle diverse classi sociali, ovvero, per l'idea che l 'autore ha del rapporto che deve deter­ minarsi fra oratore e uditorio, come un insieme di gruppi e di classi che si adattano reciprocamente. La tesi che ogni argomentazione dev'essere svolta in funzione del­ l'uditorio cui è diretta, è molto antica e si rit rov a già nei testi della retorica classica, come è sottolineato nel brano perelmaniano preceden­ temente citato sulla classificazione degli uditori appunto nella retorica classica. Rigu ardo alla retorica antica e, segnatamente, al ruolo da essa riconosciuto all'uditorio , richiamiamo, qui, alcune osservazioni che, in un saggio del 1 922, int itolato « Un nuovo capitolo nella storia della retorica e della sofistica » , Augusto Rostagni ha formulato attorno alla retorica di Gorgia e a un frammento che riproduce il pensiero gor­ giano, attribuito ad Antistene, discepolo di Gorgia (il saggio è stato ripuhblicato in Rostagni 1 955) . In particolare, nella concezione gor­ giana ed antisteniana del rapporto oratore-uditorio - concezione che prevede la mol teplicità e la differenziazione delle argomentazioni in re­ lazione alla mol teplicit à e alla differenziazione degli uditori - l autore '

182

notava l 'influenza della tesi sostenuta dai Pitagorici sul rapporto fra unità e molteplicità e secondo la quale all'unità si perviene attraverso il molteplice (ivi: 16-7 ) . Per Gorgia ed Antistene l'unità fra gli uo­ mini è creata dalla molteplicità e diversità dei discorsi . Infatti, poiché molteplici e diverse sono le condizioni degli uomini, solo svolgendo ar­ gomentazioni adeguate alla condizione di coloro ai quali ci si rivolge , si determina l'unità . Se, viceversa, quali che siano coloro ai quali ci si ri­ volge, si ricorre allo stesso tipo di argomentazione, si determina il con­ trasto. Cosl Rostagni illustra il pensiero di Antistene al riguardo : « la molteplicità del discorso , armon izz a ndos i con ciascun soggetto, diventa unità ; mentre l'unità assoluta , gretta, irreducibile, che con tutti ado­ pera il medesimo tono, riesce all 'effetto contrario : cioè, rispetto ai mol­ ti, con cui per la sua rigidezza non concorda, è come se fosse molte­ !Jlice: non è una, ma diversa » (ivi : 1 7 ) . In modo analogo, in Perelman . l 'accordo fra gli uomini , fra i gruppi, fra le classi è possibile realizzare a ttrave rso l 'impiego di argomentazioni molteplici differenziate .

Il problema di Perelman, cioè il problema della persuasione, è il problema del superamento della di s t anza , della ricerca dell'unità fra gli individui, i gruppi, le classi. Questa unità, tuttavia, egli concepisce in due modi diversi. Per un aspetto , che si è v isto, l'unità è mediazione , reciproco adattamento delle tesi dei diversi individui , dei diversi grup­ pi, delle diverse classi. Per un altro aspetto , l'unità è concepita come identità degli individui, dei gruppi, delle classi . L'autore si riferisce al­ Punità come identità, allorquando introduce il concetto di « uditorio universale )> . All'uditorio universale devono essere dirette le argomen­ tazioni proprie della filosofia, la quale ha il compito di elaborare « prin­ cipi d'azione » che possano aspirare ad essere accolti da tutti (Perelman 1 968, it. 1 973 : 60) .

183

MARIA SOLIMINI

SEGNO E FOLCLORE IN BOGATYREV

Lo studio etnografico di Bogatyrev, che abbraccia settori di ricerca differenti e comparativamente analizzabili, si inserisce in una certa con­ cezione delPetnografia di stampo sovietico che si va caratterizzando soM prattutto a partire dagli anni venti e che assegna a questa scienza come suo campo di indagine non unicamente i fenomeni cosidetti "arcaici ,', ma i fenomeni della cultura tradizionale quotidiana nel loro processo di trasformazione e caratterizzazione (J.V. Bromlej , it. 1 975 : 22 1 e segg. e P. Bogatyrev 1 937). Tali fenomeni vengono analizzati sia come mo­ menti materializzati della produzione ideologica di una certa formazio­ ne sociale etnograficamente ci rcos tanziata sia come processi segnico ­ trasformativi di una concezione del mondo chiusa e delimitata entro sfere etnico-comunitarie definite una volta per tutte. Per etÙtura tra­ dizionale quotidiana " si intendono tanto le testimonianze storiche che permangono dentro le forme di una organizzazione culturale, quanto le trasformazioni che esse subiscono nei processi di transizione in atto entro comunità segnico-ideologiche in evoluzione. Da questo punto di vista i compiti dell 'e tnografi a strutturale rivestono le forme dell'inda­ gine relativa alla correlazione di fenomeni culturali nel contesto situa­ zionale di una comunità segnico-ideologica, i cui livelli di espressione, di rappresentazione, di ritualizzazione, di mitizzazione e determinazio­ ne seguono delle regole specifiche che si trasformano o permangono a seconda dei meccanismi propri alla forma di riproduzione sociale della società in cui sono collocati . L'approccio di Bogatyrev ai fenomeni folclorici può definirsi co­ me approccio di tipo semiotico, le cui premesse metodologiche possono essere ri trovate nell'importante saggio del 1 929 scritto in collabora­ zione con Jakobson, « Die Folklore als eine besondere Form des Schaf­ fens )) ( 1 929 : 900-9 1 3 ) , il cui contenuto fu poi riesposto sotto forma ,

18.5

di tesi in > ( Volosinov, 1 9 2 9 a : i t. 1 976 : 1 2 1 ) . Ma il fatto stesso che Bogatyrev , con altri giovani stu­ diosi di letteratura e di linguistica, fra i quali R. Jakobson , abbia fon­ dato nel 1 9 1 5 il Circolo linguistico di 1\Iosca, centro di formazione, con l'Opojaz, del formalismo russo, testimonia il suo interesse per gli studi linguistici. Il Circolo linguistico di Mosca risend notevolmente della linguistica saussuriana attraverso S. Karcevsskij che aveva seguito a Ginevra i corsi di Saussure. Inoltre Bogatyrev, insieme a Trubeckoi . a Mukarovsky e allo stesso Jakobson prese parte dal 1 92 1 al 1 929 alla costituzione del Circolo linguistico di Praga che riprendeva lo strut­ turalismo saussuriano. Tuttavia, se, lavorando con Jakobson, Bogatyrev impiega il modello saussuriano langue-parole, negli scritti successivi procede anche alla utilizzazione di altre categorie. Al modello lingui­ stico-sistemico - che però non dava luogo, come invece avviene in al­ tri scritti di Jakobson (si pensi al rapporto che questi stabilisce fra linguistica e poetica) ad una posizione linguistico-centrica - già a par­ tire dal Contributo all'etnografia strutturale del 1 9 3 1 , si aggiunge l 'uti­ lizzazione della categoria di « struttura >> dichiaratamente ripresa dalla Gestaltpsychologie, traendone la definizione da Koffka. Rispetto a tale definizione Bogatyrev evidenzia l'importanza del riferimento, nel con­ cetto di « struttura » , alla correlazione e integrazione degli elementi ol­ tre che alla loro necessaria molteplicità. Ma l 'approccio strutturalista ai fatti etnografici è strumentale in Bogatyrev per la determinazione delle diverse funzioni dei fatti etnologici : lo struttulismo si situa in un'ot­ tica funzionalistica, differenziandosi però sia dal funzionalismo di un 186

Malinowski sia dallo strutturai-formalismo di un Radclife-Brown (C. Prevignano 1 979 : 55-56 ) . I fatti etnologici, sia ·che si tratti dell'albe­ ro di Natale o dell 'abbigliamento popolare o della canzone o degli uten­ sili o delle grida dei venditori ambulanti, hanno diverse funzioni : Bo­ gatyrev parla di polifunzionalità. Analizzare i vari modi di vestire si­ gnifica , ad esempio, evidenziare le funzioni che essi assolvono che vanno dalla funzione pratica del riparare dal freddo alla funzione estetica, di denotazione di stato, professione ecc. Ebbene tali funzioni si integra· no in una struttura secondo particolari rapporti gerarchici, che non sono fissi , ma si vanno modificando ed evolvendo con la modifica dei valori dei componenti della struttura . Non sempre una certa funzione, adesso presente, era anche presente precedentemente né continuerà ad esserlo; in seguito: tuttavia la sua presenza o assenza si situa pure sem­ pre in un rapporto strutturale con le altre funzioni , il cui studio per­ mette non solo la determinazione dello stato attuale del fatto etno­ grafico {studio sincronico) , ma anche la comprensione delle sue trasfor­ mazioni (studio diacronico) . Non sempre una funzione entro un certo tessuto strutturale si è determinata come dominante ed è la sua do­ minanza entro la gerarchia delle funzioni a far sl che ad esempio un vestito venga contrassegnato come vestito quotidiano, festivo, solenne ecc . Ora , la determinazione di un vestito come festivo, cioè come ve­ stito cui la funzione dominante, nella polifunzionalità gerarchicamente strutturata che lo caratterizza, è quella di significare esprimere la festa, è il risultato della messa in moto di una complessa dialettica segnica che investe il rapporto del complesso dei segni di cui il vestito è co­ stituito con il complesso di segni di cui è fatta la situazione spazio-tem­ temporale e ideologica di cui il vestito come tale fa parte. Da questo punto di vista la caratterizzazione del vestito è il punto terminale, ma non definitivo di una pluralità di catene segniche che rappresentano i luo­ ghi di produzione in cui si definisce il vestito " quotidiano ", " fe­ stivo " ecc. All 'approccio strutturale che permette la comprensione delle fun­ zioni del fenomeno etnografico si accompagna in Bogatyrev una consi­ derazione segnica del folclore. Anche per lo studio dei segni e delle funzioni è necessaria la categoria di struttura : infatti lo stesso segno

1 87

per esempio nelPabbigliamento ha funz io n i diverse a seconda degli al­

tri segni che lo accompagnano. Questo processo viene descritto da Bo­ gatyrev, sulle orme di Volosinov, come la trasformazione di « un fe­ nomeno della realtà oggettiva» in « fenomeno della realtà ideologica » cioè in fenomeno segnico ( Volosinov 1929 h : i t . 1980: 135 e segg.) . Affermare questo però non significa scorporare gli oggetti della loro realtà materia le , al contrario significa immetterli in una realtà mate­

riale più corposa perché pregna della storia che con le sue combi­ nazioni segnico - ideologiche ca rat te rizza i cosiddetti oggetti . Questa storia inscritta nei comportamenti segnici , ne lle forme verbali e non­ verbali del senso comune e nei meccanismi di produzione e riprodu­ zione di forme specifiche di organizzazione sociale diventa oggetto di una ricostruzione segnica, semantica all'interno di processi di interpretazio­ ne delle scienze sociali che operano ricomponendo le correlazioni se­ gniche sia ad un livello formale sia ad un livello più profondo indican­ do le leggi che governano la produzione di fenomeni segnico-ideologici in una formazione sociale determinata. Cosl le interpretazioni delle for­ me della cultura popolare sono forme di coscienza sociale oggettiva se non sono enunciati chiusi ma ideologicamente orientati e aperti ad una pluralità di discorsi altri e insieme proprio pe r questo aperti alla pos­ sibilità di una gestione collettiva del patrimonio segnico-comunicativo. Voglio dire che l 'analisi semiotica del costume popolare, del teatro popo­ lare, della canzone popolare in Bogatyrev, essendo ideologicamente orien­ tata, produce delle realtà segniche che, se preesistono e sussistono a livello di coscienza spontanea o indotta vengono poi organizzate in una forma ideologica determinata a livello di interpretazione, di presa di co­ scienza sociale, che vede Petnografia e le scienz� sociali orientarsi nella direzione della produzione di una realtà segnico-ideologica di tipo co­ munitario. Ripercorrendo l'analisi di Jakob son e Bogatyrev del folclore come 3 y < ye donna > (x ama y) 4 4 ) 3 y < y e donna > 'ftx < x e uomo > (x ama y) 214

Je due rappresentazioni in 4 3 ) e 44) daranno le due letture necessarie per tma corretta analisi dei valori di verità di 5). In questo senso la forma logica intesa nel senso della teoria standard estesa ha la capa­ cità di produrre rappresentazioni logiche che godono del requisito, ri­ chiesto dai logici , di disambiguare correttamente enunciati ambigui per renderli atti dia prova delle condizioni di verità , cioè il requisito di una lingua logicamente perfetta. Cosl la forma logica della TSE, determinata da considerazioni em­ piriche sulla struttura della frase, specifica le possibili interpretazioni logiche che si possono avere. Il punto interessante da notare è che questa capacità di rendere conto dei g iud iz i di verità e falsità è deri­ vata da motivazioni indipendenti sui fatti linguistici e quindi non cade nei problemi n cui va incontro una teoria della semantica che si fondi so)o su questi giudizi di verità e di falsità. La forma logica della Teoria S tandard Estesa produce delle rappresentazioni logiche non basandosi sulla determinazione delle condizioni di verità della frase, ma sulla de­ terminazione delle proprietà linguistiche di questa . Quindi l'obiezione sulla multiformità delle condizioni di verità non pregiudica la costru­ zione di queste rappresentazioni logiche. Il punto importante è che queste rappresentazioni possono servire anche per una corretta deter­ minazione dei giudizi di veri tà, ma non solo per questo .

C'è comunque il problema di rendere conto della multiformità delle condizioni di verità . Ciò è facilmente risolvibile affermando che esse possono essere determinate soltanto quando le rappresentazioni lo­ giche vengono interpretate nel complessivo contesto di enunciazione. In questo stadio della interpretazione le strutture semantiche derivate dalla forma logica verranno interrelate al coacervo di nozioni e fatti del contesto di enunciazione, per cui si verranno ad analizzare la va­ lidità delle presupposizioni degli elementi lessicali, la correttezza dei ri­ ferimenti o la modalità di certi rapporti anaforici : solo a questo punto sarà possibile enunciare corretti giudizi di verità. Questo è il campo di una teoria semiotica che studi le proprietà generali del riferimento, delle presupposizioni e dei rapporti anaforici . Questa teoria semiotica avrà il compito di derivare dalle rappresenta­ zioni prodotte dalla forma logica e dalla interpretazione del lessico la 215

interpretazione complessiva della frase. Questa teoria semiotica è an · cora agli albori e ]a sua crescita porterà grossi frutti per la compren­ sione dei problemi posti dal linguaggio umano.

R IFER I MENTI BIBLIOG R AFICI

t\usTJN A., Pbilusopbù·ul l'11pcrs, Oxford , 1 96 1 . BoNOMI A., (ed . ) La strr11111ra logica del linguaggio, Milano, 1973. RoNOMI A., Le vie del riferimento , Milano, 197 5 . CHOMSKY N . , (( Questioni cli forma cd interpretazione ,,, i n N . Chomsky, Forma ed i11terpre· taziom:, pgg. 89-133, Milnno, 1980.

RussELL

B.,

, in A. Bonomi (ed.) La strt11tura logica del linguaggio, pgg.

179-195, Milano, 1973.

216

INTERVENTI

SEMIO TICA E TEORIA DELLA LETTERATURA

FLAVIA RAv AZZOLI

IN MARGINE A UNA SEZIONE DI STORIA DELLA SEMIOTICA LETTERARIA

Lo studio della letteratura come sottoms1eme di una semtouca della cultura (verbale) avente per oggetto processi mentali , paradigm i ideologici, strutture cognitive e comunicative, sistemi codificati o codi­ ficabili di trasmissioni di senso , è uno studio storicamente determinato, ma in senso relativo, non causalistico, essendo kantianamente trascen­ dentale rispetto ai pur massicci condizionamenti spazio-temporali di qual­ siasi forma di produzione culturale, e quindi, per un verso o per l'altro, di p ertinenza intersegn ica . In questo senso, si può compre ndere perché in Italia lo studio della semiotica letteraria non sia s tato un oggetto culturale a presa ra­ pid a e neppure oggi sia sufficientemente affrancato da vischiose pre­ giudiziali concernenti l'etichetta stessa di « semiotica » (letteraria e non) e le metodologie via via introdotte dai suoi sempre meno sporadici cultori. Sta di fatto che il panorama tuttora prevalente da noi , in ambito della critica letteraria (anche accademica), risente con forza della gloriosa « critica di gusto » da un lato e d all ' al tro di una s ingola re fusione di parametri storicistici tardoidealistici e post-s tilistici (inclusivi dei pro­ dromi strutturalistici della scuola spitzeriana) : ancora, la critica ideo­ logica e la critica filologica, tra loro divaricate per oggetti e metodi, de­ vono vedersela oggi anche con la critica sempre più ) , 29, 1 978, 7 1 -80); GIU SEPPE GI LBERTO BI ONDI Strutturalismo e filologia. A proposito dell'Ode 1 , 1 di Orazio ( « Lingua e St ile » , 15, 1 980, 1 15- 126). Per fornire una idea più comple ta del rapporto postU!lato filol 0gia-semiologia nel duplice aspetto di continuità e di opposizione, ac­ cennerò cu rs oriamen te a qualcuno dei più importanti campi di indagine. 1

,

La ricerca delle fonti, per esempio, è stata uno dei cavalli di bat­ taglia della filologia positiva, ma essa si esauriva qua-si sempre in un rigoroso inventario di loci similes : adesso si recupera, ma sotto altra angolazione, in term ini di s trut ture letterarie sottese alle s tru tture del discorso. Cito come esempi il volume non dich ia rat a mente semiologico di G I AN BIAGIO CoNTE, Memoria dei poeti e sistema letterario. Catullo Virgilio Ovidio Lucano (Einaudi , Torino , 1974), e quello di CARME­ LO SALEMME, Strutture Semiologiche nel De Rerum Natura di Lu­ crezio ( Soc. Editr. Napoletana, Napoli , 1 980), oltre al su ricordato ar­ ticolo di Pasoli ed a quello di C LAUDI A FACCHINI To si, « Arte allusi­ va » e semiologia dell' «lmitationstechnik » : la presenza di Orazio nel­ la prima satira di Giovenale ( « Boli. di Studi Lat ini » , 6, 1976, 3-2 9 ). Sul tema più specifico delle citazioni poetiche , general men te occulte in poesia o prevalentemente esplici te in prosa, vorrei rim and are anche

a due miei lavori : Trifiodoro e Vergilio : il proemio della « Presa di Ilio » e l'esordio del libro secondo dell' « Eneide » (Istituto di Filol. greca, Palermo, 1976) e Basilio di Cesarea e la poesia greca ( comuni­ cazione letta al Convegno Internazionale su « Basilio di Cesarea, la sua età e il basilianesimo in Sicilia », in Messina, il 4 Dicembre 1 979, in corso di stampa negli Atti). 2 30

Un altro grosso tema di indagine nella filologia formalista è lo s tu dio dei generi letterari : ebbene, per un loro recupero in chiave se­ miologica molto si sta facendo, a partire d alle stimolanti ricerche di BRUNO GENTILI ( s op ra tutto : Aspetti del rapporto poeta, committen­

te, uditorio nella lirica corale greca, « Studi Urbinati », 39, 1 965, 70-8 8 ; L,interpretazione dei lirici greci arcaici nella dimensione del nostro tempo. Sincronia e diacronia nello studio di una cultura orale� « Qua­ derni Urbinati di Cult. Classica » , 8 , 1 969 , 7-2 1 ) e dal fondamentale ar­ ticolo di LuiGI ENRICO Ros s i, I generi letteral'i e le loro leggi scritte e non scritte nelle letterature classiche ( « Bull. Inst. Class . St. Lon­ don » , 18, 1 9 7 1 , 69-9 4 ), s eg u i to da ll o tt im a es empl ificazione Il dram­ ma satiresco attico. Forma, fortuna e funzione di un genere letterario antico ( « Dialoghi di Archeologia », 6, 1972, 248-302 ). Fra i contri­ buti più recenti : G. B. CoNTE, Il genere e i suoi confini. Cinque stu­ di sulla poesia di Virgilio ( S tampatori, Torino, 1 980). Ma vanno ricor­ dati ancora almeno l'articolo di CLAUDE CALAME, Réflexions sur les genres littéraires en Grèce archa'ique ( « Quaderni Urbinati di Cult . Clas­ sica », 1 7, 1974, 1 1 3-128), e i volumi di CARLO Ono PAVESE, Tradi­ ;doni e generi poetici della Grecia arcaica (Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1 972 ), Studi sulla tradizione epica rapsodica (Roma, Edizioni dell'Ate­ neo, 1974 ), La lirica corale greca. Alcmane� Simonide, Pindaro, Bacchi­ lide. I, Introduzione, Indice dei Temi e dei Motivi (Roma, Edizioni del­ rAteneo & Bizzarri , 1 97 9 ; il volume, con la pubblicazione degli indici '

elettronici, segna una tappa importante nelle ricerche di semantematica dello studioso ). Per altri campi di indagine giova molto meno il supporto della precedente filologia form�lista. Ne segnalo tre, tanto più ricchi di prospet t ive quanto più co mplessi si rivelano i sistemi segnici in giuo­ co : la narrativa, l epica greca arcaica di compos izione orale, il teatro. '

La narrativa. Già nel 1 969, fra i primi nell'ambito antico, FRANCE­ s co DELLA CoRTE i niziava una analisi « funzionale » del mito ed in

particolare delle fabulae d'amore, con l'occhio rivolto alla Morfologia della fiaba di Vladimir Propp , ed estendendo la applicazione di tale metodologia anche ad altri campi , come la favolistica ( mi limito a cita­ re il lavoro iniziale : Perfidus hospes, nel vol . Hommages à Marcel Renard, 23 1

Coli . Latomus 1 0 1 , Bruxelles, 1 969, l , 3 1 2 -3 2 1 , ora in F. D . C., Opu­ scula. Isti tu to di Filo1 . Classica e Medievale, Genova , IV, 1 97 3 , 293 8 ) Nel 1 973 il volume di TERES A M ANT E RO , Amore e Psiche. Strut­ tura di una fiaba di magia ( I s t i t uto di Filol. Classica e Medievale, Genova ), rappresentava un grosso contributo a tale tipo di indagine. Ma daJ la narratologia strut turalistica si è passati negli anni più recenti ad una narratologia semiologica. Mi limito alla indicazione di due vo­ lumi : Il mito greco. Atti del Convegno In ternazionale ( Urbino 7 1 2 maggio 1 973 ) a cura di B. GENTI LI e GIUS EPPE PAIONI ( Edizioni del­ l 'Ateneo & Bizzarri , Roma , 1 97 7 ), dove, accanto ad esempi di approc­ ci diversi, è presente tu tta una sezione dedicata alla analisi semiologica, che fa capo in massima parte aJla scuola «antropologica» parigina; AA.Vv . , La struttura della fabulazione antica ( Istituto di Filo! . Classica e Medie­ vale , Genova , 1 979), dove, tra gli altri , mi piace ricordare per il rigore me­ todologico il contributo di ANTONIO M . ScARCELLA, La struttura del ro­ manzo di Seno/onte Efesio ( 89- 1 1 3 ). A documentare l'interesse sempre crescente per questo campo di indagine segnalo il Convegno Internazio­ nale tenuto a Selva di Fasano (Brindisi ) dal 6 all '8 Ottobre 1 980 su « Letterature classiche e Narratologia », organizzato da Luigi Pepe, Ce­ cilia Gatto Trocchi , Carlo Santini e Paola Segoloni, del quale si atten­ dono gli Atti. Circa la possibilità di applicare le metodiche narratolo­ giche allo studio della poesia narrativa, e in particolare dell'epica tarda, conto di presentare al XVI Convegno Internazionale di Studi Bizantini (Vienna, 4- 1 O Ottobre 1 98 1 ) una comunicazione dal titolo Per una analisi attanziale dei « Dionysiaca » di Nonno. Buone prove su un epi­ sodio odissiaco quelle di C. CALAME, Mythe grec et st ruct ures narra­ tives: le mythe des Cyclopes dans l Odyssée ( ne Il mit o greco. Atti . . . .

-

v

'

cit., 369-392 ; anche in « Ziva Antika », 26, 1 976, 3 1 1-328) e L'univers cyclopée n de l'Odyssée entre le carré et l'hexagone logiques ( « Versus. Quaderni di studi semiotici » , 1 4 , 1 976, 1 05-1 12

=

v

« Ziva Antika »,

27, 1 97 7 , 3 1 5-322 ) . L'epica america. L'indagine semiologica sviluppa la sua ricerca su due principali livelli : il livello discorsivo, che à per fulcro il sistema segnico formulare , e il livello contestuale, che si fonda sulla cultura orale. Sui problemi relativi a quest'ultima rinvio all'articolo di B.

232

GENTILI, Cultura dell'improvviso. Poesia orale colta nel Settecento ita­

liano e poesia greca dell'età arcaica e classica ( « S trumenti Critici

»,

=

3 9-40, 1 979, 226-264 « Quaderni Urbinati di Cult. Classica », 35, 1980, 17-59 ), in attesa anche di leggere il volume Oralità a cura di B. GENTILI e G. PAIONI , che raccoglierà gli Atti del Convegno sul te­ ma omonimo organizzato nel Luglio 1 9 80, come già il Convegno ricor­ dato sul mito greco, dalrlstituto di Filologia Classica e dal Centro In­ ternazionale di Semiotica della Università di Urbino ( Edizioni dell'Ate­ neo & Bizzarri , Roma ). Per quanto riguarda la formularità, tra la selva

di contributi , mi permetto di rimandare, per teorizzazione ed esempi di analisi , al mio volume Lett ura di Omero : il canto V dell' « Odissea » . Introduzione, testo critico, traduzione, commento, appendice su testo e linguaggio, indici (Manfredi, Palermo, 1977 ). Un più preciso di­ scorso circa la interazione necessaria tra semiologia e testologia nello studio di Omero, a chiarimento e sviluppo teorico dei prindpi opera­ tivi segul ti nella edizione, avevo portato avanti in una comunicazione non ancora stampata, Semiologia, ideologia di lettura e critica testuale

nei poemi omerici, letta al Convegno Internazionale su « Strut ture semiotiche e strutture ideologiche » , in Palermo , 1'8 Dicembre 1 976. In ul timo, due parole sul teatro. E ' noto che per molti anni la filologia à considerato i testi teatrali antichi quasi esclusivamente come tes ti l e tt erari , studiando gli aspetti extralinguistici de-l teatro con me­ todi e fini prevalentemente archeologico-antiquari. Da qualche anno contributi di semiologia della letteratura si vanno offrendo nell 'ambito del teatro greco e latino : cito, per esempio, B. GENTILI, Il « letto insa­

ziato

»

di Medea e il tema dell'adikia a livello amoroso nei lirici (Salfo, Teognide ) e nella Medea di Euripide. Saggio di semiologia ( « Studi Cl as sici e Orientali », 2 1 , 1 9 72, 60-72 ), e OnnONE LoNGO, Il mes­ saggio nel fuoco: approcci semiologici all Agamennon e di Eschilo ( vv. 280-3 1 6 ) ( « Boll. dell 1 st. di Filol . Greca deH'Univ. di Padova », 3 , 1 976, 12 1-158); e non manca qualche buon esempio di indagine narratologica applicata al testo drammatico : C. QuE sTA, Il ratto dal serraglio. Euripide, P/auto, Mozart, Rossini ( Collana di semiologia del­ la narrazione l , Pàtron, Bologna, 1 979). Ma finora nessuno à provato '

'

a considerare semiologicamente il testo drammatico antico come fabula

233

agenda. Per questo il 29 Marzo 1 979, a Salerno, in occasione dell' « In­ contro di studi in memoria di Raffaele Cantarella », volli iniziare un discorso Per una semiologia del dramma attico , testé pubblicato negli Studi Salernitani in memoria di Raffaele Cantarella a cura di ITALO GALLO ( Laveglia, Salerno, 1 98 1 , 243-270), lavoro nel quale tento di trasferire, sulla base di attuali ricerche di fondazione di una semiologia del teatro ( e alludo in primo luogo al gruppo di ricerca guidato da Alessandro Serpieri : cf. AA . Vv. , Come comunica il teatro: dal testo alla scena, Il Formichiere, Milano, 1 978), talune problematiche e taluni resultati nello specifico culturale del dramma attico, offrendo anche qual­ che esempio breve di analisi. Non posso chiudere questa mia nota senza riprendere una per­ plessità manifestata inizialmente : perché la diffidenza di molti filologi verso la semiologia ? Osservazioni comuni, del tipo: « si mette vino vecchio in otri nuovi », oppure « è una moda che passa », dipendono, credo, dal peculiare background culturale del filologo classico. In altre parole, ci possiamo chiedere : perché la semiologia nasce e si sviluppa di più nel campo d'indagine moderno ? La ricerca di nuovi strumenti critici nasce dalla esigenza di una critica « scientifica » , oggettiva , in profonda reazione con la critica intuizionistica, soggettiva , che i n I talia si accentuò nella egemonia crociana. Nel campo della filologia classica, anche critici « crociani » come Gennaro Perrotta si ricordano di essere crodani all'atto di attribuire giudizi di valore, ma nell'analis i delle opere quasi mai perdono la positività della pratica filologica. Manca, dunque, per i filologi classici quella forte spinta al mutamento - che vuoi significare anche un concreto ritorno all'analisi dei testi - che poté animare la critica letteraria dell'ambito moderno. In sostanza, un'analisi scientifica positiva, strutturale dei testi era già nella prassi critica della filologia classica (che doveva e deve misurarsi sempre con preliminari problemi testologici ) prima che lo struttura­ lismo invadesse il campo con tutti i suoi risvolti teorici ed ideologici. Un'altra, grave difficoltà che è costata alla semiologia e al me­ todo strutturale l'ostracismo di una parte deHa critica, oltre a quello specifico dei filologi classici, è l'accusa di antistoricismo. La filologia, da parte sua, si è sempre basata sul metodo storicistico. D'altro canto,

23 4

l 'accusa di antistoricismo è fon da ta , ma a metà. È ve ro che sono esi­ stiti ed esistono tipi di stru tturalismo e di semiologia e talune loro

e:strapolazioni ideologiche (Lévi-Strauss, Lacan , Foucault, Barthes, Cho m sky ), che perdono i con t a tti con la realtà e t ra scurano le ist anze '

d a r te sarebbe una totalità che rinvia soltan to a se s te ss a libera da og ni costrizione storica o psi­ cologica ), ma è anche vero che nulla può dim os tra re che semiologia e metodo s t rut t u ral is t ico son o i ncompa ti bi l i con la storia, ed abbiamo in Italia un CESARE SEGRE, che, viceversa , può scrivere libri come Semio­ tica, storia e cultura ( Liv i a na Padova, 1 9 77 ) o Semiotica filologica ( Einaudi , Torino, 1 97 9 ), dove pa rla di strutturalismo d iacronico e di vali di , insostituibili nessi tra s emi ot ica e filologia. Un lat inista, GIU S EPPE PENNI SI, per ev i den z i a re la consapevolezza e la necessi t à di questa unione à cre ato il termine di « filo- semi ologi a » ( nel vol . Poeti c intellettuali nella Roma antica e tardoantica. Catullo., Fulgenzio., Casa del Libro, Regg io Calabria, 1 979). storici stiche poste da questa ( l'opera ,

,

D'altra parte lo scambio filologia-semiologia non è a senso unico. Anche la semi olog i a può dare il suo apporto alla filologia e nel campo dove più assoluto è i l dominio di questa, la critica testuale. A parte il ca­ se omerico , che più mi interessa e sopra ò ricordato , voglio segnalare specificamente l'articolo di MARINELLA TARTARI CHERSONI, Per un ap­

proccio semiologico in ambito di critica testuale (Verg. Aen. 4., 54) ( « Lingua e St ile » , 8, 197 3 , 277-289 ), e i contributi che al recente Convegno su « La critica testuale greco-l at i n a, oggi. Metodi e proble· mi » tenutosi a Napoli nei giorni 29-3 1 Ottobre 1 97 9 ànno dato B. GENTILI (L'arte della filologia), O. LoNGO (Critica del testo), L . PEPE (Critica del testo e narratologia). La semi ologia permette di riportare a m atrice unica , quella di s i st ema di segni, le varie d isc ipl i n e interessate alla ricostruzione di un t es to : a cominciare dalla lingua , il più ar ti col a to dei sistemi se­ mio t ici , per finire alla storia della cultura . Ma è a tt raverso il m e todo filologico che si può salvare la semi ologia , come nota Segre (op. cit.1 1 97 9 : 6 ), « dal narcisismo della parola e dall'ebbrezza di fughe senza r

i torno

».

235

G IOVANNI PA LMIERI

«

CHE' PER AMOR SON MORTO IN AMARORE

. . .

»

INTERTESTUALITÀ E CAMPI META FORICI NELLA POESIA MEDIOEVALE : « LA MORTE D 'AMORE »

Tutta la coscienza medioevale è attraversata e continuamente per­ corsa dal concetto di auctoritas; la Parola e Le Scritture sono i princi­ pali segni di un passato il cui recupero era, per il l\1edioevo, la possibi­ lità stessa di una identificazione. Lo stesso termine auctoritas derivava dal mondo giuridico romano e dal Cristianesimo antico. Garanzia totale ab alto di tutto ciò su cui si discuteva o si rifletteva, l'auctoritas era di­ ventata il modello stesso del sapere concepito in base a quel rigido or­ dine gerarchico che il concetto stesso di attctoritas implicava. Inevitabilmente, data la sua enorme estensione operativa, sul mo­ dello della sapienza religiosa si erano costituite delle auctoritates pro­ fane. « Questo incremento - scrive Alessio C) implicava che, al Jimite, ogni libro poteva assurgere ad auctoritas, purché scritto (per H prestigio che riveste lo scritto come evocazione di una parola passata) e purché tramandato [ ] » . Ecco quindi due elementi indispensabili che costituiscono l}auctoritas: la scrittura e la tradizione in quanto proces­ so di ricongiungimento storico con il passato . Queste due componenti però non coesistono a pari livello poiché la scrittura da sola è segno e garanzia di quel passato cui si ricollega e che reinventa ad ogni ope­ razione di riscrittura; si pensi al ruolo dei copisti come reinventori di mondi dispersi . Il concetto di tradizione quindi si affianca logica­ mente a quello di aucto1'itas : solo ciò che, scritto, entra in rapporto diacronico e collega emittenti e destinatari di epoche diverse, può co­ stituirsi come auctoritas. Questa è la condizione necessaria anche se non sufficiente. Emerge cosl un modello della cultura che, sulla base di quei me­ tatesti normativi e regolativi che diventano le auctoritates, gerarchizza -

. . .

237

cod ici

c

sistemi sc m i o t i c i preoricnt:mdo l i verso

modellizzazioni limi­

tate, stabili e statiche del mo n Jo La p roduzione di tes t i (e si parla qui di « testi della cultura » nell'accezione lotmaniana) è così orien­ tata verso la glossa al sa pe re passato in teso come codice interpretativo globale cui riferire ogn i tipo d i testo ; tipico, a q uesto p ropos i to , lo esercizio del co m me n to i n cu i il destinatario me di oev a l e del messaggio di civiltà pa ssate , diven ta a sua vol ta em i t tente d i un nuovo mes sag­ gio che è la glossa sempre più a m p i a c fuori - tema Del resto il miglior commentatore, o quello che s 'impone, dive nta lentamente auctoritas a sua volta e in questo i per t rofico proliferare di auctoritates ( come è stato notato da Alessio CZ) ) , il Medioevo porrà le premesse decisive per il suo superamento. In quest'ottica generale s'inquadra il concet to di tra­ dizione che è sempre tradizione testuale, scritta, sorta di orizzonte co­ mune inteso a :fissare il limite di u n indagine speculativa che non può orientarsi verso un futuro conoscitivo poiché ciò implicherebbe movi­ mento e quindi un'uscita trasgressiva dagli automodelli statici che il Medioevo ritiene imposti dalla Retorica divina attraverso configurazio­ ni simboliche. Cosl come la tradizione religiosa è composta da aucto­ ritates religiose , quella profana, che pertiene ai domini dell'invenzione letteraria, ha le sue aucto1'itates non tanto in grandi personalità del pas­ sato, quanto piuttosto nei testi, anelli di una catena invisibile e in­ violabile. Il rapporto con la tradizione letteraria che i poeti medioevali sta­ biliscono non consiste tanto in una dipendenza morale-ideologica dalle auctoritates, intese come serie biografiche esterne all'opera (questo ac­ cade soprattutto per canzoni etico politiche ; ad es. in Guittone e Chia­ ro}, ma in un complesso processo di intertestualità , meccanismo rego­ latore e normativa della (Omunicazione letteraria al cui interno si gioca gran parte dell'invenzione poetica. La produzione di testi poetici è , nel modello culturale medioevale, regolata da un meccanismo (intertestua­ le} che li collega tutti attraverso la comune partecipazione all'ambito generale dell'auctoritas e della traditio che abbiamo cercato di descri­ vere. La partecipazione dell'uno al tutto e la assoluta unità del siste­ ma culturale per cui anche la poesia doveva riflettere (specttlum} e ri­ mandare a strutture universali, sono del resto tra i caratteri più pecu­ liari della mentalità medioevale. .

.

'

-

238

La tradizione, secondo noi , viene cosl a coincidere con i rapporti intertestuali in posizione diacronica e si potrebbe definire come lingu:t di secondo grado costruita su una lingua base. L'autore attualizza in modo personale (con un atto di parole) ele­ menti della langue letteraria a tutti i suoi livelli (lessicali, sintattici, morfologid , ecc . ) ; nel Medioevo, però, lo scarto tra langue e parole a livello dei sistemi di modellizzazione superiori, è minimo e quindi l'intertestualità , genericamente intesa e il rapporto con la tradizione, n on va cercato nella lotta tra i testi o negli « scarti » individuali , ma semmai, al contrario, nel tentativo singolo di approssimazione utopica alla forma ideale e assoluta di certe codificazioni o stereotipi. Lì, in questo slancio di perfetta uguaglianza al modello , si possono individuare differenze anche notevoli fra poeti contemporanei ; l 'inno­ vazione rispetto alla tradizione non è quasi mai rottura, scarto, devia­ zione ma, al contrario, avvicinamento spasmodico, ideale, resa formale di un'ansia di partecipazione a qualcosa di comune, di universale. A quale livello si articola l 'intertestualità medioevale e quali sono le modalità di riferimento ai testi e alla tradizione? Siamo persuasi che i rapporti tra i testi in quella « proiezione della diacronia nella sin­ cronia » (per parafrasare Jakobson) che è uno stato di tradizione, si articolino a livelli estremamente più complessi e più ampi di quelli che riguardano, poniamo, i topoi o le codificazioni tradizionali dei generi; l'articolazione avviene a livello di campi metaforici, nozione che, al­ meno dal punto di vista operativo, la coscienza semiotica medioevale possiede benh�simo. Il meccanismo intertestuale, che è basato in genere su di un rapporto d'inclusione per cui l 'essenziale è « essere in qual­ cosa » (vale a dire partecipare di un ambito) , è costituito dal ricorso che i poeti fanno ai campi metaforici. Noi ci siamo occupati del campo metaforico della « morte d'amore >> ed abbiamo notato come questo vastissimo sistema metaforico e> sia ar­ ticolato in vari sottocampi metaforici, iponimi e subordinati rispetto al campo generale che, in quanto struttura generale, congloba centripe­ tamente tutto a sé : intendiamo parlare della « ferita d'amore », della « guerra d'amore » , del « fuoco d'amore >> , ecc . , che trovano nel riferi­ mento logico alla morte una zona di significazione comune. Non abbia­ mo quindi a che fare con un semplice insieme coordinato di testi, bensl

239

con un insieme che li travalica selezionando al loro interno la cristal­ lizzazione storica che ha formato i campi meta/orici; com'è noto, del resto, un insieme è qualcosa di più della somma delle sue parti . In questo senso è chiaro che i campi metaforici, inclusivi dei topoi, dei temi e motivi , e al di là delle codificazioni dei generi, costituiscono il sistema nervoso centrale di quella langue che si pone tra l'opera e i suoi contesti che è la tradizione letteraria. In un certo senso le vere auctoritates profane della poesia medioevale di ambito romanzo, non sono personalità morali o testi , ma campi meta/orici , imprescindibili insiemi di virtuali, singole metafore (4) . Lo studo diretto dei testi conferma l'operare dei campi metafo­ rici quale principio ordinatore della tradizione; ad esempio uno spoglio integrale di tutta la lirica alta d'amore italiana, da noi compiuto a par­ tire dalla scuola siciliana sino alla Vita Nuova, alla ricerca del cam po metaforico della « morte d'amore », dimostra non solo l 'alta frequenza di questo campo , ma soprattutto i costanti riferimenti, lungo tutto l'as­ se diacronico considerato, le precise coreferenzialità che molti poeti (fra cui tutti i maggiori) stabiliscono con questo vastissimo campo. Dallo spoglio e dai relativi confronti, emerge quella tecnica in­ tertestuale implicita nella langue basata, come si diceva, non sul prin­ cipio della rottura o dello scarto violento, ma sull'adeguamento a ter­ ritori che rendano partecipi di un ambito generale comune. Si esprime cosl un movimento duplice : da una parte il riferimento al campo me· taforico accomuna gli emittenti mettendoli in contatto tra loro, e da l­ l'altra li differenzia nel processo di attualizzazione dei prelievi con­ dotto con la tecnica della microvariazione. Ogni opera poetica, quale monade particolare, riflette in se stessa tutti i testi possibili nei limiti di un campo metaforico ; è infatti con la microvariazione di carattere combinatorio che il testo poetico medioevale realizza il proprio rapporto con l'insieme dei testi della tradizione. Vediamo ora qualche esempio riguardante il campo metaforico della « morte d'amore » {') : Chiaro

240

Davanzati,

V 3.56.

a)

( ... ) « Servendo vo' morire purché mi diate la morte sovente (6)

7

Guittone D'Arezzo, L 1 96.

b) la fasson dolcie de la donna mia che m'aucide sovente e mi risana

Panuccio Dal Bagno, L 91 .

c) la qual mi dà sovente morte passional, tuttor v ivendo ,

2

45

In tutti e tre gli esempi ricorre sempre lo stesso oximoron della morte come evento ripetibile, con piccole variazioni di contorno, men­ tre l'avverbio temporale resta identico. La modificazione individuale proviene dai differenti contesti in cui la microsequenza (quella della morte come evento ripetibile) è inserita : in a) la morte è richiesta co­ me logica conseguenza del Servizio d'Amore, in b) è il viso-sguardo che uccide sovente e in c} la morte è specificata come passionale. Questi esempi di rapporti intertestuali riguardano, come si sarà notato, poeti contemporanei; vediamo ora, sempre nel nostro campo me­ taforico, i rapporti tra la tradizione siciliana, siculo - toscana e Guido Cavalcanti . Diamo quindi alcuni esempi della tradizione che precede Guido:

Giacomo da Lentini, V l .

d) Adunque morire eo? Non; ma lo core meo

lO

more spesso e pi\1 forte che no faria di morte naturale,

Giacomo da Lentini, L 380.

e) La vita che mi dlè, fu la mia morte

Stefano Protonotaro, L 6 7 .

f)

La mia mort'è cortise eh'eo moro e poi rivisco.

46

Monte Andrea, V 536.

g)

Dolente me ; son morto ed

ag[g]io vita l

12

Il campo metaforico della « morte d 'amore » in Cavalcanti occu­ pa non solo un posto predominante rispetto alla tradizione, ma muta completamente valenze e funzioni articolandosi ad un livello diverso. Nei siciliani e nei siculo-toscani (con qualche lieve differenza) la morte viene assunta, per finzione, come « naturale », esistenziale ed il com­ plemento dialettico cui va riferita , per cooperare testualmente e coglie­ re pienamente il gioco formale e poetico, è la vita reale. Così « l 'arco » si tende tra due elementi (amore e morte) che vengono uniti da una 1·elazione di causa-effetto che viola quindi presupposizioni logico-seman· tiche e verifiche empiriche : da qui il valore costantemente Iudica di

24 1

questo campo nella tradizione poetica che precede Cavalcanti. Infatti il gioco formale sici1iano e siculo-toscano deriva dalla contrapposizione

di morte a vita e dall'assunzione del paradosso che deriva dalla meta­ fora riportata , implicitamente o esplicitamente, alla realtà esistenziale hors du texte: si confronti , a questo proposito, l'esempio d) e l'indi­ retta risposta cont en u ta in f) . In Guido Cavalcanti , senza rotture dra s t iche apparenti o devia­ zioni ,cambia tutto ; tutto essendo inserito in un mondo di riferimento ideale (quello stilnovistico, variante a ve rro i s ta ) mutato rispetto al passato . Qualche residuo della tradizione rimane , com 'è ovvio; ad esempio : ( . . . ) « Fatto se ', di tal, servente, e) che mai non dei sperare altro che morte

>>

13

( v , p. 77 )

Dove morte, conseguenza logica del Servizio d'Amore, si oppone a vita in quanto esistenza libera da schiavitù . Se nei poeti precedenti, la morte è eminentemente (ad eccezione del cuore che « muore » spes­ so) morte del poeta, in Guido, a causa della struttura retorica (por­ tante nella sua poesia) della fictio personae e della statica animazione drammatica, muoiono più spesso i « segni >> del poeta, vale a dire, gli attori principali del suo teatro interiore: mente, anima, cuore e altri minori (cfr. VII, V . 4 ; VIII e XIII, 1 4 ; XIV, 7-8 ; XX, 9- 1 0 , ecc.) . Ecco quindi che la « morte d'amore » si è spostata , coerentemen­ te con la poetica stilnovistica, da un livello prevalentemente soggetti­ vo ad uno oggettivo, diventando fine ultimo di ogni processo (ivi in­ cluso quello amoroso) ed elemento direttivo e condizionante della « pic­ colissima sacra rappresentazione » . E si tratta di un condizionamento univoco e fatalisticamente predeterminato da un copione scritto, una volta per tutte da Amore che fatalmente sfugge sempre al controllo ra­ zionale dell'uomo: la salute cavalcantiana; ricordiamo, a questo propo­ sito, il celebre sonetto di Guido « Noi sian le penne isbigotite » (XVIII, p. 1 0 1 ) dove i signa della scrittura poetica sfuggono sempre di mano al poeta per inseguire la loro natura testuale così come i segni dell'io (mente, anima, cuore ed altri comprimari minori) perdono il loro rap­ porto di referenza e per l'accumulo semantico di st rofe diverse. Da queste premesse si delinea l'intreccio : persa da poco la donna amata, in una notte di tempesta, un poeta accoglie nella sua stanza un corvo in cerca di riparo e gli pone un crescendo di domande sulla per­ dita della donna. L'invariabile prevedibile risposta nevermore viene cosl usata dal poeta per un'autocomunicazione sado-masochista. Ma accanto al livello realistico l'intreccio persegue una semiosi simbolica che si struttura come seconda isotopia del testo o « corrente >> di significato, « some under-current, however indefinite, of meaning » : 249

It is this latter, in especial, which imparts to a work of art so much of that richness (to borrow from colloquy a forcible term) which we are too fond of confounding wit h the ideal. I t is the excess of the suggested meaning - it is the rendering this the upper instead of the u nder current of the theme - which turns into prose (and that of the very flattest kind) the so-called poetry of the so-called trascendentalists .

S e lungo l 'isotopia realistica l 'intreccio di The Raven si pone nei termini riassunti dallo stesso Poe, lungo ques ta seconda isotopia sim­ bolica , come chiarisce l 'autore, la poesia rivela , nella stanza conclusiva,

un 'intenzione metaforica , che fa del corvo un em blema di ria. Le carenze nel narrato sono in realtà vuoti di narrazione . È il n� �· ratore a scegliere ciò che va detto, e in quale progressione . Ma solo può scegliere ciò che appar­ tiene al suo sapere : talvolta la verità è conosciuta dal personaggio ma non dal narratore, talvolta avviene il contrario, talvolta ancora la ve­ rità è m a ncan te perché non esiste C6) . 264

In questa prospettiva acquista particolare rilievo la definizione del narratore come un « io » - narrazione personale -, oppure come una mera funzione di trasmissione degli avvenimenti - narrazione imper­ sonale -. I termini « personale » e « impersonale » non equivalgono ai concetti di soggettività e oggettività, anche se parzialmente li rico­ prono. Talvolta la narrazione personale può essere, o pretendere di es­ sere, oggettiva , mentre il contrario sembra meno realizzabile. D'altra parte , la narrazione personale non coincide necessariamente con la par­ tecipazione agli avvenimenti - come protagonista, come testimone -, ma semplicemente categorizza la voce che trasmette la storia come quella di un « io » . La narrazione, in questo caso, viene attribu ita a un essere di natura analoga, se non identica , a quella dei personaggi c del destinatario. È lui a raccontare la storia . Nel caso della narra::ione impersonale , invece, è la storia stessa a raccontarsi, attraverso una voce non attribuibile, la cui veridicità, per convenzione, non può essere mes­ sa in dubbio. A meno che, mediante un gioco con le convenzioni - il che fa anche parte delle convenzioni - non vengano rimescolate tutte ]e carte. La narrazione personale apre un margine molto più ampio alla interpretazione : l'io può avere sempre una parte di interesse a nascon­ dere informazioni che lo riguardano, oppure, nel caso delrio protagoni­ sta della storia, essere incapace di abbracciare la realtà nella quale si trova coinvolto. Le carenze, i vuoti , risultano cosl in qualche modo giu­ stificati : rispondono a un criterio di verosimiglianza nella focalizzazio­ ne. In una proposta coerente con i limiti dell'io e delle sue possibilità di conoscenza, solo gli avvenimenti che egli è in grado di percepire ven­ gono enunciati. Nella narrazione impersonale, le carenze non sono più direttamen· te imputabili a una visione necessariamente ridotta degli avvenimenti . Anche qui , tuttavia, vuoti e ambiguità possono sussistere. Tale incom­ pletezza può essere messa in rapporto con i problemi della focalizza­ zione, per cui , malgrado l'impersonalità, viene fornito al lettore lo stes­ so grado di conoscenza di un personaggio. Ma questa riduzione, non rispondendo a una necessità di verosimiglianza - per convenzione, la voce narrante impersonale può essere onnisciente - rivela, al di là della difficoltà del personaggio a conoscere, l'inconoscibilità intrinseca 265

dei fa tti . La caratterizzazione pe rsonale e impersonale del

narr a tore non

è quindi scindibile dal livel lo semantico e s i n ta tt ico : anche la voce di chi narra genera il senso fantastico del racconto.

6.

Gli spiragli lasciati Jal narratore (concatenazioni aperte , m o�

t i vazi on i nascoste o inesisten ti , testimonianze più o meno i n cer te ) so�

no il margine che crea nel fan tastico la po ss i b il i tà di un a tteggiamento complice del lettore . Paradossalmente, rendono credibile l 'evento fan� t as t i co in quanto non lo propongono

come immagine

di una es perienza

ma di un'ignoranza : l 'evento è pos s ibi l e pe rché non si è m ani fe sta t o

in modo inequiv ocabi l e

e

quindi p u ò venire sia accettato che negato .

La linea de m a rca tori a tra fantastico e realismo, tra fantastico e mera� viglioso, si disegna in quel nulla che il lettore riempie con la sua l i­ bertà . Realismo e meraviglioso non conoscono aperture, fanno en tra m ­ bi parte di paradigmi dove ogni elemento ritrova la sua casella. Il ri­ chiamo alla complicità del lettore che formula il fantastico

è la solle­

citazione del vuoto : lo spazio da riempire, no n con le formule della sperimentazione letteraria , ma con la reale partecipazione nella costru� zione di u n a

verità. È

il fascino delle zone d 'ombra della esperienza

s tessa del lettore . I n quel vuoto possono sovrapporsi una spi eg a z i one razionale e una che non Io è , o, più per ico l os am en t e ancora , si può ma­ nifestare l ' imp oss i bi li tà di una spiegazione: l 'a pe rtu ra nella compattez­ za del narrato risulta un abisso . L'estetica del contrasto predominante

nel secolo scorso offriva comunque, anche dentro la destabilizzazione, un margine di sicurezza. Il livello seman tico poteva apparire contrad­ dittorio, ma era comunque un « pieno » di significato . Il

vamp i ro ,

se

è reale, può essere combattuto; paletto da conficcare nel cuore o pallot­ tola d 'argen to , l 'arma esiste per scacciare il terrore che si è insinuato nel quotidiano. Il vampiro - il fantasma , il doppio - ha uno spazio, che si sovrappone a un altro spazio già occupato , e lotta per scardi­ narlo, ma ha la debolezza del visibile : in qualche modo lo si può co­ noscere. Nel racconto fantastico di oggi questa minima sicurezza viene tendenzialmente soppiantata con la mancanza del nemico . Non più la lotta , ma l 'impossibilità di spiegazione di qualcosa che non si sa nep­ pure se sia avvenuta . In un

266

mo

ndo

tutto « naturale » , iscritto in un

sistema di realtà identificabile, si apre il baratro della non-significazio­ ne. L'eroe fantastico non ha più possibilità di combattere ; di fronte a

lui c'è il nulla: un punto in terrogativo . Molto più fantastico che un a legione di fantasmi .

più coinvolgente , molto

267

C> Sul concetto di convenzioni come regole che stnbiliscono il t i po di « vcri t:ì )) da ac· cettare secondo i generi , si ved a C. SEGRE, s.v., Finzio11c, in cc Enciclopedia Einaudi ))' Tori· no, 1979. e> Per una trattazione più generale del problema , si veda R. CAMPRA, Il fanlastiço; un.t

isotopio della trasgressione, di imminente pubblicazione in « Strumenti Critici )), 1981 .

( l) Sugli aspetti della sessualità perversa nel fantastico, si veda T. TonoROV, lnlroduclio'r à lo liuértJitlre {anlastiqm:, Paris , Scuil, 1 970 ( trad. it. l..a h•llt:rtl/uru /anltiSiica, Milano. G n r7.:mti , 1 97ì).

( 4) Sulla teoria dci

cc

mondi possibili )) in lcucratura, si veda U. Eco, LeC'Ior ;, /abu/11,

Milano, Bompiani , 1979, in p:Jrticolnrc i l cap. 8. C) Esperienze del tipo di quella ten ta ta da Cortazar in RaJ•ttcltt ( trnd . it. Il gioco del mondo, Torino, Einaudi, 1969)

-

in cui il lettore può scegliere o no determinati capitoli, c

in quale ordine - si inseriscono in un altro tipo di problematica, che esula dai limiti di questo lavoro.

("} Sulle funzioni e sul ruolo invcrante che alcune di esse possono svolgere , si veda R. BARTHES, Introduction à l'analyse structurole dcs récits, in « Communications )) , 8, Paris, 1966 (trad. it. Introduzione all'analisi struttttrale dei racconti, in AA.VV., L'analisi del rac­ conto, Milano , Bompiani, 1969) e L'elfet de réel, in cc Communications » , 1 1 , Paris, 1968. C) Trad . it. Aura, Milano, Feltrinelli, 1964. (1) Sulla motivazione come convenzione letteraria, si vedo G. GENETTE, Vraisemblable et molivation, in « Communications », 1 1 , Paris, 1968 ( t rad . it. Verosimiglianza e motivazione, in « Figure II », Torino, Einaudi, 1972). (') Trad. it. Estate, in « Ottaedro 1>, Torino, Einaudi, 1979.

(10)

Prendo il termine di « scioglimento regressivo )) da B. ToMASEVSKIJ, Sjuzetnoe pos­ lroenie, in « Teorija literatury. Poetika )), Mosca, Leningrado, 1928 (trad. it. Lo costruzione dell'intreccio, in Teoria della letteratura, Milano, Feltrinelli, 1978, p. 188).

(11) Questo tipo di struttura è stato analizzato da C. ACUTIS nel suo saggio Borges, scrit­

tore coloniale, in « Nuovi Argomenti 1> , 47-48, Milano, 1975; ora in AA.VV., Terra AmericJ (a cura di A . Morino ) , Torino, La Rosa, 1979. (11) Trad. it. Tlon Uqbcr Urbis Tertius, in Finzio11i, Torino, Einaudi, 1967. (l') Trad. it. Terrore al castello, Roma, Casini, 19.37. ('4) Sull'esitazione come elemento costitutivo del fantastico, si veda T. TODOROV, op. cit. ,

pp . .34, 4.3 della trad. it.

(15) Trad. it. Le armi segrete, in Bestiario, Torino, Einaudi, 1965. (16) Talvolta la mancanza di conoscenza è più semplicemente data come

mancanza di rico­

noscimento. Siamo allora in presenza di un altro fenomeno testuale : i meccanismi dello st:.:t­ niamento.

268

StMONETTA SALVESTRONI

PROCESSI

COMUNICATIVI E AUTOCOMUNICATIVI NELLA

DIARI STICA DI GUERRA

Come è stato messo in Juce da alcuni studiosi sovietici - in par· ticolare da Lotman, Bachtin, Vygotskij C) il processo autocomunicativo che si realizza rivolgendosi a se stessi con testi, discorsi, ragionamenti, è un fatto essenziale non solo per la psicologia ma anche per la storia della cultura. La trasmissione di un messaggio non ad un'altra persona ma a se stessi , quando non si riduce ad una pura funzione mnemonica, produce un aumento ed una trasformazione qualitativa dell'informazione, che rior­ ganizza la personalità e si connette ad una vasta gamma di funzioni cul­ turali, al senso della propria individualità necessaria all'uomo in deter­ minati tipi di cultura, all'autoidentificazione, all'autopsicoterapia . -

Nell'ambito letterario

è il genere diaristico ed autobiografico

a

svolgere una funzione analoga, sebbene più complessa. In questo caso il processo comunicativo si sviluppa infatti contemporaneamente in due di­ verse direzioni : IO-EGLI, dove IO è il soggetto della trasmissione (l'au­ tore) e EGLI il destinatario diverso dal mittente (il pubblico) , e 10-TO, dove il mittente e il destinatario invece coincidono. Un esempio di particolare interesse in questo senso è costituito dal­

la diaristica di guerra, in cui il gioco col destinatario è complesso e varie­ gato. Scritti quasi tutti fra il '15 e il '18 durante lo svolgersi degli avveni­ menti, i diari e le testimonianze degli intellettuali italiani richiamati al fronte nascono da molteplici e intrecciate motivazioni . L' « uso pubblico » - tutt'altro che garantito dalJa precarietà della situazione e rimandato comunque alla fine del conflitto - non è esclu­

so. Anzi, il bisogno di testimoniare sia a chi la condivide, sia a chi ne resta o ne resterà estraneo, la vicenda eccezionale della guerra è quasi sem­ pre una componente di primo piano.

269

Non hanno però minore rilevanza o valore altre funzioni che si sviluppano nel rapporto esclusivo fra un « io » mittente e un « io » destinatario che paradossalmente si identificano solo in parte. Come è stato recentemente messo in evidenza da Lotman, « il vantaggio collettivo dei partecipan ti all'atto comu nicativo è prodo tto dalla non identità dei modelli nella cui forma si riflette il mondo ester­ no nella loro coscienza » e) . L'utilità del partner nella comunicazione sta dunque proprio nel fatto che egli è un altro. Analizzando il genere autobiografico e più ampiamente i processi autocomunicativi bisogna però tener conto del fatto che qualsiasi mecca­ nismo pensante e a maggior ragione l'intelletto umano deve - secondo Lotman - « possedere (in uno schema minimale) almeno una strut­ tura dialogica (bilinguistica) » C) e che l' « io » del quale racconto è impossibile, come è impossibile sollevarsi prendendosi per i propri capelli )> C) . Nel genere autobiografico abbiamo dunque un « io » autore (esterno all'opera) che trasmette il messaggio, un « io )> personaggio che sta rispetto all 'autore su un altro piano sematico (parla e si muove cioè come partecipante alla vita rappresentata, è creato e non creatore) , 270

e infine un « io » destinatario , che si trova sullo stesso piano del �it­ tente e che non riceve il messaggio di partenza che sarebbe in questo caso del tutto ridondante ma un 'informazione supplementare. È appun­ to fra il primo e il terzo « io » che grazie alla mediazione fornita dal­ l ' « io » personaggio a l l 'in terno del « meccanismo potente e dialettico di ricerca della ver it à » ("') costituito dal testo ar tistico, si sviluppa quel fruttuoso rapporto conflittuale, quel dialogo fra due coscienze e visio­ ni del mondo che appartengono alle stesse persone ma non sono in tut­ to e per tutto coincidenti, che consente un arricchimento e una riorga­ nizzazione della propria personalità. Il processo autocomunicativo, che è alla base dell'autobiografia proprio per le possibilità che offre alP individuo di riprodurre la realtà del suo io, di ricrearla scegliendo l'angolazione da cui presentare se stesso personaggio, lo spazio, il tempo, le vicende fra le tante vissute in cui collocarlo, è un meccanismo estremamente complesso, capace di svilupparsi in diverse e a volte antitetiche direzioni. I numerosissimi diari scritti durante e dopo la grande guerra, so­ no espressione di un'esigenza collettiva che accomuna al fronte non so­ ]o gli intellettuali ma quasi tutti coloro che san no leggere e scrivere. Essi si differenziano profondamente gli uni dagli altri fino a for­ nire dell'esperienza comune al fronte e delle stesse ragioni che induco­ no a raccontarla quadri e motivazioni profondamente diverse e a volte antitetiche. Da un lato il diario è un mezzo efficace per approfondire la cono­ scenza di se stessi in rapporto agli altri e all'epoca in cui si vive, per trovare e affermare la propria identità e orientarsi nel mondo reale. Come scrive Maria Corti in Principi della comunicazione lettera­ ria ci tando Proust, se l'io permanente che si prolunga per l'intera du­ rata della vita è costituito dai tutti i nos tri io successivi, uno degli oh­ biettivi degli automessaggi testuali è « la comunicazione fra questi > successivi, desiderio di sfuggire alla cancellazione memoriale di istant.i irripetibili, al frutto del loto, alla soluzione della continuità inte­ riore C) » . Il diario può offrire inoltre contemporaneamente la possibilità di evadere dalle angustie e dai limiti del reale, di correggere cioè attra271

verso abili .filtri e soluzioni fino a render]a gratificante una vita inade­ guata rispetto alle proprie esigenze ideali. O ancora, in uomini come Emilio Lussu e Piero Jahier, il diario-testimonianza nasce dal bisogno di fornire attraverso se stessi e il proprio comportamento un modello esemplare. A volte distinte, queste motivazioni tornano più spesso intrec­ ciate nella memoralistica di guerra in un gioco dialettico ricco e sfac­ cettato. Infine, nel contesto di una realtà sottoposta a regole rigorose e modelli di comportamento imposti dall'alto, ma caratterizzata anche da clamorose infrazioni , anomalie e disordine, i diari costituiscono docu­ menti preziosi per un'analisi scmiotica del comportamento, che mi sem­ bra valga la pena di sviluppare secondo l'impostazione teorica data da Lotman al problema. Fra i tanti testi autobiografici sulla grande guerra , Con me e con gli alpini di Piero Jahier e Un anno sultAltipiano di Emilio Lussu so­ no due opere particolarmente significative per la ricchezza di motiva­ zioni che ne è alla base, per i programmi e i testi di comportamento tanto diversi che le caratterizzano, ma soprattutto per i complessi rapporti comunicativi e autocomunicativi che attraverso di esse si sviluppano . A differenza della maggior parte dei diari, pubblicati dopo la guer­ ra e a volte anche a molti anni di distanza dalla stesura, il libro di Jahier fu spedito dall 'autore durante la rotta di Caporetto e per qualche mese considerato perduto. Arrivato invece fortunosamente a destinazione, usciva sulla rivista « La riviera ligure >> già nel gennaio del 1 9 1 8 . Le vicende del manoscritto - raccolta di notazioni personali, poe· sie, massime più che vero e proprio diario - testimoniano un desiderio tanto pressante di vedere pubblicato il proprio lavoro da far accettare all'autore il rischio di perderlo nella confusione della ritirata . L'esigen­ za comunicativa domina dunque in questo caso su quella autocomuni­ cativa che ha tuttavia, come vedremo, un ruolo tutt'altro che secondario. Fin dalle pagine iniziali il libro si caratterizza come costituzione-ri­ cerca di un modello esemplare da fornire attraverso se stesso ai com­ battenti, ma anche a tutta la nazione in vista di un programma di rin­ novamento che dovrebbe coinvolgere la stessa società civile. In questo 272

senso J ahier personaggio assume un ruolo di primo piano come ele­ mento di mediazione fra Jahier autore (mittente dell'opera) e Jahier destinatario, che attraverso il suo protagonista può osservarsi dall'e­ sterno, correggersi , porsi regole e programmi da rispettare per fare di sé e della sua straordinaria esperienza un esempio per gli altri . Di qui l a forma dell'opera , dove alla narrazione della vita di addestramen­ to nelle retrovic si alternano massime indirizzate dall 'autore a se stesso, un processo educativo che deve comprendere però anche i lettori : Ma tu , ricordati di FARE IL BENE CON disfazione , chi non fa 1·cbbe bene ? C')

DI S PERAZIONE.

Se fosse con sod­

Oppure : 'fU NON

PERS UADERAI -

scarpe nel fango - Non

che quel che è in te persuaso . - Abbi le loro ti sedere finché s tanno in piedi ... (9)

O ancora : Profittare ogni giorno - di questa chiarezza di moribondo che la guer­ ra ha donato ( 10 ) .

Nella vita rappresentata il personaggio si pone rispetto ai suoi alpini nella posizione di educatore-educato. Il suo compito è - scrive ­ « portare i suoi soldati alla luce » , « spiegare loro che è per una grande cosa che combattono » C1), essere il primo a fornire un esempio di disci­ plina e di sacrificio. Ma la grande scoperta, annotata fin dalle prime pa­ gine ed offerta al lettore come esperienza esemplare, è il processo di apprendimento che si compie in lui, Jahier, il suo « salire di livello » attraverso il contatto con una diversa cultura, « ritrovando - scrive dopo la confusione dei tanti libri nella freschezza di questa umanità ( 12) . nuova la sua anima pura » Facendo suo il modello di vita delle masse contadine della mon­ tagna, Jahier intende ritrasmetterlo attraverso il suo diario-testimo­ nianza, arricchito della sua coscienza di intellettuale consapevole del­ le ragioni di una guerra giusta. I processi comunicativi e autocomunicativi che si sviluppano nel libro sono tuttavia assai più complessi . Nel dialogo che l'autore intrec­ cia col se stesso destinatario grazie alla mediazione dell'io personaggio affiorano rispetto al quadro di partenza - al modello cioè nelle cui forme 273

si riflette il mondo esterno nella coscienza del m i t ten te contraddizion i e incrinature. In Con me e con gli alpini l'elemento che il destinatario -

non può decifrare servendosi del codice che il testo aveva all'inizio ge­ nerato nella sua coscienza, è una « domanda angosciosa che torna » nelle pause del processo di apprend i me n to del capitano Jahier o addirittura mentre egli « ripassa a una a una le virtù » i mpa ra te dai suoi sold a t i . Se la guerra ha un valore morale - scrive J ahier - : rieducarc alla salute, alla mansuetudine, alla giustizia, attraverso il passaggio nella pena della privazione e distruzione, perché sopra tu tto debbono por­ tarne il peso questi che erano nella privazione e mansuetudine, e non desideravano più che la salute? ( u)

E più avanti : MA QUE STA GUERRA - non dire neanche che è una lezione . - La di­

s t ruzi one non è una lezione. Muoiono i migliori, muoiono i soli che potessero approfittare (14).

Come abbiamo detto precedentemente, citando Lotman, l'essenza della personalità può « venire trattata come un assortimento individuale di codici socialmente significativi » . In questo caso il testo rivela al­

l'interno del personaggio Jahier due modelli del mondo (di quella guerra e delle sue funzioni) : il primo cosciente e legato alle ragioni dichiarate nel diario-testimonianza, il secondo più implicito e soffoca­ to, ma tuttavia presente e in conflitto col primo.

Ora, proprio Io staccarsi da sé per fissare sulla carta, selezionan­ doli e riorganizzandoli , episodi, momenti, pensieri diversi dalla sua vita, permette a Jahier, mittente e insieme destinatario dell'opera, di

osservarsi dall'esterno nei diversi aspetti della propria personalità . In questo modo il destinatario riceve un'informazione supplementare ri­ spetto a quella che il mittente intendeva trasme ttergli e il dialogo si sviluppa fra partecipanti alla comunicazione i cui modelli del mon­ do non sono identici, cosl come non coincidono i codici che organiz­ zano la loro coscienza. ,

La

> . Quando il pragmatista Peir­ ce dice : « un'icona, o immagine , senza vincoli con l'esperienza » (3 .459) indica lo stesso procedimento del patrista Clemente Alessandrino quan­ do tra il II e il I I I secolo dice : « ciò che si può solo pensare è icono­ clastico » (Protreptico). Uguale il processo, differente il sistema selet· tivo : icona per Peirce, anicona per Clemente. Coerente Clemente, in­ coerente Peirce. Clemente svalorizza la pittura e la scultura in quanto iconiche, Peirce assume l'icona in quanto procedimento aniconico . In tema di storia della semiotica, l'aporia fondamentale di Peirce vient! emergendo. Inconsciamente Peirce trasgredisce la propria >

(2.277), « gli enunciati astratti sono senza valore nel ragionamento s� on ci aiutiamo a costruire diagrammi (o ragionamenti per icone) >) ( 4 . 1 2 7 ) , « i diagrammi di Eulero non sono iconici perché rappresentano la realtà, ma perché rappresentano una logica che è gove rnata dalla stessa legge dei diagrammi » (4 .368 ) , 352

«

l'icona è una pura relazione

di ragione >> ( 1 .327 ) . Un lapsus è ammissibile parlando , non scrivendo un trattato ! L'astrattismo semiotico di Peirce usa il surrealismo artistico per veicolare una procedura scientifica . Tale eclettismo, è ingombrante come vis ione e depistante come metodo .

9 . Se poi entriamo nei caratteri fitomorfici dell'icona estetica, la loro immediatezza di mimesi naturalistica , porta ad una storia de1Ia rappresentazione che se può andare dai > .

»

p resuppone quello

La storia della marca con­

notativa della 1'iduzione dell'icona mostra i tratti elementari di quei s ignificanti che si riferiscono ad una rete di posizioni alPinterno del

campo seman tico « estetico >> e ad una rete di posi zioni all'interno di diversi campi se man tici : « estetico-semiotico » , « semiotico >> e (( semio­ tico-logico

>>

(rif . : U . Eco, 1 975, 2 . 9 . 1 , p . 1 22) .

1 7 . Il concetto di riduzione dell 'icona in campo estetico può porsi

cominciare dal progetto grafico di Kallikrates per il Partenone ( 44 7 a .C.), mentre in campo fi losofico c'è ancora confusione sulla semantica della . Ne so­ no stati identificati sei : conservatore ( che rappresenta il 22 % della popolazione), consapevole ( 20% ), d'impulso ( 9% ), influenzabile ( 14 % ) , anticonsumista ( 18 % ), integrato ( 1 7 % ). L'accuratezza che danno dell'immagine dei consumatori e delle loro abitudini ·si può vedere da una descrizione più ampia che di due profili diamo nella nota C > e dai dati che si possono leggere nella Ta­ bella, relativi al consumo di tre prodotti di largo consumo e tra loro sostituibili : lama da harba tradizionale, moderna (bilama, i njector , ra­ soi a perdere, ecc.) e rasoio elettrico. Risulta evidente che ognuno dei tre prodotti ha delle fasce di preferenza , che influiranno sulla campagna marke ting (si venderà cia­ scun tipo di prodotto alla fascia che lo preferisce : fare altrimenti o non .3 63

tener conto dei dati equivarrebbe ad un sicuro spreco di energie) e sulla comunicazione relativa .

In quest'ultima dovranno trov a re riscontro con le caratteristiche del target group la scelta sia dei degli elementi espressivi ( lessico le ) e sia del grado di costruzione un giuoco continuo di gradazioni

topics del messaggio pubblicitario sia e sintassj verbale, grammatica visua­ retorica che sottende il messaggio , in di comprensibilità e originalità , e di

informazione e ridondanza .

2.2. Psicografia Eurisko Per ' p s i c o g r a f i a ' si intende una « ricerca quantitativa at­ ta a collocare degli individui o dei gruppi su dimensioni psicologiche 0 psicosociali numerose e sistematiche » ( Calvi 1 97 7 , p. 1 1 7 ). Il ter­

mine i ta lian o può suggerirne una natura prevalentemente psicologica o psicoanalitica , che invece - come meglio evidenziano i corrispettivi inglesi li/e styles e social trends non ha. In I talia ne viene condotta una generale annuale dall 'Istituto Eu­ -

risko, sotto la direzione di Gabriele Calvi . Qui facciamo riferimen­ to alla terza, condotta nel periodo au t unno 1 97 8 e primavera 1 97 9 ( cfr. Calvi 1 9 80, pp . 1 4 3-2 4 0 ). Il suo concetto di base è quello di stile di vita, defini to come «

configurazione globale e non casuale dell'agire » ,

«

insieme dotato

di senso e tale da far supporre una sua organizzazione intenzionale, secondo un progetto » ( Calvi 1 980, p. 147 ). Ne vengono identifica ti 1 1 , sulla base dell'esame di quattro inventari , i da ti dei cui items so­ no già da considerare come indicazioni preziose sui sistemi di attese del target group, anche a livello linguistico-semantico. A. L'inventario degli orientamenti compartamentali riguarda l'ac­ quisto di una vasta gamma di prodotti ed è costituito da 1 1 6 frasi di­

stribuite in 1 6 sezioni , tra cui raccesso a negozi e supermarket , salute igiene e cura della persona, gestione e cura della casa, attività · sociali

e

divertimento, stile d'impiego d elrautovet tura , ecc.

B. L'inventario dei convincimenti di valore ( 2 6 scale di tre frasi

36 4

ISPI 1 979 Target uomini:

-

CONSUMI Lame barba tipo

% penetrazione

Consu matori- forti + medi

Rasoio

Moderno

elettrico

28,8

34,2

2 1 ,1

23,4 22,0 28,0 44,0 24,9 14,9 25,0 3 1 ,7 35,1 35,7 47,0

4 1 ,0 42,6 44,6 15,9 42,6 26,5 33,7 40,2 3 1 ,7 25,6 16,1

27,4 27,9 19,5 20,2 24,0 1 0,3 23,3 1 6 ,5 1 0,5 24,8 1 5 ,3

27,1 25,6 26,4 34,8 29,9

31,1 3 1 ,9 39,6 36,1 32,8

29,5 3 3 ,5 20,1 8,1 7,1

3 1 ,2 32,1 28,9 28,2 26,1 25,3

29,5 24,2 32,1 3 7 ,7 4 1 ,0 4 1 ,8

20,4 24,7 20,4 18,7 25,2 20,7

32,8 29,4 28,5 30,5 24, 1 27,4

35,0 35,5 34,5 32,9 3 1 ,6 35,1

22,8 20,9 1 4,8 24,7 23,4 1 8,2

Tradizionale

Classe socio-professionale

Imprenditore: Ceto medio: Docenti Studenti Operai: Pensionati:

libero .profess ., di rig fascia al ta medio-bassa agricoltori

fascia al ta medio-bassa braccianti fasci-a medio-alta bassa

.

Area geografica Nord-Ovest Nord-Est Cen tro

Sud Isole

Ampiezza Centri fino a 5.000 abitanti 1 0-30.000 abitanti 5-10 .000 abitanti 30.000- 100 .000 abitanti 100-250.000 abitantioltre 250.000 abitanti Stile di consumo A. Consumatore conservatore B. Consumatore consapevole C. Consumatore d'impulso D. Consumatore influenzabile E. Consumatore anticonsumista F. Consumatore integrato

365

ciascuna ) riguarda il consenso ai valori sociali, cosl suddivisi : etico­ sociali, politici, della relazione interpersonale ( = valori di patriarcali­ tà, famiglia , liberazione femminile , permissività sessuale ), ecologici e del­ l'identità formale. C . Gli indicatori complementari in genere corrispondono ai con­ sueti parametri sociodemografici e di esposizione ai media. D. I dati di orientamento politico sono una novità di questa ter­

za edizione. Gli 1 1 stili di vita sono così denominati : ricchezza e prestigio

( A ), eleganza e bellezza (B ), sport e divertimenti ( C), ruolo e posizio­ ne (D), affari e traffici ( E ), famiglia e fantasia ( F), fabbrica e casa ( G), casa ( H ), controcultura ( l ), povertà consumistica (L) e povertà arcai­ ca (M). Nella nota C) riportiamo la descrizione della coppia degli stili

di vita H e I , costituita dal gruppo tradizionale cattolico e dal gruppo gi ovanile protestatario e radicaleggiante, perchè è la coppia che pre­ senta il massimo di polarizzazione dei valori È opinione diffusa tra i pubblicitari che operando su opportuni incroci di dati, con la psicografia sia possibile raggiungere quello che è l'ideale utopico di ogni comunicatore: un ritratto del pubblico co­ me mai era stato possibile prima (cfr. Vecchia). Questa è l 'impostazione della psicografia generale, ma esistono delle psicografie particolari, limitate cioè a segmenti precisi di consu­ matori (di un prodotto per es . o di una m arca ) o di lettori .

.

Per es. Famiglia Cristiana è stato il primo periodico che già nel 1 977 aveva fatto condurre una psicografia dei propri lettori, le cui conclusioni si possono trovare riassunte nella nota e>. I dati sono stati utilizzati sia nella impostazione della comunicazione promozionale del­ la rivista su altri periodici, e sia nella pianificazione della linea edito­ riale (scelta degli articoli, linguaggio verbale e visuale, pubblicità, e comportamento del periodico stesso) per dare una risposta sempre adeguata e aggiornata alle attese dei propri lettori. La validità, almeno conunerciale, di questo processo di adeguamento è provat a dal fatto che da anni Famiglia Cristiana} nonostante agguerrite concorrenze, re­ sta il settimanale più diffuso e più letto in Italia. 366

Lo spazio della comunicazione non ci consente un esame detta­ gliato della corrispondenza tra dati della psicografia e linea editoriale da una parte, e tra dati della psicografia e campagna promozionale dal­ l'altra . Vorremmo però, molto brevemente, far notare le convergenze tra psicografia e alcuni elementi semantico-ideologici contenuti in al­ cune inserzioni promozionali di Famiglia Cristiana. Dal confronto sem­ bra che il creativo, che ha composto i messaggi, si sia quasi limitato a mettere in ordine e rendere ' leggibili ' al non addetto ai lavori ci­ fre e caratteristiche di solito aride ed ermetiche, con un semplice pro­ cedimento di messa in rilievo linguistica e grafica. Ecco alcuni esempi di headlines : « Parliamo tranquillamente della crisi che attraversa U matrimonio. Eppure abbiamo la famiglia più unita d'Italia » ; « Par­ liamo seriamente di droga e allucinogeni. Eppure in famiglia non usia­ mo altro che acqua e vino » , « Parliamo tranquillamente di pillola e contraccettivi . Eppure abbiamo la famiglia più numerosa d'Italia », « Famiglia Cristiana : 7.000.000 di fedeli », « Famiglia Cristiana. Le 1 50 pagine di attualità, politica, cultura e moda più lette in Italia.

7 . 000 .000 di ' fedeli

'

».

3. Orientamenti linguistici Le variabili psicosociali della media research possono , quindi, di­ ventare variabili linguistiche e le operazioni di segmentazione di un target group e di pianificazione di una strategia comunitaria possono essere viste anche come momento linguistico, quello della scelta di un potenziale semantico-ideologico e linguistico-espressivo gradito sia al destinatario che all'emittente, evitando cosl dispersioni , ambiguità o ri­ pulse e annullando o riducendo al minimo qualsiasi « rumore )> se­ mantice. Volendo riepilogare e completare le riflessioni sparse in queste righe, possiamo riorganizzare gli orientamenti linguistici attorno a quel­ li che sono i momenti della creazione retorica. L'inventio ha lo scopo di trovare i t6poi} cioè le basi di un'argo­ mentazione, e da Aristotele ad Eco (cfr. Eco 1979) si insiste nell'affer­ mare che l'efficacia dell'argomentazione nasce dalla comunanza di gra367

dimento delle basi argomentative. Ora i dati della media research co n­ sentono all'emittente di scegliere i destinatari del proprio prodotto e della propria comunicazione tra i segmenti della popolazione le cui scelte valoriali e i cui comportamenti sono i più vicini a quelli propri . Inoltre a questa scelta si associa quella delle modalità comunicative ( temi, modi di presentarli e segni che li presentano) richieste dalla personalità dei destinatari , da quello che questi conoscono e vogliono. Questa scelta diventa poi concatenazione, in una continua alta­ lena tra informazione e ridondanza, tra originalità e quotidianità, in un giuoco di seduzione fondato sul non detto e sull 'implicito, in cui seduttore e sedotti sono già al loro posto, sicuri e contenti del ruolo che devono ricoprire. Nell'elocutio l'ausilio di queste conoscenze si fa più prezioso nel calibrare i singoli componenti della funzione segnica multimediale del­ la comunicazione pubblicitaria alle capacità e alle esigenze dell'inter­ locutore . Cosl a livello di comprensibilità del messaggio spesso è par­ ticolarmente difficile determinare con esattezza i confini di dove egli

si sia attestato, per l'interpretazione sia degli elementi singoli e della lo­ ro concatenazione e sia delle tecniche e procedure retoriche implicate. Si ricordi lo storico slogan : « Chi vespa mangia la mela » e ci si chie­ da quanti hanno capito il suo significato. Pubblicità artisticamente va­ lida ed esteticamente bella non sempre coincide con pubblicità efficace, il più delle volte perché il messaggio non è alla portata della soglia di comprensibilità dei destinatari. A livello, poi, lessicale e semantico, di solito non si tiene nel do­ vuto conto il giuoco connotativo che fa perno sui cosiddetti carrefours

linguistici : termini che per gruppi sociali o anche per precisi periodi sto­ rici non si limitano ad essere meri indicatori neutri di realtà extralin­ guistiche, ma che diventano vere concentrazioni di reazioni emotive, capaci da sole di provocare consenso o dissenso, per una loro quasi automatica corrispondenza ad una sorta di gerarchia di priorità psico­ logica più o meno inconscia (cfr. Di Sparti 1 975, pp. 42-47). Un altro aspetto che ci interessa sottolineare riguarda l'esisten­ za presso gruppi sociali ben determinati di una specie di vocabolario minimo , essenziale, costituito dalle parole più usate secondo esigenze 3 68

di economia comunicativa e psicologica (corrisponde al « codice ristret­ to » di B. Bernstein), e di norme abi tua li di co-occorrenza di termini ( queste invece corrispondono al concetto di « disponibilità » o di « col­

locazione >> proprio di J. R. Fir th ). Questi due elementi rappresenta­ no, per cosl dire, il 1 territorio 1 comunicativo ed espressivo del grup­ po, sul rispetto dei cui confini si riconosce la relazione di intimo-estra­ neo, e quindi di cred ibile /non credibile. Una comunicazione che non ne tiene conto rischia di presentarsi come estranea , con le riserve che ne derivano per la sua credibilità . Con ques ta indicaz ion e ad a deguar si al destinatario non si vuole tagliare la lingua alla pubblicità, nè tanto meno livellarla in ba sso : in­ teressa, invece, stabilire la priorità di criteri di funzionalità comuni­ cativa rispetto a quelli di bellezza estetica o di originalità assoluta . Infine, anche a livello di generi letterari , di modalità dell'espres­ sione e di gradi di coinvolgimento del destinatario, seguire le indica­ zioni delle variabili psicosociali appare indispensab ile se non si vuole sfilacciare il filo di Arianna (che deve tenere legati emittenti e destina­ tario ) i n fili più sottili, meno riconoscibili e facili a spezzarsi e a di­ sperdersi : il filo allora si fa trappola e la comunicazione labirinto.

36 9

( l ) Sono i profili degli stili B e C, cioè del consumatore co mapevole e del comwuatore d'impulso. Il primo dato riguarda la diversa concentrazione : mentre B ha la maggiore con­

centrazione nei consumatori tra i 35 e i 54 anni, C la situa nel periodo giovani fino a 34 anni,

con una punta massima tra i 15 e i 24. E già questa diversa caratterizzazione di età richiedono

due strategie linguistiche abbastanza diversificate a tutti i livelli, per la diversa ideologia e cultura che caratterizza i due gruppi. Principali cara tteristiche di consumo di B sono: consumi allineati e superiori alla media nei prodotti di cura della persona ; normali gli acquisiti di abbigliamento (sotto alla media i jeans, sopra alla media gli abiti confezionati da uomo) ; superiori alla media l'acquisto di libri e d i filati per lavori a maglia e la frequenza di supermorket e grandi magazzini; buoni i consumi di prodotti alimentari e di bevande , nettamente più alti rispetto agli altri gruppi i consumi di prodotti per la casa. Caratteristiche di consumo del gruppo C, invece, sono:

consumo su periore alla media

di prodotti di cosmesi personale, di jeans, di costumi da bagno e di occhiali da sole; spicca l'acqu isto di libri, dischi e pellicole fotografiche ; selettivo e sempre più alto della media il consumo di bevande (aranciate, cola, birra e whisky); nella media quello di prodotti alimentari e di surgelati; depressi i consumi di prodotti .per la ·pulizia della casa. In conclusione il gruppo B ha una caratterizzazione di base tradizionale che emerge sia nelle opinioni che nei comportamenti, ma c'è apertura per i consumi soprattutto di tipo

domestico. Non si tratta di un consumatore brillante, ma è certamente un solido consumatore casalingo. H gruppo C, -invece, è dinamico negli atteggiamenti e nei comportamenti di consumo,

spiccatamente nei consumi giovanili ed estroversi. (') Stile H : Casa e chiesa, 5,5% del campione totale, 1 milione 980 mila persone. Cattolici praticanti e socializzati nella parrocchia, che te,1tano di conciliare in un sobrio stile di vita la difesa di valori tradizionali ed il soddisfacimento di nr10ve esigenze socio-wlturali. Accentuazioni soclodemograflche: donne e uomini, ma prevalenza femminile (60%), di età media ed elevata, residenti nel nord-est, nel sud e marcatamenle nei piccoli centri; l'istruziotte bilanciata con prevalenza elementare; reddito medio-inferiore ed inferiore. Orientamento politico di centro. Accentuazioni valorlall: rilevatissima priorità dei valori religiosi e sociali, che investono pure la famiglia, la solidarietà sociale, il lavoro,- coscienza democratica e istanze di partecipa· zione politica,- sotto la media, i valori dell'uguaglianza, livellatrice ed anarcoide, del successo utilitarislico e dell'edonismo,- incomprensione per la permissività sessuale e la emancipazione femminile. Accentuazioni comportamentali: l'intensa pratica religiosa, la socializzazione primaria e secondaria gravitante sulla parrocchia, la partecipazione alle attività che da questa promanano o che sono ispirate dall'etica cristiana (impegno culturale e sociale nella scuola, nelle organiz­ zazioni, nel quartiere) sono le note che caratterizzano qttesto stile in equilibrio fra la tradizione e il mutamento dei costumi. Più facilmente esprimibile nei piccoli centri, si attua pure nelle grandi città e fra questi poli demografici mostra il vario declinarsi di autoconsumi (propri di una famiglia agricola) e i consumi indotti dalla pubblicità e che sono tipici della società urbana ed affluente. Da qui lo strano miscuglio di tendenze pauperistiche (tesauriuazione, abiti fatti durare, toileJte non dispendiosa, economie diverse) ed altre consumistiche. La casa è assai curata. Molte le alten:ioni ai figli, con un fondo difensivo e preoccupato. La cucina è opera fantasiosa e semplice delle mani materne. Gli interessi culturali sono abbastanza sviluppati, ma le letture risultano specifiche e settoriali. Più intenso il consumo dei settimanali che dei quotidiani. Rilevante l'ascolto di radio e televisione. Stile alimentare: primariamente casalingo (IV); talora moderato (III).

370

1:

Stile

Controcultura, 9,2% del campione totale, 3 milioni 312 mila persone.

Stile anomico, preribellistico dei giovani politicizzati in genere - studenti, diplomati e laureati sovente senza occupazione ma non indigenti, consumatori critici e grandi utenti -

dei meui di comunicazione. Accentuazioni soclodemografiche : giovani di entrambi i sessi, in elii 18-24 anni, residenti nei grandi centri e nel nord-est, studenti superiori o universitari, non occupati, reddito bi­ lanciato in trii/e le classi, orientamento politico di sinistra.

Accentuazioni valoriall: amplissima divaricazione fra valori e disvalori,· desiderabili la pentJissività sessuale, la liberazione /emmi11ile, la partecipazione politica e tutti gli assunti

egualitari atmtti uno spumo anarcoide e libertario. Assolutamente rifiutati i valori sacrali (famiglia, religiosità, solidarietà lavoro), la distinzione perbenistica e il successo, la demo­

crazia partitica e il civismo.

Accentuazioni comportamentali: /11 gioventù di ogni liuello sociale, che avuerte l'insoddi­

sfazione per la situazione persomzle e per quella politica, si esprime con questo stile di vita,

la cui tcnsio11e pro/onda è il rifiuto dello stato, delle istituzioni e dei modelli consolidati del vivere civile, ma che praticame11te si attua in modo compromissorio. Sono spiccati gli interessi culturali, specie sociali e politici. Nutrite le letture su questi quotidiani, settimanali e mmsili. I nlensa la partecipazione a manifestazioni

argomenti in

culturali (dibattiti, confereuze) e assiduo l'ascolto della radio, specie locale. Grazie al molto tempo libero, sono rilevanti i comumi musicali, sostenttti dalla vita di gruppo, e la frequenza ogU spettacoli. Viaggi e vacanze movime11tate.

L'atteggiamento controcultura/e e la ricerca della marginalità si notano nel disinteresse

per il lavoro, specie esecrttivo, nell'abbigliamento informo/e e trascurato secondo una ricono­ scibile

convenzione,

nei

consumi

controstentativi,

nell'aggressività

l'industria,

per

la

pub­

blicità e le proposte di marca. Scarsa l'adesione alle orga11iuazioni partitiche e sindacali, mar­ ginolità anche politica o apatia.

Stile alimentare: povero (VI) o sregolato (V) (Calvi 1980, 186-187). e) Le punte più alte di adesione rispetto aUa media della popolazione le hanno i valori:

/a111ilismo, pauperismo, autoritarismo, fideismo e laboriosità; le più basse invece : emancipazione femminile,

permissività,

Tra le

livellome11to,

opulenza naturismo.

risposte comportamentali oltre la media troviamo:

la domenica vado sempre in

chiesa, collaboro alle i11iziatiue parrocchiali, leggo una rivista alla settimana, consumianro gli alimenti che produciamo, guardo la pubblicità delle riviste, leggo notizie di cronaca e di altualità. Sotto la media, invece : faccio mangia/e in compagnia, il supermercato evita di girare, preferisco pagare a rate, leggo libri gialli, sono per l'educazione precoce. Si tratta, in conclusione, di un pubblico impiegati , operai,

coltivatori, studenti e molte

«

casa, chiesa e impegno sociale )). Dirigenti, moltissime

casalinghe:

gente

cattolicamente

una

società nuova.

evolu ta che non rinuncia alla tradizione e accoglie i fermenti più vivi di

Persone con una forte capacità di rinuncia e solidarietà, ispirate da principi religiosi. Persone in cui è forte l'amore per la famiglia, controllato l'uso del denaro, sentita la partecipazione ad organismi rappresentativi della scuola, del quartiere e naturalmente delle: Chiesa. Il Millimetro 59 ( 1 978), p. 86).

(Cfr.

37 1

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

AusTIN, J. L. 1975 How to do things with words, edited by ]. O. Urmson M. Sbisà, London : O. U. P. (2nd ed.) (tr. it. Quando dire è fare, a cura di M. Gentile e M. Sbisà, Torino: Marietti). •

BoBROW, D. G. - CoLLINS, A. (eds) 1975 Representation and understanding. Studies in cognitive scie11cc, New York: Academic Press. BRUSATI, E. 1980 La metodologia e i principali dati della ricerca I.S.J., in Media Forum 67, 25·33. BURTON, D. 1980 Dialogue a11d discourse. A sociolinguistic approach to modcm dra111a dialo'gtle a11d naturally occurring conversation, London : Routledge & Kegan Paul. CALVI, G. 1977 Valori e stili di vita degli italiani, Milano: ISEDI. 1980 La classe fortewz. Scelte degli elettori e responsabilità della classe politica in Italia, Milano : Angeli. CASTELFRANCHI, C. - PARISI, D. 1980 Linguaggio, conoscenze, scopi, Bologna: Il Mulino. CAniELAT, B. 1975 Les psychologies de la publicité, in Vie/faure 298.337. CoNTE, M. E. (a cura di) 1977 La linguistica testuale, Milano : Feltrinelli. CoRTI, M. 1973 Il linguaggio della pubblicità, in BECCARIA, G. L. (a cura di) : I linguaggi setto,·iali in Italia, Milano: Bompiani, pp. 1 19-1.39. CRISCI, M. T. (a cura di) 1980 Gli editori presentano l'ISPI 1979. Lettura e consumi, in Il millimetro 66, 1 1-.37. DI SPARTI, A. 1975 Linguaggio pubblicitario. Analisi linguistica di un corpus pubblicitario di sigarette ameri­ cane� Palermo: Circolo Semiologico Siciliano. 1976 Il computer, creativo pubblicitario? , in SIPRA 5 (1976), 109-1 16. 1979 Le figure del discorso figurato tra linguistica e intelligenza artificiale. Osservazioni preli­ minari ad una elaborazione automatica del discorso figurato, in GAMBARARA, D. - Lo PI­ PARO, F. RUGGIERO, G. (a cura di): Linguaggi e formalizzazione. Atti del Convegno Internazionale di Studi, Catania 1 7-19 settembre 1976, Roma: Bulzoni, pp. 631-641. -

DRESSLER, W. 1972 Einfuhrung in die Textlinguistik, Tiibingen : Niemayer (tr. it. Introduzione alla linguistica del testo, a cura di D. Poli, Roma 1974 : Officina).

372

Eco, U.

1979 Lector in fabula. La cooperazio11e

EHMER, H. K. (Hrsg. )

interpretativa nei testi na"ativi, Milano : Bompiani.

1970 Visttelle Kommunicalion. Beilriige zr�r Kritik des Bewusstseindustrie, Koln: Du Mont

FABRIS , G. 1980 Il comportamento del consumatore, Milano: Angeli. HALLIDAY, M. A. K.

1973 Explorations in the /unctions of language, London : Arnold (reprinted 1976). 1975 Learning how lo mean: explorations in the development of language, London : Arnold. 1 976 Sistem a11d /tmction in la11guage. Selected papers edited by G. R. Kress, London: O.U.P.

HARRÈ, R. (ed.) 1 976 L ife sentences. Aspecls of tbe social rolc af language, London : Wiley

& Sons.

HYMES, D.

1974 Foundations in socioli11guistics. An elhnographic

approacb, Philadelphia: University of

Pennsylvania Press. LYONS, J. 1977 Semanlics, Cambridge (England ) : C. U. P. MANCINI, P. 1980 Il manifesto politico: per 11na semiologia del consenso, Torino ERI. MARIMONDA, E. 1980

Radiografia

di 18 testate, Milano: SSC & B.

MERONI, v. M.

1980 Dieci anni di media researcb in Italia: progressi e problematiche attuali, in

Media forum

63 , 7-12. METZ, CH. 1977 Le perçu et le nommé, in Etu des

sémiotiques, Paris: Klienksieck pp. 129.163 .

Nonr, W. 1975

Semiotik : Eine Einfiihrung mit Beispie/e, /iir Reklameanalyse, Tiibingen : Niemeyer. 0LBRECHTS TYTECA, L. Traité de l'arg umentation. La 11ouvelle rhétorique , Paris : P. U. F.

PERELMAN, CH.

1958



RoMMI!TVEIT, R. 1974 On messagge structure, London: Wiley & Sons. SADOCK, J. M. 1974 Towand a linguistic tbeory of speech acts, New York: Academic Press.

SCENARI

=

AA. VV.,

Gli scen ari degli anni '80, Milano 1980 : Media Forum.

SEARLE, J. R. 1970 Speech acls: an essay in tbc philosphy of language, Cambridge (England): C.U.P. (tr. it. Atti linguistici , a cura di G. R. Cardona, Torino 1976: Boringhieri).

SIGNIFICATIONS

=

AA.VV., Signi/ications de

& Société Université de Liège.

la publicité, Liège 1974 : Commission Art

SINCLAIR, J. Mc H. - CouLTHARD, R. M. 1975 Tow ards an analysis of discourse. The English used by teachers and pupils, London: O.U.P.

STRATEGIE

=

Strategie di manipolazione (preprints dell'omonimo convegno), Roma 1980.

373

VECCHIA, M. 1980 Come utilizzare la psicografia nella comunicazione pubblicitaria, in Sce11ari. VICTOROFF, D.

1970 Psychosociologie de la publicité, Paris: P.U.F.

VIELFAURE, CL. (sous la direction de)

1975 La p11blicité de A à z. Paris: C.E.P.L.

374

FRANK PRO S CHAN

OF PUPPET VOICES AND INTERLOCUTORS : EXPOSING ESSENCE OF PUPPETRY AND SPEECH C)

Folk puppetry is terrain virtually unexplored by scholars , yct terrain of strildng beauty and remarkable fertility. The world's peoples have developed diverse solutions to tbe puppeteer's problem n problem whose very nature determines the singular importance that traditional puppetry can hold for scholarly understanding. The task of the puppeteer is simply stated: to present and represent human life in ali its multiformity and human communication in its myriad channels and forms. As scholars faced with the same responsibility, we are for­ tunate to have much of our work already clone for us by traditional puppeteers through the centuries. Folk puppetry demonstrates a long process of observation and analysis of human activity, coupled with experimentation and innovation in the dramatic portrayal of that -

activity. Among traditional art forms , puppetry is especially capable o! showing social life as a whole . As a multi-channeled communicative event , a puppetry performance can present an artist's perception of everything from kinesics to caste, from linguistics to laughter. The folk puppeteer acts as folk semiotician, exploring, utilizing, and often expanding the communicative resources oflered to him by the com­ munity in which he lives and performs . Having asserted an ambitious potentiality for puppetry to illuminate many aspects of human life, I want to explore but one of the social systems that puppetry presents : the system of language and speech , that system which is often said to in fact define humanity . An examination of wha t strikes us initially as a curiosity, the widespread use of a voice-modifying instrument to provide the puppets ' voices, will demonstrate that traditional puppe­ teers act both as folk linguists (penetrating to essential attributes of 375

speech production and perception) and as folk soc iol ingu ists (drawing on ali of the linguistic resources of their societies in ordcr to en a ct their performances) . This analysis will in turn rc fle xiv ely expose some essential attributes of puppetry itself. The distribution of voice modifiers in folk puppetry is reco rded in brief and tantalizing notices scattered throughout the historical and ethnographic treatments of puppe try . In Europ ea n traditions , these notices begin with the s tart of the seventeenth century . Ubcda ( 1 9 1 2 [ 1 608 ] : 80-8 1 ) desc ribes puppets in Sevillc which use a cerbotana (li t . "pea.shooter" or ' 'blow-gun") and Covarrubias remarks the use of a pito ( ''whistle") by thc puppeteers of Cast illc with an interpreter in front of the stage to repeat the lines ( 1 963 [ 1 6 1 1 ] : 964 ) . Varey ( 1 957 : 94-95) documen t s the practice in present·day Catalonia . Turning to Italy, we learn from Saverio Quadrio that the seventeenth century Pul· cinella puppeteers used a pivetta {diminutive of pit1a, ''whjstle") to recite the stories, with one puppeteer provid i ng all the voices, or seve­ ra! , each one with a pivetta of a different size, providing the voices of the various characters (in Spea igh t l 9 55 : 3 8 ) .

The earliest evidence from England is ambiguous: in Ben Jon­ son 's Bartholometv Fair of 1 6 1 4 , there is a puppet-play-within-the-play, and the puppets are descr ibed as « ne igh i ng » and « hinnying » with a « t reble creaking » (Jo n son 1 6 1 4 : V : v : 50-70) . But, the puppets' creaking is interpreted to the aud i ence by Leatherhead , who repea ts line by li ne what the puppets arge saying, like the interpreter that Covar­ rubias described for the puppets of Seville . By the 1 660s, Punch had arrived in England, and his use of the swazzle or swotchel (from Ger­ man schwassl, lit. ,conversation, chatter,) was firmly established (see Speaight 1 955 : 90 and Mayhew 1 8 6 l : V3 : 5 1-68) . Ba retti , at the end of the eighteenth century, traces the name Punchinello to the Italian Pulcinella, which means a hen-chicken. I need not tel l you tha t chicken's voices are squeaking and nasal: and for this reason as well as because chickens are timid and powerless, my whimsical countrymen have given the name of Pulcinella, or Hen-Chicken , to that comic character . . . [ the puppeteer] speaks with a tin whistle in his mouth, which makes him emit that comica! kind of voice {in Byrom 1 972 : 69 and Speaight 1 955

37 6

:

172).

We also 6nd this instrument used by the puppeteers of eigh­ teenth century France, where in 1 722, Abbé Cherier reports, Poli­ chinelle was permitted by the censors to play his comedies only if they were performed with the silflet-pratique and included a « neighbor or associate who interrogates him by questions, and to whom Polichi­ nelle responds with his usual bawdy precision, » (in Magnin 1862 : 156). I n Germany, Boehn reports ( 19 3 2 : 3 1 1 ) , the voice modifier was em­ ployed to provide the voice of the Devii. In Russia, Petrushka also spoke through a whistle-like voice modifier, a pishchik. Roman Ja­ kobson recalls the performances of itinerant Petrushka puppeteers be­ fare the First World War. As the puppeteer approached a court of Moscow suburbs, usually accompanied by an organ-grinder, the whis­ tle would announce their arrivai . In the performances, the whistled speech alternated with natura! speech, so that Petrushka would say something through the voice modifier, then the puppeteer or organ­ grinder would repeat it in a speaking voice (Jakobson p.c.) . Further east, we learn from Hafiz Baghban , the Iranian and Afghani band puppeteers use a safir or wizwizak or pustak _( l91 7 : 1 55), a reed instrument held in the puppeteer's mouth. Metin And also notes this , and mentions the Turkish Karagoz puppeteers' use of a nareke of the same kind ( 1 979 : 1 0 7 ) . In Pakistan and India, the Rajasthani kathputli marionettes use a boli (lit . ,speech") and also employ an interpreter/musician . The Aragouz giove puppets of Egypt use a voice modifier called C?mantJ through which the puppeteer speaks, sometimes for ali of the characters and sometimes only for the hero Aragouz. A musician outside the puppet booth engages the puppets in dialogue. Sergei Obraztsov reports that Chinese band puppeteers use a voice mod.ifier ( 1 96 1 : 2 1 ) and On Kon Cho ( 1 97 9 : 37) and Michael Malkin ( 1 977 : 49) report that Korean puppeteers spoke through a bamboo pipe or reed in a squeaky voice. In severa! of the great theatrical puppetry traditions of Africa we encounter the same practice . Darkowska-Niclzgorska and N 'Diaye note that the Bamana puppets of Mali speak with a husky and breathy voice, the distortion obtained thanks to a small kazoo, one end of which is obstructed by a spider web or by a membrane taken from the wing of a bat . The words of the puppets 377

ilre thus rendered incomprehensible and must be translatcd to thc spectators, measure by measure, by an interpreter, also called spokesman

( 1 97 7 ) . The same instrument is used i n the ekong puppetry of the Ibibio of Nigeria (Talbot 1 92 3 : 7 7-78 and Messenger 1 97 1 ami 1 97 3 ) . Among the Bornu of northern Nigeria , the ins trument takes tbc fonn of two pla tes bound toge ther; the effect is to produce a « shrill w h i s tl c , fa r shriller than that of the English Punch and J udy pe rformer . . . Th� words of the puppcts , being al mos t indistinguishable, are

1· c

pea te d by

onc of the ass i st a n ts standing by » (EIJison 1 9 3 5 : 89-9 1 ; sce also Ches­ nais n .d .) C) . We see ccrtain common features in t hcse accounts . First, with the possible exeption of the Turkish Karagoz, voice modifiers are used exclusively for th ree-dimensional puppetry and are not reported for shadow puppets . They faii into three groups : those held in the back o f the mouth (usually two hard plates bound together with

a

vibrat!ng

ribbon between them ) ; those held at thc front of the mouth (thesc also use a vibrating reed ) ; and those he1d ou tside the mouth (thcse are tube kazoos ) . Significan tly , in many of the cases citcd, the voice modifiers are found in use along with a n in te rpr c te r or in t crlocu tor . The interlocutor many employ a pecul i a r form of dialogue which involves his or her repetition , often in tl,c form of qucstions , of thc puppet's distorted statements . Where an interlocutor is not present , it is often the puppeteers who provides this questioning repetition , either with lines spoken by other puppet characters in normal voices , or in lines spoken by the incorporea} , unscen , and anonymous narrator ( the puppeteer himself) . In using the voice modifier, the puppetcer can aim for easy intel­ ligibility , for absolute inscrutability, or fGr some mid-poin t . The goal varies from one tradition to another , in fact, from one moment to another within

a

performance. For examp�c , in the kathputli tradition , Nazir Jairazbhoy reports ( 1 980), the dis tc:·ted voice is sometimes used to transmi t eues from the puppeteer t o tbe musician , w ho cannot see what is happening on stage or backstage. Here secrecy is desired and the voicc modifier is used as an encrypting device , to h ide meaning from the audience's ears . The very name of the Egyptian instrument,

378

amana, reflects a similar wish for secrecy, according to Aragouz pup peteer Achmad Sharawi. The word « amana » , literally a surety or collateral, is used in conversation when two people wish to refer, in the presence of other listeners , to something (money, a debt, a business matter) without the listeners understanding. If the puppeteer loses his voice modifier, Sharawi explains , he can ask an assistant « Give me my amana )) , that is, « Give me my business-between-us » , without revealing the real name far the whistle and without revealing the secret of the puppet voices ('') . The other extreme of intelligibility is illustrateci by performances of « mood signs )) or vocalizations - laughter, sob­ bing, sighs - which are impervious to interpretation yet unmistakeable in their meaning. The ambiguous mid-ground is the locus ( the play­ ground) of artistic creativity. ·

*

*

*

We must state as a generai rule that the use of a voice modifier necessarily results in impeded speech, with some inherent difficulty in comprehension. In the most familiar case, the Punch puppeteer's swazzle (or the Egyptian puppeteer's amana), the swazzie replaces the larynx in providing the "voice", (i.e. the vibration source) . In addition, the ne­ cessity of holding the swazzle against the paiate reduces in small part the mobility of the tongue, yet lips and j aws are unrestricted in their movement . The kathputli puppeteer's boli, by contrast , is heid between the front teeth, immobilizing the jaw and limiting somewhat the mo­ tion of the lips , while leaving the larynx, soft paiate, and tongue to operate freely. This permits the puppeteer to speak through the ins­ trument , adding a buzz to bis norma! voice. The boli can also act like the swazzie, as an originai source of vibrations. However an important difference in this latter case is that the articulatory mechanisms of paiate and tongue are applied before the production of the "voice" and are consequently less effective (although not totally ineffective) . Fi­ nally, the tube kazoos immobilize the jaws like the boli, but are inca­ pable of originating vihrations . They buzz in sympathy with the vibra­ tions produced by the larynx, thus requiring that the puppeteer speak through the instrument. The immobilization of the teeth and/or lips 379

can make certain sounds difficult : labials and dentals, especially voice­ less ones . If, then, we assume that one or another of these impediments is present to reduce the phon ological rcpet·toire of s peech , what are the other resources a v a il able to the puppetcer to i ncreas� the intelligibility of his dis torted voic e ? These operate in three areas: that of dialoguc, that of communicative event, and that of spcech itselt .

Dialogue The major aid to un ders ta n ding is the peculiar form of dialogue we bave noted . Frank Bellew in 1 866 gave an amusing Iesson in how this dialogue should be structured : As Mr. Punch's voice is, at the bes t of times , rather husky, it is ne­ cessary that the exhibi tor -shoul d have a collea gue or interpreter among the audience who k.nows the play by heart, and who, from practice, can understand what Mr. Punch says better than the audience . This person must repeat after Punch whatever he may say, only not to wound his feeling, he must do so in the form of questions - for example, suppose Mr. Punch ·says, "Oh, l've got such a pre t ty baby! " The showman outside must repeat: "O h , you've got a pretty baby, Mr. Punch, have you ? Where is she? " (Bellew 1 866: 4 6-47 ) .

Edgar Bergen provides the same instructions for ventriloquial dialogue with a dummy, noting that « When they hear your distinct repetition of the dummy's indistinct words, your listeners will not notice the slurring of the puppet's speech » ( 1 93 8 ? : 74) . This simple repetition is often not r eadily apparent from published transcripts . With the conventions of performance being well-established, a graphi c representation of every repetition is unnecessary. In actual performance repetitions are more frequent than scripts would indicate . The simple type is direct repetition, illustrated in a performance by Percy Press . Jr. :

380

Judy:

What do you want?

Punch :

A kiss !

Judy :

A kiss ! Girls and boys, shall I give Punch a kiss? (Press performance) .

or repe tition recast as interrogatory remark : Judy:

Punch, what shall we do now?

Punch :

Oh, let's have a dance!

Judy:

Let's hnve a dance? Okay, Punch ... {Prcss performance).

Repe tition provides an opportunity for statements to be misconstrued: Pu nch :

Oh, what a beauty !

Judy:

Pardon, Punch?

Punch :

What a beauty!

Judy :

Oh, «What a beauty ! I thought you said, «What a big­

head» . (Press performance) . or purposely re-cons trued : Punch :

And who sent for you?

Constable:

I am sent for you .

Punch :

I don't wa nt constable. I can settle my own bu siness without constable, I thank you . I don't want constable.

Constable:

But the constable wants you . (Collier 1828) .

Although conclusive evidence is l ackin g which would prove that Ben Jon son 's puppets used a swazzle, Bartholomew Fair's puppet p l ay is a rich source of similar dialogue (which would be just as useful if the puppets spoke in distor ted voices or false tt o with no modifying instrument employed) . For exa mple, this dia logue among the puppe ts , their interpreter Leatherhead, and the audience member Cokes :

Leatherhead:

They are whoremasters both, sir, thas's a plain case.

Puppet Pythias :

You lie like a rogue.

Leatherhead:

Do I lie like a rogue ?

Puppet Pythias:

A pimp and a scab .

Leatherhead:

A pimp and a scab?

I say between you, you bave both but one drab.

Puppet Damon: Leatherhead: Puppet Damon:

You lie again .

Do I lie again? Like a rogu e again. 381

Leatherhead :

Like

Puppet Pythias :

And you are a pimp again .

Cokes :

And you are a pimp again , he says.

Puppet Damon :

And a scab again.

Cokes :

And a scab agai n , he says .

Leatherhead :

And I say again you are both whot·emasters again,

a rogue again ?

And you bave but one drab again . (Jonson

232).

V.IV.220-

This dialogue of fourteen turns in fact consists of only four statements :

they are whm·emasters both, you lie like a rogue, (you are) a pimp and a scah1 and, you bave both but one drab. In Bartholomew Fair, there are interpreters a t t wo levels : Leather­ head who interprets for Cokes-the-audience, and Cokes (the real audi­ ence's surrogate on stage) who interprets for the real audience. We

w ill have further occasion to discuss this circumstance below , but the more common practice is to have just one interpreter, or, as with Percy Press, none at ali. The single interpreter is typified by Petrushka 's musician, as in Obraztsov 's description of a dialogue between puppe­ teer Ivan Zaitsev and his

w

i fe :

I recalled that during the performance in the yards the hurdy­ gurdy player had slipped in questions now and again, and I realized that this was necessary because it was not always easy to make out what Petrushka was saying in that shrill voice of his : the questions helped to make the meaning clear (Obraztsov 1 95 0 : 1 04- 1 0 5 ) . Now

This same structure of distorted statement - questioning repetition is encountered in circus clowning and rodeo clowning (Stoeltje p.c.). The alternative employed by Percy Press is to assign the repetitions to whichever puppet is conversing with Punch . A similar internalized dialo­

gue is carried on by Amer ican folk musicians performing harmonica virtuoso pieces in which the harmonica is made to talk ( Lich t 1 979) and by blues singers � conversations with their

«

talking

»

guitars .

The mental mechanism by which this form of dialogue works is the human brain's marvelous ca pacity for what Hugh Mehan and Houston Wood call t he « retro spective linking of sub sequent concli tions

382"

to antecedent ones [ which is ] a basic feature of comrnonsense reaso­ ning » ( 1 9 7 5 : 1 2 3 ) . This process of retrospective reconstitution works in speech perception not only at the gross level of phrases or sentences , as in these examples, but also at the leve! of phonemes, where the sense we give to them in perception is alterable to accommodate newer information. We go back to make sense of something which initially had another sense or none at ali. (This is the operating principle of one class of puns - words change their meanings as other words follow them.)

Communicative Event

The second factor at work to increase intelligibility is the nature of puppetry performance as a multichanneled communicative event. Face-to-face interaction is the locus for normal speech. Puppetry too features visual and auditory channels simultaneously at work . These channels may be used complementarily or at cross-purposes. If the pup­ peteer . wishes, he can have the puppet gesture and behave so as to clarify its statements. These gestures may be part of the system of human gestures of the culture involved. In other cases, a system of gestures specific to puppets may be used, but if it is sufficiently well­ known to audiences, it can serve to disambiguate the puppet speech e) . The appearance of the puppets, their actions and gestures, can help to clarify their distorted speech, by virtue of the inherent redundance of face-to-face communication. But, although the visual message and the aural one can be complementary, the visual image and the gestural repertoire are also reduced or restricted. The puppet never bears aH the marks of the person, animai, or spirit it represents. Certain signs are selected for inclusion and others are omitted. Yet the effect of the visual channel and the aural channel is greater than their sum . Another convention of many theatrical traditions also operates at the level of communicative event. Actors and puppets are granted great freedom to tell us what it is they are doing at the moment as in Punch explaining, « l'm going downstairs to light the gas . » (Press pedormance) . The speech is understood because it describes actions visible to the audience . . .

.3 83

Speech Itself Yet , we must finally ask, how much sense can we perceive in the distorted statements without the clarifying repeti tion or visual re­ inforcement? In many cases, the distorted speech functions in the manner of speech surroga tes, the drum and whistle systems that Theo­ dore Stern describes as « abridging systems » . There is a dose corres­ pondence between the contours of natural speech and the contours of the puppet s peech , like that which Stern notes for speech su rroga tes :

Each transmitted sign exhibits ·significant resemblance to a corresponuing sound of the base message [ natural language ] . An abridging system , while preserving some phonic resemblances to the base utterance, repre­ sents only part of its phonemic qualities . . . ( 1 9 5 7 : 487 ) . These speech surrogates , and the voice modifiers of puppetry , operate by a process of reduction - certain elements of the sign (speech) are selected for re-presentation and other are eliminated . This phonological reduction results in ambiguity, which is defeated in the drum and whistle systems by repetition , circumlocution, or paraphrasis . We bave seen that puppetry also uses repetition, yet even this may not be criticai to the intelligibility of puppet speech . As the recent work of semioticians analysing and reevaluating speech surrogates has demonstrated, these whistle and drum systems are not limited, as was once thought, to tonai languages (Umiker 1974 and Sebeok and Umiker-Sebeok 1 976 ) . There seems t o be a flexibility to human speech that we are only begin­ ning very tentatively to understand. The crucial element in this flexi­ bility is the aural redundance of speech itself, noted by Colin Cherry when he writes :

It seems that normal speech contains many more clues than are barely necessary to convey a message. It forms a highly "redundant" signaling system . . . extraordinarily resistant to distortion and disturbances of many kinds (Cherry 1966: 1 65). Although the experimental data that led Cherry to this conclusion doesn't exactly duplicate the situation of p uppet voices, traditional puppeteers for centuries have dep ended on this redundance and resis­ tance to distortion, long before scientists discovered it.

384

Obviously, the various vocal and articulatory mechanisms (larynx, tongue, paiate, teeth, and lips) together previde a surplus of signifi­ cation . Together, they permit unambiguous speech; in fact, in normal speech they generally push ambiguity out of the phonological realm into the realms of semantics , syntactics , and discourse.

The fact that puppeteers around the globe make use of voice modifiers suggests to me their profound understanding òf how they work - thnt is, their awareness that speech itself is redundant, and that reduction in the sign and restriction of the signa! are possible without sacrificing intelligibility; further, that dialogue can be structured and actions and gestures employed so as to clarify the distorted speech even further. Yet none of this is sufficient to explain why puppeteers go through so much trouble . The knowledge that humans can success­ fully walk on their hands has convinced very few to eschew their feet . Yet who are those few hand-walkers? Performers, who utilize hand­ walking for artistic purposes , just as puppeteers bave incorporated distorted speech as an artistic resource in their performanc�s . What purposes impel the use of these artistic resources? A number of possible motivations are at work, to different degrees within each tradition. We bave seen some noted already: the distinctive sound of the voice modifier alerts audiences to the arrivai of the pup­ peteers and the beginning of the performance, for example (Speaight 1 955 : 3 8 , Jakobson p.c., \Varner 1977 : 1 1 9, Jairazbhoy 1 980) . Another has been barely noted above although it is certainly extremely impor­ tant: the squeaky voice is inherently funny, especially to the children who often comprise the largest part of the audience for the performance traditions which employ voice modifìers . lt is worthy of note that these traditions are mostly fairground, carnival, or village traditions, whose audiences include children . Puppetry traditions with their sources in court entertainments or classica} literature such as lndonesian wayang or Sicilian and Belgian chivalric marionettes gencrally do not employ voice modifiers , although they are rich in sociolinguistic manipulation . The most complete analysis of a single tradition is Nazir J airaz385

bhoy's work with the kathputly s trin g puppets of India and Pakistan. He identi.fies a number of practical factors at work: The boli can be used for "secret" communication ( the transmission of cues from pup­ peteer to musician) or for communication between puppets. It is used in imitating animals such as partridges, cocks, and horses, or to imitate human laughter or crying. It is used as a musical instrument to produce a heterophonic or polyphonic effect when combined with the musician's voice and drum in the interludes between vignettes . During the action of the play, the chirping of the voice modifier can be used to produce an abstract sense of excitement and activity. As noted above, the boli serves as a trademark for the kathputli puppeters, announcing their ar­ rivai in high-pitched sounds to which children can be expected to attend more than adults, as when American children notice the bells of the ice-cream vender which adults barely notice (Jairazbhoy 1 980) . Voice modifiers also can mark when particular characters are speak­ ing. In Germany, only the Devii spoke with one, while in Italy several manipulators used differently-pitched pivettas, «either longer or smaller or more open or more closed, to produce the correct voice of the character he is playing . . . >> (Quadrio in Speaight 1 955 : 38 ) . Petrushka and Punch share the characteristic of being the only figures in their plays who utilize the voice modifier, while the other puppets speak normally - or rather, without instrumental distortion. Percy Press Jr. explains the necessity of Punch's voice in part as a result of his be­ havior and his identity as a trickster or anti-hero. Punch assaults autho­ rity and violates the standards of civil behavior, doing things that are "larger than life " : There is only one Punch and Judy story, about Punch beating his wife, the baby, the policeman, and ousting the hangman . There's only one story, but it's a controversia! story . But by him having the voice, that in my estimation takes the cruelty out of the story . (Press Interview)

Achmad Sharawi also explains the distorted voice as being crucial to es­ tablishing Aragouz's distinctive character: Without the amana, the Aragouz would be no Aragouz. lt becomes like any other person saying, > Ja, ja , j a /ia, ia, ia/ is taken by Petrushka to be « I, I, I »

fl , fl , fl

1\

1\

1\

1\

1\

1\

/ia, ia, ia/

And his bewildered question « Wha-at? >>

Wa-as?

/va-as/

is twisted by Petrushka into « Soda-pop »

KBac

/kvas/

we » H&C /nas / and « you » BBC /vas / . Petrushka, speaking through the voice modifier, capitalizes on the multilingual situation to again remind his audience of the ongoing and cumulative intersubjective sense-making which characterizes dialogue, and which I noted above in the excerpts from Punch and Judy. On :first uttering or encountering a word, we may attach one sense to it tentatively, a sense which is subject to reinterpretation or negotiation by the other partner in the dialogue. The portrayal in puppetry of foreigners is frequent, and is not restricted to those traditions which employ voice modifiers. One further aspect of the use of foreign characters and foreign speech is especially relevant to these tradition, however. I noted above that these genres are generally fairground, carnival, or village forms. Signi:fìcant here is that they also overwhelmingly are or were itinerant traditions performed by itinerant puppeteers, and often in area and eras of multilingualism. The European case is most illustrative: the first Punchmen in England were ltalians, whose countrymen also took Polichinelle to France. The traveling was certainly not only in one direction, though, so that English puppeteers also traveled to the Continent. Metin And reports the mi-

which is then rhymed with

«

39 1

gration of Judeo-hispanic puppeteers to Turkey ( 1 979 : 1 07 , 1 1 2 ) . The

Russian skomorokhi who performed Petrushka ra nged from Germany and ltaly to Centrai Asia (Zguta 1 97 8 : 1 1 1 ) , and the katbputli pup­ peteers in one year might range from Multan to S i nd, Pu n ja b , and thc Northwest Frontier Province in Pakistan ; in India from Ud aip ur to Delhi (Jairazbhoy p.c.) . Puppetry was one of a nu mb er of ge nres constituting an entertainment complex which included acrobats ; jugg­ Iers ; musician ; trained bears, monkeys , and dogs ; dentists ; surgeons ; magicians; and othcrs . This pan -Eurasian (and North African) enter­ tainmen t complex sha ttercd in the \\Test with thc social ch an gc s of the 1 7th and 1 8 th cen turies, a l though furthcr east in Sou th and Southwest Asia it con tinues to this day . lts mil ieu is frequently mul t il i ngu al its performers universally itinerant (sce Bakhtin 1 96 8 ; Burke 1 97 8 ; Bos­ worth 1 97 6 ; Salgado 1 97 7 ; Baghban 1 97 7 ; Beeman 1 98 0 ; and Zguta 1 978). The implica tio n of this it inerancy and multilingualism for our discussion of voice modifiers is this : if a vis i ting puppeteer can not speak the language of his audience well, or if he speaks it only with a strong accent, or if his audience includes spea kers of more than one language, two things may result . First, the audience is immediate!�, confronted with what is for t hem distorted speech (even without the voice modifying instrument) and thus forced to confront the i nnate variety of hu man language - a poin t to which I will return belo\\'. Second, in this event, the instrumentally distortcd speech might serve as a lingua franca, partially unders tood by mo s t , fully u nderstood

by none.

There is another very p roductive way to consider puppet voice modifiers, a road pointed out by Percy Press Jr. when he tells us that the swazzle takes the cruelty out of Punch. Voice modifiers prev ide a perfect example of a metacommunicative f raming device , te ll ing us in Bateson's classic statement , « These actions, in which we now engagc , do not denote wha t would b e denoted by those actions which these actions deno te » ( 1 9 55 : 4 1 } , that is, «This is play» . The modified speech func ti ons as m et acom muni cat ion , mark i ng t he perfor m ance frame in 3 92

which the puppet play unfolds and telling the audience to interpret the action as art, rather than as reality C). This explanation goes a long way toward explaining the ubiquity of voice modifiers, but I b el ie ve that it sells short both the voice modifiers and the puppeteers who emp loy them. This is not to suggest a deficiency in the idea of per­ formance framing ra ther it is to ackno wledge that it is temp ting , and ali too easy, to think of a frame as something static and st able . Bateson identifies a second aspect of metacommunicative framing, admittedly of greater complexity: in addition to « this is play » , we bave the ques t ion , « Is this play? » The latter is far more important in expla in ­ ing puppet voices than the former, because it prevents us from taking a static view and forces our analysis to take account of their dynamism and vitality. To attempt such an analysis, let us look back again at the inter­ locutor, who stands before the puppet stage and engages the puppets in conversation . The interlocutor, too, can be considered as a framing device to mark the special realm of the puppets. Yet I would maintain that there is an enormous difference between a frame such as the physical frame of the puppet stage - the proscen iu m or cur t a ins or booth - and the interlocutor. lt is easy to look past the proscenium, to forget that it is there, as we are engrossed in the action on stagc. We can attend to the framed action, the on-stage puppet world, and completely disattend the so-called rea! world which surrounds it. Yet how much more difficult it is to disattend the interlocutor ! And why ? Because the interlocutor does not just establish a s tatic frame, he or she constantly permeates it , now engagi ng in dialogue with the pup­ pe ts , now engaging in dialogue with the audience, now asserting the semiotic system of hu man communication, now spotlighting the semiotic system of puppet communication . In live drama we are familiar with such intermediaries who constantly permeate the performance frame: the Greek chorus , the on-stage narrator, the prologue and epilogue, the Presenters and Expositers (8) . Their task is somewhat simpler, in that they are intermediaries between human actors and human audience members , yet like the puppet interlocutors they operate by breaking the performance frame. They help to further the illusion unfolding on stage by seeming to subvert it - they make the frame by breaking 393

it. Meanwhile, they remind us of other frames, like that which enfolds actors and audience together - here not illusion but collusion is at work (9) . The thing that t raditional puppeteers recognized long ago is that the realm of illu sion which they create, the world within the frame, can exist only so long as it does not become too real , only so long as i t is perceived constantly in terms of other realities and other illu sions Bunraku puppets of Japan provide the best example of this recognition . The puppets are lifelike, sometimes startlingly real . Puppeteers with enough ingenuity to develop such realis tic puppets could certainly have developed them so that the operators were entirely hidden , yet when we see bunrakzt puppets in performance, they are always shadowed by their cloaked manipulators . (The history of Japanese puppetry is the history of the stripping away of curtains that once hid the . operators and the cha n ter n a rrator ) In perceiving them , as audience members .

-

.

we constantly oscillate back and forth between seeing only the pup· pets and seeing them juxtaposed with living human beings . If we did not see the humans, how frightening it could be ! lnterlocutors , like the other intermediaries of live drama, provide a constant contrast to the stage action of puppets or actors . Our perception of them oscillates

between perceiving the stage figures as illusions and perceiving them as real . To perceive one to the exdusion of the other would result in the destruction of the performance in Don Quixote's at tack on the -

puppet stage or the New York police department being summoned to intervene in a performance of the Manteo family to save the life of one of the almost-life-size Sicilian knigh ts. This idea of perception that oscillates between illusion and reality , between sign and signi:6ed, is especially useful because it also embraces what may seem to be contrary explanations of the same processes or practices . Puppet voices are some times explained, even by the same analyst, in apposite terms: they are small voices to correspond to the diminutive size of the puppets ( that is, to reinforce the visual impres­ sion) yet they are also capable of producing humorous effect by virtue of th eir incongruity. If puppets were to speak with normal human voices , analysts suggest, the d ispari ty a nd di sj uncti011 would ruin the

illusion. But if puppet s speak with distorted voices, analysts also sugg394

est, they are effective by opposttlon to human speech. The truth is that both are correct. As we perceive a puppet performance , as it unfolds in time, we sometimes see an internally consistent, mutually reinforcing semiotic system at work. The puppets could only speak in squeaks ; it is what Speaight calls their birthright and their ancestral tone ( 1 955 : 1 7 3-4, 2 1 3 ) . Yet objects of wood or day, leather or cloth, cannot speak in their own language - they can only speak in human speech, but human speech distorted in some way. We sometimes see not a consistent, reinforcing semiotic system but the interaction of two distinct yet related ones, that of puppets and that of humans. These distinct communicative systems can hardly be ignored when the human interlocutor stands beside a puppet. Differences in scale and appearance amplify the di.fferences in languages. Certainly the visual systems collide, yet the verbal interplay between puppet and interlo­ cutor also permits the two systems of language to collide, and where better than in dialogue? The interlocutor acts as surrogate for the audience, providing the human side of the dialogue, while the puppet responds in its own words . Sense and meaning are continually being negotiated by the two, constantly shifting and always tentative . Again, Bakhtin's observations on dialogue in conversation are important here. Especially in dialogue, he notes,

one speaker very often repeats word for word a statement of another speaker, investing it with a new valuation and accenting it in his own way... the repetition of another person's statement in the form of a question leads to a collision of two interpretations in a single word : we are not only asking a question, we are problematizing another per­ son's state ment ( 1973/1963/: 1 6 1 ) . As I noted above, the repetitions frequently employed i n puppet dia­ logue can bave the effect of clarifying the indistinct speech which p�eceded them. Conversely, though, the convention of repetition can be exploited for the apposite purpose, to «problematize another person's statement» . One speaker's words may be misconstrued by his respon­ dent, as exampled brilliandy in this excerpt from a Petrushka play (Vsevolodskii-Gerngross 1 959: 126-7 ) : Having given medicine to Petrushka, the doctor asks for his fee. Petrushka : And how much? A skol 'ko? 395

A

Doctor:

Tri rubl ia.

Three rubles .

Petrushka :

Tri kopeiki.

Three kopecks.

Doctor:

Durak!

Fool !

Petrushka : Doctor:

Kakoi rak ? Ne rak, a bolvan .

Petrushka :

Da, da, Iva n , Ivan .

Wha t crayfish ? Not crayfish , but block­ head. Yes, yes, Ivan, Ivan.

Doctor:

Pozvol'te za vizit.

Pay me for a visit.

Petrushka :

Seichas .

Just a minute.

Doctor :

Musy kan t , a on ne obma­ net?

Musician :

Net, net.

Musician, is he swindling me? No, no.

y

y

y

But Petrushka reappears with a truncheon and counts out the fec to the doctor with a stick . Musician : Chto ty sdelal ? What h ave you done? A

Pet rus hka :

la emu zapl atil.

I paid him .

Musician :

Petrushka : Mu sician :

Ty zhe ego ubil. Kupil. Ne kupil . . . ubil... On po­ mer . . .

Bu t you killed hi m . Bought. Not bought . . . killed ... He died ...

Petrushka :

Chto? Povar?

What? A cook?

Musician :

On pokoinik.

He is a dead man.

Petrushka :

Colonel. Your honor ... it is so high you won't get aver

Musician :

Polkovnik. Vashe vyso­ ko ... vysoko ... ne peres­ kochish'. Nado khoronit'.

Pet rushka :

Chto? Svarit'?

What? Boil?

y

We should bury him .

Here, Petrushka first misconstrues the words of the puppet Doctor, then the words of the human Musician . Although the human interlo­ cutor's participation in the dialogue spotl igh t s the dispa rity between the two systems of puppet speech and human speech, the same effect can be achieved when the « straight » puppet characters engage the « distorted » hero in dialogue. Returning to Percy Press Jr.'s perfo r­ mance of Punch and Judy, we -see a masterful routine of this type : 396

Jack Ketch, the Hangman: Punch, put your head in the ... like this . in the loop ... . .

Punch :

I n the soup?

Jack : Child : Jack: Punch: Jack:

Not in the soup !

In the loop! (1°) That's right in the loop. Soup! ,

Not soup! . .. Then I want you to say, tlemen . » Ladies and twenty men ...

«

Ladies and gen­

. .

Punch :

Jack :

Not « ladies and twenty men . )) I want you to say, « Lad ies a nd gen tle men I have been a wicked man . . » I wan t some bread and jam . > .

In drawing attention to the ambiguity of speech (puppet or human) , the puppeteer again achieves the same purpose as the interlocutor ac­ complishes : the audience 's work is ·increased , their interpretative burden enlarged, as their creative role expands. This theory of perception that oscillates between reality and illu­ sion, between the distinct semiotic systems of puppetry and humanity, is drawn in large part from aesthetic theories developed by Prague School semioticians in the first half of this century

(11). Otakar Zich's

early writings on theatre and puppetry illuminated the semiotic nature of theatre and the tension between reality and illusion, but he failed to grasp the ever-shifting nature of perception . Thus for him, « wc can perceive puppets either as living beings or as non-living puppets . . . we can perceive them simultaneously on ly in one way . . . ( 1 923 : 8)

».

Mukarovsky , in elaborating a theory of aesthetics, recounts the story of two members of a theatre audience, one who saw the drama always 397

as if it were real , and the other who insisted that he saw it always as fantasy, yet who in fligbts of fancy during bis perception of the stage action was carried away and for an instant perceived it as real.

For Mukarovsky, this anecdote served to illustrate oscillating perception and to support his argument for intentionality and unintentionality as generai principles of art and aesthetics ( 1 94 3 ) . In terms of puppetry and folk theatre, the development of a semiotic theory was the primary concern of Petr Bogatyrev , to wbose analyses of puppet voices and tbe interplay of human and puppet actors I am indebted . The distinctive distorted voices produced by voice modifiers bave served here as an example of a speecb system distinct to puppets contrasted in performance with tbe system of normal speech . Otber examples of distinct speaking styles of puppets bave been discussed, along with the use of distorted speech in some narrative traditions. Other examples could easily be supplied of traditions of live folk drama in which masked characters or limina! narrators / interlocutors/diviners

speak in distorted voices which are then interpreted to the audience, such as Mummer's plays, to provide orùy one. In each of these instances, the distortion whicb is at work is operating at the phonological level , or at the level of speaking style or semantics ; I have not heretofore discussed lexical or syntactic distortion . If, as I suggest, puppet voices are an essential aspect of puppetry, and if the audience for a puppet performance is to be compelled toward an oscillating perception of that performance, and if finally I assert that puppetry is especially concerned witb pointing out the dialogic nature of ali speech and ali understanding, then there must be some way of accounting for the many puppetry traditions whicb do not employ an instrumental voice modifier. Wbat other means are tbere for puppeteers to develop a distinct system in whicb tbeir puppets can speak, and which can collide with normal speech and language to pro­ voke the audience 's perceptions ? What we find, wherever we look, are an �normous range of creative distortions. In Sicilian puppetry, it may be as simple as the shifting of registers from Italian to Sicilian

and

back for villains and heroes . Or it may involve mangled syntax. Boga­ tyrev notes :

We 6nd this aspiration to create a special theatrical declamation, diffe398

rent from colloquiai speech, in old Czech puppeteers. Old puppeteers, conveying the language of upper class heroes - knights, etc. - also distorted common colloquial language, intentionally made grammar mis­ takes, while puppets depicting peasants spoke Czech correctly ( 1 97 3 :

3 24 ) . (12)

lt may involve a stylized delivery, al1 spoken by one narrator, as in Japanese bunraku. A verbal device in which the puppet playwright

Chikamatsu excelled was the «pivot word>>, which «changes its meaning depending on the preceding and following words (Keene 1 96 1 : 28)». Or it may involve the shifting back and forth between different layers of old and recent language, recently analyzed by A.L. Becker for ]a­ vanese wayang ( 1 979). Or it may involve everything. Listen to what Metin And identifies as the linguistic resources of Turkish Karagoz: verbal gags, ludicrous babblings and chattering, nonsensical cross-talk ... different dialects and . . . defects of speech... puns... play upon words. The alteration of a single letter or even of a single accent... rhetorical embellishment, comic elegant diction ... verbal juggling ... semantic spe­ cu la tion ... ludicrous contrast in meaning. . . speech defects... quasi-mea­ ningless sounds ... verbal anarchy, a confusion of non-words, and empty phrases ... malapropism . . . cacophonies, hyperboles, garrulity, bombast, boast-fulness, learned twadclle , and ... gibberish ( 1 979: 65-67) .

As we bave seen, many of these same devices are employed as supp1e­ mentary resources in the puppetry traditions that do employ the voice kmodifier. In closing, I offer an excerpt from Achmad Sharawi's per­ formance of Aragouz which features a pun on a traditional euphemism for « beggar >> : « he who stands at the door of Allah » . The Musician tells Aragouz that there is someone to see him, and Aragouz responds A beggar? (lit., �)

Yes. Musician : Ah. Aragouz : Tab lamma huwwa G ala baab allah, If he's at the door of ?aa

A gesture language specific to puppets is rcported for the Rajasthani puppets (s�c

Ma l kin 1977 : 77), for the doli used by Yoruba vcntiloquists (Thompson 1 97 5 : 55 ) , anJ for Si­ cilian puppets (Pasqualino 1 977 : 101-5), among others. In the latter case, further interest is sparked by reports of children imitating

thc stiff-legged

wnlk of the pu ppc ts

(Baird 1965 : 1 20),

much as American children might imitate the voices of Mickcy Mousc or Donald Duck.

(') Goflman ( 1974: 505-6 , 519-2.3) discusscs reported speech

The theory of meta-communication and frame is dcveloped and elaboratcd most fully by Goflman ( 1 974). For a specific frame a naly si s of puppctry, sec Hanck ( 1970). (8) Veltrusky ( 1978: .586, 59.3 ) in analyzing thcse characters points ou t tha t they do not

necessarily stand for any specific person, thcy may be :monymo us . The rcfercntial function of the sign is minimized, and the conative function (using Jakobson's tcrminology for the "sct­ toward " the audience or receiver of a communication) is paramount. He also identifies the same process for theatrical speech as a whole: Because it is a sign of a sign , theatrical speech can blur or even eliminate the referential function of the represented character's speech (Veltrusky 1978: 569). Thus we have the com.mon occurrence in folk drama of nonscnse speech, and sometimes voice modifiers. (') Consider the framing comple:�dties of Barlholomew Fair, with puppets, their interpreter Leatherhead, a stage audience including Cokes, who interprets for his fellow stage-audience­ members, and the theatre audience . Here Cokes is the theatre audience's surrogate or repre­ sentative on stage, where hc can interact with and influence thc stage characters. See also Goffman ( 1974: .3781f) on frame-breaking and Bogatyrev ( 1940).

( 1°)

The cruda) role of audience members in many puppetry traditions, their direct parti­

cipation in the dialogue and even in the action, is rarely noted in description of puppet performances and is usually omitted entirely from transcripts.

( 1 1 ) Of the works cited in the Bibliography, see especially Zich ( 192.3), Bogatyrev ( 1940 and 197.3 ) , Mukarovsky ( 1 94.3), and Veltrusky ( 1 978) . ( 12) Something else may be at work here as well, suggested by two sociolinguistic conventions of status reversal reported for the Wolof and Balinesc. Judith lrvine notes of the Wolof that:

402

the king, at the pinnade of rank, had a kind of competence for errar: he must

make mistakes in minor points of grammar, because correctness in these points would be an unnecessary frill , an emphasis on fluency of performance or perfor­ mance for its own sake, thnt would not be appropriate to this highest of nobles (lrvine 197.5: 6). And Mig uel Covarrubias describes Balinese greeting etiquette, which involves a slightly diJferent form of status-switching: Then the usual system is adopted; the low man speaks the high tongue and the

aristocrat answers in the common language {Covarrubias 19.37 : 51).-

403

BIBLIOGRAPHY

AL·SUWAvFI MUKHTAR

Khayai al·z�ll wa·al·'ardis fi al-'alam. Egypt.

1967

.AND METJN

1963-4

A History of Theatre a11d Popular E11tertainme111 ht Turkey. Ankara:

Forum

Yayinlari.

Karagoz: Turkish Shadow Thealre. lstanbul: Dost.

1979

BAGHBAN HAFIZULLAH The Context and Concept o/ Humor i11 Magadi Thcater. Ph. D. dissertation, 1977

Indiana University.

BAJRD BIL

The Art o/ the Puppet. New York : The Ridge Press.

1965

BAKHTIN MIKHAIL 1968 (1965) Rabelais and His World, translated by Helene Iswolsky. Cambridge, Mass.: MIT

Press. 1973 (1963) Problem of Dostoevsky's Poetics, translated by F.W. Rotsel. Ano Arbor: Ardis. i.p. (1975) « From the Prehistory of Novelistic Discourse », translated by Caryl Emerson and Michael Holquist. BALFOUR HENRY

1948

cc

Ritual and Secular Uses of Vibrating Membranes as Voicc-Disguisers 11, ]ournal

of the Royal .4nthropological Instilt1te, LXXVIII (1-2): 45-69.

BATESON GREGORY

« A Theory of Play and Fantasy », Psychiatric Research Rcports, 2 (Decemberj: 39-51.

1955

BECKER ALTON L.

1979

«

Text-Building, Epistemology and Aesthetics in ]avanese Shadow Thcatre », in Tbe

Imagination of Reality, Alton L. Becker, ed. Norwood, N.J.: ABLEX Publishers,

pp. 21 1-243. BEEMAN WILLIAM

ccAnimated Objects and Shamanism in Rural Iran», paper presented at the Conference on World Traditions of Puppetry and Performing Objects.

1980

BELLEW FRANK

1866 BEllGEN

The Gentle Art of Amttsing. n.p.

EDGAR

1938 (?)

How lo Become a Ventriloq11ist. New York:

Grosset and Dunlap.

BEllKOV P.N.

1953

Russkaia narodnaia drama XVII-XX vekov. Moscow.

BoEHN MJ.x VON

1932

40 4

Dolls and Puppets. London: G.G. Harrap.

BoGATYII.EV PETa 192.3

Cesskij kukol'wy; i russkii narodnyj teatr, (Czech puppet thcatre and Rtmian folk theatre,) Sborniki po tcorii poeticeskogo iazyka, 6. Berlin-Petersburg: OPOJAZ. , in Matejka and Titunik, 1976: .H-50. (Translation

of , in Tbe Traditioual Artisl in A/rica11 Socicties, ed. Warren d'Azevedo. Bloomington: Indiana University Press. «

MUKAROVSKY J AN 1978 ( 1943) (( Intentionality and Unintentionality

1978

pp. 89-128. Structure, Sign, and Function.

in Art ))' in Stmcturc, Sig11, mzd Ftmctioll,

New Haven: Yale University Press.

0BRAZTSOV SERGEI My Pro/ession. Moscow: Foreign Languages Publishing House. 1950 The Chinese Puppel Theatre, translated by J.T. MacDermott. London : 1961 and Faber.

Faber

ON KoN CHo

1979

Korean Puppel Theatre : Kkoktu Kaksi. East Lansing, Mich.: Asian

Michigan State University. PASQUALINO ANTONIO

1977

L'Opera dei Pupi. Palermo: SeUerio editore.

SALGADO RAMSAY GAMINI

1977

406

Tbc Elizabethan Underworld. London :

J.M. Dent.

Studies Center,

SAPIR EDWARD 1915 > è sempre e necessariamente il risultato di una serie di impressioni sensoriali esprimibile nei termini « Questo stimola il ner­ vo ottico in momenti successivi così-e-così , con una durata così-e-così e con un'intensità così-e -così )) .Allora, quando insorgono impressioni sensoriali di questo tipo in una qualsiasi data occasione particolare, il nostro organismo sarà obbligato a ripercorrere la strada dalle impres­ sioni alla sensazione secondo il principio dettato dalla nostra costitu­ zione organica. Comunque, nel passaggio dalle impressioni alla sensa417

zione abbiamo il passaggio da ciò che è esprimibile come predicato com­ plesso a ciò che è esprimibile come predicato semplice . Lo schem a del processo in ferenz iale è il seguente: Per tutte le entità attuali , che una data entità è rossa comporta necessariamente che quell'entità stimola il nervo ottico in momenti successivi così-c­ così, con una durata così-e-così e con un 'intensità così-e-così ; Ma qu es ta entità stimola il nervo ottico in momenti successivi così-e-così . con una durata così-e-così e con un'intemità così-e-così ; Dunque questa entità è rossa .

Al polo opposto rispetto a queste abduzioni « basse » Peirce po­ ne le abduzioni scientificamente sig n ifica tive fra le quali cita in più ,

luoghi e con particolare compiacimento l 'ipotesi di Keplero . L'inferenza con cui Keplero giunse a concludere (i potet icamen te) per l ' el litt ic it à dell'orbita di Marte si può indicare schemat icame n te nei

seguenti termini : Per tutti i corpi in movimento , il fatto che un dato corpo si muova descrivendo un'orbita ellittica comporta che quel corpo passi per date posizioni geometricamente determinate cosl-e-cosl ; Ma Marte passa per date posizioni geometricamente determinate

cosl-e-cosl;

Dunque Marte si muove descrivendo un'orbita elli ttic a .

Questa disposizione ri specchia la forma tipica dell'abduzione co­ me argoment o dal conseguente all 'antecedente. Tutte le abduzioni hanno questa forma . Come abbiamo visto, anche il processo inferenziale �he dà luogo alla sensazione e l 'argomento dalla definizione al defi ni tu m so­

no riconducibili a questa forma. Ora, naturalmente, né l'insorgere di una sensazione (nel nostro esempio la sensazione di rosso) né l'indivi­ duazione del termine definito (nel nostro esempio il termine scapolo) brillavano quali conclusioni particolarmente originali o novative. Anzi , erano conclusioni scontate e ripetitive, addirittura obbligate. Invece, l'in­ ferenza di Keplero, scrive Peirce, « resterà eternamente esemplare » . lvia per quali suoi aspetti ? Forse soltanto perché Keplero ha applicato la 418

forma canonica dell 'abduzione ? Non si direbbe, se questa forma, sem­ pre identica , può dare luogo anche a conclusioni assai banali . Eppure J 'abduzione, scrive Peirce , ne a una nuova idea

».

«

è l'unico genere di argomento che dà origi­

Dove sta la magia creatrice di questa forma di

inferenza ? E l'abduzione è sempre creativa nella stessa misura? Vediamo di sciogliere un poco questi problemi.

I.

Anzitutto l 'abduzione

-

è

un'inferenza . Cioè eultimo passo del­

l 'argomento abdut tivo consiste nel trarre una conclusione da due pre­ messe . Per questo aspetto l'abduzione è altrettanto formale e mecca­ nica della deduzione e delPinduzione : il modo in cui si trae la conclu­ sione è rigidamente determinato da una norma. In questo l'abduzione non è assolutamente più originale o inventiva della deduzione e dell'in­

duzione . Né sembrano esserci motivi validi perché si debba ritenere che l'una o l'altra delle inferenze sia psicologicamente più facile o più difficile : quando ho presen ti le due premesse specificamente opportune , se le riconosco come tali e mi ricordo la norma inferenziale specifica , sarò immediatamente abilitato a trarre la mia conclusione - deduttiva, induttiva , o abduttiva che sia -. Insomma , è altrettanto meccanico o automatico trarre, per usare la terminologia di Peirce , la regola dal caso e

dal risultato (induzione) quanto trarre il risultato dalla regola e dal

caso (deduzione) o quanto trarre il caso dalla regola e dal risultato (abduzione) .

Il.

-

Tuttavia , la conclusione abduttiva , pur procedendo in modo

al trettanto automatico della deduzione dalle premesse, è formalmente tale da non dare luogo a una esplicitazione mera del contenuto semantico delle premesse , ma a una ricomposizione di tale contenuto semantico . Pr.rciò l 'abduzione è « sintetica » e innovativa, e con ciò anche rischio­ sa : giacché il valore di verità della conclusione abduttiva non è normal­ men te determinato dalla validità delle premesse (cioè le premesse pos­ sono essere vere e la conclusione falsa) . L'abduzione consiste nell'attri­ buzione al soggetto dell'indagine, individuato nella premessa che espri­ me il « risultato )) , delle caratteristiche espresse nella protasi o antece­ dente della premessa maggiore o regola . Si capisce bene dunque come

sia la dose di rischio supplementare rispetto alle premesse sia il grado di novità della conclusione abduttiva dipendano dai rapporti che inter419

corrono fra le due proposizioni (antecedente e conseguente) che cos t i ­ tuiscono l a premessa maggiore. Nel caso dell 'abduzione di Keplero , la conclusione era rischiosa perché , se è vero che un 'ellisse comprende date posizioni geometriCcl· mente determinate così-e-così , « non è detto » , come si dice, che quelle posizioni debbano essere comprese solo e necessariamente in un 'ellisse . Naturalmente, a mano a mano che Keplcro dilatava il numero delle po­ sizioni rilevate e queste si dimostravano coerenti a un'ellisse , il rischio d'errore supp1ementare della conclusione diminuiva , perché aumentava l'implicazione reciproca fra l'antecedente e i l conseguente della premes­ sa maggiore . Quando si ha totale i mpl icazione reciproca fra antecedente e conseguente, quando cioè il loro rapporto è esprimibile nei termini se e solo se p , allora q, ovvero quando vi è una relazione di corrisponden­ za biunivoca senza eccezioni fra quanto espresso nell 'antecedente e quan­ to espresso nel conseguente, ossia se non si dà l'antecedente senza i l conseguente e non si dà i l conseguente senza l 'a ntecedente , allora la ipotesi è apparente : non es pri me nessun rischio supplementare e l a me­ desima conclusione dell 'abduzione può essere raggiunta i nvertendo il rapporto fra le due proposi zion i della premessa maggiore da una dedu­ zione . Le abduzioni che danno luogo aJla sensazione o al term ine defi­ nito sono di questo tipo degenere .

III.

Se il grado di novità della conclusione abduttiva dipende dal tenore della premessa maggiore, è chiaro che il carattere propria­ mente inventivo o di scoperta o creativo dell'argomentazione abduttiva non sta nell'inferenza, bensl nell'interpretazione del dato o «risultato » , che viene considerato quale occorrenza particolare della conseguenza ti­ pica di una legge o principio generale. Insomma, il processo euristico che dà luogo all'abduzione ha il suo punto di partenza nel dato. Per rendere conto di , o spiegare o giustificare, questo dato, lo devo consi­ derare conseguenza di un principio generale . -

Quando ho individuato questo principio generale, la conclusione, quale asserzione dell'antecedente applicato al soggetto dell 'indagine , vie· ne meccanicamente. Quello che devo and�re a cercare, a scovare, è dun­ que il princi pio generale o premessa maggiore. Nella scelta della pre­ messa maggiore, e più precisamente della sua protasi o antecedente, si 420

esercita tutta l'immaginazione creativa del ricercatore, e qui sta pro­ priamente la radice della maggiore o minore novità della conclusione abduttiva . Grosso modo si può dire che l'abduzione è tanto pitt inno­ vativa quanto è insolito l'accostamento fra conseguente e antecedente , ovvero quanto è remoto il campo semantico dell'antecedente rispetto al campo semantico del conseguente. Cosl, è ovviamente banale l i ntroduzione dell'osservazione (che va­ Ie come premessa maggiore) « tutti i fagiol i nel sacco sono b ia nchi » per dar conto della presenza di a lcun i fagioli bianchi in una dispensa e trnrre quindi la conclusione che i fagiol i bianchi provengono da quel sacco. Qui si resta infatti nella sfera dei rilievi osservativi più prossimi al dato. La premessa maggiore introdotta da Keplero ha invece una cer­ ta audacia : riflette il coraggio di correre strade non del tutto scontate e battute ; giacché di fronte ai risultati osservativi Keplero rompe con un modo di pensare tradizionale che voleva circolare il moto di un pia­ neta, e cerca la curva che possa com prendere come propri i punti rile­ vati. Tuttavia , l'originalità dell'ipotesi di Keplero non va sopravvalu­ tata, perché la legge espressa dalla sua premessa maggiore non è una '

invenzione creativa, ma piuttosto l'ingegnoso e opportuno reperimento di un principio già perfettamente noto. L'originalità di Keplero fu dun­ yu e nella scelta del principio adatto (fra i tanti as trattamente possi bili e noti) per dare conto di una conseguenza quale quella espressa nel ri­ l ievo del « risul ta to » . I l pri ncipio era in realtà abbastanza al la mano, nel senso che non implicava salto semantico dal conseguente all'antece­ dente. Più marcata è la novità dell 'abduzione quando la premessa mag­ giore connette il risultato a una sua causa possibile remota e poco ap­ pariscente. Ed evidentemente ancora più netta e più forte è la novità dell'abduzione, quan do il principio espresso nella premessa maggiore è una legge teorica nuova, anziché una legge scientifica universalmente ac­ cettata . In tal caso la conclusione abduttiva è in sen­ so assoluto : non è nuova solo l 'applicazione del principio generale al soggetto dell 'indagine , è nuovo anche il principio. Quindi la conclusio­ ne non era compresa neppure potenzialmente nel patrimonio dato di nozioni. Per un esempio di quest'ultimo tipo di abduzione, che è poi il più fecondo nella ricerca scientifica, si può utilmente assumere il pro421

cesso argomentativo con cui Bohr interpretò il m i s tero della disconti­ nuità delle righe spe t trali del l 'idrogeno (cfr. l\.1 .A . Bonfantini , M. Mac­ ciò, La neutralità impossibile , Milano, M azzo tt a , 1 97 7 , pp . 88- l 02 ) .

3 . - Peirce oltre Peirce: due conclusioni.

l . - Riassumendo e se m plifican do i risul tati di

q ues t a discussione .

diremo che occorre di s t i ngue re tre pri nci pa li tipi di abduzione , con gradi ascendenti di orig i nal i t à e cre a tiv i t à :

tre

- PRIMO TIPO DI ABDUZIONE

-

la legge-med iazione cui

ico rrere per inferire il caso dal risultato è data in modo obbl igan te e automatico o semiau toma t ico; - SECONDO TIPO D I ABDUZIONE - la legge-mediazione cui ricorre­ re per inferire il caso dal risultato viene reperita per se lez ione nell 'am­ bito deli,encicloped ia dispo n ib ile ; - TERZO TIPO DI ABDUZIONE

-

la legge-mediazione cui r i cor re re

r

per infe rire il caso dal risultato viene costituita ex nova , inventata. È in quest 'ult i mo t i po d i abdu zio n i che p rop r i a me n te « si t i ra a indovinare » . II .

-

Su quale base

«

si t i ra

a

indov in a re » ?

E come m ai accade così spesso d i indovi nare gius to? A queste domande Peirce ris ponde con la sua do t tri na dell'incli ­

nazione naturale, biologicamente radicata e accumulata nel l 'uomo nel corso dell'evoluzione : lume naturale progres s ivament e sempre piit mo­ del lato dall 'influenza delle leggi della natura e quindi sempre più spon­ taneamente atto, per segreta affini tà, a ri specchiare gl i schemi della real tà . Questa dottrina di Peirce ci sembra scientificamente poco difendi­ bil e , perché implicante l ' ereditarie tà b io logica dei ca rat ter i culturali cul­ turalmente acquisiti , quando è invece scientificamen te inaccettabile ( al­ meno allo stato attuale delle conoscenze, e con buona pace di Ly senko ) la stessa ereditarietà dei caratteri fisici fisicamente acquisiti . In realtà Peirce sfiora qui la tes i della filosofia influente. Occorre, a nostro avviso, trasformare la dottrina di Peirce met­ tendo l 'es p ress io ne lume culturale in luogo del suo lume naturale , che

422

è, oltre che intriso di cattiva metafisica , troppo generico, cioè tale da spiegare tutto e nulla . Quando è n ecessario « ti rare a indovinare )) , gli uomini si trovano a essere guidati da vi si on i sistematiche e com pless i ve della realtà , con­ cez ioni filosofiche, di cui gli uomini sono più o meno distintamente con­ sapevoli , ma che comunque stabiliscono degli abiti profondi, che deter­ minano gli orientamenti del giudizio. Queste filosofie s i n te t izz ano e organizzano, in base a procedimenti di general izzazi one , di analogia e di gerarchizzazione, le conoscenze e le acquisizioni culturali , sedimentate nel corso dei secoli, provenient i da estesissime pratiche sociali . Perciò non c'è d a s tupi rsi che queste filosofie posseggano (ovvia­ m en te in vario grado) una loro forza di verità : fra l 'altro , la capac i t à di ispirare i potes i scientifiche nuove e valide .

42 )

GIANNI RIGAMONTI

ANALOGIA E METAFORA NELLE SCIENZE

In epistemolog ia ha prevalso a lungo la tesi che le teorie scienti­ fiche sarebbero dei sistemi deduttivi formali in cu i i singol i termini con­ tano per il posto che occupano entro l appa rato deduttivo e non per il loro sign ifica to; ma ultimamente la tesi opposta, che una teoria non sa­ rebbe di per sé u n semplice sis tema di calcolo ma nascerebbe già con una sua interpretazione naturale, privilegiata, ha riguadagnato terreno . L'interpretazione di una teoria è detta in genere modello ; chiame rò dunque modellista la tesi che di ogn i teoria è parte i n tegrant e un mo­ dello, formalista quella che una teoria non è, essenzialmente, nienfaltro che un sistema formale. Il modellismo ha sempre avuto un punto di forza nell'argomento che l'applicabilità di una teoria alla realtà diventa in spiegabile dal punto di vista formalista. Se i termini della teoria non hanno di per sé un significato, la loro capacità di corrispondere ai dati osservativi è un mistero; è vero che i formalisti ammettono delle regole di corrispondenza fra espressioni teoriche e realtà, ma l 'esistenza di que­ ste regole è rispetto alla teoria un fatto causale e immotivato, un dato metafisica almeno nel senso che della teoria fisica vera e propria esso non fa in alcun modo parte . Dal punto di vista modellista invece la teo­ ria rimanda per la stessa struttura interna alla realtà. Anche un autore non pa rticolarmente ostile al formalismo come Ernest Nagel osserva che « i modelli di una teoria servono anche a suggerire in quali punti possano venir introdotte regole che stabiliscano delle corrispondenze '

...

tra nozioni sperimentali . Se una teoria fosse enunciata come un insieme

di postu lati non interpretati , che non mostrassero neppure un 'analogia formale con qualche sistema già noto di relazioni astratte, la formula­ zione non offrirebbe indicazioni sul modo in cui la teoria potrebbe venir appl ica ta a problemi fi s ici concreti . . . Ma benché, come si è già notato, un m od ello di per se stesso non s tabili sca regol e di corrispo ndenza per 425

di u n calcolo , esso può spesso suggerire quali termm1 teonc1 si possano associare alle idee s perimen ta l i . Per esempio, l ' i n te rpre ta ­ zione normale dei postulati della teor ia cinetica dei gas porta in modo del tutto naturale ali 'associazione dell 'espressione teorica 'variazione del m o m en t o totale delle molecole che colpiscono una unità di supe rficie' con la nozione sper im enta le di pressione ; simi lmente , il modello sug­ gerisce che l 'espressione teorie> ( Ernest NageJ . La struttura della scienza, Milano, Fel t r ine ll , 1 9 6 8 , p agg . 1 2 1 -22) . A questo punto di forza se n'è aggiunto un altro dopo Kuhn ; in­ fatti appare legittimo interpretare il « paradigma » kuh n i ano come uno scbema analogico. Quan do si tratta di cla�sificare , un paradigma porta a privilegiare come decisive certe somiglianze a scapito di altre ; im plica d unque una di sposi zio n e a r iconosce re certe con figu raz i o n i piuttosto che altre, qu i ndi parte da determinate aspettative circa la struttura del mondo; i n questo senso , c'è in esso un modello . Questo aspetto dell 'epistemologia kuhniana è stato app rofon d i to soprattutto da Margaret Masterman ( vedi più avanti, pag. 4 3 1 ) ; ma con Kuhn-Mas term a n il concetto di model1o assume un aspetto nuovo , che tuttavia non è , a sua volta , che l 'emergere di caratteristiche implici te da sempre. Prima, esso era inteso come il riferimento della t eoria , so­ st anzialme n te nel senso - rigid a ment e univoco - di una semantica alla Tarski ; dopo, l 'un ivoc i tà cede il posto all ' analogia . Un paradi gma contiene o genera un modello nel senso che tende a in terpre ta re i feno­ meni per analogia con qualcosa di già ;}oto . La luce è a n al oga al moto ondoso, o al passaggi o di minuscoli pro iett i li ; il calore a un flu ido , o ai moti e agli urti di un s istem a di sferette elastiche . Però contempora· neamente chi usa questi modelli sa che la luce non è esattamente un passaggio di pal li ne o di creste d 'onda ; della sua teoria fa du nque parte un 'interpretazione cui è essenz i ale l'essere imprecisa anzi i mpropri a ; i termini

qui ndi ne fa parte non solo l'analogia ma anche la metafora , nel tradi­ zionale senso di uso traslato dei termini , e l'una e l 'altra sono prese nt i nella scienza in modo non ma rgi n a l e ma pe rv asi vo , non accessorio ma cos t i tu t ivo . Si v eda , in p ropos i to , la pos iz i o n e di Mary Hesse : « il mo­ dello deduttivo di spiegaz i one scientifica dovrebbe essere modificato c

426

integrato da una concezione della spiegazione teorica come ridescri­ zione metaforica del domino dell 'explanandum » (Modelli e analogie nella scienza, Milano , Feltrinelli , 1 980) . In realtà la Hesse parla molto della metafora ma non chiarisce af­ fatto come la intende ; solo una cosa è fuor di dubbio, e cioè che si trattil per lei di uno strumento per l 'estensione della conoscenza - il che, del resto , vale anche per l 'analogia . Partendo dal già noto , l'una e l'altra tra­ sferi scono i concetti già validi in esso al non ancora noto . Questo pro­ cesso attiva però un meccanismo di interazioni che modifica gli stessi concetti di partenza .

«

La forza della metafora sta nell 'interazione fra

il concetto normale del termine metaforico con il contesto dell'originale, in un modo che influisce sul significato di entrambi. Chiamare 'lupo' un uomo significa sia attirare l 'attenzione su certi aspetti dell'uomo che sono richiamati alla mente dalla associazione con 'lupo', e anche, forse, modificare reciprocamente il significato di 'lupo' nel suo contesto ori­ ginale » . Ma a questo punto, non possiamo più sottrarci a una con­ . . .

clusione quanto mai impegnativa :

«

. tale concezione interattiva . . . apre . .

importanti possibilità . Se è corretta, non occorre vi sia circolarità nella concezione che, in un certo senso, tutto il discorso sia metaforico , per­ ché i significati di tutte le parole sono stati a lungo influenzati da tali processi interattivi. C'è una parallela possibilità di affermare che ogni predicazione è analogica ? In altre parole, che l'analogia non sia un ibrido strano e inesplicabile , ma piuttosto che l'univocità sia , nella migliore delle ipotesi, un'eccessiva semplificazione o , nella peggiore , un mito altamente fuorviante ? » (Hesse, op. cit. , pag. 1 4 3 ). Ora , simili posizioni rappresentano il superamento di vecchi idoli, quindi una conquista irrinunciabile ; ma a patto di non intendere la tesi della metaforicità di tutto il linguaggio come rinuncia o addirittura osti­ lità alla precisione , fino all 'esito estremo dell'equivalenza riciproca di tutti i discorsi . E il pericolo è reale, visto il modo in cui la scuola di Lacan vede questa tesi - alla quale anch'essa, per conto suo, è arrivata. Un 'adeguata teoria dell'uso scientifico di analogia e metafora manca però quasi del tutto . I tentativi di formalizzazione della Hesse sono con· siderati insufficienti dalla stessa autrice. Può darci invece qualche utile suggerimento un'opera non di filosofia o epistemologia ma di retorica come il Trattato dell'argomentazione di Perelman e Olbrechts-Tyteca. 427

Gli autori richiamano, per cominciare, una concezione abbastanza diffusa ma non accettabile dell 'analogia : « I pensatori empiristi . . . vedono spesso nell 'analogia una somiglianza di qualità minore, imperfetta , de­ bole, incerta . Si ammette, più o meno esplicitamente , che l 'analogia faccia parte di una serie, identità-somiglianza-analogia . di cui essa co­ stituisce il grad ino meno significativo » (op. cit., Torino , Einaudi , 1 96 5 , pag. 3 9 2 ) . Una simile concezione, facendo dell 'analogia una specie di somiglianza vaga , la renderebbe in effetti uno strumento di applicazione illimitata e incontroll n ta . Quando mai potremmo escludere - di fronte a una fantasia sufficientemente sbrigliata; e non ne mancano - che un qualsiasi x possa vagamente somigliare a un y dato? Ma se cosl fosse ogni analogia sarebbe banale, indifferente, priva di forza probatoria , mentre « il solo fatto di esser capace di farci preferire un 'ipotesi a un' altra , indica che essa possiede valore d'argomento » (op. cit., pag. 3 9 3 ) . La strada da battere è un'altra : « Quello che fa l 'originalità del­ l'analogia e la distingue dall 'identità parziale , cioè dalla nozione un po' banale di somiglianza , è che invece di essere un rapporto di somiglianztJ è una somiglianza di rapporto » ( ibid . ) . Lo schema classico dell 'analogia è infatti : A sta a B come C sta a D, per esempio ]a sera sta al giorno come la vecchiaia sta alla vita . Non si tratta tuttavia di una configura­ zione in tutto e per tutto simmetrica , perché al centro dell'attenzione sta una sola delle due coppie, il tema�· l 'altra, il foro� ha la funzione di meglio illuminare un determinato aspetto del tema, per esempio quello per cui la sera (termine del tema) è u na specie di vecchiaia (termine del foro) . ·

Osservo a questo punto che se il tema è meno conosciuto del foro l'analogia , oltre a metterne in rilievo un aspetto specifico, lo rende tout court più comprensibile. Esempio : la luce sta all'etere come le onde a uno specchio d'acqua (analogia ondulatoria) ; la luce rimbalza su di una superficie riflettente come una palla di biliardo sulla sponda (analogia corpuscolare) . Questo passaggio dall'uso retorico a quello scientifico ap­

pare del tutto naturale. Torniamo a Perelman e Olbrechts-Tyteca . Essi osservano che la succes s ione foro-tema non è unidirezionale. Ci può essere una retroa­ zione del secondo sul primo, come in questo passo di santa Caterina da Genova : « Questa forma purgativa ch'io veggio delle anime del Pur428

gatorio J la sento nella mente mia, massime da due anni in qua : e ogm giorno la sento e veggio più chiara . Veggio star l'anima mia in questo corpo come in un Purgatorio . . . » . L'idea stessa di Purgatorio può essere costruita solo analogica· mente J per esempio così : l'anima sta nel Purgatorio (tema ) come nel corpo (foro) .

È

una condizione provvisoria , imperfetta , destinata a es ·

sere sostituita da un'altra superiore. Ma a questo punto l 'analogia si può rovesciare : l 'anima sta nel corpo ( tema) come in un Purgatorio (foro) . Il nuovo concetto ha retroagito sul vecchio , modificandolo. Abbiamo dunque una retroazione che richiama J decisamente , quella di cui parla Mary Hesse ; la sua possibilità è garantita dal fatto che l'ana· logia, pur dovendo rispettare condizioni strutturali precise, ha pure un ineliminabile aspetto concreto. « Anche se l'analogia è un ragionamento che riguarda delle relazioni , quelle che esistono all'interno del foro e all'interno del temaJ ciò che la fa differire dalla semplice proporzione matematica è che la natura dei termini, nell'analogia, non è mai indif­ ferente. Si stabilisce infatti fra A e C, fra B e D, proprio grazie all'ana ·

logia, un ravvicinamento che porta a un'azione reciproca » (pag . 399) . Quanto alla metafora, « . . . non avremmo modo migliore di descri­ verla che il concepirla . . . come un 'analogia condensata , risultante dalla fusione di un elemento del foro con un elemento del tema » . Segue una quasi sacramentale citazione dalla Poetica di Aristotele: « La vecchiezza è con la vita nello stesso rapporto che la sera col giorno ; perciò si potrà dire che la vecchiezza è la sera della vita » (pag. 42 1 ) . Perelman e Olbrechts-Tyteca hanno un obiettivo preciso :

> che continuamente modificano l'uso dei termini, anche scientifici , ed il secondo dice , per la prima volta dopo Marx, qualcosa di nuovo sui fattori pratico-materiali che sono presenti anche nel conoscere più astratto. Sarebbe un peccato, a dir poco, essere costretti a scegliere fra l'uno e l'altro. Ora , io credo che una via d'uscita - da verificare, naturalmente; si tratta di una proposta provvisoria . di un'intuizione bisognosa di conferma - potrebbe essere questa : di­ stinguere fra analogia linguistica e prelinguistica. Quando il suo humus d'origine e il suo veicolo è il linguaggio, l'analogia è soggetta alle regole di un gioco combinatorio; quando nasce da un agire pratico-immediato, « crudo >> , essa non ha invece un'articolazione verbale o quanto meno non si identifica con questa articolazione , per cui il suo estendersi pro­ cede lungo linee diverse (e non caratterizzabili in poco spazio; vedi al proposito sempre Masterman, op. cit., verso la fine) . Naturalmente s1 potrà parlare di metafora, propriamente, solo nel primo caso.

43 2

PIETRO PALUMBO

SIGNIFICATO EMPIRICO E SIGNIFICATO FATTUALE

Quella terza branca della scienza totale « di tutto ciò che cade nel­ l'ambi to dell'intelletto umano » , che Locke, seguendo un uso già af­ fermato in Inghilterra ( ' ), chiamava aTiiJ.EI.W'ttxi), doveva funzionare a suo parere quale nuova « specie di logica e di critica » da esercitarsi nei confronti delle « idee » o meglio delle « parole » , in quanto segni sensibili delle idee C) . La semiotica doveva occuparsi di « considerare la natura dei segni che lo spirito usa per intendere le cose e comunicare la sua conoscenza agli altri » , in vista del giusto ordinamento dei segni stessi ed in particolare di un controllo esatto circa la validità del loro uso cognitivo-informativo . La convinzione di Locke era che questo nuo­ vo tipo di critica si mostrasse riso1utivo nei confronti di quella congerie di problemi e discorsi filosofici che, cadendo a suo parere al di là dellà capacità di comprensione dell'intelletto umano, sollevano dispute mai chiaramente risolubili e pertanto sono adatte solamente a provocare dub­ bi e ad indurre allo scetticismo e) . Nei confronti di questa massa di pseudo-conoscenze, fondata sulla « vaghezza » e « insignificanza » di molti termini e sull' « abuso del linguaggio » , Locke dichiarava la sua modesta ambizione di servire perlomeno come « semplice manovale che sgombera il terreno e lo ripulisce da alcuni detriti che ostacolano la via verso la conoscenza » (4) . Sul cammino di una tale nuova « via delle idee » , che portava la critica filosofica sul piano di un'indagine sulla significazione e sull' uso dei termini nei discorsi conoscitivi, anni addietro si era già messo con decisione Hobbes, il quale aveva portato argomentazioni che precor­ rono alla lettera quelle dei neopositivisti e degli analisti inglesi del '900 circa l'insignificanza dei discorsi metafisici. Hobbes infatti affermav::t che un discorso può essere anche completamente assurdo e insigni­ ficante pur apparendo come un discorso autentico, e ciò accade quando « alla serie dei nomi non corrisponde nella mente nessuna serie di 433

concetti » : questo caso si presentava assai spesso presso gli autori di scritti metafisici C> . Come ragione dell'insignificanza di tali discorsi egli add uceva l'intraducibilità di questi nel d iscorso comune (11) . Hobbe s giungeva persino a congetturare che certi specifici termini metafisici , queJJi in par t icola re deriv a n t i da gl i usi del

e rb o essere, nascano dalla ipostatizzazione di strutture g rammatica l i proprie di alcune l in gue : in lingue differen ti , dotate di una diversa morfologi a , essi neppure sa­ rebbero potuti sorgere , ma si sa rebbe ro po tute rea l izza re ugu a lme n te . v

attraverso l 'apposita combinazione de ll e parole , tu tte le corri s po n de n ­ ti funzioni logiche del ragionamento . In a s se nza de1 l'uso del verbo es­ sere, si chiede Hobbes , « che cosa diven terebbero allora ques t i ter­ m i n i di entità, essenza, essenziale, essenzialità, che derivano da quel verbo, e molti altri che dipendono da ques t i , tanto comunemente ap­ plica t i come essi sono? » C) . Ora, in questa nuova prospet tiva di cri tica filosofica quale criti­ ca lingui s ti ca da esercitarsi sui discorsi metafisici , sulla base dell 'as­

sunzione filosofica che tutte le idee sono « ricava te d all 'e s per ien za » , si configura una concezione de ll a significanza cognitiva come coinci­ den te tout court con la significanza empirica, t al quale la ritroviamo

nel neoempirismo del '900 . I l passo decisivo in questa storia delle\ teoria della signifìcazione in fun z ione antimetafisica è la fusione della nozione di significat o empirico con que ll a di s ignificat o fattuale. Ciò avviene in base ad una concezione i ngenu a , acritica e confusa della esperienza, per la qu ale ogni possibile riferimento dei discorsi a fatti ed esperienze reali, obbiettivament e constatabili , viene senza problemi interpretato entro gl i schemi delle modalità di riferimento a fatti ed esperienze istituite dalla osservazione scientifica metodicamente instau­ rata. La distinzione poi di tutto il sapere in analitico e sintetico, la divisione di tutta la verità possibile in verità di ragione e verità di /atto, viene a consacrare la espulsione di ogni discorso metafisica dal­ l 'area della significanza cognitiva o informativa, dal momento che il /attuale-empirico è inteso come occupante l'intera estensione del sin­ tet ico, e al discorso metafisico viene negato il riferimento fattuale : si tratta di u n tipo di discorso astratto che in effetti no n dice nulla! Nel passo semiologico di identificazione di s ignificato /attuale e di signifi­ cato empirico si condensa dunque la riduzione filosofica di tutto il 434

sapere alla conoscenza di tipo empirico . Pertanto nella semiologia empiri· stica tra '600 e '700 , pur senza una del tutto chiara consapevolezza meto­ dologica ,

«

si fa già evidente che l'empirismo dovrà essere nel suo as­

sestamento più maturo, empirismo logico (analisi del linguaggio, teo­ ria della verificabilità degli asserti) » (8) . Cosi il nuovo positivismo no­ vecentesco considererà l 'insignificanza degli asserti metafisici non più conseguenza di una posizione filosofica da argomentare teoreticamen­ te, né un semplice dato di fatto, bensì una questione di pura logica (9) : in un li nguaggio correttamente costruito dal punto di vista logico , la metafisica non può nemmeno venire espressa . Di più : non può essere detta, ma neppure pensata o indagata

('0) !

I tradizionali problemi me­ tafisici si risolvono dissolvendoli grammaticalmente : scaturiscono in­ fatti da disfunzioni linguistiche di carattere sintattico o semantico, sen­ za alcun correlato fattuale ('' ) . J . Weinberg, nel1a sua classica opera del '36 sw neopositivismo pur rilevando le insufficienze del criterio empiristico di significato e le difficoltà cui andava incon tro . affermava che il lavoro critico svolto dai neopositivisti « mostra però che nessuna spiegazione del signifi­ cato e della verità delle proposizioni concederà agli asserti della meta­ fisica un posto fornito di significato nel discorso » ('2) ! Questa convin­ zione in effetti ha continuato a sussistere nelle menti dei neopositivisti anche in occasione di tutte le revisioni che il criterio di significanzc1 doveva necessariamente subire nel corso degli anni : il loro sforzo co­ stante è stato quello di fornire una interpretazione degli enunciati si­ gnificanti non-analitici capace di collegarli logicamente agli enunciati osservativi , al fine di provare che l'unico contenuto cognitivo di una teoria razionale e scientifica è appunto il suo contenuto empirico ('3) . o•aitra parte neppure nell'ambito della fenomenologia linguisti­ ca anglosassone più recente il discorso metafisica ha trovato un rico­ noscimento alle sue pretese tradizionali di parlare della realtà e di spie­ garla, e pertanto di essere trattato come un discorso fattualmente signi­ ficante da giudicare vero o falso. Infatti il cosiddetto passaggio dal ri­ fiuto all'analisi ( '4 ) ovvero alla comprensione dei vari tipi di discorso e del loro modo di funzionare, ha comportato sl la caduta della tesi di insensatezza (in generale) della metafisica , ma per riservare a tale di­ scorso un senso ed una importanza da valutare in ordine a scopi e fun435

zioni particolari , quali quelli psicologici , religiosi , moral i , poli tici , u di genitura mitico-fantastica delle ipotesi scientifiche. In al tre parole l a metafisica incarnerebbe quel tipo originario e specifico di rapporto dell 'uomo al mondo classificabile col termine visione oppure blick ('5 ) ,

esperienze invero importanti per l 'uomo ed influenzanti tutto i l resto dei suoi discorsi e delle sue azioni. Ma la me tafisica non può in quan­ to tale aspirare ad i nformare oggettivamente sulla realt à : le proposi­ zioni metafisichc non possono avere sign ificato /attuale e d un q ue non sono suscettibili di essere valutate vere o fa lse C6) . La stranezza , la diversità, dei discorsi fi losoiico-metafisici , da sem­ pre contestata sul piano della

normalità e della positività della vita

civile-razionale del consesso umano, ha trovato da parte della ragione moderna la sua sanzione rigorosa sul piano semiologico in base a sup­ poste ferree regole logico-semantiche che governerebbero il sistema se­ gnico del linguaggio cognitivo ! Questo destino problematico d 'altra parte sembra essere già racchiuso ab origine nel nome stesso di meta­ fisica, nella problematicità della sua etimologia e nel l a incertezza circa

la sua collocazione all'interno dell'ordinamento del sapere ( '7 ) . Eppure l ' in tenzionalit à cogni tiva, il riferimento fattuale, del di­ scorso metafisica, nel suo tipo classico , aristotelico , sono chiarissimi sin dalle prime battute . La metafisica aristotelica infatti , come è stato messo più volte in evidenza , si proponeva « di da re ragione di ciò che si vede (l 'la'topla. ) e di ciò di cui si ha conoscenza immediata ( l'lp.­ �Et. pt� ) » .

Se Aris totele la carat te r iz1.ava come la sc ienza de]

dio ti, in

confronto della più semplice conoscenza dell'ati, con ciò stesso ricono­ sceva che

«

se la filosofia (prima) è la scienza del perc hé , essa anzitutto

dev 'essere conoscenza del 'che '

»

c�) . Se il discorso metafisica va oltre

gli ordini di tutti gli altri discorsi conoscitivi , appunto per andare oltre deve essere in stretta relazione a quelli da cui prende il movi­ men to . A tale discorso resta du nque essenziale non solo di fare asser­

:doni del proprio ordine , del proprio tipo , ma di trovarsi in rapporto con de asserzioni del discorso comune o di quello scientifico. Per la metafisica classica (e qui ci si impegna soltanto per quella) non si trat­

ta insomma di presupporre la sfera del metempirico , come già quali­ ficata e fondata in sé stessa , nei confronti della quale sfera pretendere di far valere immediatisticamente concetti e asserti sorti in riferimento

436

determinato e univoco con la sfera empn1ca . Si tratta piuttosto di un discorso che, rilevando la necessità razionale di mediare l 'esperienza. afferma qualcosa d'altro dall 'esperienza, quando « senza tale afferma­ zione, l'interpretazione logica dell 'esperienza stessa si avvolgerebbe in contraddizione >) . Tale essendo lo schema fondamentale della struttura

discorsiva della metafisica classica , in siflatto caso ci troviamo di fron­ te « alla costruzione del significato stesso del termine o della proposi­ zione, che s i riferisce ad una realtà oltre l'esperienza >) C9) . Già da questi brevissimi cenni è possibile rilevare che il discorso metafisica è posto intenzionalmente in relazione determinata con i fatti. I fatti da cui esso prende le mosse e a cui si riferisce sono perloppiù fatti 'assolutamente generali e assolutamente primi', di semplice con­

statabilità, ma non sono in ogni caso "puri " fatti, bensl fatti illuminati a partire da qualche prospettiva, o teoria (per lo meno, da un certo grado di astrazione rispetto al1a complessità e multiformità dei fatti concreti) . E cosl, in qualche modo in analogia con quanto avviene per il costituirsi dei domini di riferimento dei diversi discorsi scientifici a partire da certi predicati base

eo ) ' si può sostenere la validità di rico­

noscere come fatti filosofici� o di dominio filosofico, fatti quali

«

il

fatto dell'esistenza di qualcosa, il fatto dell'esistenza di una moltepli­

cità, dell'esistenza del mutamento e del divenire, dell'esistenza della conoscenza e del pensiero, dell'esistenza del desiderio )) e') . Ora a fronte di tali esigenze razionali di riconoscimento del si­

gnificato cognitivo-fattuale dei discorsi metafisici (perlomeno di quelli del tipo suddetto) , quali emergono già da queste troppo brevi consi­ derazioni, sta quel nodo semiotico costituito dalla nozione unitaria di significato fattuale e significato empirico , che è un tipico risultato dell'empirismo . Ma all'interno dello stesso neoempirismo già dal '33 si levava la voce di Karl Popper contro il criterio neopositivistico di

significato . Popper proponeva il suo criterio di demarcazione tra scietz­ za e non-scienza all'interno del linguaggio significante, identificandolo nella falsificabilità, ed escludendone l 'uso di criterio di significato per distinguere senso da non-senso. Tale criterio di demarcazione esplici­ tamente riconosceva sensatezza alla metafisica, la quale tra l'altro, a parere di Popper, « da un punto di vista storico è la fonte da cui ram­ paliano le teorie delle scienze empiriche >) (22) . Oltre che nella Logica .• 437

anche negli scritti degli anni success 1v1

c

con

maggiore accentuazione , Popper ha prodotto numerosissime argomentazioni ci rca la inutilità l'impossibilità e la pericolos ità di fornire un criterio di significato empirico che delimiti l 'intera area seman tica dei discorsi cogn i tivi allo scopo di dichiarare insignificanti su basi log ico l i ngu is t iche i discorsi metafisici , e lo ha fatto sfatan do tutti i presupposti semantici e sintat­ tici (perloppiù di origine filosofica ) Jella li n gu i s t ic a neopositivistica . Egli è g iu n to per questa via a proporre u n a visione della scienza non tanto come un sistema di segni o come un certo tipo di ling,11 aggio ( sia per la « Received View [ Ja concezione del pri m o neoposi tivi­ -

,

)>

smo] , che per le « Weltanschaungen analyses » [ di recenti origin i pop­ periane e kuhniane ] , si può d i re che la ca ra tte rizz az io ne delle teorie scientifiche avvenga attraverso l 'esame delle loro formulazioni lingui ­ stiche, e « all 'occa s i o ne sembra a nche che assumano che l a teo r ia è

(23) ) , ma p iu ttos t o come un sistema di problemi intellettuali oggettivi, di prat iche teoriche e di regole pro ­ cedurali , certamente connesse a dei segn i ma non riducib i li a questi C4) . Rispetto al problema del significato il c ri te rio d i dema rcazion e proposto da Popper lascia aperta la pos s i bi l i tà che vi siano pro p osi ­ zioni si gnificanti che non siano né ana litich e né scientifico-empiriche. La sua preoccupazione è s tata quella di proporre delle regole logico­ la sua formulazione l ingu is tic a

»

,

m etodo logiche per garantire la falsificabilità empirica delle asserzioni

scientifiche, ovverossia, oltre alla 1oro

necessaria controllabilità inter­ soggettiva , la garanzia della pos s ibil i tà di scontro con la realtà effettiva di cui le teorie scientifiche parlano. Secondo Popper però possono dar­ si pure delle asserzioni che parlano sl della realtà , che affermano qual­ cosa circa il mondo, che diano dunque delle informazioni . eppure in modo nort empirico. Come tali queste non possono essere empirica­ mente falsificabili , e pertan to non accedono al domin io scientifico . Giu­ sto il tipo di proposizioni che Popper ha additato come fattualme nte significanti sebbene non empiriche e non scientifiche sono le asserzioni strettamente esistenziali (isolate ) , asserzioni della forma « ci son o cor­ esiste almeno un corvo nero » , le quali non sono accom­ pagnate da alcuna specificazione o limitazione spazio-temporale. Le

vi neri

»

o

«

asserzioni più tipiche della scienza sono i nvece secondo Popper asser­ zioni strettamente universali (anch'esse non soggette a restrizioni spa-

43 8

zio-temporali) quali sono le leggi di natura (25) , le quali possono venire espresse sotto forma di negazioni di asserzioni strettamente esistenzia­ li, sotto forma ci oè di asserzioni di non-esistenza (questa formulazione permette di vedere, no ta Popper, come le leggi di natura cos t ituiscono divieti , proibizioni : negano che qualcosa esiste o possa accadere) . Ora ,

le asserzioni strettamente esistenziali (o asserzioni c'è) non sono falsi­ ficabili , perché nessuna asserzione s ingola re che riferisca un evento osservato può con traddi re l 'asserzione esistenziale [ , rispe ttando tutti i requisiti richiesti dai criteri verificazionisti di Car­ na p , e di poter rendere tale formula « controllabile » e persino attraverso espedienti a dat t i (6) . Popper in defini tiva esclu­ de come non-scientifiche (non-empiriche) le as se rzio ni strettamente esi­ stenziali pur considerandole significa n t i , ed invece include nell'ambito

delJa scienza e della controllabilità empirica quelle asserzioni stretta­ mente universali, che hanno sempre costituito un g ros so problema per gli empiristi in quanto non verificabili (ma falsificabili nel sistema pop­ periano ) . Sulla scorta delle riflessioni di Popper, J . \Vatkins, suo a ll iev o , in una serie di articoli tra il '57 e il ' 5 9 ha fina lmen te indicato con estrema chia rezza che il punto critico dell 'idea di s igni ficanza cognitiva (idea che He mpel , di fronte a t ut te le difficoltà sorte , aveva dichiarato da ritenersi non più un explicandum fecondo C7) ) fosse quella ingiu­ stificata inclusione reciproca di 'sign ifi ca to fattuale' e �significato em· pirico ' . E in u na elaborata discussione circa l'adeguatezza dei vari cri­ teri di significato empirico proposti dai neoempiristi ha argomentato per la netta separazione delle due nozioni ed ha pro pos to una defini­ zione falsificazionista di significato em pi rico, desunta dal criterio di de­ marcazione popperiano (che, ricordiamo, non s'è mai propos to come criterio di significato ! ) , capace di soddisfare i requisiti formali e ma­ teriali richiesti per gli scopi . delle asserzoni sci ent ifiche e8) . Il cr i terio per 1empiricamente significante ' di Watkins appunto non si propone 439

più d i essere nello stesso tempo un criter i o per '.fattualmente signifi­ cante' ; e sso esclude le asserz i on i strettamente esistenziali, e riconosce

che vi sono proposizioni non -empiriche ma fattualmente si gn i fica n ti sebbene non-analitiche . A questo pun to Wa tkins può sottolineare co­ me debba essere chiaro che quando qualcuno cessi dal fare asserzioni empir iche , questi possa fare asserzioni vero/false di ca ra t tere fattuale. bensì metafisica ! ('9) . Mi pare si a giusto considerare questo punto di a rrivo della ri­ flessione neoempirista (includendovi Popper e \X'atkins i quali, pur non esse ndo precisamen te e m pi ri s t i , appartengono però certamente a queJl 'area filosofica ) come una svol ta storica dell'empirismo C11) , e in specie un fatto assai interessante e forse suscettibile di sviluppi nella storia delle ricerche semiologiche . Infatti riguardo allo statuto lingui­ s t i co circa i termini e le proposizioni m e ta lì s iche la questione non può arrestarsi a questo stadio . II r i co nosci men to del significato fattuale di certe asserzioni me ­ tafisiche nei termin i di Popper e Watkins non ch i a risce ancora in che modo tali asserzioni possano essere valutate vere o false , al di là di un criterio generico di argomentabilità e criticabilità razionale (sul qua­ le per altro Po pper ha i ns ist i to sempre di più rispetto alle sue prime convinzioni , e Watkins si è basato ai fini di un approfondimento cri­ tico della concezione lakatosiana dei programmi di ricerca metafisici). Watkins poneva tra i requisiti del suo criterio per 'empiricamente significante} che escludesse quelle proposizioni metafisica-teologiche la cui accettabi l ità non potesse essere affetta dal valore di verità di asser­ zioni d'osservazione. Ma qui risiede un punto cruciale per la que st ione sul s ig n i ficato dei discorsi metafisici , e di rimando per quella sui di­ scorsi scientifici . Infatti si può sostenere che certe asserzioni metafi­ siche siano per principio empiricamente falsificabili , in quanto esclu­ dono direttamente o indirettamente certe asserzioni d'osservazione, ve­ rificate le quali sarebbero con ciò falsificate le asserzioni metafisiche che le escludono. Di fat to alcuni autori hanno ricostruito formalmen­ te la struttura logica della falsificabilità empirica di certe asserzioni metafìsiche e teologiche e• ) . Più in gene ra le P. Weingar tner , esam i­ n ando log icam en te « l 'universo di d is co rso » proprio della metafisica , ha concluso che « sebbene gli 'ogget ti ' della metafisica sono differenti

440

dalle entità contenute nell 'universo di discorso delle altre discipline scientifiche sembra tuttavia possibile che le teorie metafisiche siano

criticabili dalle altre scienze

»

(32) .

D 'altra parte si deve osservare che questo risultato non è affatto sbalorditivo dal momento che in fondo (fatte le debite precisazioni)

è in armonia con una visione della filosofia spoglia da pregiudizi , e con la storia del pensiero (almeno per certi aspetti) . Ma , per concludere, bisogna aggiungere che , alla luce delle ulti­

materia della sig11i{zcanza cognitiva e in par­ ticolar modo la quest ione del sig1tificato /attuale sia ancora da studiare

me considerazioni, tutta la

approfonditamente

·

441

( 1 ) Cfr. L. FoRMIGARI , Linguistica ed empirismo nel seicento inglese, Laterza, B;ari , 1970, p. 1 73 nota 2. (l ) J. LoCKE , Saggio sttll'illt�lletto tm1ano , n cura d i Maria e Nicola Abbagnano, Utet, To1 97 1 , pp . 81�1� rino, {') Ibidem , p. 65. (�) Ibidem , p. 52. (�) TH. HoBBES, De corpore, Pars l, cap. 111, l . (6) TH. HoBBES, LeviataiiO, Laterza, Bari , 1912, vol . J I , cap. XLV I , pp. 277-278 . ( ') Ibidem, pp. 267-268. (1) G . BoNTADINI , Studi Ji filosofia moJema, Lt Scuola, Brescia, 1964, pp. 270 . (') Cfr. A.J. AYEK, Li11guaggio, verità e logica ( 1935), Feltrinelli, Milano, 1 961 , p. 1 1 . ( '0) Cfr. R. CARNAP, Il superamt:ll lo della mel�t/iJica mcdùmlc l'a11alisi logira del lilll,llap,· gio ( 1 932) , in (( Neoempirismo �>, a cura di A. Pasqu inel li, Utet, Torino, 1969, pp. 5 1 5 e 525. ( 11 ) Cfr. L. WlTTGENSTEIN, Tracltlltts logico-philosopbicur ( 1922), Einaudi, Torino, 1974, prop. 6.53.

(11) J. W&INBERG, lntrodmio ne al pvsitwismo logico , Einaudi, Torino, 1950, p. 340. (Il) Per un'ampia rassegna su l problema della significanza empi rica e sul problema dci termini teorici nella sci enza vedi l 'I nlroduzione di M. Mondadori alla parte seconda del volume di CARNAP, Analiticità siguificanza induzione, Il Mulino, Bologna, 197 1 . ( 14 ) Cfr. D . ANTISERI, Il de.slùzo della metafisica nell'analisi linguistica : dal rifiuto viell· nese alla recente ùzterpretazione oxoniense , in , 3, 1970, p. 169. ( '5 ) I due termini sono, il primo di F. WASIMANN, il secondo di R. HARr.. (16) Vedi il riassun to conclusivo circa gli esiti delle posizioni analitiche sulla metafisica che dà Antis er i , Filosofia analitica e semaltlictt del linguaggio religioso , QuerinianR, Brescia. 1974. pp. 1 14-1 15 .

( 17) Cfr. G. REALE, l1Jtrodu�io1te alla lettura della Metafisica, in ARISTOTELE, La Meta­ fisica, Loffredo, Napoli, 1 968, par. l . ( 1 1) M. GENTILE, Come si pone il problema metafisica, Liviana, Padovn, 1965 , pp. 20-21 . ( 19) G. BoNTADINl , Conversazioni di metafisica, Vit:t e pensiero, 197 1 , vol. I, p. 61. Altri, in esplicito riferimento alla problematica del significato, ha parlato d i

sugli stati trasformati.

sapere )> su B: A sa che B è dotato

di un « voler-sapere >> sugli stati trasformati . Infatti poter

«

credere »

una conoscenza significa anche avere delle ragioni proprie per perla » (ciò implica eventualmente anche un

«

sa­

dover-sapere )> ) . Questo giustifica nella conversazione la tipica premura del parlante nel fornire all'ascoltatore spiegazioni , supporti (nel senso di Castelfranchi - Parisi, 1 980), frasi introdotte da infatti, ecc. «

3 ) A è dotato di un « poter-fare » : A può far sl che B acqui­ sisca un « sapere » sugli stati trasformati. Vi è probabilmente un legame tra la condizione 2) e la 3 ) , nel senso che è il « voler-sapere » di B ad attribuire un « poter-fare ». ad A. Infatti se io domando qualcosa (voglio sapere qualcosa) a qualcuno, l'altro sa che io voglio sapere + sa che io so che lui può farmi sapere questo qualcosa. 4) A sa che B è dotato di un « poter-sapere )> sugli stati tra­ sformati . In base a questa condizione non verranno considerati inganni casi come il seguente : B è un bambino di cinque anni ; chiede al padre A spiegazioni di fenomeni fisici che per essere comprese pre­ supporrebbero la conoscenza della teoria della relatività ; A sa che B non può sapere e, quindi, si limita a dargli una spiegazione animistica. In questo caso non si dirà che A inganna B. 5) Nella dimensione cognitiva A e B sono congiunti a oggetti modali che vertono sugli stati trasformati, modalizzandoli secondo la struttura del /saper essere/ . La relazione tra l'oggetto modale con­ giunto con A e quello congiunto con B deve essere una relazione conflittuale tra termini della struttura del /saper essere/.

2.3. Modello narrativo canonico La condizione 2) suesposta sembra postulare un'ulteriore precon­ dizione a livello di performanza pragmatica. L'esistenza di un « voler­ sapere » da parte di B presuppone che B sia stato sottoposto ad una deprivazione o perdita (cfr. anche il meccanismo cibernetico di funzio­ namento del piano nell' « intelligenza artificiale » ) . In base a quanto enunciato già nell ,ipotesi 7 ) si sceglie di adottare il modello narrativo 469

canonico (MNC) per rendere conto dell'incatenamento segreto -+ men­ zogna. Il modello può essere parzialmente rappresentato nel modo se­ guente, adeguandolo all'analisi proppiana ( cfr. « Elementi per una gra m­ matica narrativa » , in Greimas, 1 970 ):

( nascondiglio l

( reggia) r eroe )

O

=

l tradi tore l

figlia del re

Percorso l Competenza

acquisizione di /potere/ da parte di s

2, grazie ad un /sapere/ anteriormente ottenuto ( perdita, per s 4, di qualsiasi potere a motivo del sapere perduto):

ET1 (s 4



Om : sapere -+ s 2) -+ ET2 (s 4 -+ Om : potere -+ s

Performanza

2)

l ) appropriazione : F ( s 2) -+ [ ( s l n O u s 2 ) -+ ( s t u A n s 2 ) ]

2) attribuzione:

F ( s 2 ) -+ [ ( s .3 o

0) -+ (s

3 n

0)]

Percorso 2 Competenza

acquizione di /sapere/ da parte di s 4 , grazie ad un /potere/ anteriormente ottenuto (perdita, per s 2 , di qualsiasi sapere a motivo del sapere perduto ): ET1

Performanta

(s 2 -+ Om :

potere -+

6

4) -+ ET2 ( s 2 -+ Om:

3) appropriazione : F (s 4) -+ [(s

4) attribuzione:

sapere

-+ s 4)

3 n O u s 4 ) -+ (s 3 U O n s 4 ) ]

F ( s 2 ) -+ [ ( s l u O ) -+ ( s l n O ) ]

Nota : Nella dimensione cognitiva !ii postula un'identica riproduzione delle sequenze performative appropriazione/attribuzione, messe in esecuzione dagli stessi soggetti operatori, con la sola differenza della qualità moda/e degli O (manipolazione).

470

Nel passaggio dal livello profondo al livello superficiale ( strutture semionarrative) ognuna delle quattro operazioni sulla sintassi del qua­ drato semiotico viene presa in carico da un PN � dando luogo ad una sequenza del tipo PN 1 -+ PN 2 -+ PN 3 � PN4 ; dove l'incatenamento PN l � PN 2 che rende conto del segreto è sussunto da quello della menzogna PN l � PN 2 � PN 3 � PN 4 . 2.4. Ulteriori ipotesi In realtà una sequenza di quattro PN risulta ancora insufficiente­ mente articolata rispetto alle prestazioni richieste ad un modello veri­ dittivo. Questa carenza è evidente di fronte al fenomeno del « credere » . Le osservazioni empiriche che sottraggono adeguatezza alla descri­ zione indirizzano il lavoro di sofisticazione del modello. A questo scopo si avanzano alcune ipotesi ulteriori .

8 ) Il fenomeno del « credere )) è analizzabue come una combi­ nazione di due tipi di « sapere » : un « sapere » sull'enunciato e un « sapere » sull'enunciazione. Il primo si presenta come un'articolazione della struttura del /sapere essere/ ; il secondo come un'articolazione del ldover sapere/. 9) Il « far-credere •> dell'enunciatore si esercita attraverso due tipi di « dire » : /dire/ di sapere I-essere + /dire di dire/ di sapere l'essere. Il primo si realizza nell'enunciato; il secondo nell'enunciazione. Risulta ancora poco chiara la collocazione del /dire di credere/. 10) Il destinatario è dotato di una doppia competenza : una com­ petenza sull'enunciato (o enunciativa) dell'ordine del /saper essere/ ; una competenza sull'enunciazione (o enunciazionale) dell'ordine del /dover-sapere/. Entrambe sono oggetto di .« sapere » da parte dell'enun­ ciatario ( nella fase di sanzione). Per rendere conto di queste ultime ipotesi occorre postulare che ogni PN della sequenza PN l � PN 2 � PN 3 PN 4 venga preceduto da due PN d}uso preparatori che organizzino .a livello dell'enunciato e dell'enunciazione il « far-credere » dell'enunciatore, la doppia compe­ tenza del destinatario e la sanzione dell'enunciatario.

47 1

L'incatenamento complessivo può essere rappresentato nel modo seguente : m

P N a }_ PNb i

'l n z og.QR

�-------�---" PN

f

P e PN 1 _ fP Nc ) _ P N 2 -- N 1- P N 3 - j g l P Nd f PN t j lPNh

}-P N4

3 . ESEMPI DI APPLICAZIONE Il modello qui proposto sembra essere accettabilmente sofisticato. La potenza analitica può essere verificata sottoponendolo a diversi inve­ stimenti semantici.

Esempio della spia inconsapevole Una spia ( s 2 ), tallonata dal controspionaggio (s l ), decide di mettere al sicuro un prezioso microfìlm ( 0 ), !asciandolo scivolare nella borsa di un passante ( s 3 ) all'insaputa di queseultimo. s 3 diviene una spia inconsapevole ; catturato dal controspionaggio s 3 dichiara di non essere una spia e crede di non esserlo mentre lo è ( rispetto al « sa­ pere » delrenunciatario); cosl s 3 mente al controspionaggio (s l ) e a stesso { s 4 ):

\controspionaggio) ( spia in cons. ingann ata ) O

=

r >< r S4

( spia i nconsapevo l e )

s2 (spia

enunc iata r ioj

micro:film

Esempio della seduta psicanalitica La situazione potrebbe essere rappresentata nel modo seguente

472

( tenendo presente che il ruolo deli' enuncia tar io potrà essere ricoperto da s l o da s 4 ) : ' psicana lista)

(d iscorso inco nscio)

r >) e l'cc oggetto di pensiero )) che l'ana­ Lisi « costruisce " a partire dal primo, in base a un determinato punto di vista) . (6) J . KRISTEVA, lbid. , p. 82. ( ' ) J. K RI STEVA , Materia e senso. Pratiche signi/icc1nli e teoria del ling11aggio, trad. i t., Torino, Einaudi, 1980, p. 5 (il saggio in questione è del '68).

(') A.]. GREIMAS e J. CoURTÉS, l.c. (') Per queste nozioni, nell'ambito della teoria « classica •> degli speech acts, cfr. natural­ mente J.L. AusTIN, How lo do things with words, (1955), London, Oxford University P rcs .> , 1962 (trad. it. paniale in M. SBISÀ, ed., Gli alli litzguistici, Milano, Feltrinelli, 1978) e J.R. SEARLE, Atti linguistici, ( 1969), trad. it., Torino, Boringhieri, 1976. Ma è chiaro che una se­ miotica dell'azione (come teoria degli atti segnici , o di comunicazione), se mai nascerà, avrà bi­ sogno di un quadro teorico più ampio e meno marcato linguisticamente di quello provvisto, 'lno ad oggi, dai ftlosofi anglosassoni degli speech acls. (10) T.A. VAN DIJK, Testo e contesto, ( 1 977), trad. it., Bologna, II Mulino, 198 1 , capp. VII - IX.

(11) Cfr. , ad esempio - oltre al van Dijk già citato -,

W. lsER, Der Akt des

Lesem:

Eco, Lector in fabula. La cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Milano, Bompiani, 1979; T.A. VAN DIJK, Studies in tbe pragmatics o/ discourse, The Hague, Mouton, 1980; M. PAGNINI, Pragmatica della letteraturc1, Palermo, Sellerio, 1980; Commtmications, 32 ( 1 980) : > . Per un tenta· Theorie asthetischer Wirkrmg, Miinchen, Fink, 1 976; U.

tivo di analisi pragmatica dello spettacolo teatrale ( testo spettacolare) si rimanda al nostro Semiotica del teatro. L'analisi testuale dello spettacolo, Milano, Bompiani (in corso di stampa) .

482

MICHELE RAK

ICONOGRAMMI FIABESCHI* MATERIALI PER LA STORIA DEL RACCONTO

D 'IMMAGINE

l.

La tradizione del testo verbale-scritto del Cunto de li cunti di G. B . B asile ( 1 6 3 4 ) è affiancata, a partire dagli ultimi decenni del secolo XVI I , oltre che da una tradizione verbale-orale generata da questo testo anche dalla tradizione di un testo iconico a sua « illustrazione » . L'incremento della produzione di testi iconici di questo tipo, pe­ raltro già diffusi, fu reso possibile tanto in Italia quanto in altri paesi europei solo dopo l 'opzione, già evidente a metà secolo XVII , in favore di una tipografia « povera » - in parallelo naturalmente alla produ­ zione del libro di lusso - destinata a soddisfare - e stimolare - l a crescente domanda di informazione scritta a basso costo e a d alta velo­ cità di circolazione, a remunerare convenientemente i capitali in essa impegnati, a soddisfare un pubblico in via di moltiplicazione e diffe­ renziazio ne. Il racconto d'immagine - integrativo o parallelo al testo verbale-s critto - divenne rapidamente praticabile anche per testi dal target molto limitato, come appunto i testi dialettali. L'incremento della oroduzione libraria in genere in un periodo generalmente ritenuto di recessione economica per i paesi europei segnala l'affermazione della funzionalità del nuovo sistema dell'informazione e del suo veicolo più popolare, il libro .

I p roduttori - ma in generale tutti gli utenti della società lette(*) Ques to scritto comprende i primi 4 paragrafi di una storia della illustrazione del Cunto de li cunti di G.B. Basile tra secolo XVII e secolo XX. Cfr. M. SHAPIRO, Words and Pictu res. O n the literal and the symbolic in the illustration of a texl, The Hague-Paris, Mouton, 197 3 ; A.M. BAssv, Du lexle à l'illustration : pour une sémiologie des étapes, in (( Semiotica », 1 1, ( 1974 ) , 297-334 ; M. RIO, Cadre, pian, lecture, in ) ,

n. 24, 1976, p. 96).

forme d i accoglienza >> sono, secondo Fresnault-Deruelle, nel caso delle tavole a fumetti o delle sequenze iconiche, quelle congiunzioni che danno -l'impressione, at trave rso determinati codici, dell'esistenza di un seg no uguale tra mondo e finzione (cfr. P. FaESNAULT· cc

DERUELLE, Il li11guaggio dei /m11elli, Palermo, Sellcrio 1977, pp. 1 26-142). ( • ) Le istanze del racconto per immagini che avvicinano o allontanano il lettore dallo ( spazio metaforico della pagina come fi11ziom: cfr. P. FRESNAULT·DERUELLE, cit., pp. 126-134).

Le strutture ;o11c1ives

c disionclit,es, vengono util izzate da Rio nell'analisi del rapporto messaggio-destinatario di fronte al ruolo della cornice che da « disgiuntrice » diviene nel pro­

cesso di lettura non più d ema rcaz i o ne , ma nuovo valore simbolico funzionale alla continuità della n arraz ion e (cfr. M. R ao, cit., pp. 96- 100). (') A. NtzzA - R. MoRBELLI, I quattro moschettieri, Torino, Ajani e Canale 193.5. Non

essendo possibile, per

motivi

tecn tcl , inserire illustrazioni nel

testo

di

questo

intervento,

indichiamo le immagini prese in esame con i l relativo numero di pagina del volume sopra

ci ta to .

(6) A. NIZZA (') Cfr.

-

R. MoRBELLI, cii., p. 25. barzellella, in AA.VV ., L'analisi del racconto, Milano, Bompiani

V. MORIN, La

1 969, pp. 179-204 . ( 1 ) L'assenza di una cornice ricorrente facilita il meccanismo di integrazione dello s pazio reale e di quello metaforico sulla p agi n a per cui il percorso visivo assume, nella lettura, tempi e modi propri della sintassi iconica presente nel fumetto. (') Cfr. U. Eco, Leclol' in fabula, M il ano, Bompiani 1979, p. 83.

( 10) Come nel caso della caricatura, esaminata da Gombrich, che ritraeva Schacht , per mano d i Kobbe, con il colletto prussiano enfatizzato, per cui tale diveniva carat terizzante della durezza e della tenacia del personaggio, cosl per il di Bioletto « la maschera ingoia il volto ,,, Si dimostra quindi che al caricaturista

Hjalmar elemento

gangster non in­

teressa, secondo quanto ha notato Gombrich, la percezione della somiglianza, ma le ano­

colp iscono lo spettatore (cfr. E. GoMB RI CH , La maschera e la /accia: la percezione della fisionomia nella vita e nell'arte, in AA.VV.,

malie, . ( P. Nicole, Traité de la Comédie, ed. Cou­ ton, p . 40) Secondo questa presa di posizione la Pratique è null'altro che presunzione normativa, vana speculazione estranea alla materia e agli effetti della comunicazione teatrale; e il lavoro dell'attore è preli ·· minarmente escluso dalla portata di qualsiasi discorso teorico che lo de­ signi come fenomeno rappresentativo, immediatamente sottratto ali 'ap­ plicabilità del modello semiologico. La passione, quale contenuto e mo­ tivazione fondante della mimesi scenica, annulla la distanza tra il corpo rappresentante e la « storia » rappresentata nel segno di una indivisi­ bile dannazione : questo il presupposto che determina l'incompatibilità tra modello rappresentativo e pratica della rappresentazione esercitata nella professione attorica. Poiché quest'ultima è sl « mestiere in cui 523

uomini e donne rappresentano passioni » ; ma « bisogna c:ne le espri­ mano il più naturalmente e il più vivamente che sia possibile ; e non Io saprebbero fare se non le eccitassero in qualche modo in se stessi , e se ]a loro anima non se le impremesse , per esprimerle esteriormente me­ diante i gesti e le parole. Bisogna dunque che coloro i quali rappresen­ tano una passio ne d'amore ne siamo in qualche modo toccati mentre la rappresenta no » . (Nicole, cit . , pp. 4 1-42) Si nega dunque al comico quel­ la « differenza di stato » che sola potrebbe consentire a una persona o a una cosa , secondo la tipologia enunciata dal capitolo IV della Logique, di significarsi in un 'altra condizione , abbolendo l 'accezione più sostan­ ziale del discrimine tra « cosa rappresentazione » e « cosa rappresen­ tata » . Non è possibile significare la passione senza esserne posseduti ; e dalla materialità del corpo rappresentante alla forza della passione rap­ presentata è soppressa la mediazione dell'idea che instaurava il rapporto rappresentativo nella sua versione normale. Non esiste un'idea di attore­ rappresentante distinta da quella di personaggio-rappresentato , poiché una simile bipartizione logica, antologica e semiologica , necessaria allo sdoppiamento constitutivo della rappresentazione scenica , è cancellata dall'avvento di una corruzione indistinta e inanalizzabile. In altri ter­ mini, non esiste funzione significante nel teatro di Nicole, ma identi­ ficazione, non articolazione rappresentativa ma conti nuità emozionale , immedesimazione che coinvolge, annientando a sua volta nella sua au­

tonoma rilevanza formale, il destinatario della messa in scena : « l ' imi ­ tazione delle passioni non ci piace che perché il fondo della nostra cor­ ruzione eccita nello stesso tempo un'emozione del tutto simile, che d trasforma e ci fa entrare nella passione che è rappresentata cit. , p . 52)

».

(Nicole,

L'accettabilità morale del teatro sembra dunque strettamente legata alla sua analizzabilità nei termini del modello rappresentativo . Ma nel respingere il mestiere dell'attore al di fuori di quella « speculazione chi­ merica » che è la loro stessa riflessione sul segno, Nicole e i giansenisti sconfessano l 'assolutezza del modello semiologico e ne subordinano il funzionamento a una prelimina re valutazione ideologica degli oggetti e dei contenuti che vi si trovano implicati . Risalendo, lungo le pagine della Logique, alle radici di questo condizionamento, troveremo le tracce di 52 4

quella concezione agosumana che Robinet ha recentemente riproposto a fondamento della nozione di segno in Port-Royal, al fine di smantel­ lare e ridimensionare la coerenza e l 'estensione della nozione foucaultiana di « rappresentazione classica » . Se la Logique è anche una semiologia , la problematica del segno acquista nel suo contesto il senso di una ingrata ma necessaria deviazione dalla contemplazione del puro pensiero. « Se le riflessioni che facciamo sui nostri pensieri non avessero mai riguar� dato che noi stessi , ci sarebbe bastato di considerarle per se stesse, senza rivestirle di alcuna parola né di altri segni : ma dal momento che non possiamo far intendere i nostri pensieri gli uni agli altri che accompa­ gnandoli con segni esteriori : e che questa stessa abitudine è cosl forte che quando pensiamo da soli , le cose non si presentano al nostro spirito che con le parole con cui abbiamo l'abitudine di rivestirle parlando agli altri , è necessario considerare nella Logica le idee congiunte alle parole , e le parole congiunte alle idee » . Materialità e intersoggettività del lin­ guaggio sono i due fattori negativi che tradiscono la pienezza e la certa verità dei significati : autonomia del significante (si veda la teoria del­ l'arbitrarietà ristretta all'associazione del suono all'idea in I , l ) e dimen­ sione pratica della comunicazione vengono fatti oggetto nella Logique di un recupero e di una « sterilizzazione » ( Simone) tesi ad annullarne 0 almeno a moderarne la fatale ridondanza, la connaturata esteriorità ri­ spetto all 'universo delle « idee chiare e distinte » . In questa impresa Arnauld e Nicole percorrono diversi gradi di prossimità o di estraneità del discorso nei confronti della perfetta verticalità, dell'ortodossia del rapporto rappresentativo. Si veda il capitolo quattordicesimo della prima parte, quello in cui l'uso viene assunto come riscontro determinante nella definizione dei significati. Ne derivano due distinzioni fondamentali : l'idea principale, che si considera come « il significato proprio di una parola » , e le idee accessorie trasmesse dalla particolare situazione di lin­ guaggio si spartiscono l'universo dei sensi trasmessi da un'espressione generando a loro volta la differenza tra stile semplice e stile figurato. Tra i segnali portatori di idee « accessorie » assumono un particolare rilievo quelli che il Traité ha individuato nella dotazione dell'attore e che comprendono una serie di tratti , diremmo oggi, paralinguistici e so­ prasegmentali pertinenti all'enunciazione del discorso : « Talvolta le idee 525

accessorie non sono conferite alle parole dall'uso comune ; ma vi sono congiunte soltanto attraverso chi se ne serve. E sono propriamente quelle che sono eccitate dal tono della voce , dall'aria del viso, dai gesti e dagli altri segni naturali che allegano alle nostre parole un 'infinità di idee, che ne diversificano, cambiano, diminuiscono, aumentano il sign ificato congiungendovi l 'immagine delle emozioni , dei giudizi , delle opinioni di chi parla » . L'intervento di un soggetto parlante, della sua dimen· sione mimica e gestuale, provoca lo spostamento dal senso proprio al­ l 'incalcolabilità dei sensi poss ibili . E immedi a tame nte successiva a que· sta dispersione s i regi st ra lo scarto de lle espression i figu rate che « si­ gnificano oltre la cosa princi pale , l 'emozione e la passione di chi parla .. e imprimono cosi l 'una e l'altra idea nello spirito, mentre l 'espressione semplice non marca che la verità nuda » . Ma nel porre questo discri­ mine che è ancora una gerarchia , la logica di Port-Royal si piega alle esigenze della persuasione, attribuendo allo stile figurato l'attenuante e

anzi l i rreprens i bile obiettivo del coinvolgimento emotivo dell 'anima at­ traverso un'espressione il più possibi le icas ti ca , « poiché s'istruisce con le immagi ni della verità ma non si commuove che con l imm agine delle '

'

emozioni » . E qui, a esempio di una estrema abilità persuasiva , l 'attore escluso da ogn i « speculaz ione chimer ica » , viene surrettiziamente intro­ dotto sotto le spoglie del precetto oraziano che gli è dedicato: Si vis me fiere, dolendum est / Primum ipsi tibi.

È a ncora nel segno dell'immedesimazione che si evoca la profes sione recitativa; ma, invece di essere esclusa ora essa è assunta all'in­ terno o piuttosto sul limite del discorso teorico a esemplificare le de­ viazioni emotive e soggettive dalla verticalità del modello. E a riabili­ tarle poiché l 'attore si offre a modello del retore perfetto quando la

­

,

,

sua facoltà di suscitare le affezioni dell'anima sia ammessa a strumento della diffusione dei « sentimenti di rispetto e di amore che si devono nutrire per le verità cristiane » . Queste pagine della Logique sembrano convertire l'assoluta nefandezza della passione in quella neutralità stru­ mentale che le viene riconosciuta dalla trattatistica medica e gesuitica . Per Cureau de la Chambre , il « premier medecin du Roi » autore di Les caractères des passions ( 1 640-62) la passione è il segno principe « des mouvements et des dessins de l'ame » e ne rende possibile in

526

chiave strettamente semeiotica , sintomatologica , la decifrazione , sovver­ tendo anche la subalternità dell 'apparenza corporea alla superiore arti­ colazione del linguaggio nel proiet tare su quest 'ultimo una riserva di veridici tà : « Avendo destinato l 'uomo alla vita civile, la Natura non si

è contentata di avergli dato la li ngua per scoprire le sue intenzioni ; m� ha anche voluto imprimere sulla sua fronte e nei suoi occhi l 'immagine dei suoi pensieri ; cosicché , se la sua parola smentisse il suo cuore , il suo viso po trebbe smentire la sua parola » (l vol . , p. l ) . Il gesuita Senault alfronta nel suo L'usage des passions (Paris, 1 64 1 ) Io stesso problema in termini più esclusivamente morali ; ma do­ po aver riconosciuto nelle passioni la semenza della virtù come del vi­ zio, ne apprezza in termini analoghi la forza rivelatrice : « Si leggono negli occhi e nel viso i pitt segreti movimen ti dell'anima . . . e di tutte ]e vie per conoscerli non ne conosco di più facili di quelle delle Pas­ sioni . . . con l 'impressione che esse fanno sul nostro volto esse comu­ nicano tutto ciò che accade nel nos tro cuore . . . e ci costringono a con­ fessare la verità

»

(L 'usage . , I , pp . 2 74-5 ) . .

.

Per il medico e per il gesuita l a passione non è una forza cieca, ma la parola chiave di un 'ermeneutica antropologica volta a segmentare, ordinare e modellare la dimensione fisica, a sublimarla come rappresen­ tante d i una verità nascosta e interiore ; e incontrando nella sua trat­ tazione la mimesi scenica , Senault distingue i due modelli possibili di ricezione del dramma , marcando positivamente, in senso morale, la per­ cezione della rappresentazione come tale e paventando il rischio della immedesimazione : « La commedia non è scuola di virtù che per quei grandi uomini che sanno distinguere l 'apparenza dalla verità . . . Ma se le persone volgari si esaminano bene, confesseranno che i versi del tea­ tro li riempiono di emozione e imprimono nelle loro anime tutti i sen­ timenti dei personaggi che fanno parlare » ( L'usage . , cit. , p. 295 ) . . .

Se percepiti nell 'ambito della funzione rappresentativa, i segnali della passione possono diventare strumento di ravvedimento ed edificazione morale : la passione è giudicata « buon conduttore

»

di senso ma l'ac­

cettabilità del significato trasmesso è subordinata alla falsificazione e �Ila delimitazione del messaggio come condizioni implicite nell'istituzio­ ne teatro . È possibile dunque assolvere le passioni classificandole e rico-

52 7

noscendo l'utilità strumentale e la legittimità dell'operazione che le met­ te in scena guidandole verso l'accesso a un significato che è lo sciogli­ mento delle apparenze nella « vérité toute nue >) della Logique e l'« Hi­ stoire veri table » di d'Aubignac. Nella tipologia dei segni abbozzata da Arnauld e Nicole, « l 'a i r du visage » , che è « segno del le emozioni dell':mima >) è « congiunta alle emozioni che significa >) : è dunque segno di cosa presente, secondo la stessa definizione avanzata ma subito ri trattata nel primo capitolo del Traité de la Comédie come vana teoria. Allo stesso modo le signifi­ cazioni « accessorie » e « accidentali » riabilitate dalla finalizzazione per­ suasiva alle verità cristiane , sono quelle « eccitate dal tono della voce, dall 'aria del viso e dagli altri segni naturali » . La nozione rappresenta­ tiva dell'attore potrebbe dunque fondarsi, qualora fosse inserita in que­ sta sistematica, sul versante dei « segni naturali >) che funzionano nella compresenza di « cosa rappresentante >) e « cosa rappresentata >) . E in effetti per Nicole l'attore esercita una comunicazione, detiene e parla un linguaggio ma in senso improprio e deviante: « Le commedie secondo il Traité - non solo eccitano le passioni ; ma insegnano an­ che il linguaggio delle passioni; cioè l'arte di esprimerle e farle appa­ rire in modo piacevole e ingegnoso » (ed . cit . , p . 50 ) . Allora il teatro è una perversione delle facoltà comunicative, in quanto ignora la com­ mutazione delle sostanze espressive in un significato che le trascenda, riducendo lo sdoppiamento rappresentativo a raddoppiamento della ir­ resolubile opacità della materia :

«

se tutte le cose temporali non sono

che ombre e figure, in quale considerazione dobbiamo tenere le Com­ medie, che non sono che le ombre delle ombre e le figure delle figure, poiché non sono che vane immagini di cose temporali e sovente di cose false? » (Traité, p. 72}. Realizzando nella sua pratica rappresentativa la combinazione del senso e della consistenza corporea l'attore attira su di sé una duplice maledizione: la corruzione della materia lo trat­ tiene al di qua dello spartiacque, della barriera innalzata tra il puro significato e le sue manifestazioni ; e il linguaggio che egli esercita e insegna si muove nell'orizzonte costitutivamente negativo dell'intersog­ gettività senza mai attingere alla risolutiva chiarezza e alla transitività del modello rappresentativo; si abbandona al culto della passione senza

528

rinnegarla e dominarla in una classificazione che la rende tollerabile c strumentale. Si legga negli Essais de morale di Nicole il Discours sur les dangers des enlretiens; riconosceremo nell 'origine dello scambio linguistico rav­ vento di una « corruzione aggiunta infinitamente più grande della na­ turale » , il primo anello di una « catena infelice che ci precipita nel­ l 'inferno » , l'inferno delle « false impressioni » e dei « falsi giudizi » . II testo di Nicole ci testimonia l 'impossibilità di pensare nella pratica del linguaggio la certezza del senso, in virtù della deviazione implicita nella genesi dell 'espressione che abbiamo già indicato nelle premess� della Logique . L'iniziazione alle passioni appare anche qui come � 'occa­ sione inaugurale della perdizione : « Quelli che ci hanno parlato hanno impresso in noi l'idea delle loro emozioni , e noi ci siamo abituati a considerarle nello stesso modo e a collegarle alle stesse emozioni e alle stesse passioni » . La fatalità di questa impressione, che i signori di Port­ Royal contemplano nella sua irriducibilità alla trasparenza della pura verità, contrassegna la negatività generica dell 'operazione significante . Se la forza della passione, anche quando concorre attraverso la stimo­ lazione delle idee accessorie a quella estensione retorica che giustifica la trasgressione stilistica, non trova posto nel modello contrassegnato dal discrimine rappresentativo, e di qui nell'ermeneutica antropologica della corporeità, il teatro ne eredita la forza e la dannazione potenzian� dole e raddoppiandole nel corpo separato della sua istituzione . « Tout ce qui est spectacle est passion » , afferma Nicole nell 'altro breve scritte, Pensées sur les spectacles. La condanna del teatro non è allora che la deduzione finale di una semiologia che viene perseguita malgrado la pratica ; condanna di un discorso che funziona nonostante un modello di cui rivela la sovradeterminazione ideologica e metafisica. I gianse­ nisti hanno inscritto la dualità del rapporto rappresentativo in una se­ parazione sostanziale; e le due rispettive sfere del senso predeterminato e della materia corrotta restano anteriori e indifferenti rispetto all'ope­ razione rappresentativa. Questa estraneità delle sostanze è una disparità di valore che rende nulla la funzionalità sostitutiva del segno. La pas­ sione e i suoi segnali si trasmettono per impressione, secondo l 'espres­ sione che abbiamo più volte incontrato, in una proliferazione iniqua e 529

deva Racine replicando alle accuse lanciate da Nicole ai « poeti di teatro » nelle Visionnaires. Domanda decisiva e capziosa che respinge l 'orizzonte gene rale della questione morale in virtù di una specificità e neutralità con­ quistate al territorio della rappresentazione . Ma se la sce na è condannata,. lo è in quan to ha rinchi uso n el s uo spaz io l a ico c se parato la pratica e il mes tiere rappresentativo, in quanto ha couvertito i n una istituzione e in una professione il l i ngu aggio dei co rp i , delle figure, delle ombre. La discol­ pa di Racine non può, proprio in chiave gia nse nistica , che riecheggiare il movente della prescrizione . Nella figura dell ' a ttore ribelle all'ordine se­ miologico ritorna come manifestazione diabolica e corruzione inanalizza­ bile la semiologia della segnatura , dell 'impressione. Se proseguiamo, sulle tracce del mistero eucaristico, la ricerca del versante positivo di questa persistenza ci attende, unico riscatto dalla dis­ perata rarefazione delle teofanie, la sorpresa di una teatralità generale im­ plicità nel rifiuto di una istituzione teatrale. Scrive Fontaine, allievo di Arnauld e Nicole, nel Dictionnaire Chretien alla voce « Spectacles » : « Spectaculi facti sumus . Ecco quale dovrebbe essere l 'occupazione di un Cristiano, che invece di frequentare gli spettacoli dovrebbe considerare se stesso come uno spettacolo » . La redenzione del corpo non sta nel suo rad­ doppiarsi secondo le vane apparenze della rappresentazione ma nel lasciar­ si invadere da una percezione teatrale permanente che trasfiguri il fedele nell'identità con l'esperienza del Cristo . Potrebbe trattarsi (Fontaine scri­ ve nel 1 69 1 ) dell'ennesima dedizione di una logora metafora che reinveste nel nome e nel segno della relazione teatrale la precaria interpretabilità dei fenomeni . Ma se proiettamo nella durata storica del movimento gianseni�.. ta le tensioni emerse nel confronto dei testi teorici tra semiologia e morale, la vicenda di questo attore prodotto a modello negativo della comunica­ zione acquista il senso di una parabola la cui morale è un contrappasso. Cinquant 'anni dopo l 'ultima edizione della Logiqtte scompars i i pro­ tagonisti della generazione di Port-Royal, il giansenismo parigino celebra presso la tomba del Diacre Paris nel cimitero di Saint Médard la posses­ sione collettiva delle convulsionarie. Dal 1 7 3 1 fino almeno al 1760 con­ vulsionarie, profetesse isteriche e crocifisse viventi mettono in scena con frequenza assidua ma irregolare , in luoghi pubblici o privati, la frenesia della santità. Il nutrito dibattito suscitato dalle convulsioni tra medici.. 53 1

indefinibile ; con taminano, invece di comunicare. E il male del linguag.: gio, della passione e del teatro è il male di un linguaggio che si rico­ nosca come tale nella sua produttività e nella sua autonomia. Ma Pattore giansenista , fantasma di una censura che designa la fallacia e la subordinazionc del modello a una gerarchia antologica, si propone anche nella sua negativi tà come versione opposta del mistero eucaristico. Abbiamo già visto, a proposito delle idee accessorie e dello stile figurato, come la sua furtiva apparizione possa riabilitare gli arti­ fici e gli strumenti della seduzione nella persuasio:1e c nella conversione alle verità cristiane, solo rovesciando verso queste ultime l'intenzione del messaggio. Vedremo ora come non soltanto la dannazione teatrale sfugge alla dualità rappresentativa ma anche l'illuminazione sacramen­ tale. Il simbolo pieno che percorre l'ultima edizione della Logique è l'ostia in cui Arnauld e Nicole rivendicano e riconoscono l 'effettiva tra. sfigurazione del corpo di Cristo : la formula della consacrazione è ricor­ data nel capitolo XIV della parte seconda come l'esempla re eccezione della regola che legittima l'attribuzione del significato attraverso la no­ minazione del segno . Se Cristo non ha dato al segno del pane il nome della cosa rappresentata, se « tutte le nazioni del mondo » hanno preso l 'espressione « questo è il mio corpo » nel senso della realtà e ne hanno escluso il senso di figura » , quella espressione non individua nella cor­ rispondenza tra la specie del pane e il corpo di Cristo un rapporto rap­ presenta tivo ma determina la transustanziazione : la definizione del senso si assimila alla definizione della cosa-segno annullando la differenza so­ stanziale in un'appartenenza totale al dominio della grazia. Come sulla scena, nella consacrazione non c'è differenza tra idea della cosa rappre­ è il corpo di Cristo non si istituisce un segno ma si pone un'identità ; si abolisce la distanza semiologica in termini analoghi e contrari alla infernale prestazione dell'attore, posseduto dalla passione che egli enun­ cia e impersonifica, da cui ci si diversifica postulando l'avvento della presenza divina in luogo della trasmissione della concupiscenza (cfr ... sul valore e la struttura della formula eucaristica nella Logique, nelle sue aporie e nella sua storia interna, La critique du discours di Louis Marin). « Cos'hanno a che vedere le commedie con il giansenismo? », si chie530

giuristi e teologi rivela in quegli eventi, dietro la postulazione del soprari· naturale, un inestricabile concorso di impostura e psicopatia. Ma ai pitl questa reviviscenza delle pessessioni appare un insensato ripiegamen to su riti ormai privi di senso . Se è legi ttimo affermare una continuità più che nominalistica tra simili manifestazioni e la visione del mondo e del linguag­ gio espressa dalla Logique e dagli Essais di Nicole, se possiamo riconoscere e della sdegnosa equidistanza giansenistica tra gesui tismo e miticismo, que· sto può significare, per lo storico del teatro che voglia chiarire il valore nelle convulsioni di Saint-Médard l'esito inevitabile dell'arduo equilibrio storico e documentario della querelle sulla moralità dell'arte scenica, uno s tadio irreversibile nell 'affermazione del teatro come istituzione autonoma e separata. Colui il quale rinnega l'istituzione delegata a elaborare e a pro­ dure, in una classificazione ortopedica e neutralizzante, il prelevamento della significazione corporea, è btto spettacolo delirante e distruttiva in­ carnazione di un senso trascendente. E se prestiamo ascolto a quanti so­ s tengono l'integrale intellegibilità di quanto i medici registrano come di­ sordine delle membra, dobbiamo fare ricorso a un 'ermeneuti ca di cui si certifica la definitiva obsolescenza . Scoprendo una continuità sottile e se­ greta tra le aporie della teoria, i limiti, l 'impotenza e le riserve ideologi­ che del modllo e la nuda folgorazione dei fatti, la semiologia giansenista .. altrove assunta a portavoce della regolarità formale della « rappresenta­ zione classica » , si vede condannata a invocare , nella mutazione dei segni che essa comunque attesta, le ragioni di una lingua perduta e consumata . Deux problèmes à resoudre sur l'oeuvre des convulsions, Paris, 1 734dicono che Dio è regolato, conseguente, uniforme nelle sue espressioni,. che egli è la regola stessa che fa tutto con peso, numero e misura; che egli ha sostituito alla legge antica , che era una legge figurativa, un nuovo stato di cose che non è più il regno delle figure, né la stagione degli eventi simbolici e degli spettacoli allegorici ; e concludono pertanto che quelli di oggi non possono essere riferiti a Dio come al loro principio; che altrimenti bisognerebbe dire che il tempo delle figure è tornato, la qual cosa è interamente contro l 'analogia della fede » .

532

0RNELLA FALANGOLA - MARIELLA Mus cARIELLO

*

LA TEORIA DEL SEGNO NELL'OPERA DI CESARE LOMBROSO

l . Il modello criminologico di Cesare Lombroso è una delle meta­

descrizioni che « mettono in sistema » i segni di stabilizzazione dell'ap­ parato logico-ideologico praticato nella strategia positiva dell'Italia post­ unitaria C). In questo senso il « testo » di Lombroso, considerato in una prospettiva culturologica, intendeva anche fungere da regolatore del­ Ia dialettica sociale, attualizzando, in una « invenzione » segnica e) , i quadri concettuali emergenti. L'indicazione proveniente dalla classe ege­ mone - la borghesia - per l 'allestimento di strumenti teorici di control­ lo del disarticolato ed eterogeneo spazio sociale, sollecitava operazioni di sistematizzazione culturale che descrivessero i tratti della « normalità » coincidente con la « sanità » borghese . A questa indicazione si connette­ vano le pratiche modelizzanti che rassicurassero sulla norma attraverso una « messa in sistema » delle anomalie socio-culturali rese riconoscibili attraverso strutture significanti . L'organizzazione dell'extrasistematico assicurava la sua attrazione nel campo della sistematicità e la conseguente neutralizzazione della conflittualità che la riserva dinamica di elementi e­ sterni al codificato assicura e). a pratica segnica di Cesare Lomhroso sul­ la criminalità risultava organica a questo « programma » Nel continuum del sociale Lombroso, infatti, selezionava le unità minime di significato scelte per la loro opposizione ai tratti pertinenti la « normalità » : la prostituta, i rei nati, i rei d'occasione, i geni1 i mat­ toidi, costituivano sememi sistematizzabili per i l comune senso eversivo orientato dai rispettivi, differenziati , fasci semantici. L'attualizzazione di tale sistema semantico richiedeva, per attivare la comunicazione, l 'allesti­ mento di un corrispondente sistema sintattico che organizzasse le forme delle individuate unità di contenuto. (i') Il paragrafo n. l è di Ornella Falangola; il paragrafo n. 2 è

di Mariella Muscariello.

533

La scelta del corpo come continuum materiale che spazializzasse i l significato, corrispondeva ai principi teorici ed alla prassi sperimentale dei modelli scientifici ed ermeneu tici del positivismo , assicurando la « ve­ dihilità » dell'anomalia sociale attraverso il rapporto percettivo tra lo sguardo ed il campo della malattia. D'altra parte la forma del contenuto - il sociale nei suoi tratti patologici - orientava la simmetria formale dell'espressione, per cui gli elementi eteromaterici del sistema significante venivano selezionati con il meccanismo differenziale tra norma ed anti-norma , meccanismo già impiegato per la costruzione del sistema significato. La semantizzazione dei tratti formali richiedeva che l'anomalia sociale si proiettasse sulla anomalia fisica. Dal rapporto oppositivo tra tratti normali c tratti ano­ mali, Lombroso costruiva la morfologia della « devianza somatica » , tracciando, cioè, i n puntuali irregolarità anatomo-fisiologico-funzionali, la topografia antinormativa; dalla combinatoria dei tratti selezionati det­ tava le regole di una sintassi del corpo con cui parlare della criminalità. Tale attività produttiva di Cesare Lombroso manipolava funzioni segniche già in uso, quella « fisiognomica » e quella « clinica » . La « scienza della fisiognomia » aveva costituito un apparato di dati rite­ nuti idonei ad inferire , attraverso la lettura e l 'interpretazione dei tratti del volto, sicuri dati emotivo-caratteriali per la ricostruzione di una to­ pica delle passioni C) ; la « scienza della clinica » stabiliva la sintassi intelligibile del significante-sintomo - una alterazione dello spazio vi­ sibile del corpo - congiungendo l'elemento sintomatico ed il legame degli elementi tra loro (5) . Strutturate in tal modo, le funzioni segniche fisiognomica e clinica attivavano una correlazione di tipo metonomico tra i propri funtivi : in entrambi i casi il significante corpo « sta al posto » di un significato contiguo, circoscrivibile nel « dentro » , l 'iden­ tità psico-emotiva per l 'uno, la malattia fisiologica per l'altro. L'istituzione del codice criminologico consisteva nell'alterazione del rapporto fra i funtivi segnici e, cioè, nella sostituzione del nesso me­ tonimico con un nesso metaforico: il corpo entrava in correlazione se­ gnica con un « fuori altro » , il sociale, divenendone « figura » . Istituito il codice, Lombroso provvedeva ad omologarlo ai canoni scientifici cui doveva essere funzionale, azzerando il tasso di convenzionalità della pro534

pria operazione con la motivazione « determ i nis t ica sale tra gl i elementi eteromaterici strutturati .

»

di un legame cau­

Le b a si biologiche del comportamento criminale, già segnalate da­ gli eq u i val e nti del delitto nel mondo animale, costituivano, infatti, il supporto di un modello statico che, p revedendo il solo movimento del reato, congelava la v alenza culturale dell 'unità - reo . Nella prefazione a Delitti veccbi e delitti nuovi C') , Lombroso scri ­ veva : « Siccome la base e la natura non sono cambiate anche l 'opera non cambia [ . . . ] l'indiv iduo [ . . . ] permane immutato » (p. IX) . La si­ stematizzazione dell 'extrasistcmatico come tale, era l'omologon semio­ tico dell 'idea positivista : dal punto di vista sincronico Lombroso assi­ curava un moc.lcllo corrispondente ad una visione « chiusa » del mon­ do , ed in una prospettiva diacronica definiva il principio di stabilità del modello stesso . L'invenzione segnica di Cesare Lombroso si risolveva pertanto nella produzione di un sistema omologabile ai modelli cog nitiv i « vin­ cen t i » , con una operazione di innesto del nuovo nelle praticate abi­ tudini pe rcettive dei modelli fisiognomico e clinico . Perman ev a , in fatti , immutata la percezione del corpo come tradu ttore di significato. Dop o aver fornito ai gruppi egemoni uno strumento teorico di

codifica delle indicazioni da loro provenienti , Lombroso provvedeva ad una informazione capillare che , passando attrave rso canali differe nziati , assicurava la penctrazione del messaggio nel sociale ed il controllo del consenso. Provvedeva, infatti , a lla pubbl icizzazione dell 'allestita segnicità con i) il mezzo tecnico specialistico del manuale, in cui la codificazione sta� biliva la con ve nzio !'le, ii) il mezzo « accessibile » del Museo C) , dove la produzione estensiva del messaggio sintetizzava l 'analiticità della su a scrittura « scientifica » , iii ) il mezzo per iodico del giornale, in cui detta segnicità entrava in con tatto regolare con l'area dell'utenza (8) . Potrebbe risultare interessante una indagine sul meccanismo di interscambio se­ gnico prodotto d alla circolazione del messaggio lombrosiano all'interno dei tre suddetti canali di i nform azione : parola e immagine co�occor­ rono, infatti , all 'interagire dei tratti analitici del manuale - il dato scientifico descritto -, dei tratti sintetici del repertorio da Museo - il

535

dato scient ifico mostrato -, dei tratti ese mpl i fica tiv i della cronaca gior­ nalistica - il dato scientifico raccontato dal vissuto -. Si può avan­ zare l ' ipotesi secondo cui tale tecnica di intcrscambio formalizzi una pratica comunicativa che già segnalava , in questa prima fase della in­ dus tria culturale , il gradu ale passaggio dall'organigramma delle culture separate ad un organigr�mma Ji cul tura unificata n . I dat i forniti dalla storia del costume epocale sul prol iferare dei comportamenti indotti da l la assimilazione del modello lombrosiano, at­ testano della sua avvenuta penetrazione. Si costituiva , ad esempio, con la cattedra di Antropologia criminale di cui Lombroso fu ord i na rio nel 1 905, una scuola, area di aggrega z i o n e di sci pl inare ed inte rd isc i pli n are , che incentivava una serie di iniziative p u bbl iche scien tifico-culturali : studi, congress i e riviste , di cu i « l'Anomalo » , gazzettino antropologi ­ co, psichiatri co , medico- lega le, è docum e nto . Contemporaneamente l 'in­ filtrazione del modello lombrosiano nelle norme giuridiche vi ge n ti con conseguente modifica del diritto penale, determinava il costituirsi di nuovi istituti penitenziari, i manicomi crim inali o le carcer i modello, come di nuovi organi di controllo , quali la Pol izia scientifica . L'inte­ resse per il « reperto » , infine, stimolato dalle numerose mostre che la scuola lombrosiana allestiva in occasione dei congressi di Antropo logi a criminale, si traduceva in orgasmo da collezionista, una diffusa moda di raccogliere materiali documentari della patologia sociale; alle collezioni si affiancava un raffinato artigianato della deformità : ne sono esempio gli anomali esemplari riprodotti in dimensioni naturali dal dottor Spitzner e mostrati al pubblico in un circo vagante ( '0) . ­

2 . L'evidenziato interesse di Cesare Lombroso per i problemi di

strategia culturale in rapporto all'incidenza del canale sull'efficacia del­ la comunicazione, motivava, analogamente, il suo discorso sui diversi indici di penetrazione di uno stesso messaggio registrabile in corrispon­ denza dell'uso di mezzi differenziati . In DVDN, nel capitolo sul pazzo ed il criminale nel dramma e nel romanzo moderno, Lombroso, isolan­ do nella tipologia criminale tratti semantici comuni con certa produ­ zione narrativa e teatrale, individuava nella tecnica del discorso este­ tico la « forma » che , a differenza di quella scientifica del trattato, 11). facilitava Papprendimento del vero , assicurandone il consenso ( 53 6

Nella prospettiva , qu i nd i di una più efficace funzionalità comu­ nicativa del mezzo narrativo, Lombroso, inseriva nei suoi trattati « te­ sti >> perti nen t i il racconto come esemplificazioni dello « studio schele­ trico » del « fatto ( ' 2 ) . Si individuano infatti : ,

i ) storie che interrompono la linearità dell 'esposizione scientifica, com­ prendenti macroracconti C3 ), veri intrecci di sequenze funzional i ; e m i ­ crorraconti, cioè topic narrativi, che contraggono in sequenze di « libere fu nz i on i » lo spazio deli' avventura :

La Spinctti , sposatasi con un tristo, che essa cercò invano di ricondurre sulla via buona, si adattò, essa già ricca , a far la serva per lui (DD, p . 4 95 ) . ii) sceneggiature , seg na l i narrativi che orien ta no la cooperazione inter­ pretativa verso la selezione enciclopedica di un immaginario già narrato ; ne fanno parte luoghi topici del racconto di intrattenimento - la sof­ fitta, il tenebroso castello, il serraglio - quali scenari del delitto e del­ l 'esotico : Le indagini operate dalla polizia nel tenebroso « castello » giustificaro­ no anche troppo quel nome di «Castello della morte» (DVDN, p. 1 6 1 ) ; antonomasie narrative per cui nomi di personaggi celebri stanno a l po­ sto della propri a storia o la stereotipia del ruolo media la prassi comportamentale da essa previ sta: I De Goncourt hanno dipi nto un caso e un tipo simile di madre nel romanzo Rénée Mauperin (DD, p. 570) . II medesimo meccanismo dalla sintesi allo svolgimento è attivato anche da un terzo tipo di sceneggiatura, la citazione letteraria di titoli di consumo: Questa forma di furto fu del resto benissimo descritta dallo Zola nel Bonheur des dames (OD, p. 483 ). iii) forme del discorso diretto, quali la tecnica epistolare : Di due abbandonate, una scriveva ad un'amica : « Assicuralo (l'amante ) che io fo voti per la sua felicità, che io muoio adorandolo » ; e un'altra : « La morte fra poco ci avrà separati : ho la speranza di farti felice » . « Che ho fatto - domandava un'altra t radita nell'ultima lettera al­ l'amante - per meritarmi la tua disgrazia? Forse perché ti ho amato più che la vita, tu mi abbandoni? » (DD, p. 5 1 5 ) ; 537

e

la tecnica d ia logi ca : A interrogarne molte - scrive il Du Camp - sui loro genitori si du­ bita di trovarsi in p resenza di un essere umano . « - È ancora vivo vostro padre? « - Mio padre? Credo di si , ma non ne sono certa .

«

-

E vostra madre?

« - La mamma dovrebbe essere morta, ma non

ne

sono certa » (DD,

pp . 527-28 ) ;

e forme d i enfatizzazione, consistenti nell 'uso d i una segnicità ti pografi­ ca interiettiva : come se egli conoscesse l 'applicazione della g ra fo l og i a alla psichiatria , quando i periti stessi dimostrano di ignorarla ! [ . ] Simulava egli [ . . ] la mente sana ? (DVDN, p. 1 02 ) , .

.

.

e straniante , realizzata dal corsivo di esotismi linguistici : Un reato , piquant, quale la bigamia (DD, p. 52 9 ) . Cosi spesso i l rapporto tra i l souteneur e la prostituta diventa un rap­

porto di complicità (DD, p . 5 3 5 ) .

Si vantò in téte à téte col sostituto-procuratore generale {DVDN , p. 1 14 ) iv) aggettivazione di luoghi e persone , tecnica descrittiva di q ual ifica zione ed enumerazione di « ogge t t i » del « racconto » :

.

­

Talora si facevano portare da robusti Abissini en tro lettighe, ove giace­ vano seminude con uno specchio d'argento in mano , cariche di smani­ gli , di gemme, di orecchini , di diademi e di spilli d 'oro : ai loro fianchi gli schiavi rinfrescavano l'aria con grandi ven tag l i di penne di pavone ; davanti e dietro le lettighe camminavano eunuchi e ragazzi , suonatori di flauto e zenani buffoni, che chiudevano il corteggio. Talora sedute o in piedi, in cocchi leggeri, dirigevano esse medesime i cavalli , cer­ cando di sorpassarsi le une le altre. Le meno ricche, le meno ambizio­ se, le meno turbolente andavano a piedi, tutte adorne di stoffe scre­ ziate ; le altre portavano parasoli, specchi , ventagl i , quando non le ac­ compagnavano più schiavi, o per lo meno una fantesca (DD, p. 23 9 ) .

Nel praticare la descritta commistione di differenziati modi della

comunicazione, Lombroso allestiva, per una ind agine semiotica, un in­ teressante campo di verifica della circolazione segnica all'interno dei sistemi di una cultura, autonomamente omologati al modello ideologico che li organizza. Il « senso » epocale, dunque, è estrapolabile dalla ricostruzione di un diagramma relazionale che visualizzi le de tte corre538

lazioni , orizzontale tra i sistemi - scienza e letteratura -, verticale tra i sistemi e modello culturale, scienza , letteratura e ideologia C4 ) . Se il sistema scientifico provvedeva a ratificare la interdizione della trasgressione sociale attraverso una sistematizzazione funzionale al suo controllo, nel contemporaneo sistema estetico si attuava una analoga operazione di marketing ideologico con prodotti « suggestivi » in cui il narrato costituiva la « maschera )) illusoria e deviante dei valori vin­ centi. Nell'attivare il medesimo universo semantico, scienza e letteratura seguivano opposti i tinerari di formalizzazione del senso necessario. Il romanzo, infatti , lavorava sullo spazio divisorio tra gli opposti campi la regolari tà e l 'infrazione -, spazio tracciato dalla rigidità significativa dei dati scientifici ad essi afferenti , manipolandone la distanza : con la sovrapposizione delle due opposte segnicità il messaggio estetico assi­ curava la ricezione del reale codificato , attivando nel fruitore l'illusione di un deviato immaginario. L'interrelazione tra reale e immaginario nel romanzo generava, a livello percettivo, il gioco ambiguo di identi­ ficazione ed estraneità tra testo e lettore: il fascino dell'eccezione indu­ ceva il lettore a trasferirsi nel narrato e a viverne, nell'immaginario, la devianza ; il distanziamento spazio-temporale prodotto da elementi del racconto - l 'esotismo degli scenari , il superomismo dei protagoni­ sti -, metteva in moto il meccanismo con cui il lettore, estraniandosi dall'immaginario, ed uscendo dal testo, rientrava nelle norme del reale. La fruizione del medesimo universo semantico, diversamente modelliz­ zato dal trattato scientifico e dal romanzo, avveniv a pertanto con l'a tti­ vazione di due differenziati moduli comunicativi . Il tratt ato, interes­ sato alla definizione di un significato necessario, privilegiava il linguag­ gio numerico, funzionale alla « corretta » trasmissione dell'aspetto con­ tenutistico del messaggio stesso ; il romanzo , al contrario, costruito con le strutture polisemiche del discorso estetico, riscriveva l'ideologia lom­ brosiana con un linguaggio analogico, che valorizzava nella comunica­ zione l'aspetto relazionale tra testo e destinatario, interessandone la sfera emozionale più che quella logica C5) . Quanto si è fin qui detto sul romanzo nell'esemplificare il processo di omologazione di insiemi siste­ matici al modello della cultura epocale, acquista maggior pertinenza , 53 9

ai fini di un discorso su Lombroso , se si considera che il suo sistema ha indotto modi di produzione letteraria nel praticato romanzo popolare . Neila Degenerazione del 1 892 , il critico Max Nordau , ispirandosi a Lombroso, applicava I 'apparato ermeneutico scientifico posi ti vista alla classificazione di alcuni fenomeni estetici contemporanei - il satanismo e il simbolismo - letti tra i processi degenerativi , proponendo, in tal modo, una riscri ttura della storia letteraria ( 16 ) . Analogamente la se­ mantica lombrosiana entrava in una serie di prodotti narra ti vi , specie dell'area torinese, in cui si attualizzavano le forme della sensibilità come malattia, della passione come al terazione fisiologica , come percor­ so inevitabile verso la follia, il deli tto, il suicidio \ '7 ) . Nel 1 88 0 M . All ara Nigra pubblicava Psiche-Amore pazzo, storia d i u n suicidio d i amore e d 'onore ; Emma Arnaud i n Condannata del 1 890 ricostruiva narrativamente il nesso lombrosiano tra pazzia e delitto. Nelle storie di Carolina Invernizio , apparse in appendice sulla « Gazzetta di To­ rino » , la semiosi lombrosiana veniva utilizzata nella fabulazione di episodi delittuosi che la cronaca nera pubblicizzava con la descrizione dei sensazionali processi fine secolo ('11) . Le tecniche narrative impiegate dalla Invernizio nelle sue « storie » di delinquenza risultavano, inoltre, funzionalmente omologhe alle strut­ ture formali del trattato scientifico lombrosiano. La tipologia del « cat· tivo » , ad esempio, si iscriveva in un campo motivazionale determini­ stico - il vizio di costituzione -, che correggeva l 'esito sensazionale delio « scioglimento » previsto dali 'intreccio « giallo » : la prevedibilità del modello, a ttanziale destrutturava i segni testuali funziona] i al per­ corso della « scoperta » , rendendone attesa la semantica . In tal senso scelta e « visione » del campo omologavano i romanzi della Invernizio alla « scienza » criminologica di Lombroso.

540

( l ) Per la defin izione di metadescrizione come grammatica attraverso cui un dato sistema semiotico si autodescrive, autoorganizz:mdosi , si r invia a j .M. LOT MAN, Testo e contesto, Bari,

Laterza, 1980, p. 14.

(l) Per la de fi nizion e di no. Bompiani, 1 978,

••

i nven zione

•> ,

cfr. U. Eco, Tra/Ialo Ji semiotka generale, Mila­

p. 309.

( ') Per i rapporti tra sistema cd cxtmsistcma si rinvia a ].M. LoTMAN, op. cit., pp. 1 1- 1 8 .

( ' ) L a prima operazione di sistcmatizzazionc della pmtica fisiognomica in « scienza )) ri· sale a G .B. De l l a Porta che nd 1586 pubblicava a V ico Equense i quauro libri del Dc: butnafiJ

pbysiogtiOIIIÙJ. Nel 1775 j.K. Lavater pubblicava i J>hysiognomische /ragm c nta , in cui svilup­

pava la teoria fisiognomica. Ulteriori contributi venivano dalla Psycbische autbropologie di

S .E. Schulze del 18 19, d a ll 'A tlante Jc:l dolo"' di P. Mantegazz:t, Milano, 188 1 .

( ' ) Per una defi nizione d d segno di penctrazione del modello di C. Lombroso, cfr. l'in­

troduzione di F. GIACANELLI a G. CotoMno , La scienza ili/elice , Torino, Boringhieri, 1 975 , pp. 7-40. ( u ) In DVDN , a pag. 307 , si legge: « Chi [ . . . ] confronta il dramma moderno con l'an­ tico [ . .. ] è sorp reso [ . . . ] dal la strana frequenza di protagonisti pazzi o c rimina li ... c quando cosl violente e strane, quali il mondo non i protagoni sti non lo sono, sono agitati da passioni esso, anzi, rifiuta di a m me tte re, se segnalate in un libro scienti­ che e vie; incontra mai per l del nelle o roma n zo 1> . pagine scene sulle accetta fico ' ma che pure (Il) « Quando invece dobbiamo concludere sulle fredde statistiche o sopra uno studio sentiamo tutto il vecchio passato, che ci si o ppone di mezzo )), direi schele trico, dei fatti, DVDN, p . .321 . Un 'in teressante verifica dell'uso dell'estetico da parte della scienza positivista a fini dirubrica di Lettcrat11ra dei folli, nel già citato gazzettino mensile vulgativi è la presenza di una l' « Anomalo )>. ( u) Si legga , come esempio di macroracconto, il lungo brano a pagina 508 di La donna Torino, Roma, Edi ori L. Roux e la donna 11ormale, delinqtlenle, fa prostituta e to fatto accaduto nel Belg1o. Un uomo amava , namato, una ra­ ques va C. 1894 : (( Ne sia pro ricca si era pur essa assai innamorata dello stesso individuo: costui , a cugin a povera, la cui g

(siglato D�)) ,



onesto in fondo, ma debole n

e



spave nta to dall'idea di dover lotta re per la vita, si lasciò indurre

fidanzarsi con la cugina ricca , lasciando la povera che l'amava. Ma accadde che poco innanzi

il matrimonio la cugina ricca ammalò gravemen te : ora siccome lei morta, l 'altra cugina avrebbe ereditate le sue sostanze, e il fidanzato avrebbe potuto sposarla raddoppiando cosl la felicità della ricchezza, la moribonda fu presa da una tale gelosia che pensò di disonorare l'amante per sempre e togliere cosl all'altra quella felicità che per lei non esisteva più: ingoiò un ricchissimo diamante tolto al suo anello e poi confidò al padre che il fida112ato, in un momento che era

rimasto solo con lei, nella sua camera da letto, l 'aveva rubato: lei morta, il padre, che cre­ deva quella confidenza un delirio da agonizzante, guardò, tanto per scrupolo, nello scrigno dei gioielli, ma con sua sorpresa trovò l 'anello senza diamante: il giovane fu arrestato e sarebbe stato condannato se, per sua fortuna, la voca pubblica non lo avesse accusato anche di avere

54 1

avvelenata Ia fidanzata per fare creditnre l'nltrn cugina: l 'nutorità ordinò l 'au topsin c il peri to trovò, nelle viscere della morta, il diamante » .

( 1•) Per i rapporti sistemici strutturanti il senso epocale, secondo una prospettiva cultu·

rologica, si rinvia a M. RAK , op. cit. , pp. 1 1 -12.

( 15) Per una definizione dei li vell i comunicativi di contenuto c di rcl:!zionc , dr. P. \VIAT7.·

LAWICK, ]. HELMICK BEAV IN, D.D. ]ACKSON, Prtlf.llltJiica cldla cmllllllil'aziolle

tlllttlll.l, Runu , Astrolabio, 1 97 1 , pp. 44-47 c pp. 52-59 . ( 1") Anche per questi dati si ri nvi:t :l F. GJ ACAN"I .I.l , np. cii. , Jl. 34. ( 11 ) I l nesso tra p roduzion e narrntiva torinese e le teorie scientifiche di C. Lomb roso è individuato, ad esempio, da G. MonANDINI in La von• c!Jt• c\ in Id, Mihmo, Dompiani, 1 980 , una

antologia di romanzi femminili tra '800 e '900. ( ") A tal p roposito M. ROMANO, in Mitologia romantica e letleraltiTa popolare, Ravenna, Longo, 1 977, nel capitolo « I misteri di Torino >), definisce l'incidenza della cronaca nera sulle strutture narrative di C. Invernizio.

542

STASS - Stampatori Tipolitogra6 Associati



Via Maggiore Toselli, 21

Settembre 1981



Tel. 292.780



Palermo