La scienza incerta. Vico nel Novecento


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La scienza incerta Vico nel 'ovecento

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LE TENEBRE NEL FONOOOELLA l)ll?INTURA sono lo maùrla dJ quuta Scienza incerta,. informe, oscura.

(Spi~ga:,,ioneddla cliplntura)

Nota editoriale Il ter.t.0 capitolo di questo libro, dal titolo La metafora fa Il maggior corpo delle lingue, è comparso sulla rivista "Aisthesis", VII, 201412, pp. 127-142. Il quinto capitolo, dal titolo Magis omicus Plautu.s, è comparso, in forma ampiamente rielaborata, con il titolo La commedùz e Il negatioo, sulla rivista "aut aut", 364, 2014/4, pp. 47-61.

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Il tuono e la legge Vico e Levi-Strauss: certum e incesto

«L'orrore dell'incesto (qualcosa di empio) è basato sul fatto che, formando una comunità sessuale (anche in epoca infantile), i membri di una famiglia rimarrebbero permanentemente uniti e incapaci di legarsi a estranei»1•

«Alzarono gli occhi e avvertirono il cielo»2•

Qui Vico si figura il passaggio tra natura e cultura3•

Dall'une ai molti. Da qui prendono avvio tutte le "finzioni" mediante cui il genere umano cominciò a fantasticare la terra: si finsero Giove un gran corpo animato, come se «col fischio de' fulmini e col fragore de' tuoni volesse dir loro qualche rosa»◄, ma il messaggio non venne inteso a priori, come se si potessero dare per scontate la nascita e la presen:za dei significati presso quei primi bestioni. l S. Freud, Minute teoriche per Wilhelm Fliess (1892-97), in Opere, a cura di C.L. Musatti, Torino 1968, voi. li, p. 66.

2 G. Vico, Princlpjdi Scienza nucoa (1744), in La scienza nuova. Le treoersionl, a cura di M. Sanna e V. Vitiello, Milano 2012, p. 918. Si indicherà tra

parentesi quadra l'anno dell'edizione della Scienza nucoa [SN). 3 C. Sini, Passare Il segno, Milano 1981, p. 113: v.oçsvia12 che ancora regnava presso le civiltà dedite alla Madre Terra Demetra 13 - in particolare presso i Cari. Questa "simpatia" è per Vico il "niente-in-mente" o meglio il "niente-della-mente", nel senso che un tale principio comportava «l'esplicita awersione contro ogni sorta di restrizioni»14: invece che rimarcare la distinzione, si viveva "al di qua" rispet-

10 Cfr. ivi, pp. 897 e 1256. 11 J.J. Bachofen, Das Mutterecht, [1861), acura di H.-J. Heinrichs, Frankfurt a.M . 1978, pp. 37--47. Tr. it. Il matriarcato, a cura di G. Schiavoni, Torino 1988, Tomo I, pp. 35-45.

12 Cfr. ivi, p. 14. Tr. it. p. 16. 13 Bachofen sviluppa una sorta di visione tripartita della storia della civiltà: a una prima fase eterica caratteri=ta da quell'Afrodite asiatica, che è esattamente la Venere bestiale di Vico, segue una seconda fase, quella ginecocratica, detta anche "demetrica"; a questa seguirà quella patriarcale, o apollinea. Già il matrimonio nella civiltà demetrica fu awertito come una p rima lesione di un principio oppostopiìl originario (cfr. ivi, p. 30. Tr. it. p. 30); a maggior ragione la struttura patriarcale irrigidì ulteriormente la struttura su cui si articolava la dimensione civile dei popoli. Le tre fasi prospettano una complessità superiore rispetto alla "dualità vichiana": Bachofen chiarisce che la guena di Troia - nata dall'oltraggio del talamo coniugale - costituisce la prima sconfitta del principio eterico asiatico, cui seguirà una seconda sconfitta nel corso della seconda guena punica, dove si affermerà la matronale Giunone (cfr. ivi, p. 36. Tr. it. p. 35). Roma, con il suo fmperlum, e la sua rigorosa struttura patriarcale, contribui in maniera decisiva all'instaurazione e al consolidamento del principio paterno (ivi, p. 57. Tr. it. p. 52), nel quale si deve rawisare la definitiva - letteralmente catastrofica - supremazia del principio virile-spirituale su quello materno-naturale. 14 lvi, p. 14. Tr. it. p. 16.

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to a qualsiasi partizione. Vico lo chiama più semplicemente il falso, intendendolo come ciò che (solo dal punto di vista del principio di distinzione che verrà) si contrappone alla "norma sui et Jalsr. Nella Scienza nuova questa condizione viene anche definita "Cao", «confasione de' semi umani nello Stato dell'infame comunione delle donne,, 15• Di questa "condizione" verosimilmente ci parla anche Platone in almeno tre occasioni. 1. Nel grande mito del Politico , si narra che nella prima età del

mondo «non c'erano società politiche, né possesso di donne e figli: infatti tutti rinascevano dalla terra, senza ricordarsi nulla della vita precedente,,16• 2. Nel grande racconto aristofaneo presente nel Simposio si legge: «del resto non generavano né partorivano l'uno nell'altro bensl in terra, come le cicale»17• Qui sembra di poter intendere entrambi i passi come la rievocazione dell'antica condizione in cui non si era ancora connesso il concepimento alla generazione: è l'età ferina del Vico. 3. Non si può dimenticare che alle cicale sopracitate Platone si riferisce anche nel mito del Fedro: «si dice che le cicale un tempo fossero uomini, di quelli che vissero prima che nascessero le Muse,,18• Oltre alla presenza delle Muse non si può fare a meno di ricordare che questo racconto è citato proprio nello stesso dialogo in cui Platone narra anche la nascita della scrittura.

15 G. Vico, SN [1744], cit., p. 1093. Cfr. anche p. 1106. 16 Plat. Poi. 271 e - 272 a. Tr. it. Politico, a cura di M. Migliori, Milano 1996 p.109. 17 Id.. Simp. 19lb-e. Tr. it. Simpo.sio, a cura di F. Ferrari, Milano 199711 , p.145. 18 Plat. Phaedr. 259 b. Tr. it. Fedro, a cura di G. Reale, Milano 1993, p. 121.

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Incastro e cerniera: Vico e Lévi-Strauss Il tuonare del cielo e il comportamento che ne seguirà, contraddistinto da certe mogli e dunque certi figli, ovvero quello dell'unione matrimoniale, dev'essere inteso come inizio della civiltà, e superamento della "Venere bestiale" 10: Dumézil nota come Venus sarebbe l'unico esempio di un sostantivo neutro, del tipo genus-generis passato al femminile sell7.a altra modifica se non un accusativo Venerem20•

Venere, da principio, è un neutro. Vichianamente è il neutro della variante del mito di Penelope: se la prima versione vuole che Odisseo tornando uccida i pretendenti (chiaro riferimento all'instaurazione della linea patrilineare), nella Scienza nuova Vico ricorda una seconda versione del mito ove Penelope «.si prostituisce a' Proci; communica i connubj alla plebe: e nenasce Pane, mostro di due discordanti nature, umana, e bestiale»21. Ad aver prevalso è il mito di Odisseo, ma in questi passi risuona l'origine "altra", una différance che nel suo cancellarsi istituisce l'orizzonte di ciò che si chiama civiltà e cultura. Il principio eterico risiedeva in quella "neutralità" che si spezza e rende Venus un femminile di contro a un maschile. Tornando al problema del tuono come superamento del principio eterico, qualcosa di analogo sul piano degli studi antro-

19 Riguardo all'espressione "Venere bestiale" Alfred Kallir mostra l'associazione tra Venere e la caccia (venari). Cfr. A. Kallir, Sign and Design- The Psychogenetic Source of the Alphabet, London 1961. Tr. it. Segno e disegno. Psicogenesi dell'alfabeto, a cura di F. Urbani Ferrarlo, Milano 1994, p. 496. 20 Cfr. G. Dumé-41, ldées romaines, Paris 1969. Tr. it. Idee romane, a cura di M. Gabellini Baiardi, Genova 1987, p. 231. Sulla radice etimologica di "Venus" e il suo legame con "oenari" cfr. J. Pokomy, lndogermanisches etyrrwlogisches Wortemuch, Bem-Miinchen 19.59, voi. III, p. 1146. 21 L'episodio, con minime variazioni, viene riportato in tutte le vemoni della Scienza nuova. Cfr. G. Vico, La scienza nuova. Le tre edwoni, cit., pp. 302, 619, 1078.

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pologici, in prima approssimazione, è offerto dalla "regola" della proibizione dell'incesto, così come viene tematizzata in molti testi di Lévi-Strauss, in particolare in Strutture elemen-

tari della parentela. La domanda con cui si apre il testo èla seguente: «dove finisce la natura? dove comincia la cultura?»~. La proibizione dell'incesto rappresenta l'autentico "scandalo": «essa costituisce una regola, ma è una regola che, unica tra tutte le regole sociali, possiede contemporaneamente un carattere di universalità»23 • Spiegazioni semplicistiche, come quelle legate a teorie di eugeneti~ o ali'orrore istintivo per le relazioni incestuose25, o combinazioni varie delle due (avanzate da Fra:zer, Durkheim, Spencer, Lubbock e altri) vengono smentite puntualmente dall'autore. Lévi-Strauss presenta la proibizione dell'incesto - proprio a motivo della sua universalità - come «il processo attraverso il quale la natura supera se stessa» 26, formando una struttura di tipo nuovo, l'avvento di un nuovo ordine. In questo senso, al-

22 C. Lévi-Strauss, Les structure elementaires de la 7,arenté, Paris 1947. Tr. it. Le strutture elementari della parentela, a cura di A. M. Cirese, Milano 1972,p. 40. 23 lvi, p. 47. 24 A partire dagli articoli di Dahlberg, Lévi-Strauss rileva come l'idea di un indebolimento degli individui nati da rapporti endogamici venga smentita dal fatto che «l'umanità primitiva si trovava in una situazione demografica tale da non consentirle neppure la rilevazione dei dati• (ivi, p. 56); i "primitivi" cominciarono a sele:àonare le specie allevate e domestiche mediante processi di riprodu:àone endogamica che portano a una stal,ili:1:1.azione del patrimonio genetico e quindi a un grado crescente di perfe-.tione. 25 La tesi, sostenuta da Westermarek e Havelock Ellis, viene smentita dagli studi psicanalitici: le relazioni incestuose non generano ripugnanza, an:à costituiscono un fattore di sedu:àone, che però a sua volta dipende dall'atmosfera culturale. 26 lvi, p. 67.

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cune eccezioni pur presenti rispetto al divieto21 - identificabili in alcune figure di sovrani o capitribù - non costituiscono una smentita dell'universalità della proibizione; 'le eccezioni più

che confermare istituiscono la regola. Lévi-Strauss è perfettamente consapevole della "portata trascendentale" di un passaggio dalla dimensione naturale della consanguineità al fatto culturale dell'affinità28: la stessa distinzione tra consanguinei e affini si pone solo a partire dall'instaurarsi del nuovo ordine. La caratura della svolta trova la sua formulazione più efficace in Antropologia strutturale: un sistema di parentela non consiste nei legami oggettivi di 6liazione o di consanguineità dati tra gli individui; esiste solo nella coscie!l7.a degli uomini, è un sistema arbitrario di rappresentazioni, non lo sviluppo di unasituazlone di fattot9.

Che vi sia qualcosa d'altro, oltre alla natura, ossia che la natura oltrepassi se stessa, è proprio quel "naturalmente impossibile" che chiamiamo "cultura". Secondo Vico ,a più sublime lavoro della poesia è al'le oose insensate dare senso e passione»30• Se decliniamo il terna in chiave civile allora otteniamo che «la di lei [scii. della poesia] propia materia è l'impossibi'le credibile, quanto egli è impossibile, eh' i corpi sieno menti, e fu creduto, che 'I Cielo tonante si fusse Giove,.31• Vico scrive «che l'uomo Cne, a cura di P. Scandola, Milano 2013 18, voi. I, p. 353. 11 G. Vico, SN [1725), Libro III, Capo XXVII, p. 232. 12 Ibidem.

'IV

nell'atto di trasportare fuori, di metaforizzare, aprendo la vista sul!'essere, distinguendo e disponendo tutte le cose. "Espressionen comporta "interpretazione", altrimenti non avrebbe senso il paragone tra poeta e pittore: anche il pittore esprime, ma Vico intende sottolineare che la cosa-espressa non è articolata in una lingua pistolare, secondo concetti. Mutolo è chi appunto favoleggia-cose: la complessa trama etimologica vichiana connette A.6yoç, favola, favella, µudoç e mutus 13• Il favellare dei tempi mutoli è dunque l'impresa di fantasticare la terra, la prima infusione di anima alle cose, quell'awertire del "vouçn che è "animadverteren latino: l'accorgersi dell'essere delle cose, da cui le cose sono animate 14• I mutoli dicevanocose con quei caratteri che erano geroglifici/favole/imprese, prima delle lettere volgari: i Greci «trasportarono poi tai forme geometriche alle forme de' suoni articolati diversi» 15• Le varianti dell'edizwne del '25

Nella prima versione dei suoi Principj di una Scienza nuova Vico torna sul tema in quattro occasioni, confermando la posizione espressa nel De constantia iurisprudentis. a. «Perché Idantura, re della Scizia, non arebbe per geroglifici risposto a Dario il maggiore, quando questi mandò ad intimargli la guerra,,16• Vico sta parlando delle "medaglie de' primi 13 Cfr. Id, SN (1744), p. 930. 14 Questo "favoleggiar le cose• si ripropom\ nella cosa che • ooseggia" (dingt) e nel mondo che "mondeggia" (we/tet). Cfr. M. Heidegger, La cosa, in Saggi e di=:>m, a cura di G. Vattimo, Milano 1991, pp. 119-121. Inoltre Id., Der Ursprung des Kunstwerkes (1936), in Holzwege, Franlcfurt a.M. 1972, p. 37. Tr. it. L'originedeU'opera d'arte, in Sentieri inteTTOtti, a cura di P. Chiodi, Firenze 1984, p. 34: «il mondo si fonda sulla terra, e la terra sorge attraverso il mondo».

15 G. Vico, SN [1744), p. 953. 16 Id., SN [1725], Libro II, Capo Xl, p. 107.

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popoli", dei geroglifici egizi, di quegli stessi caratteri magici de' Caldei già menzionati nel De constantia iurispnulentis, ma precisa che si tratta di frantumi di antichità, «caratteri di corpi scolpiti» 17• Le prime nazioni si spiegarono «co' corpi che devono essere stati prima saldi, poi scolpiti e dipinti>, 18, dove per "saldi" s'intende "naturali", "reali". b. «lmperciocché nella Scizia il di lui re Idantura a Dario il maggiore [... ], manda in risposta una ranocchia, un topo, un uccello, un aratro ed un arco, volendo per tutte queste cose dire che Dario contro la ragione delle genti gliel'arebbe portata» 19• Al di là delle imprecisioni, dell'aratro, dell'arco arbitrariamente inserito al posto dei dardi, qui Vico tende a interpretare il messaggio, perdendo per un attimo la forza della sua intuizione, ripresa subito dopo, all'insegna del «parlare muto per atti o segni corporei»00• Ritorna il parallelo con gli iUetterati Spartani, «proibiti saper di lettera»21 • Da una citazione di Tucidide - «assalendo città senu mura» 22 - Vico trae l'idea che «son le mura di Sparta i petti nostri»23, vedendo in queste mura l'impresa eroica, i cittadini come vere armerie; il sentimento di "parlari dipinti" è il senso della patria «vestito di parole» 24• Questo vestito è però ancora indivisibile dalla cosa stessa: «un farsi intendere senu parlare»25•

17 lvi, p. 106. 18 Ibidem.

19 lvi, pp. 2.29-230. 20 lvi, p. 231. 21 Ibidem. 22 Tue. I, 5, l. Tr. it. La guerra del Peoloponneso, a cura di F. Ferrari, Milano 2000', voi. I, p. 87. 23 G. Vico, SN [1725), p. 231. 24 Ibidem. 25 Ibidem.

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c. «La lingua delle anni, con cui spiegano i manifesti, co' quali rispondono Idantura a Dario, Tearoo a Cambise»26 • La lingua priva di lettera, dove i parlari ammutoliscono, è «una certa lingua annata»27 • Il "parlare araldico" è la prima lingua del diritto naturale delle genti, quello delle guerre, che Vico chiama "Fas gentium-. L'intuizione vichiana sarebbe stata ripresa e documentata sia da Benveniste sia da Dumézil. Nel suo "vocabolario", Benveniste distingue tra ius e fas, allo stesso modo in cui si deve distinguere tra 6i1CT) e 'llsµiç, ossia tra diritto umano e diritto divinol!l>. Il termine latino "fas" non sarebbe imparentato a "fastus" e dunque alla "festa": più probabile il suo legame con "fari" e con "-for", che significa "parlare", il cui neutro è "fatum", il destino. Da qui discende l'accostamento con "fabula", "fahulan-, "fahulatio -= tutte derivazioni che confermerebbero la tesi vichiana, poiché i tempi mutoli - con riferimento a µu'lloc;-sono i tempi della "fabula". La fabula è il "detto", o fatum, che trova piena corrisponden7.a in µWoc; anche sul piano linguistico: l'accadico "ama.tu" e "awatu", cosl come l'assiro "abutun:11, indicano "parola", "espressione", "rumore" in cui si esprime l'oracolo ("amutu"). Dalla stessa radice "fabula" dipende anche "famosus" e "fama" aggiunge Benveniste32: ciò ben si accompagna al tema delle imprese eroiche, poiché la favella affahula e dà fama. Del bambino, precisa Benveniste, si dice "iam fatur": il parla26 lvi, p. 233. 271bidem. 28 Cfr., ivi, p. 232. 29 Cfr, E. Benveniste, Il vocabolario, cit., p. 367: «Dtkà designa, in rapporto a thémis, il diritto umano opposto al diritto divino, e allo stesso modo il lus si oppone a quello che i Latini chiamanof as•. 30 Id., p. 386. 31 G. Semeraro, Leorigirù della cultura europea, cit., voi. 11, tomo I, p. 188. 32 Ibidem.

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re non viene concepito come proprietà dell'individuo, bensi come facoltà impersonale, comune a tuttr3. La "fama" è manifestazione umana, collettiva, non è mai discorso individuale.

La fabula per Benveniste è "messa in parole": «Racconto, favola o testo teatrale, si considera solo la tecnica stessa di questa trasposizione in parole. Di qui viene il fatto che fabula indica ciò che è solo parola, che non ha realtà»34• Fabula sembrerebbe inconciliabile con il tentativo vichiano di tenere insieme cosa ed espressione: appare la scissione tra parola e cosa. D'altronde l'esser "solo parola" fa della parola una "cosa reale", un'altra realtà. Ciò non è attestato soltanto linguisticamente, dove il greco q>i'iµtq,S!j). Klee s'incammina su una strada analoga, avan7.ando oltre questo «sudicio, ordinatissimo stato di cose»: altrimenti «la cosa diventa troppo pacilìcata>,21 • Procedere (Vor-stojJ), dopo il contraccolpo (Gegen-sto/J) 22 della logica di Hegel, signifìca tornare all'inizio, alla mano materna della natura: «comincio logicamente dal caos, com'è naturale» 23 • Le parole di Merleau-Ponty su Cé1.anne coinvolgono anche Klee: «l'artista lancia la sua opera come un uomo ha lanciato la prima parola, sem.a sapere se essa sarà qualcosa d'altro che un grido, se potrà distaocarsi dal flusso di vita dell'individuale in cui nasce.i,2S: oltre Hegel ma non sen1.a Hegel: qui

19 H. Sedlmayr, Verlust der Mitte, Sal:thurg 1948. Tr. it. Perdita del centro, a cura di M. Guanlucci, Roma 1983,p. 163. 20 lvi, p. 164. 21 P. Klce, Tagebucher, § 611, p.182. Tr. it. p. lT/. 22 G.W.F. Hegel, Wissenschaft der Logik, in Werke, cit., voi. VI, p. 27. Tr. it. voi. Il, p. 447. 23 P. Klce, Tagebucher, § 633, p. 186. Tr. it. p. 181. 24 M. Merleau-Ponty, Il dubbio clJ Cezanne, cit., 25 Ivi, pp. 30-31.

p. 31.

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ogni principio di imitazione viene effettivamente bandito. Un atteggiamento "primordiale" perché carico dell'intera cultura: «Poi avvicinatevi alla natura. Tentate- scriveva Rilke -come un primo uomo al mondo di dire quello che vedete e vivete e amate e perdete»26.

"Essere-caos", un vuoto di cultura, petvenire al figuratioo puro che non sia figura-di, che non sia rappresentazione-di un pezzo di mondo. La raffigurazione rende il mondo familiare e proietta la cosa secondo un'immagine pacificata. Tale pacificazione dipende da (e coincide con) l'universale: rappresentare significa avere già identificato la cosa come quel tipo di cosa, un "tavolo", un "paesaggio", una "mela" e riprodurla secondo il modello prestabilito. Klee - e il suo maestro Cé7.anne - mirano alla pura oggettività, un'oggettività maggiore di quanto la logica possa garantire. Cose "soltanto viste", prima che s'aggiunga il carico di "soggettività" dell'universale.

Klee prima di Socrate. È ora di avanzare sell7.ll concetti nella «terra incognita»zr, in quelle tenebre che incombono nel fondo della dipintura e che costituiscono «la materia di questa Scienza incerta, informe, oscura» 28 • Alla sciell7.ll Vico attribuisce proprio gli stessi tratti della materia: la materia si fa scienza, come l'uomo fece sé regola dell'universo. «Vogliamo non già la forma, ma la funzione»21>, scrive Klee nel suo Il pensiero immaginale. Non vogliamo le forme culturali già sedimentate nella civiltà, bensl l'originario «menar fuori le forme dalla

26 R.M. Rilke, Briefe an elnem fangen Dlchter, Frankfurt s.M. 1929. Tr. it. Lettere a un gtooane poeta, scura di L Traverso, Milano 201~,p. 15. 27 P. Klee, Tagebi.icher, § 611, p. 182. Tr.it. p. lTT. 28 G. Vico, SN [1744), p. 814. 29 P. Klee, Das bildnerische Denken, scura di J. Spiller, Base) 1990', p. 59. Tr. lt. Il pensiero Immaginale, In Teoria e f orma della firp razlone, cit., voi. I, p.59.

144 materia»30 che è il "bildnerische" di Klee: seguendo una più recente e az7.ardata traduzione lo rendiamo con "immaginale". L'immaginale è menare fuori dalla materia, è l'istante in cui la materia diviene mente: la materia si fa scienza. «Noi desideriamo essere esatti pur senza limitazioni»31 : un'individuazione qualitativa che non dipenda dal calcolo quantitativo, ma lo preceda- o lo segua Su questo "istante" si erano già soffermati Kandinskij, arrivando ad affermare che non esiste una questione della forma32, e Malevi~, che si trasforma nel punto zero delle forme33, ma forse nessuno ne coglie la profondità quanto Klee: «L'arte non ripete cose visibili, ma rende visibile»34 • Si potrebbe presocraticamente accostare il "Render-visibile" di Klee al "menare fuori le forme" di Vico. Non si discute dell'apparire di questa o di quella forma, bensì dell'apertura dell'orizzonte dell'apparire in quanto tale. «Chi mai non vorrebbe dimorare là, dove l'organocentrale d'ogni moto temporale e spaziale -si chiami cervello o cuore della creazione - determina tutte le funzioni? Nel grembo della natura, nel fondo primordiale della creazione, dove è custodita la chiave segreta del tutto?»35•

30 G. Vico, SN (1144), p. 995. 31 P. Klee, Das bildnerische Denken, cit.59. Tr. it. p. 59. 32 W. Kandinslcij, Ober die Formfrage, in Essays i.iber Iwnst und Kiinstler, a cura di M. Bill, Freiburg 1955,p. 36. Tr.it. Sulla questionedellaforma, in Tutti gli scritti, a cura di P. Sers, Milano 1913, voi. I, p. 121: «non ci sono errori, né forme che siano di per sé scorretti». Cfr. ivi, p. 45. Tr. it. p. 130: «Le forme oggi proibite o dispreu.ate, che in apparew.a rimangono fuori dalla grande corrente, attendono solo il loro maestro». 33 K. Malevil, Dal cubismo e dalfuturismo al suprematismo. Il nuovo realismo della pittura, in Scritti, a cura di A.B. Nakov, Milano 1917, p. 176. 34 P. Klee, Das bildnerische Denken, cit., p. 76. Tr. it. p. 16. 35 lvi, p. 59. Tr. it. p. 59.

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Di fronte a questo abisso in cui soggetto e oggetto si elidono, ove l'essere non è ancora passato nel nulla, né il nulla nell'essere - per citare l'incipit della Scienza della ÙJgica - ha luogo il più radicale Hingebung: «abbandonarsi interamente a ciò che si viene via via dipingendo»36• Non si può domandare c"he cosa si vada dipingendo, e per converso nemmeno chi vada dipingendo ... si viene dipingendo. Sempre nei Diari si trovano alcune precisazioni su questo fondo primordiale della creazione cui il pittore avrebbe accesso, cessando di esser se stesso. «Le mie opere sembrano nascere da sole, le composizioni grafiche cadono come frutti maturi, la mano è strumento di

una volontà che non sembra la mia. È come se mi aiutassero forze amiche, splendenti o oscure, tutte valide»37•

La mano, "strumento di una volontà che non sembra la propria", era già stata incontrata da Malte Laurids Brigge: «riconoscevo la mia mano, con le dita aperte, che da sola, un poco come animale acquatico, si muoveva nsotto e frugava il fondo. La guardavo, ricordo, quasi con curiosità; mi pareva che sapesse cose che non le avevo insegnato, poiché nsotto di propria volontà si aggirava tastando con movimenti che non le avevo mai visto»38 • "Esperienze" - quelle di Klee e di Rilke che alludono a una presenza "altra" da quella classica dell'avere sottomano (oorhanden). Qui non si afferra ciò che si trova a portata di mano, non si tratta di un'operare logico, di una manipolazione dell'ente; accade bensl un agire "senza padrone", un'operare privo di un referente, un gesto "presocratico".

36 Id., Tagebiicher, i 857, p. 2:51. Tr. it. p. 244: «dem werdenden Teil derw

malenden Stelle sich ganz hingeben•. 37 Ivi , i 1104, p. 395. Tr. it. p. 392. 38 R.M. Rilke, Dìe Aufteichnungen des Malte Laurids Brigge [1910], in Samtliche Werlce, a cura di E. Zinn, Frankfurt a.M. 19.55, voi. Xl, p. 795. Tr. it. I quaderni di Malte Laurids Brigge, a cura di F. Jesi, Milano 201317, p. 72.

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Le opere nascono da sole - wie oon se"lher. È il laboratorio del grembo della natura - non di Klee. Ll si scorgono «alcuni tratti di quell'Io primordiale che precede il formarsi della coscien7--a>>30. Insomma «deve pur esistere una regione nella quale quei fatti arrivano come fatti, ancora avvolti nello spazio e nel tempo dell'esistenz.a, e dove, via via, si spogliano di questa veste di spazio e di tempo, come in una catarsi preventiva, allo stesso modo che le esperienze di cultura depongono le loro ragioni storiche ed entrano nella dimensione dei valori puri, delle qualità»"°. Sembra di leggere le Idee di Husserl: nel § 49, dedicato alla "cosciew~ assoluta come residuo dell'annientamento del mondo", si vede un abisso spalancarsi tra la coscien7.a e la realtà E l'uno (il mondo) sen7.a l'altra (l'io) si riduce a un nulla41 • «Metter fuori circuito il mondo intero»42 - se si intende mettere fuori circuito anche l'io puro, la logica pura come mathesis universalis43 e le discipline eidetico-materiali - conduce a un puro riferimento a sé da parte della fenomenologia pura: «la "finzione" costituisce l'elemento vitale della fenomenologia, come di tutte le scienze eidetiche, la finzione è la sorgente da cui trae nutrimento la conoscenz.a delle "verità eterne"»44 • Del resto, già nelle Meditazioni cartesiane, Husserl era arrivato a sostenere che «come l'io ridotto non è un pezzo di mondo,

39 G.C. Argan, Introduzione ai duin cà Paul Klee, cit., p. 147. 40 lvi, p. 145. 41 E. Husserl, ldeen zu einer reinen Pharwmenowgie und phanomenok>gischen Phllosophie (1913), a cura di K. Schuhmann, Den Haag 1976, voi. lll/1 ,p. 93. Tr. it. Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomerwlofjca, a cura di F. Costa, Torino 2002, voi. I, pp. 122-123. Cfr. ivi E . Franzini, Introduzione, pp. XXIII-XXVII. 42 lvi, p. 94. Tr. it. p. 124. 43 lvi, p.111-113. Tr. it. pp. 145-147. 44 lvi, p. 132. Tr. it. p. 170.

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così al contrario il mondo e ogni oggetto del mondo non sono un peZT.o del mio io»45 • Proprio questa riduzione conduce a opere che sembrano nascere da sole: a una mano che agisce prima dell'intenzionalità: «ov'è da osservare, che artus è detto da ars, eh' agli antichi Latini significò la forza del corpo» 46 •

Ars è forza del corpo. In quel grembo di natura la forza non è di qualcuno: è pura forza. In quel fondo primordiale della creazione la forza non rappresenta qualche cosa, non è figura-di, semplicemente diviene. Si potrebbe a2.7.ardare che l'arte èforza che forma, il divenir forma del corpo che è un darsi forma. «Ma la si è mai constatata, una forza? - chiede Niel7.sche No, solo effetti, tradotti in una lingua completamente estranea. Ma la regolarità delle successioni ci ha talmente viziati che noi non ci meraoigliamo del miracclc»•1•

Non ci meravigliamo dell'ars che mena fuori le forme. Ciaccontentiamo, direbbe Klee, delle varie Forme che già sono, non giungiamo sino alla Formung, alla figurazione in cui la cosa non è, ma diviene. La pura forza costantemente si sottrae, ne scorgiamo soltanto gli effetti, pacificati nel vizio dell'abitudine: la forza è l'unica autentica "Ding" che "è" prima di ogni altra "Sache", di ogni altro "Gegenstaruf'. La forza è "Reale" che pulsa alle spalle di ogni "Wirklichkeit"48. Husserl adopera una formulazione precisa per distinguere la "cosa della perce-

45 Id., Carte.sianische Meditationen und Panser Vortrage (1929), a cura di S. Strasser, Dordrecht-Boston-1..ondon 19632, § 11, p. 65. Tr. it. Me,/itadoni cartesiane, a cura dì F. Costa, Milano 1960, p. 70. 46 G. Vico, SN (1744), p. 1096. 47 F. Nietzsche, Der Wille wr Macht, § 620, p. 421. Tr. it. p. 340.

48 Su queste "sfasature" e in particolare su quella che si potrebbe definire l'anteceden:ta kantiana rispetto alla concezione hegeliana cfr. M. Heidegger, Kants These iiberdas Sein (1961), in Wegmarken, Frankfurt a.M. 1976. Tr. it. La tesi Jj Kant sull'essere, in Segnavia, a cura dì F. Volpi, Milano 19943, pp. 393-427.

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zione" da ciò che chiama la cosa: «"La" cosa è propriamente ciò che nessuno ha visto realmente, perché è continuamente in movimento, continuamente e per chiunque»40•

Qui forse si comprende il cruccio che anima i Diari di Klee: la questione di Dio. «Io sono Dio» 50, «sopra le stelle voglio cercare il mio Dio»51 , «Sono Dio?»52, «Da questo riconosco che non sono ancora un dio»53 • Questo martellare incalzante dei Diari sulla questione di Dio appare chiaro alla luce del primo capitolo di Giovanni: «Dio nessuno l'ha mai visto»sc. Dio è "la" cosa di Husserl, quella che Klee non può cercare, non può voler-essere. Qui vi è soltanto abbandono - Hingebung. Nessuno l'ha mai vista perché è in movimento: il dio corre tra le cose - come il sole, la luna, le stelle, che tutti vedevano correre - cosl vuole l'etimologia platonica del Cratilo. "E>soi" da "&tv,,ss, che significa "correre". Voler-essere questo divenire sarebbe ancora volontà di potenz.a: affatto immaginar non si può come pensassero i primi bestioni. Il presocratico Vico trasgredisce ogni Metafisica ragionata in virtù della sua Metafisica fantasticata; il presocratico Klee viola la tecnica razionalizzata dell'industria, tema centrale del Bauhaus di Walter Gropius e Theo van Doesburg. «inventando tante altre tecniche, e tutte rigorose, dell'immaginazione,

49 E. Husserl, Die Krisis der europiiischen Wissenschaften und die traBszendentale Pharwmenclcgie (1936), Den Haag 1916. Tr. it. La crisi delle scienze europee e /,a filosofia trascendentale, a cura di E. Filippini, Milano 2002, p. 191.

50 P. Klee, Tagebi.icher, ~ 155, p. 64. Tr. it. p. 52. 51 lvi,§ 116, p. 69. Tr. it. p. 51. 52 lvi, § 690, p. 196. Tr. it. p. 192. 53 lvi, § 929, p. 317. Tr. it. p. 312. 54Gv 1,18. 55 Plat. Crat. 397 d. Tr. lt. p. 119.

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del sogno e dellamemoria» 56• Altre, rispetto all'orizzonte della quantilìcabilità, della riduzione a calcolo e a parametrizzazione: «Klee aveva sentito, prima di ogni altro, che il problema della qualità aveva profonde implicazioni psicologiche e morali, né mai poteva ridursi alla determinazione di un coefficiente qualitativo nella serie quantitativa della produzione»57• Ciò coincide con la messa al bando di qualsiasi universale come modello. «Dal modello, all'archetipo» 58• Detto altrimenti, cosi del resto prosegue Argan: «Klee ha capito che la qualità non può che essere individuazione»511• Che cos'è l'individuale per Klee? «Veramente individuale, nel senso superiore della parola, diviene la suddivisione minore se il carattere delle sue parti trascende il ritmico»60 • L'organiz1.aZione è un nesso che supera la sommatoria delle parti in vista della sintesi integrale: la figurazione è artistica là dove «insorgono delle complicazioni»61 • È la complicazione del momento, quella che accade cosi una oolta soltanto, che dev'essere affrontata qualitativamente mediante l'individuazione irripetibile: nessun supporto universale, nessun rifugio si può trovare nei concetti. Quando nella cosa pacificata insorgono complicazioni, allora si tratta di formare, come fosse per la prima volta, di rendere visibile qualcosa che altrimenti non verrebbe alla luce. «La formazione (Formung) determina la

56 e.e. Argan, Salve= e caduta nell'arte moderna, cit., p. 15.5. Non si tratta di una poetica del sogno, bens'i della verilìca dell'esperienza nel suo attuarsi. Cfr. ivi, p. 162.

51 Id., ArchUettura e forma non-figurativa, in Progetto e destino, Milano

196.5, p . 165. 58 P. Klee, Das bildneri.sche Denken, cit., p. 93. Tr. it. p. 93. 59 e.e. Argan, Architettura e forma non-figurativa, in Progetto e destino, cit., p. 165. 60 P. Klee, Das bildneri.sche Denken, cit., p. 249. Tr. it. p. 249.

61 Ivi, p. 454. Tr. it. p. 454.

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forma (Form) e pertanto la trascende. La forma non è quindi mai e poi mai da considerarsi conclusione, risultato, fine, bensi genesi, divenire, essen7..a. La forma come appare= è però un maligno, pericoloso fantasma»62• Per misurare la distanza tra Forme Formung, per intendere quale sia la "cifra" di quel suffisso "ung", ci si potrebbe riferire a un passo goethiano tratto dai Quaderni di morfowgia: «Per il complesso dell'eslsten1.a di un essere reale noi tedeschi abbiamo In parola "Forma" (Form). Pronunciandola, astraiamo da ciò che può muoversi, supponiamo che sia stata stabilita e conclusa nel suo carattere. Se però prendiamo in considerazione tutte le forme, in particolare quelle organiche, troviamo che mai ha luogo un che di saldo, immobile, concluso, ma che piuttosto tutto oscilla In un Incessante movimento. Perciò la nostra lingua suole usare con sufficiente pertinen1.a la parola "formazione" (Bildung) sia per ciò che è stato prodotto sia per ciò che è in procinto di esserlo»03•

Il discrimine segnato dal "suffisso dinamico" vale come contrassegno di una frattura insanabile sul piano metafisico: dal!'essere al divenire, dalla priorità dell'atto ali'apertura sul possibile64• La teoria dell'opera avan:zata da Klee contraddice la celebre teoria aristotelica: «le composizioni di Klee non possono affatto essere definite épy(I)>65 : nessuna pacificazione,

62 P. Klee, Das bildnerische Denken, cit., p. 169. Tr. it. p. 169. Stessa formulazione in Id., Unendliche Naturgeschichte, cit., p. 269. Tr. it. Storia naturale in.finita, in Tecriade/Jaforma edellafif!lJrozwne, cit., voi. Il,p. 269. 63 J.W.Goethe, DieAbsichteingeleitet, inZur Morpholcgie (1817], in Werke, a cura di D. Kuhn e R. Wankmiiller, Miinchcn 2000, voi. XIII, p. 55. 64 Sulla "morfologia goethiana" e le dinamiche artistiche contemporanee a Klee, da intendere all'insegna della "rinuncia al vecchio ordine", cfr. M. Cacciari, Ur-pflanu goethiana, in I