La rivelazione di Ermete Trismegisto. Il Dio ignoto e la Gnosi, [4] 9788857592237


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La rivelazione di Ermete Trismegisto. Il Dio ignoto e la Gnosi, [4]
 9788857592237

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� MIMESIS

ANDRÉ-JEAN fESTUGIÈRE

·LA RIVELAZIONE DI ERMETE TRISMEGISTO

VOLUME IV

IL DIO IGNOTO E LA GNOSI

a cura e con una postfazione di Moreno Neri

� MIMESIS

Titolo originale: La Révélation d'Hermès Trismégiste. Gnose © Société d'édition Les Belles Lettres, 20 1 4

MIMESI S EDIZIONI (Milano - Udine) www.mimesisedizioni.it [email protected] Isbn: 9788857592237 © 2023 - MIM EDIZIONI S RL Via Monfalcone, 1 7/ 1 9 - 20099 Sesto S an Giovanni (MI) Phone: +39 02 2486 1 657 l 244 1 63 83

4.

Le Dieu Jnconnu et la

INDICE

PREFAZIONE

1 663

ABBREVIAZIONI

1 667 PRIMA PARTE IL DIO IGNOTO

INTRODUZIONE: IL PROBLEMA DEL Dro IGNOTO

1 673

l SEZIONE: LA TRASCENDENZA DELL'UNO CAPITOLO I. - L'ESISTENZA E L'ESSENZA

1681

CAPITOLO Il. - L'UNO TRASCENDENTE AI NUMERI l. Le speculazioni aritmologiche neli' ermetismo 2. Filone e le speculazioni pitagoriche del suo tempo 3. La derivazione del numero

1 695 1 695 1 696 1 704

CAPITOLO III. - L'UNO TRASCENDENTE ALLA DIADE MATERIA l . La testimonianza di Proclo 2. Le testimonianze pitagoriche 3 . La cosmogonia del Pimandro 4. La monade àppevoe,A-uç 5. La trascendenza dell'Uno

171 1 171 1 1716 l 72 1 1 724 1 73 3

I l SEZIONE: LA TRASCENDENZA DEL DIO INEFFABILE CAPITOLO IV. - LA DOCUMENTAZIONE DEGLI HERMETICA l. Dio è conoscibile e vuole essere conosciuto

1 739 1 74 1

2. Dio è invisib ile A. Il Dio Demiurgo invisibile e visibile B. Il Dio Intelligibile (o al di là dell' intelligibile) totalmente invisibile 3. Dio è suscettibile di appellativi 4. Dio è pantonimo e anonimo 5 . Dio è incomprensibile e indicibile 6. La via di negazione

1 747 1 748 1 752 1 757 1 765

CAPITOLO V. - LA TRASCENDENZA DELL'UNO-BENE-BELLO IN PLATONE l . Simposio 2. Parmenide 3 . Lettera VII

1 767 1 767 1 772 1 774

CAPITOLO VI. - LA DOTTRINA PLATONICA DELLA TRASCENDENZA NEL Il SECOLO l . I testi Albino Apuleio Massimo di Tiro Celso Numenio Oracoli Caldaici 2. Le variazioni da Albino a Numenio

1 78 1 1 785 1 785 1 792 1 80 l 1 807 1816 1 826 1 830

1 744 1745

SECONDA PARTE LA CONOSCENZA MISTICA DI DIO I SEZIONE. LA MISTICA PER ESTROVERSIONE CAPITOLO VII. - I TESTI DEL CORPUS HERMETICUM l . I testi 2. Le condizioni psicologiche del problema

1 84 1 1 84 1 1 850

CAPITOLO VIII. - AION NEI TESTI ERMETICI l . C.H. XI 2. Altre testimonianze (tranne l'Asclepius) 3 . Aeternitas nell'Asclepius

1 853 1 853 1 864 1 869

CAPITOLO IX. - AION AL DI FUORI DELL'ERMETISMO l . I testi letterari e l'iscrizione di Eleusi 2. Aion nei papiri magici A. I testi B. Interpretazione

1 88 1 1 88 1 1 88 8 1 88 8 1 905

Il SEZIONE. Il. LA MISTICA PER INTROVERSIONE CAPITOLO x. - ANALISI DI C.H. XIII

191 1

CAPITOLO Xl. - l TEMI DELLA RIGENERAZIONE l. L'abitazione di Dio in noi II. Temi particolari l . Condizioni preliminari 2. La concezione dell 'uomo nuovo 3 . L'uomo nuovo: forma apparente ed essere reale 4. L' illuminazione

1 923 1 92 3 1 93 1 1 93 1 1 93 3 1 93 9 1 95 7

CONCLUSIONE

1 977

APPENDICI l. Proclo: Trovare Dio è difficile, esprimerlo impossibile II. Proclo: I l Demiurgo di Platone

1 989 1 99 1 1 995

INDICI

20 1 5 20 1 5 2027 2028

Index Locorum Index Verborum

Indice Generale

AGGIUNTE E CORREZIONI

203 1

NOTA AGGIUNTIVA

2045

INDEX NOMINUM Autori e nomi antichi Autori moderni

205 1 205 1 2083

POSTFAZIONE

2 1 09

Idroforo di Iside, Museo del Louvre

E.R. DODDS s

PREFAZIONE

Il Dio che crea il mondo e lo governa è naturalmente conosciuto attraverso la contemplazione dell'ordine del mondo. Ma il Dio tra­ scendente al mondo, e che non solo non ha creato il mondo poiché il mondo è materia, ma è totalmente distante dal mondo e in qualche modo opposto al mondo, può questo Dio essere ancora conosciuto, e, se lo è, in che modo? Questo è il problema che pone quest'opera, con la quale si conclude il nostro studio della filosofia religiosa sotto l'Impero. Essa è diviso in due parti. La prima parte affronta il problema dell' inconoscibilità di Dio. Ho cercato di mostrare su questo punto che la nozione di 9eòç liyvrocrtoç, almeno nella gnosi pagana, non proviene dall'Oriente, ma deriva da tradizioni platoniche e pitagoriche che si possono se­ guire sin dall'Antica Accademia. Al Dio liyvrocrtoç, cioè al Dio inconoscibile secondo le vie nor­ mali del conoscere, corrisponde un modo particolare di conoscen­ za che è propriamente la gnosi. Basta pronunciare questa parola per evocare un numero immenso di problemi, una folla di ipotesi mal digerite in cui la fantasia ha una parte maggiore rispetto al senso critico. Fortunatamente il mio argomento era limitato in an­ ticipo dal gruppo di testi che avevo precisamente presenti, intendo i testi ermetici. Una volta sicuro della mia base, che è la posizione di alcuni platonici del II secolo della nostra era (cap. vr), sono stato condotto da una lunga familiarità con l' ermetismo a distinguere in esso due modalità di conoscenza mistica, che, per semplicità, ho chiamato "mistica per estroversione" e "mistica per introver­ sione"1 . Mentre l 'obiettivo, quello di unirsi a un Dio trascenden­ te, rimane identico da entrambe le parti, i mezzi presentano due Questi termini (estroversione e introversione) sono usati nel linguaggio filoso­ fico per designare atteggiamenti di spirito o di carattere, cfr. A. LALANDE, Vo-

1 664

La rivelazione di Ermete Trismegisto Il dio ignoto e la gnosi -

approcci non contrarP, ma divergenti. In uno l ' uomo esce da se stesso per unirsi a un Dio (Aion) che è la totalità dell'Essere nello spazio e nella durata: si perde in Dio. Nell' altro, è Dio che invade il sé umano e lo trasforma in un essere nuovo, "rigenerato". Questa suddivisione non pretende di esaurire il problema del misticismo pagano: vi distingue due aspetti essenziali, che sono i più specifici dell'ermetismo. Ancor più che nel terzo volume, in questo, ho mescolato intere frasi in greco nel corpo stesso del testo. Questo perché la dimostra­ zione, spesso delicata, si fondava su confronti di parole o di espres­ sioni quasi tecniche, e perché si sarebbe tolto molto peso all 'argo­ mento non citando l'originale. Ho avuto difficoltà a trovare un' immagine per il Dio cosmico3• Che dire del Dio trascendente? È, per definizione, indescrivibile4. Ma, se non lo si può mostrare, gli antichi hanno saputo almeno rappresentare l' atteggiamento del mistico nello stato di unione. H.P. L'Orange, in un bel libro5, ha seguito il tipo di uomo "con gli occhi alzati al cielo" da Alessandro fino alla fine del paganesi­ mo. Mi sia consentito di aggiungere un' immagine a quelle che ci ha fatto conoscere. Ha per noi un valore speciale perché proviene dall'Egitto, la patria de li' ermetismo. Inoltre, ha un grande fascino. Questo giovane diacono di Iside6, fratello del Lucio di Apuleio, palesa, dali 'espressione del suo volto gettato all' indietro, da tutto il movimento del suo corpo, che è trasportato verso il cielo. "Cam­ mina come perso nel suo sogno mistico, si direbbe che veda il suo Dio" 7• Il bronzo si trova oggi al Louvre8, ed è grazie alla consueta cabulaire technique et critique de la Philosophie (5• edizione, Paris 1 947), pp.

2 3 4 5 6 7 8

3 1 9, 520. Mi è parso che potessero essere trasposti nel dominio della mistica. Li si vede associati nello stesso trattato C.H. XIII. Non appena Tat è colmo di Potenze divine (introversione), il suo essere si espande nelle dimensioni deii'Aion (estroversione), XIII 1 1 . Cfr. t. II, p. XVI [vol. 2, p. 535]. Cfr. EPIFANIO ap. NICEFORO, adv. Epiph. X 46 (citato K. Holl, Kl. Schr iften, Il, p. 359, fr. 1 2) nroç 'tÒV aKataJ.ll1t'tOV KaÌ clVeK:OtllYTI'tOV KaÌ cl1tEptVOll'tOV anepiypac:p6v 'tE ypac:petv ì.i:yet nç, ov OÙK tcrxucre Mcoucri'jç citevicrat;

Apotheosis in Ancient Portraiture, Osio 1 94 7.

Porta il vaso che contiene l'acqua del Nilo. Cfr. P. PERDRIZET, Bronzes grecs d 'Égypte de la Collection Fouquet, Paris 1 9 1 1 , pp. 48 ss., n° 82 e tav. XXII. PERDRIZET, op. cit., p. 49. Inventario Br. 4 1 65.

1 665

Prefazione

gentilezza del signor Charbonneaux che posso offrirne qui una fo­ tografia inedita. Devo molto al lavoro del professar E.R. Dodds di Oxford. Da molto tempo9 una nota della sua edizione degli Elementi di Teologia di Proclo mi ha chiarito la difficile e controversa nozione di E>eòç liyvrocr•oç. In una certa misura, il presente lavoro prosegue una linea di ricerca che ha lui stesso tracciato. Ma devo ancora di più alla sua amicizia, ed è un piacere per me iscrivere il suo nome in testa a questo libro, di cui mi si scuserà di dire, come Ermete al re Ammone (C.H. XVI 1 ), che, giungendo al termine di una lunga serie di studi, gli offro 7tavtrov 'tffiv aÀ.À.rov 000"1tEp KOpUq>TJV KUÌ l>1tO�Vll �U. Parigi, aprile 1 95 3 .

9

Cfr. la mia Contemplation . . . selon Platon, J• ed., 1 936, p. 227, n. 3 .

ABBREVIAZIONI

A. Ap. Ap. Acta Apostolorum Apocrypha, ediderunt Ricardus Adelbertus Lipsius et Maximilianus Bonnet, 2 voli., Apud Heran­ num Mendelssohn, Lipsia 1 89 1 =

A c. d. Inscr. et B.L. Académie des Inscriptions et Belles-Lettres Amh. Pap. Amhherst Papyrus An. Boli. Analecta Bollandiana Ann. Éc. Pr. H. Études Annuaire de l 'École pratique des hautes études ARW Archiv for Religionswissenschaft Arch. f Rei. - Wiss Archiv for Religionswissenschaft Asci. Asclepius Bull. Soc. Ling. Bulletin de la Société de Linguistique de Paris Bull. Soc. Roy. Lund Bulletin de la Société royale des lettres de L un d C.H. o Corp. Herm. Corpus Hermeticum Cat. Man. Alch. Gr. Catalogue des Manuscrits Alchimiques Grecs CCA G. Catalogus Codicum Astrologorum Graecorum CIL Corpus Inscriptionum Latinarum Class. Quart. Classica/ Quarterly Com. Att. Fr. Comicorum Atticorum Fragmenta Dox. Gr. Doxographi Graeci collegit, recensuit, prolegomenis indicibusque instruxit Hermannus Diels, Berolini et Lipsiae 1 929 Exc. Estratti da Stobeo St. H. o Stob. Herm. Stobei Hermetica F. Gr. Hist. Fragmenta Historicorum Graecorum Harv. Theol. Rev. Harvard Theological Review K.K. Kore Kosmou Kl. Texte Kleine Texte fur theologische Vorlesungen und Ubun­ =

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gen. Kleine Texte fUr theologische und philologische Vorlesungen und Ubungen

1 668

La ri velazione di Ermete Trismegisto Il dio ignoto e la gnosi -

L.C.L. = Loeb Classical Library L.S.J. = Liddell Scott Jones [A Greek-Englis h Lexicon] Mém. Ac. Inscr. = Mémoires de l 'Académie des Inscriptions et Bel/es Lettres Nachr. d. Ak. d. Wiss. in Gottingen, Philol.-Hist. Kl. = Nachrichten der Akademie der Wissenschaften in Gottingen. Philologisch-Histo­ rische Klasse. Neut. Gr. = Neutestamentliche Grammatik O. G. I. S. = Orientis Graeci Inscriptiones Selectae: supplementum Sylloges inscriptionum Graecorum l edidit Wilhelmus Dittenberger , Hirzelium, Leipzig 1 903- 1 905 . P. Berol. = Papyrus Berolinensis P. Mimaut = Papyrus Mimaut P.W. = Paulys Realencyclopadie der classischen Altertumswissenschaft PGM = Papyri graecae magicae: die griechischen Zauberpapyri Philol. = Philologus Proc. ofthe Am. Philos. Soc. = Proceedings ofthe American Philosophical Society Pros. Att. = Prosopographia Attica RET, I= vol. l della presente opera, Milano 20 1 9 RET, II = vol. 2 della presente opera, Milano 2020 RET, III= vol. 3 della presente opera, Milano 202 1 Rev. Bibl. = Revue biblique Rev. d 'Égyptol. = Revue d 'Égyptologie Rev. Ét. Gr. = Revue des Études Grecques Rev. Hist. Re!.= Revue de l 'histoire des religions Rev. Philol. = Revue de philologie, de littérature et d 'histoire an­ ciennes Rev. Se. Phil. Théol. = Revue des Sciences philosophiques et théologiques RGVV= Religionsgeschichtliche Versuche und Vorarbeiten RHT, I = t. I della presente opera, Paris 1 944 RHT, II = t. II della presente opera, Paris 1 949 RHT, III= t. III della presente opera, Paris 1 953 Rom. Mitt. = Mitteilungen des Deutschen Archaologischen /nsti­ tuts. Romische Abteilung S.E. G. = Supplementum Epigraphicum Graecum St. H. o Stob. Herm.= Stobei Hermetica l estratti ermetici in Stobeo

1 669

Abbreviazioni

SVF. Stoicorum Veterum Fragmenta Syll. W. DITIENBERGER, Sylloge inscriptionum graecarum Symbolae Osloenses, auspiciis Societatis GraeSymb. Osi. co-Latinae =

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Texte und Untersuchungen zur Geschi chte der altchristli­ chen Literatur UPZ. U. WILCKEN, Urkunden der Ptolemiierzeit T. U.

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Vig. Chr. Vigiliae Christianae: a review of early Christian /ife and language Vors. Die Fragmente der Vorsokratiker Z. f wiss. Theol. Zeitschri.ft fiir wissenschaftliche Theologie =

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ALTRE RIVISTE CITATE Coniectanea Neotestamentica Eos Gnomon Hellenica Hermes Hesperia Journal of the History ofIdeas La Parola del Passato Memorie della Pontificia Accademia Romana di Archeologia Mnemosyne Muséum Helveticum Patrologia Orientalis Rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia Schri.ften der Konigsberger Gelehrten Gesellschaft Pisciculi Sinologica Syria

PRIMA PARTE IL DIO IGNOTO

INTRODUZIONE IL PROBLEMA DEL DIO IGNOTO

In una brillante opera1, Norden ha creduto di poter dimostrare che la formula 9eòç liyvrootoç non solo non si incontra nella let­ teratura puramente greca, ma che in essa sarebbe persino impos­ sibile, perché contraria allo spirito greco. I Greci applicano a Dio gli epiteti di à.6patoç, à.9erop'f1toç, à.Kat6.À.'f11ttoç, à.q>avftç, VO'f1t6ç, e questi epiteti appaiono così spesso che l' omissione di liyvrootoç sarebbe inspiegabile se questo predicato divino fosse realmente esistito. "Ma un simile predicato non è potuto esistere, perché sa­ rebbe stato incommensurabile con la speculazione greca, poiché implicava una rinuncia alla ricerca"2• Negli scritti in cui si trova (Gnostici cristiani, Platonici tardi), liyvrootoç testimonia quindi un' influenza straniera, orientale. Un esempio mostra bene la dif­ ferenza tra il platonismo autentico e il platonismo mescolato al pensiero orientale. Albino (Didask. 1 0, p. 1 65 .4 H.), che rimane puramente nella linea di Platone, dice di Dio che è lipp'f1toç Kaì v'toiç (tra gli uomini), bisogna intende­ re, con la Vulgata, quod notum est Dei, oppure, con Origene e San Tommaso, quod agnasci de Dea potest, quad cagnoscibile est de Dea? Gli interpreti divergono, e ci si può chiedere se non sia a causa della loro stessa anfibologia che ayvcoo•oç e yvcoo•6ç sono in genere insoliti nella teologia pagana5• Ecco un'altra osservazione. Norden cita (pp. 65 ss.), come gnostico, cioè "orientale", l'uso di ayvcoo'toç, Kore Kasmau 3 2 ss. �v yàp lil;{ov 8ecop{aç ÒJ.lOU Kaì ùycov{aç òpdv oùpavou KaÀ.À.oç 8e(\> Ka'taq>aV'taç6J.lBVOV •4> én ùyvroo'tcp, 4 l ss. KaÌ écoç Ò 'tÒ>V OUJl1tUV'tCOV OÙK èBO'IJÀ.e'tO 'teXVt'tT}ç ùyvcoo{a Ka'teiXe 'tà l;UJ.L1taV'ta . O'te ÒÈ EKptVeV aÙ'tÒV oonç ÈO'tÌ ÒllÀ.Ò>oa{, K'tÀ., 50 7 S. J.!BXPÌ 1tO'te Tfjç ÙVe1ttyYOOO'tOU 'tau'tT}ç Òe01tOOOJleV TJYeJlOVtaç, 53 l Kaì ùyvcoo{a6 J.!BV �v Ka't' ùpxàç nav'tanaot. Ma, in primo luogo, il Dio della Kore Kasmau è propriamente il Demiurgo, non il Pri­ mo Principio trascendente degli Gnostici. In secondo luogo, in K.K. 3, Dio viene detto "ancora sconosciuto" (•4> én ùyvroo•cp ), il che cambia tutto. L' idea generale della Kare Kosmou non è che Dio sia assolutamente inconoscibile e rimanga tale, ma che, prima di essersi rivelato con la creazione, Dio è sconosciuto. Ora vuole essere co­ nosciuto ed è per questo che crea. Finché non ci sono stati né cielo né astri, gli esseri di quaggiù non conoscono Dio. ·Cominciano a conoscerlo solo con la visione del cielo "fatto a immagine di Dio" (8e(\> Ka'taq>aV'taç6J.!Bvov), uno spettacolo che li riempie insieme di meraviglia e di angoscia (timore reverenziale). L'ùyvcooia regna su tutte le cose, ma Dio decide di rivelarsi (ÒllÀ.Ò>oat). Questa idea è ripresa nella seconda cosmogonia 50 ss., che è un doppione della prima. Il governo (TJYeJlOVta) di Dio non è inconoscibile in quanto tale, è sconosciuto perché non esiste alcun essere per riconoscerlo 4 5 6

àyvrocrtotç è una correzione quasi certa di Patritius: àyvrocrtroç FP. Dico "in genere" perché, in fondo, ci mancano così tanti testi che l 'argomento ex si/entio non è assolutamente valido. Corr. Wachsmuth: liyvrocrta FP.

Introduzione

1 675

(àve1tiyvrocr-roç): da qui l 'organizzazione del kosmos (K.K. 51). L'ul­ timo passaggio (K.K. 53) non ha nulla a che fare con la questione. All' inizio della loro permanenza sulla terra, le anime incarnate si dedicano a ogni sorta di crimine, e di conseguenza l'àyvrocria, cioè l ' ignoranza di Dio, l'empietà, è totale: àyvrocria è qui usato nello stesso senso di I Cor. 1 5 , 34 dove San Paolo, parlando dei peccatori, scrive àyvrocriav yàp eeou nveç ÉXOU0'1V7• Nessuno di questi passag­ gi quindi si riferisce all' idea gnostica del Dio Primo inconoscibile. Piuttosto, troviamo qui la nozione banale del Dio che è conoscibi­ le e conosciuto dalle opere che ha creato. Ora ecco la singolarità. Mentre liyvromoç, che appare solo in Ermete nella Kore Kosmou, è applicato a Dio in un senso non gnostico, questo predicato è as­ sente dai trattati I e XIII dove ci si aspetterebbe, più che altrove, di incontrarlo. In I 3 1 ( 1 9 .2), Dio è àveKÀ.6.A'f1't'Oç, lipp'f1-roç, crtronfj, ç ÙVÙ 7tapK'tOV EÌvat, III, p. 1 68. 1 o l"JÌV émxatpEKaKiav 0 1tOU Jl iÌV àvù7tapK'tov dvai q>T]mV, p. 1 68. 1 3 àvù7tapK'tov oùv écm •ò àxaptmov ( forse citaz ione espressa). Ugualmente Posidonio ap. D iogene Laerzio VII 91 l"EKJlJÌptoV oè l"OÙ Ù7tapK'tJÌV dvat riJv àp&l"JÌV Vtoç . . . l"Ò yEVécr9at év 7tpOK07tJÌ •oùç 7t&pì :EroKp«il"T]V Kl"À.. Così Ù7tapK't6ç (e àvù 7tapK'toç) nel senso di "esistente" ( e "inesistente") appart iene propriamente alla ter­ minologia fi losofi ca, in Epicuro e nella Stoa. Questi aggettivi implicano la presenza di un sostantivo U7tap�tç = "esistenza" molto prima di Filodemo e Filone. Dopo questi autori, u1tap�1ç = "esistenza" ( e àvu 1tap�ia = "inesisten­ za") continuano, a quanto p are, ad appart enere solo al linguaggio dei fi losofi , Plutarco, Sesto Empirico, Plotino. L'uso di questa parola i n Filone è quindi un prestito dalla scuola, e questa conclusione è resa manifesta dall'opposizione dei due termini U7tapl;tç ( esistenza) e oùcria ( essenza). Non proseguo l ' inda­ gine dopo Filone, ma è ovvio c he la storia del la distinzione U 7tapl;tç oùcria nella fi losofi a successiva, in part icolar e tra i neoplatonici, dar ebbe luogo a un lavoro interessante. B asta c itar e queste righe d i H. Ch. Pu ech (a proposito di G. Lido, de mensib. , p. 93 . 1 5 Wii. on 7tpòç l"OÙ �taooxou Ilp6KÌ..OU ecm Jla9Eiv, Ol"t oùK év Ù 7tapl;et où oè oùcric;x •ò KaK6v), in Mé/anges Desrousseaux ( Paris 1 93 7), p. 3 77, n. 2: "La defi nizione e la distinzione più c hiar e c he io -

1 688

La rivelazione di Ermete Trismegisto - Il dio ignoto e la gnosi

qualcosa di divino, non hanno tutti la stessa concezione della natura del divino (roç lìv Katà JJl;v tò Kotvòv 1tmttcrtEUK6n:ç tò elvai n 9 Eiov , �lÌ tt'Jv aùtt'Jv aè ÉXOVTEç 1tEpÌ T�ç q>UO"Eroç aùtou 1tpOÀ.T]'I'tV).

Ora questa, agli occhi di Sesto, è proprio la prova che non sappiamo nulla di vero, cfr. IX 29: Questo è ciò che dicono i filosofi dogmatici sulla concezione degli dei, e non penso che ci sia bisogno di confutarli. Infatti la diversità delle as­ serzioni conferma il fatto che ignoriamo l' intera verità, poiché, mentre ci sono diversi modi possibili di concepire Dio, non comprendiamo ciò che è vero in essP4•

Osserviamo, tuttavia, che questo passaggio di Sesto (IX, 6 1 ) non rientra esattamente nell'ambito della nostra ricerca. Infatti l ' igno­ ranza di Dio si estende, per Sesto, all 'esistenza. Se sembra stabilire qui una distinzione tra la credenza comune che gli dèi esistano e le opinioni diverse sulla loro natura, il suo atteggiamento scettico non gli permette nemmeno, di fatto, di dire che ci sono dei. Di modo che, nonostante la formulazione, non sono sicuro che questo testo testimoni a favore dell'opposizione "esistenza conosciuta, essenza inconoscibile". Pseudo Senofonte, ep. 788 Herch. Stobeo Il, p. 1 1 . 1 . W. on J.IÈV yà.p tà. 9eia 'Ò1tèp iJ�ç. 1tavtì BilA.ov· Ò.1t0XPTI oè t(\) KpEittOVt tilç ouv6.1J.Eroç autoùç25 aé�etv· oTot oé eiatv oute eupetv (>Q.otov oute =

24

25

conosca dei termini u:n:apl;tç e oumv.

L 'esistenza e l 'essenza

1 69 1

D'altra parte l'antitesi U7tupl;tç; - oùcriu implica l a distinzione dei termini e abbiamo visto che lo stoico Balbo, nel de nat. deor. di Cicerone (Il 3 ), presenta questa distinzione come usuale all' interno della Stoa: omnino dividunt nostri. Ora possiamo risalire indietro, grazie a un testo molto significativo di Aristotele, Anal. Post. B l , 8 9 b 34. Come ha osservato l 'ultimo editore32, questo II libro, che si apre bruscamente senza una particella di collegamento, sembra formare un trattato distinto. Riguarda all' inizio il problema della de­ finizione (da cap. l a 1 1 ), e inizia con una serie di distinzioni che getteranno luce su questo problema. Le questioni che sorgono nella ricerca scientifica sono di due tipi. Da un lato, c'è la questione del fatto e del perché: questo o quel soggetto ha un tale attributo (on) e perché ce l'ha (8t6n)? Dall'altro lato, c'è la questione dell'esistenza e dell'essenza: esiste questo o quel soggetto (si écrn) e, in questo caso, che cos'è (ti ècrn) ? Ecco un esempio dei primi due casi. Il sole subisce un'eclissi o no? Risolta questa questione di fatto (on), si cerca il perché (8t6n). Questi due problemi essendo stati studiati nel I libro, Aristotele li richiama con poche parole (tuùtu j.!Bv oùv outroç), e passa al second� ordine di questioni (89 b 3 1 ss.). Ci sono casi in cui poniamo la questione in un altro modo ( liÀÀ.ov tp67tov): per esempio, Centauro o Dio esistono, sì o no? (Con questa domanda "esiste o no?" intendo l'esistenza in maniera assoluta, e non già come "è bianco o no?"). Ora, quando sappiamo che la cosa esiste, ci chiediamo che cosa sia, per esempio "che cos 'è dunque Dio?", oppure "che cos ' è l' uomo?" (yv6vn:ç of: on &crtl, ti san STJtOUJlBV, oiov ti oùv san 8s6ç, lì ti sanv liv8pro7toç;).

Questa breve frase mi sembra cruciale. Queste sono note di corso. Professato ad Asso o ad Atene33 poco importa, questo corso è un 32 33

Sir W. D. Ross, Oxford 1 949, p. 75. Fondandosi sull'assenza d i riferimenti negli Anal. (tranne l'eccezione infra indicata) a qualsiasi opera diversa dai Topici, sulla presenza di riferimenti agli Anal. in Retorica, Metafisica, Etica Eudemia e Nichomachea, Ross conclude con la probabile anteriorità degli Anal. che potrebbero risalire al periodo 3 50344 (fine del soggiorno ad Asso), cfr. Ross, loc. cit. , pp. 22-23 . Ma d'altra parte, il II libro dei Secondi Analitici, che apparentemente costituisce un trat­ tato separato, si rivela, in diversi modi, essere molto più tardo del I libro (cfr. Ross, loc. cit. , p. 75), e contiene un'allusione a Phys. VI (cfr. Anal. Post. B 1 2, 95 b I l ), da cui si può desumere che questo capitolo 1 2 di Anal. Post. B è

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La rivelazione di Ermete Trismegisto - Il dio ignoto e la gnosi

corso di logica34; non tratta quindi del problema di Dio, Dio vi arriva solo di sfuggita, a titolo di esempio, ed è quasi ovvio che, come ogni maestro avveduto, e inoltre secondo il suo costume abituale, Aristo­ tele, per farsi capire subito dall'uditorio, ha preso i suoi esempi tra i più comuni, tra quelli che sono già classici: Centauro e Dio se si trat­ ta dell 'ei EO''tt, Dio e l'uomo se si tratta dell'ei san e del 'ti èan. Ora è quasi certo anche che lo Stagirita non abbia preso questo esempio di Dio da Senofonte. L' idea non è la stessa nei due casi, là antitesi, qui distinzione; e la forma è molto diversa. Si potrà bensì credere che Aristotele e Senofonte si ispirino a problemi scolastici che i Sofisti già ponevano ad Atene35• La distinzione tra u1tap�tç e oùaia, o, se si vuole, tra ei san e 'ti èan, risalirebbe quindi alla fine del V secolo. Dalla distinzione si potrebbe passare all'opposizione. È il caso di Senofonte, che senza dubbio non ha inventato questa doxa dei Me­ morabili, ma la cui fonte, per mancanza di documenti, non siamo in grado di rilevare. Da Senofonte derivano i testi pagani sopra citati, e non c'è motivo, quando troviamo la stessa antitesi, con la stessa immagine del sole, nell'ebreo Filone, di interpretarla diversamente da come facciamo per i pagani. Si potrebbe anche, come nel nostro gruppo B, ammettere la possibilità di conoscere sia l 'esistenza che l'essenza. Ho già dato, credo, la spiegazione36• Nell 'esposizione di Cicerone (de nat. deor. Il), la prima parte (esse deos) e la seconda (qua/es sint) ne costi­ tuiscono in realtà una sola. I due problemi sono infatti legati dopo il Timeo, poiché il problema dell'esistenza dei "veri" dei, che sono il cielo e gli astri, è immediatamente dipendente dal problema della natura di questi dei: è manifestando la natura del cielo e degli astri, mettendo in evidenza la perfetta regolarità dei loro movimenti, dimostrando che questi mo­ vimenti hanno necessariamente come causa un'Anima e un Intelletto

34 35 36

stato scritto dopo Phys. VI oppure nello stesso periodo (cfr. Ross, /oc. cit. , p. 8 1 ). La maturità di cui fa prova tutto questo Il libro mi porterebbe a datarlo al soggiorno ad Atene (33 5-323). Più precisamente, nei Secondi Analitici, non si tratta più di logica formale, ma dei principi stessi della conoscenza scientifica, cfr. Ross, loc. cit. , p. 2 1 . Per un analogo accordo tra Senofonte, Platone e Aristotele sulla prova cosmo­ logica che, secondo Theiler e Diès, sarebbe mutuata da Diogene di Apollonia e da Socrate, cfr. RHT, Il, pp. 81 e 606 (= RET, li, pp. 636 e 1 254). Cfr. RHT, li, pp. 405 ss. (= RET, li, pp. 1 0 1 4 ss.).

L 'esistenza e l 'essenza

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eccellenti che si dimostra allo stesso tempo che il cielo e gli astri e l'Anima o Intelletto del mondo sono dei e, perciò, che gli dei esistono 3 7•

Ora c'è una differenza tra il cielo o gli astri e l'Anima o l 'Intel­ letto del mondo. Gli astri sono divinità visibili (9wòç &8 Ò'JÌ toùç òpatouç, Platone, Epin. 984 d 5 ), l'Intelletto che regola la loro marcia è invisibile. Nondimeno, si manifesta attraverso l 'ordine stesso che gli astri rivelano: si manifesta nella sua esistenza (è la causa di questo effetto) e nella sua essenza (è l ' ordinatore ). Così Dio può dirsi sia non apparente che apparente, cfr. C.H. V l (60.4 s.) crù &8 vòet n&ç tò òoKouv totç noA.ì..otç à (Dio), Ott "tycil EÌJ.lt ò rov" (Es. 3, 1 4), \v' rov ouvatòv àv9pcil:n:q> Kataì.aPeiv lllÌ ovtrov :n:epì 9e6v, È:n:tyvéjl n']v u:n:apl;tv (questo è il metodo di negazione, v. infra, pp. 1 765 s. e cap. VI.). ­

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Dio dunque è nella categoria dell' Uno e della Monade, o meglio è la monade che è nella categoria del Dio uno ('rétaKtat oùv ò 9�:òç Katà. tÒ Sv Krovfjç, cfr. mronfi q>rovoUf!EVE C.H. I 31: luogo comune), con l'ani­ ma sola, perché è stabilita secondo la monade indivisibile (Katà. t'JÌV c'LùtaipEtov tcrtatat f!Ovaoa Gig. 52).

Infine, la monade è isolata in se stessa, separata dagli altri numeri: Il genere divino della sapienza è puro e non mescolato, ed è per questo che lo si offre come libagione al Dio puro e senza mescolanza che, se­ condo lo stato di solitudine, è monade, téJ> . . . Katà t'JÌV f!OVrocrtv f!OV (Heres 183).

L' espressione significativa Ka-rà -rytv f.lOVrocrtv ritorna Special. II, 1 76 : f.lOVaòoç, t)nç ècr-rìv àcrc.Ojla-roç 8eou eìKffiv, q) Ka-rà tytv jl6vrocrtv è�ojlotoù-rat, i due testi completandosi a vicenda: qui la monade assomiglia a Dio Ka-rà -rytv f.lOVrocrtv, là Dio è una mona­ de in virtù della f.lOVrocrtç. E questa parola jl6vrocrtç ha valore di firma. Infatti non designa solo, come in Timeo 3 1 b, il fatto che la monade o Dio è unico : significa che Dio (o la monade) è isolato in se stesso, separato dal resto, insomma, trascendente, e, come tale, si riferisce molto precisamente a speculazioni neopitagori­ che sulla monade jlovro8eicra. Ma prima di provarlo, segnaliamo un'altra formula filoniana relativa al Dio trascendente: Dio è -rò sv Kaì jlOVOV, l'Uno e Solo. Agric. 54 : Poiché l' anima che Dio fa pascolare possiede l'Uno e Solo (tò §v Kaì f!OVOV €xoucra), dal quale dipendono tutte le cose, è normale che non abbia più bisogno di nient' altro.

L 'Uno trascendente ai numeri

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Heres 2 1 6 : Infatti ciò che è realmente Uno, Solo e Puro (tò yàp E\' Kaì 116vov Kaì Ka9apòv ovrffiç) ha generato da sé solo, senza fare uso assolutamente di alcuna materia, l' ebdomade che non ha avuto affatto madre.

Anche in questo caso, non si tratta, o almeno non solamente, dell 'unicità di Dio, ma del fatto che Dio è solo in se stesso, isolato. Un'espressione parallela di L.A. II l ce lo fa vedere: !J.Òvoç òè Kaì Ka8' ai>'tòv dç &v ò 8s6ç, oùòèv òè O!J.Otov 8scp. Qui l 'aggiunta finale "niente è simile a Dio" chiarisce ovviamente il significato: Dio è isolato in se stesso, separato per se stesso (Ka8' aù-ròv); vale a dire che è trascendente. Notiamo per inciso che queste formule ev Kaì !J.OVOV (o dç Kaì !J.OVoç), dç !J.OVOOJ.LOlffiffiV Ìovtoç ÙVrotclTOU KaÀOÙ)15,

ed è forse questa dottrina che ha condotto lo stesso Giamblico a distinguere (de myst. VIII 2, p. 26 1 .9 P.) tra il 9eòç dç, anteriore agli ovtroç ovta e ai principi universali, anteriore anche a Dio e Re primo, rimanendo immobile nella solitudine (o singolarità) della propria unità (à.tcivrrroç èv �ov6trJti tilç éautO'u év6tTJtoç �vrov), e, a partire da questo Dio Uno, il Dio che è à.pxfl dell'essenza, che chiama �ovà.ç ÈK tou év6ç16• La stessa terminologia fa suppore una fonte pitagorica, e un altro testo di Giamblico conferma questa ipo­ tesi (ap. Damascio, de princ. , I, p. 86.20 Ru. à.U' l:crroç li�tvov Katà. tòv Ici�PA.tx.ov ÀÉyetv): 13

14

lS

16

n;ç tv aùToiç UÀ.l]ç TOÙ J.n'J ovToç xpcimoç tv •éi> xoaéi> ovToç oual]ç mdaaJla II JllÌ ov che è la materia è un JlTÌ ov assoluto, ombra del JllÌ 6v relativo che implica la pluralità delle Forme. II Dodds (loc. cit. , p. 1 3 8) rammenta che TÒ xoa6v per designare la pluralità delle Forme è tipicamente neopitago­ rico e cita Teone, exp. r. m. , p. 1 9. 1 5 Hiller apdlJ.Lòç JlÈV ycip È9aptà aci>11ata Sl&1C6a!!l]CJ&. È a questo testo che si riferisce Proclo, citato supra, p. 1 7 1 4. Sull'importanza della testimonianza di Proclo per l'autenticità del de mysteriis cfr. t. III, p. 48, n. 2 (= vol. III, p. 1 340, n. 74). Per di più, si può notare una connessione tra questo passo del de myst. e un testo sicuramente autentico di Giamblico, in Nic; ar. , p. 79.4 ss. Pistelli: &ÙpiaJC&tat liÈ àvaì..òycoç mi f:v taiç JCOCJ!!tKaiç Ò.PXaiç ò lil]l!toupyòç 9&òç lltl &v �ç uÀ.l]ç yevvl]nlCÒç, àMà Kai aùtt'lv àilitov 7tapaì..apoov, &tli&m Kai ì..òyotç toiç JCat' àpt91!òv (cfr. Moderato supra, n. preced.) Staxì..cittcov JCai 1COCJ!!07totrov. Il significato di que­ sto testo è stato chiaramente visto da Baeumker, Das Problem der Materie . . . , p. 4 1 9, n. l . Il Demiurgo (2° Dio) non crea la materia: quest'ultima è eterna (derivata dal 1 o Dio), il Demiurgo la mette solo in ordine (1COCJ!!07tot&tv). Baeu­ mker era già tentato di accostare questo testo al passo del de myst. ("Dieselbe - sci/. come quella di Giamblico in in Nic. ar. - Auffassung vom Ursprung der Materie begegnet uns in der Schrift von den agyptischen Mysterien", p. 4 1 9), ma, pur facendo riferimento alla testimonianza di Proclo, non osava pronun­ ciarsi sull'autenticità di quest'ultima opera. Ù7tOCJXta9&iCJT]ç causa difficoltà (sospettato da Scott, IV, p . 33. 1 4) e l a correzione à7toaxta9&iCJT]ç sembra facile (il7to- è dato da Gale e Parthey, ma, come si sa, queste due edizioni sono insufficienti.· Un MS. della Bodleiana [Bodl. 20598, XVI sec., citato da Scott, IV, p. 44] ha à1to-, ma questa potrebbe essere una correzione e non sappiamo nulla del valore di questo codice). Tuttavia, è proprio troppo facile, e U7tOroç, per formare, in basso al campo visivo, una regione separata (f:v !!&pet).

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Ritroviamo qui la distinzione di Proclo ira il Demiurgo (Timeo), che non fa che ricevere (1tapaì..aBrov) una materia che gli è stata for­ nita, e il Primo Dio, l 'Uno (Filebo ), che crea lui stesso la materia tra­ endola dalla sua stessa sostanza (supra, pp. 1 7 1 3 s.). D'altra parte, le somiglianze tra Giamblico e Moderato sono sorprendenti: ò èvw.toç A.òyoç M. i) àvorra:roo Évtaia ai·tia G. 15, aircoii èxroptcre nìv 1tocr6nrra M. UÀ.TJV Bè 1tapi)yayev ò 8eòç à1tò tfjç oùcrt6nrroç Ù1tocrxtcr8eicrT)ç i>M'tT)toç G., li�opoy6vouç &iaayovt&ç. - (D) H. ripor­ ta anche i vv. 8/9 ali ' èlcmi.pcomç e cfr. il 1tavraç yàp KpùiJiaç del v. 8 con il KataviXÀ.iO"K&tv di Crisippo, SVF., II, p. 302.29: Crisippo e Cleante attribuiscono l'ài0t6tl]ç solo a Zeus, &iç 6v xavraç KIXtiXVIXÀ.lO"KOUm toùç liìJ..ouç (sci/. 9ro6ç), p. 1 85.43 : Crisippo (év tép xprotq> 7t&pì 11povoiaç) tòv �ia q>l]O"ÌV aul;&atlat, J.LÉXPtç liv &iç aùtòv lixavta mtavaì..ci>an. Questi tratti stoici sono così marcati

che H. vedrebbe in questo fr. 2 1 a un "falso" orfico composto da uno stoico (loc. cit. , pp. 246/7). È possibile, ma si deve ammettere che l 'autore ha semplice­ mente aggiunto a un fondo più antico, cfr. la mia nota supra e H. KLEINKNECIIT, ARW, XXXV, 1 93 8, pp. 1 1 4 ss., che, analizzando la forma del fr. 2 1 a - sette versi ciascuno cominciante con il nome di Zeus (sette forse intenzionale, cfr. O. WEINREICH, Triskaidekadische Studien, RG VV, XVI l , 1 9 1 6, pp. 88/9) , -

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e questo verso risale almeno all' inizio del I secolo o alla fine del II secolo avanti la nostra era in quanto fu imitato da Valeria Sorano (t 82 a.C.), citato da Varrone a cui si riferisce sant'Agostino, civ. dei VII 9 (p. 287.5 Dombart): Juppiter omnipotens regum rerumque deumque Progenitor genetrixque deum, deus unus et omnes.

Ma possiamo tranquillamente risalire più indietro. Giove è detto qui padre e madre degli dei. Ora Diogene di Babilonia (ca. 240- 1 52 a.C.), abbandonandosi ad interpretazioni allegoriche nel gusto degli Stoici - il mondo è identico a Zeus o contiene Zeus come l'uomo la sua anima, Apollo è il sole, Artemide la luna, ecc. -, esprime la seguente dottrina: È ridicolo dare agli dei una forma umana, ed è impossibile. Ciò che, da Zeus, si protende fino al mare è Poseidone, ciò che si protende fino alla terra è Demetra, ciò che si protende nell' aria è Era [ . . . ], ciò che si protende fino all' etere è Atena: infatti è questo ciò che significano le espressioni fuori dalla testa (ÈK •fiç KEcpaA.fjç) e Zeus maschio, Zeus femmina (Zcilç lipp11v Zcilç 9fjA.uç)27•

Il modo stesso nel quale, in Diogene, sono riportate le citazioni ('toi:ho yàp Myscr8at 'tÒ "??'' Kaì "??") indica che si tratta di espres­ sioni note, e la forma della seconda citazione, con i due Zsùç ri­ petuti, mentre sarebbe stato così semplice scrivere Zsùç appTJV Kaì 8fjÀuç, prova quasi con ogni evidenza che Diogene pensa proprio al verso Zsùç apcrTJV yévs'tO, Zsù ç . . . VUJlq>TJ. Ancora più indietro, Crisippo (ca. 280-207 à.C.), facendo riferimento à dottrine se non esattamente uguali28, almeno ispirate dalle stesse considerazioni ge-

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mostra che si tratta di un tipo tradizionale di poesia sacra di cui si hanno esempi (parodici) nel V secolo, Com. Att. Fr., n° 1 325, t. III, p. 639 K. (tre esametri, ciascun emistichio cominciante con il nome di MT]rioxoç, amico di Pericle, cfr. Pros. Att. I O 1 3 1 ) e persino in Archiloco nel VII secolo (fr. 70 Diehl)]. 8toyévT]ç ò' ò Ba�uMi>vtoç év -réj) Jl�:pì rijç A 9Tjvàç ap. FILODEMO, de piet. , pp. 82/3 Gomp. = Dox. 548 b 14 ss. = SVF., III, p. 2 1 7.9 ss. Il passo su Atena è Dox. 549 b, c. 1 6, l. 4 ss. Dire che Zeus è al tempo stesso padre e figlio equivale a dire che lui stesso è suo padre, mhomhcop come si dirà in seguito. Non è esattamente la stessa cosa di Zeus appTJV Ka.Ì 9Jiì.uç.

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netiche, dichiara che Zeus aiOll p è tutte le cose e che, pur rimanendo lo stesso, è sia padre che figlio (linavra T ' ècnìv aiOll p , ò mhòç &v Kaì 1taTJÌp Kaì ui6ç)29. Avvicinando a questa formula ò amòç &v quella di Valerio So­ rano deus unus et idem, e ali ' idea di un Dio supremo padre e figli o quella della "Mannweiblichkeit" del Primo Principio, Norden30 af­ ferma con decisione che si tratta di nozioni orientali: Die Mannweiblichkeit (tò àppev69TJÀ.U) des Urprinzips geht auf eine Spekulation zurUck, die in frUher Zeit aus dem Orient zu den Hell enen gekommen sein muss [ . . . ] Dass Gott Vater und Sohn, das schaffende und das geschaffene Prinzip, zugleich sei, kann ich aus hellenischer Philosophie erst filr Chrysippos nachweisen; aber es kann keine Rede davon sein, dass er diese phantastische Spekulation erfunden habe. Sie ist orientalisch und muss als ein Symptom der Orientalisierung hellenischer Spekulation durch die Stoa aufgefasst werden.

Da parte mia nutro grandi dubbi sull'"orientalismo" della Stoa3\ e aspetto ancora un testo che ci mostri come queste speculazioni "orientali" siano arrivate in Grecia e da chi vi siano state trasmesse. Inoltre, l ' idea di Zeus al tempo stesso padre e figlio si spiega con lo stesso stoicismo. Se Zeus è il mondo e allo stesso tempo il Fuoco Logos che assorbe il mondo per portarlo alla luce, è sia un padre poiché il nuovo mondo è venuto da lui, sia un figlio poiché questo nuovo mondo non è altro che il vecchio mondo rinnovato. Questo è ciò che esprimono gli ultimi due versi dell' inno orfico del de mundo: 1t llvtaç yàp Kpil\vaç ai>9tç q>aoç éç 1toÀ.uyTJ9èç éK Ka9apflç KpaOiT)ç àvevtyKato, J.LÉpJ.Lspa péçrov,

dove l'epiteto Ka8apfjç sembra indicare molto precisamente che si tratta della K6.8apV, à.Uà. tfjç Psì.tiovoç tò Kpatoç éativ Plutarco. E la dottrina del Timeo, il voùç finisce per prevalere sulla causa errante. Ma quest'ultima non

deriva da Dio.

L 'Uno trascendente alla Diade materia

1 733

9, p. 287.7 Dombart): Exponuntur autem (sci!. i versi di Sorano) in eodem libro (di Varrone) ita: cum marem existimarent qui semen emitteret, feminam quae acciperet, Iovemque esse mundum et eum omnia semina ex se emittere et in se recipere: "cum causa, inquit (Varro ), scripsit Soranus 'Iuppiter progenitor genetrixque '; nec mi­ nus cum causa unum et omnia idem esse; mundus enim unus, et in eo uno omnia sunt ". Questa esegesi basterebbe a spiegare la scelta

del termine àpcrsv68r]A.uç (o lippTJV Kaì 8fjA.uç) per lo Zeus stoico. Ma non è meno possibile, al contrario, che le speculazioni pita­ goriche abbiano influito sulla Stoa. In ogni caso, è tra Senocrate e Diogene di Babilonia che ne fisserei la data. Anche ammettendo che le nozioni di Monade àpcrsv68r]A.uç e di Zeus àpcrsv68r]A.uç si siano formate indipendentemente l'una dall'altra, appare chiaro che hanno avuto origine secondo una stessa corrente di pensiero, che non si può far discendere dopo il III secolo, poiché ai tempi di Diogene di Babilonia (ca. 240- 1 52) l '5!spressione Zsùç lippTJV, Zcùç 8fjA.uç è un detto ben noto. 5 . La trascendenza del! ' Uno È nel caso della Monade, come si diceva prima (p. 1 724 ), che l 'epiteto àpcrsv68r]A.uç assume il suo pieno significato filosofico. In­ fatti, non si tratta solo allora, come presso gli Stoici, di un'unità fon­ damentale delle diverse parti del mondo fisico, ma di un'unità dei Primi Principi che governano tutta la realtà, vale a dire sia il 1tépaç �he l ' Ù1tctpia di Platone, sia i crffi!la'ta che gli àcrro!la'ta degli Stoici. E anche nella prospettiva pitagorica che la Monade diventa vera­ mente trascendente. Infatti, se il secondo principio, complementare al primo, deriva dal primo, necessariamente questo primo principio è anteriore al secondo. La categoria del 1tp6 è quindi assicurata: 'tÒ q>&ç BKctvo . . . èyw Nouç . . . 6 1tpÒ q>UO'croç uypàç 'tfjç ÈK 'tOU O'KO'tOUç q>avciO'TJç (C.H. I 6, p. 8. 1 5). Ma forse questo è il luogo per chiedersi se non sia necessario ripor­ tare qui la 86�a di Eudoro che abbiamo considerato sopra (p. 1 708), e metterla in relazione con l'esegesi del Filebo citata da Proclo. Sul grado più elevato, dice Eudoro, i Pitagorici stabiliscono l '''Ev prin­ cipio comune di tutte le cose (KotVJÌ 1tUV'tOOV àpxfl), al secondo grado la Monade e la Diade indeterminata, principi sola!l8V't8 di una delle

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classi degli opposti (li � -rrovoe li oè -rrovoé ècr-rtv àpxfl). Quanto a Proclo, proprio nel passaggio in cui espone la teoria della derivazio­ ne della diade da Dio ( ei oùv . . . 6 9eòç; nacrav ànetpiav ucpicr!Ticrt, Kaì 't'JÌV UÀ.'flV ucpicr'tll crtv, ècrxa'rllv oùcrav ànetpiav. Kaì au'rll �v (scii. 6 9e6ç;) nponicr'tll Kaì lippe'rll oç; ai'tia rljç; UÀ.'flç; I 3 84.30 D.), egli dice che Platone 8tnàç; nap,;yayev ai'tiaç; ànò -roù év6ç;, -rò népaç; Kaì 't'IÌV ànetpiav (1 3 85 . 1 8 D.) . Questo insegnamento di Platone, Proclo lo trova nel Filebo (23 c 9) -ròv 9eòv èì.éyoJ,Lév nou -rò �v linetpov oe�at -rrov ov-rrov, -rò oè népaç;. E confenna questa esegesi con i versi orfici fr. 66 Kern, poi con la dottrina "egizia" (ennetica) della mate­ rialità tagliata (unocrxtcr9eicra) nella sostanzialità di Dio. Tutte que­ ste dottrine, agli occhi di Proclo, ne fanno una sola, sicché Platone (da cui Proclo è partito e di cui, peraltro, commenta il Timeo ), ha, dichiara, copiato Ennete. Ora, tuttavia, c'è una differenza. Per Ennete l 'i>ì..O'tll ç; è tagliata nell'oucrt6'tll ç; divina. In altre parole, riprendendo il vocabolario di Platone, l'ànetpia deriva dal népaç . E questo è anche il caso, ricor­ diamolo, della nocrÒ'tll ç; di Moderato, dello crK6-roç; derivante dal 'rf)v (49.2-3). Il logos è qui la parola creatrice di Dio: molti esempi in Filone, cfr. l 'indice di Leisegang, s. v. Myoç III 5 (J...&yoç est mundi creator). Un ricordo di Gen. I , 3 (Kaì elxev ò 9e6ç· fev1]9rrrro JC ÈJ.16pq>rouev)2 1 • 20 21

Sul C.H. V in generale, cfr. vol. 2, cap. III, pp. 60 1 ss. Per voù ç òpà'tat f:v •éi'> voeiv, cfr. V 2, p. 6 1 .2 v6T)mç yàp Jl6VT) òp� TÒ àcpavéç. còç Kaì aÙ"ClÌ àcpavl'lç ooaa e vol. 2, pp. 638-642, 1 1 77 s., 1 2 1 6 ss., 1 259. Mal tradotto ed. Budé, ma cfr. ibid. n. 8 1 . Per questo senso di JlOpcp6ro, cfr. Jl6pcpromç in S. Paolo ("aspetto esteriore, somiglianza"), 2 Tim. 3, 5 ExOV'tBç Jl6pcpromv eùaepciaç "C''ÌV OÈ ouvaJltv aù'tl'jç JÌPVTJJlÉVOt (Rom. 2.20 mi sembra diverso). Filone ha, nello stesso senso, È'lttJlopcpaçro, Flacc. 1 9 oi. . . Tò KU'tTJMUJC.9at ooKeiv Mycp 1.16vov È'lttJlopcpaaav•eç, ilpymç oè . . . JlVT)mKaKOÙVTeç. cosa che esplicita i l confronto seguente Kaì & Ka9mtoKptv6Jl8VOt yvT)aiav cptl.iav: "avendo assunto l 'apparenza, verbal­ mente, di una finta riconciliazione".

La documentazione degli Hermetica

1 747

A volte, infine, anche nel caso del Dio demiurgo, l ' ermetista ammette, o almeno menziona, solo la conoscenza intellettiva di Dio: così Asci. 16 (3 1 5 . 1 7) mente sola intelligibilis, summus qui dicitur deus, rector gubernatorque est sensibilis dei eius (il mon­ do), qui ecc. B. Il Dio Intelligibile (o aldilà dell 'Intelligibile) totalmente invisibile

È come à.affi)laToç, e come un Incorporeo di cui nessun corpo può rappresentare l ' immagine. Questa è una verità banale sin dai tempi di Platone e mi basta citare alcuni testi. C.H. IV 9 (52. 1 9) : L' autore h a appena detto che il Bene è inaccessibile (à.ot6.Pa•ov)22 perché è invisibile: Ciò che appare agli occhi è la nostra delizia, mentre il non manifesto risveglia in noi il dubbio. Ora, ciò che è più manifesto sono le cose mal­ vagie, il Bene al contrario è invisibile agli occhi visibili ( q>avepo:m:pa ()t èan tà KllKa, 'tÒ ()s aya9òv àq>avsç toiç q>avepoiç). Non ha infatti né forma né figura ( ou yàp J.lOpq>� OU'tll 'tU1toç ÈO"tÌV autou): per questo, simile a se stesso, è dissimile da tutto il resto23 • Infatti è impossibile che ' un incorporeo divenga evidente a un corpo.

Allo stesso modo VII 2 (8 1 . 1 6) dove si tratta del Dio conosciuto o "veduto" dalla gnosi ( à.q>oprovn:ç •n KapoiQ. eiç Tòv òpa8iivat SéA.ovta, cfr. supra, p. 1 742). Ora questo Dio non è né à.KouaT6ç, né A.eKT6ç, né òpa•òç òq>SaA.)lotç; lo si vede solo con il vouç, vale a dire, sin da Platone, la facoltà intuitiva nell ' uomo, e con il cuo­ re (Kapoia), che, nel linguaggio scritturale senza dubbio, ma an­ che tra i pagani (Epitteto, Marco Aurelio) è venuto a designare la sede della vita spirituale. La nozione di Dio liA.eKTOcr9at XIII l , p. 200. 1 1 ) e al corpo, e se ci si innalza con il pensiero ver­ so Dio, lo si può vedere, concepirlo, apprenderlo: C.H. IV 5 (5 1 .3) 'tOt:roUTOV Éa.moùç Ù'lfOOt:ra.VTsç, eìBov TÒ àya.Oòv, IV 6 (5 1 . 7) O.U'tll . . it Tou Oeoù Ka.Ta.v611t:rtç, Exc. II B 3 4 'lfUXIÌ . . . Koucpicra.cra. Éa.U't'IÌV È1tÌ 't'IÌV Ka.TiiÀll'l'tv Toù oVTroç àya9ou Kaì àA.,eouç. ·

.

3 . Dio è suscettibile di appellativi Se Dio ha una forma (Xl 1 6, p. 1 53 .22 J.Liav oùv sxst iBéav) o una natura (Il 1 6, p. 39.2 J.Lia yàp it cpucrtç Toù Osoù) o un'es senza (VI 4, p. 75 . 1 it oucria TOU Osoù, Xl 2, p. 1 47. 1 1 TOÙ Bè 9soù rocr1tsp oucria, XII l , p. 1 74.3 èl; a.u'tfjç Tfjç 'tO'U Osou oucriaç) di cui pos­ siamo acquisire la nozione (VIII 5, p. 89.6 àì..ì.à. Kaì 8wotav TOU 1tpooTou, sci/. Osoù sxst ò liv8pro1toç), è suscettibile di appellati vi. È possibile definirlo e denominarlo. Chi è Dio e come conoscerlo? Non è a lui solo che è giusto attribuire la denominazione (7tpOO"'lYOPia) di Dio, o quella di Creatore, o quella di Padre, o anche queste tre insieme? Dio in virtù della sua potenza, Creatore in virtù della sua operazione, Padre a causa del Bene (XIV 4, p. 223 . 8)25•

24

otawymç (Scott) sembra una buona correzione per ouo ì..6ymç. Cfr. CICERONE,

Att. V 5, 2 (n° 1 87 Constans) nos Tarenti quos cum Pompeio otaì..6youç de re p. habuerimus ad te perscribemus e, per la condanna della q>À.uapia, cfr. S. Paolo l Tim. 5, 1 3 lilla oi: 1Cai àpyai !lav9avoumv, 7tEplEPXÒ!lEVat (? 7tEptEpX,6!!EVQ\

codd.) -ràç oiKiaç, où !l6vov Oi: àpyai à.Uà Kai q>Mapm Kai xepiepyot, ì..aì..oùaat -rà !llÌ Oéov-ra, Tit. l , l O claiv yàp xoÀ.À.Oi àvux6'ta1C'tot, lla-rawì..6yot lCQÌ q>pEVa1tcl'tQ\, . . ohtveç oì.ouç oiKouç àva-rpéxoumv 0\0clalCOV'tEç lì !llÌ OEÌ, e

25

vol. 3, p. 1 407, n. 30. Otà 'tÒ àya96v è spiegato da XIV 9 (225. 1 5) 6 yàp 9eòç fv !l6VOV xa9oç &l(El,

-rò àya96v . . . -roù-ro yap ea-rtv 6 9e6ç, -rò àya96v, it xdaa ouva!ltç -roù xotEiv -rà xav-ra.

La documentazione degli Hermetica

·

1 749

Le ultime parole 9eòv f..lèv 8tà t�v Mvaf.!tV, 1tOtTJt�v 8è òtà t�v èvÉpyetav, natÉpa 8è 8tà tò à.ya96v hanno il loro esatto parallelo in v 1 1 (65 .4) crù (d) . . . vouç f..lÉV, VOOUf..leVoç (medio! )26, 1tU't�p ÙÉ, ÒTJf.!toupy&v, 9eòç ÙÉ, èvepy&v, à.ya9òç ÙÉ Kaì, navta nm&v27• È la stessa trilogia essenziale Padre (o Creatore), Dio, Buono (o Bene), a cui si aggiunge qui la nozione di Intelletto (Demiurgo) come in VIII 5 (89.5) 'tOU 8è (sci!. 'tOU nponou eeou) ewmav À.Uf..l �UV€1 (scii. 6 liv9po:l1toç) roç ÙO"Wf..lU'tOU Kaì vou, 'tOU à.yaeou. Nel II trat­ tato, le denominazioni (npocrmopiat II 1 4, p. 3 8. 1 ) sono queste due: Bene (Il 1 4- 1 6) e Padre (Il 1 7). Non solo Dio è il Bene, ma si specifica che è l'unico ad essere tale: il Bene appartiene solo a Dio: "Tutti gli altri dei immortali, è in segno di onore che si applica a loro il nome di Bene; Dio, lui, è il Bene non per un segno d'onore, ma per natura" (8eoì f..lèV o'Òv oi aÀ.À.ot navteç à.86.vatot te'ttf..lTJ f..lÉVot tfj rou à.ya9ou (scripsi: 8eou codd.) npocrT}yopiat· 6 òè 8sòç tò à.ya96v ou Katà ttf.!ftv, à.À.À.à Katà cpuc:nv II 1 6, p. 3 8. 1 9)28• Questa idea è particolarmente sviluppata nei trattati II e VI, in termini qua­ si simili: Il 14 (3 8.5) KUÌ 'tOU'tÒ (sci/. à.ya86ç) ècrn f..lÒVOV KUÌ O'ÒÒÈV aÀ.À.o (solo Dio è buono, nessun altro essere è buono). tà òè aÀ.À.a navra à.xropTJta ècrn rfiç rou à.yaeou cpucrsroç· cr&f..la yap eìc:n (si noti il plurale! ) KUÌ 'JIDxft, 't01tOV O'ÒK BXOV'tU xropfjcrat ÒUVUf..leVOV tò à.ya86v VI 3 (7 4.4) èv f..lÒV

V Éç iv' atrovtov 'i[TJç, aù 9eòv] llVÒV Kaì CÌ1tTJP111lO>IlÉVOV àxò 'tÒlV Ov'tO>V U7tllV'tO>V, àBuva'tOV.

1 760

La rivelazione di Ermete Trismegisto Il dio ignoto e la gnosi -

•ò àx,proJJ.atov, •ò àcrxrlJlancr•ov, tò litpen•ov, tò yuJJ.v6v [tò] cpatvov, 'tÒ aùté{l KataÀ1J1tt6v, tò àvaA.A.oiro•ov àya96v, tò àcrroJla'tov). Questo pezzo · ha il suo esatto parallelo nell 'Exc. II A 9 l ss. : i) yàp àA.i]Seta . . . ècrnv aÙ'tÒ tò liKpa'tov àya96v, tò Jl'IÌ ùnò uA.TJc; 8oA.01)JJ.Evov Jli]'te imò crroJJ.a•oc; neptpaA.A.6Jlevov, ruJJ.VÒV cpav6v, litpE1ttOV OEJlVÒV àvaA.A.oirotov àya86v e II A 15 l ss. 'tt oÙv av (s. e. einot ne;) elva t t'JÌV 1tp00t1JV àA.i]Oetav . . . ; - "Eva Kaì. Jl6vov . . . , 'tòv Jl'IÌ è� uA.TJc;, tòv Jl'IÌ èv crroJJ.an, tòv àx,proJJ.atov, 'tÒV àOì(.TJ Jlcl'ttO'tOV, tÒV litpE1ttOV, 'tÒV JllÌ àÀÀOtOUJlEVOV, tÒV àeì ov•a49• L' idea che Dio sia intelligibile solo a se stesso riappare nell'A ­ sclepius 3 4 (344.22): D i o è tutto, tutto viene d a lui, tutto dipende dalla sua volontà: e questo è il Bene totale50, prudente (o "sag­ gio"), che non si può imitare, che non è oggetto di percezione e di intelletto salvo per se stesso (quod totum est bonum, decens et prudens, in imitabile et ipsi soli sens ibile atque intelligibile).

Ciò equivale a dire che Dio è incomprensibile, come si dice in un brano interamente ispirato allo spiritualismo platonico (Fedone), C.H. X 5 ( 1 1 5 .9 ss.): Non si può vedere il Bene prima di essere separati dal corpo. Per adesso, siamo ancora senza forze per questa visione, non possiamo ancora aprire gli occhi dell' intelletto e contemplare la bellezza di que­ sto Bene, la sua bellezza imperitura, incomprensibile" (9eaaaa9at tò Kv ap. La Parola del Passato, Xl, 1 949, pp. 1 72 ss.

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La rivelazione di Ermete Trismegisto - Il dio ignoto e la gnosi

no compimento che abbraccia tutto il tempo di ogni vita individuale, al di là del quale non c'è vita naturale. Per lo stesso motivo anche il pieno compimento di tutto il Cielo, cioè il compimento che ab­ braccia la totalità del tempo e fino all' infinità, è un' età, così denominata da ciò che è sempre, un'età immortale e divina (Kaì yàp t\)iho TOUVOJ.La (scii. airov) 9Eiroç fq>9E')'Ktat xapà trov àpxairov. tò yàp ttJ..oç tò xEpttx,ov tòv tfjç tKamou çrofjç XP6vov, oò 1111eèv fl;ro Katà q>ucrtv, aiòw tKamou KÉKÀ.lltat. Katà tòv aùtòv 6è J..6yov Kaì tò tou xavtòç oùpavou ttJ..oç Kaì tò tòv xllvta XP6vov Kai n)v àxEtpiav xEptéxov ttÀ.oç airov èmtv, àxò toil aiEì dvat EÌÀllq>tilç n)v èxrovuJ.Liav, à9avatoç Kaì 9Eioç).

Questa idea del cerchio senza inizio né fine si ritrova, in senso letterale, in C.H. I 1 1 ( l O. 7): Dio mette in movimento il cerchio del mondo Kaì etacrs cnp8cpscr9at à1t' àpxJiç àopicnou siç à1t8pavtov t8A.oç· lipxstat yap, où ),:f)yst. Essa serve anche, metaforicamente, a designare Dio o il Bene, IV 8 (52. 1 1 ) Mt vel éauté{> codd.)52 oÈ Kaì livapxov, TJJ.l.ÌV oÈ ooKoùv àpxitv �xstv f'IÌV yvrocrtv. Questo uso metaforico, nel caso di Dio, è frequente tra i neoplatonici, soprattutto per esprimere il movimento di processione a partire dai principi e di ritorno ai principi: citia­ mo solo Proclo, Inst. Theo/. 3 3 (3 6. 1 1 Dodds) 1tav tò 1tpo'iòv à1t6 ftVOç KQÌ È1ttO'tpScpOV K'UKÀ.tKlÌV �XSt f'IÌV ÈVSpyStaV. SÌ yap, acp ' OÙ 1tp6stcrtv, siç toùto È1ttcnp8cpst, cruva1ttst tft àpxfi tò t8A.oç, ibid. 1 46 ( 1 2 8 .22 Dodds) 1tacrrov trov 9sirov 1tpo68rov tà t8À.'f1 1tpòç tàç éautrov àpxàç ÒJ.l.Oto'Ùtat, JC61CA.oV livapJCOV KOOVOUJ.!EVE, date le altre espressioni che tendono ad esaltare Dio al di sopra di tutto ( 1 8.8 ss., cfr. infra). È allo stesso modo al Dio Primissimo che si riferisco­ no due frammenti ermetici in Lattanzio, inst. div. IV 7 3 -roi3 JlOVOU KUpiou 1tllV'tOOV KUÌ 1tpOEVVOOUJlÉVOU 8eoi3 OV EÌ1tEÌV l>1tÈp liv8pOl1tOV =

53 54 55 56 57

Per KUTE1C't6ç (avv.) e il genitivo, cfr. C.H. II 8 (35.4) � oùv Kivl]crtç -roù 1C0Ufl01l . . . oux U7tÒ -réòv 1CUTE!C't6ç TOÙ crrot.taTOç cr1lfl�Uivet yivecr9at. Cfr. anche C.H. II 12 (37.4): L' incorporeo è Noùç . . . xoopl]nKòç -réòv 7t(lVTWV. Cfr. vol. 2, pp. 643-645, l 078, 1 259. Vedi inoltre Asci. 6 (302. 1 2) elementis,

velocitate miscetur.

Su questo testo, cfr. il mio articolo La pyramide hermétique ap. Museum Hel­

veticum, VI, 1 949, pp. 2 1 1 ss.

In C.H. I 7 (9.5) 9eoopéò . . . TÒ (parlando del Vivente Intelligibile), cfr. Soph. 248 e 8 tep xavtdroç livn. aùtotsA.i]ç appare in Aristotele per qualificare un òpta116ç o delle 9EO>piat (ai aùtotdsiç JCaì tàç autrov EvlllCa 9., Poi. H 3, 1 325 b 20), aùtotdroç in Epicuro Ep. Il 85 (xspì I!Etsci>prov. . . clts Katà auvacp�v A.syo!!ÉVO>V sit& aùtotsA.roç = "sia che se ne tratti in connessione con altre dottrine o in modo compi eto in sé, sci/. indipen­ dente"), aùtotsA.ijç tra gli Stoici, in particolare come termine grammaticale per designare la proposizione che è sufficiente di per sé (aùtotsA.f:ç A.81Ct6v, v.gr. "ypacpm l.:roKpcitt]ç"), al contrario della parola isolata che non è di per sé sufficiente (&ì.A.txf:ç A.81Ct6v, v.gr. "ypacpm": si ricerca "tiç;"), cfr. SVF. Il, 5 8.29. I Theolog. Arithm. ne fanno un attributo della monade, p. 3 . 1 7 s. de Falco &autijv ys i!�V ysvv fj. JCaì àcp' &aun'jç ysvvatat ci>ç aùtotsì.�ç JCaì livapxoç JCaì àtsA.sùtt]toç, gli Hermetica un attributo della Provvidenza (Exc. XII, 1 2) 7tp6vota OÉ &cmv aùtotsA.�ç A.6yoç toù éxoupaviou 9soù, o dell'anima (Exc., XVII, 1 l) 'lfl>Vl toivuv &atìv . . . oùaia aùtotsA.i]ç, il tardo orfismo un attributo di Dio, fr. 247, v. l O Kern clç &at' aùtotsì.i]ç, aùtoù o' uno xavta tsA.sitat. Cfr. anche Orac. Chald. , p. 24, v. 1 5/6 Kroll àp)t:sy6vouç iotaç xpci>tt] xatpòç &pA.uas taaos l aùtotsì:iJç 7tl]yTJ. Per l ' impiego di aùtotsA.i]ç in Proclo, Inst. -

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La rivelazione di Ermete Trismegisto - Il dio ignoto e la gnosi

Proporzione29, Bene. Non nomino questi termini come se li separassi (roç xropiçrov taiha), ma col pensiero che una medesima unità sia con­ cepita per tutti loro30• Dio è il Bene, perché, per quanto può3 1 , riversa i suoi benefici su tutte le cose, essendo la causa di ogni bene. È il Bello, perché, per sua natura, è lui stesso cosa perfetta e proporzionata32• È la Verità, perché è il principio di ogni verità, come il sole è il principio di ogni luce. È Padre33, perché è la causa di tutte le cose e perché mette in ordine l ' Intelletto del Cielo e l' Anima del mondo in accordo con se stesso e i suoi pensieri. Infatti è secondo il suo volere che ha riempito ogni cosa di se stesso, avendo risvegliato l'Anima del mondo e aven­ dola rivolta verso di sé, poiché è la causa dell' Intelletto che è in essa. E questo Intelletto, cosi messo in ordine dal Padre, ordina l' intera natura in questo mondo34•

, p. 1 65 .4 Dio, come abbiamo detto (164.7, 28), è ineffabile ( lipprrroç) ed è colto solo con l' Intelletto (v 116vq> ÀTJ7tt6ç), poiché non è: (a) né genere, né specie, né differenza, e perché non riceve neppure alcun accidente;

29

30

31

32 33 34

Theol. , cfr. ed. Dodds, p. 235. Albino lo applica a Dio (qui, 1 64.28) e alle Idee ( 1 63.27 dvm yàp tàç ioéaç vo�crEtç 8Eoù airoviouç tE Kaì aùtotEÀ.Eiç ). aEttEÌ.�ç sembra un hapax. Si noti che Albino si sente in obbligo di spiegare questi termini, come se non fossero comuni nel linguaggio teologico. 8Et6-tT)ç, oùcrt6-tT)ç, aÀ.�8Eta, ç Katà 7tUVta èvòç VOOU!lÉVOU. Per la stessa costruzione (roç e gen.), cfr. C.H. IV l (49.3) oihroç Ù7tOÀ.Uil�OVE roç tOÙ 7tap6vtoç KtÀ.. Per l'idea (più denominazioni, uno stesso Essere), cfr. de mundo 7, 40 1 a 1 2 dç Oè &v 7tOÀ.urovu�-t6ç écrn. Altro luogo comune. Allusione alla riserva del Timeo, v.gr. 46 c 7 taùt' oùv 7tUVta écrnv t&v cruvarrirov otç 8Eòç U7tT)pEtoùmv XPfitat nìv tOÙ apimou Katà tò ouvatòv ioéav a7totEI.&v, cfr. W.CH. GREENE, Moira (Cainbridge, Mass. 1 944), p. 305 e App. 50. on (ot6n Freudenthal) aùtòç tfi autoù q>U�-t�-tEtpov. Dovrebbe corrispondere a 8Et6tT)ç, o a oùcrt6tl]ç, o forse a entrambi. Sui rapporti tra i due Nous, cfr. WITT, loc. cit. , pp. 1 28- 1 29. Sulla dottrina della Volontà divina, i vi, pp. 1 30- 1 3 1 . Su quella dell'Anima del mondo risve­ gliata (ém;yEipaç 1 65.2) dal Primo Nous, ivi, pp. 1 3 1 - 1 32.

La dottrina platonica della trascendenza divina nel II secolo

1 789

(b) perché non è né una cosa malvagia (perché è empio parlare così), né una cosa buona (perché sarebbe tale per partecipazione a qualcos ' al­ tro, precisamente alla bontà), né una cosa indifferente35 (perché questo non è neppure conforme alla nozione di Dio); (c) né una cosa dotata di qualità (poiché non è una cosa che sia stata qualificata o pienamente completata come è da una qualità), né una cosa priva di qualità (poiché in lui non c'è stata privazione del fatto di essere qualificato, quando gli spettava di essere qualificato )36; (d) né parte di qualcosa, né come un tutto avente partP7, né tale da essere identico a qualcos' altro o differente (poiché non riceve alcun accidente per cui avrebbe potuto essere distinto dal resto); (e) poiché non è né motore né mosso38•

< Via Ka-rà àcpaipeow>, p. 1 65 . 1 439. Il primo modo di concepire Dio sarà dunque per modo di astrazione da queste cose, così come si giunge a concepire il punto astraendolo dal sensibile, avendo concepito prima la superficie, poi la linea, infine il punto40•

35 36

37 38 39

40

Mui maiestatemque retinere, si ipse in solio residat altissimo, eas autem

potestates per omnes partes mundi orbisque dispendat, quae sint penes solem ac lunam cunctumque caelum).

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La rivelazione di Ermete Trismegisto Il dio ignoto e la gnosi -

Queste determinazioni negative sono di due tipi: riguardano o l'essenza di Dio in sé, o l'essenza di Dio in rapporto alla conoscenza che ne possiamo assumere. Relativamente al primo tipo, I indica che Dio è sottratto ai limiti dello spazio, del tempo e della funzione, II accenna solo alla fun­ zione. III non ha nulla che corrisponda a questo paragrafo di I e Il, ma lo riassume tutto in una parola, all' inizio, dicendo che Dio è incorporeus e CÌ7tepiJ.1Etpoç. Su quest' ultimo termine, per una cor­ rezione che si può stimare per certa, vale la pena soffermarsi80• La 7tepi!J.etpoç ypa!J.IlTJ (o tò 7tBptJ.1Etpov) è la linea che circoscrive il cerchio. A7tepiJ.1Etpoç significa quindi "non circoscritto". Il latino teologico ha appunto incircumscriptibilis, incircumscriptus, incir­ cumscriptio, incircumscripte, tra gli autori del VI secolo81 ; ora i pri­ mi due possono corrispondere a à7tepi!J.etpoç come a à1tepiypacpo ç che si trova già in Filone82, o a à7tept6ptat6ç che è applicato al Nous divino nel Corpus Hermeticum83 • Questi epiteti riguardano l'essenza stessa di Dio: ma la considerazione dell' inconoscibili­ tà divina ha dato origine a formazioni equivalenti, à1tepi�ÀZ1ttoç, cl1tBpiÀ.TJ1t'tOç, cl1t8ptv0Tj't0�. Questo ci porta al secondo tipo di determinazioni negative nei nostri tre testi . Come si è visto, riproducono tutti e tre, sotto varie 80 81 82

83

Manca nei dizionari (anche in L.S.J.) e sembra una creazione di Apuleio. Cfr. SouTER, Glossary, s . v. Gli ultimi tre i n Gregorio Magno, i l primo i n Ru­ stico di Roma, autore di un Contra Acephalos, revisore della versione latina degli Atti dei Concili di Efeso e di Calcedonia. Cfr. F ILONE, Sacr. Ab. 59 àm::piypa q>UO'Etç à8UVU'tot OEU'tEpUt, 8eoì KUÀ.OUJlf:Vot OEU'tEpOt, BV Jlf:80piçt yfjç KUÌ OÙpUVOU 'tE'tayJlévot, 8eoi3 JlÈV àcr8EVÉO''tEpOt, àvepronou M icrxup6-repot, APULEIO, de Plat. I 1 1 (95 . 7 Th.) de­ orum trinas nuncupat (scii. Plato) species, quarum est prima unus =

et solus summus il/e, ultramundanus, incorporeus, quem patrem et architectum huius divini orbis superius ostendimus (cfr. 86. 13- 1 4 ); aliud genus est, quale astra habent . . . ; tertium habent, quos medioxi­ mos Romani veteres appellant, quod . . . loco et potestate diis summis sint minores, natura hominum profecto maiores85• 84 85

Cfr. anche XLI (Dii.) n69ev 1:à KaKa. Vedi anche altri testi ap. E. PETERSON, Der Monotheismus als politisches Problem (Leipzig 1 935), pp. 48 ss., NORDEN, Agnostos Theos, p. 39 e n. 4, a

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La rivelazione di Ermete Trismegisto - Il dio ignoto e la gnosi

2. Prova dalla visione del mondo. Quando vede il mondo, "l'ani­ ma decide che tutto è opera di Dio, è presa dall'amore per l' Artigia­ no e ha qualche presentimento della sua arte" (XVII 5). Questi due argomenti si ritrovano in Cicerone, de nat. deor. II, ma nell 'ordine inverso (spettacolo del cielo II 4, consenso univer­ sale II 5}, in Sesto Empirico, adv. math. IX, nello stesso ordine di Massimo (consenso universale IX 6 1 -74, ordine dell'universo IX 75- 1 22). Sono classici, l'uno e l'altro e nella loro connessione, fin da Platone86• La prova della visione del cielo riappare in XLI 2: Non si deve chiedere a Dio "chi è Dio?"87, devi solo alzare gli occhi e contemplare Dio nella sua opera. Segue una descrizione tipica del dio demiurgo, molto simile a quelle del de mundo 788 e di Cornuto (su Zeus: Th. Gr. 9- 1 3 )89 . II. Natura di Dio (XVII 6) 3 . È difficile conoscere Dio così com 'è. Non puoi nemmeno se­ guirne le tracce ( oùOè tXV'l aùtoi> aKE'IfU!J.SVot}, non puoi vedeme l ' immagine (où8è oaov ei8roÀ.otç èvtux.6vteç). Tuttavia, si può ele­ vare il A.oyta�6ç fino a qualche torre di guardia in cima all'ani­ ma90, e da lì cercare di percepire qualche traccia della sua natura. Volesse il cielo che si potesse interrogare Dio su Dio ! 91 . Poiché è

86 87 88 89

90

proposito di Apollonia di Tiana., 1t. 9umrov (Eusebio, pr. ev. IV 1 3) 8&éjl j.lÈV ov O� 7tpÙl"tOV licpaj.l&V . . . , j1&8' Ov yvropiçea8at tOÙç À.Ol7tOÙç ÙVUyiCUÌOV. Cfr. Leggi X 886 a e RHT. , Il, pp. 409 ss (= RET, Il, pp. 1 0 1 9 ss.). Allusione alla consultazione degli oracoli sull'essere o sul nome di Dio, cfr. vol. l , pp. 30-32. Su questo parallelo, cfr. G. SoURY, Aperçus de phi/osophie religieuse chez Maxime de Tyr (Paris 1 942), pp. 52 ss. Nel mio studio del de mundo, t. Il, pp. 460 ss., avrei dovuto notare il parallelismo quasi letterale tra de mundo 7 e Cornuto (e anche Massimo di Tiro XLI 2, ma solo per alcune caratteristiche). Se aggiungiamo Aria Didimo (notato ivi, p. 49 1, n. l ), ciò fa quattro testimoni. Deve esserci sicuramente stato un modello ellenistico. Tjjl&iç OÈ Ùpa OÙ tOÀ.j.l�OOj.l&V a\Ja�l�UOQj.l&VOl tÒV Ì.OytUttKou Kp etttov. (Dotati di significato) razionali - senza ragione: o Kpetttov tò À.oytKÒV tOU llJ.lÌ etvat riVll criv crUJ.lq>UtOV, fr. 24, p. 1 40. 1 2 L.)143. 1 3 8 Ecco le var. lect. di Numenio: 28 a l àci om. post ytyv6!levov !lÈV I l a 2 à&ì KaTà Tat'>Tà ov om. post 7tE P1.À.117tt6v. 1 3 9 Tale è il significato qui di tv ÉauTéP rov ( 1 37.29 L.), spiegato da lhà TÒ ÉauTéP cruyytyv6!levoç ot6ì.ou sulla riga seguente. Il Secondo Dio, invece, è OU!lq>&p6!l&voç Tfi uì..n e, di conseguenza, crxiç&Tat 'i>7t ' mhiiç, cfr. vol. 3 , pp. 1 3 87 s . 1 40 &auTéP ; vuoto (Keveòv v6ov) fino a quando non si apprende questo singolare VOTtt6v che sfug­ ge alla presa del voi>; (èm::ì v6ou �oo 'ÒmiPXet ibid. ). Guardate a quale apparente assurdità la mancanza di un termine speciale conduce l' au­ tore degli Oracoli, e con lui tutti i platonici: è necessario tendere il voi>; per raggiungere un oggetto che sfugge al voi>;! I moderni hanno .

1 85 xc:òç yàp lìv �v oì.ov 1:ò àeì ov 6 OTJJ.UOupy6ç, eixep 'tÒ 11èv àeì ov iiOTJ Ka'teoijcra'to (scii. Platone) otà Ti'jç òptKiiç àxo06crewç, 1:òv oè OTJ!Ltoupyòv mipeiv 'tE &pyov dvai o�OÙJ.IUl n)v 9ciì..aaaav (si noti la variazione ortografica!), siç TÒV oùpavòv àva�i'jvat où Oùvaj.lat. In altre parole, si suppone che il discepolo manchi di coraggio per questa esperienza di assimilazione all' intero Kosmos. '

I testi del Corpus Hermeticum

1 843

Questa esperienza non è isolata nel C.H. Nel XIII trattato, che tuttavia appartiene alla mistica per introversione, quando il myste è stato riempito dalle Potenze divine, dichiara (XIII 1 1 , p. 205 .3 ) : Reso incrollabile4 per opera di Dio, o padre, io mi rappresento le cose5, non con la vista degli occhi, ma con l'energia intellettiva che traggo dalle Potenze. Io sono nel cielo, nella terra, nell' acqua, nell' aria; sono negli animali, nelle piante; nel ventre materno, prima del ventre materno, dopo il ventre materno, dovunque

I due testi corrispondono punto per punto: XIII 1 1 , p. 205 .5 èv oùpa.vc{> eÌJ.lt, ÈV yfj, ÈV uoa.tt, ÈV IÌÉpt = XI 20, p. 1 5 5 .2 1 KO.Ì ÒJ.lOÙ 7ta.vta.xfi elva.t, èv yfj, èv 9a.MiTITJ, 8v oùpa.vc{>: XIII aggiunge f.v a.Épt, ma XI aveva detto nella frase immediatamente precedente ( 1 5 5 , 1 9) 7tacra.ç OÈ a.icr9flcretç tOOV 7t0tlltOOV cru/J..a. �e ÈV O'eO.Utql, nu p6ç, Ma.toç, �11poù, Ka.ì irypoù, dove, a mio avviso, ùypoù rappresenta l'aria umida (cfr. p. 1 842 n. 3). - XIII, p. 205 .5 f.v çcpotç eÌJ.li, 8v , -ròv 9aòv vofjuat où Mvauat ( 1 5 5 . 1 112). È quindi estremamente importante sapere in cosa consiste questo è�tuauJ..L6 ç. Ora, come si vede subito, si compone di una doppia estensione: un'estensione nello spazio e un'estensione nel tempo. La formula di quest'ultima è chiara: "innalzati al di sopra di ogni tempo e divieni aioov ( eternità)". L' altra formula è la se­ guente: "accresci te stesso fino ad essere corrispondente alla grandezza senza misura con un balzo che ti liberi da ogni limi­ te corporeo ( uuvau�11uov -rq'> IÌJ..L8-r pi)-rq> J.leyé9at, 1tav-ròç uroJ..La-roç ÈK7t11 B i)uaç 1 5 5 . 1 3/4)". Questo fa riferimento, secondo me, all ' e­ stensione nello spazio, 1tav-ròç uroJ..La-roç èK7t11 B i)uaç potrebbe cau­ sare difficoltà, soprattutto se si traduce con Scott "leap clear of all that is corporea!": in questo caso, bisognerebbe intendere questo affrancamento come una liberazione da tutto ciò che è materia, come un tuffo nel puro Intelligibile. Ma il contesto si oppone a questa esegesi, 1tav-ròç uroJ..La-roç ÈK7t11 B i)uaç ha per corrisponden­ te 1tilv-ra XP6vov 'Ò1tep6.paç, "innalzati al di sopra di ogni tempo"; e come questa fuga da ogni limitazione temporale ha l'effetto di una coestensione all 'aioov eternità, così la fuga da ogni limi­ tazione corporea ha l ' effetto di una coestensione all' IÌJ.lÉ'tPll'tOV J..Léya9oç, a una grandezza ancora, ma questa volta senza misura. Mi sembra che Reitzenstein abbia espresso bene il senso di questa esperienza6: "Die innere BegrUndung in der Art des mystischen =

=

6

Das iranische Erlosungsmysterium (Bonn 1 92 1 ), p. 239 s.

l testi del

1 845

Corpus Hermeticum

Gottesempfindens gibt die [ . . . ] Mahnung des Hermes7, sich ausser aller Zeit und Raum, frei von jeder Bedingtheit des eigenen Ichs, ja von dem Ich selbst zu flihlen: werde zum Aion ! " Questa coestensione all'universo immenso e d eterno viene quindi spiegata. "Sali più in alto di qualsiasi altezza, scendi più in basso di qual­ siasi profondità. Raccogli in te stesso le sensazioni che provano il fuoco e l'acqua, il secco (terra) e l'umido (aria)8• Sii al tempo stesso dovunque, sulla terra, nel mare, in cielo" (XI 20). "Ho paura del mare; non posso salire fino al cielo" (XI 2 1 ). "Io sono nel cielo, nella terra, nell'acqua, nell'aria. Io sono negli animali, nelle piante" (XIII 1 1 ). Queste formule riguardano l'estensione a tutto lo spazio e a tutti i tipi di esseri che lo riempiono, animali, vegetali, fino agli elementi. "Considerati immortale [ ], fa' conto di non essere ancora nato, di essere nel grembo materno, giovane, vecchio, morto, nello stato che segue la morte" (XI 20). "Non so cosa sono stato, non so cosa sarò" (XI 21 ). "Io sono nel ventre materno, prima del ventre mater­ no, dopo il ventre materno, dovunque" (XIII 1 1 ). Queste formule riguardano l'estensione alla totalità del tempo; e, siccome non si tratta di esperienze successive, ma è insieme nello stesso tempo che il soggetto è nel passato, nel presente, nel futuro (Ka.ì -ra.u-ra. miv-ra. ò�ou voftcra.ç 1 56, 1/2), si può ben dire che sfugge al tempo, la cui caratteristica è proprio il cambiamento: il soggetto di questa espe­ rienza è diventato l' immutabile Aion. "Se abbracci con il pensiero tutte queste cose in una volta", con­ clude XI 20, "tempi, luoghi, sostanze9, qualità, grandezze, puoi comprendere Dio". Perché, in definitiva? Perché, come abbiamo detto sopra (XI 20, p. 1 5 5 .9), Dio è un Intelletto che contiene, . . .

7 8 9

Lapsus: è Noùç che si rivolge ad Ennete. Cfr. APULEIO, Metam. XI 23 per omnia vectus e[ementa, PSEUDO APULEIO, Asci. 6 (302. 1 2) elementis velocitate miscetur, PGM, IV 475 ss. (Mithrasli­ turgie). Tornerò su questo punto, infra, pp. 1 865 s. Così Scott per xpO:yJ.La-ra, giustamente credo, dato il seguito xpliyJ.La"ta 1tOl0tTJ"tEç 1tOGOtTJ"tEç. D'altronde, cfr. già ARISTOTELE, de an. f 8, 432 a 3 én:ci oè oùoè xpdyJ.La oùetv !:an xapà -rà J.LEYÉ9T] . . . -rà aia9T]"tà KEX.COptaJ.LÉVOV, tv -roiç cloem -roiç aia9T] -roiç -rà VOT]-rli &an = "poiché non c'è sostanza che esista in uno stato separato al di fuori delle grandezze sensibili [ . . ]". xpdyJ.La corrisponde qui alla xpci>tTJ oùaia che può essere solo una sostanza concreta, a differenza dell 'essenza o oeù"tepa oùaia che, per esistere realmente, deve essere immanente in una sostanza sensibile. .

1 846

La rivelazione di Ermete Trismegisto - Il dio ignoto e la gnosi

come pensieri (voftJ.la:ta), tutto ciò che esiste, il mondo stesso, il Tutto. Per conoscere Dio bisogna dunque rendersi uguali per ope­ ra del pensiero alla totalità dell' essere, quindi a tutti gli esseri; e, poiché Dio è ovunque presente nello stesso tempo, e sempre esistente senza mutamento, è quindi necessario anche supe rare ogni limitazione spaziale e temporale, per diventare coestensivo all ' àJ.létprrrov J.léyeeoc; e all'aic.Ov. 3 . Resta da spiegare, e da· spiegare in questo contesto, la formu­ la "divieni aic.Ov" (XI 20, p. 1 55 . 1 5). Non è facile, essendo stato il problema dell'Aion molto confuso nella maggior parte degli studi, perché parecchie questioni molto diverse si sono affrontate insieme e devono, a mio avviso, essere tenute separate10 • È necessario distinguere, in effetti, tra: A. La nozione filosofica di aic.Ov come si è formata ed è evoluta in Grecia dal significato di "durata della vita" al significato di "durata di vita illimitata, eternità"1 1 •

IO

Il

L' opera migliore secondo me, la più completa e quella che meglio distingue i vari aspetti dell ' Aion, è quella di A.D. NocK, Harv. Theol. Rev. , XXVII ( 1 934), pp. 5 3 ss., in particolare pp. 78 ss. Da segnalare poi: CAMPBELL BONNER, Hesperia, XIII ( 1 944), pp. 30-3 5 : Aion assimilato a Sarapis ( l ) su una lamina d 'oro trovata nella bocca di uno scheletro e pubblicata nel 1 852: Airov Ép:n:f:ta, 'ICI)pt& I:apa:n:t ecc.; (2) su un intaglio del British Museum rap­ presentante la testa barbuta di Sarapis, radiata (sei raggi) e indossante il modio, con la scritta Airov (A per errore); (3) su un'iscrizione inedita �1ì 'Hì.icp ll&"fclÀ.q> I:apcl.:n:tot Airovt ecc. - DoRO LEVI, Hesperia, XIII ( 1 944), pp. 269 ss. : lungo articolo in cui, a proposito di un mosaico di Antiochia (intorno alla metà del III sec.) raffigurante Aion e i tre Chronoi (Passato, Presente, Futuro), l' autore riprende, in maniera alquanto confusa, tutto il problema di Aion. - A.J. FESTUGIÈRE, La Parola del Passato, XI ( 1 949), pp. 1 72 ss. : in questo articolo, tralasciando del tutto l' Aion ellenistico, ho vo­ luto rivedere tutti i testi relativi all 'airov filosofico fino ad Aristotele. - Io., Rev. d 'Égyptol. , VIII, 1 95 1 , pp. 63 ss. : breve nota in cui il testo di Epifane sullo xòanon dell'Aion alessandrino recante cinque a ùtaq>6pq> tòv ai&va à.va1tÀ.TJpouvtaç). Si può intende­ re che il rinnovamento indefinito delle rivoluzioni planetarie, ognu­ na delle quali costituisce un tempo, adempie l'eternità, ma anche che i sette cerchi dei pianeti adempiono l'estensione del cielo airov. B. Aspetto dinamico N° 1 : Dio fa l'airov, l'airov fa il cielo. N° 3 : L'operazione ( èvépyeta) di Dio è l'Intelletto e l'Anima, l 'o­ perazione dell'airov è la permanenza e l' immortalità. No 6: L'airov è l'essenza e la forza operante di Dio, il suo épyov è il cielo (mondo), che lavora come una materia (UÀ.TJ OÈ 6 KOO"J..I.Oç) e in cui introduce permanenza e immortalità. N° 6a: L'airov è la Sapienza di Dio. N° 7: Il divenire della materia (mondo) dipende (è l'opera) dall'airov, come l'airov dipende da Dio. N° 8: Dio è l'anima dell'airov, l'airov è l'anima del cielo (mondo). 28

Così Scott (Il, pp. 295 s.) che fa il collegamento con II 1 2 e commenta: "The five entities are here imagined in the form of five concentric spheres, - or rather, perhaps, four concentric spheres contained within a boundless space, which is God".

1 864

La rivelazione di Ermete Trismegisto - Il dio ignoto e la gnosi

No 9 : Tutte le cose visibili (1t1lVta t"aut"a) sono prodotte per mezzo dell' ai.rov. No 1 0: L'ai.rov, in quanto anima del cielo (mondo), mantiene il cielo, il che significa (t"OU't6 Ècm) che Dio, mediante la sua ouvaJ.Ltç che è l 'ai.rov, esercita continuamente la sua attività su tutte le cose. No 1 2 : In quanto fonte di vita, l'ai.rov è la copia di Dio, il cielo la copia dell'airov. È chiaro che, in tutti questi passi, l'ai.rov non è solo un concetto astratto (eternità o spazio infinito), ma un principio attivo. Forza o Sapienza di Dio, Anima del cielo (mondo), principio che mantiene il Mondo e che, come fonte di vita, può dirsi la "copia" di Dio. Chia­ mando questo ai.rov-copia un Secondo Dio "che riproduce l' imma­ gine del Padre suo" {nìv t"OU 1tat"pòç SÌK6va sxrov C.H. I 1 2 riguardo all'i\v9pro1toç), non si oltrepassano, a quanto pare, i dati del testo. In sintesi, omettendo il § 20 in questione, airov, in C.H. Xl, desi­ gna una volta (n° 2) il concetto astratto di eternità. In tre brani (n; 4, 5, 1 1 ), l'aspetto statico predominante, si può esitare tra il senso tem­ porale o il senso spaziale, ma quest'ultimo sembra più probabile. In tutti gli altri casi (nove su tredici), ai.rov è concepito come una forza attiva intermedia tra Dio e il cielo (mondo).

2. Altri testi ermetici (tranne l 'Asclepius) Le altre menzioni di ai.rov nella letteratura ermetica non sono molto numerose e le dispongo subito secondo l'ordine sopra adottato. A. Aspetto statico Il senso temporale è certo C.H. XII 1 5 ( 1 80. 1 0): otà 1taV'tòç t"OU ai&voç 'tfjç 1tat"pcilac; à1toKat"acnacreroç "attraverso la durata infi­ nita del ritorno ciclico imposto dal Padre (Dio)"29 Exc. XXIII (Kore Kosmou) s 7 s.: t:va sTJTfi 'taU'ta 1tà.ç aùòv 6 J.LE'tayEVÉO''tEpoç KOO'JlOU "affinché ogni generazione a venire nel mondo (o "nata dopo il mondo") dovesse ricercare queste cose", ivi 8 5 s.: àcra1teìç 1taV'tòç =

=

29

Per questo senso di 7tatpiòoç, cfr. PINDARO, Pyth. IV 220 Kaì tcixa 7t&ipat' àé8À.Cilv oeiKVUEV 7tatprotrov = "presto Medea rivelò i mezzi per compiere le prove imposte da suo padre".

1 865

A iciJv nei testi ermetici

a.i&voc; Kaì. ìil:p8ap1:ot 8ta.J.1Eivan: XP6vouc; "rimanete imputresci­ bili e incorruttibili durante il tempo di ogni età",. Exc. XXIX, v. 1 12: "sette astri erranti ruotano sulla soglia dell'Olimpo: con essi il Tempo infinito compie la sua eterna rivoluzione" (J.l.E'tà 1:otmv àsì. 1tEptvia, 'flnç A.apoi>aa 'tÒV A&yov), dall'altra con la Volontà (8ÉÀ11Jla) di Dio, ugualmente personificata poiché è essa che semina il seme dell'Uomo nuovo, cioè il vero Bene, in questa matrice che è la sophia (XIII 2, p. 20 1 . 1 /2). J. Kroll mi sembra quindi aver ragione nel dire che l' Aion di XIII 20 è "eine rein personliche Auffassung"33 e Reitzenstein34 nel paragonare l'Aion di XIII 20 al Nous di I 30 che, anch'esso, ispira il discepolo: =

Per parte mia, ho inciso in me stesso (o "ho registrato per iscritto per me stesso")35 il beneficio di Pimandro36, e, una volta riempito di ciò che desideravo (7tÀ.T)pc.o9sìç CÌ>v i19sì..ov 1 7 . 1 5 Kai, o çrrr ro , . . . àva7tÉ1tau�at 208.2 1 ), la mia gioia fu estrema [ . . . ] E tutto questo mi accadde, in quanto ero stato gratificato da un dono del mio Nous, cioè di Pimandro (toiho M cruvÉ PTI �ot ì..a p6vn à1tò tou No6ç �ou, toutÉan tou llot�àv�pou 1 7 . 1 9/20), il Verbo della Sovranità assoluta (tou tfiç AùeEVtiaç A6you, cfr. I l , p. 7 . 9/ 1 0 tycb . . . Ei�ì 6 llot�àv�pT)ç, =

33 34 35 36

J. KRoLL, Die Lehren des Hermes Trismegistos ( l • ed. 1 9 1 4), p. 68. Das iranische Er!Osungsmysterium, p. 1 74. n'Jv eùspys l 7.2 1 ). Parimenti, è per essere stato ispirato dall' Aion presente in lui che il mistagogo di XIII 20 "ha trovato la benedizione", eÙÀ.oyiav eÙpov. E questo inno di benedizione è stato una lode al Dio cosmico, dovunque presente, da cui tutto viene e a cui tutto ritorna (cri} �ouÀ.i} ànò crou ènì cré, tò nav 208. 1 5). Poiché infine questo Dio dovunque presente è presente anche nel myste una volta rigenerato (tò nav tò ÈV li lltv 208. 1 6), poiché l'Aion, vale a dire l 'Intelletto divino che tutto contiene, è ora identico all '"uomo di Dio" (6 cròç liv9pwnoç 208. 1 9), è proprio questo Aion che mette nella bocca dell'uomo l'elogio, affinché questi possa pronunciare il grido liturgico crù el ò 9e6ç38 attraverso il fuoco, attraverso l'aria, 37

38

Cfr. PGM, IV 963 ss. Mç crou tò cr9évoç Kaì oti;yetp6v crou tòv oaiJ.wva Kaì Eiaeì,6e év tQ> 7tUpì tolhq> Kaì ÉV1tVEUJ.Uitrocrov mhòv 6Eiou 1tVEUJlatoç Kaì oei1;6v JlOi crou t�v àì.�v, Kaì àvoty�tro JlOt 6 oÌKoç toù 7tavtoKpchopoç 6eoù . . . , ò év tQ> , Kaì yEVécr6ro ott crù EÌ 6eòç Jl6voç (Acta Nerei e t Ach. , p. 1 2 Achelis ), oeil;ov U7tacrt toiç 7tUpECJ'tllK6crtv év6aoe O'tl crù EÌ Jl6Voç 6e6ç (Passio S. Mocii, An. Boli. , 1 9 1 2, p. 1 67. 1 0), e già Act. Ap. 4, 24: Quando Pietro e Giovanni sono stati rilasciati dal sinedrio, i fedeli ÒJ.!o6uJ.taOòv

1 869

A idJv nei testi ermetici

ecc. In altre parole, tutti gli elementi e tutte le creature proclamano la divinità di Dio tramite l 'uomo 9s61tVouc;. E, al limite, l'Aion presen­ te nell'uomo loda l'Aion universale: àq>' u�v (le Potenze di Dio) si ì..oyia (208. 1 O); 3. Aeternitas nel! 'Asclepius A eternitas nell'Asclepius richiede una trattazione speciale, perché questa parola vi riveste significati diversi che occorre distinguere quanto più possibile39• Comincio con alcuni esempi relativamente chiari; poi analizzerò punto per punto la sezione propriamente dedi­ cata alla aeternitas, cap. 3 0/2.

A. aeternitas = "immortalità" (dell 'anima) o "durata permanente" 1 2 (3 1 1 .8). Ricompense e punizioni postume. Dopo la morte, i buoni tornano in cielo, gli altri passano in corpi di animali (/ceda migratio ). Perciò "le anime, in questa vita terrena, corrono grandi rischi riguardo alla speranza dell' immortalità (beata) a venire" (fu­ turae aeternitatis spe animae in mundana vita periclitantur). Come osserva Scott (III, p. 62), aeternitas è quasi equivalente qui a divi­ nitas: "the pious man will be a god, or will live the life of a god". L'à 9avacria beata è privilegio degli dèi (cfr. 29, 336. 1 0: il giusto inmortalitatis futurae concipitfiduciam ). �pav cprovt'(v 7tpòç tòv Eleòv Kaì d1tav · 'oécrnota, Sapflcre-rai 1tO'tE . . . , -rou KO Ka8ioputai aou tò &maypclf.1f.1atov (cfr. XIII 760) ovof.la 7tpòç t�v àpf.1oviav ttòv ç q>86yyrov, VII 704 ss. aè Kaì..c'ò , tòv Kataì..clf.17tOVta t�V OÌ..l]V OÌKOUf.lÉVT]V, . . . &v CÌ> EO"tlV tà mà q>rovt'levta, XII 1 1 9 8eiv OVOf.l� aot tò Katà ttòv ç af:T]touro (cfr. ancora XII 30 l s., XIII 206 ss., 905 ss. ). E con sette scoppi di risate che Dio crea i sette pianeti, XIII 1 62 ss. &yéì..a aev 6 8eòç ç' (')(.a ripetUtO sette volte), yeì..O:O"avtoç OÈ tOÙ 8t:OÙ f:yevvt'I 8T]O"QV 8eoì ç', ofnveç tÒV KÒO"f.lOV 7tEp1É')(.OU0"1V, cfr. REITZENSTEIN, Poimandrès, pp. 263 ss. Heptamerion è quindi buono, ma si potrebbe anche congettu­ rare én:ì toù &maf.lépou, cfr. FILONE, Deca/. 1 00 (IV, p. 292.3 C.-W.) �ateo am 7tpcil;erov � &l;at'lf.lepov aùtapKéatatov, o addirittura mantenere én:taf.lépou (P: cfr. l ' Eptamerone di Margherita di Navarra, il Decamerone di Boccaccio), nel senso di "spazio di sette giorni, settimana", su cui Dio presiede, én:taf.léptov e mO:�tepov (o mat'lf.lepov) sono del resto la stessa cosa, poiché a ciascuno dei giorni della settimana è assegnato un pianeta, cfr. Reitzenstein, loc. cit; , pp. 270 s. Cfr. infra, p. 1 894, n. 48. ·

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A ion al di fuori del/ 'ermetismo

1 89 1

di Mithra}27• Il mago invoca tutti gli elementi che sono i n lui, uniti agli Elementi del mondo, di venirgli in aiuto "perché devo contem­ plare faccia a faccia (Ka-rome6ew) oggi, [ . . . ] (520) con il mio im­ mortale spirito28, l' immortale A ion, il maestro dei diademi di fuoco (-ròv à96.va-rov Airova Kaì òeo1tO'tTJV -rrov m>pivrov· òta811).16.-rrov). Più avanti, nella terza preghiera (J..6yoç y', 5 87}, Aion compare come nome proprio, accompagnato da molteplici epiteti che lo de­ signano come il dio del fuoco e della luce29• Questo dio luminoso è Helios (640): J.léytme 9erov, "HA.te. E questo Helios è assimilato a Mithra (482 à9avaoiav à�t& . . . 'fìv ò J.téyaç 9eòç "HA.wç Mi9paç èKéA.euoév �ot �aòo9fjvat30 • S.

IV 1 1 1 5 s. "Formula segreta" ( ori1A.11 à1t6Kpuì..rov 1tVeUlJ.aTa). Salve,

27 28 29 30 31

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Tradotto vol. l , pp. 354 ss. 1CQ'l"07rte6EtV. . . aaavchcp 7tVe6j.lan: cfr. Valentino, fr. 8 VOlker :n:av'ta KPE!!cli!EVa xvcij.lan PiJ::n:co . Si noti aù�cricpcoc; 602 e cfr. Ca/end Antioch. (25 dic.) 'HÀ.iou ysvé9À.tov · au�El cproc; così come lo scolio di Cosma (ap. HOLL, Gesammelte Aufsatze, Il, p. 1 45) ti :n:ap9évoc; f'l"sKsv, au�st cproc;. S u Helios-Mithra in questo papiro, cfr. NILSSON, /oc. cit. , pp. 6 2 s. o "con bontà", KU'tà aoou pouÌ.T]UlV f:v XPT]CJ'l"O'l"Tjn: cfr. Eph. 2, 4 ss. 6 oà asòc; :n:À.oomoc; &v f:v èÀ.ést, Otà n)v :n:oì.À.l)v aya:n:T]V aÙ'l"OU . . . ftj.ldç . . . m>vs1;coo:n:oiT]O'EV 'téj'l Xptméj'l . . . (7) \va f:voEi�T]'l"Ql f:v 'l"OÌç airomv . . . 'l"Ò u:n:sppaì.À.Ov :n:À.OU'l"Oç. rljc; :x,apt'toç aù'tou f:v XP'lCJ'l"O'l"T]n ècp' ti!làc; tv Xptméj'l. Questo dono divino è qui la respirazione di cui sono indicate le fasi. :x.aipE, ap:x.l) Kaì 'téÀ.Oç rljc; clKlVtl'l"OU cpuascoc;. Cfr. IV 2836 ss. (alla Luna): clP:JC.lÌ KUÌ 'l"ÉÀ.Oç cl, :ltclV'l"COV OÈ O'Ù j.lOUVT] clvclO'O'Etç · ÈK O'ÉO yàp :n:clV't' ÈO"l"Ì KUÌ Etç ptVO'JfUXP6v) ! lo ti lodo, Dio degli dèi, che hai regolato l'universo da membro a mem­ bro, che hai fatto una riserva delle acque dell'abisso, ponendole su un fondamento invisibile35, separato il cielo e la terra36, e coperto il cielo di eterne ali d' oro37, fissato la terra su basi eterne38; tu che hai sospeso l' etere nel punto culminante del cielo39, diffuso l'aria dispersa in tutti i luoghi con venti che si muovono da soli, e messo in circolo tutt' intor­ no l'Oceano; tu che porti le tempeste, che tuoni, scagli lampi, che fai cadere la pioggia, che scuoti la terra40; tu che generi i viventi, Dio degli

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x.aipete, olç tò xaipetv tv eùA.oyiçt oiootat 1 1 35 s. Forse: "nella benedizione (liturgica)". Allo· stesso modo Preisendanz: "denen der Gruss im Lobpreis dar­ gebracht wird". Questa costruzione mi sembra migliore di "deren Gottesdienst im Dankgebet besteht" (Reitzenstein, Poimandrès, p. 1 77), che suppone olç = ùcp' còv. Sull'interesse di questo passo, cfr. NILSSON, loc. cit. , pp. 83 s. ò riJv liPucrcrov 8TJcraupicraç ciopchcp O&crecoç &opcicrJ.Lan 1 1 48/9: cfr. Psalm. 32, 7 crwayrov c.bç cicrKòv i>Oata OaMcr ÙljlroJ.lan 1 1 49 s., come nacrcrciì.q> ciYJCpeJ.Lacracra Od. 1 440, l 'uwroJ.la avendo qui un significato concreto (astrolo­ gico, cfr. Reitzenstein, Poimandrès, p. 80, n. 3). 6 ppovta1;cov, ò cicrtpcimcov oupTJVEç, ò Ppéx.rov, 6 creicov 1 1 60 ss. Stessa se­ quenza (meno ò pp&x:cov) XII 60 s. crù et ò cicrtpcimrov, crù el ò ppovtéi'lv, crù el ò creicov, crù et 6 ncivta crtp&waç Kai ènavopOrocraç nclì.tv.

A ion al di fuori dell 'ermetismo

1 893

Ai orli (ò Gsòc; Tffiv Airovrov 1 1 63 ). Tu sei grande4 1 , Signore, Dio, Maestro dell'universo.

IV 1 1 67 ss. "Ottima formula per tutte le esigenze, e che sal­ va anche dalla morte. Non esaminarne il segreto (J..LlÌ È�é•ass 'tÒ Èv aùtfj). Preghiera". 6.

Tu, l 'unico e benedetto tra gli A ioni (Tòv ÉVa Kaì JlOXapa Tffiv Airovrov), Padre del mondo, io ti invoco con suppliche cosmiche (KOO"JltKaic; À.naic;). Vieni a me, tu che hai dato il respiro al mondo intero, sospeso il fuoco sull' Oceano celeste42 e che hai separato la ter­ ra dall' acqua43, ascolta. Forma (Jlopq>�) e Spirito (o Soffio, 7tVeUJ.l.U), Terra e Mare, la parola del saggio istruito dalla divina Ananke44, ac­ cetta da me queste preghiere simili a strali di fuoco, perché io sono un uomo di Dio che è nel cielo4S, un uomo la cui composizione bellissi-

41 42

J.lÉ"yaç EÌ 1 1 63 : cfr. E. PETERSON, E{ç 6eòç, pp. 1 96 ss., 320. Ò "tÒ 7tÙp KPEJ.lUO"aç ÈK "tOU Uòa1:oç, cfr. REITZENSTEIN, Poimandrès, p. 279 (cfr. p. 267). Anche Gen. l , 7 KUÌ 8texroptcrEV ò 6eòç . . . àvà J.lÉO"OV "tOU u8a"toç "tOÙ É1I:UVOO "tOU O""tEpEOOJ.lU"tOç. 43 KUÌ "tJÌV yiiv xoopicraç à1tò "tOU u8a"toç 1 1 73/4: cfr. Gen. l ' 9- 1 o. 44 PfiJ.la 1:ou croV CÌPXTIYÉTT]ç. 'EpJlfiç ò xp&apuç, I moo ç xanìp èyro. Cfr. II Re 22, 9 Kaì :JtUp ÉK m6Jlatoç aùtou Kat&oetat. ••

V

59

Aion al di fuori del/ 'ermetismo

1 897

11. V 460 ss. Invocazione a un Dio cosmico designato con i nomi di Zeus, Adonai, Iao, il Grande Dio, il bio di Abramo, alla fine Iao Sarapis. Ne cito l' inizio (460 ss.): Io t' invoco te, tu che hai creato la terra, le ossa, ogni carne e ogni respiro, che hai fissato il mare e inchiodato saldamente il cielo, che hai separato la luce dalle tenebre60, il grande Nous61 che nella legge governa l 'universo62, Occhio eterno, Demone dei demoni, Dio degli dei, Signo­ re degli spiriti (o dei venti, t&v 1tVWJ.Hi'trov), inerrante Aion Iao OUT)l ( Ù7t À.UVT)toç Aiffiv 'Iàro OUT)t)63 •

12. VII 505 ss. Raccomandazione al demone proprio (del luogo in cui si trova il mago)64 • Salute, Tyche e Demone di questo luogo [ . . . ] Salute, l'Avviluppan­ téS, ovverosia la terra e il cielo. Salute, Helios. Infatti, tu sei colui che si è stabilito sul santo fondamento in una luce invisibile66• Tu sei il padre 60

61

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63 64

65 66

ò xcopicraç tò uasroç (J'\)yKpaatv), che hai generato i cinque astri erranti, che sono le viscere del cielo, le interiora della terra, il flusso dell' acqua, l' impeto del fuoco [... ] 6s .

13. VII 580 ss. Amuleto del serpente ouroboros (cfr. PGM, t. Il,

tav. l, fig. 4). All ' interno del cerchio formato dal serpente, nomi ma­ gici, tra cui Aion (con Kmephis = Agathos Daimon e lao ) .

14. XII 238 ss. Consacrazione di un anello che deve dare succes­ so in ogni impresa (xpòç nàaav 1tpà�tv Kai èntruxfuv 202). Sulla pietra, di diaspro, si è inciso: l) il serpente ouroboros, simbolo del Tempo Infinito (Aion); 2) al centro del cerchio che forma il serpen­ te, la Luna che, sulle sue due corna, porta due stelle; 3 ) in alto il Sole e, sul Sole, il nome Abraxas; 4) sull'altra faccia della pietra, lo stesso nome Abraxas; 5) sul cerchio della montatura (Ka-rà. -rou

67 68

pensa all 'India: "oùpav6ç (5 1 3) steht ja offenbar [ . . . ] filr das indische akO.sa, den nur mit Luft erfilllten Raum". La menzione dell 'liytoç va6ç più in basso (5 1 7) suggerirebbe piuttosto un' influenza ebraica, come spesso accade nei pap. mag., cfr. Psalm. 1 0, 4 Kl)ptoç tv vacp ayicp aùtoù· KUptOç, tv oùpavcp ò 9pòvoç aùtoù (cielo = tempio di Dio: cfr. ancora PGMVII 326 livmy& tòv vaòv liytov, tòv &n:ì Yliç Uìpuj!évov KÒ Nock Reitzenstein) 1tapalioùvm, cfr. XIII 22 (209. 1 6) ÈKq>aivoov n;ç 7taÀtyyeveoiaç ri]v 1tap6:1iomv. Si può dire "trasmettere la rigenerazio­ ne" o "consegnare (la formula del) la rigenerazione": cfr. Ka8còç 'Oylio6:1ia 6 IlmJ..t6:vlipTJç é8écrmcre XIII 1 5 (206. 1 8) dove 'Oylio6:ç = il Myoç di rivelazione stesso (C.H. I) o parte di questo Myoç (cfr. ed. Budé, p. 2 1 6, n. 66).

1912

La rivelazione di lirmete Trismegisto - Il dio ignoto e la gnosi

2. La naA.tyyevecria è una nuova nascita. Ciò comporta una �ft'tpa e una crnopa: Tat, quindi, chiede qual è la matrice, quale la semenza dell'Uomo (spirituale). a) La matrice è la "sapienza spirituale nel silenzio", crmpio. vo€pà &v crtyft (200. 1 7). Per &v crtyft, cfr. Ippolito. Refut. V 8, 39 (96. 1 1 W.) 'tÒ �ya Kxou &Ìx&V (segue un inno di lode a Gesù), Apoc. Petri v. 1 9 J.ll� ta�oì.ot ì..oym6roJ.l&V. In 22, l>ta�oì..ot è legato alla raccomandazione del silenzio ( m'YlÌV btayy&tì..at . . . iva J.llÌ nì ) e la conclusione anticipata d i 1 3 sembra avere la stessa portata. Pertanto l>ta�oì..ot Toii xaVTòç e l>ta�oì.ot presi in assoluto hanno senza dubbio lo stesso significato. Questo esclude immediatamente la traduzione di Scott "calunniatori dell'universo" ("maligners of the universe"), perché l>ta�oì.ot, a sé stante, non potrebbe essere inteso in questo modo in un contesto in cui si prescrive il silenzio sulla rivelazione (J.lTJI>&Vì. . . ÉKè �clÀ.TJ't& Toùc; f.lUpyaphac; UJ.lÒlV l::f.l7tpoa6&V TÒlv x.oiprov, J.ltl7tO't& Ka'taxa'ti]aoumv amoùc; &v •.

=

=

'tOÌ aéf> 208.20-22.

Tre verbi che si comandano a vicenda. L'eGpscnç porta all 'àv6.nauatç. Quando l' intelletto ha trovato ciò che cercava, quan­ do, come è detto in IX 1 0 ( 1 00.23 ), ha visto che la realtà corrisponde al discorso d' insegnamento, concede la sua fede e riposa in questa bella credenza (snimsuas Kaì tft KaÀ.ft niatst snavsnauaato ). CH IX parlava di fede. Qui, dove si tratta di illuminazione, dove il Myoç è accompagnato da un' esperienza, l ' iniziato "vede". Eloov è preso in modo assoluto, come cpavraçoJlat (XIII 1 1 , 205 .3) e ouvaJ.l!lt (XIII 2 1 , 209.3). Tale è la conclusione della preghiera. Le parole seguenti Titv S'ÙÀ.Oyiav t!lUtllV (t!lUt'fl?) À.SyOJ.I.ÉVll V . . . tÉ9stK!l K!lÌ Sv KO(JJ.lq> téf> slléf> devono, a mio avviso, tornare a Tat. Eloov solo è eccellente: "Io vedo, io so, io credo, io sono disingan­ nato". ElOov titv S'ÙÀ.Oyiav . . . A.syoJlÉ"'lv, supponendo che sia greco, offre la conclusione più piatta: "Ho visto questa lode compiuta". Con

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La rivelazione di Ermete Trismegisto - Il dio ignoto e la gnosi

'té8etKa, d 'altra parte, otteniamo di nuovo un buonissimo significato26. Questo elogio che Ennete ha appena pronunciato, Tat " lo ha depo­ sitato nel suo mondo", ossia nel microcosmo spirituale che adesso lo costituisce27• Che ci sia o meno un ricordo della virtù del le parole nella magia28, il seguito mostra comunque che Tat attribuisce all'inno una forza particolare. Infatti, dice subito: "Ho potenza (&UvaJJ.at): in virtù del tuo inno e della tua lode, il mio spirito è stato pienamente illuminato" (Èmneq>ro'ttcr'tai Jl.OU 6 voùç)29• Da qui viene che, siccome ora gode di un'abbondante luce (Èv 'tql vq'l . . a eeropro, Ai:yro 209.5), vuole cantare a sua volta (È� i.Oiaç q>pevòç 209.4 = à1t' È!J.IlU'tOÙ 207. 1 ). Il piccolo inno di Tat è di scarso interesse. L'autore è come esau­ sto. Notiamo l 'espressione 1tÉJ.11tro A.oytKàç Sucriaç 209.7. Si ha il plurale, come qui, in I 3 1 ( 1 9. l oé�at A.oytKàç Sucri.aç}, il singolare in XIII 1 830 e XIII 1 9 (208 . 1 5 Oé�at à1tò 1ttlV'tiDV A.oytK'JÌV Sucri.av). L' aggettivo A.oytKòç nel senso di "spirituale", in opposizione al "cor­ poreo (materiale)" o al "carnale", si incontra, sotto l'Impero, nella letteratura devota pagana, ebraica e cristiana3 1 • Se si prende Sucri.a .

26 27

28

29

Scott aveva ben introdotto il cambiamento di personaggio prima di Tl'lv eùì..oyiav, ma, anche qui, con inutili correzioni. Cfr. Scott, II, pp. 405 s. Per té9etKa, cfr. N.T. Luca !, 66 (quando si diffon­ de la notizia della guarigione miracolosa di Zaccaria) Kaì 89evto 1tcivt&ç oi àKoucravteç tv tfi KapSi� ai>téi'lv (cfr. Luca 2, 5 l Kaì ti l·llltTJ P ai>toii Stm'l pet 1tclvtQ tà Ptillata taiita tv tfi KapSi� aùtilç), Act. Ap. 5, 4 ti on 89ou tv tfi KapSi� crou tò 1tpày11a toiito; Con l ' infinito, Luca 2 1 , 1 4 9éte oùv tv taiç KapSiatç Ì>jléi'IV lllÌ 1tpOjleì.etàv KtÀ.., Act. Ap. ! 9, 2 1 89eto ò llaiiì..oç tv tQ'l

1tVeUjlan . . . 1topciecr9at KtÀ..

Sic Reitzenstein, Poimandrès, p. 2 1 8 : "Er (l' inno) ist [ . . . ] das Lobpreis, des­ sen er/Osende (sottolineato dall 'autore) Kraft noch in dem letzten Kapitel (C.H. XVIII) betont wird" e n. l : "Das Gegenbild bietet auch hier der Zauber ecc." Contra Scott, II, p. 406: "There is no need to infer from this passage that the writer adhered to the old Egyptian belief in the magica! or sacramentai efficacitv' of verbal formulae". Cfr. ed. sudé, n. 87 a. Sul valore di Èm-, cfr. I Cor. 13, 1 2 liptt ytvrocrKro èK:

11épouc;, t6te Sà émyvrocro11at.

30

208. 1 3 . Leggerei St' Éjloii S�at, tò 1tàv, ì.Oycp À.jlveite tò � Kaì tò 1tàv, 19 (208. 1 5)

31

Cfr. ed. Budé, p. 27, n. 83 (in Test. Levi 3, 6, si corregga 9uma in 1tpocrtfi jlet&SiSou ì..oytKiiç tpo 9&éj> Kai :natpi UUfl1 sutiv, . . . liumA.ov tautòv tllP&ÌV à:nò toù KOO"j.!OU.

La rivelazione di Ermete Trismegisto - Il dio ignoto e la gnosi

1 932

al Fedone, si possono facilmente trovare espressioni parallele nella tradizione platonica del II e III secolo. Così Numenio, fr. I l : per vedere Dio bisogna ''tenersi ben lontani. dai sensibili" ( ò.nsì.96Vta 1t6ppro à1tò trov aicr9'rltrov 1 3 1 . 1 O L.), ritirarsi come in una torre di guardia (oìov el: ttç È7tÌ. crKo7tft Ka8fJJ..1.8Vo ç 1 3 1 . 7). Nella Vita di Plotino, Porfirio loda il senatore Rogaziano per aver raggiunto un tale distacco dalla vita ( EÌç TOO'OUTOV IÌ7tOO'tpoq>fjç TOU �{O\) tOUTOU 7tpoKsx.ropijKst 7 .32) che abbandonò tutti i suoi beni, congedò tutti i suoi servi e rinunciò persino alle sue dignità (à1tocrtfjvat 7.34/5 , àq>' �c; Bit ànocrt!icrsroç Kaì. àq>povttcrtiaç tou �iou 7 .40). L'alchi­ mista Zosimo (Computo finale, 8) raccomanda a Teosebeia di non essere costantemente agitata, ma di rimanere seduta a casa sua (!l'lÌ

7tep t.éÀKOU roe; yt>vTJ . . . K!lÌ. Jl'JÌ 7tSptppÉJl�OU çrttOUO'!l 9s6v, IÌM ' OtK!lÒ & Ka9éçou, Kaì. 9eòç 'flçst 7tpòç cré)29• Si pensa alle parole del Vangelo (Le. I O, 4 1 12): Mapea Mapea, Jl&Ptllv�ç Kaì. 9opu�a.çn 7t&pì. 7toUa, òì.iyrov è5é scrnv ;weia il év6ç.

La preparazione immediata è ciò che gli spirituali chiamano la raccolta o il sonno delle potenze: non disperdersi, fare l 'unità in sé, stare in silenzio (croq>ia voepà Èv crtrfi XIII 2, 200. 1 7), arrestare l ' at­ tività dei sensi corporei ( Katlipyl1crov tou crroJl!ltoc; tàc; aicr8fJcretç XIII 7, 203 .5), essere simile al dormiente le cui facoltà inferiori sono vincolate mentre solo il vouc; veglia (C.H. X 5, 1 1 5 .5 �c; oi

è5UVUJ..1.8Vot 1tÀéOV Tt àpucracr9at tfjç 9éaç K!lT!lKOtJliçOVT!lt 7tOMUKtç ànò tou aro Jl!ltoç eic; T'JÌV KaUicrtrtv O'lftv, I l , 7.3 Katacrx.e9etcrrov JlOU trov O'COJl!lttKrov aicr8fJcrerov, Ka9axep oi unvc.p �e�aPTtJ.!ÉVOt). Anche in questo caso i paralleli sono numerosi. Massimo di Tiro, XVII (DUbner), 1 0 : In che modo l' intelletto vede, in che modo ascolta? È quando, l'anima essendo del tutto retta e piena di forza30, fissa lo sguardo verso quella luce pura da laggiù e, senza essere preso da vertigine e senza ricadere a terra, si tappa le orecchie e riporta dall' esterno verso se stesso gli oc­ chi e gli altri sensi (àxoatpÉcprov �è tàç O'I'Etç Kaì tàç liìJ..aç aia9iJaetç il1.17t!lÀtv xpòç taut6v).

29 30

Cfr. vol. l , p. 427. 1 0

ss.

e Ann. Éc. Pr. H. Études, 1 95 1 , pp. 3

ss.,

6

s.

òp9fi 'tfi IJIUX.fi Kaì ' PPCOI!évn : cfr. U7tTJVOpeicoaa 'tÒ tv È!!OÌ cpp6VTJI!U C.H. XIII l , 200. 1 2.

I temi della rigenerazione

1 933

Celso ap. Origene, c. Ce/s. VII 3 6 (p. 5 8 . 1 9 ss. Glockner). Come, si chiede il presunto avversario di Celso, come conoscere Dio se non è percettibile ai sensi? Esclusa la sensazione, cosa possiamo appren­ dere? Risponde Celso: Se, essendovi chiusi a ogni sensazione, guardate in alto attraverso l ' in­ telletto, se, allontanandovi dal carnale (aapKòç ci11: o mpaq>ÉVTEç), svegli l' occhio dell' anima, è solamente allora che voi vedrete Dio.

Secondo gli Oracoli Caldaici (p. 1 1 Kr.), per apprendere l'Intel­ ,ligibile supremo, non serve a nulla fissarlo come si fisserebbe un oggetto determi nato (roç n vorov ) : è necessario portare sull'Intelligi­ bile un occhio spirituale puro e distaccato, tendere verso di esso un intelletto privo di ogni pensiero (ayvòv a1t6 crr pox 6 npiv XIII 3 (20 1 . 1 6). Ma, poiché è del tutto interiore, nulla aiPesterno rivela il cambiamento avvenuto. L'uomo nuovo non è visibile53, non ha colore, non offre resistenza al tatto, non può esse­ re misurato54• L' aspetto esteriore può benissimo rimanere lo stesso (202. 1 0), ma è solo una forma illusoria (roç \j/&UBoç 202. 1 3), non il vero essere: questo è incolore, senza figura, immateriale; i sensi cor52 53

Nel caso di Acta Thomae 12 ( 1 1 8.4) yevftaovrat Uf.1ÌV xailìEç ç&vtEç c1v ai PMPm a'Òtat ou 9tyyavoumv, non si può dire se si tratta di virtù nate nel l ' ani­ ma o dalla formazione di un essere nuovo. I n XIII 3 (20 1 .20) leggerei (senza alcuna correzione tranne la punteggiatura) VÙV Òp�ç f.lE, dJ tÉlCVOV, ÒéKaToç àpt9J.1òc; avro :x.op&Ù&l . . . , Tep l>è OÀ.q> vep (scripsi: Tep I>È oì..rov Ò> Bonnet! ) :x.opeùetv uxap:x.et ricorda l 'Ogdoade di C.H. I 26, XIII 1 5 e lo zodiaco di C.H. XIII 1 2 (ma qui sfavorevole). Per Tep oì..c:p vep (che già compare 1 98. 1 VOTJ9ijvat e&ì..ro voùç &v oì..oç, cfr. C.H. II 1 2 : il luogo in cui si muove l ' uni­ verso è l ' incorporeo, che è Noùç oì..oç &l; OÀ.OU ÈaUTÒV ÈJ.17t&pt&:x.rov (37.2). Il senso è cosmico anche in questa preghiera di Acta /oh. , cfr. R.A. LIPSIUS, Die Apolayphen Apostelgeschichten, l, p. 529: "Es ist diesel be, wesentlich pantheistische Weltanschauung, die uns auch anderwirts in gnostischen Schriften begegnet". - Acta Petri 39 (preghiera a Gesù), p. 99. 5 Lipsius et omnia in te (sci/. Cristo), et quidquid tu, et non est aliud nisi tu. Cfr. C.H. V 9 (63 .24) où l>èv ycip èanv ÈV xavn ÈK&ivc:p (il mondo) o ouK llmtv auT6ç (Dio), I O (64.7) xavTa yàp éan Kaì oÙ T6ç Èan, I l (65.2) aù yàp 7tclVTQ et KQÌ allo oui>ÈV Éanv. - Acta Thomae 6-7 (Ode sulla Sofia) : sette paranymphoi ( 1 1 0.5): cfr. 27 ( 1 42. 1 7) ÈÀ.9È t'l JlTJTTJP Téòv È7tTà oiKrov, iva t'l civaxauaiç aou &iç TÒV 6yl>oov olKov y&\ÌTJTat e l ' Ogdoade di Acta !oh. su-

I temi della rigenerazione

1 943

Massimilla, dunque, essendosi rifiutata ad Egeate, corre dall'a­ postolo Andrea nel la prigione dove è rinchiuso. Quest'ultimo le fa allora un discorso per impegnarla alla perseveranza (40.7 ss.). Sopporta tutti i tonnenti che tuo marito ti infligge, guarda un po' ver­ so di me e lo vedrai completamente sopraffatto dal torpore ed avvizzirsi lontano da te. Perché - soprattutto questo, che mi era sfuggito, devo dirtelo -, non riposerò finché non avrò compiuto l' opera che vedo ac­ cadere in te ( où yàp iJcroxaçco Kaì �tà aou òproJ.levov Kai ytv6Jlevov xpàyJ.la xoti)aaç 40. 1 1 ). Si, in verità vedo in te Eva pentita, e in me Adamo che si volta67• Infatti, ciò che Eva ha sofferto per ignoranza, tu ora, tu verso cui tendo l' anima mia, lo ripari con la tua conversione. Ciò che il vouç ha subito quando è stato rovesciato con Eva ed è fuggito da se stesso (axoÀ.ta9i)aaç tau-rou), io, io lo raddrizzo con te, giacché ti riconosci come recuperata (-rfi yvcoptçouan tau-ri)v avayoJ.lévtlV 40. 1 6).

L' apostolo sviluppa in seguito questo tema, poi pronuncia questa preghiera (40.24 ss.): Brava (EÙ ys), o Natura salvata, che non ti sei indurita (?) e che non ti sei nascosta68• Brava, Anima che rivendichi quello che hai patito e che ritorni a te stessa (èxavtouaa èq>' tami)v). Bravo, Uomo69 che discerni ciò che non è tuo e che ti affretti verso ciò che è tuo (KaTaJ.lav9avcov

67 68

69

pra; dodici servi ( 1 1 0.6), di nuovo Io Zodiaco, in un senso favorevole come sopra Acta !oh. Più difficile è il caso dei trentadue ÙJ.lvo)..oyoùv.&ç ( 1 09.8). Lipsius, ' senza trovare una soluzione, vede solo trentadue Eoni, cfr. Die Apokryphen Apostelgeschichten, l, pp. 305 s. Occorre leggere tpu1KoVTa Kaì Eç (confusione del l ' è1ticrrt J.lOV e di �iita?): in questo caso si avrebbero i trentasei decani, cfr. Asci. 1 9 (3 1 9. 1 ) e Stob. Herm. VI. èmatpÉ Kaì J..Lil;tç, ma a partire da avE"(eiprov ( 1 66.25), i verbi esprimono l 'azione di un pedagogo e di un medico.

fypaljlaç vEKpoù veKpàv &ÌK6va 1 67.6: cfr. C.H. VII 2 (8 1 .20) T:òv çcòvT:a 9a­ vaT:ov, T:ÒV aìa91]T:ÒV veKp6v, T:Òv 7tEptcp6p1JT:OV T:acpov e la nota 1 1 ad loc. R.A. LIPSIUS, Die Apokryphen Apostelgeschichten, I, pp. 5 2 1 ss. Cfr. per esempio Dictionnaire de Théologie Catholique, IV ( 1 9 1 1 ), 1 484 ss., s. v . Docétisme (Bareille). Questo articolo non menziona gli Acta /oh.

I temi della rigenerazione

1 949

e molle, a volte duro come la roccia (89, p. 1 95 .2 ss.). Dall' altra parte, il corpo di Gesù, senza subire alcuna modificazione nel suo aspetto esteriore, può essere, volta a volta, materiale o immateria­ le. Gesù, agli occhi dei suoi discepoli, rimane sempre lo stesso: ma la sostanza del suo corpo passa da uno stato all ' altro. O, per preci­ sare ancora, il vero corpo di Gesù è immateriale: ma questo corpo immateriale diventa a volte un corpo dotato di materia. Gesù non lascia impronte solide sulla terra (93 , p. 1 97.4 ss.). Non ha bisogno né di cibo (93 , p. 1 96.22) né di sonno (89, p. 1 94.27), i l che è un privilegio divino: così l'Uomo essenziale di C.H. I 1 5 ( 1 2.2) è lii>7tVoç IÌ.1tÒ IÌ.U1tVOu91 • E voglio dirvi ancora una meraviglia, fratelli. A volte, volendo affer- rarlo, incontravo un corpo materiale e solido; altre volte, invece, quan­ do lo palpavo, ciò che si offriva a me era senza materia, incorporeo, come se non fosse assolutamente esistito (7tots PouÀ.6j.levoç aùtòv Kpatfjaat, ÈV ÙÀ.Ci>O et KaÌ 7taX,ei O"cOj.latt 7tpoaépaì..ì.o . v. lillote Oé 7t0t8 7t«IÀ.tv 'l'lJÀ.acpéòvt6ç j.I.OU aùtòv lii>ì..ov �v Kaì àaci>j.latov tò 'Ò7toKeij.levov Kaì ci> ç j.ll] O S oì..coç ov 93, p. 1 96. 1 9).

Non si può negare che qui vi sia una curiosa somiglianza con la condizione dell'uomo rigenerato in C .H. XIII. La forma visibile di Gesù è quella di un uomo simile agli altri92: l'essere reale di Gesù è assolutamente glorioso e immateriale. Allo stesso modo, la forma esterna del rigenerato è rimasta la stessa. Ermete ha mantenuto la sua statura, i tratti abituali della sua persona {tò yà.p J.Léye9oç PM1tro tò cròv tò aùt6 . . . crùv tq'> x,apmcrfjpt XIII 5, 202. 1 0). È un uomo simile agli altri (liv8pro1toç etç XIII 4, 202.8). Ma è allo stesso tem­ po Dio, figlio di Dio (9eou 9eòç 1taiç XIII 2, 20 1 .5, tou 9eou 1taiç XIII 4, 202. 7), è uscito da se stesso per entrare in un corpo immor­ tale (ÈJ..Lamou èl;eJ.:f]J..u ea eiç à.eavatov créò� XIII 3 , 20 1 . 1 5), tutte le proprietà del corpo materiale (colore, ecc.) ora gli sono estranee (à.U6tptoç Bè tOUtOOV EÌJli XIII 3 , 20 1 .20). Riconosciute queste analogie, è interessante notare tra gli Acta Iohannis e C .H. XIII alcune somiglianze verbal i piuttosto sor­ prendenti. 91 92

Cfr. ed. Budé, n . 44 ad loc. e Rev. Ét. Gr. , L, 1 937, pp. 492 ss. Con questa differenza, però, che questo corpo umano non è soggetto alle esi­ genze della carne: non conosce né la fame né il sonno (cfr. supra).

! 9 50

La rivelazione di Ermete Trismegisto - Il dio ignoto e la gnosi

Prim a d i subire la Passione, Gesù riunisce i suoi discepoli, li di­ spone in cerchio attorno a sé, tenendosi per mano come per un giro­ tondo e, stando in piedi in mezzo a loro, pronuncia una dossologia e un inno al Padre mentre danza una danza simbolica che può essere definita la "Danza della Passione"93• L' inno è seguito da consigli ai discepoli (96, pp. 1 98. 1 4 ss.). Entrando nel sentimento della mia danza, vedi te stesso in me che parlo e, avendo visto ciò che faccio, mantieni il silenzio sui miei misteri. Tu che danzi, percepisci ciò che faccio, giacché questa Passione dell'Uomo che devo soffrire è tua: non avresti affatto potuto comprende­ re la tua sofferenza se non ti fossi stato inviato dal Padre come la Parola. Tu che hai visto ciò che soffro, mi hai visto come se soffrissi94 e, avendo visto, non sei rimasto inerte, ma tutto il tuo essere si è comm o s so t . . . t. Tu hai in me un giaciglio: riposa su di me95• Ciò che sono io lo saprai quando me ne sarò andato. Ciò che mi vedi essere ora, non lo sono: lo vedrai quando sarai venuto. Se avessi compreso cosa è patire, non avresti dovuto patire: sappi cosa è patire e non avrai da patire. Ciò che tu non sai, te lo insegnerò io stesso. Io sono il tuo Dio, non il Dio del traditore. Voglio essere disciplinato per le anime sante. ­

93

94

Su questo curioso brano, cfr. L IPSIUS, loc. cit. , I, pp. 525 ss. Sulla versione latina (frammento) in sant'Agostino, ep. 237 (ad Ceretium), ivi, p. 528. Si penserà alle pantomime tanto care al pubblico sotto l 'Impero dove si mimava la passione di un dio (Attis, Adone, Osiride), cfr. E. WusT ap. P. W., XVIII 3, 833 ss. (Pantomimus: elenco dei soggetti rappresentati 847-849) e O. WEINREICH, Epigramm und Pantomimus (Heidelberg 1 948), pp. I 2 ss. (Der Gallos-Pantomimus). ò iorov o 1t(icrxco roç naoxovra OVEÙcraç aìJ: Wç q>OVEÙcraç. È solo l ' essere apparente che sarà stato adulte­ rato o ucciso: l 'essere vero del i ' D.MytJ.toç, cioè il suo voùç, non è realmente colpevole, XII 7 ( 1 76. 1 8) oi oè eìJ.6ytJ.tOt, rov Eq>OJ.lEV tÒV voùv JÌYEJ.lOVEÙEtV, oùx O J.lOicoç toìç lillmç xaoxoumv, aì).à tfiç JCa!Ciaç U7tTJMaYJ.lévOt où 1C01COÌ ovteç xaoxoucrt. Non è esattamente la stessa idea, ma c ' è ancora del doceti­ smo, e si vede come la dottrina dei due uomini, esteriore ed interiore, fosse allora piuttosto comune. énavanaT)9i J.lOt: cfr. C.H. XIII 20 (208.2 l ) �ouì..fi tfi crfi avax€xau J.tat, IX l O '

95

( 1 00.23) tfi Kaì.fi nimet énavmaucrato .

I temi della rigenerazione

1 95 1

Conosci su di me la parola della Sapienza. Dì di nuovo con me: Gloria a te, Padre; gloria a te, Logos; gloria a te, Spirito Santo96• t . . . t. Una volta per tutte, h o fatto l a mia parte e non h o avuto nulla d i cui ' vergognarmi. lo, ho ballato la mia danza97: m comprendi il tutto e, aven­ do compre·so, dì: Gloria a te, Padre. -Amen98•

Ho voluto tradurre questo brano per intero per dare il tono, ma ci interessano direttamente solo le parole roç micrxovta V èariv, cfr. LIPSIUS, [oc. cit. , I, pp. 523 SS. 1 03 Testo incerto che leggo così: oTav oè àvaÀ.TJcp9fi liv9proxou cpumç JCaì yévoç xpoaxropoùv èx' ÉJ.lÈ cprovfi Tfi ÉJ.lfi x&96J1EVOV, ov vùv àJCou&ç (aKouro cod.) J.lE O"Ù, TOÙTO YEVTJO"E'tat, lCUÌ OÙlCÉTt É EÌoeç 1 98 . 1 8) : in realtà non è di questa passione che patisce; la vera passione è quella che ha danzato e che vuole che si chiam i

1 04 o "per mezzo mio", Bt' Èj.lOÙ: cfr. C.H. XIII 2 1 (209. 1 1 ) cillà KUÌ 1tp6a6&ç, ro téKvov, "Btà toù A6you". Nota òpàv preso in assoluto come XIII 20 (208.22)

&l'Bov 9&J.fJI.lan tep créj).

l 05 oùBèv oÙv rov j.lÉMOUmv À.éy&tv 1t&pÌ Èj.lOÙ En:a9a à.ì-ì.à KUÌ tò mi9oç èK&i'vo O ·

&B&t�a 0'01 KUÌ toiç À.Ot1tOÌç )(Op&Urov j.lUatTJptOV �0\)À.Oj.lUl KUÌ..&Ìcr9at. O yàp &Ì, O'Ù Òp�ç· toùto f:yro 0'01 &B&t�a o Bé &Ìj.lt, toùto èyoo j.lÒvoç oTBa, lillo ç oùB&iç. tò oùv Èl.lÒV &a Il& (James: èatj.l& cod.) &xetv· tò Bè cròv Bt' Èj.lOÙ lSpav. Èl.lè Bè ovtroç òpàv, où &q>TJV ù1tapx&tv, à.Mà o tt Bl) aù (o aù Bé vu cod.) yvropiçetç auyy&V1)ç OOV. à.KOl)&tç j.l& 1tU96vta KUÌ OÙK En:a9ov, j.lJÌ 1tU96vta KUÌ En:a9ov, vuyévta KUÌ OÙK È1tÀ.TJYTJV, Kp&j.lQ0'9évta KUÌ OÙK tJcp&j.llia6T)V, a{j.la � Èj.lOÙ p&ÙO'QVta KQÌ OÙK ep&UO'&V ' KUÌ à.1tìJ.òç a ÈK&ÌVOl À.éyOUffiV 1t&pÌ Èj.lOÙ taùta j.lJÌ ÈO')(T)Kévat, a Bè IllÌ ì.éyoumv tlC&iva 1t&1tov9évat. tiva Bè &anv aÌVlO'O'Oj.lai (Ja­ mes: ÈV ucrcrroj.l& cod.), aùvotBa (O'TJV olBa cod.) yàp lSn auvfJcr&tç. VOTJO'OV oùv Il& Myou à.iv&mv , Myou vù�tv, Myou alj.la, Myou tpaùj.la, Myou �liptT)mV, Myou 1ta9oç, Myou 1tfj�tv, Myou eavatov· KUÌ ofuroç xropicraç liv9p001tov ì-é'yro. tòv (tò ?) 1.1èv oùv 1tpé.òtov Myov VOTJO'OV, &tta KÙptov VOTJO'&tç, tÒV Bè liv9pro1tOV tpitov KUÌ tò ti (o n ?) 1tÉ1tOV9&V. Forse KUÌ outroç, xropicraç liv9pro1tov ì-f:yro, . . . VÒTJO'OV = "E così, voglio dire dopo aver separato ·

l 'uomo (sci/. dal Logos), [ . . . ] concepisci ecc.".

1 954

La rivelazione di Ermete Trismegisto - Il dio ignoto e la gnosi

il suo mistero1 06• Sul l ' e sempio di Gesù, l ' uomo "che ascolta" e che questa obbedienza trasforma107 non sarà più quello che è ora ( OÙKÉ'tt ecr·tat o vUV ecrnv) ma sarà come Gesù ( crù f..I.ÈV ecrn ffiç Kàyro 20 1 . 6 ss.). Stesse caratteristiche, stesse espressioni in C .H. XIII 3 (20 1 . 1 6) Ka.{ elf..lt vUV oùx ò npiv, 2 (20 1 .4) liì..ì..o ç ecrta.t ò yeWWf..lEVOç. L'essere interiore e reale di Gesù è inconoscibile e invisibile: o ùé EÌf..lt 'tOi:ho èyffi f..I.OVOTJV ùncxpxetv 20 1 . 1 7 1 08• Anche Ermete parla della sua linì..a.crToç iùéa. (XIII 3 , 20 1 . 1 4) che è invisibile agli occhi del corpo: oùK òav�:poUJli:VOç JÌJlÌV fa capo a un'altra corrente, alla corrente del Dio cosmico).

I temi della rigenerazione

1 955

Acta Philippi 5 1 ss. 109 Gli Atti di Filippo si distinguono dal resto della collezione per la freschezza e l' ingenuità del racconto. Non vi si trovano quegli interminabili discorsi né quelle preghiere piene di pathos che carat­ terizzano, ad esempio, gli Atti di Andrea, di Giovanni e di Tommaso. Tutto è lì naturale1 10• La dottrina è semplice, prossima al Vangelo e alle tradizioni della Chiesa primitiva. Se, come l' insieme degli Atti, questi impegnano all 'encratismo (tii yuvaud crou à1t6'ta�at 22.7), nessun insegnamento porta il segno del docetismo o della gnosi. Nondimeno, anche qui, ne_l racconto della conversione di !reo e della sua famiglia1 1 1 , un tratto può far pensare all 'uomo interiore invisibile di C .H. XIII e degli Atti di Giovanni. L'apostolo Filip­ po sta per entrare nella città di Nicatera in Grecia (20. 1 8) quando i cittadini, e specialmente gli Ebrei, insorgono. Filippo ha la reputa­ zione di separare i mariti dalle mogli (i) oè otoammA.ia aù'toi> ècrn Ota:x;ropiçoucra livopaç KUÌ ')'UVUÌKaç 20.3 1 ): bisogna quindi cacciarlo prima che si sia insediato e abbia cominciato a sedurre le donne (1tpìv . . . 'tà.ç yuvaiKaç TJJ.LÒ)V ù1t' aù'toi> à1tant9fivat 2 1 .3). Tuttavia, Ireo, àp:x;rov degli Ebrei, uomo giusto e in cerca del vero, respinge questa misura e disperde il Consiglio. Sulla via del ritorno incon­ tra Filippo e lo saluta. L'Apostolo gli restituisce il suo saluto "nella pace di Cristo" e gli mostra di sapere già ciò che Ireos ha fatto per lui. Ireo allora lo invita a stabilirsi a casa sua. Torna a casa per av­ vertire sua moglie. Ma lei non vuole sentire niente. "Sappi però", gli dice Ireo, "che è un uomo di Dio (liv9pro1toç 9eou); il suo viso tra­ spira la grazia; egli è solo dolcezza e semplicità" (22.3 5). Un uomo di Dio ! Nercela comprende apparentemente un uomo pieno di Dio, un Év9eoç o 9e6A.111t'toç. Allora lei risponde: "Portalo, che anch' io veda il dio che è in lui", iva iDro Kàycò 'tÒV èv aù'tq'> 9e6v (23 .8). Ireo va a cercare l'Apostolo, ma sua moglie ha cambiato idea e, quando Filippo arriva, si è ritirata nella sua camera. Non vuole a nessun costo farsi vedere da un estraneo: "Anche la gente di casa non ha mai visto il mio volto scoperto: come mi mostrerei a un estraneo?" l 09 A. Ap. Ap. II 2 pp. 22 ss. Bonnet. Dal Vat. 824, sec. XI = V, cfr. praef., p. VIII. 1 1 O Detto questo, beninteso, con riserva della parte del meraviglioso che questo genere di letteratura comporta sempre. 1 1 1 Ilpà�tç e' yevaJ.lÉVT( tv 1t6ì..m NtKatT(pa Kaì 7tEpi "t"OÙ 'l p&ou, loc. cit. , pp. 20 ss.

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La rivelazione di Ermete Trismegisto - Il dio ignoto e la gnosi

(24. 112). Finalmente acconsente, Ireo e Nercela si recano da Filippo: lo vedono come una grande luce (roç ,reya tt cp&ç 25 . 1 6) e cadono a

terra, incapaci di sostenere lo splendore di questa luce ( où ouvavtat ùn:ocpépetv tò �apoç toù cprot6ç 25 .22). Filippo ritorna allora alla sua prima forma, "in ricordo di Gesù" che, dopo la Trasfigurazione, ri­ prese il suo aspetto ordinario (èJ.Lvflcr9rt toù 'I11croù Kaì. èyéveto n:aì..tv èv � eiK6vt t'fi n:po:rrn 25 .23 ss.). E con qualche esitazione che ho citato quest'ultimo testo. Può allu­ dere all'idea del nuovo uomo immateriale e glorioso. Ma può anche es­ sere solo una semplice reminiscenza del Vangelo (èJ.lvf)cr()p toù 'l11croù) senza farsi carico di dottrine più ascose. Perdipiù, la convinzione che il 8eioç à.vf)p sia capace di trasformarsi a volte in un essere immateriale, senza peso e splendente di luce, è comune, al tempo degli Atti (II-N sec.), tra i pagani e i cristiani. Ricordiamo il caso di Giamblico, al quale i suoi discepoli rimproverano di fare le sue preghiere in disparte: In effetti, gli dicono, abbiamo appreso dai tuoi servi che, quando preghi gli dèi, ti sollevi dal suolo più di dieci cubiti per quanto si può con­ getturare, e che il tuo corpo e la tua veste si modificano in una sorta di splendore simile all' oro; poi, quando smetti di pregare, il tuo corpo ritorna com' era prima della preghiera e, ridisceso a terra, riprendi la tua compagnia con noi112•

Negli Atti si incontrano caratteristiche analoghe. Acta Thomae 8, p. 1 1 1 . 1 5 : Quando Tommaso ha cantato l'Ode alla Sapienza, il suo aspetto esteriore ha cambiato forma (mì. é�ì..en:ov tò elSoç aùtoù èvJlll.ayJ.lÉVov èv BtÉpçt J.lOpcpft , cfr. Acta Philippi 25, 1 8 omroç J.l8teJ.l6pcprocrev sam6v). Acta Thomae 1 1 8, p. 228. 1 9 ss. : Migdonia, dopo essersi rifiutata al marito Carisio, cerca di raggiungere l' Apo­ stolo in carcere. Mentre vi ci si sta recando, incontra lo stesso Tom­ maso, la cui vista la riempie di terrore: "pensava infatti che fosse uno dei nobili, perché una grande luce emanava da lui" (cpc'òç ya p tt n:oA.ù n:pmwetto aùtou). Acta Philippi 1 24, p. 53.2 ss. : Il proconsole di Hie112

EUNAPIO, V. Soph. , p. 458.32 dell'edizione Didot (Boissonnade): &ÙJC:ÒilEVOç toìç erotç ll&tf:O>piçn llÈV U7tÒ tilç yii ç 7tÌJ:oV tì otKa 1tTtJC:f:l.ç ebcaçeaeat · tò oro11a OÉ oot Kaì ti éa9tìç eiç x:pucroetoéç n Kclll.oç ci�tciJ3etat, 7taU011ÉVq> Oè tilç &Ùl(ijç OÒlllU tf: yivetat KaÌ téj} 7tpÌV eUJC:f:a9at 011010V Kaì Katf:À.9Ò>V É1tÌ tilç yii ç tJÌV 7tpòç ti11àç 7totfi auvoumav. Vedi anche i Bramani ap. FILOSTRATo, V. Apo/l. , Ill 1 5 (1, p. 258 Conybeare) Ò1tòoa téj} 'HA.icp l;uva7toj3aivovteç til ç yiiç opromv, Ò>ç 7tp6oCO'tÒ� KUÌ 7tU pÒ� B)l7tpooeev aù't&v, Kaì oùK i)8uvft8T}oav lht èyy{oat Kliv 'tÒ cruvoA.ov e� 'tÒV 'tÒ1tOV ÈV q> èr(yyxavev, àU' eq>uyov U1tUV't8� à7t' aùtii �) l 14• ·

4. L 'illuminazione Il simbolismo della luce e la dottrina del q>CO'ttO' )lÒ� sono un tratto comune, sotto l 'Impero, di ogni religione a tendenza mistica, paga­ na - che sia la vÉov q>&� dei misteri, il Nous q>&� e çcoi} dell' ermeti­ smo, la luce degli intelligibili nella scuola platonica - o cristiana, e tra gli ortodossi - il battesimo è un q>cono)l6� - e nella gnosi in tutte le sue forme. Luce e fuoco occupano il primo posto negli Oracoli 1 1 3 ooç Kl�COtòç ue),ive YÉflOUcra q>cotòç lCaÌ m>pòç. In verità, è forse l ' anima di Ma­ riamne che appare così, sicché si avrebbe qui la dottrina dell'uomo interiore, cfr. PLUTARCO, de !s. Os. 3, 352 B oihot (i veri hieraphoroi e hierostoloi) o'

cicrìv oi TÒV iepòv Myov 1tEpÌ ee&v 1t(lcrTJç 1Ca9apei>ovta OEtcrtOatflOViaç lCOÌ 7tEptepyiaç tv tfi ljiUXfi cpépovteç &cr1tep tv Kimn JCaì 7tEptcrtéì).ovteç.

1 1 4 Cfr. GILLIS P. WETTER, Ph6s (Uppsala 1 9 1 5), pp. 42 s., che segnala alcuni di questi testi e aggiunge, da parte cristiana, Act. Ap. 6, 1 5 (il volto di Stefano brilla come quello di un angelo), da parte pagana, PGM VII 559 ss. (preghiera in Una Jicnomanzia): �lCÉ flOl, TÒ 1tVEÙflO TÒ ÙEp07tETÉç . . . lCOÌ Éfl�T)9t OUTOÙ (il fanciullo che fa da medium) EÌç TIÌV ljiUXi]V, tVa TU1tcOcrTJTOl TIÌV à9avatOV f.!Opq>JÌV tv q>COTÌ Kpataté!J JCaÌ àcp9apt =

av EÀ.9&iv 7tpòç nìv O&iva, ligxt a'Ò'f1ÌV tébv tptx.rov, tébv 7tOOébv · , À.OylK'JÌV 9ucriav. [ 1 9] muta �o&crtv ai ouva�-tstç ai tv é�-toi· tò 1t1iv l>�-tvoucrt, tò cròv 9éÀ.llf.la tEÀ.oucrt. criJ �ouÀ'JÌ à1tò crou é1ti cré, tò 1t1iv. Oél;at cl7tÒ 7tUVtffiV ÀoytK'JÌV 9ucriav. tò 1tUV tò tv � !!iV créi)çs çro�, Ò pS, iìll J.llOUpyé, [20] m) d Ò 6s6ç. ò Gòç live pomoç Tafua � Btà 7rop6ç, Bt' àtpoç, Btà yiiç, Btà uoo:roç, otà 1tVsUJ.l!lTOç, B tà TffiV K'tlGJ.lclTCOV GOU. à1tò Gou Airovoç 8UJ.oyiav clipov Kai, 8 ç11-rro, �ouJ.fi •ft 'ta Po&ow (ai 8uvaJ.18tc;} = ( 6 cròç liv8pro1toç) 'tai'>'ta PoQ.. La prima parte lascia cantare le Potenze: prima tutte; poi ognuna in particolare (yv&mç e xapa nominate insieme, allo stesso modo çroi) e cp&ç: man­ ca Kap'tEpia); poi il Logos, che è solo la somma delle Potenze ('taiç Tou 9Eou 8uva J.18crtv Eiç O"Uvap9procrtv 'tou A6you 203 .2 1 ); infine di nuovo le Potenze, con il versetto 'tama po&crtv (208. 1 3 ) che ripren­ de il l o versetto (208.3 ). La seconda parte ( cr'JÌ pouA.i) ecc.) è una serie di esclamazioni di portata diversa, cr'JÌ pouA.i) ecc. = dottrina generale dell ' inno: essendo Dio entrato nell ' uomo, il canto del l ' uomo viene da Dio e ritorna a Dio. - 'tÒ 1tà.v 'tÒ èv T) J.Liv: cfr. p. 1 964, n. 1 3 2 . - crù EÌ 6 9e6ç: acclamazione classica, cfr. pp. 1 868 s . , n. 3 8 6 cròç liv8pro1toç (cfr. C.H. I 32, 1 9 .7) -tau'ta poQ. ecc . riprende 'tau'ta Po&crtv e anche l ' idea di XIII I l (205 . 3 ) . - à.1tò crou Ai&voç ecc . , con i due aoristi d)pov, EÌ8ov, e il perfetto à.va1tÉ1taUJ.Lat, mostra che tutto è finito, cfr. Acta !oh. 96 ( 1 99 .4) A.Oyov li1ta� É1tat�a 1tav'ta . . . , èyro ècrKip'tf1cra. In verità, il trattato potrebbe finire qui. Si è raggiunto il culmine. Lo Spirito ha riempito l'uomo e si è manifestato nell'uomo. Inoltre, è con una preghiera che si conclude il C.H. I, l'Asclepius, e solo il caso ci ha fatto perdere la preghiera che costituiva la conclusione della Kore Kosmou. Proviamo a far emergere le idee principali dell' inno. l) "Grazie al tuo Volere ho visto" (208.22). L' iniziato vede perché ha ricevuto la Luce. Il tema della Luce circola attraverso tutto l' inno. La palingenesi ('tòv UJ.LVOV rijç 1taÀ.tyyevEcriaç 207. 7) è una illumina­ zione: cproncr9Eiç à.1tò crou 208. 5 , 'tÒ VOfl'tÒV cp&ç 'ÒJ.Lv&v 208 . 5 , sro'JÌ -

1 34 Cfr. supra, cap. VIII, p. 1 866, n. 32.

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La rivelazione di Ermete Trismegisto - Il dio ignoto e la gnosi

Kaì. q>ooç 208. 1 0, q>ontl;;e q>ooç 208. 1 7. Per la virtù dell' inno, Tat si sente illuminato a pieno 209.3 . 2) Questa luce è Conoscenza: yvoocn.ç ayia, q>rottcr9eì.ç a1tò crou, otà. crou tò vo11tòv q>ooç 'Ò).I.véòv 208.4 s. È associata alla Vita: çro'JÌ ICUÌ. q>ooç 208. 1 o . È Spirito: q>omçe q>ooç, 1tV8U).I.U eeé 208. 1 7 . È Aion (208.2 1 ), se è vero che, da una parte, Ermete canta l ' inno perché ha ricevuto la luce della Conoscenza e, dali' altra, è dali' Aion che ottie­ ne l ' eulogia. In una parola, è l 'essere stesso di Dio (9eé 208. 1 1 , 1 7), e questo essere di Dio è Spirito (1tVEU).I.a 208. 1 7). Fermiamoci a questo punto e ricordiamoci che, se Dio è nell'uo­ mo, è perché l'uomo ha aspirato (è1ticr1tacrat 203 .4) le Potenze di Dio. A proposito di questa aspirazione, ci siamo riferiti ai procedi­ menti della magia e della teurgia (Giamblico, de myst. ): è perché aspira una forza, un soffio o un fluido divino che il teurgo scambia il suo corpo mortale con un altro corpo, immortale e luminoso. Questo è il senso dell' a1ta9avattcr).l.6c; di PGM IV e dell' operazione così descritta in PGMVII 559 ss. : Vieni a me, Soffio che voli attraverso l' aria, [ ] entra nell' anima di questo fanciullo (medium) perché essa porti l' impronta della forma im­ mortale in una luce potente e incorruttibile1 35• . . .

Pertanto è evidente che l' illuminazione non è considerata qui come un fenomeno puramente psicologico, ma anche come un fenomeno fisico136• Dio non è solamente nel myste come ogni oggetto cono­ sciuto è presente nell' intelletto conoscente. Dio abita il myste come un soffio che lo vivifica ( cr4lçe çroft), come una forza che lo riem­ pie di potere soprannaturale: q>ooç o yvéòcrtc; = 1tV8U).I.U, e 1tV8U).I.U = ouva).l.tç. A q>rottcr9eiç di C .H. XIII 1 8 (208 . 5 ) corrispondono, nel C.H. I, le espressioni ouva).l.ro9eiç (I 27, 1 6 . 1 8), .1tÀ.llpro9eì.c; còv 'f19eì..ov (l 30, 1 7 . 1 5 ), 9e61tVouc; YEVO).I.8VOç tfjç aì.., eeiac; (l 30, 1 7 .20), ÈVOUVU).I.IDO'OV ).1.8 ICUÌ. tfjç xapttoç tautllc; q>roticrro toùç èv ayvo{Q. (l 32, 1 9.4/5). 3) La Luce è Dio. Dio ora abita l'uomo, è divenuto l 'occhio spi­ rituale dell'uomo (208 . 1 ), cosicché, quando il rigenerato loda Dio, 1 3 5 Citato s upra, p. 1 957, n. I I 4. I 36 È un punto che ha messo bene in luce l 'opera già citata di G.P. WETTER, PhOs. Vedi anche vol. 3, pp. 1 477 ss.

I temi della rigenerazione

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è Dio stesso che si loda: 6 uòç A6yoç Bt' È�ou u�vei UÉ (208. 1 2). Tutto un gioco di preposizioni esprime la stessa idea: yvroutç ayia, yéveow XIII 6, 203 .2), una rigenerazione (!l1lÙÉva 8Uvacr9at crro8fjvat npò Tfjç naA.tyyew:criaç XIII l, 200.6)148• Da ciò risulta una conseguenza interessante che abbiamo la possi­ bilità di rendere più visibile attraverso un confronto con lo stoicismo. Se la moralità deriva da una rinascita mistica, l ' uomo è morale (vir­ tuoso) fintanto che è "rinato". Ora lo è per sempre e definitivamente: ÙKAtVJÌç yeVOjlBVOç U1tÒ 'tOU ecou, "essendo stato, per opera di Dio, reso incrollabile", dice Tat una volta rigenerato (XIII 1 1 , 205 .3). In effetti, come si potrebbe perdere questo stato? Il vero uomo, colui che è responsabile delle intenzioni e degli atti, è ormai quest'uomo nuovo che costituiscono le Potenze e che è il Logos, figlio di Dio. Ora il Logos figlio di Dio è propriamente impeccabile. Questo ri­ corda immediatamente il caso del saggio stoico, e, come dicevo, è istruttivo confrontare queste due impeccabilità. Il saggio stoico è impeccabile perché la sua ragione è così es­ senzial mente unita alla Ragione divina che gli diventa impossibile allontanarsene. È un luogo comune stoico che il crmp6ç o crnouùatoç sia àva !l5 in esso - ecco perché è il secon­ do -, il terzo è anch'esso l ' intelligibile che è in lui (poiché ogni in­ telletto è identico all' intelligibile che gli corrisponde), ma ha l ' intel­ ligibile che è nel secondo e vede il primo intelligibile: perché più aumenta la distanza, più il possesso è d�bole6• Questi tre 5 6

Aggiunto da me per il senso, come più avanti, l. I l . Questa Ml;a di Amelio è così esplicitata in Tim. , III, p. l 03. 1 8 ss. (a proposito di Tim. 39 e 8 n1tEp ouv voùç èvoocraç i�éaç t(j) o ,!:cm ç(j)ov OO"Ql tE Kaì. olat Ka9op�, tOO"aUtaç �lEVOTJ9l] �EÌV KaÌ. tÒ�E OXEÌV): "E principalmente sulla base di questo testo che Amelio costituisce la sua triade di intelletti demiurgici, quando chiama il primo colui che è in virtù delle parole 'ciò che è il Vivente' (o &cm ç(j)ov) , il secondo colui che ha in ragione di 'comprese in' ( èvoucraç, sci/. iMaç) - di fatto il secondo intelletto non è , ma entra in esso (eicretcrtv tv aùt(j) l 03.22) - il terzo colui che vede a causa della parola 'vede' (Ka9op�). sebbene Platone abbia detto che le Forme sono in 'ciò che è il Vivente' , e che non vi sia alcuna differenza tra, da una parte, il Vivente in sé e, dall'altra, ciò in cui sono le Forme dei viventi, cosicché non vi è alcuna differenza tra colui che è e colui che ha, se è vero che uno è 'ciò che è il Vivente', l 'altro 'ciò in cui sono le Forme"'. Vedi anche in Tim. , l, p. 3 6 1 . 1 9 ss. (a proposito di Tim. 29 e l aya9òç �v Ktì ) : "Si hanno dunque questi tre uno dopo l 'altro: la Bontà, il Modello, l 'Intelletto, in modo differente, da una parte nel Demiurgo, dall'altra prima del Demiurgo. Se si volesse, si potrebbe dare il nome di Bontà Prima all 'Uno (tò ev), che è al di là degli stessi intelligibili - questa è la Bontà non partecipata -, quello di Modello all ' intelligibile, che comprende in maniera unitiva la somma totale delle Forme, quello di Intellet­ to creatore all ' Intelletto che concepisce le Idee (ò vo ep6ç) che fa sussistere tutto l 'universo. Se è in questo senso che Amelio ha parlato di tre demiurghi, distinguendo nella stessa entità questa triade, il suo linguaggio è corretto. In,

•.

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Intelletti e Demiurghi, Amelio suppone che siano anche i tre Re di Platone (Epist. II 3 1 2 e 1 -4)1 e i tre di Orfeo, Phanes, Urano e Crono, e colui che, ai suoi occhi, è il più Demiurgo è Phanes (fr. 96 Kem). Ebbene, anche contro Amelio, si devono ripetere le stesse cose. È consuetudine di Platone risalire dappertutto dal multiplo alle enadi, che sono servite da punto di partenza per tutta la serie dei multipli. O meglio ancora, già da prima di Platone, secondo l 'ordine stesso del reale, l 'unità passa prima del multiplo, e ogni schiera ('ra;tç) divina ha il suo punto di partenza in una monade: infatti, se è necessario senza dubbio che la somma (molteplicità) degli dei proceda dalla triade, prima della triade vi è la monade. Dov'è dunque (scii. nel sistema di Amelio) la monade demiurgica, da cui deve derivare la triade? E come potrebbe il mondo, che è unico, non essere creato da una causa unica8? Di fatto, occorre piuttosto che la causa stessa sia una e di carattere monadico, perché anche il mondo sia unico del suo genere9• Ammettiamo dunque che i Demiurghi siano tre: ma qual è il Demiurgo unico prima di questi tre? Perché nessuna delle file divine ha il suo punto di partenza in una molteplicità. Inoltre, se il Modello è uno e il mondo uno, come potrà il Demiurgo non essere anch'esso unico, anteriore al molteplice? Egli volge gli occhi al Modello che è unico, e d'altra parte crea il mondo che è unico del suo genere (�wy8vflç). Pertanto, all'origine della somma (molteplicità) dei DemiurghP0, non bisogna porre una triade, ma una monade.

7 8 9 ]0

fatti, uno, dice, crea mettendo lui stesso mano all'opera, l 'altro solo in quanto preposto all 'opera, il terzo per suo solo volere. Uno corrisponde all 'artigiano che esegue lui stesso il lavoro (-ròv aù-roupyòv •exvt'tTJV 3 6 1 .30, cfr. Pseudo Aristotele, de mundo 6, 397 b 22 aomìp llÈV yàp ov-rroç anavrrov èarl . . . 6 9ooç, où llJÌV aù-roupyoù Kaì Èmn6vou çc�>ou Kalla•ov 'Ù7tOI!ÉVrov, àJJJt nì..), l 'altro lo precede perché ha rango di architetto, il terzo è stabilito prima di questi due nel rango di re. In quanto intelletto, dunque, il Demiurgo produce tutte le cose con le sue intellezioni, in quanto intelligibile, crea per il solo fatto della sua esistenza, in quanto dio, crea per suo solo volere. Se al contrario Amelio sepa­ ra violentemente i tre demiurghi dall'Uno (o dall'unità: anò -roù èv6ç 362.5), non lo ammetteremo se siamo veri discepoli di Platone". Su questi testi di Amelio, cfr. ZELLER, III 2, pp. 689-690 e 690, n. l . È per errore che Diehl e Kem (loc. cit. ) rimandano a Tim. 40 e s. Cfr. C.H. XI 9- 1 1 . I!Ovoyev�ç: cfr. Tim. 3 1 b 3, 92 è 5. 'tÒV 01l!lt0Upy1KÒV Upt91!0V 306.3 ] , cfr. TÒV apt9!!ÒV 'tÒV 9&ÌOV 306.20 = il nu­ mero degli Esseri Divini che producono il mondo.

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La rivelazione di Ermete Trismegisto - Il dio ignoto e la gnosi

PORFIRIO (306.3 1 -307 . 1 4) Dopo Amelio, PORFIRIO, credendosi d'accordo con Plotino, dà all 'Anima ipercosmica il nome di Demiurgo, e all 'Intelletto di questa Anima, a cui essa si rivolge1 1 , quello di Vivente in sé (tò autoçcpov), dimodoché il Modello seguito dal Demiurgo è, secondo Porfirio, l 'Intelletto. Ora bisogna chiedere a Porfirio dove Plotino assimili l'Anima al Demiurgo. E come ciò si accorderebbe con Platone, che senza dub­ bio chiama il Demiurgo dio e intelletto, ma mai anima? In che modo inoltre Platone chiama il mondo un dio12? E come anche l'Anima attraverserà tutto il campo degli esseri del mondo1 3? Infatti, se tutte le cose non partecipano dell'anima, tutte hanno tuttavia qualche par­ te nella provvidenza demiurgica. Inoltre, mentre il potere creatore del Demiurgo è capace di creare l' intelletto e gli dei, l'Anima è tale per natura che non può produrre nulla14 che superi l 'ordine psichico. Ometto di dire che questo è anche uno dei punti che richiedono una prova forte, per sapere se Platone abbia mai conosciuto un'Anima impartecipabile15• 11 12

13

14 15

énécnpa7rtcn 307.2: cfr. L. S.J., s. v. Élttatpécpro I 3 c. L'argomento m i sembra essere questo. Costantemente nel Timeo il mondo è detto un dio. Ora, tra gli antichi, un dio è un essere vivente e, di fatto, il mondo-dio del Timeo è provvisto di un ' anima. Ora, se si assimila il Demiurgo all ' Anima, e se quest'Anima, che deve essere l ' Anima del mondo, è iper­ cosmica, come potrà il mondo essere ancora un essere animato, un Vivente divino? Da qui si vede che la teoria di Porfirio contraddice quella di Platone che fa del mondo un dio. n:roç Be Kai otà n:civtrov cpott� trov &yx:oaJlirov; 307.8. L'espressione otà n:. cp . è frequente in Proclo, cfr. l, p. 1 1 .23 la Natura, dipendente dalla dea vivificante (l'Anima), cpott� otà n:ciVtrov ciKroì..Utroç Kaì n:civta &Jln:v&i, e l ' indice di Diehl, III, p. 492. Forse ricordo degli Stoici, cfr. S VF. , II, p. 1 1 3 .2 toùto o& (scii. il Principio motore del mondo) OUK allo tt n:t9av6v &attv etvat i\ OUVQJllV ttva ot' aùtiiç (scii. tii ç UÀ.TJç) n:�cpotfTJKUÌav, Ka9cin:ep �JlÌV ljiUXJÌ n:ecpoitTJKEV (Sesto Empirico, adv. math. IX 75). n:apciyetv, cfr. L. S.J., s . v. VI. Tutti gli esseri del mondo partecipano in qualche modo alla provvidenza del Demiurgo. Ora, se il Demiurgo è l'Anima del mondo, bisogna ammettere che non tutti gli esseri partecipano al Demiurgo poiché gli inanimati non parteci­ pano ali ' Anima. Bisogna dunque ammettere anche che quest'Anima è in parte impartecipabile (aJ.1&9EKtoç). Tuttavia, dice Proclo, è un punto molto dubbio (letteralmente n:o)J..ii ç CJUatciaeroç OEOJlEVOV) che Platone abbia conosciuto un'Anima impartecipabile.

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GIAMBLICO (307. 1 4-309. 1 3) Passiamo ora al divino GIAMBLICO. Costui ha scritto molto contro l ' opinione di Porfirio e l 'ha confutata mostrando che non è ploti­ niana. Quanto a lui stesso, nell' insegnamento teologico che ci con­ segna, nomina Demiurgo tutto il mondo intelligibile, come appare almeno dalle sue stesse parole, dove si esprime in accordo con Pio­ tino. In ogni caso, ·ecco cosa dice nei suoi Commenti 16 : "L'essenza reale, il principio delle cose create, i modelli intelligibili del mondo, in breve, ciò che chiamiamo mondo intelligibile, e tutto ciò che c'è di cause che poniamo come preesistenti a tutti gli esseri della natura, tutto questo, il dio Demiurgo, oggetto della presente indagine, riu­ nendolo in una stessa unità, lo tiene abbracciato sotto se stesso' 7". Ora se, parlando in questa maniera, Giamblico vuole significare con questo linguaggio che tutto è nel Demiurgo sotto un modo de­ miurgico, anche l'essere in sé e il mondo intelligibile, si esprime con conseguenza e d'accordo con Orfeo che dichiara (fr. 1 68, v. 1 0 K.). "Infatti tutto questo si trova nel corpo del grande Zeus"

e (fr. 1 67 b, v. 7 K.) "Tutte le cose sono per natura riunite nel ven­ tre di Zeus", e tutte le parole dello stesso significato. Ulteriormente, non c'è nulla di sorprendente che ciascuno degli dei sia il Tutto, ognuno alla sua maniera, l'uno sotto un modo demiurgico, l' altro sotto un modo comprensivo, questo in modo immutabile, quello in modo mutevole, talaltro ancora secondo la proprietà divina che pos­ siede. Se, invece, Giamblico intende dire che il Demiurgo è tutta l ' estensione intermedia tra il mondo e l'Uno, " questo non è ormai privo di difficoltà. In aggiunta, lo confuteremo sulla base di ciò che egli stesso ha insegnato: Dove sono i Re precedenti a Zeus, i padri di Zeus? Dove, i Re di cui parla Platone18, di cui egli stesso dice che bisogna porli al di sopra del mondo dopo l'Uno? E come, se abbia­ mo assimilato, da una parte, l 'essere eterno precisamente all'essere primo in assoluto, assimileremo, dall'altra, il Demiurgo a tutto il 16 17 18

tv -roiç 'Y7tOJ.lVTU.tamv 307.20. Senza dubbio i l commento sul Timeo, cfr. ZEL­ LER, III 24, p. 739, n. 3 . Sci!. lo tiene compreso nella sua nozione, u

ç Kaì vosproç: tutto l 'universo costituisce una sola stessa unità, che è compresa nel pensiero di Zeus. Cfr. in Tim. , l, p. 207.2 ss. Zeus chiede come deve gettare le fondamenta della valorosa razza degli Immortali e procedere alla creazione del mondo.

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come ha eccellentemente dimostrato il nostro maestro (Siriano) nei suoi Colloqui Orfici, e fa parte della stessa serie di Urano e Phanes, quindi è creatore e padre, l ' uno e l 'altro in modo universale. Del resto, che anche Platone abbia avuto la stessa nozione di Zeus supremo, lo ha mostrato nel Crati/o (396 b l ss.), dove, se­ condo i nomi stessi, ha fatto vedere che questo dio è, per tutti gli esseri, autore e dispensatore della vita: "infatti, colui grazie al qua­ le (8t' ov) tutti possiedono il vivere ('tò çfjv)", lo abbiamo chiama­ to Dia e Zena; nel Gorgia (523 b/5 24 a), dove tutto in una volta associa Zeus ai Cronidi e lo mette a parte sopra di loro, affinché preceda questi tre e allo stesso tempo sia partecipato da essi, dove allo stesso modo installa la Legge presso Zeus, come fa pure Orfeo (fr. 1 60, 1 65 K.): obbedendo infatti ai consigli della Notte, Zeus, anche in Orfeo, prende la Legge come assistente; e ancora nelle Leggi (IV 7 1 6 a 2), Platone, come il Teologo (fr. 1 5 8 K.) fa della Giustizia universale la seguace di Zeus. Lo mostra ugualmente nel Filebo (3 0 d 1 -2), dove dichiara che vi è in Zeus, principalmente, a motivo della sua natura di Causa, un' anima regale, un intel letto regale : ed è in accordo con questa dottrina che, anche ora ( Tim . 30 b l ss.), insegnerà che Zeus fa sussistere l ' intelletto e l'anima, che rivela le leggi fatali (4 1 e 2) e produce tutte le serie degli dei cosmici e tutti i viventi fino agli ultimi, alcuni dei quali sono creati da lui solo, altri per mezzo degli dei celesti . Così, nel Politico (273 b l), definisce Zeus demiurgo e padre del l ' universo, così come dichiara qui (Tim. 41 a 7) a proposito di Zeus: "voi mie opere, di cui sono il demiurgo e il padre". E dice40 che l ' attuale governo dell' universo è quello di Zeus, e che, anche se il mondo nel suo moto obbedisce alla Fatalità, si muove in tal modo perché ricorda l ' insegnamento del demiurgo e padre : pertanto quindi chi vive in questo tempo il periodo di vita che governa Zeus, ha Zeus come autore e padre della sua stessa vita. Se inoltre Platone deve pre­ sentare più avanti (Tim. 4 1 a/e) il demiurgo nel ruolo di oratore popolare, anche questo è assolutamente appropriato a Zeus : difatti, nel Minasse (3 1 9 c 3 ), Platone, per questa ragione, ha chiamato Zeus "sofista", in quanto colma di ogni specie di discorso gli dei che vengono dopo di lui.

40

Scii. nel Politico, 272 b 3 .

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La rivelazione di Ermete Trismegisto Il dio ignoto e la gnosi -

È ciò che mostra, infine, anche il divino poeta (Omero, Il. VIII ss.) quando ci fa vedere Zeus, dall'alto della sommità più elevata 3 de ll'Olimpo, prendendo la parola in questi termini: "Ascoltatemi, voi, tutti gli dei, tutte le dee",

e costringendo la duplice serie degli dei a volgersi verso di lui. Lo stesso Omero d'altronde, in tutti i suoi poemi, proclama Zeus il "So­ vrano degli Immortali (Il. VIII 3 1 )", il "Padre comune degli uomini e degli dei", e l' onora di tutte le qualifiche demiurgiche. Poiché abbiamo quindi provato che tutta la teologia ellenica at­ tribuisce a Zeus l' opera intera della creazione, cosa si deve pensare di questo passo di Platone (28 c 3), se non che lo stesso dio, Zeus il monarca, è da lui celebrato come creatore e padre, e non solamente come padre, né come padre e creatore? Uno in effetti, il padre, è la monade, l 'altro, il padre e creatore, è la tetrade, il terzo, secondo l' espressione dei PITAGORICI4 1 , è la decade, e questo è l 'ordine delle cose divine: "Finché sia arrivato"

(cioè il numero divino nella sua progressione "Fuori dall' abis.so in­ violato della Monade") "Fino alla Tetrade santissima: essa ha generato la Madre di tutte le cose. Il Ricettacolo universale, la Venerabile, colei che limita tutte le cose, L' inflessibile, l' infaticabile: la si chiama la Decade pura".

Pertanto, dopo la monade patema e la tetrade patema insieme e creatrice, è sorta la decade demiurgica. Quest'ultima è inflessibile, perché ad essa è legata un'essenza divina immutabile. Limita tutte le cose, in quanto fornisce la regola all' irregolare e ordina il disordinato. Fa risplendere l'intelletto nelle anime perché è essa stessa un intelletto universale e l'anima nel corpo, perché contiene e avvolge la causa dell'anima. Produce tutti i generi dell'essere, i medi e gli estremi, in quanto comprende in se stessa la realtà dell'essere demiurgico. 41

Ripetuto III, p . l 0 7. 1 4. S u questo falso, cfr. A . ure pythagoricienne (Paris 1 9 1 5), pp. 208 ss.

DELATTE,

Étude sur la littérat­

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Molto di più, secondo quanto è stato scritto nel Protal{ora (322 e ss.), si può conoscere per deduzione qual è il rango del Dem iurgo. Difatti, Zeus è qui detto anche l' autore di tutta quanta la scienza politica, è lui che semina nelle anime i principi creativi conformi all 'essenza delle cose. Ora questo vuol dire che Zeus collega a se stesso l' opera intera della creazione e, con le sue proprie potenze che non cambiano affatto, mantiene ben legato l 'universo. Infatti, come il Teologo mette attorno a Zeus la guardia dei Cureti (fr. 1 5 1 K.), così Platone dichiara che Zeus è circondato da "sentinelle temibili" (Prot. 3 2 1 d 8), e come Orfeo installa Zeus nella sommità del cielo, così Platone gli ha consacrato "l' acropoli" dove, fissato per l 'eter­ nità, governa tutto l 'universo per il tramite degli ordini intermedi. IN QUALE SERIE ('ta�tç) PORRE IL DEMIURGO (3 1 7. 1 7-3 1 9.2 1 ) Qui si è detto abbastanza su cosa sia il Demiurgo e su ciò che sia un Intelletto divino autore di tutta la creazione. Come sia anche lo stesso demiurgo Zeus celebrato da Orfeo e Platone, si deve esserne avvertiti da queste spiegazioni. Ora, questo Demiurgo, lo metteremo nella categoria della fonte, o del principio rettore, o in qualche altra, è ciò che vale la pena di non passare sotto silenzio Ordunque, sembra che tutti i benefici che il TEURG042 riferisce al terzo dei principi rettori, il Demiurgo l i procuri al mondo : mo"­ della i l cielo dopo averlo piegato "in forma convessa", inchioda al cielo l ' immensa assemblea degli astri fissi, crea le sette cinture planetarie, pone la terra in mezzo, l ' acqua nelle cavità terrestri, l ' aria al di sopra di questi elementi. Ciò nonostante, se esaminia­ mo la cosa più da vicino, poiché troviamo che il terzo dei principi rettori del mondo opera la divisione del Tutto negli esseri parti­ colari, che i l secondo lo divide nei generi universali, quel secon­ do che è proclam ato anche causa efficiente del movimento, che il primo, per suo solo volere, organizza l ' universo e fa del mondo intero un ' unità, siccome crediamo d ' altra parte che è anche per suo volere che il Dem iurgo del Timeo produce l ' universo e forni­ sce al Tutto sia la divisione in generi universali che la divisione negli esseri particolari che riempiono tutti i generi totali - perché non crea solamente l 'universo come un tutto fatto di tutti, ma 42

Cfr. Or.

Chald. , pp.

34, 38 Kr.

La rivelazione di Ermete Trismegisto - Il dio ignoto e la gnosi

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produce anche la somma degli esseri che compongono ciascun genere totale -, per tutto questo pensiamo che valga meglio dire il Demiurgo al di là della triade dei Padri che hanno rango di capi e designarlo fonte causante unica, e assimilarlo a quel lo stesso d i cui gli Oraco/i43 insegnano che, posto nel l ' Anima originaria, "fa sgorgare come un torrente scrosciante" la moltitudine delle Idee, che con l ' aiuto del l ' intelletto, dell ' anima, del corpo fa sussistere il Tutto ben proporzionato4\ che genera le nostre anime e le invia nella creazione, e a riguardo del quale dicono, proprio come il Timeo, che ha posto "L' intelletto nell'anima e, nel corpo indolente, ha riilchiuso noi stessi, lui, il Padre degli uomini e degli dei"45

Tale è dunque la cosa meravigliosa che i Greci vanno ripetendo su colui che chiamano Demiurgo. Ora, se c'è così identità di linguag­ gio tra il Timeo e gli Oracoli, "è una fonte anche questo Demiurgo" direbbero coloro che si ispirano alla teologia trasmessa dagli dei46, questo Demiurgo che, a sua volta, fabbrica secondo le Idee il mon­ do intero, tutto insieme come uno, come molteplice, come diviso secondo i generi universali e gli esseri particolari . Platone, Orfeo e gli Oracoli lo celebrano unico creatore e padre dell'universo, "Padre comune degli uomini e degli dei", poiché genera la moltitudine de­ gli dei e invia le anime nelle generazioni degli uomini47, come dice ancora il Timeo. Difatti, se è "la più eccellente delle cause", come dice Platone (29 a 6), con quale modo disporlo nella seconda classe dei demiurghi? Perché "ciò che c'è di più eccellente tra i demiur­ ghi" designa l'eminenza più alta nella serie demiurgica. Ora, in ogni serie, ciò che c'è di più alto ha valore di fonte, cosicché questo De­ miurgo è necessariamente una fonte, non un principio rettore, poiché 43 44

Or. Chald. , pp. 23 s. Kr.

Kaì

É1c voù Kaì wuxii ç Kaì crÙ>J.laToç ÙCjltmaVTa TÒV J..òyov 3 1 8. 1 4: cfr. 408. 1 2 oihoo o� Kaì � eeonapaOOTOç eeoÀ.Oyia (sci!. gli Or. Chald. ) Cj)T)ç xp6ç n (scii. pluralità e unità sono dei correlativi).

204 1

Aggiunte e correzioni

3° argomento Inoltre, pensando bene di dimostrare che l'Uguale e l 'Ineguale sono principi di tutti gli esseri, sia di quelli che esistono per se stessi (Téòv Ka9' a'Ò'tà oV'trov) sia degli opposti - poiché cercava di ricon­ durre tutto quanto a questi due come ai principi più semplici -, egli (Platone) collegava l 'Uguale alla Monade, il Disuguale ali 'Ecces­ so-Difetto: infatti la disuguaglianza consta di due termini, il Grande e il Piccolo, che sono l 'Eccesso e il Difetto. Per questo anch'egli (Platone) chiamava la Diade indeterminata, perché nessuno dei due, né l 'Eccedente né l 'Ecceduto, in quanto tale, è determinato, ma è indeterminato e illimitato. Al contrario, quando è stata determinata dali 'Uno, la Diade Indefinita diventa la diade numerica: poiché que­ sta diade è formalmente una cosa unica.

4° argomento Inoltre, il primo numero è la diade. Ora, di quest'ultima, i principi sono l'eccedente e l' ecceduto poiché nella diade prima ci sono il doppio e la metà: Infatti1 3 doppio - metà = eccedente - ecceduto, ma non è più vero che eccedente - ecceduto = doppio - metà. Cosic­ ché l 'eccedente e l 'ecceduto sono proprio gli elementi (c:notxsta) del doppio. Inoltre, poiché l' eccedente e l' ecceduto diventano il dop­ pio e il mezzo solo dopo essere stati determinati - perché doppio e mezzo non sono più indeterminati, come nemmeno triplo e tre, quadruplo e quattro o qualunque degli altri numeri di cui sia ora determinato l'eccesso -, e poiché è la natura dell'Uno che produce questa determinazione - infatti ognuno di questi numeri è uno in quanto è qualche cosa e una cosa definita -, poniamo come elementi (a'tmxsta) della diade numerica l'Uno e il Grande e Piccolo. Ora il primo numero è la diade. Quindi gli elementi ( c:notxsta) della diade 14 sono l 'Uno e il Grande e Piccolo. 13

yap spiega come eccedente-ecceduto siano principi della diade numerica. Lo

14

sono in quanto genere, di cui il doppio costituisce solo una delle specie. Stesso ragionamento in Sesto X 269. C'è chiaramente un errore (di Aristotele? di Alessandro? del copista?). C i si attende trov àptElJ.lroV. Il sillogismo (si noti àì.J..i:J. J.lfJV che introduce la minore, apa la conclusione) è il seguente:

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Conclusione

È con argomenti di questo tipo che Platone poneva come principi sia dei numeri che di tutto il reale l'Uno e la Diade, come dichiara Aristotele nel suo trattato Sul Bene. " Non si può negare che ci siano somiglianze precise, non solo tra Ermodoro, Sesto X 263-277 e Aristotele 3 ° argomento, ma, in ge­ nerale, tra tutto il brano di Sesto X 263-277 e tutto il brano di Ari­ stotele. Sesto riporta la formula Uno - Diade indefinita ai Pitagorici, Aristotele a Platone (3 ° argomento). Ermodoro, che ha in vista solo Platone, non menziona la Diade indefinita, ma riunisce tutto il reale nella coppia Uno (= Uguale, Stabile, Armonico) - Grande e Piccolo. Ora, secondo Aristotele (3 ° argomento), Grande-Piccolo = Ecces­ so-Difetto. Secondo Aristotele (ibid. ) e Sesto (X 275 s.) Eccesso-Di­ fetto = Disuguale = Diade indefinita. Sicché la coppia Uno-Grande e Piccolo equivale alla coppia Uno-Diade indefinita, che Aristotele, altrettanto bene, attribuisce esplicitamente a Platone. Si noterà che, se Aristotele e Sesto mettono sullo stesso rango l'Uno e la Diade, Ermodoro, seguito da Simplicio (supra testo B), non attribuisce valore di principio che al solo Uno, essendo la ma­ teria (Diade) solo un ouvaittov. Tale sarà anche l ' interpretazione di Proclo, supra pp. 1 7 1 2 ss. P. 1 720, n. 1 5 . ò Évtatoç Myoç appare ancora in Giamblico, de c. m. se. , p. 4 1 . 8 Festa: "ciò che è limitato e determinato nell'anima le viene dai numeri; quanto al principio unificante, viene all'anima dalla natura dell'Uno." Stessa espressione al plurale p. 74. 1 8 ivi. Vedi anche Aristide Quintiliano, de mus. 1 3 (3 .24 Jahn). P. 1 765, n. 62. Sul Dio enéKetva, cfr. già Aristotele, n. eùxii ç (fr. 49 Rose(2), p. 1 00 Walzer): ott yàp ewoei 'tt Kaì. ùnèp Tòv vouv Kaì. TJÌV oùcriav ò Aptcr'tO'tÉÀ.TJç, ùtiMç ecr'tt npòç Toiç népacrt TOU Ilepì. Gli elementi della diade sono Uno e Grande-Piccolo Ora la diade è il primo dei numeri Dunque gli elementi dei numeri sono Uno e Grande-Piccolo È ciò che ulteriormente conferma la conclusione generale di tutto il pezzo: Kaì otà t otai>Ta !lÉV nva àPXaç téòv tE àpt!l!léòv Kaì téòv ovtoov à7tavtoov &tieeto

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