La riforma della legislazione

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PANORAMI DI VITA FASCISTA Collana edita sotto g li auspici del P. N . F. *

Voi. XII

DIRETTORE

ARTURO MARPICATI

LA RIFORMA DELLA

LEGISLAZIONE

A LFR E D O D E LA

RIFORMA DELLA L E G IS L A Z IO N E

ROPRIETÀ

LETTERARIA

ST A M P A T O IN IT A L IA

RISERVATA

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AN N O X II

I PRIN CIPI IN F O R M A T O R I D E L L A R IFO R M A la Marcia su Roma e l’avvento del Fasci­ smo al potere, un’epoca della legislazione si chiuse, un’altra si apri, e dopo un decennio essa è nel punto piu alto del suo rigoglio. Di solito, la conquista del Governo segna il vertice della pa­ rabola di un partito; dopo, non è che il suo adatta­ mento alle necessità che lo spirito di conservazione impone. Per il Fascismo, essa fu l’affermazione più che della solidità di un partito, del bisogno di un nuovo assetto giuridico, bisogno rivelantesi in Italia ma comune forse a tutto il mondo civile, e quindi l’inizio di un ciclo ad intensità progressiva. Basta ciò ad additare nel Fascismo, non un Par­ tito, ma un assetto nuovo, sorto da contingenze eccezionali e capace di raccogliere e inquadrare tutte le forze della Nazione, di diventare il vaglio attraverso il quale le forze nazionali si distinguo­ no da quelle antinazionali, di assurgere a Regime, che è la Nazione vista nell’insieme e nell’armonia dei suoi ordinamenti. Del Fascismo possono essere esportate molte leg­ gi : forse potrà essere dovunque, o presso molti popoli, adottato interamente, od in gran parte, lo stampo fondamentale dello Stato che esso va labo­ riosamente organizzando: ciò che non sarà possi-

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y bile esportare sono lo spirito e l’origine. Da tali aspetti, esso è un prodotto dello spirito italiano e delle singolari vicende che questo attraversò nel dopo guerra, in connessione col passato, col carattere, con le aspirazioni della stirpe. Potrà essere, e sarà, mondiale nelle sue espressioni: ma resterà italiano nelle radici. Esso è, proprio per ciò, un nuovo - l’ultimo capitolo del diritto romano, inteso nella sua più larga nozione, politica ed umana. È naturale che le sue influenze piu profonde e durevoli si ripercuotano nella legislazione. Essendo le leggi non soltanto la sintesi della volontà dello Stato capace di venir tradotte in realtà per virtù di coazione, ma gli strumenti più efficaci per la elevazione spirituale e politica di un popolo, è pre­ cario quel regime che non ha principi da trasfon­ dere nelle leggi o che dei suoi principi non ne investe profondamente la sostanza. Sarebbe assai interessante studiare di proposito il posto che, fra le legislazioni, classificate secondo le epoche storiche in cui sono apparse, occupa quella fascista. Poiché qui non è possibile che un accenno, mi limito a porre in luce un fatto che sembra un ritorno ed è una innovazione profonda. Roma antica presentò nel diritto un fenomeno sin­ golare : in essa, prescindendo dal considerare i secoli di decadimento, lo Stato fu sempre l’espres­ sione suprema della vita collettiva: regno, repub­ blica o impero, la preminenza dello Stato non fu mai messa in dubbio. L ’organizzazione dello Sta­ to, anzi, come auctoritas in cui si incontrano e si consolidano tutti gli aspetti e tutte le attività della io

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vita pubblica e privata, fu il compito cui Roma attese dalla sua mistica fondazione allo spegnersi della sua grandezza. Eppure, fu Roma a creare quel sistema di diritto privato, che ancora, con adattamenti e ritocchi da cui l’intima essenza non è mutata, vige presso tutti i popoli civili, dal Te­ vere al Giappone ed all’America. In questa forma­ zione di un perfetto sistema di diritto privato in uno Stato avente come fulcro il principio della pro­ pria preminenza, è la prova che lo Stato conduce, quando è affidato a governanti illuminati, anche alla salute degli individui ed è premessa di ogni civiltà; mentre l’opposto principio della preminen­ za del diritto dell’individuo, e quello conseguente della sua validità come principio informativo an­ che del diritto pubblico, non conduce alla salute degli Stati. Egli è che l’autorità, quando è pre­ disposta ed esercitata non per l’esercizio di una dittatura personale, genera spontaneamente dai suoi limiti il sistema delle libertà giuridiche, mentre non può sicuramente dirsi che avvenga anche il contrario. La Rivoluzione Francese, in cui esplodono e si assestano forze accumulatesi sotto la compressione che il feudalesimo medioevale fece del diritto in­ dividuale, dove cancellare le tracce di esso nel di­ ritto pubblico e, per la legge degli opposti che de­ cide sovente le crisi della storia, ne capovolse l’asse e sostituì al principio dell’autocrazia del principe quello della sovranità del popolo; ma nel diritto privato non potè che restaurare l’impero del di­ ritto romano. Ciò basta a dimostrare che, ad aversi la tutela n

del diritto, del singolo non è indispensabile, secon­ do il pregiudizio democratico, uno Stato che scelga a sua carta costitudva il Contratto Sociale di Rous­ seau; ma che quella è in funzione soltanto di uno Stato fortemente organizzato. E dimostra, ben piu, che il campo in cui le rivoluzioni politiche affer­ mano la serietà dei loro obiettivi è quello del di­ ritto pubblico, dei rapporti fra lo Stato e g l’indivi­ dui: della partecipazione, insomma, degl’indivi­ dui alla vita dello Stato. Nulla, cioè, ha da ve­ dere la varietà dei regimi con la tutela che lo Stato offre agl’individui: quella importa soltanto a de­ terminare la misura in cui g l’individui concorrono alla formazione della volontà dello Stato. E l’avvertenza è piu che utile, necessaria, spesso confondendosi questi due, ben diversi, aspetti del problema del diritto secondo i regimi politici. Ed è vero che una piu larga partecipazione degl’indi­ vidui alla vita dello Stato può produrre, di rim­ balzo, una piu rigida tutela del loro diritto; ma è altrettanto vero che uno Stato i cui ordinamenti riescano ad un maggiore potenziamento delle for­ ze di un popolo e queste considerino elementi essenziali della propria struttura, riesce ad una tutela del diritto privato ancor piu efficace di quella che refluisca dalla considerazione politica non delle forze di un popolo ma degl’individui. La caratteristica del Fascismo è qui; ed è qui il segno della sua originalità rispetto alle prece­ denti fasi del diritto. Il diritto romano disciplinò, in modo definitivo, i rapporti fra i singoli; la Rivo­ luzione Francese pose il diritto pubblico su nuove basi, partendo dalla premessa del Contratto Sociale; 12

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il Fascismo completa il diritto privato e riplasma il diritto pubblico a stregua di un nuovo principio essenziale : quello delle forze produtdve della N a­ zione, delle quali lo Stato è centro propulsore e coordinatore e g l’individui sono elemend. Da questa originale impostazione del diritto, due precipue conseguenze derivano : la maggiore effi­ cienza del popolo come forza creatrice o come oggetto di garanzia del diritto; l’organizzazione del popolo su basi assolutamente nuove. Il liberalismo, nella elaborazione e, più ancora, nella interpretazione delle leggi, pose come pietra angolare il concetto di diritto pubblico subiettivo, sebbene deformato rispetto a quello che ne ebbe il primo suo assertore : un rapporto, insomma, in cui Stato e singolo intervengono come soggetti o ter­ mini uguali. Ciò non tolse che la democrazia ed il socialismo vedessero però nelle leggi un’afferma­ zione della classe socialmente prevalente, di quella cioè detentrice del potere di legiferare. Il mito della sovranità popolare rivelava la sua irrealtà nel progressivo disperdersi della volontà del popolo a mano a mano che si passava dalla astratta conce­ zione della sovranità come patto sociale, all’effet­ tivo esercizio di essa: i collegi elettorali, destinati a formare una delle assemblee legislative, erano co­ stituiti da una minoranza di capaci o di presunti capaci; gli eletti erano l’espressione di una parte di essi, costituenti la maggioranza di queste mi­ noranze; e le leggi erano votate da una parte degli eletti, ossia dalla maggioranza di coloro che rag­ giungessero l’accordo, e, s’intende, non sulla legge vista in sé, ma sulla legge vista come strumento

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per la conservazione di un partito al potere. Perciò fu possibile che liberalismo e socialismo, partendo dallo stesso principio, giungessero a due opposte valutazioni di ciò che la legge, in generale, fosse: l’uno proclamandola trionfo, l’altro oppressione della volontà del popolo. L ’uno guardava all’astrat­ to, l’altro al concreto. Certo, nella formazione del­ la legge che ne disciplina la volontà e ne regola il destino, il popolo era ben lontano dall’essere rappresentato ed anche interpetrato. Il Fascismo guarda il popolo non come elemento generatore della sovranità, ed in questo solo ori­ ginario momento, per dimenticarlo in tutto il re­ sto; ma come generatore quotidiano e perenne delle energie che tutelano e moltiplicano la vita della N azione: pensiero, industria, traffico e via dicen­ do. E dividendolo in categorie secondo la specie di lavoro che vien chiesto o dato, lo organizza eco­ nomicamente e giuridicamente secondo i rispettivi bisogni e le esigenze della funzione che ogni cate­ goria esplica nell’insieme, non trascurando cosi al­ cun elemento ed alcuna attività. In tal modo, la efficienza del popolo non è efimera come nella ideologia della sovranità popolare, ma concreta e continua; è efficienza non di minoranze progres­ sivamente più esigue, ma totalitaria, perché spet­ tante al complesso degli elementi produttori della Nazione; efficienza che si fonda prevalentemente sulla realtà sociale ed economica, come quella che dalle attività produttive risulta e si espande in manifestazioni di carattere etico, per la sua subor­ dinazione alle due forze essenzialmente etiche in cui tutto ciò s’inquadra: il Lavoro e la Nazione.

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Donde, non piu Stato liberale o democratico o so­ cialista; ma, volendo in un aggettivo riassumere ciò che da essi distingue lo Stato Fascista, Stato Nazionale ed edco. Il popolo ne è la base ed il contenuto, e nella definizione è elemento presup­ posto, sottinteso, poiché Nazione è tutto il popo­ lo, nessuna categoria e nessuna unità esclusa; e lavoro è il popolo visto nel vario, divino poema della sua attività. « Lo Stato » ha scritto Mussolini « cosi come il Fascismo lo concepisce ed attua è un fatto spiri­ tuale e morale, poiché concreta l’organizzazione politica, giuridica, economica della Nazione e tale organizzazione è, nel suo sorgere e nel suo svilup­ po, una manifestazione del suo spirito. Lo Stato è garante della sicurezza interna ed esterna, ma è anche il custode ed il trasmettitore dello spirito del popolo cosi come fu nei secoli elaborato nella lingua, nel costume, nella fede. » La seconda conseguenza abbraccia i modi e i tramiti per cui questa efficienza si manifesta. Un trinomio li compendia: autorità, disciplina, gerar­ chia. Esso non sopprime ma comprende e supera il trinomio proclamato dalla Rivoluzione Francese. L 'autorità comprende la libertà perché, come di­ cemmo, nella coscienza dei suoi fini trova il suo limite, e perché ad ogni accrescimento di autorità corrisponde un accrescimento di responsabilità, che è garanzia della libertà, vista negli organi e nel­ l’azione da cui è tutelata. La disciplina è coesione di attività singole, aumentata dalla fede e dal­ l’obbedienza; comprende la fraternità, come soli­ darietà, e la trasforma da vibrazione del sentimento

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in norma operosa di condotta. La gerarchia non sopprime l’uguaglianza ma la corregge, non po­ tendo né nel mondo fisico né in quello giuridico sopprimere la disuguaglianza li delle forze, qui delle capacità, e non essendovi altra uguaglianza che fra uguali, mentre il concetto che allaccia tutti è quello di proporzione, che, tradotto in distribu­ zione di compiti e di propositi e secondo le capa­ cità, è precisamente gerarchia. Il Fascismo non poteva limitarsi a proclamare questi principi: doveva informarne tutta la legisla­ zione. Per questa via, controllando in tutte le sue parti, pietra per pietra, l’edificio dello Stato, lo ha profondamente rinnovato. Opera tale che la nostalgia del passato, i cui sofferenti sono un nu­ mero sempre piu sparuto, resta per sempre fugata. È antica verità che nella storia e nel diritto non si hanno mai ritorni : anche se una legge o un isti­ tuto sono ripristinati, non sono mai quelli che erano, perché essi valgono, non solo per sé, ma per i loro rapporti con tutto il resto della vita di uno Stato. Ma, quanto al Fascismo, i restauratori del passato non si troverebbero che dinanzi ad idee e materiali radicalmente nuovi, sebbene sapientemente collocati, vorrei dire, sulle verticali delle vec­ chie pareti rifatte. E per nessun regime come per esso, il compito si trasformerebbe, fatalmente, nel­ le stesse intenzioni dei restauratori: avanzare, esso sarebbe. Ed è il compito ed il motto del Fascismo.

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RIFO R M E C O S T IT U Z IO N A L I

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D a una simile trasformazione del concetto di Sta­ to derivavano ripercussioni inevitabili sulla Carta fondamentale del Regno. E poiché il Fascismo as­ sunse il Governo non con un programma presta­ bilito di riforme legislative da attuare - e fu la ra­ gione precipua della sua forza - ma con una co­ scienza chiarissima della sua missione rinnovatrice, dalla quale, come per progressione necessaria e con perfetta coordinazione, le riforme particolari spun­ tavano, s’imbatté subito nel problema della rifor­ ma della Costituzione. Era fatale che al rinnova­ mento dello Stato si accompagnasse l’aggiornamen­ to dello Statuto. Se ciò non si fosse verificato, o lo Stato si sarebbe rinnovato ugualmente, ma lo Statuto avrebbe perduta la sua funzione di legge fondamentale, e perciò sempre attuale, dello Stato; o lo Statuto avrebbe serbato questa funzione, e lo Stato Fascista sarebbe stato un precario, superfi­ ciale mutamento di forme od istituti, da cui sa­ rebbe ben presto riemerso l’antico assetto. L o Statuto, nato nel 1848, a segnare solenne­ mente la trasformazione della Monarchia da as­ soluta in rappresentativa, come un adattamento della Carta francese del 1830 ai bisogni del Pie­ monte, e divenuto per virtù di eventi storici, legge

perpetua ed irrevocabile della Monarchia italiana, non trova in questi attributi ostacolo a modifica­ zioni ulteriori che lo adeguino alle rinnovantisi condizioni politiche del Paese. Appartenendo al tipo delle cosiddette Costituzioni aperte, suscetti­ bili cioè di trasformazioni per virtù degli organi ordinari della funzione legislativa, esso non segna che una sola certezza veramente perpetua ed irre­ vocabile: l’impossibilità del ritorno alle forme po­ litiche di cui segnò la fine. Già Crispi aveva detto in tre occasioni alla Camera (discorsi del 26 luglio 1862, del 23 giugno 1881 e del 20 dicembre 1882) : « G li Statuti furono fatti per impedire ai Governi di andare indietro, ma non già per non andare avanti ». E Mussolini, nel suo discorso del 22 no­ vembre 1924, ribadì : « Lo Statuto fu un punto di partenza, non un punto di arrivo; un cominciamento, non una fine. E non poteva comprendere tutta la storia dell’Italia futura, perché l’Italia del ’48 era il Piemonte, la Liguria, la Sardegna e la Savoia... N oi non vogliamo assolutamente violare ciò che nello Statuto è una conquista incorrutti­ bile del Risorgimento italiano. N on vogliamo vio­ lare tutto ciò che è lo spirito, ma vogliamo aggior­ nare, se è possibile, se il Parlamento lo consente, vogliamo aggiornare lo Statuto per renderlo, là do­ ve è incompleto e manchevole, consono alla pie­ nezza dei tempi ». E già molte modificazioni lo Statuto aveva su­ bite, come nello stesso discorso Mussolini ricordò. Tuttavia, anche se l’autorità di questi precedenti non si fosse potuta citare, non si sarebbe potuto considerare lo Statuto intangibile, in una fase, più

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che politica, storica, nella quale lo Stato, dive­ nuto da rappresentativo parlamentare, stava per tornare alla sua essenza e funzione strettamente rappresentativa, ma su una base affatto originale: quella corporativa. D a una parte, urgeva un ritorno all’intimo spirito dell’art. i dello Statuto, quasi svanito negli eccessi del parlamentarismo, ai quali il frantumarsi della Nazione in partiti labili e sva­ riatissimi aveva dato luogo: dall’altra, occorreva coordinarlo a quella originale creazione del Fasci­ smo che è l’assetto corporativo dello Stato. Il voto dato dalla Camera al Governo nella se­ duta del 22 novembre 1924, conferì al Parlamento la solennità di una funzione costituente, poiché fu la premessa di tutte quelle leggi che nel loro complesso costituiscono il Corpus del nuovo di­ ritto pubblico italiano. Quali le riforme principali che attuate in di­ pendenza delle accennate necessità, hanno nello Statuto infuso lo spirito del Fascismo e saldato il Fascismo alle grandi tradizioni della Monarchia e del Risorgimento? Esse riguardano i c. d. diritti pubblici subiettivi dell’individuo, contemplati dagli art. 26, 27 28, 29 e 32 dello Statuto, e considerati diritti di libertà civile. Essi sono tante specificazioni del principio scolpito nella prima parte dell’art. 26 : « La libertà individuale è garantita » : enunciazione generica che acquista contenuto concreto non solo nelle altre citate norme dello Statuto, ma in altre leggi di diritto pubblico, specialmente penali, essendo pro­ prio di queste il concetto piu energico di sanzione in cui si realizza la garanzia di un diritto. Comun­

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que, i beni protetti nella categoria comprensiva del­ la libertà possono cosi specificarsi : inviolabilità del domicilio; libertà di soggiorno e di emigrazione; libertà di corrispondenza o segreto epistolare; in­ violabilità della proprietà da parte dello Stato; li­ bertà religiosa; libertà dell’esercizio professionale; libertà di lavoro; libertà di pensiero, di stampa, di riunione e di associazione. Vedremo altrove - poiché, per la vasta disciplina di leggi cui hanno dato luogo, assumono l’im­ portanza di nuclei degli attuali ordinamenti giu­ ridici e politici - su quali fulcri si regga oggi la libertà di lavoro e quella religiosa. Sono le ultime quattro che hanno assunto at­ teggiamenti e limiti diversi per effetto del più ri­ goroso vincolo di dipendenza del cittadino dallo Stato. S’intende che la libertà di pensiero in tanto può formare oggetto di una disciplina giuridica in quanto del pensiero si consideri non il processo interiore di formazione ma la manifestazione o la divulgazione. Da questo punto di vista, parlare di libertà di pensiero equivale a parlare di libertà di stampa, di riunione o di associazione, ed inol­ tre di libertà d’insegnamento. L ’energia espansiva del pensiero, per tutti questi tramiti non può rendere indifferente lo Stato, che abbia coscienza dei suoi fini e della sua funzione, all 'uso di essi. Come si esprime, il pensiero ha una possibilità di diffusione che ne fa l’oggetto di un rapporto sociale, in cui lo Stato deve interve­ nire, come in ogni altro rapporto sociale, per ar20

nerle distinte, perché il giurista non possa dubitare della legittimità, e perché si debba riconoscere c0J3S p V pito dei governanti la valutazione delle c ir c o s M p ^ ^ « ' e la determinazione dei limiti. N on è il p e r i z i e r ò a che lo Stato limita; ma l’esercizio del diritto relax tivo, non diversamente da ciò che avviene nel di­ ritto di proprietà. L ’agnosticismo dello Stato può spiegarne l’inerzia rispetto alle manifestazioni del pensiero: ma uno Stato che viva di una fede e per un obiettivo, non può essere inerte. Se ai falsi democratici sembra preferibile uno Stato scettico ed una libertà di pensiero senza freni, noi preferia­ mo uno Stato orientato in una fede ed una libertà di pensiero negl’individui coordinata alla prima. La coscienza dello Stato risulta nei singoli dai limiti che la libertà di questi s’impone od accetta; ed ha, per la stessa perenne vita dello Stato, possi­ bilità di rendimento infinitamente maggiori. E for­ se è anche vero che, quando lo Stato cessa di essere semplice tutore di diritti individuali e comincia ad avere una missione propria, che sovrasta i singoli, e ad essere, come è per il Fascismo, espressione dello spirito di tutta una nazione, questi limiti al­ l’esercizio della libertà individuale di pensiero, non agiscono che all’inizio, mentre nelle fasi successi­ ve, è la missione gradualmente attuantesi dello Sta­ to che modella, da sola e potentemente, il pensiero 21

dei singoli, rendendo inutili i freni della legge. Nel che è uno degl’indizi eminenti della virtù educa­ tiva della legge. U n ’affermazione di questi principi è oggi nell’obbligo del giuramento imposto ai professori univer­ sitari, senza che in ciò possa vedersi una violazio­ ne della libertà della indagine scientifica o specula­ tiva. Ciò che vuole e deve vietarsi, non è la critica tecnica, senza la quale nessuna trattazione o inda­ gine scientifica sarebbe possibile, ma la censura, o peggio, la denigrazione politica dello Stato, delle sue istituzioni e delle sue leggi sotto l’egida del­ l’insegnamento. Il Concordato tra la Santa Sede e l’Italia, negli articoli da 55 a 60, conferma il principio della li­ bertà dell’insegnamento, salvo l’obbligo dell’esame di Stato, nelle scuole tenute da Enti Ecclesiastici o religiosi; ed inoltre sanciscono: la dipendenza diretta ed unica dalla Santa Sede delle Università e Seminari maggiori e minori per la formazione e cultura degli ecclesiastici; l’insegnamento della dot­ trina cristiana nelle scuole elementari; il riconosci­ mento da parte dello Stato italiano delle lauree in Sacra teologia date dalle Facoltà approvate dalla Santa Sede; il nulla osta da parte della Santa Sede per la nomina dei professori dell’Università Catto­ lica del S. Cuore e del dipendente Istituto di Ma­ gistero Maria Immacolata. Quanto alla stampa, l’ardcolo 28 dello Statuto proclama : « La stampa è libera, ma una legge ne reprime gli abusi ». Abrogato l’Editto sulla stam­ pa 26 marzo 1848, tali leggi sono oggi: il R. D. 22

15 luglio 1923 n. 3288, convertito nella cembre 1925 n. 2309; il R. D . io n. 1081, convertito nella legge 31 n. 2308; la legge 31 dicembre 1925 n. 2307, regolamento 4 marzo 1926 n. 371. U n insieme di norme che fa della stampa quotidiana o periodica uno strumento di elevazione civile del popolo e un organo di collaborazione politica. È prescritto, per esse, che ogni giornale od altra pubblicazione periodica abbia un direttore respon­ sabile. Qualora il direttore sia senatore o deputato, il responsabile dovrà essere uno dei principali re­ dattori del giornale o della pubblicazione periodica. 11 direttore o redattore responsabile deve essere iscritto nell’albo professionale dei giornalisti, cosi come solo a coloro che siano iscritti nell’albo stesso è consentito l’esercizio della professione giornali­ stica, in genere. Il direttore o redattore responsa­ bile deve ottenere il riconoscimento dal procuratore generale presso la Corte d’Appello, nella cui giu­ risdizione è stampato il giornale o la pubblicazione periodica. Il procuratore generale può negare o re­ vocare il riconoscimento a coloro che fossero stati due volte condannati per delitti commessi a mezzo della stampa. In tal modo, gli abusi che l’Editto del ’48 creava con la figura del gerente responsabile, scelto (ironia delle parole!) il piu delle volte fra ignoranti irre­ sponsabili indotti dal bisogno o da torbide pas­ sioni a mettere a servigio dell’ audacia e della perfidia faziosa la loro miseria o la loro ignoranza, sono cessati. Il torneo di competizioni giornalistiche in cui i piu sacri diritti della Nazione, la pace 23

pubblica, l’onore e la reputazione dei privati pos­ sano essere impunemente manomessi, è chiuso. A l grande potere della stampa corrisponde una pro­ porzionata responsabilità; e per evitare che le pre­ rogative parlamentari possano frustrarla, si è pre­ scritto che, quando il direttore sia un deputato o senatore, responsabile debba essere il redattore capo. Ma, in considerazione del danno che la stampa produce con una rapidità fulminea cui è rimedio impari o tardivo la repressione dei colpevoli, la legge predispone una serie di misure preventive. E cioè: a) 11 Prefetto della Provincia ha facoltà, salvo l’azione penale, ove sia il caso, di diffidare il re­ dattore di un giornale o periodico se questo, con notizie false o tendenziose, rechi intralcio all’azione diplomatica del Governo nei rapporti con l’estero o danneggi il credito nazionale all’interno od al­ l’estero, o desti ingiustificato allarme nella popola­ zione o dia motivi di turbamento dell’ordine pub­ blico; e se il giornale o il periodico, con articoli od altro, istighi a commettere reati o ecciti all’odio di classe o alla disubbidienza alle leggi o agli or­ dini dell’autorità o comprometta la disciplina degli addetti ai pubblici servizi o favorisca g l’interessi di Stati, enti o privati stranieri a danno degl’interessi italiani, ovvero vilipenda la Patria, il Re, la Real Famiglia, il Sommo Pontefice, la Religione dello Stato, le istituzioni ed i poteri dello Stato o le potenze amiche; b) Il Prefetto o un funzionario da lui delegato può ordinare il sequestro di giornali od altri scritti 24

periodici che rientrino nei casi previsti per fida. Contemporaneamente alla domanda per noscimento del responsabile, lo stampatore naie o del periodico e l’editore debbono al procuratore generale una dichiarazione nente le generalità di tutti i proprietari del gior­ nale o del periodico, il loro domicilio e la loro residenza. I proprietari del giornale sono civilmen­ te responsabili in solido fra loro e con 1 editore, per il pagamento delle somme dovute per ripara­ zioni o risarcimento di danni o per le spese del provvedimento in dipendenza di condanne pro­ nunziate per i reati commessi a mezzo della stam­ pa. Le macchine, i caratteri, e gli altri oggetti del­ la tipografia costituiscono garanzia a termine del Codice di procedura penale, per il pagamento del­ le somme dovute per riparazione o risarcimento di danni e per le spese processuali in dipendenza di condanne pronunziate per reati commessi a mezzo della stampa, salvi gli eventuali privilegi derivanti dal contratto di lavoro fra editori e giornalisti a meno che i proprietari non preferiscano depositare una cauzione che sarà determinata caso per caso, a principio di ogni anno, dal Presidente del T ri­ bunale. I diritti di riunione e di associazione si connet­ tono da una parte a quelli di liberta di pensiero, dall’altra, e ne sono forse la manifestazione più importante, a quelli di libertà politica. Quanto al primo, riconosciuto dall’art. 32, pri­ ma parte, dello Statuto « il diritto di adunarsi pa-

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cuficamente e senz’armi, uniformandosi alle leggi che possono regolarne l’esercizio nell’interesse del­ la cosa pubblica », il diritto cioè di adunarsi in luoghi privati, è dal capoverso dello stesso articolo dichiarato che « questa disposizione non è appli­ cabile alle adunanze in luoghi pubblici, od aperti al pubblico, i quali rimangono interamente sog­ getti alle leggi di polizia». E queste (T. U. 18 giugno 1931 n. 773, al Tit. II, Cap. I, II e III) provvedono a disciplinare con norme precise, che non si applicano alle riunioni elettorali dal giorno della convocazione dei comizi a quello della vota­ zione, le riunioni pubbliche, gli assembramenti in luoghi pubblici, le cerimonie religiose fuori dei templi e le processioni ecclesiastiche e civili, la rac­ colta d ’armi e le passeggiate in forma militare. N ell’insieme: è imposto l’obbligo del preavviso della riunione tre giorni prima all’autorità di P. S.; è considerata pubblica la riunione, anche per in­ vito a forma privata, quando il luogo designato, il numero delle persone invitate, l’oggetto, esclu­ dono il carattere privato; l’autorità può, o per omes­ so avviso, o per ragioni di ordine pubblico (in­ sindacabile potere discretivo), evitare la riunione; le riunioni e gli assembramenti possono essere sciolti per ragioni di ordine pubblico o per manifestazioni sediziose o lesive alla dignità ed al prestigio del­ l’autorità. Le norme sulle pubbliche riunioni de­ vono osservarsi, compreso l’obbligo del preavviso, anche per le manifestazioni religiose fuori dei tem­ pli, le processioni religiose e civili, tranne per gli accompagnamenti del Viatico e per gli accompa­ gnamenti funebri sotto determinate condizioni. 26

Quanto al diritto di associazione, che, visto nel suo contenuto positivo e nei limiti posti dalle varie leggi, finisce per coincidere col principio organiz­ zativo dello Stato, ha trovato in tutto un insieme di leggi un assetto completo e nuovo. Anzitutto, il Governo Nazionale non poteva non rilevare che la sovranità dello Stato e l’uguaglianza dei citta­ dini di fronte alla legge sono incompatibili con qualsiasi specie di società occulte, di considerare il pericolo che per la disciplina nazionale e per l’autorità dello Stato all’interno e per la sua indipendenza all’estero rappresentava l’esistenza, ed ancor più il diffondersi tra i pubblici impiegati e persino tra i magistrati e gli ufficiali dell’esercito e della marina, di siffatte associazioni ed in ¡specie delle massonerie e delle associazioni di carattere massonico: il sovrapporsi, cioè, di una gerarchia privata od occulta alla gerarchia statale. E pertanto con la legge 26 novembre 1925, detta sulle asso­ ciazioni segrete, si provvide a regolare l’attività di tali associazioni e ad impedire l’appartenenza ad esse dei funzionari, impiegati, agenti, civili e mi­ litari di ogni ordine e grado dello Stato, delle provincie, dei comuni c degli istituti sottoposti alla tutela degli stessi enti, comminando la pena della destituzione o rimozione dal grado o dall’impiego, o del licenziamento. Con la legge 25 novembre 1926, n. 2008, che a quella ora accennata si rannoda nel disegno di assicurare la salda struttura unitaria dello Stato, si comminò la pena della reclusione da tre a dieci anni a chiunque, anche sotto forma e norme di­ verse, ricostituisca associazioni o partiti disciolti 27

per ordine della pubblica autorità; da due a cin­ que anni a chi ne fa parte e a chi fa in qualsiasi modo propaganda della dottrina, dei programmi e dei metodi di azione di tali associazioni o partiti. E con la legge 27 febbraio 1927 n. 224 si com­ pleta il diritto positivo delle riunioni od associa­ zioni, disciplinandosi e coordinandosi le pubbliche manifestazioni di scienza, intellettualità, beneficen­ za, sports, e delle commemorazioni ed onoranze. Con essa, si subordinano alla preventiva approva­ zione del Prefetto, sentita un’apposita commissione da costituirsi in ogni provincia, siffatte manifesta­ zioni pubbliche, ed a quelle del Capo del Governo, sentiti i Ministri interessati, le manifestazioni che assumono importanza nazionale. Si vieta conce­ derla alle manifestazioni comunque contrastanti con la coscienza nazionale, o che, per ragioni va­ rie, non dànno garanzia di raggiungere il fine che si propongono. N on è richiesta invece per le ma­ nifestazioni ufficiali, o autorizzate con legge spe­ ciale oppure in modo permanente a norma delle disposizioni vigenti, e le tradizionali, delle quali ultime, però, dovrà darsi preventivo avviso al Pre­ fetto. La scomparsa di alcuni vecchi partiti, travolti dal Fascismo che, mentre essi scomponevano e dis­ gregavano, unifica e fonde le correnti nazionali in coscienza nazionale; la soppressione di altri, con­ trastanti coi fini della N azione; il rapido, fatale af­ fermarsi del carattere totalitario del regime; il per­ fetto identificarsi della funzione del Fascismo con quella dello Stato hanno condotto alla piu note28

vole ed originale innovazione del nostro diritto pubblico : l’inserirsi del Partito Nazionale Fascista fra le vere e proprie istituzioni costituzionali dello Stato. L ’antica, suggestiva controversia che divideva i giuristi, intorno al posto che nel diritto pubblico può assegnarsi ai « partiti », in generale, è stata risolta dalla realtà italiana, per virtù di ciò che il Partito Nazionale Fascista è, inconfondibilmente, fra tutti i partiti del mondo. La soluzione è il co­ rollario inevitabile delle quattro premesse che ab­ biamo testé precisate; mancandone una, il risultato vien meno. Da questo aspetto, anzi, può anche af­ fermarsi che il problema della posizione dei par­ titi nel diritto pubblico resta, nella sua normale impostazione, insoluto, o risoluto negativamente, in quanto un partito come quello Fascista ha ca­ ratteri che lo pongono agli antipodi degli altri, poiché in tanto esso entra tra le istituzioni dello Stato, in quanto raccoglie in sé le condizioni che agli altri mancano per entrarvi e perciò nega in sé i caratteri di partito, quali erano tradizionalmen­ te intesi. Ciò che determina l’opposta soluzione l’ele­ mento originario del Partito. Mentre questo è, nel­ la sua nozione comune ed antica, accolta volon­ taria di persone che intorno alle maggiori questioni politiche propugnano le stesse idee, e, come vo­ lontario è nel nascere, tale resta nelle sue succes­ sive vicende, il Partito Fascista fu volontario nel sorgere, ma divenne necessario per il suo program­ ma. Per la potente azione del suo fondatore, avente la duplice qualità di Duce del Fascismo e Capo del Governo, si è via via creato fra partito e G o­ 29

verno un cosi fitto ed organico sistema di relazioni e di vincoli che il primo non appare piu separa­ bile dall’altro, e da questo sistema il tipo fascista dello Stato trae uno dei suoi preminenti caratteri distintivi. Già dissi che, mentre i partiti esauri­ scono il loro ciclo di vita con la conquista del po­ tere, il Fascismo visto in quel che attualmente è, ha avuto in essa soltanto il suo atto di nascita: aggiungo che, mentre quelli si lasciano studiare in una loro mutevole funzione di appoggio o di antagonismo allo Stato od al Governo, il Fasci­ smo non si lascia studiare che come una forza insita nello Stato e nel Governo, costante nelle di­ rettive, crescente negli elementi che la compon­ gono, rinnovantesi nei quadri del comando. E men­ tre quelli hanno, in conseguenza del vincolo vo­ lontaristico che li domina, per obiettivo il potere, il Fascismo ha per divisa e per programma il do­ vere. Tutto questo complesso di caratteri si compendia nella definizione del Partito Nazionale Fascista: « Milizia civile agli ordini del Duce, al servizio dello Stato Fascista » (art. i dello Statuto) e nel modo con cui lo Statuto di esso viene formato: approvato con Decreto Reale, uditi il Gran Con­ siglio del Fascismo (art. n n. 2 legge 9 dicem­ bre 1928 n. 2693) ed il Consiglio dei Ministri. Sono della massima importanza, per il loro va­ lore sistematico nel nostro diritto pubblico, le nor­ me sugli organi, sulle prerogative di essi, sulla di­ sciplina. Un concetto unificatore le allaccia : ingra­ nare le responsabilità del fascista in quelle dello Stato e il Fascismo nello Stato, in modo che non 3°

si abbia, né nei diritti né nei doveri, una doppia figura, eventualmente contradittoria : quella del cittadino e quella del fascista. Il Partito Nazionale Fascista, attraverso i ge­ rarchi e gli organi collegiali, svolge la sua attività sotto la guida del Duce e secondo le direttive se­ gnate dal Gran Consiglio del Fascismo (art. 5). Una posizione eminente è assicurata agli organi centrali. Il Direttorio Nazionale, presieduto dal Segretario del P. N . F., è costituito da due vicesegretari, da un segretario amministrativo e da sei componenti. Il Duce propone al Re la nomina e la revoca del Segretario del P. N . F. Questo fa parte del Gran Consiglio del Fasci­ smo e ne è il Segretario; può essere chiamato a partecipare alle sedute del Consiglio dei Ministri; fa parte della Commissione Suprema di Difesa, del Consiglio Superiore dell’Educazione Nazionale, del Consiglio d’Amministrazione dell’Istituto N azio­ nale Fascista di Cultura, del Consiglio Nazionale delle Corporazioni e del Comitato Centrale Cor­ porativo; è Presidente dell’Unione Nazionale U f­ ficiali in congedo d’Italia, della Commissione A m ­ ministrativa degli Uffici Nazionali per il colloca­ mento gratuito dei prestatori d’opera, Vicepresiden­ te del Comitato Centrale per le Opere Universi­ tarie, Segretario dei Gruppi universitari fascisti e Comandante dei Fasci giovanili di combattimento. Oltre a presiedere all’attività del Direttorio N azio­ nale, egli, in base alle direttive del Gran Consiglio del Fascismo, impartisce le disposizioni per l’opera che devono svolgere gli organismi dipendenti, ri­ 3i

servandosi il piu ampio controllo. Nomina i Diret­ tori Federali, i Segretari dei Gruppi Universitari Fascisti e le Fiduciarie dei Fasci Femminili, su proposta dei Segretari Federali. Controlla il fun­ zionamento degli organi periferici, perché ogni lo­ ro atto corrisponda allo spirito del Fascismo; man­ tiene il collegamento con gli organi corporativi, e con gli altri organi dello Stato. Ha alla sua diretta dipendenza il Comitato Olimpionico N a­ zionale Italiano, l’Opera Nazionale Dopolavoro (art- 7)> È evidente che da tutto ciò deriva al Partito Nazionale Fascista il carattere, in ogni suo atto: di rispondenza ai fini della Rivoluzione (nessi col Gran Consiglio del Fascismo e dipendenza dal Duce); di legalità (intervento degli organi legisla­ tivi e delle garanzie legislative nella formazione dello Statuto); di conformità allo spirito totalitario del regime (preminenza gerarchica del Segretario del Partito Nazionale Fascista rispetto a tutte le organizzazioni su indicate). Il carattere di milizia si afferma e si realizza, fra l’altro, nella periodicità della Leva Fascista: questa consiste nel passaggio di Balilla nelle file degli Avanguardisti e degli Avanguardisti nelle file dei Giovani Fascisti, nonché nel passaggio di que­ sti ultimi nel Partito Nazionale Fascista e nella Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Es­ sa viene effettuata il 21 aprile, Natale di Roma, festa del Lavoro (art. 14). Diritti e doveri sono improntati a un principio di perfetta corrispondenza. I primi hanno per ful­ cro questa norma: «Le cariche direttive, i comandi 32

o g l’incarichi dovranno essere affidati a Camicie Nere, che abbiano combattuto od operato per la Rivoluzione, o ai Fascisti che provengono dalle organizzazioni giovanili » (art. 6). Ed i secondi: « Il Fascista che viene meno a f suo dovere, per indisciplina o per deficienza delle qualità che costituiscono lo spirito tradizionalmente fascista, deve essere, salvo casi di assoluta urgenza, dal Segretario Federale, deferito alla Commissione Federale di disciplina » (art. 18). Le punizioni disciplinari sono: la deplorazione; la sospensione a tempo determinato (da un mi­ nimo di un mese al massimo di un anno); la sospensione a tempo indeterminato; il ritiro della tessera; l’espulsione dal Partito Nazionale Fascista. 11 ritiro della tessera s’infligge al Fascista che incorra in gravi mancanze disciplinari o dimostri di non possedere le qualità che costituiscono lo spirito tradizionalmente fascista. L ’espulsione, ai traditori della Causa della Rivoluzione fascista e a coloro che siano stati condannati per reati infa­ manti. Il Fascista espulso ha l’obbligo di astenersi da ogni attività politica e non può far valere alcun diritto che gli derivi dalla sua qualità di Fascista (art. 23). L ’espulso deve essere messo al bando dal­ la vita pubblica (art. 20), conseguenza necessaria della identificazione degli scopi del Partito con quelli della Nazione, e della concezione nuova del­ lo Stato, espressione dello spirito e strumento dei destini della Nazione, non già esanime conglome­ rato di cariche o fonte di profitti in condominio pei cittadini. È però disposto che nessuna punizione può es33 s.

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sere proposta o inflitta se non dopo aver contestato gli addebiti e vagliate le difese (art. 25); che la sanzione disciplinare deve essere accompagnata dal­ la motivazione; che il colpito ha diritto di ricor­ rere al Segretario Federale per le punizioni inflitte dalla Commissione Federale di disciplina, ed al Segretario del Partito Nazionale Fascista per quel­ le inflitte dal Segretario Federale, sol che, non ostante il ricorso, il procedimento - la sua indole politica spiega la norma - è immediatamente ese­ cutivo (art. 21); che la posizione dell’espulso non è suscettibile di revisione se non in caso di errore, risultante da fatti nuovi o da nuove prove e sol­ tanto in seguito ad ordine del Duce (art. 20). Questo Statuto ci pone dinanzi ad un mirabile esperimento di assetto giuridico di un partito poli­ tico, che anche in virtù di esso, assurge ad organo, giuridicamente costituito, dello Stato. Il momento legislativo in cui ha culminato il collegamento fra la Rivoluzione Fascista e la Co­ stituzione, con la creazione di un organo che inquadra nell’ordine costituzionale la perenne vita­ lità della Rivoluzione, è segnato dalla legge 9 di­ cembre 1928 n. 2693 sull’ordinamento e le attri­ buzioni del Gran Consiglio del Fascismo. Impe­ dire che la Rivoluzione fosse, come per la maggior parte delle altre è stata, una fiamma che, dopo aver molto consunto del passato, morisse nelle stes­ se ceneri delle cose distrutte; o sopravvivesse alla breve ora della sua azione come vaga, sottile eva­ nescenza ideologica; ed assicurare ad un tempo che dal suo vitale persistere non fosse vulnerata 34

l’opera dei precursori e dei costruttori della Patria, in quella sua fondamentale struttura che le dà una tradizione, un volto, un’anima, in quel suo « modo di volere e dover essere » in cui si risolve una Co­ stituzione quale espressione della volontà di un po­ polo e della sua necessità storica, quale segreto del suo equilibrio e della sua stabilità: ecco i due obiettivi ai quali, mi sembra, obbedisce il sorgere di quest’organo nuovo ed originalissimo, il Gran Consiglio. La cui concezione basta da sola a testi­ moniare la complessa e singolare personalità sto­ rica del suo Artefice, che, come nessun altro capo di rivoluzione, ha il senso dell’unità storica del paese, come epoche che si concatenano e istituti che si collegano e si evolvono lungo una linea ascendente che nasce da Roma e raffigura il de­ stino spiritualmente imperiale piu che di un po­ polo, di una stirpe; e questo senso dell’unità con­ sacra negli sviluppi della Rivoluzione, sottraendola alle discontinuità violente, episodiche e perciò pre­ carie che contrassegnano, invece, le semplici insur­ rezioni. Il Gran Consiglio del Fascismo è la chiave di volta che concatena, nell’unità della Rivoluzione, i muri maestri dell’edificio costituzionale italiano. L ’assetto gerarchico fa dello Stato una piramide : tale dev’essere anche il Regime, come insieme di forze organizzate che devono tutte nel vertice di­ rettamente ripercuotersi e riassumersi. L o Stato ha la sua “ sintesi personale nel Sovrano ” : una sintesi ugualmente “ personale ” delle organizza­ zioni nel Capo del Fascismo avrebbe, fra l’altro, dal punto di vista strettamente giuridico, fatto di 35

questo il loro “ rappresentante ” , creando, pur nel­ l’àmbito della piu stretta rispondenza - dati i prin­ cipi essenziali del Regime - della volontà dell’uno all’azione dell’altro, come una dualità tra forze rappresentate e rappresentanti. D i qui il bisogno, costituzionale, giuridico, politico, di una sintesi ¡“ collegiale ” delle organizzazioni stesse, per la quale sono esse medesime che salgono fino al ver­ tice e sono presenti ed operanti nelle decisioni che riassumono, serbano e trasmettono, verso tutti i punti della piramide, lo spirito della Rivoluzione. I suoi caratteri sono scolpiti nella Relazione che fu presentata dal Capo del Governo al Senato il 6 novembre 1928 a chiarificazione del contenuto e dei fini del nuovo organo : « decisivo passo in­ nanzi fatto verso l’assorbimento, da parte dello Stato, delle grandi istituzioni sorte dalla Rivolu­ zione del 1922. Il Gran Consiglio, costituito su­ bito dopo l’avvento del Fascismo al potere, per la necessità, immediatamente sentita, di un organo di coordinamento e di integrazione delle varie for­ ze del Regime, diviene ormai, anche dal punto di vista giuridico, un organo dello Stato». « Una moltitudine di istituzioni si è venuta creando per cui la vita del Fascismo si è sempre piu identificata con la vita della Nazione... Nessun aspetto della vita nazionale sfugge a questa sapien­ te disciplina, per la quale si può dire veramente che il popolo tutto intero, e non più una ristretta classe di politicanti, partecipa attivamente alla vita nazionale. Tutta questa mirabile rete di istituzioni fa oggi parte dell’ordinamento giuridico dello Sta­ to. Per essa lo Stato Fascista si afferma non sol36

tanto come uno Stato d’autorità, ma anche come uno Stato popolare, il solo tipo di Stato veramente popolare che il mondo moderno abbia fino ad oggi creato. » D i qui la necessità di « un organo supremo, nel quale tutte le istituzioni del Regime e tutte le sue forze organizzate si incontrino, ven­ gano a contatto, e si crei una sintesi che sia tempo stesso disciplina e coordinamento degli sfi ^ zi ». D i qui, l’utilità di « una ristretta a ssem b le'A ^ ' presieduta dallo stesso Capo del Governo, n e R Ì ^ ^ * * quale siedano tutti i capi delle forze organizzate del Regime, nella quale il segreto della discussione consenta di sopprimere ogni formalità esteriore del dibattito parlamentare e di liberamente parlare nel solo interesse dello Stato e della Nazione». Quale - ed è il punto piu delicato - la sua po­ sizione nell’ordinamento costituzionale dello Sta­ to ? « Mentre la sintesi personale dello Stato si concreta nella persona augusta del Re, Capo Su­ premo, la sintesi collegiale delle varie organizza­ zioni esistenti nello Stato, si realizza nel Gran Con­ siglio. » Rispetto al Governo « il Gran Consiglio adempie alla duplice funzione di tramite fra esso e le altre forze organizzate della Nazione, e di consulente ordinario in materia politica. Sarebbe erroneo pen­ sare ad una situazione di dipendenza del Governo dal Gran Consiglio. 11 Governo non dipende dal Gran Consiglio più di quello che dipenda dal Par­ lamento... Il Gran Consiglio non sta sopra il Go­ verno, sta accanto al Governo per collaborare con lui, ascoltando i suoi propositi e le sue informa­ zioni, dandogli a sua volta notizie sulle condizioni 37

materiali e morali delle masse e sul loro stato di spirito, e su tutto liberamente discutendo, e pro­ ponendo le soluzioni che gli sembrano migliori. M a la responsabilità dell’azione politica rimane pur sempre al Governo, a cui spetta la decisione ». Rispetto al Parlamento, « anche quando il Gran Consiglio viene chiamato a partecipare alla funzio­ ne legislativa, il suo compito rimane quello di una consulenza altissima ma non vincolante. Viceversa, il Gran Consiglio, sia pure nella sua limitata fun­ zione di consigliere della Corona e del Governo, può interloquire in questioni che sono normalmente sottratte all’esame del Parlamento, come il diritto di guerra e di pace che sono, secondo lo Statuto, prerogative della Corona. Tale prerogativa non è certo toccata dall’intervento, d’altronde puramente facoltativo, del Gran Consiglio ». Questo è insom­ ma « supremo consulente della Corona, consulente ordinario del Governo in materia politica, partecipe, in qualche modo, del Potere legislativo ». La sua composizione (L. 14 dicembre 1929 n. 2099) è stabilita appunto in relazione alla sua fina­ lità, di essere cioè l’organo coordinatore di ogni at­ tività nazionale, espressione dei poteri dello Stato e delle maggiori esigenze della Nazione. N e è presidente il Capo del Governo; segretario, il Segretario del Partito Nazionale Fascista. N e sono membri, per un tempo illimitato, i Quadrumviri della Marcia su Roma. N e sono membri a cagione delle loro funzioni e per tutta la durata di queste: il Presidente del Senato e il Presidente della Camera dei Deputati; i ministri segretari di Stato per gli affari esteri, per l ’interno,

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per la giustizia, per le finanze, per l’educazione nazionale, per l’agricoltura e le foreste, per le corporazioni; il Presidente della Reale Accademia d’Italia; il Segretario e i due Vice-Segretari del P. N . F .; il Comandante Generale della Milizia volontaria per la Sicurezza Nazionale; il Presidente del Tribunale Speciale per la difesa dello Stato; i Presidenti delle Confederazioni Nazionali Fasciste e delle Confederazioni Nazionali dei Sindacati Fa­ scisti dell’industria e dell’agricoltura. A tutte le persone finora indicate, la qualità di membro del Gran Consiglio è riconosciuta con De­ creto Reale, su proposta del Capo del Governo. Con le stesse forme, il riconoscimento può essere in ogni tempo revocato. Una terza categoria di membri è costituita da co­ loro che, avendo, quali membri del Governo o Se­ gretari del P. N . F . dopo il 1922 o per altri titoli, ben meritato dalla Nazione e dalla Causa della Ri­ voluzione Fascista, possono essere nominati con decreto del Capo del Governo, per la durata di un triennio, e con facoltà di conferma, e con la stessa forma revocati. Le attribuzioni del Gran Consiglio si distin­ guono in deliberative e consultive. Esso delibera : sulla lista dei deputati designati ai termini dell’art. 5 della legge 17 marzo 1928 n. 1019; sugli statuti, gli ordinamenti e le diret­ tive politiche del P. N . F .; sulla nomina e la re­ voca del Segretario, dei Vice-segretari, del Segre­ tario amministrativo e degli altri membri del D i­ rettorio del P. N . F. Deve essere sentito il suo parere su tutte le que­ 39

stioni aventi carattere costituzionale, e tali sono considerate le proposte di legge concernenti: la successione al Trono, le attribuzioni e le prero­ gative della Corona; la composizione e il funzio­ namento del Gran Consiglio, del Senato del Regno e della Camera dei Deputati; le attribuzioni e le prerogative del Capo del Governo; la facoltà del potere esecutivo di emanare norme giuridiche; l’or­ dinamento sindacale e corporativo; i rapporti fra lo Stato e la Santa Sede; i trattati internazionali che importino variazioni al territorio dello Stato e delle Colonie ovvero rinuncia all’acquisto dei territori. Un altro potere, piu che consultivo, di designa­ zione, gli deriva daìl’art. 13, per il quale, su pro­ posta del Capo del Governo, il Gran Consiglio for­ ma e tiene aggiornata la lista dei nomi da pre­ sentare alla Corona, in caso di vacanza, per la nomina del Capo del Governo. Ed è un corollario di questo, l’altro potere di formare e tenere aggior­ nata, ferme restando le attribuzioni e le prerogative del Capo del Governo, la lista delle persone che, in caso di vacanza, esso reputa idonee ad assu­ mere funzioni di governo. In virtu di questa legge, Partito e Governo, Re­ gime e Stato sono in una distribuzione perfetta di compiti e di poteri, vividi della linfa degli stessi principi; sono forza ed aspetti inseparabili di una sola unità che tutti li comprende e sovrasta: la Nazione.

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Ili R E L A Z IO N I D E L L O S T A T O C O N L A S A N T A SEDE Q u esto problema risoluto dal Fascismo dopo un triennio di trattative, con tre documenti (Trat­ tato, Convenzione finanziaria e Concordato), seb­ bene essenzialmente politico, ha vaste ripercussio­ ni legislative. Se il diritto pubblico deve essere considerato non un mero insieme di norme ma an­ che un sistema di rapporti dei cittadini con lo Stato o fra enti pubblici, il suo più importante capitolo, accanto a quello della costituzione interna dello Stato, è costituito dai rapporti dello Stato ita­ liano con la più alta Potenza spirituale del mondo. Il disagio con cui cercò ovviare, mentre con­ tribuì forse ad accrescerlo, la legge detta delle Guarentigie, 13 marzo 1871 n. 214, e che il Fa­ scismo ha superato, era il prodotto di un dramma secolare, agitatosi per più aspetti contradittori, du­ rante tutto il Medioevo. Nato in Palestina, il Cristianesimo aveva già in sé medesimo la forza della sua espansione uni­ versale, ma trovava in Roma, pur fra i crollati confini dell’Impero, il disegno di un ordine mon­ diale nel quale immettersi ed affermarsi, e nel­ la stirpe italica la più adatta a sentirlo ed a pro­ pagarlo, per intima attitudine ai vertici della spi­ 4i

ritualità e del pensiero ed alla assimilazione de­ gli altri popoli nella propria civiltà. D i contro al rapido sorgere e tramontare degli Stati e nel con­ seguente progressivo frantumarsi del popolo ita­ liano, la Chiesa trovava nella stessa eternità ed immutabilità della sua missione la forza per cre­ scere ed imporsi come la sola sovranità stabile e via via piu rigorosa. Ma lo svolgimento di questo destino storico della Chiesa, mentre appagava i profondi bisogni imperiali dello spirito ladno, av­ veniva, entro i nostri confini, a tutto detrimento dell’unità e della libertà politica del popolo ita­ liano. La espansione cattolica della Chiesa era in­ sieme trionfo del Cristianesimo e della latinità, ma portando al rafforzamento della sua autorità tem­ porale, acuiva il nostro problema nazionale e ne esasperava le difficoltà. Restituita politicamente Roma all’Italia, la for­ mula « Libera Chiesa in Ubero Stato » rappresentò un compromesso: in certo senso, una illusione. Fra le due tesi estreme che si contesero il campo durante la discussione della legge delle Guarenti­ gie, quella che nella cessione anche di un palmo di territorio vedeva una restaurazione del potere temporale del Papa, e quella che sosteneva doversi evitare che il Papa apparisse esposto alle influenze di un qualsiasi Stato, fu l’opinione del governo del tempo, che con quella legge credette schivare g l’inconvenienti di entrambe, ed in realtà, come Mussolini osservò nel discorso 13 maggio 1929 al­ la Camera dei Deputati, creò una sovranità. L ’idea della Conciliazione non cessò dal sorridere ai nostri uomini politici. Condizioni interne e forse interna­ ci

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zionali ne ostacolarono l’attuazione; la gara dei partiti e il loro alternarsi al potere concorsero non lievemente all’insuccesso. Occorreva la politica fer­ ma, schietta, consapevole del Fascismo a raggiun­ gere la mèta, a conciliare spiritualmente lo Stato italiano alla Santa Sede e anche ufficialmente il cittadino al cattolico. « Il Fascismo » continua Mussolini in quel di­ scorso memorando « faceva una polidca religiosa, vanamente religiosa... N on avevamo fobie né scru­ poli... Si andò anche più in là: si cercò di rive­ dere tutta la materia della legislazione ecclesiastica. Giustamente, bisogna riconoscere, i Papi si dole­ vano della legislazione antiecclesiastica del vecchio Piemonte. Questa è durata da quando il Siccardi, nel giugno 1850, volle abolito il Foro Ecclesiastico, fino a quando nel 1873 si soppressero le ultime Fa­ coltà teologiche nelle Università Regie... L a con­ tinuazione del dissidio interiore che le incerte, ibri­ de relazioni politiche fra lo Stato italiano e la Santa Sede cagionarono nei cattolici, sarebbe stata una ragione di debolezza per una politica che guar­ da a riplasmare gli Italiani in una piena e schietta interiore libertà. » « Io pensavo e penso che una rivoluzione è ri­ voluzione solo in quanto affronta e risolve i pro­ blemi storici di un popolo... La Rivoluzione do­ veva affrontare questo problema, pena la sua im­ potenza; e le soluzioni erano queste: o dichia­ rare abolita la legge delle Guarentigie e dire: la Rivoluzione Fascista considera il Sommo Pontefice alla stregua del supremo moderatore delle Tavole Valdesi o del Gran Rabbino, soluzione assurda e 43

di un rischio enorme; oppure conservare lo statu quo, continuare in questa atonia, in questa cro­ nicità esasperante, indegna di una rivoluzione. La terza soluzione era affrontare il problema in pieno. Perché, quando si diceva: “ occorre una sovrani­ tà ” non si sapeva quali confini questa sovranità dovesse avere... » « Ebbene, o signori, non abbiamo risuscitato il potere temporale dei Papi, lo abbiamo sepolto. Col Trattato dell’n febbraio nessun altro territorio pas­ sa alla Città del Vaticano all’infuori di quello che essa già possiede e che nessuna forza al mondo e nessuna rivoluzione le avrebbe tolto. Non si ab­ bassa la bandiera tricolore, perché là non fu mai issata! » E in una sintesi luminosa di verità : « La Città del Vaticano è grande per quello che è, per quello che rappresenta, non per un chilometro quadrato in piu o in meno ». D ei tre accennati documenti legislativi non pos­ sono qui accennarsi che le grandi linee. Il Trattato risolve ed elimina inesorabilmente la Questione Romana: si crea la Città del Vaticano, ed il Sommo Pontefice riconosce in modo esplicito e solenne il Regno d ’Italia, sotto la Monarchia dei Savoia, con Roma capitale dello Stato italiano. Nes­ suna menomazione delle conquiste del Risorgi­ mento, che ricevono anzi solenne riconoscimento dalla Santa Sede. D ’altra parte al posto di quella sovranità senza territorio e senza sudditi, di ordine puramente politico che Mancini definì un « equi­ voco idoneo in certe contingenze a divenire fonte per l’Italia di nazionali perturbazioni e calamità », 44

si crea e si riconosce dall’Italia uno Stato, in tutti i suoi fattori necessari, ma in cui il terri- ) torio, oltre e piu che suo elemento integrale, funzione di simbolo, scevro di qualsiasi comune nozione di temporalità, anch’esso spiritualizzandosi nella missione universale della Chiesa, che solo in essa trova i confini della sua potenza. La Convenzione Finanziaria stabilisce : « a tacitazione del passato e a garanzia di tutto il futuro » il versamento alla Santa Sede di 750 milioni in contanti e di un miliardo di Consolidato: un to­ tale di 400 milioni di lire oro. Il Concordato precisa le norme che dovranno re­ golare le relazioni tra lo Stato italiano e la Santa Sede in tutto ciò che può interessare e sollecitare le rispettive sfere di influenza: esercizio del po­ tere spirituale e del culto, matrimonio, giustizia, istruzione religiosa nelle scuole, enti e beni eccle­ siastici, ecc. La piu importante fra queste materie, il matri­ monio, contemplata nelPart. 34 del Concordato, con cui « lo Stato italiano, volendo ridonare al­ l’istituto del matrimonio, che è base della fami­ glia, dignità conforme alle tradizioni cattoliche del suo popolo, riconosce al sacramento de' matrimo­ nio, disciplinato dal diritto canonico, effetti civili », diede luogo, per l’avvicinamento, se non l’identi­ ficazione della disciplina del matrimonio civile e di quello religioso, alla legge 27 maggio 1929 n. 847, che può ben collocarsi, per il delicato si­ stema di rapporti regolati e modificati, tra i do­ cumenti legislativi più degni di un’epoca di alta civiltà giuridica. 45

L e norme modificatrici del Codice civile circa l’età, la dispensa da una serie di impedimenti, il consenso ristretto a quello solo fra i genitori che esercita la patria potestà, le pubblicazioni e la tra­ scrizione dell’atto di matrimonio nei registri dello stato civile, concretano la facoltà di scelta del cit­ tadino tra le varie forme di matrimonio, coordi­ nano al diritto dello Stato, preservandolo da qual­ siasi abdicazione ai propri fini, l’attribuzione degli eifetti civili al matrimonio religioso e suggellano quella elevazione spirituale dell’istituto, che è di­ fesa della Nazione nella sua cellula essenziale: la famiglia. Questo, come ogni altro degli argomenti disci­ plinati dal Concordato, è improntato al rispetto assoluto da una parte della preminenza religiosa della Chiesa, dall’altra dalla preminenza politica dello Stato: al concetto, insomma, del reciproco riconoscimento delle due sovranità, nell’orbita del­ le rispettive personalità e delle rispettive missioni. Illustrando alla Camera i tre atti, Mussolini potè dimostrare che, rispetto ai quattro altri Concordati stipulati dalla Santa Sede dopo la guerra - con la Lettonia, la Lituania, la Polonia e la Baviera - il nostro è « il migliore dal punto di vista dello Stato ». E dal porre in rilievo il loro spirito originale, con cui si attua non una delle superate alleanze fra Stato e Chiesa, ma la delimitazione definitiva di due sovranità, e, ad un tempo, la pacificazione e la collaborazione di tutte le forze spirituali che spiegano e sospingono il destino incomparabile del popolo italiano, trasse occasione ad una proclama­ 46

zione essenziale : quella della sintesi di tutte que­ ste riconosciute e ricomposte forze spirituali della Nazione : il carattere morale dello Stato. « Che cosa sarebbe dello Stato se non avesse un suo spi­ rito, una sua morale, che è quella che dà la forza alle sue leggi, e per la quale esso riesce a farsi ub­ bidire dai cittadini? Che cosa sarebbe lo Stato? Una cosa miserevole, davanti alla quale i cittadini avrebbero il diritto della rivolta o del disprezzo. Lo Stato fascista rivendica in pieno il suo carat­ tere di eticità ». La serenità è, per gli individui come per gli Stati, un aspetto della forza. D a quando nel Par­ lamento il Mordini dichiarò che la conciliazione con la Chiesa era un assurdo; Benedetto Cairoli espresse il suo timore che perfino le Guarentigie costituissero nella Santa Sede un governo irrespon­ sabile e superiore alle leggi, e Mancini dove bat­ tersi con un discorso gagliardo perché, a salvaguardia del prestigio dello Stato, le disposizioni della legge fossero almeno dichiarate di mero di­ ritto pubblico dello Stato, sottratte al vincolo di stipulazioni internazionali - ad oggi in cui, sva­ nite tutte le preoccupazioni, lo Stato ha potuto pro­ prio nella Conciliazione segnare l’orma profonda della sua forza - un immenso cammino si è per­ corso. E nei sessant’anni trascorsi da allora fecon­ do non è stato, per lo scopo, che il periodo breve del Fascismo. L e nubi che avevano offuscato i rap­ porti fra Chiesa e Stato, il disagio di una “ que­ stione romana ” avvertita come “ un inconveniente quasi fatale ” , sono dileguati appena il Fascismo ha infuso nello Stato il vigore, la coesione, l’unità che

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occorrono per essere, dalla certezza di sé, guidati alle giuste e chiare soluzioni. G l’Italiani hanno colto il vantaggio della pace interiore che scaturisce da una nuova conquista: l’italianità nella fede e la religiosità nello Stato; il frutto della più alta espressione dello spirito di questi tempi: lo Stato fascista.

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IV C A R TA DEL LAVORO C O N S IG L IO N A Z IO N A L E D E L L E C O R P O R A Z IO N I O g n i ordinamento giuridico è, se non il pro­ dotto, il riflesso di un piu ampio sistema di prin­ cipi politici, sociali e morali, dei quali le norme sono come il minimo necessario alla convivenza sociale. Molti di quei principi, sebbene utili tutti e nor­ malmente applicati, sono garantiti da sanzioni non giuridiche, ossia non direttamente, coattivamente eseguibili: sanzioni, anch’esse, politiche, sociali o morali, ma aventi un raggio di applicabilità più esteso: la sanzione giuridica non può appoggiare che le norme la cui infrazione viola piu gravemen­ te il diritto individuale o l’interesse pubblico. Ogni regime politico ha, intorno alla sfera del suo di­ ritto positivo, una sfera di principi siffatti, che non restano inerti od inefficaci, ma circolano co­ me criteri di interpretazione delle leggi, impulsi nella giurisprudenza, direttive nell’amministrazione e nella politica. N ei regimi che si basano sulla di­ stinzione dei partiti, fissarli in una proclamazione valida per tutti i cittadini, non sarebbe possibile, e si hanno correnti molteplici di principi con va­ riazioni od antitesi fra esse, e quindi nella inter49

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prelazione delle leggi, nella giurisprudenza, nel­ l’amministrazione o nella politica. È ciò che si chiama mutare della pubblica opinione od instabi­ lità delle forze spirituali di una nazione. Per tutto ciò che abbiamo detto appare invece ovvio che il Fascismo abbia potuto raccogliere in un complesso di dichiarazioni, la « Carta del La­ voro » del 2i aprile 1927, i principi del regime. Per comprenderne il valore bisogna esattamente definirne la posizione rispetto alla legislazione, e la portata costituzionale. Essa non è una legge, e non è appendice dello Statuto né un “ altro Statuto ” , come taluno l’ha definita. È la solenne precisazione dei principi che nel campo del lavoro, considerato elemento orga­ nizzativo e fondamento etico del Regime, il Fa­ scismo pone quali spinte, mète e limiti della pro­ pria azione. Con ciò stesso, non potendosi conce­ pire azione di regime che non si attui nelle leggi, la Carta del Lavoro è l’asse della legislazione fa­ scista. M a non è una legge: a) per l’oggetto, perché le leggi che, anche eti­ mologicamente, non sono che vincoli, hanno la funzione di attuare i principi e non di formu­ larli, mentre essa in parte riassume principi che hanno già cominciato ad essere attuati nelle leggi, in maggior parte prevede quelle future; b) per la fonte, perché non è espressione del potere legislativo, ma della Rivoluzione, che lo riplasma ed ispira, e quindi del suo organo mas­ simo: il Gran Consiglio del Fascismo. E non è un secondo Statuto, poiché questo for­ ma le basi di un determinato Stato, e la Carta del -50

Lavoro lo presuppone, e fissa i termini di quel processo distintamente unitario e totalitario per cui lo Stato diventa regime. Le dichiarazioni del­ la Carta del Lavoro sono le tavole della fede di un popolo che nel lavoro supera le discordie e riconsacra la sua unità, riconosce la sua legge c profferisce il suo giuramento. Volendo collocarlo in una categoria di documenti storici, esso natu­ ralmente si pone accanto alla proclamazione dei “ Diritti dell’uomo ” del 1789 ed al “ Manifesto di Marx ed E ngels” del 1848; ma, mentre l’uno co­ ronava la rivendicazione di alcuni ceti sociali con­ tro il feudalesimo e la monarchia assoluta, e l’al­ tro bandiva la rivolta del proletariato contro i de­ tentori della ricchezza, la Carta del Lavoro affra­ tella tutte le classi nel respiro universale del lavoro ed addita, loro, come conquista ultima, la pace so­ ciale nello Stato, toccando quel limite estremo dove la civiltà umana finisce di essere la sintesi di uno Stato o di un popolo e si confonde con le rivelazio­ ni mistiche della giustizia, superanti i limiti dello spazio e del tempo. Poiché è dato prevedere che presso ogni popolo ed ogni età i fattori della vita, nella gamma infinita delle loro espressioni, dalle più tangibili alle piu ideali, non saranno che le due grandi forze di cui la produzione si alimenta, il lavoro come energia, ed il lavoro come ricchezza o capitale, è anche dato prevedere che la più alta parola che un regime politico possa bandire come seme di concordia e di elevazione e la Carta del Lavoro ” , e che questo è il primo atto di afferma­ zione universale del Fascismo. Ed è essa che precisa ciò che, nella disciplina

della produzione, distingue il Fascismo dagli altri indirizzi politici e che dà allo Stato il suo nuovo fondamento corporativo. « L o Stato Fascista » (è scritto nella relazione parlamentare alla legge 13 dicembre 1928 n. 2832, che autorizza il Governo ad emanare norme aventi forza di legge, per la completa attuazione della Carta del Lavoro) « ha superato i malfermi argini, le imperfezioni e gli errori dello Stato liberale-de­ mocratico, tenendo la Nazione lontana da un pe­ ricoloso anarchismo individuale o di gruppi come da un rigido e opprimente socialismo di Stato. Da una parte il sistema liberale-democratico, con la sua corsa verso il demagogismo, inclinava a tenere la Nazione italiana in quelle condizioni di tragica debolezza, che l’avevano quasi privata di tutte le sue forze e l’avevano resa impari al grande com­ pito per la resistenza vitale, in mezzo ai possenti imperialismi stranieri; dall’altra, essa minacciava di attuare, come rimedio necessario, quella forma di assurdo e rigido interventismo di Stato, che l’im­ pero romano aveva veduto nell’età della sua deca­ denza e che, in tempi a noi prossimi, aveva por­ tato alla rovina l’impero austriaco, irretito, mal­ grado l’apparenza parlamentare, nelle forme falsa­ mente paterne di uno Stato di polizia. L o Stato italiano, rinnovato dal Fascismo, ha saputo rapi­ damente portarsi lontano da questi estremi; e nella sua struttura economica, base sociale della vita es­ senziale e politica, ha attuato un tipo tutto proprio, creazione del genio giuridico italiano: lo Stato corporativo. » Le linee di esso sono tracciate nelle quattro parti 25

in cui le trenta dichiarazioni della Carta del La­ voro si aggruppano: 1) L o Stato corporativo e la sua organizzazione; 2) Del contratto collettivo di lavoro e delle ga­ ranzie del lavoro; 3) D egli uffici di collocamento; 4) Della previdenza, dell’assistenza, della edu­ cazione e della istruzione. Premessa una definizione, dominante il pensiero e l’attività dell’epoca attuale e risolutiva di ogni dibattito tra i giuristi intorno al concetto di N a­ zione : « La Nazione italiana è un organismo aven­ te fini, vita, m ezzi di azione, superiori per poten­ za e durata a quelli degli individui divisi o rag­ gruppati che la compongono. È una unità, morale, politica ed economica, che si realizza integralmente nello Stato Fascista », sono precisati i rapporti fra l’iniziativa individuale e l’azione dello Stato, con una cosi netta determinazione e coordinazione che né l’iniziativa individuale diviene preponde­ rante rispetto allo Stato, né questo assorbente ri­ spetto a quella: l’iniziativa dello Stato è procla­ mata base della produzione, e l’azione dello Stato semplicemente suppletiva od integrativa di quella, dove interessi politici dello Stato sono in gioco (dich. V II e IX). L ’importanza di queste statuizioni nell’ambito delle facoltà, dei diritti, della libertà dell’indivi­ duo, è intuitiva: per esse l’individuo è una entità che lo Stato Fascista non umilia né comprime, ma valorizza e moltiplica. L o stesso intervento dello Stato nella produzione non si attua in forme e misura sempre identiche, ma varia secondo il bi­ 53

sogno che il grado di insufficienza delle forze in­ dividuali e quello dei bisogni politici dello Stato reclamino: può essere, cosi, controllo, incoraggia­ mento o gestione diretta. Corollario di questo sistema è che, senza negare il principio della libertà dell’organizzazione sin­ dacale o professionale, si conferiscono qualità e po­ teri di organi dello Stato a quei sindacati e a quel­ le organizzazioni di categoria che meritino il rico­ noscimento dello Stato (dich. III). Il sindacato legalmente riconosciuto rappresenta quindi tutta la categoria dei datori di lavoro o dei lavoratori per cui è costituito; ma è sottoposto al controllo dello Stato. In tal modo, questo valorizza tutte le forze della produzione e si tiene lontano dall’ assenteismo come dall’ interventismo assor­ bente. A l regolamento giuridico dei sindacati e delle corporazioni provvedono sopra tutto la legge 3 aprile 1926 n. 563 e il decreto i° luglio 1926 n. 1130. Con essi, il potere dei sindacati di stipulare con­ tratti collettivi di lavoro, obbligatori per tutti gli appartenenti alla categoria, e quello d’imporre con­ tributi e di esercitare funzioni delegate di interes­ se pubblico, trovano completa disciplina. L i integra il R. Decreto 26 febbraio 1928 n. 471 che detta norme per la disciplina delle controver­ sie individuali del lavoro, deferendole alla compe­ tenza di uno speciale organo giurisdizionale, in cui al giudice ordinario sono associati elementi laici scelti fra i cittadini esperti nei problemi di lavoro: la magistratura del lavoro. La seconda parte della Carta del Lavoro fissa i 54

requisiti di validità, le clausole essenziali, gli ef­ fetti del contratto collettivo di lavoro in confron­ to di ambe le parti contraenti, i datori di lavoro ed i lavoratori, attuando, per ciò che attiene ai rapporti disciplinari, al periodo di prova, alla mi­ sura ed al pagamento della retribuzione, all’ora­ rio di lavoro, al riposo settimanale o feriale, alla cessazione od alla interruzione del rapporto di la­ voro, principi etici altissimi, attraverso i quali la dignità morale del lavoro diviene chiave di volta della sua efficienza sociale e della composizione, per virtù della legge e non contro o al di fuori di essa, dei conflitti nel campo del lavoro. E un altro problema, quello della necessità di assicurare per legge o dell’opportunità di assicura­ re col contratto collettivo le cosidette garanzie del lavoro, resta risoluto, nel senso che « le garanzie minime, quelle che si dicono garanzie elementari, siano stabilite per legge; mentre quelle garanzie speciali, che si legano alle varie specie di lavoro e di lavoratori, e che non hanno carattere di ge­ neralità, è preferibile che siano sancite nei con­ tratti collettivi di lavoro, che son chiamati a que­ sto fine». La terza parte, mentre sottrae il collocamento « sia all’avido sfruttamento delle agenzie private, che al parteggiare dei sindacati di categoria », me­ diante la organizzazione corporativa di appositi uf­ fici di collocamento (R. Decreto 29 marzo 1928 n. 1003), disciplina il controllo da parte dello Sta­ to del fenomeno della occupazione e della disoc­ cupazione dei lavoratori « come indice complessivo delle condizioni della produzione e del lavoro » 55

(dich. XXII) ed anche di esso si vale per assicura­ re l’elevamento della capacità tecnica e del valore morale dei lavoratori (dich. X X IV). La quarta parte traccia e concreta, con orienta­ menti e capisaldi precisi, tutto il vasto programma delle provvidenze relative alla sicurezza economica ed alla educazione intellettuale e spirituale dei la­ voratori : programma di riforma di leggi già ema­ nate ed emanazione di nuove leggi, di rettifica di istituti già esistenti e creazione di nuovi. Posto che la previdenza costituisce un’alta ma­ nifestazione del principio di collaborazione, onde datore di lavoro e prestatore di opera devono con­ correre proporzionalmente agli oneri di essa (dich. X X V I), il blocco delle finalità che lo Stato Fascista si propone per l’assetto integrale delle previdenze assistenziali, è scolpito cosi: 1) perfezionamento dell’assicurazione infortuni; 2) miglioramento ed estensione dell’assicurazio­ ne maternità; 3) assicurazione dalle malattie professionali e dalla tubercolosi come avviamento all’assicurazio­ ne generale contro tutte le malattie; 4) perfezionamento dell’assicurazione contro la disoccupazione involontaria; 5) adozione di forme speciali assicurative dotalizie per giovani lavoratori (dich. X X V II). Immediate conseguenze di questo ordinamento che parte dalla dualità delle classi per sopprimerne l’antagonismo e dalla realtà del sindacato per far­ ne un organo dello Stato, sono il divieto e la pu­ nibilità dello sciopero come della piu grave fra le violazioni delle leggi preordinate alla risoluzione

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giuridica dei conflitti del lavoro; la istituzione di un organo centrale dello Stato, il Ministèro dclle^ S Corporazioni, per la direzione e il controllo di tutta l’attività produttiva della nazione esplicante-/^// si attraverso l’assetto corporativo dello Stato; l’jm - ' medesimarsi di questa branca della politica in quel­ la generale del Governo, col conseguente accen­ trarsi delle responsabilità di essa nell’organo che la legge 24 dicembre 1925 n. 2263 dichiara respon­ sabile verso il Re dell’indirizzo generale politico del Governo (art. 2), cioè del Capo del Governo. È a questo punto che, come massima espres­ sione della politica economica e dell’assetto Corpo­ rativo del Regime, s’inserisce fra gli organi dello Stato il consiglio Nazionale delle Corporazioni, il quale, istituito con i R. D . 2 luglio 1926 e 14 luglio 1927, cominciò in realtà a funzionare solo dopo la legge 20 marzo 1930 n. 206, che ne defini­ sce la struttura e le funzioni. La presidenza spetta al Capo del Governo. Ha per organi: le sezioni e le sottosezioni; le commis­ sioni speciali permanenti; l’assemblea generale; il comitato corporativo centrale. Il carattere dell’organo è designato dalla strut­ tura sopra tutto delle sezioni, che sono sette e cor­ rispondono ai grandi rami della produzione rap­ presentati dalle confederazioni sindacali. Esse, sal­ vo quella delle professioni e delle arti, fornita di una costituzione affatto propria, sono a costituzio­ ne paritetica, integrata dalla rappresentanza dell’e­ lemento tecnico sia per i lavoratori sia per i datori di lavoro. Cosi, nella sezione di agricoltura inter57

vengono, oltre ai rappresentanti dei padroni e dei lavoratori agricoli, anche due rappresentanti dei dirigenti di azienda, e due dei tecnici agricoli. L e attribuzioni del Consiglio sono consultive (talune facoltative, altre obbligatorie) e normative. Queste, previste dall’art. 12 della legge, concerno­ no la formazione di norme: a) per il coordina­ mento della attività assistenziale, esercitata dalle associazioni sindacali legalmente riconosciute, da enti complementari o da istituti corporativi; b) per il coordinamento delle varie discipline dei rappor­ ti di lavoro stabilite con carattere collettivo o negli altri modi stabiliti ai sensi della legge 3 aprile 1926 n. 563, e per il coordinamento di ogni altra attività normativa delle Corporazioni; c) per il re­ golamento dei rapporti economici collettivi fra le varie categorie della produzione rappresentate da associazioni sindacali legalmente riconosciute. N on lieve è la disputa diretta a stabilire se il Consiglio nazionale delle Corporazioni sia un or­ gano costituzionale o un organo del potere esecu­ tivo. A questa seconda soluzione sembra dare ap­ poggio l’art. 12 citato, per il quale le funzioni nor­ mative sono esercitate alcune con l’assenso, altre per conferimento del Capo del Governo o caso per caso, e la pubblicazione delle norme formate e de­ gli accordi ratificati può essere vietata dal Capo del Governo. Ma, mentre si osserva che altro è l’esercizio di una funzione, altro la fonte di essa, la quale per questa è la legge, e senza disconosce­ re che per certi effetti un’azione puramente am­ ministrativa spetta anche al Consiglio Nazionale delle Corporazioni, è certo che la funzione nor-

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mativa trascende le attribuzioni del potere esecu­ tivo per toccare- quelle di organi autenticamente costituzionali. La sua complessa natura (sindacale - corporativa, amministrativa, costituzionale) riproduce il carat­ tere e i compiti multiformi dello Stato fascista, con lo sbocco che i problemi del lavoro e dell’e­ conomia, attraverso l’assetto sindacale e corpora­ tivo, vi ricevono nell’ingranaggio degli ordinamen­ ti costituzionali. La partecipazione del popolo pro­ duttore alla vita della Nazione è, per il Fascismo, una realtà in pieno rigoglio, non una chimera od un miraggio lontano. Ed è il Consiglio nazionale delle Corporazioni l’organo in cui più profonda­ mente e saldamente s’innesti l’economia alla po­ litica: il “ terzo organo supremo di carattere col­ legiale della direzione dello Stato nazionale fasci­ sta” accanto al Gran Consiglio del Fascismo ed al­ le Camere legislative. N el discorso del 14 novembre 1933, che può con­ siderarsi, nel transito fra due epoche, il punto da cui il corso delle vicende economiche e politiche europee si gitta decisamente in un nuovo alveo, Mussolini ha detto : « La Corporazione giuoca sul terreno economico come il Gran Consiglio e la Mi­ lizia giuocarono sul terreno politico... Il Corpora­ tivismo supera il socialismo e supera il liberalismo, crea una nuova sintesi ». Questa e assai piu che la proclamazione del mutato fondamento dello Sta­ to: è la proclamazione della riconquistata unità del fenomeno umano che, con ben altra intensità di vita, ridesta il Rinascimento : « L ’uomo econo­ mico non esiste : esiste l’uomo integrale, che è po­ 59

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litico, che è economico, che c religioso, che è san­ to, che è guerriero ». La riforma, annunciata con tal discorso, dalla Camera dei Deputati, sarà l’inevitabile corollario di questa ripristinata unità e funzione dell’uomo italico. N oi prevediamo anzi che l’istituzione del­ la Corporazione si ripercuoterà fatalmente in tutte le branche del diritto. Qui confluiscono le riforme legislative del pri­ mo Decennio; da qui cominciano quelle del se­ condo.

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V RIFO R M E C O N C E R N E N T I IL P O T E R E E S E C U T IV O L ’ efficienza, la struttura, i fini dello Stato Fa­ scista conducono successivamente ad un piu va­ sto ambito di attribuzioni e ad un maggior vi­ gore del potere esecutivo. Il Governo cessa di es­ sere, quale era divenuto nel corrompersi del prin­ cipio rappresentativo, il punto più sensibile del­ l’organismo costituzionale alle oscillazioni dei par­ titi e strumento di fluttuanti prevalenze, per ridi­ ventare, quale deve essere ed è costituito dallo Sta­ tuto, un complesso organo costituzionale median­ te il quale il Re esercita il potere esecutivo (art. 5 Statuto). Nei regimi demo-liberali la sovranità che costi­ tuisce questo potere è la risultante continuamente mutevole del rapporto tra le forze continuamente instabili dei vari partiti, ed il Re, piuttosto che esercitare quel potere, lo subisce: in regime fasci­ sta esso si coordina con gli altri poteri, assume il carattere di preminenza che la sua funzione, non suscettibile di tregue, e il polso celerissimo della vita odierna, esigono, e si ricolloca nel giusto po­ sto che la Costituzione gli assegna. Questa trasformazione, che non interessa, co­ me potrebbe sembrare, un organo solo dello Sta61

to, ma che da sola basta a dirigere in modo af­ fatto diverso dall’antico il corso dell’attività del Governo e l ’attività dei governati, ad inquadrare in uno schema nuovo i rapporti fra sovranità e sudditi, e ad innovare per molta parte gli stessi modi di formazione e di espressione della volontà normativa dello Stato, deriva come corollario ine­ vitabile dalla originale dottrina politica del Fasci­ smo ed è sancita da due leggi fondamentali : quel­ le del 24 dicembre 1925 n. 2263 e del 31 gennaio 1926 n. 100. Esse si integrano, formando nel loro comples­ so, come Yhabeas corpus del potere esecudvo nel Regime Fascista. La prima, dopo aver ripetuta la proclamazione statutaria che esso è esercitato dal Re per mezzo del suo Governo (art. 1) e che questo è esercitato dal Primo Ministro Segretario di Stato e dai mi­ nistri Segretari di Stato, fissa le attribuzioni e le prerogative del Capo del Governo. Primo Ministro Segretario di Stato, e non piu soltanto, come nella terminologia, e piu ancora nella ideologia del passato, Presidente del Consi­ glio dei Ministri. Nella diversa definizione è il ri­ flesso di una preminenza corrispondente a quel criterio di gerarchia che imprime da sé, per la loro efficienza, tutte le funzioni e quindi afferma la sua validità fino al vertice della piramide dello Stato. Era insincera contradizione che proprio i regimi che asservivano alle precarie fortune dei gruppi ogni atto di governo, si ostinassero a non fare nelle leggi alcun cenno dell’indirizzo politico di esso; ed era carattere loro proprio, nell’assenza 62

di un capo che lo impersonasse, la polverizzazione delle responsabilità. Il Fascismo restituisce invece al diritto pubblico sincerità e personalità con/que­ sta norma, sintesi e pietra angolare del regime: « Il Capo del Governo è responsabile dell 'indi­ rizzo generale politico del Governo » (art. 2), nel quale con definitiva e suprema lealtà statuta­ ria le inconsistenti declamazioni di una responsa­ bilità verso la storia, care ai retori democratici, so­ no solennemente sostituite dalla dichiarazione di responsabilità verso l’Augusta Maestà del Re, espressione vivente della Patria e della Storia. Con logica e perfetta coordinazione, invece, i ministri sono responsabili verso il Re e verso il Capo del Governo di tutti gli atti e provvedimenti dei loro Ministeri. La preminenza e l’unità propulsiva dell’azione politica del Capo del Governo spiegano la sua at­ tribuzione di dirigere e coordinare l’opera dei mi­ nistri, decidere sulle controversie che possono sor­ gere fra essi, convocare il Consiglio dei Ministri e presiederlo (art. 3). Ed il bisogno di porre quel­ l’azione al sicuro da ogni sorpresa da parte del potere legislativo, senza lederne il prestigio e le prerogative, spiega il sapiente complesso di nor­ me, che stabiliscono modalità essenziali al funzio­ namento di detto potere (art. 6). Il Capo del Governo deve prestare la sua adesio­ ne per qualsiasi oggetto che s’intenda mettere al­ l’ordine del giorno di una delle due Camere; ha facoltà di richiedere che una proposta di legge, rigettata da una delle due Camere, sia mes­ sa in votazione, passati almeno tre mesi dalla pri63

ma votazione; nel qual caso si procede a votazio­ ne di essa a scrutinio segreto, e con discussioni li­ mitate ai soli emendamenti, se ne siano stati pre­ sentati dal Governo; ha facoltà di richiedere che una proposta di legge rigettata da una delle due Camere, sia ugual­ mente trasmessa all’altra e da questa esaminata e messa ai voti. Sarebbe molto interessante, ma qui non è pos­ sibile neppure lambire il tema, dimostrare che an­ che in paesi di democrazia come l’Inghilterra e gli Stati Uniti d’America, l’azione del potere ese­ cutivo è salvaguardata dagli assalti, dagli intralci e dalle insidie sino nei confronti del potere legisla­ tivo. Vera democrazia e forza dello Stato sono termini che non solo non collidono ma si condi­ zionano. Speciali guarentigie muniscono la persona e l’uf­ ficio del Capo del Governo: prima per l’art. 9 della legge in esame, poi per l’art. 9 della legge 25 novembre 1926 n. 2008 sui provvedimenti per la difesa dello Stato, infine per gli articoli 280-2 e 289 del nuovo Codice penale, è punito con la morte l’attentato alla vita, alla incolumità o alla libertà personale del Capo del Governo; con la re­ clusione da quattro a dieci anni l’attentato alla sua libertà; con la reclusione da uno a cinque an­ ni l’offesa all’onore o al prestigio di lui; con la re­ clusione non inferiore a dieci anni ogni fatto diret­ to ad impedirgli l’esercizio delle attribuzioni e del­ le prerogative conferitegli dalla legge. Altre attribuzioni al Capo del Governo sono as­ sicurate da numerose altre leggi: soprattutto quel­

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le concernenti la Commissione Suprema di difesa; la Costituzione della Milizia Volontaria per la Si­ curezza Nazionale; il Consiglio Nazionale delle Corporazioni; la Reale Accademia d’Italia; il Con­ siglio di Stato; la Corte dei Conti; l’Avvocatura Generale dello Stato; l’Istituto Centrale di Statisti­ ca; l’Opera Nazionale degli orfani di guerra; il Comitato permanente nazionale del grano; la R. Consulta Araldica; l’Istituto Nazionale di Coltura Fascista; ecc. U n cenno deve essere dedicato ai rapporti, con­ nessi a dette attribuzioni, fra il Governo e il Co­ mando delle Forze Armate dello Stato, tipicamen­ te espressivi del senso sacro della Patria e dello Stato, che si traduce nella ferma saldatura fra po­ litica e difesa, e del nuovo, austero significato che la politica vi attinge. Il Capo di Stato Maggiore Generale (legge 24 dicembre 1928 n. 3088) è l’alto consulente del Ca­ po del Governo per quanto si riferisce all’organiz­ zazione militare e difensiva del paese, e dal Capo del Governo è tenuto al corrente della situazione politica per tutto quanto possa interessare il suo ufficio. Limitatamente a tali attribuzioni di con­ sulenza, egli propone al Capo del Governo le li­ nee generali del piano complessivo di guerra, per quanto riguarda i compiti di massima di ciascuna forza armata per il conseguimento degli obiettivi comuni a due o piu di tali forze. Il Capo di Sta­ to Maggiore, uditi collegialmente i Capi di Stato Maggiore delle singole forze armate, formula le sue proposte; trasmette le sue proposte ai Mini­ stri interessati; e questi le rimettono ai rispettivi

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Capi di Stato Maggiore perché le rendano esecu­ tive. Quanto al tempo di guerra, non potendosi con norme preliminari di legge definire i rapporti fra il Capo del Governo e il Capo di Stato Maggiore Generale, è stabilito soltanto che questo eserciterà le attribuzioni che saranno stabilite per la sua cari­ ca dal Governo. Della massima importanza è altresì la Commis­ sione Suprema di difesa, riordinata col R. Decre­ to 8 gennaio 1928 n. 165 : organo interministeriale destinato allo studio ed alla risoluzione delle que­ stioni attinenti alla difesa nazionale e a stabilire le norme per lo sfruttamento di tutte le attività nazionali ai fini della difesa stessa. È costituito da un Comitato deliberativo e da organi consultori. Presidente del Comitato deliberativo è il Capo del Governo. La seconda legge, concernente la facoltà del po­ tere esecutivo di emanare norme giuridiche, pone fine ad una delle piu ardue controversie che ab­ biano agitato la dottrina, la politica e la magistra­ tura, intorno ai limiti del cosi detto diritto di or­ dinanza. La potestà del Re di fare i decreti ed i regolamenti necessari per l’esecuzione delle leggi, senza sospenderne l’osservanza o dispensarne (ar­ ticolo 6 dello Statuto), e l’obbligo, imposto dalla legge del 1865 sul contenzioso amministrativo, di applicare i regolamenti generali e locali in quanto sono conformi alle leggi (art. 5), convergevano nel precludere al potere esecutivo la facoltà di emana­ re norme valide oltre i limiti strettamente segnati 66

dalle leggi e dal bisogno di dare a queste esecu­ zione. Preclusione che tuttavia si andò affievolendo sotto l’urto delle necessità sociali, e che diede luo­ go ad opinioni molteplici intorno alla costituzio­ nalità dei decreti-legge. L o stesso risorgere però di questo dibattito ogni volta che particolari contin­ genze di ordine pubblico ispiravano provvedimen­ ti urgenti ed eccezionali — primo fra essi lo stato d ’assedio — , imponeva che la questione fosse ri­ soluta radicalmente, ed anche da un aspetto piu ampio: quello del carattere di sempre maggiore urgenza che l’assetto attuale della vita economica e politica imprime all’azione del governo. Anche se gli organi del potere legislativo potessero fun­ zionare in permanenza, la loro azione, accelerata quanto si voglia, sarebbe sempre troppo pesante, e non sempre fornita della discrezione necessaria per rispondere a quel bisogno. È stato cosi il potere legislativo ad investire, in via generale, quello esecutivo della facoltà di ob­ bedire a simili contingenze ed emanare, .sotto par­ ticolari garanzie, norme aventi valore di legge: ad esercitare cioè, entro limiti ben definiti, un ve­ ro e proprio potere normativo. Tutto ciò è disciplinato dall’art. 3 della legge 31 gennaio 1926 n. 100 : “ Con decreto reale, pre­ via deliberazione del Consiglio dei Ministri, pos­ sono emanarsi norme aventi forza di legge: 1) quando il Governo sia a ciò delegato da una legge, entro i limiti della delegazione; 2) nei casi straordinari, nei quali ragioni di ur­ gente ed assoluta necessità lo richiedano. 67

Il caso previsto al n. i è quello delle leggi dele­ gate: l’efficacia normativa deriva a queste dalla legge di delega, non dalla legge in esame, che su tal punto ha solo un valore dichiarativo e sistema­ tico, mentre nell’ imporre il rispetto dei « limiti della delegazione » previene esorbitanze del potere esecutivo rispetto a quello legislativo e dà netto risalto alla cerchia delle rispettive prerogative. Il n. 2 regola le ordinanze di necessità ed ha altissi­ mo valore politico, sociale e giuridico, capace di colorare di sé tutto l’ordinamento del Regime; è l’argine che la norma costruisce contro le esorbi­ tanze accennate, prescrivendo alla necessità due at­ tributi insiti, per altro, nel suo rigoroso signifi­ cato: essere assoluta ed urgente. Ed è reso omag­ gio al Parlamento ed alla sua specifica funzione, col prescrivere che « il giudizio sulla necessita e sull’urgenza non sia soggetto ad altro controllo che a quello politico del Parlamento” . Le tre correnti nelle quali si dividevano il pen­ siero degli scrittori ed il giudizio dei magistrati, che cioè l’autorità giudiziaria non potesse eserci­ tare sindacato di sorta sulla costituzionalità dei decreti-legge, che lo potesse esercitare pienamente, o che lo potesse esercitare in dati casi ed entro certi confini, sono superate da questo sistema di limiti e di controlli, attinti all’essenza del nostro ordine costituzionale, e da un sistema di garanzie che pongono non solo la nascita, ma anche la vita dei decreti-legge in funzione della necessità, e sen­ za le quali essi perdono la loro efficacia. È perciò prescritto che quelli dettati da ragio­ ni di necessità devono essere muniti della clauso­ 68

la della presentazione al Parlamento per la consa­ crazione in legge,' ed essere, a pena di decadenza, presentati, agli effetti di essa, ad una sola delle due Camere non oltre la terza seduta dopo la loro pubblicazione. Il disegno di legge per la conver­ sione è considerato di urgenza. In caso di chiusu­ ra della sessione, all’apertura della nuova, il dise­ gno di legge per la conversione s’intende ripresen­ tato dinanzi alla Camera presso cui era penden­ te l’esame. Approvato da una delle due Camere, c trasmesso entro cinque giorni all’altra: la tras­ missione vale presentazione. Rifiutata la conversio­ ne da una delle due Camere, il decreto cessa di aver vigore dalla pubblicazione della notizia nella Gazzetta Ufficiale. Convertito in legge con emen­ damenti, l’efficacia di questi decorre dalla pubbli­ cazione degli emendamenti. N on convertito in leg­ ge entro un biennio dalla pubblicazione, cessa di aver vigore dalla scadenza di questo (art. 3). Il problema delle ordinanze richieste da ragio­ ni di ordine pubblico è risoluto con una discipli­ na ancor più duttile ed aderente alla urgenza ed alla estensione dei bisogni cui di volta in volta oc­ corra provvedere, dagli art. 214-19 della legge di pubblica sicurezza (T . U . 18 giugno 1931 n. 773). Tre ipotesi sono distinte: la dichiarazione di pericolo pubblico per una o più provincie; la stes­ sa dichiarazione per tutto il territorio del Regno; la dichiarazione dello stato di guerra nel caso che sia necessario affidare all’autorità militare la tute­ la dell’ordine pubblico. In tutte e tre la dichiara­ zione è fatta con decreto del Ministro dell’Interno e con l’assenso del Capo del Governo o, per dele­ 69

gazione, dai Prefetti. La giurisdizione sui reati commessi durante il dichiarato stato di guerra o lo stato di pericolo pubblico che lo abbia preceduto, spetta ai Tribunali militari. Il modello di sistemazione che, in materia cosi complessa, il Fascismo offre al mondo è fra i più giusti titoli di onore della nuova legislazione. Es­ so costituirà argomento di studi profondi come il più felice tentativo, finora ovunque compiuto, di sottrarre la vita dello Stato, dinanzi alle necessità più incalzanti, ai pericoli cosi dell’ inerzia come dell’arbitrio, e garantirla invece con norme in cui trovano uguale affermazione le opposte esigenze della politica c del diritto.

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A p p lica ti nel campo della pubblica amministra­ zione, i principi di autorità dello Stato e di ge­ rarchia hanno portato ad innovazioni profonde. Anche il concetto di autarchia che in esso pre­ vale ha assunto un significato diverso nella esten­ sione e più netto. Mentre in altri regimi per autar­ chia, in rapporto ai vari enti inferiori allo Stato per i quali l’amministrazione si distribuisce, s’in­ tende sia il potere di governare da sé i propri in­ teressi, sia quello di costituire la propria rappre­ sentanza, e quest’ultimo si afferma per mezzo del­ la funzione elettorale affidata alle rispettive collet­ tività; in regime Fascista, autarchia non ha che il primo significato. Anche la costituzione della rap­ presentanza degli enti cosi detti autarchici obbe­ disce al principio dominante di autorità, che si at­ tua secondo l’altro della capacità. Ed anzi tutto, a collegare all’unità dell’impul­ so politico direttivo anche la vita di questi enti (era vuota ipocrisia che il loro compito fosse fare dell’amministrazione e non della politica, mentre in realtà l’amministrazione vi era sacrificata alla peggiore politica, ed è innegabile che senza unita

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politica nella gestione di tutti g l’interessi collettivi non può farsi che della politica sterile e sbandata), provvede la legge 3 aprile 1926 n. 660, che fa del­ l’ufficio di Prefetto il punto d ’incontro, di con­ trollo e di potenziamento di tutte le attività che si svolgono nell’ambito della Provincia. È attraver­ so i prefetti che 1 azione in figura di piramide si realizza : dalle provincie si giunge, per essi, al ver­ tice, il Governo, e questo mediante essi è presente ed operante nelle provincie. In queste i prefetti provvedono ad assicurare, in conformità delle generali direttive del Governo, unita d indirizzo politico nello svolgimento dei diversi servizi di spettanza dello Stato e degli Enti locali, coordinando l’azione di tutti gli uffici pub­ blici ed invigilandone i servizi, salvo i rapporti con 1 amministrazione della giustizia, della guerra, della marina, dell’aeronautica, delle ferrovie e con i provveditorati delle opere pubbliche per il M ez­ zogiorno e per le Isole: servizi, questi, che per il loro aspetto peculiare tecnico e politico richiedono una centralizzazione anche maggiore (art. 1). I prefetti hanno quindi l’obbligo di convocare in riunione collegiale, di regola tutti i mesi, e inol­ tre ogni qual volta essi credano, per avere notizie sull’andamento dei servizi ed impartire direttive: l’intendente di finanza, il provveditore degli stu­ di, dove abbia sede, o il suo delegato, nelle altre provincie; i subeconomi dei benefizi vacanti; l’in­ gegnere capo del Genio Civile; il direttore provin­ ciale delle poste e dei telegrafi; l’ispettore foresta­ le; i direttori delle cattedre ambulanti di agricol­ tura; l’ingegnere capo del regio corpo delle minie72

re; l’ispettore del lavoro; i comandanti di porto dei maggiori scali marittimi della provincia. Logicamente connesso a questo potere è quello, anche attribuito al prefetto, d’invigilare, entro la sua circoscrizione, su tutto il personale delle varie amministrazioni statali, ferme le norme generali sullo stato giuridico degl’impiegati dello Stato. L ’altra essenziale riforma, imposta dai principi suddetti, è stata la soppressione del sistema elet­ torale nella costituzione delle amministrazioni del­ le Provincie e dei Comuni. Con essa, l’ultimo ba­ luardo delle competizioni locali è scomparso: ai cittadini si è offerta una meta piu alta e lontana della conquista di precari posti di comando perife­ rici: il bene della Nazione nel lavoro disciplinato e nella coscienza dei nuovi doveri che ne derivano. Per effetto della legge 27 dicembre 1928 n. 2962, l’amministrazione di ogni provincia è composta di un Preside e di un Rettorato provinciale, costitui­ to dal preside e dai rettori : tutti nominati con de­ creto reale, su proposta del Ministro per l’interno. Durano in carica quattro anni e possono essere confermati. Il preside e il vice-preside possono es­ sere revocati, con decreto reale non suscettibile di impugnazione. I rettori sono ordinari e supplenti : i primi in numero di otto nelle provincie in cui la popolazione eccede i 600.000 abitanti; di sei, in quelle di oltre 300.000; di quattro nelle altre : i se­ condi, in numero di due in tutte le provincie. L ’as­ senza ingiustificata dei rettori da tre riunioni con­ secutive produce la decadenza dell’ufficio. Per gra­ vi ragioni di carattere amministrativo o di ordine 73

pubblico, il rettorato può essere sciolto e l’amministrazione della provincia affidata ad un commis­ sario straordinario, per un termine che lo stesso decreto di scioglimento stabilisce e, in ogni caso, non superiore ad un anno. Quanto ai Comuni, con una prima legge 4 feb­ braio 1926 n. 237, si provvide, quasi in via di espe­ rimento, alla istituzione del Podestà nei comuni con popolazione non superiore ai 5.000 abitanti. I risultati favorevoli dell’esperimento e, sopra tut­ to, la forza cogente del principio, propagantesi, una volta posto, per tutti gli organi dello Stato, portarono alla estensione dell’ordinamento pode­ starile a tutti i comuni del Regno: il che fu fatto con decreto-legge 3 settembre 1926 n. 1910 (con­ vertito nella legge 2 giugno 1927 n. 957), integrato del R. decreto 27 ottobre 1927 n. 2059, contenente le norme per la costituzione delle consulte muni­ cipali nei comuni con popolazione superiore ai 20.000 abitanti. L ’ordinamento che risulta da questo comples­ so di leggi, da cui viene definitivamente superato non il principio democratico ma quello elettorali­ stico, che è ben diverso, anche nelle strutture au­ tarchiche della periferia, può cosi brevemente trac­ ciarsi. In ogni comune l’amministrazione è affidata ad un podestà, che è nominato con Decreto Reale, dura in carica cinque anni e può essere confer­ mato. Il podestà dei comuni che non abbiano po­ polazione superiore ai 20.000 abitanti o che non sono capoluoghi di provincia, possono, dal Pre­ fetto della Provincia, essere trasferiti da un comu74

ne all’altro. I podestà possono essere revocati con decreto reale, su'proposta del prefetto al Ministe­ ro dell’Interno. N ei comuni capoluoghi di provincia o con po­ polazione superiore ai 20.000 abitanti ma non ai vice- podestà: due, per i comuni popolazione superiore. I vice-podestà durano in carie* un^u«, «uu1, possono essere confermati o revocati con provvedo n o4* dimento del Ministro dell’Interno, non suscettibi­ le di impugnazione. II podestà esercita le funzioni che la legge co­ munale o provinciale conferisce al Sindaco, alla Giunta ed al Consiglio Comunale. Fornita di attribuzioni meramente consultive è invece la Con­ sulta Municipale che, nei Comuni con popolazione non eccedente i 20.000 abitanti, è costituita, ove il Prefetto lo ritenga possibile, di un numero di con­ sultori non inferiore a sei; nei comuni con popo­ lazione eccedente i 20.000 ma non i 100.000 abi­ tanti o che, avendone una minore, siano capoluo­ ghi di provincia, è sempre costituita, con un nu­ mero di consultori non inferiore a io e non supe­ riore a 24; negli altri, con un numero di consulto­ ri non inferiore a 24 e non superiore a 40. N ei comuni di popolazione superiore ai 100.000 abitanti i consultori sono nominati dal Ministro dell’Interno; negli altri casi, dal Prefetto. La no­ mina avviene su designazione degli Enti economi­ ci, dei Sindacati e delle associazioni locali, tenen­ dosi a criterio-base l’entità degl’interessi delle sin­ gole attività produttive operanti nei singoli comu75

ni (agricoltura, industria, artigianato, commercio, banca, trasporti terrestri e navigazione interna, tra­ sporti marittimi ed aerei, libere professioni ed arti). Cosi, il concorso alla amministrazione comuna­ le non è determinato dalla qualità di cittadino, ma da quella di produttore; l’ordinamento corpo­ rativo decide dell’intima struttura anche degli or­ gani autarchici; la distribuzione della popolazione in categorie di produzione si afferma, in ogni pun­ to, come il sistema dei tessuti vitali donde risulta l’organismo stesso dello Stato. Il proiettarsi di que­ ste idee-basi del Regime Fascista in ogni parte della nostra legislazione, ne dimostra la necessità, la vitalità e la coerenza. È naturale che il numero dei rappresentanti, nella Consulta, di ogni attività produttiva vari se­ condo l’importanza di questa nei singoli comuni; entro dati limiti, il numero è stabilito dal prefet­ to con equo criterio discrezionale, proporzional­ mente all’importanza di ciascuna attività produt­ tiva, alla sua estensione territoriale, al suo carat­ tere specifico, alla sua funzione nel sistema organi­ co dell’economia nazionale. Sistema realistico, fles­ sibile alle più svariate situazioni locali, e sottratto alla pressione ed alla gara degli interessi particola­ ristici, in quanto, contro i provvedimenti del pre­ fetto concernenti la composizione della Consulta nessun gravame è ammesso, né in via amministra­ tiva né in via giurisdizionale. N ei sistemi politici a forte autorità centrale — anche qui ciò è riba­ dito — il vincolo di maggiore responsabilità dei subordinati verso il capo rende inutile la polve­ 76

rizzazione dei controlli ed un sistema troppo com­ plesso di gravami. L e attribuzioni della consulta si attuano in for­ ma di parere. Questo è obbligatorio per i Comuni con popolazione non superiore ai 100.000 abitanti o capoluoghi di provincia, in ogni caso in cui il provvedimento sarebbe stato riservato alla esclu­ siva competenza del Consiglio Comunale: nei co­ muni con popolazione superiore, nei casi previsti dall’art. 217 della Legge comunale e provinciale (T . U . 4 febbraio 1915 n. 148), sui bilanci, sui conti e sull’assunzione diretta dei pubblici servizi. La soppressione del metodo elettorale nella com­ posizione delle rappresentanze degli enti locali non poteva non ripercuotersi sulla composizione anche degli organi di tutela : massimo fra questi, nell’am­ bito delle Provincie, la Giunta Provinciale Amm i­ nistrativa, che, in sede amministrativa, si compone per effetto della legge 27 dicembre 1928 n. 3123, del prefetto o di chi ne fa le veci, presidente; del vice-prefetto, ispettore; di un consigliere di prefet­ tura designato al principio di ogni anno dal pre­ fetto, dell’intendente di finanza, del ragioniere ca­ po della prefettura, del direttore di ragioneria o del ragioniere capo dell’intendenza di finanza, e di un membro effettivo e uno supplente, designa­ ti dal Segretario del Partito Nazionale Fascista, i quali sono nominati con decreto reale, su propo­ sta del Ministro delFInterno, e durano in ufficio quattro anni. Non v’ha bisogno di porre in ri­ lievo, in questa mutata composizione, il prevale­ re del criterio delle competenze. Un ordinamento 77

particolare, per i bisogni e le esigenze politiche ec­ cezionali della Capitale, è stato dato al Comune di Roma, eretto in Governatorato (R. D . legge 28 ot­ tobre 1925, io giugno 1926, 28 gennaio 1929). E finalmente, prodotto e leva dell’ordinamento corporativo dello Stato, è il Consiglio Provinciale dell’Economia, che, presieduto dal Prefetto, ha so­ stituito le antiche Camere di Commercio, ma, nel­ la piu larga cerchia di funzioni attribuitegli, è organo di collegamento e di raccordo fra le atti­ vità produttive delle Provincie e l’economia della Nazione. D al sistema delle disposizioni di legge che lo concernono (L. 18 aprile 1926 n. 731 ; decre­ to-legge 16 giugno 1927 n. 1071, convertito nella legge io maggio 1928 n. 1104 ecc.), risulta che esso, fra l’altro e precipuamente: funziona da os­ servatorio del locale movimento economico e socia­ le, e raccoglie i dati e le notizie che interessano ta­ le movimento; promuove, d’intesa con le altre isti­ tuzioni e gli altri uffici competenti della provin­ cia, iniziative aventi per scopo l’incremento della produzione e il miglioramento delle condizioni economiche e sociali di essa; adempie le attribu­ zioni precedentemente demandate alle prefettu­ re e sottoprefetture, dalle leggi vigenti in materia di disegni e modelli di fabbrica, di marchi e se­ gni distintivi di fabbrica; forme mercuriali e listi­ ni di prezzi, salvo quanto è disposto per i listini di borsa dalle leggi speciali, ecc. A ltre importanti attribuzioni gli derivano dall’art. 2 legge 18 aprile 1926 n. 731, e specialmen­ te : la formulazione di proposte al Governo e alle

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pubbliche amministrazioni per provvidenze atti­ nenti allo sviluppo economico della provincia, o di proposte al Ministero dell’Economia relative ai programmi degl’istituti d’istruzione da esso di­ pendenti; o alla fondazione di istituti d’istruzione professionale ed altre istituzioni analoghe; propo­ ste di regolamenti speciali circa l’agricoltura, l’in­ dustria, il commercio, il credito, il risparmio e la previdenza sociale; pareri sui regolamenti di poli­ zia rurale, o per l’esercizio degli usi civici nei de­ mani comunali e nei domini collettivi; l’ammini­ strazione delle Borse di Commercio, l’esercizio, rispetto agli enti ed istituti pubblici provinciali, aventi per iscopo l’incremento delle attività eco­ nomiche, delle funzioni di tutela deferite, per gli altri enti locali, alla G . P. A ., eccettuati i Sinda­ cati. A lla composizione dei Consigli Provinciali del­ l’Economia, divisi in piu sezioni, corrispondenti alle varie branche delle attività produttive, con­ corrono le istituzioni della provincia aventi fina­ lità attinenti alla competenza di essi e le organiz­ zazioni sindacali legalmente riconosciute: ne fan­ no parte, con voto consultivo, 13 funzionari gover­ nativi, rappresentanti servizi tecnici con finalità economiche e sociali (art. 4 legge 20 maggio 1928); ed è in facoltà del Prefetto invitare, occorrendo, a determinate sedute, altri funzionari governativi aventi speciale competenza in rapporto a dati pro­ blemi.

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VII RIFO R M E N E L D IR IT T O P R IV A T O A p p e n a assunto il Governo dello Stato, il Fa­ scismo si mostrò sollecito di adeguare ai nuovi tempi anche i tronchi maggiori della legislazione, nelle quali da tempo si avvertiva il bisogno di ri­ forma e se ne esprimevano i voti, senza però pas­ sare all’attuazione, in parte per le difficoltà che la revisione di istituti di formazione parecchie volte secolare presenta, in parte per la non breve pa­ rentesi della guerra che a sua volta aveva molti­ plicato i problemi. Con legge 30 novembre 1923 n. 2814, fu dele­ gata al Governo la facoltà di arrecare opportuni emendamenu al Codice civile e di pubblicare nuovi codici di procedura civile, di commercio e per la marina mercantile. Si disse di prendere a ciò oc­ casione dalla unificazione legislativa con le nuove provincie; in realtà l’esigenza, come abbiamo ac­ cennato, era più vasta e profonda. E cominciò da allora quel lavoro di riforma dei Codici e delle leggi più importanti dello Stato, che, per effetto di una successiva legge di delega, doveva essere esteso anche ai Codici penale e di procedura pe­ nale, e che, iniziato da un decennio, è il cantiere della più alta opera che il Regime prepari per ran-

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nodare alle antiche tradizioni dell’Italia maestra del diritto la civiltà giuridica di questa epoca. U n nuovo metodo ha instaurato il Fascismo per condurlo piu rapidamente a termine, sosti­ tuendolo alle lunghe discussioni delle Assemblee parlamentari. A queste furono preliminarmente sottoposte le grandi linee di ciascuna riforma, af­ fidandosi poi a Commissioni di esperti la prepa­ razione dei testi legislativi e facendoli quindi pas­ sare per il vaglio di altre Commissioni, parlamen­ tari ed extraparlamentari, dei Corpi accademici, di quelli giudiziari, e delle Commissioni forensi, per tener conto dei loro pareri nella redazione dei te­ sti definitivi. Metodo cosi poco contrastante col rispetto dovuto alla funzione legislativa del Parla­ mento che è stato già adottato, per alcune riforme di piu larga e difficile elaborazione, anche da pae­ si stranieri a regime democratico. Malgrado la maggiore speditezza che per tale via può raggiungersi, la riforma non può dirsi vi­ cina al suo termine. Compiuta è quella delle leg­ g i penali, e ad essa dedicheremo cenni a parte; nelle altre branche si sono avuti, per ciò che non poteva essere ritardato, ritocchi parziali, mentre i progetti sono tuttora nella fase della preparazione o dell’esame da parte delle Commissioni e degli organi chiamati a pronunziarsi su essi. Per il Codice civile, la stessa legge di delega, fu cauta nel segnare i limiti dei poteri richiesti: il Governo domandò di essere autorizzato non a rifare il Codice, ma a modificare alcuni istituti ed a coordinarvi le nuove disposizioni con tutte le altre relative alle materie modificate. Il lavoro tut­

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tavia è arduo e vasto. Nuovo assetto reclamano in particolar modo alcuni istituti del diritto familia­ re, ed in questi, mutamenti anche lievi in appa­ renza devono essere frutto, o possono essere ori­ gine, di trasformazioni sociali profonde, sicché in­ finito dev’essere lo studio del diagnosticare e del prevedere. Già rimaneggiata lungamente è tutta la materia della cittadinanza: alla legge 13 giugno 1912 nu­ mero 555, che aveva sostituito gli articoli da 4 a 15 del Codice civile, si è aggiunta, fra altre, la legge 31 gennaio 1926 n. 108, che, dando alla qua­ lità di cittadino un significato ed un contenuto di munus ptiblicum, chiave di volta di tutto lo sta­ tuto personale dell’Italiano d ’oggi, commina la perdita della cittadinanza a chi commetta o con­ corra a commettere all’estero un fatto diretto a tur­ bare l ’ordine pubblico nel Regno, o da cui possa derivare danno agl’interessi italiani o diminuzione del buon nome o del prestigio dell’Italia, anche se costituisca reato, con la sanzione del sequestro e, nei casi piu gravi, di confisca dei beni, e della per­ dita dei titoli, assegni e dignità spettanti all’ex-cittadino. Legge, questa, la cui funzione è integra­ ta dall’altra 16 giugno 1927 n. 1170, che rispetto al cittadino che intenda accettare all’estero o nel Regno un impiego od una carica di carattere pub­ blico da un governo estero o da un ente che ne sia diretta emanazione o da un istituto od ufficio pubblico internazionale, conferisce al Governo la potestà di vietare l’assunzione dell’impiego o della carica. Anche nella materia del matrimonio, come ve82

demmo, la legge 27 maggio 1928 n. 847, s al Concordato fra la Santa Sede e l’Italia, ha pròdotto già larghe e sostanziali modificazioni circa, l’età richiesta per contrarlo, g l’impedimenti, e le S & f; forme della celebrazione. Ma il campo riservato, da queste ed altre leggi speciali, non è neppur limitato. A parte la neces­ sità di eliminare g l’inconvenienti che derivano pro­ prio dalla fitta selva delle leggi speciali, nuovi orientamenti urgono ed, una volta penetrati in que­ sta o in quella parte del Codice, decideranno del suo insieme. Tra essi, il sempre piu vivo accentuarsi dell’e­ lemento sociale del diritto, in ogni branca di esso, anche in quel diritto privato che, fino a non mol­ ti decenni fa, era come il fortilizio dell’intangibile diritto dell’individuo verso tutti, e quindi, in un certo aspetto, contro tutti: anche lo Stato. Con l’avvertenza che questo elemento sociale, in regi­ me fascista, si specifica e precisa come elemento nazionale: perenne, generale coadiuvarsi, ed ove occorra, subordinarsi del diritto dell’individuo a quello sovrastante della Nazione. Il diritto delle persone e il diritto di proprietà sono i piu esposti alle influenze di questo principio: ma anche tutti gli altri finiranno per sottostarvi. U n rapido sguardo intorno basta a scorgere qua­ li larghe riforme debbano essere apportate nelle norme sullo stato personale e nel diritto patri­ moniale degli assenti in dipendenza della mag­ giore intensità dei traffici; a prescindere da quel­ le già introdotte relativamente agli scomparsi in guerra o in grandi cataclismi tellurici; agl’istitu-

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tì della tutela e della curatela, tormentoso o tor­ mentato argomento, nella dottrina e nella legisla­ zione; a quello della trascrizione; a quello della prescrizione estintiva ed acquisitiva. Un progetto di riforma del I libro del Codice civile e stato già preparato da una commissione presieduta da Vittorio Scialoia, e presentato al Governo il 27 set­ tembre 1930, ed è oggetto di studi, fra noi ed al­ l’estero, specie per alcuni istituti, da esso per la prima volta sistemati, come il “ bene di famiglia Intanto, altro segno superbo di questo tempo che dalla guerra ha ricevuta la spinta possente a tutta una nuova civiltà, e che specialmente dal ge­ nio latino se ne attende la sintesi politica e giuri­ dica, è stato fin dal 1927 pubblicato il progetto italo-francese di codice delle obbligazioni e dei contratti. In esso si afferma la unità profonda di vedute e di indirizzo che nel diritto si va affermando ol­ tre le frontiere, fra popoli piu vicini nelle origini, nelle tradizioni e nel pensiero; e di esso dovrà te­ ner conto l’opera del legislatore italiano nel rifor­ mare le parti corrispondenti del Codice civile. Quanto più salda diviene la coscienza della N a­ zione italiana, tanto più esteso diventa il raggio delle sue possibilità e più grande il peso delle sue responsabilità internazionali! Se non più, non meno forte batte il flutto del­ l’interesse collettivo sul diritto commerciale. La sottocommissione presieduta da Mariano d ’Amelio ha presentato fin dal 1925 il suo pro­ getto; ma la crisi mondiale - nota nella comune denominazione di crisi economica, mentre e una

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crisi storica, in cui si preparano, e il vertice che via via emerge dalla cupa nuvolaglia che si dirada è l’Italia, nuovi assetti, non solo sociali e finanzia­ ri, ma costituzionali e morali - col continuo, ra­ pidissimo mutare delle condizioni dei mercati, e sorgere e modificarsi di rapporti e di schemi con­ trattuali, ha consigliato di attendere, prima di tras­ formarli in legge, tempi piu tranquilli, con leggi e correnti nei traffici più decise e stabili. G l’istituti che piu incidono sulla ragione pubblica sono le società commerciali ed il fallimento: leggi speciali hanno quindi provveduto a meglio disciplinare il coordinamento fra g l’ interessi svariatissimi che quelle e questo toccano, implicano ed, eventual­ mente, travolgono. Sono degne di particolare nota, come episodi di uno stesso organico programma legislativo del Re­ gim e: il Decreto-legge u marzo 1926 n. 413, re­ strittivo della libertà di costituzione e di aumento di capitale delle società per azioni, e quelli 7 settem­ bre 1926 n. 1511 e 6 novembre 1926 n. 1830, che, completando le disposizioni del primo, fissano una serie di provvedimenti per la tutela del risparmio, con un più tempestivo intervento del Governo nel momento in cui l’Istituto che ad esso ricorre sorge, o durante la sua gestione, con facoltà di vietare la costituzione, o di applicare sanzioni che vanno si­ no alla revoca dell’autorizzazione; - un comples­ so di leggi, decreti e provvedimenti sulle Borse, che non è qui il caso di elencare (dal 1925 in poi); - e, prime applicazioni di una più severa disci­ plina preventiva e repressiva del fallimento, il De­ creto-legge 30 ottobre 1930 n. 1495 e la legge 4 85

giugno 1931 n. 660, contenenti disposizioni pe­ nali in materia di società commerciali, dirette prin­ cipalmente ad assicurare la fedeltà nelle relazioni, nei libri, nei bilanci, a prevenire le frodi ai rispar­ miatori, ad impedire gli abusi di prelevamenti da parte degli amministratori delle società stesse. Contemporaneamente, e la meta non sembra lontana, la pratica reclama una legge che faccia del procedimento civile lo strumento adatto a raggiun­ gere e non tradire il suo fine: mezzo di sollecita dichiarazione del diritto contestato ed attuazione del diritto dichiarato. I difetti del rito attuale sono troppo noti per essere ricordati, come i caratteri che il nuovo do­ vrà avere sono richiesti da pareri cosi numerosi da essere quasi unanimi. Bisognerà sopprimere tutto ciò che favorisca la litigiosità ed, invece di troncare speditamente, possa prolungare e molti­ plicare le liti; che rimandi, per vuoto culto di for­ mule o di legalità estrinseca, la raccolta e la pre­ parazione del materiale di fatti o di prove su cui il giudizio deve essere fondato; che questo giudi­ zio, con un sistema di impugnazioni non piu ri­ spondenti alla coscienza dei tempi, spezzetti e frantumi; che troppo ritardi il formarsi del giu­ dicato; che eluda gli scopi dell’esecuzione, e con essi la dignità stessa della legge; che, con questa serie di manchevolezze, renda incerta e pericolosa la esigibilità del credito privato e ne inaridisca le fonti, con danni molteplici e non lievi alla pub­ blica economia. D al 31 luglio 1931 è anche pronto il progetto del nuovo Codice marittimo. 86

V ili R IFO R M E N E L D IR IT T O P E N A L E L ’ opera legislativa piu cospicua compiuta dal Fascismo - dopo le leggi sull’ordinamento cor­ porativo, che, per la specialità e l’importanza dell’oggetto, meritano una trattazione a parte è costituita dalla riforma del Codice penale e da quello di procedura penale, compiuta in esecuzione della legge 24 dicembre 1925 n. 2260. I nuovi Co­ dici, promulgati il 19 ottobre 1930, sono in attua­ zione dal i° luglio 1931 e sono già al cimento fer­ vidissimo della pratica e della dottrina, studiati dagli scienziati di tutto il mondo, presi a modello da molti Stati: fulgida tappa del genio giuridico nazionale. I motivi contingenti della riforma furono nu­ merosi e gravi: il bisogno, piu che l’opportunità, di raccogliere e perfezionare nella codificazione, una legislazione frammentaria suscitata da improv­ visi fenomeni economici e sociali; di rinvigorire la difesa della società contro le forme piu gravi della delinquenza, massime quella reiterata; e la difesa dello Stato contro ogni azione mirante ad insi­ diarne g l’istituti od indebolirne la compagine. Ma l’entità dell’opera sorpassò la stessa altezza dei motivi: era del resto impossibile che, apertasi una qualsiasi breccia nelle dighe del Codice allora vi-

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gente, non vi irrompessero gli opposti postulati, formatici, in circa mezzo secolo, nell’aspra e su­ perba competizione delle due scuole che ebbero fra noi i,lo ro maestri, da Enrico Pessina ad Enrico Ferri'': la scuola classica e la scuola positiva. Il segnq distintivo, e sarei per dire il privilegio, del diritto penale rispetto a tutte le altre branche del diritto è in ciò: che esso non può dettare le sue norme senza scrutare l’uomo nella sua essenza spirituale (e sarebbe già un vasto mondo da esplo­ rare) ma anche senza concatenarlo al resto dell’u­ mana convivenza (la società, sempre; l’umanità molte volte), e senza guardarlo al lume di quei valori ideali nei quali il mondo, invano cercante le sue ultime leggi fisiche, trova il segreto e la fon­ te della sua coesione (Dio, la giustizia, la verità etica). È la sola branca del diritto che, donde si inizi e dovunque voglia circoscriversi la riforma, ripone in moto ed in discussione questo immenso sistema di rapporti e di problemi, e non permette che si tocchi il particolare senza controllare le basi e regolare l’armonia del sistema. Il nuovo Codice penale italiano non ha segnato il tramonto dei principi della scuola classica, né ha dato il bando alle richieste essenziali della scuo­ la positiva. N é Puna né l’altra soluzione esclusivista sarebbe stata possibile. N on la prima, perché poggiare una legge penale sul principio della co­ si detta responsabilità oggettiva, rinnegando quel­ lo fondamentale della imputabilità morale, sareb­ be rinnegare la piu evidente delle realtà: l’esisten­ za di una volontà umana, leva dell’individuo e della storia. N on la seconda, perché riconoscere

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questa realtà non costringe a rinnegai parte, che gli uomini si distribuiscono rie, secondo il grado di normalità di cui sono for­ niti, e che, per esse, distribuendosi diversamente il potere della volontà e quindi l’efficacia della legge sull’individuo, e salendosi dai normali agl’irresponsabili o agl’incorreggibili, diviene necessa­ rio, a mano a mano che da quelli si perviene a questi, sostituire ai m ezzi di repressione, aventi in sé il potere rieducativo dell’individuo, i mezzi di prevenzione, di cura o di rigenerazione, intesi precipuamente a porre il colpevole nella impossi­ bilità di nuocere ulteriormente. Il passo piu avanzato fatto finora verso il con­ seguimento dei due fini è rappresentato dal Codi­ ce penale fascista. Esso è l’inizio (quali saranno i probabili sviluppi non è qui il caso di stabilire) di tutto un nuovo edificio del diritto penale. Innovazioni salientissime sono state attuate cosi in tema di imputabilità e di responsabilità, come nel campo delle sanzioni. Quanto alla imputabilità, ispirato a larghi cri­ teri è il nuovo trattamento dei minorenni: previ­ denze illuminate di bonifica morale. Il minore de­ gli anni 14 non è imputabile; il minore dei 18 è imputabile se si dimostri che, al momento del fatto, aveva capacità d ’intendere e di volere. Fer­ ma poi restando la distinzione fra vizio totale e vizio parziale di mente, si è espressamente ne­ gato, per meri fini di politica criminale, agli sta­ ti emotivi e passionali il valore di cause esclu­ denti o diminuenti l ’imputabilità. Per gli stessi fi­ ni, tale valore si è negato anche all’ubriachezza

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volontaria o colposa, aggravandosi anzi la pena a carico di chi la preordini al fine di commettere un reato o prepararsi una scusa. Quanto alla responsabilità, sono state discipli­ nate con maggior rigore la recidiva, l’abitualità e la professionalità nel reato, ed è stata per la prima volta definita e regolata negli effetti la tendenza a delinquere. Quanto alle sanzioni, resta la bipartizione tra­ dizionale fra sanzioni penali e quelle civili. Circa le prime, sono da ricordare, il ripristino della pe­ na di morte; l’abolizione della detenzione, con la unificazione delle pene temporanee privative della libertà personale per delitti nella reclusione; l’a­ bolizione della segregazione cellulare, come moda­ lità esasperante l’espiazione di alcune pene più gravi. Circa le seconde, sono da porsi in rilievo le norme relative alla risarcibilità del danno non pa­ trimoniale da delitto, ricche di effetti e di riflessi su tutta la dottrina del risarcimento del danno, e quelle dettate per frustrare l’ efficacia degli atti fraudolenti compiuti dal colpevole in vista del rea­ to o dopo il reato : norme che allargano le frontie­ re AcWactio pauliana e delle azioni d ’impugnativa regolate dal codice di commercio in rapporto al fallimento. Accanto alle sanzioni, secondo il codice che le chiama “ amministrative” ; fra le sanzioni, secon­ do una corrente dottrinale che, per l’unità umana del soggetto su cui insieme con le pene od invece delle pene cadono, e per i profili afflittivi che pre­ sentano, le ritiene di natura giurisdizionale, sono le “ misure di sicurezza” . È questa parte del Co­ 90

dice più nuova ed originale: quella che, secondo alcuni giuristi stranieri, ha operato una ardita ri­ voluzione nella legislazione e nella scienza penale. Esse guardano non al delitto ma al delinquente: non alla infrazione avvenuta, ma a quelle che pos­ sono avvenire per opera dello stesso individuo: non al danno verificatosi, ma alla pericolosità. Più che a punire, dunque, a prevenire: mezzi, per ciò, di prevenzione criminale. Possono appli­ carsi in aggiunta alle pene, o da sole: quello è il caso del delinquente responsabile e pericoloso; questo, di solito, dell’autore di delitto pericoloso ma non responsabile. Le misure di sicurezza possono essere detentive o non detentive. Sono detentive l’assegnazione a una colonia agricola e ad una casa di lavoro; il ricovero in una casa di cura e di custodia; il rico­ vero in un manicomio giudiziario; non detentive: la libertà vigilata; il divieto di soggiorno in uno o più comuni o in una o più provincie; il divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcooliche; l’espulsione dello straniero dallo Stato. La varietà delle misure di sicurezza riproduce la varietà delle categorie d ’individui cui sono ap­ plicabili, e delle cause della pericolosità da curare e reprimere in ciascuno. Esse non sono affatto misure di polizia e non possono con queste essere confuse. Per le misure di polizia, basta la pericolosità derivante dal te­ nore di vita, dai precedend morali, dal sospetto di reato; per le misure di sicurezza, si parte da una premessa immancabile: un reato commesso, indice della probabilità che l’autore ne commetta 91

altri. Per quelle, è competente l’autorità ammini­ strativa; per queste, deve intervenire la garanzia giurisdizionale, anche se poi si consideri ammini­ strativo il provvedimento che lo irroga. Nasce cosi la figura del giudice di sorveglianza, che, durante la funzione delle misure di sicurezza, segue il con­ dannato perché la misura non duri meno ma non duri più di quel che sia indispensabile a raggiun­ gere il fine di essa: il miglioramento del condan­ nato e la sua ripristinata attitudine a vivere in so­ cietà. Nuove figure di reati sono state introdotte, a tutela del sentimento morale, della vita e dei di­ ritti individuali, delle forze più utili alla esistenza ed alla potenza della Nazione. Completamente rimaneggiato il titolo dei de­ litti contro lo Stato, in guisa da difendere ener­ gicamente lo Stato non solo in tempo di guerra ma in ogni momento e nelle più vitali manifesta­ zioni della sua attività. I delitti contro la pubblica amministrazione in genere, e contro l’amministra­ zione della giustizia in ispecie, repressi più seve­ ramente. Dato un assetto più completo, e conforme al principio intorno a cui lo Stato fascista gra­ vita - il lavoro -, ai titoli dei delitti contro l’eco­ nomia pubblica, l’industria ed il commercio. Co­ stituito - titolo originalissimo - quello dei delitti contro l’integrità e la sanità della stirpe, e meglio ordinato quello dei delitti contro la fam iglia: in entrambi rispecchiandosi il valore dominante che il Fascismo attribuisce allo sviluppo demografico del paese, sulla base della famiglia, cellula prima e sacra della società e dello Stato. 92

N ell’insieme, è un Codice in cui si afferma, ro­ busta c virile, la crescente autorità dello Stato; ma errerebbe chi scambiasse questo suo intimo carat­ tere con quello di una finalità diretta solo o sopra tutto ad una piu severa repressione. Il giudice ha poteri cosi ampi, che nel codice trova, in massima, tanta ricchezza e duttilità di norme per una pre­ cisa e sottile valutazione della personalità subiet­ tiva del delinquente, che non solo l’equivalenza fra reato e sanzione, ma fra colpa (intesa nel suo contenuto squisitamente subiettivo) e sanzione è sempre possibile, quando la capacità del giudice sia pari alla delicatezza della legge e della funzione a lui affidate. Certo, al giudice penale di oggi non basta piu la semplice conoscenza del codice : occor­ re una cultura ampia e varia, estesa alla conoscenza di scienze finora chiamate ausiliarie, che meglio sarebbero dette integrative, del diritto penale, indi­ spensabili a giudicare in ciascun autore di reato l’individuo in quel che realmente ha fatto, sente ed è, e non un uomo medio, di maniera, astratto ed irreale. La riforma dell’ordinamento giudiziario, che anche attende le cure del legislatore, dovrà rivol­ gere a questo intento cure particolari. Contemporanea alla rinnovazione del diritto pe­ nale sostantivo, si è avuta quella del diritto penale processuale. I poteri ed, in correlazione, i doveri del magistrato sono aumentati; diminuiti nella istruzione, e circoscritti in dibattimento, i poteri della difesa; abolito il contraddittorio nelle perizie, ed accentuato il carattere ufficiale di queste; ri­ dotto il numero delle nullità, ed abolite le nullità 93

assolute, prevedendosi forme di sanatoria per tutte; garantita la maggiore rapidità dei giudizi; limi­ tato il campo dei motivi di impugnazione; soppres­ so il ricorso nell’interesse della legge; accresciute le attribuzioni e le prerogative del giudice nella fase della esecuzione, specie per quel che attiene alle misure di sicurezza. Si è foggiato, insomma, un tipo di processo idoneo agli scopi che il diritto penale si propone. Per i delitti più gravi, valutandosi la gravità sempre alla stregua della pena comminata e non del titolo del reato, resta un organo di giurisdi­ zione a sé stante: la Corte di Assise. Il R. Decreto 23 marzo 1931 n. 249 lo ha però essenzialmente trasformato; la giuria, padrona del­ la sentenza, mentre il Presidente era padrone, co­ me dicevasi (e meglio si sarebbe detto concessio­ nario) della pena, è stata abolita; non è stato però abolito l’elemento popolare, che anche in altri or­ gani giurisdizionali, quale la magistratura del la­ voro, è utilizzato, poiché la Corte è composta da un Presidente di sezione di Corte d ’Appello, che la presiede, di un consigliere di Corte d ’Appello ovvero di un presidente o presidente di sezione di tribunale; di cinque assessori, scelti in determi­ nate categorie di cittadini, tali da dare assoluta garanzia di cultura, di probità e di esperienza. Magistrati ed assessori formano un unico collegio, sicché la sentenza dev’essere il risultato del con­ vincimento e del giudizio di tutti. La sentenza non è piu la espressione insondabile, e perciò tal­ volta aberrante, del libero convincimento dei giu­ rati; dev’essere motivata, ed è, quando ricorrano 94

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i casi previsti per tutte le sentenze pen; " ' enere, suscettibile di ricorso per cassazione. Per alcuni reati produttivi di ma danno o pericolo per l’esistenza, la tranqu il cre­ dito o il prestigio dello Stato, fu con 25 novembre 1926 n. 2008 istituito un Tribunale Spe­ ciale per la difesa dello Stato, costituito da un Pre­ sidente scelto tra gli Ufficiali Generali dell’Esercito, della Marina, dell’Aeronautica e della Milizia V o ­ lontaria per la Sicurezza Nazionale; di cinque giu­ dici scelti fra gli ufficiali della M . V . S. N ., aventi grado di console, l’uno e gli altri; e di un rela­ tore senza voto, scelto tra il personale della giu­ stizia militare. Le sentenze di tale tribunale non sono suscetti­ bili di ricorso né di altro mezzo d ’impugnazione, tranne la revisione, che fu regolata con R. Decreto 3 ottobre 1929 n. 1759. A l Tribunale Speciale fu prefissa la durata di cinque anni dal giorno della pubblicazione della legge che lo istituì; con R. Decreto 4 giugno 1931 n. 674 il termine è stato prorogato fino al 31 di­ cembre 1936.

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M ISSIO N E U N IV E R S A L E i l rapido schizzo fin qui delineato vale forse a dimostrare non solo la vastità del lavoro già compiuto e quella del lavoro da compiere e già in via di svolgimento, ma il carattere unitario del­ la riforma. Questa non deriva da un prestabilito proposito di innovare: deriva invece dalla forza di un principio di vita che, consacrato dalla Ri­ voluzione, e posto a base dello Stato, ne rinnova per propria virtù leggi ed istituti. D i qui, l’anda­ mento continuo ed organico della riforma; di qui, il suo ritmo che col tempo non si affievolisce ma si ravviva ed accelera. Egli è che ogni tappa deter­ mina e sollecita l’altra: il primo impulso conte­ neva in sé la fatalità di tutto il cammino, e que­ sto non si arresterà che al suo termine necessario. Se il legislatore, ora o domani, volesse troncarlo, non vi riuscirebbe : se volesse deviarlo, neppure. La storia conosce momenti legislativi di un valore quasi mistico : sono quelli in cui tocca a un regime rivelare un principio che diventi, secondo una lo­ cuzione pitagorica, “ misura di tutte le cose” , una “ legge misura di tutte le leggi ” , per tutto un periodo storico. Noi viviamo uno di questi periodi. L ’opera di riforma cui noi attendiamo disciplina

ed appaga i nostri bisogni, e ad un tempo li va­ lica. Sic nos non nobis. La pacificazione e la col­ laborazione delle classi, l’infrenamento del parla­ mentarismo, il risveglio dei valori morali che ol­ trepassano l’uomo e la sua particolare vicenda, so­ no nuclei di verità che ormai si impongono al mondo; di cui l’Italia ha fatto e fa, tra i popoli, l’esperimento primo e piu largo; che essa, tutti pre­ cedendo, pone a base dei suoi nuovi ordinamenti. Essa attua in ciò il suo destino - privilegio ed onere - di serbare impronta romana al diritto, che, riproducendo nella propria espansività quella delle situazioni sociali, nasce in un paese per diffon­ dersi, se è conforme alle finalità di un’epoca, len­ tamente, fatalmente, dovunque. L ’opera che ancora ci attende non sarà breve né agevole. Richiede coscienza chiara degli scopi: attitudine perciò a dominare l’insieme. E dev’esser sorretta costantemente dalla coscienza di questa no­ stra responsabilità che oltrepassa i confini del paese e del secolo. T u tti i popoli stranieri offrono già larghe prove del cospicuo materiale di studio, ispirazioni, imi­ tazioni che noi abbiamo loro dato: tale che più volumi potrebbero dedicarsi ad esporlo. Piu im­ ponente è il materiale che daremo, perché finora molti popoli hanno dovuto superare una diffiden­ za che lotta di interessi o pregiudizi sociali ispi­ ravano, ma che ormai è travolta dalla evidenza di ciò che il Fascismo dà alla civiltà umana. N e viene per noi una somma di doveri. Saper accogliere i moniti dell’esperienza e ser­ vircene per perfezionare continuamente le nostre 97

leggi. Ricordare che, come la realtà sociale econo­ mica, politica non ha tregue né stanchezze, cosi non deve averne il rinnovamento iniziato dal Fascismo nell’opera della codificazione; e ciò non per mera ragione di orgoglio nazionale, ma perché fra realtà e legge corre un rapporto per cui, se la realtà in gran parte modella la legge, questa è forza che a sua volta concorre a modellare la realtà; ed al Fa­ scismo, che plasma fatti ed eventi, urge un corpo di leggi sue. Difenderne infine l’originalità, essere pronti a rivendicarla, saperne propagare i frutti, con la coscienza che ciò è parte inseparabile della nostra missione universale.

INDICE

I

- Principi informatori della riforma

II

- Riforme c o s titu z io n a li.......................

17

lli

- Relazioni dello Stato con la Santa Sede

4i

IV

- Carta del Lavoro - Consiglio Nazionaie delle Corporazioni

. . . .

9

49

V

- Riforme concernenti il potere esecutivo

VI

- Riforme nel diritto amministrativo .

V II

- Riforme nel diritto privato . . . .

80

v in

- Riforme nel diritto penale . . . .

87

IX

- Missione u n iv e r s a le .............................

96

¡Irâüïïirtâ ti N c n ± - . j* t

61

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