La monade spirituale. Studio su Luigi Stefanini

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Giuseppe Pintus

La monade spirituale Studio su Luigi Stefanini

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A mia madre

Ringrazio il prof. Carmelo Meazza, al quale si deve quanto di buono si può trovare nelle pagine che seguono; il prof. Giuseppe Cantillo, per la lettura, i preziosi suggerimenti e per l'incoraggiamento; Federico Piras e Giovanna Monti, per le osservazioni e per il constante dialogo di confronto; Irene Oggiano, per la rilettura delle prime bo:7.7.e; Chiara Maggese, per la revisione editoriale paziente e come sempre impeccabile; Francesca Guerra, per la copertina, sulla quale non mi sono mai espresso, perciò lo dico oro: ml piace.

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Introduzione

Questo studio intende offrire, sen1.a alcuna pretesa di esaustività, la ricostruzione di alcuni temi della proposta filosofica di quello che si può considerare come uno dei protagonisti del dibattito filosofico italiano della prima metà del secolo scorso'. Uno studioso che oggi voglia avvicinarsi al pensiero di Luigi Stefanini non può far a meno di notare la straordinaria figura, la grande produzione2 e la molteplicità degli ambiti dei quali si egli è occupato, in alcuni dei quali il suo contributo è stato decisamente significativo, come nel campo della storia della filosofia3,

l Per una ricostru:àone completa della biografia di Luigi Stefanini e dello sviluppo del suo pensiero, si veda ora l'imprescindibile volume di G. Cappello, Luigi Stefanini. Dalk upere e dal carteggio del suo archioio, Europrint, Treviso 2006. 2 Cfr. L. Corrieri, Luigi Stefanini. Un pensiero attuale, Prometheus, Milano 2002, nel quale è possibile trovare una bibliografia completa delle opere di Stefanini alle pp. 171-224; la bibliografia è seguita da un utile indice tematico, alle pp. 225-229. 3 Va ricordato che Stefanini scrisse diversi manuali per i licei: Storia della filosofia e dell'educazione. Con note integratioe sulla dattrina del fascismo e il te.sto dei programmi delle scuok elementari. Per k tre classi degli Istituti Magistrali Superiori secondo i programmi del 193&-XIV, Sei, Torino 1937; Storia della filosofia e dottrina del fascismo. Per le tre classi del Liceo secon-

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dell'esteticit e della pedagogia5, fino al!'elaborazione di una prospettiva e di una visione originale del personalismo. Oltre

do i programmi del 1936-XIV, Sei, Torino 1931; Storia dellafilosofia e della pedagogia. Con note sulla letteratura per l'infanzia e il testo dei programmi delle scuole elementari e materne (D. M. 9 febbraio 1945). Per le ulti= tre classldegll Istituti magistrali secondo lplìl recenti piani dlstudio, Sei, Torino 1945; Storia dellafilosofia. Perle tre classi del Uceosecondoipiù recenti piani dlstudio, Sei, Torino 1946; Storia della filosofia per i Licei, 3 voli., Sei, Torino 1946. Grande importanza ebbe anche il suo Platone, 2 voli., Cedam, Padova 1932-1935; si veda a proposito il parere espresso da Giovanni Salmeri, in esordio al suo contributo Lo spirito della filosofia nel Platone dl Luigi Stefanini, in Aa. Vv., Dialettica dell"immagine. Studl sull"imaginismodl Luigi Stefaninl, Marietti, Genova 1991, pp. 83-91. Per un approfondimento di Stefaninicome storico della fìlosofìa, si vedano: A Rigobello, Luigi Stefanini storicodell'estetica, in «Rivista di estetica», I, n . 2, 1956, pp. 123-146,e Id., Luigi Stefanini storico della filosofia moderna e contemporanea, in Aa. Vv., Scritti inonoredl LuigiStefanlni, Liviana, Padova 1960, pp. 69-106. Per un approfondimento del contributo dei pensatori classici alla formulmone del personalismostefaniniano, si veda L. Bressan, Le radici classiche del concetto dl persona Platone e il Platonedl LuigiStefanini, in Aa. Vv., Luigi Stefa• nini e /"odierna antropowgiafilosofica, Atti del LV Convegno di formmone alla ricerca fìlosofìca di Padova, 8-11 settembre 2010, a cura di G. Cappello e R. Fagotto, Cleup, Padova 2011, pp. 213-291; L. Della Valeria, Valore della per.sana e principi primi: Aristotele e Luigi Stefanini a confronto, ivi, pp. 294-304; F. Festa, Origini del pensiero dl Luigi Stefanini a partire da Platone, ivi, pp. 305-321. 4 Cfr. in particolare G. Santinello, Il secondo oolu= del Trattato dJ Estetica dl Luigi Stefanini, in «Rivista di estetica», I, n. 2, 1956, pp. 141-160.

5 Per un approfondimento della pedagogia di LuigiStefanini, si veda L. Caiml, Educazwne e per.sana in Luigi Stefanini, La Scuola, Brescia 1985. D ello stesso autore si veda anche La pedogo{!/a dl Luigi Stefanlnl trent'anni dopo, in Aa. Vv., Atti del Conoegno su Luigi Stefanini nel 3()" anniversario della morte. Treoi.so, 16ottobre 1986, Canova, Treviso 1981,pp. 43-49; La paideia per.sonalistica, in Aa. Vv., Luigi Stefanini. Linguaggio/Interpretazione/Persona, a cura di G. Crinella, Studium, Roma 2001, pp. 49-56; L. Sandonà, La oia educatfoa del per.sonalismo dl Stefanini. Attualità e soiluppi dl un'intuiZlone, in Aa. Vv., Uomo e per.sono in Luigi Stefaninl, Atti del LVI Convegno di formmone alla ricerca fìlosofìca di Padova, 9-11 settembre 2011, a cura di G. Cappello e R. Fagotto, Cleup, Padova 2012, pp. 251-260.

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alla grande produzione, va tenuta presente l'infaticabile attività di promozione del dibattito lìlosofico, si pensi in particolare agli incontri annuali di Gallarate6 e alla fondazione della «Rivista di estetica», alla quale, però, poté dedicarsi solo per il primo fascicolo7• Stefanini fu, insomma, un filosofo noto e riconosciuto8, oltre che un professore appassionato e appassionante0. Stupisce, allora, come alla notorietà in vita sia corrisposto un diffuso disinteresse a seguito della sua scomparsa1°. Se non fosse per l'impressionante lavoro della Fon dazione che porta il suo nome, e che ancora oggi organixz.a convegni nei quali si discute l'attualità del suo pensiero' 1, Stefanini sareb-

6 Secondo quanto scrive Carlo Giacon, fu Stefaninl a indurlo a prendere i primi contatti per un convegno con coloro che risulteranno essere i fondatori del Centro Studi Filooofìci di Gallarate. Cfr. C. Giacon, Il movimento di Gallarate. 1 dieci convegni dal 1945 al 1954, Cedam, Padova 1955, p. 5 s. 7 Il n. 1 del gennaio-aprile 1956 riporta il nome di Luigi Stefanini quale direttore, e il n. 2, sempre del 1956 (maggio-agooto), dedicato a Stefanini appena scomparso, riporta come nome del fondatore quello di Stefanini, mentre Luigi Pareyson vi compare come direttore. 8 Alcune sue opere sono state tradotte in francese e raccolte nel volume ltinéraires métaphyslques, lntr. e tr. di J. Chaix-Ruy, Aubier-Montaigne, Paris 1952. 9 Si legga a tal riguardo la testimonianza bella e commovente di Enrico

Berti, che fu suo studente all'università: Dall'imaginismo al personalismo: una testimonianza, In Aa. Vv., Dialettica dell'immagine, cli., pp. 215-223. 10 Per una ricootru:àone del contesto di rice-àone negli anni successivi alla morte di Stefanini e degli ostacoli incontrati dai suoi allievi, si veda il contributo di G. Piaia, Sull'eredità fiwsof,ca di Luigi Stefanini, in Aa. Vv., Arte e linguaggio in Luigi Stefanim, Attidel Convegno della fonda:àone Luigi Stefanini di Treviso, 10-11 novembre 2006, Europrint, Treviso2008, pp. 219-224. 11 Significativi sono anche i convegni e gli studi nei quali la prospettiva stefaniniana è affiancata a quella di altri pensatori. A tal riguardo, si segnalano: Aa. Vv., Ro.smini e Stefanini. Persona -Etica - Politica, Atti del Il Convegno della Fonda:àone Luigi Stefanini, Treviso, 14-15 novembre 1997, con, in appendice, le rela:àoni al I Convegno di Treviso, 20-21 dicembre 1996, Prometheus, Milano 1998; Aa. Vv., Edith Stein e Luigi Stefanini. Esperien-

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be ormai probabilmente del tutto dimenticato. Scrivere su Stefanini pone cosi diversi problemi, innanzitutto di ordine pratico, come la difficoltà a reperire i suoi testi e la bibliografia secondaria più datata. Se si decide di condurre uno studio su alcuni concetti del suo pensiero, allora, è perché si ritiene che la difficoltà sia ampiamente giustificata dal guadagno, ma anche perché dispiace che una simile ricchezza di temi vada perduta. La proposta filosofica di Stefanini consiste nell'elaborazione articolata e sistematica di un personalismo 6loso6co. In tale prospettiva, la persona viene tematizzata soprattutto a partire dalla relazione che intrattiene con se stessa ed è posta come elemento primo e centrale di qualsiasi riflessione su o relazione con altro, con il rischio di essere costantemente considerata in chiave solipsistica. Il presente studio vuole mettere in risalto le coerenze per le quali l'affermazione dell'irriducibilità della persona e la tematiZ7.azione di una identità forte si mostrano inseparabili dall'apertura e dalla relazionalità. In altri termini, si tratta di far reagire le seguenti due affermazioni o di risolverne l'apparente distanza: l'unico principio primo, l'unica categoria, l'unica verità assiomatica che è preposta all'ordlne della razionalità è l'io [... ), unico dogma preposto alla razionalità. 12 La monade spirituale è tutta porte e tutta Gnestre. 13

Il percorso seguirà il seguente tracciato: dapprima sarà posto a tema il personalismo e i suoi presupposti generali: l'aspetza- Persona - Società, Atti del Convegno della Fonda:àone Luigi Stefanini, Treviso, 18-19 gennaio 2002, Prometheus, Milano2004; T. Valentini, Enneneutica, ontclcgia e linguaggio in Luigi Stefanirùe Paul Ricoeur. Un possibile confrontc, in Aa. Vv., Arte e linguaggio in Luigi Stefanini, cit., pp. 289-323. 12 L Stefanini, La mia prospettiva filosofica, Canova, Treviso 1996, p. 17. 13 lvi, p. 20.

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to meta6sico, l'idea dell'io come principio, la funzione e l'articolazione del giudizio, l'idea di un io inteso essenzialmente come verbum e l'idea di ragione e di razionalità che ne deriva. In questa prima parte si vuole porre in evidew.a soprattutto l'idea di un personalismo nel quale l'io è punto di consustanzialità tra essere e pensiero, là dove l'essere si pensa e si dice, dunque si manifesta innanzitutto a se stesso. Il secondo capitolo esporrà alcuni degli aspetti peculiari dell'idea di personacosl come affrontati da Stefanini nel corso della formulazione della sua proposta. L'andatura non sarà 6lologica e non si occuperà di sottolineare l'evoluzione del pensiero a partire dalle di1Teren7.e. Considererà invece la proposta e la formulazione dell'idea di persona a partire dalle costanti con le quali è tematizzata. Sarà inoltre parziale, in quanto si concentrerà soprattutto sugli aspetti ritenuti utili ai fini preposti. Si tratteranno quindi le note dell'unità e dell'unicità della persona, ciò che la caratterizza in termini di spiritualità e finitezza, per mostrare come la consapevolezza dell'insufficienza di una inseità a darsi da sé schiuda il problema della relazione come apertura su una alterità per giungere alla quale occorrerà passare per il concetto di imagine. Emergerà anche come in questa prospettiva la rivelazione sia un elemento fondamentale non solo per relazionarsi con Dio, ma innanzitutto per comprendere l'umano. Il capitolo dedicato ali'estetica dovrà contribuire a comprendere sempre l'idea di persona. Se nell'opera d'arte, infatti, l'espressione si fa assoluta, trasponendosi in una forma nella quale si ritrova la persona con le sue caratteristiche, ciò significa che al massimo grado dell'espressione l'io esprime se stesso nello stesso atto in cui si fa comunicazione per altri. Il massimo grado della comunicazione si realizza nell'arte perché l'io, inteso come parola che si comunica essenzialmente a se stessa, si esprime in un atto in cui traspone questo comuni-

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carsi a sé che diventa comunicarsi ad altri. Nell'arte, l'artista non comunica qualcosa, ma se stesso, vale a dire il medesimo atto con cui si esprime a se stesso e si realizza cosl come comunicazione di sé nell'esteriorità. Nell'arte, dunque, la parola raggiunge il massimo grado, e anche il suo scopo, sen:za significare alcunché, diventa imagine della persona, da essa distinta, nella quale la persona si rivolge. Grazie ali' arte, si inizia a comprendere come l'atto con cui la persona si manifesta e si relaziona a sé sia lo stesso con il quale essa si manifesta e si relaziona ad altri, cosl rivelando la relazionalità stessa dell'io, la sua apertura originaria. Da ultimo, si vedrà come la relazione con l'altro sia una esigen:za interna alla realizzazione dell'io, necessaria per diventare persona.

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I Il personalismo

l. Metafisica Se la prospettiva filosofica di Luigi Stefanini può essere definita metaJìsica, occorre subito precisare che non si tratta di una metafisica classica, per usare un'espressione dello stesso fìlosofo trevisano, ma di una metafisica personalista o di una metafisica della persona, per riprendere, in questo caso, il titolo di una sua opera del '501• La metalìsica personalistica non si pone come obiettivo quello di negare o denunciare la falsità della metaJìsica cosiddetta classica, quanto piuttosto quello di identificarne le mancanze in modo che l'apporto personalista possa colmarne l'incompletez7.a2• La grande tradizione della metaJìsica e la sua

1 L. Stefanini, Metafisica della persona e altri saggi, Liviana, Padova 1950. La distinzione tra u na metalìsica dell'essere (classica) e una metalìsica della persona fu ciò che oppose Stefanini a Bontadini in occasione del N Convegno del Centro Studi Filosofici di Gallarate (13-15 settembre 1948). L'in• tervento di Stefanini compare per la prima volta come lntroduzwne agli Atti del convegno, pubblicati con il titolo Ricostruzione metafisica, Liviana, Padova 1949, pp. 24-38. 2 Cfr. L. Stefanini, Metafisica della persona, cit., p. 3. Per una lettura critica della polemica «calorosa e strenua• contro la metafisica classica che «l'indimenticabile Stefanini sostenne per piìl di dieci anni nei Convegni di

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eredità non vengono rigettate, ma considerate parziali e manchevoli in quanto caratterizzate da un difetto ali'origine. Percorrendo la via dell'astrazione, la metafisica classica procederebbe a una elaborazione dell'idea dell'essere, che, tuttavia, resterebbe vuoto e indeterminato. La prospettiva della metafisica personalistica si distinguerà innanzitutto nel punto di partenza. Se per la metafisica classica questo consiste nell'essere quale preliminare a ogni sviluppo ulteriore, il punto di partenza di una metafisica personalistica è costituito dalla persona quale esperienza piena che si osserva come già presente e vivente nell'atto del pensiero. Per poter dire qualcosa dell'essere e per sottrarlo all'indeterminatezza che assume nella metafisica classica, occorrerà dunque partire dalla propria esperienza personale, dal modo in cui l'essere si manifesta nell'esperienza della persona Ora, nell'esperienza il punto di partenza è sempre l'io. Anche quando l'esperito è altro dall'io, è sempre a un io che quest'altro si manifesta, così che l'io si dà come il «fatto primordiale e centrale dell'esperienza»3 , come l'elemento persistente che chiede di essere protagonista, imponendosi in ogni circostan7_.a e in ogni relazione con l'esterno. L'esperienza personale attesta dunque un raddoppiamento per il quale nella relazione che l'io intrattiene con le cose, questi stabilisce anche e innanzitutto una relazione con se stesso. Se ne ricava che l'unica possibilità per l'esperienza di sviluppare il proprio significato è che l'esperito sia innanzi tutto il sé e, in sé, i suoi contenuti. Scrive Stefanini: L'io è sempre prima delle cose, e qualunque preceden7.a di fatto e di evento sull'atto che Il riconosce si capovolge nella

Gallarate•, cfr. G. Giacon, Il personalismo di Luigi Stefanini e la metafisica classica, in Aa. Yv., Scritti In onore di Luigi Stefanlnl, cit., pp. 127-138. 3 L. Stefanini, La mia prospettioa filosofica, cit., p. 9.

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preceden7.a di questo atto, che si antepone all'anteporsi di ogni fatto, riconoscendolo appunto come anteposto nella sua viva attualità.•

L'altro, anche l'Altro assoluto, al quale l'io pur si dischiude, è sempre esperito solo dopo l'io. Ogni atto dell'io non si rivolge dunque solo ad altro, ma in questo rivolgersi ad altro torna su se stesso. La persona compie ogni suo atto solo in quanto è in sé e a condizione che la sua inseità non sia persa. Qualsiasi esperienza ulteriore si annuncia, cosi, come confronto con l'io, con la sua capacità d'interpretazione, di sintesi e di produzione. Ogni comunicazione sarà comunicazione di un io con un altro io, e ogni manifestazione sarà sempre manifestazione di un io a un altro io. Ogni comunicazione, tuttavia, sarà comunicazione di un io a un altro, fermo restando che è sempre comunicazione a se stesso. Allo stesso modo, in ogni manifestazione ci si manifesta ad altro, pur sempre manifestandosi a se stessi. Anche di fronte a qualsiasi condizionamento, l'inseità persiste stabilendo una continuità rispetto a qualsiasi modificazione che possa esercitare il condizionamento. Quanto affermato è vero non solo rispetto ali'esperien7.a, ma rispetto a qualsiasi attività, fino al punto che anche nella logica deve essere riconosciuta la primalità dell'io quale fondamento e giustificazione\ Lo stesso principio di non contraddizione non può essere riconosciuto che dopo l'io, in quanto esito della resisten7.a opposta dall'unità e dall'identità dell'io al tentativo di scomposizione esercitato sulla ragione6 • 4 L. Stefanini, Metafisica della pe,-sona, cit., p. 12. 5 Cfr. L. Stefanini, Pe,-sonalismo sociale, Studium, Roma 19.52 (197gi), p. 14. «Per quanto la logica possa compiacersi di trasformare il concreto in astratto, l'unico principio primo, l'unica categoria, l'unica verità assiomatica che è preposta all'ordine della razionalità è l'io». 6 Cfr. L. Stefanini, La mia prospettwafilo.sofica, cit., p. 13: «L'essere personale come sostanza unitaria si rivolge alle cose come un appetito di unità».

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In tale prospettiva, l'io è considerato non solo come incontraddittorio, ma anchecome il luogo in cui il principio di identità e non contraddizione trova giustificazione e deriva, cosicché tale principio è accettabile all'unica condizione che sia inteso in senso personalistico, ossia non nella semplice identità algebrica «A è A», bensl nell'espressione personale o esistenziale: «Io sono Io, Io non sono non Io,/. L'io per Stefanini è dogma, l'unico dogma riconosciuto, in fondo, comunque l'unico che possa venir prima della razionalità, in quanto la razionalità non gli può essere presupposta, ma può trovarsi solo in un io8 • Risulta così che se anche non si nega il fatto che qualsiasi cosa innanzitutto è, e che, prima di qualsiasi determinazione, prima di qualsiasi attributo ha da essere, tali affermazioni possono considerarsi valide alla sola condizione di aggiungere che l'essere si sperimenta sempre a partire dal modo in cui si reali7.Za nella persona, e ogni sua affermazione che prescindesse da una tale sperimentazione sarebbe o dogmatica o astratta0 • Ciò è vero anche in ambito teologico: «Per giungere a quel Dio che ha detto di sé: Ego sum qui sum, è molto più conveniente partire dal sum piuttosto che dall'esse,, 10• Il sum rappresenta qui l' «ontologia vivente e attuale nell'intima esperienza dell'esistente», mentre l'esse risulterebbe come una sorta di «sottoprodotto depotenziato», come qualcosa di indeterminato, se lo

7 lvi, p. 15. 8 Cfr. ibidem. 9 Cfr. ivi, p. 11: «Non o'ha partec;pazione cosmica, sociale, metafisica che non debba essere mediata dalla partecipazione psicologica. Una partecipa• zione cosmica non mediata dalla partecipazione psicologica sarebbe passivo meccanicismo; una partecipazione sociale non mediata dalla partecipazione psicologica sarebbe servilismo; una partecipazione metafisica non mediata dalla partecipazione psicologica sarebbe nirvanismo•. 10 L Stefanini, Metafisica della persona, cit., p. 4.

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si separasse dal]' esperienza del sum, vale a dire della persona. Affinché si possa dare una metansica, se il punto di partenza non può essere individuato in un essere astratto e impersonale1 1, deve essere rintracciato nel punto da cui parte ogni esperienza e ogni conoscenza, nel punto in cui l'essere e la sua logica si rendono esperibili. Pensare l'essere è possibile in questa prospettiva a partire da un'idea di pensiero che si pensa come pensiero di un pensante, «cioè pensiero radicato in un ente che si apre alla comprensione degli enti»12. Fuori dall'idea personalistica, l'essere si pone per Stefanini necessariamente come antagonista dell'essere, con la conseguenza che: Si finisce per accusare la persona d'irrn:r.ionalità per il suo carattere singolare ed eccezionale [... ), quasi la singolarità non fosse la nota più alta che la ragione scopre nel reale, quasi potesse esserci ragione sen7.a il principio dell'identità, che è realtà vissuta nella persona prima di essere struttura logica del discorso. Si dichiara ineffabile la persona, mentre tutta la lìlosolìa, tutta la cultura, tutta la civiltà è il dirsi della persona. Si vuol sacrificare il singolo alla universalità dei concetti, mentre i concetti non vivono se non nell'attività dei singoli e l'essere non si universaliZ7,a se non quando è congiunto alla sua matrice personale. 13

11 Perun approfondimento dell'articolazione del rapporto tra una metafisica dell'essere e la metafisica della persona in Stefanini, cfr. F. Piemontese, Estetu;a e metafisu;a nel pensiero di Stefanlnl, In «Rivista di estetica,,, I, n. 2, 1956, pp. 43-60, in part. p. 55.

12 L. Stefanini, Personalismo filosofico, Morcelliana, Brescia 1962 (I ed.,

Bocca, Roma 1956), p. 8. 13 Ibidem.

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2. Fondamento Se la metafisica cosiddetta classica avrebbe sbagliato nell'anteporre un'idea astratta dell'essere a quella dell'io di cui si fa esperienza concreta, l'errore della filosofia moderna e contemporanea risiederebbe nel non aver capito la correlazione tra persona, soggettività e logicità, per cui, se la prima ha ricavato la logicità dalla soggettività lasciando da parte la persona, la seconda ha ricavato la persona dalla soggettività escludendo la logicità14• Il limite di queste due prospettive, cosl lette, consisterebbe nell'aver elaborato una catena di astrazioni senza accorgersi di una parte mancante dall'inizio, per cui non è possibile né una logicità senza la persona, né la persona senza logicità, ossia senza aver compreso fino in fondo la coerenza per la quale non si dà esperienza senza razionalità né razionalità senza esperienza. In entrambi i casi mancherebbe, infatti, la persona come integralità dei due aspetti. Cosl la metafisica personalistica non sarà né un realismo classico né un idealismo classico, poiché in tali posizioni, rispettivamente, o il pensiero si aggiunge al reale e ne risulta considerato come «epifenomeno o sovrastruttura dell'essere», o il reale si aggiunge al pensiero facendo «sfiammare l'essere nella circolazione del pensiero su di sé»15• Scrive Stefanini: Propriamente il pensiero moderno non ha collocato l'uomo al posto di Dio: ha collocato al posto dell'uomo e al posto di Dio una logicità impersonale che risolvesse in sé, quali momenti empirici dell'universalità del concetto, i tratti della persona.

14 L Stefanini, Metafisica della persona, cit, p. 7. 15 L. Stefanini, Pe~onalismosociale, cit., p. 9. Flavia Silli parla di realismo metafisico, cfr. Il realismo metafisico •cifra" del personalismo di Stefanini: un'alternativa alle antropologietrascendentalistiche, in Aa. Vv., wigi Stefanlni e l'odierna antropologia filosofica, cit., pp. 255-270.

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[ ... ] Il pensiero moderno e il pensiero contemporaneo non hanno perduto soltanto Dio: hanno perduto, ad un tempo, Dio e l'uomo, ed hanno perduto Dio perché hanno perduto, anzitutto, l'uomo. 15

A questa diagnosi epocale corrisponde, quale compito di una fìlosolìa cristiana, l'esigen1.a di riconquistare un concetto adeguato di persona umana - o di «riconquistare l'uomo» - quale necessario preliminare a una adeguata idea di Dio. In altri termini, una teologia razionale è possibile solo se ha alla base una corretta psicologia razionale nella quale si dovranno mettere in rilievo «la trascendenza del principio spirituale, la sua produttività e l'intenzionalità semantica dell'attoumano»17• Ne risulta, sul piano di una psicologia razionale preordinata a una teologia razionale, che l'articolazione del rapporto io-Dio va considerata a partire dalla relazione io-mondo. Perché la trascenden1.a sia affermata rispetto al rapporto tra Dio e il mondo, occorre che sia affermata preliminarmente la trascendenza del principio spirituale sperimentato nell'io rispetto al mondo. Owero se si vuole affermare l'idea di un principio spirituale assoluto e trascendente che sia dunque in un rapporto non immanente con le determinazioni spazio-temporali, occorre che anche l'io, quale principio spirituale sperimentato nel!'esperien1.a, sia in un rapporto di trascenden1.a con il mondo. Detto diversamente, occorre individuare un concetto dell'io per cui lo stesso sia pensato in modo da dar ragione di una relazione che non si limiti all'immanenza. Tale concetto non può senz'altro trovarsi nel kantismo18, poiché la stessa idea dei

16 L. Stefanini, Metafisica della persona, cit., p. 8.

17 Ibidem. 18 Come afferma Mario Quaranta, «una delle "costanti" del pensiero di Stefanini, anzi la precondizione del suo personalismo è la critica al pensiero di Kant, ritenuto in ultima analisi limitante rispetto alla varietà delle forme della vita spirituale» (M. Quaranta, Pluralità dl linguaggi nel personallsmo

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trascendentali comporta «l'immanenza del pensiero nelle cose come loro forma, con l'impossibilità di cogliere, oltre all'unità delle sintesi del pensiero, l'unità del soggetto che pone le sintesi del pensiero» 19• Nel trascendentalismo kantiano si darebbe l'impossibilità di una psicologia razionale che affermi la trascendenza dell'io rispetto al mondo poiché in esso il principio cosciente si dissolve nella fenomenicità e con esso anche il principio spirituale nella persona umana. Quanto detto vale anche per ogni forma di «idealismo trascendentale - per quanto si chiami idealismo», alla base del quale c'è «un punto d'indifferen7.a tra natura e spirito, come al centro dell'ago magnetico, ricordato da Schelling, c'è un punto d'indifferen7.a assoluta tra il polo negativo e il polo positivo»211• Per correggere l'errore trascendentalistico è necessario, anche in questo caso, il ricorso all'esperienza non intesa genericamente, ma vissuta personalmente. Ora, l'io esperito non si attesta quale forma immanente nell'empirico, bensì quale principio produttivo delle forme in cui si organizza l'esperienza. L'irnmanen7.a non è nel principio, ma nelle forme che sono unite al loro contenuto in rapporto di reciproca dipenden7.a. Dire che l'io è il principio formativo e non formale dell'esperien7.a significache, in termini kantiani, non è l'«unità trascendentale sintetica del molteplice empirico, ma principio che pone le varie sintesi trascendentali dell'esperien7.a»21 • L'attività cosciente

di Luigi Stefanini, in Aa. Vv., Arte e linguaggio In Luigi Stefanini, cit., pp. 225-244: p. 229). 19 L Stefanini, Metafisica della persona, cit, p. 9.

20 lvi, p. 10. 21 L Stefanini, Il dramma fihsofa;o della Germania, Cedam, Padova 1948, p. 244; a p. 156: «Non sono la sintesi delle cose conosciute ma sono principio generatore dell'attoche pone la sintesi: se conosco i coqii estesi nello spazio, non mi spaziali:ao con essi; se conosco la molteplicità delle cose, non mi moltiplico in esse; se unifico il reale in un'idea, io non sono quell'unità, ma

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che pone le categorie si distingue da esse nello stesso momento in cui le pone. In questa prospettiva l'io accompagna ogni rappresentazione come principio, senza identificarsi con l'unità formale delle rappresentazioni. Ciò vale per qualsiasi esperienza e per ogni tipo di conoscem.a, compresa quella metafisica. Proprio perché posta come principio formativo, la persona non si esaurisce mai in quello che fa e non coincide con le proprie azioni. A tal proposito Stefanini precisa che «l'unità del soggetto cosciente è il principio dell'unità formale e della forma unitaria a cui sono sottoposti i contenuti della coscienza» 22, cosi che quanto esperito è ricevuto da un soggetto tramite un processo in cui diviene prima interiori7.7.ato e poi sintetizzato. Affinché un soggetto riconosca una esperien7.a come propria, è dunque necessaria una adeguazione o una conformazione di quanto è dato al principio unitario, che ordina e dispone. Il caos allora è precisamente ciò che non è toccato dalla coscienza. La novità è ciò che porta mutamento, ma si dà comunque nel momento in cui l'ordine intaccato con la sensazione viene ristabilito. Il trauma o lo shock della sensazione non sono coscienza, coscienza è il momento di integrazione che segue questi momenti negativi. Se l'io non viene inteso, come in Kant, al modo di forma pura della rappresentazione, allo stesso tempo occorre far attenzione a non considerarlo come un oggetto. «Il rapporto del soggetto cosciente con i contenuti della coscienza è forniatioo, non fomuùe: è rapporto di produttioità e di efficienza, non di contenenza»23• L'unità del soggetto che pone la

l'attività cosciente che pone quell'unità e se ne distingue nello stesso tempo in cui la pone,,. 22 L. Stefanini, Metafisica della forma e allri saggi, Liviana, Padova 1949,

p.4. 23 Ibidem. Su questo punto e sulle implicazioni di tale visione sì veda anche il rapido, ma accorto passaggio di U. Eco, nella sezione Te.stimonianze, in «Rivista di estetica», I, n. 2, 1956, pp. 178 s.

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sintesi si distingue quindi dalla sintesi prodotta e si rioonosce non in essa, ma nell'atto con cui vien posta. Così il soggetto della cosciell7.a non coincide con le determinazioni della sintesi, rispetto alle quali resta trascendente, ma con l'atto che pone tali determinazioni. Se l'unitarietà è nell'atto, l'unità della forma è la condizione trascendentale degli elementi che la compongono. Ma l'unità della forma non è identica al principio, bensì posta da esso, per cui il principio che pone l'unità trascende l'unità costituente il trascendentale degli elementi che compongono la forma unitaria. Se il «vincolo formale» non derivasse da un principio formativo, non si potrebbe avere unità nell'esperiell7.a. Se ne ricava che il principio formativo, cioè la persona, è inteso come momento centrale dell'esperiell7.a, pur senza essere l'orizzonte dell'esperien7..a. Non è la sintesi, ma ciò che la pone; non è la situazione, ma ciò che è situato o si situa e dà significato alla situazione, ciò senza cui non si darebbero esperienza, sintesi e significato, ma che tuttavia non coincide con l'esperienza, la situazione e il significato24 •

3. Giudizio Se, ogni atto, anche quello razionale, è inscindibile dall'io che lo accompagna, ciò vale innanzitutto per qualsiasi esperienza o conoscenza, ma anche per qualsiasi affermazione, vale a dire per ogni formulazione di giudizio, e dunque per l'elaborazione di qualsiasi proposizione, come per un ragionamento o una dimostrazione. Ora, se la conoscenza è pensiero degli enti e i concetti sono le funzioni con cui l'essere personale co24 Cfr. L. Stefanini, Personalismo filosofico, cit., pp. 15 s. Cfr. su questo punto G. Cappello, Per una antropologia In Luigi Stefanlni: metafisica, personalismo, umanalmo, in Aa. Vv., UoTTW e persona In Luigi Stefanlnt, c!t., pp. 119-146, e in part. pp. 128 ss.

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nosce, vale a dire il tramite con cui conosce, tali funzioni non devono essere sostanzializ:7.ate. Le metafisiche e le ontologie spersonaliZ7.anti di tutti i tempi avrebbero invece prodotto una sostanzializ:7.aZÌone della funzione e un' entificazione dell'idea. Ciò in cui avrebbero sbagliato sarebbe nell'aver fatto della funzione con cui si conosce un ente da conoscere. Si sarebbe attuata un'entificazione della copula del giudizio, mentre il giudizio andava rispettato come «funzione dell'ente personale in rapporto all'ente, personale o individuale, qualificato nella sua precisa determinazione»25• Se il giudizio si ha nella tensione tra un ente e la sua determinazione, in questa tensione la copula deve intervenire come funzione della determinazione dell'ente senza diventare essa stessa ente, pena l'eliminazione del giudizio26 • Se la copula pensata come funzione ha valore soltanto nel compito della determinazione dell'ente, e se per essere funzione deve evitare la propria entilìcazione, è perché l'essere non può fare l'oggetto di una intuizione intellettuale. Ali'origine della conoscenza sta l'intuizione con la quale l'ente personale si identifica con se stesso e a partire da questo atto è possibile la conoscenza degli altri enti proprio perché tutto l'essere non si risolve in tale atto. L'ente personale si apre dunque agli altri enti grazie al fatto che avverte in sé l'atto con cui gli altri gli si rendono presenti restando se stessi. L'esistenza e la singolarità sono cosl pensate non come un rispecchiamento in sé di un dato, ma come risposta di un atto a un altro atto. Ciò significa anche che qualsiasi cosa un giudizio affermi, il suo presupposto implicito o esplicito, esposto o sottinteso, è sempre un giudizio che si dà nella forma: «Io giudico che .. .»agotto,Artelinguaggio ecreatioità dellospirito inwigi Stefanin~ in Aa. Vv., Arte e linguaggio in Luigi Stefanini, cit., pp. 209-218, e F. Si lii, Ilrealismo imaginisticc di Luigi Stefanini, ivi, pp. 279-287, e in part. p. 281. 43 L Stefanini, lmaginismo eomeproblemafilosofico, cit., p. 14.

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venienza, come ad esempio la statua di Cesare. Affinché vi sia l'imagine è anche importante che il rapporto di somiglianza prevalga su quello di alterità, poiché con il prevalere dell'alterità sulla somiglianza si passa progressivamente al concetto di simbolo e infine a quello di segno, nel quale la somiglianza non garantisce più l'imagine e il rinvio deve essere convenzionalmente fissato. Ne risulta la trasparenza semantica secondo la quale l'attenzione non si fissa sul segno, ma è rimandata in direzione del significato. Al contrario, con la somiglianza si deve parlare di «ipostasi dell'imagine,,", in quanto grazie ad essa la dinamica del rinvio risulta bloccata o ostacolata e l'attenzione trattenuta. Il massimo grado dell'imagine si realiZ7.a nell'arte, nella quale ogni rinvio è bloccato e non vi è nulla di non espresso o di residuo da signi6care45• Al suo massimo grado, l'imagine si dà, cosl, senza rinvio alcuno. Questo modo di pensare l'imagine come ciò che esprime l'altro da sé, nel duplice rapporto, che si stabilisce tra imagine ed espresso, di somiglianza e alterità, proviene direttamente da S. Agostino46 , il quale, nel momento in cui applica questo 44 lvi, p. 15. 45 Cfr. ivi, pp. 81 ss.: «Un motivo d'intima affinità unisce l'arte e la matematica: l'una e l'altra, con mezzi diversi, aspirano a realizzare l'equazione perfetta tra lo spirito e il suo oggetto, senza lasciare, al di là di questo, un residuo che debba essere signilìcatoe non espresso, simboleggiato e non costituito. L'arte è il dominio assoluto sull'intuibile, la matematica il dominio assoluto sul pensabile; l'arte è la piena sufficienzadell'imagine, non rappresentativa d'altro che si sé, la matematica la piena sufficienza dell'idea, non rappresentativa d'altro che di sé. Entrambe reggono l'anelito dello spirito alla liberazione da quell'elemento imaginistico e simbolistico che, come s'è visto, sembra incalzare e sorprendere tutte le manifestazioni del pensiero filosofico e scientifico, rendendolo incapace a contenere interamente ed esaurire li suo oggetto». 46 Scrive I. Sciuto, Preser® di Agomno nell'imaginismo di Luigi Stefani,. ni, in AB. Vv., Dialettica dell'immagine, cit., pp. 99-110, a p. 100: «Agostino formula un concetto di imago non più intesa come una riproduzione estrin-

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concetto al Logos, lo intende con le stesse sue caratteristiche, cioè anche in termini personali. Scrive Stefanini: La concezione personale e spirituale della Divinità consen-

te di concepire l'atto della creazione non soltanto nella piene7.7.a della determinazione razionale che investe il prodotto e gli conferisce il valore di idealità reallz:,.ata, ma anche nella piene= della sua determinazione volontaria che esclude ogni necessario trapasso dall'intimità divina al cosmo creato e fa dipendere il trapasso da un'elezione sovranamente libera, ispirata soltanto da gratuita bontà.•7

La questione riguarda, in questo caso, in profondità, l'idea di Dio, non più pensato come qualcosa di statico da contemplare, ma come qualcosa che si comunica e va incontro all'uomo e che crea garantendo al creato alterità e autonomia. La perfetta compiutezza e sufficien7.a di Dio è data dalla generazione immanente ed eterna, e la sua razionalità comprende tutti i possibili e tutti i reali. Un Dio assolutamente autonomo e personale, se crea, crea con un atto di volontà libero e sovrano. La libertà dell'atto implica anche la sua gratuità, in quanto si crea gratuitamente nell'assenza del bisogno della creatura. La necessità di creare implicherebbe cioè una assenza di libertà dell'atto della creazione e contraddirebbe d'un sol colpo l'autonomia divina e la finitezza della creazione. Se Dio avesse bisogno del creato, stabilirebbe con esso una relazione in cui la separazione non sarebbe possibile e il mondo sarebbe una sorta di mondo-Dio, in quanto la creazione proverrebbe dalla sua essenza. La netta separazione del creato è cosi garantita dalla libertà e dal potere del creatore, il quale è del tutto in-

secadell'esemplare, ma come 'alterità e medesime:aa nell'attoespressivo': "Imago enim tunc est, cum de liquo exprimitur"•· 47 L. Stefanini, lmaginl$mo come problema filosofico, cit., p. 203.

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dipendente dalla creatura: «il potere divino [ ... ] reitera l'essere immutabile in un vestigio o imagine mutevole del primo, senza nulla presupporre al suo atto, cioè creando dal nulla»48• Il potere del creatore si realiz:7.a come vestigium e imagine proprio perché la creazione proviene dal nulla. Provenire dal nulla va inteso secondo una radicalità per la quale non solo nulla preesiste al creato, come la materia, ma anche nel senso che nulla della divinità, della sua essenza, si trova nel creato, garantendo così l'assoluta trascendenza del divino. A imagine del creatore gli enti creati sono, così, in un certo senso, «autonomi». L'essenza del creatore risulta dunque come un modello, come un esemplare del creato•0• Scrive Stefanini: Non tutto ciò ch'è creato è imagine nello stesso senso: il mondo sensibile dicesi più propriamentevestigium della Divinità, perché l'impronta del creatore vi è come obliterata nella natura molteplice, mutabile e corruttibile delle cose. Soltanto la natura razionale può dirsi propriamente imagine, per la verità incommutabile che reca in sé, con tanta vivezza da poterla riconoscere in sé e in rapporto alla sua origine. Con altre parole ciò è espresso dicendo che il mondo sensibile è fatto per similituthnem, mentre la natura razionale oltre ad essere per similitudinem, è anche ad similitudinem.50

Ciò significa che quando il termine «creato» si riferisce alla persona umana, indica una somiglianza che riguarda la sua incommutabilità, ossia la sua unicità. La natura umana imiterà

48 Ibidem. 49 Cfr. ivi, p. 204: «L'essenza ra:donale della divinità è impegnata nel prodotto soltanto quale suo modello: pereiè> la conce-.aone esemplaristica dei rapporti tra Dio e il mondo diventa essenziale a preservare la natura divina da ogni contaminazione sensibile e ad applicare integralmente il concetto di creazione•. 50 lvi, pp. 204 s.

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la natura divina in quell'aspetto per cui non solo è pensiero, ma per cui il pensiero nella persona umana non è il pensiero divino che si realizza, ma pensiero proprio che si genera internamente. «Qui il parallelismo è perfetto: nasce da noi il nostro verbo, come dal Padre il Figlio»51 • L'essere fatto per similitudinem che si ha nelle cose risulta fatto adsimilitudinem, dunque, perché esprime da sé l'esemplare di cui è espressione e dal quale si distingue. In questa concezione, allora, anche il pensiero umano, anche la sua attività conoscitiva sarà imaginistica: «ribadisce l'alterità, pur con una presenza intenzionale e semantica che congiunge gli esseri nella loro alterità e nella reciproca trascendenza>,52 senza fare della persona umana pensante un assoluto. La persona umana dovrà essere considerata come il «luogo dell'imagine»53 • L'essere imagine dell'uomo, grazie al pensiero autocosciente, è il riconoscimento dell'originale nella distinzione dallo stesso54 • Così l'attività

51 lvi, p. 216. 52 L. Stefanini, Personalismo filosofax,, cit., p. 95. 53 Cosl A. Rigobello, L'imaglnlsmo come metafora e come paradigma della persona in Luigi Stefanini, in A.a. Vv.,Dialettica dell'immagine, cit., pp. 137153:p. 142.

54 Scrive L. Alici, Imago e ltinerarium: il messaggio di S. Bonaventura nella Interpretazione di Stefanlnl, in Aa. Vv., Dialettica dell'immagine, cit., pp. 111-123, a p. 121: «L'imago, nella sua costitutiva intenzionalità metaforica, si presenta come il termine di congiunzione di due ordini di realtà sostanzialmente incommensurabili. In tale prospettiva l'istanza attualistica viene ripensata in radice: alla luce del principio di creazione, la confluenza del finito nell'infinito, fatta salva una irriducibile "differenza ontologica", si rende possibile unicamente in prospettiva mistico-religiosa ed ha il suo presupposto in una nuova profondità misterica del reale. Tale profondità nasce dal riconoscimento di un'eccedenza semantica di cui la persona è testimone ed interprete: l'imago promette una meta al cammino di ricongiunzione con l'infinito». Sulle fonti classiche dell'imaginismo, si veda anche S. Zeppi, Sul preimaginismo dei Presocratici secondo Stejanini: l'interpretazione di Eraclito, in Aa. Vv., Dialettica dell'Immagine, cit., pp. 55-70; C. Martano,

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imaginistica della conoscenza consente di includere nell'atto personale della persona umana finita ciò nel quale la persona umana finita è inclusa, vale a dire che la «rappresentatività del pensiero fonda l'assolute72.a del pensiero, sulla finite7.7.a relativa del pensante, come pensiero dell'assoluto»5'1S.

La persona umana, nell'esprimersi a sé con il suo atto, non chiude il circolo. La congiunzione a se medesima con la quale si comunica e si possiede non è mai totale. L'atto che esprime «le significa l'Altro nel cui potere creativo essa, a sua volta, è inclusa»:ss. L'unità stessa delle sintesi mentali, come della persona, si sfaldano se non si sviluppano a partire dal riconoscimento di questa creazione: «Il pensiero umano non si fa assoluto se non come pensiero dell'Assoluto»57 • La finitezza che l'uomo esperisce nell'esercizio della propria ragione è la finitezza della persona, ossia l'impossibilità di possedersi totalmente per l'eccedenza dell'impossedibile che la costituisce. La persona umana è posseduta con un atto che non è il proprio da una persona o da un essere spirituale che non è umano, che di questo, pur condividendo la spiritualità, non condivide il limite. È più corretto affermare che la persona umana si possiede «nell'atto che le significa il potere assoluto che la costituisce», piuttosto che «nell'atto che la costituisce» 58• Il limite-scarto emerso nella differenza tra l'in sé e il per sé conferisce ali'atto umano finito una «portata metafisica ed una competenza

Antecedenti storici dell'lw,glnl.rmc e del personali.rmc dl wlgi Stef'anlnl, ivi, pp. 71-81; I. Sciuto, Presenza dl Ago.rtino ne/l'lmaglntsmo dl Luigi Stefanlm, cit.; F. Chiereghin, La dottrina kantiana del simbolo e dell'analogia ne/l'imaglntsmo di LAligi Stefanini, ivi, pp. 125-133. 55 L. Stefanini, Metafisica della forma, cit., p. 40. 56 L. Stefanini, Personalismo sociale, cit., p. 35. 51 Ibidem. 58 Ibidem.

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sull' assoluto»si. La competenza, in questo caso, coincide con il fattoche in ogni momento sperimento la presenza di un gesto che mi sostiene e mi impedisce di cadere nel nulla, che mai sarà inteso al senso di una costituzione e in fondo nemmeno di una vera e propria dimostrazione. Se il concetto di persona è profondamente legato a quello di creazione si fa plausibile la nostra affermazione iniziale, perché in fondo il concetto di creazione nasce con il cristianesimo.

È forse però più corretto dire che per giungere al concetto di creazione e a Dio, cosl come lo intende il cristianesimo, non si poteva passare per una dimostrazione dell'esistenza a partire dalla natura finita, né dal concetto generale di essere611• In fondo Stefanini muove solo dalla creatura umana per giungere alla creazione e non dagli altri frutti della creazione, seppur non v'è dubbio che consideri la realtà creata. Questo aspetto trova la sua espressione in un passo sopra citato: «Per giungere a quel Dio che ha detto di sé: Ego sum qui sum, è molto più conveniente partire dal sum piuttosto che dall'esse»61 • Si perviene a Dio non quindi a partire dal concetto dell'essere, ma occorre sempre passare per il «sono». D'altronde, questa affermazione comporta anche un'altra coerenza: il Dio che ha detto «sono», è un Dio che si rivela, che non si scopre semplicemente con il pensiero. L'uomo, al più, può definire il fatto che esista un creatore, ma la sua capacità conoscitiva si arresta rispetto alla sua personalità. La teologia cristiana ha immediatamente chiarito la differenza tra fare e creare già a proposito della differenza tra la generazione trinitaria del Verbo e la creazione del mondo. Il Verbo non è creato, ma proviene da una consustanziale generazione; 59 L Stefanini, Lamia prospettiva filosofia, cit., p. 23. 60 Cfr. L Conieri,Lulgi Stefanini. Unpensleroattuale, cit.,p.112. 61 L Stefanini, Metafisica della persona, cit., p. 4.

37 il mondo è fatto dal nulla. «Oltre ali'Amore che resta intimo alla natura divina, vi ha un amore che suscita gli esseri fuori dell'Essere e li distingue sostanzialmente da sé» 62• È fondamentale sottolineare che in quella distinzione sostanziale manca una continuità. La sostanza di Dio non è la stessa sostanza degli uomini: quella proviene sempre da sé, questa da quella. D'altronde, il creare è un fare senza presupposto, o meglio l'unico presupposto è il creatore, poiché, di certo, il nulla non può costituire alcunché. Per meglio chiarire il concetto, il nostro autore sottolinea che «Creazione è concetto ignoto alla cosmologia classica, impervio alla nostra esperienza. Ex nihilo nihil fit» 63• Nemmeno per la scienza è ammissibile una provenien7..a o una derivazione senza discontinuità: Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma: è la formula della scien7.a. L'energia trapassa in luce, la luce in calore, il calore in movimento, il movimento ritorna a generare energia, con una circola7.ione degli elementi in cui c'è posto per la metamorfosi e il metabolismo, mai per la crea7.!one.64

Il creare è estraneo ali'esperienza umana poiché rispetto alla realtà gli atti modellano senza tangere il nucleo intimo delle cose. Con le dovute cautele si può dire che creare «non è vedere sé allo specchio, produrre vani fantasmi per infantile capriccio, ma dare l'essere alle cose, affinché fioriscano e fruttifichino per forza propria»65 • La cautela sta nel fatto che questa affermazione è utile a rendere l'idea dell'alterità tra il creatore e le cose, ma va chiarito che la nota della creazione si mantiene

62 L. Stefanini, La pedagogia dell'idealismo giudicata da un cattolico, Sei, Torino 1927, pp. 40 s. 63 lvi,p. 41. 64 Ibidem.

6.5 Ibidem.

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a ogni istante. Ancora, occorre affermare che «l'universo, oggetto del pensiero divino, non è immanente in Dio; come non è immanente in noi l'oggetto del nostro pensiero» 66• Stefanini cita Tommaso nell'affermare che la creazione «è una produzione totale di realtà, non imposizione della forma a una materia sottoposta (producere rem subsistentem totam, non solum inhaerentem, scilicet formam in materia: Contra Gent., II, 16)»67 • Il termine «creazione» implica una trascenden7..a e una presenza, per usare la parola del nostro autore. Senza la prima, avremmo un panteismo; senza la seconda, la totale estraneità. Il creatore si distingue dalla creatura perché è altro da essa, nello stesso tempo è presente alla sua creatura con l'atto che la sostiene. Il Dio cristiano non è un coagulo di sostan7.e che vada esplicitandosi per dar luogo a un'effimera produzione di cose, destinate a rientrare nell'indistinzione originaria; non è una essen1.a che emani profumo e vada via via sfiammando nell'emanazione: è una sostan1.a definita nella sua aseità personale che genera fuori di sé altre sosta!l7.e, centrate In se medesime, definite nella propria inseità, simili a Lui per quel tanto che è compatibile con una natura creata.4511

Il mostrarsi della creazione come causa non va mai inteso nel senso della trascendenza al modo della causalità naturale. Il mostrarsi nell'io dell'atto creatore «dimostra una causalità assoluta»60 differente da quella naturale. Nell'ultima, la causa diventa l'effetto nel presentarsi. Quando è causa, è sempre a rischio di estinzione nell'effetto. Quando dal rischio passa all'effetto si perde in esso. Nella causazione al modo

66 Ibidem.

67 L Stefanini, Personalismofilosojicc, cit.,p.171. 68 lvi, p. 172. 69 lvi, p. 146.

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della creazione, la causalità può dirsi assoluta perché la causa non si estingue nell'effetto: «l'effetto viene costituito nella sua autonomia,,70• Dio, lungi dall'identificarsi con le cose, quasi si assenta da esse. Le fa essere positivamente al punto che la sua traccia può non essere vista. «Dio è in tutto senz'esservi incluso, è fuori senz'esseme escluso (lntra ctmcta nec inclustlS, extra cuncta nec exclustlS ),>71• L'attività artistica aiuta ad accostarsi a questa idea. Chi trova arduo questo rapporto avrà nell'arte un aiuto ad accostarvisi. Anche nell'arte vi è un distacco tra la «forma formata,, e il principio che la realiz:7.a. Ripetiamo qui con Stefanini le parole di S. Agostino riferendo alle opere belle quello che diceva delle creature rispetto al creatore, «che cioè, pur non potendo essere senza di Lui, non sono una sola cosa con Lui (Quamvis esse non possint sine Ipso, non sunt

quod Ipse)»12• C'è un rapporto tra la creazione e una certa idea della luce. Con il passaggio epocale che segna l'inizio della modernità, l'idea della luce inizia a differire: un'economia della visione inizia a sfumare proprio per la relazione di familiarità tra l'idea di creazione e il bagliore della luce. Nel medioevo «la creazione era l'atmosfera limpida e trasparente che fasciando le cose dava risalto ai loro contorni definiti, e in tale atmosfera la sinfonia delle note e dei colori svariava di corpo in corpo per rivelare l'unità della luce nel suo fulcro abbagliante»73• Con il rinascimento quel mezzo diafano inizia fare resistenza ai corpi. La luce non mette più in risalto le linee definite degli oggetti,

70 lvi,p. 147.

71 lvi,p. 172. 12 Ibidem. 73 L. Stefanini, Idealismo cristiano (Storia), in «Archivio di fìlooolìa,,, I, n. 2, 1931, pp. 68-85: pp. 70 s.

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ma si opaciz7.a per attutirne l'impatto nella visione. L'atmosfera non è più limpida e i corpi su di essa fanno attrito. Ciò che è interessante notare è l'affiancamento tra una perdita di luminositàdella luce e la perdita di creatività dell'idea. Variando un po' il linguaggio, possiamo introdurre alcuni parallelismi: c'è corrispondeni.a tra il bagliore della luce medievale, l'idea di creazione e una trascendenza verticale, da una parte, e il chiaroscuro moderno, un certo naturalismo e la trascendenza intesa orizzontalmente, dall'altra. Per Stefanini l'idealità, che coincide con l'unità dell'idea, è a fondamento della molteplicità delle cose. Con l'elaborozione speculativa del concetto di creazione il Cristianesimo [ ... ] Insegnò al mondo la causalità propria dell'Idea: causalità a priori che trae dal nulla l'effetto e lo distingue dalla causa operante, agire che non presuppone un patire, vedere che è nello stesso tempo fare, fare che non estenua od esaurisce l'agente, magli aggiunge vigore e glor!a. 74

Questa affermazione stride con un una concezione per cui, se l'origine è interna alla natura, il medesimo ha in sé la propria origine e procede generandosi nella molteplicità delle forme. Il movimento per cui le cose si danno nella loro presenza a partire dall'idea, invece, non ammette questo semplice differire e, tuttavia, non implica che le cose stesse si identifichino con l'idea: «la realtà vive nell'idea, in virtù dell'idea, senz'essere l'idea» 75• Ritornando alla similitudine con la luce, nel medioevo, il fatto che gli oggetti stavano nella loro relazione con l'idea che li reggeva sul nulla, strappati ad esso, era reso con una immagine in cui il fondo oro saturo non lasciava intravedere una prove-

74 L Slefanini, Reioindù:atio, cii., p. 96. 75 L Slefanlnl, Idealismo cristiano (Storia), cli., p. 70.

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nienza del primo piano da uno sfondo. Nell'epoca moderna, invece, l'oggetto in primo piano si regge e si vede sempre per una provenienza da un secondo piano e per lo sfinimento nel secondo piano grazie a passaggi graduali che procedono per mezzi toni. Lo sfumato indica una familiarità tra il primo e il secondo piano, per cui l'evidenza del primo piano è data dal suo differire nel secondo76 • Fuori metafora, questo per lo Stefanini indicherebbe un certo naturalismo per cui la cosa non proviene dall'idea, ma è frutto del suo antecedente naturale secondo un piano di riferimenti orixzontali. La visione moderna si alimenta di questa idea di orixzontalità, per il fatto che le cose provengono dal loro stesso sfondo per un variare della forma. A ciò corrisponde una idea della visione dove il primo piano in evidenza è garantito dal suo provenire dal secondo. La visione medievale, nel pensare la realtà come creata in ogni istante, non può accettare la garanzia di una provenienza orixzontale. Nel passaggio alla modernità lo spirito umano è solidale con questo differire della natura. In qualche modo, occorre dire che la modernità accetta e tradisce l'idea medievale di Dio: Se, accettando pa1'7.ialmente il messaggio cristiano, si riconosce lo spirito umano, il suo valore, la sua dignità, lo si inorgoglisce ed inab.a fino ad identificarlo con Dio, o si abbassa Dio fino ad identificarlo con lo spirito umano, pur di riuscire comunque a stabilire un'unità trascendentale in cui scompaia ogni distinzione sostanziale e ogni trascendenza. 77

76 Per un approfondimento dei temi sulle differenti eoonomie della visione nell'epoca moderna, si rimanda al seguenti volumi di C. Mea=: Note sul visibile pittorico. Per un'elica dell'estetica, Stamperia artistica, Sassari 2001, e Sulla soglia etica del pulchrom. MateriaU per oariazioni sull'attualismo, Mimesis, Milano 2005, dai quali trae ispirazione il confronto con i temi esposti nel paragrafo. 77 L.Stefanini, ldeal.smocristiano (Storia), cii., p. 70.

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Lo spirito umano, anch'esso in ogni istante donato a se stesso, vive in una assen7.a di garanzia che testimonia, nel contempo, e contro la rassicurazione del proprio pensiero che vorrebbe imporsi e in favore della gratuità di un dono che è dato in qualche modo nell'assoluta libertà del sen7.a garanzia.

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II

La persona

l. Verbum Stabilita l'esigen7.a di individuare quale punto di parten7.a preliminare l'io di cui si fa esperienza, come ciò che accompagna e precede qualsiasi esperienza ulteriore, va individuata la modalità con cui si realizza questa esperienza nella persona, nei termini di una relazione dell'io innanzitutto con sé. Tale relazione, data la natura razionale dell'io, è conoscenza innanzitutto di sé e si realizza nel pensiero. Scrive Stefanini: «Persona» è presew.a a se medesimo dell'essere che si possiede e si penetra nel proprio atto: actus essen. Fuori dal tocco dell'arte, dunque, tutto significa, rinvia, scivola dal tentativo prensile che vorrebbe fissarlo, perché l'istante attuale non è mai veramente tale. Ciò che garantisce ali'arte di fissarsi è l'intrascendibilità che gli deriva dall'anima. In fondo, l'arte per Stefanini è intrascendibile perché porta i tratti della persona. L'idea dell'arte, cos}, è strettamente legata all'idea di persona intesa come parola e come verbum; e

58 Anche Filippo Piemontese insiste su questo punto, nel tentativo di mostrare la relazione tra l'estetica e la metafisica di Stefanini: «La differenza spedfìca fra la parola comune e la parola della poesia è l'assolute-.aa appartenente a quest'ultima: non più divisa fra espressività e semanticità. attualità e ulteriorità, immediatezza e mediazione, essa è espressività, attualità, immediate-.aa totale [ ... ]. L'attimo poetico ci fa sperimentare l'eterno. [ ... J li concetto stefaniniano di parola assoluta è dunque, in sintesi, il concetto di un verbo interiore che tende a riscattare ontologicamente, pur senza riuscirvi, l'essere spirituale dalla sua fìnite-.aa e relatività, per fargli sperimentare, in una sorta di incantesimo, un'espressione di sé asé liberata da ogni condizionalità che la trasoenda, e sfiorante, in un certo modo, pereib, l'assolute-.aa del verbo divino: è un concetto che si profila e si giustifica come una vivente analogia, scavata nell'uomo, del processo interno alla vita divina, quale è teorizGato nella teologia cristiana,, (F. Piemontese, &tetica e metafaica nel pensiero d. Stefanini, cit., pp. 46 s.). 59 Cfr. anche L. Stefanini, Unee cà estetica, cit., p. 3: «la parola della poesia "costituisce"il senso d'un'anima; nella parola della prosa l'anima "costituisce" un ·senso" del reale, della storia, dell'assoluto».

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come la persona si esprime anzitutto a sé, anche l'arte si costituirà come il massimo grado dell'espressione senza rinvio della parola-imagine. Quest'antitesi non è propria tanto del pensiero nel suo rapporto col linguaggio, quanto del pensiero nel suo rapporto con se stesso. La parola--simbolo o scienza si stacca in noi dalla parola-imagine o poesia, prima che per poter comunicare il nostro pensiero agli altri in una forma stabile, di universale validità, per poterlo comunicare a noi stessi. Possiamo farci intendere dagli altri soltanto perché il logo interiore, saldando nell'intima coeren7.a i vari momenti dell'io e salvandoci dalla dispersione, ci rende innanzitutto intelligibili a noi stessi.80

Se si porta ali'estremo l'idea di questa opposizione tra la parola-simbolo della scien7.a, che realiZ7.a l'aspetto quantitativo della persona, e la parola-espressione dell'arte, che ne caratteriz7.a l'aspetto qualitativo, e se si tiene presente che l'aspetto qualitativo non elimina, ma sussume quello quantitativo, l'esprimersi a sé della persona senu rinvio esterioriZ7.ato nell'arte rappresenta anche il punto in cui la persona non comunica più qualcosa quanto al significato del gesto comunicativo, ma significa semplicemente se stessa. L'anima rende bella l'opera perché ne fa un ftne in sé come sé: «il pregio che spetta solo alle nature spirituali, quello di essere un "fine in sé" trapassa nella parola quando a questa è conferita la virtù di esprimerci compiutamente in un momento del nostro essere» 61 • In altri termini, la parola è poetica quando non esprime questo o quel contenuto, ma lo spirito, cioè la persona. Certo, vi è possibilità di parola bella anche fuori dalla poesia propriamente detta.

60 L. Stefanini, lmaginisrrwcomeproblemafilosofico, cit., pp.100s. 61 L. Stefanlnl, Trattato diestetiro, cit., p. 91.

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Qui il linguaggio soccorre «In modo veramente miracoloso», poiché il linguaggio ad un tempo congiunge e isola, e salda nell'involucro dell'espressione più individuale, la possibilità di una comprensione universale. La stessa aspirazione, che muove la vita interiore dell'individuo all'unità, tende anche a congiungere, esteriormente, tutto il genere umano.62 Viè un ambito in cui il linguaggio si fa espressivo di un'anima e così facendo realizza l'idea di una universalità nella quale la volontà di comunicazione non riguarda più questo o quel contenuto, ma la volontà di un'anima di raggiungerne un'altra, di dirsi a un'altra anche sen7.a propriamente dire niente63• Nel linguaggio si significa la persona. La persona, nel linguaggio, «si dice dicendo»64 • Indica in fondo il donarsi di una persona per se stessa e non per un aspetto o per un altro, per un motivo o per un altro. Nel momento in cui l'espressione si fa assoluta, con un linguaggio universalmente inteso dalla comunità dei parlanti, accade che la comunicazione diventa volontà libera e sen7.a scopo di raggiungere l'altro per non signilìcargli altro che sé. La comprensibilità universale non è data in questo caso dal potere della parola di riferirsi a qualcosa, cioè dalla precisione semantica con cui si realizza sen7.a ambiguità il rapporto segno-significato, ma è preliminare e più originaria di questa dinamica Nell'espressione assoluta il rinvio cessa perché l'opera porta con sé la personalità sostanziata nel farsi espressione di sé, in una forma in cui può incontrare chiunque altro

62 L Stefanini, lmagilÙffllb come problema filosofico, cit., p. 98. 63 Scrive Glori Cappello, Pensare l'altro. Luigi Stefaninl e l'ermeneutica contemporanea, in Aa. Vv., Luigi Stefaninl e l'odierna antropologiafilosofica, cit., pp. 63-80, a p. 71: «La parola-atto dell'arte non rinvia ad una generica alterità: è segno e significato ad un tempo, capace di garantire la possibilità di universale comunicazione nella comunità dei parlanti, nelle loro innumerevoli diversità, senza pretendere l'omologazione, l'assimilazione che escluda le diversità di un Interlocutore in favore di un altro o viceversa,,.

64 L Stefanini, Trattato mestetica, cit., p. 99.

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che semplicemente le dedichi ascolto e accetti l'opera di una riespressione che non necessita di alcun preliminare. Scrive Stefanini: Non intendo chi attualmente mi parla, se non riesprimo da me le sue parole. Le intendo in quanto le faccio mie, ma non intenderei chi mi parla e vaneggerei solitario, se ciò che riesprimo da me non fosse riespresso col segno dell'appartenenza all'altro, che ml precede e condiziona nell'espressione. La parola dell'altro mi precede di un attimo, ma, se mi precedesse di un millennio, il rapporto sarebbe identico.1111

Se la possibilità di comunicazione è data dalla riespressione con la quale un individuo riesprime le parole di un altro nel riconoscimento della loro appartenenza a quell'altro e, nel contempo, facendole proprie, le parole diventano qualcosa in comune. Il comune deve tuttavia garantire un'apertura per la quale due non si comprendano nell'esclusione di un terzo, e non può neppure darsi in una genericità indistinta in cui si perde l'individuo66• Ma questo può essere garantito da una parola che conservi la personalità del parlante e di chi ascolta e che garantisca una apertura universale che non escluda nessuno. La parola assoluta della poesia e dell'arte sarebbe chiamata esattamente a questa possibilità della comunicazione di essere universale nella perdita di una determinazione di significato. La parola assoluta consisterebbe cioè nel proprio farsi imagine bella.

65 L. Stcfanini, Penonalismofilosofa:o, cit., p. 63. 66 Per un approfondimento sulla questione dellarela:àone io-tu come apertura al term, cfr. F. Miano, Dimensioni del soggetto. Alterità, relaZionalatà, trascendenza, Ave, Roma 2003, in part. pp. 57 s., e G. Canti Ilo, Con slloltre sé. Ricerche di etica, Guida, Napoli 2009.

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5. Tecnica Nulla impedisce l'arte, né che ogni tipo di espressione possa essere bella, ed è bella sempre se nell'arte si ritrova qualcosa della persona, i tratti della sua libertà. Il bello è dunque incondizionato e l'incondizionatez7-A implica sempre una certa libertà che si dona nella non necessità. Finora si sono visti soprattutto gli aspetti in cui l'arte si esprime come libertà. La tecnica, invece, sembra entrare nell'arte condizionandola: sembra indicare un aspetto meccanico e legislativo dell'arte, come una forzatura opprimente rispetto al suo realizzarsi libero. Tra arte e tecnica vi sarebbe attrazione e repulsione, per cui la tecnica è ricercata e amata quale contributo preziosissimo o odiata e respinta quale intralcio opprimente. Stefanini distingue tre «sensi della tecnica»: addestramento, esecuzione e stile67• Da un certo punto di vista, la tecnica è addestramento, ossia preparazione. L'arte è sicuramente espressione spirituale e libera, ma ha a che fare con una materia da informare, da plasmare, da modellare affinché giunga a esprimersi. In fondo, la libertà dell'artista rimarrebbe inespressa se l'idea o l'ispirazione non si realizzassero in una forma definita68• Vi è dunque l'ispirazione che giunge al momento di volersi comunicare, di fissare l'attimo dell'intuizione, di volerlo far suo fino in fondo e di renderlo partecipabile. Questo può avvenire solo in una forma fisicamente determinata. E tuttavia qui iniziano i problemi, ma qui inizia anche la possibilità dell'arte: se non si elabora una materia, l'arte non diventa opera, dunque in fondo

67 Cfr. L Stefanini, Estetica, cit., p. 112. 68 Come fa notare Giuseppe Ricciardi, occorre «evitare le tare che impediscono il libero volo dell'arte e alle quali essa può andare soggetta per difetto di tecnica» (G. Ricciardi, Estetica e metafisica nel pemrero di Luigi Stefaninl, cit., p. 60).

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non si ha l'arte; se l'artista non si prepara ad affrontare la materia, non arriverà mai a produrre un'opera. La materia oppone infatti una resistenza che va affrontata e vinta. La materia manifesta un peso, un'inerzia, una brutalità, una banalità che sembrerebbero non aver nulla in comune con la vitalità dell'opera d'arte, se non per il fatto che l'opera si esprime con esse: l'opera è fatta di materia inerte e resistente. Il compito dell'artista, allora, consiste esattamente nel dar vita a questa materia dandole una forma. Questo lavoro costa fatica e richiede una conoscen7.a. Costa fatica sia come apprendimento, sia come lavoro effettivo. Impone una conoscenza perché ogni materiale ha le sue peculiarità che non si possono ignorare. La materia non si lascia condizionare passivamente, in qualche maniera si impone con una legge propria che non è quella dell'artista. Perché sia tutelata la libertà dell'artista, occorre che questi apprenda una tecnica che gli permetta di convertire la materia alle esigenze della forma che vuole conferirgli. Ne risulta che la tecnica è strumento dell'arte, in quanto è esattamente ciò che le permette di realizzare il suo dominio sulla materia. Vi sarebbe grande prossimità allora tra l'idea della tecnica e quella dell'arte: il loro gesto sovrano sottopone le cose alla volontà libera dello spirito. Abbiamo visto come non sia possibile pensare all'arte sen7.a una realiZ7mone sensibile. Ciò significa che la realizzazione sensibile non deve essere intesa come qualcosa di separato dal momento dell'ideazione, con la differenza che l'osservatore ha a che fare con un'opera che gli si comunica sensibilmente, che deve riesprimere interiormente, mentre l'artefice in quanto esecutore materiale non può eseguire l'idealità se non nella sensibilità. L'esecuzione e la comunicazione non sono dunque sopraggiunti all'ideazione60• Avviene anche che la materia aiuti

69 Cfr. L Stefanini, Trattato di estetica, cii., p. 240.

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l'invenzione in quest'atto simultaneo, che nel loro rapporto si faciliti un awenimento di grazia7°. Vi è assoluta simultaneità, e l'uno e l'altro fattore, sensibile e spirituale, manifestativo e ideativo, nell'arte non si danno separatamente. Scrive Stefanini: «L'arte nasce nel momento in cui si manifesta: il suo Natale coincide con la sua Epifania,>71• Infine, vi è lo stile. Si è già detto che l'artista non copia lanatura, ma ne crea una sua propria72• Lo stile è l'impressione dell'artista sulle cose, atto di uno spirito che investe la realtà e che rende arte un suo aspetto. Come unico è l'artista, unico è il suo stile e unica pure è l'opera dell'arte che egli realizza. Lo stile attribuisce l'unicità alla cosa, la strappa alla banalità commerciale, alla permuta, attribuendogli un valore in sé. La tecnica, dunque, in questo caso, è intesa come «lo stile incomparabile che accompagna ogni espressione d'arte»73• Con questa identificazione si intende precisare che l'artista non è soggetto a regole, ma esegue con regole, poiché l'opera formata ha una legislazione propria 74• Occorre allora che l'artista tragga da ciò che ha appreso il suo personalissimo modo di formare.

La tecnica degenera quando è considerata come fine, mentre il suo fine è l'opera. Concretamente, ciò può accadere con il virtuosismo. Certo, l'arte come addestramento è sempre al limite del virtuosismo. È sempre nella possibilità di cedere alla ten-

70 Cfr. L. Stefanini, Estetica, cit., p. 115: «tanto è intima l'esecu:.done alla idea:done che i materiali stessi soccorrono l'inven:aone e la provocano». 71 L Stefanini, Trattato di estetica, cit., p. 243. 72 Cfr. L. Stefanini, Corsodi Estetica. Per l'anno 1950-1951, Cedam, Padova

1951,p.15. 73 L Stefanini, Estetica, cit., p . 111. 74 Cfr. L. Stefanini, Trattato di estetica, cit., p. 236: «Se si agisce secondo regole si resta allo stadio del manovale, del falegname, del capomastro•.

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tazione di fare un lìne di ciò che è mezzo e strumento. Anziché per liberarsi del limite, la tecnica può essere ricercata per se stessa. Si dovrebbe allora parlare di una libertà pervertita-r.s.

6. Assoluto L'opera dell'arte è caratterizzata dall'impossibilità del suo trascendimento. Si è detto che propriamente un'opera d'arte non signilìca nulla, tuttavia l'arte in generale, in quanto espressione singolare e assoluta, significa qualcosa: «Per la sua struttura, [ ... ] l'arte significa, nel modo meno adeguato, le condizioni del Principio Assoluto»76 • Il mistero, termine inconoscibile, nell'arte si rende più avvicinabile: «l'arte ci pone la più valida approssimazione analogica al mistero»77• Si presti attenzione a questa affermazione: «il senso metafisico dell'arte si dispiega non dalla sua presen1.a e dalle soluzioni ch'essa di volta in volta ci porge, ma dalla forma del suo procedere, dalla sua struttura» 78 • Ora, se, come si è detto, il tratto caratteristico

75 L. Stefanini, Estetica, cit., p. 114: «Il virtuosismo è l'abilità conseguita in cui si chiude l'operare umano, sen:ta dar luogo all'atto libero che si disimpegna dalla macchina, servendosene ai propri fini. È la parola che, per essere pura, dimentica di farsi oiva». 76 L. Stefanini, Linee di estetica, cit., pp. 5 s. 77 L. Stefanini, Metafisica dell'arte e altri sar,gi, Liviana, Padova 1950, p. 13. Scrive F. Battaglia, nellaCommenwrazione di Wigi Stefanini, tenuta il 2 maggio 1957 all'università di Bologna: «A Dio che è puro Verbo, Stefanini avvicina il poeta creatore che un istante ci rapisce e ci consente la sola possibile approssimazione di assolute-ca e di infinità che è quella dell'arte nella belle-aa. Degli attributi di Dio (Dio verità, Dio bontà, Dio belle-ca) è l'ultimo (Dio belle-ca) quello che noi pili riusciamo a far nostro» (in Aa. Vv., Scritti In onore di Luigi Stefanini, cit., pp. 7-25: p. 21). Su questo aspetto si veda anche R. Li Volsi, L'estetica personalistica di Luigi Stefaninl, cit., in part. p. 195. 78 L.Stefanini, Arte e critica, Principato, Milano 1943, p, 177.

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dell'arte è l'espressione, questa va rintracciata non solo nel suo inizio, ma accompagna tutto il corso della vita dell'opera. Tale espressione non è però comune, è stata defìnita come assoluta poiché non si sottopone a condizioni né rinvia ad altro, né su un piano spaziale né su un piano temporale. Su un piano spaziale l'espressione dell'arte non è mai mezzo atto a indicare altrove, essa stessa è ciò che si comunica, e lo fa «ripercorrendo lo spazio che intercorre tra l'imagine e quell'intimità di sentire che tutta in essa si palesa e si adempie»'lll. La belle7.7.a fiorisce nel campo di una espressione per cui la manifestazione non manifesta altro da sé, di un mezzo che è fine, di un segno che ha in sé il suo signifìcato. Nel riconoscimento di tutto ciò non si può eludere il fatto che, perché ciò sia, occorre che in ogni istante del suo essere arte un'opera tragga questa sua natura dalla relazione con uno spirito che la sorregga e la vivifìchi. In questo senso, l'arte ci richiama al dato della creazione che la rivelazione ci annuncia, e lo fa fornendocene un esempio di analogia. Scrive ancora Stefanini: «l'arte, non nei suoi contenuti, ma per la sua riflessione sulla sua struttura, è strumento di penetrazione metafisica e di elevazione religiosa»80 • La religiosità dell'arte può essere intravista nel fatto che essa presuppone una certa primalità dello spirito sulla materia. Primalità che nell'arte non annulla mai il sensibile e il corporeo senza il quale non potrebbe essere. Sul piano della temporalità, tra un'eternità statica e una temporalità proiettata, occorre pensare a una terza via, che non conosceremmo «se l'arte non ci facesse sperimentare una vita che insiste in una assoluta presenzialità, non sfiorita dal tempo, ma fertile d'una incessante alacrità e perennemente innovan-

79 L. Stefanini, Metafisica dell'arte, cii., p. 14. 80 L. Stefanini, Unee di estetica, cit., p. 6.

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tesi in ritmi e armonie»81 • Rispetto al tempo, l'istante dell'arte nella sua autonomia rivela un istante di libertà. Il continuo fluire temporale costringe la vita in un fluire in cui ogni attimo è conteso dalla successione. La successione si dà per l'incedere di un prima su un poi senza altra possibilità. Nell'arte, l'opera ferma la successione. L'opera è sl temporale, eppure in essa il tempo si organizza in una unità che ha le sue ragioni. Nell'istante in cui si compie l'opera, tutto ciò che era prima di lei, come materiali, sentimento, tecnica, contenuto, diventa posteriore, poiché, dissolti nella totalità dell'opera, perfettamente e armonicamente integrati da lei, essi traggono l'origine della loro nuova identità. Non c'è un prima che giustifica il dopo: nell'arte l'istante della creazione o del compimento introduce qualcosa di nuovo che ridefinisce il prima e lo fa diventare una cosa nuova. L'arte, cosl, ci offre la possibilità di sperimentare qualcosa dell'assoluto nel modo meno inadeguato possibile. Più che nella natura, è nell'esperiew.a artistica che comprendiamo qualcosa della creazione. Da quanto detto emerge come l'arte si presenti come una espressione in un certo senso privilegiata: essa appare come una forma di espressione per cui una cosa acquisisce le stesse caratteristiche della persona, come se l'artefice fosse colui che è in grado di trasmettere all'arte una certa personalità. Si deve tuttavia sempre parlare di una duplice espressione: quella dell'artista che realizza l'opera e quella di chi riesprime l'opera nella contemplazione. L'opera dell'arte vive una propria vita in quanto non ha bisogno del suo autore. Allo stesso tempo, non vive senza una persona che la contempli. Ancora, abbiamo visto che nell'arte si fa esperienza di una resistenza al trascendimento. Lo sguardo che coglie l'opera dell'arte non è rilanciato nell'economia degli infiniti rinvii di cui la co-

81 Cfr. L. Stefanini, Metafisicadell'arte,cit., p.16.

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noscenza fa esperienza, cosl si può dire che in fondo l'arte è insignificante. Insignificante perché non rinvia ad altro, non signifìca nient'altro che sé, la sua esposizione, la sua attualità, la sua immanenza.

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IV Personal,ismo sociale

1. Apertura

L'analisi delle questioni finora condotta si è concentrata su quegli aspetti che caratterizzano la persona e la sua attività, ma poco si è detto dell'aspetto relazionale, del rapporto che l'io stabilisce con la realtà, con l'altro uomo, e delle sue caratteriZ7.aZioni. Se la definizione della persona che emerge dall'analisi fin qui condotta è quella di una «monade spirituale», considerata nella sua ipseità, con le sue caratteristiche di unità e unicità, come il primo punto di ogni rapporto e di ogni conoscen7.a, occorre sviluppare gli aspetti per i quali una tale concezione non debba essere intesa in senso solipsistico. Per far ciò occorre mostrare come la persona, per via della propria ipseità e della propria libertà, sia sempre aperta alla relazione con gli altri e con il mondo, come la sua affermazione sia sempre il primo passo verso l'affermazione di altro e degli altri. Si tratta di sviluppare gli argomenti per i quali essa si presenta come una monade «tutta porte e tutta finestre» o, ancora, di approfondire il fatto che se «nessun valore si regge nell'essere se non ha origine, termine e misura nella persona», ciò è vero a condizione che sia inteso «nei rapporti cosmici, sociali, storici, metafisici della persona: sempre nei rapporti della persona

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con se stessa o con altre persone»'. Si tratta inoltre di vedere le modalità con cui le relazioni si realizzano in un vivere comune, ovvero in una società. Ancora, quando Stefanini afferma: «Il regno della ragione non è dispotico, ma politico»2, si riferisce soprattutto al fatto che nell'individuo le facoltà della ragione si organizzano secondo l'unità, ma occorre aggiungere che è questa unità della persona a rendere possibile l'unità tra le persone. In breve, si tratta di esporre i lineamenti del personalismo sociale. Nell'espressione :ione umana e alla dipendenza da Dio), all'ira (scompiglio emotivo, distruttivo dell'equilibrio della persona), alla lussuria (anchilosi sensuale della persona. obiezione alla persona amata ridotta a strumento di piacere, soppressione della vita nascente), all'accidia (languida distensione del potere unitivo e della fora produttiva della persona)» (ivi, p. 40).

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6ciente che non consiste in una deduzione del diverso dall'identità comune. Scrive Stefanini: I.A ragione sufficiente delle cose è la cagione sufficiente di esse:e la cagione sufficiente si ritrova nell'umana produttività e nella creatività divina. Perciò alla logica della contraddizione lo contrappongo tispettivamente la dialettica del diverso e ladilemmatica morale: Aut-Aut; E-e-Et.u

Il valore si dà nell'essere perché l'essere non è altro che persona. Anche questo si può awertire con l'esperiell7.a: basti notare come tutto si carica di interesse quando una persona è viva, mentre tutto è indifferente quando la persona è debilitata. «L'Ens è verum, bonum, pulchrum in quanto si afferma, si vuole, si ama: in quanto è persona»25• Se ne ricava che «Il male va, non superato, ma espiato; va consumato nel fuoco della carità che ripara i suoi danni e ristabilisce l'ordine turbato»26• Siamo anche qui in presenw. di una logica che deriva direttamente, ancora una volta, dall'eredità del cristianesimo. Il tentativo di Stefanini su questo punto consiste nel fondare le condizioni di una società sull'amore. Se la morale individuale si sostanziava nella formula «sii te stesso», la socialità si trova fondata sulla massima «ama il prossimo tuo come te stesso»27• Si tratta di un amore personale che non può rivolgersi ali'altro se non si rivolge a sé come amore di sé. Non si tratta di un amore di sé come amore per un proprio interesse particolare o per il proprio «io sensibile», ma di un amore di sé assiologi-

24 L. Stefanini, La mia prospettioa jilosofa:a, cit., p. 27.

25 lvi, p. 28. 26 L. Stefanini, Personalismo SCiale, cit., pp. 40 s. 27 lvi,p. 41.

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camente orientato e che mira a realiZ7.aTe la persona, quindi di un amore per il proprio io spirituale, per i valori, reali7.7.ando i quali la persona realiZ7-a se stessa. Da tale considerazione si può ricavare anche una rilettura di quanto detto sopra a proposito dell'antecedenza della riconciliazione con il fratello rispetto ali'offerta a Dio. La possibilità di una socialità si gioca nella possibilità di tenere insieme questi due aspetti: non si può amare Dio senza amare il prossimo e non si può amare il prossimo senza amare se stessi, ma in ogni caso l'amore per se stessi non può escludere il prossimo, neppure nel rapporto con Dio, in quanto il rapporto con Dio si stabilisce a partire dalla giustizia - il Sal.1TW 15 ripreso dalla frase evangelica indica i requisiti di chi può accedere al Tempio e solo il giusto può farlo -, e la giustizia consiste propriamente nell'essere in pace con il prossimo, il che significa, in caso di offesa, nell'essere perdonato dal prossimo. Stefanini tiene a precisare un altro aspetto: «L'ordine economico sarebbe controindicato alla formazione di una società umana»28 • Lo sarebbe per la natura stessa del bene economico che non può essere partecipata. L'economia tratterebbe, per Stefanini, dei valori indivisibili che non possono essere distribuiti senza che qualcuno perda ciò che si dà a un altro. L'ordine economico necessita, per essere realizzato in una società, di un preliminare che consiste propriamente nel valore morale. Nel primo, infatti, i diritti si danno nell'esclusione reciproca, per cui il diritto altrui è sempre limitazione del proprio e viceversa, al contrario dell'ordine morale, nel quale il diritto che si riconosce a sé come persona è la scaturigine del riconoscimento del diritto altrui.

28 lvi, p. 43 e p. 70. Su questo punto, si veda il saggio di L. Sandonà, 1A società in noi: l'apertura scciale in Luigi Stefanini, in Aa. Vv., Luigi Stefanini e l'odierna antropologia filoscfica, cit., pp. lo.5-118, e in part. pp. 109 ss.

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La posizione morale di Stefanini poggia su un presupposto: «Pensiero, volontà, amore non sono mai l'uno fuori dell'altro, ma segnano una compresenza di tre aspetti sul piano indivisibile di un'unica realtà»m. Si tratta anche in questo caso di garantire l'unità della persona e di sottrarre il sapere ali'ordine della necessità impersonale. E si tratta di negare l'opposizione che si potrebbe intravedere tra pensiero e azione, come se vi fosse un pensiero che riconosce il bene e una volontà che decide se seguirlo o meno. Una simile opposizione sarebbe da considerarsi come una scissione interna dell'umano contravvenente al principio di unità della persona che emerge a partire dalla discussione sul primato delle facoltà e haa che fare sempre con una debolezza delle due parti, «ciascuna della quali scarsamente pensa e vuole e ama» 30• Se si amasse pienamente si riconoscerebbe il vero, se si pensasse in profondità la volontà sarebbe conseguente. Se a ciò si può opporre che il pensiero pensa un passato mentre l'azione è rivolta al futuro, occorre anche constatare che l'azione parte sempre da una intenzione anticipante e che quanto precede la persona è sempre da essa posta davanti a partire dal suo atto. L'atto personale consiste infatti nel porre sempre dopo ciò che era prima; pur sempre riconoscendolo e significandolo come precedente alla persona, lo colloca comunque a partite dall'io che accompagna la significazione significandosi a se stesso. Tutto rientra in quest'ordine secondo il quale la persona si conosce e tende a diventare se stessa, a comprendersi più pienamente, pur senza mai arrivare a esaurirsi nel suo atto. L'impossibilità è sempre data dal limite, vale a dire dal riconoscimento di non essere dasé. Ancora una volta, dunque, dal riconoscimento della dimensione creaturale31 •

29 L. Stefanini, Personalismo sociale, cit., p. 43. 30 Ibidem. 31 Cfr. ibidem: «Non c'è nulla di fatto che non debba diventare atto significante in quest'alba della creazione che è la vita di ciascun uomo», e ivi,

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3. Socialità La morale personalista così delineata apre la strada e pone le basi per la socialità. La possibilità di relazione con gli altri dipende dalla modalità stessa con cui la persona si riconosce come tale e riconosce la propria dignità, così come l'unione con sé è la prima condizione dell'unione con gli altri. Ancora, i valori che permettono di stabilire una comunità con gli altri sono gli stessi valori della persona riconosciuti e accolti. Non è la persona che marxisticamente si deduce dalla società, ma la società dalla persona. La persona umana non è cioè un fenomeno di convergenza collettiva e neppure il «derivato effimero dell'interferenza di mille fattori ambientali»32• Non si può neppure pensare che la moralità derivi dalla socialità come limitazione. Ciò equivarrebbe a pensare le leggi della corporeità come applicabili alla moralità. «La legge delle anime, invece, èla compenetrazione: vale per ciascuna, anziché quello che la isola nella preservazione di un suo interesse esclusivistico, ciò che la diffonde nella partecipazione di un bene comune»33•

Allo stesso modo, non si può pensare che la moralità o la ragione derivino dalla socialità. Al contrario, nella moralità va individuato il fondamento della socialità, così come la ragione realizza la comunione per mezzo della comunicazione34• La comunicazione è il momento in cui l'individuo comunicandosi innanzitutto a se stesso pone le basi per una comunicazione ad altri a partire dalla razionalità. La razionalità, a sua p . 46: «Sentirci creati è sentirci impegnati verso la nostra persona e impegnati nel rapporto personale che ci congiunge a Dio». 32 lvi, p. 47. 33 lvi, p. 48.

34 Per un approfondimento del passaggio da un personalismo morale al personalismo sociale, si veda il saggio di M. Capo:cd, Analisif encmenolagica della relazione interpersonale. Il contributo di Luigi Stefaruni, in Aa. Vv., Luigi Stefarnnl e l'odierna antropologia filasojirA, cit., pp. 149-159.

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volta, è un tutt'uno con la moralità, per cui, come la seconda contiene la sua destinazione verso gli altri, anche nella prima occorre riconoscere che lo stesso atto con cui ci si comunica a se stessi contiene già l'indirizzo verso altri. Se, come si è visto, la parola è il punto in cui l'essere, nella persona, si riconosce esprimendosi innanzitutto a se stesso - e quindi il punto in cui l'essere della persona si realizza - e l'arte è il punto in cui la parola raggiunge il suo massimo grado e diventa espressione assoluta realizzando una comunicazione universale, consegue che non vi è distinzione tra quegli elementi che realiZ7Al!O l'identità della persona e quelli che ne realizzano l'apertura-15. Scrive Stefanini: «Occorre ribadire che dalla persona si deduce necessariamente una società umana, ma da una semplice aggregazione di individui non si dedurrebbe in nessun modo la persona umana»36• Occorre tener sempre presente che il termine "persona» non equivale a "individuo", come "personalismo» non equivale mai a "individualismo». Ciò su cui in vario modo si insiste è l'identità di un atto in cui la relazione con altri è già sempre compresa e annunciata dalla relazione con sé. Scrive Stefanini: Stabilito che l'individuo è il soggetto particolare di beni sensibili e la persona è il soggetto singolare di valori universali, s'inferisce che la società è preordinata all'individuo come la persona è preordinata alla società. Tutto ciò che è permutabile nel!'ordine dei beni sensibili deve essere subordinato dal privato al bonumcommune; ma non può essergli subordinato quello che non sopporta permuta o baratto, in quanto non è merce o moneta, ma dignità. Da questo punto di

35 Su questo punto si veda il brillante, purtroppo breve, contributo di M. Gaetani, Concordia disccrs et discorwa concors nell'arte e nel linguaggio, in AB. Vv.,Artee linguaggio In 1.A,igi Stefanlni, cit., pp. 175-177. 36 L. Stefanini, Personali.smo sociale, cit., p. 49.

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vista, il bonum ccmnwne coincide esattamente coll'espressione, l'esercizio e la preservazione dei valori della persona umana.37

Si tratta di pensare la società tutelando la persona, ma tutelandola in ciò che rende possibile la socialità stessa. Se la persona fosse subordinata alla società, sarebbe trattata alla stregua di un bene disponiJe al lìnedi un interesse superiore. Ora, se l'individuo può essere subordinato alla società èperché la società non mira a salvaguardare l'interesse individuale, ma precisamente ciò che della persona garantisce la socialità. L'individuale va qui inteso come il permutabile e l'appropriabile del privato, mentre il personale sarebbe il punto non appropriabile del comune che costituisce la società. Con il personalismo socialesi comprende meglio anche la metafisica della persona, si comprende meglio che l'accento sull'io in Stefanini non è mai egoismo. Perché la valorizzazione dell'io non sia egoismo, occorre però accompagnare ogni sua esaltazione con l'esaltazione della sua relazionalità, e ogni esaltazione della persona con l'esaltazione della singolarità come caratteristica di ogni persona nella sua naturale apertura alle altre. La superiorità della persona sulla società, allora, non va intesa come escludente il valore comunitario, ma, al contrario, l'aspetto comunitario va considerato come qualcosa di implicato nella stessa personalità. Ancora non si tratta di un accidente o di un «succedaneo fortuito» che si aggiunge alla persona, ma di qualcosa di essenziale o di «endogeno»;l8 sen7.a il quale la persona non potrebbe compiersi. Se ne ricava quella che Stefanini chia-

31 Ibidem. 38 Ibidem. Scrive Valentini: •li "personalismo sociale" di Stefanini è interessante non solo per i suoi sviluppi pratici ma anche per la riflessione teoretica e antropologica che lo fonda. Le basi speculative della democrazia sono da ricercare,in particolare, in un'antropologiadell'interpersonalità [ ... ]. L'uomo èun essere bisognosodell'alterità [... ). L'alterità è nel cuore stesso dell'iden-

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ma la formula del personalismo sociale: «Quanto più discendo in me tanto più trovo gli altri: e quanto più mi apro agli altri tanto più approfondisco me stesso»39• Quanto finora affermato consente una ulteriore riformulazione della massima individuale: «sii te stesso», o anche: «agisci secondo coscienza», può essere tradotto come: «Diventa ciò che sei», vale a dire «diventa persona», ma per diventare persona è necessario realizzare un altro imperativo: «ama il prossimo tuo come te stesso». L'esito di questo amore è una società che esalta la persona e la rende tale. Ecco allora che alle diverse formulazioni se ne può affiancare un'altra: «Costruisci una società» o «fai società con gli altri». D'altronde, non vi è dubbio che il senso del comandamento cristiano sia stato interpretato nella storia della Chiesa come un richiamo a costruire delle comunità e, in generale, a costruire la Chiesa. Stefanini fa notare come questa sia la ragione per la quale anche le forme più radicali di ascetismo, dalle origini della cristianità, fossero sempre interpretate in una forma comunitaria. Nell'isolamento da tutti sarebbe infatti mancata la possibilità di esercitare la carità e sarebbe stato dunque impossibile un rapporto con Dio-IO. Non vi può essere, come si è ripetuto, rapporto con Dio se manca il rapporto con gli altri• 1• Al contrario di una posizione che Stefanini chiama «luterana e giansenista», il rapporto con Dio non può realizzarsi nell'inti-

tità personale, la forma e allo stesso tempo la costituisce» (T. Valentini, Luigi Stefanini: ermeneutica fil~ofica e teoria della perwna, cit., pp. 30.5 s). 39 L. Stefanini, Personalismo sociale, cit., p. 50. 40 Ibidem. 41 Cfr. ibidem: «Il moto verticale della creatura verso il creatore suppone, mentalmente e moralmente, un moto tangenziale della creatura verso le creature. Il colloquio del solo col Solo nel sano misticismo (l'unione con Dio rappresenta essa stessa la forma prima e suprema di socialità) è a sommo di una vita spesa a vantaggio dei fratelli•.

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mità di una coscienza isolata dalle altre42, e non può realiZ7.afSi in partenza, poiché si troverebbe violata la massima individuale: «sii te stesso». Essere se stessi non può, infatti, per quanto si è detto, essere mai interpretato nel senso di una esclusione degli altri; analogamente accade per le «supreme intellezioni» che non possono darsi sen7.a il rapporto con il sensibile. I motivi dell'apertura sociale della persona, apertura necessaria ed endogena - dunque non accessoria e posticcia - per le coerenze del personalismo e di quello che abbiamo definito come il punto di parten7.a, sono da ricercarsi nell'esperien7.a personale. Ora, l'esperienza personale attesta che la socialità può essere individuata sia a partire dall'indigenza che dal suo contrario, la sovrabbondanza. La persona, come si è detto, è finita ed è una totalità, in quanto fa esperienza di essere un tutto, ma la sua finitezza la rende consapevole di non essere il tutto. Se le caratteristiche di unità e unicità garantiscono il suo essere un tutto, come forze centripete che tengono insieme la persona e la portano a concentrarsi su di sé, la fìnite:z7.a, come esperienza di un tutto che non è il tutto, la porta verso l'esterno in direzione o alla ricerca di qualcosa che le manca e con cui completarsi. Occorre far attenzione a non intendere ciò che manca come qualcosa per cui la persona non sussisterebbe. La persona è automa e se si lega alle altre persone non è per una mancanza. Oltre all'indigenza, la socialità può essere riconosciuta anche per via della sovrabbondanza e di una certa esperienza della

42 Cfr. Ibidem: «Si sa come il luterano e giansenista Mol seul et mon Dleu sia stato responsabile, non solo dell'aridità SO76• In particolare, l'identità è la determinazione prima con cui l'uomo determina il tempo. In quest'atto emerge sul tempo rendendo il tempo storia. La persona, nel suo agire nel tempo, non è determinata da esso poiché non si risolve «in nessuna delle determinazioni empiriche su cui si sostiene, "come il nuotatore - direbbe il Le Senne - si sostiene a fior d'acqua e progredisce facendo forza sul mare che di momento in momento minaccia d'inghiottirlo"» 77 • L'unicità sta nella totalità della persona che le garantisce di non essere un particolare. La persona, in forza della sua singolarità, si manifesta non come un particolare ma come una totalità, senz'essere la totalità; «è unica in quanto vale per se stessa quantunque non sia unica a valere perse stessa,,78 • Non è nemmeno un universale astratto, ma concreto al punto che non si trova concreto fuori dalla persona. L'idea di storia proposta da Stefanini è quella per cui un principio categorizzante informa gli eventi che senza di esso si presenterebbero in una processione bruta. Questo principio, che è la lìlosolìa, informa, produce, valuta, o in generale si rapporta agli eventi in virtù di quello stesso atto con cui si riconosce a partire dal suo esprimersi, in un esprimersi che è rapporto ad essi10• «Il giudizio sul principio categorizzante si definisce a se stesso "in occasione" dell'esperienza storica, senza che la esperienza storica sia "causa" o "sostanza" di quella delìnizio-

76 lvi, p. 51. 11 Ibidem. 78 lvi,p. 52.

79 Cfr. ivi, pp. 52 s.

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ne»80• La filosofia, allo stesso modo, avendo come suo fondamento questo giudizio, non si potrà mai risolvere nella storia. Anzi, «il giudizio sul principio categorizzante (o filosofia) condiziona il giudizio storico e ne fonda la validità»81 • Dall'idea di un principio categorizzante nella persona derivano anche le dimensioni della storia, orizzontale e verticale, le stesse della persona. Poiché l'atto umano non consegue mai l'attualità pura, l'attimo è presente, ma non risolutivo. «L'attimo è sempre in sé e fuori di sé»82• Da un lato, concresce su se medesimo, punto di interfaccia che richiama su di sé il passato e si sporge verso il futuro. Per il fatto che è in sé, in ogni momento èpresente tutta la persona con le sue caratteristiche menzionate (unità, identità e spiritualità), «con ciò che in essa è transmediato, transrelato, transdialettico». Questa presenza, che indica la dimensione verticale, pone la persona quale principio categorizzante. Per il fatto, invece, che l'attimo è fuori di sé, ha origine la dimensione orizzontale della storia, e quindi il dinamismo per cui una persona si distende in questa dimensione con i suoi atti che seguono la successione temporale. Per Stefanini, la prima dimensione è sempre preminente sulla seconda. Questa preminenza è, in fondo, ciò che può affermare un atto libero. «Ogni istante è, per ciascun uomo e per tutta l'umanità, consumazione è ripresa del tempo»83• Se a ogni istante l'istante stesso è donato a se stesso, tutto si gioca in quel punto che non è semplicemente un punto da cui si irradia il resto. Non è semplicemente il punto di fuoco attra80 I vi,

p. 53.

81 Ibidem. 82 lvi, p. 65. Su questo punto, per quanto non esplicitato, Stefanini ha probabilmente presente Kierkegaard, la cui lettura emerge anche in relazione alla questione dell'attimo, nel testo Es1.stenzlallsmo ateo ed esistenzialismo teistico, cii., pp. 161 ss., e in pari. pp. 170 s. 83 I vi, p. 66.

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verso il quale cogliere il presente e il futuro. Il centro della storia è sl nel presente, e il presente è nel punto in cui la verticale tocca l'orizzontale, ma nella considerazione che quella verticale redime l'istante dal suo orizzonte. L'istante attuale è il punto in cui tutto si decide nella libertà. Il cristiano ben sa che lo spirito, uscito dal seno dell'Eterno, non si attua nella aggiunzione o sovrapposizione di momenti diversi del tempo, ma nella continuainsisten7,.a di un presente che è l'imagine più adeguata dell'eternità. 84

Differente l'economia del tempo e differente, dunque, l'economia della salvezza che si afferma. L'idea di escatologia muta, la salvezza non è rinviata alla fine, ma decisa in ogni momento: «L'escatologia, presente in ciascuno dei momenti del tempo, esige di non lasciar mai cadere la mano dall'aratro e tuttavia di agire come se ogni giorno e ogni minuto fosse il giorno e il minuto del Giudizio»85 • L'aspetto di verticalità, l'identità che rimane come durata nel tempo, si sostiene per un atto libero «di generosa dedizione e di amore»86• Soffermiamoci ora su questa frase: «Il transmediato, il transrelato, il transtorico della persona umana non è l'eterno: ne è partecipazione e manifestazione»87• Ciò che trasforma il tempo in storia, il principio categorizzante, si realizza e perciò è tale solo in virtù di questa presen7,a dell'eterno nel tempo. «L'eterno nel tempo è una dimensione per cui la presenzialità umana può non subire il tempo in fona di una possibilità rinnovata istante per istante» 88•

84 L. Stefanini, Reioindicatio, cit., p. 91. 85 L. Stefanini, Personalismofilosofico, cit, p. 66.

86 Ibidem. 81 Ibidem. 88 Ibidem.

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Ancora una volta, le coerenze portano al cristianesimo perché in fondo la vera libertà spirituale è possibile grazie al concetto di creazione. Fuori dal cristianesimo la filosofia resta «sul terreno di quello storicismo naturalistico o logicistico, che andrà proliferando indeftnitivatamente nei secoli, e che ancora oggi impedisce che la vera storia degli uomini sia fondata ed intesa»80• Si può dire che «l'avvento del Cristo è la consumazione del tempo ed è l'inizio d'un tempo in cui la redenzione si moltiplica indefìnitamente»00, poiché la verticalità della creazione e dell'evento redime l'ora attuale, mentre nel condizionamento di ogni istante a partire dalla sua dimensione orizzontale non c'è libertà. Ed è per questo stesso motivo che nella libertà dell'istante la persona è chiamata ad agire con libertà e responsabilità. È chiamata, in fondo, a partecipare alla propria redenzione, che tuttavia non è possibile se non nella relazione con gli altri. Così se nella storia la persona si esprime e si rivela nei suoi atti01 , nel suo esprimersi si relaziona con le altre persone proprio in virtù di quel principio che pone la sua libertà. L'agire, il comunicarsi, l'intendersi, il relazionarsi con gli altri a partire dalla somiglianza dell'imagine sono ciò che costituisce la storia. Per cui: La forma oomune della storiograGa è la forma della mutua comprensione delle anime: la forma del oolloquio. Le anime si comprendono per me7.7.o della parola. La storia è la parola

89 lvi, p. 72. Cfr. anche R. Pagotto, L'antropologia cristiana dl Luigi StefanlnJ, in Aa. Vv., Uomo e persona In Luigi Stefanlni, cit., pp. 161-177, e in part. pp. 166 ss.; a p . 170 leggiamo: «il riferimento al Verbo cristiano, l'eterna Parola fattasi storia, è l'asse portante dell'antropologia stefaniniana».

90 L. Stefanini, Personalismo filosofico, cit., p. 68. 91 Scrive Rigobello: «La forma storia, per Stefanini, è la progressiva, inesauribile rivelazione dell'inseità della persona nella perseità, della rilevanza della persona nella configurazione esterna dei suoi atti• (A. Rigobello, La storiografia come enneneutica, in Aa. Vv., Luigi Stefanlni. Unguagglollnterpretazione/Persona, cit., pp. 1-11: p. 4).

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dell'uomo. La comprensione della storia è lettura della parola dell'uomo.e2

Le anime che comunicano, che esprimono se stesse, ossia il loro essere parola-imagine, nella stessa parola-imagine attraverso la quale si intendono, somigliandosi, reali:r.z.ano una storia che ha la forma del colloquio, nella quale, cioè, nessuna redenzione è possibile fuori da un colloquio che realizza una socialità. La realizzazione della storia ha cosi a che fare con la realizzazione di una socialità universalmente estesa.

92 L. Stefanini, Personalismofilosofico, cit., p. 62.

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Conclusioni

Senza pretesa di esaurire la ricchezza di un pensiero ampio e articolato, si propone una sintesi di quanto il presente lavoro ha tentato di mettere in luce. L'obiettivo prefissato consisteva nel ricostruire i passaggi o nel percorrere il cammino che separa, o unisce, la tematizl.azione di una identità forte da un pensiero della relazione con l'alterità nella proposta del personalismo stefaniniano. Il percorso si è concentrato su due aspetti fondamentali: la formulazione del personalismo, con l'idea di persona che esso presenta, e l'estetica. Ne ha tralasciato altrettanti: lo Stefanini storico della fìlosofia - e quindi l'approfondimento del rapporto con alcuni giganti della tradizione fìlosofica come Platone, Aristotele, Agostino, Tommaso, Bonaventura, Cartesio, Kant, Gioberti, Bionde), ecc., e la loro interpretazione -, ma anche lo Stefanini della pedagogia.

La metafisica perde la sua astratte:z:7.a quando guadagna la persona nell'esperiell7.a. L'io si riconosce come momento centrale dell'esperiell7.a per la sua capacità di porre sempre dopo di sé ciò che lo precede. Anche l'essere non sfugge a questo pa-

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radigma, e smette di essere astratto quando si riconosce nella persona, vale a dire quando la persona si riconosce come il momento in cui l'essere acquista consapevolezza di sé nella manifestazione a se stesso. Ne deriva una idea della persona e dell'io come punto di consustanzialità tra l'essere e il pensiero-parola: verbum. In questo atto, qualsiasi espressione si pone innanzitutto come manifestazione a sé, preliminare rispetto a qualsiasi manifestazione ad altro. La parola è infatti l'atto con cui l'io si manifesta a sé, ma anche quello con il quale è possibile rivolgersi e farsi intendere dagli altri. La monade spirituale è fin dall'inizio tutta porte e finestre. Si dà cosl un movimento per il quale tanto più si approfondisce l'aspetto per cui la persona si manifesta a sé, tanto più questo atto rende possibile la comunicazione ulteriore. In tale approfondimento la persona si conosce e si possiede sempre più, si scopre nella sua autonomia e nella sua finitezza. Le sue note si attestano come unità e unicità, ma il lavoro di autocomprensione non si esaurisce mai in una compiutezza per la quale l'io si eguagli in un autopossesso che attesti una autocostituzione. In sé non è da sé e, per comprendersi pienamente, deve relazionarsi con l'altro che lo fa essere. L'impossibilità di comprendere nel suo atto ciò che lo fa essere gli attesta una dimensione creaturale e annuncia una identità profondamente relazionale. Se sarà la rivelazione a indicare la modalità di una relazione che dovrà darsi non in modo diretto tra creatura e creatore, ma come relazione con gli altri nella giustizia e nell'edificazione di un ordine sociale che rispetti la vocazione della sua identità, tuttavia l'apertura all'alterità è già presente nell'individuo nel fatto che è parola, cioè per il fatto che ciò che costituisce la persona nella sua identità è esattamente ciò che rende possibile la comunicazione ad altri. La rivelazione offre l'imagine di un Dio in cui le categorie di sostanza e relazione si sovrappongono. La creatura come fatta a imagine e somiglianza ne ripete il modello, cosl che la rivela-

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zione trinitaria rivela non solo la natura di Dio, ma quella della persona e la possibilità della sua realizz.azione. Tale possibilità non può prescindere dalla relazione con le altre persone, il cui modo di realizz.azione si trova come annunciato nell'arte. L'arte è descritta come il luogo in cui l'espressione si fa assoluta nell'universalità del bello. In questo punto di assolutezza l'imagine non rimanda più a niente. In essa la parola-espressione si consegna, facendosi imagine, a un oggetto del quale varia lo statuto. L'atto espressivo personale si consegna in un elemento terzo - opera, cosa e imagine - come parola rivolta ad altri. L'opera dell'arte è un oggetto al quale l'artista ha trasmesso la nota della sua unicità. Imagine e parola assoluta che non comunica altro che sé, in una forma che pretende di essere intesa universalmente. Comunicazione non di un contenuto, ma della persona, comunicazionedi sé ad altri che non vuole altro se non raggiungere l'altro, non per una qualche ragione, o per dirgli qualcosa, ma per se stesso. L'opera dell'arte intesa come parola assoluta realiZ7.a cosl la natura comunicativa del linguaggio, che ricerca essenzialmente l'intesa non come qualcosa su cui intendersi, ma come ricerca preliminare all'intendersi su qualsiasi cosa. Dall'arte si apprende come l'espressione sia comunicazione e come questa comunicazione nell'arte riesca nel realiZ7.are quel rivolgersi ali'altro che costituisce il presupposto della socialità, come se il mettersi insieme della socialità non sia guidato da uno scopo specifico o da un interesse comune, ma costituisca la naturale dimensione della persona. Che la persona sia caratteriZ7.ata dalla relazionalità emerge anche a livello dell'imperativo morale personalistico, per il quale il lavoro per diventare persona consiste nell'impegno a costruire una società che realizzi le dimensioni della persona e che pennetta alle persone di realiZ7.aTSi in essa. Il rivolgersi ali'altro, il comunicare e il relazionarsi sono possibili a partire da un'idea dei relati come somiglianti. I somiglianti sono distinti

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e non identici e la loro la relazione non è data da una qualche caratteristica comune, ma dal riferimento a un insieme più grande di appartenenza grazie al quale è possibile riconoscersi, comunicare, intendersi, amarsi, collaborare, nel permanere della differenza. Le persone comunicano, si intendono, si amano per il fatto di somigliarsi in un terzo di cui sono imagine. Se la persona si definisce nel suo essere imagine dell'altro da cui è, la possibilità di comunicarsi e relazionarsi non può prescindere dal riconoscersi nell'imagine. Se si perde questa idea di somiglianza, si perde la persona nel suo carattere di identità e relazionalità a partire dal quale si costituisce una società come il luogo in cui le persone agiscono allo scopo di migliorare le condizioni di vita e di reali7.zare più compiutamente la persona. La società non emerge così da una caratteristica che accomunerebbe tutti coloro che hanno qualcosa in comune, ma sarebbe la semplice realizzazione dell'originario essere l'uno per l'altro a costituire la società come il comune inappropriabile dei diversi.

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2. Letteratura critica2 a) Volumi collettanei su Luigi Stefanini citati nel libro in

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2 Per una bibliografia oompletadegli scritti dedicati a Luigi Stefanini, si veda G. Cappello, wlgl Stefanlnl. Dalle opere e dal ca~. cit., pp. 901-928.

15.5

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b) Saggi e monografie dedicati a Stefanini citati nel libro, in ordine alfabetico per autore3 Aa. Vv., Testimonianze, in «Rivista di estetica», I, n. 2, 1956, pp. 161-229.

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