La civiltà della conversazione 8845916170, 9788845916175

Se si dovesse dire in cosa e in quali luoghi si cristallizzò l'ideale della più oziosa, spregiudicata, esigente civ

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Italian Pages 650 [669] Year 2001

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La civiltà della conversazione
 8845916170, 9788845916175

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Be ne d e t t aCr a v e r i

LACI VI L TÀ DELLACONVERS AZI ONE Ad e l p h i

Se si dovesse dire in che cosa e in quali luoghi si cristallizzò l’ideale della più oziosa, spregiudicata, esigente civiltà europea fra Seicento e Settecento, si potrebbe rispondere: in alcuni salotti di Parigi, dove si celebravano i riti, insieme esoterici e trasparenti, della conversazione. Via via allontanata, per volontà del sovrano, dall’uso della forza come dal potere politico più incisivo, l’aristocrazia spese le sue ultime, dispettose energie nell’elaborare un modo di vivere che pretendeva di raggiungere un traguardo di perfezione a partire dal quale tutto il passato apparisse grezzo e goffo. Con l’ausilio di alcuni geni della socievolezza – quasi sempre donne, spesso antagoniste nelle loro inclinazioni e peculiarità, ma tutte maestre di eleganza e psicologia – si creò così una corrente impetuosa che attraversò due secoli e, nella sua apparente capricciosità, investì vastissimi territori. Alla fine dovremo constatare che la più alta e frivola mondanità era riuscita a plasmare molte forme della vita sociale e intellettuale, oltre che a diventare veicolo dell’azione politica. Quella corrente si infranse contro lo sbarramento della Rivoluzione, ma il suo ricordo ha continuato ad agire potentemente, come immagine inarrivabile della «civiltà perfezionata», sino a oggi. Di questa storia affascinante e pullulante di personaggi, scene, battute memorabili, mancava una rappresentazione concatenata, che mostrasse la continuità della sua evoluzione, e il mutare del suo carattere, attraverso due secoli che, sotto questo riguardo, impongono di essere considerati in un’unica visione d’insieme. Già autrice di una preziosa biografia di Madame du Deffand (una delle protagoniste della «civiltà della conversazione»), Benedetta Craveri ha saputo ricostruire dall’interno, narrandola e contrappuntandola di ritratti, una vicenda che non è stata nulla di meno che una delle grandi avventure – e glorie – dello spirito europeo.

«Questo ideale di conversazione, che sa coniugare la leggerezza con la profondità, l'eleganza con il piacere, la ricerca della verità con la tolleranza e con il rispetto dell'opinione altrui, non ha mai smesso di attrarci; e quanto più la realtà ce ne allontana tanto più ne sentiamo la mancanza. Esso ha cessato di essere l'ideale di tutta una società, è diventato un "luogo di memoria", e non c'è rito propiziatorio che possa riportarlo fra noi a condizioni che non gli sono favorevoli; conduce ormai un'esistenza clandestina, ed è appannaggio di pochissimi - eppure niente ci dice che un giorno non possa tornare a renderci felici». Di Benedetta Craveri, che insegna Letteratura francese all'Università della Tuscia, è apparso presso Adelphi Madame du Deffand e il suo mondo (1982), ripubblicato nel 2001 nella collana «gli Adelphi» con un saggio di Marc Fumaroli.

In copertina: François de Troy, La lettura di Molière (1728 ca, particolare). Collezione privata.

LA COLLANA DEI CASI 48

DELLA STES SA AUTRICE:

Madame du Deffa nd e il suo mondo

BENEDETTA CRAVERI

La civiltà della conversazione

ADELPHI EDIZIONI

Prima edizione: maggio 200 l Seconda edizione: settembre 200 l

© 2001

ADELPHI EDIZIONI S.P.A. MILANO ISBN 88-459-1617-0

INDICE

Premessa

11

I.

Una certa maniera di vivere

21

II.

Le figlie di Eva

31

III.

La Camera azzurra

55

IV.

Vincent Voiture , ovvero l ' « ame du rond»

77

V.

La Guirlande deJulie

1 01

VI.

Madame de Longueville : una metamorfosi esemplare

1 09

La duchessa di Montbazon e il riformatore della Trappa

131

VII.

VIII.

La marchesa di Sablé : il salotto nel conven to Le «fondatrici del giansenismo» L'amicizia come passione All'ombra di Port-Royal Il gioco delle massime

IX.

La Grande Mademoiselle L'eroina della Fronda La prova dell'esilio Il gioco dei ritratti

1 43 1 43 1 58 1 69 1 82 1 95 1 95 204 222

x.

Madame de Sévigné e Madame de La Fayette : una lunga amicizia

243

XI.

Madame de La Sablière: l'assoluto del sentimento 289

XII.

Madame de Maintenon e Ninon de Lenclos: l ' importanza della reputazione

30 1

L a rivincita di Parigi

316 316 332 348

La marchesa di Lambert: l ' ideale dell' honnete femme

359

xv.

Madame de Tencin: l 'avven turiera dei Lumi

377

XVI.

Sotto il segno dell 'emulazione

399

XVII.

La civiltà della conversazione

455 455 4 73 48 1

XIII.

L'esprit de société Il carattere della Nazione La corte come teatro

XIV.

Il piacere della parola Gli inganni della parola Il potere della parola

Bibliografia

503

Indice dei nomi

59 1

LA CIVILTÀ DELLA CONVERSAZIONE

per Benoit

PREMESSA

Questo libro racconta la storia di un ideale, l' ultimo in cui la nobiltà francese di Antico Regime si sarebbe ricono­ sciuta interamente, l'ultimo che le avrebbe consentito di erigersi ancora una volta a emblema e modello di tutta la nazione. Un ideale di socievolezza sotto il segno dell ' ele­ ganza e della cortesia, che con trapponeva alla logica della forza e alla brutalità degli istinti un 'arte di stare insieme ba­ sata sulla seduzione e sul piacere reciproco. Nei primi decenni del XVII secolo, l 'élite nobiliare sco­ priva l 'esistenza di un territorio fino allora inesplorato, a uguale distanza dalla corte e dalla Chiesa, ne disegnava i confini e lo dotava di leggi autonome e di un codice di comportamento improntato al culto rigoroso delle forme . Non ci si preoccupava di dargli un nome, utilizzando per esso l 'appellativo generico di monde: in breve tempo, infatti, il termine non avrebbe indicato più soltan to la sfera dell'u­ mano contrapposta a quella del divino, il luogo dell 'esilio e del peccato in cui tutto sembrava dover concorrere alla per­ dizione dell'anima, ma avrebbe evocato una realtà sociale circoscritta dove una piccola schiera di privilegiati si cimen­ tava in un progetto etico ed estetico rigorosamente laico, che per realizzarsi non aveva bisogno di cauzioni teologi­ che . E se nel corso del Seicento non pochi fra coloro che

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La civiltà della conversazione

appartenevano al monde avrebbero finito, attraverso meta­ morfosi esemplari, per sacrificare al richiamo. di Dio questo ideale troppo terreno, il secolo successivo, liberando l ' uo­ mo dall 'ansia religiosa, lo affidava fiducioso alla sua voca­ zione puramente mondana. È di questo progetto , della sua elaborazione e della sua realizzazione, dai tempi dell' hotel de Rambouillet fino alla Rivoluzione francese , che mi sono proposta di rintracciare qui i motivi ispiratori e gli elementi costitutivi. Ma perché fermarsi al l 789 e circoscrivere a un periodo storico concluso un modello di socievolezza eminentemen­ te moderno e destinato a sopravvivere, sia pure attraverso mille metamorfosi , alla società che lo aveva ideato? Perché solo la società aristocratica di Antico Regime , prigioniera di uno splendido ozio e senza altra preoccupazione che quel­ la di autocelebrarsi, poteva fare della vita mondana un' arte inimitabile e un fine in sé . Mettendo termine ai privilegi della nobiltà, la Rivoluzione tracciava infatti con il passato una linea di non ritorno. N o n è certo un caso che l'idea di una storia della società mondana risalga proprio ai tempi della Restaurazione e che sia un ex rivoluzionario pentito, il conte Pierre-Louis de Roederer, a pubblicare nel 1 835 il Mémoire pour servir à l 'h istoire de la société polie en France, il primo lavoro propria­ mente storico sull' argomento. Da allora scrittori, studiosi, eruditi non hanno cessato di indagare su quel mondo scomparso, privilegiando l'approccio biografico, la tecnica del ritratto , l' aneddotica, il romanzesco; e focalizzando per lo più l ' attenzione sulla centralità della vita di salotto e del potere che le donne vi esercitavano. D' altro canto , nel cor­ so del Novecento, gli studiosi della lingua, della letteratura e della cultura di Antico Regime hanno finito per tenere sempre più conto, nelle loro diverse prospettive di ricerca, del complesso gioco di influenze che si intrecciano assai presto tra savants e mondani, a cominciare dal contributo dato da questi ultimi alla nascita del francese moderno , allo sviluppo di nuove forme letterarie, alla definizione del gusto . Cosa mi ha indotto , allora, a ritornare su un terreno già esplorato da critici illustri, da universitari ferratissimi, da di­ vulgatori spesso accattivanti? In primo luogo la constatazio­ ne dell' esistenza di una linea divisoria del tutto artificiale

Premessa

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tra Seicento e Settecento. Nel campo degli studi ciascuno di questi due secoli ha i suoi specialisti, generalmente poco inclini ad avventurarsi al di fuori delle specifiche aree di competenza. Inoltre, sul piano più generale della storia del­ le idee, o più semplicemen te di quella del costume e del gusto, Sei e Settecento propongono due visioni così diverse del mondo da indurre sovente, al di là dei corsi e ricorsi delle mode, a decise, personalissime scelte di campo. In effetti, come non riconoscere che , nonostante la stabi­ lità delle istituzioni di Antico Regime , nel passaggio tra Sei e Settecento quasi tutto appaia diverso? A cambiare è in­ nanzitutto la percezione che l 'uomo ha di se stesso, il suo modo di pensare , la sua sensibilità, la sua morale, la sua idea di felicità, nonché la concezione che egli ha della so­ cietà in cui vive . Eppure, se osserviamo i due secoli dal pun to di vista del­ la civiltà mondana, è impossibile non percepire come in quest'ottica qualsiasi forma di cesura sia fuorviante . Nel succedersi delle generazioni che si affacciano l 'una dopo l ' altra alla ribalta della vita di società, la prima cosa a col­ pirci è, infatti, la forza della tradizione e la continuità dello stile . Avido di sapere e sempre più onnivoro , il dilettanti­ smo mondano, con l'avanzare dei Lumi, si faceva un pun to d' onore di schierarsi all 'avanguardia del nuovo, ma non per questo cessava di obbedire al codice formale delle buo­ ne maniere e di coltivare l ' antico ideale di perfezione este­ tica. N o n si trattava solo di raffinare un' arte della messa in scena di sé che costituiva ormai il tratto distin tivo dell 'iden­ tità nobiliare, ma di serbare il ricordo tenace di un sogno utopico che ben si adattava a un secolo di utopie e che, no­ nostan te i suoi molti fallimen ti , non voleva morire . Era l ' utopia di un altrove felice, di un ' isola fortunata, di un 'arcadia innocente dove dimenticare i drammi dell 'esi­ stenza, coltivare l 'illusione della propria perfezione morale ed estetica, correggere le brutture della vita e rimodellare la realtà alla luce dell ' arte. All' inizio del Seicento, Honoré d'Urfé l ' aveva illustrata nell' Astrée, il romanzo più amato dalla nobiltà francese , e Madame de Rambouillet aveva ten­ tato di realizzarla nella sua casa, facendo di quest'ultima il modello archetipico della socievolezza aristocratica. Ma non sempre le virtù delle apparenze potevano avere ragio­ ne dell ' orgoglio, dell 'odio, dell 'invidia, della violenza: tra un complimento e l ' altro si con tinuava a uccidersi in duel-

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La civiltà della conversazione

lo per una semplice ripicca, a rapire giovani donne perico­ losamente belle o ricche, a tradire, calunniare, offendere . Molto spesso la cortesia si rivelava una semplice finzione, l'eleganza dei modi una mera impostura. E tuttavia, se mo­ ralisti, romanzieri, scrittori di teatro, e non ultimi gli stessi mondani si accanivano a strappare le maschere e a denun­ ciare la risibilità della commedia sociale, ciò non poteva che dimostrare il permanere di un autentico ideale di per­ fezione . D ' altronde, la nostalgia del passato aveva accompa­ gnato fin dall' inizio la nascita del mito mondano. Ancora nel Seicento; nello stigmatizzare la volgarità della società a lui contemporanea, l'antimondano La Bruyère evocava con infinito rimpianto i discorsi irripetibili, arguti e brillanti che si tenevano all ' hotel de Rambouillet. Non diversamen­ te , negli anni a ridosso della Rivoluzione - quelli dove la douceur de vivre raggiungerà il suo culmine -, il mondanissi­ mo Talleyrand ritornerà col pensiero alle conversazioni su­ blimi, e per sempre perdute , che si erano intrecciate tra Madame de La Fayette , Madame de Sévigné e il duca di La Rochefoucauld. Al mio proposito di ricostruire la storia dell' esprit de société nella lunga durata si è aggiunto il desiderio di raccontarla con un taglio narrativo e un linguaggio non accademico, non solo perché questa mi sembrava la forma più conge­ niale all' argomento che intendevo trattare, ma anche nella speranza di riuscire a restituire l ' eco di quello « stile me­ dio » in cui i lettori del tempo amavano riconoscersi. Ho affidato , invece, alla Nota bibliografica il compito di testi­ moniare quanto grande sia il mio debito con il mondo del­ la ricerca. Se sono riuscita a cogliere con precisione la va­ rietà delle sfaccettature della cultura mondana e le moltis­ sime direzio.n i verso cui questa conduce è certamente gra­ zie alla ricchezza e alla qualità degli studi apparsi in questi ultimi decenni. Ricostruire i connotati di un ideale collettivo di vita, che si protrae per un periodo di quasi due secoli , imponeva una scelta di percorso e di metodo, ed è proprio l ' alto grado di consapevolezza dei suoi stessi interpreti ad avermene sug­ gerito la traccia. Forse nessuna società ha mai riflettuto su se stessa, sulla propria identità e sul proprio modo di rappresen tarsi quan-

Premessa

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to quella che mi propongo di evocare, e m i è sembrato na­ turale raccontarla dall 'interno, attraverso i suoi testi fonda­ tori, affidandomi alla guida di alcune delle sue figure fem­ minili più emblematiche, dando loro, là dov' era possibile , la parola, facendo spesso ricorso a quella dei contempora­ nei e soffermandomi ugualmente su taluni dei grandi te­ mi - la condizione femminile, l ' esprit de société, la conver­ sazione - attraverso cui la civiltà mondana prendeva co­ scienza di sé. Ma perché - ci si può ugualmente chiedere - privilegiare ancora una volta delle figure di donna, di non poche delle quali esistono già bellissimi ritratti, e che sono oggi, grazie alla storiografia femminista, l' oggetto di un numero cre­ scente di studi? Forse che sul piano del costume e dello sti­ le aristocratico il Gran Condé può essere considerato meno rappresen tativo di Madame de Longueville, La Rochefou­ cauld di Madame dt::, La Fayette, Bussy-Rabutin di Madame de Sévigné, o Saint-Evremond di Ninon de Lenclos? Certo che no, ma è difficile non tener conto di un dato di fatto: come constatavano per primi gli osservatori contempora­ nei, nella società mondana di Antico Regime erano le don­ ne e non gli uomini a dettare legge e a stabilire le regole del gioco. E non si può non ricordare che proprio l' alto grado di integrazione dei due sessi era, insieme alla presen­ za dei letterati e alla centralizzazione della vita di mondo tra Parigi e Versailles, ciò che avrebbe fatto della società no­ biliare francese un fenomeno unico in Europa. Ciascuno dei personaggi femminili qui rappresen tati si misura con un modello di comportamento ideale e lo in­ terpreta adattandolo alle sue ambizioni, ai suoi interessi, al­ la cerchia dei suoi frequentatori, alle sue aspirazioni più profonde . E così facendo ne ribadisce l' importanza e la centralità nella vita dell 'epoca, e lo trasmette alla genera­ zione successiva arricchito di un suo personale contributo. Ecco dunque la duchessa di Longueville incarnare in modo ugualmente esemplare le due figure opposte della seduzio­ ne mondana e della rinuncia al mondo; ecco la marchesa di Sablé iniziarci alla collaborazione che si instaura fra mondanità e letteratura; ecco Mademoiselle de Montpen­ sier coltivare la gamma completa dei loisirs nobiliari; ecco la­ marchesa di Sévigné illustrare, nella vita come nelle lettere, la forza travolgente dell' enjouement, la gaiezza euforica così essenziale al successo in società; ecco Madame de Lam bert

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La civiltà della conversazione

e Madame de Tencin presiedere a un nuovo tipo di conver­ sazione intellettuale e preparare gli esponenti del bel mon­ do al dibattito dei Lumi. Ma c'è una ragione forse più profonda e più segreta che mi ha indotta a rivisitare questa storia remota, che ha ormai il sapore della leggenda: ed è la consapevolezza del fatto che , nonostante l 'infinita distanza che ci separa da quel mondo scomparso, esso non ha mai cessato di esercitare su di noi un 'attrazione irresistibile . È lì che l'uomo moderno, munito di una solidissima scienza psicologica, ha fatto della socievolezza un 'arte e l ' ha portata al più alto punto di perfezione estetica; è lì che è nata l 'idea di una élite basata sul principio di cooptazione tra uomini e donne che si volevano uguali e che si sceglie­ vano sulla base delle reciproche affinità. E in un ' epoca co­ me la nostra, dove modelli di comportamento posticci, deter­ minati dall'esterno, si succedono a ritmo serrato, sconfinando spesso nella caricatura, è difficile non ammirare la sovrana naturalezza di quei mondani, che con una perfetta padro­ nanza dei gesti e della parola interpretavano il solo model­ lo che si erano dati e in cui si riconoscevano. E come non confrontare mestamente la nostra concezione in timidato­ ria e prefabbricata del « tempo libero » con una civiltà del loisir dove l'arte , la letteratura, la musica, la danza, il teatro, la conversazione , costituivano una scuola permanente del corpo e dello spirito? Ma è all ' arte per eccellenza di quella società, all ' arte del­ la conversazione , che, come era già accaduto con La Bruyè­ re e con Talleyrand, vanno oggi, in primo luogo, la nostra ammirazione e il nostro rimpianto. Nata come un in trattenimento fine a se stesso, come un gioco destinato allo svago e al piacere reciproco, la conver­ sazione obbediva a leggi severe che ne garantivano l' armo­ nia su un piano di perfetta uguaglianza. Erano leggi di chiarezza, di misura, di eleganza, di rispetto per l ' amor pro­ prio altrui. Il talento di ascoltare vi era più apprezzato che quello di parlare , e una squisita cortesia frenava l' irruenza e impediva lo scontro verbale. Assurta presto allo status di rito centrale della socievolez­ za mondana, nutrita di letteratura, curiosa di tutto , la con­ ' versazione si apriva progressivamente all'introspezione, alla ·

Premessa

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storia, alla riflessione filosofica e scientifica, al confronto delle idee. E poiché la Francia non era dotata né di un si­ stema rappresentativo né di una sede istituzionale dove la società civile potesse esprimere le sue opinioni, la conversa­ zione mondana diven tava un luogo di dibattito intellettuale e politico, la sola agorà di cui la società civile potesse di­ sporre. Durante la Rivoluzione, i rappresentanti della no­ biltà seduti sui banchi dell'Assemblea Costituente si distin­ guevano ancora per la pacatezza del tono e per la loro ca­ pacità di mediazione, una capacità che aveva reso celebre la diplomazia francese di Antico Regime . Questo ideale di conversazione, che sa coniugare la leg­ gerezza con la profondità, l' eleganza con il piacere, la ri­ cerca della verità con la tolleranza e con il rispetto dell 'opi­ nione altrui, non ha mai smesso di attrarci; e quanto più la realtà ce ne allontana tanto più ne sentiamo la mancanza. Esso ha cessato di essere l 'ideale di tutta una società, è di­ ven tato un « luogo di memoria » , e non c'è rito propiziato­ rio che possa riportarlo fra noi a condizioni che non gli so­ no favorevoli; conduce ormai un ' esistenza clandestina, ed è appannaggio di pochissimi - eppure niente ci dice che un giorno non possa tornare a renderei felici. Il lettore avrà subito modo di accorgersi che sono molte le parole che non sono state tradotte o la cui traduzione - ne­ cessariamente approssimativa - potrebbe ingenerare equivo­ ci. Il termine « mondano » non implicava affatto, come può accadere oggi, un giudizio di demerito. E per indicare il luogo di ritrovo canonico della vita di società dobbiamo fa­ re ricorso alla parola « salotto » , un vocabolo anacronistico, en trato nell 'uso solo alla fine del Settecento. Nel francese di Antico Regime , al di là del generico « casa » , o del molto specifico ruelle (lo spazio tra il letto e il muro messo alla mo­ da dalle Preziose, che ricevevano nelle loro camere) , non esiste un vocabolo che indichi il luogo di ricevimento, e ci si riferisce solo alle persone che possono, di volta in volta, formare un cercle, una assemblée, una société, una compagnie. E purtroppo nessuno di questi termini (a eccezione, in alcuni casi, di cercle) si presta a una traduzione non ambigua. Un altro anacronismo a cui, per una semplice esigenza di varietà, ho fatto sovente ricorso, è l'uso del termine « aristo­ crazia » , coniato con intenzione dispregiativa al tempo della

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La civiltà della conversazione

Rivoluzione. Nell'Antico Regime, l'unica parola esistente per indicare i rappresentanti del Secondo Stato era « nobiltà ». Mi sono anche rassegnata a lasciare in francese alcuni vo­ caboli davvero intraducibili. Il primo caso è quello che ri­ guarda il campo semantico dell' honneteté. Parola chiave del­ la cultura secentesca, essa rimanda generalmente, come i lettori avranno modo di vedere, a una doppia accezione, etica ed estetica, ma il peso delle due istanze varia enorme­ mente a seconda dei casi; il termine italiano « onestà » ( così come « onest'uomo ») sposta decisamente l 'accento sulla connotazione morale risultando sviante; e lo stesso discorso vale, a più forte ragione, per galanterie e galant homme. Un problema non meno difficile è rappresentato da esprit, parola che abbraccia una gamma di significati amplis­ sima, che spazia dalla dimensione spirituale a quella intel­ lettuale e speculativa, a quella Iudica e brillante . La schiera di aggettivi che generalmente l ' accompagna, determinan­ done di volta in volta il senso, non agevola il compito del traduttore. Quando mi è stato possibile e a seconda del con­ testo ho tradotto esprit con « mente » , « intelligenza » , « spiri­ to » , ma in molti casi mi è parso più opportuno attenermi al termine francese, !imitandomi a specificarne i diversi si­ gnificati. Uguale difficoltà presenta la traduzione di politesse e di bienséances: la parola politesse potrebbe essere resa in italiano con « cortesia » , ma ciò significherebbe non tener conto che politesse è entrato nell 'uso proprio in alternativa all' an­ tico termine di courtoisie, portando con sé tutta una nuova gamma di sfumature; bienséances potrebbe , a sua volta, esse­ re tradotto con « buone maniere » , ma questa espressione non evoca con la stessa evidenza del termine francese la complessa operazione conoscitiva che presiedeva alla loro applicazione. Allo stesso modo ho conservato quasi sempre in francese il termine raillerie che può di volta in volta si­ gnificare « celia » , « scherzo » , « presa in giro » bonaria, « sati­ ra», e enjouement, l' eutrapelia degli Antichi , che indica un concentrato di brio , di vivacità, di gaiezza. Sul significato delle parole rimaste in francese , il lettore potrà comunque trovare delle delucidazioni nella Nota bibliografica. Questo libro, che ha come filo conduttore la conversa­ zione, deve molto alle conversazioni, agli scambi di opinio-

Premessa

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n e , a i suggerimenti degli amici. L' idea stessa del libro è na­ ta da un invito rivoltomi nella primavera del 1 987 da Euge­ nio Scalfari a scrivere per « la Repubblica » una serie di arti­ coli sui salotti francesi di An tic o Regime e dalla proposta di Roberto Calasso di raccoglierli in un « instan t book » corre­ dato da una piccola antologia di testi. E benché l' « instant book » abbia impiegato più di quindici anni per giungere a compimento - e abbia moltiplicato, cammin facendo, le sue pagine -, il mio editore non ha cambiato parere e, affidandomi alle cure di Ena Marchi e di Pia Cigala Fulgosi, ha consentito alla Civiltà della conversazione di beneficiare di un editing di grande rigore e competenza. Di estrema importanza è stato per me , in tutti questi an­ ni, il dialogo inin terrotto con gli amici secentisti: Mare Fu­ maroli, la cui opera ha costituito un punto di riferimento costante per la mia ricerca, e Benedetta Papàsogli, Barbara Piqué e Louis van Delft, che hanno letto e discusso quel che andavo scrivendo, prodigandomi via via consigli preziosi . Ma Giuseppe Galasso e Bernard Minoret sono probabil­ mente le persone di cui ho messo più a dura prova la pa­ zienza e l' amicizia: entrambi si sono sobbarcati per primi la lettura del dattiloscritto e, vittime della loro dottrina, sono stati sottoposti nel tempo a una serie interminabile di que­ siti storici, dinastici, genealogici. La gen tilezza di Robert Silvers mi ha inoltre consentito di usufruire dell' organizza­ zione della « New York Review of Books » e di ottenere con la massima facilità libri e articoli apparsi negli Stati Un i ti su argomen ti relativi alla mia ricerca. Sono altresì debitrice a Francesco Scaglione di un aiuto prezioso nel lavoro di ri­ scontro dei testi citati alla Biblioteca Nazionale di Parigi, e a Gaetano Lettieri di chiarimenti illuminanti sul dibatti­ to giansenista intorno all 'interpretazione agostiniana della Grazia. A tutti questi amici vorrei esprimere qui, dal profondo del cuore, la mia più affettuosa riconoscenza.

I U NA CERTA MAN I E RA D I VIVE RE

Un giorno imprecisato del 1 627 Catherine de Vivonne, marchesa di Rambouillet, ebbe la sorpresa di ricevere la vi­ sita di padre Joseph, l ' Eminenza Grigia di Richelieu. Talle­ mant des Réaux racconta come, dopo i primi conven evoli, il potente cappuccino spiegasse le ragioni della sua presen­ za in rue Saint-Thomas-du-Louvre. Richelieu gli aveva affidato l'incarico di esprimere alla marchesa il suo compia­ cimento per l'importante trattativa diplomatica che Mon­ sieur de Rambouillet stava conducendo in Spagna e le rin­ novava l'assicurazione della propria benevolenza. In cambio, però, « bisognava che ella desse a Sua Eccellenza una pic­ cola soddisfazione a cui teneva molto, perché un primo ministro non poteva mai eccedere in precauzioni. In una parola: il cardinale desiderava che ella lo mettesse al cor­ ren te degli intrighi di Madame la Princesse e del cardinale di La Valette » . 1 La risposta della marchesa era stata catego­ rica: non credeva affatto che Madame la Princesse e il car­ dinale di La Valette avessero degli intrighi, ma quand' an­ che fosse stato così, « non si sen tiva portata per il mestiere della spia » .

l . Tallemant des Réaux, Historiettes, a cura di Antoine Adam, 2 voli., Bi­ bliothèque de la Pléiade, Gallimard, Paris, 1 960-1 961 , vol . I, p. 444.

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La civiltà della conversazione

La richiesta di Richelieu non era, dopotutto, tanto ol­ traggiosa: in un 'epoca di complotti, di voltafaccia e di con­ tinui patteggiamenti tra l ' alta nobiltà e la monarchia, il car­ dinale proponeva un normalissimo scambio di prestazioni. Egli chiedeva alla marchesa di dimostrare in modo tangibi­ le la sua lealtà al trono, e in cambio offriva a lei e a suo ma­ rito la garanzia del favore reale. Basterebbero i Mémoires del cardinale di Retz o del duca di La Rochefoucauld per mo­ strare quanto grande fosse la spregiudicatezza dell 'etica no­ biliare in fatto di lealtà e obbedienza al sovrano, e come, in generale, gli interessi di famiglia prevalessero su quelli del­ la monarchia e della nazione. Il secco rifiuto della marche­ sa non era una sfida aristocratica al ministro che in quegli anni richiamava ali ' ordine la nobiltà ribelle con il carcere e con la scure. Quali che fossero i loro sentimenti nei con­ fronti di Luigi XIII e di Richelieu, i Rambouillet erano sud­ diti fedeli, come avrebbero dimostrato inequivocabilmente durante la Fronda, e la loro casa non era un luogo di com­ plotto e di sedizione . Madame de Rambouillet si limitava semplicemente a rivendicare la sua libertà privata, il diritto di vivere con chi e come più le pareva nella sua dimora. Ep­ pure, così facendo, la marchesa compiva un gesto inaugu­ rale : attraverso di lei la società civile proclamava la sua au­ tonomia dalla politica e rifiutava le ingerenze del potere nella sfera della vita privata. Richelieu, del resto, non aveva torto nel voler essere te­ nuto al corrente di quanto avveniva nella « Camera azzur­ ra » ma, nonostante il suo intuito politico, non poteva sape­ re che la congiura che vi si ordiva - perché di una congiura in fondo si trattava - non obbediva alle vecchie logiche del potere, non aveva bisogno né di ministeri , né di eserciti, né di ricchezze , si affidava al puro gioco delle idee e non aveva ancora trovato un nome . Si sarebbe chiamata Opinione e si sarebbe rivelata, soltanto un secolo dopo, una minaccia per l' ordine costituito. Conferire all' episodio raccontato da Tallemant un si­ gnificato così emblematico può certo apparire un arbitrio; ma si tratta di un arbitrio in assoluta sintonia con la leggen­ da di Madame de Rambouillet. I primi a investire la mar­ chesa di una funzione archetipica er� no stati, senza alcun dubbio, i suoi stessi contemporanei. E nella sua casa che, a

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loro giudizio , aveva preso l ' avvio una nuova civiltà monda­ na e si era elaborato uno stile di vita che sarebbe servito da modello per le élite francesi. È Madame de Rambouillet, come afferma Segrais, « ad aver corretto i cattivi costumi che vigevano prima di lei . . . è lei ad aver insegnato la polites­ se a tutti coloro che l' hanno frequentata>>.1 La definizione che appare nella prima edizione del Dictionnaire de l 'A cadé­ mie française ( 1 694) basta a farcene cogliere tutta l' impor­ tanza concettuale: la politesse non era infatti una somma di precetti, ma « una certa maniera di vivere, di agire, di appa­ rire . . . acquisita mediante l'uso mondano » ; poteva quindi essere appresa e trasmessa solo attraverso una pratica attiva, un processo di iniziazione. Ed è proprio all'hotel de Ram­ bouillet che questa maniera di vivere assumeva per la prima volta l'evidenza di un ideale. Alla marchesa di Rambouillet spetta dunque l' onore di aver inaugurato la vita di società in Francia e di aver presie­ duto, per oltre quarant' anni, il primo centro mondano del XVII secolo. Ripetuta da un libro all ' altro, quest' afferma­ zione è diven tata un assioma; proprio perciò può non esse­ re del tutto inutile trasformarla in un ' in terrogazione. Per­ ché mai, ci si può chiedere, quest' onore è ricaduto proprio su Madame de Rambouillet? Già nel corso del XVI secolo più di una dimora privata era stata teatro di nobili svaghi e di dotte conversazioni, e la marchesa non era certo l 'unica donna della sua epoca ad aver coltivato l 'ambizione di fare della sua casa un luogo d' incontro culturale e mondano. Prima di lei l 'intraprendente viscontessa d'Auchy, decisa a immortalare il proprio nome, teneva già un salotto, fre­ quentato soprattutto da poeti: Malherbe, di gran lunga il più illustre fra tutti, la celebrava sotto il nome di Calliste. L'ammirazione che lo scrittore aveva per lei non era però solo di natura platonica, e nel 1 609 un marito poco sensi­ bile al prestigio della letteratura la relegava a San Qui n ti­ no, città di cui era governatore . L'eredità di Madame d'Au­ chy veniva prontamente raccolta da Madame des Loges, una protestante di nobiltà recente, il cui salotto , non infe­ riore per reputazione a quello della marchesa di Ram­ bouillet, raggiunse l'apice della notorietà negli anni Venti. l. Jean Regnault de Segrais, Segraisiana ou mélange d 'histoire et de littérature, Pierre Gosse , La Haye, 1 722, p. 26.

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Vi si davano appuntamento Malherbe e la sua scuola - Ra­ can , Boisrobert, Godeau -, e scrittori « modernisti » come Guez de Balzac, Fare t, Vaugelas. Il cercle di rue de Tournon, tuttavia, non coltivava solo interessi letterari, ma si appas­ sionava alla religione e alla politica, e non nascondeva le sue simpatie per il duca d 'Orléans, il fratello ribelle di Lui­ gi XIII. E proprio il suo carattere di salotto d' opposizione attirò nel 1 629 su Madame des Loges un ordine di esilio da parte del cardinale. Il vero elemento di novità presente nella decisione di Madame de Rambouillet di aprire regolarmente le porte della sua casa a un certo numero di ospiti abituali consiste­ va nel fatto che tale decisione fosse dettata dall'idiosincra­ sia. Profondamente a disagio nei ricevimenti reali che si te­ nevano al Louvre , la marchesa aveva abbandonato il posto che competeva al suo rango nella sfera della rappresenta­ zione pubblica per poi ritirarsi nella sfera privata. I n lei la nascita della vocazione mondana coincideva con una retrai­ te dal teatro del mondo, ed era una consapevole presa di di­ stanza dalla vita di corte. La natura polemica del suo gesto inaugurale non sfuggì, naturalmente , ai suoi contempora­ nei: « Non che disdegnasse i divertimenti , » sc�ive infatti Tallemant « solo che le piacevano quelli privati . E una cosa abbastanza strana per una persona giovane e bella, e di alto lignaggio. Alla cerimonia di accoglienza per Maria de ' Me­ dici, quando Enrico IV la fece incoronare , Madame de Rambouillet era tra le belle che facevano parte del segui­ to » .1 Forse, al di là delle spiegazioni fomite dai critici - il sus­ seguirsi delle maternità e una salute sempre più delicata - o dalla marchesa stessa - la calca, il disordine dei ricevimen ti del Louvre , è lecito supporre che proprio l 'onore di aver assistito ad alcune delle feste più memorabili del regno di Enrico IV avesse contribuito non poco al suo distacco. Sappiamo infatti che Madame de Rambouillet, allora ventunenne ,2 assieme a Mademoiselle de Montmorency ap­ pena adolescente e alla giovanissima Mademoiselle Paulet ­ destinate a diventare entrambe sue intime amiche -, faceva parte del corteo di ninfe che conducevano l ' amore prigio-:

l . Historiettes, cit. , vol . 2. Ibid. , p. 69.

l,

p. 442.

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niero nel celebre ba llet de la Reine tenutosi a Saint-Germain­ en-Laye il 3 1 gennaio 1 609 . Il fasto della coreografia e il fat­ to che Malherbe l'avesse impreziosita con i suoi versi non avevano attutito lo scandalo della cerimonia e la brutalità degli appetiti del sovrano. In attesa di mettere a pun to per Mademoiselle de Montmorency una strategia matrimoniale che gli consentisse di sostituirsi allo sposo, il re aveva dirot­ tato i suoi desideri su Mademoiselle Paulet che, con la sua mirabile voce, can tava semi nuda a cavallo di un delfino. Smentendo il vaudeville che era circolato in quell'occasio­ ne, 1 fu proprio Enrico IV a esser « preso dalla voglia di anda­ re a letto con la bella cantante per farla cantare sotto di sé: e tutti furono concordi nel dire che quella voglia se l' era ca­ vata » .2 Il che ci fa capire quali fossero i divertimenti, lo spi­ rito e il linguaggio della corte del grande re che aveva pa­ cificato la Francia, allorché Madame de Rambouillet inco­ minciò a desiderare di sottrarsi a un modo di vivere che le ripugnava profondamente. Dominare la forza degli istinti, erigere degli argini con­ tro la brutalità dell'esistenza, frapporre tra sé e gli altri lo scudo invisibile di un corpo di regole di comportamento in grado di garantire la dignità di ciascuno: questa non era so­ lo l' aspirazione personale di una delicata nobildonna. Al contrario, rappresentava l 'esigenza di una intera casta una casta guerriera che aveva deposto le armi dopo una lunga e sanguinosa lotta fratricida, senza peraltro riuscire a dismettere la violenza dei modi nella vita quotidiana. Inter­ rogandosi desolata sulle ragioni di tanta brutalità, Made­ moiselle de Gournay,.fille d 'alliance di Montaigne, ne vedeva in primo luogo la causa nel segno stesso deli' appartenenza nobiliare : nel diritto a portare la spada. « Il potere, e di con­ seguenza l 'audacia, che questa spada che i nobili portano al fianco conferisce loro, sono un potere che, a eccezione di qualche spirito superiore, dà alla testa » .3 l . « Qui fit le mieux du ballet? l Ce fu t la peti te Paulet, l Montée sur le Dauphin, l Qui montera sur elle enfin » ( « Chi era la migliore del balletto? l La picco­ la Paulet l Che cavalcava il Delfino l Che alla fine la cavalcherà » ) , ibid., p. 474. 2. Loc. cit. 3. Mademoiselle de Goumay, « De la Néantise des communes vaillances de ce temps, et du peu de prix de la qualité de la noblesse », in Les avis ou

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Questa esigenza civilizzatrice , che avrebbe incominciato a farsi strada a partire dal secondo decennio del XVII seco­ lo, non era dettata soltanto da una necessità pratica, ma si ricollegava a una riflessione assai più vasta e complessa, le­ gata all'identità nobiliare, alla sua rappresentazione sociale e al diverso ruolo che le era consentito di esercitare nel nuovo quadro della monarchia moderna. Privata delle vec­ chie certezze, la nobiltà francese era indotta a ripensare se stessa e a ridefinirsi attraverso una spettacolare metamorfosi. Come non essere spinti a interrogarsi sulla propria iden­ tità di classe quando ci si vedeva mutilati di ciò che ne co­ stituiva l' essenza stessa, l' esercizio permanente delle armi, quando si era costretti ad abbattere le mura delle proprie fortezze, quando non si poteva più sguainare la spada per difendere il proprio onore, quando la guerra era diventata una professione e i nobili venivano ridotti al rango di uf­ ficiali del re? E come identificarsi ancora con le ragioni di un sovrano che aveva cessato di essere primus inter pares, e che , geloso della propria autorità, escludeva la nobiltà dalla sfera politica e affidava l ' amministrazione del paese a uomi­ ni oscuri, ambiziosi e servili, eppure arrogantemente consa­ pevoli di rappresentare -l ' autorità reale? « I nobili francesi, come l ' aristocrazia terriera in altri pae­ si, avevano già affrontato in passato qualche problema di as­ sestamento. Ma il periodo che va dal 1 560 al 1 640 era stato particolarmente difficile . La fase di transizione che la no­ biltà si trovò ad attraversare in quegli anni ( una sorta di "crisi di identità" con connotati sia economici sia sociali sia psicologici) coincise con i radicali cambiamenti che siamo soliti collegare all ' età delle guerre di religione, alla rivolu­ zione commerciale e alla rivoluzione scientifica » . 1 La co­ stante crescita dei prezzi che aveva caratterizzato tutto il corso del XVI secolo aveva avuto ripercussioni allarmanti sulle rendite nobiliari . Sempre meno ricchi e sempre più indebitati, i nobili cercavano, è vero, di rivalersi sui conta­ dini, ma questo non aveva fatto altro che alimentare un ri­ sentimento diffuso che non contribuiva certo a rafforzare les présents de la damoiselle de Gournay, T. du Bray, Paris, 1 64 1 (la ediz. , 1634), p. 241 , citato in Maurice Magendie, L a politesse mondaine et les théo­ ries de l 'honneteté en France au XVII' siècle, de 1600 à 1660, PUF, Paris, 1925 ( 2 tomi i n l vol ., Slatkine Reprints, Genève , 1 970), tomo 1, p . 66. l . Davis Bitton , TheFrench Nobility in Crisis, 1560-1640, Stanford University Press, Stanford, Calif. , 1 969, p. l .

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la loro posizione all ' interno del regno. I contadini non era­ no, infatti, i soli francesi a contestare i privilegi della no­ biltà. Per secoli, come compenso per le loro prestazioni mi­ litari, i nobili erano stati esentati dalla taille. 1 Ma da più par­ ti ci si cominciava a domandare se essi avessero ancora una funzione così rilevante nella difesa del Paese. Durante la guerra dei Cent' anni, con la creazione di grandi eserciti mobilitati in permanenza su vasti territori, anche molti ro­ turiers avevano dimostrato di saper combattere valorosa­ mente, mentre l'istituzione nobiliare del han et arrière-ban2 entrava in piena decadenza: i nobili apparivano sempre me­ no disposti a mobilitarsi quando il re lo richiedeva, e molti di loro pagavano per essere sostituiti. Ed era cambiato il modo stesso di fare la guerra: non c 'era più segregazione di classe nelle unità militari, e la nuova importanza assunta dalla fanteria, arma per cui la nobiltà provava disprezzo, aveva ridimensionato il ruolo della cavalleria, dove i nobili davano tradizionalmente prova di sé. Né le cose andavano meglio nel pubblico impiego, vale a dire nel servizio del re, nelle corti di giustizia e nell ' amministrazione locale e pro­ vinciale. La venalità delle cariche favoriva in tutti questi set­ tori i plebei arricchiti, e nel 1 604 l'editto ricordato come « la Paulette » - che ne regolamentava le vendite e ne prefigurava l'ereditarietà - costituì un colpo durissimo alle rivendicazioni dei nobili. Eppure la loro strategia difensiva rimaneva incerta. Se si opponeva alla venalità delle cariche l 'appartenenza di classe, si dovevano però fare i con ti con il fatto che il denaro era anche all ' origine dell 'infiltrazione di un numero crescente di plebei nel corpo della nobiltà. L' u­ sanza di innalzare degli uomini del Terzo Stato al rango no­ biliare era sempre esistita, ma sotto Enrico IV il fenomeno aveva assun to proporzioni mai raggiunte prima. Se poi si in­ vocava il criterio del merito, bisognava prendere atto che molte delle cariche occupate dai borghesi nelle corti di giu­ stizia richiedevano una cultura e una preparazione tecnica che ai nobili mancava del tutto. Probabilmente, proprio la consapevolezza di esser privi di una funzione sociale chiara­ men te riconoscibile, la difficoltà di dare una giustificazione razionale ai propri privilegi e la permeabilità della classe l. L'imposta che era alla base del sistema fiscale francese dal Medioevo fino alla Rivoluzione. 2. La mobilitazione militare dei vassalli su ordine del re.

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nobiliare contribuirono a indurre la maggioranza dei nobi­ li a non contestare, anzi a esaltare come un elemento di su­ periorità e di distinzione, la loi de dérogeance che interdiceva loro di partecipare agli affari e al commercio. Pallida con­ solazione davanti a una impasse tanto drammatica. C 'era un'epoca, scriveva nel 1 61 0 lo storico ed erudito Nicolas Pas­ quier a Enrico IV, in cui i nobili potevano aspirare a essere remunerati per i loro servizi ricevendo cariche di vario ge­ nere. Ma ora che tutte le cariche erano ven ali cosa m ai po­ teva sperare un giovane gentiluomo? 1 In risposta a questi interrogativi, a queste incertezze, a queste difficoltà, l 'ideologia nobiliare ridefiniva la propria appartenenza spostando l'accento dal valore, che non aveva più modo di esercitarsi pienamente, all' incontestabile pu­ rezza del lignaggio, dalla superiorità delle armi a quella del sangue. Tuttavia, per manifestarsi, anche la superiorità del li­ gnaggio aveva bisogno di un nuovo sistema di segni che an­ dasse a rafforzare l' autorità declinante di quelli tradiziona­ li. Da quando erano diventati oggetto di mercimonio tra la corona e gli uomini nuovi, i titoli, le cariche , le terre, i pa­ lazzi, i vestiti, i gioielli non potevano più indicare incontro­ vertibilmente l ' appartenenza di diritto a una classe. Così , di fronte a un contesto storico inedito, in cui le prerogative tradizionali avevano perso i loro connotati di esclusività e le occasioni di farsi valere si erano ridotte ai caroselli e alle giostre, la nobiltà di spada avrebbe scelto di distinguersi sul terreno insidioso dello stile . D ' ora in avanti sarebbe stato il modo di vivere, di parlare , di atteggiarsi, di divertirsi, di sta­ re insieme a conferire alle élite nobiliari l' incrollabile cer­ tezza della propria superiorità; sarebbero state le bienséan­ ces, il corpo di leggi non scritte, ma più potenti di qualsiasi norma, a fornire loro il banco di prova che un tempo era ri­ servato alle armi. A questo punto ci si sarebbe potuti aspettare che la scena di questa metamorfosi dovesse essere il Louvre , dove i no­ bili detenevano ancora le cariche di rappresentanza più l. Nicolas Pasquier, in CEuvres d 'Estienne Pasquier, 2 voli. , Aux dépens de la Compagnie des Libraires associez, Amsterdam, 1 723, vol . Il, p. l 072, cita­ to in Bitton , op. cit. , p. 45.

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onorifiche. Non era nelle sue splendide piccole corti che l'Italia del Cinquecento aveva elaborato una civiltà delle buone maniere a cui era andata l' ammirazione di tutta l'Europa? La fortuna in terra d'Oltralpe dei grandi testi pe­ dagogici i tali ani - il Galateo, il Libro del Cortegiano, La civi l conversazione - costituiva l' eloquente testimonianza della vo­ lontà francese di far propria quella lezione . E se si tornava indietro col pensiero al tempo dei Valois, come sarebbe ac­ caduto sempre più sovente nel corso del secolo, la Francia non trovava a sua volta un esempio prestigioso di società di corte da prendere come modello nazionale? Morto Enrico IV e superati gli anni turbolenti e incerti della reggenza di Maria de ' Medici, la monarchia stessa non poteva rimanere indifferente all'insubordinazione, al­ l' arroganza, alla violenza che continuavano a con trassegna­ re la condotta della nobiltà in tutto il Paese . Così , fin dal suo ingresso sulla scena politica, Richelieu si propose di ri­ portare ordine nello Stato e di ristabilire le forme di corte­ sia e di rispetto dovute al re e ai suoi ufficiali già ampia­ mente codificate dalla tradizione. Ma la sua missione edu­ cativa nasceva con un intento molto diverso da quello che ispirava l' élite nobiliare nel suo sforzo di autosublimazione. Spazzando via le incertezze interpretative di un dibattito che risaliva al Medioevo sui confini tra la monarchia e l'or­ dine cavalleresco, tra il re e lo Stato, Richelieu fece in modo che gli an ti chi codici di cortesia si trasformassero in uno strumento di coercizione e di controllo al servizio di una ideologia assolutista, e che i nobili, per primi, venissero im­ brigliati dai mille lacci dell'etichetta. Il cardinal ministro era troppo consapevole della funzione simbolica dei segni per ignorare che una grande monarchia doveva potersi ri­ specchiare nell ' eleganza della sua lingua, nell ' eccellenza delle sue istituzioni culturali e artistiche, nel prestigio della sua letteratura e, naturalmente, nello splendore della sua corte . Richelieu, come dimostra la sua politica economica, non desiderava affatto privare la nobiltà del suo prestigio , a condizione che questo prestigio fosse il riflesso del presti­ gio del monarca. A condizione, insomma, che i nobili im­ parassero a essere cortigiani.

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Era dunque fatale, date queste premesse, che la nobiltà sentisse l' esigenza di ritagliarsi uno spazio di libertà, auto­ nomo dalla vita di corte, dove poter celebrare soltanto se stessa. Ed è in questo spazio nuovo, nella vita mondana, che il processo rigeneratore degli usi e costumi della società francese moderna prese l ' avvio, non già sotto il segno del­ l 'autorità ma del divertimento. Jean Starobinski ha posto l' accento sulla spinta Iudica che è all' origine della dottrina classica della civilité france­ se. Nello sforzo di smussare la violenza dei rapporti quoti­ diani, le élite nobiliari avevano infatti scoperto che « il rifiuto convenzionale dell 'eventualità aggressiva » poteva non soltanto rendere la vita meno pericolosa, ma produrre piacere. Così, scrive Starobinski, si era aperto « uno spazio protetto, uno spazio di gioco, un campo chiu�o dove, di co­ mune accordo, i partner rinunciano a nuocersi e attaccarsi, sia per quel che concerne i rapporti usuali sia per ciò che ri­ guarda l'amore . Se è concesso utilizzare qui una terminolo­ gia anacronistica, potremmo dire che l ' idea dominante è quella di una massimizzazione del piacere: la perdita che la pulsione amorosa subisce sotto l'effetto della repressione e della sublimazione è controbilanciata, secondo la teoria dell' honneteté, dall'erotizzazione dei rapporti quotidiani, della conversazione, dello scambio epistolare. La dottrina dell' honneteté estetizza la "rinuncia pulsionale "» . 1 Ma assai prima di approdare alle sue formulazioni teoriche e alle sue illustrazioni romanzesche, ancora confusa e incerta, la quete nobiliare di un nuovo stile di vita in cui riconoscersi pienamente trovò lo « spazio protetto » e ludico dove misu­ rarsi per la prima volta, sotto la guida delle donne, con il gioco complice ed esclusivo della mondanità.

l.)ean Staro�ins�i, «���la flatterie »,in Le remède dans l.e mal. Critique et lé­ Gallimard,Paris, 1 989, pp. 61-62.

. de l artifice a l age des Lumières, gztzmatzon

II LE FI GLI E D I EVA

Opera del pittore Jean Cousin, il primo nudo del Rina­ scimento francese ( 1 540-1 547 ca) sfida la curiosità dei visi­ tatori del Louvre con sovrana indifferenza. Ritratta di profilo, come in un cammeo antico, con lo sguardo fisso su qualcosa che è al di là del nostro campo visivo, la bellissin1a giovane che, allungata sul fianco destro, tiene il busto lieve­ mente sollevato in una posizione da triclinio, ci appare re­ mota, inaccessibile . La sua candida nudità è protetta dal ve­ lo dell'enigma. La si potrebbe prendere per una raffigura­ zione di Venere, se un cartiglio sospeso sotto la volta del­ l'arco naturale che le fa da sfondo non recasse scritto a chiare lettere « Eva Prima Pandora » . A ben guardare, infat­ ti, nel quadro non v'è traccia né di putti alati, né di archi e faretre, e niente autorizza ad associare questo splendido corpo alle fan tasie dell 'amore. Il corredo simbolico della donna è decisamente inquietante . Il ramoscello di melo che ella tiene nella mano destra potrebbe, è vero, apparire innocente, ma il gomito che le sostiene il busto sollevato poggia su un teschio e il braccio sinistro è cinto da un ser­ pente. Due eleganti urne cesellate costituiscono il solo , fu­ nereo arredo della grotta. Non Venere, dunque , ma Eva e Pandora abitano simbio­ ticamente questo nudo perfetto. Due tradizioni culturali,

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quella mitologica classica e quella biblica, si congiungono e si potenziano nel quadro di Cousin per mettere in guardia l 'uomo del Cinquecento dalle insidie della bellezza femmi­ nile. La donna è fonte di tutti i mali, genera la vita ma an­ che la morte, porta con sé la devastazione e il peccato. Che la sua malizia sia più forte delle catene con cui la società tenta di disciplinarla, che la sua seduzione sia più potente degli interdetti che mirano a circoscriverne la sfera d' azio­ ne, sembrerebbe confermato, nel quadro di Cousin, anche da un preciso riferimento storico. Formalmente vicina al bronzo con cui Benvenuto Cellini aveva celebrato sotto for­ ma di ninfa cacciatrice Diane de Poitiers, la Eva-Pandora del Louvre potenzierebbe la misoginia metafisica del suo messaggio alludendo alla più scandalosa attualità, alla don­ na dell' epoca fra tutte fatale, alla potentissima amante del re di Francia. Per quanto sorprendente possa apparire, l 'età moderna non aveva segnato un passo avanti ma piuttosto un regresso nella condizione femminile. Infatti, men tre sul piano socia­ le il ritorno al diritto romano, nettamente sfavorevole alle donne, ne indeboliva la posizione giuridica, sul piano reli­ gioso la grande partecipazione femminile alla vita spiritua­ le e alle pratiche della carità e dell' assistenza, che si era espressa attraverso la fioritura degli ordini religiosi minori, era destinata a perdere i suoi caratteri di spon taneità e di autonomia: con la Controriforma non era più consentito alle donne di esplicare la loro vocazione religiosa nelle stra­ de, fra la gente, né di organizzarsi in comunità e beghinag­ gi . Esse ormai potevano servire l)io solo nella clausura o nel ritiro dei conventi, sottoposte al rigoroso controllo spiritua­ le del clero maschile. Profondamente radicata nel pensiero religioso, la misogi­ nia aveva trovato nella riscoperta del pensiero antico un ' au­ torevole conferma. Aristotele aveva teorizzato l ' imperfezio­ ne congenita della natura femminile e, nella tradizione pita­ gorica, la donna appariva come l' aspetto lunare e tenebroso dell'universo in contrasto con i caratteri solari e positivi del­ l'uomo: una visione scientifica e filosofica della donna che si rivelava perfettamente coerente con l ' antifemminismo teo­ logico cristiano. Le figlie di Eva non distoglievano l ' uomo solo dali' ordine razionale, ma anche da quello divino della

Le figlie di Eva

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grazia e « avevano la forza del diavolo nei lombi » . 1 La don­ na, insomma, era una forza negativa che bisognava domina­ re, ma la paura che essa suscitava era anche un modo di prendere atto della sua centralità nella vita sociale. All ' alba del Seicento, tuttavia, controlli , divieti, sospetti non impedivano alle figlie di Eva-Pandora di ordire in Francia una nuova congiura che, nel giro di un secolo , le avrebbe portate a conquistare un potere senza precedenti, destinato a rimanere unico nella storia d' Europa. L' Italia del Rinascimento aveva, è vero, fatto posto alle donne, tan­ to all 'interno delle sue corti quan to nel mondo della pro­ stituzione e dell'illecito, ma le aveva tenute lontane dalla vi­ ta della società civile. La presenza femminile sulla scena pubblica rimaneva estremamente controversa e si masche­ rava dietro formule ambigue , come indica l'espressione « cortigiana onesta » . Proprio la fortuna di questa definizio­ ne può essere indicativa. Nel Cortegiano ( 1 528) , il grande li­ bro sulla civiltà di corte che sarebbe servito da modello di comportamento alle élite europee, Baldesar Castiglione non faceva uso del termine « cortigiano » al femminile. Nel celebre· trattato le donne, che tanto contribuivano con la loro presenza a fare dei passatempi della piccola reggia di Urbino un ' opera d 'arte, venivano generalmente designate con la perifrasi « dame di palazzo » . Castiglione infatti, non avrebbe potuto utilizzare l 'espressione « cortigiana » senza incorrere in equivoci imbarazzanti. Già ai suoi tempi la pa­ rola designava, nella sua versione femminile, l' esatto rove­ scio dell ' utopia di corte . Nella società italiana del Rinasci­ men to , ad eccezione di pochi casi isolati come Giulia Gon­ zaga, Vittoria Colonna o Isabella d' Este, le sole donne a cui era consentito fare pubblico sfoggio delle proprie qualità fisiche e intellettuali erano le prostitute. Quanto più esse si avvicinavano per raffinatezza, cultura ed eleganza all' ideale della « dama di palazzo » proposto da Castiglione, tanto più, prendendo le distanze dalle volgari meretrici, esse entrava­ no a far parte della superiore categoria sociale delle « corti­ giane oneste » . La differenza sostanziale tra la « dama di pa­ lazzo » e la « cortigiana onesta » era, in fondo, una sola: la prima poteva giocare con l'amore a condizione di subiil . San Girolamo, Adversus lovinianum, II, citato in Michel de Montaigne, Essais, libro terzo, cap. v [trad. it. Saggi, a cura di Fausta Garavini, 2 voli. , Adelphi, Milano, 1 992 ( la ediz., 1 966) , vol. Il, p. 1 1 44] .

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mario; la seconda, scegliendo di riportarlo sulla terra, di­ sponeva invece liberamente del proprio corpo come della propria anima. Entrambi i modelli rimanevano, ·comun­ que , in aperto contrasto con il costume delle classi sociali dominanti, che voleva il mondo femminile nettamente se­ parato da quello maschile e la sfera d'azione delle donne confinata alla vita privata. Nella Francia del Cinquecento, dove la Rinascenza era giunta con almeno mezzo secolo di ritardo rispetto ali 'Ita­ lia, il gentil sesso beneficiava in seno alla società aristocrati­ ca di un trattamento più liberale. Qui, per un 'an tica tradi­ zione, a differenza dell ' Italia e della Spagna, le donne non vivevano isolate dagli uomini e non erano tagliate fuori dal­ la vita sociale; e, benché il loro ruolo sulla scena pubblica fosse essenzialmente decorativo, non erano per questo delle escluse. Alcune grandi dame avevano animato dei veri foco­ lai di cultura umanistica e la presenza femminile aveva dato un tangibile contributo allo splendore della monarchia dei Valois. Proprio durante il regno di Francesco I, come de­ plorava Fénelon, la corte , un tempo limitata alla ristretta cerchia dei familiari del re , aveva iniziato ad allargarsi e si era aperta in misura crescente alle donne. Le quali, con la loro bellezza, la loro eleganza, la loro grazia, erano destina­ te a presiedere tanto ai fasti cavallereschi quanto all'estre­ mo naufragio di tutte le regole morali che avrebbero carat­ terizzato la lunga reggenza di Caterina de ' Medici. Erano madri, mogli, sorelle, amanti che , secondo un' an tica tradi­ zione , godevano, nel mondo chiuso della corte, di una li­ bertà e talvolta di un · potere abusivi, basati sulla capacità personale di imporsi grazie alla persuasione e 4lla seduzio­ ne. A partire dai primi decenni del Seicento , tuttavia, la presenza delle donne nella società francese cambiò di se­ gno . Esse non furono più costrette a conquistarsi, volta per volta, un problematico spazio d' influenza al di fuori· degli stretti confini della sfera domestica, ma assunsero la guida della vita mondana. Sarebbero state loro , d' ora in poi, a dettar legge in fatto di buone maniere , di lingua, di gusto, di loisirs, a definire cioè i tratti più fortemente distintivi del­ lo stile nobiliare . Era una rivoluzione spettacolare , ricca di­ conseguenze molteplici e destinata a caratterizzare la so­ cietà francese fino alla fine dell 'Antico Regime. Una ri�olu-

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zione che i contemporanei celebravano come un processo purificatore e civilizzatore, ma di cui taluni osservatori co­ glievano immediatamente i rischi. Fin dall' inizio degli anni Quaranta Grenaille gettava l ' allarme: la conversazione del­ le donne « ingen tilisce gli uomini . . . ma li rammollisce » . 1 Nel 1 656, in anticipo di circa un secolo sul pariniano Gio­ vin Signore, in un dialogo a cinque voci di Sarasin , S'il faut que un jeune homme soit Amoureux, Ménage tratteggiava la ca­ ricatura di tal uni petits-maitres alla moda: « Li troviamo occu­ pati a pettinarsi e a vestirsi come delle donne , e tutto que­ sto con una mollezza a tal punto indecente che non solo ci si può chiedere se siano uomini, ma se non siano a loro vol­ ta a caccia di altri uomini » .2 E Fénelon denunciava la gra­ vità di un fenomeno molto più generale e più profondo , di cui Luigi XIV aveva dimostrato di saper fare buon uso poli­ tico : la devirilizzazione di una società basata sull' ozio e sui loisirs. « La mollezza » egli scriveva « toglie ali 'uomo tutto ciò che può far grandi le sue qualità. Un uomo molle non è un uomo; è una mezza donna » .3 Esattamente cento anni dopo i sarcasmi di Ménage , nella celebre Lettre à d 'Alembert sur les spectacles, J ean:J acques Rousseau poteva tirare le somme della presa di potere del gentil sesso con un giudizio senza appello: la società parigina era diventata un mondo alla ro­ vescia, dove i rapporti naturali tra uomo e donna appariva­ no totalmente sovvertiti . « Vilmente ossequiosi davanti alla volontà del sesso che dovremmo proteggere e non servire, abbiamo imparato a disprezzarlo obbedendogli, a oltrag­ giarlo con le nostre attenzioni irrispettose, e ogni donna a Parigi riunisce nel suo appartamento un serraglio di uomi­ ni più donne di quanto ella sia » .4 Si erano forse avverate le fantasie misogine elucubrate nei secoli da teologi e morali­ sti? Dopo avere irretito i discendenti di Adamo con le loro l. François de Grenaille, L 'honneste garçon, T. Quinet, Paris, 1 642 , p. 229, citato in Peter Burke, The Art of Conversation, Cornell University Press, lthaca, N .Y, 1 993, p. 1 1 6. 2. Les CEuvres de Monsieur Sarasin publiées par Ménage, Préface de Pellisson, Augustin Courbé, Rouen, Paris, 1 658 (2 ediz. ) , p. 1 76. 3. Lettres spirituelles de Fénelon, in CEuvres complètes, précédées par son his­ toire littéraire par M. Gosselin, 1 85 1- 1 852 ( Slatkine Reprints, Genève, 1 9 7 1 ) , lettera XXXIV, vol. VIII, p. 4 72. 4. Jean:Jacques Rousseau, Lettre à d 'Alembert sur les spectacles, in CEuvres com­ plètes, a cura di Bernard Gagnebin e Marcel Rayn1ond, 5 voli. , Bibliothè­ que de la Pléiade, Gallimard, Paris, 1 995, vol. V, p. 93. ..

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arti diaboliche , le figlie di Eva-Pandora erano dunque riu­ scite a pervertirne la vera natura e a devirilizzarli per me­ glio ridurli in schiavitù?

È assai improbabile che la crescente influenza femminile nel contesto della vita mondana francese nascesse da un consapevole progetto elaborato dal gentil sesso in antago­ nismo con l' autorità del potere tradizionale maschile. Dal punto di vista giuridico, religioso , morale la donna conti­ nuava a vivere in Francia, come nel resto dell'Europa, in condizioni di schiacciante inferiorità rispetto ali 'uomo. Sot­ tomessa prima all' autorità paterna, poi a quella maritale, el­ la non poteva disporre di sé, né veniva consultata sulle de­ cisioni fondamentali che determinavano la sua esistenza. La sola libertà che le veniva concessa era quella di rinuncia­ re al mondo e rifugiarsi in convento; ma vi era anche chi, meno fortunata, non vedeva altra scelta che togliersi la vita. E anche l' affermazione delle donne sulla scena mondana, l ungi dali ' essere il risultato di un colpo di mano, rifletteva in primo luogo gli orie t:I tamenti della cultura maschile. Alla luce dei valori dell 'antica tradizione feudale, la con­ dizione di oggettiva inferiorità del sesso debole poteva pre­ starsi a uno spettacolare ribaltamento. Proprio perché deli­ cata, indifesa e bisognosa di protezione, la donna diventa­ va, nella concezione nobiliare dell ' onore , la destinataria per eccellenza d eli ' omaggio cavalleresco. Il costume era certo molto cambiato dai tempi delle medioevali « corti d ' a­ more » ma, nel momento di ridefi nire il proprio stile di vita e il proprio codice di riconoscimento, la nobiltà francese ri­ tornava idealmente alle sue origini, al culto reso alla donna dalla civiltà cortese e alla recente riscoperta da parte delle élite rinascimentali di quella concezione neoplatonica e idealizzante dell' amore come strumento di elevazione spiri­ tuale che, proprio in quegli anni, Honoré d' Urfé aveva scel­ to di illustrare con tanto successo n eli' Astrée. In contrasto con l'antifemminismo tipico delle credenze popolari e con l' angusta morale del costume borghese , l ' e tica nobiliare si manteneva fedele a un modello femminile che non rappre­ sentava una insidia verso il basso ma una sfida verso l ' al to ,

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che non era un richiamo agli istinti della natura ma un in­ vito alla forza civilizzatrice della cultura. Nella tradizione del costume aristocratico, l' omaggio ostentato alla donna e la posizione di privilegio che le veni­ va riservata erano dunque, in primo luogo, un 'importante occasione di verifica dell ' onore virile e, al tempo stesso, un segno evidente di distinzione sociale . Mitizzata, riverita, adulata, la donna appariva come una componente irrinun­ ciabile del modello di vita nobiliare e come il trofeo più bello dell'orgoglio maschile. Dare nuova linfa a questa tradizione dopo l'imbarbari­ mento dei costumi seguito alle guerre di religione, e riat­ tualizzarla nel quadro an tifeudale di una monarchia cen­ tralizzata e moderna, presupponeva innanzitutto la collabo­ razione delle donne . Ma il mondo femminile francese, ta­ gliato fuori dalle responsabilità politiche e civili e dall 'inse­ gnamento del sapere , aveva reagito al clima di violenza en­ demica del paese ripiegandosi su se stesso, chiudendosi en­ tro gli orizzonti della propria cultura. Gli uomini erano sta­ ti i primi ad avvertire il rischio di questo isolamento femmi­ nile che li privava di una dimensione gioiosa e Iudica del­ l ' esistenza. Ed è essenzialmente in nome di una concezione più esigente del piacere maschile che Montaigne auspicava uno scambio tra i due sessi basato sulla parità e sull ' intesa: « Insegnamo alle dame a farsi valere, a stimarsi, a lusingarci e a ingannarci . . . Chi non ha godimento se non nel godi­ mento, chi non vince che col massimo dei punti, chi non ama la caccia che nella presa, non gli si addice unirsi alla nostra scuola » . 1 I l pensiero d i Montaigne prefigurava i l futuro . Presto uo­ mini e donne della nobiltà francese si sarebbero addestrati insieme allo stesso gioco, il gioco della « galanteria » . Che altro non era se non una « caccia » epurata da ogni violenza e priva del « godimento » della « presa » , dove il valore ma­ schile si misurava sull ' ardore dell'inseguimento e quello femminile sulla capacità di sottrarsi ai desideri dell'insegui­ tore. Contrariamente a quanto pensava l 'autore degli Es­ sais, però, si trattava di un gioco in cui le donne non aveva­ no bisogno di essere istruite. Bastava solo che gli uomini lo consentissero ed esse erano pronte non solo a « farsi vale­ re » , ma a diventarne maestre. Tant'è che, appena qualche l . Montaigne, Essais, ci t. , libro terzo, cap.

v

( trad. i t. cit. , vol.

II,

p. 1 1 7 1 ) .

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decennio dopo, i termini del problema proposti da Montai­ gne appariranno esattamente capovolti. Per convinzione pressoché unanime solo le donne avranno la capacità di in­ segnare l'arte della galanteria e delle buone maniere e di iniziare gli uomini alla vita di mondo. In un bel libro dedicato ali ' educazione delle fanciulle nella società nobiliare francese di Antico Regime , Paule Constant ha illustrato i caratteri di una cultura femminile, tramandata di madre in figlia, che preparava le fanciulle ad assumere con fierezza un destino immutabile, fissato dal sesso e dalla appartenenza sociale: « Il mondo, certo, è fatto per gli uomini, che vi detengono il primato. Bisogna che le Damigelle vi consentano . . . Ma imparano anche ad avere il loro posto tra gli uomini, a essere la dolcezza della loro vio­ lenza, la forza della loro debolezza. La differenza non agi­ sce come esclusione ma è presentata loro come comple­ mentare e talvolta, a condizione che esse adempiano a tutti i loro doveri, come cruciale . Esse divengono allora deten­ trici della felicità, guardiane delle virtù, protettrici dei co­ stumi , e per forza di cose padrone di questo mondo di cui gli uomini sono padroni » ! Prima ancora di appartenere a se stesse, le fanciulle della nobiltà appartenevano alle loro famiglie, ne conoscevano la storia e l'importanza, e compensavano la condizione di infe­ riorità del loro sesso con la superiorità del loro rango. L' e­ ducazione contribuiva a sviluppare nelle donne, fi n da gio­ vanissime, il sentimento dell' identità nobiliare. Nel suo dia­ rio di collegiale, iniziato nel l 773, quando aveva appena die­ ci anni, la piccola principessa polacca Hélène Massalska, al­ lieva dell'is �ituto parigino dell 'Abbaye-aux-Bois, registrava un dialogo intercorso tra la badessa, Madame de Richelieu, e Mademoiselle de Montmorency, un 'educanda di nove an­ ni. « Quando fate così vi ammazzerei » si era lasciata sfuggire la badessa spazientita dalla testardaggine della bambina. E questa, di rimando: « Non sarebbe la prima volta che i Ri­ chelieu divengono i carnefici dei Montmorency! » .2 Avvenul . Paule Constant, Un monde à l 'usage des demoiselles, Gallimard,

p. 22.

Paris, 1 987,

2 . Lucien Perey, Histoire d 'une grande dame au XVII! siècle, la Princesse Hélè­ ne de Ligne, Calmann-Lévy, Paris, 1 887, p. 76.

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ta un secolo e mezzo prima, la morte sul patibolo dell' illu­ stre antenato voluta dal cardinale era un episodio ben inciso nella memoria della bambina e pronto a essere oggetto di una rivendicazione appassionata. A casa come in convento, l'insegnamento impartito alle ragazze era scelto in previsione del posto che esse avrebbe­ ro occupato nel mondo. E questa educazione così forte­ mente contrassegnata dalla consapevolezza e dall' orgoglio dell' appartenenza sociale portava generalmente le demoisel­ les ad accettare con serenità un matrimonio che, deciso a loro insaputa, rispondeva alle ragioni del lignaggio e non a quelle del cuore. A dire il vero, a differenza delle ragazze borghesi, le fanciulle della nobiltà non avevano affatto l'a­ bitudine di interrogare i loro sentimenti. Consultata dalla madre , Mademoiselle de Chartres acconsentiva serenamen­ te a diventare principessa di Clèves, senza provare la mini­ ma inclinazione per il futuro marito. Il sentimento era un elemento improprio, se non ridicolo, e persino dannoso, in unioni dettate dalla ragione e finalizzate al rafforzamento del prestigio familiare, alla preservazione del patrimonio, alla perpetuazione del nome e della stirpe. E la gloria di en­ trare in un casato illustre fungeva da potente lenitivo anche per le unioni più sfortunate. Ma l ' imperativo della posizio­ ne sociale e dell'in tegrità morale andava di pari passo, nel­ l ' educazione delle fanciulle, con la messa in guardia dai pe­ ricoli del « mondo » . Eccoci, dunque, davanti alla prima delle evidenti contrad­ dizioni che connotavano la condizione femminile nelle élite nobiliari e che avrebbero contribuito a fare delle donne le virtuose del paraitre sociale. Sul piano religioso e n1orale, l'e­ ducazione delle fanciulle era incentrata sull'obbedienza, il pudore, la carità, il riserbo, il timore degli uomini e la messa in guardia dalle passioni. E se, in una visione tradizional­ mente misogina, le donne si caratterizzavano per la loro ir­ razionalità e la loro sessualità impura, la cultura femminile pensava a se stessa in modo radicalmente diverso. Nelle stan­ ze materne e negli spazi conventuali, generazione dopo ge­ nerazione, le fanciulle potevano vivere per un numero varia­ bile di anni l 'utopia di una vita al femminile, casta e virtuosa come quella proposta dal culto mariano: un 'età dell'inno­ cenza, a cui l 'ingresso in società poneva fatalmente fine. Ep-

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pure tutti sapevano che quell'ingresso era necessario e anda­ va preparato con cure infinite, perché le donne dovevano es­ sere capaci di resistere alle lusinghe del mondo e da quel mondo ottenere, però, l'ammirazione e l 'omaggio. Se molte erano le cure che venivano prodigate a fortifica­ re l' anima in vista dei combattimenti che essa avrebbe do­ vuto sostenere, non meno attenzione era dedicata a plasma­ re il corpo e ad affinare la mente delle fanciulle . I busti, i corpetti, le stecche di balena, le lezioni di portamento e di danza correggevano la natura troppo ugualitaria e ridise­ gnavano una silhouette inconfondibile, con il bacino stret­ to, le spalle sfuggenti, la schiena eretta, l'andatura sapiente : poiché gli imponenti vestiti d a parata, gli strascichi chilo­ metrici, le pettinature vertiginose esigevano un ' arte dell' in­ cedere che richiedeva una lunga preparazione . Per le don­ ne della nobiltà, tuttavia, l 'obbligo di « apparire » non si li­ mitava alla messa in scena del corpo e ali ' eleganza dei gesti, ma implicava ugualmente l ' arte della parola. Anche in que­ sto caso l'apprendistato risaliva agli anni della fanciullezza, alla purezza della lingua materna, a un sistema di trasmis­ sione della cultura femminile essenzialmente orale, al gusto delle conversazioni pedagogiche. Rimaneva il problema di che cosa dire. Le conoscenze delle donne erano limitate e ogni personalizzazione del discorso pericolosa. Bisognava evitare di « distinguersi » , perché l 'identità sociale veniva prima di quella individuale e perché le parole erano insi­ diose: « Qualsiasi forma di distinzione attira l' attenzione de­ gli uomini, la loro attenzione dà luogo a dicerie e queste, a seconda che siano piacevoli o spiacevoli, lusingano o feri­ scono la vanità, generando così una tentazione capace di in­ durci in svariati errori » . 1 Esisteva però un linguaggio comu­ ne ai due sessi, un linguaggio del corpo come dello spirito, della voce come dei gesti; un linguaggio capace di risolvere , almeno sul piano della forma, la prima delle grandi con­ traddizioni a cui doveva far fronte la donna, chiamata a con­ sacrarsi a Dio e a vivere nel mondo, a darsi in spettacolo e a non concedere niente di sé . Questo linguaggio era quello della politesse, e il gentil sesso se ne sarebbe servito come di un segno della propria appartenenza nobiliare, come scudo della propria reputazione, come misura del proprio merito. l . Pierre Nicole, Lettres choisies,J.F. Bronkart, Liège , 1 706, lettera I I I , p. 1 5, citato in Constan t, op. cit. , p. 233.

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Scritta per una donna dell 'alta nobiltà chiamata a vivere nel mondo, l' Introduction à la vie dévote di Saint-François de Sales si proponeva, già agli inizi del XVII secolo, di spinger­ si oltre e di fare della politesse un' arte cristiana. Fino ad allo­ ra, egli scriveva, « quanti hanno trattato della devozione hanno per lo più a cuore l' istruzione delle persone che han­ no rinunciato a ogni rapporto con il mondo, o quanto me­ no hanno insegnato una sorta di devozione che porta a una simile rinuncia totale » . 1 Ma era giunto il momento di pren­ dere atto che per molti quel « commercio » appariva una scelta inevitabile e che le donne andavano aiutate a viverlo non in antitesi ma in armonia con la loro fede religiosa. Le manifestazioni della politesse, « il volto e le parole adorni di gioia, di gaiezza e di cortesia » , 2 potevano allora diven ta­ re espressione dell ' anima e testimonianza eloquente della presenza di Dio. Destinata a una grande fortuna, l' Introduc­ tion non si limitava a legittimare , sul piano della religione, la partecipazione attiva delle donne alla vita nel mondo, ma contribuiva a caratterizzare questa vita con gli attributi del­ le virtù femminili. Tutto predisponeva, dunque, le donne ad avere un ruolo importante nel rafforzamento dell'identità nobiliare: i loro valori e le loro virtù erano al servizio di una cultura di casta, e complementari a quelle eroiche e guerriere del mondo virile. Ma poiché i tradizionali valori maschili erano entrati in crisi, le donne si trovavano improvvisamente al centro della ribalta per due diverse ragioni: perché l' ossequio ca­ valleresco che veniva tributato loro era un gesto consapevo­ le di fedeltà all ' antico costume feudale in polemica implici­ ta con il presente; e perché valori tradizionalmente femmi­ nili come la politesse assumevano ora, nel processo di ri­ definizione dello stile di vita nobiliare, una importanza cen­ trale anche per gli uomini. Alle donne fu dunque concesso di assumere il controllo del nuovo spazio sociale creatosi a metà strada tra la sfera ufficiale della corte e la sfera propriamente domestica delle l.

Saint-François de Sales, Introduction à la vie dévote ( 1 609) , Prefazione,in Ravier, Bibliothèque de la Pléiade,Gallimard,Pa­

CEuvres, a cura di André ris, 1 969, p. 24. 2. Imd. , p. 201 .

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residenze private. Uno spazio i cui confini dovevano essere oggetto di una sorveglianza continua e la cui autonomia an­ dava protetta tanto dalle pressioni indebite del mondo esterno quanto dai disordini interni del cuore. Destinato a esercitarsi su un terreno estremamente mu­ tevole e insidioso , questo nuovo prestigio femminile non era esente da ambiguità. La sua autorità riposava su sempli­ ci convenzioni e seguiva scelte pressoché obbligate. Ci si poteva chiedere se fosse in ragione della loro eccellenza o della loro debolezza che le donne avevano diritto all' omag­ gio degli uomini. Fatto sta che nel nuovo contesto culturale la loro fragilità poteva rivelarsi un elemento di forza e i loro svantaggi di partenza occasioni inattese di farsi valere . Pri­ ma ancora che un elemento di distinzione sociale, l 'uso corretto delle bienséances, ad esempio, rappresentava per il genti l sesso un'arma di difesa: poiché solo le regole di com­ portamento consacrate dall'uso potevano mitigare la con­ dizione di inferiorità giuridica delle donne , esse ne erano diventate le più fedeli custodi. Abituate così a mantenersi in delicato equilibrio fra costume e legge, ad affidare il pro­ prio prestigio e la propria reputazione alla capacità di farsi interpreti di quella che oggi chiameremmo la sensibilità collettiva della loro casta, le donne della nobiltà avevano ac­ quisito un 'arte consumata delle sfumature che le portava naturahnente a eccellere nel gioco mondano. In uno dei dialoghi delle Femmes illustres, Mademoiselle de Scudéry denunciava senza mezzi termini le condizioni di ignoranza in cui erano tenute allora le donne: « Coloro che hanno delle schiave le fanno istruire per il proprio torna­ conto, e coloro che la natura o le usanze ci hanno dato per padroni vogliono soffocare , nella nostra anima, tutti i lumi datici dal Cielo e che viviamo nelle più fitte tenebre dell 'i­ gnoranza » . 1 Un secolo di successi femminili non avrebbe mutato questa situazione di fondo. Madame du Deffan·d se ne sarebbe lamentata con profonda amarezza nella sua cor­ rispondenza con Voltaire e con Walpole; e , ancora nel 1 77 1 , in una bellissima lettera all' abate Galiani , Madame l . Mademoiselle de Scudéry, Sapho à Erinne Vingtième harangue, in Les femmes illusl'res ou les Harangues héroi"ques ( 1 642) , Prefazione di Claude Maignien, Còté-femmes éditions, Paris, 1 991 , p. 1 59. «

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d' É pinay avrebbe ripreso con vibrante indignazione la de­ nuncia di Mademoiselle de Scudéry: « . . Sono molto igno­ rante, ecco il punto. Tutta la mia educazione si è concen­ trata su ciò che poteva re n dermi gradevole . . . La reputazio­ ne di una donna di spirito mi sembra una beffa inventata dagli uomini per vendicarsi del fatto che generalmente le donne hanno più spirito di loro. Tanto più che a questa qualifica si associa quasi sempre l' idea di una donna istrui­ ta, e la più istruita delle donne non ha e non può avere che conoscenze estremamente superficiali . . . Sostengo dunque che una donna, per il fatto di essere donna, non ha la pos­ sibilità di acquisirne di abbastanza vaste per essere utile ai propri simili, e mi sembra che solo di quelle sia ragionevole menare vanto . Per poter fare uso utilmente delle proprie conoscenze , di qualunque genere esse siano, bisogna poter unire la pratica alla teoria: senza di ciò si hanno solo delle nozioni imperfette . . . Una donna, quindi, ha torto e si espo­ ne solo al ridicolo quando esibisce il proprio sapere o il proprio spirito e crede di poter difendere questa sua repu­ tazione; ma ha più che mai ragione di voler apprendere il maggior numero di conoscenze possibili. Ha più che mai ragione, espletati i doveri di madre , figlia e sposa, di dedi­ carsi allo studio o al lavoro, perché questo è un modo sicu­ ro di bastare a se stessa, di essere libera e indipendente, di consolarsi delle ingiustizie della sorte . . . » .1 Eppure queste spesse tenebre dell' ignoranza dovevano rivelarsi estremamente feconde per gli orientamen ti della lingua e della letteratura francesi. .

Proprio perché le donne non ricevevano un ' educazione umanistica, il loro francese limpido e naturale, esente dalle volgarità dell ' eloquio popolare come dai tecnicismi dei dotti, assurgeva, nel grande dibattito sulla lingua, a model­ lo di tutta la nazione. Da quando Francesco I aveva fatto del francese la lingua ufficiale dell 'amministrazione reale e delle corti di giusti­ zia, il problema di una lingua nazionale capace di illustrare pienamen te la gloria del regno aveva appassionato le co-

Madame d' Épinay all'abate Galiani,4 maggio 1 77 1 , in Ferdinando Galia­ ni, Louise d' Épinay, Carrespondana, a cura di Georges Dulac e Daniel Mag­ getti, 5 voli., Desjonquères, Paris, 1 992-1997, vol. II, pp. 24-26. l.

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scienze. Ma perché il francese riuscisse a uguagliare il pre­ stigio del latino e a prendere il suo posto nel mondo del sa­ pere e delle lettere bisognava potenziarne i caratteri « natu­ rali » o latinizzarlo attraverso una dotta assimilazione, una mimesi sapiente dei modelli antichi? All 'inizio del XVII se­ colo, quando la Francia conquistava l 'orgogliosa certezza di aver soppiantato in Europa il primato culturale italiano, quando la translatio studiorum francorum era ormai una realtà incontestabile, la fierezza gallica non nutriva più dubbi: il francese doveva preservare la propria purezza, rifiutando ornamenti che gli erano estranei, e realizzare pienamente la propria vocazione di lingua universale . Per primo Malherbe affrontava il problema, non solo sul piano della lingua scritta ma su quello della lingua parlata. Nono­ stante il suo amore per i classici, egli pensava che la musica­ lità di una lingua non potesse essere il frutto di un' opera­ zione archeologica e andasse cercata nella pratica viva delle élite, e innanzitutto nelle conversazioni delle donne , cre­ sciute al riparo dalle influenze corruttrici del mondo. La sua riforma non coinvolgeva soltanto una piccola cerchia di specialisti e savants, ma faceva appello alla nobiltà di corte: ... il poeta « E riuscito a far condividere la sua preoccupazione per la lingua a tutto un ambiente caratterizzato dall ' oralità .. Da quel momento, in Francia, l ' arte della conversazione diventa inseparabile dalla delicatezza quasi musicale e dalla curiosità più puntuale rivolta ali ' enunciazione orale della lingua. Le donne, "ignoranti" quanto i facchini, hanno un orecchio ancora migliore per giudicare questa musica e per suonarla » . 1 Da Vaugelas a Bouhours a La Bruyère, la cultu­ ra ufficiale riconoscerà quasi unanimemente alle donne proprio in virtù del fatto di non aver studiato, di non cono­ scere altra lingua che la propria - una competenza lingui­ stica superiore a quella degli uomini. Ma questo singolare paradosso ne implicava uno ancora più grande . Con l'avvento al potere di Richelieu, la promozione della lingua reale iniziata da Malherbe diventava uno dei punti chiave della politica culturale della monarchia. Questa ave­ va bisogno di un francese moderno ed elegante , che per.

l . Mare Fumaroli, « Le génie de la langue française )) , in Trois institutions littéraires, Gallimard, Paris, 1 986, pp. 268-69 (Il Salotto, l 'Accademia, la Lin­ gua. Tre istituzioni letterarie, trad. it. di Margherita Botto, Adelphi, Milano, 200 1 ' p. 280) .

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mettesse la nascita di una grande letteratura nazional� , che consentisse alla società di corte di illustrare con la sua raffinatezza la magnificenza del sovrano, e potesse imporsi come lingua egemone in tutta l' Europa. Ma l' istituzione delle accademie , a cominciare dall 'Académie française, chiamata appunto a vigilare sulla purezza della lingua, e il nuovo mecenatismo di Stato, lungimirante sistema di pro­ mozione e di con trollo della vita culturale messo in opera da Richelieu, non sarebbero bastati a realizzare questo pro­ getto grandioso. Per renderlo operante c' era bisogno, co­ me aveva mostrato Malherbe, della collaborazione di una società civile capace di far propria, in totale libertà, la rivo­ luzione della lingua. Così , senza rendersene conto, l'élite nobiliare che , nel prendere le distanze dalla corte, aveva fatto dell ' arte della parola uno dei segni distintivi della pro­ pria identità di casta, contribuiva in modo decisivo al suc­ cesso della politica culturale dell 'odiato cardinal ministro. E le donne, che lo Stato e la Chiesa condannavano all 'ob­ bedienza e all'ignoranza, acquisirono di fatto l' autorità di dettar legge sulla prima delle istituzioni su cui poggiava lo Stato, vale a dire la lingua. Ma non basta. Poiché le donne erano tagliate fuori dalla cultura aulica e chiedevano in primo luogo alla lettura sva­ go e divertimento, esse formavano un nuovo importante pubblico di cui gli scrittori imparavano rapidamente a te­ ner conto. Su loro richiesta prendeva forma un 'ampia let­ teratura di in trattenimento. Si trattava di generi minori, de­ stinati a riempire gli ozi della vita mondana, come le ques­ tions d 'amour, i ritratti, gli aforismi, le lettere, i romanzi. Di­ vertimenti femminili che i dotti disdegnavano e gli uomini di Chiesa condannavano, ma che a lungo andare si sareb­ bero rivelati altrettanti punti di forza della tradizione lette­ raria francese . Se le donne incidevano sugli orientamenti della cultura moderna per quello che non sapevano, dovevano in com­ penso nascondere accuratamente quello che sapevano. Le bienséances aborrivano la « pedanteria » femminile e punta­ vano sulla giocosità e sulla galanteria. Ma anche la regola generale di questo gioco imponeva alle donne autocontrol­ lo e dissimulazione: bisognava piacere e insieme negarsi, se­ durre e non lasciarsi conquistare. Ancora una volta, per ri­ spondere alle esigenze specifiche della sua condizione, il gentil sesso era costretto a eccellere in un 'arte complessa

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dell'apparire che sarebbe stato il banco di prova di un ' inte­ ra società. I requisiti femminili della seduzione, del disim­ pegno e della leggerezza altro non erano che le regole ge­ nerali dell' honneteté. Il prestigio crescente delle donne e l ' importanza che esse erano andate assumendo all 'interno della vita mondana dovevano fatalmente portare entrambi i sessi a interrogarsi ancora una volta sui caratteri specifici della natura femmi­ nile e sulla sua legittima sfera d'azione. Se nella prima metà del XVII secolo si registrava una recrudescenza delle vec­ chie prese di posizione che caratterizzavano fin dal Me­ dioevo la Querelle d es femmes, l ' Introduction à la vie déuote di Saint-François de Sales cambiava totalmente di prospetti­ va, come abbiamo visto, teorizzando la compatibilità fra vita devota e vita mondana e chiedendo alle donne di testimo­ niarla con la propria condotta. Moralisti e uomini di Chiesa prendevano atto di questa rivoluzione, che investiva la don­ na di una missione spirituale in seno alla società civile e, senza frapporre indugio, si affrettavano a istruirla all ' alto compito. Di questa urgenza la letteratura precettistica del­ l' epoca costituisce una testimonianza eloquen te . Sull' onda dell'esempio italiano del secolo precedente, si assiste in Francia a una grande fioritura di trattati di buone maniere . Il primo e più importante , L 'honneste homme ou l'art de plaire à la cour di Nicolas Faret, che, pur ispirandosi al grande li­ bro di Castiglione, non insegnava più al suo cortigiano co­ me eccellere a corte, ma come riuscire a farvi carriera, ap­ pariva nel 1 630, inaugurando la vastissima letteratura sul­ l' honneteté. Solo due anni dopo anche il gentil sesso veniva dotato, con L 'honneste femme di Jacques Du Bosc ( 1 6321 636) , di un , suo specifico manuale di condotta, in attesa che Grenaille si rivolgesse in modo ancora più mirato al­ l' Honnestefille ( 1 639-1 640) e all' Honneste veuve ( 1 640) . Non si può non rilevare , tuttavia, che il richiamo al­ l' honneteté poteva assumere una valenza diversa a seconda del sesso a cui era diretto. Per l ' uomo l' honneteté era un ideale di comportamento sociale assolutamente laico, men­ tre per la donna esso era inseparabile dai valori religiosi della devozione , della pietà e della castità. L' arte di piacere a corte è una delle principali preoccu­ pazioni dell' honnete homme, ma non è quan to si chiede alla

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sua controparte femminile. Il suo ruolo nella vita di società è essenzialmente passivo, e la sua condotta obbedisce a nor­ me di comportamento molto più rigide di quelle prescritte all ' honnete homme. I maestri di morale le raccomandano, piuttosto, di vigilare sul suo onore e sulla sua reputazione , e di opporsi alla galanteria. Nella nuova realtà della vita mondana, le donne erano, però, tutt' altro che propense a dare ascolto a questi consi­ gli e ad attenersi a un ruolo « passivo » , almeno in fatto di gusto e di divertimenti. Su loro richiesta, nei salotti si sa­ rebbe conversato, scritto, rimato (e lo si sarebbe fatto in modo inatteso, leggero, rapido, brillante, galante) soprat­ tutto di psicologia e di casistica amorosa: i due argomenti in cui l'intelligenza femminile poteva eccellere senz 'altra preparazione che la sensibilità, l'intuito e l'uso di mondo. Sconfitta ma non rassegnata, la Chiesa avrebbe continuato ad ammonire contro le insidie del gioco e dell'immagina­ zione, senza tuttavia riuscire ad aggiornare le sue vecchie argomentazioni, rese desuete dall 'evoluzione del costume nobiliare. Un nuovo e assai più temibile attacco sarebbe in­ vece venuto alle donne delle élite proprio da coloro che es­ se si erano abituate a considerare come complici dei loro loisirs. Per i savants, infatti, il santuario della vera letteratura era seriamente minacciato dal crescente potere di un gusto femminile superficiale e frivolo, sprovvisto finanche dei pri­ mi rudimenti della cultura umanistica, inadatto a capire la bellezza, la grandezza e la verità della ricerca artistica. E, negli anni che seguirono alla Fronda, una certa ostilità ser­ peggiava anche tra gli scrittori mondani che erano costretti a far fronte, non senza fastidio e gelosia, a un nutrito drap­ pello di donne venuto a cimentarsi nell 'agone letterario con raccolte di versi, tragedie, racconti, romanzi. Nessuno, tuttavia, nel mondo delle lettere, poteva per­ mettersi il lusso di ignorare che il gusto femminile era di­ ventato determinante nel decretare il successo di un ' opera, nel consacrare la reputazione di un autore, nell 'orientare la produzione letteraria. E non erano solo pennivendoli senza scrupoli a coltivare il nuovo pubblico di lettrici. Nel 1 63 7, per poter essere letto anche dalle donne, lo stesso Descartes decideva di scrivere il suo Discours de la méthode in francese anziché in latino, e di rinunciare a trattare a fondo il troppo difficile problema dell ' esistenza di Dio. E non era tutto. Non paghe di influenzare così tirannicamente il mon-

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do delle lettere , alcune di loro avanzavano nuove pretese e aspiravano a rimodellare la vita a immagine della letteratu­ ra. E intorno alla metà del secolo, con l' entrata in scena delle Preziose, la condizione femminile diventava per la prima volta oggetto di una riflessione sistematica da parte di un gruppo di donne. Per la prima volta non erano più gli uomini a studiare, interpretare, dirigere l 'altro sesso, ma era quest'ultimo a dichiarare ad alta voce ciò che era e co­ me voleva essere trattato. L'evidente forzatura delle con­ venzioni del gioco mondano era, però, l ' occasione che molti attendevano per un regolamento di conti. Non più protette dal codice delle bienséances, le colpevoli convoglia­ vano sulle loro teste un risentimento che accomunava espo­ nenti del mondo della Chiesa, della politica e delle lettere, contro il potere esercitato in tutti questi campi da una élite femminile troppo in alto nella piramide sociale per poter essere criticata apertamente. Spogliate di ogni individua­ lità, ridotte a tipologia, le Preziose si vedevano così esposte senza difesa non solo alla satira di autori mediocri, ma al genio satirico di Molière e alla misoginia di Boileau e di La Bruyère. Quale migliore occasione per gli scrittori schierati con gli Antichi di irridere la cultura femminile che a loro aveva preferito i Moderni? A partire dal 1 620, per oltre un ven tennio, prima che le Preziose mettessero a punto un modello femminile con­ traddistinto dalla delicatezza, uno stuolo di eroine, di amaz­ zoni a cavallo, cinte di corazza e cimiero e con la spada in pugno, facevano il loro ingresso nella iconografia e nella letteratura. La loro origine poteva essere pagana o cristia­ na, mitologica o storica, ma il loro ritorno in scena era il frutto dell'iniziativa e della fantasia maschili. Il messaggio di questo spettacolare corteo è difficile da decifrare ed è inevitabile chiedersi se mirasse a rinnovare l 'immagine tra­ dizionale del sesso debole o si limitasse a rivisitare ve-c chi stereotipi dimenticati. Non è un caso, però , che negli anni della reggenza di Anna d'Austria ( 1 643-1 652) due uomini di Chiesa, il gesuita Le Moyne e il frate francescano Du Bosc, celebrassero l' archetipo della femme forte. Tre regine che, in meno di un secolo, avevano governato la Francia in no­ me dei loro giovani figli e la spettacolare partecipazione di alcune grandi dame ai moti della Fronda erano lì a dimo-

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strare come all' occorrenza le donne non mancassero di virtù virili. Casi eccezionali, certo, richiesti da situazioni straordinarie, che non rimettevano in discussione la nor­ ma, ma che smentivano i luoghi comuni della tradizione antifemminista, poiché non si poteva accusarle né di inco­ stanza, né di indolenza, né di ipocrisia, né di nessun altro dei vizi comunemente imputati alle donne. Pari agli uomi­ ni, anzi a essi superiori per bellezza e carità, le amazzoni vir­ tuose di Le Moyne e Du Bosc dovevano però essere in pri­ mo luogo cristiane e caste: la loro eccezionalità non le emancipava dagli obblighi delle donne comuni e la loro azione non poteva discostarsi dai dettami della Chiesa. Ma anche questo nobile modello era estraneo alla mentalità dominante che vedeva semmai nella donna un ' occasione e un incitamento all ' eroismo maschile . E in ogni caso regine, principesse, > ,

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che quando nel 1 62 1 Madame de Combalet divenne inspe­ ratamente vedova, « per paura di ess�re di nuovo sacrificata alla ragion di Stato, fece precipitosamente voto di non ri­ sposarsi e di farsi carmelitana » . 1 Postasi strategicamente sotto la protezione di Dio, Madame de Combalet poteva finalmente incominciare a godere della sua esistenza terre­ na. Come , di lì a non molto, avrebbe illustrato in un tripu­ dio di gioia anche Madame de Sévigné - che pure non de­ testava suo marito -, lo stato vedovile era incontestabilmen­ te la sola condizione giuridica in grado di consentire a una donna del XVII secolo di disporre liberamente di sé. Dal momento in cui proferì i voti, ci racconta Tallemant, Madame de Combalet « si vestì con la modestia di una de­ vota di cinquant'anni. Non aveva un capello fuori posto. Portava un vestito di stoffa grezza e teneva sempre gli occhi bassi. In questa tenuta svolgeva le funzioni di dame d 'atour2 della Regina Madre , e non si muoveva mai dalla corte; e al­ lora era nel pieno della sua bellezza. Questo comportamen­ to durò abbastanza a lungo. Alla fine, man mano che suo zio diventava più potente, incominciò a indulgere a qual­ che frangia, poi si fece un boccolo, o mise tra i capelli un piccolo nastro nero; indossò degli abiti di seta, e a poco a poco si spinse così avanti che è grazie a lei se le vedove por­ tano colori d'ogni sorta, a eccezione del verde . . . Madame de Combalet rinnovava ogni anno il suo voto di carmelita­ na e lo rinnovò per ben sette voi te » . 3 Lsascendente che Madame de Combalet esercitava su Ri­ chelieu era palese a tutti. Raramente il cardinale rifiutava un favore alla nipote e, a cominciare da Madame de Ram­ bouillet, gli amici le domandavano sovente di intervenire presso il ministro. Madame la Princesse, per prima, non di­ sdegnava di ricercare la sua amicizia « per avere la protezio­ ne del cardinale, perché temeva che suo marito la relegasse a Bourges » .4 Ma il legame tra zio e nipote non mancava di suggerire interpretazioni assai poco benevole : « Si sono fat­ te molte maldicenze su di loro; lui amava le donne e teme­ va lo scandalo. La nipote era bella, e nessuno poteva trovar l . lbid. , p. 304. 2. Le dames d atour erano

incaricate di sovrintendere alla cerimonia della toilette delle principesse del sangue. 3. Tallemant, Historiettes, cit., vol. I, pp. 304-305. 4. lbid. , p. 3 1 0. '

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da ridire sul fatto che avesse familiarità con lui. Effettiva­ mente, ella dava prova di scarsa modestia: con la scusa di amare i fiori, ne aveva sempre un mazzetta appuntato alla scollatura, e andava a far visita allo zio con il seno scoper­ to » . 1 Un sospetto d 'incesto che, pure, non metteva al riparo la bella vedova dall 'insinuazione di amare le donne. Talle­ mant riferisce le voci che circolavano su una sua relazione particolare con un ' altra habitué della Camera azzurra, An­ ne de Neufbourg, una ricca borghese che era andata in sposa nel 1 6 1 7 al barone du Vigean.2 Come le diverse resi­ denze dei Condé, come il castello di Richelieu, anche La Barre, la bella proprietà di campagna dei du Vigean, era destinata a entrare nei circuiti abituali dei frequentatori dell'hotel de Rambouillet, e una lettera di Voiture al cardi­ nale di La Valette, scritta presumibilmente intorno al 1 630, ci riporta di nuovo sul versante del gioco e dell 'utopia. « Come sapete , Monsignore . . . Madame la Princesse, Ma­ demoiselle de Bourbon , Madame du Vigean, Madame d'Aubry, Mademoiselle de Rambouillet, Mademoiselle Pau­ let, Monsieur de Chaudebonne e io partimmo da Parigi verso le sei di sera per recarci a La Barre, dove Madame du Vigean doveva offrire un rinfresco a Madame la Princesse . . . Entrammo i n una sala dove si camminava su u n tappeto di rose e fiori d'arancio. Madame la Princesse, dopo aver am­ mirato questa magnificenza, volle andare a passeggiare nel parco, in attesa dell ' ora di cena . . . In fondo a un grande via­ le che si estendeva a perdita d' occhio trovammo una fonta­ na che gettava da sola più acqua di tutte quelle di Tivoli. Di­ sposti in cerchio , attorno ad essa, vi erano ventiquattro suo­ natori di violino . . . Avvicinandoci, scoprimmo, in una nic­ chia in tagliata in una palizzata, una Diana dell'età di undici o dodici anni, più bella di quanto l ' avessero mai vista le fo­ reste della Grecia e della Tessaglia. Accanto, in un ' altra nic­ chia, vi era una delle sue ninfe, bella e gentile quanto oc­ corre esserlo per far parte del suo corteo. Coloro che non credevano alle favole pensarono ché fossero Mademoiselle de Bourbon e la fanciulla Priande3 Tutti tacevano, attoni­ ti davanti a tante cose mirabili che colpivano in ugual misu­ ra la vista e l' udito, quando, ali 'improvviso, la dea balzò giù • • •

l . /bid. , p. 306. 2. lbid. , pp. 309- 1 0 . 3 . Mademoiselle d'Aubry.

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dalla sua nicchia e con una grazia indescrivibile cominciò a danzare intorno alla fontana . . . · E questo spettacolo si sareb­ be ulteriormente protratto se i violinisti non si fossero subi­ to messi a suonare una sarabanda così allegra che tutti si al­ zarono gioiosamente . . . e così , saltando, danzando, volteg­ giando, piroettando, facendo capriole, arrivammo alla casa, dove trovammo una tavola che sembrava essere stata appa­ recchiata per le fate . . . Dopo pranzo fummo attirati al piano di sopra dal suono dei violini, e lì trovammo una stanza co­ sì ben illuminata da far credere che il giorno, dopo aver preso commiato dalla terra, vi si fosse ritirato tutto intero . . . Mentre ancora fervevano l e danze, ecco c h e all 'improvviso un gran rumore proveniente dall 'esterno costrinse tutte le dame ad affacciarsi alla finestra. Vedemmo allora una tale quantità di fuochi d' artificio uscire da una folta macchia boscosa situata a trecento passi dalla casa che tutti i rami e i tronchi degli alberi sembravano trasformati in razzi . . . » .1 Ottemperando ai dettami di Madame de Rambouillet, l'ozio aristocratico ambiva dunque a farsi rappresentazione artistica; ma perché ciò avvenisse, agli attori di questa inces­ sante metamorfosi occorreva uno specchio in cui rimirare se stessi in azione: lo trovarono, paradossalmente, nel bor­ ghese Vincent Voiture . Nessuno meglio di Voiture potrà aiutarci a cogliere lo spirito dell' hotel de Rambouillet, per­ ché nessuno più di lui aveva con tribuito a dare una dignità artistica alla « rivoluzione culturale » che si era consumata nella Camera azzurra. Al servizio del gioco e dell 'effimero, i suoi versi e le sue lettere furono il manifesto della nuova estetica mondana e segnarono, a dispetto della loro levità giocosa, l 'ingresso del salotto di Arthénice nella storia della letteratura. Con la letteratura l'hotel di rue Saint-Thomas-du-Louvre aveva intrattenuto fin dall' inizio rapporti estremamente amabili. Il celebre Malherbe, il grande riformatore della poesia francese moderna, appariva, a partire dal 1 6 1 3, tra i frequentatori abituali della casa della marchesa ed era stato lui, in omaggio alla tradizione arcadica, a coniare per la sua l . Voiture al cardinale di La Valette [fine del 1 630] , lettera X, in CEuvres de Voiture. Lettres et poésies, nouvelle édition par M.A. Ubicini, 2 voli., Char­ pentier, Paris, 1 855, vol. I, pp. 45-50.

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ospite il soprannome di Arthénice, anagramma di Catheri­ ne . 1 Anche jean Chapelain, -il migliore critico della sua epo­ ca, faceva parte degli habitué dell ' hotel fin dai tempi del suo primo successo, la Prefazione all'Adone di Marino, pub­ blicato a Parigi nel 1 623. E fra gli altri letterati che sarebbe­ ro stati ammessi nella Camera azzurra, si ricordano i nomi di Gombauld, Vaugelas, Racan, Saint-Amant, Desmarets de Saint-Sorlin. Per gli scrittori di professione, che per la mag­ gior parte vivevano ancora di mecenatismo privato, la vita mondana appariva un ideale terreno di caccia dove cercare possibili protettori, mentre per la marchesa di Rambouillet e i suoi ospiti la letteratura era, non diversamente dal ballo, dal teatro, dalla musica, dai giochi di società, dalla conver­ sazione, un' occasione di divertimento e di svago. Madame d'Auchy e Madame des Loges potevano ambire a fare delle loro case dei centri intellettuali, sulla falsariga di una tradi­ zione illustre; per Arthénice, invece, il solo sospetto di col­ tivare delle ambizioni letterarie appariva un oltraggio. Jean Chapelain ne era così consapevole da modificare, prima di mostrarlo alla marchesa, il testo di una lettera del più cele­ bre epistolografo del tempo, Guez de Balzac: « In un solo punto, là dove dite che il suo studiolo è il luogo in cui tante persone di così raro ingegno si riuniscono ogni giorno, o qualcosa di simile, Monsieur de Chaudebonne, Monsieur de Vaugelas e io abbiamo creduto opportuno, prima di far­ le vedere la lettera, aggiungere "e delle persone emine n ti che si incontrano spesso da lei ". Con ciò, senza mutare il senso delle vostre parole, conferiamo loro il tono che sap­ piamo esserle più gradito, assecondando al tempo stesso la vostra intenzione , affinché la sua casa passi piuttosto per un punto di ritrovo di questa corte scelta e del gran mondo pu­ rificato, come voi dite in maniera eccellente , piuttosto che un luogo di - discussione sistematica, cosa che in effetti non è , e che sarebbe meno onorevole della realtà » .2 Rifiutata come forma di specialismo incompatibile con il dilettantismo nobiliare , la letteratura aveva però contribui­ to in modo rilevante al processo di « purificazione del Gran Monde » promosso da Madame de Rambouillet. L' esigenza della marchesa di epurare, di travestire la vita reale prima l . Cfr. Honorat de Bueil de Racan, Vie de Monsieur Malherbe, a cura di Ma­ rie-Françoise Quignard, Le Promeneur, Gallimard, Paris, 1 99 1 , pp. 57-59 . 2 . Citato in Aronson, Madame d e Rambouillet, cit. , p. 32.

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di aprirle le porte della sua casa, nasceva, è vero, da una spinta personale e profonda, ma le forme e i modi di quel­ la finzione Iudica non erano certo il frutto della sua esclusi­ va invenzione . Per u n singolare paradosso, a suggerire all'hotel d e Ram­ bouillet il maggiore repertorio di modelli di comportamen­ to etici ed estetici, era stato il genere letterario più disprez­ zato dai savants e più inviso ai moralisti, vale a dire il ro­ manzo. E in un momento in cui la cultura dei dotti, impe­ gnata in una accanita polemica anti-italiana, intendeva im­ porre il primato francese su tutta l'Europa, Madame de Rambouillet, in sintonia con i gusti della cultura mondana, « si era formata sulle opere letterarie italiane e spagnole » . 1 Proprio nella letteratura spagnola del secolo preceden te, infatti, l 'irrinunciabile aspirazione nobiliare ali ' eroismo, sempre più mortificata dalla nuova ideologia monarchica, aveva trovato una compensazione fantastica, e in virtù di un singolare décalage storico, mentre la Spagna moderna anda­ va sostituendo i suoi nuovi picari agli antichi eroi, la Fran­ cia aristocratica continuava ad ammirare e a prendere co­ me modello gli ideali cavallereschi della Spagna cinquecen­ tesca. Così, in traduzione come in lingua originale, si am­ miravano gli eroi imm.uni da debolezze dei romanzi di ca­ valleria (il più celebre dei quali era l' Amadis) , e l'amore idealizzato della Diana di Montemayor e dell 'Arcadia di Lo­ pe de Vega. E influenza non minore esercitavano sull ' im­ maginario della nobiltà francese i poemi cavallereschi del Rin ascimento italiano. Sul piano teorico, gli autori italiani contribuivano in modo decisivo a lanciare il dibattito sul te­ ma del meraviglioso n eli ' epopea e, per contrasto, collabo­ ravano a orientare la riflessione estetica dei letterati france­ si verso una concezione dell ' arte ossequiente alle leggi del­ la verosimiglianza e della ragione. Ma nella pratica viva del­ la lettura Ariosto e Tasso continuavano a conquistare il cuo­ re e la fantasia delle élite nobiliari proponendo loro, nel­ l ' Orlando furioso come nella Gerusalemme liberata, un ideale cavalleresco nobile e appassionato, dove « la gentilezza si sposava alla forza e la cortesia al vigore » . 2 l . Segraisiana, cit. , p. 26. 2. Lione Ilo Sozzi, L 'injluence en France des épopées italiennes et le débat sur le

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Ma per la piccola cerchia di eletti raccolti intorno a Mada­ me de Rambouillet questo gusto del passato, che esprimeva il sentimento di disagio con cui molti nobili vivevano il pre­ sente, si spingeva ancora più indietro nel tempo, oltre il Ri­ nascimento italiano e spagnolo, nella Francia dell 'Alto Me­ dioevo, alle origini stesse della civiltà cavalleresca. Così nella Camera azzurra si riprendevano in mano i « vecchi romanzi » dimenticati di Chrétien de Troyes, si riscoprivano le virtù cor­ tesi, le corti d'amore, le leggende della Tavola Rotonda. Fa­ cendosi promotore della Lecture des vieux romans in un dialo­ go dedicato aJean-François-Paul de Gondi (poi cardinale di Retz e futuro eroe della Fronda) , Chapelain doveva certo far­ si anche portavoce delle motivazioni dei lettori dell' hotel. Le ragioni che potevano rendere appassionante la lettura di un'opera come il Lancelot non erano solo di natura letteraria. « Libro favoloso e storico insieme » , esso racchiudeva in sé la quintessenza di quell' ethos feudale in cui la nobiltà francese non aveva mai cessato di riconoscersi. Vi si poteva leggere « in quale maniera essi [gli antichi cavalieri] conversassero assieme; come fossero imbevuti dei princìpi del vero onore; come mantenessero religiosamente la loro parola; in che consistesse la loro galanteria; fino a che punto fossero capaci di spingere un'amicizia degna di tale nome; come mostrasse­ ro riconoscenza per i benefici ricevuti; quale alta idea si fos­ sero fatti del valore, e infine quali sentimenti nutrissero per il Cielo e quale rispetto portassero alle cose sacre >> .1 Se tutte queste diverse letture contribuivano ad arricchi­ re il patrimonio di immagini, di gesti, di emozioni, di fan ta­ sie a cui la marchesa attingeva a piene mani per mettere in scena la rappresentazione della propria vita, vi era tuttavia un romanzo ; un romanzo francese apparso proprio negli anni di formazione del salotto della marchesa, L ltstrée di Honoré d' Urfé,2 che era destinato ad avere per i frequentamerveilleux, in Mélanges offerts à Georges Couton, Presses Universitaires de Lyon , Lyon, 198 1 , p. 72 . l . De la lecture des vieux romans parJean Chapelain, publié pour la première fois avec des notes par Alphonse Feillet, Aubry, Paris, 1 870, p. 3 1 . 2 . La prima parte dell 'Astrée fu pubblicata nel l 607, la seconda apparve nel 1 61 0, la terza nel l 61 9 e la quarta nel l 627, dopo la morte dell'autore . Nel 1 628 fu data alle stampe La conclusion et dernière partie d 'Astrée, a opera di Balthasar Baro. ·

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tori della Camera azzurra una vera e propria funzione di modello e di guida. Riprendendo la formula di successo del romanzo pasto­ rale , d ' Urfé metteva in scena, in aperta polemica con la so­ cietà di corte, una com unità ideale di pochi privilegiati tra­ vestiti da pastori. La foresta del Forez era dunque il teatro di un esperimento utopico, dove una piccola élite di uomi­ ni liberi perseguiva la perfezione morale attraverso la quete amorosa, restituendo alla donna l' antica posizione di pre­ stigio a cui l'avevano innalzata la civiltà cortese prima, poi la tradizione petrarchista. Ma quando le vicende del mon­ do esterno - l' ambizione, la cupidigia, il sopruso - venivano a turbare la quiete della foresta, i pastori si dimostravano cavalieri valenti , fedeli sino in fondo all 'etica aristocratica dell 'onore. Honoré d' Urfé apparteneva alla vecchia nobiltà di pro­ vincia, si era battuto coraggiosamente per la Lega durante le guerre di religione, aveva sperimentato la vita di corte e l'esilio, era stato protagonista di una lunga e contrastata storia d' amore - possedeva, insomma, una vasta esperienza degli uomini e del mondo. In quale misura il suo romanzo rifletteva lo stile di vita di una élite aristocratica realmente esistente e quanto era invece frutto di pura fantasia? È ra­ gionevole supporre che l'immenso successo dell 'Astrée im­ plicasse l 'esistenza di un pubblico capace di condividere le aspirazioni nobili e innocenti degli abitanti della foresta del Forez. Certo, l 'opera fluviale di Urfé non si limitava a tener desta l' attenzione dei suoi lettori di avventura in avventura, di amore in amore, ma - simile a un trattato di morale in azione - insegnava loro la cortesia, la galanteria, l'uso di mondo, ne educava la sensibilità e il gusto, la mente e il cuore. Così, proprio all ' inizio del suo cammino, la civiltà mondana francese trovava, sotto forma di romanzo, un mo­ dello pedagogico nazionale , un « breviario » di comporta­ mento da associare ai testi sacri delle buone maniere im­ portati dall'Italia del Rinascimento. Nessuno più di Madame de Rambouillet doveva aver rav­ visato nell'Astrée la proiezione fantastica delle proprie aspi­ razioni più segrete . Non era anche lei alla ricerca di un fo­ cus amoenus, di uno spazio protetto, lontano dai veleni della corte, dove il ritrovarsi tra affini fosse frutto di una libera scelta e garanzia di un piacere reciproco? Dove l'amore po­ tesse vivere di attesa piuttosto che di appagamento, e la

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donna sapesse ispirare ammirazione e rispetto? Perché, dunque, non fare propria quella finzione arcadica, perché non tentare di introdurre nelle belle sale dell' hotel di rue Saint-Thomas-du-Louvre l 'innocenza, la grazia, la gentilez­ za dei suoi pastori? Iniziava così, nella Camera azzurra, quel vorticoso gioco di specchi tra la letteratura e la vita che avrebbe caratterizzato di lì a poco tutta la cultura mondana. Il caso dell' hotel de Rambouillet era particolarmente spet­ tacolare perché, ispirandosi all ' Astrée e fungendo a sua vol­ ta da modello per la società idealizzata dalla narrativa di Mademoiselle de Scudéry, si iscriveva tra i due romanzi di maggior successo del secolo; ma esso era tutt'altro che unico. Fin dall' inizio del suo percorso, il tratto più distintivo della civiltà mondana francese si rivelava infatti l ' alto grado di consapevolezza dei suoi attori e l ' esigenza di verificare la propria immagine riflessa nello sguardo altrui. Così, porta­ ta ad analizzare e a commentare costantemente se stessa, la vita mondana sconfinava insensibilmente, quasi involonta­ riamente, dall' oralità alla scrittura. L'effimero della parola, dei gesti, delle situazioni irripetibili riviveva negli aneddoti, negli scambi epistolari, . nei ritratti, nelle migliaia di versi destinati non alla lettura ma all ' ascolto e che, tuttavia, fini­ vano per circolare manoscritti ed essere pubblicati nei re­ cueils o negli Ana. 1 Inoltre , la completa esteriorizzazione di sé, il paraitre mondano, diventava, a cominciare dal cavalie­ re di Méré e dal duca di La Rochefoucauld, materia di ri­ flessione teorica per taluni dei suoi interpreti più prestigio­ si, e apriva un interrogativo inquietante sull'identità dell' io. Come i pastori di Urfé , i frequentatori dell ' hotel de Ram­ bouillet passeggiavano, conversavano, disquisivano di casi­ stica amoros�, componevano versi e canzoni, scrivevano let­ tere galanti. Nel regno di Arthénice la varietà di forme let­ terarie che nell ' Astrée avevano il compito di dare profondità e movimento alla narrazione dovevano contribuire solo a . rendere più divertente e piacevole la vita. Eppure , per una delle tante bizzarrie della sorte , fu un uomo che veniva dal negotium a riportare l ' otium della Camera azzurra nell' alveo della letteratura. l . Raccolte di frasi e pensieri di un autore o di una persona famosa, e di aneddoti relativi alla sua vita, designate in genere dal nome proprio segui­ to dal suffisso -ana.

IV VI N C E NT VO ITURE , OVVERO L' « À ME D U ROND »

« Voiture era figlio di un mercante di vini al seguito della corte . . . Godeva già di una vasta fama . . . quando Monsieur de Chaudebonne lo incontrò in una casa e gli disse: "Mon­ sieur, voi siete troppo galant homme per rimanere nella bor­ ghesia; bisogna che ve ne tiri fuori". Ne parlò a Madame de Rambouillet, e qualche tempo dopo lo condusse da lei. Questo egli intende dire in una lettera in cui scrive: "Da quando Monsieur de Chaudebonne mi ha rigenerato In virtù di Madame e Mademoiselle de Rambouillet"» . 1 Se vogliamo !asciarci sedurre dalla fantasia erudita di Emile Magne,2 possiamo supporre che Voiture abbia varca­ to per la prima volta la soglia dell 'hotel di rue Saint-Tho­ mas-du-Louvre nel 1 625, in occasione di un ricevimento in onore del duca di Buckingham . A Parigi, dov'era venuto per condurre in Inghilterra la moglie del suo re, la princi­ pessa Enrichetta-Maria di Francia, Buckingham aveva espres­ so il desiderio di ascoltare la celebre voce di Mademoiselle �

l. Tallemant, Historiettes, cit. , vol. I, pp . 484-85. 2. É mile Magne , Voiture et l 'hOtel de Ra,mbouillet. Les origines, 1597-1635, nuova edizione accresciuta e corretta, Emile-Paul frères, Paris, 1 929, pp. 39-57.

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Paulet, e i Rambouillet si erano offerti di esaudire la sua cu­ riosità. Nel palazzo di rue Saint-Thomas-du-Louvre ebbe così luogo una festa memorabile. E proprio quella sera, nel­ l' hotel illuminato da mille candele, scintillante di argenti e di cristalli, gremito del fior fiore della nobiltà francese , Voi­ ture era stato presentato per la prima volta a Madame de Rambouillet e alla sua primogenitajulie d 'Angennes. Arthé­ nice aveva allora trentasette anni, Julie venti, ed è difficile dire quale delle due abbia esercitato in seguito sul nuovo ospite un 'influenza più profonda. Quella sera però, mentre l 'attenzione generale si concentrava sul favorito di Carlo l, che con un abito interamente trapunto d ' oro e di perle fa­ ceva il suo ingresso nella Camera azzurra in compagnia del duca e della duchessa di Chevreuse , la fan tasia di Voiture veniva probabilmente catturata dalla magia del luogo. Tallemant des Réaux, che aveva poca simpatia per Voitu­ re, indica con grande precisione, nel lungo ritratto a lui de­ dicato, alcune delle ragioni per cui quest'uomo - dai tratti gradevoli ma estremamente piccolo di statura, vanitoso, umorale, sensuale, dominato dalla passione del gioco d ' az­ zardo -, le cui maniere tradivano sovente la modestia delle sue origini, veniva accolto senza riserve all ' hotel de Ram­ bouillet, e finiva per diventarne addirittura l'emblema. Si dice che il Seicento sia il secolo in cui la Francia ha sco­ perto l' esprit. Certo, Voiture è il primo caso esemplare di un uomo che all ' esprit deve assolutamente tutto: ascesa sociale , successo , amicizie , reputazione , fama. Tallemant lo dichia­ ra esplicitamente: « Poiché era uomo di grande esprit, ed era nato per la vita di corte , fece ben presto la gioia della so­ cietà formata da quelle illustri persone: le sue lettere e le sue poesie ne sono la chiara testimonianza » ! Né « quelle il­ lustri persone » nutrivano dubbi sul perché della loro pre­ dilezione . A qualcuno che, dopo aver letto l ' edizione po­ stuma delle lettere di Voiture , ne lodava l' esprit, Madame de Rambouillet rispondeva: « Ma, Monsieur, pensavate fqrse che fosse per la sua nobiltà o per la sua statura che veniva ri­ cevuto dappertutto? » .2

l . Tallemant, Historiettes, cit., vol . I , p. 485. 2. Ibid. , p. 499 .

Vincent Voiture, ovvero l '«iime du rond »

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Ecco, dunque, la prima spiegazione del successo di Voi­ ture affidata a un termine intraducibile, esprit, che, vago e preciso insieme, può venir definito solo attraverso le sue sfumature . Una quarantina d'anni dopo il debutto monda­ no di Voiture, La Rochefoucauld passava in rassegna i mol­ ti possibili significati che la parola assumeva a seconda degli aggettivi che la accompagnavano, ed elencava fra gli altri, bel esprit, esprit adroit, bon esprit, esprit enjoué, esprit moqueu r:_, esprit de raillerie, esprit fin, esprit de finesse, esprit de détail. E estremamente difficile trovare l' esatto equivalente italiano per ognuno di questi attributi. Bel esprit, per esempio, può avere, a seconda delle in tenzioni con cui lo si usa, una va­ lenza elogiativa o una più o meno ironica; esprit de raillerie può indicare la capacità di prendersi gioco garbatamente di una persona o la volontà di farne il bersaglio di un ta­ gliente sarcasmo ; e se l' esprit fin evoca di solito una men te raffinata, l' esprit de finesse circoscrive generalmente l ' ambi to della sottigliezza intellettuale. Del resto, il duca stesso ri­ nunciava a dare delle definizioni precise, impossibili al di fuori del contesto di ciascun discorso : « Benché vi siano per la parola esprit svariati attributi che paiono voler dire la stes­ sa cosa, la loro differenza è data dal tono e dal modo di pro­ nunciarli. Ma poiché i toni e i modi non sono trascrivibili, non mi addentrerò in dettagli impossibili da spiegare be­ ne » . 1 Se però, senza tener conto dell'anacronismo, voglia­ mo affidarci alla guida di La Rochefoucauld, la categoria in cui Voiture potrebbe meglio rientrare è probabilmente quella di esprit enjoué ( « brioso » ) , e railleur ( « faceto » ) , vale a dire di un esprit fatto di gaiezza e ironia, che sa prendersi gioco di tutto e di tutti, mantenendosi in delicato equilibrio tra l' impertinenza e l'adulazione. Voiture sarebbe diventa­ to un virtuoso di questa difficile arte - che richiedeva pron­ tezza, intuito psicologico ed esatta percezione dei tempi -, perché conosceva il suo pubblico e sapeva esattamente cosa ci si attendeva da lui. Giorno dopo giorno, egli si sarebbe impegnato a pagare il suo debito di gratitudine a coloro che lo avevano accolto come un uguale, irraggiando intor­ no a sé sorpresa e divertimento. « Aveva sempre visto cose 1 . François de La Rochefoucauld, « De la différence des esprits » , in Maxi­ mes, suivies des Réjlexions diverses, du Portrait de La Rochefoucauld par lui-méme et des Remarques de Christine de Suède sur les Maximes a cura di Jacques Truchet, Garnier, Paris, 1 967, pp. 2 1 8-20. «

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che gli altri non avevano visto e, non appena arrivava, tutti facevano cerchio attorno a lui per ascoltarlo . . . Nelle feste che si tenevano all ' hotel de Rambouillet e all ' hotel de Condé, Voiture divertiva sempre i presenti. Ora con versi, ora con qualche follia che gli veniva in mente » . 1 Tra fantasie, curiosità, scherzi, racconti, continue inven­ zioni, vi era un tema centrale di conversazione che il picco­ lo gruppo di privilegiati raccolti intorno a Voiture non si stancava di ascoltare con infinito diletto: la cronaca idealiz­ zata della loro stessa vita quotidiana. In prosa o in versi, ora­ le o scritta, questa cronaca affettuosa e impertinente, alle­ gra e galante, si faceva interprete dei gusti dell ' hotel de Rambouillet e, al tempo stesso , li determinava e li rinnova­ va, orientandone le scelte . Poiché uno degli intrattenimenti prediletti della Camera azzurra era l'amore, l'uso del verso si imponeva a Voiture come una scelta quasi obbligata. La convenzione petrarche­ sca, con il suo linguaggio codificato e il suo vasto repertorio di situazioni e di immagini, era ancora lì a garanti re la natu­ ra platonica del desiderio e a tutelare la reputazione femmi­ nile. Voiture non avrebbe esitato a farla propria. In realtà, il petrarchismo era per lui una soluzione puramente formale, di cui egli si serviva come di uno schermo per poter più li­ beramente desacralizzare l'amore . « Tutti hanno sempre sa­ puto » scriverà Mademoiselle de Scudéry subito dopo la sua morte « che in cuor suo prediligeva Venere Anadiomene ri­ spetto a Venere Urania, perché non riusciva a concepire che vi potesse essere una passione distaccata dai sensi e faceva persino fatica a credere che esistesse al mondo un affetto as­ solutamente -puro » .2 Nella poesia di Voiture la donna conti­ nuava a occupare il centro della scena, a essere celebrata, ammirata, adulata, corteggiata con il dovuto rispetto, ma cessava di essere una figura sacrale , e la mistica petrarchesca si riduceva a semplice finzione. Con grazia, con leggerezza, con eleganza, Voiture metteva in scena le figure dell 'amore , l . Tallemant, Historiettes, cit. , vol. I , pp. 489-9 1 . 2 . Mademoiselle de Scudéry, ritratto a chiave d i Voiture sotto i l nome di Callicrate » , in Artamène ou le Grand Cyrus, ci t. , parte sesta, libro pri�o, vol. VI , p. 8 1 . «

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moltiplicava l e dichiarazioni, i giuramenti, i palpiti, i sospiri - senza tuttavia pretendere di essere creduto. Lors tout à coup je revins en moy-mesme, Le Repentir, et la Peur au teint blesme, Les prompts Souhaits, les violens Desirs, La fausse J oye et l es vains Desplaisirs, Les tristes Soins, et les Inquietudes, Les longs Regrets, amis des solitudes, Les doux Espoirs, les bizarres Pensers, Les courts Dépits, et les souspirs legers, Les Desespoirs, les vaines Défiances, Et les Langueurs, et les Impatiences, Et tous les biens et les maux que l'Amour Ti e n t d' ordinai re attachez à sa Cour. . . 1 Se in un componimento come questo l' accumulazione delle formule tradizionali della poesia amorosa e il sovrap­ porsi veloce di tutti i possibili stati d'animo della passione sembrano quasi voler provocare il sorriso del lettore, altro­ ve è proprio l 'esplicito smascheramento di un topos lettera­ rio, il classico « morire d ' amore » , a consentire a Voiture di sfiorare la sincerità: « Potete essere certa » scrive a una igno­ ta dama « che la tristezza e l' amore non faranno mai morire persona veruna, visto che né l'una né l' altro mi hanno an­ cora ucciso, e, sia pure privato per ben due giorni dell 'ono­ re di vedervi, mi rimane qualche parvenza di vita. Se qual­ cosa poteva indurmi ad allontanarmi da voi, era la certezza che avrei finito per morirne e che un dolore così forte non mi avrebbe lasciato languire a lungo. Eppure debbo consta­ tare, contro ogni speranza, che resisto molto più di quanto pensassi, e credo che, nonostante la ferita mortale, la mia anima non possa staccarsi dal mio cuore perché in esso contempla la vostra immagine . . . » .2 l . « Quando di colpo rientrai in me l I l pentimento e la paura dal livido volto, l I pronti auspici, i violenti desii, l La falsa gioia e i vani dolori, l I tristi affanni e le inquietudini, l I lunghi rimpianti, amici delle solitudini, l Le dolci speranze e i pensieri bizzarri, l I brevi crucci e i lievi sospiri, l La disperazione, e i vani sospetti, l E i languori, e le impazienze, l E tutti i beni e i mali che l'amore l Trascina di consueto al suo seguito . . Vin­ cent Voiture, Poésies, ediz. a cura di Henri Lafay, 2 voli., Didier, Paris, 1 97 1 , vol. I, pp. 2 1 -22. 2. Voiture a Madame***, lettera XV, in Lettres amoureuses, in CEuvres de Voi­ ture, cit. , vol. Il, p. 1 92. . »,

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Diretta in primo luogo alle donne, la poesia di Voiture conquistava immediatamente, con la sua grazia ambigua, la complicità femminile . L'hotel de Rambouillet voleva gioca­ re senza pericolo al gioco dell'amore, e Voiture rendeva la scom messa possibile forgiando, ad uso esclusivo di una pic­ cola élite, un modello di stile galante che, attraverso una gamma infinita di sfumature e di varianti, si sarebbe poi im­ posto come elemento irrinunciabile a tutta una civiltà mon­ dana. La stessa Mademoiselle de Scudéry dovrà riconoscere che Voiture « scriveva molto piacevolmente in prosa e in versi, e in un modo così galante e così inusuale che lo si po­ teva quasi dire inventato da lui » ! E già Talleman t des Réaux aveva dichiarato, senz' ombra di esitazione, che biso­ gnava salutare in Voiture « il padre dell'ingegnosa badinerie » , e riconoscergli il merito « di aver insegnato agli altri a espri­ mersi in modo galante » .2 Il poeta della Camera azzurra poteva, tuttavia, vantare un 'altra e più importante innovazione di stile, destinata non solo a contraddistinguere il comportamento nobiliare ma a connotare nella sua essenza più profonda la letteratu­ ra francese classica: l 'estetica del naturel. Per trovare un equivalente italiano del termine bisogna risalire a una pa­ rola del nostro vocabolario caduta in disuso, a quella « sprez­ zatura » che Baldesar Castiglione usava come chiave di volta della grazia mondana: « Ma avendo io già più volte pensato meco onde nasca questa grazia, lasciando quelli che dalle stelle l' hanno, trovo una regula universalissima . . . e ciò è fuggir quanto più si po, e come asperissimo e pericoloso scoglio, l' affettazione; e , per dir forse una nova parola, usar in ogni cosa una certa sprezzatura, che nasconda l ' arte e di­ mostri ciò che si fa e si dice venir fatto senza fatica e quasi senza pensarvi. Da questo credo io che derivi assai la grazia . . . Però si p o dir quella esser vera arte che non pare esser ar­ te; né più in altro si ha da poner studio, che nel nasconder­ la . . . » .:� Di quest' arte nascosta, di quest' artificio dissimulato, l . Mademoiselle de Scudéry, Artamène ou le Grand Cyrus, cit. , parte sesta, li­ bro primo, vol . VI , p. 77. 2 . Tallemant, Historiettes, cit. , vol . l , p. 489. 3. Baldesar Castiglione, Il libro del Cortegiano, a cura di Walter Barberis, Ei­ naudi , Torino, 1 998, libro primo, cap. xxvi , p. 59.

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di questa « negligenza tanto sottile » , di questa « noncuranza tanto gradevole » 1 a cui i francesi avrebbero dato, un secolo dopo, il nome di naturel, fu ancora una volta un trattatista italiano, Stefano Guazzo, a enunciare il progetto estetico. Per l' autore della Civil conversazione il « naturale » non in­ tratteneva con la natura un semplice rapporto di equivalen­ za ma ne rivelava piuttosto le potenzialità intrinseche, e na­ turale era « tutto quello che la natura consente che si faccia migliore e acquisti perfezzione » . 2 A distanza di quasi un secolo, il grande teorico del­ l' honneteté, il cavaliere di Méré, non avrebbe detto niente di diverso illustrando l' estetica del naturel sulla falsariga della riflessione di Guazzo. « Bisogna imitare la natura e seguirla in tutto, ma la natura più perfetta e più realizzata: bisogna osservare e scegliere tutto ciò che vi si può scoprire di più bello, di più amabile e di più seducente, nella sfera del sen­ sibile come in quella dell 'intellettuale o dell ' invisibile , o dello spirituale » .3 Destinato a trionfare nei salotti come nel­ l ' Art poétique di Boileau, questo imperativo si sarebbe tra­ mandato, di generazione in generazione, da Madame de Sévigné, a Madame du Deffand , a julie de Lespinasse, fino a trovare il suo ultimo manifesto nel celebre motto del prin­ cipe di Ligne : « du nature l, surtout du nature l ! » . Prima ancora che nella riflessione teorica, l' estetica del naturel si era imposta in Francia nella pratica viva, e a dare l'esempio era stato il beniamino della Camera azzurra. Pro­ prio Voiture, scriveva per esempio padre Bouhours, un ge­ suita che fu tra i critici più influenti degli anni 1 670-1 680, ha insegnato ai francesi a scrivere con « naturalezza » . 4 An­ che in questo caso, tuttavia, Voiture si limitava a farsi inter­ prete dei gusti di Madame de Rambouillet e dell' hotel di rue Saint-Thomas-du-Louvre. Commentando con Chape­ lain uno dei divertissements da lui scritti per il cercle della marchesa, Guez de Balzac osservava, con una sfumatura di l . Mademoiselle de Scudéry, « É pitre aux Dames », in Les femmes illustres, cit. , p. 29. 2. Stefano Guazzo, La civil conversazione, a cura di Amedeo Quondam, 2 voli. , Panini, Modena, 1 993, libro secondo, vol. I, p. 87. 3. Lettera XLII a Mr de***, in Lettres de Monsieur le Chevalier de Méré, 2 voli. , D . Thierry et C. Barbin, Paris, 1 682, voL I, pp. 223-24. 4. Dominique Bouhours, Les entretiens d 'Ariste et d 'Eugène ( 1 67 1 ) , presenta­ zione di Ferdinand Brunot, A. Colin , Paris, 1 962, « La langue française » , entretien I I , p . 7 9 e « Le bel esprit » , entretien IV, p . 1 33.

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paternalismo : « Se è vero che la Natura si mostra grande so­ prattutto nelle piccole cose, applichiamo questa verità ai bi­ glietti di Voiture, e preferiamoli ai Volumi degli Autori Asia­ tici! » . 1 Il grande maestro dell 'Atticismo francese non si ren­ deva ancora conto che proprio quel nature[ si sarebbe tra­ sformato in una pericolosa minaccia per il suo personale prestigio di scrittore. A differenza di Guez de Balzac, Voiture non aspirava a es­ sere un savant, e tanto meno un « autore » , ma semplice­ mente un galant homme che scriveva con l ' intento esclusivo di piacere ai suoi amici. Destinata alla cerchia mondana che l ' aveva ispirata, la sua poesia ne m imava lo stile: era brillante, discorsiva, aneddotica, veloce, all' insegna della leggerezza e della noncuranza. Appropriandosi con disin­ voltura dei generi poetici minori - stanze , canzoni, ballate, sonetti, epistole , madrigali, rondò -, Voiture « libertineggia­ va »2 con la metrica, disdegnava il labor limae e privilegiava l'immediatezza. Nasceva così, con lui, una poesia da salotto che, non diversamente dalla conversazione , era incentrata sulla capacità di improvvisare . Arte difficile, di cui l 'im­ promptu settecentesco avrebbe rappresentato l 'apoteosi, e che, pur attingendo a un grande repertorio mnemonico e presupponendo un notevole lavoro di preparazione, si fa­ ceva un punto d' onore di cancellare ogni traccia di sforzo e di saper interpretare l ' attimo fuggente. Voiture , notava in­ fatti puntualmente Tallemant, « faceva mostra di improvvi­ sare al momento, il che poteva capitargli spesso , ma altret­ tanto spesso si portava da casa composizioni già prepara­ te » .3 E l' autore delle Historiettes racconta poi uno scherzo che rivela l'alto grado di consapevolezza e di ironia dei fre­ quentatori della Camera azzurra nel complicato gioco di scambi fra oralità e scrittura, fra dilettantismo e tradizione letteraria. « Madame de Rambouillet riuscì a trarlo in inganno. [Voiture] aveva scritto un sonetto di cui era abbastanza sod­ disfatto; lo diede a Madame de Rambouillet, che lo fece stampare, avendo cura di provvedere alla numerazione dell . Guez de Balzac a Chapelain, 1 5 marzo 1 640, in Lettres familières de Mon­ sieur de Balzac à Monsieur Chapelain, Augustin Courbé , Paris, 1 656, lettera VI, libro quinto, p. 464. 2. Tallemant, Historiettes, cit. , vol . l, p. 490. 3. Ibid. , p. 489.

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le pagine e a tutto il resto, e poi lo fece cucire con molta pe­ rizia in una raccolta di versi pubblicata da tempo. Voiture trovò il libro, che era stato lasciato di proposito aperto in quel punto . Lesse varie volte il sonetto; recitò il suo fra sé e sé, per vedere se vi fossero delle differenze; a lungo andare gli si confusero le idee al punto che credette di averlo letto in passato e di averlo non già composto ma semplicemente ricordato. Alla fine, quando ne ebbero riso abbastanza, gli svelarono l' inganno » . 1 La poesia leggera di Voiture suscitava un entusiasmo tale da indurre molti scrittori di professione a seguirne l' esem­ pio. Non solo autori ansiosi di successo, come i Cotin e i Benserade, ma letterati illustri come Chapelain, nonché eruditi come Ménage e Conrart, davano il loro contributo a questo gioco collettivo, che produceva, anno dopo anno, un numero sterminato di versi, e si arricchiva, cammin fa­ cendo, di nuove varianti. Nel l 636, ad esempio, Voiture lan­ ciava la moda dei rondò, e l'anno successivo l' abate Co ti n trionfava con quella degli enigmi. Nel 1 638 giungeva l'ora delle metamorfosi in prosa, e nel 1 640 prendeva piede l'e­ pistola in versi, « che nasceva direttamente dalla vita mon­ dana . . . e diventò il genere per eccellenza a cui ricorrere per gli scambi di notizie, i complimenti galanti e le proffer­ te amorose » .2 E anche in questo - come dubitarne? - Voi­ ture si rivelò un maestro. E tuttavia non fu nelle epistole in versi, bensì nelle lettere in prosa che Voiture diede la piena misura del suo talento. La scrittura epistolare si era andata rivelando, fin dagli inizi, una componente essenziale della vita di società. La lettera fungeva da conversazione trasposta, che non solo consentiva agli assenti di non essere dimenticati, ma per­ metteva loro di brillare a distanza; e al tempo stesso costi­ tuiva, per i destinatari, una fonte di divertimento, di notizie e di svago. Letta ad alta voce, commentata, spesso ricopiata, una lettera poteva raggiungere infatti, attraverso un desti­ natario ben scelto, un 'ampia cerchia di persone . Il caso di Guez de Balzac è esemplare. Relegato nella più remota prol . lbid. , p. 492. 2. Y Fukui, Raffinement précieux dans la poésie française du XV/l siècle, Nizet, Paris, 1 964, pp. 2 1 4- 1 5 .

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vincia francese, « il padre dell 'iperbole » non aveva rinun­ ciato a fare sentire la sua presenza sulla scena parigina gra­ zie, soprattutto, al fitto scambio epistolare con Chapelain. Attraverso di lui Balzac continuava a essere al corrente di tutto quanto avveniva nella capitale, e con l ' aiuto e la me­ diazione dell' amico riusciva a orchestrare una campagna autopromozionale in piena regola. I rapporti dello scrittore con l 'hotel de Rambouillet illustrano in maniera evidente i legami fra scrittura epistolare e vita di salotto. Benché sia al­ tamente improbabile che Balzac abbia mai frequen tato rue Saint-Thomas-du-Louvre, lo si può considerare a pieno tito­ lo un habitué dell' hotel, di cui aveva fi nito per conoscere, grazie a Chapelain , frequentatori, abitudini e gusti. « Del resto non potreste provare curiosità per qualcosa che lo meriti più dell' hotel de Rambouillet. Qui non si parla in modo dotto, ma in modo ragionevole, e non potre bbe es­ ... servi maggiore buon senso e minore pedanteria . . . E il luo­ go in cui, più che altrove, la vostra virtù può trovarsi nella condizione che le sia più congeniale, e sono certo che ne converrete non appena sarete qui e vi avrete fatto qualche visita. Fin d 'ora tutti vi onorano e vi amano e vi considerano presente per il ricordo continuo che hanno del vostro me­ rito » 1 gli scriveva Chapelain il 22 marzo 1 638. E, di lì in avanti, l ' « Eremita della Charente » avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere perché quel « ricordo continuo » non venisse meno. Consapevole del prestigio della Camera azzurra e della sua capacità di incidere sulla moda, Balzac coltivava dun­ que la benevolenza di Arthénice e della sua cerchia met­ tendo in atto una sapiente strategia epistolare . La corri­ spondenza con Chapelain gli consentiva di adulare Mada­ me de Ramqouillet con tatto ed eleganza, in forma indiret­ ta, nella certezza che alla prima occasione l ' amico si sareb­ be premurato di dare pubblica lettura delle sue lettere . E puntualmente, sempre attraverso Chapelain, l ' hotel gli fa­ ceva pervenire il suo apprezzamento e il suo plauso. · così incoraggiato , Guez de Balzac saggiava il terreno per vedere se poteva rendere alla marchesa un pubblico omaggio e , ri­ cevuta una risposta affermativa, le dedicava quattro dei suoi l . Lettres de]ean Chapelain, de l 'Académiefrançaise, publiées par Ph. Tamizey de Larroque , 2 voli . , lmprimerie Nationale, Paris, 1 880-1 883, lettera CLI, vol . I, pp. 2 1 5- 1 6.

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discorsi , tra cui il suo capolavoro, De la vertu romaine. Quale migliore occasione per ricordare che Arthénice discendeva per parte di madre dali' illustre casato romano dei Savelli? Questo corteggiamento a distanza tra due « potenze » un grande scrittore e un 'influente cerchia mondana - si ri­ velava dunque estremamen te proficuo per entrambi e pre­ ludeva ad altri grandi carteggi incentrati sulle regole dello stesso gioco. Da Bussy-Rabutin a Voltaire e all 'abate Galiani, una schiera di illustri esiliati si sarebbero serviti della scrit­ tura epistolare per non essere tagliati fuori dal consorzio ci­ vile, per non essere dimenticati, per difendere i propri in­ teressi; così facendo, avrebbero contribuito, dalla lontanan­ za del loro esilio, a infondere ricchezza, varietà e prestigio a quella vita da cui si sentivano così crudelmente esclusi. Per Balzac, come d 'altronde avverrà anche per Bussy-Ra­ butin e per Voltaire, l' esilio era però anche una scelta, un otium studiosum in cui ritrovare se stessi nel silenzio , nel commercio con gli autori antichi, per poi stabilire un nuo­ vo contatto con il mondo attraverso la scrittura. Mentre l ' hotel de Rambouillet lanciava l' utopia giocosa di un « al­ trove » dove tutto era svago e divertimento, Guez de Balzac faceva del suo ritiro forzato il simbolo della solitudine stu­ diosa e della creazione letteraria: due modelli culturali profondamente diversi, eppure destinati, da quel momento in poi, a incontrarsi sempre più spesso e ad arricchirsi a vi­ cenda. Anche a Voiture sarebbe toccato in sorte di provare a più riprese il dolore della separazione e dell'esilio. « In­ traduttore degli ambasciatori » di Gastone d'Orléans, lo scrittore fu infatti costretto a seguire il fratello ribelle di Luigi XIII nei suoi spostamenti e nelle sue fughe.1 Ma ancor prima di diventare una necessità pratica, impo­ sta dalle circostanze, la lettera era per Voiture un' occasione di seduzione e di gioco. Se Guez de Balzac, compenetrato della propria dignità letteraria, non abbandonava mai un tono ufficiale e togato (leggendo il suo splendido epistola­ rio, si ha l 'impressione che si rivolga ai suoi corrispondenti col pensiero già proiettato verso l 'opera a stampa e il lettol . Nel 1 629 raggiunge Gastone in Lorena; nel 1 632 lo segue in un lungo viaggio attraverso la Spagna; dal luglio 1 632 fino ali' ottobre 1 636 è in Spa­ gna dove svolge mansioni diplomatiche per il suo signore; nel 1 638 è in­ viato dal re come ambasciatore straordinario presso il granduca di Tosca­ na per annunciargli la nascita del futuro Luigi XIV, e raggiunge Firenze passando per Torino, Vercelli, Genova, Livorno.

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re futuro ) , Voiture non si preoccupava minimamente dei posteri e, fedele all 'etica nobiliare del gruppo che lo aveva adottato, scriveva per divertimen to, disdegnando l ' idea di pubblicare le sue opere e rivolgendosi ai suoi lettori con un tono familiare e complice . Ma quando, nel 1 650, dlfe anni dopo la sua morte, apparve, per iniziativa del nipote Etienne Martin de Pinchene, la prima raccolta delle sue lettere, fu pa­ lese che era stato lui e non Balzac a indicare la strada: « Si può dire che Voiture ci abbia insegnato quel modo di scrive­ re naturale e delicato che predomina oggi » scriverà vent'an­ ni dopo padre Bouhours. « Prima di lui si pensava che per es­ sere intelligenti si dovesse parlare come Balzac e che, per esprimere grandi pensieri, accorressero grandi parole » . 1 La maggiore ambizione di Voiture, dunque, era quella di piacere ai destinatari delle sue lettere e di divertirli. Per riu­ scire nel suo intento, egli si mostrava pronto, in primo luo­ go, a giocare la carta dell' autoironia. Uno degli esempi più brillanti è senz' altro la lunga lettera indirizzata a Mademoi­ selle de Bourbon , futura duchessa di Longueville : la princi­ pessina undicenne giaceva a letto ammalata e Voiture, inca­ ricato di distrarla, non era riuscito nell'impresa. Mademoiselle, venerdì pomeriggio mi hanno fatto saltare per aria su una coperta perché non ero riuscito a farvi ridere entro il tempo accordatomi a quello scopo. Madame de Rambouil­ let ha emanato tale sentenza su richiesta di sua figlia e di Mademoiselle Paulet . . . Ebbi un bel gridare e difendermi: qualcuno portò la coperta, e quattro degli uomini più forti del mondo furono scelti per la bisogna. Ciò che posso dire, Mademoiselle, è che nessuno arrivò mai in alto come me, e non credevo che la fortuna mi avrebbe mai innalzato tanto. A ogni colpo mi perdevano di vista e mi lanciavano più in alto di dove possono arrivare le aquile. Vidi, come spianate al di sotto di me, le montagne; vidi i venti e le nubi cammi­ narmi sotto i piedi; scoprii paesi che non avevo mai visto e mari che non avevo mai immaginato . . . Una volta che mi l . Bouhours, « Le bel esprit » , entretien IV, in Les entretiens d 'Ariste et d 'Eugène, cit. , pp. 1 33-34.

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avevano lanciato più in alto, scendendo, mi ritrovai dentro una nube spessissima, e, essendo io estremamente leggero , vi rimasi a lungo impigliato senza ricadere a terra. Cosicché quelli che stavano sotto rimasero un bel po' con la coperta tesa, guardando in alto senza poter immaginare cosa mi fosse successo. Per fortuna non vi era un soffio di vento, perché, se ci fosse stato, la nube, spostandosi, mi avrebbe portato con sé e io avrei finito per precipitare al suolo, cosa che non poteva non farmi assai male. Ma sopraggiunse un incidente ancora più pericoloso. L'ultima volta che mi lan­ ciarono in aria, mi ritrovai in mezzo a un branco di gru, che dapprima si stupirono nel vedermi a quell ' altezza. Ma quando furono più vicine mi presero per uno di quei pig­ mei con cui, come sapete bene, Mademoiselle, esse sono da sempre in guerra, e pensarono che fossi venuto a spiarle anche lassù. Subito mi si scagliarono addosso, a gran colpi di becco, con una violenza tale che credetti di essere tra­ passato da cento colpi di pugnale, e una di loro non mi la­ sciò finché non fui ricaduto sulla coperta. Ciò dissuase i miei aguzzini dal !asciarmi nuovamente alla mercé delle mie nemiche, che si erano ammassate in gran numero e si tenevano sospese nell 'aria in attesa che io vi venissi rispedi­ to. Mi riportarono a casa avvolto in quella stessa coperta, in­ credibilmente prostrato. In verità va detto che si tratta di un esercizio un po ' troppo violento per un uomo debole come me. Potete dunque giudicare, Mademoiselle , quanto questa azione sia stata crudele, e per quanti motivi non pos­ siate non disapprovarla. E senza men tire, poiché siete nata con tan te doti atte al comando, è bene che vi abituiate fin d' ora a odiare l 'ingiustizia e a prendere sotto la vostra pro­ tezione gli oppressi. Vi supplico dunque, Mademoiselle, di dichiarare in primo luogo quest'impresa come un ' aggres­ sione che disconoscete, e di ordinare, al fine di riscattare il mio onore e di farmi recuperare le forze, che venga co­ struito un grande padiglione di organza nella Camera az­ zurra dell ' hotel de Rambouillet. Lì sarò servito e trattato magnificamente, per due giorni interi, dalle due demoiselles che sono state la causa della mia disgrazia. Ai due angoli della stanza si prepareranno in con tinuazione delle confet­ ture, e una di esse soffierà sul fornello mentre l'altra non si occuperà d'altro se non di versare dello sciroppo su un piatto per farlo raffreddare e portarmelo di tanto in tanto.

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Così , Mademoiselle, compirete un atto di giustizia degno di una grande e bella principessa quale siete . . . 1 In realtà, la verve buffonesca dell' autocaricatura masche­ ra qui, con grande delicatezza, una commoven te professio­ ne di devozione totale. L'ornino in miniatura, che veniva fatto rimbalzare come un clown sulla coperta tesa aveva do­ nato tutto se stesso alle tiranniche dame di cui ora subiva il capriccio. Ma nessuna prova doveva apparire troppo dura per chi, come lui, poteva poi pretendere di occupare il cen­ tro della Camera azzurra sotto un baldacchino di organza. L'arte epistolare di Voiture si basava su una conoscenza profonda dei suoi interlocutori, della loro psicologia, dei lo­ ro gusti, delle loro abitudini; tutto ciò contribuiva a fare di lui un autentico maestro dell' elogio. Le sue lettere erano uno specchio incantatore, dove le persone a cui erano indi­ rizzate potevano cogliere il riflesso sublimato della propria immagine. Ma tutti i frequentatori dell' hotel de Rambouillet facevano ugualmente festa ai suoi exploit epistolari, perché essi consentivano loro di evocare all' infinito alcuni preziosi frammenti della propria storia. Applaudendo Voiture, la Ca­ mera azzurra applaudiva, in ultima analisi, anche se stessa, e questa specularità era il frutto di un forte condizionamento reciproco. Facendosi cronista dell'hotel, lo scrittore non si li­ mitava a interpretarne lo spirito; ne aumentava anche la au­ toconsapevolezza, fornendo a esso, grazie ali' evidenza della scrittura, la prova definitiva dello stile. Voiture non era infat­ ti una delle creazioni più brillanti d eli ' hotel medesimo, la di­ mostrazione inconfutabile della sua virtù educatrice? In un omaggio non privo di riserve, Pellisson sembrava voler sotto­ lineare i legami di reciproca dipendenza fra Voiture e la Ca­ mera azzurra: « Che goda eternamente del privilegio di aver fatto parte della più bella e più galante società che mai sia esistita, dalla quale ha molto ricevuto e alla quale ha reso al­ trettanto; che incanti eternamente quanto di più delicato vi sarà mai al mondo ; che sia eternamente inimitabile, ma che non ci accusino eternamente di imitarlo » .2 l . Voiture a Mademoiselle de Bourbon ( 1 630 ca) , lettera IX, in CEuvres de Voiture, cit. , vol. l, pp. 40-44. 2. Paul Pellisson , Prefazione a Les CEuvres de Monsieur Sarasin, cit. , p. 42.

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Erano state l e donne che avevano reso i l talento di Voitu­ re « inimitabile » , ripagandolo così della sua ammirazione per loro. Non era forse il primo scrittore francese moderno a dedicare tutta la sua attenzione a un pubblico femminile? « Sarebbe un errore credere che l' approvazione da parte degli uomini, quali che possano essere i loro titoli quanto a ricchezze e a sussiego, gli giovi di più del plauso di quelle donne illustri che hanno fatto della sua compagnia e dei suoi scritti uno dei loro più piacevoli svaghi » .1 Ed è proprio alla straordinaria qualità di quelle lettrici, delle loro aspet­ tative, della loro sensibilità, del loro giudizio che Voiture fa­ ceva appello, ricevendone in cambio il favore . Con le sue lettere , come già con le sue composizioni in versi, Voiture dimostrava di eccellere nel badinage galante, un' arte del corteggiamento delicata e sapien te, in difficile equilibrio tra sincerità e menzogna, tra audacia e rispetto, tra esprit e cuore . Come innalzare una donna, e poi un ' altra, e poi un 'altra ancora, al di sopra di tutte le perfezioni, e rinverdire ogni volta uno stereotipo che, per giungere dawero a lusingare, non poteva fare a meno di una parvenza di verità? Come conciliare l'eccitante effervescenza del corteggiamento amo­ roso con la lucida consapevolezza della finzione mondana? Come riuscire, insomma, a sostenere e al tempo stesso a ne­ gare un certo messaggio, attraverso un discorso complice e insieme plateale? L'arte del badinage consisteva, per l'ap­ punto, nel saper conciliare tutte queste contraddizioni sot­ to il segno del gioco, nel mettere in scena la commedia scherzosa e brillan te del corteggiamento amoroso senza tuttavia confonderla con la realtà della vita. Ma il badinage galante seduceva anche per una congenita ambiguità di fondo: la simulazione dell 'amore non poteva, infatti, servi­ re a sua volta da schermo per dissimulare un sen timento che non osava manifestarsi alla luce del sole? È certamente difficile non avere questo sospetto leggen­ do le lettere di Voiture ajulie d'Angennes. E se con lei il ba­ dinage galante dello scrittore raggiungeva il culmine del vir­ tuosismo, ciò dipendeva dal fatto che a nessun ' altra donna mai egli aveva così intensamente desiderato piacere. Probal . É tienne Martin de Pinchene, Préface a Les fEuvres de Monsieur de Voitu­ re. Seconde édition, revue, corrigée, et augmentée, Augustin Courbé, Pa­ ris, 1 650, p. 7.

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bilmente lo scrittore amava dawero di un amore impossibi­ le la figlia primogenita di Madame de Rambouillet, e il ba­ dinage gli offriva il solo modo di corteggiarla senza recarle offesa. Le due lettere che seguono sono giustamente celebri e rappresentano dei modelli assoluti del genere . Entrambe sono scritte per gioco, ed entrambe sono destinate a una doppia lettura: quella privata di Julie e quella pubblica dei frequentatori della Camera azzurra. La Lettre à Mademoiselle de Rambouillet, sous le nom du Roi de Suède, datata marzo 1 632, è uno scherzo in puro stile Ram­ bouillet. Si parlava molto, nella Camera azzurra, della pas­ sione della primogenita della marchesa per il re di Svezia, i cui successi militari avevano riempito di ammirazione l'Eu­ ropa. Julie, per prima, alimentava queste voci, esponendo un ritratto di Gustavo Adolfo nella sua camera da letto . Era difficile pensare a uno spunto migliore di badinage per i let­ terati dell'hotel, e questa volta fu Chapelain ad avere i ri­ flessi più pronti. Due poesie anonime, La Couronne Impéria­ le e L 'Aigle de l 'Empire, in cui Gustavo Adolfo esprimeva a ju­ lie la sua gratitudine e l a sua tenerezza, vennero recapitate in circostanze misteriose, e a breve distanza l'una dall' altra, in rue Saint-Thomas-du-Louvre. Tutto l 'hotel ammirò i ver­ si e si appassionò all' enigma; e più d'uno dei suoi frequen­ tatori abituali si cimentò in quel gioco letterario. Arrivato, buon ultimo, in una situazione in cui tutto sem­ brava già essere stato tentato, Voiture dimostrò di saper fa­ re di meglio. In effetti, quando i Rambouillet videro fer­ marsi davanti alla loro casa una grande carrozza e scender­ ne varie persone vestite alla svedese che recavano in dono un ritratto di Gustavo Adolfo, rimasero di stucco: la fama dell' hotel aveva dawero raggiunto la Svezia? Ma bastarono poche righe ·della lettera consegnata a Julie per capire che si trattava di uno scherzo e che solo Voiture poteva esserne l' autore. Mademoiselle , ecco il Leone del Nord, quel conquistatore il cui nome ha suscitato tanto clamore nel mondo, che viene a depor­ re ai vostri piedi i trofei della Germania e che , dopo aver sconfitto Tilly e aver abbattuto la potenza spagnola e le forze dell' Impero , viene a fare atto di sottomissione al vo­ stro . Tra le grida di gioia e i canti di vittoria che sento

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echeggiare da tanti giorni non ho udito niente di più gra­ devole di quanto mi è stato riferito , ossia che mi portate nel cuore . Da quando l ' ho saputo, ho mutato tutti i miei piani e concentrato in voi sola quell' ambizione che ab­ bracciava la terra intera. Ciò non significa che io abbia ri­ dimensionato i miei progetti, ma che li ho innalzati. Perché anche la terra ha i suoi limiti e il desiderio di conquistarne il dominio non ha infiammato solo il mio animo. Ma que­ sto vostro spirito che suscita tanta ammirazione e che non si può né misurare né compenetrare , questo cuore che si colloca molto al di sopra degli scettri e delle corone, e que­ sta grazia che vi fa regnare su qualsiasi volon tà, sono beni infiniti a cui nessuno , al di fuori di me, ha mai osato aspi­ rare . Coloro che ambivano a dominare più mondi nutriva­ no desideri più moderati dei miei. Qualora i miei voti po­ tessero realizzarsi, e se la fortuna che mi fa vincere ovun­ que mi assiste anche con voi , non invidierò ad Alessandro tutte le sue conquiste , forte della convinzione che coloro che hanno esercitato il loro dominio sull 'intera umanità non possono van tare un impero bello ed esteso quan to il mio. Vi direi di più, Mademoiselle, ma in questo preciso momen to mi accingo a dar battaglia all ' esercito imperiale e a espugnare Norimberga nel giro di sei ore . Sono, Made­ moiselle , il Vostro appassionato servitore , Gustavo Adolfo1 Generico nella laudatio - l 'intelligenza, il cuore, la venu­ stà di julie sono incomparabili -, l'omaggio galante di Voi­ ture doveva il suo successo all' invenzione e alla sorpresa. La prima minaccia insita nel badinage era la monotonia e, nel caso della primogenita dei Rambouillet - la fanciulla più celebrata della sua epoca -, il rischio era particolarmente alto. Invece di preoccuparsi di escogitare dei complimenti originali, Voiture aveva deciso di puntare sulla spettacola­ rizzazione dell 'omaggio attraverso un ' azione in due tempi. Un colpo di scena iniziale - l'arrivo della delegazione sve­ dese, la consegna della lettera e del ritratto - catturava l'at­ tenzione generale e la fissava su julie. La lettura della missi­ va rendeva poi alla giovane donna il più lusinghiero degli elogi: elogio eccezionale non tanto per i complimenti in sé, l . Voiture a Mademoiselle de Rambouillet [marzo 1 632] , lettera XXII, in CEuvres de Voiture, cit. , vol. I , pp. 73-75.

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ma per colui che li aveva formulati. Il « conquistatore d 'Eu­ ropa » si chinava umilmente davanti a colei che si riteneva inconquistabile , e poteva esprimere pubblicamen te quella speranza d' amore che Voiture era costretto a tacere .

È ancora alla sorpresa che si affidava il Re Chiquito 1 per restituire a uno dei topoi più abusati della retorica amoro­ sa, l'indifferenza della « bella crudele » , un lieve, garbatissi­ mo soffio di autentica malinconia. Nel 1 637 una lettera di Julie suggerì a Voiture, allora lontano da Parigi, un ma­ gnifico spunto di badinage: i puristi dell'Académie française si erano dichiarati contro la congiunzione car e a favore di pour ce que, e la figlia di Arthénice era scesa in campo in sua difesa. L'argomento, ampiamente dibattuto nel bel mondo pari­ gino , si prestava splendidamente al doppio obiettivo di ce­ lebrare julie e di interessare tutti i frequentatori dell'hotel . Lo scrittore poteva così, a dispetto della distanza, ricordare al suo pubblico che nessuno sapeva essere più spiritoso di lui, e nessuno possedeva come lui il segreto del riso. Mademoiselle, poiché car gode nella nostra lingua di una così grande considerazione, approvo incondizionatamente il vostro sde­ gno per il torto che vogliono fargli . . . In tempi in cui il fato suscita tragedie in Europa, non vedo niente di più degno di pietà del fatto che si sia pronti a espellere e a mettere sotto processo una parola che ha servito così proficuamente que­ sta monarchia e che in tutte le discordie del regno si è sem­ pre dimostrata una buona francese . . . Ignoro chi possa avere in teresse a togliere a car ciò che gli appartiene per darlo a pour ce que, né per quale motivo si voglia dire con tre parole ciò che si può dire con tre lettere . . . Ma voi , Mademoiselle , siete tenuta ad assumervi il compito di proteggerlo. Poiché la forza più grande e la più perfetta bellezza della nostra lin­ gua risiedono nella vostra, dovete esercitare su di essa un po­ tere sovrano e far vivere o morire le parole a vostro piacere . E in verità credo che abbiate già salvato questa dal rischio l . Il nornignolo era preso dalla storia di uno gnomo diventato re di Gra­ nada ed era stato dato a Voiture da julie d'Angennes in considerazione della sua bassa statura e della sua passione per la Spagna.

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che correva: racchiudendo la nella vostra lettera, l'avete po­ sta in un rifugio e in un luogo glorioso dove né il tempo né l'invidia riusciranno a toccarla. In tutto questo, confesso di essere rimasto stupito nel vedere quanto le vostre bontà sia­ no bizzarre, e non riesco a non trovare strano che voi, Ma­ demoiselle, che lasciate perire cento uomini senza esserne mossa a pietà, non sopportiate di veder morire una sillaba. Se aveste avuto per me tutte le attenzioni che avete per car, sarei stato, malgrado la mia cattiva stella, un uomo felice, e la povertà, l'esilio e il dolore mi avrebbero solo sfiorato . . . Ab­ biate più considerazione per me la prossima volta, ve ne pre­ go, e quando vi lancerete in difesa degli afflitti non dimenti­ cate che anch 'io ne faccio parte. Mi servirò sempre del car per obbligarvi ad accordarmi questa grazia . 1 . .

Sotto la sua penna, la contesa linguistica si trasforma in parodia, e car diven ta l' eroe perseguitato di una tragico m­ media. Ma, giunto all' apice del racconto - l 'intervento sal­ vifico di Julie -, Voiture introduce inaspettatamente una nota personale e dolente: se solo l' illustre , potentissima da­ ma gli avesse dispensato un po' della pietà da lei dimostrata per una semplice sillaba, nessuna disgrazia avrebbe mai po­ tuto ferirlo. La controversia linguistica non era, tuttavia, un puro pre­ testo di badinage: era l'occasione per rendere a Mademoisel­ le d'Angennes il più ambito dei riconoscimenti, quello di es­ sere arbitra assoluta della lingua. Per una volta non ci trovia­ mo davanti a un complimento iperbolico ma a un preciso giudizio di merito. Come sua madre, come le altre nobildon­ ne che frequentano la Camera azzurra, Julie parla un france­ se perfetto, possiede d'istinto la conoscenza della lingua, e la sua autorità in materia è indiscussa. Voiture non era il solo a nutrire questa convinzione. Proprio all'hotel de Rambouillet Vaugelas andrà a registrare, per le sue Remarques sur la langue françoise, utiles à ceux qui veulent bien parler et bien écrire, il « buon uso » della lingua, il francese « puro » parlato dalla « plus sai ne parti e de la cour ». 2 Facendo della figlia primoge­ nita di Arthénice l'emblema della supremazia linguistica dell . Voiture a Maden1oiselle de Rambouillet [ 1 637 ca] , lettera CI, in CEuvres de Voiture, cit. , vol. l, pp. 293-96. 2. Claude Favre de Vaugelas, Remarques sur la langue françoise, chez la Veu­ ve J. Camusat et P. Le Petit, Paris, 1 647, rist. anastatica, a cura di Jeanne Streicher, Droz, Paris, 1 934, Prefazione, p. 2.

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l 'hotel, Voiture la elevava così a simbolo della nuova regalità femminile in materia di lingua e di gusto. E tuttavia, né l ' arte di piacere, né il talento di divertire avevano il potere, come scriverà un secolo dopo Madame de Staal-Delaunay, di riscattare dal « peccato originale » del­ la nascita. 1 Il processo di iniziazione che aveva permesso a Voiture di accedere alla Camera azzurra era un processo per natura incompleto, che non comportava una cittadi­ nanza a pieno diritto. Se Voiture tendeva a dimenticarsene, c' era sempre qualcuno pronto a ricordarglielo. Fra i tanti giochi di società in voga nel bel mondo, ri­ scuoteva allora molto successo quello di comporre delle filastrocche collettive, a rima obbligata, a cui tutti potevano divertirsi ad aggiungere una strofa. Sembra, stando a Talle­ mant, che fosse stata Madame des Loges, senz' ombra di ma­ levolenza, a lanciare quella con la rima in ture, destinata a costituire le portrait du pitoyable Voiture. L'intenzione era as­ solutamente scherzosa ma, cammin facendo, qualcuno non si era peritato di cambiare di tono, passando dall' ironia bo­ naria all ' offesa brutale.2 Una lettera all' abate Costar, erudito e latinista con cui Voiture intratteneva rapporti di amicizia e solidarietà, rivela tutta la profondità della ferita: « Vi mando dei versi che sono stati composti contro di me, e in cui si fa rimare Voiture con roture . . pur non assomi­ gliandoci in nient'altro, [Orazio e io] ci assomigliamo per la nostra estrazione plebea . . . E mi sembra che, quando avrò fatto un libro, potrò ben rivolgere a esso le parole che Ora­ zio dice al suo : "Me libertino natum patre, et in tenui re l Maiores pennas nido extendisse loqueris ". Non oserei aggiungere ciò che segue: " Ut quantum generi demas, virtutibus addas".3 « Ditelo per me , se ritenete che io lo meriti. In verità, .

l. Mémoires de Madame de Staal, Firmin-Didot, Paris, 1 928 (l ediz., 1 755) ( trad. it. Memorie, a cura di Daria Galateria, Adelphi, Milano, 1 995, p: 273) . 2. Tallemant, Historiettes, cit. , vol. l, p. 488. Scritti probabilmente intorno al 1 633-1 634, i versi erano: « C'est une aimable créature, l Si sa race estoit sans rature, l Et sa naissance sans roture» ( « È un ' amabile creatura, l Se solo la sua razza non fosse impura, l E la sua nascita non fosse plebea » ) . 3. « Tu racconterai [o libretto] che ero nato da padre liberto, in una po­ vera casa, e volai , oltre assai il mio piccolo nido; e quanto non dirai della nascita, altrettanto attribuirai al merito » , Orazio, Lettere, I, 20, vv . 20-22, trad. it. di Enzo Mandruzzato, Rizzoli, Milano, 1 983, p. 209. a

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Vincent Voi ture, ovvero l' «a me du rond »

Monsieur, coloro che mi muovono simili rimproveri mi co­ noscono assai poco se pensano di farmi dispetto. Vi assicuro che vorrei che tutti sapessero chi sono. Così mi disprezze­ rebbero di meno se valessi poco, e se avessi del merito mi apprezzerebbero ancora di più. La nobiltà occupa senz'al­ tro un posto importante nella gerarchia dei beni toccati ci in sorte, e costituisce un vantaggio che consente di acquisirne molti altri. Ma vi sono tante altre cose più desiderabili nella vita, e questa sarebbe una delle ultime che mi azzarderei a desiderare. Se non si potesse essere generosi senza essere quello che i latini chiamano generosus, 1 se non si potesse ave­ re una bella mente e un'anima forte , grande, superiore; se la salute, la reputazione e le ricchezze dipendessero neces­ sariamente dalla nascita, allora non ci sarebbe consolazione possibile né per Orazio né per me. Ma così non è, grazie a Dio , e so che sull ' argomento vi sono una intera satira di Giovenale e una intera arringa di Mario in Sallustio 2 « Ma forse non conoscete quel proverbio castigliano se­ condo cui ciascuno è figlio delle proprie opere, né la rispo­ sta data a un signore italiano da un bravo di quel paese: "Io e il mio braccio destro, che adesso riconosco come mio pa­ dre, valiamo più di voi". Permette temi anche di precisare che in spagnolo hidalgo, che significa « gentiluomo » , viene da hijo d 'algo, ossia, « figlio di qualcosa » : a sottolineare che la vera nobiltà deriva dalle azioni virtuose che ci danno una seconda nascita, migliore e più gloriosa della prima. « Stando così le cose, Monsieur, colui che è nato plebeo può rinascere gen tiluomo e inondare la sua vita di luce, no­ nostan te l'oscurità della sua origine. Ma per far questo bi­ sogna possedere le qualità straordinarie che a me mancano e mancheranno sempre . La mia fortuna è che esse non sia­ no indispensabili per avere la vostra amicizia: perderei la speranza di poterla conservare, e questo è uno dei pensieri che più mi rallegrano » .3 . . .

Colpito nel vivo, Voiture cambiava improvvisamente regi­ stro e si esponeva a viso scoperto. Non v'è traccia d'ironia o di scherzo in questa bella lettera in cui, assumendo il tono l . Colui che appartiene a un genus, a una famiglia nobile . 2. Satira VIII, Bellumjugurthinum, cap. LXXXV. 3. Voiture, Correspondance de Voiture avec Costar, billet IV, in CEuvres de Voi­ ture, cit. , vol. II, pp. 1 48-50.

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del moralista, egli inalbera la sua dignità di intellettuale e di borghese. Il termine « gentiluomo » non si limitava per lui a designare una condizione sociale, rinviava anche a una dimensione spirituale . Come aveva già teorizzato Stefano Guazzo nella Civil conversazione, vi è una nobiltà dell'anima che prescinde dalla nascita e si forgia n eli' esercizio della virtù . 1 Dimenticando, sotto l'effetto dell 'indignazione, il suo distacco di scrittore dilettante, Voiture rivendica qui implicitamente, dietro la modestia d 'obbligo, il valore della propria opera. Eppure lo scrittore sapeva per esperienza che questa « seconda nascita, migliore e più gloriosa della prima » , non veniva sempre riconosciuta e comportava una sfida, destinata a ripetersi generazione dopo generazione. Ancora una volta Voiture ci appare come un caso emble­ matico che preannuncia il futuro. Con lui il letterato faceva il suo ingresso nella vita mondana, diventandone un ele­ mento integrante, ma conservando uno statuto fortemente ambiguo. Ricercato, vezzeggiato, conteso, l ' « intellettuale » avrebbe continuato a essere trattato dalle élite nobiliari co­ me uguale e, al tempo stesso , come diverso. Uguale nello spazio utopico del salotto, egli non poteva che occupare una posizione di inferiorità nel generale contesto di una so­ cietà gerarchica, organizzata in base alla nascita e al censo. Nemmeno l 'immenso prestigio acquisito dai gens de lettres nel secolo dei Lumi avrebbe cancellato del tutto la loro di­ versità sociale. A ridosso della Rivoluzione, un aneddoto ri­ guardante Chamfort, che più di chiunque altro doveva vi­ vere fino in fondo il dramma della doppia appartenenza, segnala il perdurare di questa situazione bloccata. Ce lo ri­ ferisce Sainte-Beuve : « Un giorno il marchese di Créqui gli disse: "Ma, Monsieur de Chamfort, mi sembra che oggi un uomo d'ingegno sia pari a chiunque , e che il nome non ab­ bia più alcun peso". "Parlate bene, signor marchese , " re­ plicò Chamfort "ma supponete che invece di chiamarvi Monsieur de Créqui vi chiamaste Monsieur Criquet : entrate in un salotto e vedrete se l'effetto è lo stesso » . 2 Del resto, la frase del bravo italiano che Voiture riportava ali' amico - « Io e il mio braccio destro , che adesso riconol . Cfr. Guazzo , La civil conversazione, cit. , libro secondo, vol. I , pp. 1 24 sgg. 2. Charles-Augustin Sain te-Beuve , « Chamfort » , in Causeries du lundi, 3a édition , revue et corrigée , 1 5 voll. e l vol . di indici, Garnier, Paris, 1 8571 870, vol. IV, p. 540, nota l .

Vincent Voiture, ovvero l'«ame du rond »

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sco come mio padre , valiamo più di voi » - sembra antici­ pare lo scambio di battute che sarebbe intercorso tra il gio­ vane Voltaire e il cavaliere di Rohan verso la fine del mese di gennaio del 1 726. Uno scambio in due tempi, prima all'Opéra e poi, due giorni dopo, nel foyer della Comé­ die-française . Alla domanda provocatoria dell' aristocratico - « Monsieur de Voltaire, Monsieur Arouet, come vi chiama­ te?» -, lo scrittore rispondeva in modo ugualmente provo­ catorio: « E voi, vi chiamate Rohan o Chabot? » . Poi rincara­ va la dose, precisando che la differenza tra loro consisteva nel fatto che , mentre il cavaliere disonorava un nome illu­ stre, lui rendeva immortale il proprio . 1 Come già era avve­ nuto a Voiture, il successo mondano aveva indotto Voltaire a credere che nascita e merito potessero fronteggiarsi alla pari e godessero di uguale considerazione; la villania di un privilegiato lo costringeva ora, bruscamente, a constatare che non era affatto così: il figlio di un notaio non poteva rintuzzare impunemente le offese del discendente di una delle più fiere casate di Francia, e Rohan lo obbligava a prenderne atto facendolo bastonare dai suoi servi . Il gesto era indegno, e il cavaliere un noto degenerato : malgrado ciò, nessuno degli amici aristocratici di Voltaire si sarebbe fatto avanti a prendere apertamente le sue difese. In fondo, come avrebbe avuto a dire il maresciallo di Villars, « non era altro che un poeta » .2 Eppure, nonostan te tutto, il poeta si ostinava a condursi come un gentiluomo e prendeva le­ zioni di scherma per sfidare Rohan a duello. Questa volta, però, erano le forze dell 'ordine a rimettere Voltaire al suo posto, mandandolo alla Bastiglia. Il duello aveva esercitato anche su Voiture una attrazione profonda, fin quasi a diventare una mania. In anni in cui il diritto di tutelare il proprio onore con la spada era stato di­ feso dalla nobiltà a costo della vita, la pratica del duello, simbolo per eccellenza del costume aristocratico, sembrava poter conferire a un uomo del Terzo Stato la provvisoria il­ lusione di una promozione sociale . Così, desideroso di mo­ dellare il proprio comportamento su quello dei nobili ami­ ci della marchesa di Rambouillet, Voiture univa allo sprez­ zo per il denaro quello per la vita. Eppure sarebbe stato l . Cfr. René Pomeau, D 'Arouet à Voltaire, 1694-1 734, The Voltaire Founda­ tion , Taylor Institution , Oxford, 1 985, p. 204. 2. lbid. , p. 206.

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proprio un duello, e per di più un duello ridicolo, a farlo estromettere dalla Camera azzurra poco tempo prima della sua triste fine. Non solo, dopo il matrimonio di Julie d 'An­ gennes, egli aveva avuto l' audacia di innamorarsi della fi­ glia più giovane della marchesa, Angélique-Clarice, e di mostrarsene geloso, ma era stato così dissennato da battersi per lei con Chavaroche, l 'intendente dei Rambouillet. Ge­ sto di una involontaria comicità, di una confusione di ruoli inaccettabile per la buona reputazione dell' hotel. In verità, la sola scherma concessa a Voiture era quella verbale, e for­ se , anche in questo caso, la sua grande libertà di parola, persino la sua insolenza, più che di parità, era indizio di di­ suguaglianza. « "Se Voiture fosse uno di noi," diceva Mon­ sieur le Prince "non sarebbe tollerabile "» . 1 E allora viene da chiedersi se l'indulgenza di cui egli godeva all'hotel de Rambouillet non fosse in fondo, al di là delle apparenze, quella che i grandi signori da sempre concedevano ai loro buffoni.

l . Tallemant, Historiettes, cit. , vol. l, p. 489.

v LA GUI RLANDE DE JULIE

L'impertinenza, l 'allegria, il riso di Voiture non divertiva­ no il duca di Montausier, dal 1 632 frequentatore assiduo del­ l'hotel de Ra.mbouillet. Per molto tempo il pretendente di Julie d'Angennes era stato bersaglio degli scherzi del

curps, la

piccola banda di giovani scavezzacollo capitanata dall'unico figlio

maschio

dei Rambouillet, Léon-Pompée, marchese di

Pisani. Ignorantissimo e illetterato, Pisani provava per il poe­ ta dell'hotel un 'amicizia senza riserve e Io aveva cooptato nel suo gruppo. Il loro sodalizio, d'altronde, non era casuale. L'irriverenza del giovane marchese, il suo gusto per la farsa, lo spirito salace, l'audacia temeraria

mascheravano,

come in

Voiture , la mortificazione profonda di chi si sente escluso dalla pienezza dell'esistenza: piccolo, gobbo e deforme, Pisa­ ni esorcizzava il suo dramma con il riso. All' hotel de Ra.mbouillet, dunque, il raffi nato, mondano Voiture non si consacrava solo a piacere alle dame, ma si al­ leava con

I'enfant terrible della

casa che, indifferente alla ri­

voluzione che stava awenendo nel salotto di sua madre, si prendeva gioco delle buone maniere e ostentava l 'ignoran­ za come un vanto. Charles de Sainte-Maure, poi duca di Montausier, al contrario, era un uomo austero e introverso che, adempiuto al suo dovere di soldato, amava dedicarsi agli studi e intrattenere rapporti eruditi con letterati illu-

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stri. La cultura per lui non era, come per Pisani, un ' attività pedantesca, incompatibile con la fierezza aristocratica. Ciò che appariva disdicevole a Montausier, semmai, era la chias­ sosa irriverenza del corps e l'insopportabile petulanza di Voiture, tanto più che la sua posizione di pretendente alla mano di Julie lo rendeva particolarmente vulnerabile agli attacchi di entrambi. Ed ecco che Montausier riusciva a vendicarsi di Voiture nel più sottile dei modi, battendolo sul suo stesso terreno ed escludendo il re dei galanti dalla « più grande galanteria che mai vi fu » . I l 2 2 maggio 1 64 1 , giorno del suo onomastico, Julie d' Angennes aveva trovato al suo risveglio un regalo straor­ dinario: sul tavolo da toilette della sua camera da letto, rac­ chiuso in una custodia di legno odoroso, vi era il libro più bello che avesse mai visto. Un libro che era stato ideato ap­ positamente per lei, portava il suo nome, la celebrava a ogni pagina ed era una delicata, strugge n te dichiarazione d'amore. Si trattava di un manoscritto - rilegato in maroc­ chino rosso, con le iniziali della destinataria impresse sul dorso a caratteri d' oro -, che alternava ventinove tavole di­ pinte a mano su carta velina a quaranta fogli di pergamena finissima su cui erano stati trascritti, con calligrafia impa­ reggiabile, altrettanti brevi componimenti poetici . Una me­ ravigliosa ghirlanda floreale ornava il frontespizio, dando il titolo ali' opera e annunciandone il tema: La Guirlande defu­ Zie. Ognuno dei ventinove fiori di cui era intessuto il serto destinato a incoronare la fronte della damigella più ammi­ rata della sua epoca occupava, all ' interno del volume , una tavola a sé , e ciascun fiore prendeva la parola, con uno o più madrigali, per illustrare la bellezza e la virtù di julie. Questo tour de force prezioso non era solo un gioco let­ terario: dietro le convenzioni della retorica amorosa e il vir­ tuosismo delle allusioni simboliche palpitava il troppo reale sentimento che il duca di Montausier nutriva da oltre dieci anni per una donna che si dichiarava inaccessibile a qual­ siasi profferta amorosa. A tren tasette anni, in un 'età in cui le sue coetanee erano già nonne, Julie d'Angennes si considerava ancora una gio­ vinetta, e non voleva fare i conti con la realtà. La sua vera vocazione era la vita di società: riscuotere l' ammirazione generale , non l asciarla mai venir meno, accrescere ogni giorno il numero delle sue conquiste le sembrava un 'im­ presa molto più emozionan te che regnare su un unico cuo-

La Guirlande deJulie

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re . Ma ci si poteva poi aspettare qualcosa di diverso dalla figlia della marchesa di Rambouillet? Se Arthénice aveva sa­ puto fare del suo salotto il modello della nuova sociabilité francese; se , grazie al suo esempio, l' arte delle buone ma­ niere e la religione del buon gusto erano destinate a diven­ tare patrimonio irrinunciabile della cultura delle élite no­ biliari, come poteva la sua primogenita non rappresen tare, ai propri stessi occhi e a quelli del mondo, l 'incarnazione perfetta di quell esprit de société che era tornato a splendere nella Camera azzurra? Figlia prediletta, cresciuta accanto alla madre , Julie era il capolavoro pedagogico della mar­ chesa: aveva un portamento regale, danzava in modo impa­ reggiabile, possedeva un tatto squ�sito e un gusto infallibile; la sua conversazione sapeva essere varia, spiritosa, brillante, senza però mai prevaricare su quella dei suoi interlocutori; e tutti facevano a gara per ottenere il suo amore. « Dopo Elena » scriveva Talleman t « non vi è stata persona al mondo la cui avvenenza non fosse più unanimemente celebrata; eppure non è mai stata una vera bellezza . . . Danzando però in modo mirabile, con lo spirito e la grazia che sempre l'hanno contraddistinta, era una persona davvero degna di ammirazione » . 1 M a l e passioni e l a violenza dell 'Eros non avevano acces­ so all 'hotel de Rambouillet. Lì, come abbiamo visto , la ga­ lanteria doveva essere senza amore , la lingua monda da ogni impurità; lì la vita stessa ambiva a farsi pura rappre­ sentazione artistica. Madame de Rambouillet soleva ripete­ re che, se avesse potuto tornare indietro negli anni, non si sarebbe sposata, e Julie realizzava le aspirazioni materne: perché porre fine alla più libera e armoniosa delle esisten­ ze, per abbracciare la prosaica realtà del matrimonio? Sarebbe tuttavia sbagliato credere che Mademoiselle d'Angennes fosse la reincarnazione mondana di sua ma­ dre, il suo doppio perfetto . Basta confrontare i giudizi dei contemporanei per cogliere una sostanziale diversità di ca­ rattere e di stile fra le due donne: una diversità evidente per i frequentatori dell 'hotel e quanto mai premonitrice dell 'e­ voluzione che la sociabilité francese avrebbe avuto nei suoi sviluppi successivi . Per la figlia della marchesa di Rambouillet, la mondanità '

l.

Historiettes, cit. , vol. I, p. 457.

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non era, come per sua madre , occasione esclusiva di svago, fuga verso l'Arcadia, gioco gratuito. Madame de Rambouil­ let aveva creato un mondo a propria immagine e somi­ glianza, Julie non in tendeva stabilire confini alle proprie ambizioni di conquista. La marchesa aveva voltato le spalle alla corte, sua figlia, avendo fatto della seduzione mondana lo strumento più efficace della propria ambizione , vi sareb­ be un giorno tornata in favore. Più forte di ogni sentimen­ to - dell'amore , dell 'amicizia, del senso della propria in te­ grità morale -, ciò che spingeva Mademoiselle d'Angennes alla ricerca di un consenso indiscriminato era un imperioso bisogno di piacere . Nel ritratto a chiave di julie che Made­ leine de Scudéry pubblicava, nel 1 65 1 , nel Grand Cyrus aleg­ gia l' ombra di un sospetto: come può Philonide 1 corrispon­ dere ai sentimenti di un numero così prodigioso di amici? Poiché la scrittrice conosceva meglio di chiunque altro la natura artificiale, inautentica della rappresentazione mon­ dana, ella sapeva bene che il successo di ciascuno dipende­ va dalla capacità di interpretare con naturalezza e persuasi­ vità un modello di comportamento altamente codificato. E nella condotta di Julie , nel suo desiderio d'applausi, vi era un virtuosismo eccessivo , che sollevava un problema di cre­ dibilità e apriva un interrogativo sui sentimenti che poteva­ no dissimularsi dietro alla infinita amabilità dei suoi modi. Nessuno riusciva a penetrare il suo enigma perché, come concludeva diplomaticamente Mademoiselle de Scudéry, « ella sola sa con certezza chi ama e in che misura » . 2 Assai più esplicita e diretta - ma non scriveva i suoi Mé­ moires per i contemporanei -, Madame de Motteville coglie­ va invece tutta la potenziale ambiguità morale di un art de plaire che , un secolo dopo, Rousseau avrebbe denunciato come suprema manifestazione dell ' « amor proprio » e co­ me proterva volontà di dominio: « Si comportava con i suoi amici e le sue amiche in modo così amabile che non si po­ teva fare a meno di desiderare di piacerle . . . Le sue dimo­ strazioni d'amicizia erano talmente cortesi che tutte le . per­ sone che la vedevano ne erano lusingate e ciascuna credeva di ricevere un ' attenzione particolare. Dicevano, però, che avesse un difetto, e talvolta le confidavano direttamente le l . Questo il soprannome « prezioso » che si era sceltaJulie d'Angennes. 2. Artamène ou le Grand Cyrus, cit. , parte settima, libro primo, vol. VI I , p. 302 .

La Guirlande deJulie

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insinuazioni di cui era oggetto. Le rimproveravano di voler sempre blandire con la sua cortesia anche le persone che non godevano della sua stima, e coloro che credevano di meritarla si lamentavano del fatto che ella sembrasse con­ cederla a tutti in uguale misura e l' accusavano di interessar­ si a un numero eccessivo di persone, dicendo che, per vole­ re troppi amici, non ne aveva alcuno » . 1 Scritto in torno al l 66 1 , il ritratto di Madame de Mottevil­ le dipingeva Julie negli anni della piena maturità, in un 'e­ poca in cui i fasti dell' hotel de Rambouillet erano già en­ trati a far parte della leggenda. Tuttavia, fin da quando, quarant' anni prima, la figlia prediletta della marchesa ave­ va fatto il suo ingresso nella Camera azzurra, era parso evi­ dente che ella non si limitava a essere un semplice orna­ mento del salotto materno, ma ne costituiva una delle prin­ cipali attrattive. Insieme, nello spazio chiuso del cercle, ma­ dre e figlia si completavano mirabilmente: la prima più rac­ colta, più posata, più attenta; l' altra più comunicativa, più estroversa e, al tempo stesso, più indifferente al prossimo. Se mai Mademoiselle d 'Angennes avesse preso in consi­ derazione l 'ipotesi di uscire da quel cerchio magico e di ac­ cettare l ' idea del matrimonio, chi avrebbe potuto mostrarsi all' altezza delle sue fantasie romanzesche? Una volta soltan­ to si era fatto avanti un pretendente degno di lei, e questi non era Charles de Montausier, bensì suo fratello Hector. Bello, galante, ardimentoso ed elegantissimo - era sempre vestito di rosso -, Hector non avrebbe infatti sfigurato nei romanzi cavallereschi tanto cari alla Camera azzurra e, se non fosse morto da eroe in battaglia, Julie si sarebbe forse decisa a prenderlo in considerazione. Scomparso il maggio­ re dei Montausier, era stato il secondogenito a farsi avan ti. Nonostante fosse più giovane di Mademoiselle d'Angennes di tre anni, Charles l 'amava fin da quando era ragazzo, sen­ za peraltro possedere nessuna delle doti del fratello. Il mi­ nore dei Montausier era aspro, intransigente, sincero al punto da apparire brutale. Detestava la falsità e non na­ scondeva la sua insofferenza neppure per quel tanto di ipo­ crisia indispensabile a vivere in società. Si dice che Molière prendesse Montausier a modello del suo Misanthrope: certa­ mente il contrasto di personalità offerto dal duca e Julie l. Mémoires de Madame de Motteville, cit. , vol. IV, p. 303 [anno 1 661 ] .

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nella vita non doveva essere meno clamoroso di quello tra Alceste e Célimène sulla scena. Il duca, però, a differenza del protagonista della comme­ dia di Molière, non intendeva ritirarsi dal mondo né rinun­ ciare alla donna che amava. Per anni e anni egli aveva com­ battuto ostinatamente contro un duplice ostacolo: il suo ca­ rattere rude e poco socievole, e la resistenza di Mademoi­ selle d'Angennes. Sul primo aveva conseguito, a forza di vo­ lontà e di applicazione, sorprendenti vittorie, trasforman­ dosi un po ' alla volta nel più perfetto degli aman ti, degno quasi di un trattato di cavalleria. Valoroso in guerra - era in corso quella dei Trent'anni -, a Parigi, nelle tregue inver­ nali, Mon tausier seguiva come un 'ombra, umile e rispetto­ so, i passi della sua dea. E, quanto al secondo ostacolo, il duca poteva solo rallegrarsi del fatto che , invece di formu­ lare un netto rifiuto, Julie pareva trincerarsi dietro una va­ ghezza sibillina. Nel 1 64 1 , per uscire da una situazione ormai immobile da troppi anni, Montausier decideva di tentare un 'ultima carta e affidarsi al linguaggio dei fiori. La perfezione dell'a­ more che portava a julie sarebbe finalmente emersa, assie­ me a quella dell ' amata, �n un libro perfetto, dove i fiori di retorica della poesia avrebbero avu to la funzione di illustra­ re la valenza simbolica dei fiori reali. Per comporre i qua­ ranta madrigali, Montausier aveva chiesto la collaborazione degli ospiti più dota�i della Camera azzurra, mentre, per i caratteri e le illustrazioni, si era affidato a due artisti: il cal­ ligrafo Nicolas Jarry, la cui penna si distingueva da tutte le altre , perché non lasciava trasparire il punto in cui aveva ri­ preso l' inchiostro, e il pittore di soggetti botanici Nicolas Robert, scoperto dal duca e destinato ad avere presto fra i suoi committenti i reali d i Francia. Montausier aveva puntato sulla formula del manoscritto in un ' epoca in cui i codici miniati andavano scomparendo soppiantati dalla stampa, perché voleva che il dono offerto a Julie fosse davvero un unicum irripetibile di cui potesse circolare la fama. Dotato di una solida preparazione erudita, possessore di una magnifica biblioteca, Montausier era per­ fettamente consapevole della ricchezza e della varietà dei simboli che i fiori potevano offrire al suo discorso amoroso. E probabilmente durante l' assedio di Casale era venuto a co­ noscenza della ghirlanda di madrigali che un illustre abitan­ te della città, Stefano Guazzo, l'autore della Civil conversazio-

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ne, aveva dedicato alla contessa Angela Bianca Beccaria. Ma la sua scelta era anche un preciso omaggio all 'hotel de Ram­ bouillet: era stata proprio la marchesa, infatti, a introdurre in Francia l'abitudine di rallegrare la casa con corbeille fiori­ te � di profumare gli ambienti con pot-pourri di petali odo­ rosi. Coniugando, dunque, il rigore della cultura dotta al gu­ sto per i giochi verbali, gli enigmi, le metamorfosi, gli em­ blemi, Montausier riusciva a offrire a Mademoiselle d'An­ gennes uno specchio irresistibile in cui rimirare la propria splendida apoteosi . La notizia dell ' impresa del duca fece sensazione. I versi della raccolta produssero altri versi, e la eccezionalità del­ l' even to trovò la sua ultima conferma nella parodia. Se , nel madrigale di Desmarets, la tenera violetta così parla ajulie : Franche d' ambition, ie me cache sous l' herbe, Modeste en ma couleur, modeste en mon sejour; Mais si sur vostre front i e me puis voir un iour, La plus humble d es Fleurs sera la plus superbe , 1 in un vaudeville anonimo si faceva invece riferimento a un fiore che non compariva nella Ghirlanda e che pure sarebbe stato urgente cogliere, quello della verginità della fanciulla celebrata: Ce tte fleur vive, rouge et belle Dure au monde si longuement Que l'on peut dire justement Que c'est une fleur immortelle. La recherche en eut été prompte; Ou si tu la laisses vieillir Pas un ne voudra la cueillir Et son honneur sera ta honte . . 2 .

La Ghirlanda non strappò l'assenso di julie , ma aprì una breccia profonda nel muro della sua indifferenza. La regl . « Esente da ambizione, mi nascondo tra l'erba, l Modesta nel colore , modesta nella vita; l Ma se sulla vostra fronte io posso vedermi un giorno, l Il più umile dei fiori sarà il più superbo » , La Guirlande dejulie, a cura di Irène Frain, Laffont, Paris, 1 99 1 , p. 1 29. 2. « Questo fiore vivo, rosso e bello l Dura al mondo da così lungo tempo l Che si può dire a giusta ragione l Che è un fiore immortale. l Lo avreb­ bero raccolto prontamente l Ma se lo lasci invecchiare l Nessuno lo vorrà cogliere l E il suo onore sarà la tua vergogna . . . », ibid. , p. 49.

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gente Anna d'Austria, il cardinal Mazzarino, gli amici più cari e, soprattutto, la madre coalizzarono i loro sforzi per spingerla al gran passo. Dal canto suo Montausier abiurava, nella speranza di poterla finalmente sposare, la fede prote­ stante in cui era nato. Tallemant des Réaux racconta che Ju­ lie capitolò all'improvviso, nel maggio del 1 645 , alla vigilia dei suoi quarant'anni.1 Forse, insinua il memorialista, ella aveva semplicemente capito che era preferibile essere una novella sposa anziché una vecchia ragazza. Il corteggiamen­ to di Montausier era, in effetti, durato quattordici anni. Due persone non parteciparono alla gioia dei festeggia­ menti: Voiture e il marchese di Pisani. Il fratello di julie era andato a raggiungere il suo reggimento, dichiarando che, poiché Montausier era così contento, lui si sarebbe certa­ mente fatto ammazzare . La sua profezia si realizzò tre mesi dopo, il 3 agosto di quello stesso anno, a Nordlingen: le sue malformazioni non gli impedivano di essere un soldato te­ merario. Dal canto suo Voiture , senza più julie e senza più Pisani, cominciò a dare segni di squilibrio. Le persone che aveva tanto amato se n ' erano andate , e Madame de Ram­ bouillet non aveva più voglia di ridere : tra i quadri della « galleria » poetica di Ge�rges de Scudéry, 2 ve n ' era descrit­ to uno, dipinto da Pieter van Mol, che ritraeva Arthénice come una Pietà italiana intenta a contemplare il corpo del figlio morto. 3

l . Il matrimonio venne celebrato il 5 luglio 1 645 da Godeau, vescovo di Grasse , nel castello di Rueil di proprietà di Madame d'Aiguillon . La regi­ na aveva inviato per l' occasione i ventiquattro violinisti del re. 2. Cfr. Georges de Scudéry, Le cabinet de Monsieur de Scudéry, a cura di Christian Biet e Dominique Mocond'huy, Klincksieck, Paris, 1 99 1 , p. 1 57. 3 . Cfr. Victor Cousi n , La société Jrançaise au XVII siècle d 'après le Grand Cyrus de Mlle de Scudéry, 2 voli. , Didier, Paris, 1 873 ( 4a ediz.) , vol . I , p. 250.

VI MADAME D E LONGUEVILLE : U NA M ETAM O RFO S I E S E MP LARE

Anne-Geneviève de Bourbon Condé aveva sedici anni quando fece la sua prima apparizione ufficiale a corte. Fino ad allora era cresciuta negli appartamen ti materni, sotto lo sguardo vigile di Madame la Princesse , trascorrendo mol te delle sue giornate nel vicino Carmelo di rue Saint:Jacques. La serenità e la dolcezza austera della regola conventuale avevano esercitato su di lei una suggestione profonda, e nella sua adolescenza innocente e casta Anne-Geneviève si era spesso chiesta se non dovesse preferire la pace del chio­ stro al tumulto del mondo. Ma i Condé nutrivano altri pro­ getti per la loro bellissima figlia e il 1 8 febbraio 1 635, non tenendo conto delle sue reticenze , l'avevano condotta a un ballo che si teneva al Louvre alla presenza del sovrano. Co­ me molte altre fanciulle della sua casta, Mademoiselle de Bourbon temeva l'incontro con il mondo. E non erano so­ lo gli insegnamenti delle suore a renderla consapevole dei rischi a cui si sarebbe trovata esposta: nonostante i divieti delle religiose , aveva letto troppi romanzi per non fantasti­ care sulle infinite seduzioni della vita di società. Così, per costringersi a rimanere fedele a se stessa, Anne-Geneviève si era munita di un cilicio e lo aveva indossato sotto l'abito da cerimonia. I suoi timori dovevano rivelarsi fondati, e le sue precau-

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zio n i senza efficacia. Me n tre la corte rendeva omaggio alla bellezza « angelica » 1 della giovane principessa, Mademoi­ selle de Bourbon scopriva negli sguardi ammirati fissi su di lei una nuova se stessa e veniva catturata dal riflesso di quel­ l' immagine . Come avrebbero detto i suoi futuri amici di Port-Royal , la sua anima, cedendo alla più sottile delle ten­ tazioni - il culto della propria persona -, diventava idolatra. Dalla sera del ballo, ella non avrebbe più vagheggiato di na­ scondersi in un convento, ma si sarebbe fatta interprete, sul teatro del mondo, della supremazia estetica e morale a cui si sentiva destinata per bellezza e per rango. Mai gioventù fu più lieta di quella di Mademoiselle de Bourbon. Assieme al fratello, il duca d 'Enghien, di poco più giovane di lei - l' altro fratello, il principe di Conti, a quell'epoca era ancora un bambino -, Anne-Geneviève era al centro di una lieta banda di petits-maitres e petites-maitresses composta dai figli degli amici più cari di Madame la Prin­ cesse, i Rambouillet, i Clermont, i du Vigean, i Bouteville. Per alcuni anni, nel sontuoso palazzo parigino dei Condé o nelle splendide residenze estive di Chantilly e dell'Isle­ Adam, la vita le apparve come un susseguirsi di feste, balli, concerti, spettacoli, cacce, scampagnate, merende , « corse all' anello » , giochi di società. Amicizie, confidenze, casti corteggiamenti bastavano a colmare i cuori e non c 'era tempo per preoccuparsi del futuro . E la Camera azzurra, dove sua madre amava condurla, non incoraggiava forse a sperare che anche nel mondo degli adulti potessero preva­ lere la serenità e l'armonia? L'incantesimo si protrasse fino ai vent' anni. Nel 1 642 com me une rose en la saison nouvelle . . . tombe entre les mains d 'un passant malappris,2 Anne-Geneviève veniva data in moglie a Henri d' Orléans, duca di Longueville, il più grande signore di Francia dopo i principi del sangue . Il duca possedeva un ' immensa fortuna, era vedovo , aveva ventiquattro anni . più della sposa e, nonostante l' impegno preso c on Madame la Princesse, non sembrava disposto ad archiviare la. sua passione per Madame de Montbazon. Per la giovane du­ chessa, del resto, contavano più le ragioni dinastiche che l. Mémoires de Madame de Motteville, cit. , vol . I, p. 37. 2. « Come una rosa nella nuova stagione ... cade fra le mani di un passan­ te screanzato » . Ve�si scritti per l'occasione da Sarasin , citati in Michel Perno t, La Fronde, Editions de Fallois, Paris, 1 994, p. l 04, nota 2 .

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quelle del cuore, e mai come in quegli anni il suo orgoglio aveva motivo di sentirsi appagato. Con la morte di Richelieu , seguita a breve distanza da quella di Luigi XIII , e l'inizio della reggenza, i Condé riac­ quistavano tutto il peso politico che il cardinale aveva sot­ tratto ai principi del sangue e diventavano, insieme a Ga­ stone d' Orléans, fratello del re, i principali garanti della co­ rona. Inoltre, dichiarandosi fin dall ' inizio a favore di Maz­ zarino, Monsieur le Prince si assicurava la gratitudine della regina e del nuovo ministro. Ma non basta. Il 19 maggio 1 643, a soli ventidue anni, il duca d ' Enghien dava la prima prova del suo genio militare , sbaragliando l' esercito spa­ gnolo a Rocroi e salvando la Francia dalla minaccia dell' in­ vasione straniera: e da allora la superbia dei Condé non co­ nosceva confini. Combatterla doveva presto diventare una necessità per gli altri « Grandi » del regno. Preoccupati dall ' intesa stabilitasi tra Monsieur le Prince e Mazzarino e dalla « tirannide » crescente del nuovo cardi­ nal ministro, amareggiati dall' « ingratitudine » della regina a cui erano stati fedeli nei tempi difficili ma che ora non li ricompensava degnamente per la loro lealtà passata, i Vendòme e i loro fedeli, Madame de Chevreuse e il suo amante il marchese di Chateauneuf, insieme a molti altri il­ lustri scontenti, non tralasciavano occasione per con trasta­ re le pretese dei Condé e per farsi valere . E quando questa opportunità si presentò loro sotto forma di vendetta fem­ minile, gli « Importanti » non esitarono a coglierla. La duchessa di Longueville era sposata da quasi due anni quando Madame de Montbazon, per vendicarsi del disprez­ zo che la moglie del suo vecchio amante ostentava nei suoi confron ti, decise di attaccarla sul terreno della virtù, il solo - oltre a quello del rango - in cui la superiorità della du­ chessa appariva incontestabile. Se quella di Madame de Montbazon era stata sacrificata, da molto tempo e senza al­ cun rimpianto, al suo « estremo desiderio di piacere » , sul piano della seduzione femminile la duchessa non temeva confronti. « L'ammirazione universale a cui Madame de Mon tbazon aspirava » era molto diversa da quella rispettosa e casta che ispirava la sua giovane , angelica rivale, ed erano così pochi gli uomini che non si fossero lasciati travolgere dalla sua bellezza maestosa e sensuale, giunta allora al pie­ no fulgore dei trent' anni, che la severa Madame de Matte­ ville si vedeva costretta a conferirle nella lunga durata del

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secolo « il primato assoluto della bellezza e della galante­ ria » . 1 Una lettera smarrita, caduta probabilmente dalla tasca di un invitato distratto durante un ricevimento a casa di Ma­ dame de Montbazon, fu il pretesto per aprire le ostilità. Era una missiva d'amore non firmata, la cui grafia faceva sup­ porre una mano femminile. Chi l ' aveva scritta e a chi era in­ dirizzata? Il piccolo mistero sembrava fatto apposta per ani­ mare una riunione mondana e, sotto la regia sapiente della padrona di casa, « dalla gaiezza si passò alla curiosità, dalla curiosità al sospetto, e dal sospetto si giunse ad asserire che era caduta dalla tasca di Coligny, il quale era appena uscito e che, a quanto si sussurrava, aveva una passione per Mada­ me de Longueville » . 2 La storia non poteva annunciarsi in termini più romanzeschi - e non a caso la ritroviamo iden­ tica nel più bel romanzo del secolo: perché è diffi cile dubi­ tare che, nello scrivere l 'episodio centrale della Princesse de Clèves, Madame de La Fayette non pensasse a Madame de Longueville e alla tragica vicenda di cui era stata protagoni­ sta, trentaquattro anni prima, colei che aveva amato l 'uomo che ora lei stessa amava.Ma nell'attesa che il duca di La Rochefoucauld venisse a infiammare il suo cuore , il comportamento di Madame de Longueville restava irreprensibile . Non diversamente dal termine esprit, anche la parola galanterie poteva colorarsi di un 'infinita gamma di sfumature e perfino assumere, come nel caso delle due signore, significati opposti. Per l ' una la galanterie era un gioco di società, un gioco libero e inno­ cente in sintonia con la tradizione aristocratica e cortese , per l ' altra i l confine non era affatto invalicabile e l a finzio­ ne gal an te poteva preludere alla pratica dell'amore nella piena libertà dei sensi. Così , per l' altera Madame de Lon­ gueville, accettare pubblicamente l' ammirazione devota di un cavaliere giovane e bello come Maurice de Coligny face­ va parte della honnete galanterie insegnata all' hotel de Ram­ bouillet e poteva solo essere oggetto di vanto. Intrattenere con lui una complicità segreta, come avevano insinuato a casa di Madame de Montbazon , significava invece gettare l' ombra del dubbio sulla sua fulgida reputazione. l . Mémoires de Madame de Motteville, cit. , vol . I , pp. 1 35-36. 2. Ibid. , p. 1 37.

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Quello che in altri casi sarebbe potuto passare per un pettegolezzo scherzoso diventò agli occhi dei Condé un « affare di Stato » . Madame la Princesse chiese in lacrime al­ la regina una riparazione degna dell 'affronto fatto alla figlia, e Anna d'Austria ordinò a Madame de Montbazon di presentare pubblicamente le sue scuse per le insinuazioni avanzate su Madame de Longueville. Costretta a obbedire , la duchessa si recò , all 'ora indicata, all ' hotel de Condé , con appun tato sul ven taglio un foglietto su cui erano scritte le frasi di circostanza che le era stato chiesto di pronunciare. « Lo fece nel modo più fiero e sdegnoso, assumendo un 'a­ ria che pareva dire: "Mi faccio beffe di ciò che dico "» .1 L' e­ pisodio si chiuse nell'insoddisfazione reciproca dei conten­ denti e la partita rimase aperta. Madame la Princesse do­ mandò ad Anna d'Austria di e.ssere esonerata dal compari­ re nei luoghi in cui era prevista la presenza di Madame de Montbazon e quest'ultima, spingendo l' ardire fino all 'inso­ lenza, si rifiutò di lasciare un ricevimento dove la regina aveva richiesto la compagnia della principessa di Condé . Fino ad allora la politica della reggente era stata di con­ ciliazione e di tolleranza, ma il gesto irrispettoso di Mada­ me de Montbazon faceva esplodere la sua collera. Era fin troppo evidente che quella storia di ripicche femminili ma­ scherava l ' antagonismo crescente tra i Condé e i loro nemi­ ci, che altri non erano che i nemici di Mazzarino. Ed era ugualmente prevedibile che l'insubordinazione di Madame de 1\lontbazon annunciasse quella del suo nuovo amante, lo spavaldo duca di Beaufort, bellissimo e sprowisto del più elementare buon senso, che durante la lunga agonia di Lui­ gi XIII aveva offerto i suoi servigi alla regina e ora non na­ scondeva l ' irritazione nel vedersi preferire Mazzarino. E dietro il duca di Beaufort, fratello del duca di Mercoeur e figlio del principe di Vendome, si poteva intuire il malumo­ re ogni giorno più minaccioso della « cabala degli Impor­ tanti » . Ma tutto questo sarebbe rientrato nel gioco paziente della politica, se Anna d'Austria non si fosse sentita offesa nella sua stessa dignità di sovrana. Era la sola cosa su cui la reggente non intendeva transigere, e Madame de Montba­ zon ricevette l' ordine di lasciare immediatamente la corte. Era anche l'inizio del regno di Mazzarino : mettendo a profitto le liti dei suoi oppositori e sfruttando astutamente l . Mémoires de Madame de Motteville, cit. , vol. l, p. 1 42.

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la vampata di indignazione della sovrana, il ministro coglie­ va l ' occasione per liberarsi dei suoi nemici, e uno dopo l 'al­ tro i più pericolosi tra gli Importanti erano condannati alla prigione o all 'esilio. Nel codice cavalleresco l ' intervento reale poteva esiliare e punire ma non risolvere le dispute d 'onore , e quando era una dama a subire l' offesa stava al suo cavaliere renderle giustizia, anche a costo della vita. L'onesta galanteria esen­ tava la donna dall 'amare, non l ' uomo dal morire e , obbe­ diente a questa logica, il con te di Coligny, non potendo af­ frontare Beaufort che si trovava in carcere , sfidava a duello un amico del duca, Henri de Guise , che si era schierato nel campo di Madame de Montbazon. Ma che senso aveva tutto ciò nel caso di Madame de Longueville? Nessuno dubitava della sua innocenza. Era una donna sposata, in stato di avanzata gravidanza di un figlio del suo legittimo consorte e con una famiglia illustre pronta a intervenire in sua difesa. Il suo adoratore non l' aveva compromessa in alcun modo. L'imprudente che aveva osato fare delle insinuazioni sul suo conto era stata punita in modo esemplare , per non dire eccessivo, e il duca di Guise non si era unito in alcun modo alle maldicenze. Allora, perché forzare un gioco al di là di ogni ragionevolezza? Forse Coligny amava davvero Mada­ me de Longueville e voleva guadagnarsi la sua riconoscen­ za; o forse aveva letto anche lui troppi romanzi, e il ricordo dell'an tic a inimicizia tra la sua famiglia e quella dei Guise aumentava la spettacolarità del suo gesto . 1 Un gesto certa­ mente suicida, perché Coligny si stava appena ristabilendo da una lunga malattia, e tutti sapevano che Guise era uno spadaccino mille volte migliore di lui. La sfida ebbe luogo il l o dicembre 1 643, alle .tre del pomeriggio, in Piace Royale , luogo prediletto dai duellanti perché consentiva la massi­ ma visibilità' a un gesto proibito dalla legge . « Lo scontro si concluse in men che non si dica: Coligny cadde e il duca di Guise , in segno di oltraggio, gli tolse la spada e lo colpì di piatto con la sua . . : Coligny, sopraffatto dal dolore per non aver saputo difendere una così bella causa, morì quattro o cinque mesi dopo di mal sottile » .2 l . Cfr. La Rochefoucauld, Mémoires, in CEuvres complètes, a cura di L. Mar­ tin-Chauffier, cronologia e indici a cura di Jean Marchand, Bibliothèque de la Pléiade , Gallimard, Paris, 1957, p. 85. 2. Loc. cit.

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In tutta la vicenda il comportamento più difficile da deci­ frare appare quello di Madame de Longueville . Quali era­ no i suoi veri sentimenti per Coligny? 1 Era stata davvero lei a chiedergli di battersi, come sostiene Madame de Mottevil­ le? E se così non era, perché non si era opposta al duello, invece di assistervi nascosta dietro una finestra d eli ' hotel de Rohan? Anne-Geneviève era incapace di distinguere tra realtà e romanzo, e la sua fantasia troppo accesa la induce­ va a credersi un ' eroina di Corneille - o la sua condotta era piuttosto dettata da un amor proprio a cui tutto appariva dovuto, ivi compreso l'omaggio della vita? Molti anni dopo, nella sua « confessione generale » , Ma­ dame de Longueville ammetterà di aver « sempre cercato il piacere in tutto ciò che lusingava il suo orgoglio, fino a prefiggersi quello che il Demonio aveva promesso ai nostri progenitori: "Sarete simili a Dio ! "» .2 Nell ' ansia di espiazione, la penitente lasciava che il ricor­ do del peccato invadesse totalmente la sua memoria fino a occupare l' intera sua vita. Eppure quel « sempre » aveva una storia, Lucifero aveva agito per gradi. Tutti i Condé, a cominciare da Madame la Princesse , era­ no accomunati dalla convinzione di essere diversi dal resto del mondo, e trovavano conferma di ciò nella reciproca ammirazione. Principi del sangue, immensamente ricchi e potenti, non erano solo implacabili nell 'esigere quan to ri­ tenevano fosse loro dovuto, ma applicavano la stessa intran­ sigenza a ciò che giudicavano di dovere a se stessi . Credeva­ no nell' eccellenza: il duca d' Enghien era il capolavoro pe­ dagogico dei gesuiti, sua sorella quello della Camera azzur­ ra. Praticavano le virtù tradizionali della loro casta - il co­ raggio, la fierezza, il fasto - e, facendosi interpreti del nuo­ vo spirito del tempo, si distinguevano anche per il mecena­ tismo artistico, l' eleganza delle maniere , l'infallibilità del gusto . Certo nessuno era esente da debolezze o da vizi, ma l . A differenza di La Rochefoucauld, il cardinale di Retz sostiene che Ma­ dame de Longueville era innamorata di Coligny ( Mémoires, La conjuration du comte Jean-Louis de Fiesque, Pamphlets, ci t. , p. 1 32 ) . 2. J.F. Bourgoin de Villefore , La véritable vie d 'Anne-Geneviève de Bourbon, duchesse de Long;ueville, par l 'Auteur des Anecdotes de la Constitution Unigeni­ tus, 2 voll . , J.-F. Jolly, Amsterdam , 1 739, vol . Il, p. 50.

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le carenze individuali venivano compensate dalla somma delle qualità dei vari membri della famiglia. I Condé forma­ vano un tutto, e la vita di ciascuno sconfinava in quella de­ gli altri. Fin da giovanissima, Anne-Geneviève era stata al centro di questo gioco di specchi: amata e vezzeggiata da tutta la famiglia, avrebbe presto stabilito con il duca d 'En­ ghien un rapporto di seduzione e di dominio vagamente incestuoso, 1 destinato a riprodursi in seguito con il fratello più giovane.2 L' ammirazione e la gelosia, le rotture e le rappacificazio­ ni erano i momenti estremi di un processo di identificazio­ ne e di esaltazione reciproca che rafforzava nei Condé la certezza di essere una razza a parte, un clan con uno spe­ ciale codice di comportamento e uno stile inconfondibile . Marie d' Orléans, figlia di primo letto di Monsieur de Longueville - che avrebbe avuto agio di provare nei suoi Mémoires quanto poco amasse la matrigna -, ci descrive l ' es­ prit dei Condé in quei felici anni Quaranta in cui il duca d' Enghien, divenuto principe alla morte del padre ( 1 646) , si aggiudicava con una serie strepitosa di vittorie l' appellati­ vo di « grande » . A quell'epoca, i Condé si divertivano a det­ tar legge in società attraverso il pacifico esercizio della con­ versazione; e le conversazioni che prediligevano, ci riferisce Marie , erano quelle « galanti e briose » , in cui potevano di­ squisire « sulla delicatezza del cuore e del .sen timento . . . Co­ loro che vi brillavano erano dunque, a loro giudizio, perso­ ne di qualità e degne di stima; giudicavano invece ridicoli e rozzi tutti quelli che azzardavano conversazioni dall' aria va­ gamente seria » .3 Nel momento stesso in cui si affermava come ideale co­ mune, l' esprit de société era costretto a fare i conti con le dif­ ferenze di tono delle varie cerchie aristocratiche . L' esprit dei Condé, quello dei Mortemart o degli ambien ti preziosi sono esempi illustri di una volontà di diversificarsi che for­ zava le regole del conformismo mondano rifiutando l' omo­ logazione . Ma, superata la metà del secolo, con il trionfo del gusto classico , moralisti e scrittori si sarebbero coalizza­ ti per combattere come ridicolo e pericoloso ogni desiderio l. Cfr. La Rochefoucauld, Mémoires, cit. , p . 86. 2 . Cfr. Retz, Mémoires, cit. , p. 1 32. 3. Mémoires de Marie d 'Orléans duchesse de Nemours ( 1 625-1 707) (l 709) , Mer­ cure de France, Paris, 1 990, p. 78.

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di « distinzione » . Non diversamente da quello letterario, il buon gusto mondano doveva consistere nel man tenersi co­ stantemente in equilibrio tra la naturalezza e la norma, tra la fedeltà a se stessi e l' obbedienza alle esigenze della « buo­ na compagnia » . Madame de Longueville ne aveva l'assoluta consapevo­ lezza e poteva, quando era necessario, dimenticare l' esprit dei Condé e adottare quello dell'hotel de Rambouillet. E a Miinster, dove nel 1 646 era andata a raggiungere suo mari­ to, ella diede prova di aver colto l' importanza che quell' i­ deale di perfetta cortesia mondana poteva rivestire non so­ lo sul piano sociale, ma su quello della diplomazia e della politica. Per la prima volta lon tana dall 'hotel de Condé, Anne-Ge­ neviève scopriva il piacere di avere un ruolo tutto per sé. Dal 1 645 Monsieur de Longueville era ambasciatore pleni­ potenziario di Francia nella cittadina tedesca, dove la di­ plomazia europea cercava di raggiungere un accordo gene­ rale che mettesse fine alla guerra dei Trent'anni. Men tre suo fratello imponeva la supremazia della Francia sui campi di battaglia, e suo marito cercava di farla valere al tavolò delle trattative, Anne-Geneviève illustrava la superiorità del suo Paese sul piano della civiltà e dell'eleganza. Con al se­ guito un brillante stuolo di gentiluomini e letterati, la gio­ vane ambasciatrice dimostrò le qualità altamente diploma­ tiche della conversazione francese, per sua stessa natura at­ tenta a mediare le differenze, smussare i contrasti e tenere in altissimo conto l'amor proprio altrui. 11 6 dicembre 1 646, il conte d'Avaux - che non si limitava a eccellere nell 'arte della diplomazia, ma impersonava tutte le virtù del perfetto uomo di mondo - scriveva a Voiture , perché questi ne informasse la Camera azzurra, della popo­ larità di cui godeva Madame de Longueville e ne tesseva le lodi: « Una persona così preziosa, che ha fatto duecento le­ ghe per venire a trovare l ' anziano marito, che ha lasciato la corte per la Vestfalia, che si mostra di una gaiezza costante, che di recente si è estasiata nel vedere una commedia dai gesuiti (per la verità era in buon latino) , che concede un gran numero di udienze, che si intrattiene piacevolmente con Monsieur Salvius, Monsieur Vulteius, Monsieur Lampa­ dius, che non ha più timore di un grosso olandese che la

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bacia regolarmente due volte all'ora durante tutte le sue vi­ site, che accoglie affabilmente le cortesie di un altro amba­ sciatore che le consiglia di imparare il tedesco per diverti­ mento, che con tutto ciò ingrassa di qualche chilo a Miin­ ster e mostra un viso soddisfatto, che divide le sue ore tra le buone letture e le udienze, che fa progredire la pace tanto con i consigli quanto con le preghiere, che non possiede solo in massimo grado le virtù delle donne, ma ne ha molte altre: Quas sexus habere l Fortior optaret » . 1 La pace tanto attesa venne conclusa solo i l 2 4 ottobre 1 648, in Vestfalia, senza la presenza di Madame de Longue­ ville . Da più di un anno Anne-Geneviève era ritornata in Francia « incoronata di mirto » .2 A Miinster la principessa aveva scoperto il mondo della politica e trionfato in quello dell 'alta diplomazia; era stata ambasciatrice dell'urbanità e dell 'eleganza francesi e si era imposta all'ammirazione dei rappresentanti di tutte le potenze europee; aveva, infine, contribuito alla gloria dei Condé con una vittoria assoluta­ mente personale. La trionfale accoglienza parigina non fe­ ce che rafforzare il suo desiderio di occupare la scena: « El­ la divenne l 'oggetto di tutti i desideri , il suo salotto divenne il centro di tutti gli intrighi, e quelli che amava divennero all' istante i beniamini della Fortuna. I suoi cortigiani furo­ no riveriti dal ministro ; e nel giro di poco tempo ella si sa­ rebbe rivelata la causa di tutte le rivoluzioni e di tutti i con­ flitti che hanno rischiato di mandare in rovina la Fran­ cia » . 3 L' amore fece il resto. I suoi sensi erano freddi, ma la sua fantasia si era sempre mostrata incline al romanzesco e, quando riconobbe finalmente il suo eroe nel duca di La RochefoucauJd, gli si donò tutta intera. « Per lui divenne ambiziosa; per lui smise di amare la pace; e riponendo tutta la sua sensibilità in questo amore, diventò insensibile alla propria gloria » . 4 Era forse questa una debolezza congenita l . Da una lettera di Claude d ' Avaux a Voiture del 6 dicembre 1 646, citata in Victor Cousin, La jeunesse de Madame de Longueville, Didier, Paris, 1 876 ( l � ediz . , 1 852) , pp. 282-83. 2. Lettera di Antoine Godeau, vescovo di Grasse, a Madame de Longue­ ville, citata in ibid. , p. 287. 3. Mémoires de Madame de Motteville, cit. , vol. I , p. 334. 4. lbid. , p. 335 .

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del suo carattere, come si legge in un ritratto crudele ingiu­ stamente attribuito al duca? 1 O « un desiderio di brillare ag­ giuntivo » , come insinua Sainte-Beuve?2 O non denotava, piuttosto, la sua perfetta identificazione con l ' uomo amato e la sua volontà di elevarlo a una altezza degna di lei? Cer­ tamente la passione, strappandola al consueto languore, le infuse un senso di onnipotenza e, per meglio indurla in tentazione , Lucifero si servì della Fronda. Benché gli storici moderni non siano sempre ugualmen­ te inclini a dare un posto di rilievo alla figura di Madame de Longueville, le testimonianze dei contemporanei sono con­ cordi nell 'attribuirle una parte importante nei conflitti civi­ li che sconvolsero la Francia tra il 1 648 e il 1 653. Ma Anne­ Geneviève non era la sola esponente del suo sesso a invade­ re il territorio maschile della politica. Più di qualsiasi altro conflitto nella storia francese , la Fronda appare come una guerra di donne . Non diversamente da lei, la duchessa di Chevreuse , la principessa Palatina, la Grande Mademoiselle e altre dame dell ' alta nobiltà avrebbero cinto il cimiero, or­ dito complotti, istigato alla ribellione, seminato discordia. Era un « mondo alla rovescia » , come è stato detto, o non piuttosto l 'ultima, spettacolare occasione in cui uomini e donne della nobiltà francese avrebbero combattuto insie­ me per fare prevalere gli in te ressi particolari della propria casta, e del proprio casato su quelli generali dello Stato? E poiché nella Fronda dei principi l' odio per Mazzarino era il cemento illusorio di una intesa impossibile ali 'interno stes­ so del mondo nobiliare, dove neppure i Grandi costituiva­ no un blocco monolitico ma erano in permanente conflitto tra di loro, sarebbe forse più opportuno parlare di interessi di lignaggio e di clan. Nella società di Antico Regime le am­ bizioni di un individuo non potevano prescindere dali ' ap­ poggio della famiglia, che a sua volta aveva bisogno di estendersi e rafforzarsi attraverso la fitta rete delle alleanze l . Lungi dali 'imporre il proprio volere a coloro che le portavano una speciale adorazione, ne adottava così totalmente i sentimenti da non ri­ conoscere più i propri » , citato in Charles-Augustin Sainte-Beuve, Mada­ me de Longueville » , in Portraits de femmes, in CEuvres, 2 voli. , Bibliothèque de la Pléiade, Gallimard, Paris, 1 950-195 1 , vol. II, p. 1 280. 2. Loc. cit. «

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matrimoniali. Fratelli, figli, nipoti, cugini, con le loro cari­ che, le loro relazioni, le loro zone d 'influenza, erano gli al­ leati irrinunciabili di chiunque ambisse a un potere duratu­ ro. E il primo a saperlo era l 'odiato Mazzarino, che per co­ struirsi un retroterra familiare avrebbe fatto venire dall'Ita­ lia un esercito di nipoti. Da sempre, nella civiltà aristocratica, le donne erano abi­ tuate ad anteporre alle proprie inclinazioni ciò che poteva servire a rafforzare la posizione della famiglia, e non cono­ scevano ambizione maggiore di quella di appartenere a un casato illustre. Ostentare sfarzo, bellezza, eleganza e, intan­ to, tessere nell ' ombra intrighi, alleanze , matrimoni, era la strategia tradizionale a cui faceva ricorso l'in telligenza fem­ minile . « Per l'interesse del proprio casato » , la assai poco domestica principessa di Guéméné si dichiarava « pronta a usare il pugnale » , anche se la posta in gioco era il diritto al tabouret di una giovane cognata. 1 In epoche lontane, quan­ do i mariti erano costretti a partire per la guerra, talune di loro non avevano esitato a prendere le armi per difendere le proprie terre dalle prepotenze dei vicini. E solo pochi an­ ni prima, in assenza del marito, Barbe d 'Ernecourt, contes­ sa di Saint-Balmon, vesti�a da uomo, aveva guidato a cavallo un 'armata di contadini per impedire che le sue proprietà in Lorena venissero devastate dagli eserciti austriaci e fran­ cesi. Nell' incitare le province governate dai loro padri, dai loro mariti, dai loro fratelli a ribellarsi all ' autorità reale , Mademoiselle de Montpensier, Madame de Longueville e persino la timida e poco amata moglie di Condé agivano in nome dei loro uomini, prigionieri o lontani, secondo l ' an­ tica logica del costume feudale . Così , pur facendo proprie le ambizioni di La Rochefoucauld, Anne-Geneviève non avrebbe mai trascurato quelle della famiglia, e si sarebbe battuta con uguale determinazione per difendere gli inte­ ressi del marito e dei fratelli. Perché dunque porre le amazzoni della Fronda sotto il segno della rottura e non , piuttosto, sotto quello della con­ tinuità? La guerra civile non innovava il codice di compor­ tamento della nobiltà, semmai tendeva a esasperarne l' indil . Tallemant, Historiettes, cit. , vol. Il, p. 229. Solo le duchesse, i principi del sangue e le donne incinte avevano diritto a sedersi (in genere su uno sga­ bello senza schienale, un tabouret) negli appartamenti della regina o quando erano ammessi ad assistere al pasto del re.

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vidualismo e a incoraggiarne gli eccessi. E là dove i l ricordo dell'antico eroismo femminile si era fatto troppo debole, la letteratura veniva a rinverdire l'immagine della femme forte con le sue Bradamanti, le sue Clorinde e le sue Semiramidi, a cui si era proprio allora aggiunto il fulgido eroismo della Pucelle di Chapelain . Ben presto, però, l' iden tificazione con i modelli letterari si sarebbe rivelata pericolosa per e n tram­ bi i sessi. Tra i frondisti vi erano troppi appassionati di ro­ manzi persuasi che la vita fosse speculare alla letteratura. E in primo luogo ne era convinta Madame de Longueville che a Parigi, nell 'inverno del 1 649, in piena Fronda parla­ mentare, dava a Retz l' impressione di essere un 'eroina usci­ ta dalle pagine dell ' Astrée. 1 Se la duchessa indulgeva a fantasie romanzesche, era a sua volta la musa ispiratrice del nuovo grande successo nar­ rativo dell' epoca, destinato a esercitare un notevole influs­ so sull' immaginario collettivo. Mademoiselle de Scudéry non si limitava a dedicare a Madame de Longueville, l'uno dopo l' altro, i dieci volumi di Artamène ou le Grand Cyrus, trasposizione romanzesca della Fronda allora in corso, ma ne faceva anche l'eroina principale della sua storia. Nessu­ no dei lettori contemporanei, infatti, esitava a riconoscere il Gran Condé sotto il travestimento esotico dell 'eroico Cy­ rus e a ravvisarne la sorella nella bellissima Mandane. Assai prima che La Rochefoucauld facesse la sua compar­ sa, Mazzarino aveva intuito il pericolo che Anne-Geneviève poteva rappresentare sul terreno della politica: « La detta Dama ha tutto il potere sopra il fratello » annota in uno dei suoi taccuini il cardinal ministro. « Vorrebbe veder il fratel­ lo dominare e disporre di tutte grazie . . . insinua nel fratello concetti alti alli quali per tanto egli è naturalmente portato . . . crede con il fratello che tutte le grazie che si accordano alla sua persona, casa, parenti e amici, li siena dovute » .2 Con l' esplodere della Fronda parlamentare le preoccupa­ zioni del ministro trovavano conferma nei fatti. Su istigazio­ ne di Madame de Longueville , prima il principe di Conti, poi il Gran Condé si sarebbero ribellati all' autorità reale e l . Cfr. Retz, Mémoires, cit. , pp. 1 53-54. 2. Citato in Cousin, La jeunesse de Madame de Longueville, ci t. , p. 272, no­ ta l .

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avrebbero mosso guerra a Mazzarino per dare la piena mi­ sura del loro potere e assumere la guida del Paese . Ambi­ zione tragica, destinata a radicalizzare la Fronda e a insan­ guinare la Francia con una nuova guerra civile . Eppure memorialisti con visioni discordanti come Retz e La Rochefoucauld, Mademoiselle de Montpensier, Mada­ me de Motteville e Madame de Nemours, pur muovendo su Madame de Longueville un 'imponente lista di accuse, non riuscivano a non mostrare rispetto per il suo coraggio im­ pavido. Forse Madame de Longueville era dawero un sem­ plice strumento dell 'ambizione di La Rochefoucauld, forse non era altro che un ' « awenturiera » della Fronda, come l'avrebbe definita nei suoi Mémoires il cardinale di Retz;1 ma è impossibile non rimanere colpiti dalla ferrea determina­ zione con cui si imponeva al marito, sobillava i fratelli, rom­ peva con loro e poi li riconquistava, si alleava con il Parla­ mento di Parigi, si cimentava con l ' aiuto dei suoi segretari nell 'eloquenza civile e nell 'invettiva politica, attraversava la Francia a cavallo, incitava la Normandia alla ribellione, af­ frontava il mare in tempesta per cercare rifugio in Olanda, conduceva dalla cittadina di Stenay, sola roccaforte rimasta in mano ai ribelli, le tra�tative con Mazzarino , si alleava a Bordeaux con il movimento ultrapopolare dell 'Ormée. Re­ putazione , morale , affetti, tutto sembrava subordinato al­ l' affermazione eroica dell' io e al desiderio di potere: la ga­ lanteria era diventata per lei uno strumento di vanità e di dominio. Così , quando decise di espugnare il cuore del du­ ca di Nemours, che aveva seguito Condé nella Guyenne, Madame de Longueville « gli fece delle avance tali che il principe, pur essendo molto innamorato di un ' altra dama, non poté resisterle ; ma la sua resa fu dettata dalla fragilità della carne più che dallo slancio del cuore . Il duca di La Rochefoucauld, che da ormai tre anni era l' amante riamato di Madame de Longueville , prese atto della sua infedeltà con tutta la rabbia che una simile circostanza comporta. Ed ella, che era interamente assorbita dalla sua grande passio­ ne per il duca di Nemours, non si preoccupò in alcun mo­ do di avere un po ' di riguardo per il suo antico amante . . . Questa relazione fu d i breve durata, e i l duca d i Nemours non poteva sforzarsi di dimostrare un amore che non senti­ va. Come avrebbe potuto la principessa, che era sudicia ed l . Retz, Mémoires, cit. , p. 1 58.

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emanava cattivo odore , nascondere tali difetti a un uomo perdutamente innamorato di un 'altra donna? » . 1 Sacrificando L a Rochefoucauld al duca d i Nemours, Ma­ dame de Longueville veniva meno anche a se stessa: l' eroi­ na preziosa del Grand Cyrus scendeva, infatti, dal suo piedi­ stallo per raggiungere l 'universo degradato delle dame ga­ lanti che popolano l' Histoire amoureuse des Gaules, e non po­ tevano certo essere i Mémoires2 dell ' amante tradito a ricon­ durla nel regno dell' ideale. Eppure, fin quando c' era stata la possibilità di lottare , non vi erano stati fallimenti, avver­ sità, delusioni che riuscissero a domarla. Non meno straordinarie appaiono la forza e la dignità di Madame de Longueville nel momento in cui è costretta ad ammettere il naufragio di tutte le sue ambizioni; la terribile energia che l'aveva sostenuta fino ad allora cede il posto a una nuova forma di coraggio: quello della rassegnazione. L'amazzone esaltata riconosce l'autorità del marito, si ricon­ cilia con la corte e riprende la strada del Carmelo,, tentando di espiare la sua condotta con una vita esemplare. E come se le fosse caduta una benda dagli occhi: « Tutte le attrattive del­ la verità riunite in un unico oggetto mi si pararono dinanzi » scrive ancora nella sua confessione generale. « La Fede, che era rimasta come morta e sepolta sotto le mie passioni, tornò a vivere. Mi ritrovai simile a una persona che, dopo aver so­ gnato a lungo di essere grande, felice, onorata e stimata da tutti, si sveglia di colpo e si ritrova carica di catene, coperta di piaghe, prostrata e rinchiusa in una prigione oscura » .3 Chateaubriand racconta che nel 1 650, prima di spirare lo n tana dalla figlia, Madame la Princesse aveva detto alla contessa di Brienne: « Cara amica, riferite a quella povera disgraziata che è a Stenay lo stato in cui mi vedete, e che impari a morire » .4 A l . Roger de Bussy-Rabutin, Histoire d'Angélique et de Ginotic » , in Histoi­ re amoureuse des Gaules, a cura di Jacqueline e Roger Duchene, Gallimard, Paris, 1 993, p. l 08. I nomi, in codice, sono stati sostituiti con quelli reali. 2. I Mémoires di La Rochefoucauld erano stati oggetto, a partire dal 1 662, di diverse pubblicazioni pirata a opera di editori olandesi, con un gran numero di varianti e interpolazioni . 3. Bourgoin de Villefore, op. cit. , vol. II, p. 5. 4. François-René de Chateaubriand, Mémoires d 'Outre-Tombe, a cura di Jean-Claude Berchet, Classiques Garnier, Bordas, Paris, 1 989-1 998, vol . II, p. 1 6 ( Memorie d 'oltretomba, Introduzione di Cesare Garboli, a cura di Iva«

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partire dal 1 654, tutta la condotta di Madame de Longue­ ville sembra rispondere all'esortazione materna. Al Carme­ lo - dove era stata educata, e dove tornava a cercare confor­ to e consiglio - ritrovava alcune delle suore che aveva cono­ sciuto da bambina e con cui non aveva mai interrotto i con­ tatti, ma anche vecchie amiche che, più coraggiose e più sagge di lei, avevano scelto l 'eroismo della rinuncia e aveva­ no trovato la quiete interiore consacrandosi a Dio. Sotto il velo di suor Anne-Marie de Jésus, ad esempio, si nasconde­ va quella Anne-Louise-Christine de Nogaret de La Valette � d'Epernon che era entrata al Carmelo a venticinque anni, dopo la morte in battaglia del cavaliere di Fiesque a cui era unita da un amore tenero e casto. E nel corso di quello stes­ so 1 649 Mademoiselle du Vigean, abbandonata ogni spe­ ranza di potere un giorno sposare Condé e decisa a non amare nessun altro, aveva preso ugualmente il velo con il nome di suor Marthe de jésus. Anche a Port-Royal, che intorno al 1 660 diventava l 'altro grande punto di riferimento spirituale della sua vita di con­ vertita, Madame de Longueville non sarebbe stata sola. Più di una dama dell' alta società voltava come lei le spalle al mondo e cercava rifugio �Il' ombra del celebre monastero. Gli stessi strumenti di cui Anne-Geneviève si era avvalsa per coltivare il senso della propria superiorità dovevano ora servire a umiliare il suo orgoglio. La sua sottigliezza psi­ cologica non si esercitava più a disquisire sulla delicatezza del cuore e del sentimento, ma era diretta a un ' autodeni­ grazione implacabile. Torbido. e infido, « il fondo del cuo­ re » nascondeva segreti vergognosi e si sottraeva anche al­ l'introspezione più severa, impedendo persino la certezza della colpa. Se nel passato Anne-Geneviève era stata vigile nel pretendere ciò che riteneva le fosse dovuto, ora era at­ tenta a non tralasciare la minima occasione di mortificarsi. E tutta la diplomazia, tutta la capacità di persuasione di cui aveva fatto sfoggio a Miinster, nelle alleanze della Fronda, a Stenay, erano adesso al servizio della « pace della Chiesa » , la tregua che nel 1 669 avrebbe messo prowisoriamente fine alle dispute teologiche fra le autorità ecclesiastiche e i solitari di Port-Royal. ' Come traspare dalle sue lettere , la na Rosi, trad. it. di F. Martellucci, I . Rosi e F. Vasarri , 2 voli. , Einaudi-Gal­ limard, Torino, 1 995, vol. I, p. 434) . l . Ciò che il giansenismo doveva a Madame de Longueville apparve evi-

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sua adesione al giansenismo « si delinea, paradossalmente, senza connotati dottrinali, piuttosto come espressione pro­ fonda di una sensibilità religiosa e di un nodo storico di re­ lazioni e di affetti . La sua teologia personale è un ' angoscia­ ta ricerca di segni di salvezza . . . è la rigidezza stessa un poco maniaca dei solitari, che si accorda in lei col bisogno di di­ rittura morale e col puntiglio tremante dello scrupolo » } Incapace di dimenticare i l suo tradimento, La Rochefou­ cauld non credeva alla sincerità della sua conversione e la chiamava ironicamente la « madre » della Chiesa,2 forse di­ menticando che Madame de Longueville era anche la ma­ dre di suo figlio, il conte di Saint-Pau), poi duca di Longue­ ville, frutto della loro relazione. Il suo battesimo, celebrato da Retz, all 'inizio del 1 649, nella capitale assediata, era sta­ to un 'occasione di festa per tutta la Fronda parlamen tare , e il nome scelto per lui, Charles-Paris, rifletteva l'euforia del momento e un intento demagogico non dissimile da quel­ lo che, centoquarant'anni dopo, avrebbe spinto un altro Orléans a chiamarsi Philippe-Egalité. Intelligente, corag­ gioso e assai somiglian te al padre naturale, il conte di Sain t­ Pau) era teneramente amato da entrambi i genitori, e la sua morte sul campo di battaglia li avrebbe accomunati nell' ul­ tima, terribile prova della loro vita. Come uno dei due figli legittimi di La Rochefoucauld, Longueville fu ucciso , vitti­ ma del suo « bollente ardore » ,3 il 1 2 giugno 1 672, durante il celebre « passaggio del Reno » , l 'exploit militare - « prodi­ gio del nostro secolo e della vita di Luigi il Grande » -4 con dente al momento della morte della duchessa. A meno di un mese dalla sua scomparsa, un 'ordinanza reale ingiungeva agli ecclesiastici e ai solita­ ri di Port-Royal di abbandonare il convento e proibiva alle religiose di ac­ cogliere altre novizie . Come avrebbe dichiarato Luigi XIV a Condé, sol­ tanto un sentimento di riguardo nei confronti di Madame de Longueville lo aveva indotto a rinviare fino ad allora la chiusura del monastero. l . Benedetta Papàsogli, Ritratto di MadaTI11! de Longueville, in La lettera e lo spiri­ to. Temi efigure del Seicento francese, Libreria Goliardica, Pisa, 1 986, pp. 1 10-1 1 . 2 . Mémoires du Père René Rapin de la Compagnie dejésus sur l'église et la société, la cour, la ville et le jansénisme, publiés par Léon Aubineau, 3 voli . , Librairie Catholique Emmanuel Vitte , Paris-Lyon, 1 865, vol. II, p. 420. 3. Madame de Sévigné a Madame de Grignan [3 luglio 1 672] , in Corres­ pondance, a cura di Roger Duchene , 3 voli . , Gallimard, Paris, 1 9 72-1 978, vol. I, p. 547. 4. Bossuet citato in François Bluche, Louis XN, Fayard, Paris, 1 986 (L 'età di Luigi XN, trad. it. di Carlo De Nonno, Introduzione di Giuseppe Ca­ lasso, Salerno Editore , Roma, 1 996, p. 335) .

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cui Luigi XIV, alla testa delle sue truppe, dava inizio all' in­ vasione dell ' Olanda. Il Gran Condé , che dirigeva le opera­ zioni, avrebbe riportato con sé, avvolto in un mantello, il corpo del nipote morto . « Madame de Longueville, mi dicono, spezza il cuore » racconta Madame de Sévigné. « lo non l'ho vista, ma ecco quello che so. Mademoiselle de Vertus era tornata da due giorni a Port-Royal, dove passa quasi tutto il suo tempo. So­ no andati a cercarla, assieme a Monsieur Arnauld, perché fosse lei a darle la terribile notizia. È bastato che Mademoi­ selle de Vertus si mostrasse: quel ritorno così precipitoso la­ sciava presagire qualcosa di funesto. In effetti, non appena ella apparve: "Ah ! Mademoiselle, come sta il mio Signor Fratello?". Il suo pensiero non osò spingersi oltre . "Mada­ me, la sua ferita non è grave . C'è stato un combattimento". ... "E mio figlio? Figlio caro ! E morto subito? Non ha avuto neppure un istante? Ah, mio Dio ! Che sacrificio ! ". Così di­ cendo cadde sul letto e tutto ciò che il dolore più vivo può provocare, convulsioni, svenimenti , un silenzio mortale , grida soffocate, lacrime amare , slanci verso il cielo, lamenti teneri e pietosi, tutto questo ella lo ha provato. Vede po­ chissime persone . Pren q. e un po ' di brodo, perché Dio lo vuole. Non ha pace. La sua salute, già in pessimo stato, è vi­ sibilmente alterata. Io, che non comprendendo come possa vivere dopo una tale perdita, le auguro la morte . « Vi è un uomo al mondo che non è meno colpito; niente mi toglie dalla mente che, se si fossero incontrati tutti e due in quei primi istanti, alla sola presenza del gatto, tutti gli altri sentimenti avrebbero fatto posto alle grida e alle lacrime cui si sarebbero abbandonati senza ritegno: è una visione » . 1 La « visione » di Madame de Sévigné si basava sulla fre­ quentazione assidua di La Rochefoucauld e sulla stretta amicizia con Madame de La Fayette , e tutto ci induce a cre­ dere che, udendo parlare del dolore della sua antica aman­ te , il duca potesse finalmente intuire cosa significava per Madame de Longueville essere « madre » . La Rochefoucauld non era i l solo a nutrire dubbi sull' au­ tenticità della metamorfosi di Madame de Longueville . l . Madame de Sévigné a Madame de Grignan, 20 giugno [ 1 672] , in Corres­ pondance, cit., vol. I , pp. 535-36.

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Quelli che avanzava padre Rapin , anche se dettati da �agio­ ni di parte, sono per noi di grande interesse . Perché, si chiedeva il gesuita, la duchessa di Longueville, la principes­ sa di Guéméné, la marchesa di Sablé, la contessa di Maure, Mademoiselle de Vertus e tante altre dame dell' alta aristo­ crazia si lasciavano attrarre da Port-Royal? Perché una so­ cietà raffinata, dedita agli svaghi, innamorata delle appa­ renze, invece di apprezzare lo sforzo che la Compagnia di Gesù faceva per conciliare le ragioni della religione con quelle del mondo, prestava ascolto al richiamo del rigori­ smo giansenista? La spiegazione di padre Rapi n è brillan te­ mente riduttiva: il successo di Port-Royal fra la gente della buona società era dovuto a ragioni esclusivamente monda­ ne, al gusto della novità, al desiderio di distinguersi. Men­ tre nelle Fiandre il giansenismo non usciva dai confini di una discussione fra teologi, « in Francia erano soltanto le persone altolocate, i beaux esprits e le dame » a propagare la nuova dottrina.1 Considerato l'alto rango del personaggio, il caso di Madame de Longueville appariva pericolosamen­ te esemplare, e per screditarlo Rapin ricorreva all' arte sotti­ le della denigrazione: « Quel partito aveva da molto tempo cominciato a piacerle per la severità della morale che si in­ segnava a Port-Royal . Ella era, infatti, naturalmente severa nei sentimenti, perché lo trovava più bello, anche se poi non lo era affatto nella condotta. Inoltre, l'eleganza intel­ lettuale [politesse d 'esprit] che regnava più che altrove in quella cricca le risultava profondamente congeniale, essen­ do ella stessa estremamente elegante e avendo grande sti­ ma per chi lo era » .2 Prigioniera delle apparenze, Madame de Longueville poteva avere riformato la sua condotta, ma gettandosi nelle dispute teologiche praticava un libertinag­ gio assai più pericoloso di quello dei sensi: « la galan teria dello spirito » .3 Per la con tropropaganda giansenista, invece, la conversa­ zione di Anne-Geneviève , senza rinunciare né alla « delica­ tezza » , né all ' esprit, era in in ti ma armonia con la sua fervida religiosità. Sotto la penna di un « solitario » - forse Nicole perfezione mondana e umiltà cristiana si rivelavano sor­ prenden teme n te speculari: « Era cosa degna di studio il l . Mémoires du Père &pin, cit. , vol. I, p. 36. 2. lbid., vol. Il, p. 1 5 1 . 3 . lbid. , p . 1 47.

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modo in cui Madame de Longueville conversava con la gente . . . Non diceva mai nulla a proprio favore, e non vi era eccezione alla regola. Ella coglieva, senz ' ombra d 'affetta­ zione, tutte le occasioni possibili per umiliarsi. Diceva così bene tutto quel che diceva che sarebbe stato difficile dirlo meglio, per quanti sforzi si potessero fare . . . Parlava in modo modesto, caritatevole e senza passione . . . Il tono che più le era estraneo era quello arrogante e superiore, e so di per­ sone, peraltro assai amabili, che non le sono mai piaciute perché avevano un che di quel tono . . . Insomma, tutto il suo aspetto esteriore, la sua voce, il suo volto, i suoi gesti erano come una musica perfetta, e il suo spirito e il suo cor­ po si prestavano così bene a esprimere ciò che ella deside­ rava comunicare da fare di lei la più perfetta attrice del mondo » . 1 Dopo l a morte del figlio l e occasioni di conversazione del­ la principessa sarebbero diventate sempre più rare . Se il vo­ ler cercare la verità nel commercio degli uomini era pura il­ lusione, meglio senz'altro tacere. Non esistono parole inno­ centi, l'ammoniva infatti Rancé, e l 'atto stesso di comunica­ re implica la menzogna: « Non solo si offende Dio con la pa­ rola quando si comunica. con gli uomini, ma si pecca altresì con i pensieri quando non si è più con loro, perché si rima­ ne invischiati in una rete di rapporti e di legami con tro cui non vi è difesa. E chiunque si osservi con attenzione troverà grandi differenze tra ciò che è nelle conversazioni, per quanto pure esse siano, e ciò che è quando rimane solo » .2 Disertando l' hotel de Longueville, Anne-Geneviève andò ad abitare a Port-Royal des Champs, in una casa accanto al convento, dal quale usciva solo per recarsi in visita al Car­ melo di rue Saint:Jacques: « Si sarebbe detto che volesse riu­ nire in un supremo slancio d'affetto l' abbazia, che le ricor­ dava la sua giovanile innocenza, e il monastero, testimone del suo santo pentimento » .3 Ella non volle mai che ci si di­ menticasse che era una peccatrice , e che aveva da espiare l . Ci tato in Sainte-Beuve, Madame de Longueville », in Portraits de fem­ mes, in CEuvres, cit. , vol . II, p. 1 303. 2. L'abate di Rancé a Madame de Lo l! gueville, [dicembre?] 1 675, in Ar­ mand:Jean de Rancé, Correspondance. Edition originale par Alban]ohn Krail­ sheimer, 4 voll . , Les éditions du Cerf ( Citeaux, Commentarii Cistercienses) , Pa­ ris, 1 993, vol. I , pp. 727-28. 3. Cécile Gazier, Les belles amies de Port-Royal, Librairie Académique Perrin , Paris, 1 954 ( l � ediz . , 1 930) , p. 1 1 0. «

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colpe gravissime . Fedele a se stessa nell' orgoglio, lo fu u­ gualmente nella mortificazione . I due momenti, solo appa­ rentemente contrapposti, della sua vita obbedivano a un unico disegno della Provvidenza; la gravità degli errori commessi era anche il segno eloquente della misericordia divina. Fallax pulchritudo; mulier timens Deum laudabitur: è a parti­ re da questa sentenza dell 'An tico Testamento che Gabriel de Roquette, vescovo di Autun , avrebbe ripercorso le due stagioni dell' esistenza di Madame de Longueville nell 'ora­ zione funebre pronunciata l ' 1 1 aprile 1 680, al Carmelo, un anno dopo la sua scomparsa.1 Nella chiesa di rue Saint:Jac­ ques l' emozione era grande e, quel giorno, erano in molti a piangere . Il principe di Condé non riusciva a trattenere le lacrime al ricordo della sorella; Madame de La Fayette piangeva pensando a La Rochefoucauld, spentosi anch 'egli quell 'anno, e lo stesso facevano i figli del duca, presenti al­ la cerimonia. La morte riuniva ancora una volta, per un ul­ timo, imprevisto appuntamento, i due amanti di un tempo. Cronista d ' eccezione, Madame de Sévigné osservava, per poi poterle raccontare alla figlia, le reazioni dei diversi par­ tecipanti, e rifletteva affascinata sul gioco delle coincidenze e sull ' intrecciarsi dei ricordi: perché « quei due nomi indu­ cevano davvero a sognare » .2

l . Madame de Longueville era morta il 1 5 aprile 1 679. 2. Madame de Sévigné a Madame de Grignan , 1 2 aprile [ 1 680] , in Corres­ pondance, cit. , vol. Il, p. 903.

VII LA D U C H E SSA DI MONTBAZ ON E IL RIFO RMATORE DE LLA TRAPPA

Se Madame de Longueville aveva avuto venticinque anni per prepararsi a morire , Madame de Montbazon ebbe sol­ tanto poche ore per pentirsi di una vita piena di scandali. Dominati dall'angoscia della dannazione, gli uomini e le donne del XVII secolo facevano della buona morte il mo­ mento cruciale dell'esistenza e seguivano con morbosa cu­ riosità il modo in cui i loro contemporanei avevano affron­ tato la fine. « Quell 'illustre mondana ebbe soltanto tre ore per prepararsi al grande viaggio : » racconta Madame de Motteville « sembrò nondimeno farne buon uso. Si confes­ sò e ricevette tutti i sacramenti, manifestando in vari modi la sua pietà e il pentimento per non aver seguito princìpi più solidi e più cristiani. A sua figlia, la badessa di Caen, che le era accanto, disse che rimpiangeva di non avere trascorso come lei la vita in un chiostro e che, sentendo avvicinarsi l 'ora del giudizio, provava orrore per il suo passato » . 1 Dal chiostro, Marie d e Bretagne-Avaugour, dei conti di Vertus, era uscita, appena sedicenne, nel 1 628, per andare in sposa a Hercule de Rohan , duca di Montbazon, che ave­ va allora settantadue anni. Come in un racconto di Sade, era stato proprio il vecchio marito, che amava definirla « la l.

Mémoires de Madame de Motteville, cit. , vol. IV, p. 94.

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sua religiosa » , 1 a iniziarla al libertinaggio. Aveva debuttato in famiglia, scegliendosi come amante il duca di Chevreuse , marito della figlia di primo letto del duca di Montbazon , la regina delle awenturiere. Tuttavia, mentre quest'ultima, so­ steneva Retz, « amava senza scegliere , e soltanto perché bi­ sognava che amasse qualcuno . . . ma, una volta che si era presa un amante, lo amava con fedeltà e in modo esclusi­ vo » , Madame de Montbazon « non amava nient'altro che il proprio piacere e, al di sopra di questo, il proprio interesse. Non ho mai visto nessuno che serbasse nel vizio tanto poco rispetto per la virtù » . 2 Le testimonianze del tempo sulla duchessa ci consento­ no di misurare la distanza che separa l 'utopia mondana del­ la Camera azzurra dalla franca brutalità del costume a essa contemporaneo . Madame de Montbazon non conosceva al­ tra legge che quella del suo desiderio. Amava l ' amore , il sesso , il denaro, il potere, e li esigeva con alterigia, travol­ gendo gli uomini con la sua bellezza sensuale e opulenta. Ignorava il valore della parola data, della discrezione; era sempre pronta a tradire . Insolente e sfrontata con tutti, a cominciare dalla regina, la duchessa non si preoccupava di mascherare i propri vizi né di moderare la crudezza del proprio linguaggio. Mentre , di lì a poco, la paura delle ma­ ternità non desiderate avrebbe spinto le Preziose a sublima­ re l'amore , Madame de Montbazon, « quando era incinta . . . attraversava Parigi in carrozza, a gran velocità, e dopo dice­ va: "Ho appena spezzato il collo a un bambino "».3 La licenza della guerra civile consentì a quella di Mada­ me de Montbazon di avere libero corso . L' ascendente che ella esercitava sul duca di Beaufort, uno dei protagonisti della Fronda, soprannOminato « il re delle Hall es >> perché sapeva conquistarsi la simpatia popolare , le permise di tes­ sere intrighi senza fine, mercanteggiare favori , stringere e sciogliere patti di alleanza. La lotta comune contro Mazza­ rino non attenuò l' odio che opponeva Madame de M9nt­ bazon a Madame de Longueville , né quello, di lunghissima data, tra i Rohan , i Vendome e i Condé . Talvolta, è vero, es­ si erano costretti a scendere a patti ; in una delle trattative l. Lo racconta Tallemant des Réaux in Historiettes, cit. , vol. I I , p. 2 1 7. 2. Retz, Mémoires, cit. , pp. 1 58-59. 3. Tallemant, Historiettes, cit. , vol. I I , p. 220.

La

duches.5a di Montbazon

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Retz ricevette dal principe di Condé l'incarico di trasmette­ re a Madame de Montbazon il messaggio seguente: « La

so­

la condizione che pongo per la nostra riconciliazione è che, quando taglierà "quel certo non so che" a Monsieur de La Rochefoucauld, ella non lo mandi in un bacile d'argento a mia sorella, come va ripetendo a una ventina di persone da due giorni a questa parte ". 1 Anche quando faceva ricorso al­ la metafora, la duchessa non eccedeva in delicatezza. Fu verso la fine del mese di aprile del 1 657 che una feb­ bre improvvisa portò via Marie de Montbazon , lasciandole appena il tempo di ricevere i sacramenti. Non furono in molti a piangerla: "' I suoi vecchi amanti la considerarono con disprezzo, e coloro che l' amavano ancora non ne furo­ no commossi, perché ciascuno, geloso del suo rivale, lasciò le lacrime e il dolore in appannaggio al duca di Beaufort, che era allora il suo preferito »2 afferma seccamente Mada­ me de Motteville la quale , però, ignorava che fra quegli amanti ve n ' era uno schiantato dal dolore e dall 'angoscia e torturato dal dubbio che il pentimento in extremis di Ma­ dame de Montbazon potesse non essere stato sufficien te a salvarla dalla dannazione eterna. Era un uomo di Chiesa, ri­ masto fino ad allora sordo alla parola di Dio, a cui la morte inattesa della donna amata rivelava improvvisamente « che non vi è nulla quaggiù a cui ci si debba attaccare, perché non vi è nulla al mondo di così grande e di così glorioso che non passi come un lampo e che non possa essere falciato

via in un attimo » .3

Fin da bambino, Armand:Jean Le Bouthillier, abate di Rancé, era stato destinato allo stato ecclesiastico . Nato a Pa­ rigi, da una famiglia appartenente alla noblesse de robe, il 9 gen naio 1 626, intelligente e ambizioso, il giovane abate ave­ va tradotto a dodici anni Anacreonte ed era risultato primo alla laurea in teologia, lasciandosi alle spalle lo stesso Bos­ suet. La consapevolezza del proprio merito e la passione per lo studio si sposavano in lui al gusto della vita galante. Fortemente attratto dal mondo dell'alta nobiltà parigina (e l . Retz, Ménwires, ci t. , pp. 307-308. 2. Mémnires de Mada:me de Motteuilk, cit., vol. N, p. 94. 3. L'abate di Rancé a Madame de Longueville [luglio 1 672] , in Correspon­ dance, ci t., vol. l, p. 467.

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unico erede di un notevole patrimonio) , Rancé ne aveva acquisito le abitudini e i modi. Il giovane abate contempe­ rava tranquillamente le esigenze del petit-maitre in cerca di piacere con quelle dell'ecclesiastico · deciso a far carriera. « Questa mattina vado a predicare come un angelo, questa sera a cacciare come un diavolo » rispondeva a un amico che lo aveva interrogato sui suoi programmi .1 Per lui l 'im­ portante era eccellere in entrambi i ruoli e farlo con ele­ ganza. E poiché nell'Antico Regime il modo di vestire era un immediato segno di riconoscimento, Rancé dedicava ai suoi abiti la massima attenzione . « Un giustacuore viola di stoffa preziosa, calze di seta del­ lo stesso colore, ben tese, una cravatta ricamata alla moda; la chioma lunga, sempre arricciata e incipriata con cura; due grossi smeraldi ai polsini e un diamante di gran pregio al dito: tale era allora l ' abbigliamento dell'abate di Rancé. Ma quando si recava in campagna o a caccia, era tutt' altra cosa: non si scorgeva alcun segno che indicasse in lui un uo­ mo consacrato al servizio degli altari. La spada al fianco, due pistole all'arcione della sella, un abito beige e una cra­ vatta di taffettà nero con dei ricami in oro. E se, nel fre­ quentare le compagnie più serie, indossava un giustacuore di velluto nero con dei bottoni d' oro, si sentiva perfetta­ mente a posto e vestito secondo le regole » .2 L' incontro con Madame de Montbazon dovette certo contribuire a spingere Rancé dalla parte del diavolo. Lui aveva allora vent'anni, lei almeno quattordici di più, ed è facile immaginare l'ascendente che quella grande seduttri­ ce dalla bellezza intramontabile esercitò sul giovane liberti­ no. Non sappiamo con quanti altri Rancé condivise i suoi favori e se , dopo tutto, la cosa lo turbasse. Certamente , se dobbiamo credere alle insinuazioni di Retz, sul terreno del­ l'amore il duca di Beaufort non era un rivale temibile. Ma il fascino esercitato dall 'avventuriera di gran rango , nella cui scia Rancé aveva attraversato la Fronda, non era soltanto di natura erotica. Se all'hotel de Montbazon il giovane abate aveva compiuto la sua metamorfosi mondana abbracciando l'ideologia nobiliare e lo stile dell' alta nobiltà, quel « luogo l . Blandine Kriegel, La querelle Mabillon-Rancé, Quai Voltaire , Paris, 1 992 ( l ediz . , 1 988 ) , p. 26. 2. Descrizione di dom Gervaise , ripresa da Chateaubriand e citata in Krie­ gel , op. cit. , p. 23. .l

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di adozione » era diventato anche il punto di riferimento più importante della sua vita affettiva; e in casa dell 'amante avrebbe ugualmente avu to inizio la metamorfosi spirituale che doveva condurlo fuori dal mondo. Entrambe le storie della conversione di Rancé riferite da Saint-Simon hanno infatti come sfondo il palazzo della duchessa. La prima versione è che l'abate, raggiunto dalla notizia della malattia di Madame de Montbazon mentre si trovava in campagna, era immediatamente tornato a Parigi, ignaro del fatto che la morte lo aveva preceduto. Precipitatosi da lei, Rancé si era trovato di fronte uno spettacolo orribile: « la prima cosa che aveva visto era la sua testa, che i chirur­ ghi, facendole l' autopsia, avevano staccato dal corpo. Così aveva saputo della sua morte, e la sorpres� e l' orrore di quello spettacolo, uniti al dolore di un amante appassiona­ to e corrisposto, lo avevano convertito, spingendolo dappri­ ma a ritirarsi dal mondo, e poi nell 'ordine di San Bernardo e nella sua riforma » .1 La seconda è quella che molti anni dopo fornì al memorialista lo stesso Rancé: « Madame de Mon tbazon morì di rosolia nel giro di pochi giorni. Mon­ sieur de Rancé le era accanto, non la lasciò neanche un mo­ mento, la vide ricevere i sacramenti e fu presente alla sua morte. La verità è che, già toccato e diviso tra Dio e il mon­ do , egli meditava ormai da qualche tempo di ritirarsi in so­ litudine , e le riflessioni che quella morte così improwisa destarono nella sua mente e nel suo cuore finirono per in­ durlo a tale decisione » . 2 Due secoli dopo, persuaso dal suo confessore a scrivere una biografia del riformatore della Trappa, Chateaubriand poté constatare che tutti i poeti avevano adottato la prima versione , e tutti i religiosi l'avevano respinta. Ma per lo scrittore verità poetica e verità ufficiale non erano affatto inconciliabili, e nella sua Vie de Rancé le due versioni si sal­ dano in un 'unica, drammatica sequenza. Rancé aveva assi­ stito all'agonia di Madame de Montbazon e al suo penti­ mento sul letto di morte , e si era separato da lei solo quan­ do l 'ultimo soffio di vita l 'aveva abbandonata. Trascorsa qualche ora, l' abate non aveva però resistito all'impulso di l . Saint-Simon, Mémoires (1691-1 701) . Additions au journal de Dangeau, a cura di Yves Coirault, 8 voll. , Bibliothèque de la Pléiade, Gallimard, Paris, 1 982-1 987, vol. I, p. 522. 2. Loc. cit.

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rendere un estremo omaggio alla salma della donna amata e, tornato sui suoi passi, si era trovato di fronte il macabro spettacolo del corpo mutilato. Chateaubriand si mostra ugualmente incline a prestar fede alla leggenda secondo cui Rancé aveva portato con sé alla Trappa la testa mozza di Madame de Montbazon. Do­ po aver incarnato il trionfo della bellezza e dei sensi, ridot­ ta a misero teschio, Marie de Bretagne doveva ora rinsal­ dare nel suo rifiuto dell'umano colui che tanto l ' aveva a­ mata. Sei anni furono necessari a Rancé per recidere tutti i le­ gami con il mQPdo e ritirarsi poi nel convento di Notre-Da­ me de La Trappe, di cui era abate commendatario. Cupo e insalubre, infossato in una valle del Perche piena di acqui­ trini e di stagni, il monastero era in piena decadenza, e Rancé avrebbe subito proweduto a riformarlo, sottoponen­ dolo a una regola così severa da suscitare la resistenza delle stesse autorità religiose . Ispirata al modello del monachesi­ mo del deserto, essa si allontanava dalla tradizione monaca­ le occidentale, contemplativa e studiosa, per imporre un programma di penitenza ed espiazione senza preceden ti. Morire alla propria umanità, dimenticare il mondo, tacere , obbedire, umiliarsi, pregare e vivere nell' attesa di compari­ re davanti al Creatore erano, certamente, punti centrali del grande dibattito teologico del XVII secolo. Ma Rancé li riu­ niva tutti in un programma di vita monastica che suonava come una sfida: nemmeno il giansenismo si era spinto su posizioni così estreme . N el suo furore di mortificazione e di rinuncia Rancé, in polemica con il grande erudito benedet­ tino dom Mabillon, proibiva ai monaci anche lo studio, poi­ ché, diceva, « la loro condizione è quella di piangere e non di istruire, e il disegno di Dio nel far emergere dei solitari all 'interno della Chiesa non era quello di formare dei dotti ma dei penitenti » . 1 In nome dell' Eterno, il riformatore del­ la Trappa condannava la storia. « La spiritualià di Rancé » ha scritto Bernard Beugnot « era pervasa dal mito dell' ori­ gine e della sua purezza, e dalla percezione del tempo col . Rancé, De la sainteté et des devoirs de la vie monastique, 2 voli. , F. Muguet, Paris, 1 683, vol . II, pp. 370-7 1 , citato in Kriegel, op. cit. , p . 65.

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me causa di decadenza » . 1 Niente di più lontano dall'eufori­ ca certezza che avevano molti sudditi di Luigi XIV di vivere in un ' epoca privilegiata, diversa da tutte le altre, in cui il progresso delle arti e delle scienze consentiva di credere al­ la superiorità dei moderni e di guardare con fiducia al do­ mani. L'uscita dal mondo di Rancé doveva dunque impres­ sionare profondamente una società che pure intratteneva con l 'idea della retraite una dialettica costante. Non solo perché , assieme a Mademoiselle de La Vallière, Rancé « in­ carnava mirabilmen te il contrasto fra un periodo mondano vissuto all'insegna della dissipazione . . . e un ingresso non meno spettacolare nella vita religiosa » ,2 ma perché, a diffe­ renza della gentile amante del Re Sole, il riformatore della Trappa non voltava le spalle soltanto alle miserie del secolo, ma alla sua stessa gloria. Se per trentasette anni, come scrive Chateaubriand, Rancé visse nella solitudine « per espiare i tren tasette che aveva passati nel mondo » ,3 questo non impedì al mondo di fare del suo monastero un luogo di incessante pellegrinag­ gio. A mano a mano che Rancé inaspriva la sua regola, no­ nostante le polemiche e i giudizi contraddittori, la fama della sua terribile santità conquistava la corte. Come già era successo con Port-Royal negli anni Sessanta, la Trappa di­ ventava, un ventennio dopo, un fenomeno alla moda. « l re­ ligiosi vi accorrevano dai monasteri vicini, e ben presto, a Parigi come a Versailles, non si parlava d' altro che del si­ lenzio della Trappa. Andare alla Trappa, diceva un gran si­ gnore, era la passione di tutti gli honnetes gens. Vi si recavano ogni anno da sei a settemila pellegrini » .4 Tra i visitatori si segnalavano Madame de Guise, sorella per parte di padre di Mademoiselle de Montpensier e cugina di Luigi XIV, Monsieur, fratello del re , Giacomo I I d 'Inghilterra, il mare­ sciallo di Bellefonds, il duca di Saint-Simon accompagnato dal figlio, il futuro memorialista, e Bossuet, vescovo di l . Bernard Beugnot, Le discours de la retraite au XVII siècle. Loin du monde et du bruit, PUF, Paris, 1 996, p. 254. 2. Ibid. , p. 253. 3. François-René de Chateaubriand, Vie de Rancé, Prefazione di Roland Barthes, Union Générale d' É ditions, « 1 0/ 1 8» , 1 965, p. 1 83 (trad. it. La vi­ ta di Rancé, a cura di Benedetta Papàsogli, San Paolo, Milano, 1 993, pp. 29 1-92) . 4. Kriegel, op. cit. , p. 53.

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Meaux, già compagno di collegio di Rancé e capo della Chiesa gallicana. Per avere dawero il senso dell'ampiezza della rete di re­ lazioni che l'abate continuava a tessere pur nella solitudine, basta scorrere l 'indice dei nomi dei suoi corrispondenti, duecentocinquanta persone appartenenti a tutti i ceti so­ ciali, a cui egli indirizzava migliaia di lettere. Ed è inevitabi­ le chiedersi se questo epistolario - che, sebbene ci sia per­ venuto solo in minima parte, è uno tra i più imponenti del XVII secolo - non costituisca « una smentita al suo proposi­ to di vita solitaria, una controtestimonianza a una vita per altri versi esemplare » ! Come non stupirsi che Rancé si sen­ tisse in diritto di fare ciò che proibiva ai suoi monaci? Due tipi di considerazioni dovettero avere la meglio sui suoi scrupoli. Intrattenere buoni rapporti con il mondo eccle­ siastico e con la corte era indispensabile alla salvaguardia e al rafforzamento dell'ordine, e rifiutare di rispondere a chi gli chiedeva soccorso era venir meno ai suoi doveri di reli­ gioso. A differenza di Port-Royal, la Trappa escludeva le donne , tuttavia esse figurano numerose nella corrispondenza del­ l ' abate. Alcune erano p�nitenti illustri come Madame de Longueville o la duchessa di La Vallière ; altre, come Mada­ me de La Sablière o come Madame de La Fayette, cercava­ no rifugio nella religione dopo aver consacrato la loro vita al culto dell' intelligenza e alla scienza del mondo. Rancé rifiutava di assumere la loro direzione spirituale, ma le so­ steneva con consigli e parole di incoraggiamento . Benché considera�se l a vita monastica l a risposta miglio­ re che l ' uomo potesse dare a Dio, Rancé credeva che fosse possibile salvarsi e raggi�ngere la santità anche conducen­ do un ' esistenza secolare , a patto di affrancarsi completa­ mente dai valori mondani. Nella Princesse de Clèves Madame de La Fayette aveva rac­ contato la storia di una retraite dal mondo, di una rinuncia a vivere la passione in nome della pace interiore . Eppure , al­ meno in apparenza, le ragioni che inducevano la sua eroi­ na a segregarsi in un convento non erano di natura religio1 . Lucien Aub ry, Introduction à la spiritualité de Rancé, in Rancé, Correspondance, cit. , vol . I, p. 30. ·

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sa, ma di carattere affettivo e morale: le preoccupazioni che la spingevano a uscire dal mondo non sfuggivano a una lo­ gica secolare. Adesso , sedici anni dopo aver dato alle stampe il suo ca­ polavoro, duramente provata dalla perdita di La Rochefou­ cauld, triste e malata, era la scrittrice stessa ad anelare alla quiete . A differenza della sua eroina, Madame de La Fayet­ te chiedeva aiuto alla religione per distaccarsi da una vita intensamente vissuta che presto, suo malgrado, l'avrebbe abbandonata. Tuttavia, « l ' intelligenza, la ragione, l'onore , la probità » non potevano supplire al dono della fede , e la contessa era tormentosamente sospesa tra dubbi e incertez­ ze . Chiamato a sostenerla in questa difficile prova, Rancé la invitava a una metamorfosi totale dell' io, senza la quale non ci poteva essere salvezza: perché Dio le parlasse e le di­ cesse ciò che non le aveva ancora detto bisognava che si compisse in lei « una conversione radicale della mente e del cuore » . 1 La fiducia che Madame d e La Fayette nutriva per il suo corrispondente non le impediva di dubitare fortemente di sé. Come le sarebbe stato possibile operare la rivoluzione che le veniva richiesta, trovare il coraggio di voltare le spal­ le alla propria vita, sacrificare ali 'ignoto le pochissime cer­ tezze acquisite? Era stanca, prigioniera delle sue stesse pau­ re, della coscienza acutissima delle proprie debolezze. A differenza della principessa di Clèves non si sentiva capace di nessuna impresa eccezionale . Che cosa aveva indotto Rancé a lasciarsi tutto alle spalle e a chiudersi nel silenzio e nella solitudine? Certamente Madame de La Fayette non ignorava la storia della duchessa di Montbazon, della crisi religiosa seguita alla sua morte, della conversione e della decisione di Rancé di seppellire per sempre il passato. Ep­ pure, ella osava ugualmente formulare la sua insolentissima domanda. E, cosa altrettanto inaudita, dopo trent'anni di silenzio, il celebre abate accettava di risponderle. « Non so perché vi ho fornito tutti questi particolari, cosa che non avevo mai fatto con nessuno; avrei potuto astenermene sen­ za che voi vi trovaste niente a ridire. Ma ho creduto che fos­ se meglio proporli sinceramente alla vostra riflessione, conl . L'abate di Rancé a Madame de La Fayette, 27 novembre 1 686, in Corres­ pondance, cit. , vol. III, pp. 403-406.

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tando sulla vostra promessa di serbare in proposito un se­ greto inviolabile » . 1 Forse, se Chateaubriand avesse avuto conoscenza d i que­ sta lettera, la sua Vita sarebbe stata diversa. Non vi era trac­ cia di eventi fatali o di illuminazioni improvvise, non vi era posto per « la poesia » nel racconto di Rancé. La sua conver­ sione , egli scrive, era stata determinata soltanto dall' insod­ disfazione, dal disgusto per la vita. Con un solo tratto di penna, l'abate sembrava rinnegare il suo passato e stabilire una nuova versione della verità. Voleva così smentire , una volta per tutte, la leggenda scandalosa che circolava su di lui e che poteva nuocere alla Trappa? O, più semplicemen­ te, aveva finito col cancellare una memoria che gli avrebbe impedito di_ vivere, in accordo con la spiritualità secentesca, « nel varco stretto dell 'istante attuale . . . sotto la luce dell ' as­ soluto »?2 Probabilmente la ragione va cercata altrove. Se Rancé aveva deciso di parlare di sé era perché la sua espe­ rienza potesse servire alla sua interlocutrice. Non era al­ l'immaginazione romanzesca della scrittrice che egli faceva appello, ma alla lucidità della moralista. Dio non aveva bi­ sogno di ricorrere a eventi straordinari per parlare ai cuori: il disgusto del mondo er� un 'esperienza alla portata di tut­ ti, bastava solo osservarne l 'intrinseca miseria e prendere atto della sua insufficienza. « Mi domandate, Madame , i motivi che mi hanno indotto a lasciare il mondo. Vi dirò semplicemente che l ' ho lasciato perché non vi ho trovato ciò che vi cercavo. Volevo una pa­ ce che esso non era in grado di darmi e se, per mia disgra­ zia, ve l'avessi trovata, forse non avrei spinto oltre la mia ri­ cerca. Le ragioni che avrebbero dovuto spingermi a vivervi ulteriormente suscitarono in me un tale disgusto che pro­ vai vergogna a seguirle e a subirne l' attrazione . Per conclu­ dere , le conversazioni gradevoli, i piaceri, i progetti di car­ riera e di fortuna, mi parvero cose talmente vuote e incon­ sistenti che cominciai a non poterle più guardare senza es­ serne disgustato. A ciò si aggiunse il disprezzo che nutrivo per la maggior parte degli uomini , visto che essi non aveva­ no né fede , né onore , né lealtà, e tutto questo insieme di l. L'abate di Rancé a Madame de La Fayette, 22 novembre 1 686, ibid. , p. 405. 2. Benedetta Papàsogli, Introduzione a Chateaubriand, La vita di Rancé, cit. , p. 35.

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cose mi portò a fuggire da ciò che non poteva più piacermi e a cercare qualcosa di meglio » } Rancé acconsentiva dunque a parlare d i s é per offrire a Madame de La Fayette uno specchio in cui riconoscersi. La diversità dei loro percorsi biografici era insignificante ri­ spetto alla meta comune, all'ansia di pace interiore, al desi­ derio di distacco dal mondo, e gli ostacoli da superare si ri­ velavano, alla luce di ciò che sappiamo su Madame de La Fayette , sorprendentemente identici. Ma identica era an­ che la civiltà mondana che li aveva sedotti con i suoi piaceri e le sue conversazioni gradevoli, identico l ' orgoglio nobilia­ re che li aveva fatti schiavi delle loro ambizioni sociali. Per conseguire la quiete interiore la principessa di Clèves aveva sacrificato la sua passione per il duca di N emours; per aprir­ si alla parola di Dio, Rancé indicava ora a Madame de La Fayette una strada molto più semplice: vivere fino in fondo il suo disincanto per la vita.

l . L'abate di Rancé a Madame de La Fayette, 22 novembre 1 686, in Corres­ pondance, cit. , vol. III, pp. 403-404.

VIII LA MARCH E SA DI SABL É : I L SALOTTO NEL C O NVENTO

LE « FO N DATRI C I D E L G I A N S EN I S M O »

Non era il timore della dannazione a tormentare Mada­ me de Sablé , ma più semplicemente la paura di morire . Era un terror panico che l'accompagnava sin dagli anni della giovinezza e che la marchesa non cercava di combattere con le armi consuete del buon senso, della ragione, della cristiana rassegnazione, bensì con l 'assoluta determinazio­ ne a rimanere in vita il più a lungo possibile. Conduceva contro la morte una guerra difensiva astutissima: non si esponeva alle correnti d'aria, alle atmosfere insalubri, ai temporali, ai viaggi; evitava accuratamente le persone am­ malate , per paura del contagio; aveva sempre a portata di mano una équipe di medici e una farmacia fornitissima. La notte, per evitare di addormentarsi profondamente col ri­ schio di non risvegliarsi mai più, voleva accanto al letto una persona addetta a vegliare sul suo sonno, con la precisa consegna di scuoterla a intervalli regolari. Lo sconcerto che suscitava intorno a sé non la turbava minimamente: « Temo la morte più degli altri, » aveva detto un giorno « perché nessuno ha mai capito meglio di me cosa sia il nulla » . 1 E a l . Tallemant, Historiettes, cit. , vol . I, p. 5 1 7.

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Tallemant des Réaux, che non mancava di sottolineare l 'in­ congruenza di tutto questo con la sua devozione e la sua professione di fede in un ' altra vita, la marchesa avrebbe probabilmente risposto come aveva fatto una volta ad Ar­ nauld d' Andilly: « Vi assicuro che tengo conto di ogni cosa, valutando ciascuna di esse a tempo e luogo e senza trascu­ rarne alcuna » .1 Da un lato ella aveva la conoscenza esatta della sua patologia ossessiva, dall' altro la fede religiosa: messe a confronto, le due esperienze potevano certamente apparire incompatibili. Ma per lei la cosa importante era « dare volta per volta una risposta vera, vale a dire conforme all 'ordine delle necessità e dei doveri, al di là della loro di­ versità e contraddittorietà » .2 « Tener conto di ogni cosa e valutare ciascuna di esse a tempo e luogo » : niente meglio di questa formula classica avrebbe potuto servire da emblema a Madame de Sablé. La marchesa aveva una mente indipendente e curiosa, non amava lasciarsi intrappolare dalla logica degli schieramenti, dalle scelte obbligate . Protagonista di primo piano della vi­ ta sociale, intellettuale e morale della sua epoca, non dele­ gava agli altri la responsabilità di decidere per lei e, per po­ ter essere in condizion� di giudicare, voleva innanzitutto capire . Un' esigenza tutt' altro che scontata in un 'epoca nel­ la quale l'accesso alla conoscenza era ancora appannaggio di una élite maschile e la Chiesa riteneva più opportuno li­ mitare l 'istruzione religiosa femminile , educando le donne all' umiltà e all ' obbedienza. Coniugando due vizi tipici del suo sesso , la frivolezza e la curiosità, Madame de Sablé veni­ va una volta di più a suffragare la tesi di quanti credevano nella natura demoniaca delle figlie di Eva, e riaccendeva la discordia all 'interno della Chiesa. Un giorno imprecisato del 1 642 , Madame de Sablé si pre­ parava ad andare a una festa da ballo in compagnia della principessa di Guéméné , ma quando quest'ultima venne a sapere che l ' amica si era comunicata quella mattina non nascose il suo stupore : per il suo direttore di coscienza la comunione imponeva la sospensione di qualsiasi attività l . Citato in jean Lafond, Madame de Sablé et son salon, in L'homme et son ima­ ge, Champion , Paris, 1996, p. 264. 2. Loc. cit.

La marchesa di Sablé

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profana. Incuriosita da tanto rigore, Madame de Sablé in­ terrogò il proprio confessore il quale, a sua volta, chiese di vedere le regole di condotta di Madame de Guéméné per poter poi dichiararsi per iscritto. Il suo commento compì il cammino inverso e passò dalle mani di Madame de Sablé a quelle di Madame de Guéméné, per finire sotto gli occhi del direttore di coscienza della principessa. Deliziate di es­ sersi imbattute in un argomento di conversazione così ap­ passionante, le due amiche non potevano sospettare di aver innescato un processo esplosivo. Entrambe erano entrate in un ' epoca della vita in cui le preoccupazioni religiose tendevano a prendere natural­ mente il soprawen to su quelle galanti ma, mentre Madame de Sablé era un eccellente awocato delle esigenze del pro­ prio io, Madame de Guéméné viveva la transizione in modo drammatico. Andata sposa a quattordici anni al cugino germano Louis VII de Rohan , principe di Guéméné, figlio di primo letto del marito di Madame de Mon tbazon , Anne de Rohan ave­ va rivaleggiato con la suocera in bellezza e libertinaggio. Le sue awenture erano di pubblico dominio e « si diceva che i suoi amanti facessero tutti una brutta fine » : 1 in effetti, al­ meno tre , il duca di Montmorency, il conte di Bouteville e Monsieur de Thou, erano stati decapitati. Con il futuro car­ dinale di Retz le cose erano andate un po' meglio . Lui, è ve­ ro, aveva cercato di strangolarla, e lei gli aveva tirato un candelabro in testa, ma la relazione si era protratta nel tem­ po. E quando, assalita dai rimorsi e minacciata dal suo pa­ dre spirituale delle pene dell 'inferno, Madame de Guémé­ né aveva tentato di mettervi fine, il coadiutore dell ' arcive­ scovo di Parigi le aveva maliziosamente mostrato un suo diavolo « dalla forma più benigna e più gradevole » . 2 La principessa era una penitente incerta, alternava « slan­ ci di devozione a ritorni nel mondo » ,3 eppure non aveva avuto paura di affidarsi alla guida dell'abate di Saint-Cyran, « il direttore cristiano per eccellenza . . . severo e sapiente me­ dico delle anime » .4 Nel 1 638 il suo esame di coscienza era l . Tallemant, Historiettes, cit. , vol. Il, p. 228. 2. Retz, Mémoires, cit. , p. 1 5. 3. Tallemant, Historiettes, cit. , vol. II, p. 229. 4. Charles-Augustin Sainte-Beuve, Port-Royal, a cura di Maxime Leroy, 3 voll., Bibliothèque de la Pléiade, Gallimard, Paris, 1 953- 1 955, vol. l, p. 361 .

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stato fatto pervenire al direttore spirituale di Port-Royal nel carcere di Vincennes, e l'abate di Saint-Cyran, con l'aiuto di Arnauld d'Andilly, di padre Singlin, di madre Agnès, si era provato a rafforzare quella fragile disposizione del cuore , si­ mile a « una scintilla di fuoco che venga accesa sopra un ter­ reno ghiacciato, esposto a tutti i venti » . 1 Era un gesto di ca­ rità destinato a una inattesa ricompensa: Madame de Gué­ méné avrebbe continuato a essere una penitente mediocre, ma grazie a lei Saint-Cyran entrò in possesso di un docu­ mento che consentiva al giansenismo francese di uscire allo scoperto e partire alla conquista delle anime. La lettera che il confessore di Madame de Sablé aveva scritto alla marchesa per rispondere ai suoi interrogativi era un esempio estremo di quel lassismo religioso, di quella « devozione comoda » , poi denunciata da Pascal, a cui la Compagnia di Gesù doveva la sua popolarità negli ambien­ ti di corte . « Vi si leggeva, fra le altre enormità dettate dalla compiacenza, che quanto più si è privi di grazia, tanto più ci si deve accostare con ardire a Gesù Cristo nell 'Eucare­ stia » .2 Era una lettera privata e mai l'abate di Saint-Cyran avrebbe avuto modo di venirne a conoscenza senza l ' indi­ screto scambio di confidenze di due nobili dame in procin­ to di recarsi a una festa da ballo. Dal fondo del suo torrio­ ne, l'abate perseguitato capì che era tempo di agire , e chie­ se ad Antoine Arnauld di scrivere , alla luce della dottrina di Giansenio sul peccato e sulla grazia, una pubblica confuta­ zione . Apparso nell'agosto del 1 643 , De la fréquente commu­ nion doveva « rivoluzionare il modo di intendere e praticare la pietà, come pure il modo di scrivere di teologia . . . Dal tempo dell' Introduction à la vie dévote di Saint-François de Sal es, pubblicata ali ' inizio del secolo, nessun libro di reli­ gione aveva prodotto uri simile effetto e suscitato altrettan­ te adesioni. Ciò awenne, tuttavia, in un senso, si può dire, diverso, perché il libro di Saint-François de Sales si propo­ neva di attrarre la gente di mondo mostrando l' aspetto dol­ ce e affabile della religione, mentre quello di Arnauld n� ri­ cordava la componente severa e terribile » . 3 I l pessimismo giansenista di impronta agostiniana, con la sua denuncia della inautenticità dei valori mondani, del pol . Da una lettera di Sain t-Cyran a madre Agnès, citata in ibid. , p . 378. 2. Ibid. , p. 634. 3. lbid. , pp. 633-35.

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tere, della grandezza, e con il suo invito all'introspezione e alla retraite, offriva una risposta radicale alla crisi religiosa e morale che aveva colpito il mondo dei privilegiati. Stroncan­ do il « partito devoto » che faceva capo a Bérulle, Richelieu aveva soffocato anche una delle più autentiche espressioni della volontà di rinnovamento religioso nella Francia della Controriforma. Il successo della monarchia cen tralizzata an­ dava seminando delusioni e incertezze in seno a due catego­ rie sociali da sempre strettamente associate al potere, e ora progressivamente allontanate dai grandi incarichi: l'alta no­ biltà e la magistratura parlamentare . A queste élite nutrite di cultura mondana Arnauld lanciava il suo messaggio tota­ lizzante non più nel latino della scolastica bensì - novità di grande rilievo trattandosi di un argomento teologico - in un francese chiaro ed elegante che riprendeva la tradizione di semplicità e trasparenza della retorica gallicana. Un saggio di Jean Delumeau1 ci aiuta a riconsiderare le posizioni del giansenismo all'interno del grande dibattito sulla confessione che si era acceso con il Concilio di Trento. Quale atteggiamento doveva assumere la Chiesa davanti a milioni di cristiani chiamati a confessarsi almeno una volta ali' anno? Quale posizione prendere per incoraggiare i cre­ denti a una pratica che metteva in discussione tutta la loro condotta e li confrontava con la giustizia divina? Bisognava optare per la quantità o per la qualità, per l' indulgenza o per l'in transigenza, per l'assoluzione larga o per la conver­ sione stretta? Fino a metà del XVII secolo era prevalsa la li­ nea dell ' indulgenza, sostenuta in primo luogo dai gesuiti; Port-Royal si schierò, invece, dalla parte del rigore. Questo rigore non era fine a se stesso, nasceva dalla tota­ le sfiducia nella possibilità dell 'uomo di contribuire al pro­ prio riscatto. Solo la Grazia poteva salvare una creatura de­ caduta e irrimediabilmente corrotta, ma essa scendeva dal­ l'alto, imprevedibile e gratuita, ed era risibile supporre che la si potesse propiziare con l'esercizio delle virtù terrene, fuochi fatui della vanità e dell 'orgoglio. Sospeso tra la spe­ ranza di appartenere al piccolo numero degli eletti e la paura della dannazione, l'uomo doveva combattere la pro­ pria umanità e annullarsi nella fede. In questa terribile in­ certezza, il rigore era insieme inutile e necessario; bisognal . Jean Delumeau, L 'aveu et le pardon: les diffi cultés de la confession Xl!-XVI! siècle, Fayard, Paris, 1 992 ( l a ediz., 1 964) .

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va « pregare come se tutto dipendesse da Dio e agire come se tutto dipendesse da noi » . 1 I l primo passo verso la salvezza era naturalmente i l penti­ mento. Questo poteva essere di due nature, nascere dall' a­ more di Dio, dalla disperazione di averlo offeso ( la contri­ zione) , o da una vergogna tutta umana, dalla ripugnanza oggettiva del peccato, dal timore della punizione (l'attrizio­ ne) . Nella pratica confessionale i gesuiti incoraggiavano l'attrizione come il preludio della contrizione. I giansenisti, invece , le negavano ogni valore e la giudicavano una inven­ zione umana. La paura dell 'inferno, aveva detto Giansenio, non ha in sé alcunché di soprannaturale. La Compagnia di Gesù, dunque, giudicava prioritario in­ gaggiare un dialogo, sia pure imperfetto, con i peccatori, graduare le richieste di un ideale che per molti risultava troppo difficile ed esigente. Concedendo facilmente l 'asso­ luzione e autorizzando la frequente comunione, i gesuiti fidavano inoltre nella facoltà salvifica intrinseca ai sacra­ menti. Nella Fréquente communion, Arnauld partiva da posizioni opposte, senza temere di fare un discorso per pochi, dal momento che pochi eraD-o gli eletti. Ai suoi occhi il lassi­ smo dei confessori aveva come effetto di « ingannare i pec­ catori con una falsa misericordia e una dolcezza crudele, li­ mitandosi a coprire le piaghe che potevano essere guarite solo con il ferro e con il fuoco » .2 L' assoluzione andava im­ partita esclusivamente davanti a una contrizione senza ri­ serve e all'impegno di non ricadere nel peccato: laddove non vi fosse tale garanzia, essa andava dilazionata. La co­ munione doveva, a sua volta, essere concessa con parsimo­ nia, come premio e non come incoraggiamento. Gli attacchi micidiali di Arnauld e di Pascal hanno con­ tribuito a dare ai termini « lassismo » , « probabilismo » e « casistica » la valenza dispregiativa che oggi li caratterizza, ma queste tre posizioni teologico-morali, sostenute dalla cultura gesuitica, erano nate sotto il segno dello zelo apo­ stolico, dettate dalla « convinzione di appartenere a una cil . Mathieu Feydeau, Catéchisme de la Grace, Paris, 1 650, art. 44, ora in An­ toine Arnauld, CEuvres, 38 voli. , S. d ' Arnay, Paris-Lausanne, 1 775-1 783; ri­ stampa anastatica, Bruxelles, 1 967, vol. XVI I , p. 845. 2. Antoine Arnauld, De lafréquente communion, A. Vitré, Paris, 1 643, p. 480, citato in Delumeau , L 'aveu et le pardon, cit., p. 73.

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viltà in movimento, a un ' età nuova in cui si ponevano pro­ blemi inediti e complessi ai quali i Padri della Chiesa non potevano dare risposta » .1 I teologi casisti messi alla gogna dalle Provinciales tentavano di conciliare gli imperativi della religione con le necessità economiche, morali, sociali del­ la vita moderna. Travolti da un delirio classificatorio, da un'immaginazione barocca, essi produssero certamente fi­ gure mostruose, compromessi aberran ti, ma cercarono di trovare una soluzione al problema dell 'incompatibilità tra religione e mondo, me n tre i giansenisti scelsero di fare di questa incompatibilità la loro bandiera e di spingere il con­ flitto al suo limite estremo. La prima a voltare le spalle ai gesuiti e a lasciarsi conqui­ stare alla causa di Port-Royal fu Madame de Sablé. La Ro­ chefoucauld diceva che lei e Madame de Guéméné erano le « fondatrici del giansenismo » , e il suo paradosso aveva un fondo di verità. Il successo della nuova dottrina, il suo pro­ selitismo fra gli esponenti dell 'alta aristocrazia, il suo presti­ gio negli ambienti mondani colti sarebbero difficilmente spiegabili senza l 'appassionato sostegno di una piccola élite femminile. Tale convinzione era già diffusa tra i detrattori di Port­ Royal e forniva loro un eccellente spunto polemico. Non solo la considerazione che i giansenisti mostravano per il sesso debole era dettata dall'interesse, ma produceva con­ seguenze nefaste. Per ottenere protezione e appoggio nel bel mondo, gli apostoli dell ' ascetismo e del rigore facevano leva sulla vanità delle donne, ne incoraggiavano pericolosa­ mente la curiosità e lo spirito critico, le spingevano ad av­ ven turarsi in discussioni teologiche, senza tener conto dei limiti naturali delle loro facoltà intellettive . Tutte queste accuse venivano sapientemente modulate nei Mémoires di padre Rapin con una gamma di toni che an­ davano dalla apparente bonomia all'insinuazione più sub­ dola, dalla critica sottile alla denigrazione più violenta. Il gesuita era un nemico pericoloso perché anch 'egli, con la sua « bontà » , la sua « dolcezza » ,2 era maestro nell 'arte della 1 . Imd. , p. 1 09. 2. Madame de Sévigné a Bussy-Rabutin, 2 dicembre 1 678, in Correspon­ dance, cit., vol. III, p. 338.

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persuasione e aveva una perfetta conoscenza del mondo e un notevole acume psicologico. Il « complotto » giansenista, secondo Rapin, aveva avuto molto più successo in Francia che nelle Fiandre perché lì, grazie alle donne e all'influenza che esse esercitavano sulla società mondana, era diventato un fenomeno alla moda. « Le dame furono conquistate dallo stile ornato ed elegante [ della Fréquente communion] . . che piacque molto a tutti i begli ingegni, il cui parere è così importante in un paese che si fregia tanto di raffinatezza » . 1 Nulla di male in tutto ciò se , sedotte dalla forma, l e dame in questione non avessero abbracciato una dottrina di cui non potevano cogliere pienamente il significato e non aves­ sero voluto propagarla per dimostrare la superiorità della propria intelligenza e del proprio buon gusto. L' adesione al giansenismo era il frutto di un equivoco, se non di una impostura: era una cooptazione basata sulla seduzione e un ' adesione dettata dalla vanità e dalla superbia, i vizi che più di ogni altro Port-Royal pretendeva di combattere. Re­ stava da spiegare perché tante dame illustri cadessero in quest' errore, ma Rapin le conosceva una per una - i salotti non erano anche il suo terreno di caccia? - e aveva una ri­ sposta per ognuna di loro: « Il grande teatro dove si divul­ gava con maggior clamore e persino con più applausi il nuovo vangelo di Port-Royal era allora2 l' hotel de Nevers . . . I l lustro della sua casa, d i cui l a contessa d u Plessis faceva personalmente gli onori, l' eccellenza del cibo - la tavola non avrebbe potuto essere più raffinata e insieme più son­ tuosa -, la compagnia più scelta di Parigi , composta in ugual misura da esponenti del mondo della magistratura e della corte , e ogni sorta di divertimenti all'insegna dell ' es­ prit attiravano .in tal misura gente di qualità che quello era diventato il luogo d' incontro più frequentato da tutta la cricca. Il vescovo di Cominges, cugino germano della con­ tessa, il principe di Marcillac , poi duca di La Rochefou­ cauld, il maresciallo d'Albret, la marchesa di Liancourt, la con tessa di La Fayette, la marchesa di Sévigné, d ' Andilly de Pomponne, l ' abate Tetu, amico intimo della contessa, .

l . Mémoires du Père Rapin, cit. , vol. I, p. 36. 2. La descrizione di Rapin si riferisce, sia pure con molte inesattezze, alla Parigi degli anni Cinquanta del Seicento, subito dopo la fine della Fron da.

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buon parlatore m a soggetto ai vapori allora d i moda, l'aba­ te di Rancé, uomo gradevole e arguto , che è poi diventato il famoso abate della Trappa . . . Non che tutti coloro che vi an­ davano appartenessero al partito: a condurveli erano piut­ tosto la curiosità e il gusto dell 'intrigo, che erano anche i tratti dominanti della padrona di casa. Vi andavano per fa­ re riflessioni che gli interessati giudicavano utili e per favo­ rire la diffusione della nuova dottrina con l' aiuto dei pari­ gini dal gusto più raffinato » . 1 All' hotel de Nevers la vita mondana rivelava una doppia natura, destinata a svilupparsi nel secolo successivo. Dissi­ mulata dietro lo spettacolo vario e brillante di un 'ampia cer­ chia di ospiti prestigiosi, poteva esistere una sociabilité più se­ greta, u !l a piccola cerchia di iniziati uniti da un progetto co­ mune. E quanto sarebbe awenuto, ad esempio, cent'anni dopo, nella sontuosa dimora del barone d'Holbach in rue Royal nei giorni in cui il padrone di casa non riceveva il bel mondo parigino. Lì , a porte chiuse, liberi dall' autocensura imposta dalle convenzioni del salotto, il barone e i suoi ami­ ci philosophes avrebbero preso l' abitudine di parlare con la più assoluta spregiudicatezza di politica, di religione, di filo­ sofia. Allo stesso modo la cabala giansenista dell' hotel de Nevers tramava un complotto contro l' ordine stabilito, creando un clima di aspettativa e di consenso per la n uova dottrina, ma mantenendo un riserbo prudente sulle convin­ zioni personali dei cospiratori. 2 Per padre Rapin le preoccupazioni della bella padrona di casa non erano certamente di natura religiosa. Se Port­ Royal si serviva di lei per conquistare la simpatia della so­ cietà mondana, lei si serviva di Port-Royal in chiave politica, per indebolire Mazzarino, colpevole di non aver mostrato abbastanza considerazione per suo marito. Il conte du Ples­ sis-Guénégaud, dal canto suo, « lasciava alla moglie la cura di vendicarsene; ed ella si mostrava ben disposta verso tutto ciò che si contrapponeva alla corte, e fu solo per awersione al cardinale che divenne giansenista » . 3 l . Mémoires du Père Rapin, ci t. , vol. I , pp. 403-404. 2. Cfr. ibid. , p. 2 1 8. 3. Loc. cit.

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L'odio e la rivalsa, assai più che la cristiana carità, erano se­ condo Rapin all'origine delle scelte di campo anche di Mada­ me de Longueville. Solo il « desiderio segreto di vendicarsi del disprezzo che la corte nutriva per lei » / negli anni succes­ sivi alla Fronda, aveva spinto Madame de Longueville nelle braccia del partito giansenista. E il suo appoggio avrebbe fat­ to compiere « più progressi alla nuova dottrina di tutti i di­ scorsi e di tutti gli scritti di Port-Royal messi assieme » . 2 Padre Rapin non negava la sincerità del suo successivo coinvolgi­ mento, « una dedizione senza uguali e senza limiti » ,3 ma il tratto dominante della sua personalità rimaneva quello dell 'a­ mor proprio. L'estremo rigore della « nuova morale » le forni­ va delle « occasioni clamorose . . . di dar prova della sua devo­ zione e di fare sfoggio di uno spirito che non amava nascon­ dere ».4 E il suo orgoglio aveva trovato un nuovo modello di eroismo con cui misurarsi, quello della perfetta penitente . Dinanzi all 'avanzata del nemico, l 'amabile, mondano pa­ dre Rapin non disdegnava di attingere ai vecchi luoghi co­ muni misogini che, corr1e emerge anche dai Mémoires di Ma­ dame de Motteville, avevano ancora radici profonde nella coscienza di entrambi i sessi. Avidità di sapere , curiosità ec­ cessiva: ali ' origine di tutt� i mali, l' ambizione femminile al­ la conoscenza non poteva che essere figlia della superbia. Distaccandosi dall' atteggiamento tradizionale della Chiesa, il giansenismo autorizzava invece le grandi dame, che in qualsiasi altra circostanza avrebbero trovato altamente di­ sdicevole fare sfoggio del proprio sapere, a « occuparsi di argomenti di cui si occupavano gli spiriti più sublimi » / e a comportarsi come « dottori » . E poiché si trattava di donne eccezionali per intelligenza e per rango , il loro esempio si rivelava particolarmente . nefasto perché i motivi che spin­ gevano le dame del bel mondo a farsi gianseniste erano principalmente « l' imitazione - o la moda, che altro non è che incitamento all'imitazione - e l'emulazione » .6 Ma, misoginia a parte , se i detrattori della nuova dottrina annettevano tanta importai?- za all' accoglienza del pubblico l. 2. 3. 4. 5. 6.

Ibid. , lbid. , lbid. , Ibid. , lbid. , Ibid. ,

vol . II, p. 446. vol. III, p. 429. vol . Il, p. 424. p. 447. vol. I, p. 402 . p. 356.

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femminile, ciò dipendeva soprattutto dal fatto che le donne erano ormai diven tate il simbolo della società mondana. Ri­ volgendosi direttamente a loro e conquistandosene l'ap­ poggio , gli scrittori di Port-Royal avevano giocato d' antici­ po sugli avversari, riportando una prima rilevante vittoria. Arnauld e dopo di lui Pascal avevano intuito l' importanza che stava assumendo l' opinione mondana e, voltando le spalle a tutte le regole della discussione religiosa tradizio­ nale , abbandonavano, come già Descartes, il latino per il francese , divulgavano la teologia senza rinunciare a trattare i più complessi problemi teorici e, facendo appello alla ca­ pacità di giudizio dei credenti, li rendevano pienamente re­ sponsabili delle loro scelte. Conoscevano i gusti di un pub­ blico aristocratico e colto, assai esigente in materia di lin­ gua e di stile, e lo catturavano con « un francese così bello che per leggerlo si interrompevano i romanzi » . 1 Ma, con­ trariamente a quanto sosteneva Rapin , ad attrarre non era soltanto la forma. Il moralismo e l ' intellettualismo, che ca­ ratterizzarono, a partire dagli anni Quaranta, la spiritualità di Port-Royal, a scapito « delle tendenze affettive e misti­ che ancora ben presenti in Saint-Cyran » ,2 erano in perfetta sintonia con gli interessi psicologici e Inorali della cultura mondana e con la sua costante inclinazione all 'in trospezio­ ne. E non bisogna certame n te attendere la stagione degli scrittori classici - Molière e Racine, La Fontaine, La Ro­ chefoucauld e La Bruyère - per averne la conferma. Già il preziosismo, inteso come fenomeno sociale e non solo let­ terario, attestava l 'esigenza di un certo numero di dame del gran mondo di distinguersi per la loro cultura, la loro raffinatezza, la loro ripulsa per l'amore fisico e per la vita dei sensi, e di perseguire un programma etico ed estetico di purezza e di rigore . N el definire le Preziose come « le gian­ seniste dell 'amore » , Ninon de Lenclos esprimeva in una forma lapidaria la convinzione , abbastanza diffusa tra gli av­ versari di Port-Royal , dell 'esistenza di una segreta affinità tra le due « sètte » . Sia nell' esaltazione della natura umana che nella sua mortificazione, lo stesso gusto per la distinzio­ ne e per la sfida doveva indurre « una parte non trascura bil . Mémoires de Madame de Motteville, cit. , vol. I, p. 32 1 . 2 . Lafond, Madame de Sablé et son salon, in L 'homme et son image, ci t. , p. 265.

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le dell 'aristocrazia a sen tirsi in sintonia morale con un e­ stremismo che non era alla portata della gen te comune » . 1 Negli anni della giovinezza, Madame de Sablé era stata una appassionata « casista » deli' amore . Anche Mademoisel­ le de Scudéry, che in fatto di patologia del cuore non teme­ va rivali, aveva reso omaggio alla sua scienza psicologica, ri­ traendola nel Grand Cyrus sotto il nome di principessa di Salamis: « Mai nessuno ha conosciuto come lei tutte le di­ verse sfumature dell' amore, e non so immaginare niente di più piacevole del sentirle fare la distinzione tra un amore perfettamente puro e uno grossolano e terrestre ; tra un amore sincero e uno finto; tra un amore interessato e uno eroico . Ella riesce infatti a farvi penetrare nel cuore di tutti coloro che ne sono capaci; vi dipinge la gelosia in modo più spaventoso di quando la si raffigura con il cuore dilaniato dai serpenti; conosce tutte le pure dolcezze dell' amore e tutti i suoi supplizi. E conosce così perfe ttamente tutto ciò che dipende da questa passione che Venere e Urania non ne sapevano certo più di lei » .2 Per Madame de Sablé l'amore non era una semplice pas­ sione, « ma una passione necessaria all'uso di mondo » .3 Formatasi, come le dame della sua generazione , sulla lettu­ ra dell' Astrée, la marchesa riteneva che il sen timento amo­ roso avesse una funzione altamente educativa, e che « tutti gli uomini dovessero amare e tu tte le donne dovessero es­ sere amate » .4 Il suo platonismo moralizzan te la portava a credere che, come ali' epoca d' oro della cortesia, « gli uomi­ ni potessero senza colpa nutrire sentimenti teneri per le donne; che il desiderio di piacere al gentil sesso li spingesse alle azioni più, nobili e più belle, potenziando il loro spirito e ispirando loro la liberalità e ogni sorta di virtù » .5 La condotta di Madame de Sablé non era sempre stata del tutto coerente con i suoi princìpi. Sappiamo che � on l . Lafond, La Rochefoucauld d 'u ne culture à l 'autre ( 1 978) , ibid. , p. 1 50. 2 . Mademoiselle de Scudéry, Artamène ou le Grand Cyrus, ci t., parte sesta, li­ bro primo, vol. VI, pp. 72-73. 3 . lbid. , p. 70. 4. Loc. cit. 5. Mémoires de Madame de Motteville, cit. , vol. l, p. 1 3.

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aveva avuto dinieghi per il « prode , magnifico, aitante » 1 du­ ca di Montmorency di cui si era innamorata a prima vista: « Era molto giovane quando lo vide per la prima volta; si trovava in una sala a pian terreno con le finestre spalancate. Invece di entrare dalla porta, egli entrò volteggiando dalla finestra, e il suo aspetto aveva qualcosa di così attraente che ella ne fu subito sedotta e si sentì presa al laccio » .2 Apparizione, a dire il vero, irresistibile per chiunque in­ dulgesse a fantasie romanzesche , e di cui è possibile che Madame de La Fayette si sia ricordata scrivendo La Princesse de Clèves. Come, infatti, non pensare alla celebre scena del ballo del Louvre , quando la protagonista del romanzo rico­ nosce a prima vista il duca di Nemours mentre questi avan­ za verso di lei per invitarla a danzare, volteggiando con atle­ tica grazia su una fila di sedie che si frappone tra loro? A differenza della principessa di Clèves, però, non era stato il senso di colpa nei confronti di un marito che non amava e che la tradiva a indurre Madame de Sablé a metter fine alla sua relazione con Montmorency, bensì un implaca­ bile orgoglio. Il duca era profondamente innamorato di lei, ma la vanità lo aveva indotto a corteggiare la giovane regina Anna d 'Austria, e alla marchesa questa n1ancanza di riguar­ do era parsa incompatibile con il rispetto che riteneva le fosse dovuto. Troviamo anche nei Mémoires di Madame de Motteville un 'eco del suo sdegno: « Le ho sentito dire . . . che, ai primi segni d i cambiamento, ella non volle più ve­ derlo, non potendo gradire un omaggio che avrebbe dovu­ to condividere con la più grande principessa del mondo » . 3 Pur continuando a lungo a testimoniarle la sua devozio­ ne, il duca non riuscì mai a farsi perdonare. Se dobbiamo credere a Talleman t des Réaux, il risentimento della mar­ chesa non si placò nemmeno con la morte di Mon tmo­ rency per mano del boia, morte che, a suo dire, non le avrebbe arrecato alcun dispiacere.4 L'awentura non dissuase Madame de Sablé dal prendersi nuovi amanti e dal promuovere al tempo stesso « l'onesta ga­ lanteria » alla corte di Francia. L'intelligenza e la bellezza le l. 2. 3. 4.

lbid. , p. 1 2. Tallemant, Historiettes, cit., vol. I, p. 5 1 4. Mémoires de Madame de Motteville, cit. , vol. I, pp. 1 3-1 4. Historiettes, cit. , vol. I, p. 5 1 5.

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conferivano un 'autorità che le sue awenture amorose non misero mai in discussione. L' « alta idea » che si era fatta della « galanteria che gli spagnoli avevano imparato dai Mori » 1 era confortata dal favore di cui godeva, ali' epoca, la letteratura cavalleresca spagnola. La stessa regina, arrivata da Madrid nel 1 61 5, « non capiva come la bella conversazione, che comune­ mente si chiama onesta galanteria, e che non implica alcun impegno particolare, potesse mai essere oggetto di biasimo » .2 Date queste premesse, l ' accoglienza riservata alla mar­ chesa dall 'hotel de Rambouillet non poteva che essere ca­ lorosa. Madame de Sablé aveva cominciato a frequentare la Camera azzurra quando il suo matrimonio si era già rivela­ to disastroso, intorno al 1 620, e per il successivo ventennio ne avrebbe fatto il suo luogo d' elezione. Aveva dieci anni meno di Arthénice e sette più di julie: all ' incrocio fra due generazioni, Madame de Sablé era destinata a vivere con uguale intensità due stagioni successive della nuova civiltà mondana. Nessuno meglio di lei può illustrare il percorso che conduce dali' « idealismo moralizzante » in voga tra i frequentatori dell 'hotel di rue Saint-Thomas-du-Louvre e il giansenismo puritano degli amici di Port-Royal, dal culto dell'amore a quello dell'amicizia, da una mondanità dedita a una pratica eminentemente Iudica della letteratura a una nuova « galanteria vestita di nero » ,3 dove l ' uso perfetto del­ le bienséances coabitava con una riflessione rigorosa sui pro­ blemi della vita intellettuale e morale. La crisi della Fronda, con le sue passioni messe a nudo e le sue drammatiche scelte di campo, aveva concluso l'età d eli' oro della sociabilité francese e accelerato il suo ingresso nel regno degradato della storia. Con il ritorno ali' ordine e al principio d' autorità, pochi avrebbero rivissuto l ' utopia di un locus amoenus dove uomini e donne potessero ancora vi­ vere liberamente il loro ideale di perfezione estetica. E la fine di Fouquet appariva �mblematica del destino che at­ tendeva gli spiriti troppo indipendenti. La maggior parte dell 'élite nobiliare , trasferitasi in pianta stabile a corte , si saMémoires de Madame de Mottroille, cit. . vol . I, p. 1 3. 2. Ibid. , p. 1 5.

l.

3. Giovanni Macchia, La letteratura francese, I Meridiani, Mondadori, Mila­ no, 1987, p. 795 .

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rebbe adattata a servire i disegni del sovrano, a cercarne il favore , a intrigare , a dissimulare , mentre i contestatori di questa logica troppo amara trovavano rifugio nella religio­ ne e nella rinuncia. N ella vita pubblica come in quella privata, negli anni difficili della Fronda e in quelli della restaurazione dell 'au­ torità reale, come davanti all'avanzare della vecchiaia e alle sciagure domestiche, Madame de Sablé tracciava il suo per­ sonale percorso, dando prova di molto coraggio, di una grande autonomia intellettuale e, a dispetto delle apparen­ ze, di un raro senso d' equilibrio. Durante la guerra civile si era mantenuta fedele al re, con­ tinuando però a intrattenere stretti rapporti con i suoi amici frondisti e tentando di mediare i contrasti e di suggerire una conciliazione pacifica tra i partiti rivali. E sarebbe stata aliena da eccessi anche nella sua adesione al giansenismo: avrebbe abbracciato la nuova dottrina e contribuito in misura note­ vole alla sua diffusione, senza tuttavia adottarne i nemici e gli interdetti. Benché installata in un appartamento all'interno della cinta di Port-Royal, non avrebbe interrotto i rapporti con la corte e con il mondo, non avrebbe rinunciato ai suoi amici, ai suoi interessi, ai suoi gusti, alle sue manie. Un individualismo tanto accentuato e un 'attenzione così indulgente alle inclinazioni del proprio io non mancarono di colpire i contemporanei della marchesa. All'interno di un codice di buone maniere che tendeva all 'omologazione dei comportamenti, Madame de Sablé faceva valere innan­ zitutto il rispetto che doveva a se stessa. Nell 'amicizia come nell' amore, le affinità elettive venivano a ripagarla dei disa­ stri coniugali, me n tre la curiosità, la lettura, la conversazio­ ne, colmando le lacune dell' educazione femminile, allarga­ vano i suoi orizzonti e con tribuivano a imporla all 'ammira­ zione delle menti più eccelse. « Il suo spirito si raffina di giorno in giorno in modo sorprendente » scriveva Chape­ lain a Guez de Balzac, e aggiungeva: « bisogna riconoscere che sa scrivere in maniera assai garbata e che mostra, tanto nelle lettere quanto nella conversazione, la delicatezza più squisita che si possa desiderare » . 1 Le stesse attenzioni che Madame de Sablé dedicava alle esigenze dell 'intelligenza e del cuore , le rivolgeva in uguale misura alle cure del corpo. l. Chapelain a Balzac, 2 aprile 1 640, lettera CCCLXXXVII, in Lettres de Jean Chapelain, cit. , vol. l, p. 596.

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Lo proteggeva dalle malattie e dai contagi, lo nutriva con cibi delicati, infusi, marmellate, sciroppi, ed evitava di e­ sporlo ai capricci del clima e ai pericoli della strada. Tentando di adattare il suo modo di vivere alla sua sensi­ bilità e alle sue aspirazioni più intime, la marchesa non si ri­ fugiava nel sogno, si basava piuttosto sulla consapevolezza di ciò che le era dovuto in considerazione del proprio me­ rito. Quest'affermazione di un io sublimato non sarebbe stato appannaggio esclusivo di Madame de Sablé: non po­ che tra le sue amiche e conoscenti avrebbero più o meno esplicitamente assunto comportamenti analoghi, tentato scelte simili, sofferto delle stesse paure. Era una « nevrosi » diffusa nelle élite mondane e in cui Philippe Sellier ha rav­ visato il tratto distintivo della donna « preziosa » , assai prima che la satira la rendesse « ridicola » .1 Madame de Rambouil­ let con le figlie Julie e Angélique; Mademoiselle de Mont­ pensier e la sua piccola corte, Madame de La Fayette e la sua amica Madame de Sévigné; e , per finire, Mademoiselle de Scudéry dovevano costituire gli astri più luminosi della nuova costellazione femminile. Aristocratica prima che borghese , individualista prima che gregaria, audace più che conformista, e generalmente contraddistinta da una grande penetrazione psicologica e morale e da un gusto impeccabile per lo stile e per la lingua, questa costellazione andrebbe ricordata alla luce dei suoi capolavori, anziché at­ traverso la lente deformante della caricatura. E se , in questa compagnia illustre, Madame de Sablé ci viene incontro per prima, è senza dubbio perché tra le autentiche Preziose è quella che ha osato di più.

L ' A M I C I Z IA C O M E PA S S I O N E

Per anni gli habitué della Camera azzurra avrebbero riso delle fobie di Madame de Sablé, che erano talmente ecces­ sive da far passare inosservate quelle di Madame de Ram­ bouillet, la quale, non tollerando la luce, si era ridotta a vil . Cfr. Philippe Sellier, « La névrose précieuse : une nouvelle pléiade? » , in Présences féminines: littérature et société au XVI! siècle .français, Actes de Lon­ don (Canada) , 1985, a cura di Ian Richmond e C. Venesoen , Biblio 1 7, PFSCL, Paris-Tiibingen-Seattle, 1 987, pp. 95- 1 25 .

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vere nella penombra. Una lettera dijulie d'Angennes, scrit­ ta alla marchesa quando Mademoiselle de Bourbon era sta­ ta colpita dal vaiolo, ce la mostra pronta a ricorrere a tutta la sua inventiva per evitare di entrare , sia pur indirettamen­ te , in contatto con la malattia. Come di consueto, Julie non si rivolgeva solo a Madame de Sablé, ma a tutto il gruppo degli amici comuni, che si sarebbero divertiti e avrebbero ammirato il suo brio: Mademoiselle d'Angennes sapeva di scrivere bene - anzi, a detta di Voiture, non vi era uomo in Francia che avesse uno stile migliore del suo. 1 Dopo aver esordito raccomandando alla dama di compa­ gnia della marchesa di leggerle la lettera « sottovento » , Ju­ lie avviava subito « le trattative » : « Sono certa che, tra la pri­ ma proposta che mi verrà fatta di vedervi e la conclusione, voi avrete una tale quantità di cose su cui riflettere, di me­ dici da consultare, di timori da superare, che nel frattempo avrò avuto ampio modo di prendere aria. Le condizioni che vi propongo sono le seguenti: non venire da voi se non do­ po essere rimasta tre giorni senza metter piede nell 'hotel de Condé, cambiare tutti gli indumenti, scegliere un gior­ no in cui avrà gelato, tenermi a non meno di quattro passi di distanza da voi, sedermi sempre sulla stessa sedia. Quan­ to a voi, potrete far accendere un gran fuoco in camera vo­ stra, bruciare del ginepro ai quattro angoli della stanza, spandere tutt'in torno aceto imperiale, ruta e assenzio . Se vi sen tite sufficientemente rassicurata dalle mie proposte sen­ za che debba tagliarmi i capelli , vi giuro di metterle in atto con il massimo scrupolo. Se avete bisogno di qualche esem­ pio per farvi coraggio, vi dirò che la regina ha acconsentito a vedere Monsieur de Chaudebonne appena uscito dalla camera di Mademoiselle de Bourbon, e che Madame d'Ai­ guillon, che di queste cose se ne intende ed è inappun tabi­ le in materia, mi ha appena fatto dire che, qualora non vo­ lessi andarla a trovare, verrepbe a cercarmi ella stessa » .2 Nonostan te l 'intima amicizia, Madame de Sablé non poteva non essere ferita dal tono sarcastico di Mademoi­ selle d ' Angennes e decideva di risponderle con una lezio­ ne di eleganza morale , smontando gli argomenti della de­ risione. L' ironia rischia di essere un 'arma a doppio taglio l. Voiture , Lettera a Mademoiselle de Rambouillet, 6 gennaio 1 634, in CEuvres, cit. , vol . l, p. 205. 2. Victor Co usi n, Madame de Sablé. Nouvelles études sur lesfemmes illustres et la société du XV/l siècle, Didier, Paris, 1 869 ( l a ediz. , 1 858) , pp. 37-38.

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perché svela anche il punto di vista di chi la esercita, e Ma­ dame de Sablé lo sapeva fin troppo bene. « Vi trovo così bene informata su tutte le precauzioni in uso tra i codardi che mi domando se avessi ragione, due giorni fa, di con­ traddire una delle vostre amiche, secondo la quale avreste visto Mademoiselle de Bourbon senza timore di sorta. Co­ me potete immaginare , non intendo affatto negare alla vostra generosità tutti gli onori che merita; perché so be­ ne che, in caso di necessità, essa vi farebbe superare ogni ostacolo per non venir meno al vostro dovere . . . Tuttavia avete fatto delle riflessioni così belle sul timore da indur­ mi a sperare che , conoscendone così bene i pericoli, forse un giorno potrete averne paura anche voi, facendo ai vo­ stri amici il piacere di conservarvi meglio per il futuro . Del resto , avete detto tutto ciò che si può pensare sulla paura, e non avete mai scritto niente di più grazioso, ma vi rispondo , checché ne pensiate, che siete andata molto al di là delle mie precauzioni. Neppure dal mio medico esi­ go maggior cautela di quella che voi mi proponete offren­ dovi di cambiare d ' abito. Infatti , quando ho bisogno di lui , sono pronta a vederlo, anche se ha appena visitato una persona colpita dal vaiolo: purché non si presen ti con un abito sudicio , che si impregna più facilmente di aria malsana di quanto farebbe un vestito pulito. E, in verità, ho letto le lettere che avete scritto a Madame de Maure e le mie senza farle scaldare . . . » . 1 Dal modo in cui si prendeva gioco delle sue precauzioni, Julie mostrava di ignorare il sentimento della paura. Qual era, allora, il merito di un gesto che non richiedeva il mini­ mo sforzo? La generosità non nasce dall' insensibilità, ma dallo slancio del cuore . All'elegante gioco parodico di Ju­ lie , in cui , osservata dall'esterno, la rappresentazione della nevrosi era affidata al rapido succedersi di tutta una serie di riti scaramantici, Madame de Sablé rispondeva, cambiando completamente registro , con una sottile analisi morale , più consona alle discussioni che si sarebbero da lì a poco t�nu­ te nel suo salotto di Piace Royale che allo spirito della · Ca­ mera azzurra. Poi, assestato il colpo , il tono ritornava legge­ ro e la marchesa dimostrava di saper ridere per prima delle proprie manie. l . lbid. , pp. 38-39.

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I n u n piccolo mondo chiuso su se stesso, dove l'io privato e l ' io sociale finivano spesso per coincidere, e i comporta­ menti e le parole di ciascuno erano normalmente destinati a essere riferiti e commentati, la lettera rappresentava sem­ pre un azzardo. Già dieci anni primajulie era stata al centro di una disputa epistolare , ma in quell'occasione era toccato a Madame de Sablé sedere sul banco degli imputati . Nel 1 632 , scrivendo a Madame de Rambouillet, Madame de Sablé aveva espresso il suo affetto per Mademoiselle d'Angennes, dichiarando che sarebbe stata felice di trascor­ rere l ' intera esistenza sola con lei. Basta leggere le formule di cortesia dell 'epoca per constatare che l'uso dell' iperbole faceva parte delle buone maniere . E tuttavia, nel caso di Ma­ dame de Sablé , la figura retorica era al servizio del cuore : la marchesa amava teneramente Julie, che aveva conosciuto bambina, e sapeva che per Arthénice non esisteva piacer� più grande di quello di sentir lodare la figlia primogenita. E dunque presumibile che Madame de Rambouillet fosse par­ ticolarmente lieta di far circolare la le ttera, e che il « com­ plimento » di Madame de Sablé non passasse inosservato tra i fedeli dell ' hotel. In questo minuetto di cortesie rituali, esplose come un fulmine a ciel sereno l' indignazione di An­ ne d 'Attichy, amica intima della marchesa, la quale giudicò quel tradimento di tale gravità da indurla a rifiutare l' invito di passare alcuni mesi a Sablé . Quella reazione così violenta gettò nella disperazione Madame de Sablé. Il suo legame con Anne d 'Attichy risaliva alla prima giovinezza, quando entrambe erano damigelle d' onore di Maria de ' Medici. Avevano all'incirca la stessa età, e Mademoiselle d' Attichy, così fortunata da essere an­ cora nubile , le era stata di conforto nella sua difficile vita coniugale. Ma in quel funesto 1 632, in cui Richelieu aveva ristabilito l'ordine in Francia costringendo il duca d' Orléans a rifugiarsi in Spagna e infliggendo ai suoi oppositori politi­ ci pene esemplari, era piuttosto Mademoiselle d'Attichy che doveva essere consolata. Uno dei suoi zii materni, il ma­ resciallo Louis de Marillac, era finito, come Mon tmorency, sotto la scure del boia e l'altro, il guardasigilli Miche l de Marillac, era morto in prigione. Invano Madame de Sablé tentò di difendersi, sostenendo che le sue parole non andavano prese alla lettera. Made­ moiselle d 'Attichy non aveva dubbi sulla loro interpretazio­ ne. Per lei, quale che fosse il contesto in cui venivano usate ,

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le parole conservavano il loro pieno significato . « Ho visto quella lettera che, a vostro dire, contiene soltanto parole fu­ mose, e vi posso assicurare di aver trovato tutto della massi­ ma chiarezza . . . Sapete bene che nessuno è più persuaso di me dei suoi meriti [ di julie] , ma vi confesso che sono rima­ sta ugualmente sorpresa nel vedere che avete potuto pensa­ re una cosa tanto ingiuriosa per la nostra amicizia. Quanto poi a credere che abbiate .Potuto dire all 'una e scrivere al­ l' altra la stessa cosa per fare a entrambe un complimento lusinghiero, ho troppa stima del vostro coraggio per poter immaginare che la compiacenza vi faccia tradire in questo modo i sentimenti del vostro cuore . . . L' affetto che nutro per voi, infatti, è talmente noto a tutti, e in primo luogo a Mademoiselle de Rambouillet, che mi domando se non sia stata più colpita dal torto che mi fate anziché dalla prefe­ renza che le accordate . Il fatto che questa lettera mi sia ca­ pitata tra le mani per puro caso mi ha richiamato alla me­ moria quei versi di Bertaut che dicono Malheureuse est l'ignorance, Et plus malheureux est le savoir. 1 « Avendo perso così UD.a fiducia che sola m i aiutava a sop­ portare la vita, il viaggio che mi avete tante volte proposto diventa impensabile . Che senso avrebbe fare sessanta mi­ glia, di questa stagione, per imporvi la presenza di una per­ sona così poco gradita da non potervi impedire, dopo tanti anni di una passione senza uguali, di far consistere il più grande piacere della vita nel passarla senza di lei? Me ne ri­ torno nella mia solitudine a esaminare i difetti che mi ren­ dono così infelice e, a meno di non poterli correggere, la gio­ ia che proverei nel ved.ervi non riuscirebbe a superare la mia confusione » .2 È difficile non rimanere interdetti davanti a questa lette­ ra, che ci stupirebbe assai meno se fosse stata scritta dalla l . ,

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senz 'altra legge che il loro personale capriccio. Decisamente non era quello il posto per un ' eroina virtuosa, e Gastone per primo avrebbe fatto volentieri a meno della presenza di quella figlia coraggiosa e impulsiva, la cui condotta spettaco­ lare era incompatibile con la sua tattica ambigua e prudente. Ormai pienamente responsabile delle proprie azioni, in quella frenetica estate parigina in cui la Fronda affondava sotto il peso delle passioni e dei tradimenti, Mademoiselle non sentiva altro dovere che quello di essere fedele all 'alta idea che coltivava di se stessa. A differenza della cugina Ma­ dame de Longueville , la principessa non sapeva cosa fosse l 'insidia amorosa, il tradimento, la volontà di dominio, ma la sua pura e innocente aspirazione alla gloria non era cer­ to meno pericolosa. Interpretata alla luce degli exempla de­ gli avi e attraverso il filtro epico-romanzesco della letteratu­ ra, l' esperienza della realtà interessava Mademoiselle nella misura in cui le consentiva di mostrarsi all 'altezza dei suoi modelli. Nel clima di eccitazione, di feste, di parate militari, di colpi di scena in cui si trovava ora immersa, ella non ave­ va tempo per interrogarsi sui progetti che si celavano dietro ai gesti teatrali e all ' eloquenza appassionata dei capi della Fronda; aveva fatto la sua scelta di campo e aspettava con lieta incoscienza che gli eventi le indicassero la condotta da tenere . Allorché, il 2 luglio 1 652, il giorno dei combatti­ menti di rue Saint-Antoine, gli uomini di Condé furono tra­ volti da quelli di Turenne, e Mademoiselle vide il Gran Condé, coperto di polvere e di sangue, piangere gli amici caduti sul campo, ne rimase folgorata. Per la prima volta in vita sua, aveva toccato con mano il Sublime ed era stata tra­ volta da un incoercibile desiderio di emulazione: le lacrime dell ' eroe le avevano indicato con chiarezza qual era la stra­ da da seguire . Dopo aver messo a disposizione di Condé la propria casa e il reggimento di cui andava così fiera, Made­ moiselle correva alla Bastiglia e dava ordine di tirare con il cannone sulle truppe reali per consentire a quanto rimane­ va dell ' esercito ribelle di mettersi in salvo : si disse anche che fosse stata lei stessa ad accendere la miccia. Il giovane Luigi XIV, che aveva assistito alla scena dall 'al­ to di una collina, non avrebbe mai perdonato l ' affronto inaudito fatto alla sua persona da colei che aveva sempre considerato come una sorella maggiore. Meno di tre mesi dopo, ripreso il controllo della capitale, il re faceva sapere a Mademoiselle de Montpensier che aveva ventiquattr'ore

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per lasciare le Tuileries e ordinava a Gastone di allontanar­ si da Parigi. Non c'era bisogno di un 'ulteriore ingiunzione per capire che anche per lei era più prudente andarsene dalla capitale . E poiché il padre si era rifiutato di condurla con sé a Blois, Mademoiselle, temendo di essere arrestata, non aveva altra scelta che chiedere al re il permesso di riti­ rarsi nel suo castello borgognone di Saint-Fargeau, non lon tano da Auxerre e a tre giorni da Parigi . L'ultimo colloquio tra Monsieur e la figlia fu tempestoso. Mademoiselle rimproverò il padre di abbandonare Condé, lui le rinfacciò le sue imprudenze, e lei gli ricordò fieramente la spedizione di Orléans. Lo scambio di battute che seguì, così come lo si legge nella versione di Mademoiselle, è illuminante. Il padre: .« E non credete, Mademoiselle , che la storia di Saint-Antoine vi abbia nociuto non poco a corte? Siete stata così con tenta di fare l'eroina e di se n tirvi dire che eravate quella del nostro partito, che avevate salvato due volte, che, qualunque cosa vi succeda, ve ne consolerete ricordandovi di tutte le lodi ricevute » . La figlia: « N on so che significhi essere un'eroina: i miei natali mi impongono di 'condurmi sempre in modo grande e nobile, quali che siano le mie scelte. Lo si chiami come si vuole , io lo chiamo seguire la mia inclinazione e la mia stra­ da; sono nata per non prendere altro che questa » . 1 Se i l principe conosceva l e debolezze della figlia, Made­ moiselle non ignorava quelle del padre . Ciò che a Gastone appariva come una fanciullesca vanagloria era per lei la so­ la condotta compatibile con la sua nascita. A ciascuno la piena responsabilità delle proprie scelte morali. Non era questo anche un modo sottile di ricordare al padre la sua mancanza di generosità e di coraggio?

LA PROVA DELL ' E S I L I O

Una nuova e più difficile prova attendeva adesso Made­ moiselle; anche per lei, come per Madame de Longueville , era giunto il momento di misurarsi con l ' eroismo dei vinti . Saper accettare i l proprio destino, sopportare l e sven�ul . lbid. , p. 1 97.

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re , far fronte alle disgrazie: non era questo il segno incon­ futabile delle anime nobili? Madame de Longueville aveva chiesto soccorso alla reli­ gione e imboccato la via della penitenza e dell' ascesi, rinne­ gando per sempre gli idoli del passato. A differenza della cu­ gina, Mademoiselle de Montpensier non intendeva cambia­ re vita, non era perseguitata dai rimorsi, non aveva peccati da espiare. La sola colpa che le veniva imputata era quella di una legittima scelta di campo, perfettamente conforme alla morale della sua casta. La prova dell' esilio la colpiva, dun­ que, in ciò che aveva di più caro, l' esercizio delle sue prero­ gative di principessa del sangue. Estromessa dali 'intimità del­ la famiglia reale, lontana dalla corte, tagliata fuori da ogni strategia di potere, la vita perdeva per lei di significato. A co­ sa servivano i privilegi se non vi era più nessuno con cui con­ dividerli e se mancavano le occasioni per esercitarli? Decisa a difendere a oltranza la propria dignità e il pro­ prio prestigio nel mondo, Mademoiselle seguiva la strada dello stoicismo aristocratico piuttosto che quella della cri­ stiana rassegnazione. Si raccontava che, durante la sua pri­ gionia, il Gran Condé avesse ingannato il tempo coltivando sul davanzale della sua cella dei fiori di garofano;1 più for­ tunata di lui, dal fondo del suo maniero di Saint-Fargeau, la Grande Mademoiselle avrebbe combattuto l' isolamento, la solitudine, la tristezza dell 'esilio coltivando tutti i loisirs di cui l' ozio aristocratico poteva adornarsi. Costretta suo malgrado a rinunciare alla vita pubblica, so­ la e respinta dalla famiglia, una giovane principessa di ven­ ticinque anni riusciva, in virtù della sua nascita, di uno straordinario carattere e di una grande fortuna, a fare del suo ritiro forzato l'illustrazione esemplare dei piaceri della vita privata. Nella disgrazia, Mademoiselle de Montpensier scopriva infatti il valore inestimabile dell 'ultimo spazio di li­ bertà concesso dalla monarchia alla nobiltà francese e lo celebrava con tutte le risorse della sua cultura e della sua immaginazione. Perfetto prontuario delle attività e degli svaghi a cui poteva indulgere l'alta nobiltà quando non pre­ stava servizio a corte, il soggiorno della Grande Mademoi­ selle a Saint-Fargeau ci aiuta a capire la varietà e la qualità delle occupazioni a cui l 'ozio nobiliare apriva le porte. l . Cfr. Mémoires de Madame de Motteville, ci t. , vol . III, p. 239.

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A Saint-Fargeau Mademoiselle aveva trovato grandi fore­ ste che le consentivano di con tinuare a praticare anche in esilio, d'estate come d'inverno, l'equitazione e la caccia, le due attività che più di ogni altra cosa, dal re fino ali 'ultimo vassallo, connotavano lo stile di vita aristocratico. Costruito nel XIII secolo, l ' imponente castello a forma poligonale era in uno stato di avanzata rovina e richiedeva urgenti ri­ parazioni. Appena arrivata, Mademoiselle ne trasformò su­ bito un 'ala, sistemandovi i suoi appartamenti privati; poi, presa dal gioco, fece venire da Parigi l 'architetto François Le Vau e gli affidò il compito di ampliare il vecchio edificio con una nuova costruzione aperta sul cortile. L'antico ma­ niera si trasformava così, sotto la bacchetta magica di Ma­ demoiselle, in una magnifica dimora moderna, luminosa ed elegante. Il vecchio parco inselvatichito subiva la stessa metamorfosi. Viali, vialetti, sentieri, terrazze, giochi d ' ac­ qua e di prospettiva lo rendevano ora una meta incantevole di passeggiate, merende, . concerti, e un gioco di pallama­ glio consentiva di fare esercizio ali' aria aperta. Il gusto per l' architettura rientrava pienamente nelle tra­ dizioni della famiglia reale - Maria de ' Medici ne aveva da­ to prova con il palazzo del Luxembourg; ma già Madame de Rambouillet e, dopo di lei, Madame du Plessis-Guéné­ gaud avevano mostrato tutta l'importanza che il disegno e l' arredo di una casa potevano avere per la vita di società. Mademoiselle scopriva dunque a Saint-Fargeau il piacere di « costruire » : edificare , ingrandire , abbellire , contribuire al fasto della propria famiglia, lasciare traccia duratura di sé nella pietra o nel marmo era un ' ambizione perfettamente naturale in una grande principessa. Prima ancora di ri­ spondere a obiettivi pratici, l' architettura costituiva, però, per Mademoìselle una deliziosa fonte di svago : « Se ci si an­ noia a corte, si va in campagna, nelle proprie case, con il proprio seguito. Vi si fa costruire , ci si diverte » . 1 La principessa, d'altronde, non doveva essere la sola a ·pra­ ticare questa dispendiosa distrazione . Presto per Luigi XIV costruire sarebbe diventata una passione irrefrenabile, l'uni­ ca, assieme a quella per le donne e per la caccia, che avrebbe trasmesso a Luigi XV. Ma già il sovrintendente Fouquet aveva l . Mémoires de Mademoiselle de Montpensier, cit. , vol . III, p. 537, citato in Claude Mignot, Mademoiselle et son chateau de Saint-Fargeau, in La Grande Mademoiselle (1 62 7-1693), PFSCL, XXII ( 1995) , 42, p. 99.

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dato all' architettura un posto centrale nel suo programma estetico, e con Vaux-le-Vicomte aveva avuto l' imperdonabile audacia di sfidare l'orgoglio del re su un terreno incompati­ bile con la dissimulazione. Nel Settecento, in un clima di maggiore tolleranza politica e di notevole mobilità sociale, la mania della pietra sarebbe diventata uno dei tratti più tipici del costume aristocratico, avrebbe travolto nobili e parvenu, contribuito tanto alla rovina di antiche fortune quanto alla riuscita mondana dei nuovi arrivati. In città come in campa­ gna le abitazioni diventavano lo specchio eloquente della ric­ chezza, delle ambizioni e della cultura dei loro proprietari. A Saint-Fargeau, trasformando « un luogo selvaggio » in un palazzo di Alcina, Mademoiselle avrebbe potuto eserci­ tare su larga scala, e con architetture non effimere, un gu­ sto della metamorfosi e dell' illusionismo tipici della cultura aristocratica del tempo. Ma tra le molte innovazioni intro­ dotte nel castello, almeno tre - la galleria dei ritratti , il tea­ tro, la biblioteca - erano particolarmente emblematiche della cultura e degli interessi di Mademoiselle. Annessa alla camera da letto della principessa, la galleria ospitava una trentina di ritratti dei membri della sua fami­ glia. Diffusa sin dal Quattrocento, e poi resa più agevole dali 'invenzione delle varie tecniche di incisione e di ripro­ duzione , l 'abitudine di collezionare le immagini degli ante­ nati era pressoché d 'obbligo per Mademoiselle de Mont­ pensier, giustamente orgogliosa della sua storia dinastica. Nella solitudine dell' esilio, tuttavia, quella schiera di princi­ pi e di re in effigie , oltre che un attestato glorioso, poteva ri­ velarsi una presenza tutelare e confortare Mademoiselle nelle sue prove. Ma già all 'epoca della principessa era in­ valsa l 'usanza di collezionare assieme ai ritratti di famiglia quelli degli amici. Le esigenze del ricordo si estendevano così anche alle relazioni sociali e rendevano omaggio ai vin­ coli dettati dalle affinità oltre che a quelli imposti dal san­ gue . Sappiamo che Madame de Rambouillet aveva raccolto nel suo studiolo è proprio Mademoiselle a dircelo 1 i ri­ tratti di coloro a cui andavano la sua ammirazione e il suo affetto, e anche Madame des Loges, lon tana da Parigi, ave­ va ornato le pare ti della sua stanza con i ritratti degli amici. -

l.

Cfr. , sopra, p. 20 1 .

-

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Meno di una quindicina d'anni dopo, un altro famoso esi­ liato, Bussy-Rabutin, tappezzava una sala del suo castello con i ritratti delle dame del bel mondo parigino per avere la consolan te illusione di continuare a conversare o a batti­ beccare con loro. Fino a quel momento, Mademoiselle era stata troppo oc­ cupata dal pensiero della propria superiorità dinastica e dalla propria gloria per prestare eccessiva attenzione agli al­ tri. Ora, chiusa a Saint-Fargeau, ella lasciava la compagnia degli eroi per andare alla scoperta del prossimo: presto avrebbe provveduto ad aggiungere ai ritratti degli avi quelli degli amici e dei conoscenti, cambiando però di registro e sostituendo la scrittura ai colori. Prendendo la decisione di adibire una sala del castello a teatro, Mademoiselle confermava una passione per gli spet­ tacoli che era tipica della società aristocratica in cui era sta­ ta educata. Sin da fanciulla aveva amato la musica, il teatro, il ballo : lei stessa era un 'eccellente ballerina e si era esibita in alcuni dei grandi ballets de cour. Il suo idolo era natural­ mente Corneille, ma apprezzava anche la verve caricaturale di Desmarets e la comicità di Scarron , tutta giocata sull'al­ ternanza fra burlesco e tragico. Amava, insomma, il teatro barocco nella sua varietà di registri, nella sua audacia in­ ventiva, nei suoi virtuosismi espressivi: quel teatro che, co­ me lei , doveva imparare a chinarsi alle regole e all' ordine. A Parigi Mademoiselle era stata una spettatrice entusiasta, ma a Saint-Fargeau, per continuare a godere di un diverti­ mento che la solitudine rendeva ancora più prezioso, si era trasformata in mecenate. Durante ùna visita al padre , relegato nel castello di Blois, la principessa aveva potuto apprezzare gli attori che recita­ vano per Gastone e aveva deciso di ingaggiarli al proprio servizio. I Comédiens de S.A.R. le due d ' Orléans et dè Ma­ demoiselle formavano una compagnia itinerante che avreb­ be calcato le scene per almeno trent'anni. La troupe di cui facevano parte alcuni attori provenienti dagli Illustres Français, dove aveva fatto le sue prove il giovane Molière , avrebbe conosciuto una stagione particolarmente fortunata sotto la direzione di Dorimond, il grande attore che . per primo introdusse in Francia la storia di Don Giovanni e del Convitato di pietra.

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La compagnia si sarebbe esibita con regolarità a Saint­ Fargeau per tutta la durata dell' esilio, ma anche a Parigi avrebbe continuato a beneficiare della protezione di Made­ moiselle. Protezione illustre, nel solco del mecenatismo reale, di cui il teatro aveva bisogno per resistere agli attac­ chi della Chiesa e dei « devoti » , e che era anche un segno palese della vocazione liberale di una principessa del san­ gue. Non abbiamo notizia diretta dei titoli delle opere rap­ presentate a Saint-Fargeau: ma quel che certamente conta­ va per l' esiliata e per le persone del suo seguito era ritrova­ re il piacere di un 'esperienza più che mai essenziale al loro benessere. 1 Vestite con ricercatezza, sfoggiando cappelli di pelliccia guarniti di piume, le dame del castello dimentica­ vano la lontananza, l' isolamento, le rivalità, le gelosie, e ve­ nivano catturate dall ' illusione della grande lanterna magi­ ca, con il suo vasto repertorio di personaggi, di immagini e di situazioni romanzesche . Potevano così riascoltare i mo­ nologhi eroici, le appassionate dichiarazioni d' amore , le di­ squisizioni sottili, i dialoghi brillanti, le conversazioni ga­ lanti, le battute fulminee e irresistibili su cui modellare i sen timenti e il linguaggio: perché il teatro non era per loro soltanto un modo di voltare le spalle alla realtà e abbando­ narsi al sogno, costituiva un 'utile scuola di mondo. una grande rassegna di situazioni esemplari che preparavano a conoscere e, talvolta, ad anticipare la vita. Sin da fanciulla Mademoiselle aveva amato profonda­ mente anche la musica, che a Saint-Fargeau divenne un in­ trattenimento quotidiano per gli abitanti del castello. E sap­ piamo che fra i suoi strumentisti figurava un giovane italia­ no, Giovanni Battista Lulli, presto destinato a diven tare compositore del re. La creazione di una biblioteca segnava invece per Made­ moiselle l 'inizio di una nuova importante esperienza: a Saint-Fargeau ella scopriva per la prima volta i piaceri della lettura. Fino ad allora la sua cultura mondana, come in ge­ nere accadeva per le dame della nobiltà, era stata essenzial­ mente orale ed estremamente eclettica. Vi avevano contri­ buito, in uguale misura, oltre alla conversazione, il garbo l . « Seguivo gli spettacoli teatrali con più piacere di quanto mi fosse mai accaduto » , Mémoires de Mademoiselle de Montpensier, ci t. , vol. II, p. 250.

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pedagogico dei letterati al suo servizio , gli spettacoli, l 'amo­ re per la musica e la poesia, l'ascolto quasi ininterrotto di una fluviale produzione in versi e in prosa destinata alla vi­ ta di società per il divertimento di un istante. Tutto ciò, na­ turalmente, poteva anche essere propedeutico a un rappor­ to più diretto con la letteratura ma, per dare i suoi frutti, aveva bisogno della quiete di un castello di campagna. « A quel tempo cominciai ad amare la lettura, che da allora ho sempre amato molto » scriverà Mademoiselle nelle sue me­ morie . 1 « Amava appassionatamente le storie , » è la testimo­ nianza di Pierre-Daniel Huet « e soprattutto i romanzi , co­ me si suole chiamarli. Me n tre le sue cameriere la pettinava­ no, voleva che le leggessi qualcosa, e non vi era argomento su cui non avesse mille domande da porre . E questo mi ha dato la misura della finezza del suo spirito e della sua eru­ dizione, poco comune in una persona del suo sesso » .2 Per bizzarro che possa sembrare , prima ancora che il pia­ cere di leggere, Mademoiselle aveva sperimentato quello di scrivere. Nella vita di società, è vero, dettare una lettera garbata o improvvisare versi era un prolungamento natura­ le della conversazione , un ' occasione come un ' altra di con­ tribuire alla buona riuscita del gioco mondano. Ma nel bel mezzo degli avvenimenti della Fronda, quando la si poteva supporre più che mai assorta in eroici pensieri, Mademoi­ selle aveva scritto qualcosa di assai meno convenzionale dei soliti componimenti in versi, l' Histoire de Jeanne Lambert d 'Herbig;ny marquise de Fouquesolle, un divertissement in prosa dal tono ironico e impietoso. Sotto forma di finta confes­ sione - Madame de Fouquerolles racconta la sua storia a un 'amica -, 'la principessa procedeva a un regolamento di conti con una dama di compagnia che si autoaccusava di falsità e di intrigo . Decisamente Madame de Fouquerolles aveva la tendenza a mettersi nei guai: dieci anni prima era stata proprio lei a scrivere la famosa lettera smarrita che Madame de Montbazon non aveva esitato ad attribuire alla duchessa di Longueville . Scritto con spigliatezza e non privo di acume psicologico, l . lbid. , vol. l , p. 259. 2 . Mémoires ( 1 7 1 8 ) , a cura di Philippe:Joseph Salazar, Société de Littératu­ res Classiques, Toulouse, 1 993, p. 76.

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il breve racconto - una settantina di pagine - era destinato agli intimi di Mademoiselle e li invitava a seppellire nel riso un intrigo che avrebbe potuto comportare conseguenze sgradevoli per tutti. Attraverso le parole di Madame de Fou­ querolles la principessa però raccontava anche qualcosa di sé , del proprio temperamento, dei propri gusti, e la con­ dotta ipocrita e sleale della dama di compagnia faceva bril­ lare per contrasto la fierezza del suo carattere e il suo amo­ re per la sincerità. Mademoiselle era stata probabilmente indotta a servirsi della formula della confessione dall'esempio delle mazari­ nades - i libelli satirici che imperversavano allora a Parigi -, e l ' Histoire de la marquise de Fouquesolle conserva indubbia­ mente una sfumatura di violenza, un vago gusto di gioco al massacro, in perfetta sin tonia con il clima della Fronda. Scritto di getto, il divertissement non aveva ambizioni let­ terarie e faceva parte di uno scherzo a più mani, un insieme di testi brevi, lettere e versi, a cui avevano collaborato anche Madame de Fiesque e Madame de Frontenac. Eppure l' His­ toire introduceva sulla scena letteraria una figura chiave del­ la civiltà francese : il personaggio che si strappa la masche­ ra. Un gesto che, nel secolo successivo, avrebbe a� to la sua apoteosi nel celebre monologo di Versac negli Egarements du cceur et de l 'esprit e nella ancor più celebre lettera della marchesa di Merteuil nelle Liaisons dangereuses. Con l 'inizio dell'esilio la scrittura era destinata a occupare un posto sempre più importante nella vita di Mademoiselle, anche se, almeno in un primo tempo, la sua funzione restava immutata: poteva essere un utile strumento al servizio della memoria, del divertimento, della vita di società, ma non rap­ presentava un fine in sé. La facilità, la rapidità, la fretta, il rifiuto sdegnoso di rileggersi e correggersi che Mademoiselle amava ostentare, riconducevano la parola scritta a quell'este­ tica della « sprezzatura » che da Castiglione in poi era il con­ trassegno della conversazione aristocratica. Ora che si era concluso il tempo dell 'agire , era arrivato per Mademoiselle , come per altri illustri esponenti della Fronda, il momento di ricordare . Accogliendo i suggeri­ menti della sua piccola corte, di Madame de Fiesque, di Madame de Frontenac e del suo segretario di fiducia Préfontaine, e accingendosi alla stesura delle sue memorie,

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la principessa obbediva una volta di più, in maniera esem­ plare, all' etica della sua casta. Da quando l'onore del sovrano aveva cessato di coincidere con quello dei suoi nobili, chi poteva ricostruire la verità dei fatti per la memoria futura? Uomini di lettere al soldo della corona, gli storiografi ufficiali non davano più alcuna garan­ zia di oggettività e tanto meno di competenza. Il compito di raccontare la Storia spettava dunque a coloro che ne erano stati i testimoni e gli artefici, vale a dire ai nobili, non a bor­ ghesi o chierici che avevano passato la vita nel chiuso di una biblioteca e che non sapevano cosa fosse un campo di batta­ glia. Sin dal Cinquecento, un secolo segnato da un tragico susseguirsi di conflitti religiosi e politici, i nobili avevano av­ vertito la necessità di tutelare il loro onore e quello della loro discendenza illustrando le ragioni del loro agire e gli eventi a cui avevano preso parte con delle memorie scritte, destinate a integrare il patrimonio di ricordi orali che la famiglia si tra­ mandava di generazione in generazione. L'ultimo in ordine di tempo ad avere scritto un Journal de ma vie era stato Bas­ so m pierre, relegato alla Bastiglia per ordine del cardinale. Nel solco di questa tradizione, alla fine di una guerra civile che aveva sconvolto il Paese e in cui lei stessa era entrata in aperto conflitto con la famiglia reale, Mademoiselle doveva sentire fortissima la necessità di ribadire la legittimità della propria condotta e di dare la propria versione dei fatti. Com­ pito non facile. La principessa desiderava ottenere il perdono della reggente e del suo reale cugino ed essere riammessa a corte, ma non voleva smentire se stessa, e il ricordo delle can­ nonate della Bastiglia la riempiva di rimorso e insieme di fierezza. I suoi errori, se di errori si trattava, dipendevano me­ no dalla sua condotta che dai capricci della fortuna, 1 e non erano tali da· gettare la minima ombra sulla sua reputazione. Mademoiselle affrontava l' impresa come soltanto lei a­ vrebbe potuto fare . I suoi Mémoires raccontano le eroiche vi­ cende di una principessa del sangue capace di assumere fino in fondo le responsabilità imposte dalla sua nascita e di farsi garante dei valori più sacri della monarchia francese , con la naturalezza, la leggerezza, le distrazioni, l' eclettismo, la curiosità psicologica di una dama del Grand Monde . A differenza delle memorie tradizionali, in cui l' autore si l . « La mia condotta è meno colpevole della cecità della fortuna » , > ,

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ne abbia un temperamento malinconico , passo per essere di indole assai gaia » ! Ma non appena questa disposizione generale doveva fare i conti con la diversità delle condizioni che costituivano l'articolazione della società di An tic o Regime, la parola « compiacenza » diventava sospetta, ed entrava in scena l'a­ dulazione. Madame de Stael scriverà nel De l 'Allemag;ne che in Fran­ cia, fino al 1 789, la conversazione, facendosi interprete del­ l' alto grado di arbitrarietà delle istituzioni, bastava da sola a regolare i rapporti sociali e ad addolcire le differenze, dan­ do a ciascuno ciò che gli era dovuto.2 In questo complesso si­ stema di relazioni, il modo di rivolgersi agli altri era anche una esplicita dichiarazione di identità, e imponeva pruden­ za e misura. Praticata fra uguali, la compiacenza era una ga­ ra di educazione, ma se uno dei due interlocutori occupava - o semplicemente presumeva di occupare - una posizione più elevata, un eccesso di cortesia diventava improwisamen­ te rischioso. Bastava un piccolo passo falso e la compiacenza scivolava pericolosamente verso l'adulazione, esattamente come la celia poteva degenerare nella maldicenza. In en­ trambi i casi era impossibile tracciare una netta linea di de­ marcazione, e soltanto « la scienza del mondo » e l'arte delle sfumature consentivano di mantenersi sul filo del crinale . Se Mademoiselle, dall' alto del suo piedistallo, poteva ri­ solvere facilmente il problema, dichiarando di non pratica­ re la compiacenza ma di pretenderla dagli altri,3 gli autori­ tratti delle sue nobili amiche rivelavano come anche ali 'in­ terno dell' élite più esclusiva alcune parole chiave del codi­ ce mondano potessero prestarsi a notevoli oscillazioni di si­ gnificato. La principessa di La Trémoille non aveva dubbi: « plaudi­ va alla compiacenza » con uno slancio pari all ' « avversione » che provava per l 'adulazione e non mostrava di credere che tra i due comportamenti potesse insorgere il minimo equil . Portrait de Mademoiselle Melson �> , in La galerie de portraits de Mlle de Montpensier, Nouvelle édition par M. Edouard de Barthélemy, Didier, Pa­ ris, 1 860, pp. 204-206, citato in Pelous, op. cit. , p. 206. 2. Madame de Stael, De l 'Allemagne, cronologia e Introduzione di Simone Balayé, 2 voli. , Garnier-Flammarion , Paris, 1 967, vol. I, pp. 1 05-1 06. 3. Cfr. Portrait de Mademoiselle, fai t par elle mesme » , in Divers Portraits, cit. , p. 33. «

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voco. 1 Ma sua figlia aveva già perso la sicurezza materna, e il timore di essere frain tesa condizionava persino il suo modo di agire: « la paura di incorrere in quest'accusa mi induce spesso a essere meno compiacente di quanto dovrei » .2 Per la principessa di Tarente, che « si piccava di essere del tutto compiacente, senza mai indulgere però all 'adulazione » 3 quest'ultima non era u n marchio infamante , m a u n inutile eccesso di zelo. La badessa di Caen era la sola ad affrontare il problema - come avrebbe potuto fare il cavaliere di Méré - dal punto di vista dell ' honneteté, attribuendo alla compia­ cenza un valore morale : « Preferisco non contraddire, an­ che se sono di opinione opposta a quelle degli altri: ciò di­ pende dalla mia compiacenza. Posso persino affermare che per me la compiacenza è una virtù, perché, quantunque sia portata ad averne per inclinazione, me ne servo secondo ra­ gione e mai per viltà . . . e se, talvolta, la compiacenza può costringermi a tacere, non mi costringe mai a dire cose che non sento » .4 Rovesciando la prospettiva e ammettendo di essere sensi­ bile « alla compiacenza senza per questo amare l ' adulazio­ ne » / la duchessa di \litry ricordava implicitamente come l' adulazione mondana trovasse il suo più severo censore nell 'orgoglio della persona incensata. Per poter piacere, i complimenti dovevano essere credibili, altrimenti rischiava­ no di diventare offensivi. . « Apparire e occupare degnamente il proprio posto nel mondo » / « essere veramente ciò che si vuole apparire » :7 di­ vise tra due esigenze difficilmente conciliabili, le donne di questi ritratti si pensano e vivono attraverso lo sguardo del . Cfr. « Portrai� de Madame la Duchesse de la Trimoùille, fai t par elle mes­ me », ibid. , p. 19. 2. Cfr. « Portrait de Mademoiselle de la Trimoiiille, fai t par elle mesme » , ibid. , p. l O. 3. Cfr. « Portrait de Madame la Princesse de Tarente, fait par elle mesme ibid. , p. 4. 4. Cfr. « Portrait de Madame l'Abbesse de Caen, escrit par elle mesme » , ibid. , p . 59. 5. Cfr. « Portrait de Madame la Duchesse de Vitry, fai t par elle mesme » , ibid. , p . 1 4 1 . 6 . « Portrait de Madame la Princesse d e Taren te, fai t par elle mesme ibid. , p. 7. 7. « Portrait de Madame la Duchesse de la Trimoiiille , fai t par elle mes­ me », ibid. , p. 1 7 . »,

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gli altri. Tacciono gli affetti privati e, in attesa che entri in scena la devozione e « Dio tocchi loro il cuore » , 1 le uniche passioni ad aver diritto a mostrarsi sono il desiderio di glo­ ria, l'orgoglio, le ambizioni della propria famiglia. Al tem­ po stesso, però, la scena mondana, essendo il luogo dove si è ciò che si appare , permette a ciascuno, dietro la maschera delle bienséances, di praticare l'amicizia, coltivare il « gusto delle cose belle » , conversare , scherzare , ridere , sedurre , e forse, sia pur per un breve momento, essere felici. Nei Divers Portraits, soltanto Mademoiselle, compenetrata dell ' idea della sua superiorità naturale , indulgeva al lusso della sincerità, salvo poi smentire con i fatti alcune delle sue dichiarazioni più stentoree. Come conciliare , infatti, ciò che ella affermava nel suo autoritratto - « rifuggo dalla maldicenza e dalla celia, anche se conosco meglio di chiun­ que altro il lato ridicolo della gente » 2 con la satira crude­ le delle Preziose? Nuova e audace, l 'idea di un « ritratto collettivo » (che aveva tentato anche Tallemant des Réaux) nasceva in Ma­ demoiselle dal desiderio di regolare in una volta sola tutta una serie di conti in sospeso. Nel suo ritratto di Amaranthe, la principessa non aveva certo risparmiato Madame de Fies­ que, che aveva descritto bella ma sporca, brillante conversa­ trice ma senza talento nello scrivere, sprovvista di gusto e con « uno spirito del tutto privo di delicatezza » , con degli slanci di devozione che le duravano meno del tempo neces­ sario per farsi confezionare un cilicio, troppo preoccu pat.a di piacere, frivola, superficiale. Eppure questa lista di per­ fidie non aveva placato la principessa, e il fatto stesso di es­ sere stata costretta a concludere: « con tutto ciò , quando la si vede la si ama »3 contribuiva probabilmen te ad alimentare il suo risentimento. Prima di riaprire direttamente le ostilità contro la sua ex dama di compagnia nella Princesse de Pa­ phlagonie, Mademoiselle si vendicava di Mademoiselle d'Au­ male e di Mademoiselle d 'Haucourt, che avevano tradito Mademoiselle de Vandy per la contessa di Fiesque, pren-

l . « Portrait de Madame la Duchesse d ' Espernon, escrit par Mademoisel­ le » , ibid. , p. 80. 2. « Portrait de Mademoiselle, fait par elle mesme » , ibid. , p. 3 1 . 3. « Portrait d'Amaranthe, escrit par Mademoiselle » , ibid. , p . 93.

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dendole a modello per la sua caricatura delle Preziose . Ma l 'antipatia personale coincideva qui con una polemica più generale che investiva nella sua totalità un comportamento sociale e uno stile di vita. Il ritratto di Mademoiselle ci pone di fronte a uno dei problemi più discussi e controversi della cultura francese del XVII secolo, quello delle Preziose e della loro vera iden­ tità storica. Per un singolare paradosso sembrerebbe infatti che queste donne , che avevano suscitato scandalo per non essersi mostrate disposte a rinunciare al proprio « prezzo » , al proprio intrinseco valore, non abbiano lasciato traccia se non nella letteratura satirica, di cui il ritratto di Mademoi­ selle costituisce uno dei testi fondatori: paradosso con cui deve fare i conti chiunque si interroghi sulle Preziose al plurale, sulla loro esistenza sotto forma di gruppo o di « set­ ta » . Possiamo prendere come certificato di nascita del mo­ vimento una lettera del cavaliere di Sévigné del 3 aprile 1 654: « A Parigi c'è un tipo particolare di fanciulle e di don­ ne chiamate "preziose ", che usano un linguaggio e hanno un aspetto e un ' andatura meravigliosi: e c'è una carta fatta apposta per navigare nel loro paese » . 1 La carta a cui s i faceva allusione era probabilmente ope­ ra di un frequentatore della cerchia di Gastone d' Orléans, il marchese di Maulévrier, e sarebbe stata pubblicata solo nel 1 659, al cul.mine della voga delle Preziose . Tra il 1 654 e il 1 661 , le occupazioni e le aspirazioni intellettuali della « setta » diventavano infatti l ' oggetto di una intensa campa­ gna che avrebbe avuto come tappe fondamentali La Prétieu­ se ( 1 656-1 658) dell' abate di Pure, Les Précieuses ridicules di Molière ( 1 659) e le due edizioni successive ( 1 660 e 1 66 1 ) del Grand dictionnaire des Prétieuses di Somaize . Per sette an­ ni, nel bene - e nel male, esse avrebbero fatto parlare di sé con l ' effimera intensità dei fenomeni alla moda, per poi di­ leguarsi nel nulla. Questo corpus di testi, per la maggior parte sommamente ambigui, è stato oggetto delle letture più varie. Si è voluto ri­ salire, attraverso una dotta ricerca delle chiavi, dalla carica­ tura letteraria ai modelli originali, dando per scontata l 'esi­ stenza delle Preziose; ma si è anche ipotizzato che esse fossel . Correspondance du chevalier de Sévigné et de Christine de France, duchesse de Savoie, a cura di Jean Lemoine e Frédéric Sau1nier, H. Laurens, Paris, 1 9 1 1 , p. 246, ci tato in Pelous, op. cit. , p. 309.

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ro semplicemente un 'astrazione, la personificazione di una perdita del senso della misura pericolosa per l'equilibrio mondano, o una pura invenzione della misoginia maschile. Quel che è ormai certo è che, a partire dagli anni Qua­ ranta, una « pleiade » di donne occupava un posto di primo piano nella vita mondana della capitale. Per ciascuna di lo­ ro - fino a ora ne sono state identificate più di centotrenta -, quasi tutte esponenti dell' alta aristocrazia, l' aggettivo qua­ lificativo di « preziosa » veniva sempre usato al singolare , era esente da qualsiasi connotato negativo ed era sinonimo di delicatezza, raffinatezza, distinzione . Già nel 1 638, Voiture si rivolgeva a julie d'Angennes co­ me alla « cosa più preziosa del mondo » . 1 Indubbiamente l 'aggettivo conservava ancora il senso di « amabile, grazioso, carino » che la parola aveva in spagnolo e non rivestiva esat­ tamente lo stesso significato che avrebbe assunto in seguito il sostantivo . Ma il fatto stesso che l' «ame du rond » se ne ser­ visse per adulare una donna, e che questa donna fosse la figlia di Madame de Rambouillet, mostra come nella Came­ ra azzurra fosse invalsa l' abitudine di usarlo per lodare le donne. E Tallemant des Réaux indicava senza esitazione la figlia secondogenita di Arthénice, Angélique - che ostenta­ va un 'awersione aperta per il matrimonio e un purismo lin­ guistico che prefigurano gli eccessi poi imputati alle « Pre­ ziose ridicole » degli anni Cinquanta -, come uno degli « ori­ ginali » a cui si era ispirato Molière scrivendo la sua farsa. 2 Anche se la vita mondana si caratterizzava per la sua cir­ colarità e la sua fluidità, dunque , le nobili dame che si atti­ ravano la qualifica di Preziose frequentavano di preferenza gli stessi luoghi ed erano spesso legate fra loro. Basti pensa­ re all 'ininterrotta catena d'amicizia che univa Julie d'An­ gennes, Madame de Longueville, Madame de Montpensier, Madame de Sablé, Madame de Maure, Mademoiselle de Vandy, Madame de La Fayette, Madame de Sévigné, per non citare che i nomi più celebri. Esse condividevano certo l'interesse per la letteratura e l ' amore per la lingua, la pas­ sione per la conversazione e l' acume psicologico, la raffina­ tezza dei modi e l ' intransigenza del gusto, ma nessuno di questi elementi era appannaggio esclusivo della tipologia l. Cfr. Alexandre Cioranescu, Précieuse, in « Baroque » , dicembre 1 969, 3-4, p. 82. 2. Tallemant, Historiettes, cit. , vol. II, p . 894.

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« preziosa » : erano piuttosto tratti comuni alla nuova cultu­ ra mondana. Anche il culto dell'eroismo e della gloria che connotava il femminismo della Fronda non costituiva una novità assoluta per le donne dell'aristocrazia, e una insigne tradizione letteraria contribuiva ad alimentare le loro fan­ tasie guerriere. Alcune di loro mostravano senza dubbio una resistenza più o meno dichiarata ai vincoli del matrimonio e un senti­ mento di ripulsa per l'amore; non tutte, però, davano prova di uguale intransigenza né si erano sempre negate ai loro adoratori. Molte erano malate immaginarie, soffrivano di manie, tradivano i segni di una patologia isterica, ma vi era anche chi, come l\1ademoiselle, vantava una salute di ferro. Nelle donne « preziose » , tuttavia, questa diversità di inclina­ zioni e di modi era riconducibile a una volontà comune che dava al loro comportamento un carattere inconfondibile. Virile o delicata, austera o frivola, libertina o sessuofoba, la « preziosa » coltivava un ' alta idea di se stessa e del rispetto che le era dovuto, e questo atteggiamento non era soltanto frutto dell' orgoglio di casta, ma nasceva dalla tragica consa­ pevolezza della fragilità. della condizione femminile. I privi­ legi di cui ella godeva in seno alla società aristocratica non modificavano la sua situazione di inferiorità giuridica e non impedivano che, nella grande maggioranza dei casi, al­ tri decidessero. del suo destino . Ma accettare l'ineluttabile , trovarsi in balìa di un marito non amato, rischiare la vita a causa di maternità indesiderate, non implicava necessaria­ mente un atteggiamento di rassegnazione: la preziosa rima­ neva infatti fedele a se stessa, si ascoltava, si analizzava, si possedeva saldamente. Forte del potere conferitole dalle bienséances, ella dava la misura di ciò che valeva nella zona franca della ·mondanità: lì poteva esercitare liberamen te la sua intelligenza, imporre la sua sensibilità, abbandonarsi ai piaceri incorporei dell ' esprit ; lì le era consentito scegliere ed esigere , sedurre e negarsi, e trionfare finalmente ·s ulla realtà imprigionandola nella metafora. Per questo la lette­ ratura e la lingua assumevano per la « preziosa » un ' impor­ tanza senza uguali: non le consentivano solo di rifugiarsi nel regno dei sogni e delle emozioni estetiche, di raffinare sempre più la sua sensibilità e il suo gusto, ma le insegnava­ no il potere fondante della parola. Parlare e scrivere diven­ tavano per lei un atto creatore : per lei esisteva solo ciò c he accettava di nominare.

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All' hotel de Rambouillet la Grande Mademoiselle aveva scoperto la sensibilità preziosa e l' arte della distinzione mondana. Coltivava un ideale femminile eroico e casto, prediligeva la compagnia delle donne, non subiva l'attra­ zione dell 'amore, e le sue amicizie femminili, la sua inti­ mità con Madame de Fiesque e « le Divine » , poi con Made­ moiselle de Vandy, la poneva al centro della costellazione preziosa formatasi nei primi anni della reggenza. Perché al­ lora, servendosi proprio del più prezioso dei generi lettera­ ri, vale a dire del ritratto , smentiva così clamorosamente se stessa e muoveva guerra alle nuove Preziose nel momento in cui esse trovavano la forza di rivendicare pubblicamente le loro aspirazioni? E la sua presa di posizione era davvero così sorprendente? Per rispondere a questa domanda non sarà inutile sof­ fermarsi sullo slittamento di significato del termine « pre­ ziosa » dall 'aggettivo al sostantivo, dal singolare al plurale , in seguito al quale la parola smette di contrassegnare una personalità di rilievo e rinvia piuttosto a una tipologia; per­ de ogni connotazione lusinghiera e diventa, a dir poco, so­ spetta. Ci si può chiedere che cosa fosse accaduto. A parti­ re dal 1 654, con il ritorno della stabilità e della pace, Pari­ gi viveva una stagione mondana simile per intensità solo a quella che seguirà alla morte di Luigi XIV: i salotti si mol­ tiplicavano, la passione per la sociabilité conquistava un nu­ mero sempre maggiore di nobili e di borghesi, cambiava­ no le forme di intrattenimento, si diversificavano gli inte­ ressi dei cercles. La nobiltà rinunciava definitivamente ai suoi sogni di autonomia e di gloria e si rifugiava negli ozi mondani; l 'alta borghesia ne approfi ttava per ridurre le sue distanze dal mondo dei privilegiati e ne mimava lo stile di vita; le amazzoni pugnaci erano costrette a ritirarsi dalla scena politica e a trasferire le loro ambizioni nel regno del­ la letteratura. Se nella prima metà del secolo era altamen­ te disdicevole che le donne aspirassero a scrivere e a pub­ blicare , nel decennio successivo alla Fronda le scrittrici di­ lettanti si moltiplicavano, e la concezione stessa che la so­ cietà mondana coltivava della letteratura incoraggiava a prendere le penna in mano. Le signore partecipavano atti­ vamente alla redazione dei giochi letterari che una volta erano monopolio dei Voiture , dei Cotin , dei Benserade « bouts-rimés, enigmi, rebus, metamorfosi, ron.dò, madrigali, lettere collettive in versi o in prosa, gazzette e cronache, ri-

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tratti » . 1 Ma scrivere, come dimostra il con tributo determi­ nante dato dalle donne alla nascita del romanzo moderno, non era necessariamente un puro passatempo per loro. Le responsabilità di Mademoiselle de Scudéry in questo prendere la parola da parte delle donne erano molteplici. Nella « Harangue de Sapho à Erinne », pubblicata nelle Fem­ mes illustres ( 1 642) , era stata lei la prima a rivendicare, di­ scretamente ma fermamente, il diritto delle donne a colti­ varsi e a scrivere versi. I suoi romanzi promuovevano un modello di sociabilité che incoraggiava la curiosità intellet­ tuale e il gusto d eli ' analisi psicologica, e la sua modestia, la sua diplomazia, il suo tatto le avevano consentito, sotto il ve­ lo trasparente dell ' anonimato, di pubblicare i suoi libri e di guadagnarsi la vita al riparo dalle critiche malevole. Ma ora, all 'inizio degli anni Cinquanta, resasi finalmente indipen­ dente dal suo tirannico fratello, forte del suo grande suc­ cesso, Mademoiselle de Scudéry non si accontentava più di essere la romanziera della società mondana e indulgeva al piacere di avere un salotto tutto per sé. Le riunioni del sa­ bato in rue de Beauce, nel Marais, erano molto diverse da quelle della Camera azzurra. Gli habitué di Mademoiselle de Scudéry non appartenevano al mondo dell' aristocrazia ma a quello delle lettere : erano savants, critici, poeti, e sia le loro conversazioni che i loro divertimenti rivestivano un carattere di sperimentazione letteraria. Un piccolo gruppo di signore, non solo aristocratiche, ma anche borghesi, era ammesso ad ammirare questa gara settimanale di brio in­ tellettuale, di sensibilità e di bel esprit. Sotto gli occhi dei suoi ospiti, la « ninfa del Marais » doveva scoprire di perso­ na, ancor prima di teorizzarle in Clélie, le gioie dell 'amor platonico . Il percorso iniziatico a cui Mademoiselle de Scudéry-Saffo avrebbe sottoposto il suo giovane corteggia­ tore Pellisson-Acan te, prima di investirlo del titolo di amico del cuore, prendeva forma un giorno del 1 653. Pellisson stesso ha raccontato l' origine della più celebre delle allego­ rie geografiche della letteratura amorosa, che di lì a poco avrebbe fatto le delizie dei lettori nel primo volume di Clé­ lie: « N el corso di una conversazione del sabato sull' amicil.

Linda Timmermans, t 'acc.ès desJemmes à la culture (1598-1 715). Un debat d 'idées de Sales à la Marquise de Lambert, Champion, Paris, 1993, p. 1 8 1 .

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zia, avendo Saffo operato una distinzione fra nuovi �miei, amici particolari e amici teneri, Acante le chiese a quale ca­ tegoria egli appartenesse e gli fu risposto che faceva parte degli amici particolari . Ebbe allora l'idea di chiedere quale fosse la distanza tra Particolare e Tenero, e se un uomo che viaggiava sempre in diligenza potesse sperare di arrivarvi tra novembre, il mese in cui avveniva quella conversazione, e febbraio, quello in cui sarebbe scaduto il periodo di pro­ va che gli era stato concesso. Gli fu risposto che questo di­ pendeva dall 'itinerario che avrebbe seguito perché , se sba­ gliava strada, non sarebbe mai arrivato. Chiese quante stra­ de ci fossero : gli fu risposto che si poteva andare via acqua, via terra e via cielo, e che stava a lui scegliere quale delle tre preferisse . Disse che sceglieva l' ultima, la più breve, e che avrebbe trovato il modo di volare . . . Ulteriormente svilup­ pata, questa galanteria diede origine alla Carte de Tendre» . 1 I l gioco era meraviglioso e invitava all'emulazione; e d era fatale che Saffo stessa diventasse un modello da imitare. Il ta­ lento pedagogico di Mademoiselle de Scudéry e la specula­ rità sempre più evidente fra il suo universo letterario e la vita reale contribuivano a fare dei suoi romanzi dei libri di for­ mazione. E ciò era particolarmente vero per le donne bor­ ghesi, che non avevano avuto una iniziazione mondana ed erano generalmente vittime di una educazione molto meno liberale di quella riservata alle loro sorelle aristocratiche. Co­ sì, sia pure senza mai menzionare nelle sue opere il termine « preziosa » , tanto la seri ttrice che il suo personaggio veniva­ no a incarnarne agli occhi del pubblico il prototipo perfetto. Mademoiselle de Scudéry era troppo intelligente e cono­ sceva troppo bene il mondo per ignorare i pericoli a cui il suo modello andava incontro : una sola nota sbagliata basta­ va infatti a trasformare la donna di spirito in un personag­ gio ridicolo, privandolo di qualsiasi credibilità morale e mondana. Di conseguenza, nel momento stesso in cui, giunta alla decima e ultima parte del Grand Cyrus, ella si presentava ai suoi lettori nell ' Histoire de Sapho, badava a prendere le distanze dalle sue imitatrici. Contrapponendo alla modestia e alla discrezione di Saffo la mancanza di mil . Documents inédits sur la société et la littérature précieuses: extraits de la Chro­ nique du Sa medi, publiés d 'après le registre origina l de Pellisson (1 652-1 65 7). pubblicati da Luc Belmont, in Revue d'histoire littéraire de la France )) , IX ( 1 902) , 9, p. 671 . «

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sura della pretenziosa Démophile , la scrittrice anticipava la polemica a venire e introduceva la distinzione tra le auten­ tiche e le false Preziose - e abbandonava queste ultime a un destino ridicolo. Ma la forza delle ammiratrici di Saffo consisteva precisa­ mente nell 'amare la provocazione e nel non temere gli ec­ cessi. N elle loro ruelles del Marais queste Preziose outrées, in preda a un delirio di onnipotenza, attenuavano i suoni, filtravano le luci e mettevano in scena lo spettacolo di un mondo alla rovescia, dove la volontà e l ' intelligenza trionfa­ vano sulla natura e sull' istinto. « L'abate di Pure sosten eva che l' ingresso nella preziosità era come l 'entrata in conven­ to, e che il secondo voto pronunciato da una preziosa era quello del "metodo nei desideri"» : 1 esse perseguivano dun­ que la pace dell' anima e la libertà interiore attraverso una scelta di atarassia e di perfetto controllo degli slanci del cuore. In una pagina di Saint-Évremond del 1 656 (quando il movimento era solo agli albori) possiamo già trovare una critica penetrante delle Preziose : « Hanno detto alla regina di Svezia che le Preziose · sono le gianseniste dell 'amore, e la definizione le è piaciuta. Per le Preziose, l'amore è ancora un dio. Non eccita le passioni nelle loro anime , vi istituisce una sorta di religione. Ma, per parlare in modo meno mi­ sterioso, la corporazione delle Preziose non è altro che l ' u­ nione di un piccolo numero di persone, alcune delle quali, realmente delicate , hanno indotto le altre a ostentare la de­ licatezza in maniera ridicola. « Queste false delicate hanno tolto ali' amore ciò che ha di più naturale , pensando di conferirgli qualcosa di più "prezioso". Hanno trasferito una passione sensibile dal cuo­ re alla men te e convertito gli affetti in idee . Questo grande processo di purificazione ha tratto origine da un onesto di­ sgusto per la sensualità; ma così facendo esse si sono allon­ tanate dalla vera natura dell 'amore , non meno delle volut­ tuose. Perché l ' amore non ha a che fare né con la specula­ zione mentale né con la brutalità dell' appetito » .2 Come si vede , lo scrittore libertino si guardava bene dall . Re né Bray, La Préciosité et les Précieux, de Thibaut de Champagne à Jean Gi­ raudoux, Nizet, Paris, 1 968, p. 1 53 . 2. Saint-Évremond, Sur les Précieuses » , in CEuvres, a cura di René d e Planhol, 3 voli. , L a Cité des livres, Paris, 1927, vol . I , p. 45. «

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l'emettere una condanna sommaria: a suo giudizio, molte di loro non erano affatto ridicole, e coltivavano preoccupa­ zioni per nulla incomprensibili, ma tutte, vittime di un ec­ cesso di intellettualismo, ignoravano la vera natura della di­ vinità di cui celebravano il culto. Per le nobili dame che si erano formate alla scuola di Ma­ dame de Rambouillet l' ideale prezioso poteva coabitare perfettamente con il conformismo mondano. Da un lato, il costume aristocratico consentiva alle donne un notevole margine di libertà nella scelta di uno stile di vita compatibi­ le con le loro aspirazioni più personali; dali' altro , la sensi­ bilità preziosa trovava sulla scena mondana il luogo dove af­ fermarsi sotto il segno della raffinatezz � e d eli ' eleganza, al­ l ' ombra protettrice delle bienséances. E precisamente alle bienséances che le Preziose degli anni Cinquanta pensarono di poter voltare impunemente le spalle , privandosi così del­ la loro sola arma di difesa. Per la maggior parte di estrazio­ ne borghese, esse non godevano dei privilegi delle aristo­ cratiche, non avevano una conoscenza sicura degli usi di mondo, e vollero manifestare ad alta voce le loro richieste di libertà e di emancipazione, ignorando la discrezione e il buon gusto. Contavano sulla loro forza; erano tante da co­ stituire un gruppo a sé, erano unite da uno spirito di corpo, erano confortate nella loro baldanza dall'euforia mondana e dalla lettura dei romanzi. Ma tutto ciò le rese clamorosa­ mente visibili e le espose indifese alla satira. A differenza di Molière, Mademoiselle de Montpensier non capì l 'originalità e la portata di un movimento che fa­ ceva della cultura la chiave di volta dell 'emancipazione del­ la donna. Le Preziose a cui dedicava il suo impietoso ritrat­ to incorrevano nella sua disapprovazione essenzialmente per una questione di stile . Niente di più irritante, per lei , della pretenziosità e dell ' artificiosità di un comportamento collettivo agli antipodi con il gusto aristocratico della vera distinzione e con l 'estetica del nature[. Se Mademoiselle non risparmiava colpi bassi alle sue nemiche - il ritratto che ne dava era caricaturale, ed esse vi erano raffigurate maleducate , brutte , povere -, la lezione che voleva dare lo­ ro era, in fondo, di classica semplicità: « Io sono una di quelle persone per le quali si deve vivere con i vivi e non bi­ sogna distinguersi in alcun modo per affettazione e per scelta. Se apparteniamo al resto del mondo, ciò deve awe­ nire sulla base dell' approvazione ottenuta dalla nostra con-

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dotta e grazie alla nostra virtù e non a un ' affettazione che le è estranea » . 1 Ma l 'ottimismo di Mademoiselle non era destinato a du­ rare . Il trionfo dei ritratti doveva costituire la sua ultima grande affermazione mondana; poi, tanto a corte che a Pa­ rigi, la sua stella avrebbe incominciato a declinare. Come quello delle Preziose , anche il gusto della principessa passa­ va di moda. Poco alla volta Mademoiselle si rendeva conto che non vi erano più corone ad attenderla, e che la sua po­ sizione in seno alla famiglia reale perdeva fatalmente di im­ portanza. Presto una nuova regina e una nuova Madame si sarebbero affiancate alla Regina Madre e avrebbero avuto la precedenza su di lei. Nella giovane corte, frivola e galan­ te, che si andava costituendo intorno al sovrano, la morale austera della vergine attempata e la sua cultura mondana di stampo Rambouillet apparivano improvvisamente fuori tempo. Mademoiselle aveva probabilmente capito che non vi sa­ rebbero più stati primi Tuoli per lei nell'estate del 1 660 , mentre soggiornava con la corte a Saint:Jean-de-Luz, accan­ to al confine spagnolo, in attesa che si concludessero le trat­ tative di matrimonio tra Luigi XIV e l ' Infanta. Immemore di avere predicato appena due anni prima alle tanto depre­ cate Preziose che si deve « vivere con i vivi e non bisogna di­ stinguersi » , Mademoiselle non esitava a cercare rifugio nel­ la più preziosa delle utopie. In una serie di lettere indiriz­ zate a Madame de Motteville, ella illustrava un progetto di retraite arcadica, a metà · strada tra Saint-Fargeau e L 'Astrée. Vestite da pastorelle, ritirate nella solitudine agreste, alcu­ ne dame di gran merito avrebbero passato la vita leggendo, meditando, chiacchierando. La presenza di qualche honnete homme sarebbe servita a rendere la conversazione più inte­ ressante e più varia, senza però introdurre la minima riota gal an te . Basata sulla perfetta uguaglianza dei sessi, l ' arcadia di Mademoiselle bandiva rigorosamente il matrimonio e l ' amore , e il provvedimen to non era solo di carattere caute­ lativo . Nel regno dell' utopia, la vecchia amazzone delusa dalla politica ritrovava il gusto della lotta e incitava le don­ ne a combattere per la propria libertà e a ribellarsi alle legl.

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L 'esprit de société

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ciava ai piaceri di una compagnia scelta e di una conversa­ zione più informale la libertà di appartarsi per leggere, scrivere, meditare . Ed è questa la formula che Voltaire avrebbe adottato a Cirey, in compagnia di Madame du Cha­ telet, e poi negli anni dell' esilio, a Ferney. Qui, ai confini tra la Francia e la Svizzera, in un piccolo, elegante castello munito di una cappella, di un teatrino, di una splendida bi­ blioteca, meta ormai di pellegrinaggio di visitatori prove­ nienti da tutte le parti d ' Europa, Voltaire poteva dichiarare con legittimo orgoglio: « Dopo aver vissuto con i re, sono di­ ventato re a casa mia » . 1 Ma il vero salotto di Voltaire, il luogo dove possiamo am­ mirare ancora oggi tutta la sua sapienza mondana in azio­ ne, è la corrispondenza; un piccolo quadro famoso, conser­ vato al museo dell' Ermitage a San Pietroburgo,2 ci mostra lo scrittore che, appena alzato e ancora intento a infilarsi le brache, sta già dettando una lettera, forse una delle sedici­ mila giunte fino a noi. In questa straordinaria conversazio­ ne trasposta, dettata dali 'urgenza, che oggi costituisce pro­ babilmente il capolavoro di Voltaire , si intrecciano le voci del fior fiore della nobiltà europea: per imperatrici, re, re­ gine , elettori, principi sovrani, duchi, marchesi, conti, lo scrittore rinnova, con inesauribile inventiva, l' eterno spet­ tacolo dell' adulazione e della provocazione , della seduzio­ ne e della sfida. Non bisogna tuttavia lasciarsi ingannare dalla naturalez­ za dell ' attore e dalla bravura dell' improvvisatore: assai po­ co, in questo grande spettacolo pirotecnico, è gratuito e la­ sciato al caso. Ogni corrispondente è utilizzato come una pedina su una scacchiera complessa, che Voltaire muove a distanza, secondo una logica precisa. Madame du Deffand può aiutarlo ad attutire lo scandalo provocato dalle Lettres philosophiques; la margravia di Bayreuth a corteggiare, per interposta persona, il fratello Federico di Prussia; la du­ chessa di Choiseul a ottenere i brevetti necessari per le ma­ nifatture di Ferney. Ma questa conversazione epistolare con metà dell 'Europa è anche un modo per magnificare la sua condizione di esiliato, uno strumento di rivalsa morale sul l . Mémoires pour servir à la vie de M. de Voltaire. Études et Documents biographi­ ques, in lEuvres complètes, cit. , vol. I, p. 55. 2. Esistono altre due versioni diverse di questa scena, ma di formato più piccolo, al Musée Carnavalet a Parigi e alle Délices a Ginevra.

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governo che l ' ha scacciato. « Il grande merito della Francia, il suo solo merito, l ' unico motivo della sua superiorità sta in un piccolo numero di geni sublimi e amabili, i quali fanno sì che si parli francese a Vienna, a Stoccolma e a Mosca. I vostri ministri, i vostri intendenti e i vostri alti funzionari non hanno alcun merito in questa gloria » 1 scriveva nel 1 759 a Madame du Deffand. Eppure , come aveva egli stesso affermato meno di un decennio prima nel Siècle de Louis XIV, questa gloria non poteva che essere francese , perché « lo spirito di società è appannaggio naturale dei francesi; è un merito e un piacere di cui gli altri popoli hanno avverti­ to il bisogno. Di tutte le lingue, la lingua francese è quella che esprime con maggiore facilità, limpidezza e delicatezza tutti gli argomenti di conversazione degli honnetes gens, e per quel tramite contribuisce a diffondere in tutta l 'Europa uno dei più grandi piaceri della vita » . 2

l. Vo Itaire a Madame du Deffand , 13 ottobre 1 759, Voltaire 's Correspond­ . ence, 10 The Complete Works of Voltaire, cit. , 08533, vol. XX, p. 399. 2. Le Siècle de Louis XIV, in CEuvres complètes, cit. , p. 42 1 .

XIV LA MARC H E SA D I LAM BERT: L' I D EALE D ELL' « H ONN E TE FEMME »

« Ho perso il mese scorso la marchesa di Lambert, che , sebbene avesse ottantasei anni, era mia amica da molto tempo . I dotti e gli honnetes gens si ricorderanno a lungo di lei . . . la sua casa rendeva onore a tutti coloro che vi erano ammessi. Io andavo regolarmente a pranzo da lei il merco­ ledì, che era uno dei suoi giorni; vi si ragionava, e il gioco delle carte era rigorosamente bandito, come nel famoso hotel de Rambouillet, così celebrato da Voiture e Balzac » . 1 Nell ' agosto del 1 733, con l a penetrazione che gli era con­ sueta, il marchese d' Argenson indicava nel suo journal i mo­ tivi che avevano fatto della casa dell' amica scomparsa il pri­ mo salotto intellettuale del Settecento. Per più di trent' an­ ni, in forza del suo solo prestigio, Madame de Lambert ave­ va saputo ricevere due volte la settimana, su un piano di perfetta parità, letterati e mondani, consentendo loro di « ragionare » insieme nel rispetto reciproco e di istruirsi a vicenda. « Gli uni vi portavano il sapere e i Lumi, » avrebbe scritto d 'Alembert « gli altri quella cortesia e quell 'urbanità l . journal et Mémoires du marquis d �rgenson, publiés pour la première fois d'après les manuscrits autographes de la Bibliothèque du Louvre par la Société de l ' Histoire de France , par EJ.B. Rathery, 9 voli. , chez la veuve de J. Renouard, Paris, 1 859-1 867 (Johnson Reprint Corporation , New York - London, 1 968) , vol. l, pp. 1 63-64.

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di cui neppure il merito può fare a meno . . . Gli uomini di mondo uscivano dalla sua casa più colti, gli uomini di lette­ re più amabili » . 1 Ma l 'iniziativa di Madame de Lambert, che conferiva a scrittori, filosofi ed eruditi una nuova di­ gnità sociale e creava le prime forme della sociabilité sette­ centesca, traeva la sua ispirazione dal passato e si in scriveva nel solco di una tradizione ormai secolare. Paragonando le conversazioni che si erano tenute a casa della marchesa a quelle dell' hotel de Rambouillet, d'Argenson sapeva di ren­ dere alla vecchia amica l 'omaggio che più le sarebbe stato caro : poiché, nell'aprire le porte del suo splendido appar­ tamento dell' hotel de Nevers a una cerchia di ospiti scelti, Madame de Lambert aveva molto probabilmente l ' ambizio­ ne di ricreare l ' atmosfera della Camera azzurra. Varcata la soglia dei cinquant'anni, vedova, avendo assolto al compito deli ' educazione dei figli e rimesso ordine nelle questioni patrimoniali e giudiziarie della famiglia, la marchesa si era infatti consacrata a perseguire un progetto mondano per­ fettamente coerente con il suo credo aristocratico e con il suo onore di honnete femme. Nel cupo, soffocante epilogo del regno del Re Sole , ell a reagiva alla decadenza dell ' esprit de société, ali ' involgarimento del gusto, al libertinaggio stri­ sciante, facendo della sua casa un 'isola felice dove l' elegan­ za e il decoro sapevano coabitare con la curiosità intellet­ tuale e la riflessione morale. Come Madame de Rambouil­ let, la marchesa voltava le spalle alla corte e creava, curan­ done il décor nei minimi dettagli, un mondo privato a sua immagine e somiglianza; come Arthénice, era profonda­ mente virtuosa, aveva il culto dell ' amicizia e coltivava gli in­ teressi più vari. · se la Camera azzurra offriva a Madame de Lambert il mo­ dello del perfetto loisir nobiliare e agiva su di lei con tutta la suggestione della sua leggenda, il salotto di Madame de La Sablière le aveva consentito l'esperienza dire tta di una mi­ rabile Abbaye de Thélème . La marchesa aveva fatto in tem­ po a frequentare di persona le riunioni che si tenevano in rue Neuve-des-Petits-Champs, rimanendo profondamente colpita dal fascino della padrona di casa e dalla qualità dei suoi ospiti. Una quindicina d'anni dopo il suo salotto avreb­ be ripreso quella stessa formula felice: un piccolo gruppo l. Jean le Rond d'Alembert, Éloge de Saint-Aulaire, in CEuvres de d 'Alembert, 5 voli . , A. Belin , Paris, 1 821 - 1 822, vol. III, p. 295.

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di honnetes gens - letterati, studiosi e gente di mondo - pron­ ti a intrecciare gli svaghi letterari alle discussioni filosofiche e scientifiche. Il salotto che Ninon de Lenclos aveva tenuto nella sua estrema vecchiaia in rue des Tournelles, tra il 1 690 e il 1 705, doveva costituire il terzo modello di cui Madame de Lambert si sarebbe ricordata nel mettere a punto il suo progetto mon­ dano. L' educazione letteraria ricevuta in gioventù dal secon­ do marito della madre, lo scrittore libertino Bachaumont, predisponeva la marchesa ad ammirare nella anziana corti­ giana un esempio superiore di cultura e di eleganza intellet­ tuale. Madame de Lambert condivideva il suo epicureismo raffinato, il suo senso della dignità femminile, il suo ideale di saggezza e le dava la parola, col nome di Ismène, nel Discours sur le sentiment d 'une Dame. Morta Ninon, la marchesa ne ere­ ditava taluni degli ospiti, a cominciare dall 'abate Terrasson, che avrebbe occupato un posto importante nella vita lettera­ ria della prima metà del Settecento. Nel passaggio tra i due secoli la civiltà mondana riaffer­ mava, dunque, con Madame de Lambert l' attualità dei suoi ideali e la permanenza dei suoi modelli. Eppure, nell 'atto stesso di restaurare una tradizione, la marchesa ne inaugu­ rava un ' altra. Mentre per Madame de Rambouillet qualsia­ si forma di discussione sistematica sarebbe parsa una dero­ ga inammissibile al rifiuto dell'impegno intellettuale tipico del costume nobiliare, Madame de Lambert non esitava a fare della sua casa un bureau d 'esprit, accogliendovi ogni martedì letterati, eruditi, filosofi , uomini di scienza e inco­ raggiandoli a confron tare le loro opinioni su temi prestabi­ liti, secondo un classico rituale accademico. Quando, intor­ no al 1 630, Conrart e i suoi amici letterati avevano preso l 'a­ bitudine di riunirsi in rue Saint-Martin per potersi « consul­ tare » liberamente, en petit comité, sugli argomenti letterari che stavano loro a cuore, avevano come modello l' hotel de Rambouillet, 1 e solo dopo l'ufficializzazione voluta da Ri­ chelieu si erano istituiti in Accademia. Con i martedì di Mal . « Creiamo una cerchia di beaux esprits dove ogni settimana, come ai sabati dell'hotel de Rambouillet, ci scambieremo opinioni sui virgulti della nostra Musa » , Charles Pellisson, Histoire de l'Académie, citato in Roger Marchal, Ma­ dame de Lambert et son milieu, The Vo1taire Foundation, Oxford, 1998, p. 349.

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dame de Lambert era invece la cultura accademica a torna­ re nei salotti, allargando il suo pubblico alla società monda­ na. Le sale riccamente decorate dell ' hotel de Nevers erano dunque teatro di una vera rivoluzione: gli uomini di lettere cessavano di essere al servizio dei divertimenti di una classe di privilegiati, e diventavano maestri e guide degli honnetes gens. E se, dal canto loro, gli scrittori non venivano meno al loro impegno di chiarezza e non rinunciavano a piacere , i mondani deponevano l ' aristocratico distacco e si lanciava­ no con entusiasmo alla scoperta dello scibile umano. A spingere Madame de Lambert sulla strada del cambia­ mento aveva di certo contribuito l' influenza di Fontenelle: se oggi si è inclini a fissare la data di nascita del salotto del­ la marchesa intorno al 1 698-1 700, è perché essa coincide con il suo trasferimento all ' hotel de Nevers e, al tempo stes­ so, con il ruolo di primo piano che vi andava assumendo lo scrittore , già membro dell 'Académie française , e chiamato nel 1 699 all' importante incarico di segretario permanente dell'Académie des Sciences. ' Più giovanè di Madame de Lambert di dieci anni - era nato nel 1 657 -, anche Fontenelle era un perfetto campio­ ne della civiltà mondana del Grand Siècle. Nel corso della sua lunga esistenza egli non avrebbe mai smentito il ritratto che di lui aveva fatto il « Mercure de France » quando, ap­ pena ventenne, aveva cominciato a collaborare al giornale: «N o n vi è scienza su cui egli non ragioni con cognizione di causa, ma lo fa in mani�ra piacevole, senza l 'astrusità che contraddistingue i dotti di professione . Ama il sapere solo per servirsene da honnete homme, e il suo spirito è fine , deli­ cato , galante » ; 1 e il solo appunto che gli si poteva muovere - quello di « mancare di cuore » - non doveva contribuire, come avrebbe detto Montesquieu, « a renderlo ancora più amabile in società » ?2 Poligrafo, dotato del genio della dil . Dictionnaire des Lettres Françaises. Le XVIII siècle, edizione rivista e aggior­ nata sotto la direzione di François Moureau, La Pochothèque , Fayard, Pa­ ris, 1 995 ( l ediz . , 1 960) , s. v. 2. Guillaume-Thomas Raynal, Anecdotes littéraires, 3 voli., chez Pierre Gosse junior, La Haye, 1 756, vol. III, p. 269, citato in Robert Shackleton, Montesquieu. Une biographie critique, trad. frane. dijean Loiseau, Presses Universitai­ res de Grenoble, Saint-Martin-d'Hères, 1977, p. 52 (ediz. orig. Montesquieu, a Criticai Biography, Oxford University Press, London, 1 96 1 ) . a

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vulgazione, Fontenelle voleva essere scrittore per pochi. « Accontentiamoci di costituire una piccola truppa scelta » diceva alla sua marchesa negli Entretiens sur la pluralité des mondes « . . . e non divulghiamo i nostri misteri fra il popo­ lo » . 1 La « piccola truppa scelta » era naturalmente quella del bel mondo, e per tutta la vita Fontenelle avrebbe agito più « con la conversazione e l' esempio che con le sue ope­ re. La sua cortesia, la moderazione con cui sosteneva le pro­ prie idee, la sua apparente modestia nel successo attraeva­ no anche il più diffidente fra i begli spiriti » .2 La fedeltà che lo scrittore portava allo stile mondano della sua gioventù avrebbe acquistato sempre maggiore evidenza con il passa­ re degli anni, e nel descriverlo nell 'estrema vecchiezza, il marchese d'Argenson ne coglieva la dimensione storica di testimone del passato mirabilmente risolto nel presente: «A lui si guarda come a uno di quei capolavori dell ' arte , ce­ sellati con cura e delicatezza, che bisogna stare atte n ti a non distruggere , perché di uguali non se ne fanno più. Egli ci ricorda non solo quel bel secolo di Luigi XIV, così nobile , così grande , e di cui alcuni di noi hanno visto la fine, ma .. anche lo spirito di Benserade, di Saint-Evremond, degli Scudéry e il tono dell ' hotel de Rambouillet, di cui sembra quasi aver respirato l'aria. Un tono che egli possiede, ma addolcito, perfezionato, assai più adatto al nostro secolo . . . La sua conversazione è infinitamente piacevole, dissemina­ ta di arguzie più sottili che penetranti, di aneddoti piccanti senza essere cattivi, perché hanno per oggetto solo fatti let­ terari o argomenti galanti, o dispute mondane » .3 Eppure questo esemplare prezioso del tempo passato credeva solo nel presente, muoveva una guerra instancabile all' autorità della tradizione e aveva la religione della mo­ dernità. I suoi strumenti di lotta erano la sua lucidità intel­ lettuale e una lingua che , spogliatasi della solennità della frase classica, acquistava sotto la sua penna l'immediatezza l . Bernard Le Bovier de Fontenelle, Entretiens sur la pluralité des mondes ha­ bités, sixième soir, in CEuvres complètes de Fontenelle, Fayard, Paris, vol. II, 1 99 1 , p. 1 1 6. 2. Frédéric Deloffre , Une préciosité nouvelle. Marivaux et le Marivaudage, 3a ediz. rivista e corretta, Société d' édition l es Beli es Lettres, Paris, 1955 (Slatkine Reprints, Genève , 1 993 ) , p. 1 7. 3. Mémoires et Journal inédit du marquis d 'Argenson, ministre des Affaires étrangères sous Louis XV, publiés et annotés par M. le Marquis d'Argenson, 5 voli., P. Jannet, Paris, 1 857-1 858, vol. V, p. 85.

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del parlato . Madame de Lambert per prima ammirava la proprietà del suo vocabolario scevro di eccessive ricercatez­ ze e la naturalezza e la semplicità delle sue espressioni. Fontenelle amava il tempo in cui viveva e pensava che l'uomo potesse trovare la felicità su questa terra grazie al perfezionamento dei costumi, del gusto, della ragione, del sapere . Negli anni della reggenza, prima di diventare ap­ pannaggio dei philosophes, questa fiducia nel progresso del­ lo spirito umano prendeva il nome di « nouvelle précio­ sité » . Condivisa dagli altri esponenti del partito dei Moder­ ni, essa non era un fenomeno di costume, non riguardava solo le donne, ma aveva in comune con la preziosità secen­ tesca la convinzione che la cultura dovesse trionfare sui pre­ giudizi, sull'ignoranza, sulla brutalità degli istinti. E nessu­ no poteva essere più incline a riconoscersi in questa nuova ondata di ottimismo di una autentica preziosa come la mar­ chesa di Lambert. Il tratto dominante della personalità di Madame de Lam­ bert era il senso del dovere e il gusto per la riflessione. Mu­ nita di un grande bagaglio di letture che spaziavano da Plu­ tarco, a Seneca, a Montaigne, ai moralisti dell' epoca di Lui­ gi XIV, la marchesa se n 'era servita per affrontare con la massima serietà e un alto grado di consapevolezza i suoi compiti di moglie di un grande aristocratico , di vedova in­ vestita della gestione del patrimonio familiare , di madre , di dama dell' alta società. La sua stessa visione del mondo era una sintesi personale ed eclettica dei « luoghi comuni » del­ la paideia cla�sica, dell'etica aristocratica, del femminismo prezioso, dell' honneteté, del pensiero giansenista. E le sue convinzioni, maturate alla luce di questa intensa meditazio­ ne morale, erano sottoposte al vaglio ulteriore della scrittu­ . ra. Basta scorrere i titoli delle sue opere m aggiori - Avis d 'u­ ne mère à sa fille ( 1 688-1 692) , Avis d 'une mère à son fils ( 1 6951 702 ) , Traité de l 'Amitié, Traité de la Vieillesse ( 1 700-1 705) , Dis­ cours sur le Sentiment d 'u ne dame, Lettre sur l 'Éducation d 'une jeune demoiselle ( 1 7 1 5 ca) , Réflexions sur les Femmes ( 1 7 1 51 723) , Discours sur la différence qu 'il y a de la Réputation à la Considération ( 1 724-1 726) - per cogliere l ' ampiezza e la coe­ renza dei suoi interessi . L' incontro con Fontenelle dava a questa riflessione solitaria una cauzione intellettuale, una

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audacia fino ad allora ignota, e la possibilità di confrontar­ si, nel pieno rispetto delle bienséances, con le opinioni dei letterati più brillanti del tempo. L' amicizia della marchesa offriva a sua volta allo scrittore un contesto prestigioso fina­ lizzato allo scambio delle idee e alla speculazione filosofica. Sotto l'influenza di Fontenelle « il salotto di Madame de Lambert si trovava improvvisamente al centro dell' attualità letteraria e diventava la culla di un progetto ambizioso che si proponeva di far concorrere al trionfo delle idee moder­ ne il pubblico femminile e mondano, le istituzioni accade­ miche e tal uni ambienti politici influenti » ! Madame d e Lambert si dedicò alla creazione del suo sa­ lotto con lo stesso impegno e la stessa serietà che avevano caratterizzato le altre scelte della sua vita. Poiché teneva al giudizio del mondo e non voleva che la si accusasse di in tel­ lettualismo, pensò di cautelarsi istituendo due giorni di ri­ cevimento: il martedì, consacrato ai gens de lettres, e il mer­ coledì, riservato ai mondani. La divisione degli ospiti non era tuttavia così rigida: più d 'uno passava da una riunione all ' altra, e molti di loro , dal presidente Hénault a Montes­ quieu, dall'abate di Choisy a Valincourt e al marchese di Saint-Aulaire, potevano fregiarsi della doppia etichetta. Nel 1 728, in viaggio in Italia, Montesquieu chiedeva per esem­ pio alla marchesa di ricordarlo agli habitué di entrambi i giorni: « Parlate di me ai martedì, vale a dire agli amici più cari che io abbia al mondo, parlatene ai mercoledì , giorno non meno felice dell 'altro quando se ne può gioire » .2 Que­ sto non avrebbe tuttavia impedito a Madame de Lambert di vigilare sulla coerenza e l 'unità del gruppo del martedì e sul rispetto del rituale che gli era proprio. Gli invitati del martedì non superavano generalmente la ventina, e arrivavano a casa della marchesa verso mezzo­ giorno, per l ' ora di pranzo. Durante il pasto si stabilivano gli argomenti di cui si sarebbe parlato nel pomeriggio, non­ ché l 'ordine di lettura dei manoscritti che gli autori sotto­ ponevano all 'esame dell' hotel, e talvolta si chiedeva agli hal . Marchal, op. cit. , p. 2 1 1 . 2 . Montesquieu a Madame de Lambert, 30 aprile 1 728, i n Correspondance, in CEuvres complètes, a cura di Louis Desgraves e Edgar Mass, 22 voli. , The Voltaire Foundation, Oxford, 1998, vol. I, p. 324.

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bitué di an ticipare stralci delle opere a cui stavano lavoran­ do, o ci si orientava a discutere dei libri appena usciti. Il pri­ mo a sollecitare il giudizio del cercle era Montesquieu, il quale portava sovente « dei manoscritti alla sua maniera, che riscuotevano l ' approvazione incondizionata di Fonte­ nelle e di La Motte » , 1 e la lettura delle Lettres persanes rice­ veva, malgrado le audacie disseminate nel testo, un ' acco­ glienza calorosa. Nel corso delle riunioni all' hotel de Ne­ vers si decidevano anche gli orientamenti estetici e le stra­ tegie culturali del gruppo. Al momento della ripresa della Querelle des Anciens et des Modernes, vera « crisi della co­ scienza francese » ,2 divisa tra la fedeltà alla tradizione uma­ nistica ed ecclesiastica e l' esigenza del nuovo, la marchesa e i suoi ospiti si schieravano naturalmente a favore di Antoine Houdar de La Matte, un fedelissimo dei martedì ed espo­ nente di punta dei Moderni. Ma passata la prima fiammata polemica, la marchesa di Lambert promuoveva una politica di riconciliazione che invitava i contendenti a ritrovare il to­ no consono agli scambi d' opinione tra honnetes gens. La coesione e il prestigio del gruppo erano palesi in oc­ casione dell ' elezione dei nuovi membri dell 'Académie française; l' hotel de Nevers aveva in genere i suoi candidati, e sapeva garantirne il successo. L'influenza personale di Madame de Lambert in questi complotti accademici non sfuggiva ai contemporanei. « Bisognava passare attraverso di lei per arrivare all' Académie française » scriveva il presi­ dente Hénault _ nei suoi Mémoires,3 e anche nel diario di d'Argenson cogliamo l'eco dello sconcerto non sempre be­ nevolo suscitato da qùesta presa di potere femminile sul santuario della cultura maschile .4 No n fu un successo effimero , del resto, poiché fino alla fine del secolo le dame del bel mondo, e in particolar mo­ do le animatrici dei grandi salotti intellettuali , facendosi in­ terpreti delle tendenze dei loro cercles, avrebbero avuto un l . Lettera di Madame de Lambert al conte di Morville, 5 agosto 1 726, in Montesquieu, CEuvres complètes, a cura di André Masson , 3 voli. , Nagel, Pa­ ris, 1 950-1955, vol . III , pp . 1 537-38 , citato in Shackleton, op. cit. , p. 53. 2. Mare Fumaroli, Sur Homère en France au XVI/' siècle, in « Revue d'Histoire Littéraire de la France » , luglio-agosto 1 973, p. 653 . 3. Mémoires du président Hénault, nuova edizione a cura di François Rous­ seau, Hachette, Paris, 1 9 1 1 , p. 1 20. 4 . Cfr. Journal et Mémoires du marquis d 'Argenson, cit. , vol. I, p. 1 64. .

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peso determinante nelle elezioni accademiche. E certa­ mente, senza il sostegno costante di Madame de Lambert, di Madame de Tencin, di Julie de Lespinasse, il partito dei Lumi non avrebbe così facilmente espugnato l 'Académie française. I martedì non si concludevano però all' insegna dell'erudi­ zione: « di sera » ricorda il presidente Hénault « la scena cam­ biava, e così pure gli attori. Madame de Lambert riceveva a cena una compagnia più galante: le piaceva riunire persone tra loro affini. Non per questo il suo tono cambiava, ed ella predicava la bella galanteria a quelli che si spingevano un po ' oltre: io dogmatizzavo la mattina e cantavo la sera » . 1 Nel far ritorno alle regole classiche della mondanità ari­ stocratica, a cominciare dalla scelta degli ospiti serali sulla base della loro sin tonia reciproca e dall 'adozione di un to­ no di levità galante , la marchesa obbediva una volta di più a un progetto lungamente meditato: intendeva difendere i valori di una tradizione mondana che, dopo aver sofferto del lungo monopolio di Versailles, era ora minacciata dal­ l 'edonismo , dalla frenesia di cambiamento, dal libertinag­ gio sfacciato della reggenza. All' hotel de N evers non era consentito giocare a carte, ubriacarsi, discostarsi dall 'amiTti­ razione rispettosa dovuta al gentil sesso, distinguersi nel modo di vestire , di parlare , di atteggiarsi. Nelle riunioni del martedì sera, e in quelle del mercoledì, si cenava, si conver­ sava, si ascoltava la musica; a volte si ballava. Ogni ospite portava una dovizia di novità, di aneddoti, di battute, di ver­ si improvvisati, di complimenti galan ti. Come aveva fatto a suo tempo Mademoiselle de Scudéry, la marchesa rivendicava il diritto delle donne a istruirsi e a cercare nella vita intellettuale una risorsa contro le infinite difficoltà del destino riservato loro; e come lei era convinta che le virtù specifiche del gentil sesso fossero la modestia, il pudore, la purezza. Eppure la marchesa condivideva con La Bruyère, il più misogino dei moralisti classici, la convin­ zione che per essere honnete femme bisognasse possedere le qualità dell ' honnete homme,2 anzi , come aveva dichiarato Nil . Mémoires du président Hénault, cit. , p. 1 20. 2. La Bruyère , Les Caractères, « D es femmes », remarque 1 3,

ed.

ci t. , p. 1 7 4.

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non de Lenclos, « farsi uomo » . E questo non per sopperire a una manchevolezza della natura femminile, ma perché la lealtà, la probità, il sentimento dell'amicizia e dell 'onore erano, a ben vedere , riconducibili a una esperienza morale comune a entrambi i sessi. 1 Fin dall ' inizio uomini e donne della nobiltà erano stati indissolubilmente legati nell 'impresa mondana, ma la lo­ ro collaborazione si arricchiva con Madame de Lambert di un nuovo significato . Per la marchesa le forme esteriori della vita di società acquisivano una dimensione interiore , la poli tesse dei modi rinviava a quella dell ' esprit, ben parla­ re diventava indizio di ben pensare , il galant homme era an­ che homme de bien: insomma, l' etre tornava a coincidere con il paraitre. A un secolo di distanza dalla Camera azzur­ ra un ' altra marchesa riportava la vita di società sotto il se­ gno dell ' utopia, tenendo così a battesimo la sociabilité set­ tecentesca. « Il desiderio di essere stimati » scriveva Mada­ me de Lambert «è anche l ' anima della società: esso ci uni­ sce gli uni con gli altri . Io ho bisogno della vostra appro­ vazione , voi avete bisogno della mia. Allontanandosi dagli uomini, ci si allo n tana dalle virtù necessarie alla società, perché quan do si è soli ci si trascura. Il mondo vi obbliga a controllarvi » .2 Questa regola sarebbe diven tata per l 'éli­ te aristocratica un imperativo morale, fino ad assumere una valenza quasi religiosa: « Non vi era nulla di più real­ mente cristiano, sul piano umano, di quella vita del Grand Monde dove si viveva esclusivamente in virtù degli altri e per gli altri » scriverà nelle sue memorie Jacques de Nor­ vins, che aveva fatto il suo debutto nella buona società pa­ rigina alla vigilia della Rivoluzione.3 L' assoluta priorità data alla vocazione mondana non po­ teva non relegare in secondo piano le preoccupazioni reli­ giose: a differenza di quanto era awenuto nei cercles di Ma­ dame de Longueville , di Madame de Sablé , di Madame du Plessis-Guénégaud, nel salotto di Madame de Lambert non si parlava di predestinazione, di grazia, di libero arbitrio, ma si gettavano le basi di quella grande quete che avrebbe «

l. Cfr. ibid. , Des jugements » , remarque 28, ed. cit. , pp. 383-85. 2. Madame de Lambert, Avis d 'une mère à son fils, in CEuvres, cit. , p. 62 . 3. Souvenirs d 'u n historien de Napoléon. Mémorial deJ de Norvins, publié, avec un avertissement et des notes, par L. de Lanzac de Laborie, 3 voli. , E. Plon, Nourrit et Cie, Paris, 1 896-1 897, vol . 1 : 1 769-1 793, p. 1 90.

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attraversato tutto il secolo per concludersi nel sangue e nel terrore : la ricerca della felicità in terra. Nel Settecento l'i­ dea del divino sembrava spogliarsi di ogni tragicità e ade­ guarsi alle bienséances: non incontriamo più nelle cronache mondane storie di conversioni clamorose o di espiazioni esemplari. Le donne del bel mondo , osserverà Voltaire, cambieranno di abito a seconda delle stagioni con la massi­ ma naturalezza: galanti in gioventù, dedite all ' esprit nell 'età matura, diventeranno devote in vecchiaia più per ossequio alle forme che per timore di Dio. E anche per la marchesa di Lambert, che pure non aveva mai rivestito panni diversi da quelli dell ' honnetefemme, la spiritualità si limitava alla sfe­ ra morale e le esigenze della fede si appagavano di un illu­ minato deisrno. Ma quali erano gli argomen ti affron tati nel corso dei martedì? L'amore , l ' amicizia, il dovere, la reputazione, la virtù, il gusto: gli stessi che avevano animato le conversazio­ ni dei salotti secenteschi; a differenza dei moralisti classici, però , Marivaux, Montesquieu, Fontenelle, Terrasson non si mostravano interessati a fissare i caratteri immutabili e le leggi generali della natura umana colta nella sua esempla­ rità, ma erano attratti dalla diversità dei costumi, dalla rela­ tività delle leggi morali, dalla soggettività dei comporta­ menti, dalla imprevedibilità della vita psicologica e affetti­ va. Altri argomenti, come « il rifiuto delle ingiustizie sorte dall' organizzazione della società in ordini, l 'adesione all ' i­ deale dei Moderni, la laicizzazione progressiva dei valori cristiani » , 1 preannunciavano decisamente il pensiero dei Lumi. Ma fra i tanti problemi dibattuti, quello della felicità, così presente nell' opera di Madame de Lambert, è forse il più rivelatore della nuova concezione dei rapporti sociali che si andava elaborando tra le file dei frequentatori del­ l 'hotel de Nevers. Un saggio di Fontenelle, Du bonheur, era apparso nell ' edizione delle sue opere del 1 724, e Montes­ quieu aveva esposto le sue idee sull ' argomento nelle Pen­ sées, dove vediamo coabitare in perfetto equilibrio le due concezioni settecentesche, opposte e complementari, della felicità intesa come perpetua soddisfazione di desideri sem­ pre diversi e come stato di quiete. Nel corso del secolo mol­ ti altri scrittori, da Madame du Chatelet a Helvétius a Didel . Marchal, op.

cit. ,

p. 477.

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rot, sarebbero tornati a meditare sullo stesso argomento, nella convinzione comune che il bonheur fosse « una inclina­ zione naturale, invincibile , inalienabile » e « l 'unica fonte dei . . . veri doveri » . 1 La data dell 'inserzione nelle Pensées dei primi frammenti sulla felicità elaborati da Montesquieu lascia supporre che si trattasse di note destinate a servire da spunto di discus­ sione in casa di Madame de Lambert. Della felicità, la mar­ chesa aveva una concezione altamente idealista: per lei era indissociabile dall' altruismo e poteva essere perseguita solo alla luce della generosità e dell 'amicizia. « Se volete essere felice da solo, » ammoniva il figlio « non lo sarete mai: tutti vi contesteranno la vostra felicità; se volete che tutti lo siano con voi, tutti vi verranno in aiuto » .2 Sarebbe stato proprio un fedele dei martedì, l ' abate di Saint-Pierre, a introdurre nella lingua francese la parola bienfaisance, facendosi in taì modo promotore di un nuovo ideale laico che, al concetto secentesco di carità cristiana basata sulla disuguaglianza, con­ trapponeva un 'etica pragmatica volta a ristabilire mediante azioni concrete il principio dell'uguaglianza. La bienfaisance diventava così la chiave di volta di un sistema in cui piacere e sociabilité si esaltavano a vicenda: come avrebbe scritto alla fine del secolo Pierre:Jean-Georges Cabanis, figura di pun­ ta degli idéologues, « la più grande felicità di cui la nostra na­ tura sia suscettibile consiste senza dubbio nel riporla nella felicità altrui » .3 La nuova stella polare che doveva guidare il moderno honnete homme, vale a dire « l ' uomo sensibile » , era dunque per Madame de Lambert il cuore : « La capacità di persuasione del cuore ·è superiore a quella della mente , » el­ la scrive « pç>iché spesso la nostra condotta ne dipende : è al­ l' immaginazione e al cuore che la natura ha affidato il go­ verno delle nostre azioni e degli impulsi affettivi . . . Non po­ tete avere né umanità né generosità senza sensibi�ità . . . l. Denis Diderot, CEuvres politiques, a cura d i Paul Vernière, Garnier, Paris, 1963, Entretiens avec Catherine II, cap . V I I , citato in Roland Mortier, « Les réflexions sur le bonheur dans les écrits de Diderot pour Catherine II » , i n La quete du bonheur et l'expression de la douleur dans la littérature et la pensée Jrançaises. Mélanges offerts à Corrado Rosso, Droz, Genève, 1 995, p. 251 . 2. Madame de Lambert, Avis d 'une mère à son.fils, in CEuvres, cit. , p. 6 1 . 3. Discours de clOture pour le cours sur Hippocrate, in CEuvres, 5 voli. , Bossange et Didot, Paris, 1823, vol . III , p. 24, citato in Patrizia Oppici, L 'idea di (( bienfaisance nel Settecento francese o il laccio di Aglaia, Libreria Goliardica, Pisa, 1 989, p. 1 59. »

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Niente è così assoluto come la superiorità dell 'intelligenza che deriva dalla sensibilità » . 1 Rovesciando la celebre massi­ ma di La Rochefoucauld: « La mente è sempre tratta in in­ ganno dal cuore » ,2 Madame de Lambert si faceva promotri­ ce di una nuova alleanza: da allora in poi, associati in un in­ dissolubile binomio, l' esprit e il cmur erano destinati a illu­ minarsi reciprocamente. Fra gli amici della marchesa, sarebbe stato Marivaux a eccel­ lere su tutti nella « metafisica del cuore » , forgiandosi una lin­ gua e uno stile speculari a un nuovo genere di introspezione psicologica. A Madame de Lambert va tuttavia il merito di avergli aperto la strada, sia con l'esempio della sua conversa­ zione e della sua scrittura preziosa - a proposito dei quali Mathieu Marais parlerà di lambertinage3 - sia con i suoi partraits. Il ritratto era tornato in voga con la ripresa della vita di so­ cietà: mentre Saint-Simon , nell'isolamento del suo studio, poneva riparo al tempo perduto evocando, con una forza vi­ sionaria centuplicata dall' odio, personaggi piccoli e grandi della corte del Re Sole, Madame du Deffand si faceva ammi­ rare a Sceaux per « il dono di dipingere i caratteri; e i suoi ri­ tratti, più vivi degli originali, ce li fanno conoscere assai me­ glio di una frequentazione, anche molto intima, con loro » .4 Madame de Lambert riprendeva il vecchio divertissement aristocratico, volto generalmente alla gratificazione dell'a­ mor proprio altrui, ma, nonostante la apparente fedeltà alle forme del passato, il suo gesto si rivelava innovatore: i suoi ritratti non si preoccupavano tanto di cogliere il paraitre del­ le persone e la loro capacità di farsi interpreti delle bienséan­ ces mondane, quanto di mettere in valore ciò che ciascun modello aveva di originale e di inconfondibile. Ecco dunque la marchesa utilizzare tutte le risorse del linguaggio e dello stile prezioso - neologismi, gusto per le antitesi e i sinonimi, aggettivi sostantivati, metafore, iperbo­ li - per poter rendere con la maggiore esattezza possibile la verità psicologica e morale dei suoi personaggi: per poter esprimere quel misterioso je ne sais quoi che sfuggiva al ral. 2. 3. 4.

Madame de Lambert, Réjlexions sur lesfemmes, in CEuvres, cit., pp. 22 1-22 . Massima 1 02, in Maximes. ed. cit. , p. 29. Cfr. Marchal, op. cit. , p. 48 1 . Madame de Staal-Delaunay, Memorie, cit. , pp. 257-58 .

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gionamento cartesiano e si affidava alla capacità intuitiva e alla sensibilità della ritrattista. « Non mi piace dipingere per gli occhi, ma solo per la mente »1 ella scriveva nel suo ritrat­ to più impegnativo, quello del vecchio , incantevole mar­ chese di Saint-Aulaire , suocero di sua figlia e - così almeno si diceva - suo sposo segreto. La frase di Madame de Lambert2 procede per pennellate successive di colore, aggiungendo sfumatura a sfumatura, nel tentativo di ottenere una precisione analitica ignota alla lingua classica - obiettivo che sarà realizzato pienamente so­ lo da Marivaux, con una audacia inventiva, una sottigliezza e una libertà stilistica che dovevano scandalizzare i puristi e venire bollati ironicamente come marivaudage. « Non ignoro che vi sono lettori difficili, benché degni di rispetto, con cui è meglio tacere ciò che si se n te anziché dirlo, qualora lo si possa esprimere soltanto in un modo che apparirebbe sin­ golare » egli ammette. « Il che, in effetti, talvolta accade , so­ prattutto quando si tratta di rappresentare ciò che avviene nell' anima; quell' anima le cui sfaccettature sono molto più numerose degli strumenti di cui disponiamo per descriver­ la, e a cui si dovrebbe almeno lasciare, se necessario, la li­ bertà di esprimersi come meglio possa, purché si capisca chiaramente quello che vuole dire, e non si possa fare uso di altri termini senza impoverirne o alterarne il pensiero » .3 Priva del genio di Marivaux e fermatasi alle soglie della sua rivoluzione stilistica, Madame de Lambert ne aveva av­ vertita tutta l 'urgenza indicando al grande scrittore la stra­ da da seguire. Come era ormai ricorrente nella cultura mondana - basti pensare alla parte avuta da Madame de Sa­ blé nella ge.n esi delle Maximes di La Rochefoucauld -, gli orientamenti e i gusti dell 'hotel de Nevers venivano così a incidere profondamente sulla creazione letteraria.

Ancora una volta la civiltà mondana rivelava con Mada­ me de Lambert la sua vocazione utopica: dando vita al suo l . Madame de Lambert, « Portrait de M de . . . [Saint-Aulaire] » , in Portraits de diverses personnes, in CEuvres, cit. , p. 277. 2. Cfr. Marchal , op. cit. , p. 689 3. Pierre Carlet de Chamblain de Marivaux, Le Paysan parvenu, in Romans, Ricits, contes et nouvelles, a cura di Marcel Arland , Bibliothèque de la Pléia­ de , Gallimard, Paris, 1949, pp. 787-88. .

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salotto ed elaborandone meticolosamente il rituale , la mar­ chesa - non diversamente dalle grandi dame che l ' avevano preceduta - voltava le spalle al mondo reale e ne ridisegna­ va uno più consono alle sue aspirazioni personali . E pro­ prio grazie a questa dialettica costante tra realtà e ideale, tra conformismo cieco e spirito critico, la sociabilité avrebbe rinnovato la sua spinta vitale, aggiornando i suoi modelli fino alla fine dell 'Antico Regime. Se il progetto intellettuale ed etico perseguito all'hotel de Nevers appariva estremo, ciò dipendeva indubbiamente dal fatto che estrema era stata anche, in quei primi trent'anni del secolo, la decadenza della morale mondana. Montes­ quieu aveva mostrato per primo, con le Lettres persanes, come la narrativa si prestasse splendidamente all' analisi del costu­ me; e in un romanzo apparso nel l 736, tre anni dopo la mor­ te della marchesa, Les égarements du cceur et de l'esprit di Crébil­ lon fils, possiamo cogliere un 'acuta denuncia del carattere profondamente inautentico della società degli honnetes gens al tempo della reggenza. Nella celebre conversazione in cui il petit-maitre libertino Versac (per il quale sembra che Crébil­ lon avesse preso a modello il maresciallo di Richelieu) si to­ glieva la maschera per iniziare il giovane protagonista Mei l­ cour alla vita di mondo, l' honneteté appariva ormai solo un 'ar­ te consumata dell 'impostura: « Dovete imparare a dissimula­ re così perfettamente il vostro carattere da rendere vano ogni tentativo di smascherarlo . Bisogna inoltre che aggiun­ giate all 'arte di ingannare gli altri quella di penetrare i loro segreti; che cerchiate sempre di scoprire ciò che realmente sono al di là di quello che vogliono sembrarvi . . . Spesso è me­ glio dare una cattiva opinione della propria intelligenza che rivelarne la piena portata; nascondere, sotto un 'aria sbadata e sto li da, l 'inclinazione che vi porta a riflettere, e sacrificare l'amicizia all'interesse . . . Senza questa condiscendenza non acquisirete che la reputazione di un 'indole dura e inadatta alla vita di società. Più vi rifiuterete di prestarvi alle strava­ ganze, più si affretteranno ad attribuirvene. Non sono il solo ad aver capito che per non passare per ridicolo, bisogna di­ ventarlo, o almeno sembrarlo » . 1 Nell'esporre l a sua strategia mondana, Versac riprendeva l . Claude-Prosper Jolyot de Crébillon , Les égarements du creur et de l'esprit, in CEuvres complètes, edizione diretta dajean Sgard, 3 voli. , Classiques Gar­ nier, Paris, 1 999-2000, vol. Il, pp. 2 1 1-2 1 .

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a uno a uno i temi cari all ' honneteté, pervertendone il senso. L'intelligenza dell' altro, teorizzata da Méré - « Bisogna os­ servare tutto ciò che awiene nel cuore e nella mente delle persone con cui si discorre, e abituarsi di buon' ora a cono­ scere i sentimenti e i pensieri attraverso segni quasi imper­ cettibili » -,1 veniva messa al servizio dell ' inganno, e non già dell ' intesa reciproca; non più « onesta » , la dissimulazione non mirava tanto a salvaguardare l ' autonomia dell' io quan­ to a farsi strumento di dominio. Figlia della morale monda­ na, l'anti-morale di Versac ne illuminava con estrema acu­ tezza la fragilità e le con traddizioni interne. E, forse non a caso, il momento culminante della lezione del vecchio li­ bertino era quello che riguardava il ridicolo. La paura del ridicolo era stata uno dei tratti salienti della società mondana da quando, con il tramonto della morale eroica, la cultura nobiliare aveva mostrato sempre più la tendenza a percepire l 'onore « come interiorizzazione di un giudizio pubblico concernente le regole del comporta­ mento mondano » . 2 « Il ridicolo disonora più del disonore » aveva dichiarato La Rochefoucauld,3 perché, per eccesso o per difetto, per affettazione o per mancanza di discerni­ . mento, esso annunciava uno scarto dalla norma e, come nel caso delle Précieuses ridicules, l 'ignoranza della vera hon­ neteté. Ma se solo una perfetta conoscenza delle bienséances po­ teva mettere al riparo dal ridicolo , e se a loro volta le bien­ séances dovevano adattarsi alle persone , ai luoghi e alle cir­ costanze in piena conformità con gli usi vigenti, non aveva allora ragione Versac nel teorizzare che bisognava ade­ guarsi ai ridicules di moda alla sua epoca? E non era quanto avevano asserito fino ad allora, di manuale in manuale, i teorici dell ' honneteté, buon ultimo Morvan de Bellegarde , che alle Réflexions sur le ridi eu le et sur les moyens de l 'év iter ave­ va dedicato un intero volume? « Quando tutti cadono n:ello stesso errore » asseriva Morvan « nessuno deve riceverne biasimo, e per quanto stravagante possa essere una moda, >> ,

l . Méré, « De la Conversation in fEuvres posthumes, in CEuvres complètes, cit. , vol. Il, p. 1 07. 2. Do1ninique B � rtrand, Dictionnaire raisonné de la politesse et du savoir t}ivre: du Moyen Age à nos jours, sotto la direzione di Alain Montan d on, Editions du Seuil, Paris, 1995, s. v. « Ridicule , p. 793 . 3 . Massima 326, in Maximes, e d . cit. , p . 80. ))

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lo sarebbe ancora di più l ' uomo che rifiutasse di assogget­ tarvisi » . 1 Innamorata della sua perfezione, del suo equilibrio, del suo « giusto mezzo » , la civiltà classica non aveva mai dubita­ to della coerenza delle sue scelte estetiche e morali, e si era affidata fiduciosa al culto intransigente delle apparenze, trasmettendo al nuovo secolo un codice formale altamente ambiguo, che - a eccezione di Pascal - nessun moralista aveva rimesso fino in fondo in discussione. E forse finiva per non farlo, cinquant'anni dopo , nemmeno Crébillon , che pure nel suo primo romanzo, le Lettres de la Marquise de M*** au Comte de R***, aveva preso definitivamente conge­ do dalle passioni del Grand Siècle . Ora, in un mondo de­ gradato e vacuo che aveva cessato di obbedire alla ragione e dove il solo criterio di successo era quello dell' « an ti-eccel­ lenza » / Versac non esitava ad affermare la propria superio­ rità rinnegando se stesso, ma continuava a custodire nel se­ greto del cuore le regole fondamentali della sociabilité clas­ sica: « Per avere il tono dell ' autentica bonne compagnie, biso­ gna avere lo spirito adorno senza pedan teria e un 'eleganza priva di affettazione, essere brioso senza cadute di stile e li­ bero senza venir meno alla decenza » . 3 Come egli stesso pre­ cisava, non era il solo a crederlo , e altri avrebbero conti­ nuato a testimoniarlo, come aveva fatto Madame de Lam­ bert, alla luce del sole.

l. Jean-Baptiste Morvan de Bellegarde, Réjlexions sur le ridicule et sur les moyens de l 'éviter, où sont représentez les mreurs et les differents caractères des per­ sonnes de ce siècle, J. Guignard, Paris, 1 700 ( l a ediz., 1 696) , p. 271 , citato in Bertrand, Dictionnaire raisonné de la politesse, ci t., s. v. Ridicule » , p. 792. 2. Claude Reichler, L 'age libertin, É ditions de Minuit, Paris, 1 987, p. 42. 3. Crébillon , Les égarements du creur et de l 'esprit, in CEuvres complètes, cit. , p. 22 1 . «

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MADAME D E T ENCIN : L'AVVENTU RI E RA D E I L U M I

L'arte della dissimulazione così necessaria a Madame de Tencin per tessere le sue trame non aveva nulla a che vede­ re con l ' impostura mondana dei petits-maitres della reggen­ za e ricordava piuttosto quella di una grande avventuriera della Fronda. « Anima forte, coraggiosa e decisa », 1 ella avrebbe potuto figurare nella galleria dei ritratti di Retz; ma la spregiudicatezza morale e l' agilità intellettuale della sua me n te curiosa e versatile ne dovevano fare, a pieno tito­ lo, una protagonista dei tempi nuovi. L'onore , la virtù, il senso del dovere, che avevano guida­ to la condotta della marchesa di Lambert, non esercitavano alcuna presa sull' animo inquieto di Madame de Tencin, e trovavano posto solo nei suoi romanzi. L'unico principio che governava saldamente la sua esistenza era « il diritto dell 'individuo a decidere del proprio destino » ,2 e ad esso « la bella e scellerata canonichessa Tencin »3 avrebbe subor­ dinato tutte le sue scelte. l. Marivaux ha ritratto Madame de Tencin con il nome di Madame Dor­ sin in La vie de Marianne, in Romans, Récits, contes et nouvelles, cit. , p. 258. 2. Raymond Trousson, Introduzione a Madame de Tencin , Mémoires du comte de Comminge, in Romans de Jemmes du XVII! siècle, Laffont, Paris, 1996, p. 1 9. 3. Denis Diderot, Le réve de d 'Alemhert, a cura di Jean Varloot, con Michel

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Per i primi trent'anni di vita, Alexandrine-Claude Guérin de Tencin aveva avuto come unico obiettivo la conquista della libertà. Nata nel 1 682, figlia quartogenita di una fami­ glia della piccola nobiltà del Delfinato, la fanciulla era stata destinata fin dalla culla al convento, e né la sua assenza di vocazione, né la sua ripugnanza per la condizione di reli­ giosa avevano potuto modificare la decisione dei genitori. Dopo aver supplicato, pianto, chiesto aiuto ad amici e pa­ renti, minacciato il suicidio , Alexandrine, probabilmente consigliata da un confessore sensibile al suo fascino, si era rassegnata a prendere il velo, avendo però cura di dichiara­ re a un notaio le sue riserve sul gesto appena compiuto. La giovane suora aveva quindici anni e solo sette anni dopo, al­ la morte del padre tirannico, finalmente padrona di deci­ dere della propria sorte, veniva lentamente allo scoperto, chiedendo e ottenendo sia l ' annullamento dei voti religiosi che la reintegrazione della sua parte di eredità familiare . La libertà conquistata con tanta lucida tenacia lasciava tuttavia dietro di sé un alone di scandalo che il comporta­ mento successivo di Madame de Tencin contribuiva ad au­ mentare. Se i suoi nemici insistevano a parlare di lei come della « religiosa Tencin », della « suora » , della « smonacata » , ciò dipendeva anche dal fatto che, a cominciare dal suo so­ dalizio con il cardinale Dubois, la bella Alexandrine intrat­ teneva con la religione rapporti più che profani. Il solo au­ tentico affetto che le conosciamo era quello per il fratello Pierre , di tre anni maggiore di lei e anch' egli destinato alla Chiesa sin dall 'infanzia, e alla cui carriera - di ministro e cardinale - ella si sarebbe dedicata con indomita energia. Quest' ambizione trasposta, tipica della condizione femmi­ nile sotto l'Antico Regime , non era per Madame de Tencin soltanto un ripiego forzato , dettato dal senso della solida­ rietà familiare e dalla consapevolezza di non poter perse­ guire il successo in prima persona. « L' abate di Ten cin ed ella furono sempre un cuore e un ' anima, tanto i loro erano conformi, e ammesso che li possedessero davvero. Egli fu il suo confidente per tutta la vita; ed ella di lui . . . » . 1 Questa complicità totale colpiva i contemporanei , spingendo i più malevoli a parlare di incesto . Appariva altresì palese a tutti Delon , Georges Dulac, Jean Mayer, in CEuvres complètes, a cura di H. Dieèk­ mann eJ . Varloot, Hermann , Paris, vol. XVII , 1 97 1 , p. 95 . l . Saint-Simon, Mémoires, cit. , vol . VII, p. 508 .

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che fra i due era la sorella e non già il fratello a condurre il gioco. Forse nessuna donna del Settecento ha suscitato intorno a sé tanto sdegno e tanta ammirazione come Madame de Tencin. Eppure , malgrado le sue molte lettere, i suoi ro­ manzi, l ' abbondanza e la varietà delle testimonianze accu­ mulate su di lei, il segreto della sua personalità continua a sfuggirei . Esistono almeno tre diverse Madame de Tencin in aperta contraddizione l'una con l ' altra. C'è l'avventurie­ ra senza scrupoli , assurta a simbolo della corruzione mora­ le della reggenza; c'è la femme de lettres rispettata e amata dai maggiori intellettuali del tempo, incarnazione perfetta del­ la sociabilité impegnata e cosmopolita dei Lumi; c'è la ro­ manziera dallo stile limpido ed elegante che, protetta da un rigoroso anonimato , ripropone con successo ai lettori degli anni Trenta e Quaranta delle storie d' amore e di sa­ crificio a prima vista assai più vicine alla Princesse de Clèves che a Manon Lescaut. Incominciamo dall ' avventuriera. La lista dei suoi suppo­ sti amanti è certamente imponente , ma le sue scelte non sembrano tanto indulgere ai capricci dell ' amour-gout, paro­ la d 'ordine del libertinaggio della reggenza, quanto obbe­ dire al calcolo politico e al desiderio di potere . Fra le pri­ me relazioni certe , quella con l' ambasciatore d'Inghilterra Matthew Prior e l' altra, di poco successiva, con Lord Bol­ ingbroke , segretario di Stato e poi rifugiato politico in Francia, le procureranno la reputazione di spia. Nel 1 7 1 4 era l a volta di Filippo d' Orléans, chiamato, un anno più tar­ di, ad assumere la reggenza: di breve durata, l ' incontro si concludeva, se dobbiamo credere a Duclos, con la poco ca­ valleresca dichiarazione del duca di « non amare le puttane che parlano d 'affari tra due lenzuola » . 1 Quest'abitudine non sembrava invece infastidire l'ex precettore del reggen­ te , poi suo primo ministro, il cardinale Dubois, il complice che Madame de Tencin andava cercando. Posseduto da una smisurata passione per il potere, infini­ tamente cinico, dotato di un grande realismo politico, astu­ to, tenace , instancabile, Dubois era fatto per intendersi perl . Charles-Pinot Duclos, Mémoires secrets sur les règnes de Louis XIV et de Louis XV, in CEuvres complètes, l O voli. , Colnet, Paris, 1 806, vol. IV, p. 4 1 8.

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fettamente con la bella intrigante, di cui poteva apprezzare in pari misura la spregiudicatezza e l 'intelligenza. Grazie a lui Madame de Tencin si avvicinava finalmente al centro del potere, e faceva affari con la banca di Law, mentre suo fra­ tello veniva nominato chargé d 'affaires del re di Francia alla corte pontificia. Perfettamente assortita, la relazione tra l'ex monaca e il cardinale miscredente era dunque destina­ ta a prolungarsi, senz' ombra di sentimento e nella massima libertà reciproca, fino alla morte improvvisa di Dubois, nel­ l' agosto del l 723. La rassegna degli altri amanti di Madame de Tencin con­ temporanei e successivi al legarne con il cardinale ci porte­ rebbe lontano, ma è impossibile esimerci dall' accennare al­ le due relazioni che furono ali ' origine dei due episodi più infamanti della sua scandalosa esistenza. La prima avventu­ ra, intrecciata con l'amabile, generoso cavaliere Destou­ ches, luogotenente generale dell' artiglieria, doveva aver rappresentato per Madame de Tencin una parentesi di sva­ go e di puro piacere in anni che la vedevano impegnata sul doppio fronte del non p�ù giovane e debosciato Dubois e dell'anziano e bruttissimo marchese d 'Argenson, padre del memorialista, luogotenente generale della polizia al tempo di Luigi XIV e guardasigilli sotto la reggenza. Ma anche l ' a­ mour-goitt poteva comportare dei rischi, e il 1 7 novembre 1 7 1 7, ormai trentacinquenne , Madame de Tencin dava alla luce un figlio, che faceva subito abbandonare sui gradini della cappella di Saint:Jean-le-Rond, adiacente a Notre-Da­ me. Niente, in realtà, la costringeva a un gesto così estre­ mo: non aveva un marito a cui rendere conto delle sue azio­ ni ; Destouches l' amava e, come avrebbe dimostrato in se­ guito , desiderava occuparsi del bambino e provvedere al suo sostentan1ento, e lei avrebbe potuto facilmente sbaraz­ zarsi del neonato nella massima segretezza, affidandolo a una famiglia sicura e seguendo da lontano la sua educazio­ ne (esattamente come avrebbe fatto qualche anno dopo Mademoiselle Aissé, la bella circassa allevata a casa della so­ rella maggiore di Madame de Tencin , Madame de Ferriol, che pure non godeva né della sua libertà né del suo agio economico) . Ma non dobbiamo dimenticare che ai tempi di Madame de Tencin l ' amore materno era ancora un sen­ timento incerto ; che abbandonare alla pubblica carità dei figli scomodi era, a cominciare dal filantropo Rousseau, una pratica tristemente diffusa; e che lo scandalo provocato

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da una nascita illegittima investiva l'intera famiglia e, nel caso dei Tencin, non poteva certamente giovare alla carrie­ ra dell' abate . Ciò non basta, tuttavia, a spiegare il suo com­ portamento. Lontano da Parigi al momento del parto e tenuto all 'o­ scuro delle intenzioni dell ' aman te, Destouches riuscì , ap­ pena tornato nella capitale, a rin tracciare il bambino e ad affidarlo alle cure di una nutrice. Non riconobbe mai uf­ ficialmente il figlio, ma si preoccupò della sua educazione, stabilendo con lui rapporti affettuosi, introducendolo nella sua famiglia, garan tendogli una piccola rendita e insisten­ do perché mutasse il nome di jean le Rond, impartitogli al momento del battesimo in considerazione del luogo in cui era stato trovato, in quello di d'Alembert. Madame de Tencin , al contrario, non sarebbe mai ritor­ nata sulle decisioni prese, non avrebbe mostrato il minimo interesse per il giovane genio che nel 1 743, a soli ventisei anni, iniziava una carriera scientifica folgorante dando alle stampe un fondamentale Traité de dynamique; avrebbe sem­ pre evitato di incontrarlo, e non si sarebbe ricordata di lui nemmeno nel suo testamento. Eppure non si trattava più di difendere un segreto rischioso per la sua reputazione. Tutti sapevano ormai che il brillante philosophe ricevuto nei salot­ ti alla moda ( eccezion fatta per quello di sua madre) era figlio di Madame de Tencin: Diderot lo avrebbe ribadito a più riprese, e Voltaire si sarebbe divertito a scherzarci so­ pra. Ma il primo a dichiararlo apertamente era d'Alembert stesso, deciso a sfidare le convenzioni sociali e a rivendicare con fierezza la sua condizione di « enfant de la nature » 1 o, come avrebbe detto un secolo prima Voiture , di «figlio del­ le sue opere » ; e forse era anche un modo di ricordare a Madame de Tencin la sua esistenza, di sollecitare la sua at­ tenzione, nella speranza di una sia pur tardiva agnizione . « D 'Alembert si confidava spesso con me, » racconta nei suoi Mémoires Madame Suard « e un giorno mi autorizzò a l . Portrait de M. d 'Alembert par Mada me du Deffand, in Horace Walpole 's Corre­ spondence with Madame du Deffand and Wiart, a cura di W. S. Lewis e Warre n Hunting Smith, New Haven - London , 1 9391 , 1 9622• La corrispondenza di Walpole con Madame du Deffand, con una sua numerazione autonoma da I a VI, costituisce i volumi 3-8 della Horace Walpole 's Correspondence, edi­ ta, sempre a cura di W.S. Lewis e W. Hunting Smith, in 48 voli., Yale Uni­ versity Press - Oxford University Press, New Haven - London, 1937-1 983, vol. VI, p. 94.

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chiedergli se fosse vero che, quando era già divenuto assai famoso, Madame de Tencin gli aveva fatto dire da un amico che sarebbe stata lieta di vederlo . "Non ha mai detto niente di simile " mi rispose. "Eppure , Monsieur, si dice che in quell 'occasione abbiate risposto con grande fierezza a una madre che prima del vostro successo non si era mai fatta vi­ va, e ho sentito molte persone approvare il vostro rifiuto co­ me segno di una giusta indignazione ". "Ah ! " mi rispose "non mi sarei mai negato all ' abbraccio di una madre dispo­ sta a reclamarmi: mi sarebbe stato assai dolce ritrovarla"» . 1 Come non chiedersi allora i l perché di tanta durezza di cuore? Forse , semplicemente , Madame de Tencin non po­ teva comportarsi come una madre perché non si sentiva ta­ le: quel figlio non voluto, che aveva minacciato di intralcia­ re la sua libertà, non era mai esistito, e per lei continuava a non esistere - e se l ' opinione pubblica si accaniva ad attri­ buirglielo, le chiacchiere la lasciavano perfettamente indif­ ferente. Del resto, non vi era calunnia che potesse ancora colpirla da quando il suo ultimo amante si era venuto a sui­ cidare a casa sua, accusan.d ola dei peggiorì misfatti. Charles de La Fresnaye, membro del Gran Consiglio e banchiere galante, aveva già da due anni una relazione con Madame de Tencin quando, dopo un periodo di prosperità e di successo, si era ridotto sull ' orlo del fallimento. Per sfuggire ai creditori, aveva allora affidato all' amante delle obbligazioni a suo nome e le aveva chiesto una considere­ vole serie di prestiti con cui avviare nuove operazioni finan­ ziarie . I suoi affari però non avevano fatto che peggiorare , e quando si era nuovamente rivolto all ' amante per aiuto la ri­ sposta era stata negativa: non soltanto lei non intendeva an­ ticipargli altre' somme di denaro , ma si rifiutava di restituir­ gli le obbligazioni datele in custodia, affermando di tratte­ nerle come garanzia di risarcimento delle ingenti somme prestate nel passato . Per La Fresnaye fu il colpo di grazia: incapace di fronteggiare la catastrofe, obnubilato dalla di­ sperazione, scelse di vendicarsi di Madame de Tencin espo­ nendola all 'infamia, e il 6 aprile 1 726, poco prima di mez­ zogiorno, recatosi a casa sua e, avendola trovata in campal. Madame Suard, Essai de Mémoires sur M. Suard, in Jean-François Barriè­ re , Bibliothèque des Mémoires relatifs à l 'histoire de France pendan t le XVII! siècle, avec introduction , notices et notes par M. de Lescure, 37 voli. , Firmin D i­ dot frères, Paris, 1 846-1 88 1 , vol. XXXVII, p. 1 84.

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gnia di alcuni familiari , chiese di potersi ritirare un mo­ mento nello studiolo adiacente alla camera da letto, e lì si sparò un colpo al cuore . Non è tutto . La Fresnaye aveva de­ positato da un notaio un testamento farneticante in cui, « invece di lasciare disposizioni perché si pregasse per lui » , 1 accusava Madame de Tencin di averlo voluto assassinare, di averlo derubato, di essersi macchiata di ogni sorta di nefan­ dezze , nonché di intrattenere amori lascivi con il vecchio Fontenelle e con il giovane nipote d'Argentai . « Nessuno crede che questa donna sia colpevole di quel delitto; è evidente che La Fresnaye ha agito in stato di con­ fusione mentale » si legge nel journal de Barbier.2 Ma men tre i magistrati del Gran Consiglio si accingevano a mettere a tacere lo scandalo che coinvolgeva uno dei suoi membri, la polizia giudiziaria dello Chatelet rivendicava il diritto a con­ durre l 'inchiesta; e poiché il conflitto di competenza era una magnifica occasione per far sfoggio di rigore, Madame de Tencin veniva rinchiusa al Grand-Chatelet e di lì trasferi­ ta alla Bastiglia. Nei due mesi successivi la polizia giudiziaria avrebbe trat­ tato l 'imputata come una criminale, sottoponendola agli interrogatori più umilianti, e non risparmiandole nemme­ no un confronto di molte ore con il cadavere in decompo­ sizione di La Fresnaye . Poi, il 3 giugno, in seguito alle pres­ sioni della famiglia Tencin, una sentenza del Consiglio del Re decretava che fosse il Gran Consiglio a doversi occupare del caso e il processo si concludeva un mese dopo con la damnatio memoriae di La Fresnaye e la piena assoluzione di Madame de Tencin. « È assai dubbio che il bucato del Gran Consiglio non ab­ bia lasciato su Madame de Tencin delle macchie che tutte le acque di Parigi non potranno can cellare » commentava­ no però i contemporanei: l 'intera vicenda si era rivelata co­ sì sordida che agli occhi dell 'opinione pubblica Madame de Tencin appariva incolpevole, ma non veramente inno­ cente. Mescolando menzogne assurde a frammenti di ve­ rità, La Fresnaye aveva riportato l'attenzione sulle tante om­ bre della vita della ex suora, sui suoi molteplici amori, i suoi l . Edmond:Jean François Barbier, Chronique de la Régence et du règne de Louis XV (1 718-1 763), ou journal de Barbier, 8 voli. , Charpentier, Paris, 1 866, vol . I, p. 42 1 . 2 . Loc. cit.

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intrighi e in particolar modo sulla sua spregiudicatezza ne­ gli affari , sulle speculazioni fatte al tempo del sistema di Law, sul passato agiotaggio. Non aveva rubato ma aveva trat­ tenuto del denaro non suo , togliendo a La Fresnaye l 'ulti­ ma via di scampo. Il giudizio del pubblico rimaneva, dunque, ambiguamen­ te sospeso, ma era soprattutto l'imputata stessa a dare l ' im­ pressione di non essere in grado di sopravvivere alla prova subita. Ali 'uscita dalla Bastiglia le condizioni della sua salu­ te erano infatti tali da far dubitare della sua sopravvivenza. « Eccola innocente e sul punto di morire » 1 scriveva Ma­ thi eu Marais dopo aver annotato nel suo Journal la sentenza del processo. Ma si trattava di un 'impressione sbagliata: la religione , la politica, la letteratura dovevano ancora offrire a Madame de Tencin gli anni più belli della sua vita. L'estate successiva al processo, Madame de Tencin aveva già ritrovato il « suo spirito indiavolato »2 e si lanciava a ca­ pofitto in una appassion�nte disputa teologica. Scomparsi dalla scena il reggente e Dubois, dopo il breve intermezzo del duca di Bourbon, Luigi XV aveva nominato primo ministro il cardinale di Fleury. Il vecchio prelato sce­ glieva la via della prudenza e mirava al mantenimento della pace, al ritorno all' ordine morale e alla fine dei conflitti re­ ligiosi. Per questo incaricò Pierre Guérin de Tencin, che nel 1 724 era diventato arcivescovo di Embrun, di tenere nella sua diocesi un concilio che mettesse fine alla resisten­ za giansenista e imponesse una volta per tutte la « costitu­ zione » della bolla Unigenitus, promulgata nel 1 7 1 3 da papa Clemente XI · su richiesta di Luigi XIV. La bolla, che con­ dannava centouno proposizioni estratte dal libro del gian­ senista Quesnel, le Réjlexions morales sur le Nouveau Testa­ meni, aveva riacceso i vecchi conflitti ed era stata registrata, su ingiunzione del Re Sole, dal Parlamento di Parigi. No­ nostan te la pessima reputazione acquisita al tempo della reggenza per la fedeltà portata a Dubois, l' amicizia con Law e la complicità con la scandalosa sorella, Tencin aveva tutte le qualità per riuscire nel difficile compito. « Metodico nell . Citato in jean Sareil, Les Tencin. Histoire d 'u ne Jamille au dix-huitièrne siècle d 'après de nomllreaux documents inédits, Droz, Genève , 1 969, p. 1 53 . 2. Cfr. .Journal de Barbier, cit. , p . 420.

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la preparazione e abile improvvisatore , insinuante, energi­ co e arrogante in caso di bisogno, dotato di un fisico impo­ nente e austero, buon teologo, provetto nell 'arte di circon­ darsi di gente capace e di trarre profitto dai suoi consigli » , 1 l' arcivescovo di Embrun riportava infatti, nel giro di un me­ se, un pieno successo , e Jean Soanen, vescovo di Senez, au­ tore di una istruzione pastorale che era una autentica pro­ fessione di fede giansenista, veniva condannato e rimosso dalla sua diocesi: la resistenza giansenista era così privata di uno dei suoi esponenti più carismatici e inflessibili. Conclusosi il 28 settembre 1 727, il concilio di Embrun avrebbe negli anni successivi consentito a Fleury di ottene­ re ragione dell ' opposizione dell 'alto clero giansenista col­ pendo con lettres de cachet i vescovi più aggressivi e inducen­ do i moderati a una politica di conciliazione. Imprevedibile e immediata, la protesta contro le decisioni del concilio sa­ rebbe però venuta dal popolo, dal basso clero e dagli espo­ nen ti più reazionari del mondo parlamentare . Sotto la gui­ da delle « Nouvelles Ecclésiastiques » - pubblicazione quin­ dicinale stampata e diffusa clandestinamente in barba agli sforzi della polizia -, il movimento giansenista non esitava a far leva sulla superstizione popolare, dando credito ai « convulsionari » e alle guarigioni miracolose che avevano luogo sulla tomba del diacono Paris nel cimitero di Saint­ Médard, rinunciava alla tensione spirituale e al rigore mo­ rale che nel XVII secolo avevano toccato il cuore degli honnetes gens, e assumeva un carattere sempre più accentua­ to di protesta politica e di resistenza all ' autorità reale. La violenta campagna di stampa che seguiva al concilio offriva a Madame de Tencin una splendida occasione per riapparire sulla scena nel ruolo perfettamente legittimo di paladina della Chiesa e dell 'autorità costituita. Usata con astuzia, la reazione furiosa dei giansenisti, che puntava a ri­ mettere in discussione i risultati conseguiti dall 'arcivescovo di Embrun , poteva rivelarsi provvidenziale per la sua carrie­ ra: tanto accanimento non dimostrava forse che Tencin si era condotto da vero campione dell 'ortodossia, dando pro­ va di coraggio e fermezza? Il suo zelo non lo candidava ipso facto al cappello cardinalizio? E la porpora non ne doveva l . Sareil, op. cit. , p. 1 60.

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fare, in un giorno non lontano, il successore naturale di Fleury nella carica di primo ministro? Madame de Tencin non si limitava a immaginare il futu­ ro, ma lo preparava con temibile energia. Mentre il fratello chiedeva insistentemente a Fleury e alla curia romana di ri­ conoscere i suoi diritti di martire della fede, ella riceveva di nascosto i vescovi « costituzionali » e faceva della sua casa il quartier generale di una controcampagna di stampa anti­ giansenista, commissionando testi di ogni tipo e provveden­ do a farli stampare a proprie spese e a organizzame la diffu­ sione clandestina. E non erano solo le « Nouvelles Ecclésias­ tiques » a denunciare le sue attività: anche Saint-Simon si di­ vertiva a sottolineare la comicità di quelle « riunioni segrete che avevano luogo la notte a casa della religiosa Tencin, do­ ve . . . quel povero idiota del santo vescovo di Marsiglia si la­ sciò condurre mascherato da cavaliere da gente che la sape­ va più lunga di lui, e venne riconosciuto in quella strana te­ nuta » . 1 Esponendosi così fortemente i n prima persona, i Tencin offrivano anche agli avversari l 'occasione di screditare le decisioni del Concilio. Nessuno più di loro prestava il fian­ co alla riprovazione morale, e una valanga di articoli, libel­ li , versi satirici li additava alla pubblica opinione come sim­ bolo della corruzione della Chiesa ultramontana. Era esat­ tamente ciò che Fleury non voleva. Il suo obiettivo era quel­ lo di sedare le polemiche, non di attizzarle. Per di più non aveva alcun desiderio di vedere Tencin cardinale, né tanto meno aveva intenzione di morire. L' arcivescovo riceveva dunque l ' ordine di non pubblicare più niente senza auto­ rizzazione, vale a dire di tacere, e sua sorella veniva cortese­ mente invitata dal capo della polizia a lasciare Parigi. Ma­ dame de Tencin si affrettava a obbedire , inviando al cardi­ nale una lettera ossequiente in cui sosteneva di essersi limi­ tata a ricevere a casa sua delle semplici conoscenze e alcuni amici di vecchia data « che sono forse quanto vi è di meglio a Parigi dal punto di vista del merito e della virtù » .2 Fleury coglieva l' occasione per richiamarla garbatamente ma ferl . Saint-Simon, Mémoires, ci t. , vol. VII: Additions de Saint-Simon au journal de Dangeau, p. 92 1 . 2 . Citato in René Vaillot, Qui étaient Madame de Tencin . . . et le Cardinal?, Prefazione di Roland Desné, Le Pavillon Roger Maria É diteur, Paris, 1 974, p. 2 1 5 .

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mamente all 'ordine, ricordandole i limiti che le bienséances imponevano al suo sesso : « Non basta essere intelligenti e di buona compagnia; e la prudenza impone , soprattutto a una persona del vostro sesso , di non immischiarsi in cose che esulino dalla sua sfera » . 1 Proprio grazie ai rapporti dei poliziotti incaricati di sor­ vegliare la casa di Madame de Tencin siamo oggi in grado di sapere che tra i visitatori di « merito » vi erano certamen­ te Fontenelle , Houdar de La Motte e l' abate di Saint-Pierre: la sorella dell' arcivescovo non aveva aspettato l ' interdizio­ ne a immischiarsi negli affari pubblici per raccogliere in­ torno a sé una cerchia di amici fedeli. Ma a partire dal 1 728 ella dedica al suo salotto un 'attenzione crescente, e il suo appartamento di rue Saint-Honoré diventa il punto d' in­ contro più libero e originale della Parigi degli anni Trenta e Quaranta, offrendo un modello insuperabile di conversa­ zione intellettuale. A differenza di tante dame della buona società che, non avendo altro orizzonte che quello mondano, facevano del loro successo di padrone di casa l ' obiettivo di un 'intera esi­ stenza, Madame de Tencin possedeva un bagaglio di espe­ rienze e di ambizioni sufficienti a colmare più di una vita. Tenere un salotto non aveva mai rappresentato per lei un fine in sé, ma, nell 'astensione forzata dali ' azione seguita al­ lo scontro con i giansenisti , ella scopriva che presiederne uno poteva costituire una fonte di auten tico piacere . Di­ smessa la ferrea disciplina impostale dall 'ambizione, l ' in­ stancabile intrigante si abbandonava a una esperienza nuo­ va, disinteressata e Iudica, quella della gara quotidiana del­ l ' intelligenza e dello spettacolo cangiante della conversa­ zione. Ma a questo gioco vecchio di un secolo Madame de Tencin contribuiva con la sua capacità di penetrazione, la sua libertà di giudizio, la sua insuperabile conoscenza degli uomini, e in tal modo lo rinnovava profondamente, prepa­ randolo ai tempi nuovi. Molti degli amici letterati di Madame de Tencin frequen­ tavano anche la casa di Madame de Lambert e, alla morte della marchesa nel 1 733, gli habitué dell 'hotel de Nevers si trasferivano compatti in rue Saint-Honoré. Ormai libero, il l . Loc. cit.

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martedì diventava il giorno di ricevimento di Madame de Tencin . Per una vera ironia della sorte, il capitale mondano di una honnete femme dedita al culto della virtù e della gloria passava nelle mani di una donna senza morale e senza ono­ re, e, cosa ancora più sorprendente, nessuno sembrava scan­ dalizzarsene. Non si trattava di una liberalizzazione indi­ scriminata dei comportamenti o di una sospensione del giudizio morale: semplicemente, accanto al vecchio criterio di valutazione di ordine etico-estetico caro al conformismo mondano, la sociabilité settecentesca ne aveva introdotto uno nuovo, basato essenzialmente sul prestigio intellettua­ le. I mondani avrebbero continuato a seguire prevalente­ mente il primo criterio, i gens de lettres si sarebbero mostrati naturalmente più sensibili al secondo - ma infinite sareb­ bero state le seduzioni e le concessioni reciproche . Madame de Tencin è il primo e più clamoroso esempio della vittoria dell 'intelligenza sulla rispettabilità, e questo ribaltamento di giudizi