La ceramica, l'alimentazione, l'artigianato e le vie di commercio tra VIII e XIV secolo: Il caso della Toscana meridionale 9781407306667, 9781407336657

A study of medieval ceramics (8th to 14th centuries AD) from 15 sites in the Tuscany region, central Italy. Analyses inc

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Italian Pages [224] Year 2010

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INDICE GENERALE
PREMESSA
INTRODUZIONE
Il piano dell’opera
1. Lo spazio della ricerca: caratteri del territorio e vicende storiche
2. L'oggetto della ricerca
3. I metodi della ricerca
PRIMA PARTE: quadri tipologici, produttivi, distributivi e di consumo della ceramica
Introduzione
1. Gli antecedenti: la fine delle produzioni antiche (seconda metà IV- prima metà VII secolo)
2. I secoli VII (seconda metà) -X
3. I secoli XI-XII
4. I secoli XIII e XIV
SECONDA PARTE: Considerazioni finali
1. Le tendenze generali della ceramica nella Toscana meridionale: un confronto tra città e campagna
PARTE TERZA: Catalogo delle ceramiche, degli impasti e dei siti oggetto di studio
1. Il catalogo delle forme e dei tipi ceramici
2. Il catalogo degli impasti ceramici
3. Il catalogo dei siti oggetto di studio
BIBLIOGRAFIA
FIGURE INTRODUZIONE
FIGURE PARTE TERZA: CATALOGO DELLE FORME E DEI TIPI CERAMICI
FIGURE PARTE TERZA: CATALOGO DEI SITI OGGETTO DI STUDIO
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La ceramica, l'alimentazione, l'artigianato e le vie di commercio tra VIII e XIV secolo: Il caso della Toscana meridionale
 9781407306667, 9781407336657

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BAR S2125 2010 GRASSI

La ceramica, l’alimentazione, l’artigianato e le vie di commercio tra VIII e XIV secolo Il caso della Toscana meridionale

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO

B A R

Francesca Grassi

BAR International Series 2125 2010

La ceramica, l’alimentazione, l’artigianato e le vie di commercio tra VIII e XIV secolo Il caso della Toscana meridionale

Francesca Grassi

BAR International Series 2125 2010

ISBN 9781407306667 paperback ISBN 9781407336657 e-format DOI https://doi.org/10.30861/9781407306667 A catalogue record for this book is available from the British Library

BAR

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INDICE GENERALE Premessa Introduzione Il piano dell’opera .......................................................................................................................... 1 1. Lo spazio della ricerca: caratteri del territorio e vicende storiche ............................................ 2 2. L’oggetto della ricerca ............................................................................................................... 4 2.1 I caratteri degli insediamenti 2.2 Le cronologie 2.3 Le analisi quantitative della ceramica 2.4 Ipotesi di un modello di produzione ceramica per le campagne della Toscana meridionale 3. I metodi della ricerca ................................................................................................................. 9 3.1 L’analisi morfologica: le tipologie dei materiali 3.2 Archeometria applicata ai manufatti ceramici: le analisi petrografiche e chimiche dei reperti Prima Parte: i quadri tipologici, produttivi, distributivi e di consumo della ceramica Introduzione ................................................................................................................................. 12 1. Gli antecedenti: la fine delle produzioni antiche (seconda metà IV- prima metà VII secolo)13 2. I secoli VII (seconda metà)-X ................................................................................................ 14 2.1 L’altomedioevo: le tipologie, le funzioni, l’alimentazione................................................... 14 1. La cucina 2. La dispensa 2.2. I luoghi della produzione, gli scambi ................................................................................... 21 1. Una geografia degli ateliers nell’altomedioevo: le forme di produzione e gli scambi 2.3 Il corredo domestico: alcune notazioni sul consumo di ceramica ........................................ 24 3. I secoli XI e XII ....................................................................................................................... 25 3.1 Le tipologie, le funzioni, l’alimentazione ............................................................................. 28 1. La cucina 2. La dispensa 3. La mensa 3.2 I luoghi della produzione, gli scambi .................................................................................... 33 1. La riorganizzazione della produzione rurale 2. La riorganizzazione della produzione cittadina: le officine in città ed i centri intermedi nel contado 3. L’arrivo delle prime ceramiche di provenienza mediterranea 3.3 Il corredo domestico: alcune notazioni sul consumo di ceramica ........................................ 36 1. Il consumo in città 2. Signori, artigiani e contadini nel contado: un confronto tra modelli di consumo 4. I secoli XIII e XIV ................................................................................................................... 38 4.1 Le tipologie, le funzioni, l’alimentazione ............................................................................. 40 1. La cucina 2. La dispensa 3. La mensa 4.2 I luoghi della produzione, gli scambi .................................................................................... 48 1. La produzione nel contado 2. La città come luogo di produzione e smistamento 3. Le ceramiche di provenienza mediterranea 4.3 Il corredo domestico: alcune notazioni sul consumo di ceramica ........................................ 55 1. La città 2. La campagna, bisogni e consumi

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Seconda Parte: considerazioni finali 1. Le tendenze generali della ceramica nella Toscana Meridionale: un confronto tra città e campagna ..................................................................................................................................... 56 VII-X secolo XI-XII secolo XIII-XIV secolo Terza Parte: catalogo delle ceramiche, degli impasti e dei siti oggetto di studio 1. Il catalogo delle forme e dei tipi ceramici Introduzione ................................................................................................................................. 61 1.1 Catalogo ................................................................................................................................. 65 Ceramica da cucina Ceramica da dispensa Ceramica da mensa Ceramica per vari usi domestici 2. Il catalogo degli impasti ceramici Introduzione ................................................................................................................................. 91 2.1 Catalogo ................................................................................................................................. 91 Suvereto e Castel di Pietra Campiglia Marittima Donoratico Montemassi Rocca San Silvestro Rocchette Pannocchieschi Piombino S. Antimo Roccastrada 3. Il catalogo dei siti oggetto di studio Introduzione ............................................................................................................................... 105 3.1 Catalogo: luoghi di consumo ............................................................................................... 106 Castel di Pietra Campiglia Marittima Cugnano Donoratico Montemassi Populonia acropoli Populonia S. Cerbone Rocca San Silvestro Suvereto Rocchette Pannocchieschi 3.2 Catalogo: luoghi di commercio e consumo......................................................................... 140 Piombino, S. Antimo Piombino Castello 3.3 Catalogo: luoghi della produzione ...................................................................................... 142 Roccastrada Palaia, Fauglia Bibliografia ............................................................................................................................... 147 Figure Introduzione ..............................................................................................................nn. 1-4 Figure Parte Prima e Seconda.............................................................................................nn. 1-60 Figure Parte Terza.............................................................................................................nn. 1-127

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PREMESSA Questo volume è il frutto della rielaborazione della tesi di dottorato di ricerca in Archeologia Medievale discussa da chi scrive nel 2005 presso l’Università degli Studi di Siena (Italia). Il lavoro di ricerca ha avuto un supporto fondamentale in Riccardo Francovich durante il corso del dottorato, di cui è stato tutore ed in seguito nella fase di rielaborazione del manoscritto; a lui va la mia totale gratitudine per gli insegnamenti e gli aiuti che è stato in grado di fornirmi nel difficile percorso della ricerca. Un ringraziamento sentito anche a chi dopo di lui si è prodigato affinchè questo lavoro arrivasse a pubblicazione, tra cui in particolare Giovanna Bianchi (Università di Siena), Alessandra Molinari (Università di Roma Tre) e Juan Antonio Quiros Castillo (Università del Pais Vasco). Ringrazio inoltre colleghi ed amici che mi hanno fornito spunti e consigli per rendere il lavoro migliore. Infine, un ringraziamento speciale ad Enrica Boldrini, amica e maestra, sempre disponibile nell’offrire il proprio supporto scientifico ed umano. Siena, 17 febbraio 2010 Francesca Grassi

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INTRODUZIONE Questa ricerca si è posta come obiettivo l’osservazione delle politiche commerciali, degli usi e dei consumi della società medievale nell’area meridionale della Toscana, utilizzando come strumento principale l’analisi di una produzione artigianale, quella della ceramica. Infatti, guardando alla ceramica non solo come oggetto, ma come il risultato di un insieme di attività finalizzate alla produzione, alla distribuzione ed al consumo è stato possibile ritrovarvi uno spaccato della storia economica e sociale dell’antichità, assieme alle vicende umane di chi ha prodotto l’oggetto, di chi lo ha comprato ed usato e di chi lo ha infine gettato via (RENFREW BAHN 1995, MANNONI, GIANNICHEDDA 1996, MOLINARI 2003). Nel nostro studio dunque la ceramica ha assunto un doppio valore, quello di essere un riflesso degli eventi storici generali ed al contempo degli uomini stessi. Nella nostra ricerca, la scelta dell’area di studio, dei contesti e della cronologia sono state fortemente condizionate da questa convinzione. Ed in forza di ciò, sono stati utilizzati dati raccolti e gestiti con strumenti innovativi (FRONZA, NARDINI, VALENTI 2009) provenienti da un'area territoriale, la Toscana Meridionale, nella quale avevamo a disposizione ampi lavori di sintesi (FRANCOVICH, GINATEMPO 2000; FRANCOVICH, HODGES 2003; VALENTI 2004; FARINELLI 2007; BIANCHI 2003a; BIANCHI 2004a; CANTINI 2003 e 2005; BELLI 2005; CITTER 2008 e 2009, VALENTI 2008). Si è trattato dunque di un terreno ideale per la messa a punto del valore della ceramica come indicatore sociale, politico ed economico data la possibilità di unire il nostro lavoro ad altri aspetti della cultura materiale. La stessa cronologia scelta (VIII-XIV secolo) ci ha permesso, nella lunga sequenza, di comprendere la formazione dei paesaggi, degli insediamenti e dei corredi ceramici medievali, seguendone lo sviluppo e l’evoluzione sino all’età moderna.

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direttamente nel corso della ricerca e quelli già pubblicati, spesso in maniera multiforme, ma anche nell’attuazione di un collegamento tra la ceramica ed i processi storici e sociali che interessarono gli insediamenti nel medioevo, attraverso alcuni livelli.

Il piano dell’opera Il lavoro è sviluppato in tre parti distinte, alle quali si antepone un'introduzione di tre capitoli finalizzata allo sviluppo di alcune tematiche alla base della ricerca. Nel primo capitolo dell’introduzione (1. Lo spazio della ricerca: caratteri del territorio e vicende storiche) si introduce l’area geografica interessata dal nostro studio, mostrandone i tratti peculiari che emergono dall’analisi geofisica del territorio e dalle vicende storiche ricostruite attraverso le fonti scritte. Nel secondo capitolo (2. L'oggetto della ricerca) vengono mostrate le tipologie di insediamento scelte per la ricerca (2.1 I caratteri dell’insediamento); viene mostrato il criterio seguito per l’associazione di cronologie ai tipi ceramici esaminati (2.2 Le cronologie); vengono proposte le analisi quantitative del materiale preso in esame, distinguendolo in base ai contesti cronologici e sociali di provenienza (2.3 Le analisi quantitative della ceramica) ed si propone un modello della produzione ceramica per le campagne della Toscana meridionale, così come scaturito dalle analisi effettuate nel corso della ricerca (2.4 Ipotesi di un modello di produzione ceramica per le campagne della Toscana meridionale). Infine, nel capitolo terzo della parte introduttiva (3. I metodi della ricerca) si espone il metodo utilizzato per la ricerca, nell’ambito della creazione delle tipologie ceramiche e dello studio archeometrico degli impasti ceramici.

1) Caratterizzazione delle produzioni ceramiche della Toscana meridionale, con l’analisi delle forme, dei luoghi di provenienza e di consumo. L’analisi della ceramica nei singoli siti è stata finalizzata alla creazione di una griglia cronotipologica dei corredi ceramici di un’ampia area, per evidenziare quei fattori che hanno influenzato di volta in volta la produzione e la nascita dei tipi ceramici. All’interno di questa parte del lavoro è stato prioritario fare emergere fossili guida, soprattutto per le cronologie legate al passaggio dalla tardoantichità all’altomedioevo nelle quali era maggiore il bisogno di caratterizzazioni cronologiche serrate e ben scandite. 2) Analisi contestuale. Per quelle classi ceramiche il cui studio è consolidato da più anni è stato possibile passare da una imprescindibile fase tipologica ad una contestuale, nella quale era prioritario approfondire le connessioni sociali, culturali, economiche e tecnologiche che la ceramica ci mostrava (ORTON, TYERS, VINCE 1993, pp. 815). All’interno di questa fase del lavoro sono stati privilegiati alcuni aspetti, tra cui: a) analisi dei modelli produttivi emersi attraverso lo studio dei prodotti cittadini e rurali ed attraverso la rilettura di siti identificati come officine rurali. Ciò ha portato alla caratterizzazione dei siti produttivi in base alle tecnologie usate, allo smercio dei prodotti, alla loro durata nel tempo; b) analisi del consumo nel confronto tra siti rurali, per dedurre le differenziazioni esistenti nella cultura materiale tra ceti sociali di diversa estrazione e di diversa appartenenza politica. E’ stata analizzata anche la distribuzione interna ai siti, dove possibile, per fare emergere peculiarità sociali od economiche. E’ stata inoltre prevista l’integrazione del dato proveniente dalla ceramica con altri registri, come quello faunistico, vitreo o relativo ai metalli per caratterizzare socialmente i diversi contesti; c) analisi dei rapporti economici e commerciali tra le diverse zone della Toscana, dell’Italia e del Mediterraneo al fine di evidenziare le linee di distribuzione del vasellame, la presenza di luoghi deputati alla vendita come mercati e fiere, le strategie commerciali dei protagonisti del commercio, tra cui le città (Pisa, Siena, Volterra) che esportarono il vasellame di propria produzione nella campagna.

A seguire vi è la Prima Parte, nella quale viene riassunto lo studio della cultura materiale di tutta l’area della Toscana meridionale, comparandolo anche con le notizie edite su altri siti appartenenti alla medesima area geografica1, nel tentativo di tracciare alcune sintesi cronologiche di carattere subregionale inerenti i quadri tipologici, la produzione, la distribuzione ed il consumo del vasellame. La Seconda Parte raccoglie alcune considerazioni finali sui quadri ceramici presentati, in ordine cronologico e con un tentativo di comparazione tra i contesti rurali e quelli di ambito cittadino. In tutta la parte di sintesi del lavoro lo sforzo principale si è esplicato non solo nel raccordo tra i dati elaborati 1 Per tutti i siti non trattati direttamente nella ricerca forniamo qui una bibliografia essenziale. Per il sito di Scarlino, sul quale è stata discussa recentemente una tesi di laurea si rimanda a FRANCOVICH 1985 e MARASCO 2001-2002. Per Poggibonsi si veda in ultimo FRANCOVICH, VALENTI 2007 e NARDINI 1996. Per Miranduolo si rimanda a VALENTI 2008. Per Grosseto rimandiamo allo scavo effettuato nella fortezza Medicea (FRANCOVICH, GELICHI 1980), allo scavo della Chiesa di San Pietro (CITTER 2005) ed alla recente edizione degli scavi urbani (CITTER 2006). Per Massa Marittima ed in particolare per gli scavi nel Cassero si vedano le scarne notizie in PARENTI 1981 e 1990. Per gli studi sul territorio massetano e populoniese, DALLAI, FARINELLI 1998, DALLAI 2001-2002, DALLAI 2003. Per il territorio maremmano-senese si veda FRANCOVICH 1982 e per l'area a nord di Siena VALENTI 1995, 1996, 1999. Il castello di Montarrenti è stato recentemente oggetto di un pubblicazione definitiva, si veda CANTINI 2003. Il Podere Aione, Vignale, Buriano, Castiglione della Pescaia e Badia al Fango sono stati oggetto di ricerche di superficie che hanno permesso l’individuazione e la caratterizzazione di insediamenti medievali (CUCINI 1989; GELICHI 1977b, 1977c, 1978).

Infine, la Terza Parte comprende il catalogo delle ceramiche, degli impasti ceramici e dei siti oggetto dello studio, ordinati nella totalità in gruppi basati sulla funzione per quanto riguarda la ceramica, sulla provenienza per quanto riguarda gli impasti ceramici e sulla tipologia di sito per quanto riguarda gli insediamenti. Il catalogo delle forme e dei tipi ceramici rappresenta una sintesi di tutte le tipologie elaborate per i singoli siti, ordinate in grandi categorie che si riassumono in Classe 1

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO Aldobrandeschi4. La concentrazione di castelli presenti in tutta l’area tra X e XIV secolo permette di osservare che l’abitato era prevalentemente ubicato sulle pendici collinari e sulle alture, mentre la pianura costiera era quasi spopolata, ad eccezione di quei centri come Piombino e Grosseto che vivevano del rapporto con le vie di commercio fluviali e marittime (FARINELLI 2000, p. 149; FARINELLI 2007, pp. 22-23; PINTO 1982, pp. 54-55)5. La seconda caratteristica di queste terre era la presenza di numerose risorse, principalmente il sale ed i pascoli sulla costa, le risorse minerarie e boschive nell’entroterra. Il sale, prodotto sulla costa maremmana dove la tipologia delle spiagge basse e sabbiose rendeva possibile l’esistenza di numerose saline, fu all’origine di forme di sfruttamento che risalgono all’altomedioevo, con la creazione di siti produttivi presso gli specchi d’acqua costieri ed una gestione dei servizi di trasporto controllata da poteri laici ed ecclesiastici (WICKHAM 2001; FARINELLI 2007, pp. 85-87). Se la costa, con le aree aquitrinose era deputata alla raccolta del sale ed alla pesca, i prati naturali, i boschi, le terre incolte dell’entroterra formavano l’ambiente ideale per la pratica dell’allevamento. Nell’altomedioevo, l’allevamento principale era quello dei suini, mentre l’economia del bassomedioevo si orientò verso i caprovini connessi alla pratica della transumanza (WICKHAM 1982; FARINELLI 2007; QUIROS CASTILLO 2004). Inoltre, questa attività economica si avvalse nel tardo medioevo di capitali urbani ed il bestiame pascolato nei prati della maremma era spesso di proprietà di cittadini senesi, fiorentini, pisani e volterrani che ne ricavavano gli utili, sfruttando le risorse del sud della regione (PINTO 1982, pp. 63-65). Sempre nell’entroterra i boschi e i comprensori collinari fornivano quelle risorse minerarie che più di altre contribuirono alla trasformazione insediativa di tutto il territorio, stimolando la nascita di nuclei insediativi con finalità produttive (come Rocca San Silvestro)6. In particolare nel medioevo, l’estrazione di metalli monetabili (rame, argento e piombo) dette avvio al processo di nascita di una rete di insediamenti fortificati che avrebbero costituito, per i poteri signorili, ecclesiastici e cittadini le basi per il controllo dei processi di produzione metallurgici (FARINELLI, FRANCOVICH 1994, 1999; FRANCOVICH, WICKHAM 1994). Le ampie aree a bosco fornivano il legname necessario per i processi produttivi legati all’estrazione del metallo

Funzionale, Classe Tecnologica, Forma, Gruppo (o Famiglia) e Tipo ceramico. Il catalogo degli impasti ceramici, è suddiviso in due parti, una prima dedicata alle letture macroscopiche di tutte le miscele argillose riconosciute nel corso del lavoro, suddivise e numerate per insediamento ed una seconda che contiene il dettaglio analitico di tutte le analisi archeometriche effettuate sui reperti ceramici, sia già edite e qui riproposte, sia inedite. Infine, il catalogo dei siti comprende l’analisi diretta di quindici contesti archeologici, tutti ubicati nella Toscana meridionale e suddivisi nel seguente modo: -centri di esclusivo consumo di ceramica (1. Luoghi di consumo); -centri di consumo e di smercio dei prodotti (2. Luoghi di commercio e di consumo); -centri produttivi (3. Luoghi della produzione). 1. Lo spazio della ricerca: caratteri del territorio e vicende storiche La porzione di territorio regionale interessata dalla nostra ricerca si trova nell’area della Maremma, ma ne comprende soltanto la fascia costiera (Toscana tirrenica, dalla città di Pisa a Cosa) ed un’ampia zona dell’entroterra, corrispondente alle Colline Metallifere (PINTO 1982, p. 53) (Fig. 1). Storicamente questa parte della Toscana è stata terra di castelli e di signorie rurali molto forti (WICKHAM 1996, p. 348; FARINELLI 2007), collegate dal XII secolo all’espansionismo cittadino ed in particolare a quello pisano per la costa (CECCARELLI LEMUT 2004, pp. 59-67) e, dagli inizi del Duecento, a quello senese per l’entroterra (REDON 1994, pp. 142143)2. L’area che abbiamo analizzato ha fornito con le sue risorse naturali e le sue peculiarità fisiche una ragione storica per destare l’interesse di forze laiche ed ecclesiastiche sino dai primi secoli del medioevo. La prima caratteristica di questa ampia porzione di Toscana era (e lo è tuttora) la carenza di centri urbani; a ciò si collega una struttura insediativa meno gerarchizzata che in altri settori regionali e, dal pienomedioevo, una bassa pressione demografica, fenomeno endemico già prima della crisi dovuta alle epidemie e alla recessione economica della fine del Trecento3. Oltre all’assenza di grandi città, si evidenzia la scarsità di centri urbani di media importanza, come Massa Marittima, Grosseto o Piombino; ma va sottolineato come alcuni di questi fossero piccoli agglomerati demici, spesso soggetti al controllo di potenti signorie, come gli

4 Farinelli definisce Massa Marittima e Grosseto due quasi-città basandosi sulle funzioni economiche e sociali svolte da questi due abitati, mai denominate castra/castella dalle fonti documentarie. In particolare Grosseto, ubicata sul tratto navigabile del fiume Ombrone, sembrerebbe controllare sin dalla sua nascita i traffici marini e fluviali di due risorse tipiche della costa maremmana, quella della pesca e della produzione di sale, che le permisero assieme alla fiorente pratica dell’allevamento di prosperare economicamente, attirando le mire espansionistiche dei conti Aldobrandeschi (FARINELLI 2007). 5 Sono stati contati per la diocesi di Roselle-Grosseto e Massa-Populonia circa 107 castelli con una densità di uno ogni 20-22 Kmq (FRANCOVICH, GINATEMPO 2000). 6 I giacimenti che connotano l’area massetana delle Colline Metallifere sono quelli di solfuri misti (rame, argento, piombo) sfruttati in epoca medievale, quelli di allume utilizzati tra Medioevo e Rinascimento e quelli di pirite e lignite tra XIX e XX secolo.

2 Storicamente i siti che esaminiamo rientrano in tre diocesi, quella di Volterra, quella di Massa e Populonia ed infine quella di Roselle e Grosseto (FARINELLI 2000, AUGENTI 2000). 3 Infatti Siena può essere inserita all’inizio del Trecento tra le 10 maggiori città d’Italia per popolazione, con 40 mila abitanti, ma tutta il resto della Toscana meridionale si connota per l’assenza del fenomeno urbano e per lo spopolamento. Deve considerarsi un’eccezione all’assenza del fenomeno urbano il centro di Massa Marittima che nel 1369 contava 3 mila uomini, ma non Grosseto la cui popolazione era inferiore alle mille unità nè tantomeno Piombino (PINTO 1982, pp. 5354; GINATEMPO, SANDRI p. 107).

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FRANCESCA GRASSI ed alle opere di carpenteria; il loro sfruttamento, generando un radicale disboscamento, aumentò i terreni coltivabili, allargando le possibilità agricole dell’area, spesso minate dai frequenti impaludamenti dei terreni più bassi (FARINELLI 2007, pp. 124-129; WICKHAM 2001). Gli attori del popolamento dell’area, nel periodo altomedievale non sono facilmente riconoscibili; si possono solo fare dei collegamenti tra la formazione dei primi insediamenti e le menzioni di alcune enclaves civili dipendenti dal vescovo di Lucca, ma anche con i possessi della Chiesa vescovile, dei conti Aldobrandeschi e dei signori di San Miniato, nonchè di esponenti pisani legati alla fondazione del Monastero di Monteverdi (CECCARELLI LEMUT 2004; FARINELLI 2007; BIANCHI 2003a; BIANCHI, FICHERA, PARIS 2009). Queste realtà politiche potrebbero aver dato una forma giuridica ai nuclei abitativi accentrati che si erano disposti sulle alture a partire dalla metà del VII secolo, inizialmente senza distinzioni sociali al loro interno ed in seguito con la formazione di gerarchie, nell’ambito dello sviluppo del sistema curtense (FRANCOVICH, HODGES 2003; FRANCOVICH 2002, 2004; VALENTI 2004). Del resto, le risorse agricole e naturali (grano, sale) accanto a quelle metallifere erano già i motori principali dell’economia di tutta l’area e sollecitarono gli interessi di chi vi investiva economicamente, attuando nuove fondazioni e tentando il controllo degli scali portuali, come Baratti e Falesia (FRANCOVICH, FARINELLI 1994, p. 451). In particolare le risorse minerarie legate ai metalli monetabili, come l’argento, attivarono l’attenzione di vari poteri (soprattutto ecclesiastici, come episcopati e monasteri) coinvolti nella gestione delle materie primedall’estrazione all’arrivo presso la zecca lucchese (FRANCOVICH, FARINELLI 1994, p. 452)-, ponendo le basi per il futuro controllo signorile dello sfruttamento minerario. E’ infatti dal secolo IX che agì nella Toscana meridionale la famiglia degli Aldobrandeschi, provenienti da Lucca, che intraprese la formazione di un vasto dominio in questa area grazie al favore della Chiesa lucchese (COLLAVINI 1998; CECCARELLI LEMUT 2004, p. 4; FRANCOVICH, FARINELLI 1994, pp. 456-458; FARINELLI 2007)7. Alcuni dei castelli esaminati rientrano tra i possessi della famiglia e si trovano a fare parte di distretti minerari, come Cugnano, o in aree a forte vocazione strategica, come Montemassi, a controllo delle vie di commercio del sale e del bestiame tra l’entroterra e la pianura costiera. La seconda famiglia che troviamo in azione nella Maremma, quella dei Gherardeschi, è ugualmente collegata alle risorse minerarie ed alla loro gestione e favorì l’incastellamento di molti possessi, finalizzandoli alla razionalizzazione dello sfruttamento metallifero (FRANCOVICH, FARINELLI 1994, p. 458). Ai Gherardeschi è legata la fondazione di Rocca San Silvestro (FRANCOVICH 1991), la fortificazione del nucleo insediativo di Campiglia Marittima (BIANCHI 2004a;

CECCARELLI LEMUT 2004, pp. 74-100) e di Donoratico (BIANCHI 2004b), ma anche la fondazione, nel corso dell’XI secolo, di numerosi cenobi posti nella Val di Cecina (CECCARELLI LEMUT 2003)8. Infine la famiglia dei Pannocchieschi, collegata al distretto minerario montierino, si mostra nel XII secolo alleata del vescovo di Volterra contro l’ingerenza dei Gherardeschi nello sfruttamento delle risorse minerarie dell’entroterra. Questa famiglia sarà vincolata al castello minerario di Rocchette, da cui contese parte delle argentiere agli Aldobrandeschi, impegnati nel vicino castello di Cugnano (FRANCOVICH, FARINELLI 1994, p. 461; FARINELLI 2007; BELLI et alii 2005). La forma di sfruttamento signorile delle risorse minerarie fu basata su una forte gerarchizzazione del lavoro e su un controllo stretto di tutti i processi produttivi, dall’estrazione alla vendita, come ha mostrato il caso di Rocca San Silvestro (FRANCOVICH 1991; FRANCOVICH, WICKHAM 1994). Ma accanto ai poteri signorili, dall’XI secolo, appaiono nella nostra area gli interessi diretti della città ed in primo luogo di Pisa. Attraverso una serie di tappe volte alla formazione di un contado pisano nella Maremma, i ceti urbani riuscirono nel controllo degli scali portuali, come il castello di Piombino, essenziali per lo smercio delle materie prime qui prodotte (metallo, grano, sale)9. Complice nell’espansione del dominio pisano fu anche la politica di alleanze matrimoniali svolta dai Gherardeschi che dalla fine del X secolo si legarono indissolubilmente alla città marinara, permettendo ad alcuni rami della casata di inurbarsi (CECCARELLI LEMUT 2004, p. 60). Nelle alterne vicende in atto nel corso del Duecento si può mettere in evidenza il tentativo pisano di espandere i propri possessi con politiche di alleanza nei confronti dei vescovi di Volterra, Massa Marittima e degli Aldobrandeschi, bruscamente arrestato a causa della crisi seguita alla sconfitta subita dalle navi pisane alla Meloria (1284) e della ribellione di varie comunità della Toscana meridionale che tentarono di sottrarsi al patronato politico cittadino. Contemporaneamente si attueranno i primi tentativi di penetrazione in queste aree di un’altra città, quella di Siena (CECCARELLI LEMUT 2004, pp. 64-67). Dalla metà del XII secolo la comunità senese iniziò a guardare alla Maremma come ad una possibile area di conquista, ma solo dagli inizi del XIII secolo sviluppò un accordo con gli Aldobrandeschi, fortemente presenti in questa zona, ponendo una sorta di protettorato sulla famiglia (REDON 1994, p. 143). Dal 1203 Siena istituì una dogana del sale anche a Grosseto, destinata a controllare tutta la commercializzazione del sale prodotto in Maremma ed a creare una società commerciale tra la città stessa e gli Aldobrandeschi. Così le prime basi per la penetrazione economica in Maremma erano poste, con presidi ubicati in aree strategiche per il controllo, come Montemassi e Castel di Pietra. Nel corso di tutto il Duecento, le lotte tra fazione guelfa e 8 Si tratta dei monasteri di Falesia (1022), S. Maria di Asca (1087), S. Maria di Montescudaio (1091) e S. Maria di Serena nella Val di Merse. 9 Il castello di Piombino, fondato dai monaci del cenobio di S. Giustiniano di Falesia nel corso dell’XI secolo, nel 1135 viene definitivamente conquistato da Pisa che ne utilizza lo scalo portuale nella guerra contro Genova (CECCARELLI LEMUT 2004, pp. 59-61).

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Nei primi decenni del IX secolo, nell’826, un esponente della famiglia è rettore della chiesa di S. Regolo in Gualdo, posta a controllo di vari beni fondiari e di alcune curtes, come Paterno e Paganico, per conto del vescovo stesso (FARINELLI 2007).

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LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO ghibellina furono fortemente sentite in Maremma e impegnarono Pisa e Siena nella riconquista di molti castelli e comuni ribellatisi ai patronati politici: sarà in questo momento che alcuni tra gli insediamenti che abbiamo analizzato si popolarono di guarnigioni militari, inviate dalla città a controllo dei territori, come accadrà a Campiglia, a Montemassi, a Suvereto (CECCARELLI LEMUT 2004, P. 65; REDON 1994, pp. 146-159). Durante questi eventi anche il comune di Massa Marittima si svincolò da un protettorato che lo aveva legato a Pisa per oltre quaranta anni, dal 1226 al 1267, assicurandogli la tutela dei commerci marini, ma con l’imposizione di tasse e di un podestà pisano (CECCARELLI LEMUT 1985, p. 61). È soprattutto con lo sfaldamento dei domini pisani che si fecero più evidenti i tentativi di Siena e di altre città come Volterra e Massa Marittima di espandere i propri diritti sui castelli, a scapito delle consorterie che si erano conquistate un saldo patrimonio in questi territori, come i Pannocchieschi (CECCARELLI LEMUT 1985, p. 53). Dalla prima metà del XIV secolo Siena riuscì ad attrarre nell’orbita della sua influenza politica questa parte del territorio maremmano giungendo fino alla costa, con la conquista di Massa Marittima nel 1335 e, l’anno dopo, con l’integrazione definitiva di Grosseto nel proprio contado (REDON 1994, pp. 152-159). Ma una forte crisi interessò alla metà del Trecento parte dei castelli, soprattutto quelli legati allo sfruttamento delle risorse minerarie come Rocca San Silvestro, Cugnano o Rocchette. Il tentativo dei comuni di subentrare alle gestioni signorili nei castelli di Cugnano e Rocchette (rispettivamente Siena e Massa Marittima) ed i tentativi di fermare l’emorragia di uomini verso la città non servirono a rilanciare un settore economico che non riusciva a competere con la nuova organizzazione del lavoro, basata sulla forza idraulica e con lo spostamento degli interessi minerari verso altre aree della penisola, come la Sardegna (FRANCOVICH 1991, CECCARELLI LEMUT 2004, GUIDERI 1996-1997). Le vicende dei castelli maremmani vissero qui il loro punto di svolta: molti insediamenti furono abbandonati mentre altri si avviarono verso uno sviluppo come entità comunali; il contado pisano passerà nel 1406 al dominio fiorentino mentre le aree di pertinenza senese rimasero sotto il controllo della città e di famiglie magnatizie cittadine ancora sino al 1555 quando la famiglia fiorentina dei Medici conquistò politicamente lo stato senese.

luoghi deputati alla produzione del vasellame (Fig. 2). Tra i luoghi di consumo, vi sono otto insediamenti fortificati per iniziativa signorile ed una città di età classica, della quale abbiamo trattato soltanto i contesti medievali relativi alle frequentazioni successive all’abbandono del sito di periodo classico. Tra gli otto insediamenti fortificati è stato possibile operare un’ulteriore distinzione in tre gruppi: • un primo che contiene centri di aggregazione demica, ma anche di controllo politico ed economico del territorio, caratterizzati dalla lunga durata, trattandosi di rocche poste nella porzione sommitale di borghi ancora abitati; • un secondo che comprende tre castelli a vocazione mineraria, oggi siti abbandonati; • un terzo infine che comprende due insediamenti abbandonati nel corso del XIV secolo. Nel primo gruppo dei castelli abbiamo inserito tre siti fortificati nei secoli centrali del medioevo (Montemassi, Campiglia Marittima, Suvereto), ma nei quali l’evidenza archeologica emersa dagli scavi ha permesso di mettere in luce una presenza abitativa che risale all’età classica e che giunse con alcune cesure sino al medioevo. Lo studio della cultura materiale di questi siti, in particolare a Montemassi e Campiglia, ne ha caratterizzato le prime fasi insediative ed i tratti economici, le strutturazioni gerarchiche ed il loro sviluppo nel corso di tutto il medioevo. L’analisi del consumo delle ceramiche ha permesso inoltre di conoscere le linee commerciali attive nell’altomedioevo e di capire i rapporti tra questi insediamenti (curtes o villaggi) ed altre realtà, come quelle cittadine. I due siti sono uniti da una continuità abitativa che è giunta sino ai nostri giorni, tanto che potremmo definirli siti “vincenti”, in quanto sono sopravvissuti ancora oggi gli abitati formatisi nel corso del tempo intorno ai casseri fortificati, pur con l’abbandono di questi ultimi, divenuti invece aree ortive o giardini pubblici (BIANCHI 2004a; BRUTTINI 206/2007; CUTERI 1990). Nel secondo gruppo dei castelli sono stati trattati tre siti minerari, Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi, Cugnano. Quello che abbiamo definito come “castello minerario” è un insediamento fortificato di tipo accentrato con una specializzazione artigianale collegata alla lavorazione dei metalli monetabili (rame, argento, piombo). Questa tipologia di insediamento può essere paragonata ad una sorta di villaggio specializzato, creato appositamente per lo sfruttamento di una determinata risorsa10. Il castello minerario, così definito, nel nostro lavoro è legato ad una precisa cronologia, non anteriore per la

2. L'oggetto della ricerca 2.1 I caratteri degli insediamenti La varietà dei contesti insediativi utilizzati nel corso della ricerca ci ha aperto la possibilità di effettuare la nostra analisi all’interno di un territorio guardando a tutte le realtà umane esistenti. I percorsi di tale lavoro si sono snodati infatti attraverso lo studio della cultura materiale di centri oggi abbandonati e centri ancora viventi, tra cui insediamenti semi-urbani, castelli signorili, spesso con vocazioni produttive peculiari (castelli minerari), siti rurali non incastellati ed infine aree identificate come

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Nel caso della risorsa mineraria (come di altre risorse del sottosuolo collegate ad ubicazioni precise) la fondazione di centri nelle vicinanze delle vene di minerale è stata un’iniziativa commerciale attuata sino ai giorni nostri (MALANIMA 1995). Basti pensare, nello stesso comprensorio nel quale si trovano i castelli da noi esaminati, al villaggio di minatori di Niccioleta, sorto ex-novo negli anni Trenta del XX secolo per volontà della società “Montecatini”, al fine di intraprendere un ciclo di lavoro continuato nello sfruttamento delle vene di pirite.

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FRANCESCA GRASSI Toscana alla fine del X secolo. Ma spesso, come recentemente è stato sintetizzato (FRANCOVICH, HODGES 2003; FRANCOVICH 2002 e 2004), tale forma insediativa è stata solo l’ultima tra le mutazioni che hanno coinvolto questi poli abitativi dal momento della loro nascita. Tra gli insediamenti minerari presi in esame, si possono distinguere due gruppi, corrispondenti a modelli insediativi distinti: a. castelli minerari di nuova fondazione. Rientra in questo gruppo Rocca San Silvestro, castello di fondazione signorile (famiglia dei Gherardeschi) sorto exnovo alla fine del X secolo nei pressi di giacimenti di piombo argentifero (FRANCOVICH 1991; FRANCOVICH, WICKHAM 1994). b. Fortificazioni di insediamenti accentrati formatisi già nell’altomedioevo. Rientrano in questo secondo gruppo i castelli di Rocchette Pannocchieschi (BELLI, DE LUCA, GRASSI 2003; BOLDRINI, GRASSI 2003, GRASSI c.s.) e Cugnano (BELLI, FRANCOVICH, GRASSI, QUIROS CASTILLO 2005; BRUTTINI, FICHERA, GRASSI 2009 ). La nostra analisi della cultura materiale di questi siti non si è limitata alle fasi castrensi, ma ha toccato tutta la diacronia insediativa al momento conosciuta, al fine di analizzare le modalità di vita degli abitanti, confrontare le fasi della nascita con quelle più tarde del castello, evidenziarne differenze e somiglianze per comprendere lo status sociale degli abitanti. Inoltre, l’analisi delle provenienze delle ceramiche e dei contatti commerciali, da ciò evidenziabili, ha offerto una fotografia della realtà economica presente all’interno del sito e nel territorio circostante. Una delle domande che ha guidato la nostra analisi dei castelli minerari, alla luce dei modelli proposti per spiegare la nascita del villaggio accentrato in Toscana, è quella sul ruolo giocato dalle risorse minerarie nel momento in cui questi siti si formarono. Erano già siti minerari o lo diventarono con la trasformazione in castelli? Ed inoltre, può l’analisi della cultura materiale aiutarci a cogliere peculiarità ed indizi sul ruolo economico svolto dal sito?

commerciali che in seguito furono monopolio delle produzioni locali (APROSIO 2004; GRASSI 2005 e 2006b). La seconda classe di siti analizzati comnprende i luoghi di consumo e di commercio, che hanno avuto nel medioevo un ruolo importante non solo nell'utilizzo di prodotti ceramici locali o importati, ma anche nella commercializzazione degli stessi e nel farsi veicolo per l'arrivo di ceramiche provenienti da centri produttivi toscani (come Pisa) ed esteri. È stato inserito qui il castello di Piombino, oggetto di vari interventi archeologici effettuati all'interno del castello (BIANCHI 1999) e nella chiesa di S. Antimo ai Canali, della quale è stata svuotata la volta (BIANCHI, BERTI 2007). Si è trattato di contesti ceramici che ci hanno illustrato la cultura materiale piombinese in due secoli specifici del bassomedioevo, il XIII ed il XIV. Infine, sono stati trattati i luoghi della produzione, due siti produttivi di ambito rurale, appartenenti a momenti cronologici ben distinti, corrispondenti per il primo (Roccastrada, GUIDERI 1996/1997 e 2000) alla tarda antichità-altomedioevo (V-VI e VII-X) e per il secondo (Fauglia e Palaia, CIAMPOLTRINI 1979 e 1996; DANI, VANNI DESIDERI 1981) al bassomedioevo (XI-XII). Questi siti, caratterizzati dalla presenza di scarti di ceramica rinvenuti durante lo svolgimento di campagne di ricognizione territoriale, sono uniti da due fattori: la loro ubicazione geografica, posta in campagna, ma lungo vie di commercio terrestri (l’Aurelia per Roccastrada) o fluviali (il fiume Arno per Fauglia e Palaia) e secondariamente l’assenza di indagini stratigrafiche11. Nonostante la mancanza del dato di scavo, una nuova attenta analisi delle informazioni allora ricavate, alla luce delle odierne conoscenze sulle tipologie ceramiche, sugli insediamenti rurali e sui consumi ha permesso di inquadrarli in maniera più attenta, evidenziando le peculiarità produttive e la realtà economica nella quale si inserivano. A questo si è aggiunta la possibilità di effettuare analisi archeometriche sugli impasti ceramici che caratterizzavano l’impianto di Roccastrada, al fine di ricostruire le modalità e le tecnologie produttive (BASILE 2006/2007; BASILE, GRASSI, RICCARDI, BASSO 2008). In tutta la parte di questo lavoro dedicata alle ceramiche osservate ed analizzate all'interno del sito di ritrovamento, il criterio di distinzione per tipologie di insediamento è stato quello principale per l'esposizione analitica dei reperti, ma non è stato l’unico. Infatti, ciò che differenziava questi siti era anche la loro ubicazione geografica, più o meno prossima alla zona costiera. Nel bassomedioevo questa diversa collocazione geografica determinò contesti ceramici omogenei e sovente monopolizzati dalle presenze pisane e dall'arrivo di prodotti di importazione e di contro un'area dell'entroterra nella quale l'influsso senese o volterrano fu dominante. Ma anche nei secoli altomedievali, nei quali l'influsso che la città operò in ambito rurale è apparso assai ridotto, la zona di costa si è mostrata come luogo di

Nel terzo gruppo dei siti fortificati sono stati inseriti il castello di Donoratico e Castel di Pietra, due insediamenti oggi abbandonati completamente, entrambi caratterizzati da una lunga durata di frequentazione che risale perlomeno all’età ellenistica. Nella tarda antichità e nell’altomedioevo questi siti furono luogo di importanti agglomerati demici, in seguito fortificati a partire dal X secolo (BIANCHI 2004b; CITTER 2009). Infine, la sezione dei siti di consumo ha compreso Populonia, città di età classica e castello durante il medioevo, di cui abbiamo analizzato i reperti provenienti sia dall'area dell'acropoli classica ovvero da alcuni riusi altomedievali e medievali della città romana sia da alcuni contesti abitativi esterni al castello, prossimi ad un edificio ecclesiastico (loc. San Cerbone vecchio). Lo studio di questi materiali ceramici provenienti dal promontorio populoniese ci ha permesso di allargare la visuale della nostra ricerca a quelle produzioni che giungevano nei primi secoli del medioevo da aree a sud della Toscana, come il Lazio, occupando spazi

11 Ad eccezione dei casi cittadini, per la campagna mancano completamente i dati sulla strutturazione delle officine medievali e sulla loro gestione. Per la città si veda ad esempio BERTI et alii 1995.

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LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO maggiore apertura ad influssi esterni ed area di produzione di classi ceramiche complesse (con rivestimenti, ad esempio), mentre nell'entroterra la produzione era ancora contraddistinta da soli prodotti acromi. La diversa appartenenza geografica corrispose in molti casi anche ad una sfera politica legata a due diverse signorie, quella dei Gherardeschi per l'area costiera e quella degli Aldobrandeschi nei territori interni. L'analisi della cultura materiale ha mostrato che nette e marcate furono le differenze tra l'una e l'altra sfera politica e ben diversa la "gestione del potere" operata dai gruppi familiari nel corso dei secoli. Questo fattore sembrò determinare ruoli economici distinti per i due territori: aperta agli arrivi esterni e alle innovazioni tecnologiche la costa, impermeabile a questi stessi influssi l'interno. Inoltre, quello che è apparso lucidamente è stato la mancanza di forti contatti tra le due realtà territoriali, con le aree interne costantemente tese ad una sorta di autosufficienza.

2005, p. 51). Lo stesso problema si è posto per il secolo VIII, al momento documentato soltanto da un campione di semi proveniente da Rocchette, ugualmente privo di associazioni ceramiche. Si tratta di dati, in entrambi i casi, molto utili per ricostruire la diacronia insediativa dei siti e per datare alcune strutture abitative, le prime documentate, ma non utilizzabili direttamente per le sequenze ceramiche (Fig. 3). Nonostante la mancanza di associazioni tra campioni radiocarbonici e contesti ceramici, almeno per il VII e l’VIII secolo, le tipologie ceramiche sono state proposte basandosi su numerose forme presenti in maniera residuale nei depositi di IX e X secolo, soprattutto nei siti di Montemassi e Rocchette Pannocchieschi nei quali questa fase cronologica fu sicuramente caratterizzata da villaggi già strutturati in maniera complessa, in gran parte cancellati dalle successive sequenze insediative. Questa selezione di materiali, attribuita al VII e VIII secolo è stata in seguito confermata dalle datazioni ricavate attraverso il confronto con l’edito relativo a siti archeologici dell’Italia centrale. Il IX ed il X secolo si sono presentati al contrario ricchi di depositi nei quali i carboni erano in associazione con materiali ceramici, spesso ben conservati ed è proprio da questa solida base cronologica che siamo riusciti a creare una tipologia delle ceramiche per ogni sito esaminato. Per quanto riguarda l'XI ed il XII secolo, la buona affidabilità di alcuni campioni assieme alla conoscenza più approfondita delle ceramiche legate a questi secoli ci ha permesso di convalidare molte delle conoscenze già a nostra disposizione. Infatti le tipologie ceramiche presenti in questi secoli nel territorio della Toscana meridionale sono ben riconoscibili da caratteri tecnici e formali che sono stati messi in luce in recenti lavori di sintesi (ad esempio per Campiglia BOLDRINI, GRASSI, LUNA, PORRAS, FORTINA, MEMMI TURBANTI 2004 e BOLDRINI, GRASSI 1999; per Donoratico GRASSI, LIGUORI 2004 e per Rocca San Silvestro BOLDRINI, GRASSI 1997). Inoltre, in questi secoli le associazioni tra ceramiche di varia provenienza (locali o importate) ci ha permesso di utilizzare una molteplicità di indicatori per la datazione di molti contesti stratigrafici. Infatti è dall'XI secolo che compaiono nei siti esaminati le prime ceramiche di importazione, spesso con datazioni puntuali ottenute dal confronto con i bacini ceramici murati sulle chiese pisane (BERTI, TONGIORGI 1981a). Così, invetriate alcaline di origine orientale, ceramiche islamiche come quella decorata a Cobalto e Manganese, ma anche prodotti nazionali come le invetriate provenienti dall'Italia meridionale o graffite arcaiche tirreniche prodotte a Savona ci hanno offerto una possibilità di datazione per tutte le ceramiche locali ad esse associate. Nel XIII e XIV secolo si sono aggiunte alle ceramiche di importazione quelle di produzione regionale con rivestimenti composti da smalto o vetrina che ci hanno fornito, in particolare le maioliche arcaiche pisane, dei termini cronologici molto rigorosi per le produzioni locali. Per il bassomedioevo inoltre i rinvenimenti monetali in associazione ai contesti esaminati hanno favorito un'ulteriore verifica delle datazioni proposte per la ceramica (CICALI 2004; CICALI 2005).

2.2 Le cronologie Un punto della nostra ricerca che ha assunto molta importanza, soprattutto per i secoli altomedievali, è stato quello relativo alla datazione dei tipi ceramici. Le scansioni cronologiche delle tipologie ceramiche nei singoli siti ed in seguito nella cronotipologia di area sono scaturite da due modalità di datazione: 1- utilizzo di datazioni assolute attraverso analisi radiocarboniche; 2- utilizzo di associazioni con materiali datanti all'interno dei contesti, quali ceramiche di importazione, ceramiche con rivestimenti vetrosi o stanniferi, monete, vetri. L’uso delle datazioni radiocarboniche all’interno di tre siti differenti (Cugnano, Montemassi, Rocchette Pannocchieschi) era mirato in particolare all'ottenimento di cronologie assolute per le fasi insediative altomedievali e per le prime fasi castrensi. Trovandosi infatti a dover analizzare una mole cospicua di ceramica relativa a queste fasi insediative, il problema principale era sembrato quello di non affidarsi soltanto a confronti formali per ottenere delle scansioni cronologiche, ma ad un metodo che ci fornisse maggiore scientificità e ci permettesse di avere delle cronologie sicure nelle quali inserire le stesse seriazioni tipologiche. I campioni scelti hanno coperto un arco cronologico dal VII-VIII secolo al XII-XIII secolo ed un'area geografica che ha interessato un sito nell'immediato entroterra (Montemassi) e due castelli minerari nel cuore delle Colline Metallifere (Rocchette e Cugnano). Si tratta nella totalità di 27 campioni, dei quali 20 relativi a carboni, 2 relativi ad ossa umane e 5 relativi a semi combusti. I dati ottenuti hanno permesso di ottenere molta precisione per i reperti databili tra IX e XI secolo, mentre l'esiguità dei campioni non ha permesso di avere la stessa affidabilità per l'VIII secolo e soprattutto per il VII secolo. Infatti, tra i campioni utilizzati, soltanto un carbone proveniente da Cugnano presenta un picco di probabilità in questa fase insediativa così antica, senza peraltro permetterci l'associazione con materiali ceramici, pressochè assenti nel deposito in questione (BELLI et alii 6

FRANCESCA GRASSI classica i riusi abitativi di alcune parti abbandonate e di studiare quali merci potessero ancora giungere tra V e VI secolo in questa area costiera. Dall'altro, il caso di Roccastrada, in quanto centro produttivo e non di consumo, ci ha posto di fronte ad altri aspetti dello stesso problema, quelli legati alla fabbricazione del vasellame, in modalità e tipologie che abbiamo cercato di definire. La restituzione ceramica dei secoli dell’altomedioevo, come detto, è stata centrale nello svolgimento di questo lavoro perchè da lì partivamo, con un totale di 8352 frammenti ceramici, per osservare ed analizzare la nascita dei corredi medievali e lo svilupparsi di tendenze produttive spesso già radicate a partire dal VI -VII secolo. I corredi ricomposti, multiformi per provenienza sociale ed insediativa, ci hanno permesso di lavorare su un campione molto vasto e di tentare una ricostruzione sociale ed economica del villaggio altomedievale in questa porzione regionale. I materiali provenienti da Roccastrada infine, coprendo anche i secoli altomedievali, hanno stimolato un discorso complessivo sui centri di produzione ceramica. Con il compiersi dell’incastellamento, che caratterizza tutti gli insediamenti, ad eccezione dei siti produttivi e dei contesti ecclesiastici o di età classica (Populonia e S. Antimo a Piombino), i materiali esaminati, relativi a 17766 frammenti ceramici, hanno fornito un quadro preciso dei corredi delle dimore signorili e di quelle dei contadini o di artigiani specializzati nella lavorazione dei metalli monetabili. Con i secoli XI e XII inoltre la ceramica analizzata comprende un quantitativo di materiali non prodotti a livello regionale, definiti di importazione, che hanno allargato la visuale della ricerca dallo studio dei contesti domestici a quello delle circolazioni mediterranee. Infine, per i secoli XIII e XIV, i 38718 frammenti presi in esame hanno fornito un campione completo ed affidabile per confermare o mostrare ex-novo alcune linee di tendenza regionali, come la sempre maggiore influenza delle città nelle campagne, non solo nella produzione ceramica, ma anche nella circolazione dei prodotti e delle maestranze, soprattutto con l’avvento delle classi ceramiche da mensa, ed in particolare della maiolica arcaica e delle ceramiche invetriate.

2.3 Le analisi quantitative della ceramica A livello quantitativo, le ceramiche utilizzate per questa ricerca sono il frutto di circa un decennio di attività di schedatura dei reperti provenienti dai castelli della Toscana Meridionale, oggetto di scavo da parte dell'Università di Siena, a cui si sono aggiunte le schedature specifiche effettuate tra il 2003 ed il 2005 durante il dottorato di ricerca di chi scrive. Queste schedature comprendevano nella totalità circa 65.000 frammenti ceramici dai quali sono state estrapolati un totale di circa 400 tipi ceramici subregionali compresi nell'arco cronologico VIII-XIV secolo e comprendenti tipologie ceramiche sia prive di rivestimento sia rivestite con ingobbi, vetrine o smalti (Fig. 4)12. Il campione di ceramica schedata non ha compreso sempre la totalità dei rinvenimenti effettuati in ogni sito: infatti, se circa un decennio fa, quando è iniziato il lavoro sistematico di studio dei contesti ceramici che qui presentiamo, l'obiettivo era quello di creare una banca dati ampia delle tipologie ceramiche presenti nella Toscana meridionale, oggi la nostra ricerca si è basata essenzialmente sull'affinamento della mole di dati raccolti nel lavoro pregresso. Allo stesso modo, utilizzando una selezione impostata su domande chiave, si è basata la scelta dei reperti che hanno formato il lavoro specifico di schedatura legato al progetto di ricerca alla base di questo lavoro (20386 frammenti di ceramica per un complessivo di 2481 forme riconosciute). Il nostro scopo non era tanto quello di accrescere la mole dei reperti schedati, quanto la ricerca di contesti che potessero ampliare le nostre conoscenze su alcune questioni ancora insolute e tra queste abbiamo messo in primo piano lo studio analitico dei numerosi contesti altomedioevali provenienti da sei insediamenti e da un’area sede di un’officina ceramica (Donoratico, Montemassi, Populonia, Rocchette, Cugnano, Campiglia Marittima, officine di Roccastrada). I dati che si possono oggi raccogliere sulla cultura materiale di alcuni villaggi toscani vissuti tra VIII e X secolo ed in seguito trasformatisi in castelli sono a nostro parere di rilevante importanza per contribuire alla caratterizzazione del tessuto sociale ed economico alla base della rinascita dei siti accentrati medievali. È proprio nell'ambito dello studio delle tipologie ceramiche altomedievali che in due siti (Populonia e Roccastrada) si è presentata l'occasione di analizzare anche tipologie ceramiche relative alla tarda antichità, con il riesame o lo studio diretto di 355 frammenti ceramici, corrispondenti a 327 forme minime riconosciute. I due affondi che abbiamo effettuato relativamente ai secoli V-VI non pretendevano certo di esaurire la problematica relativa al passaggio dal mondo classico a quello medievale, momento nel quale si trasformarono le strutture produttive, i commerci ed i tipi ceramici. Da un lato il caso di Populonia, anche se unico nel nostro studio e limitato nelle quantità della ceramica, ci ha permesso effettivamente di osservare in una città

2.4 Ipotesi di un modello di produzione ceramica per le campagne della Toscana meridionale La ricostruzione delle tipologie ceramiche, del loro utilizzo e dello scambio, soprattutto per i secoli altomedievali, ci ha posto di fronte alla necessità di inserire queste informazioni all'interno di un modello ampio che permettesse di spiegare i modi in cui storicamente si era organizzata la produzione di ceramica, dalla raccolta delle materie prime al consumo del vasellame stesso. Tra i modelli interpretativi elaborati nell’ultimo ventennio per lo studio della produzione in età storica ed applicati in seguito a realtà antiche, di età classica o medievale (PEACOCK 1982; RENFREW, BAHN 1995; MANNONI, GIANNICHEDDA 1996; ARTHUR 2000), nessuno sembrava adattarsi alla realtà locale studiata. Da questi modelli abbiamo dunque estrapolato la possibilità di un utilizzo sistematico di strumenti e di categorie di

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Le schedature sono state effettuate da chi scrive e da Enrica Boldrini con il supporto costante di altre colleghe di lavoro, tra tutte Arianna Luna, e sotto la guida della Prof.ssa Alessandra Molinari.

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LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO analisi appartenenti ad altre discipline, quali l’antropologia, l’etnologia e la scienza economica, cercando di ipotizzare alcune categorie di produzione che facessero riferimento direttamente alla realtà insediativa della Toscana meridionale. I dati in nostro possesso, dai quali siamo partiti per la costruzione del modello, sono stati ricavati dallo studio delle ceramiche stesse e degli impasti e possono essere schematizzati nelle seguenti categorie di informazione: – le forme dei prodotti ceramici; – la distribuzione geografica; – la distribuzione cronologica; – la durata degli impianti produttivi (desumibile dallo studio degli impasti). Quello che invece mancava e manca ad oggi è stata senza dubbio la possibilità di studiare un impianto produttivo scavato archeologicamente e ciò ha obbligato chi scrive ad una analisi della produzione fatta esclusivamente attraverso i dati del consumo. Sono state così elaborate quattro categorie all'interno delle quali abbiamo inserito le diverse modalità di organizzazione della produzione di volta in volta riscontrate durante lo studio della ceramica.

quest’ultimi; attestazioni cronologiche senza soluzione di continuità tra VII e XIV secolo; • fabbricazione di ceramica da cucina anche provvista di rivestimenti vetrosi; • uso del tornio veloce; • cottura in fornaci stabili; • uso di argille locali; • forme di commercio diretto con i nuclei di popolamento, senza l’ausilio di centri intermedi. La ricostruzione che abbiamo effettuata è riferibile dunque ad una bottega posta in campagna e che sembra sorgere in seguito a specifiche committenze provenienti dai centri insediativi, verso i quali si orienta tutta la produzione. In queste botteghe poteva vivere stabilmente un artigiano e difatti le produzioni ceramiche erano caratterizzate dalla ripetizione costante di dettagli tecnologici facenti parte di un patrimonio di saperi tramandati nel corso delle generazioni, come l’uso delle vetrine nei manufatti da fuoco a partire dal XII secolo. La tipologia B, definita atelier specializzato, si differenzia invece per: • attestazioni cronologiche non oltre l’XI secolo; • fabbricazione di ceramiche da cucina e da dispensa, con impasti sia grossolani sia depurati; • uso di argille specifiche, ricercate per le proprie caratteristiche; • presenza di un centro intermedio funzionante come luogo di commercio dei prodotti. Tali ateliers specializzati sono stati riconosciuti in un caso dall’analisi stessa di un centro produttore, quello di Roccastrada, ed in un altro caso dallo studio delle ceramiche a vetrina sparsa, frutto di una produzione organizzata nel modo sopra descritto. L’atelier di Roccastrada produsse, tra VI e XI secolo, ceramiche grezze e fini, con l’utilizzo di argille locali miscelate ad inclusi vulcanici dell’areale di Roccatederighi, e commerciò i propri prodotti almeno in tre insediamenti distinti, quello di Montemassi, quello di Scarlino e forse quello di Castel di Pietra. Le ceramiche a vetrina sparsa invece furono fabbricate in un centro posto sulla costa, come ha mostrato l’analisi delle argille, ed in seguito vendute in vari insediamenti costieri e dell’entroterra. Tale centro, che operò almeno dalla fine del IX all’XI secolo, può definirsi specializzato sia per la capacità tecnologica messa in opera nella produzione e nel rivestimento delle ceramiche fabbricate sia per il raggio di vendita dei prodotti. •

In sintesi abbiamo elaborato le seguenti tipologie di produzione: 1- Produzione domestica sia di tipo stanziale sia di tipo itinerante. Nella Toscana meridionale, a partire dai primi contesti esaminati relativi al momento finale del VII secolo, è stata riconosciuta una forma di produzione collegata alle singole realtà domestiche e attiva soprattutto nell’arco dell’altomedioevo (VIII-X secolo) e nel Trecento. Questa forma di fabbricazione della ceramica si associa prevalentemente ai manufatti da cucina e nello specifico da fuoco, modellati sempre con argille locali, spesso senza l’ausilio del tornio e cotti in fornaci promiscue, a camera di cottura unica, allestite negli insediamenti. La “produzione domestica stanziale” veniva probabilmente svolta dai membri delle famiglie o da alcuni membri delle comunità per il proprio fabbisogno e quindi non prevedeva forme di commercio. Al contrario, quella che abbiamo definito “produzione domestica itinerante” consisteva nella fabbricazione di ceramica con tecnologie e modi come quelli descritti sopra, ma con due fattori che differenziavano i prodotti: l’uso di argille non locali e la ripetizione di alcuni modelli formali. Questa produzione era forse delegata a specialisti che lavoravano non in botteghe stabili, ma in maniera itinerante, spostandosi nelle comunità dove era richiesta la ceramica. Non è invece stato possibile accertare se vi fosse una forma di commercio del prodotto finito.

3- Produzione artigianale urbana. Questa forma produttiva e la seguente si svolgevano all’interno dei centri urbani principali od in centri intermedi che facevano riferimento alle città. In particolare, quella definita nel nostro lavoro come “produzione artigianale urbana” si riferisce a botteghe singole ubicate in città quali Pisa, Siena, Volterra od in centri intermedi come Palaia e Fauglia, operanti tra X-XI e XII secolo, precedentemente all’introduzione dei rivestimenti costituiti da smalto stannifero. In queste botteghe lavoravano maestranze cittadine utilizzando modelli di riferimento formali omologati e tecnologie

2- Produzione artigianale rurale. A) singola bottega rurale, B) atelier specializzato. Questa forma di produzione, come la seguente, è stata considerata all’interno della categoria dell’artigianato. I tratti che caratterizzano la tipologia A, singola bottega rurale, nell’area esaminata sono: • nascita intorno ai nuclei di popolamento, con collegamenti commerciali stabili con 8

FRANCESCA GRASSI codificate. Possono riferirsi a tale modello produttivo, a nostro parere, le ceramiche con rivestimenti costituiti da ingobbi rossi e le ceramiche depurate presenti nei siti del contado sino all’XI-XII secolo. Dato che la produzione avveniva in lughi distanti dai centri di consumo si deve presumere l’esistenza di mercati per la vendita dei prodotti e forse anche di figure professionali specifiche che si occupavano della commercializzazione.

3.1 L’analisi morfologica: le tipologie dei materiali La schedatura ha avuto come obiettivo principale la ricostruzione delle forme ceramiche nei contesti stratigrafici, effettuata tramite la ricerca degli attacchi: ciò ha permesso sia di facilitare la successiva quantificazione sia di lavorare alla creazione di tipologie con vasi ricostruiti nel profilo completo. Ogni forma è stata suddivisa in tipi morfologici creati inizialmente nell’ambito dei singoli siti ed in seguito raggruppati a carattere microregionale. I tipi morfologici che abbiamo distinto rappresentano pertanto dei vasi reali, con caratteristiche subordinate a parametri prestabiliti (PUCCI 1983). I tipi morfologici, collegati da caratteristiche comuni, sono stati inseriti all’interno di gruppi o famiglie di appartenenza; la famiglia ci ha permesso di non tralasciare il dato di somiglianza tra vari tipi e nello stesso tempo di non appiattire le distinzioni tra vasi che presentavano caratteristiche leggermente diverse. Abbiamo così cercato di evidenziare le caratteristiche formali simili tra i tipi, mettendo contemporaneamente in luce anche il lavoro dei singoli ateliers con le proprie diversità, nell'eventualità che tali microdistinzioni postessero essere determinanti a livello cronologico o produttivo. Il gruppo famiglia-tipo è stato ulteriormente raccolto all’interno di insiemi più grandi basati principalmente su criteri funzionali (classe funzionale espressa in numeri romani, I-V) e su criteri tecnologici (classe tecnologica espressa in numeri arabi), utilizzando lo schema seguente:

4- Produzione “industriale” urbana. La produzione urbana definita “industriale” si differenzia nel nostro lavoro dalla precedente per la cronologia, inquadrabile dal primo quarto del XIII secolo alla fine del XIV secolo, e per la fabbricazione di varie classi ceramiche, tra cui ceramiche prive di rivestimento e con rivestimenti costituiti da vetrine e smalti. Nella pratica tale produzione è stata riconosciuta nel contado da noi esaminato con l’arrivo dei primi prodotti in maiolica, assieme ai contemporanei prodotti invetriati ed a tutto il vasellame acromo di fabbricazione cittadina. Le città che commerciarono le proprie ceramiche in campagna furono principalmente Pisa, assieme a Volterra, Siena e forse, Massa Marittima. I tempi di tale commercializzazione furono diversificati e senza dubbio Pisa fu la città più precoce nell’esportare in campagna le proprie ceramiche, basandovi parte della propria politica economica. Di questa città sono riconoscibili, anche per una più radicata tradizione di studi, sia prodotti privi di rivestimento sia ceramiche rivestite. A Siena e Volterra abbiamo invece attribuito, nel corso del Trecento, maioliche e invetriate analizzate nei castelli maremmani e nel caso specifico del castello di Montemassi anche una parte di ceramiche depurate. Per la produzione collegata al centro di Massa Marittima invece abbiamo rielaborato un’ipotesi già formulata che riguardava la fabbricazione di maiolica arcaica in botteghe locali, forse riconosciuta nei reperti provenienti dal castello di Rocchette Pannocchieschi. A queste forma di produzione corrispose la presenza di mercanti che potevano occuparsi delle esportazioni nelle aree di pertinenza economica delle singole città.

CERAMICA DA CUCINA I. Ceramica da fuoco I.1 Acroma grezza modellata a mano I.2 Acroma grezza artigianale I.3 Invetriata II. Ceramica per la preparazione del cibo II.1 Acroma depurata CERAMICA DA DISPENSA III. Ceramica per la conservazione degli alimenti III.1 Acroma depurata III.2 Ceramica dipinta a colature rosse III.3 Vetrina sparsa

3. I metodi della ricerca

CERAMICA DA MENSA IV. Ceramica rivestita da mensa IV.1 Maiolica arcaica IV.2 Invetriata fine

Le linee metodologiche seguite nel corso della nostra ricerca sono state parte integrante di un percorso che ha preso inizio con il tradizionale studio tipologico del materiale, per giungere all’analisi contestuale dei reperti, associando ai dati formali quelli tecnologici e produttivi (analisi archeometriche), quelli quantitativi e quelli distributivi (nei siti e sul territorio). Le due parti di cui si compone la linea metodologica seguita (tipologie ed analisi archeometriche) hanno avuto una linea comune nell’utilizzo del computer per l’archiviazione e la gestione di tutti i dati ricavati nelle singole fasi di lavoro, in particolare per l’elaborazione dei dati quantitativi e per la distribuzione geografica dei tipi. I dati raccolti sono stati infatti gestiti all’interno di una serie di archivi relazionali che hanno fornito vari livelli di informazione, permettendone al contempo una condivisione con la totalità dei materiali provenienti dai siti indagati.

CERAMICA PER VARI USI DOMESTICI V. Ceramica per la filatura V.1 Acroma grezza V.2 Acroma depurata

Per quanto riguarda le decorazioni dei tipi morfologici abbiamo tralasciato la creazione di cataloghi divisi e di tipologie a se stanti, limitandoci a descrivere le caratteristiche decorative degli oggetti. Per la ceramica da mensa, in particolare per la maiolica, questo ha in parte costituito un limite, ma il nostro studio per le classi rivestite di produzione italiana o mediterranea ha puntato l’attenzione sul riconoscimento delle produzioni, delle tecnologie e delle provenienze, tralasciando per il momento gli aspetti “classici”, come la classificazione dei decori. 9

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO analizzate e vagliate le analisi esistenti, il passo successivo ci ha permesso di comprendere quali fossero le problematiche ancora da chiarire e di aprire una nuova campionatura di materiali. Le tematiche storiche ed archeologiche messe a fuoco riguardavano principalmente tutti gli aspetti collegati alla provenienza dei manufatti; in particolare per alcuni secoli, come quelli altomedievali, era sembrato da subito nodale l'individuazione dei luoghi di fabbricazione della ceramica, in modo da utilizzare questo dato per discutere in seguito sui commerci e sulle vie di circolazione dei prodotti, nell’ambito della nuova economia delle campagne altomedioevali. A questi scopi sono state utilizzate 219 analisi: – 100 analisi provenienti da campioni di ceramica da cucina e da dispensa, tali da permetterci una loro caratterizzazione e l’isolamento di centri produttivi rurali. – 25 analisi relative al vasellame con rivestimenti prodotto tra VIII e XI secolo, come le ceramiche con ingobbio rosso o quelle con copertura composta da vetrina piombifera. Per la ceramica con ingobbio rosso (10 analisi), data la percentuale di presenza molto variabile da sito a sito, ci è sembrato fondamentale evidenziarne il commercio ed il raggio di distribuzione e focalizzare le aree di arrivo. La caratterizzazione della ceramica a vetrina sparsa (15 analisi), molto più frequente nei siti, ha dato risultati di grande interesse per la caratterizzazione dell’ambito di produzione rurale. – 19 analisi relative allo studio delle ceramiche con rivestimenti vetrosi, da cucina e da dispensa: partendo dalla caratterizzazione della vetrina, è stato effettuato in seguito un confronto tra le vetrine sparse da dispensa e le ceramiche invetriate grezze da cucina. I risultati, di estremo interesse, hanno permesso di osservare analogie molto strette in queste classi ceramiche, tali da fare ipotizzare un'area produttiva stabile nel tempo. – 75 analisi in parte effettuate nel corso degli anni ed in parte nuove, relative alle classi acrome bassomedievali ed effettuate per accertarne l’area produttiva e la tecnologia di base. Infine, è stata effettuata nel corso del lavoro una campionatura macroscopica per la caratterizzazione delle produzioni rivestite bassomedievali presenti nella Toscana meridionale ed in particolare delle maioliche prodotte nei centri minori. Il nostro fine è stato quello di creare nuovi dati sulle produzioni di maiolica arcaica basandosi sulla fonte archeometrica, in modo da capire che ruolo abbiano svolto le singole città nella fabbricazione e distribuzione di maiolica e delineare nel contempo gli elementi base per l’individuazione di eventuali centri produttivi di maiolica arcaica presenti nel contado. Abbiamo così avviato una campionatura della produzione di maiolica dei centri minori (Volterra, Massa Marittima), distinta attraverso la correlazione di tutti i dati in nostro possesso, tra cui gli impasti, i rivestimenti, le forme e i decori. Questo lavoro ha permesso di ipotizzare 14 tipi ceramici di maiolica volterrana caratterizzati da 5 impasti distinti, datati dai contesti

3.2 Archeometria applicata ai manufatti ceramici: le analisi petrografiche e chimiche dei reperti Durante la schedatura della ceramica è stato prioritario il riconoscimento e la caratterizzazione degli impasti ceramici. Se inizialmente la classificazione di diversi impasti si era resa praticabile solo per quelli caratterizzati da un maggiore numero di inclusi (acroma grezza), dopo avere acquistato maggiore pratica siamo stati in grado di riconoscere e suddividere tutte le produzioni presenti nei siti, con il semplice ausilio di un microscopio ottico. Abbiamo così prodotto un archivio di impasti collegato ad ogni sito nel quale le singole matrici ceramiche sono state archiviate con la sigla dello scavo seguita da un numero arabo progressivo. Questa banca dati è stata quantificata per cronologie e per insediamento, permettendo il riconoscimento di botteghe e di ateliers distinti. Una volta ipotizzata la probabile quantità di officine che rifornivano di vasellame ogni sito, abbiamo effettuato analisi di dettaglio per evidenziare, se possibile, le aree di ubicazione delle stesse. Le analisi eseguite si sono basate su metodi petrografici e chimici che verranno richiamate nelle singole parti analitiche e riassunte nel catalogo di tutti gli impasti ceramici. La caratterizzazione petrografica e chimica degli impasti ci ha permesso di unirli in gruppi di somiglianza e di procedere nel riconoscimento delle produzioni guardando non più ai singoli insediamenti, ma a micro aree di riferimento. Questo lavoro ha ottenuto notevoli risultati soprattutto per le classi ceramiche con una diffusione subregionale, come le ceramiche con vetrina sparsa, le ceramiche con colature rosse o quelle da fuoco rivestite di vetrina, solo per fare alcuni esempi. Infatti, partendo dai centri di consumo, siamo riusciti a delineare zone di produzione, modalità produttive, raggio di commercio e quantitativi delle singole produzioni. Per quanto riguarda la scelta dei campioni, l’analisi archeometrica impostata per la nostra ricerca, nell’impossibilità di fare un’indagine globale sulla ceramica di tutti i siti, si è basata su due presupposti: a) l'utilizzo di campioni esistenti e la rielaborazione dei dati già raccolti sugli impasti ceramici all’interno del Laboratorio di Archeometria afferente al Dipartimento di Archeologia di Siena13. Per molti dei siti scavati esistevano già analisi effettuate per attuare una distinzione accurata dei gruppi di impasto e delle produzioni. Questi dati sono stati ripresi ed inseriti all'interno di problematiche più ampie, a carattere regionale; b) la scelta di campioni nuovi su cui dare maggiore fondamento alle linee strategiche di ricerca. Una volta 13

Il Laboratorio di Scienze Applicate all’Archeologia presso il Dipartimento di Archeologia dell'Università di Siena (LSAA, http://archeologiamedievale.unisi.it/NewPages/lsaa/archeometrico.html) comprende una sezione di studio delle ceramiche che si caratterizza per l’analisi dei materiali provenienti da ricerche sul campo, mirata allo studio ed alla comprensione di aspetti specifici delle dinamiche produttive dei manufatti antichi. Nel corso della presente ricerca il laboratorio si è avvalso della collaborazione costante con l’equipe di ricercatori guidata da Isabella Memmi Turbanti (Dipartimento di Scienze della Terra-Università di Siena).

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FRANCESCA GRASSI stratigrafici di provenienza e 2 tipi ceramici massetani. Per quanto riguarda la maiolica arcaica senese abbiamo invece avviato la sua caratterizzazione non tanto a livello formale, già ben delineata (FRANCOVICH 1982, LUNA 1999), quanto nei dettagli produttivi (GRASSI et alii 2003; FORTINA, SANTAGOSTINO BARBONE, TURBANTI MEMMI, 2004). I nuovi dati raccolti sulla maiolica arcaica senese hanno così permesso di aggiungere nel nostro lavoro alcune utili riflessioni sulla nascita e sulla distribuzione di questa classe ceramica, rivelatisi fondamentali anche per capire l’economia dei siti del contado nel bassomedioevo.

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L’inizio di ciascuna delle tre tappe segnò un momento di cesura con il passato: la seconda metà del VII secolo, vide in tutta la penisola la fine delle produzioni tardo antiche e l’avvio di quelle altomedievali (BROGIOLO, GELICHI 1997; MOLINARI 2003; VALENTI, FRANCOVICH 1997; SAGUÌ, RICCI, ROMEI 1997); nell’XI secolo si concretizzò un generale riassetto delle officine urbane e rurali e si effettuarono su larga scala le prime politiche commerciali, espansionistiche ed imprenditoriali delle città (BERTI, GELICHI 1995a; BERTI, MENCHELLI 1998; BOLDRINI, GRASSI 1999; BOLDRINI et alii 2004) ed infine nel XIII secolo fu introdotta da maestranze islamiche la tecnica della smaltatura stannifera e si attuò una “rivoluzione” nel modo di fare ceramica e di commercializzarla (BERTI, GELICHI, MANNONI 1997). Pur se pensate guardando alla storia della ceramica, queste tre divisioni cronologiche coincidono anche con alcuni dei grandi cambiamenti avvenuti a livello di paesaggio e di organizzazione sociale dello spazio in Toscana tra VII e XIV secolo, nel passaggio dal mondo antico alle prime forme di insediamento accentrato altomedievale ed infine ai castelli ed alle città (FRANCOVICH 2002, 2004; FRANCOVICH, GINATEMPO 2000; FRANCOVICH, HODGES 2003; VALENTI 2004). Per quanto riguarda la prima cesura cronologica relativa all’inizio delle produzioni medievali, è necessario effettuare una precisazione sulla data scelta, il 650 d.C. L’utilizzo di questa data come discriminante tra due mondi, quello antico e quello medievale, è accettata da gran parte degli studiosi che si occupano di medioevo utilizzando fonti archeologiche (ad esempio PANELLA 1998; WICKHAM 1999). Nell’area da noi esaminata, solo tre siti, due già editi (Montarrenti e Castel di Pietra, CANTINI 2003; CITTER 2009) ed uno inedito (Scarlino, MARASCO 2002-2003) hanno fornito sequenze insediative inseribili tra VI e VII secolo permettendoci, assieme allo studio che abbiamo effettuato della fornace di Roccastrada ed ai reperti studiati per Populonia, di affrontare un discorso complessivo sull’altomedioevo a partire dalla metà del VII secolo, nonostante i principali contesti esaminati siano da riferirsi almeno all’inizio del secolo VIII. Difatto ci è sembrato, attraverso una rilettura delle pubblicazioni relative ai tre siti, che non vi siano caratterizzazioni peculiari che permettano di distinguere la cultura materiale della seconda metà del VII da quella dell’VIII secolo. L’unica eccezione sembrerebbe la presenza in forma residuale sia di ceramiche fini di produzione locale che imitavano le sigillate sia di ingobbiate di rosso da attribuirsi a cronologie comprese fino alla metà del VII piuttosto che all’VIII secolo. Infatti, a conferma di ciò, nella sequenza di Montarrenti (CANTINI 2003), alla minuziosa ricostruzione del primo villaggio fortificato, datato alla seconda metà del VII secolo, provvisto di una doppia palizzata che racchiudeva capanne rettangolari ed ovali, fa seguito la descrizione di una cultura materiale già pienamente medievale, eccetto un frammento residuale pertinente ad una ciotola ingobbiata di rosso (idem, p. 141). Invece a Scarlino (MARASCO 2002-2003) e Castel di Pietra (CITTER 2009; VACCARO 2002, pp. 133-135), dove la sequenza è stata retrodatata di circa un cinquantennio, vi era maggiore presenza di forme da mensa di imitazione, acrome od ingobbiate di rosso, ritenute in fase

PRIMA PARTE I quadri tipologici, produttivi, distributivi e di consumo della ceramica Introduzione Questa parte di lavoro è dedicata alla ricostruzione dei quadri produttivi, distributivi e di consumo della ceramica tra VIII e XIV secolo nelle campagne della Toscana meridionale centro-tirrenica. La nostra ricostruzione verrà inoltre allargata anche al confronto con alcune città, come Siena, Volterra, Pisa e all’analisi del rapporto che si è instaurato nel corso dei secoli tra il contado e le realtà insediative urbane. L’approccio ad aree regionali o subregionali è stato a nostro parere molto fruttuoso soprattutto per i secoli altomedievali. Infatti, con la crisi del complesso sistema di scambi vincolato al mondo romano, la cultura materiale di tutte le aree che si affacciavano sul bacino del Mediterraneo si parcellizzò e si crearono dei “microcosmi culturali” (WICKHAM 1994; ARTHUR, PATTERSON 1994; BROGIOLO, GELICHI 1997; MOLINARI 1994). Al contrario, nei secoli dall’XI al XIV secolo, dopo la ripresa dei commerci anche a lunga distanza, tale approccio sarebbe risultato fortemente limitante, ed è per questo che nella nostra analisi abbiamo introdotto sia il confronto con la città e con le tendenze che si riscontravano in area urbana sia tutte le informazioni raccolte attraverso lo studio dei contatti commerciali che i siti oggetto della ricerca ebbero con altre realtà regionali, nazionali e mediterranee. In questo quadro cronologico e geografico, la ceramica, nostro punto di partenza, ci ha permesso di guardare a tutta la realtà economica e sociale della Toscana nel medioevo: da un lato, affrontando con la stessa meticolosità tutto il panorama del vasellame presente in ogni arco cronologico, frutto di produzioni domestiche come di commerci a lunga distanza, dall’altro considerando i reperti ceramici come una traccia materiale di chi li aveva usati, in grado dunque di mostrarci le sue abitudini, i suoi gusti, le sue preferenze alimentari, le sue necessità, i suoi gesti quotidiani. Così crediamo sia stato possibile fare anche una “storia dell’uomo” in quanto produttore, acquirente e consumatore. Nella pratica, abbiamo articolato il nostro lavoro in blocchi cronologici molto ampi, inserendovi la storia dei prodotti ceramici, ma anche dei processi produttivi, dei luoghi della produzione, del consumo e dello scambio. I blocchi cronologici individuati sono stati tre e la scelta è stata effettuata pensando ai diversi punti di svolta rintracciabili in sette secoli di storia delle produzioni ceramiche: 1- seconda metà VII secolo - X secolo: nascita e sviluppo delle produzioni medievali; 2- XI secolo - XII secolo: il rinnovamento delle produzioni ceramiche e l’affermazione dei prodotti urbani nei mercati rurali; 3- XIII secolo - XIV secolo: la nascita e la diffusione dei corredi rivestiti da mensa.

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LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO con le stratigrafie e non residuali e perciò datanti la formazione dei villaggi alla fine del VI secolo. Prima del capitolo relativo alla formazione delle produzioni ceramiche medievali (2. I secoli VII (seconda metà) - X), abbiamo inoltre inserito una breve riflessione sul periodo compreso tra l’età romana e la metà del VII secolo, scegliendo di affrontare uno studio dei secoli della transizione (seconda metà IV-metà VII secolo) attraverso alcune sintesi edite di carattere regionale che coprivano questo arco cronologico. Le successive cesure cronologiche individuate sono state trattate in due capitoli distinti (3. I secoli XI e XII e 4. I secoli XIII e XIV) e abbiamo affrontato, rispettivamente, la fase di rinnovamento delle produzioni ceramiche, legata a nostro parere ad un riassetto di tipo urbano e rurale delle fornaci nonchè alle modifiche avvenute nel paesaggio insediativo, ed infine il momento di nascita delle produzioni di maiolica arcaica che segnò non solo una rivoluzione di tipo produttivo e commerciale, ma anche di carattere culturale con la definitiva nascita, o se vogliamo “rinascita”, del corredo da mensa. Ogni blocco cronologico trattato, ad eccezione del capitolo 1 sulla produzione nella tardantichità, è stato strutturato in tre parti: una prima dedicata all’illustrazione delle tipologie ceramiche e delle funzioni di ciascuna forma in relazione ai dati disponibili sull’alimentazione; -una seconda riguardante in maniera specifica la produzione ceramica e le forme di scambio e/o commercio rintracciate dallo studio dei vasi; -una terza nella quale sono stati inseriti e sintetizzati i dati sul consumo e, dove possibile, confrontati con esempi cittadini desunti dall’edito.

delle produzioni fini locali a partire dal IV secolo avanzato e alla loro progressiva affermazione a svantaggio della ceramica di importazione africana e orientale. Queste produzioni erano ancora inserite all’interno di circuiti produttivi e distributivi ad ampio raggio e la percentuale della loro presenza rispetto alle importazioni determinò una Toscana fortemente divisa in aree subregionali, almeno sino al VII secolo. Vi erano infatti luoghi con minore o maggiore accesso a questi prodotti e questo dato avrebbe portato presenze molto variabili tra il vasellame di importazione e quello di imitazione. Infatti, nei siti di costa, il predominio dei prodotti locali si ridusse a favore delle importazioni africane e orientali giunte attraverso il commercio 1 marittimo . Le forme ceramiche prodotte, acrome o rivestite di ingobbi rossi, ricoprivano una domanda ancora molto alta nell’ambito del corredo da mensa, rifacendosi ai modelli proposti dalle ceramiche sigillate (scodelle, tazze e forme chiuse) e solo a partire dal VI secolo si è notata la comparsa di forme che servirono come modello per i tipi medievali, quali l’orciolo, l’olla, od il catino con orlo rientrante. I luoghi produttivi identificati ad oggi per i secoli in questione sono nelle città (Lucca, Pistoia, Fiesole), ma anche variamente dislocati nelle aree esterne ai centri urbani, in zone dove, a fronte di una domanda comunque ancora presente e diversificata, non riuscivano più a giungere le ceramiche di importazione. Le officine cittadine, almeno sino al VI secolo, furono ben strutturate ed in grado di rifornire ampi territori con ceramiche di produzione locale di alta qualità, cotte in ambiente ossidante, appartenenti alla categoria del vasellame da mensa e da fuoco. A queste officine si affiancarono impianti produttivi inseriti nel territorio che producevano ceramica fine e grossolana, rispondendo ad una richiesta proveniente dalla città stessa e dai siti rurali. Per quanto riguarda gli scambi, sono stati ipotizzati tra città e siti rurali, anche a lunga distanza, mentre i commerci mediterranei transnazionali avrebbero interessato solo alcune aree costiere ed a dimostrazione di ciò le anfore africane, introvabili nell’entroterra, erano distribuite solo nei siti di costa. Dalla fine del VI secolo, conseguente al crollo del mercato urbano, vi fu una presenza minima di importazioni e con il VII secolo sembra aprirsi un periodo nel quale, ad un quadro delle produzioni limitato ed in parte impoverito dal punto di vista formale (pur continuando a persistere vasellame con rivestimento ad ingobbio rosso), si contrappose una domanda sempre forte e presente, soddisfatta interamente da prodotti locali. Queste in sintesi le linee generali delle produzioni ceramiche della tardoantichità all’interno delle quali sono rintracciabili alcune tendenze che meritano di essere evidenziate, in quanto introducono degli elementi utili alla comprensione del quadro ceramico successivo: a) le città svolsero un ruolo nelle produzioni ceramiche che ci sembra continui ad essere fondamentale per tutto

1. Gli antecedenti: la fine delle produzioni antiche (seconda metà IV- prima metà VII secolo) Per effettuare una breve sintesi sulla fine delle produzioni antiche abbiamo utilizzato tre distinte proposte avanzate per la Toscana partendo sia da studi di carattere subregionale sia dall’analisi delle produzioni ceramiche di singoli siti. Gli studi non coprono tutta la superficie della regione, ma le argomentazioni effettuate possono essere ampliate, permettendoci di intravedere degli andamenti tipici nella produzione ceramica in Toscana per i secoli IV-VII. Si tratta della sintesi compiuta sulla Toscana settentrionale, in particolare sul Valdarno fiorentino e pisano-lucchese, tra seconda metà IV e VII secolo (CIAMPOLTRINI 1998) e di due ulteriori proposte, una prima di ampio respiro e con carattere regionale (FRANCOVICH, VALENTI 1997; VALENTI 1999; VALENTI 2004), una seconda basata sugli scavi di Santa Maria della Scala (MILANESE 1991 e CANTINI 2005); entrambe affrontano una diacronia più lunga, sino al X secolo, ma qui abbiamo posto attenzione solo all’arco cronologico IV-VII secolo. I tre studi hanno messo in luce alcuni elementi essenziali per la comprensione delle produzioni ceramiche del periodo della transizione e sintetizzandoli è stato possibile ritrovarvi anche alcuni temi rintracciabili nelle successive fasi medievali. Innazitutto, molta attenzione è stata riservata alla nascita

1 Un esempio e il quartiere portuale di Vada Volaterrana (PASQUINUCCI, MENCHELLI 1994 e 1996; DEL RIO, VALLEBONA 1996; PASQUINUCCI et alii 1998a, 1998b) dove sono attestate ceramiche di importazione africana sino all’inizio del VI secolo.

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FRANCESCA GRASSI l’altomedioevo. In parallelo, un analogo ruolo fu esercitato dalle produzioni nate in ambito rurale, che si manterrà per tutto il periodo successivo. Con l’altomedioevo, perlomeno in campagna, si perderà il carattere “industriale” della produzione, mentre la città ed il suo hinterland sembrano rimanere luogo privilegiato per la produzione, sia per risorse disponibili sia per uso di tecnologie. b) La vivacità degli scambi a carattere subregionale, anche nel VII secolo, fu il presupposto di una richiesta alta di vasellame: questa domanda potrebbe esssere la base fondamentale per lo sviluppo e la crescita delle singole botteghe rurali e dei nuovi poli produttivi accentrati, che caratterizzeranno la fabbricazione di ceramica nelle campagne della Toscana meridionale tra VIII e X secolo. c) La rarefazione dei commerci a lunga distanza che interessarono solo certe aree costiere, almeno sino al VII secolo, continuò anche nel secolo successivo nella Toscana meridionale. Infatti, i rari commerci nazionali passeranno esclusivamente attraverso le vie marittime, giungendo con difficoltà nell’entroterra, se non attraverso altre vie d’acqua, quelle fluviali, come nel caso dell’Arno. d) Certi mutamenti, come la scomparsa delle forme da mensa o il grande rilievo assunto dalle forme chiuse in ceramica fine, sarebbero già in nuce prima dell’altomedioevo. Le forme ceramiche medievali non nacquero dunque ex-novo, ma furono degli adattamenti di tipi ceramici presenti almeno dal VI secolo.

impianti produttivi. I nuovi nuclei di popolamento stimolarono inoltre la nascita di centri produttori di ambito rurale, ubicati nelle vicinanze dei siti e parallelamente si ripresero modalità produttive che presupponevano la semplificazione delle infrastrutture necessarie, come la modellazione manuale, collegata ad una forma di produzione itinerante, forse più economica di quella stanziale. La cesura più netta con il mondo antico si avvertì soprattutto a livello della distribuzione: nella Toscana meridionale i rari commerci nazionali si accompagnarono all’assenza totale di quelli mediterranei, mentre almeno a partire dal IX secolo si registrò in questa area uno scambio regionale di merci, visibile attraverso i prodotti ingobbiati di rosso e quelli invetriati. Ma già dal X secolo questo netto calo degli arrivi di importazione fu un fenomeno del passato e tutta la Toscana, prima tra tutti la città di Pisa, apparve nuovamente toccata dal commercio a largo raggio, come mostrano i bacini ceramici (BERTI, TONGIORGI 1981; BERTI 2003). Anche i siti da noi analizzati furono beneficiati da questi nuovi impulsi commerciali, almeno nell’area di costa, come hanno mostrato alcune ceramiche di provenienza orientale trovate a Scarlino (MARASCO 2002-2003). La ceramica relativa all’arco temporale metà VII-X secolo è stata analizzata utilizzando alcuni parametri, scelti per la caratterizzazione dei prodotti, dello scambi e del consumo: per i prodotti abbiamo operato una distinzione in base alle principali funzioni alimentari, individuate nella cucina e nella dispensa, ed al loro interno in tipologie ceramiche; per la produzione e lo scambio ci siamo focalizzati nell’individuazione delle botteghe, del loro modo produttivo e del raggio di circolazione delle merci, utilizzando i dati archeometrici raccolti; per il consumo, abbiamo puntato l’attenzione su alcuni indicatori (presenza di anfore, di fuseruole, percentuali di forme aperte e chiuse) utili per la comprensione delle dinamiche sociali ed economiche interne agli insediamenti. La discussione dell’altomedioevo è stata basata sulla cultura materiale dei siti esposti nel catalogo (Parte Terza), assieme ad altri scavi editi in ambito regionale. In particolare, i siti inediti utilizzati per sintetizzare la cronologia metà VII-X secolo hanno fornito 8352 frammenti ceramici (Fig. 1). A questi, abbiamo aggiunto gli insediamenti di Scarlino (MARASCO 2002-2003), Montarrenti (CANTINI 2003), Grosseto (CITTER 2005; 2007) e la città di Siena (CANTINI 2005). Infine, per argomentare le tipologie ceramiche di questi secoli, abbiamo avuto a disposizione alcuni punti cardine, costituiti da cronologie assolute ricavate con le analisi radiocarboniche che mostriamo in due tabelle, distinte tra dati inediti (Fig. 2) e dati editi (Fig. 3).

2. I secoli VII (seconda metà) - X Premessa La nostra esposizione ha inizio nel momento in cui in tutta la Toscana si radicarono le tendenze principali della produzione ceramica medievale. La linea di demarcazione tra il mondo classico e quello medievale è stata tracciata in questo lavoro intorno al 650 d.C., momento in cui assistiamo alla produzione di vasellame di nuova concezione. La rottura con il mondo classico avvenne quasi nella totalità per quanto riguarda le forme, anche se molti tipi formali fabbricati nell’altomedioevo discendevano da quelli in uso a partire dal VI secolo, come catini e orcioli. Questa differenziazione formale con il panorama precedente potrebbe essere indice di una domanda specifica proveniente da nuovi siti, con esigenze e consumi diversi rispetto ai nuclei di popolamento del mondo antico: infatti, alcune funzioni passarono in primo piano come la conservazione e la cottura del cibo, mentre altre, come l’arredo della mensa, furono con ogni probabilità demandate a materiali alternativi. I centri di produzione continuarono ad essere molteplici su tutto il territorio regionale: nell’area da noi esaminata si può ipotizzare che sopravvivessero parte di quelli presenti in area urbana ed almeno alcuni ateliers ubicati nelle campagne che produssero imitazioni delle sigillate ancora per tutto il VI e la prima metà del VII secolo, come l’esempio di Roccastrada ci indica. Si trasformarono però i prodotti fabbricati, pur mantenendosi intatte le capacità tecniche e forse gli stessi

2.1. L’altomedioevo: le tipologie, le funzioni, l’alimentazione Le forme ceramiche esaminate sono state divise in base alle due funzionalità principali: la cucina e la dispensa. La mensa non ha una trattazione a se stante: infatti, con la fine dell’arrivo di produzioni sigillate africane e con il cessare della fabbricazione delle imitazioni locali 14

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO scomparve il corredo da tavola, sostituito probabilmente da oggetti in legno, molto più frequenti di quello che le fonti archeologiche stesse ci abbiano permesso di appurare2. Un vero corredo per la mensa vi sarà soltanto con la nascita delle produzioni in maiolica, quindi per la Toscana non prima del primo decennio del Duecento3. All’interno delle funzioni principali il materiale è stato ulteriormente diviso in base a due parametri: quello dell’impasto (grossolano o depurato) e della presenza di rivestimento (ingobbio o vetrina), fattori che hanno permesso di distinguere di fatto le singole classi ceramiche4.

delle superfici esterne. Nella varietà della forma dell’orlo delle olle tornite (Fig. 4) si possono riscontrare, dall’VIII secolo, due, al massimo tre tendenze. Vi sono olle con orlo breve ed estroflesso di diversa fattura (arrotondato, squadrato, appuntito, nn. 1-9), oppure con orlo simile, ma insellato (variante funzionale all’alloggio del coperchio, nn. 10-14) ed infine con orlo dritto (piatto, arrotondato, ingrossato) e collo allungato (nn. 15-16). Non sembrano sopravvivere le olle con bordo a nastro o fascetta prodotte in Toscana tra VI e VII secolo (FRANCOVICH, VALENTI 1997, tipo A). Le olle prodotte a mano (Fig. 5, nn.1-7) dal punto di vista tecnologico sono lisciate con un panno e regolarizzate con le dita, delle quali spesso rimane la traccia impressa sull’argilla fresca. Non presentano decori, se non rare incisioni sinusoidali, singole, sul corpo. Le olle prodotte al tornio non mostrano dettagli tecnologici peculiari, ma spesso sono decorate con una filettatura eseguita a pettine sul corpo del manufatto ancora fresco. Gli impasti di tutte le olle, sia tornite sia manuali, sono sempre macinati in modo molto grossolano; l’unico accorgimento tecnico che denotiamo già dal IX secolo è l’aggiunta di calcite spatica triturata molto finemente. Le analisi archeometriche degli impasti hanno evidenziato in tutti i siti esaminati una produzione di tipo locale, ubicata nell’area circostante gli insediamenti. Dimensionalmente le olle non superano mai i 18-20 cm di diametro dell’orlo e non sono presenti grandi contenitori ad uso collettivo. Sono invece attestate olle di dimensioni più piccole, sino a 10 cm di diametro. Un’ipotesi suggestiva potrebbe essere quella di considerare le olle di dimensioni più piccole come dei piatti da mensa, nei quali si cucinava e si consumava il cibo. Ciò si accorderebbe anche con la pochezza dei rinvenimenti di ceramica relativi alla mensa (vedi infra). A livello funzionale potremmo desumere un utilizzo su focolari di diversa foggia per i contenitori con fondo piano (usati accanto al focolare) o convesso (immersi nella brace), ma le evidenze materiali relative alla struttura del focolare nell’altomedioevo non mostrano differenze tali da sostenere questa argomentazione. I focolari, generalmente uno per capanna, rientrano in due categorie, una che ne prevede la preparazione direttamente sul piano di calpestio ed una che presume invece la creazione di un’area delimitata con materiale di vario tipo, o scavata, all’interno della quale si accendeva il fuoco. Non sembrano essere stati in uso sistemi di sospensione, come sono stati riscontrati nell’area padana (BROGIOLO, GELICHI 1997)5. Dunque, entrambe le tipologie di focolare permettevano la cottura effettuata per immersione o per vicinanza con la brace: il tipo di cibo da cucinare vincolava la scelta dell’uno o dell’altro contenitore. In sintesi, i manufatti presenti in cucina sembrano permettere solo il tipo di cottura bollita, ma possiamo ipotizzare che una parte della carne venisse arrostita direttamente sul fuoco. Inoltre, i pochi coperchi presenti (Fig. 4, 18-19-21) potevano accentuare le caratteristiche

1. La cucina Tra i materiali riconosciuti per la preparazione dei pasti rientrano tutte le ceramiche con impasti molto grossolani e refrattari, adatte a sostenere gli sbalzi termici determinati dall’esposizione al fuoco, accanto ad alcune specifiche forme con impasti più depurati, identificate come contenitori per la preparazione degli alimenti. La divisione, a livello funzionale, è stata in parte complicata dall’uso “ibrido” e non ben definito che si è constatato per molti oggetti ceramici. L’utilizzo dei manufatti infatti non sembrava rispettare sempre un rigido inquadramento funzionale: alcuni boccali presentavano tracce di fumigazioni ed olle o coperchi erano invece privi di affumicature. E’ questo un caso nel quale dunque la troppo rigida divisione tra classi, pur essenziale nella creazione di tipologie ceramiche, avrebbe snaturato il contesto reale della strumentazione della cucina, allontanandoci dalla comprensione dei corredi domestici altomedioevali nella loro interezza. Ceramica acroma grezza La ceramica grossolana per la cottura dei cibi, tra VIII e X secolo, è caratterizzata, nel territorio preso in esame, da due tratti distintivi: a- forme molto limitate (testo, olla, qualche coperchio, brocca) e multifunzionali; b- due distinti livelli produttivi e commerciali, uno domestico ed uno artigianale. Concentriamoci dunque sul punto a., ed in particolare sulle olle, pur distinguendo, nell’analisi sintetica delle forme, i tipi modellati a mano da quelli torniti. I tipi individuati hanno tutti corpi molto globulari (nelle olle prodotte a mano si nota spesso la presenza di una carenatura marcata a metà del corpo), fondi piani (quelle tornite) o convessi (quelle manuali), mai sabbiati, raramente presentano l’ansa. Non sembrano essere presenti, almeno sino al X secolo, filettature decorative 2

Il problema della valutazione dei manufatti in legno e della loro effettiva attestazione risiede chiaramente nella facile deperibilità di questo materiale all’interno delle stratificazioni (MOLINARI 2003). 3 La produzione di maiolica arcaica a Pisa, prima città ad avere introdotto la nuova tecnica in Toscana, è stata datata tra il 1210 ed il 1230 (BERTI 1997a). 4 La difficoltà maggiore è derivata dal fatto che le ceramiche analizzate avevano impasti contraddistinti da diversi livelli di depurazione; tuttavia per la nostra ricerca non abbiamo utilizzato la distinzione tra ceramica depurata, semidepurata e grossolana, perchè ci sembrava comportasse una distinzione poco corrispondente alla funzionalità degli utensili ceramici. Ci siamo invece concentrati sulla possibilità di creare dei grandi gruppi funzionali, dentro i quali inserire tutto il vasellame relativo a certe funzioni, sia grossolano sia depurato.

5 Infatti anche ipotizzando sistemi di sospensione approntati con legno intrecciato, dovemmo trovare nei manufatti un riflesso di questo tipo di cottura, come anse apicali, prese laterali o oggetti in metallo adatti a tale scopo.

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FRANCESCA GRASSI della cottura nelle olle, permettendo una maggiore presenza del vapore nel vaso, come per l’alto coperchio con corpo troncoconico proveniente da Populonia e simile, nella funzione, ad una sorta di fornetto a riverbero (n. 24). Resti archeozoologici e fonti scritte sembrano concordi nel delineare l’altomedioevo come il momento in cui si conobbe in Italia un elevato consumo di carne e di tutti gli altri alimenti, come latte e formaggi, che comportavano un elevato contenuto proteico, a discapito del consumo di cereali (MONTANARI 1979; MALANIMA 1990; SALVADORI 2003). Per quale motivo dunque, a fronte di resti ossei che testimoniano la grande presenza della carne nella dieta quotidiana, non abbiamo trovato nel corredo domestico vasi che permettessero cotture specifiche, se non la bollitura? Innanzitutto, occorre argomentare su quanta parte del corredo sia effettivamente quello che noi riusciamo a fotografare considerando solo il vasellame ceramico, tenendo conto che la ceramica non era l’unico materiale utilizzato per realizzare vasi per cuocere. Nella documentazione toscana, in alcuni atti di donazione di terre e di beni a monasteri relativi all’VIII secolo6, si fa esplicito riferimento a utensili in metallo, come le “frixorias”, sorta di padelle per friggere. Ma anche rimanendo alle sole fonti archeologiche, più abbondanti certo per i secoli successivi, troviamo esempi di manufatti metallici che testimoniano l’utilizzo generalizzato di questo materiale per cotture specifiche7. Secondariamente, occorre tenere presente che nei ricettari e nei manuali di dietetica relativi all’altomedioevo si esaltava la bollitura delle carni come procedimento che ne permetteva anche una conservazione a lungo termine (MONTANARI 1993, p. 22)8. Dunque, considerando materiali ceramici e non, avremmo più ampie modalità di cottura, comprendenti l’arrostimento, la bollitura e la frittura. Per quanto riguarda il consumo dei cereali (orzo, avena, miglio) e dei legumi, possiamo pensare a zuppe e minestre cotte nelle olle, forse insaporite con lardo o carni. In questi ultimi anni, lo svilupparsi di analisi funzionali effettuate sui contenitori in ceramica ha permesso di ottenere conferme archeologiche sull’uso delle olle. Infatti, recenti lavori svolti sui resti di cibo contenuti nei manufatti da cucina medievali campionati tra i materiali di scavi stratigrafici hanno mostrato che i contenuti principali delle olle erano grassi animali e cavolo (PECCI 2004, pp. 528-530; PECCI 2005). La panificazione (uno tra i cereali più coltivati sembrerebbe la segale, MONTANARI 1979, p. 117-121; 1993, p. 41) avveniva probabilmente nei testi a parete alta o bassa (focacce e forme schiacciate) o in fornetti dei

quali però non ci è rimasta traccia (Fig. 5, nn. 8-15). A questo proposito possiamo ipotizzare che i rari testi con parete alta potessero costituire, muniti di coperchio, una sorta di fornetto ad uso domestico, nel quale si cuoceva il manufatto mediante il calore emanato dalle pareti preliminarmente arroventate sul fuoco. Inoltre, la cottura del pane potrebbe essere avvenuta anche direttamente nella brace (MONTANARI 1993, p. 43). L’unica traccia rimasta di manufatti adatti alla cottura di pane sono i catini-coperchio, assai rari e presenti solo in alcuni siti, come Rocchette Pannocchieschi (nn. 22-23). Per concludere questa rassegna funzionale dei contenitori in ceramica, i boccali con impasti grossolani (Fig. 4, nn. 17-20), spesso usati sul fuoco, come dimostrano le evidenti affumicature, potevano assumere un ruolo diverso dalle olle e simile a quello dei “bollitori” odierni. Ne abbiamo una conferma parziale, anche se relativa a molti secoli dopo, sempre dalle analisi funzionali effettuate sui boccali in ceramica grezza proveniente dalla svuotatura della volta di una chiesa a Piombino, dai quali sono emerse tracce di vino, latte e birra9. Le uniche forme aperte realizzate in ceramica grossolana presenti in tuti i contesti esaminati tra VIII e X secolo sono i testi, mentre nel sito di Montarrenti, dalla metà del VII al IX-X secolo sarebbero presenti anche casseruole con orlo introflesso prodotte con impasti grossolani (CANTINI 2003, pp. 105-108). Questa differenziazione tra i siti da noi esaminati ed il centro curtense di Montarrenti può essere ricollegata a fattori economici quali l’approvvigionamento presso botteghe che offrivano anche questa forma funzionale. La casseruola infatti, almeno da quello che se ne deduce dall’edito, doveva essere una sorta di contenitore aperto, simile al catino, ma realizzato con impasti grossolani e perciò adatto ad essere utilizzato sul fuoco. Dunque, la differenziazione che riguarda il sito di Montarrenti e anche quello di Scarlino (MARASCO 2002/2003), dove tali forme sono presenti, potrebbe essere legata a precise scelte nella selezione del corredo domestico, da riferirsi forse ad esigenze di contenitori peculiari per la cottura dei cibi. Ceramica acroma depurata Tra la ceramica per preparare il cibo (Fig. 6) sono stati inseriti alcuni catini, assai rari nelle attestazioni numeriche, ma vari nella tipologia e nei decori e significativi per almeno un motivo che parzialmente esula dalle riflessioni sulla specificità funzionale. Infatti, parte di questi catini sono inseribili all’interno del tipo con orlo rientrante (nn. 7-8-9-11-12), provvisto a volte di decori sinusoidali incisi. Si tratta di un tipo ceramico che sembrerebbe nascere tra VI e VII secolo, assieme al vaso con listello acromo od ingobbiato, ma mentre quest’ultimo non è più attestato dalla fine della tardoantichità, il catino con orlo rientrante continuò ad essere prodotto ancora per alcuni secoli. Pur trattandosi di una forma ceramica semplice, acroma, priva di particolarità tecnologiche e prodotta in botteghe con reti di commercio subregionali, sembra dunque presentare le caratteristiche di un “fossile guida” a livello regionale per

6 Vedi GALETTI 1997, pp. 110-115: si tratta di due documenti, uno dei quali, relativo al 730, descrive un lascito del gastaldo della città di Siena al monastero di Sant’Eugenio. 7 La fonte materiale relativa agli oggetti in metallo altomedievali deve scontrarsi con il fenomeno del riciclaggio degli oggetti, prassi comune per molti secoli, essendo il ferro un elemento soggetto al riutilizzo (BELLI 2004, p. 89). 8 L’assenza nell’altomedioevo di forme ceramiche che compaiono molto più tardi, come il tegame, viene spesso giustificata riferendosi all’uso ricorrente di cuocere le carni per bollitura (a volte in via preliminare ad una seconda cottura come l’arrostimento) sino alla fine del Duecento, quando prevarrà l’uso di cuocerle stufate o in umido (GIOVANNINI 1998).

9 Si tratta delle analisi funzionali effettuate sui materiali ceramici della volta della chiesa di S. Antimo ai Canali, datata alla metà del XIII secolo (PECCI 2007).

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LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO tutto l’altomedioevo. Ne abbiamo visto la presenza, difatto, in tutti i siti esaminati e anche nei contesti già editi sembra coesistere con il restante corredo altomedievale da cucina (ad esempio a Donoratico, GRASSI, LIGUORI 2004, tav. II, inseriti qui in fig. 6, nn. 78). Il fatto che una stessa forma possa ritrovarsi nel repertorio tipologico di più botteghe, in un momento storico nel quale si è notata la tendenza ad una suddivisione della produzione in ambiti subregionali, può forse risiedere nella “classicità” del modello formale, nella sua provenienza da un ambito culturale antico. Sarebbe dunque un caso di continuità formale all’interno di una discontinuità produttiva. La stessa bottega di Roccastrada produsse, nella sua fase di attività altomedioevale, anche catini con orlo rientrante, caratterizzati spesso da elementi decorativi incisi, quali sinusoidi, come è emerso dalle recenti ricerche effettuate sui materiali dello scarico di fornace (vedi infra). Assieme ai catini con orlo rientrante, la cucina dei villaggi altomedievali era provvista anche di altre forme aperte, sempre inseribili tra i catini, ma con morfologia dell’orlo differenziata (Fig. 6, nn. 1-6, 10). Il maggior numero di queste forme proviene dagli scarti stessi dell’atelier di Roccastrada e dai castelli che si è ipotizzato si rifornissero ad esso, come Montemassi o Scarlino. Infatti, comprendendo tutto il corredo per la cucina, sia grezzo sia depurato, del castello di Montemassi, di Scarlino e di Montarrenti si ottengono delle percentuali di presenza di catini, brocche e coperchi tra il 9% ed il 14%, a differenza di altri siti, come Donoratico, Campiglia Marittima e Rocchette Pannocchieschi dove tali forme sono attestate intorno al 2% (Fig. 7). La seconda forma inserita nella ceramica per la cucina è il catino-coperchio, molto rari nei contesti toscani, proveniente da Donoratico (Fig. 6, n. 13). L’assenza di fumigazioni sulle pareti e l’impasto utilizzato, molto depurato, ci ha fatto inserire questo manufatto tra la ceramica per preparare il cibo, ma bisogna ricordare che questa forma con corpo molto alto sembrerebbe nascere per la cottura del pane (BROGIOLO, GELICHI 1997). Si inseriscono infine nella cucina, sotto la denominazione di boccali e/o brocchette alcuni contenitori di forma chiusa e di media dimensione, provvisti di ansa, antesignani del corredo con rivestimento a smalto stannifero oppure a vetrina piombifera. Si tratta di forme non propriamente da mensa, data la mancanza di rivestimento, nè tantomeno da dispensa, date le ridotte dimensioni. I boccali (Fig. 8) o brocchette hanno spesso forma simile alle grandi brocche da dispensa, ma proporzioni molto più piccole e forse il loro uso è proprio collegato al trasporto del cibo dal contenitore grande (brocca) alla pentola di cottura. I boccali altomedievali sono contaddistinti da alcune particolarità tecnologiche e decorative, tra cui: 1) sbiancatura delle superfici (nn. 3-4-5). Il trattamento della superficie che determina lo schiarimento è una caratteristica che si riscontra anche nei contesti di IX secolo di Roma, nella stratigrafia della Crypta Balbi, in associazione a decorazioni sinusoidali (MANACORDA et alii, 1986, p. 526); 2) presenza di profonde scanalature sul collo a volte

associate ad un corpo bitroncoconico (vedi nn. 4-5, al 10 momento privi di confronti) ; 3) decori complessi costituiti da incisioni e solcature (sinusoidali o filettate, vedi nn. 1-2-6); 4) rifiniture tecnologiche a stecca, lucidature a panno ed arrossamenti delle superfici (vedi ancora nn. 1-2-6). 2. La dispensa Una delle necessità primarie che è apparsa dall’analisi delle restituzioni di vasellame fine è quella della conservazione delle derrate alimentari, solide o liquide. Le poche forme aperte esistenti, come abbiamo visto, sembrano da collocarsi più nella sfera della preparazione del cibo che non in quello della conservazione. Tra le ceramiche per conservare il cibo abbiamo trattato le tre classi principali: quelle prive di rivestimento (acroma depurata), quelle rivestite con vetrina monocroma e quelle rivestite con colature di ingobbio rosso. Ceramica acroma depurata Per sintetizzare le caratteristiche della classe depurata da dispensa tra VIII e X secolo dobbiamo suddividere tra i prodotti di VIII-IX secolo e quelli di X secolo, momento in cui iniziano ad attuarsi alcuni processi di semplificazione del vasellame, a vari livelli. Tra VIII e IX secolo notiamo che: a- le forme presenti sono per il 90% chiuse e comprendono brocche, orcioli e anfore e forse alcune forme più piccole, adattabili anche in cucina, per la preparazione del cibo, come boccali e brocchette (vedi supra). Brocche (Fig. 9, nn. 7-12) e orcioli (Fig. 9, nn. 1-6) tendono ad avere il corpo molto globulare ed il collo quasi inesistente. Una particolarità, riscontrabile soprattutto per il IX secolo, è la forma dell’ansa di questi manufatti che presenta una tipica insellatura oppure una sezione molto squadrata, ben distinguibile dalle anse delle forme chiuse più tarde, solitamente a nastro. Siamo lontani dai prototipi delle bottiglie altomedievali (relative al VI-VII secolo, da Fiesole e Siena, si veda FRANCOVICH 1984 e CANTINI 2005): queste brocche si caratterizzano per la funzionalità nella raccolta delle derrate alimentari, coniugando grande capacità volumetrica con bocche ampie per travasare il contenuto. Le “anfore” (Fig. 9, n. 13), grandi brocche con doppia ansa ad orecchietta, sembrerebbero essere una produzione 11 specifica della bottega di Roccastrada . Si tratta di pochi esemplari, provenienti da due scavi, quello di Rocchette Pannocchieschi e quello di Montemassi. Nel territorio che 10 Le forme troncoconiche non sono edite in alcun contesto altomedievale dell’Italia centrale, mentre le sagomature molto accentuate sono presenti anche in brocche di Scarlino (MARASCO 20022003, X-XI secolo) ed in contesti laziali come Pianabella e Roma (CIARROCCHI, MARTIN, PAROLI, PATTERSON 1992, p. 226). 11 Si sono definite in questo lavoro come tali solo alcuni contenitori di forma chiusa con due anse ad orecchietta impostate sulla spalla. Richiamando dunque nella forma dell’ansa alcuni tipi di anforaceo di età classica abbiamo utilizzato questo termine, pur considerando che è difficile attestarne l’uso quali contenitori da trasporto. Infatti la funzione più probabile che potevano assolvere sembrerebbe simile a quella di brocche e orcioli, ma al momento non siamo in grado di escluderne un uso diverso.

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FRANCESCA GRASSI stiamo analizzando trovano inoltre alcuni paralleli in forme ceramiche simili provenienti da Grosseto, Podere 12 Serratone (Gr) e dal castello di Scarlino (Gr) . La presenza della doppia ansa, elemento che diversifica questi contenitori dalle brocche, potrebbe essere la spia di un utilizzo specifico, forse legato al trasporto di derrate. Dunque, tali manufatti assumerebbero un valore commerciale più spiccato della restante ceramica caratterizzando i siti in cui sono state trovate. Se così fosse, ci sembra logico ipotizzare, più che commerci a lunga distanza, scambi tra insediamenti vicini per la vendita di determinati prodotti (vino, olio) (GRASSI 2006a). L'attribuzione di tali forme ad una produzione locale è basata sull'analisi dell'impasto, identico a quello con cui sono foggiate olle e testelli, sia nei rinvenimenti di Rocchette Pannocchieschi sia in quelli di Scarlino.

Per argomentare queste affermazioni, apriamo una breve digressione sul parametro dell”anima grigia”. Molta parte della letteratura sulla ceramica altomedievale utilizza il dato relativo alla presenza di uno spessore scuro dentro il corpo ceramico come indicatore di un mancato controllo del ciclo della cottura del manufatto, evidenziando così, tra VIII e X secolo, la presenza di 14 impianti produttivi scadenti . La presenza di questo indicatore di produzione, dato il suo ripetersi in molte aree della Toscana, necessita a nostro parere di uno studio analitico, accompagnato da una quantificazione per aree subregionali, in modo da comprenderne la reale incidenza sui manufatti. E’ possibile che si possa considerare questa caratteristica come un fenomeno intenzionale, finalizzato ad un risparmio in due fasi del ciclo produttivo, quello della raffinazione e quello della cottura, ed attuato da ogni 15 singolo nucleo produttivo in maniera differente . Questa ipotesi spiega i dati percentuali diversi tra siti 16 produttivi ubicati in città o in campagna . L’artigiano che fabbrica in città risponde presumibilmente ad una domanda più alta e sofisticata (proveniente dal centro urbano stesso e dalla campagna) ed ha più risorse a disposizione e la possibilità di fare scelte di qualità nella lavorazione dei prodotti e complessivamente di fabbricare vasellame con minore percentuale di anima grigia rispetto all’artigiano che lavora in campagna. La bottega rurale risponde invece ad una richiesta di ceramica minore, proveniente solo dalla campagna e ciò determinò un’offerta di uguale funzionalità, ma di qualità diversa. Non parliamo dunque di migliore o peggiore qualità, ma di una volontà precisa di produrre vasellame “diverso”, dove la diversità implica strategie produttive mirate ad ottenere alte quantità di ceramica ad un costo minore . Infatti, nell’analisi del fattore “anima grigia”, occorre anche considerare un ulteriore dato: il consumatore non ha modo di percepire questo “difetto” di cottura, ma acquista un manufatto con caratteristiche identiche agli oggetti ceramici senza “anima grigia”. Quando dopo il Mille, si attuerà, sia nell’area da noi esaminata sia in altre parti della Toscana, un riassetto produttivo con la contemporanea scomparsa di questo fattore, ciò sarebbe determinato non certo dall’accrescimento delle capacità tecniche degli artigiani, ma da una maggiore disponibilità economica anche per i siti produttivi nelle campagne, in concomitanza con la riorganizzazione degli assetti insediativi conseguente all’incastellamento. Dunque, analizzare questo elemento tecnologico nel vasellame può permetterci di ricostruire le capacità economiche delle botteghe altomedievali, come si intuisce dalla sintesi dei dati che siamo riusciti a raccogliere in cinque siti oggetto della nostra ricerca

b- Le produzioni sono molto curate, a livello tecnologico. Presentano steccature, schiarimenti superficiali o patine di ingobbio, fondi rifiniti con tagli verticali a coltello e con pareti spesse, decori a pettine, e sinusoidali, spesso in più registri. In alcune brocche di X secolo si riscontrano bolli a stampo sull’ansa (ad esempio la n. 11), indizio di una produzione già codificata all’interno di botteghe strutturate (per il bollo si rimanda agli esemplari di Fiesole pubblicati in FRANCOVICH, VANNINI 1989, n. 1336). c- Gli impasti utilizzati mostrano inizialmente un grado di depurazione basso, ma tendente ad aumentare già dalla fine del IX secolo. Le analisi archeometriche effettuate sui materiali di Campiglia Marittima e Rocchette Pannocchieschi hanno permesso di associare tutti gli impasti delle ceramiche depurate, almeno sino all’XI secolo, a produzioni locali. d- La presenza della cosiddetta “anima grigia” mostra percentuali non particolarmente indicative della stato 13 della produzione, quanto delle botteghe di provenienza . Difatto pensiamo che questo indicatore venga spesso sopravvalutato, mentre a nostro parere l’utilizzo che si può fare di questo dato è senz’altro collegato all’individuazione delle botteghe e del loro status economico, ma non alla caratterizzazione delle capacità tecniche presenti all’interno delle officine nè tantomeno alla cronologia (altomedioevo=anima grigia), vista la disomogeneità di presenza anche in una piccola area subregionale come quella analizzata. 12

La forma dell’anfora trova un confronto puntuale con i materiali in corso di studio del castello di Scarlino dove contenitori simili sono attestati dall’VIII al XIII secolo (MARASCO 2002-2003, pp. 235-239); da Grosseto, scavi urbani, all’interno di in contesto di VII secolo (FRANCOVICH et alii 2000, tav.1, n.1). Si veda inoltre la ceramica dal contesto di superficie di Podere Serratone (VACCARO 2005, tav. II, n.2) dove si trova un simile contenitore con ansa impostata sulla spalla. Un confronto simile nella forma, ma non altrettanto nell'impasto (definito "industriale) si trova tra i reperti provenienti dall’insediamento rupestre di Vitozza (FRANCOVICH, GELICHI, PARENTI 1980) fig. 57, n. 3. 13 L’anima grigia sarebbe determinata dal carbonio dei residui organici vegetali ed animali, presenti nell'argilla bruna non depurata, ed eliminato come anidride carbonica. Se nel forno la temperatura è bassa e l'aria è scarsa e fumosa, il carbonio può essere eliminato dalla superficie, ma resta all'interno del manufatto come blocco nerastro. E’ un indizio di argille poco raffinate, di una cottura non uniforme, effettuata a temperature basse e con combustibile non idoneo.

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Vedi in ultimo per la Toscana CANTINI 2003 e 2005; FRANCOVICH, VALENTI 1997; VALENTI 2004; MENCHELLI RENZI RIZZO 2000. 15 Si velocizza infatti la fase di raffinazione delle argille effettuando inoltre la cottura a temperatura bassa, con un risparmio di combustibile. Quest’ultimo dato, legato al combustibile, potrebbe anche, in alcuni casi, portare ad una lettura più complessa, di vera impossibilità economica o logistica ad accedere a determinate risorse (ad esempio il legname adatto per la cottura di ceramiche fini). 16 Si veda ad esempio il confronto fatto da Cantini tra la percentuale di “anima grigia” presente nei prodotti delle fornaci operanti nella città di Siena nell’altomedioevo e quelle che rifornivano, nel contado, il villaggio di Montarrenti (CANTINI 2005, pp. 245-248).

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LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO (Fig. 10). Per Campiglia e Donoratico, con analoghe percentuali, esiste una forte possibilità che l’approvvigionamento di ceramica avvenisse dalle stesse botteghe; ugualmente per Montemassi e Rocchette; Montarrenti invece, mostrando percentuali molto alte, sembra decisamente fare riferimento a botteghe diverse da quelle che rifornivano gli altri siti. Quello che è emerso con chiarezza è che ogni bottega (o nucleo di botteghe) aveva propri standards nelle cotture, direttamente collegati alla domanda ed alle risorse economiche a disposizione degli artigiani e non a maggiori o minori capacità tecniche. Ritornando all’analisi della ceramica depurata da dispensa, dalla fine del IX e per tutto il X secolo le forme rimasero le stesse, con la scomparsa dei contenitori ad anfora (con alcune eccezioni, come Scarlino dove la forma perdurera sino al XII secolo); il vasellame depurato perse progressivamente le rifiniture tecnologiche, ma conservò le sbiancature superficiali, mentre rifiniture e decorazioni si fecero rare e semplificate; gli impasti subirono una sostanziale depurazione e le miscele argillose divennero più omogenee. Questi dati non sarebbero però collegati al cambiamento dei luoghi di approvvigionamento, dato che gli impasti rimasero immutati in tutti i siti esaminati e quello che cambiò fu soltanto la qualità della macinazione degli inclusi. D’altronde, le botteghe stesse dal VII al X secolo sembrerebbero collegate ad una modalità produttiva unica, riconducibile al singolo lavoro artigianale oppure, come riconosciuto nel caso del polo di Roccastrada, all’officina specializzata (vedi infra). Ceramica invetriata in monocottura

scambi e contatti tra alcuni insediamenti della Toscana, tra cui le città principali, ed i centri laziali che producevano vetrina pesante. E’ probabile che l’arrivo di tali contenitori anche in siti del contado, quale Podere Aione, Scarlino, Poggibonsi possa essere stato veicolato dalle città stesse ed in alcuni casi facilitato dalla vicinanza con il mare, via di smercio utilizzata per i contenitori giunti a Lucca ed in alcune città liguri, come Genova, Savona e Noli (PAROLI 1992, pp. 50-51). Dopo circa un secolo, le città e le campagne toscane furono interessate da produzioni locali di ceramica con vetrina sparsa. In Toscana, tra la fine del IX ed il XII secolo, sembrano infatti essere presenti almeno cinque centri che producevano ceramica a vetrina sparsa, dislocati nei pressi di alcune città e nella campagna per quanto riguarda l’area da noi indagata, il sud della Toscana (Fig. 13). Si tratterebbe di due centri attivi tra Lucca e Pistoia, uno (indicato come bottega 1) caratterizzato da un impasto di colore rosso che commercializzava i propri prodotti a Lucca e nella Lucchesia (per una sintesi si veda QUIROS CASTILLO 1996, pp. 420-421) ed uno (indicato come bottega 2), caratterizzato da un impasto di colore bianco, tipico di tutta l’area pistoiese (MILANESE, PIERI 1996) e attestato attraverso i reperti in vetrina sparsa che circolavano nelle cittadine di Pistoia (VANNINI 1987, p. 464) e Fiesole (FRANCOVICH, VANNINI 1989, p. 83). Un terzo centro produttivo (indicato come bottega 3) rimanderebbe all’areale aretino ed esportava i propri prodotti a Chiusi, Chianciano ed in alcuni siti rurali circostanti (PAROLI 1992, p. 54) oltrechè a Fiesole (FRANCOVICH, VANNINI 1989, p. 83), dove questi prodotti giungevano assieme a quelli della bottega 2. Infine, un quarto centro produttivo (indicato come bottega 4) è stato identificato nell’area costiera attraverso l’analisi effettuata nel nostro studio sulla Toscana meridionale. Infatti, la ceramica a vetrina sparsa di Campiglia Marittima e Rocchette Pannocchieschi è stata sottoposta ad analisi petrografiche ed assieme a quella analizzata per il sito di Donoratico ha permesso di dimostrare l’esistenza di un unico centro di provenienza, comune anche ad alcuni manufatti acromi della stessa cronologia, posto nell’area costiera ai margini delle pendici delle Colline Metallifere, nella fascia compresa tra Donoratico e Grosseto. Si tratterebbe dunque di un centro produttivo specializzato nella produzione di contenitori per dispensa, acromi e invetriati, caratterizzato dall’uso di almeno tre miscele argillose distinte, del tornio veloce, di decorazioni incise e rifiniture costituite da lisciature e steccature a crudo delle superfici, di cotture controllate generalmente ossidanti od ossidanti/riducenti. Il repertorio prodotto in questo centro prevedeva grandi forme chiuse, quali brocche ed orcioli, una parte delle quali veniva provvisto di colature di vetrina all’esterno. La vetrina, composta da piombo,

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La ricostruzione dei manufatti utilizzati nelle dispense degli insediamenti altomedievali ha mostrato che, accanto a brocche e orcioli privi di rivestimento, si trovavano oggetti simili, ma parzialmente rivestiti con colature di vetrina nelle superfici esterne. Le forme presenti in vetrina sparsa erano infatti esclusivamente contenitori chiusi di medie e grandi dimensioni (boccali e brocche), spesso arricchiti da incisioni sinusoidali sul corpo del vaso (Fig. 11). Questa classe, assieme alla ceramica a vetrina pesante, rientra nella più ampia famiglia delle ceramiche invetriate in monocottura altomedievali. La ceramica “a vetrina 18 pesante” presente nei contesti altomedievali toscani (Fig. 12), laddove si siano effettuate analisi petrografiche, si è rivelata sempre di provenienza laziale, sia nei ritrovamenti cittadini sia in quelli rurali (PAROLI 1992, p. 19 45) . Questi dati archeometrici metterebbero in luce 17 La ceramica invetriata tardo antica e altomedievale è stata oggetto di un convegno di studi nel 1990 (PAROLI 1992) le cui linee di ricerca restano ancora oggi valide. Il grande impegno allora profuso nell’analisi petrografica degli impasti ceramici ci ha permesso di inserire oggi i nostri dati archeometrici in un quadro già perfettamente delinato (MOLINARI, SFRECOLA 1992), aggiornando i dati sulla Toscana (GRASSI 2009). 18 E’ comunemente definita ceramica a vetrina pesante o Forum Ware una ceramica rivestita da vetrina piombifera e realizzata in monocottura; di tale produzione, la ceramica a vetrina sparsa rappresenta la fase più tarda, caratterizzandosi per l’utilizzo della vetrina distribuita in maniera non uniforme. 19 Ne forniamo un elenco, senza la pretesa di esaurire le attestazioni; le

cronologie di presenza sono collocabili tra VIII e IX secolo. Per quanto riguarda le città, la vetrina pesante di produzione romana è presente a Pisa (ABELA 1993), Lucca (BERTI, CAPPELLI, CIAMPOLTRINI 1992) Chiusi (PAOLUCCI 1992), Siena (CANTINI 2005), Arezzo (PAROLI 1992, p. 312). Per quanto riguarda i siti non cittadini, a Scarlino (MARASCO 2002-2003), Poggio Imperiale (VALENTI 1996), Cosa (HOBART 1992), Montefiesole (FRANCOVICH, TRONTI 2003), San Genesio (CANTINI 2002), Podere Aione (CUCINI 1989). Di questi ritrovamenti, soltanto quelli di Lucca, Chiusi e Arezzo sono stati oggetto di analisi archeometriche che ne rendono certa l’area di produzione.

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FRANCESCA GRASSI silice ed alti tenori di alluminio, veniva cotta assieme al manufatto, durante la prima ed unica cottura al quale era sottoposto (FORTINA, MEMMI TURBANTI, GRASSI 2007; GRASSI 2009). Un caso peculiare, nella Toscana del sud, è invece quello dell’insediamento di Cosa, dove la ceramica a vetrina sparsa, pur presente tra X e XI secolo, denoterebbe alcune particolarità tra cui l’utilizzo di impasti locali, ricchi di mica, foggiati però in forme tipiche dell’area laziale, come la brocca globulare con ampio becco (HOBART 1992, p. 307). E’ possibile, a nostro parere, ipotizzare per questa produzione un quinto centro (indicato come bottega 5), ancora molto legato ai modelli formali romani. Nel corso del nostro studio, oltre all’individuazione dei centri di produzione di ceramica a vetrina sparsa, abbiamo raccolto anche alcuni dati che possono precisare la cronologia di introduzione della tecnica e permetterci di fare delle ipotesi sulla sua modalità di arrivo, almeno per la Toscana meridionale. Le attestazioni nei singoli insediamenti e le cronologie di presenza scaturite dall’analisi dei siti della nostra ricerca, assieme a quelli già editi, ci hanno mostrato che sino alla fine del IX secolo non si produsse ceramica a vetrina sparsa nella Toscana meridionale (Fig. 14). Con la fine del IX e l’inizio del X secolo iniziò la produzione e la contemporanea diffusione nei luoghi di consumo, in maniera diversificata e con percentuali di 20 presenza distinte . In particolare, alcune analisi con il 21 C14 effettuate in un contesto stratigrafico di Donoratico ci hanno fornito una datazione assoluta alla fine del IX secolo per i primi prodotti in vetrina sparsa. Per alcuni siti si può parlare di arrivi marginali, quasi sporadici (come Castel di Pietra, Rocchette Pannocchieschi, Cugnano, Rocca San Silvestro), mentre per altri la ceramica a vetrina sparsa, assieme alle bande rosse, rappresenta una piccola percentuale costante del corredo da dispensa, almeno sino all’XI-XII secolo. Spicca tra tutti il dato di Campiglia, che forse deve essere analizzato come un fattore culturale e sociale: potrebbe essere indizio di una forma di privilegio dei corredi che abbiamo studiato e permettere di ipotizzare uno status particolare degli abitanti dei tre nuclei domestici ricostruiti. Per quanto riguarda l’introduzione della tecnica, possiamo ipotizzare il suo arrivo tramite alcuni vasai in possesso delle conoscenze necessarie per invetriare, non considerando probabile che si siano acquisite tali capacità semplicemente imitando i prodotti invetriati di produzione romana che circolavano in Toscana sin dall’VIII secolo. Si potrebbe ipotizzare anche una introduzione autonoma della tecnica e distinta dai canali di arrivo della stessa nel resto dell'Italia centrale. L’applicazione della tecnica avvenne infatti utilizzando modelli formali già consolidati nell’area esaminata e non ripresi dai corredi di altri luoghi produttivi. Infatti, nelle forme e nei decori la vetrina sparsa toscana non richiama

le produzioni laziali, ma risulta del tutto omogenea ai prodotti acromi in circolazione. Quindi, nell’area indagata ci sarebbero stati ateliers stabili e già specializzati, in grado di acquisire la tecnica dell’invetriatura e di rielaborarla applicandola al repertorio formale già in uso. La scelta dei vasai che operavano in Toscana fu dunque quella di adottare la tecnica dell’invetriatura per fabbricare una produzione, più “leggera” della vetrina pesante, ma comunque differenziata dai prodotti privi di rivestimento, e ciò in maniera autonoma dalle botteghe che producevano vetrine sparse a Roma e nel territorio intorno alla città. Ceramica con colature di ingobbio rosso La dispensa è infine caratterizzata da alcuni contenitori in ceramica con decori costituiti da colature di ingobbio rosso. Questa classe ceramica, derivazione dei prodotti verniciati e ingobbiati attestati a partire dal IV secolo D.c. in tutto il centro sud della penisola ed anche in Toscana, sarebbe l’esito finale di un processo produttivo che prese avvio con le imitazioni delle ceramiche sigillate e si concluse nel pieno medioevo, attraversando vari cambiamenti formali, ma con una sostanziale continuità tecnologica. La tecnologia alla base della ceramica con ingobbi rossi non sarebbe interessata dunque da cesure produttive, ma fu utilizzata ininterrottamente dall’età tardoantica (CIARROCCHI, MARTIN, PAROLI, PATTERSON 22 1992, p. 204) . Come per la ceramica a vetrina sparsa, affrontiamo assieme alle problematiche relative alla nascita della produzione anche un articolato discorso sulla distribuzione dei prodotti stessi, allargando l’analisi sino all’XI secolo, momento della loro massima espansione nei siti della Toscana meridionale. I centri produttori attestati in Toscana, prendendo in considerazione solo le produzioni altomedievali a partire dal VII-VIII secolo, sarebbero situati in area urbana, tra 23 cui Pisa, Pistoia, Fiesole, forse Siena (Fig. 15). A Pisa, tra X e fine XI secolo, si ipotizza una produzione di vasellame con ingobbio rosso ed in particolare alla fine del X questa classe occupa il 2,3% del totale della produzione mentre nella prima metà dell’XI secolo rappresenta l’1,7% per scomparire alla fine dello stesso, evidenziando così un picco di produzione in un arco cronologico molto ristretto (ABELA 2000a). A Pistoia (VANNINI 1985, pp.405-410), tra IX e X secolo, la produzione con colature rosse è presente con una prevalenza di forme chiuse da dispensa di fabbricazione locale, ma si tratterebbe della continuazione di una tecnica già in uso dal VII secolo, come hanno dimostrato le bottiglie con analogo rivestimento trovate nel deposito del pozzo 020 del Palazzo dei Vescovi (VANNINI 1987, 22

La ceramica dipinta con ingobbio rosso si trova ampiamente nei siti del centro sud della penisola. A Roma, nel deposito della Cripta Balbi (SAGUÌ, RICCI, ROMEI 1997), la produzione sembra attestata dalla prima metà dell’VIII secolo e, pur essendo locale, il modello formale di riferimento sarebbe da ricercarsi nell’Italia meridionale; ad Ostia antica inizia ad essere presente nelle stratigrafie a partire dal tardo VII secolo, in concomitanza con le ultime produzioni locali totalmente ingobbiate (CIARROCCHI, MARTIN, PAROLI, PATTERSON 1992, p. 219). 23 A Lucca invece una produzione di ceramica con decori dipinti in rosso sembrerebbe attestata solo per la fase tardoantica, tra IV e V secolo (CIAMPOLTRINI, NOTINI 1990, pp. 585-588).

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Lidia Paroli mette in evidenza il policentrismo produttivo tipico di questa classe ceramica fin dalle prime fasi con evidenti segni di rafforzamento nel X secolo (PAROLI 1990, p. 46). 21 Dati inediti sul castello di Donoratico, gentilmente forniti dalla Prof.ssa Giovanna Bianchi. Tali dati sono attualmente in corso di studio da parte del Dott. Federico Cantini, Università di Pisa. Per un primo inquadramento sulle ceramiche del sito si rimanda a GRASSI, LIGUORI 2004.

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LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO pp. 419-425). A Fiesole (FRANCOVICH 1984), nei materali fittili provenienti dalle tombe longobarde e relativi al VI-VII secolo, sono presenti tre bottiglie con colature rosse, forse di origine locale. Infine a Siena (MILANESE 1990, p. 368 e CANTINI 2005) sarebbe attiva una produzione locale di ceramica con colature rosse a partire dalla seconda metà del VII secolo, con forme che richiamano molto da vicino il panorama del vasellame tardo antico. Nei secoli successivi questa produzione però scompare. Venendo ai siti da noi esaminati, per quanto riguarda il panorama formale e funzionale, sono stati ritrovati solo contenitori chiusi, brocche e boccali, in analogia con il coevo corredo di ceramica a vetrina sparsa (si veda fig. 11). Vista l’analoga funzione, un primo dato su cui riflettere è la costante scarsità di presenze di ceramiche a colature rosse rispetto alle vetrine sparse o alle stesse ceramiche prive di rivestimento. A nostro parere i ritrovamenti nella Toscana meridionale permettono varie interpretazioni. Una prima interpretazione può essere quella di inquadrare la ceramica a colature come un prodotto di area urbana accessibile soltanto ad alcuni siti “privilegiati”. Gli insediamenti nei quali si è recuperata ceramica a colature rosse sono difatto ben eterogenei e si caratterizzano per essere luoghi di popolamento di lunga durata, trasformati in curtes, a cui si associa dal IX-X secolo un edificio ecclesiastico (come Donoratico o Scarlino) oppure siti e villaggi specializzati in particolari attività, quelle minerarie (come Rocchette Pannocchieschi e Campiglia Marittima). Lo stesso dato, relativo alla minima presenza di tale vasellame nei siti, permette una seconda notazione di carattere sociale e culturale che può fornire una chiave di lettura diversa e complementare. Abbiamo osservato come questo vasellame sia quello più vicino, tra le produzioni altomedioevali, ai “canoni” del mondo classico, grazie al rivestimento argilloso di colore rosso e dunque la domanda di questo specifico prodotto potrebbe anche essere nata all’interno di ceti sociali facenti parte delle antiche aristocrazie. Il ritrovamento di tale ceramica in alcuni siti occupati anche nella tarda antichità, come Donoratico e Scarlino, mostra forse in tali insediamenti la presenza di una classe agiata che avrebbe richiesto questa ceramica di produzione cittadina. In quest’ottica, la ceramica con colature potrebbe diventare una traccia fondamentale per seguire e comprendere la genesi e la strutturazione dei poteri signorili all’interno degli insediamenti accentrati. Scendendo nel dettaglio, nei siti da noi esaminati nei quali si abbia stratigrafia compresa tra VIII e XI secolo, la ceramica a colature rosse si trova soltanto a Campiglia Marittima, Rocchette Pannocchieschi e Populonia; a questi è possibile aggiungere tre insediamenti desunti dall’edito, Scarlino, Donoratico e Cosa. In due casi, Campiglia e Scarlino, la produzione sembra attestarsi anche nel XII secolo. L’areale distributivo dei prodotti a colature rosse nella Toscana meridionale sarebbe dunque identificabile con un’ampia zona di costa, da Cosa a Donoratico con rare presenze nell’entroterra (il villaggio di Rocchette Pannocchieschi). Inoltre, allargando il panorama geografico, possiamo menzionare anche alcune forme in un contesto al nord della Toscana, relativo al

VII-VIII secolo, proveniente dal sito di Luni (BLAKE 1977, pp. 645-660). Le cronologie di attestazione dei manufatti con colature rosse nella Toscana del sud sono varie, ma con un picco di presenze tra X ed XI secolo, rilevabile in percentuale maggiore dai siti sulla costa (Campiglia Marittima, Scarlino, Donoratico, Cosa) e in misura minore nell’entroterra (Rocchette Pannocchieschi) (Fig. 16). Infine, per effettuare un’ipotesi sull’areale di provenienza dei manufatti da noi analizzati, dobbiamo ricordare che l’analisi degli impasti delle ceramiche a colature rosse, effettuata per il sito di Campiglia (impasto RC14) con indagini petrografiche e chimiche (FORTINA et alii 2004), ha fornito dati molto generici, relativi ad un’areale che non si è riusciti a ben definire, ma forse compatibile sia con aree della Toscana costiera, sia con argille dell’Arno. Le stesse caratteristiche visive e tattili degli impasti hanno permesso di riconoscere un tipo di impasto unico per gli insediamenti di Rocchette, Campiglia e Donoratico, caratterizzato da una macinatura degli inclusi molto fine, modellato con accurata perizia tecnica all’interno di officine in grado di effettuare una produzione di alto livello tecnologico (steccature, lisciature delle superfici), quale la si potrebbe riconoscere in uno o più ateliers di area urbana, forse nelle vicinanze di Pisa e nel Valdarno stesso. La pochezza dei rinvenimenti, la diversità dell’impasto rispetto ai coevi prodotti circolanti di produzione rurale e l’uguaglianza delle forme con i materiali recuperati in città, potrebbero essere gli indizi per individuare la prima produzione giunta direttamente dal Valdarno nel momento in cui la politica commerciale di Pisa stessa iniziò a rivolgersi al mercato suburbano e rurale (BERTI, MENCHELLI 1998). Le quantità minime di questa classe ceramica ci mostrano una difficoltà di circolazione delle merci dalla città alla campagna nei secoli dell’altomedioevo e l’incremento successivo di attestazioni, dal X secolo, permetterebbe di osservare invece il ruolo sempre crescente delle produzioni dei centri urbani nelle campagne ed il superamento di parziali e temporanee crisi nello scambio delle merci. 2.2 I luoghi della produzione, gli scambi 1. Una geografia degli ateliers nell’altomedioevo: le forme di produzione e gli scambi Per ogni sito abbiamo cercato di ricostruire, attraverso l’analisi delle forme e delle matrici argillose, il quadro complessivo degli impianti produttivi che distribuivano vasellame. Da ciò è dunque scaturita una mappatura della distribuzione e del raggio d’azione dei singoli ateliers, basata sull’individuazione di tipi ceramici e di gruppi di impasti, in chiave diacronica e microregionale. La geografia ricostruita per le botteghe altomedievali mostra che nella Toscana meridionale la fabbricazione di vasellame, a partire dall’VIII secolo, sembrerebbe 24 affidata ad almeno quattro forme di produzione : 24 L’ipotesi che gran parte della produzione artigianale dell’altomedioevo rientri esclusivamente nell’ambito dell’economia curtense (FOSSIER 1981) e che si tratti di un periodo di stagnazione è già stata ridimensionata da vari studiosi (TOUBERT 1995; ALBERTONI 1997, PASQUALI 2002a; per casi specifici come il Nord della Penisola,

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FRANCESCA GRASSI a) lavorazione domestica di manufatti prodotti a mano dalle singole famiglie oppure da uno specialista itinerante che operava dentro gli insediamenti; b) piccole botteghe artigiane di ambito rurale (forse operanti a livello familiare, con una fornace e l’uso del tornio veloce) operanti intorno agli insediamenti accentrati, specializzate in ceramica grossolana da cucina e con un raggio di distribuzione limitato, forse collegate ad un solo insediamento; c) poli artigianali specializzati di ambito rurale, composti da più fornaci, ubicati in aree strategiche e serviti da vie di comunicazione. Il raggio di distribuzione di questi poli individuati nella Toscana meridionale era molto ampio e utilizzava prevalentemente vie di commercio terrestri; d) produzione artigianale di area urbana, svolta nell’hinterland cittadino. La commercializzazione dei prodotti, di alta qualità, torniti e cotti in fornaci con atmosfera ossidante, si è registrata in alcuni siti rurali a partire dalla fine del X secolo.

Le differenze cronologiche negli alti e bassi di questa modalità produttiva hanno messo in luce per i secoli VIIIX alcune tendenze (Fig. 17). I siti che presentano questa produzione a partire dalle fasi altomedioevali, ad eccezione di Donoratico, sono tutti collegati ad un’economia basata sulle risorse minerarie, in maniera diretta, ubicandosi sui filoni di minerale (come Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi, Cugnano) oppure indirettamente, trovandosi in aree di relais tra i giacimenti ed i porti dai cui il metallo veniva trasportato nelle zecche cittadine (come Campiglia Marittima). In questi siti, fin dalla loro nascita, le olle prodotte a mano rappresentarono il 30% del totale della produzione da fuoco. In seguito, tra XI e XII, la produzione diminuì per riaffermarsi nel pieno bassomedioevo, tra fine XIII e XIV secolo. Negli altri siti vi furono andamenti più disomogenei. A Scarlino (MARASCO 2002-2003) e Montemassi questa produzione non si affermò, se non debolmente, sino all’XI-XII secolo ed infine nel XIV secolo. A Suvereto (CUTERI 1990), Castel di Pietra (BOLDRINI, GRASSI, LUNA 1999) e Piombino fu presente solo nel XIV secolo, ma occorre esplicitare che per i tre siti gli unici dati diponibili sono proprio relativi alle fasi più recenti. Infine negli insediamenti di Montarrenti (CANTINI 2003, p. 77) e Cosa (CIRELLI, HOBART 2003) non sembra che la ceramica da cucina fosse associata a produzioni manuali.

Nel dettaglio, le quattro forme produttive ipotizzate possono essere così descritte: a) l’individuazione di una forma di lavorazione domestica di vasellame dall’analisi del solo consumo ha posto alcuni problemi collegati alla minima necessità di infrastrutture e quindi, per gli archeologi, di indicatori tangibili. I prodotti che rientrano in una lavorazione domestica sono, per tutti i nostri contesti, i testi e le olle non torniti. Abbiamo però distinto tra la fabbricazione di testi, sempre costante nel tempo, e presupponiamo affidata ai singoli nuclei familiari e quella specializzata di olle, legata a specialisti itineranti. I testi infatti sono caratterizzati da un’estrema variabilità morfologica che fa presupporre una produzione ed un consumo specificamente interno ai nuclei familiari; l’unica operazione che poteva avvenire in modo collettivo era forse quella della cottura, effettuata in forni pubblici (stabili o approntati per l’occasione) posti entro gli 25 insediamenti . Le olle modellate a mano, presenti nella Toscana meridionale a partire dal IX secolo, caratterizzate da identità formale e da varianti negli impasti, pur nel ricorrere di attenzioni tecnologiche simili, sono senza dubbio il frutto di uno o più specialisti itineranti che lavoravano all’interno degli insediamenti (nel modello proposto da PEACOCK 1982 si tratterebbe di “household industry itinerante”). Vista l’associazione di questa forma produttiva con altre più complesse, l’interpretazione che ne possiamo dare non ci indirizza verso una destrutturazione delle forme produttive e del commercio. Al contrario, si tratterebbe di una modalità produttiva alternativa, compresente a quelle più elaborate e funzionale alla produzione del vasellame 26 di uso più frequente, quale era quello per cucinare .

b) La nascita dei siti accentrati nella Toscana meridionale sviluppò una domanda di vasellame che non fu soddisfatta soltanto dalle produzioni domestiche. Si formarono così alcuni piccoli nuclei produttivi ubicati nelle vicinanze dei singoli siti, come hanno confermato le analisi mineralogiche effettuate sugli impasti, nei quali veniva prodotta ceramica per la cucina probabilmente come attività part-time (“household industry” oppure “individual workshop”, PEACOCK 1982). Ogni insediamento sembrerebbe avere 2/3 botteghe nelle vicinanze, con le seguenti caratteristiche: fabbricazione di ceramica da cucina, utilizzo del tornio veloce, presenza sui prodotti di decori semplici (filettature), ambiti formali di riferimento sub-regionali, indicati dalla presenza delle stesse forme ceramiche all’interno di vaste aree. L’assenza di ritrovamenti di impianti produttivi collegati a questa modalità di artigianato, quella della singola bottega, ci impedisce purtroppo di conoscere la forma esatta di questi ateliers e la loro composizione. Tuttavia possiamo ipotizzare botteghe semplici, simili a case, dove forse si lavorava e si viveva, provviste di un forno per la cottura collocato all’esterno. La forma produttiva identificata nelle piccole botteghe artigiane, al pari di quella domestica, poteva rientrare nell’ambito delle attività artigianali espletate dai centri curtensi non solo per il proprio sostentamento, ma anche per il pagamento di canoni e censi ai proprietari (TOUBERT, 1995, pp. 216-217). Anzi, l’una non sembrerebbe interferire sull’altra: la produzione domestica, soprattutto quella di testelli, non era influenzata dalla contemporanea presenza di poli dove si concentrava il lavoro artigianale. La produzione itinerante di olle potrebbe essere invece una modalità alternativa di concentrazione del lavoro artigiano in una persona fisica

partendo dal dato archeologico, BROGIOLO, GELICHI 1997). 25 Ad esempio il forno ritrovato a Poggio Imperiale (Si) (VALENTI 2004, p. 38-42). Questa produzione, per l’autore, rientrerebbe nell’ambito delle attività artigianali espletate dal centro curtense nel periodo carolingio. 26 Nel modello che Sonia Gutiérrez propone per la Cora de Tudmir (GUTIÉRREZ 1996), nel sud della Spagna, durante il periodo visigoto produzioni domestiche convissero con organizzazioni più complesse e botteghe specializzate. Per una recente discussione sull’importanza della modalità produttiva domestica, nel confronto tra Italia del nord e

Spagna, rimandiamo a GELICHI 2000, p. 136-137.

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LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO e non in un luogo dove si trovavano sapere tecnico 27 (personale) e mezzi appropriati . Questo fattore, ovvero la corrispondenza delle due forme produttive, potrebbe essere la motivazione del loro andamento altalenante nel corso dei secoli. Al momento non riusciamo a capire le motivazioni che spinsero a scegliere l’una piuttosto che l’altra, se non collegandole ai diversi costi di produzione alla loro base. Le modalità di scambio legate alle due forme produttive sembrano essere intrinseche all’essenza stessa di tali produzioni. Le piccole botteghe artigiane servivano una richiesta di vasellame giunta direttamente dai villaggi e perciò non ci sarebbe stata la necessità di un luogo fisico per lo scambio, ma una diretta circolazione dal produttore al consumatore. Nel caso della produzione itinerante invece il luogo di fabbricazione e di vendita si sovrapponeva. c) La presenza di poli artigianali specializzati in alcuni centri nodali del territorio può essere dimostrata archeologicamente, come abbiamo visto, per alcune aree della Toscana meridionale (“nucleated workshop”, PEACOCK 1982). Si tratta, per l’area esaminata, di almeno due realtà di questo tipo, il polo di Roccastrada e quello costiero tirrenico (Fig. 18). Le tipologie fabbricate coprivano tutto il fabbisogno di vasellame, da cucina e da dispensa ed erano foggiate con argille locali: nel caso di Roccastrada si sono riconosciuti negli impasti inclusi vulcanici dell’areale di Roccatederighi e nel caso del centro costiero minerali tipici dell’area di costa delle Colline Metallifere. I mezzi di produzione utilizzati erano molteplici (tornio veloce e fornaci stabili) e le capacità tecniche messe in opera ugualmente, tra cui quelle collegate all’utilizzo dei rivestimenti vetrosi ed alle rifiniture e/o decorazioni dei manufatti. Il raggio di distribuzione dei prodotti di questi poli era molto ampio: ad esempio quelli di Roccastrada arrivavano a Scarlino, Montemassi, forse Castel di Pietra e vari siti intermedi sul territorio. Il punto fondamentale nel trattare questa modalità produttiva è, a nostro parere, comprendere il tipo di economia nel quale erano inseriti tali poli artigianali. Nel polo specializzato di Roccastrada, caratterizzato da una lunga continuità produttiva (V-XI secolo), sembra di assistere alla prosecuzione naturale di officine che fino al VI secolo produssero ceramica di imitazione delle sigillate ed in seguito adattarono le produzioni, a partire dal VII secolo, alle nuove richieste funzionali del mercato, in una persistenza di luoghi produttivi, tecniche associate e forse di vasai. L’ubicazione stessa degli impianti produttivi laddove si concentrava l’attività artigianale anche nel periodo tardoantico potrebbe essere un indizio, non solo di continuità nello sfruttamento di determinate materie prime (argille, legname), ma anche dell’autonomia dei poli produttivi da forme di insediamento nate solo più tardi (nella fattispecie le curtes). Saremmo di fronte pertanto ad una modalità di produzione svincolata dalla domanda diretta delle aziende curtensi e collegata a più realtà territoriali, tra cui le curtes stesse, i villaggi, le città, ma anche forse le istituzioni ecclesiastiche.

L’altro caso di officine accentrate riscontrato nel territorio esaminato potrebbe ugualmente mostrare una forma di continuità dei luoghi deputati alla produzione. Infatti, gli ateliers specializzati presenti sulla costa fino al VI-VII secolo, come le fornaci di ceramica comune identificate nei pressi di Vada Volaterrana (PASQUINUCCI, MENCHELLI 1994 e 1996; DEL RIO, VALLEBONA 1996; PASQUINUCCI et alii 1998a e 1998b), potrebbero essere gli antesignani del centro produttivo che tra VIII e IX secolo, da questa stessa area geografica, fabbricava e vendeva ceramiche a vetrina sparsa in molteplici siti della costa tirrenica meridionale. Dal centro produttivo costiero infatti la ceramica a vetrina sparsa, la tipologia prodotta più riconoscibile, arrivava a Donoratico, Rocchette, Rocca San Silvestro, Campiglia Marittima, Castel di Pietra, Montemassi, Scarlino e Grosseto. Guardando alla distribuzione del prodotto finito effettuata da questi poli specializzati si possono fare alcune ipotesi sugli scambi che avvenivano nelle campagne altomedievali; l’ampia area di circolazione del vasellame stesso rende plausibile l’ipotesi di forme di scambio, più che di una vendita dei manufatti nel luogo di fabbricazione. Inoltre, in almeno due casi, quello di Roccastrada e dell’area costiera, il collegamento con vie commmerciali attive nell’altomedioevo era garantito dall’ubicazione sulla linea di costa o nelle vicinanze delle vie di smercio del sale (FARINELLI 2007). La circolazione di queste ceramiche locali ad ampia scala territoriale dimostra dunque vitalità economica negli scambi, in maniera analoga a quello che si riscontrerebbe nel sud della penisola (GELICHI 2000, pp.130-134). La storiografia tradizionale, dopo avere riconosciuto che le aziende curtensi non sarebbero esclusivamente dedite all’autoconsumo, ma in costante rapporto con il contesto economico circostante, ha difatto rivalutato i mercati, ma inquadrandoli, sia in città sia nei luoghi rurali (mercati curtensi e mercati cittadini), come dipendenti dalle necessità delle curtes stesse, funzionali allo scambio del surplus delle aziende. Qui vi si poteva trovare l’eccedenza della produzione interna, ma anche rari prodotti di un commercio a lunga distanza (TOUBERT 1985, PASQUALI 2002A, ALBERTONI 1997; WHICKAM 1988). In questa rivalutazione della vitalità dell’economia nell’altomedioevo, è stato evidenziato in particolare il ruolo attivo esercitato dai monasteri come fautori del mantenimento della rete di scambio, ponendosi come centri economici privilegiati, nei quali si univano la capacità di organizzare e di redistribuire il surplus produttivo proveniente dalle singole parti dell’azienda (PASQUALI 2002a, pp. 19-20). Le fonti archeologiche utilizzate nel nostro studio hanno mostrato che una forma di scambio di generi di consumo di medio livello rimase costante e legata alla domanda dei centri di popolamento. Alla luce di ciò, la forma di produzione e commercializzazione che abbiamo riconosciuto nei poli specializzati rurali sembra essere autonoma ed indipendente, mossa da una domanda che avrebbe la sua origine nella totalità della rete insediativa 28 (Fig. 19). Inoltre, nella subregionale

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Potrebbe anche trattarsi di un caso di richiesta di corvè a coloni specializzati in particolari attività artigianali, come è documentato per i lavoratori della pietra (PASQUALI 2002b, p.107).

Questa modalità di scambio legata ai poli specializzati, sembrerebbe pertinente alla 3) del modello proposto da RENFREW, BAHN 1995, (in seguito rielaborato in MANNONI, GIANNICHEDDA 1996 ed ARTHUR

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FRANCESCA GRASSI commercializzazione di questi prodotti, accanto ai mercati occorre tenere presente anche il ruolo che poteva svolgere la fiera, come spazio di vendita saltuario e occasionale attestato sin dall’altomedioevo nei pressi delle città più importanti. La Gallia merovingia, la Spagna visigotica e tutta l’Europa settentrionale carolingia sarebbero interessate da queste forme di vendita degli oggetti (MALANIMA 1995, pp. 460-465; VERLINDEN 1976, pp. 138-139). In Italia, ad esempio, sono stati studiati degli insediamenti coinvolti da questa modalità di commercio, come Piacenza, posta all’incrocio di due grandi vie di comunicazione (il fiume Po e la via Francigena) e interessata, nel IX secolo, da ben cinque fiere annuali (LUZZATI 1990, pp. 23-26).

vasellame che raggiunse i siti di consumo sempre nelle stesse percentuali di attestazione. I dati a nostra disposizione, provenendo esclusivamente da luoghi rurali, non hanno permesso invece di effettuare ulteriori analisi ed approfondimenti in relazione alla dinamica commerciale che vedrebbe venduti in città i prodotti fabbricati in ambito rurale. Possiamo però ricordare che, a nostro parere, il dato della presenza diversificata di “anima grigia” tra prodotti della città e prodotti della campagna, rimarcato anche in CANTINI 2005 per la città di Siena, sarebbe determinato proprio dalla domanda più alta in città e dalla molteplicità di destinazione dei commerci cittadini, rivolti al centro urbano stesso ed ai siti rurali. Al contrario, la minore domanda presente in campagna, presupposto per più basse possibilità economiche e maggiore presenza di “anima grigia”, farebbe pensare ad una sorta di unidirezionalità dello smercio della ceramica prodotta nelle officine rurali, rivolta solo ai siti ubicati sul territorio e non alla città. Le produzioni cittadine dunque sarebbero state ben distinte per tutto l’altomedioevo da quelle provenienti da ateliers rurali, più curate nella qualità e destinate ad un’elites che risiedeva nel centro urbano stesso, ma non solo; anche la campagna infatti richiedeva queste ceramiche, come quelle con colature di ingobbio rosso, mostrando perciò una capacità puntuale di accedere a beni cittadini.

d) I dati raccolti hanno mostrato che Pisa fu coinvolta nella produzione ceramica già dai secoli di passaggio al medioevo. Il dato nuovo che è inoltre scaturito da questa ricerca è relativo all’inizio della commercializzazione nella campagna di alcuni di questi prodotti urbani. La penetrazione delle merci cittadine nelle campagne fu, secondo noi, molto precoce e mostrerebbe un rapporto tra le due realtà sempre vitale ed ininterrotto anche nei secoli altomedievali. Infatti, dalle evidenze archeologiche si è registrata la presenza di ceramica con forme simili a quelle presenti in città e fabbricata con soluzioni tecniche (soprattutto nella miscelazione degli impasti) nettamente differenziate da quelle in uso nei poli artigianali rurali, come le ceramiche con colature rosse. In base agli studi editi, Pisa avrebbe prodotto ceramica a partire dal VII-VIII secolo, inizialmente per l’autoconsumo ed in seguito, dall’XI secolo, anche per l’esportazione nelle campagne, in concomitanza con la riorganizzazione delle officine cittadine e con la riapertura della città ai traffici provenienti dal mediterraneo (MENCHELLI, RENZI RIZZO, CAPELLI 1997, p. 385; BERTI, MENCHELLI 1998). Dai nostri dati sembra che la città abbia occupato un ruolo di produzione e commercializzazione del vasellame già dalla fine del IX secolo, per quanto riguarda le ceramiche con colature di ingobbio rosso. I nostri dati offrono inoltre un supporto alla teoria degli scambi città-campagna nell’altomedioevo, per quanto riguarda i secoli IX e X: nel sito di Montemassi infatti sono presenti ceramiche non inquadrabili all’interno delle caratteristiche delle botteghe ipotizzate nel territorio circostante. Queste ceramiche, caratterizate da un alto grado di depurazione delle argille e da trattamenti delle superfici molto particolari potrebbero essere avvicinate al vasellame di tipo cittadino, forse in questo caso senese, anche se la produzione urbana per i secoli dell’altomedioevo non è in questo caso supportata da elementi archelogici (CANTINI 2005). Dobbiamo inoltre notare che queste produzioni di diverso tipo, forse già urbane, nel momento iniziale di penetrazione nella campagna, non determinarono una flessione nella domanda di vasellame presso le officine ubicate in area rurale. Almeno sino alla fine del X secolo e probabilmente anche per la prima metà dell’XI secolo, i poli specializzati sul territorio continuarono a produrre

2.3 Il corredo domestico: alcune notazioni sul consumo di vasellame Attraverso la ricostruzione dei corredi domestici nella loro interezza è stato possibile fare alcune ipotesi sul consumo e caratterizzare gli insediamenti ed i loro abitanti. In particolare, i dati che abbiamo ritenuto più esplicativi in tale senso, tra quelli raccolti, sono stati i seguenti: a) la presenza delle fuseruole come indicatore di un particolare tipo di economia; b) la ricostruzione percentuale dei corredi ceramici a confronto tra vari siti; c) la domanda di ceramica di produzione non locale, come quella con colature di ingobbio rosso; d) la presenza di contenitori per utilizzi specifici, come le anfore. a) Nelle stratigrafie relative all’VIII-X secolo si è notata una costante presenza di fuseruole, caratterizzate dalle stesse caratteristiche tecnologiche riscontrate sui prodotti in ceramica depurata, come decori incisi e steccature (Fig. 20). Le quantità calcolate nei singoli insediamenti mostrano un picco di presenze in due siti, Montemassi e Donoratico. Si tratta di due insediamenti che non presentano a priori caratteristiche economiche riconducibili a specifiche risorse (come per il caso dei siti minerari) e le fuseruole potrebbero essere dunque un indicatore di un’economia prettamente dedita alla pastorizia. Senza dubbio la quantificazione di oggetti destinati a specifiche attività è una via essenziale per la comprensione delle differenze economiche tra i singoli insediamenti. Infatti, la fuseruola è un oggetto in ceramica che, più di altra parte del corredo, rimanda

2000), nella quale si ipotizzava che produttore e consumatore si incontrassero in un terzo luogo, spesso un mercato, per scambiare le merci.

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LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO direttamente ad attività economiche domestiche, come la filatura della lana per fabbricare indumenti o tessuti per il nucleo familiare. Il dato significativo, oltre alla presenza costante nelle fasi altomedievali, ci è sembrato il fatto che nei periodi successivi vi sia negli stessi siti una graduale scomparsa di questo manufatto, a riprova del collegamento tra la fuseruola ed un’economia di tipo silvo-pastorale, tipica dei secoli VIII-X. E’ probabile che la nascita stessa dei castelli abbia determinato un cambiamento nei modi e nei luoghi preposti a questa attività economica, la filatura, ed abbia pertanto provocato lo spostamento delle attività tessili, precedentemente concentrate nelle singole abitazioni.

sito per quanto riguarda la ceramica a colature rosse, prodotta in area urbana e dunque di più difficile reperimento da parte dei siti rurali. Questa presenza alta potrebbe essere indicativa, a nostro parere, di una richiesta specifica di determinati beni non prodotti localmente. Anche alcuni siti minerari hanno mostrato, ed in particolare Rocchette Pannocchieschi, accessi privilegiati a prodotti “di lusso” (ceramica a colature rosse) e la possibilità di raggiungere vasellame distribuito in aree costiere, come la vetrina sparsa e forse prodotti di importazione (si veda la scheda relativa nella Parte Terza). Senza dubbio questa vivacità molto accentuata che si esplica nei contatti con vie di commercio a media e forse lunga distanza fu determinata dai rapporti con le reti di distribuzione del metallo monetabile (piombo e argento), già dal periodo altomedioevale.

b) Il confronto tra i corredi da cucina ricostruiti in questa ricerca per Donoratico, Campiglia Marittima, Rocchette Pannocchieschi e Montemassi, con l’aggiunta di due siti editi, Montarrenti e Scarlino, ha evidenziato alcune differenziazioni, interpretabili come tratti di distinzione sociale od economica (Fig. 21). Ad esempio, il consumo di ceramica da cucina prodotta a mano sembrerebbe collegato ai siti posti in aree minerarie ed al contrario, siti quali Scarlino o Montemassi, aree di insediamento dall’età classica, non sarebbero stati toccati da questo fenomeno culturale. Fa eccezione, come si vede dalle percentuali, il sito di Donoratico che, pur rientrando in questo gruppo, segue un modello di approvvigionamento della ceramica tipico dei siti minerari. Nei siti identificati come aree insediative di più lunga durata, Montemassi e Scarlino, si è notata inoltre una maggiore varietà nella composizione del corredo ceramico da cucina, con la presenza tra le ceramiche di forme quali brocche, ciotole, coperchi, attestate invece in percentuali molto basse (1-2% di tutto il corredo) negli altri siti. Anche in questo caso abbiamo constatato un’eccezione rappresentata dal sito di Montarrenti, non insediato in età classica, ma interessato dallo stesso ricco corredo. La differenza potrebbe essere costituita dal fatto che almeno due dei tre siti si identificherebbero come curtes e non come semplici villaggi (per Montarrenti, CANTINI 2003, pp. 231-232; per Scarlino, MARASCO 2002/2003). Per alcuni degli insediamenti analizzati abbiamo inoltre tentato la ricostruzione dei corredi domestici delle singole abitazioni, finalizzata alla comprensione di eventuali gerarchie visibili nel sito. I dati scaturiti, in particolare per Donoratico e Campiglia, hanno mostrato una presenza quasi alla pari di prodotti in ceramica depurata ed in ceramica grezza, quindi una corrispondenza all’interno del corredo tra i manufatti specifici per cuocere il cibo e quelli per la conservazione degli alimenti; molto spesso si è notato il prevalere della dispensa, mai degli utensili per cucinare. Un confronto tra i dati di Campiglia e quelli di Donoratico ci ha permesso di valutare il fabbisogno di una abitazione media, posta nel X secolo all’interno di un abitato accentrato, in circa 8 olle, 1 coperchio, 3/5 testi, tra cui forse 1 testo-tegame, 1 orciolo, 1 catino, 3 boccali, 7/8 brocche, alcune fuseruole.

d) Un altro dato legato al consumo che caratterizza, ma in maniera al momento più incerta, l’economia di alcuni siti è la presenza di contenitori denominati “anfore”, prodotte anche nel polo di fornaci specializzato di Roccastrada. I ritrovamenti identificati fanno capo a siti con carattere eterogeneo: due insediamenti a lunga durata, uno nell’entroterra, Montemassi ed uno sulla costa, Scarlino (MARASCO 2002-2003); un grande centro costiero, Grosseto (FRANCOVICH et alii 2000, CITTER 2007), ed un sito minerario, Rocchette Pannocchieschi. Per quale motivo questi siti necessitavano di contenitori forse inquadrabili come tipi formali da trasporto? Possiamo pensare che avessero un surplus da commerciare e da vendere nei mercati cittadini oppure si trattava di scambi tra insediamenti vicini? La problematica è complessa, innanzitutto perchè non sappiamo quanto possa essere verificabile l’ipotesi di 29 queste “anfore” come contenitori da trasporto ed in secondo luogo perchè i ritrovamenti sono ancora molto pochi. Appare certo, in ogni modo, che una parte di questa produzione di anfore provenisse dal polo di Roccastrada: dunque, se lì venivano fabbricati grandi contenitori biansati, vi doveva essere una richiesta specifica, non soddisfatta dalla produzione di brocche monoansate. Occorrerà in futuro capire se questa domanda puntuale potesse essere collegata al commercio 30 o ad altre funzioni che al momento ci sfuggono . 3. I secoli XI-XII Gli andamenti delle produzioni ceramiche tra XI e XII secolo, ricostruiti attraverso i dati della Toscana meridionale, hanno mostrato una relazione molto forte con alcuni processi storici, economici e demografici in atto nella regione, tra i quali in particolare: a) la nascita dei castelli e il processo di trasformazione delle signorie fondiarie in territoriali; b) la ripresa dei commerci mediterranei e lo sviluppo economico della città di Pisa, protagonista degli scambi 29

Tali contenitori hanno il fondo piatto e dunque non sarebbero utilizzabili per i trasporti marittimi, ma piuttosto terrestri. 30 Nel sud della penisola è stata individuata una produzione di anfore di VIII-IX secolo collegata all’esportazione di vino. Queste anfore si ritrovano a Roma, Napoli e Porto ed erano fabbricate ad Ischia e Miseno (ARTHUR, PATTERSON 1994, p. 420).

c) Dai dati analizzati per la Rocca di Campiglia Marittima abbiamo già messo in luce la particolare recettività del 25

FRANCESCA GRASSI internazionali; c) lo sviluppo demografico ed economico di tutto l’Occidente intorno al Mille, la crescita del consumo di beni agricoli e il dissodamento e la messa a coltivazione cerealicola di grandi distese di boschi e di aree incolte.

ma anche meno aperta alle novità cittadine. Nel corso del testo verranno denominate “contado pisano” e “contea aldobrandesca” (CECCARELLI LEMUT 2004, VIOLANTE 1996, REDON 1994), indicando con la prima un’area di pertinenza della città di Pisa, non sempre e non solo politica, ma sicuramente economica e culturale e con la seconda un’area di dominio politico, economico e sociale dei conti Aldobrandeschi, ma con la presenza di Siena che tentò di esportarvi il proprio modello culturale e parte dei prodotti urbani. L’incastellamento, in entrambe le aree, favorì una razionalizzazione delle attività economiche legate ai nuovi nuclei di popolamento: infatti le botteghe di ceramica poste intorno ai castelli, nate nei secoli precedenti per la domanda dei singoli siti, si contrassero numericamente e affrontarono radicali scelte produttive, che noi leggiamo attraverso una sorta di “razionalizzazione” degli impasti. Scomparvero gradualmente i centri specializzati, nell’entroterra e sulla costa, ma nacquero nuovi poli di produzione ceramica, con un ampio portato di implicazioni economiche e tecnologiche. Per esempio, nella contea aldobrandesca, una o più botteghe di nuova nascita raccolsero l’eredità della ceramica con rivestimenti vetrosi, applicandoli, a partire dal XII secolo, alla forma del tegame per la cottura del cibo; non è escluso che si tratti di un caso di incentivazione della produzione e del commercio rurale operate dalla signoria all’interno del proprio territorio, nell’ambito dello sviluppo economico delle campagne. Ed ancora, nel contado pisano, furono fondate nuove botteghe intermedie tra i castelli e la città stessa (quelle edite ad oggi sono Palaia e Fauglia, vedi infra) che permisero l’afflusso di ceramica fine urbana nei siti rurali. Potrebbe trattarsi dunque di due esempi della stessa operazione “razionalizzatrice” operata da soggetti diversi, una signoria nel primo caso, una città nel secondo. La presenza di forti poteri signorili nella Toscana meridionale non impedì mai, in modo totale, il rapporto tra città e campagna. Infatti, anche laddove la città non penetrò direttamente nell’economia dei siti, come per i castelli della contea aldobrandesca, il rapporto tra le due realtà fu costante, pur se non significativo. Certamente i prodotti urbani arrivarono in maggiore quantità ai castelli del “contado pisano” e per di più, per queste merci, abbiamo potuto ipotizzare un interscambio diretto con il metallo che nelle Colline Metallifere veniva estratto ed in parte lavorato. Si creò dunque, in questa area definita “contado pisano” un’articolazione del mercato così caratterizzata: dalla città continuarono a provenire le produzioni fini, dai centri intermedi fondati da Pisa ceramiche fini e grossolane e dai siti rurali prossimi ai castelli solo quelle grossolane, con o senza invetriatura. L’impatto che le nuove produzioni, soprattutto quelle cittadine, ebbero su quelle rurali sembrò colpire soprattutto la forma di produzione manuale: a cessare non fu la fabbricazione di testelli, sempre attiva e forse delegata non solo alle famiglie, ma anche alle botteghe che continuarono ad essere presenti intorno ai castelli, bensì la produzione specializzata di olle, itinerante, che aveva caratterizzato per alcuni siti tutto l’altomedioevo.

a) Nella Toscana meridionale, la fondazione dei castelli promossa principalmente dalle due casate comitali degli Aldobrandeschi e dei Gherardeschi svolse un ruolo 31 specifico nella formazione della signoria territoriale , che può definirsi, secondo Chris Wickham, una signoria “forte” sviluppatasi in un’area dove vere e proprie città 32 erano difatto assenti . La fortificazione degli insediamenti, in alcuni casi già accentrati da alcuni secoli e in altri fondati ex-novo, la costruzione di cinte murarie, di edifici di rappresentanza e con caratteristiche sociali molto marcate (torri, palazzi) mostra de facto il rafforzamento dei poteri signorili sui 33 castelli e sui territori circostanti, tra X e XI secolo . Promotori di queste iniziative furono sempre le aristocrazie che ne fecero centri di popolamento e di espressione del proprio potere sociale ed economico, che si manifestò anche nella capacità di procurarsi maestranze specializzate per ideare e mettere in opera gli impianti architettonici dei castelli (BIANCHI 2003a, 2003b). Il territorio da noi esaminato ha mostrato, a partire da questo momento, due andamenti distinti, connotati dal ruolo che vi svolsero i poteri signorili: in tutta la zona costiera, la famiglia dei Gherardeschi operò rimanendo sempre all’interno della sfera cittadina e conseguentemente il ruolo di Pisa e Volterra appare forte ed egemonico già dall’XI secolo (CECCARELLI LEMUT 2004, FRANCOVICH, WICKHAM 1994); nella parte sud e nell’entroterra invece, la forza signorile dei conti Aldobrandeschi impedì l’affermarsi del potere cittadino e gli stessi centri maggiori presenti nell’area interessata dal loro potere, Massa Marittima e Grosseto, furono soggetti alla politica della famiglia comitale (CECCARELLI LEMUT 2004; WICKHAM 1996, 2001). E’ stato dunque necessario, nel nostro lavoro, distinguere tra un’area di pertinenza signorile, ma di forte impronta pisana e un’area più ibrida, legata agli Aldobrandeschi e solo parzialmente a politiche cittadine. Questa distinzione tra le due aree è ben leggibile anche sulla base dei dati relativi alle restituzioni ceramiche pertinenti: più inserita in un controllo generale delle merci, dalla fabbricazione alla distribuzione, la prima; più “svincolata” la seconda, 31

Non affrontiamo, se non per alcuni aspetti funzionali allo studio dei processi ceramici, la complessa formazione delle signorie rurali ed il passaggio alla signoria territoriale. Si rimanda ai contributi generali sulle signorie fondiarie e sulle signorie territoriali contenuti in TABACCO 1974, TOUBERT 1995, Storia Medievale 1998 ed ai saggi in DILCHER, VIOLANTE 1996 ed in SPICCIANI, VIOLANTE 1998; in particolare per la Toscana si veda WICKHAM 1996, FRANCOVICH, GINATEMPO 2000, FRANCOVICH, WICKHAM 1994. 32 WICKHAM 1996 propone una Toscana divisa in tre grandi partizioni, caratterizzate dal ruolo svolto dalla signoria territoriale al loro interno (signoria inesistente, signoria debole, signoria forte). 33 La bibliografia sul fenomeno dell’incastellamento è molto vasta e le implicazioni storiche, sociali, politiche, economiche e demografiche di questo fenomeno hanno interessato numerosi studi. Rimandiamo ad alcuni testi generali sulla Toscana, ricchi di bibliografia sui singoli temi connessi alla formazione dei castelli, privilegiando le analisi svolte attraverso tutte le fonti a disposizioni, materiali e documentarie. Si veda dunque FRANCOVICH, MILANESE 1990; FRANCOVICH, GINATEMPO 2000; FRANCOVICH, HODGES 2003; FRANCOVICH 2004; FARINELLI 2003.

b) La riapertura del Mediterraneo alla circolazione di 26

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO merci di ogni tipo ebbe come protagonista principale la città di Pisa, assieme a Genova e Venezia (BERTI 1997a, 1997b, 2003; TANGHERONI 1996, 1998, 2003; GALLINA 1998, MALANIMA 1995). Il ruolo primario della città all’interno dei processi commerciali marittimi, che le permise un costante contatto con i porti del Mediterraneo e con la civiltà islamica, fu uno degli aspetti che determinarono la maggiore influenza che Pisa ebbe sui castelli della Toscana meridionale. Pisa divenne così veicolo privilegiato per l’introduzione di nuove tecniche (ad esempio la squadratura in campo architettonico; la smaltatura in quello ceramico) e per l’arrivo di merci di importazione. C’è un dato relativo all’aspetto formale del vasellame che abbiamo collegato strettamente al ruolo che Pisa svolse in questo momento storico nel farsi mediatrice di innovazioni tecniche e manodopera estera. Infatti, mentre il contado pisano mostra omologazione delle forme ceramiche, sia nei prodotti grezzi sia in quelli depurati, nella contea aldobrandesca i modelli formali sono molteplici e non solo ispirati a quelli urbani. Nel dettaglio delle singole forme, abbiamo constatato come queste influenze, che portarono alla omologazione/standardizzazione in ambito pisano, fossero spiegabili spesso con l’arrivo diretto di prodotti dalle città ed a volte con la presenza con manodopera cittadina che lavorava nei siti produttivi rurali: nel primo caso si è evidenziato lo stretto controllo che Pisa già esercitava sulla vendita di merci in tutte le aree di contado, nel secondo si è messo in risalto il grande bagaglio tecnologico in possesso degli artigiani pisani e la forte spinta imprenditoriale della cittadina che stimolò 34 la circolazione dei vasai dalla città al contado . Tra le classi sociali emergenti all’interno del tessuto urbano, dall’XI secolo si distinse quella mercantile che permise con la propria intraprendenza, forte di interessi cittadini alle spalle, il contatto delle coste italiane con prodotti esteri (LUZZATI 1990, pp. 43-53; PETRALIA 1998, 2004, WICKHAM 1982, pp. 122-123, GALLINA 1998) di ogni tipo, tra cui anche la ceramica. Infatti, nell’ambito della circolazione delle merci, un’importante novità che segnò questo arco temporale fu l’arrivo delle prime ceramiche extraregionali in tutta la Toscana: la città di Pisa per prima ed in seguito molti castelli tra quelli analizzati furono interessati dalla presenza di ceramiche islamiche, bizantine e meridionali, spesso giunte nella campagna tramite Pisa ed a volte senza la sua 35 intermediazione . Questo dato ha messo in luce per il nostro territorio, oltre alla ripresa dei traffici a lunga distanza, anche l’utilizzo di scali portuali intermedi, come Piombino, indispensabili 36 per raggiungere questi beni . Ma ha evidenziato anche un

elemento culturale molto forte: questi beni, considerati “di lusso” per la provenienza, non furono così rari nemmeno nelle campagne e mostrano la presenza di ceti sociali dinamici, capaci di apprezzare e richiedere vasellame di provenienza mediterranea. Per l’XI ed il XII secolo abbiamo confrontato alcuni modelli di consumo presenti nelle campagne e nella città, relativi a nuclei familiari di diversa estrazione sociale. I dati visualizzano tenori di vita medio-alti e una tendenza sostanziale all’omogeneità dei consumi, con alcune piccole variabili, visibili in particolare nei castelli minerari. Qui il tenore di vita fu decisamente alto e possono averlo influenzato anche gli stretti collegamenti con le città, luogo di arrivo dei metalli, nonchè l’appartenenza a circuiti commerciali privilegiati legati ai 37 metalli preziosi . c) Dai fattori sino a qui considerati non possiamo disgiungere le trasformazioni che interessarono tutto l’Occidente europeo intorno al Mille, per gli effetti di una crescita demografica ed economica senza precedenti (DUBY 1975; BALESTRACCI 1990; MALANIMA 1990 e 1995; LUZZATI 1990; PETRALIA 1998, 2004). Lo sviluppo della produzione e degli scambi fu parallelo alla crescita dell’andamento demografico che ebbe tra i primi e principali effetti la messa a coltura di nuovi spazi agrari ed un ritrovato equilibrio tra uomini e risorse agricole, 38 grazie anche a nuovi investimenti tecnologici . Gli effetti di un uso più razionale degli spazi agricoli sono leggibili attraverso l’analisi dei reperti ceramici: già dalla fine del X secolo è infatti in atto un processo di semplificazione formale e tecnologica della ceramica e di standardizzazione delle forme che prese avvio da un’alimentazione in mutamento, con riflessi funzionali sul corredo da dispensa e da cucina. La fonte materiale vagliata per la Toscana ha mostrato che ciò che si usava per la dispensa - boccali, brocche e dal XII secolo catini - assunse forme nuove e più razionali, parallelamente a trasformazioni dell’intero 39 habitat domestico . L’incremento demografico determinò anche una domanda in crescita, proveniente dai ceti urbani e da quelli rurali: una nuova rete di mercati idonea agli scambi e una contemporanea sperimentazione tecnologica volta ad incrementare il volume delle attività produttive si resero necessarie per rispondere a questa crescita. Il luogo privilegiato di queste innovazioni fu la città, dove si concentravano le attività artigianali specialistiche del suo porto, fondato dai monaci del Monastero di S. Giustiniano in Falesia (CECCARELLI LEMUT 2004, pp. 59-60). 37 Per una riflessione sul tenore di vita degli abitanti dei castelli minerari, in particolare nel caso di San Silvestro, si vedano oltre al capitolo relativo in questo lavoro anche FRANCOVICH, WICKHAM 1994; FRANCOVICH 1991; BOLDRINI, GRASSI, MOLINARI 1997; WICKHAM 1996, pp. 387-388; CECCARELLI LEMUT 2004, pp. 14-15 e 30. 38 I miglioramenti tecnologici avrebbero permesso non tanto di ottenere rendite più alte da ogni appezzamento di terreno, quanto di estendere a una maggiore percentuale di campi i livelli di rendimento delle aziende curtensi (PETRALIA 1998, pp. 297-298; LUZZATI 1990, pp. 35-43). 39 Dall’XI secolo infatti il pane acquistò nell’alimentazione un ruolo fondamentale e insostituibile, più del companatico: questo bisogno innestò la necessità di avere in casa riserve di farine e grano, modificando in parte anche il mobilio nelle abitazioni dei contadini. I cambiamenti alimentari produssero dunque variazioni anche nella richiesta del mobilio, come avvenne per la madia da pane che costituì l’oggetto domestico più utilizzato nelle abitazioni dell’epoca (PICCINNI 2002, p. 146; MONTANARI 1993, p. 63-66).

34 Pisa fu il tramite di maestranze anche nei saperi legati alle tecniche murarie già dalla fine del X secolo, come si è evidenzia nell’analisi della maremma pisana dove compaiono, negli edifici ecclesiastici, dei saperi legati alla squadratura della pietra provenienti dall’area islamica occidentale e veicolati da Pisa, tramite i contatti commerciali che la città ebbe con i porti del Mediterraneo (BIANCHI 2003a-b, 2004a-b; QUIROS CASTILLO 1998). 35 Per Pisa ed il commercio di ceramiche mediterranee la bibliografia è molto complessa e si rimanda ai testi base; si veda dunque BERTI, TONGIORGI 1981; BERTI 1997b, 2003. Per alcune riflessioni sull’arrivo di queste merci nella Toscana meridionale si veda invece BOLDRINI, GRASSI, MOLINARI 1997 e BOLDRINI et alii 2004, pagine conclusive. 36 Nel 1135 i pisani si assicurarono il dominio del castello di Piombino e

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FRANCESCA GRASSI (PETRALIA 1998, p. 299; BALESTRACCI 1990; MALANIMA 1990). Ma lo studio della ceramica ci ha mostrato che vi furono anche innovazioni sviluppatesi nel mondo rurale: infatti, l’introduzione della forma del tegame provvisto di invetriatura interna, che provocò una trasformazione nei modi di cucinare, fu prerogativa di un centro di produzione posto in campagna, e per di più all’interno del territorio meno permeabile agli influssi cittadini, quello della contea aldobrandesca. Come abbiamo cercato di spiegare in questa premessa, i fattori che influenzarono le produzioni ceramiche tra XI e XII furono molteplici e gli attori di questa vicenda si mossero tra città e castelli, tra vecchie tradizioni e stimoli alle innovazioni, in un quadro di grande crescita economica che rimarrà come sottofondo costante in tutta questa fase storica. Infine, facciamo due considerazioni, la prima di ordine geografico e la seconda di tipo quantitativo. I siti che abbiamo considerato nel trattare i secoli XI-XII sono tutti quelli inseriti, nel catalogo della Parte terza, tra i luoghi di consumo, nonchè i due siti produttivi dell’areale pisano di Palaia e Fauglia. Assieme agli insediamenti direttamente studiati nell’ambito di questa ricerca, come era avvenuto nella trattazione del blocco cronologico VIIX secolo, abbiamo allargato la nostra sintesi ad alcuni siti editi per completare il quadro produttivo della Toscana 40 meridionale . Per quanto riguarda le quantità, l’esposizione principale relativa alla ceramica è stata basata su 17766 frammenti ripartiti tra 8 insediamenti (Fig. 22).

precisazione terminologica che varrà anche per i secoli successivi, fino al XIV: dall’XI secolo, il termine acroma grezza è sinonimo in questo lavoro di ceramica per la cottura ed ugualmente il termine acroma depurata indica ceramica per la dispensa o, solo in alcuni casi, per la mensa. I corredi da mensa sono ancora poco leggibili o comunque formati da vasellame in materiali deperibili, come il legno. Solo dal XII secolo, abbiamo notato che alcune mense si arricchirono di manufatti vitrei (bicchieri e bottiglie, come nella Rocca di Campiglia) e, forse, di alcuni boccali in ceramica fine di provenienza cittadina che svolsero una funzione sulla tavola e non soltanto in cucina. Nel XII secolo inoltre sono stati identificati i primi arrivi di ceramiche importate, tutte forme aperte come catini, ciotole o scodelle che abbiamo ipotizzato venissero usate per apparecchiare la mensa, come 41 accadeva negli stessi secoli a Pisa . 1. La cucina La ceramica grezza per cuocere il cibo è composta da un panorama di forme sostanzialmente simile a quello dei secoli VIII-X ed il cambiamento essenziale registrato è la nascita della forma del tegame invetriato, a partire dal XII secolo. Tale produzione, presente all’inizio solo nei castelli di dominio aldobrandesco, mostrerebbe già in maniera netta la dicotomia in atto nella Toscana meridionale; il contado pisano, spazio di circolazione delle merci e delle maestranze cittadine, la contea aldobrandesca, spazio di potere economico parzialmente “autonomo” dove prese avvio una innovazione tecnologica come fu l’uso dell’invetriatura nella ceramica da cucina.

3.1 Le tipologie, le funzioni, l’alimentazione I tipi ceramici individuati a partire dall’XI secolo hanno evidenziato funzionalità legate soltanto alla cucina e alla dispensa. Inoltre, le percentuali di ceramica nei singoli castelli mostrano costantemente una maggiore necessità per la dispensa, sempre attestata nei valori del 60-70%, sul totale delle restituzioni. Come abbiamo anticipato nel paragrafo precedente, i cambiamenti formali nel passaggio dal X all’XI-XII secolo sono stati letti nell’ambito di una radicale trasformazione dei modi alimentari, parallela e conseguente alla conversione di molti terreni a pascolo o boschivi in suoli coltivati a cereali e dunque ad un utilizzo sistematico e abbondante dei cereali stessi nella dieta quotidiana (MALANIMA 1990, p.120; LUZZATI 1990, p.35; PICCINNI 2002, p.146; PETRALIA 2004, p. 118). Da questo momento si profila una netta distinzione tra i manufatti capaci di sopportare shock termici (per la cottura) ed i manufatti con caratteristiche di altro tipo, come l’impermeabilità (per la conservazione): non si registra quindi un utilizzo promiscuo degli utensili, ma la diversa destinazione funzionale, sempre esplicita, viene affidata alla miscelazione dell’impasto ed alla macinazione degli inclusi. Questa premessa ci permette di esplicitare una

Ceramica acroma grezza e depurata Il corredo ha i suoi componenti principali nell’olla, tornita e prodotta in botteghe (a) oppure frutto di una lavorazione domestica (b); nel testo ed in rari coperchi e brocche (c): queste forme rientrano tutte nella produzione di ambito rurale. La ceramica per preparare il cibo è invece costituita da catini di varie dimensioni (d) e da alcuni boccali realizzati con impasti depurati (e), sempre di provenienza cittadina. a) Le olle tornite (Fig. 23), provenienti da botteghe artigiane del contado sono in percentuale nettamente maggiore rispetto a quelle manuali. Nell’affrontare le caratteristiche formali di questi manufatti proponiamo la distinzione tra imitazione di modelli pisani e non. Infatti, dividendo i siti in base alle influenze culturali riscontrabili dai tipi ceramici si è ottenuta una bipartizione del territorio, una soggetta sistematicamente 41

Nel quadro della grande ricchezza della città di Pisa per tutto il medioevo e dei suoi fitti rapporti commerciali si inserisce anche la decorazione architettonica delle chiese cittadine con centinaia di bacini ceramici provenienti da tutto il mediterraneo (BERTI, TONGIORGI 1981). L’indagine stratigrafica di due porzioni di tessuto urbano cittadino, Piazza Dante e Piazza dei Cavalieri (Piazza Dante 1993 e Piazza dei Cavalieri 2000, ma anche ABELA, BERTI 1998) ha confermato il grande benessere dei tessuti urbani cittadini, mostrando l’utilizzo di queste ceramiche di importazione non solo come decoro architettonico, ma anche nel quotidiano.

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Si tratta dei castelli o siti rurali di Donoratico (GRASSI, LIGUORI 2004), Scarlino (MARASCO 2002-2003), Montarrenti (CANTINI 2003), Suvereto (CUTERI 1990), Castel di Pietra (CITTER 2009), Grosseto (FRANCOVICH, GELICHI 1980; CITTER 2005), Cosa (CIRELLI, HOBART 2003) e delle città di Siena (CANTINI 2005) e Pisa (BERTI, MENCHELLI 1998).

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LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO 45

agli influssi cittadini già dall’XI secolo, un’altra più “indipendente”. Il primo gruppo di olle identificato ha caratteristiche riconducibili a prototipi pisani (nn. 1-6), presenti in città negli stessi secoli; il secondo è invece collegabile a modelli forse senesi o comunque, non pisani (nn. 10-14). Tutte queste olle tornite hanno caratteristiche tecnologiche simili: manifattura artigianale, decorazioni costituite da filettature esterne, impasti ben miscelati, cotture omogenee; inoltre, le analisi delle argille hanno indicato produzioni locali, nelle vicinanze dei siti. Allora per quale motivo, nella persistenza delle botteghe intorno ai castelli, i modelli formali si sono mostrati così fortemente omogenei con le città, ed in particolare con Pisa? Oltre ad una semplice spiegazione della somiglianza formale tra i tipi ceramici come fenomeno di imitazione, assai probabile, abbiamo considerato anche un’altra possibilità, soprattutto per i siti pertinenti a 42 signorie collegate a Pisa . La città di Pisa potrebbe infatti avere operato una scelta economica ben precisa inserendo in campagna, nei siti rurali presenti intorno ai castelli, alcuni artigiani cittadini. In questo modo avrebbe attuato un salto di qualità, ponendosi non solo come modello culturale, ma controllando parte della produzione ed in particolare quella che forniva la ceramica di prima 43 necessità, per svolgere le funzioni primarie .

come le risorse minerarie . Il maggior benessere, unito all’inserimento dei castelli in circuiti commerciali regionali, rese possibile la scelta di vasellame di diversa produzione per la cucina e forse anche di maggiore costo, come quello tornito. - Socio-culturale. Il contatto sempre crescente con il vasellame cittadino (anche per la presenza di vasai urbani che lavoravano nelle botteghe del contado) influenzò il gusto di coloro che abitavano in campagna, spingendoli ad appropriarsi dei modelli culturali dei centri urbani. c) Il testo (Fig. 23, nn. 16-17) cresce numericamente nelle stratigrafie riferibili a questi secoli: si attua un uso sistematico di questa forma, riservata per eccellenza alla panificazione. Infatti, con la crescita del consumo di cereali e farine, accanto alla presenza di forni comunitari nei castelli, non può essere comunque esclusa l’esistenza di forme alternative per la cottura del pane e delle focacce, nell’ambito delle singole famiglie. Coperchi ed altre forme da cucina in ceramica grezza come alcune brocche, colatoi e pentole (nn. 7-8-9-15-18) ebbero invece una diffusione molto limitata e possiamo affermare senza dubbio che la cucina continuò ad essere composta essenzialmente dall’olla e dal testo. Per quanto riguarda le dimensioni dei manufatti, non si registrano forme per il consumo collettivo: le olle si attestano tutte tra 8 e 16 cm. di diametro; i testi tra 8 e 20 cm. di diametro.

b) La diminuzione della produzione manuale di olle può essere correlata all’incremento della ceramica tornita di imitazione cittadina. Le spiegazioni del declino (solo momentaneo) di tale modello produttivo ben presente nei secoli precedenti potrebbero essere molteplici e dipendenti da fattori di ordine: - alimentare. Tra XI e XII secolo, con la costruzione dei castelli in pietra, sicuramente avvenne un cambiamento anche degli arredi interni delle abitazioni, compresi quelli 44 della cucina e le olle prodotte a mano, provviste di fondo convesso, non rispondevano più alle esigenze di cottura sui nuovi focolari. Infatti, mentre il focolare, nelle capanne, veniva ricavato direttamente sul piano di calpestio in terra battuta, nei castelli si è notata la presenza di una struttura stabile, composta da un piano rigido in pietre refrattarie o mattoni. - Economico. La nascita del castello comportò un investimento economico nel sito, soprattutto da parte di ceti signorili, un probabile aumento demografico dei nuclei castrensi ed un maggiore benessere conseguente all’attivazione sistematica di certi settori dell’economia,

d) I catini (Fig. 24, n. 3), individuati a partire dal XII secolo, hanno in entrambe le aree un corpo troncoconico ed una tesa molto squadrata. La distinzione tra diverse aree produttive è stata possibile solo con il dato fornito dalla provenienza dell’argilla, peraltro non sempre facile da valutare per i processi di depurazione a cui veniva sottoposta. Sicuramente una parte dei catini analizzati arrivò da Pisa o da centri intermedi collegati a questa città, mentre per i restanti “non pisani” è rimasta aperta la possibilità di una produzione nelle botteghe urbane, a Siena o Volterra. Anche in questo arco cronologico si è registrata una certa discontinuità nella presenza di forme aperte: alcuni castelli non usarono catini sino al XIV secolo, mentre in altri si è notata una presenza più alta, con l’uso sino all’XI secolo dei tipi con orlo rientrante (Fig. 24, nn. 1-2) e dal XII dei tipi nuovi con orlo a tesa. Questi dati non sembrano in relazione con l’appartenenza a diversi ambiti culturali; due castelli costieri del contado pisano come Campiglia Marittima e Rocca San Silvestro hanno mostrato infatti tenori opposti. Dunque, la funzionalità ci sembra il principale fattore che possa spiegare presenze così difformi in ognuno dei siti. e) Per quanto riguarda i boccali (Fig. 24, nn. 4-13), abbiamo registrato dall’XI secolo la nascita dei corredi acromi pisani e dalla metà del XII secolo di quelli senesi, che resteranno in uso sino a tutto il Duecento. La differenza cronologica che le due produzioni hanno mostrato nel giungere ai siti del contado necessita di un chiarimento specifico. Affronteremo più avanti il riassetto degli apparati produttivi e, in alcuni casi, delle reti

42 Tutta la zona costiera, nella quale è maggiore l’influenza pisana, fu controllata dai signori Gherardeschi, già strettamente legati a Pisa dall’XI secolo, momento in cui alcuni esponenti della famiglia risultano inurbati e inseriti nel ceto dirigente cittadino (CECCARELLI LEMUT 2004, p. 60). 43 La circolazione di maestranze pisane in quest’area è documentata anche da altri settori del sapere tecnico, come quello metallurgico (fabbri) e murario (maestri muratori). Queste maestranze, portando con sé il bagaglio tecnologico appreso grazie ai numerosi contatti commerciali tra Pisa e il mondo islamico, permisero un rinnovamento di specifici settori produttivi (BIANCHI 2003a, p. 277 e b; CUCINI 1990). 44 Nell’XI secolo i cambiamenti formali che si registrano all’interno dei castelli furono legati soltanto agli edifici ecclesiastici ed alle cinte murarie, mentre continuarono a sopravvivere le abitazioni con base in muratura ed elevato in materiale deperibile. Nel XII secolo invece si attuò una modifica radicale del modo di abitare, che comportò la trasfromazione delle planimetrie dei siti ed un utilizzo sistematico della pietra per tutte le costruzioni (BIANCHI 2003a e b, pp. 572-573).

45 Questo benessere non si limitò a toccare i siti che ebbero un ruolo diretto nell’estrazione dei metalli monetabili, ma riguardò comprensori più vasti, altrimenti vocati ad un’economia agro-pastorale (FARINELLI 2007).

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FRANCESCA GRASSI commerciali collegate, a partire dall’XI secolo (per Pisa, BERTI, MENCHELLI 1998; per Siena, CANTINI 2005). Qui sottolineiamo questo fatto e cioè che il vasellame su impasto depurato di fabbricazione pisana circolò nel contado sino dalle prime fasi produttive, mentre quello senese è ad oggi quasi “invisibile”. Nel dettaglio, contado pisano e contea aldobrandesca hanno mostrato: - nel contado pisano, sino all’XI secolo circola ancora la ceramica a colature rosse e la vetrina sparsa; da questo secolo Pisa iniziò a commerciare a sud le proprie ceramiche fini, esportando direttamente i prodotti o con l’utilizzo di centri intermedi soggetti alla città. - Nella contea aldobrandesca i cambiamenti furono più lentamente recepiti; sino alla fine dell’XI secolo continuò ad essere attivo il polo specializzato di Roccastrada e solo dal XII secolo inoltrato si sono individuate e distinte le prime produzioni di ceramiche fini forse provenienti da Siena. Ciò sembrerebbe marcare una maggiore chiusura alla città di tutta l’area soggetta alla potente signoria degli Aldobrandeschi, unita forse ad una minore intraprendenza commerciale di Siena rispetto a quella mostrata da Pisa negli stessi anni. Purtroppo la mancanza di dati sui corredi ceramici volterrani non ci ha permesso di inserire anche questa città nelle nostre riflessioni, ma bisogna comunque ricordare che non è escluso, laddove abbiamo individuato influenze senesi, che si debba parlare, più propriamente, 46 di modelli volterrano-senesi . Passando ad una veloce analisi delle forme, quelle di area pisana (nn. 7-9) hanno pareti sottili ed una solcatura, più o meno profonda, alla base del collo, steccatura della parte terminale della parete e schiarimenti delle superfici, talvolta identificabili con veri rivestimenti, sotto forma di terre diluite. Tra i boccali si è notata inoltre una presenza quasi costante delle filettature esterne: si tratta di forme presenti in almeno tre dimensioni, l’ultima delle quali, per la grandezza, rappresenta una sorta di ibrido tra un boccale ed una brocca. Per la morfologia, pur rimandando ai tipi “Busi” tipologizzati dai rinvenimenti della Torre della Fame a Pisa (BUSI 1984), si è notata la maggiore globularità dei corpi rispetto ai prototipi cittadini, probabile spia di ateliers dipendenti da Pisa, ma dislocati nel contado. Gli impasti al contrario non sono più distinguibili, dato il loro grado di depuratezza. I boccali di area senese-volterrana (nn. 10-13) sono simili nella forma a quelli pisani, ma, nonostante le analogie formali, a livello dimensionale non rientrano quasi mai nei parametri identificati per il materiale pisano.

locale, come la vetrina sparsa. In particolare, qui ci interessa richiamare la produzione a vetrina sparsa, tipica di contenitori da dispensa, fabbricata in botteghe ubicate nell’areale costiero che cessarono di essere attive alla fine dell’XI secolo. Dal XII secolo, l’uso della vetrina diventa di esclusiva pertinenza della ceramica per cuocere i cibi, applicata a tegami e olle rivestiti inizialmente di una spessa vetrina di colore nero ed in seguito, dal XIII secolo, anche in altri colori tra cui verde, giallo e marrone. Si tratta di un rivestimento composto da vetrina piombifera estesa sulla superficie interna del manufatto (vedi fig. 23, nn. 19-21). Assieme all’uso innovativo della vetrina per scopi prettamente funzionali, si ebbe inoltre la nascita di una nuova forma, quella del tegame, prima sconosciuta nei corredi per cucinare. Il tegame rappresentò lo strumento per una cottura alternativa sia alla bollitura, praticabile 47 nelle olle, sia all’arrostimento diretto sul fuoco . L’avvento nelle cucine della forma del tegame invetriato non mutò considerevolmente i corredi domestici dei siti rurali. Infatti, la tendenza generale riscontrata nei siti esaminati, fu di una presenza minima, ma costante, di ceramica invetriata da fuoco, pari circa al 1-2% del totale del corredo da cucina, evidenziando dunque un uso che non determinò cambiamenti radicali nell’alimentazione. Inoltre, anche le altre forme prodotte assieme al tegame ebbero diffusione molto sporadica, perlomeno nelle prime fasi produttive, come accadde ad esempio per le olle provviste di vetrina. Osservando la distribuzione sul territorio della produzione di tegami invetriati e considerando al momento solo quelli provvisti di vetrina nera che si diffusero nel XII secolo, è stato possibile effettuare alcune considerazioni di carattere economico: i siti che presentano questi particolari manufatti sono soltanto alcuni tra quelli esaminati, posti nell’entroterra, mentre nel XII secolo questa classe ceramica è quasi assente sulla costa. Si è notata dunque una corrispondenza distributiva della prima fase produttiva con la contea aldobrandesca, ed un’assenza nei siti del contado pisano. In questi ultimi siti è presente, solo dalla metà del XIII secolo, il pentolame invetriato da cucina con vetrine gialle, verdi o marroni, molto sottili e stese in maniera uniforme (Fig. 25). L’interesse principale per lo studio delle ceramiche invetriate da cucina (GRASSI 2009) risiede soprattutto nel fatto che si tratta di una produzione molto precoce in ambito rurale; a tale proposito basti pensare che in città i manufatti invetriati non si affermeranno sino al tardo Trecento. Inoltre, un altro punto di interesse, per questa prima produzione di XII secolo, è dato dalla tipologia del rivestimento, molto spesso e di colore nero. Ed infine è senza dubbio da comprendere dove possa ubicarsi questa produzione e per quale motivo la distribuzione dei prodotti della prima fase sia strettamente collegata all’ambito territoriale aldobrandesco interessando solo i siti di Scarlino, Montemassi, Rocchette Pannocchieschi,

Ceramica invetriata per il fuoco La produzione di invetriata in monocottura non fu una novità per l’area che trattiamo: ceramiche provviste di rivestimenti vetrosi sono già presenti dall’altomedioevo, importate, come la vetrina pesante, o di produzione 46 Purtroppo i corredi volterrani sono leggibili solo assieme alla maiolica arcaica, l’unica classe ceramica medievale di Volterra studiata con sistematicità (PASQUINELLI 1987). È proprio il confronto con la maiolica arcaica che ci indica le forti influenze che Volterra ricevette dalle ceramiche senesi e che ci spinge dunque a parlare di un’areale produttivo che forse, più che senese, dovrebbe essere propriamente definito volterrano-senese, pur nell’impossibilità, a causa della mancanza di dati, di trovare differenziazioni tra i due centri produttivi.

47 La cottura che si poteva ottenere in una forma contraddistinta da ampia imboccatura e pareti basse era di breve durata e rivolta a cibi solidi più che liquidi, forse carni. I dati ottenuti con le analisi funzionali sui reperti delle volte di S. Antimo a Piombino hanno infatti mostrato che un campione di tegame, non provvisto di invetriatura, conteneva tracce di grassi animali e grassi del pesce, confermando dunque questa ipotesi (PECCI 2007).

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LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO Cugnano. Tutto ciò ci ha spinto ad operare un’analisi archeometrica di dettaglio dei rivestimenti e dei corpi ceramici, aggiungendo anche un confronto con quella a vetrina sparsa e con le produzioni invetriate da cucina più tarde, di XIII e XIV secolo (FORTINA, MEMMI TURBANTI, GRASSI, 2007). Per quanto riguarda i corpi ceramici, le analisi hanno mostrato che i principali inclusi presenti negli impasti non venivano aggiunti, ma facevano parte delle argille così come erano state cavate e che le temperature delle fornaci non superavano mai gli 850 gradi; inoltre i manufatti subivano una sola cottura. Le materie prime dunque, ben adatte alla foggiatura di ceramica, provenivano da un’area limitrofa alla zona mineraria tra Rocca San Silvestro e Campiglia Marittima. Questo dato al momento lascia alcuni dubbi aperti: difatto, in alcuni campioni provenienti da Montemassi e Rocchette Pannocchieschi sono emersi anche inclusi che potrebbero identificare le provenienze di alcune argille dall’entroterra, come per la presenza di riolite, tipica dell’areale vulcanico di Roccastrada. Per quanto riguarda le tipologie delle vetrine, nelle caratteristiche ottiche invetriata grezza e vetrina sparsa sono risultate analoghe, caratterizzate da spessori non uniformi (da 75 a 280 micron per le invetriate grezze, da 20 a 210 micron per le vetrine sparse) e da un’alta opacità. La modalità di applicazione prevede inoltre vistose colature: nella vetrina sparsa come esito finale, nelle invetriate grezze come effetto secondario sulla superficie esterna. Il confronto tra le vetrine dei campioni di ceramica invetriata grezza con rivestimento nero di XII secolo e quelli delle vetrine sparse di X e XI secolo ha mostrato dunque tecnologie di base simili, nella composizione delle stesse, con analoghi andamenti dei componenti principali, gli ossidi di piombo e di alluminio. In entrambe le classi si rivela infine una tendenza all’aumento della percentuale di piombo con il progredire della fase produttiva, forse determinato dalla necessità di diminuire il punto di fusione delle vetrine e abbassare le temperature di cottura. Questi nuovi dati archeometrici, in sintesi, hanno permesso di supportare una continuità tecnologica tra vetrina sparsa e invetriata grezza (GRASSI 2009). Le tecnologie alla base delle due classi ceramiche, vetrina sparsa ed invetriata grezza, sono risultate simili e ciò potrebbe anche spiegare l’uso precoce dell’invetriatura nei manufatti da cucina in ambito rurale: infatti entrambe le classi ebbero alla base una medesima tecnologia produttiva. Si è notato però che tale tecnologia fu di esclusiva proprietà dei centri costieri sino all’XI secolo ed in seguito, intorno al XII secolo, si spostò in alcuni centri produttivi dell’entroterra che produssero ceramica grezza rivestita di vetrina. Questo spostamento della tecnologia di produzione può trovare, a nostro parere, alcune spiegazioni. Dato il legame tecnologico riscontrato con la ceramica a vetrina sparsa, abbiamo pensato che chiarire le motivazioni per la “fine” di questa classe avrebbe potuto rivelare l’inizio delle altre: senza dubbio il prodotto che si fabbricava nelle botteghe costiere, sia acromo sia invetriato in maniera casuale, rispondeva ad una concezione superata di contenitore da dispensa, meno pratico e funzionale delle nuove ceramiche fini che

circolarono a partire dall’XI secolo, spesso di produzione cittadina. Ma accanto a questa fine “naturale”, va considerato anche il fatto che la costa fu dall’XI al XIV secolo un’area di dominio dei prodotti pisani e dunque era ben limitato lo spazio economico per una ceramica da 48 dispensa in concorrenza con quella cittadina . Dunque, i vasai in possesso di questo patrimonio tecnologico molto ampio furono costretti a rinnovare il proprio bagaglio formale, ma rimanendo soltanto nella zona costiera, il mercato potenziale dei loro prodotti sarebbe stato costituito dai numerosi castelli presenti, la cui domanda, pur alta, di vasellame, rischiava di essere monopolizzata da Pisa. Nell’entroterra invece, l’assenza di una città e la contemporanea presenza di un mercato ampio, costituito da numerosi castelli, determinarono forse le condizioni ideali per il tentativo di rinnovare l’attività produttiva delle ceramiche invetriate. La presenza di uno spazio territoriale forte, come quello costituito dagli Aldobrandeschi doveva costituire un grande incentivo alla migrazione degli artigiani, pur non trattandosi di un vero e proprio spazio di libero mercato; non si possono infatti escludere forme di gestione e controllo monopolistico da parte degli Aldobrandeschi stessi. 2. La dispensa Nell’ambito della dispensa, al contrario di quello che abbiamo registrato per le ceramiche da cucina, i dati archeologici raccolti hanno mostrato che tutte le nuove forme presenti in entrambe le aree del contado furono prodotte esclusivamente dalla città e da centri intermedi e si diffusero attraverso una rete di scambi commerciali. I contenitori di grandi dimensioni mostrano maggiore specializzazione, attraverso la raffinazione degli impasti finalizzata ad una migliore conservazione delle derrate agricole, in particolare dei cereali, fornendo maggiore protezione dagli sbalzi di temperatura e dall’umidità. Dobbiamo comunque sempre tenere presente, parlando di dispensa, che nell’XI secolo si sono ancora registrati molti tratti in comune con le produzioni altomedievali, mentre dal XII si attuò in maniera definitiva una rottura con il passato. Per tutto il secolo XI erano infatti ancora presenti brocche con colature di ingobbio o vetrina, ma dal momento che non cambiarono nè le forme nè i luoghi produttivi nè tantomeno le percentuali di attestazione, non verranno affrontate nel dettaglio, ma ci limiteremo a considerare brevemente solo la fine delle due produzioni. La produzione a colature rosse terminò in seguito alla fabbricazione nella stessa città di Pisa di nuove forme con nuovi impasti, ovvero con l’attuazione di quel riassetto delle officine ben analizzato da Graziella Berti alcuni anni fa (BERTI, MENCHELLI 1998). La produzione costiera di ceramica a vetrina sparsa, come detto, finì per lo stesso motivo, ma per via indiretta. In questo caso fu, secondo noi, la concorrenza degli stessi prodotti pisani a determinare la fine di una classe ceramica di “vecchia concezione” (GRASSI 2009). Nell’analisi della ceramica depurata di questi secoli si sono evidenziate ancora più chiaramente le due “velocità” 48 La concorrenza dei prodotti più raffinati da cucina e dispensa sembra essere anche alla base della fine della produzione di vetrina sparsa nella campagna laziale (PATTERSON 1993, p. 327; PAROLI 1992, pp. 54-58).

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FRANCESCA GRASSI con le quali le novità penetrarono nelle due aree territoriali (costa ed entroterra) ed a nostro parere ciò fu determinato dalla presenza più o meno forte della città, dove gran parte di queste innovazioni sembrano nascere. Il contado pisano mostra sin dall’XI secolo, uno smercio ed una produzione di prodotti nuovi, con raffinazione degli impasti, decori incisi e schiarimenti delle superfici. La contea aldobrandesca invece è più lenta nelle trasformazioni; sino all’XI secolo rimasero attive le fornaci di Roccastrada che continuarono a vendere prodotti fabbricati secondo i modelli formali altomedioevali e solo dal XII secolo abbiamo riconosciuto la presenza cittadina in alcune produzioni ad impasto molto fine. C’è da aggiungere inoltre che i modelli formali furono in entrambe le aree molto omogenei: il corredo depurato non sembra contraddistinto da nette separazioni di aree formali e questo ne ha complicato lo studio. Il dato dimensionale, dove utilizzabile, è sembrato il più sicuro: soltanto in presenza di forme con misure ricostruibili abbiamo inserito con certezza la ceramica nella produzione delle due città, pisana o senese.

si affiancano brocche con anse sormontanti e collo strozzato (nn. 10-11) a quelle con ansa complanare e collo dritto (n. 13), ne segue una seconda che vede la preminenza di un solo tipo (nn. 13-15), spesso corredato da bolli. Sono assenti, nel corredo senese, decori incisi e rare, ma presenti, le sbiancature delle superfici. Per Siena, a differenza di Pisa, è stato molto difficile individuare eventuali centri intermedi di produzione: è probabile che la politica economica della città non abbia previsto la creazione di poli produttivi extra-cittadini sino al tardo XIII secolo. b) Gli orcioli (n. 8 pisano, nn. 12-14 senesi) mostrano in entrambe le aree caratteristiche tecniche simili ed orli estroflessi o dritti associati a corpi globulari; più raramente hanno decori sinusoidali incisi, spesso sono dotati di due anse laterali. Bisogna sottolineare infine che la presenza di questo contenitore è stata probabilmente molto sottovalutata perchè in mancanza di una ricomposizione completa non si è reso facile distinguerlo dalle brocche. 3. La mensa

La ceramica acroma depurata

I nuovi consumi alimentari messi in luce attraverso la ceramica da cucina avrebbero potuto stimolare, a nostro giudizio, anche l’esigenza di consumare i pasti con modalità diverse. Al contrario, non sembrerebbe esserci la richiesta di un corredo specifico da mensa almeno sino all’avvento della maiolica arcaica. Quello che la fonte materiale ha reso esplicito è stata infatti la mancanza di piccoli contenitori ad uso individuale per consumare il cibo. Dovremmo dunque ipotizzare la presenza di ciotole singole in legno oppure l’utilizzo di grandi taglieri al centro della tavola. Ed è proprio l’usanza di cibarsi da contenitori collettivi che sembrò determinare una mancanza di corredi singoli, con l’eccezione del coltello in metallo che forse rappresentava l’unico oggetto 49. sicuramente a disposizione per ogni commensale L’unica eccezione potrebbe avere riguardato i boccali ad impasto depurato che sicuramente ebbero un ruolo nella mescita delle bevande sulla tavola, in particolare quelli di dimensioni più piccole, poco adatti alla preparazione del cibo. I catini ugualmente, come contenitori di frutta o verdura, ad esempio. In ogni modo, si trattava di vasellame non nato come parte di un servito individuale da mensa, ma adattato alle singole necessità. Perciò la maiolica arcaica rappresenterà una rivoluzione, soprattutto culturale, presentandosi come la prima classe ceramica pensata con forme specifiche per la mensa. Per quanto riguarda il vetro, dal XII secolo lo troviamo accanto ad alcuni oggetti di ceramica per la mescita e per la bevuta individuale (bicchieri e bottiglie), ma non si è riusciti a percepire quanto questo uso fosse relegato a classi privilegiate oppure generalizzato a tutti i ceti sociali (per Campiglia Marittima, ad esempio, MENDERA 2004). Lo stesso ragionamento può essere ampliato alla

Le forme presenti in ceramica acroma depurata (Fig. 26) sono pertinenti a brocche per conservazione a lungo termine (a) ed orcioli per conservazione a breve termine (b), mentre sembrano assenti le “anfore” registrate nell’altomedioevo. a) Le brocche pisane presenti nei siti costieri hanno mostrato gli andamenti della fabbricazione cittadina di questi contenitori. Nell’XI secolo vi è un tipo di brocca con ansa sormontante e collo strozzato, prodotta con impasto fine, simile al tipo G.I pubblicato in BERTI, MENCHELLI 1998 (nn. 1-2). Assieme, sempre dall’XI secolo, si trova una forma di brocca (nn. 3-4-6-9), con impasti depurati, corpo ovoide, filettature e un largo motivo sinusoidale inciso a punta nella parte alta del vaso ed ampie filettature (tipo G.II, BERTI, MENCHELLI 1998). La vita di questo tipo inizia nell’XI secolo avanzato e si diffonde nel XII, mentre alla metà del XIII secolo è già in via di sostituzione da parte di forme simili, pur se prive di decoro esteriore. Queste brocche sono presenti a Rocca San Silvestro, Donoratico (GRASSI, LIGUORI 2004), Campiglia Marittima, Scarlino (MARASCO 2002/2003) ed in altri insediamenti minori lungo la costa. Sempre dal XII secolo questo tipo, oltre alla perdita delle decorazioni, viene corredato in maniera sistematica con bolli radiali impressi sul culmine dell’ansa, in disposizione singola o multipla (nn. 5-7). Come per i boccali depurati, anche per le brocche è stato possibile distinguere la produzione cittadina da quella effettuata nei siti del contado solo attraverso labili indizi legati alle argille. In ogni sito, infatti, queste forme sono associate ad almeno due impasti distinti: ciò potrebbe significare la provenienza da due botteghe diverse in città oppure dalla città e da centri intermedi di produzione. Le brocche senesi sono risultate molto meno caratterizzabili, per scarsità di dati a disposizione. Come abbiamo specificato nel paragrafo precedente, solo dal XII secolo si riconosce un corredo senese, analogo a quello pisano. Infatti, ad una fase (XI secolo) nella quale

49 Alcune ricerche iconografiche effettuate in Francia per i secoli XII e XIII mostrano che al centro della tavola, solitamente mobile, vi è un contenitore comune da cui tutti i commensali portano il cibo direttamente alla bocca per mezzo delle mani o di un coltello. Negli strati sociali più bassi invece il cibo viene sempre posto al centro della tavola oppure consumato direttamente dal recipiente di cottura (MANE 1983, p. 113; CLOSSON 1984, p. 30).

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LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO ceramica fine di importazione, certamente usata sulla tavola (si trattava in genere di piccole forme aperte), ma in quantità minime. Se il suo utilizzo per la mensa tra i ceti urbani pisani è stato dimostrato (ABELA, BERTI 1998), non sappiamo se questo dato possa essere generalizzato a tutte le classi sociali.

delle botteghe artigianali poste intorno ai castelli che producevano ceramica da cucina (b) si svilupparono altre officine che produssero ceramica invetriata (c), mostrando una concezione nuova del lavoro specialistico ed un raggio di distribuzione dei prodotti ampio. a) Tra XI e XII secolo abbiamo registrato in tutto il territorio analizzato il momento più basso di presenza per le ceramiche modellate a mano. Ma bisogna operare una distinzione. La produzione di testi per la cucina non subì nessuna flessione, anzi, potremmo affermare che questo manufatto si radicò come strumento essenziale per la cottura proprio in questi secoli. Invece, la produzione “itinerante” di olle modellate a mano che ha caratterizzato gran parte della Toscana meridionale nell’altomedioevo si mostra in netto calo, soprattutto nei siti dove questi prodotti erano stati predominanti nel corredo della cucina dei secoli precedenti. Tra i vari motivi che determinarono il calo della domanda, ed il conseguente declino di questa produzione, ci fu senz’altro la concorrenza delle olle cittadine. Va notato, in particolare, che questi siti, in cui prevale un’economia legata alle risorse minerarie, hanno mostrato la perfetta corrispondenza tra una crescita economica interna, un maggiore benessere e la possibilità di orientarsi verso corredi da cucina forse più costosi. Questa loro domanda poteva essere soddisfatta dalle produzioni artigianali tornite ancora effettuate nel contado, ma orientate verso i modelli formali e tecnologici della città. In ogni modo l’area rurale continuò ad essere interessata da una produzione itinerante di olle, anzi, possiamo senza dubbio affermare che questa forma produttiva rimase attiva per tutto il medioevo (e sicuramente anche nel XV secolo, come hanno mostrato alcuni contesti postmedievali di Montemassi e Campiglia) e sarà abbandonata solo con il passaggio ai corredi rinascimentali.

3.2 I luoghi della produzione, gli scambi Per l’arco cronologico XI-XII secolo abbiamo operato una divisione dei luoghi di produzione, presenti in tutto il territorio esaminato, in base all’appartenenza alla sfera rurale o cittadina. All’interno di questi due blocchi, sono stati ulteriormente distinti, come sempre, il contado pisano e la contea aldobrandesca. Il dato che associa tutti i centri produttori è senza dubbio il rinnovo dei tipi formali e degli impasti utilizzati per foggiare ceramiche grezze e depurate. Questo fattore, in particolare nella città, fu associato ad un vero e proprio riassetto del ciclo di lavorazione, congiunto ad una nuova organizzazione degli impianti produttivi. Anche la campagna fu interessata da questa ristrutturazione, sia per quanto riguarda gli impianti direttamente controllati dalla città (centri intermedi) sia per le botteghe esistenti intorno ai castelli (Fig. 27). Questo fenomeno, generalizzato a tutta la regione, sembrerebbe rientrare nella sfera delle innovazioni tecnologiche avvenute in molti ambiti produttivi, dall’agricoltura alla trasformazione delle materie prime (PETRALIA 1998, pp. 298-301). Dunque, per quanto riguarda la campagna, il quadro è stato ricostruito attraverso il riconoscimento delle seguenti forme produttive: a) produzioni domestiche che si svolgevano internamente ai castelli; b) produzioni artigianali di ceramica priva di rivestimento che si svolgevano nelle botteghe intorno ai castelli; c) produzioni artigianali di ceramica invetriata che si svolgevano in alcune botteghe poste nell’entroterra (contea aldobrandesca).

b) Tra XI e XII secolo le singole botteghe artigiane che operavano intorno ai nuclei insediativi accentrati, ora trasformati in castelli, hanno mostrato cambiamenti formali nella fabbricazione dei tipi ceramici, accanto ad una specializzazione funzionale degli impasti argillosi. Dai dati raccolti si evince che ciò avvenne sia nel contado pisano sia nella contea aldobrandesca, senza distinzione alcuna. Il cambiamento avvenuto nelle singole botteghe rurali sembra da collegarsi all’arrivo di manodopera cittadina che fornì le basi tecniche per la trasformazione delle produzioni e per arricchire il bagaglio tecnologico dei vasai già presenti nelle botteghe rurali. Alcune capacità tecnologiche proprie di queste botteghe artigianali, infatti, rimasero intatte, come la tornitura con tornio veloce e la decorazione con motivi filettati; crebbe invece la capacità di depurare e di creare miscele argillose ideali per determinati utensili e di dare maggiore funzionalità alle forme. In sintesi, si sono evidenziate da questo momento precise scelte produttive con un maggiore uso di miscele argillose e l’associazione di ogni impasto ad una sola forma. L’utilizzo diversificato degli impasti, accanto alla presenza di forti influssi formali cittadini, suggerisce che

Invece, per la produzione cittadina, abbiamo distinto due tipi di produzioni artigianali: d) produzioni di ceramica fine all’interno delle principali città di riferimento per la Toscana meridionale; e) centri intermedi ubicati tra la città ed i castelli nei quali si fabbricavano ceramiche grezze e depurate (contado pisano). Questa schematizzazione in cinque livelli sarà affrontata all’interno di due paragrafi distinti, uno sul contado ed uno sulla città. Un capitolo a se stante sarà invece dedicato ai commerci a lunga distanza, fenomeno che riprese per le città, Pisa in primo luogo, a partire dalla fine del X secolo e che dall’XI secolo investì anche parte dei castelli da noi analizzati, in particolare quelli legati alla sfera d’influenza pisana. 1. La riorganizzazione della produzione rurale I siti produttivi che abbiamo riconosciuto in campagna tra XI e XII secolo derivano solo in parte da quelli attivi nell’altomedioevo. Infatti, accanto alla persistenza delle produzioni manuali interne ai singoli insediamenti (a) e 33

FRANCESCA GRASSI 53

il rinnovamento della ceramica da fuoco sia stato determinato dall'arrivo di nuove maestranze, probabilmente dalla città stessa. Tali botteghe probabilmente vivevano ancora in funzione della domanda dei nuclei accentrati limitrofi e sovente produssero per un mercato limitato addirittura ad un solo insediamento, dato che, con l’aumento demografico conseguente alla formazione dei castelli, anche la richiesta si era incrementata. Infine, abbiamo considerato brevemente il problema dell’individuazione del luogo di vendita delle ceramiche grezze: è probabile che la formazione dei castelli abbia comportato la creazione di mercati rurali intermedi dove avvenivano gli scambi, ma i prodotti frutto di queste botteghe non sembrano avere 50 circolato liberamente . Olle, pentole, coperchi e testi ritrovati nei castelli mostrerebbero rapporti diretti tra il produttore ed il consumatore e la fabbricazione e la vendita sembra ancora avvenire dietro commissioni 51. specifiche

domanda ed un mercato per i tegami invetriatii . La staticità geografica dell’area servita da queste botteghe per ben due secoli, sino al XIV secolo, potrebbe essere stata una scelta consapevole degli artigiani, ma potrebbe anche rivelare un controllo diretto esercitato dalle signorie del territorio ed in primo luogo dagli Aldobrandeschi che stimolarono una produzione rurale finalizzata alle esigenze dei loro castelli. 2. La riorganizzazione della produzione cittadina: le officine in città e i centri intermedi nel contado Tra XI e XII secolo si fa molto visibile in campagna il ruolo produttivo svolto dalla città nel campo ceramico, anche in conseguenza dell’attrazione esercitata su tutti i ceti sociali e su ceti eminenti delle aree rurali, laici ed ecclesiastici, che si inserirono nelle istituzioni urbane, dando vita al fenomeno dell’inurbamento Questi ceti avrebbero investito in attività commerciali e artigianali, favorendo l’arrivo in città dei prodotti rurali e del surplus proveniente dalle campagne, dove avevano alcuni 54 possessi . Per spiegare questi rapporti e queste influenze, segnaliamo due modalità produttive, di tipo urbano, riconoscibili anche nei centri di consumo analizzati: d) la produzione di ceramica fine all’interno delle principali città; e) la produzione di ceramica ubicata in centri intermedi tra la città ed i castelli.

c) Nell’area dell’entroterra, come detto, nacquero alcune botteghe che producevano ceramica acroma e invetriata da cucina e che commercializzarono i propri manufatti nei soli castelli gestiti dai conti Aldobrandeschi oppure da consorterie collegate, come i Pannocchieschi. La genesi di queste botteghe, forse più di una per la presenza di almeno due impasti schedati nei tegami invetriati, è già stata in parte analizzata affrontando i prodotti stessi. Riprendiamo comunque alcuni dati per schematizzare i modi di produzione, i prodotti, l’area di circolazione e la gestione delle officine. Si tratterebbe di botteghe stanziali che producevano manufatti da fuoco e principalmente tegami invetriati e olle acrome (con alcune colature esterne di vetrina). La tipologia fabbricata, in particolare quella invetriata, era altamente funzionale, nell’uso del rivestimento e nella sola forma prodotta, il tegame. In queste botteghe si assommarono dunque saperi specialistici e un’ampia possibilità di accedere alle materie prime, accanto ad infrastrutture adeguate alle lavorazioni effettuate. La differenziazione tra queste botteghe e quelle esaminate al punto b), al di là dei diversi prodotti e di alcune specificità tecnologiche, starebbe nella sfera dello scambio. Qui infatti emerge un caso analogo a quello costituito nell’altomedioevo dal polo di Roccastrada o dall’atelier costiero che produceva vetrina sparsa: una bottega, al massimo due, commerciò i propri prodotti su un ampio mercato rurale costituito al momento da sei 52 castelli . Il fatto che questi sei castelli rientrino tutti nella sfera politica degli Aldobrandeschi ha fatto nascere alcune ipotesi su un possibile ruolo che i Conti stessi avrebbero esercitato nell’attrarre nella loro area il personale tecnico in grado di invetriare e nel creare una

d) Tutte le città toscane, tra X e XI secolo, furono interessate da un fenomeno di riassetto produttivo: riassumiamo brevemente le informazioni a nostra disposizione per affrontare questa “rivoluzione produttiva”. Nella Toscana settentrionale (Prato, Pistoia, Fiesole e Firenze), si registrano presenze di impasti industriali, in particolare nelle ceramiche depurate, frutto di saperi tecnici complessi. La parallela analisi del territorio ha inoltre mostrato una distribuzione dei materiali legata ad una rete capillare di fornaci a livello microregionale (Prato 1978; VANNINI 1987 e 1989; FRANCOVICH, VANNINI 1989). Questo cambiamento è stato evidenziato anche per la città di Pisa; una rilettura dei reperti provenienti da Piazza Dante ha permesso infatti di connotare in modo preciso la scelta “industriale” del centro produttivo, sia nelle modalità di fabbricazione sia nelle strategie di esportazione (BERTI, MENCHELLI 1998). Per Pisa inoltre questo cambiamento sembra coincidere con un rilancio anche commerciale dello stesso vasellame prodotto. A Siena (CANTINI 2003) i dati recentemente studiati 53 La signoria territoriale avrebbe comportato anche la diffusione degli scambi e la commercializzazione delle merci. La creazione e la tutela di infrastrutture (mulini, ponti, strade, nercati) assicurava maggiore profitto economico del territorio sottoposto (PETRALIA 1998, p. 303). In quest’ottica si può anche spiegare la volontà degli Aldobrandeschi di creare un polo produttivo all’interno della loro contea, per dare impulso al commercio rurale. Questa modalità di scambio sembrerebbe pertinente alla numero 3 del modello RENFREW-BAHN 1995, nella quale si è ipotizzato produttore e consumatore che si incontrano in un terzo luogo, spesso un mercato, per scambiare le merci (ARTHUR 2000). 54 Nell’area che prendiamo in esame un esempio è costituito dai Gherardeschi, con interessi nella città di Pisa sin dall’XI secolo (CECCARELLI LEMUT 2004).

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Infatti, se le forme simili potrebbero fare pensare ad un commercio dal produttore a molteplici siti, gli impasti delle ceramiche ritrovate nei siti di consumo, sempre diversi e propri di singoli ateliers, mostrano che ognuna di queste botteghe ebbe rapporti diretti solo con un castello. 51 Il modello esposto ripropone il numero 2 ipotizzato in RENFREW, BAHN 1995 e modificato in MANNONI, GIANNICHEDDA 1996, p. 222 e ARTHUR 2000, p. 67, riguardante i rapporti diretti tra produttore e consumatore. 52 Il rapporto officina-sito, considerando le botteghe che producevano sola ceramica acroma, era di 2/3 per ogni castello; qui invece i dati hanno mostrato un rovesciamento (1/2 botteghe producevano per almeno sei castelli).

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LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO attraverso le stratigrafie dello scavo di Santa Maria della Scala rivelano un miglioramento delle tecniche produttive ed una diminuzione delle forme, sintomo forse di una trasformazione delle botteghe urbane. Infine, in un centro definibile quasi-città come Grosseto (FRANCOVICH, GELICHI 1980), i quantitativi ceramici superiori ai secoli precedenti, le migliori qualità ed il livello industriale mostrato dai manufatti hanno permesso (FRANCOVICH et alii 2000) di ipotizzare una trasformazione analoga a quella degli altri centri urbani. La lettura di un fenomeno così complesso, che abbracciò anche la sfera dello scambio e del controllo delle produzioni svolte al di fuori delle mura cittadine, non può a nostro parere essere disgiunta dai protagonisti che ne permisero l’attuazione. La trasformazione cittadina può essere letta così nell’ottica di una vera politica commerciale legata all’artigianato, la prima attuata dai ceti urbani, adesso interessati alla produzione anche in previsione del commercio nel contado. Soffermandoci sul commercio dei prodotti finiti, abbiamo visto dal nostro osservatorio della Toscana meridionale, due tempi di attuazione di questa strategia. Il contado pisano ricevette da Pisa dagli inizi dell’XI secolo prodotti fini, a coprire tutti i fabbisogni, accanto ad alcuni beni particolari, di cui la città spesso si fece intermediaria, come le ceramiche di importazione. I castelli della contea Aldobrandesca invece ricevettero poche ceramiche da Siena e comunque non prima del XII secolo avanzato: si trattò soltanto di prodotti fini, ma non di ceramiche di importazione che la stessa città non ebbe mai, se non nel Trecento, essendo al di fuori del commercio marittimo. In entrambe le aree, queste merci, prodotte in città o mediate dalla città, non sembrerebbero acquistate in maniera diretta sui mercati urbani e fu probabilmente l’intraprendenza del ceto mercantile che permise il rifornimento in campagna di ceramica ed altri generi di uso quotidiano.

iniziative, molto dispendiose dal punto di vista dell’investimento iniziale di capitale, furono premiate a lungo termine in quanto, avvicinando la bottega al luogo dell’acquisto, si ottimizzarono i costi di trasporto. Infatti, questi nuovi centri produttivi potrebbero essersi sviluppati come semplici luoghi di mercato, posti in aree strategiche, ed in seguito trasformati in piccoli borghi per 55 la presenza stabile di artigiani e bottegai . In questi centri intermedi si produceva ceramica di tutte le classi, grezza e depurata, unendo saperi tecnici e infrastrutture, entrambi spinti da capitali cittadini. Con molta probabilità potrebbero anche aver funzionato come aree di mercato in cui si recavano gli abitanti delle campagne per l’acquisto della ceramica. Non sappiamo con precisione quanti dei prodotti fabbricati in questi centri di produzione intermedi fondati tra XI e XII secolo (Fauglia, Palaia, Castell’Anselmo) abbiano raggiunto i castelli del sud della Toscana, ma una parte dei prodotti fini associati a commerci diretti con Pisa potrebbero essere giunti da centri rurali al servizio della città. Pur nella difficoltà di distinguere il prodotto cittadino da quello fabbricato nei centri intermedi, alcuni indicatori raccolti durante la nostra ricerca potrebbero permetterne il riconoscimento, in particolare per le produzioni fini: si tratta di sottili varianti in alcuni aspetti dei manufatti, come disomogeneità degli impasti e lievi cambiamenti nella morfologia di boccali e brocche. Sicuramente è prematuro tentare di comprendere l’entità dell’iniziativa cittadina nei centri produttivi di campagna, anche per Pisa, che pure è più ricca di dati. Ma bisogna considerare che questo fenomeno potrebbe essere stato molto marcato, soprattutto nei territori dove si univano la presenza di materie prime e un mercato ricettivo, come avvenne nel sud della Toscana. 3. L’arrivo delle prime ceramiche di provenienza mediterranea Dall’XI secolo, accanto alle reti commerciali di ambito regionale e subregionale nelle quali già circolava il vasellame grezzo e depurato, si è osservato nella Toscana meridionale anche la presenza di reti mercantili a lungo raggio che veicolarono ceramiche fini nazionali o mediterranee. Gli arrivi di ceramiche di importazione nel contado furono possibili soprattutto per la vitalità crescente di Pisa, all’interno della quale si sviluppò in questi anni un ceto mercantile protagonista della circolazione di merci. Per alcuni versi si trattò di una vera e propria “rivoluzione commerciale”, come è stata definita, evidenziando il carattere innovativo di questa apertura degli scambi (TANGHERONI 1996, pp. 127-129). In questo quadro, Pisa si inserì come una delle potenze marinare che contribuì a rivitalizzare il commercio marittimo mediterraneo, ponendosi in un primo periodo come conquistatrice di spazi a discapito dei mercanti arabi ed in seguito come l’unica città toscana che stipulò patti e trattati con essi (TANGHERONI 1996, pp. 137-147; TANGHERONI 2003). La città di Pisa stessa mostra al suo interno i segni di questo commercio internazionale e dalla

d) Passando dall’analisi della città come centro produttore e commerciale di beni a quella del ruolo diretto svolto nel controllo della produzione, tale attività, ricostruibile dai nostri dati solo per Pisa, si esplicò in due modi: d-1) manodopera urbana che si trasferì nelle botteghe esistenti del contado. Questo fenomeno, trattato nella sezione sulle botteghe circostanti i castelli ed in quella sui prodotti, evidenzierebbe una prima modalità, poco dispendiosa a livello economico, di controllo dei tipi e delle quantità di ceramica prodotte. Sia la città sia i castelli probabilmente contribuirono nel creare lo stimolo per le migrazioni di manodopera, ma senz’altro la città ci sembra essere stata determinante nell’attuazione di questo fenomeno. Infatti, se da un lato la campagna avrebbe attirato gli artigiani con la presenza dei castelli e quindi di una domanda forte, dall’altro il ruolo della città stessa sarebbe stato determinante: così possiamo spiegare la “massiccia migrazione” dei vasai pisani e, di contro, la “debole presenza” di quelli senesi nel contado. d-2) Fondazione di nuovi poli produttivi in aree rurali. I ceti dirigenti cittadini esplicarono il controllo della produzione anche favorendo l’apertura di botteghe intermedie tra l’area urbana ed i castelli del contado. Tali

55 Molte piccole aree cittadine che costituirono il tessuto urbano europeo avrebbero avuto un’origine di questo tipo, trasformandosi da piccoli mercati in centri di popolamento (PETRALIA 1998, p. 310).

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FRANCESCA GRASSI seconda metà del X secolo vi giunsero prodotti provenienti dall’Islam occidentale (Marocco, Tunisia), dalla Sicilia, da Maiorca, dall’Islam orientale, dall’Egitto (BERTI 1997b, 1998b; BERTI, GELICHI 1995b; BERTI, GELICHI, MANNONI 1997), grazie ai fitti rapporti commerciali intessuti con tutti i porti mediterranei. Questi manufatti furono usati per il decoro architettonico delle facciate di importanti edifici ecclesiastici (BERTI, TONGIORGI 1981), ma anche per uso domestico, come documentato dagli scavi di Piazza Dante e Piazza dei Cavalieri (Piazza Dante 1993; BERTI 2000). Per compiere un’analisi complessiva dei manufatti di importazione provenienti da altre regioni italiane e dalle aree islamiche del mediterraneo (orientali ed occidentali) abbiamo aggiunto ai castelli da noi esaminati anche un sito non direttamente inserito nella nostra ricerca, il monastero benedettino di S. Maria in Alberese, oggi S. 56 Rabano (Fig. 28). Per i siti esaminati con presenza di importazioni, tutti posti in vicinanza del mare e soggetti ad un potere signorile fortemente collegato alla città di Pisa, ad eccezione di Montemassi, è essenziale distinguere tra quei prodotti il cui arrivo precoce fu probabilmente mediato dai commerci pisani e quelli che invece giunsero attraverso collegamenti di altro tipo (BOLDRINI, GRASSI MOLINARI 1997 e BOLDRINI et alii 2004). Tra i primi rientrerebbero i prodotti liguri e quelli islamici (occidentali e orientali) presenti anche a Pisa (BERTI 1997b). Dunque, tramite il proprio porto o scali portuali collegati, come Piombino, Pisa sembra svolgere il ruolo di polo privilegiato per lo smistamento delle ceramiche non toscane. Le quantità assolute degli arrivi, confrontate tra la città di Pisa ed il nostro territorio, hanno mostrato però alcuni dati divergenti. A Pisa, tra XI e XII secolo gli arrivi principali sono costituiti da ceramiche islamiche e bizantine, mentre le presenze dall’Italia meridionale sarebbero minime (BERTI 1997b, p. 349). Nei castelli esaminati invece il dato quantitativo più interessante, accanto ad altre presenze minime, è il predominio dei prodotti meridionali (30% campani e 8% pugliesi), seguito da minori percentuali di ceramiche islamiche (21% Islam Occ. e 8% Sicilia) e bizantine (21%). Questa differenza numerica sembra indicarci che alcuni prodotti meridionali non siano stati controllati e mediati dai mercanti pisani, ma forse da un ceto “prevalente” e con collegamenti autonomi, capace di soddisfare la domanda proveniente dai castelli. Infatti, i prodotti dalla Campania, dal Lazio e dalla Sicilia potrebbero essere giunti con una navigazione di cabotaggio ed attraverso la mediazione di altri scali portuali: Piombino sembra essere a questo proposito lo scalo più idoneo allo smercio dei prodotti provenienti dal sud Italia. L’osservazione dei dati raccolti ha permesso di rilevare che la vicinanza con il mare fu fondamentale per la presenza di questi beni, mentre il ruolo svolto dalle signorie castrensi sembra essere stato minimo. Trovarsi sulla costa o in vicinanza della stessa sembra avere messo tutti i siti nella stessa possibilità di accedere a tali merci, al di là delle supremazie politiche: Pisa certamente redistribuì parte di queste ceramiche attraverso il suo porto oppure attraverso la gestione di scali più a sud, nel

contado pisano. L’entroterra era così escluso da questa circolazione di merci, ad eccezione del caso di Montemassi dove l’arrivo alla fine del XII secolo di due ciotole dall’Islam Occidentale (Cobalto e Manganese) deve essere letto, a nostro giudizio, come il segnale di una signoria forte, quella degli Aldobrandeschi, in grado di accedere a prodotti di consumo particolare. Occorre fare una riflessione sulla considerazione che questo tipo di merce fosse oggetto di pregio: probabimente la ceramica di importazione non ci indica di per sé uno status sociale elevato, ma l’inserimento in determinati contesti geografici può renderla più o meno eloquente sui ceti sociali a cui era destinata. Ad esempio, la distribuzione di ceramiche mediterranee nel castello minerario di Rocca San Silvestro fu costante, nelle case del borgo e nelle aree di pertinenza signorile. Per i siti vicini alla costa, come San Silvestro, avere queste ceramiche non indicherebbe dunque la presenza di un signore che le richiedeva e ne stimolava l’arrivo. Ma la stessa ceramica può divenire un segno sociale distintivo in quei siti dove la reperibilità è minima: a Montemassi gli unici oggetti di importazione ritrovati durante lo scavo si trovavano nei depositi del palazzo signorile, dimora degli Aldobrandeschi prima e dei Pannocchieschi poi e potrebbero dunque segnalare una richiesta ed un uso legato a ceti signorili. 3.3 Il corredo domestico: alcune notazioni sul consumo del vasellame Tra XI e XII secolo, accanto alla crescita demografica ed all'aumento della domanda, in città ed in campagna è stato messo in risalto da gran parte della letteratura anche un altro fenomeno: l’XI secolo fu il primo momento in cui si attuò una distinzione sociale nel consumo di cibo. Da una parte, gli aristocratici, avrebbero avuto maggiore possibilità di mangiare carne (soprattutto cacciata), ma anche cereali e legumi, e, dall’altra, i contadini, che con l’avvento della cerealicoltura estensiva a scapito della pastorizia e dell’uso dell’incolto, furono esclusi da questo consumo, diventando mangiatori di solo pane e di farinacei (MONTANARI 1993, pp. 60-61; LUZZATI 1990, pp. 38-39). Accedere alla carne diventò dunque una sorta di privilegio sociale, riservato a pochi, mentre nei secoli precedenti il consumo di questo alimento era alla portata di tutti. La caccia in particolare avrebbe segnato la distinzione tra livelli sociali: l’uso delle riserve boschive, in diminuzione, viene riservato ai ceti più forti, a scapito dei deboli (MONTANARI 1993, p. 57). La cultura materiale ricostruita per la Toscana meridionale ha mostrato due fattori che possono in parte confermare ed ampliare questo quadro: la ceramica sino ad ora non ci ha mostrato, se non per rari beni importati, indicazioni di status sociali elevati. Al contrario, la funzionalità di certe forme, rimanda solo ad alcuni cibi specifici. È il caso del tegame invetriato, usato solo in alcuni siti rurali (e non in città) e la cui funzione sembra collegata in modo specifico alla cottura della carne. Alla luce di questi dati e del dibattito storiografico, ci è sembrato essenziale guardare alla fonte materiale integrando i dati ceramici con i dati provenienti dai resti ossei animali per capire se vasellame e resti di pasto letti congiuntamente mostrino le differenziazioni sociali

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Il contesto di San Rabano è edito in TONGHINI 2000; la ceramica in oggetto è un lustro egiziano datato alla seconda metà dell’XI secolo.

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LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO evidenziate dagli storici del medioevo. Abbiamo pensato dunque di affrontare il consumo in città e secondariamente nel contado prendendo ad esemplificazione fasce sociali distinte: i ceti signorili, gli artigiani specializzati, i contadini. Infine, nella sezione sul consumo in campagna abbiamo ripreso in considerazione i consumi di tutti i castelli minerari inseriti nella nostra ricerca per affrontare, alla luce del registro ceramico, la questione di una presunta maggiore ricchezza dei siti a vocazione mineraria.

in tutte le aree di tegami invetriati a partire dal XII secolo (MARASCO 2002/2003). b) A Rocca San Silvestro, l’analisi del registro faunistico effettuata sulle aree del borgo e sull’area signorile relativa ai secoli XI-XIII mostra un ruolo trascurabile delle specie selvatiche e dunque della caccia; pochissima presenza di pesce, forse però determinata dalla fragilità dei resti ossei; un apporto di carne principalmente basato sui suini (43%), seguiti da ovicaprini e bovini. L’area signorile non offre differenziazioni, anzi, la quantità maggiore di cacciagione (carne di cervo) proviene da un’area del borgo (BEDINI 1987). La ceramica ha indicato un utilizzo generalizzato dei tipi per la dispensa di area pisana (brocche, orcioli), un utilizzo per la cucina di olle, testi e coperchi e per la mensa di boccali depurati e forse oggetti in legno. Gli oggetti di importazione studiati provengono da case del borgo e da due aree esterne alla cinta muraria.

1. Il consumo in città Il consumo cittadino, in mancanza di contesti domestici urbani da Siena e Pisa, può essere esemplificato attraverso la lettura dei resti ossei animali provenienti dal Cassero di Grosseto (TOZZI 1980; 1981). Bisogna però tenere presente che la zona indagata dallo scavo e da cui trarremo i dati mostra molti tratti rurali più che cittadini. Infatti, nella fase tra XII e XIII secolo, nell’area indagata si trovava un edificio di 14 mq. con elevato in argilla pressata. Questa struttura occupava una zona periferica rispetto al primo nucleo urbano di Grosseto: l’area in questione, infatti fu delegata a sfruttamento agricolo e la stessa casa indagata era assai vicina alla macchia mediterranea e all’incolto, come hanno mostrato le analisi poliniche (FRANCOVICH, GELICHI 1980, pp. 186-188). La caccia e la pesca non fornivano un contributo significativo nell’alimentazione, nonostante la vicinanza del mare e di zone paludose dove si trovava molta cacciagione. La maggiore percentuale di carne consumata nell’abitazione era fornita dagli ovicaprini (31%) seguita dai bovini (21%). Questo forte sviluppo dell’allevamento bovino e ovino fu connesso all’esistenza di terreni adatti al pascolo e di attività agricole sviluppate (TOZZI 1981). Dunque, la famiglia residente in questa casa ubicata a Grosseto consumava, tra XII e XIII secolo, carne ovina e bovina e utilizzava, nella propria cucina, i tegami invetriati, adatti ad una cottura dei cibi animali (FRANCOVICH, GELICHI 1980, p. 190).

c) La rocca di Campiglia Marittima infine ci ha permesso di osservare alcuni contesti relativi all’area dove fu costruito il palazzo signorile dei della Gherardesca nel corso del XII secolo. Per quanto riguarda il registro faunistico, i dati a disposizione presentano un vuoto nel XII secolo, per mancanza di reperti osteologici. Quindi, utilizzeremo i dati ottenuti per l’XI secolo, coincidenti con la prima attestazione di Campiglia come castello con chiesa e corte (CECCARELLI LEMUT 2004). La presenza di suini, che avevano caratterizzato anche l’economia altomedievale di Campiglia, continua ad essere maggioritaria, seguita da quella di bovini e ovicaprini. Contemporaneamente, si nota la presenza di specie selvatiche, frutto di caccia, come daini, cervi e caprioli, assenti invece nell’altomedioevo. Questo dato è stato messo in relazione alla presenza di un personaggio aristocratico (SALVADORI 2004, p. 494) anche se l’esempio citato sopra proveniente da San Silvestro evidenzia il contrario (maggiore presenza di cacciagione in un’area del borgo e non nell’area signorile). L’attestazione di ceramica con colature rosse, nel suo massimo picco di presenza a Campiglia, potrebbe essere un’analoga testimonianza di un ceto aristocratico di cultura cittadina (si veda supra), ma bisogna considerare che i corredi da dispensa e da cucina non mostrano differenze nelle aree indagate e la stessa ceramica a colature è distribuita in tutte le aree scavate. Dunque, i dati sulla cultura materiale per l’XI secolo si mostrano ancora contrastanti per trarne conclusioni certe di carattere sociale. Differentemente, nel XII secolo, la cultura materiale ceramica e vitrea ricostruita da uno scarico relativo al palazzo dei Gherardeschi (Fig. 29) ha mostrato segni di status sociale alto, per la presenza di tre esemplari di ceramica islamica e per la qualità dei manufatti da cucina e da dispensa. Purtroppo, come detto, l’assenza di fauna proveniente da questi contesti rende le informazioni prive di una parte fondamentale.

2. Signori, artigiani e contadini: un confronto tra modelli di consumo nel contado All’analisi dei modelli di consumo cittadino abbiamo associato il confronto con la campagna. I dati utilizzati provengono dalla quantificazione dei corredi domestici di tre rappresentanti di ceti sociali diversi; a questi dati abbiamo unito lo studio dei resti ossei animali. Procederemo per semplificazioni mostrando un’ipotetica scala sociale formata da un contadino (a), da un artigiano specializzato (b) ed infine da un signore (c). Abbiamo usato, quando possibile, i dati relativi al solo XII secolo, momento in cui riusciamo a mettere a fuoco tutte le innovazioni viste tra fine X e XII secolo. a) A Scarlino, un campione faunistico relativo alla cronologia XI-XII secolo, ma non associabile ad un contesto sociale circoscritto, mostra che la principale risorsa proteica è costituita dal suino (50% del totale della carne) e da un ridotto allevamento di pecore e buoi (TOZZI 1981; BEDINI 1987). La ceramica associata si è mostrata omogenea con quella di altri siti costieri e l’unico dato che ora ci interessa focalizzare è la presenza

In conclusione: 1) il dato relativo all’importanza della caccia per l’alimentazione ci sembra sopravvalutato dall’uso delle soli fonti scritte (MONTANARI 1979) oppure di contesti 37

FRANCESCA GRASSI provenienti da roccaforti signorili dell’Italia settentrionale (SALVADORI 2003). Nel momento in cui abbiamo analizzato le quantità di specie selvatiche presenti nelle aree di borgo dei castelli, ma anche nei palazzi signorili, si è notata una sostanziale irrilevanza di questa attività e tanto più del suo apporto alimentare (i dati ottenuti per Campiglia sembrerebbero al momento un’eccezione). 2) I ceti elevati non sembrano consumare più carne dei contadini: la carne era di accesso per tutte le sfere sociali esaminate. Infatti, accanto ad un incremento dall’XI secolo del consumo di cereali e farine si deve notare un costante uso di proteine animali. Ciò a nostro parere è testimoniato anche dalla nascita in ambito rurale della forma specifica per la cottura della carne, quella del tegame. 3) I consumi sono apparsi dunque omogenei, sia nell’uso dei contenitori sia nei cibi. Non esiste differenza qualitativa tra quello che mangiano i diversi ceti sociali: forse una distinzione potrebbe risiedere nelle quantità di cibo, più che nella qualità, ma è oggi difficile valutare questo fattore e rapportarlo ad un preciso arco temporale.

confronto è che il corredo da cucina è prevalentemente composto da olle: fa eccezione per questi secoli solo Montarrenti nel quale la percentuale di olle e testi si equivale. Tra queste olle, abbiamo poi diviso quelle prodotte a mano da quelle tornite ed i risultati mostrano una continuità di attestazioni delle produzioni manuali, anche se tendente a diminuire, nei siti dove questi manufatti sono già radicati sin dall’altomedioevo con l’aggiunta di Rocca San Silvestro la cui nascita si data proprio tra X e XI secolo. Scompaiono invece i manufatti prodotti a mano nell’entroterra, come mostra Rocchette Pannocchieschi, ad indicare che perlomeno nel bassomedioevo queste produzioni furono un fenomeno tipicamente costiero. Accanto alle olle, il corredo da cucina è costituito prevalentemente da testelli, mentre assai bassa sembra la presenza di altre forme, tra cui tegami, coperchi, brocche e ciotole. 4. I secoli XIII e XIV All’inizio del XIII secolo la struttura dell’economia della regione si presentava molto solida, basata sulle premesse economiche, demografiche e politiche che la avevano caratterizzata nei due secoli precedenti. Ma dopo una continua ascesa che occupò tutto il Duecento, contraddistinta dalla crescita del fenomeno urbano, con l’accentrarsi delle attività imprenditoriali e dei saperi tecnici nei centri cittadini (PETRALIA 1998, 2004; LUZZATI 1990; FARINELLI 2007; MALANIMA 2004; CIPOLLA 1990; GOLDTHWAITE, 1985 e 1997) e dall’espansionismo commerciale della città di Pisa, (TANGHERONI 1996, 1998, 2003) si manifestò nel Trecento una battuta d’arresto, determinata dalle epidemie e dalle carestie a cui si associò, in Maremma, una crisi del settore economico trainante, quello delle risorse minerarie (FRANCOVICH 1991). In particolare, nella Toscana meridionale, abbiamo considerato anche altri fattori storici che determinarono le diverse sorti dei castelli. Per esempio, in alcuni casi, come a Rocca San Silvestro, si assistette ad una parziale dissoluzione della signoria territoriale (AUGENTI 2000; FARINELLI 2000; FARINELLI 2007; FARINELLI, GIORGI 2000; FRANCOVICH GINATEMPO 2000; FRANCOVICH, WICKHAM 1994) che comportò trasformazioni e mutamenti nella dinamica 58 interna degli abitati e nella loro cultura materiale . Inoltre, per quanto riguarda i castelli strettamente legati ai Gherardeschi ed a Pisa, si sono osservate due fasi distinte, leggibili anche dalla ceramica. Da un lato, il tentativo di Pisa di allargare i propri interessi anche a zone dell’entroterra, stipulando accordi con gli Aldobrandeschi, con Volterra e Massa Marittima, fu determinante per la trasmissione ad altri centri urbani dei nuovi saperi tecnici legati alla maiolica. Dall’altro, dopo la sconfitta navale inflitta da Genova a Pisa nel 1284 e l’isolamento della città ghibellina all’interno della Toscana guelfa, il tentativo cittadino di riconquistare alcuni possessi insediandovi guarnigioni militari, come a Campiglia, Piombino, Suvereto (CECCARELLI LEMUT 2004, p. 63-67) ebbe delle

Un dato specifico del consumo, collegato ad alcuni castelli studiati è quello proveniente dai siti minerari. Più volte si è insistito sulla maggiore ricchezza dei siti minerari e sul benessere riservato agli abitanti di questi 57 insediamenti . I dati raccolti durante la nostra ricerca hanno mostrato che questa analisi è senz’altro corretta per Rocca San Silvestro, ma deve essere estesa con molta cautela anche agli altri castelli minerari. Guardando ora al solo registro ceramico, se l’economia mineraria contribuì a collegare Rocca San Silvestro a circuiti commerciali molteplici che permisero l’afflusso di ceramiche dalla città, dal territorio nazionale e dal mediterraneo, un ruolo decisivo fu svolto anche da altri due fattori. Un primo fu la sua stessa ubicazione, vicino alla costa e vicino ad un porto, quello di Piombino, luogo di partenza del metallo e di arrivo dei prodotti pisani ed un secondo fu quello di essere controllato dai conti Gheradeschi e dunque inserito nel mercato della città di Pisa (CECCARELLI LEMUT 2004, pp. 59-67). Se guardiamo invece a due castelli minerari ubicati nell’entroterra, Rocchette Pannocchieschi e Cugnano, abbiamo visto come la stessa vocazione economica non potè generare un simile benessere. In entrambi non si sono trovate ceramiche di importazione (se non nel pieno Trecento) e le innovazioni cittadine giunsero con molto ritardo. Qui avrebbe avuto dunque un ruolo fondamentale l’ubicazione, che escluse dalle vie marittime i due siti e non secondariamente anche il ruolo delle signorie locali, Aldobrandeschi e Pannocchieschi, non artefici dell’afflusso di determinati beni nei castelli. Come abbiamo fatto per i secoli relativi all’altomedioevo, affrontiamo infine per il consumo una comparazione tra i siti indagati, effettuata attraverso la ricostruzione dei corredi domestici per la cucina, guardando ad una divisione percentuale tra forme e modi di produzione (Fig. 30). Il primo dato che è scaturito da questo 57 Per l’analisi dell’economia mineraria di Rocca San Silvestro e dei rapporti di produzione, vedi FRANCOVICH, WICKHAM 1994. L’analisi relativa al tenore di vita degli abitanti del castello è stata compiuta utilizzando molti registri materiali, come le murature (BIANCHI 1995, 1996, 1997, 2003a e b) ed i materiali ceramici (FRANCOVICH 1991; BOLDRINI, GRASSI, MOLINARI 1997)

58 Questo fenomeno è visibile anche dalle tecniche murarie utilizzate per le ristrutturazioni duecentesche, vedi BIANCHI 1995, 1997, 2003a, 2003b.

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LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO conseguenze anche nella disponibilità di ceramica e nella domanda di corredi da mensa. Questi secoli si sono presentati, dallo studio effettuato, molto ricchi di evidenze materiali legate alla ceramica. Il dato più importante che abbiamo registrato è senza dubbio l’avvio delle produzioni di maiolica arcaica in molti centri cittadini della Toscana, a seguito dell’apprendimento della tecnica da parte degli artigiani pisani che la diffusero in molte altre città della Toscana 59 meridionale, come Siena, Volterra e Massa Marittima . La maiolica arcaica fu la prima classe ceramica con una distribuzione capillare, in città e nel contado, in Italia e nel bacino del mediterraneo. Le reti commerciali di scambio permisero ovunque l’arrivo dei nuovi prodotti smaltati. Le forme della produzione si adattarono alla fabbricazione in serie di manufatti con doppio rivestimento e una doppia cottura, tra cui oltre alla maiolica arcaica (da ora, per brevità MA), la maiolica arcaica blu (MAB), la zaffera a rilievo (ZR) e le ceramiche invetriate fini (IF). La vivacità commerciale di Pisa fu il fondamento per questa innovazione tecnologica e per la sua diffusione. L’introduzione dei nuovi rivestimenti nel campo ceramico non potè avvenire senza un tessuto mercantile urbano ormai solido, in grado di associare, alle disponibilità finanziarie, intraprendenza e contatti commerciali maturi. Infatti, non solo l’introduzione della tecnica è dovuta ai contatti dei mercanti pisani con le aree islamiche occidentali (Maiorca) che permisero la migrazione di vasai arabi a Pisa, ma la stessa durata della produzione non sarebbe stata possibile senza i rapporti costanti con quelle aree nelle quali si trovavano anche le 60 materie prime necessarie, come l’ossido di stagno . La produzione di ceramiche rivestite fu esclusiva dei centri urbani; da questo fattore dipesero, a nostro parere, una serie di cambiamenti che coinvolsero le funzioni, il consumo, le modalità produttive, lo scambio dei manufatti, soprattutto di quelli cittadini. Mutò in parte l’alimentazione, con l’arrivo di nuovi cibi da città esotiche, ma anche il modo di cucinare, conservare, servire e consumare. Le maioliche fornirono il primo corredo da mensa con l’uso di stoviglie singole per ogni commensale, cambiando la concezione dell’arredo da tavola. Le ceramiche da cucina e da dispensa, avvalendosi dei nuovi apparati produttivi (determinati dalla fabbricazione di maiolica), divennero specifiche e frutto di una fabbricazione seriale: per la prima volta in città si utilizzarono i rivestimenti vetrosi nelle ceramiche da cucina e da dispensa, si raffinarono le argille, si trasformò la produzione di olle, brocche e orcioli attuando nel ciclo di lavorazione delle modalità quasi industriali. In campagna invece l’area da noi esaminata, negli andamenti politici sintetizzati tra Duecento e Trecento, mostra la crisi generalizzata che investì il settore trainante dell’economia locale, connessa ad una crisi dei poteri signorili. I “centri di potere”, costituiti dai castelli,

affrontarono dal XIV secolo una parabola discendente; per tutto il Trecento alcuni organismi comunali o cittadini, subentrati ai signori, attuarono un tentativo di rivitalizzarne i cicli economici e farne dei nuovi centri di popolamento, ma con scarsi esiti (FRANCOVICH, WICKHAM 1994, CECCARELLI LEMUT 2004, pp. 18-24). Nella produzione rurale della ceramica, questi fattori paralizzarono le botteghe, che continuarono a fabbricare solo ceramiche grezze in quantitativi minori, adattandosi alle nuove realtà sociali ed economiche; in alcuni siti il ritorno all’uso massiccio del vasellame modellato a mano ha fatto intravedere un quadro di botteghe rurali compromesso dalla concorrenza delle fabbriche cittadine e dai cambiamenti sociali occorsi. Di contro, i cambiamenti di gusto successivi all’uso della maiolica arcaica resero il mercato rurale sempre più ricettivo alle ceramiche cittadine e a quelle di importazione: ciò, associato alla facilità dei collegamenti, permise la crescita delle ceramiche non locali e di quelle esotiche nelle stratigrafie dei castelli. Pisa continuò a mantenere il suo primato commerciale ed a farsi distributrice di merci e ceramiche esotiche. L’unica eccezione, visibile dall'assenza delle ceramiche importate, è costituita da alcuni castelli lontani dal mare (Montemassi, Rocchette Pannocchieschi) e dalla città di Siena, a riprova che la domanda di prodotti sofisticati non fu mai disgiunta dai contatti con linee commerciali marittime, sulle quali circolava la maggior parte di questi prodotti. Dalla metà del Trecento invece, la diffusione in siti dell’entroterra delle ceramiche provenienti dalla Spagna e dalla Liguria hanno permesso di intravedere la ripresa anche di commerci via terra, con un’associazione tra arrivi da lunghe distanze ed una nuova distribuzione effettuata attraverso le strade interne della Toscana (MOLINARI 2003). Sono inoltre presenti, nella Toscana meridionale, una serie di prodotti provenienti dall’area fiorentina (orci a beccaccia, catini a matrice), conseguenti all’espansione politica, ma anche economica che Firenze stessa attuò in tutta la parte sud della regione (CECCARELLI LEMUT 2004, p. 66). Questi secoli furono segnati nella Toscana meridionale da una vicinanza dei consumi tra città e campagna: al contrario si è notato che le disuguaglianze si accentuarono tra ceti sociali distinti, indifferentemente dal luogo di residenza. Questo è il quadro generale ricostruito, pur persistendo alcune differenze subregionali, maturate già nei secoli precedenti. Innanzitutto le città non mostrano tutte la stessa vivacità: Pisa fu infatti la prima a recepire le nuove tecniche produttive in campo ceramico. Siena invece fu legata a Pisa per l’apprendimento della nuova tecnica e forse per il reperimento delle materie prime necessarie. Questo non le impedì, dopo un cinquantennio, di sviluppare una propria autonomia produttiva e di incentivare, a sua volta, centri produttori “satelliti” di maiolica arcaica (come Montalcino) o di ceramiche depurate (Campagnatico). Volterra, finalmente visibile dai nostri dati archeologici, si mostra molto attiva nelle produzioni, ma sicuramente vincolata, come Siena ai 61 vasai pisani per l’apprendimento della tecnica .

59 Sull’introduzione in Italia della tecnica dello smalto stannifero e dell’ingobbio si veda BERTI 1997a; BERTI, GELICHI 1993; BERTI, GELICHI 1995b; BERTI, GELICHI, MANNONI 1997. 60 Per i contatti commerciali dei mercanti pisani si veda TANGHERONI 1996; 1998. Per i riflessi sulle produzioni ceramiche in ultimo si veda BERTI 2003 e per il reperimento delle materie prime, come lo stagno, si veda anche MARTIN 1988 e GIORGIO 2009.

61 Nel 1237 Pisa ha stretti rapporti con Volterra, nel tentativo di dare vita ad un’alleanza mirata alla penetrazione nell’entroterra maremmano,

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FRANCESCA GRASSI Nel contado, le differenze di area furono sempre meno marcate tra costa ed entroterra: nell’area dove insisteva la contea Aldobrandesca anche la città di Siena cominciò una politica di esportazione dei prodotti assieme a Volterra. Le “aree pisane” continuarono a costituire ampie zone di mercato, ora rafforzate dall’arrivo dei prodotti cittadini a cui si aggiunsero le ceramiche esotiche. Per quanto riguarda, infine, i consumi di questi secoli, le fonti scritte e iconografiche, molto ampie, ci descrivono le mense ed i consumi spesso nel dettaglio, ma guardando in particolare alla città ed ai ceti più agiati oppure a comunità particolari (ospedali, monasteri, vedi MAZZI 1991). L’alimentazione delle classi subalterne non trapela mai da queste fonti ed è impossibile arrivarvi attraverso una generalizzazione dei consumi dei ceti agiati. Al contrario, il nostro punto di partenza, cioè la fonte materiale, ci ha offerto le stesse evidenze per il consumo degli uni e degli altri, permettendoci così di tentare la ricostruzione di un quadro completo dei bisogni e dei consumi. Prima di passare all’esposizione, dobbiamo richiamare alcune questioni di metodo. I siti che presentano contesti di XIII e XIV secolo sono otto, e complessivamente i frammenti di ceramica analizzati sono stati 38. 718 (Fig. 31). A questi, abbiamo aggiunto numerosi altri contesti, provenienti da siti oggetto di scavo o di ricognizione nella Toscana meridionale. Inoltre, per il XIII e XIV secolo, accanto alla ricca mole di informazioni ricavate dai castelli, sia sul contado stesso, sia sui centri urbani, abbiamo aggiunto i dati cittadini relativi a Firenze o Lucca, indispensabili per osservare alcuni fenomeni in tutto il territorio regionale. Tra i dati di provenienza urbana, sono stati utilizzati anche alcuni studi parzialemnte editi sulla città di Siena (GRASSI 2000; LUNA 1996/1997). Infine, affrontando la MA, la MAB e la ZR, per le quali 62 la tradizione di studi è ormai consolidata , si è reso più complicato il compito di tracciare una modalità di esposizione che permettesse di non “smarrirsi” nelle innumerevoli possibilità di analisi di queste classi 63 ceramiche . Perciò la maiolica arcaica senese e pisana e le altre ceramiche smaltate sono state trattate soprattutto guardando alla loro distribuzione sul territorio ed all’equilibrio numerico tra tutte le produzioni che venivano esportate dai centri urbani. Al contrario, dove la raccolta di dati ha fornito prospettive nuove per la visibilità di una produzione (come la maiolica volterrana) o, addirittura, le prime tipologie incardinate all’interno di contesti cronologici e sociali ben definiti (come la maiolica massetana), abbiamo tentato uno studio classico, ponendo attenzione ad impasti, rivestimenti, forme e

decori. 4.1 Le tipologie, le funzioni, l’alimentazione Nell’analisi delle tipologie ceramiche e delle funzioni dobbiamo considerare che tra XIII e XIV le trasformazioni degli usi e dei consumi furono sovente esclusiva della città, sia nella nascita, come per la maiolica arcaica, sia nella diffusione, come per la specializzazione formale nello strumentario da cucina, non registrabile nel contado. Già attraverso il corredo da cucina è stato possibile osservare quanto fossero diverse le esigenze di città e campagna: mentre nella prima si consumano prodotti di ottima qualità, fabbricati nelle botteghe cittadine, nella seconda si utilizzano prevalentemente ceramiche grezze e invetriate locali. I dati raccolti per la città hanno permesso di notare una maggiore attenzione alle caratteristiche tecnologiche ed alla diversificazione delle funzioni64; in campagna invece la cucina rimane legata alle poche forme utilizzate anche nei secoli precedenti, senza rinnovamenti alcuni. Andamenti diversificati si sono riscontrati invece nelle ceramiche da dispensa e da mensa: il quadro omogeneo delle forme tra le due realtà insediative (città-campagna) ha mostrato che la città fu unica produttrice, mentre il contado divenne solo un’area di mercato e non svolse nessun ruolo nelle fasi produttive. Ceramiche depurate e invetriate furono ancora utilizzate per la conservazione a medio e lungo termine degli alimenti. Accanto alle brocche comparvero gli orci, spesso con soluzioni estremamente funzionali nell’orlo (ad esempio gli orci a beccaccia). I grandi contenitori da dispensa furono usati anche per gli alimenti solidi (come i catini e le conche prodotti a matrice, BOLDRINI, GRASSI, QUIROS CASTILLO 1999) e la loro produzione, estremamente specializzata, in alcuni casi poteva anche utilizzare fabbriche di laterizi (FRANCOVICH, VANNINI 1976, pp. 109-128; idem 1977, p. 51). Inoltre nel Trecento, l’uso generalizzato dell’invetriatura anche nei grandi contenitori da dispensa permise un notevole miglioramento nelle possibilità conservative. La mensa affrontò i cambiamenti maggiori con l’uso della maiolica arcaica e delle invetriate fini: nacquero forme come la tazza, il rinfrescatoio, l’albarello e il corredo già esistente fu rivestito con smalto stannifero per adattarlo agli usi della tavola (boccale, ciotola, catino). Anche se la nascita della maiolica arcaica avvenne in città, molto presto tutte le classi sociali residenti nel contado acquistarono i nuovi corredi. Il contado che abbiamo studiato si è mostrato un area di mercato straordinariamente ricettiva e la domanda delle nuove ceramiche è altissima già dagli inizi del Duecento, mantenendosi intatta anche per tutto il XIV secolo.

dove si trovavano i possessi dei conti Aldobrandeschi (CECCARELLI LEMUT 2004, p. 63). 62 Per molti anni lo studio della ceramica medievale è stato sinonimo di studio delle maioliche: per una sintesi sui percorsi seguiti dalla ceramologia medievale si veda GELICHI 1997, capitolo 2.4. 63 L’ampiezza della nostra ricerca ci ha portato a fare delle scelte iniziali, a partire dalla schedatura stessa, adottando per le maioliche un modello di scheda molto sintetico, volto a riconoscere le singole produzioni (si veda infra, catalogo). Infatti, avendo puntato l’attenzione sul riconoscimento delle diverse produzioni, con l’uso di indicatori meno utilizzati per la maiolica, come gli impasti e le tecnologie di smalti e vetrine, abbiamo lasciato in secondo piano la tipologia dei decori.

1. La cucina All’interno del corredo per la cucina, abbiamo constatato 64 FRANCOVICH 1982 e FRANCOVICH, GELICHI 1980 per Siena e per la Toscana meridionale, VANNINI 1985, 1987, 1989 per il mediovaldarno; Prato 1978; RICCI 1990b, pp. 250-251 per i contesti romani della Crypta Balbi; NEPOTI 1975, p. 81 e GELICHI 1990 per l’Emilia Romagna; MANNONI 1975, p.60 e MILANESE 1982, p.104 per la Liguria.

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LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO che l’unica forma di lunga durata è l’olla, utilizzata per tutto il bassomedioevo, in città ed in campagna. Assieme e con la stessa frequenza viene usato il testo, ma più nel contado che in città, dove la presenza di forni fece diminuire il bisogno di una produzione di pane 65 casalinga . Vi sono inoltre a completare il corredo rurale alcuni coperchi e tegami, quest’ultimi usati anche in città, con o senza invetriatura.

Dal punto di vista produttivo, la fabbricazione cittadina di olle prevede sempre un fondo piano e sabbiato, adatto ad essere appoggiato su un focolare in muratura e ad assorbire in modo migliore le variazioni di temperatura (GRASSI 2004, p. 74). Inoltre le olle cittadine provengono sempre da botteghe artigiane, prevedono l’uso del tornio veloce e frequenti rifiniture filettate. In campagna invece non sembra radicato l‘uso di effettuare le sabbiature dei fondi e questi ultimi sono spesso convessi, in particolare nelle olle modellate a mano: questo dato ci ha permesso di ricostruire una costante presenza di focolari non stabili, collocati sulla terra battuta. Al contrario, quelle foggiate all’interno di ateliers rurali presentano ancora accorgimenti tecnologici come la lisciatura delle superfici, necessaria per eliminare le irregolarità di una tornitura incerta. - Il testo (Fig. 32, nn. 5a-b-c; Fig. 33, nn. 12 e 17), assai presente nei corredi rurali, è meno preponderante in quelli cittadini, per il suo utilizzo che lo rende un manufatto essenziale soprattutto nei contesti in cui la panificazione non avviene in forni tradizionali. A riprova del grande uso in campagna, una stima della quantità di testi rispetto alle olle presenti in siti rurali ha proposto un rapporto compreso tra 5:1 e 9:1 (FOSSATI, MANNONI 1981). I testi utilizzati nei castelli sono per ogni nucleo abitativo in altissimo numero e ciò ne fa intuire un uso alternativo alla stessa panificazione. Infatti, nonostante la costruzione di forni in muratura all’interno del circuito murario (GRASSI 1998b) i testi non cessano di essere usati e dunque, occorre ipotizzarne usi alternativi anche per il contado, come la cottura di focacce di legumi, di migliacci o l’uso delle forme più grandi come piatti da portata (con diametro dell’orlo tra 30 e 35 cm). Nel XIV secolo in particolare si sono notate delle distinzioni tra siti nei quali l’uso del testo è comune e ben visibile, come Rocca San Silvestro, e siti nei quali il consumo diminuisce drasticamente, come Rocchette Pannocchieschi o Montemassi. Al momento, con i dati a disposizione, non possiamo che associare l’assenza o la presenza di questi manufatti domestici a cambiamenti alimentari che dovranno però essere spiegati con una lettura parallela dei dati paleobotanici e del registro faunistico. Come per le olle, anche la produzione di testi cittadina è sempre riferibile a botteghe artigianali, dove si fabbricano manufatti con fondi sabbiati, pareti ben curate e lisciate, con segni visibili dell’utilizzo di un piano girevole per la foggiatura. Invece i testi provenienti da contesti rurali si presentano come manufatti di tipica fattura casalinga, nell’irregolarità della modellazione e nell’alta variabilità delle forme. Non se ne può escludere dunque, anche in questi secoli, una fabbricazione all’interno dei singoli nuclei domestici, in parte confermata da una casistica molto ampia di impasti argillosi utilizzati. - Il tegame (Fig. 32, nn. 9-14; Fig. 33, nn. 18-21), forma nata nel XII secolo in ambito rurale, viene usato nel Trecento anche in città, invetriato o privo di rivestimento e con fondo sabbiato. L’analisi funzionale della forma, oltre a farci propendere per un uso del tegame nella cottura di carni o comunque di cibi solidi piuttosto che liquidi, ci ha mostrato che sono più frequenti quelli di grandi dimensioni, sia in città sia in campagna (GRASSI 2004, pp. 76-77; GRASSI 1999, pp. 430-431), adatti ad un uso familiare e non a cotture singole. Ciò spiegherebbe in

Ceramica acroma e invetriata I tematismi scelti per la descrizione dei corredi da cucina nella Toscana meridionale tra Duecento e Trecento sono quattro: a) la composizione del corredo “base”; b) il fenomeno di imitazione delle forme cittadine; c) la presenza dei corredi modellati a mano; d) l’invetriatura nel vasellame da cucina. a) il corredo “base”, definibile in olla, testo, tegame, coperchio è il medesimo in città ed in campagna, pur con differenze produttive (Figg. 32-33). In questi secoli non si assiste infatti ad un cambiamento radicale dello strumentario domestico, ma piuttosto ad una raffinazione delle esigenze, visibile soprattutto nella città, in contesti domestici particolari (enti cittadini, famiglie aristocratiche). Infatti, in città si è notato un maggiore uso di utensili che potremmo definire accessori alla cottura vera e propria, inseribili nella preparazione del cibo: questa esigenza trasforma il corredo in maniera specifica (con strumenti quali la grattugia, il colatoio, il braciere, il fornello, le ciotoline, i microvasetti). Un esempio può essere fornito dalla sintesi dei corredi rinvenuti a Siena, nei quali è presente una varietà di oggetti per cuocere, ma anche per le funzioni collaterali alla cottura, come il lavaggio delle verdure e degli alimenti (GRASSI 2004). La città si differenzia fortemente dalla campagna per la fabbricazione di oggetti specifici, frutto di una richiesta proveniente sicuramente da ceti non privilegiati, ma emancipati culturalmente, quali i mercanti. Analiziamo le singole forme base del corredo: - l’olla (Fig. 32, nn. 1-4, 16-17, 18-20; Fig. 33, nn. 1-7) è sicuramente il contenitore deputato alla preparazione di minestre con misture di cereali o legumi e la sua diffusione è in tutti i contesti sociali. La varietà dimensionale delle olle ha permesso di ipotizzarne anche un uso come contenitore di cottura e di consumo del cibo, in particolare presso i ceti sociali più bassi, residenti in città o in campagna. Una variante funzionale dell’olla, la pentola mono o biansata (Fig. 32, nn. 7-8; Fig. 33, nn. 9-10), non è ancora molto diffusa e lo sarà solo dal XV secolo (vedi ad esempio Campiglia, BOLDRINI et alii 2004, pp. 284-285) quando questo manufatto si presenta costantemente invetriato. 65 Per una distribuzione dei forni cittadini nel Trecento a Siena, si veda BALESTRACCI, PICCINNI 1977, pp. 145-155. Bisogna anche ipotizzare, per l’uso dei testi in città, funzioni alternative alla panificazione. In un recente lavoro dove sono confrontate fonti scritte e fonti materiali relativamente alla cucina dell’ospedale di Santa Maria della Scala (GRASSI 2004), si è notato come una delle funzioni svolte dai testi nell’ente ospedaliero sarebbe quella di cuocere i “migliacci” (focacce di sangue di maiale), dato che il pane giornaliero veniva prodotto in forni interni all’ospedale.

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FRANCESCA GRASSI parte anche la bassa percentuale di questo manufatto rispetto alle altre forme. - Il coperchio (Fig. 32, n. 6; Fig. 33, n. 11), è presente in quantità minime, provvisto di fori di sfiato e presa apicale e serve per la copertura di olle, tegami e, forse, testi. In città, il rapporto numerico tra i coperchi e gli altri utensili per cuocere (olle, tegami, testi) è di 1:3, segno evidente dell’utilizzo su più contenitori di questo oggetto (GRASSI 2004, p. 78).

c) La modellazione manuale è presente nel contado e riconquista un’ampia fascia di consumatori a partire dalla seconda metà del XIII secolo, mentre è assente in città (Fig. 32, nn. 1-4). La produzione itinerante di olle è un fenomeno costante nel tempo per tutta la Toscana meridionale ed in questi secoli più che mai generalizzato. Tutti i siti esaminati, anche quelli che si pongono come centri di importanza rilevante dal punto di vista commerciale (ad esempio Piombino), acquistarono olle prodotte a mano. La città invece non sembra interessata da questo fenomeno. Nella tipologia di questo prodotto abbiamo inoltre notato che, rispetto alle forme fabbricate nell’altomedioevo, vi è una diminuzione delle varianti ed una totale semplificazione dell’unico tipo formale, come il caso di Piombino S. Antimo o di Rocca San Silvestro hanno mostrato (GRASSI 1998b e GRASSI 2007). Tra i siti che usano olle prodotte a mano abbiamo però operato una distinzione: i castelli minerari mostrano una concomitanza perfetta tra andamenti interni (crisi economica, allentamento del potere signorile o cittadino) e ricorso alle olle manuali. Infatti, dopo una fase di “bassa presenza” tra XI e XII secolo, dalla seconda metà del Duecento alcuni castelli come Campiglia o Rocca San Silvestro, mostrano percentuali altissime di olle manuali (90%) ed un impiego quasi totale degli oggetti di produzione domestica per completare il corredo da cucina. I entrambi i siti, la probabile diminuzione delle attività legate al trasporto dei metalli monetabili indirizzano la domanda di ceramica da cucina verso le produzioni manuali, facilmente reperibili e meno costose. Ciò rappresenta un’evidenza formidabile dell’ampia diffusione di questo tipo ceramico nel Trecento e della sua facilissima reperibilità.

b) I tipi ceramici, guardando alle caratteristiche formali, sono molto omologati tra città e campagna, anche quando le ceramiche vengono fabbricate in botteghe rurali. In questi secoli si è evidenziato nel contado un’accentuazione del fenomeno di imitazione delle forme cittadine, già in uso dal XII secolo. La leggibilità di questo fenomeno è molto alta nelle olle, ancora fortemente divise in due aree culturali di riferimento, quella pisana e quella senese. Nella prima (Fig. 32, nn. 16-17) si inseriscono tutti i castelli costieri, ma anche parte dei siti dell’entroterra nei quali circola contemporaneamente maiolica arcaica pisana. Nonostante tale concomitanza, non abbiamo comunque potuto ipotizzare l’arrivo diretto dalla città di questi prodotti: infatti, l’analisi degli impasti ha mostrato un’assoluta presenza di argille locali (come a Campiglia o San Silvestro, GRASSI 1998b e BOLDRINI et alii 2004). La spiegazione del fenomeno sembrerebbe da ricercarsi nella presenza di vasai cittadini e, soprattutto per l’area pisana, nella persistenza degli artigiani già emigrati in precedenza, forse stimolati da Pisa ad impiantare attività in aree di mercato rurale. Va inoltre puntualizzato che la situazione descritta si associa a tutto il XIII secolo, ma non al XIV, momento in cui gli utensili da cucina nell’area pisana saranno costituiti solo da olle e testi prodotti manualmente (vedi infra), evidenziando una crisi che toccò contemporaneamente i poteri signorili ed il dominio cittadino (GRASSI 1998b). Nell’area senese (Fig. 32, nn. 18-20) rientrano invece i castelli di dominio degli Aldobrandeschi, ora passati ad altre famiglie comitali (come i Pannocchieschi) oppure al controllo diretto della città (Castel di Pietra, Montemassi, Suvereto, Rocchette, Cugnano). Nei corredi di questi castelli, e particolarmente tra le olle, compare accanto ai tipi con orlo squadrato già in uso dal XII secolo, anche il tipo con orlo ad arpione. Questa forma ceramica, che tanta fortuna ebbe a Siena sino alla fine del Trecento (Fig. 33, nn. 1-5), indipendentemente dall’ambito di ritrovamento e di fabbricazione, mantiene alcune caratteristiche immutate, tra cui l’uso di un impasto ricco di calcite spatica triturata ed aggiunta dal vasaio. Infatti, questo tipo di incluso, aggiunto agli impasti, è presente anche nelle olle ad arpione di ritrovamento cittadino (FRANCOVICH 1982, pp. 64-68). Si tratta dunque di un procedimento tecnologico usato dai vasai senesi operanti in città e riproposto anche dalle botteghe rurali. Una ulteriore ipotesi, collegata a questo dato, potrebbe essere quella dell’esistenza di centri intermedi, prossimi a Siena e caratterizzati dalle stesse modalità produttive e tecnologiche; al momento però l’unico sito produttivo satellite di Siena, Campagnatico, ha mostrato poche evidenze archeologiche per permettere ulteriori riflessioni (FRANCOVICH 1982).

d) Infine, si generalizzò nel contado l’uso dell’invetriatura sui manufatti per cucinare, mentre in città lo stesso fenomeno si ebbe solo dal Trecento (Fig. 32, nn. 7-14). Il consumo dei prodotti invetriati per la cucina continuua ad essere costante, ma in percentuali basse rispetto a quelli privi di rivestimento. Infatti nei castelli, tra XIII e XIV secolo, le ceramiche invetriate per la cottura costituiscono tra il 5% ed il 10% del totale del corredo acromo. Alla produzione di tegami con invetriatura nera in monocottura si affianca, dal XIII secolo, una seconda produzione, sempre realizzata con gli stessi procedimenti tecnologici. Le forme sono simili, ma il dato che le differenzia è nel tipo di vetrina, solitamente verde, gialla o marrone, sempre molto sottile e stesa in maniera uniforme. Il consumo di questo tipo si attua in ambito rurale: volendo identificare un’area privilegiata di consumo dei nuovi prodotti invetriati potremmo delinearla proprio sulla costa, a differenza di quello che abbiamo sottolineato per la produzione più antica. Tutti questi dati, letti assieme alle analisi archeometriche effettuate per Campiglia (FORTINA et alii 2004, GRASSI 2009) e considerando anche la similarità macroscopica degli impasti nei vari castelli, ci ha portato a considerare nuovamente l’area costiera come possibile zona di ubicazione dei luoghi produttivi. È da considerare infatti che non si riscontra l’introduzione di nuovi impasti e dunque la nascita di ateliers, ma si è notata invece una 42

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO totale identità delle miscele argillose dei tegami invetriati con quelle già in uso per le ceramiche acrome da cucina. Invece, il corredo da cucina invetriato non si diffuse in 66 alcune città almeno sino al XV secolo .

sperimenta l’uso dell’invetriatura interna che permette un minore assorbimento dei prodotti contenuti, in particolare quelli liquidi. La vetrina di queste forme è solitamente di colore verde, molto sottile. Spesso abbiamo constatato la convivenza delle forme acrome con quelle rivestite, determinata da diverse esigenze di conservazione. Ad esempio, nel centro cittadino di Siena, l’Ospedale Santa Maria della Scala ha restituito numerosi orci invetriati internamente (GRASSI 2004), mentre nei castelli le grandi 67 forme presenti non hanno quasi mai l’invetriatura . È probabile quindi che la vendita di questi prodotti invetriati si rivolgesse principalmente, nelle città, ad enti ed istituzioni che avevano grandi dispense e necessità di conservare più a lungo gli alimenti. Due produzioni specializzate a Pisa ed a Siena, tra Duecento e Trecento, sono la brocca e l’orciolo. - La brocca. Già dal XII secolo abbiamo tentato di delineare le caratteristiche principali di un corredo da dispensa, riconoscibile prima nelle produzioni pisane ed in seguito anche in quelle senesi. A Pisa, il corredo di brocche da dispensa è già stato studiato e inserito in griglie cronologiche (BERTI, GELICHI 1995 e BERTI, MENCHELLI 1998). Accanto alle produzioni cittadine, nei siti studiati, si trovano con molta probabilità anche quelle provenienti da centri come intermedi (Palaia, Fauglia), attivi almeno sino alla fine del Duecento; ma per calcolare la percentuale dei prodotti provenienti da Pisa o dai centri intermedi rimane il problema di non avere trovato discriminanti che ne abbiano permesso la sicura distinzione. Le “brocche pisane” (Fig. 34, nn. 1-2) si trovano distribuite in tutti i castelli dell’area costiera soggetti alla politica cittadina e sono spesso compresenti con quelle senesi e con alcuni prodotti fiorentini, come gli orci (Fig. 35). I dati emersi hanno fornito maggiore forza all’ipotesi del dominio dei prodotti pisani, già delineato da tempo nell’area costiera ed accompagnato da alcuni tentativi di penetrazione nell’entroterra, come si mostra dai reperti di Castel di Pietra (BOLDRINI, GRASSI, LUNA 1999). Siena invece commercializza i propri prodotti non solo in tutto l’entroterra, ma anche in varie località di costa, ed è forse significativo che alcune di questi siti siano sbocchi sul mare (come Scarlino), di cui il centro urbano è sprovvisto o siti minerari, quindi con un’importanza economica considerevole. Dunque si trattò di una politica commerciale non disgiunta dal valore economico che i siti raggiunti potevano assumere per il tessuto imprenditoriale cittadino. Passando ad osservare nel dettaglio questi prodotti senesi, per quanto riguarda le brocche da dispensa, abbiamo individuato nel contado tre tipi distinti, conosciuti dai rinvenimenti cittadini e che qui abbiamo denominato Siena 1 (vedi fig. 34, n. 1), Siena 2 (n. 2), e Siena 3 (n. 3) (si veda anche C’era una Volta 2002, pp. 127-129; GRASSI 2004, pp. 83). La distribuzione geografica dei tre tipi permette di fare alcune considerazioni sulla diversa destinazione delle forme, come mostrano i dati delle presenze sul territorio nel Trecento. Il tipo più riconoscibile, Siena 1, non sembra essere stato prodotto per l’esportazione, almeno a quello che ci mostra la sua assenza in tutti i siti. Il tipo

2. La dispensa La dispensa, tra Duecento e Trecento è costituita da quattro forme specifiche: la brocca, l’orciolo, l’orcio e il catino o conca. Il corredo da dispensa si indirizza verso una maggiore funzionalità: ne sono un esempio il versatoio allungato di cui si corredano gli orci (da cui prenderanno il nome di “orci a beccaccia”) oppure la soluzione della vetrina all’interno di ceramiche specifiche per olio. Più in generale, tutte le forme raggiungono una certa standardizzazione, soprattutto le brocche pisane e senesi già in produzione dal XII secolo. Possiamo dire che la circolazione delle forme avviene in maniera omogenea in tutta l’area analizzata: la produzione è cittadina o forse, delegata a nuovi centri intermedi. La richiesta del contado sembra molto elevata perché la necessità di immagazzinare e conservare è ancora primaria, soprattutto nei castelli. Prima di passare all’analisi delle forme, occorre ricordare che anche la distribuzione della ceramica depurata da dispensa divide il contado in due diverse aree, quella pisana e quella senese. Ma questa volta, a differenza della ceramica grezza, i tipi formali ricostruiti in base alla schedatura dei reperti sono molto simili tra le due aree ed è risultato spesso difficoltoso identificare i confini distributivi delle singole città. Ceramica acroma depurata e invetriata I temi che ci permettono di riassumere le persistenze e le innovazioni riscontrate nella dispensa dei siti della Toscana meridionale tra Duecento e Trecento sono due: a) la specializzazione delle forme; b) la ricerca di nuove funzionalità. a) Il rinnovo delle modalità di lavoro delle botteghe cittadine, conseguente all’avvio produttivo della maiolica arcaica, permette un maggiore controllo nella realizzazione di tutte le classi ceramiche e principalmente di quelle ad impasti raffinati. La depurazione degli impasti, essenziale per i prodotti rivestiti, viene applicata anche alla fabbricazione di brocche ed orcioli, con l’ottenimento di prodotti molto fini, resistenti e impermeabili. Ciò comporta una ricerca crescente di canoni formali omogenei che permisero una produzione seriale, più veloce, economica ed in grado di sopperire alla crescente domanda. Si è notato inoltre, nei prodotti da dispensa, un frequente uso di schiarimenti delle superfici, spesso ottenuti in cottura, come nei prodotti pisani, oppure attraverso un leggero ingobbio di colore beige, come nelle brocche senesi ed in alcune pisane. Allo stesso scopo, nelle ceramiche da conservazione si 66 Ad esempio, per alcuni repertori toscani da cucina postmedievali, si vedano gli scavi di Prato (Prato 1978), quelli di Pistoia (VANNINI 1987) o quelli di Siena (MILANESE 1991). Nel contesto di XV secolo proveniente dallo scavo del Santa Maria della Scala effettuato nel 1988, il pentolame invetriato copre il 70% del totale della ceramica da cucina mentre la ceramica grezza il restante 30% (MILANESE 1991, p. 378).

67 Un’eccezione è nei reperti di Rocca San Silvestro, vedi Rocca San Silvestro e Campiglia 1987, tav. III, n.1.

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FRANCESCA GRASSI Siena 2 è invece una forma simile alle brocche pisane, spesso provvisto come queste di bolli radiali sulle anse. La sua riconoscibilità dai tipi pisani si è resa molto complicata, soprattutto utilizzando dati editi. A parte queste considerazioni, il tipo Siena 2 fu presente nel Trecento in tutti i siti non interessati dalle importazioni pisane (Rocchette, Cugnano, Castel di Pietra, Montarrenti, Montemassi, Grosseto): dunque questi castelli avrebbero comprato un prodotto analogo a quello pisano, anche nella forma, ma rivolgendosi al mercato di area senese. Il tipo Siena 3 infine, più riconoscibile per il caratteristico decoro a pettine sulla spalla, ci ha mostrato nel raggio di distribuzione il mantenimento del mercato del tipo 2 ed un allargamento ad alcuni siti di costa (Scarlino, Campiglia Marittima, San Silvestro e Piombino). Bisogna però ricordare, per una lettura corretta del dato, che Siena 3 iniziò a circolare a partire dalla seconda metà del XIV secolo ed è quindi maggiromente indicativo della distribuzione del XV secolo. - L’orciolo. Per quanto riguarda gli orcioli, senesi (vedi fig. 34, n. 4) o pisani (n. 3), siamo in grado di riproporre una sintesi delle forme, ma non di mostrare il raggio di distribuzione di un prodotto forse poco richiesto nel contado, ma soprattutto sottovalutato per la difficoltà della ricomposizione, comune a tutti i grandi contenitori in depurata. Per la città di Siena invece, per il XIV secolo, siamo in grado di mostrare un uso sistematico di questo contenitore tradizionalmente destinato alla conservazione a breve termine: lo ritroviamo ad esempio nei contesti dello Spedale Santa Maria della Scala e delle volte del Convento del Carmine sia privo di rivestimento, a volte provvisto anche di un beccuccio-versatoio sulla parete, sia rivestito con una spessa vetrina verde all’esterno ed una vetrina più leggera all’interno (GRASSI 2004, p. 83; C’era una Volta 2002, scheda 19 e 27).

(BOLDRINI, GRASSI, QUIROS CASTILLO 1999, p. 406) e per gli orci nel Valdarno fiorentino, nell’area tra Pistoia e 69 Firenze . Solo in un momento posteriore alla prima fase produttiva (per gli orci i primi esempi sono relativi alla fine del XIII secolo, per i catini a matrice alla metà del XIV secolo) la produzione fu decentrata anche in centri rurali. Per quanto riguarda la produzione di questi tipi nella Toscana meridionale, a Siena nel XIV secolo si fabbricarono entrambe le forme, come hanno dimostrato lo studio dei reperti di Santa Maria della Scala (GRASSI 2004, pp. 80-83), del castellare degli Ugurgieri (BOLDRINI, GRASSI QUIROS CASTILLO 1999, p. 396) e del convento del Carmine (C’era una Volta 2002, scheda 21 e 29). Catini con decoro a matrice sono presenti dunque a Siena e diffusi nel contado, ad Abbadia San Salvatore e nella Rocca di Campiglia, in contesti postmedievali (BOLDRINI, GRASSI, QUIROS CASTILLO 1999, p. 398; BOLDRINI et alii 2004, pp. 300-301). Gli orci sono prodotti a Siena nella prima metà del XIV secolo, sicuramente imitanti i prototipi fiorentini, come 70 hanno mostrato i rinvenimenti delle volte del Carmine . Accanto a questa produzione di grandi orci a beccaccia, a Siena si producevano anche orci di dimensioni molto più piccole, interamente invetriati (C’era una Volta 2002, scheda 21). Nel contado la presenza di orci è diffusa, ma gli esemplari ritrovati rimandano tutti all’area fiorentina o pisana: si tratta di piccoli orci a beccaccia invetriati oppure acromi provenienti da Rocca San Silvestro (Rocca San Silvestro e Campiglia tipo I, tav. III) e Campiglia Marittima (BOLDRINI et alii 2004, tipi 2a e 2b, classe II.1), databili tra XIII e XIV secolo. 3. La mensa Dal XIII secolo possiamo parlare, per i contesti studiati, di un corredo da mensa, composto da maioliche arcaiche (MA), ceramiche invetriate (IF), da alcune maioliche decorate in blu (MAB e ZR), ed anche da boccali senza rivestimento di produzione senese e pisana. Per evidenziare la portata dei cambiamenti che l’avvento della maiolica operò sulle tavole di tutti i ceti sociali toscani, abbiamo deciso di compiere un’analisi in parallelo non solo delle fonti materiali, nostro principale riferimento, ma anche di quelle scritte e iconografiche tratte dal repertorio di ambito senese e fiorentino.

b) Due forme nate nel Trecento e presenti anche nei contesti della Toscana meridionale sono i grandi catini 68 decorati a matrice e gli orci (Fig. 36) . Trattiamo a parte questi manufatti da dispensa perché denotano una ricerca funzionale molto alta e sono il frutto di una modalità produttiva che si discosta da quella di brocche e orcioli. Entrambe le forme venivano infatti prodotte a stampo, la prima con matrici decorate con punzoni, la seconda con matrici lisce. Inoltre, gli impasti in uso sono molto più grossolani di quelli delle classi depurate ed il prodotto finale presenta pareti molto spesse. La produzione a matrice permetteva di rispondere ad un’esigenza quantitativa molto alta del mercato cittadino e rurale, offrendo un prodotto seriale, ma qualitativamente apprezzato. Un’altra caratteristica tipica delle forme in questione era quella di offrire una risposta funzionale a nuove esigenze di conservazione e contenimento delle derrate alimentari, liquide o solide. In particolare, l’orcio è spesso provvisto di invetriatura e di un versatoio allungato (orcio a beccaccia). La produzione ebbe inizio per entrambe le forme in centri cittadini dell’area fiorentina. Infatti, l’origine dei catini a matrice è stata individuata nel centro di Figline di Prato

Le fonti scritte bassomedievale

ed

iconografiche

sulla

mensa

Se le indagini archeologiche su contesti di consumo rurali 69

Oltre ai ritrovamenti di Pistoia (VANNINI 1987), bisogna segnalare quelli di Firenze (vedi nota seguente), quelli di Prato, usati per le volte della Chiesa di S. Domenico nel secondo quarto del XIV secolo (MILANESE, VANNINI 1998, p. 43), quelli di Pisa, ma datati al postmedioevo ed in uso come riempimento architettonico di una volta (BERTI, TONGIORGI 1974b). 70 Infatti nelle volte del convento sono stati recuperati sei orci a beccaccia: si tratterebbe di una produzione fortemente mutuata dai modelli fiorentini, dato che due di queste forme presentavano un marchio sull’ansa con il giglio e potevano costituire modelli acquistati presso orciolai di Firenze (C’era una Volta 2002, p. 135). La forma di questi orci è simile a quelli recuperati a Palazzo Coverelli a Firenze, in particolare al tipo I, tav. V (FRANCOVICH, VANNINI 1976, p. 123) e durante la svuotatura del Pozzo di via de’ Castellani, sempre a Firenze (Tavola e dispensa nella Toscana dell’Umanesimo, 1988, p. 42, n. 36).

68 Per discutere sui catini con decori a stampo faremo riferimento al lavoro complessivo sulla Toscana pubblicato nel 1999 (BOLDRINI, GRASSI, QUIROS CASTILLO 1999). Per la produzione di orci non esiste invece una bibliografia specifica.

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LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO e cittadini ci hanno fornito informazioni sull’alimentazione e sulle abitudini delle comunità medievali, le fonti iconografiche e letterarie (come i ricettari) sono spesso lo specchio dei consumi delle classi sociali più alte e ci hanno permesso un’integrazione con la documentazione archeologica, ricca di dati sulla cultura materiale anche dei ceti minori. Si possono innanzitutto fare alcune riflessioni di carattere generale: - i cambiamenti nel modo di servire e di consumare i pasti in tavola furono fortemente legati alle variazioni dei regimi alimentari ed in particolare al tipo di cibo a disposizione, al modo di cottura ed infine all’uso di portarlo in tavola e di consumarlo; - le modalità del pasto, legate ai costumi sociali di ogni tempo, giocarono inoltre un ruolo molto importante nel determinare i corredi da mensa delle classi sociali o di un’area geografica71; - la mensa è da considerarsi perlopiù “collettiva” nelle modalità del suo svolgimento. I piatti non venivano assegnati ai singoli, ma usati per contenere il cibo comune e di fronte a ciascun commensale si trovava il coltello, un bicchiere o una tazza per bere, una ciotola spesso in legno. La mensa diventerà infatti “individuale” solo nel Rinascimento, momento nel quale avrà inizio l’uso del servizio da tavola singolo per ogni commensale (GOLDTHWAITE 1985, 1997); L’inizio delle produzioni di maiolica arcaica rivoluzionò le modalità della fabbricazione, della vendita e del consumo di ceramica. Le abitudini di consumo del cibo in tavola, con l’avvento della maiolica, furono segnate da un arricchimento delle forme presenti (catini, ciotole, rinfrescatoi) e dalla sostituzione di alcuni manufatti acromi con simili smaltati, come accadde per i boccali. Piccoli oggetti in maiolica o invetriati, destinati a contenere sale, salse e spezie, sono stati spesso raffigurati sulle tavole ed attestati anche in scavi archeologici (ad esempio “La morte del Cavaliere di Celano” affrescata da Giotto -1266-1337- ad Assisi, nella Chiesa Superiore di San Francesco, dove si nota la brocchette rivestita con vetrina verde raffigurata sul tavolo). D’altra parte, si deve segnalare che non vi fu una scomparsa completa del corredo acromo presente sulla mensa o degli oggetti fabbricati con altri materiali. Per esempio, perdura l’uso di piccole ciotole realizzate in legno, accanto a quelle in maiolica arcaica di simile forma. Per bere, sono diffusi bicchieri in vetro, spesso di forma troncoconica e con la parete liscia, attestati sia da scavi sia da numerose iconografie. Accanto al vetro, è testimoniato anche l’uso di bere direttamente da boccali, confermato peraltro dal ritrovamento in scavi di forme molto piccole destinate ad un uso individuale. La foggia

stessa dell’orlo dei boccali nel medioevo, così come emerge dallo studio tipologico, può essere ricondotta a differenti modi di bere, direttamente, o dopo aver versato il contenuto in un recipiente più piccolo, come il bicchiere o la ciotola72. Anche oggetti in metallo, come calici, erano spesso raffigurati per questa funzione73, ma non hanno trovato conferme nella fonte archeologica, molto avara nella restituzione di suppellettili in materiali deperibili, riciclabili o semplicemente considerati di maggior pregio rispetto alla ceramica. Quanto alla mescita delle bevande, essa avviene senz’altro con i boccali. Sulla tavola, le forme chiuse prevalenti sono costituite infatti da boccali, con capacità variabile da mezzo litro a due litri e con l’orlo differenziato in base alla funzione, legata alla mescita od alla bevuta diretta. Per portare il cibo in tavola e per consumarlo, ad uso di più commensali, sono documentati anche oggetti in legno, come i taglieri, spesso di forma rotonda. Il legno è molto rappresentato nell’iconografia medievale, ed anche nei ricettari e negli inventari delle masserizie per la tavola (MAZZI 1980), ma è certo sottostimato dalle fonti materiali a causa della sua deperibilità. La grande diffusione della maiolica arcaica, come detto, arricchì inoltre la tavola di forme aperte collettive, come i catini, ben attestati dai ritrovamenti da scavo toscani ed usati per servire verdure e cibi semiliquidi o liquidi, oppure i rinfrescatoi, usati per tenere in fresco i cibi o le stesse stoviglie74. Per quanto riguarda le posate, la tavola medievale prevede l’utilizzo esclusivo del coltello e del cucchiaio: mentre sul primo, realizzato in metallo, abbiamo una ricca documentazione materiale e figurativa, sul secondo, fabbricato prevalentemente in legno, abbiamo dati solo dall’analisi delle fonti iconografiche. La forchetta è invece molto rara nel medioevo e di uso esclusivo di ceti sociali elevati. Le fonti archeologiche per ricostruire forme e funzioni degli oggetti in ceramica sulla tavola Nel trattare la mensa tra Duecento e Trecento attraverso le fonti archeologiche, abbiamo nuovamente operato una selezione di quattro tematiche principali: a) il persistere del corredo acromo per tutto il XIII secolo; b) la maiolica arcaica sulle mense dei ceti rurali; c) la diffusione e l’uso delle ceramiche invetriate fini; d) l’uso delle maioliche con decori in blu. a) Dal XIII secolo possiamo rilevare per entrambe le aree produttive, quella pisana e quella senese, una costante ricerca di canoni che permisero la fabbricazione di 72

A Siena sono ricordate ciotole e ciotoline per bere (FRANCOVICH 1982, p. 85, nota 2). Si vedano inoltre la Predella della Maestà di Duccio di Buoninsegna (1278-1317/18) raffigurante le Nozze di Cana e quella raffigurante l’Apparizione di Cristo, (Siena, Museo dell’Opera del Duomo) nella quale sono dipinti boccali di maiolica arcaica utilizzati per la mescita. 73 Giotto (1266-1337), il Banchetto di Erode, Cappella Peruzzi in Santa Croce a Firenze. 74 Grandi contenitori aperti sono raffigurati anche per un uso quotidiano generico, come il lavaggio delle persone o delle cose, come ad esempio è raffigurato nella Lavanda dei piedi, predella della Maestà di Duccio di Buoninsegna (1278-1317/18), Siena, Museo dell’Opera del Duomo oppure nei dipinti del Pellegrinaio dello Spedale di Santa Maria della Scala a Siena, nella Cura e Governo degli infermi di Domenico di Bartolo (1440-1441).

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Per esempio, vi sono casi di utensili ricordati solo sulle mense di ceti agiati, come la forchetta ed i piatti di stagno e argento, presenti sulla mensa dei Priori a Firenze nel 1361 (MAZZI 1893) oppure negli inventari del XIV secolo dell’ente ospedaliero senese Santa Maria della Scala (BELLI, SORDINI, GRASSI 2004). Inoltre, il consumo del pasto poteva anche essere effettuato nel luogo di lavoro, soprattutto tra i contadini o tra gli artigiani specializzati che lavoravano nelle miniere: a tale proposito, il “quartiere massetano” costruito nel Trecento nel castello di Rocchette Pannocchieschi come polo artigianale diviso dal resto del castello ha evidenziato la grande presenza anche di maiolica arcaica e ceramica fine per consumare i pasti; nello stesso quartiere è presente un forno da pane ed un piccolo ambiente ad uso magazzino.

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FRANCESCA GRASSI maggiori quantità di prodotto in minore tempo. Inoltre, il rinnovamento dei gusti determinato dalla maiolica arcaica, concentrò l’attenzione di chi produceva su accorgimenti tecnologici che resero simili questi prodotti a quelli smaltati, come le sbiancature delle superfici, in uso in entrambe le aree. Passando prima in rassegna il corredo senese di boccali (Figg. 37-38), bisogna osservare che l’aggiunta dei tipi provenienti da ritrovamenti cittadini ci ha permesso di notare una tendenza della forma del boccale alla globularità ed alla perdita dei caratteri tipici dei corredi di XIII secolo. Il corredo di boccali da mensa senesi è distribuito in un’area più piccola di quella evidenziata per le brocche da dispensa, ma potrebbe trattarsi di difficoltà nel riconoscimento delle forme e degli impasti, sino ad oggi non tipologizzate in maniera sistematica. Negli altri castelli analizzati, principalmente tutti costieri, il corredo acromo è costituito dai boccali “tipo Busi” di provenienza pisana: all’interno di questo gruppo omogeneo di tipi ceramici non è stato possibile rilevare disomogeneità nelle dimensioni o negli impasti, come nei secoli precedenti, e questo ci ha portato ad ipotizzare una completa standardizzazione della produzione pisana. Le varianti dimensionali dei boccali schedati rientrano infatti perfettamente nella griglia elaborata in BERTI, GELICHI 1995, p. 204, con l’aggiunta dei tipi e-f (Fig. 39).

il castello di Montarrenti dove la maiolica arcaica apparve nel primo Trecento e solo come appannaggio dei ceti abbienti (i quali peraltro prima non usavano altri tipi di ceramiche rivestite, ad esempio di importazione). Nel borgo, abitato da contadini, la maiolica arcaica non sarebbe invece comparsa fino alla metà dello stesso secolo (BOLDRINI, RONCAGLIA 1984; CANTINI 2003, p. 151). Tra le varie motivazioni, ci sembra fondamentale richiamarne una di carattere sociale; il castello era abitato da un gruppo formato da contadini e proprio l’estrazione sociale di queste persone avrebbe fatto mancare la domanda (BOLDRINI, GRASSI, MOLINARI 1997, p. 118). Di contro, in altri castelli come Rocca San Silvestro, dove i gruppi sociali mostrarono maggiore vivacità, sia per la vicinanza con luoghi di costa sia per l’appartenenza a categorie specifiche, come gli artigiani specializzati, l’uso di MA fu elevato e diffuso in tutte le zone, non solo quelle di pertinenza signorile (BOLDRINI, GRASSI, MOLINARI 1997). - Le forme in uso sulla tavola. Le forme chiuse, in prevalenza boccali, furono innanzitutto molto più numerose di quelle aperte sulle mense dei ceti residenti nel contado. Tra i boccali, spicca la varietà dimensionale che ha permesso di ricollegare le forme molto piccole alla bevuta individuale e quelle più grandi alla mensa. Tra le forme aperte, mentre i catini sono abbastanza presenti, si trovano più raramente scodelloni, grandi catini e rinfrescatoi usati, come abbiamo visto, per portare in tavola le vivande o le piccole suppellettili. I piccoli accessori della mensa, in particolare, furono solitamente presenti con sola invetriatura (ciotoline, microvasetti). Le tazze, ampiamente diffuse in città, non furono invece molto numerose nel contado. Sempre tra le forme aperte, la ciotola priva di orlo, spesso monocroma o con solo decoro in manganese, fu un tipo di grande successo.

b) Per trattare la MA nell’ambito del corredo da mensa guarderemo solo alle forme ed alle presenze nei castelli, senza distinguere per ora tra le diverse produzioni ricontrate (senese, pisana, volterrana e massetana). Infatti, le tre questioni essenziali, a nostro parere, per la comprensione del ruolo svolto dalla maiolica arcaica sulle mense dei ceti rurali sono: - il momento di arrivo della maiolica arcaica nel contado. Mettere a fuoco con materiali provenienti da contesti stratigrafici la prima fase di introduzione della maiolica nelle campagne ci ha permesso di quantificare il momento in cui la domanda del contado rese attive le linee commerciali di arrivo di MA. I prodotti senesi, volterrani e pisani arrivarono tutti in contemporanea con le prime produzioni visibili in città -1210-30 per Pisa, 1230-40 per Siena e Volterra-, a quanto ci hanno mostrato i dati archeologici. Questo mette innanzitutto in luce che i siti del contado ebbero tutti le stesse prerogative di consumo della città e che in Toscana non vi fu una distribuzione di MA solo presso i ceti sociali più alti, residenti in città (BERTI, CAPPELLI, FRANCOVICH 1986). Chiaramente, per fare in modo che la domanda fosse soddisfatta fu necessaria la complicità di linee commerciali fluide e di politiche cittadine mirate all’esportazione dei prodotti.

c) Nelle stesse fabbriche della maiolica arcaica si produsse una classe ceramica solamente invetriata (IF), all’interno ed all’esterno; si trattò probabilmente di un prodotto collaterale alla maiolica e più economico, dati i diversi costi esistenti tra vetrina e smalto. Le produzioni, nell’area da noi esaminata, sono di due tipi: - una caratterizzata da rivestimento monocromo verde, molto coprente, nella superficie principale e dalla superficie secondaria acroma oppure ricoperta da una vetrina molto leggera, prodotta a Pisa e Siena; -una caratterizzata da vetrina monocroma marrone molto coprente interna ed esterna, prodotta solo a Pisa. Nel dettaglio le forme principali presenti nel contado, effettuando una divisione per luoghi di provenienza, sono: - Provenienza pisana (Fig. 40, nn. 1-5). La produzione di ceramica caratterizzata da un

- I ceti sociali a cui è destinata la nuova ceramica. Gli arrivi precoci di MA ebbero una richiesta alla base proveniente da vari ceti sociali ed un uso non sempre generalizzato sulle mense. Infatti, mentre in alcuni castelli la MA fu usata indistintamente in tutte le case, in altri il consumo sembra riservato alle parti signorili o 75 fortemente limitato . Un esempio di quest’ultimo tipo fu 75

primo XIII secolo non ci sarebbe nessun tipo di ceramica fine da mensa; la lontananza dal mare e l’assenza di legami con Pisa sembrerebbero in questo caso essere decisivi, pur nell’ambito di una società probabilmente vivace ed articolata (VALENTI 1996). Oppure come Scarlino, dove nonostante la vicinanza con il mare, la composizione sociale della comunità scarlinese, prevalentemente contadina giocherebbe un ruolo fondamentale nel basso consumo di maioliche (FRANCOVICH 1985 e sulle fasi altomedievali MARASCO 2002-2003).

Si tratta di siti come Poggio Bonizio, dove nel corso del XII e nel

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LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO rivestimento con vetrina piombifera di colore verde o marrone, viene generalmente considerata collaterale a quella della maiolica arcaica e attiva sin dalla prima fase di introduzione dei rivestimenti nelle stesse fabbriche di quest'ultima, data la similarità riscontrata negli impasti, soprattutto in ambito pisano (BERTI 1997a, p. 69; BERTI, CAPPELLI 1994, p. 227). Nei siti in cui abbiamo riconosciuto la presenza di tali invetriate, esse si inseriscono nei corredi a partire dall'inizio del XIII secolo, accanto alle maioliche arcaiche pisane della prima fase produttiva. Per quanto riguarda i rivestimenti, la vetrina si presenta molto densa e coprente nella superficie primaria mentre la secondaria è lasciata nuda oppure ricoperta con vetrina più leggera. Nelle forme più antiche la vetrina è molto omogenea, mentre appare già diluita nella produzione del Trecento. Le forme ritrovate sono pertinenti a piccoli contenitori da mensa (ciotoline, piccoli orcioli, tazze) ed a grandi catini con tesa. Alcune brocchette, già inserite nel corredo monocromo verde pisano, non sembrerebbero invece appartenere a questa area produttiva, ma piuttosto a quella senese (BOLDRINI, GRASSI, MOLINARI 1997, p. 109). Nel castello di Rocca San Silvestro, dalla prima metà del Duecento, si è registrato inoltre la presenza di forme aperte con invetriatura marrone molto densa interna ed esterna (tipo S. Cecilia, BERTI 1997a, p. 69), presenti nell’unica forma della ciotolina con orlo piatto e cavetto globulare. - Provenienza senese (Fig. 40, nn. 6-10) La ceramica invetriata fine di produzione senese non ha goduto della tradizione di studi che ha caratterizzato i prodotti pisani: infatti, le uniche due forme al momento conosciute in ambito urbano sono l’orciolo ovoide e la brocchetta piriforme con vetrina verde oliva esterna e vetrina marrone o verde interna (C’era una Volta 2002, scheda 19-20). Nelle campagne, la forma che sembra avere circolato principalmente è proprio la brocchetta, ma solamente nel XIV secolo, mentre per il XIII secolo non abbiamo al momento dati utilizzabili. I siti del contado che acquistarono prodotti invetriati dalle botteghe senesi furono il castello di Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi, Cugnano e Montemassi. In particolare a Cugnano giunsero alcune forme al momento non recuperate in ambito urbano: si tratta dei catini e dei rinfrescatoi invetriati. Infine, ricomponendo il quadro della distribuzione delle ceramiche invetriate nella Toscana meridionale in base al centro di provenienza ed alla cronologia di attestazione nei contesti stratigrafici, abbiamo ottenuto alcuni dati relativi alle espansioni commerciali delle singole città nel contado (Fig. 41). Nel XIII secolo l’IF era presente in pochi siti ed il dominio del mercato di ceramica invetriata spettò sicuramente a Pisa. In almeno due siti, inoltre, in questo secolo si ebbero frequenti collegamenti con l’area umbrolaziale che permisero l’arrivo sia di ceramiche invetriate sia di smaltate (Campiglia Marittima, Rocca San Silvestro). Nel XIV secolo la domanda di IF crebbe, in parallelo con quella di maiolica arcaica, e comportò l’arrivo di tutti i prodotti senesi, prima assenti. Questi prodotti si diffusero soprattutto nell’entroterra, lasciando l’area costiera ai commerci controllati da Pisa ad eccezione di alcune

presenze a Rocca San Silvestro. d) Nel panorama delle forme in maiolica che abbiamo trovato nel contado vi sono due produzioni con il decoro blu posto su uno smalto bianco a base di ossido di stagno: si tratta della la maiolica arcaica blu (MAB) e della zaffera a rilievo (ZR). Dagli studi effettuati su queste classi ceramiche per la Toscana si evince che la MAB fu prodotta nella fase avanzata della maiolica arcaica e ne rappresentò una variante, rimanendo costante il registro formale ed il doppio rivestimento costituito da vetrina e smalto. L’avvio di questa produzione di maiolica fu associato alle esigenze delle mense più raffinate, come mostra l’uso del blu che ebbe i suoi antecedenti solo nelle produzioni islamiche a Cobalto e Manganese. Da questa esperienza nacque in seguito la ZR, nell’intento di continuare una tradizione produttiva di ceramiche da mensa aristocratiche. Le due produzioni si sovrapposero anche nelle botteghe, come hanno mostrato studi fatti in ambito cittadino fiorentino (MOORE VALERI 1984). Le cronologie dell’inizio della produzione furono le stesse, collocabili a cavallo della metà del XIV secolo, ma mentre la MAB si esaurì alla fine dello stesso secolo, la ZR rimase in produzione sino alla prima metà del XV secolo (ALINARI, BERTI 1991, pp. 27-28). L’area fiorentina, intesa in senso allargato e comprendente Firenze, Pistoia, Prato, Montelupo, Bacchereto, fu in questi secoli un’area produttiva privilegiata delle tipologie in blu (CORA 1973). La definizione di queste maioliche come prodotti “di lusso” deriva dalla convinzione che il decoro in cobalto aumenti i costi, spiegandone anche la limitata distribuzione. In realtà, una serie di analisi archeometriche ha dimostrato che il blu è composto da cobalto e rame, nonchè piombo, dunque il suo costo non sarebbe stato di molto superiore a quello degli ossidi usati tradizionalmente per la MA. Al contrario, creare la giusta miscela di questi tre componenti comportò la necessità di competenze molto alte e lo confermerebbero i numerosi esemplari, soprattutto di ZR, nei quali il blu del decoro è in parte difettoso (ALINARI, BERTI 1991, pp. 30-32). Dunque, in sintesi, dai dati al momento emersi per le tipologie in blu si ricava che il pregio delle classi in questione risiede non nel maggiore costo delle materie prime, ma nella difficoltà di produzione e di miscelazione dei rivestimenti che ne comportò la fabbricazione solo nei centri più “evoluti” dal punto di vista tecnico. A Siena, ad esempio, la produzione blu fu un episodio sporadico e poco significativo, ed i prodotti senesi con molta probabilità non superarono le mura cittadine (CAPPELLI 1990, p. 330; LUCCARELLI 1991, FRANCOVICH, LUNA 2001). Passando ai dati dal contado, abbiamo esaminato le quantità, le provenienze ed i contesti sociali di consumo delle maioliche in blu. ZR e MAB presenti nei castelli esaminati hanno due impasti caratterizzanti, uno di colore 76 beige ed uno rosato . L’area di provenienza sembrerebbe essere quella fiorentina, ma a Rocca San Silvestro l’impasto isolato per questa classe mostra anche analogie molto forti, a livello macroscopico, con quello delle 76

ALINARI, BERTI 1991, p. 35, identificarono il colore dell’impasto delle maioliche in blu fiorentine in “colore ocra chiaro o rosato”.

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FRANCESCA GRASSI maioliche arcaiche volterrane, anche se per il momento non è conosciuta in questa città una produzione in blu. Le forme ritrovate nei castelli del contado sono relative a soli boccali in MAB e rinfrescatoi e ciotoloni in ZR. Non sono invece presenti orcioli e albarelli, due forme tipiche della ZR (Fig. 42, nn. 1-2-3 da Campiglia Marittima, n. 4 da Rocca San Silvestro). La distribuzione geografica in tutta la Toscana meridionale ne ha evidenziato un commercio non molto ampio (Fig. 43), ma per affrontare il significato economico e sociale delle presenze bisogna a nostro parere tenere in considerazione almeno tre fattori. 1) la MAB, classe tipica del XIV secolo, ebbe probabilmente una breve produzione, molto limitata dal punto di vista quantitativo. 2) la ZR fu una classe che circolò maggiormente nel XV secolo, assieme alle maioliche italo-moresche ed ai primi arrivi di ceramiche dal centro di Montelupo Fiorentino. 3) Molti dei siti che utiliziamo per lo studio, tra cui tutti quelli minerari (Rocchette, San Silvestro, Cugnano, Castel di Pietra), erano già fortemente in crisi alla metà del Trecento, per lo spostamento degli interessi minerari di Pisa nelle aree estrattive sarde e dunque non sarebbero indicativi della circolazione del vasellame alla fine del XIV secolo. Nell’analisi delle maioliche con decori in blu, giunte nel contado nella seconda metà del Trecento, assistiamo forse a quel fenomeno di “maggiore ricchezza” descritto come una contraddizione all’interno della recessione economica in atto nel paese. Infatti, uno dei fenomeni conseguenti alla peste del 1348 fu l’aumento del reddito pro capite dei salari ed il generale accrescimento del benessere. Il calo demografico nella popolazione avrebbe prodotto un’alleggerimento della domanda e la possibilità, per molti individui, di accedere a prodotti considerati solo un secolo prima “di lusso” (CIPOLLA 1990, p. 252; GOLDTHWAITE 1997, p. 189). Si può dunque considerare ZR e MAB come gli ultimi arrivi cittadini, giunti sul finire del Medioevo, a completare le mense dei siti rurali, permettendo ai castelli posti in campagna di usufruire di beni e merci in maniera analoga ai centri urbani. Le vie commerciali che collegavano la Toscana meridionale con l’area fiorentina erano già attive e permettevano anche l’arrivo di altri prodotti, come orci a beccacia e catini con decori a matrice e, nel secolo successivo, il corredo ceramico prodotto a Montelupo Fiorentino (BOLDRINI et alii 2004, pp. 324-326).

associavano risorse umane e finanziarie. Gli apparati produttivi e le modalità di lavoro (specializzazioni all’interno delle botteghe) subirono una vera rivoluzione, di cui beneficiarono anche le altre classi, prodotte negli stessi ateliers, come abbiamo evidenziato. Le novità interessarono anche la sfera dello scambio; il raggio di commercializzazione di MA e IF abbracciò, per la prima volta dalla fine delle produzioni di sigillata, tutto il 77 bacino del Mediterraneo . Questo sviluppo degli apparati produttivi non toccò la campagna: qui i luoghi deputati alla produzione rimasero “cristallizzati” alle singole botteghe i cui prodotti non superarono mai i confini del contado. Per quanto riguarda in modo specifico lo scambio delle merci, la grande evidenza di commerci mediterranei tra XIII e XIV, ora raggiungibili anche attraverso vie di terra e la capillare diffusione dei prodotti esotici anche in siti non precedentemente interessati da questo fenomeno, ha spesso portato ad una sopravvalutazione delle presenze di ceramiche di importazione, considerate come l’evidenza più importante per lo studio del commercio del tardo medioevo (MILANESE, VANNINI 1998, p. 35). Al contrario, inserendo nella giusta valutazione il fenomeno delle merci importate, si può forse valutare quanto fossero mutati gli scambi commerciali nella totalità, anche a raggio regionale e nazionale. La fluidità con la quale le ceramiche importate raggiungevano tutti i siti fu soltanto l’apice di un fenomeno di incremento della circolazione delle merci sul territorio regionale già in atto dal secolo precedente. La trattazione della produzione e dello scambio è stata divisa in due parti, una per il contado ed una per la città, intendendo in questa seconda sezione l’inserimento dei dati che, sebbene provenienti dal contado, ci hanno illuminato anche sulla fabbricazione di ambito cittadino. Infine un paragrafo a se stante è dedicato ai commerci a lunga distanza, nazionali o mediterranei. 1. La produzione nel contado La produzione nel contado è composta da botteghe singole nelle quali rimasero immutate le modalità produttive in uso rispetto ai secoli precedenti. Dall’analisi dei tipi prodotti abbiamo ipotizzato che gran parte degli artigiani attivi in queste officine fosse di provenienza cittadina (pisana o senese). Abbiamo distinto dunque la produzione domestica, di tipo stanziale e itinerante (a); la produzione artigianale rurale, presente nella forma di botteghe singole poste intorno ai nuclei castrensi (b) e di ateliers specializzati nei quali si producevano manufatti invetriati (c).

4.2 I luoghi della produzione, gli scambi In questo periodo storico, la nostra analisi ha mostrato che il lavoro dell’artigianato ceramico si presenta in due forme principali caratterizzate dall’accentramento delle botteghe nella sfera d’influenza cittadina, sia con la concentrazione di officine in città, sia con centri rurali satelliti delle città. Nel grande sviluppo produttivo cittadino svolsero un ruolo primario le produzioni di maiolica arcaica e i paralleli prodotti invetriati. La maiolica arcaica infatti fu la prima classe ceramica provvista di un doppio rivestimento (smalto e vetrina), di una doppia cottura e di un decoro. Queste novità tecnologiche determinarono un necessario adattamento di tutto il ciclo produttivo, dalla lavorazione allo scambio, attuabile solo in città, dove si

a) Per quanto riguarda la produzione domestica, ancora per tutto questo periodo si denota la tendenza a produrre nelle singole famiglie i testi per la cucina, in numero più o meno elevato secondo i bisogni funzionali. Il testo in particolare è un manufatto che bene si adatta alla produzione a mano ed alla cotture all’interno delle fornaci a riverbero poste all’interno di alcuni castelli tra quelli esaminati (Campiglia Marittima, Suvereto, Montemassi, Rocca San Silvestro, Rocchette 77 Per il raggio di diffusione della maiolica arcaica pisana, ad esempio, vedi BERTI 1997a, pp. 251-272.

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LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO Pannocchieschi). Nelle stesse fornaci potevano anche trovare un’adeguata cottura le olle manuali fabbricate da uno specialista itinerante (GRASSI 1998b). Il moltiplicarsi di forni a riverbero nei castelli sembra anche il riflesso di una crisi generalizzata nell’approvvigionamento alimentare: certamente i resti di forni a riverbero sono riferibili tutti ad un periodo nel quale questo fattore si associò alla crisi del sistema economico generale di tutta l’area. Infatti, la crisi del settore minerario, che spezzò alcuni anelli produttivi posti nel contado (ad esempio morirono alcune botteghe artigiane, vedi infra) e la parallela concorrenza dei prodotti cittadini che assorbirono il mercato rurale potrebbero avere determinato la grande impennata produttiva delle olle prodotte a mano.

ora molto simile a quella delle maioliche. Per questo motivo si può ipotizzare la presenza di vasai cittadini, forse pisani, che avrebbero attuato una produzione in area costiera di stoviglie invetriate da cucina. Questa bottega, come quella nell’entroterra, necessitava di un mercato per vendere i propri manufatti e ciò ha fatto ipotizzare un luogo di scambio unico e centralizzato, anche se al momento le fonti archeologiche non ne hanno permesso l’individuazione. 2. La città come luogo di produzione e smistamento In città l’artigianato ceramico conobbe in questo momento la sua massima fioritura; ciò sarebbe stato determinato dalle innovazioni produttive che rilanciarono le merci cittadine dando loro un ruolo determinante nella sfera degli scambi regionali. Dalla metà del Trecento inoltre si sarebbe determinato un aumento del numero degli uomini che accedevano al ruolo di artigiani specializzati, come ulteriore conseguenza della maggiore domanda di beni di lusso e della disponibilità di nuove ricchezze (GOLDTHWAITE 1997, p. 190). La stessa maiolica arcaica, per essere prodotta, richiese specializzazioni prima inesistenti, ed una nuova divisione professionale del lavoro all’interno delle botteghe (GELICHI 1992b, pp. 55-56). I dati raccolti nel contado ci hanno permesso di osservare la città come luogo di produzione e distribuzione di ceramica, in primo luogo di maiolica arcaica data la sua alta riconoscibilità soprattutto per alcuni centri cittadini come Volterra o Massa Marittima. Nel caso di Siena invece i dati hanno riguardato anche le classi prive di rivestimento. Infine per Pisa, i dati raccolti non hanno permesso di avere nuove informazioni sui tratti produttivi della maiolica arcaica, ma abbiamo effettuato un ragionamento complessivo sul ruolo di questa città come centro propulsore dei commerci e come luogo di trasferimento delle merci provenienti da vari centri nazionali e mediterranei. Prima di delineare i tratti caratteristici di alcuni centri produttori di maiolica arcaica inseriti nell’area geografica della nostra ricerca (Siena, Volterra, Massa Marittima), esplicitiamo le caratteristiche che ci sono sembrate essenziali per distinguere un centro “principale” o centro 78 “guida” da un centro “minore” . Centro “principale” o “guida” è il centro che introdusse la tecnica in modo precoce attuando un investimento commerciale, puntando sulla lunga durata della produzione, sul raggio di esportazione dei prodotti, sulla fondazione di centri satelliti nel contado attraverso l’esportazione della tecnica e di vasai. Pisa innanzitutto, ma anche Siena possono essere considerate tali dato che, una volta acquisita la tecnica, la resero patrimonio culturale ed economico della città applicandola nelle botteghe urbane, esportandola e impostando sopra questa nuova produzione un riassetto delle modalità produttive cittadine. Volterra, considerata a lungo tra i centri “minori”, deve essere oggi ampiamente rivalutata dato che assommerebbe, in base ai dati raccolti, analoghe caratteristiche. Infatti i prodotti volterrani si trovano dal

b) La realtà di questi castelli, ed in particolare di quelli legati a Pisa, è visibile anche dalle botteghe artigiane intorno ai siti, legate al fabbisogno degli stessi. È stato possibile evidenziare una contrazione ed una crisi di questa modalità produttiva artigianale rurale, in concomitanza con il rilancio della produzione itinerante ed è proprio incatenando i due fenomeni assieme che se ne può cogliere la portata economica. Nel XIV secolo in almeno tre dei casi esaminati, collegati alla famiglia Gherardesca ed a Pisa (Rocca San Silvestro, Donoratico, Campiglia), le botteghe presenti nell’area limitrofa al castello cessarono la produzione e nei corredi domestici la ceramica da cucina era completamente composta da ceramiche prodotte a mano. Invece, nelle botteghe artigianali che sussistono, i tipi formali hanno mostrato la presenza della manodopera cittadina, pisana o senese ed un raggio di distribuzione inalterato: ogni bottega riforniva un solo sito e il commercio dei prodotti avveniva in maniera diretta, senza bisogno di intermediari o di mercati. Il quadro che abbiamo ricostruito è dunque di una crisi della domanda proveniente da alcuni castelli che determinò una riassetto del sistema produttivo, molto complesso e articolato e con numerose ramificazioni in altri settori. Il primo ambito artigianale che entrò in difficoltà fu forse quello del lavoro specialistico legato ai metalli, ma la conseguenza più diretta sarebbe stata una drastica riduzione degli interessi dei capitali cittadini e di quelli signorili ad investire nei castelli. La minore ricchezza produsse dunque spopolamento e un ribasso della domanda e un conseguente spostamento degli interessi degli artigiani, non permettendo la sopravvivenza di tutte le botteghe. La ristrutturazione di questo sistema in crisi avvenne parzialmente dall’interno, con la “rinascita” del modello produttivo itinerante, più economico e profondamente radicato nel substrato culturale di tutta l’area. c) La domanda però non era completamente scomparsa e se per le città il contado fu soprattutto un mercato sul quale vendere i propri prodotti, vi furono anche attività artigianali floride, e collegate al solo mondo rurale, quali le botteghe di ceramiche invetriate da cucina. Parallelamente all’attività della bottega dell’entroterra che produceva tegami con vetrina nera, una delle botteghe attive sulla costa si specializzò infatti in manufatti invetriati con i nuovi rivestimenti vetrosi, ponendo maggiori attenzioni alla tipologia della vetrina,

78 Per la terminologia centro “guida” o centro “minore” ci siamo riferiti al testo BERTI, CAPPELLI, FRANCOVICH 1986, p. 484.

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FRANCESCA GRASSI XIII secolo in vari centri del territorio; la città ha al suo interno un’alta presenza di fornaci e si incentivarono produzioni in centri satelliti, come quello di Pomarance. Massa Marittima e Montalcino, anche se con modalità diverse, devono invece essere considerati centri “minori”, perchè la nuova tecnica di fare ceramica, impiantata forse da vasai provenienti dalle città di Siena e Pisa, non fu rielaborata e la loro produzione si contraddistinse per breve durata, quantità limitata e imitazione formale e tipologica dei prodotti di origine.

prima (BERTI 1997). La produzione iniziale, a differenza di quello che si pensava, non fu assolutamente rivolta all’autoconsumo e dopo una breve stagione di “prova” del nuovo prodotto, l’analisi nel contado ha mostrato che si passò subito all’esportazione nelle aree di territorio soggette (BERTI, CAPPELLI, FRANCOVICH 1986, p. 496). I siti nei quali abbiamo schedato, per il XIV secolo, maiolica arcaica senese sono undici ed in alcuni è stato possibile quantificare non solo questa classe, ma anche ceramica grezza e depurata sempre di produzione senese (Fig. 45). Gli elementi di riflessione che scaturiscono da questi dati sono tre: 1- la ceramica grossolana senese o di tipo senese è assente, pur permanendo alcuni dubbi sulle olle ad arpione. 2- La ceramica depurata ha molti dati non riferibili a quantità determinate. Ciò dipende essenzialmente dalla difficoltà nell’analizzare e nell’attribuire con precisione il vasellame privo di rivestimenti e con impasti molto depurati a singoli centri produttivi. 3- In generale, tra i siti elencati, ve ne sono alcuni dove l’influenza senese sembra andare molto più indietro nel tempo rispetto al solo XIV secolo. Si tratta 79 sicuramente di Montemassi , dove siamo stati in grado di fare risalire al XIII secolo l’inizio dell’apporto di vasellame dal centro cittadino ed anche dei siti limitrofi di Castel di Pietra e Grosseto, nonchè dei siti minerari di Rocchette e Cugnano per i quali avanziamo questa possibilità come ipotesi di lavoro. In conclusione, la città di Siena nel bassomedioevo attuò politiche di dominio economico in tre forme distinte, spesso concretizzate in maniera congiunta nel contado (Fig. 46): -esportazione dei prodotti fabbricati in città (maioliche, invetriate, ceramiche acrome). E’ la forma più diretta di controllo del territorio, effettuata attraverso l’imposizione dei propri prodotti. Siena esportò in molti dei siti appartenenti al suo contado, ma solo in alcuni il controllo del vasellame fu pressochè totale. Si tratta di siti con una valenza politica ed economica molto forte (risorse legate al trasporto del sale oppure alle miniere), la cui conquista fu senz’altro prolungata e sofferta, come per esempio Montemassi, Massa Marittima o Grosseto; qui il predominio del vasellame senese assunse un connotato politico di egemonia sui siti stessi. In altri, dove la ceramica proveniente da Siena è circa la metà della restituzione totale di vasellame, si è notata invece la presenza di famiglie collegate direttamente a Siena, come i Pannocchieschi. -Esportazione della manodopera che impiantò ateliers intermedi sul territorio per produrre vasellame “di tipo senese” (spesso si trattava di botteghe dove non venivano prodotti manufatti con rivestimenti di smalto, ma solo ceramiche acrome o con vetrine piombifere). La presenza di botteghe nel contado controllate da Siena è un fenomeno precedente alla produzione ed alla diffusione della maiolica arcaica: officine che producevano vasellame acromo e invetriato, spesso utilizzando le stesse miscele di impasti cittadine, furono attive perlomeno dal XIII secolo. -Attivazione di centri produttori completi in cittadine

Siena centro di produzione e di distribuzione di maiolica arcaica Nel trattare Siena come centro di produzione di ceramica nel bassomedioevo, i dati raccolti nel contado permettono di affinare le cronologie di arrivo dei prodotti e di mettere a fuoco le principali forme esportate (a) e di osservare la città come centro di smercio dei prodotti ed in primo luogo della maiolica (b). a) Le nuove ricerche archeologiche effettuate nell’ultimo decennio nel centro urbano di Siena ci hanno permesso di attribuire molti prodotti in maiolica alla prima fase produttiva senese, ma la loro cronologia è genericamente inserita nella seconda metà del XIII secolo sulla base dei contesti di ritrovamento, spesso non stratigrafici (FRANCOVICH 1982; LUNA 1999). Un’altra forma di documentazione per affrontare questa problematica è emersa dall’analisi di boccali in maiolica arcaica recuperati in contesti di consumo al di fuori della città, attribuiti a Siena in base allo studio macroscopico degli impasti. Le datazioni ricavate ci identificano il momento in cui Siena, oltre a produrre maiolica, decise anche di esportarne una parte. Le datazioni più puntuali su cui riflettere provengono dal castello di Montemassi (Fig. 44, nn. 1-2): qui abbiamo recuperato un corredo appartenuto alla famiglia Aldobrandeschi ed abbandonato intorno al 1260, comprendente alcune tra le forme più antiche conosciute nel repertorio di maiolica arcaica senese. Considerando che tali ceramiche furono “gettate via” nel 1260 e che erano state usate per una quantità imprecisata di tempo sulla mensa del castello, si può arrivare circa agli anni 30-40 del Duecento per identificare l’inizio della produzione a Siena e la distribuzione nei siti del contado. Volendo dunque effettuare una scansione della produzione di maioliche arcaiche senesi in base ai nostri dati ed in base all’edito avremmo una prima fase produttiva tra 1230-40 e 1280, una seconda fase tra 1280 e 1350 ed infine una terza fase compresa tra 1350 e circa il 1450. Nella prima fase giunsero nel contado boccali a palla, boccali con corpo ovoide e piede molto svasato, boccali con corpo troncoconico ed una forma di ciotola con orlo indistinto o leggermente ingrossato (nn. 1-4). Durante tutta la seconda fase si attuò l’esportazione delle due forme maggiormente riconoscibili per la produzione senese, il catino con orlo convesso (n. 2) e il boccale bitronconico (n. 4), che caratterizzeranno anche gran parte della terza fase produttiva, a Siena e nel contado.

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Montemassi nel Duecento fu un luogo strategico per il controllo sul trasporto del sale da Grosseto a Siena, nell’ambito della dogana del sale istituita dal Comune senese dopo un accordo del 1203 con gli Aldobrandeschi che possedevano molti castelli dell’area, tra cui Montemassi stesso, Castel di Pietra e Roccastrada (REDON 1994).

b) Da alcuni dati forniti è emersa la precocità di Siena nell’esportare i propri prodotti in maiolica, in modo analogo alle strategie attuate da Pisa circa un ventennio 50

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO sottomesse (ad esempio Montalcino). Per quanto riguarda Montalcino, dai ritrovamenti archeologici relativi alla svuotatura delle volte del Palazzo Pubblico si ipotizzò la presenza di attività produttive di ceramica relative al XIV secolo (BLAKE 1980). I prodotti recuperati a Montalcino mostrarono una forte similarità con quelli di Siena, ma la presenza di due impasti distinti nelle maioliche (di colori e consistenza diversi da quelli senesi) unita al ritrovamento nelle volte di scarti e ad alcune indicazioni relative alla distruzione di una fornace durante dei lavori (FRANCOVICH 1982, p. 39), avrebbero permesso di ipotizzare qui un centro di produzione. L’interpretazione che ne possiamo dare oggi, alla luce dei nuovi dati emersi da Siena, è quella di un sito produttivo dove probabilmente Siena stessa esportò la tecnica della smaltatura, attraverso l’emigrazione dei propri vasai esperti nella fabbricazione di maiolica. Sembrerebbe trattarsi dunque di una azione di decentramento produttivo in siti politicamente soggetti allo scopo di estendere la capacità di esportazione della città stessa. Volterra centro bassomedioevo

di

produzione

di

ceramica

sembrano emergere nella fase produttiva matura (XIV secolo) e produrre non solo maiolica arcaica, ma anche invetriate fini (manufatti con rivestimenti verdi) e maioliche arcaiche monocrome. Le vetrine sono solitamente trasparenti, a volte gialle, gli smalti molto opachi e coprenti. Si riconoscono tra le forme recuperate anche alcune seconde scelte, caratterizzate dallo smalto “sbollato” e dalle vetrine più scure per l’eccessiva cottura. La commercializzazione di seconde scelte non fu certo un caso isolato e riconosciuto solo per Volterra, ma noto anche a Pisa e Siena (PASQUINELLI 1987, p. 29). Nelle produzioni più tarde cronologicamente si è notato che la qualità dello smalto è diversa, di spessore minore ed aspetto lattiginoso, a causa della povertà di stagno utilizzato nel rivestimento. Inoltre, in alcune forme della seconda metà del Trecento la superficie secondaria è priva di vetrina, in modo analogo alla produzione di MAIII pisane. Le forme ricomposte (Fig. 47) ampliano il panorama morfologico conosciuto, soprattutto per la fase più antica, relativa alla seconda metà del XIII secolo. Si tratta di boccali con corpo globulare e piede svasato, simili al boccale rinvenuto fuori contesto nell’acropoli di Volterra (PASQUINELLI 1987, fig. 2) e coperchi di forma troncoconica. Accanto a queste forme sicuramente antiche, il panorama di quelle ascrivibili al XIV secolo è contraddistinto da numerose varianti ai tipi già conosciuti. Un dato molto importante che emerge è la ricchezza decorativa di alcuni tipi esaminati: soprattutto nelle fasi più antiche i repertori figurati furono molto frequenti, costituiti da decori antropomorfi e da animali fantastici riprodotti con un livello molto alto di esperienza e di capacità tecnica. La cronologia di attestazione più antica della maiolica arcaica volterrana sembra relativa ad un periodo compreso tra il 1250 ed i primi anni del 1300. Possiamo dunque ipotizzare che l’avvio delle produzione si sia inserito proprio nella seconda metà del XIII secolo, con un certo ritardo rispetto ai centri di Pisa e di Siena. Il primo sito di consumo in cui abbiamo ritrovato questi prodotti è collegato alla famiglia dei Gherardeschi (Rocca San Silvestro). In seguito, nel XIV secolo, la distribuzione avvenne indifferentemente in siti collegati alla sfera di influenza senese, massetana oppure pisana. Tra le prime produzioni e la distribuzione non sembra essere trascorso molto tempo; come nel caso di Siena, anche per Volterra la produzione di maiolica arcaica comportò un riassetto delle reti di distribuzione, trattandosi non solo di un prodotto nuovo inserito sul mercato, ma di un’operazione commerciale vera e propria. Alla maiolica arcaica andrebbero aggiunte, per effettuare un calcolo globale delle esportazioni nel contado, anche le ceramiche acrome e quelle invetriate; sappiamo infatti da vari documenti scritti della commercializzazione di questi prodotti, ma purtroppo non riusciamo al momento ad identificarli e tantomeno a quantificarli. Ci sfugge dunque la reale entità del fenomeno economico che avrebbe rappresentato per Volterra la produzione e la vendita fuori dalla città di vasellame acromo e rivestito. In conclusione, dai dati esposti appare chiaro che Volterra deve essere annoverata tra i centri “maggiori” nella

nel

La produzione ceramica di Volterra nel medioevo, ed in particolare la maiolica arcaica, è stata oggetto di una monografia pubblicata nel 1987 nella quale per la prima volta furono delineate le caratteristiche della produzione 80. locale (PASQUINELLI 1987) . Le tipologie di reperimento dei reperti, provenienti da contesti di discarica, permisero una definizione tipologica dei prodotti di XIV e XV secolo, ma non un inquadramento sulle fasi più antiche della produzione e sul raggio di distribuzione degli stessi. Partendo da questo lavoro, attraverso i dati ottenuti dai centri di consumo a sud di Volterra, abbiamo cercato di arricchire il quadro di conoscenze sulla maiolica arcaica volterrana. Prima di analizzare la cronologia e la distribuzione dei prodotti volterrani riconosciuti nel contado, passiamo brevemente in rassegna le caratteristiche raccolte sulla maiolica arcaica volterrana. La MA volterrana è contraddistinta nei siti studiati da tre impasti, corrispondenti forse a tre fornaci cittadine distinte. Una definita in questo lavoro A, i cui prodotti sono stati individuati a Rocchette e Montemassi (impasti RO23MMS10), una definita B, individuata a Rocchette e Rocca San Silvestro (impasti RO26-RSS10) ed una definita C, individuata solo a Rocca San Silvestro (impasto RSS11). La C in particolare fu l’unica fornace ad esportare prodotti relativi alla prima fase produttiva ed a perdurare in tale attività sino a tutto il Trecento. Le altre due 80 Nel medioevo Volterra fu attestata come centro produttore di ceramica, già prima dell’avvento della maiolica: è infatti del 1210-1224 la notizia più antica di un’attività di vasai contenuta negli Statuti del Comune. La terminologia con la quale tale attività viene chiamata (ars ollarum et cupporum) permise di associarvi produzioni acrome, da cucina e da dispensa (olle e coppi) (PASQUINELLI 1987, p. 17). Circa un secolo dopo, nel 1326, i vasai presenti in città venivano appellati con un altro termine, orciolaio, che avrebbe permesso di cogliere il passaggio alla produzione di prodotti rivestiti ed in particolare di maiolica arcaica (PASQUINELLI, p. 18). Un parziale ostacolo alla produzione di ceramica in quantità eccedenti al solo autoconsumo sarebbe stata posta dal Comune che salvaguardava con alcuni regolamenti il taglio del bosco e l’uso del legname, essenziali per lo svolgimento della principale attività economica cittadina, quella della fabbricazione del sale (PASQUINELLI, p. 23).

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FRANCESCA GRASSI 81

fornito una certa quantità di maioliche inseribili in una produzione locale è stato proprio il castello minerario di Rocchette. Entrando nel campo specifico della distribuzione, i siti interessati dalla presenza di maiolica arcaica massetana si trovano intorno al borgo di Scarlino e Vignale, sul Poggio Castello83. L’entità del ritrovamento ammonta a circa uno, al massimo due frammenti per ogni sito. Tutte le evidenze topografiche segnalate hanno datazione inseribile nel XIV secolo. Inoltre, nel sito di Massa Vecchia (CUCINI 1985, p.257), ai piedi dell’attuale collina dove sorge Massa Marittima, sono stati trovati scarti di ingubbiata e graffita attribuiti a produzione locale e collegati ai riferimenti documentari di vasai presenti in città nel XV secolo. Questo ritrovamento permise di ipotizzare che anche le maioliche arcaiche considerate locali avessero come centro di produzione proprio Massa Marittima. Il collegamento molto evidente con i prodotti senesi, presenti nel contado già dalla metà del Duecento, permetterebbe di ipotizzare una via di arrivo della tecnica proprio da Siena, mentre le materie prime potrebbero provenire dalle miniere delle Colline Metallifere, ricche di cassiterite dalla quale si ricava lo stagno (GIORGIO 2009). Ma bisogna considerare anche che Massa Marittima rientrò per tutto il bassomedioevo nelle mire espansionistiche di Pisa e, come abbiamo visto anche per Volterra, nelle alterne vicende che investirono Massa e Pisa, vi furono dei momenti nei quali si documentano 84 brevi alleanze tra le due cittadine . Nell’ambito di queste fasi di “collaborazione” potrebbe essere inserito l’invio da parte di Pisa di maestranza specializzata nella nuova tecnica per impiantare la produzione di maiolica arcaica in una bottega massetana, forse ubicata in città. Infatti, dalle tipologie minime di prodotti (solo forme aperte, relative ad uno, al massimo due tipi) e dalla quantità di vasellame, si può ragionevolmente pensare che l’attivazione della produzione di maiolica arcaica sia stata effettuata in una sola officina. L’attività imprenditoriale della città di Pisa può essere letta anche come un tentativo di fare ricoprire a Massa il ruolo di centro di smistamento nel contado dei propri prodotti. Ma al momento non vi sono indicazioni archeologiche che ci permettano di supportare questa ipotesi. L’esito non positivo di questa sperimentazione, ipotizzabile dalla pochezza dei prodotti che si fabbricarono, non fu probabilmente dovuta alla mancanza di richiesta, abbondante e sostenuta da molti castelli circostanti la cittadina maremmana, ma ancora forse da motivi politici ed economici. Dal 1335 Massa fu completamente soggetta al potere della città di Siena che si stava espandendo in questi anni nei castelli della contea aldobrandesca (FARINELLI 1997, p. 51). La sperimentazione avviata con la produzione di maiolica non fu ritenuta economicamente convincente: la produzione di ceramica a Massa decrebbe sino a cessare del tutto; la tradizione di produrre ceramica però non scomparve e probabilmente si fabbricò vasellame acromo

produzione di maiolica arcaica nel bassomedioevo . La nostra ricerca, per limiti di tempo, non ha purtroppo potuto affrontare analisi archeometriche di dettaglio sugli impasti e sui rivestimenti, fruttuose soprattutto per risolvere alcune questioni relative all'introduzione della tecnica nella cittadina. A questo proposito almeno tre considerazioni devono essere fatte: -la produzione volterrana mutuò elementi da quella senese e da quella pisana; in particolare i prodotti relativi alla prime fase produttiva sembrano avvicinarsi per forma, decoro e distribuzione dei motivi a quelli pisani. Sappiamo inoltre che nel 1237 Volterra è compresa tra gli alleati strategici di Pisa per il controllo dell’entroterra maremmano (CECCARELLI LEMUT 2004, p. 63). -L’areale distributivo della maiolica arcaica volterrana sembra sovrapporsi alle aree di influenza di entrambe le città, Pisa e Siena, occupando una parte di mercato inserita all’interno della propria diocesi (vedi fig. 46). -L’acquisto dello stagno per ottenere lo smalto deve essere avvenuto attraverso dei collegamenti via mare, forse mediati da Pisa. Queste reti distributive potevano anche essere già esistenti e collegate al commercio del sale, principale risorsa economica di Volterra. Alla luce di queste considerazioni, la nostra ipotesi è che la tecnica sia stata introdotta da Pisa, forse nella fase storica relativa ad una parziale alleanza tra le due città e solo in un secondo momento, in una fase di rielaborazione della produzione (XIV secolo), ci si sarebbe orientati anche su modelli formali e culturali senesi, con i quali Volterra fu a stretto contatto. Centri di produzione minori di maiolica arcaica: Massa Marittima La produzione di ceramica a Massa Marittima è conosciuta poco dalle fonti scritte e ancora meno da quelle materiali. Alcuni riferimenti nella documentazione scritta sulla presenza di vasai in città nella prima metà del Quattrocento, accanto al ritrovamento di scarti di fornace di ingubbiata e graffita, hanno permesso di vedere nella cittadina un centro produttore di ceramica nel bassomedioevo82. Infatti, sino ad oggi, i problemi maggiori sono stati quelli della riconoscibilità dei tipi da attribuire a produzione locale, spesso confusi con le ceramiche di produzione volterrana. Dobbiamo inoltre considerare che ci è ignoto il volume produttivo della cittadina e, tra i siti analizzati nel territorio massetano, l’unico che al momento abbia 81

Ricordiamo infine la politica economica di incentivazione che Volterra potrebbe avere effettuato con il centro di Pomarance, immediatamente a sud della città. Qui si produssero ceramiche acrome, maioliche arcaiche e dal XV secolo, ingubbiate e graffite (COSCARELLA, DE MARCO, PASQUINELLI 1987). E’ probabile che Volterra stessa abbia favorito la produzione nella cittadina per dislocare le botteghe in un centro prossimo alla città, in una fase matura della produzione. La produzione di ceramica è infatti ben attestata a partire dal bassomedioevo e per i secoli successivi, attraverso l’indagine di una fornace ubicata nel centro cittadino. Inoltre, un nucleo di biscotti di maiolica arcaica provenienti da Pomarance si trova al Museo Guarnacci di Volterra: si tratta di scarti di prima cottura e di seconda cottura datati alla metà del XIV secolo. 82 In particolare alcuni indizi relativi a produzioni locali di maiolica arcaica sono stati individuati circa un ventennio fa. Infatti, il lavoro di ricognizione e scavo nel territorio di Scarlino e nella Rocca stessa fornì una prima mappa distributiva delle produzioni locali di maiolica arcaica, ipotizzate come massetane (CUCINI 1985, p. 309) e riconosciute in alcuni siti studiati, accanto alla maggioranza di prodotti senesi.

83 Si tratta del sito 78, Campeggio il Fontino (p.195); del sito 83, Podere gli orti di Scarlino (p. 197); del sito 87, Imposto-Podere gli orti di Scarlino (p. 198) e del sito 237, Vignale-Poggio Castello (p. 266), tutti pubblicati in CUCINI 1985. 84 CECCARELLI LEMUT 2004, p. 63. Tra gli alleati su cui Pisa può contare nel 1237 ci sarebbe stata anche Massa Marittima.

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LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO per tutto il bassomedioevo e dal XV secolo si produsse una tipologia locale di ceramica ingubbiata e graffita, più semplice da fabbricare e più economica nel reperimento delle materie prime. I dati raccolti con la nostra ricerca su alcuni siti di consumo ubicati nelle vicinanze di Massa Marittima ci hanno permesso oggi di ampliare il quadro delle presenze di maiolica arcaica massetana e di calcolare l’entità di questa produzione nel Trecento. Tra i siti esaminati, il castello minerario di Rocchette Pannocchieschi si è rivelato un osservatorio privilegiato per l’analisi della maiolica arcaica massetana: la compresenza di prodotti provenienti da Volterra, Siena e Massa ha permesso un confronto diretto delle ceramiche di questi tre centri, evidenziandone somiglianze e differenze. Le forme attestate al momento, soltanto aperte e di forte influenza senese nella forma, presentano una variante del tipo a nastro convesso nello stacco tra l’orlo stesso ed il corpo (Fig. 48). L’impasto utilizzato è di colore molto chiaro, dal beige al bianco (RO25, vedi catalogo impasti), la vetrina gialla, quasi trasparente e lo smalto bianco, opaco e coprente. I motivi decorativi documentati sono di tipo vegetale, con disposizione quadripartita. Una particolarità sembra essere la parte del decoro in ramina che presenta un colore verde molto forte. Non sono state effettuate analisi archeometriche nè sugli impasti nè sui rivestimenti, ma sembra indubbia una provenienza locale di questi manufatti, non trovandosi caratteristiche macroscopiche simili in nessun’altra produzione di maiolica arcaica. I ritrovamenti di Rocchette sono dunque gli unici che provengano da uno scavo stratigrafico e come tali quantificabili ed inseribili in contesti di consumo. Sono relativi ad un arco cronologico che copre tutto il Trecento e provengono dall’area artigianale e da quelle residenziali, comprendente una casa del borgo e l’area signorile. Le associazioni sul consumo raccolte per il castello ci hanno informato sul fatto che questa maiolica arcaica (6%) si inserisce in un mercato già fortemente assoggettato dai prodotti volterrani (50%) e da quelli senesi (44%), ma trovandola distribuita in tutti i settori del castello, in una fase politica che vide Rocchette sotto il potere massetano, ha portato a considerare questo vasellame come una forma di dominio economico sviluppato dalla città. Va inoltre considerato il fatto che Rocchette fu ripopolato proprio da Massa Marittima nel corso del Trecento (BIANCHI, BOLDRINI, DE LUCA 1994) ed è probabile che una parte della popolazione provenisse da Massa stessa; forse per tale motivo nel castello si sono trovate maioliche fabbricate nella cittadina. In conclusione, Massa Marittima sembra inseribile tra i centri “minori” di produzione di maiolica arcaica, la cui produzione iniziò dietro lo stimolo di un “centro guida”. Inoltre, dai dati oggi a nostra disposizione, la produzione di maiolica arcaica massetana appare come un episodio tardo, collegato al solo XIV secolo e di poca entità quantitativa.

caratterizzati e dal fatto di essere ben riconoscibili nell’ambito delle varie produzioni presenti nella Toscana meridionale. Affrontiamo in questo paragrafo dunque la distribuzione della ceramica nel contado, guardando a Pisa come protagonista di queste transazioni, ed in quello successivo il ruolo attivo che la città stessa ebbe nel fare arrivare ceramiche di importazione nelle campagne. La città di Pisa esportò dall'XI secolo il vasellame cittadino privo di rivestimento da mensa e da dispensa, ma è soprattutto con le ceramiche rivestite che rilanciò la propria capacità imprenditoriale. Pisa distribuì, a partire dall’inizio della produzione, le maioliche arcaiche e le invetriate fini ed è stato ipotizzato che non fu estraneo all’avvio della produzione il calcolo dei potenziali mercati di vendita delle maioliche (BERTI 1997a, pp. 251271); tra questi, quello costituito dalla Toscana meridionale poteva assorbire senza dubbio un’ampia fetta della produzione. Una sintesi delle forme di maiolica arcaica pisana recuperate ci ha mostrato che a partire dai primi decenni del XIII secolo giunsero alcune forme aperte, analoghe ai bacini ceramici pisani, accanto a boccali con ventre globulare e albarelli provvisti di decori molto complessi, geometrici, a graticcio oppure riccamente figurati. Nel secolo successivo, tra le forme aperte ebbe maggiore successo la ciotola con orlo indistinto o breve tesa e tra le forme chiuse il boccale con corpo ovoide e ventre ribassato, in varie taglie dimensionali (Figg. 49-50). In particolare, nel Trecento, abbiamo trovato in circolazione alcuni prodotti pisani rinvenuti anche in città e tipici della produzione matura, come piccole ciotole e boccali monocromi o con decori solo in manganese, grandi ciotoloni con decori standardizzati a raggiera, ma anche boccali conosciuti al momento solo dalle restituzioni 85 lucchesi (Fig. 49, nn. 8-9 e Fig. 50, n. 5) . Questo dato è molto interessante, in quanto si tratterebbe di forme di produzione pisana della seconda metà del XIV secolo (variante della forma in BERTI 1997, tav. 119) che arrivarono a Lucca, ma non furono presenti a Pisa, dunque un tipo ceramico prodotto per l’esportazione. Dopo avere tracciato gli andamenti distributivi dei prodotti rivestiti pisani, senesi, volterrani e massetani, è stato possibile elaborare alcune carte distributive per cercare di mettere a confronto le diverse presenze sul mercato maremmano, a partire dal XIII secolo. Come abbiamo fatto sinora, anche nella costruzione di queste carte abbiamo utilizzato il dato inedito assieme al dato edito ricavato da pubblicazioni a stampa. Maioliche arcaiche, invetriate verdi, invetriate marroni della prima fase produttiva pisana (1210-1280) arrivarono a partire dal 1230-40 nei castelli del contado, costituendo qui i primi corredi da mensa analoghi a quelli cittadini (Fig. 51). Al momento i siti nei quali sono state rinvenute già in questa fase sono soltanto Donoratico, Campiglia Marittima, Rocca San Silvestro e Piombino, ma l’assenza in altri insediamenti costieri analizzati sembrerebbe dovuta a mancanza di dati archeologici e non ad un vuoto vero e proprio. Le ceramiche pisane si spartirono un mercato dove erano presenti anche ceramiche prodotte a Siena, accanto a sporadiche presenze di ceramica laziale, rinvenute però soltanto a Rocca San Silvestro e

Pisa e le dinamiche della distribuzione della ceramica nella Toscana meridionale L’analisi dei prodotti pisani che circolarono nel contado è stata facilitata dalla tradizione di studi che li ha

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Si tratta del boccale tipo Ca.5.1. schedato in BERTI, CAPPELLI 1995, p. 215.

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FRANCESCA GRASSI Campiglia Marittima. Non è stato possibile invece quantificare eventuali presenze di maioliche e invetriate fini di produzione volterrana, visibili soltanto dal cinquantennio successivo. Infatti, nella seconda metà del XIII secolo (Fig. 52), abbiamo ricostruito un panorama distributivo molto più diversificato, dove si nota l’affermazione di alcuni prodotti provenienti da Volterra con il persistere delle presenze pisane e senesi ed ancora di sporadici arrivi dal Lazio. Nella sua seconda fase produttiva (1280-1330), Pisa allargò il raggio di esportazione, toccando anche una parte dei siti nell’entroterra maremmano, ma ora anche i prodotti volterrani (a Rocca San Silvestro, ed a Miranduolo) occupano lo stesso mercato, pur con quantitativi minori. Assieme a questi arrivi, le maioliche senesi raggiunsero molto altri siti come Rocchette Pannocchieschi, Castel di Pietra, Grosseto e Montemassi. Per il momento, il mercato di espansione senese non si interseca con quello volterrano e non si notano sovrapposizioni tra i prodotti di queste due cittadine, esistenti invece già dalla metà del XIII secolo tra Pisa e Volterra. Infine, abbiamo continuato a segnalare alcuni sporadici arrivi dall’area umbro-laziale nei siti di Campiglia Marittima e nel castello di Cosa (CIRELLI, HOBART 2003) che cesseranno con l’inizio del XIV secolo. In particolare, dal XIV secolo (Fig. 53) i raggi di esportazione ricostruiti per Volterra, Pisa e Siena si sovrappongono a tal punto che molto siti furono interessati da tutte le produzioni disponibili sul mercato, ora provenienti anche da centri minori come Massa Marittima. Questo incremento delle esportazioni ha permesso di ipotizzare non solo un incremento delle capacità produttive da parte di tutte le città interessate, per quanto riguarda il volume dei prodotti fabbricati, ma anche una domanda molto ampia ed in aumento.

riscontrato dunque la tendenza alla crescita delle presenze liguri, un calo delle ceramiche provenienti dall’area meridionale e siciliana (MOLINARI 1994, pp. 115-116) e dalle aree islamiche orientali, mentre rimasero inalterati gli arrivi dall’Islam occidentale dove si producevano maioliche con decoro a Cobalto e Manganese. Inoltre, è nel XIII secolo che assistiamo al maggiore arrivo di prodotti ceramici dal Lazio, prevalentemente maioliche e ceramiche invetriate. Si è notata infine la comparsa dei primi prodotti spagnoli, non ancora maioliche, ma giare con decori impressi a stampo. Da questa area produttiva giunsero inizialmente soltanto ceramiche da dispensa e non vasellame fine da mensa. Nell’esame delle ceramiche di importazione nel XIV secolo, infine, si deve considerare il fatto che in questo momento storico l’afflusso di vasellame extraregionale seguì sia vie marittime sia vie terrestri: la conseguenza fu nella Toscana del sud una distribuzione sempre più capillare dei manufatti nell’area dell’entroterra, prima non toccata da questo fenomeno commerciale (Figg. 5657). Alcuni castelli, come Cugnano o Rocchette Pannocchieschi, grazie alle nuove vie di collegamento rientrarono tra i siti toccati dalle ceramiche provenienti dalla Liguria e dalla Spagna. Lo stesso può dirsi per città come Siena, dove alla fine del XIV secolo le mense cittadine, ma forse solo quelle aristocratiche, potevano annoverare piatti decorati a lustro di provenienza 86 spagnola . Nella stessa Pisa, dall’inizio del XIII secolo in concomitanza con l’avvio delle produzioni locali, si è notato un calo drastico degli arrivi e le navi pisane iniziarono a diffondere la maiolica arcaica in tutti i porti del Mediterraneo occidentale. Cessarono infatti gli arrivi da centri islamici ed ebbe inizio il rapporto commerciale con la Liguria, in particolare Savona, dove Pisa acquistò 87 varie merci , tra cui le locali ceramiche ingubbiate e graffite o solo ingobbiate, utilizzandole sulle mense e come decoro architettonico (BERTI 1997b, p. 349). I collegamenti con la Spagna furono invece assicurati dal fiorente commercio della lana e dei prodotti alimentari (TANGHERONI 1996). Dunque, possiamo collegare la crescita degli arrivi liguri e spagnoli nel contado con gli andamenti commerciali della città marinara e osservare Pisa come la mediatrice dell’arrivo di queste ceramiche. Infatti, dalle percentuali di arrivo dei prodotti dalle varie aree del mediterraneo, abbiamo notato che dominarono nettamente Liguria e Spagna, ad eccezione di alcuni sporadici arrivi dall’Islam occidentale. Nel XIV secolo dunque, le ceramiche di importazione spagnole consistevano in maioliche con smalti stanniferi decorate a lustro o con decori in blu, mentre furono meno frequenti le ceramiche da dispensa, come le giare con decori a stampo. Per quanto riguarda invece gli arrivi dalla Liguria, la percentuale maggiore di ceramiche consisteva in graffite arcaiche prodotte a Savona, ma nel castello di Rocca San Silvestro ad esempio sono state ritrovate anche ceramiche semplicemente ingobbiate, prive di decori graffiti (BOLDRINI, GRASSI, MOLINARI 1997).

3. Le ceramiche di provenienza mediterranea Tra XII e XIV secolo si registrò nella Toscana meridionale il periodo di maggiore afflusso di ceramiche extraregionali, facilitato dal fatto che la città di Pisa si fece in gran parte mediatrice di questi arrivi. Laddove è stato possibile confrontare la presenza di ceramica di importazione con le altre restituzioni di ceramica fine, maioliche, invetriate e varie ceramiche di produzione locale, si è infatti ottenuto che le quantità di prodotti esteri furono molto alte, comprese tra 5% e 8%, con una tendenza a diminuire però nel corso del Trecento a causa della definitiva affermazione delle maioliche locali (BOLDRINI, GRASSI, MOLINARI 1997 e BOLDRINI et alii 2004, pp. 326-335). Infatti, da questo momento la domanda di ceramiche extraregionali diventò mirata ai prodotti non presenti nei mercati regionali, come le ingubbiate e graffite savonesi e le ceramiche decorate a lustro metallico provenienti dalla Spagna. Queste due classi ceramiche furono nel XIV secolo le uniche ad essere rappresentate nel panorama dei corredi castrensi, al contrario di quello che accadeva nel XII secolo, quando abbiamo segnalato l’afflusso di invetriate e smaltate anche dall’area islamica occidentale e dall’Italia meridionale. Partendo dagli afflussi registrati nel XIII secolo (Figg. 54-55), guardando alle località di provenienza, si è

86 Nel Castellare degli Ugurgieri a Siena, la mensa dei signori annoverava piatti decorati a lustro, accanto a maioliche e invetriate di produzione cittadina (LUNA 1996/1997). 87 Dalla Liguria Pisa avrebbe acquistato partite di vino che in seguito redistribuiva nell’entroterra della regione (TANGHERONI 1996, p. 467).

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LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO 1976, p. 397). Gli Ugurgieri nella loro residenza avevano a disposizione 52 oggetti per la mensa, tra maioliche e invetriate: tra questi vi erano boccali, orcioli, catini, tazze, microvasetti e ciotole. Vi sono inoltre ceramiche da mensa di pregio, due piatti con decoro a lustro provenienti dalla Spagna ed uno scodellone in zaffera a rilievo; il corredo per la mensa copre circa il 62% degli oggetti presenti nel butto. In cucina, per cuocere i cibi, c’erano 21 oggetti, tra cui olle, coperchi, tegami, pentole e testi mentre per la preparazione delle pietanze si contano circa 13 oggetti, come catini e brocche, corrispondenti a circa il 38% del totale del rinvenimento. Le differenze subito evidenti sono di vario tipo: non considerando quelle numeriche, inficiate dal diverso numero di persone a cui gli oggetti fanno riferimento (per la capanna tre -marito, moglie e figlio-, per gli Ugurgieri supponiamo molte di più) la qualità e le diverse funzionalità possono essere il primo elemento di interesse. I contadini della capanna hanno poche necessità per mangiare, come mostrano le sole scodelle presenti nella loro abitazione. Non possiedono inoltre ceramica per cuocere il cibo e possiamo forse pensare che vi fosse per tale scopo un oggetto unico, come un paiolo in metallo, non inventariato tra gli oggetti distrutti 90 nell’incendio . Inoltre, non sembrano avere posseduto ceramica rivestita ed i contenitori sono realizzati principalmente in legno. Colpisce dunque l’estrema povertà di questo contesto, ma soprattutto l’essenzialità che contraddistingue tutti gli oggetti della vita familiare. Nel castellare degli Ugurgieri domina invece il lusso, la quantità, la ricercatezza degli oggetti in ceramica, nella specializzazione delle forme e nelle provenienze esotiche. Tra le due classi sociali solo quella nobiliare sembra dunque in grado di “approfittare” della grande abbondanza di maioliche e di ceramica specializzata prodotta e distribuita in città.

4.3 Il corredo domestico: alcune notazioni sul consumo del vasellame Un dato che è emerso nel corso della ricerca è quello della diversificazione dei consumi in base non tanto al luogo di residenza, ma soprattutto alla possibilità sociale e culturale di accedere a determinate merci. Il fatto stesso che nel Trecento le merci arrivassero ovunque, anche in città e castelli nell’entroterra, rafforza questo dato, facendo risaltare una domanda di beni che si sostenne 88 soprattutto su fattori sociali e culturali . Per trattare i vari ambiti geografici e sociali nei quali si è cercato di ricostruire il consumo di vasellame, useremo due esempi provenienti dalla città e due dal contado, contrapponendo in entrambe le situazioni insediative ceti sociali distinti. 1. La città Che la città avesse a disposizione tutte le ceramiche circolanti in questo momento non stupisce, dato che la gran parte di esse ebbe origine nelle botteghe cittadine e tantomeno che fosse maggiore la possibilità della città di accedere anche a merci che circolavano sui mercati mediterranei provenienti da altri paesi, dato che il ceto mercantile abitava perlopiù nei centri urbani. Ma andando ad analizzare il consumo cittadino i divari tra realtà sociali opposte sono apparsi enormi. Abbiamo preso ad esempio Siena, città nell’entroterra: i prodotti di importazione non furono presenti sino alla metà del Trecento e le dinamiche di esportazione della ceramica si mossero con molto ritardo rispetto a quelle intraprese da Pisa. Siamo dunque andati a rileggere in questa città due contesti che illustrano il consumo di una famiglia nobile residente nel centro cittadino, quella degli Ugurgieri, così come si è ricostruito dallo scarico dei rifiuti domestici nel quartiere di residenza (LUNA 1996/1997, 1999) ed il corredo di una capanna contadina situata nei dintorni della città, a Quarto, relativo all’anno 89 1250 (PICCINNI 1976) . Iniziando dal contesto contadino, gli oggetti relativi agli usi casalinghi nella capanna sono composti da dieci scodelle, un piccolo orciolo da olio e tre coppi (orci), due per l’olio ed uno per le granaglie. Altri contenitori non in ceramica sarebbero funzionali al contenimento delle derrate: quattro botti, recipienti di vimini o giunco per le granaglie tra cui due cesti e due canestri. Le riserve alimentari erano costituite da cereali (la maggior parte grano), fave, semi di lino, olive. Una gallina presente nella capanna permetteva una minima riserva di proteine, fornendo le uova. Completano infine gli alimenti disponibili, il vino, il mosto e l’acquarello (PICCINNI

2. La campagna, bisogni e consumi Per quanto riguarda i consumi analizzati nei siti del contado, perlopiù castelli, bisogna riprendere parte dei dati già espressi per evidenziare alcune tematiche comuni: 1) la situazione degli arrivi di ceramica nella globalità è abbastanza immutata rispetto ai secoli precedenti, i prodotti cittadini circolano a livello regionale senza difficoltà mentre negli arrivi nazionali od esteri i siti costieri hanno maggiori possibilità rispetto a quelli nell’entroterra. Una tendenza all’incremento di prodotti nazionali, in particolare quelli savonesi (graffite arcaiche e ingubbiate monocrome) si registrò dal Trecento, accanto agli arrivi dalla Spagna. 2) I castelli minerari non mostrano eccezionalità dei consumi e quando ciò si è rivelato, è collegato a nostro parere la concomitanza tra la loro base economica ed altri fattori, quali la vicinanza alla costa e il legame con Pisa. 3) In generale, per i castelli come per le città possiamo affermare che l’arrivo di alcune ceramiche e la distribuzione all’interno dei siti, fu determinato da fattori

88 Nell’analisi dell’area fiorentina, pistoiese e pratese, per spiegare l’assenza di prodotti di importazione, viene fornita una motivazione analoga, individuando il fattore determinante nel tipo di ambito culturale e sociale (MILANESE, VANNINI 1998, p. 46). 89 Il confronto è in parte anomalo e ne segnaliamo le motivazioni: innanzitutto esiste una distanza cronologica di almeno mezzo secolo e questo potrebbe influire molto sull’assenza nella capanna di stoviglie specifiche rivestite per mangiare. Secondariamente, i dati della capanna sono relativi ad un documento scritto nel quale si riporta l’inventario di tutto quello che vi era contenuto, bruciato in seguito ad un incendio mentre i dati del Castellare sono di tipo archeologico. In terzo luogo, mentre conosciamo bene il “valore sociale” del pozzo di butto degli Ugurgieri non sappiamo se lo status degli abitanti della capanna possa essere correlato a quello delle classi più umili che vivevano all’interno delle mura cittadine.

90 In una casa delle campagne fiorentine del XV secolo un inventario delle suppellettili ci mostra infatti l’esistenza di un unico paiolo in rame per cucinare (MAZZI 1980, p. 146).

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FRANCESCA GRASSI culturali e sociali più che dalla capacità economica. 4) Infine, il divario economico a cui si assiste nella città tra signori e ceti bassi non è così marcato nei castelli. Analizzando la ceramica degli abitanti dei castelli nella globalità, essa è sempre ben distribuita ed abbondante e per le necessità quotidiane le disponibilità non sono mai ridotte all’essenziale.

Le differenti percentuali mostrerebbero dunque la crisi dell’artigianato stanziale che si ripercosse sulla minore quantità di manufatti messi in commercio. Sulla mensa, il quantitativo di ceramica si equivale, ma mentre a Rocchette la maiolica e l’invetriata sono di produzione massetana, volterrana e senese, a San Silvestro si tratta di ceramiche prevalentemente pisane, con alcuni arrivi da Volterra e Firenze (come per la zaffera a rilievo) e con una piccola percentuale relativa a graffita arcaica savonese. I prodotti liguri e fiorentini testimoniano forse una possibilità maggiore per il castello filopisano di acquistare ceramiche che giunsero via mare. Un confronto tra i dati relativi alla mensa di entrambi i castelli con quello delle aristocrazie cittadine o rurali illustra molto bene quanto fosse importante per i ceti superiori possedere un corredo da tavola consono al proprio status. Infine, i dati sulla dispensa, così dissimili, non si spiegano che ipotizzando la maggiore facilità per gli abitanti di San Silvestro di acquistare granaglie, olio e vino nelle immediate vicinanze del castello al contrario di quelli di Rocchette, residenti lontano dai mercati subregionali. Nel complesso, si tratta di una condizione di vita abbastanza agiata, soprattutto se vista alla luce dei dati della capanna cittadina: pur con alcune diversità, nella sostanza gli abitanti di questi castelli sono in condizione di acquistare la ceramica che circola su reti commerciali di varia portata (nazionale, regionale, subregionale) e possiedono un numero elevato di oggetti in ceramica.

I contesti specifici che abbiamo confrontato nel contado sono: a) La famiglia signorile che abitò nel palazzo all’interno della Rocca di Campiglia, nella seconda metà del XIII 91 secolo ; b) gli artigiani di Rocchette Pannocchieschi e quelli di Rocca San Silvestro nel XIV secolo (Fig. 60). a) I quattro nuclei della famiglia dei Gherardeschi che usarono come discarica per circa un quarantennio il contesto che abbiamo analizzato mostrano un consumo di ceramica molto alto (BIANCHI 2004a). Dividendo il corredo ottenuto per queste quattro famiglie, abbiamo ricavato che ognuna avrebbe utilizzato 7/8 boccali di maiolica, 1 ciotola invetriata, 12/13 boccali acromi di varie misure per la mensa; 2/3 olle, 2/3 coperchi, 6/7 testi ed al massimo un tegame oppure una pentola per la cucina; 2/3 brocche per la dispensa. Confrontando i valori in percentuale con quelli ricavati dalla famiglia degli Ugurgieri in città (vedi supra), si sono ottenuto risultati molto simili (presso i Gherardeschi la mensa era relativa al 56%, la cucina al 36%, la dispensa circa l’8%). La mensa in entrambi i casi rappresentava la voce principale relativa ai manufatti in ceramica: in particolare si può notare la varietà delle forme e delle provenienze, dato che parte delle invetriate e delle maioliche dei Gherardeschi erano di produzione umbro-laziale. Tra le maioliche arcaiche pisane inoltre gli oggetti giunsero direttamente nella Rocca attraverso quel filo diretto che la collegava a Pisa (Figg. 58-59) . Maggiore importanza hanno presso i Gheradeschi i corredi da dispensa, ma qui possiamo pensare ad una necessità degli abitanti dei castelli di raccogliere molte provviste alimentari, certo meno semplici da acquistare che in città. Dunque possiamo concludere che il tenore di vita di una famiglia aristocratica, tra Duecento e Trecento era identico, sia che risiedesse in città sia che abitasse nelle dimore signorili all’interno dei castelli.

SECONDA PARTE Considerazioni finali Il percorso di ricerca che abbiamo svolto sin qui nelle campagne della Toscana meridionale ci ha portato a trattare molte volte gli aspetti della produzione e del consumo della ceramica anche in città, attraverso i dati dei siti in campagna e degli scavi urbani effettuati negli ultimi decenni, in particolare a Pisa e Siena. Le informazioni raccolte hanno mostrato una interazione costante tra le due realtà insediative, pur nelle disuguaglianze determinate da motivazioni economiche o sociali. In questa seconda parte del lavoro intendiamo dunque riprendere in maniera sintetica i principali temi trattati e tentare un confronto sistematico con le città di riferimento, in particolare Pisa, Siena e Volterra. La trattazione sarà ancora una volta esposta in modo cronologico, utilizzando le scansioni già esposte nella Prima Parte.

b) Iniziamo il ragionamento osservando i dati quantitativi sulle ceramiche delle case degli artigiani dei due castelli, espressi in percentuale: -S. Silvestro: cucina 43%, mensa 30%, dispensa 27% -Rocchette: cucina 20%, mensa 21%, dispensa 59%. Essi mostrano che per la cucina gli abitanti di San Silvestro ebbero a disposizione un corredo formato dal doppio degli oggetti e ciò potrebbe essere collegato al fatto che nel Trecento la ceramica da cucina di San Silvestro è composta solo da manufatti modellati a mano, frutto della produzione itinerante o di quella stanziale mentre a Rocchette la produzione più utilizzata è quella delle botteghe artigiane, acquistabile a maggiore prezzo.

1. Le tendenze generali della ceramica nella Toscana meridionale: un confronto tra città e campagna VII-X secolo A partire dal VII secolo, l’archeologia ha mostrato che il paesaggio toscano è in trasformazione, con la nascita di siti accentrati sulle alture, formati da capanne costruite con materiali deperibili (FRANCOVICH 2002, 2004; FRANCOVICH, GINATEMPO 2000; FRANCOVICH, HODGES 2003). Questi insediamenti, inizialmente non vincolati a

91 Nel XIV secolo Pisa mandò una guarnigione militare a presidiare la Rocca di Campiglia. Per questo motivo l’ultimo corredo medievale che possiamo analizzare relativamente al consumo signorile è relativo alla seconda metà del XIII secolo (BOLDRINI et alii 2004).

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LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO Passando alle forme, tra VIII e IX secolo si è registrata la nascita di nuove forme ceramiche di tradizione medievale che sostituiscono il corredo in uso sino alla fine del VIprima metà del VII secolo. Il cambiamento delle forme sembra determinato da una domanda di vasellame specifico per due esigenze primarie: cuocere il cibo e conservare gli alimenti. La drastica riduzione delle forme aperte e dei corredi da mensa, rispetto al VI e VII secolo, si è mostrata inoltre come un dato di fatto, imprescindibile in primo luogo da una riflessione sui materiali alternativi usati per gli oggetti da mensa e secondariamente sui cambiamenti delle modalità alimentari. In molte necessità del quotidiano, compresa la mensa, si è notata un’autosufficienza dei siti che si esplicò nell’uso generalizzato del legno usato come materia prima per scodelle, ciotole, taglieri, cucchiai. Del resto, l’immagine che si è ricostruita di abitati altomedievali completamente edificati con legno e materiale deperibile, può associarsi all’uso del legname anche per altri usi, compreso il corredo domestico. Non crediamo possa essere esistita una commercializzazione di questi prodotti, ma siamo propensi a pensare che la realizzazione avvenisse nelle singole famiglie. Il consumo alimentare altomedievale si connota per un calo dell’uso di cereali a fronte di un aumento dei cibi proteici, tra cui le carni suine, ma anche di prodotti degli orti e dell’incolto (MONTANARI 1979, pp. 214-218). Possiamo pensare complessivamente ad una semplificazione dei piatti culinari, e dunque ad una richiesta di un servito da mensa di base (una ciotola o un piatto di legno, ad esempio). Nei siti esaminati non sembra confermato il predominio 94 della ceramica grezza , come accade in tutto il nord Italia nella stessa cronologia (BROGIOLO, GELICHI 1997) e come è stato proposto anche a livello regionale per la Toscana (FRANCOVICH, VALENTI 1997). Il modello culturale che è scaturito sembra invece avvicinare la Toscana meridionale ai siti del centro sud, nei quali non venne mai a mancare la domanda di vasellame specializzato e differenziato funzionalmente (SAGUÌ, RICCI, ROMEI 1997). Gli scambi di ambito regionale sembrano attivi, dai centri specializzati i prodotti arrivano anche in siti lontani e la città stessa distribuisce i propri prodotti in ambito rurale 95 almeno dal X secolo, usando vie diverse . Le tracce di commerci a lunga distanza sono invece deboli, ma a fronte del collasso della rete di distribuzione del mondo romano, i pochi indicatori che abbiamo raccolto assumono un carattere rilevante. Nella città stessa non si riconoscono ceramiche non locali o regionali, ad eccezione della vetrina pesante, presente sempre con minime attestazioni. Gli arrivi di importazioni non sembrano proporzionali all’importanza del sito, quanto alla capacità economica di accedere a linee commerciali nelle quali ancora circola il vasellame, in particolare quelle marittime (TANGHERONI 1996, pp. 48-53). Infatti, prodotti importati tra VIII e X secolo, non riferibili a materiali ceramici, arrivano in Toscana quasi sicuramente attraverso la via d’acqua: è il caso delle fuseruole in pietra di Donoratico (GRASSI, LIGUORI 2004) e dei

poteri specifici, furono in seguito oggetto di un riassetto economico, nell’VIII secolo, con lo sviluppo in aziende curtensi di alcuni, in semplici villaggi alle dipendenze delle aziende di altri. Tale assetto muterà solo dal X secolo, con la formazione dei castelli e il passaggio della signoria da fondiaria a territoriale. La città, nello stesso momento, affronta trasformazioni analoghe, soprattutto nelle modalità insediative, ma non forse nelle disponibilità economiche. I prodotti ceramici qui fabbricati mostrano infatti la presenza di una domanda elevata, proveniente da ceti agiati residenti nel tessuto urbano, forse gli stessi proprietari delle curtes (WICKHAM 1999, pp. 11-12). La ceramica analizzata ha offerto alcune indicazioni sulla situazione della campagna toscana in questo momento storico e sul suo rapporto con la città. Il rapporto città-campagna appare rivitalizzarsi nel momento finale della diacronia esaminata: queste due realtà sono in grado di interagire tra sé a partire dal X secolo. La città ha mostrato infatti (sicuramente Pisa) la capacità di inserirsi nella strutturazione economica dei territori rurali, vendendo i propri prodotti in campagna; la campagna stessa sembra già dimora stabile di aristocrazie che favoriscono la circolazione delle merci tra il loro luogo di residenza ed il mercato cittadino. La differenza tra i prodotti di ambito urbano e quelli rurali si percepisce nelle diverse disponibilità economiche visibili dai prodotti finiti. Si può pensare ad una domanda qualitativamente più alta nella città, per la presenza dei proprietari delle aziende, ma anche quantitativamente più ampia perchè la città esaurisce non solo il proprio fabbisogno, ma anche quello di alcune elites residenti 92 nelle campagne . Inoltre, in città forse sono sopravvissute strutture produttive stabili93 ed il collegamento con forme antiche di produzione trasparirebbe proprio dai prodotti di ambito urbano (ceramiche con ingobbi rossi, ad esempio) che si vendono in campagna, ancora vicini a standards della tarda antichità. La produzione rurale è ugualmente molto articolata, basata sull’esistenza di botteghe nate per la domanda specifica dei nuovi poli insediativi, accanto a officine specializzate spesso riunite in nuclei produttivi. Mentre le botteghe intorno ai singoli siti producono solo ceramica per la cucina, i centri specializzati sarebbero una realtà molto complessa, in cui si fabbricano prodotti simili a quelli cittadini, anche arricchiti con rivestimenti vetrosi. Le produzioni domestiche infine convivono in campagna con le altre forme produttive concretizzandosi nelle singole famiglie, ma anche in una forma di artigianato itinerante, forse part-time, che potremmo definire “funzionalmente specializzato” nella fabbricazione di olle. Dunque, il quadro dei dati raccolti ha confermato quanto già ipotizzato sull’esistenza di piccole botteghe intorno ai siti accentrati e parallelamente di piccoli centri specializzati operanti sul territorio (FRANCOVICH, VALENTI 1997). 92 Ad esempio la ceramica a colature rosse ha rivelato una circolazione delle merci dall’area urbana ai siti rurali. 93 Al momento non vi sono evidenze archeologiche di impianti produttivi ubicati direttamente entro le mura urbane, nè a Pisa nè tantomento a Siena, ma si può con ragionevolezza ipotizzare che dal X secolo la città orientasse certe produzioni ceramiche, prodotte nell’immediato hinterland e commerciate nelle campagne, come hanno mostrato i dati raccolti in Toscana.

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Un dato simile scaturisce dall’analisi del sito di Montarrenti (CANTINI 2003). Forse via mare per quelli pisani (ceramica a colature rosse), sicuramente via terra per quelli senesi. 95

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FRANCESCA GRASSI manufatti in pietra ollare, presenti a Scarlino (MARASCO 2002-2003), ma anche in altri siti toscani come Pisa e 96 Firenze . Oltre a quelli collegati al commercio interregionale, vi sono altri indicatori che hanno permesso una caratterizzazione delle tipologie insediative. Sono le ceramiche a colature rosse di area urbana che si attestano solo in alcuni siti sulla costa, i frammenti di anfore locali, la presenza di fuseruole, la ricchezza di taluni corredi delle capanne dei siti curtensi, come quelle di Donoratico ad esempio. Certo, il consumo di ceramica sembra pressochè paritario tra caput curtes, curtes e semplici villaggi, tra i siti accentrati nati tra VII e VIII secolo ed i siti di lunga durata, ma un’analisi puntuale di ogni piccolo indicatore, e non solo quelli ceramici, ha evidenziato che è possibile tentare una caratterizzazione dei siti, soprattutto a livello economico.

I secoli XI e XII sono risultati così densi di innovazioni nel campo ceramico che più volte, nel corso della nostra esposizione, abbiamo utilizzato il termine “rivoluzione” (commerciale, produttiva), spesso mutuato anche dagli storici che abbiano tentato di descrivere la “rinascita” visibile in questo periodo. Va però precisato che la parola “rivoluzione” pur evidenziando il cambiamento radicale a cui si assistette, nella produzione, nella domanda, nel commercio, ci porta ad immaginare un fenomeno repentino ed improvviso, calato dall’alto. Al contrario, queste innovazioni furono lentamente preparate nel corso di tutto l’altomedioevo e si presentano come diretta espressione dei cambiamenti politici ed economici maturati proprio alla fine del X secolo. Il passaggio del potere signorile da fondiario a territoriale, la nascita dei castelli, il rinnovato interesse per le risorse economiche del territorio, la rinascita dell’agricoltura, l’espandersi dei commerci mediterranei e l’affermazione del ceto mercantile furono tutti fenomeni che resero possibili alcuni cambiamenti nelle produzioni ceramiche, come la raffinazione dei prodotti sia da cucina sia da dispensa e la razionalizzazione degli impianti produttivi, nonchè l’arrivo delle prime merci di lunga importazione, come hanno mostrato i dati raccolti. Questi fattori furono ancora più importanti per la Toscana meridionale nella quale la signoria territoriale era molto diffusa e rappresentava la struttura fondante dello sviluppo economico di tutta l’area. Qui infatti l’abbondanza di materie prime come i metalli monetabili, ma anche il sale ed i pascoli per il bestiame, incentivarono lo sviluppo di signorie forti (WICKHAM 1996, pp. 386-390; COLLAVINI 2004, pp. 113-115). Fondamentale, inoltre la presenza costante del dominio pisano, strettamente legato nell’area di costa alla famiglia dei Gherardeschi: arrivarono infatti maestranze e merci di provenienza urbana, sintomo dei vivi rapporti con il centro cittadino ed espressione diretta del potere raggiunto dalla committenza signorile. Ma, nel quadro generale così formato, si sono riscontrate differenze forse collegabili alle singole famiglie che

gestirono le quote di territorio. Tra esse ve ne furono alcune, come i della Gherardesca, che permisero la presenza pisana nella vita economica dei castelli ed altre, come gli Aldobrandeschi che invece crearono una contea “chiusa”, svincolata dalla città e dal suo dominio. Andamenti e caratteri dei corredi ceramici hanno mostrato così una doppia situazione: una zona costiera nella quale il panorama generale, dinamico nei consumi e aperto ai commerci, fu il sottofondo ideale per la successiva circolazione della maiolica arcaica ed un’area di entroterra nella quale maggiore risultava la difficoltà a distaccarsi dalle vecchie tradizioni, produttive e di consumo ed in cui il “nuovo” penetrò invece con molta lentezza. Ripercorriamo, in estrema sintesi, questi cambiamenti avvenuti tra XI e XII secolo. I luoghi deputati alla produzione si radicarono in città e nel contado: senza riprendere le fasi del rinnovo interno occorso in tutte le officine, possiamo affermare che se la città divenne luogo privilegiato delle produzioni fini ed il contado di quelle grezze e invetriate, mantenendo le modalità produttive dei secoli precedenti (botteghe singole o nuclei di botteghe specializzati), la vera novità sembra essere nei centri di produzione definiti “intermedi”, forse coordinati dai capitali cittadini e volti alla fabbricazione di tutte le classi ceramiche, grossolane e fini. Pisa in particolare riuscì a gestire centri intemedi così strutturati, con la complicità di signorie legate al centro urbano o semplicemente per la maggiore intraprendenza dei propri ceti commerciali. Dalla fine del Duecento questa sarà una strategia adottata da molte altre città, Siena compresa. Le vie di comunicazione delle merci, pur ampliandosi, basti pensare al commercio marittimo, si svilupparono sempre in un’unica direzione: dalla città al contado. I prodotti artigianali rurali non sembrano penetrare nei mercati cittadini e non certo per impossibilità di accedere a queste merci, ma per una questione forse di gusto e 97 sicuramente di volontà economica . In sostanza, la campagna inizia in questi secoli a consumare gran parte del vasellame che si produce in area urbana, accanto al’acquisto costante di prodotti provenienti anche dalle fornaci rurali. Il dualismo città-campagna, soprattutto dopo la nascita dei castelli, spinge necessariamente a chiedersi quanto siano state diverse nei consumi le due realtà. La campagna, con la formazione di centri di potere territoriale all’interno dei castelli e l’abbondanza di risorse, ha forse le possibilità economiche della città e nei castelli stessi vivono stabilmente gruppi familiari aristocratici, ma in città c’è un nuovo ceto, quello mercantile, che rende dinamica l’economia, raggiungendo merci esotiche e creando collegamenti con il mondo mediterraneo. Questo elemento potrebbe avere differenziato i consumi, ma le tracce sono ancora molto labili e contraddittorie. La distinzione tra città e campagna non appare così marcata come sarebbe possibile ipotizzare. Infatti l’analisi del consumo, assai complicata, può essere fruttuosa solo con una lettura unitaria di tutti i dati a disposizione, in particolare la ceramica e i resti di pasto. Nei casi in cui è

96 Per il trasporto della pietra ollare dall’area alpina occidentale alla costa tirrenica (Liguria e Toscana) si è ipotizzato una circolazione via fiume lungo il Rodano; da qui i materiali giungevano ai singoli siti attraverso una navigazione di piccolo cabotaggio (ALBERTI 2009).

97 Infatti per altri tipi di merci lo scambio dal contado alla città è molto attivo, basti pensare ai prodotti agricoli, come il grano, oppure alle risorse minerarie, come i metalli che arrivano dai castelli alle zecche cittadine.

XI-XII secolo

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LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO stato possibile compierla, è fuoriuscito un panorama di difficile interpretazione. Il consumo di carne sembra essere distribuito in tutte le abitazioni analizzate (nel contado e in città) e si stenta a leggere nella fonte materiale una preclusione di questo alimento ai ceti più bassi, come affermano gli storici guardando alla sola documentazione scritta. La caccia, considerata status symbol dei ceti aristocratici, emerge, ma in modo labile e non sempre associata ad abitazioni privilegiate (come nel caso di Rocca San Silvestro). La ceramica vista da sola poche volte è stata in grado di evidenziare distinzioni sociali: la ceramica di importazione può avere questo valore, ma anche rivelare il concetto contrario, cioè una distribuzione ampia e omogenea dei tipi esotici. Nel contado, alcuni castelli minerari mostrano un consumo molto elevato, ma altre sono le variabili determinanti, come l’ubicazione geografica ed i rapporti di potere signorili. La città non si è mostrata di più facile analisi: il contesto di Grosseto, che abbiamo usato, sembra poco rappresentativo di una città ed anche rimanendo allo studio della sola ceramica, e allargandosi a Pisa e Siena, le evidenze sono state così diverse da offrire conclusioni opposte e da fare nascere la domanda se vi sia un modello di consumo cittadino proponibile tra XI e XII secolo. Certamente, il dato complessivo che ne possiamo ricavare è quello di una circolazione di beni abbondante, determinata dalla grande espansione politica ed economica di Pisa, e di un loro accesso allargato ai ceti sociali urbani e rurali. Da questo momento, le nuove possibilità economiche permetteranno la nascita di una molteplicità di “domande” differenziate, che porteranno anche alle successive innovazioni registrabili in campo ceramico, relative all’introduzione di nuove tecniche di rivestimento dalle aree culturali islamiche.

nuovo attive anche le vie di commercio terrestri. La città, al contrario, si rende luogo privilegiato delle produzioni ceramiche, ponendosi all’avanguardia con l’utilizzo di nuove tecniche e di modalità produttive estremamente complesse. Dal XIII secolo vi è una distinzione netta delle professionalità occupate all’interno delle botteghe e impegnate nel controllo della produzione di maiolica arcaica. Con il proseguire della produzione di maiolica, visto il grande successo ottenuto presso tutti gli strati sociali, l’aumento della domanda impose un’organizzazione più capillare della fabbricazione ed una soluzione si trovò nell’accentramento geografico degli ateliers all’interno delle città, con la creazione di specifici quartieri per i vasai, con la nascita di corporazioni e con consorzi tra botteghe per l’acquisto di materie prime e legname (GELICHI 1992b). Una delle più grandi innovazioni che la città dovette affrontare fu quella di produrre per la prima volta una ceramica senza avere direttamente a disposizione tutte le materie prime (come lo stagno): nella nascita stessa della maiolica intravediamo dunque la presenza di un ceto cittadino che permise i commerci necessari al rifornimento di tali beni. Perciò, più volte si è richiamata l’imprenditorialità dei mercanti cittadini che gestirono gli arrivi di materie prime e si occuparono dello smercio dei prodotti finiti. Infatti, il grande successo che la maiolica riscuoterà per tutto il bassomedioevo ci fa osservare nell’interezza l’investimento economico compiuto: la domanda molto alta e la sua diffusione capillare creò un ritorno di benessere anche per i ceti cittadini collegati alla sua produzione o alla distribuzione. Da questa motivazione sembrerebbero nascere le norme protezionistiche nei confronti delle proprie maioliche, i divieti di importare maioliche dall’esterno, oppure lo stimolo alla migrazione dei propri vasai per impiantare attività artigianali nelle campagne, come abbiamo visto per Volterra e per Siena. La seconda frattura che abbiamo osservato nell’analisi di questi due secoli è all’interno della campagna: i castelli continuano ad essere lo specchio dei poteri che li hanno in gestione, aristocrazie laiche, realtà cittadine o nuovi organismi comunali ed a subirne gli andamenti interni, politici ed economici. Le città protagoniste delle politiche di sfruttamento del territorio maremmano sono adesso Pisa, Siena,Volterra, in parte Firenze. Pisa rivestè un ruolo principale per la Maremma. Da Pisa arrivarono le maestranze in grado di ravvivare le produzioni nelle botteghe rurali, i prodotti cittadini come la ceramica fine da dispensa e le ceramiche rivestite e gran parte delle ceramiche esotiche. Dai dati raccolti potremmo affermare che Pisa fu la vera motrice del mercato maremmano e non a caso i castelli che ne erano soggetti furono ricchi ed espressione della vivacità commerciale della città marinara. Infatti, Pisa attuò un’operazione quasi di ordine culturale, facendo giungere ai castelli prodotti di altre civiltà e di luoghi lontani dal mondo rurale, ampliando il gusto e le richieste di chi li abitava. I castelli minerari, tra tutti, furono quelli in cui questo processo si fece più visibile: qui l’arrivo dei prodotti pisani fu particolarmente stimolato dallo scambio con i metalli monetabili, la risorsa più ambita da fornire alla città. A causa del legame così stretto, queste realtà insediative risentirono più di altre del declino del dominio

XIII-XIV secolo Guardando al territorio della Toscana meridionale dal registro ceramico nella sua complessità si sono avvertite tra XIII e XIV secolo delle forti diversificazioni. Infatti, analizzando la domanda e la distribuzione dei prodotti si ottiene un panorama florido e di generalizzato benessere, ma nella globalità del fenomeno ceramico abbiamo evidenziato anche delle fratture. La prima è senza dubbio tra contado e città e lo si è visto dalla produzione, ferma in campagna, ma rivolta verso dei canoni “quasi industriali” in città. La campagna, sino a questo momento vitale e luogo di innovazioni (ad esempio con le ceramiche invetriate), ripete moduli produttivi senza tentare dei rinnovamenti, ma ritornando spesso a saperi e tecniche proprie del sostrato rurale, come la modellazione a mano delle ceramiche da cucina. I commerci ricostruiti per il mondo rurale consistono in rapporti diretti tra produttore e consumatore o al più in semplici scambi che avvengono in un mercato posto nel contado. Le reti del commercio nazionale toccano la campagna per mezzo dell’intermediazione di Pisa, rifornendo soltanto alcuni siti sulla costa. Infatti, i castelli nell’entroterra che sviluppano collegamenti con altre città come Siena o Volterra sono interessati dall’arrivo di merci extraregionali solo nel pieno Trecento, quando sono di 59

FRANCESCA GRASSI pisano e di alcune famiglie aristocratiche legate alla città. La scomparsa di molti dei castelli minerari derivò proprio dal disinteresse che la città ebbe nei confronti del loro ciclo economico: il mancato utilizzo della forza idraulica nel ciclo lavorativo e la stessa gestione signorile delle risorse minerarie erano ormai superate da nuove tecnologie e nuovi modelli gestionali (FRANCOVICH 1991; FRANCOVICH, WICKHAM 1994). L’abbandono di parte dei castelli ed il calo demografico fossilizzeranno il territorio e le strutture produttive: ancora per il XV secolo sappiamo da fonte archeologica dell’esistenza della sola produzione itinerante di olle che convisse, nei centri di consumo sopravvissuti al crollo 98 economico con le ceramiche cittadine provenienti non solo da Pisa, ma anche da Montelupo, Volterra, Siena, Massa Marittima. La città di Siena attuò nel contado esaminato politiche economiche più “caute”, estendendosi naturalmente nell’area dell’entroterra maremmano e solo in maniere marginale nella parte costiera, dominata da Pisa; dovette difatto espandersi nella forte contea Aldobrandesca, un territorio ancora ambito da Pisa e fortemente conteso 99 anche da Volterra . Castelli come Rocchette Pannocchieschi, Cugnano, Montemassi o Castel di Pietra non subirono in maniera precoce l’impronta cittadina che abbiamo evidenziato sulla costa: qui gli Aldobrandeschi svilupparono dall’XI secolo un proprio stato, chiuso e protetto, nel quale le attività artigianali nacquero in modo autonomo, come ha mostrato la produzione di tegami a vetrina nera. Solo dal tardo Duecento il potere cittadino si renderà visibile e lo notiamo soprattutto nella distribuzione della maiolica arcaica senese. Il diverso ruolo svolto dalle signorie sui castelli maremmani ed il disgregarsi di alcune parti dei loro possessi procedette parallelamente all’intromissione della città ed in particolare di Siena: a Montemassi, Cugnano, saranno famiglie cittadine a subentrare agli Aldobrandeschi ed ai Pannocchieschi, favorite anche da una politica matrimoniale svolta dalle aristocrazie stesse (FARINELLI 2007). Da un lato questo agevolò l’attuazione delle politiche economiche di Siena, dall’altro permise ai ceti nobiliari legati al territorio di inurbarsi e partecipare alla vita cittadina. La città di Volterra, è visibile marginalmente nella Toscana meridionale, se utiliziamo il solo registro ceramico: i suoi prodotti in maiolica sono gli unici al momento distinguibili nell’area dell’entroterra ed in parte di quella costiera, ma mancano senz’altro i dati di tutte le restanti classi ceramiche. La percentuale minima ricoperta dalle maioliche volterrane nei castelli non ci permette ancora di comprendere quanto sia stato rilevante il ruolo di questa città nella trasformazione degli insediamenti e dell’economia del territorio. Sicuramente le ricchezze minerarie, sfruttate all’interno di castelli come Rocchette e Cugnano, dovettero destare l’interesse di ceti laici ed ecclesiastici volterrani e senesi e stimolare l’espansione economica di entrambe le città. Il ruolo di Firenze nella Maremma fu decisamente marginale almeno sino al 1406, quando subentrò a Pisa in

molti possessi maremmani (CECCARELLI LEMUT 2004, p. 67). Nondimeno, tra Duecento e Trecento gli eventi storici mostrano un certo interesse di Firenze per questa area (ad esempio a Suvereto) ed il quadro delle restituzioni ceramiche ricostruite ha evidenziato alcune forme di sicura provenienza cittadina (orci a beccaccia), ma solo con il ritiro pisano che si è osservato il monopolio economico delle maioliche fiorentine, espresso attraverso la produzione di Montelupo Fiorentino, esaminata nel sito di Campiglia Marittima (BOLDRINI et alii 2004). Il comune di Massa Marittima infine, unica cittadina 100 presente localmente , potrebbe avere avuto una posizione nel redistribuire parte dei prodotti cittadini, ma accertarlo dalle fonti archeologiche sembra ad oggi molto difficile. Le stesse evidenze di ceramiche massetane sul territorio, limitate al solo castello di Rocchette, nel momento in cui la città mineraria fu artefice di un tentativo di rilancio demografico ed economico anche di alcuni castelli come Monterotondo e Campetroso, potrebbero essere una lacuna del dato ceramologico. La terza frattura che infine vogliamo evidenziare è nella distanza ora esistente tra classi sociali e culturali, come hanno mostrato le analisi del consumo a Siena e nel contado. Non furono le possibilità economiche a creare la differenza dei consumi, né il luogo di residenza, ma il dinamismo delle diverse classi sociali che determinò la prontezza nel servirsi delle nuove catene distributive, ora anche terrestri, per accedere a beni e merci di provenienze nazionali e mediterranee.

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A Scarlino, COSTANZO 1985-1986; a Campiglia, BOLDRINI et alii 2004 e Rocca San Silvestro e Campiglia. La parte del territorio senese studiato fu infatti sottoposto nel medioevo alla potente casata degli Aldobrandeschi (REDON 1994, FARINELLI 2003, CECCARELLI LEMUT 2004).

100 Infatti Massa Marittima è considerabile l’unico centro di tipo urbano della Maremma, eccezione allo spopolamento endemico dell’area ed all’assenza del fenomeno urbano (nel 1369 la cittadina contava 3 mila uomini, GINATEMPO, SANDRI 1990, p. 107).

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Le forme riconosciute sono le seguenti:

PARTE TERZA

ANFORA: si definiscono in questo catalogo come anfore alcuni contenitori di forma chiusa con due anse ad orecchietta impostate sulla spalla. La definizione “anfora” intende dunque richiamare (per la doppia ansa ad orecchietta) la forma di età classica, ma nel contempo dobbiamo evidenziare che non si è certi della funzionalità, legata al trasporto oppure alla dispensa. BACINO: il termine bacino viene utilizzato soltanto per due forme aperte di maiolica arcaica di produzione pisana, riconducibili nella forma ai bacini ceramici murati sulle chiese di Pisa (BERTI 1997). Per i nostri esemplari sembra di poter escludere un utilizzo come decoro architettonico. BOCCALE: si inseriscono sotto questa denominazione alcuni contenitori di forma chiusa e di media dimensione, provvisti di ansa, e prodotti in ceramica grezza e depurata. Per i primi, è stato ipotizzato un uso come bollitori per latte od acqua, in base ai risultati di analisi funzionali. Per i secondi, si è ipotizzato un uso non propriamente da mensa, data la mancanza di rivestimento, nè da dispensa date le ridotte dimensioni. Sono stati perciò inseriti all’interno del gruppo funzionale della cucina ed indicati come contenitori per la preparazione del cibo. Ciò non esclude comunque a nostro parere un loro uso promiscuo, forse anche sulle mense stesse. Per quanto riguarda il termine usato per indicare tali forme prodotte in ceramica depurata, con particolare riferimento a quelle fabbricate a Pisa, abbiamo affiancato al consueto nome di “boccali”, ormai consolidato nella letteratura archeologica, anche quello di brocchette, come proposto da Graziella Berti per il corredo domestico pisano, in BERTI, GELICHI 1995. BROCCA: si definisce brocca un contenitore di forma chiusa, con fondo piano, corpo globulare od ovoide, monoansato, con bocca circolare o trilobata. Questa forma, tipica della dispensa medievale, veniva anche prodotta in ceramica grezza ed in questo caso si può ipotizzare un uso simile a quello dei boccali. CATINO: si definisce catino in questo catalogo una forma aperta, con o senza tesa, corpo globulare o troncoconico, fondo generalmente piano, realizzata con impasti depurati ed utilizzata priva di rivestimento, in cucina, o con copertura vetrosa (smalti e vetrine) sulle mense. CATINO/COPERCHIO: si definisce catino-coperchio una forma simile al coperchio, ma con parete molto alta, utilizzabile sia come coperchio per altri contenitori sia come recipiente. CIOTOLA: si definisce ciotola una piccola forma aperta, priva di tesa e con cavetto molto profondo, da mensa, rivestita con smalto stannifero o vetrina piombifera. COLATOIO: si definiscono colatoi alcune forme chiuse da cucina con il fondo forato praticato a crudo. Si tratterebbe dunque di una sorta di olla adattata funzionalmente per lo svolgimento di mansioni diverse da quelle semplici di cottura dei cibi. I colatoi sono presenti sia con impasti grezzi sia con impasti depurati. COPERCHIO: si definiscono coperchi alcuni manufatti prodotti in ceramica grezza, con corpo spesso troncoconico e parete di varia altezza, utilizzati per la copertura di olle, pentole o tegami durante le fasi di cottura. Nel catalogo si trovano inoltre definiti come

Catalogo delle ceramiche, degli impasti e dei siti oggetto di studio 1. Il catalogo delle forme e dei tipi ceramici Introduzione La creazione di una tipologia ceramica comune a tutta l’area subregionale indagata è stata il punto di partenza di tutta la nostra ricerca. Infatti, solo evidenziando le forme ceramiche comuni nei vari siti, la loro cronologia e l’eventuale area di fabbricazione ricavabile dalle analisi archeometriche, potevamo tentare di delineare una storia delle produzioni ceramiche che avesse un valore per tutta la parte meridionale della Toscana. Il catalogo della ceramica che presentiamo riguarda tutta l’area studiata nel corso della ricerca e comprende i tipi morfologici individuati all’interno di cinque classi funzionali, identificate con un numero arabo: I. II. III. IV. V.

Ceramica da fuoco Ceramica per la preparazione del cibo Ceramica per la conservazione degli alimenti Ceramica rivestita da mensa Ceramica per la filatura

All’interno di ogni raggruppamento funzionale abbiamo inserito dunque le classi di materiali ceramici identificate secondo i parametri dell’impasto e del tipo di rivestimento, distinguendo la classe acroma grezza, acroma depurata, invetriata da fuoco, con colature di ingobbio rosso, a vetrina sparsa, invetriata fine, maiolica arcaica. La suddivisione finale dei materiali ceramici è risultata nel seguente modo: CERAMICA DA CUCINA I. Ceramica da fuoco I.1 Acroma grezza modellata a mano I.2 Acroma grezza artigianale I.3 Invetriata II. Ceramica per la preparazione del cibo II.1 Acroma depurata CERAMICA DA DISPENSA III. Ceramica per la conservazione degli alimenti III.1 Acroma depurata III.2 Ceramica dipinta a colature rosse III.3 Vetrina sparsa CERAMICA DA MENSA IV. Ceramica rivestita da mensa IV.1 Maiolica arcaica IV.2 Invetriata fine CERAMICA PER VARI USI DOMESTICI V. Ceramica per la filatura V.1 Acroma grezza V.2 Acroma depurata Ogni classe ceramica è stata tipologizzata considerando le forme principali e suddividendole in Gruppi distinti in base a criteri morfocronologici e, laddove possibile, anche in base all’area di produzione. 61

FRANCESCA GRASSI coperchi alcune forme di maiolica arcaica volterrana: chiaramente in questo specifico caso si tratta di piccoli coperchi per boccali, orcioli od albarelli con uso esclusivo da mensa. FUSERUOLA: si definisce fuseruola un manufatto utilizzato per la filatura, di varie forme, realizzato con impasti grezzi o depurati e talvolta provvisto di vetrina piombifera. OLLA: con il termine olla si è indicato una serie di contenitori di forma chiusa, privi di ansa, utilizzati in cucina e solitamente associati alla cottura del cibo e caratterizzati da impasto molto grossolano. ORCIO A BECCACCIA: si definisce orcio una forma chiusa di grandi dimensioni, sempre da dispensa, caratterizzato spesso da un lungo becco che costituisce una sorta di versatoio da cui deriva il nome della forma stessa. ORCIOLO: si definisce in questo catalogo come orciolo una piccola forma da dispensa, simile morfologicamente ad un’olla, ma provvisto in alcuni casi di una o più anse e sempre realizzato con impasti depurati. PENTOLA: il termine pentola viene utilizzato nel catalogo per indicare un contenitore di forma chiusa simile all’olla, ma provvisto di un’ansa collegata al bordo. RINFRESCATOIO: è definito rinfrescatoio una grande forma aperta con due anse, basso corpo troncoconico e fondo piano, da mensa, rivestito con vetrina piombifera. SCODELLA: si definisce scodella una forma aperta con larga tesa e cavetto poco profondo, da mensa, rivestita di smalto stannifero. TAGLIERE: il termine tagliere è stato utilizzato come sinonimo di testo piano, già definito da Tiziano Mannoni nei suoi lavori di sistemazione tipologica della ceramica ligure (1970). Secondo lo studioso, infatti, l’uso dei testi piani poteva essere molto simile a quello svolto da taglieri in pietra o legno attestati nel medioevo per trasportare carni o pesci in tavola. TAZZA: si definisce tazza una piccola forma aperta, monoansata e con corpo troncoconico e fondo piano, da mensa, rivestita con smalto stannifero. TEGAME: si definiscono tegami alcuni contenitori di forma aperta da cucina, prodotti con impasti grezzi privi di rivestimento o con uno strato di vetrina piombifera. TESTO: si definiscono testi, nel nostro lavoro, tutti quei manufatti con forma a disco e altezza del bordo di circa 2-4 cm. In genere prodotti a mano, possono anche presentare il bordo od il fondo staccato dal piano di lavorazione con una lama ed a volte permangono sul fondo le tracce dell’incannicciato sul quale probabilmente questi manufatti venivano messi a seccare. Infine, quasi sempre presentano all'interno una croce impressa sul fondo con il dito, a crudo. TESTO/TEGAME: sono considerati testi-tegami quei manufatti prodotti a mano in forme simili a quelle dei testi, ma con parete alta più di 4 cm. La differenziazione dai manufatti definiti tegami è soltanto nella modalità di lavorazione.

OLLE Olla gruppo 1: olla con orlo estroflesso e tagliato, corpo globulare, fondo piano, produzione locale (seconda metà XIII-XIV) Olla gruppo 2: olla con orlo diritto e leggermente ingrossato, corpo globulare, produzione locale (secoli centrali del medioevo) Olla gruppo 3: olla con orlo e collo diritto, labbro arrotondato e incavato internamente, produzione locale (secoli centrali del medioevo) Olla gruppo 4: olla con orlo estroflesso ed arrotondato, corpo globulare solitamente carenato, produzione locale (altomedioevo) Olla gruppo 5: olla con orlo estroflesso, bordo piatto, corpo globulare, produzione locale (altomedioevo) Olla gruppo 6: olla con orlo dritto, bordo tagliato e confluente, corpo globulare, produzione locale (bassomedioevo) PENTOLE Pentola gruppo 1: pentola con orlo estroflesso e tagliato, corpo globulare, fondo convesso, ansa laterale (seconda metà XIII-XIV secolo) Pentola gruppo 2: pentola con fondo concavo ed ansa a sezione ovale impostata sul fondo (altomedievale) COLATOI Colatoio gruppo 1: colatoio con orlo estroflesso, bordo tagliato, corpo globulare, fondo piano o convesso. I fori sul fondo o sulle pareti, in numero variabile, sono sempre prodotti a crudo, prima della cottura (metà XIII-XIV secolo) BOCCALI Boccale gruppo 1: boccale con orlo estroflesso e arrotondato, corpo ovoide, fondo concavo, ansa a nastro impostata sull’orlo (seconda metà XIII-XIV secolo) COPERCHI Coperchio gruppo 1: coperchio con alto corpo troncoconico Coperchio gruppo 2: coperchio con basso corpo troncoconico TEGAMI Tegame gruppo 1: tegame con orlo arrotondato, corpo ovoide, fondo piano. Ansa composta da prese singole a linguetta, a bugna o bifide in numero variabile da due a quattro (XIII-XIV secolo) Tegame gruppo 2: tegame con corpo non identificato, ma con larga ansa a nastro (altomedievale) TESTO-TEGAME Testo/tegame gruppo 1: testo/tegame con alto corpo troncoconico, pareti dritte Testo/tegame gruppo 2: testo tegame con basse pareti arrotondate Testo/tegame gruppo 3: testo/tegame con alto corpo troncoconico, pareti arrotondate

I Gruppi distinti all’interno di ogni forma, nei diversi ambiti funzionali, sono stati i seguenti:

TESTI Testo gruppo 1: testo privo di piede Testo gruppo 2: testo con piede marcato

I. Ceramica da fuoco I.1 Acroma grezza modellata a mano 62

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO TAGLIERI Tagliere gruppo 1: tagliere privo di piede Tagliere gruppo 2: tagliere con piede marcato

TEGAMI Tegame gruppo 1: tegame con orlo indistinto e corpo troncoconico (XII-XIV secolo) Tegame gruppo 2: tegame con orlo a tesa e corpo troncoconico (XII-XIV secolo) Tegame gruppo 3: tegame con orlo triangolare e corpo emisferico (XII-XIV secolo)

I.2 Acroma grezza artigianale OLLE Olla gruppo 1: olla con orlo estroflesso ed arrotondato Olla gruppo 2: olla con orlo estroflesso a tesa Olla gruppo 3: olla con orlo estroflesso e insellato Olla gruppo 4: olla con orlo piatto e collo dritto Olla gruppo 5: olla con orlo arrotondato e collo dritto o sagomato Olla gruppo 6: olla con orlo ad arpione Olla gruppo 7: olla con orlo triangolare Olla gruppo 8: olla con orlo appuntito ed estroflesso Olla gruppo 9: olla con orlo estroflesso e tagliato Olla gruppo 10: olla con orlo estroflesso e collo strozzato Olla gruppo 11: olla con orlo inclinato e indistinto Olla gruppo 12: olla con orlo inclinato e ingrossato Olla gruppo 13: olla con orlo a fascia marcata Olla gruppo 14: olla con orlo ingrossato e sagomato Olla gruppo 15: olla con orlo a tesa

II. Ceramica per la preparazione di alimenti in cucina II.1 Acroma depurata BOCCALI Boccali gruppo 1: boccali/brocchette di produzione pisana con collo dritto, ansa complanare, corpo ovoide, fondo piano, detti tipo “Busi” (secc. XII-XIII) Boccali gruppo 2: boccali con collo strozzato e ansa sormontante, produzioni locali (X-XI secolo) Boccali gruppo 3: boccali caratterizzati da scanalature molto marcate sulle pareti, produzioni locali (secoli VIIIX) Boccali gruppo 4: boccali con corpo carenato e fondo piano, produzioni locali (altomedievali) Boccali gruppo 5: boccali senesi con collo dritto, trilobati, ansa complanare, corpo globulare, fondo piano (secoli XIII-XIV) Boccali gruppo 6: piccoli boccali/brocchette con corpo molto globulare e collo dritto, produzione locale o laziali (datazione non definibile) Boccali gruppo 7: piccolo boccale con scanalature fitte, produzione locale (XI secolo) Boccali gruppo 8: brocchetta/boccale altomedievale con trattamento di superficie complesso (VIII secolo)

PENTOLE Pentola gruppo 1: pentola con orlo estroflesso e arrotondato Pentola gruppo 2: pentola con orlo estroflesso e sagomato COLATOI Colatoio gruppo 1: colatoio con orlo estroflesso e arrotondato BOCCALI-BROCCHE Boccale-brocca gruppo 1: boccale-brocca con orlo estroflesso e arrotondato, corpo ovoide, ansa complanare Boccale-brocca gruppo 2: boccale-brocca con orlo indistinto, corpo globulare (?), ansa sormontante Boccale-brocca gruppo 3: boccale-brocca con orlo indistinto, corpo globulare, ansa complanare

CATINI Catini gruppo 1: catini con tesa di produzione pisana o senese (XII-XIV secolo) Catini gruppo 2: catini con orlo ingrossato, attribuiti alla produzione di Roccastrada (altomedievali) Catini gruppo 3: catini con orlo sagomato, produzione locale - costa Toscana meridionale - (altomedievali ) Catini gruppo 4: catini con orlo rientrante, produzione subregionale (altomedievali)

COPERCHI Coperchio gruppo 1: coperchio con alto corpo Coperchio gruppo 2: coperchio con basso corpo

III. Ceramica per la conservazione degli alimenti III.1 Acroma depurata

CATINO-COPERCHIO Catino-coperchio gruppo 1: catino-coperchio con orlo ingrossato

BROCCHE Brocche gruppo 1: brocche con ansa complanare pisane o senesi (XIII-XIV secolo) Brocche gruppo 2: brocche con corpo molto globulare ed ansa leggermente sormontante, collo strozzato (XI-XII secolo) Brocche gruppo 3: brocche con corpo ovoide ed ansa squadrata (altomedioevo) Brocche gruppo 4: brocche con corpo ovoide ed attacco dell’ansa alla metà del collo

I.3 Invetriata OLLE Olla gruppo 1: olla con orlo estroflesso e tagliato (XIIXIV secolo) PENTOLE Pentola gruppo 1: pentola con orlo indistinto (XII-XIV secolo)

ORCIOLI Orcioli gruppo 1: orcioli con orlo squadrato Orcioli gruppo 2: orcioli con orlo piatto Orcioli gruppo 3: orcioli con orlo estroflesso

BOCCALI Boccale gruppo 1: boccale con corpo globulare (XIIXIV secolo) 63

FRANCESCA GRASSI di provenienza delle materie prime del manufatto e dunque della possibile area di produzione, laddove le analisi archeometriche degli impasti, o in taluni casi l’analisi della forma (ad esempio per i prodotti pisani in ceramica depurata), abbiano consentito di ottenere questa informazione. Confronti bibliografici: comprende la presenza del tipo in altri contesti stratigrafici editi, non inclusi nel nostro lavoro, a partire dalla medesima area subregionale sino al contesto regionale intero ed extraregionale. In questa voce è stata inserita anche la datazione del tipo desunta dai lavori già editi, in modo da potere offrire un confronto con quella proposta dalla voce “cronologia attestata nei siti di diffusione” che si riferisce, come detto, soltanto agli insediamenti oggetto della ricerca.

ORCI A BECCACCIA Orcio gruppo 1: orcio con becco pronunciato, ansa complanare, corpo globulare, fondo piano (XIII secolo) ANFORE Anfora gruppo 1: anfora con orlo arrotondato, collo dritto, spalla marcata ed ansa ad orecchietta (altomedioevo) III.2 Ceramica a colature rosse BROCCA Brocca gruppo 1: brocca con ansa a nastro, corpo globulare, fondo piano (X-XI secolo) GRANDE OLLA Olla gruppo 1: olla con orlo arrotondato, corpo globulare, ansa, fondo piano (X secolo)

In questa scheda, i punti fondamentali finalizzati alla creazione di una cronotipologia subregionale sono stati dunque l’area di diffusione all’interno della zona regionale studiata, la cronologia di attestazione, i confronti morfologici con altre aree regionali e l’area di produzione ricavabile dalle analisi archeometriche. La scelta che abbiamo effettuato nel presentare il catalogo dei tipi riconosciuti all’interno delle classi è stata quella di privilegiare i manufatti da cucina e da dispensa, spesso di produzione locale, trattando invece in maniera più sintetica il materiale da mensa, descritto con una scheda semplificata, dato che si è spesso trattato di forme ceramiche ben conosciute ed attestate in ambito cittadino pisano, senese o volterrano. Il percorso di ricerca e di sistematizzazione dei manufatti da mensa si è dunque svolto suddividendo, all’interno della funzione principale, quella della mensa, le due classi principali, ovvero la maiolica arcaica e le invetriate e distinguendo da subito tra le diverse aree di produzione, individuate attraverso una lettura macroscopica degli impasti ceramici collegata al confronto formale. Nei raggruppamenti così formati con i parametri classe/produzione, sono state infine identificate le singole forme ed i tipi, dei quali viene proposta nel catalogo una scheda molto sintetica, che contiene solo quattro campi mirati all’identificazione delle informazioni principali sul tipo. La scheda, ideata per i tipi distinti in relazione ad ogni forma di maiolica arcaica e di ceramica invetriata, è così composta:

III.3 Vetrina sparsa BROCCA/BOCCALE Brocca/Boccale gruppo 1: brocca/boccale con corpo ovoide, fondo piano, incisioni sinusoidali (X-XI secolo) V. Ceramica per la filatura V.1 Acroma grezza FUSERUOLE Fuseruola gruppo 1: fuseruola a corpo globulare Fuseruola gruppo 2: fuseruola a corpo conico V.2 Acroma depurata FUSERUOLE Fuseruola gruppo 1: fuseruola a corpo globulare Fuseruola gruppo 2: fuseruola a corpo biconico Infine, all’interno dei Gruppi morfocronologici sono stati ricavati i singoli tipi ceramici, analizzati e descritti nel catalogo dei reperti utilizzando una scheda che contiene le seguenti voci: Tipo: comprende la numerazione, in numeri arabi, del tipo ceramico all’interno del Gruppo di appartenenza. Descrizione: comprende la descrizione del tipo ceramico e delle caratteristiche morfologiche principali. Trattamento superfici: comprende la descrizione delle rifiniture tecnologiche presenti sul tipo. Rivest. Interno: comprende la descrizione del rivestimento delle superfici interne. Rivest. Esterno: comprende la descrizione del rivestimento delle superfici esterne. Decorazione: comprende la descrizione dei decori, incisi o dipinti. Distribuzione: comprende l’elenco dei siti oggetto della ricerca nei quali il tipo è attestato. Cronologia attestata nei siti di diffusione: comprende la/le cronologia/e di attestazione del tipo nei singoli siti oggetto della ricerca. Quando la cronologia di presenza in distinti insediamenti coincideva, è stata inserita una sola datazione, senza la specificazione del sito. Area di produzione: comprende l’indicazione dell’area

Numero: numero di identificazione dato al tipo che trova una corrispondenza nelle tavole del catalogo. Distribuzione: comprende l’elenco dei siti oggetto della ricerca nei quali il tipo è attestato. Cronologia attestata nei siti di diffusione: comprende la/le cronologia/e di attestazione del tipo nei singoli siti oggetto della ricerca. Confronti bibliografici: comprende i riferimenti bibliografici principali e la datazione desunta da essi. Per quanto riguarda la parte grafica che illustra il catalogo delle forme ceramiche, è stato disegnato per ogni tipo quello più rappresentativo, cosiderando come tale sempre il più integro e non considerando invece il fattore dimensionale che per motivi di sintesi non è stato utilizzato come parametro di analisi nè nel catalogo nè nelle tavole grafiche. Nelle tavole dei tipi ceramici la presenza di un metrino permette una precisa 64

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO corrispondenza in scala. Per quanto riguarda i disegni dei tipi ceramici, essi hanno una parte sinistra bianca, non campita, dove si inserisce la sezione del vaso ed una parte destra dove si illustra la vista frontale dello stesso e solo nel caso di tipi già editi queste regole possono variare, ma abbiamo preferito non uniformarle per rendere esplicito il richiamo a dati pubblicati precedentemente a questo lavoro.

Cronologia attestata nei siti di diffusione: IX-X secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: i confronti di questa forma sono relativi a tipi ceramici sempre prodotti al tornio veloce; in particolare si veda olla tipo 7 rinvenuta nello scavo di Piazza Dante a Pisa e datata al X secolo (MENCHELLI 1993, p. 433). A Montarrenti sono state ritrovate olle globulari con orli molto diritti nel X e nell'XI secolo, tipo I.7.49 (CANTINI 2003, p. 98), ma sempre prodotte a tornio veloce.

1.1 Catalogo

Tipo: 2 Descrizione: orlo diritto e leggermente ingrossato, corpo globulare che può essere provvisto di carenatura Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: X-XI secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: i confronti per la forma sono quelli indicati per il tipo 1.

Ceramica da cucina I. Ceramica da fuoco I.1 Acroma grezza modellata a mano OLLE Olla gruppo 1 (Fig. 1) Tipo: 1 Descrizione: orlo estroflesso e tagliato, corpo globulare, fondo piano. Il manufatto non presenta segni di modellazione di alcun tipo. Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Rocca San Silvestro, Campiglia Marittima, Montemassi, Rocchette Pannocchieschi, Cugnano, Piombino S. Antimo, Castel di Pietra, Suvereto. Cronologia attestata nei siti di diffusione: s.m. XIIIXV secolo Area di produzione: areale delle Colline Metallifere Confronti bibliografici: per i confronti morfologici relativi alle Colline Metallifere rimandiamo alla discussione effettuata su questo tipo di olla in GRASSI 1998b e BOLDRINI et alii 2004. Inoltre, per Scarlino MARASCO 2002/2003. La forma dell’olla modellata a mano con orlo tagliato ed estroflesso si ritrova anche in due siti prossimi a Pisa: si tratta del castello di Ripafratta (RENZI RIZZO 1990, p.32, n.4) dove è datata tra X e XIV secolo e di Santa Maria a Monte (BEDINI et alii 1987, p. 328, nn. 3-4) dove è ugualmente inserita in maniera generica nel bassomedioevo.

Olla gruppo 3 (Fig. 1) Tipo: 1 Descrizione: orlo e collo diritto, labbro arrotondato e incavato internamente Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Donoratico Cronologia attestata nei siti di diffusione: IX-X secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: si veda gruppo 2, tipo 1. Olla gruppo 4 (Fig. 1) Tipo: 1 Descrizione: orlo estroflesso ed arrotondato, corpo globulare solitamente carenato. Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Rocca San Silvestro, Donoratico, Campiglia Marittima Cronologia attestata nei siti di diffusione: a Donoratico IX-X secolo; a Campiglia fine X-fine XII secolo; a Rocca San Silvestro XI secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: per il confronto formale si rimanda all’olla tipo 3 proveniente dallo scavo di Piazza dei Cavalieri a Pisa, datata seconda tra la metà dell’XI e l’inizio del XII secolo (ABELA 2000c, p.184).

Tipo: 2 Descrizione: orlo estroflesso e tagliato, con carenatura sotto il collo, corpo globulare, fondo convesso. Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Rocca San Silvestro, Campiglia Marittima Cronologia attestata nei siti di diffusione: s.m.XIII-XV secolo Area di produzione: areale delle Colline Metallifere Confronti bibliografici: si tratta di una variante del tipo 1, attualmente attestata soltanto nei siti di Campiglia Marittima e Rocca San Silvestro. I confronti morfologici per questa olla sono i medesimi indicati per il tipo 1.

Tipo: 2 Descrizione: orlo estroflesso ed arrotondato, corpo globulare, fondo piano. Può presentare fori di sospensione sulla parete. Trattamento superfici: lisciate a panno Decorazione: può presentare filettatura rada e marcata Distribuzione: Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi, Campiglia Marittima Cronologia attestata nei siti di diffusione: a Rocchette X secolo; a Rocca San Silvestro XI secolo; a Campiglia fine X-fine XII secolo Area di produzione: Areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: si veda gruppo 4, tipo 1

Olla gruppo 2 (Fig. 1) Tipo: 1 Descrizione: orlo diritto e leggermente ingrossato, corpo globulare Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Donoratico

Tipo: 3 Descrizione: orlo estroflesso, bordo tagliato, corpo globulare. Foro di sospensione sotto il bordo. 65

FRANCESCA GRASSI Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: XI secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: trova uno stringente confronto con un'olla tardoantica proveniente dal Colle del Pionta, presso Arezzo (PAROLI, SAGUÌ 1985, p. 143, n. 37).

Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: questa pentola è del tutto simile all’olla 1.1 prodotta a mano, della quale rappresenta una variante provvista di ansa. Per i confronti morfologici relativi al territorio delle Colline Metallifere rimandiamo dunque alla discussione effettuata su questo tipo di pentola in GRASSI 1998b.

Olla gruppo 5 (Fig. 1) Tipo: 1 Descrizione: orlo estroflesso, bordo piatto, corpo globulare. Foro all'altezza del collo. Trattamento superfici: lisciate a panno e con fondo steccato a lama. Distribuzione: Rocca San Silvestro, Campiglia Marittima, Donoratico. Cronologia attestata nei siti di diffusione: Donoratico IX-X secolo; Campiglia Marittima fine X-fine XII secolo; Rocca San Silvestro fine XI-fine XII secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: si tratta di un tipo ben attestato nel castello di Rocca San Silvestro (BOLDRINI, GRASSI 1997, tipo 2, tavola I), presente da fine XI a fine XII secolo. Per la forma questo tipo è simile sia al tipo 27 rinvenuto in Piazza dei Cavalieri, datato entro la prima metà dell'XI secolo (ABELA 2000c, p.185), sia al tipo 34 sempre proveniente da Pisa, Piazza Dante, datato al XXII secolo (GUIGGI, SPINESI 1993, p.436).

Tipo: 2 Descrizione: orlo estroflesso e tagliato, corpo globulare, fondo convesso, due anse laterali con sezione a nastro Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: vedi supra pentola 1.1

Tipo: 2 Descrizione: orlo svasato, bordo piatto e tagliato, corpo troncoconico. Trattamento superfici: lisciate a panno Decorazione: può presentare filettatura molto irregolare prodotta a crudo, a pettine o forse con una punta, sulle pareti. Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: seconda metà XIII secolo Area di produzione: Areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: si veda gruppo 5, tipo 1

Colatoio gruppo 1 (Fig. 3) Tipo: 1 Descrizione: orlo estroflesso, bordo tagliato, corpo globulare, fondo piano o convesso. I fori sul fondo o sulle pareti, in numero variabile, sono sempre prodotti a crudo, prima della cottura. Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Rocca San Silvestro, Piombino Cronologia attestata nei siti di diffusione: Piombino S. Antimo seconda metà XIII secolo; Rocca San Silvestro XIV secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: questo tipo di colatoio è del tutto simile all’olla 1.1 prodotta a mano, della quale rappresenta una variante provvista di fori sul fondo. Per i confronti morfologici relativi al territorio delle Colline Metallifere rimandiamo dunque alla discussione effettuata su questo tipo in GRASSI 1998b e GRASSI 2007a.

Pentola gruppo 2 (Fig. 2) Tipo: 1 Descrizione: fondo concavo pertinente ad una pentola. Ansa a sezione ovale impostata sul fondo. Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: IX-X secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: vedi supra pentola 1.1 COLATOI

Olla gruppo 6 (Fig. 1) Tipo: 1 Descrizione: orlo dritto, bordo tagliato e confluente, corpo globulare. Trattamento superfici: lisciate a panno Decorazione: motivi geometrici incisi a crudo Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Area di produzione: Areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: nessuno

BOCCALI Boccale gruppo 1 (Fig. 4) Tipo: 1 Descrizione: orlo estroflesso e arrotondato, corpo ovoide, fondo concavo. Ansa a nastro impostata sull’orlo. Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Rocca San Silvestro, Piombino S.Antimo Cronologia attestata nei siti di diffusione: metà XIII secolo-prima metà XIV secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: questo tipo non trova confronti nel panorama dell’edito.

PENTOLE Pentola gruppo 1 (Fig. 2) Tipo: 1 Descrizione: orlo estroflesso e tagliato, corpo globulare, fondo convesso, un’ansa laterale con sezione a nastro. Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Rocca San Silvestro, Campiglia Marittima, Piombino S. Antimo, Piombino Castello. Cronologia attestata nei siti di diffusione: seconda metà XIII-XIV secolo 66

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO delle Colline Metallifere; infine a RICCI 1990, pp. 216217 per un confronto con alcuni contesti romani.

COPERCHI Coperchio gruppo 1 (Fig. 5) Tipo: 1 Descrizione: bordo piano, corpo troncoconico. Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Rocca San Silvestro, Campiglia Marittima Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIII secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: questo tipo non trova confronti nel panorama dell’edito.

Tegame gruppo 2 (Fig. 6) Tipo: 1 Descrizione: corpo non identificato, ma larga ansa a nastro. Trattamento superfici: nessuno Distribuzione: Campiglia Marittima Cronologia attestata nei siti di diffusione: XI secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: questo reperto, pur non costituendo a rigore un tipo poichè manca di un profilo integro, è stato comunque considerato tale data l'assenza, negli altri tegami attestati, di anse a nastro. Non si segnalano confronti puntuali.

Tipo: 2 Descrizione: bordo arrotondato ed appuntito, corpo troncoconico. Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Rocca San Silvestro, Campiglia Marittima Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: questo tipo non trova confronti nel panorama dell’edito.

TESTO-TEGAME Testo-tegame gruppo 1 (Fig. 7) Tipo: 1 Descrizione: bordo arrotondato, corpo troncoconico, fondo piano. Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Campiglia Marittima, Rocca San Silvestro, Cugnano. Cronologia attestata nei siti di diffusione: fine XI-fine XIV secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: si veda ad esempio Pisa, Piazza Dante (BERNAL CASASOLA, GUIGGI, SANGRISO 1993, pp.448-453, dove esiste l’indicazione di una lavorazione al tornio veloce) e Piazza dei Cavalieri (ABELA, 2000c); Montarrenti tipi 1.5.2 e 1.5.1 datati tra VIII e IX secolo (CANTINI 2003, p. 84); Grosseto, chiesa di San Pietro (VALDAMBRINI 2005, tav.5, nn.1-3-6).

Tipo: 3 Descrizione: bordo squadrato, corpo troncoconico. Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Donoratico Cronologia attestata nei siti di diffusione: XI secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: questo tipo non trova confronti nel panorama dell’edito. Coperchio gruppo 2 (Fig. 5) Tipo: 1 Descrizione: orlo indistinto, bordo con sezione squadrata, basso corpo troncoconico, ansa apicale a nastro. Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: il tipo trova un confronto con un coperchio proveniente dallo scavo di Piazza Dante a Pisa (BERNAL CASASOLA, GUIGGI, SANGRISO 1993, p.454, n.1) datato tra XI e XII secolo e prodotto a tornio veloce.

Tipo: 2 Descrizione: bordo arrotondato, alta parete, piede marcato. Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: XI-XIV secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: si veda tipo 1 Testo-tegame gruppo 2 (Fig. 7) Tipo: 1 Descrizione: orlo appuntito, basso corpo arrotondato, fondo piano. Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Rocca San Silvestro, Rocchette P. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XI-XIV secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: si veda tipo 1

TEGAMI Tegame gruppo 1 (Fig. 6) Tipo: 1 Descrizione: orlo arrotondato, corpo ovoide, fondo piano. Ansa composta da prese singole a linguetta, bugna o bifide in numero variabile da due a quattro. Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Rocca San Silvestro, Campiglia Marittima, Piombino S. Antimo. Cronologia attestata nei siti di diffusione: fine XII-fine XIV secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: tegami simili si trovano anche con vetrine verdi o marroni. Rimandiamo a GRASSI 1999 e 2009 per una discussione sui tegami rinvenuti nell’area

Testo-tegame gruppo 3 (Fig. 7) Tipo: 1 Descrizione: orlo piano, corpo arrotondato troncoconico. Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi 67

e

FRANCESCA GRASSI Cronologia attestata nei siti di diffusione: XI secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: un confronto puntuale è in CANTINI 2005, Siena, tipo 5.126 datato tra X e XII secolo.

Confronti bibliografici: tra i reperti della fornace di Roccastrada si trovano tipi simili (BASILE 2006-2007, tav. 3, tipo I.2.a) datati alla prima metà del VII secolo; a Pisa, in Piazza Cavalieri, tipo D, datato al X secolo (ABELA 2000, pp.195-198); a Siena (CANTINI 2005, tav.35, tipo 5) datato alla prima metà del VII secolo; a Vada Volaterrana (PASQUINUCCI, MENCHELLI 1996, fig.7, n.55) datato tra VI e VII secolo.

TAGLIERI Tagliere gruppo 1 (Fig. 8) Tagliere privo di piede Tipo: 1 Descrizione: orlo arrotondato, fondo piano. Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Rocca San Silvestro, Campiglia Marittima. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XI-XIV secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: nessuno

Tipo: 3 Descrizione: bordo tagliato, corpo arrotondato, fondo piano privo di piede. Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Montemassi, Rocchette Pannocchieschi. Cronologia attestata nei siti di diffusione: Rocchette XII-XIV secolo; Montemassi XIV secolo. Area di produzione: areale senese? Confronti bibliografici: a Scarlino (MARASCO 20022003, tav. XXXXVII, I.7.2) datato tra fine VI e inizio VII secolo; a Poggio Imperiale (MANDOLESI 2007, tav.6, n.8) datato tra IX e X secolo.

Tipo: 2 Descrizione: orlo appuntito, fondo piano. Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: nessuno

Testo gruppo 2 (Fig. 9) Testo con piede marcato Tipo: 1 Descrizione: bordo arrotondato, fondo piano con piede. Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Rocca San Silvestro, Campiglia Marittima, Donoratico, Rocchette Pannocchieschi. Cronologia attestata nei siti di diffusione: Rocchette P. e Donoratico IX-XI secolo; Campiglia IX-XIV secolo; Rocca San Silvestro XI-XIV secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: nessuno

Tagliere gruppo 2 (Fig. 9) Tagliere con piede marcato Tipo: 1 Descrizione: orlo arrotondato, piede marcato. Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: XI-XIII secolo. Area di produzione: Areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: nessuno

Tipo: 2 Descrizione: bordo appuntito, fondo piano con piede marcato. Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Rocca San Silvestro, Donoratico. Cronologia attestata nei siti di diffusione: Donoratico XI secolo, Rocca San Silvestro IX-XIV secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: nessuno

TESTI Testo gruppo 1 (Fig. 9) Testo privo di piede Tipo: 1 Descrizione: bordo appuntito, corpo arrotondato, fondo piano privo di piede. Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Rocca San Silvestro, Donoratico, Rocchette P., Montemassi. Cronologia attestata nei siti di diffusione: Donoratico IX-X secolo; Montemassi IX-XII secolo; Rocchette P. XI-XII secolo; Rocca San Silvestro XI-XIV secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: a Pisa, in Piazza Cavalieri, tipo D, datato al X secolo (ABELA 2000c, pp.195-198).

Tipo: 3 Descrizione: bordo arrotondato e ingrossato, fondo piano con piede ricavato con stacco a lama dal piano di lavorazione. Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Montemassi Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Area di produzione: areale senese? Confronti bibliografici: nessuno

Tipo: 2 Descrizione: bordo arrotondato, corpo arrotondato, fondo piano privo di piede. Trattamento superfici: lisciate a panno Distribuzione: Rocca San Silvestro, Rocchette P. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XI-XIV secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere

I.2 Acroma grezza artigianale OLLE Olla gruppo 1 (Fig. 10) Olla con orlo estroflesso ed arrotondato Tipo: 1 Descrizione: orlo estroflesso e arrotondato, collo marcato 68

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO da una solcatura interna, corpo globulare, fondo piano. Distribuzione: Campiglia Marittima, Montemassi, Grosseto S. Pietro Cronologia attestata nei siti di diffusione: VIII/IX-X secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: questo tipo di olla si ritrova in vari contesti altomedievali del sud della Toscana e dell’area pisana. Si veda ad esempio: il podere Aione (CUCINI 1989, tav. II, n.32-37) con datazione al IX secolo; Pisa, Piazza Dante (GUIGGI, SPINESI 1993, MFAC 25), datata tra metà X ed inizio XI secolo e Piazza dei Cavalieri, datata alla seconda metà dell’XI-prima metà del XII secolo (ABELA 2000c tipo C.1.2, fig. 3, p. 184); Siena (CANTINI 2005, p. 146, tipo 5.103) datata al IX secolo; Podere Serratone (CAMPANA, FRANCOVICH, VACCARO 2005, p.475, tav. 2, n.3) datata tra VIII e IX secolo; Cosa (CIRELLI, HOBART 2003, p. 336-342, tipo Cosa 4).

Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: trova un confronto in due scavi pisani, Piazza Dante e Piazza dei Cavalieri. Nel primo, (GUIGGI, SPINESI 1993, MFAC 31, p. 433) datata tra metà X e inizio XI secolo; nel secondo (ABELA 2000c, tipo C.2.2 fig. 6, pag. 184) datata tra seconda metà XII e prima metà XIII secolo. Olla gruppo 3 (Fig. 10) Olla con orlo estroflesso e insellato Tipo: 1 Descrizione: orlo estroflesso ed insellato, corpo globulare. Decorazione: filettatura marcata eseguita a crudo. Distribuzione: Campiglia Marittima, Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi, Palaia. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XI-XII secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: nel castello di Scarlino (materiale inedito, us 19-318) viene datato all'XI secolo. A Montarrenti (RONCAGLIA 1986, fig. 2, n. 6) proviene da un contesto di XI-XII secolo. Questo tipo di olla trova inoltre interessanti confronti in molte zone della Toscana (Pistoia, Prato, Grosseto), circoscritti sempre cronologicamente ai secoli XI e XII.

Tipo: 2 Descrizione: orlo estroflesso e arrotondato, corpo globulare. Distribuzione: Campiglia Marittima, Montemassi Cronologia attestata nei siti di diffusione: VIII/IX-X secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: vedi tipo 1

Tipo: 2 Descrizione: orlo estroflesso ed insellato, corpo globulare con colletto marcato. Distribuzione: Campiglia Marittima, Rocca San Silvestro. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XI secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: a Pisa, Piazza Dante (MENCHELLI 1993) questa forma si trova datata tra metà X ed inizio XI secolo, vedi MFAC, n.18 e MFAC 27, n. 10.

Tipo: 3 Descrizione: orlo estroflesso e arrotondato, corpo ovoide. Distribuzione: Campiglia Marittima, Montemassi. Cronologia attestata nei siti di diffusione: VIII/IX-X secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: vedi tipo 1 Olla gruppo 2 (Fig. 10) Olla con orlo estroflesso a tesa Tipo: 1 Descrizione: orlo a tesa e bordo arrotondato. Distribuzione: Campiglia Marittima Cronologia attestata nei siti di diffusione: XI secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: un tipo simile è a Siena (CANTINI 2005, p. 143, n.5.73; p.145, n. 5.99), ma datato alla tardantichità /primi secoli del medioevo. Ugualmente nei contesti di Poggio Cavolo, datata tra V e VII secolo (CAMPANA, FRANCOVICH, VACCARO 2005, p.478, n. 3); a Cosa è simile al tipo Cosa 6, attribuito alla fase longobarda del sito (CIRELLI, HOBART 2003, p. 336-342).

Tipo: 3 Descrizione: orlo estroflesso, bordo arrotondato e insellato, corpo ovoide. Decorazione: può presentare filettatura a pettine sulle superfici esterne a partire dalla spalla. Distribuzione: Rocca San Silvestro, Rocchette, Palaia, Grosseto chiesa di S. Pietro. Cronologia attestata nei siti di diffusione: fine IXinizio X Grosseto; XI-XII secolo gli altri siti. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: nel castello di Scarlino un tipo simile (materiale inedito us 19- 318) viene datato all' XI secolo; a Montarrenti trova datazioni diversificate, sia tra XI e XII secolo (RONCAGLIA 1986, fig. 2, n. 6) sia tra VIII e IX secolo (CANTINI 2003, p.93, tipo I.7.22-23).

Tipo: 2 Descrizione: orlo a tesa confluente e gola accentuata e marcata. Distribuzione: Campiglia Marittima, Palaia. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XI secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: nessun confronto puntuale

Tipo: 4 Descrizione: bordo squadrato, orlo a tesa con gola interna per l’alloggio del coperchio. Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: X secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: vedi tipo 2.

Tipo: 3 Descrizione: orlo molto estroflesso a tesa ed arrotondato. Distribuzione: Campiglia Marittima Cronologia attestata nei siti di diffusione: XI secolo

Tipo: 5 69

FRANCESCA GRASSI Descrizione: orlo arrotondato ed estroflesso, leggermente insellato per l'alloggio del coperchio. Distribuzione: Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi, Montemassi, Palaia. Cronologia attestata nei siti di diffusione: X-XII secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: nel castello di Scarlino (materiale inedito, us 19-318) viene datata all'XI secolo; a Montarrenti (RONCAGLIA 1985, fig. 2, n. 6) proviene da un contesto di XI-XII secolo.

Maria della Scala, tipo 4.2, inedito relativo al XIV secolo (GRASSI 2000). Tipo: 3 Descrizione: orlo triangolare, bordo tagliato confluente, lungo collo dritto. Decorazione: filettatura Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: XII-metà XIII secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: vedi tipo 1.

Tipo: 6 Descrizione: orlo insellato e arrotondato, colletto marcato internamente. Distribuzione: Montemassi Cronologia attestata nei siti di diffusione: VIII-X secolo. Area di produzione: fornaci di Roccastrada? Confronti bibliografici: nessuno

Tipo: 4 Descrizione: orlo piatto, collo dritto. Decorazione: incisione sinusoidale sul bordo Distribuzione: Montemassi, Roccastrada. Cronologia attestata nei siti di diffusione: VIII-X secolo. Area di produzione: fornace di Roccastrada Confronti bibliografici: nessuno

Olla gruppo 4 (Fig. 10) Olla con orlo piatto e collo dritto Tipo: 1 Descrizione: orlo piatto, collo di media lunghezza, corpo ovoide, fondo piano. Le pareti sono talvolta rifinite a stecca nella parte terminale, a contatto con il fondo. Decorazione: filettatura Distribuzione: Rocca San Silvestro, Campiglia Marittima. Cronologia attestata nei siti di diffusione: Campiglia Marittima X-XIII secolo; Rocca San Silvestro XII-prima metà XIII secolo . Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: questo tipo di olla trova analogie in molte parti della Toscana. Per citare solo quelle più vicine al contesto di studio, a Montarrenti si trova in contesti di X-XIII secolo (RONCAGLIA 1986, p. 272, n.10; CANTINI 2003, tav.8, tipo I.7.7 e tav.15); a Poggio Imperiale si trova nella fase altomedievale datata tra VII e VIII secolo (NARDINI 1996, Tav. I e II, pp. 124125) ed in quella bassomedievale (NARDINI 1996, Tav. XVII-XVIII); a Pisa, in Piazza dei Cavalieri, si data alla prima metà dell’XI secolo (ABELA 2000c, C.3.2 e C.3.3, p. 184, fig. 12 e 13) ed in Piazza Dante (GUIGGI, SPINESI 1993, p. 433, fig. 21) si trova in livelli di X-XIII secolo; a Siena, è tipica di contesti bassomedievali (CANTINI 2005, tipi 5.110-113, datati al X-XIII secolo; FRANCOVICH 1982, tipo 55a, datata alla metà del XIV secolo); a Grosseto, nel cassero della Fortezza Medicea è sempre datata alla metà del XIV secolo (FRANCOVICH, GELICHI 1980, tav.15, n.31).

Tipo: 5 Descrizione: orlo piatto, breve collo dritto, corpo globulare, fondo piano e steccato. Distribuzione: Campiglia Maritima, Rocca San Silvestro, Fauglia. Cronologia attestata nei siti di diffusione: Rocca San Silvestro fine XI-fine XIII secolo; Campiglia Marittima XII-XIII secolo, Fauglia X-XII secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: vedi tipo 1, infatti questa olla è del tutto simile al tipo 1, con la distinzione di non presentare mai filettatura. Si aggiunge soltanto un confronto con i materiali rinvenuti a Coltano (Coltano 1986, p. 246) datati genericamente al bassomedioevo. Olla gruppo 5 (Fig. 11) Olla con orlo arrotondato e collo dritto o sagomato Tipo: 1 Descrizione: orlo arrotondato, collo dritto, corpo globulare, fondo piano. Decorazione: filettatura Distribuzione: Rocca San Silvestro, Campiglia Marittima, Fauglia. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XI-fine XIII secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: trova confronti a Pisa, in Piazza Dante, (X- XI secolo, GUIGGI, SPINESI 1993, p. 433). A Montarrenti è simile al tipo I.7.49 datato tra X e XI secolo (CANTINI 2003, tav.13).

Tipo: 2 Descrizione: orlo squadrato, collo lungo, corpo globulare. Decorazione: filettatura Distribuzione: Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi. Cronologia attestata nei siti di diffusione: Rocca San Silvestro XII-prime metà XIII secolo; Rocchette Pannocchieschi XI-XIV secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: in aggiunta ai confronti già esposti per il tipo 1, si può aggiungere per Siena, Santa

Tipo: 2 Descrizione: orlo ingrossato e arrotondato, corpo globulare. Decorazione: filettatura Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: XII-XIV secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: a Siena trova confronti con olle più tarde, ad esempio in FRANCOVICH 1982, fig. 188, na9 datata alla seconda metà del XV secolo e nei contesti 70

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO dello Spedale Santa Maria della Scala, inediti, datati tra XIV e XV secolo (GRASSI 2000, tipo 6.1).

Tipo: 2 Descrizione: orlo ad arpione arrotondato, corpo globulare, fondo piano. Distribuzione: Montemassi, Castel di Pietra Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: è attestata sia a Siena sia nel contado senese. A Siena, FRANCOVICH 1982, fig. 199, nb 2, s.m. XV secolo, nel Castellare degli Ugurgieri tipo K.1.3, XV-XVI secolo (LUNA 1996/1997); al Santa Maria della Scala, inediti (GRASSI 2000) datata tra XIV e XV secolo.

Tipo: 3 Descrizione: orlo estroflesso, bordo arrotondato, corpo ovoide, fondo piano. Decorazione: raramente filettatata Distribuzione: Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi, Donoratico. Cronologia attestata nei siti di diffusione: Rocca San Silvestro XII-metà XIV secolo; Rocchette Pannocchieschi XI-XIV secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: simile al tipo F1 ritrovato a Poggibonsi, nel Chianti senese ed a Lucca, datato tra IX e XI secolo (FRANCOVICH, VALENTI 1997, p.130). Nella città di Pisa trova confronti con il tipo 5 ritrovato in Piazza dei Cavalieri, datato all'inizio dell'XI secolo, ma attestato anche in strati di VIII-X (ABELA 2000c, p.184) ed in Piazza Dante con olle datate tra X e XIII secolo (GUIGGI, SPINESI 1993, p.436, n. 41 e 43; p. 437, n.54; p. 441, n. 75; p. 443, n. 77). In tutto il Valdarno questo tipo di olla è attestato nel bassomedioevo (CIAMPOLTRINI, MAESTRINI 1983, fig. 12.1). A Prato viene datata al XIV secolo (Prato 1978, p. 135, tav. XXVII. 368). A Grosseto (FRANCOVICH, GELICHI 1980, Tav. 18, n. 114) viene datata al XIV secolo.

Olla gruppo 7 (Fig. 11) Olla con orlo triangolare Tipo: 1 Descrizione: orlo triangolare appuntito, corpo globulare, fondo piano. Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: a Grosseto (FRANCOVICH, GELICHI 1980, tav. 15, n. 31) si data alla metà del XV secolo; a Siena (MILANESE 1991, tav. XIII, n. 326) si data alla seconda metà del XV secolo ed a Montarrenti (CANTINI 2003, tipo I.7. 14, tav.9) si data al XIV secolo. Tipo: 2 Descrizione: orlo triangolare arrotondato, collo marcato, corpo globulare, fondo piano. Distribuzione: Montemassi Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: a Grosseto (FRANCOVICH, GELICHI 1980, tav. 35, n. 1, s. m. XIV, inizio XV secolo); a Siena (FRANCOVICH 1982, fig. 199, nb 5, s.m. XV secolo); sempre a Siena, Santa Maria della Scala (GRASSI 2000, tipo 2.2, fine XIV secolo).

Tipo: 4 Descrizione: orlo arrotondato, bordo leggermente ingrossato e sagomato. Decorazione: filettatura Distribuzione: Rocca San Silvestro, Palaia, Fauglia, Rocchette Pannocchieschi. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XII-seconda metà XIII secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: nel castello di Scarlino (contesto inedito, us 357) viene datata all'XI secolo. A Pisa, Piazza Dante (GUIGGI, SPINESI 1993, p. 437, n. 50) un'olla simile si ritrova in contesti dal X al XIII secolo. Nel Valdarno inferiore (CIAMPOLTRINI, MAESTRINI 1983, p. 439) viene datata al XIII secolo.

Tipo: 3 Descrizione: orlo estroflesso a sezione triangolare, breve collo, corpo ovoide. Distribuzione: Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi. Cronologia attestata nei siti di diffusione: Rocca San Silvestro XII-seconda metà XIV secolo; Rocchette Pannocchieschi XI-XII secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: a Grosseto si data al XIV secolo (FRANCOVICH, GELICHI 1980, tav. 18/94).

Olla gruppo 6 (Fig. 11) Olla con orlo ad arpione Tipo: 1 Descrizione: orlo ad arpione accentuato, ampia spalla, corpo globulare, fondo piano. Distribuzione: Montemassi Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: a Siena è attestata in vari contesti e nel contado senese si ritrova a Montarrenti. Per Siena, nel Castellare degli Ugurgieri (LUNA 1996/1997) è simile al tipo K.1.1, datato tra la seconda metà del XV ed il XVI secolo; nella contrada del Nicchio (FRANCOVICH 1982, fig. 188, na 9) si data alla seconda metà del XV secolo; al Santa Maria della Scala, inediti (GRASSI 2000) è datata tra XIV e XV secolo. Inoltre trova confronti ad Arezzo (FRANCOVICH, GELICHI 1983, tav. 6, nn. 12 e 13) ed a Montarrenti (CANTINI 2003, tipi 1.7.64-68, tav. 16) sempre con le stesse cronologie.

Tipo: 4 Descrizione: orlo verticale con bordo a sezione triangolare, breve collo, corpo globulare, fondo piatto. Decorazione: presenta filettature a pettine su tutta le superficie del corpo, a partire dal bordo. Distribuzione: Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi. Cronologia attestata nei siti di diffusione: Rocca San Silvestro XII-seconda metà XIV secolo; Rocchette Pannocchieschi XI-XII secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: si ritrova a Pisa, Piazza Dante (GUIGGI, SPINESI 1993, p. 441, n. 68), rinvenuta in 71

FRANCESCA GRASSI giacitura secondaria in strati postmedievali. E' da notare che nel castello di Rocca San Silvestro un tipo molto simile è stato trovato anche in acroma depurata e privo di filettature (BOLDRINI, GRASSI 1997, n. 9, p. 356).

Montarrenti è simile ai tipi I.7.50 e 51 datati il primo tra X e XI secolo ed il secondo tra XII e XIII secolo (CANTINI 2003, p. 98, tav.13). Tipo: 2 Descrizione: orlo estroflesso, bordo tagliato. Decorazione: filettatura Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi, Rocca San Silvestro. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XII-seconda metà XIII secolo Rocca San Silvestro; XI-XIV secolo Rocchette Pannocchieschi. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: a Grosseto si veda FRANCOVICH, GELICHI 1980, tav. 18, n. 133, metà XV secolo; a Montarrenti si veda il tipo I.7.53 datato tra XII e XIII secolo (CANTINI 2003, p. 100, tav. 14).

Tipo: 5 Descrizione: orlo a mandorla, squadrato, corpo globulare. Distribuzione: Montemassi, Castel di Pietra. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: a Siena si veda un confronto nel Castellare degli Ugurgieri, LUNA 1996/1997 tipo K. 2. 1 datato al XV secolo e negli scavo di Santa Maria della Scala datato alla fine del XIV secolo (GRASSI 2000, tipo 7.1). Olla gruppo 8 (Fig. 12) Olla con orlo appuntito ed estroflesso Tipo: 1 Descrizione: orlo appuntito, spalla carenata, corpo globulare, fondo piano. Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: a Siena, FRANCOVICH 1982, fig. 199, nb 5, datata alla metà del XV secolo e GRASSI 2000, tipo 3.2, datata fine XIV secolo.

Tipo: 3 Descrizione: orlo estroflesso e tagliato, collo lungo e marcato, corpo globulare. Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: XI secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: Podere Serratone (Grosseto), tipo 5, datato tra VIII e IX secolo (VACCARO 2005, p.475); San Pietro a Grosseto, tipo 7, tav.6, datato VIIIinizio IX secolo (VALDAMBRINI 2005, p.45).

Tipo: 2 Descrizione: orlo estroflesso e appuntito, corpo ovoide. Distribuzione: Rocca San Silvestro, Montemassi Cronologia attestata nei siti di diffusione: Montemassi XII-XIII secolo; Rocca San Silvestro seconda metà XIIImetà XIV secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: a Siena si ritrova in vari contesti, sia da recupero sia da scavo, tra cui in particolare il recupero nella contrada del Nicchio, datato nella seconda metà del XIV secolo (FRANCOVICH 1982, p. 217, nb 1). Nello scavo del Santa Maria della Scala (MILANESE 1991, tav. XIII, n. 326) viene datato invece alla seconda metà del XV secolo.

Olla gruppo 10 (Fig. 12) Olla con orlo estroflesso e collo strozzato Tipo: 1 Descrizione: orlo estroflesso, labbro arrotondato, collo breve e strozzato. Decorazione: filettatura o incisioni sinusoidali sulla parete. Distribuzione: Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi, Populonia Le Logge, Palaia, fornace di Roccastrada, Donoratico. Cronologia attestata nei siti di diffusione: VIII-X secolo a Roccastrada; X-XI secolo nei restanti siti di attestazione. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: questa olla è simile al tipo 36 di Piazza Dante a Pisa (GUIGGI, SPINESI 1993, p. 436) ed al tipo 1 di Piazza dei Cavalieri, sempre a Pisa, datato all'inizio dell'XI secolo (ABELA 2000c, p. 184); ricorda inoltre un'olla dallo scavo di Monte Zignago (CABONA et alii, 1990, n.2, p.375). Si ritrova anche a Donoratico, in contesti di X secolo (GRASSI, LIGUORI 2004, tipo 13).

Tipo: 3 Descrizione: orlo estroflesso e arrotondato, corpo ovoide. Distribuzione: Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: vedi tipo 2. Inoltre, a Montarrenti è simile al tipo I.7.69 datato al XV secolo (CANTINI 2003, p. 103, tav.16).

Tipo: 2 Descrizione: olla con orlo estroflesso, bordo tagliato, collo strozzato. Distribuzione: Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi, Donoratico. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XI-XII secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: le olle con questo tipo di orlo sono attestate a Pisa a partire dall'inizio dell'XI secolo e perdurano fino al XIII (ABELA 2000c, p. 178); il nostro tipo trova un confronto puntuale nel tipo CFC 11 a p.184. Si veda inoltre Donoratico tipo 24, datato nell’XI secolo

Olla gruppo 9 (Fig. 12) Olla con orlo estroflesso e tagliato Tipo: 1 Descrizione: orlo tagliato, breve, estroflesso, corpo globulare. Distribuzione: Montemassi Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere. Confronti bibliografici: a Siena si veda FRANCOVICH 1982, fig. 188, na9, seconda metà XV secolo; a 72

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO (GRASSI, LIGUORI 2004); il castello di Scarlino (contesto inedito us 363-357) datato al X-XI secolo; a Montarrenti, datato tra la seconda metà dell'VIII ed il IX secolo, si veda il tipo I.7.24 (CANTINI 2003, p. 93).

Pannocchieschi. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XII- metà XIII secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: nessuno

Tipo: 3 Descrizione: orlo estroflesso e collo strozzato; corpo apparentemente globulare. All’esterno collo marcato da una solcatura. Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi, Campiglia Marittima. Cronologia attestata nei siti di diffusione: IX-X secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: in generale si rimanda alla tipologia FRANCOVICH, VALENTI 1997, tipo H1, IX- X secolo con provenienza dal Podere Aione, da Pisa, dal monastero di San Salvatore di Vaiano. A Pisa inoltre si veda Piazza Dante dove questa forma si trova datata tra la metà del X e l’inizio dell’XI secolo, (GUIGGI, SPINESI 1993, MFAC 18 e MFAC 27). A Montarrenti è simile al tipo I.7.5 datato tra VII e IX secolo (CANTINI 2003, p. 88). Inoltre, a Grosseto chiesa di S. Pietro si veda l’olla n. 32 (VALDAMBRINI 2005, tav.4, n.16) anche se con datazione alta, tra seconda metà VII e prima metà VIII secolo.

Tipo: 2 Descrizione: orlo estroflesso, bordo arrotondato e ingrossato, corpo globulare, fondo piano. Decorazione: filettatura a pettine sulle superfici. Talvolta la filettatura si ritrova a partire dall'orlo, talvolta dalla spalla. La frequenza della filettatura è variabile da 0,2 cm a 0,9 cm. Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: XII-metà XIII secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: si ritrova a Pisa, Piazza Dante, datata alla metà del X-inizi XI secolo (GUIGGI, SPINESI 1993, p. 433, n. 31), ma senza filettatura. A Santa Maria a Monte, sempre nei pressi di Pisa, (BEDINI et alii 1978, p. 328, tav. I.2) è attestata al secolo XII-XIII. A Montarrenti si veda CANTINI 2003, tipo I.7.52, datato tra X e XI secolo Tipo: 3 Descrizione: orlo leggermente estroflesso, bordo ingrossato, stacco tra spalla e corpo. Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: XII-metà XIII secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: nel castello di Montarrenti si ritrova in un contesto del X-XII secolo (RONCAGLIA 1986, p. 272, n. 8). A Pisa, in Piazza Dante, è stata rinvenuta un'olla simile in uno strato della metà del XV secolo (GUIGGI, SPINESI 1993, p. 441, n. 64).

Olla gruppo 11 (Fig. 12) Olla con orlo inclinato e indistinto Tipo: 1 Descrizione: orlo inclinato, labbro arrotondato e leggermente rientrante, corpo globulare. Decorazione: filettatura Distribuzione: Populonia le Logge, Populonia San Cerbone, Donoratico. Cronologia attestata nei siti di diffusione: X-XI secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: simile a Donoratico, tipo 14, datato tra X e XI secolo (GRASSI, LIGUORI 2005, tav.1); a Pisa, Piazza Dante, è simile al tipo 34 datato al X-XII secolo (GUIGGI SPINESI 1993, p.436); è inoltre simile al tipo 4559 rinvenuto nello scavo di Palazzo dei Vescovi a Pistoia, datato tra XI e XIII secolo (VANNINI 1987, p.801). A Montarrenti si veda CANTINI 2003, tipo I.7.53 e I.7.55, datati tra XII e XIV secolo.

Tipo: 4 Descrizione: orlo estroflesso e ingrossato all’esterno, interno con colletto marcato, corpo ovoide. Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: XI-XII secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: a Montarrenti si ritrova in un contesto dell’VIII-IX secolo (CANTINI 2003, tipo I.7.38).

Tipo: 2 Descrizione: orlo arrotondato e inclinato, corpo globulare. Distribuzione: Fauglia, Donoratico Cronologia attestata nei siti di diffusione: XI secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: a Donoratico è simile al tipo 22 datato all’XI secolo (GRASSI, LIGUORI 2005, tav.1); a Pisa, Piazza Dante, è simile al tipo 6 rinvenuto in uno strato di X-XII secolo e in uno di VIII-X secolo (GUIGGI SPINESI 1993, p.430).

Olla gruppo 13 (Fig. 13) Olla con orlo a fascia marcata Tipo: 1 Descrizione: orlo a fascia leggermente inclinato, internamente arrotondato; collo distinto mediante una solcatura. Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIII secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: a Montarrenti si veda il tipo I.7.6 datato tra X e XI secolo (CANTINI 2003, p.89); inoltre un tipo simile è presente tra i reperti dello scavo di Piazza Dante (GUIGGI, SPINESI 1993, p.437, n. 60), proveniente però da strati inquinati tardomedievali e postmedievali.

Olla gruppo 12 (Fig. 12) Olla con orlo inclinato e ingrossato Tipo: 1 Descrizione: olla con orlo svasato, bordo a fascetta, corpo ovoide, fondo probabilmente piano. Decorazione: filettatura Distribuzione: Rocca San Silvestro, Rocchette 73

FRANCESCA GRASSI Tipo: 2 Descrizione: orlo a fascia, bordo arrotondato, collo distinto mediante una solcatura. Distribuzione: Rocca San Silvestro, Palaia. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XII secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: a Pisa, in Piazza Dante (GUIGGI, SPINESI 1993, pp. 440-443, nn. 66-69-70-73) olle con simile fascia provengono tutte da strati di accumulo postmedievale. Un'olla simile è attestata inoltre nel Valdarno (CIAMPOLTRINI, MAESTRINI 1983, fig. 10, n. 3) alla metà del XIII. A Prato (Prato 1978, p. 153, tav. XLVIII, n. 524 e 237; Tav. LXXIX D47) vi sono olle simili in strati di XI-XII secolo.

Cronologia attestata nei siti di diffusione: seconda metà XIII secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: il frammento è un esemplare unico nel castello. Non sono stati trovati confronti stringenti. PENTOLE Pentola gruppo 1 (Fig. 14) Pentola con orlo estroflesso e arrotondato Tipo: 1 Descrizione: orlo estroflesso, bordo arrotondato, breve collo, ansa a nastro impostata all’orlo, corpo ovoide, fondo piano. Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: la forma di questa pentola la rende molto simile ai coevi prodotti invetriati, non presenti però all'interno del castello. Molto attestati sono invece in ambito cittadino, si veda San Giovanni Valdarno (BOLDRINI, DE LUCA 1988); Pisa, Piazza Dante (GUIGGI SPINESI 1993); Siena (FRANCOVICH 1982; MILANESE 1991, GRASSI 2000); Grosseto, Cassero Mediceo (FRANCOVICH, GELICHI 1980); Pistoia, Palazzo dei Vescovi (VANNINI 1987).

Olla gruppo 14 (Fig. 13) Olla con orlo ingrossato e sagomato Tipo: 1 Descrizione: bordo arrotondato superiormente e ingrossato, breve collo. Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: XII-metà XIII secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: a Pisa, Piazza Dante un'olla simile viene datata al X-XII secolo (GUIGGI, SPINESI 1993, p. 431, n. 2). In Lunigiana si trovano olle simili in strati che cronologicamente si inquadrano dall'altomedioevo al XII secolo (CABONA, MANNONI, PIZZOLO 1982, p. 346, tav. 1, n.2). A Pistoia un'olla con orlo simile viene datata al tardo XIV secolo (VANNINI 1987, p. 380, n.1961).

Pentola gruppo 2 (Fig. 14) Pentola con orlo estroflesso e sagomato Tipo: 1 Descrizione: orlo estroflesso e bordo sagomato, breve collo, ansa a nastro impostata al livello del bordo. Decorazione: incisione a crudo sulla parte sommitale dell'ansa, riproducente forse l'iniziale di un nome od una lettera. Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: per l'incisione sull'ansa l'unico confronto è con Pistoia (VANNINI 1987, p. 391, n. 2123), dove una pentola datata alla fine del XIII - inizio XIV secolo presenta sull'ansa una croce incisa.

Tipo: 2 Descrizione: olla con orlo estroflesso, bordo ingrossato e sagomato, lungo collo, corpo globulare. Decorazione: filettatura Distribuzione: Rocca San Silvestro, Fauglia. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XII-metà XIII secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: a Montarrenti (RONCAGLIA 1986, p. 272, n. 4) viene datata al XII-XIII secolo. A Pisa, nello scavo di Piazza Dante (GUIGGI, SPINESI 1993, p. 435, n. 37), un tipo simile proviene da uno strato formatosi tra la fine del X e il XII secolo.

COLATOI Colatoio gruppo 1 (Fig. 15) Colatoio con orlo estroflesso e arrotondato Tipo: 1 Descrizione: orlo arrotondato, bordo dritto, breve collo, corpo globulare, fondo piano forato a crudo. Decorazione: filettatura Distribuzione: Rocca san Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIII-XIV secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: i confronti più stringenti sono con molti tipi presenti a Piazza Dante, di cui ne elenchiamo solo alcuni, datati tra X e XIII secolo (GUIGGI, SPINESI 1993, p.436, n. 41 e 43; p. 437, n.54; p. 441, n. 75; p. 443, n. 77). A Prato un’olla-colatoio simile viene datata al XIV secolo (Prato 1978, p. 135, tav. XXVII.368). ed ugualmente a Grosseto (FRANCOVICH, GELICHI 1980, Tav. 18, n. 114).

Olla gruppo 15 (Fig. 13) Olla con orlo a tesa Tipo: 1 Descrizione: orlo con breve tesa, bordo piatto, lungo collo assottigliato verso il basso. Decorazione: filettatura Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: fuori contesto. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: nessun confronto. Tipo: 2 Descrizione: orlo a tesa, bordo a becco, corpo globulare. Presenta all'interno ed all'esterno marcate solcature che sembrano però derivate dalla tornitura. Distribuzione: Rocca San Silvestro 74

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO Cronologia attestata nei siti di diffusione: Rocca San Silvestro, contesto non datato. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: si vedano alcune brocche dei secoli centrali del medioevo con bolli impressi a stampo, a Pistoia (VANNINI 1987, p. 423) e Fiesole (FRANCOVICH, VANNINI 1989).

BOCCALI-BROCCHE Boccale-brocca gruppo 1 (Fig. 16) Boccale-brocca con orlo estroflesso e arrotondato, corpo ovoide, ansa complanare Tipo: 1 Descrizione: orlo estroflesso e bordo arrotondato, breve collo, ansa a nastro impostata sotto l'orlo, corpo ovoide, fondo piano. Trattamento superfici: lisciato a stecca nella parte finale della parete a contatto con il fondo. Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIII secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: nessuno

Tipo: 2 Descrizione: orlo piatto, collo dritto, parete con scanalature marcate, ansa complanare a sezione rettangolare, corpo globulare, fondo piano. Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: X secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: la forma non trova confronti puntuali. La filettatura molto marcata è in parte simile al trattamento delle superfici riscontrato in alcune olle di Campiglia Marittima (BOLDRINI et alii 2004, tav.II, n.4) datate tra X e XI secolo.

Tipo: 2 Descrizione: orlo estroflesso e trilobato, bordo appuntito, collo breve, ansa a nastro complanare al bordo, corpo globulare, fondo piano. Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIII-XIV secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: simile ad una piccola brocca datata al XV secolo e ritrovata in vari corredi in grezza cittadini senesi e valdarnesi (FRANCOVICH 1982; BOLDRINI, DE LUCA 1988).

Tipo: 3 Descrizione: spalla sagomata con scanalature molto marcate di forma chiusa, forse pertinenti ad un boccale. Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: VIII-IX secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: vedi supra, tipo 2

Tipo: 3 Descrizione: orlo ingrossato ed estroflesso, trilobatura, corpo ovoide. Decorazione: filettatura Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: X-XI secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: nessun confronto.

COPERCHI Coperchio gruppo 1 (Fig. 17) Coperchio con alto corpo Tipo: 1 Descrizione: orlo distinto arrotondato e estroflesso, alto corpo troncoconico, fondo piano. Distribuzione: Rocca San Silvestro, Montemassi Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIII secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: a Siena si ritrova nei contesti del Castellare degli Ugurgieri (LUNA 1996/1997, tipo W.A.1- 2) datato tra la metà del XIV ed il XVI secolo.

Boccale-brocca gruppo 2 (Fig. 16) Boccale-brocca con orlo indistinto, corpo globulare (?), ansa sormontante Tipo: 1 Descrizione: ansa a nastro sormontante, orlo arrotondato, collo dritto (?). Distribuzione: Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XI secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere. Confronti bibliografici: i boccali con impasto non depurato (però con ansa complanare al bordo e collo strozzato) sono ben attesti nel valdarno fiorentino (Prato, Pistoia, Fiesole) sempre riferiti ad un ambito cronologico di X-XII secolo ed in genere associati ad un utilizzo promiscuo (Prato 1978; VANNINI 1987; FRANCOVICH, VANNINI 1989).

Tipo: 2 Descrizione: orlo distinto, bordo piatto, alto corpo emisferico. Distribuzione: Rocca San Silvestro, Montemassi Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIII secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: a Siena si ritrova nei contesti del Castellare degli Ugurgieri (LUNA 1996/1997, tipo W.A.1- 2) datato tra la metà del XIV ed il XVI secolo. Tipo: 3 Descrizione: orlo arrotondato, corpo troncoconico. Decorazione: decoro inciso esternamente costituito da bande intrecciate formate da righe parallele. Distribuzione: Populonia Le Logge Cronologia attestata nei siti di diffusione: fine VIII-IX secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: in Toscana tali manufatti, definiti testi da pane, non sono molto frequenti. Per alcuni

Boccale-brocca gruppo 3 (Fig. 16) Boccale-brocca con orlo indistinto, corpo globulare, ansa complanare Tipo: 1 Descrizione: bordo arrotondato, orlo dritto, breve collo, ansa a nastro complanare, impostata al livello del bordo, bollo a raggiera impresso a crudo. Distribuzione: Rocca san Silvestro 75

FRANCESCA GRASSI confronti con Roma e l’area laziale relativi ai secoli VIIIX si veda MANACORDA et alii 1986, tav. XI, nn.7-8 e RICCI 1998, fig. 3.

Rivestimento: vetrina verde interna Distribuzione: Campiglia Marittima Cronologia attestata nei siti di diffusione: seconda metà XIII secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: il tipo è pubblicato in GRASSI 1999, Tav. 1, n. 17. Ha confronti nelle locali produzioni di ceramica modellata a mano.

Coperchio gruppo 2 (Fig. 17) Coperchio con basso corpo Tipo: 1 Descrizione: orlo ingrossato e sagomato, corpo troncoconico. Decorazione: filettature molto marcate Distribuzione: Campiglia Marittima, Donoratico. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XI secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: a Donoratico un tipo simile è datato sempre all’XI secolo (GRASSI, LIGUORI 2004, n. 26, tav.1). A Cosa si veda CIRELLI, HOBART 2003, p. 342-346, tipo Cosa 9.

PENTOLE

Tipo: 2 Descrizione: orlo sottile e appiattito e corpo troncoconico. Distribuzione: Montemassi, Donoratico Cronologia attestata nei siti di diffusione: VIII-X secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: a Donoratico due tipi simili sono datati tra IX e X secolo (GRASSI, LIGUORI 2004, nn. 8-25, tav.1).

Pentola gruppo 1 (Fig. 19) Pentola con orlo indistinto Tipo: 1 Descrizione: orlo arrotondato ed estroflesso, corpo globulare, fondo piano e ansa a nastro. Rivestimento: vetrina marrone interna Distribuzione: Campiglia Marittima Cronologia attestata nei siti di diffusione: seconda metà XIV secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: questo tipo ha evidenti analogie con le pentole invetriate che dal XV secolo costituiscono, insieme ai tegami, il corredo invetriato da cucina. Nella Rocca di Campiglia esse sono attestate a partire dal Trecento. Simile in Prato, nn. 387-388 tav. XXXVIII, datate alla seconda metà del XIV secolo (si tratta però di un manufatto acromo)

CATINO-COPERCHIO

BOCCALI

Catino-coperchio gruppo 1 (Fig. 18) Catino-coperchio con orlo ingrossato Tipo: 1 Descrizione: orlo estroflesso e bordo ingrossato all'interno, corpo troncoconico. Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: IX secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: la forma del catino-coperchio è molto diffusa soprattutto nell'Italia settentrionale (BROGIOLO, GELICHI 1986, 1997). Si noti inoltre la somilgianza con coperchi provvisti di parete alta, come il gruppo 1 descritto sopra.

Boccale gruppo 1 (Fig. 19) Boccale con corpo globulare Tipo: 1 Descrizione: boccale con fondo piano, corpo globulare. Rivestimento: colature di vetrina nera solo esternamente. Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: XII secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: non vi sono confronti bibliografici se non con le più tarde pentole invetriate da fuoco, ma questo tipo di boccale è funzionalmente ben diverso. Si fa notare inoltre che, pur essendo nella classe delle ceramiche invetriate da fuoco, la vetrina è stesa soltanto sulla superficie esterna. Potrebbe trattrasi di un attardamento di ceramica a vetrina sparsa.

Tipo: 2 Descrizione: orlo rientrante e sagomato, corpo troncoconico. Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi, Donoratico, Roccastrada. Cronologia attestata nei siti di diffusione: IX-X secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: a Siena (CANTINI 2005, tav.13, tipo 4.60) è datato al IX secolo; a Scarlino (MARASCO 2002-2003, tipo I.11.4b) è datato al X-XI secolo.

TEGAMI Tegame gruppo 1 (Fig. 20) Tegame con orlo indistinto e corpo troncoconico Tipo: 1 Descrizione: bordo arrotondato, corpo troncoconico, fondo piano e quattro prese a bugna laterali. Rivestimento: vetrina marrone, verde o gialla interna Distribuzione: Campiglia Marittima, Rocca San Silvestro, Piombino S. Antimo. Cronologia attestata nei siti di diffusione: seconda metà XIII-XIV secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: il tipo è pubblicato in GRASSI 1999, tav. 1, n. 10.

I.3 Invetriata OLLE Olla gruppo 1 (Fig. 19) Olla con orlo estroflesso e tagliato Tipo: 1 Descrizione: orlo estroflesso e tagliato, corpo globulare.

Tipo: 2 76

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO Descrizione: orlo dritto e arrotondato, corpo troncoconico, fondo piano, due prese a linguetta laterali. Rivestimento: vetrina marrone, verde o gialla interna Distribuzione: Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi, Piombino S. Antimo, Castel di Pietra. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIII-XIV secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: il tipo è pubblicato in GRASSI 1999, numero 11-13.

Confronti bibliografici: il tipo è pubblicato in GRASSI 1999, numero 2-3. II. Ceramica per la preparazione di alimenti in cucina II.1 Acroma depurata BOCCALI E/O BROCCHETTE Boccali gruppo 1 (Fig. 21) Boccale di tipo “pisano” Tipo: 1 Descrizione: bocca trilobata; orlo ingrossato; bordo leggermente estroflesso; lungo collo, diviso da solcatura dalla parte bassa del vaso che è solo appena globulare; fondo piano, apodo; ansa a nastro, impostata sull’orlo. Trattamento superfici: talvolta presenta steccatura nella parte terminale della parete a contatto con il fondo. Distribuzione: Rocca San Silvestro, Campiglia Marittima, Rocchette Pannocchieschi, Piombino S.Antimo, Piombino castello, Cugnano, Populonia. Cronologia attestata nei siti di diffusione: prima metà XIII-XIV secolo. Area di produzione: Pisa Confronti bibliografici: si tratta del boccale pisano tipo “Busi”: BUSI 1984, tav. I, n. 5-6; BERTI, GELICHI 1995, fig.11; BERTI, MENCHELLI 1998, gruppo II, B8, B12, p.316; MENCHELLI, RENZI RIZZO 2000 (Pisa, P.za dei Cavalieri) p.131 e MENCHELLI 1993 (Pisa, P.za Dante) p.499, MAC 8,10,11,12.

Tipo: 3 Descrizione: orlo dritto e arrotondato, corpo troncoconico, fondo piano. Rivestimento: vetrina marrone, verde o gialla interna Distribuzione: Rocca San Silvestro, Piombino S. Antimo. Cronologia attestata nei siti di diffusione: seconda metà XIII secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: il tipo è pubblicato in GRASSI 1999, numero 8-9. Tegame gruppo 2 (Fig. 20) tegame con orlo a tesa e corpo troncoconico Tipo: 1 Descrizione: orlo estroflesso e tagliato a tesa, corpo troncoconico. Decorazione: filettatura Rivestimento: vetrina nera Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi, Castel di Pietra. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XII-XIV secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: il tipo è pubblicato in GRASSI 1999, numero 5; si vedano anche i tipi 6-7 sempre in GRASSI 1999.

Tipo: 2 Descrizione: bocca trilobata, collo lungo, corpo panciuto, fondo piano. Decorazione: può presentare filettatura, soprattutto nel XII secolo. Distribuzione: Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XII-prima metà XIII secolo. Area di produzione: Pisa Confronti bibliografici: si tratta di una variante del tipo classico pisano, si veda di nuovo BERTI, GELICHI 1995 e BUSI 1984, tav. 1, n. 2. Gli esemplari presenti a Rocca San Silvestro sono molto più globulari dei tipi Busi di Pisa.

Tegame gruppo 3 (Fig. 20) tegame con orlo triangolare e corpo emisferico Tipo: 1 Descrizione: orlo dritto e ingrossato, corpo emisferico, due o quattro prese a linguetta, fondo convesso. Rivestimento: vetrina nera Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi, Montemassi, Castel di Pietra. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XII-XIV secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: il tipo è pubblicato in GRASSI 1999, numero 1 e 14. Si veda anche il n. 4 edito sempre in GRASSI 1999, proveniente da Castel di Pietra, ma relativo ad un contesto di XIV secolo.

Tipo: 3 Descrizione: bocca trilobata, orlo ingrossato, bordo leggermente estroflesso, lungo collo, diviso da solcatura dalla parte bassa del vaso che è solo appena globulare; fondo piano, apodo; ansa a nastro, impostata sull’orlo. Decorazione: può presentare filettatura. Non si registrano bolli sulle anse. Distribuzione: Rocca San Silvestro, Campiglia Marittima, Piombino S. Antimo. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XII-prima metà XIII secolo. Area di produzione: Pisa Confronti bibliografici: si tratta di un grande boccale o brocca che non rientra propriamente nella scala dimensionale dei tipi Busi; ci avviciniamo invece al tipo “a” delle brocche di produzione pisana individuate in BERTI, GELICHI 1995.

Tipo: 2 Descrizione: orlo dritto e tagliato, corpo emisferico, fondo convesso, due prese a linguetta od a coda di rondine laterali. Rivestimento: vetrina nera Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: XII-XIV secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere 77

FRANCESCA GRASSI 510, n.IV-5-31a, VIII secolo e CIARROCCHI et alii 1993, Pianabella, p. 226, fig. 3, n. 25, fine VIII secolo.

Tipo: 4 Descrizione: orlo trilobato, breve collo cilindrico, ampia spalla, corpo presumibilmente globulare. Decorazione: filettatura Distribuzione: Campiglia Marittima, Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi. Cronologia attestata nei siti di diffusione: Campiglia Marittima fine X-fine XI secolo; Rocca San Silvestro seconda metà XI-inizio XII secolo; Rocchette Pannocchieschi XI-XII secolo. Area di produzione: pisana (?) Confronti bibliografici: simile a BERTI, MENCHELLI 1998, gruppo I, pp.315-316, dai profili non ben definiti, collocato tra II metà X e I metà XI secolo. Si tratterebbe delle prime produzioni pisane di carattere semiindustriale.

Tipo: 2 Descrizione: collo dritto e sagomato, corpo globulare con profonde scanalature, attacco d’ansa visibile tra collo e orlo. Rifinitura delle superfici: sbiancatura Distribuzione: Montemassi Cronologia attestata nei siti di diffusione: VIII-X secolo. Area di produzione: fornace di Roccastrada? Confronti bibliografici: vedi tipo 1. Boccali gruppo 4 (Fig. 22) Boccale con carenatura nella parte bassa del corpo Tipo: 1 Descrizione: fondo piano, corpo globulare con carena marcata nella parte di maggior rigonfiamento della pancia. Rifinitura delle superfici: sbiancatura Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: X secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: un tipo simile si trova a Montarrenti, si veda CANTINI 2003, definito bottiglia, tipo II.5.1, p. 125, con pareti lucidate a stecca, relativa alla seconda metà VIII-IX secolo. Per la sbiancatura delle superfici si rimanda a MANACORDA et alii 1986, p. 526.

Boccali gruppo 2 (Fig. 21) Boccale con collo “strozzato” ed ansa sormontante Tipo: 1 Descrizione: orlo arrotondato, ansa sormontante a nastro, collo strozzato, corpo globulare. Distribuzione: Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: seconda metà X-XII secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: questa forma presenta notevoli analogie con il tipo 4 di Piazza Dante datato alla seconda metà X-inizio XI secolo (MENCHELLI 1993 p. 486), e con un tipo proveniente dallo scavo del Pionta ad Arezzo (MELUCCO VACCARO 1991, p.161, fig. 2).

Tipo: 2 Descrizione: collo sagomato e marcato, corpo con carenatura. Rifinitura delle superfici: sbiancatura Distribuzione: Montemassi Cronologia attestata nei siti di diffusione: VIII-X secolo. Area di produzione: fornace di Roccastrada? Confronti bibliografici: vedi tipo 1. Si confronti inoltre, ma con una cronologia più alta, la città di Siena (CANTINI 2005, tipo 4.22, p.97, datato tra fine V e metà VI secolo).

Tipo: 2 Descrizione: bordo indistinto, collo poco marcato, ansa a sezione rettangolare sormontante. Rifinitura delle superfici: superfici lisciate a panno, rossastre. Distribuzione: Campiglia Marittima Cronologia attestata nei siti di diffusione: X-XI secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: simile a BERTI, MENCHELLI 1998, fig.5, B4 (boccali del gruppo I), datato alla fine del X- inizio XI secolo.

Boccali gruppo 5 (Fig. 22) Boccale di tipo “senese” Tipo: 1 Descrizione: orlo trilobato, collo lungo, corpo globulare, fondo piano, ansa a nastro. Distribuzione: Montemassi, Cugnano Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIII-XIV secolo. Area di produzione: Siena o contado senese Confronti bibliografici: si tratta del corredo acromo da mensa senese prodotto a partire dal XIII secolo. Vi sono somiglianze con il gruppo 1 di boccali pisani tipo “Busi” (BUSI 1984, BERTI GELICHI 1995), ma questo tipo è sicuramente prodotto a Siena.

Boccali gruppo 3 (Fig. 21) Boccale con collo dritto e pareti con profonde scanalature Tipo: 1 Descrizione: spalla sagomata di forma chiusa, forse boccale. Rifinitura delle superfici: sbiancatura Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: IX-X secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: il trattamento della superficie che determina lo schiarimento è una caratteristica che si riscontra anche nei contesti di IX secolo di Roma, nella stratigrafia della Crypta Balbi, in associazione a decorazioni sinusoidali (MANACORDA et alii, 1986, p. 526). Per i confronti della forma si veda un tipo inedito da Scarlino, II.2.15, p. 216 datato tra X-XI secolo ed alcuni confronti nel Lazio, DELOGU et alii, 2001, p. 509-

Boccali gruppo 6 (Fig. 22) Boccale con corpo molto globulare e collo dritto Tipo: 1 Descrizione: collo cilindrico, diviso dalla spalla da solcatura sottile, corpo globulare, fondo piano apodo. Decorazione: sulla spalla doppio motivo ad onda graffito 78

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO in modo leggero con una stecca. Distribuzione: Campiglia Marittima Cronologia attestata nei siti di diffusione: XI secolo Area di produzione: Pisa Confronti bibliografici: simile al boccale depurato senza decoro tipo 3 proveniente da Rocca San Silvestro. Si veda anche a Montarrenti, CANTINI 2203, tipo II.3.2, ma considerato più tardo (XII- XIII secolo).

Confronti bibliografici: nessuno CATINI Catini gruppo 1 (Fig. 23) Catini con orlo a tesa pisani o senesi Tipo: 1 Descrizione: breve tesa piana, orlo a sezione triangolare, corpo troncoconico, fondo piano, apodo. Distribuzione: Campiglia Marittima, Rocca San Silvestro, Piombino S. Antimo. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XII-XIII secolo. Area di produzione: Pisa Confronti bibliografici: BERTI, MENCHELLI 1998, fig. 9 MAA 18; un catino con tesa è anche a Ripafratta (PI) in contesti di XI- XII sec., ma con decorazione incisa a secco (RENZI RIZZO 1990, n. 60).

Tipo: 2 Descrizione: collo allungato (?), corpo globulare. Decorazione: linee sinusoidali incise a registro multiplo. Distribuzione: Populonia Acropoli Cronologia attestata nei siti di diffusione: altomedioevo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: simile al tipo 1, ma non di certa provenienza pisana. Questo tipo, dato il modulo decorativo molto particolare costituito da linee sinusoidali incise a registro multiplo, seppure inserita in un contesto cronologico altomedievale, potrebbe rimandare anche a forme analoghe dipinte di rosso presenti nella città di Cosa nel VI secolo (FENTRESS, CLAY, HOBART, WEBB 1991, fig. 17, nn.7-8).

Tipo: 2 Descrizione: tesa arrotondata e piatta, spalla marcata, corpo globulare, fondo piano. Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi, Montemassi Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIII-XIV secolo. Area di produzione: Siena Confronti bibliografici: il tipo è ben attestato nei contesti cittadini senesi. Si veda FRANCOVICH 1982, nb10, fig. 201, s.m. XV secolo; il castellare degli Ugurgieri (LUNA 1996/1997, tipo Y.2.1., m. XIV - s.m. XV secolo. Si trova inoltre in varie zone del contado, come Grosseto, FRANCOVICH, GELICHI 1980, tav. 35, n. 5, s.m. XIV - inizio XV secolo.

Tipo: 3 Descrizione: bocca trilobata, collo dritto, spalla molto pronunciata, corpo globulare, fondo piano. Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: XII secolo Area di produzione: Pisa Confronti bibliografici: si veda tipo 1. Boccali gruppo 7 (Fig. 22) Boccale con collo dritto e corpo ovoide Tipo: 1 Descrizione: Bordo estroflesso, orlo ingrossato, collo cilindrico, leggermente sagomato. Sul collo presente foro di sospensione. Trattamento superfici: superfici esterne lucidate a panno, coloritura rossastra. Decorazione: superfici filettate, con alcune solcature più marcate. Distribuzione: Campiglia Marittima Cronologia attestata nei siti di diffusione: IX-X secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: edito in BOLDRINI, GRASSI 1999, tav. II, n. 5; per un esemplare analogo in vetrina pesante transizionale si veda BARTOLONI, 1985, tav. XVII n. 170.

Tipo: 3 Descrizione: tesa rialzata e squadrata, gola interna, corpo troncoconico. Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIII secolo Area di produzione: Siena Confronti bibliografici: si vedano i contesti urbani senesi ed in particolare FRANCOVICH 1982, na 27, fig. 192, s.m. XV secolo. Tipo: 4 Descrizione: breve tesa piana, orlo arrotondato, corpo troncoconico, fondo piano, apodo. Distribuzione: S. Antimo Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIII secolo Area di produzione: Pisa Confronti bibliografici: si veda tipo 1.

Boccali gruppo 8 (Fig. 22) Boccale con collo dritto, corpo ovoide, fondo piano Tipo: 1 Descrizione: corpo ovoide, fondo piano. Ansa a nastro (?). Trattamento superfici: steccature sulla parete esterna nella parte terminale a contatto con il fondo. Decorazione: filettatura su tutta la superficie esterna, decorazione a "tacche" interna ed esterna. Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: VIII-IX secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere

Tipo: 5 Descrizione: breve tesa piana, orlo arrotondato, corpo globulare. Decorazione: sulla tesa motivo a onda graffito a pettine. Distribuzione: Campiglia Marittima, Rocca San Silvestro, Castel di Pietra. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIII-XIV secolo. Area di produzione: Pisa Confronti bibliografici: BERTI, MENCHELLI 1998 fig. 9 n. 4, datato tra XIII e XIV secolo. Un tipo simile, ma pubblicato come reperto tardoantico in giacitura 79

FRANCESCA GRASSI secondaria, è a Castel di Pietra (CITTER 2002, n. 5, tav.7)

chiuso del castello di Montarrenti (tipo II.2.12, p.121), datato tra VIII e IX secolo; a Roccastrada, BASILE 20062007, tipo I.7.g, datato tra VII e VIII secolo; a Siena, CANTINI 2005, tav. 26, tipo 5.43 datato prima metà VII secolo.

Catini gruppo 2 (Fig. 23) Catini con orlo ingrossato Tipo: 1 Descrizione: orlo piatto e ingrossato, cavetto emisferico. Decorazione: decoro sinusoidale sul bordo e sul corpo nella superficie esterna. Distribuzione: Montemassi, Roccastrada Cronologia attestata nei siti di diffusione: VIII-X secolo. Area di produzione: fornace di Roccastrada Confronti bibliografici: a Siena, CANTINI 2005, tav. 24, tipo 5.31, datato seconda metà VI-inizio VII secolo; a Montarrenti, CANTINI 2003, tavola 4, tipo I.3.1, seconda metà VIII-IX secolo; nel Chianti senese, VALENTI 1995, tavola LXXXIII, nn.1-3-7, p. 163, datato tra VI e VII secolo;

Tipo: 3 Descrizione: orlo rientrante, scanalato, corpo di forma emisferica. Decorazione: filettato Distribuzione: Palaia, Donoratico. Cronologia attestata nei siti di diffusione: X-XI secolo Area di produzione: areale pisano Confronti bibliografici: simile ai catini con orlo introflesso provenienti da Montarrenti, tipo II.2.2, VIIIIX secolo (CANTINI 2003, p.120); a Donoratico si veda tipo 2 tav. 2, IX secolo (GRASSI, LIGUORI 2004). Tipo: 4 Descrizione: orlo rientrante arrotondato, corpo globulare. Decorazione: filettato o con decorazione sinusoidale esterna. Distribuzione: Populonia Le Logge, Cugnano. Cronologia attestata nei siti di diffusione: VIII-IX secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: nessun confronto.

Catini gruppo 3 (Fig. 23) Catini con orlo squadrato ed estroflesso Tipo: 1 Descrizione: bordo estroflesso, orlo squadrato, insellato leggermente nella parte superiore, parete carenata nella parte inferiore del vaso. Trattamento superfici: superfici esterne lucidate a panno, coloritura rossastra. Decorazione: lungo il bordo interno motivo graffito a punta; lo stesso decoro, mal conservato, si riconosce sulla superficie esterna. Subito sotto l'orlo è presente un foro di sospensione. Distribuzione: Campiglia Marittima, Fauglia. Cronologia attestata nei siti di diffusione: fine IX-X secolo. Area di produzione: non identificata Confronti bibliografici: edito in BOLDRINI, GRASSI 1999, tav. II, n. 1; BERTI, CAPPELLI, CIAMPOLTRINI 1992, tav. I, n. 1 (da Lucca, datato tra IX e X secolo con macchia di vetrina sul bordo esterno); RONCAGLIA, 1986, fig.3 n.2 (Montarrenti, Siena, datato tra X e XI secolo); MENCHELLI 1993, p. 514, n. 13 (Pisa, Piazza Dante, da contesti di X- s.m. XIII secolo).

Tipo: 5 Descrizione: orlo arrotondato, leggermente introflesso, cavetto conico. Decorazione: filettatura Distribuzione: Montemassi, Roccastrada, Cugnano. Cronologia attestata nei siti di diffusione: VIII-X secolo. Area di produzione: fornace di Roccastrada Confronti bibliografici: dal Chianti senese, VALENTI 1995, tav. LXXXIII, datato tra VI e VII secolo. CERAMICA DA DISPENSA III. Ceramica per la conservazione degli alimenti

Catini gruppo 4 (Fig. 24) Catini con orlo rientrante Tipo: 1 Descrizione: orlo rientrante appuntito, corpo globulare (?). Distribuzione: Rocca San Silvestro, Palaia. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XI secolo Area di produzione: Pisa o areale pisano Confronti bibliografici: nessuno

III.1 Acroma depurata BROCCHE Brocche gruppo 1 (Fig. 25) Brocche con ansa complanare pisane o senesi Tipo: 1 Descrizione: orlo arrotondato o appiattito, bocca circolare o trilobata con eventuale beccuccio, collo cilindrico o leggermente troncoconico, solcatura tra collo e spalla pronunciata, corpo ovoide, fondo piano con stacco a cordicella o a lama; ansa a nastro impostata immediatamente sotto l’orlo anche complanare. Trattamento superfici: stacco a cordicella o a lama del fondo. Decorazione: si associano a bolli su ansa. Distribuzione: Campiglia Marittima, Rocca San Silvestro, Piombino S. Antimo, Piombino Castello. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XII-XIV secolo. Area di produzione: Pisa

Tipo: 2 Descrizione: bordo introflesso rientrante, orlo squadrato, corpo globulare. Decorazione: sulla parte superiore del bordo e sulla parete esterna (fascia alta) del vaso serie di cerchietti impressi; sempre sulla parete esterna fitta filettatura. Distribuzione: Campiglia Marittima, Palaia, Fauglia. Cronologia attestata nei siti di diffusione: X-XI secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere, areale pisano. Confronti bibliografici: CANTINI 2003, in un contesto 80

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO Confronti bibliografici: BERTI, GELICHI 1995, tipo “c”, fig.7, 8; BERTI, MENCHELLI 1998, p.312, gruppo II, n.3. Due esemplari interamente ricomposti, rinvenuti a Rocca San Silvestro, sono conservati presso il Museo del Temperino (Parco Archeologico- Minerario di San Silvestro- Campiglia M.ma).

e in generale in tutti i castelli della bassa Toscana sono presenti, spesso affiancati ai prodotti pisani funzionalmente analoghi. Tipo: 5 Descrizione: orlo arrotondato internamente, stacco tra collo e spalla, corpo globulare. Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIII-XIV secolo. Area di produzione: Siena Confronti bibliografici: vedi tipo 4.

Tipo: 2 Descrizione: orlo arrotondato o appiattito, più o meno ingrossato, bocca circolare o trilobata con eventuale beccuccio poco accentuato, collo cilindrico o leggermente troncoconico, solcatura tra collo e spalla, spalla pronunciata, corpo ovoide, fondo piano apodo con stacco a cordicella o a lama; ansa a nastro impostata immediatamente sotto l’orlo (talvolta anche complanare) che, dopo un tratto rettilineo, piega verso il punto di massima espansione del vaso. Trattamento superfici: stacco a cordicella o a lama del fondo. Decorazione: si associano a bolli su ansa Distribuzione: Campiglia Marittima, Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi, Piombino S. Antimo, Piombino Castello. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XII-XIV secolo. Area di produzione: Pisa Confronti bibliografici: BERTI, GELICHI 1995, tipo “c”, fig.7, 8; BERTI, MENCHELLI 1998, p.312, gruppo II, n.3.

Tipo: 6 Descrizione: bordo ingrossato, collo dritto, corpo globulare, ansa a nastro impostata sull’orlo e complanare, fondo piano. Decorazione: decorazione a pettine sulla spalla con registri multipli e paralleli. Distribuzione: Campiglia Marittima Cronologia attestata nei siti di diffusione: seconda metà XIV secolo. Area di produzione: Siena Confronti bibliografici: vedi tipo 4. Tipo: 7 Descrizione: orlo leggermente ingrossato e trilobato, collo troncoconico diviso dalla spalla da un’evidente solcatura, corpo globulare. Decorazione: superfici filettate sul collo e, più lievemente, sul corpo. Motivo a lunghe onde incise a punta sulla parte centrale del vaso. A volte, in alcuni esemplari, tali motivi compaiono separati. Distribuzione: Campiglia Martittima, Rocca San Silvestro. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XII secolo Campiglia Marittima; fine XI-prima metà XIII secolo Rocca San Silvestro. Area di produzione: Pisa Confronti bibliografici: edito in BOLDRINI, GRASSI 1999, tav. IV, n. 14. I confronti si trovano in BERTI, GELICHI 1995 tipo “d”, Gruppo II, 1 e 2. Il decoro sinusoidale è documentato in MENCHELLI, RENZI RIZZO 2000 (Pisa, Piazza dei Cavalieri, p.136,tav.II,7.1 e7.2), ma su boccali tipo “Busi”. A Cosa, è documentato come tipo Cosa 1, (CIRELLI, HOBART 2003, nn. 10-13), associato a colature di vetrina e datato tra XI e XII secolo.

Tipo: 3 Descrizione: orlo arrotondato, bocca circolare, collo cilindrico, spalla pronunciata, corpo ovoide, fondo piano con stacco a cordicella o a lama; ansa a nastro complanare. Trattamento superfici: steccate a lama internamente ed esternamente (solo nella parte terminale del vaso). Decorazione: si associano a bolli su ansa. Distribuzione: Populonia Le Logge, Palaia. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XI secolo Area di produzione: Pisa Confronti bibliografici: queste brocche appartengono alle prime produzioni fabbricate con impasti depurati nella città di Pisa (tipo G.I A in BERTI, MENCHELLI 1998, fabbricato a partire dalla seconda metà del X secolo fino alla seconda metà dell’XI secolo) associate ad un bollo radiale sull’ansa tipo III.C (BERTI, GELICHI 1995). Nei siti del contado si trovano nel corso dell’XI secolo. Tipo: 4 Descrizione: bordo ingrossato, collo dritto, corpo globulare, ansa a nastro impostata sull’orlo e complanare, fondo piano. Decorazione: spesso questo tipo è presente con bolli radiali sull’ansa simili a quelli tipologizzati per Pisa (BERTI, GELICHI 1995). Distribuzione: Montemassi Cronologia attestata nei siti di diffusione: seconda metà XIII -XIV secolo. Area di produzione: Siena Confronti bibliografici: si tratta di una brocca prodotta a Siena tra metà XIII e XIV secolo, molto simile al tipo pisano n. 1 sempre nella gruppo 1. FRANCOVICH 1982, fig.230, fn 15 (Siena, contrada del Nicchio) è l'esempio classico; ma si veda anche a Siena, C’era una Volta 2001

Tipo: 8 Descrizione: orlo rettangolare e piatto, ansa con sezione a nastro impostata sotto l'orlo, corpo globulare filettato. Decorazione: filettatura Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: XI-XII secolo. Area di produzione: Pisa (?) Confronti bibliografici: a Pisa, Piazza Dante, è simile al n.13, datato tra fine X ed inizio XII secolo (MENCHELLI 1993, p.488). Brocche gruppo 2 (Fig. 26) Brocche con corpo molto globulare ed ansa leggermente sormontante, collo strozzato 81

FRANCESCA GRASSI Tipo: 1 Descrizione: orlo trilobato, bordo arrotondato ed estroflesso, ansa a nastro, corpo fortemente globulare, stacco marcato con due linee incise tra collo e spalla. Trattamento superfici: steccata nella superficie interna, dalla spalla al fondo. Decorazione: bollo a rosetta impresso a crudo sul culmine dell'ansa. Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: IX-X secolo Area di produzione: regionale Confronti bibliografici: la forma trova un confronto puntuale con la curtis di Montarrenti posizionata nell'entroterra, CANTINI 2003, brocca tipo II.4.2, datata metà VIII-IX secolo. Si trova inoltre in FRANCOVICH, VALENTI 1997, tipo E2 tavola IV proveniente da Fiesole, Firenze, Poggio del Boccaccio, Prato e Lucca, datata fine X secolo. Per il bollo si rimanda a Fiesole (FRANCOVICH, VANNINI 1989), esemplare n. 1336.

Silvestro, XI-XII secolo Rocchette Pannocchieschi, X-XI secolo Montemassi. Area di produzione: forse Pisa Confronti bibliografici: simile a BERTI, MENCHELLI 1998 (brocche del II gruppo, datazione XI sec.); MENCHELLI, RENZI RIZZO 2000, Pisa, P.za dei Cavalieri, tipo 3.4 datata alla prima metà dell’XI secolo, tav.1 pag.132. Brocche gruppo 3 (Fig. 27) Brocche con corpo ovoide ed ansa squadrata Tipo: 1 Descrizione: collo troncoconico, corpo ovoide, fondo piano, apodo. Ansa a nastro con bordi squadrati, impostata sul corpo, impostata sotto alla massima espansione del vaso e probabilmente complanare all'orlo. Trattamento superfici: superfici esterne e interne lisciate a panno e a stecca. All'interno le superfici sono rifinite a stecca e a polpastrello. Decorazione: sul collo filettatura fine con solcature più marcate presso l'attacco dell'ansa. Distribuzione: Campiglia Marittima Cronologia attestata nei siti di diffusione: X-XI secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: edito in BOLDRINI, GRASSI 1999, tav. I, n.6; boccali tipo A da Fiesole (FI) in FRANCOVICH, VANNINI 1989, n.1348, p.41; CANTINI 2003 (Montarrenti, metà VIII- IX sec.) tipo II.4.2, tale reperto però ha solo la parte inferiore del corpo lisciata a stecca ed ha impasto molto depurato. A Scarlino, contestio inedito, tipo IV.6a, p. 278, X-XI secolo (MARASCO 2002/2003); a Siena, CANTINI 2005, tav.6, tipo 4.14, IX secolo.

Tipo: 2 Descrizione: orlo arrotondato ed estroflesso, corpo molto globulare, ansa a nastro sormontante, fondo piano. Trattamento superfici: steccata nella parte bassa della parete Decorazione: filettata Distribuzione: Montemassi Cronologia attestata nei siti di diffusione: X-XI secolo Area di produzione: Siena Confronti bibliografici: confronti con una brocca proveniente da Montarrenti, CANTINI 2003, n. II.4.3, VIII-XI secolo; a Siena, CANTINI 2005, tav.7, tipo 4.13, IX secolo e tav. 8, tipo 4.19, residua in strati di XIII secolo.

Tipo: 2 Descrizione: brocca con ansa squadrata sormontante, orlo indistinto. Trattamento superfici: steccata e lisciata Distribuzione: Montemassi Cronologia attestata nei siti di diffusione: X secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: vedi tipo 1.

Tipo: 3 Descrizione: orlo molto estroflesso e corpo globulare. Trattamento superfici: steccata Decorazione: decoro sinusoidale inciso a doppio registro. Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: fine X-prima metà XI secolo. Area di produzione: regionale (forse area pisana) Confronti bibliografici: vedi tipo 1 e 2.

Brocche gruppo 4 (Fig. 27) Brocche con corpo ovoide ed attacco dell’ansa alla metà del collo Tipo: 1 Descrizione: bordo leggermente estroflesso; orlo squadrato; collo troncoconico; ansa a nastro impostata sotto l'orlo; corpo globulare; fondo piano con strozzatura verso il piede. Trattamento superfici: steccatura della parte più bassa del vaso, ma non del fondo. Lisciatura interna a stecca e a polpastrello. Distribuzione: Campiglia Marittima Cronologia attestata nei siti di diffusione: X-XI secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: edito in BOLDRINI, GRASSI 1999, tav. III, n.10; BERTI, MENCHELLI 1998, brocche del gruppo II, fig.3/1.

Tipo: 4 Descrizione: orlo trilobato, bordo arrotondato ed estroflesso, ansa a nastro sormontante, corpo fortemente globulare. Decorazione: filettatura presente su tutta la superficie esterna. Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: X secolo Area di produzione: regionale Confronti bibliografici: vedi tipo 1 e 2. Tipo: 5 Descrizione: collo troncoconico con avvio di orlo trilobato, ampia spalla, corpo globulare. Decorazione: può presentare filettatura. Distribuzione: Campiglia Marittima, Rocca San Silvestro, Rocchette, Montemassi. Cronologia attestata nei siti di diffusione: fine X-fine XI secolo Campiglia Marittima, XII secolo Rocca San

Tipo: 2 Descrizione: bordo estroflesso, orlo leggermente ingrossato e appuntito, collo troncoconico, ansa a nastro 82

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO impostata a metà del collo stesso. Trattamento superfici: debole schiarimento Distribuzione: Campiglia Marittima Cronologia attestata nei siti di diffusione: seconda metà XII-seconda metà XIII secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: potrebbe richiamare (nel tipo di attacco dell’ansa) BERTI, MENCHELLI 1998, p.313, gruppo III, fig.4, n.1., che le autrici dichiarano forse non ben ricostruito nella forma.

V, n. 16; a Scarlino, MARASCO 2002-2003, tav. LXXV, tipo II.2.6, X-XI secolo; a Poggio Imperiale, NARDINI 1996, tav. IV, n. 2, metà VIII-X secolo; a Grosseto, VALDAMBRINI 2005, tav. IV, n. 2, prima metà VII secolo. Orcioli gruppo 2 (Fig. 28) Orcioli con orlo piatto Tipo: 1 Descrizione: orlo piatto, bordo estroflesso, spalla pronunciata. Decorazione: rotellatura incisa sul bordo Distribuzione: Campiglia Marittima, Rocca San Silvestro. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XII secolo Area di produzione: Pisa Confronti bibliografici: simile ad una forma proveniente da Piazza Dante a Pisa (BERTI, MENCHELLI 1998, fig. 8, nn.4-5); RICCI 1990, pp.269-299.

Tipo: 3 Descrizione: orlo leggermente estroflesso ed arrotondato, ansa a nastro impostata sul collo. Distribuzione: Montemassi Cronologia attestata nei siti di diffusione: VIII secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: Piazza Dante, Pisa, tipo 25 con ansa impostata sul collo (MENCHELLI 1993, p.491), datato tra X e XIII secolo.

Tipo: 2 Descrizione: orlo piatto, collo con sagomatura, corpo ovoide. Trattamento superfici: lisciatura Distribuzione: Populonia Le Logge Cronologia attestata nei siti di diffusione: VIII-IX secolo. Area di produzione: regionale Confronti bibliografici: RICCI 1990, pp. 269-299.

ORCIOLI Orcioli gruppo 1 (Fig. 28) Orcioli con orlo squadrato Tipo: 1 Descrizione: orlo indistinto, bordo verticale, collo leggermente troncoconico, segnato da solcature e diviso nettamente dalla spalla, corpo globulare che presenta nel punto di max. espansione l’attacco di un’ansa a nastro; fondo leggermente concavo, apodo. Distribuzione: Campiglia Marittima Cronologia attestata nei siti di diffusione: XII secolo Area di produzione: regionale Confronti bibliografici: edito in BOLDRINI, GRASSI 1999, tav. IV, n. 15. la forma richiama esemplari in vetrina pesante e sparsa, di area romana, per i quali vedi BARTOLONI1985 tav. XVI nn.158 e tav. XVII n.171.

Tipo: 3 Descrizione: orlo piatto, collo con sagomatura, corpo ovoide. Trattamento superfici: lisciatura Distribuzione: Populonia Le Logge Cronologia attestata nei siti di diffusione: X secolo Area di produzione: regionale Confronti bibliografici: vedi tipo 2. Tipo: 4 Descrizione: orlo piatto e arrotondato, breve collo, corpo globulare. Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIII secolo Area di produzione: regionale Confronti bibliografici: nessun confronto.

Tipo: 2 Descrizione: orlo indistinto, collo dritto, corpo molto globulare. Decorazione: filettatura Distribuzione: Montemassi Cronologia attestata nei siti di diffusione: IX-XI secolo Area di produzione: fornaci di Roccastrada. Confronti bibliografici: Scarlino, contesto inedito (MARASCO 2002-2003, tipo II.2.14) X-XI secolo; Podere Aione, (CUCINI 1989) n. 67, IX secolo; Piazza Dante, Pisa (MENCHELLI 1993, p. 500, n.8) fine X-XII secolo; a Siena, CANTINI 2005, tav. 50, tipo 8.19, prima metà VII secolo; a Roma, RICCI 1998, fig.12, n. 5, dal VII secolo.

Tipo: 5 Descrizione: orlo piatto e ingrossato, corpo ovoide, doppia ansa a nastro, fondo piano provvisto di fori (tipo colatoio). Decorazione: filettatura Distribuzione: Piombino S. Antimo Cronologia attestata nei siti di diffusione: metà XIII secolo. Area di produzione: Pisa Confronti bibliografici: simile ad una forma proveniente da Piazza Dante a Pisa (BERTI, MENCHELLI 1998, fig. 8, nn. 4-5).

Tipo: 3 Descrizione: orlo squadrato e sagomato, collo dritto, corpo globulare. Trattamento superfici: sbiancato e steccato Decorazione: filettatura Distribuzione: Montemassi, Roccastrada Cronologia attestata nei siti di diffusione: VII-VIII secolo. Area di produzione: fornaci di Roccastrada Confronti bibliografici: a Roccastrada, BASILE 20062007, tipo III.1.d, datato VII secolo e GUIDERI 2000, tav.

Orcioli gruppo 3 (Fig. 28) Orcioli con orlo estroflesso Tipo: 1 Descrizione: orlo estroflesso ed appuntito, leggermente 83

FRANCESCA GRASSI insellato. Distribuzione: Montemassi Cronologia attestata nei siti di diffusione: X-XI secolo Area di produzione: regionale Confronti bibliografici: Scarlino, contesto inedito (MARASCO 2002/2003, tipo II.2.16) X-XI secolo; a Pianabella (CIARROCCHI et alii 1993, n.35, p.229) un tipo simile si data al IX secolo.

Confronti bibliografici: RICCI 1990, pp. 296-299. ORCI A BECCACCIA Orcio a beccaccia gruppo 1 (Fig. 29) Orcio con becco pronunciato, ansa complanare, corpo globulare, fondo piano Tipo: 1 Descrizione: orlo a beccaccia, collo cilindrico, spalla accentuata e corpo ovoide molto rastremato verso il basso, fondo piano apodo, ansa a nastro impostata sotto l’orlo. Decorazione: può essere provvisto di bolli a rotella sull’ansa (BERTI, GELICHI 1995). Distribuzione: Rocca San Silvestro, Campiglia Marittima. Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIII-XIV secolo. Area di produzione: regionale Confronti bibliografici: a Pistoia, VANNINI 1987, p. 398, n. 2165 datato alla fine del XIII secolo-inizio XIV secolo.

Tipo: 2 Descrizione: orlo estroflesso ed appuntito, corpo globulare, fondo piano talvolta provvisto di fori (tipo colatoio), due anse a nastro laterali. Distribuzione: Piombino S. Antimo, Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: metà XIII secolo-XIV secolo. Area di produzione: Pisa Confronti bibliografici: simile ad una forma proveniente da Piazza Dante a Pisa (BERTI, MENCHELLI 1998, fig. 8, nn.4-5). Tipo: 3 Descrizione: bordo estroflesso, orlo squadrato, corpo ovoide (?). Trattamento superfici: Superfici esterne lucidate a panno, coloritura rossastra. Decorazione: lungo il bordo interno motivo ondulato graffito a punta; sulla parete esterna linee orizzontali e doppio motivo ondulato graffito a punta. Distribuzione: Campiglia Marittima Cronologia attestata nei siti di diffusione: fine IX-X secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: edito in BOLDRINI, GRASSI 1999, tav. II, n. 2; confronti in CIARROCCHI et alii 1993 fig.2, n.3 (contesti di tardo VIII sec., in acroma grezza da Pianabella- Ostia antica); PATTERSON 1993, fig.4, n.36 (campagna romana, inizi IX sec.); CANTINI 2003 (Montarrenti, XII-XIII sec.), tipo II.7.5, tale esemplare ha però impasto depurato e superfici non lisciate.

ANFORE Anfora gruppo 1 (Fig. 30) Anfora con orlo arrotondato, collo dritto, spalla marcata ed ansa ad orecchietta Tipo: 1 Descrizione: parete di contenitore chiuso con ansa a sezione squadrata impostata sulla spalla. Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: IX-X secolo Area di produzione: regionale Confronti bibliografici: l'attribuzione di una produzione locale per questa forma è basata sull'analisi dell'impasto, identico a quello con cui sono foggiate olle e testelli. La forma trova un confronto puntuale con i materiali in corso di studio del castello di Scarlino dove contenitori simili sono attestati dall’VIII al XIII secolo (MARASCO 20022003, pp.235-239). Si veda anche la ceramica dal contesto di superficie di Podere Serratone (VACCARO 2005, tav.II, n.2) dove si trova un simile contenitore con ansa impostata sulla spalla. Un confronto simile nella forma, ma non altrettanto nell'impasto (definito "industriale) si trova tra i reperti provenienti dall’insediamento rupestre di Vitozza, Gr (FRANCOVICH, GELICHI, PARENTI 1980) fig. 57, n. 3.

Tipo: 4 Descrizione: orlo squadrato ed erstroflesso, collo marcato, corpo globulare. Decorazione: filettatura Distribuzione: Montemassi Cronologia attestata nei siti di diffusione: VIII-X secolo. Area di produzione: regionale Confronti bibliografici: a Scarlino, contesto inedito (MARASCO 2002/2003), tipo II.2.17, X-XI secolo; a Roma, DELOGU et alii 2001, pp.511-518, nn. IV-5-38 e IV.6.200, VIII-IX secolo; a Roma, RICCI 1998, fig.13, n.4, a partire dal VII secolo.

Tipo: 2 Descrizione: parete ed ansa a nastro pertinenti ad un contenitore chiuso. Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: X secolo Area di produzione: forse non regionale Confronti bibliografici: analogie formali molto stringenti nella forma e nell'impasto con un vaso proveniente da Grosseto, scavi urbani in contesto di VII secolo (FRANCOVICH et alii 2000, tav.1, n.1) e dal castello di Scarlino con cronologie dal VII al X secolo. Alcune somiglianze si notano anche con i prodotti di VII secolo provenienti dalla Crypta Balbi (RICCI 1998, fig. 10 n. 6).

Tipo: 5 Descrizione: orlo estroflesso e arrotondato, corpo ovoide. Decorazione: sottile filettattura Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: XI-XII secolo. Area di produzione: regionale

Tipo: 3 84

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO Descrizione: contenitore di forma chiusa con orlo arrotondato, collo dritto con ansa leggermente insellata impostata sulla spalla. Trattamento superfici: lisciato esternamente. Distribuzione: Montemassi Cronologia attestata nei siti di diffusione: VIII-X secolo. Area di produzione: fornaci Roccastrada Confronti bibliografici: vedi tipo 1.

sinusoidali Tipo: 1 Descrizione: collo allungato, corpo ovoide, fondo piano. Rivest. Esterno: colature casuali di vetrina di spessore molto sottile e di colore verde. Decorazione: decorazione ondulata incisa sul corpo. Distribuzione: Campiglia Marittima, Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi, Cugnano, Donoratico, Castel di Pietra (?). Cronologia attestata nei siti di diffusione: seconda metà IX-X/XI secolo. Area di produzione: areale costiero Colline Metallifere Confronti bibliografici: vetrina sparsa si trova inoltre nelle Colline Metallifere in altri siti, tra cui Scarlino (MARASCO 2002-2003) e Castel di Pietra (CITTER 2002, p. 137, tav. 8, n. 21), pur avanzando per quest’ultimo castello alcuni dubbi in base alla forma del vaso presentato come vetrina sparsa. Per il caso delle vetrine sparse di Rocca San Silvestro, almeno uno dei due esemplari presenti nel castello in base alla presenza di materiali vulcanici, può ricondursi alla zona lazialecampana ed è difatto presente in una cronologia più tarda (XII secolo, si vedano le analisi in SFRECOLA 1992, pp. 584-587 e BOLDRINI, GRASSI, MOLINARI 1998).

III.2 Ceramica dipinta a colature rosse BROCCA Brocca gruppo 1 (Fig. 31) Brocca con ansa a nastro complanare, corpo globulare, fondo piano Tipo: 1 Descrizione: orlo arrotondato ed estroflesso, collo poco marcato, ansa a nastro impostata all'altezza dell'orlo, copro globulare, fondo piano. Trattamento superfici: superficie esterna steccata esternamente. Rivest. Esterno: colature casuali di ingobbio rosso e tre bande di ingobbio rosso parallele sull'ansa. Decorazione: decoro sinusoidale inciso Distribuzione: Campiglia Marittima, Rocchette Pannocchieschi, Donoratico. Cronologia attestata nei siti di diffusione: X-XI secolo Area di produzione: Pisa (?) Confronti bibliografici: tra le produzioni pisane si notano brocche con fondi piani e pareti lisciate (ABELA 1993, p. 417. nn. 4-6 ed ABELA 2000a p. 120, nn.1-2) datate al X-XI secolo. Anche in queste forme la decorazione a bande non riproduce nessun decoro, ma è casuale. A Roma (RICCI 1990d) le forme non sembrano ricordare quelle toscane e la cronologia dei tipi è più bassa, tra XII e XIII secolo. A Napoli, (Palazzo Corigliano1985, pp. 60-64) la forma che predomina nelle produzioni di ceramica dipinta bassomedievale è la brocca con ansa a nastro (idem, nn.11-13, p. 62).

CERAMICA DA MENSA IV. Ceramica fine rivestita da mensa IV.1 Maiolica arcaica Produzione pisana Forme aperte (vedi Parte Seconda, Fig. 49) BACINO Numero: 1a Distribuzione: Montemassi Cronologia attestata nei siti di diffusione: 1250-1260 Confronti bibliografici: simile a BERTI 1997a, tipo Aa dalla Chiesa di San Francesco, con decoro costituito da rombi campiti a graticcio, variante del motivo fig. 34, numero VI.

GRANDE OLLA Olla gruppo 1 (Fig. 31) Olla con orlo arrotondato, copro globulare, ansa, fondo piano Tipo: 1 Descrizione: bordo arrotondato, corpo globulare, ansa impostata a metà corpo, fondo piano. Decorazione: decoro costituito da bande parallele verticali sul corpo sistemate a coppia larghe circa cm.1 sormontate da un punto del diametro di cm. 1.2. Distribuzione: Campiglia Marittima Cronologia attestata nei siti di diffusione: XII secolo Area di produzione: regionale Confronti bibliografici: i confronti più simili sono con alcune olle rinvenute in contesti romani, non dipinte, datate dall' XI al XIII secolo (RICCI 1990a, pp. 243-247).

Numero: 1b Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: 1270-1330 Confronti bibliografici: BERTI 1997a, motivo XIV gruppo, variante tipo b3. Numero: 2 Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: 1250-1300 Confronti bibliografici: simile a BERTI 1997a, tav. 3, n. c, 1300-1370, ma con motivo XI gruppo (1210-1270). CIOTOLA Numero: 3 Distribuzione: Rocca San Silvestro, Campiglia Marittima Cronologia attestata nei siti di diffusione: 1330-1370 Confronti bibliografici: simile a BERTI 1997a, tav. 25, p. 85.

III.3 Vetrina sparsa BROCCA/BOCCALE Brocca/Boccale gruppo 1 (Fig. 32) Brocca/Boccale con copro ovoide, fondo piano, incisioni

Numero: 6a 85

FRANCESCA GRASSI Distribuzione: Rocca San Silvestro, Campiglia Marittima Cronologia attestata nei siti di diffusione: 1330-1370 Confronti bibliografici: BERTI 1997, tipo Ab, i - 1,5, tav.25. L’esemplare presenta monocromia oppure motivo BERTI 1997, V gruppo datato 1270- 1370.

gruppo a/b. SCODELLA Numero: 7a Distribuzione: Rocca San Silvestro, Campiglia Marittima Cronologia attestata nei siti di diffusione: 1270-1350 Confronti bibliografici: BERTI 1997, tav. 48-50, pp. 9699.

Numero: 6b Distribuzione: Rocca San Silvestro, Campiglia Marittima Cronologia attestata nei siti di diffusione: 1210-1400 Confronti bibliografici: BERTI 1997, tipo Ab, i - 1,5, tav.25. L’esemplare presenta monocromia oppure motivo BERTI 1997, V gruppo datato 1270- 1370, oppure semplici barrette in manganese sul bordo.

Numero: 7b Distribuzione: Rocca San Silvestro, Campiglia Marittima Cronologia attestata nei siti di diffusione: 1350-1400 Confronti bibliografici: BERTI 1997, tipo Ba R 1.33, 1.19, 1.39, tav.48. L’esemplare presenta decoro del tipo BERTI 1997, IV gruppo, C3, 1330-1460 oppure monocromia.

Numero: 6c Distribuzione: Rocca San Silvestro, Campiglia Marittima Cronologia attestata nei siti di diffusione: 1400-1460 Confronti bibliografici: BERTI 1997, tipo Ab, i + 1,5, tav.18, esemplare monocromo.

Produzione pisana Forme chiuse (vedi Parte Seconda, Fig. 50) ALBARELLO Numero: 1 Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIII-XIV secolo Confronti bibliografici: BERTI 1997, tipo Db, decoro motivo BERTI 1997, XI gruppo, 1240-1320.

CATINO Numero: 4 Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: 1350-1400 Confronti bibliografici: BERTI 1997, tav. 31, tipo 5. Numero: 5a Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: 1260-1320 Confronti bibliografici: BERTI 1997, tipo Bc 1.16, tav. 58 c.

BOCCALE Numero: 2 Distribuzione: Rocca San Silvestro, Campiglia Marittima, Donoratico Cronologia attestata nei siti di diffusione: 1230-1310 Confronti bibliografici: BERTI 1997, tipo Ca.1. Associato a decori figurati oppure a motivi XI gruppo, 1240-1320 generalmente molto complessi.

Numero: 5b Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: 1260-1350 Confronti bibliografici: BERTI 1997, tipo Bd R 1.20, tav.59. L’esemplare presenta decoro del tipo BERTI 1997, V gruppo, datato 1270-1380.

Numero: 3 Distribuzione: Rocca San Silvestro, Campiglia Marittima Cronologia attestata nei siti di diffusione: 1260-1330 Confronti bibliografici: BERTI 1997, tipo Ca.4.1

Numero: 5c Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: 1260-1320 Confronti bibliografici: BERTI 1997, tipo Bc 1.16, tav. 58. L’esemplare presenta decoro del tipo BERTI 1997, V gruppo, datato 1260-1320 e una sequenza sulla tesa tipo I, a2.

Numero: 4 Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: seconda metà XIII-XIV secolo Confronti bibliografici: un confronto possibile, trattandosi sicuramente di produzione pisana, è con l’orciolo tipo Da in BERTI 1997.

Numero: 8 Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: 1350-1400 Confronti bibliografici: BERTI 1997, terza fase produttiva (MAIII) con esterno nudo, tav. 142. L’esemplare presenta decoro BERTI 1997, motivi I gruppo a/b.

Numero: 5 Distribuzione: Rocca San Silvestro, Campiglia Marittima Cronologia attestata nei siti di diffusione: 1350-1400 Confronti bibliografici: simile ad un tipo presente a Lucca, BERTI, CAPPELLI 1994, tipo Ca.5.1 di produzione pisana datato tra 1350 e 1450.

Numero: 9 Distribuzione: Rocca san Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: 1350-1400 Confronti bibliografici: BERTI 1997, terza fase produttiva (MAIII) con esterno nudo, tav. 143. L’esemplare presenta decoro BERTI 1997, motivi I

Numero: 6 Distribuzione: Rocca Marittima, Donoratico 86

San

Silvestro,

Campiglia

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO Cronologia attestata nei siti di diffusione: metà XIIIXIV secolo Confronti bibliografici: identico nella forma ai boccali monocromi pisani tipo Busi (BUSI 1984), presenti a Pisa anche in maiolica arcaica, vedi BERTI 1997. L’esemplare in questione presenta un sigillo plumbeo sull’ansa.

Numero: 3 Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi, Grosseto (Cassero Fortezza Medicea) Cronologia attestata nei siti di diffusione: 1230/401300 Confronti bibliografici: LUNA 1999, tipo 1

Numero: 7 Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: 1250-1330 Confronti bibliografici: BERTI 1997, tipo Ca.3, tav.110.

Numero: 4 Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi, Castel di Pietra, Grosseto (Cassero Fortezza Medicea) Cronologia attestata nei siti di diffusione: 1350-1400 Confronti bibliografici: LUNA 1999, tipo 5

Produzione senese Forme aperte (vedi Parte Seconda, Fig. 44)

Numero: 5 Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi, Castel di Pietra, Grosseto (Cassero Fortezza Medicea) Cronologia attestata nei siti di diffusione: 1350-1400 Confronti bibliografici: LUNA 1999, tipo 8

CATINO Numero: 1a Distribuzione: Montemassi Cronologia attestata nei siti di diffusione: 1230/401280 Confronti bibliografici: LUNA 1999, tipo 13.1, ma senza carenatura

Produzione volterrana Forme aperte (vedi Parte Seconda, Fig. 47) CATINI Numero: 1 Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: seconda metà XIII secolo Confronti bibliografici: nessuno

Numero: 1b Distribuzione: Montemassi, Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIII-XIV secolo Confronti bibliografici: LUNA 1999, tipo 13, ma con bordo ingrossato

Numero: 2a, 2b Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: prima metà XIV secolo Confronti bibliografici: a Siena, LUNA 1999, tipo 25; a Volterra PASQUINELLI 1987, variante tipo h; a Pisa, BERTI 1997, tav. 41.

Numero: 2a, 2b, 2c Distribuzione: Montemassi, Rocchette Pannocchieschi, Cugnano, Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Confronti bibliografici: LUNA 1999, tipo 16. Numero: 3a, 3b Distribuzione: Cugnano Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Confronti bibliografici: LUNA 1999, tipo 19

Numero: 3a Distribuzione: Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi, Montemassi Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Confronti bibliografici: a Siena, LUNA 1999, tipo 14; a Volterra, PASQUINELLI 1987, variante tipo c.

TAZZA Numero: 4 Distribuzione: Cugnano, Montemassi, Castel di Pietra Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Confronti bibliografici: LUNA 1999, tipo 29.

Numero: 3b Distribuzione: Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Confronti bibliografici: a Siena, LUNA 1999, tipo 23; a Volterra, PASQUINELLI 1987, variante tipo d.

Produzione senese Forme chiuse (vedi Parte Seconda, Fig. 44) BOCCALE Numero: 1 Distribuzione: Montemassi Cronologia attestata nei siti di diffusione: 1230/401280 Confronti bibliografici: LUNA 1999, tipo 2

Numero: 3c Distribuzione: Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Confronti bibliografici: a Siena, LUNA 1999, tipo 13; a Volterra, PASQUINELLI 1987, variante tipo e.

Numero: 2a, 2b, 2c Distribuzione: Montemassi, Castel di Pietra, Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: 1230/401350 Confronti bibliografici: LUNA 1999, tipo 3

Numero: 4a, 4b Distribuzione: Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi, Montemassi Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Confronti bibliografici: a Siena, LUNA 1999, tipo 14; a Volterra, PASQUINELLI 1987, variante tipo c. 87

FRANCESCA GRASSI CIOTOLE Numero: 5a, 5b Distribuzione: Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: seconda metà XIV secolo Confronti bibliografici: a Siena, LUNA 1999, tipo 19; a Volterra, PASQUINELLI 1987, variante tipo a; a Pisa, BERTI 1997, tav. 21.

COPERCHI Numero: 5a, 5b Distribuzione: Rocca San Silvestro (a), Rocchette Pannocchieschi (b) Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIII-XIV secolo Confronti bibliografici: a Volterra, Pasquinelli 1987, variante tipo 1-m, ma si tratta di piccole ciotoline Produzione massetana Forme aperte (vedi Parte Seconda, Fig. 48)

Numero: 6 Distribuzione: Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: seconda metà XIV secolo Confronti bibliografici: a Siena, LUNA 1999, tipo 19; a Volterra, PASQUINELLI 1987, variante tipo a; a Pisa, BERTI 1997, tav. 21.

CATINI Numero: 1 Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: prima metà XIV secolo Confronti bibliografici: a Siena, LUNA 1999, tipo 16, catino a nastro convesso; a Volterra, PASQUINELLI 1987, tipo b.

Produzione volterrana Forme chiuse (vedi Parte Seconda, Fig. 47)

Numero: 2 Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: prima metà XIV secolo Confronti bibliografici: a Siena, LUNA 1999, tipo 16, catino a nastro convesso; a Volterra, PASQUINELLI 1987, tipo c.

BOCCALI Numero: 1a, 1b Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: seconda metà XIII secolo Confronti bibliografici: nel contado è presente anche a Miranduolo (NARDINI, VALENTI 2005, p. 34). A Siena, LUNA 1999, tipo 2; a Volterra, PASQUINELLI 1987, fig. 2, esemplare proveniente dall’acropoli privo di contesto stratigrafico; a Pisa, BERTI 1997, tipo Ca1, tav. 106.

IV.2 Invetriata fine Produzione pisana con vetrina verde Forme aperte e chiuse (vedi Parte Seconda, Fig. 40)

Numero: 2 Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi, Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: prima metà XIV secolo Confronti bibliografici: a Siena, LUNA 1999, tipo 1; a Volterra, PASQUINELLI 1987, n.11, tav. XIII.

TAZZA Numero: 1 Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: prima metà XIII secolo Confronti bibliografici: Simile a Campiglia Marittima, ma proveniente dall’area umbro laziale, vedi BOLDRINI et alii 2004, p. 315. Si veda inoltre a Pisa, BERTI 1997, tav. 11, MA.1, tipo ab.

Numero: 3a, 3b Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi, Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: seconda metà XIV secolo Confronti bibliografici: a Siena, LUNA 1999, tipo 8; a Volterra, PASQUINELLI 1987, n.1, tav. XIV; a Pisa, BERTI 1997, tipo 5, tav. 119.

CATINO Numero: 2a Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: prima metà XIII secolo Confronti bibliografici: a Pisa, BERTI 1997a, MAI, tipo Bd, tav. 58, a-c; a Lucca, BERTI, CAPPELLI 1994, tav. 34, tipo Bc, 6-8.

Numero: 4a Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: seconda metà XIV secolo Confronti bibliografici: a Siena, Luna 1999, tipo 5; a Volterra, PASQUINELLI 1987, n.7, tav. XIII.

Numero: 2b Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: seconda metà XIII-XIV secolo Confronti bibliografici: a Pisa, BERTI 1997a, MAI, tipo Bd, tav. 58, a-c; a Lucca, BERTI, CAPPELLI 1994, tav. 34, tipo Bc, 6-8.

Numero: 4b Distribuzione: Rocchette Pannocchieschi Cronologia attestata nei siti di diffusione: seconda metà XIV secolo Confronti bibliografici: variante di 4a che al momento non trova confronti.

Numero: 2c Distribuzione: Marittima 88

Rocca

San

Silvestro,

Campiglia

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO Cronologia attestata nei siti di diffusione: seconda metà XIII-XIV secolo Confronti bibliografici: a Pisa, BERTI 1997a, MAI, tipo Bd, tav. 58, a-c; a Lucca, BERTI, CAPPELLI 1994, tav. 34, tipo Bc, 6-8.

CERAMICA PER VARI USI DOMESTICI V. Ceramica per la filatura V.1 Acroma grezza (Fig. 33) FUSERUOLE Fuseruola gruppo 1 Fuseruola a corpo globulare Tipo: 1 Descrizione: fuseruola a corpo globulare. Le superfici si presentano molto irregolari, il foro centrale è prodotto a crudo con un bastoncino. Distribuzione: Campiglia Marittima, Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi, Cugnano, Montemassi. Cronologia attestata nei siti di diffusione: X-XIV secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: l’utilizzo delle fuseruole, attestate sin dal Neolitico, è quello di pesi da telaio, o, più probabilmente per il fuso (SFLIGIOTTI 1990, p. 531). Sono molto diffuse e presenti in tutti i contesti domestici indagati archeologicamente in Toscana.

ORCIOLO Numero: 4a Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Confronti bibliografici: a Pisa, BERTI 1997, tipo D.a, tav. 123. Numero: 4b Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Confronti bibliografici: a Pisa, variante di BERTI 1997, tipo D.a, tav. 123. BROCCHETTA Numero: 5a, 5b Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Confronti bibliografici: trova confronti nei tipi senesi, si veda C’era una Volta 2001, scheda 20.

Tipo: 2 Descrizione: fuseruola a corpo globulare schiacciato. Le superfici si presentano molto irregolari, il foro centrale è prodotto a crudo con un bastoncino. Distribuzione: Campiglia Marittima, Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi, Cugnano, Montemassi. Cronologia attestata nei siti di diffusione: X-XIV secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: vedi tipo 1.

Produzione pisana con vetrina marrone Forme aperte (vedi Parte Seconda, Fig. 40) CIOTOLA Numero: 3a, 3b, 3c Distribuzione: Rocca San Silvestro Cronologia attestata nei siti di diffusione: prima metà XIII-XIV secolo Confronti bibliografici: si tratta dell’invetriata tipo “Santa Cecilia” prodotta a Pisa, si veda BERTI 1997, tipo Ab, tav.21.

Fuseruola gruppo 2 Fuseruola a corpo conico Tipo: 1 Descrizione: fuseruola a corpo conico Distribuzione: Campiglia Marittima, Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi, Cugnano, Montemassi. Cronologia attestata nei siti di diffusione: X-XIV secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: vedi gruppo 1, tipo 1.

Produzione senese con vetrina verde Forme aperte e chiuse (vedi Parte Seconda, Fig. 40) CATINO Numero: 6 Distribuzione: Cugnano Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Confronti bibliografici: vedi tipo 2a della produzione senese di maiolica arcaica ed anche LUNA 1999, tipo 16. RINFRESCATOIO Numero: 7 Distribuzione: Cugnano Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Confronti bibliografici: C’era una Volta 2001, scheda 22; LUNA 1999, tav.II, n.28.

V.2 Acroma depurata (Fig. 33) FUSERUOLE Fuseruola gruppo 1 Fuseruola a corpo globulare Tipo: 1 Descrizione: fuseruola a corpo globulare Distribuzione: Campiglia Marittima, Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi, Cugnano. Cronologia attestata nei siti di diffusione: X-XIV secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: vedi acroma grezza, gruppo 1, tipo 1.

BROCCHETTA Numero: 8a, 8b, 9, 10 Distribuzione: Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi, Montemassi Cronologia attestata nei siti di diffusione: XIV secolo Confronti bibliografici: C’era una Volta 2001, scheda 20; Prato 1978, p.102, tav. XXXIX, L172.

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FRANCESCA GRASSI Fuseruola gruppo 2 Fuseruola a corpo biconico Tipo: 1 Descrizione: fuseruola a corpo biconico Distribuzione: Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi, Cugnano, Montemassi, Donoratico. Cronologia attestata nei siti di diffusione: X-XIV secolo. Area di produzione: areale Colline Metallifere Confronti bibliografici: vedi acroma grezza, gruppo 1, tipo 1. Tipo: 2 Descrizione: fuseruola a corpo biconico con decori. Decorazione: decori incisi sulle superfici previamente steccate e costituiti da vari motivi (puntinati, a tacche, filettati). Distribuzione: Campiglia Marittima, Rocca San Silvestro, Rocchette Pannocchieschi, Cugnano, Montemassi, Donoratico. Cronologia attestata nei siti di diffusione: VII-X secolo Area di produzione: areale Colline Metallifere; fornace di Roccastrada. Confronti bibliografici: nessun confronto.

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appartenenza dell’impasto. Numero impasto e provenienza sito: viene indicato il sito, per mezzo di una sigla di riconoscimento, ed il numero progressivo assegnato all’impasto. Numero di analisi in microscopia ottica: vengono indicate le numerazioni dei campioni prelevati per l’analisi in sezione sottile. Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: viene indicato il tipo di manifattura, di solito a tornio veloce oppure a tornio lento/mano. Insieme alla voce sull'atmosfera di cottura, questo campo costituisce un riferimento per studiare la tecnologia dell'impasto e delle forme associate. atmosfera di cottura: definita dal colore del manufatto in frattura, è stata suddivisa in ossidante, riducente, ossidante e riducente (colorazione a strati), intermedia (colorazione cuoio) (PICON 1973). origine proposta: viene data un'attribuzione d'origine all'impasto in base alle informazioni desunte dalle varie analisi. cronologia: viene indicata la cronologia di presenza dell’impasto all’interno del sito. Microscopia binoculare: colore: basato sulle voci del triangolo indicante la variabilità degli impasti argillosi (MANNONI, GIANNICHEDDA 1996, p. 87). porosità: i termini usati sono poroso (con pori fini o grandi) o compatto. durezza: è stato fatto riferimento alla scala di Mohs. Le voci a disposizione sono: morbido (Mohs durezza 1/2), duro (Mohs durezza 3/4), molto duro (Mohs durezza 5/6), durissimo (Mohs durezza 6). frattura: i termini usati sono netta, regolare, irregolare, frastagliata, concoidale. inclusi: viene specificato il tipo di incluso se riconoscibile ad occhio nudo. Microscopia ottica tessitura: si descrive la relazione tra inclusi e matrice, distinguibile in iatale laddove la distribuzione granulometrica degli inclusi si presentava discontinua e seriale quando la distribuzione era continua. natura mineralogica dei granuli: si segnalano gli inclusi riconosciuti al microscopio frammenti litici: si segnalano i frammenti litici presenti al microscopio.

2. Il catalogo degli impasti ceramici Introduzione In questa parte del lavoro, presentiamo un catalogo diviso per insediamenti e per classi ceramiche di tutti gli impasti campionati. Per ogni sito le analisi effettuate sono state molteplici e non sempre omogenee tra sè; difatti in alcuni casi, come Rocca San Silvestro e Campiglia Marittima, le analisi hanno interessato tutta la campionatura degli impasti e sono state affrontate in maniera esaustiva, partendo da una semplice lettura macroscopica ed arrivando anche ad analisi chimiche dei componenti delle argille. Al contrario, vi sono stati siti nei quali la campionatura è stata parziale e le analisi svolte sono al momento soltanto relative ad indagini con il microscopio binoculare. Per spiegare le ragioni di tale disomogeneità, abbiamo scelto di aprire ogni capitolo dedicato agli impasti dei siti con una introduzione che motivi la campionatura svolta, esplicandone i criteri e le scelte di analisi compiute. In sintesi, gli impasti raccolti e campionati in 9 siti sono stati 89 e su di essi è stata effettuata nella totalità una lettura al microscopio binoculare e da questi sono stati selezionati 190 campioni per effettuare analisi in sezione sottile al microscopio ottico a luce polarizzata, mentre soltanto alcuni impasti provenienti da 5 siti (Campiglia, Rocca san Silvestro, Rocchette, Donoratico, Castel di Pietra) sono stati interessati anche da analisi chimiche. Gli impasti selezionati vengono presentati all’interno di un paragrafo dedicato ad ognuno dei 9 siti, attraverso una scheda divisa in tre parti e compilata sia durante la schedatura archeologica, sia durante la lettura al microscopio binoculare sia, infine, durante la lettura delle sezioni sottili ricavate come campioni. Le matrici ceramiche, divise per classi, sono state identificate con un numero progressivo arabo posposto alla sigla del sito di provenienza dell’impasto stesso e per ogni impasto è indicata la quantità ed il numero di campioni sottoposti ad analisi petrografica. La prima parte della scheda presenta i dati desumibili dalla schedatura archeologica come la tecnica di lavorazione, l’atmosfera di cottura, i tipi morfologici associati all’impasto, l’ipotesi dell’area di produzione, la cronologia di attestazione. Le voci della seconda parte della scheda permettono di inquadrare tutti i caratteri generali della matrice attraverso una lente d’ingrandimento o un microscopio binoculare (colore, porosità, durezza, frattura, inclusi principali). La parte terza della scheda comprende invece le informazioni ricavate dall’analisi dei campioni in microscopia ottica, con l’indicazione dei dati relativi all’aspetto strutturale del corpo ceramico (tipo di tessitura) ed all’aspetto morfologico e dimensionale degli inclusi (dimensioni, grado di arrotondamento), nonchè alla natura mineralogica degli stessi (natura mineralogica dei granuli e frammenti litici). La scheda è stata compilata apportando alcune modifiche alle indicazioni presenti in MOLINARI 1992, pp. 555-562 ed in OLCESE 1993, pp. 165-166.

2.1 Il catalogo §. Suvereto e Castel di Pietra I due insediamenti verranno trattati congiuntamente nell’ambito del catalogo degli impasti, dato che sono stati entrambi oggetto di una campionatura mirata alla comprensione di una problematica ceramologica specifica, quella delle olle modellate a tornio lento (GRASSI 1998), presenti in entrambi i siti ed in altre realtà limitrofe, tra cui Rocca San Silvestro, Campiglia Marittima, Piombino (si vedano capitoli relativi). Dunque, forniremo di seguito l’analisi relativa ad un solo impasto, prelevato nelle restituzioni ceramiche di Castel di Pietra (CP1) e Suvereto (SV1), relativo alle olle grezze da cucina prodotte a mano nel XIV secolo. Tale impasto è stato sottoposto ad analisi al microscopio binoculare ed al microscopio ottico (6 analisi).

Le voci della scheda sono dunque le seguenti: Classe ceramica: viene indicata la classe ceramica di 91

FRANCESCA GRASSI Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: CP1 Numero di analisi in microscopia ottica: 671, 672 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio lento atmosfera di cottura: riducente origine proposta: locale cronologia: XIV secolo Microscopia binoculare: colore: nero porosità: poroso con pori grandi durezza: morbido frattura: irregolare inclusi: quarzo, calcite Microscopia ottica Tessitura: iatale natura mineralogica dei granuli: quarzo, feldspati alterati (saussuritizzazione= alterazione del plagioclasio), pirosseni, epidoti, zoisite, calcite secondaria e ossidi frammenti litici: basalto, frammenti di qz+px alterati, plaghe di serpentino.

tessitura iatale (dovuta all’aggiunta di smagrante) con una matrice argillosa. Le dimensioni dello smagrante variano, per tutti gli impasti analizzati, da 0.3 a 3 mm mentre per lo scheletro da 0.1 a 0.3 mm con una forma dei granuli che varia da subarrotondata a spigolosa. Le ceramiche depurate, presentano una tessitura seriale (non c’è l’aggiunta di smagrante) con una matrice argillosa. Le dimensioni dello scheletro variano da 0.1 a 0.3 mm con una forma dei granuli che varia da subarrotondata a spigolosa. Si può ipotizzare che la zona di approvvigionamento del materiale geologico utilizzato per la produzione di questi manufatti fosse non lontana dall’area del rinvenimento dei manufatti, nelle zone vicine alla Rocca. Lo studio dei manufatti, mediante microscopio ottico e XRD, ha permesso di determinare la temperatura alla quale venivano cotte, sia le grezze sia le depurate, nell’intervallo tra i 700°C e gli 850°C (FORTINA et alii, 2004, p. 339). Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: RC1 Numero di analisi in microscopia ottica: 663-664-667673-674 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio lento atmosfera di cottura: riducente origine proposta: costiera cronologia: XI-XIV secolo Microscopia binoculare: colore: cuoio porosità: poroso con pori grandi durezza: morbido frattura: netta inclusi: quarzo Microscopia ottica Tessitura: iatale natura mineralogica dei granuli: quarzo, feldspati alterati (saussuritizzazione=alterazione dei plagioclasi), clorite alterata, augite, epidoti, zoisite, muscovite ed ossidi. frammenti litici: basalti, quarzo microcristallino.

Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: SV1 Numero di analisi in microscopia ottica: 681-682-683684 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio lento atmosfera di cottura: riducente origine proposta: locale cronologia: XIV secolo Microscopia binoculare: colore: nero porosità: poroso con pori grandi durezza: morbido frattura: irregolare inclusi: quarzo, feldspati. Microscopia ottica Tessitura: iatale natura mineralogica dei granuli: quarzo, feldspati alterati (saussuritizzazione= alterazione del plagioclasio), pirosseni, epidoti, zoisite, calcite secondaria e ossidi frammenti litici: basalto, frammenti di qz+px alterati, plaghe di serpentino.

Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: RC2 Numero di analisi in microscopia ottica: 665 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio lento atmosfera di cottura: riducente origine proposta: locale cronologia: XIV secolo Microscopia binoculare: colore: nero porosità: poroso con pori grandi durezza: morbido frattura: irregolare inclusi: quarzo Microscopia ottica Tessitura: iatale natura mineralogica dei granuli: quarzo, feldspati, clorite, epidoti, muscovite (poca), ossidi.

§. Campiglia Marittima L’analisi delle ceramiche provenienti dalla Rocca di Campiglia Marittima ha permesso di estrapolare 16 tipi di impasti, suddivisi tra le seguenti classi: Classe Ceramica Acroma grezza Acroma depurata Vetrina sparsa Colature rosse Invetriata grezza

Impasti 1-2-3-4-6-7-8-9 10-11-12-13-15-16 10bis 14 5 (anche 6)

Tutti gli impasti, ad eccezione dei nn. 15-16, sono stati sottoposti ad analisi al microscopio ottico ed anche ad analisi chimiche. I risultati di tali analisi sono editi in C. FORTINA, F. GRASSI, I. MEMMI TURBANTI, 2004, Gli impasti, in G. BIANCHI (a cura di), Campiglia Marittima: un castello e il suo territorio. I risultati delle indagini archeologiche e la ricerca storica, t. II, pp. 335-341. Le ceramiche grezze e le invetriate grezze presentano una

Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: RC3 Numero di analisi in microscopia ottica: 810-811-819822 Dati tecnologici ed archeologici 92

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: mista origine proposta: locale cronologia: X-XI secolo Microscopia binoculare: colore: zonato porosità: poroso con pori fini durezza: duro frattura: netta inclusi: quarzo, mica Microscopia ottica Tessitura: iatale natura mineralogica dei granuli: quarzo, plagioclasi, pirosseni, calcite trasformata dalla cottura, biotite, ossidi. frammenti litici: arenarie

durezza: morbido frattura: irregolare inclusi: quarzo Microscopia ottica Tessitura: iatale natura mineralogica dei granuli: quarzo, feldspati, calcite, titanite, ossidi. frammenti litici: metareniti, principale costituente dello smagrante e dello scheletro. Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: RC7 Numero di analisi in microscopia ottica: 817-818 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: riducente origine proposta: locale cronologia: XII-XIII secolo Microscopia binoculare: colore: nero porosità: poroso con pori fini durezza: duro frattura: irregolare inclusi: quarzo, calcare Microscopia ottica Tessitura: iatale natura mineralogica dei granuli: calcite spatica, quarzo, plagioclasi, calcite secondaria, muscovite (pochissima) ossidi. frammenti litici: metareniti (pochissima), quarzo microcristallino, in una sezione plaghe di serpentino.

Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: RC4 Numero di analisi in microscopia ottica: 812-813-821 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: mista origine proposta: locale cronologia: IX-XI secolo Microscopia binoculare: colore:grigio porosità: poroso con pori fini durezza: duro frattura: irregolare inclusi: quarzo, mica Microscopia ottica Tessitura: iatale natura mineralogica dei granuli: quarzo, plagioclasi, feldspati, clorite alterata dalla cottura, biotite, ossidi.

Classe ceramica: acroma grezza con ingobbio rosso Numero impasto e provenienza sito: RC8 (unicum) Numero di analisi in microscopia ottica: 820 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: mista origine proposta: locale cronologia: XII secolo Microscopia binoculare: colore: zonato porosità: compatto durezza: duro frattura: regolare inclusi: calcite Microscopia ottica Tessitura: iatale natura mineralogica dei granuli: calcite trasformata dalla cottura, calcite secondaria, quarzo, ossidi. frammenti litici: siltite, quarzo microcristallino, plaghe di serpentino.

Classe ceramica: invetriata grezza Numero impasto e provenienza sito: RC5 Numero di analisi in microscopia ottica: 814 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio lento/veloce atmosfera di cottura: mista origine proposta: locale cronologia: metà XIII-XIV secolo Microscopia binoculare: colore: rosso bruno porosità: poroso con pori fini durezza: duro frattura: regolare inclusi: quarzo Microscopia ottica Tessitura: iatale natura mineralogica dei granuli: quarzo, feldspati alterati, ossidi.

Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: RC9 Numero di analisi in microscopia ottica: 823-824 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: locale cronologia: XII-p.metà XIV secolo Microscopia binoculare: colore: rosso porosità: compatto durezza: duro frattura: netta inclusi: calcite

Classe ceramica: acroma grezza e invetriata grezza Numero impasto e provenienza sito: RC6 Numero di analisi in microscopia ottica: 815-816-795 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce/lento atmosfera di cottura: mista origine proposta: locale cronologia: XII-XIV secolo Microscopia binoculare: colore: rosso bruno porosità: poroso con pori fini 93

FRANCESCA GRASSI Microscopia ottica Tessitura: iatale natura mineralogica dei granuli: quarzo, plagioclasi, muscovite, calcite secondaria, biotite, ossidi. frammenti litici: siltite, quarzo microcristallino, metareniti, plaghe di serpentino, basalto, scisti.

Microscopia ottica Tessitura: seriale natura mineralogica dei granuli: quarzo, plagioclasi, muscovite, augite, calcite secondaria (molta) e calcite trasformata dalla cottura, ossidi. frammenti litici: metareniti resti di foraminiferi planctonici: molto scarsi.

Classe ceramica: vetrina sparsa Numero impasto e provenienza sito: RC10 Numero di analisi in microscopia ottica: 796-797-804805 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: locale cronologia: XII-p.metà XIV secolo Microscopia binoculare: colore: rosso porosità: compatto durezza: duro frattura: netta inclusi: calcite Microscopia ottica Tessitura: seriale natura mineralogica dei granuli: quarzo, plagioclasi, muscovite, calcite secondaria, biotite, ossidi.

Classe ceramica: acroma depurata Numero impasto e provenienza sito: RC13 Numero di analisi in microscopia ottica: 800-808-809 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: mista origine proposta: locale cronologia: IX-XIII secolo Microscopia binoculare: colore: zonato porosità: compatto durezza: molto duro frattura: netta inclusi: quarzo Microscopia ottica Tessitura: seriale natura mineralogica dei granuli: quarzo, plagioclasi, muscovite, calcite secondaria, ossidi. frammenti litici: metareniti, plaghe di serpentino.

frammenti litici: siltite, quarzo microcristallino, metareniti, plaghe di serpentino, basalto, scisti.

Classe ceramica: colature rosse Numero impasto e provenienza sito: RC14 Numero di analisi in microscopia ottica: 806-807 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: intermedia origine proposta: locale cronologia: XI-XII secolo Microscopia binoculare: colore: cuoio porosità: compatto durezza: molto duro frattura: netta inclusi: quarzo Microscopia ottica Tessitura: seriale natura mineralogica dei granuli: quarzo, muscovite, calcite secondaria, biotite, ossidi. frammenti litici: nessuno.

Classe ceramica: acroma depurata Numero impasto e provenienza sito: RC11 Numero di analisi in microscopia ottica: 798-799 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: mista origine proposta: locale cronologia: XII secolo Microscopia binoculare: colore: cuoio porosità: compatto durezza: molto duro frattura: netta inclusi: quarzo, mica Microscopia ottica Tessitura: seriale natura mineralogica dei granuli: quarzo, plagioclasi, muscovite, calcite secondaria (molta) e calcite trasformata dalla cottura, clorite, ossidi. frammenti litici: metarenitiresti di foraminiferi planctonici: sostituiti da calcite secondaria, presenti in abbondanza.

Classe ceramica: acroma depurata Numero impasto e provenienza sito: RC15 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuna Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: Pisa cronologia: XIII-XIV secolo Microscopia binoculare: colore: rosso porosità: compatto durezza: molto duro frattura: netta inclusi: quarzo

Classe ceramica: acroma depurata Numero impasto e provenienza sito: RC12 Numero di analisi in microscopia ottica: 802-803 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: mista origine proposta: locale cronologia: IX-XI secolo Microscopia binoculare: colore: cuoio porosità: compatto durezza: molto duro frattura: netta inclusi: quarzo, mica

Classe ceramica: acroma depurata Numero impasto e provenienza sito: RC16 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuna 94

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO porosità: poroso con pori grandi durezza: molto duro frattura: netta inclusi: quarzo, calcare, ossidi di ferro

Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: intermedia origine proposta: Pisa cronologia: XIII-XIV secolo Microscopia binoculare: colore: zonato porosità: compatto durezza: molto duro frattura: netta inclusi: quarzo

Classe ceramica: Acroma depurata Numero impasto e provenienza sito: MMS2 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: Roccastrada cronologia: VIII-X secolo Microscopia binoculare: colore: zonato porosità: poroso con pori grandi durezza: duro frattura: netta inclusi: quarzo, calcare, inclusi vulcanici, presenza di vacuoli

§. Donoratico Gli impasti della ceramica del castello di Donoratico non sono stati oggetto di lettura nel corso di questo lavoro, ma proponiamo nel catalogo lo studio di dettaglio su un impasto, quello relativo alle ceramiche con vetrina sparsa, edito in FORTINA, MEMMI TURBANTI, GRASSI 2007. Classe ceramica: vetrina sparsa Numero impasto e provenienza sito: CD1 Numero di analisi in microscopia ottica: 870, 871, 872, 873, 874, 883 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: locale cronologia: IX-X secolo Microscopia binoculare: colore: marrone porosità: poroso con pori fini durezza: duro frattura: regolare inclusi: quarzo, mica. Microscopia ottica Tessitura: seriale natura mineralogica dei granuli: quarzo, feldspati, muscovite, biotite, minerali opachi. frammenti litici: metareniti.

Classe ceramica: Acroma depurata Numero impasto e provenienza sito: MMS3 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: intermedia origine proposta: Roccastrada cronologia: VIII-X secolo Microscopia binoculare: colore: zonato, con anima grigia porosità: poroso con pori grandi durezza: molto duro frattura: irregolare inclusi: quarzo, calcare, inclusi vulcanici Classe ceramica: Acroma depurata Numero impasto e provenienza sito: MMS4 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: intermedia origine proposta: Roccastrada cronologia: VIII-X secolo Microscopia binoculare: colore: cuoio porosità: poroso con pori grandi durezza: duro frattura: frastagliata inclusi: quarzo, calcare, frammenti di rocce non identificate

§. Montemassi La campionatura degli impasti ceramici relativa al sito di Montemassi ha consentito di distinguere le seguenti 20 matrici argillose: Classe Ceramica Acroma grezza Acroma depurata Invetriata grezza Maiolica arcaica

Impasti 8, 14, 15, 16, 17 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 9, 10, 11 18 12, 13, 19, 20

Tutti gli impasti selezionati sono stati sottoposti alla lettura al microscopio binoculare e soltanto quattro sono stati sezionati e letti al microscopio ottico.

Classe ceramica: Acroma depurata Numero impasto e provenienza sito: MMS5 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: intermedia origine proposta: Roccastrada cronologia: VIII-X secolo Microscopia binoculare: colore: cuoio porosità: poroso con pori grandi durezza: duro

Classe ceramica: Acroma depurata Numero impasto e provenienza sito: MMS1 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: Roccastrada cronologia: VIII-X secolo Microscopia binoculare: colore: cuoio 95

FRANCESCA GRASSI frattura: irregolare inclusi: quarzo, calcare, inclusi vulcanici

Numero impasto e provenienza sito: MMS10 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: Siena cronologia: XII-XIV secolo Microscopia binoculare: colore: arancio porosità: compatto durezza: duro frattura: netta inclusi: quarzo, calcare

Classe ceramica: Acroma depurata Numero impasto e provenienza sito: MMS6 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: intermedia origine proposta: Siena o Roccastrada cronologia: X-XII secolo Microscopia binoculare: colore: zonato porosità: poroso con pori fini durezza: duro frattura: netta inclusi: quarzo, calcare, inclusi di colore nero

Classe ceramica: Acroma depurata Numero impasto e provenienza sito: MMS11 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: intermedia origine proposta: Siena cronologia: XII-XIV secolo Microscopia binoculare: colore: cuoio porosità: compatto durezza: molto duro frattura: netta inclusi: quarzo

Classe ceramica: Acroma depurata Numero impasto e provenienza sito: MMS7 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: intermedia origine proposta: Siena o Roccastrada cronologia: IX-XII secolo Microscopia binoculare: colore: zonato porosità: compatto durezza: molto duro frattura: netta inclusi: quarzo, calcare

Classe ceramica: maiolica arcaica Numero impasto e provenienza sito: MMS12 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: intermedia origine proposta: Siena cronologia: XIII-XIV secolo Microscopia binoculare: colore: cuoio porosità: compatto durezza: molto duro frattura: concoidale inclusi: calcare

Classe ceramica: Acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: MMS8 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: riducente origine proposta: locale cronologia: XII-XIV secolo Microscopia binoculare: colore: nero porosità: poroso con pori grandi durezza: duro frattura: irregolare inclusi: quarzo, calcare

Classe ceramica: maiolica arcaica Numero impasto e provenienza sito: MMS13 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: Siena cronologia: XIII secolo Microscopia binoculare: colore: rosso porosità: compatto durezza: molto duro frattura: netta inclusi: nessuno visibile

Classe ceramica: Acroma depurata Numero impasto e provenienza sito: MMS9 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: Siena cronologia: X/XI-prima metà XIII secolo Microscopia binoculare: colore: rosso porosità: compatto durezza: molto duro frattura: concoidale inclusi: quarzo, calcare

Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: MMS14 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce

Classe ceramica: Acroma depurata 96

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO atmosfera di cottura: intermedia origine proposta: locale cronologia: IX-XIV secolo Microscopia binoculare: colore: cuoio porosità: poroso con pori grandi durezza: morbido frattura: irregolare inclusi: quarzo, calcare, frammenti di rocce

Numero di analisi in microscopia ottica: 884-885-886 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio lento atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: costiera cronologia: XII-XIV secolo Microscopia binoculare: colore: arancio porosità: poroso con pori fini durezza: duro frattura: frastagliata inclusi: quarzo, calcare Microscopia ottica Tessitura: iatale natura mineralogica dei granuli: quarzo, feldspati, pirosseni, minerali opachi, muscovite frammenti litici: frammenti litici vulcanici, rocce ignee, metareniti

Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: MMS15 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: locale cronologia: XI-XIV secolo Microscopia binoculare: colore: arancio porosità: poroso con pori fini durezza: morbido frattura: irregolare inclusi: quarzo

Classe ceramica: maiolica arcaica Numero impasto e provenienza sito: MMS19 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: Pisa cronologia: seconda metà XIII secolo Microscopia binoculare: colore: rosso porosità: compato durezza: molto duro frattura: netta inclusi: nessuno visibile

Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: MMS16 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: locale cronologia: XII-XIV secolo Microscopia binoculare: colore: cuoio porosità: poroso con pori fini durezza: morbido frattura: irregolare inclusi: quarzo

Classe ceramica: maiolica arcaica Numero impasto e provenienza sito: MMS20 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: Volterra cronologia: seconda metà XIII - XIV secolo Microscopia binoculare: colore: giallo porosità: compatto durezza: molto duro frattura: netta inclusi: quarzo, ossidi di ferro

Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: MMS17 Numero di analisi in microscopia ottica: 670 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio lento/mano atmosfera di cottura: intermedia origine proposta: locale cronologia: XI-XIV secolo Microscopia binoculare: colore: arancio porosità: poroso con pori grandi durezza: morbido frattura: irregolare inclusi: quarzo, calcare, frammenti di rocce Microscopia ottica Tessitura: iatale natura mineralogica dei granuli: quarzo, feldspati alterati (saussuritizzazione= alterazione del plagioclasio), pirosseni, epidoti, zoisite, calcite secondaria e ossidi. frammenti litici: basalto, frammenti di quarzo e pirosseni alterati, plaghe di serpentino.

§. Rocca San Silvestro Lo studio della ceramica proveniente da Rocca San Silvestro ha permesso di estrapolare i seguenti 18 impasti: Classe Ceramica Acroma grezza Invetriata grezza Acroma depurata Maiolica arcaica Invetriata fine Zaffera a rilievo

Impasti 1-2-3-4-5-6-7 18 8-9 10-11-12-13 14-15-16 17

Per quanto riguarda la ceramica da fuoco del castello, essa è stata oggetto sia di analisi al microscopio binoculare sia in sezione sottile, evidenziando una presenza omogenea di impasti di origine locale,

Classe ceramica: invetriata grezza Numero impasto e provenienza sito: MMS18 97

FRANCESCA GRASSI compatibili con la geologia delle Colline Metallifere (GRASSI 1996-1997; GRASSI 1998a e 1998b, GRASSI 1999; FORTINA, MEMMI TURBANTI, GRASSI 2007). Per quanto riguarda invece la ceramica depurata e quella rivestita, esse sono state campionate ed analizzate al microscopio binoculare, ipotizzandone una totale provenienza da Pisa o da Volterra (si veda, per i materiali privi di rivestimento, BOLDRINI, GRASSI 2003). Infine, l’analisi dei materiali dello scavo ha permesso di evidenziare anche 12 impasti relativi a ceramiche di produzione extra-regionale, qui non inserite, ma edite in BOLDRINI, GRASSI, MOLINARI 1998.

Microscopia binoculare: colore: cuoio porosità: poroso con pori grandi durezza: duro frattura: irregolare inclusi: quarzo, grumi arrossati Microscopia ottica Tessitura: iatale natura mineralogica dei granuli: quarzo, plagioclasi, biotite (abbondante), clorite, anfibolo, muscovite. frammenti litici: frammenti di quarzo+plagioclasio+biotite, serpentino e chamotte.

Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: RSS1 Numero di analisi in microscopia ottica: 353-354-355657-658-659-660-661 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante e riducente origine proposta: locale cronologia: XII-XIV secolo Microscopia binoculare: colore: giallo/rosa porosità: poroso con pori fini durezza: molto duro frattura: irregolare inclusi: quarzo, calcare, grumi arrossati Microscopia ottica Tessitura: iatale natura mineralogica dei granuli: quarzo, calcite, calcite secondaria, ossidi. frammenti litici: quarzo microcristallino

Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: RSS4 Numero di analisi in microscopia ottica: 351-352 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: locale cronologia: XIII secolo Microscopia binoculare: colore: rosso porosità: poroso con pori fini durezza: molto duro frattura: regolare inclusi: quarzo, grumi arrossati, frammenti di rocce Microscopia ottica Tessitura: iatale natura mineralogica dei granuli: quarzo, feldspati, biotite ed ossidi. frammenti litici: frammenti di metarenite, quarzo microcristallino, siltite.

Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: RSS2 Numero di analisi in microscopia ottica: 655 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: riducente origine proposta: locale cronologia: XII secolo Microscopia binoculare: colore: nero porosità: poroso con pori fini durezza: duro frattura: regolare inclusi: quarzo, mica, grumi arrossati Microscopia ottica Tessitura: iatale natura mineralogica dei granuli: quarzo e feldspati, muscovite, anfiboli e calcite non trasformata dalla cottura e calcite secondaria. frammenti litici: quarzo microcristallino

Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: RSS5 Numero di analisi in microscopia ottica: 384a-385 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: locale cronologia: XII-XIV secolo Microscopia binoculare: colore: rosso porosità: poroso con pori fini durezza: duro frattura: regolare inclusi: quarzo, chamotte, frammenti di rocce Microscopia ottica Tessitura: iatale natura mineralogica dei granuli: quarzo, feldspati, muscovite, calcite secondaria ed ossidi. frammenti litici: frammenti di metarenite, plaghe di serpentino.

Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: RSS3 Numero di analisi in microscopia ottica: 642-647-648653 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio lento/mano atmosfera di cottura: intermedia origine proposta: locale cronologia: XIV secolo

Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: RSS6 Numero di analisi in microscopia ottica: 349-350-386387-645-363 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce, tornio lento atmosfera di cottura: riducente origine proposta: locale cronologia: XI-XIV secolo 98

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO Classe ceramica: maiolica arcaica Numero impasto e provenienza sito: RSS10 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: Volterra cronologia: XIV secolo Microscopia binoculare: colore: cuoio porosità: compatto durezza: morbido frattura: irregolare inclusi: nessuno visibile.

Microscopia binoculare: colore: nero porosità: poroso con pori grandi durezza: duro frattura: frastagliata inclusi: quarzo, plagioclasio Microscopia ottica Tessitura: iatale natura mineralogica dei granuli: quarzo, feldspati alterati (saussuritizzazione= alterazione dei plagioclasi), pirosseni, zoisite, calcite secondaria e ossidi. frammenti litici: basalto, plaghe di serpentino. Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: RSS7 Numero di analisi in microscopia ottica: 639-641-646651-654 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio lento/mano atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: locale cronologia: XII secolo Microscopia binoculare: colore: rosso porosità: poroso con pori grandi durezza: morbido frattura: irregolare inclusi: quarzo, plagioclasio Microscopia ottica Tessitura: iatale natura mineralogica dei granuli: quarzo, feldspati alterati da sericite, anfiboli, ossidi. frammenti litici: frammenti di metarenite.

Classe ceramica: maiolica arcaica Numero impasto e provenienza sito: RSS11 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: Volterra cronologia: seconda metà XIII-XIV secolo Microscopia binoculare: colore: rosso chiaro porosità: compatto durezza: duro frattura: netta inclusi: nessuno visibile. Classe ceramica: maiolica arcaica Numero impasto e provenienza sito: RSS12 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: Pisa cronologia: prima metà XIII-XV secolo Microscopia binoculare: colore: rosso porosità: compatto durezza: molto duro frattura: netta inclusi: nessuno visibile.

Classe ceramica: acroma depurata Numero impasto e provenienza sito: RSS8 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: Pisa cronologia: seconda metà XI - XIV secolo Microscopia binoculare: colore: zonato porosità: compatto durezza: molto duro frattura: netta inclusi: quarzo, inclusi neri.

Classe ceramica: maiolica arcaica Numero impasto e provenienza sito: RSS13 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: Pisa o centro intermedio cronologia: XIV secolo Microscopia binoculare: colore: arancione porosità: compatto durezza: duro frattura: regolare inclusi: nessuno visibile.

Classe ceramica: acroma depurata Numero impasto e provenienza sito: RSS9 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: Pisa cronologia: seconda metà XI - XII secolo Microscopia binoculare: colore: zonato porosità: compatto durezza: molto duro frattura: netta inclusi: nessuno visibile.

Classe ceramica: invetriata verde Numero impasto e provenienza sito: RSS14 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici 99

FRANCESCA GRASSI tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: Pisa cronologia: prima metà XIII-XIV secolo Microscopia binoculare: colore: rosso porosità: compatto durezza: morbido frattura: irregolare inclusi: nessuno visibile

cronologia: metà XIII-XIV secolo Microscopia binoculare: colore: marrone porosità: poroso con pori fini durezza: morbido frattura: netta inclusi: quarzo, mica. Microscopia ottica Tessitura: iatale natura mineralogica dei granuli: quarzo, feldspati, muscovite, minerali opachi frammenti litici: metareniti.

Classe ceramica: invetriata verde Numero impasto e provenienza sito: RSS15 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: Pisa cronologia: XIV secolo Microscopia binoculare: colore: rosso porosità: compatto durezza: duro frattura: netta inclusi: nessuno visibile

§. Rocchette Pannocchieschi Lo studio del materiale ceramico del castello ha permesso di campionare i seguenti 24 impasti, tutti analizzati al microscopio binoculare: Classe Ceramica Acroma grezza Invetriata grezza Acroma depurata vetrina sparsa colature rosse Maiolica arcaica

Impasti 1-2-4-5-6-7-8-9-10-11 3 12-13-14-16-17-18-19-20-22 18 (anche a.d.) 19 (anche a.d.) 22 (anche a.d.)-23-24-25-26

Tra questi, otto campioni sono stati sottoposti ad analisi petrografiche, ma essendo in corso di lettura non siamo in grado, in questa sede, di mostrarne una sintesi, ad eccezione delle sezioni effettuate sul campione di impasto n.3, relativo alle ceramiche invetriate grezze, edito in FORTINA, MEMMI TURBANTI, GRASSI 2007 e delle sezioni effettuate sul campione 2 (analisi 598), relativo alle olle modellate a mano edito in GRASSI 1998a.

Classe ceramica: invetriata marrone Numero impasto e provenienza sito: RSS16 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: Pisa cronologia: XIII-XIV secolo Microscopia binoculare: colore: rosso porosità: compatto durezza: duro frattura: netta inclusi: nessuno visibile

Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: RO1 Numero di analisi in microscopia ottica: 586-587-588601 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: intermedia origine proposta: locale cronologia: XIV secolo Microscopia binoculare: colore: zonato porosità: poroso con pori fini durezza: duro frattura: irregolare inclusi: quarzo, calcare

Classe ceramica: zaffera a rilievo Numero impasto e provenienza sito: RSS17 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: area valdarnese cronologia: XIV secolo Microscopia binoculare: colore: cuoio porosità: compatto durezza: morbido frattura: netta inclusi: nessuno visibile

Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: RO2 Numero di analisi in microscopia ottica: 583-584-594598-602 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio lento/mano atmosfera di cottura: riducente origine proposta: locale cronologia: IX-XIV secolo Microscopia binoculare: colore: cuoio porosità: poroso con pori grandi durezza: morbido frattura: frastagliata

Classe ceramica: invetriata grezza Numero impasto e provenienza sito: RSS18 Numero di analisi in microscopia ottica: 358-359-360361-362 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: intermedia origine proposta: area costiera 100

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO inclusi: quarzo, calcare Microscopia ottica Tessitura: iatale natura mineralogica dei granuli: quarzo, feldspati alterati (saussuritizzazione= alterazione del plagioclasio), pirosseni, epidoti, zoisite, calcite secondaria e ossidi. frammenti litici: basalto, frammenti di qz+px alterati, plaghe di serpentino.

tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: intermedia origine proposta: locale cronologia: IX-XI secolo Microscopia binoculare: colore: zonato porosità: poroso con pori fini durezza: morbido frattura: concoidale inclusi: quarzo

Classe ceramica: invetriata grezza Numero impasto e provenienza sito: RO3 Numero di analisi in microscopia ottica: 879-880-881 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio lento atmosfera di cottura: riducente origine proposta: locale cronologia: XII-XIV secolo Microscopia binoculare: colore: grigio porosità: poroso con pori fini durezza: duro frattura: irregolare inclusi: calcare Microscopia ottica Tessitura: iatale natura mineralogica dei granuli: quarzo, feldspati, minerali opachi, muscovite. frammenti litici: metareniti

Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: RO7 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio lento/mano atmosfera di cottura: intermedia origine proposta: locale cronologia: IX secolo Microscopia binoculare: colore: cuoio porosità: poroso con pori grandi durezza: morbido frattura: irregolare inclusi: calcare, mica Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: RO8 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio lento/mano atmosfera di cottura: intermedia origine proposta: locale cronologia: IX secolo Microscopia binoculare: colore: cuoio porosità: poroso con pori grandi durezza: morbido frattura: irregolare inclusi: calcare, inclusi neri.

Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: RO4 Numero di analisi in microscopia ottica: 591-593-596 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: riducente origine proposta: locale cronologia: XIII-XIV secolo Microscopia binoculare: colore: cuoio porosità: poroso con pori fini durezza: duro frattura: regolare inclusi: calcare

Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: RO9 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio lento/veloce atmosfera di cottura: intermedia origine proposta: locale cronologia: IX-X secolo Microscopia binoculare: colore: rosso chiaro porosità: poroso con pori fini durezza: duro frattura: netta inclusi: inclusi neri

Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: RO5 Numero di analisi in microscopia ottica: 585-592-600604 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: riducente origine proposta: locale cronologia: IX-XIV secolo Microscopia binoculare: colore: cuoio porosità: poroso con pori grandi durezza: morbido frattura: irregolare inclusi: quarzo

Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: RO10 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: locale cronologia: IX secolo

Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: RO6 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici 101

FRANCESCA GRASSI frattura: regolare inclusi: mica

Microscopia binoculare: colore: rosso scuro porosità: poroso con pori fini durezza: duro frattura: concoidale inclusi: quarzo

Classe ceramica: acroma depurata Numero impasto e provenienza sito: RO16 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: intermedia origine proposta: locale cronologia: IX-X secolo Microscopia binoculare: colore: zonato porosità: compatto durezza: duro frattura: netta inclusi: mica

Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: RO11 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: locale cronologia: IX secolo Microscopia binoculare: colore: rosso porosità: poroso con pori grandi durezza: morbido frattura: irregolare inclusi: calcare

Classe ceramica: acroma depurata Numero impasto e provenienza sito: RO17 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: locale cronologia: IX-X secolo Microscopia binoculare: colore: rosso porosità: compatto durezza: morbido frattura: irregolare inclusi: nessuno visibile

Classe ceramica: acroma depurata Numero impasto e provenienza sito: RO12 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: locale cronologia: IX secolo Microscopia binoculare: colore: arancio porosità: compatto durezza: duro frattura: concoidale inclusi: nessuno visibile

Classe ceramica: acroma depurata e vetrina sparsa Numero impasto e provenienza sito: RO18 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: locale cronologia: IX-X secolo Microscopia binoculare: colore: rosso porosità: compatto durezza: duro frattura: concoidale inclusi: nessuno visibile

Classe ceramica: acroma depurata Numero impasto e provenienza sito: RO13 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: locale cronologia: XI secolo Microscopia binoculare: colore: cuoio porosità: compatto durezza: molto duro frattura: netta inclusi: nessuno visibile

Classe ceramica: acroma depurata e colature rosse Numero impasto e provenienza sito: RO19 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: locale cronologia: IX-X secolo Microscopia binoculare: colore: cuoio porosità: compatto durezza: morbido frattura: netta inclusi: nessuno visibile

Classe ceramica: acroma depurata Numero impasto e provenienza sito: RO14 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: locale cronologia: IX-X secolo Microscopia binoculare: colore: cuoio porosità: compatto durezza: duro 102

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO Classe ceramica: acroma depurata Numero impasto e provenienza sito: RO20 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: locale cronologia: IX-X secolo Microscopia binoculare: colore: rosso porosità: compatto durezza: morbido frattura: irregolare inclusi: nessuno visibile

tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: intermedia origine proposta: Massa Marittima cronologia: XIV secolo Microscopia binoculare: colore: giallo porosità: poroso con pori fini durezza: morbido frattura: irregolare inclusi: nessuno visibile Classe ceramica: maiolica arcaica Numero impasto e provenienza sito: RO26 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: Volterra cronologia: XIV secolo Microscopia binoculare: colore: rosso chiaro/rosa porosità: compatto durezza: duro frattura: regolare inclusi: nessuno visibile

Classe ceramica: acroma depurata e maiolica arcaica Numero impasto e provenienza sito: RO22 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: Siena cronologia: XIII-XIV secolo Microscopia binoculare: colore: rosso porosità: compatto durezza: duro frattura: netta inclusi: nessuno visibile

§. Piombino S. Antimo Nell’ambito degli studi sul materiale ceramico proveniente dalla volta di Sant’Antimo sono stati sottoposti all’analisi al microscopio stereoscopico i tre campioni d’impasto rappresentativi delle produzioni con impasto grezzo, SA1 ed SA3 per la ceramica senza rivestimento e SA2 per la ceramica invetriata. La classificazione degli impasti si è svolta in un unica fase d’indagine mediante l’uso di strumenti diversi, tra cui una lente d’ingrandimento per individuare i tre campioni rappresentativi ed il microscopio binoculare per definirne le caratteristiche tessiturali, strutturali e mineralogiche. Le analisi sono edite nel volume BIANCHI, BERTI 2007, si veda in particolare BASILE 2007, pp. 312313.

Classe ceramica: maiolica arcaica Numero impasto e provenienza sito: RO23 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: Volterra cronologia: XIV secolo Microscopia binoculare: colore: rosso chiaro/rosa porosità: compatto durezza: molto duro frattura: netta inclusi: nessuno visibile

Classe ceramica: Acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: SA1 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio lento/mano atmosfera di cottura: riducente origine proposta: locale cronologia: XIII secolo Microscopia binoculare: colore: marrone porosità: compatto durezza: duro frattura: irregolare inclusi: quarzo, feldspati.

Classe ceramica: maiolica arcaica Numero impasto e provenienza sito: RO24 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: Siena cronologia: XIV secolo Microscopia binoculare: colore: rosso porosità: compatto durezza: duro frattura: netta inclusi: nessuno visibile

Classe ceramica: Invetriata grezza Numero impasto e provenienza sito: SA2 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio lento/veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: locale

Classe ceramica: maiolica arcaica Numero impasto e provenienza sito: RO25 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici 103

FRANCESCA GRASSI cronologia: XIII secolo Microscopia binoculare: colore: marrone arancio porosità: compatto durezza: duro frattura: regolare inclusi: quarzo, ossidi di ferro.

atmosfera di cottura: intermedia origine proposta: locale cronologia: fine VII-fine X secolo Microscopia binoculare: colore:cuoio zonato porosità: compatto durezza: duro frattura: regolare inclusi: quarzo, feldspati, frammenti di roccia Microscopia ottica Tessitura: seriale natura mineralogica dei granuli: quarzo, plagioclasi. frammenti litici: vulcaniti riolitiche, silice microcristallina.

Classe ceramica: Acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: SA3 Numero di analisi in microscopia ottica: nessuno Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: locale cronologia: XIII secolo Microscopia binoculare: colore: rosa porosità: poroso con pori fini durezza: duro frattura: irregolare inclusi: quarzo, feldspati.

Classe ceramica: acroma depurata Numero impasto e provenienza sito: RS13 Numero di analisi in microscopia ottica: RS4, RS5, RS6, RS7 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce e lento atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: locale cronologia: fine V-fine VII secolo Microscopia binoculare: colore: cuoio porosità: compatto durezza: molto duro frattura: regolare inclusi: non visibili Microscopia ottica Tessitura: iatale natura mineralogica dei granuli: quarzo angoloso, plagioclasi. frammenti litici: vulcaniti riolitiche, arenaria quarzosa, silice microcristallina, quarzo policristallino.

§. Roccastrada L’analisi effettuata sui reperti ceramici proveniente dagli scarichi di Roccastrada, inserita prima in GUIDERI 1986/1987 ed in seguito in BASILE 2006/2007 ha permesso di estrapolare 4 matrici argillose, una di acroma grezza (A4) e tre di acroma depurata (RS14=RS16, RS13, RS13, A14). Tali impasti sono stati sottoposti ad analisi al microscopio binoculare ed a quello ottico e sono in fase di edizione nel contributo BASILE, GRASSI, RICCARDI, BASSO 2008, c.s. La numerazione degli impasti, non omogenea, è stata mantenuta per ottenere una continuità con il lavoro iniziale di Guideri.

Classe ceramica: acroma depurata Numero impasto e provenienza sito: A14 Numero di analisi in microscopia ottica: RS9-16, RS18, RS19, RS20-23 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: locale cronologia: fine V-fine X secolo Microscopia binoculare: colore: cuoio porosità: compatto durezza: molto duro frattura: regolare inclusi: quarzo, feldspati, frammenti di roccia Microscopia ottica Tessitura: iatale natura mineralogica dei granuli: quarzo angoloso, rari plagioclasi. frammenti litici: vulcaniti riolitiche, arenaria quarzosa, silice microcristallina, quarzo policristallino.

Classe ceramica: acroma grezza Numero impasto e provenienza sito: A4 Numero di analisi in microscopia ottica: RS1, RS2, RS3, RS8 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce e lento atmosfera di cottura: ossidante origine proposta: locale cronologia: fine V-fine X secolo Microscopia binoculare: colore: marrone chiaro porosità: compatto durezza: duro frattura: irregolare inclusi: quarzo, frammenti di roccia vulcanica Microscopia ottica Tessitura: iatale natura mineralogica dei granuli: quarzo angoloso, plagioclasi. frammenti litici: vulcaniti riolitiche, arenaria quarzosa in matrice argillosa, silice microcristallina. Classe ceramica: acroma depurata Numero impasto e provenienza sito: RS14=RS16 Numero di analisi in microscopia ottica: RS17, RS24, RS25, RS26, RS28, RS29, RS30, RS31, RS32 Dati tecnologici ed archeologici tecnica di lavorazione: tornio veloce 104

3. Il catalogo dei siti oggetto di studio Introduzione In questo catalogo si espongono i dati sulla cultura materiale dei siti oggetto della ricerca, effettuandone una divisione tra siti di consumo (3.1), siti di smercio e di consumo (3.2) ed infine siti di produzione della ceramica (3.3). Nell'esposizione abbiamo utilizzato uno schema fisso per tutti i siti, in modo da rendere i dati uniformi e confrontabili. Ogni capitolo dedicato ad un insediamento è così composto da tre parti distinte, una prima in cui vengono descritte sinteticamente le indagini archeologiche effettuate sul sito e la diacronia insediativa, una seconda in cui è stata descritta l'evoluzione del sito e delle produzioni ceramiche nel corso dei secoli ed infine una terza in cui sono state impostate delle brevi conclusioni sul sito stesso, evidenziandone i temi fondamentali in relazione alla costruzione di un'analisi regionale. Per ogni sito inoltre si espone la bibliografia generale sia edita sia inedita. Nonostante l’utilizzo di questa griglia espositiva fissa, esistono nel testo alcune differenze, in particolare tra siti ripresi da pubblicazioni già edite e siti nei quali, al contrario, il lavoro svolto è stato totalmente effettuato exnovo nel corso della nostra ricerca. Per il primo caso le notizie edite, spesso parziali, sono state riprese e ampliate, analizzando nuovi contesti provenienti dallo stesso sito e sviluppando in seguito un discorso unitario. Nel secondo caso invece il materiale che abbiamo usato era totalmente inedito ed è stato organizzato per la prima volta nel nostro lavoro (Fig. 34). Per luoghi di consumo abbiamo inteso quei siti nei quali la ceramica è stata comprata, utilizzata ed in linea di massima non prodotta, ma con alcune eccezioni. Ad esempio, tra i castelli che abbiamo esaminato, Rocca San Silvestro ci ha permesso di ipotizzare una produzione locale di ceramiche fatte a mano, come testelli ed olle, per la presenza di due forni a camera di cottura unica in fasi cronologiche tarde dell'insediamento (XIII e XIV secolo). Nonostante ciò, questi siti sono stati considerati puri luoghi di consumo in quanto l'attività della produzione di ceramica non si traformò in attività economica primaria e la produzione stessa di ceramica fu improntata al solo autoconsumo. Trattandosi dunque di luoghi nei quali la ceramica non fu di norma fabbricata, ma utilizzata, abbiamo cercato di dedurre, dai dati a disposizione, delle informazioni sui consumi, sui cibi associati a certe forme e dunque sull'alimentazione, sui corredi domestici relativi alle abitazioni dei diversi ceti, tentando di evidenziare se vi fosse una connotazione sociale nella composizione del corredo in ceramica. Inoltre, l'utilizzo dei dati archeometrici ci ha permesso di andare oltre e di riflettere anche sulle modalità della produzione e sul commercio dei manufatti. Infatti, per ogni sito abbiamo ipotizzato, dall'analisi degli impasti e dalla loro quantificazione nel tempo, il numero di botteghe che rifornivano l'insediamento e la loro probabile ubicazione, ricostruendo in tale modo gli assetti delle produzioni ceramiche e dei luoghi in cui avveniva lo 105

scambio. Queste officine sono state identificate con un numero arabo progressivo a partire da quelle riconoscibili nelle fasi insediative più antiche di ogni abitato, e ne abbiamo indicato le classi ceramiche fabbricate, le tecnologie usate, gli impasti in uso e l’area di ubicazione, ipotizzata dai dati petrografici e chimici o da confronti macroscopici con impasti di riferimento della stessa area. Tutte le informazioni elaborate sono state riversate in tabelle presenti in ogni capitolo dedicato ai siti, e ci hanno permesso di effettuare per ogni insediamento, ed infine per tutta l'area subregionale, alcune interessanti osservazioni sulle produzioni e sulle botteghe. Nei luoghi di consumo la parte più importante è rappresentata dai castelli (otto siti) e dall'analisi delle stratigrafie emerse da campagne di scavo relativamente recenti e che hanno spesso interessato l'intera superficie edificata. Un solo sito all'interno dei luoghi di consumo non rientra nella tipologia dei castelli: si tratta infatti di Populonia, che abbiamo analizzato utilizzando le stratigrafie di alcune case medievali poste nell'area di San Cerbone Vecchio, adiacente all’abitato odierno, assieme ai reperti provenienti da riusi e frequentazioni medievali dell'area dell'Acropoli classica. Per ogni insediamento abbiamo esaminato percentuali di ceramica distinte: in alcuni l'analisi si è limitata a contesti scelti per l'importanza che assumevano all'interno delle grandi tematiche alla base della ricerca e per l'apporto innovativo che sembravano mostrare, in altri invece lo studio è stato effettuato in maniera totale, andando ad esaminare tutta la ceramica a disposizione. La sezione del catalogo sui luoghi di commercio e di consumo è composta solamente dal sito di Piombino, qui esaminato attraverso i reperti ceramici provenienti da due contesti urbani. Ciò che differenzia questo sito da quelli inseriti nei luoghi di consumo è sostanzialmente il fatto che dall’analisi della ceramica ritrovata nella cittadina portuale abbiamo ottenuto non solo indicazioni sui consumi locali, ma anche sul vasellame giunto al porto e distribuito nei siti limitrofi, come nella Rocca di Campiglia od a Rocca San Silvestro, per citare soltanto quelli più vicini. Infatti, nella trattazione dei siti di consumo, in particolare dei castelli minerari, abbiamo più volte ricordato il legame esistente con l’area portuale di Piombino, favorito dalla necessità di trasportare il metallo sino alle zecche cittadine. Inoltre, il trasporto via mare fu per molto tempo il veicolo privilegiato attraverso cui ceramiche pisane e di importazione giunsero nell’area delle Colline Metallifere (BERTI 1997a, pp. 255-258; BERTI 2003; BOLDRINI, GRASSI, MOLINARI 1997); da qui l’ipotesi per Piombino di un doppio ruolo, come luogo di esportazione della materia prima utilizzata per coniare moneta, estratta e lavorata nei castelli minerari e come luogo di importazione dei beni di consumo provenienti dalla città stessa, in primo luogo da Pisa. Tra i numerosi interventi di archeologia urbana effettuati a Piombino, sono stati scelti due contesti significativi, la svuotatura della volta della chiesa di S. Antimo ai Canali e lo scavo del castello. L’arco cronologico interessato da questi contesti ha coperto i secoli XIII e XIV, fondamentali per la comprensione di almeno due fasi insediative che hanno caratterizzato tutta l’area geografica studiata: in primo

FRANCESCA GRASSI luogo la fase in cui gli insediamenti furono connotati dalla presenza di famiglie signorili che a vario titolo si contesero le risorse del sottosuolo ed in secondo luogo la fase di declino dell’economia locale a causa della diminuzione di interessi nei confronti delle attività estrattive con il passaggio temporaneo di molti insediamenti alle dipendenze dei comuni cittadini quali Siena, Pisa, Massa Marittima, prima del loro definitivo abbandono. In questa ottica, Piombino è diventato un osservatorio privilegiato per analizzare non solo i consumi di ceramica di uno scalo commerciale nel medioevo, ma anche i cambiamenti del territorio circostante. Infine, la sezione i luoghi della produzione contiene le schede relative ad alcuni scarichi di fornace documentati nella Toscana centrale e meridionale; il materiale che abbiamo utilizzato è relativo ad alcuni scarichi di fornace riconosciuti da topografia, quello di Roccastrada e quello di Palaia e Fauglia. Per lo scarico di Roccastrada abbiamo tentato una rilettura dei dati editi (GUIDERI 2000) alla luce delle conoscenze odierne sulle produzioni ceramiche tra la fine del mondo classico e il medioevo. Questa ripresa è stata incentivata anche da un lavoro archeometrico svolto sui materiali ceramici, nell’ambito di una tesi specialistica discussa presso l’Università di Siena (BASILE 2006-2007). I restanti luoghi di produzione sono relativi ai secoli successivi (XI-XIV secolo) e dunque ci hanno permesso una visione degli assetti produttivi sul territorio nel momento in cui la città sembra già presente nei mercati rurali. Per il periodo XI-XII secolo infatti abbiamo ripreso alcuni scarichi di fornace posti a sud di Pisa, tra Pontedera e San Miniato ed individuati nell’ambito di ricognizioni di superficie (DANI, VANNI DESIDERI 1981; CIAMPOLTRINI 1979 e 1996). Si trattava di centri di produzione rurali, posti nelle vicinanze di fiumi e cave di argilla, nei quali si produceva ceramica grezza e depurata in forme simili a quelle presenti nella città di Pisa. L’interesse che hanno rivestito per la nostra ricerca è legato alla lettura di questi centri come possibili luoghi di produzione e di smercio, intermedi tra Pisa e i castelli del contado, necessari per l’arrivo delle ceramiche pisane o di tipo pisano presenti nei castelli costieri proprio a partire dall’XI secolo. La lettura dei dati di Roccastrada è stata facilitata sia dallo studio analitico già effettuato al momento del recupero degli scarti ceramici (GUIDERI 1986-1987) sia dalla possibilità di visionare personalmente le ceramiche raccolte e i campioni d’impasto. Al contrario il ritrovamento di Palaia e Fauglia è stato visionato soltanto attraverso i dati editi e quindi la rilettura effettuata è stata molto parziale e legata essenzialmente ai confronti formali tra le ceramiche allora raccolte ed i tipi ceramici riconosciuti nel corso del nostro lavoro. Perciò nel caso di questi scarichi bassomedievali non abbiamo avuto la possibilità di fornire dati quantitativi. Occorre infine fare una precisazione. L’analisi del rinvenimento di fornace di Roccastrada, per le cronologie toccate (VI-X secolo), ci ha portato a sconfinare dal nostro ambito cronologico di ricerca, essendoci una parte di materiali collegati ad una produzione avvenuta tra V e VI secolo. Abbiamo inserito anche questa parte nel nostro lavoro, pur senza la pretesa di essere esaustivi nell’affrontare il tema della crisi delle manifatture urbane 106

e rurali nel mondo antico, dato che ci premeva sottolineare alcuni tratti di continuità tra la realtà produttiva tardoantica e quella che si può leggere nelle campagne a partire dal VII secolo. Infatti, pur avendo affrontato il solo mondo rurale, dalle evidenze archeologiche raccolte si è delineata una continuità produttiva delle officine, legata spesso al luogo fisico di ubicazione degli impianti ed alle capacità tecniche in possesso degli artigiani. Al contrario tale continuità non è stata riscontrata sia nelle forme prodotte, a riprova di una domanda specifica proveniente dalla nuova maglia insediativa altomedioevale, sia nelle reti commerciali, fossilizzate su direttrici unicamente subregionali che non permettevano più l’arrivo dei prodotti rurali in città, come era avvenuto sino al VI secolo per le imitazioni delle sigillate. 3.1 LUOGHI DI CONSUMO Castel di Pietra Bibliografia sul sito G. BIANCHI, E. BOLDRINI, C. CITTER, L. DALLAI, R. FARINELLI, R. FRANCOVICH, F. GRASSI, A. LUNA, 1999, Prime indagini a Castel di Pietra (Gavorrano, Gr): le campagne 1997-1998, “Archeologia Medievale”, XXVI, pp. 151-170. E. BOLDRINI, F. GRASSI, A. LUNA, 1999, I reperti ceramici, in G. BIANCHI et alii, 1999, Prime indagini a Castel di Pietra (Gavorrano - Gr), “Archeologia Medievale”, XXVI, pp. 46-64. C. CITTER (a cura di), 2002, Castel di Pietra (GavorranoGr): relazione preliminare della campagna 2001 e revisione dei dati delle precedenti, “Archeologia Medievale”, XXIX, pp. 115-167. C. CITTER (a cura di), 2009, Dieci anni di ricerche a Castel di Pietra. Edizione degli scavi 1997-2007, Firenze. A. SEBASTIANI, 2002, I materiali medievali, in C. CITTER (a cura di), Castel di Pietra (Gavorrano-Gr): relazione preliminare della campagna 2001 e revisione dei dati delle precedenti, “Archeologia Medievale”, XXIX, pp. 135-140. E. VACCARO, 2002, Nota su un gruppo di frammenti ceramici di VI-VII secolo d.C. da Castel di Pietra, in C. CITTER (a cura di), Castel di Pietra (Gavorrano-Gr): relazione preliminare della campagna 2001 e revisione dei dati delle precedenti, “Archeologia Medievale”, XXIX, pp. 133-135. 1. Le indagini archeologiche Il castello (Fig. 35), oggetto di campagne di scavo dal 1997, ha mostrato un’articolazione complessa ed una straordinaria ricchezza dei reperti, segno di un ruolo importante nel quadro del popolamento medievale dell’alta valle del Bruna (BIANCHI et alii 1999; CITTER 2002, 2009)1. La sequenza insediativa ricostruita ha infatti il suo inizio in età etrusca, quando nel pianoro occupato in seguito dal castello si sono identificate 1

Si ringrazia il dott. Carlo Citter, responsabile scientifico dello scavo, per la gentileza nel condividere e discutere i dati provenienti dallo scavo.

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO arpione (Fig. 38, nn. 2, 6) ed è presente inoltre un tipo molto comune nel vicino sito di Rocchette (n. 5) ed in presenza minima si trovano anche alcune olle modellate a mano, diffuse in tutta la Val di Cornia (n. 1). I coperchi sono del tipo troncoconico con fori di sfiato e ansa a nastro sommitale (n. 3) ed i boccali non presentano tracce di fumigazione e quindi potrebbero essere compatibili con un utilizzo come contenitori di liquidi (n. 8). Abbastanza sporadica la presenza dei testelli, caratterizzati da una fattura casalinga (Fig. 37, nn. 4-5). Per quanto riguarda gli impasti, una prima analisi fu effettuata ad occhio nudo nel corso dello studio dei reperti provenienti dalle campagne 1997-1998, con la distinzione di almeno due gruppi di riferimento, uno relativo ad impasti locali, maggioritario, ed uno relativo ad impasti forse locali, ma con l’aggiunta di abbondante calcite, procedimento spesso riscontrato nella ceramica senese. In conclusione il contesto ceramico esaminato mostra una notevole standardizzazione dei prodotti in ceramica grezza e caratteristiche produttive di alto livello. La maggior parte dei prodotti sarebbe di origine quasi sicuramente locale, mentre un quantitativo considerevole è rappresentato da manufatti forse arrivati direttamente dalla città insieme ad altri vasi più pregiati, come quelli di maiolica arcaica. Per la ceramica invetriata da fuoco (BOLDRINI, GRASSI, LUNA 1999; SEBASTIANI 2002; GRASSI 1999) sono presenti a Castel di Pietra prevalentemente olle e tegami con una spessa invetriatura nera interna e solo colata esternamente (Fig. 38, n. 7; Fig. 39): si tratta di prodotti locali, presenti anche a Rocchette Pannocchieschi e Montemassi a partire dal XII secolo (si veda scheda relativa). Recentemente è stata affrontata una dettagliata analisi degli impasti e delle vetrine di questi manufatti invetriati (FORTINA, GRASSI, MEMMI TURBANTI 2007) riconoscendoli come locali. Per la ceramica depurata (BOLDRINI, GRASSI, LUNA 1999), è stato possibile ricostruire 12 catini con breve tesa e corpo troncoconico o corpo emisferico. Si tratta di forme molto note nella letteratura e riscontrabili sia nella produzione di area pisana che in quella di area senese diffuse a partire dalla seconda metà del XIII secolo, in tutta la Toscana centromeridionale. Di area certamente senese invece i catini con bordo a nastro convesso, analoghi ai biscotti della maiolica arcaica; di particolare interesse il tipo biansato che, per le caratteristiche dell’orlo appuntito e con gola marcata, potrebbe richiamare anche produzioni volterrane (Fig. 38, n.11). Minoritaria la presenza di tazze, evidenziata infatti in un solo caso, in forma non completamente ricostruibile (n.12). Per quanto riguarda le forme chiuse, 3 sono gli orcioli, 38 brocche, 40 boccali. Tra le brocche, in particolare, si riconoscono almeno 8 forme di produzione pisana ed almeno 5 riconducibili alle cosiddette anforette senesi. Venendo ai boccali, troviamo 7 prodotti pisani del tipo Busi. Tra la produzione senese, 2 forme sono di tipo a corpo allungato e breve collo, con ansa a bastoncello (n.10). Per la maiolica arcaica infine (BOLDRINI, GRASSI, LUNA 1999; SEBASTIANI 2002) i materiali di Castel di Pietra mostrano prevalentemente produzioni di area senese cui si aggiungono, in percentuale minore, forme riconducibili all’area pisana, fiorentina, volterrana e umbra, tutte comprese tra i primi decenni del Trecento e la fine dello

strutture riferibili al periodo arcaico (fine VII-metà V a.C.) ed a quello ellenistico (metà IV-fine II a.C.), tra cui una cisterna in cocciopesto; testimoniano inoltre l’importanza del sito alcuni frammenti di ceramica attica a figure rosse, databili alla metà del V a.C. Successivamente l’altura fu occupata, forse a partire dal V d.C., ma al momento testimoniano questa fase insediativa soltanto frammenti di ceramica residuali. Più cospicua invece l’entità dell’insediamento ricostruibile per i secoli successivi, quando nel corso dell’XI secolo fu impiantato il castello provvisto di una cinta muraria e forse controllato dagli Aldobrandeschi. Solo in seguito si inserisce la costruzione del cassero e di un palazzo a più piani, con il passaggio alla casata dei Pannocchieschi. Nel corso del XIV infine il potere signorile si esaurì e il castello fu frazionato in varie unità abitative, perdendo il proprio ruolo di caposaldo sul territorio. 2. La ceramica del castello I reperti ceramici pubblicati e provenienti dalle campagne di scavo nel castello sono circa 9000 frammenti, relativi agli anni 1997-1998 e 1092 frammenti, relativi alla sola campagna 2001, corrispondenti in totale a 625 forme minime riconosciute2. Tarda Antichità Relativi a questa cronologia sono stati pubblicati un gruppo di forme residuali, consistenti in 6 ceramiche da cucina e 7 da mensa (VACCARO 2002). Le forme da cucina (Fig. 36, nn. 1-6) sono olle e casseruole con confronti locali a Roccastrada (vedi scheda relativa), Albintimilium (OLCESE 1993) e Roma (RICCI 1998) e ciotole-coperchio confrontate con quelle di area longobarda. Tra le forme da mensa (Fig. 36, nn. 7-13) vi sarebbero patere imitanti la Sigillata africana D, vasi a listello depurati, un’olletta ed un orciolo. Altomedioevo Per la ceramica da cucina sono attribuite alla fase altomedievale del sito (SEBASTIANI 2002) una ciotolacoperchio in grezza (Fig. 37, n. 1) ed alcune olle (nn. 610) con confronti a Poggio Imperiale (NARDINI 1997) e Albintimilium (OLCESE 1993). Inoltre è stato recuperato un frammento identificato come vetrina sparsa. Bassomedioevo Per quanto riguarda la ceramica grezza (BOLDRINI, GRASSI, LUNA 1999; SEBASTIANI 2002), le forme presenti (Figg. 37-38) sono costituite da un’alta percentuale di olle affiancate da testelli, coperchi, tegami acromi e invetriati e boccali. Le tipologie morfologiche rimandano, per quanto riguarda le olle, sia a produzioni ben conosciute perchè ritrovate in vari contesti nella città di Siena, sia a tipi meno noti, presenti in altri castelli della Toscana Meridionale. Tra le olle predomina un tipo con orlo ad 2 Si tratta di 148 forme di ceramica depurata; 306 di ceramica grezza;

140 di maiolica arcaica; 19 forme di invetriata da fuoco; 12 forme di zaffera a rilievo e maiolica arcaica blu (dati rielaborati da BOLDRINI, GRASSI, LUNA 1999 e SEBASTIANI 2002).

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FRANCESCA GRASSI stesso secolo. Di area senese vi sono tazze, ciotole, catini a nastro convesso e boccali con piede svasato e decorazioni complesse, zoomorfe, geometriche, antropomorfe od araldiche (Fig. 40). E’ da sottolineare l’alta qualità delle produzioni che indicano una probabile provenienza direttamente dal mercato cittadino: la qualità del vasellame si mantiene alta nel corso di tutto il XIV secolo, pur risentendo della normale standardizzazione della produzione che interessa la maiolica arcaica in generale. Di area pisana e volterrana sono alcuni catini, di area umbra almeno due tazze. La scarsa presenza pisana, circoscritta in massima parte ad un nucleo omogeneo di catini, analoghi per forma e decoro, che sembrano testimoniare un acquisto unico più che una consuetudine di mercato prolungata nel tempo e le altre, poche, forme provenienti da Pisa non sono quantitativamente significative. Ciò è ben spiegabile col fatto che Pietra non è un castello di costa, dove invece il mercato e la politica pisani hanno il predominio. Interessante, infine, seppur numericamente piccola, la presenza di prodotti orvietani, che in percentuali analoghe si ritrovano nei castelli dell’area compresa tra Massa Marittima e la costa (ci riferiamo a Rocca San Silvestro, Scarlino, Rocchette Pannocchieschi).

di), La nascita dei castelli nell'Italia medievale. Il caso di Poggibonsi e le altre esperienze dell'Italia centrosettentrionale, pp. 136-151. E. BOLDRINI, F. GRASSI, 1999, Nuove acquisizioni sulle ceramiche acrome “depurate” dalla Rocca di Campiglia M.ma e da Rocca San Silvestro (Livorno), “Archeologia Medievale”, XXVI, pp.437-446. E. BOLDRINI, F. GRASSI, A. LUNA, A.G. PORRAS, C. FORTINA, I. MEMMI TURBANTI, 2004, I reperti ceramici, in G. BIANCHI (a cura di), 2004a, Campiglia Marittima: un castello e il suo territorio. I risultati delle indagini archeologiche e la ricerca storica, t. II, Firenze, pp. 257361. F. GRASSI, 2004b, Conclusioni, in G. BIANCHI (a cura di), 2004a, Campiglia Marittima: un castello ed il suo territorio. I risultati delle indagini archeologiche e la ricerca storica, tomo II, Firenze, pp. 342-362. 1. Le indagini archeologiche La Rocca di Campiglia è un complesso monumentale posizionato sull’altura che domina il borgo omonimo, nell’entroterra del porto di Piombino. Le indagini sulla Rocca di Campiglia Marittima si sono svolte dal 1994 al 1999 ed hanno portato all’analisi di circa 1100 mq. di depositi relativi all’area sommitale dell’insediamento su un totale di circa 15000 mq di estensione all’interno della cinta in muratura (Fig. 41). I risultati dello scavo hanno fornito i dati sullo sviluppo della rocca dal IX al XVII secolo (BIANCHI 2004a). Come per altri castelli indagati archeologicamente, lo scavo ha documentato consistenti fasi non testimoniate dalle fonti scritte. Una prima forma insediativa della rocca (Periodo I) è relativa ad un periodo antecedente al IX secolo, con l’occupazione di una parte della sommità, ma le violente asportazioni conseguenti ai riusi ed alla costruzione dell’acquedotto hanno cancellato tracce più estese di questa fase. E’ stata attribuita al X secolo la prima cospicua fase insediativa documentabile, consistente in capanne lignee che occupavano tutta la sommità della Rocca. A questa fase abitativa avrebbe fatto seguito, sempre nel X secolo, una prima costruzione in pietra legata da calce con alcune strutture di servizio annesse, tra cui una fossa di scarico per i rifiuti. Con l’XI secolo, in coincidenza con la prima attestazione documentaria relativa al 1004, sarebbe avvenuta la costruzione di abitazioni in materiali misti a cui era associata anche una forgia per la lavorazione del ferro. Dal XII secolo (Periodo II) ebbe inizio la costruzione degli edifici monumentali con l’innalzamento di una prima torre e di un palazzo. A questo momento storico è stato associato un lacerto di muratura che avrebbe costituito una cinta, ma non è stato possibile ricostruire il perimetro totale da essa racchiuso. Il XIII secolo (Periodo III) rappresentò la fase di massimo ampliamento della Rocca, con l’edificazione della cisterna e di due ulteriori torri. Dal XIV secolo (Periodo IV) ebbero inizio una serie di occupazioni militari della Rocca da parte prima di una guarnigione pisana ed in seguito, dal 1406, di una guarnigione fiorentina.

3. Conclusioni L’analisi dei reperti ceramici di Castel di Pietra, pur se parziale, ha mostrato molti punti di “contatto” con altri siti presenti nell’entroterra della Toscana meridionale, alle pendici delle Colline Metallifere, come Montemassi ed in parte, Rocchette Pannocchieschi e Cugnano. Non potendo effettuare un confronto per le prime fasi inseditive, per mancanza di dati attualmente editi da Castel di Pietra, possiamo invece proporre alcune riflessioni sul bassomedioevo. Innanzitutto per quanto riguarda la ceramica da cucina, si registra la predominanza di produzioni locali, in prevalenza torniti ed anche con l’aggiunta di rivestimenti vetrosi, frutto di botteghe poste nell’entroterra toscano, nei pressi dei nuclei di popolamento principali, dai quali proveniva la richiesta di vasellame. La ceramica depurata e la maiolica invece hanno evidenziato il monopolio dei prodotti provenienti da botteghe cittadine senesi e solo in minima parte da Pisa e Volterra. Il monopolio senese sembra in questa area, si pensi anche a Montemassi o Cugnano, una questione prima politica e solo dopo economica e coincise, guardando al vasellame, con i siti nei quali Siena iniziò la propria espansione nella Toscana meridionale, dal momento in cui il dominio aldobrandesco venne a cessare. La Rocca di Campiglia Marittima Bibliografia sul sito G. BIANCHI (a cura di), 2004a, Campiglia Marittima: un castello e il suo territorio. I risultati delle indagini archeologiche e la ricerca storica, t. I-II, Firenze. G. BIANCHI, F. MENICONI, 1997, Sviluppo e trasformazione di un castello: risultati delle prime indagini archeologiche nella Rocca di Campiglia Marittima (Li), in M. VALENTI, R. FRANCOVICH (a cura

2. La ceramica dalla Rocca In questa scheda presenteremo una sintesi su tutti i 108

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO materiali ceramici medievali: tale sintesi può avvalersi al momento di una tipologia sistematica per tutte le classi, edita nei volumi sui risultati archeologici dello scavo (BOLDRINI et alii 2004; BOLDRINI, GRASSI 1999). Durante lo scavo della Rocca di Campiglia sono stati raccolti e studiati circa 7000 frammenti di materiale ceramico compresi tra IX e XVI secolo (BOLDRINI et alii 2004): una divisione in base a criteri funzionali ha permesso di individuare il 23% di ceramica da fuoco, il 38 % di ceramica da cucina e dispensa e il 39% di ceramica da mensa.

per questo l’identificazione dei reperti in vetrina sparsa è stata molto spesso problematica, data l’uguaglianza di impasto con alcuni prodotti depurati (impasto RC10). Per quanto riguarda le aree di produzione, il caso di Campiglia, grazie soprattutto alle analisi di dettaglio utilizzate per gli impasti di questa classe ceramica, ha aperto l’ipotesi di centri di produzione costieri che rifornivano i castelli limitrofi in particolare di vetrina sparsa e ceramica depurata. Le analisi archeometriche effettuate sui reperti hanno mostrato totale identità di provenienza degli impasti delle vetrine sparse rispetto a quelli delle ceramiche depurate e grezze: molti minerali degli impasti, tra cui alcuni tipici, sono infatti pienamente compatibili con le presenze mineralogiche del comprensorio delle Colline Metallifere (Fig. 44). Infine la ceramica a colature rosse è attestata con una percentuale molto bassa (2%), ed ha il suo picco nel secolo successivo (3%). I manufatti di Campiglia sono foggiati con un unico impasto (RC14) e sono caratterizzati da pareti molto sottili dei contenitori, ed accuratezza delle rifiniture tecnologiche. L’analisi degli impasti delle ceramiche a colature rosse ha evidenziato impasti generici, già molto raffinati, che farebbero propendere per una produzione importata da Pisa, forse la prima identificabile. Per quanto riguarda il consumo forniamo alcuni dati relativi agli strati di abbandono di X secolo. Considerando che si tratta di 3 nuclei abitativi identificati, il vasellame utilizzato per ogni capanna risulta veramente esiguo ed è composto da 26 olle, 1 coperchio, 2 testi/tegame e 7 testi per la cucina; infine da 9 boccali, 13 brocche, 8 forme chiuse, 1 orciolo e 2 catini per la mensa e la dispensa.

Periodo I Fase 1-4: IX -X secolo Tutte le produzioni attestate per il primo villaggio in materiale deperibile sono di produzione locale, sia quelle rivestite sia quelle prive di copertura, come è stato dimostrato con le analisi sugli impasti. In termini percentuali la divisione del vasellame è paritaria tra ceramica grezza e ceramica depurata (46% della prima e 41% della seconda) con una percentuale bassa (13%) di ceramiche con rivestimenti argillosi o vetrosi. Questo primo periodo è caratterizzato soprattutto dalle produzioni depurate (Fig. 42) con superfici lisciate a panno o stecca ed in alcuni casi con decorazioni incise a crudo (35 % del totale della ceramica depurata), mentre risultano fortemente minoritarie le ceramiche depurate prive di rifiniture o decorazioni (solo il 6%). Le classi di materiali più elaborate rappresentano un retaggio di produzioni antiche, segnate da un destino di estinzione con l’affermarsi di prodotti più “facili” e funzionali, come le depurate imposte dal mercato pisano. Un unicum per Campiglia, in quanto si tratta dell’unica forma aperta relativa alla prima fase insediativa, è il catino con orlo rientrante, rinvenuto in un contesto di XII secolo, ma forse riferibile a realtà più antiche visto che i confronti possibili per la forma ed il tipo di decoro rimandano alla fine del IX- X secolo (si veda catalogo). La prevalenza delle classi depurate con accentuate rifiniture tecnologiche si associa inoltre alla forte presenza di impasti poco raffinati (numeri RC10, RC12, RC13). Sono questi stessi impasti che ritroviamo, con grado di raffinazione identico, nelle produzioni a vetrina sparsa che tra X e XI secolo completano, accanto ai prodotti acromi, il corredo da cucina e dispensa. Tra le ceramiche grezze (Fig. 43) non sembra esserci invece diversità di presenze tra il gruppo modellato a mano e quello di fattura artigianale. Il corredo per cuocere il cibo, in particolare quello tornito, è costituito da prodotti in acroma grezza che in parte trovano il loro punto di confronto più stretto, ed anche più vicino topograficamente, con il contesto del Podere Aione (Gr, CUCINI 1989). L’impasto utilizzato maggiormente per olle tornite e boccali con uso promiscuo di IX-X secolo è il numero RC3, di provenienza locale con calcite aggiunta come dimagrante e forse legato all’operato di una bottega artigiana. Il vasellame prodotto a mano è invece foggiato con l’impasto RC1 per quanto riguarda le olle ed RC4 per i testelli, utilizzati soprattutto in queste fasi antiche. La ceramica a vetrina sparsa, presente per l’11% della restituzione ceramica, occupa la nicchia funzionale dei contenitori da dispensa. Le vetrine dei manufatti sono spesso di colore verde o giallo, disposte in modo casuale;

Fase 5-6: XI secolo Le forme ceramiche non mostrano sostanziali cambiamenti ed il corredo da cucina e da dispensa si configura attraverso oggetti molto semplici, prevalentemente privi di rivestimento e legati alle funzionalità principali (Fig. 45). Anche per quanto riguarda le provenienze della ceramica il quadro sembra rimanere immutato. Le ceramiche sono quasi tutte locali, soprattutto quelle grezze, ma anche nelle classi depurate non si assisterebbe ad alcun cambiamento nell’uso degli impasti, ad eccezione dell’introduzione della miscela argillosa RC16, molto depurata. All’interno di questi andamenti generali, sono stati riscontrati alcuni fattori di cambiamento e di passaggio ai corredi tipici dell’area produttiva pisana (vedi infra). Innanzitutto il gruppo delle ceramiche depurata non mostra più una netta prevalenza delle classi elaborate (solo il 15%), ma si nota un processo di standardizzazione nel raddoppio numerico della ceramica depurata priva di rifiniture o con leggere incisioni (12%). Il tipo più interessante e più identificabile nella forma e nel periodo di diffusione è una brocca ovoide, foggiata con impasti depurati (RC16), leggere filettature e un largo motivo sinusoidale inciso a punta nella parte alta del vaso. Dalla fine dell’XI secolo sembra imporsi progressivamente nel castello il mercato pisano, in parallelo con il consolidarsi della signoria territoriale dei Della Gherardesca, di matrice appunto filo-pisana. Per 109

FRANCESCA GRASSI Per la ceramica depurata (30 forme) sono presenti brocche, boccali tipo “Busi”, orcioli e forme chiuse non meglio identificabili. Tra i prodotti importati non pisani (3%) presenti in questo contesto di XII secolo segnaliamo due forme di invetriata alcalina proveniente dall’Islam orientale (Egitto ed Iran) ed una di smaltata verde prodotta nell’area dell’Islam occidentale. Dunque, la presenza nel contesto del butto di due forme con vetrina alcalina evidenzierebbe la richiesta di prodotti esotici, provenienti da reti commerciali non veicolate dalla città di Pisa. La stessa attività, molto ravvicinata, del porto di Piombino, potrebbe spiegare il dato di Campiglia.

quanto riguarda Campiglia, va comunque sottolineata la presenza di piccole quantità di brocche tipologicamente affini a quelle pisane, ma fabbricate con impasto RC13, di origine locale. Un altro fattore di cambiamento, collegato anch’esso alla progressiva espansione dei prodotti pisani è la costante attestazione di ceramica a colature rosse, identificata come probabile importazione dal centro cittadino o da aree limitrofe. Le ceramiche a vetrina sparsa si attestano ancora sui medesimi livelli del periodo precedente: si tratta comunque di un andamento basso, ma costante, a indicare che l’importanza ricoperta da questi prodotti è minoritaria rispetto a quelli privi di rivestimento. Non si notano, in queste ultime produzioni, cambiamenti di impasti e presumibilmente dei luoghi produttivi. La ceramica grezza infine mostra un accrescimento della percentuale di presenza ed al suo interno il blocco delle ceramiche artigianali ha la predominanza (36%), ma le ceramiche modellate a mano costituiscono ancora un blocco omogeneo.

Periodo III Seconda metà XIII secolo Per la seconda metà del Duecento, quasi tutte le forme ricostruite provengono dall’utilizzo di un fondo cieco nella torre B, una tra le nuove costruzioni di questo periodo. Il totale dei rinvenimenti ceramici appartenenti al fondo cieco è di 50 oggetti per la cottura dei cibi, 63 per la dispensa e la preparazione del cibo e 32 oggetti rivestiti da mensa. Le analisi puntuali dei corpi di fabbrica della torre hanno permesso di individuare aree distinte di pertinenza, relative a quattro edifici nobili, motivo che ha convinto sulla presenza di altrettante famiglie della casata dei Gherardeschi, così come documentano le fonti scritte per il Duecento (BIANCHI 2004a, pp. 774 ss.). Dunque il fondo cieco sarebbe stato usato come discarica per circa un quarantennio da quattro nuclei familiari aristocratici. Dividendo le quantità totali per le quattro famiglie abbiamo cercato di individuare il corredo che nel Duecento serviva alle necessità di una residenza rurale aristocratica. Abbiamo ottenuto che ogni nucleo domestico possedeva per la mensa 7/8 boccali di maiolica, 1 ciotola invetriata, 12/13 boccali acromi di varie misure; per la cucina 2/3 olle, 2/3 coperchi, 6/7 testi ed un tegame oppure una pentola; per la dispensa 2/3 brocche. Per quanto riguarda le forme e le produzioni che sono state analizzate, si è notato la graduale scomparsa del corredo in grezza prodotto in modo artigianale che ritornerà in percentuali alte solo nel XV secolo (Fig. 47): inizia a sostituirlo il corredo modellato a mano (26%) con la forma dell'olla, della pentola, del coperchio e del testello. Le forme presenti nella totalità sembrano ancora legate ad un uso promiscuo, con l’adattamento dell’olla, il contenitore più rappresentato, a svariate funzioni. Tuttavia la ricchezza del contesto si esplica nella presenza di coperchi e tegami, prima inesistenti. Inoltre compare in questo periodo anche l'invetriata grezza (4%) rappresentata dalla forma del tegame (una novità nel panorama morfologico) e dell'olla. I tipi invetriati si attestano su un livello produttivo artigianale e vi si nota l'uso di una tornitura che ha lasciato evidenti solcature all'interno dei vasi (GRASSI 1999). L’introduzione dell’invetriatura può essere ricondotta a mutamenti alimentari: se la carne di maiale continuava a dominare l’alimentazione dei signori, è stata anche rilevata una maggiore presenza di capriovini, in particolare pecore (SALVADORI 2004). Contemporaneamente la flessione nella presenza di suini ha fornito informazioni sul cambiamento di paesaggio: si assisterebbe infatti ad una

Periodo II XII secolo Il XII secolo segna l’apertura della Rocca a mercati diversi da quello locale; arrivano le prime ceramiche di importazione che, pur se in quantità molto limitate, testimoniano la possibilità di contatti commerciali con aree del bacino mediterraneo ben distinte, le zone islamiche occidentali e quelle orientali. In sintesi si nota a livello generale la predominanza dei reperti per la cottura di fattura manuale, anche se il quantitativo di ceramica artigianale rimane considerevole (18%, quasi tutto relativo ad un contesto di butto del palazzo); la preponderanza delle classi di depurata con impasti maggiormente raffinati (26%). Per quanto riguarda le forme (Fig. 46), la ceramica grezza artigianale è presente con alcuni tipi che caratteristici anche del sito di Rocca San Silvestro nello stesso momento cronologico. La ceramica depurata continua a presentare forme riconducibili completamente al repertorio pisano, come la brocca, il catino, i boccali e gli orcioli. Per ricostruire il corredo domestico dei signori è stato quantificato il riempimento di una struttura identificata come scarico di rifiuti, nel quale sono state recuperate ben 47 forme, che si caratterizzano per completezza e che possono ritenersi esemplificative di uno scarico signorile (BIANCHI 2004a)3. Per quanto riguarda la ceramica grezza (13 forme) questo contesto si presenta con una notevole omogeneità. Il corredo delle olle è costituito da tipi prodotti per la maggior parte artigianalmente, filettati esternamente e con pareti molto sottili, di ottima fattura nel complesso, tutti raggruppabili in un unico impasto, RC7 e dunque usciti da un’unica bottega. Tra i prodotti modellati a mano ci sono sette testi, tre dei quali hanno le pareti molto alte simili ad un tegame. 3 Le ceramiche contenute nel butto di XII secolo svuotato all’interno del palazzo consistevano in 6 olle, 1 catino, 3 testi-tegame, 4 testi per la cucina; 6 boccali acromi, 1 scodella, 2 boccali invetriati per la mensa; 17 brocche e 5 orcioli per la dispensa (da BOLDRINI et alii 2004).

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LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO diminuzione dell’area boschiva a favore di campi incolti o coltivabili (DI PASQUALE 2004). Dunque è possibile che nel Duecento si abbia l’esigenza di consumare cibi e carni nuove e ciò avrebbe stimolato l’uso di pentole e tegami invetriati. Le ceramiche prive di rivestimento da dispensa e da cucina recuperate nel butto del fondo cieco della torre B sono nella totalità 63 forme (42% del totale), costituite essenzialmente da brocche, boccali e altre forme come catini e microvasetti. Nel rapporto tra le forme, le brocche sono minoritarie mentre prevalgono nettamente i boccali (il rapporto è di 1 brocca ogni 6 boccali). Appare invece netta la mancanza di forme aperte, rappresentate soltanto da un catino. L’analisi delle produzioni depurate ha mostrato che boccali e brocche sono riconducibili a confronti con materiale pisano, in particolare ai boccali “Busi” ed alle cosiddette “anforette pisane”. Per le ceramiche da mensa, ad eccezione delle provenienze umbro-laziali, la maiolica arcaica di fabbricazione pisana occupa sin dalle prime forme riconoscibili nella stratigrafia di Campiglia la nicchia più ampia. Questo dato è in linea con le strategie commerciali pisane che prevedevano l’esportazione del nuovo vasellame, prodotto nella cittadina a partire dai primi decenni del XIII secolo, in molte parti del mediterraneo. Infine, all’interno del butto sono state ritrovate alcune ceramiche di importazione provenienti dal bacino del Mediterraneo che sembrerebbero arrivare a Campiglia in concomitanza con la massiccia esportazione di maiolica arcaica da Pisa verso tutto il Mediterraneo occidentale (importazioni provenienti dal Lazio, dal Med. Occidentale, dal Med. Orientale, dalla Campania e dalla Sicilia). Si notano alcune presenze, come quelle campane o siciliane, che non sono molto rappresentate nella città e potrebbero essere arrivate senza intermediari, direttamente dalla costa della penisola. Le presenze tunisine, furono invece senz’altro mediate dalla città ed uguali canali di arrivo si possono ipotizzare per le provenienze del mediterraneo orientale, consistenti non solo in ceramica, ma anche in vasellame vitreo, come una forma di lampada pensile da moschea proveniente dalle officine di Damasco, in Siria (MENDERA 2004).

Il Trecento è il secolo nel quale le produzioni smaltate da mensa di maiolica arcaica occupano una percentuale molto alta, circa il 50%, tra tutto il vasellame recuperato. Per questa classe è stato necessario focalizzare le presenze nelle due metà del secolo: sino alla metà del XIV infatti perdura il monopolio dei prodotti pisani, mentre nel secondo cinquantennio il panorama si arricchisce di arrivi da Siena, Volterra e dal Valdarno, pur rimanendo la presenza pisana preponderante. L’andamento degli arrivi pisani rimarrà costante sino agli ultimi contesti analizzati nel dettaglio per la Rocca, mentre Siena e Volterra sembrano presenze sporadiche legate al momento di massima espansione dei prodotti in maiolica. Diverso il caso del Valdarno. Da area valdarnese arrivano i prodotti con decori in blu, maioliche arcaiche e zaffere a rilievo (1%) e nei secoli successivi l’apporto da questa area si accrescerà con alcuni esemplari di maiolica arcaica tricolore e il vasellame smaltato prodotto a Montelupo Fiorentino. Nello specifico delle forme della maiolica arcaica, quella più rappresentata tra gli arrivi pisani è la ciotola emisferica monocroma o con decori in solo manganese, adatta al consumo individuale di cibo, mentre mancherebbero i recipienti ad uso collettivo, come grandi catini, scodelloni e rinfrescatoi, sostituiti probabilmente dai taglieri di legno, più economici e funzionali. Questo semplice dato ci illustra alcune delle esigenze della guarnigione: la mensa dei soldati sarebbe stata fornita di maiolica arcaica, prevalentemente ciotole individuali monocrome e boccali per la mescita del vino e di bicchieri di vetro. La completavano oggetti in legno, come taglieri e coltelli ad uso individuale. Infine, per quanto riguarda la ceramica di provenienza “non toscana”, nel Trecento si assiste ad una riduzione delle presenze rispetto al secolo precedente (da 3% a 2%) e ad un restringimento delle aree di arrivo dei prodotti, consistenti in sole tre zone: Liguria, Spagna e Med. Occidentale. Infatti, scompare l’apporto di ceramica dal Mediterraneo orientale, dalla Campania e dalla Sicilia; invece, la continuazione dei rapporti con l’Islam occidentale sarebbe testimoniata dalla ceramica a cobalto e manganese e dai primi arrivi di ceramiche spagnole del gruppo “paterna”. Inoltre la percentuale più alta di ceramica extraregionale proviene dalla Liguria, attestata soprattutto nella prima metà del secolo con produzioni di graffita arcaica e di ingobbiata monocroma.

Periodo IV XIV secolo La ceramica grezza (Fig. 48) per cucinare ha mostrato un quadro molto caratteristico dei castelli della Val di Cornia (come Rocca San Silvestro): le olle grezze fabbricate artigianalmente sono ridotte a percentuali esigue, mentre il corredo sembra composto esclusivamente da manufatti modellati a mano (20%) e da ceramica invetriata (9%). Non si tratta dunque di un dato rapportabile ad altri contesti di consumo del Trecento, se non ad alcuni castelli limitrofi come Rocca San Silvestro o Piombino (vedi schede relative). La ceramica depurata è attestata solo relativamente alla classe più funzionale, ed in particolare si è constatato una presenza molto alta di grandi contenitori tipo “anforette” pisane o senesi, orci, catini e orcioli. Le provenienze della ceramica depurata si possono in questo secolo soltanto ipotizzare, soprattutto per i prodotti che non presentano bolli o marchi di alcun tipo (bolli dentati pisani, stampigliatura del giglio fiorentino etc.).

3. Conclusioni L’analisi della cultura materiale della Rocca di Campiglia Marittima ha mostrato due caratteri peculiari collegati al sito: il primo scaturisce dallo studio dei corredi delle capanne inserite nel villaggio altomedievale che differenziano Campiglia da molti altri villaggi della Toscana meridionale ed il secondo dallo studio delle dinamiche occorse nella Rocca tra fine Duecento e Trecento, quando il destino dell’insediamento si allinea a quello di altri siti limitrofi collegati anch’essi alle fortune dei giacimenti minerari (ad esempio Rocca San Silvestro o la stessa città portuale di Piombino). Iniziando dai dati sull’altomedioevo, essi sembrano connotare decisamente un tipo di insediamento peculiare. 111

FRANCESCA GRASSI La ceramica ha mostrato la presenza nell’altomedioevo di prodotti fabbricati nell’ambito di officine rurali, alle quali il villaggio è in grado di rifornirsi. Ma nel contempo ha messo in luce anche una particolare recettività per quanto riguarda i prodotti rivestiti, come la ceramica a vetrina sparsa, sempre di area locale, e quella a colature di ingobbio rosso, forse di fabbricazione cittadina. A questi dati possiamo aggiungere altre considerazioni, ricavate dallo studio dei resti ossei animali e delle tipologie abitative ricostruite per la fase altomedioevale. I resti ossei animali relativi al villaggio hanno evidenziato una presenza quantitativamente molto alta di suino, permettendo di ipotizzare un’economia basata sull’attività specialistica dell’allevamento del maiale (SALVADORI 2004). Tali resti sarebbero distribuiti in maniera omogenea in tutto l’insediamento, mostrando un’assenza di gerarchizzazione nei consumi di carne, visibile anche dall’analisi delle tipologie abitative che risultano identiche per le tre strutture lignee identificate durante lo scavo. Dunque il tipo di economia, le abitazioni e le produzioni locali di ceramica hanno fatto propendere per la ricostruzione di un villaggio-azienda con attività produttive specializzate, dipendente da un centro curtense che doveva trovarsi nelle vicinanze. La ceramica in questo quadro ha mostrato un elemento aggiuntivo di connotazione sociale, in particolare per la presenza ricordata di prodotti con rivestimenti di ingobbio. Infatti, questo vasellame tra le produzioni altomedioevali era quello più vicino ai “canoni” del mondo classico e perciò inquadrabile nell’ambito di una domanda nata all’interno di ceti sociali collegati alla città ed alla tradizione produttiva di età classica. In seguito, a partire dalla metà del X secolo, la trasformazione progressiva del villaggio in un insediamento in pietra, accanto anche ad una lettura dei resti ossei che testimonierebbero la presenza di specie selvatiche frutto di attività venatorie, permetterebbero di osservare una composizione sociale in mutamento, caratterizzata già da un ceto signorile e da un rapporto con la città di Pisa che diventerà “monopolistico” nel corso dei secoli. L’evidenza ceramica lo ha mostrato in maniera molto netta, sia attraverso i numerosi reperti che abbiamo illustrato nel testo e che provenivano direttamente dalla città, sia attraverso le varie ceramiche di importazione, molto abbondanti nelle stratigrafie della Rocca, che sicuramente giunsero con il tramite del porto cittadino e dello scalo piombinese. La fase signorile della Rocca è segnata da una grande ricchezza dei corredi ceramici, caratterizzati da maioliche e ceramiche invetriate sia toscane sia nazionali, provenienti dal Lazio, dalla Campania e dalla Sicilia, accanto a prodotti frutto di commerci internazionali assai precoci, come hanno mostrato le importazioni provenienti dall’area del mediterraneo orientale e databili al XII secolo, recuperate all’interno del pozzetto di scarico costruito nel palazzo signorile. In contemporanea, per tutto il bassomedioevo continuò ad essere molto alta la percentuale di ceramica prodotta localmente, sintomo della vitalità delle campagne circostanti, nelle quali erano disclocate varie botteghe artigianali, come è emerso dalla ricostruzione effettuata per mezzo dell’analisi degli impasti. In particolare, le produzioni fabbricate a mano per la cucina ebbero sempre un ruolo di primo piano nei corredi domestici, soprattutto 112

nel XIV secolo che segnò il declino della fase signorile e la trasformazione in roccaforte militare di tutto l’insediamento. Il castello di Cugnano Bibliografia sul sito M. BELLI, F. GRASSI, J.A. QUIROS CASTILLO, 2003, Castello di Cugnano (Monterotondo M.mo, Gr). Schede 2003, “Archeologia Medievale”, XXX, pp. 487-488. M. BELLI, F. GRASSI, J.A. QUIROS CASTILLO, 2004, Castello di Cugnano (Monterotondo M.mo, Gr). Schede 2004, “Archeologia Medievale”, XXXI, p. 340. M. BELLI, R. FRANCOVICH, F. GRASSI, J.A. QUIROS CASTILLO, 2005, (a cura di), Archeologia di un castello minerario: il sito di Cugnano (Monterotondo M.mo, Gr), Firenze. J. BRUTTINI, G. FICHERA, F. GRASSI, 2009, Un insediamento a vocazione mineraria nella Toscana medievale: il caso di Cugnano nelle Colline Metallifere, in Sami 2009, pp. 306-313. F. GRASSI, 2005a, La ceramica, in M. BELLI, R. FRANCOVICH, F. GRASSI, J.A. QUIROS CASTILLO (a cura di) 2005, pp. 65-74. A. MASCAGNI, 2006/2007, La cultura materiale di una casa del castello di Cugnano: l’area 5000, tesi di laurea, Università degli Studi di Siena. 1. Le indagini archeologiche Dal 2003 è in corso l’indagine archeologica nel castello minerario di Cugnano; questo intervento si è sviluppato nell’ambito delle ricerche svolte da anni nelle aree minerarie delle Colline Metallifere, allo scopo di studiare le forme insediative antiche ed il loro rapporto con le dinamiche di produzione del metallo (BELLI, FRANCOVICH, GRASSI, QUIROS CASTILLO 2005; BRUTTINI, FICHERA, GRASSI 2009). Il castello si trova oggi all’interno di un bosco, su un modesto rilievo (m. 446 Slm) adiacente al Poggio Trifonti, compreso tra le cittadine di Massa Marittima e Monterotondo Marittimo. Tale territorio, ora caratterizzato da ampie distese boschive, si è distinto sino all’età contemporanea per la densa attività mineraria che ha interessato i giacimenti di minerali quali solfuri misti. Gli insediamenti fortificati, che connotano nel medioevo il territorio, come Rocchette e Cugnano, costituirono le basi da cui i poteri signorili, ecclesiastici e cittadini controllavano i processi di produzione metallurgici. Il castello (Fig. 49) è circondato da una cinta muraria di forma circolare che racchiude una superficie di 5675 mq. Tale muratura, nell’area di ingresso al castello è rafforzata dalla presenza di una seconda cinta, che crea una viabilità protetta. Infine, un’ulteriore cinta fortifica la parte sommitale del cassero ed è provvista di un ingresso monumentale che introduceva agli edifici privilegiati del castello, tra cui una torre poligonale, due palazzi e forse una cisterna. Le abitazioni e gli edifici artigianali interessano tutta l’area delimitata dalla grande cinta; al di fuori è inoltre presente un borgo, attestato anche dalle fonti scritte duecentesche. In tutto il castello ed in alcune aree circostanti, oggi adibite a pascolo, è stata inoltre condotta una mappatura delle evidenze metallurgiche con

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO il magnetometro (Lapet Lab-Università di Siena e Grosseto): lo scavo effettuato in alcune zone di concentrazione di tali indicatori ha permesso il recupero di parti di strutture produttive smantellate ed utilizzate per effettuare dei livellamenti, assieme al campionamento di scorie di lavorazione di solfuri misti e di ferro. In particolare, l’analisi magnetometrica ha indicato che all’interno della cinta muraria si svolgevano intense attività di lavorazione dei metalli monetabili, mentre quelle relative al ferro venivano effettuate anche nelle aree esterne al castello, in analogia con il modello produttivo ipotizzato per Rocca San Silvestro (Livorno). Le sette campagne di scavo effettuate a Cugnano, unitamente allo spoglio delle fonti scritte, hanno permesso di articolare una sequenza cronologica relativa alle fasi insediative del sito. Tale sequenza è ad oggi provvisoria e deve essere intesa come ipotesi di lavoro, all’interno della quale verranno arrticolate in maniera più dettagliata le successioni insediative del sito. Possiamo dire che la prima frequentazione riconoscibile nell’area è da riferirsi alla presenza di strutture realizzate con materiale deperibile confrontabili con altre realtà toscane vicine (Periodo I). Si tratta di un abitato che si posizionava, in basa ai dati sino ad oggi raccolti, nella parte sommitale del castello, datato dall’analisi radiocarbonica 680-890 d.C (BELLI et alii 2005, p. 51). Questo impianto insediativo, caratterizzato dunque da strutture in materiale deperibile, sarebbe già in mutamento nel corso del IX secolo (Periodo II), quando vengono realizzate alcune capanne anche nella parte più bassa del sito, racchiusa dalla costruzione della cinta muraria in pietra tra fine XI e XII secolo. In seguito, nel XII secolo, alcuni indicatori hanno permesso di connotare una monumentalizzazione del castello: principalmente le tecniche costruttive, che nel XII secolo furono molteplici, assieme alle tipologie abitative utilizzate (costruzione di due palazzi e della torre sommitale), simboli del potere signorile. Infine, le ultime fasi di occupazione del castello si collocano nel XIV secolo (Periodo III): la cultura materiale, principalmente le tecniche murarie e la ceramica, hanno mostrato la presenza nel castello di ceti urbani senesi, attestati anche dalle informazioni documentarie in nostro possesso.

tipiche, associabili alle caratteristiche economiche e sociali di questi villaggi rurali, creando dei presupposti per il riconoscimento di questa forma insediativa anche in presenza di minimi indicatori. Tra i tipi ceramici più caratterizzanti si inseriscono infatti le ciotole con orlo introflesso, prodotto di ateliers rurali e cittadini, come mostra la loro presenza in stratigrafie di castelli e città. Al momento i dati relativi alla seconda fase insediativa del sito, forse ancora un villaggio costruito in materiale deperibile, ma già cinto da una muratura, sono in corso di studio e non siamo in grado di sintetizzarli. Periodo II XI-XII secolo Invece, possiamo presentare un contesto, già edito, relativo ai secoli XI e XII; si tratta di 123 frammenti, dei quali il 41% per la cottura dei cibi (olle e testi) ed il 59% per la dispensa e la mensa (Fig. 51). La ceramica da dispensa e da mensa comprende, al suo interno, una piccola percentuale (il 21%) di vasellame foggiato con un impasto non estremamente raffinato, rare volte anche con interno grigio, mentre il restante 79% è relativo a manufatti con argille molto raffinate. Entrambe le produzioni sono caratterizzate da steccature effettuate nella parte terminale dei vasi e da decori filettati. Il corredo domestico sembra dunque caratterizzarsi con tre forme: la brocca, non esemplificabile nella sua interezza, ma probabilmente non dissimile dalle grandi brocche globulari delle fasi successive (n. 7), il boccale, presente solo con impasto semidepurato e l’orciolo (n. 6). La ceramica per la cucina (41%) comprende olle e testi. Le forme sembrano già standardizzate, soprattutto le olle, con alto collo e orlo piatto o arrotondato (nn. 1-3), spesso decorate con filettature. I testi, sia a parete bassa, sia a parete alta, simili a tegami (nn. 4-5), hanno un’alta variabilità morfologica e gli impasti mostrano stretta affinità con quelli delle olle, dato che ci ha permesso di ipotizzare la produzione all’interno delle stesse botteghe. In generale, gli impasti della ceramica grezza sono molto raffinati, con evidenti inclusi aggiunti di calcite in entrambe le forme, anche se con granulometria diversa. Periodo III XIV secolo

2. La ceramica del castello Nel corso delle quattro campagne di scavo sono stati recuperati 11349 frammenti ceramici relativi ai secoli VIII-XIV, ma in questa sintesi verranno considerati soltanto i 2354 frammenti editi nel 2005, corrispondenti al 21% del totale.

Il contesto di vita relativo ad un ambiente di servizio a ridosso della cinta muraria è stato utilizzato per la quantificazione dei contesti ceramici di XIV secolo e per l’esemplificazione dei tipi principali in uso nel castello. Dalle percentuali delle singole classi si evince la funzione dell’edificio, sicuramente non residenziale, vista la bassa attestazione di ceramica per la cottura e per il consumo del cibo (77% dispensa, 17% cucina, 6% mensa). La ceramica per la dispensa (Fig. 52) è costituita da grandi brocche, che abbiamo ritrovato con forme simili nei corredi bassomedievali pisani e senesi, alcune anche provviste di bolli sulle anse (nn. 22-23). Accanto ai prodotti locali la dispensa è completata da almeno due grandi giare con decorazioni impresse a stampo di provenienza islamica; si può ipotizzare che questi prodotti mediterranei fossero arrivati forse con un contenuto particolare ed in seguito riutilizzati al pari dei prodotti locali, come era accaduto a Campiglia Marittima.

Periodo I Altomedioevo Sono riferibili ad un arco cronologico tra VIII e IX secolo alcuni frammenti di ceramica provenienti dall’area sommitale: si tratta di due fuseruole interamente steccate e di un catino in ceramica depurata con orlo rientrante (Fig. 50). Ad eccezione di questi pochi reperti, tutti residuali, non si può dire molto sulla cultura materiale del primo villaggio che qui si impiantò. L’analisi dettagliata dei corredi ceramici collegati alle fasi insediative tra metà VII e X secolo ha permesso il riconoscimento di forme 113

FRANCESCA GRASSI La ceramica per la cucina è composta da tre tipi di produzioni: artigianale, modellata a mano e provvista di invetriatura. Olle e coperchi (nn.1-5) prodotti in botteghe artigiane con l’ausilio del tornio veloce richiamano nelle forme il panorama edito per l’area senese. Le forme della ceramica modellata a mano (nn. 6-8) sono le stesse recuperate a San Silvestro, Campiglia Marittima, Piombino ed ugualmente per la ceramica invetriata (n. 9). La mensa infine offre una varietà maggiore di produzioni, con materiali di provenienza senese, volterrana, valdarnese e extraregionale. Sono senza dubbio senesi alcune forme di maiolica arcaica (o di “area senese”, ma in assenza di analisi archeometriche è difficile dirlo) tra cui catini con orlo a nastro convesso (nn. 12-13), ciotole con orlo indistinto (nn. 16-17), un boccale con corpo bitroncoconico (n. 18), una tazza troncoconica (n. 14) insieme a due forme invetriate, un catino (n. 20) ed un rinfrescatoio (n. 19). Sembrerebbero invece volterrani alcuni frammenti di maiolica arcaica con orlo a mandorla (n. 15), impasti molto chiari e vetrine gialle nelle superfici secondarie. Dall’area valdarnese arrivano al castello i prodotti con decori in blu, tra cui alcuni frammenti di zaffera a rilievo con impasto molto depurato di colore bianco, alcuni frammenti di maiolica arcaica blu. I frammenti recuperati a Cugnano non ci hanno permesso osservazioni specifiche sui decori e sulle forme: si tratta infatti di piccole pareti ed orli di boccali, presenti in contesti della fine del XIV secolo, collegati all’abbandono del sito. A Rocca San Silvestro e Campiglia Marittima le attestazioni cronologiche sembrerebbero le medesime (dal 1350 in poi), collegate a pochi esemplari di boccali con decori molto elaborati, inseribili nell’ambito delle ceramiche da mensa che caratterizzano un contesto di elevato grado sociale. Non è possibile al momento determinare se il centro produttore dei boccali giunti a Cugnano fosse Firenze oppure siti limitrofi come Bacchereto o Montelupo. Da Savona proviene una ciotola di graffita arcaica ligure (n. 10), attestata nel XIV secolo in molte parti della costa tirrenica e nel vicino castello di Rocchette (si veda la scheda relativa). Dalla Spagna infine giunge una forma aperta decorata a lustro del tipo “Pula” (n. 11).

abbondanti, a ricostruire quello che era presente prima e dopo, da un punto di vista cronologico. Prima, tra IX e X secolo, le botteghe territoriali producevano solo manufatti da dispensa con impasti “grossolani”, dopo invece, prevarranno i tipi “senesi”, fabbricati all’interno di officine ubicate nel contado, forse di proprietà diretta di vasai cittadini o di artigiani influenzati dalla sfera culturale senese. L’organizzazione di queste botteghe doveva essere del tutto simile a quella di un atelier cittadino, come mostrerebbero i prodotti immessi sul mercato, caratterizzati da impasti duri e ben cotti (vedi il capitolo su Rocchette). I quadri del consumo relativi al XIV secolo ci mostrano invece dati che non sembrano discostarsi dalle ricostruzioni dei corredi domestici bassomedievali del territorio. Inoltre non sono state evidenziate, almeno per il XIV secolo, differenziazioni sociali tra la parte del borgo e quella del cassero. I dati sulle produzioni e sullo scambio hanno mostrato una circolazione fluida di prodotti ed un mercato regionale che permette l’arrivo di produzioni toscane, nazionali e mediterranee anche in aree non costiere, pur non dimenticando che Cugnano è nel medioevo un insediamento al centro di circuiti di commercio privilegiati, collegati al metallo monetabile. Infatti l’analisi delle ceramiche da dispensa e da mensa di Cugnano evidenzia un panorama dominato dai prodotti cittadini, per la maggior parte senesi con sporadiche presenze di “altre provenienze”, identificate nella zona di Volterra e nel valdarno fiorentino, insieme agli arrivi di vasellame da due aree del mediterraneo, Liguria e Spagna, che esportavano i propri prodotti anche in zone interne della regione. Castello di Donoratico Bibliografia sul sito G. BIANCHI (a cura di), 2004b, Castello di Donoratico. I risultati delle prime campagne di scavo (2000-2002), Firenze. G. BIANCHI, 2008b, Gli edifici religiosi tardo antichi e altomedievali nella diocesi di Populonia-Massa: il caso della Val di Cornia e bassa Val di Cecina, in CAMPANA F., FELICI C., FRANCOVICH R., GABBRIELLI F. (a cura di), Chiese e insediamenti nei secoli di formazione dei paesaggi medievali della Toscana. Il rapporto fra le chiese e gli insediamenti fra V e X secolo, pp. 369-391. G. BIANCHI, c.s.b, Cantieri monastici, cantieri curtensi e cantieri castrensi tra altomedioevo e secoli centrali nella Toscana meridionale, in Cantieri e maestranze nell´Italia medievale, 2° Convegno Internazionale, Chieti-San Salvo, 16-18 maggio 2008. M. L. CECCARELLI LEMUT, 2004, La Maremma populoniese nel medioevo, in G. BIANCHI (a cura di), 2004a, Campiglia Marittima: un castello e il suo territorio. I risultati delle indagini archeologiche e la ricerca storica, tomo 1, Firenze. R. FRANCOVICH, G. BIANCHI, 2006, Capanne e muri in pietra. Donoratico nell’alto medioevo, in C. MARCUCCI, C. MEGALE (a cura di), Il Medioevo nella provincia di Livorno. I risultati delle recenti indagini, Pisa, pp.105116. F. GRASSI, S. LIGUORI, 2004, Per un preliminare catalogo dei reperti ceramici: i contesti di ante X-XI

3. Conclusioni I corredi più antichi tra quelli ricostruibili sono al momento relativi ai secoli XI e XII, già collegati al sito incastellato, dato che le strutture del villaggio altomedievale non hanno restituito materiali tali da permetterci di illustrare la vita quotidiana delle capanne. Sulle provenienze dei prodotti ceramici di XI e XII secolo è difficile fare ipotesi; tuttavia abbiamo almeno due dati utili per ricostruire il panorama produttivo dell’area: uno è il confronto con il castello di Rocchette ed un’altro, intrinseco al materiale stesso di Cugnano, riguarda non tanto le forme, quanto gli impasti. Partendo dal secondo, la compresenza di gradi di depuratezza diversificati delle argille ci informa sull’organizzazione delle botteghe, forse interessate in questi secoli da trasformazioni nel ciclo lavorativo e nei prodotti fabbricati, in concomitanza con l’assestamento della rete insediativa territoriale e dei poteri signorili, come evidenziato anche per altri castelli. Il confronto con Rocchette ci ha aiutato, con dati più 114

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO secolo, in BIANCHI (a cura di), 2004b, Castello di Donoratico. I risultati delle prime campagne di scavo (2000-2002), pp. 115-138. M. PISTOLESI, 2004, Contributo alla definizione delle fasi premedievali, in G. BIANCHI (a cura di), 2004b, Castello di Donoratico. I risultati delle prime campagne di scavo (2000-2002), pp. 19-28.

urbanizzazione con la costruzione di torri, strutture produttive e nuovi edifici privilegiati e la comparsa di corredi domestici molto ricchi (BIANCHI 2004b; FRANCOVICH, BIANCHI 2006). 2. La ceramica del castello I contesti utilizzati per questa breve sintesi dei reperti ceramici sono stati pubblicati nel 2004, e corrispondono soltanto ad una minima parte dei materiali ceramici che stanno emergendo dallo scavo (LIGUORI, GRASSI 2004). Infatti, l’analisi qui sintetizzata concerne una tematica principale, fortemente circoscritta nel tempo, riguardante parte della fase insediativa in materiale deperibile che interessò il sito (IX-XI secolo)5. I frammenti pertinenti alla fase insediativa in materiale deperibile sono 2132 e comprendono ceramica con impasto grossolano (acroma grezza), utilizzata per cuocere i cibi; ceramica con impasti raffinati utilizzata per la dispensa e parzialmente per la mensa (acroma depurata) e ceramica con rivestimenti vetrosi o argillosi (vetrina pesante, vetrina sparsa e ceramica a bande rosse) La ceramica grezza è la classe maggiormente attestata in tutti e tre i periodi (sono circa 1200 i frammenti appartenenti a questa classe); la forma più ricorrente è l'olla, attestata sia con produzioni modellate a mano/tornio lento sia con produzioni artigianali. L’andamento cronologico di queste due modalità produttive mostra una sostanziale parità di presenze ad eccezione del X secolo, momento nel quale la ceramica prodotta a tornio veloce rappresenta soltanto 1/6 del totale delle olle. Nel dettaglio i tipi di olla prodotti a mano sono 6 e presentano una varietà nella morfologia molto alta (Fig. 54, nn. 1-2-16-12-22). Non sembra possibile associare forme così distinte a provenienze da bottega diversificate, ma l’ipotesi più probabile è che proprio il tipo di modellazione abbia determinato l’alta variabilità morfologica nella forma del vaso. Un dato interessante per ricondurre queste olle ad un numero di botteghe è quello legato agli impasti: le olle sono foggiate con due impasti distinti il n. 30 (in modo preponderante) ed il n. 1 e potrebbero dunque provenire da due ateliers. Le olle tornite sono costituite da 8 tipi distinti e il confronto con le olle rinvenute in contesti vicini è stringente, sia per impasti che per forme: senza dubbio il castello di Donoratico si rifornisce presso botteghe situate nel territorio limitrofo a questi siti (nn. 3-4-13-1415-17/19-24). Anche le olle tornite sono foggiate prevalentemente con due impasti, il n. 1 ed il n. 30. Tra i testi, le forme maggiormente attestate presentano il profilo esterno rettilineo od ingrossato (nn. 9-11); sono del tutto assenti elementi incisi e soltanto a partire dal XIII secolo si ritrova l'utilizzo di segnare la parte interna dei manufatti con un segno cruciforme. Infine, all'interno del corredo ceramico utilizzato in cucina, si ritrovano alcuni coperchi, attestati in tutto l'arco cronologico esaminato ed eseguiti solitamente con l'utilizzo del tornio, ad eccezione del n. 25 prodotto a mano.

1. Le indagini archeologiche Lo scavo del castello di Donoratico, iniziato nel 2000 ed ancora in corso, sta mettendo in luce le fasi insediative di un abitato occupato ininterrottamente dall’età ellenistica a tutto il medioevo. Il sito si colloca su un pianoro collinare di circa un ettaro ed è esteso circa 8300 mq, totalmente cinti da mura. Il castello rientra all’interno del territorio della Bassa Val di Cecina e si trova in prossimità dei limiti settentrionali delle colline del campigliese, a confine con la Val di Cornia (BIANCHI 2004b) (Fig. 53). La sequenza delle costruzioni e ricostruzioni sul pianoro occupato dall’insediamento ebbe inizio con una intensa fase di periodo ellenistico, nella quale la sommità era già cinta da una possente muratura e nei terrazzamenti sottostanti si localizzavano una serie di tombe a camera scavate nel calcare (PISTOLESI 2004). Nei secoli successivi, tra VI e VII secolo si ebbe la prima frequentazione altomedievale, sopvrapposta a livelli di vita tardo imperiali, connotando dunque una continuità abitativa dell’area; in questa fase, nonostante l’assetto intero dell’abitato non sia ancora ricostruibile, è stata ipotizzata la continuità d’uso della cinta muraria ellenistica e l’occupazione di tutta la superficie del pianoro4. In seguito, a partire dall’VIII secolo un abitato con strutture in materiale deperibile occupò l’altura; di questo sono state indagate due capanne circolari a funzione non abitativa (area 3000) ed una con planimetria allungata pertinente invece ad un’abitazione (area 7000), probabilmente separata dalle altre da una palizzata lignea (FRANCOVICH, BIANCHI 2006). Nel corso del IX secolo con la costruzione della cinta muraria sovrapposta a quella ellenistica e successivamente della chiesa si configura un potere già ben radicato sull’insediamento, forse lo stesso Monastero di S. Pietro di Monteverdi Marittimo che ancora nel 1176 ne deteneva dei diritti assieme ai della Gherardesca; di questo potere sarebbe espressione anche il cantiere organizzato per la messa in opera delle nuove strutture, provvisto fra l’altro di una macchina da malta (BIANCHI 2008a; BIANCHI c.s.b). Tutto l’insediamento risultava inoltre bipartito da un possente muro perpendicolare alla stessa cinta. Tra X e XI secolo il sito si trasformò progressivamente in castello, ma è dal XII secolo che si costruirono edifici di carattere signorile, i primi ad essere riconosciuti come tali dalle evidenze di scavo: si tratta di una torre posta a pochi metri di distanza dalla chiesa. Solo in seguito, in concomitanza con la presenza ormai certa dei conti Gherardeschi sul castello, si ebbe una forma intensa di 4 I risultati relativi alle vicende insediative altomedievali del sito sono al momento in corso di edizione, assieme ai manufatti ceramici provenienti dalle aree indagate. Si ringrazia Giovanna Bianchi per la disponibilità nel comunicare a chi scrive gli aggiornamenti dello scavo.

5 I reperti ceramici relativi alla intensa fase di vita altomedievale emersa dalle ultime campagne di scavo sono in corso di studio da parte di Federico Cantini (Università di Pisa).

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FRANCESCA GRASSI Gli impasti più attestati per i manufatti in grezza sono il numero 1 che si associa ai manufatti torniti (olle e coperchi), il numero 30 che viene usato per manufatti modellati a mano e raramente si associa a torniture più complesse, il numero 13, utilizzato per fabbricare testi e dal XII secolo il numero 3 che lo sostituisce per produrre la stessa forma. In sintesi, analizzando il rapporto nei secoli tra i vari impasti presenti nel castello e riferendoli al lavoro di molteplici ateliers, abbiamo ipotizzato un’evoluzione diacronica (Fig. 55). Per quanto riguarda la ceramica depurata (899 frammenti), negli abbandoni della fase più antica sono presenti nel corredo domestico alcune forme aperte (Fig. 56, nn. 1-2-3), mentre nel X e nell'XI secolo le uniche forme attestate in acroma depurata sono brocche e boccali. Le forme più antiche sono caratterizzate da motivi decorativi, costituiti da incisioni sinusoidali o filettature molto marcate; infatti, tra la fine del X e l'XI secolo si profila un cambiamento significativo nelle produzioni, con la progressiva perdita delle caratteristiche proprie del materiale più antico, sia a livello formale (scomparsa delle forme aperte) sia a livello tecnologico con l'affermarsi di un panorama di forme che mostra una progressiva semplificazione. Nel X secolo, contraddistinto da un maggior numero di ritrovamenti, compaiono totalmente le forme aperte in acroma depurata: e’ senz’altro pensabile che pur facendo parte del corredo domestico, catini e ciotole fossero realizzati in materiali deperibili (legno o altro) oppure riutilizzabili (metallo). Continua invece la produzione di brocche e boccali, per la quale riusciamo ad individuare alcuni profili. I tipi più ricorrenti nel X e nell’XI secolo sono due: la brocca trilobata con collo schiacciato, caratterizzata da un'ansa a nastro impostata direttamente sull'orlo e quella con alto collo sul quale si imposta direttamente l’ansa. Alcune delle anse presentano bolli impressi a crudo, come il tipo 10 e 14. L’analisi degli impasti permette di cogliere alcune indicazioni sulle botteghe di provenienza dei manufatti, in assenza di dati diretti sugli ateliers. Infatti, la compresenza di tre tipologie di impasti (divisi per comodità nei blocchi semidepurato, semidepurato con anima grigia e depurato) può far avanzare l'ipotesi di produzioni con provenienza diversificata. I manufatti prodotti con impasti semidepurati, con o senza anima grigia, si richiamano fortemente a quelle pisane, ma i caratteri decorativi non sembrano presenti a Pisa in questo stesso arco cronologico. Si potrebbe trattare di un centro intermedio tra Pisa e Donoratico, forse di un sito specializzato analogo alla bottega costiera che produce vetrina sparsa. I manufatti con impasto depurato presentano invece schiarimenti delle superfici; si tratta in particolare della forma della brocca globulare con fitte sequenze di sinusoidi sul collo e sulla spalla (n.13), attestata a Donoratico nell’ XI e XII secolo. Questo tipo di brocca è stato rinvenuto in tutto il territorio pisano e nella fascia costiera e sembra essere un prodotto fortemente venduto da Pisa sui mercati rurali. La produzione di vetrina sparsa (Fig. 57) presenta forme e impasti identici a quelli della coeva ceramica priva di rivestimento (brocche e boccali): questo dato ci offre la conferma delle stesse botteghe, ubicate sicuramente sulla costa o nell’entroterra più immediato, come hanno

mostrato le analisi degli impasti effettuata a Campiglia (vedi scheda relativa). La ceramica a vetrina sparsa è stata datata puntualmente grazie ad analisi radiocarboniche effettuate sui contesti delle capanne che hanno fornito una cronologia compresa tra la seconda metà del IX e la fine dello stesso secolo (dati ancora non editi). La produzione è attiva sino all’XI secolo, momento nel quale si nota la maggiore quantità di presenze. La ceramica con decori costituiti da ingobbio rosso (si veda fig. 57) è molto rara nei contesti esaminati del castello di Donoratico. Si tratta di pareti di forme chiuse, probabilmente brocche, con impasto molto depurato, quasi non campionabile ad occhio nudo, e decori molto tenui prodotti con un ingobbio rosso estremamente diluito. La pochezza dei rinvenimenti, assieme alla diversità dell’impasto, potrebbero essere gli indizi per individuare la prima produzione giunta direttamente da Pisa nel momento in cui la politica commerciale della cittadina inizia a rivolgersi al mercato suburbano e rurale. 3. Conclusioni In sede conclusiva vorremmo riprendere alcuni dati di sintesi sul consumo, tra quelli editi, a nostro parere molto significativi, precisando comunque che lo studio delle nuove restituzioni ceramiche altomedievali potrebbe mutare il panorama che descriveremo. L’analisi specifica del consumo ha mostrato che una delle tre aree oggetto dell’analisi, in seguito interpretata come capanna abitativa tipo longhouse (FRANCOVICH, BIANCHI 2006), si presenta come la più ricca (area 7000), per tutto il corso della diacronia esaminata. Potrebbe trattarsi di un dato che rimanda ad una specializzazione sociale di tale area dell’abitato, divisa dalle restanti capanne per mezzo di una palizzata lignea. In essa sono stati ricostruiti, al momento, ben 7 brocche da dispensa, 1 brocca a vetrina sparsa, 1 brocca a colature rosse, 18 olle, 8 testi, 3 coperchi, ed alcune fuseruole. Le restanti aree, invece, hanno mostrato una sostanziale uniformità ed è stato possibile associare le quantità emerse al fabbisogno di un nucleo familiare, anche se in difetto, per la mancanza degli strati di vita. Al X secolo si riferisce il primo corredo interamente quantificabile, potendo basarsi sulle stratigrafie di vita e di abbandono delle aree abitative. I dati sul consumo, evidenziano un corredo familiare tipo dalla zona abitativa dell’area 4000, ubicata in prossimità della chiesa: vi si trovano 10 brocche da dispensa, 8 olle, 5 testi, un coperchio, una fuseruola per la tessitura. L’area 7000 continua ad essere connotata da grandi quantità di vasellame e si conferma l’ipotesi che possa trattarsi di una zona abitativa particolare (18 brocche da dispensa, 3 brocche in vetrina sparsa, 3 boccali depurati, 24 olle, 11 testi, 1 coperchio). Inoltre, in questo secolo, l’assenza a Donoratico di ceramica con ingobbio rosso, di probabile provenienza pisana, e la presenza minima a Campiglia (2%), mette in luce una scarsa penetrazione dei prodotti cittadini e nel contempo un’identica autonomia dei due siti, soggetti ancora a poteri forti e svincolati da Pisa. Questi poteri erano dunque in grado di gestire linee di commercio dei prodotti autonome, legate ad un circuito locale. Per la ceramica a vetrina sparsa, di produzione locale, la maggiore quantità di Campiglia (11%), è un dato solo 116

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO parziale, data la grande presenza di questa classe ceramica nei reperti attualmente in fase di studio e di edizione. Infine, per l’XI secolo, si è notato a Donoratico una maggiore presenza dei manufatti con rivestimento rispetto a Campiglia Marittima e San Silvestro, da questo momento confrontabile. In particolare, a Donoratico cresce la presenza di ceramica con ingobbio rosso, primo indizio dell’inserimento di prodotti pisani nei mercati rurali, all’interno di nicchie di consumo dove, un secolo prima, era prevalente la ceramica di esclusiva produzione locale. Assieme a questa classe ceramica, si registra inoltre la crescita in percentuale di brocche acrome con caratteristiche riconducibili proprio alla produzione cittadina.

resti del castello comprendono grandi porzioni in elevato di una cinta fortificata che racchiude due torri, un palazzo signorile ed altri edifici di servizio. All’esterno della cinta sommitale si trovano due torri ed i resti di un’ulteriore fortificazione che comprende tutta la base del pianoro (Fig. 58). I dati archeologici fino ad oggi acquisiti dalle campagne di scavo, svolte dal 1990 al 1995 e dal 2000 al 2005, testimoniano che l’occupazione dell’altura ha preceduto la prima menzione documentaria del sito; questa ultima, datata al 1076, colloca saldamente Montemassi sotto il controllo della famiglia Aldobrandeschi, per la quale il sito riveste un ruolo strategico nella politica di controllo del territorio. I due noti assedi che nel 1260 e nel 1328 hanno reso celebre il castello vanno considerati una riprova dell’elevato grado di interesse militare, economico ed anche simbolico rivestito dal sito nella geografia del potere signorile e comunale del tempo; la serie fittissima di attività edilizie evidenziate dalla scavo archeologico mostra al contempo il rilevante investimento di capitali che prima gli Aldobrandeschi, in seguito i Pannocchieschi, la città di Siena e le famiglie magnatizie senesi hanno destinato alla rocca. L’esposizione della cultura materiale verrà fatta seguendo le fasi di sviluppo del sito così come lo scavo archeologico ha mostrato. La diacronia analizzata comprende l’insediamento anteriore al castello (Periodo I), nel quale si riconosce un villaggio altomedievale, composto da capanne (VIII-fine X secolo); il primo impianto del castello, con la cinta muraria, l’edificio ecclesiastico e le torri (Periodo II, XI-XIII secolo) ed infine la fase del castello dei Conti Pannocchieschi e della famiglia magnatizia senese dei Verdelli (Periodo III, fine XIII-XIV secolo).

Montemassi Bibliografia sul sito E. BOLDRINI, F. GRASSI, 2000, I reperti ceramici, in S. GUIDERI, R. PARENTI (a cura di), 2000, pp. 191-207. J. BRUTTINI, 2006-2007, Il villaggio altomedievale di Montemassi alla luce delle recenti campagne archeologiche, tesi di laurea, Università degli Studi di Siena. J. BRUTTINI, 2008, “Ecclesia infra castellum de Montemasso constructa”. La chiesa di S.Maria, S.Andrea e S. Genziano a Montemassi, in CAMPANA F., FELICI C., FRANCOVICH R., GABBRIELLI F. (a cura di), Chiese e insediamenti nei secoli di formazione dei paesaggi medievali della Toscana. Il rapporto fra le chiese e gli insediamenti fra V e X secolo, pp. 245-259. J. BRUTTINI, 2009, La formazione dell’insediamento accentrato nella Valle del Bruna: il caso di Montemassi, Grosseto (VIII-X secolo), in G. VOLPE, P. FAVIA (a cura di), 2009, V Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, Firenze, pp. 319-326. J. BRUTTINI, L. DALLAI, 2006, Le indagini archeologiche sulla rocca di Montemassi. Un progetto di ricerca pluriennale, in B.F.F. NAZZARO (a cura di), La rocca di Montemassi. La storia, lo scavo, il restauro, pp. 23-35. J. BRUTTINI, L. DALLAI, F. GRASSI, A. LUNA, L. MARASCO, 2002, “La Fortissima Rocca”. Il castello di Montemassi nelle indagini 2000-2002, “Archeologia Medievale”, XXIX, pp.189-209. S. GUIDERI, R. PARENTI, (a cura di), 2000, Archeologia a Montemassi. Un castello fra storia e storia dell’arte, Firenze. M. MENDERA, 2000, Materiale vitreo, in S. GUIDERI, R. PARENTI (a cura di), 2000, pp. 207-211.

2. La ceramica dalla Rocca I reperti ceramici raccolti nel castello di Montemassi durante le campagne di scavo 2000-2005 assommano a 15628 frammenti, relativi al solo periodo medievale (VIII-XIV secolo); di questi frammenti circa la metà 8500- sono stati al momento sottoposti a studi analitico e sono editi solo in parte (BOLDRINI, GRASSI 2000). Nella sintesi che effettueremo in questa scheda viene inserito, all’interno della griglia cronologica dell’insediamento, sia il materiale edito, sia il materiale inedito, studiato exnovo da chi scrive. Periodo I Fase 1: VIII - fine X secolo La ceramica per cucinare pertinente al villaggio di capanne è composta da tre forme principali, olle, testi e coperchi. Le olle ricostruite hanno tutti corpi molto globulari, fondi piani o convessi, mai sabbiati, raramente presentano l’ansa (Fig. 59). Non sembrano essere presenti, almeno sino al X secolo, filettature decorative delle superfici esterne. Nella varietà della forma dell’orlo si possono

1. Le indagini archeologiche Montemassi è situato su un rilievo, in una posizione dominante sulla valle del fiume Bruna, via di comunicazione fra la costa e l’entroterra; l’altura su cui sorge il nucleo insediativo medievale è compresa nelle ultime pendici meridionali delle Colline Metallifere. Il sito archeologico di Montemassi è composto da una possente struttura fortificata che occupa tutta la porzione sommitale del borgo omonimo, ancora oggi abitato6. I

Palazzo Pubblico raffigurante Guidoriccio da Fogliano all’assedio di Montemassi e le evidenze materiali del castello vedi i contributi di Roberto Parenti (PARENTI 1998, 2000).

6 Sulle questioni relative al confronto tra l’affresco all’interno di

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FRANCESCA GRASSI riscontrare, dall’VIII secolo, due, al massimo tre tendenze. Vi sono olle con orlo breve ed estroflesso di diversa fattura, oppure con orlo simile, ma insellato (variante funzionale all’alloggio del coperchio) ed infine con orlo dritto (piatto, arrotondato, ingrossato) e collo allungato. Almeno sino a tutto il X secolo sono prodotte a tornio veloce, mentre notiamo che dall’XI secolo compaiono alcuni manufatti prodotti a mano, ma in percentuali minime se confrontate con altri castelli come Donoratico o Campiglia Marittima. Gli unici decori riscontrati sono rare filettature o decorazioni sinusoidali. Gli impasti di tutte le olle, sia tornite sia manuali, sono sempre macinati in modo molto grossolano; l’unico accorgimento tecnico, in uso già dal IX secolo, è l’aggiunta di calcite spatica triturata molto finemente. Le analisi archeometriche degli impasti hanno evidenziato una produzione di tipo locale, ubicata nell’area circostante l’insediamento e forse identificabile nell’ateliers di Roccastrada. Nelle fasi di abbandono delle abitazioni in materiale deperibile (inizio XI secolo) prevale un tipo di olla con bordo esterno ingrossato e arrotondato, assieme a quelle con orlo insellato. I testi hanno altezza variabile tra 3 e 5 cm: non vi sono manufatti più alti, tipo testi-tegami, nè più bassi, privi di orlo. Sono tutti prodotti a mano e provvisti di una croce al centro, incisa con uno strumento a punta o impressa con un dito sul manufatto appena foggiato. I coperchi sono di forma troncoconica, realizzati in ceramica grossolana o semidepurata; quando sono misurabili presentano un diametro tra 30 e 16 cm ed un’altezza media di circa 4 cm da terra. La realizzazione di questi manufatti con argille di diversa miscelatura non sembrerebbe evidenziare differenze nell’uso: difatti vistose tracce di fumigazione si riscontrano in quasi tutti i manufatti esaminati. Cronologicamente il coperchio sembra attestarsi a Montemassi per tutte le fasi di vita del villaggio: lo ritroviamo dall’VIII secolo, nella forma del catino-coperchio, sino ai contesti di abbandono. E’ significativo a livello delle modalità di cottura evidenziare che dopo questa forte presenza, l’uso del coperchio, perlomeno in ceramica, scompare quasi totalmente. Potremmo dunque in parte collegarlo alle modalità alimentari del villaggio altomedievale: la cottura con il coperchio permette infatti una maggiore tenuta nella pentola del vapore formato dal cibo e dunque sembra adattarsi a legumi o carni bollite. Le ceramiche per la cucina, prevalentemente catini e boccali/brocchette, per il consumo del cibo o per altri usi connessi alla cucina, ma non per la cottura, provengono sia dai livelli relativi alle capanne sia in alcuni casi da stratigrafie posteriori createsi con l'utilizzo di depositi altomedievali. L'impasto, le caratteristiche ottiche, come la sbiancatura delle superfici e le tipologie ben riconoscibili ci permettono di associarle alla vita del villaggio, anche nel caso di materiali in parte decontestualizzati. Per quanto riguarda le forme chiuse, spesso sono caratterizzate da profonde incisioni sulle superfici, finalizzate a creare delle scanalature, oppure da carenatura nella parte bassa del corpo. I catini invece sono lisci o decorati con incisioni sui bordi; nel repertorio ricostruito trovano posto sia catini con orlo dritto sia catini con orlo introflesso e rientrante. Gli impasti di boccali e catini sono molto depurati e solo

per alcune forme, come per quelli decorati, sono attribuibili con certezza alla fornace di Roccastrada. La ceramica per conservare il cibo è composta da brocche, orcioli, anfore. Le brocche hanno anse arrotondate o squadrate, prevalentemente sormontanti l’orlo. Il corpo è prevalentemente globulare e gli orli sono trilobati. Siamo lontani dai prototipi delle bottiglie altomedievali (relative al VI-VII secolo, da Fiesole e Siena, si veda ad esempio FRANCOVICH 1984 e CANTINI 2005): queste brocche si caratterizzano per la funzionalità nella raccolta delle derrate alimentari, coniugando grande capacità volumetrica con bocche ampie per travasare il contenuto. I confronti con i siti limitrofi le datano, spesso in maniera non più selettiva, tra VIII e XI secolo e le differenziazioni cronologiche tra i tipi più antichi e quelli più recenti sono relative alla presenza di decorazioni (filettature, sinusoidi), di rifiniture delle superfici e di impasti più selezionati. Infatti, le produzioni antiche sono molto curate, a livello tecnologico. Presentano steccature, schiarimenti superficiali o patine di ingobbio, fondi rifiniti con tagli verticali a coltello e con pareti spesse, decori a pettine, e sinusoidali, spesso in più registri. In particolare, tra quelli più antichi, è stato possibile riconoscere alcuni tipi provenienti dalle fornaci di Roccastrada e forse, nel gruppo delle brocche datate all’XI secolo, si riconoscono invece i primi prodotti fabbricati nell’area senese, di forte influenza cittadina. Tra i manufatti per la dispensa si inseriscono anche una serie di orcioli, spesso filettati: alcuni presentano evidenti sbiancature della superficie e steccature che ne permettono un confronto con la produzione di Roccastrada di VII-VIII secolo. Infine, si attesta la presenza di grandi brocche con ansa ad orecchietta, qui definite anfore: si tratta di pochi esemplari, nel territorio circostante trovano paralleli in forme ceramiche simili provenienti da Grosseto, Podere Serratone (Gr) e dal castello di Scarlino. La presenza della doppia ansa, elemento che diversifica questi contenitori dalle brocche, potrebbe essere la spia di un utilizzo specifico, forse legato al trasporto di derrate. Dunque, tali manufatti assumerebbero un valore commerciale più spiccato della restante ceramica caratterizzando i siti in cui sono state trovate. Se così fosse, ci sembra logico ipotizzare, più che commerci a lunga distanza, scambi tra insediamenti vicini per la vendita di determinati prodotti (vino, olio). La ceramica per la filatura è composta da fuseruole impiegate in ambito domestico come strumento accessorio del fuso applicato alla sua parte superiore, per assicurare con il loro peso la necessaria tensione regolatrice. Il dato della loro presenza nell’altomedioevo (35 forme intere) è molto interessante se confrontato con il periodo successivo, quando si nota una totale scomparsa di questo utensile atto alla filatura domestica della lana, evidenziando dunque un cambiamento di economia nel passaggio dal villaggio al castello. Presentano rifinitura a stecca e lucidatura totale delle superfici e sono spesso decorate con motivi punzonati obliqui o tacche su tutto il corpo. Queste caratteristiche, accanto al tipo di impasto, ne hanno permesso l’attribuzione produttiva alle botteghe di Roccastrada. Per quanto riguarda le botteghe di provenienza dei manufatti, si possono fare alcuni ragionamenti: gli impasti delle 118

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO ceramiche del castello sono stati sottoposti alla sola analisi macroscopica ed al confronto con campioni di matrici ceramiche provenienti da siti limitrofi, come nel caso degli scarichi di fornace di Roccastrada (Fig. 60). Il confronto ha permesso di avvalorare la provenienza da questo sito produttivo: nel corso dei secoli IX-XI, in concomitanza con la presenza di un villaggio sommitale, Montemassi veinva rifornito di ceramica dal nucleo di botteghe presenti vicino a Roccastrada (officina 1 ad+ag); da qui arrivavano al castello ceramica grezza, depurata e semidepurata. Assieme, almeno dal X secolo, sembrerebbe comparire una seconda officina (officina 2 ad) che produceva forme aperte e grandi brocche con argille molto selezionate. La forte depurazione degli impasti collegati a questa officina ci ha fatto avanzare l’ipotesi di primi contatti con botteghe cittadine o con ateliers sul territorio con stretti legami con Siena. Infine si è riconosciuta una manifattura di area locale (officina 2 ag) che produceva testelli ed alcune olle con tecnologie povere, come mostra l’uso del tornio lento e la fabbricazione di solo vasellame destinato alla cottura dei cibi. Per quanto riguarda il consumo nei secoli VIII-IX secolo, lo studio dei resti materiali relativi a 4 capanne e ad un’area di discarica ha permesso di ricomporre un totale di 113 forme di ceramica, divise a livello funzionale in 62 forme per la cottura, 24 per la dispensa, 15 per la cucina e la mensa e 12 per la filatura - fuseruole-. In generale, non dividendo tra i singoli contesti domestici, appare dunque maggioritaria l’esigenza di contenitori per la cottura dei cibi, ma considerando che gran parte delle cotture si poteva anche effettuare sulla brace, con l’ausilio di spiedi e dunque senza la necessità di stoviglie, non si può escludere che gran parte di queste forme corrispondenti in gran parte ad olle (54 in tutto), servissero sia per cuocere sia per consumare il cibo. A questo proposito è interessante notare che quasi tutte le olle sono di analoghe dimensioni, corrispondente a 18-20 cm di diametro, misura che possiamo considerare intermedia nel panorama dimensionale esistente. Alla dispensa sono stati attribuiti 24 grandi contenitori, in prevalenza brocche (17), 3 orcioli e 4 anfore. Considerando che in media -in base alle misurazioni effettuate nello studio BERTI, GELICHI 1995- una brocca con diametro della base tra 12 e 15 cm e altezza tra 25 e 33 cm (misure “c” e “d” del suddetto studio) poteva contenere tra 7 e 15 litri, le 17 brocche di Montemassi, osservandone le dimensioni, dovevano avere una capacità di circa 10-15 litri e contenere in totale tra 170 e 255 litri di alimenti quali olio, vino, acqua oppure solidi quali granaglie di vario tipo. Nella ceramica attribuita alla cucina/mensa rientrano boccali, catini e ciotole sempre realizzati con argille depurate. Si tratta di poche forme (15), la cui funzione rimane ancora in parte ipotizzabile, costituendo, se non un vero corredo da mensa, un complemento alle ciotole in legno ed ai rari oggetti in metallo. Non escludiamo infatti che soprattutto ciotole e catini potessero servire anche in cucina, pur prevalendo per questa funzione tutti gli oggetti fabbricati con argille grossolane. Infine, gli oggetti legati alla filatura domestica sono relativi a 12 fuseruole, da considerare con attenzione per almeno due motivi, innanzitutto la loro alta presenza nelle fasi del villaggio di capanne e di contro l’assenza

nei contesti del castello. Periodo II Fase 1: seconda metà XI-XII secolo A livello generale, sia per la ceramica grezza sia per la depurata per tutto l’XI secolo, pur nella pochezza delle restituzioni, si nota il persistere delle forme produttive e delle tipologie ceramiche viste nelle fasi di abbandono delle capanne (si veda fig. 59). Il XII secolo invece presenta l’introduzione di alcune novità, soprattutto nei corredi in ceramica depurata che, accanto alla raffinatezza degli impasti, presentano anche forme e tipi molto simili ai corredi coevi pisani. Nonostante le analogie formali, gli impasti mostrano inequivocabilmente la provenienza da area senese, mentre le forme, soprattutto a livello dimensionale, non rientrano quasi mai nei parametri identificati per il materiale pisano. Inoltre, si datano sul finire del XII e gli inizi del XIII secolo almeno tre frammenti di due forme distinte di ceramica a cobalto e manganese, primi esemplari di importazione presenti nel castello. Queste ceramiche, pur se in numero esiguo, sono un indizio molto forte di collegamenti con i centri costieri nei quali le ceramiche di importazione circolavano. Basti pensare ai siti di Scarlino, Campiglia o Rocca San Silvestro dove la presenza politica della città di Pisa ha contribuito all'arrivo di ceramiche esotiche. Al contrario, questi reperti sono molto rari nell'entroterra, anche in siti limitrofi a Montemassi come Castel di Pietra. Fase 2. 1200-1260 Il contesto di materiali che utilizzeremo per questa fase proviene da livellamenti; in particolare sono molto ricche di informazioni le stratigrafie relative ad un deposito che contiene i resti della mensa, della dispensa ed in parte dell’ultima fase di vita Aldobrandeschi nel castello. La qualità dei reperti recuperati e la presenza di alcune ceramiche di importazione ci ha permesso di ipotizzare che possa trattarsi proprio della cultura materiale legata ad un edificio privilegiato. Nel dettaglio questo contesto è composto da 725 frammenti; più della metà corrisponde a ceramica da dispensa e da mensa (dispensa 64%, mensa 16%), mentre solo il 20% è relativo alla cottura dei cibi (ceramica grezza e invetriata da fuoco). Il contesto presenta inoltre 573 frammenti di ossi animali e 20 frammenti di vetro. Iniziando dalla presenza minoritaria, la ceramica per cucinare è composta da olle e testelli, accanto ad alcuni tegami con invetriatura interna molto spessa, di colore nero (Fig. 61). Il corredo recuperato è composto da 6 olle, 7 testelli e due tegami. Le olle sono tutte di dimensioni medie (tra 16 e 20 cm di diametro dell’orlo); i testelli presentano pareti medio-alte e i tegami sono di grande capacità (26 e 28 cm. di diametro). La presenza dell'invetriatura nei prodotti da fuoco rappresenta una novità rispetto alle produzioni sino ad ora esaminate: quello che sembra di notare è una sorta di specializzazione di una bottega locale (identificata come 1 inv) che da questo momento sarebbe in grado di produrre oggetti con rivestimenti vetrosi. Di queste ceramiche è stata fatta una ricca campionatura finalizzata alla realizzazione di analisi petrografiche e chimiche per 119

FRANCESCA GRASSI lo studio delle vetrine e degli impasti. Infatti questo tipo di produzione è presente anche in altri siti limitrofi, inseriti nel nostro lavoro (Castel di Pietra ad esempio, ma anche Scarlino), e dunque le analisi sono state finalizzate proprio alla comprensione del numero dei centri produttivi e della loro ubicazione. Dai dati emersi sembrerebbe che le argille con cui venivano foggiati questi tegami provenissero dall'area del campigliese, dunque dalle zone costiere, ma per quanto riguarda la modellazione e tutto il ciclo produttivo, compresa l'invetriatura, si è ipotizzata una localizzazione nei presi del sito stesso. Infatti, questa particolare vetrina con cui venivano rivestiti i tegami non si ritrova sulla costa dove invece i prodotti invetriati presentano un aspetto molto diverso nel rivestimento. Dunque, abbiamo ipotizzato che la bottega 1 inv, pur rifornendosi di argilla in aree costiere, operasse direttamente nell'entroterra. Per quanto riguarda le botteghe locali che producono ceramica da fuoco, una nuova (3 ag) si aggiunge a quella individuata nei secoli precedenti (2 ag), mostrando anche l'utilizzo del tornio veloce e di un impasto ricco di calcite aggiunta che nella Toscana meridionale sembra mostrarsi come un accorgimento attribuibile a officine di area senese (Fig. 62). La ceramica da dispensa con impasto depurato costituisce, con 42 forme ricostruibili, la maggiore quantità di materiale presente in questo contesto (61%). A queste forme vanno aggiunte, sempre utilizzate nella dispensa, anche due giare di importazione spagnola, una delle quali quasi interamente ricomposta. Iniziando dalle produzioni toscane (si veda fig. 61), le forme ricostruite in base al numero minimo sono: 13 boccali, 22 brocche, 4 catini e 3 generiche forme chiuse. Per quanto riguarda le attribuzioni produttive ipotizzabili per boccali e brocche, si presentano numerose difficoltà. Per i boccali, presenti in almeno 4 misure e caratterizzati da sbiancature delle superfici, stacco a lama del fondo del vaso ed in alcuni casi filettature esterne dalla spalla al fondo, in aggiunta all’esame dell’impasto è stato effettuato un confronto dimensionale con i tipi già conosciuti prodotti a Pisa. In molti casi, infatti, le dimensioni si sono rivelate l'indizio più forte per evidenziare le singole produzioni, pisane o senesi. Alla luce dei dati racccolti le ceramiche provenienti da Montemassi sono risultate di probabile produzione senese, mostrando come questo sito, pur interessato dall’afflusso di prodotti pisani, presentasse una preponderanza di produzioni senesi. Questo importante dato ci ha permesso oltretutto di delineare una serie di corredi acromi duecenteschi, prodotti a Siena. Si tratterebbe sostanzialmente di un corredo parallelo a quello che per Pisa è stato studiato attraverso i materiali della Torre della Fame in principio (BUSI 1984) e degli scavi di Piazza Dante, Piazza dei Cavalieri in seguito (BERTI, GELICHI 1995; BERTI, MENCHELLI 2000). Utilizzando uno studio dimensionale simile a quello messo in pratica per il materiale pisano, siamo riusciti ad elaborare una tipologia di boccali senesi indicata nella tabella (Fig. 63). I dati sul consumo, pur provenendo da un contesto che non permette di associare questa ceramica a uno o più nuclei familiari, ci mostrano una uguaglianza numerica delle tre diverse dimensioni, ad indicare forse una simile necessità di questi boccali nella loro scala dimensionale

(4 forme tipo a, 4 forme tipo c, 5 forme tipo d). Non è presente, al momento, nessuna forma intermedia tra il sottotipo "a" ed il "c", ma sembrerebbe trattarsi di una casualità e non di un dato con valore statistico. Lo studio delle brocche ha posto la stessa problematica di fondo dei boccali: nella difficoltà di confrontare gli impasti e considerando un’identità formale molto forte con i tipi pisani, ci siamo chiesti quante potessero essere attribuite a Siena piuttosto che a Pisa. Premesso che non sarebbero ancora presenti in questo momento storico le conosciute brocche senesi globulari, prodotte a partire dal XIV secolo, delle 22 brocche contate in questo contesto almeno 3 sono pisane; le rimanenti provengono da area senese, se non direttamente da Siena. Dunque, come per i boccali, il quadro dei materiali provenienti da Pisa è minimo. Per concludere il panorama della dispensa occorre aggiungere due giare spagnole; un primo tipo con decoro esterno impresso a stampo costituito da vetrina verde stesa sulla spalla e un secondo con decoro semplicemente inciso. La prima è riferibile al periodo almohade (XIIXIII), mentre la seconda non è ben attribuibile ed al momento è in corso di studio; l’impasto sembrerebbe attribuirla ad un’area caratterizzata dalla presenza di quarzo eolico, dunque al sud della Spagna oppura al Nord Africa (Tunisia, Marocco). Solo per analogia con l’altra giara le abbiamo attribuito una cronologia analoga. Infine, la maiolica arcaica completa il quadro delle attestazioni (vedi fig. 61). Si tratta di 70 frammenti per un totale di 11 forme, composte da 9 boccali e 2 catini. Le aree produttive rappresentate sono Siena (87% della restituzione) e Pisa (13%). Per la maiolica arcaica senese, costituita da 5 boccali, sono presenti i tipi 2 e 3 della tipologia FRANCOVICH 1982 e LUNA 1999. Vi sono poi 2 catini tipo 18 della medesima tipologia. I decori delle forme sono molto curati, caratterizzati da sequenze a graticcio e motivi animali al centro. La presenza di almeno uno dei due catini potrebbe essere infiltrata, dato che la forma si compone anche di frammenti provenienti da uno strato di fine XIII secolo. Il boccale a palla tipo 2 rappresenta una tra le forme più antiche di maiolica arcaica senese; dalla cronologia relativa si può ipotizzarne una produzione tra gli anni 30 e 40 del XIII secolo. Per il tipo 3 invece possiamo ipotizzare una produzione in linea con le attestazioni conosciute, circa alla metà del Duecento. Le forme aperte pongono invece maggiori dubbi cronologici; il tipo 18 è al momento conosciuto dal XIV secolo, ma dall’attestazione a Montemassi possiamo retrodatarlo di circa un cinquantennio, in fase con il secondo momento produttivo senese. Da questi scarni dati emerge la precocità di Siena nell’esportare i propri prodotti in maiolica, in modo analogo alle strategie che erano state attuate da Pisa circa un ventennio prima (BERTI 1997). Da Pisa invece sembrerebbe provenire una sola forma, costituita da una parete non identificabile nel decoro e nella morfologia; nuovamente si evidenzia dunque la minore presenza numerica dei prodotti provenienti da questo centro rispetto a quelli senesi. Periodo III Fase 1: 1280-1328 Per studiare questo complesso momento nella vita del 120

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO castello, relativo agli anni immediatamente successivi alla ricostruzione di tutto l’insediamento dopo l’assedio posto da Siena nel 1260, possiamo utilizzare alcuni contesti di materiali che ci permettono di proporre importanti riflessioni non solo sulle forme ceramiche presenti, ma anche sulla qualità della vita e sulla tipologia dell’abitato: si tratta degli strati di obliterazione di una cisterna situata al centro del castello e sfruttata da chi abitava l’edificio e dei depositi relativi ad una cucina provvista di focolare, forno e piano di lavoro. Dunque, l’insieme delle evidenze relative alla seconda metà del XIII secolo costituisce un’eccezionale testimonianza della vita quotidiana all’interno del castello, uno spaccato dell’economia domestica del sito che interessa la cottura dei cibi nella cucina, l’utilizzo del forno da pane ed infine il consumo del cibo. La nostra fonte primaria di informazioni sull’alimentazione e sul vasellame, come detto, è stato lo scarico di rifiuti recuperati all’interno di una cisterna, assieme ai reperti recuperati direttamente nel focolare (olla e testo). Al contrario, ben pochi reperti provengono dalla pavimentazione della cucina, costituita da semplice terra battuta e, si presuppone, costantemente ripulita dalle sporcizie. I reperti provenienti dagli strati di riempimento della cisterna sono 516 frammenti di ceramica, 10 frammenti vitrei e 743 ossa. Non è presente ceramica invetriata da cucina e la ceramica grezza è comunque in percentuale limitata: tutto ciò conferma la nostra interpretazione del contesto come discarica di una mensa. Per quanto riguarda la ceramica depurata (45%), sono presenti boccali e brocche. Ritenendo plausibili le considerazioni già fatte sui tipi e sulle provenienze nella prima metà del XIII, non essendoci sostanziali cambiamenti nella produzione, usiamo qui i dati per elaborare alcune riflessioni sul consumo. Sono presenti in tutto 10 boccali senesi (vedi fig. 61), divisi nelle dimensioni a (4 forme), c (2 forme) e d (4 forme). E’ presente invece un solo piccolo boccale pisano (edito in BOLDRINI, GRASSI 2000, tav. IV, n. 6). Dieci forme sono relative a brocche ed appartengono alla produzione con bolli a raggiera, corpo globulare con ansa complanare simile ai tipi pisani, ma gli impasti ci permettono di attribuirle a Siena. Tra queste, ve ne sono almeno due con caratteristiche diverse; una prima con corpo molto globulare e fondo piccolo (una morfologia che verrà accentuata nelle anforette senesi dove la globularità risalta come primo fattore di distinzione) ed una seconda con ansa molto stretta rispetto ai tipi noti e dimensioni leggermente più piccole (edita in BOLDRINI, GRASSI 2000, tav. IV, n. 2). Anche queste due forme possono essere attribuite a Siena per l’analisi degli impasti, simili a quelli usati nelle maioliche arcaiche. Il dato che non sembra aiutarci nell’analisi delle brocche è quello delle dimensioni: le brocche che presentano bolli a raggiera sembrano rientrare in modo puntuale nella tipologia pisana, i bolli ugualmente si ritrovano nelle tipologie studiate per Pisa, dunque solo attraverso l’impasto è possibile l'attribuzione a Siena. La ceramica grossolana (21%) è poco presente nel contesto esaminato e risulta difficile farne un’analisi. Vi si trovano infatti 3 olle e 3 testi: tra questi si evidenzia un’olla ricostruita quasi interamente, con orlo squadrato, di produzione locale, ma molto simile ai tipi trecenteschi

di area senese (vedi fig. 61). A queste forme si devono aggiungere un'olla ed un testello trovati sul piano di cottura del focolare, lasciati dopo un ultimo utilizzo che ne comportò la rottura. La maiolica arcaica presente (34%) consiste in sole forme chiuse senesi, ad eccezione di un bacino proveniente da Pisa. I boccali sono nella totalità 9 ed appartengono al tipo 3 della tipologia FRANCOVICH 1982 (A.1.1 e A.1.2) e LUNA 1999. Le vetrine sono generalmente marroni chiare o trasparenti, solo in un caso la vetrina assume un colore verde con puntinature gialle, come negli esemplari senesi non ben cotti (forme generalmente stracotte). I decori sono di vario tipo, spesso molto elaborati ed associati, nel repertorio conosciuto, anche alle forme più antiche. Rientrano generalmente nei tipi con graticci e decori geometrici mentre non vi sono decori figurati (LUNA 1999, si vedano i decori in tav. IV). Cessa in questo momento il limitato apporto di maiolica arcaica da Pisa, fatta eccezione per un bacino inseribile per confronto in questa fase, ma ritrovato in stratigrafie successive (di tardo XIV secolo). Il bacino (vedi fig. 61), recuperato quasi intero, è stato inserito in questa fase perchè si tratta di un esemplare analogo per forma al tipo Aa proveniente dalla chiesa di San Francesco a Pisa, datato1250-1260, e presenta un decoro costituito da rombi campiti a graticcio, tipico della seconda fase produttiva (BERTI 1997, per decoro variante motivo fig. 34 numero VI). Il bacino non sarebbe stato murato, come hanno evidenziato alcune analisi effettuate in fase di restauro, ma presenta due fori di sospensione sul piede ad anello e potrebbe essere stato appeso all’interno di un edificio; per questo motivo avrebbe dunque avuto una speranza di vita così lunga, di circa un secolo. Non si tratta certo del frutto di commercio, quanto di un acquisto occasionale, forse effettuato dagli stessi signori del castello a Pisa. Per quanto riguarda le botteghe sul territorio (Fig. 64), il panorama rimane quasi immutato. Tuttavia si nota la sempre crescente tendenza a rifornirsi da botteghe locali e soprattutto per la ceramica grezza compare un impasto associato a produzioni manuali che potrebbero essere prodotte anche dentro il castello, ad opera forse di un artigiano itinerante. Da Siena continuerebbe l’arrivo di ceramica depurata e maiolica arcaica, ma si nota già una prima razionalizzazione nella produzione cittadina con il monopolio di un solo tipo di impasto, mentre nelle produzioni dell’inizio del Duecento avevamo riconosciuto come senesi ben tre miscele argillose distinte. Per quanto riguarda Pisa, i commerci continuano ad essere molto sporadici e l’unico esemplare di maiolica arcaica presente risulta essere il bacino proveniente da Pisa. Fase 2: seconda metà XIV secolo In concomitanza con lo stanziamento di una guarnigione di soldati all’interno del castello, i dati archeologici indicano che si attuò una nuova organizzazione degli spazi interni, con la realizzazione di una piccola abitazione, collegata ad una struttura realizzata in mattoni ed interpretata come pozzo nero. Da questa struttura proviene un nucleo omogeneo di materiali ceramici, vitrei e metallici, assieme a resti di pasto, che fornisce un esempio delle produzioni in uso sulla tavola e nella 121

FRANCESCA GRASSI dispensa di una casa castellana della metà del XIV secolo. Il contesto domestico che qui si è ritrovato sembra relativo alla mensa di poche persone, forse la stessa guarnigione militare attestata sul finire del Trecento. L’uso del pozzo nero è ben limitato ad un cinquantennio: cessa infatti nel momento in cui agli inizi del XV secolo fu impiantata sulla struttura una piccola forgia, legata alle attività di cantiere intraprese dalla famiglia dei Verdelli. Accanto alla ceramica, facciamo alcuni brevi cenni sugli altri materiali recuperati nel pozzo nero, alcuni dei quali già studiati in dettaglio. Tra questi il materiale vitreo, presente quasi esclusivamente nel contesto di vita del butto, consiste in circa 300 frammenti, corrispondenti a due tipi di bicchiere (16 forme), tre tipi di bottiglia (5 forme) ed una lampada (Fig. 65). Il bicchiere più rappresentato (15 esemplari) è un tipo troncoconico e liscio (MENDERA 2000, nn. 1-2 tav. I), attestato a Lucca, Pistoia e Tarquinia e confrontabile anche con un bicchiere fabbricato nella vetreria di Monte Lecco, dove rappresenta il 55% della produzione (Fossati, Mannoni 1975, p. 65). Accanto al bicchiere liscio vi è un bicchiere del tipo gambassino, con parete decorata. Si tratta di un tipo molto comune, prodotto in Toscana, a Gambassi e presente nell’iconografia trecentesca sulle mense accanto ai boccali in maiolica arcaica (MENDERA 2000, p. 207). Vi sono inoltre 5 bottiglie di tre tipi diversi, due di esse prodotte a Gambassi ed a Monte Lecco, tra XIV e XV secolo. I materiali in ferro invece sono composti da pochi tipi riconoscibili, tra i quali si contano soltanto alcuni chiodi (in tutto 60 frammenti). Tra i resti di pasto sono state trovate ossa (195), conchiglie (12 di terra e di mare) e il guscio relativo ad un uovo. Sempre collegata all’economia domestica sembrerebbe una piccola macinella in arenaria, utilizzata nel medioevo per la battitura casalinga del grano. Devono invece essere inseriti tra gli oggetti personali, un piccolo anello in osso ed una conchiglia forata, utilizzata probabilmente come pendente. La ceramica recuperata nel pozzo è composta da 276 frammenti per un totale di 47 forme ricostruibili (Fig. 66). Nel corso del XIV e nel primo XV secolo sono presenti a Montemassi prodotti in massima parte senesi o di area senese, volterrani e, in minima parte, di ambito fiorentino. Questo quadro rispetta in linea di massima una situazione delineabile nel bassomedioevo in numerosi centri della Toscana centro-meridionale; ciò che varia, a seconda delle sfere di dominio politico, è il rapporto tra prodotti senesi e prodotti pisani. Sicuramente sottovalutato è per Montemassi l’apporto di ceramica dalla zona di Volterra e Pomarance: se si eccettua la maiolica arcaica, che riusciamo ad attribuire a questa zona produttiva per forme e decori, non conosciamo le forme dei contenitori da dispensa, mensa e cucina privi di rivestimento. Non riproponiamo qui la caratterizzazione tipologica dei tipi provenienti dal pozzo nero, già pubblicati (BOLDRINI, GRASSI 2000), ma poniamo alcune riflessioni generali sul contesto (vedi fig. 65). La ceramica da cucina è la più rappresentata (56%): si tratta di vasellame di provenienza locale, composto da ceramiche da fuoco acrome ed invetriate, olle, pentole,

testelli e tegami con caratteristiche formali ben delineate dal XIII secolo. Aumenta la proporzione di olle prodotte a mano rispetto a quelle tornite, presenti nel classico tipo “senese” ad arpione. Difatti le olle appartengono in gran parte alla tipologia con orlo ad arpione, più o meno accentuato, corpo perlopiù globulare, e pareti piuttosto sottili, diffusa in tutta l'area senese. Nel deposito del pozzo nero è stato recuperato inoltre un coperchio di forma troncoconica, con orlo squadrato, presa a nastro, con fori di sfiato, tipico del periodo e che trova confronti diretti nel repertorio propriamente senese. Vi era inoltre un grande tegame invetriato internamente con una spessa vetrina di colore nero. La dispensa invece rappresenta una piccola percentuale (8%) e vi si ritrovano brocche e catini prodotti con gli impasti utilizzati anche nella maiolica arcaica. È inoltre da segnalare la presenza di alcuni catini riconducibili a biscotti di maiolica arcaica venduti ed utilizzati senza copertura. Le grandi brocche, poco rappresentate, sono costituite da tipi con bollo impresso sull’ansa per i quali permangono alcuni dubbi sull’area di provenienza. I boccali invece, molto rari, sarebbero riferibili ai tipi evidenziati per il Duecento. Infine, la ceramica per la mensa, presente in quantità alta (36%), è costituita da forme aperte di maiolica arcaica, nel tipo trecentesco senese con il nastro convesso. Anche i decori associati sono classici e ben conosciuti: motivi vegetali quadripartiti e motivi geometrici in solo manganese. Inoltre, una parte della maiolica arcaica è completamente monocroma. 3. Conclusioni L'analisi della ceramica del castello di Montemassi, basandosi sull'osservazione di contesti che toccano tutta la diacronia insediativa del castello, ci ha permesso di ricostruire la lunga evoluzione della cultura materiale all'interno del sito. In sede conclusiva, pensiamo dunque che si possano fare due tipi di ragionamenti, un primo basato sul consumo degli abitanti ed un secondo correlato all'analisi delle produzioni, in particolare alle loro provenienze ed ai contatti commerciali che comportarono per il castello. Iniziando subito dal consumo, l'evoluzione del castello ci offre la possibilità di confrontarsi con tre realtà ben diverse, quella legata ad un intero villaggio di capanne (VIII-X secolo), quella connessa ad una rocca signorile (XI-XIII) ed infine quella rappresentata dall'occupazione della guarnigione senese. E' chiaro che queste tre realtà non sono confrontabili tra sè, in quanto la cultura materiale studiata rappresenta i bisogni di diversi strati sociali; quello che però si può tentare è un raffronto con castelli che hanno avuto una simile storia e simili occupazioni. Le fasi più antiche del sito, durante le quali tutta l'altura era occupata da un villaggio di capanne, hanno mostrato una somiglianza molto stretta con alcuni contesti vicini; infatti, tutte le forme ricostruite sono pertinenti a manufatti che trovano confronti con le fornaci di Roccastrada e con la cultura materiale ricostruita per la curtis di Scarlino. L’indicatore più puntuale per il confronto è costituito dagli impasti di questi manufatti, confrontati otticamente con quelli di Scarlino. Si tratta di 122

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO materiali caratterizzati da impasti ricchi di inclusi vetrosi utilizzati per la realizzazione di forme da dispensa (orcioli, anforacei) e da cucina (olle, testelli, coperchi per la cottura e catino per la preparazione del cibo). Il corredo recuperato è già pertinente a forme e decori altomedievali e non richiama assolutamente i modelli classici di produzione ceramica. La fase signorile, benchè i depositi siano stati in gran parte asportati nella fase successiva e soprattutto durante le ristrutturazioni seguite all'assedio del 1328, mostra un livello di consumo "alto", comprensivo di ceramiche mediterranee importate dalle aree dell'Islam occidentale, come alcune giare e una ciotola decorata a Cobalto e Manganese. La stessa maiolica arcaica presente è tutta di produzione cittadina, prevalentemente senese: purtroppo un confronto sul consumo delle singole forme non è possibile data la natura dei depositi rinvenuti a Montemassi. Ma, nelle linee generali i dati riscontrati a Montemassi sono simili a quelli della fase signorile della Rocca di Campiglia, con la presenza di importazioni mediterranee e di maioliche arcaiche delle prime fasi produttive, in quel caso provenienti dalle officine pisane. Attribuito a produzione pisana si trova a Montemassi soltanto un bacino datato tra 1230 e 1250 che non sembrerebbe recare però tracce di un utilizzo come decoro architettonico: si tratta comunque di una ceramica che a nostro parere potrebbe avere avuto un uso decorativo, anche in assenza di tracce di calce, data la tipologia della forma provvista di fori di sospensione. Se questa interpretazione fosse plausibile saremmo forse nuovamente di fronte ad un segno del ruolo sociale di rilievo rivestito dalla famiglia che abitava a Montemassi. Infine, i materiali trecenteschi del pozzo nero presentano le associazioni di classi e forme che si può osservare nella Rocca di Campiglia nel Trecento, quando vi soggiornò una guarnigione pisana. Vi si ritrovano infatti pochi oggetti per la dispensa, forse costituita da contenitori in legno, come le botti; una mensa composta da forme aperte di maiolica arcaica ed in particolare ciotole e catini ed infine ceramiche da cucina molto funzionali e nelle forme base del corredo come l'olla, il testo, il tegame ed il coperchio. Vi sono poi in entrambi i castelli un forno da pane per il fabbisogno quotidiano, mentre soltanto a Montemassi abbiamo potuto ricostruire la disposizione di un locale adibito a cucina e provvisto di due grandi focolari in muratura ricavati lungo i perimetrali di un ambiente.

medievale della provincia di Livorno, pp. 145-148. L. DALLAI, 2003, Prospezioni archeologiche sul territorio della diocesi di Massa e Populonia, in R. FIORILLO, P. PEDUTO (a cura di), 2003, III Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, pp. 337-343. F. GRASSI, 2005b, Reperti ceramici medievali dai saggi XX e XXI, in A. CAMILLI, M. L. GUALANDI (a cura di), Materiali per Populonia 4, pp. 99-105. F. GRASSI, 2006b, Reperti ceramici tardoantichi e medievali dai saggi III, IV, XX, in M. APROSIO, C. MASCIONE (a cura di), Materiali per Populonia 5, pp.175-187. M. L. GUALANDI, C. MASCIONE (a cura di), 2004, Materiali per Populonia 3, Firenze. C. MASCIONE, A. PATERA (a cura di), 2003, Materiali per Populonia 2, Firenze. A. MINTO, 1943, Populonia, Firenze. 1. Le indagini archeologiche L’area del golfo di Baratti e la città di Populonia sono state da sempre al centro di indagini di carattere antiquario e, successivamente archeologico. Le prime indagini archeologiche sull’acropoli di Populonia risalgono al 1980 quando la Soprintendenza Archeologica della Toscana ha avviato alcune campagne di scavo sistematiche i cui risultati misero presto in luce la grande potenzialità del sito (ROMUALDI 1994-1995). Dal 1998 le Università di Pisa e di Siena si sono affiancate a queste indagini sulla base di un progetto di ricognizione di superficie e di scavo stratigrafico7. Il cantiere, tuttora in corso, ha interessato inizialmente le pendici del Poggio del Telegrafo per estendersi in seguito a tutta l'area soprastante, occupata dai ruderi delle "Logge", con l'apertura di numerosi saggi (Fig. 67). L’acropoli della città antica sta quindi acquistando un nuovo rilievo, con la finalità di acquisire informazioni fondamentali, e sinora mancanti, relative all'urbanizzazione del sito, alle trasformazioni che esso dovette conoscere in età romana ed alle modalità e ai tempi del suo abbandono. Tali indagini sono oggetto di una pubblicazione che con cadenza annuale espone le sequenza stratigrafiche, i materiali ceramici e l'avanzamento complessivo dei lavori (CAMBI, MANACORDA 2002; MASCIONE, PATERA 2003; GUALANDI, MASCIONE 2004; CAMILLI, GUALANDI 2005; APROSIO, MASCIONE 2006). 2. Le ceramiche dall’Acropoli

Populonia - area archeologica dell’Acropoli

tardoantiche

e

medievali

Le ceramiche provenienti da Populonia relative ad una fase altomedioevale e medievale di frequentazione del sito sono già state oggetto di pubblicazione (GRASSI 2005b e 2006b) assieme ad alcuni reperti tardoantichi trattati sia singolarmente (APROSIO 2004) sia unitamente al periodo medievale (GRASSI 2006b). Riassumiamo in questa sede le caratteristiche principali dei tipi ceramici evidenziati, utilizzando tutti i dati editi a

Bibliografia sul sito M. APROSIO, 2004, Ceramiche dal saggio IV: elementi per la datazione, in M. L. GUALANDI, C. MASCIONE (a cura di), Materiali per Populonia 3, pp. 107-127. M. APROSIO, C. MASCIONE (a cura di), 2006, Materiali per Populonia 5, Pisa. F. CAMBI, D. MANACORDA (a cura di), 2002, Materiali per Populonia, Firenze. A. CAMILLI, M. L. GUALANDI (a cura di), 2005, Materiali per Populonia 4, Firenze. M. DADÀ, 2008, Populonia. L’area dell’Acropoli, in G. BIANCHI (a cura di), 2008, Guida all’archeologia

7 Il progetto di ricognizione è coordinato da Franco Cambi, Università di Siena; il progetto di scavo da M. Letizia Gualandi (Università di Pisa), Cynthia Mascione (Università di Siena) e Daniele Manacorda (Università Roma Tre).

123

FRANCESCA GRASSI nostra disposizione ed effettuandone una rilettura sulla base del quadro regionale. Pertanto non ci limiteremo a prendere in esame solo le ceramiche medievali, ma proporremo anche alcune riflessioni sulle testimonianze tardoantiche che spesso si sono mostrate precorritrici di tendenze successive. Nel complesso le restituzioni ceramiche della città di Populonia relative alla tarda antichità ed al medioevo (59 frammenti) costituiscono una piccola percentuale del totale della ceramica recuperata (V-VI secolo 19%, VIIIX secolo 31%, X-XII secolo 50%). Alla fase tardoantica (V-VI secolo) sono pertinenti 10 frammenti ceramici provenienti da due saggi posti alla base dell'edificio delle Logge (Saggio III e IV) e da un saggio posto a nord dell'edificio stesso e della strada basolata che permetteva di raggiungerlo (Saggio XX) (Figg. 68-69). Tra questi, vi sono olle da fuoco (GRASSI 2006b, pp. 176-177), imitazioni locali della scodella Hayes 61 della sigillata africana (APROSIO 2004, p. 110, databile nel corso del V secolo), ceramiche con decorazioni dipinte (APROSIO 2004, p 110; GRASSI 2006b, pp.182-183) e ceramiche acrome fini di forma chiusa, come boccali e brocche (GRASSI 2006b, pp.182183). Questi tipi ceramici trovano confronti tra i materiali della città di Luni (Luni II), della città di Siena (CANTINI 2005), della città di Cosa (FENTRESS et alii 1991) e dell'area laziale (PATTERSON, ROBERTS 1998). Populonia si trovava quindi compresa negli stessi andamenti produttivi identificati per tutta la costa toscana, caratterizzati dalla presenza di imitazione di ceramiche sigillate e dall'afflusso di ceramiche fini di buona qualità, dipinte e non, forse dall'area laziale o campana, ma non sembrerebbero presenti anfore o ceramiche di importazione, quali si sono riscontrate in alcuni siti come Siena stessa (CANTINI 2005) o l'area portuale e produttiva di Vada Volaterrana, almeno sino al VII secolo8. Alla fase altomedioevale (VII-IX secolo) sono pertinenti 14 frammenti di ceramica depurata che comprendono un repertorio di forme molto eterogeneo (Fig. 70). Gli orcioli ed il catino sono contraddistinti da alcune caratteristiche tecnologiche come la steccatura a coltello su tutto il corpo, le superfici molto rosse ed una decorazione composta da solcature parallele e sinusoidali multiple: presentano vari confronti nei siti di Scarlino (MARASCO 2002-2003), Montarrenti (CANTINI 2003), Donoratico (GRASSI, LIGUORI 2004) tra VII e X secolo. Al momento l’area produttiva di questi reperti non è identificabile con precisione, ma possiamo ritenerli di ambito locale considerando l’attestazione di ateliers specializzati in tutta l’area costiera tra VIII e XI secolo. La brocchetta, dato il modulo decorativo molto particolare costituito da linee sinusoidali incise a registro multiplo, seppure inserita in questo contesto cronologico potrebbe rimandare anche a forme analoghe dipinte di rosso e presenti a Cosa nel VI secolo9. Il testo da pane richiama fortemente le tipologie ceramiche da fuoco laziali, mentre non è frequentemente attestato nei contesti produttivi di area toscana10: esso farebbe la sua comparsa nelle

stratigrafie romane tra fine VIII e IX secolo, attestandosi con una continuità ininterrotta sino al XIII secolo (RICCI 1998). Le pareti di brocche con decori incisi e schiarimenti delle superfici esterne sono ugualmente ben attestate nei contesti di Roma e di area laziale e riconducono a cronologie comprese tra VIII e X secolo, mentre sarebbero già sicuramente residue in contesti urbani di XI secolo11. L’area produttiva di queste due forme descritte non può essere identificata con certezza nel Lazio mancando al momento riscontri di carattere petrografico, tuttavia una possibilità da valutare potrebbe essere quella di considerare la presenza in loco di vasai di area laziale, in parte testimoniata da alcuni frammenti di ceramica a vetrina sparsa provenienti dallo scavo della città di Cosa12. Bisogna inoltre considerare che vi sono altri indizi emersi dagli scavi di Populonia che hanno collegato la realtà produttiva ceramica all'area laziale, come tre forme recuperate in una delle cisterne dell'edificio delle Logge (un'olla, una brocca con decoro a bande rosse ed un'anfora) databili tra VII e VIII secolo (DALLAI 2003, tav. 4). Infine, i secoli centrali del medioevo (X-XII secolo) sono stati analizzati attraverso 35 frammenti di ceramica tutti di produzione pisana (Fig. 71), ad eccezione di un'olla da fuoco finemente filettata che dall'analisi macroscopica dell'impasto è sembrata di origine locale (n.1), databile ai secoli centrali del medioevo in base ad alcuni confronti con la città di Luni e con tutti i castelli della Toscana meridionale13. Gli orcioli presenti hanno impasto molto depurato e lisciature delle superfici esterne e rientrano tra i prodotti pisani della prima fase produttiva, datata a partire dal X secolo. Tra le brocche vi sono almeno cinque esemplari di provenienza pisana, ma con diversa attribuzione cronologica. Infatti, alcune di queste appartengono alle prime produzioni fabbricate con impasti depurati nella città di Pisa (tipo G.I A in BERTI, MENCHELLI 1998, fabbricato a partire dalla seconda metà del X secolo fino alla seconda metà dell’XI secolo), mentre due forme rientrano nei tipi più tardi, di XI-XII secolo (tipo G.II). In particolare, due tra gli esemplari più antichi presentano un bollo radiale sull’ansa tipo III.C (BERTI, GELICHI 1995) associato a rifiniture a stecca nelle pareti, esternamente ed internamente. 3. Conclusioni L'analisi dei reperti ceramici provenienti dall’Acropoli ha fornito testimonianze molto importanti sulle produzioni tardoantiche, altomedievali e medievali nell'area della costa toscana e nel contempo ha permesso di illuminare alcune fasi di frequentazione della città di Populonia nel momento in cui i monumenti già si presentavano in 11 Per Roma si veda MANACORDA et alii, 1986, p. 526; per l’area laziale si vedano i contesti di Pianabella (Ostia antica) studiati da Helen Patterson relativi alla cronologia fine VII-inizio IX secolo (CIARROCCHI et alii 1992, pp. 219-231). 12 In questi contesti (HOBART 1992, p. 307) l’analisi petrografica avrebbe evidenziato argille locali utilizzate per foggiare manufatti secondo modelli formali laziali, prospettando la probabile attività di artigiani forestieri nell’area costiera toscana, attirati dalla domanda di vasellame proveniente da alcuni insediamenti legati alla Chiesa romana, tra cui la stessa Cosa. 13 Luni II, tav. 336, n. 4, proveniente dal riempimento della Buca 2 datata all'XI secolo.

8 Per Vada Volaterrana si veda la recente sintesi in MENCHELLI,

PASQUINUCCI 2005. 9 Si veda FENTRESS, CLAY, HOBART, WEBB 1991, fig. 17, nn.7-8. 10 Per alcuni confronti con Roma e l’area laziale relativi ai secoli VIIIX si veda MANACORDA et alii 1986, tav. XI, nn.7-8 e RICCI 1998, fig. 3.

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LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO avanzata fase di distruzione14. Da un lato dunque occorre inserire nella giusta interpretazione questi indizi di frequentazioni medievali nella realtà insediativa del sito, ma dall'altro non si deve dimenticare l'apporto fondamentale che un contesto ceramico di questa natura offre alla ricostruzione del paesaggio produttivo regionale, evidenziando nell'altomedioevo precoci contatti commerciali e formali con aree dell'Italia centrale, come il Lazio, sino ad oggi soltanto ipotizzabili e rafforzando l'ipotesi di un ruolo monopolistico che i prodotti pisani avrebbero ricoperto nel bassomedioevo in tutta l'area costiera toscana.

Bibliografia sul sito A. MINTO, 1943, Populonia, Firenze. A. FORGIONE, F. REDI, 2005, La chiesa di San Cerbone vecchio, in G. BARTOLONI, 2005, (a cura di), Populonia: scavi e ricerche dal 1998 al 2004, pp. 75-78, Roma. F. REDI, 2008, Porto Baratti e la chiesa di San Cerbone, in G. BIANCHI (a cura di), 2008a, Guida all’archeologia medievale della provincia di Livorno, pp. 141-145. 1. Le indagini archeologiche A Populonia, nel sito di San Cerbone Vecchio, è stata effettuata una ricerca tra il 1998 ed il 2001 promossa dall’Università di Siena e de L’Aquila, che ha interessato lo scavo di un terrazzo naturale posto a nord-est dell'attuale abitato di Populonia, affacciato sul golfo di Baratti e delimitato, ad una quota leggermente inferiore, dal muro di cinta etrusco della cittadina. Tale ricerca ha interessato l’area dei ruderi cosiddetti di “San Cerbone Vecchio” dove si evidenziavano i resti di un grande edificio rettangolare, identificato dalla tradizione popolare, avvalorata dall'interpretazione di Minto, con la “chiesa vecchia di S. Cerbone”15 (Fig. 72). Lo scavo ha mostrato che i ruderi identificati sono invece pertinenti ad una chiesa costruita parzialmente alla fine del Quattrocento, in seguito abbandonata e completata solo all’inizio del XVII secolo, annettendovi anche una cappella gentilizia. Inoltre, l’area ha mostrato segni di frequentazione precedenti all’edificazione dell’edificio ecclesiastico, comprendenti alcune case etrusche e, in una porzione adiacente alla chiesa, almeno due edifici medievali, con muri costituiti da uno zoccolo a secco e alzato in terra mista a pietrisco, con copertura in lastre di ardesia (FORGIONE, REDI 2005). Tali edifici, databili nel XII secolo ed interpretati nell’ambito dei tentativi della città di Pisa di ripopolare Populonia, ormai disabitata, hanno restituito una serie di materiali ceramici medievali che abbiamo preso in esame per completare il quadro delle produzioni ceramiche presenti a Populonia nel bassomedioevo16.

1- La fase della tarda antichità (IV-VI secolo) vede il riutilizzo in forme precarie di parte degli spazi antichi, quale quello nell'area di fronte all'edificio delle Logge (Saggio III e IV) e nelle aree poste a nord dello stesso (Saggio XX e Saggio IX). Si tratta presumibilmente di risistemazioni delle macerie già presenti e di riutilizzi di alcune strutture, in modo non diverso da quello che accadde contemporaneamente in altre due grandi città del mondo classico, Cosa e Luni (FENTRESS, CELUZZA 1994, p. 603; WARD-PERKINS 1981; Luni II). Le ceramiche che testimoniano questa fase sono ceramiche comuni prive di rivestimento o con ingobbi rossi che trovano molte analogie con i corredi presenti negli stessi secoli nella vicina città di Cosa e nell'area laziale (CIRELLI, HOBART 2003; DADÀ 2008). 2-I reperti altomedievali recuperati copriono un arco cronologico dal VII al IX secolo (Saggi XX, XXI, IV) ed indicano una soluzione di continuità con la frequentazione precedente e un tipo di forma insediativa a ridosso di monumenti antichi, costituita da capanne ed edilizia in materiale deperibile (DADÀ 2008). I materiali ceramici di questi secoli sembrerebbero appartenere ad un ambito produttivo locale e trovano molti riferimenti formali nell'entroterra toscano, nell'area cittadina senese ed in ambito laziale, come hanno mostrato i confronti con i reperti di Siena e delle campagne romane. Infine, le evidenze archeologiche dei secoli basso medievali ci portano a parlare di spoliazioni delle strutture ad uso edilizio e non più di un riutilizzo abitativo delle stesse.

2. Le ceramiche da San Cerbone Vecchio Le ceramiche medievali recuperate durante lo scavo di San Cerbone Vecchio sono corrispondenti a 4935 frammenti, provenienti sia da stratigrafie conservate all’interno degli edifici di XII secolo sia da terreni utilizzati come livellamenti (79 frr. di maiolica arcaica, 1433 di acroma grezza, 1860 di acroma depurata, 1563 di invetriata). Tra tutta la restituzione, abbiamo scelto di effettuare lo studio analitico soltanto dei contesti relativi alle case di XII secolo, corrispondenti a 232 frammenti privi di rivestimento, tra i quali si trovano anche 6 frammenti rivestiti (4 invetriate, 1 maiolica arcaica, 1 graffita arcaica), datanti la frequentazione finale dell’edificio ed il suo crollo nel XIV secolo. Le ceramiche provenivano dai contesti di vita della casa e

Populonia - San Cerbone Vecchio

14 Un confronto molto stringente per le produzioni e per la sequenza

insediativa si può effettuare con la città di Cosa. Negli anni tra il 1991 ed il 1997 una serie di indagini, coordinate da E. Fentress, ha permesso di completare e puntualizzare la sequenza insediativa della colonia romana fondata nel 273 a.C. durante la romanizzazione dell’Etruria (FENTRESS 2003). Non considerando in questa sede la sequenza insediativa antica che non rientra nell’ambito di interesse della nostra ricerca, Cosa sarebbe sede di un castrum bizantino per tutto il VI secolo, provvisto di un’arx fortificata e di un insediamento civile con una chiesa, un cimitero, alcune case ed un forno da pane (FENTRESS et alii 1992, p. 208 ss.). Dopo l’invasione longobarda, tra VII e VIII secolo, questa modalità insediativa lascerebbe il posto ad un abitato di capanne con una chiesa ed un cimitero con oltre duecento inumazioni senza corredo (FENTRESS, CELUZZA 1994, p. 603). In seguito, si sarebbe registrato un nuovo assetto con la fortificazione dell’altura orientale per mezzo di un doppio fossato datato non oltre l’XI secolo. Nel XII infatti la stessa area diventerebbe sede di un castello provvisto di cinta muraria di proprietà dell’Abbazia di S. Anastasio ad Aquas Salvias (FENTRESS, CELUZZA 1994, pp. 604-606).

15 MINTO 1943, p. 22, tav. V, n.1; p.305, sez.I n.12. 16 Lo scavo di San Cerbone Vecchio, diretto da Riccardo Francovich e

Fabio Redi, è sostanzialmente inedito; ringraziamo Daniele De Luca (Università di Firenze), Jacopo Bruttini (Università di Siena) ed Alfonso Forgione (Università de L’Aquila) per la disponibilità mostrata nella condivisione dei dati di scavo.

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FRANCESCA GRASSI dal focolare riconosciuto all’interno dell’abitazione, nonchè da due strati di accumulo esterni al muro perimetrale dell’edificio, coevi a quelli interni. La ceramica grezza (80 frammenti) è composta da olle prodotte a tornio veloce, provviste di filettatura esterna e da testelli. Gli impasti sono ricchi di calcite aggiunta, grossolana nei testelli e macinata in maniera più fine nelle olle. La tipologia delle olle è riconducibile ad un solo tipo, con orlo piatto ed alto collo, assai comune tra XII e XIII secolo (Fig. 73, nn. 1-2). Le forme minime calcolate durante la schedatura sono 5 olle e 3 testelli. La ceramica depurata (147 frammenti) è composta dalle seguenti forme: brocche con larga ansa a nastro e decori sinusoidali incisi o filettature molto rade e marcate, varie pareti di forma chiusa con le stesse caratteristiche, ma non riconducibili ad un tipo morfologico specifico e fondi con steccatura nella parte terminale della parete (n.3). Le brocche, a causa della estrema frammentarietà, non sono state calcolate quantitativamente, ma in base alle anse sarebbero 4/5 forme. L’analisi ottica dell’impasto e le caratteristiche formali ci hanno fatto propendere per una sicura attribuzione alle produzioni pisane, già analizzate tra i reperti bassomedievali provenienti dall’acropoli. In particolare, i dettagli tecnologici hanno permesso di inserire le forme di San Cerbone tra i prodotti presenti a Pisa tra XI e XII secolo (BERTI, GELICHI 1995, gruppo “d”). Gli strati più superficiali del contesto esaminato, datanti le ultime frequentazioni dell’edificio, comprendono anche alcuni frammenti di ceramica rivestita con smalti, ingobbi o vetrine. Iniziando dalle produzioni locali, vi sono frammenti di invetriata da cucina, quali tegami, databili tra XIII e XIV secolo, inquadrabili tra le produzioni locali di area costiera, ben rappresentate ad esempio nel sito di Campiglia Marittima e Rocca San Silvestro. Per quanto riguarda le maioliche arcaiche, è stato ricostruito un solo fondo di catino con piede ad anello, decorato con motivo a raggiera in manganese e ramina: il decoro, la forma e l’impasto duro e molto rosso hanno permesso di attribuire il catino alle botteghe pisane (BERTI 1997a, p. 117, tav.75). Tra le ceramiche non locali o di produzioni toscana abbiamo riconosciuto una parete di graffita arcaica ligure ed un frammento di invetriata verde. La prima è attestata nel XIV secolo in molti siti costieri e dell’entroterra; il secondo frammento appartiene invece ad una ciotola con breve orlo a tesa, provvista internamente di ingobbio e vetrina verde, ma nuda all’esterno, non prodotto localmente. Tutti i frammenti provvisti di rivestimento, ad eccezione forse dell’ultimo descritto, si inquadrano in una cronologia del XIV secolo. 3. Conclusioni Dal X secolo il fulcro del popolamento dell’area populoniese sembrerebbe dividersi tra la parte alta dell’area e le zone dei terrazzamenti più bassi e il fervore edilizio determinato dalla costruzione del castello porterà al bisogno di materiale lapideo ed al conseguente smontaggio delle strutture visibili nell'acropoli o alla ricerca, testimoniata dalle fosse di spoliazione, delle murature sommerse dalle macerie (REDI 2008). Il corredo pisano composto da brocche ed orcioli recuperate

all'interno delle fosse di spoliazione dell’acropoli (vedi supra) ha permesso di datare questi interventi tra X e XII secolo ed ha evidenziato con ulteriori dati la consistente presenza che le produzioni pisane ebbero per tutto il bassomedioevo nell'area costiera toscana17. Solo nel XIII secolo si attuerà anche in questo sito l'arrivo dei prodotti pisani, acromi e rivestiti di smalto, nelle forme delle prime produzioni di maiolica arcaica, al momento non ritrovate a Populonia. In entrambi i siti, pur trovandosi in prossimità di scali portuali, non sono presenti grandi quantità di ceramiche di importazione, ma questo dato potrebbe essere falsato dalla tipologia dei contesti utilizzati: gli unici contatti di Populonia in questo periodo furono con le reti commerciali che fecero giungere i prodotti da Pisa e da Savona. Rocca San Silvestro Bibliografia sul sito E. BEDINI, 1987, I resti faunistici, in Rocca San Silvestro e Campiglia 1987, pp.137-148. M. BELLI, 1997-1998, I metalli del castello di Rocca San Silvestro, tesi di laurea, Università degli Studi di Siena. M. BERNARDI, L. CAPPELLI, F. CUTERI, 1992, Ceramica a vetrina pesante e a vetrina sparsa in Toscana. Il caso degli insediamenti di Scarlino (Gr) e Rocca San Silvestro (Li), in L. PAROLI, La ceramica invetriata tardoantica ed altomedievale in Italia, pp. 295-303. G. BIANCHI, 1995, L'analisi dell'evoluzione di un sapere tecnico, per una rinnovata interpretazione dell'assetto abitativo e delle struttura edilizie del villaggio fortificato di Rocca San Silvestro, in E. BOLDRINI, R. FRANCOVICH (a cura di), Acculturazione e mutamenti. Prospettive nell'archeologia medievale del Mediterraneo, pp. 361396 G. BIANCHI, 1997, Rocca San Silvestro e Campiglia M.ma: storia parallela di due insediamenti toscani attraverso la lettura delle strutture murarie, in Sami 1997, pp. 437-445 E. BOLDRINI, F. GRASSI, 1997, Ceramiche grezze e depurate tra XII e XIII secolo a Rocca San Silvestro: dati preliminari, in Sami 1997, pp. 437-445. E. BOLDRINI, F. GRASSI, A. MOLINARI, 1997, La circolazione ed il consumo di ceramiche fini rivestite nell'area tirrenica tra XII e XIII secolo: il caso di Rocca San Silvestro, "Archeologia Medievale", XXIV, pp. 101129. B. CARNASCIALI, 1999-2000, Vetri dai castelli medievali della Toscana meridionale, tesi di laurea, Università degli Studi di Siena. M. L. CECCARELLI LEMUT, 1985a, La Rocca di San Silvestro nel Medioevo ed i suoi signori, in R. FRANCOVICH et alii 1985, pp. 322-341. C. CICALI, 2005, Le monete del castello minerario di Rocca San Silvestro, “Bollettino di Numismatica”, n. 4445, pp. 81-272. R. FARINELLI, R. FRANCOVICH, 1994, Potere e attività minerarie nella Toscana altomedievale, in R. 17 A Cosa invece testimonierebbero ancora gli stretti contatti con Roma alcune brocche con becco a mandorla presenti nei contesti di XI e XII e foggiate con impasti laziali (CIRELLI, HOBART 2003, p. 336-342).

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LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO FRANCOVICH, G. NOYE (a cura di), La storia dell'altomedioevo italiano (VI- X secolo) alla luce dell'archeologia, pp. 443-466. R. FARINELLI, R. FRANCOVICH, 1999, Paesaggi minerari nella Toscana medievale: castelli e metalli, in Castrum 5. Archéologie des espaces agraires méditerranéens au Moyen Âge, Casa de Velàzquez – École Française de Rome, Roma-Madrid-Murcia, pp. 467-488. R. FRANCOVICH (a cura di) 1991, Rocca San Silvestro, Roma. R. FRANCOVICH (a cura di) 1996, Le ragioni di un parco alle radici dell'archeologia mineraria. Le miniere di Campiglia Marittima nelle pagine dei naturalisti e dei geologi dell'Ottocento, Venezia. R. FRANCOVICH, C. CUCINI, R. PARENTI, 1990, Dalla villa al castello: dinamiche insediative e tecniche costruttive in Toscana fra tardo antico e bassomedioevo, in R. FRANCOVICH, M. MILANESE (a cura di), Lo scavo archeologico di Montarrenti ed i problemi dell’incastellamento medievale. Esperienze a confronto, pp. 47-79. R. FRANCOVICH, C. WICKHAM, 1994, Uno scavo archeologico ed il problema dello sviluppo della signoria territoriale: Rocca San Silvestro e i rapporti di produzione minerari, "Archeologia Medievale", XXI, pp.7-30. R. FRANCOVICH et alii, 1985 = R. FRANCOVICH, S. GUIDERI, G. PAOLUCCI, R. PARENTI, A. ROVELLI, A. VANNINI, Un villaggio di minatori e fonditori di metallo nella Toscana del medioevo, “Archeologia Medievale”, XII, pp. 313-402. F. GRASSI, 1996-1997, La ceramica acroma grezza del castello di Rocca San Silvestro, tesi di laurea, Università di Siena. F. GRASSI, 1998a, La ceramica acroma grezza del castello di Rocca San Silvestro nel XII e XIII secolo: rapporti tra impasti e forme, in S. SANTORO BIANCHI, B. FABBRI (a cura di), Il contributo delle analisi archeometriche allo studio delle ceramiche grezze e comuni. Il rapporto forma/funzione/impasto, Atti della Ia Giornata di archeometria della ceramica, Bologna, pp. 239-246. F. GRASSI, 1998b, Produzione e circolazione di olle in acroma grezza modellate a “tornio lento” tra la fine dell’XI e la prima metà del XV secolo nella Toscana Meridionale, "Archeologia Medievale", XXV, pp. 335343. F. GRASSI, 1999, Le ceramiche invetriate da cucina dal XIII alla fine del XIV secolo nella Toscana Meridionale, “Archeologia Medievale”, XXVI, pp. 429-435. R. PARENTI, 1985, I materiali e le tecniche costruttive, in FRANCOVICH et alii 1985, pp. 387-400. Rocca San Silvestro e Campiglia 1987 = R. FRANCOVICH, R. PARENTI (a cura di) 1987, Rocca San Silvestro e Campiglia. Prime indagini archeologiche, Firenze.

Rocca San Silvestro (1984-1994), è stato oggetto di numerose pubblicazioni sotto forma di rapporto preliminare, di resoconto esaustivo, di presentazioni divulgative e di approfondimenti tematici su singoli aspetti. In particolare i dati di scavo hanno fornito informazioni di grande spessore sui processi minerari e metallurgici di età medievale. Il castello di Rocca San Silvestro si trova nel cuore dei monti del Campigliese, alle pendici del Monte Calvi (646 m), ed è inserito tra i rilievi di Monte Rombolo (391 m.) a sud-ovest, la valle del Manienti ad ovest e Poggio all'Aione (459 m.) ad est. Questi rilievi sono caratterizzati da ricche macchie di vegetazione che si alternano a rocce calcaree bianche e grigie; lungo questi affioramenti di roccia si sono depositate, a contatto diretto con il calcare, le mineralizzazioni di Skarn, comprendenti piombo, argento, rame, ferro, zinco. L'esistenza di risorse minerarie così abbondanti ha condizionato in modo inequivocabile la disposizione e lo sviluppo degli insediamenti in tutti i periodi, da quello etrusco all'età contemporanea. Rocca San Silvestro nasce ex-novo, in un sito precedentemente non abitato, nel cuore di un'importante area mineraria sfruttata sin dall’antichità (FRANCOVICH 1991). I Conti della Gherardesca risultano proprietari di Rocca San Silvestro fino agli inizi del XII secolo quando si avvicendano sul controllo del sito alcuni loro visdomini che assumeranno il nome di Della Rocca (CECCARELLI LEMUT 1985). Dopo il cambio di signoria, il castello conobbe un lungo periodo di prosperità fino alla metà del XIII secolo. Da questo momento infatti il controllo dei signori sul castello si allentò, a causa di interessi delle stesse famiglie verso zone minerarie diverse dalla Maremma, come quelle in Sardegna (FRANCOVICH 1991). Le indagini archeologiche hanno mostrato che l’abbandono del sito fu lento e graduale, determinato con molta probabilità dall’inadeguatezza dell’organizzazione produttiva signorile di fronte a nuovi modelli di gestione delle risorse promossi dai Comuni cittadini (FRANCOVICH, WICKHAM 1994). Favorì inoltre l’abbandono dei sistemi utilizzati per tutto il medioevo il contemporaneo diffondersi dell'uso dell'energia idraulica per alcune fasi del ciclo produttivo (FRANCOVICH 1991). Lo studio del castello è stato favorito indubbiamente dall'eccezionale stato di conservazione del sito, negli elevati, nei corredi domestici, nelle testimonianze delle strutture produttive ritrovate pressoché intatte sotto i crolli dei muri. Infatti, dal punto di vista archeologico, le modalità della crisi e dell'abbandono del castello, molto lente e prolungate nel tempo, hanno determinato una sorta di "cristallizzazione" dei resti materiali dell'ultima fase di vita. Gli ultimi anni hanno permesso, con assidui studi sulla cultura materiale, di definire sintesi globali sul sito di Rocca San Silvestro. La creazione di una griglia cronologica volta a predisporre una messa in fase ed una periodizzazione di tutte le aree del castello, corrispondente a precisi cambiamenti nell'assetto urbanistico di tutto il sito, è scaturita dall’insieme dei lavori sulle stratigrafie orizzontali, su quelle verticali, nonchè dall’impegno profuso da parte di vari ricercatori nello studio dei reperti. La sequenza cronologica sintetizzata per le fasi inseditive del castello è dunque la seguente: periodo I (fine X-prima metà XI secolo),

1. Le indagini archeologiche Il progetto di ricerca sul castello di Rocca San Silvestro, svolto dall’Insegnamento di Archeologia Medievale del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti, ha fatto parte di un ampio studio sulle dinamiche insediative dei siti legati alle attività metallurgiche e minerarie delle Colline Metallifere (Fig. 74). Lo scavo del castello di 127

FRANCESCA GRASSI periodo II (seconda metà XI-prima metà XIII secolo), periodo III (seconda metà XIII-fine XIV secolo).

delle aree con tracce di canalette e alloggi per pali lignei ricavati nella roccia non hanno restituito infatti alcun tipo di deposito connesso. In sintesi i tipi che caratterizzano questo periodo provengono in parte da stratigrafie successive, nelle quali sembrano residuali; a questi reperti si affiancano alcuni tipi in fase con stratigrafie di pieno XI secolo, ma sicuramente in produzione da molto tempo, come mostrerebbero i confronti territoriali. In totale si contano 44 frammenti di ceramica grezza (43 %) e 57 di ceramica depurata (55%); sono inoltre presenti in queste stratigrafie alcuni elementi residuali attribuibili all’età classica (due frammenti di ceramica sigillata, 2% della restituzione). Nel corredo da cucina si trovano olle, testi e tegami di produzione locale (Fig. 75). L’analisi degli impasti ha mostrato la predominanza di tre miscele argillose, denominate RSS2, RSS5, RSS6. Le prime due vengono utilizzate per foggiare olle prodotte al tornio veloce, fornite anche di decori incisi con una punta, la terza invece è tipica dei prodotti lavorati a mano, tra cui olle e testelli. Schematizzando le produzioni attestate si delinea la presenza di almeno due botteghe artigiane che producono manufatti utilizzando una buona tecnica artigianale, evidenziata dall’uso di impasti fini e con inclusi piccoli, dalla presenza di elementi decorativi nelle forme e dalla cottura ossidante riscontrabile su tutti i prodotti (Fig. 76). La collocazione di queste botteghe, come rivelano gli inclusi contenuti negli impasti, sarebbe in un caso tra il castello stesso e l’area di Botro ai Marmi e nell’altro in una zona nei pressi di San Silvestro non interessata dal fenomeno del metamorfismo da contatto. Nella produzione domestica, invece, sembrano utilizzati esclusivamente inclusi caratteristici delle aree interessate dal metamorfismo da contatto, come frammenti di Skarn ad anfibolo, pirosseni e plagioclasi. Le temperature di cottura di questi vasi prodotti a mano, basse rispetto a quelle di una fornace di bottega, sono state ipotizzate tra 600 e 650 gradi. Questi particolari hanno permesso di ricostruire la presenza di un vasaio itinerante che avrebbe operato all’interno del castello, cuocendo i manufatti in forni a riverbero, simili a quelli che qualche secolo dopo verranno costruiti in due distinte aree del sito (GRASSI 1998a). La grande perizia che gli abitanti del castello possedevano nelle arti del fuoco, messa in opera nell’ambito delle attività specialistiche nelle quali erano impegnati costantemente, potrebbe fare ipotizzare che il vasaio preposto alla fabbricazione dei corredi domestici fosse un abitante stesso. Il fenomeno di manufatti utilizzati per cuocere i cibi e prodotti a mano, pur toccando tutta la Val di Cornia, ha infatti nel castello di San Silvestro il suo punto massimo di presenze (GRASSI 1998a), assieme alla Rocca di Campiglia Marittima e Piombino. Per quanto riguarda la ceramica depurata non si riconoscono profili completi, ad eccezione di una brocca recuperata in stratigrafie posteriori, con orlo molto estroflesso e decori sinusoidali incisi sulla parete. I dati generali che si possono desumere sulla ceramica depurata sono due: l’esclusiva attestazione di brocche (mancano totalmente le forme aperte) e alcuni trattamenti delle superfici come la filettatura e la steccatura, realizzate su

2. La ceramica dal castello L’analisi dei reperti ceramici del castello è iniziata in contemporanea con le campagne di scavo. Nel corso degli anni, allo studio analitico con schedature riguardanti le singole campagne di scavo (FRANCOVICH et alii 1985, FRANCOVICH 1991, Rocca San Silvestro e Campiglia 1987), si sono affiancati alcuni lavori di sintesi, mirati alle diverse classi ceramiche. Una tesi sulla ceramica grezza del castello, discussa da chi scrive (GRASSI 19961997) e sintetizzata in alcuni brevi articoli (BOLDRINI, GRASSI 1997 e GRASSI 1998a, 1998b) ha avviato uno studio sistematico sui manufatti da cucina, integrato dall’analisi della ceramica con invetriatura di poco successiva (GRASSI 1999). La ceramica da dispensa e da mensa priva di rivestimento (acroma depurata) è stata oggetto di alcuni studi mirati al raggiungimento delle tipologie nell’arco della diacronia XI-XIV secolo ed alla loro comparazione con siti limitrofi, soggetti ai poteri dei conti Gherardeschi, come Campiglia Marittima (BOLDRINI, GRASSI 1997 e 1999). Per quanto riguarda le ceramiche con rivestimenti, maioliche e invetriate da mensa, pur mancando ad oggi uno studio completo dei tipi e delle decorazioni, spunti ed analisi su singoli contesti si trovano in FRANCOVICH 1991 ed inseriti in un lavoro più ampio su tutte le ceramiche di importazione mediterranea presenti nel castello (BOLDRINI, GRASSI, MOLINARI 1998). Gli altri reperti mobili, monete, metalli e vetri, sono stati oggetto di tesi di laurea, in alcuni casi di prossima pubblicazione o sintetizzate in articoli (BELLI 1997-1998; CARNASCIALI 1999-2000; CICALI 2005). Infine una dettagliata analisi dei resti ossei provenienti dal cimitero antistante la chiesa è stata sintetizzata in una monografia ed ha fornito numerosi dati sulla popolazione del castello e sulla qualità della vita (malattie, alimentazione, durata media della vita, etc.); i resti di pasto e le ossa animali relativi alle prime campagne di indagine sono stati invece analizzati per evidenziare differenze nel tipo di alimentazione legate al diverso status degli abitanti (BEDINI 1987). Il metodo di analisi seguito per la ceramica è stato esaustivo e multifocale (tipologie morfologiche e funzionali, dati quantitativi e distributivi, analisi archeometriche). Il nostro studio si è infatti basato su una campionatura delle 51 aree totalmente scavate, pari circa al 50% delle porzioni di castello indagate. La ceramica studiata corrisponde dunque a circa 21500 frammenti per 2000 forme ricostruite, pari ad 1/5 di tutta la ceramica raccolta nel sito durante la decennale campagna di intervento archeologico. Periodo I fine X-prima metà XI secolo I materiali inseriti tra fine X e XI secolo provengono da depositi coevi alla costruzione della cinta muraria del borgo (area 3700) ed alla fortificazione della parte sommitale (area 6000), da strati in fase con alcuni tratti di murature inglobate nelle abitazioni successive (area 3800-3850) e infine da strati di livellamento e di abbandono posteriori cronologicamente (area 500). Molte 128

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO manufatti con impasti duri e ben cotti, di sicura provenienza da ateliers specializzati. Periodo II Fase 1: seconda metà XI secolo-inizio XII secolo Nella prima fase si osserva ancora il castello nella sua originaria conformazione, nel quale gli elementi connotanti sono quelli già evidenziati nel periodo I. Si focalizzano in questa fase i primi corredi domestici delle abitazioni del borgo; essi sono costituiti prevalentemente da materiale privo di rivestimento, ad eccezione di alcuni frammenti di ceramica a vetrina sparsa, provenienti da due aree distinte del sito. La ceramica grezza occupa nella restituzione il 25 % del totale del vasellame (corrispondente a circa 5000 frammenti). La divisione all’interno della classe evidenzia un maggiore utilizzo di olle rispetto ai testi; tra le prime inoltre sono rappresentate ben maggiormente quelle tornite, a discapito della produzione manuale. Le forme presenti (Fig. 77), tra le olle a mano, sono molto dissimili l’una dall’altra, pur inquadrandosi nell’ambito di un’unica produzione; sicuramente l’alta variabilità morfologica è determinata dal tipo di modellazione. Ricorrono tuttavia alcuni tratti comuni, come la carenatura sotto la spalla, la lisciatura delle pareti effettuata con un panno e alcuni tentativi decorativi, consistenti in filettature delle pareti. Inoltre, l’utilizzo di un solo impasto rafforza l’ipotesi che si tratti di un’unica produzione che si pone in decisa continuità con la produzione manuale del periodo precedente. Le forme aperte, costituite soltanto da testi, hanno morfologie ugualmente molto variabili, data la lavorazione manuale di questi manufatti. Si riconoscono tuttavia alcuni possibili raggruppamenti, in parte collegabili alla funzione: si tratta di testi privi di orlo (forma 18 del catalogo), di testi con orlo di altezza media (circa 3 cm da terra, forma 17 del catalogo) ed infine di testi con orlo alto e verticale, simili al tegame (forma 16 del catalogo). In particolare, solo per i secondi può essere pensato un utilizzo consono alla cottura di farinacei, mentre la funzione dei primi può essere assimilabile a quella svolta da taglieri in pietra o legno e quella degli ultimi è assimilabile all’impiego che si farà del tegame. Le olle foggiate al tornio veloce sono la maggioranza; tra queste, continuano ad essere presenti alcuni tipi già esaminati nel periodo precedente. Sono invece una novità a Rocca San Silvestro le olle con orlo insellato, ma le datazioni fornite per questo tipo dagli insediamenti circostanti (come Campiglia Marittima) ci mostrano che sarebbero presenti sul mercato locale almeno dal X secolo. In generale, nelle forme presenti già dal periodo precedente si nota un certo impoverimento dei tratti accessori, in particolare di quelli decorativi. L’analisi degli impasti ci mostra un arricchimento delle miscele argillose utilizzate, indizio forse della nascita di nuovi ateliers nel territorio o di una maggiore attenzione rivolta alle specializzazioni funzionali dei singoli vasi, con la ricerca della miscela argillosa più conforme all’uso. In particolare, RSS5 è l’impasto più rappresentato, utilizzato per foggiare le olle al tornio veloce (Fig. 78). La ceramica depurata per preparare, consumare e conservare il cibo è, in questa fase, il 74% sul totale delle 129

restituzioni. Una sola forma aperta è in fase con il periodo: si tratta di un catino con tesa e decoro sinusoidale che presenta un impasto molto duro e depurato con una spessa anima grigia. Il secondo tipo di catino che proponiamo nella figura è stato rinvenuto residuale in uno strato di inizio XIV secolo e solo i confronti permettono di inserirlo in questa fase cronologica (BOLDRINI, GRASSI 1997, n. 13, tav. 2). Le restanti forme sono relative a due tipologie di brocche: una prima con larghe anse a nastro impostate sotto l’orlo, impasto molto duri e depurati (foggiata impasto RSS9, a volte con anima grigia), presenza di bolli radiali sul culmine dell’ansa e di decori sinusoidali ed una seconda con anse a nastro sormontanti e sbiancature sulle superfici (impasto RSS8). I tratti tecnologici e decorativi tipici di questi prodotti sono costituiti da leggere filettature su tutto il corpo del vaso, decorazioni sinusoidali e finitura del fondo del vaso a stecca. Non è possibile stabilire con precisione le dimensioni delle brocche, data la frammentarietà della restituzione. Tutti i tipi ceramici rimandano per confronto formale al vasellame prodotto a Pisa, città dalla quale Rocca San Silvestro sembra acquistare grande parte della ceramica consumata a partire dall’XI secolo. Infatti l’analisi degli impasti, pur se effettuata a livello macroscopico, ha mostrato l’estrema depuratezza dei prodotti, tipica delle produzioni pisane dalla metà dell’XI secolo (BOLDRINI, GRASSI 1999, p. 433). Si notano tuttavia alcune differenze all’interno della produzione, pur abbastanza standardizzata: i manufatti foggiati con impasto RSS8 presentavano la superficie brunita, spesso schiarita con un velo di ingobbio, mentre quelli prodotti con impasto RSS9 avevano le superfici molto rosse e mai trattate con accorgimenti finalizzati allo schiarimento (vedi fig. 78). I prodotti decorati con invetriatura (vetrina sparsa, 1%) sono presenti a Rocca San Silvestro in quantità minime e le uniche due forme riconoscibili per questa fase sono una fuseruola ed una parete di forma chiusa, forse pertinente ad una brocca (BERNARDI, CAPPELLI, CUTERI 1992, pp. 300-301). L’XI secolo sembra essere ormai con certezza il momento di massima attestazione di questa classe nella Toscana meridionale: anche a San Silvestro, pur nella quasi assenza della vetrina sparsa, questa fase comprende il picco di reperti recuperati. La pochezza di questa classe ceramica, prodotta in ambito regionale e presente in siti circostanti come Campiglia, può essere solo imputata alla scarsità di depositi che coprono l’arco interessato dalla diffusione di questa classe ceramica. Per quanto riguarda i dati sul consumo, utilizzeremo i depositi ritrovati in fase con due strutture in materiale deperibile, relativi alla parte sommitale (area 6000, edita in Rocca San Silvestro e Campiglia 1987, pp. 25-27) e ad una porzione di terrazzamento del borgo, dove sorgeranno in seguito alcune case in muratura (area 3900, FRANCOVICH et alii 1985, p. 350). La prima casa (area 6000, posta sulla sommità del castello) possedeva per la dispensa 9 brocche di cui 8 prive di rivestimento ed una con rivestimenti vetrosi (vetrina sparsa) e per la cucina 2 olle e 5 testelli in ceramica grezza. La seconda casa (area 3900, posta nel borgo) possedeva per la dispensa una sola brocca priva di rivestimento e per la cucina 5 olle e 2 testelli grezzi. I dati proposti sono molto disomogenei e non tanto per differenziazione sociale tra le due abitazioni, ipotizzabile

FRANCESCA GRASSI dalla diversa ubicazione delle stesse, ma non testimoniata dalle modalità costruttive che sarebbero identiche. Sembra invece la scarsità del deposito ad impedirci di analizzare il consumo, dato che in entrambi i casi il corredo ottenuto risulta povero, nella cucina o nella dispensa. Le uniche aggiunte possibili e qui non quantificate sono manufatti in legno per consumare il cibo e almeno un contenitore in metallo, tipo un paiolo.

castello sino a tutto l’XI secolo escono in questo momento di produzione (Fig. 79). Inoltre, in corrispondenza del XII secolo, la linea di nascita delle produzioni si trasforma in una linea orizzontale o plateau: questo segno grafico rappresenterebbe un’apertura del sito a mercati nuovi, con la conseguente immissione sul mercato di ceramiche che entrano in commercio o in produzione contemporaneamente (CARVER 1985, p. 361). Per Rocca San Silvestro sembra di poter interpretare il plateau come il segno di un potere forte e centralizzato che avrebbe indirizzato le linee commerciali del sito. Le botteghe sul territorio sembrerebbero rimanere tre, ma le produzioni si volsero ad imitare modelli formali pisani, in particolare le botteghe 1ag e 2ag. Possiamo ipotizzare la presenza di artigiani pisani dislocati nel territorio intorno al castello, che avrebbero prodotto, con terre locali, forme appartenenti all'ambito culturale pisano oppure all’imitazione di saperi tecnici tramandati a vasai locali da maestri pisani. Nel contempo, la bottega 3ag spostò la propria produzione quasi esclusivamente sui testelli, operando una sorta di contrazione dei prodotti emessi (Fig. 80). Per quanto riguarda la ceramica da dispensa e da mensa priva di rivestimento (Fig. 81), nel XII secolo a Rocca San Silvestro sembra affermarsi definitivamente il vasellame ad impasto molto depurato e si consolida contemporaneamente il monopolio dei prodotti pisani. Il corredo è composto da alcune grandi brocche che presentano le pareti con decorazione graffita a punta con lunghe ondulazioni o filettate. Brocche e boccali hanno inoltre pareti sottili ed una solcatura, più o meno profonda, alla base del collo; questo elemento perdura almeno per tutto il XIII e non si è mostrato come un elemento di forte distinzione per la cronologia. Per quanto riguarda gli schiarimenti di superficie si riscontrano sia sulle forme grandi che sulle piccole e talvolta si ha netta l’impressione che si tratti anche di rivestimenti, sotto forma di terre diluite. Le brocche presentano bolli radiali di varia tipologia e numero, tutti riferibili ai tipi pisani. Tra i boccali si nota una presenza quasi costante delle filettature esterne: si tratta di forme presenti in almeno 3 dimensioni, l’ultima delle quali, per le dimensioni, rappresenta una sorta di ibrido tra un boccale ed una brocca. Per la morfologia, pur rimandando ai tipi “Busi” tipologizzati dai rinvenimenti della Torre della Fame a Pisa (BUSI 1984), si nota la maggiore globularità dei corpi rispetto ai prototipi cittadini (Fig. 82). Si segnalano inoltre tra le forme depurate alcune forme che hanno un riscontro diretto in produzioni grezze pisane (MENCHELLI 1993, p.441, n. 68) come alcune olle, prive di ansa e utilizzabili in cucina per preparare il cibo. Un dato singolare è che nei contesti di XII non vi sarebbero forme aperte in depurata, mentre a Campiglia nella stessa cronologia sono già attestati i catini con tesa. Nella prima metà del XIII secolo non si hanno novità apparenti nella restituzione ceramica depurata; continuano le grandi brocche con anse bollate (BERTI, GELICHI 1995, tipo Ia); si riconoscono ancora i piccoli boccali con corpo panciuto simili ai tipi “Busi”, ma ora

Fase 2 - 3: XII – prima metà XIII secolo Tra XII e prima metà del XIII secolo, l’originario castello fu ridefinito, in concomitanza con il passaggio di gestione dalla famiglia dei Della Gherardesca ai signori Della Rocca. I depositi di queste fasi hanno restituito una grande quantità di materiali e quelli studiati ammontano a circa 8000 frammenti ceramici (nel XII secolo AD 40%, AG 58%, ceramica rivestita 2%; nel XIII secolo AD 43%, AG 45%, ceramica rivestita 12%). L’esposizione delle due fasi, pur sintetizzata in una sola analisi data l’omogeneità di gran parte delle caratteristiche del vasellame sino alla metà del XIII secolo, necessiterà talvolta, per casi specifici, di visualizzazioni in dettaglio. Ad esempio, se la novità sostanziale del XII secolo fu l’arrivo di produzioni di importazione da altre regioni d’Italia (Campania, Lazio, Sicilia) che costituiranno le prime ceramiche rivestite da mensa nel castello, è solo nella prima metà del XIII che tra queste ceramiche compariranno maiolica arcaica e invetriata fine pisana, proprio in concomitanza con l’avvio della produzione nella città di Pisa (BOLDRINI, GRASSI, MOLINARI 1997). Infatti nel XII secolo e nella prima metà del XIII si affermerà definitivamente nel castello il vasellame pisano, di arrivo dalla cittadina (acroma depurata e maiolica arcaica) o di imitazione formale, pur se prodotto in botteghe locali (acroma grezza). La ceramica grezza rappresenta in entrambe le fasi la metà delle restituzioni e mostra al suo interno una varietà di forme che ampliano lo strumentario domestico conosciuto nelle case del castello. Accanto ad olle e testi, si aggiungono infatti tegami, coperchi, boccali e colatoi. Sembrerebbe innanzitutto connotarsi un cambiamento nei modi di preparare e cucinare il cibo: un’alimentazione più articolata dunque, che ebbe come primo effetto l’accrescersi delle forme ceramiche in uso. Tra le olle, la produzione manuale risulta adesso minoritaria mentre quella tornita artigianale è identificata da una serie di tipi di buon livello tecnologico, prodotti con argille con alto grado di depurazione, decorati con filettature a pettine su tutto il corpo e inquadrabili in un ambito cronologico ristretto (XII - p. metà XIII secolo). I confronti con i materiali pubblicati mostrano che tutti i tipi di olle riprodurrebbero forme in uso nel contado pisano e nella città stessa di Pisa. Sistemando i tipi ceramici divisi per le olle in un diagramma di seriazione18, si osserva che le olle in uso dalla nascita del 18 Il diagramma di seriazione di tipi ceramici, usato spesso nello studio

dei reperti ceramici di stratigrafie urbane (BARKER 1981, p. 224, CARVER 1985, pp. 353-366, ORTON, TYERS, VINCE 1993, p.194), è uno schema nel quale vengono inserite le quantità dei tipi recuperati in ogni arco cronologico, evidenziandone il momento di nascita e l’uscita di produzione. Sull’asse delle ordinate si trova la periodizzazione del sito e su quello delle ascisse la sequenza dei tipi ceramici dal più antico al più

recente. Con una linea viene segnata la soglia di residualità dei tipi, indicata dal “fade point” cioè il punto in cui il tipo, in una sequenza stratigrafica primaria, inizierebbe a diminuire in termini quantitativi diventando residuale.

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LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO privi di filettatura e continuano le tecniche già segnalate nel XII secolo, come la steccatura della parte terminale dei vasi e gli schiarimenti delle superfici. In relazione allo studio degli ateliers sul territorio (vedi fig. 80), per la ceramica depurata possiamo evidenziare che gli impasti risultano adesso difficilmente distinguibili, dato il loro grado di depuratezza. Inoltre, la similarità con i modelli pisani è così accentuata, anche nelle misure, che è risultato difficile stabilire se la ceramica depurata arrivasse direttamente dalla città oppure venisse prodotta nel territorio. Un indizio che ci porterebbe a propendere per la presenza di ateliers dipendenti da Pisa, ma dislocati nel contado, potrebbe essere la produzione di boccali simili al tipo “Busi”, ma decisamente più globulari nella forma, come lo saranno dopo qualche decennio i piccoli boccali con corpo globulare prodotti in maiolica arcaica. Certamente il monopolio pisano sul castello è già molto forte, e solo dopo un cinquantennio, nella seconda metà del Duecento, il vasellame rivestito per la mensa sarà di quasi esclusiva provenienza pisana. La ceramica a vetrina sparsa è ancora presente con alcuni frammenti nel XII secolo, ma sembrerebbe trattarsi di una produzione non collegata a quella locale dei secoli precedenti. Infatti, la possibile attribuzione all’area laziale-campana (BOLDRINI, GRASSI, MOLINARI 1997, p. 106) ha permesso un collegamento con l’arrivo di ceramiche invetriate dal sud della penisola (vedi infra). Al contrario non sembrerebbe più attestata la produzione locale di vetrina sparsa, che cessa definitivamente con il finire dell’XI secolo). La maiolica arcaica pisana della prima fase produttiva è presente nel castello in almeno tre contesti della prima metà del XIII secolo (us 9714, us 4554, us 263719). Nel castello inoltre sono stati trovati vari boccali con alto piede svasato e corpo globulare, attribuibili a fasi produttive precoci, in alcuni casi anche alla fase 1, purtroppo però sempre in contesti residuali (BERTI 1997a, p. 258). Tra questi, citiamo i due boccali con corpo globulare ed alto piede svasato provenienti da strati di XIV secolo (FRANCOVICH 1991, figg. 109-110-115), ma inseriti da Graziella Berti per la forma ed il decoro nella prima fase produttiva pisana (BERTI 1997a, tipo Ca1 e p. 258). L’attribuzione è determinata dalla forma e dal registro della decorazione che in un caso riproduce un decoro a graticcio, presente anche a Pisa (motivo IX), mentre nell’altro una figura mitologica (unicorno), unicum tra il materiale cittadino (Fig. 83). Sempre nella prima metà del XIII secolo sono presenti a Rocca San Silvestro produzioni collaterali alla maiolica arcaica pisana, caratterizzate da rivestimenti con vetrina piombifera di colore verde o marrone20. Nel castello si registra anche la presenza, seppur minima, di forme aperte con invetriatura marrone, piccole ciotole con orlo piatto del tipo s. Cecilia (BERTI 1997a, p. 83), ma non è certo se questa classe trovi la sua collocazione all’inizio

del XIII secolo piuttosto che nel periodo successivo (Fig. 84). Tra le ceramiche fini di importazione, considerando tutto il materiale che non è pisano, si registrano frammenti di graffita arcaica di produzione ligure. La ceramica graffita arcaica si trova a Rocca San Silvestro a partire dalla prima metà del XIII secolo, anche se in quantità minime. Purtroppo non è stato possibile presentare nessun reperto per questo periodo, data la frammentarietà delle forme. Si tratta in genere di piccole forme aperte con breve tesa e piede ad anello, raramente ricostruibili per l'intero profilo. Rimandiamo ad una recente sintesi per la discussione sulla datazione, la diffusione, i centri produttori e la bibliografia più aggiornata su questa classe ceramica (VARALDO 1995; si veda inoltre, anche per la diffusione in Toscana, BERTI, CAPPELLI 1994, pp.151168). Per quanto riguarda le modalità di arrivo, bisogna prima di tutto sottolineare come la grande impennata nelle presenze sia, a S. Silvestro, a partire dagli inizi del XIV secolo e come in questa fase possano essere sia state redistribuite da Pisa, sia essere il frutto di autonomi commerci (BOLDRINI, GRASSI, MOLINARI 1997). Altre provenienze interessano circa l’1,7% del totale del vasellame nel XII secolo e hanno permesso di individuare due regioni di arrivo del materiale importato, la Campania (4 forme) e la Sicilia (1 forma). Dunque nel XII secolo nel castello vi sarebbe una presenza sporadica di prodotti fini da tavola (meno del 2% rispetto all’insieme delle classi ceramiche), pur se comunque significativa nell’ambito di una riflessione sui commerci e sulle vie di penetrazione di queste produzioni. Sulla base dei dati distributivi e quantitativi, non si può escludere una distribuzione dei prodotti campani e siciliani basata prevalentemente sul cabotaggio ed effettuata da parte di operatori della costa centromeridionale (BOLDRINI, GRASSI, MOLINARI 1997, p. 121). Nella prima metà del XIII si verifica invece un incremento abbastanza consistente nell’uso di ceramiche fini rivestite (circa il 13%, rispetto all’insieme delle classi). I due principali fenomeni che si attuano agli inizi del Duecento nelle produzioni ceramiche (inizio della produzioni di vasellame smaltato o ingubbiato) sono ben riflessi nel nucleo di ceramiche fini di Rocca S. Silvestro, naturalmente con una netta prevalenza di maiolica arcaica pisana (oltre il 46% delle ceramiche fini, rinvenute in fase). Piuttosto consistente é tuttavia anche la presenza di maiolica tunisina decorata in cobalto e manganese (oltre il 23% delle ceramiche fini, rinvenute in fase). Per l’arrivo di questa ceramica a Rocca S. Silvestro riteniamo che sia molto probabile una mediazione pisana, in quanto essa é relativamente poco attestata lungo la costa tirrenica meridionale, ad eccezione della Sicilia, ed é particolarmente abbondante nell’area pisana (BERTI, CAPPELLI 1994, pp. 131-138; BERTI 1997a, p.347; MOLINARI 1997). Per i prodotti campani (spiral ware e protomaiolica) potrebbero invece ancora valere le osservazioni fatte a proposito del periodo precedente, essendo per altro piuttosto rari (specialmente la spiral ware) tra i reperti rinvenuti a Pisa stessa. Per quanto riguarda i dati sul consumo di vasellame nel castello, le case costruite in questo periodo ci offrono le informazioni più complete, dato che molti piani pavimentali sono stati trovati integri, ricoperti da grandi strati di abbandono della casa stessa o da nuovi strati di

19 In particolare i reperti provenienti dallo strato us 9714 (maioliche

arcaiche e ceramiche fini di provenienza mediterranea) sono stati oggetto di un riesame in vari contributi, in relazione alla diffusione della maiolica arcaica pisana di prima fase (BERTI CAPPELLI 1994, pp. 197198 e BOLDRINI, GRASSI, MOLINARI 1997, p. 109). 20 Si tratta delle produzioni con decori monocromi costituiti da vetrine piombifere, prodotte nelle stesse fabbriche della maiolica arcaica pisana (BERTI 1997a, p. 69).

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FRANCESCA GRASSI vita relativi al Trecento e ci hanno permesso di analizzare le fasi di vita e di abbandono di queste case, inquadrabili nell'arco di circa un secolo, dalla prima metà del XII alla prima metà del XIII secolo. Il primo contesto che abbiamo analizzato è costituito dagli strati di vita della casa 4700, situata nella zona nord del borgo, nei pressi della viabilità interna. Un altro esempio di contesto integro relativo al XII secolo è stato elaborato dalla casa 4500 posta a sud-est del castello, in prossimità della porta di accesso. Una sintesi dei due esempi (Fig. 85) ci offre lo standard del corredo domestico utilizzato nei primi contesti di vita quantificabili del castello (prima metà XII), i più antichi tra quelli documentabili. La ceramica da fuoco era composta da olle, testi, testi tegami; a questi possiamo aggiungere almeno un coperchio e forse anche un boccale, presenti nella prima metà del XII, ma non in contesti di vita. Accanto ai dati della ceramica possiamo inserire anche il registro alimentare. Rocca San Silvestro, l’analisi della fauna effettuata sulle aree del borgo e sull’area signorile relativa ai secoli XI-XIII mostrerebbe: un ruolo trascurabile delle specie selvatiche e dunque della caccia; pochissima presenza di pesce, forse però determinata dalla fragilità dei resti ossei; un apporto di carne principalmente basato sui suini (43%), seguiti da ovicaprini e bovini. L’area signorile non si differenzia e la quantità maggiore di cacciagione (carne di cervo), considerata indicativa di uno status sociale elevato, proviene in realtà dalla restituzione di un’area del borgo (BEDINI 1987). Nello stesso momento, la ceramica da dispensa e da mensa era costituita da brocche, orcioli e boccali, utilizzati per immagazzinare le derrate alimentari (brocche ed orcioli) e mescere e contenere liquidi (boccali). La mensa sembra composta solo da ceramica priva di rivestimento, tra cui tutti boccali con dimensioni piccole; potrebbe senz’altro prevalere il legno e l’uso, anche per il consumo del cibo, di alcuni contenitori già utilizzati per la cottura (piccole olle). Uno dei due contesti di vita studiati, quello della casa 4700, ci permette di osservare anche ciò che succede circa un secolo dopo, al momento dell'abbandono della casa e di ricostruirne quindi l'ultimo corredo usato. Il corredo che si delinea per il momento dell'abbandono della casa romanica differisce da quello in uso nelle prime fasi di vita solo per l’uso di nuove ceramiche sulla mensa. Mentre in cucina e nella dispensa si nota una maggiore ricchezza di forme, la novità sostanziale è l’arredo della mensa, costituito da ceramica con rivestimenti a base di smalto e vetrina, sia di provenienza pisana sia extraregionale: la mensa della casa è adesso fornita non solo di boccali depurati, ma anche di ciotole invetriate, boccali di maiolica arcaica, alcuni oggetti di importazione, come un catino tunisino con decoro in cobalto e manganese.

una popolazione che contava tra 250 e 300 individui, le circa 48 case furono rialzate di un piano ed i nuovi ambienti divisi con un tramezzo, in modo da razionalizzare l’uso degli spazi. In questo periodo il castello si dotò anche di alcune strutture di servizio ad uso comunitario, come due cisterne ricavate nell’area signorile e due forni, posti in aree pubbliche all’interno delle mura, del tipo a camera di cottura unica, adatti per la cottura del pane e di alcuni manufatti ceramici fatti a mano. I depositi archeologici di questo periodo, in particolare quelli relativi al XIV secolo, sono molto abbondanti e conservano quasi intatti i corredi ceramici e domestici delle case, coperti soltanto dagli strati di crollo delle abitazioni. Fase 1: seconda metà XIII secolo Nella seconda metà del XIII secolo si fanno più leggibili alcuni fenomeni in nuce dalla fase precedente. Innanzitutto la presenza di produzioni pisane: maiolica arcaica, invetriata verde, acroma depurata; in secondo luogo l’arrivo massiccio di vasellame di importazione da varie regioni d’Italia (Liguria, Campania) e dal mediterraneo (Islam occidentale, Islam Orientale). Si registrano poi due novità: la presenza di maiolica arcaica volterrana e la presenza, nel corredo per la cottura del cibo, della ceramica invetriata di produzione locale. La ceramica per cucinare, il 18% di tutta la restituzione analizzata, offre alcune sostanziali novità nel panorama delle forme e della differenziazione produttiva; accanto alle olle ed ai testelli, compare la forma del tegame provvisto di invetriatura interna. Si tratta di manufatti con corpo troncoconico e fondo piano, provvisti di prese laterali a linguetta (Fig. 86). Le vetrine sono molto leggere, gialle o verdi, stese solo sulle superfici a contatto con il cibo (GRASSI 1999). La comparsa di questa forma, anche se in percentuali minime, denota senza dubbio un cambiamento nei modi di preparare il cibo. Come produzione, la ceramica invetriata si pone su un registro locale, di provenienza artigianale: l’analisi dell’impasto utilizzato evidenzia che si tratta dello stesso RSS1 già in uso per la fabbricazione di olle e testelli. Dunque una bottega già esistente sul territorio avrebbe iniziato questa nuova produzione, compiendo un salto di qualità con l’aggiunta, nel ciclo di lavorazione, dei rivestimenti. Questo fattore potrebbe non avere comportato comunque alcun cambiamento a livello delle infrastrutture maggiori, come gli impianti produttivi, dato che si suppone che fossero bastanti gli stessi apparati usati per il vasellame acromo (FORTINA, GRASSI, TURBANTI MEMMI 2007). Accanto alla comparsa del tegame, notiamo inoltre la ripresa della produzione di olle foggiate a mano. E’ infatti dalla seconda metà del XIII secolo che si può registrare un incremento di questa modalità produttiva, rimasta minoritaria per tutto il XII e la prima metà del XIII secolo. La ceramica depurata percentualmente rappresenta circa la metà della restituzione esaminata (50%). Durante questo periodo sembra di notare un tendenziale peggioramento della qualità produttiva: le steccature e le filettature diminuiscono decisamente. Gli schiarimenti delle superfici al contrario si segnalano in percentuali costanti. A livello di forme, invariate rispetto a quelle

Periodo III Seconda metà XIII – fine XIV secolo Dalla metà del XIII alla fine del XIV, la crescita del castello sembrerebbe più disorganica, in seguito ad un aumento demografico determinato dalla situazione di benessere economico raggiunta. Per venire incontro ad 132

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO esaminate per il XII e la prima metà del XIII secolo, si segnala una diminuzione di quelle chiuse; i piccoli boccali, in tutte le loro varietà, sia globulari sia di forma slanciata, sono sostituiti dagli omologhi in maiolica arcaica, scompaiono le olle e compaiono in quantità massicce i catini con tesa, di tutte le dimensioni. Persistono in grande quantità anche le grandi brocche con spalla pronunciata ed ansa a nastro, prive di decorazioni esterne rispetto al secolo precedente e con bolli a ruota dentata sulle anse, nelle tipologie note per Pisa. Si riconoscono ancora orcioli e colatoi, ma in modo minoritario. Inoltre si sottolinea la presenza di forme a beccaccia, molto simile ai tipi poco slanciati presenti nella seconda metà del Duecento a Pistoia. L’avvento definitivo della maiolica arcaica nella seconda metà del XIII secolo modificò sostanzialmente le abitudini della mensa degli abitanti del villaggio (Fig. 87). La ceramica fine da mensa é infatti pari al 31% dell’insieme delle classi, ma ciò che é ugualmente significativo é il forte calo delle presenze di ceramica grezza (18%). Come infatti é stato da noi ipotizzato, le ceramiche fini sembrerebbero assumere alcune delle funzioni in precedenza svolte dalla ceramica grezza, specialmente per quanto riguarda i testelli ed il consumo degli alimenti (GRASSI 1996/1997, pagine conclusive). Nell’analisi della maiolica arcaica, é bene poi sottolineare come nei diversi periodi non si legga una distinzione tra aree privilegiate del borgo e aree più povere; i frammenti di ceramica fine rivestita risultano uniformemente distribuiti all’interno di tutto il borgo. Un confronto più diretto con l’area propriamente signorile non è del resto attuabile perchè lì, anche per modalità diverse nell’abbandono, la restituzione di reperti è stata generalmente scarsa rispetto all’abbondanza riscontrata nelle case del borgo. A tale proposito sopno state elaborate alcune carte di distribuzione dei tipi smaltati nel castello; analizzando la distribuzione di maiolica arcaica blu, di zaffera a rilievo e di ceramiche di importazione (Figg. 88-89-90) si nota che proprio l’area signorile sulla sommità non sembrerebbe interessata dall’uso di queste ceramiche fini da mensa: questo dato consolida l’impossibilità di porre un confronto tra borgo e area signorile, ma nello stesso tempo ci permette di riflettere sul presunto ruolo di ceramiche di “lusso” attribuito per molto tempo a questo tipo di materiale ceramico. Per quanto riguarda la ceramica invetriata fine, di produzione pisana, il rapporto che si ricava tra la presenza di maiolica arcaica e quella di invetriata fine è circa di 2:1, ma si segnala anche, almeno per tutto il XIII secolo, una differenziazione funzionale tra le due classi. Infatti, mentre in maiolica arcaica troviamo forme aperte, perlopiù catini, e boccali, in invetriata verde si hanno solo catini e qualche piccola forma, tipo microvasetto (Fig. 91). Brocchette e forme chiuse invetriate arriveranno infatti a San Silvestro solo nel pieno XIV secolo. Un dato molto importante su cui riflettere è l’arrivo di maiolica arcaica di produzione volterrana, appartenente probabilmente alla prima fase produttiva della cittadina (Fig. 92). I reperti volterrani della prima fase si trovano in stratigrafie di inizio XIV secolo, ma il loro registro produttivo (qualità del decoro e forme antiche) permette di retrodatarle, come è stato fatto per molta della maiolica arcaica pisana della prima fase produttiva recuperata nei livelli di vita finali del sito. Questi dati mitigano in parte

il monopolio che Pisa avrebbe attuato sul castello di San Silvestro. Le forme di maiolica arcaica volterrana che ritroviamo a San Silvestro sono quella del piccolo boccale a palla e del coperchio, assai raro tra i reperti in maiolica. Altre presenze di ceramiche rivestite testimoniano ancora il forte legame di San Silvestro con Pisa, mediatrice dei prodotti mediterranei, come sembra avvenire per alcune giare maghrebine e una forma di invetriata alcalina egiziana. Le ceramiche liguri infine sono una presenza non del tutto trascurabile (circa 9%), sia ingubbiate e graffite sia prodotte con impasti analoghi, ma prive di decorazione, semplicemente ingubbiate e rivestite con vetrine verdi o chiare. Fase 2 e 3: XIV secolo I dati sulla cultura materiale del Trecento sono molto abbondanti e permettono di ricostruire con precisione il corredo per la cucina e la mensa utilizzato nel castello, sino al suo definitivo abbandono. Nella ceramica da cucina, il Trecento segna il definitivo prevalere di produzioni acrome modellate esclusivamente a mano, ad eccezione della presenza di tegami con rivestimenti invetriati. Per le prime si ha dunque la presenza unica di un solo manufatto, l’olla tipo 1 gruppo 1 modellata a mano, adattata a compiere vari usi in base alle varianti dimensionali (Fig. 93). Infatti la variabilità dimensionale di questi manufatti ci ha portato a dividere almeno quattro sottotipi: il grande contenitore (diam. orlo cm. 35, h. cm. 34, diam. fondo cm. 24), l’olla per cuocere cibi liquidi e semiliquidi, di due capienze diverse (una con diam. orlo cm. 20, h. cm.19, diam. fondo cm. 16; un'altra con diam. orlo cm. 15, h. cm. 14, diam. fondo cm. 13), il microvasetto per conservare sale, spezie e aromi (diam. orlo cm. 8, h. cm. 7, diam. fondo cm. 5). Queste olle vengono prodotte con un unico impasto (RSS6), ricco di inclusi composti da minerali termometamorfici tipici della zona mineraria del campigliese. Abbiamo già identificato l’impasto RSS6 con la bottega 3 ag che in questo momento storico rifornisce il castello di ceramica da cucina per circa l’80% del fabbisogno complessivo. La produzione di questa bottega rimanda ai livelli più bassi della gerarchia produttiva: l’attività veniva svolta da uno o più specialisti, con investimenti minimi in fornaci e strumenti di modellazione ridotti. Inoltre la presenza di un'identità totale nelle tipologie delle olle anche in altri castelli limitrofi (GRASSI 1998a), accompagnata ad una certa differenziazione negli impasti, richiamerebbe fortemente un tipo di produzione domestica itinerante. La presenza nel castello di due forni ad uso promiscuo, associata alla necessità costante e duratura di vasellame da cucina, potrebbe permettere l’ipotesi di uno specialista, mantenuto dalla comunità, dedito part-time alla fabbricazione della ceramica. Accanto alle olle modellate a mano, il corredo da cucina è composto da poche olle artigianali prodotte a tornio veloce (olle con orlo ad arpione) ed alcune pentole che ci permettono di compiere alcune riflessioni sulla penetrazione di prodotti o produttori di area senese in questa parte di costa della Toscana. Infatti le olle con orlo ad arpione e le pentole recuperate nel castello sono foggiate con l’impasto RSS1 che rientra in produzione a 133

FRANCESCA GRASSI partire dalla fine del XIII secolo ed è caratterizzato da grandi quantità di calcite macinata aggiunta all’impasto. Questo accorgimento, comune a molte miscele argillose usate per le ceramiche grezze, contraddistingue anche le olle senesi e di area senese trecentesche (sempre con orlo ad arpione) studiate e proposte anche in questo lavoro per altri siti (ad esempio a Montemassi e Rocchette Pannocchieschi). Dunque questi dati, uniti anche a quelli ricavati dalla ceramica invetriata fine non escluderebbero il subentrare di lavoranti di area senese nelle botteghe presenti sul territorio nonchè di prodotti senesi sul mercato rurale. Una piccola percentuale del corredo da cucina è infine composto da ceramiche invetriate (circa il 5% di tutta la ceramica da cucina, vedi anche GRASSI 1999), prevalentemente tegami, invariati nelle forme rispetto ai tipi presentati per il XIII secolo. Per la ceramica depurata da mensa e da dispensa si segnalano ancora catini con orlo a tesa e brocche di provenienza pisana, accanto ad orci a beccaccia forse di area fiorentina. Tra i manufatti meno frequenti si segnala una tazza acroma, probabilmente un biscotto di maiolica arcaica e un orciolo biansato provvisto di fori sul fondo (Fig. 94). Sono ormai completamente assenti i piccoli boccali in depurata, soppiantati definitivamente dalla maiolica arcaica e dall’invetriata verde. Non si registra inoltre, almeno per il XIV secolo, alcun tipo di anomalia nella produzione pisana, nè al livello delle varianti morfologiche nè di quelle dimensionali. Questo porterebbe a pensare ad un’omologazione definitiva di tutte le botteghe che producono manufatti di tipo pisano, anche quelle non operanti in città. Un ulteriore dato correlato alla penetrazione del mercato senese è fornito dalla ceramica da mensa con invetriatura verde. Una delle forme che caratterizza questa classe nel XIV secolo è la piccola brocca con collo lungo e corpo globulare, per la quale si trovano rari confronti in area pisana, mentre spostandosi nell’area senese le analogie con prodotti di prima metà XIV sono molto stringenti (C’era una Volta, 2002, scheda 20, p. 117) (Fig. 95, n. 3). Anche per la maiolica arcaica, ormai molto diffusa, si annotano varie novità. Innanzitutto la comparsa di un impasto nuovo (RSS13), sempre associato ai prodotti tipici pisani, ma della fase produttiva matura (maioliche arcaiche monocrome, maioliche arcaiche con decori molto standardizzati); potrebbe trattarsi, in teoria, anche di un centro di produzione intermedio alle dipendenze di Pisa. Tra le forme, troviamo le piccole ciotole (Fig. 96, n. 6) ed i boccali monocromi o con decori solo in manganese (Fig. 97), grandi ciotoloni con decori standardizzati a raggiera (Fig. 96, nn. 4-7b), e boccali con decori geometrici e forma simile alla Ca.5.1. delle restituzioni lucchesi (BERTI, CAPPELLI 1995, p. 215). Questo dato è molto interessante, perchè si tratta di una forma di produzione pisana (variante della forma Ca.5.1 di BERTI 1997, tav. 119) della seconda metà del XIV secolo che arriva a Lucca, ma non è presente a Pisa, dunque un tipo prodotto esclusivamente per l’esportazione. Sempre tra le produzioni pisane si nota inoltre l’arrivo al castello di forme aperte relative alle MA. III (BERTI 1997, pp. 209-222), con esterno nudo, tipiche della terza fase dei prodotti pisani (metà XIVmetà XV secolo) (Fig. 96, nn. 8-9). Accanto alle maioliche arcaiche pisane continuano gli

arrivi di prodotti da Volterra, forme aperte relative alla fase produttiva matura della cittadina e probabilmente qualche prodotto da Siena. I pochi frammenti di zaffera a rilievo rinvenuti nel castello potrebbero invece appartenere all’areale fiorentino, ma l’impasto (RSS17) mostra anche molte somiglianze con RSS10 attribuito a Volterra (Fig. 98). In sintesi, per quanto riguarda le produzioni di ceramica fine da mensa che troviamo nel castello di Rocca San Silvestro nel XIV secolo, notiamo che la città di Pisa continua a mantenere il maggiore numero di classi ceramiche in arrivo nel sito (m. arcaica, inv. verde, inv. marrone), ma il panorama complessivo è molto diversificato, con la comparsa dei prodotti senesi (m. arcaica, inv. verde) e, forse, di quelli fiorentini (zaffera a rilievo). Permane dal secolo precedente l’apporto di maiolica arcaica da Volterra, città in contatto commerciale con Rocca San Silvestro sino dalle prime fasi produttive di questa classe ceramica. Tra le ceramiche di importazione non toscane, continua inoltre l’afflusso di graffita arcaica savonese (40 forme) e di prodotti spagnoli, sia acromi (3 forme) sia, dalla metà del XIV secolo, in maiolica decorata in ramina e manganese, di incerta attribuzione (Rocca San Silvestro e Campiglia 1987, p. 39, n. 17) e con decori a lustro, per circa 10 forme nella totalità. Per quanto riguarda il consumo, possiamo quantificare per il Trecento un corredo d’uso relativo ad una casa del borgo. Il contesto utilizzato proviene dall'area 3800, posta ad est del borgo, all'interno della cinta muraria e delimitata su due lati dalla viabilità interna. Si tratta di una serie di strati di vita (battuti us 3816-3819), relativi all'ambiente 1, ai quali si associano, distinte nel tempo, due strutture interpretate come focolari (Fig. 99). Considerando i dati della tabella in percentuale, otteniamo un corredo dell’abitazione molto ricco di manufatti per la cucina che rappresentano circa la metà della restituzione totale (43%) e vario anche nella proporzione tra manufatti da mensa (30%) e da dispensa (27%). 3. Conclusioni Tra i siti esaminati in questo lavoro, quello di Rocca San Silvestro è l’unico che ci permetta una totale analisi dei depositi presenti nel castello, in virtù dello sforzo archeologico effettuato nell’arco di un decennio dall’Università di Siena che ha portato come risultato l’indagine pressochè completa dell’abitato medievale. Questo fattore ci ha offerto una quantità unica di dati stratigrafici e di elementi materiali relativi alla vita quotidiana di un villaggio minerario medievale. La nascita del castello, come hanno mostrato gli scavi, si colloca alla fine del X secolo e mostra in maniera netta una programmazione urbanistica ed architettonica frutto di una volontà imprenditoriale precisa. Infatti, le cospicue risorse minerarie furono sicuramente il motore principale per lo sviluppo insediativo dell’area del Campigliese; Rocca San Silvestro nacque dunque per la gestione di importanti risorse minerarie quali erano i giacimenti di metalli monetabili e questo dato connotò tutto il suo sviluppo successivo, marcato da un lato da un costante controllo signorile e dall’altro da una capacità commerciale e una vivacità culturale paragonabili a 134

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO quella di un centro cittadino. Lo studio dei tratti principali della cultura materiale del sito mostrano infatti che sin dalle prime fasi di vita quantificabili il consumo, ad esempio, si pone su un registro molto alto e lo stesso afflusso di ceramiche “esotiche” contribuì a creare una differenza con alcuni siti limitrofi o nelle stesse condizioni economiche (ad esempio i castelli minerari di Rocchette Pannocchieschi e Cugnano). L’atipicità di Rocca San Silvestro sembrerebbe collegata, a nostro parere, allo stretto legame con la città di Pisa per mezzo della quale il castello era inserito all’interno di circuiti commerciali molto ampi e che toccavano i principali porti di tutto il mediterraneo. Di contro, esisterebbe un rovescio della medaglia, riscontrabile nella costante e massiccia presenza degli stessi prodotti pisani nel sito, quasi un monopolio, come si evince dall’analisi delle produzioni presenti a San Silvestro tra fine X e fine XIV secolo. Un ulteriore fattore da non sottovalutare sembrerebbe la vicinanza del mare e dello scalo portuale di Piombino che avrebbe permesso l’acquisto e la conoscenza di merci sconosciute negli stessi anni a molti siti dell’entroterra. Dunque, il castello ha mostrato nella cultura materiale dei secoli da noi esaminati grandi ricchezze e possibilità commerciali, ponendosi come esemplificazione della capacità imprenditoriale di un ceto nobiliare forte. Ma in questo sfondo compatto, abbiamo cercato di individuare alcuni fenomeni di discontinuità che potrebbero porsi come indizi di malessere e crisi. Innanzitutto la produzione e l’utilizzo di olle modellate a mano per il corredo da cucina che si porrebbe in stretta relazione con gli andamenti economici dell’intero sito. La produzione itinerante di olle appare ormai come un fenomeno costante per tutta la Maremma, ma tra i siti che ne fanno uso bisogna operare una distinzione: i castelli minerari hanno mostrato una concomitanza perfetta tra andamenti interni (crisi economica, allentamento del potere signorile o cittadino) ed il ricorso alle olle manuali. Dopo una fase di “bassa presenza” tra XI e XII, dalla seconda metà del Duecento alcuni castelli come Rocca San Silvestro mostreranno percentuali altissime di olle manuali (90%) ed un impiego quasi totale degli oggetti di produzione domestica per completare il corredo da cucina. Dunque una crisi degli apparati produttivi, determinata da un calo della domanda di produzioni artigianali, colpì le botteghe rurali, rilanciando la produzione itinerante di olle, che forniva un prodotto funzionale, ma sicuramente più economico.

contributo toscano all'archeologia dei centri storici (minori), "Rassegna di Archeologia", 9, pp. 431-464. M.F. PARIS, 2008, Suvereto, in G. BIANCHI, 2008a, (a cura di), Guida all’archeologia medievale della provincia di Livorno, pp. 116-126. 1. Le indagini archeologiche La Rocca dell’abitato di Suvereto (Fig. 100), posto nella Val di Cornia, a confine con le Colline Metallifere, è stata oggetto di scavi archeologici condotti dall’Università di Siena negli anni 1989-1990 (CUTERI 1990). Parallelamente, si sono indagati anche i depositi relativi al piano terra del palazzo comunale dell’abitato ed impiantato sui resti di una casa a pilastri databile alla prima metà del XIII secolo e furono fatti alcuni recuperi di materiale ceramico in vari punti del centro storico (CUTERI 1990). In anni recenti, tra il 2005 ed il 2006, tutto il borgo e la Rocca sono stati interessati dalla lettura archeologica dei resti in elevato e dallo scavo stratigrafico di alcuni nuovi saggi posti all’esterno della Rocca, svolti in concomitanza con il progetto di restauro del complesso edilizio (BIANCHI 2003a; CEGLIE et alii 2006; PARIS 2008). Le recenti indagini sono parzialmente edite e dunque forniamo la sequenza insediativa ricostruita per la Rocca dal complesso delle indagini archeologiche. Nell’area sommitale è stata riconosciuta una sequenza di strati e alloggi per palo antecedenti alla costruzione del torrione e della cinta, presente sia all’interno sia all’esterno degli edifici bassomedievali. La datazione dell’abbandono di questa fase edilizia in materiale deperibile è stata ricavata dalla presenza di un frammento di vetrina sparsa attribuito al X secolo e da altre associazioni di materiali. Successivamente, nel corso del XII secolo, fu costruita nella rocca, forse per volere della famiglia Aldobrandeschi, una torre a pianta rettangolare a funzione difensiva e non abitativa a cui poteva essere collegata la Pieve di San Giusto, edificata tra il 1180 ed il 1189. Inoltre, in prossimità della torre lo scavo ha evidenziato un piccolo ambiente, costruito in parte in materiale deperibile e da riferirsi ad attività di cantiere (PARIS 2008, p. 120). Forse già in questa prima fase era presente una recinzione in muratura per la protezione dell’area sommitale, analogamente alla Rocca di Campiglia, ma non ne sono pevenuti ad oggi i resti murari. Nel XIII secolo tutto l’abitato di Suvereto, divenuto libero Comune dal 1201, fu fortificato e munito di una cinta e la stessa area sommitale fu dotata di un recinto trapezoidale con due porte di accesso. A queste trasformazioni partecipò anche Pisa, nell’ambito della gestione cittadina del territorio della Val di Cornia e nel XIV secolo nella rocca si ebbero altre importanti modifiche, necessarie alle esigenze della guarnigione militare che lì viveva, tra cui la costruzione di alcuni alloggi, di una cisterna e di un forno da pane.

Suvereto - La Rocca Bibliografia sul sito G. BIANCHI, 2003a, Archeologia dell’architettura e forme di potere tra X e XIV secolo nella Toscana sudoccidentale: il caso di Campiglia Marittima, Tesi di dottorato in Archeologia Medievale, XV ciclo, Università di Siena, pp. 194-209. S. CEGLIE, F. PARIS, F. VENTURINI, 2006, Le storie della Rocca di Suvereto tra alto e basso Medioevo attraverso le nuove indagini archeologiche, in MARCUCCI C., MEGALE C. (a cura di), Il Medioevo nella provincia di Livorno. I risultati delle recenti indagini, Pisa, pp.117-130. F. CUTERI, 1990, Recenti indagini a Suvereto (Li): un

2. La ceramica dalla Rocca La trattazione della ceramica proveniente dallo scavo della Rocca (Fig. 101), pur molto sintetica perchè basata solo su una stringata edizione di scavo (CUTERI 1990) ha per noi due motivi di interesse legati a produzioni 135

FRANCESCA GRASSI specifiche, quella di ceramica grezza modellata a mano e quella di maiolica arcaica definita “massetana”. Per quanto riguarda le produzioni da cucina modellate a mano, definite dall’autore tipo “Val di Cornia”, viene evidenziata la loro cospicua presenza tra i depositi indagati nella Rocca relativi alla prima metà del XIV secolo. Si tratta di olle, testelli e pentole (Fig. 102, n.1; Fig. 103, nn. 10-11) “realizzati con una tecnica mediocremente artigianale” e con “spiccati caratteri morfologici”. Questa produzione è oggi ben attestata e conosciuta anche per altri siti, tra i quali Rocca San Silvestro, la rocca di Campiglia M.ma, Piombino, Donoratico e nell’entroterra i castelli di Rocchette Pannocchieschi, Cugnano e Montemassi. Assieme a queste produzioni locali, nella Rocca sono attestate anche olle di fattura artigianale, con orli ad arpione di influenza senese. Per quanto riguarda invece le produzioni di maiolica arcaica, è da considerare la presenza “di una buona quantità di maiolica arcaica massetana”, assieme ai prodotti pisani, giunti sul finire del XIII secolo ed a quelli senesi, distribuiti più tardi, nel corso del XIV secolo (Fig. 102, nn. 2-3-4-7; Fig. 103, nn. 1-7). Considerando che nel corso della nostra ricerca la maiolica arcaica massetana è stata identificata solo nel castello di Rocchette Pannocchieschi ed in alcuni siti posti nei pressi della Rocca di Scarlino (CUCINI 1985), il caso di Suvereto mostra dunque una certa rilevanza, venendo a porsi come il sito più distante di penetrazione di questi prodotti in maiolica.

indizi di economia curtense nei reperti ceramici della Toscana meridionale, in P. PEDUTO (a cura di), III Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, Firenze, pp. 66-70. F. GRASSI (a cura di), c.s., Rocchette Pannocchieschi: dal villaggio al castello minerario, c.s. 1. Le indagini archeologiche Il castello di Rocchette Pannocchieschi sorge tra Massa M.ma e Moterotondo M.mo, a ridosso del versante sud del Poggio Trifonti, sulla sommità di una collinetta (Fig. 104). Il castello si trova all’interno di un territorio caratterizzato da mineralizzazioni di piombo e di argento sfruttate sin dall’antichità e caratterizzanti il paesaggio circostante. L’area esterna al castello è fortemente connotata dalla presenza di quattro doline, probabilmente di origine naturale, ma utilizzate nel periodo medievale per l’estrazione del minerale affiorante e del calcare cavernoso. Tale sfruttamento ha creato un paesaggio particolare che caratterizza, rendendolo unico, tutto il manto boscoso che circonda il sito. I resti dell’insediamento medievale, impiantato per il controllo e la gestione di tali risorse minerarie, consistono nel castello racchiuso dalla cinta muraria e in due aree artigianali esterne alle mura. Il castello si estende nella zona sommitale racchiusa da un’autonoma cinta muraria e sulle pendici della collina stessa, ove si sviluppa il borgo per una superficie totale di circa 2500 mq. L’insediamento medievale è stato oggetto di numerose campagne di scavo, effettuate negli anni 1992-2003 sotto la direzione dell’Insegnamento di Archeologia Medievale dell’Università di Siena e in collaborazione con la Comunità Montana delle Colline Metallifere (GRASSI c.s.). Tra gli scopi principali delle indagini vi era la possibilità di indagare i processi di estrazione e di lavorazione del minerale in età preindustriale e pertanto lo scavo ha riguardato l’interno del castello e soprattutto alcuni settori esterni che sembravano deputati alle attività metallurgiche da un’analisi di superficie, data la presenza di numerosie scorie di lavorazione. Il progredire dello scavo ha permesso inoltre di rivolgere la strategia del cantiere anche all’analisi delle fasi più antiche dell’insediamento, attraverso lo scavo della zona sommitale del sito, che ha consentito di raccogliere ulteriori dati sulla cronologia iniziale dell’abitato e di verificare lavorazioni metallurgiche all’interno dell’area fortificata. La ricchezza di evidenze materiali anteriori all’affermarsi del potere signorile sull’insediamento e alla definizione del castello ha difatto confermato il forte impulso che la presenza di metalli monetabili ebbe sulla nascita dell’insediamento (BELLI, DE LUCA, GRASSI 2003). A Rocchette si intuisce l’esistenza di una volontà organizzativa e gestionale delle risorse del sottosuolo già tra VIII e IX secolo, ancora più evidente a partire dal X secolo quando fu costruita una cinta muraria che circondava tutta la parte sommitale (Periodo I). L’indagine delle fasi bassomedievali ha invece rivelato un insediamento molto simile nelle dinamiche insediative ai castelli minerari della costa toscana, permettendo di visualizzare una prima fase signorile, nella quale il castello è gestito dai conti Pannocchieschi (XI-XIII

Il castello di Rocchette Pannocchieschi Bibliografia sul sito A. ALBERTI, E. BOLDRINI, D. DE LUCA, C. CICALI, 1997, Nuove acquisizioni sul castello di Rocchette Pannocchieschi e sul territorio limitrofo, in S. GELICHI, (a cura di), 1997, I Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, Firenze, pp. 80-85. M. BELLI, D. DE LUCA, F. GRASSI, 2003, Dal villaggio alla formazione del castello: il caso di Rocchette Pannocchieschi, in P. PEDUTO (a cura di), III Congresso Nazionale di Archeologia Medievale, Firenze, pp. 286291. M. BELLI, F. GRASSI, 2005, Castello di Rocchette Pannocchieschi (Massa M.ma, Gr), in R. FRANCOVICH, M. VALENTI (a cura di) 2005, Archeologia dei Paesaggi Medievali. Relazione progetto (2000-2004), Siena, pp. 120-127. G. BIANCHI, E. BOLDRINI, D. DE LUCA, 1994, Indagine archeologica a Rocchette Pannocchieschi (Gr). Rapporto preliminare, “Archeologia Medievale”, XXI, pp. 251269. E. BOLDRINI, D. DE LUCA, 1997, Un castello minerario e metallurgico: Rocchetto Pannocchieschi (Grosseto). Ipotesi ricostruttive sulla base dei dati archeologici, storici e iconografici, in R. FRANCOVICH, M. VALENTI (a cura di), La nascita dei castelli nell’Italia medievale. Il caso di Poggibonsi e le altre esperienze dell’Italia centrosettentrionale, pp. 94-120. E. BOLDRINI, F. GRASSI, 2003, Alle radici dei castelli: 136

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO secolo, Periodo II e III) ed infine una fase finale collegata al dominio della città di Massa Marittima (XIV secolo, Periodo IV). E’ in questa fase che si tentò anche un ripopolamento forzato del sito, costruendo una nuova area industriale esterna alle mura e finalizzata al rilancio dell’attività mineraria già in forte declino.

forme prodotte a tornio veloce. Sono inoltre presenti grandi brocche (nn. 13-14), realizzate con impasti grossolani e con evidenti tracce di fumigazioni sulle superfici esterne, indizio di un utilizzo sul fuoco. Si può ipotizzare che siano inoltre ancora presenti in cucina coperchi di vario tipo. Nella dispensa, le novità rispetto al secolo precedente consistono in classi ceramiche con rivestimenti vetrosi (vetrina sparsa) o argillosi (colature di ingobbio rosso). La ceramica a vetrina sparsa (n. 7) appartiene alla produzione conosciuta per Campiglia Marittima e Donoratico, localizzata nell’areale delle Colline Metallifere, come hanno mostrato le analisi effettuate per Campiglia Marittima. Si tratterebbe di botteghe posizionate tra la costa e l’entroterra, che producevano manufatti invetriati per un tipo di commercio ad estensione subregionale. La ceramica a colature rosse (n. 8) invece, data l’estrema depuratezza, non ha permesso precise localizzazioni geografiche, ma nella forma sembrerebbe richiamare fortemente le produzioni sia della città di Pisa, sia di contesti extra-regionali come Roma e Napoli. Nel corso di tutta la fase altomedievale inoltre si è notata la presenza di contenitori da trasporto (definiti nel catalogo “anfore”). La loro presenza sarebbe al momento rara tra i siti della Toscana meridionale, con l’eccezione della curtis di Scarlino, di Grosseto, di Montemassi (vedi schede) e del sito di Poggio Serratone (CAMPANA, FRANCOVICH, VACCARO 2005). I recenti studi sul sito di Scarlino, ne hanno accertato una produzione locale ubicata nell’entroterra di Gavorrano, almeno dall’VIII secolo: dunque, data la similarità di impasti e forme tra le anfore recuperate a Rocchette e quelle di Scarlino, abbiamo ipotizzato che l’area di provenienza fosse la medesima e forse tali relazioni economiche potrebbero essere state incentivate dalla commercializzazione di metalli monetabili. Passando agli impasti, la loro analisi nelle ceramiche da dispensa, al momento solo macroscopica, ha fornito alcuni dati interessanti sulle produzioni; infatti, le 8 miscele argillose distinte sono state raggruppate, in base ai componenti, in quattro gruppi, associati da noi ad altrettanti poli produttivi, con caratteri peculiari. Il primo impianto ipotizzato produceva manufatti depurati, il secondo manufatti semidepurati ed il terzo ugualmente, ma con l’uso di decori complessi e di rivestimenti vetrosi (vetrina sparsa). A questi si aggiungono gli sporadici arrivi di ceramica con colature rosse forse dall’area del Valdarno o dalla stessa Pisa, considerati come testimoni di un quarto atelier. L’analisi degli impasti utilizzati per la ceramica grezza ha permesso la distinzione di 8 miscele argillose, raggruppabili in tre gruppi principali, sempre in base ai componenti. Questi tre gruppi sono stati considerati come tre impianti produttivi distinti che rifornivano di vasellame il castello in percentuali pressochè simili, come evidenzia il grafico. Per la bottega 1ag abbiamo operato anche una distinzione tra le forme prodotte, così da evidenziare che rifornì il castello di Rocchette prevalentemente di testelli (Fig. 106).

2. La ceramica del castello Nel complesso, le 10 campagne di scavo effettuate a Rocchette hanno permesso di raccogliere 23405 frammenti ceramici (1162 forme minime distinte) che coprono un arco cronologico compreso tra VIII e XIV secolo. Dato che i materiali ceramici provenienti da Rocchette sono pubblicati in varie sedi, qui tenteremo di effettuare una sintesi di tutta la ceramica, ponendo particolare attenzione all’analisi delle produzioni nella loro globalità, basandosi anche sull’apporto che le datazioni radiocarboniche hanno fornito all’affinamento delle cronologie. Periodo I VIII-X secolo Il contesto più cospicuo relativo al villaggio altomedievale proviene da pochi strati in giacitura primaria relativi al villaggio di VIII-IX secolo e da un livellamento effettuato nel corso del X secolo per l’impianto della nuova area artigianale all’interno della zona sommitale. I resti ceramici pertinenti all’arco cronologico VIII-X secolo sono nella totalità 3750 frammenti, corrispondenti a 310 forme, divisi percentualmente in ceramica depurata (62%), ceramica grezza (36%), ceramica dipinta a colature rosse (1%) e ceramica con invetriatura sparsa (1%). Nei reperti distinti per i secoli VIII ed in parte per l’inizio del IX (Fig. 105, nn. 1-6) si è denotato una compresenza di tre elementi caratterizzanti: forme di tradizione altomedievale, svariati elementi decorativi e tecnologici e infine l’uso di impasti molto grossolani per la realizzazione di contenitori da dispensa (i cosiddetti impasti “semidepurati”). Infatti, riguardo agli impasti, abbiamo registrato forme da dispensa associate a argille utilizzate anche per la ceramica da fuoco, mentre, nei secoli successivi, verranno fabbricate con argille sempre più depurate. Inoltre, le forme con decori in rilievo (nn. 4-5) ed elementi tecnologici marcati (n. 2), come le steccature anche interne delle superfici, mostrano una capacità produttiva ed una volontà decorativa che scomparirà nei manufatti di X secolo. Il panorama di forme ascrivibile al X secolo si presenta molto più articolato e ben delineabile (nn. 7-21). Anche in questo caso non ci dilungheremo sulle forme, già ampiamente discusse in BOLDRINI, GRASSI 2003. Nel dettaglio, per quanto riguarda la cucina, non descritta nei secoli precedenti, è probabile che una parte delle olle attribuite al X secolo fosse già in uso antecedentemente (nn. 15-18): si tratta di prodotti torniti per la maggiore parte, anche se erano in uso alcuni tipi modellati a mano, come evidenziato dai nn. 18-20. Le forme modellate a mano ricoprivano circa il 30% delle olle da cucina tra VIII e X secolo mentre il restante 70% era costituito da

Periodo II XI secolo Il totale delle restituzioni (sommando i depositi del borgo 137

FRANCESCA GRASSI e della parte signorile) è costituito da 1277 frammenti tra cui si sono riconosciute 87 forme, composte da una maggiore quantità di ceramica da dispensa con impasti depurati (70%) rispetto alla ceramica grezza (30%). Iniziando l’analisi dalla ceramica grezza (Fig. 107), abbiamo notato che nell’XI secolo rimase la sola produzione tornita, ad eccezione dei testelli. Per quanto riguarda la varietà dei tipi morfologici, in questa fase entrarono in uso alcuni tipi che sopravvissero per tutto il bassomedioevo (nn. 5-9), pur rimanendo presenti molte delle forme già descritte nei secoli precedenti, ad esempio le olle con sella funzionale all’alloggio del coperchio (nn. 1-4). Gli unici trattamenti documentati per le superfici delle olle sono relativi a filettature delle pareti esterne. Accanto alle olle, abbiamo ricomposto alcune forme ansate che, per la morfologia, sembrerebbero da identificare non tanto in pentole, quanto in boccali o piccole brocche ad uso promiscuo (n. 10). Completavano il corredo vari testelli di ogni dimensione e forma, tra cui anche alcuni testi-tegami ed almeno una forma simile ad una ciotola (nn. 11-15). Unendo i dati tipologici con quelli relativi agli impasti, abbiamo osservato una contrazione numerica delle botteghe che rifornivano il castello. Inoltre, tale cambiamento negli ateliers sembrerebbe corrispondere anche ad un accentramento degli stessi nei pressi del castello, con la sopravvivenza di tutti quegli impianti produttivi che si situavano nelle vicinanze di Rocchette. L’analisi dei tipi della ceramica depurata di questo secolo ha mostrato cambiamenti netti e marcati rispetto alle forme presenti tra IX e X secolo. Circa il 60% della ceramica veniva adesso fabbricata con impasti depurati, con assenza di dettagli tecnologici marcati e rare decorazioni, quali sinusoidi o filettature (nn. 18-19). A livello formale si affermò in questa fase il tipo morfologico relativo alla brocca con ansa complanare, antecedente delle forme tipiche del Duecento. Accanto a queste forme di nuova “concezione” si ritrovano ancora brocche e boccali che presentano corpi molto globulari, anse sormontanti e collo strozzato e che rientrano nella tradizione delle produzioni da dispensa del secolo precedente, pur essendo già prodotte con impasti molto depurati (nn. 16-17). Il quadro delle produzioni appare dunque molto frammentato, tanto da ipotizzare una produzione ed uno smercio contemporaneo di vasellame di tipo “nuovo” e di tipo “vecchio”. La ripartizione delle quattro botteghe individuate in modo così netto e preciso (ognuna occupa circa 1/4 della produzione che arriva al castello) ci ha permesso di ipotizzare un momento di riassetto delle produzioni ceramiche in concomitanza con il passaggio al castello medievale (Fig. 108).

grande necessità di contenitori in depurata per la dispensa, data l’ubicazione isolata del castello, lontano dalle direttrici viarie principali. Nello specifico, per la ceramica grezza (Fig. 109), sono scomparse definitivamente olle prodotte a mano ed il corredo domestico era formato da olle tornite e testi o testi/tegami. Rari anche i coperchi, ma questo dato, che sembra ripetersi in molti altri siti rurali, deve essere spiegato con la semplicità dell’utilizzo dei materiali più svariati, anche di riutilizzo (pietra, legno, mattone), per coprire il vasellame. Le rare decorazioni erano costituite solo da filettature. Per quanto riguarda i tipi ceramici non si sono notate sostanziali diversità dal secolo precedente (nn. 1-4). La novità fondamentale della ceramica per cucinare è costituita dalla presenza di tegami e olle invetriate in monocottura (nn. 5-7). Già dal XII secolo, probabilmente dalla seconda metà, fece la sua comparsa tra la ceramica da cucina una produzione contraddistinta da una spessa vetrina nera, uniformemente stesa nelle superfici interne, interessate dal contatto con i cibi, e soltanto colata nelle superfici esterne, solitamente filettate. Per quanto riguarda gli impasti utilizzati per questa produzione con vetrina (RO3), si tratta di un’unica miscela argillosa non usata precedentemente e che si associa a prodotti invetriati e a prodotti acromi da fuoco (indicato di seguito come bottega 4 ag+inv). Questa bottega, in base alle analisi archeometriche, risulterebbe ubicata nell’area costiera del campigliese, avendo mostrato la presenza di minerali specifici di questa zona miscelati negli impasti e nelle vetrine. I caratteri della ceramica depurata del XII secolo sono riassumibili nella presenza di impasti molto raffinati e nell’uso di forme e trattamenti che la ricollegano alle produzioni presenti in città. Tra le brocche, fecero la loro comparsa quelle con ansa complanare al bordo e bolli sulle anse, di tipo pisano o senese, associate a vistosi schiarimenti delle superfici (nn. 8-9). Tra i boccali vi erano, come nell’XI secolo, tipi formali con corpo globulare (nn. 10-11) assieme a tipi di forma più allungata e solcatura della spalla, di immediato richiamo ai boccali depurati prodotti a Siena, ma anche a Pisa (nn. 12-13). Infine, la ceramica depurata si arricchì di alcune forme tipiche del XII secolo: catini con tesa e orcioli (nn. 14-15). Per quanto riguarda gli impasti e quindi l’analisi delle botteghe operanti sul territorio, si è notato un netto incremento delle miscele più depurate, con la bottega 4ad che produsse circa la metà del fabbisogno di vasellame del castello. Da questa bottega provenivano anche i tipi ad imitazione dei prodotti pisani e senesi (Fig. 110). Infine, possiamo esporre alcuni dati sul consumo. Il corredo ricostruito per una casa del borgo nell’XI secolo e nel XII secolo è da un lato composto da alcuni oggetti essenziali e dall’altro caratterizzato dall’adattamento a molteplici funzioni di pochi contenitori. Per la dispensa la casa utilizzava 4 brocche ed 1 orciolo, 2 catini, per la cucina 20 olle, 6 testi, 5 tegami con invetriatura. Risulta totalmente assente il corredo da mensa e ciò porta all’ipotesi di consumo del cibo nei contenitori per la cottura, come olle e testi.

Periodo III XII-XIII secolo Tra i 5800 frammenti totali appartenenti a questo periodo, per un computo di 345 forme, la ceramica da fuoco (grezza e invetriata) occupa una percentuale bassa (16% e 1%), a differenza delle ceramiche depurate (83%). Questo dato si è presentato come una costante sin dalle prime fasi di vita del castello, anche nei contesti esaminati a carattere abitativo. Tentandone un’interpretazione, potrebbe essere relazionato alla

Periodo IV XIV secolo 138

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO Il Trecento risulta a Rocchette il secolo con maggiori quantità di ceramica, data la grande presenza di vasellame anche in tutti i contesti di abbandono del castello (12578 frammenti per un totale di 420 forme riconosciute). Passando all’analisi delle singole classi ceramiche, per la ceramica depurata, tra le poche forme ricostruibili circa il 40% della restituzione è pertinente a forme non identificabili, quali pareti appartenenti a catini o brocche. Vi sono inoltre boccali, con solcatura tra collo e spalla, corpo allungato o globulare a volte filettato, inseribili nel corredo trecentesco di area senese assieme ai catini con tesa, ben rappresentati nel XIV secolo a Siena. L’attribuzione dei manufatti a distinte produzioni cittadine o rurali è stata effettuata attraverso l’analisi degli impasti, ma essendo molto selezionati si sono riscontrate notevoli difficoltà. Tuttavia, si è ipotizzato il seguente quadro produttivo, relativo anche alla maiolica arcaica presente nel castello (Fig. 111). Articolata la restituzione delle olle in acroma grezza (Fig. 112), non ricostruibili nella loro interezza, ma confrontabili, sulla scorta degli orli, degli spessori delle pareti e di alcune particolarità tecnologiche con i repertori di altre situazioni di area senese (nn. 9-13). Olle, testi, coperchi in acroma grezza presentano caratteristiche tecniche di buon livello; lo olle sono eseguite a tornio veloce, con spessore delle pareti mediosottile e nella maggior parte si tratta di varianti del tipo con bordo “ad arpione” di area senese (nn. 1-7). Per quanto riguarda l’analisi delle produzioni di ceramica da cucina, rimangono attive le botteghe della fase precedente e costanti le attestazioni quantitative dei singoli ateliers. Per la maiolica arcaica (Fig. 113), infine, accanto a prodotti genericamente “senesi” (44% del totale della maiolica) abbiamo registrato reperti di produzione massetana (6%) e volterrana (50%), riconoscibili per gli aspetti tecnologici e per le caratteristiche degli impasti. L’invetriata, scarsa e presente solo negli strati di crollo, è composta per lo più da brocchette in vetrina verde, prodotte con l’impasto della maiolica arcaica, associabili ai corredi da mensa di ambito senese. A livello generale, la produzione senese e quella volterrana sono in percentuale equivalenti, mentre la massetana costituisce una porzione minima del corredo da mensa. Interessante, anche se minoritaria, la continuità di presenza di frammenti di graffita arcaica (n. 14), pur trattandosi di poca restituzione, molto frammentata, tra cui alcuni piedi ad anello ed alcune tese con decori non identificabili. Nel complesso dunque, il XIV secolo fu caratterizzato, come nel limitrofo e rivale castello di Cugnano, da una preponderanza delle produzioni cittadine ed in particolare di quelle senesi e volterrani.

in virtù della lunga sequenza insediativa che lo scavo ha evidenziato. Dunque, la questione principale che si è posta di fronte ad una cronologia insediativa così ampia è stata quella relativa all’economia del sito ed al ruolo effettivamente giocato dalla lavorazione del metallo monetabile proprio nelle fasi di nascita dell’insediamento. A questo riguardo, accanto agli indicatori fornito dallo scavo, come la presenza di scorie di piombo e di argento e/o di impianti produttivi, lo studio della ceramica a potuto evidenziare alcune caratteristiche del villaggio di Rocchette, aiutandoci nel tentativo di illustrare la tipologia dell’insediamento ed i suoi contatti commerciali. Il villaggio di Rocchette, almeno sino al X secolo, avrebbe avuto la possibilità di accedere ad una linea di distribuzione di vasellame (vetrina sparsa, anfore, rari prodotti di importazione) collegata ad un circuito di curtes sulla costa ed insieme sembrerebbero in formazione collegamenti e relazioni con siti produttivi ubicati nelle vicinanze del villaggio, nell’entroterra massetano-volterrano, come quello ipotizzato a Roccastrada. Inoltre sarebbero stati attivi in questa fase così precoce i collegamenti con la città di Pisa o l’area del Valdarno, da cui potrebbero arrivare le brocche dipinte con colature rosse. Di fronte a questa vivacità commerciale, è lecito chiedersi se il ruolo di villaggio “minerario” non abbia favorito il rapido sviluppo del sito sin dall’altomedioevo ed il suo conseguente inserimento nei commerci regionali. Invece la stessa ceramica non ci ha permesso di cogliere la presenza di gerarchie interne al sito, pur nell’abbondanza di resti relativi alla vita del villaggio. Infatti, a causa delle modalità dei depositi, non siamo riusciti per l’altomedioevo a quantificare ed esemplificare un corredo tipo di una abitazione. Per quanto riguarda il castello bassomedievale, i dati maggiormente significativi che sono emersi dalle schedature della ceramica sono relativi alle produzioni in maiolica ed in particolare alla presenza di produzioni volterrane e massetane nel castello. Le maioliche volterrane nel Trecento rappresentano la metà delle restituzioni da mensa e testimoniano il flusso produttivo e commerciale della cittadina ed il collegamento diretto esistente tra le aristocrazie volterrane e il castello. Sono invece del tutto assenti a Rocchette i contatti con l’area produttiva pisana e con i prodotti che circolano tra i castelli collegati alla città marinara: infatti non vi sono importazioni, ad eccezione di alcuni rari frammenti di graffita arcaica ligure, il cui arrivo potrebbe essere mediato dal porto di Piombino ed avvalersi di vie di terra ripristinate nel corso del Trecento. L’ubicazione di Rocchette nell’entroterra è stata sicuramente un fattore decisivo anche per l’assenza di maioliche spagnole, solitamente associate in questo secolo agli arrivi dalla Liguria. Inoltre, nel XIV secolo l’economia del castello sarebbe gestita direttamente dalla città di Massa Marittima e finalizzata principalmente alla ripresa del lavoro sui metalli monetabili nel tentativo di rivitalizzare l’intero sito e di renderlo competitivo con le nuove aree di estrazione mineraria, come quelle in Sardegna.

3. Conclusioni L’analisi della ceramica di Rocchette Pannocchieschi riveste un’importanza fondamentale per lo studio della cultura materiale di un villaggio dedito alle attività minerarie. Difatti, dopo lo scavo del castello di Rocca San Silvestro, quello che ha interessato Rocchette è l’unico che permetta la ricostruzione della vita quotidiana all’interno di un villaggio specializzato nel settore metallurgico. Inoltre, a differenza di Rocca San Silvestro, Rocchette ci ha aperto uno spaccato storico molto ampio, 139

FRANCESCA GRASSI 2007). I bacini ceramici sono stati studiati da Graziella Berti (BERTI 2007) e chi scrive ha effettuato lo studio di tutte le restanti classi presenti nella volta (GRASSI 2007a). A differenza di quello che è stato esaminato per altri riempimenti di volte, nessuna delle forme prive di rivestimento presentava difetti di fabbricazione, nè per quanto riguarda quelle relative alla cottura dei cibi, nè per le forme da dispensa o da mensa. La ceramica recuperata nella volta della chiesa di S. Antimo a Piombino era costituita da un nucleo di 753 forme, divise in ceramica da cucina (31%), mensa (53%) e dispensa (16%). La ceramica grezza e invetriata, in totale 236 forme, è composta esclusivamente da prodotti locali (Fig. 115). Domina ampiamente la restituzione la ceramica grezza modellata a mano, tra cui olle, brocche-boccali e ollecolatoio di varie dimensioni. Quelle maggioritarie, cioè le olle, hanno orlo estroflesso e tagliato, corpo globulare, fondo convesso. Tra le rare forme aperte la volta conteneva cinque tegami privi di rivestimento, con corpo ovoide e prese a forma di bugna. Dall’analisi tecnologica dei manufatti si è ricavato che la produzione doveva avvenire con l’ausilio di un piano di appoggio, ma la successiva lisciatura delle superfici con un panno ha eliminato, se ve ne fossero stati, eventuali segni di tornitura, pur lasciandovi numerose irregolarità. Lo studio di questi manufatti da cucina modellati a mano presenti nella Toscana meridionale ha preso avvio alla fine degli anni ’90, dopo un’ampia schedatura delle ceramiche scavate nel castello minerario di Rocca San Silvestro: la ricerca effettuata mostrò che nel XIII e XIV secolo tali manufatti erano gli unici presenti nei corredi domestici delle case dei castelli. Le analisi in sezione sottile dell’impasto con cui si producevano permise di identificare la presenza di rocce metamorfiche da contatto (Skarn ad anfibolo), pirosseni e plagioclasi fortemente alterati che rendevano inequivocabilmente l'impasto di origine locale. I dati archeometrici sugli impasti, collegati ai dati tipologici, permisero di ipotizzare che questi manufatti fossero il risultato di una produzione di tipo itinerante, opera di uno o più artigiani specialisti che non avrebbero operato all’interno di una bottega stanziale, ma nei singoli insediamenti, forse mantenuti dagli stessi abitanti. La presenza nella volta di S. Antimo, accanto a ceramiche nude e rivestite di provenienza pisana e mediterranea può essere letto come un tentativo di indirizzare la domanda di ceramica da cucina verso le produzioni locali di tipo manuale, facilmente reperibili e meno costose. Oltretutto, questa ipotesi si rafforza con la constatazione che almeno una parte del vasellame non fu acquistato direttamente per la volta, ma proveniva da contesti domestici, come hanno mostrato le analisi sui residui di cibo contenuti nei vasi, effettuate nel corso dello studio. La ceramica depurata, in totale 117 forme, è costituita interamente da manufatti di provenienza pisana (Fig. 116, nn. 1-5), con forme tipiche della produzione cittadina, in parte già conosciute dalle restituzioni urbane e dallo scavo di alcuni castelli, come Campiglia Marittima e Rocca San Silvestro. Il maggiore numero di tipi appartiene a brocche, conosciute nella letteratura come “anforette pisane”. Questi grandi contenitori sarebbero stati estremamente funzionali per la messa in opera della volta essendo

3.2 LUOGHI DI COMMERCIO E DI CONSUMO Piombino, S. Antimo sopra i Canali Bibliografia sul sito G. BERTI, 2007, Le ceramiche della torre campanaria, in BIANCHI, BERTI 2007, pp. 315-327, Firenze. G. BIANCHI, 2007, Dalla progettazione di una chiesa alla definizione degli assetti abitativi della Val di Cornia tra XIII e XIV secolo, in BIANCHI, BERTI 2007, pp. 385-407, Firenze. G. BIANCHI, G. BERTI (a cura di) 2007, La chiesa di S.Antimo sopra i Canali a Piombino. Ceramiche e architetture per la lettura archeologica di un cantiere medievale, Firenze. G. FICHERA, 2007, Archeologia dell’architettura del cantiere di costruzione della chiesa, in BIANCHI, BERTI, 2007, pp. 47-149, Firenze. F. GRASSI, 2007a, Le ceramiche non rivestite e con rivestimenti vetrosi ritrovate nella volta absidale, in BIANCHI, BERTI, 2007, pp. 301-315, Firenze S. LIGUORI, 2007, Le ceramiche della volta absidale con rivestimenti vetrificati, in BIANCHI, BERTI 2007, pp. 159297, Firenze. A. PECCI, 2007, Analisi dei residui organici assorbiti nelle ceramiche non rivestite del riempimento della volta absidale, in G. BIANCHI, G. BERTI 2007, pp. 327-347, Firenze. 1. Le indagini archeologiche L'intervento archeologico nella Chiesa di Sant'Antimo sopra i Canali si è inserito al centro della fase di studio sulla città di Piombino ed è stato originato dal casuale ritrovamento di materiale fittile posto a riempimento della volta della chiesa durante i lavori di restauro (Fig. 114, n. 4). Le indagini hanno permesso di indagare il complesso religioso, costruito alla metà del XIII secolo (BIANCHI, BERTI 2007). Infatti, in concomitanza con il lavoro di svuotatura della volta si è proceduto anche al recupero dei bacini ceramici posti sulla sommità della torre campanaria (BERTI 2007) ed allo studio di tutti gli elevati del complesso religioso (FICHERA 2007). Lo studio della restituzione ceramica nella sua totalità ha permesso di ottenere una cronologia di edificazione molto puntuale inquadrabile alla metà del XIII secolo. Tale datazione è stata ricavata dalle associazioni tra i bacini murati sulla torre campanaria, simili a quelli di S. Michele degli Scalzi a Pisa (1177-1204) e del campanile di S. Paolo all'Orto (fine XII - inizio XIII) ed il riempimento stesso, con la presenza di maioliche arcaiche pisane, graffite arcaiche savonesi e Cobalto e Manganese tunisini, come nella chiesa di S. Cecilia a Pisa (1210 - 1230) (LIGUORI 2007). 2. La ceramica dalla volta Le prime sintesi sul lavoro svolto presso la chiesa di Sant'Antimo sono state effettuate nell’ambito di una tesi di laurea dedicata allo studio di dettaglio delle maioliche arcaiche, delle ceramiche invetriate fini, delle graffite arcaiche e delle ceramiche di importazione (LIGUORI 140

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO leggeri, voluminosi ed allo stesso tempo resistenti; le brocche recuperate non presentano particolarità rispetto ai tipi già conosciuti, corrispondendo alle misure “c-d” del repertorio pisano, contenenti rispettivamente 5,7 litri e 11 litri di liquido. Per quanto riguarda i boccali invece, la divisione operata ha previsto cinque tipi dimensionali distinti, caratterizzati talvolta da schiarimenti delle superfici e da lisciatura delle pareti nella porzione terminale del vaso. Accanti a brocche e boccali furono impiegati nella volta, anche se in numero esiguo, alcuni orcioli. Tutte queste forme hanno confronti tra i corredi pisani provenienti da rinvenimenti cittadini e dal contado e sono inseribili, in base all’edito, in contesti della metà del XIII secolo. Per un orciolo con fori, definito colatoio, sono state effettuate alcune analisi finalizzate a distinguere i resti di cibo e i risultati hanno mostrato la presenza di grassi animali, cavolo e olio d’oliva, indicandone dunque un utilizzo precedente alla messa in opera nella volta. La ceramica rivestita da mensa, in totale 400 forme, è composta da prodotti pisani e prodotti importati. Tra i prodotti pisani vi sono 310 forme di maiolica arcaica ed altri prodotti solo invetriati (circa 32 forme); tra le importazioni sono state studiate 50 forme di graffita arcaica savonese, alcune forme di ceramica laziale, siciliana e tunisina (Figg. 117-118-119). Nelle maioliche, a differenza delle classi acrome, si sono riscontrati alcuni difetti di fabbricazione, consistenti prevalentemente in errori avvenuti alla fine del ciclo di produzione, presentandosi tutti i manufatti, ad eccezione di uno, decorati e sottoposti alla seconda cottura. Accanto al riempimento della volta, sono state studiate anche le maioliche presenti sulla torre campanaria della chiesa, in totale 18 esemplari provenienti dalla Tunisia, dalla Spagna e dall’Italia meridionale che datano la torre tra la fine del XII ed il primo o secondo decennio del XIII secolo.

cottura che necessitava di poca umidità. Al contrario, gran parte delle carni rintracciate nelle ceramiche di Piombino sembrerebbe cucinata all’interno delle olle tramite bollitura, in modo da rendere le carmi degli ovicaprini più tenere e digeribili. Accanto ai dati sull’alimentazione e sul quotidiano, il contenuto della volta ci permette di osservare il panorama duecentesco della circolazione delle merci, importate o locali. Il riempimento della volta ha mostrato una netta prevalenza di prodotti pisani, accanto a ceramiche di fabbricazione locale e ad una selezione di importazioni, probabilmente giunte a Piombino attraverso la mediazione della stessa Pisa. Gli interessi di Pisa in questa area geografica erano soprattutto legati al settore trainante dell’economia locale, quello dei metalli monetabili e l’attuazione del dominio economico avvenne e passò anche attraverso il controllo delle vie di commercio marittimo, sulle quali circolavano non solo metalli, ma anche ceramica ed altri beni di consumo. La manifattura locale di ceramiche appare nonostante ciò un’attività florida, parallela e contemporanea ad una altrettanto cospicua importazione di vasellame pisano ed extraregionale. Piombino - Il castello Bibliografia sul sito G. BIANCHI, 1999, Prime indagini archeologiche nel castello di Piombino (Li), “Archeologia Medievale”, XXVI, pp. 133-139. G. BIANCHI, 2001, Castello di Piombino (Li): i risultati delle ultime indagini archeologiche, “Archeologia Medievale”, XXVIII, pp. 185-190. G. BIANCHI, 2003a, Archeologia dell’architettura e forme di potere tra X e XIV secolo nella Toscana sudoccidentale: il caso di Campiglia Marittima, Tesi di dottorato in Archeologia Medievale, XV ciclo, Università di Siena. M.L. CECCARELLI LEMUT, 2004, La Maremma populoniese nel medioevo, in G. BIANCHI (a cura di), 2004a, Campiglia Marittima: un castello e il suo territorio. I risultati delle indagini archeologiche e la ricerca storica, tomo 1, Firenze.

3. Conclusioni Lo studio delle ceramiche della volta, alla luce della prospettiva che quelle da cucina siano state usate precedentemente in contesti domestici, ha assunto un forte rilievo per la ricostruzione di uno spaccato del quotidiano nel porto di Piombino. Le olle ed i colatoi avrebbero contenuto prevalentemente grassi animali e cavolo, mentre i tegami analizzati avrebbero mostrato residui di pesce. Boccali e brocche, pur con alcune eccezioni, erano invece finalizzati a contenere vino o birra. In molti dei contenitori esaminati sono poi emerse le tracce di cera d’api o miele, ipotizzati come rivestimenti delle superfici interne per migliorare la qualità di cottura del cibo (PECCI 2007). L’unione dei dati funzionali con quelli puramente tipologici ha senz’altro permesso di aprire uno spiraglio nel mondo dell’alimentazione medievale, mostrando l’uso sistematico di alcuni alimenti vegetali come il cavolo, altrimenti non rintracciabile dalla fonte materiale. Inoltre, l’apporto che la carne forniva nella dieta quotidiana si è dimostrato molto consistente, soprattutto per quanto riguarda le carni di suino e di ruminanti. Nella volta di Piombino, il consumo di pesce è stato attestato attraverso le analisi effettuate su un tegame che conteneva grassi relativi a specie ittiche, usato probabilmente per una

1. Le indagini archeologiche Le indagini di archeologia urbana a Piombino hanno preso avvio nel 1999, con l'analisi dei depositi interni al complesso monumentale del castello e delle evidenze murarie, parallelamente alla lettura del centro urbano (BIANCHI 1999, 2001, 2003A) (vedi fig. 114, n. 5). In sintesi, le indagini archeologiche nel castello hanno mostrato che l’area fu occupata da una zona cimiteriale e successivamente, nel XIII secolo, da un tratto di cinta muraria della città e da una porta costituita da una torre quadrata a due piani. Un selciato realizzato in lastre di calcare costituiva la via di uscita verso l’esterno del cassero. Alla fine del XIII secolo la porta fu tamponata e nell’area in questione fu ripristinato il cimitero, già presente prima della costruzione del tratto di cinta muraria. Solo in seguito, nel corso della metà del Trecento, si decise di fortificare nuovamente la zona vicino ala porta cittadina tamponata e ciò determinò l’obliterazione del cimitero con un pavimento in terra battuta. In questo 141

FRANCESCA GRASSI ed archeometriche, Tesi di laurea, Università di Siena. L. BASILE, F. GRASSI, M.P. RICCARDI, E. BASSO, 2008, Gli scarichi di fornace di Roccastrada (Gr): nuove analisi tipologiche ed archeometriche, Convegno Late Roman Coarse Ware 3, Pisa-Parma 2008, c.s. S. GUIDERI, 1986/1987, Archeologia dei paesaggi tra le valli dei fiumi Bruna e Ombrone: il territorio di Roccastrada (Gr), Università degli Studi di Siena, Tesi di laurea. S. GUIDERI, 2000, Il popolamento medievale attraverso un’indagine di superficie, in S. GUIDERI, R. PARENTI, (a cura di), Archeologia a Montemassi, un castello tra storia e storia dell’arte, pp. 11-39 S. GUIDERI, 2001, Trasformazione dell’insediamento nel territorio di Roccastrada. Cenni di archeologia dei paesaggi, in AA.VV., 2001, S. Salvatore di Giugnano, un monastero tra storia e architettura nel territorio di Roccastrada, pp. 7-35.

momento l’edificio divenne una sorta di torre di avvistamento dove stazionava una guarnigione (BIANCHI 2003a). Il contesto di reperti studiato, attualmente in esposizione presso il Museo allestito all’interno del castello, è relativo alla guarnigione che stazionava nel ridotto fortificato creato a ridosso della porta cittadina già tamponata, nel XIV secolo. 2. Le ceramiche dal castello Le ceramiche raccolte, relativamente al XIV secolo, sono 1328 frammenti. La ceramica da fuoco (20%) è prevalentemente composta da olle prodotte a mano e da tegami da fuoco provvisti di invetriatura interna, di produzione locale, analoghi a quelli ritrovati nelle volte della chiesa di S. Antimo (Fig. 120). Il restante corredo proviene direttamente da Pisa, tra cui catini e brocche depurate prive di rivestimento (Fig. 121, nn. 1-2) che costituiscono circa la metà di tutta la restituzione (56%), maioliche arcaiche (n. 3) ed invetriate fini (23%). Tra queste ultime è stata ricomposta anche una piccola lucerna con un rivestimento verde esterno ed interno; si tratta di una forma ad esclusivo uso domestico, al momento non conosciuta da nessun altro contesto (Fig. 122). La vivacità commerciale del porto di Piombino è attestata al finire del medioevo anche da ritrovamenti di ceramiche fini da mensa provenienti da varie parti dell’Italia, come la Liguria -graffite arcaiche savonesi- e del mediterraneo (1% del totale). In particolare tra la fine del XIV secolo e gli inizi del XV secolo in Toscana si nota un’intensificazione dei rapporti commerciali con la Spagna testimoniata dall’afflusso di prodotti ceramici spagnoli, realizzati nelle fabbriche valenzane e destinati ad una committenza multiforme, sia di ceto sociale elevato, sia di classe sociale meno abbiente. Il catino trovato nel castello di Piombino è un lustro valenzano maturo, decorato in blu e giallo con motivi vegetali e si data al XV secolo.

1. Le indagini archeologiche Le valli dei fiumi Brune e Ombrone sono state oggetto di alcune campagne di ricognizione topografica che hanno portato alla ricostruzione degli assetti insediativi del territorio durante un lungo arco di secoli (GUIDERI 2000). Tra le evidenze ricostruite vi sono alcuni siti riconosciuti come aree produttive ed identificati attraverso scarichi di ceramica (siti 102-111-112 e 105) caratterizzati per la concentrazione di materiale ceramico stracotto e distorto, privo di segni d’uso, nonchè per la presenza di laterizi. Intorno a queste evidenze si trovavano inoltre alcuni siti interpretati come case, almeno due, di cui una relativa al periodo tardoantico (sito 106) ed una al periodo altomedioevale (sito 107) (Fig. 123). L'importanza di questi rinvenimenti risiede nel fatto che quest'area si è subito presentata, dall’analisi dei tipi ceramici, come luogo deputato per circa quattro secoli, dal VI al X secolo, alla produzione di ceramica fine e grossolana. Inoltre questa officina risulta caratterizzata da un'alta specializzazione artigianale, visibile dalle stesse matrici ceramiche e dalla tecnologia utilizzata per la fabbricazione, dati che sono stati analizzati nel dettaglio (BASILE 2006-2007).

3. Conclusioni Il primo aspetto che emerge dall’analisi del complesso del castello riguarda la tipologia delle ceramiche presenti nell’area di costa della Toscana meridionale, collegata nel Trecento agli interessi della città di Pisa. Si è delineata infatti una netta prevalenza di prodotti pisani, accanto a ceramiche di fabbricazione locale e ad una selezione di importazioni, probabilmente giunte a Piombino attraverso la mediazione della stessa Pisa. Le ceramiche locali testimoniano un costante collegamento del porto con l’entroterra e con le fornaci locali, parallelamente, come detto, ai contatti con l’area nazionale e mediterranea.

2. Le ceramiche dagli scarichi delle fornaci Età tardoantica Il sito interpretato come area relativa allo scarico di una fornace attiva in epoca tardoantica (sito 102) si estende per circa 3600 mquadri in località Montorsi, immediatamente ad est dell'abitato di Roccastrada, in prossimità del torrente Gretano e dei fossi che in esso confluiscono. Il sito si caratterizza per concentrazione di frammenti fittili, tra cui il 13% pertinente a scarti di ceramica stracotti e distorti. La quantità dei frammenti raccolti (157 frammenti) mostra una percentuale molto alta di ceramica fine ed una minore quantità di ceramica grossolana (83% acroma depurata, 4% acroma grezza, 13% scarti di fornace) divisa in otto forme distinte, con la prevalenza di olle-orcioli, boccali e coperchi. Prima di scendere nel dettaglio dei tipi morfologici e nell'inquadramento delle matrici ceramiche ricondotte ai tipi fabbricati nella fornace, presentiamo anche i dati del

3.3 LUOGHI DELLA PRODUZIONE Roccastrada - Sito delle fornaci Bibliografia sul sito L. BASILE, 2006-2007, Gli scarichi di fornace di Roccastrada (V-X sec. d.C.): nuove analisi archeologiche 142

LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO sito 106, interpretato come probabile casa di periodo tardoantico. Questo sito si presentava come una concentrazione di materiale ceramico e laterizi, ampio circa 50mquadri e ubicato in località Pod. Immacolata, nei pressi del sito 102. La presenza di coppi e tegole ha portato a riconoscervi la copertura di un ambiente, forse una casa, databile dai materiali ceramici al periodo tardoantico. Difatti, le forme e gli impasti isolati erano del tutto identici a quelli individuati nel sito 102 (196 frammenti, divisi in 61% di acroma depurata, 35% di acroma grezza, 4% di laterizi). Dalle evidenze ceramiche collegate alla fase tardoantica del sito sono state campionate le matrici argillose (impasti RS13-RS14-RS16; A14) tipiche delle ceramiche depurate prodotte e ritrovabili, con percentuali variabili, anche nelle successive attestazioni cronologiche dell'impianto produttivo di Roccastrada. Questo fattore testimonierebbe una continuità di sfruttamento delle stesse cave argillose e soprattutto un'assenza di cesure, tra tardoantico ed altomedioevo, nelle capacità tecnologiche di miscelazione delle argille e nella fabbricazione delle matrici ceramiche idonee. Se l'analisi degli impasti delle ceramiche selezionate si è mostrata la più indicativa per mostrare una continuità nell’attività della fornace, anche la ceramica grezza, pur in quantità minori, ha offerto la possibilità di confermare questo dato. Allo stesso modo, infatti, l’unico impasto utilizzato risultava il medesimo in un lungo arco cronologico (impasto A4). Tra gli impasti delle ceramiche depurate, RS13 ed A14 costituiscono tra VI e VII secolo il 65% del totale della ceramica e tra VIII e X secolo ben il 96%. Si presentano colore cuoio in superficie e con una frattura di colore grigio e sono due varianti di un unico impasto utilizzato con una miscelazione più o meno depurata, estremamente caratteristico della produzione dell'officina. Inoltre, sempre dall'analisi degli impasti si evince che nell'altomedioevo ci fu una flessione nella produzione di ceramica grezza, mentre la quantità di ceramica depurata prodotta con le argille RS 13 ed A14 rimase stabile. Sulle forme relative alla fase tardoantica della fornace non scendiamo qui nel dettaglio: riproponiamo invece una tavola complessiva già elaborata da Silvia Guideri dove si evidenziano le forme tipiche (Fig. 124). Nel complesso sembrerebbe trattarsi di forme di derivazione classica, imitanti le sigillate africane, ma completamente acrome e realizzate in ceramica comune; in particolare una serie di piatti coperchio si avvicinavano molto alle ultime forme conosciute di sigillata africana. I modelli formali di riferimento erano dunque quelli delle ceramiche sigillate, ma il prodotto finale realizzato era altamente funzionale e meno costoso della sigillata stessa; ciononostante la perizia tecnologica esplicata nella modellazione e nella cottura mostra un tipo di officina ancora ben organizzata nella produzione.

vicini, hanno le stesse caratteristiche di superficie, ma si connotano per la totale assenza di laterizi; l'area occupata complessivamente è di circa 1500 mquadri. I tre siti presentano 296 frammenti di ceramica nella totalità, divisa percentualemente in 80% di ceramica depurata, 11% di ceramica grezza, 9% di scarti di fornace. Le forme attestate sono relative, come per il precedente periodo, a ceramica depurata, in prevalenza boccali e catini (Fig. 125). Tra le ceramiche realizzate con impasti grossolani invece la forma più ricorrente è un tipo di olla con breve orlo estroflesso. Tutte le ceramiche sono realizzate con tornio veloce, corredate di decorazioni incise con punzoni o con punte e sottoposte a cottura uniforme, all'interno di fornaci stabili. Le matrici argillose prevalenti sono ancora RS13 e A14, caratterizzate, come detto, da cottura mista nella fornace che determinava uno spessore annerito nella parte centrale dei vasi. Le forme tipiche della produzione altomedievale della fornace, una volta isolate, sono state utilizzate come fossili guida per la datazione di numerosi siti nei dintorni, constatando un'ampia circolazione di questo vasellame. Anche nel corso della nostra ricerca, visionando insediamenti molto vicini a questi scarichi di fornace, ci siamo resi conto, prima con l’analisi formale ed in seguito con l’osservazione degli impasti, che gran parte dei materiali ceramici di VIII-XI secolo presenti a Montemassi e Scarlino potrebbe provenire dal polo di officine di Roccastrada. Dunque, è stato possibile ricostruire un’areale distributivo dei prodotti molto ampio che comprendeva sia siti nell'entroterra sia nell’area costiera. Sono state inoltre collegate all'identificazione di questo impianto produttivo alcune unità topografiche relative ad abitazioni. Si tratta del sito 107, distinto come casa, esteso circa 80 mq. caratterizzato da concentrazione di terreno organico e di materiale ceramico riconducibile ai tipi altomedioevali distinti dagli scarichi delle fornaci. La restituzione di questa abitazione consiste in tre olle, sei brocche e due boccali realizzati con i medesimi impasti attestati nella fornace, in particolare RS13. Questa evidenza ha permesso dunque di ipotizzare un complesso costituito da una bottega con una o più fornaci, e forse anche con altri edifici nelle vicinanze, collegati all'abitazione dell'artigiano che esercitava nell'impianto. 3. Conclusioni La rilettura di questo sito produttivo, che ha mostrato continuità di vita tra l'epoca tardoantica e il periodo medioevale, mentre il paesaggio circostante affronta forti cesure con la nascita dei villaggi sulle alture (per esempio Montemassi, Castel di Pietra o Scarlino, alcuni dei siti che sembrerebbero approvvigionarsi da queste fornaci) ha assunto un'importanza assolutamente rilevante: infatti ci ha permesso di ipotizzare una modalità produttiva accentrata e fortemente specializzata che potrebbe caratterizzare questa area della Toscana, ponendosi come un modello possibile nella spiegazione delle modalità di svolgimento del lavoro artigianale nelle campagne, attraverso i secoli della transizione e sino alla nascita dei castelli fortificati. I dati sinora mostrati hanno aperto una vasta gamma di

Altomedioevo Passando all’analisi delle evidenze altomedievali, sono stati identificati tre distinti siti (105-111-112) ubicati ad est di Roccastrada. Il sito 105 copre un'area di circa 1200 mquadri ed è caratterizzato da materiale ceramico stracotto e distorto, identificabile con certezza come scarto di fornace misto a laterizi. I siti 111 e 112, molto 143

FRANCESCA GRASSI problematiche, relative alla struttura di questo impianto, alla sua gestione, alla distribuzione dei suoi prodotti. Una riflessione sul ruolo e la tipologia di questa officina non può prescindere da un confronto con i modelli classici della produzione, soprattutto per le fasi più antiche documentate dai rinvenimenti ceramici; ma quello che ci sembra fondamentale è il potenziale informativo che le evidenze altomedievali offrono per l'elaborazione di un modello produttivo collegato alla fabbricazione di ceramica in campagna. Tra VI e VII secolo i dati relativi all'impianto produttivo hanno messo in luce un'officina di ceramica estremamente specializzata, caratterizzata da produzioni fini e da una catena di lavoro artigianale complessa. Il centro produttore mostra capacità artigianali di alto livello, quali quelle legate alla modellazione, rifinitura e cottura: in base ai dati in nostro possesso la tipologia del nostro impianto richiamerebbe quella delle manifatture classiche di ambito rurale corrispondenti alla piccola proprietà contadina (CARANDINI 1981). La presenza di strutture edificate porterebbe ad ipotizzare un polo produttivo comprensivo di officine e di ambienti per usi diversificati, come laboratori o abitazioni. Le risorse naturali, ben abbondanti nelle aree limitrofe (abbondanza di acqua, presenza di cave di argilla, presenza di legname per alimentare i forni) avrebbero permesso la lunga durata di questo polo specializzato nella produzione di ceramica, assieme certamente alla ricca domanda di vasellame che sembrerebbe rimanere costante anche nel delicato passaggio storico compreso tra tarda antichità ed altomedioevo. La produzione ceramica era contraddistinta dalla fabbricazione di ceramiche comuni ad imitazione delle sigillate africane, come avveniva anche nelle fornaci identificate nei pressi di Vada Volaterrana, sempre tra VI e VII secolo (PASQUINUCCI, MENCHELLI 1994 e 1996; DEL RIO, VALLEBONA 1996; PASQUINUCCI et alii1998a e 1998b). Il raffronto con Roccastrada ha permesso di fare alcune osservazioni: a Vada Volaterrana la distribuzione del vasellame era agevolata dalla vicinanza di un quartiere portuale, mentre l'officina di Roccastrada era lontana da vie di comunicazione marittime. Ciononostante la produzione è stata molto ampia, anche se la committenza proveniva, in base ai dati raccolti, solo da nuclei insediativi situati in ambito regionale, mentre il caso di Vada Volaterrana potrebbe mostrare un nucleo di officine aperte a commerci di tipo interregionale. Inoltre, tra le classi presenti a Vada si trovava anche una percentuale di ceramica con rivestimento rosso, mentre la fornace di Roccastrada sembra essersi concentrata esclusivamente sui prodotti acromi. Passando all'altomedioevo, la fornace di Roccastrada sviluppò una produzione basata su canoni formali diversi, come hanno mostrato le tipologie ceramiche identificate, pur mantenendo invariata la conoscenza tecnologica e pratica alla base della fabbricazione del vasellame. Infatti, continuò l’uso delle stesse cave di argilla e soprattutto rimasero invariati i saperi empirici per la miscelazione di argilla e degrassanti. Invece, il repertorio formale variato, potrebbe mostrare le richieste di una nuova committenza, abitante nei nuclei di popolamento circostanti: dalle fonti archeologiche sappiamo che a partire almeno dal VII secolo le alture di Scalino e Castel di Pietra sono nuovamente riabitate e

sedi di villaggi e dall'VIII secolo anche quella di Montemassi, solo per evidenziare la forte domanda che potrebbe essere giunta da questi nuovi insediamenti. Le forme ceramiche prodotte erano tutte prive di rivestimento e questa fornace non produsse nè ceramica con colature rosse nè ceramica con rivestimenti di vetrina, ben attestate invece negli insediamenti circostanti, ma acquistate presso altre botteghe. La tipologia dell'impianto produttivo e delle strutture annesse non è facilmente definibile: se ai tre scarichi riconosciuti si collegassero altrettanti impianti distinti avremmo un’officina strutturata di media entità, caratterizzata da produzioni specializzate e di alto livello (tornite, decorate, cotte in fornaci stabili). A questi dati si possono aggiungere quelli relativi al commercio dei prodotti e, forse, alla posizione sociale del proprietario. Per quanto riguarda la forma di commercio di questi prodotti, non abbiamo molti indizi, se non quelli forniti dalle ceramiche di Roccastrada presenti nei siti limitrofi: i luoghi al momento individuati con certezza sono due, Scarlino e Montemassi. In questi siti è stata effettuata una comparazione tra gli impasti e le forme ed in particolare per Scarlino tali analisi sono state confermate da alcune sezioni sottili degli impasti in questione. Invece, vi sono due siti, Rocchette Pannocchieschi e Montarrenti, per i quali l’attribuzione delle ceramiche è avvenuto solo per confronto formale e dunque potrebbe trattarsi di un dato non attendibile. Comunque, ipotizzando tutti e quattro i siti come riforniti dalle produzioni ceramiche di Roccastrada, si può ricostruire che il commercio del vasellame avveniva in località distanti sino a 35 km in linea d’aria. Relativamente alla posizione sociale dell’artigiano che vi lavorava e del proprietario, un dato generale da evidenziare ci è sembrato la continuità di ubicazione degli impianti produttivi in un’area interessata da analoghe attività già nel periodo tardoantico, in una sorta di staticità geografica. Tale fattore può aiutarci nell’ipotizzare lo status giuridico e sociale di chi avrebbe gestito queste attività produttive, identificabile forse con un personaggio libero che ne sarebbe stato anche proprietario (perciò la continuità di attività e di ubicazione). Possiamo avanzare un’ipotesi anche per quanto riguarda la fine della produzione di questo atelier. La produzione perdurò sino all’XI secolo, come hanno mostrato i dati provenienti dai castelli, connotandosi sempre con un alto livello tecnologico (miscelatura degli impasti in riferimento alla funzionalità delle forme). Il momento di cesura finale delle produzioni potrebbe essere connesso al riassetto delle botteghe del territorio, conseguente alla formazione dei castelli e di specifiche aree di pertinenza cittadina o signorile (pisana nell’area costiera e dei conti Aldobrandeschi nell’entroterra). Possiamo imaginare che la forma produttiva adottata e forse le stesse tipologie prodotte da queste fornaci non fossero più competitive con quelle che provenivano dalla città e con le nuove richieste dei ceti aristocratici spostatisi in campagna, all’interno dei nuclei fortificati. In tale clima di cambiamento la formula produttiva adottata nell’officina di Roccastrada cedette il passo ad altre realtà produttive emergenti.

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LA CERAMICA, L'ALIMENTAZIONE, L'ARTIGIANATO E LE VIE DI COMMERCIO TRA VIII E XIV SECOLO grande quantità i boccali e le brocche con marchi sull’ansa nel tipo pisano sia a graticcio sia a rotella dentata (BERTI, GELICHI 1995). Inoltre rientrano nella tipologia prodotta dalla fornace alcuni catini con orlo rientrante o dritto con impasto depurato (CIAMPOLTRINI 1979, p. 363; DANI, VANNI DESIDERI 1981, p. 477). Nel complesso la fornace forniva prodotti di buon livello tecnico, standardizzati in alcune forme base e omogenei negli impasti, arricchiti spesso con conciglie fossili tritate, abbondanti nei giacimenti della zona ed utilizzate forse come smagrante calcareo. Dai dati raccolti venne ipotizzato inoltre che si trattasse di almeno una fornace per ogni scarico e che la bottega del vasaio servita dalla fornace dovesse essere compresa in un unico complesso assieme all’impianto produttivo (CIAMPOLTRINI 1979, p. 365).

Palaia- Fauglia. Scarichi di fornace nel contado pisano Bibliografia sul sito G. CIAMPOLTRINI, 1979, Scarichi di fornace tardomedievale in comune di Palaia (PI), “Archeologia Medievale”, VI, pp. 359-366. G. CIAMPOLTRINI, 1996, Boccali lucchesi del Duecento. Un tentativo di cronologia, “Archeologia Medievale”, XXIII, pp. 647-654 A. DANI, A. VANNI DESIDERI, 1981, Uno scarico di fornace medievale presso Fauglia (PI), “Archeologia Medievale”, VIII, pp. 475-482. 1. Le indagini archeologiche Nel 1969 e nel 1977 furono individuate, nel corso di indagini archeologiche di superficie, alcuni scarichi di fornace in località Palaia e Fauglia. Le aree interessate dal ritrovamento erano caratterizzate dalla presenza in superficie di materiali indicatori di attività produttive. In entrambi i casi infatti si evidenziava il recupero di nuclei di reperti omogenei morfologicamente, ma con difetti di cottura, nonchè grumi di argilla cotta, riferibile al lavoro di una o più fornaci. Poco distante dai due ritrovamenti, in località Castell'Anselmo, fu inoltre posizionato un terzo scarico contenente materiale omogeneo, forse pertinente alla stessa fornace di Fauglia. La datazione dei recuperi fu inizialmente attribuita in maniera distinta: la produzione della fornace di Palaia venne attribuita al XIV secolo, mentre quella della fornace di Fauglia fu inserita tra XI e XII secolo. Un recente confronto dei materiali di Palaia con quelli raccolti a Fauglia ha però permesso una retrodatazione di almeno due secoli di quest’ultimo ritrovamento, mettendo in luce la similarità delle ceramiche e delle tipologie prodotte (CIAMPOLTRINI 1996).

3. Conclusioni Una rilettura di questi dati alla luce dei ritrovamenti effettuati nella Toscana meridionale ci ha permesso di avanzare alcune considerazioni. Dall’analisi dei tipi ceramici ricostruiti la somiglianza con i caratteri formali dei prodotti pisani è ben visibile e dunque una prima ipotesi possibile è relativa alla presenza di maestranze cittadine attive in questi ateliers rurali. Come si è già detto discutendo della “fine” dell’officina specializzata di Roccastrada (vedi supra), l’XI secolo coincise con un momento di riassetto delle forme insediative rurali e probabilmente di parte delle attività produttive, in città ed in campagna. In questa nuova realtà sociale ed economica Pisa si pose come città leader nell’esportazione nel contado dei propri prodotti e della manodopera cittadina. In tale ottica si potrebbe inquadrare l’incentivazione dell’attività di centri produttori intermedi, collegati al sapere urbano attraverso lo spostamento di artigiani ed al contempo funzionali al soddisfacimento della grande richiesta proveniente dai castelli. E’ proprio dall’analisi di alcuni dei centri di consumo che si ottengono indicatori utili per capire quanto possa avere inciso la presenza di centri intermedi nel precoce arrivo dei prodotti pisani nelle aree rurali della Toscana meridionale. Dalla restituzione ceramica dei castelli costieri, in particolare quelli legati alla signoria dei Della Gherardesca come Donoratico, Rocca San Silvestro e Campiglia Marittima (si vedano le schede relative), si è notato che dall’XI secolo vennero a mancare le ceramiche depurate provenienti dalle botteghe attive in campagna sin dall’altomedioevo, precocemente sostituite da quelle pisane. I confronti formali e gli impasti molto depurati di queste ceramiche hanno dato conforto all’ipotesi di una produzione cittadina, ma attraverso l’analisi qualitativa di tutte queste ceramiche nei siti esaminati è stata messa in evidenza una realtà produttiva più complessa. Infatti, per San Silvestro e Campiglia abbiamo messo in luce che i primi arrivi pisani furono connotati da alcune difformità rispetto ai modelli cittadini, prima di tutto di tipo dimensionale e secondariamente negli impasti usati, soprattutto a livello cromatico. Ciò ha portato a delineare due ipotesi: la fabbricazione in distinte officine all’interno del centro urbano stesso oppure, ed è questa l’ipotesi che ci sentiamo di indicare come la più

2. La ceramica dagli scarichi di fornace Nel trattare questi scarichi di fornace, riprenderemo le notizie edite sulla rivista Archeologia Medievale, delle quali faremo una breve sintesi. Non verranno invece effettuate analisi quantitative dei dati nè particolari approfondimenti sulle forme o gli impasti in quanto le informazioni desumibili dalle pubblicazioni sono molto stringate e non permettono un’analisi più dettagliata di quella già esistente. Tenteremo invece, in sede conclusiva, di inserire questi stessi dati nella ricostruzione del panorama produttivo regionale. I rinvenimento degli scarichi sono composti da ceramiche grezze, depurate e laterizi. Dato l'alto livello di frammentarietà dei reperti, determinato dalle modalità di ritrovamento llimitato alla superficie del deposito, non furono ricostruiti profili interi, ma i tipi ceramici vennero definiti tramite associazioni tra orli e fondi. I tipi ricostruibili furono sintetizzati in due tavole di materiali che riproponiamo, riprendendole dalle pubblicazioni (Figg. 126-127). Le olle si caratterizzano per avere orlo estroflesso con labbro rientrante per l'alloggio di un coperchio oppure orlo ingrossato e dritto, filettatura a crudo a partire dalla spalla, incisioni a crudo sugli orli interni. Tra i prodotti depurati sono presenti in 145

FRANCESCA GRASSI probabile dato che a Pisa la fabbricazione era già codificata almeno dalla fine del X secolo (BERTI, MENCHELLI 1998), la produzione in centri produttori intermedi. Ciò spiegherebbe il grande afflusso di ceramica depurata pisana nel contado, resa possibile sia attraverso le botteghe urbane sia attraverso i siti intermedi nei quali si sarebbe stabilita parte della manodopera cittadina. Un analogo fenomeno potrebbe essere avvenuto per la fabbricazione di ceramica grezza da cucina, che dall’XI secolo si rinnovò nelle forme e nelle modalità produttive, con l’abbandono della tornitura manuale e la ripresa di modelli formali cittadini: è probabile che nelle botteghe rurali operassero in questo momento vasai cittadini che rinnovarono sui modelli pisani il panorama formale e tecnologico delle produzioni commercializzate nei castelli.

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160

FIGURE INTRODUZIONE

Fig. 1: i siti oggetto della ricerca

Fig. 2: le caratteristiche cronologiche e sociali dei contesti presi in esame. VA, villaggio altomedievale; CP, contesto privilegiato; CM, contesto militare; AI, abitato incastellato; SP, sito produttivo; F, frequentazioni; CA, contesto architettonico

SITI Montemassi 1-3 Montemassi 4-5 Montemassi 6 Montemassi 7-9 Montem. 10-11 Montem. 12-13 Montem. 14-15 Rocchette 1 Rocchette 2 Rocchette 3-4 Rocchette 5-6 Cugnano 1-3 Cugnano 4 Cugnano 5 Cugnano 6-7 Cugnano 8

VII sec.

VIII sec.

IX sec.

X sec.

XI sec.

XII sec.

XIII sec.

Fig. 3: cronologie coperte dalle datazioni radiocarboniche: intervallo in anni reali (valore espresso a 2 sigma, calibrazioni ottenute con il programma Calib Rev 5.0.1)

SITO

Donoratico

Castel di Pietra Suvereto

Montemassi

Campiglia M.ma

Rocca San Silvestro Rocchette Cugnano

Populonia Acropoli Populonia Castello

Piombino S. Antimo Piombino Castello Roccastrada

Palaia-Faug lia TOTALI

INTERVENTO V-VI VII/VIII-X

XI-XII

XIII-XIV

Totali

scavo

-----

1323

828

-----

2151

scavo

-----

-----

-----

-----

656

scavo scavo scavo scavo scavo scavo scavo scavo

-------------------10

----

svuotatura volta ---scavo

----

topografia

-----

topografia

345 355

-----

2550 417

-----

3750 6

14

----------

292

-----

8352

----1044 829

6493 7077 1234 35

226 ----------

-----

17766

----4962 3375

15000 12578 1114 ---6

355

1328 ----

-----

38718

-----

8556 4621

21493 23405 2354 59

232 355

1328 637

-----

65191

Fig. 4: numero di frammenti ceramici utilizzati per la ricerca suddivisi in base ai siti di provenienza ed alla cronologia

FIGURE PARTE PRIMA VII/VIII-X secolo 292

Roccastrada

Populonia Acropoli 10 Cugnano 6

Rocchette

3750 417

Campiglia

Montemassi

2550

1323

Donoratico 0

500

1000

1500

2000

2500

3000

3500

4000

Fig. 1: i frammenti ceramici utilizzati per i secoli VII-X SITI Montemassi 4-5 Montemassi 6 Montemassi 7-9 Montem. 10-11 Montem. 12-13 Montem. 14-15 Rocchette 1 Rocchette 2 Rocchette 3-4 Rocchette 5-6 Cugnano 1-3 Cugnano 4 Cugnano 5

VII sec.

VIII sec.

IX sec.

X sec.

Fig. 2: copertura in anni reali dei campioni radiocarbonici utilizzati per i secoli VIIX provenienti dai siti di Montemassi, Rocchette Pannocchieschi e Cugnano Provenienza Campioni Datazione in anni reali Montarrenti, us 1931-1 1 sigma 770-980 (Francovich, Milanese 1990, p. 30) 2 sigma 670-1020

% probabilità 64,10% 95,40%

Montarrenti, us 1931-2 1 sigma 1010-1190 (Francovich, Milanese 1990, p. 30) 2 sigma 960-1260

68,20% 94,20%

Montarrenti, us 1931-3 1 sigma 1020-1190 (Francovich, Milanese 1990, p. 30) 2 sigma 980-1270

68,20% 95,40%

Montarrenti, us 6756 1 sigma 770-980 (Francovich, Milanese 1990, p. 30) 2 sigma 670-1020

64,10% 95,40%

Grosseto, S.Pietro (Citter 2005, p.19, nota 6)

670-730

44%

Grosseto, S.Pietro (Citter 2005, p.74, nota 5)

760-900

56%

Fig. 3: copertura dei campioni radiocarbonici desunti dall'edito per i siti di Montarrenti e Grosseto

Fig. 4: la ceramica acroma grossolana da cucina prodotta a tornio tra metà VII e XI secolo

Fig. 5: la ceramica acroma grossolana da cucina prodotta a mano tra metà VII e XI secolo

Fig. 6: la ceramica depurata da cucina tra metà VII e XI secolo, catini e catini-coperchio

Materiale/Sito olla artigianale testi coperchi, brocche, catini casseruole Totale

Montemassi 67% 24% 9% 100%

Scarlino 38% 47% 14% 1% 100%

Montarrenti 30% 42% 9% 19% 100%

Fig. 7: il corredo da cucina tra VIII e X secolo a Montemassi, Scarlino e Montarrenti (valori in percentuale calcolati sulla base dei frammenti ceramici)

Fig. 8: la ceramica depurata da cucina tra metà VII e X secolo

Fig. 9: la ceramica depurata da dispensa tra metà VII e X secolo

1 2 3 4 5

Siti/cronologia Donoratico Rocchette Campiglia Marittima Montarrenti Montemassi

VIII -

IX 50% 15% 41% 73% 12%

X 50% 37%

XI 30% 30% -

XII -

Fig. 10: percentuali di anima grigia presenti nella ceramica esaminata dei siti di Donoratico, Rocchette, Campiglia Marittima, Montarrenti e Montemassi rispetto al totale del vasellame, considerando la sola classe acroma depurata (calcolate sul n. minimo delle forme)

Fig. 11: la ceramica a vetrina sparsa ed a colature di ingobbio rosso tra VIII e XI secolo

Figg. 12 (sx) e 13 (sopra): centri di consumo di ceramica a vetrina pesante (sx) e aree di diffusione dei prodotti a vetrina sparsa (sopra) con indicazione delle probabili botteghe di provenienza (elaborata da Jacopo Bruttini)

1 2 3 4 5 6 7 8 9

Siti Scarlino (MARASCO 2002-2003) Donoratico (GRASSI , LIGUORI 2004)

Cosa (C IRELLI, HOBAR T 2003) Rocchette P. Campiglia Marittima Cugnano Rocca San Silvestro Castel di P ietra (C ITTER 2002) Grosseto (F RANCOVICH, G ELICHI 1980)

VIII -

Fine IX 3% 3%*

%

1% 11% -

X 2% 2 X -

XI

2%

XII 1% -

13% 0,5% 0,5% X -

X

2% -

Fig. 14: siti con presenza di ceramica a vetrina sparsa tra VIII e XII secolo nella Toscana meridionale (le quantità sono espresse considerando il numero minimo delle forme rispetto all'intero contesto di ogni fascia cronologica. Dove appare la x è stata segnalata la sola presenza di vetrina sparsa, non quantificabile dall'edito)

Fig. 15: centri di produzione e di consumo di ceramica a colature rosse in Toscana tra VII e XI secolo (elaborata da Jacopo Bruttini)

1 2 3 4 5 6

Siti/cronologia Scarlino (MARASCO 2002/2003) Donoratico (GRASSI , LIGUORI 2004) Cosa (C IRELLI, HOBAR T 2003) Rocchette Campiglia Marittima Populonia (DALLAI 2003)

VIII X

IX

2% -

X 3% 0,5% -

XI

1% X 3% -

XII 2% 1% -

Fig. 16: siti con presenza di ceramica a bande rosse tra VIII e XII secolo (le quantità sono espresse considerando il numero minimo delle forme rispetto all'intero contesto di ogni fascia cronologica. Il segno x segnala la presenza non quantificabile)

Siti/cronologia VIII

IX

X

XI

XII.

P. m. XIII

S.m.XIII

XIV

R. S.Silvestro

assenza contesti

12(24%) 3 (3%)

6 (5%)

19 (78%)

112 (90%)

Campiglia M.

assenza

9 (20%)

9

assenza

7 (60%)

37 (90%)

(15%)

contesti

7 (60%)

contesti Castel di Pietra

0

0

0

0

0

0

0

6 (10%)

Scarlino

0

0

0

x

x

-

-

x

Suvereto Rocchette

contesti non esaminati assenza

15 (30%)

x

0

0

assenza contesti

19 (15%)

contesti Montem assi

0

0

0

x

x

0

x

x

Cugnano

0

0

0

0

0

0

0

4 (2%)

Cosa

nessuna forma

Donoratico

assenza

13

10

4 (56%)

contesti

(50%)

(80%)

Montarr enti

nessuna forma

Piombino

assenza contesti

contesti non esaminati

221

x

(99%)

Fig. 17: numero minimo di olle prodotte a mano attestate nei diversi periodi cronologici e percentuale di presenza rispetto alla totalità del corredo per la cottura (x indica la presenza non quantificata; 0 indica assenza)

Fig. 18: ubicazione dei poli artigianali specializzati riconosciuti per la Toscana meridionale e dei centri produttivi cittadini e raggio di diffusione dei loro prodotti ceramici nell'area esaminata (VIII-X/XI secolo) (elaborata da Jacopo Bruttini)

Fig. 19: esemplificazione del rapporto tra sito, singola bottega artigiana e centro di produzione specializzato nella Toscana meridionale

1 2 3 4 5 6 7

Siti/cronologia Donoratico Rocchette Campiglia Marittima Cugnano Rocca San Silvestro Montarrenti Montemassi

VIII 2 23

IX 12 5 -

X 4 2 3 1

XI 3 -

Fig. 20: numero di fuseruole presenti in alcuni siti oggetto della ricerca tra VIII e X secolo (numero minimo delle forme)

Fig. 21: i corredi domestici degli insediamenti della Toscana meridionale tra VIII e X secolo (elaborata da Jacopo Bruttini)

XI-XII secolo Donoratico

226

Populonia Castello

Populonia Acropoli 35 Cugnano

828

1234

Rocchette

Rocca S. Silvestro

829

Campiglia

Montemassi

6493

7077

1044

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

Fig. 22: i frammenti ceramici utilizzati per i secoli XI-XII

Fig. 23: la ceramica acroma grossolana da cucina tra XI e XII secolo

8000

Fig. 24: la ceramica acroma depurata da cucina tra XI e XII secolo

Fig. 25: diffusione di tegami e olle invetriate da cucina dal XII al XIV secolo nella Toscana meridionale (elaborata da Jacopo Bruttini)

Fig. 26: la ceramica acroma depurata da dispensa tra XI e XII secolo nella Toscana meridionale

Fig. 27: le aree di influenza cittadine nei prodotti ceramici della Toscana meridionale tra XI e XII secolo e l'ubicazione dei principali siti produttivi (elaborata da Jacopo Bruttini)

Fig. 28 (sopra): aree di provenienza e percentuale di attestazione delle ceramiche di importazione tra fine XI e XII secolo nei siti esaminati (elaborata da Jacopo Bruttini) Fig. 29 (a sx): la mensa dei Gherardeschi a Campiglia, il XII secolo (da BOLDRINI et alii 2004)

Fig. 30: i corredi domestici degli insediamenti della Toscana meridionale tra XI e XII secolo (elaborata da Jacopo Bruttini)

XIII-XIV secolo

1328

Piombino Castello

Piombino S.Antimo 355 Populonia Castello 6 Cugnano

Rocchette

Rocca S. Silvestro

12578 3375

Campiglia

Montemassi

1114

0

4962

5000

10000

15000

15000

Fig. 31: frammenti ceramici relativi al XIII e XIV secolo utilizzati per la ricerca

Fig. 32: la ceramica da cucina della Toscana meridionale nel XIV secolo

Fig. 33: la ceramica da cucina a Siena nel XIV secolo (rielaborata da GRASSI 2004)

Fig. 34: la ceramica da dispensa della Toscana meridionale tra XIII e XIV secolo: produzioni pisane e senesi

Fig. 35: distribuzione della ceramica da dispensa proveniente da Pisa, Firenze e Siena nel XIV secolo (elaborata da Jacopo Bruttini)

Fig. 36: la ceramica da dispensa nel XIV secolo: orci a beccaccia di produzione cittadina (rielaborata da C'era una Volta 2002 p. 119 e 135; Rocca San Silvestro e Campiglia 1987, tav. III, n.1)

Fig. 37: la ceramica da mensa priva di rivestimento nellla Toscana meridionale tra XIII e XIV secolo

Misura Ø base Ø m/ h. Ø m. Ø c./h. c Ø orlo h. a a a a b c c c d d

5 5 5 5 7 8,5 8 9,5 10 9,5

6,5/2,5 8/4 7/3,5 8,2/4,5 9,2/4 13/9 13,5/9,5 15,4/9,3 18/10 15/10

5,2/5 6,5/5,5 6/5 7/5,8 7/8 10,5/12 10,7/13 11,5/13 9,7/16 11,5/16

5,7 5 7 9?? 9 10,5 11 10 9,5

Ansa largh/>< 7,5 7,5(residua) 1,7/0,5 9,8 1,7/1 12,2 21,5 2,5/0,8 21 3,2/0,8 20,7 3,2/1,1 24 3,5/1 27 -

Fig. 38: scala dimensionale dei boccali senesi di XIII e XIV secolo provenienti dai rinvenimenti di Siena, Montemassi e Rocchette Pannocchieschi

Misura a b c-d e f

Ø base 5 7/9 9/11 9,5/12 12,5

Ø orlo ------9/9,5 10,5 10/11 11,8

h. 8,5 (?) 15/19 21 23/26 28,8/30

Ø m/ h. Ø m. 7,5/5 9-14/6-8 15-16/9-10 16,5-19/10-12 21,5/17

Ø c./h. c 6,9/6 8,5/9-13 11-12/14 12-14/15-20 13,5/22

Ansa ----2,5/>5% 57%

0 X

0 0 (?)

XIV XIII-XIV

scavo borgo e cassero scavo cassero

100% 6% 44% >5% 90% >5%

100% 100% 100%

100% X X 0 X 0

X

100% 0

0 (?) 0 0 (?) 0 0 (?) 0

0

0 (?) 0 (?)

XIII-XIV XIV XIII-XIV XIV XIII-XIV XIV

XIV

XIII-XIV XIV

scavo cassero scavo cassero scavo borgo e cassero scavo borgo e cassero scavo borgo e cassero scavo

scavo cassero senese scavo cassero senese

scavo borgo e cassero

Figg. 44-45: la maiolica arcaica senese, forme aperte e chiuse nella Toscana meridionale (sopra) e percentuali di presenza dei prodotti fabbricati a Siena (sotto), rispetto alla totalità delle ceramiche (il segno X segnala la sola presenza non quantificabile)

Fig. 46: quantificazione della presenza di maiolica arcaica pisana, senese e volterrana nei siti della Toscana meridionale nel XIV secolo (elaborata da Jacopo Bruttini)

Fig. 47: la maiolica arcaica volterrana, forme chiuse e aperte nella Toscana meridionale

Fig. 48: le forme di maiolica arcaica massetana nel XIV secolo

Figg. 49-50: la maiolica arcaica pisana, le forme aperte (sopra) e chiuse (sotto) presenti nella Toscana meridionale

Figg. 51 (dx) -52 (sx): la diffusione di maiolica arcaica ed invetriata fine nella Toscana meridionale nella prima e nella seconda metà del XIII secolo (elaborata da Jacopo Bruttini)

Fig. 53: la diffusione di maiolica arcaica ed invetriata fine nella Toscana meridionale nel XIV secolo (elaborata da Jacopo Bruttini)

20 15 10 5 0 Num.min.

Liguria 16

Lazio 9

Campania 8

Spagna 2

Sicilia 1

Islam occ. 10

Islam or. 2

Figg. 54 (sx) - 55 (sopra): aree di provenienza e percentuale di attestazione delle ceramiche di importazione nel XIII secolo (n. minimo) (elaborata da Jacopo Bruttini)

60 40 20 0

Num.min.

Liguria 52

Lazio 1

Spagna 32

Islam occ. 3

Figg. 56-57: aree di provenienza e percentuale di attestazione delle ceramiche di importazione nel XIV secolo (n. minimo) (elaborata da Jacopo Bruttini)

Figg. 58-59: la cucina, la dispensa e la mensa dei Gherardeschi a Campiglia alla metà del XIII secolo (da BOLDRINI et alii 2004)

Fig. 60: la mensa a Rocca San Silvestro nel XIV secolo (ideata da Enrica Boldrini)

FIGURE PARTE TERZA: CATALOGO DELLE FORME E DEI TIPI CERAMICI

Fig. 3: colatoi modellati a mano I.1

Fig. 4: boccali modellati a mano I.1

Fig. 1: olle modellate a mano I.1

Fig. 5: coperchi modellati a mano I.1

Fig. 2: pentole modellate a mano I.1

Fig. 6: tegami modellati a mano I.1

Fig. 8: taglieri modellati a mano I.1

Fig. 7: testi/ tegami modellati a mano I.1

Fig. 9: testi modellati a mano I.1

Fig. 10: olle artigianali I.2, gruppo 1-4

Fig. 13 (in alto): olle artigianali I.2, gruppo 13-15 Fig. 14 (al centro): pentole artigianali I.2 Fig. 15 (a sx): colatoi artigianali I.2

Figg. 11-12: olle artigianali I.2, gruppo 5-7 (sopra) e gruppo 8-12 (sotto)

Fig. 16: boccali-brocche artigianali I.2

Fig. 17: coperchi artigianali I.2

Fig. 18: catino-coperchio artigianale I.2

Fig. 19: olle, boccali e pentole invetriate I.3

Fig. 20: tegami invetriati I.3

Figg. 21 (sopra)-22 (sotto): boccali depurati II.1, gruppo 1-3 e gruppo 4-8

Figg. 23 (sopra) - 24 (sotto): catini depurati II.1, gruppo 1-3 e 4

Figg. 25 (sx) e 26 (sopra): brocche depurate II.1, gruppo 1 e gruppo 2

Fig. 27: brocche depurate II.1, gruppo 3-4

Fig. 28: orcioli depurati II.1

Figg. 29 (sx)-30 (dx): orcio a beccaccia depurato II.1 e anfora depurata II.1

Fig. 31: brocca e grande olla a colature rosse

Fig. 32: brocca/boccale a vetrina sparsa

Fig. 33: fuseruole grezze e depurate

FIGURE PARTE TERZA: CATALOGO DEI SITI OGGETTO DI STUDIO SITO

SECOLI

V-VI

VII/VIII-X

XI-XII

XIII-XIV

Totali

Donoratico

scavo

-----

1323

828

-----

2151

Suvereto

scavo

-----

-----

-----

-----

656

Cas tel di Pietra Mont emassi

Campiglia M.ma

Rocca San Silvestro Rocchette Cugnano

Populonia Acropoli

Populonia Castello (area S.Cerbone)

scavo scavo scavo scavo scavo scavo scavo

scavo

-------------------10

----

-----

2550 417

-----

3750 6

14

----

----1044 829

6493 7077 1234 35

226

----4962 3375

15000 12578 1114 ---6

-----

8556 4621

21493 23405 2354 59

232

Fig. 34: Numero di frammenti ceramici utilizzati per i luoghi di consumo, divisi per fasce cronologico all'interno di ogni contesto insediativo

Fig. 35: pianta generale del castello (da CITTER 2005)

Figg. 36-37: le ceramiche della frequentazione tardoantica -scala 1:4- (a sx, da VACCARO 2002) e le ceramiche medievali -scala 1:4- (a dx, da SEBASTIANI 2002)

Fig. 38: le ceramiche bassomedievali delle campagne 1997-1998 (da BOLDRINI, GRASSI, LUNA 1999)

Figg. 39-40: le ceramiche invetriate (sopra) e smaltate (a dx) scala 1:4- (da SEBASTIANI 2002)

Figg. 41-42: planimetria della Rocca di Campiglia (da BIANCHI 2004) e tipi ceramici in acroma depurata di IX-X secolo (da BOLDRINI, GRASSI 1999)

Fig. 43: tipi ceramici in acroma grezza di IX-XI secolo (da BOLDRINI et alii 2004)

1 br

1 ad

Officine

1 vs+ad

Produzione colature rosse

acroma depurata vetrina sparsa depurata

2 ad

depurata

1 ag 2 ag

grezza manuale grezza tornita

Tecnolog ia lisciature, decori con ingobbio nessuna steccature, incisioni a punta, decori con vetrine lisciature, steccature, decori incisi tornio lento tornio veloce, filettature

Impasto RC14 RC 16

Ubica zione Pisa (?)

RC10

Pisa (?), solo XI seco lo Area d i costa

RC 12, RC 13

Locale

RC1, RC4 RC3

Locale Locale

Fig. 44: Le botteghe che riforniscono il castello di ceramica tra IX e XI secolo

Figg. 45-46: tipi ceramici in acroma depurata di XI secolo (sopra, da BOLDRINI, GRASSI 1999) e di XII secolo relativi allo scarico del Palazzo (a dx, da BOLDRINI et alii 2004)

Fig. 47: i tipi ceramici principali relativi alla seconda metà del XIII secolo recuperati all'interno del fondo cieco della Torre B (da BOLDRINI et alii 2004)

Fig. 48: i tipi ceramici principali relativi al XIV secolo (da BOLDRINI et alii 2004)

Figg. 49-50-51: a sx planimetria del sito di Cugnano e individuazione delle aree scavate (da BRUTTINI, FICHERA, GRASSI 2009), a dx in alto tipi ceramici altomedievali, a dx in basso tipi ceramici di XI secolo (da GRASSI 2005a)

Fig. 52: tipi ceramici di XIV secolo provenienti da Cugnano (da GRASSI 2005a)

Fig. 53: planimetria del sito di Donoratico (da BIANCHI 2004b)

Officine 1 ag 2 ag 3 ag

1ad+vs 1 ad 1 cr

Fig. 54: ceramica grezza dal castello di Donoratico (da GRASSI, LIGUORI 2004) Produzione grezza grezza

Tecnologia manuale tornio veloce

Tipi olle e testi olle e coperchi

acroma depurata vetrina sp arsa semidepurata

lisciature

brocche, boccali brocche boccali brocche

grezza

colature rosse

tornio veloce -

lisciature

testi, olle

Impasto 13-30 1 3

Ubicazione Itinerante ? Locale

-

Locale (dal secolo) zona di costa

-

Pisa

--

X

contado p isano (?)

Fig. 55: ipotesi delle botteghe che rifornirono il castello di ceramica depurata, grezza e con rivestimenti tra IX e XI secolo

Fig. 56: ceramica depurata dal castello di Donoratico (da GRASSI, LIGUORI 2004)

Fig. 57: vetrina sparsa e colature rosse dal castello di Donoratico (da GRASSI, LIGUORI 2004)

Fig. 58: Planimetria del castello di Montemassi (da BRUTTINI et alii 2002)

Fig. 59: ceramica relativa ai contesti abitativi di VIII-X/XI secolo Officine 1 ad+ag

Produzione semidepurata e grezza

2 ad

depurata

2 ag

grezza

Tecnologia steccatura ingobbi decori incisi steccatura, filettatura tornio lento

Tipi tutte le forme ceramiche brocche, boccali, cioto le testi, olle

Impasto 1, 2, 3, 4, 5

Ubicazione Roccastrada

6

Siena (almeno da fine X-XI secolo)

14, 15, 17

Locale

Fig. 60: Le botteghe che riforniscono il castello di ceramica depurata e grezza tra IX e XI secolo

Fig. 61: ricostruzione del corredo di XIII secolo del castello di Montemassi Officine 2 ag

Produzione grezza grezza

Tecnolog ia tornio lento, tornio veloce t. velo ce

Tipi testi, o lle

Impasto 14, 15

1 inv 1 ad+ma

invetriata da fuoco depurata e maiolica arcaica

tornio veloce sbiancature e lisciature

tegami brocche, boccali, catini boccali boccali

18 10

Locale di influsso senese locale Siena

12, 13 19

Siena Pisa

3 ag

1 ma 2 ma

maio lica arcaica maio lica arcaica, acroma depurata

-

olle

8

Ubicazione locale

Fig. 62: le botteghe che riforniscono il castello di ceramica nella prima metà del XIII secolo

Misura a a

Ø base 5 5

Ø m/ h. Ø c./h. c Ø m. 8/4 6,5/5,5 7/3,5 6/5

Ø orlo 5

a c c c d

5 8,5 8 9,5 9,5

8,2/4,5 13/9 13,5/9,5 15,4/9,3 15/10

7 9 10,5 11 9,5

7/5,8 10,5/12 10,7/13 11,5/13 11,5/16

h. -

7,5 (residua ) 9,8 21,5 21 20,7 27

Ansa largh/>< 1,7/0,5 1,7/1 2,5/0,8 3,2/0,8 3,2/1,1 -

Fig. 63: scala dimensionale dei boccali di tipo senese trovati nel castello tra XIII e XIV secolo

Officine 1 inv 2 ag 1 ad+ma 4 ag

3 ma

Produzione invetriata da fuoco grezza

depurata e maiolica arcaica acroma grezza

maiolica arcaica, acroma depurata

Tecnologia tornio veloce tornio lento, tornio veloce sbiancature e lisciature manuale

Tipi Tegami testi, olle brocche, boccali olle boccali, bacino

Impasto 18 15

Ubica zione locale locale

21

Locale (itinerante?) Pisa

25-5-20 26

Siena

Fig. 64: Le botteghe che riforniscono il castello di ceramica depurata, grezza, invetriata da fuoco e maiolica arcaica nella seconda metà del XIII secolo

Ceramica

acroma grezza

acroma depurata Maiolica arcaica m .a. monocroma

invetriata d a fuoco TOTALI

Vita del pozzo (n.mini mo) 4 testi 7 olle 3 brocche 1 boccale 6 catini 7 boccali 3 catini 1 boccale 1 scode lla 1 pentola 2 tegami 36 forme

Abbandono (n.minimo) 1 t esto 3 olle 1 brocca senese 2 bocc ale 1 catino -

2 pentol e 1 t egame 11 forme

Figg. 65 (sopra) - 66 (a sx): tipi ceramici e vitrei dal pozzo nero del castello di Montemassi, seconda metà XIV secolo (da BOLDRINI, GRASSI 2000 e MENDERA 2000) e calcolo del numero di frammenti e numero minimo di ceramica presenti nel pozzo

Fig. 67: il sito e planimetria delle aree oggetto di indagine sino al 2005 (da APROSIO, MASCIONE 2006)

Fig. 68 (sopra): principali forme tardoantiche rinvenute nei saggi III-IV-XX di Populonia. 1: ceramica da cucina, 2-4: ceramica comune, 5-6: ceramica con ingobbio rosso (da GRASSI 2006b) Fig. 69 (sotto): principali forme tardoantiche rinvenute nel saggio IV di Populonia. 1: ceramica da cucina, 2: imitazione locale di sigillata africana, 3: ceramica con colatura rossa (da APROSIO 2004)

Fig. 70: principali forme altomedievali rinvenute nei saggi IV-XX-XXI di Populonia (da GRASSI 2005b e GRASSI 2006b). 1: catino, 2-3: orcioli, 4: testo da pane, 5: brocchetta, 6-9: boccali e brocche

Fig. 71: principali forme bassomedievali rinvenute nei saggi III-IV-XX-XXI di Populonia (da GRASSI 2005b e GRASSI 2006b). 1: olla, 2-3 orcioli, 4: brocca con bollo sull'ansa

Fig. 73: le ceramiche provenienti dal sito di San Cerbone Vecchio

Fig. 72: ubicazione del sito archeologico di San Cerbone Vecchio e planimetria delle aree oggetto di indagine (da FORGIONE, REDI 2005)

Fig. 74: pianta del castello di San Silvestro con le aree oggetto di scavo

Officine 1 ag

Manifattura Artig ianale

Lavorazione tornio veloce

Tipi olle

Impasto RSS5

3ag

Domestica

manuale

olle, testi

RSS6

2 ag

Artig ianale

tornio veloce

olle

Figg. 75 (sx) - 76 (dx): tipi ceramici presenti a San Silvestro tra X e XI secolo e definizione delle produzioni in ceramica grezza (fine X - p. metà XI secolo)

RSS2

Ubicazione Areale castello Area di Bo tro ai Marmi Castello

Fig. 77: tipi ceramici presenti a Rocca San Silvestro tra la seconda metà dell'XI secolo e l'inizio del XII secolo Officina Ad-bottega pisana 1

Manifattura Artigianale

Lavorazione tornio veloce

Artigianale

1 ag

Artigianale

tornio veloce (nucleo grigio)

2 ag

Artigianale Artigianale

3 ag

Domestica

Ad-bottega pisana 2

tornio veloce tornio veloce tornio veloce manuale manuale

Tipi brocche con sinusoidi, sbiancature e bolli

Impasti RSS8

Ubicazione Pisa

brocche, catini con sinuso idi

RSS9

Pisa

olle famiglia 6-4

RSS1

olle famiglia 6-4 olle famiglia 14-6-4

RSS5 RSS2

Areale castello (Valle Lanzi e Monte Calvi) Areale castello Area di Botro ai Marmi

testi olle famiglia 2-4-5 testi

RSS3 RSS6 RSS7

castello (vasaio itineran te?)

Fig. 78: definizione delle produzioni in ceramica grezza e depurata presenti a Rocca San Silvestro (seconda metà XIinizio XII secolo)

Fig. 79: diagramma di seriazione per le olle di Rocca San Silvestro (numero minimo di forme). Sull’asse x sono indicati i secoli, sull’asse y sono specificati i tipi formali di olle considerate

Officina Bottega pisana 1 Bottega pisana 2 1 ag

2 ag 3 ag

Manifattura Artigianale

Lavorazione tornio veloce

Artigianale

tornio veloce

Artigianale

tornio veloce

Artigianale

tornio veloce

Domes tica

manuale

Artigianale

tornio veloce manuale

Tipi brocche, boccali “Busi” boccali e maiolica arcaica olle

Impasti RSS8

olle e coperchi boccale, olle olle, boccale, coperchio testi e olle olle testi

RSS4 RSS5 RSS2

non id. RSS1

RSS3 RSS6 RSS7

Ubicazione Pisa

Area del contado pisano Areale castello (Valle Lanzi e Monte Calvi) Areale castello

Area di Botro ai Marmi Castello

Fig. 80: definizione delle produzioni in ceramica grezza e depurata presenti a San Silvestro nel XII - p.metà XIII secolo

Fig. 81: il corredo da dispensa nel castello nel XII - p. metà XIII secolo (da BOLDRINI, GRASSI 1997)

Fig. 82: il corredo da mensa e cucina nel castello nel XII - p. metà XIII secolo (da BOLDRINI, GRASSI 1997)

Fig. 83: la maiolica arcaica pisana nella p. metà del XIII secolo (da FRANCOVICH 1991)

Fig. 84: le invetriate fini pisane a Rocca San Silvestro nella prima metà del XIII secolo Dispensa Cucina Mensa Altre attività

Casa del borg (4700) 3 brocche AD 1 orciolo AD

8 olle AG 6 testi AG 1 testo/tegame AG

o

oggetti in legno e uso promiscuo di AG 3 Boccali AD 1 fuseruola AG

Casa del bo rgo (4500) 4 brocche AD 6 olle AG 4 testi AG 1 coperchio G 1 boccale AG oggetti in legno e uso promiscuo di AG 5 Boccali AD 1 fuseruola AG 1 fuseruola AD

Fig. 85: il corredo domestico relativo al XII secolo (AD: acroma depurata; AG: acroma grezza)

Fig. 86: tegami invetriati a San Silvestro, s. metà XIII secolo (da GRASSI 1999)

Fig. 87: maiolica arcaica di produzione pisana nella seconda metà del XIII secolo

Fig. 88: distribuzione di maiolica arcaica blu nel castello (elaborata da Jacopo Bruttini)

Fig. 89: distribuzione di zaffera a rilievo nel castello (elaborata da Jacopo Bruttini)

Fig. 90: distribuzione di importazioni nel castello (elaborata da Jacopo Bruttini)

Fig. 91: la ceramica invetriata fine a Rocca San Silvestro nella seconda metà del XIV secolo

Fig. 93: olle modellate a mano e corredo artigianale nel castello nel XIV secolo (da GRASSI 1998a)

Fig. 92: maiolica arcaica volterrana nel castello (s. metà XIII secolo)

Fig. 94: il corredo da dispensa in ceramica depurata nel XIV secolo (elaborata da FRANCOVICH et alii 1985)

Fig. 95: la ceramica invetriata fine a Rocca San Silvestro nel XIV secolo

Fig. 96: la maiolica arcaica pisana nel XIV secolo a San Silvestro, forme aperte (elaborata da FRANCOVICH 1991 e FRANCOVICH et alii 1985)

Fig. 97: la maiolica arcaica pisana nel XIV secolo a San Silvestro, forme chiuse

Dispensa Cucina

Mensa

Fig. 98: la maiolica arcaica volterrana nel XIV secolo a San Silvestro

Altre attività

Casa del borgo (area 3800) 4/5 brocche AD 5/6 catini AD 1 colato io AD 8 olle AG 8 testi AG 1 coperchio AG 1 pentola AG 1 teg ame INV. 4/5 boccali MA 2/3 catini MA 3/4 ciotole MA alcune forme di INV.V. 1 catino GRAL fuseruole AD

Fig. 99: il corredo domestico del XIV secolo (AD: acroma depurata; AG: acroma grezza; GRAL: graffita arcaica ligure; MA: maiolica arcaica; INV: invetriata; INV.V.: invetriata verde)

Acroma grezza Acroma depurata Maiolica arcaica Invetriata Maiolica arcaica blu invetriata da fuoco Totale

Forma chiusa 11 261 44 79 2 188 585

Forma aperta 19 8 33 1 ---10 71

TOTALE 30 269 77 80 2 198 656

Fig. 100 (a sx): planimetria della Rocca di Suvereto (da CUTERI 1990) Fig. 101 (sopra): numero di framenti ceramici divisi per classi provenienti dallo scavo della Rocca di Suvereto

Fig. 102: tipi ceramici provenienti dalla Rocca di Suvereto (da CUTERI 1990)

Fig. 103: tipi ceramici provenienti dalla Rocca di Suvereto (da CUTERI 1990)

Fig. 104 (sopra): pianta del castello di Rocchette e indicazione delle aree oggetto di scavo (1992-2003) Fig. 105 (a sx): tipi ceramici di VIII-X secolo provenienti dal castello di Rocchette (da BOLDRINI, GRASSI 2003)

N. Bottega 1 ad

Produzione

3 ad+vs 4 cr

Semidepurata (anima grigia) Vetrina sparsa colature rosse

lisciatura, steccature, sbiancature, ingobbi lisciatura, steccature, sbiancature, decori, bolli steccature, decori compless i, rivestimenti v etrosi lisciature

1 ag

Artigianale

tornio veloce e mano

olle e testi

2 ag

Artigianale

tornio veloce

olle

3 ag

Artigianale

tornio veloce e mano

olle tornite e manuali, testi, brocche, anfore

2 ad

Acroma depurata Semidepurata

Tecnologia

Tipi

brocche boccali brocche, boccali brocche, boccali, brocchette brocche

Impasto

RO19 (90%) RO13 (10%) RO14 RO16 RO17 RO18 RO20 --

RO2, RO7, RO8, RO5, RO10 RO11 RO9 RO6

Impianto e ubica zione ----------

officina specializzata rurale officina specializzata in area co stiera officina specializzata nel Valdarno Officina singola Areale del castello officina singola Areale del castello officina specializzata rurale

Fig. 106 (sopra): ipotesi delle botteghe che rifornivano il castello di ceramica tra VIII e X secolo Fig. 107 (a sx): tipi ceramici di XI secolo provenienti dal castello di Rocchette

N. bottega 1 ad

Produzione

2 ad

Semidepurata

3 ad

Depurata

4 ad

Semidepurata con anima grigia Depurata

1 ag

Artigianale

2 ag

Artigianale

Tecnologia

Tipi

----

brocche

decori sinusoidali, filettature, sbiancature ----

brocche boccali orcioli brocche

decori , filettature, sbiancature

brocche, boccali, forma aperta olle e testi

tornio veloce

olle

tornio veloce e mano

Impasto RO13

Impianto e ubica zione -

RO14 RO16 RO17 RO18

officina specializzata rurale officina specializzata in area costiera

RO2, RO7 , RO 8 RO5, RO1 RO11 RO4

Officina singola areale castello

RO12

officina urbana o semiurbana

Officina singola areale castello

Fig. 108 (sopra): ipotesi delle botteghe che rifornivano il castello di ceramica nell'XI secolo Fig. 109 (a sx): tipi ceramici di XII-prima metà XIII secolo provenienti dal castello di Rocchette

N. bottega 1 ad

Produzione Semidepurata

filettature, sbiancature, sinusoidi nessuna

4 ad

Depurata

filettature, sbiancature

1 ag

Artigianale

4 ag+inv

Artigianale

2 ad

2 ag

Depurata

Artigianale

Tecnologia

Tipi

brocche boccali brocche

Impasto RO13 RO14 RO12

tornio veloce e mano

brocche, boccali, catini olle e testi

tornio veloce e mano, vetrina

olle, testi e tegami

RO3

tornio veloce

olle

RO2, RO7, RO8 RO5, RO1 RO4

N.bottega

Classe

Impasto Ubica zione

5 ad+ma

m. arcaica

RO22

4 ad

1 ma

Depurata

acroma depurata inv. verd e

RO 12 RO24

Impianto e ubica zione -

officina specializzata rurale officina urbana o semiurbana

Bottega singola Areale castello Bottega singola Areale castello officina specializzata area costiera

Contado Sien a

m.arcaica 2 ma 3 ma

monocroma m. arcaica

m. arcaica

monocroma m. arcaica

RO23

Volterra

RO25

Massa

RO26

Marittima

Fig. 110 (in alto a dx): ipotesi delle botteghe che rifornivano il castello di ceramica nel XII secolo Fig. 111 (in basso a dx): maiolica arcaica, invetriata fine, acroma depurata: le produzioni nel XIV secolo Fig. 112 (a sx): tipi ceramici da cucina del XIV secolo provenienti dal castello di Rocchette (da BOLDRINI, DE LUCA 1997)

Fig. 113: le produzioni di maiolica arcaica e di graffita arcaica ligure presenti nel XIV secolo nel castello di Rocchette

Fig. 114: ubicazione della chiesa e del castello all'interno del centro storico di Piombino (elaborata da BIANCHI 1999)

Fig. 115 (sx): le ceramiche grezze e invetriate recuperate nei riempimenti della volta (da GRASSI 2007) Fig. 116 (dx): le ceramiche depurate recuperate nei riempimenti della volta (da GRASSI 2007)

Figg. 117-118-119: le ceramiche rivestite da mensa; le maioliche arcaiche (da BERTI 1997)

Fig. 120 (in alto a dx): le ceramiche da cucina dagli scavi del castello di Piombino Fig. 121 (a sx): le ceramiche da mensa e da dispensa dagli scavi del castello di Piombino Fig. 122 (in basso a dx): lucerna invetriata verde dagli scavi del castello (esposta nel museo del castello, Piombino, Li)

Fig. 123 (in alto a dx): carta di distribuzione dell'insediamento nel territorio di Roccastrada tra VI e VIII secolo con indicazione delle aree di fornace (simbolo quadrato) (da GUIDERI 2000) Fig. 124 (a sx): selezione di tipi ceramici dallo scarico di VI secolo (da GUIDERI 2000) Fig. 125 (in basso a dx): selezione di tipi ceramici dallo scarico di VIII-X secolo (da GUIDERI 2000)

Fig. 126: tipi ceramici dallo scarico di Fauglia (da DANI, VANNI DESIDERI 1981)

Fig. 127: tipi ceramici dallo scarico di Palaia (da CIAMPOLTRINI 1981)