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Italian Pages 68 [70] Year 2004
krzysztef kieflowski prefazione di Poolo D'Agostini
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Script/Lcuto
krzyszto kieSlowski a cura di !viario Sesti
pn!fàzione di Paolo D'Agostini
6t Dino Audino Editore www.scribd.com/Cultura_in_Ita5
Script è la rivista quadrimestrale dedicata alla scrittura cinematografica cui collaborano i maggiori sceneggiatori italiani (Dino Audino Editore, distribuzione libraria, tel. 06/6865608)
li Leuto è la Libreria dello Spettacolo di Ro1na punto di riferimento e centro organizzativo d'iniziative culturali, dedicate al cinema e al teatro (Via di Monte Brianzo 86, tel. 6869269, Ro1na) Comitato editoriale
Dino Audino, Georgene Ranucci, Mario Sesti, Stefanella Ughi Un sentito ringraziamento a tutti gli autori e in particolare ai critici cine1natografici le cui recensioni hanno dato un contribuito fondamentale a questo libro. Si ringraziano per la collaborazione:
Academy Pictures, Roberto Cicutto, Crisilde Don1inici, Mikado. Collaborazione alla ricerca filmografica e bibliografica: Massin1iliano Cecchi, Giuliano Fiorini-Rosa, Raffaella Mastrojacono Un grazie infine all'ANEC (Associazione Nazionale Esercenti Cinen1a) e alla FICE (Federazione Italiana Cinema D'Essai) Per esigenze tipografiche, nomi e titoli in polacco sono stati trascritti senza riportare gli accenti
Dino Audino Editore Ass. Script/Leuto Via di Monte Brianza, 86 - 00186 Roma Stampato nel mese di Marzo 1996 dalla Pegasus s.r.l. Via G. Giorgi, 22 - Roma
Composizione: Anna e Pietro Comastri
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Prefazione di Paolo D'Agostini "Non bisogna possedere nulla, sono tutte u·appole". "Quand'anche parlassi la lingua degli angeli, se non ho l'an1ore non sono nulla". Tra queste due affennazioni, citate un po' approssi1nativa1nente nella lettera 1na fedeli nella sostanza e collocate ai due estre1ni del suo ultimo film, che relazione c'è? Sono tra loro coerenti o contraddillorie? La pri1na se1nbra dire che "libertà" è assenza totale di lega1ni: beni 1nateriali e patri1nonio affettivo. In ultitna analisi è solitudine, dunque. La seconda sembra suggellare la 1inuncia a Il 'inseguimento perfezionistico di una n1eta alta - l'espressione artistica unita in un tutt'uno con la vita, l'identificazione tra i due tennini - n1a inutile se non si sono sapute cogliere le occasioni della vita: i suoi a1nori i1nperfetti, i suoi incontri causali, la sua forse banale n1a unica insostituibile verità. Krzysztof Kieslowski è uno che la sa lunga, quasi quanto Hitchcock (n1utatis n1utanclis), nel rendere difficile il con1pilo a chi osserva e cerca di interpretarlo. non è rnai univoco: non illustra, segue e propone delle tracce, degli indizi. E' lui il p1in10 a scegliere, tra le due, la strada più difficile. Chi è così esigente con se stesso non sorprende che lo sia anche con gli
altri. Dopo aver fornito una personalissima lettura dei capisaldi del cristianesimo con Decalogo, l'opera che a quasi cinquant'anni e dopo più di venti di cinen1a, televisione, docu1nentario, lo ha proiettato ai vertici della modernità cinematografica e tra i massimi artisti di fine secolo, Kieslowski si è assunto un altro con1pito di imponente monu1nentalità. Reinterpretare i pilastri dell'altra grande tradizione culturale, quella laica e razionalista; le basi del pensiero contemporaneo. Tre film, i tre colori della bandiera francese, i tre principi nati dalla Rivoluzione: Libertà, Uguaglianza, Fraternità. Neanche l'ombra tuttavia - questo è certissimo - di una piatta e semplicistica letterale illustrazione di motivi ideologici. Ma la loro traduzione in avventura u1nana conternporanea, in verifica nella vita vissuta. In misurazione di quanto dell'enunciazione rivoluzionaria di due secoli fa viva nel profondo dell'esistenza: nei nodi fondamentali - non quelli politici, an11nonisce l'autore - del nostro cammino. Quello di Kieslowski è stato lungo; p1ima di affermarsi, di essere riconosciuto tra i nomi di maggior spicco der cinema europeo contemporaneo. Come uno dei principali reinventori di quest'arte allo scadere dei primi cento
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anni di vita: come, nelle enormi differenze di stile, Kaurismaki e Almodovar, Moretti, Kusturica e la scuola cinese. E' così, anche se lui coltiva il vezzo un po' cinico di schennirsi: "Mi dà la sensazione di trovarmi in una specie di cimitero del cine1na, dove coloro che hanno fatto filn1 di una classe molto superiore alla mia non ci sono più. Se del suo coetaneo Zanussi, quando il loro cinema veniva accomunato sotto l'etichetta della "inquietudine morale", si diceva che era un entomologo con la cinepresa, della cinepresa di Kieslowski sarebbe appropriato parlare come di uno stJurnento che viviseziona la condizione umana. Che avvicina o analizza i dettagli dell'anima con uno sguardo che combina impassibilità e passione, emozione e freddezza. Secondo una miscela, una dialettica originale; soggettività e oggettività, docu1nentario e finzione, registrazione distaccata ed emotività si danno la mano secondo un'impronta tutta speciale, riconoscibilissima. Paladino della verità cruda e dell'antiretorica, Kieslowski dà voce in modo speciale alla gente comune. Tocca con apparente calma e gelida tranquillità l'ordinario malessere contemporaneo di persone come noi, gente perlopiù destinata a perdere, creando personaggi - Decalogo 4 e 6, per citarne due - dai contorni indimenticabili: vivono in fabbrica o nei cortili di grandi condominii, rimangono impigliati nelle maglie della burocrazia, costretti alle prese con la malattia, talvolta hanno a che fare con l'arte e la creatività; della musi-
ca, del teatro, o altro. Nel raccontare le loro storie Kieslowski non è mai limitato dal mezzo, tant'è vero che ha consegnato al futuro alcuni definitivi pezzi di cinema lavorando per una com1nittenza televisiva (il Decalogo,in particolare): "Non c'è nessuna differenza - taglia corto a proposito della disputa tra grande e piccolo schermo, caustico e lapidario come gli piace - se non che la televisione paga di meno e che bisogna girare più in fretta". Se è vero che il suo soggetto è sempre stata, fino ad oggi, la conte1nporaneità, egli non ha mai nascosto nei confronti della sfera politica della vita sentimenti che vanno dall'indifferenza al fastidio, dal disinteresse alla diffidenza. Che cos'è: il gretto qualunquisn10, il piccolo egoismo dell 'uo1no della strada? O piuttosto l'ostile, forse rabbioso rigetto verso ogni pretesa di inettere ordine nel naturale, ricco disordine dell'esistenza? "In Polonia, in realtà, è accaduto qualcosa di molto rilevante: è finito il regime comunista e sta cominciando la democrazia. Comunque sia, però, secondo le statistiche la gente 1nuore di cancro allo stesso 1nodo e alla stessa velocità". Da scettico 1nilitante, Kieslowski non propone 1nai messaggi unilaterali e tantomeno precetti, e anche quando si è assunto l'onere di tradurre in linguaggio ed esempi moderni i cardini della morale giudaico-cristiana - i Dieci Comandamenti - lo ha fatto affidandosi a un'idea semplice e precisa: disseminare il percorso di piccole, incisive sollecitazioni emotive prima che intellettuali o
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5 eti che. Lasc iando a ciascun ricevente il diritto, l'onere, il piacere o il dolore e in ogni caso la responsabilità di scegliere la propria soluzione, la propria strada, il proprio punto di vista; libero di accettare o n1eno quello - clissin1ulato 1na non assente, non inc istente - dell autor . Questo è l'identità di un .i ntelletl u a le e d i u n art i s t a c h e , p r i 111 a della con ~aerazione intern azionale e pri1na che 1nutassero radicaln1ente le condi zioni storid1e, ha incontsato osracoJi e n n1ici in ogni direzio ne: ha sco ntentato - fino alla ce nsura di al1neno tre o quattro dei suoi fìltn - l'ufficialità di regin1e; 1na ha reclutato antipati zzanti in patria anche pre ~so l 'oppos izione, anche presso la chiesa e l'opinio ne cattolica. Ki es lo \vs ki no n ' , no n è ,nai stato un o ttitni sta , n o n si è ,nai preoccupato di a cattivarsi le si1npat ie. E r ca l 'i1npronta di un hu n1or nero poco o niente ornologato al passional inrerventi.sn10 po lacco u n ~1 di chi ara zione con1e questa:
"Io rni alzo ogni mattina con p nsieri cupi che nel corso d ila giornata diventan o ancora più cupi" . Refrattario all'adulazione, a1Jergico alle di ,nostrazioni, alle tesi, alle certezze confezion ate. Un pe imi l a d1e non si tanca di cercare le ragioni per non esserlo; un razionali ta scettico che non si lascia inca ntare dall 'en.fasi polacca della piritualità e della religio ità, ma che i la eia orprendere d agl i innumerevoli misteti, d ai piccoli fatali rniracoli che s'incontrano ad ogni angolo della vita. Un soli la . . co tante e un po' m aledetto che tiene gli occhi bene aperti e ne conosce il prezzo - l'infelicità ma sa che tenerli asciutti, gli occhi, e no n lascirsi cullare dai proclami altisonanti è prop1io il contrario dell'a1idità: E dietro quello guardo distante e vùile, filtrato dalle lenti e dal fumo di una siga retta, sa di stin guere le co.se che contano, le distilla e le re tituisce sono fonna di una drarnn1aturgia di rapidi, abbaglianti lampi di u,nanità.
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Una breve
biografia "Quand'ero povero e ragazzo, abitavo in un piccolo paese con un unico cine,na dove non potevo entrare per 1nancanza di denaro. Allora, con qualche a1nico, salivo, inerpicandon1i per una scaletta arrugginita, sui tetti e mi avvicinavo al lucernario del cine1na da dove sputavo sulla platea. Infuriati, gli spettatori guardavano in alto ,na noi eravan10 nascosti e da lassù vedeva1110 soltanto il fondo o un angolo delle in1111agini che si muovevano sullo schenno". L'incontro tra il cine1na e K.ieslowski, non potrebbe essere contrassegnato da una più evidente assenza di ro111anticisn10. E da un più sfrontato predominio del caso. Nato il 27 giugno del 1941 a Varsavia, è costretto, per la povertà della famiglia e ancor più per la malattia del padre (la tubercolosi, che lo porterà alla morte quando Kieslowski ha sedici anni), a cambiare don1icilio in continuazione, a cercare nuove possibilità di sopravvivenza e ad accompagnare il padre da un sanatorio all'altro. Sono proprio queste condizioni che lo vedranno presso una scuola di tecniche teatrali, di cui è preside uno zio, dove può usufruire dell'i.nsegna1nento e dell'alloggio (e dove si diplon1a nella tecnica di dipingere scenari). Sono gli ,11u1i del dopoguerra; la Polonia non si è ancora riavuta da una delle più spietate occupazioni che i nazisti abbiano esercitato, che diventa pedina nevralgica degli scontri internazionali della guerra fredda e terreno di pesante intervento dell'egemonia sovietica. Quando nel 1969 Kieslowski si laurea
alla Scuola Superiore di Cinema di Lodz (allora una delle scuole di cinema più prestigiose del mondo), inizia a girare documentari, per il grande schermo e per la televisione, pratica che forma il suo cinema e allo stesso te1npo gli consente di verificare in prima persona i rischi cli uno scontro con le Istituzioni e la clifficoh:ì di non derogare 1nai da una profonda 1noralità del cinen1a. Nel 1970, 1nentre gira Robotnicy '71, sulla repressione cruenta dello sciopero di Danzica di quegli anni, la polizia gli sottrae il 111ateriale per identificare i partecipanti ("Mio malgrado ero diventato un delatore"). Nel 1980, 1nentre gira al deposito auton1atico dei bagagli ("E' una delle cose più interessanti che esistano"), è di nuovo la polizia a servirsi della sua pellicola per una indagine su una donna fatta a pezzi e n1essa in una valigia, che Kieslowski ha filn1ato senza saperlo. Il rapporto del suo cinenia con la cultura ufficiale, va eia sè, non è pacifico. Spokoj subisce decisivi tagli (che Kieslowski si è rifiutato di integrare alla caduta del vecchio regime, sostenendo che, visto che li aveva accettati allora, sarebbe stato vile adottarli adesso), Destino cieco rimane bloccato per anni dalla censura, Bez konca è attaccato anche dall'opposizione e il Decalogo non può che insospettire un paese così profondan1ente cattolico. Quando, nel 1988, olliene con Krotki fihn o zabija11iu (Breue fi/111 sull'uccidere) il pre111io speciale della giuria a Ca1u1es e il Feli.x (l'oscar europeo), il non1e del regista è già ben conosciuto nei festival internazionali (A111ator aveva vinto il festival di Mosca), ma solo ora conquista notorietà internazionale. Con il Decalogo, l'anno successivo, a Venezia, viene di fatto consacrato da pubblico e critica come n1aestro di un cinema di inconfondibile personalità.
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10 principi per non fare solo del cinema Decalogo antologico di un regista impossibile Non credere al cinema pi;. di quanto sia possibile credere a qual'iiasi altra cosa Non credo che il cinema in genere sia un'arte. Ogni tanto ci si imbatte in un filn1 che son1iglia a qualcosa d'artistico. E' raro. Il cine1na serve piuttosto a descrivere il n1ondo, è una testirnonianza che evapora. E' la televisione, oggi, che ha il con1pito di dare delle spiegazioni. lo, per n1e, ciò piuttosto dei misteri. I giornalisti mi chiedono spesso di spieganni. E' altrettanto sgradevole quanto gli altri aspetti del n1io rnestiere. A volte nli sotton1etto perché apprendo quello che essi ha1u10 capilo. Concentrare la sceneggiatura, accun1ulare durante le riprese e fare infinite versioni del film al montaggio "Non so da dove 1ni viene !"idea di partenza. Il 1nio co-sceneggiatore, Krzysztof Piesiewicz, non credo che lo sappia neanche lui. E' piuttosto un'in1pressione rnolto larga che a poco a poco si restringe fino ad arrestarsi su una storia rniscroscopica. Durante le riprese, le cose vanno in senso inverso: tutto si accumula. E poi, al montaggio, correggo questa inflazione, tolgo fino al lin1ile estre1no. Il problema è di trovare il miglior dosaggio possibile tra ciò che è misterioso e ciò che è evidente. Non appena si non1ina un mistero, diventa banale o stupido. Allora tolgo molte
scene che avrebbero permesso di comprendere meglio il filn1. In genere, faccio sei o sette versioni di uno stesso filn1. Per La doppia vita di Veronica, ce n'erano venti.
Non credere al proprio punto di vista più che a quello dello spettattore lo stesso non so se dimostro in modo preciso il mio punto di vista nei film. Per n1e è in1portante che il primo livello sia costituito dalle ernozioni. Se n1i riesce di avvicinarmi allo spettatore a questo prirno livello allora, solo successivamente, potrò intavolare con lui una discussione sui diversi temi. Se poi lo spettatore arriva da solo a capire il mio punto di vista o se invece se ne crea uno personale per me è mdifferente. Anzi, forse preferisco la seconda soluzione. Non fermarsi mai alle superfici e non pretendere per forza di varcarle Ad un certo momento mi sono accorto che il cinema documentario era caduto nella propria trappola. Più diventavano perfetti i suoi n1ezzi (cineprese sempre più piccole, mvisibili microfoni, pellicole sensibilissime che non richiedono più le luci artificiali, ecc.), meno si rispettavano gli uommi. Si arriva sempre più vicmo alla gente, senza quasi essere visti: e allora è necessario fermarsi. E io non mi volevo fermare: mi è sempre interessato ciò che non compare ir1 superficie. Ma ci sono delle cose che ciascuno vuol
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tenere per sé e che io non ho diritto di fihnare.
Rispettare il produttore, il denaro, gli spettatori Io rispetto il nlio produttore, i soldi e, soprattutto, i 111iei spettatori. Non solo perché elevo. Ma perché lo voglio. La nlia opinione è che la produzione di un filin - sebbene costosa - abbia una sua 111oralità. Ed io cerco di obbedire a questa 1noralità perché lo voglio. Una tazza di caffè può costare mezzo dollaro, può costare 3 o 5 dollari, 1na quando costa 120 dollari, bere quel caffè è inunorale. E' esattamente la stessa cosa per b produzione di un film. La macchina da presa e il microfono sono deteriori Co1ne ho già detto, conta ciò che l'uo1no sente e pensa vera1nente e non quello che racconta fuori o il suo co1nportan1ento con gli altri. Quindi nli avvicino a lui sen1pre di più anche mediante la n1acchina da presa. La n1acchina si fa sempre più sotto ed io piazzo obiettivi sempre più lunghi o piuttosto mi avvicino. E mi avvicinerei sempre di più se diponessi di buoni nlicrofoni e di una macchina da presa più silenziosa, invece questa fa rumore ... Non si può registrare un suono pieno, ed è questo a lirnitarn1i rispetto alla lunghezza di campo. Non 1ni piacciono gli obiettivi lunghi, troppo statici, n1a con quelli corti non posso avvicinarmi più di tanto per non far venire sul nastro il rumore della n1acchina. Perché macchina e microfono sono deteriori. Niente buoni consigli e lezioni A Piesiewicz, come a me, non piace il tono propinatoci dalla televisione e dai giornali, io addirittura lo detesto.
Con una vita così complessa, con i tanti problemi che ci troviamo ad affrontare ogni giorno, non c'è n1odo di trovare una ricetta buona per tutti. Non solo non ho il diritto di prescriverne, n1a non ne conosco affatto! Posso solo dialogare con lo spettatore su cose che considero essenziali.
Prestare attenzione ai segni, e filmarli Sì, ne ricevia1no spesso nella vita. Un sogno ... l'iinpressione di aver parlato con qualcuno, una tenda che si nn1ove anche senza un filo d'aria con1e se ci fosse qualcuno dietro, non si sa chi. O 1neglio, si tratta non solo di un sin1bolo, ,na cli qualcosa d'altro, di una realtà che non si può capire, che non si può siste1nare irl un ordiI1e logico, dalla quale in sostanza non risulta niente, n1a che costituisce comunque un'esperienza esaltante. E' vera1nente bello. Sono segni che provengono di là? Non lo so proprio, 1na so che esistono nella vita cli ogni giorno ed io cerco di fil1narli. Pungere gli attori (con delicatezza) Chiedo agli allori che 1ni diano qualcosa di loro, di essere coraggiosi e di clarn1i quello che ha1u10, perché se gli attori hanno qualcosa da offru·c alla gente, questo è la loro esperienza, la loro felicità, la vita nel n1odo iI1 cui la intendono e l'hanno vissuta. Non è facile: spesso si nascondono dietro delle n1aschere, dietro il n1estiere. lo cerco di punzecchiarli corr1e un ago e a volte riesco a superare le loro difese. E niente storyboard Se dovessi disegnare le inquadrature prin1a di girarle, allora il n1io co1npito sarebbe finito: tanto varrebbe lasciare sul set solo il direttore della fotografia.
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Fil,nografia Il cinema di Kieslowski prima del Decalogo
Il pri1no, lungo tratto del cinen1a di Kieslowski (dal primo saggio di regia, Tra1111vaj, del 1966, all'ultimo corton1etraggio, Siede,n d11i UJ tygod11i1t, Sette giorni della setti1nana, del 1988), è quasi interan1ente occupato da un'esplorazione del cinen1a clocun1entario, clecisan1ente ricca, sfaccettata, inconsueta. Se l'osservazione realistica del inondo del lavoro e della società scn1brano riproporre terni naturali dell'universo dei paesi ciel socialisn10 reale (rna non bisogna dirnenticare che vennero realizzati a partire eia anni in cui qualsiasi riferin1ento a canoni del realisn10 socialista li avrebbe resi del tutto anacronistici e inservibili), in più di un caso ci trovian10 a stretto contatto con la finzione e, nei casi più interessanti, cli fronte a operazioni che, per cornplessità ed esito, difficilrnente potrebbero sen1plice1nente essere cbssificate nel cine1na di pura docun1entazione. Tra i più di venti corto1netraggi che Kieslowski ha realizzato, buona pa1te dei quali non superano i venti n1inuti di durata, troviamo molti docurnentari sugli operai, le industrie, le miniere, due dei quali almeno Fabryka, del 1970 e Robotnicy '71: nic
o nas be- nas(Operai '71: nulla alle nostre s,-•alle, sulla nostra pelle) riprendono 1non1enti di intenso dibattito interno che corrispondono a fasi di dranunatico conflitto politico con1e quello dopo gli incidenti di Danzica del 1970. Il docu1nentario per Kieslowski non è solo un'esperienza attraverso la quale partecipare e criticare l'esistente, o acquisire il controllo del cinema, ma un esperimento di osservazione che è allo stesso tempo un esercizio di etica cinematografica ("Non recare mai danno alla persona filmata; non trasformare la sua vita, né in n1eglio né in peggio") e la manifestazione istintiva di sensibilità di sguardo e racconto che la finzione in quanto tale non può completamente appagare: "Penso che la vita sia più intelligente di n1e, crea situazioni più interessanti di quelle che sono capace di inventare da solo". Ecco, allora, l'incredibile protagonista di Dal punto di vista del guardiano notturno (Z punktu widzenia no cnego portiera, 1976), che esercita la sua funzione di poliziotto anche durante il tempo libero, cogliendo in flagrante pescatori abusivi e ragazzi che marinano la scuola. Kieslowski ritrae uno sconcertante esempio di fanatismo per la disciplina senza privarlo della sua naturale bonomia e senza pern1ettere alla macchina da presa di mancare di rispetto a nessuno, neanche a lui. Spesso Kieslowski mette a nudo aberranti consuetudini collettive o la mol-
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tiplicazione dogmatica dei meccanismi di censura del potere, senza scandalizzare o denunciare o mettere in ridicolo. In Urzad (L'ufficio), saggio di regia del 1966, con la 1nacchina da presa nascosta dietro lo sportello di un'agenzia di assicurazioni, assistiamo alle tradizionali assurdità d'apparato e burocrazia. In Zyciorys (Curriculu1n vitae), un attore, che in passato ha vissuto davvero un'esperienza simile, recita la parte di un attivista del partito sottoposto ad un processo di espulsione, e la Conunissione che l'esamina è una conunissione vera, i suoi n1e1nbri interpretano se stessi. Ma i risultati più significativi Kieslowski sen1bra raggiungerli quando applica le tecniche docu,nentarie ad analisi della realtà più an1biziose e inedite. Come in Zdjecie (La fotografia), nato da una idea straordinaria. Con in mano la fotografia cli due ban1bini, scattata a Varsavia il giorno della liberazione, Kieslowski si mette a caccia dei due, non si ferma di fronte ai mille ostacoli delle naturali peripezie che ca1nbi di do,nicilio, 1natrimoni, professioni, in1pongono alla vita di ciascuno: quando riesce a metterli di nuovo insien1e, la con1111ozione di tutti è sorprendente. Anche quella del regista. Il docun1entario, in questo senso, è anche un 1nodo di in1porre al cinen1a i ten1pi illimitati dell'osservazione e testin1onianza delle cose. In Szpita/
(L'ospedale, 1976), Kieslowski riprende una giornata intera di turno medico, impressionato dal racconto che gli fa qualcuno, di un 1nartello d'acciaio (usato per il trattamento chirurgico dei traumi ossei) che una volta si è rotto durante un intervento. La cosa riaccadde di nuovo, sotto i suoi occhi: "Avrei potuto trovam1i in un'altra stanza in quel mon1ento, avrei potuto decidere di iniziare le riprese qualche minuto più tardi, e invece è andata così". Il caso, nel cinen1a del regista di Destino cieco e Decalogo, è da sempre in agguato. Ma quanto il clocun1entario, con1e posizione di un osservatore che n1entre si avvicina alle cose se ne ritrae, come sguardo che si i,npone con il suo profondo desiderio cli conoscenza, pur controllando severan1entc il proprio potere, quanto tutto questo sia profondan1ente co1111aturato al suo cinen1a, lo dimostra il fatto che Kieslowski ha continuato a praticarlo anche dopo aver iniziato a dirigere lungo1netraggi di finzione. Attraverso di esso matura e perfeziona un progetto di realisn10 non convenzionale e generico 1na anche le sue ristrettezze, l'esplorazione incondizionata della persona il cui li,nite è proprio la porta d'accesso alla narrazione, l'itu1esto di situazioni di finzione a partire da un n1ondo oggettivo e i,runodificabile che costituirà spesso l:i base iniziale su cui porre le sue questioni 1netafisiche e 1norali.
I Saggi di regia alla scuola di Lodz I Tra1nwaj (Il tram). Sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski. Fotografia: Z. Kacz1narek . Assistente didattica: Wanda Jakubowska. lnte,preti: Jerzv Braszka, Maria Janiec. Produzione: Scuola Superiore di Cinema di Lodz. b/n. 1966. Un ragazzo corre per salire sul tram. E' notte. Il giovane è attratto da una ragazza, seduta sul tran1. Cerca di farla ridere. Arrivato alla sua fermata scende. Ma subito ci ripensa e insegue di nuovo il tram, come all'inizio. www.scribd.com/Cultura_in_Ita5
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Urzad (L'ufficio). Sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski. Fotografia: Lechoslaw Trzesowski. Produzione: Scuola Superiore di Cinema di Lodz. Durata: 6'. b/n. 1966. Una satira della burocrazia girata con la macchina da presa nascosta dietro lo sportello di un'agenzia di assicurazioni. Koncert Zyczen (Il concerto dei desideri). Sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski. Fotografia: Lechoslaw Trzesowski. llfontaggio: Janina Grosicka. Produzione: Scuola Superiore di Cinema di Lodz. Durata: 17'. b/n. 1967. Un ragazzo e una ragazza tornano a casa in 111010 dopo una gita. La tensione sale quando incontrano i partecipanti ad una gita aziendale.
Film documentari ZdjecJe (La fotografia). Fotografia: Marek Jozwiak. llfontaggio: Niusia Ciucka. Produzio-
ne: Televisione Polacca. b/n. 1968. ,Forse il filin cui sono più affezionato è La fotografia. Nel 1968 Kazirnierz Karabasz [professore alla scuola di Lodz, documentarista, ndr) 1ni fece vedere una vecchia foto: c'erano due bambini sui quattro ami.i vestiti povera1nente in un cortile di via Brzeska a Varsavia con delle carabine in rnano e dei berretti da soldato in testa. Il film racconta di come ci sian10 1nessi a cercare quei due fratelli divenuti ormai grandi. Li cogliemmo di sorpresa: conlincL-:tn1I110 a girare prinu che ci venissero ad aprire la porta. Gli mostrammo la foto: era la prin1a volta che la vedevano. Il filn1 ne registrò la commozione, il legame con quel passato con quel cortile". (Kieslowski, 1976). Z aniasta I.odzJ (Dalla città di Lodz). Fotografia: Janusz Kreczmarski, P. Kwiatkowski, Stanislaw Niedbalski. lllontaggio: Elzbieta Kurbowska, Lidia Zonn. Suono: Krystyna Pohorecka. Assistente didattico: Kasinlierz Karabasz. Produzione: WFD. Durata: 17'. b/n. 1969. Le operaie di una fabbrica di Lodz protestano contro il rninacciato scioglimento di un con1plesso di rnandolinisti. In contrappunto le in1I11agini della città. Hylc1n zolnJcrzcan (Sono stato un soldato). Sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski, Ryszard Zgorecki. Fotograji'a: Stanislaw Niedbalski. Produzione: Czolowka. Durata: 16'. b/n. 1970. lnte1viste ai reduci che ham10 perso la vista durante la seconda guerra mondiale. Fabryka (La fabbrica). Fotografia: Stanislaw Niedbalski, Jacek Tworek. ll1ontaggio: Maria Leszczynska. Suono.- MalgorzataJaworska. Produzione: WFD. Durata: 17'. b/n. 1970. Al lavoro nella fabbrica Ursus: gli operai e la riu1lione del consiglio direttivo. Girato nel 1969, il fi.hn fu proiettato solo nel 1971. ,La nlia voce era una tra le tante: sulla stampa erano usciti degli ai1icoli sicuramente più acuti e pungenti del nlio film. Certo nel 1969 sarebbe stato più g1:11TL1nte, avrebbe rivebto e posto al centro della discussione cose di cui non si parlava pubblicamente" (Kieslowski, 1976). Przcd rajdcau (Prima della corsa). Fotografia: Piotr Kwiatkowski. Montaggio: Lidia Zonn. Suono: MalgorzataJaworska. P1oduzione: WFD. Durata: 15'. b/n. 1971. Gli operai preparano la Fiat polacca che parteciperà al rally di Montecarlo del 1971. Rcfrcn (Ritornello). Fotografia: Witold Stok. 11-Jontaggio.- Maryla Czolnik. Suono: Malgorzata Jaworska, Michal Zarnecki. Durata: 10'. b/n. 1972 . La burocrazia in un'agenzia di pompe funebri. 1\-UcdzJ WroclawJc1n a ZJclona Gora (Tra Wroclaw e Zielona Gora). Fotografia: Jacek Petrycki. llfontaggio: Lidia Zonn. Suono: Andrzej Bohdanowicz. Produzione: WFD. Durawww.scribd.com/Cultura_in_Ita5
12 ta.- 10'. 1972. Filrn di corrnnissione sulla miniera di rame di Lubin. Podstawy IUIP w kopalnJ miedzi (Le norme di sicurezza e di igiene nella miniera di rame). I dati tecnici sono gli stessi del documenta1-io precedente. Durata: 21'. 1972. Robotnlcy '71: nlc o nas bez nas (Operai '71: nulla alle nostre spalle, sulla nostra pelle). Realizzazione.- Krzysztof Kieslowski, Tornasz Zygadlo, Wojciech Wisniewski, Pawel Kedzierski, Tadeusz Walendowski. Fotografia: Witold Stok, Stanislaw Mroziuk, Jacek Petrycki. Suono.- Jacek Szymanski, Halina Hojnacka. ftfontaggio.- Lidia Zonn, Maryla Czolnik, Joanna Dorozynska, Daniela Cieplinska. Produzione.- WFD. Du1-ata.- 16'. b/n. 1972. ,Un ritratto dello stato di coscienza della classe operaia dopo gli avvenimenti del dicembre 1970. La cosa più difficile per noi è stata convincere gli operai che volevamo da loro solo la verità" (Kieslowski, 1988). MurarL (Il muratore). Fotografia: Witold Stok. Montaggio: Lidia Zonn. Suono.- Malgorzata Jaworska. Ptoduzione.- WFD. Durata.· 17'. Colore. 1973, prima proiezione 1981. Ritratto di un attivista di partito che ha deciso di abbandonare l'incarico per fare il muratore. PrL.CSwictlcnie (La radiografia). Realizzazione.- Krzysztof Kieslowski, Jacek Petrycki, J. Tornaszewicz, Lidia Zonn, Michal Zarnecki. Durata: 12'. Colore. 1974. In sanatorio. I racconti dei n1alati di tubercolosi. Picrwsza 1nilosc (Il primo arnore). Fotografia.- Jacek Petrycki. Suono: Malgorzata Jaworska, Machal Zarnecki. Jl;fontaggio.- Lidia Zonn. Produzione.- Televisione Polacca. Durata: 30'. Colore 1974. ,Oggi non esiste più questo cinerna un po' voyeur che riesce ad afferrare d'improvviso un mornento straordinario della vita. Quando ho girato ll primo amore (un film su una coppia di ragazzi che avevano concepito un bambino senza volerlo e non riuscivano a cavarsela), ho aspettato quasi per un anno che il giovane si mettesse a piangere. La cosa è accaduta al mornento della nascila della bambina. Non sapevo come terminare il film: è stato lui a darmi la fine" (Kieslowski, 1988). ':yciorys (Curriculum vitae). Sceneggiatura.- Janusz Fastyn, Krzysztof Kieslowski da un soggetto di Maciej Malicki. Fotografia: Jacek Petrycki, Tadeusz Rusinek. A!ontaggio.- Lidia Zonn. Suono.- Spas Christow. P1vduzione· WFD. Durata.· 45'. b/n. 1975. Tra il documentario e la finzione. La riunione di una commissione del partito per esaminare il caso di un attivista espulso. ,Le distinzioni in generi o in metodi non hanno importanza. Tutto dipende dallo scopo che ci si dà, dalla n1ateria che si tocca. In Curriculum vitae in un certo senso qualcosa è stato rnesso in scena. Il protagonista si trova di fronte alla commissione di partito e riceve un testo che è la risultante di alcuni testi autentici. L'attore non ha avuto difficoltà a calarsi nella parte visto che lui stesso aveva vissuto una situazione simile" (Kieslowski, 1976). Szpital (L'ospedale). Fotografia.- Jaceck Petrycki, Malgorzata Moszczenska. ftfontaggio.Lidia Zonn. Suono: Michal Zamecki. P1YJduzione.- WFD. Durata: 21'. b/n. 1976. Il lavoro dei medici in un pronto soccorso. ,Sentivo il bisogno di fare un film sulla fratellanza, la cercavo dovunque, da una squadra di pallavolo a un convento di frati. Per vari motivi ho abbandonato diversi esempi concreti di questa idea generale e sono giunto alla conclusione che bisognava fare un film su un gruppo di persone che si unisce per portare aiuto a chi ne ha bisogno" (Kieslowski, 1985). Klaps (Ciak). Realizzazione: Krzysztof Kieslowski, Slawomir Idziak, Michal Zarnecki. Durata: 6'. Colore. 1976. Un montaggio di inquadrature scartate dal film Blizna (La cicatrice). Z punktu widzenla no cnego portiera (Dal punto di vista del guardiano notturno). www.scribd.com/Cultura_in_Ita5
13 Fotografia: Witold Stok. Montagg io: Lidia Zonn. /11usica: Wojciech Kilar. Suono: Wieslawa De111binska, Michal Za rnecki. Produz ion e: WFD. Durala: 17'. Colore. 1977. Ritratto di un guardiano notturno fanat ico della disciplina. -Questo film praticamente non è mai stato distribuito ... i tratta della realtà pura e semplice. La cosa più interessante d i que to per onaggio è proprio il fatto che sia reale. Credo che anche voi francesi abbiate un personaggio unile e che vi iate anzi spaventali pe rché ha o ttenuto parecchi voti alle elezioni. e si pen a che il guardiano potrebbe diventare presidente ... Anche noi, in Polonia abbiamo i guardiani". (Kie low ki, 1988) Nie wic1n (Non so). Fotog rnjìa: Jacek Pet.1ycki. /\,Jontaggio: Lidia Zonn. Suono: Michal Zarnecki. Pmduz ione: WFD. Durata: 16'. b/ n. 1977, prima proiezione 1981. Un ex di.rettore di fabb ri a racconta la ua vita e la sua lotta inutile contro la corruzione. Sicdc1n kobiet w ro7..ny1n wicku (Sette donne di età diver a). Fotografia: Witold tok. lllo ntnggio: Alina Sieminska , Lidi3 Zonn. Su ono: Michal Zarnecki. Produzione: WFD . Du ratn: 16' . b/ n . 1978. Una ballerina di danza classica per ogni giorno della settimana , dalla più giovane alla più anzi..-:ina. Dworzec (La stazio ne) . Fotog rnfia: Witold to k. Mon taggio: Lidia Zonn. Suono: Michal z ~uneck i. Produz ione: WFD. Durata: 13'. b/ n . 1980. Gente nell'atrio cli una tazion sotto l'occhio di una telecamera. Gadajacc glowy (Le te "Le parlanti). Fotogrn/ia: Ja ek Petrycki , P. Kwiatkowski. Jllontagg io: Alina Siemin ska. Suo no: l\ li b3 I ZJrn e ki. Produzione: \v'FD . Durata: 15'. b/ n . 1980. Tre domande a 79 pol3cchi di età d::ii s tte ai cent'anni: in che anno sei nato? che cosa fai? che o -a cles icl ridi più? Sicdcan dni w tygodniu (~ette g io rni de Ua etti.n13na). Fotografia: Jacek Petrycki. A1ontoggio: Dorata \v'ardeszkiewicz . 110 110: Mi h ai Zarnecki. 1\1usicn: brani di Chopin. Produz ion e: City Life, ~oucrdan1. Du rata: l '. Colo re. 1988. Uno degli pi.sodi di fil m su vari ciu:1 , City Life, rea lizzato d a diversi registi.
Da/la città di Lodz www.scribd.com/Cultura_in_Ita5
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Film a soggetto Przejscie podzie1n1ne (Il sottopassaggio) Sceneggiatura: Ireneusz Iredynski, Krzysztof Kieslowski - Fotografia: Slawornir Idziak Suono: Malgorzata Jaworska. Interpreti:Teresa Budzisz, Krzyzanowska, Andrzej Seweryna. Produzione: Televisione Polacca -Anno: 1973 - Durata: 30'. La trama In un sottopassagio, un uomo ed una donna, che sono stati insieme anni prima, si ritrovano. "L'uomo cerca di riavvicinarsi alla donna ma non ci riesce perché è un carrierista, mediocre e un po' cinico". Il tutto nel flusso della folla di ogni giorno.
Persone/ (Il personale) Sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski - Fotografia: Witold Stok - Scenografia: Tadeusz Kozarewicz - Costumi: Izabella Konarzewska - lllontaggio: Lidia Zonn. Interpreti: Juliusz Machulski (Romek), !rena Lorenowicz, Wlodzimierz Borunski, Michal Tarkowski, Tomasz Lengren, Andrzej Siedlecki, Tomasz Zygadlo, Janusz Skalski. Produzione: Televisione Polacca in collaborazione con Zespol Filmowy "TOR" - Anno: 1975 - Durata: 72'. La trama E' il primo lungometraggio di fiction. Ambientato in un teatro d'opera narra la vita degli uomini che lavorano dietro le quinte e in particolar modo di un giovane diciassettenne assunto nell'atelier dei costumi. Questi, quando gli viene chiesto di denunciare un compagno di lavoro, si trova improvvisamente a decidere se sfruttare quest'occasione per ascendere nella gerarchia sociale e del potere, o continuare a fare il sarto per sempre.
spokoj (La tranquillità) Sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski, dalla novella di Lech Borski. - Dialoghi: Jerzy Stuhr, Krzysztof Kieslowski - Fotografia: Jacek Petrycki - Scenografia: Rafal Waltenberger - lllusica: Piotr Figiel - l\Jontaggio: Maryla Szymanska - Suono: Wieslaw Jurgala. Interpreti: Jerzy Stuhr (Antek Gralak), Izabella Olszwska, Jerzy Treia, Michal Szulkiewicz, Danuta Ruksza. Produzione: Televisione Polacca - Anno: 1976 - Durata: 44'. La trama Un uomo esce di prigione dopo aver scontato una pena per un crimine qualunque. Il film racconta il suo tentativo, frustrato, di costruirsi una vita comune e tranquilla.
Blizna (La cicatrice) Sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski, da un soggetto di Romuald Karas - Fotografia: Slawornir Idziak - Scenografia: Andrzej Plocki - Musica: Stanislaw Radwan - Montaggio: Krystyna Gornicka - Suono: Michal Zarnecki. www.scribd.com/Cultura_in_Ita5
15 Jnte,preti: Franciszeck Pieczka (il direttore Bednarz), Mariusz Dmochowski, Jeny Stuhr (l'assistente di Bednarz), Jan Skotnicki (il direnore dei trasporti), Stanislaw Igar (il ministro). Produzione: Zespol Filmowy "TOR" - Anno:1976 - Durata: 104'. La trama E' la storia di un uomo alla testa di una fabbrica di prodotti chimici, grande e inquinante. E' sinceramente orgoglioso di dover dirigere quest'opera industriale e crede di portare la felicità alla gente del luogo, ma presto incomincia a rendersi conto che la sua idea di progresso è diversa da quella dei cittadini che abitano intorno alla fabbrica. I suoi tentativi di "stare con il popolo" si rivelano illusori e patetici. Pur essendo un uomo onesto ed umile rappresenta sempre il potere e il suo destino finale è l'isolamento.
Amator (II cineamatore) Sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski - Fotografia: Jaceck Petrycki - Scenografia: Rafal Waltenberger - Musica: Krzysztof Knittel - Jl;fontaggio: Halina Nawrocka - Suono: Michal Zamecki. Jnte,preti: Jerzy Stuhr (Filip Mosz), Malgorzata Zabkowska (Irka Mosz), Ewa Pokas (Anna Wlodarczyk), Stefan Czyzewski (il direttore), Jerzy Nowak (Osuch), Tadeusz Bradecki (Witek), Marek Litewka (Piotrek Krawczyk), Boguslaw Sobczuk (redattore della televisione), Krzysztof Zanussi (se stesso), Andrzej Jurga (se stesso). P,oduzione: Zespol Filmowy "TOR". - Anno:1979. - Durata: 112'. La trama Filip è un uomo comune che comincia a fare del cinema amatoriale filmando la propria famiglia. ui maturazione del suo occhio cinematografico finisce per porlo in conflino con la visione ordinaria delle cose, con la moglie e il capo del suo ufficio. A sue spese capisce che fare il cineasta significa accettare che la verità ha molti volti e che per filmarla non basta porre la cinepresa di fronte alla realtà quotidiana.
Dicono dei film Tre film, Il sottopassaggio (1973), Il pri,no a,nore (1974), Il personale (1975), testiJ:noniano le incertezze di questo spostamento dal documentario alla finzione. Nel pruno, un uomo ed una donna si ritrovano. Lei lavora in un negozietto di souvenir, in un sottopassaggio a Varsavia. L'uomo cerca senza successo di convincere la donna a tor-
nare a vivere con lui. "Secondo me non è un buon film" dice Kieslowski, che in questo iniziale tentativo di costruire la finzione (se non teniamo conto del saggio girato a Lodz, /I concerto dei desideri) è indeciso sulla strada da prendere: il cinema di finzione comporta rispetto al documentario un diverso tipo di messinscena? E quale? Sequenze nervose girate con la macchina a mano, con immagini lasciate correre come se si trattasse ancora di cogliere la fugacità del momento e del reale si alternano ad altre impostate con maggiore rigidità, montaggio per stacchi, campi e controcampi, riprese convenzionali con la macchina sul cavalletto. (. .. ) Con Il per-
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sanale Kieslowski torna sui suoi passi e riparte in una direzione più consueta e già indagata dal cinen1a: fa della finzione utilizz.ando "con1portamenti autentici, reazioni, oggetti, parole così vere da far scambiare il film per un documentario". Lavora al Teatro dell'Opera di Breslavia, con la gente del teatro, i cantanti, i sarti, cui aggiunge alcuni attori (studenti della scuola di cinema) per raccontare la storia di ~on1ek, giovane apprendista sarto che, nell'atmosfera polverosa del teatro ("Questo teatro è diventato un cadavere") vorrebbe portare una qualche novità e si trova invece a dover scegliere se trasformarsi in una pedina del gioco del piccolo potere denunciando i compagni di lavoro, o restare se stesso (e sarto) per il resto dei suoi giorni: l'ultiina inunn1agine lascia Rornek, con la penna in n1ano, davanti al foglio bianco. Siamo om1ai nel cinema di finzione. La suprernazia del racconto, le suggestioni n1etaforiche (il vecchio teatro, da buttare), le scene e i dialogll.i condotti su un canovaccio prestabilito prevalgono sugli aspetti documentaristici che ancora ci sono (la recitazione che miina il reale; la "casualità" delle riprese). La presenz.a delle tracce documentaristiche diminuisce ancora in La tranquillità (1976). Il modo di girare è quello di tanto nuovo cinema, con l'occhio della n1acchina che segue con scioltezza, in lungl1e iirunagini tenute, la costruzione del racconto. La scelta, per la parte del protagonista, di un attore
come Jerzy Stuhr (che ritorna in altri film, da La cicatrice e Il cineamatore fino al Decalogo 10) conferma l'avvenuto approdo al regime della finzione. Gralk esce di galera con un solo desiderio, ricominciare a lavorare come muratore e trovare un po' di pace. Non aspira ad altro, dice Kieslowski, "che ad un televisore, un letto, una moglie. E sarebbe già troppo. Sì, è così poco da essere troppo". Non ce la fa perchè non c'è nessun posto dove si possa stare tranquill~ fuori dalla trama dei ricatti e della corruzione. Una pausa con La cicatrice (1976), un film nlinore, a nostro giudizio ( ... ); il ritorno al documentario per L'ospedale, Dal punto di uista del guardiano notturno, Sette donne di età diuersa, quindi Kieslowsk.i cambia passo: li ciizea,natore (1979) è l'opera che lo impone all'attenzione della critica. Kieslowski fa .il punto di tutte le sue ricerche; senza cadere nell'autobiografismo e neppure nella trappola del film sul cinema, riprende e tematizz.a il propr io percorso cinen1atografico nella vicenda di un uon10 qualunque che riceve in regalo una cinepresa, comincia a girare filmetti fanliliari e piccoli documentari, scopre come il cinema trasformi il suo modo di percepire il mondo, affronta i problemi della moralità dell'arte. Grazie all'abuso del cinen1a di finzione, può ora approfondire gli interrogativi del cinema documentaristico". Bn1no Fornara (Ciizefontnz, n. 4, 1990)
Destino cieco (Przypadek, trad. lett. Il caso) Sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski - Fotografia: Krzysztof Pakulski - Scenografia: Rafal Waltenberger - Musica: Wojciech Kilar - Montaggio: Elzbieta Kurkowska - Suono: Michal l.arnecki. Jnte,preti: Boguslaw Linda (Witek), Tadeusz Lomnicki (Wemer), Boguslwa Pawelec (Czuszka), Zbigniew l.apasiewicz (Adam), Jacek Borkowski (Marek), Adam Ferency (il prete), Jacek Sas-Uchrynowski (Daniel), Marzena Trybala (Werka), !rena Burska (la zia), Zbigniew Hubner (il decano). www.scribd.com/Cultura_in_Ita5
17 Produzione: Zespol Filmowy "TOR" - Distribuzione: Film lnt. Co. - Anno: 1981 - Durata: 122'. La trama: li film ha un prologo in cui sono rappresentati la nascita, l'infanzia e l'inizio degli studi in Medicina di un ragazzo, Witek. In un momento cruciale per la sua vita, quando sta per abbandonare gli studi, uno scontro con un barbone in una stazione, un incidente infinitesimale, è il pretesto per immaginare, a seconda che il protagonista riesca 0 meno a prendere un treno, vite diverse. Nella prima ipotesi prenderà il treno, incontrerà un anziano comunista e diventerà un attivista del Partito; in un'altra tenterà di prenderlo all'ultimo momento e avrà una colluttazione con un ferroviere che lo porterà in prigione e mentre sconterà la pena, incontrerà un giovane dissidente che lo porterà a collaborare con l'opposizione; nell'ultima versione Witek perde il treno, si accorge di una compagna di studi che lo spingerà in seguito a riprenderli, diventerà un professionista stimato, non conformista, ma al di sopra delle parti. In tutte e tre le sue possibili vite, il caso sembra determinare il senso.
Dicono del film li caso è un fihn che precede di
dieci anni Decalogo e che nasce a ridosso dell'attualità politica e sociale polacca, ancora i1npregnato degli umori di quel cinen1a che in Polonia fu detto "dell'inquietudine morale": un cinema che in un difficile mon1ento storico del Paese puntò il proprio obiettivo, tra documentarisino e finzione, sullo stato della coscienza collettiva, regislrandone la disfunzione dei criteri foncla1nentali cli valutazione dell'uon10, dei suoi principi ideologici, della sua utilità sociale, della sua n1oralità. Proprio Il caso inoltre, nel percorso poetico di Kieslowski, sen1pre autonon10 ed originale rispetto alla corrente del "cinema dell'inquietudine morale" e tuttavia ad essa assitnilabile nel condividerne l'inquieta prospettiva esistenziale del vivere civile, rappresenta un film cerniera: perché lo sguardo cinen1atografico di Kieslow-
ski qui si approfondisce (ma già nel Cinea1natore era possibile cogliere segnali in questo senso), passando dalla descrizione della realtà esterna alla descrizione di quella interna. Della materia realistica infatti, con cui aveva realizzato i suoi film precedenti, dai documentari ai primi film a soggetto, Kieslowski scopre la fodera e, nell'intimo di questo risvolto, decide di piazzare la propria macchina da presa. E tuttavia l'interiorità, non come psicologia, ma come alterità proveniente da un sottosuolo metafisico, una sostanza parlante oltre la muta fenomenologia delle cose, era già presente nel cinema di Kieslowski, magari nascosta nelle cuciture di qualche montaggio. Si trattava appunto della percezione di una realtà significante, unitaria, al di sotto della divisa e diversa molteplicità dell'esistente. Ma è proprio con li caso che Kieslowski porta in primo piano la percezione di questo principio unitario, universale legalità, kantiana condizione di possibilità dell'esistenza, raccontando una storia al condizionale, dominata cioè dalle feroci leggi del caso ... Emanuela In1parato ( Cinefortttn, n. 314, 1992)
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Krotki dzien pracy (Una breve giornata di lavoro) Sceneggiatura.- Hanna Krall, Krzysztof Kieslowski, dal reportage di Hanna Krall Widok zokna na pienvszym pietrze (La vista dalla finestra del primo piano). - Fotografia: Krzysztof Pakulski - Musica: Jan Kanty Pawluskiewicz - Montaggio: Elzbieta Kurkowska - Suono: Michal Zamecki. Interpreti: Waclaw Ulewicz (primo segretario del comitato voivodale) Produzione: Televisione Polacca - Anno: 1981. La trama: Siamo nel 1981, durante una riunione di una cellula del partito comunista polacco. Alla televisione si parla degli avvenimenti di Radom del 1976 e un lungo flash-back mostra i metalmeccanici che scioperano, l'epilogo della manifestazione, il processo dei promotori dell'agitazione e, infine, la loro riabilitazione da parte di Solidamosc nel 1980.
Bezkonca (Senza fine) Sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesiewicz - Fotografia: Jacek Petrycki Scenografia: Allan Starski - Musica: Zbigniew Preisner - Montaggio: Elzbieta Kurkowsk. Suono: Michal Zarnecki. Interpreti: Grazyna Szapolowska (Ursula Zyro), Maria Pakulnis Qoanna), Aleksander Bardini (avv. Labrador), Jerzy Radziwilowicz (avv. Antoni Zyro), Arrur Barcis (Dariusz), Michal Bajor (praticante avvocato), Marek Kondrat (Tomek), Tadeusz Bradecki (ipnotizzatore), Daniel Webb (americano), e Krzysztof Krzemin'ski, Marzena Trybala, Adam Ferency, Jerzy Kamas, Jan Tesarz. Produzione: Zespol Filrnowy "TOR" - Distribuzione.- - Anno: 1984 - Durata: 107'. La trama: Il film intreccia due vicende parallele che fanno capo alla figura di un avvocato che muore all'inizio del film. Da una parte il cliente dell'avvocato, un operaio arrestato in seguito ad uno sciopero, che verrà poi rilasciato; dall'altra la moglie del defunto, che sente e vede come se fosse ancora vivo, ossessionata da strani indizi funebri e inquietanti che la spingeranno al suicidio.
Dicono del film Pur essendo probabilmente il film dell'ultimo Kieslowski meno conosciuto (non ha avuto distribuzione in Italia), è il vero inizio di quel cinema che troverà nel Decalogo la sua manifestazione di maggior successo. Film notturno, luttuoso, completamente impregnato di uno spleen cupo e di un'atmosfera d'inspiegabile superstizione, segna l'incontro, decisivo, con lo sce-
neggiatore e avvocato Piesiewicz con il quale il regista condivide - oltre alla desolata diagnosi sulla situazione del proprio paese - l'esasperata sensibilità per l'onnipotenza della fatalità e la silenziosa capacità di avvicinarsi ai personaggi quanto più la società, il destino, i loro limiti, li pongono in condizionidi radicale sofferenza. I due hanno modo di incontrarsi e conoscersi perché il regista voleva fare un documentario sui processi politici contro i membri dell'opposizione e Piesiewicz aveva lavorato molto, come avvocato difensore, in quei processi. A causa del colpo di Stato, non se ne fece nulla, ma si ritrovarono entrambi a lavorare alla sceneggiatura di Senza fine, che, pur
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19 essendo un film decisamente politico e fortemente radicato nella cronaca polacca in cui è ambientato (a differenz.a del Decalogo dove i riferimenti all'attualità sono volutamente assenti), fu accolto negativamente sia per i contenuti che per il linguaggio, anche se è uno dei film più amati da entrambi. Al punto che lo sceneggiatore ha fatto mettere nel proprio testamento che durante il suo funerale dovrà essere suonato un motivo della colonna sonora del film. Ma anche per Kieslowski si tratta di un mon1ento prezioso di crescita, se è con questo film che emerge una figura specifica del suo stile di racconto e costruzione delle imn1agini. "L'in1portante è sapere e sperare che qualcuno ha detto il regista - ci osserva e ci sta vicino anche se apparentemente". Que-
sta filosofia "angelica", tut'altro che wendersiana, trova in Bez konca, nell'avvocato che riappare dopo la morte, la sua prima vera formulazione narrativa; ma basti pensare all'importanza nel Decalogo del personaggio che compare in ciascun episodio senza dire praticamente una battuta pur registrando tutto nel suo sguardo, o a La doppia vita di Veronica, in cui la protagonista francese subisce la presenza del suo alter ego polacco, avvertendone improvvisamente la scomparsa, per capire che si tratta di qualcosa che accompagna dal profondo il suo cinema più maturo. Questo sguardo invisibile e metafisico, oggetto di una fede contraddittoria del suo cine1na, trova per la prima volta in questo film, il luogo della sua apparizione. (m.s.)
Krotki .fihn o zabijaniu (Breve film sull'uccidere) Sceneggiatu,-a: Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesiewicz - Fotografia: Slawomir Idziak Scenografia: Halina Dobrowolska - Musica: Zbigniew Preisner - Montaggio: Ewa Srnal Suono: MaJgorzata Jaworska. Interpreti: Miroslaw Baka Qacek), Krzysztof Globisz (Piotr), Jan Tesarz (il tassista), Zbigniew Zapasiewicz (il capo della commissione), Barbara Dziekan-Vajda 0a cassiera), Aleksander Bednarz (il boia), Jerzy Zass (il direttore del carcere), Zdzislaw Tobiasz (il giudice), Artur Barcis (il giovane operaio), KrystynaJanda (Dorata), Olgierd Lukaszewicz (Andrzei). Produzione: Zespol Filmowy "TOR" e Televisione Polacca - Anno:1987 - Durata: 85'. La trama: Jacek, un giovane adolescente che viene dalla campagna, uccide senza apparente motivazione e con spietata crudeltà un tassista (che vive nell'abitato dove si svolgono tutti gli episodi del Decalogo). La sua storia è narrata parallelamente a quella dell'esame di abilitazione di un giovane avvocato al quale toccherà difenderlo in tribunale tentando, senza esito, di evitare la pena di morte. Passerà insieme a lui gli ultimi istanti di vita del ragazzo e assisterà all'esecuzione scoprendo che il ragazzo è tormentato dalla colpa per la morte della sorellina.
Dicono del film La violenta sorpresa che provoca il film di Kieslowski non proviene solo
dall'argomento che tratta (scottante in Polonia, dove la pena di morte è ancora in vigore, e da noi, dove non è ancora abbastanza remota), ma anche dall'universo che fa da sfondo a questa sordida storia. Breve fibn sull'uccitiere ci lascia in preda all'agitazione cupa di un deserto ai proporzioni sconfinate. Il giovane con la faccia da
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delinquente si aggira per le vie di una città da incubo dove un tassista inizia la sua giornata di lavoro e un giovane avvocato supera con successo l'esame finale che gli consentirà di esercitare la professione. Tra questi anonitni personaggi del quotidiano, che non sanno nulla l'uno dell'altro, non ha senso né si prefigura alcun possibile legame. Con una padronanza del dettaglio libera e disorientante, il film accumula, nella prima parte, una serie di motivi realistici inaspettati (il giovane assiste all'aggressione di uno sconosciuto e passa oltre, al bar sputa di soppiatto nella tazza) che neutralizzano la logica dell'azione, creando un n1alessere brutale, un disturbo di sottofondo da cui si sviluppa una strana violenza (. .. ) Breue fil,n sull'uccidere rivela un gelido naturalismo ontologico che pone sullo stesso piano il "decor" e il rnistero dei corpi e della crudeltà gratuita che sembra possederli (presente in parti uguali nel giovane e nel tassista, cosa che li rende entrambi n1olto antipatici). L'inusuale fotografia del film contribuisce non poco a questo clima opprimente: la gamma di colori sgradevoli - tonalità molto sporche di giallo, marrone, verde e nero - crea un risultato inquietante, a volte disperante, di cui forse solo Eraserbead di Lynch può dare un'idea. Dai contorni scuri e informi dell'inquadratura alle posizioni spesso da capogiro della macchina da presa, la sofisticazione visiva non sconfina mai nell'itnmagine fo~n1alista. Kieslowski riesce ad allontanare lo spettro del manierismo che a priori sembrava incon1bere molto da vicino: l'uso sisten1atico di filtri non passa certo inosservato (. .. ) per lasciare spazio a un soffocante, glauco naturalismo. Per questo, viene
spesso spontaneo pensare al documentario. Il film, non foss'altro che per l'inquadratura limitata che impedisce una messa in scena strutturata ben inquadrata - dello spazio, gioca infatti dall'inizio alla fine con la visione precaria del documentario. Tuttavia, riducendo al massimo i richiami della finzione, Kieslowski si aspetta da noi uno sguardo ben al di là del docun1ento obiettivo, in cui né avremmo, come qui, la tentazione di cercare le tracce della finzione, né quella di interrogarci sul perché della loro assenza(. .. ) Lontano dalla n1orale e dalla casistica, Breve fil,n sull'uccidere è il fihn della miseria un1ana. Lo spettatore è obbligato a sostenere l'in1n1agine dell'uon10 con1e macchina per uccidere e organismo di putrefazione(. .. ) Kieslowski ha filmato la storia di questo delitto senza volerci rassicurare per n1ezzo della repulsione che ci ispirano i personaggi. Questi, alla fine del film, lasciano in noi il ricordo di un'innocenza incapace di esprimersi. Il fango su cui crescono questi due destini ci restituisce l'immagine di un n1ondo in cui la forza di un uomo significa la morte di un altro; e anche della società polacca, dove la morte è rappresentazione legale del potere. Non è n1olto facile (anzi, in certi momenti è rnolto difficile) fare lo spettatore di Breve fihn sull'uccidere. Ma il disagio che provoca è la migliore dimostrazione della riuscita stupefacente di questo ftln1 che ci guarda e ci invita a scegliere il punto di vista che non ci ha mostrato e a dare un nome a questo crimine. Un nome che il film, con grande onestà, non ha voluto dettare allo spettatore. Frédéric Strauss (Cabiers du Ciné'1ia, n. 413, 1988, trad. di Minnie Ferrara)
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Non desiderare la donna d'altri (Krotki film o milosci, /rad. /ett. Breve film sul'amore) Sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesiewicz - Fotografia: Witold Adamek Scenografia: Halina Dobrowolska - Musica: Zbigniew Preisner - Montaggio: Ewa Smal Suono: Nikodem Wolk. Jnte,preti: Grazyna Szapolowska (Magda), Olaf Lubaszenko (Tomek), Stefania Iwinska (la padrona), Artur Barcis (il giovane), Stanislaw Gawlik (il portalettere), Piotr Machalika (Roman), Rafal Imbro (l'uomo barbuto), Jan Piechocinski (l'uomo biondo), Malgorzata Rozniatowska (la direttrice dell'ufficio postale). Produzione: Zespol Filmowy "TOR" e Televisione Polacca. - Distribuzione: Chance Anno: 1988. - Durata: 87'. Ln trama: Il giovane To1nek spia dalla sua finestra con un cannocchiale la bella e disinvolta Magda, di cui è segretamente innamorato senza avere il coraggio di corteggiarla. Dopo averlo scoperto, la donna l'incontra e finisce con l'umiliarlo. Tomek tenta il suicidio. Accorgendosi di provare un interesse per lui, Magda inizia a cercarlo. Forse non è ancora troppo tardi.
Dicono del film Di tutti i fil1n realizzati da Kieslowski sinora Non desiderare la donHa d'altri è il n1eno sorprendente. Il giovane To1nek, in1piegato all'ufficio postale e subaffittuario di una signora n1aterna e possessiva, spia la sua dirin1pettaia, Magda, giovane donna che riceve n1olti uon1ini. Questo risveglia naturalmente nello spettatore numerose n1e1norie cinen1atografiche a conlinciare dalla Fi11estra sul cortile di Hitchcock, passando per Michael Powell (L'occbio cbe uccide), Brian De Palina, e il recente A1onsieur Hire di Patrice Leconte. Ma !Vo11 desiderare la donna d'altri non funziona solo sul riferin1ento cinefilo, né tanto n1eno sulla citazione. La cinepresa del regista opera sen1pre sul vivo. L'attività di To1nek è n1ostrata per quello che è: la soddisfazione pura e se1nplice di un piacere solitario non giustificato da alcun alibi,
professione o immobilità forzata. Fa parte di un rituale e non degenera né nella frenesia della suspence né in qualche slittamento della perversione verso il delitto, poiché Kieslowski si concede il tempo di mettere in scena 1ni.nuziosamente dispositivo e personaggi, rendendo il primo terzo del filn1 discretamente faticoso. Ma questo difetto è dovuto al fatto che è il voyeur ad essere oggetto dello sguardo del cineasta, non ciò che lui desidera, visto che lo spettacolo si ferma sempre al linlite della soddisfazione (la nudità e il compimento dell'atto sessuale). l'vlentre il voyeur mantiene generalmente la distanza che lo separa dall'oggetto del suo desiderio, Tomek ha intrapreso un processo di avvicinan1ento timido e maldestro per abolire questa distanza: provoca Magda per telefono, la fa venire all'ufficio postale in cui lavora per consegnarle dei presunti vaglia. Ha anche sostituito il binocolo con una lente senza dubbio più "potente", in ogni caso esplicitamente fallica. Quando infrange una vetrata opaca per procurarsi questo nuovo strumento, questa è filmata dall'interno come uno schermo in cui si sta per
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pene trare. To n1e k no n è più il sostituto d ello spettatore ch e solo la minacciosa concre tizzazione de i suo i fantasmi obbligava ad abbandon are la sua po izio n e privilegiata: n o n sm e tte di e se re il pro tagonista della sua finzio ne. E' lui stesso ch e, de luso d al fallimento d e i suoi tentativi disord inati e incon clude nti p e r attira re l'atten zione di Magda , l'abborda direttame nte e Je svela il su o segre to, provoca ndo un to tale ro vescian1ento di prospettive . Quello ch e in Hitch cock e ra pa ura (impen a bile e n o n rapprese nta bile), la fan1osa "q uarta pa re te ", è al contrario desiderata dall'e roe di Kieslowski. Non soltanto ciascuno dive nta voyeur
a turno , Tomek, Magda, poi la p adron a di casa , ma il voyeur no n chiede altro c h e di dive nta re o gge tto del voyeurismo altrui (. ..) Niente ci impedisce di vedere in questa p a ra bo la , o ltre il rea lism o d e lla sua storia, un discorso indire tto sulla situaz io ne p olacca , stre tta tra un comunismo d esta bilizza to e un neointegralismo re ligioso, fra i quali il cineasta , n e i s u o i fihn co m e n e lle s u e dichia razio ni, si rifiuta di sceglie re , lasciand o allo spe tt atore iJ co mpito di traccia re il pro prio camn1ino al di là de lla dispe razio ne e de llo sche rn o ... Joel J\ lagny (Cabiers du Ciné,na, n . 424, 1989)
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De ca lo go (Dek alog)
INTRODUZIONE L'ispirazione del Decalogo, come ha più volte racco ntato lo scene ggiato re Piesiewicz, nasce nel 1983, duran te una visita al Muse o Nazio nale di Varsavia. Lo scrittore, avvoc ato, scene ggiato re, riman e colpit o da un'illu strazi one gotica delle tavole dei coma ndam enti, dipint a su legno , in cui _è- evide nte con1e quel mond o li i.J1m1aginasse e interp retass e alla luce di costum i, problemi, valori, tipici di quell' età. Da lì l'idea di rappr esenta re le prescr izioni , ,na ancor più i n1ultifonni aspett i dell'e sperie nza uman a che i coma ndamenti impeg nano, oggi, in una serie di fihn. Insien1e a Kieslowski il proge tto diven ta quello di dieci film, prodo tti dalla televi sione, da affidare ciascu no ad un giova ne regista divers o. E da ciascu no di essi ricava re una versio ne lunga , per il cinem a (cosa che in realtà verrà fatta solo per il 5 e il 6, la cui versio ne cinem atogra fica sarà appro ntata prima dell'in tero Decalogo e che saran no distrib uiti nel nostro paese , come altrov e, prima dell'in tera opera ). In realtà , tra il proce dere della scene ggiatu ra e inevitabili intopp i, i film non saran no iniziati a girare prima del 1987 (l'idea della regia collet tiva è stata già prece dente mente abban donat a). Il lavoro prend erà poco più di un anno e richie derà un'orc hestra zione produ ttiva impon ente, oltre ad uno straor dinari o lavoro di monta ggio da parte del regista, che in movio la rimodella gli intrecci, crea divers e versioni, sperim enta all'infinito le possib ilità narrat ive (si confr ontino gli episo di del Decalogo con la loro scene ggiatu ra pubbl icata da Einau di nel 1991). Il Decalogo non è pront o prima dell'in izio del 1989, alla Mostra di Venez ia dell'a nno succe ssivo è l'even to unani men1ente acclam ato. Viene distrib uito, succe ssivam ente, anche in Italia e negli U.S.A. Al di là della inocc ultabi le perso nalità di uno stile e uno spess ore di cinen1a che porta no la critica a tirare i.J1 ballo nomi che vanno da Bergm an a Hitch cock, è diffusa la convi nzion e che si tratti di un'op era che, sia produttiv a,nen te che estetic an1en te (per la sua fusion e di forma to televi sivo e i.J1vestin1ento espre ssivo cinem atogra fico), abbia pochi prece denti, come Fann y e Alexa nder di Bergm an o Heim at di Reitz o Ber/in Ale.xanderplatz di Fassbi.nder.
Produ zione: Telev isione Polac ca - Distribuzione: Mikad o - Anno : 1988-89
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Decalogo 1 (Io sono il s ignore tuo. Non avra i a ltro Dio a l/'hzfuon· d i nie) Sceneggia tu ra: Krzyszto f Kieslo ws ki , Kr zyszt o f Pies iewicz - Fotografia: Wies l aw Zdo rt - Sce nografi a : H a lina Dob rowols k a J\l!usica: Zbigniew Pre isn e r - /vfo1lt a gg i o: E w a S n1 a l - S u o 1zo: 1\1a 1-
gorzata Jaworska. Interpreti: Henryk Baranowski (KrzysztoO, Wo jciech Klata (Pawel), Maja Ko1norowska (Jre n a) , Artur Ba rcis (L'uo mo con la g iacca di mo nto ne), Ma ria G ladkowska (la ragazza) Ewa Ka nia (Ewa Jezie rsk a) , Ale ksan d ra Kisie lewska (la donna). Dura ta: 53'
TRM1A Un p rofessore di linguistica, che crede pro fo n dan1ente nella scie nza e n ell 'affidabilità dei co1n p uter, progra n101a insie me a Pawel, il figl io , an c he la vita q uotid iana. Q uan do il ragazzo vuole andare a p attina re, il p adre calcola al tern1ina le la stima dello sp essore d el g hiaccio. Sen za riuscire a evita re c he p e r una fatalità il figlio n1uo ia tragicame nte.
Decalogo 1: Henryk Baranowsky, Wojciech Klata www.scribd.com/Cultura_in_Ita5
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Decalogo2 (No n n o ,n inare il n o 1ne di Dio in vano) Sceneggiatura: Krzyszto f K.jeslowski, Krzysztof Piesie wicz - Fotog rajì'a: Edwa rd Kl o in k i - Sce 1l og raji'a: Ha lina Do b rowo lska - 1\111.sica: Zbignie w Pre is ne r - 1\/on togg io: Ewa Smal - S1101to: M~1Igorzata Jaworska.
Interpreti: Krystyna Janda (Dorota), Ale k ~a nd e r Bardini ( H primario) , O lg ie rd Luka zewicz (Andrzej), Artur 13arcis (il giovane), tan i bw Gawlik ( il po tino), Krzysztof Ku1nor ( il gin ecologo), Macie j zary ( il guardiano), Kry tyna BigeJma je r (Ja egretaria), K~u ol DiUenju un malato). Dura ta: 57'.
TRA1\1A Doro ta si accorge d i aspettare un b~1n1bino dJI suo am ante me ntre il m arito lo tta
in ospedale tra la v it~ e la n101t e. Chiede al n1edico che lo c ura una prevision e preci a d e lle sue po ibilità di sopravvivenza: se il n1arito do vesse n1orire , d eciderà cli tene re il ba n1bino , altrime nti vorre bbe a bortire. Il dottore prima sfugge al ques ito p o i le confessa di rite ne re il n1a rito q uas i ic ura me nte spaccia to. L'uo n10 invece riesce a superare la crisi. E Do ro ta ha già deciso di tene re il bambino.
Decalogo 2: Krystyna Janda www.scribd.com/Cultura_in_Ita5
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·necalogo3 (Ricorda ti di santificare le feste) Sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesiewicz - Fotografia: Piotr Sobocinski - Scenografia: Halina I)obrowolska - A1usica: Zbigniew Preisner - Montaggio: Ewa Smal - Suono: Nikcxlen1 Wolk. Interpreti: Daniel Olbrychski (Ja-
nusz), Maria Pakulnis (Ewa), Joanna Szczepkowska (la moglie di Janusz), Artur Barcis (conduttore del tram), Krystyna Drochocka Oa zia), Krzysztof Kumor (il medico), Dorata Stalinska (la donna), Zygmunt Fok ( un uomo anziano), Jacek Kalucki (il poliziotto). Durata: 56'.
TRAMA La sera della vigilia di Natale , Janusz ritrova Ewa, di cui un tempo era innan1ora-
to. L'uomo, ora sposato, si lascia coinvolgere nella ricerca del marito di lei, misteriosamente scomparso, fino a scoprire che si trattava di un trucco della donna per non trascorrere la vigilia in solitudine.
Decalogo3 www.scribd.com/Cultura_in_Ita5
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Decalogo 4 (Onora il padre e la 1nadre) Scenegg ia h 1,ra: Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesiewicz - Fotografia: Krzysztof Pakulski - Scenografia: Halina Do browolska - Musica: Zbig niew Preis n e r - Montaggio: Ewa Smal - Suo,zo.- Malgorzata Jaworska. hzlerp reti: Adrianna Biedrzyn sk a
(Anka), Janusz Gajos (Michal), Artur Barcis (il giovane) , Adam Hanuszkiewicz ( il professore), Jan Te arz (il tass ista), Andrzej Blume nfe ld (amico di Michal) , Tomasz Kozlowicz (Ja re k), Elzbie ta Kilarska (madre di Jarek), Hele na Norowicz (dottoressa). Durata: 55'.
TRAJ\1A Anka, allieva in un corso d i recitazio ne , dice a suo padre di aver trovato una lettera ind irizzatale daU3 n1adre morta di parto in cui si nega la sua paten1-ità. Alla fine scopria1no che la rag~1zza non ha n1ai aperto la lettera, intuendone o ten1endo ne il contenuto. Insie me, padre e figlia decidono di bn1ciarla.
Decalogo 4: Adrianna Biedrzynska, Janusz Gajos www.scribd.com/Cultura_in_Ita5
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Decalogo5 (Non uccidere) i vedano i d a ti di Krotki fil,n o zab{ianiu (Breve film sull'uccide re) di c ui Decalogo 5 è la versio ne tele visiva. In q uesta version e mancano alcune battute di una voce fu o ri ca n1po
all ' iniz io del film , il p e rson agg io della compagna dell'avvocato , de ttagli più crudi de lla scena de ll '01nicidio e dell 'in1piccagio ne , b scen a de ll ' inco ntro fo rtuit o d i j ace k e dell 'a vvoca to ne l ba r, di c ui e ra no entrambi igna ri. Durata: 57'.
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Decalogo 6 (Non co1111net1e re atti ilnpuri)
Si vedano i dati di Krotkifil,n o ,nilosci (Breve fibn suli'a n1ore, Non desiderare la d onna d a ltn) di cui Deca1
logo 6 è la versione televi iva. Il finale , di cui Kie lo w ki no n e ra oddisfatto, è stato ca1nbiato nella versione lunga. Durata: 58'.
Decalogo 6· Grazyna Szapolowska, Olaf Lubaszenko www.scribd.com/Cultura_in_Ita5
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Decalogo 7 (Non rubare) Sceneggiatu ra: Krzysztof Kieslow ki , Krzysztof Piesiewicz Fotografia: Dariusz Kuc - Scenog rafia : Ha lina D o browolska Musica: Zbigniew Preisn er - Mon taggio: Ewa Srna l - Suono: Nikodem Wo lk.
Interpreti: Anna Polony (Ewa), Maja BareJkowska (Ma jka), WJ ad isJa w Kowalski (Stefan), Boguslaw Linda (Wojtek), Bozena Dykiel ( bigliettaia ), Katarzyna Piwowarczyk (Ania), Stefarua Blonsk a (guarda robiera), Dariusz Jablonski (ragazzo), Jan Mayzel (Grzgorz). Durata: 55'.
TRAMA
Majka , che è stata ragazza n1adre a sedici anni, rapisce la figlia che Ja madre ha cresciuto e fatto ritenere figlia propria per evitare lo scandalo. Ma prima che riesca a p artire per il Canada, la madre - complice anche l'antico compagno - la raggiunge vanificando il proposito.
lE *1 t l
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Decalogo 8 (Non dire falsa testùnonianz a) Scenegg,iatura: Krzysztof IGeslowski, Krzysztof Piesiewicz - Fotografia: Andrzej Jarosiewcz - Sce nografia: Halina Do bro w o ls ka - A1usica: Zbig nie w Pre i ner - Afo ntagg io: Ew a mal Suono: Wieslawa Den1binska.
Inte rpre ti: Ma ria Kosc ialko w sk a (Zofi a) , Te resa Marczewska ( Elzbie ta) , Artur Ba rc is ( il g iova n e ), Tade usz Lo rnrucki ( il sa rto), Marian Op ania ( il decano), Bronislaw PawJik ( un uo mo), Wo jc iech Asinski (uno tudente). Durata: 55'.
TRAMA Un ' ame rican a di o rig ine po lacca incontra a Varsa via la docente di filosofia mora le di cui traduce in inglese le o pere. Interve nendo ad una sua le zio n e , l'americana racconta la storia di una catto lica che durante la guerra, p er evitare di dire il falso, non vo lle far pa sa re per cattolica una piccola e brea ( un esp ed ie nte utiJe p er sa lvarl a). La docente e ra que lla donna e la bambina, JX>i sopravvissuta, è o ra la traduttrice.
Decalogo 8: Teresa Marczewska, Maria Koscialkowska www.scribd.com/Cultura_in_Ita5
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Decalogo9 (Non desidera re la d o1z1ta d 'altri) Sce1Zeggiatura: Krzysztof Kieslowki, Krzysztof Piesiewicz - Fotografia: Piotr Sobocinski - Sce n ografia: Ha lina Do bro wolska - J\1usica: Zbigniew Preisn er - J\1ontagg io: Ewa Sn1al - Suon o: Nikodem Wo lk .
Jnt erpreli: Ewa Bl aszczy k ( H a nk a) , Pi o tr ~1 ac h a li ca ( Ro m a n ) , Artur Ba r c is ( il g io van e) , J a n J anko w ski ( Ma riu sz), Jo bnta Pietek , Goreck a (Ola), Kata rzyna Piw o warczyk ( An ia), J e r zy Tre l a (Miko la j). Durata: 58'.
TRA1VtA Ron1an diventato irnpote nte pe r una n1:1 bttia , sospe tta che la n1oglie :1bbi:1 un amante. Ha un chia rimento con la n1oglie, n1a pe r una serie di coir1ciden ze, è spinto al su icidio , credendo che la do nna e il suo an1ante siano di nuovo insieme in montagna. La m oglie, rendendosene conto, si precipita a casa scopre ndo che l'uomo si è salvato.
Decalogo 9: Piotr Machalica www.scribd.com/Cultura_in_Ita5
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Decalogo 10 (Non desiderare /,a roba d'altri) Sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesiewicz - Fotografia: J ace k Blawut - Scenografia: I fatina Dobrowolska - A1usica: Zbigniew Pre isn e r - A1ontaggio: Ewa Sn1aJ - Suono: Nikoclen1 Wolk.
Interpreti: Jerzy Stuhr (Jerzy), Zbigniew Zamachowski (Artur), Henryk Bista ( il p adrone del negozio), Olaf Lubaszenko (Tomek), Maciej Stuhr ( Pio trck), Jerzy Turck (l 'esperto), Ann a Gornostaj ( un 'infe rmiera), Henryk Majcherek ( il presidente). Durata: 57'.
TRAJ\1A Due fratelli han.no ered itato dal pad re una preziosissin1a collezione di francoholli . Co1npletandola con un ese n1plare n1o lto raro del 1800 potrebbero venderb a ll 'este ro pe r un a fortuna. Uno d e l due pe r p o te r acq uis ire il p ezzo, è '--ost.rctto a cede re un re ne . ~1ent.re è in ospedale la raccolta viene rubata . I due fratelli sospe tta no l'uno de ll 'altro ma alla fine scopro no che molto probabilmente sono stati oggetto di una truffa eseguita con destrezza .
.. Decalogo 10: Anna Goruostai www.scribd.com/Cultura_in_Ita5
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Ho proposto l,idea del Decalogo Interviste con Krzysztof Piesiewicz, co-autore del Decalogo
Co,ne è arrivato al cinema? Come è cominciata la collaborazione con Kieslowski? Come è cominciata la collaborazione con Kieslowski è più semplice da dire; invece la mia strada verso il cinema è complicata e bisognerebbe raccontare tutta la vita. Quando facevo il liceo, per un certo periodo, ho passato ogni giorno molte ore al cinema: amavo moltissimo quelle immagini in movimento. Amavo Chaplin, Fellini, tutto il cinema che si è occupato della condizione e del destino dell'uomo. Sono molto legato al cinema italiano, legato sia dal punto di vista emotivo che formale. E' per questo che oggi mi pesano molto i cambiamenti, la caduta del cinema. Non mi va che lo si tratti come un chewing-gum, uno strumento per far soldi e basta. Ci sono naturalmente eccezioni a questa regola. Kieslowski, ad esempio, ha sempre lottato fin dall'inizio contro tutto questo. Ho conosciuto Kieslowski all'inizio del 1982, nei primi mesi dello stato di emergenza. Allora Kieslowski cercava di girare un documentario. Era già noto come documentarista, aveva già vinto premi ai festival, aveva già diretto Atnator, Il cineamatore, nel 1979. Io ero avvocato con alle spalle dieci anni di pratica. Ero ;avvocato difensore, mi occupavo solo di difesa. Sono stato difensore in alcuni grandi processi contro membri del!' opposizione. In quel periodo stavo scrivendo un
libro e una famosa scrittrice polacca, Hanna Krall, mi dava dei consigli. E' stata lei a mettere in contatto Kieslowski con me. Kieslowski voleva discutere con me del documentario che avrebbe dovuto girare sui processi politici. Io ero difensore in quei processi; difendevo intellettuali, operai, tipografi clandestini, organizzatori dei sindacati liberi. Cercammo di trovare un modo per girare quel docu1nentario. Ma Kieslowski finì per lasciar perdere: credeva che non avrebbe avuto la possibilità di filmare quello che voleva. Pensava che gli sarebbe stato impossibile fare un film vero. Erano tempi molto difficili. Abbiamo cominciato a parlare di cosa avremmo potuto fare invece di quel film. Non c'erano sorrisi in giro, solo la milizia. La situazione economica e morale era sempre più disastrosa. Ci siamo accorti di pensarla in modo simile: non eravamo d'accordo con quello che stava succedendo in Polonia; ci sentivamo molto lontani dal modo di pensare che vigeva allora. E abbiamo cercato di fare un film politico: a volte, quello che sembra molto na•if, molto infantile, si rivela invece profetico. Kieslowski mi ha chiesto di lavorare alla sceneggiatura ed è nato Senza fine. Penso, e credo che anche Kieslowski sia d'accordo, che Senza fine sia la cosa più importante che abbiamo fatto finora. Anche se dopo abbiamo fatto dodici film insieme ... In Polonia, Senza fine è stato attaccato da tutti,
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35 sia dal punto di vista politico che artistico. I critici ufficiali hanno scritto che Senza fine minacciava le basi del nostro sistema. Invece le persone che facevano lavoro clandestino, alle quali ero molto legato, dicevano che non era un film riuscito perché non c'erano elementi propagandistici. Ogni movimento populista vorrebbe avere altoparlanti giganteschi. C'è un regista che in Polonia riesce a fare questo: è Andrzej Wajda. Ma K.ieslowski appartiene a tutt'altro mondo. Co,ne lavora con Kiesloivski? Co,ne vengono scritte le sceneggiature? Fare l'avvocato e creare dei soggetti, delle storie, sono lavori simili e al ternpo stesso rnolto diversi. Entran1bi sono lavori creativi. Quando costruisco un discorso, devo riuscire ad arrivare ad una sintesi precisa dello stato clei fatti e tirare delle conclusioni. Invece, scrivendo una sceneggiatura, elevo costruire dei fatti, una finzione e non posso tirare delle conclusioni. E' proibito. In questo lavoro Krzysztof Kieslowski è un collaboratore fantastico. Riesce a tradurre subito le idee in inm1agini, riesce a farlo in modo del tutto sincero, senza forzature. Un esen1pio su come lui 1ni controlla? lo dico: "La donna entra e sta male•; e lui: ..co,ne sta male? Cosa fa per farci capire che sta male? Ha aperto la finestra? Si è asciugata la fronte col fazzoletto?•. Si collabora benissiino con Kieslowski; le sue sceneggiature poi non sono come quelle tipiche an1ericane; hanno un carattere più spiccatamente letterario. Di solito, io arrivo con qualche idea; di solito, lui le scarta; io insisto e insien1e le rielaboriamo. Ogni film che abbiamo fatto ha in sé più elementi di base presi o dalla vita o dalla mia pratica. Prima viene sempre un'idea, quello che vogliamo dire. Quando,
nel 1983, ho proposto a Kieslowski l'idea del Decalogo, sapevo che in quel momento bisognava fare un film sui valori di fondo, elementari, perché il mio paese andava in una direzione sbagliata. Bisognava sopravvivere. Lei segue anche le riprese, il lavoro con gli attori, il montaggio? Vado sul set solo nei momenti chiave. Invece seguo sempre tutto il montaggio. Ogni tre giorni, Kieslowski mi mostra una nuova versione. E' un momento appassionante. Ci sono due momenti appassionanti in questo lavoro: quando nasce l'idea, ancora prima della sceneggiatura, quando senti che 'sì, è questa la cosa'; e poi il n1ontaggio. Kieslowski riesce a fare dei n1iracoli con la pellicola. Le scene finali le mette all'inizio, poi le sposta di nuovo. Per esempio, nel Decalogo 6, nel Breve filtn sull'amore, gli attori erano così così, Kieslowski è riuscito, al montaggio, a farli diventare bravissm11. a cura di Bruno Fornara ( Cinefonun, n. 4, 1990)
L'idea della legge si collega stretta1nente all'idea di Dio. Dovrò dire ancora qualcosa su di me. All'università, intorno al 1970, trascorsi un periodo di rigetto verso tutto quello che era cattolico. Lessi allora le Nonne niorali di Maria Ossowska e da quel momento ho sempre sottomano quel libro, consulto quello invece che il commento al Diritto Penale. Allora, da giovane inquieto, avevo provato un grande anelito di assoluto, il bisogno di un punto di riferimento, di un orientamento affidabile. Così Krzysztof ed io vediamo il Decalogo. A lezione di religione fui educato al senso del peccato e della colpa. Mentre nel film abbian10 voluto legge-
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36 re nei "dieci con1andamenti" non soltanto un siste1na di proibizioni, n1a delle proposte forn1ulate da Dio all'indirizzo dell'uo1no. Ti è offerta la possibilità, ma la scelta dipende da te. Sei libero. Se ti atterrai a questo non sarà bene soltanto per te (in fondo se pecchi è affar tuo), ma anche per gli altri. Se ci fai caso, in ciascun episodio c'è un mon1ento in cui si delinea una soluzione per il rispettivo problema che appariva insolubile. L'intero Decalogo è per certi versi una provocazione, specie se visto nel contesto polacco. E' una polen1ica contro una detern1inata concezione della legge e della Divinità. ( ... ) E si può andare oltre. Chiedersi quale sia la nostra religiosità, il nostro rapporto con Dio ed i valori derivanti dalla Bibbia. Quanta puerilità e Kitsch nella nostra religiosità! Nell'osservare tutto questo ho concluso che per cambiare qualche cosa in questo paese è necessario un ritorno ai valori elementari. Occorrono delle soluzioni non solo su scala "macro", n1a anche "1nicro", nei rapporti interpersonali. In Polonia sono rare le occasioni di parlarne. Siamo risucchiati dalla grande politica, dalla visione d'ogi1i cosa nella dimensione suprema storico-nazionale. Su questo piano possono affem1arsi gli artisti della politica, hanno presa gli slogan populistici. Non si parla di muri diritti, marciapiedi decenti, scarpe ben confezionate, n1a di cause sul cui altare sia possibile sacrificare un'altra generazione ancora ... Se n1i domanda perché in pieno stato di guerra ho proposto a Krzysztof di girare il Decalogo, le rispondo: non lo so. Ma allo stesso tempo so che quella era l'esigenza del momento.(. .. ) Nelle chiese polacche al primo posto viene messa la l\1adonna. Cristo viene
dopo. E Dio Padre allora? L'occhio della Provvidenza vigile su di noi si nota poco. C'è prima di tutto la Madre che ci dona la Sua Protezione. Sappiamo quanto grandiose ed illustri siano le tradizioni di questo tipo di religiosità polacca e quanti n1agi1ifici frutti abbia dato. Ma tutto sommato non presuppone un atteggiamento infantile? Forse nella nostra cultura conta troppo poco il rapporto diretto con Dio, con il valore da Lui incan1ato. Il protagonista di Decalogo 1 si rivolta, eppure crede perché cerca, dubita, si dispera ... Visto che ci sian10 spinti così lontano le dirò che per 1ne Cristo è qualcosa cli più che un tenon1eno religioso in1plicante la fede. E' una co1nponente indispensabile dell'esistenza, un punto di riferin1ento. La "vittin1a sacrificale" dello splendido libro di Girarci è proprio Cristo, venuto a risc-.1ttarci. Dopo di Lui i capri espiatori non hanno più senso. E invece il rituale si perpetua: tribunali, dittatori, imbonitori... No11 posso fare a ,nena di citare q11i un passo dei Diari di Gon1browicz, u11 ateo cbe pure scrive: "Cristo ci porgerà la ,nano (. ..) La dottrilza cbe affossò lo stato ro111a110 ci è alleata quando ci ballia,no per de1110/ire tutti gli edifici troppo so11tuosi (. . .) per arrivare alla nudità, alla se,nplicità, al/'ordi11aria, ele,nentare virtù". Le ho parlato delle nlie ispirazioni per Decalogo, la ricerca dell'assoluto, Ossowska, lo stato cli guerra. Ma c'è stato anche un altro spunto. Era il 1982 e non sapendo cosa fare presi a vagare per i n1usei. Nel Museo Nazionale di Varsavia n1i ritrovai nella galleria d'arte dei secoli XIII-XVI che norn1almente si evitava. Proprio vicino all'entrata c'è una grande tavola gotica dipinta su legi10 e raffigurante il Decalogo. Il primo con1anclamento è raffigurato così: dei contadini inginocchia-
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37 nel campo, il diavo lo che fa ca polino la una parte e lo ro in adorazio ne di loli p aga ni. Pe r il socio logo è un vero 1gg io sui costun1i . Tutti i con1anda 1enti son o illustrati con delle scen e
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d 'epoca. Abbian10 voluto fare qualcosa di simile ri petto all'oggi. a c ura cli Tade usz Sobolewsky ( Kieslow ki , Torino , 1989, traci. di Pao lo Gesumunno)
Decalogo 3: Daniel Olbrychsky, Maria Pakulnis www.scribd.com/Cultura_in_Ita5
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''Non credo in Dio ma ho un rapporto con lui'' Brani di intervista con Krzysztof Kieslowski Co,ne siete arrivati lei e il suo sceneggiatore Piesiewicz all'idea de/Decalogo? Tutto è nato da un singolo film, quello che oggi è il quinto episodio del ciclo e che allora si intitolava Krotki film o zabijaniu (Breve film sull'uccidere). Da lì Piesiewicz ha avuto l'idea di un ciclo che comprendesse dieci episodi legati ciascuno a uno dei comandamenti. Vi siete rifatti alle leggi fonda1nentali della religione ebraico-cristiana. Il fatto di "1nettere in scena" i dieci co1nandamenti non vi ha intitnidito? Non credo che i comandamenti siano la legge fonda mentale della religione ebraico-cristiana. Per me sono solo dieci frasi, ben scritte, che cercano di regolare i rapporti fra la gente. Sono norme semplici ed elementari. E sono interessanti perché nessuna ideologia le ha mai messe in discussione. Quel che mi affascina, dei comandamenti, è che tutti siamo d'accordo sul fatto che sono giusti, ma al tempo stesso tutti li violiamo, tutti i giorni. Mi interessano perché consentono di indagare sulla doppiezza dell'uomo. Che poi siano norme religiose è secondario. Secondo me sono norme morali. Ma al tempo stesso anche fisiche, psichiche, spirituali. Sì, forse regolano anche il nostro rapporto con Dio. Io non credo in Dio, ma anche non credendo ho comunque un rapporto con lui. Certo, per chi crede è tutto molto semplice. Nel primo episodio un padre - scienziato - perde in un incidente un figlio
- bravissimo in 1natematica - e né la scienza, né la religione possono dare risposte al suo dolore. Infatti il film finisce con l'uomo che si reca in chiesa e distrngge l'altare ... Nessuno dà risposte. Nulla può spiegare la morte di un bambino. Siamo convinti che la scienza possa spiegare tutto, ma alla fine c'è sempre il mistero. Che non è metafisico, non è niente, esiste e basta. Nei miei film lascio sempre un margine di inspiegabile, perché risposte non ne ho. Se le avessi mi occuperei d'altro. In generale il "messaggio" dei dieci film, se esiste, è di cercare Dio in altre cose che vadano oltre Dio. Da sempre si dice che K ieslowski è un regista freddo". Che osseroa i suoi personaggi co,ne un entomologo. In questo senso una scena chiave del Decalogo potrebbe essere quella del secondo episodio, in cui un uomo ,na/ato di cancro osseroa una vespa che tenta di uscire dal biccbiere di té in cui è caduta. E' un'interpretazione. Per me quella è una vespa in un bicchiere e stop. Cerca disperatamente di uscirne e ce la fa. Questo conta, nient'altro. In generale io sono un tipo freddo, tutti i miei film nascono sotto vetro: non ho mai distribuito emozioni e non ho nessun motivo per cominciare ora. Però il Decalogo nasce da un equilibrio fra osservazione e affetto per i personaggi. Vorrei aggiungere solo una cosa: quella vespa è ancora viva. Abbiamo girato la scena con grande attenzione, perché non
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39 annegasse, e ce l'abbiamo fatta. Per fortuna aveva una gran voglia di vivere. Esiste una struttura ricorrente nei dieci film? Molti si concludono con un colpo di scena, una rivelazione. E almeno due, il terzo e il quarto, hanno protagonisti che fingono, che recitano una parte. Quello della finzione è un tema importante. Tutto sta nell'osservare le persone. Osservarle significa tentare di capire i loro comportamenti e capirle significa già perdonarle. La gente finge non perché è cattiva. Finge per paura (come la donna del terzo episodio che non vuole stare sola la notte di Natale) o per amore (come la figlia del quarto, che è innamorata del padre). Il proble1na è se riconosciamo queste finzioni in n1odo generoso, senza fare distinzioni fra Bene e Male. l dieci episodi si svolgono tutti in un unico palazzo della periferia di Va~a1,ia. U,z palazzo 1nolto dignitoso, apparta,nenti grandi e ben arredati. Un livello di vita cbe 11oi italiani definiremmo •piccolo borghese". Perché avete scelto un atnbiente sociale di questo tipo? E' il quartiere di Stawki, a Varsavia. Un quartiere anonimo, meno terribile di tanti altri. Volevo avere la possibilità di inquadrare queste case alte, con molte finestre, come per dire che dietro ogni finestra c'è una storia e noi ne raccontiamo dieci, alcune delle quali si incrociano fra loro. Se avessi voluto raccontar€ storie di ambiente proletario avrei dovuto mostrare cose noiose: le code, la roba che manca nei negozi, la folla negli autobus, i buchi nelle strade, i giornali usati al posto della carta igienica. Cose che nessuno vuole sapere, né vedere. I problemi non sono mai solo pratici o politici. La politica di per sé non risolve nulla. Da noi è riuscita solo a trasformare la società in 37 milioni di
individualisti. E' così, che ci piaccia o no. Io ho voluto mostrare che i problemi veri sono sempre dentro di noi. Ciò che conta non è il comportarsi bene o male, ma il non sapere cosa fare, perché tutti i criteri di giudizio vengono meno e ogni scelta che compiamo ogni giorno è dettata dal male minore. Così abbiamo contrapposto ai comandamenti, così semplici e univoci, le situazioni confuse, opprimenti di cui è costituita la nostra vita. a cura di Alberto Crespi (L'Unità, 1989)
E' il desiderio di penetrare nella testa e nell'interiorità dei suoi personaggi che la spinge a costruire storie così claustrofobiche? Mi interessano le facce e i corpi dei miei personaggi. Invecchiando, mi piace avvicinarmi all'uomo; la macchina da presa mi segue in questo avvicinamento ossessivo e, talvolta, crudele. Guardandoli meglio, mi accorgo del dolore e della disperazione di questi personaggi. Credo che sia un atteggiamento realistico nei confronti del mondo, ma che viene considerato da tutti semplice pessimismo. L'omicidio, il sesso, il furto, l'inganno sono temi caldi e densi, che lei mette in scena con uno stilefreddo e distaccato ... Mi incuriosiscono molto le emozioni. Nella stesura del copione e nel lavoro sul set con gli attori, cerco di far esplodere le emozioni e più sono forti le emozioni, più mi sento coinvolto. Ma quando ho suscitato e provocato queste emozioni mi preoccupo solo di osservarle e di scrutarle con freddezza, senza lasciarmi trascinare. Il mio stile, il mio modo di raccontare dipendono dal mio carattere, dal mio temperamento. a cura di Enrico Magrelli (L'Europeo, 1991)
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L,avvocato e le
tavole della legge di Franco Bernini Uno sceneggiatore italiano parla dello sceneggiatore polacco
Breve fi!,n sttll'aniore, (distribuito in Italia anche col titolo Non desiderare la donna d'altri e, in versione breve, come Decalogo 6) parte da uno spunto narrativo sostanzialmente simile a quello di La finestra sul cortile: un uomo spia dalla finestra la vita del suo caseggiato. Le analogie però si fermano qui. Breve fil,n sull'aniore non è un ren1ake involontario del film precedente, e neppure è conta1ninato da quella n1alattia pericolosa che va sotto il nome di "cinen1a che cita altro cinema". E' tutt'altro. Lo è non soltanto perché la persona spiata dal protagonista è più interessante (una bella donna invece di un assassino) ma perché è diverso lo sguardo dei narratori. Hitchcock, di formazione cattolica, è attratto dal male proprio in quanto tale, in quanto violazione di una regola, di una dottrina, di un comandamento. Piesiewicz e Kieslowski, nonostante lavorino in Polonia, hanno invece, come ha dichiarato a nome di tutti e due il regista, "un punto di vista non religioso, non cristiano, laico piuttosto", e sono affascinati non dalla regola che viene infranta, ma da quella che si costruisce come, appunto, la storia d'amore che nasce in Breve fil,n sull'a,nore. Interessa poco, nel Decalogo, che l'assassino venga punito, cosa obbligatoria in Hitchcock e in quasi tutto il cinema americano (si può contemplare il male, e raccontarlo, ma a patto
che venga sconfitto nell'inevitabile happy end). Quando un omicida è giustiziato - e penso al quinto episodio -, la sua morte non è catarsi, non segna il trionfo del bene, il ritorno al rispetto della regola o del comandamento, ma è semplicemente un evento nel gioco del caso e della vita sociale, una faccenda tra uomini, come lo è stato il delitto che l'assassino ha commesso. E' proprio l'attenzione alla vita degli uomini il centro narrativo del Decalogo. Il mezzo per farlo sono stati i Dieci Comandan1enti proprio perché ( è una dichiarazione di Piesiewicz) "consentono di indagare sulla doppiezza dell'uon10. Che poi siano norme religiose è secondario. Secondo 1ne sono norme n1orali". Riflettere sulla persona un1ana, cercare il come e il dove la morale si forma: su questa strada Piesiewicz si è inoltrato in un momento particolarmente difficile, mentre il suo paese era in stato d'assedio. Ha scritto le storie del Decalogo continuando ad esercitare la sua attività di avvocato in difesa dell'opposizione polacca. A1 di là dell'altissima qualità di quasi tuttte le sue sceneggiature, c'è già in questo suo comportamento una lezione grandissima: bisogna fare invece di lamentarsi. Bisogna scrivere invece di lamentarsi. Piesiewicz e Kieslowski hanno dimostrato che si può fare cinema anche con pochi mezzi, pochi personaggi, pochi ambienti e avendo come produttore la televisione. Anche in condizioni simili se c'è qualcosa da dire, se c'è la capacità e la voglia di indagare sulla "doppiezza dell'uomo" (cosa che soltanto dei veri narratori possono permettersi), si riescono ugualmente a realizzare film memorabili.
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Il Decalogo, la sua voce di Carlo Di Carlo Parla il direttore del doppiaggio lo credo che il cine1na di Krzysztof Kieslowski sia una meteora che ha attraversato il cinema d'oggi. Una voce pacata, discreta, sommessa, come quella dei grandi, dei saggi, ma anche capace di can1bia1nenti d'umore improvvisi, o di rapidi capovolgi1nenti. Da uno a cinque al 1nassin10, i protagonisti di ogni fil1n del Decalogo. Attorno, un piccolo coro di gente con1une che interrornpe trasversal1nente la storia anche per un attin10. Per una considerazione, per porre una don1anda, per suscitare un dubbio. Oppure una in1magine folgorante, un dettaglio ingrandito, per fermare l'attenzione dello spettattore. E così, uno dopo l'altro, incontriamo, nel percorso di Kieslowski, i topoi della tradizione e della conservazione, dell'abitudine e della consuetudine, dei riti e delle formalità. Dunque: il bene e il 1nale, la giustizia e l'ingiustizia, il cedere e il dubitare, la violenza e la debolezza, il vero e il falso, il possesso e la gelosia .... Davanti a un microcosmo che osserva con1e un ento1nologo, l'occhio critico e laico, il regard di Kieslowski è impietoso, duro e perfino spietato, severamente lucido e razionale. Lo stile scarno ed essenziale. Krzysztof Kieslowski raggiunge quèsto risultato anche attraverso la recitazione dei "suoi" attori - perfetti nei loro ruoli e nelle loro apparizioni, dal protagonista alla comparsa -, i prota-
gonisti che talvolta ricompaiono come comparse, perché ognuno, in un certo senso, è specchio dell'altro. Per Kieslowski la recitazione è data dai livelli di voce. Un lavoro dall'interno, per sottrazione: far lavorare l'attore sul diaframma, abbassargli il livello della voce, darle il timbro giusto, ottenendo come risultato un effetto mirabile di Entfre,ndung, di straniamento. Così la recitazione, nel suo cinema, acquista una caratteristica e un'originalità assolute per chi sa leggere anche tra le pieghe più riposte della sua drammaturgia. E' stato sicuramente il problema più difficile, ma anche più affascinante, che ho incontrato nel "tradurre" Kieslowski senza tradirlo, anche se Heimat di Reitz, di cui ho curato l'edizione italiana, rappresentò per me, in questa direzione, un'esperienza esaustiva. Credo che il problema principale del doppiaggio sia di riuscire a restituire la voce degli attori di un film - parte essenziale del contesto drammaturgico - secondo la concezione di regia e di recitazione che l'autore ha voluto ed è riuscito a esprimere. Occorre, in sostanza, rifuggire sempre di più da quelle voci pulite e forbite, ricche di intonazioni e cadenze sempre uguali, che negli anni hanno contribuito a formare la lingua convenzionale del doppiaggio, il "doppiaggese", frutto anch'esso di quell'inarrestabile processo di omologazione linguistica che la televisione ha accelerato in modo impressionante.
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Dicono del film In Decalogo di Krysztof Kieslowski, i Comandamenti non sembrano essere più che un pretesto per dei secchi, sofisticati e ambigui racconti di tipo esistenzialistico. Infatti i Comandamenti, come ogni precettistica, sono il contrario esatto della scelta esistenzialistica. Di fronte all'incertezza dell'esistenza, l'esistenzialista non può non scegliere in maniera ambigua e particolare, cioé in una sola parola, libera. Ora cosa ha inteso fare K.ieslowski nel suo Decaloga Anche la risposta a questa legittima domanda non può essere che ambigua. Secondo noi, ha voluto fare ambedue le cose: mostrare da una parte che gli eventi dell'esistenza si sottraggono ai Comandamenti; e al tempo stesso suggerire che potrebbero "anche" rientrarvi. Nel primo caso si ricava spesso l'impressione di un gioco sconsolatamente sarcastico; nel secondo una malinconica constatazione del "nulla di nuovo sotto il sole", come a dire che tutto è stato già detto e fatto e che non c'è che da accettare la vita senza scegliere perché la scelta non porta comunque alla libertà. Alberto Moravia (L'Espresso, I 990) Tra le molte cose sorprendenti di Dekalog c'è un paradosso. Nei" dieci brevi film non c'è traccia di colpa individuale né di giudizio morale: ecco il paradosso. Krzysztof Kieslowski e Krzysztof Piesiewicz (coautore del soggetto e della sceneggiatura) non usano delle
norme etiche fondamentali ebraico-cristiane come di altrettanti affiliati strumenti di condanna o di assoluzione. D'altra parte, neppure li riducono a un vademecum per una fredda e misera fenomenologia dei comportamenti. Di ognuno, invece, fanno un punto di vista sul mondo. Meglio: da "osservatori" quasi-metafisici degli uomini, in ogni comandamento scoprono un nodo della quotidiana fatica di vivere. Qui sta la loro coraggiosa laicità; non nella contrapposizione alla fede (o alle fedi) che hanno il decalogo come centro morale, ma nell'apertura senza condizioni alla stupefacente complessità dell'esistere. Così, attorno a un comandamentonodo, i loro personaggi mostrano spesso un'umana, troppo umana fragilità, ma talvolta anche un'umana, molto umana grandezza. Sempre, però, Kieslowski e Piesiewicz partecipano alla loro fatica, la soffrono essi stessi mentre la raccontano. Che sia questo il segreto della stupefacente fluidità narrativa di Dekalog, della sua inesauribile ricchezza di storie? Roberto Escobar (Il Sole 24 Ore, 1990) Noi possiamo dire che, nei dieci film, si esprime un cristianesimo aperto, problematico, non codificato, antidevozionale, accessibile per sprazzi a qualunque uomo, di qualsiasi estrazione e (non) fede, un cristianesimo calettato sui problemi dell'individuo. I.a tesi sottesa sarebbe la seguente: sono frottole le strutture cosiddette sociali e le ambizioni sedicenti culturali, illusioni le varie appartenenze di status; l'uomo si ritrova fatalmente a confrontarsi con la morte, la solitudine, il mistero, il non conoscere l'essenziale che gli servirebbe, non il destino, non la propria natura stessa. Allora, in questa crepa fonda-
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43 mentale che percorre da cima a fondo l'esistenza di ciascuno e l'intera esperienza storica, si situa qualcosa che potrebbe essere Dio, oppure l'aspirazione al divino, o forse l'illusione di esso, comunque il suo bisogno. Chi l'avverte e chi no: i primi sanno anche se tacciono, i secondi ignorano anche se parlano. Se questa è la specialità del retroterra culturale (e magari, come abbiamo visto, anliculturale) di Kieslowski filosofo, esiste poi un'altra specificità del cineasta Kieslowski come uomo d'espressione. Intanto, le nozioni che abbiamo annotato lui non le dice, ma le lascia indovinare. Lo fa mostrando i guasti creati dalla loro carenza, le brevi illuminazioni lasciate dalla loro epifania. L'autore illustra i peccati nella forma moderna, che è quella dell'assenza. Assenza di senso, inautenticità, "cultura" che non porge appoggio, anzi, esistenza incancrenita. Che fa di grave la gente per trasgredire i dieci comandamenti? Niente e insieme tutto. Il peggio sta nel credere di sapere quanto non si conosce. E più di un esempio rinvia alla scienza co1ne arbitra di tutto il conoscibile, che poi resta invece inconoscibile. E come le comunica, Kieslowski, queste nozioni? Con immagini terse e povere, che mirano solo alla trasparenza e cercano di non aggiungere niente. Lo stile appare soltanto rigoroso, come in un superdocumentario sulla sofferenza dello sviamento. La macchina da presa deve testimoniare sulla condizione umana, e basta. Quindi molti primi piani, anche lentissimi, per scrutare l'evoluzione dei volti, la loro illuminazione, la loro cecità. La società: ecco un laboratorio che Kieslowski sembrerebbe mettere sotto l'obiettivo, con piglio neutro, se poi il gioco non venisse rovesciato dalle incognite dell'ansia, del dolore,
che rinviano a un costante altrove. Sergio Frosali (La Nazione, 1990) .. .Insieme a Krysztof Piesiewicz (che ha scritto con lui la sceneggiatura), Kieslowski costruisce un teorema morale tutto percorso da strazianti tensioni e violente passioni. L'occhio della macchina cine-televisiva indugia sui muri delle case e i volti degli attori. Il primo piano diventa uno dei modi di rappresentare il grido dell'anima (o della mente, questo è l'enigma). Non ci sono tavole che possono riassumere il senso della vita. Forse nessuno salì mai sul Sinai e in ogni caso non sentì voci celesti. Se Dio c'è (ipotesi alquanto improbabile) è soltanto un testimone, silenzioso, indifferente o almeno impotente, l'arbitrio non è affatto libero. Ma l'unico diritto (condanna?) che resta all'uomo è pur sempre la scelta. Claudio Carabba (L'Europeo, 1990) ... Da Venezia qualcuno scrisse che Kieslowski riesce a fondere la problematica di Bergrnan con la tensione di Hitchcock. Si tenga conto che i venticinque personaggi principali di Dekalog abitano tutti nel quartiere di Stowki, a Varsavia: grandi caseggiati di medio lusso. Dietro ogni finestra, si potrebbe dire, c'è una storia di ambiente borghese. (Kieslowski: "Non volevamo affliggere gli spettatori con le nostre sofferenze nazionali".) Il grande spiazzo che sta tra le case è un po' il contenitore delle dieci storie. Le finestre - e in più generale le superfici - hanno una grande importanza in Dekalog.... Morando Morandini (Il Giorno, 1990) Kieslowski è un laico in un paese
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44 popolato per la n1aggior parte da credenti piuttosto fanatici. Quindi isolato. i"vta ciò non lo esime dal trattare la n1etafisica. Non è un puro positivista, inson1ma. Ecco perché i suoi film abbondano di segnali 1nisleriosi che spesso sono avvertiti solo dagli spettatori, non dai protagonisti della vicenda, creando così una tensione di tipo hitchcockiano. Lo potremmo definire un Hitchcock metafisico ... Callisto Cosulich (Avveninwnti, 1990) Krzysztof Kieslowski, agnostico in vigile attesa tanto verso l'ideologia co1nunista quanto verso la professione cattolica o la ntilitanza di Solidarnosc, non ha voluto fare col suo Decalogo un aggiornato co1npulo sugli interrogativi, le istanze radicali della travagliata condizione urnana conte1nporanea, quanto piuttosto fornire una casistica tutta laica, razionale della fatica di vivere d'oggi. "Ciò che assolutamente non desidero - precisa ancora Kieslowski - è
Dice l'attrice Parla la protagonista di Non desiderare la donna d'altri
•lo e Kieslowski non parliamo quasi mai e quando lavoriamo siamo sempre in lite: dopo il priino lavoro non ci eravamo più sentiti, poi lui mi ha chiamato a pochi giorni dall'inizio delle riprese e mi ha detto: "Purtroppo solo tu puoi interpretare questa parte, quindi vieni e cominciamo a lavorare". Ho deciso di accettare l'invito perché lo considero molto
che il Decalogo diventi una collezione di sentenze, una raccolta di precetti". Pericolo questo ampiamente scongiurato da ogni singolo film del magistrale autore polacco. Si tratta, credeteci, di cinema-cinema: Semplice, puro e duro come una lama. Indiinenticabile. Sauro Borrelli (L'Unità, 1990) .. . Kieslowski ha uno sguardo rawicinato, usa spesso i priini piani, chiude i suoi pochi personaggi in spazi ridotti, sceglie interpreti eccellenti. Non condanna né assolve: guarda. Una donna che piange can11ninando per la strada, un giovane biondo che contempla il fuoco e che forse è Dio, la notte d'un bambino sveglio nel suo letto, le luci d'inverno, i gesti di risveglio mattutino d'un vecchio che vive solo, una ragazza che fuma guardando senza vedere dalla finestra, gli occhi fondi d'un malato: ciascuna delle sue in1Inagini dense e assolute, iinplacabili ed emozionanti, diventa nello stesso tempo l'espressio-
intelligente, capace di instaurare sul set un'atmosfera che prescinde assolutamente dalle gerarchie•. In Non desiderare la donna d'altri la Szapolowska è Magda, una donna libera e indipendente che un giorno scopre di essere spiata da un adolescente tiinido e iinpacciato. Magda è anche una donna molto bella, ma Kieslowski sembra aver fatto di tutto per offuscare il suo fascino, forse troppo preso dalla rappresentazione moralistica e misogina della vicenda. "E' un suo problema con le donne: è convinto che quelle belle non abbiano un'aniina". (La Stampa, 1990)
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45 ne, la spiegazione e la narrazione dei nostri senlimenli. Lielta Tornabuoni (Panora,na, 1990) ... Quando abbiamo chiesto a Piesiewicz se l'inferno dell'etica, l'esercitazione dialettica così laboriosa e analitica del Decalogo 8 (in cui del resto si cita per esteso l'intreccio del 2), che si tiene in un'aula accademica, non somigliasse un po' alla costn1zione della sceneggiatura degli episodi di tutto il Decalogo (un nucleo ipotetico di partenza in cui la drammaticità si sviluppa per successivi in1pedirnenti e fatalità), l'urtico (probabilmente) sceneggiatore e avvocato a tempo pieno del cinerna ci ha risposto che c'era del vero. Tutt'altro che semplice è ad esempio l'architettura interna che, sebbene articolata per tenui tracce, salda agli occhi dello spettatore l'intero condorninio co,ne un cosmo narrativo perfettan1ente solidale dove tutti si conoscono o si ignorano ma tutti sanno (pur facendo finta del contrario) di far parte della medesin1a finzione: nel 5 con1paiono i protagorlisti del 2, nel 4 il tassista che verrà ucciso nel 5 e il chirurgo del 2, nell'8 un personaggio del 10, il defunto, che in quest'ultimo non si vede ,nai, e rnolti altri i1npliciti rin1andi potrebbero essere elencati. Il più forte indice di collegan1ento e architettura è senza dubbio la presen1.a in 8 episodi su 10 di uno stesso personaggio (interpretato dall'attore Artur Barcis) che è sernpre sulla scena cruciale dell'episodio senza mai proferire parola (tranne che nella versione lunga del 5, se non vado errato). Non compare solo nel 10 e nel 7. In quest'ultimo lo stesso regista ha detto di averlo dovuto escludere permé il registro comico (è l'urlico episodio dichiaratan1ente eccentrico rispetto agli altri) sembra naturaln1ente escluder-
lo. Questo personaggio non interferisce mai nell'azione pur sembrandone perfettamente a conoscenza al punto da presagirne le conseguenze. E' l'Unico che goda del potere di lunghi sguardi in macchina, di inquietanti silenzi a commento della narrazione: è una specie di coro che invece di giudicare, o rappresentare il pubblico in scena, certifica con la propria presenza l'inesorabilità del fato e l'in1potenza e l'abissale moralità della vulnerabilità di ciascun personaggio. E' lo sguardo dell'autore trasformatd in corpo? Solo per certi aspetti. E' lo sguardo di Kieslowski nella sua naturale inclinazione a farsi da parte pur vivendo la scena, sono suoi quei segni quasi impercettibili di sconcerto, perplessità, catatonica testimonianza dell'interrotta e sorda proliferazione del n1ale. "Tutti vogliamo il bene ma nessuno riesce a farlo", ha detto il regista. E' una spiegazione possibile della sensazione che comurlica quello sguardo. Ma non è tutto lo sguardo di Kieslowski. Per comprendere il metabolismo interno è altrettanto utile prendere in considerazione i momenti minori che quelli più alti. li 3, il 7 e in parte 1'8, sono a mio avviso inferiori agli altri. Perché? L'intrecccio del 3, e dell'8 sono in realtà tipici della tangenzialità e ingegnosità con la quale Piesiewicz e Kieslowski hanno tratto delle storie dai dieci con1andamenti, eppure il richiamo in essi non si accende, l'invocazione non si leva. Rimangono storie esernplari di una attualità e dello sguardo di un autore attento e giudice. Ciò che avrebbe potuto essere tutto il Decalogo, l'illustrazione di un n1ondo attraverso un'angolazione allo stesso tempo profondamente legwbile e radicata (i precetti mosaici) quanto sollevata rispetto all'attualità. Una commedia, una satira, un dramma. Ma il Decalogo è ancora qualcos'altro.
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46 Questi episcxli poco riusciti sono utilissimi per capire cosa il Decalogo è in più. Non una rivoluzione di linguaggio della finzione tv (co1ne ad esempio Ber/in Alexanderplatz), ma uno slittamento inspiegabile, inaudito, nella consapevolezza di tale sguardo e nel gioco di posizione che si assegna. Kieslowski non crede di più allo stile e al cinema di quanto creda al cattolicesimo o al con1unis1no. Non crede forse neanthe, come Piesiewicz, che qualcuno possa w1 giorno guardare il suo Decalogo e capire il suo mondo come successe a lui guardando un'illustrazione gotica delle tavole della legge. Crede solo alla giustezza ed etica dell'istinto che lo fa allontanare dalla scena proprio mentre avvicina al massimo lo spettatore al personaggio, l'ansia del primo ai primi piani del secondo. In questi triangoli, Kieslowski, è unplacabile. Quanto più trascu1a il pubblico dentro gli episodi, tanto più se1nbra occultarsi lentamente alle spalle del personaggio e dello spettatore pur mantenendone ferreamente le redini. Forse perché è l'unico mcxlo che conosce per adeguare il massimo della circonferenza del rigore a quella pietà. Kieslowski non ama il momento delle riprese e del set. Crede nella sceneggiatura come un regista qualunque, parla degli attori con1e Truffaut ed è affascinato dalle infinite possibilità del montaggio come Welles. Il risultato è un set oggettivamente privo di qualità che diventa però fondamentale, inspiegabilmente, per la sua capacità d'intensità e semplicità. Non sarà causale che il 3 e il 7, gli episodi che ci sembrano minori, sono anche quelli in cui la persistenza di uno stesso interno domestico, a differenza degli altri, non ha alcuna centralità decisiva. E' come se il Decalogo per realizzarsi avesse bisogno di non allontanarsi dal suo condominio. E' nei
suoi bicamere e tricamere che Kieslowski riesce a concentrare con maggiore perfezione il suo cinema. I vari episcxli hanno più o meno una identica progressione, viaggiano a uniformità differenti verso l'acme di uno smarrimento che coglie il protagonista e che qualifica il momento più forte oltre che il suo compimento. C'è sempre un momento in cui questi deve prendere una decisione particolarmente grave (come nel 2 e nel 4) o meno, ma che comunque lo disorienta radicalmente. Non è la scelta che affascma Kieslowski (che altrimenti potremmo definire una sorta di neoesistenzialista) ma lo sn1arrimento in sé, la pienezza e verità della sua angoscia, l'alternanza mco1nprensibile di disperazione, rabbia e mdifferenza che anima gli individui ÌI1 fuga. Della storia, non gli mteressa, vorrebbe farne a meno, vi glissa con fmta eleganza nel 2 passando nella stessa sequenza dall'agonia di un uomo al suo futuro, chiude con fittizia dolcezza nel 9, dopo uno straordmario tentativo di suicidio in bicicletta in un episodio che nella seconda metà del Decalogo ripropone l'u1tensità del 2 e del 4. L'unica vera fine (castigatoria, esplicativa), non a caso, è forse nel 10, dove la scelta ( la vendita di rene) trasforma il clima del Decalogo in quello di una black comedy, n1a nel 6, rispetto alla versione lunga, è addirittura diversa. Lo smarrimento, comunque, è il vero genius loci di questi appartamenti e degli episodi del Decalogo che sono altrettanti appartamenti, stanze di un identico quadro sinottico (. .. ) Per questo, ancora, la sua Ìillmagme più tipica rimane quella di un interno in penombra, un personaggio alla fmestra, e quello sguardo sul mondo senza rancore, né felicità, né speranza". Mario Sesti (Cineforum, n. 4, 1990)
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La doppia vita di Veronica (La dou ble vie de Véronique)
Scen eggia tura: Krzys zto f Kieslo wski, Krzyszto f Piesiewicz - Fotografia: Slawornir [d ziak - Scen ografia: Parice Me rcie r - J\,/usica: Zbig nie w Pre isn e r - M o ntagg io: J ac qu es Witta . Interpreti: Jrè n e J acob ( We ro nika, Véro nique) , I-Hina Gryglaszewska (la zia) Kalina Jeclrusik (la donna variopinta), Ale ksander Bard in.i ( il direttore d 'o rchestra), Wlad yslaw KowaJ ki ( il p adre di We ro nika), Je rzy G ude jko
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(Ante k) , Jan Sterninski (l'avvocato) . Philippe Vo lte r (Alexandre Fabbri), Sa ndrine Oumas (Chate rine), Lo uis Duc re ux ( il pro fesso re ), Cla ud e Duneto n ( il padre di Véroniq ue) , Lorraine Evanoff (Cla ude), Guilla ume de To nqued ec (Serge), G illes Gasto nDreyfus (Jean Pierre). Produ z ion e: Side ral Pro du c tio n s , To r Pro duction , Le Studio Can al Distribuz ione: Mikado - Anno: 1991 - Du rata: 92 '.
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48 TRAMA
Il filn1 narra la v icenda della p olacca Wero nika e de lla francese Vé ronique che , a ce ntinaia d i chilo metri di d istan za, la pruna m Polo nia , la seconda in Francia , condividono il n1e desin10 destino: canta nti pro mettenti, me tto no mconsape vo lme nte la pro pria vita in pe ricolo. Il cuo re d i We ro nika, per una n1alforn1azio ne congenita, si fern1a d ura nte un concerto e muo re. Véron ique , che h a incontrato sen za sap e rlo il suo do ppio durante una gita a Varsavia, presagisce oscurame nte il proprio destino, n e vie ne misteriosa me nte avve rtita e a ll a fme vie ne a conoscen za an che dell'esiste nza e della fatalità c he ha stroncato la sua gem ella (che ha ritratto incon sapevolme nte i11 una foto). Nell'angosc ia d i q uesta o p zione ta nto 1nateria le q ua nto n1e tafisica (continuare a ca ntare o evitare il rischio per sen1pre?) , il filn1 lascia inde te rn1inata la scelta.
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Com'è nato
ilfilm "Non sono del tutto sicuro che significhi questa storia" dice Kieslowski che comincia a rivelare, strato dopo strato le raffinate architetture e le numerose connessioni psicologiche narrative che sono alla base del progetto. "Certo ha a che fare con la comunicazione. Esiste cioè una comunicazione che non si basa sulla conversazione o sui segni convenzionali, ma su sentiinenti, sensazioni, sensibilità; sulla sensazione che ci giungono notizie di cui non sappia1no l'origine n1a che poi esistono con1unque. Ed è in questa sfera che ho scritto il soggetto con Krzysztof Piesiewicz, era chiaro, ma mentre lo realizzavo, cambiava. Sono intervenuti gli attori, il direttore della fotografia. E' diventato tutto qualche cosa di diverso da come l'avevamo pensato. All'inizio volevo fare il film più pessimista che si potesse fare. Volevo fare la storia di un uomo che n1oriva e che andava "lassù" (dice proprio così, senza specificare cosa sia questo "lassù", n.d.r.) e scopriva che lassù era lo stesso di qua, triste, freddo, pieno di solitudine. Ma non sono riuscito a trovare motivi plausibili per cui uno che se ne sta lassù decida poi di tornarsene qui. Cercando questi motivi ho cominciato a pensare al tema della reincarnazione parallela". Così la storia definitiva, tratta da una costola del 9° episodio del Decalogo, è diventata un film ... A proposito, il ruolo del marionettista che ora è di Philippe Volter era stato previsto inizialmente per Nanni
Moretti. Perché questa sostituzione? "Io avevo pensato a Moretti perché mi piace come attore. Non perché sia un attore, ma perché è un uomo, ha una personalità, almeno da come l'ho visto e apprezzato in La messa è finita. Ho pensato che sarebbe stato bello lavorare con lui. Ma lui non è più stato disponibile. Io ad ogni modo amo i suoi film e ho promesso che, se vorrà, farò volentieri l'attore per lui". A questo punto interviene il produttore, l'italiano trapiantato in Francia, Leonardo de la Fuente: "Esistevano dei problemi di super-lavoro per Moretti, era impegnato in tante cose ed era molto stanco". De la Fuente, che è qui al proprio esordio come produttore indipendente, ci ragguaglia poi sui costi del film (5 miliardi), sulle riprese, effettuate a Lodz (in Polonia), a Clermont Ferrand e a Parigi, sul fatto che all'inizio era da solo nel progetto e poi si è aggiunta la coproduzione polacca della Tor, il che gli ha risolto non pochi problemi in Polonia. Ma torniamo a Kieslowski e a parlare di attori. Perché uno degli aspetti fondamentali della sua originalità d'autore è proprio quel che riesce a ottenere dagli interpreti. Come fa a provocare quell'intensità, quelle atn1osfere? "Chiedo loro sen1pre una cosa, che io stesso ho capito soltanto dieci anni fa: cioé che se gli attori hanno qualche cosa da offrire alla gente questa è la propria vita; l'esperienza, la sofferenza, la felicità nel modo in cui loro stessi le capiscono. Ci sono due cose da tener presente: innanzitutto loro non hanno altro materiale eccetto quello che hanno loro stessi vissuto; secondo, che le loro esperienze sono uguali a quelle di tutti, anche se ogni esperienza è ovviamente personale. Questa è la base
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50 del mio lavoro sugli attori. Ma non è facile. Gli attori i na condon o die tro ma c h e r e e d a questo d e rivano gli ch en1ati mi del 1nestie re. Io cerco di pw1zecchiarli dolce1ne nte con un ago. A volte J'otte ngo, altre no". E con Irène Jacob l'ha ottenuto? "Cercavo un 'attrice con una p e rsonalità. L' h o trova ta . L'avevo n o tata per un suo ruolo (due minuti) in Arrivederci ragazzi di Lo uis Malle. Ho fatto un "test" allora in Sviz-
zera. Ho chiesto a degli studenti chi si ricorda sse di quella scena (era l'insegnante adorata d ai ragazzini). E tutti se Ja sono ricordata, nonostante non fosse fond a1nenta le . Evidenten1ente c'e ra qualche cosa in questa ragazza c he non derivava dalla storia, n1a dalla sua personalità ; qualche cosa di buono , di solare, che si im[X>neva ''. a cura di ~1as irno Lastrucd ( Ciak, marzo 1991)
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Dicono del film Opera per palati finissimi, di quelle che stordiscono la grande platea e mandano in visibilio i professori di filmologia. Dotata di molte virtù, venendo dal polacco Krzysztof Kieslowski del quale abbiamo ammirato il Decalogo, ma a nostro avviso di un po' troppo alta acrobazia, e prossima alla "pagina della sfinge" nel voler apparentare e contrapporre due destini di donna. Giovanni Grazzini (Il Messaggero, 1991) Se non hai sufficienti motivazioni per entrare nel film (o se non te le crei seduta stante) ne resti fuori. E' ciò che può capitare con la nuova opera dell'autore di cui tutti abbiamo tanto amato il Decalogo. E dire che di Kieslowski si riconoscono in pieno lo stile nitido e allusivo, l'approccio pantografico al reale, il vibrato della sensibilità. Sopratutto nel primo terzo del film, quei 26 minuti che raccontano la breve vita felice di Weronika, giovane cantante folgorata da un infarto al suo primo concerto a Cracovia. Determinato a scoprire se c'è qualcosa oltre la 1norte, n1a troppo laico per affrontare di petto il ten1a dell'immortalità dell'anima, l'autore (anche stavolta associato con lo sceneggiatore Piesiewicz) privilegia gli indizi. ... Quando l'inconoscibile, l' inspiega bile, il metafisico fanno da alone alla realtà, come in Decalogo, la arricchiscono, la rendono problematica e
magari poetica. Quando certe materie impalpabili pretendono di invadere il centro della scena nasce l'imbarazzo, scatta l'incredulità e la poesia s'invola. Probabilmente la spiegazione del relativo fallimento di La doppia vita di Veronica sta nella distanza che separa la psicologia dalla parapsicologia. (Il Corriere della Sera, l 99 l) L'idea de La doppia vita di Veronica era già embrionalmente presente nel Decalogo 9 (il personaggio della cantante che deve smettere); si trattava per Kieslowski di sviluppare ulteriormente uno dei temi che più gli sono cari, quello della "comunicazione", delle consonanze non dichiarate, dei legami invisibili al di là del reale e della fisicità. E nello stesso tempo di sfidare le capacità di percezione dello spettatore, confondendolo con particolari, detriti della memoria, suoni, visioni. Ci invita così ad aprire un'indagine, l'ennesima, sulle infinite sfaccettature dell'esperienza; e perché non dovrebbe andar bene un supposto caso di reincarnazione o di sdoppiamento? La prima mezz'ora del film è perfetta, amn1aliante, irreperibile. Nemmeno il Decalogo poteva vantare tanta occulta capacità di penetrazione, tanta mormorata inquietudine ... Soggettive rovesciate, oggetti in dettaglio, misteriosi avvertimenti di un "ordine" che va incrinandosi si susseguono: un esibizionista al parco, i primi malesseri ... fino a quell'incontro casuale, l'unico, fra le due Veroniche, in piazza a Cracovia durante dei disordini; l'una vedrà l'altra, non vista a sua volta, ma l'altra fotograferà per caso la prima, portando con sé un'immagine che diventerà fonte di turbamento e spaesamento.
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52 La vicenda di Weronika si consuma durante un concerto, in una specie di rito funebre preconizzato dalla musica lugubre, lirica e arcaica di Zbigniew Preisner su testi (sarà un caso?) dal Paradiso dantesco: la ragazza polacca muore stroncata da un attacco di cuore ... A questo punto qualcosa, nel film, si interrompe e nello stesso tempo si distende. E' come il venir meno di una tensione, di una barriera dietro la quale mille interrogativi senza risposta attendevano udienza. Véronique diventa una specie di detective proiettata dentro se stessa, i segnali si fanno più forti, espliciti ed ermetici nello stesso tempo. C'è ancora un momento altissimo: quando il marionettista e scrittore Alexandre invia alla ragazza una cassetta di soli rumori, registrata in una stazione parigina. La decodificazione di quella cassetta e il "lavoro" sul suono, e sulla percezione e separazione di questo suono, diventano improvvisamente una questione centrale. "Sentire" ci appare così in tutta la sua ambiguità: udire, ma anche provare, soffrire. E Véronique soffre, perché non accetta l'idea del doppio: men che meno quando Alexandre, di cui pure è innamorata, la mette dinnanzi ad una sorta di fatto compiuto mostrandole due marionette a lei ispirate ed eguali. Una viva e diritta, l'altra distesa. Credendo forse di semplificare Kieslowski ingarbuglia: o, peggio ancora, credendo di ingarbugliare finisce col semplificare troppo. Le domande si fanno concrete e urgenti, pretendendo risposte che non esistono, sinché il film si arresta al suono della musica che Weronika stava cantando al momento di morire. Questo squilibrio, aggravato anche dall'eccesso di zelo nei dettagli della
love story tra Véronique e Alexandre e da qualche inutile didascalismo, non sottrae però nulla alla valenza complessiva del film: che è quella di scrutare, con dolore e freddezza, gli infiniti rivoli in cui si disperde il mistero della coscienza. Roberto Pugliese (Segno cinema, 1991) C'è da riconoscere a Kieslowski una squisita maestria nel gusto narrativo, nell'uso della camera, nell'uso del colore e nell'uso degli attori. Irène Jacob che è Veronica, è del tutto credibile nell'identità assoluta del suo duplice ruolo: la sua affascinante naturalezza rende al personaggio una verità anche ulteriore rispetto a quella che il regista scandaglia per esso. Ma a sentirci del tutto coinvolti nel film impedisce un vizio non trascurabile: una ingenuità di costrutto che logora il nostro interesse, e ci distrae dal tessuto della vicenda. Il limite di questo film sta nell'essere chiuso dentro se stesso come un bozzolo. Una volta arrivati alla spiegazione conclusiva, il motivo ispiratore ci sembra simile alla sornma aritmetica d'una serie di eventi. Gli allarmi, i turbamenti di Veronica, le sue lacrime improvvise, i suoi abbracci passionali e insieme compiti - ma c'è un bellissimo amplesso, tra i più reali, a macchina ferma, girato solo sul volto dell'attrice, tra i più reali, dicevo, che ci siano stati donati dal cinema recente - tutto questo finisce con l'apparirci risultato di un piacere interamente estetizzante del narrare, un esercizio che ricava vigore solo dalla freddezza mentale con cui è attuato. Ma parlavo di ingenuità. Sembra Kieslowski credere che lo spirituale,
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53 n e ll 'u o m o, s ia confina to solo a lla p a ra p s icolog ia d a un la to, e d a ll'altro all 'elega nza fo rmale delle immagini , un p o' come era in certa lette ra tura ru ssa d e l primo '900, n e i simbo listi a lla Vale rij Brjusov. E ques to è co n ce ttu a lme nt e inge nu o, a n c h e un p o' p o v e ro, pure se di eletta tradi zio ne. Enzo Siciliano (L 'B pres.so, 1991) Che si tratti de l pa rti colare di ma ni che si to nnenta no o del piano ravvicina to di un'a pe che si fo rza disperatamente d i risalire su un bicchiere di tè, l' inq u ad ra tura in de tt aglio se1n b ra esse re la chiave d i tutto il lavoro di Kieslow ki . Na turaln1ente ne l caso de l vo lto u,nano de ttaglio significa primo ian o e ma i co me in Ki es lowsk i i rimi pia ni se m brano un 'ope raz io ne J i sca vo, di ap ertura ve rso l'a bisso