L'etica dello sguardo. Introduzione al cinema di Krzysztof Kieslowski 8820729962, 9788820729967


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Italian Pages 208 [204] Year 2000

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Indice
1 – Il paesaggio del volto umano
2 – «Piazzare la telecamera altrove»
3 – Il Decalogo: l’etica dello sguardo
Appendice
4 – Da La doppia vita di Veronica allaTrilogia: il ripiego ultimo
Cronologia
Filmografia
Bibliografia
Quarta di copertina
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L'etica dello sguardo. Introduzione al cinema di Krzysztof Kieslowski
 8820729962, 9788820729967

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Metropolis 13

Stefania Rimini

L’etica dello sguardo Introduzione al cinema di Krzysztof Kieslowski

ISSN 1972-0386

Liguori Editore

Questa opera è protetta dalla Legge 22 aprile 1941 n. 633 e successive modificazioni. L’utilizzo del libro elettronico costituisce accettazione dei termini e delle condizioni stabilite nel Contratto di licenza consultabile sul sito dell’Editore all’indirizzo Internet http://www.liguori.it/ebook.asp/areadownload/eBookLicenza. Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla traduzione, alla citazione, alla riproduzione in qualsiasi forma, all’uso delle illustrazioni, delle tabelle e del materiale software a corredo, alla trasmissione radiofonica o televisiva, alla pubblicazione e diffusione attraverso la rete Internet sono riservati. La duplicazione digitale dell’opera, anche se parziale è vietata. Il regolamento per l’uso dei contenuti e dei servizi presenti sul sito della Casa Editrice Liguori è disponibile all’indirizzo Internet http://www.liguori.it/politiche_contatti/default.asp?c=legal Liguori Editore Via Posillipo 394 - I 80123 Napoli NA http://www.liguori.it/ © 2000 by Liguori Editore, S.r.l. Tutti i diritti sono riservati Prima edizione italiana Maggio 2000 Rimini, Stefania : L’etica dello sguardo. Introduzione al cinema di Krzysztof Kieslowski/Stefania Rimini Metropolis Napoli : Liguori, 2000 ISBN-13 978 - 88 - 207 - 6115 - 8 ISSN 1972 - 0386 1. Coscienza 2. Immagine I. Titolo II. Collana III.Serie Aggiornamenti: ————————————————————————————————————————— 13 12 11 10 09 08 07 06 05 04 03 02 01 00 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0

Indice

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Capitolo primo Il paesaggio del volto umano 1. «Loro» sono uguali a «Noi» 3; 2. La Polonia: immagini di un paese normale 5; 3. Krzysztof Kieslowski: raccontare attraverso la realta` 9; 4. ‘Kieslowski. Gli altri colori’ 11; 5. Scuola di Lodz 12; 6. Film documentari 13.

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Capitolo secondo «Piazzare la telecamera altrove» 1. Il graduale passaggio alla fiction 31; 2. Przejscie Podziemne (Il sottopassaggio): la linea sotterranea del rimpianto 33; 3. Personel (Il personale): la necessita` delle illusioni 34; 4. Blizna (La cicatrice): la trappola del benessere 36; 5. Spokoj (La calma): il paradosso della scelta 39; 6. Amator (Il cineamatore): la realta` attraverso l’immagine 42; 7. Przypadek (Il caso o Destino Cieco): l’irruzione della coscienza 45; 8. Krotki dzien pracy (Una breve giornata di lavoro): il male dimenticato 50; 9. Il lungo inverno del cinema polacco 52; 10. «Tutti noi chinammo la testa» 53; 11. Bez Konca (Senza fine): la veglia dei morti 56.

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Capitolo terzo Il Decalogo: l’etica dello sguardo 1. La struttura del Decalogo 62; 2. La dialettica dell’ombra e della luce 65; 3. Le superfici dello sguardo 66; 4. Lo sguardo dell’altro 68; 5. Un significato di morale 69; 6. Decalogo, 1: il silenzio di Dio 70; 7. Decalogo, 2: la scelta impossibile 75; 8. Decalogo, 3: il teatro della solitudine 80; 9. Decalogo, 4: l’amore irreversibile 85; 10. Decalogo, 5: lo sguardo di Caino 90; 11. Decalogo, 6: le traiettorie dello sguardo 96; 12. Decalogo, 7: l’innocenza perduta 102; 13. Decalogo, 8: la maieutica del bene 107; 14. Decalogo, 9: la linea spezzata del desiderio 113; 15. Decalogo, 10: la straniante sinfonia del possesso 119.

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Appendice 16. Krotki film o zabijanju (Breve film sull’uccidere): la solitudine della morte 127; 17. Krotki film o milosci (Breve film sull’amore): la simmetria degli esseri 129.

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Capitolo quarto Da La doppia vita di Veronica alla Trilogia: il ripiego ultimo 1. La double vie de Ve´ronique (La doppia vita di Veronica): l’esperienza della soggettivita` 134; 2. Trois couleurs: Bleu, Blanc, Rouge. (Tre colori: Blu, Bianco, Rosso): la coreografia del mondo 145; 3. L’estetica del colore 146; 4. La ferita dello sguardo 148; 5. L’amore ritrovato 149; 6. La costruzione letteraria 151; 7. Trois couleurs: bleu (Tre colori: blu): il riflesso del mondo 152; 8. Trois couleurs: blanc (Tre colori: bianco): l’uguaglianza dei corpi 160; 10. Trois couleurs: rouge (Tre colori: rosso): il ritorno del tempo 167.

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Cronologia

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Filmografia

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Bibliografia

A mio padre, che continuo a sentire intorno e dentro di me.

 Il paesaggio del volto umano

. «Loro» sono uguali a «Noi» I fatti e la politica della Polonia intorno agli Anni Settanta-Ottanta costituiscono la matrice ideologica e poetica della prima esperienza artistica di Krzysztof Kieslowski2 – quella documentaria – e pertanto si impongono all’attenzione di questa analisi3. La Storia registra nell’inverno del 1970 un cambio della guardia ai vertici del potere comunista, in seguito ad un’ondata di conflitti sociali che ebbero il loro centro nei cantieri navali di Danzica. Al primo segretario del Partito Wladyslaw Gomulka (eletto nel 1956 dopo gli scioperi di Poznan) subentro` Edward Gierek con una nuova compagine governativa. Un’acuta indagine sugli scenari politico-sociali e culturali che si delinearono in seguito a questa svolta e` contenuta nel saggio di Boleslaw Michalek – apparso nel catalogo del Museo del Cinema di Torino redatto nel 1989 in occasione di una retrospettiva su Kieslowski – in cui si accenna ad un iniziale rilancio dell’economia accompagnato da una forte azione della propaganda di regime, il cui intento era quello di stornare, di esorcizzare l’inerzia, l’inconcludenza, la scarsa immaginazione della fase precedente. Furono varati audaci piani di risanamento industriale abbinati ad una moderata politica dei consumi, «ma in seguito si sarebbe scoperto che quel “felice inizio” si era praticamente fondato sul debito estero»4. Nonostante si 1

Si tratta di una definizione del documentarista Kazimierz Karabasz che sintetizza l’estetica del cinema documentario di Kieslowski. 2 Per agevolare la lettura del testo sono stati eliminati i segni diacritici da tutti i nomi polacchi del presente lavoro. 3 Le notizie raccolte, nonostante la concisione dei dati, consentono di delineare il contesto storico e sociale in cui si trovarono ad agire Kieslowski e i cineasti della sua generazione. 4 Boleslaw Michalek, Kieslowski: lo sfondo e la diversita`, in Roberto Turigliatto e Malgorzata Furdal (ed.), Kieslowski, Museo Nazionale del Cinema, Torino, 1989, trad. it. di Paolo Gesumunno, pag. 36.



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respirasse un clima di riuscita economica e sociale, prese il via una grave crisi giunta poi al suo culmine a cavallo degli Anni settanta e Ottanta. Le ragioni di questa crisi furono legate al risvegliarsi della coscienza operaia, al diffondersi di movimenti di resistenza che rivendicavano maggiore autonomia e il diritto allo sciopero. Nel 1976 esplose una nuova rivolta popolare per l’aumento dei prezzi degli alimentari. Furono anni difficili questi, anni di lotta, che culminarono nella creazione del sindacato libero Solidarnosc5 e nella firma degli accordi di Danzica tra il governo e Solidarnosc nell’agosto 1980, in seguito ad un’altra ondata di scioperi. Fin qui i fatti. La politica, nella Polonia degli Anni ‘70, era un’altra cosa. Era una trappola, un’astrazione, un’invenzione del Partito. La societa` era invasa dalla soffice liturgia della propaganda, celebrata sulla stampa, in televisione, sui muri. La coscienza, la consapevolezza dell’irrevocabilita` di quello stato di cose si colgono nelle parole di Tadeusz Sobolewski, uno dei maggiori critici cinematografici polacchi, che, in un articolo apparso recentemente sulla rivista «MicroMega», ricorda le ambiguita` del regime e gli sforzi di quanti, giornalisti, uomini di cultura, cineasti (Kieslowski soprattutto), gente comune, tentavano di «vivere nella verita`» nonostante la finzione della propaganda. «Nello Stato comunista eravamo tutti clienti della stessa ditta, obbligati all’obbedienza (che violavamo costantemente) godendone pero` i privilegi. Il singolo non aveva praticamente nessuna influenza sul potere. Tutt’al piu` poteva aderire al Partito e trovarsi tra i privilegiati. Ma anche in questo caso – come dimostrano Curriculum Vitae e Non so – la protesta risultava inefficace»6. Il paradosso della societa` polacca di allora, quella in cui Kieslowski muoveva i primi passi con la telecamera, era proprio questa ambiguita` di fondo, lo squallore, la perfidia di un regime che aveva esteso la responsabilita` dei propri difetti a tutti. La forza etica dei documentari e dei primi film a soggetto del regista sta nell’aver smascherato il “ricatto” del sistema, nel non aver ceduto alle ragioni della «sacra lotta» contro il Partito. Kieslowski e` vissuto in mezzo al sistema, e lo ha, in un certo senso, 5

Subito dopo la nascita di Solidarnosc, Lech Walesa, principale esponente degli attivisti sindacali, venne eletto presidente del comitato temporaneo e confermato poi alla presidenza nel 1981. Nel dicembre del 1981 il generale Jaruzelski proclamo` la legge marziale e fece arrestare Walesa, sciogliendo di fatto il Sindacato. Passato alla clandestinita`, nel 1989, con la caduta del regime comunista, Solidarnosc fu protagonista del passaggio indolore alla democrazia, ma dilaniato al proprio interno perse irrimediabilmente i consensi scomparendo dalla scena politica. 6 T. Sobolewski, Noi tutti eravamo lı`, trad. it. di Ursula Jasinska, in «MicroMega», 2\97, maggio-giugno, pag. 169.

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attraversato, perche´ ne ha rivelato la falsita`, la doppiezza, perche´ ha mostrato persone implicate nelle relazioni piu` scomode, «ha scoperto che il doppio gioco poteva essere fotografato e in questo modo ne ha preso le distanze»7. Attraverso il suo sguardo lucido e commosso, ha registrato la vita, ha indagato una realta` insieme vergine e violata sottraendola alla mistificazione operata dal regime, «ha capito che nella separazione comunemente professata fra «Loro» e «Noi» era nascosta una trappola. «Loro» sono uguali a «Noi» – dimostrava Kieslowski – tutti siamo stati interdetti».8

. La Polonia: immagini di un paese normale Il cinema polacco, a partire dall’immediato dopoguerra, conosce due momenti di interessante fioritura artistica che in qualche modo possono essere sintetizzati dalle esperienze e dalle opere di due importanti registi, Aleksander Ford e Andrzej Wajda. Il primo e` sicuramente il piu` noto e valido regista polacco degli Anni Trenta, capace poi di elaborare una particolare linea tematica che proponeva i motivi della guerra, della Resistenza, dell’antinazismo; tre argomenti distinti ma uniti dal comune denominatore della necessita` e dell’ansia di ripresa del paese. E` intorno a questi temi che si sviluppa la prima corrente del cinema polacco del dopoguerra, il cui slancio viene esaurito dalla pressione della propaganda, per cui dal 1949 al 1956 anche il cinema deve sottostare ai dettami del realismo socialista. Soltanto nella seconda meta` degli Anni Cinquanta si creano le condizioni per un rinnovato sviluppo del cinema polacco, grazie soprattutto a una maggiore autonomia concessa agli artisti, a un ritrovato entusiasmo. L’animatore della svolta e` un giovane regista esordiente, Andrzej Wajda, che con il suo film Pokolenie (Una generazione) crea un nuovo clima, una vera e propria scuola in cui il suo nome si lega a quello di Munk, Has, Kawalerowicz, un gruppo di giovani autori di talento che si pronunciano su problemi fino ad allora evitati. L’importanza di questo movimento risiede nella presa di coscienza dei cineasti nei confronti dell’attualita`, nella messa in evidenza dei dubbi e delle contraddizioni tra uomo e storia, pur nella differenziazione dei linguaggi e delle forme. L’itinerario artistico di Wajda e` indicativo della molteplicita` di temi e rimandi del cinema 7 8

Ivi, pag. 171. Ivi, pag. 169.



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polacco alla storia e alla letteratura del paese, nel tentativo di elevare i contenuti di un’arte, quella cinematografica, che diviene progressivamente uno strumento di educazione sociale e di divulgazione culturale. I primi film di Wajda muovono da esperienze dirette e generazionali, la guerra, la Resistenza, ma in essi e` gia` riscontrabile la doppia linea degli interessi su cui si muove il suo cinema, il realismo contemporaneo e la ricerca ideologica e culturale, che dara` vita a opere del calibro di Popiol i diament (Cenere e diamanti, 1958), un film-chiave sulla figura di un partigiano anticomunista, indagato come uomo, certamente non come eroe positivo, che manifesta la volonta` del regista di recuperare e rappresentare la storia recente della Polonia, fino alla prima grande sintesi di Czlowiek z Marmuru (L’uomo di marmo, 1977). La continuita` del cinema polacco viene, pero`, a piu` riprese interrotta dagli avvenimenti della vita politica che non possono non ripercuotersi in campo artistico. La politica di Gierek favorisce, in questo senso, l’apertura della Polonia verso l’occidente, la cultura riesce, in qualche caso, ad eludere le maglie della censura, l’arte comincia ad invadere gli spazi fino ad allora riservati all’ideologia. Si aprono spiragli di liberta` e il cinema polacco conosce nuove tendenze. Protagonisti della svolta sono i giovani registi usciti dalla Scuola cinematografica di Lodz9 – tra cui figura Kieslowski – che interpretano in modo diverso le responsabilita` e il ruolo dell’arte della celluloide. Questi autori, diversi tra loro per stile e orientamenti, rinunciano all’epopea romanzesca di ispirazione letteraria, che aveva prodotto lavori del calibro di Le nozze di Andrzej Wajda (adattamento per lo schermo del capolavoro drammaturgico di Stanislaw Wyspianski), e scelgono il genere documentario. Il loro fu un atto di coraggio e immaginazione volto a respingere gli schemi tramite i quali si era soliti guardare la societa` polacca. Il documentario, infatti, si profilo` come processo di sfatamento della retorica socialista, come disvelamento delle illusioni ideologiche attraverso una ritrovata poesia della quotidianita`, del disincanto, riposta negli sguardi, nelle mani, nelle infinite espressioni dei volti della gente comune, «in grado di contraddire, con la loro semplice esistenza, la falsa coscienza imposta dalle immagini ufficiali»10. «Descrivere la realta`» divenne l’imperativo categorico della nuova generazione di cineasti perche´ «soltanto la realta` descritta poteva essere

9 La Scuola Superiore di Cinema di Lodz fu fondata nel 1947 ed ha contribuito alla formazione dei piu` famosi registi polacchi, tra cui ricordiamo Wajda, Munk, Polanski, Zanussi. 10 Serafino Murri, Drammaturgia della realta` di Krzysztof Kieslowski, in «MicroMega», cit., pag. 153.

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giudicata. (...) La bassezza, la carognata, l’ingiustizia, la mancanza di principi morali, la depravazione – tutto puo` diventare materia di rivolta e dissenso, ma prima deve essere pubblicamente chiamato per nome»11. Dal grande schermo vennero limpide prese d’atto della crisi dei valori morali, sfide al potere accusato di manipolazione. Nacque il cosiddetto ‘cinema dell’inquietudine morale’, una corrente morale e civile allo stesso tempo, tesa a rappresentare un mondo in cui avevano cessato di agire i valori etici, un mondo in cui l’individuo combatteva una solitaria e iniqua battaglia per la sopravvivenza contro un sistema di menzogne e contraddizioni. Sebbene gli autori (tra cui e` utile citare Feliks Falk, Agnieszka Holland, Marcel Lozinski, quasi coetanei di Kieslowski e in alcuni casi suoi collaboratori) fossero diversi un’impostazione comune univa le loro opere, «sempre ambientate nell’attualita` degli ultimi Anni Settanta e aventi come protagonisti i giovani della ‘intellighencja’ polacca, soffocati dall’ambiente sociale, vittime delle regole amorali dettate al gioco dal sistema»12. L’uomo nella societa`, l’uomo a confronto con il potere, i diritti e i doveri dell’individuo: lo scopo era mostrare l’abisso tra la realta` e il mito socialista, con l’orgoglio di testimoniare cio` che in quel periodo non era espresso ne´ dalla letteratura ne´ dal teatro. L’immagine piu` emblematica, ma forse non quella piu` viva, di questa volonta` di riscossa e` quella dell’eroe tragico Birkut, il protagonista del film epopea di Wajda13, L’uomo di marmo. L’operaio risulta vittima di una falsa religione, semplice pedina nelle mani del Partito, che pure ne aveva fatto un mito, esaltandone le straordinarie doti di stackanovista. Il film fu visto nel 1977 da milioni di spettatori (anche se le recensioni positive furono proibite), e Birkut divenne nell’immaginario collettivo il campione di una nuova drammatica leggenda della Polonia popolare, assolutamente priva dell’incanto della figura dell’operaio di cui il Comunismo si era appropriato. Il cinema lanciava cosı` la sua sfida al sistema totalitario denunciandone i problemi reali, pur tra limiti strutturali e di censura, incidendo sulla storia a tal punto da influire, a giudizio di molti, sugli avvenimenti di quegli anni, in primo luogo quelli dell’agosto 1980 a Danzica, preludio alla nascita di Solidarnosc. La scoperta di come fosse veramente la realta` 11

K. Kieslowski, Gleboko zamiast szeroko, «Dialog», n. 1, 1981, trad. it. di Marina Fabbri, in «MicroMega», cit., pag. 145. 12 Boleslaw Michalek, art. cit., pag. 40. 13 Andrzej Wajda, come gia` ricordato, e` uno dei piu` famosi registi polacchi. Tra i film piu` importanti: Cenere e diamanti (1958), Il bosco di betulle (1970), L’uomo di marmo (1977), L’uomo di ferro (1981).



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ebbe, dunque, un carattere rivoluzionario. Cio` che manco` ai registi di quegli anni – rispetto all’esperienza cinematografica di Kieslowski – fu la profondita` dello sguardo, la capacita` di trascendere il mero dato politico, per giungere a una possibile ‘verita`’ della storia. La loro indagine si ferma in limine, non oltrepassa la soglia di un irrisolto manicheismo intellettuale. L’unicita` del percorso artistico di Kieslowski determina uno iato, una incolmabile distanza dalle pose e dai modi del ‘cinema dell’inquietudine morale’, stretto entro i parametri del fondamentalismo proprio della cultura polacca. Questi film esprimono un’ansia diffusa di verita`, una tensione esasperata che sfocia, spesso, nel rigorismo morale. In quasi tutte le opere del filone ricorre lo stesso modulo in cui cinismo e corruzione si scontrano, senza soluzione di continuita`, con timidi aneliti di onesta` e rettitudine, in un’asfittica e ripetitiva definizione di ruoli. La sola Agnieszka Holland14 sembra capace di una analisi oggettiva della realta`, animata da uno sguardo lucido, nei film Attori Provinciali e Una donna sola, in cui evita il manicheismo dell’arte impegnata polacca. Vi erano ragioni di carattere storico alla base di tale impostazione. «Nella societa` di allora era radicata la propensione a suddividere il mondo in ‘buoni’ e ‘cattivi’, ‘amici’ e ‘nemici’. Lo scopo era evidenziare il conflitto riducendo al minimo le complicazioni»15. Una simile filosofia non fu mai condivisa da Kieslowski. Il suo cinema si contraddistingue, rispetto ai toni del cinema civile del tempo, per il rifiuto di ogni schematismo, per la ricerca, a tratti lacerante, della verita` ontologica dell’individuo, al di la` di ogni categoria di giudizio. La drammaturgia dei suoi film scaturisce dallo scontro dialettico di due sistemi di pensiero e di sensibilita`, di due ragioni, ciascuna a suo modo fondata. I personaggi di Kieslowski si trovano a dover affrontare un dilemma, come nel caso del protagonista di Spokoj (La calma) o del prigioniero di Bez konca (Senza fine), costretto ad accettare un compromesso benche´ consapevole del biasimo dei compagni. Sembrerebbe, ad un primo sguardo, il caratteristico ed insolubile dilemma della cultura polacca: l’uomo di fronte ai meccanismi della societa` e della storia. Gli interrogativi di Kieslowski risultano essere, invece, di altra natura rispetto a quelli della tradizione polacca, ove vige la scelta tra due fallimenti, tra due disfatte. Kieslowski concepisce il dubbio, l’obbligo della scelta come elemento costitutivo

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Agnieszka Holland e` legata cinematograficamente ai nomi di Zanussi e Wajda, con cui condivide inquietudini e stile. Ha diretto numerosi film tra cui: Goraczka (Febbre, 1981), Kobieta Samotna (Una donna sola, 1981), Europa, Europa (1991). 15 Boleslaw Michalek, art. cit., pag. 43.

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dell’esperienza umana, sottolineandone il carattere dilemmatico attraverso il continuo vibrare del suo sguardo pensante tra le pieghe del reale. Difficile, quindi, ascrivere alla corrente del ‘cinema dell’inquietudine morale’ la produzione filmica di Kieslowski, per il differente carattere del suo ‘screening’ legato ai modi e ai tempi della sua coscienza in perenne movimento. Era, tuttavia, necessario indicare, seppur brevemente, le condizioni storiche, politiche e sociali all’interno delle quali Kieslowski si trovo` ad operare agli inizi della sua carriera, per sottolineare la singolarita` delle sue scelte rispetto al contesto culturale e, nello stesso tempo, il suo spirito profondamente polacco. La Polonia, con le sue contraddizioni, la sua storia, i suoi drammi, diviene, nell’animo di Kieslowski, il paradigma stesso dell’esistenza, l’immagine metaforica del mondo; egli non ha mai smesso di raccontarla, tutto il suo cinema e` attraversato dalle ombre gigantesche dei condomini di cemento, dai treni sporchi, dal profumo dolce della noia, dal pallore accecante della neve in una discarica, flashback della memoria o soltanto immagini di un paese normale. Concludo questo breve excursus storico-culturale, ancora una volta, con le parole di Tadeusz Sobolewski, che esprimono didascalicamente il senso di quanto esposto finora, e sottolineano il valore della testimonianza di Kieslowski: «Oggi liberi dal terrore di pensare la vita nella prospettiva della storia e della politica, possiamo guardare all’arte di quegli anni tralasciando i suoi significati immediati. C’e` qualcos’altro che emerge in primo piano nei documentari degli Anni Settanta, nei film ‘dell’inquietudine morale’. Non si tratta piu` del fatto che hanno smascherato il regime, il quale nel frattempo si e` smascherato da solo. Per i giovani di oggi i racconti su quel regime suonano come le favole sul lupo cattivo. Quel che diventa importante e` che quei film hanno registrato la vita, hanno fissato la realta` in una forma poeticamente disciplinata, come nei documentari di Kieslowski»16.

. Krzysztof Kieslowski: raccontare attraverso la realta` Il primo lungo tratto del cinema di Kieslowski e`, dunque, quasi interamente occupato da un’esplorazione del genere documentario decisamente ricca, frastagliata, inconsueta. Kieslowski cerca di costruire un nuovo linguaggio, un nuovo stile, capaci di restituire al genere documentario la 16

T. Sobolewski, art. cit., pag. 169.

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sua forza originaria, che una prolungata e sterile imitazione della realta` aveva disperso. La sua estetica documentaria puo` essere sintetizzata in una formula, che rappresenta l’essenza stessa del suo cinema: raccontare attraverso la realta`. La camera17 diventa strumento della creazione, parafrasando Flaherty, quando partecipa alla natura convulsa degli eventi, quando riesce a cogliere della realta` «la sua assenza di conclusione, il suo contemporaneo ordine e caos»18. Lo sguardo di Kieslowski si apre agli effetti del reale, mette a nudo le dinamiche camuffate nelle convenzioni, rivela il volto nascosto di una societa`, quella polacca, senza rappresentazione. Il cineasta si adopera, quindi, per aggirare l’ordine apparente del sistema politico, per descrivere un altro ordine, un’altra gerarchia, un’altra realta`: la realta` della prova individuale, la gerarchia dei sentimenti contro l’irreggimentazione del Partito. Il documentario non e`, pero`, soltanto un’esperienza attraverso cui indagare e descrivere la realta`, ma un esperimento di osservazione che e`, allo stesso tempo, un esercizio di etica cinematografica e la manifestazione istintiva di sguardo e di racconto. Due sono gli elementi della messa in scena. Innanzitutto l’autore, la cui funzione risulta determinante. L’autore e` colui che scopre il mondo per noi e per se stesso; la sua individualita` si manifesta nella scelta dell’evento e delle modalita` espressive, deve essere ricettivo ed elastico per fotografare l’indispensabile. Il secondo elemento e` il montaggio, la figura estetica piu` importante del cinema di Kieslowski. «Due tipi di montaggio caratterizzano il maggior numero di cortometraggi documentari e finiscono col lasciare delle tracce visibili nelle opere di fiction: il montaggio parallelo di azioni assolutamente opposte ma effettuate dai medesimi personaggi, e il montaggio in serie delle stesse azioni compiute da individui diversi»19. Il montaggio interviene, cosı`, a scomporre il ritmo degli eventi, le traiettorie dello sguardo e, contemporaneamente, ne costruisce le fondamenta. La struttura drammatica creata dal regista all’interno dei film documentari, e consolidata nelle opere successive, intende mostrare senza spiegare, accentuando gli effetti del reale e lasciando agli spettatori la preoccupazione di esprimere essi stessi le corrispondenze, il senso di cio` che appare. In quest’assenza di presa di posizione, in questo semplice atto di rivelazione della realta`, Kieslowski dimostra di aver compreso la lezione di

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Il termine ‘camera’ verra` utilizzato come sinonimo di ‘macchina da presa’. Dramaturgia rzeczywistosci, estratto del saggio di diploma di Kieslowski della Scuola di Lodz, corso di regia (relatore prof. Jerzy Bossak), pubblicato in «Film naswiecie», n.3\4, 1992, in «Panta Cinema», trad. it. di Marina Fabbri, n.13, agosto 1994, pagg. 285-288. 19 Vincent Amiel, Kieslowski, Rivages/Cine´ma, Paris, 1995, pag. 68. 18

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uno dei suoi maestri presso la scuola di Lodz, il documentarista Kazimierz Karabasz. Karabasz fu una sorta di coscienza, creativa ed umana, per il gruppo di cineasti che emerse alla fine degli Anni Sessanta in Polonia, e non e` certo un caso che Kieslowski annoveri, tra i dieci film che piu` lo hanno colpito, proprio un documentario di Karabasz del 1958, I musicisti della domenica. L’estetica di Karabasz si esprime attraverso l’incanto dei volti, la pienezza delle emozioni, le immagini di una realta` anti-epica e fiabesca. Poesia della quotidianita`, dunque, in cui e` sufficiente mostrare frammenti di esistenza perche´ questa si articoli sullo schermo, al di la` delle convenzioni sociali. Kieslowski ha intuito chiaramente i contenuti del cinema di Karabasz, e riesce a risolvere la dicotomia del reale impostando i suoi documentari «sul principio della ‘doppia vita’ delle azioni pubbliche, (i meccanismi ufficiali) e dei rapporti personali (le motivazioni interiori)»20. Le storie di Kieslowski non concedono nulla all’evidenza probatoria dei reportage, all’impegno da cinema-verite`, e si fanno portatrici di una contraddizione irresolubile, la contraddizione dell’essere. La vita e` intesa come singolarita` irriducibile, e allora appare chiara l’inassimilabilita` dell’individuo al Potere, la sua concretezza opposta al delirio politico: e` l’esistenza umana, con i suoi molteplici aspetti, ad essere indagata nel cinema di Kieslowski, e il punto di partenza dell’immagine non puo`, quindi, prescindere dal particolare vissuto esperienziale dell’individuo ripreso dalla telecamera. «L’opera documentaria del regista si presenta come una poetica del frammento esistenziale, una grande rassegna di corpi, di visi che raccontano e si raccontano»21. La finalita` della rappresentazione e` anche la scommessa piu` alta dell’arte di Kieslowski: fare vedere e comprendere nello stesso movimento dello sguardo.

. ‘Kieslowski. Gli altri colori’ L’analisi fin qui condotta si proponeva di indicare, a grandi linee, i presupposti teorici, etici ed estetici, da cui e` scaturita la prima produzione filmica di Kieslowski, quella documentaria. Si e` cercato di indagare le ragioni profonde della sua opera, il forte legame con la realta`, la sensibilita` dello sguardo; per completare il quadro dell’esperienza documentaria del 20 21

33.

Vincent Amiel, op. cit., pag. 79. Daniele Dottorini, Kieslowski etno-antropologo, in «Filmcritica», n. 457, sett. 1995, pag.

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regista, senza pretendere di esaurire l’argomento, ho scelto di realizzare una sorta di filmografia commentata, operazione senz’altro rischiosa se si tiene conto dell’esiguita` dei brani filmici e della loro naturale complessita`, dati i continui richiami alla realta` polacca del tempo. In diversi casi mi limitero` a citare soltanto la trama, in altre circostanze riportero`, a commento dell’opera, le dichiarazioni dello stesso Kieslowski. Per motivi di maggiore chiarezza espositiva, in questo capitolo mi occupero` esclusivamente dei film documentari, rimandando l’analisi delle opere di fiction al capitolo successivo. Un’ultima curiosita` riguarda il titolo di questo paragrafo che e` lo stesso della quinta Rassegna EtnoAntropologica di film realizzata a Perugia nel 1995 (a cui seguı` un seminario tenuto dallo stesso Kieslowski) da A.C.R.I.A. (Associazione Culturale Ricerca e Interventi Antropologici). Ho scelto di riproporre questo titolo per sottolineare la presenza di una continuita` tematica all’interno della produzione cinematografica che costituisce, a mio avviso, una delle cifre poetiche piu` alte dell’opera di Kieslowski.

. Scuola di Lodz Saggi di regia Tramwaj (Il tram) cortometraggio a soggetto, 35 mm, b\n, 5’45’’ (1966) E` notte fonda. Un ragazzo esce da una festa. Corre per salire sul tram. A bordo trova solo pochi passeggeri: un operaio che si reca al lavoro, una ragazza. Il giovane, attratto dalla sua bellezza, cerca di farla ridere; un attimo dopo, soffermandosi sui particolari del suo volto, la guarda addormentarsi. Arrivato a destinazione, scende ma poco dopo ci ripensa, e – come nella sequenza iniziale – corre per raggiungere il tram, dove `e rimasta la ragazza addormentata. Urzad (L’ufficio) documentario, 35 mm, b\n, 6’ (1966) L’ufficio contabile della compagnia di Assicurazioni di Stato. La macchina da presa, nascosta dietro lo sportello, riprende la coda dei clienti. L impiegato ripete a tutti la stessa domanda: «Che cosa ha fatto nella vita?». Solo volti, di persone anziane soprattutto, riempiono lo schermo. Volti e scartoffie. Nessuna risposta. Si tratta di una satira graffiante sulla impenetrabilita` della burocrazia, e Kieslowski svela gia` la sua capacita` di cogliere gli elementi surreali e grotteschi della macchina amministrativa. E`

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

il primo atto di quella scomposizione della realta` nella sua essenza seriale che sembra essere il motivo conduttore di molti documentari. Koncert Zyczen (Il concerto dei desideri) cortometraggio a soggetto, 35 mm, b/n, 17’ (1967) Un autobus pieno di chiassosi ragazzi in gita si ferma su un prato accanto ad un lago. Tra risa, schiamazzi e bevute, si gioca a pallone. La palla rotola lontano, e uno dei ragazzi corre a riprenderla, scoprendo dietro un cespuglio una giovane coppia. Suona il clacson dell’autobus: bisogna rientrare. Anche la coppia raduna le proprie cose e si avvia verso casa in motocicletta. Per strada, superato l’autobus, la coppia perde il bagaglio. L’autista ferma il pullman e scende a raccoglierlo. Quando i fidanzati tornano indietro per recuperarlo, l’autista, in cambio della restituzione, pretende che la ragazza salga sull’autobus con gli altri. La ragazza sale sulla vettura, ma la coglie un attimo di esitazione e decide di rinunciare al bagaglio e di tornare dal suo ragazzo. I giovani guardano desolati la coppia allontanarsi in moto. Il dispositivo cinematografico di Kieslowski rivela gia` in questo cortometraggio la sua forza nella messa in atto di rapporti analogici tra la realta` descritta e il senso del racconto, per cui cio` che appare sullo schermo rinvia all’ambigua dinamica dei meccanismi psicologici, alla sottile declinazione del desiderio. L’esiguita` della trama, la breve intensita` del ritmo, l’icasticita` delle immagini costituiscono i tratti essenziali di un’opera che sembra concentrarsi nell’attimo infinito dell’esitazione della ragazza, nell’imbarazzo della sua scelta, prima che la realta` si ricomponga in un ritorno all’ordine nell’immagine conclusiva del film, in cui il teleobiettivo segue la corsa in moto della coppia che affonda e riaffiora nelle gobbe di un lungo rettilineo.

. Film documentari Zdjecie (La fotografia) 16 mm, b\n (1968) « Nel 1968 Kazimierz Karabasz mi fece vedere una vecchia foto: c’erano due bambini sui quattro anni, vestiti poveramente in un cortile di via Brzeska a Varsavia, con delle carabine in mano e berretti da soldato in testa. Il film raccontava di come ci eravamo messi a cercare quei due fratelli, divenuti ormai grandi. Li cogliemmo di sorpresa: cominciammo a girare prima che ci venissero ad aprire la porta. Gli mostrammo la foto: era la prima volta che la vedevano. Il film ne registro` la commozione, il legame con quel passato, con quel cortile»22. 22

Si tratta di una dichiarazione di Kieslowski riportata nel catalogo della Rassegna

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Il legame col passato, la ricerca, quasi inconsapevole, di quel filo della memoria capace di restituire valore agli oggetti del tempo, di dar corpo e voce alle immagini sbiadite dei ricordi. Lo spazio riservato del cortile si dilata fino ad accogliere le suggestioni del presente, la sorpresa, l’imbarazzo, la curiosita` di fronte alla telecamera e infine la commozione, nel ritrovarsi ancora lı`, tra i luoghi dell’infanzia, con in braccio un fucile, sorridenti, nel giorno in cui moriva la madre. Un’avventura dell’anima, questo e` il documentario, un ritorno alle origini intessuto di ostacoli, cambi di domicilio, matrimoni, professioni, un modo di imporre al cinema i tempi illimitati dell’osservazione e testimonianza delle cose. Z miasta Lodzi (Dalla citta` di Lodz) 35 mm, b\n, 17’ 21’’, (1969) Le operaie di una fabbrica tessile di Lodz protestano contro lo scioglimento di un gruppo musicale di mandolinisti di vecchia tradizione. Si alternano le immagini della citta`. «Lodz era crudele e insolita, singolarmente pittoresca con i suoi edifici dilapidati, i suoi abitanti dilapidati. Era piu` dilapidata rispetto a Varsavia, ma anche piu` omogenea (...) Appariva molto vecchia, diroccata e proprio per questo era singolarmente pittoresca e faceva sı` che non fosse una citta` ordinaria»23. Kieslowski era arrivato a Lodz da Varsavia, dopo essere stato al College per Tecnici Teatrali. La citta` lo aprı` ad un mondo completamente diverso, che subito catturo` il suo interesse, il suo affetto. Nel documentario il regista riesce a descrivere l’atmosfera della citta`, lo squallore dei palazzi, delle vie, dei quartieri, e la vitalita` degli abitanti, «anziani, storpi, gente contorta che guarda nel vuoto, sognando o pensando a come sarebbe potuto essere »24. Kieslowski non sarebbe tornato piu` a Lodz dopo gli anni della Scuola di cinematografia, e nel documentario volle filmare le cose piu` belle della citta`, in un estremo atto d’amore. La partecipazione agli eventi ordinari della vita risulta la nota piu` calda del film, che fu anche il saggio di diploma di Kieslowski e il suo primo lavoro da professionista. Credo che le battute di un film di Zanussi, La struttura di cristallo, riassumano perfettamente il senso dell’opera: «-Marek: guardando queste facce non si puo` certo essere portati all’ottimismo.-Jan: dipende da come si guardano».

‘Tutto Kieslowski’, di cui pero` non e` indicata la provenienza; ho scelto comunque di citarla perche´ costituisce una testimonianza interessante. 23 Danusia Stock (ed.), Kieslowski on Kieslowski, Faber and Faber, London, 1993, pag. 44. 24 Ivi, pag. 46.

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Bylem zolnierzem (Sono stato un soldato) 35 mm, b/n, 16’, (1970) Documentario sui reduci che hanno perso la vista durante la Seconda Guerra Mondiale. Il film descrive il loro riadattamento nella vita normale nonostante le difficolta` della loro mutilazione. Il film e` interamente costituito da piani su uomini che parlano, che si raccontano. La macchina da presa partecipa quasi per caso alla scena, riesce a cogliere istanti furtivi di conversazione, particolari dei volti, delle mani. Raccontano tutti la stessa cosa, come sono diventati ciechi e i loro sogni, tanto diversi dal buio della veglia. La ripetizione e l’accumulazione delle testimonianze, la loro presentazione reiterata scandiscono il ritmo del racconto, che sembra avvolgersi su se stesso, nella serrata alternanza dei piani in bianco e nero, e contribuiscono a generare il senso della storia. « Le vicende personali – senza lasciare il dominio della sofferenza individuale – diventano un fenomeno sociale, un effetto del sistema»25. Kieslowski realizza uno splendido esercizio di messa in scena, in cui l’apparente freddezza dello sguardo, la distanza calcolata della rappresentazione generano una profonda emozione, che trascende il margine tra sensibilita` e comprensione, tra luce e ombra come vie di accesso al mondo. Fabryka (La fabbrica) 35 mm, b/n, 17’14’’, (1970) Una giornata di lavoro nella fabbrica di trattori Ursus di Varsavia. La fabbrica non riesce a raggiungere la sua quota di produzione perche´ `e a corto di apparecchiature. Sembra non esserci via d’uscita al circolo vizioso di equivoci e burocrazia. Come afferma uno dei membri del consiglio: «in questo paese la burocrazia impedisce qualsiasi soluzione». E comunque gli operai devono sempre raggiungere la loro quota «Ho sempre pensato che si debba guardare il mondo con gli occhi di chi ci vive. Non dall’alto bensı` dal basso»26. Kieslowski comincia, con questo documentario, l’osservazione dei ‘luoghi deputati’ dei misteri rituali delle realta` polacca a lui contemporanea. La fabbrica, insieme alle stazioni ferroviarie, agli ospedali, agli uffici, diventa il laboratorio ideale della sua personale sperimentazione della ‘drammaturgia della realta`’. Kieslowski sceglie una prospettiva politica 25

Vincent Amiel, op. cit., pag. 56. K. Kieslowski, Perche´ siamo qui?, intervista a Krzysztof Kieslowski di Malgorzata Furdal, in Roberto Turigliatto e Malgorzata Furdal (ed.), op. cit., pag. 24. 26

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isolata e problematica, che intende riportare il proletariato industriale, l’antico e retorico ‘soggetto collettivo’, entro i termini di una classe consapevolmente composta da singoli individui. Lo sguardo di Kieslowski rifugge dalle certezze del Partito e della nascente opposizione, va alla ricerca della verita` della vita, incisa sui volti della gente scavati dalla fatica. «Il documentario mostra, in montaggio alternato, gli operai che spostano i trattori di un hangar (un piano fisso, lo stesso movimento ripetuto) nella confusione propria di un luogo di lavoro, e, parallelamente, i visi in primo piano dei dirigenti della fabbrica, che spiegano le ragioni per cui le quote di produzione non potranno mai essere raggiunte (problemi amministrativi, finanziari, di forniture, ecc.»27. La tensione dello sforzo, la flessibilita` dei corpi al lavoro sembrano schiacciare, nella concretezza della loro articolazione visiva, lo sterile immobilismo dei discorsi, la vuota retorica della burocrazia, raggelata nei volti senza espressione dei dirigenti. Eppure nessun atto d’accusa viene pronunciato, la grande forza del documentario risulta essere l’oggettivita` della rappresentazione, che lascia gli spettatori avvicinarsi immediatamente, senza interferenze dello sguardo, alla realta` descritta. Przed Rajdem (Prima della corsa) 35 mm, b/n e col., 15’ 9’’, (1971) Dieci giorni di preparativi per il rally di Montecarlo. I due piloti polacchi si scontrano con le insufficienze tecniche della FIAT 125 polacca. Il film si conclude con la didascalia: «I piloti dell’auto n˚ 48 hanno percorso 4970 km. Rimasti fuori tempo massimo, si sono ritirati dalla corsa al km 250 della seconda tappa». Si tratta di un’allegoria, insieme divertita e sofferta, dei problemi industriali ed economici del paese, condotta con sottile ironia e amaro realismo. L’attesa, l’entusiasmo della gara si spengono insieme al motore dell’auto, segno inequivocabile di arretratezza e incapacita` manageriali. A sottolineare maggiormente la distanza dal sogno, interviene l’uso del colore nelle immagini del rally, contro il bianco e nero usurato dei preparativi. Refren (Ritornello) 35 mm, b/n, 10’ 19’’, (1972) Il film mostra il retroscena di un’agenzia di pompe funebri: la burocrazia, la routine a volte macabra degli impiegati nei loro rapporti con i clienti. Si alternano le 27

Vincent Amiel, op. cit., pag. 69.

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immagini della folla impersonale nella strada di fronte. Il film si conclude con le immagini dei neonati in un ospedale, ognuno distinto da un numero. Kieslowski ripropone la sua ironia surreale, gia` mostrata nel saggio L’ufficio, e costruisce quella che Murri definisce «una straniata sinfonia sulla serialita` sociale della morte e della vita»28. L’aspetto funereo e tetro dei luoghi di potere si manifesta, in tutta la sua feroce assurdita`, nella composizione di voci degli impiegati dell’agenzia funebre: «voci che esorcizzano linguisticamente la morte, inserendola in un discorso puramente organizzativo e burocratico»29. E` la parola reificata, svuotata di senso e rappresentata attraverso l’immagine, espressione della distanza tra atto linguistico ed esistenza. Il dramma della morte, vissuto dai parenti dei defunti, si spegne nei volti degli impiegati, abbrutiti nel meccanismo della ripetizione. La ciclicita` del film, espressa dal continuo rincorrersi delle voci e dal sovrapporsi delle pratiche, e` interrotta dall’immagine finale. Nel nido del reparto di ostetricia di un ospedale, sulle caviglie dei neonati sono applicate delle fasce su cui e` scritto il numero dell’atto di nascita: con l’assegnazione di un numero anche la vita si riduce alla normalita` di un atto amministrativo e diviene un anonimo ritornello nel paradossale cerchio dell’esistenza. Miedzy Wroclawiem a Zielona Gora (Tra Wroclaw e Zielona Gora) 35 mm, 10’ 35’’, colore, (1972) Film di commissione sulla miniera di rame di Lubin. Come filo conduttore, la lettera di un giovane operaio. Podstawy Bhp w Kopalni miedzi (Le norme di sicurezza e di igiene nella miniera di rame) 35 mm, 20’ 52’’, colore, (1972) Film di commissione sulle condizioni di sicurezza e di igiene nella miniera di rame di Lubin. «Non volevo fare questi film ma non era qualcosa di cui ci si dovesse vergognare. Fare film e` una professione. Qualche volta devi rendere dei servizi. E` stato noioso, molto piu` noioso di qualsiasi altra cosa io abbia fatto, ma ho potuto vivere grazie a questo. A parte pochi film, non ho mai girato qualcosa che non volessi fare»30. 28 29 30

Serafino Murri, Krzysztof Kieslowski, Editrice Il Castoro, Milano, 1996, pag. 29. Daniele Dottorini, art. cit., pag. 338. Danusia Stock (ed.), op. cit., pag. 54.

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Robotnicy ‘71: nic o nas bez nas (Operai ‘71: niente su di noi senza di noi) 16 mm, b/n, 46’39’’, (1972) Girato dopo gli scioperi di Danzica del dicembre 1970, il film si compone di diversi episodi con diversi titoli, tra cui ‘Il consiglio di fabbrica’, ‘Le mani’, ‘Le teste’. Le immagini mute degli operai al lavoro si alternano con la ripresa dei dibattiti su come migliorare la produzione. «In quel periodo c’era il bisogno, la necessita` di descrivere il mondo. Il mondo comunista aveva descritto come questo sarebbe dovuto essere, non come fosse veramente. Noi volevamo descrivere qualcosa che non era ancora stato descritto. Si prova la sensazione di dar vita a qualcosa, perche´ se qualcosa non viene descritta ufficialmente non esiste. E` il mio film piu` politico perche´ non c’e` un punto di vista umanistico. Voleva ritrarre il modo di pensare della classe operaia nel 1971. A quell’epoca era ancora la classe dominante, o almeno era cosı` che veniva ufficialmente chiamata in Polonia. Ci sembrava una buona idea mostrare che questa classe pensava in un modo che allora consideravo piu` o meno il modo giusto di pensare. Ovvero cercare di realizzare una democratizzazione generale nei luoghi di lavoro, nei distretti amministrativi, nelle citta` e nel paese intero. Abbiamo cercato di dare una immagine generale del fatto che una classe dominante avesse opinioni diverse da quelle stampate sulla prima pagina 31 del “Tribuna Ludu”» . Il punto di vista gia` espresso ne La fabbrica si approfondisce, si complica, trova piu` ampio respiro in questo progetto perche´ l’azione degli operai e` diventata piu` concreta. Kieslowski, sulla scia degli avvenimenti di Danzica del 1970, mostra persone che in piccole citta`, villaggi, fabbriche avevano organizzato degli scioperi. L’idea era che la gente di Varsavia aspettava dei cambiamenti ancora piu` visibili rispetto a quelli attuati dal segretario Gierek. Le prime immagini del documentario descrivono la monotona fissita` del lavoro in fabbrica, le inquadrature stringono sul particolare delle mani che battono il metallo, lo schermo e` invaso dai movimenti dei corpi, la messa in scena di Kieslowski insiste sulla corporeita` degli individui, sulla fisicita` dello sforzo, sulla ripetizione di gesti che impongono la loro presenza, il loro peso. Il paragrafo ‘Le teste’ – che in qualche modo prefigura il documentario Le teste parlanti – completa il quadro della fenomenologia dell’azione, descrivendo il modo di essere, di pensare degli operai, il senso di appartenenza alla loro classe, una realta` 31

Ivi, pagg. 54-55.

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disintegrata dai meccanismi del regime. Kieslowski fa oscillare la rappresentazione «tra la comprensione intellettuale della situazione generale, del momento storico, e la sensazione fisica dell’istante»32, del singolo movimento descritto in tutta la sua faticosa concretezza. La scottante attualita` degli argomenti trattati determino` l’intervento della censura, particolarmente attiva in Polonia durante il regime comunista, e Kieslowski e Zygadlo, che avevano lavorato insieme alla realizzazione del film, furono costretti a montare una versione diversa, nella forma e nella sostanza, da quella che intendevano proporre. I tagli apportati erano decisamente falsanti, ma in fondo non incisero in nessun modo perche´ nessuna versione fu mai mostrata ufficialmente. Ma un episodio ancor piu` grave si verifico` durante la lavorazione di Operai ‘71, un episodio che turbo` sensibilmente la coscienza morale di Kieslowski e influenzo` le sue scelte estetiche, modificando, in un certo senso, il suo sguardo. Durante il montaggio furono rubati i rulli delle registrazioni delle interviste che non erano state inserite nel film, per non recare danno agli operai interpellati. Dopo due giorni, i nastri riapparvero e Kieslowski fu chiamato dalla polizia e accusato di aver trasportato illecitamente le bobine fuori dalla Polonia per venderle a Radio Free Europe33. Probabilmente si tratto` di una provocazione organizzata contro qualcun altro, ma Kieslowski fu trasformato, suo malgrado, in delatore, e il suo commento rispetto ai fatti accaduti fu decisamente amaro e sofferto. «Qualcuno stava giocando con qualcun altro ma io non sapevo quale fosse il gioco. Io non sapevo a che cosa stessero giocando e, ad essere onesto, non sapevo chi stava giocando con chi. Compresi ancora una volta quanto fossi insignificante»34. Murarz (Il muratore) 35 mm, colore, 17’ 39’’, (1973) E` il ritratto di un muratore che, nell’era staliniana, era stato incoraggiato a diventare un attivista modello e a fare carriera nel Partito. Ma dopo il 1956 l’uomo avverte la fine di un’epoca e avanza la richiesta di tornare al suo lavoro. La macchina da presa segue il protagonista – la cui vita `e stata sfruttata da un potere ideologico piu` forte di lui – nei suoi movimenti abituali, accompagnandolo fino alla manifestazione del 1˚ Maggio.

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Vincent Amiel, op. cit., pag. 70. Radio Free Europe (Radio Europa Libera) era una stazione radiofonica opposta al comunismo che trasmetteva informazioni non sottoposte a censura all’Europa dell’Est ed era ascoltata clandestinamente anche in Polonia. 34 Danusia Stock (ed.), op. cit., pag. 57. 33

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Gli avvenimenti legati alla realizzazione di Operai’71 impongono una svolta alla prassi cinematografica di Kieslowski. Il regista avvicina lo sguardo della macchina da presa alla vita degli uomini, li spinge a parlare di se´, recupera la dimensione dei sentimenti, delle emozioni. «Con uno scarto ancora piu` forte sul piano formale Kieslowski tenta di infrangere le barriere tra documento e finzione, sperimentando la forma del dramadocumentary, in cui alcuni degli elementi di una storia vera sono sotto il diretto controllo dell’autore»35. In questo modo Kieslowski non oltrepassa i limiti etici del suo cinema documentario (“Non recare mai danno alla 36 persona filmata, non trasformare la sua vita, ne´ in meglio ne´ in peggio” ) perche´ deresponsabilizza i singoli protagonisti, assumendo su di se´ il carico di responsabilita` legato agli eventi filmati. Il risultato estetico e` una forma narrativa dialettica, irriducibile all’univocita` di un dramma a tesi. Il primo esperimento in tal senso fu proprio Il muratore, il resoconto di un’esperienza individuale, che pure rimanda al destino collettivo di un’epoca e di una nazione. L’utopia politica si e` risolta, per Jozes Malesa, nel ripiegamento in se stesso e nel proprio lavoro, l’ideologia ha lasciato il posto alla prassi della vita quotidiana, agli anonimi gesti senza retorica di una ritrovata esistenza, che scorre lenta sullo schermo. Delle speranze del passato non resta che il suono pacato della voce fuori campo, semplice liturgia della memoria, e un’immagine sbiadita, una rosa di carta gialla che Jozes tiene in mano mentre si reca, seguito ad ogni passo dalla camera, alle celebrazioni del 1˚ Maggio, con animo disteso, ormai insensibile alle ragioni del Partito. Przeswietlenie (La radiografia) 35 mm, colore, 13’ 03’’, (1974) I malati di tubercolosi raccontano le loro paure, anche quella di un desiderato ritorno alla vita normale. Si alternano le immagini del Sanatorio immerso in una natura incontaminata e vitale. Lo sguardo di Kieslowski oltrepassa la fisicita` dei corpi, cerca di 37 filmare «la visibilita` della morte» , in un rinnovato e impossibile dialogo con la sofferenza paterna. La malattia, segno di una fine ormai prossima, viene esorcizzata dai racconti dei degenti, in un disperato tentativo di sfuggire al silenzio del nulla, e il film rimane drammaticamente sospeso tra l’attesa, 35

Serafino Murri, op. cit., pag. 31. Marie-No¨elle Tranchant, Pas de Polka pour l’assasin!, intervista a Kieslowski, in «Le Figaro», 26 ottobre, 1988. 37 Serafino Murri, op. cit., pag. 34. 36

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ineluttabile, della morte, e il sogno, illusorio e vano, di una possibile guarigione. Pierwsza Milosc (Primo amore) 16 mm, colore, 30’, (1974) Il film segue l’evoluzione dei rapporti di una giovane coppia di fidanzati di fronte ad una inaspettata gravidanza, la sua difficile maturazione attraverso l’esperienza dell’attesa e della nascita della bambina. «Per ottenere qualcosa di piu` profondo bisogna compiere qualche abuso nei confronti della realta`: metterla in scena, provocare i personaggi a reagire e comportarsi in una data situazione nello stesso modo in cui lo farebbero normalmente»38. Questo il metodo seguito da Kieslowski nel documentario, la rinuncia alla finta immediatezza da candid-camera e la ricerca, a volte la creazione, delle sorprese della vita. Primo amore e` forse l’opera in cui il cineasta ha forzato di piu` la forma del drama-documentary, dove la realta` immediata si confonde con la realta` provocata dall’intervento registico. Kieslowski agisce con calcolata spregiudicatezza, decide addirittura di mandare un poliziotto presso l’alloggio provvisorio della coppia, un’unica stanza a casa della nonna del ragazzo, sapendo in anticipo che l’irruzione non avra` conseguenze negative per i due ragazzi. La forma del racconto, a tratti irrisolta, non compromette la genuinita` delle emozioni, la spontaneita` dei due giovani, Jadzia e Romek, teneri protagonisti di una favola d’amore. La macchina da presa svela tutti i momenti della vita interiore dei ragazzi, la progressiva modificazione della loro intimita`, l’intrecciarsi degli sguardi, la complicita` di ogni gesto, vissuto nell’attesa del loro piccolo miracolo. Il risultato della paziente osservazione della coppia, durata complessivamente otto mesi, e` una serie di appunti visivi, di brevi istanti che si accumulano, si sovrappongono fino al momento della nascita, scandita da una immagine di grande forza emotiva, il pianto di Romek, finale epigrammatico del film. Kieslowski poco tempo dopo scrisse uno script intitolato Ewa-Ewunia (letteralmente ‘Eva-Evuccia’), dal nome della figlioletta di Jadzia e Romek. L’idea era quella di realizzare un film che riprendesse la vita della bambina dal momento della sua nascita fino al giorno in cui lei stessa avrebbe partorito. La TV polacca approvo` il progetto, e Kieslowski comincio` le riprese. Un aneddoto curioso e` legato a questo film ed e` lo stesso regista a raccontarlo. «Andai dal direttore della TV, che aveva approvato l’idea, e dissi, “Bene, vuole 38 Dichiarazione di Kieslowski da Nie omijaj rzeczywistosci, in «Trybuna robotnicza», n. 130, 1977, in Malgorzata Furdal e Roberto Turigliatto (ed.), op. cit., pag. 107.

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che questo film sia ottimistico?”. Lui rispose “Naturalmente noi vogliamo che sia ottimistico”. Ricordo molto bene questa conversazione. Dissi: “Se volete che questo film sia ottimistico, allora dobbiamo creare delle condizioni ottimistiche poiche´ i fatti, come sono, risultano assolutamente pessimistici” “Quali fatti?” “Loro non hanno un posto in cui vivere, – dissi io – e se giriamo un film in cui Ewa nasce in una sorta di tugurio e viene cresciuta in un ambiente allucinante, con bambini sporchi, poveri, abbandonati, non avremo un film ottimistico. Dobbiamo creare delle situazioni ottimistiche” “Quale potrebbe essere questa situazione positiva?” “Dobbiamo trovare un posto in cui possano vivere”. Con l’aiuto della sua influenza in vari luoghi, la TV trovo` un appartamento per loro . Basta dire che, quando la bambina aveva appena 39 sei mesi, loro gia` avevano l’appartamento» . L’importanza di questo intervento sta nel fatto che allora in Polonia bisognava aspettare degli anni per trovare un appartamento; Romek si era appena iscritto alla cooperativa edilizia e quindi non c’erano prospettive positive per loro. Kieslowski presto comprese di non poter continuare le riprese, perche´ avrebbe filmato qualcosa che sarebbe stato usato contro i giovani protagonisti: sapeva che avrebbe potuto influenzare la vita dei ragazzi, le loro opinioni, e scelse di rinunciare al progetto per non oltrepassare il limite morale del suo cinema. Zyciors (Curriculum Vitae) 35 mm, b/n, 45’ 10’’, (1975) Il film si colloca tra il documento e la finzione. Una Commissione di Controllo del Partito si riunisce per esaminare il ricorso di un attivista, Antoni Gralak, di cui `e stata proposta l’espulsione. L’attivista `e un attore non professionista, un ingegnere che in passato ha vissuto un’esperienza analoga, `e stato espulso dal Partito, ed il suo curriculum `e inventato. La Commissione `e costituita da veri membri del Partito, che discutono punto per punto la vita del protagonista in una sorta di finzione-verita`. Intorno alla meta` degli Anni ‘70 si era formata all’interno del Partito Comunista una corrente che riconosceva la necessita` di adattare la politica ai bisogni reali della gente per ovviare ai numerosi errori commessi. Alcune persone ritennero utile realizzare un’inquadratura dall’esterno della organizzazione, da affidare ad un uomo estraneo alle ragioni del Partito. Non si tratto` di una vera e propria committenza, dal momento che i modi e i tempi della realizzazione del documentario furono scelti da Kieslowski. 39

Danusia Stock (ed.), op. cit., pagg. 67-68.

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

Egli avrebbe desiderato riprendere una riunione del Politburo, la cellula vitale del Partito, ma non era ammissibile un’operazione di questo genere. Decise allora di agire a livello di base e scelse di riprendere il lavoro di una Commissione di controllo, un organismo che processava i membri sospettati di aver deviato dal partito. Kieslowski mise in atto un grande sforzo di comprensione, rinunciando ad ogni forma di giudizio sommario, alla lotta ad oltranza: il suo temperamento moderato, liberale, lo spinse ad un atteggiamento differente, lontano dalle provocazioni. Al regista non piacevano i membri delle Commissioni di Controllo, ma cerco` di capire come agissero, in che modo lavorassero: non arrivo` a giustificare l’operato di questa gente, ma provo` comunque a indagarne le ragioni. Kieslowski chiese a vari comitati di Partito di indicargli il piu` illuminato comitato in tutta Varsavia, perche´ intendeva mostrare che anche il comitato migliore disponeva in modo aberrante della vita degli individui, decideva cosa un membro potesse o non potesse fare. La scelta cadde sulla Commissione del quartiere Srodmiescie di Varsavia, che esamino` il curriculum (costruito ad arte dall’assistente di Kieslowski, Krzysztof Wierzbicki) del fantomatico Antoni Gralak40. Il rapporto tra realta`, verita` e finzione si fa complesso, indistricabile. «Curriculum Vitae e` il resoconto di un processo politico che ai toni della coscienziosa normalita` (i giudici lavorano con metodica tranquillita`) somma la cupezza raggelante di un potere vuoto e indiscutibile»41. La tonalita` contrastatissima del bianco e nero contribuisce alla creazione di un’atmosfera irreale, sospesa in una sorta di anticamera del dubbio, in cui si muove nervosamente il protagonista. Gralak ricostruisce la propria vita, dichiara di non aver chiesto alcuna riabilitazione, ammette di aver agito consapevolmente, di aver privilegiato i rapporti personali, andando contro gli interessi del Partito. Il film e` la testimonianza dell’intelligenza razionale ed emotiva di Kieslowski, capace di trascendere l’immediata visibilita` delle cose, di confrontarsi con tutte le istanze del reale. Il verdetto finale, mai pronunciato, e` affidato alla memoria, alle fotografie che ritraggono l’attore-ingegnere in tutti i momenti della sua vita, istanti irripetibili che riempiono lo schermo, denunciando la vuota insensatezza di un potere che manipola gli individui. Come risultato di cio` che aveva filmato, Kieslowski scrisse anche un dramma dallo stesso titolo del documentario. Il regista ammise che non si tratto` di un’opera teatrale canonica, ma piuttosto della registrazione 40

Le notizie sopra riportate sono tratte da Danusia Stock (ed.), op. cit., pag. 58. Bruno Fornara, Una vecchia fotografia, un martello, una vespa, in «Cineforum», n. 293, Bergamo, dic. 1990, pag. 8. 41

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scenica di una seduta con la Commissione di Controllo. In realta` fu il direttore del teatro a convincerlo a realizzare quest’opera, che Kieslowski definı` un completo disastro, nonostante la bellezza del teatro, il Teatro Vecchio di Cracovia, e la bravura degli attori, Jerzy Stuhr (protagonista di numerosi film di Kieslowski) e Jerzy Trela (interprete di molti drammi classici). In quell’occasione Kieslowski comprese che il teatro non si adattava al suo temperamento, e che girare film era l’unica cosa che sapesse e potesse realmente fare. Szpital (L’ospedale) 35 mm, b/n, 21’ 4’’, (1976) La macchina da presa segue le 32 ore, senza interruzione, del turno di lavoro di una equipe di medici e chirurghi ortopedici di un ospedale. Nonostante le carenze tecniche e strutturali del pronto soccorso, i medici riescono a lavorare mantenendo perfino il buonumore. L’ossessiva e straniante ricorsivita` di Ritornello sembra quasi annullarsi nella ripetizione salvifica dei gesti dei medici de L’ospedale. Non c’e` assuefazione, ne´ squallore, ma un profondo rispetto per il dolore, e la piena consapevolezza, a volte autoironica, da parte dei medici della provvidenzialita` del proprio lavoro. Kieslowski scopre la fratellanza (e vedremo quale risonanza avra` questo sentimento nelle sue opere successive) dove la routine sembra aver stritolato la vita, dove le giornate e le ore si incalzano l’una dietro l’altra, e la serialita` delle azioni rende ancor piu` vano il tentativo di sottrarsi alle regole del mondo. Eppure la verita` dei sentimenti pare riaffermare il mistero dell’esistenza, un mistero che sfugge all’ordine costituito del reale e si affida alla relativita` del caso. Una sequenza del film risulta emblematica in questo senso, addirittura miracolosa nel suo improvviso manifestarsi. Kieslowski aveva annotato nella sceneggiatura, necessaria per ordinare i pensieri e le idee, alcuni aneddoti, ricordi colti dalla viva testimonianza dei medici. I chirurghi ortopedici gli avevano raccontato un episodio curioso e drammatico allo stesso tempo, accaduto loro nel 1954. Durante un’ingessatura furono costretti ad utilizzare un martello simile a quelli usati per piantare chiodi, dal momento che non erano disponibili martelli chirurgici, e il martello si ruppe. Kieslowski cosı` annoto` nello script che i martelli si spezzavano durante le operazioni . Una notte – una delle tante trascorse durante i tre mesi di lavorazione – arrivo` in ospedale una donna con una gamba rotta, che si scoprı` essere la zia del direttore di produzione, ed i dottori cominciarono ad operarla. Le sale chirurgiche erano dieci, e Kieslowski, casualmente, si trovava in quella giusta. Dopo qualche minuto il regista fece partire il magnetofono e la

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macchina da presa, accese le luci: il martello si ruppe. Non si tratto` di uno scherzo ma di una epifania del caso. Kieslowski ebbe la sensazione, in quel momento, di aver filmato qualcosa di veramente importante. Forse aveva intuito il senso inafferrabile dell’esistenza, «l’anello che non tiene», di fatto fu grazie a quel martello che continuo` a fare del cinema. Z Punktu Widzenia Nocnego Portiera (Dal punto di vista del guardiano notturno) 35 mm, colore, 16’ 52’’, (1977) Si tratta di un monologo registrato prima delle riprese delle immagini, montate in una successione di temi. Protagonista del film `e il guardiano notturno di una fabbrica, fanatico della disciplina, ligio alla sua passione per l’ordine e la repressione perfino in famiglia. Poliziotto e guardapesca a tempo perso, `e convinto che la vita di adulti e bambini debba seguire il principio secondo cui “il regolamento `e piu` importante dell’uomo”. L’idea di girare un film su un guardiano di una fabbrica venne al regista dall’aver letto ogni tipo di diari pubblicati in Polonia dalla Cooperativa Editoriale del Popolo. Si trattava di libri incredibilmente interessanti dal punto di vista sociologico – a giudizio di Kieslowski – che pero` nessuno leggeva. I titoli piu` diffusi erano: Un mese della mia vita, Il piu` importante giorno della mia vita, Diari degli operai, Diari delle donne. In uno di questi volumi Kieslowski trovo` il diario di un portiere. Era un uomo che mostrava di avere opinioni anti-umane, fasciste, e Kieslowski decise subito che si doveva fare un film su questa persona. Incontro` l’uomo che aveva scritto il diario, ma si rese subito conto che si trattava di un personaggio ‘non filmabile’, perche´ pieno di difetti e incapace di reggere il confronto con la telecamera. L’assistente di Kieslowski, Wierzbicki, si mise alla ricerca di un altro guardiano, che avesse le stesse caratteristiche, la stessa ossessione per l’ordine e la giustizia. Solo a Varsavia sarebbe stato possibile fare cinquanta film. La scelta infine ricadde su Marian Osuch, un uomo spaurito e goffo, diviso tra il paranoico lavoro di vigilante e la contraddittorieta` della dimensione quotidiana. Il film narra per immagini alcuni scorci di vita del protagonista, il grottesco groviglio delle sue idee, il suo cieco fideismo nei confronti del potere, la sua ottusa devozione alle norme e ai regolamenti. Marian esprime la propria ideologia fascistoide in frasi lapidarie del tipo: «La gioventu` ha troppa liberta`. Ci vuole la pena di morte. Impiccarli pubblicamente, che tutti vedano. Non mi piacciono le critiche allo Stato. Vorrei eliminare tutti quelli che criticano»42. 42

Si tratta di alcune affermazioni del guardiano pronunciate a commento delle immagini del documentario, che lo ritraggono sul luogo di lavoro e in alcune occupazioni durante il tempo libero.

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Ma la minacciosa aggressivita` di tali affermazioni e` smentita dalla goffaggine dei suoi approcci alla vita concreta, dallo scollamento tra le idee e i tentativi maldestri della loro messa in atto. La cifra stilistica piu` alta del documentario e` il risultato della intuizione del direttore della fotografia, Witold Stok, che utilizzo` la vecchia pellicola ORWO, prodotta nella Germania dell’Est, particolarmente sensibile alla luce. L’effetto ottenuto sullo schermo e` una forte distorsione dei colori che crea un’accentuazione grottesca dell’ambiente e dei personaggi, e riflette simbolicamente la visione alterata del mondo propria del protagonista. Il documentario e`, ancora una volta, uno splendido esempio di messa in scena, di drammaturgia calcolata, in cui l’apparente neutralita` della telecamera sembra nascondere un inquietante interrogativo: «e se queste persone finissero per unirsi e fare fronte unico?»43. Nie Wiem (Non so) 35 mm, b/n, 46’ 27’’, (1977) Didascalia del prologo: «I fatti raccontati nel documentario sono molto meno gravi della realta`». Segue la confessione dell’ex direttore di una fabbrica di guanti della bassa Slesia, il racconto dei tentativi di contrastare le attivita` illegali di alcuni membri del Partito che agivano all’interno della fabbrica e della regione, della sua espulsione dalla fabbrica e il rifugio in provincia. L’indugiare di un racconto che si avvolge su se stesso, che rivela la fragilita` degli istanti di una vita, l’opacita` dei suoi tragitti e delle sue stranezze. L’insufficienza del sapere, la dichiarata incapacita` di comprendere le oscillazioni del proprio vissuto esperienziale, i meccanismi artificiali del potere: «Io non so perche´», «Io non so chi». Il lento e faticoso insistere della storia e` a tratti interrotto dal suono della macchina da scrivere, che copre i nomi dei colpevoli. L’atmosfera persecutoria di Curriculum vitae e` come introiettata dal soggetto, che accusa e si autoaccusa nel disperato tentativo di dare un senso alla propria esistenza. «La camera, durante il monologo del protagonista, inquadra la facciata di una casa, e questo piano ritorna regolarmente, fino a quando si comprende che il giorno finisce, la luce si abbassa, e l’uomo si trova proprio dietro questa facciata. Intorno al tempo di una vita segnata dal disordine e dall’incomprensione, il film di Kieslowski costruisce il tempo di un racconto circoscritto, dal rigore di una durata controllata»44. Ma la didascalia finale amplifica la risonanza delle affezioni individuali, e rimanda alla scomposizione seriale 43 44

Malgorzata Furdal, Perche´ siamo qui?, cit., pag. 20. Vincent Amiel, op. cit., pag. 77.

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della realta`: «Indipendentemente dalla frammentarieta` e dalla soggettivita` del racconto, quest’uomo e la sua condizione esistono oggettivamente. Moltiplicate potrebbero essere un fenomeno sociale». Siedem kobiet w roznymwieku (Sette donne di eta` diversa) 35 mm, b/n, 16’, (1978) Film a episodi. Ognuno rappresenta un giorno della settimana e ritrae una ballerina di danza classica. Si passa dalla piu` piccola, una bambina che muove i primi passi nella danza, alla piu` anziana, che `e la stessa insegnante della scuola. Una breve ouverture sull’incessante fluire delle eta`, sulla ricorsivita` del tempo, che la forma narrativa di Kieslowski riconduce all’incerta eternita` delle emozioni, al presente della storia. L’inesorabile tragitto della vita si annulla in ogni giorno-movimento, nella fragile fisicita` dei gesti, nell’esile trama dei contrasti luminosi. Tutto poi ritorna al centro, il cerchio si ricompone con il recupero, nel finale, del tema d’inizio. Quel che resta e` una fuga visiva, e il tempo di uno sguardo, immobile. Dworzec (La stazione) 35 mm, b/n, 13’ 53’’, (1980) La Stazione Centrale di Varsavia. Gente che arriva e che parte in un luogo in cui niente funziona bene, solo il telegiornale trasmesso su un teleschermo, davanti al quale si ferma qualche casuale viaggiatore. Una folla anonima di persone invade la scena: tutti stanno cercando qualcosa. Questa l’idea del film, la volonta` di riprendere i tempi morti della vita, l’inutile ricerca di cio` che non si conosce, o non si otterra` mai. La cornice ideale per questa tragedia del nulla e` l’inferno metropolitano della stazione (elemento topico dell’immaginario kieslowskiano), dove niente funziona e tutto si confonde nel frenetico andirivieni della gente. L’inconsistenza della linea della storia spinse Kieslowski ad inserire una figura di raccordo, che evitasse la dispersione del senso. Il centro del racconto divenne cosı` il tizio che osserva la scena attraverso il monitor della telecamera a circuito chiuso, una sorta di narratore onnisciente, che in realta` non sa niente di cio` che accade, ma crede di sapere. Il contrappunto visivo dell’intero episodio e` dato dalla presenza del teleschermo che trasmette il telegiornale, metafora dell’alienazione dell’esistenza. E` questa l’immagine piu` emblematica del documentario, a tratti scomposto, irrisolto, un’immagine che verra` sublimata e sviluppata (soprattutto in Film Blu e Film Rosso) a significare il potere anestetizzante della moderna tecnologia nei confronti dell’uomo e della sua capacita` di interagire col mondo. Un altro episodio filmato all’interno del documentario rischio` di coinvol-

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gere Kieslowski in ‘un caso poliziesco’. Con una camera semi-nascosta Kieslowski aveva ripreso le reazioni della gente di fronte ai nuovi depositi automatici di bagagli. L’atmosfera era buffa perche´ nessuno sapeva usarli. La polizia sequestro` i nastri per prenderne visione, Kieslowski penso` di aver filmato qualcosa di sconveniente dal punto di vista politico. Piu` tardi si scoprı` che, la notte in cui erano state effettuate le riprese, una ragazza aveva ucciso la madre, l’aveva tagliata a pezzi e aveva nascosto i resti in due valigie, lasciate dentro uno dei nuovi depositi di bagagli. La ragazza era ‘sfuggita’ alle telecamere, ma Kieslowski si rese conto della ‘pericolosita`’ del cinema documentario, e considero` l’idea di passare definitivamente alla fiction. Gadajace glowy (Le teste parlanti) 35 mm, b/n, 15’ 32’’, (1980) 45 Settantanove polacchi da 0 a 100 anni vengono intervistati da Kieslowski. Le tre domande dell’inchiesta sono: «In che anno sei nato? Chi sei? Cosa `e piu` importante per te, cosa vorresti?» Si tratta di un esperimento esplicitamente antitelevisivo, che intende prendersi gioco della forma prosaica e giornalistica dell’ ‘intervista’: invece di cogliere la gente alla sprovvista, le si da` il tempo di riflettere, di superare l’imbarazzo della macchina da presa, per poter elaborare in tutta tranquillita` le risposte. Il documentario e` l’ultimo atto di un faticoso lavoro di centinaia di interviste preliminari, che servivano per preparare i soggetti alla enorme generalita` delle tre domande filmate. Il risultato e` un lungo poema figurativo, un viaggio a` rebours alla ricerca dei significati della vita, che riproduce il ritmo interno delle cose, il loro eterno contraddirsi. L’effetto della messa in scena e` l’improvviso accendersi della poesia dei volti, che esprimono, nella loro forza epigrammatica, lo spirito ossimorico della commedia naturale della esistenza, l’indecidibilita` del reale, l’unicita` insostituibile del soggetto umano e la molteplicita` dei casi dell’esperienza, l’assoluta e insostenibile leggerezza dell’essere. Non ci sono risposte definitive, ma una ininterrotta conversazione con se stessi, con le proprie paure, con le incertezze e i traumi della societa`, con i possibili rimedi, in una mutua alleanza con lo spettatore, che sa comprendere i tempi e le perplessita` di questa affascinante drammaturgia della realta`.

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Il primo ad essere intervistato e`, infatti, un neonato, che naturalmente non risponde.

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Siedm dni w tygodniu (Sette giorni della settimana) 35 mm, colore, 18’, (1988) Cortometraggio su Varsavia appartenente al ciclo di 12 film sulle capitali d’Europa, realizzati da registi diversi. E` costruito ad episodi, ognuno con un titolo corrispondente ai giorni della settimana, in cui si racconta la storia di un personaggio. Un operaio, un giornalista, un’operaia, un medico del pronto soccorso che fa anche la guida dell’ORBIS, un ragazzo drogato che suona in un complesso rock, una vecchietta che fa la spesa. Ognuno segue la propria strada, ma nell’ultimo episodio si incontreranno tutti e sei a colazione, rivelandosi i componenti della stessa famiglia. Kieslowski ripropone la forma sequenziale-ciclica utilizzata in precedenza in parecchi documentari, recupera il gusto del polittico, e orchestra, con la consueta abilita`, il ritratto di una Varsavia post-comunista, ancora immersa nelle contraddizioni della storia, che sono poi le contraddizioni della vita di ogni giorno vissute dai protagonisti dei singoli episodi. Sei personaggi in cerca di equilibrio, che si muovono precariamente tra gli angoli e le vie di una citta` che sembra respingerli, ma che invece sa accoglierli nel caldo e rassicurante rituale di una domenica in famiglia. Sei destini diversi, sei diversi sguardi disseminati nel grigiore della metropoli, un unico modo di raccontare la vita, il documentario.

 «Piazzare la telecamera altrove»

. Il graduale passaggio alla fiction Ho scelto di trattare separatamente i film di finzione dai film documentari per approfondire in maniera piu` accurata le ragioni che indussero Kieslowski a sperimentare le possibilita` della fiction, per evidenziare la coerenza e la continuita` del suo cinema. Emerge da quanto esposto a proposito delle opere documentarie il profondo senso di responsabilita` di Kieslowski nei confronti dei soggetti filmati, l’obbligo morale di non modificare la loro vita, di non condizionare le loro opinioni, e quindi anche l’amarezza, la disillusione in occasione degli incidenti di lavorazione di Operai ‘71 e La stazione. Occorre non sottovalutare l’importanza di questi episodi in riferimento al quadro generale delle scelte del regista, perche´ furono vissuti come momenti di forte consapevolezza autocritica e determinarono una sorta di divaricazione dello sguardo del cineasta. A partire dalla prima meta` degli Anni Settanta, infatti, l’esplorazione del genere documentario venne a tratti interrotta da alcuni esperimenti visivi che testimoniano la permanenza degli atteggiamenti e delle pose da documentarista, ma anche la ricerca di una piu` ampia liberta` narrativa. Questi primi tentativi mostrano i segni di un irrisolto mutamento, di un’ancora acerba sensibilita` di racconto, riscontrabili nell’incompletezza dell’azione, nell’incertezza delle inquadrature, nella complessiva mancanza di forma. Eppure qualcosa stava cambiando. L’asciutta concretezza del cinema documentario di Kieslowski, i tempi controllati dell’osservazione furono in qualche modo trasfigurati da una grande apertura dei sensi che diede accesso alla necessita` del caso, ad una forte affermazione della soggettivita`. La materia del mondo si arricchı` di nuovi intrecci, ancorati al contesto politico e sociale del tempo, di soluzioni estetiche capaci di superare la 1

K. Kieslowski, Perche´ siamo qui?, intervista di Malgorzata Furdal, in Roberto Turigliatto e Maolgorzata Furdal (ed.), Kieslowski, Museo Nazionale del Cinema, Torino, 1989, pag. 43.

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fisicita` delle immagini, la relativita` del de´coupage. La qualita` prima dei film di Kieslowski divenne, gradualmente, la densita`: una densita` di sguardo innanzitutto, che non significa necessariamente compattezza, bensı` intensita` di luce e di contorni, profondita` di visione e traiettorie. Densita` di sguardo, dunque, ma anche di racconto, dal momento che Kieslowski riuscı` a rompere la continuita` della meccanica narrativa istituendo dei legami nuovi, inaspettati, tra gli ordini delle cose. Certo queste caratteristiche appartengono alle opere piu` mature del regista (dal Decalogo alla Trilogia), ma si manifestarono in nuce nei primi film a soggetto, nella polverosa ambientazione di Personel, metafora della vita stessa, nelle contrastate vicende del «cineamatore» Filip Mosz, splendida riflessione sul fascino ingannevole del cinema, nelle inaccessibili architetture de Il caso, negli inquietanti presagi metafisici di Senza fine, frammenti di una coscienza in fieri. Il distacco di Kieslowski dal documentario ‘puro’ avvenne, dunque, per gradi. Non va considerata un paradosso la crisi di fiducia verso la rappresentazione documentaristica della realta` patita dal regista a cavallo degli Anni Settanta-Ottanta sotto l’incalzare della tensione politica. Nella fruizione quotidiana il cinema accusava ritardo rispetto alla rapidita` e alla immediatezza del reportage televisivo, e questa situazione viene riproposta, provocatoriamente, ne Le teste parlanti, citazione autoironica con il titolo ripreso dalla critica periodica. Kieslowski cerco` di rivitalizzare la convenzione realistica contaminando le due forme artistiche, quella del documentario e quella del film di finzione, nel cosiddetto drama-documentary, per preservare nel documento la verita` dei comportamenti, la fisionomia delle cose, e nella finzione la profondita` dell’esperienza e l’azione. Durante l’elaborazione di nuovi contenuti Kieslowski scoprı` la trappola del documentario, l’impossibilita` di riprendere ogni cosa, perche´ piu` vicino si vuole arrivare a qualcuno piu` questi si ritrae dall’essere filmato. «L’intimita` e` qualcosa che l’uomo vuole occultare, e dunque la macchina da presa e` sfrontata, usurpatrice, villana a volere entrarvi»2. Kieslowski non oltrepasso` mai la soglia morale del documentario, ad un certo punto scelse di raccontare con lo sguardo cio` che allo sguardo non e` dato vedere, l’altro lato del reale, l’invisibilita` delle emozioni: e comincio` a piazzare la telecamera altrove.

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Ivi, pag. 40.

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. Przejscie Podziemne (Il sottopassaggio): la linea sotterranea del rimpianto Il sottopassaggio, del 1973, e` il primo film a soggetto di Kieslowski, della durata di trenta minuti, girato in bianco e nero per la Televisione polacca. Esordire come regista di fiction nella Polonia degli anni Settanta non era impresa facile, perche´ lo Stato esercitava uno stretto controllo sulla industria cinematografica tramite il Vice-ministro delle Arti e della Cultura, che, in ogni momento della produzione, poteva intervenire e stabilire chi fosse qualificato o adatto a girare un film. Kieslowski decise di seguire l’iter canonico attraverso cui si giungeva alla realizzazione di un lungometraggio, iter che prevedeva prima la creazione di un film di mezz’ora per la televisione, quindi di un film di un’ora per la televisione, e infine la realizzazione di un film lungo. Il primo atto di avvicinamento alla fiction fu proprio Il sottopassaggio, scritto da Kieslowski in collaborazione con Ireneusz Iredynski, uno scrittore professionista di sceneggiature e di numerosi drammi radiofonici. Kieslowski aveva a disposizione dieci notti: giro` l’intero film in nove, e proprio alla fine delle riprese capı` di aver girato «un’idiozia senza senso». Decise allora di rifare tutto l’ultima notte e, probabilmente, fu grazie alla situazione disperatamente difficile che il film riuscı` a diventare autentico. La vicenda si svolge in un sottopassaggio, nel flusso di passanti, di cui si captano frammenti di vita. Viene descritto il piccolo dramma di un uomo e una donna che si sono separati due anni prima e si rincontrano nel breve spazio di una notte. L’uomo cerca di riavvicinarsi alla donna, ma viene respinto a causa della mediocrita` dei suoi gesti, e della distanza, ormai incolmabile, che divide i loro destini. La realta` rappresentata nel film e` caotica e fugace. La storia dei due protagonisti si inscrive entro i margini di uno scenario frantumato, in cui ogni gesto, ogni spostamento di corpi e di luce, acquista rilevanza in virtu` di una naturale immediatezza, di una forza d’improvvisazione e di istinto. Quest’impressione di ‘fugacita`’ e` ottenuta tramite l’accostamento di sequenze nervose, spezzate, girate con la macchina a mano, con riprese convenzionali, montaggio per stacchi, effetti di campo e controcampo. Il risultato finale e` un continuo rincorrersi dello sguardo, la sospensione e l’incertezza di ogni giudizio. La forma scomposta delle immagini rimanda alla problematica centrale del film, la crisi generale di valori, osservata attraverso il prisma di un episodico incontro tra un uomo e una donna, un giovane insegnante di una cittadina di provincia venuto a Varsavia in gita scolastica e la donna che lo ha abbandonato trasferendosi nella capitale.

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La nostalgia dell’uomo per l’amore perduto si rivela in piccoli gesti, anonimi, quasi irriverenti, laica liturgia della formalita`. Non c’e` piu` dialogo tra due vite che si perdono nel caos magmatico del sottopassaggio, non c’e` spazio per false speranze o compromessi, ma solo il tempo di rapidi, languidi sguardi. Diverse risultano le espressioni dei volti: pacata, distesa quella di lui, contratta, emotivamente raggelata quella di lei. Eppure la donna si dimostra nelle sue reazioni piu` schietta, piu` autentica del suo interlocutore: scopre che la sua visita e` frutto del caso, di una gita scolastica, e che l’uomo ripartira` l’indomani (ha trovato il biglietto del treno nella sua giacca), ma decide di non smascherare la finzione, le vane lusinghe dell’ex compagno, con la serenita` di chi non ha piu` illusioni. In questo dramma dell’incomprensione si riflette lo sguardo inquieto del regista, la lacerante consapevolezza dell’impossibilita` di definire razionalmente la frattura del mondo. Kieslowski riesce a sfruttare pienamente «le potenzialita` espressive del luogo dell’azione: fretta e indifferenza nel contatto tra le persone, incapacita` di preservare la sfera dell’intimita` e delle penombre emozionali, e infine una violenza incomprensibile e irrazionale»3, che si manifesta nella scena di una zuffa filmata attraverso una vetrina parzialmente ricoperta di carta. Ma e` solo un attimo, un breve istante di commozione che chiude il vagabondaggio del protagonista, inghiottito dalla luce chiara del giorno, dopo aver conosciuto la volgarita` dei frenetici corridoi sotterranei e lo scacco di un rifiuto.

. Personel (Il personale): la necessita` delle illusioni Il personale fu girato nel 1975 per la TV polacca e costituisce il secondo atto di quel percorso obbligato verso il lungometraggio a cui erano sottoposti i registi ritenuti principianti. Il film di fatto supera la durata prevista del mediometraggio (un’ora), ma non assume ancora la veste canonica di un film di finzione; e` piuttosto un grande esperimento narrativo, in cui la forza delle immagini si combina con l’immediatezza della registrazione paradocumentaria. Anche in questo caso, cosı` come era accaduto per Il sottopassaggio, l’opera ebbe una difficile gestazione; addirittura Kieslowski aveva comunicato al direttore della produzione, Stas Rozewicz, di voler rinunciare al progetto, ma quando questi assecondo` la resa, Kieslowski decise di continuare, la sua ambizione non gli consentı` di smettere. Risulta 3 Janusz Macczak, La mancanza di forma, in Roberto Turigliatto e Malgorzata Furdal (ed.), op. cit., pag. 118.

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evidente lo scarto rispetto alla prima prova registica de Il sottopassaggio: l’astrattezza della vita cede il passo alla meticolosa funzionalita` – solo apparente – di un microcosmo, il teatro, capace di riprodurre, attraverso le sue gerarchie, i suoi paradossi, la sua meschinita`, l’immagine metaforica del mondo. Il giovane sarto Romek Januchta entra a far parte del personale del Teatro dell’Opera di Wroclaw, animato dal verginale entusiasmo della sua eta`. La realta` del teatro in cui si imbatte si dimostra, fin dall’inizio, volgare e classista: un custode gli nega l’accesso dall’ingresso principale, riservato agli artisti, e gli indica la scala di servizio, quella del ‘personale’. Una serie di episodi, visti o raccontati dietro le quinte, compongono lo sfondo di una squallida scena, in cui si ripete, stancamente, la vuota cerimonia dell’arte. Si delinea un acceso conflitto tra artisti e tecnici, incarnato da due personaggi, quasi due giganti in quella triste e polverosa assemblea: l’attore Andrzej rivendica, in un assurdo delirio di onnipotenza, la superiorita` degli artisti, il vecchio sarto Sowa denuncia, dall’altra parte, le ingiustificate megalomanie degli artisti, i loro antagonismi ridicoli e guasti. L’integrita` del lavoro del ragazzo `e spezzata dall’intervento del direttore del teatro, che gli chiede di sottoscrivere una lettera delatoria per accusare di prevaricazione proprio il suo maestro spirituale, il sarto Sowa, colpevole di aver guidato l’insubordinazione del personale. Il film si chiude nel momento della scelta, nell’incertezza del futuro di Romek e del teatro. L’azione scorre libera, delicata ed enigmatica, la linea drammatica e` affidata alla recitazione di pochi attori professionisti (che Kieslowski chiama «i miei», perche´ erano studenti del corso di regia alla scuola di Lodz), tra cui risalta il giovane Juliusz Machulski (Romek), futuro regista, insieme con Tomasz Zygadlo, regista gia` affermato. Cio` che costituisce l’azione del film, il teatro, e` assolutamente reale: il direttore e` interpretato dal vero direttore del teatro, i costumisti sono i veri costumisti. Kieslowski realizza un piccolo miracolo registico, animato dal desiderio di «pagare il debito» alla Scuola Superiore per Tecnici Teatrali. Egli, infatti, aveva lavorato come ‘dresser’ al Teatro Contemporaneo di Varsavia, a stretto contatto con il mondo che sognava sarebbe stato il suo, con gli attori che amava, e che, successivamente, sarebbero diventati gli interpreti dei suoi film. (E` il caso di Zbigniew Zapasiewicz, Tadeusz Lomnicki, Aleksander Bardini). Compare in Personel anche una delle insegnanti di Kieslowski della Scuola per Tecnici Teatrali, una delle piu` brave a suo giudizio, Irena Lorentowicz, che interpreta la designer di palcoscenico. Il materiale autobiografico, il vissuto di ricordi, di emozioni partecipano all’atmosfera del film, alla suggestione delle immagini, vagamente fantastiche. L’iniziazione di Romek all’arte, alla vita e` scandita dai movimenti della macchina da presa, che segue attentamente ogni espressione del suo viso, a tratti

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assorto, quando si guarda intorno, a tratti solenne, quando, per esempio, si riflette in uno specchio dalla pesante cornice. «La dissolvenza, in questo caso, sottolinea la dispersione e l’incompiutezza di tutti i frammenti, appena intravisti, della nuova realta`»4, e in qualche modo prefigura l’esito finale della storia, la suspense del dubbio. Fanno da contrappunto all’azione del giovane sarto quelle che il regista definisce «scene espressive», in cui si mostra l’assurdita` delle persone, l’insensatezza e la intrinseca comicita` di alcune situazioni. Kieslowski registra, in presa diretta, le conversazioni improvvisate del backstage, i discorsi che sempre hanno luogo nei teatri o in posti simili. La gente (i sarti) e` seduta e parla di una persona o di qualcos’altro, di cio` che succede, dei propri sogni, di chi ha tradito qualcuno. Pettegolezzi, banali discussioni, a tratti mordaci, esilaranti, che sottolineano la disillusione di Romek che aveva vagheggiato il mondo dell’arte. Il film e`, in fondo, proprio una interrogazione sull’arte, e l’unica risposta sembra essere quella del sarto Sowa: «Il tempio non e` che un rudere ammuffito, dove ci affanniamo dall’alba al tramonto a cucire costumi per degli spettacoli idioti, che non dicono niente a nessuno». Eppure la forza genuina del giovane Romek sa spingersi al di la` di ogni recriminazione, di ogni contrasto, fin quasi a raggiungere il primo verdetto della maturita`: la necessita` delle illusioni. Lo lasciamo solo, nella buia penombra di una stanza, a decidere del suo futuro e della sua integrita`. Una pagina bianca, forse, lo salvera`.

. Blizna (La cicatrice): la trappola del benessere Quest’opera, del 1976, segna per il regista l’esordio ufficiale nel lungometraggio destinato al circuito cinematografico. L’idea e` tratta da un soggetto del giornalista Romuald Karas, un ‘report’ dal quale, pero`, Kieslowski si allontana per inventare l’azione, il plot, i personaggi. Il risultato finale fu criticato aspramente dallo stesso regista, il quale riconobbe l’incerto sviluppo dello script e l’impronta generale di ‘socio-realismo’ a ritroso. Il socio-realismo era stato un movimento artistico, sviluppatosi in Russia dagli Anni Trenta fino alla meta` degli Anni Cinquanta, che aveva indotto a fare dei film che mostrassero come le cose avrebbero dovuto essere, e non come fossero in realta`. «Ed e` ovvio come le cose dovessero essere 4 Konrad Eberhardt, La voce dei «non privilegiati», in Roberto Turigliatto e Malgorzata Furdal (ed.), op. cit., pag. 126.

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secondo le persone che girarono film in Russia negli Anni ‘30 e in Polonia dopo la seconda guerra mondiale. La gente avrebbe dovuto lavorare, avrebbe dovuto essere felice, avrebbe dovuto amare il Comunismo, avrebbe dovuto credere nel Comunismo, credere che insieme avrebbe cambiato il mondo. Questo era il socio-realismo»5. 1970. Dopo discussioni e disoneste negoziazioni, si decide finalmente dove costruire una nuova grande fabbrica chimica, e Bednarz, onesto uomo di Partito, `e incaricato dell’impresa. Bednarz un tempo viveva nel piccolo centro in cui si dovra` costruire la fabbrica, sua moglie `e stata un’attivista di Partito e i suoi ricordi di quel tempo non sono piacevoli. Ma l’uomo intraprende il suo compito convinto di costruire un luogo in cui la gente potra` vivere e lavorare bene. Tuttavia le sue intenzioni e le sue convinzioni si scontrano con le necessita` degli abitanti del luogo, preoccupati soprattutto di soddisfare i bisogni piu` immediati. La fabbrica, dopo anni di sforzi, viene inaugurata, ma la sua costruzione `e avvenuta in modo errato; e per questo a pagare in prima persona sara` il solo Bednarz che, ormai disilluso, decidera` di dimettersi. Una missione di progresso si trasforma in un’avventura ideologica dai forti contrasti, in cui si misurano verita` e omologazione, volonta` e falsa coscienza. Al centro dello schermo, nella sua sdegnosa solitudine, il direttore della fabbrica Bednarz, interpretato dal famoso caratterista polacco Franciszeck Pieczka, volto noto e conciliante che ne umanizza la figura. Il film narra la caduta morale del protagonista, la progressiva disgregazione del consenso, anche di quanti lo avevano in un primo tempo sostenuto, la rinuncia finale all’azione, all’impegno politico, e il ripiegamento in se stesso, nell’intimita` degli affetti. L’interesse di Kieslowski e` rivolto all’osservazione, attenta e disincantata, dei meccanismi artificiali del potere, delle strategie di assecondamento dell’opinione pubblica, degli sforzi del direttore nel tentativo di “fare le cose per bene”. E per fare le cose per bene, Bednarz incarica un gruppo di sociologi di compiere dei rilevamenti statistici sul gradimento del progetto di costruzione della fabbrica da parte della gente. Le parole dei sociologi esprimono il senso ultimo del film, la mistificazione operata dal potere e, di contro, l’obbligo di proteggere alcuni valori in seno ai quali la comunita` si sente protetta: «Le crediamo e crediamo in quello che Lei fa. Potremmo non concordare, ma ci crediamo anche se presumibilmente vi e` un po’ d’improvvisazione. Ma una cosa e` la verita` e un’altra la fede. Se facciamo ricerche, sondaggi, articoli e` per dire come stanno le cose. Lo facciamo per Lei, in fondo, perche´ vi siano meno sbagli possibili». Questa scena – il colloquio tra Bednarz e i sociologi – innesta l’azione del racconto cinematografico; e` a 5

Danusia Stock (ed.), Kieslowski on Kieslowski, Faber and Faber, London, 1993, pag. 99.

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partire da questo momento, dalla rilevazione statistica del reale, che il direttore cerchera` di diventare l’‘uomo fidato’, sicuro di fare gli interessi della gente. L’intento pionieristico di Bednarz, pero`, e` sempre piu` condizionato dai rapporti di forza vigenti nella logica imprenditoriale dello Stato, i suoi atteggiamenti risentono dell’ufficialita` della missione e diventano falsi, stereotipati. L’equivoco di fondo, la diversita` di prospettive tra il vertice (Bednarz) e la base (la gente), si manifesta, in tutta la sua paradossale consistenza, in una delle scene piu` convincenti del film, quella della festa popolare, in cui Bednarz si cimenta in un casereccio bagno di folla. Il direttore si aggira, sotto lo sguardo ironico della figlia, tra baracconi del tiro a bersaglio e tavole calde, i suoi movimenti sono ariosi, il suo volto emana una gioia ‘regale’. Ma «la sensazione d’unita` che si avverte e` illusoria e patetica, e` soltanto un assaggio di quel contatto reale che non avviene»6. Il desiderio del protagonista di ‘stare col popolo’ viene tradito dalla verita`, la verita` della storia (la fabbrica e` stata costruita in maniera errata) e la verita` etica (l’uomo capisce di aver danneggiato maggiormente le persone di quanto non le abbia aiutate), che insieme ne determinano la caduta, la totale sconfitta morale. Il cinema di Kieslowski, ancora una volta, si interroga sui rapporti fra il potere e la realta`, indaga quella zona d’ombra che sono le ragioni del singolo a confronto con l’ideologia del Partito. Il regista non ha, pero`, saputo sviluppare le potenzialita` dei personaggi, per cui la situazione familiare, che dovrebbe rendere piu` umano Bednarz, manca di espressivita` o trabocca di sentimentalismo, e lo scontro tra il direttore e il suo assistente (Jerzy Stuhr) rimane schematico nella statica contrapposizione tra l’ingenua umilta` del primo e l’astuto servilismo del secondo. La sostituzione del titolo originario del film – Uno dei nostri – tradisce l’impotenza, l’incapacita` del protagonista di superare le resistenze della gente al fine di diventare l’‘uomo fidato’, e l’effetto della sua mancata azione (dovuta anche alla manipolazione del Partito), il danno biologico e morale, ‘la cicatrice’, ennesima trappola del benessere. Legato a Blizna e` Klaps (Ciak), un film di inquadrature non inserite nel lungometraggio, che ha come motivo conduttore la tavoletta del Ciak, su cui si vede ancora scritto il titolo originariamente previsto per il film, Nasz Czlowiek (Uno di noi).

6 Tadeusz Sobolewski, Lo squallido cortile, in Roberto Turigliatto e Malgorzata Furdal (ed.), op. cit., pag. 135.

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. Spokoj (La calma): il paradosso della scelta Spokoj, girato da Kieslowski nel 1976 per la televisione, rimase bloccato per quattro anni fino al settembre 1980, probabilmente perche´ in contrasto con la visione unilaterale della ‘propaganda del successo’. Fu, a suo modo, un film profetico perche´ preconizzo` l’ondata di scioperi che invase la Polonia proprio nel 1976, eppure non puo` dirsi, almeno nelle intenzioni del regista, un’opera politica. Lo sciopero non figura come nucleo tematico del racconto cinematografico, e` un’appendice diegetica, un momento della storia, che vuole essere una riflessione sulla Polonia, sul sistema che non consente di avere cio` che si desidera, anche quando tutto quello che si vuole e` soltanto un televisore e una moglie. Antek Gralak `e appena uscito di prigione. Lascia Cracovia, la sua citta`, per andare a lavorare in Slesia. Tutto cio` che desidera sono le piccole cose della vita: un lavoro, un posto dove dormire, qualcosa da mangiare, una moglie, un televisore e la pace. Ansioso di evitare i conflitti e felice di essere vivo e in liberta`, Antek `e amichevole con i colleghi, sincero e riconoscente con il suo principale. Incontra una donna, la sposa, ma sul lavoro cominciano i problemi. Scompare del materiale dal cantiere, e il capo di Antek, implicato nel furto, cerca di convincere l’operaio ad essergli complice nei suoi loschi traffici. Gli operai entrano in sciopero, ma le autorita`, preventivamente avvertite dal direttore, riescono a contenere la protesta. Gralak attacca apertamente il suo principale ma, avendo rifiutato di aderire allo sciopero, comincia ad essere odiato dai suoi compagni di lavoro. Questi, nella scena finale del film, sfogano la loro rabbia aggredendolo, mentre lui rifiuta di difendersi e si lascia cadere mormorando «Calma... calma...». «Prima di tutto una donna, dei bambini, un angolino tutto per me, il pranzo, il pranzo sempre a casa, niente mensa, niente latteria. Due o tremila li guadagno dovunque, di piu` non mi serve...»: i bisogni minimali di Gralak, il suo egoismo disarmante non danno fastidio alla brigata, anche perche´ egli riesce poi a conquistarsi tutti con il suo ottimismo ingenuo, «una specie di gioia infantile da neofita per cui, dopo tre anni in una cella di prigione la passeggiata nel bosco equivale ad una in paradiso, e la prima ragazza simpatica e` la compagna per tutta la vita»7. L’orizzonte poetico di Antek e` tutto qui, nella ritrosia degli sguardi, nella appagante giovialita` della vodka, nella quotidiana certezza di aver finalmente raggiunto la pace. Ma la placida consistenza delle immagini e` sconvolta, a tratti, dall’irrompere di una scena – cavalli al galoppo – che spezza la continuita` della meccanica narrativa, e trova una risonanza interna al di la` 7 Adam Krzeminski, La calma apparente di quegli anni, in Roberto Turigliatto e Malgorzata Furdal (ed.), op. cit., pag. 130.

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della semplice articolazione visiva. I contorni emozionali del protagonista vengono amplificati dall’insorgere di questa scena, alla quale egli stesso partecipa imitando, con la voce e con il corpo, il suono degli zoccoli dei cavalli lanciati nella corsa. La diffusione in echi dell’immagine rimanda ad una dimensione metaforica, attraverso cui Kieslowski riesce a mostrare l’altro volto del reale, il suo contrappunto ideale e simbolico. Questa linea metafisica, che la critica ritiene appartenga alle opere ‘mature’ di Kieslowski (dal Decalogo alla Trilogia), si manifesta gia` nei primi anni della sperimentazione cinematografica, e` legata alla relativita` delle immagini, alla trascendenza dello sguardo. La solida concretezza di Antek e`, dunque, incrinata da un’urgenza emotiva, una sorta di richiamo che si ripete, scandendo i momenti topici del racconto. Non e` certo casuale l’inserzione della scena dei cavalli al galoppo nella notte immediatamente prima del pestaggio di Antek, a segnare l’irrimediabile distanza dal sogno, la rinuncia ad ogni proposito di liberta` e pace. L’ostinata e ingenua neutralita` di Gralak si scontra con la realta`, con la mediocrita` degli atteggiamenti e degli affetti, con l’ottusita` e il dispotismo dei piccoli capi, pronti a difendere ad ogni costo la propria falsa coscienza. La coerenza di Antek, l’onesta` e il coraggio mostrati nei confronti del principale, la strenua lealta` verso i compagni, la semplicita` delle sue aspettative, una moglie, un letto e un televisore, contribuiscono a creare un paradosso, l’impossibilita` di scelta per il protagonista e, in un certo senso, l’impossibilita` di una salvezza. Sembra non esserci altro destino per Gralak se non la caduta, la drammatica invocazione finale che si dilata fino ad accogliere – anche nel titolo – il senso stesso del film, l’illusione della tranquillita`. Il film trova la sua forza nell’osservazione continua, nella descrizione precisa, per parole e immagini, «degli stati psicologici, delle reazioni e delle motivazioni per le quali chi si tiene in bilico fra due estremi alla fine cade a faccia in giu`, abbattuto dai colpi di chi voleva farsi amico»8. Non conosciamo la novella di Lech Borski da cui e` tratto il lungometraggio, ma certo e` che la ragione dell’opera e` nell’interpretazione di Jerzy Stuhr, per cui Kieslowski volle realizzare il progetto. Stuhr aveva gia` lavorato con Kieslowski nel film Blizna, ma in quel caso si tratto` di un esperimento che porto` addirittura alla creazione di un metodo. Stuhr accetto` una parte non scritta e costruı` il proprio personaggio sul set, divenendo ‘un ponte’ tra i dilettanti e il grande attore Pieczka. Nello stesso anno Kieslowski scrisse la sceneggiatura di Spokoj proprio per Stuhr, che fu anche coautore dei dialoghi. Il metodo di recitazione era cambiato perche´, a giudizio del regista, l’im8

Ivi, pag. 130.

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provvisazione non si adattava piu` al film di finzione ed era, quindi, necessario preordinare la drammaturgia delle scene. Non e` superfluo sottolineare l’importanza della collaborazione tra Stuhr e Kieslowski nella stesura dei dialoghi, perche´ la lingua del film e` lo slang, il dialetto cracoviano (che Kieslowski non conosceva nelle sue sfumature), ed era opportuno garantire la verosimiglianza della rappresentazione attraverso la cura minuziosa dell’elemento linguistico. Il cinema di Kieslowski stava orientandosi sempre piu` verso la verita`, verso la precisione dei dati e delle emozioni, e ritengo che la testimonianza diretta delle sue affermazioni dia la misura dell’onesta` e della profondita` del suo lavoro. «Il protagonista era un uomo appena liberato dalla prigione. Un uomo libero che lavora presso una piccola ditta di costruzioni. I prigionieri vengono portati presso questa ditta per aiutare. I diritti su questa scena erano riservati alla televisione. Il Vice-Presidente della TV era un uomo intelligente e molto astuto. Mi mando` a chiamare. Io sapevo perche´. Mentre mi avvicinavo all’edificio della televisione, notai dei prigionieri – vestiti con l’uniforme dei carcerati, circondati da guardie che li controllavano con i fucili – che lavoravano sulla linea del tram. Entrai nell’ufficio del Vice-Presidente. Disse che gli era piaciuto molto Spokoj, e mi diede una critica molto intelligente del film. Aveva capito veramente tutto. Il film gli era piaciuto davvero. Io ero molto lusingato ma aspettavo il seguito – sapevo di non essere stato chiamato per ascoltare dei complimenti. Avevo ragione. Il Vice-Presidente era dispiaciuto nell’informarmi che doveva insistere sul fatto che alcune scene dovessero essere tolte dal film. Egli credeva che cio` non avrebbe danneggiato in alcun modo il film. Al contrario, il film sarebbe stato piu` succinto. Tra le scene che dovevano essere rimosse, lui menziono` quella con i prigionieri che lavoravano presso la ditta di costruzioni. “Perche´ in Polonia”, disse il Vice-Presidente, “ i prigionieri non lavorano fuori dalle prigioni, la Convenzione lo proibisce...”. Mi diede il nome della Convenzione Internazionale. Io gli chiesi di avvicinarsi alla finestra. Lui lo fece. Gli chiesi cosa vedesse, “La linea del tram”, disse. “E sulla linea? Chi sta lavorando lı`?”. Lui guardo` attentamente, “Prigionieri”, disse con calma. “Sono qui ogni giorno”. “Allora in questo caso i prigionieri lavorano fuori dalla prigione in Polonia”, io notai. “Naturalmente”, disse. “Questo e` il motivo per cui devi tagliare questa scena”. Questo e` piu` o meno cio` che ci dicemmo durante queste conversazioni. Anzi questa fu abbastanza piacevole. Io tagliai la scena con i prigionieri e qualcun’altra, ma il film non fu mostrato per diversi anni. Quando finalmente fu proiettato, risulto` un’opera datata. Le cose cambiano spesso in Polonia. Sono passati 14 anni dalla mia conversazione con

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il Vice-Presidente. L’altro giorno stavo passando per una piccola citta`. Rallentai a causa di lavori stradali. E come se venisse da un cattivo copione, gli operai erano vestiti con le uniformi dei prigionieri. Alcune guardie li controllavano con i fucili. Oggi ho il permesso di girare un film su questo»9.

. Amator (Il cineamatore): la realta` attraverso l’immagine Con Amator del 1979 il cinema di Kieslowski giunge ad una svolta significativa, lo sguardo si fa esperienza dello sguardo, il cerchio tra drammaturgia e realta` si stringe all’interno della creazione artistica. «Filmare diviene passare accanto alle sensazioni del mondo, a volte per proteggersi, porre una distanza inevitabile dall’essenza e dal mistero delle cose, ma resta anche una delle rare possibilita` di continuare a comprendere»10. Il film riassume in se´ tutte le precedenti esperienze del regista, fondendole in un tessuto narrativo che fa dell’essenzialita` il suo punto di forza. Emerge dal racconto la questione etica fondamentale del cinema di Kieslowski, l’irrisolto rapporto tra finzione e realta`, la spettacolarizzazione degli affetti, lo ‘scandalo’ dell’immagine. In termini drammaturgici, si tratta degli scrupoli manifestati dal regista a proposito di Primo Amore, e che ora si estendono alla natura stessa dell’osservazione, alla necessita` dello sguardo. Filip Mosz, economo presso una fabbrica a Witowice, ha una vita tranquilla e regolare, scandita dai comuni avvenimenti di tutti: matrimonio, paternita`. Un giorno, proprio allo scopo di registrare le fasi della crescita della figlia appena nata, compra una cinepresa amatoriale 8mm. Ben presto pero` rimane affascinato da quel nuovo strumento e comincia a rivolgere l’obbiettivo all’esterno. Il direttore della fabbrica in cui lavora approva la sua insolita passione, e lo nomina cronista ufficiale dello stabilimento. Comincia cosı` la inaspettata carriera di cineamatore; Filip si rivela pieno di talento, sa cogliere la realta` circostante nella sua autenticita`, vince premi e gira per i festival, riesce perfino ad arrivare a Zanussi e alla Televisione. Un suo filmato su un lavoratore disabile della fabbrica attira pero` le ire del direttore, e Filip comincia a confrontarsi con i problemi della censura. Allo stesso tempo la situazione in famiglia si deteriora: la moglie Irka, si sente tradita dalla nuova passione del marito che assorbe ormai tutto il suo tempo, e abbandona la casa con la figlioletta. Alla fine Filip, sconfitto, decide di distruggere la 9 10

Danusia Stock (ed.), op. cit., pagg. 108-109. Vincent Amiel, Kieslowski, Rivages/Cine´ma, Paris, 1995, pag. 185.

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sua ultima fatica, esponendo alla luce la pellicola appena impressionata. Rimasto solo, prende la cinepresa e la rivolge verso il proprio volto, cominciando a raccontare gli eventi di cui `e protagonista all’interno della storia, a partire dalla nascita della figlia. Il cineamatore risulta uno splendido racconto d’iniziazione, descrive lo sguardo mentre prova ad organizzare il mondo; gli effetti del montaggio, le inquadrature, i piani ravvicinati costituiscono le vie di accesso alla realta` per il protagonista. Lo scarto tra immedesimazione e straniamento, tra soggettivita` della visione e oggettivita` dell’esperienza, rivela la drammatica condizione del personaggio che, attraverso la mediazione del cinema, giungera` a comprendere la relativita` dell’esistenza, la diversita` dei punti di vista, l’incompletezza della verita`. L’immagine iniziale del film – un falchetto divora una gallina dopo averla atterrata – richiama quella linea metaforica e simbolica a cui abbiamo accennato a proposito del film La calma, che adesso diviene elemento costitutivo della narrazione, a significare la presenza di una realta` che sfugge all’ordine logico. Queste immagini metafisiche acquistano, all’interno della storia, la funzione di trascendere l’immediatezza del visibile nel tentativo di esprimere il senso di un’esperienza, e rappresentano senza dubbio la cifra stilistica piu` alta del cinema di Kieslowski. Le vicende di Filip, cineamatore per caso, riconducono agli episodi, alle scelte di vita di Kieslowski, ma non si tratta di un’opera autobiografica, sebbene lo stesso regista abbia ammesso di potersi identificare con il personaggio. Amator e` semplicemente un racconto di iniziazione – come gia` detto sopra –, un film sull’apprendimento della visione, reso ancor piu` straordinario dalla continua vicinanza del regista al protagonista, dalla sottile e bonaria ironia con cui Kieslowski guarda alle miserie umane, ai paradossi dell’esistenza. L’ideale perseguito da Filip all’inizio della storia e` quello della «santa pace» che gli assicura la stabilita` del me´nage familiare e della sua posizione in fabbrica. L’ordinarieta` della vita domestica e lavorativa viene, a un tratto, incrinata dalla ‘vocazione’ per il cinema, che si impone come fatalita` inaccessibile, come forza dirompente. L’istituzionalizzazione del ruolo di cineasta, verificatasi in seguito all’intervento del direttore della fabbrica, apre nuovi scenari al personaggio, avvia lo stadio dell’apprendimento, la sperimentazione continua del reale attraverso l’obiettivo della telecamera. I contenuti di tale sperimentazione, ovvero i primi film di Filip, attestano il crescente interesse dell’uomo per le problematiche di ordine sociale, la progressiva scoperta del valore dell’opera documentaria, capace di testimoniare le disfunzioni della societa` e della politica. L’efficienza professionale di Filip si coniuga con il ‘disinteresse’ – secondo l’acuta lettura di Krzysztof Toeplitz –, un ele-

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mento importantissimo per l’arte, che il cineamatore scopre allorche´, pur essendo stato incaricato di filmare la festa di giubileo della fabbrica, immortala sulla pellicola i piccioni che ha notato sul davanzale. «Quei piccioni sono l’elemento disinteressato che trasforma il resoconto cronachistico in una sorta di opera d’arte. Proprio perche´ non “servono a niente”, se non ad allargare la dimensione del banale fatto all’universo circostante»11. Nella scelta tra prammatico utilitarismo e artistico disinteresse Filip confermera` la propria vocazione al ‘poetico’, all’immaginazione, continuando ad ampliare lo spettro della sua indagine. Il cinema trasforma la sua visione del mondo, egli ormai percepisce tutto attraverso l’inquadratura cinematografica, persino la moglie infuriata. Il cinema gli rivela l’esistenza di enigmi ontologici: l’immagine della madre dell’amico Piotr, accidentalmente filmata, diventa per questa un viatico per l’immortalita` in seguito alla sua scomparsa, a testimoniare l’enorme potere della celluloide (Filip, dopo aver assistito alla commozione di Piotr nel rivedere la madre ‘viva’ e sorridente, regalera` il filmino all’amico nel tentativo di perpetuarne la memoria). Un momento importante del film e` la citazione dell’opera di Krzysztof Zanussi, Barwy ochronne (Colori mimetici), che propone un’analisi impietosa del clima intimidatorio del regime, «del ricatto costante operato sugli intellettuali dal sistema di sovvenzioni largite dal 12 Ministero della Cultura» . Ancora una forte presa di posizione da parte di Kieslowski nei confronti dei meccanismi artificiali del potere e, insieme, l’ammissione dell’importanza del cinema come strumento di denuncia sociale e politica. Zanussi interviene nel film anche in qualita` di attore, interpretando se stesso durante un incontro organizzato da Filip nell’improvvisato cineclub messo su con i soldi della fabbrica. Dopo la proiezione del gia` citato film di Zanussi, Filip mostra al pubblico il suo ultimo lavoro, un documentario su un operaio storpio della fabbrica, descritto con grande realismo e umanita`, osteggiato fin dall’inizio dal direttore. L’incontro con Zanussi determina un’accelerazione della storia poiche´, spinto dagli incoraggiamenti del regista, Filip decide di rivolgersi ad Andrzey Jurga (una sorta di talent scout, incontrato in precedenza al “Festival del cinema amatoriale delle ditte industriali” a cui aveva partecipato vincendo il terzo premio), che gli propone la realizzazione di un film in 16mm sulla propria citta` e compra per la TV il film sull’operaio storpio. La distruzione del nastro su cui sono impresse le immagini fatiscenti dei palazzi e

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Krzysztof Teodor Toeplitz, «Amator», la moralita` dell’arte, in Malgorzata Furdal e Roberto Turigliatto (ed.), op. cit., pagg. 147-148, trad. it. di Paolo Gesumunno. 12 Serafino Murri, Krzysztof Kieslowski, Editrice Il Castoro, Milano, 1996, pag. 56.

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delle fabbriche della citta`, ennesima denuncia dell’impasse sociale, costituisce il primo atto della conversione del personaggio. L’ultimo gesto di Filip, la scelta, provocatoria e lacerante, di rivolgere verso se stesso l’obiettivo, attesta il recupero e la conseguente affermazione della propria soggettivita`, segno dell’avvenuta maturazione del cineasta. Filip scopre l’essenza della creazione artistica, il dramma morale dell’arte: la perversita` e il fascino del cinema, il limite e la passione dell’immagine. La pienezza estetica del film e` dovuta in gran parte alla eccezionale interpretazione di Jerzy Stuhr, che con Il cineamatore chiude la «trilogia» (La cicatrice, La calma, Il cineamatore) che lo vede assoluto protagonista dello schermo. Il suo volto riesce ad esprimere l’estrema vulnerabilita` del personaggio, l’infantile meraviglia della sua visione, l’ostinata volonta` di conoscenza, in una continua variazione del tono e della consistenza delle immagini. Kieslowski ottenne con Amator uno straordinario successo di pubblico e di critica, ricevendo addirittura il primo premio al Festival di Mosca del 1979. «Il senso ultimo del film e` nell’esercizio del dubbio non piu` rapportato all’organizzazione del mondo, alla sua immagine ideologica (come nei documentari), ma allo sguardo stesso, allo sguardo che assimila e ordina il mondo»13.

. Przypadek (Il caso o Destino Cieco): l’irruzione della coscienza Kieslowski con Il caso (film del 1981 ma proiettato per la prima volta soltanto nel 1987 a causa del blocco della Censura) invertı`, in un certo senso, la tendenza del filone cinematografico dell’‘inquietudine morale’, che aveva tentato di descrivere la situazione politica e sociale della Polonia degli Anni Settanta, spostando l’obiettivo dalle considerazioni relative allo stato della coscienza collettiva all’analisi dei risvolti emozionali dell’individuo. Il film nacque a ridosso di importanti avvenimenti per la Repubblica Popolare polacca (primo fra tutti la piena affermazione del sindacato libero Solidarnosc) che avevano determinato una forte irreggimentazione politica e intellettuale, la cristallizzazione dei movimenti di idee, ma Kieslowski rinuncio` ad ogni forma di giudizio, ad ogni strumentalizzazione ideologica, confermando, ancora una volta, l’indipendenza del proprio atteggiamento, il coraggio e l’autonomia del proprio sguardo sul 13

Vincent Amiel, op. cit., pag. 13.

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mondo. La situazione politica della Polonia degli Anni Settanta viene, infatti, riconsiderata attraverso la prospettiva individuale di Witek, protagonista del film, ed emerge, quindi, il dato singolare, la verita` dell’uomo in contrasto con l’ufficialita` della Storia. Si tratta di un film-cerniera all’interno della produzione artistica di Kieslowski, poiche´ il regista abbandona l’immediatezza e il realismo propri del cinema documentario per proseguire la sua ricerca formale, spezzando la continuita` temporale dell’osservazione al presente. Il caso e`, infatti, un paradigma del ‘modo condizionale’, una struttura preordinata, scomposta da un trattamento ellittico che rivela la presenza di una trama di corrispondenze inafferrabili, un gioco di varianti che «cerca di descrivere quelle forze che si immischiano nel nostro destino, che ci spingono in una direzione piuttosto che in un’altra»14. Prologo: L’urlo disperato di Witek invade lo schermo fino ad oscurarlo. Seguono le immagini di un ospedale di Poznan. Qui, fra le vittime degli scontri politici del 1956, la madre di Witek muore dando alla luce due gemelli, di cui si salvera` solo Witek. Una sequenza di ricordi infantili, dalla partenza del migliore amico nel 1968, durante le purghe antiebraiche, per la Danimarca, a momenti di intimita` con il padre. Dall’adolescenza del primo amore, una ragazza di nome Czuszka, si passa alle immagini della facolta` di medicina, dove Witek assiste ad una autopsia e incontra una ragazza. Mentre si trova in compagnia della giovane, e stanno per fare l’amore, Witek telefona al padre atterrito e, dopo aver esitato nel rivolgersi a lui, sente dal padre, che sta per essere portato in ospedale, uno strano monito: «Non c’e` niente che tu devi fare». Durante la notte Witek `e sorpreso da una guardia a piangere alla stazione: suo padre `e morto. Il giovane parla con il preside della facolta` e gli comunica di aver perso la vocazione allo studio, anche perche´ il padre, che aveva sempre sostenuto l’opportunita` dei suoi studi, era morto “avendo cambiato idea”. Alla stazione di Lodz, Witek corre per prendere l’espresso per Varsavia. Durante la corsa si scontra con una vecchietta facendole cadere tutti gli spiccioli che tiene in mano. Una moneta viene raccolta da un barbone che la usa per comprarsi una birra. L’evolversi casuale di questa situazione di partenza genera tre varianti. Prima Variante: Witek ha fatto il biglietto, scansa per un pelo il barbone con la birra, corre sulla banchina e riesce, dopo uno sforzo disperato, a salire sul treno. Durante il viaggio conosce un anziano militante comunista, Werner, suo vicino di posto. Il vecchio, dopo aver raccontato a Witek le vicissitudini della sua vita, l’arresto, le torture ad opera degli stalinisti, convince il ragazzo a diventare un attivista di Partito. Il giorno seguente, Werner presenta Witek ad Adam, scrittore e membro notabile del Partito. Mentre `e al parco con Werner, Witek rincontra Czuszka, il primo amore. La ragazza 14

Danusia Stock (ed.), op. cit., pag. 113.

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ha le mani sporche di nero: segno della sua attivita` di tipografa clandestina. Werner parte per un lungo soggiorno all’estero. I due ragazzi hanno ricominciato a frequentarsi e Czuszka apprende con angoscia che Witek sta per iscriversi al Partito. Witek, ormai attivista del Partito, viene inviato ‘sul campo’ a risolvere una situazione molto complessa: la rivolta di un gruppo di tossicomani di una comunita` ospedaliera. Witek riuscira` a riportare la calma, dopo aver rischiato in prima persona consegnandosi come ostaggio. La relazione con Czuszka procede; su richiesta di Witek la ragazza racconta tutte le storie d’amore avute in precedenza, una prova difficile ma necessaria alla loro unione. Witek `e con Czuszka nei pressi di un molo, dove alcuni ragazzi hanno importato pubblicazioni clandestine. Presso il molo Witek incontra Adam, intento a pulire la sua barca. L’incontro non sembra essere casuale, evidentemente Adam `e lı` per controllare la situazione. Witek e Czuszka sono a letto insieme. Questa volta `e Witek a parlare di se´, della sua infanzia, della madre morta durante il parto. Le immagini dell’ospedale scorrono di nuovo sullo schermo. Witek viene prescelto per far parte della delegazione del partito in un congresso in Francia. Mentre passeggia con Czuszka, Witek viene fermato dalla polizia segreta: `e riconosciuto dal poliziotto, mentre Czuszka `e portata via. Witek, all’improvviso, capisce di essere stato usato, va da Adam e lo picchia, prima di essere buttato fuori. Disperato, torna a casa, prende le sue cose, afferra la valigia, un enorme mappamondo e se ne va. Fuori dal carcere, Witek aspetta Czuszka ma non riesce a parlarle perche´ la ragazza fugge prendendo un autobus. Witek la raggiunge presso una scuola, ma non fa in tempo a dirle nulla poiche´ Czuszka inveisce contro di lui con rabbia e amarezza. Le accuse sono talmente dure che Witek resta senza parole e va via piangendo. Witek `e all’aeroporto. Alla fine ha deciso di recarsi in Francia. All’improvviso il capo-delegazione torna con i passaporti dicendo che non si partira`: in tutto il paese sono scoppiati degli scioperi, la loro presenza `e piu` utile in patria. L’episodio si interrompe con il gesto rabbioso di Witek che scaglia in terra il suo mappamondo. Seconda Variante: Witek `e alla Stazione di Lodz, ha fatto il biglietto per Varsavia. Questa volta, pero`, lo scontro con il barbone `e inevitabile, e Witek perde dei secondi preziosi di rincorsa verso il treno. Sulla banchina, si scontra con il capostazione che prova a fermarlo. Nasce una colluttazione che si conclude con l’arresto di Witek, condannato a 30 giorni di lavoro non remunerato. Nel parco in cui sta scontando la pena, Witek conosce Marek, anche lui condannato al lavoro coatto per aver organizzato una riunione dell’ ‘Universita` volante’, l’assemblea degli studenti con lettura di libri clandestini. Witek e Marek si frequentano. Marek gli presenta un sacerdote paraplegico che lo introduce nel movimento clandestino, assegnandogli la missione di consegnare dei soldi ad una vecchia militante. Giunto sul posto, Witek trova la donna sconvolta, vittima di una aggressione intimidatoria del Partito. Witek rimane colpito dalla sua fede in Dio e nella vita, e dalla fiducia con cui continua a prestare il suo aiuto ai lavoratori clandestini.

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Uno degli aggressori segue Witek fino a casa, e ne annota le generalita`. Witek vive accanto ad una zia, che comincia ad insospettirsi per le riunioni clandestine organizzate dal nipote. Durante una di queste riunioni Witek rincontra l’amico d’infanzia Daniel, partito per la Danimarca per sfuggire alle purghe antiebraiche, che si `e appena riunito con la sorella Wera in occasione dei funerali della loro madre. Tra Witek e Wera nasce una relazione. Witek decide di farsi battezzare. Poi prega Dio in una chiesa, chiedendogli di “essere sempre con lui” perche´ da solo “non puo`”. Nel frattempo ha cominciato a lavorare in una tipografia clandestina ed `e stato accolto a pieno titolo nel ‘movimento’. Con altri membri di una organizzazione cattolica Witek viene prescelto per partire per una riunione internazionale a Parigi. In questura, perche´ gli sia rilasciato il passaporto, gli viene chiesto di dare i nomi dei ‘contatti esteri’ dell’organizzazione. Wera `e tornata a Lodz, e Witek si apparta con lei isolandosi dal mondo. Durante un momento di tenerezza Witek rinuncia ad aprire la porta a Marek, che lo sta cercando con insistenza. Quando Witek torna nella tipografia, la trova smantellata dalla polizia, e Marek crede che la sua assenza non sia casuale. Il sacerdote lo invita a concedere il perdono cristiano a quanti lo accusano di tradimento e di pregare. Witek, indignato, decide di non andare a Parigi, e in questo modo evita il ricatto della questura. Intanto Wera si `e resa introvabile. A casa, Witek trova un suo messaggio in cui la ragazza dice di averlo aspettato per quattro ore. Poi, a casa della zia, ascolta su Radio Europa Libera la notizia dell’ondata di scioperi che sta attraversando il paese. Terza Variante: alla stazione di Lodz, lo scontro con il barbone `e cosı` forte che Witek non riesce nemmeno ad avvicinarsi al treno. Mentre torna indietro deluso, incontra Olga, la ragazza della facolta` di medicina con cui ha avuto una relazione. Attraverso lei, Witek riconsidera l’idea dell’Universita`, parla con il Preside e gli comunica di voler riprendere gli studi. Witek e Olga si sposano. Il giorno stesso, Olga gli dice di essere incinta di tre mesi. Poi, il giorno della laurea, il Preside gli propone di restare all’Universita` per specializzarsi con lui. E` passato del tempo, la bambina di Witek ha gia` un anno, e Witek, ormai medico condotto, va a curare in campagna una vecchia moribonda. Qui assiste alla strana esercitazione dei due figli della donna, i quali si cimentano da oltre dieci anni in un esercizio acrobatico con delle palline, come dei giocolieri, per la pura soddisfazione di sapere che nessuno al mondo in questo `e bravo come loro. In facolta`, alcuni membri del Partito gli propongono un posto di assistente, ma Witek rifiuta. Allo stesso tempo, Witek rifiuta anche di sottoscrivere la richiesta di firme inoltrata da alcuni studenti per protestare contro l’arresto di alcuni membri dell’‘Universita` volante’, tra cui il figlio del Preside. Witek `e irremovibile: rifiuta ogni coinvolgimento politico. Da solo a casa, pensieroso, prova l’esercizio da giocoliere con tre mele, ma fallisce, e ne mangia una. Una sera arriva la telefonata del Preside, che vuole incontrare Witek alla stazione. Qui, il Preside lo prega di prendere il suo posto in alcune conferenze, visto che ora, a causa dei problemi con la giustizia del figlio, cercheranno di metterlo da parte. Witek accetta, a condizione di non doversi schierare: dovra` andare in

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Libia per una conferenza. Ma all’ultimo momento sposta la data di partenza al giorno successivo, perche´ quel giorno `e il compleanno di Olga. Olga ha un presentimento, chiede a Witek di non partire. Ma Witek ha deciso, e si imbarca sull’aereo per la Libia via Parigi. Poco dopo il decollo, l’aereo esplode. Il film e` una continua interrogazione sulla vita, sulla liberta` e i condizionamenti del caso, sulla superstizione e la logica della volonta`. La sequenza iniziale, l’urlo disperato di Witek, immette lo spettatore in una dimensione di assoluta precarieta`, e l’impressione e` subito confermata dalle immagini successive, frammenti enigmatici di un passato irrisolto che si accumulano nella coscienza del protagonista con il loro infrangersi lancinante. Sono scene appassionanti, il piccolo Witek che saluta l’amico d’infanzia, brevi momenti di conversazione con il padre, tutte riprese in soggettiva, a sottolineare la partecipazione emotiva del ricordo, la permanenza nell’anima di quegli attimi infiniti. L’asse della storia sembra essere l’impossibile riconciliazione del protagonista con il proprio vissuto, e la conseguente ricerca di un altro da se´, di un padre simbolico (l’anziano militante nella prima versione, il sacerdote nella seconda, il preside nella terza), e di una donna (Czuszka, Wera, Olga), capaci di ricucire lo strappo degli affetti perduti. Il modo condizionale, l’articolazione ellittica della narrazione, per l’improvvisa irruzione delle tracce del passato di Witek, sono i segni della fragilita` del personaggio, dell’incompletezza delle sue scelte, condizionate dalla casualita` delle circostanze, dai piccoli accidenti della vita. Il film e`, quindi, una ricognizione del giovane protagonista sulla quotidianita` della storia, dei gesti, delle emozioni, nel tentativo di penetrare i percorsi della sua mente, le variazioni degli stati d’animo. Ho scelto di riportare quasi interamente le sequenze del film per rilevare l’importanza dell’intreccio, del sovrapporsi delle situazioni, del concatenarsi degli episodi, ai fini della caratterizzazione del personaggio. Witek e` sensibile alle coincidenze del caso, spesso si interroga sulla natura del proprio destino (Sacerdote: «Non e` solo una semplice coincidenza» – Witek: «A volte penso che lo sia»), ma cio` che conta veramente e` l’intensita` delle sue azioni, l’impegno e la generosita` delle sue scelte, a prescindere dall’esito delle vicende. Nelle prime due varianti la sua vita e` limitata dal sistema politico, e` legata alla ‘causa’ dei gruppi di appartenenza. Nella terza variante Witek non deve protestare contro niente, non deve piu` niente. L’assurdita` della sua morte, solo sfiorata nei precedenti episodi, racchiude il senso di tutto il film, l’espressione del paradosso dell’esistenza stretta tra volonta` e destino, tra liberta` e determinismo. Il grido iniziale di Witek attraversa tutto il film e si salda all’immagine finale della catastrofe aerea, descrivendo la cornice ideale in cui e` racchiuso il racconto, l’immanenza

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della morte e l’attaccamento alla vita, l’arbitrarieta` del caso e l’indipendenza della ragione. L’esplosione dell’aereo e` legata a doppio filo all’implosione del soggetto, alla disperata affermazione della solitudine come identita`.

. Krotki dzien pracy (Una breve giornata di lavoro): il male dimenticato Nel clima rovente della Polonia del 1981, a ridosso di una sconcertante recrudescenza autoritaria, Kieslowski da` vita ad un progetto televisivo in collaborazione con l’amica scrittrice Hanna Krall, rielaborando un reportage giornalistico di quest’ultima dal titolo La vista dalla finestra del primo piano. Lo script e` incentrato sulla figura di un segretario di partito, un uomo di potere protagonista di uno degli avvenimenti piu` scottanti del recente passato della storia polacca, gli scioperi del 1976. La riunione di una cellula del partito nel 1981. Sullo schermo televisivo il primo segretario parla degli avvenimenti di Radom del 1976. Un flash-back riporta agli scioperi dei metalmeccanici del 23 giugno di quell’anno. Davanti al comitato voivodale di Radom si riunisce una folla che manifesta il proprio scontento. Dal suo studio il primo segretario di Radom cerca di mettersi in contatto con Varsavia e poi di trattare con i dimostranti. Dalla finestra egli segue l’evolversi della situazione. Fuori campo si sente la sua voce, un lungo monologo che cerca di trovare una giustificazione al proprio operato. La proposta di aumentare le paghe non ferma la ribellione. I manifestanti bruciano le auto e incendiano l’edificio del comitato. Il 25 giugno si svolge il processo contro i promotori dell’agitazione. Nel 1980 Solidarnosc riabilita i manifestanti di Radom. Il film si conclude con le immagini dell’accordo di Danzica del 1980. Si ritorna al discorso televisivo sugli avvenimenti del 1976 pronunciato dal primo segretario del partito. Una riflessione a posteriori sull’urgenza della storia, sulle responsabilita` eluse dagli uomini di potere, sull’obbligo della memoria. «Un film datato che, se fosse stato proiettato in quel momento, avrebbe forse avuto un senso, ma non necessariamente. La realta` cambia e la gente non se ne occupa piu`. Dimentica che sia mai esistita. Non ricorda com’era. Non ricorda perche´ facesse cosı` male. La gente cerca di ricordare tutto cio` che era piacevole di quella realta`. Questa forse e` la ragione per cui in tutti i paesi comunisti c’e` questa inespressa – e probabilmente nessuno la esprimera` mai – nostalgia per i tempi passati, sebbene fossero terribili»15. Un 15

Danusia Stock (ed.), op. cit, pag. 115.

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film politico vittima della trappola della politica, dei pregiudizi dell’opinione pubblica, incapace di formulare giudizi. Kieslowski non riuscı`, per sua stessa ammissione, a caratterizzare il personaggio principale. Era imbarazzato, condizionato dalla ritrosia dell’opinione pubblica, e pertanto il personaggio risulto` schematico, quasi prigioniero dell’ufficialita` del suo ruolo, della ristrettezza del suo animo. Il titolo del reportage venne sostituito con Una breve giornata di lavoro per sottolineare ironicamente il fatto che, a causa della degenerazione della manifestazione, il segretario e` costretto ad abbandonare in anticipo il luogo di lavoro. Il film venne misconosciuto dal regista per l’incompletezza e la provvisorieta` dell’azione e del montaggio, lontani dalla precisione e dalla lucidita` del suo sguardo, eppure all’interno del racconto si apre una sequenza straordinaria in cui le scene della folla dei manifestanti, che si riversano per strada travolgendo ogni cosa e incendiando le auto, si alternano ad un’unica immagine della piazza deserta, quasi un fermo-immagine della coscienza, il contrappunto simbolico dei disordini e della crudelta` della Storia. La censura blocco` il film per diversi anni, e Kieslowski, per una forma singolare di autocensura, continuo` a tenerlo bloccato, convinto della necessita` di non proiettarlo perche´ non era un buon film. «C’e` un’altra ragione. Adesso, quando il Comunismo formalmente non esiste piu`, ma i Comunisti sono ancora installati ovunque ed esistono progetti senza fine per smuovere il Comunismo e cacciare i Comunisti dal corpo politico, per allontanarli il piu` possibile da posizioni di influenza, mi sembra di cattivo gusto prendere in giro qualcuno che ormai non c’e` piu`. Queste sono ragioni sufficienti per cercare di impedire che il film venga mostrato; ma loro vogliono ancora mostrarlo. Loro cercano di provare quanto terribile fosse il Comunismo. E Una breve giornata di lavoro, certamente, lo prova».16 La complessita` del discorso sulla politica, avviato in precedenza da Kieslowski, impediva al regista di proiettare il film per la sommarieta` dell’atto d’accusa nei confronti del Partito sottinteso dal film, per l’impossibilita` morale della autodifesa del segretario. Se fosse stato mostrato in tempo, forse, avrebbe avuto un senso, avrebbe aiutato a non dimenticare. Ma nel 1981 la Polonia era pronta a scrivere un’altra pagina della sua drammatica storia: gli schermi si sarebbero presto oscurati.

16

Ivi, pag. 121.

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. Il lungo inverno del cinema polacco L’affermazione di Solidarnosc come prorompente forza sociale, in seguito agli accordi di Danzica dell’agosto del 1980, aveva determinato una situazione nuova per i cineasti. «Si credette che la cinematografia, una volta pagato il fio alla storia attraverso L’uomo di ferro, avrebbe potuto scaricarsi di dosso il peso della responsabilita` totale, quella responsabilita` che nei paesi democratici ricade sui partiti politici, sul parlamento, sul governo e non su poeti o cineasti»17. S’annunciava il tempo in cui l’artista polacco non avrebbe piu` funto da unico interprete dell’opinione pubblica. Nel biennio 1980-1981 venne girata una serie di film che, se messi contemporaneamente in circolazione allora, avrebbero potuto sanzionare l’esistenza di un fenomeno artistico ed intellettuale straordinario. Il film piu` riuscito fu senza dubbio Il caso di Kieslowski, che mostrava la possibilita` di vivere nella verita`, anche se poi la verita` del protagonista contrasta con quella dell’ambiente circostante, ma altre opere uscirono nella memorabile stagione 1980-1981, quale Kobieta Samotna (Una donna sola) della Holland, Matka Krolow (La madre dei Krol) di Zaorski, Dreszcze (Brividi) di Maecczewski, tutte mature espressioni cinematografiche. Nessuno riuscı` a vederle per tempo, e non e` possibile stabilire quale effetto avrebbero suscitato, quale significato avrebbero avuto per la loro epoca. Il 13 dicembre 1981, in una situazione in cui pesava sul paese lo spettro di una possibile invasione sovietica, il generale Wojciek Jaruzelski, da poco salito al potere, attuo` un colpo di Stato militare, e mise fuori legge Solidarnosc facendone arrestare i dirigenti. Lo stato di guerra fu sentito come un delitto contro la nazione. E la cultura polacca, come tante altre volte nella storia, fu costretta nelle catacombe. I cineasti vennero a trovarsi in una situazione sfavorevole che impediva ogni forma di libera espressione. Al momento del colpo di Stato, Agnieszka Holland si trovava in Occidente, dove decise di restare nonostante le difficolta` nel trovare un posto per se´ in quella nuova realta`, e lo choc per quanto accadeva in patria. Wojcieh Marczewski, autore del sopra citato Dreszcze, fu l’unico regista polacco che, in seguito alla proclamazione dello stato di guerra, abbia deciso di tacere per quasi un intero decennio. Nel complesso furono prodotti alcuni film divertenti, alcuni film belli; nessun film, tuttavia, raggiunse la grande popolarita` delle opere di Wajda, Zanussi, della Holland (in misura minore di Kieslowski, che fu scoperto piu` tardi dalla critica e dal pubblico), che 17 Tadeusz Sobolewski, in Giacomo Gambetti (ed.), Settimana del Cinema Polacco, Ente dello Spettacolo, Roma, 1988, pag. 49.

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avevano segnato una generazione. L’unica eccezione, nei primi anni dello stato di assedio, fu Seksmisja, un film di Juliusz Machulski (l’interprete principale di Personel di Kieslowski), una commedia d’intreccio su due furbastri fattisi ibernare e risvegliatisi in uno Stato totalitario di donne, che registro` lunghe code al botteghino. Il campo d’azione per i cineasti era davvero ristretto. Il pubblico era disposto ad accogliere quasi esclusivamente il genere d’evasione, d’intrattenimento, nel tentativo di esorcizzare il male con il divertimento leggero. Il cinema polacco, da sempre rivolto a grandi riflessioni, finı` col perdere il suo tradizionale ruolo e fu relegato ai margini della cultura per quasi un decennio.

. «Tutti noi chinammo la testa» L’introduzione della legge marziale condiziono` l’attivita` cinematografica di Kieslowski. All’inizio del 1982, risulto` che nessuno in Polonia voleva morire per le cosiddette ‘giuste cause’. Kieslowski cerco` anche di fare l’autista di taxi, perche´ l’unica cosa che sapeva fare, oltre al cinema, era guidare una macchina. Dovette rinunciare a causa della miopia e della patente, dal momento che per esercitare la professione di autista era necessario possedere la patente da almeno venti anni. Tra il settembre e l’ottobre del 1982 Kieslowski riconsidero` l’idea di girare dei documentari, sebbene i fatti relativi alla lavorazione de La stazione avessero scosso profondamente la sua coscienza di cineasta, e presento` alla WFD (Witwornia Filmow Documentalnych, Casa Produttrice del Film Documentario) una serie di proposte. La prima idea era legata ad un curioso fenomeno di costume, i graffiti. Tutti in quel periodo dipingevano graffiti sui muri: contro la legge marziale, contro Jaruzelski, contro i Comunisti. Il piu` comune era “Wron won za Don”: WRON era il Consiglio Militare per la Salvezza della Nazione, WON il corrispettivo russo dell’espressione volgare “vaffanculo”, e Za Don vuol dire oltre il Don, cioe` fuori dalla Polonia. Brigate militari controllavano questo fenomeno e Kieslowski intendeva girare un film, intitolato Malarz (Il pittore), su una giovane recluta a cui e` affidato il compito di cancellare i graffiti oppure, ipotesi esilarante, di modificarne alcune lettere in modo da rendere le scritte favorevoli al Comunismo. 18

Danusia Stock (ed.), op. cit., pag. 125. (Si tratta del titolo del paragrafo in cui Kieslowski commenta gli avvenimenti che portarono alla instaurazione della legge marziale e i retroscena del suo film Senza fine).

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Kieslowski aveva ideato anche un progetto di ampio respiro, legato alla sconcertante contingenza politica, che prevedeva la realizzazione di un film sui processi per insubordinazione alla legge marziale. Si trattava di udienze che si susseguivano a ritmi frenetici con sentenze terribili, dai due ai tre anni di reclusione, per reati di piccola entita`, che andavano dalla scritta illegale al possesso di stampa clandestina, dallo sciopero alla resistenza a pubblico ufficiale. Il film avrebbe indagato i volti di due persone, l’accusato e l’accusatore, il colpevole, che in realta` non era colpevole di nulla, e l’accusatore. Kieslowski dovette aspettare due mesi per ottenere il permesso delle autorita` per girare nelle corti. Non conosceva l’ambiente legale e cercava di intrattenere rapporti con gente importante, con avvocati i cui clienti erano stati condannati a diversi anni di reclusione per reati inesistenti. L’amica giornalista Hanna Krall gli presento` un avvocato, Krzysztof Piesiewicz, che da tempo difendeva le persone presso le corti marziali, e che in passato aveva anche sostenuto la causa di varie organizzazioni, tra cui il Comitato di Difesa dei Lavoratori (KOR)19 e la Confederazione della Polonia Indipendente (KPN)20. Piesiewicz, di primo acchito, mostro` una certa riluttanza nei confronti del progetto di Kieslowski, ma la raccomandazione della Krall e il fatto di conoscere alcune delle opere precedenti del regista lo convinsero a collaborare. Le riprese cominciarono a novembre, Piesiewicz aveva ottenuto dai suoi clienti l’assenso a filmare i processi, ma avvenne qualcosa di strano, qualcosa di cui Kieslowski si accorse solo in un secondo tempo: i giudici non condannavano piu` gli imputati, emanavano delle sentenze per nulla dolorose. Senza dubbio, rispetto all’inizio della legge marziale, i tribunali erano diventati meno severi, ma la ragione piu` evidente era la paura umana dei giudici nei confronti della telecamera, la volonta` di non venire immortalati nel momento in cui proclamavano delle condanne ingiuste. In seguito a questo fenomeno, aumentarono enormemente le persone che richiedevano di essere riprese durante i processi, e Kieslowski fu costretto ad affittare una seconda telecamera per riuscire a gestire al meglio la situazione. L’esito finale della vicenda fu la rinuncia di Kieslowski al progetto. La macchina da presa era diventata un oggetto cieco, Kieslowski non la utilizzo` affatto, la trasporto` da una corte ad un’altra, per un totale di

19 Il Comitato di Difesa dei Lavoratori fu costituito nel settembre del 1976 per offrire sostegno legale e finanziario agli operai arrestati, poi le sue competenze furono ampliate alla difesa di qualsiasi diritto umano. 20 La Confederazione della Polonia Indipendente fu una delle fazioni piu` estremiste del movimento di opposizione al regime comunista negli Anni ‘70-‘80.

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ottanta processi e appena sette minuti di riprese. Quando, infatti, piazzava la camera in un tribunale, i giudici non emanavano mai sentenze di carcerazione, le pene erano lievi, numerose le assoluzioni. Kieslowski fu protagonista di una spiacevole vicenda legata al progetto del film. Dopo un mese di riprese scrisse una lettera alla WFD per richiedere il pagamento di quanti stavano lavorando con lui (elettricisti, assistenti, cameramen), inserendo nel testo il soggetto del film, la sceneggiatura, e il motivo per cui non riuscivano a realizzare le riprese, cioe` il fatto che, quando cominciavano a girare, non venivano emesse sentenze di carcerazione. Il giorno dopo il regista fu chiamato dal Presidente della Televisione, ex Vice-Ministro delle Arti e della Cultura con responsabilita` speciali per la cinematografia, uomo noto al regista. Il Presidente voleva che egli affermasse pubblicamente in televisione che le corti in Polonia durante la legge marziale non emanavano sentenze. Naturalmente egli si rifiuto`, poiche´ aveva scritto quella lettera semplicemente per garantire lo stipendio a delle persone. La faccenda ando` avanti. La lettera, infatti, arrivo` a Kiszczak, ministro dell’interno e braccio destro del generale Jaruzelski, che la lesse ad alcuni intellettuali polacchi, che reclamavano il suo intervento in diverse questioni, dicendo: «Di cosa state parlando? Anche il vostro uomo, Kieslowski, scrive che le corti di giustizia non stanno pronunciando sentenze durante la legge marziale». Ovviamente era stato letto soltanto un frammento del testo, e Kieslowski porto` la lettera alle persone alle quali il ministro l’aveva letta, tra cui figurava il regista Andrzej Wajda, e queste compresero di essere state raggirate21. Kieslowski riuscı`, dunque, a riportare la situazione nella giusta prospettiva, a riappropriarsi della sua posizione, ma rimase atterrito dall’essere stato vittima di ostracismo nel suo stesso ambiente. «Io pensai in quel periodo – e lo penso ancora – che la legge marziale fosse una sconfitta per tutti, che tutti avessimo perso, che durante la legge marziale tutti noi chinammo la testa. Io credo che oggi stiamo scontando l’effetto di quelle teste chinate. Perche´ abbiamo perso la speranza, ancora una volta, e la generazione alla quale appartengo non ha mai sollevato la testa neanche quando ha ottenuto di nuovo il potere nel 22 1989» . Decise allora di raccontare, per immagini, il senso di quella sconfitta, e nacque Bez Konca, straordinaria metafora del sacrificio inutile.

21 22

Le notizie sopra riportate sono desunte da Danusia Stock (ed.), op. cit., pagg. 128-130. Ivi, pag. 130.

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. Bez Konca (Senza fine): la veglia dei morti L’idea di un film sui processi politici, a distanza di due anni, si trasforma in una splendida e accorata riflessione sugli effetti della legge marziale, sul senso della perdita, sullo stato di mortificazione intellettuale e morale delle coscienze. Il film sancisce il sodalizio artistico tra Kieslowski e Piesiewicz (che presto sarebbe diventato un metodo, un vero e proprio laboratorio creativo), e un’irreversibile variazione dello sguardo del regista, rivolto ormai alla ‘fenomenologia dello spirito’, alla descrizione del sentimento del mondo. Le corti di giustizia, il drammatico straniamento di una vita blindata, la silenziosa protesta degli oppositori del regime, tutto viene evocato dalle turbate emozioni dei protagonisti della storia, eppure resta sullo sfondo, a significare l’inesorabile decadenza, la lenta agonia della nazione. L’espressione emblematica del senso di sconfitta, di annichilimento che pervade tutto il film, e` la figura dell’avvocato Antoni Zyro, interpretato da Jerzy Radziwilowicz, volto esemplare del cinema polacco di opposizione, interprete de L’uomo di marmo e L’uomo di ferro, «portatore per associazione visiva di quei valori di rettitudine morale e intransigenza nei confronti del potere che Andrzej Wajda aveva epicizzato nei suoi film piu` paradigmaticamente politici»23. La sua morte all’inizio del film e` la piu` chiara testimonianza dell’impossibilita` di azione, per gli uomini onesti e incorruttibili, nella realta` della Polonia del 1984. L’esistenza di Zyro, spezzata metaforicamente dallo stato di assedio, non si dissolve nella irrevocabilita` della morte, ma diviene muta presenza, vivido esempio per coloro che restano. La scomparsa del personaggio e` soltanto una cancellatura fisica; resta il peso delle sue scelte, la consistenza etica dei suoi valori, ancorati al rispetto della dignita` dell’uomo, talvolta antinomici rispetto ai dettami della sua professione («una legge contrastante con il modo generale di sentire la morale, e` amorale», leggiamo nelle sue annotazioni), e resta soprattutto l’imponderabile verita` degli affetti, ritrovata nell’eternita` della memoria, oltre la labilita` umana. Zyro continua a condizionare la vita dei due protagonisti paralleli del film, la sua giovane vedova e l’operaio processato per sciopero di cui era avvocato difensore, due individui attraverso i quali Kieslowski esprime la dicotomia del reale, la soggettivita` delle emozioni e l’ufficialita` della storia, sottolineando l’assurdita` della situazione politica e sociale di quegli anni. 23

Serafino Murri, op. cit., pag. 70.

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E` quasi l’alba. Presso un cimitero, durante una veglia funebre, una mano accarezza la testa di un bambino. In piena luce, un uomo si aggira in una casa. E` Antoni Zyro, un avvocato morto d’infarto da quattro giorni. Con aria distesa, Antoni racconta la sua morte, gli ultimi momenti della sua vita, l’assenza di ogni sensazione. Poi descrive Ursula, sua moglie, e Jacek, suo figlio, mentre si alzano e fanno colazione. Ursula avverte per telefono Tomek, il miglior amico di Antoni, della morte del marito. Joanna, la moglie di un cliente di Antoni, si fa trovare da Ursula sulle scale di casa, e chiede di vedere il dossier del marito, l’operaio Dariusz che sta per essere processato per sciopero illegale. Non avendo trovato nel fascicolo cio` che cercava, la donna si rivolge ad un vecchio avvocato, Labrador, il maestro di Antoni, perche´ difenda suo marito. Labrador, dopo qualche incertezza, accetta l’incarico. Ursula, rovistando per casa, trova in una busta indirizzata al marito delle foto che la ritraggono nuda, a cui pero` `e stato strappato il volto. La donna parla delle foto con Tomek, e scopre che il marito era a conoscenza del fatto che da giovane aveva posato nuda per denaro, ma aveva finto di non sapere. Mentre sfoglia l’elenco degli avvocati, si accorge che accanto al nome dell’avvocato Labrador c’e` un punto interrogativo rosso. Convinta che si tratti di uno scherzo di Jacek, rimprovera il figlio, ma questi nega di essere responsabile. Per strada, durante il tragitto che la portera` a casa di Joanna, Ursula assiste allo strano fenomeno della sua auto che si ferma per qualche istante. Subito dopo assiste ad un incidente mortale: due ragazzi si scontrano con un pullman. In prigione, l’avvocato Labrador cerca di trovare un accordo con Dariusz per non farlo condannare, ma l’imputato, insieme agli altri prigionieri politici, ha deciso di iniziare lo sciopero della fame. Ursula, tornata a casa, trova una vecchia foto di Antoni insieme a una donna che ha appena conosciuto alla riunione di Joanna. Ne chiede a Tomek la spiegazione, e l’uomo si dichiara dicendole che lui e Antoni hanno sempre amato la stessa donna, prima quella della foto, poi lei. Ursula decide di andare a letto con un giovane studente americano incontrato per caso, ma durante il rapporto si sente male, e piange, mentre Antoni la guarda immobile. Ursula ha sporcato la schiena dell’amante di nero, prova a spiegargli che spesso le cose che tocca diventano nere, ma poi rinuncia. Ursula decide di andare da uno psicoterapeuta per farsi ipnotizzare nel tentativo di dimenticare il marito. L’effetto dell’ipnosi `e, pero`, il contrario: Ursula vede Antoni e crede di comunicare con lui. Rientrata a casa, si masturba piangendo e invocando il nome di Antoni. Jacek la sente, entra nella stanza, e le confessa di aver sentito gli stessi lamenti una notte, quando ha spiato i suoi genitori. Ursula spiega a Jacek che lui `e nato dall’amore che c’era tra lei e il suo papa`. Mentre Dariusz prosegue, irriducibile, il suo confronto con le autorita`, i suoi amici cominciano a dissociarsi. Labrador cerca di approfittare della situazione, e consiglia a Dariusz di far finta di dissociarsi per uscire e continuare a lottare per la sua causa. Il giovane assistente di Labrador `e contrariato da questo discorso opportunistico, ma il vecchio avvocato gli dice che il loro lavoro consiste nel procurare ad ogni costo l’assoluzione dei clienti. Poi

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escogita un altro metodo di persuasione. Fa consigliare a Dariusz dal suo assistente, provocatoriamente, di urlare da dietro le sbarre il suo odio per il regime e le ragioni della sua parte. Ursula non riesce a dire a Tomek che ha visto di nuovo Antoni. Poi torna dal terapeuta, convinta di ripetere l’esperimento ipnotico, ma questi si rifiuta di diventare il medium tra la donna e il marito defunto. In tribunale si attende la sentenza per Dariusz. Inaspettatamente il giudice lo condanna a diciotto mesi con una sospensione della pena. In aula c’e` anche Antoni. Labrador sente di aver perso nonostante la «vittoria» della sua linea difensiva. L’avvocato legge a Ursula e Joanna dei versi sulla liberta` interiore. Ursula `e sola in casa. Taglia i fili del telefono; gira le manopole dei fornelli della cucina, lasciando aperto il gas. Poi si chiude la bocca con un cerotto e avvicina la testa al forno. Lentamente perde i sensi. Antoni la chiama. Ursula va ad abbracciarlo. I due escono insieme da casa, verso sera. Il film e` dato dalla mancata composizione di tre storie, tre drammi dalle cuciture imperfette, che si sovrappongono senza mai integrarsi completamente, mantenendo, pero`, intatta la dicitura poetica, la forza evocativa delle immagini. La ‘trasgressione’ formale dell’opera e`, in fondo, la cifra stilistica piu` alta del film, per la casualita` misteriosa e irriducibile di tanti gesti fortuiti, inspiegabili secondo la logica razionale degli eventi, per lo scoramento e il fascino struggente delle immagini cimiteriali, malinconica elegia della storia negata, dell’ottusa pesantezza del reale, per l’inquietudine e la devastazione morale di Ursula, incapace di colmare il vuoto della perdita, tutti frammenti di «un andamento narrativo spiraliforme» che ruota intorno alla assenza di Antoni Zyro. L’elemento metafisico, che nelle intenzioni programmatiche di Kieslowski doveva risultare predominante, si manifesta attraverso la persistente frequenza di immagini ambigue, di premonizioni, di momenti indecidibili: l’arresto della macchina di Ursula, l’infrangersi dell’orologio che l’avvocato Zyro aveva regalato al collega Labrador, una trappola per topi che scatta sulle dita, segni di un’attivita`, di una presenza che travalica le costrizioni del vivere. Si giunge, anche, a quella che Murri definisce «una vera e propria sinfonia del nero»: dal cane nero che segue Ursula per tutto il film, e che sa riconoscere il fantasma di Antoni, al nero inspiegabile delle mani di Ursula, che sporcano tutto cio` che toccano, al buco nero del forno, nel quale Ursula sembra immergersi al momento del suicidio, fino al nero lugubre della notte che avvolge le veglie funebri. Un’opera amara, dunque, pervasa da uno spleen cupo, da un’atmosfera di luttuosa superstizione, legata alla radicale sofferenza dei personaggi, stretti entro la morsa di un freddo mortale, di una lacerante solitudine. Solitudine morale quella dello operaio Dariusz, ostinato nella difesa ad oltranza della propria

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dignita`, della propria causa, costretto a confrontarsi col pragmatismo conformista dell’avvocato Labrador, votato al compromesso in nome del buon senso, e col sensazionalismo ideologico espresso dal suo assistente, e ad accettare un verdetto che resta comunque una sconfitta. Solitudine esistenziale quella di Ursula, segnata dal rimorso e dall’angoscia, da una disperata vitalita` che si esaurisce nell’impossibile tentativo di ripristinare una «corrispondenza d’amorosi sensi» con il marito, realizzandosi soltanto oltre i margini della vita stessa, nello spazio ‘senza fine’ della coscienza. Il film rimase bloccato per circa sei mesi, e subito dopo la proiezione ricevette una dura stroncatura dalle tre forze del Paese. Le autorita` di regime lo definirono «un vademecum per l’opposizione», un esempio di sabotaggio anti-socialista, per la presenza, al suo interno, di istruzioni precise per attivisti underground. Le istruzioni che sarebbero state contenute nel film incitavano le persone ad aspettare il momento opportuno, perche´ questo e` cio` che l’avvocato Labrador consiglia a Dariusz: «Aspetta il momento opportuno... Intanto devi arrenderti. In seguito si vedra`. Ma per il momento devi arrenderti». Anche alcuni giornali russi, oltre il Tribuna Ludu (giornale ufficiale del Partito Comunista in Polonia), riportarono giudizi simili sul film, e furono citati dalla stampa polacca. Nel frattempo l’opposizione esprimeva pareri assolutamente contrastanti, affermando che si trattava di un film commissionato dalle autorita` per l’impietosa descrizione di una sconfitta totale, che coinvolgeva tutte le forze in campo. Decisa anche la condanna della Chiesa, che trovava riprovevoli le scene di sesso inserite nel film e la decisione finale della donna, che sceglieva di togliersi la vita abbandonando il proprio figlio. Straordinaria fu, invece, la risposta del pubblico, che affollo` le sale (nonostante l’ostruzionismo della stampa, che non indicava i cinema in cui veniva proiettato il film) e invio` a Kieslowski numerose lettere di sostegno e approvazione per aver detto la verita`. Tra le pieghe del racconto cinematografico, Kieslowski riassume, per l’ultima volta, il dramma della Polonia, consegnandoci le immagini devastanti di una veglia funebre, di un paese di morti indimenticati e ancora presenti. Senza fine costituisce l’ultimo atto dell’apprendimento visivo di Kieslowski; ora il suo cinema e` maturo per una riflessione modulata, organizzata esteticamente, in cui lo sguardo e la coscienza siano al centro del processo filmico.

 Il Decalogo: l’etica dello sguardo “Il grande segreto della morale e` l’amore” Shelley, A Defence of Poetry

L’abitudine di Kieslowski alla riflessione, all’esercizio dello sguardo, spiega la straordinaria continuita` del suo cinema, che sembra non conoscere interruzioni, che procede senza sosta alla ricerca di nuovi oggetti, di nuove trasparenze. Durante le ultime fasi di lavorazione di Senza fine ha gia` in mente l’idea di un altro progetto cinematografico che intende realizzare in collaborazione con Piesiewicz: si tratta di un film su un omicidio, sulla incomprensibilita` della violenza, un film crudo, estremo, che si conclude con la condanna a morte del giovane assassino. Piesiewicz propone allora al regista di ampliare il progetto di partenza, realizzando un film sul Decalogo, una sorta di rilettura dei dieci precetti morali dell’Antico Testamento, nel tentativo di recuperare l’autenticita` del vivere quotidiano, tradita nella societa` moderna dal lassismo e dalla dispersione di ogni valore etico. Il progetto incontra i favori di Kieslowski che, inizialmente, decide di scrivere dieci film di un’ora per la televisione, ciascuno ispirato ad un comandamento, da affidare a dieci giovani registi. La decisione di assegnare i film a dei registi esordienti era legata alla sensibilita` di Kieslowski nei confronti delle difficolta` dei giovani cineasti, e alla politica del Gruppo di produzione TOR (di cui Kieslowski in quel periodo assumeva la direzione generale), che era anche quella di favorire il debutto cinematografico di nuovi autori. Ma Kieslowski, durante i mesi di preparazione delle sceneggiature, si lascia coinvolgere dall’affascinante gioco della scrittura, dagli sviluppi imprevedibili degli intrecci, dalla indecifrabilita` del rapporto tra sguardo e coscienza, e sceglie di girare tutti i film, ormai irrimediabilmente suoi. Le dieci sceneggiature1, presentate alla 1

Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesiewicz, Decalogo, trad. it. di Malgorzata Furdal e Paolo Gesumunno, Einaudi, Torino, 1991. Le sceneggiature (in originale Dekalog, 1989) presentano un’impostazione piu` propriamente letteraria nei confronti del ‘testo’ filmico. (La traduzione itlaiana dei dialoghi del film e` curata da Marina Fabbri).

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Televisione Polacca nel 1986, rimangono bloccate per un anno prima della approvazione definitiva del progetto. Il budget assegnato dalla Televisione di Stato risulta insufficiente alla realizzazione di un’opera cosı` articolata, e Kieslowski decide di rivolgersi al Ministero della Cultura, il secondo ente preposto alla elargizione dei finanziamenti, proponendo la realizzazione di due film a basso costo tratti dalle sceneggiature del Decalogo e destinati al circuito cinematografico. Kieslowski pone la condizione che uno dei due film sia il numero cinque e lascia ai responsabili del Ministero la scelta dell’altro, che ricade sul numero sei. Nascono cosı` Breve film sull’uccidere (Krotki film o zabijaniu, 1988), versione lunga del quinto comandamento, e Breve film sull’amore (Krotki film o milosci, 1988), versione lunga del sesto comandamento («Non commettere atti impuri»), tradotto e distribuito in italiano col titolo Non desiderare la donna d’altri. Le riprese dei dodici film hanno luogo contemporaneamente (spesso vengono girate nella stessa giornata sequenze di episodi diversi) in un arco di tempo di sedici mesi, tra il 1987 e il 1988, con la sola interruzione necessaria alla realizzazione del montaggio dei due lungometraggi cinematografici, che saranno proiettati nelle sale polacche tra la fine del 1988 e l’inizio del 1989, mentre Kieslowski sta completando la versione definitiva degli episodi televisivi.

. La struttura del Decalogo L’idea di Piesiewicz era il risultato di continue frequentazioni culturali (in particolare la lettura nel 1970 delle Norme morali di Maria Ossowska, un libro mai abbandonato), di un inconfessabile anelito di assoluto, e di una visita fortuita al Museo Nazionale di Varsavia, nel 1982, durante la quale fu colpito da un dipinto. Piesiewicz si trovava nella galleria d’arte dei secoli XIII-XVI, di solito evitata, e osservo` una grande tavola gotica, divisa in dieci parti, dipinta su legno e raffigurante le Tavole della Legge, in cui ogni norma veniva illustrata con scene d’epoca2. Piesiewicz rimase impressionato dalla straordinaria liberta` creativa dell’opera, dalla leggerezza e dalla complessita` di una rappresentazione capace di recuperare il dettato morale del Decalogo adattandolo allo spirito e alle consuetudini del tempo. La scrittura cinematografica di Kieslowski e Piesiewicz ripro2

Le notizie qui riportate sono tratte da Perche´ il Decalogo, intervista a Krzysztof Piesiewicz di Tadeusz Sobolewski, in Malgorzata Furdal e Roberto Turigliatto (ed.), Kieslowski, Museo del Cinema, Torino 1989, trad. it. di Paolo Gesumunno, pagg. 79-87.

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duce, mutatis mutandis, l’uniformita` e la varieta` del polittico trecentesco nella scelta di una ambientazione comune, un grande condominio di recente costruzione, che diventa la cornice reale e simbolica di dieci storie di vita quotidiana, ognuna contrassegnata dal numero del comandamento corrispondente. La costruzione dei dieci episodi ‘in serie’ risponde alle esigenze del pubblico televisivo, che ama familiarizzare con i protagonisti dei drammi, ritrovarli sullo schermo secondo precise consuetudini. I personaggi del Decalogo sono numerosi, e` difficile riconoscerli immediatamente, ma Kieslowski li riunisce in un unico ambiente, un anonimo condominio, in modo da favorirne gli incontri, le relazioni reciproche. «I personaggi bussano alla porta per farsi prestare dello zucchero, del sale, si incontrano in ascensore e si inscrivono cosı` nella memoria dello spettatore. Se voi guardate attraverso non importa quale finestra, vi sono delle persone dietro. Se volete guardare da vicino vi e` qualcosa di molto interessante in loro. Credo che si possa dedicare un’ora per avvicinarsi a loro. Dentro ognuno c’e` qualcosa di interessante. Bisogna semplicemente togliere la maschera e si puo` restare insieme un momento. (...) Il modo in cui sono costruite e disposte le case crea il campo della visione e mi permette delle composizioni interessanti con la camera»3. Lo spazio fermo degli appartamenti consente allo spettatore di concentrare l’attenzione sui dettagli, sui movimenti dei protagonisti, sulle espressioni contrastate dei volti, cosı` da penetrare il mistero delle loro esistenze, da imparare a conoscerli. E` escluso dalla rappresentazione ogni riferimento ai problemi sociali, al quotidiano, all’attualita` politica: era necessario distogliere lo sguardo da un’iconografia propriamente polacca, per conferire alle storie un respiro e una dimensione universali. Da qui la scelta di professioni liberali per i personaggi del Decalogo – professori, musicisti, chirurghi, avvocati – per escludere dallo schermo i sacrifici del polacco medio, la sua dolorosa volonta` di sopravvivenza. Il registro dei racconti si solleva dalla descrizione delle fatiche quotidiane, supera la banalita` delle occupazioni materiali, per accedere alla complessita` della vita, alla metafisica degli eventi interiori. Al centro di ogni episodio vi e` il conflitto tra moralita` e desiderio, i personaggi sono di fronte alla loro coscienza, drammaticamente costretti a dare un senso alla propria esistenza. L’innocenza perduta dei loro sguardi diviene l’espressione di un tormento, di una colpa quasi inconsapevole, che li rende simili, che li 3 Michel Ciment et Hubert Niogret, Le Decalogue: entretien avec Krzysztof Kieslowski, in «Positif», n. 346, dicembre 1989, pag. 37.

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accomuna in un solo destino, la scoperta dell’altro. La struttura del Decalogo si complica per l’instaurarsi di corrispondenze, interferenze, permutazioni, risonanze tra le diverse storie, a indicare un’unica volonta` creativa, l’esigenza di una concretezza rivelatrice. La logica narrativa viene perturbata da approcci distorti, discorsi indiretti, prospettive insolite che modellano il ritmo dei film, manipolando il racconto fino a complicarne la lettura da parte dello spettatore. Non vi sono certezze definitive, Kieslowski e Piesiewicz costruiscono un sistema negativo basato sulla impossibilita` di una risoluzione univoca, sulla ambiguita` di fondo, in cui l’unita` di luogo assume di volta in volta valenze simboliche sempre nuove. All’unita` di luogo non si accompagna l’unita` di tempo, dal momento che all’interno di ciascun episodio il tempo e` inteso ora come durata da ricreare, da prolungare, ora come istante immobile, irripetibile della coscienza, piu` spesso come insieme di dati metereologici. Nel primo caso la durata reale degli avvenimenti viene dilatata dalla messa in scena cosı` da creare uno scollamento tra tempo del discorso e tempo della storia, procedimento questo che verra` riproposto da Kieslowski anche nelle opere successive (soprattutto nella Trilogia) e che lo distingue come un regista dei tempi morti, sempre attento ai rapporti e alle funzioni dello sguardo e del racconto. La serialita` della costruzione narrativa permette di individuare una «macrostruttura temporale che si sovrappone alla microstruttura operante a livello dei singoli film. Nel caso dell’opera liberamente ispirata ai dieci comandamenti, saltano immediatamente agli occhi tutti quei personaggi che, seppur fugacemente, compaiono all’interno di episodi diversi rispetto a quelli che li vedono protagonisti; oppure si nota che durante la lezione di filosofia morale collocata all’inizio di Decalogo, 8, una studentessa sottopone alla riflessione dell’insegnante la vicenda umana su cui si era incentrato il Decalogo, 2. Occorre sottolineare che questo livello temporale superiore rappresenta il luogo nel quale si realizza in modo piu` evidente il dominio del tempo del discorso nei confronti del tempo della storia e che la sua intelligenza compositiva risiede totalmente nella mente dell’autore, a cui s’addice percio` molto bene l’etichetta di narratore onnisciente»4. Queste soluzioni aggiungono valore al lavoro registico di Kieslowski, conferiscono al suo cinema una marca stilistica intensa e struggente, nelle continue aperture verso l’abisso, per cui lacrime, volti, sguardi hanno davvero qualcosa di ‘minerale’, nella indimenticabile esposizione dei corpi, in cui i primi piani sembrano un’operazione di scavo interiore, il richiamo di una 4 Massimo Quaglia, Il tempo della coscienza, in «Garage», n. 3, Scriptorium edizioni, Torino, febbraio 1995, pag. 108. (I corsivi sono dell’autore).

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vita intera, di qualcosa di piu` profondo, di inattingibile. Il Decalogo si presenta, dunque, come un’opera polifonica, uno straordinario esperimento di etica cinematografica e sensibilita` di raccordo, in cui ogni elemento contribuisce alla realizzazione dell’insieme senza perdere la propria forza creativa ed evocativa, grazie soprattutto alla consapevolezza artistica di Kieslowski, un regista capace di sfruttare pienamente le possibilita` espressive offerte dalla macchina da presa. Restano ancora da illustrare, prima di passare in dettaglio all’analisi delle singole opere, le soluzioni estetiche adottate da Kieslowski per tradurre in immagini le forme e i contenuti della sua visione del mondo e delle cose.

. La dialettica dell’ombra e della luce L’anonimo condominio del quartiere Stowki di Varsavia, intrappolato dai giganteschi blocchi di cemento grigio (i ‘bloki’), diviene lo scenario di un’umanita` frantumata, dispersa, chiusa nella ossessiva e monotona ripetizione di gesti privi di senso. Il vuoto lasciato dall’assenza di Dio e dell’amore risulta essere la condizione esistenziale in cui si muovono i personaggi del Decalogo, stretti nella morsa delle loro passioni, segnati da una solitudine ontologica, prigionieri della triste architettura delle sbarre, dei corridoi angusti, degli appartamenti che disegnano uno spazio astratto che non umanizza, che divide. L’impressione generale e` quella di un mondo chiuso, claustrofobico, un mondo del mistero, del non-detto, della dissimulazione. La messa in scena di Kieslowski riproduce perfettamente questa ambiguita` di fondo, attraverso la continua moltiplicazione dei punti di vista, la disseminazione di false piste, di dettagli enigmatici. Il campo della visione e` costantemente perturbato da inquadrature chiuse, da movimenti contratti della macchina da presa, da zone d’ombra e tonalita` glauche che determinano una sensazione di soffocamento, di oppressione. Al centro della rappresentazione vi e` l’individuo, portatore di una sensibilita` dolorosa, estrema, segno di un irrisolto rapporto con la propria coscienza. I protagonisti delle dieci storie sono confinati in uno spaziotempo interiore, in una sorta di paesaggio della mente, rarefatto, diradato, in cui l’esposizione del corpo e` di una fragilita` assoluta. Ogni film diviene un’esperienza fisica, l’incarnazione di atti mancati, di gesti ripetuti, di corpi permeabili, relativi, incompleti, continuamente esposti ai misteri del caso, violati dal tempo immobile delle cose. Lo sguardo di Kieslowski sembra volerli liberare dal peso della materia, ma questa volonta` metafisica si scontra all’interno di ogni scena con la resistenza degli esseri, con la

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loro densita` biologica. L’assurdita` della condizione umana e` descritta attraverso un sapiente uso del chiaroscuro che traduce questo dualismo tra corpo e spirito. La luce, sempre fioca, tenue, crepuscolare, accarezza e scopre la levigata superficie dei volti, la dolente espressione degli sguardi, le sensuali sinuosita` dei corpi femminili; e` una luce che rischiara, che rivela particolari e attimi di una verita` incompleta, eppure a tratti accecante. Queste brevi epifanie di luce si alternano alla manifesta oscurita` del mondo, immerso nella pesante gravita` dei volumi (dei caseggiati, dei corpi), nella cupa densita` delle ombre che dividono, isolano, nascondono. L’articolazione del buio e della luce riproduce la tortuosita` delle traiettorie dello sguardo del regista, il flusso magmatico della coscienza dei personaggi, l’inestricabile labirinto delle scelte, l’irriducibile complessita` della morale. Quella del Decalogo e`, quindi, un’estetica dell’oscurita` in cui domina il vuoto, l’assenza, il dubbio, e del silenzio, in cui la parola a tratti recupera la sua forza salvifica (e` il caso di Decalogo, 8, dove la parola veicola le riflessioni della mente, durante il seminario di filosofia morale, e diviene occasione di confronto e di chiarimento tra le due protagoniste, divise da un passato mai risolto), ma piu` spesso e` violata, perche´ taciuta, doppia, falsa, contraffatta. L’incomunicabilita` tra i personaggi e` il segno di una mancanza ontologica, la mancanza di amore, di complicita`, di assoluto, che rende drammatica la permanenza sulla terra perche´ mortifica le relazioni tra gli individui. La scommessa piu` alta del Decalogo di Kieslowski diviene allora la rappresentazione di un’umanita` interdetta, di un universo asfittico e, insieme, la ricerca di uno sguardo capace di attraversare la superficie delle cose, di guardare oltre, di riflettere l’altro.

. Le superfici dello sguardo L’opacita` del reale e la trasparenza del virtuale: sono queste le condizioni di accesso al mondo del Decalogo, gli effetti di una visione perturbata dalla consistenza materica dei corpi che rifrangono la luce irregolarmente, dagli oggetti che restringono il piano dell’osservazione producendo continue distorsioni della percezione. L’articolazione delle immagini in campi e contro-campi, la diffusione in echi, l’accumulo di oggetti riflettenti suggeriscono l’idea di un cinema sospeso tra partecipazione e distacco, tra la volonta` di conoscere e l’impossibilita` di farlo. L’eloquenza degli oggetti e la reticenza dei corpi sono il segno di uno sguardo che si apre alla realta` interiore, che attraversa il diaframma dell’esistenza, nel tentativo di rivelare l’altro lato delle cose, l’oltre-immagine. In questo movimento che pro-

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cede dall’esterno all’interno, che avvicina il microcosmo degli oggetti al macrocosmo degli esseri, al punto di collocare al centro dello schermo un oggetto minimo che riflette l’intero universo, e` la forza del Decalogo, di una scrittura che rifiuta la logica rassicurante della normalita`, il sensazionalismo esteriore di una conoscenza superficiale del mondo, e che al contrario accetta di confrontarsi con la sottile ambiguita` dell’agire umano, raggiungendo il livello di una pieta` radicale e profonda. Questa apertura verso l’assoluto e` realizzata attraverso la disseminazione nello spazio chiuso in cui si muovono i personaggi di un’infinita` di strumenti ottici, tramite l’insistenza sul vetro, sulle superfici trasparenti come elementi essenziali della messa in scena, in quanto determinano una continua moltiplicazione degli angoli di visuale. La lettura e l’interpretazione di queste marche di enunciazione non sfuggono ad uno spettatore attento, che riconosce in esse le tracce della consapevolezza artistica di Kieslowski, l’inconfondibile impronta del suo stile. Proiettore, microscopio, cannocchiale e binocolo: questi strumenti, presenti in diversi episodi del Decalogo, permettono di ingrandire piccoli dettagli, di avvicinare i personaggi alle cose, di vedere senza essere visti, di oltrepassare il limite dei sensi, la fisicita` della percezione, per giungere a un grado superiore di conoscenza di se´ e del mondo. La presenza di tali oggetti introduce un’affascinante riflessione sull’atto stesso del guardare, dal momento che si tratta di evidenti metafore del cinema, una riflessione, questa, sempre presente nelle opere di Kieslowski (perlomeno a partire proprio dai dieci film del Decalogo), che rivelano il tentativo di descrivere l’intimita`, l’invisibilita` delle passioni, mantenendo intatto il mistero, la violenza, la solidarieta`, il desiderio di ogni sguardo dell’uomo sull’uomo. Questo cinema etico, nelle forme e nei contenuti, utilizza come strumento della discrezione il vetro, trasparente, opaco, deformante. «Il vetro riflette, quindi, come marca dell’enunciatore, una volonta` di distanziazione pudica, una presa di coscienza dei propri limiti e una volonta` di frapporre una barriera tra la macchina da presa e il reale. Come marca dell’enunciazione puo` voler mettere l’accento sull’impossibilita` di comprendere l’essenza e la profondita` della vita dell’uomo, sempre cosı` velata e incomprensibile. Come marca dell’enunciatario, e cioe` dei narratori e personaggi di Decalogo rivela una volonta` di difesa 5 dall’intrusione degli sguardi della macchina da presa» . Il rapporto tra 5

Emanuela Carozzi, Lenti, vetri e porte: un cinema tra partecipazione e distacco, in «Garage», n. 3, cit., pag. 61. (Per i concetti di enunciatore, enunciazione, enunciatario rimando a F. Casetti, Dentro lo sguardo. Il film e il suo spettatore, Bompiani, Milano, 1986).

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autore e personaggi, e di rimando quello tra autore e spettatore, e` giocato all’insegna di una tensione continua, dovuta alla estrema rarefazione dell’immagine, alla presenza del vetro che funziona da elemento metonimico di raccordo, che sfoca o nasconde dettagli e personaggi. Tre episodi in particolare, Decalogo, 3,6,9, sono caratterizzati da immagini che si riflettono sul vetro, che compaiono inaspettatamente, che modificano l’ordine e la logica della meccanica narrativa. In questo caso (come vedremo in seguito commentando i rispettivi episodi) la superficie riflettente permette di realizzare una messa in scena ai limiti del fantasmatico, in cui le apparizione improvvise dei protagonisti, le immagini sdoppiate negli specchi diventano segni inquietanti dell’Altro, del nascosto che si svela quasi magicamente. Il risultato piu` interessante, stilisticamente piu` valido di questa estetica del doppio, della trasparenza, e` la distorsione dei normali canoni percettivi, il mutuo scambio di ‘attuale’ e ‘virtuale’, l’effetto di straniamento della realta`, unica rappresentazione possibile dell’assenza d’amore, della mistificazione della verita`.

. Lo sguardo dell’altro La sconcertante assurdita` degli eventi, l’imprevedibilita` delle scelte dei protagonisti si riflettono, grazie ad una straordinaria intuizione di Kieslowski, nello sguardo enigmatico di un personaggio senza nome, interpretato da Artur Barcis6, che sotto diverse spoglie si trova ad essere silenzioso testimone degli avvenimenti. Questo personaggio misterioso compare in tutti gli episodi del Decalogo tranne nel settimo, perche´ Kieslowski non era soddisfatto delle scene girate, e nel decimo, per il diverso tono della storia, e diviene, quindi, una figura importante della messa in scena. Egli interviene nei momenti topici della storia, la sua presenza apre come uno squarcio all’interno dell’azione filmica, determina una pausa, una sospensione del senso. Per Kieslowski «e` un motore di pensiero. Il suo sguardo intenso posato sui personaggi li conduce a interrogarsi su se stessi»7. Questo personaggio muto e`, dunque, il segno di una presenza, la manifestazione di una volonta` altra che giudica, che assiste, che scuote, e i personaggi avvertono il peso del suo passaggio, l’intensita` del suo guardare, del suo fare enigmatico. 6

Si tratta dell’ attore che ha interpretato il ruolo di Dariusz, l’operaio incarcerato per sciopero illegale in Senza fine. 7 Claude-Marie Tre´mois, Entretien avec Krzysztof Kieslowski, «Telerama», 13 gennaio 1988.

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L’effetto di questa corrispondenza e` nascosto tra le pieghe del montaggio, nelle invisibili cuciture degli sguardi, delle espressioni dei volti, e` la sensazione, la speranza di non essere soli. Non si tratta, forse, dell’incarnazione di Dio, come larga parte della critica sostiene, ne´ dell’alter ego del regista, ma di uno sguardo che si fa coscienza, che diventa testimone e ci forza a com-patire.

. Un significato di morale La rinuncia al raziocinante potere della conoscenza (scientifica, medica, informatica) e la tensione verso il vero sapere, «che e` come vivere, perche´ 8 vivere» : sono queste le coordinate del percorso cognitivo di Kieslowski, gli sviluppi della sua riflessione sulle problematiche ontologiche degli individui, che si aprono a nuove considerazioni, dovute alla profondita` del vissuto esperienziale dei protagonisti. L’integrita` della coscienza dei personaggi e` minata, infatti, dall’insorgere delle passioni (paura, dolore, gelosia, sesso, amore, fede) e dall’incapacita` del soggetto di legarle alla vita, di viverle nel rispetto della propria liberta`. Si insinua cosı`, tra le pieghe della coscienza, il dubbio, l’indecidibilita` della morale che trascina gli individui nell’«inferno dell’etica»9. Anche in questo caso, come nella maggior parte dei film di Kieslowski, non vi sono risposte certe e definitive, ogni storia si sottrae ad una interpretazione univoca, gli episodi mostrano di avere numerose implicazioni morali e ripercussioni profonde, e risultano pertanto apertamente polisemici. L’estenuante esercizio del dubbio, la continua ‘ritensione’ del significato, la perversione delle regole sono tutti elementi legati all’indole di Kieslowski, aperta, inquieta, alla dialettica del suo spirito, e al particolare rapporto che il cineasta intrattiene con i dieci comandamenti: «Non credo che i comandamenti siano la legge fondamentale della religione ebraico-cristiana. Per me sono solo dieci frasi, ben scritte, che cercano di regolare i rapporti fra la gente. E sono interessanti perche´ nessuna ideologia le ha mai messe in discussione. Quel che mi affascina, dei comandamenti, e` che tutti siamo d’accordo sul fatto che siano giusti, ma al tempo stesso li violiamo, tutti i giorni. Mi interessano

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Pierre Murat, Entretien avec Kieslowski, «Telerama», hors-se´rie, La passion Kieslowski, settembre 1993. 9 Si tratta del titolo del seminario di filosofia morale tenuto dalla professoressa Zofia di Decalogo, 8.

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perche´ mi consentono di indagare sulla doppiezza dell’uomo».10 L’ineluttabilita` divina del Decalogo si perde nelle continue infrazioni della vita quotidiana al dettato della Legge, ma il giudizio sulla colpa non viene pronunciato. La sospensione del giudizio rimanda al dualismo ontologico del pensiero filosofico di Kieslowski: da un lato il fatalismo, la necessita` del peccato, dall’altro il bisogno di giustificare, la consapevolezza dell’ingiustizia subita dall’uomo, e quindi l’invocazione della grazia. Da qui scaturisce il richiamo al senso di responsabilita`, unica vera legge esistente, anche se violata, nell’universo del Decalogo (e forse anche in quello di Kieslowski), la difesa della verita` dei sentimenti, inscritta sui volti, nelle mani, nello sguardo dei protagonisti, la ricerca di Dio. Il rapporto con il precetto biblico e`, quindi, spesso solo tangenziale, allusivo, riposto nei meandri della coscienza degli individui piuttosto che evocato dalla dinamica degli avvenimenti. La morale di Kieslowski e` legata alla complessita` del reale, esclude la sommarieta` di ogni imperativo categorico astratto dal fluire delle emozioni, da un insieme di valori relazionali; e` una morale del dubbio, del paradosso, all’interno della quale ogni scelta e` vissuta come lacerante contraddizione. L’uomo e` diviso tra le perentorie ragioni della coscienza e l’indeterminabilita` degli affetti, ad ogni passo e` costretto a sciogliere il nodo inestricabile tra bene e male, e Kieslowski posa il suo sguardo solidale sui protagonisti di questi dieci drammi della contemporaneita`, certo del fatto che cio` che resta sia comunque il male minore.

. Decalogo, : il silenzio di Dio “Dio e` l’invisibile evidente” Hugo, Shakespeare

Il primo episodio del Decalogo affronta la questione dell’esistenza di Dio, il conflitto lacerante tra la chiarezza della ragione e l’oscurita` della fede. Ogni dettaglio della storia sembra richiamarsi ad una sorta di ‘apologia del binario’, ad un insanabile dualismo che sviluppa e riproduce l’opposizione di fondo, quella, appunto, tra fede e ragione, tra logica e intuizione. Il materialismo scientifico a cui si ispira il protagonista della vicenda, 10 K. Kieslowski, La mia Bibbia senza certezze: Alberto Crespi, intervista a Krzysztof Kieslowski e Krzysztof Piesiewicz, in «L’Unita`», 19 settembre 1989.

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Krzysztof, un glottologo padre di uno splendido bambino, viene smentito tragicamente dalla imprevedibile casualita` della vita, dall’irrompere di un destino cieco, incontrovertibile. La passione per il computer, condivisa con il piccolo Pawel, e` il credo ontologico, quasi metafisico di Krzysztof, convinto di poter ridurre l’esistenza ad una funzione meccanica univoca attraverso l’esercizio della razionalita`, deciso a dimostrare ai suoi allievi che il computer «seleziona, e quindi opera un atto di arbitrio, forse un atto di volonta`». Ma la dolorosa scoperta della morte del figlioletto pone Krzysztof di fronte al mistero dell’assoluto, al silenzio di Dio, e la sua ribellione finale non e` che un inutile, disperato atto di fede. La sequenza iniziale `e data da un’immagine epigrammatica, l’inquadratura dell’acqua che emerge dal ghiaccio sciolto del laghetto. Segue una lunga carrellata su un uomo seduto davanti al fuoco, l’uomo del destino Artur Barcis, che si conclude con uno ‘sguardo in macchina’ intenso, silenzioso, enigmatico. Una donna dall’espressione malinconica e dolente passeggia accanto a una vetrina, alza il viso e guarda su uno schermo televisivo la corsa rallentata di un gruppo di bambini. La donna piange. Sul monitor continua a scorrere l’immagine sempre piu` ravvicinata di un bambino, poi si ferma in un piano fisso. L’uomo col montone davanti al fuoco abbassa lo sguardo e si strofina gli occhi, forse per asciugare una lacrima. La macchina da presa segue il volo di un piccione che si posa dietro una delle finestre degli appartamenti del condominio, dietro i vetri c’e` il piccolo Pawel che posa alcune molliche sul davanzale. Krzysztof, giovane insegnante di linguistica all’universita`, vive da solo (sua moglie `e emigrata) insieme al figlio Pawel, un bambino di una decina d’anni. Tra i due c’e` un rapporto di divertita complicita`, segnato dalla comune passione per il computer. E` mattina, il bambino e il padre si esercitano facendo delle flessioni a terra, Pawel non riesce a seguire il ritmo del padre. Subito dopo, mentre il papa` `e in bagno a lavarsi, Pawel gli chiede i dati di un nuovo problema da risolvere al computer. Il bambino `e intelligente e sveglio, trascrive gli elementi del quesito matematico nel calcolatore e trova immediatamente la soluzione. Pawel esce per andare a comprare il latte, fuori piove, incontra una bambina che sembra ricambiare distrattamente il suo saluto. Tornano per un attimo le immagini dell’uomo davanti al fuoco, vicino al laghetto ghiacciato. Pawel vede a terra un cane lupo morto assiderato, lo accarezza lentamente con la mano. Tornato a casa sconvolto e addolorato, chiede al padre con disarmante naturalezza spiegazioni sulla morte, su cosa resta dopo la morte. Krzysztof cerca di soddisfare la curiosita` del figlio, ma le sue risposte schematiche, vuote, non convincono. Pawel conclude che il cane dagli occhi gialli era sempre triste e forse “ora sta meglio”. Nella scuola di Pawel arriva una troupe televisiva per girare un reportage sulla ‘Campagna del latte nelle scuole’. Pawel invece di ascoltare gioca con la sua amica preferita che gli mostra un piccolo criceto.

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All’uscita da scuola, va a prenderlo la zia Irena, alla quale, entusiasta, Pawel mostra i prodigi del suo computer: ad esso sono collegati elettronicamente tutti i comandi automatici della casa, dalle serrature della porta ai rubinetti dell’acqua. Pawel mostra alla zia che il computer riesce anche a sapere cosa fa la sua mamma, perche´ calcola la differenza di fuso orario. Irena provocatoriamente dice al nipotino di chiedere al computer se sa cosa sogna la mamma. Il computer non sa rispondere, ma la zia conforta Pawel dicendogli che la mamma sogna sempre lui. I due pranzano a casa di Irena. Dopo aver pranzato, Irena mostra a Pawel delle foto di Papa Wojtila e il bambino chiede alla zia se il Papa sa “perche´ si vive”. Nasce una conversazione profonda sul significato della vita come dono per gli altri, sull’esistenza di Dio che, come spiega Irena, `e nel “volersi bene’’. Ancora una immagine dell’uomo di spalle, sempre davanti al fuoco. Krzysztof e Pawel vincono una partita di scacchi grazie alle intuizioni brillanti del piccolo. Tornati a casa ricevono la telefonata della zia che vuole sincerarsi del parere del fratello sull’iscrizione di Pawel ad un corso di catechismo. Il computer si accende misteriosamente da solo e sullo schermo compare la scritta «I am ready», quasi in un gesto di sfida. Un riverbero verde avvolge la scena. Durante un seminario di linguistica all’universita`, Krzysztof parla delle difficolta` di “comprendere cio` che crea lo spirito della lingua” e della capacita` di elaborazione linguistica dei calcolatori elettronici. Pawel segue l’esposizione del padre da dietro un proiettore e la macchina da presa accompagna i movimenti dello sguardo del bambino, isolando particolari delle mani, del volto, della bocca di Krzysztof, dividendo, sezionando il piano dell’inquadratura. L’uomo misterioso `e ripreso di spalle, il fuoco `e spento, poi appare il suo viso in primo piano, si gira a destra. Fuori dalla finestra Pawel raccoglie una bottiglia di latte, ghiacciata e trasparente. Padre e figlio calcolano al computer la resistenza del ghiaccio che ricopre il laghetto. Pawel si fa dare in anticipo il regalo di Natale, dei pattini da ghiaccio che ha gia` intravisto sotto il letto. Krzysztof esce, a tarda sera, a controllare di persona la tenuta del ghiaccio, cammina, salta sulla superficie ghiacciata del laghetto. Di fronte a lui c’e` l’uomo misterioso davanti al fuoco, Krzysztof lo guarda, l’uomo si gira, un piano fisso sulle lamine dei pattini. Presso una chiesa in costruzione Krzysztof si imbatte in un gruppo di fedeli raccolti in religioso silenzio, una mano accarezza i pattini luccicanti. Tornato a casa, Krzysztof trova Pawel ancora sveglio, lo rassicura sulle condizioni del ghiaccio, ma gli raccomanda di non avvicinarsi alla foce del torrente. L’indomani, mentre Pawel `e a scuola, la boccetta di inchiostro posata sulla scrivania di Krzysztof si rompe e una macchia scura si spande sulla carta bianca. Krzysztof la solleva e nel frattempo suona il campanello: `e una piccola bimba che chiede di Pawel. Mentre si lava le mani sporche di inchiostro, Krzysztof avverte il suono delle sirene, si guarda attonito nello specchio del bagno, poi assiste dalla finestra al sopraggiungere dei vigili del fuoco. Suona il telefono; la madre di un amico di Pawel chiede notizie dei bambini. Krzysztof cerca di mantenersi calmo, va dall’insegnante di inglese di Pawel che ha

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l’influenza e non ha fatto lezione. Incontra poi la madre dell’amico di Pawel che lo informa del cedimento del ghiaccio del laghetto; Krzysztof non riesce a crederci. Sale di corsa a casa a cercare il figlio, la casa `e vuota; telefona ad Irena che non ha notizie e le racconta con fare concitato della boccetta d’inchiostro e della rottura del ghiaccio. Torna a cercare Pawel col walkie-talkie. Pawel non risponde. Si avvicina al lago, c’e` molta gente che assiste alle operazioni dei vigili del fuoco. Arriva l’amico di Pawel che abbraccia i genitori ancora increduli. L’amichetta di Pawel dice a Krzysztof che Jacek sa qualcosa su Pawel. Krzysztof corre dietro alla coppia fino al palazzo in cui abitano e riesce a sapere dal bambino che Pawel era andato a pattinare sul ghiaccio. Krzysztof si accascia sulle scale, il suo volto `e segnato dalla luce, contratto in una smorfia di dolore. Torna al laghetto. Tra la folla c’e` Irena, che lo abbraccia da dietro. I pompieri ripescano dall’acqua il corpo di un bambino. La folla si inginocchia, solo Krzysztof resta in piedi. Ancora un primo piano di Krzysztof che sembra non essersi mosso dalla scala, ma ora `e a casa. Il suo volto `e illuminato dal riverbero verde del computer, sul monitor compare di nuovo la scritta «I am ready». Krzysztof si reca, con rabbia, nella chiesa in costruzione, si avvicina all’altare su cui `e poggiato il ritratto della Madonna nera di Czestochova, appena illuminato dalla luce di piccole candele. Krzysztof si scaglia con forza sull’altare e lo fa cadere. La cera delle candele disegna sul volto della Madonna delle lacrime chiare. Krzysztof si strofina la faccia con un pezzo di ghiaccio. L’immagine televisiva della corsa di Pawel deforma lo schermo, si avvicina lentamente, poi scompare. Il racconto costituisce un immenso flash-back. La memoria, il ricordo del piccolo Pawel, cio` che veramente rimane dopo la morte secondo il razionalismo materialistico del padre Krzysztof, sono come depositati nello schermo che rappresenta la cornice narrativa del film, «quasi che tutta la vicenda si svolgesse tra gli interstizi della rappresentazione televisiva»11. Le immagini costituiscono una serie di echi, di associazioni di forme e di materia – latte, acqua, ghiaccio, inchiostro, lacrime, cera – e soprattutto di trasformazioni da uno stato all’altro che in qualche modo prefigurano la tragedia. Il montaggio crea delle corrispondenze enigmatiche, dei parallelismi dubbi, dei legami approssimativi, e lo spettatore si deve far guidare da questi elementi caotici fino alla rivelazione finale, alla scoperta che la rappresentazione non esiste, che tutto e` compiuto irrimediabilmente. L’astrazione temporale della forma determina una sorta di presentificazione del passato, un’attualizzazione della memoria, per cui la vicenda di Pawel sembra assorbire ogni fotogramma del film. L’intuizione di Kieslowski e` ancora una volta straordinaria: spezzando la continuita` logica 11

Vincent Amiel, Kieslowski, Rivages/Cine´ma, Paris, 1995, pag. 90.

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degli eventi egli riproduce perfettamente la destrutturazione del mondo di Krzysztof operata dal caso, l’irrompere nella sua vita di una forza irrazionale, inconoscibile. Il giovane professore di linguistica sembra restare ai margini della storia per la sua attitudine a separare le cose dalla vita, che lo rende incapace di inventare, di immaginare, di partecipare al mondo degli altri, e quindi di comprendere. Egli rimane legato a poche certezze, a una conoscenza superficiale del mondo, ad una razionalita` astratta, binaria. Il punto di vista di Krzysztof viene ribaltato dalla sorella, la zia Irena, depositaria di una religiosita` spontanea, naturale, intuitiva. La sua fede e` ingenua, puerile quasi, ma il suo messaggio di gioia e` una delle cose piu` vere dell’intero Decalogo. Il richiamo alla orizzontalita` dell’amore, alla necessita` di vivere la vita come un dono per gli altri e` senza dubbio la testimonianza piu` forte della morale del Decalogo, una morale che vuole recuperare il senso dell’esistenza, che e` la fratellanza, la speranza di una rinnovata ‘comunione’ tra gli uomini. Il segno di questa speranza e` dato dalla presenza sulla scena del personaggio muto, che riflette e ferma i momenti culminanti del dramma. L’uomo compare gia` nella sequenza iniziale del film, e diviene subito, per effetto del montaggio, l’elemento di raccordo tra Pawel, le cui immagini scorrono sullo schermo televisivo, e l’impronunciabile sofferenza della zia. Questa scena e` una delle piu` commoventi di tutto il film, per l’intensita` delle vibrazioni emotive, per la trasparenza degli sguardi, per la leggerezza delle lacrime invisibili del personaggio muto, manifestazione sensibile della sua compassione, della sua reale partecipazione agli eventi. Un altro elemento funzionale alla composizione del dramma risulta essere la fotografia di Wieslaw Zdort, che traduce «nell’ostentato nitore dell’immagine d’interni come di esterni quella ricorrenza di elementi figurativi bianchi (il ghiaccio, il latte, la luce del sole e quella delle fotoelettriche) che se da un lato e` contigua all’idea di un’unica luce (la ragione o la fede come unico criterio) entro la quale si muovono i personaggi nella loro vita, dall’altra preannuncia la “morte bianca”, innocente, di Pawel»12. La limpidezza degli spazi e` pero` interrotta a volte dal riverbero verde del computer, una luce artificiale, artefatta che annuncia la misteriosa sfida lanciata a Krzysztof dal calcolatore, e diviene simbolo di un’intelligenza senz’anima. Se la fotografia definisce la fisicita`, la consistenza delle immagini, la musica di Zbigniew Preisner (autore della colonna sonora di tutti gli episodi) proietta la storia e i personaggi in una dimensione spirituale, per l’incanto delle note, per la struggente melodia del flauto che sembra trasformarsi in voce, in canto. Niente, dunque, e` 12

Serafino Murri, Krzysztof Kieslowski, Editrice Il Castoro, Milano, 1966, pag. 87.

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affidato al caso nella costruzione di questo primo episodio, dove ogni elemento contribuisce a creare quell’atmosfera di sospensione, di leggerezza che costituisce senz’altro la cifra stilistica piu` alta del film. L’esitazione tra un ordine giustificato logicamente e la rottura totale che sfocia nell’assurdo e` il contributo di Kieslowski al primo comandamento, Io sono il signore Dio tuo, non avrai altro Dio all’infuori di me: quel che resta e` l’evidenza della legge violata da Krzysztof e l’incomprensibile miracolo delle lacrime della Madonna.

. Decalogo, : la scelta impossibile Lo spettro della morte aleggia anche in questo secondo episodio del Decalogo, una morte annunciata, quella di un uomo malato di cancro, attesa, necessaria, che trascina i protagonisti in una lenta ed estenuante agonia. Una morte ancora legata, come in Decalogo, 1, «alle previsioni, ai calcoli del sapere, all’impossibile adeguamento tra il mistero e la conoscenza impertinente degli uomini»13. L’uomo malato di cancro e` Andrzej, il marito di Dorota, una violinista della filarmonica cittadina, una donna forte, determinata, lacerata da un dubbio angoscioso, costretta ad una scelta impossibile. Dorota e` incinta di un altro uomo, anche lui un musicista, e la nascita del bambino e` irrimediabilmente legata alla sopravvivenza del marito: se Andrzej non dovesse morire, la donna, che non puo` sperare in un’altra gravidanza, sarebbe costretta (dalla morale? dal senso di colpa?) ad abortire. Nel disperato tentativo di conoscere la verita` sulla sorte del marito, Dorota si rivolge al vecchio primario del reparto di Oncologia che ha in cura il marito e che abita nel suo stesso stabile. Il film descrive, attraverso uno straordinario montaggio parallelo, la sdegnosa solitudine di questi due personaggi, Dorota e il primario, chiusi nel segreto della loro intimita`, eppure prigionieri entrambi di un unico verdetto. Un piano fisso su un balcone. E` giorno, un giardiniere sta rastrellando il cortile antistante il condominio quando trova un coniglio morto. Solleva gli occhi, crede sia caduto da uno degli appartamenti dello stabile. Un uomo anziano osserva una pianta di cactus, sembra morta. Scopre la gabbietta del suo canarino, coperta da un panno nero, accende la radio, fa bollire dell’acqua. Sono tutti gesti ripetuti quasi meccanicamente, quotidiane abitudini di un uomo solo. Suona il campanello. E` il giardiniere visto in precedenza che vuole restituire il coniglio, pensando che sia caduto dal balcone dell’uomo, ma si sbaglia, non `e dell’anziano signore. L’uomo versa l’acqua calda nella vasca da 13

Vincent Amiel, op. cit., pag. 105.

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bagno, poi si accascia sul bordo, il suo viso si contrae in una smorfia di dolore. L’uomo esce dalla porta, sul pianerottolo vede una donna che fuma nervosamente di fronte alla finestra. Si salutano, poi l’uomo entra in ascensore. Al suo ritorno, la donna `e ancora immobile, davanti alla finestra, che fuma. L’uomo entra a casa, svuota il pacco della spesa, si avvicina alla porta incuriosito, la apre e vi trova la donna dietro ad aspettarlo. La donna si presenta, si chiama Dorota, chiede notizie del marito all’uomo, che `e il primario dell’ospedale in cui il marito `e ricoverato. Il vecchio medico le ricorda l’orario di ricevimento per le visite dei parenti dei malati, la donna si allontana indispettita. Il primario `e seduto in poltrona, beve del latte. Suona il campanello. E` la signora Basia, la donna delle pulizie, alla quale mostra la pianta sofferente. Una mano attiva la segreteria telefonica, la macchina da presa inquadra delle fotografie, gli interni di un appartamento di lusso. La voce fuori campo di un uomo lascia un messaggio in segreteria; Dorota legge un foglio di carta, forse una lettera, poi lo strappa. Una donna spolvera un mobile, sposta una foto (una donna e due bambini ), si siede di fronte al primario. I due prendono il the` e l’uomo comincia a raccontare di un bambino al quale erano spuntati i dentini, di suo padre che si era tirato un dente da solo, di una donna stanca, affaticata; poi interrompe il racconto e rimanda alla puntata seguente. Il primario esce, trova ancora Dorota ad attenderlo, le da` un appuntamento per il pomeriggio, poi scende in ascensore. Dorota `e a casa, ascolta un disco, guarda dalla finestra il primario allontanarsi nel viale del cortile, poi strappa con rabbia le foglie verdi di una pianta, storce lo stelo, che pero` poco dopo si raddrizza. Il primario in ospedale chiede ad un infermiere la cartella clinica di Andrzej Gheller, il marito di Dorota, prova ad entrare nella sua stanza, ma la moglie `e lı` con lui e si allontana. Dorota guarda Andrzej con trasporto, tiene tra le mani un barattolo di conserva, decide di riportarlo a casa, ma l’uomo che divide la stanza con il marito la convince a lasciarlo sul tavolo. Andrzej `e immobile a letto, Dorota gli sistema il cuscino, poi esce, dopo essersi girata a guardarlo ancora una volta. Andrzej apre gli occhi, fa una smorfia. Dorota entra nella stanza del primario, chiede un responso che il medico non puo` pronunciare, perche´ “sa solo di non sapere”. Una goccia d’acqua colpisce il letto di Andrzej, l’uomo alza gli occhi, vede il soffitto pieno di crepe da cui stillano gocce d’acqua che bagnano delle foglie verdi. Dorota aspetta in macchina l’uscita del primario, gli offre un passaggio, l’uomo rifiuta. Dorota prova a seguirlo con la macchina, poi lo perde di vista perche´ lui si `e nascosto dietro una colonna. La donna resta in macchina, accende una sigaretta. Il primario `e nel suo appartamento, legge il messaggio della signora Basia. Suona il campanello, prima di andare ad aprire gira la foto che si trova sul mobile, quasi volesse nasconderla. Dorota entra nella stanza, accende una sigaretta, cerca il posacenere. Butta la cenere nella sua mano e comincia a raccontare il dramma che sta vivendo, il suo tradimento, la gravidanza, la necessita` di conoscere la sorte del marito per salvare la vita del bambino. Il primario non puo` emettere un verdetto definitivo, c’e` per il marito un 15 % di probabilita` di una sopravvivenza vegetativa, niente `e sicuro. La donna continua a

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giustificarsi, sembra quasi che stia cercando di convincere se stessa, poi si congeda, pregando il primario di chiedere al suo Dio l’assoluzione per lei. Dorota, tornata a casa, trova appoggiato alla porta Janek. L’uomo `e in partenza per l’India, ed `e passato a salutarla: ha portato con se´ l’attrezzatura da montagna di Andrzej, che era rimasta nei locali del club alpino di cui entrambi fanno parte. Dorota si infuria e getta lo zaino fuori dalla porta, dicendo che suo marito non `e ancora morto. La donna `e rimasta sola in casa, guarda un bicchiere di the`, lo spinge piano con un dito fino a farlo cadere dal tavolo. La stanza `e completamente al buio, Dorota `e sdraiata su un divano, sta ascoltando della musica. Suona il telefono, si attiva la segreteria, la donna abbassa il volume per riuscire a sentire il messaggio. La voce fuori campo di Janek racconta l’arrivo in India, preannuncia un nuovo appuntamento telefonico, poi il nastro si interrompe. Dorota chiude gli occhi, rimane sdraiata; quando li riapre `e distesa sul lettino del ginecologo. La visita di controllo `e andata bene, la gravidanza procede perfettamente, ma Dorota prende un appuntamento per abortire due giorni dopo. Poi va ad incontrare un giovane intermediario di Janek in un caffe`, il quale le porta un regalo da parte del pianista, le chiede di ritirare degli spartiti da casa dell’amante, e di rendersi reperibile. Nel frattempo, in ospedale, il primario osserva stupito al microscopio i vetrini del sangue di Andrzej, li fa controllare ad un altro medico, e scoprono un netto regresso della malattia. Alla scena assiste anche un infermiere, il personaggio ‘misterioso’ interpretato da Barcis, che diviene quindi spettatore consapevole dell’avvenuto ‘miracolo’. Una sigaretta viene poggiata nel posacenere, il volto di Dorota `e inquadrato in penombra; suona il telefono, risponde la segreteria, Dorota accende la luce, la voce fuori campo di Janek la invita a sollevare la cornetta. Dorota risponde, ma dice soltanto di aver deciso di abortire, la sua voce `e ferma e risoluta, insensibile alle parole di Janek. I due restano in silenzio, sembra che sia stato gia` detto tutto, ma, mentre Dorota ripone la cornetta, Janek si lascia sfuggire un inutile quanto struggente «Ti amo». Dentro la serra del primario la piantina si sta riprendendo, il medico e la signora Basia sono di nuovo davanti ad una bicchiere di the`, pronti per il seguito del racconto. Il primario `e lapidario nella sua esposizione, ricorda di aver telefonato a casa, di aver chiesto dei figli, un maschietto e una bambina, e di aver trovato appena un’ora dopo una buca al posto della sua abitazione, la sua famiglia era stata distrutta da una bomba. Dorota `e in ospedale, vede un letto trascinato fuori dagli infermieri dalla stanza di Andrzej, teme sia successo qualcosa al marito, si avvicina, dietro di lei si intravede la sagoma sfuocata del personaggio misterioso, Andrzej `e rannicchiato nel letto, sembra assente. Dorota gli confessa di amarlo molto, lo accarezza, l’infermiere Barcis `e dietro di lei e abbassa gli occhi, continua ad accarezzare il marito. Primo piano di Andrzej, dal tetto piovono ancora delle gocce che si raccolgono dentro una bacinella di sangue, straordinaria immagine della agonia dell’uomo. Dorota si alza, sembra non riuscire a capire cosa succede intorno a lei, va dal primario, decide di ‘ricattarlo’, non vuole lasciarlo con la coscienza tranquilla, e gli comunica che tra poche ore abortira`. Il primario la sconsiglia di farlo, perche´ Andrzej `e destinato a morire; la donna si siede sconsolata, obbliga il medico a giurare che quanto ha

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appena detto `e vero, l’uomo giura il falso. La macchina da presa si sofferma sul volto di Dorota, un piano fisso enigmatico, la donna rimane immobile dietro i vetri, davanti alla finestra. La camera in piano-sequenza scende lungo il muro del palazzo, riprende il grigio intonaco dello stabile, la luce accesa dietro una finestra, si ferma sul volto del primario, pensieroso dietro i vetri, acceso di una luce rossa, pochi metri sotto quello di Dorota. La macchina da presa, sempre in piano-sequenza, si muove in orizzontale, un movimento rapido che si arresta sul viso di Andrzej, in ospedale, disteso a letto; l’uomo solleva il capo, si volta verso sinistra e osserva una vespa invischiata in un bicchiere di sciroppo di fragole, che sale faticosamente su un cucchiaino per raggiungere il bordo, e dunque la salvezza. Dorota sta suonando il violino, per la prima volta sorride, il suo viso si volta leggermente verso destra e per un ‘miracoloso’ effetto di montaggio sembra guardare Andrzej, che si `e finalmente alzato e bussa alla porta del primario. L’uomo entra nella stanza, `e smagrito, debilitato, ringrazia il medico, gli comunica che presto diventera` padre, e gli chiede se sa cosa significa avere un figlio. Il primario fa un cenno col capo, e in un attimo sembra rivivere la tragedia della sua solitudine. Al centro di questo secondo episodio vi e` la declinazione del motivo fondante del cinema di Kieslowski: la scelta. Una problematica che si richiama alla complessita` del vivere, alla difficolta` di legare la morale alla vita, all’intreccio di relazioni e di affetti che ne determinano il ritmo, la consistenza. La storia e` solo un pretesto, l’essenziale e` altrove, negli oscuri meandri della coscienza di Dorota, nella impenetrabile espressione del suo volto, nell’innocente e salvifica complicita` del medico. «Gli elementi della scelta sono trattati rapidamente: il bambino e il desiderio di maternita`, l’amante e la sua sensibilita`, il marito sono soltanto delle semplici informazioni. Essi valgono essenzialmente per la loro assenza. Il primo non e` che vagamente nominato, il secondo si manifesta quasi solo al telefono, (come sara` in Rosso), il terzo e` in agonia... La sola che vive, e quindi li fa vivere, e` questa donna, che li sostiene, (piu` o meno letteralmente), che li lega gli uni agli altri, e soffre di un legame di cui e` responsabile»14. Si crea cosı` un sistema di correlazioni inconsce tra i personaggi, «una rete che si annoda sugli interrogativi piu` impalpabili di ognuno intorno alla propria identita`»15. Il film e` dato da questa fitta trama di relazioni, dalla precaria composizione di questi drammi incompleti, in cui verita` e menzogna, innocenza e senso di colpa, dubbio e conoscenza risultano essere le 14 15

Ivi, pag. 96. Gabriella Ripa di Meana, La morale dell’altro, Liberal libri, Firenze, 1998, pag. 67.

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funzioni di un’unica variabile, l’amore, la ricerca e l’attesa dell’Altro. Dorota e` portatrice di un’inquietudine esistenziale profonda e remota, legata al fascino ambiguo della sua femminilita`, all’inatteso miracolo della gravidanza, all’insondabile verdetto sulla sorte del marito. La fragilita` del suo viso emotivamente raggelato, contratto, l’espressivita` enigmatica del suo guardare, lo sdegno della sua solitudine sono gli indici di una personalita` divisa, scissa, lacerata dalla necessita` di una scelta impossibile. La vitalita` contrastata di Dorota viene a scontrarsi con l’asciutta pacatezza del primario, con l’apparente reticenza del suo sguardo, con le pratiche abitudinarie di un’esistenza che scorre lenta tra gli oggetti di una memoria perenne, di un tempo immobile, stretto nella morsa di implacabili echi affettivi. Cio` che emerge dai gesti ripetuti, dalle confidenze del medico alla fidata signora Basia, e` il peso di un’assenza, la realta` di un destino incancellabile. Il primario riconosce l’ignoranza della sua disciplina, vuole sottrarsi al gioco della verita`, ma il suo percorso e` montato in parallelo a quello della sua vicina, con cui condivide l’idea e il sentimento della morte, passata o futura. La sua ‘bestemmia’ sembra essere il tentativo «di interrompere il fatale giro a vuoto della perdita, nominando e definendo cio` che non si puo` ne´ definire ne´ nominare: l’inizio e la fine, la nascita e la morte, il nostro soggettivo essere e non essere»16. La decisione finale di giurare il falso diviene, allora, quasi il prolungamento necessario del suo passato sempre attuale, l’unica possibilita`, forse, di ricucire lo strappo della memoria dando vita ad una nuova famiglia, che non e` piu` la sua, ma che lui stesso ha creato, con il sacrificio della verita`. Da qui il travaglio estetico di Kieslowski, le difficolta` nel descrivere l’incerto margine tra la vita e la morte, la concretezza visionaria delle immagini che traducono l’agonia di Andrzej, il lento stillare delle gocce dal soffitto, la dura resistenza dell’ape che richiama il senso miracoloso del regredire della malattia, tutti momenti di una drammaturgia del reale capace di riprodurre le suggestioni della mente, di aprirsi all’immaginazione, per poi comporsi nello straordinario piano-sequenza finale che ri-unisce i tre protagonisti in un unico movimento dello sguardo. L’eco della storia si prolunga fino al Decalogo, 8, dove gli avvenimenti del racconto sono rivissuti e commentati durante il seminario di filosofia, a significare l’indecidibilita` della morale, la provvisorieta` del giudizio e, soprattutto, il carattere ‘illustrativo’ di un cinema, che non smette mai di ripensare se stesso in un continuo gioco a distanza con lo spettatore.

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Ivi, pag. 68.

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. Decalogo, : il teatro della solitudine Ricordati di santificare le feste e` il terzo comandamento del Decalogo, la traccia simbolica di questo episodio, in cui si celebra una sorta di laico rituale della solitudine. L’azione si svolge nell’arco di una notte, la vigilia di Natale, durante la quale si scontrano frammenti di esistenze sospese, pericolosamente in bilico tra passato e presente, tra realta` e finzione. La festa, sinonimo di unione, di condivisione, sembra essere per Janusz, un indeciso Babbo Natale, una recita poco convincente, e allora diviene quasi un gioco per Ewa, sua vecchia amante, strapparlo alla famiglia, costringerlo con una calcolata bugia a trascorrere con lei la vigilia. La storia di Ewa, una donna dai trascorsi sentimentali ambigui, si trasforma in una drammatica scommessa con la sorte, in una avventura del peccato e della nostalgia, in cui coinvolge Janusz, nell’improbabile e inutile ricerca di Edward, l’uomo per cui lei lo ha lasciato tre anni prima. Nelle parole di Ewa, nella sua disperazione, tutto e` vero, presente, ogni suo gesto diviene l’espressione della volonta` di sentirsi viva, ancora desiderata. Edward e` davvero scomparso, ma non il giorno della vigilia; e` andato via dopo aver sorpreso Ewa e Janusz a letto insieme, in seguito ad una telefonata anonima. Ewa ricerca ancora le ragioni di quell’abbandono, di un destino che la vuole sola nella notte di Natale, quando le persone «si rinchiudono... accostano le tende»17, e decide allora di rivivere, nell’inganno, l’illusione della perduta felicita`. Lo schermo `e invaso dal riverbero di piccole luci bianche e blu mentre una voce fuori campo intona una nenia natalizia: `e la voce di un ubriaco che trascina un albero di natale. E` la vigilia. Una panoramica della citta`, lontana e come immobile. Un uomo dentro una macchina, travestito da Babbo Natale, si aggiusta la barba, l’interno dell’auto `e invaso da una luce rossa, intensa. L’uomo scende dalla macchina e si avvicina al pianerottolo di un palazzo. Citofona, risponde la voce di un bambino, lui si annuncia come Babbo Natale. Mentre sta per varcare la soglia, esce un uomo, distratto, assente; `e Krzysztof, il protagonista del primo episodio. I due si salutano, poi Krzysztof si avvicina alla finestra e osserva da dietro i vetri, in soggettiva, l’albero illuminato, l’ingresso di Babbo Natale, l’accoglienza dei bambini. La scena `e interrotta dalla corsa di un’auto rossa, che sfreccia per strada. Babbo Natale distribuisce i doni ai familiari, ancora un’immagine della macchina rossa. L’auto `e ferma in uno spiazzo, dentro c’e` una donna che si volta verso sinistra. Vede un ragazzo in pigiama che corre fin sotto il grande albero illuminato che campeggia nel centro della piazza, un uomo lo insegue, 17 Si tratta di una battuta del film, pronunciata da Janusz, che esprime la disperazione di chi e` costretto a trascorrere la vigilia da solo.

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entrambi cadono a terra. Babbo Natale `e in bagno, si `e tolto la maschera, il suo volto `e spento, incerto. La moglie lo raggiunge, lo ringrazia per il regalo ricevuto, accenna ad un possibile viaggio in montagna, poi accarezza il viso del marito. La donna che era dentro l’auto entra in un istituto, degli anziani cenano e cantano sereni intorno ad una tavola imbandita. La donna si avvicina ad una persona di spalle, anziana, quasi assente, che la chiama. La donna, che si chiama Ewa, scarta un regalo, poi si siede vicino alla vecchia signora, che le chiede se ha fatto i compiti, se `e venuta con Edward, poi si assopisce. E` la vecchia zia di Ewa, chiusa in una solitudine impenetrabile, incapace di vivere la realta`, se non nel ricordo del passato. Ewa lascia il regalo tra le mani della zia, la accarezza, poi esce. La macchina da presa si avvicina lentamente alla finestra, riprende i movimenti della donna da dietro i vetri della camera. In chiesa c’e` molta gente, Ewa si fa largo tra la folla di persone. L’uomo che si era travestito da Babbo Natale, Janusz, `e con la sua famiglia; si volta a sinistra e intravede Ewa tra i banchi della chiesa. La donna sorride, sembra conoscerlo bene, poi si allontana. Janusz si gira nuovamente, ma Ewa non c’e` piu`. I fedeli intonano un canto natalizio. La macchina rossa si ferma in uno slargo, Ewa scende, posa la sciarpa rossa che aveva al collo dentro l’auto, quindi si allontana a piedi. La camera inquadra la scena dall’alto, dietro una colonna. Janusz `e a casa, stappa una bottiglia di spumante, lo versa nei calici e brinda con la moglie e la suocera. La scena `e ripresa da dietro i vetri, dove si intravede una sagoma scura. Suona il citofono, Janusz risponde, la moglie sembra perplessa. L’uomo dice che qualcuno gira intorno al suo taxi, ed esce a controllare. La moglie guarda dalla finestra, vede passare un ubriaco, gia` visto nella prima sequenza, che trascina un albero e ripete “Dov’e` la mia casa, dov’e`”. Janusz sta per rientrare quando vede, riflessa sul vetro della porta, Ewa che si accende una sigaretta. Ewa lo saluta e gli dice che Edward, il suo compagno, `e scomparso. La donna piange, e Janusz le asciuga il viso. Ewa chiede a Janusz di aiutarla nelle ricerche, l’uomo dopo una prima esitazione accetta. Decidono di dire alla moglie che il taxi `e stato rubato, Ewa prende le chiavi e parte, si danno appuntamento poco piu` in la`. Janusz entra a casa, spiega alla moglie l’accaduto e si reca a raggiungere Ewa. Decidono di andare alla guardia medica. Janusz bussa alla porta, il medico di turno `e assopito; chiedono informazioni su Edward Garus, il marito di Ewa, scomparso a mezzogiorno, ma il pronto soccorso `e in un altro ospedale, dove `e stato portato un uomo senza gambe, investito da un’auto. Rientrati in macchina, decidono di recarsi all’ospedale. Durante il tragitto, arrivano nel luogo in cui Ewa ha lasciato l’auto rossa del marito. Il taxi fa marcia indietro, i due scendono, aprono lo sportello e trovano la sciarpa rossa. Ewa ricorda a Janusz il momento in cui, tre anni prima, furono scoperti in un albergo da Edward, e accusa Janusz di aver fatto lui la telefonata anonima che li inchiodo`. Janusz respinge le accuse, afferra con forza Ewa dal bavero del cappotto, lei gli dice che `e come tutti gli altri uomini. In ospedale, un infermiere li accompagna, lungo un interminabile corridoio, nella stanza in cui `e deposto il cadavere dell’uomo investito. L’infermiere scopre il volto della vittima,

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tumefatto dal sangue, ed Ewa si ritrae appoggiandosi ad Janusz. L’uomo la consola, le tiene il volto tra le mani. Ewa dice che non `e Edward, ma che avrebbe voluto che lo fosse, che tante volte ha immaginato di trovarli investiti, morti; nelle sue parole ci sono rabbia e rancore. Janusz ed Ewa sono di nuovo in macchina, passano davanti a dei poliziotti che riconoscono il taxi rubato che era stato loro segnalato, e si lanciano all’inseguimento dell’auto. La corsa si interrompe dentro una galleria, le macchine si fermano, Janusz dichiara di aver ritrovato il taxi e mostra ai poliziotti i documenti. La sfida della velocita` ricomincia, Janusz ed Ewa si allacciano le cinture, la macchina attraversa la galleria spedita, gli sguardi di entrambi sono fermi e risoluti. Compare il volto di Artur Barcis, il personaggio misterioso che in questo episodio guida il tram che percorre la galleria in senso contrario rispetto al taxi di Janusz. Il viso di Barcis si alterna all’immagine dell’auto che sbanda all’ultimo momento, evitando di un soffio lo scontro con il tram. I due protagonisti non sembrano scossi, e decidono di andare a casa di Ewa. Arrivati sotto il palazzo, si fermano in mezzo a un cortile illuminato dalle luci degli alberi di natale. Janusz scende dal taxi, si avvicina ad Ewa e le dice che la macchina rossa di Edward non poteva trovarsi in quel luogo dalla mattina, perche´ nel pomeriggio era nevicato e l’auto non era sporca di neve. La donna non risponde, comincia ad avviarsi verso casa da sola, per evitare che Edward, nel caso fosse gia` rientrato, possa trovarla ancora insieme ad Janusz. Ewa entra in casa, la camera segue i suoi movimenti da dietro i vetri; la donna telefona di nascosto al pronto soccorso fornendo una falsa segnalazione di Edward. La macchina da presa si sposta lentamente all’interno dello appartamento, soffermandosi sui particolari dell’arredamento, in un gioco ambiguo e conturbante di riflessi e di luci. Ewa tira fuori da una valigia un cappotto da uomo e lo appende ad una gruccia. Janusz attende in auto un suo gesto, la donna si affaccia alla finestra e lo chiama. Una mano ripone in bagno uno spazzolino, un rasoio, un pennello da barba; `e Ewa, che si osserva allo specchio. Janusz entra in casa, si guarda intorno, circospetto, ha freddo. Ewa prepara il the´, si siedono, cominciano a parlare. Janusz confessa alla donna di averla amata molto, dice di non aver fatto quella telefonata, poi ricorda, con rimpianto e delusione, i particolari del loro ultimo incontro, quando furono scoperti da Edward in albergo. Ewa ascolta in silenzio, ricorda perfettamente, ma rimprovera all’uomo di aver continuato la sua vita tranquillamente, di aver cercato di ricostruire tutto, la famiglia, il rapporto con la moglie. Janusz va in bagno a lavarsi le mani, osserva il rasoio, la smonta, si accorge che `e arrugginito: capisce che l’uomo manca da casa da parecchio tempo. Mentre `e in bagno, Ewa si avvicina alla porta, gli urla di non aver piu` dormito con Edward, di non avere con lui un rapporto normale, poi confessa di aver mentito, dando a intendere che tutto va bene. Ewa e Janusz si scambiano gli auguri di natale, mangiano l’ostia natalizia, stanno per baciarsi quando suona il campanello; sono dei bambini mascherati che

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cantano incerte nenie natalizie, Janusz da` loro una mancia. Mentre Ewa `e in bagno, l’uomo telefona al pronto soccorso e gli viene fornita la falsa segnalazione fatta da Ewa. La macchina da presa riprende una scena drammatica: degli uomini nudi, ubriachi, vengono bagnati con un forte getto d’acqua presso il ‘centro di disintossicazione’ da una specie di aguzzino. Uno degli uomini ripete il solito straziante ritornello «Dov’e` la mia casa, dov’e`». L’aguzzino cerca tra gli schedari il nome di Edward, `e sarcastico e arrogante, addirittura spietato quando decide di bagnare ancora quegli uomini, soltanto perche´ si sono addormentati. Janusz riesce a togliergli il tubo dalle mani, ponendo fine a quel rito brutale. Janusz ed Ewa si dirigono verso la macchina, l’uomo `e stanco, vuole tornare a casa. Ewa mette la sua mano sopra quella di Janusz, la accarezza, l’uomo fa partire il taxi, Ewa afferra il volante, l’auto finisce fuori strada contro un albero. L’interno della vettura `e inondato di luce rossa, Janusz ha un graffio sulla fronte, Ewa gli passa sopra un po’ di saliva. Entrano nell’atrio della stazione, deserto, al centro vi `e un grande albero illuminato, si sente il rumore delle telecamere a circuito chiuso. Dentro la sala di controllo non c’e` nessuno, la responsabile arriva sullo skateboard, prova a giustificare la sua assenza. Ewa le chiede informazioni su Edward, le mostra la foto dell’uomo, viene inquadrato l’orologio, che segna le sette e tre minuti. Poi Ewa mostra la stessa foto a Janusz, Edward `e ritratto con la moglie e i figli, a Cracovia, dove `e tornato a vivere dopo aver scoperto i due amanti insieme. Ewa confessa a Janusz di avergli mentito, di aver voluto giocare con la sorte: si era ripromessa di trascorrere la vigilia con lui. L’uomo le domanda cosa avrebbe fatto se non fosse riuscita nel suo intento, Ewa prende dalla tasca del giubbotto una pillola, che le scivola tra le mani e cade a terra. Ritornano poi nella piazza dove avevano lasciato l’auto rossa di Edward, si salutano che `e ormai mattina. Janusz `e dentro il taxi e lampeggia con i fari, Ewa fa lo stesso, quindi le macchine ripartono, in direzioni opposte. Janusz entra a casa, tutto `e rimasto come la sera prima, la tavola `e ancora apparecchiata, la moglie dorme sul divano. Janusz le si avvicina, la donna sa gia` tutto, ha telefonato alla polizia. La donna lo tiene per mano, gli chiede se ricomincera` ad uscire tutte le sere con Ewa, l’uomo risponde che non succedera` piu`, sembra sincero. Lo schermo si annerisce, si sentono fuori campo gli accordi di uno xilofono, ultimo segno della passata vigilia. L’innocente perversita` di Ewa, l’irragionevole complicita` di Janusz sono gli elementi di un dramma incompleto, in cui tutto e` doppio, falso, irrimediabilmente compromesso. Il rapporto tra Janusz e la moglie e` vissuto nella totale assenza di intimita`, nel ripetersi di gesti innaturali, nel rispetto di forzate abitudini, all’ombra di un passato, l’adulterio di Janusz, ancora ingombrante e scomodo. Un passato di cui e` rimasta prigioniera Ewa, nella chiusa solitudine di un ricordo ossessivo, che la spinge al disperato tentativo di ricostruire il sogno, anche se solo nella dissimulazione di un presente fallace e immaginario. La storia si avvolge su se

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stessa, segue le traiettorie dell’inganno, si concede momenti di grande intensita`, come il rapido incontro tra Janusz e Krzysztof, il protagonista di Decalogo, 1, che spia da dietro i vetri la celebrazione della festa a casa del tassista, una festa dalla quale egli e` irrimediabilmente escluso, dopo la scomparsa del figlio. Ad essere escluso e` anche l’ubriaco che compare sulla scena a piu` riprese, trascinando un albero di natale e ripetendo uno straziante ritornello «Dov’e` la mia casa, dov’e`», altro attore inconsapevole di questo triste teatro della solitudine. Janusz si lascia trascinare da Ewa in una spirale di aggressivita` e dolcezza, di rabbia e rimpianto, di menzogne e verita`. In questo prolungato gioco di seduzione cio` che colpisce e` l’assenza di desiderio che occupa a poco a poco lo schermo. Ewa ricerca «un ricordo perduto, un corpo, quello di Janusz, che non e` che sognato»18; l’uomo ha smesso di desiderarla nell’istante in cui lei lo ha abbandonato, per seguire servilmente suo marito. La notte della vigilia diviene, quindi, un alibi, il luogo senza tempo di una ricerca inutile, dell’inutile sforzo di ritrovare l’emozione di un amore tradito da una telefonata, dalla vergogna, e dal timore. Cio` che unisce ancora queste due solitudini e` solo il disprezzo di se´, il disinteresse per la propria sorte. E` per questo che Janusz accetta la sfida con il destino, imboccando un tunnel a tutta velocita` contro mano, nel rischio calcolato della propria vita. Proprio dentro la galleria compare il volto enigmatico di Artur Barcis, il personaggio misterioso, a sottolineare la pericolosita` e la drammaticita` dell’evento. La confessione di Ewa e` l’ultimo atto del laico pellegrinaggio nei luoghi dell’assenza, dell’emarginazione19, la conclusione, insperata, di una scommessa con la morte che intendeva riscattare il vuoto di un’esistenza solitaria, ma che ha soltanto rinviato un verdetto ormai definitivo, la solitudine. La messa in scena e` senza dubbio la piu` distanziata di tutto il Decalogo, per la continua rifrazione degli sguardi, per il moltiplicarsi dei riflessi, per la scomposizione delle inquadrature. Questa storia e`, infatti, raccontata e vista attraverso dei riflessi, dei vetri, delle finestre sconosciute. «Sintomaticamente, vi e` un altro episodio costruito tramite riflessi e trasparenze vitree, Decalogo, 9, un’altra storia di adulterio, desiderio ed impotenza. L’immagine e` ancora il segno della morte, o di una vita imperfetta, poiche´ l’idea ha sostituito la carne, e la linea il peso del corpo».20 18

Vincent Amiel, op. cit., pag. 99. Si tratta dei luoghi di molti documentari di Kieslowski, gli ospedali, la stazione, a significare la permanenza, nell’immaginario poetico del regista, di temi e motivi, continuamente rivissuti, reinventati dalla forza del suo cinema. 20 Vincent Amiel, op. cit., pag. 99. 19

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Il senso del volume, e quindi della vita, viene riaffermato soltanto nella scena in cui l’aguzzino del ‘centro di disintossicazione’ bagna con sadismo i corpi nudi degli ubriachi, nel contrarsi di quella carne dimenticata, eppure drammaticamente viva, dietro le sbarre di una impenetrabile solitudine. La struttura dell’episodio e` determinata dal sovrapporsi delle prospettive, da un uso raro e avvincente del punto di vista, per cui la scansione del racconto filmico viene spesso perturbata da soggettive irreali, da piani vertiginosi della macchina da presa. Questa figura di stile addensa, moltiplica le ombre che compongono il campo, conferendo all’immagine una dimensione artificiale. A questo effetto contribuisce la fotografia di Piotr Sobocinski, in cui domina il riverbero delle luci flou degli alberi di natale, presenti in ogni angolo della citta`-plastico, irreale ed assente, la penombra degli interni, il gioco delle immagini riflesse. L’apparente semplicita` dell’intreccio viene ancora una volta negata dalla complessita` degli echi interni, dal sovrapporsi delle immagini, splendido esempio dell’inafferrabile realta` del cinema di Kieslowski.

. Decalogo, : l’amore irreversibile Questo quarto episodio del Decalogo sembra precedere il dettato morale del comandamento, Onora il padre e la madre, disponendosi al di qua della Legge, in uno stato in cui i sentimenti, troppo dolorosamente taciuti, si richiamano ad una norma, piuttosto che violarla. La storia ha una forza ammirevole, brutale, solare, che si manifesta nel drammatico confronto tra desiderio e ragione, tra istinto e volonta`. Anka ha vent’anni, frequenta il terzo anno dell’Accademia d’Arte Drammatica, e vive da sempre sola con il padre Michal, avendo perso la mamma cinque giorni dopo essere nata. Il rapporto col padre e` fatto di complicita` e tenerezza, di ingenua malizia e trattenuto pudore. Il loro equilibrio viene compromesso da un dubbio insinuatosi da tempo nella coscienza, un dubbio immaginario, legato ancora una volta ad un passato sconosciuto, e quindi irrisolto. L’interno di una stanza, in penombra; una giovane donna si avvicina alla finestra, appena illuminata da un tenue effetto di controluce. Segue un’immagine identica, ma in primo piano c’e` il volto di un uomo. Di nuovo la ragazza, che si ritrae, poi i particolari di una camera e ancora il piano ravvicinato sull’uomo, che fuma una sigaretta. E` giorno, la ragazza apre la finestra, va in cucina, riempie una caraffa d’acqua, entra nella stanza dove dorme l’uomo inquadrato in precedenza. Sulla scrivania vi sono molti oggetti, `e incuriosita da una lettera, la prende in mano, sulla busta `e scritto «aprire dopo la

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mia morte», poi la ripone. Si avvicina all’uomo che dorme, `e suo padre, si siede accanto a lui, lo bacia, quindi lo bagna con l’acqua e scappa a rifugiarsi in bagno. Il padre, in accappatoio, riesce a farsi aprire, e ricambia lo scherzo del Lunedı` di Pasqua, rovesciando addosso ad Anka, in piedi nella vasca, una pentola d’acqua. La camicia da notte bagnata evidenzia le sinuosita` del corpo della ragazza. Suona il telefono, Michal prova ad ascoltare la conversazione, poi posa la cornetta. Anka e Michal sono all’aeroporto; l’uomo deve partire per un viaggio all’estero, si salutano ripetutamente, si baciano, prima di imbarcarsi Michal torna indietro, dice ad Anka che ha lasciato delle bollette da pagare, la prega di cercarle dentro il cassetto del mobile, e di pagarle. Michal sale sull’autobus che porta i passeggeri sull’aereo, Anka lo guarda dall’alto, l’aereo decolla. Anka `e a casa, cerca le bollette nel cassetto, trova di nuovo la lettera gia` vista la mattina. La ragazza si trova dall’oculista, per un controllo; la dottoressa le indica delle lettere da lontano, Anka non riesce a leggerle, ma indovina che si tratta della parola inglese “father”, papa`. Anka tiene la busta tra le mani, `e al buio, prova a leggerla in controluce, sembra accorgersi che si tratta di una doppia busta. Suona il campanello, `e Jarek, il suo ragazzo, che si mostra felice di vederla; comincia a baciarla dal collo in giu`, le accarezza i seni, Anka `e impassibile. Confessa al ragazzo di non essere contenta quando il padre `e in viaggio, lui si offre di restare a dormire per farle compagnia. L’indomani, Anka si reca in una zona boschiva sulla Vistola, passeggia lentamente tra i tronchi d’albero, poi si siede. In mano ha la lettera e un paio di forbici, la macchina da presa inquadra un uomo che rema su una canoa. Anka osserva a lungo la lettera, sta per tagliare il lembo della busta, l’uomo in canoa si avvicina alla riva; prende in mano la seconda busta, sopra c’e` scritto «per mia figlia». Anka la guarda attentamente, la rigira, `e incerta, l’uomo esce dall’acqua, prende la canoa sulle spalle, Anka `e decisa ad aprire anche questa busta. L’uomo con la canoa, Artur Barcis, `e accanto a lei, lei lo guarda, la macchina da presa inquadra in primo piano il suo volto, poi quello di Anka, ancora quello dell’uomo, che si allontana, mentre Anka, quasi stregata, fa cadere a terra le forbici. Anka `e all’Accademia, si offre di recitare una scena d’amore con Jarek, ma `e distratta, il professore cerca di farla concentrare, le suggerisce le battute, ma l’interpretazione della ragazza non `e convincente. Il professore, quasi coetaneo di suo padre, la prende tra le braccia, e Anka cambia improvvisamente espressione, sembra turbata, ma riesce finalmente a calarsi nella parte. Anka `e a casa, legge ad alta voce l’intestazione della lettera, beve del latte, scende in cantina. Sposta un cavallino a dondolo, una bicicletta, prende una valigia, la apre, tira fuori un beauty bianco. Fugando dentro il beauty, trova un fazzoletto, un vecchio pettine, una boccetta di profumo, una foto in cui sono ritratti due uomini e due donne, un cartoncino da cui esce fuori una busta. Una mano ricopia la grafia della lettera su un’altra busta, `e la mano di Anka. Suona il campanello, `e Adam, un vecchio amico e collega architetto di Michal, che `e venuto a prendere dei disegni. Anka chiede all’uomo notizie della madre, lui dice alla ragazza che la donna aveva il suo stesso intuito, che era proprio come lei; Anka

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insiste e domanda ad Adam se per caso `e a conoscenza di qualche segreto, l’uomo le suggerisce che se la madre avesse avuto qualcosa da dirle, le avrebbe scritto una lettera. Il giorno dopo Anka va all’aeroporto a prendere il padre di ritorno dal viaggio. E` truccata, indossa un paio di occhiali bianchi, molto vistosi, ha il volto contratto. Michal la bacia, lei si toglie gli occhiali e comincia a recitare il contenuto della lettera, in cui `e scritto che Michal non `e suo padre. Ascolta attonito, poi le da` uno schiaffo e si allontana, Anka si appoggia a una ringhiera e abbassa la testa. Michal `e a casa, immobile, al buio; la porta dello studio si muove, proiettando un’ombra sul suo volto, inquadrato di profilo, lui la colpisce violentemente con un calcio, frantumando il vetro. Anka citofona a casa di Jarek, la madre del ragazzo le apre la porta, lui non c’e`, le due donne si siedono e Anka dice che ha intenzione di sposare Jarek subito. Anka `e davanti alla porta di casa, suona il campanello, nessuno risponde, decide di allontanarsi, prende l’ascensore. Sta per uscire, quando entra dentro il vano dell’ascensore Michal, l’ascensore sale, si ferma al piano, i due non scendono, Michal copre il collo scoperto della figlia, l’ascensore risale, si abbracciano. L’ascensore `e fermo, entra il primario di Decalogo, 2, l’ascensore scende nuovamente, nessuno parla, il primario esce al piano terra, l’ascensore viene chiamato dal piano cantina, entra un uomo, loro escono. In cantina c’e` buio, sono accese solo due candele, Michal mostra ad Anka la foto che lei gia` conosce, le dice che uno di quei due uomini potrebbe essere suo padre. La macchina da presa si sofferma sui particolari dei volti, illuminati dalla fiamma delle candele, la luce sembra disegnare delle sbarre sul viso di Michal. L’uomo racconta ad Anka i ripetuti tentativi di consegnarle la lettera, quando era piccola, le spiega il motivo per cui non l’ha mai fatto, perche´ pensava che non sarebbe cambiato nulla tra loro. Anka comincia a metterlo alla prova, gli propone un gioco, a chi si spegnera` la candela `e concessa una domanda. Entrano a casa, Anka si accorge del vetro rotto della porta, Michal dice che `e stata la corrente. Sono seduti al buio, Anka si pone la domanda da sola, risponde che ha letto la lettera, perche´ lui ha voluto che la leggesse, ricorda tutte le volte in cui, nel passato, l’aveva vista, ricorda anche che da un po’ di tempo l’uomo non la portava piu` con se´ in viaggio, nella tacita speranza che lei la trovasse. Mentre parla, mostra la lettera a Michal, prende la sua mano e la stringe tra le sue. Anka confessa a Michal il suo amore per lui, le racconta le sue sensazioni piu` intime, gli chiede in che modo deve chiamarlo, ora che ha scoperto la verita`. Michal `e turbato, si tiene la testa tra le mani, Anka prende la vodka, dei bicchieri, e insieme brindano in un gesto di grande complicita`. L’atmosfera viene interrotta dal suono del campanello, `e Adam, Anka sembra indispettita, parla un po’ con l’uomo poi si chiude in camera. Anka `e nella sua stanza, ascolta le voci fuori campo di Adam e Michal, si spoglia lentamente, `e nervosa, piange, si stende sul letto. Il suo viso `e in primo piano, Michal `e fermo sulla porta della stanza, lei lo invita ad andare via, a partire, lui si avvicina, copre con tenerezza e imbarazzo la schiena scoperta della ragazza, prova a toccarle il viso, lei lo respinge, e piange. La macchina da presa inquadra il bracciolo del

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divano, su cui `e posata la lettera, Michal la prende in mano, comincia a leggerla, la gira, Anka `e in piedi nella stanza, poco distante da Michal, l’uomo continua a leggere la lettera, si alternano i primi piani dei due personaggi. Suona il telefono, Anka vorrebbe che rispondesse Michal, poi alza la cornetta, `e Jarek, lo tratta freddamente, chiude in fretta la telefonata. Anka `e decisa a continuare la conversazione, si avvicina a Michal, ricomincia a raccontare le emozioni provate quando faceva l’amore con il suo ragazzo, la sensazione che stesse tradendo qualcuno, e che quel qualcuno era proprio lui. Michal ascolta con le mani appoggiate al tavolo e la testa piegata in avanti, `e evidente il suo imbarazzo, la sua sofferenza. Comincia anche lui a confessare i suoi veri sentimenti, spiega di aver fatto in modo che lei trovasse la lettera, voleva che la leggesse, perche´ ne sospettava il contenuto. Invita Anka ad essere libera, a vivere la sua vita, perche´ lui non ha diritto alla gelosia, continuera` a fingere di non soffrire. Mentre parla le bacia la mano, sembra quasi inginocchiarsi, continua a tenerla per mano. Anka confessa a Michal di avere abortito, lui le dice di aver sempre sperato che succedesse qualcosa di irreversibile, che lei restasse incinta. Michal `e nello studio, disfa la valigia, entra nella stanza anche la ragazza e rimette la lettera nel cassetto, quindi escono. Anka prende la mano di Michal, lui le accarezza il capo e la stringe a se´. Anka ricorda le carezze del padre di quando lei era bambina, i turbamenti dell’uomo nel vederla crescere, i suoi tentativi di fermare il tempo, per conservare intatto il ricordo di quel tenero rapporto, senza complicazioni. Dice a Michal che lui non si `e mai sposato perche´ aspettava lei, ha scelto di restare da solo perche´ era lei che desiderava, poi si toglie la maglietta, lascia scoperto il busto, copre i seni con le braccia, inarca le spalle, e chiede a Michal se desidera toccarla. L’uomo prende la maglietta, la mette addosso ad Anka, coprendo le sue nudita`, poi la abbraccia, mentre la luce colpisce il suo volto. Fa sedere Anka sulle sue gambe, le confessa di aver permesso che leggesse la lettera perche´ desiderava una cosa impossibile, di averla schiaffeggiata, per la prima volta, perche´ lei aveva letto la lettera, perche´ sua madre aveva scritto a lei, senza dire niente a lui, perche´ la ama e lei non `e sua figlia, perche´ il passato non torna. Anka comincia a recitare una filastrocca che il padre le raccontava da bambina, mentre la accarezzava, Michal canta con lei, poi intonano il ritornello con le labbra. La macchina da presa inquadra un lenzuolo, poi il letto in cui dorme Anka; la ragazza si sveglia, grida ad alta voce «papa`», non risponde nessuno. Si alza, lo cerca per tutta la casa, Michal non c’e`. Apre la finestra, lo vede camminare per il viale del cortile, lo chiama ad alta voce. Corre giu` in fretta, lo raggiunge, confessa di aver mentito, di aver scritto lei la lettera, nel frattempo le passa accanto l’uomo con la canoa sulle spalle, gia` incontrato sulla Vistola, Anka si volta e lo guarda. Una mano apre il cassetto, prende la busta, `e Anka che la da` a Michal; l’uomo prende un accendino, brucia un lembo della busta, la macchina da presa inquadra la fiamma, sullo sfondo si intravede il volto di Michal sfuocato. Della lettera resta un solo frammento, Anka leva via la cenere e comincia a leggerlo, fuori campo, mentre la macchina da presa si muove lentamente nella stanza di Anka, inquadrando un poster, un

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cuscino rosso, un panda di peluche, una lampada, lo scorcio della foto in cui `e ritratta la madre della ragazza, su cui si chiude il film. L’azione della storia viene scatenata dal ritrovamento di un oggettofeticcio, una lettera che custodisce una verita` inscritta gia` da tempo negli sguardi, nei gesti, nelle emozioni dei due protagonisti; una verita` che improvvisamente prende corpo nella finzione di Anka, investendo la sua sensibilita`, i suoi desideri. Il dubbio sulla paternita` di Michal diviene per la ragazza quasi un’ossessione, si lega ad un estremo bisogno di chiarezza, alla volonta` di ‘far luce’, espressa mirabilmente dalla fotografia di Krzysztof Pakulski «attraverso l’uso costante di lampade, veneziane, zone d’ombra e di luce mosse a piacimento da Anka per cercare di vedere ‘in controluce’ la verita`, tanto quella materiale del contenuto della lettera, quanto quella sentimentale del suo amore per Michal»21. Il film e` costruito in modo tale che nessuna posizione risulti giustificata razionalmente, che nessun gesto trovi una ragione evidente; dall’assenza di qualsiasi mediazione scaturiscono l’ambiguita`, la provvisorieta` del racconto. La tensione e` data dall’assenza della madre, dal vuoto lasciato dalla sua scomparsa, per cui Anka diviene il suo doppio, nell’aspetto, nel carattere – e` Adam, l’amico del padre, a rivelare la straordinaria somiglianza della giovane con la madre –, nel desiderio, in un incompiuto rapporto incestuoso. E` proprio l’incompiutezza, l’incertezza dei sentimenti e dei legami, a caratterizzare la storia; tra Anka e Michal si apre il vuoto di una presenza insostituibile, che in qualche modo condiziona il loro rapporto, riportandoli alla realta` di un verita` taciuta, agli oggetti di una memoria instabile, il beauty, la foto, la lettera, ma duratura. Niente e` definitivo, dunque, il passato si sovrappone all’esile trama del presente, in cui i personaggi si muovono nell’incerto spazio delle emozioni, continuamente in bilico tra complicita` e contrasto. Il dilemma di Anka e` profondo, viscerale, rappresenta il radicale ribaltamento di ogni abitudine, il rischio di una vita. Nel corso della storia si assiste alla sua trasformazione: il trucco, i capelli, la luce la accompagnano nel suo tentativo di seduzione. Anka, infatti, decide di vivere il suo desiderio, e cio` che colpisce e` l’arbitrarieta` della sua scelta, la sua emotivita`, il lento trascinarsi del suo corpo, il fuoco di fila delle sue parole. Di fronte alle continue provocazioni della ragazza, Michal in un primo tempo si ritrae, si trincera in un silenzio doloroso e imbarazzante, ma poi e` costretto a confrontarsi con la natura ambigua del suo amore, ad ammettere di aver sperato che accadesse qualcosa di irreversibile, per potersi 21

Serafino Murri, op. cit., pagg. 102-103.

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finalmente sottrarre alla passione, alla propria lacerazione interiore. Il drammatico dialogo dei due protagonisti si conclude con un’immagine commovente, padre e figlia cantano insieme una filastrocca, ritrovando la tenerezza perduta del ricordo, la dimensione naturale del loro rapporto, in cui la liberta` dell’amore si manifesta nella rinuncia, nel sacrificio di se´. Decalogo, 4 e` uno dei film piu` belli della serie, per la straordinaria forza dei sentimenti, per la struggente sensualita` di Anka, per la fragilita` del suo corpo, per la radicalita` vitale e straziante della scelta finale, che non e` una chiusura, ma soltanto una sospensione.

. Decalogo, : lo sguardo di Caino «L’occhio era nella tomba e guardava Caino» Victor Hugo, «La Conscience», La Le´gende des sie`cles.

La scrittura cinematografica di Kieslowski raggiunge in Decalogo, 5 una violenza estrema, nel realismo impressionante dei dettagli, nelle brusche accelerazioni del ritmo, nei tagli, nelle simultaneita` misteriose e inquietanti del montaggio. L’autonomia del film, il ruolo che esso occupa all’interno della serie vengono pero` troppo spesso ignorati in favore di un’analisi che privilegia la versione cinematografica del quinto episodio, quel Breve film sull’uccidere che sciocco` il pubblico di Cannes nel 1988, segnando il primo successo internazionale di Kieslowski, ma che comunque resta altra cosa rispetto al Decalogo televisivo. Niente autorizza la sovrapposizione dei due testi, operazione assolutamente impropria da un punto di vista filologico, dal momento che si tratta di due opere autonome, destinate a una fruizione diversificata, legate, dunque, a ordini e criteri compositivi differenti. Mi atterro` quindi al testo della versione televisiva, e rimando all’appendice del presente capitolo per ulteriori considerazioni in merito a Breve film sull’uccidere. La storia si sviluppa sulla base di antinomie irriducibili, evocate gia` all’inizio del racconto, nelle parole fuori campo di Piotr, che sta per sostenere l’esame di procuratore legale: natura e civilta`, legge e diritto, innocenza e colpevolezza sono i postulati teorici da cui ha avvio la vicenda, il cui corollario non puo` che essere l’inspiegabilita` del male, la sua ontologica necessita`. Mentre scorrono i titoli del film, una voce fuori campo descrive lo statuto della legge, la vendicativita` della pena come istituto. Piano medio di un uomo riflesso in uno

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specchio: ha in mano un pacchetto di sigarette, lo apre, prende una sigaretta, cammina nervosamente, accende la sigaretta; una voce fuori campo lo chiama, il suo nome `e Piotr. Si apre la porta di uno degli stabili del condominio, esce un uomo, il paesaggio assume una strana colorazione verdastra, cade uno straccio da un balcone che per poco non colpisce l’uomo. Primo piano di un ragazzo (di cui conosceremo il nome solo verso la fine), il suo volto `e riflesso su una vetrina, si avvicina ad un cancello, entra in un cinema, chiede cosa si proietta, una giovane inserviente risponde che si tratta di un film d’amore, ma noioso, lui le domanda dove sia possibile trovare un taxi, la giovane gli consiglia di dirigersi a piazza Castello. L’uomo cammina nel cortile del condominio con due secchi in mano, passa una mano sul vetro della sua auto, un taxi rosso, accende la radio, la macchina da presa si sofferma, in primo piano, su un pupazzo attaccato sul parabrezza, all’interno del taxi, una testa dall’espressione quasi diabolica, poi il tassista getta dell’acqua sul vetro del parabrezza. Primo piano su una bustina di the` immersa in un bicchiere, Piotr viene esaminato da una commissione, sta sostenendo gli esami di stato per la nomina a Procuratore legale. Il ragazzo viene urtato da alcuni giovani, si gira a destra, assiste ad una zuffa senza intervenire. Arriva nel cortile un camion di rifornimenti alimentari, il tassista sta pulendo la sua auto, una giovane vestita di rosso si avvicina al camion per scaricare delle cassette, il tassista si abbassa per guardare le sue gambe, segue un primo piano del tassista che fuma una sigaretta. Il ragazzo gira per la citta`, attraversa una piazza; primo piano su una tela in cui `e dipinto il volto di una bambina, segue una sequenza veloce in cui si alternano le immagini, in primo piano, di una bambina in posa, di un pittore di strada che la sta ritraendo, e del ragazzo, che osserva turbato, incuriosito. Piotr `e ancora seduto davanti alla commissione, la macchina da presa inquadra il volto in primo piano del ragazzo, che fuma una sigaretta, si sente la voce fuori campo di Piotr. Il ragazzo `e fermo, sta osservando i taxi, una vecchia lo invita ad allontanarsi perche´ fa scappare i piccioni, il ragazzo si gira verso di lei, la guarda, poi corre via, scacciando provocatoriamente i piccioni che si alzano in volo. Il ragazzo `e ora su un cavalcavia, prende una pietra, si sporge per vedere se passano macchine, col dito spinge la pietra fino a farla cadere, si sente fuori campo il rumore di una frenata e di vetri rotti. Si avvicinano al tassista i due personaggi di Decalogo, 2, Andrzej e Dorota, l’uomo dice loro sgarbatamente che il taxi non `e disponibile, perche´ lo sta ancora lavando, i due coniugi si riparano dal freddo dietro un chiosco di patatine fritte e attendono che l’auto sia pronta. La macchina da presa inquadra il taxi, segue il primo piano di Piotr che si alterna a quello del ragazzo, fermo davanti ad una vetrina. Il tassista `e in macchina, si avvicina la giovane vestita di rosso, lui le chiede se vuole fare un giro in auto, lei si allontana, ancheggiando procacemente; Andrzej si sporge per controllare il taxi, il tassista parte con la macchina senza aspettare i due coniugi. Il volto del ragazzo, in primo piano, `e avvolto da un riverbero verdastro; carrellata sulle foto di alcune bambine, probabilmente ritratte nel giorno della comunione, appese dentro un negozio fotografico. Il ragazzo entra nel laboratorio fotografico, posa sul tavolo degli

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strani oggetti, una corda, un chiodo, poi riesce a trovare cio` che stava cercando, una vecchia foto di una bambina, stropicciata, di cui vorrebbe fare un ingrandimento; la giovane del negozio la osserva, dice al ragazzo che resteranno le pieghe delle stropicciature, poi va nel retro del negozio per posare la fotografia. Piotr discute circa la funzione deterrente della condanna, il ragazzo incontra per strada un gruppo di tifosi che sventolano le sciarpe della propria squadra. Il tassista `e fermo, abbassa il finestrino dell’auto, lancia meta` del suo panino a un cane. Il ragazzo `e dentro un bagno pubblico, entra un altro giovane fischiettante, si guardano, il ragazzo spinge il giovane nella melma, quindi esce. Il ragazzo cammina sotto i portici, osserva il movimento alla fermata del taxi, c’e` una guardia, si volta, poi entra in un bar. Ordina un caffe` e un bigne`, Piotr in primo piano continua la sua disquisizione. Il ragazzo `e seduto dentro il bar, mangia voracemente, osserva la guardia, arriva un pulmino della milicja, scende un altro poliziotto, poi il pulmino riparte, la guardia non c’e` piu`. Primo piano sulle mani del ragazzo che, sotto il tavolo, sciolgono una corda; il tassista `e in macchina, la radio `e accesa, un uomo attraversa la strada tenendo due cani al guinzaglio, il tassista suona il clacson, uno dei due cani scappa spaventato, il tassista ride. Ancora un particolare delle mani che arrotolano la corda intorno alla mano destra, dietro il vetro del bar due bambine ridono tranquille. Il ragazzo tira con un cucchiaino la panna del caffe` sul vetro, in direzione delle bambine, che ridono divertite, anche lui ride. Piotr viene richiamato dentro l’aula, ha superato positivamente l’esame, `e diventato avvocato. Le mani continuano a stringere la corda, il ragazzo si alza, prende dal carrello dei piatti sporchi un coltello; si avvicina alla fermata del taxi un ubriaco, il tassista si allontana per non farlo salire, il ragazzo taglia la corda con il coltello, poi sputa dentro la tazza. Il ragazzo arriva alla fermata del taxi, batte sul tempo con l’inganno due uomini distinti, sale sull’automobile. Artur Barcis, il personaggio misterioso, `e in primo piano, `e un operaio stradale, tiene in mano un’asta per dei rilevamenti, occupa la carreggiata; il tassista suona il clacson, Barcis si gira, guarda intensamente il ragazzo dentro il taxi, sembra scuotere la testa, il ragazzo si ritrae, quasi spaventato. Il ragazzo chiede al tassista di chiudere il finestrino, la sua mano stringe la corda, il tassista si ferma sulle strisce pedonali per far attraversare dei bambini, poi riparte. Il ragazzo dice al tassista di svoltare a sinistra, il taxi si inoltra in una strada solitaria, si ferma, la strada `e sterrata, non puo` piu` andare avanti. Il ragazzo stringe la corda alla gola del tassista da dietro il sedile, l’auto sbanda, la ruota slitta nel fango, il tassista riesce a sfilare un piede dalla scarpa e prova a fare leva su uno dei pedali. Il primo piano del ragazzo si alterna a quello del tassista, la macchina da presa inquadra piu` volte un uomo in bicicletta, poco piu` in alto, che non si accorge di nulla. Il ragazzo ha il volto contratto dallo sforzo, la mano del tassista preme sul clacson, si gira un cavallo, unico testimone della scena; il ragazzo stringe la presa, lega la corda dietro il sedile, scende, apre lo sportello dal lato del tassista, colpisce violentemente la mano dell’uomo; passa in quel momento un treno, il tassista riesce

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

nuovamente a suonare il clacson, il suo volto, in primo piano, `e stretto in una morsa di dolore. Il tassista piange, prova a liberarsi, a staccare il poggiatesta del sedile, il ragazzo lo colpisce con un oggetto contundente, in primo piano appare la testa del tassista rigata dal sangue, i due si guardano, il ragazzo chiude gli occhi, non riesce a sostenere quella vista, esclama un flebile “Oh Gesu`”. Il ragazzo prende nel portabagagli dell’auto una coperta, copre il volto del tassista, sposta il corpo e si mette alla guida del taxi. La macchina cammina lungo una strada sterrata, lo sportello destro `e aperto, il ragazzo scende, trascina il corpo per le gambe fino in riva ad un fiume. Il tassista emette degli strani gemiti, `e ancora vivo, sembra dire “per favore” quasi ad invocare pieta`. Il ragazzo lascia il corpo a terra, come in croce, con la braccia aperte, scende a prendere un sasso, si avvicina al tassista, alza la mano per scagliare il sasso, si ferma per un attimo, poi lo scaglia. Getta l’insegna con la scritta ‘taxi’ nel fiume, si siede in macchina, in controluce, trova dentro il cruscotto l’altra meta` del panino che il tassista aveva lanciato al cane, la mangia, sorride, accende la radio che trasmette in quel momento una musica allegra, briosa. Il ragazzo, in primo piano, `e triste, sembra stia piangendo, strappa la radio che finisce dentro una pozzanghera di fango. Il giudice pronuncia la sentenza di morte da parte del tribunale di Varsavia, la corte si alza in piedi, il pubblico dopo la lettura del verdetto si siede, il ragazzo chiede al suo avvocato, Piotr, se `e finito. Nell’aula sono presenti poche persone, il ragazzo, Jacek, viene portato via in manette. Primo piano del giovane avvocato, si allontana dall’aula, telefona, comunica al suo interlocutore la sconfitta appena subita, una vera disfatta per lui. Piotr si avvicina ad una finestra, `e sconsolato, la apre, vede il suo cliente proprio sotto di lui, lo chiama per nome, alza il braccio per salutarlo, Jacek solleva lo sguardo, poi viene condotto via. Piotr cammina facendo strisciare a terra la toga, bussa alla porta del giudice, entra, violando la prassi normale che non prevede un colloquio col giudice. Piotr chiede al giudice se l’esito finale del processo sarebbe stato diverso se al suo posto ci fosse stato un avvocato piu` esperto, l’uomo risponde dicendo che sarebbe stata necessaria la presenza di un giudice migliore per cambiare l’esito della sentenza. Piotr confessa al giudice che poche ore prima del delitto si trovava nello stesso bar del giovane Jacek, che forse avrebbe potuto accorgersi di lui, magari fermarlo in tempo. Piotr si allontana, incontra i familiari del suo assistito, uno di loro gli offre una sigaretta. Piotr entra in carcere da una porta blindata, guarda fuori, di profilo, segue un suo primo piano tra le sbarre. Entra un uomo, `e il boia, cammina tranquillamente, si apre un cancello, attraversa un corridoio, si sente un rumore di porte, la macchina da presa lo segue, entra in una stanza, `e quella dell’esecuzione, l’uomo si toglie la giacca, si aggiusta i polsi, mette a posto una sedia. Apre una tenda, stringe il cappio, prende una bacinella di plastica, olia gli ingranaggi, apre una botola sotto il cappio, vi ripone la bacinella di plastica, poi bussa nella stanza del direttore comunicando che tutto `e pronto. Piotr `e nella stanza del direttore del carcere, gli consegna un fascicolo, questi gli concede mezz’ora per parlare con

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il ragazzo, una guardia lo accompagna nella sua cella. Sulle scale Piotr incontra il Procuratore che lo saluta affettuosamente e si congratula per la nascita del figlio, avvenuta da poche ore; nel frattempo si avvicina un imbianchino che trasporta sulle spalle una scala. Piotr `e di fronte alla cella numero 10, quella di Jacek, la guardia apre la porta, Piotr entra. Jacek `e dentro, si avvicina, si stringono la mano; il ragazzo chiede all’avvocato se ha visto sua madre, se piangeva, se diceva qualcosa, Piotr risponde che «piangeva e basta». Si alternano ripetutamente i primi piani dei due personaggi, Jacek ringrazia Piotr per averlo chiamato dalla finestra il giorno della sentenza, dice di essersi commosso, di aver sentito che gli era vicino, poi chiede all’avvocato di riferire alla madre che vuole essere sepolto nella tomba vicino al padre, dove c’e` ancora un posto libero. Il boia fuma, la guardia chiede se hanno finito, Piotr risponde di no, il volto di Jacek `e triste. Jacek comincia a raccontare la storia della sorellina, Marisha, investita cinque anni prima da un ragazzo alla guida di un trattore, un amico di Jacek, con il quale il giovane aveva bevuto vino e vodka. La piccola aveva appena 12 anni, frequentava la scuola media, Jacek la ricorda con tenerezza e rimpianto, confessa a Piotr che, forse, se non fosse morta lui non avrebbe lasciato il paese e sarebbe stato tutto diverso. La guardia osserva i due dallo spioncino della porta, il direttore e il procuratore sono nello studio del direttore; il procuratore chiede la sentenza, quindi escono dalla stanza. Uno stuolo di guardie, disposto su due file, attende l’uscita di Jacek dalla cella, viene interrotto il colloquio tra il giovane e l’avvocato, Jacek chiede a Piotr di ritirare una foto della sorellina dal fotografo e di consegnarla alla madre, `e accorato, le guardie si accaniscono contro di lui, lo trascinano a forza, il suo viso `e pallido e sconvolto. Jacek `e dentro la stanza dell’esecuzione, il prete lo benedice, il procuratore legge la sentenza che lo condanna alla pena di morte e alla perdita dei diritti civili. Gli viene offerta l’ultima sigaretta, il boia la accende e gliela porge, Piotr, in primo piano, si volta, sbatte il pugno sul tavolo. Jacek spegne la sigaretta nel posacenere, poi si butta a terra, cerca di sfuggire alle guardie, si dimena, piange, lo afferrano, lo bendano, lo legano al cappio, aprono la botola. Jacek `e di spalle, primo piano sui suoi piedi, il medico si avvicina al corpo, si accerta della morte del ragazzo, Piotr, in primo piano, abbassa la testa. Piano fisso su un prato verde, luminoso, si intravede sullo sfondo un riflesso abbagliante, una voce fuori campo ripete “rivoltante, `e rivoltante, rivoltante”; Piotr `e dentro una macchina, abbassa il finestrino, continua a ripetere sconcertato “intollerabile, intollerabile”, poi lo schermo si oscura. Piu` che un dramma a tesi sulla insensatezza della pena di morte, Decalogo, 5 risulta essere una straordinaria riflessione sull’assurdita` della violenza, sulla crudelta` di una societa` in cui l’uomo e` il riflesso di meccanismi aberranti, la variabile impazzita di un mondo senza pieta`. Kieslowski opera una deformazione della realta` che raggiunge le tinte di un glauco naturalismo, tramite l’utilizzo di filtri verdi che ‘impiastrano’ l’occhio della macchina da presa; l’intuizione del direttore della fotografia

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Slawomir Idziak permette di rappresentare un mondo macchiato, fangoso, grottesco che riproduce la distorsione dell’animo del giovane assassino. La messa in scena di Kieslowski procede per accumulazioni, per sovrapposizioni di immagini e silenzi, in una simultaneita` straziante che descrive la genesi illogica del delitto di Jacek, mostrandolo al tempo stesso come connaturato alla vita sociale, alla realta` dei rapporti umani. Cio` che risulta insostenibile per noi spettatori non e` tanto la rappresentazione della morte, quanto il suo irrompere inaspettatamente nella quotidianita` della vita, il suo manifestarsi come fenomeno sociale incontrollabile. A questa impressione generale contribuisce il montaggio alternato delle sequenze iniziali con il lento ed estenuante vagabondare dei tre protagonisti in una citta` surreale, che un destino fortuito e beffardo fara` incontrare perche´ si compia la tragedia dell’assurdo e dell’orrore. Non e` senza conseguenze l’insistenza di Kieslowski sulla maschera scura e aggressiva del volto di Jacek, sulla strafottenza e arroganza del tassista, sulla superficiale scontrosita` di entrambi nei confronti del prossimo, tutti elementi che creano una forte tensione, prolungando l’attesa dell’irreversibile evento. A questa istintiva violenza si alternano momenti di improvvisa tenerezza; il tassista lancia meta` del suo panino ad un cane, Jacek si sofferma a guardare il ritratto di una bambina, le foto di altre bambine dentro un laboratorio fotografico, e il suo volto e` capace di esprimere una profonda dolcezza. Si arriva cosı` al momento del delitto preceduto da un oscuro presagio: il particolare delle mani che arrotolano la corda diviene il leitmotiv tematico e plastico dell’episodio, per la ossessiva presenza anche nella sala dell’esecuzione. La sequenza dell’omicidio e` una delle piu` lunghe della storia del cinema (quasi sette minuti e mezzo); cio` che colpisce e` la freddezza allucinata di Jacek, il realismo dei dettagli, la disperata vitalita` della vittima che rende ancor piu` straziante la scena. Si conclude qui quella che puo` essere considerata la prima parte del film, segnata dalla continua alternanza tra l’oggettivita` del racconto e la soggettivita` delle inquadrature che presentano Jacek, che trascrivono il suo sguardo sul mondo esterno e sul tassista. La seconda parte si apre con la lettura della sentenza di morte per Jacek; si assiste a un completo ribaltamento della prospettiva, il feroce assassino si trasforma nella vittima di un destino, e di una legge, implacabili. L’ellissi del processo e` uno dei tratti piu` originali del film, una cesura violenta che consente l’inversione della prospettiva, al punto che nella seconda parte prende consistenza lo sguardo di Piotr, avvocato di Jacek, attraverso cui viene descritta l’esecuzione del giovane assassino. La sensibilita` estrema di Piotr, i suoi convincimenti morali, l’alta considerazione del

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ruolo e della natura della legge, «creata dagli uomini per regolare i rapporti umani», lo rendono una sorta di ‘archetipo’ della giustizia, quasi il capro espiatorio dell’intera vicenda, per quel guardare immobile, dolente, per l’impotenza delle sue parole, addirittura censurate da Kieslowski – come tutto il processo – a segnare l’ineluttabilita` del destino, una condanna senza appello. Nell’interminabile colloquio tra Jacek e Piotr viene rivelato il dramma del ragazzo, la morte della sorellina che ha modificato la sua percezione del mondo e determinato la disperata fuga dal paese, che resta l’unica spiegazione plausibile al raptus di lucida follia. Jacek solo nel finale mostra l’ingenuita` e la delicatezza della sua sensibilita` spezzata, scopre il suo vero volto, in cui, parafrasando il Dostojevskij de L’idiota, c’e` proprio tutto quello che e` avvenuto prima. La meticolosa precisione del boia nella preparazione degli ingranaggi dell’esecuzione fa da contrappunto visivo alla allucinata azione di Jacek, la cui ribellione richiama la disperata resistenza del tassista: tutto ritorna nell’implacabile cerchio dell’esistenza. Raramente sullo schermo e` stata pronunciata una requisitoria di tale pienezza estetica contro la negazione radicale dell’altro che e` l’atto di uccidere.

. Decalogo, : le traiettorie dello sguardo Decalogo, 6 si puo` ritenere uno degli episodi piu` affascinanti di tutta la serie per l’articolazione enigmatica dei piani, per la cristallizzazione degli sguardi, per la rarefazione dei sentimenti del protagonista, proiezione immaginaria del desiderio. Il racconto filmico si costruisce attorno all’atto dello spiare, violazione inconsapevole del sesto comandamento, Non commettere atti impuri, ma questo gesto e` soltanto la manifestazione di un amore incompleto, sviluppato come dinamismo e limite. Tomek, giovane protagonista della storia, ruba un cannocchiale per poter osservare la donna di cui e` follemente innamorato, Magda, una persona volubile, prigioniera del proprio fascino, che esercita in maniera spregiudicata. La donna diviene l’oggetto costante delle attenzioni di Tomek, che riuscira` a procurarsi un incontro con lei, per andare a prendere un gelato. Ma l’esplosione di gioia del ragazzo durera` il breve spazio di un’emozione; il sogno crollera` di fronte allo spietato cinismo di Magda. Le considerazioni riguardanti i vizi interpretativi di larga parte della critica nei confronti di Decalogo, 5 vanno estese anche al sesto episodio del Decalogo, spesso sottovalutato rispetto alla versione cinematografica dello stesso. In questo caso, pero`, si tratta di un’operazione ancor piu` grave, dal momento che le due versioni risultano affatto diverse, e quindi non

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autorizzano alcuna sovrapposizione. Per una lettura dettagliata di Breve film sull’amore rimando all’appendice del presente capitolo. Una donna, in primo piano, davanti ad uno sportello dell’ufficio postale chiede notizia di un presunto avviso di pagamento che le `e stato inviato, l’impiegato, il cui volto compare in primo piano, comunica alla donna che non risulta nessun pagamento a suo nome; mentre il ragazzo parla, il viso della donna si riflette sul vetro dello sportello. La macchina da presa inquadra del vetro rotto per terra, `e buio, il giovane impiegato della posta si introduce furtivamente dentro una scuola; la donna `e a casa, viene inquadrata da dietro i vetri, quasi venisse spiata da un’altra finestra, controlla la posta, si toglie il foulard, si dirige in camera da letto. Il ragazzo attraversa lentamente un corridoio, la donna dipinge una tela, poi va in cucina, solleva le braccia. Nel buio di una stanza si accende la luce di una torcia, segue una carrellata su diversi strumenti, un computer, un video registratore, la mano del giovane si infila sotto una mensola, prende un cannocchiale, lo nasconde dentro il giubbotto, la mano della donna fa muovere un pendolino, la donna mangia un toast, beve del latte, indossa solo una camicia. Il ragazzo della posta guarda nel cannocchiale, mette a fuoco, la donna, che abita proprio di fronte a lui, dipinge, fuori campo qualcuno compone un numero di telefono, si sente uno squillo, la donna risponde, dall’altro capo del telefono non parla nessuno, primo piano del ragazzo davanti al cannocchiale con la cornetta del telefono in mano, la donna, fuori campo, aspetta un po’, si arrabbia, quindi riattacca. Il giovane, che evidentemente spia la donna, ricompone il numero e si scusa. Una vecchia signora `e seduta davanti alla televisione, la donna dell’appartamento di fronte toglie dal letto una trapunta rossa, il ragazzo la osserva con il cannocchiale, la donna riceve un uomo, lo ferma sulla porta, gli toglie la giacca, l’uomo le solleva la camicia, il ragazzo allontana lo sguardo dal cannocchiale, esce dalla stanza, scende a buttare la spazzatura, la vecchia signora, che abita con lui, `e sempre davanti al televisore. Primo piano del ragazzo tra i banchi del supermercato, Magda, la donna che il giovane Tomek spia con il cannocchiale, rimprovera una commessa per non aver ricevuto il latte, la commessa risponde che il fattorino `e malato, la donna esce, Tomek la segue con lo sguardo, poi rientra e si offre come fattorino del latte. Tomek sottrae da una cassetta della posta una busta. Primo piano su una piccola sveglia, Tomek ripete dei verbi seduto sul letto, suona la sveglia, la donna `e in casa in compagnia di un uomo, non si tratta di quello della sera precedente; Tomek guarda con il cannocchiale, Magda `e appoggiata alla tela, bacia l’uomo lentamente, lo cinge. Tomek cerca un numero sull’elenco telefonico, telefona, fornisce una falsa segnalazione circa una fuga di gas dando l’indirizzo di Magda, poi si accende una sigaretta. Arriva subito la macchina del pronto intervento del gas, scendono dall’auto due inservienti, Tomek li osserva, in soggettiva, con il cannocchiale. Magda sta facendo l’amore con il suo ‘amico’, per terra, i due uomini sono davanti alla porta, probabilmente stanno citofonando con insistenza, Magda si alza, l’uomo si riveste, i due entrano in cucina, controllano eventuali perdite, Tomek, in primo piano, ride soddisfatto,

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Magda accompagna i due uomini alla porta, il suo amico la aspetta in cucina, la cinge, lei si scosta, Tomek da` un pugno contro la parete, soddisfatto. Tomek `e davanti alla porta dell’appartamento di Magda, nasconde la bottiglia del latte, citofona; Magda apre la porta, assonnata, Tomek dice alla donna che ha dimenticato la bottiglia del latte, lei rientra a prenderla, il ragazzo si sporge, Magda gli consegna la bottiglia. Primo piano su una tazza piena d’acqua, Tomek `e in bagno, la donna anziana, la sua affittuaria, gli domanda se ha una ragazza, gli dice che le donne spesso sono ‘facili’, ma tutte vorrebbero un ragazzo come lui, poi aggiunge che a casa puo` portare chi vuole. Inquadratura dall’alto del viale del condominio, il cannocchiale `e coperto da un panno rosso, Tomek sta dormendo; si sente, fuori campo, il rumore di una frenata brusca, Tomek si alza, va alla finestra, vede Magda litigare con un uomo, battere i pugni sulla sua auto, correre via lungo il viale che porta al suo appartamento. Tomek avvicina gli occhi al cannocchiale, Magda apre la porta di casa, in controluce, entra in cucina, sedendosi rovescia inavvertitamente una bottiglia di latte sul tavolo, si alza, va a sedersi dall’altro lato del tavolo. Tocca con un dito il latte versato, si gira di profilo, Tomek la osserva, si passa le mani tra i capelli, comincia a piangere, `e di spalle, singhiozza. La vecchia signora `e a letto, chiama Tomek, il ragazzo `e al buio, si scosta dal cannocchiale, Magda `e di spalle, passa il dito nel latte. E` mattina presto, Tomek trascina il carrettino del latte, mentre sta per entrare nel palazzo gli viene incontro Roman, protagonista di Decalogo, 9, che esce portando fuori la sua bicicletta. Tomek posa per un attimo le bottiglie di latte a terra, infila un foglietto di carta dentro la cassetta della posta numero 376. Magda `e all’ufficio postale, consegna a Tomek il secondo avviso di pagamento ricevuto, Tomek controlla ma non risulta alcuna ricevuta, Magda si stupisce, sorride, chiede di parlare con un superiore, Tomek, preoccupato, si alza e va a chiamare qualcuno. Il volto di Magda `e riflesso sul vetro dello sportello, si accende una lite tra la donna e una responsabile di reparto, che crede che Magda voglia truffare l’ufficio, Tomek tiene lo sguardo basso. Magda intende chiamare la polizia, la responsabile strappa gli avvisi ricevuti da Magda, che si allontana furiosa. Tomek la insegue correndo, cammina dietro di lei, confessa di aver scritto gli avvisi per poterla conoscere, Magda lo liquida, lui le urla di averla vista piangere la sera precedente. Magda si avvicina a Tomek, il ragazzo dice alla donna che la osserva dalla finestra, lei lo spinge con disprezzo e gli intima di smetterla, il ragazzo si allontana, di spalle, a testa bassa, mestamente. Una mano sfiora il panno rosso che copre il cannocchiale, Tomek `e dentro la sua stanza, si siede, nel palazzo di fronte si accendono le luci delle finestre. Tomek osserva dal cannocchiale, Magda entra in casa, si avvicina alla finestra, si ritrae, la sua immagine viene deformata da una lente posta nella finestra, si toglie la giacca, primo piano di Tomek. Magda solleva la cornetta del telefono, invita Tomek a telefonare, il ragazzo, in primo piano, esita un attimo, poi compone il numero; Magda `e seduta sul letto, risponde, Tomek non parla, la donna conta fino a tre, Tomek dice che la sta guardando, Magda gli augura buon divertimento.

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Magda scopre il letto, posizionato volutamente proprio sotto la sua finestra, entra il suo amico, lo trascina immediatamente in camera da letto, lo spoglia, ride, lo bacia, accende la luce, perche´ Tomek possa vedere. Tomek sta osservando con il cannocchiale, Magda indica all’uomo la finestra di Tomek, l’ uomo si copre, Magda ride, guarda la finestra. L’uomo scende sotto, comincia ad insultare Tomek, lo invita a scendere, il ragazzo si alza, la vecchia signora si affaccia. Tomek `e giu` nel viale, va incontro all’uomo, alza i pugni per difendersi, viene colpito duramente, cade a terra, l’uomo lo minaccia. Tomek, in primo piano, ha un occhio nero, `e sul pianerottolo davanti alla porta di Magda; si piega per prendere la bottiglia del latte, la donna apre la porta, colpendolo inavvertitamente. Magda chiede a Tomek se vuole entrare nell’appartamento, il ragazzo si allontana, la donna gli domanda perche´ spia i suoi movimenti, Tomek le confessa di essere innamorato di lei. Magda comincia a provocarlo, gli chiede se vuole un bacio, se vuole fare l’amore con lei, Tomek dichiara di non volere niente, si allontana, poi torna indietro e la invita a prendere un gelato insieme a lui, la donna accetta. Tomek corre felice, trascinando il carrettino del latte nel cortile, gira velocemente su se stesso, la macchina da presa asseconda questo suo movimento. Mentre Tomek corre felice, sopraggiunge Artur Barcis, vestito di bianco, con delle valigie in mano; l’uomo si ferma, guarda Tomek, sorride, anche Tomek lo guarda a lungo. Tomek `e al bar, seduto accanto a Magda, `e elegante, un po’ teso; la donna conversa a lungo con lui, gli domanda da quanto tempo la spia, gli chiede se ha degli amici, Tomek le racconta del suo amico, il figlio della donna con cui vive, partito volontario con i caschi blu, da cui ha ereditato l’abitudine di spiarla. Magda chiede al ragazzo alcuni dettagli della sua vita, poi gli domanda se ricorda gli uomini con cui `e stata, Tomek descrive un ragazzo magro, ricorda che lui le portava dei panini al latte, Magda gli dice che `e scomparso improvvisamente, `e partito per l’Australia senza dare piu` notizie, Tomek prende allora dalla tasca della giacca alcune lettere, confessa alla donna di averle sottratte senza sapere che si trattasse di quelle dell’uomo. Magda ne apre una, prova a leggerla, poi la mette via, ormai non ha piu` importanza. Magda tiene tra le mani un pendolo, lo fa oscillare sulla mano di Tomek, il ragazzo `e teso; Magda chiede a Tomek di toccare la sua mano, Tomek la sfiora, tremando, poi si volta, su suggerimento di Magda, per guardare due fidanzati che amoreggiano, «e` cosı` che si fa quando due sono innamorati» dice la donna. Magda e Tomek sono per strada, la donna fa una scommessa con il giovane, se riusciranno a salire sull’autobus, lui potra` salire nel suo appartamento; si mettono a correre, l’autobus `e gia` partito, ma torna indietro e riescono a salire. Primo piano della donna anziana, nella stanza di Tomek, davanti al cannocchiale; chiude un occhio, si avvicina al cannocchiale, guarda dentro, Tomek, in primo piano, deglutisce per l’emozione. Magda domanda al giovane se la osserva anche mentre fa l’amore, Tomek le risponde che un tempo la guardava, ma ha smesso da un po’, poi, su richiesta della donna, descrive i rituali dei suoi incontri con gli uomini, l’anziana signora osserva con il cannocchiale. Magda domanda a Tomek se `e mai stato con una donna, il ragazzo dice

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di no, poi gli chiede se mentre la osserva si tocca, Tomek confessa di averlo fatto in passato, ma ormai ha smesso da tempo, la donna gli si avvicina, gli prende la testa, e dice piano: «Lo sai che `e peccato». Tomek confessa di non pensare che a lei, Magda lo accarezza, dice di non avere niente sotto la camicia, prende le mani del ragazzo, tremanti, e le avvicina alle sue cosce. Tomek `e visibilmente scosso in volto, comincia a toccare Magda, accarezza lentamente le sue cosce, emette dei gemiti, quindi abbassa la testa, ha un’eiaculazione. Magda, raggelante e sarcastica, gli dice: «E` stato bello? Ecco, `e tutto qui l’amore», poi lo invita ad andare in bagno, dove trovera` un asciugamano pulito. Tomek fugge via di corsa, Magda si passa le mani tra i capelli, sembra pentita, si avvicina alla finestra, vede Tomek, in soggettiva, camminare lungo il viale. Barcis `e lı` sotto, fermo, con le valigie in mano, i due si guardano a lungo, poi Tomek va via. Magda `e alla finestra, di fronte a lei il palazzo illuminato; apre un baule, prende un binocolo, va ancora alla finestra, vede dietro il balcone di Tomek un’ombra, poi si spegne la luce, alza la cornetta, vorrebbe che Tomek la chiamasse. Tomek `e in bagno, prende un rasoio, lo svita, poggia la lametta sul bordo della vasca, prende una bacinella, la riempie d’acqua. Magda `e preoccupata, sta scrivendo un messaggio su un cartoncino, `e alla finestra, guarda fuori. Primo piano di Tomek, `e sudato, teso, le sue mani sono dentro la bacinella, l’acqua si tinge di rosso; Tomek `e sofferente, chiude gli occhi, appoggia la testa al lavandino, si lamenta, perde i sensi. Magda cammina nervosamente nell’appartamento, trova l’impermeabile di Tomek, suona il campanello, compare in primo piano il volto deformato del suo amante, che guarda nello spioncino della porta, Magda non gli apre. Magda continua a girare per casa, guarda con il binocolo, vede arrivare un’ambulanza, la donna che abita con Tomek `e giu` nel viale, poi sale le scale ed entra nel palazzo. Magda si veste, esce, `e nel cortile, si gira a destra, corre per le scale, si ferma lungo un corridoio, cammina, citofona, l’anziana signora apre la porta, la fa entrare. La donna accompagna Magda nella stanza di Tomek, le dice che il ragazzo `e all’ospedale, che non ha niente di grave, Magda confessa alla donna di avergli fatto del male, vorrebbe andarlo a trovare, la donna le consiglia di non farlo, le dice che lui `e innamorato pazzo di lei, scopre il cannocchiale, le racconta che lo ha rubato, che ogni sera suona la sveglia, intorno alle otto e trenta, poi si avvicina a Magda e le sussurra: «e` cascato male, vero signorina?». Magda resta impassibile, rigida, chiede alla donna se puo` telefonare per avere notizie, la donna mente dicendole che non ha il telefono, Magda si allontana, poi torna indietro, bussa nuovamente, chiede alla donna il nome del ragazzo. Magda `e a letto, si `e addormentata vestita, si sveglia, si alza, cammina stringendosi il palto`. Si siede, gira una carta sul tavolo, sembrerebbe un solitario, beve del the`, si avvicina alla finestra, vede l’anziana donna trascinare il carrello del latte, a fatica. Magda, sconsolata, `e all’ufficio postale, c’e` un uomo di spalle, si scosta, lo sportello `e vuoto, Tomek non c’e`. Magda `e nel pianerottolo del palazzo, gioca con la cintura del palto`, aspetta il postino; appena lo vede, chiede notizie di Tomek, l’uomo le dice che il ragazzo si `e tagliato le vene, per

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amore, ma non sa niente di piu`, Magda si appoggia alla parete, si accascia. E` notte, Magda `e a letto, dorme, suona il telefono, risponde; non si sente nessuno, crede sia Tomek, vuole che lui le parli, dice di averlo cercato in tutti gli ospedali, vuole vederlo, ha ragione lui, poi chiude. Si avvicina alla finestra, suona di nuovo il telefono, `e Wojtek; Magda gli domanda se ha ascoltato le sue parole, alla risposta negativa dell’uomo chiude il telefono. Magda guarda con il binocolo, vede la luce accesa nella stanza di Tomek, e due ombre che si muovono, ride, sembra commossa. E` mattina, Magda si sta asciugando i capelli, sente il rumore del carrello del latte, apre la porta, `e ancora la donna a consegnarlo, chiede notizie di Tomek, la donna le risponde che non `e tornato, mentendo. Magda `e all’ufficio postale, si sporge dalla porta a vetri, c’e` un uomo di fronte allo sportello, Tomek `e seduto al suo posto, ha i polsi fasciati, la guarda; Magda, di spalle, si avvicina allo sportello, il suo volto `e provato, accenna un sorriso, Tomek le dice di avere smesso di guardarla, Magda si intristisce, lo schermo si oscura. In questa storia si trova simbolizzato tutto il sistema di Kieslowski, lo sguardo come mezzo di percezione del mondo, uno sguardo che diviene proiezione del desiderio, unica possibilita` di comprensione dell’altro. L’episodio e` strutturato secondo una perfetta simmetria per cui nella prima parte Tomek osserva Magda, che sembra essere la semplice proiezione mentale del ragazzo, relegata in una distanza irreale, che preserva la purezza di un sentimento incontaminato. La visuale e` costantemente frammentata attraverso la spirale ininterrotta del voyeurismo, che coinvolge Tomek e l’anziana padrona di casa che ne controlla i movimenti, fino a giungere allo spettatore, in un gioco ambiguo di piani e prospettive, in cui il cannocchiale, prolungamento dello sguardo del protagonista, e` anche un’evidente metafora del cinema. Tomek scruta la vita, le abitudini, i rituali di Magda, interviene a volte per spezzare la catena delle sue frequentazioni, sterili incontri svuotati di senso, che strutturano il quadro di un’esistenza incompiuta, come la tela che la donna si ostina a dipingere, senza mai definirne i tratti, le tinte. La camera da letto di Magda e` immersa nel rosso di una passione gelida, controllata, come i toni scuri dell’esterno-notte, persistente scenario delle vicende della storia; il trattamento del colore come elemento drammatico, non piu` simbolico, prelude gia` alla Trilogia, ma non e` ancora traccia di elementi psichici. L’esposizione del corpo di Magda, sfrontata, impudente, contrasta con la discrezione di Tomek, con la leggerezza del suo sguardo posato sul mondo, cosı` da ribaltare l’impurita` dell’atto di spiare. La fragilita` dell’amore di Tomek e` tutta nell’espressione del suo volto di fronte alle provocazioni di Magda, nel sudore della fronte, nelle mani tremanti che non conoscono il desiderio, la fisicita`, nei gemiti indecisi, nell’eiaculazione precoce, senza piacere, senza godimento. A partire da

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questo momento si apre una frattura nel racconto, allo sguardo di Tomek si sostituisce quello della donna, che diviene adesso soggetto della visione, in un calcolato gioco della messa in scena. La visuale e` capovolta: Magda e` vista dall’interno, possiamo sentire il suo respiro, avvertire il peso del suo corpo, intuire i tratti scomposti della sua personalita`, libera dalla sottile protezione del vetro della finestra, che indicava la chiusura, l’ostinata negazione di se´. Ma il suo sguardo e` vuoto, e` la disperata ricerca del corpo di Tomek, il rimorso per aver macchiato la purezza del suo sentimento totalizzante, l’inutile speranza di una riconciliazione, che sottolinea l’insufficienza del guardare in cui manchi il desiderio, l’univocita` di una traiettoria senza oggetto. Quando Magda incontrera` Tomek nel finale, dietro lo sportello dell’ufficio postale, sara` ormai troppo tardi; il ragazzo ha smesso di osservarla, ha rinunciato all’illusione d’amore, ma una traccia indelebile e` rimasta nelle loro solitudini. Ancora una volta la rappresentazione diviene il tentativo di una messa in relazione degli individui, di un movimento che rompa l’isolamento, e il voyeurismo e` soltanto la traduzione della solitudine, la ricerca dell’altro, il segno della mancanza e del bisogno d’amore.

. Decalogo, : l’innocenza perduta Decalogo, 7 e` una storia d’infanzia che disegna degli itinerari insoliti, surreali, a tratti angoscianti, una storia che diviene, per la giovane protagonista, il tentativo di rivivere il passato, l’innocenza perduta, e insieme la possibilita`, il sogno di una nuova vita finalmente lontana dai ricordi e dal dolore. Majka ha ventidue anni. Quando ne aveva sedici, dalla relazione sentimentale con il suo giovane insegnante Wojtek ha avuto una figlia, Ania. Sua madre Ewa, preside dell’istituto in cui insegnava Wojtek, si e` attribuita la maternita` della bambina falsificando il certificato di nascita, e ricatta Wojtek minacciandolo di denunciarlo per corruzione di minori in caso di dissenso. Ewa e` riuscita in tal modo ad evitare un probabile scandalo, ma soprattutto si e` riscattata dalla prematura sterilita`, dovuta al parto traumatico di Majka. La scelta di Majka di rinunciare alla maternita` e` stata dettata dalla sua debolezza, dalla paura, dall’immaturita`, causate proprio dal suo rapporto con la madre, una donna dura, severa, incapace di tenerezza e affetto. Ora Majka ha deciso di vendicarsi della madre, di riprendersi quello che e` suo, ma «si puo` rubare quello che e` nostro?» si chiede ad un certo punto la giovane protagonista, dopo aver ‘rapito’ la figlioletta.

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Intorno a questo interrogativo inquietante si costruisce l’intero episodio – una variazione del settimo comandamento Non rubare –, si svolgono i destini dei protagonisti, che rischiano di distruggere, con il loro egoismo e la loro indifferenza, il mondo affettivo della piccola Ania. Piano fisso sul muro di un palazzo. Un urlo straziante squarcia il silenzio della notte. La macchina da presa si muove lentamente verso il basso, lungo il muro, si accende una luce, la camera continua a scendere. Panoramica sul condominio, si avverte ancora l’urlo. Una ragazza restituisce il proprio libretto universitario, la segretaria tenta di dissuaderla, la giovane `e molto determinata. Dentro una stanza un uomo costruisce degli strumenti musicali, si tratta delle canne di un organo. La ragazza si trova presso un ufficio, le viene rilasciato il passaporto, deve recarsi in Canada; la segretaria le fa presente che per l’espatrio della bambina `e necessario il permesso della madre. La macchina da presa inquadra la rete di un lettino e la mano di una bambina, che continua a urlare. Majka, la ragazza gia` inquadrata in precedenza, `e nella stanza della piccola Ania che urla in preda agli incubi, cerca di tranquillizzarla, ma non ci riesce, `e sconvolta. Una mano la spinge via, `e la madre Ewa, che la tratta come una incapace, e prende in braccio la bambina, scuotendola con forza. Majka piange, entra nella stanza del padre Stefan, che cerca di consolarla facendole ascoltare il suono di uno strumento che ha appena costruito. Dentro il giardino di una scuola, dei bambini giocano su una giostra, Majka, da dietro la recinzione, osserva in soggettiva la piccola Ania che si diverte, prova a chiamarla, la macchina da presa si sofferma sul suo viso. Majka entra nell’atrio di un teatro, dove `e in corso una recita per bambini, `e circospetta, riesce ad attirare l’attenzione di una sorvegliante facendo rotolare una pallina per le scale, quindi si introduce furtivamente in una stanza. La madre Ewa e la piccola Ania sono sedute tra il pubblico, fuori campo si sente la voce degli attori. Majka, in primo piano, corre per un corridoio, poi scende delle scale. Ania sale sul palco, sorride spensierata, Majka si aggira dietro le quinte, guarda la piccola mentre fa il girotondo con gli altri bambini. Ewa si alza fiera, si alternano le immagini dello spettacolo. Ania si avvicina a Majka, insieme camminano lungo il corridoio, stanno scappando. Ewa `e preoccupata, non trova la bambina; Majka e Ania, nel frattempo, sono fuori dal teatro. Ewa cerca tra i bambini, esce dal teatro, corre, rischia di cadere scendendo le scale, poi parla con la sorvegliante, che non le risponde, `e intenta a contare dei soldi. In treno, la piccola Ania disegna sul vetro con il dito, Majka `e dietro di lei, la accarezza, la macchina da presa inquadra il treno che passa veloce sopra un ponte. Ewa cammina nel viale del cortile del condominio, `e distrutta in volto, stanca; Majka e Ania sono in un bosco, si fermano davanti ad una giostra, Majka spinge la bambina, che sorride felice sopra un cavallino. Ania dice a Majka che l’ha rapita, la ragazza le confessa di essere la sua vera madre, Ania sembra non capire. Stefan sta parlando al telefono, sente il rumore della chiavi, poi dei passi, si spaventa; la macchina da presa si muove lentamente, inquadra la stanzetta di Ania, il corridoio buio, poi Ewa, sdraiata sul letto, con la testa coperta dal cuscino,

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che piange. Majka e Ania arrivano davanti ad una casa di legno, un uomo sta stendendo delle lenzuola, si volta, seguono dei piani alternati dell’uomo e di Ania. La bambina deve fare pipı`, Majka le dice di andare dietro il cespuglio, nel frattempo parla col giovane. Lui si chiama Wojtek, la sua espressione `e contrariata, chiede a Majka cosa vuole, cosa cerca. Ania entra in casa, la stanza `e piena di orsetti, Majka poggia le mani sulle spalle di Wojtek, poi si avvicina alla scrivania. Ania comincia a giocare con gli orsetti, Majka toglie un foglio di carta dalla macchina da scrivere, `e curiosa, Wojtek le dice che ormai da tempo ha smesso di scrivere. Ania si `e addormentata sopra gli orsetti, Majka la copre, la bimba si stropiccia il viso, la ragazza chiede a Wojtek se qualche volta pensa ancora a lei. Majka racconta a Wojtek del rapimento, poi parla con violenza della madre, ammette di odiarla, afferma che forse riuscirebbe anche ad ucciderla. Spiega al giovane i motivi per cui la madre l’ha sempre maltrattata; dopo la sua nascita la donna ha scoperto di non poter avere altri bambini e si `e vendicata portandole via Ania. Wojtek le rinfaccia di aver acconsentito all’imbroglio della madre di attribuirsi la maternita` della piccola, Majka afferma di non aver potuto fare altrimenti, perche´ la madre la minacciava dicendole che avrebbe denunciato Wojtek. Majka mostra a Wojtek il certificato di maternita`, la prova che la bambina `e sua figlia, poi gli racconta che un giorno trovo` Ewa che allattava al suo seno Ania, nonostante non avesse latte. Wojtek si avvicina alla bambina, le accarezza la mano, la piccola afferra il suo dito, lo stringe forte e lui non riesce a liberarsi dalla stretta. Il suo volto si contrae, `e nervoso, prova con forza a tirare il dito, la presa di Ania `e sicura, lei sembra sorridere nel sonno; finalmente Wojtek riesce a liberare il suo dito, quindi esce dalla stanza. Fuori sistema la biancheria, poi la butta a terra indispettito. Majka accarezza Ania, la piccola si sveglia, sorride, vede una piccola ferita al dito di Majka, le chiede cosa sia successo, nel frattempo Wojtek `e appoggiato al muro della casa, pensieroso. Majka esce fuori, chiede a Wojtek di guardare la bambina, mentre lei va a telefonare alla madre, lui le porta il telefono, ma la ragazza teme di essere rintracciata, a casa potrebbe esserci il telefono sotto controllo. Wojtek controlla il passaporto di Majka, rovista nella sua borsa, poi rimette tutto a posto, china il capo, si volta verso destra, osserva Ania che dorme. Prende dei fogli da una carpetta, vuole leggere ad Ania una storia su Majka e Ewa, comincia a leggere, lentamente, la macchina da presa inquadra il viso della bambina. Il suono di un clacson interrompe la scena, Wojtek esce fuori, un uomo `e venuto a ritirare gli orsetti, si affaccia nella stanza, vede la bambina, Wojtek gli dice che `e sua figlia, e gli chiede di non farsi vedere per qualche giorno, perche´ potrebbe avere dei problemi. In primo piano c’e` un telefono che suona, risponde Stefan, `e Majka, si alternano i piani dei due protagonisti, poi arriva Ewa, strappa la cornetta al marito e comincia a parlare con Majka. Le richieste di Majka sono precise: «deve cambiare tutto», Ania deve essere sua. Ewa, disponibile in un primo tempo, si indurisce, la piccola Ania risulta essere sua figlia; Majka, in montaggio alternato, ribatte dicendo che puo` provare il contrario, e la accusa di averle rubato la figlia, il suo essere madre, l’amore, se stessa. Wojtek sorride

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ad Ania, parla con lei, la bambina prova a chiedergli se `e suo padre, lui non le lascia terminare la frase. Wojtek ed Ania ridono tranquilli, sono molto vicini, lui dice alla bambina di essere un mago; nel frattempo entra Majka, assiste per un po’ alla scena, poi si avvicina, `e molto tesa, Ania ride, lei si mostra molto dura, pretende che la bambina la chiami “mamma”. Ania continua a chiamarla solo “Majka”, la ragazza comincia a piangere, tiene la piccola in braccio, Wojtek si gira verso di loro, Majka la porta a letto, si stende con lei, piange, insiste nel volersi far chiamare mamma, Wojtek `e sempre lı`, di spalle. Squilla il telefono, Wojtek aspetta, poi risponde, fa finta di essersi svegliato in quel momento, `e molto evasivo, dice di non vederla da sei anni. Dopo aver abbassato la cornetta, dice a Majka che la stanno cercando. Stefan chiude il telefono, comunica alla moglie che Wojtek non sa niente. Ewa teme di aver perso Ania, l’uomo afferma che devono restituirla a Majka, ricorda alla moglie l’eccessiva severita` con cui la trattava da piccola, lei lo rimprovera per averla sempre difesa. Stefan racconta alcuni episodi del passato, la donna si indispettisce, conosce gia` la storia della sua famiglia, non ha bisogno che lui gliela ricordi, poi chiede al marito di rivolgersi a qualcuno che li possa aiutare nel ritrovamento della bambina. Ania `e distesa sul letto, comincia ad urlare, Majka la scuote, non riesce a calmarla, Wojtek si avvicina, Majka abbraccia la bambina, si `e svegliata, la rassicura, la adagia piano sul letto. Poi va da Wojtek, gli spiega che Ania grida cosı` ogni notte, ma non sa di cosa abbia paura. Wojtek crede cha Ania sia troppo delicata, dice a Majka che la sta rovinando con la sua aggressivita`, che la piccola ha bisogno di una famiglia normale, dei suoi orari, del suo letto. Il giovane consiglia alla ragazza di tornare indietro, lei sembra convinta, lo asseconda, poi Wojtek si allontana per andare a prendere il pulmino con cui riportare a casa Majka e la piccola. Majka controlla il passaporto, prende la borsa, sveglia Ania, che chiede notizie di Wojtek. Stefan `e a casa di un tizio, un suo vecchio conoscente, da cui Ewa spera di ricevere qualche aiuto, ma l’uomo non puo` fare niente, Stefan lo saluta scusandosi per il disturbo. Un pulmino si ferma di fronte alla casa di Wojtek, questi entra in casa, ma non trova nessuno. Prende una rubrica, prova a telefonare, il numero `e occupato. Majka e` al telefono, sta parlando con la madre, che le prospetta una soluzione possibile per risolvere la situazione; la ragazza potrebbe andare a vivere da sola, la bambina sarebbe sua dopo la scomparsa della madre. Majka vuole Ania tutta per se´, chiede alla donna di concederle l’autorizzazione per l’espatrio della piccola, ormai non le importa piu` di nulla. Comincia a contare, vuole una risposta immediata; quando ormai ha gia` riattaccato il telefono, Ewa le urla che accetta le sue condizioni, ma `e troppo tardi e ripone il telefono. Passa un istante e l’apparecchio squilla ancora, si sente la voce di Wojtek fuori campo, poi il volto del giovane compare in primo piano. Ammette di aver mentito, racconta di aver visto Majka e Ania, da` appuntamento alla donna. La macchina da presa inquadra il lento scorrere di un fiume, poi si muove verso l’alto, dove compare Majka con in braccio la piccola Ania; `e affacciata

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alla ringhiera di un ponte, poi scende giu`, tra l’erba, e si nasconde sotto il ponte. Sopra la sua testa passa un pulmino, forse quello di Wojtek, Majka guarda Ania, la bambina `e triste, lei l’accarezza, poi butta nel fiume un ramo secco, per farle vedere come galleggia, e si fa dare un bacio. Una macchina blu attraversa una strada, dentro viaggiano Ewa e Stefan, in senso opposto arriva il pulmino dell’amico di Wojtek, le auto si fermano, scendono Wojtek ed Ewa, parlano un po’, poi si dividono per cercare Majka e la bambina. Il pulmino passa veloce sul ponte, Witek scende giu`, trova l’orsetto di Ania, entra in acqua bagnandosi fino alle ginocchia, sull’altra sponda del fiume non trova nessuno. Majka `e alla stazione, bussa ad una finestra, si affaccia una donna, la ragazza chiede informazioni sul prossimo treno; sul binario si avvicina una carrozza, Majka prova a fermarla, ma il convoglio prosegue. La donna va incontro a Majka, le domanda se stia fuggendo dal ragazzo, lei risponde che scappa da tutto; la donna la invita ad entrare nella guardiola, fuori fa freddo. Sopraggiungono Ewa e Stefan, Ewa chiede alla donna notizie di una ragazza con una bambina, la donna prova a metterla fuori strada, dicendole che sono gia` andate via, ma la piccola Ania si sveglia per aver sentito la voce di quella che ritiene la sua mamma, e si fa vedere. Ewa corre ad abbracciare la piccola, guarda Majka, lei si alza, vede arrivare il treno, corre sulla banchina e sale. La macchina da presa la inquadra da dietro il vetro, mentre si allontana veloce, il suo volto si alterna a quello della madre. Ania corre verso il treno, Ewa sussurra a mezza voce «Majka, figlia mia», la piccola si ferma; sul suo volto scomposto si chiude il film. Il risentimento, l’incomprensione, la mancanza d’amore sono le note dominanti di questa storia di infanzia negata, tradita, rubata, le coordinate di una fuga disperata, quella di Majka, lontano da tutto quello che ha perduto per sempre, e di un disperato ritorno in se´, quello di Ewa, che soltanto alla fine riconosce Majka ancora come sua figlia, quando lei non puo` piu` sentirla, dopo averla rifiutata per anni. I gesti, le espressioni, le emozioni di queste due donne sono speculari, si richiamano reciprocamente, appartengono alla stessa storia, forse a quella che Wojtek aveva provato ad immaginare, a descrivere nel suo racconto, «storia di una madre e una figlia, come un film italiano, scene che posso toccare intorno a me», ma in ogni caso allo stesso dolore. Ewa ha sempre preteso troppo da Majka; quando era bambina, l’ha costretta ad una perfezione impossibile, ad una sfida insostenibile con se stessa, con le proprie paure, quasi a volerla punire per aver determinato la sua sterilita`. Majka ha continuato a subire le decisioni della madre, e alla fine e` diventata come lei, testarda, egoista, insensibile. Il suo atteggiamento nei confronti del mondo, degli altri, e` segnato dalla gelosia e dal possesso, proprio come Ewa, da una volonta` cieca, che non ammette repliche. Il suo universo affettivo ruota intorno alla vendetta, all’odio nei confronti di Ewa, che le ha rubato la figlia, il suo essere madre, se stessa, l’amore, ma

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la sua rivolta si scontra con la realta` dei sentimenti della piccola Ania. Ania rappresenta, infatti, il vertice di un impossibile triangolo affettivo, segnato dalla diffidenza, dal rancore e dal rifiuto dell’altro. La bambina diviene il centro ideale del racconto, Kieslowski sembra adottare il suo punto di vista all’interno del film, il suo sguardo velato e leggero, la sua vitalita` gioiosa e preoccupata. In questo modo si spiegano le scene oniriche e meravigliose del breve soggiorno nella casa di Wojtek, immersa nel sole e nei pupazzi, il montaggio della sequenza iniziale, che sembra richiamarsi alle sporadiche impressioni di un bambino, l’atmosfera di regressione del film, in cui si scontrano gli istanti e i ricordi. L’irrazionalita` delle situazioni e dei comportamenti e`, dunque, legata ad Ania, al piccolo mondo delle sue abitudini e dei suoi affetti, del suo letto e dei suoi giochi, che Wojtek sa riconoscere, con delicatezza e rassegnazione, e che Majka rischia di distruggere, nell’assurdo progetto del rapimento. Sara` proprio Ania a decidere l’esito della storia, facendosi scoprire da Ewa nella guardiola della stazione, con un gesto istintivo, naturale, svegliandosi al suono della voce di quella che lei ritiene la sua mamma. La messa in scena del regista – secondo l’intelligente lettura di Murri – contribuisce a determinare l’assurdita` del progetto di Majka, il gelo affettivo tra i personaggi attraverso le divisioni, le barriere disseminate per tutto il film: le sbarre del cortile dell’asilo sembrano quelle di una prigione per Majka, che guarda Ania giocare, la porta del treno chiude Majka all’affetto e allo sguardo della sua famiglia, il gabbiotto della stazione e` un rifugio impossibile; Ewa riesce comunque a scorgere Ania, a riabbracciarla sotto lo sguardo incredulo di Majka. La regressione al mondo dell’infanzia, intesa come spazio di sogno e sicurezza, viene turbata dal prolungato urlo di Ania, straordinaria metafora della incertezza e della paura del domani, segno inequivocabile dell’innocenza perduta, capace di riscattare, con la sua forza devastante, una drammaturgia forse ‘stirata’, rispetto alle altre prove del Decalogo, indecisa, nonostante la complessita` delle trame affettive.

. Decalogo, : la maieutica del bene L’intero progetto etico del Decalogo sembra configurarsi in questo ottavo episodio, tra le pieghe degli sguardi, nelle argomentazioni, nelle riflessioni della protagonista, ma soprattutto nell’irruzione di una logica sensibile, aperta, rispetto all’ordinamento teorico e concettuale del mondo, che rinvia alla complessita` del pensiero filosofico di Kieslowski. La vita dell’anziana professoressa di filosofia morale Zofia e` segnata

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dal dubbio, dall’ossessione di un passato rimosso, che si ripresenta in tutta la sua devastante necessita`. Elzbieta, la traduttrice americana delle opere della professoressa, decide di incontrare Zofia, di confrontarsi con i «testimoni della sua umiliazione». Zofia scoprira` che Elzbieta e` in realta` la bambina ebrea che, nel 1943, aveva sacrificato alla causa della Resistenza, nella quale militava insieme al marito, rifiutandosi di figurare come madrina nel falso certificato di battesimo, e impedendole di venire adottata. La decisione di Non dire falsa testimonianza, in nome dei principıˆ della religione cattolica, copriva in realta` il sospetto (poi rivelatosi infondato) che la famiglia presso cui sarebbe andata a vivere la bambina fosse controllata dalla Gestapo, che avrebbe potuto intercettarli e colpire l’organizzazione. L’ambiguita` della scelta di Zofia rivela le contraddizioni della morale, la complessita` del reale, inaccessibile alla ragione. Un portico, in primo piano le mani di una bambina, strette a quelle di un adulto, `e buio. La macchina da presa segue i passi veloci dei due personaggi che si inoltrano in un cortile, la bambina si volta leggermente, si intravedono i particolari del suo viso, ha i capelli scuri. Piano fisso su un fiore rosa, poi l’inquadratura si allarga, in un boschetto una donna di mezza eta` esegue dei piegamenti col busto, comincia a correre, si riposa appoggiandosi ad un tronco d’albero. In primo piano il suo volto affaticato, la donna si distende su un fianco, sembra pensierosa. La donna cammina nel viale del condominio, tiene in mano un mazzo di fiori bianchi, incontra un uomo che le parla di una serie di francobolli appena acquistata all’estero, tre Zeppelin del 1931. La donna prende la posta nella cassetta delle lettere, la sfoglia davanti a una finestra, mette da parte due buste. Entra in casa, sistema un quadro storto, che si inclina nuovamente, entra in una stanza, cambia i fiori dentro un vaso, lascia le lettere sul tavolo. E` in cucina, prova a mettere dell’acqua a bollire, il fuoco non si accende, il suo sguardo `e sbarrato. La donna `e in macchina, la macchina da presa la inquadra da dietro il vetro del finestrino, l’auto ha problemi di accensione, poi riesce a partire. Il percorso dell’auto `e seguito dall’alto, in oggettiva irreale, la macchina si ferma in un posteggio, la donna scende, chiude lo sportello. Dentro il corridoio dell’Universita` gli studenti la salutano affettuosamente, `e infatti la loro professoressa di Filosofia Morale. Appena entrata nella sua stanza, la segretaria la informa che il Preside la sta aspettando. Nello studio, il Preside le presenta Elzbieta, sua traduttrice americana; le donne si salutano, si sono gia` incontrate in America, Elzbieta chiede di poter partecipare al seminario della professoressa come uditrice. In aula, la macchina da presa esegue una carrellata tra gli studenti, la professoressa Zofia presenta, fuori campo, i contenuti e il titolo del seminario, ‘L’inferno etico’. Una ragazza si alza e sottopone all’attenzione della professoressa e dell’uditorio la storia di Decalogo, 2, il primo piano di Zofia, che cammina all’interno della stanza, si alterna

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alle immagini della ragazza. Elzbieta tiene in mano una catenina, guarda ripetutamente Zofia, che sembra abbassare lo sguardo. Zofia conosce gia` la storia, perche´ abita nello stesso stabile dei protagonisti, e la commenta concludendo che «il bambino vive, ed `e questa la cosa piu` importante». Zofia invita gli studenti a provare a descrivere il carattere e le motivazioni dei protagonisti della storia. Elzbieta si avvicina alla cattedra per piazzare il registratore con cui sta registrando il seminario, si passa una mano sul volto, sembra preoccupata, scossa, alza la mano, chiede di poter intervenire. Premette che la storia che sta per raccontare «ha un difetto, `e accaduta nel passato, ma possiede anche un pregio, `e una storia vera». Elzbieta comincia a narrare la vicenda, ambientata nel febbraio del 1943, di una bambina ebrea di sei anni; durante il racconto tiene lo sguardo basso, continua a giocare nervosamente con una catenina d’oro, mentre scorrono, in carrellata, le immagini degli studenti alternate al primo piano del volto di Zofia, contratto, teso. Elzbieta viene interrotta dall’ingresso in aula di uno studente ubriaco, barcollante, che viene condotto fuori da Zofia. La professoressa chiede a Elzbieta se il fatto accadde a Varsavia, sembra interessata ai particolari della storia, Elzbieta riprende il racconto, appoggia la testa sul braccio, segue un’altra carrellata sugli studenti che si conclude sul viso, ormai noto, di Artur Barcis. Questi gira il capo verso destra, la macchina da presa asseconda questo movimento e inquadra il volto di Zofia, poi ritorna in primo piano sul viso di Barcis e riprende la carrellata sull’uditorio che si interrompe sul primo piano di Elzbieta. Zofia guarda in basso, muove nervosamente la bocca, anche la sua testa `e poggiata sul braccio, l’espressione del suo viso `e sconsolata, chiede a Elzbieta se conosce i motivi per cui la piccola ebrea fu abbandonata, Elzbieta risponde di non conoscerli. Alla fine della lezione Zofia invita gli alunni ad elaborare le proprie riflessioni individuali sulla vicenda della protagonista di Decalogo, 2, poi ripone i libri nella cartella ed esce dall’aula. Elzbieta rimane seduta tra i banchi, tiene la testa reclinata in avanti, si passa il viso tra le mani, mentre gli studenti escono dall’aula. Piano fisso su una tenda ricamata, `e buio, la macchina da presa si muove lentamente, Zofia `e appoggiata ad una poltrona, si alza, scuote la testa, la tiene tra le mani, cammina nel corridoio, in controluce, il suo sguardo `e fisso, sbarrato. Elzbieta `e seduta in mezzo al corridoio, fuma una sigaretta, Zofia le si avvicina, chiede informazioni sulla vicenda narrata, capisce che Elzbieta `e la protagonista del racconto, la bambina ebrea che lei stessa durante la guerra ha abbandonato. Zofia sembra sollevata, la bambina che credeva morta `e davanti ai suoi occhi. Elzbieta racconta il seguito della storia, il primo piano del suo volto si alterna a quello di Zofia, ormai disteso, sereno, la donna poi invita a cena Elzbieta. L’auto di Zofia si arresta davanti allo stabile in cui quarantacinque anni prima incontro` la piccola Elzbieta; la giovane scende dall’auto, si addentra nell’atrio del palazzo, un vecchio, squallido palazzo del centro di Varsavia. Una volta dentro, non ha il coraggio di proseguire, torna indietro, e si nasconde nella penombra, spiando i movimenti di Zofia. La donna scende dalla macchina, si addentra all’interno dello stabile, chiama Elzbieta, attraversa l’atrio, sale su per le scale, citofona. Le apre

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un uomo, lei gli chiede se ha visto una donna, l’uomo si allontana. Zofia prova a citofonare ad un altro campanello, una donna esce da una porta, seguita da un uomo che le si rivolge in modo scurrile, Zofia chiede notizie di Elzbieta, poi scende giu`. Continua a cercarla, bussa ad una porta, tutti le chiedono se `e interessata all’inserzione, si allontana, urla impaurita. Quando rientra in macchina, trova Elzbieta seduta ad aspettarla, le confessa di aver avuto paura, credeva di averla persa, Elzbieta le risponde di aver imparato, il giorno in cui fu abbandonata, a non aver paura. Elzbieta `e a casa di Zofia, sistema il quadro storto, si piega su un libro, comincia a leggerlo, ma la lampada, che illumina le pagine, si spegne a intermittenza. In cucina, Zofia prepara la cena, poi le due donne prendono il the`, versato in due tazze di porcellana diverse, come nei particolari del racconto di Elzbieta. Zofia spiega i motivi ‘prosaici’ della sua scelta, la paura di essere rintracciata dalla Gestapo, una paura rivelatasi successivamente infondata, rivela l’angoscia e il peso di quella scelta, il rimorso per aver condannato un’innocente. Mentre parla tiene le mani sulle spalle di Elzbieta, che si commuove, piange e stringe le mani di Zofia. Elzbieta chiede a Zofia cosa dice agli studenti su come vivere, la professoressa risponde che si limita a metterli in condizione di arrivare da soli al bene, poi la conversazione si sposta su un altro argomento, comincia una intensa riflessione su Dio. Le due donne vengono interrotte dal suono del campanello, `e l’uomo gia` incontrato la mattina da Zofia, venuto a mostrare la sua nuova serie di francobolli. Poco dopo l’uomo esce, Zofia si siede nuovamente accanto a Elzbieta, le spiega la strana passione dell’uomo per i francobolli, le dice che si tratta di un vicino, come i protagonisti della storia del seminario, Elzbieta `e colpita da questi particolari. La giovane donna si riveste, ringrazia per l’ospitalita`, domanda a Zofia se conosce le persone che avrebbero dovuta adottarla, chiede di essere accompagnata da loro, Zofia la invita a passare la notte da lei. La macchina da presa inquadra, di scorcio, da dietro una porta, Elzbieta inginocchiata a pregare, la mano di Zofia chiude lentamente la porta. Zofia corre nel bosco, si ferma, fa degli esercizi, riprende la corsa, si volta a destra, sembra colpita da qualcosa, si addentra nel bosco; su una pedana c’e` un contorsionista, Zofia lo osserva stupita, prova a piegarsi all’indietro, l’uomo le dice che ormai `e troppo tardi perche´ possa imparare anche lei, e continua i suoi esercizi. Zofia `e a casa, sul tavolo ci sono dei fiori, il quadro `e storto; Elzbieta `e in cucina, ha preparato la colazione, trasgredendo la indicazioni della sua dieta. Zofia `e in macchina, sta guidando, a tratti si volta a destra, sorride a Elzbieta; attraversano una galleria, poi Zofia posteggia, le due donne scendono. Si trovano davanti al negozio dell’uomo che si era offerto di adottare Elzbieta, un vecchio sarto. Zofia non entra, i suoi rapporti con l’uomo non sono buoni, e si siede nuovamente in macchina. Primo piano del sarto che cuce, Elzbieta osserva da dietro i vetri, l’uomo si toglie gli occhiali, il suo volto `e contratto, Elzbieta entra nel negozio. Il sarto le si avvicina, la donna si presenta, comincia a rievocare il passato, l’uomo la interrompe, le mostra una rivista di moda, Elzbieta lo ringrazia per la sua generosita`, lui cambia ancora discorso,

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Elzbieta continua a raccontare i particolari della sua storia, l’uomo ricorda che aveva vent’anni in quel tempo, ma non vuole parlare di quello che `e successo dopo la guerra, e neanche del presente. Elzbieta, di fronte alla reticenza del sarto, rinuncia alla conversazione, ed esce dal negozio. Si avvicina alla macchina, Zofia `e lı`, non si `e allontanata, le due donne cominciano a parlare, Zofia dice ad Elzbieta di averla vista pregare la sera prima. Il sarto si avvicina alla vetrina, osserva le due donne, che sorridono tranquille; il suo volto, in primo piano, `e l’ultima immagine del film. Decalogo, 8 e` costruito sulla base di una rigorosa geometria intellettuale ed estetica nella quale dei segni piu` o meno irrazionali sono suscettibili di intervenire. La fissita` dello sguardo di Zofia, distesa su un tronco dopo la fatica della corsa, tradisce una visione interiore, un’ossessione che rinvia all’opacita` della scena precedente, la prima sequenza del film, in cui un uomo adulto tiene per mano una bambina. Le coordinate della storia sono gia` delineate, il volto di Zofia si apre all’irrazionale, al dramma della sua coscienza. L’apparente normalita` delle pratiche quotidiane della professoressa viene subito incrinata da alcuni segni che corrispondono all’intrusione del disordine nell’ordine della sua vita e dei suoi pensieri; il quadro storto, la cucina guasta, il motore ingolfato dell’auto sono tutte sottili allusioni all’instabilita`, all’incertezza del caso in seno all’evidenza della logica. Una zona d’ombra occupa la mente di Zofia e la macchina da presa di Kieslowski comincia lentamente a scavare negli sguardi, nei gesti inconsapevoli della protagonista. Il seminario di filosofia morale costituisce il primo polo d’attrazione del film, perche´ sintetizza il percorso etico del Decalogo, nella proposta di rilettura delle vicende di Dorota e soprattutto nel tentativo di individuazione delle motivazioni della donna. Rispetto ai comportamenti dei protagonisti di Decalogo, 2 non viene formulato alcun giudizio, nessuna condanna, si cerca soltanto una possibile interpretazione individuale del carattere della loro condotta. Il senso del Decalogo e` tutto in questa ricerca interiore delle cause dell’agire umano, nell’esposizione di alcuni segmenti di riflessione che diventano la traccia di percorsi piu` complessi, ai quali Kieslowski spinge lo spettatore attraverso le infinite traiettorie del suo sguardo. Le lunghe carrellate sugli studenti manifestano l’attenzione del regista all’altro, al destinatario del messaggio, nel tentativo di stabilire una comunicazione autentica, produttrice di significato. Tra i volti degli studenti compare anche quello di Artur Barcis che, in un estenuante piano-sequenza, lega i visi delle due protagoniste, riunendo simbolicamente i loro destini. Al racconto delle vicende dei protagonisti di Decalogo, 2 segue quello di Elzbieta, ed e` a questo punto che Kieslowski sembra confondere le carte. Prima di cominciare Elzbieta fa una premessa: «La mia storia ha un difetto, e` accaduta nel passato, ma

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possiede un pregio, e` una storia vera». La verita` della vita viene messa a confronto con la finzione della verita` (o forse la verita` della finzione) di Decalogo, 2 in un nodo inestricabile di echi e corrispondenze, di dubbi e certezze. Kieslowski sembra quasi smascherare il suo gioco, sembra richiamare lo spettatore all’urgenza della vita, alla complessita` del reale, ma resta comunque l’ambiguita` di una messa in scena avvincente. L’incontro tra le due donne diviene l’occasione per affrontare il passato, per risolverlo nella speranza del perdono. Le due protagoniste si recano sul luogo dell’infamia, dell’umiliazione, e Zofia in un attimo rivive l’ossessione di tutta una vita; dalla perdita di Elzbieta (nascosta dietro il portico), alla angosciosa mancanza (che si traduce nella drammatica ricerca all’interno del palazzo), fino al ritrovamento improvviso (Elzbieta e` seduta in macchina). Il portico diventa quasi un ‘labirinto etico’, all’interno del quale si compie un movimento doppio, di Elzbieta verso Zofia e di Zofia verso Elzbieta, preludio al chiarimento definitivo. La casa di Zofia costituisce lo scenario di un’altra riflessione sul significato dell’esistenza, che si lega ai contenuti del seminario in una perfetta simmetria; Zofia descrive la natura del suo rapporto con Dio, e le sue parole illuminano retrospettivamente il senso del primo episodio, del primo comandamento: «io non uso la parola Dio, ma si puo` non avere dubbi anche senza usare la parola. L’essere umano e` libero, libero di scegliere, e se lo vuole, puo` anche scegliere di lasciarsi Dio dietro le spalle. – E al suo posto? – Qui in terra la solitudine, e la` poi...». Ancora prima di parlare di Dio, Zofia chiarisce a Elzbieta il metodo del suo insegnamento, in cui e` senz’altro adombrata la morale di tutto il Decalogo, e forse l’etica dello stesso Kieslowski. Zofia spiega ad Elzbieta che ai suoi studenti non dice come devono vivere, ma si limita a metterli in condizione di arrivare da soli al bene (e` quello che Kieslowski fa con lo spettatore); poi continua: «il bene io sono convinta che esista in ognuno di noi, le situazioni ci spingono al bene o al male». Impossibile non riconoscere in queste parole il significato di ogni episodio della serie, la dialettica del bene e male, dell’ombra e della luce come condizioni di accesso al mondo. Zofia ed Elzbieta hanno bisogno l’una dell’altra per venire al fondo del peccato originale che le separa, il senso del loro incontro e` la memoria riconquistata, il riconoscimento del loro reciproco esistere, da cui resta fatalmente escluso il sarto, l’uomo che nel lontano 1943 avrebbe dovuto adottare Elzbieta, l’unica vera vittima della falsa testimonianza di Zofia. Il sarto rimane ai margini della storia, compare solo nel finale, stretto in un silenzio doloroso e inconfessabile, ancora piu` pregnante dei discorsi e della maieutica di Zofia, perche´ legato alla sconfitta della vita, al vuoto della coscienza e della Storia, punto irriduci-

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bile dell’ingiustizia del mondo, per cui «alcuni possono salvare e altri solo essere salvati».22

. Decalogo, : la linea spezzata del desiderio Decalogo, 9 costituisce probabilmente l’esperimento formale piu` ardito di tutta la serie, per l’allusivita` delle analogie tematiche, per la moltiplicazione delle figure stilistiche, per la purezza della linea strutturale. La camera di Kieslowski riesce a penetrare la lacerazione tra anima e corpo, e invita a contemplare, con giustezza e compassione, il mistero dell’amore e della sofferenza. Il film si apre con una diagnosi, l’impotenza di Roman, una constatazione clinica che non lascia spazio alla speranza, al dubbio di una possibile guarigione, e che fa precipitare il personaggio in una spirale di frustrazione e desiderio. La moglie di Roman, Anna, prova a convincerlo che «e` in fondo al cuore che si trova l’amore, non in mezzo alle gambe», ma l’uomo ha paura di ammettere i propri sentimenti, preferisce rifugiarsi nel suo dolore, e addirittura invita la moglie a trovarsi un amante. Il tradimento di Anna, scoperto da Roman in seguito a pedinamenti e intercettazioni telefoniche, e` solo l’aneddoto, il pretesto della storia. «La gelosia che prova il personaggio principale e` il vero soggetto, l’impurita` del pensiero»23, che diviene un dubbio angoscioso, una tensione insopportabile. L’identita` del destinatario del comandamento, Non desiderare la donna d’altri, e` ambigua: si tratta di Mariusz, l’amante di Anna, una donna sposata, o di Roman che desidera la sua donna, che ormai e` di un altro? La duplicita` dei due protagonisti, la doppiezza dei loro sentimenti, non esclude, malgrado tutto, la speranza di una riconciliazione: un legame piu` forte della sola presenza fisica sembra unirli, l’amore. Una donna si sveglia di scatto, nella notte. Chiama il marito, Roman, ma non c’e` nessuno. Roman, in primo piano, `e da un medico amico suo, a Cracovia. La donna `e scesa in cortile, i suoi capelli sono mossi dal vento. Roman chiede al suo amico di dirgli la verita`, lui gli comunica la diagnosi: restera` impotente. La donna si aggira per casa, la macchina da presa inquadra una bottiglia di vetro, poggiata su un tavolo, poi si sofferma sul telefono. Roman discute ancora con il suo amico, poi, sulla via del ritorno, la sua auto sbanda, uscendo di strada. 22

Si tratta di una battuta di Elzbieta, ripetuta due volte: la prima subito dopo la conclusione del seminario, quando incontra Zofia nel corridoio, la seconda nell’auto di Zofia dopo la visita al vecchio stabile, luogo del dramma del 1943. 23 K. Kieslowski, Le De´calogue: entretien avec Krzysztof Kieslowski, par Michel Ciment et Hubert Niogret, in «Positif», n. 346, dicembre 1989, pag. 40.

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Il parabrezza dell’auto `e diviso obliquamente da un fascio di luce, Roman `e sconvolto, sbatte violentemente il pugno sul volante, poi china la testa, poggiandola sullo sterzo; passa un uomo in bicicletta, di spalle, si volta, `e Artur Barcis. Barcis osserva Roman, quindi si allontana. Roman ha il capo reclinato, improvvisamente si apre il cruscotto, piano fisso. E` notte, piove, l’auto di Roman si ferma nel cortile del condominio, la scena viene inquadrata dall’alto. Roman `e di profilo, si gira verso destra, vede un balcone illuminato, apre il portabagagli dell’auto, prende la valigia, inquadratura dall’alto. Si avvicina, lento, al pianerottolo, indugia, compare l’immagine della moglie, riflessa sul vetro della porta, la macchina da presa si sofferma sul primo piano dell’uomo sotto la pioggia. Roman `e di profilo, si volta, cammina, appena illuminato dalla luce dei lampioni, appare la sagoma scura della moglie, che gli viene incontro. Entrano nel pianerottolo, `e buio, aprono una porta, dentro l’ascensore la luce li illumina alternativamente, creando un effetto di grande intensita`. Roman `e in bagno, la sua immagine `e riflessa nello specchio, Anna, sua moglie, cerca di asciugarlo. A tavola, Roman vuole ad ogni costo parlare di cio` che ha saputo, Anna preferisce farlo dopo, e gli chiede notizie e particolari del viaggio. Primo piano della donna, di profilo, `e a letto, Roman entra rapidamente in camera, poi si chiude in bagno, guardandosi allo specchio. Sono a letto, vicini, Roman confessa la sua impotenza, Anna dapprima rifiuta di crederci, tiene il suo viso tra le mani, poi si scosta, gli domanda se la ama, lo accusa di aver paura di dichiarare i suoi sentimenti, ma «l’amore non `e un po’ di ginnastica a letto una volta la settimana». Roman, in un primo piano ravvicinatissimo, le consiglia di trovarsi qualcun altro, lei nega di aver gia` un amante, poi afferma che non `e necessario dirsi tutto. La macchina da presa inquadra i due personaggi di scorcio, da dietro la porta, si abbracciano, Anna si stringe al marito, lui le accarezza le cosce. Sono ancora a letto, girati sul fianco destro, la macchina da presa inquadra soltanto gli occhi, non dormono, parlano di come sarebbe piu` facile affrontare tutto se avessero dei figli. E` mattina, Roman sale sull’auto, `e ripreso dall’alto, da dietro un vetro; Anna apre la finestra, si salutano. Un giovane biondo si avvicina a piedi al palazzo, Roman lo osserva, nascondendosi dentro la macchina, lui si allontana. Roman posteggia la macchina, aiuta un professore a fare benzina con un imbuto. Cammina per un corridoio in compagnia di una ragazza, accendono una sigaretta, parlano di musica, di un certo Van Den Budenmayer. Lei `e cardiopatica, ha una bella voce, ma non puo` cantare per via della malattia, la madre vuole a tutti i costi farla operare, `e decisa a farla diventare famosa. La giovane non ha grandi pretese, le basta continuare a vivere. La ragazza si allontana lungo il corridoio, la camera indugia sulle sinuosita` del suo corpo, Roman la guarda con desiderio. Primo piano su un disco, si sente una voce struggente, Roman sembra fissare qualcosa, `e attento; squilla il telefono, risponde, si sente fuori campo la voce di un giovane, che chiede di parlare con Anna. Roman risponde che non `e ancora tornata, nel frattempo la vede arrivare dalla finestra. Inquadratura su una bottiglia trasparente, Roman si copre gli occhi con le mani, `e preoccupato, Anna entra nella

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stanza, Roman si volta, le comunica che l’hanno cercata, la donna chiede cosa sta ascoltando, un disco di Van Den Budenmayer. Anna ha portato a Roman un regalo, `e una giacca, l’uomo la indossa, compie dei gesti strani, quasi stesse sfilando, suona il telefono. Anna risponde, `e la stessa voce ascoltata in precedenza, lo stesso uomo, `e confusa, parla quasi a monosillabi, imbarazzata. Roman, in primo piano, ascolta teso la voce fuori campo della moglie. La macchina da presa inquadra un saldatore, Roman sta creando un collegamento con il telefono, questo squilla ancora, Roman maneggia delle pinze, poi con un auricolare ascolta le voci fuori campo di Anna e di sua madre. Roman `e seduto, il suo sguardo fissa il telefono, l’inquadratura si allarga, `e in ospedale, entra la ragazza cardiopatica. Roman prova ad intonare il motivo di Van Den Budenmayer, la ragazza fa sentire la sua voce straordinaria, il volto di Roman `e teso, concentrato sul particolare delle mani della giovane posate delicatamente sulle ginocchia. Roman `e in macchina, inquadratura dall’alto, fa retromarcia, si apre lo sportello del cruscotto. Qui trova un quaderno di fisica di un giovane studente, un certo Mariusz. La macchina si ferma vicino ad un cassonetto, Roman butta il quaderno, l’inquadratura `e dall’alto, da dietro una finestra; sopraggiunge una vecchietta che scarica dei rifiuti, Roman decide di recuperare il quaderno, lo ripulisce un po’, quindi lo ripone nel cruscotto. Roman `e a casa, entra nella camera da letto, Anna sta ancora dormendo, la sua schiena `e scoperta; Roman rovista nello zaino della donna, estrae degli oggetti, una rubrica, un foglio su cui trova scritto un numero di telefono, ripone tutto nello zaino, posa la borsa in camera, poi esce. E` in bicicletta, particolare dei raggi, il suo volto `e affaticato, scende dei gradini, attraversa un ponte, si ferma subito prima di uno scivolo, fissa il fiume, scende, l’acqua `e bassa, non accade nulla. Anna si sveglia di scatto, si guarda intorno, Roman si bagna il viso con l’acqua, `e angosciato. Anna scende dall’auto per recarsi al lavoro, poi torna indietro, Roman `e ancora lı`, lei si avvicina, gli chiede di andare a casa della madre, in partenza, per prendere alcune cose che voleva portare con se´, lui si fa consegnare le chiavi di casa. In primo piano le chiavi, dentro la macchina apposita di duplicazione, sembrano identiche, Roman `e soddisfatto. La sua auto si ferma davanti ad un cancello, si apre il cruscotto, il quaderno non c’e` piu`. Anna `e al lavoro, si aggiusta i capelli, Roman entra nella casa della madre di Anna, la macchina da presa lo inquadra da sotto un tavolino di vetro, trasparente, Roman trova il quaderno di fisica di Mariusz, scopre le lenzuola del letto. Anna prende dalla borsa il foglio su cui `e scritto un numero di telefono, compone il numero, risponde una voce maschile, fuori campo, Anna chiede al ragazzo di non chiamarla a casa, lui `e d’accordo, le chiede se ha gia` visto la cartolina che le ha mandato a casa della madre. Dopo aver riattaccato, Anna compone un altro numero, Roman, ancora dalla suocera, fa lo stesso; risponde una donna, lui chiede di Mariusz, dopo un attimo il ragazzo risponde, fuori campo, Roman riconosce la voce, poi chiude. Anna telefona a Roman, gli dice di aver trovato occupato, gli raccomanda di non frugare in giro per casa, alla madre da` fastidio. Roman scende le scale, sta per uscire, torna indietro, controlla la posta e trova una cartolina mandata alla moglie da Mariusz,

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di cui la macchina da presa inquadra solo il dorso, Papa Wojtila con le mani sugli occhi, a formare un binocolo. Roman `e dalla moglie, le consegna le chiavi della macchina, lei chiede se ha visto la posta, lui dice di no, poi esce. Una macchina, inquadrata dall’alto, si ferma, esce Roman che osserva una finestra illuminata, in cui si intravedono delle ombre. Primo piano di Anna, sta facendo l’amore con Mariusz, `e triste, piange, Roman `e seduto sulle scale, i suoi occhi sono illuminati da una luce tenue. Mariusz esce dalla casa, Roman sta per aprire la porta, si scosta di scatto, Anna esce, scende le scale, Roman la segue; Anna esce dal cancello, entra in macchina, lascia la borsa sull’auto, reclina la testa sul volante, si accendono i fari, si sente il rumore del clacson, la macchina da presa si sofferma sul particolare della luce del faro. Roman `e in bagno, seduto accanto allo specchio; Anna si ferma sulla porta, lui le chiede una formula chimica sul galleggiamento dei corpi, lei la completa. Il volto di Anna `e in primo piano, a sinistra del quadro, sulla destra lo specchio riflette l’immagine di Roman che parla con Anna, di spalle. La donna lo accarezza, lui le urla di lasciarlo, poi si scusa, sostenendo di aver avuto un’operazione difficile in ospedale. Anna alza il volume della televisione, su cui scorrono le immagini di un cartone animato, telefona, ha l’agenda in mano, primo piano di Roman, che ascolta con l’auricolare la telefonata. Anna prende un appuntamento con il giovane amante per giovedı`, Roman `e teso, si copre gli occhi con le mani. Anna `e a casa della madre, l’immagine `e ripresa da dentro l’armadio, dove `e nascosto Roman, non visto. Suona il campanello, `e Mariusz che prova ad avvicinarsi ad Anna, a baciarla, ma la donna si ritrae, gli dice che non si vedranno piu`, il giovane chiede spiegazioni, `e disposto a vederla anche senza andare a letto, compare il volto di Roman dentro l’armadio, Mariusz esce. Anna si appoggia ad una sedia, sospira, spegne la luce, si accorge della presenza di Roman, si avvicina all’armadio, il suo sguardo `e fermo, Roman chiude gli occhi, Anna urla contro di lui, la sua voce `e dura, Roman china la testa, si copre le orecchie con le mani, come se non volesse ascoltare i rimproveri della moglie. Suona il campanello, `e di nuovo Mariusz, Anna apre la porta, lui le dice di divorziare dal marito, `e pronto a sposarla. Anna chiude l’anta dell’armadio, Roman non c’e`, vede dietro la tenda, la macchina da presa segue i suoi movimenti nervosi, Roman `e in bagno, appoggiato al lavandino, Anna vorrebbe abbracciarlo, ma il suo corpo `e pesante, come impietrito. La donna lo stringe a se´, piange, ammette la necessita` di dirsi tutto, parla della possibilita` di adottare un figlio. Roman le consiglia di partire per un po’, l’immagine `e ripresa in scorcio, la porta si chiude. Primo piano su un paio di scarponi, Roman sta comprando degli sci per la moglie. Anna `e al lavoro, le si avvicina qualcuno che le chiede informazioni per l’Australia, `e Mariusz, la donna infastidita lo affida al suo collega. Alla stazione, Anna `e sul treno, da` a Roman delle informazioni sull’adozione, adotteranno una bambina, si salutano, il treno parte. Primo piano della ragazza cardiopatica, l’operazione `e andata bene. La macchina da presa riprende dall’alto una bambina che gioca, poi una bottiglia di latte, Roman `e a casa, si avvicina alla finestra, osserva la bimba sorride. E` in auto, sta posteggiando, si

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gira a sinistra, vede Mariusz accanto ad una macchina con degli sci sul portapacchi, il giovane entra nell’auto e parte. Roman telefona a casa di Mariusz, risponde una donna, lui chiede del ragazzo, la donna, fuori campo, gli dice che Mariusz `e andato a sciare. Anna `e in fila, di spalle, vicino agli ski-lift, una voce fuori campo la invita ad un spettacolo, `e Mariusz che l’ha raggiunta. Anna si allontana di corsa, telefona in ospedale per avvertire Roman del suo immediato rientro, la segretaria la informa che il marito `e rimasto a casa, Anna la prega di riferirgli il messaggio. Primo piano del telefono, Roman `e a casa, lascia una busta proprio sopra il telefono, Anna prova a telefonare, non riesce a prendere la linea, Roman esce da casa, il telefono squilla, non risponde. Anna sale sul pullman, la macchina da presa inquadra un uomo in bicicletta, Roman lo supera e si immette nella corsia di sinistra, l’uomo, Artur Barcis, `e in quella di destra, Roman respira faticosamente, la camera riprende la striscia bianca dell’asfalto, Anna ha gli occhi chiusi, Roman precipita con la bicicletta, cadendo rovinosamente a terra. Primo piano del volto di Anna, Roman `e a terra, accanto a lui c’e` il personaggio misterioso, la macchina da presa si sofferma sui raggi della bici, poi sulla linea dell’asfalto. Anna `e a casa, chiama Roman, inquadratura del telefono su cui `e appoggiata una busta con su scritto “Anna”. Anna si avvicina, si siede, guarda la busta, si alternano le immagini di una stanza di ospedale, gli infermieri, un’inquadratura deformata su Roman, con la testa fasciata, il corpo ingessato. Anna legge la lettera, immobile, si dispera, Roman detta alla infermiera un numero telefonico, prova a muoversi, la donna gli avvicina il telefono. Si sente uno squillo, una testa bionda si solleva, `e Anna, distrutta, con il trucco sbavato, risponde, si sente la voce di Roman che pronuncia il nome della moglie, lei domanda «Sei tu?», Roman, in primo piano, le risponde «Sono io». L’episodio si sviluppa attraverso un continuo gioco di immagini, e di immagini di se´, di aperture e di oppressione: «si tratta di inquadrare l’altro per fermarlo nello spazio del desiderio e della rappresentazione».24 La messa in scena di Kieslowski assembla, disgrega, definisce e confonde gli oggetti della visione individuale, «l’uso della sfocatura segna nei due protagonisti il limite della capacita` di vedere l’altro»25. Straordinaria, in questo senso, la fotografia di Piotr Sobocinski (che aveva gia` realizzato Decalogo, 3) nel restringere gli spazi, le inquadrature, i corpi attraverso la luce, nel moltiplicare i riflessi, gli echi, le corrispondenze tra i due personaggi in un prolungato intreccio di false apparenze e inganni. «Verita`/menzogna, speranza/disperazione, tutto il film traduce in una dicotomia visuale e sonora questa lacerazione interiore e divorzio esterio24 25

Vincent Amiel, op. cit., pag. 166. Serafino Murri, op. cit., pag. 127.

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re».26 La concentrazione degli spazi della visione sembra incapace di contenere la dispersione degli esseri, l’emorragia della coscienza, delle emozioni, per cui la forma filmica segue una logica binaria, dell’alternanza e dell’opposizione, di luci, di volumi, di suoni, all’interno della quale si dissolve l’integrita` dei personaggi, l’unita` della coppia. Roman e` coinvolto negli ingranaggi di un racconto d’adulterio, in cui si sovrappongono presentimenti, sospetti, indagini, rivelazioni, suicidio; Anna vuole vivere una storia d’amore in cui ogni gesto, ogni parola testimonino la sollecitudine, la tenerezza di un sentimento ritrovato. La vertigine del silenzio, del vuoto comunicativo tra Roman e Hanka e` ripetutamente interrotta dal suono squillante del telefono, che si pone come vertice delle triangolazioni affettive tra i personaggi intrecciando le vere e false piste, in un accumulo di suspense e fraintendimenti. Il telefono diviene, pertanto, un oggetto della distanza, il perfetto dispositivo sonoro di una messa in scena ambigua ed estatica, la funzione semiologica di voci senza corpo, di immagini acustiche prive di senso, perche´ intercettate, fraintese. Il ritmo del racconto e` serrato, veloce, si susseguono inquadrature enigmatiche e immagini reticenti, in una progressione incessante di verita` e incertezze. La storia conosce, pero`, una pausa imprevista quando Kieslowski ci immette nell’armadio (dentro il quale Roman aveva spiato la moglie) dove non c’e` piu` nessuno, e «ci invita a domandarci qual e` il nostro sguardo di spettatore, qual e` la parte di pudore e concupiscenza che entra nel nostro rapporto con le immagini»27. Una riflessione simile e` indotta dalla presenza di Artur Barcis, il personaggio misterioso, nel momento culminante della vicenda, quando Roman disperato accarezza l’idea del suicidio; Barcis diviene testimone della caduta col suo guardare «ambiguo e sovrumano al tempo stesso».28 E` proprio nella sequenza del tentato suicidio di Roman che si compie il definitivo ricongiungimento dei due protagonisti: la linea bianca discontinua che segue Roman, in bicicletta, marca sull’asfalto il dubbio e la fede in sua moglie, il suo desiderio di vita e di morte, e il ponte, da cui precipita l’uomo, sembra quasi una immensa striscia di terra, alternata al vuoto. Questa linea di vita interrotta viene raccordata tramite un effetto di montaggio con la linea continua doppia della strada di montagna percorsa dal pullman sul quale viaggia Anna, e sembra, quindi, unire nuova26

Thomas Bourguignon, De´calogue, 9 Alternative, alternance, in «Etudes Cine´matographiques», Krzysztof Kieslowski, n. 203-210, Lettres Modernes, Paris, 1994, pag. 110. 27 Ivi, pag. 109. 28 Serafino Murri, op. cit., pag. 127.

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mente il destino di Anna a quello di suo marito come un tenue filo di speranza. Se gli sguardi non legano piu` gli esseri il ‘miracolo’ del montaggio permette alla donna di ritrovare suo marito in absentia, all’interno di una rappresentazione che diviene il luogo simbolico del desiderio, della messa in relazione degli individui, della ricerca dell’altro. Decalogo, 9 e`, dunque, una tragedia ottimistica, in cui per un attimo si ricompone la frammentarieta` e la dispersione del mondo del Decalogo, nella riscoperta di un legame invisibile tra i protagonisti, capace di sostituire la mancanza del corpo, di colmare il silenzio degli sguardi. Questo episodio prefigura gli sviluppi del cinema di Kieslowski, rappresenta una sintesi straordinaria dei temi, e delle forme, delle opere successive del regista. La ragazza cardiopatica anticipa l’ambiguita` e il fascino di Weronika/Veronique, nella fragilita` del suo essere e nella estrema sensibilita` del suo animo, nella sua enigmatica affermazione «so di essere in un’altra persona» che non puo` non richiamare la dualita`, la duplicita` de La doppia vita di Veronica. Un altro elemento interessante e` certamente il riferimento ai Lieder del musicista olandese del XVIII secolo Van Den Budenmayer, cantati dalla ragazza cardiopatica, un fantomatico compositore dietro il quale si cela la musica di Preisner, e che tornera` anche ne La doppia vita di Veronica e in Film Rosso, in una sorta di gioco divertito con lo spettatore. Numerose le corrispondenze tematiche con i film della Trilogia: il tentato suicidio e la scoperta del tradimento saranno alcuni degli elementi di Film Blu, l’impotenza sessuale strutturera` le vicende di Film Bianco, la presenza ossessiva e inquietante del telefono verra` sviluppata in Film Rosso. Non si tratta di semplici coincidenze ma della manifestazione di una volonta` precisa, di una sensibilita` poetica, di uno sguardo che non smette mai di interrogare se stesso e i propri oggetti.

. Decalogo, : la straniante sinfonia del possesso «Ma come succede che un uomo puo` avere tanta voglia di possedere qualcosa?», si chiede uno dei protagonisti dell’episodio, dopo aver scoperto la straordinaria collezione di francobolli del padre defunto, e questo interrogativo attraversa tutto il racconto per poi annullarsi in una brama grossolana che scopre l’assurdita` del suo oggetto e la verita` del desiderio. Il rapporto con il dettato morale del comandamento, Non desiderare la roba d’altri, e` ancora una volta incontestabile e oscuro; la confusione dei simboli e la confusione narrativa manifestano la confusione dei valori, che richiama e rifiuta una legge assoluta. Due fratelli, Jerzy e Artur, si incon-

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trano dopo tanto tempo in occasione del funerale del padre, un famoso collezionista, che compare soltanto in Decalogo, 8, in due incontri fugaci con la vicina Zofia, alla quale mostra una serie di tre francobolli, degli Zeppelin, che avranno un ruolo importante all’interno della vicenda. Jerzy e Artur sono molto diversi: Jerzy e` un padre di famiglia anonimo, insoddisfatto, Artur e` il cantante di un gruppo punk-rock, un anticonformista, uno spirito libero. I due si ritrovano eredi inconsapevoli di una fortuna, una rarissima collezione di francobolli alla quale il padre ha sacrificato la famiglia e una vita intera. Dopo le prime incertezze, i due fratelli si lasciano conquistare dalla passione, dalla inutile smania del possesso, e finiscono col commettere lo stesso errore del padre, rinunciando alla loro liberta`, a se stessi. Un ragazzo si dimena sul palco di un concerto rock, un uomo si sbraccia tra la folla, sembra chiamare qualcuno. Il ragazzo canta con veemenza, l’uomo si fa largo tra un ammasso di gente, chiama il cantante; piano fisso sull’interno di una stanza, la macchina da presa zuma su un acquario, i pesci morti galleggiano in superficie. Primo piano di un uomo che officia un rito funebre, si alternano i piani dei due uomini inquadrati in precedenza, il cantante, Artur, e il fratello Jerzy, riuniti per il funerale del padre, famoso collezionista di francobolli; la bara viene deposta sottoterra. Una mano cerca di aprire una serratura, prova diverse chiavi, Jerzy non trova la chiave giusta, Artur riesce ad aprire, scatta l’allarme. Entrano nella stanza, un ambiente minuscolo e lurido, Jerzy solleva le lenzuola di una branda, si avvicinano all’acquario, Artur prova ad aprire la finestra, `e inchiodata. Jerzy toglie un lucchetto e apre un armadio di ferro, la macchina da presa fa una carrellata su libri, album di francobolli, medaglie-premio di concorsi filatelici, Jerzy `e sorpreso; Artur trova una bottiglia di vodka, i due fratelli brindano al padre scomparso. Artur si interroga sul valore della collezione, Jerzy ricorda con disappunto i sacrifici e le sofferenze della madre, le loro prolungate difficolta` economiche. Jerzy `e nell’appartamento del padre, fa un po’ di pulizia, trova dentro un armadio dei ritagli di giornale su Artur, vecchi articoli sulla carriera artistica del fratello, butta dei panni, poi entra un uomo, zoppo, con i baffi, che dice di essere un creditore del padre, chiede una cifra di denaro, `e disposto anche ad accettare dei francobolli in cambio dei soldi. L’uomo si informa circa le intenzioni riguardo alla collezione, arriva anche Artur, con una bottiglia di vodka, l’uomo esce, concede un po’ di tempo per recuperare la somma. Jerzy mostra i ritagli di giornale ad Artur, il ragazzo `e stupito, in fondo non aveva grandi rapporti col padre; primo piano su un album di francobolli, Jerzy vuole provare ad informarsi sul valore della collezione presso uno dei mercati nazionali di filatelia. Artur gli mostra una serie di francobolli colorati, tre Zeppelin tedeschi degli Anni Trenta, gli consiglia di regalarli al figlio.Un taxi si ferma di fronte ad un palazzo, Jerzy scende dall’auto, indica al fratello la propria casa, i due si salutano, sono felici di essersi rivisti dopo due anni. Primo piano di Jerzy, entra in casa, la moglie `e in cucina,

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di spalle, l’uomo si scusa per il ritardo, la donna `e distaccata, sembra non dargli ascolto, lui si scusa nuovamente, poi sale dal figlio. Primo piano sui tre francobolli, Jerzy li consegna al figlio, da parte del nonno, poi spiega al bambino che il nonno `e morto, che ci sono stati i funerali; il bambino `e gia` stato avvertito dalla madre, ha gia` pianto per il nonno, e dice al padre che la mamma ha gridato tutto il giorno, `e seccata con lui. Carrellata sui banconi del mercato filatelico, la sala `e affollata, Artur sale le scale, entra nella stanza, si avvicina a uno degli stand, chiede delle informazioni, l’uomo gli chiede se `e il figlio del collezionista da poco scomparso, e gli comunica che il presidente dell’associazione filatelica vuole incontrarlo. Artur parla con il presidente, lo stesso uomo che ha officiato la commemorazione funebre del padre, l’uomo vorrebbe fare visita ai due fratelli nell’appartamento del padre. Il presidente `e nella stanza, osserva i francobolli, si alternano i primi piani di Jerzy e Artur, sfoglia un album descrivendo l’immenso valore della collezione, i due fratelli sono sbalorditi. Si tratta di una collezione del valore di decine di milioni, il padre l’aveva gia` assicurata, il presidente afferma che sarebbe un crimine vendere tutto, significherebbe tradire la memoria e il lavoro del padre, poi esce, Jerzy e Artur sono sconvolti. Jerzy sale le scale, il figlio gli viene incontro, gli dice che la mamma lo cercava, lui gli consegna il disco del gruppo rock di Artur con tutti gli autografi e una dedica di Artur, entrano nella stanza del bambino, sul tavolo c’e` una montagna di francobolli con cui ha barattato i tre Zeppelin, Jerzy `e seccato. Un ragazzo biondo passeggia in una piazza, in macchina ci sono Jerzy e il figlio, il bambino indica al padre il ragazzo, `e stato lui a proporgli lo scambio. Jerzy va incontro al giovane, si allontanano insieme, lo aggredisce, fino a fargli uscire sangue dal naso, costringendolo a confessare l’indirizzo dell’acquirente della serie. Jerzy entra nella bottega del ricettatore, accende una sigaretta, chiede dei francobolli, l’uomo finge di non capire, poi alla richiesta di acquisto di Jerzy, prende i francobolli da dentro una cassetta di sicurezza, e glieli offre per 240.000 zloty. Jerzy dice all’uomo che tornera` con la polizia, il ricettatore lo invita a telefonare, Jerzy comincia a comporre il numero, ma l’uomo gli mostra una falsa ricevuta d’acquisto in cui si dichiara che i francobolli sono stati regolarmente venduti da uno straniero, Jerzy depone la cornetta. Jerzy `e nel backstage durante un concerto del fratello; questi gli si fa incontro, riuscendo con difficolta` a staccarsi dalla presa di una ragazza. Jerzy chiede ad Artur un aiuto per recuperare il denaro da consegnare al creditore, Artur potrebbe vendere l’amplificatore, non vuole toccare i francobolli, Jerzy `e d’accordo con lui. Un pullman con la scritta ‘City Death’ in evidenza, `e il nome del gruppo di Artur, si ferma in uno spiazzo, scende Artur, ancora bloccato dai baci di una ragazza, saluta; `e in strada, vede la luce accesa in corrispondenza della finestra dell’appartamento del padre, delle ombre, la luce si spegne, spezza il fusto di un albero, sale con circospezione le scale. Si avvicina cautamente alla porta, la sfonda, Jerzy `e seduto alla scrivania, sorride per il gesto del fratello. Artur svuota lo zaino, ha deciso di trasferirsi nell’appartamento, ha paura per la collezione. Jerzy mostra ad Artur due francobolli, uno giallo, l’altro azzurro, una serie

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unica, incompleta, in cui manca il terzo elemento, il ‘Mercurio rosa’. Primo piano sui francobolli, Jerzy segue col dito gli appunti di un quaderno del padre, in cui sono contenute le informazioni del francobollo mancante, si alternano i primi piani dei volti di Artur e Jerzy. Artur alza in alto le mani, misura l’altezza del balcone dell’appartamento, osserva, studia insieme a Jerzy delle misure di sicurezza contro i ladri. Jerzy comunica al fratello di provare una strana sensazione, come se i suoi problemi fossero improvvisamente spariti, Artur ricorda le emozioni dell’infanzia, Jerzy solleva le spalle, il suo volto ha una strana espressione. Artur chiede al fratello un francobollo, ha in mente qualcosa. Una mano srotola un foglio di giornale, mostra un francobollo, Artur, fuori campo, ne chiede il valore, il ricettatore lo osserva con una lente di ingrandimento, consulta un catalogo, comincia a contrattare, offrendo una cifra molto inferiore al valore reale del pezzo, si accordano per 4.000 zloty. L’uomo prende i soldi da una cassetta, Artur estrae dalla tasca del giubbotto un registratore con cui ha registrato la conversazione, il ricettatore `e sorpreso e preoccupato, Artur offre sarcasticamente all’uomo la cassetta e chiede in cambio gli Zeppelin, il ricettatore va a prenderli dentro una cassaforte. Jerzy bussa con insistenza alla porta dell’appartamento, si sente un cane abbaiare, Artur gli chiede di aspettare un momento, poi apre la porta. La chiave di Jerzy non apre perche´ Artur ha cambiato la serratura, ha anche comprato un cane, su suggerimento di un amico. Artur fa uscire il cane dal bagno, lo lega a un mobile; `e un grosso alano nero, Jerzy si allontana, ha paura, poi decide di prendere confidenza con l’animale, prova ad accarezzarlo, il cane lo assale. Jerzy racconta ad Artur di aver visto lo ‘zoppo’ nel palazzo, l’uomo ha affermato di avere degli amici nello stabile. Jerzy riesce a dare da mangiare al cane, poi lo accarezza, l’animale abbaia, sembra vivace. Artur comunica al fratello che il tizio del negozio di francobolli `e in gamba, e vorrebbe vederli. Artur e Jerzy sono dentro il negozio, si alternano i primi piani del ricettatore. L’uomo fornisce informazioni precise sul ‘Mercurio rosa’, sa chi ne `e in possesso, ma il francobollo non `e in vendita, bisogna barattarlo; chiede ai due fratelli di fare delle analisi del sangue e di incontrarsi un’altra volta. La macchina da presa inquadra il ricettatore mentre cammina in un parco, su una panchina sono seduti Jerzy ed Artur; l’uomo, in primo piano, guarda i risultati delle analisi, spiega le condizioni per recuperare il ‘Mercurio rosa’, si offre di dare loro il francobollo necessario al baratto in cambio di un rene per la figlia malata. La proposta riguarda Jerzy, l’unico dei due ad avere il gruppo sanguigno compatibile con la figlia, lui si alza, `e molto teso. Artur `e nell’appartamento del padre, ha le mani nei capelli, Jerzy non vuole accettare lo scambio, il fratello prova a convincerlo, in fondo si tratta di un gesto umanitario, Jerzy continua a camminare nervosamente per la stanza. Artur `e sul palco, insieme ad un ragazzo che prova una canzone con la band; il ragazzo si ferma, non `e convinto, chiede ad Artur di partecipare alla tourne´e, ma Artur deve andare via, scende dal palco, prende la giacca e si allontana. Artur cammina lungo il corridoio di un ospedale, bussa ad una porta, ha sbagliato, continua a camminare, esce un’infermiera da una stanza, lui la segue. Artur sporge la

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

testa dentro una stanza, l’infermiera lo riconosce, `e emozionata, chiede di poterlo toccare, avvicina la sua mano tremante al volto di Artur, lo accarezza, lo rassicura sulle condizioni del fratello. La macchina da presa inquadra le braccia di uno dei chirurghi sotto il rubinetto, primo piano di un medico che indossa la mascherina sterile per la sala operatoria, una mano chiude la serratura di una porta, volano dei vestiti e il cappello dell’infermiera, una fiamma ossidrica sega delle sbarre, particolare della sbarra incandescente, una infermiera pulisce il volto sudato di un chirurgo, una mano coperta da un guanto nero di pelle accarezza un alano, particolare di alcune bende intrise di sangue, seguono le immagini deformate di alcuni francobolli osservati attraverso una lente di ingrandimento. Jerzy e Artur escono dall’ospedale, Jerzy `e sorretto dal fratello, `e pallido ma dice di sentirsi bene, chiede del ‘Mercurio rosa’, Artur glielo mostra, Jerzy `e contento, il fratello comincia a piangere, racconta che durante l’operazione dei ladri li hanno derubati, si appoggia a Jerzy che `e sconvolto. Jerzy `e nell’appartamento, osserva gli armadi vuoti, la finestra con le sbarre segate, inveisce contro il cane, che se ne sta accucciato sulla branda. Jerzy `e nervoso, urla al cane di scendere, chiede al fratello se ha avvertito la polizia, suona il campanello. Entra il commissario, chiede a Jerzy se sta bene, dell’allarme, l’uomo confessa di averlo staccato perche´ suonava in continuazione, poi il commissario si allontana e gli lascia il suo biglietto da visita. Artur consegna a Jerzy il ‘Mercurio rosa’, `e giusto che l’abbia lui, poi va via, ha trovato un lavoro, vuole stare tranquillo. Primo piano di Jerzy, seduto in un locale, fuma nervosamente; si avvicina il poliziotto, si siede, Jerzy `e molto imbarazzato, sorride nervosamente, dice al commissario, balbettando, di controllare il fratello. Il poliziotto spiega a Jerzy che durante la sua operazione il fratello era con una infermiera, l’uomo si giustifica dicendo che crede possa essere stato uno degli amici di Artur, il commissario sale in macchina. Artur `e in compagnia del commissario, `e indeciso, confessa di temere che il fratello possa essere implicato nel furto, poi si pente, il poliziotto va via. Jerzy cammina dentro un ufficio postale, Artur si passa la mano sugli occhi, sembra un gesto di disappunto, Jerzy si avvicina a uno sportello, guarda dei francobolli, Tomek, il giovane protagonista di Decalogo, 6, gli illustra alcuni francobolli, Jerzy ne acquista tre. Artur cammina per strada, Jerzy esce dall’ufficio, guarda di fronte a se´, il suo volto ha un’espressione strana. Dall’altro lato della strada lo‘zoppo’ cammina tenendo al guinzaglio un alano nero, si ferma a parlare con il ragazzo che aveva truffato il figlio di Jerzy; l’immagine `e interrotta dal passaggio di un autobus, Artur assiste alla stessa scena, nel frattempo il ricettatore raggiunge il ragazzo e lo‘zoppo’, provenendo dalla parte opposta, anche lui tiene al guinzaglio un alano nero. Si alternano i primi piani di Jerzy, dei tre uomini, di Artur. Jerzy sta fumando una sigaretta, apre la porta dell’appartamento, `e buio, Artur `e lı` dentro, seduto davanti alla scrivania, Jerzy si avvicina, entrambi sono stupiti di vedersi. Jerzy confessa al fratello di aver sospettato di lui, Artur fa lo stesso, sulla scrivania sono poggiati tre francobolli, Jerzy prende dalla sua tasca tre francobolli

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identici, li mette di fronte agli altri, i due fratelli ridono divertiti, hanno di nuovo una serie. Su questa immagine si chiude il film. Un rein pour un rien29 (Un rene per un niente) e` il titolo di un articolo su Decalogo, 10, molto di piu` di un semplice gioco di parole, perche´ riesce ad esprimere l’assurdita`, la contraddittorieta` di una vicenda e, in senso lato, di tutto il mondo del Decalogo. Il dramma dell’esistenza, esplorato in ogni sfumatura e dettaglio negli altri episodi della serie, e` riproposto in Decalogo, 10 attraverso una composizione registica perfetta, capace di legare insieme delle relazioni antitetiche, metaforiche, metonimiche tali da giustificare la concatenazione dei piani, senza pero` produrre in maniera evidente il senso della storia. La forza del racconto e`, quindi, oscura e profetica, unisce ai modi della commedia i toni del dramma, in una straordinaria sintesi dei ‘materiali’ dell’intera serie. «La morte e` presente nei primi episodi. Si e` arrivati alla commedia per rischiarare questo insieme cupo. Ma questo film e` nero, delle cose terribili succedono ai personaggi ma noi ridiamo e le guardiamo freddamente perche´ non ci riguardano. E` uno degli elementi essenziali dell’humour: mostrare una tragedia dal punto di vista della commedia ».30 Le dichiarazioni di Kieslowski ci riportano allo spirito del film, una satira nera, che non nasconde la sua ambiguita` di fondo nella scelta di un finale ‘lieto’, nella ritrovata armonia tra i due protagonisti e nelle parole della canzone iniziale “Uccidi, ruba, commetti adulterio, picchia tuo padre...”, che motteggiano tautologicamente i comandamenti. L’ironia nasce dalla rappresentazione di una passione equivoca, la filatelia, in cui si scontrano l’assurdita` dell’oggetto, un francobollo, e la purezza del desiderio, e ancor piu` dal sacrificio che essa comporta, la rinuncia ad un rene, alla famiglia per Jerzy, alla musica per Artur. I due protagonisti vengono letteralmente fagocitati dalla passione per i francobolli, e Kieslowski riproduce la loro chiusura maniacale attraverso la descrizione minuziosa di ambienti sigillati, squallidi, vuoti, asfittici. I rapporti umani, la famiglia di Jerzy e il gruppo musicale di Artur, sono semplici variabili di un mondo che ha perso i contorni, che si riduce all’ossessiva conservazione di beni artificiali, in una durata e in un tempo indecidibili. Il rapporto tra tempo del racconto e tempo della storia risulta determinante in questo episodio, proprio per l’assenza di qualsiasi segno che permetta di misurare direttamente o

29

Yannick Mouren, De´calogue, 10 Un rein pour un rien, in «Etudes cine´matographiques», cit., pagg. 113-118. 30 K. Kieslowski in Le De´calogue: entretien avec Krzysztof Kieslowski, par Michel Ciment et Hubert Niogret, cit., pag. 41.

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indirettamente la durata della storia; la trasformazione dei due protagonisti, la loro distruzione mentale non possono essere percepite con esattezza dallo spettatore, e questo crea un forte effetto di disorientamento. La predilezione per i tagli del montaggio, caratteristica dell’attitudine cinematografica di Kieslowski, e` ancor piu` marcata in Decalogo, 10, «per rendere plausibile agli occhi dello spettatore l’azione progressiva della follia sui personaggi»31, quasi che la concatenazione rapida delle sequenze diventasse la forma filmica degli ingranaggi psicologici nei quali sono avvinti i due protagonisti. Kieslowski mette in atto una serie di procedimenti stilistici per accelerare e spezzare il ritmo del film, non fa uso di punteggiatura, crea degli effetti di rima visuale per concatenare tra loro delle sequenze consecutive (per esempio l’apertura di una cassaforte alla fine di una sequenza si lega all’apertura della porta blindata dell’appartamento nella sequenza successiva), determinando una continua sospensione del senso. A questo risultato contribuisce anche la colonna sonora, articolata in molteplici pattern percussivi e in continue variazioni su temi che appartengono a sequenze diverse, che sembrano rincorrersi all’interno del film, creando delle linee di comparazione e contemporaneita`, «puro ritmo di scansione della vicenda».32 L’intelligenza cinematografica di Kieslowski si manifesta soprattutto nella sequenza dell’operazione chirurgica, nell’estrema concisione del montaggio alternato che ricollega per analogia e vicinanza due avvenimenti previsti, l’operazione di Jerzy e l’avventura sentimentale di Artur, e uno impossibile da decifrare, il furto della collezione, denunciando l’eccessiva importanza assegnata a degli oggetti irrisori. L’andamento generale del racconto subisce, inoltre, una improvvisa apertura di significato in una delle immagini conclusive del film, quando compaiono sulla scena lo zoppo e il ricettatore accompagnati da un alano nero, simile a quello comprato da Artur, a sottolineare l’ipotesi, quasi la certezza, di un complotto ai danni dei protagonisti. Questa possibile interpretazione dell’opera non fa che accrescere, a posteriori, l’assurdita` della vicenda, l’inconsistenza e l’ironia del dramma, confermate pienamente dalla recitazione minimalista dei due attori, Zbigniew Zamachowski e Jerzy Stuhr (che ritroveremo ancora insieme, ancora una volta fratelli, in un’altra straordinaria interpretazione, in Film Bianco), costruita sulla mimica del volto, sulla base di gesti sottili e impercettibili modificazioni degli sguardi. Una struttura complessa, dunque, che mantiene invariata la prospettiva dell’in31 32

Yannick Mouren, art. cit., pag. 116. Serafino Murri, op. cit., pag. 131.

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tero progetto del Decalogo, nella rappresentazione di una casualita` ferrea e di una volonta` indecisa, di un mondo caotico e di una vita tormentata, di cui non resta che l’esclamazione finale di Jerzy, «E` una serie» (riferita ai tre francobolli acquistati contemporaneamente dai protagonisti, assolutamente uguali), e la risata divertita dei due fratelli a illuminare il grigiore di una vicenda di quotidiana follia. Decalogo, 10 non si conclude con una fuga di gas, come in un primo tempo avevano pensato gli autori, ma con una scena di ritrovata normalita`, nello sfatamento di quella che era stata una passione bruciante, totalizzante; puo` darsi allora, come sostiene Vincent Amiel,33 che «il Decalogo sia un inganno come l’eredita` del padre: non una fine, ma il pretesto di un’esperienza propria»; senza dubbio, pero`, «si tratta di erigere un’etica personale a partire dagli avvenimenti vissuti, e non di applicare solamente dei comandamenti prestabiliti».

33

Vincent Amiel, op. cit., pag. 119.

Appendice

La complessita` del ‘testo’ del Decalogo, determinata dal moltiplicarsi delle traiettorie degli sguardi, dall’accumulo di dettagli rivelatori, dal sovrapporsi dei piani da un episodio a un altro, non giustifica alcuna sovrapposizione, alcuno scambio nella lettura dell’opera. Ogni azione ermeneutica dovrebbe salvaguardare l’autonomia linguistica dei singoli film, nel rispetto dell’architettura globale del testo, delle corrispondenze interne, delle rime e delle assonanze della forma filmica. La sostituzione di Breve film sull’uccidere e Breve film sull’amore ai rispettivi Decalogo, 5 e Decalogo, 6, operata dalla maggior parte della critica, risulta pertanto ingiustificata e fuorviante nei confronti del dettato formale e sostanziale delle opere. Il Decalogo va considerato, infatti, come una macrostruttura temporale e tematica, all’interno della quale vengono a istituirsi dei legami di senso, delle analogie strutturali e simboliche, una circolarita` di immagini e figure inspiegabile se si prescinde dalla ‘lettera’ dei singoli episodi nella continuita` e vicinanza con gli altri film della serie. Ciascun Decalogo mantiene intatta l’integrita` del proprio testo, ma si apre ad eventuali ricorrenze, contaminazioni con altri episodi, a significare la flessibilita`, l’ambiguita` dello sguardo che li ha strutturati. La complessita` della lettura dei singoli film ha permesso solo in parte di individuare possibili corrispondenze tra le opere, ma e` certamente in questa direzione che andrebbero approfonditi l’analisi e lo studio del Decalogo. Per le ragioni sopra esposte, ho scelto di considerare Breve film sull’uccidere e Breve film sull’amore separatamente dagli episodi televisivi corrispondenti, pur nel riconoscimento di un evidente somiglianza filologica e linguistica.

. Krotki film o zabijanju (Breve film sull’uccidere): la solitudine della morte La nudita` e il silenzio accerchiano le immagini di Breve film sull’uccidere, una disputa brutale sulla violenza, sull’infamante bestemmia che e` l’atto di uccidere. Le considerazioni esposte riguardo a Decalogo, 5 restano valide, poiche´ i due testi sono simili ad un confronto strettamente filologico, ma

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l’impressione generale, l’effetto della messa in scena risultano differenti. Decalogo, 5 e` costituito da brusche accelerazioni dei tagli di montaggio, da continue variazioni del ritmo, da una estrema concisione e reticenza delle immagini, che rimandano all’assurdita` del mondo del Decalogo, all’indecidibilita` della morale e del giudizio. Breve film sull’uccidere sembra invece costruito su un’impressione di durata, sulla estenuante dilatazione del ritmo, in cui lo sviluppo della storia e` come bloccato nell’immobile vuoto degli spazi, che determina una sovraesposizione degli individui. Le scene in piu` rispetto al Decalogo non sono molte, ma contribuiscono alla resa della inutilita` del vivere, alla dispersione del senso, in un mondo dilatato, sfibrato, indifferente; nella versione cinematografica viene inserito il personaggio della compagna dell’avvocato Piotr, viene descritto l’incontro fortuito di Jacek e dell’avvocato al bar, che nell’episodio televisivo e` soltanto rievocato da Piotr durante il suo colloquio con il giudice, viene indicata allusivamente la ‘ragione’ del delitto di Jacek, il desiderio di possedere una macchina per portare in giro la ragazza del chiosco di patatine fritte, che nel Decalogo e` preda degli appetiti del tassista; vengono inoltre inseriti dettagli piu` crudi nella scena dell’omicidio e dell’esecuzione. Ma e` la sequenza iniziale del film a determinare lo scarto metaforico tra i due testi, nella forza epigrammatica delle immagini, nella potenza evocativa dei simboli: la macchina da presa, dopo aver mostrato il corpo senza vita di un topo in un rigagnolo, si solleva a inquadrare le risa di alcuni bambini che fuggono, scoprendo un gatto nero impiccato ad un palo. «La mimesi del delitto sociale e` gia` compiuta prima che tutto abbia luogo»1, la logica dell’azione viene neutralizzata da un malessere brutale, la coscienza si arresta di fronte ai gesti di una giustizia sommaria, alla necessita` della morte. La simultaneita` degli eventi, che in Decalogo, 5 costituisce il meccanismo propulsore della storia, in Breve film sull’uccidere sembra sciogliersi nell’antefatto, proiettarsi in una dimensione immaginaria, nella persistenza dello sguardo dello spettatore, nella prolungata percezione dei suoi sensi. La rappresentazione della violenza diventa insopportabile di fronte ad un pubblico, ad una societa` che si autocensura, eliminando l’immagine della morte, e Kieslowski sembra proprio richiamarsi alla sofisticazione, alla distorsione della realta`, per cui l’uomo non e` altro che un organismo in putrefazione, il prodotto di un mondo senza pieta`. I contorni scuri e informi delle inquadrature, le posizioni da capogiro della macchina da presa sono i segni esteriori di un’umanita` deviata, negletta, soffocata dalla creta appiccicosa di relazioni false, in cui l’essere e` comunque solo. La 1

Serafino Murri, op. cit., pag. 106.

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lentezza contemplativa del ritmo del racconto riproduce il malessere dell’uomo in un mondo laido e grottesco, la solitudine, l’isolamento, l’ozio dell’anima e della coscienza. Il trascinarsi dei corpi sullo schermo, sia da vivi che da morti, la resistenza passiva degli sguardi, il gioco di riflessi e assonanze, sono i tratti di una messa in scena straniante, che deforma, che irretisce i personaggi in una trama di rapporti inconsapevoli e violenti, in cui si alternano la logica del determinismo e della liberta`. Durante il film sembra di assistere alla consumazione di un rito tribale, per la forza archetipica dei simboli e delle immagini, ad una macabra danza di morte, in cui pero` tutto e` fermo, immobile in un gelido naturalismo ontologico. L’indugio della rappresentazione e` spezzato dall’ellissi del processo, dalla lettura della condanna a morte, che era gia` inscritta nella storia, nell’immagine ‘profetica’ del gatto impiccato, ma che apre come uno squarcio nel racconto, ribaltando la prospettiva e le proporzioni del dramma. Jacek, lo spietato assassino, cancella dal suo volto i tratti irrazionali dell’istinto, confessa al suo avvocato le proprie debolezze, la straziante perdita della sorellina, in un colloquio che Piotr vorrebbe prolungare all’infinito, nello spazio irreale che separa la vita dalla morte. La forza del film e`, dunque, nell’innocenza riconquistata della vittima, nella vuota isteria del boia e di una giustizia implacabile, nella ‘camera-scalpello’ di una messa in scena capace di vivisezionare la realta`, di assorbire i liquidi dell’umana impudicizia.

. Krotki film o milosci (Breve film sull’amore): la simmetria degli esseri Breve film sull’amore fu la prima opera del semisconosciuto Kieslowski ad essere distribuita in Italia, nell’autunno del 1989, col titolo ammiccante, ma improprio, di Non desiderare la donna d’altri, che stravolge il messaggio del film, dal momento che si tratta della versione cinematografica di Decalogo, 6 il cui corrispettivo comandamento e` Non commettere atti impuri. Breve film sull’amore costituisce una variazione sul tema dello sguardo, in cui i protagonisti si trovano al centro di un dispositivo visuale essenzialmente legato all’esperienza dell’altro. All’interno di una struttura narrativa chiastica si apre la declinazione di due solitudini affettive, di due soggettivita` incomplete, mancanti, segnate l’una, quella di Tomek, dalla virtualita` di un amore solo immaginato nello spazio rassicurante del sogno e dell’idea, l’altra, quella di Magda, dall’attualita` di un’ostinata negazione di se´, che e` soltanto la manifestazione di un vuoto esistenziale.

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Attuale/virtuale, individuo/riflesso, viso/eco sono le traiettorie invisibili di una storia che diviene un momento irriducibile del percorso artistico di Kieslowski, il punto di non ritorno di uno sguardo che ha imparato a conoscere il mondo, e a riconoscere, nel mondo, l’immagine dispersa della propria interiorita`. Rispetto agli sviluppi di Decalogo, 6, legati alla funzionalita` della struttura della serie, alla logica di un’umanita` scomposta e frantumata, Breve film sull’amore trova un’articolazione visiva affascinante nella sospensione dei piani, nella fragili sembianze dei corpi, nella moltiplicazione dei riflessi e dei vetri, che rinviano ad un gioco di apparenze, desideri, frustrazioni. Il ritmo del racconto viene scandito da tre movimenti della camera che descrivono il progressivo modificarsi del rapporto tra i due protagonisti. La prima parte del film, che, ad eccezione della sequenza iniziale di cui discuteremo in seguito, ripropone la scansione temporale del Decalogo, si sviluppa attraverso la sovrapposizione e l’alternanza di piani fissi di Tomek e Magda, delimitati dalle finestre degli appartamenti, a significare la chiusura, l’isolamento, l’incomunicabilita` tra i personaggi. Tomek osserva Magda con un cannocchiale, prolungamento simbolico del suo sguardo e del desiderio; la donna e` solo un oggetto della accorata visione del ragazzo, semplice fantasma, corpo senza voce di uno spazio protetto da infrangibili piani ottici. Queste inquadrature serrate, strette entro i margini di una superficie trasparente e irraggiungibile, sono il segno dell’idealismo prostrato di Tomek e dell’edonismo materialista di Magda, funzioni di una sensibilita` estrema, di una soggettivita` precaria. Le incursioni di Tomek nella vita di Magda determinano un’apertura di significato: il ragazzo confessa alla donna di spiarla da tempo, riceve gli insulti e i pugni del suo amante, ottiene poi un appuntamento per andare a prendere un gelato. Durante la scena dell’invito, la camera resta fissa su Tomek, indugia sul suo volto, senza inquadrare Magda. A partire da questo momento Magda, per un effetto di camera soggettiva, viene promossa allo statuto di soggetto della visione: la messa in scena adotta il suo punto di vista. Dopo aver ottenuto un appuntamento da Magda, Tomek corre in cortile, gira velocemente su se stesso trascinando il carrettino del latte: e` questo il secondo movimento significativo della macchina da presa, un movimento circolare che accompagna l’esplosione di gioia del ragazzo, una circonferenza che esprime la pienezza del soggetto. Magda opera una riscoperta della profondita`; durante la scena del bar sono le reazioni della donna a dettare alla camera le inquadrature e l’utilizzazione della profondita` di campo. «Magda insegna a Tomek a

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vedere e soprattutto a conoscere il corpo dell’altro nella distanza»2, lo inizia al mistero della fisicita`, violando la purezza e l’integrita` del suo sentimento. La scoperta dolorosa del piacere costringe Tomek ad un gesto istintivo, estremo, ma coerente con la percezione totalizzante che ha del mondo e dell’amore. In questa rinuncia volontaria alla vita e` adombrata, in un certo senso, la vicenda di Julie, protagonista di Film blu, nella fuga da se stessi, dalle proprie passioni, che pero` per l’eroina della Trilogia sara` solo un modo per stabilire una relazione con gli altri. Dopo aver tentato il suicidio Tomek scompare dallo schermo, che viene invaso dallo sguardo di Magda, dal suo incerto movimento nell’orizzonte disperso del corpo di Tomek, dalla sua gestualita` scomposta e inerme. L’ultimo spostamento della macchina da presa, prima del finale, si ha quando Magda scivola lungo il muro interno del palazzo, schiacciata dal rimorso e dal sentimento che la stringono, dopo aver saputo dal postino che Tomek si e` tagliato i polsi. Lo scarto significativo del film, rispetto al Decalogo, 6, e` dato dall’inserzione del racconto entro una ‘cornice circolare’, scandita dalla ripetizione di una stessa immagine all’inizio e alla fine del testo. Breve film sull’amore si apre, infatti, con un’immagine enigmatica: un particolare delle mani dai polsi fasciati di Tomek, nel buio della stanza, che stanno per essere accarezzate da esili mani femminili, quelle di Magda, quando le mani della vecchia padrona di casa ne impediscono il completamento del gesto. Questa sequenza iniziale si ripete identica nel finale del film, quando Magda si reca a casa di Tomek, dopo aver intravisto la sagoma del ragazzo dalla finestra. Si tratta di una scena palpitante per la densita` delle emozioni, in cui si sintetizza l’impossibilita` dell’amore tra i due personaggi, la sospensione del desiderio, che non si traduce nella laconica affermazione di Decalogo, 6 – «Ho smesso di guardarla» – in cui Tomek si distanzia definitivamente dall’oggetto-soggetto del suo amore, ma diviene il preludio ad una delle immagini piu` ambigue e struggenti di tutto il cinema di Kieslowski. Magda viene allontanata dal letto in cui Tomek riposa, si siede allora davanti al cannocchiale, poggia gli occhi sulla lente e, dentro il cannocchiale, rivede, con un effetto-moviola, se stessa, la sera in cui pianse dopo aver litigato furiosamente con il suo amante. Il montaggio della sequenza e` serrato; Magda sorride nel rivedere se stessa, il suo volto si alterna alle immagini rallentate del presunto flash-back. Chiude gli occhi, piange, nell’immagine virtuale del cannocchiale `e seduta in cucina, 2 Je´roˆme Picant, Bre´ve histoire d’amour, une partie d’e´ches, in «Etudes cine´matographiques», cit., pag. 44.

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passa nervosamente il dito sul latte versato sopra il tavolo; qualcuno entra nella stanza, le poggia una mano sulla spalla, `e Tomek, Magda si stringe a lui e lo accarezza. Il volto di Magda `e in primo piano, immerso nel buio della stanza di Tomek, guarda fisso davanti a se´, poi chiude gli occhi e sorride. Questo finale e` il risultato di un’intuizione profonda, l’effetto dell’acutissima sensibilita` di Kieslowski nel pensare per immagini, nel creare corrispondenze inesplicabili. La sequenza richiama, in qualche modo, il gesto finale di Filip, il protagonista de Il cineamatore, che rivolge verso se stesso la camera e comincia a ri-girare il film dall’inizio, diventando l’oggetto di se stesso, della propria visione. Ma, probabilmente, l’avventura di Magda anticipa il finale di un altro film di Kieslowski, Film blu, in cui Julie, nel susseguirsi di flash-back e immagini virtuali, riscopre se stessa, il proprio legame con il mondo. L’ultima sequenza di Breve film sull’amore e` una sorta di cristallizzazione dello sguardo (di Tomek? di Magda?) in cui ritornano immagini di epoche differenti, immagini sognate – la mano di Tomek che si poggia sulla spalla di Magda potrebbe essere la proiezione del desiderio della donna, oppure la permanenza nel cannocchiale dell’illusione d’amore di Tomek, della sua compassione, – immagini del reale presente, immagini dell’altro e immagini dell’uno, in una successione enigmatica e misteriosa. L’incontro tra i due protagonisti si e` consumato in uno scambio involontario: Tomek si e` svuotato, ha donato se stesso sotto forma di parole, di sperma, di sangue; Magda si e` riempita di cio` che egli ha dato, ma soprattutto ha colmato il vuoto della sua soggettivita` interdetta, scoprendo se stessa nella sguardo solidale dell’altro. E` a partire da Breve film sull’amore che Kieslowski elabora «una costruzione del Senso inscindibilmente legata ai sensi, un mezzo di conoscenza che lascia alla percezione la strana lucidita` di un accesso radicale all’essere»3.

3

Vincent Amiel, op. cit., pag. 19.

 Da La doppia vita di Veronica alla Trilogia: il ripiego ultimo

La proiezione di Breve film sull’uccidere al Festival di Cannes del 1988 (titolo francese del film: Tu ne tueras point), l’assegnazione del Premio speciale della giuria, segnano la prima affermazione internazionale di Kieslowski, il riconoscimento della forza e della originalita` del suo cinema. Ha cosı` inizio una nuova esperienza artistica per il regista polacco, l’opportunita` di lavorare con dei budget di produzione piu` consistenti, di conoscere e ‘sperimentare’ altri luoghi, di realizzare nuove collaborazioni. Il merito di aver reso possibile l’‘adozione’ di Kieslowski da parte della Francia va al produttore Leonardo De La Fuente, segretario di produzione della Cannon France, il quale, avendo intuito la statura artistica del semisconosciuto regista polacco, sull’onda dei successi di Cannes acquista in blocco i diritti di Il cineamatore, Il caso, Senza fine e del film-shock Tu ne tueras point, per la cifra complessiva di cinquantamila dollari, meno di cento milioni di lire. Nell’ottobre dello stesso anno la Cannon distribuisce contemporaneamente a Parigi i film di Kieslowski: il riscontro del pubblico e` davvero eccezionale, la critica francese e` entusiasta. L’anno successivo Kieslowski viene invitato a far parte della giuria del festival di Cannes, presieduta da Wim Wenders; durante la Rassegna incontra nuovamente il produttore De la Fuente, con il quale stringe un accordo informale per la realizzazione di un film entro l’anno successivo. Contemporaneamente Kieslowski ha gia` preso contatto con Marin Karmitz, il piu` engage´ dei produttori francesi (per registi del calibro di Resnais, di Malle, di Godard), e importatore attento di opere e autori del cinema dell’est europeo. Alla casa di produzione di Karmitz, la MK2, Kieslowski propone di realizzare, appena terminato il film con De La Fuente, il nuovo progetto che ha in cantiere con il collaboratore Piesiewicz: un ciclo di tre lungometraggi sui principıˆ della Rivoluzione francese, liberta`, uguaglianza, fraternita`, ognuno da associare ad un colore della bandiera della Francia: Blu, Bianco e Rosso. Nel 1990 De La Fuente costituisce una casa di produzione indipendente, La Side´ral, per realiz-

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zare, insieme alla Tor di Varsavia (e alla norvegese Norski Film), il nuovo film di Kieslowski, che, dopo molta incertezza e numerosi titoli provvisori, tra cui La corista, La ragazza del coro, ha ormai assunto il titolo definitivo La double vie de Ve´ronique (La doppia vita di Veronica).

. La double vie de Ve´ ronique (La doppia vita di Veronica): l’esperienza della soggettivita` L’idea iniziale del film prevedeva il racconto di un nostos, un viaggio di ritorno dall’aldila`, un ‘altrove’ terribile e cupo da cui il protagonista, un uomo, decide di tornare alla vita, sulla terra. Il progetto fu abbandonato da Kieslowski e Piesiewicz perche´ ritenuto eccessivamente pessimista: si sentiva il bisogno, dopo le fatiche del Decalogo, di un soggetto positivo, di una storia solare. Si decide allora di sviluppare il personaggio della cantante cardiopatica di Decalogo, 9, trattando il dramma della sua malattia e il fascino della sua voce; man mano che lo script prende forma si definisce l’idea delle vite parallele, di due donne che vivono in due citta` diverse, influenzandosi reciprocamente. Il casting si orienta sui nomi di Andie Mc Dowell, per l’interpretazione di Weronika/Ve´ronique, e Nanni Moretti, per il personaggio maschile. Kieslowski ammira nell’attrice americana la gestualita` intensa e suadente, nel regista-attore italiano la verosimiglianza della recitazione, legata alla personalita`, al carisma dell’uomo. Nessuno dei due attori accetta l’incarico; la Mc Dowell preferisce, dopo un primo accordo, assumere un ruolo in una produzione americana, Nanni Moretti deve rinunciare per motivi di salute. La scelta ricade allora sulla giovane attrice ginevrina Ire`ne Jacob, apprezzata da Kieslowski nel film Au revoir les enfants (Arrivederci ragazzi, 1987) di Louis Malle; l’idea per il mestiere del protagonista maschile, il marionettista Alexandre, invece a Kieslowski e Piesiewicz dal ricordo di una trasmissione televisiva di Jim Henson, creatore del celebre Muppet show, in cui venivano intervistati gli ultimi marionettisti che costruivano da se´ i personaggi per i propri spettacoli. Kieslowski recupera le bobine del programma, le visiona, e decide di contattare lo straordinario Bruce Schwartz, scoprendo che l’uomo non esercita piu` la sua professione per motivi economici. Schwartz, dopo aver letto la sceneggiatura, decide di partecipare al film, e sara` lui ad animare le marionette durante lo spettacolo al quale assiste Ve´ronique a scuola, prestando la sua arte e le sue mani all’attore prescelto per il ruolo di Alexandre, il francese Philippe Volter, visto nel film belga Le maıˆtre de musique (Il maestro di musica, 1989) di Ge´rard Corbiau. Ultimato il cast

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hanno inizio le riprese, che si svolgono tra Lodz, Cracovia, ClermontFerrand e Parigi1. La double vie de Ve´ronique, uscito nelle sale parigine nella primavera del 1991, costituisce una lunga interrogazione sulla sensibilita`, sulla pura emozione, intesa come valore, come sentimento di se´ e del mondo. Due donne hanno lo stesso corpo, la stessa voce, le stesse abitudini, ma la loro lingua, il polacco e il francese, basta a distinguerle; il film descrive il mistero delle loro vite sospese nell’incanto del tempo, nella vaghezza di una comunicazione intermittente, la reciprocita` dei loro destini, attraverso una visione insieme profonda, intuitiva, introspettiva. Le due protagoniste, Weronika e Ve´ronique, sono portatrici di una soggettivita` senza predicato, che si esplica nello sdoppiamento dei corpi e degli sguardi, «nel giro lungo dell’insight»2, nella circolarita` del racconto, che si compie nel finale, nel momento dell’agnizione, del riconoscimento da parte di Ve´ronique di Weronika, suo ‘idem et alter’. La costruzione dell’identita` non poggia, quindi, sull’affermazione di se´, ma sulla scoperta dell’alterita` come ‘uguale’. Il film descrive il percorso di un’esperienza della soggettivita` in cui la storia di Weronika non e` che un’anticipazione della storia di Ve´ronique. Weronika, infatti, incontra e riconosce il suo doppio, Ve´ronique, nella piazza di Cracovia, dove la giovane francese, in gita, sta scattando delle foto prima di risalire sul pullman. I raccordi di questa scena obbediscono a una logica che supera le articolazioni tra un oggetto e colui che lo osserva; Weronica viene inquadrata dal punto di vista del pullman e si tratta evidentemente di una soggettiva mancata, dal momento che Ve´ronique non la sta guardando, o possibile, ancora una volta irreale. Weronika muore durante un concerto e Ve´ronique intuisce che qualcosa e` cambiato nella sua vita; comincia cosı` la ricerca dei segni lasciati da Weronika, come a raccoglierne l’energia dispersa dalla sua morte. I due movimenti del film, da Weronica a Ve´ronique e da Ve´ronique a Weronika, si accompagnano ad una dinamica narrativa del raddoppiamento e del riflesso, che riesce magistralmente a riprodurre lo sguardo circolare delle due protagoniste. Panoramica su un paesaggio notturno capovolto, carrellata verso destra, l’immagine `e commentata da una voce femminile fuori campo (polacca, sottotitolata) con queste

1 Le informazioni sopra riportate sono tratte da Danusia Stock (ed.), Kieslowski on Kieslowski, London, Faber and Faber, 1993. 2 Norman Gobetti, «Se anche parlassi la lingua degli angeli». Lo spettacolo della soggettivita` femminile in La doppia vita di Veronica, in «Garage», n. 3, Krzysztof Kieslowski, Scriptorium edizioni, Torino, febbraio 1995, pagg. 45-55.

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parole: «Ecco la stellina che aspettavamo per cominciare la vigilia. E piu` in basso c’e` come una nebbia. Guarda, non `e una nebbia, sono un milione di stelline. Indicamele». Primo piano su una bambina a testa in giu`, guarda fuori dalla finestra, indica il cielo con un dito, lo schermo si oscura per un attimo. Primo piano su un occhio, deformato da una lente, una bambina tiene in mano una foglia verde, una voce femminile fuori campo, (francese, nella versione originale), dice: «Ecco la prima foglia. E` primavera e le foglie spuntano su tutti gli alberi. Guarda qui, nella parte piu` chiara ha come delle piccole vene e una delicatissima peluria». Scorrono i titoli di testa, a cui si alternano le immagini sfuocate di una ragazza che cammina tra la gente, qualcuno la investe, le cade a terra qualcosa. Primo piano su una ragazza, la stessa delle inquadrature precedenti, canta in un coro, `e felice, comincia a piovere, la giovane si passa una mano sul viso, le altre coriste si allontanano, lei rimane sotto la pioggia, a cantare, mentre una luce ocra colpisce il suo viso. Panoramica su un camion che trasporta una statua bronzea di Lenin. Weronika, questo il nome della ragazza, stringe un giovane, che si complimenta con lei per la voce, si baciano appassionatamente, lei lo cinge. Particolare sulle mani del giovane, i due sono a letto, Weronika scopre i seni, tocca il suo dito, guarda una sua foto, attaccata alla finestra. Primo piano su un quadro, Weronika si alza di scatto, si morde la mano, urla, passa una mano sui suoi occhi. Particolare su una lente, sono gli occhiali di un uomo, inquadrato di spalle, mentre disegna su un foglio. Weronika `e dietro di lui, apre una tenda, parla con l’uomo, `e suo padre, gli comunica che ha intenzione di andare a trovare la zia a Cracovia, gli chiede di avvertire Antek della sua partenza. Poi dice: «Ho una strana sensazione, mi sembra di non essere sola, di non essere sola al mondo», sorride, si allontana. Weronika `e distesa, una mano la accarezza, `e il padre. Particolare di una chiesa, panoramica del paesaggio, inquadratura da dietro un vetro; Weronika `e in treno, sorride, poi guarda in macchina. Primo piano su una piccola sfera trasparente, Weronika la tiene in mano, seguono delle immagini capovolte, osservate attraverso la sfera, particolare delle dita della ragazza e della sfera. Primo piano su alcune carte disposte su un letto, Weronika si appoggia alla parete del letto, parla con la zia, le racconta di aver cantato sotto la pioggia, suona il campanello, la zia va ad aprire, `e il suo avvocato, Weronika si copre, entra l’avvocato, un nanetto. Weronika `e al telefono, fischia, parla con una sua amica. Weronika `e con Marta, la sua amica, una pianista, assiste alle prove di canto di un coro maschile, canta con loro, a tratti, la sua voce `e intensa e struggente. Al termine delle prove, la direttrice del coro le fa i complimenti per la «strana voce». Weronika cammina lungo un corridoio, ha in mano una cartella, fa rimbalzare la sfera due volte, alla terza la scaglia con forza, la sfera tocca il soffitto, da cui scende sul suo volto un pulviscolo dorato. Weronika `e nella piazza di Cracovia, si sta svolgendo una manifestazione, c’e` molta gente; cammina distratta, a zig zag, ma spedita, la urtano, volano per terra i fogli della carpetta, si piega a raccoglierli. Weronika cammina ancora, si ferma, si sente una sirena della polizia; alcuni turisti salgono in fretta sul loro pullman,

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

Weronika vede tra questi una ragazza identica a lei, che scatta delle fotografie. La giovane sale sul pullman, continua a scattare delle foto, non si accorge della presenza di Weronika, che si avvicina all’autobus, perplessa. Il pullman effettua una manovra a marcia indietro per riuscire ad allontanarsi dalla piazza assediata dai manifestanti, la macchina da presa asseconda questo movimento, Weronika resta immobile, la sua sosia non si `e accorta di lei. Weronika `e a casa della direttrice del coro, sta facendo un’audizione, la macchina da presa si sposta nella stanza accanto e inquadra un uomo, un direttore di orchestra, che compie strani gesti con le mani. La voce di Weronika `e angelica, la direttrice `e affascinata e perplessa, la ragazza al momento di un acuto stringe forte il laccio della cartella, il laccio si rompe. Weronika cammina in strada, `e colpita da un malore, si appoggia a un muretto, coperto da un mantello di foglie secche; la ragazza ha gli occhi chiusi, si lamenta, cammina spingendo le foglie a terra, poi si siede su una panchina. Weronika inclina la testa verso sinistra, la macchina da presa compie un deciso movimento e si inclina in direzione dello sguardo della ragazza. Si avvicina un uomo, avvolto in un mantello, l’inquadratura `e inclinata; Weronika si tocca il petto, osserva l’uomo, `e un esibizionista, la ragazza sembra sconvolta, poi sorride, si passa il rossetto sulle labbra. Weronika `e su un palco, si avvicina al centro, accenna un saluto, in platea ci sono il direttore e la donna che l’ha seguita durante l’audizione; Weronika si siede, il direttore le comunica che ha vinto il concorso, accanto ai due maestri `e seduta una donna, che indossa uno strano cappello nero, il suo sguardo `e severo e minaccioso. Weronika `e a casa della zia, a letto, comunica alla zia che il concorso `e andato bene, ma le confessa di aver paura per qualcosa. Weronika `e in autobus, legge uno spartito, di cui ascolta la musica con una cuffia, si accorge che Antek segue l’autobus in moto; il ragazzo si ferma, Weronika scende, si abbracciano, si baciano. Antek le da` un regalo, Natale `e vicino, poi le comunica il nome dell’albergo in cui alloggia, e il numero della stanza, quindi riparte. Weronika lo rincorre, riesce a raggiungerlo, salta in moto, si fa accompagnare a casa. Weronika `e a casa, cammina mezza nuda per la stanza, si avvicina alla finestra; guarda una vecchietta, curva su se stessa, che trascina a fatica dei pacchi, le offre il suo aiuto, il suo volto in primo piano `e turbato, si veste. Weronika `e di fronte ad uno specchio, in bagno, si strofina un anello sull’occhio sinistro, in primo piano, inondato di luce. Lo schermo `e scuro, panoramica su un’orchestra, inquadrata dall’alto, la sala `e illuminata da una luce rossastra, calda e avvolgente, carrellata sul pubblico. Weronika `e inquadrata in piano medio, si alternano le immagini del direttore d’orchestra, Weronika tiene lo sguardo basso, il direttore compie dei gesti molto lenti. Weronika canta insieme ad un’altra corista, sembra felice, ad un tratto il suono della sua voce si distorce, segue un brusco movimento della macchina da presa, Weronika si tocca il petto, `e sofferente. La ragazza continua a cantare, il suo volto `e stretto in una smorfia di dolore, improvvisamente si accascia, la macchina da presa si solleva verso l’alto, seguono dei

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rumori sordi. Rapida inquadratura dall’alto della sala, la gente accorre sul palco, primo piano di una mano che tasta il polso di Weronika, `e morta. Inquadratura dal basso, alcune persone sono intorno alla bara, viene gettata della terra, il quadro si oscura, la bara viene interrata. Particolare di un ombelico, l’immagine si muove, il quadro si allarga, una coppia sta facendo l’amore, l’immagine `e deformata, i contorni sfumano. Primo piano del seno di una donna, un uomo la accarezza, primo piano del volto della giovane, i due si baciano, l’immagine si deforma, si sentono dei gemiti, la giovane accende una lampada. La ragazza `e distesa su un fianco, il suo compagno la cinge da dietro. La ragazza, identica a Weronika, si tocca il polso, il ragazzo le domanda se si sente triste, lei dice: «e` come se avessi un dispiacere». Il giovane prova a distrarla, lei si alza dal letto, viene inquadrata in primo piano, di profilo, il suo compagno si riveste. Ve´ronique (questo `e il suo nome), `e triste, la mano del giovane la accarezza, piano fisso sul volto della ragazza. Ve´ronique `e distesa su un fianco, chiude gli occhi, in sottofondo la musica del concerto di Weronika. Il quadro `e scuro, Ve´ronique `e in macchina, viene inquadrata la linea del suo corpo, in controluce, poi il suo viso, di profilo, l’immagine si oscura. Scende dall’auto, bussa ad una porta, le viene incontro un uomo, il suo maestro di musica, lei gli comunica la decisione di abbandonare la sua carriera di cantante, `e accorata, l’uomo `e molto contrariato. Primo piano di uno xilofono, Ve´ronique cammina nel cortile di una scuola, ha tagliato i capelli, un gruppo di bambini gioca a pallone, la salutano. Entra nello stabile, si affaccia dentro una stanza, un uomo sta montando delle luci, poi cammina lungo un corridoio, un ragazzo la segue. Primo piano su un bauletto di velluto, una mano lo fa girare, inquadratura del pubblico di bambini raccolto nella sala, una marionetta viene tirata fuori dal baule, le mani del marionettista la accompagnano in una danza lenta e leggera, si alternano le immagini del pubblico e il volto in primo piano di Ve´ronique. La ballerina si rompe una gamba e muore, una bambina stringe Ve´ronique e piange, Ve´ronique vede il volto riflesso del marionettista, contornato da un alone dorato, la marionetta `e avvolta in un baco bianco, in sottofondo si sente la voce di Weronika, la ballerina si trasforma in farfalla. Ve´ronique `e in aula, sta facendo lezione ai suoi alunni, parla del compositore olandese Van Den Budenmayer, i bambini cominciano a suonare il tema musicale di Weronika, la ragazza si avvicina alla finestra, osserva il marionettista, che carica il suo furgoncino, e si ferma, forse anche lui la osserva. Ve´ronique cammina per strada, si ferma e si appoggia ad un tronco, sofferente. Sale le scale del reparto di cardiologia, fa strisciare la sua sciarpa per terra, lungo il corridoio, cammina in fretta. Inquadratura sui fari di una macchina, piano fisso sulla strada, percorsa da numerose auto, Ve´ronique `e ferma ad un semaforo, sembra procedere in direzione Paris. E` dentro l’auto, prende una sigaretta, si sente il suono insistente di un clacson, `e il marionettista, affiancato alla sua auto, che le indica che sta accendendo la sigaretta al contrario, poi riparte. Lo schermo `e buio, suona il telefono, `e notte, Ve´ronique si alza per rispondere; si sentono fuori campo dei respiri, il volto della ragazza `e illuminato da una luce ocra, calda. Ve´ronique sta per riattaccare,

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una voce la prega di non farlo, si sente fuori campo la musica del concerto di Weronica, lo schermo `e invaso da un colore rossastro, sfuocato, segue il primo piano di Ve´ronique, cade la linea, la ragazza `e turbata. Inquadratura su una macchina, entra nel cortile di una casa in campagna, Ve´ronique scende, le viene incontro un cane. La ragazza si stende su un fianco, `e al casa del padre, gli confessa di essersi innamorata di una persona che non conosce, poi dice: «giorni fa ho avuto una strana impressione, ho sentito che mi ritrovavo sola, di colpo, eppure non `e cambiato niente». Il padre le risponde che forse qualcuno `e scomparso dalla sua vita, poi cominciano a parlare della morte della madre. L’auto riparte, viene inquadrata dall’alto, per strada, passa accanto al cimitero. Ve´ronique `e a casa di un’amica, Cathrine, che sta conversando con un’altra ragazza, provando a convincerla a testimoniare in tribunale contro il marito, Ve´ronique si offre di farlo al suo posto, dovra` fingere di essere stata la sua amante, e chiede informazioni sull’uomo. Ve´ronique cammina, guarda in alto, chiude gli occhi, controlla la posta, `e dentro il cortile di casa. Apre una busta, trova un laccio, uguale a quello della cartella di Weronika, non capisce, lo butta dentro il cassonetto dei rifiuti. E` a casa, seduta su una poltrona, un bagliore dorato colpisce il suo viso, sparisce, lei gira intorno con lo sguardo, il bagliore `e di nuovo fermo su di lei, va alla finestra, un ragazzo gioca con uno specchio nel palazzo di fronte, poi rientra. Il riflesso di luce vaga ancora per la stanza, Ve´ronique guarda verso la finestra del ragazzo, che `e chiusa, si abbassa, riconosce nel laccio della sua cartella l’oggetto della lettera, alza lo sguardo, fisso in macchina, sembra stia osservando qualcuno. Scende giu`, recupera il laccio nella pattumiera, lo lava sotto l’acqua, poi lo arrotola. E` a casa dell’amica, prende il the`, chiede a Cathrine se ricorda il nome del marionettista, la ragazza dice di aver avuto l’impressione di conoscere la storia della ballerina, di averla gia` letta a sua figlia. Si reca nella stanza della bambina, addormentata, e sfila da sotto le coperte un libro di fiabe, scoprono che l’autore `e proprio il marionettista, il suo nome `e Alexandre Fabbri. Cathrine ricorda di aver letto anche una storia su un laccio, la macchina da presa si sofferma sulla foto in copertina del giovane. Ve´ronique scende dall’auto, si avvicina alla vetrina di una libreria, si sporge per cercare di vedere i libri di Alexandre, la sua immagine si riflette sul vetro, illuminata da un bagliore di luce. Primo piano su una tazza di the`, Ve´ronique sfoglia le pagine di un libro, `e distesa sul letto, sorride, poi chiude il libro. Si sente fuori campo il rumore di un motorino, Ve´ronique si rotola sul letto, va alla finestra, vede il postino, corre giu` per le scale, chiede se c’e` corrispondenza per lei. Il postino le consegna un pacco, senza mittente, spedito da Parigi, Ve´ronique prima ancora di aprirlo sa che si tratta di una scatola di sigari, lo scarta, si tratta proprio di una scatola di sigari, il postino sembra sorpreso. Ve´ronique incontra per le scale il marito di Cathrine, l’uomo le chiede spiegazioni, Ve´ronique resta immobile. Ve´ronique `e in macchina, si reca dal padre, entra in casa, si preoccupa perche´ l’uomo non risponde, `e in bagno. Il padre le viene incontro, le fa sentire il suo nuovo profumo ‘fine dell’autunno’. Ve´ronique trova una busta per lei, la apre, vi trova una cassetta. Racconta al padre

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di aver fatto un sogno, ha visto un disegno «quasi naı¨f per semplicita`, una strada, in una piccola citta`, ai due lati delle case, e in fondo una chiesa, alta e slanciata di mattoni rossi» (si tratta del disegno del padre di Weronika). Ve´ronique `e in aula, fa eseguire il brano del concerto di Weronika, interrompe ripetutamente l’esecuzione dei bambini, si avvicina alla finestra, vede una vecchina che cammina piano, appoggiata ad un bastone. Primo piano di Ve´ronique, a casa, intenta ad ascoltare, con una cuffia, la cassetta; alza il volume, si sentono degli strani rumori in sottofondo, Ve´ronique cammina, beve, `e assorta. E` di fronte allo specchio, si lava i denti, va in soggiorno, si sente la voce di una donna, poi gli annunci di alcune partenze. Si alza di scatto, guarda in macchina, si volta, tiene la cassetta tra le mani, la osserva con una lente di ingrandimento, poi si sofferma a guardare la lente. E` a casa del padre, osserva con la lente il francobollo della busta, c’e` scritto “Paris St. Lazare”. Ve´ronique `e alla stazione, incrocia la donna col cappello nero gia` incontrata nella prima parte del film, si allontana, `e in strada, vede una macchina fracassata, chiede delle informazioni, quindi entra nel bar della stazione. Alexandre, il marionettista, `e lı` dentro, seduto, si alza, Ve´ronique si avvicina al tavolo, non lo trova. Vede sul tavolo un registratore, degli occhiali, una busta, Alexandre `e dietro di lei, si siede, ferma il registratore. Alexandre si scusa con Ve´ronique per aver dubitato della sua venuta, poi le dice che ha intenzione di scrivere un libro su una donna che risponde all’appello di uno sconosciuto, e ha provato a verificare se era possibile che cio` accadesse. Ve´ronique si allontana delusa, corre per strada, si gira piu` volte per vedere se qualcuno la segue, entra in un palazzo, si nasconde e osserva da dietro i vetri della porta le mosse di Alexandre, proprio davanti a lei. Ve´ronique riesce a prendere un taxi, si reca in albergo, si fa consegnare alla reception le chiavi della sua stanza, si allontana e incontra nella hall Alexandre, che si scusa nuovamente. Ve´ronique `e dentro la stanza dell’albergo, apre l’armadio, Alexandre sta dormendo. Ve´ronique si corica, strofina con la mano un anello sull’occhio destro, si sente il rumore di uno sbattere d’ali, Ve´ronique chiude gli occhi, il suo volto `e in primo piano. Il quadro si oscura per un attimo, poi compare l’immagine capovolta di una chiesa, di un albero, osservati attraverso la sfera. Alexandre si sveglia, si avvicina a Ve´ronique, anche lei si sveglia, dichiarano entrambi il loro amore, poi il ragazzo bacia la fronte, il naso, le labbra di Ve´ronique, le chiede di raccontargli qualcosa di se´. Ve´ronique svuota sul letto la sua borsa, piena di oggetti, ritrova gli occhiali, una piccola sfera. Alexandre vede i negativi delle foto fatte da Ve´ronique durante il suo viaggio in Cecoslovacchia, Ungheria e Polonia, il ragazzo scorge una foto in cui sembra essere ritratta Ve´ronique (in realta` si tratta di Weronika); Ve´ronique dice di non essere lei, il ragazzo prova a convincerla del contrario. Ve´ronique osserva la foto, la accartoccia e comincia a piangere, si passa una mano sul viso, si distende, si dispera. Alexandre la tiene tra le braccia, comincia a baciarla, Ve´ronique piange, lui la bacia sul collo, sul volto. Primo piano della foto di Weronika, sfuocata, della biglia, dello spartito, Ve´ronique e Alexandre fanno l’amore, il volto di Ve´ronique `e inquadrato in primo piano, geme, il suo sguardo `e rivolto alla foto. Ve´ronique `e in una

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stanza, viene ripresa dall’alto, una luce dorata la illumina, si alza, segue una lunga carrellata per la casa, attraverso un corridoio, una porta, viene inquadrato uno schermo annebbiato, ancora un corridoio. Alexandre `e dentro una stanza, sta lavorando ad una marionetta, il tavolo `e pieno di arnesi; Ve´ronique si accorge che le marionette, identiche a lei, sono due, Alexandre le dice di averne fatte due per evitare che si sciupino. Primo piano sul volto della marionetta, Ve´ronique prova a farla muovere, carrellata sull’altra bambola. Alexandre racconta a Ve´ronique la storia di due bambine, gemelle, nate in due citta` diverse, poi aggiunge di volere intitolarla «la doppia vita di...», piano fisso su Ve´ronique. Ve´ronique `e in macchina, a casa del padre, si ferma sul cancello, il padre sta lavorando, si ferma; Ve´ronique abbassa il finestrino dell’auto, poggia la mano, in primo piano, sulla corteccia di un albero, il padre, in montaggio alternato, solleva lentamente la testa, si volta, la macchina da presa si sofferma sul particolare della mano appoggiata all’albero, in sottofondo la voce di Weronika. Su questa immagine si chiude il film. L’esperimento artistico di Kieslowski e` senz’altro ardito; inverte, in un certo senso, il punto di vista del film di Bun˜uel Cet obscur objet du de´sir (Quell’oscuro oggetto del desiderio), in cui uno stesso personaggio e` interpretato da due attrici, concentrando l’attenzione dello spettatore sullo scambio dei corpi con la luce, sul mistero di una comunicazione ‘estatica’, affidata ai gesti, agli sguardi, alla mimica della straordinaria Ire`ne Jacob, ai virtuosismi delle immagini, capaci di evocare il regno della soggettivita`. Il tema del ‘doppio’ viene rappresentato tramite la persistenza di alcuni elementi figurativi, che contribuiscono a tracciare le linee di un destino comune, i contorni di due personalita` simili, quasi identiche: un lucidalabbra, una carpetta, una cuffia, un anello d’oro, sono questi gli oggetti sensibili che rinviano alla duplicita` delle due protagoniste, i momenti, i gesti di abitudini innate, istintive, legate a un rapporto esclusivo col mondo e con la propria interiorita`. Questi legami intrattenuti con le cose rimandano al carattere intuitivo della loro emotivita`; entrambe, infatti, sembrano obbedire a una forza che soverchia la loro volonta`, sono sospinte dall’istinto, da una sensibilita` estrema e lacerante che le rende estranee alla realta` che le circonda, anche se Ve´ronique finira` con l’‘aderire’ al mondo. Ad unire le due protagoniste vi e` anche una forma: il cerchio. Si tratta di un motivo che ricorre a piu` riprese nel film, entrambe le Veroniche possiedono una sfera trasparente, rotonda, attraverso cui osservano la realta` esterna, deformandola, secondo la singolarita` della loro visione. Ma il cerchio e` soprattutto la forma sensibile del loro incontro nella piazza di Cracovia, in cui la macchina da presa compie un movimento circolare, riproducendo la traiettoria della retromarcia del pullman, e inquadrando Weronika, immobile in mezzo alla piazza, tramite la soggettiva ‘irreale’ gia` ricordata sopra, ed e` anche l’asse direzionale di tutto il



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film, nella ricorsivita` degli sguardi e dei corpi delle eroine, nel sovrapporsi delle loro esistenze. Al centro del loro essere c’e` la musica, la passione per il canto, che in Weronika diviene misticismo, esperienza radicale, attraverso cui si esprime, in tutta la sua fantastica violenza, l’energia irrazionale del suo animo. «Weronika lascia una traccia nella materia, una zona perturbata che non dipende piu` dalla sua presenza concreta. Ed il canto e` effettivamente il segno di questo movimento d’onda che si propaga nell’essere e che puo` venire ricevuto da un’individualita` affine»3. Il fascino del film risiede, dunque, anche nello straordinario impiego, da parte del regista, della musica di Preisner, nella potenza lirica del coro di Van Den Budenmayer, cantato da Weronika prima della sua morte e prolungato poi per tutta la durata del film, come traccia mnestica della sua esperienza. Il testo del coro e` dato dalle prime parole del secondo canto del Paradiso dantesco: «O voi, che siete in piccioletta barca,/desiderosi d’ascoltar, seguiti,/retro al mio legno che cantando varca,//tornate a riveder li vostri liti:/non vi mettete in pelago; che´ forse, /perdendo me, rimarreste smarriti.//L’acqua ch’io prendo giammai non si corse;/Minerva spira, e conducemi Apollo/e nove Muse mi dimostran l’Orse». Nella scelta del brano agisce, forse, in Kieslowski la ricerca di una forte suggestione metafisica, il tentativo di descrivere il momento della morte di Weronika con la ‘poesia pura’ dei versi, in un continuo fluire di emozioni. La presenza sullo schermo delle due Veroniche non e` soltanto simbolica, la loro essenza non si riduce all’esposizione di un tema, quello del doppio, ma si complica in un gioco di rimandi, di corrispondenze e variazioni che attestano la singolarita` della loro esistenza, sostenuta anche dai mezzi cinematografici di Kieslowski. «Il personaggio di Weronika sperimenta, 4 dentro e fuori di se´, l’emorragia della soggettivita`» , viene travolta dall’invasione della propria unicita`, si spinge fino alla dimenticanza di se´ come persona attraversata dalle interferenze degli altri, mentre il suo ragazzo, Antek, e` soltanto un oggetto del suo stare al mondo, e non riesce ad evidenziarsi come legame stabile, positivo. Il rapporto di Weronika con l’esterno e` deflagrante, rivoltato spazialmente e temporalmente: «Weronika determina una vera e propria curvatura dell’universo intorno a se´ ponendo semplicemente in essere la propria soggettivita` dilagante».5 Questa capacita` di assorbire il mondo viene espressa da Kieslowski attraverso 3

Angelo Signorelli, La doppia vita di Veronica, in «Cineforum», n. 7/8, luglio-agosto 1991, pagg. 84-86. 4 Ivi, pag. 84. 5 Ivi, pag. 84.

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

diverse soggettive ottiche, uno degli elementi piu` ambigui e affascinanti della messa in scena: per esempio, la prima immagine del film, una panoramica di un paesaggio notturno, e` in realta` una soggettiva di Weronika bambina, sdraiata a testa in giu`; o ancora la visione attraverso la sfera del paesaggio capovolto, che compare ben due volte, durante il viaggio in treno di Weronika e nel finale, quando Ve´ronique si addormenta nella camera d’albergo e rivede l’immagine del paesaggio polacco; l’inclinazione della macchina da presa a 45˚, quando Weronika accusa un disturbo cardiaco e si distende su una panchina. Ma forse il segno piu` evidente della esuberante personalita` di Weronika e` data dalla composizione della sequenza della sua morte nella quale intervengono tre soggettive: una prima della morte (un movimento inconsulto della camera che finisce a piombo contro il pavimento del teatro), una al momento della morte (una carrellata a volo d’uccello sopra le teste del pubblico) e una dopo la morte (un’inquadratura a 90˚ dal basso, dal fondo della fossa in cui giace il corpo di Weronika). La visione che Weronika ha del mondo e`, dunque, sbilanciata e anomala, la terra prende il posto del cielo, il suo sguardo e` rivolto altrove, verso un’indeterminazione che e` fuga da tutto, che significa l’impossibilita` di trovare una qualsiasi risposta alla propria immanenza. Il mistero di Weronika e` nella sua eccezionalita`, nella sua tensione irriducibile, nell’incompatibilita` con le forme del tempo; cosı` la scrittura cinematografica di Kieslowski, nella parte polacca del film, si contraddistingue per l’impetuosita` del segno, per la sintesi dei dettagli, per il ripiegamento sulle suggestioni della luce ocra, che immerge l’insondabilita` della creazione, della morte, in un’atmosfera che ha qualcosa di magico, sospeso, incantato. «Lo spazio e i corpi sono come filtrati da questo monocromo che espandendosi sullo schermo li allontana nel tempo, dando loro un non so che di indistinto, di sovrasensibile».6 Il destino di Weronika e` tutto nella corsa spensierata, quasi inconsapevole, incontro alla morte (una morte musicale in una nota perfetta, ma incompiuta), nella negazione della dipendenza dalle contingenze esterne, nell’essere una possibilita` inspiegabile. Ve´ronique nasce, cinematograficamente, dal nero della morte di Weronika, il suo corpo si disegna lentamente nella penombra di decori sconosciuti, guadagnando, cosı`, una continuita` incerta e segreta con il fragile isolamento di Weronika. Ve´ronique appare subito piu` terrestre, piu` riflessiva, piu` prudente di Weronika, la sua vocazione non la distruggera` nell’esaltazione di una nota mortale, dal momento che 6

Mariolina Diana, Luci colori superfici nel cinema di Kieslowski, in «Garage», cit., pag. 84.



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lei decide di abbandonare il canto, senza una ragione apparente, e sostituisce l’esame cardiologico alla prova violenta dell’audizione. Nell’esperienza di Ve´ronique si consuma la perdita della centralita`, attenuata solo dalla rassomiglianza fisica con Weronika; Ve´ronique diviene quello che Weronika non ha voluto essere, spettatrice di se stessa, piuttosto che interprete della propria emotivita`, e` stretta nelle maglie di una rete contro cui non ha alcun potere, e non puo` far altro che stare al gioco e far sua la magia della marionetta. In Ve´ronique si attua una conversione del soggetto a persona, uno slittamento per cui l’‘io’ diventa ‘me’; il suo personaggio si costruisce come possibilita` di captazione, misteriosa capacita` di lettura e percezione di una forza che ha lasciato il suo segno nel mondo. Ve´ronique avverte che la sua persona e` incompleta, che qualcosa in se´ ha preso origine da un’altra parte, che la sua ansia ha per oggetto qualcosa di indeterminato, ma deve attendere prima di conoscere la scissione lacerante del suo essere. La fuga linguistica messa in atto da Weronika nella prima parte del film si ricompone cinematograficamente in uno sguardo piu` controllato, piu` adatto al riapparire dell’attesa per lo svolgersi della vicenda. Ve´ronique vive di riflesso, «in lei il mistero si stempera nel racconto, nel bisogno di una temporalita` che dia senso alla sua storia e alla sua esistenza»7, che e` la storia, e l’esistenza, di una ricerca, di un amore che sfocia nella scoperta della propria alterita` ontologica. A questa scoperta la conduce il marionettista Alexandre: «perfetto demiurgo, narratore, regista, manovra Ve´ronique come una marionetta (...), gioca con lei, costruisce la sua storia, trasforma le sue lacrime in gemiti di piacere, la raddoppia (la quadruplica cioe`) attraverso le marionette, e poi ancora attraverso il romanzo che sta scrivendo, la mostra addirittura a se stessa, muove il suo sguardo»8. A un’avventura di accesso brutale all’esistenza segue, quindi, il cammino cosciente, fatto di indizi, di sospensioni, di improvvise aperture all’invisibile, mediato dall’allegoria letteraria, di un’esperienza ritardata da un processo fotografico, per cui passano dei mesi prima che Ve´ronique veda Weronika nel suo cliche´, realizzando il controcampo dell’incontro. Nello sguardo di Ve´ronique posato sulla foto che ritrae Weronika si compie il senso del film, «la meraviglia di una soggettivita` che si rivela per mezzo della somma esistenziale di due entita` lontane e sconosciute»9. Weronika e Ve´ronique si rincorrono nello spazio del racconto attraverso il tempo e la distanza, unite dalla continuita` di una 7 8 9

Angelo Signorelli, art. cit., pag. 86. Norman Gobetti, art. cit., pag. 55. Angelo Signorelli, art. cit., pag. 85.

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luce dallo scintillio miracoloso e sovrannaturale, che si irradia uscendo dal nulla per dare vita a cio` che era buio e indistinto, descrivendo in modo lieve e soffuso le pulsioni vitali. Tra i due piani del film, quello polacco e quello francese, si delinea una progressione verso il concreto, l’attaccamento ai dettagli, la complessita` infinita del mondo, e anche una nostalgia dell’assoluto, del carattere intero, della musica, della purezza. Kieslowski aveva immaginato di realizzare diciassette differenti versioni numerate del film, leggermente diverse l’una dall’altra, una per ogni sala cinematografica parigina in cui sarebbe uscita la pellicola; un progetto rimasto incompiuto per la ristrettezza dei tempi di produzione e per l’eccessivo costo della realizzazione, ma che avrebbe esaltato la forza drammatica del film, nella rottura totale dei legami formali. L’incanto del sogno resta comunque intatto, prolungandosi nella struggente leggerezza della danza della marionetta in cui si scioglie il mistero dell’esistenza, l’ineffabile spettacolo della soggettivita`.

. Trois couleurs: Bleu, Blanc, Rouge (Tre colori: Blu, Bianco, Rosso): la coreografia del mondo La trilogia dei Tre colori costituisce una sorta di testamento spirituale ed artistico, la sintesi, in un certo senso, del percorso cinematografico di Kieslowski, il ripiego ultimo dello sguardo. Nel riproporre la forma della variazione, la trilogia fa eco alla struttura ternaria de Il caso e alla declinazione del Decalogo, ma il rapporto tra ordine e mistero si approfondisce nella costruzione di una messa in scena obliqua, capace di re-inventare lo spazio e il tempo di una modernita` disarmante. La nuova produzione cinematografica si caratterizza per la persistenza di una certa inquietudine, inestricabilmente legata al pensiero di Kieslowski sulla realta` e sull’individuo, e nello stesso tempo per uno slancio di effusione emotiva, per l’apertura alla speranza di una ‘redenzione’, di un ritorno in se´ per i protagonisti. Il principale interesse della trilogia risiede nella rappresentazione di una interrogazione attuale e concreta, all’interno della quale trova spazio la declinazione dei tre valori simbolici del mondo moderno, la liberta`, l’uguaglianza, la fraternita`, che si sviluppa in una prospettiva esistenziale, per nulla sociologica o ideologica. Il carattere ‘europeo’ dell’opera, lungi dal configurarsi come uno slogan o un cliche´, si coglie nella dislocazione fisica del racconto filmico, ambientato in Francia (Blu), in Polonia (Bianco) e in Svizzera (Rosso), nella

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ricognizione di molteplici tracce di realta` che si ricompongono nella continuita` di temi e associazioni visive, nella scelta di un punto di vista essenzialmente emozionale ed estetico. Ogni episodio della trilogia riflette un’esperienza insieme universale e concreta, al centro della quale si trova l’individuo, rappresentato nella sua interiorita` messa a confronto con la dispersione e il caos di una societa` multimediale, in cui e` facile rimanere schiacciati dal peso delle proprie responsabilita`, dalla vulnerabilita` del proprio ‘sentire’. L’originalita` della visione di Kieslowski e` data dalla rappresentazione di una pluralita` di punti di vista, che non esauriscono la complessita` del reale ma moltiplicano le traiettorie dello sguardo, suggerendo l’alterita` irriducibile dell’uomo, in cui si consuma l’esperienza della coscienza interiore.

. L’estetica del colore «In generale il colore e` un mezzo per influenzare direttamente l’anima. Il colore e` il tasto. L’occhio e` il martello. L’anima e` un pianoforte con molte corde. L’artista e` la mano che, toccando questo o quel tasto, fa vibrare l’anima» W. Kandinskij, Lo spirituale nell’arte.

Il colore costituisce in ciascun film un leitmotiv visuale, trasferisce all’immagine una risonanza emozionale e suggerisce un sistema di corrispondenze poetiche, una continuita` tematica di ordine sensibile e metafisico. In Film Blu, primo capitolo della serie, il colore accompagna ed evidenzia il cammino interiore della protagonista Julie: il blu e` legato al riaffiorare dei ricordi, al dispiegarsi di una memoria involontaria, nella forma di uno scambio sinestesico tra livelli percettivi differenti, che rinviano a sensazioni visuali e uditive (i cristalli del lampadario), ma anche tattili, gustative (la caramella blu). Il blu e` un colore ricco di implicazioni metafisiche, affettive, acquista una connotazione mentale, si lega all’idea della morte e della rinascita, all’esposizione ambigua dei gesti della protagonista. Al simbolismo diffuso, ‘oceanico’ del blu, che all’interno del film ‘elabora’ un sentimento di infinito, di vertigine, segue in Film Bianco un simbolismo piu` preciso, piu` immediato, affine alla drammaturgia ‘carnevalesca’ del testo. Il bianco come colore e` soprattutto impiegato in maniera ironica, nella descrizione del candore disarmante del protagonista Karol; «il bianco viene, quindi, associato ai valori della purezza e della innocenza, ed

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esprime una felicita` perduta e ritrovata»10, nel breve spazio di un giro di valzer. Il bianco e` anche il colore della idealizzazione, che allontana dalla realta` dell’amore, e soprattutto e` il colore della neve, che marca il paesaggio invernale del paese natale di Karol, la Polonia. In Film Rosso il colore crea un legame associativo con diversi elementi, dei ponti emozionali tra differenti serie di luoghi e personaggi. Il rosso e` evidentemente il colore del sentimento, dell’energia, della sensibilita`, suggerisce la capacita` della protagonista Valentine di aprirsi agli altri, di amare, in uno sfondo di indifferenza generalizzata. I ‘tocchi’ di rosso formano una trama colorata che segna la comunanza affettiva dei personaggi, il disegnarsi di un unico destino: abiti, decori, insegne, sono gli elementi di una somiglianza, di un’identita` cromatica e ontologica che lascia trasparire sviluppi sorprendenti, inaccessibili possibilita`. La diversa scala delle tonalita` rimanda a differenti valori che si sovrappongono all’interno di una messa in scena polisemica. «Utilizzato in tinta, in copertura viva monocromatica (per esempio nello sfondo del cartellone pubblicitario che ritrae il volto di 11 Valentine), il rosso emana una intensita` drammatica premonitoria» , che anticipa i tempi della storia, proiettando il dramma entro configurazioni aleatorie, enigmatiche. I toni fusi, piu` dolci, connotano, invece, il calore comunicativo che si instaura tra la giovane protagonista e il vecchio giudice. All’interno della casa del giudice, scenario dell’incontro, dello scambio tra i protagonisti, si costruisce un’atmosfera di nature morte e tonalita` autunnali, illuminate da una luce diffusa, quasi irreale, che disegna un universo di oggetti sensibili, di odori, di sfumature, e declina in una gamma affettiva multiforme, in cui l’emozione brutale della conoscenza si scioglie in un umanesimo sospeso ed essenziale. Il colore diviene, dunque, la forma plastica del racconto, lo strumento di una sensibilita` dilagante che assorbe le superfici dello sguardo, il segno di una messa in scena che si apre alle profondita` dell’infinito per ripiegarsi poi nel chiarore di una luce fioca, nella densita` corposa di una comunicazione possibile. La ‘trascendenza’ cromatica dell’immagine deriva da una volonta` di approfondimento dell’indagine del reale, dall’accesso di Kieslowski alla relativita` dell’esperienza, alla indeterminatezza della percezione, che si manifestano nel continuo fluire della visione entro gli spazi di una soggettivita` mobile, aperta, in cui si compie il movimento di un’etica che aderisce alle cose. 10

Agne`s Peck, Trois couleurs bleu/blanc/rouge. Une trilogie europe´enne, in «Etudes Cine´matographiques», n. 203-210, Lettres Modernes, Paris, 1994, pag. 160. 11 Ivi, pag. 151.

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. La ferita dello sguardo La dispersione dell’individuo, la deriva della coscienza all’interno di una realta` multimediale costituiscono il punto di partenza della triplice interrogazione di Kieslowski sui parametri della modernita`. Il mondo claustrofobico del Decalogo, segnato dalla dialettica dell’ombra e della luce, dalla gravita` dei volumi dei ‘bloki’ di cemento, dall’oscurita` del peccato e della colpa, si apre alla vertigine, all’abisso del virtuale, al rischio tecnologico di una comunicazione instabile, in cui il silenzio e` invaso dal rumore e lo schermo e` il luogo simbolico dell’alienazione. La messa in scena di Kieslowski riproduce la confusione, l’entropia fisica e metafisica della realta` attraverso il sentimento dell’assurdo che si manifesta come effetto dell’adeguamento del personaggio alla societa`, come variante individuale, concreta della sproporzione del mondo, come motore dell’azione interiore, divisore della coscienza. «In Film blu, la visione macroscopica del dettaglio insignificante, il carattere ripetitivo del quotidiano traducono il disgusto esistenziale, l’impressione di vuoto e di nulla vissuta da Julie attraverso l’esperienza del lutto»12. Il fascino contemplativo di alcuni effetti visuali (riflessi, bagliori) svuota di significato la percezione dell’ambiente, per cui il sentimento dell’assurdo si rivela come sentimento di estraneita` alla banalita` del quotidiano (attraverso i primi piani di una tazza di caffe`, di una zolletta di zucchero che prolungano ‘inutilmente’ i tempi delle inquadrature), come alterita` dolorosa (quando Julie, nel finale, riconosce la sua appartenenza al mondo identificandosi con i personaggi che ha incontrato). L’assurdita`, pero`, costituisce una tappa nella riscoperta di se stessa a cui giunge la protagonista; progressivamente, infatti, la mediazione dell’Arte, della musica, della creazione trasformano il sentimento dell’alterita` in comunicazione empatica con gli altri. Se l’assurdo e` descritto in Film Blu come elemento dell’interiorita`, della soggettivita` sofferente di Julie, Film Bianco comunica un’altra esperienza dell’assurdo, quella «dell’assurdita` esteriore, proveniente dalla disfunzione, comica e terrificante, della societa`»13. Il protagonista Karol Karol e`, infatti, costantemente ridotto allo stato di oggetto dall’ambiente, e questa reificazione involontaria rinvia al carattere derisorio della sua condizione esistenziale. L’assurdita` comica, dai tratti chapliniani, di Film Bianco nasce dalla eccessiva meccanizzazione del quotidiano, dal costituirsi di una trama di relazioni e di funzioni stranianti, quasi pirandelliane, per cui Karol non esiste socialmente se non attraverso 12 13

Ivi, pag. 154. Ivi, pag. 155.

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le sue innumerevoli ‘carte’ (di credito, telefoniche, passaporti), che vengono ‘inghiottite’ da una macchina, segnandone la morte ‘presunta’. Il funzionamento ostile degli ingranaggi sociali e` concretamente tradotto nel film tramite l’utilizzazione umoristica dei luoghi e degli oggetti, che verra` comunque riscattata nell’uguaglianza, appena sfiorata, del rapporto con la ex moglie. In Film Rosso lo scambio individuo/mondo si esprime attraverso un sentimento di derisione incarnato dal personaggio del vecchio giudice in pensione, annichilito dall’eccesso del suo senso critico. L’ironia amara verso la propria professione si risolve in un estenuante esercizio del dubbio nei confronti della possibilita` stessa della giustizia, della possibilita` di «poter decidere qual e` o non e` la verita`»14, che sembra concludere la dissertazione del Decalogo nella negazione dell’opposizione tra innocenza e colpevolezza, e quindi nel riconoscimento della «sovranita` dell’individuo»15. La chiusura del giudice, il suo piacere orgoglioso e superbo, vengono pero` ribaltati dalla disponibilita` affettiva di Valentine, dalla semplicita` del suo sguardo sul mondo, che opera una ‘conversione’ insperata della scontrosita` del giudice, segnando la definitiva affermazione della solidarieta`.

. L’amore ritrovato A rischiarare gli opachi orizzonti del viver quotidiano, i vuoti scenari di un’umanita` divisa, interviene la forza dell’amore, incarnazione della liberta`, dell’uguaglianza, della fraternita`, unica via d’uscita al sentimento dell’assurdo, che si manifesta come apertura verso gli altri, come telepatia emozionale, come consolazione ultima. In Film Blu l’amore sembra configurarsi come perdita, isolamento, potenzialita` inespressa e inesprimibile, perche´ negata, rifiutata, da parte di Julie, nell’illusione di una liberta` senza emozioni, senza ritorni. L’urgenza del dolore modifica, pero`, la percezione che Julie ha di se´ e del mondo, la sofferenza la porta ad una rinnovata comunione con gli altri e il dettato della Lettera di San Paolo illumina 14 Si tratta di una considerazione del giudice, manifestata a Valentine durante uno egli incontri con la giovane in casa propria. 15 Marina Fabbri, Una trilogia per sperare. A colloquio con Krzysztof Kieslowski e Krzysztof Piesiewicz, in K. Kieslowski, K. Piesiewicz, Tre colori Blu Bianco Rosso, Bompiani, Milano, 1994, pag. 305. (Si tratta di una dichiarazione di Piesiewicz contenuta nella sopracitata intervista di Marina Fabbri che integra il volume delle sceneggiature, i cui dialoghi sono tradotti dalla stessa Marina Fabbri).

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retrospettivamente il senso del film, nel riconoscimento della centralita` dell’amore, inteso come empatia, scambio emozionale ed estatico. In Bianco, l’onnipresenza del tema amoroso rende al protagonista una sorprendente energia combattiva, una straordinaria forza di persuasione, che gli permette, malgrado la negativita` del reale, di continuare a sperare. Nel finale del film i due protagonisti, Karol e la sua ex moglie, ritrovano per un attimo il senso della loro unione, tradotto visivamente da un dialogo muto, in cui lo scambio amoroso si esprime attraverso lo sguardo, la poesia del linguaggio gestuale. L’importanza del gesto rivelatore e` una costante del cinema di Kieslowski, in cui la concretezza dei dettagli, la fisicita` accorata dei personaggi assumono un valore metafisico. All’interno della trilogia i gesti rimangono come sospesi, corrispondono a un momento epifanico, ad una sorta di illuminazione interiore, assumendo una risonanza affettiva e poetica che li apre all’invisibile, all’inesprimibile. La declinazione degli individui e` segnata dal riaffiorare lento dell’amore, della compassione come rimedio al cinismo e alla disillusione del mondo, come ricerca e riconquista di se´; ciascuno dei capitoli della trilogia rivela la capacita`, propria di ogni individuo, di elevazione, la forza di riscattare la propria compiacenza egoistica nella ritrovata comunione con gli altri. E` ancora l’amore, dunque, al centro dell’ultimo film della trilogia, con le sue differenti forme, le sue possibilita`. Valentine, eco simbolica di Weronika/Ve´ronique (‘incarnata’ dalla stessa luminosa Ire`ne Jacob), si fa portatrice di uno sguardo solidale, di una pieta` sofferta, capace di risvegliare il vecchio giudice dalla sua scontrosa apatia, di suscitare in lui interesse e desiderio, volonta` e determinazione. Di fronte all’indifferenza generalizzata del mondo, rappresentata dall’intrecciarsi di destini, di traiettorie come fili del telefono, inevitabilmente lontani, l’anima, la coscienza scoprono il senso delle cose all’interno di una comprensione reciproca, intuitiva, che rivela la speranza, ultimo approdo dello sguardo del regista. Attraverso il tema della compassione e dell’amore si afferma l’analogia tra Film Blu, Film Bianco e Film Rosso, nella riconquista di uno spazio sensibile, nella dolorosa accettazione della liberta`, nella fugace impressione di uguaglianza, nella fratellanza di un ‘sentire’ comune. La trilogia compone, quindi, una sorprendente «sequenza sentimentale che e` tutta la storia del percorso cinematografico di Kieslowski, dalle sue aperture avventurose al mondo, nei documentari, ne Il caso, fino al ripiegamento, all’abbandono, passando per la solitudine»16.

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Vincent Amiel, Kieslowski, Paris, Rivages/Cine´ma, 1995, pag. 61.

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. Le trame del reale La trilogia sviluppa un tipo di composizione narrativa che richiama la composizione musicale, nel sovrapporsi di temi, motivi e variazioni. L’interesse per l’analisi dei processi psichici, la memoria, la reminescenza, e l’apertura a temi ‘filosofici’, le dissertazioni sul significato del mondo, costituiscono l’approdo del pensiero cinematografico di Kieslowski. I materiali propriamente filmici si arricchiscono di una riflessione estetica e di soluzioni comuni ad altre arti, la musica, la letteratura, determinando una suggestione d’immagini e suoni, di parole e luce, che sembra tradursi in una «somma romanzesca ».17 Gli indici di quest’arte romanzesca vengono rilevati da Agne`s Peck nella diversita` e nella molteplicita`; diversita` dei luoghi, degli approcci, degli sviluppi temporali o geografici, che suggeriscono l’idea di un universo vasto, aperto, in cui «l’infinita diversita` del mondo interiore si dissimula in tutte le cose»18; molteplicita` dei piani di costruzione narrativa, che genera improvvise inversioni di tono, la variazione e la ripresa contrappuntistica di immagini ed oggetti, a indicare il continuo trapasso dal simbolico al poetico. La trilogia e` orientata verso una finalita` che giustifica, che attribuisce significato all’insieme. Ogni film costituisce un testo autonomo, l’esplorazione possibile di un tema esistenziale, ma si arricchisce di analogie e differenze con gli altri due, in un ‘continuum’ visuale e plastico. I tre film sembrano essere, inoltre, tre differenti movimenti di una sinfonia, grazie alla straordinaria forza evocativa della musica di Preisner; «Film Blu, per l’ampiezza maestosa e il lirismo delle atmosfere, sembra svolgersi in un adagio, Film Bianco invece, con il suo ritmo rapido e scattante, la sua tonalita` grottesca, si avvicina ad uno scherzo, Film Rosso, che procede attraverso un progressivo arricchimento di elementi ripetitivi, assume la forma di un bolero, caldo e avvincente»19. La trilogia, dunque, per l’originalita` profonda dei mezzi cinematografici, della sperimentazione estetica, per la complessita` dei motivi e dei richiami esistenziali, diviene l’equivalente visivo di una costruzione a piu` strati, e dunque ‘letteraria’, che suggerisce un umanesimo naturale, una grazia sensuale, una precisione concreta di dettagli ed emozioni, un piacere sensitivo, che la collocano al vertice dell’itinerario artistico di Kieslowski. Subito dopo la conclusione delle riprese di Film Rosso, Kieslowski

17 18 19

Agne`s Peck, art. cit., pag. 160. Milan Kundera, Il libro del riso e dell’oblio, Adelphi, Milano, 1985. Agne`s Peck, art. cit., pag. 161.

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dichiara: «Non ho piu` voglia di lavorare come regista. Spero di non farlo piu`. Nell’ambito del cinema, credo che potrei essere un montatore, ma non m’interessa tagliare le scene girate da un altro. Quindi non faro` il montatore. Forse potrei scrivere una sceneggiatura, se un giorno qualcuno me lo chiedera` »20. Krzysztof Piesiewicz, in un articolo apparso recentemente sulla rivista «MicroMega»21, ha dichiarato che, poco prima della morte, Kieslowski aveva ricominciato a lavorare insieme con lui ad un altro progetto, una trilogia dantesca su Inferno, Purgatorio e Paradiso. Questo progetto, che sara` portato a termine da Piesiewicz, e` il segno evidente di una continuita` di pensiero e riflessione che solo la morte ha spezzato, privandoci di quella che sarebbe stata, probabilmente, un’altra scommessa vincente.

. Trois couleurs: bleu (Tre colori: blu): il riflesso del mondo «Il non essere e` un vuoto infinito e lo spazio vuoto e` blu e non vi e` niente piu` bello del blu». Milan Kundera, Il libro del riso e dell’oblio.

Film Blu e` il primo capitolo della trilogia di Kieslowski, il racconto di una illuminazione, un’interrogazione struggente sull’apprendimento della liberta`, che si compie nel riconoscimento, da parte della protagonista, della sua appartenenza al mondo sensibile degli oggetti e dei legami. Julie e` la giovane moglie di un famoso compositore, che sta ultimando la partitura del Concerto per l’unificazione europea; in seguito ad un violento incidente d’auto rimane sola, il marito e la figlioletta muoiono, e comincia per lei la dolorosa esperienza del vivere. La fuga di Julie, il disperato tentativo di rimozione del dolore che si manifesta nell’assenza del pianto, costituiscono il primo atto di una diversa

20 Vincent Amiel et Michel Ciment, Entretien avec Krzysztof Kieslowski, in «Positif», n. 403, settembre, 1994. 21 Krzysztof Piesiewicz, Kieslowski, artista della verita`, in «MicroMega» 2/97, Periodici Culturali, Roma, maggio-giugno 1997, tr. it. di Marzenna Smolenska Mussi, pagg. 161-165. 22 I titoli originali dei film sono Trois couleurs: bleu, Trois couleurs: blanc, Trois couleurs: rouge; per comodita` espositiva cito l’originale soltanto ad inizio paragrafo, adottando nel testo la versione italiana, ovvero Film Blu, Film Bianco, Film Rosso.

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relazione con gli altri, in cui il peso dei ricordi verra` equilibrato dagli incontri del presente. Lo schermo `e scuro, si avverte un rumore molto forte, scorrono i titoli di testa. L’inquadratura si allarga, primo piano di una gomma che corre sull’asfalto, il quadro si oscura. Si sente il suono di un clacson, una mano sventola dal finestrino di un’auto una carta azzurra; una bambina viene inquadrata in piano medio, `e seduta nel sedile posteriore dell’auto ripresa in precedenza, guarda dritto in macchina. L’auto sta attraversando una galleria, luci rosse confondono l’immagine, primo piano della bambina, il quadro si oscura; l’auto si ferma, si apre lo sportello, la bambina scende, l’uomo al volante si stira, primo piano della pompa dell’olio, c’e` una perdita. Particolare di una palla di legno, che una mano cerca di far entrare in una bacchetta di legno. L’inquadratura si allarga, l’auto sfreccia veloce sulla autostrada, primo piano di un giovane che continua a giocare con la palla; si avverte fuori campo uno stridio di freni, primo piano del ragazzo, inquadratura dell’auto che si `e schiantata contro un albero, si sente un urlo, la macchina fuma. Dallo sportello rotola un pallone, primo piano su uno skate, il ragazzo corre, panoramica sulla strada, intorno `e silenzio. Piano fisso sull’auto, il quadro si oscura per pochi secondi. Lo schermo `e occupato da un’immagine indistinta, primo piano di un occhio, dentro il quale `e riflessa l’immagine di un uomo, un medico, che comunica alla donna distesa sul letto, di cui `e inquadrato l’occhio, che il marito `e morto. Primo piano del volto della donna, Julie; si solleva, chiede notizie della figlia, la bambina che viaggiava dentro l’auto, anche lei `e morta, chiude gli occhi. Primo piano su un vetro rotto, Julie `e in piedi, nel corridoio dell’ospedale, si nasconde. Accorre un’infermiera in corridoio, telefona alla sorveglianza, Julie intanto entra in infermeria, apre il mobile delle medicine, prende una boccetta di pillole, richiude, poi ingoia tutte le pillole. Julie `e immobile, con la testa reclinata, sputa le pillole, solleva la testa, l’infermiera la osserva da dietro un vetro, poi entra nella stanza; Julie le dice di essere stata lei a rompere il vetro, si scusa ripetutamente. Primo piano del volto di Julie, a letto, particolare dell’occhio, si avvicina un uomo, Olivier, collaboratore del marito. L’immagine `e sfuocata, si sente in sottofondo una musica profonda; primo piano di un televisore digitale, sullo schermo un uomo si lancia nel vuoto senza paracadute, Olivier chiude lo schermo. Primo piano del volto di Julie, la donna chiede se i funerali sono previsti in giornata, l’uomo le comunica che saranno trasmessi alle 17,30, poi si allontana. Sullo schermo televisivo compaiono le immagini del funerale, Julie viene inquadrata in piano medio, guarda la televisione, si alternano le immagini del funerale. Olivier compare sullo schermo, poi vengono inquadrate le bare, Julie accarezza con il dito lo schermo in corrispondenza della bara bianca della figlia, le immagini del funerale riempiono il quadro. Un uomo ricorda le doti artistiche del marito di Julie, Patrice, un famoso compositore, la macchina da presa fa una carrellata sui particolari del volto della donna, l’occhio, il naso, le labbra, che si contraggono per il dolore. Inquadratura della

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bara, il volto di Julie `e solcato da una lacrima, lo schermo si oscura. Panoramica su un palazzo, Julie in primo piano si sveglia, il suo volto viene inondato da una luce blu, si sente in sottofondo un tema musicale, una voce fuori campo dice “buongiorno”, lo schermo si oscura per un attimo. Compare una donna sulla porta della stanza, Julie `e seduta in poltrona, non vuole parlare con lei, `e una giornalista. La donna insiste nel voler entrare, chiede del concerto per l’unificazione dell’Europa, al quale stava lavorando il marito di Julie; Julie comunica alla donna la morte del marito, si alza per farla uscire, questa le chiede se era lei a scrivere la musica del marito, poi si allontana. Olivier, in piano medio, `e dentro una stanza, rovista tra i fogli di una scrivania, cerca qualcosa; Julie cammina nel cortile della sua villa di campagna, incontra il giardiniere, chiede all’uomo se ha provveduto a sgomberare la ‘stanza blu’. Julie `e di spalle, apre una porta, entra dentro una stanza, in cui scende dal soffitto un lampadario di cristalli blu, si avvicina, strappa alcuni cristalli, li stringe tra le dita. E` in soffitta, prende alcune carpette, poi scende lentamente le scale; sul pianoforte c’e` un foglio strappato, uno spartito, Julie lo legge, poi lo accartoccia, sente qualcuno piangere. Julie entra in cucina, la governante, inquadrata di spalle, si dispera; Julie le chiede perche´ piange, la donna risponde: «perche´ lei non piange», Julie la abbraccia. Julie si trascina per casa, si siede, un bagliore di luce blu colpisce il suo volto; bussano alla porta, si sente un rumore di passi, qualcuno entra. Resta immobile, chiude gli occhi, poi si volta; `e Olivier. I due si guardano, lo schermo si oscura. Julie `e dall’avvocato al quale detta le sue disposizioni, tiene in mano i cristalli blu del lampadario. Olivier `e dentro la sua auto, fuori campo si sentono dei rumori, sembrano spari; l’uomo sfoglia delle foto in cui il marito di Julie `e ritratto insieme ad un’altra donna. Primo piano su uno spartito, carrellata sulle note, Julie sta leggendo, il suo sguardo scorre sulle note. Primo piano sul pentagramma, una musica ‘riempie’ lo schermo, Julie col dito chiude la cassa del pianoforte, su cui si riflette la sua immagine. Julie cammina per strada, veloce, sale una scala. Inquadratura di una donna da dietro un cumulo di fogli; la donna le consegna gli spartiti del concerto del marito, il suo dito scorre sul pentagramma in corrispondenza degli accordi del coro, improvvisamente si sente in sottofondo la voce dei coristi, Julie avvolge lo spartito ed esce. E` per strada, getta le partiture in un cassonetto dei rifiuti. Primo piano su una borsa che Julie svuota sopra un materasso; tra gli oggetti trova un lecca-lecca della figlia, avvolto in una carta blu, come quella sventolata fuori dal finestrino dell’auto prima dell’incidente. Primo piano del volto di Julie, chiude gli occhi, assaggia la caramella, la morde nervosamente. Julie viene inquadrata di spalle, `e tesa, sfoglia un’agenda, compone un numero telefonico. Olivier risponde fuori campo, Julie chiede all’uomo se l’ama, lui dichiara di amarla da sempre, la donna gli chiede di raggiungerla, la sua voce `e contratta. Fuori piove, Olivier entra in casa, chiude la porta, Julie gli chiede di togliersi i vestiti, lei fa lo stesso; Olivier si spoglia lentamente, sembra imbarazzato, poi si avvicina a Julie, lei lo accarezza, cominciano a baciarsi. Primo piano del volto di Olivier, `e

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giorno, l’uomo `e disteso sul materasso, Julie poggia accanto al suo viso una tazza di caffe`, l’uomo si sveglia, lei gli dice: «e` molto bello quello che ha fatto per me, ma vede, sono una donna come tante, sudo, tossisco, ho la carie, non le manchero`». Primo piano di Olivier, `e sconvolto, Julie esce, lui si alza, si veste, prova a chiamarla dalla finestra. Julie cammina lungo la strada, sfrega la sua mano contro un muro, il suo volto si contrae, poi avvicina la mano alla bocca. E` inquadrata di spalle, sta salendo una scala mobile, attraversa le bancarelle di un mercatino rionale, le voci dei venditori si confondono. Tiene un pacco tra le mani, si guarda intorno. Entra in un’agenzia immobiliare, chiede informazioni per un appartamento, l’agente gliene propone uno, lei vuole vederlo subito. Apre una porta, entra, osserva l’appartamento, posa il pacco per terra; prende uno sgabello, attacca il lampadario di cristalli blu al soffitto, gira intorno, osserva i cristalli oscillare, sul suo volto si riflettono dei bagliori blu, la sua mano trema, il quadro si oscura. E` seduta al tavolo di un bar, ordina “ il solito”, mangia un gelato, fuori dalla finestra viene inquadrato un flautista, segue con leggeri movimenti del capo la sua musica, piano fisso sulla tazza del caffe`, poi il quadro si oscura. Si tuffa in una piscina, tutto intorno `e blu, nuota sul dorso. Primo piano di Julie a letto, si sentono fuori campo delle urla, si tratta di una zuffa tra ragazzi; osserva dalla finestra, uno degli aggressori si rifugia dentro il palazzo. Cammina per la casa spaventata, si sente un rumore di passi, qualcuno bussa alle porte degli appartamenti. E` ferma davanti alla porta, la apre, si affaccia sul pianerottolo, un colpo di vento fa chiudere la porta. E` rimasta fuori casa, ride, si appoggia alla ringhiera delle scale, il suo volto `e illuminato da riflessi blu. Sale una donna, bussa piano ad una porta, poi entra in casa; dalla porta esce un uomo che entra nell’appartamento della ragazza; prima di chiudere l’uscio guarda Julie. Julie `e ancora appoggiata alla ringhiera, ha gli occhi chiusi, si sente in sottofondo un tema musicale, poi apre gli occhi, li richiude, si addormenta. Primo piano su una pianta, Julie la tiene in mano, suona il campanello, la pianta cade a terra; entra una donna che propone a Julie di firmare una petizione per mandare via una delle inquiline, una prostituta. Julie non `e interessata, si rifiuta di firmare. Inquadratura su una vecchina ricurva che cammina lentamente per strada; Julie `e inquadrata di spalle, poi in primo piano, ha gli occhi chiusi. La vecchina prova a mettere una bottiglia dentro il cassonetto dei rifiuti, Julie ha gli occhi chiusi, lo schermo si inonda di bianco. La vecchina riesce a inserire la bottiglia, Julie muove la testa. E` dal medico per un controllo, suona il telefono, `e Antoine, il ragazzo che l’ha soccorsa. Il dottore passa la telefonata a Julie, il ragazzo, fuori campo, le parla di una catenina. Primo piano su un ciondolo, una croce, l’inquadratura si allarga, compare il volto sfuocato di Julie; Antoine le porge la catenina, poi le chiede se vuole conoscere alcuni dettagli dell’incidente, Julie non vuole sapere, lo schermo si oscura. Primo piano di Julie, Antoine le racconta di aver sentito dire a suo marito una strana frase, “provi un po’ a tossire”; Julie sorride, poi spiega al ragazzo che al momento dell’incidente l’uomo stava raccontando a lei e alla bambina una barzelletta. Julie racconta la barzelletta anche ad

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Antoine, poi si alza dal tavolo e gli dice che puo` tenere la catenina. Sta nuotando in piscina, si avvicina al bordo, si solleva, in sottofondo si sente il tema musicale del film; resta qualche attimo sospesa, poi si immerge sottacqua, la musica si attenua, si piega, assumendo una posizione fetale. Il flautista `e disteso sul marciapiede, Julie gli si avvicina, l’uomo si solleva, scambiano qualche parola. Julie `e seduta in poltrona, suona il campanello, si alza, entra Lucille, la prostituta; la ragazza le comunica che grazie a lei `e potuta rimanere nel suo appartamento. Lucille fa un giro per la casa, osserva il lampadario di cristalli blu, ricorda di averne avuto uno simile da bambina; osserva Julie, le dice che deve esserle successo qualcosa. Primo piano sul flautista, lo schermo si oscura, su un cucchiaino si riflette l’immagine di Julie; Olivier entra dentro il bar, dice a Julie di averla trovata per caso, di sentire la sua mancanza, poi le chiede se `e fuggita, se e` da lui che fugge. Julie guarda fuori dalla finestra, una macchina di lusso si `e fermata vicino al flautista, scende una donna bionda, bacia il flautista, poi l’auto riparte e l’uomo comincia a suonare il flauto. Olivier si volta incuriosito dalla musica del flautista, sembra infatti uno spezzone del concerto del marito di Julie, poi Olivier va via. La macchina da presa inquadra una zolletta di zucchero. Julie si avvicina al flautista, gli domanda dove ha sentito il pezzo che sta suonando, lui risponde che compone da solo i brani. Julie `e a casa, disfa il sacco della spesa, posa l’acqua nello sgabuzzino, apre la porta e trova nella stanza dei topini appena nati, il suo volto `e atterrito. E` presso l’agenzia immobiliare, chiede al responsabile se `e disponibile un appartamento uguale a quello in cui abita, l’uomo le risponde che occorre aspettare un po’ di tempo. Primo piano di Julie a letto, immobile, fuori campo si sentono gli squittii dei topi. Piano fisso su un parco, Julie cammina dentro un giardino; primo piano su una foto, carrellata della camera su altre fotografie, l’immagine di Julie si riflette su un vetro. Julie osserva una donna, sua madre, impassibile davanti ad un televisore. Chiama la madre, la donna la scambia per sua sorella; prova a farsi riconoscersi, si rende conto che la madre continua a far confusione. In televisione un uomo anziano si lancia da sopra un ponte con un elastico librandosi nel vuoto. Parla con la madre, le racconta la sua disavventura, la perdita del marito e della figlioletta, poi le confessa che prima dell’incidente era felice; sullo schermo televisivo compare un uomo che si lancia da un elicottero. La madre sembra distratta, non ascolta. Julie le dice di aver intenzione di non fare niente, poi aggiunge: «non voglio piu` ne´ proprieta`, ne´ ricordi, amici, amore o legami sono tutte trappole». Chiede alla madre se da piccola aveva paura di qualcosa, la madre dice che lei non aveva paura di niente, poi aggiunge che Julie, invece, aveva paura dei topi. Olivier riceve un pacco postale, lo scarta: `e una copia della partitura del concerto per l’unificazione d’Europa. Olivier sfoglia gli spartiti, si alza, prova a suonare qualche accordo al pianoforte; inquadratura sui topini a casa di Julie, lo schermo si oscura. Julie va da un vicino, chiede se puo` prestarle il gatto per qualche giorno, il giovane va a prenderlo; Julie lo porta nel suo appartamento, lo mette nello sgabuzzino, chiude gli occhi, richiude in fretta la porta. Julie nuota in piscina, la raggiunge Lucille, Julie si

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alza per salutarla; l’amica le chiede se sta piangendo, lo schermo si oscura per un attimo, si sente una musica in sottofondo, Julie in primo piano dice a Lucille che si tratta dell’acqua della piscina, Lucille la abbraccia. Julie dice a Lucille di aver paura per aver messo il gatto nello stanzino, la ragazza la rassicura dicendole che andra` nel suo appartamento per fare pulizie, intanto un gruppo di bambini si tuffa in piscina. E` notte, panoramica sulla citta` illuminata dalle luci dei palazzi; suona il telefono. Julie risponde, `e Lucille, disperata, che le chiede di raggiungerla a Pigalle. Julie cammina per strada, citofona, chiede di Lucille; le viene incontro un uomo, entra in un locale ambiguo, due donne si esibiscono in uno spogliarello. Julie entra nel camerino di Lucille, la ragazza le racconta di aver visto suo padre tra il pubblico, `e sconvolta. Lucille dice a Julie di voltarsi. In televisione scorrono alcune foto che ritraggono Julie, suo marito e la bambina; si alternano le immagini di Olivier seduto in uno studio televisivo, intervistato dalla giornalista che era andata a trovare Julie in ospedale. Olivier mostra gli spartiti del concerto per l’Europa, dichiara che sta completando l’opera, che sara` eseguita contemporaneamente da dodici orchestre in dodici citta` dell’Europa unita. Sullo schermo appaiono delle foto in cui Patrice `e ritratto insieme ad un’altra donna, Julie sembra scossa. Un taxi, in piena notte, si ferma sotto un palazzo, Julie `e a casa della donna da cui aveva ritirato gli spartiti del concerto; la donna confessa di averne fatto una copia e di averla spedita ad Olivier. Julie `e per strada, intravede l’auto di Olivier, la insegue, Olivier riparte, poi si ferma; Julie raggiunge l’auto, sbatte i pugni contro la carrozzeria. Julie `e a casa dell’uomo, Olivier si siede al piano, suona un motivo, Julie sfoglia un libro, poi mostra a Olivier il testo in greco antico del coro, l’uomo prova ad intonare il motivo con la voce; Julie chiede informazioni sulla donna ritratta insieme al marito nelle foto apparse in televisione, Olivier le dice che `e l’amante di suo marito, lo schermo si oscura, Julie dice di volere incontrare la donna. Julie sale le scale del Palazzo di Giustizia, l’amante del marito `e un avvocato, entra, si avvicina ad una donna, la guarda attentamente, poi si scusa; cammina lungo il corridoio, si affaccia dentro un’aula, dove si svolge un processo che vede coinvolti i protagonisti di Film Bianco, i coniugi Karol e Dominique, scorge la donna, prova ad entrare ma viene allontanata dall’usciere. Julie `e dietro un’inferriata, segue la donna in un bar, la osserva da dietro il vetro, si accorge che la donna si alza dal tavolo, Julie entra nel locale. Julie `e nella toilette, la donna esce dal bagno, `e incinta, sta per uscire quando Julie la chiama. Le due donne conversano per un po’ di tempo, Julie chiede a Sandrine particolari della sua relazione con il marito, del bambino che aspetta, la donna risponde di non aver fatto in tempo ad avvertire Patrice del bambino, non si era accorta di essere incinta. Julie si tuffa in acqua, carrellata sulla piscina; riemerge, ha nuotato sott’acqua, tossisce per lo sforzo. Primo piano della madre di Julie, davanti al televisore, Julie `e riflessa sul vetro; decide di non entrare, si allontana lungo il viale, il quadro si oscura. Olivier apre la porta di casa, entra Julie. Primo piano del pentagramma, il dito di Julie scorre sullo spartito, la musica segue questo movimento;

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carrellata sul pentagramma, Julie fa delle correzioni, l’immagine si sfuoca. Julie e Olivier lavorano insieme sugli accordi degli strumenti. Julie prende dalla borsa un foglietto su cui sono segnate alcune note del finale; si tratta di un contrappunto di Van Den Budenmayer, un compositore molto amato dal marito. Julie `e dall’avvocato, comunica che la casa di campagna non deve essere venduta. Julie `e nel cortile della villa, il giardiniere scarica insieme a lei alcuni mobili, arriva l’auto di Sandrine; Julie le mostra la casa, chiede alla donna se conosce il sesso del bambino, lei risponde che sara` un maschio. Primo piano del pentagramma, Julie scrive la partitura del finale del concerto, `e decisa nelle correzioni, telefona a Olivier; l’uomo, in primo piano, dice a Julie che vuole che sia ufficializzato l’autore del concerto, la musica deve essere di uno dei due, ma in modo definitivo. Julie, di spalle, richiama l’uomo, chiede se `e stato lui a prendere il materasso su cui hanno fatto l’amore, Olivier confessa di averlo preso; Julie gli domanda se l’ama ancora, Olivier risponde che l’ama, Julie gli comunica che ha deciso di raggiungerlo, prende i fogli dello spartito ed esce, lo schermo si oscura. Primo piano della mano di Olivier, il quadro si allarga, Olivier e Julie stanno facendo l’amore, sullo schermo compaiono le didascalie del testo del coro, dalla prima lettera di San Paolo ai Corinzi; la scena viene inquadrata da dietro un vetro, l’immagine viene distorta da riflessi blu, lo schermo si oscura. Primo piano di una sveglia che suona, una mano la spegne, `e quella di Antoine, il ragazzo si volta, la macchina da presa fa una carrellata verso destra, lo schermo si oscura; compare l’immagine sfuocata della madre di Julie riflessa sullo schermo, il suo sguardo `e fisso, chiude gli occhi, un’infermiera entra nella stanza, il quadro si oscura. Carrellata su uno spettacolo di spogliarello, il volto di Lucille `e in primo piano, sembra triste; la macchina da presa inverte il movimento, si sposta verso sinistra; compare sullo schermo l’immagine dell’ecografia di Sandrine, il bambino si muove, la donna in primo piano sorride, il quadro si oscura. Compare l’occhio di Julie in primo piano, lo schermo si oscura nuovamente. Julie piange dietro un vetro, guarda fisso davanti a se´, sul vetro appaiono dei riflessi blu; piano fisso su Julie, il quadro si oscura, poi viene inondato da una luce blu; su questa immagine si chiude il film. La sequenza iniziale del film, che si articola nella incontrollata velocita` dell’auto e nella disperata fissita` dello schianto, definisce il ritmo del racconto, la dialettica di movimento e immobilita`. Lo sviluppo della storia fa alternare piani fissi dei personaggi e movimenti della camera, in uno svolgimento continuo di immagini e percezioni stranianti, che compongono la sinfonia interiore della protagonista. L’impressione di immobilita` e` resa tramite la durata dei primi piani del viso di Julie, immerso in un fascio di luce blu, che esprime la disperazione, la rinuncia al presente, la volonta` di rifugiarsi nella solitudine della propria sofferenza. La liberta` di Julie, quindi, sembra realizzarsi in un primo tempo in una sorta di ‘morte-in-vita’. In opposizione a questa sensazione di immobilita`, la

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percezione del tempo e dello spazio nasce dai movimenti dei tagli di montaggio e dalle ellissi del racconto, che preparano la ‘rinascita’ del personaggio attraverso la resistenza alla inerzia del suo mondo interiore. L’apparente continuita` della storia viene a tratti interrotta dalla discontinuita` di alcuni piani neri e blu, a cui si sovrappongono continue variazioni del tema musicale del concerto che invadono lo schermo immettendo nel racconto i frammenti di una memoria involontaria. La musica, composta prima del film, potrebbe definirsi come un poema sinfonico di soggiogante bellezza; per Julie la musica diviene «l’identificazione del tragico ricordo della perdita e la possibilita` di una creazione, che l’aiuta infine a riadattarsi al mondo e a recuperare la speranza nella vita. L’arte si oppone, dunque, all’istinto della morte»23. La ricchezza del materiale percettivo da` alla sensazione un carattere di immediatezza che attesta l’autenticita` concreta dell’esperienza. Assume grande importanza all’interno del film il suono che completa l’immagine suggerendo corrispondenze inattese, sviluppando i contrasti del reale. L’alternanza tra la musica, proiezione del mondo interiore, e il rumore, segno inconfondibile della confusione esteriore, e` probabilmente la marca estetica piu` affascinante del film, la piu` ricca, nel continuo sciogliersi del ritmo visuale nelle variazioni dei toni, delle intensita` dei suoni. La risonanza poetica del blu raggiunge la sua vertigine emotiva nelle immersioni di Julie in piscina, nella trasparenza blu dell’acqua che associa il tema della morte, nell’apparizione dei ricordi e nella tentazione del suicidio, a quello della rinascita, attraverso la posizione fetale a cui si piega il corpo di Julie in un gesto di rinnovata speranza. Ma l’immagine che meglio sintetizza il percorso interiore di Julie, dalla rinuncia alla dolorosa accettazione di se stessa e del mondo, e` il piano sul suo occhio, che ritorna in due momenti topici del film, subito dopo l’incidente e all’inizio della sequenza finale, in cui Julie recupera il senso del proprio stare in vita. Il particolare ingrandito del suo occhio, nel primo caso, rinvia all’interiorita` del personaggio, alla emorragia della sua individualita`, «all’idea di una carica affettiva troppo forte per lasciare agli altri, al presente, al mondo, uno spazio piu` importante di un minuscolo riflesso»24. Questo piano soggettivo descrive il timore, la paura di Julie dopo il trauma della perdita, la sua volonta` di assorbire il mondo piuttosto che lasciarsi travolgere dal dolore. Nella sequenza finale del film l’occhio di Julie, in primo piano, giustifica lo scorrere delle immagini sullo 23

Michel Este`ve, Trois couleurs Bleu ou l’apprentissage de la liberte´, in « Etudes Cine´matographiques», cit., pag. 124. 24 Vincent Amiel, op. cit., pag. 133.

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schermo, a meta` tra il sogno e il desiderio, in cui si ricompone il dramma della sofferenza; Julie si dispone al centro delle carrellate della camera, diviene il punto di attrazione, il centro di gravita` dello spettacolo della visione. La liberta` riconquistata e` allora quella del dolore, la composizione del proprio universo affettivo, in cui il ricordo del passato non cancella i corpi, le immagini del presente, ma le vivifica attraverso i bagliori di una luce che protegge la nudita` delle emozioni, attraverso il vetro trasparente di uno sguardo che riflette il mondo.

. Trois couleurs: blanc (Tre colori: bianco): l’uguaglianza dei corpi Film Bianco si pone in una relazione di complementarita` con Film Blu; pur nella diversita` dei toni e dei modi della rappresentazione, costituisce quasi il ‘negativo’ del primo, nella comune articolazione del tema della perdita, nella ricerca di un’identita` insieme individuale e sociale. Karol Karol, polacco, affronta la moglie Dominique, un’affascinante donna francese, in tribunale, ed e` costretto ad accettare il divorzio a causa della sua impotenza. La sentenza non lascia scampo al protagonista che si ritrova a non avere piu` niente; colpito nella sua dignita` di uomo e cittadino decidera` di ritornare in patria, dentro una valigia, e riuscira` a trasformare la sua modesta esistenza in una esaltante scalata al successo, descritta da Kieslowski con ironica comicita`, con una grazia senza artifici. Mentre scorrono i titoli di testa, si avverte fuori campo il rumore di un rullo meccanico; primo piano su una valigia trasportata da un rullo. Primo piano su due piedi che camminano velocemente, si fermano, l’inquadratura si allarga; un uomo cammina davanti al Palazzo di Giustizia, `e nervoso, sfoglia un vocabolarietto, chiede informazioni ad una guardia, non parla il francese. L’uomo, un polacco di nome Karol Karol, entra nell’atrio del Palazzo; primo piano della valigia, che scorre sul nastro trasportatore. Primo piano di Karol, sale le scale, inquadratura sui suoi piedi, dei piccioni si levano in volo, sul suo impermeabile cade un liquido biancastro, probabilmente si tratta di escrementi dei piccioni. Primo piano della valigia, trascinata dal rullo. Dentro un’aula del Tribunale, l’avvocato di Karol traduce le dichiarazioni di una donna bionda, altera, determinata, che sostiene che il matrimonio non `e stato consumato; si tratta di Dominique, la moglie di Karol, una donna francese bellissima. Karol prova a giustificare la propria impotenza; mentre urla davanti alla corte nel tentativo di far valere i propri diritti, entra nell’aula Julie, la protagonista di Film Blu, ma viene allontanata. Karol dichiara di aver bisogno di tempo, intende salvare il suo matrimonio, si alternano i primi piani dei due personaggi.

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Interno scuro di una chiesa, al centro del quadro il punto chiaro della porta; la macchina da presa avanza verso la luce, viene scavalcata dal velo del vestito da sposa di Dominique, che si volta leggermente verso sinistra; raggiunge l’uscio, molte persone l’attendono, le tirano il riso, i piccioni si alzano in volo. Primo piano di Dominique che si alza di scatto, dichiara di non amare piu` Karol. Le mani di Karol si appoggiano al W.C., l’uomo vomita, si dispera, si siede per terra, stremato. Esce dal Palazzo, scende le scale, Dominique `e nel cortile, scarica da un’auto bianca una valigia, dentro ci sono tutti gli affetti personali di Karol, poi si allontana. Karol prova a seguirla, poi si siede sconsolato sulla valigia. Una mano inserisce una tessera nel Bancomat, la carta non `e valida, un impiegato allo sportello comunica a Karol che la sua carta di credito `e stata soppressa, poi la taglia con una forbice. Primo piano di Karol; si sfrega le mani, ha freddo, di fronte a lui una vecchina cerca di inserire una bottiglia nel cassonetto dei rifiuti, l’uomo sorride, prova a scaldarsi le mani, tira fuori dalla tasca un mazzo di chiavi. E` mattina, Dominique scende dall’auto, si accorge che la saracinesca del suo salone di bellezza `e aperta, entra, Karol dorme su una poltrona. La donna lo sveglia bruscamente, prova a chiamare la Polizia; Karol le mostra le chiavi, poi fa finta di ingoiarle, `e uno scherzo. Dominique `e vicina a lui, Karol prova ad accarezzarle i capelli, le fa il solletico, la sfiora con la mano, la bacia; lei accarezza le sue parti intime, abbassa la cerniera, solleva la gonna, si siede sopra di lui. Dopo pochi attimi, Karol stringe le labbra, `e bloccato; Dominique `e spietata nella sua reazione, accusa il marito di non aver mai capito niente, lui prova a dire qualcosa in francese, ma le sue parole sono confuse. Dominique da` fuoco alla tenda, intende denunciarlo, Karol `e costretto a fuggire. Karol cammina con la valigia in mano, osserva un busto di alabastro esposto in una vetrina, primo piano del busto di donna. E` seduto a terra dentro la valigia, suona il motivo di una vecchia canzone polacca con il pettine; si avvicina un uomo elegante, distinto, deposita delle monete, parla la sua lingua, `e polacco. L’uomo si presenta, si chiama Mikolaj, Karol gli mostra i diplomi vinti ai concorsi per coiffeure, i due conversano, bevono della vodka. Sono seduti nelle sedie del metro`, Mikolaj fa un gioco con le carte, riesce ad indovinare le carte pescate da Karol, dice di avere buona memoria, di essere un giocatore di bridge. Karol comunica a Mikolaj l’intenzione di scappare dalla Francia, l’uomo si offre di aiutarlo, Karol dice di essere senza speranza; non ha soldi, ne´ documenti. Mikolaj gli offre un lavoro; si tratta di uccidere un uomo stanco della vita, un uomo che vorrebbe suicidarsi, ma non puo` farlo per rispetto della moglie e dei figli, Karol si stupisce che un uomo con una famiglia possa desiderare la morte, poi racconta le sue vicissitudini. Descrive il primo incontro con Dominique, poi i due si allontanano; escono fuori dal metro`, Karol vuole mostrare sua moglie a Mikolaj. Indica all’uomo una finestra illuminata, si scorgono due sagome; telefona a Dominique, Mikolaj resta in disparte, la donna fa sentire a Karol, fuori campo, i suoi gemiti mentre fa l’amore con un altro. Karol dice di amarla, Dominique

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urla di piacere; Karol tiene tra le mani la cornetta del telefono, l’apparecchio gli ha sottratto una moneta da due franchi, se la fa restituire con rabbia da un impiegato. Karol ha trovato il modo per rientrare in Polonia, getta via i diplomi, entra nella valigia; Mikolaj pratica dei fori per respirare, poi Karol esce, dice di dover rubare qualcosa prima di partire. Primo piano della valigia che scorre sul rullo, un inserviente prova a sollevarla, `e molto pesante; un furgone trasporta le valigie fino all’aereo, poi vengono imbarcate. Primo piano di Mikolaj, all’aeroporto, che aspetta di ritirare la valigia; non la trova, `e stata rubata. Mikolaj denuncia la scomparsa della valigia, mostra il biglietto all’impiegata, panoramica su una discarica innevata. Una jeep si arrampica su un monticciolo, quattro uomini scendono dall’auto, scaricano delle valigie; aprono la valigia con Karol, l’uomo esce dalla valigia, i delinquenti gettano via il busto d’alabastro, sfilano l’orologio a Karol, lo maltrattano, lo picchiano, poi lo fanno rotolare giu` per il pendio. Primo piano su Karol steso per terra; solleva la testa, si volta a sinistra, tossisce, panoramica sul paesaggio invernale, Karol esclama: «Finalmente a casa». Cammina lungo un viale grigio e fangoso, porta con se´ la valigia, scivola sul ghiaccio, bussa alla finestra di un salone di bellezza; si affaccia un uomo, `e Jurek, suo fratello, Karol trascina la valigia, si abbracciano. Primo piano su una donna che sta facendo uno shampoo, Jurek prepara una tazza di brodo, la porta a Karol, ancora a letto, sveglio, con lo sguardo sbarrato. Primo piano di Karol, sta incollando il busto d’alabastro, frantumatosi nella discarica. Karol `e sulla Vistola, sotto un ponte, ha tra le mani la moneta da due franchi, prova a lanciarla, ma resta attaccata al palmo della sua mano. Il quadro `e scuro, si intravede in primo piano la sagoma di Dominique; la donna apre una porta, entra in una stanza, si appoggia alla parete. Primo piano di Karol che pettina una cliente, sembra essersi ripreso, `e tornato al suo lavoro, poi esce per recarsi ad un appuntamento. Entra in un ufficio cambiavalute, chiede un lavoro, il proprietario gli offre l’incarico di sorvegliante e gli consegna una pistola. Karol esce dall’ufficio, si guarda intorno, mette la pistola dentro la giacca, poi nei pantaloni, cammina come un ‘bullo’, divarica le gambe, `e molto divertente. Primo piano di Karol a letto, prova a coniugare alcuni verbi francesi, poi inserisce un nastro che ripete gli esercizi di lingua; Karol si distende su un fianco, si avvicina al busto, la stanza `e buia, bacia la donna sulle labbra con grande intensita`. Si sta rasando, Jurek prova ad accordarsi sulle clienti che Karol deve seguire, `e affabile, poi esce dalla stanza, dicendo al fratello che un certo Mikolaj lo ha cercato. Il proprietario dell’ufficio cambiavalute `e in macchina con un altro socio, Karol `e seduto nel sedile posteriore, fa finta di dormire, nel frattempo ascolta interessato le conversazioni dei due uomini, che stanno organizzando strane manovre d’affari. L’auto si ferma in una strada sterrata, i due uomini scendono, indicano un terreno, discutono di investimenti e guadagni; Karol `e in macchina, uno dei due uomini prova a spaventarlo. Karol `e presso uno sportello di cambio, gli consegnano dei dollari, poi entra in un bar, acquista una bottiglia di vodka, si reca in un caseggiato sperduto dove incontra un vecchio uomo. Sono

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

seduti a un tavolo, bevono della vodka, Karol cerca di convincere l’uomo a vendere il terreno, l’uomo, un po’ indeciso, accetta di firmare un documento. Karol gli mostra una piantina topografica, poi si ferma a dormire a casa dell’uomo. L’indomani mattina, si affaccia alla finestra, il vecchio `e giu` a lavorare; si lava il viso, si pettina allo specchio, il suo volto in primo piano si confonde in un riflesso di luce. Primo piano di una cartina topografica, Karol traccia delle linee con un pennarello, poi l’arrotola. E` dentro una cabina, prova a telefonare, il telefono `e guasto, strappa una pagina dall’elenco telefonico, poi rimane chiuso dentro la cabina. Karol `e fermo dietro una vetrina, Mikolaj `e seduto a un tavolo, si salutano; Karol chiede notizie dell’uomo che voleva essere ucciso, Mikolaj conferma che l’offerta `e sempre valida. Dominique cammina dentro una stanza, al buio. Karol scende lentamente le scale di un metro` ancora in costruzione, `e circospetto, Mikolaj appare all’improvviso da dietro una colonna, confessa di essere lui l’uomo che deve uccidere, Karol non riesce a trattenere l’agitazione. Prende in mano la pistola, poi afferma: «oggi si puo` comprare tutto», si alternano i volti dei due uomini. Punta la pistola contro Mikolaj, la scena `e ripresa in piano medio, preme il grilletto, si sente un rumore sordo; Mikolaj si accascia al suolo, `e ancora vivo, il primo proiettile era caricato a salve, il secondo `e quello vero, Mikolaj non vuole morire piu`. I due ridono divertiti, Mikolaj consegna ugualmente il denaro a Karol. Mikolaj e Karol pattinano sulla superficie ghiacciata della Vistola, ridono spensierati, si buttano a terra, restano distesi, panoramica del paesaggio. Karol traccia dei punti sulla cartina topografica, incolla dei fogli, poi la ripiega. E` giorno, qualcuno bussa insistentemente alla porta di casa, si sveglia, scende giu` ad aprire, entrano i due tizi dell’ufficio cambiavalute, accusano Karol di truffa; uno di loro lo afferra, lo minaccia, prova a strozzarlo, poi lascia la presa. Karol sale in camera a vestirsi, Jurek gli domanda cosa succede, Karol lo rassicura. Karol prende le piante topografiche, scende dai due tizi, si accordano sul prezzo di vendita, poi bacia il fratello, `e molto soddisfatto. Mikolaj scende dalla sua auto, sul portabagagli c’e` un albero di natale, tiene tra le mani molti regali; Karol scende da un’auto bordeaux, `e molto cambiato, `e vestito elegantemente, impomatato, si avvicina a Mikolaj, gli offre un lavoro nella sua societa`, ormai `e diventato un imprenditore. Karol `e ancora in strada, osserva interessato un funerale, il suo volto, in primo piano, assume un’espressione strana, come se stesse tramando qualcosa. Mikolaj e Karol visitano uno stabile per i nuovi uffici; Karol cerca di darsi un tono, ma sembra che non sappia neanche come funzioni un fax. Mikolaj intona un motivo, Karol, vicino alla finestra, suona con un fazzoletto sulle labbra, come nel loro primo incontro nella metropolitana di Parigi. Karol `e dentro il deposito della sua impresa, lo chiamano ‘presidente’, c’e` molta confusione. Karol si reca con il suo autista presso una villa in costruzione, da` indicazioni precise agli operai, sembra cinico e spietato. Primo piano sul busto d’alabastro, Karol `e a letto, l’immagine `e sfuocata, si agita tra le lenzuola, poi si alza di scatto, urla «Dominique», accende la luce e piange. Prende la cornetta del telefono, digita un numero;

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risponde Dominique fuori campo. Karol le dice che voleva sentire solo la sua voce, lei riattacca, Karol si rattrista, si volta verso destra, il busto compare in primo piano. Karol `e dal notaio, rettifica le disposizioni testamentarie, specificando che in caso di morte i suoi averi siano devoluti alla sua ex moglie, l’uomo sembra stupito. E` nel suo studio, affacciato alla finestra; lo raggiunge Mikolaj, al quale chiede di non stupirsi se leggera` il suo necrologio, gli consegna alcuni indirizzi e numeri telefonici pregandolo di avvertire tutti, Mikolaj lo rassicura. Primo piano di una foto-tessera di Karol, i suoi documenti passano attraverso una macchina che li riduce in brandelli, la macchina da presa si sofferma sul particolare delle listarelle di carta. Karol `e in macchina, l’autista dice che sara` necessario recuperare un cadavere per rendere credibile la morte, poi aggiunge: «oggi si puo` comprare tutto». L’autista di Karol discute con un tizio, sembra russo, che tira fuori da un camion il corpo tumefatto di un uomo; Karol osserva a lungo il cadavere, l’autista si avvicina, chiudono la bara, Karol vi ripone la moneta da due franchi. Karol `e seduto alla scrivania del suo ufficio, strappa alcuni documenti, Mikolaj gli comunica che ha prenotato un volo per Hong Kong, dove Karol trovera` una casa in affitto, il volo `e previsto per le 10,30. Karol si sporge da dietro un albero, guarda da lontano il suo funerale, sorride, si alternano le immagini del funerale. Dominique, vestita di nero, `e molto addolorata, depone dei fiori sulla bara, Karol assiste alla scena guardando con un binocolo. Dominique piange, Karol si rattrista, sembra scosso. Il quadro `e scuro, Dominique apre la porta della stanza d’albergo, si intravede il suo volto, si ferma sulla porta, poi la richiude (e` la stessa scena gia` apparsa in precedenza, come flash-forward). Dominique cammina lungo il corridoio, piange, si appoggia, si spoglia, si dirige in camera da letto, `e buio. Si accende la luce, Karol `e disteso a letto. Dominique si spaventa, lui le chiede perche´ ha pianto al funerale, lei gli confessa di amarlo, la macchina da presa si sofferma sul particolare delle mani dei due protagonisti, strette una sull’altra. Dominique si siede sul letto, Karol poggia la testa sulle sue gambe, lei lo accarezza, Karol si distende al suo fianco, si baciano, lo schermo si oscura per un attimo. Karol `e disteso sopra la donna, fanno l’amore, Dominique sospira. Lo schermo si oscura nuovamente, Dominique raggiunge l’orgasmo, il quadro `e invaso da una luce bianca; Dominique e Karol sono a letto, si guardano. Primo piano su Dominique; sta dormendo, `e da sola a letto. Karol si veste, telefona a qualcuno, si avvicina al letto; Dominique `e inquadrata di spalle, la sua schiena `e scoperta. Karol sfiora i suoi capelli, guarda fuori dalla finestra, poi esce dalla stanza. Primo piano di Dominique; `e ancora a letto, sorride, si stira, si sveglia, chiama Karol, bussano alla porta. Entra un commissario di polizia, insieme con degli agenti; perquisiscono la stanza, il commissario legge alla donna i suoi diritti, poi le comunica che il marito non `e morto di morte naturale, che sospettano sia stata lei, dal momento che risulta essere erede universale dei beni del marito. Dominique prova a difendersi, affermando che il marito non `e morto, ma finisce col contraddirsi. Dominique `e triste,

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guarda fuori dalla finestra, si sente un rumore di ali; fermo-immagine. Compare il corridoio di una chiesa, una luce bianca in fondo, Dominique cammina veloce, si intravede il velo bianco del suo vestito; Karol `e in primo piano, si pettina, muove lentamente il pettine verso destra, poi al contrario, in sottofondo si sente un rumore di passi. Karol poggia il pettine sulle labbra, guarda in basso, poi alza lo sguardo; Dominique cammina lungo il corridoio della chiesa, raggiunge la porta, i piccioni si alzano in volo, Dominique si volta verso sinistra, compare il volto di Karol, si baciano a lungo, fermo immagine; lo schermo `e invaso da una luce bianca. Jurek entra in cucina, Karol `e nella stanza, tiene il pettine in bocca. Jurek sforna una torta, ride, racconta della riesumazione del cadavere, poi di aver parlato con l’avvocato, il quale gli ha detto di vedere una luce in fondo al tunnel. Piano fisso sull’insegna del salone di Jurek, Karol `e per strada, cammina lungo il viale, ha un sacchetto in mano. Si ferma davanti al cancello di una prigione, si aprono le porte. E` nel cortile, panoramica del carcere. Si ferma, guarda una finestra con un binocolo; primo piano di Dominique davanti alla finestra sbarrata, sorride, poi si rabbuia in viso, mima degli strani gesti con le mani. Karol piange, piano fisso sul suo volto. Chiude gli occhi, li riapre, sorride, abbassa lo sguardo, poi lo solleva, il suo volto `e in primo piano; su questa immagine si chiude il film. Il film si apre disegnando un avvincente gioco di piste, attraverso il montaggio alternato di una carrellata su una valigia e su due piedi che camminano; prima ancora che il film abbia inizio Karol ha gia` perduto tutto. La perdita di Karol e` totale, accoglie ogni livello della vita, sembra non concedere piu` nulla al personaggio; in tribunale viene sancita la perdita piu` rilevante, quella sentimentale, che costituisce il motore dell’azione, il primo atto, come in Film Blu, di un ritorno in se´ per il protagonista che nel finale scoprira` l’illusorieta` dell’uguaglianza sociale e la fugacita` di quella amorosa. Il film puo` essere descritto secondo tre movimenti che corrispondono idealmente agli sviluppi delle vicende del protagonista e che consentono una lettura piena del senso del film. La struttura simmetrica propone come primo movimento la perdita, simbolizzata dal mancato amplesso dentro il salone di bellezza, quindi la conquista sociale, asse della simmetria, la rivalsa di Karol in Polonia, e infine l’accesso alla uguaglianza dell’amore, in una delle scene finali del film, durante l’incontro in albergo tra Karol e Dominique. La scena del salone di bellezza e` indicativa del dramma del personaggio, dal momento che Dominique, accettando di fare l’amore con Karol, prende letteralmente possesso di lui, lo domina totalmente; si tratta di una relazione squilibrata che porta il protagonista allo scacco, alla defaillance, in cui si consuma la perdita parziale della sua individualita`. La rottura dell’incanto d’amore, che si amplifica nei ripetuti flash-back

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del matrimonio che costituiscono una sorta di Leitmotiv visuale, una figura simbolica della lacerazione interiore del protagonista, e` evidenziata anche dalla barriera della lingua, dalla incomunicabilita` tra i due personaggi, che acquista una risonanza comica nell’imbarazzo di Karol, nella assurdita` delle sue parole, subito raggelata dalla laconica e lapidaria affermazione di Dominique – «tu non hai capito niente» –, ma che certamente rimanda a qualcosa di piu` profondo, all’incapacita` della coppia di stabilire un contatto, all’irrisolto postulato dell’uguaglianza. La reazione del protagonista e` vitale, energica, affatto diversa dal ripiegamento assorto di Julie, e sprigiona tutta la forza carnevalesca della vita, ma dietro la maschera, oltre la farsesca ilarita` del personaggio si cela l’inquietudine, il vuoto, il rischio «ad ogni immagine di essere escluso dalla storia, di perdersi nell’oscurita` dell’assenza»25. La forza del film risiede, allora, nella continua composizione di toni e di piani, nel perfetto bilanciamento tra la divertita comicita` di Karol e la laida brutalita` del mondo, nella sintesi straordinaria di flashforward e flashback, che dettano i movimenti di una temporalita` enigmatica, scandita da accelerazioni improvvise e ritorni imprevisti. Teatro dell’assurdo e`, ancora una volta, la Polonia, descritta da Kieslowski attraverso «toni crudi, il bianco, il nero, il grigio, e una illuminazione quasi espressionistica che sovraespone le immagini e maschera le zone d’ombra»26. La Polonia viene presentata come un universo illuso, un mondo interdetto dalla legge del denaro, che ritorna come straniato ritornello a piu` riprese nella considerazione che «oggi si puo` comprare tutto»27. L’affermazione economica di Karol, apparente riconquista dell’identita` personale e sociale, risulta essere soltanto una trappola, una menzogna: senza l’amore di Dominique egli resta incompleto. Questa incompletezza viene resa cinematograficamente da Kieslowski attraverso la figura della metonimia, costruita a partire da oggetti-feticci, da immagini-indici. La moneta da due franchi e il busto d’alabastro sono gli oggetti sensibili della rappresentazione della ‘mancanza’ di Karol; la moneta prefigura in qualche modo la fortuna di Karol, la costruzione di un impero economico, ma rinvia soprattutto al passato, alla Francia, al ricordo di Dominique; il busto di donna si pone come denotatore di

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Angelo Signorelli, Tre colori, Film Bianco, in «Cineforum», n. 332, marzo 1994, pag. 68. Frack Garbasz, Trois couleurs Blanc, ine´galite´ sociale et ´egalite´ en amour, in «Etudes Cine´matographiques», cit., pag. 134. 27 Si tratta di una battuta del film pronunciata da Karol, e poi ripetuta dal suo autista al momento dell’acquisto del cadavere per la falsa sepoltura di Karol. 26

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evocazioni felici, attira lo sguardo e rappresenta la presenza ossessiva di Dominique nell’immaginazione e nei desideri del protagonista. L’ultimo atto dell’avvicinamento di Karol all’essenza dell’‘uguale’ si consuma nella camera d’albergo, dopo l’ennesima provocazione del protagonista, la messa in scena della sua morte, e si carica di una valenza affettiva ed emotiva davvero straordinaria. L’incontro carnale tra Dominique e Karol nasce dal riconoscimento dell’amore reciproco, per cui la donna piange commossa al presunto funerale del marito, comunicando, per la prima volta nel film, la propria sensibilita`, la verita` dei sentimenti, e compone come un chiasmo con l’abbraccio mancato nel salone di bellezza. La scena d’amore si conclude con una esplosione di gioia, tradotta sullo schermo tramite un superbo fondo bianco che illumina tutto il quadro: «in questo istante fugace e atemporale non vi e` piu` il dominio di Dominique su Karol o di Karol su Dominique, sono di fronte due ‘uguaglianze’ che formano un unico corpo che vibra e si strugge»28. L’incompletezza di Karol, la sua avventura picaresca nei meccanismi straniati dell’esistenza vengono riscattate dal colore, dalla luce accecante del bianco «che rappresenta la sintesi, o la neutralizzazione, di tutti i colori (...), l’uguaglianza di tutti i colori»29. Ancora una volta lo sguardo di Kieslowski supera la ristrettezza del reale, indovinando una traiettoria imprevista e rappresentando entro il cerchio della creazione il sogno di una felicita` perduta e ritrovata, che si diffonde in echi tra le immagini di due volti immersi nel ricordo.

. Trois couleurs: rouge (Tre colori: rosso): il ritorno del tempo «Pensano che non conoscendosi prima, nulla sia mai avvenuto tra loro. Ma che diranno mai le strade, le scale, i corridoi nei quali da tempo hanno potuto incrociarsi?» Wislava Szymborska, Amore a prima vista.

Film Rosso conclude la trilogia e l’esperienza artistica di Kieslowski, diviene l’ultimo oggetto del suo sguardo, un oggetto che sembra riassumere il

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Franck Garbasz, art. cit., pag. 138. Ivi., pag. 136.

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senso di tutto il suo cinema nel comporsi dei temi caratteristici delle sue opere, il caso e il destino, l’amore e la speranza, in una sintesi che illumina retrospettivamente il tragitto etico ed estetico del regista, nell’assenza di conclusione, nell’apertura del senso. Una mano compone un numero telefonico, la macchina da presa sfila velocemente lungo il filo del telefono, attraversa il muro, si immerge nelle fibre multicolori che intrecciano i cavi in cui si sovrappongono centinaia di conversazioni, entra in acqua, riemerge, percorre un tunnel: il numero `e occupato, lampeggia una luce bianca. Inquadratura di un uomo, Auguste, breve carrellata per la stanza, invasa dai libri, l’uomo esce di casa, cammina per la strada, viene ripreso dall’alto, poi la macchina da presa si sposta sull’interno di un altro appartamento, suona il telefono, risponde la segreteria. Risponde una ragazza, Valentine, dall’altro lato c’e` il suo ragazzo, Michel, che chiama da Londra; Michel chiede a Valentine se `e da sola, la sua stanza `e piena di oggetti, il letto `e scomposto, le lenzuola sono rosse, la ragazza risponde di essere da sola. Michel le racconta che in Polonia gli hanno rubato la macchina, Valentine gli dice di essersi sentita sola, poi chiede del tempo, in Inghilterra piove. Carrellata su Auguste, in strada, proprio sotto la finestra di Valentine; l’uomo telefona da una cabina, risponde una voce femminile, il Servizio meteo personalizzato, Auguste sorride, chiude il telefono, poi entra in macchina, una Jeep rossa. Valentine esce da casa, attraversa la strada, compra il giornale, entra in un caffe`, gioca con la slot machine. Primo piano su Valentine, `e di profilo, sta posando per un servizio fotografico, `e una modella; fa da sfondo al suo viso un telo rosso, mosso da un ventilatore, lei mastica una gomma americana, fa un palloncino, poi toglie la gomma, il fotografo le dice di arrotolare un maglione intorno al collo, di fare un espressione triste, di pensare a qualcosa di terribile. Valentine `e appoggiata a una sbarra, esegue dei passi di danza, inarca la schiena, il suo viso, a testa in giu`, compare in primo piano, poi si solleva e beve una bottiglia d’acqua. E` in passerella, sta sfilando con indosso un impermeabile, inciampa, riesce a non perdere l’equilibrio, si cambia l’abito in camerino. E` in macchina, ferma, si passa le mani sul viso, primo piano sul parabrezza, parte. Auguste sta attraversando la strada, proprio dove Valentine era ferma, fa cadere i libri per terra, si piega per raccoglierli, uno dei libri `e aperto su una pagina, Auguste la legge, camminando, inquadratura sulla luce rossa del semaforo. Valentine `e in macchina, sta guidando, si distrae, si sente un rumore sordo, ha investito qualcuno, fa retromarcia. Un cane `e disteso in mezzo alla strada, guaisce, Valentine lo accarezza, apre lo sportello dell’auto, lo prende in braccio, a fatica riesce a caricarlo sull’auto; Valentine `e affaticata, legge la targhetta del cane, `e una femmina, si chiama Rita, lo accarezza. Il dito di Valentine scorre su una pianta della citta`, inquadratura dell’auto della ragazza, che sale per una salita, primo piano dei fari, la strada `e buia. La vettura si ferma davanti ad un cancello, Valentine citofona, il cancello `e aperto, entra dentro, anche la porta di casa `e aperta, si inoltra lungo un corridoio; carrellata sulla casa, illuminata da una luce calda, si

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sentono, fuori campo, dei rumori elettronici. Valentine si gira intorno, sembra non esserci nessuno; un uomo, di spalle, `e seduto a un tavolo, Valentine si avvicina, l’uomo la tratta bruscamente, poi si rigira, Valentine esce sbattendo la porta, piano fisso sull’ingresso della casa, oltrepassa il cancello. Un corridoio d’ospedale, Valentine si alza, entra nella stanza dove una dottoressa sta visitando Rita, il cane sta bene, la donna comunica a Valentine che `e incinta, la giovane la porta via. Inquadratura sulla Jeep di Auguste, l’auto lampeggia, `e scattato l’antifurto; Valentine `e al telefono, parla con Michel, gli dice di non essere sola, avvicina la cornetta al cane, il giovane non gradisce lo scherzo, Valentine gli racconta del cane, poi parlano del loro primo incontro, l’auto di Auguste continua a lampeggiare. Primo piano di alcune foto di Valentine, il fotografo indica la foto scelta per la promozione pubblicitaria, Valentine ne indica un’altra come sua preferita; il fotografo accarezza Valentine, la sala `e buia, prova a baciarla, lei si scosta. Valentine, scende dall’auto, compra il giornale, comincia a leggerlo, si ferma, `e turbata, entra dentro il caffe`, Auguste `e in strada, proprio di fronte a lei. Valentine prova la slot machine, `e un giro fortunato, raccoglie le monete, sembra triste. E` a casa, ripone le monete vinte dentro un barattolo, la macchina da presa inquadra la foto in prima pagina di un ragazzo drogato, bussano alla porta, un uomo le consegna una busta, ha riconosciuto nel ragazzo della foto del giornale il fratello di Valentine. Valentine telefona a Marie, la fidanzatina del fratello, chiede notizie del ragazzo, sembra tutto normale. Valentine `e per strada, all’interno di un parco, corre con Rita, la slega, le raccomanda di non scappare, ma il cane, liberato, si allontana di corsa. Valentine la chiama, prova ad inseguirla, entra dentro una chiesa, ma il cane fugge via. Valentine `e davanti al cancello della casa del giudice, Rita `e lı`, le si avvicina, il giudice le si fa incontro, cammina a fatica, appoggiandosi ad un bastone, si sorridono, sembra cordiale. Valentine restituisce parte dei soldi che l’uomo le aveva spedito per posta, indovinando il suo indirizzo, il giudice entra in casa per prendere il resto. Valentine aspetta l’uomo, gioca con Rita, dopo qualche minuto entra in casa, cammina lungo il corridoio, si sentono, fuori campo, le voci di due uomini che si scambiano confidenze intime, che ‘amoreggiano’, si intuisce che si tratta di due omosessuali. Valentine si inoltra per la casa, incuriosita, in primo piano su un tavolo compare uno stereo, da cui provengono le voci e strani rumori elettronici. Si avvicina perplessa, il giudice resta immobile, confessa di spiare le conversazioni telefoniche dei vicini, la ragazza `e disgustata, lo accusa di essere una persona ignobile, poi si allontana. Il giudice la chiama, la invita ad accusarlo presso i vicini, Valentine accoglie la provocazione dirigendosi nella casa di fronte. Valentine viene ricevuta dalla moglie di uno dei due uomini che parlavano al telefono, la donna `e estremamente gentile, le presenta la figlia che sta ascoltando all’altro capo del telefono la conversazione del padre. Valentine chiede di parlare con l’uomo, la moglie la fa accomodare, ma dopo pochi istanti decide di andare via, si allontana, mentre la camera inquadra la Jeep rossa di

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Auguste, che saluta una donna bionda. Valentine `e a casa del giudice, siede nel soggiorno, l’uomo le restituisce il giornale che aveva dimenticato nell’appartamento, le offre da bere; Valentine chiede all’uomo di non spiare piu` i vicini, il giudice risponde di farlo da sempre, comincia una lunga conversazione, Valentine `e turbata dalle parole del giudice, dall’amarezza e dal disprezzo rancoroso del suo animo. Una luce calda, diffusa avvolge i due protagonisti, si sente fuori campo una comunicazione del servizio meteo. Il giudice si siede, continuano a sentirsi brani di conversazioni telefoniche intercettate dalla apparecchiatura del giudice, Valentine si copre le orecchie con le mani per non sentire. L’ultima conversazione intercettata `e quella di Auguste e della sua donna (si intuisce dai rimandi del giudice); sembra che i due si amino, ma il giudice dice a Valentine che il ragazzo non ha incontrato la persona giusta. Primo piano del giudice alla finestra, chiede alla ragazza se lo considera un ‘porco’, la ragazza risponde di sı`; un uomo passeggia nel giardino della villa di fronte, il giudice dice a Valentine che si tratta di uno spacciatore, che utilizza un apparecchio telefonico speciale, che non si lascia intercettare, Valentine si affaccia alla finestra, osserva l’uomo con attenzione. Il giudice da` a Valentine il numero dell’uomo, la ragazza telefona e dice all’uomo: «la dovrebbero uccidere», lo spacciatore spaventato fugge via. Valentine si accascia sul divano, `e turbata, il giudice continua a provocarla, lei reagisce con forza, cercando di ribaltare il suo punto di vista. Valentine dice al giudice che «la gente non `e cattiva», che a volte sbaglia perche´ non ha la forza di reagire, il giudice le chiede notizie del fratello, ha capito che si buca, Valentine `e stupita, lui le dice che «non era difficile indovinare». Valentine `e in macchina, piange, `e sconvolta. Inquadratura dell’auto, Valentine scende, sta ancora piangendo, entra al bar; la macchina da presa compie una carrellata all’interno della stanza di Auguste, suona il telefono, Auguste entra nella stanza, fuma. Valentine `e al telefono, chiama la madre, chiede notizie del fratello, parla con lui, sembra che i genitori non si siano accorti della foto sul giornale. Valentine `e dal fotografo, `e turbata, l’uomo la invita ad uscire. Primo piano su una palla da bowling, Valentine sta giocando, Jacque la fotografa, carrellata tra i tavoli, la macchina da presa si sofferma sul particolare di un bicchiere di birra rotto e un pacchetto di sigarette accartocciato, la stessa marca di quelle che fuma Auguste. Primo piano del giudice, in sottofondo la musica di Van Den Budenmayer; il giudice tiene in mano alcune buste e dei fogli di carta, comincia a scrivere, la penna `e scarica, l’uomo prende una matita. Panoramica sulla strada che costeggia la casa del giudice, un furgone la attraversa, sul tetto porta delle antenne paraboliche, scorcio sul giardino dello spacciatore, piano fisso sulla casa del giudice. Primo piano di Auguste in macchina, si ferma ad un semaforo, Valentine riparte proprio accanto a lui, sul muro campeggia un cartellone pubblicitario che ritrae Valentine, su uno sfondo rosso. Valentine `e sul pianerottolo di casa, suona il telefono, non riesce ad aprire la porta, chiama il vicino, qualcuno ha messo una gomma da masticare dentro la serratura, l’uomo riesce ad aprire. Al telefono `e Michel che la rimprovera, Valentine vuole stare tranquilla, ma

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l’uomo la tormenta, `e molto duro, continua a chiederle ragione di ogni suo spostamento, Valentine chiude gli occhi, Michel ha riattaccato. Primo piano di Auguste, butta in aria i libri, la sua ragazza lo abbraccia, ha superato un esame, gli da` un regalo, lui lo scarta, `e una penna. Il giudice `e seduto nel corridoio del Palazzo di Giustizia, davanti a lui c’e` la ragazza di Auguste, in compagnia di un altro uomo, una voce fuori campo chiama il giudice per una causa intentata ai suoi danni dai vicini. Primo piano di Valentine dentro un negozio di musica, sta ascoltando un disco di Van Den Budenmayer, Auguste `e dietro di lei, in compagnia della ragazza; Valentine chiede al banco una copia del disco, ma l’ultima `e stata venduta pochi istanti prima, ad Auguste che esce dal negozio. Valentine legge sul giornale la notizia della denuncia ai danni del giudice. Valentine `e a casa del giudice, dichiara di non essere stata lei a denunciarlo, il giudice le confessa di essersi autodenunciato, la invita ad entrare. Primo piano sui sette cuccioli partoriti dalla cagnetta, il giudice e Valentine brindano insieme, l’uomo le dice di essersi denunciato per vedere la sua reazione, Valentine si siede a terra, il giudice le chiede un sorriso, la macchina da presa fa una carrellata all’interno della casa. I due personaggi conversano piacevolmente, parlano della coppia di cui avevano ascoltato la telefonata, Auguste e la sua compagna, il giudice racconta a Valentine di aver visto la ragazza in compagnia di un altro uomo, conosciuto durante l’udienza in tribunale. Primo piano di Auguste dentro una cabina telefonica, prova a telefonare, non risponde nessuno, si allontana, indossa la toga, entra in aula a Palazzo di Giustizia, anche lui `e un giudice. Valentine `e inquadrata di profilo, a casa del giudice, al quale comunica la sua partenza per l’Inghilterra, l’uomo la incoraggia a partire, “e` il suo destino”, poi le consiglia di prendere il traghetto, perche´ costa meno ed `e piu` sicuro. Una luce crepuscolare avvolge i corpi del giudice e di Valentine, l’uomo racconta la storia di una causa in cui assolse un marinaio, scoprendo poi che era colpevole, Valentine lo rassicura dicendogli che ha fatto cio` che andava fatto, che ha soltanto salvato un uomo, il giudice espone le sue amare conclusioni sul senso della giustizia, sull’impossibilita` di riuscire a decidere quale sia la verita`. Mentre dialogano, una pietra rompe il vetro della finestra della stanza, Valentine la raccoglie, la ripone su un piano, `e gia` la settima ad essere stata lanciata. Valentine chiede all’uomo se ha paura, lui risponde che al posto dei vicini avrebbe fatto la stessa cosa, poi aggiunge: «avrei rubato, ucciso, mentito, ho condannato perche´ non ero nella loro pelle». Valentine chiede al giudice se ha mai amato qualcuno, lui le racconta di averla sognata, lei aveva quaranta o cinquanta anni ed era felice. Auguste `e al telefono, fuma nervosamente, non risponde nessuno, `e agitato, si appoggia alla finestra, poi esce di corsa; `e in macchina, l’auto parte, fa inversione sopra il marciapiede, passa davanti alla casa del giudice, piano fisso. Auguste `e davanti ad una porta, indeciso se bussare o andare via, spinge a fatica un cassonetto dei rifiuti, si arrampica, primo piano sui suoi piedi, salta sul cornicione del palazzo, cammina con cautela, dentro una stanza c’e` un computer acceso, cammina ancora, si affaccia su un’altra stanza, `e sconvolto, la camera



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inquadra la sua ragazza che fa l’amore con un altro uomo. Inquadratura dell’auto di Auguste, Valentine `e seduta sul letto, di spalle, parla al telefono con Michel, le comunica la prossima partenza per l’Inghilterra, dove si incontreranno, la scelta del traghetto, Auguste cammina per strada, mestamente, poi entra in casa, si stende sul letto, allontana il cane. Il giudice telefona al servizio meteo, chiede informazioni sul tempo previsto sulla Manica, l’impiegata, la ragazza di Auguste, comunica al giudice che le previsioni danno tempo meraviglioso, l’uomo le domanda quali saranno i suoi programmi per il weekend, lei dice che fara` una crociera in yacht. Auguste lega il suo cane, un barboncino nero, ad un pilastro della luce, poi si allontana. Valentine `e sul palco, sta facendo le prove per una sfilata, chiede ad un ragazzo se ha spedito l’invito che lei gli aveva consegnato. Il giudice apre il garage, entra in auto, una vecchia macchina impolverata, riesce a farla partire, piano fisso sul manifesto pubblicitario che ritrae Valentine, il giudice posteggia. Carrellata all’interno di un teatro, si susseguono i flash dei fotografi, Valentine `e in passerella, si guarda intorno, cerca qualcuno con lo sguardo, sembra distratta. Valentine `e in camerino, si sta struccando, `e pensierosa, le modelle escono dal teatro, il giudice le si avvicina. Il giudice racconta nuovamente a Valentine il sogno di cui era protagonista, lei aveva circa cinquant’anni, era felice, si svegliava e sorrideva a qualcuno accanto a se´. Valentine confessa al giudice di sentire qualcosa di strano intorno, di avere paura, il giudice le stringe la mano; l’uomo comincia a raccontare dettagli del suo passato, che appartengono anche al destino di un’altra persona, Auguste. Il giudice ricorda di essere gia` stato in quel teatro, di aver fatto cadere i suoi libri dal palco, di aver letto, nella pagina rimasta aperta di uno di questi, la risposta ad una domanda d’esame; nel frattempo le porte del teatro sbattono per il vento, Valentine riesce a fatica a chiudere la porta d’ingresso, fuori piove a dirotto. Valentine intuisce la ferita d’amore che lacera l’animo del giudice, l’uomo continua a raccontare il proprio passato, si infittiscono i legami con la vita di Auguste. Il giudice confessa a Valentine di aver sorpreso la donna di cui era innamorato a letto con un altro uomo, di non essere piu` riuscito ad amare ancora a partire da quel momento. Il giudice continua a raccontare la sua storia, dice di aver seguito la donna e il suo amante in Francia, sulla Manica, di essersi umiliato fino al giorno in cui la donna `e morta in un incidente, di aver condannato l’amante per aver provocato un crollo in un mercato, e di aver chiesto subito dopo il pensionamento. Il giudice e Valentine si salutano, si danno appuntamento al ritorno della ragazza dal viaggio, l’uomo `e seduto in macchina, chiede alla ragazza di mostrargli il biglietto del traghetto, poi Valentine promette all’uomo di fargli recapitare il suo televisore per rivedere la sfilata in TV. Valentine sale sul traghetto, anche Auguste `e a bordo, insieme con il cane, i due protagonisti vengono inquadrati in montaggio alternato, chiedono informazioni circa la collocazione delle loro cabine, entrambi sono alloggiati sul ponte. La nave salpa, la camera segue il movimento del ponte, che occupa il quadro, resta aperta una piccola fessura. Il cartellone pubblicitario su cui `e ritratta Valentine viene rimosso, si

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accartoccia, piove insistentemente, alcuni uomini provano a raccoglierlo. Panoramica sul cielo coperto di nuvole, fuori campo si sentono rumori di tuoni. Primo piano sui cuccioli a casa del giudice, uno cerca di saltare fuori dalla scatola, il giudice lo accarezza, gli lega un collare intorno al collo. Carrellata sul cancello della casa del giudice, il cielo `e nuovamente sereno, il giudice legge il giornale, che in prima pagina riporta la notizia del naufragio del traghetto sulla Manica. Sullo schermo televisivo scorrono le immagini della tragedia, una voce fuori campo commenta l’accaduto, si alternano i primi piani del giudice. Il reporter televisivo legge i nomi degli unici sopravvissuti al naufragio, si tratta dei protagonisti della trilogia, Julie, Olivier, Karol e Dominique, Auguste e Valentine, le cui immagini si alternano sullo schermo, intervallate dal fermo-immagine sul volto di Valentine, lo stesso del cartellone pubblicitario. La macchina da presa zuma sul volto di Valentine, che si alterna al primo piano del giudice, l’uomo guarda fuori dalla finestra, il vetro `e rotto, fermo-immagine sul volto di Valentine, su cui si chiude il film. In Film Rosso tutto si svolge «nello stesso angolo di strada, in un quartiere, in un campo di sensibilita` limitata»30; lo script e` una trama di reti, in cui gli intrighi del racconto si intrecciano in una matassa di disperazione, incertezza e amore frustrato, in cui la camera si muove da un appartamento all’altro, da una macchina all’altra, trovando come unico ostacolo l’indifferenza involontaria dei protagonisti. Il mondo esterno sembra essere soltanto un’ipotesi, viene riflesso dai media, dai giornali, dalla televisione, dal telefono, da una tecnologia vuota e insensibile, che vampirizza la miseria umana, i drammi dell’esistenza (la tossicodipendenza del fratello di Valentine, la storia d’amore tra Valentine e Michel, il naufragio del battello) attraverso un linguaggio cinico e compassato. L’intuizione e la premonizione sono, invece, i segni attraverso cui si articola la comunicazione ferma, stabile, e insieme ambigua, tra il giudice e Valentine: «Non era difficile indovinare»31 e` l’espressione di una telepatia emozionale, di una vicinanza che supera la parola, inscrivendosi negli sguardi, nei volti dei due personaggi. Al blu oceanico della piscina di Film Blu, all’apertura dei paesaggi di Film Bianco, si sostituisce in Film Rosso la casa del giudice, isolata, appartata, che diviene «il punto di incontro delle storie di ieri e di oggi, in cui si ricompongono e si allacciano le fila del racconto»32. Nel continuo sovrapporsi dei livelli della storia, lo sguardo del regista si sofferma su un’immagine che racchiude tutta la vicenda: si tratta 30

Vincent Amiel, op. cit., pag. 58. Si tratta di una battuta del film pronunciata prima dal giudice e poi ripetuta da Valentine, a significare la circolarita` dello scambio di emozioni tra i due protagonisti. 32 Vincent Amiel, op. cit., pag. 58. 31

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della foto di Valentine scattata durante un provino fotografico, che viene scelta per un manifesto pubblicitario gigantesco, affisso ad un muro, al centro di una strada. Questo manifesto, in cui il volto di Valentine e` immerso in uno sfondo rosso, viene utilizzato da Kieslowski in maniera profetica, dal momento che la stessa immagine verra` trasmessa dalla televisione nel reportage sul naufragio del battello. La foto di Valentine acquista una straordinaria forza simbolica, nella prefigurazione di un destino che sembra essere l’opera di una divinita` onnisciente e consapevole. Solitamente si attribuisce questo ruolo al giudice che, decidendo di autodenunciarsi, modifica i destini di tutto il quartiere e accetta nuovamente il rischio della vita. E` lui a consigliare a Valentine di prendere il traghetto, preparando in tal modo l’incontro tra Auguste e la ragazza; l’unita` spaziale e temporale si scioglie di fronte al ripiegamento, alla ripetizione, alla attualizzazione del passato, che asseconda gli slanci e i movimenti del bolero, in una continua tematizzazione dell’esperienza del giudice. La sua manovra ordinatrice e` in realta` legata ad una epifania del caso, piuttosto che ad una volonta` onnisciente, ma la rilevanza del suo agire si coglie nell’immagine finale, nel ritorno sullo schermo dei personaggi della trilogia, «quasi che i riflessi centrifughi di Film Blu diventassero in Film Rosso dei raggi convergenti, per arrivare a un’unita` che fa seguito alla dualita` di Film Bianco e alla molteplicita` di Film Blu»33. Il giudice «permette alla trilogia di terminare, ma egli potrebbe essere ancora piu` importante nel suo ruolo di regista per aver permesso alla trilogia di cominciare»34: l’assenza di conclusione e` ancora una volta la marca di una messa in scena aperta, di una circolarita` che assorbe il tempo e lo trasforma in sostanza interiore, in possibilita` inespressa. La salvezza dei personaggi e` l’ultima scommessa di Kieslowski, un accenno di felicita`, il segno di una speranza, la necessita` di una pausa, prima che la storia ricominci. Dopo Film Rosso, Kieslowski ha smesso di girare, e` stanco, ha bisogno di concentrarsi sulla propria vita, dopo anni di attivita` senza sosta. La speranza di un possibile ritorno al cinema si incrina nell’agosto del 1995, quando Kieslowski e` colpito da un violento infarto. Il 13 marzo del 1996, in seguito ad una operazione di by-pass, e` colpito da un altro infarto, e scompare improvvisamente. Resta un’opera cinematografica in cui, «attra33

Ivi, op. cit., pag. 60. K. Kieslowski, Entretien avec Krzysztof Kieslowski, par Vincent Amiel et Michel Ciment, in «Positif», n. 403, settembre 1994, pag. 30. 34

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verso i volti delle sue attrici offerti alla luce o alla pioggia, i gesti misurati degli attori, la coreografia vitale dei personaggi che mette in scena, Kieslowski ha raccontato, a suo modo, il tempo del mondo»35. «Poiche´ ogni inizio / e` solo un seguito, e il libro degli eventi / resta pur sempre a meta` aperto» Wislawa Szymborska, Amore a prima vista.

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Vincent Amiel, op. cit., pag. 33.

Cronologia

1941 Krzysztof Kieslowski nasce a Varsavia, il 27 giugno. 1957 Il padre muore di tubercolosi, dopo anni di sofferenza e di continui spostamenti da un sanatorio ad un altro; a causa delle precarie condizioni economiche della famiglia anche Krzysztof e la sorella trascorrono lunghi periodi nei cosiddetti preventoria, sanatori gratuiti per bambini a rischio di contagio della malattia. 1965 Entra nella celebre Scuola Superiore di Cinema di Lodz, dopo aver tentato invano per due volte di essere ammesso agli esami ed essere riuscito a farsi riformare dall’esercito in seguito a un dimagrimento di piu` di venti chili e al riscontro di una “schizofrenia duplex”. 1966 Gira a Lodz come allievo regista i primi due saggi di regia, due cortometraggi a soggetto, Il tram e L’ufficio. 1967 Gira l’ultimo saggio non professionale, Il concerto dei desideri. 1968 Ancora studente, realizza a Lodz per la televisione polacca il primo documentario professionale, La fotografia. Dello stesso anno e` anche il suo saggio di diploma, un documentario dal titolo Dalla citta` di Lodz. 1969 Appena diplomato, gira in forma anonima per una cooperativa cinematografica di Varsavia alcuni spot commerciali di cui non si ha piu` traccia, uno su una cooperativa di orologiai di Lublino, l’altro su una conceria di pelli.

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1970 Viene assunto alla WFD, una delle tre case di produzione cinematografica polacche, con la qualifica di ‘assistente alla regia’. Prima di cominciare a lavorare per la WFD, realizza per la Czolowka, specializzata in documentari e film militari, un documentario dal titolo Sono stato un soldato. Dello stesso anno e` anche il primo documentario prodotto dalla WFD, La fabbrica. 1971 E` del 1971 il documentario Prima della corsa. 1972 Gira due ‘film su commissione’, prodotti a scopo pubblicitario dalla WFD e dalle miniere di rame di Lubin: si tratta dei due cortometraggi Tra Wroclaw e Zielona Gora e Le norme di sicurezza e di igiene nella miniera di rame. Nello stesso anno Kieslowski realizza altri due documentari, uno sulla serialita` sociale della morte e della vita dal titolo Ritornello, l’altro di argomento prettamente politico dal titolo emblematico Operai ’71: niente su di noi senza di noi. Sempre nel 1972 entra a far parte del gruppo di produzione indipendente TOR (Binario), diretto dal regista Krzysztof Zanussi. 1973 Impone una svolta alla sua produzione realizzando a pochi mesi di distanza il suo primo drama-documentary, Il muratore, e il suo primo cortometraggio professionale di finzione, Il sottopassaggio. 1974 Realizza nel 1974 due documentari: La radiografia e Il primo amore. 1975 Gira uno dei piu` lucidi e affascinanti drama-documentaries, Curriculum vitae. Dello stesso anno e` anche il secondo film professionale di finzione, un mediometraggio prodotto dalla televisione polacca, Il personale. 1976 Realizza tre film: un documentario, L’ospedale, e due film di finzione, di cui uno per la televisione, La tranquillita`, e un altro, La cicatrice, che segna l’esordio ‘ufficiale’ per il regista nel lungometraggio destinato al circuito cinematografico.

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1977 Realizza uno dei suoi documentari piu` celebri, Dal punto di vista del guardiano notturno. Dello stesso anno e` anche il documentario Non so. 1978 Gira il documentario Sette donne di eta` diversa. 1979 Realizza il film a soggetto Il cineamatore che gli valse il primo premio al Festival di Mosca del 1979. 1980 Conclude l’avventura nel cinema documentario con due film, La stazione e Le teste parlanti, deciso a sperimentare le possibilita` della fiction. 1981 Poco prima della proclamazione della legge marziale ultima le riprese di un nuovo film, Il caso, che restera` negli scaffali dell’ufficio della Censura per quasi tutta la durata della legge marziale, fino al 1987, anno in cui uscira` nelle sale polacche. 1982 Dopo quasi un anno di inattivita` scrive alcune sceneggiature per cortometraggi, ma finisce col prendere in considerazione l’idea di girare un documentario sui processi delle corti marziali. E` in queste circostanze che avviene l’incontro con Krzysztof Piesiewicz, un giovane avvocato di Varsavia, che diventera` co-sceneggiatore di tutti i film del regista e suo fidato collaboratore. 1984 Kieslowski e Piesiewicz, dopo aver abbandonato il progetto sui processi politici, realizzano il loro primo film, Senza fine. 1986 Presenta alla TV polacca le dieci sceneggiature del nuovo progetto elaborato con Piesiewicz, il Decalogo. Le sceneggiature rimangono bloccate per un anno prima della approvazione definitiva 1987 Cominciano le riprese del Decalogo e delle versioni cinematografiche del quinto e del sesto episodio della serie televisiva.

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1988 Escono nelle sale polacche Breve film sull’uccidere e Breve film sull’amore, mentre Kieslowski ultima l’edizione definitiva dei dieci episodi televisivi. Breve film sull’uccidere vince il premio speciale della giuria al Festival di Cannes. Realizza un documentario su Varsavia, prodotto in Olanda, dal titolo Sette giorni della settimana, inserito in un ciclo di dodici film sulle capitali d’Europa. Il produttore Leonardo De La Fuente acquista i diritti degli ultimi film di Kieslowski; Il cineamatore, Il caso, Senza fine e Breve film sull’uccidere. 1989 Viene invitato a far parte della giuria del Festival di Cannes, dove prende accordi con il produttore De La Fuente per la realizzazione di un nuovo film. Contemporaneamente incontra un altro produttore francese, Marin Karmitz, al quale propone di realizzare, appena terminato il film con De La Fuente, il nuovo progetto che ha in cantiere con Piesiewicz: una ‘Trilogia’ sui principıˆ della Rivoluzione francese. 1991 Esce nelle sale La doppia vita di Veronica. 1992-93 Viene distribuito il primo capitolo della trilogia, Film Blu. Alla Mostra del cinema di Venezia del 1993 il film ottiene il Leone d’Oro per la regia. Ulteriori riconoscimenti ufficiali sono stati la Coppa Volpi per la migliore Attrice protagonista e l’Osella d’Oro per la migliore fotografia. 1993 Esce nelle sale Film Bianco, secondo episodio della trilogia, che ottiene al Festival di Berlino del 1994 l’Orso d’argento. 1994 Esce l’ultimo episodio della trilogia, Film Rosso. Annuncia il ritiro dalla attivita` di regista. 1995 Ad agosto e` colpito da un violento infarto. 1996 Il 13 marzo, a soli 54 anni, muore per un infarto in seguito ad una operazione di by-pass.

Filmografia

1966 TRAMWAJ (Il tram) Regia e sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski; fotografia (35 mm. b/n) Zdidslaw Kaczamrek assistente didattica: Wanda Jakubowska; interpreti: Jerzy Brazska (il ragazzo), Maria Janec (la ragazza); produzione: Scuola Superiore del Cinema di Lodz; durata: 5’ 45". URZAD (L’ufficio) Regia e sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski; fotografia (35 mm. b/n): Lechoslaw Trzesowski; produzione: Scuola Superiore del Cinema di Lodz, durata: 6’. 1967 KONCERT ZYCZEN (Il concerto dei desideri) Regia e sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski; fotografia (35 mm. b/n): Lechoslaw Trzesowski; montaggio: Janina Grosicka; produzione: Scuola Superiore del Cinema di Lodz; formato: 35 mm.b/n; durata: 17’. 1968 ZDJECIE (La fotografia) Regia e sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski; fotografia (16 mm. b/n): Marek Jozwiak; montaggio: Nusia Ciucka; produzione: Pol Tel (Televisione Polacca); durata: 32’. 1969 Z MIASTA LODZI (Dalla citta` di Lodz) Regia: Krzysztof Kieslowski; fotografia (35 mm. b/n): Janusz Kreczmarski, Piotr Kwiatkowski, Stanislaw Niedbalski; montaggio: Elzbieta Kurkowska, Lidia Zonn; suono: Krystyna Pohorecka; direttori di produzione: Stanislaw Abrantowicz, Andzej Cylwik; assistente didattico: Kazimierz Karabasz; produzione: WFD (Casa di produzione del film Documentario), Warsaw; durata: 17’ 21" (476 m.).

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1970 BYLEM ZOLNIERZEM (Sono stato un soldato) Regia: Krzysztof Kieslowski; sceneggiatura: Krzysztof Kieslowki, Riszard Zgo`recki; fotografia (35 mm. b/n): Stanislaw Niedbalski; produzione: Casa di produzione «Czolo`wka»; durata: 16’ (480 m.). FABRYKA (La fabbrica) Regia: Krzysztof Kieslowski; fotografia (35 mm. b/n): Stanislaw Niedbalski, Jacek Tworek; montaggio: Maria Leszczynska; suono: Malgorzata Jaworska; direttore di produzione: Halina Kawecka; produzione: WFD; durata 17’ 14" (472 m.). 1971 PRZED RAJDEM (Prima della corsa) Regia: Krzysztof Kieslowski; fotografia (35 mm. b/n): Piotr Kwiatkowski; montaggio: Lidia Zinn; suono: Malgorzata Jaworska; direttore di produ-zione: Waldemar Kowalski; produzione: WFD; durata: 15’ 9" (411 m.). 1972 REFREN (Ritornello) Regia: Krzysztof Kieslowski; fotografia (35 mm. b/n): Witold Stok, montaggio: Maryla Czolnik; suono: Malgorzata Jaworska, Michal Zarnecki; direttore di produzione: Waldemar Kowalski; produzione: WFD; durata: 10’ 19" (282 m.) MIEDZY WROCLAWIEM A ZIELONA GONA (Tra Wroclaw e Zielona Gora) Regia: Krzysztof Kieslowski; fotografia (35 mm. colore). Jacek Petricki; montaggio: Lidia Zonn; suono: Andrzej Bohdanowicz; direttore di produzione: Jerzy Herman; produzione: WFD su commissione della miniera di rame di Lublin; durata: 10’ 35" (289 m.). PODSTAWY BHP W KOPALNI MIEDZI (Le norme di igiene e sicurezza nella miniera di rame) Regia: Krzysztof Kieslowski; fotografia (35 mm. colore): Jacek Petricki; montaggio: Lidia Zonn; suono: Andrzej Bohdanowicz; direttore di produzione: Jerzy Herman; produzione: WFD su commissione della miniera di rame di Lublin; durata: 20’ 52" (571 m.). ROBOTNICY ‘71: NIC O NAS BEZ NAS (Operai ‘71: niente su di noi senza di noi) Realizzazione: Krzysztof Kieslowski, Tomasz Zygadlo, Woijciech Wisniew-

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ski, Pawel Kedzieerski Tadeusz Walendowski, fotografia (16 mm. b/n): Witold Stok, Stanislaw Mroziuk, Jacek Petricki; suono: Jacek Szymanski, Alina Hojnacka; montaggio: Lidia Zonn, Maryla Czolnyk, Joanna Dorozynska, Daniela Cieplinska; direttori di produzione: Miroslaw Podolski, Wojciech Szczensny, Tomasz Golebiewski; produzione: WFD; durata: 46’ 39" (514 m.). 1973 MURARZ (Il muratore) Regia: Krzysztof Kieslowski; fotografia (35 mm. colore): Witold Stok; montaggio: Lidia Zonn; suono: Malgozata Jaworska, direttore di produzione: Tomasz Golebiewski; produzione: WFD; durata: 17’ 39"; prima proiezione: 1981. PRZEJSCIE PODZIEMNE (Il sottopassaggio) Regia: Krzysztof Kieslowski; sceneggiatura: Ireneusz Iredynski, Krzysztof Kieslowski; fotografia (35 mm. b/n): Slawomir Idziak, suono: Malgorzata Jaworska; interpreti: Teresa Busisz-Krizanowska, Andrzej Seweryn, Anna Jaraczowna, Zygmund Maciejewski, Jan Orsza-Lukaszewicz, Janusz Skalski; produzione: Televisione Polacca (PolTel); durata: 30’. 1974 PRZESWIETLENIE (La radiografia) Regia: Krzysztof Kieslowski; fotografia (35 mm. colore): Jacek Petricki; montaggio: Lidia Zonn; suono: Michal Zarnechi; direttore di produzione: Jerzy Tomaszewicz, produzione: WFD; durata: 16’ 53" (357 m.). PIERWSZA MILOSC (Il primo amore) Regia: Krzysztof Kieslowski; fotografia (16 mm. colore): Jacek Petrycki; montaggio: Lidia Zonn; suono: Malgorzata Jaworska, Michal Zarnecki; produzione: Televisione Polacca (PolTel); durata: 30’. 1975 ZYCIORYS (Curriculum vitae) Regia: Krzysztof Kieslowski; sceneggiatura: Janusz Fastyn, Krzysztof Kieslowski, da un soggetto di Maiciej Malicki; fotografia (35 mm. b/n): Jacec Petrycki, Tadeusz Rusinek; montaggio: Lidia Zonn, suono: Spas Christow; direttore di produzione: Marek Szopinski; produzione: WFD; durata: 45’ 10" (1235 m.).

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PERSONNEL (Il personale) Regia: Krzysztof Kieslowski; assistente alla regia: Tadeusz Walendowski; sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski; fotografia (16 mm. colore): Witold Stok; operatore: Ryszard Jaworski; scenografia: Tadeusz Kozarewicz; costumi: Izabella Konarzewska; montaggio: Lidia Zonn; interpreti: Juliusz Machulski (Romek), Irena Lorentowicz, Wlodzimierz Borunski, Michal Tarkowski, Tomasz Lengren, Andrzej Siedlecki, Tomasz Zygadlo, Janusz Skalski; direttore di produzione: Televisione Polacca (PolTel) in collaborazione con Zespol Filmowy TOR ; durata: 72’. 1976 SPTZAL (L’ospedale) Regia: Krzysztof Kieslowski; fotografia (35 mm. b/n): Jacek Petricki, Malgorzata Moszczenska; montaggio: Lidia Zonn; suono: Michal Zarnecki; direttore di produzione: Ryszard Wresinski; produzione: WFD; durata: 21’ 04’ (577 m.). BLIZNA (La cicatrice) Regia: Krzysztof Kieslowski; sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski, da un soggetto di Romuald Karas; dialoghi: Romuald Kras, Krzysztof Kieslowski; fotografia (35 mm. colore): Slawomir Idziak; musica: Stanslaw Radwan; suono: Michal Zarnecki; scenografia: Andrzej Plocki, montaggio: Krystina Gornicka, interpreti: Franciszeck Pieczka (il direttore Bednarz), Mariusz Dmochowski, Jerzy Stuhr (l’assistente di Bednarz), Jan Skotnicki (direttore dei trasporti), Stanislaw Igar (ministro), Stanislaw Mickalski (impiegato del Ministero), Michal Tarkowski (redattore della Tv), Halina Winiarska (moglie di Bednarz), Joanna Orzekowska (figlia di Bednarz), Agnieszka Holland, Malgorzata Lensniewska, Asia Lamtiugina, Riszard Baciarelli, J. Byrniaska, F. Barfuss, B. Eimont, H. Honko; direttore di produzione: Zbigniew Stanek; produzione: Zespol Filmowy TOR; durata: 104’. KLAPS (Ciak) Regia: Krzystof Kieslowski; fotografia (35 mm. colore): Slawomir Idziak; suono: Michal Zarneki; produzione Zespol Filmowy TOR; durata: 6’(64 m.). SPOKOJ (La calma) Regia: Krzysztof Kieslowski; assistente alla regia: Krzysztof Wierbicki; sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski, dalla novella di Lech Borski; dialoghi: Jerzy Stuhr, Krzysztof Kieslowski; fotografia (16 mm. colore): Jacek Petrycki; montaggio: Maryla Szymanska; operatore: Zbigniew Wichlalz; scenogra-

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fia: Rafal Waltenburger; suono: Weislaw Jurgala; musica: Piotr Figiel; interpreti: Jerzy Stuhr (Antek Gralak), Izabella Olszewska, Jerzy Trela, Michal Szulkiewicz, Danuta Ruksza, Jerzy Fedorowicz, Elzbieta Karkoszka; direttore di produzione: Zbigniew Romantowski; produzione: Televisione Polacca (Poltel); durata: 44’; prima proiezione: 1980. 1977 ZU PUNKTU WIDZENIA NOCNEGO PORTIERA (Dal punto di vista di un portiere notturno) Regia: Krzysztof Kieslowski; fotografia (35 mm. colore). Witold Stok; montaggio: Lidia Zonn; musica: Wojciech Kilar, suono: Wieslawa Dembinska, Michal Zarnecki, direttore di produzione: Wojciech Kapczynski; produzione: WFD; durata: 16’ 52" (463 m.). NIE WIEM (Non so) Regia: Krzysztof Kieslowski; fotografia (35 mm. b/n): Jacek Petrycki; montaggio: Lidia Zonn; suono: Michal Zarnecki; direttori di produzione: Ryszard Wrzesinski, Wojciech Kapczynski; produzione: WFD; durata: 16’ (1271 m). 1978 SIEDEM KOBIET W ROZNYM WIEKU (Sette donne di eta` diversa) Regia:.Krzysztof Kieslowski; fotografia (35 mm. b/n):Jacek Petrycki; montaggio: Lidia Zonn; suono: Michal Zarnecki; direttori di produzione: Ryszard Wrzesinski, Wojciech Kapczynski; produzione: WFD; durata: 46’ 27" (1271 m.). 1979 AMATOR (Il cineamatore) Regia: Krzysztof Kieslowski; sceneggiatura e dialoghi: Krzysztof Kieslowski, Jerzy Stuhr; fotografia (35 mm. colore): Jacek Petrycki; musica: Krzysztof Knittel; suono: Michal Zarnecki; montaggio: Halina Nawrocka; scenografia: Rafal Waltenberger; interpreti: Jerzy Stuhr (Filip Mosz), Malgorzata Zabrowska (Irka Mosz), Ewa Pokas (Anna Wlodarczyk, la “cineamatrice”), Stefan Czyzewski (il direttore), Jerzy Nowak (Osuch), Tadeusz Bradecki (Witek), Marek Litewka (Piotrek Krewczyk), Boguslaw Sobzuk (redattore della televisione), Krzysztof Zanussi (se stesso), Andrzej Jurga (se stesso); produzione: Zespol Filmowy TOR; direttore di produzione: Wielislwa Piotrowska; durata: 112’.

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1980 DWORZEC (La stazione) Regia: Krzysztof Kieslowski; fotografia (35 mm. b/n): Witold Stok; montaggio: Lidia Zonn; suono: Michal Zarnecki; direttore di produzione: Lech Grabinski; produzione: WFD; durata: 13’ 23" (366 m.), GADAJACE GLOWY (Le teste parlanti) Regia: Krzysztof Kieslowski; fotografia (35 mm. b/n): Jacek Petricki, Piotr Kwiatkowski; montaggio: Alina Sieminska; suono: Michal Zarnecki; direttore di produzione: Lech Grabinski; produzione: WFD; durata: 15’ 32" (426 m.). PRZYPADEK (Il caso o Destino cieco) Regia: Krzysztof Kieslowski; sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski; fotografia (35mm. colore): Krzystof Pakulski; musica: Wojciech Kilar; suono: Michal Zarnecki; scenografia: Rafal Walterberger; montaggio: Elzbieta Kurkoswka; interpreti: Primo episodio: Boguslaw Linda (Witek), Tadeusz Lomnicki (Werner), Boguslawa Pawelec (Czuska), Zbigniew Zapasiewicz (Adam); Secondo episodio: Boguslaw Linda (Witek), Jacek Borkowski (Marek), Adam Ferency (il sacerdote), Jacek Sas-Uchrynowski (Daniel), Marzwna Tribala (Wera); Terzo episodio: Boguslaw Linda (Witek), Irena Burska (la zia), Monika Gozdzik (Olga), Zbigniew Hubner (il preside); produzione: Zespol Filmowy TOR; direttore di produzione: Jacek Szeligowski; durata: 122’. KROTKI DZIEN PRACY (Una breve giornata sul lavoro) Regia: Krzysztof Kieslowski; sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski e Hanna Krall, dal reportage di Hanna Krall Widok za okna na pierwszym pietrze (La vista dalla finestra del primo piano); fotografia (35 mm. colore): Krzysztof Pakulski; suono: Michal Zarnecki; musica: Jan Kaanty Pawluskiewicz; montaggio: Elzbieta Kurkowska; interprete: Walaw Ulewicz (il primo segratario del comitato voivodale); direttore di produzione: Jacek Szeligowski; produzione: Televisione Polacca; durata: 79’ 22". BEZ KONCA (Senza fine) Regia: Krzysztof Kieslowski; sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesiewicz; fotografia (35 mm. colore): Jacek Petrichi; musica: Zbigniew Preisner; suono: Michal Zarnecki; scenografia: Allan Starski; montaggio: Krystyna Rutkowska; interpreti: Grazyna Szapolowska (Ursula Zyro), Maria Pakulnis (Joanna), Aleksander Bardini (avvocato Labrador), Jerzy Radziwilowicz (avvocato Antoni Zyro), Artur Barcis(Dariusz), Michal -Bajor (assistente di Labrador), Marek Kondrat (Tomek), Tadseutz Bradecki (psicote-

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rapista), Daniel Webb (l’americano), Krzysztof Krzeminski, Marzena Trybala, Adam Ferency, Jerzy Kamas, Jan Tesarz; direttore di produzione: Zespol Filmowy TOR; durata:107’. 1988 SIEDEM DNI W TYGODNIU (Sette giorni della settimana) Regia: Krzysztof Kieslowski; fotografia (35 mm. colore): Jacek Petricki; suono: Michal Zarnecki; musica: Fryderyk Chopin; montaggio: Dorota Warduskiewicz; direttore di produzione: Jacek Petricki; produzione: City Life, Rotterdam; durata: 18’.

KROTKI FILM O ZABIJANIU (Breve film sull’uccidere) Regia: Krzysztof Kieslowski; sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski e Krzystof Piesiewicz; fotografia (35 mm. colore): Slawomir Idziak; musica: Zbigniev Preisner; operatore: Jerzy Rudzinski; suono: Malgorzata Javorska; montaggio: Ewa Smal; scenografia: Halina Dobrowolska; interpreti: Miroslaw Baka (Jacek), Krisztof Globisz (Piotr), Jan Tesarz (il tassista), Zbigniew Zapasiewicz (capo della commissione), Barbara Dziekan-Vajda (la cassiera), Aleksander Bednarz (il boia), Jerzy Zass (direttore del carcere), Zdzislaw Tobiasz (il giudice), Artur Barcis (il giovane operaio), Krystyna Janda (Dorota), Olgierd Lukaszewicz (Anrzej); direttore di produzione: Ryszard Chutkowski; produzione: Zespol Filmowy TOR e Televisione Polacca (per la versione televisiva, episodio 5 del Decalogo); durata: 85’. KROTKI FILM O MILOSCI (Breve film sull’amore) Regia: Krzysztof Kieslowski; sceneggiatura; Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesiewicz; fotografia (35 mm. colore): Witold Adamek; musica: Zbigniew Preisner; suono: Nikodem Wolk- Laniewski; montaggio: Ewa Smal; scenografia: Halina Dobrowolska; interpreti: Grazyna Szapolowska (Magda), Olaf Lubaszenko (Tomek), Stefania Iwinska (la padrona), Artur Barcis (il giovane), Stanislaw Gawlik (il portalettere) , Piotr Machalica (Roman), Rafal Imbro (l’uomo con la barba) , Jan Piechocinski (l’uomo biondo), Malgorzata Rozniatowska (la direttrice dell’ufficio postale), M. Chojnacka, T. Gradowski, K. Koperski, J. Michalewska, E. Ziolkowska; direttore di produzione: Ryszard Chutkowski; produzione: Zespol Filmowy TOR; durata: 87’. 1989 DEKALOG, JEDEN (Decalogo, 1) Regia: Krzysztof Kieslowski; sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski, Krzysztof

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Piesiewicz; fotografia (35 mm. colore): Wieslaw Zdort; musica: Zbigniew Preisner; suono: Malgorzata Jaworska; montaggio: Ewa Smal; scenografia: Halina Dobrowolska; interpreti: Henrik Baranowski (Krzysztof), Wojciek Klata (Pawel), Maja Komorowska (Irena), Artur Barcis (l’uomo con la giacca di montone), Maria Gladkowska (la ragazza), Ewa Kania (Ewa Jezierska), Aleksandra Kisielewska (la donna), Aleksandra Majsiuk (Ola), Magda Sroga- Mikolajczyk (la giornalista), Anna Smal-Romanska (la donna sul lago), Maciej Slawinski (il direttore), Piotr Wyrzykowski (ragazzo sul lago), Bozena Wrobel (l’insegnante); direttore di produzione: Ryszard Chutowski; produzione: Televisione Polacca; durata: 53’. DEKALOG, DWA (Decalogo, 2) Regia: Krzysztof Kieslowski; scenggiatura: Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesiewicz; fotografia (35 mm. colore): Edward Klosinki; musica: Zbigniew Preisner; suono: Malgorzata Jaworska; montaggio: Ewa Smal; scengrafia: Halina Dobrowolska; interpreti: Krystyna Janda (Dorota), Aleksander Bardini(il primario), Olgierd Lukaszewicz (Andrzej),Artur Bargis(il giovane), Stanislaw Gawlik (il postino), Krzysztof Kumor (ginecologo), Macej Szary (il guardiano), Krystyna Bigelmajer (la segretaria), Karol Dillenius (malato), Ewa Ekwinska (la signora Basia), Jerzy Fedorowicz (Janek), Piotr Siejka (medico), Aleksander Trabczynski; direttore di produzione: Rzyszard Chutkowski produzione: Televisione Polacca; durata: 57’. DEKALOG, TRZY (Decalogo, 3) Regia: Krzystof Kieslowski; sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesiewicz; fotografia (35 mm. colore). Piotr Sobocinski; musica: Zbigniew Preisner; suono: Nikodem Wolk- Laniewski; montaggio: Ewa Smal; scenografia: Halina Dobrowska; interpreti: Daniel Olbrychsky (Janusz), Maria Pakulnis (Ewa), Joanna Szczepkowska (moglie di Janusz), Artur Barcis (conducente del tram), Krystyna Drochocka (la zia), Krzysztof Kumor (medico), Dorota Stalinska (la donna), Zygmunt Fok (l’uomo anziano), Jacek Kalucki (il poliziotto), Barbara Kolodziejska (direttrice), Maria Krawczykk (la suocera di Janusz), Jerzy Zygmunt Nowak (il medico), Piotr Rzymyskiewich (ragazzo), Wlodzimierz Rzeczycki (prete), Wlodzimierz Musial (l’uomo); direttore di produzione: Ryszard Chutkowski; produzione: Televisione Polacca; Durata: 56’. DEKALOG, CZTERY (Decalogo, 4) Regia: Krzysztof Kieslowski; sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesiewicz; fotografia (35 mm. colore): Krzysztof Pakulski; musica: Zbigniew

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

Preisner; suono: Malgorzata Jaworska; montaggio: Ewa Smal; scenografia: Halina Dobrowolska; interpreti: Adrianna Biedrzinska (Anka), Janusz Gajis (Michal), Artur Barcis (il giovane), Adam Hanuszkiewicz (il professore), Jan Tesarz (il tassista), Andrzej Blumenfeld (amico di Michal), Tomasz Kozlowicz (Jarek), Elzbieta Kilarska (madre di Jarek), Helena Norwicz (la dottoressa); direttore di produzione: Ryszard Chutkowski; produzione: Televisione Polacca; durata:55’. DEKALOG, PIEC (Decalogo, 5) Regia: Krzysztof Kieslowski; sceneggiatura: Krzysztof Kielowski, Krzysztof Piesiewicz; fotografia (35 mm. colore). Slawomir Idziak; musica: Zbigniew Preisner; operatore: Jerzy Rudzinski; suono: Malgorzata Jaworska; montaggio: Ewa Smal; scenografia: Halina Dobrowolska; interpreti: Miroslaw Baka (Jacek), Krzysztof Globisz (Piotr), Jan Tesarz (il tassista), Zbigniew Zapasiewicz (capo della commissione), Barbara Dziekan-Vajda (la cassiera), Aleksander Bednarz (il boia), Jerzy Zass (direttore del carcere), Zdzislaw Tobiasz (il giudice), Artur Barcis (il giovane operaio), Krystyna Janda (Dorota), Olgierd Lukaszewicz(Andrzej); direttore di produzione: Ryszard Chutkowski produzione: Zespol Filmowy TOR Televisione Polacca; durata: 57’. DEKALOG, ZESC (Decalogo, 6) Regia: Krzysztof Kieslowski; sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesiewicz; fotografia (35 mm. colore): Witold Adamek; musica: Zbigniew Preisner; suono: Nokodem Wolk-Laniewski; montaggio: Ewa Smal; scenografia: Halina Dobrowolska; interpreti: Grazyna Szapolowska (Magda), Olaf Lubaszenko (Tomek), Stefania Iwinska (la padrona), Artur Barcis (il giovane), Stanislaw Gawlik (il portalettere), Piotr Machalika (Roman), Rafal Imbro (l’uomo con la barba), Jan Pechocinski (l’uomo biondo), Malgorzata Rozniatowska (la direttrice dell’ufficio postale), M. Chojnacka, T. Gradowski, K: Koperski, J. Michalewska, E: Ziolkowska; direttore di produzione. Ryszard Chutkowski; produzione: Zespol Filmowy TOR, Televisione Polacca; durata: 58’. DEKALOG, SIEDEM (Decalogo, 7) Regia: Krzysztof Kieslowski; sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesiewicz; fotografia (35 mm. colore): Dariusz Kuc; musica: Zbigniew Preisner, suono: Nikodem Wolk- Laniewski; montaggio: Ewa Smal; scenografia: Halina Dobrowolska; interpreti: Anna Polony (Ewa) ,Maja Barelkowska (Majka), Wladislaw Kowalski (Stefan), Boguslaw Linda (Wojtek), Bozena



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Dykiel (la bigliettaia), Katarzyna Piwowarczyk (Ania), Stefania Blonska (guardarobiera), Dariusz Jablonski (ragazzo), Jan Mayzel (Grzegorz), Miroslawa Maludzinska (segretaria), Ewa Radziwilowiska (bigliettaia); direttore di produzione: Ryszard Chutkowski; produzione: Televisione Polacca; durata: 55’. DEKALOG, OSIEM (Decalogo, 8) Regia: Krzysztof Kieslowski; sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesiewicz; fotografia (35 mm. colore): Andrzej Jarosewicz; musica: Zbigniew Preisner; suono: Wielawa Dembinska; montaggio: Ewa Smal; scenografia: Halina Dobrowolska, interpreti: Maria Koscialkowska (Zofia), Teresa Marczewska (Elzbieta) , Artur Barcis (giovane studente), Ewa Skibinska (la ragazza), Jacek Strzemalski (guardiano), Hanna Szczerowska (giovane donna), Anna Zagorska (ragazza); direttore di produzione: Ryszard Chutkowski; produzione: Televisione Polacca, durata: 55’. DEKALOG, DZIEWIEC (Decalogo, 9) Regia: Krzysztof Kieslowski; sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesiewicz; fotografia (35 mm. colore): Piotr Sobocinski; musica: Zbigniew Preisner; suono: Nikodem Wolk-Laniewski; montaggio: Ewa Smal; scenografia: Halina Dobrowolska; interpreti: Ewa Blaszcyk (Hanka), Piotr Machalica (Roman), Artur Baecis (giovane in bicicletta), Jan Jankiwski (Mariusz), Jolanka Pieteck-Gorecka (Ola) , Katarzyna Piwowarczyk (Ania), Jerzy Trela (Mikolaj), Renata Berger (un’amica), Slawomir Kwaitkowski (il padrone dell’officina), Dariusz Prychoda (Janusz); direttore di produzione: Ryszard Chutkowski: produzione: Televisione Polacca; durata: 58’. DEKALOG, DZIESIEC (Decalogo, 10) Regia: Krzysztof Kieslowski; sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesiewicz; fotografia (35 mm. colore): Jacek Blawut; musica: Zbigniew Preisner; suono: Nikodem Wolk- Laniewski; montaggio: Ewa Smal; scenografia: Halina Dobrowolska; interpreti: Jerzy Stuhr (Jerzy), Zbigniew Zamachowski (Artur), Henryk Bista (padrone del negozio), Olaf Lubaszenko (Tomek), Maciej Stuhr (Piotrek), Jerzy Turek (esperto), Anna Gornostaj (infermiera), Henryk Majcherer (presidente), Elzbieta Panas (moglie di Jerzy), Dariusz Kazakiewicz (ragazzo), Grzegorz Warchol (Bromski), Cezary Harisimowicz (il colonnello); direttore di produzione: Ryszard Chutkowski: produzione: Televisione Polacca; durata: 57’.

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

1991 LA DOUBLE VIE DE VERONIQUE; PODWOJNE ZYCIE WERONICKI (La doppia vita di Veronica) Regia: Krzysztof Kieslowski: sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesiewicz; fotografia (35 mm. colore). Slawomor Idziak; musica: Zbigniew Preisner; montaggio: Jacques Witta; scenografia: Patrice Mercier; interpreti: Ire`ne Jacob (Weronika/Ve´ronique), Aleksander Bardini (direttore d’orchestra), Wladislaw Kowalski (padre di Weronika), Halina Gryglaszewska (zia di Weronika), Kalina Jedrusik (donna variopinta), Jerzy Gudejko (Antek), Jan Sterninski (l’avvocato), Philippe Volter (Alexandre), Sandrine Dumas (Catherine), Louis Ducreux (professore), Claude Duneton (padre di Veronique), Lorraine Evanoff (Claude), Guillaume de Tonquedoc (Serge) , Gilles-Gaston Dreyfuss (Jeann- Pierre), Alain Frerot, Youssef Hamid, Thierry de Carbonnie`res, Chantal Neuwirt, Nusicaa Ramponi, Boguslawa Schubert, Jacques Potin, Nicole Pinaus, Beata Malczewska, Barbara Szalapa, Lucyna Zabawa, Bernadetta Kus, Philippe Campos, Dominika Szady, Jacek Wijciki, Wanda Kriszewska, Pauline Monier; produttore: Leonardo De La Fuente; produttore esecutivo: Bernard-P. Guiramann; produzione: Side`ral Productins/Zespol Filmowy TOR/Le Studio Canal Plus/Norski Film (Francia/Polonia/Norvegia); durata: 98’. 1992-93 TROIS COULEURS: BLEU (Tre colori: film Blu) Regia: Krzystof Kieslowski; sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesiewicz; fotografia (35 mm. colore): Slawomir Idziac; musica: Zbigniew Preisner; suono: Jean-Claude Laureux; mixage: William Flageollet; montaggio: Jacques Witta; scenografia: Claude Lenoir; interpreti: Juliette Binoche (Julie), Benoit Regent (Olivier), He´le`ne Vincent (la giornalista), Florence Pernel (Sandrine), Charlotte Very (Lucille), Philippe Volter (agente immobiliare), Claude Duneton (Patrice), Emmanuelle Riva (la madre), Florence Vognon (segretaria), Jacek Ostaszewski (il flautista), Yann Tregouet (Antoine), Isabelle Sadoyan, Danie Martin, Catherine Therouenne, Alain Olivier, Pierre Forget, Philippe Manesse, Idit Cebula, Jacques Disses, Yves Penay, Arno Chevrier, Stanislas Nordey, Michel Lisowski, Philippe Morier, Genoud, Julie Delpy, Zbigniew Zamachowski, Alain Decaux; produttore: Marin Karmitz; produttore esecutivo: Yvon Crenn; produzione: MK2/SA/CED Productions/France 3 Cine´ma/CAB Productions/C.E.D. Production/Canal Plus/Zespol Filmowy TOR; durata 99’. Premi: Leone d’oro alla Mostra di Venezia del 1993 (Coppa Volpi a Juliette Binoche; Premio per la migliore fotografia a Slawomir Idziak).

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1993 TROIS COULEURS: BLANC (Tre colori: film Bianco) Regia: Krzysztof Kieslowski; sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesiewicz; fotografia (35 mm. colore). Edward Klosinski; musica: Zbigniew Preisner; suono: Jean-Claude Laureux; mixage: William Flageollet; montaggio: Ursula Lesiak; scenografia: Claude Lenoir, Halina Dobrowolska; interpreti: Zbigniew Zamachowski (Karol), Julie Delpy (Dominique), Janusz Gajos (Mikolaj), Jerzy Stuhr (Jurek), Jerzy Nowak (il vecchi contadino), Aleksandr Bardini (il notaio), Cezary Pazura (l’uomo del cambio), Grzegorz Warchol (un gaga’), Cezary Harasimowicz (l’ispettore), Jerzy Trela (Bronek), Michel Losowski (interprete), Philippe Morier Genoud (giudice), Piotr Machalica (uomo alto), Francis Coffinet (impiegato di banca), Barbara Dziekan (cassiera), Yannik Evely (impiegato metro`), Marzena Trybala (impiegata), jacques Disses (avvocato Dominique), Teresa Budzisz-Krzyzanowska (signora Jadwiga), Juliette Binoche, Florence Pernel; produttore: Marin Kamitz; produttore esecutivo: Yvon Crenn; produzione: MK2 SA/CED Productions/Zespol Filmowy TOR/France 3 Cine´ma/CAB Productions/canal Plus; durata: 91’. Premi: Orso d’Oro al Festival di Berlino 1994. 1994 TROIS COULEURS: ROUGE (Tre colori: film Rosso) Regia: Krzysztof Kieslowski, sceneggiatura: Krzysztof Kieslowski, Krzysztof Piesiewicz; fotografia (35 mm. colore): Piotr Sobocinski; musica: Zbigniew Preisner, suono: Jean- Claude Laureux; mixage: William Flageollet; montaggio: Jacques Witta; scenografia: Claude Lenoir; costumi: Corinne Jorry; interpreti: Irene Jacob (Valentine), Jean-Louis Trintignant (il giudice), Jean-Pierre Lorit (Auguste), Fre´de`rique feder (Karin), Samuel Lebihan (il fotografo), Marion Stalens (veterinario), Teco Celio (barista), Bernard Escalon (venditore di dischi), Jean Schlegel (vicino di casa), Elzbieta Janska (la donna), Paul Vermeulen (amico di Karin), Jean-Marie Daunas(guardiano del teatro), Roland Carey (narcotrafficante), Juliette Binoche, Benoit Regent, Julie Delpy, Zbigniew Zamachowski; produttore: Marin Karmitz; produttore esecutivo: Yvon Crenn; produzione: MK2 SA/CED Productions/France 3 Cine´ma/CAB Productions/Zespol Filmowy TOR/Canal plus/Te´le´vision Suisse Romande; durata: 96’.

Bibliografia

SCRITTI CINEMATOGRAFICI DI KIESLOWSKI Krzystof Kieslowski e Krzysztof Piesiewicz, Decalogo, Einaudi, Torino, 1991, ed. or Dekalog (1989), tr. it. di Malgorzata Furdal e Paolo Gesumunno. Krzysztof Kieslowski e Krzysztof Piesiewicz, Tre colori: Blu, Bianco, Rosso, Bompiani, Milano, 1994, ed. or. Trzy Kolory: Niebieski. Trzy Kolory: Bialy. Trzy Kolory: Czerwony, tr. it. di Marina Fabbri. Krzysztof Kieslowski, Drammaturgia della realta`, in «Pantacinema», n.13/V, Milano, agosto 1994, pp. 285-288. Krzysztof Kieslowski, Approfondire invece che allargare, in «MicroMega», n. 2/97 maggio-giugno, Editrice Periodici Culturali, pp. 145-148. Krzysztof Kieslowski, Dramaturgia rzeczywistosci, Estratto del saggio di diploma di Kieslowski conseguito presso la Scuola Superiore Statale di Cinema di Lodz nel 1968, Corso di Regia (relatore prof. Jerzy Bossak), pubblicato in Film na swiecie, n. 388-389, 1992. Krzysztof Kieslowski, Spokoj (La tranquillita` ), in «Dialog», n. 4, 1977. Krzysztof Kieslowski, Amator, (Il cineamatore), in «Dialog», n. 4, 1978. Krzysztof Kieslowski, Przypadek (Il caso), in «Dialog», n. 5, 1981. Krzysztof Kieslowski e Hanna Krall, Widok z okna na pierze (La finestra dalla vista del primo piano, poi Una breve giornata di lavoro), in «Dialog», n. 7, 1981. Krzysztof Kieslowski, Gleboko zamiast szeroko, in «Dialog», n. 1, 1981, in «Micromega», n. 2/97, maggio-giugno.

INTERVISTE Jacques Demeure, Entretien avec Krzysztof Kieslowski, in «Positif», n. 227, febbraio 1980. Alain Bergala, Propos: Krzysztof Kieslowski, Slawomir Idziac, in «Cahiers du Cine´ma», n. 409, giugno 1988. Hubert Niogret, Entretien avec Krzysztof Kieslowski sur tu ne tueras point, in «Positif», n. 332, ottobre 1988. Maria Marzalek, Di me, Di te, Di tutti. Colloquio con Krzysztof Kieslowski in Giacomo Gambetti (a cura di), Settimana del Cinema polacco, Ente dello Spettacolo, Roma, 1988.



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ARTICOLI Paulo Antonio Paranagua, Le technocrate e le cine´aste, in «Positif», n. 227, febbraio 1980. Hubert Niogret, Bez Konca (Sans Fin), in «Positif», n. 293- 294, luglio, agosto 1985. Hubert Niogret, Przrypadek (Le fait du hasard), in «Positif», n. 317-318, luglio-agosto 1987. Bruno Fornara, Il tempo dei morti, in «Cineforum», n. 266, agosto1987. Miroslaw Przylipiak, Bez Konca, in Giacomo Gambetti (a cura di), Settimana del Cinema polacco, Ente dello spettacolo, Roma, 1988. Tadeusz Sobolewski, Przypadek post-scriptum, in Giacomo Gambetti (a cura di), Settimana del Cinema polacco, Ente dello spettacolo, Roma, 1988. Michel Ciment, Krotki film o zabijaniu, in «Positif», n. 329-330, luglio-agosto 1988. Jean- Luc Douin, L’amateur, in «Te´le´rama», ottobre 1988. Vincent Amiel, Images du monde et de l’enfer, in «Positif», n. 332, ottobre 1988. Thierry Jousse, Krzysztof Kieslowski. Eloge d’un vivisecteur, in «Cahie`rs du Cine´ma», n. 413, novembre 1988. Max Tessier, Krzysztof Kieslowski, un cine´ma au dela` du pessimisme, in «La revue du cine´ma», n. 443, novembre 1988. Fre´de´ric Strauss, Le nom du crime, in «Cahie`rs du Cine´ma», n. 413, novembre 1988. Jerzy Plazewski, Kieslowski o i sentieri dell’interiorizzazione, in «Cinecritica », n. 25, maggio-giugno 1989.



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MONOGRAFIE Roberto Turigliatto e Malgorzata Furdal (ed.), Kieslowski, Museo Nazionale del Cinema, Torino, 1989.

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Emanuela Imparato, Il Decalogo di Krzysztof Kieslowski, Edizioni AIACE, Roma, 1990. Gina Lagorio, (ed.), Il Decalogo di Kieslowski-Ricreazione narrativa, Edizioni Piemme, Alessandria, 1991. Mario Sesti (ed.), Krzysztof Kieslowski, Dino Audino Editore, Roma, 1993. Danusia Stok (ed.), Kieslowski on Kieslowski, Faber and Faber, London, 1993. Lucio D’Auria, Fabio Francione (ed.), Tre Colori, Comune di Lodi, 1994. Vincent Amiel, Kieslowski, Rivages/Cine´ma, Paris, 1995. Serafino Murri, Krzysztof Kieslowski, Editrice il Castoro, Milano, 1996. Gabriella Ripa di Meana, La morale dell’altro, Liberal libri, Firenze, 1998. V. Attolini, V. Camerino, M. Causo, G. Gambetti, M. Sacco, A. Tarsi, Krzysztof Kieslowski, Barbieri Editore, Taranto, 1998.

CATALOGHI SUL CINEMA POLACCO Giacomo Gambetti (a cura di), Settimana del Cinema Polacco, Ente dello spettacolo, Roma, 1980. Serena D’Arbela, Nuovo Cinema Polacco. L’inquietudine e lo schermo da Wajda e Zanussi al Quarto cinema, Casa Editrice Roberto Napoleone, Roma, 1981. Giacomo Gambetti (a cura di ), Settimana del Cinema Polacco, Ente dello spettacolo, Roma, 1988. Malgorzata Furdal, Roberto Turigliatto (ed.), Dalla scuola polacca al nuovo cinema (1956-1970), Ubulibri, Milano, 1988.

Metropolis

1. 2. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 23. 25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. 35. 36. 38. 39. 40. 41. 42.

F. Ferrarotti, Homo sentiens. Giovani e musica. La rinascita della comunità dallo spirito della nuova musica G. Sodano, M. Pacelli, Nascita di Venere. La televisione e le cattedrali elettroniche A. Montanari, Eroi immaginari. L’identità nazionale nei romanzi, film, telefilm, polizieschi Attese apocalittiche alle soglie del millennio, (a cura di M. I. Macioti) F. Ferrarotti, Rock, rap, e l’immortalità dell’anima A. Castellani, I ragazzi di Tokyo. Le poetiche zen di una metropoli G. Corasaniti, Tra potere e servizio. Informazione e giustizia in Italia A. Caruso, Di che sogno sei? F. Ferrarotti, Libri, lettori, società M. Santoro, Libri Quotidiani. I termini dell’intesa D. Pittèri, Polaroid dal pianeta Terra. Miti, memorie e immagini del presente S. Rimini, L’etica dello sguardo. Introduzione al cinema di Krzysztof Kieslowski Immigrati e religioni (a cura di M. I. Macioti) G. Pirzio Ammassari, M. D’Amato, A. Montanari, Nazionalismo e identità collettive. I percorsi della transizione in Romania e nella Repubblica di Moldova M. Cilento, Governo locale e politiche simboliche. Il caso Bagnoli G. Satta, Turisti a Orgosolo. La Sardegna pastorale come attrazione turistica Le culture della salute. Immigrazione e sanità: un approccio transculturale (a cura di V. De Micco) S. Casillo, Il falso è servito. Le falsificazioni del nostro cibo quotidiano Islam e città nell’Africa a sud del Sahara. Tra sufismo e fondamentalismo (a cura di A. Piga) A. Montanari, Stereotipi nazionali. Modelli di comportamento e relazioni in Europa A. Ferraris, Una vita maleducata. La narrativa italiana (1981-1999) e la musica popolare dal rock all’hip-hop Archeologie della pubblicità. Alle origini della pubblicità moderna (a cura di D. Pittèri e P.C. Papakristo) G. Avallone, La movida. Il divertimento e la notte nella città di Salerno Discipline della moda. L’etica dell’apparenza (a cura di B. Valli, B. Barzini, P. Calefato) Nuove specie di spazi (a cura di I. Faré e S. Piardi) V. Cuomo, Del corpo impersonale. Saggi di estetica dei media e filosofia della tecnica Londra e le altre. Immagini della metropoli di fine Ottocento (a cura di L. Di Michele) A.Verza, Il dominio pornografico. Femminismo e liberalismo alla prova Bianco e nero, nero su bianco. Tra fotografia e scrittura (a cura di B. Donatelli) A.R. Calabrò, Zingari. Storia di un’emergenza annunciata E. Parise, Democrazia, Europa, cosmopolitismo. Esercizi di lettura della globalizzazione E.D. Midolo, Flow of Sounds. Musica e diaspora: il rap islamico in Gran Bretagna I. Quadrelli, Genitorialità in transizione. Madri e padri dopo la separazione K. Scannavini, Abuja/Londra solo andata. Storie e percorsi migratori dalla Nigeria F. Bordignon, L’Europa unita... dall’antipolitica. Società, politica e partiti nell’Europa post-comunista P. La Trecchia, Uno sguardo a Sud. Vent’anni di movimenti, storie, conflitti e trasformazioni nella città di Napoli. 1990-2010 Tecnofuturo. L’alba di un nuovo medium, l’alba di una nuova umanità (a cura di C. Baldi e P. Citarella)