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Italian Pages 208 Year 2004
— Katechein Uno studio sulla democrazia antica Ss
Gennaro Carillo
adire scenica
‘I lottatori di Ostia? >
Pensiero giuridico e politico Saggi Collana diretta da Francesco M. De Sanctis Nuova serie
CRIE
Centro di Ricerca sulle Istituzioni Europee dell’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa
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Gennaro
Carillo
Katechein Uno studio sulla democrazia antica
Editoriale Scientifica
PROPRIETÀ LETTERARIA RISE RVATA ISBN 88-88321-80-2
© Editoriale Scientifica srl 2003
80132 Napoli via Generale Giordano Orsini, 42
Indice sommario
Premessa
13
Su Erodoto, III, 80, 1-6
Su Tucidide, II, 35-37, I
145
Appendice
Sulle ali del consenso ovvero Gli animali nella commedia attica antica tra politica e suggestioni utopiche 169
Bibliografia
193
Index locorum
197
Indice dei nomi moderni
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https://archive.org/details/katecheinunostud0000cari
E vive, quale io non conosco
che la terra d'Asia possieda né che sia mai cresciuta nella grande isola dorica di Pelope, una pianta invincibile poiché rinasce da sé, terrore delle armi nemiche,
che in questa terra più che altrove è fiorente: l’albero dell’oliva glauca nutrimento dei figli. Nessuno, giovane o vecchio, lo strapperà con le sue mani distruggendolo: poiché il grande sguardo di Zeus protettore sempre lo osserva, e l'occhio glauco di Atena. Un elogio grandioso ho ancora di questa città che mi è madre, il dono di un dio grande, l’orgoglio più alto della nostra terra: la forza dei cavalli, dei puledri, del mare. O figlio di Crono, tu l’hai sollevata
a tanta gloria, Poseidon signore, creando il morso a frenare i cavalli la prima volta in queste contrade. E sotto i remi spinti da mani robuste corre sull’onda la nave volando — meraviglia! —, compagna alla danza delle Nereidi innumerevoli. SOFOCLE, Edipo a Colono, vv. 694-719
(trad. di D. Del Corno).
Premessa
Ci sono libri che colmano lacune, seducendo col fascino del nuovo e del vuoto. Altri, invece, rari, danno nuova
linfa a classici il cui senso si presumeva acquisito e familiare, accessibile, dopo secoli di esegesi; richiamati alla vita, sotto-
posti a riesami profondi, a rivisitazioni radicali, quei classici appariranno come doveva apparire, a giudizio di Michelet, il paesaggio naturale di Francia per effetto della Rivoluzione: «Quei fiumi, quelle montagne, quei paesaggi gran-
diosi, che essi attraversavano tutti i giorni, li scoprirono quel giorno; non li avevano mai visti!»!. Questo piccolo libro, ovviamente, non è né l’una né l’altra cosa. E quel che resta di un journal des cours, di un quaderno di appunti sulla democrazia antica, raccolti da chi non può professarsi antichista. Occasione primaria della sua stesura le lezioni e i seminarî di Storia delle dottrine politiche nelle Facoltà di Lettere e di Scienze della Formazione dell’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa. Ma questo libro nasce anche da una divagazione, dall'abbandono momentaneo di un lavoro sulla critica platonica della democrazia: nelle intenzioni originarie, gli esercizî di lettura che compongono il volume avrebbero dovuto costituire -.
1 | MICHELET, Histoire de la Révolution frangaise (1869), Livre III,
Chap. XI, édition établie et annotée
par G. Walter, Paris, Gallimard,
1952, t. I, p. 4IT: «ces fleuves, ces montagnes, ces paysages grandioses, qu’ils traversaient tous les jours, en ce jour ils les découvrirent; ils ne les avaient vus jamais».
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Premessa
una sorta di premessa (un repertorio di passaggi salienti e di annotazioni, vòlto a precisare un lessico politico a beneficio esclusivo del mio apprendistato) allo studio di Platone. Quel repertorio privato ha finito per prendermi la mano, assumendo una veste autonoma e restringendo il campo di analisi diretta delle fonti alla storiografia delV secolo. Di qui le ‘omissioni più vistose: l’oratoria attica e le fonti epigrafiche. Di qui anche la scelta di una lettura dei testi non panoramica
ma
ostinatamente
selettiva. Come
pure
selettivo
e
sommario, ma forzatamente, è stato il confronto con la letteratura critica sul tema. Motivo conduttore della ricerca, per ragioni che si chiariranno nel testo, l’atto di frenare, il Ratechein del titolo. Un verbo che evoca passioni imperiose da domare, eccessi di motilità da imbrigliare: il grido (lo phthoggos) di Ifigenia sull'altare del sacrificio (ESCHILO, Agamennone, vv. 236-237);
il passo nervoso di giovenca (skirtema moschou) con il quale Polissena va incontro alla morte, sacrificata vergine per compiacere lo spettro di Achille (EURIPIDE, Ecuba, v. 526); le lacrime (i dakrya) di Critone davanti a Socrate morente (PLATONE, Fedone, 117d2-3). Nelle pagine che seguono il katechein denota un problema costante della democrazia antica, costante almeno quanto il metechein (la ‘partecipazione’) agli affari della polis: la necessità di ‘contenere’ la moltitudine (il plethos: la maggior parte) entro una giusta misura. Con questo non voglio avanzare, esagerando, la congettura che nel katechein si condensi il problema centrale della democrazia classica (centrale soprattutto per ì critici della politeia democratica). Il conflitto di valori tra kRatechein e metechein e le sue possibili soluzioni rappresentano un aspetto, uno soltanto, di un problema senz’altro più ampio e complesso; tuttavia mi sembra difticile negarne la rilevanza per la storia del pensiero politico. Se e quanto abbia giocato nella scelta del tema la forza inerziale di un decennio di lavoro su Vico, per lo più passato intorno a freni, a libertà infe-
rocite e a metafore equestri, non saprei dire.
Premessa
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L'impianto del libro si articola in un corpo principale, composto da due letture di Erodoto e di Tucidide, e in un’appendice su Aristofane e sull’archaia, la commedia attica antica.
Quest'ultimo
scritto
costituisce
la rielaborazione,
con aggiunte e modifiche sostanziali, di un contributo destinato al volume collettaneo Dall’utopia all’utopismo. Percorsi tematici, in corso di stampa presso CUEN per la cura di Adriana Corrado, Vita Fortunati e Raymond Trousson. Ringrazio l’Editore e i Curatori per averne consentito la pubblicazione in questa forma. Se il libro si chiude con una riflessione sulla commedia è perché la scena comica offre un altro sguardo, non
meno
lucido, sulla democrazia
ate-
niese, sulla sua percezione da parte di uomini non illustri (gli eroi comici) e come tali poco inclini a idealizzarla. C'è un luogo che ha reso possibile la ricerca: la sezione di Teoria e storia del diritto e della politica del Centro di ricerca sulle istituzioni europee (CRIE), centro di eccellenza,
presieduto dal Rettore Francesco De Sanctis, dell’Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa. Qui, da febbraio a di-
cembre 2002, si è svolto un importante ciclo di seminari di post-dottorato, L’antico verso il moderno. Unità e disunità della Polis, di cui questo libro spera di conservare in qualche modo una traccia. Agli amici e colleghi del Centro interuniversitario di ricerca sul lessico politico e giuridico europeo (CIRLPGE) e al suo coordinatore, Giuseppe Duso, devo una preziosa occasione di colloquio seminariale sul mio lavoro, a Padova, il 14 marzo 2002.
Tra quanti mi hanno aiutato, soprattutto nel reperimento di testi, vorrei ricordare: Maria Angarano, Sergio Ba-
gnaro, Barbara Beth, Natalia Bollati Guzzo, Donata Brunetti, Brunella Bruno, Sandro Chignola, Gaetana Coviello,
Francesco D'Amato, Alfredo De Dominicis, Giuseppe De Nitto, Michela Ghera, Pietro Greco, Giulia Labriola, Marco
Milli, Giuseppe Pellegrino, Angela Righi, Roberto Righi, Giuseppe Salvio, Irene Stolzi, Annamaria Trama, Luciana Trama.
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Premessa
La Biblioteca “Erminia Capocelli” dell'Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa è stata, ancora una volta, sup-
porto indispensabile: ringrazio Ottavia Carrano, Francesco Carraturo, Angela Catenacci, Giuseppe Cutolo, Pierina Di Guida, Sergio Liberti.
In alcune biblioteche statali italiane non ho potuto consultare i testi di cui avevo bisogno a causa di un ballatoio pericolante da mesi o della perenne inagibilità di una sala; e ho registrato il disagio e lo scontorto dei bibliotecari, costretti a misurarsi con finanziamenti
sempre più inade-
guati. E mi è capitato di pensare, con un po’ di vergogna, a quei cartelli dolenti in qualche biblioteca straniera nei quali ci si scusa per un’imprevista chiusura notturna. Nel licenziare il testo per la stampa, ringrazio Elisabetta Prozzillo e Paola Sannia, dell’Editoriale Scientifica, per la cura dedicata al volume. Rivolgo un pensiero a Dino Cotrancesco, alla sua sollecitudine fraterna: il mio interesse per la commedia politica nasce anche da lui. A Lucio Bertelli, che mi ha inviato tutti i suoi studî su Aristofane. A_Piero Craveri, per gli esercizîì d’ironia e di critica. A Roberto Esposito, per le discussioni sul katechon e sull’immunitas. Agli studenti del laboratorio teatrale dell'Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa che quest'anno lavorano sugli Uccelli, sotto la direzione di Wanda Monaco. Francesco De Sanctis mi ha fatto dono, con la liberalità che gliè propria, di un suo tema, la democrazia, e ha avuto la pazienza e l'affetto di leggere molte parti di questo libro anche quand’erano informi. Ringrazio mia moglie e mia figlia per le pagine che ho scritto ridendo. Questo libro è dedicato ai miei genitori. Napoli, ottobre 2003
Su Erodoto, III, 80, 1-6
Che cos'è demodazia per il pensiero politico greco delV secolo 2.C.? Può ricavarsi qualche denominatore comune dalle fonti che allegheremo
e commenteremo,
pur nella
consapevolezza che la democrazia come cosa in sé deve necessariamente sfuggirci? Possiamo, sulla scorta degli eventuali denominatori comuni, far dialogare le fonti e far emergere
dal loro confronto la diversità spesso radicale sia delle connotazioni assunte dal nome democrazia nel dibattito dottrinale sia degli esiti, delle soluzioni ad alcuni dei molti problemi teorici sollevati dalla democrazia come forma storica? Procedendo per approssimazioni e selezioni anche drastiche, prendiamo in esame quelli che appaiono come tentativi di descrizione più 0 meno analitica, tenendo per il momento sullo sfondo una questione tutt'altro che secondaria: quanto le biografie, gli orientamenti di valore e dunque i giudizi degli autori incidano sulle descrizioni proposte. 1. Questo breve spoglio di fonti ha inizio con un capitolo celebre e commentatissimo di Erodoto (III, 80, 1-6). La redazione scritta del testo è del V secolo; l’occasione del
dialogo inscenato, di ambientazione non greca, risale invece
a secolo precedente. Ucciso il falso Smerdi e sterminati i Magi nel 522-521,1 cospiratori persiani devono scegliere un nuovo ordinamento politico. Il conseguente dibattito presenta forti elementi di generalizzazione (ben oltre il remoto
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Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
contesto orientale nel quale si svolge) e di esemplarità che lasciano trasparire l'intento didattico erodoteo!. Non a caso, Erodoto, forse preoccupato che l'eccesso di schematismo infici la credibilità del discorso storico, avverte che i logoi riportati potrebbero risultare indegni di fede (apistoi) da un angolo visuale greco? e tuttavia insiste sulla veridicità del racconto (III, 80, 1).
|
L'alternativa, destinata a larghissima fortuna, si stabilisce tra governo dei molti (isonomie; dunque non demokratia, seb-
bene quest’ultimo lemma faccia parte del vocabolario politico erodoteo)?, di pochi virtuosi (oligarchie), di uno solo ! «Il brano III, 80-82 è dunque forse l’unico in cui si cerchi di rappresentare una controversia con pretese di elaborazione teorica. Ero-
doto adopera per far questo l’unico strumento di cui dispone, il linguaggio etico-politico della polis, così come aveva adoperato i nomi degli dèi dell'Olimpo per descrivere la religione egizia. E nell’èmbito del linguaggio politico sceglie naturalmente la forma greca tradizionale del discorso diretto»: così D. LANZA, Il tiranno e il suo pubblico, Torino, Einaudi, 1977, p. 229.
2 Da un angolo visuale che, con pregiudizio ellenocentrico, potrebbe ritenere altamente improbabile un'idea di democrazia maturata in àmbito non greco. È il commento acuto di E HARTOG, Le miroir d’Hérodote. Essai sur la representation de l’autre, Paris, Gallimard, 1980, p.
331: «Autrement dit, ils ne peuvent pas croire qu’ un barbare puisse penser en termes de pouvoir populaire». La peculiarità di Erodoto e la lucidità del suo sguardo etnografico stanno nel condividere solo parzialmente «the tendency of the propaganda and clichés [...] developing about Persia after the Persian Wars»: R. THOMAS, Herodotus
in Context.
Ethnography, Science and the Art of Persuasion, Cambridge, Cambridge University Press, 2000, p. IT6. ? Motiva limpidamente la scelta lessicale erodotea D. MUSTI, Demokratia. Origini di un’idea, Roma-Bari, Laterza, 1995, pp. 55-56: «[...] altrettanto senso storico si manifesta nel fatto che in definitiva Erodoto, in questo presunto contesto persiano, non osi far uso del termine demokratia, che
come tale, nella sua letteralità ed esplicitezza, egli sente come tipicamente greco (e per contesti greci usa il termine ogni volta che esso compare); [...] Rispetto storico, in Erodoto, per la parola, cioè per quel tanto di formulazione nuova e programmatica che era stata il frutto della storia politica e lessicale greca e che non trova posto in un dialogo fra Grandi di Per-
Su Erodoto, III, 80, 1-6
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(mounarchie). Il dialogo attribuisce a ciascun regime un patrocinatore: Otane per l’isonomia, Megabizo per l’oligarchia, Dario per la monarchia. Una concisa didascalia di Erodoto (III, 80, 2) introduce e riassume il parere (gnome) espresso da Otane: il propugnatore dell’isonomia «consigliava di deporre il governo in mezzo ai Persiani» (ekeleue es meson Perseisi katatheinai ta pregmata). Cosa significhi la deposizione dei pregmata (gli affari di governo) in uno spazio intermedio (il meson) lo chiarisce Otane con un discorso fortemente contrastivo perché incentrato non tanto sui vantaggi del governo dei molti quanto sui mali derivanti da quello di un solo uomo4*. Due lemmi, nel discorso di Otane, denotano la figura
dell’autocrate: mounarchos e tyrannos. Del primo si contano due occorrenze, come pure dell’altro sostantivo mounatchie;
del secondo
una
sola, ma
in una
posizione
cruciale. Se l’oscillazione fa pensare a un impiego sinonimico dei due termini, conformemente
all’uso arcaico, è
forse altrettanto evidente la valenza già derogatoria e specifica di tyrannos, che tuttavia qui si configura non come un'entità distinta ma come una degenerazione inevitabile di qualunque governo monarchico?, dell’«istituto sia [...]». B. SHIMRÒN, Politics and Belief in Herodotus, Wiesbaden, Steiner, 1989, p. 97, nota che «the well-known usual word in Herodotus for ‘“democracy” is isegorie, ossia il parlare da pari a pari in assemblea. . 4 LANZA, Il tiranno..., cit., p. 230: «Il discorso di Otane, il primo, è
una lunga requisitoria contro il governo monarchico». J. BLEICKEN, Zur Entstehung der Verfassungstypologie im 5. Jahrhundert v. Chr. (Monarchie, Aristokratie, Demokratie), in «Historia», Bd. XXVIII, H. 2 (1979), pp. 148-172, descrive la tyrannis in Erodoto come «un concetto più mutevole (ein schillernder Begriff), che può sia avere la valenza topica ne-
gativa più tarda sia significare una “autocrazia” assolutamente neutra (ganz neutral ,,Alleinherrschaft”)» (p. 149n.). Motiva persuasivamente la sinoni-
mia, senza però trascurare le sfumature che porteranno alla delimitazione dello spettro semantico di tyrannos (in particolare la connessione sistematica alla hybris), P CARLIER, La royauté en Grèce avant Alexandre, Strasbourg, AECR, 1984, pp. 237n. e 238: «Mounarchos semble avoir parfois chez Héro-
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Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
monarchico in sé»°. È dunque attraverso il suo specchio rovesciato — la tidote la mème connotation péjorative que tyrannos, pour la mème raison: le pouvoir sans partage conduit à l’hybris. [...) D’Archiloque à Hérodote, semble-t-il, ‘“royauté” et “tyrannie” ne désignent pas deux types de monarchie, mais deux aspects de la monarchie: [...] fyrannos est un terme d’analyse ou de polémique qui souligne la puissance du souverain et l’ky— bris qu'elle entraine». Secondo A. FERRILL, Herodotus on Tyranny, in «Historia», Bd. XXVII, H. 3 (1978), pp. 385-398, la scelta dei termini rifletterebbe le diverse posizioni assunte dalle parti del dialogo: non è un caso che Otane e Megabizo, «entrambi oppositori della monarchia», adoperino indifferentemente sia mounarchos sia tyrannos e soprattutto che Dario, il quale caldeggia la monarchia come unica soluzione della crisi politica, non usi «the word tyrannos as the equivalent of monarchos». In questo modo si pongono le basi per una distinzione netta «between the arbitrary whim of a tyrannos and the just rule of a legitimate monarcho» (tutte le citazioni si riferiscono alla p. 393). Distinzione
certo coerente con il discorso di
Dario; non sufficientemente dimostrata (né forse dimostrabile, sotto il profilo esegetico-testuale) la conclusione di Ferrill circa il più generale orientamento antitirannico di Erodoto, in quanto il logos tripolitikos non fornisce elementi univoci in tal senso. Particolarmente equilibrati i giudizî di E CASSOLA, Erodoto e la tirannide, in E BROILO (a cura di), Xenia. Scritti in onore di Piero Treves, Roma, “L’Erma” di Bretschneider, 1985, pp. 25-35: «[...] nel contesto narrativo lo storico si comporta in modo incoerente, e dimostra di non dar peso alla distinzione: l’area semantica di basileus (e derivati) e quella di tyrannos (e derivati) tendono a sovrapporsi [...]. Insomma l’analisi testuale non è di alcun aiuto per definire l’atteggiamento di Erodoto verso la tirannide» (p. 27); quanto al logos tripolitikos «Si può al massimo ripetere che l’argomentazione di Otane per la democrazia e contro la tirannide è di gran lunga la meglio riuscita, o la meno insoddisfacente; e ciò può far pensare che Erodoto fosse più a suo agio nel riprodurla» (p. 28); «Riassumendo: Erodoto conosce il significato dispregiativo della parola fyannos, ma spesso non ne tiene conto [...]; riecheggia una fonte in cui sono contrapposti i pregi e i difetti delle varie costituzioni, e sembra che gli riesca più facile esporre i difetti della monarchia, destinata inevitabilmente ad assumere forma dispotica» (p. 31). Che dal discorso di Dario si evinca una deroga alla sinonimia di monarchos e tyrannos è detto chiaramente da C. CATENACCI, Il tiranno e l’eroe. Per un’archeo-
logia del potere nella Grecia antica, Milano, Bruno Mondadori, 1996, p. 21tn. ° G. GIORGINI, La città e il tiranno. Il concetto di tirannide nella Grecia del VIT-IV secolo a.C., Milano, Giuffrè, 1993, p. 175.
Su Erodoto, III, 80, 1-6
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rannide — che il regime popolare può assumere contorni più nitidi, secondo una strategia argomentativa? che troverà un riscontro nell’ Athenaion Politeia di Aristotele. Con una perifrasi (III, 80, 3) Otane individua i tratti distintivi del regime di uno solo: il puro arbitrio e l’esonero da qualsiasi obbligo di rendiconto. La concentrazione dell’arche, della funzione di comando
e di governo, nelle mani
di uno solo implica la facoltà, l’exousia (exesti = è lecito), di fare ciò che si vuole (poieein, ta bouletaî), senza dover rendere ragione delle proprie azioni, senza esser sottoposti a verifica (aneuthynoi). Questa semantica dell’exousia tornerà utile al Platone di Repubblica, VIII, 557b5-6 nella sua critica
della costituzione democratica. La descrizione del governo autocratico come apertura
di uno spazio di liceità illimitata è intimamente connessa a una generalizzazione ancora più forte, di tipo antropologico, non priva di risonanze pessimistiche*. Anche nel migliore degli uomini l’eccesso di licenza provoca l’uscir fuori di senno: ektos ton eothoton noematon steseie (III, 80, 3). Questo movimento ‘estatico’ (espresso in forma di perifrasi: ek-
7 Strategia che I. BECK, Die Ringkomposition bei Herodot und ihre Bedeutung fiir die Beweistechnik, Hildesheim-New York, Olms, 1971, p. 66,
ricostruisce in termini di «argomentazione attraverso la valutazione di più possibilità» (Beweis durch Abwigen mehrerer Méglichkeiten) più che di argumentatio e contrario. 8 Cfr. LANZA, Il tiranno..., cit., pp. 43-44: «Otane sostiene che non vi può essere un buon monarca: l’uomo è corrotto dalla stessa condizione del suo potere illimitato. Perché proprio questo caratterizza il monarca, potere fare ciò che vuole senza esser soggetto ad alcun controllo. [...] la mancanza di controllo provoca [...] l'abbandono inevita-
bile di ogni regola di comportamento morale per ciascun uomo, senza alcuna eccezione. Pessimismo
erodoteo
sulla natura dell’uomo?
Forse;
ma è importante vedere come e perché non si faccia distinzione tra cattivo e buon sovrano, né tra la sua vita privata e la sua funzione pubblica,
sì che il non essere soggetto a controllo del monarca si trasforma subito da tratto giuridico in connotazione morale».
18.
Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
tos...steseie = ektos, ‘fuori’, + histemi, ‘stare’)’ oltre i confini del consueto, del ‘normale’, libera due pulsioni irresistibili
perché non più sottoposte al governo della ragione: la tracotanza (hybris), sfrenatezza propriamente tirannica che insorge a causa della potenza smisurata di cui si dispone (hypo ton pareonton agathon: gli agatha designano sia i ‘beni’, le ‘sostanze’, sia la ‘potenza’)!, e l’invidia (phthonos), che è invece ‘ «connaturata all'uomo» (emphyetai anthropoi) e induce il tiranno a rivaleggiare con i cittadini migliori (gli aristoi: III, 80, 4)!!. Da invidiato a invidioso: non passa inosservato il rovesciamento erodoteo dell’antico motivo, risalente ad Ar-
chiloco (VII secolo a.C.), del tiranno zelotos, bersaglio dell'invidia altrui (ARCHILOCO, fr. 23 West, vv. 20-21)!%.
? Nel lessico della medicina ippocratica l’ekstasis denota lo sfogo furioso: IPPOCRATE, Aphorismi, VII, 5; sull’ekstasis si vedano: Vv. DI BENE-
DETTO, Il medico e la malattia. La scienza di Ippocrate, Torino, Einaudi, 1986, p. 53;J.PIGEAUD, La maladie de l’àme. Etude sur la relation de l’àme
et du corps dans la tradition medico-philosophique antique, Paris, Les Belles Lettres, 1989, pp. 100-101; R. PADEL, Whom Gods destroy. Elements of Greek and Tragic Madness, Princeton, Princeton University Press, 1995, p. 123: «In Hippocratic writing, ekstasis is physical “dislocation” [...] but also mental “distraction” in fever, or delirium. [...] Classical writers, therefore, use ekstasis (and the related verb ekstasthai, “to stand up”) for any sudden change of mood, any sudden switch from normal ways of being. It indicates physical dislocation, and abrupt change of mind, in awe, stupefaction, seizure, madness». !° Il nesso causale tra ricchezza e hybris è già in Solone (fr. 1 Gentili-Prato, vv. 11-16). Lo rileva puntualmente M. STAHL, Solon F 3D. Die Geburtsstunde des demokratischen Gedankens, in «Gymnasium», Bd. 99, H. 5, 1992, pp. 385-408: «La ricchezza reca sempre in sé la tendenza alla di-
smisura (Reichtum [...] tràgt immer die Tendenz zur Maflosigkeit in sich)» (p. 390). !! Sul punto, J.E MCGLEW, Tyranny and Political Culture in Ancient Greece, Ithaca-London, Cornell University Press, 1993, p. 33. !? Per un commento ad loc. si rinvia a V. PARKER, Tyrannos. The Semantics ofa Political Concept from Archilochus to Aristotle, in «Hermes», Bd. 126, H. 2 (1998), pp. 145-172: «[...] Archilochus states expressis verbis that most men envy a tyrant his power» (p. 152).
Su Erodoto, III, 80, 1-6
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Le immagini in rapida successione di scelleratezze (atasthala: IMI, 80, 4)! dettate dalla hybris (e perpetrate con bie, la violenza: gli stupri! e le esecuzioni «senza giudizio» di III, 80, 5) e l’enfasi sulle conseguenze più gravi dello phthonos (le uccisioni di aristoî) rientrano fra gli stereotipi della polemica antitirannica. Ma il ricorso al topos non è certo neutrale, in quanto risponde a motivazioni e ad aspettative precise; né è questione di minore portata il ‘trattamento’ del topos da parte dell’autore. Proporrei allora due notazioni. La prima. Nel caso dello phthonos verso le élites cittadine, può osservarsi come Erodoto marchi e generalizzi solo un aspetto delle tirannidi storiche, l’ostilità con l’aristocrazia, omettendo qualsiasi accenno alla non infrequente connivenza (o comunque alla non belligeranza) di fazioni aristocratiche con i tiranni arcaici, quanto meno nelle fasi d’instaurazione del governo autocratico!?. L'omissione è dettata dal contesto, che è quello di un discorso politico (un logos tripolitikos), quantunque incorporato in una narrazione storica: Otane mira alla persuasione efficace; deve selezionare, astrarre, tipizzare!9; dunque è del tutto coerente
che
13 Sulle implicazioni sia tragiche sia religiose degli atasthala (scelleratezze commesse con folle superbia, dunque senza timore dell’ira degli dèi), si veda J.G. GAMMIE, Herodotus on Kings and Tyrants: Objective Historiography or Conventional Portraiture?, in «Journal of Near Eastern Stud-
ies», 45 (1986), pp. 171-195 (pp. 174-175). 14 Cfr. M. DORATI, Le Storie di Erodoto: etnografia e racconto, PisaRoma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, 2000, p. 78n.: «Ero-
doto non parla di tiranni incestuosi (a parte Cambise), ma i suoi tiranni rientrano comunque nel quadro generale dell’eccesso sessuale. Vd. 5, 92 n (Periandro), e soprattutto 3, 80 dove di dice che il tiranno biatai gy-
naikas tout court». !5 Del resto,itiranni, per «stile di vita» (Lebensstil) e per «autorappresentazione» (Selbstdarstellung), condivisero di fatto l’ethos aristocra-
tico: cfr. E. STEIN-HOLKESKAMP, Adelskultur und Polisgesellschaft. Studien zum griechischen Adel in Archaischer und klassischer Zeit, Stuttgart, Steiner, 1989, pp. 105-106 e 118-121.
16 Segnala quest’aspetto R. WINTON, Herodotus, Thucydides and the
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Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
ecceda nella semplificazione. Per lo svolgimento della nostra analisi è tuttavia essenziale l’immagine dello spazio politico che emerge dalle sue parole: uno spazio nel quale l’eccesso di hybris, phthonos e bie produce discordia, divisione violenta fra le parti. La seconda notazione. Le scelte lessicali rivelano un gioco retorico più sottile: nel discorso di Otane prevale l’istanza di configurare la tirannide come dysnomie, ossia come trasgressione dell’ideale normativo della eunomie (il ‘buon governo’, il buon ordine politico, ma la resa letterale del termine non è agevole), evidenziando, per contrasto, la
compatibilità fra eunomie e isonomie. La conferma dell’equazione tirannide-dysnomie si ricava da questi tre elementi della caratterizzazione erodotea: (a) la hybris, innanzitutto, contrapposta all’eunomie già in Omero
(Odissea, XVII, v. 487);
(b) l'agire aneuthynos, di cui si è detto e di cui ancora qualcosa dovrà dirsi (III, 80, 3);
(c) la sovversione delle usanze patrie (nomaia patria), ossia di quelle norme che derivano il proprio vigore dalla tradizione, dalla ripetizione: nomaia te kineei patria (III, 80, s). Il tiranno ‘muove’ (kineei) un diritto consuetudinario che permane da tempo immemorabile: anche questa è tracotanza!. Quando Erodoto osserva che il tiranno rimane aneuthynos, è subito chiaro il riferimento a uno dei criterî identifi-
cativi di una costituzione democratica, l’istituto dell’euthyna sophists, in CHR. ROWE-M. SCHOFIELD
(eds.), The Cambridge History of
Greek and Roman Political Thought, Cambridge, Cambridge University Press, 2000, pp. 89-121 (pp. 109-110). !” Sul mutamento delle leggi si veda, tra i contributi recenti, G. CAMASSA, Leggi orali e leggi scritte. I legislatori, in S. SETTIS (a cura di), I Greci. Storia Cultura Arte Società. 2. Una storia greca. I. Formazione, Torino, Einaudi, 1996, pp. 561-676 (in particolare pp. 671-576), che riprende e sviluppa ID., La codification écrite des lois en Grèce, in M. DETIENNE (éd.), Les savoirs de l’écriture. En Grèce ancienne, Lille, Presses Universitaires de Lille, 1988, pp. 130-155 (spec. pp. 149-150).
Su Erodoto, III, 80, 1-6
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(il termine tecnico che designa l'obbligo di rendiconto per chi abbia esercitato una carica: necessario contrappeso al rapporto inevitabilmente gerarchico che si determina tra l’autorità magistratuale e gli idiotai, i cittadini non tenuti a esercitare ufficî istituzionali)!8. Non è escluso, però, che nel
conio dell’epiteto aneuthynos Erodoto abbia tenuto presente anche la valenza arcaica di euthyna. In Solone (fr. 3 GentiliPrato, v. 36) il verbo euthynein, composto di eu- e di ithynein (‘raddrizzare’), denota il ‘correggere’, l'intervento equitativo e coercitivo!? di Eunomie (ancora personificata ma ormai trasposta dall’antica dimensione divina al contesto della polis) per ‘rettificare’ sentenze ‘distorte’: euthynei de dikas scholias. Tra i poeti elegiaci, la figura dell’euthynter (il ‘raddrizzatore’) della hybris è attestata in Teognide (I, vv. 39-40), dove
8 LANZA, Il tiranno..., cit., p. 43: «L'allusione alla mancanza di con-
trollo ha una pronta rispondenza nel breve elogio della democrazia svolto dallo stesso Otane a conclusione del suo discorso: il sistema democratico si fonda essenzialmente sul controllo delle magistrature. La coppia aneuthynos (senza controllo) hypeuthynos (soggetto a controllo) è del lessico politico, anzi giuridico della polis». Sulla funzione di riequilibrio, di ripristino dell’isonomia, esercitata dall’euthyna, come pure dai principî di collegialità e di rotazione, si veda il fondamentale contributo di L. RUBINSTEIN, The Athenian political perception of the idiotes, in P. CARTLEDGE-P. MILLETT-S. von REDEN (eds.), Kosmos. Essays in Order, Conflict and Community in Classical Athens, Cambridge, Cambridge University Press, 1998, pp. 125-143
(in particolare pp. 131-133).
1° Il valore coercitivo dell’euthynein arcaico, che denota anche il ‘punire’ quale prerogativa della regalità, è messo bene in luce da L. GERNET, Recherches sur le développement de la pensée juridique et morale en Grèce. Étude sémantique, Paris, Albin Michel, 2001 (I ed. Paris, Ernest Le-
roux, 1917), appendice IV, L’idée de coercitio dans les plus anciennes désignations de la pénalité, pp. 449-453: «Il n'est pas douteux que hupeuthunos
[..:], qui è l’époque classique exprime la responsabilité vis-à-vis du peuple tout entier [...], comportait d’abord une idée toute différente: l’idée de la discipline imposée par un chefi la notion de coercitio participe è la fois de celle de commandement et de celle de la justice ren-
due» (p. 452).
22
Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
tuttavia designa, paradossalmente, proprio il tiranno che si erge a regolare la tracotanza degli hegemones, dei cittadini eminenti”: «Cirno, questa città è gravida e temo che figli un uomo/capace di raddrizzare la nostra stolta tracotanza (euthyntera kakes hybrios hemeteres)» (trad. di F. Ferrari). Sottratto a euthyna, insindacabile e incorreggibile, il tiranno incarna una dismisura che non può in alcun modo esser ricondotta alla giusta misura, alla debita proporzione, all’eunomie'. Di più: la dismisura del tiranno, il disordine dell’anima che traspare dalle sue manifestazioni morbose, implica necessariamente il cattivo governo della polis, il disordine politico. Non a caso, in apertura di discorso, Otane
aveva definito non agathon, dunque né ‘buona’ l’instaurazione di un governo autocratico (III, rendo a una qualificazione di carattere morale essere riconsiderata alla luce del fosco quadro gico fin qui delineato da Erodoto”.
né ‘virtuosa’, 80, 2), ricorche ora può sintomatolo-
20 Un commento puntuale in G. NAGY, A Poet* Vision of his City, in TH. J. FIGUEIRA-G. NAGY (eds.), Theognis of Megara: Poetry and the Polis, Baltimore-London, The Johns Hopkins
University Press, 1985, pp.
22-81 (sull’euthynter p. 46), che richiama anche l’attenzione sulla doppiezza del tiranno teognideo: eutyhnter della hybris altrui nei vv. 39-42; esempio di hybris (andra hybristen) nei vv. 1081-1082 (Cirno, questa città è gravida e temo che figli un uomo / tracotante, promotore di discordia amara). 2! Cfr. il commento ad loc. di w.w. HOW-J. WELLS, A Commentary on Herodotus. Vol. I (Books I-IV), Oxford, Clarendon Press, 19647 (I ed. 1912; II ed. emendata 1928), p. 278: «The essence of the Greek tyrant was that he was ‘irresponsible’». 22 Quadro sintomatologico nel quale tende a essere attratto Otane stesso, le cui feroci decisioni contraddicono a più riprese i principî teorici enunciati nell’inserto tripolitikos; non un paradosso, questo, ma la conferma di una «theory overruled by human nature»: J.E. van der VEEN, The Significant and the Insignificant. Five Studies in Herodotus” View of History, Amsterdam, Gieben, 1996, pp. 58-60 (la citazione si riferisce
alla p. 58).
Su Erodoto, III, 80, 1-6
23
2. Veniamo all’ultimo segmento, il solo dedicato all’isonomie. L'ultimo tratto del percorso presuppone, come si evince dal de incipitario con valore sia avversativo sia continuativo, la lunga parentesi critica dedicata alla tirannide: «Al contrario, la moltitudine che governa ha in primo luogo il nome più bello di tutti: isonomia; in secondo luogo, non fa nulla di quanto fa il monarca: le cariche sono esercitate a sorte; chi ha una carica deve renderne
conto;
tutte le decisioni sono prese in comune. Propongo dunque che noi, abbandonando la monarchia, glorifichiamo la moltitudine: nel molto infatti si trova ogni cosa» (III, 80, 6; tra-
duzione di A. Fraschetti). È una definizione molto pregnante, scandita dalla paratassi che mima efficacemente il parlato. Innanzitutto si chiarisce il significato di isonomia, che qui s’identifica con il governo del plethos, della maggioranza. Poi si precisano i tre elementi strutturali, i tre ‘parametri’, che rendono isonomico
un regime politico: il sorteggio delle cariche di governo (paloi men archas archei); il ben noto obbligo di rendiconto per chi abbia rivestito una carica (hypeuthynon de archen echei); la collocazione
della
funzione
deliberativa
nel koinon, nella
sfera comune”. Prima di procedere oltre, bisogna fermare lo sguardo sul senso letterale di quest’ultimo punto: tutte le deliberazioni (panta bouleumata) sono ‘rimesse’, ‘riportate’ (anapherei), al koinon (es to koinon). Non c'è traccia, a ben vedere, di quel meson cui allude Erodoto nella premessa al discorso di Otane. Che rapporto intercorre tra questi due ‘luoghi’, tra queste due ‘sedi’ della decisione politica? Chiamando in causa il meson, Erodoto sembrerebbe attingere ancora una volta a una semantica soloniana. Meson,
*. 25 Nel logos tripolitikos la libertà (eleutheria) non rientra fra gli elementi strutturali della democrazia, a conferma di un dibattito (che Ero-
doto vuole) ancora acerbo: sul punto K.A. RAAFLAUB, Die Entdeckung der Freiheit. Zur historischen Semantik und Gesellschaftsgeschichte eines politischen Grundbegriffs der Griechen, Miinchen, Beck, 1985, p. 263.
24
Catechein. Uno studio sulla democrazia antica
in Solone, è il luogo della mediazione politica, la zona intermedia tra due estremi nella quale è possibile neutralizzare, o meglio ‘trattenere’ dal divampare, tenere ‘frenato’ (katechein; SOLONE, fr. 3 Gentili-Prato, v. 9; fr. 12, v. $; fr. 30, v. 22; fr. 31, v. 6), il conflitto interno (stasis o dichostasie, ma
anche polemos, contrariamente all’uso comune)? tra le parti che compongono la polis e che risultano o troppo ricche o - troppo indigenti. La parte composta dai poveri e dai piccoli proprietarî terrieri è il demos, che dunque non denota in questo contesto la totalità dei cittadini. Assunta la stasis come realtà o come eventualità sempre incombente, il meson appare l’unico fattore di unità politica, la sola possibilità di rendere una la polis in cui regnano molteplicità, difterenza, instabilità?°. Perché la mediazione si compia, è tuttavia necessario che le parti arretrino?” e il centro si svuoti: 24 Cfr. la classica interpretazione di M. GIGANTE, Nomos Basileus, Napoli, Glaux, 1956, pp. 35-36. 25 Nel fr. 3 Gentili-Prato, v. 19, il conflitto interno alla città è de-
finito sia stasis sia polemos (il nome
della guerra
contro
un nemico
esterno); il che implica un ‘salto di qualità’ dei contendenti, elevati al
rango di nemici non più di una parte della polis ma di Atene tutta. Cfr. da ultimo il commento di R.K. BALOT, Greed and Injustice in Classical Athens, Princeton,
Princeton
University
Press, 2001, p. 82: «By repre-
senting Athenian stasis (internal conflict) as polemos (external conflict), Solon frames the Athenian leaders’ behavior as threatening and destructive failure to occupy their appropriate roles as leaders of their community. Rather than protecting their city from external aggression, these perverse Athenian leaders have implicitly become the city most dangerous enemy». 2° E in cui l’azione di ciascun singolo membro si riflette «direttamente» (unmittelbar) sulla Polis, concepita come «organismo»: B. MANUWALD,
Zu
Solons
Gedankenwelt
(frr 3 u.1
G.-P
=
4 u.13
W), in
“Rbeinisches Museum fiùr Philologie”, Bd. 132, H. 1, 1989, pp. 1-25 (le citazioni si riferiscono alla p. 8).
27 MCGLEW, Tjranny..., cit., ing eftectively as sovereign, were tect the city from injustice and dividual, no political faction, should
p. 119: «In the middle of the city, servthe laws, which were obligated to prothemselves from usurpation. No one inoccupy this place» (c.vo non testuale).
Su Erodoto, II, 80, 1-6
25
una volta libero, il meson potrà essere occupato e presidiato dal mediatore (diallaktes), il quale si frapporrà come un limite (horos: fr. 31 Gentili-Prato, v. 9) fra il demos e i cittadini
che più abbondano
di potenza (dynamis) e di averi (chre-
mata: fr. 7 Gentili-Prato, v. 3)?3.
Prestiamo attenzione a questa linea divisoria. Essa evita che i contendenti vengano a contatto, proteggendoli l’uno dall’altro: «Mi ersi a protendere lo scudo possente su entrambi (krateron sakos amphoteroisi)» (fr. 7, v. 5). Per garantirli dal rischio della sopraffazione reciproca deve però sottoporli a una misura comune, le leggi scritte, i thesmoi: thesmous...egrapsa, «scrissi le leggi» (fr. 30 Gentili-Prato, vv. 18 e 20)??. Dividendo e pacificando,i thesmoi delimitano al tempo stesso uno spazio della convivenza? fondato sulla gerarchia ‘giusta’ delle parti, sorretto da un’equa, perché non
28 B. GENTILI, Poesia e pubblico nella Grecia antica, Roma-Bari, La-
terza, 1989, p. 209, osserva come in Solone al «perentorio [...] rifiuto di una ricchezza (chremata) illecita» si accompagni l'elogio della «ricchezza fondiaria (ploutos), legittimata e garantita per discendenza familiare dalla volontà divina [...], una ricchezza ben salda, non precaria e incerta come quella mobile». La polarità fra ploutos e kerdos (la ricchezza mobile) costituisce un tratto schiettamente aristocratico dell'ideologia
soloniana. 2° Nel fr. 30 Gentili-Prato Solone presenta dunque la scrittura delle leggi come una «prestazione personale» (als eine besondere Leistung) e come «un atto di innovazione» (als einen Akt der Innovation): K.-J. HOLKESKAMP, Schiedsrichter, Gesetzgeber und Gesetzgebung im archaischen Griechenland, Stuttgart, Steiner, 1999, p. 275.Va tuttavia precisato,
sulla scorta di M. OSTWALD, Nomos and the Beginnings of the Athenian Democracy, Oxford, Clarendon
Press, 1969, pp. 16-17, che la scrittura dei
thesmoi non esclude la possibilità di agraphoi thesmoi. Sulla derivazione etimologica di thesmos da tithemi (‘pongo’) e sulla conseguente parentela con themis (‘giustizia’) si veda il classico J. de ROMILLY, La loi dans la pensée grecque des origines à Aristote, Paris, Les Belles Lettres, 1971, pp. 14-15. 3° Del «nuovo spazio d’azione politica della cittadinanza (der neue politische Handlungsraum der Biirgerschaft)» aperto dal meson discorre STAHL, Solon F 3D..., cit., p. 399n.
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Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
casuale né indifferenziata, ripartizione delle funzioni e degli onori (le timai); un ordine politico ‘virtuoso’ che corrisponde appieno al valore basico di eunomie?'. È dunque attraverso l’arbitrato della legge scritta e certa, statuita «ugualmente (homoios) per l’ignobile e per il nobile» (foi kakoi te kagathoi: fr. 30, v. 18), che le parti non uniformi potranno essere integrate nella polis?, sebbene l’uguaglianza soloniana ‘implichi l’attribuzione (harmosas = ‘adattando’, ‘accordando’, ‘armonizzando’)83 a ciascuno (eis hekaston) della giustizia che gli è propria (eutheian...diken: fr. 30, v. 19). 31 Resta fondamentale, sulla nozione di «uguaglianza gerarchica», J.-P. VERNANT, Les origines de la pensée grecque, Paris, PUF, 19753 (I ed. 1962), p. 90: «Mais il s’agit d’une égalité hiérarchique — ou, comme le diront les Grecs, géométrique et non arithmétique; la notion essentielle est en fait celle de “proportion”. La cité forme un ensemble organisé, un cosmos, rendu harmonieux si chacun de ses composants est à sa place et possède la portion de pouvoir qui lui revient en fonction de sa vertu propre». Cfr. anche EM. DE SANCTIS, Eguaglianza e giustizia. Prime indicazioni per un percorso storico-concettuale e L’eguaglianza come nozione e come problema, entrambi in ID., Temi di filosofia del diritto, Roma, Bulzoni, 2002, rispettivamente pp. 9-18 e 21-36. 32 /M.VEGETTI, L'etica degli antichi, Roma-Bari, Laterza, 1989, p. 41:
«La scrittura della legge è immediatamente coesa alla sua universalizzazione: essa non cancella le differenze sociali ma produce uno spazio omogeneo in cui l’agathos e il kakos possono confrontarsi ed essere equamente valutati. [...] Lo spazio politico retto dalla legge è medio, neutro, e proprio per questo omogeneo e universale». 33 Si veda il commento
ad locum di 0. vox, Solone. Autoritratto, Pa-
dova, Antenore, 1984, p. 136: «Anche le procedure non vengono meccanicamente dettate con atto generalizzante, bensì conformate alle singole utenze con abilità chirurgica, ‘atenaica’ [...]. Questi prodotti della propria (umana!) attività legislativa sono così analoghi ai prodotti di quell'entità semi-trascendente che è — si è visto — il “Buongoverno”». Su harmozo e harmonia in Solone si veda anche N. LORAUX, Solon et la voix de l’écrit, in DETIENNE (éd.), Les savoirs de l’écriture..., cit., pp. 95-129: «La
question mérite d’ètre posée, si l’on s'avise que, dans la formule eutheia dike comme
dans les mots de la racine *ar- (harmonie et, ici, harmozo),
c'est une conception traditionnelle et de la justice et de l’art du poète qui s'énonce» (pp. 116-116).
Su Erodoto, III, 80, 1-6
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Tuttavia, nonostante l’impulso decisivo al processo d’integrazione politica e la sempre più netta distinzione tra la sfera della polis e l’àmbito dell’«esistenza individuale», dell’idion (il ‘proprio’), il meson della rappresentazione soloniana resta ancora un luogo di competenza esclusiva del legislatore-conciliatore, che governa il conflitto «solo come un tiranno», «come un lupo tra molti cani» (fr. 30, v. 27)5°. Riprendiamo il filo del discorso erodoteo, tornando al rapporto ancora irrisolto fra quel meson iniziale e il koinon della definizione di Otane. Dopo la breve digressione soloniana è evidente che lo spazio del meson e quello del koinon ora coincidono; che il meson è stato occupato da coloro i quali ne erano stati tenuti fuori, le parti in conflitto”; che 3 GIULIO, Roma, 35 dans la p. 100).
STAHL, Solon F 3D..., cit., p. 399. Concorda con Stahl M. GIANAlla ricerca della Polis, in M.VETTA (a cura di), La civiltà dei Greci,
Carocci, 2001, pp. 569-104 (in particolare pp. 84-86). N. LORAUX, Le lien de la division, in EAD., La cité divisée. L’oubli mémoire d’ Athènes, Paris, Payot, 1997, pp. 90-120 (la citazione è a
3 Sulla «molteplicità di funzioni e significati» del meson, da Omero a Demostene, si rivela particolarmente istruttiva questa pagina di C. NATALI, L'etica di Aristotele, Napoli, Bibliopolis, 1989, pp. 47-48: «1)-l’espressione es meson 0 en mesoi significa “in pubblico, apertamente”: essa deriva probabilmente dall’uso, già attestato in Omero, di parlare nell’assemblea dei guerrieri ponendosi al centro, in posizione almeno teoricamente equidistante da tutti gli ascoltatori; 2) ciò che sta en mesoi è “a disposizione di tutti”: questo modo di dire può derivare dall’abitudine di mettere i beni da dividere al centro di un'assemblea o di una riunione. Anche ciò che sta nella “terra di nessuno” tra due eserciti o due duellanti è en mesoi, e tale modo di dire può essere usato anche per indicare territorî che non rientrano nella sfera di influenza di potenze contrapposte. In questo spazio si compiono le trattative, e in questo spa-
zio si pongono gli dèi che non prendono chiaramente parte per qualcuna delle forze in campo; 3) ciò che è meson tra due polarità opposte è il medio tra due eccessi; tale uso è in qualche modo legato al precedente, ma è più nettamente valutativo [...]». ?7 Coglie dunque nel segno M. STAHL, Aristokraten und Tyrannen im archaischen Athen. Untersuchungen zur Uberlieferung, zur Sozialstruktur und
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Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
alla figura eroica del nomoteta-mediatore è subentrata una dimensione impersonale. Così ridefinito, il meson diventa il luogo comune della deliberazione collettiva, nel quale i deliberanti, disuguali, disuniti, sono resi uguali, equiparati dalla legge (isonomie).
Com'è noto, questo scarto semantico è attestato anche in tre episodî delle Storie erodotee, nei quali ricorre sempre la costruzione es meson + tithemi (semplice o composto con il prefisso prepositivo kata-, ‘giù’, ‘dall’alto in basso’, a indi-
care il passaggio da una dimensione autocratica e verticale a una isonomica e orizzontale). In III, 142, 3, Meandrio
di Samo, prima delegato, poi
successore di Policrate, rinuncia alla tirannide e proclama l’isonomia «ponendo nel mezzo la funzione di governo» (es meson ten archen titheis). I fatti narrati sono collocabili tra il SIATE. In IV, 161, 3, Erodoto dice di Demonatte
di Mantinea,
il mediatore chiamato a Cirene per consigliare agli abitanti la costituzione che assicuri la vita buona: «pose in mezzo al popolo» (es meson toi demoi etheke) le antiche prerogative dei basileis (1 ‘re’). L'episodio è di datazione più alta, intorno al aero; Una formula analoga è adottata in VII, 164, 1, dove il ti-
ranno Cadmo di Cos, figlio di Scite, per spirito di giustizia (hypo dikaiosynes), «depose l’arche in mezzo ai Coi» (es meson Koioisi katatheis ten archen)®, per poi raggiungere Zancle, in zur Entstehung des Staates, Stuttgart, Steiner, 1987, p. 189, allorché descrive la transizione dalla tirannide all'ordine democratico nei termini di una riappropriazione del meson: «Essi |[scil. i cittadini] hanno ripreso il potere lì dove lo aveva già posto il modello di Stato di Solone [...]: es meson (Sie haben die Macht dorthin zurickgeholt, wo sie bereits der Staatsentwurt Solons angesiedelt)». 3 Sui tre episodî si è soffermato di recente (11-13 febbraio 2002) L. BERTELLI in un seminario tenuto presso il CRIE (Centro di ricerca sulle istituzioni europee, Sezione di Teoria e Storia del diritto e della politica) dell'Istituto Universitario Suor Orsola Benincasa di Napoli,
Su Erodoto, III, 80, 1-6
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Sicilia. In questo caso il racconto erodoteo ci proietta ai principî del V secolo, nella seconda metà degli anni novanta”. E evidente che quello relativo al meson non è il solo scarto semantico degno di nota. Il nuovo significato di me: son implica anche una nuova valenza della parola demos. Deporre il governo in mezzo al demos non significa affatto privilegiare una parte, più o meno cospicua, della polis a danno dell’altra; non significa riconoscere kratos, ‘supremazia’, a un competitore e determinare in questo modo un rapporto asimmetrico, squilibrato, certo non
un meson. Le cose sta-
rebbero così se ci ponessimo ancora in una prospettiva di tipo soloniano e soprattutto se Otane non si proponesse di
sostenere la forma di governo popolare. Demos, nel passo relativo a Demonatte di Mantinea, designa invece l'insieme dei cittadini attivi, il corpo politico inteso come un tutto, come unità; il che presuppone l’avvenuta composizione del conflitto o, più realisticamente, la sua canalizzazione, il ‘con-
nell’àmbito del ciclo di post-dottorato L'antico verso il moderno. Unità e disunità della Polis. Per una lettura dei tre episodî nel quadro dell’evoluzione in senso isonomico della «middling tradition» arcaica, si veda I. MORRIS, The Strong Principle of Equality and the Archaic Origins of Greek Democracy, in J. OBER-CH. HEDRICK (eds.), Demokratia. A_Conversation on Democracies, Ancient and Modern, Princeton, Princeton University Press,
1996, pp. 19-48, che conclude: «0 meson was not a class but an ideological construct, allowing all citizens to locate themselves in the middle» (p. 40). 3° Per la cronologia di Cadmo di Cos è indispensabile N. LURAGHI, Tirannidi arcaiche in Sicilia e Magna Grecia. Da Panezio di Leontini alla caduta dei Dinomenidi, Firenze, Olschki, 1994, pp. 134-137:«Erodoto si premura di isolare da qualsiasi fattore esterno la partenza del tiranno, e
benché si sia ben a ragione notato che nella seconda metà degli anni novanta un tiranno micrasiatico poteva avere una serie di motivi più
pressanti del senso di giustizia per abbandonare la tirannide, la nostra quasi totale ignoranza sulle vicende della Doride asiatica in questi anni non consente di formulare altro che illazioni» (pp. 136-137). Ringrazio Alfonso Mele per avermi segnalato il testo di Luraghi.
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Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
tenimento”’ dell’azione politica all’interno di procedure vincolanti**. Parimenti, quando Erodoto scrive «in mezzo ai Persiani», si riferisce alla totalità del popolo, pur non impiegando mai, nel discorso di Otane, il termine demos ma sem-
pre plethos, ‘Îmoltitudine’. Saranno gli avversarî di Otane a servirsi anche di demos, annettendogli un valore negativo, e a sostituire la formula plethos archon con demos archon (nel | discorso di Dario ricorre il genitivo assoluto demou archontos:‘quando governa il popolo”: III, 82, 4). La scelta di plethos non è casuale ma coerente con il circuito argomentativo di Otane. S'impone un altro chiarimento lessicale. Plethos rimanda alla dimensione assembleare, al popolo riunito in assemblea (ekklesia). In questo senso, il termine può essere considerato sinonimo di demos". Ma l’assemblea è anche il luogo in cui l’unità dei partecipanti si scompone
di volta in volta in una
maggioranza
prevalente e in una minoranza soccombente. A_conclusione della procedura deliberativa, che è dunque anche una procedura selettiva, plethos designa la maggioranza, non più la totalità, del corpo politico. Se l’esito della deliberazione collettiva è per definizione contingente, la stabilità è garantita dalla legge comune che governa razionalmente il conflitto. Solo se si configura in termini di «dominio della
1 Tra la «fase nomotetica della storia greca» (i cui cardini sono la scrittura della legge e la composizione procedurale dei conflitti) e l’isonomia vi è dunque necessaria continuità: cfr. H.-]. GEHRKE, Der Nomosbegriff der Polis, in O. BEHRENDS-W. SELLERT (hrsg. v.), Nomos und Gesetz. Urspriinge und Wirkungen des griechischen Gesetzesdenkens (6. Symposion der Kommission ,,Die Funktion des Gesetzes in Geschichte und Gegenwart'), Gòttingen, Vandenhoeck u. Ruprecht, 1995, pp. 13-35 (in particolare p. 22 e n.). 4 Sul punto H. APFFEL, Die Verfassungsdebatte bei Herodot (3,80-82), Inaugural-Dissertation der Philosophischen Fakultàt der FriedrichAlexander-Universitàt zu Erlangen, 24.7.1957, p. 60: «Nel discorso di Otane plethos sta sullo stesso piano del suo termine concorrente, demos (auf derselben Stufe wie bei seinen Gegnern demos)».
Su Erodoto, III, 80, 1-6
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legge»* e non delle fazioni, il governo del plethos, del «gran numero», può costituire un’alternativa sensata alla stasis e alla tirannide*: è sempre il meson della legge che ricompone l’unità e la totalità, che conforma la divisione temporanea ai modelli invariabili dell’uno4 e del tutto.
3. Il rapporto fra la pluralità e l’unità del koinon appare in tutta evidenza nella chiusa di Otane, dove all’uno monar-
chico che divide si contrappone una molteplicità che unisce identificandosi con il tutto: «Propongo dunque che noi, abbandonando la monarchia, glorifichiamo la moltitudine: nel molto infatti si trova ogni cosa (en gar toi polloi eni ta panta)» (III, 80, 6; trad. di A. Fraschetti). Tuttavia, a uno sguardo più attento, quelle proposta da Otane si rivela anche un’unione forzosa, una reductio ad unum in qualche misura violenta. Affermare che nel molto c’è il tutto vuol dire ormai pensare in termini di kratos, di ‘assolutezza’, di prevalenza della parte quantitativamente più cospicua (e del logos 4 L. BERTELLI, Paradigmi platonici, in V.I. COMPARATO (a cura di), Modelli nella storia del pensiero politico. I, Firenze, Olschki, 1987, pp. 49-87 (la citazione è a p. 82). 43 È questa la prima accezione del lemma: cfr. lo scrutinio ragionato delle occorrenze di plethos negli oratori attici e il breve ma perspicuo commento
di R. RONCALI-C. ZAGARIA, Plethos, in «Quaderni di sto-
ria», 12 (1980), pp. 213-221. 44 Il criterio dell’unanimità può essere superato a condizione che la maggioranza conquisti il kratos «sans pour autant mettre en péril l’avenir de la communauté»: E RUZÉ, Plethos, aux origines de la majorité politigue, in AA.VV., Aux origines de l’Hellénisme. La Crète et la Grèce. Hommage à Henri van Effenterre, presenté par le Centre G. Glotz, Paris, Publications de la Sorbonne, 1984, pp. 247-263 (la citazione è tratta dalla p. 247). Francoise Ruzé ha fornito un ulteriore contributo alla ricostruzione della gamma semantica di plethos nella monografia Délibération et pouvoir dans la cité grecque de Nestor à Socrate, Paris, Publications de la Sor-
bonne, 1997 (in particolare pp. 370-371 e 412-413).
45 Sul punto, LORAUX, Le lien de la division, cit., p. 95.
32
Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
più ‘forte’) sulla minoranza che scompare senza residuo, che
smette
di rilevare, assorbita com'è
nell’equazione
molti-
tutto: se nel molto è il tutto, nel poco è il niente. Certo, si
potrebbe obiettare che si tratta pur sempre di nomocrazia!”,
4 Quest’ipotesi di lettura non è presa in considerazione da APFFEL, Die Verfassungsdebatte..., cit., p. 33n., il quale, dopo aver tradotto la sentenza con «denn in der Vielheit ist die Ganzheit gegenwartig» (dunque nel molto è presente il tutto) (p. 25), così commenta: «La sentenza finale di Otane non ha bisogno né di essere ridotta a un guscio vuoto (zu einer leeren Hilse abgewertet zu werden) [...] né di essere accostata al principio persiano (noch werbirgt sich hinter ihr der persische Grundsatz) to pollon ischyron einai [...].Alla luce della rappresentazione tucididea (Im Spiegel der thukydideischen Darstellung) forse siamo in grado di comprendere il significato di quest’argomento, frusto perché vi si ricorre con grande frequenza (abgeschliffenen, weil wohl haufig beniitzen), della propaganda democratica. En gar toi polloi eni ta panta corrisponde cioè al chiaro pensiero di Atenagora (VI, 39): prota men demon xympan onomasthai, oligarchian de meros (= «“popolo” è il nome di tutta la collettività, mentre “oligarchia” è una parte»: trad. di M. Cagnetta); e significa che nella democrazia — diversamente dalle altre forme costituzionali (zum Unterschied von den anderen Verfassungsformen) — è compreso l’intero corpo dello Stato (der ganze Staatsk6rper umfaBt wird). In questo modo si trasforma la sentenza di Otane da espressione apparentemente senza senso (aus einer scheinbar belanglosen Redensart) in un argomento finale molto importante che consolida in maniera eccellente la sua istanza (in ein sehr gewichtiges SchluBargument, das vorziiglich seinen Antrag untermauert) [...]». Si potrebbe obiettare che anche to pollon (die Vielheit) è un meros, una parte elevata al rango di totalità. Ne consegue che l'argomento di Otane non coincida con quello di Atenagora, nel quale la democrazia (che di per sé dovrebbe equivalere a totalità, a governo esercitato dalla totalità del corpo civico: Atenagora, non a caso, menziona i ‘molti’ solo in un secondo momento e quasi di scorcio, allorché mostra il ‘funzionamento’ della democrazia) si
contrappone all’egemonia di una parte (tutta l'enfasi di Atenagora cade sull’epiteto xympas). # H.-]. GEHRKE, Verschriftung und Verschriftlichung sozialer Normen im archaischen und Rlassischen Griechenland, in ED. LÉvy (éd.), La codification des lois dans l’antiquité (Actes du Colloque de Strasbourg 27-29 novembre 1997), Strasbourg, Université Marc Bloch de Strasbourg, Travaux du
Su Erodoto, II, 80, 1-6
33
di un kratos legittimato da procedure neutrali e razionali, di un kratos che appare come il ‘prodotto’ della funzione arbitrale delle leggi e in quanto tale dev'essere accettato da tutti i componenti della polis*. E comunque difficile allontanare l’idea che kratos e scissione non siano affatto una patologia x
ma la sostanza della democrazia, il suo immancabile retro-
scena*: non a caso le critiche ‘realistiche’ — penso in parti-
Centre de recherche sur le Proche-Orient et la Grèce antiques, 2000, pp. 141-159: «La Polis greca era una nomocrazia. Di questo i Greci
erano pienamente consapevoli: la soggezione alle leggi era per loro garanzia della propria libertà (Den Gesetzen zu unterliegen war fr sie Garantie ihrer Freiheit) [...]. La democrazia ateniese era una forma particolarmente notevole di questa nomocrazia (besonders markante Form dieser Nomokratie), in cui la comunità comprese tutti i cittadini liberi (in der die Gemeinschaft alle freien Biirger umfaBte)» (p. 148). 4 CHR. MEIER, Die Entstehung des Politischen bei den Griechen, Frankfurt a. M., Suhrkamp, 1093” p. 287, correla in maniera strettissima
en gar toi polloi eni ta panta all’assunto di base sulla necessità dell’occupazione del meson da parte del popolo: «l principio di maggioranza (Mehrheitsprinzip) nella totalità (in der Gesamtheit) [...] rappresenta la più importante conseguenza istituzionale (die wichtigste institutionelle Konsequenz) di quanto è stato detto all’inizio del parere (am Anfang des Votums): bisogna rimettere le cose [...] in mezzo al popolo». 4 L’equiparazione del molto al tutto è dunque espressione del «,,Kratistische‘* Credo
der Demokratie»: K.-J. HÒOLKESKAMP,
(In-) Schrift
und Monument. Zum Begriff des Gesetzes im archaischen und klassischen Griechenland, in «Zeitschrift fiir Papyrologie und Epigraphik», Bd. 132 (2000), pp. 73-96 (la citazione è tratta dalla p. 92). L'idea del kratos apparirebbe rafforzata qualora si accogliesse l’interpretazione di H. BARTH, En gar toi polloi eni ta panta. Zur Interpretation von Herodot II, 80, 6, in J.
HARMATTA (hrsg. v.), Studien zur Geschichte und Philosophie des Altertums, Amsterdam, Hakkert, 1968, pp. 24-27, la quale ritiene che eneinai (eni) non debba essere inteso secondo «il solo significato spaziale» (die bloBe riumliche Bedeutung) ma nel senso del «dipendere da qualcuno» (von jemandem abhangig sein); di qui la scelta di rendere la sentenza con «dunque tutto dipende dal popolo» (denn alles hngt vom Volke ab) (tutte le citazioni si riferiscono alle pp. 26-27). Una conferma della sostanziale coincidenza delle due ipotesi interpretative è nel commento ad loc. di D. ASHERI in ID.-S. MEDAGLIA, Erodoto. Le storie. Libro III. La Persia,
34
Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
colare allo Pseudo-Senofonte e a Platone — prenderanno le mosse proprio da questa consapevolezza. Non solo. Un processo decisionale fondato sulla conversione del molto nel tutto, ossia sulla forza legittimante e universalizzante del numero, implica:
(a) che tutte le possibili deliberazioni collettive siano
virtualmente giuste e tutti i logoi (dissoi: contrastanti) che le | sorreggono siano veri in partenza?°. Sotto il profilo gnoseologico, ben lungi dall’essere una proposizione dogmatica, la sentenza «nel molto c’è il tutto» diviene in questo modo il fondamento relativistico della democrazia intesa come regime basato sulla decisione in comune?! Nessuna opinione può imporsi, nessun logos è hetton (più debole) o kreitton (più forte), prima della verifica assembleare, prima del computo razionale e astratto dei consensi raccolti??. Ossia
Milano, Fondazione
Lorenzo Valla/Mondadori,
1990, p. 299: «in altri
termini tutto dipende dal volere dei più». A giudizio di K.A. RAAFLAUB, Contemporary Perceptions of Democracy in Fifty-Century Athens, in «Classica et Mediaevalia», 40 (1989), pp. 33-70, nella sentenza di Otane non c’è
alcuna contraddizione tra il volere dei più (1 quali «stand for all») e «the interests of the entire community» (p. 42). °° Ritengo sia questo l'argomento nascosto che induce F LASSERRE,
Hérodote et Protagoras: le débat sur les constitutions, in «Museum Helveticum», vol. 33, fasc. 2 (1976), pp. 65-84, a congetturare in ERODOTO,
III,
80, 6 un ‘adattamento’ «au domaine politique» (p. 76) della proposizione panton chrematon metron estin ho anthropos (di tutte le cose misura è l’uomo) di Protagora (SEXTUS EMPIRICUS, Adversus mathematicos, VII, 60
= DK. 80 B 1). Ipotesi fascinosa ma purtroppo indimostrata.
°! Cfr. A. CATTANI, Botta e risposta. L’arte della replica, Bologna, Il Mulino, 2001, p. 28: «Se così stanno le cose, non solo è possibile ma è necessario criticare e discutere tutto, e deliberare dopo aver valutato le
ragioni opposte, messe a confronto e indotte allo scontro come avviene in un torneo». 92 Su razionalità, quantificazione
e astrattezza
come
caratteri fon-
damentali della democrazia del V sec. a.C., si veda D. MUSTI, Democrazia
e scrittura, in «Scrittura e civiltà», 10 (1986), pp. 21-48 (in particolare pp.
35-30 € 47-48).
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prima di misurarsi con quella dimensione intersoggettiva che non è solo agonistica in quanto lascia sempre aperta la possibilità che più soggetti condividano la medesima opinione e, condividendola, le conferiscano forza, valore: pro-
prio perché fondata sul consenso, sul sentire comune dei molti, la democrazia è al tempo stesso antisolipsistica e relativistica93;
(b) che quella dei molti sia anche la deliberazione migliore. Un regime politico, per Otane, dev'essere un’«entità ben ordinata» (chrema katertemenon). Lo si evince fin dal principio del suo discorso (III, 80, 3), allorché egli nega al governo di uno la possibilità di produrre ordine politico. Perché si raggiunga l'ordine, la buona disposizione delle parti, è necessario che le decisioni siano orientate verso il meglio; il che significa superamento del relativismo di partenza. Otane non fa mai cenno alla competenza del plethos; eppure il suo argomento deve sottintenderla: una concezione fino in fondo relativistica dell’isonomia, indifferente al contenuto della decisione collettiva, non sarebbe concilia-
bile con la pretesa che l’isonomia sia il miglior regime politico per la Persia. Ma la lettera del discorso di Otane non consente forzature ulteriori.
53 Sviluppo un’intuizione di J. MANSFELD, Protagoras on Epistemological Obstacles and Persons, in G.B. KERFERD (ed.), The Sophists and their Legacy (Proceedings of the 4. International Colloquium on Ancient
Philosophy held at Bad Homburg, 29° August-1% September 1979), Wiesbaden, Steiner, 1981 (= «Hermes Einzelschriften», H. 44), pp. 38-53 (in particolare pp. 47-48). Il consenso democratico è dunque un «con-
senso retorico» perché l’«unité instantanée faite tout entière de différences» che si produce in forza della persuasione è sempre precaria, sempre contingente: mutuo le nozioni di consenso retorico e di unità istantanea da B. CASSIN, De l’organisme au pique-nique. Quel consensus pour quelle cité?, in EAD. (éd.), Nos Grecs et leurs modernes. Les stratégies contemporaines d’appropriation de l’antiquité, Paris, Seuil, 1992, pp. 114-148 (le citazioni si riferiscono entrambe a p. 116).
36
Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
Non manca tuttavia una linea interpretativa” che con le opportune cautele ravvisa nella formula «nel molto c’è il tutto» una possibile prefigurazione di un argomento aristotelico: «Può darsi in effetto che i molti, pur se singolarmente non eccellenti (letteralmente: ciascuno dei quali è un uomo non probo al massimo grado, non spoudaios), qualora si raccolgano insieme (synelthontas), siano superiori a joro [scil. i migliori, gli aristoi], non presi singolarmente (ouch’ hos hekaston) ma nella loro totalità (all’ hos sympantas)» (Politica, III, 11, 1281a42-b2; trad. di R. Laurenti). Letto in chiave ari-
stotelica, l’enunciato «nel molto c’è il tutto» significa dunque che la virtù politica risiede nel numero e che il giudizio dei molti, in forza del numero, è anche buono, virtuoso,
indipendentemente dal grado di competenza, di virtù, dei singoli chiamati a deliberare in consiglio (bouleusthai) e a giudicare (krinein). Nel prosieguo Aristotele specifica ulteriormente l'assunto: «In realtà, essendo molti (pollon gar onton), è possibile che ciascuno abbia una parte di virtù e di saggezza pratica (hekaston morion echein aretes kai phroneseos) e quando si riuniscono (synelthonton) la moltitudine (to plethos) diventi come un uomo con molti piedi, con molte mani, con molti sensi; lo stesso dicasi (outo kai) per il carat-
tere e per l'intelligenza (peri ta ethe kai ten dianoian)» (1281b4-7; ho modificato in più punti la traduzione di Laurenti).
Aristotele complica il quadro. Il non-spoudaios di 1281b1 diventa in 1281b4-5 il possessore di una parte (piccola o grande che sia) di virtù e di saggezza pratica. Tra il massimo grado di eccellenza etica (personificato dallo spoudaios, vertice e paradigma, modello di condotta in ragione di una
arete che Aristotele definisce
teleia, ‘perfetta’, ‘in sé
9 Cfr., tra i contributi recent . TOULOUMAKOS, i, Die theoretische Be-
griindung der Demokratie in der klassischen Zeit Griechenlands. Die demokratische Argumentation in der ,,Politik“ des Aristoteles, Athen, Papazisis, 1985,
Pp. 52-53, © RAAFLAUB, Contemporary Perceptions..., cit., p. 65 e n.
Su Erodoto, III, 80, 1-6
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compiuta’: 1276b32-33) e il grado zero della virtù si stende
dunque il vasto dominio delle virtù parziali che, sommate, possono dar vita a un’entità collettiva capace di buona deliberazione negli affari concernenti la polis”. Solo l’aggregazione contingente del plethos compensa l’incapacità del singolo di formulare un giudizio. Per dirla con Pierre Aubenque: «l’analisi di Aristotele manifesta il legame profondo tra una filosofia della contingenza e la pratica del sistema democratico, ossia deliberativo»?9.
Va però precisato il postulato-base: i singoli che si aggregano possono non essere spoudaioi andres (e presumibilmente non lo sono) ma devono necessariamente disporre di una quota, seppur minima, di virtù e prudenza”. Altrimenti
59 Ss. BERNARDETE, Herodotean Inquiries, The Hague, Nijhoff, 1969,
p. 85, ravvisa già nel discorso di Otane il carattere medio della democrazia: «Otanes relies on the “middle” character of democracy, Megabyzus on the beautiful, and Darius on the best. Otanes never says that democracy is best, nor that it makes use of the best people, but he implies that it is good and pleasant. It is a low but solid good» (c.vo non testuale). 50 P. AUBENQUE, La prudence chez Aristote, Paris, PUF, 1997" (I ed. 1963), p. 112. 57 Si tratta di una condizione necessaria se si vuole uscire dall’aporia: cfr. TOULOUMAKOS, Die theoretische Begriindung..., cit., p. 42, che ravvisa in 1281b4 la «Grundvoraussetzung der Theorie» (il presupposto fondamentale della teoria), riferendosi ovviamente alla ‘teoria della somma’ (Summierungstheorie) di H. von ARNIM, Zur Entstehungsgeschichte der aristotelischen Politik, in «Sitzungsberichte der Akademie der Wissenschaften in Wien», Philosophisch-Historische
Klasse, Bd. 200, Abb.
1
(1924), pp. 1-130 (spec. p. 25); in questa linea si pone anche A. LEANDRI, L’aporie de la souveraineté, in P. AUBENQUE-A. TORDESILLAS (éds.), Aristote politique. Etudes sur la Politique d’Aristote, Paris, PUF, 1993, pp. 315-329 (in particolare p. 328); per una lettura in parte diversa si segnala, sempre in quest’ultimo volume, il finissimo saggio di M. NARCY, Aristote devant les objections de Socrate à la démocratie (Politique, III, 4 et 11), pp. 265-288
(spec. pp. 276-283), che rivisita criticamente la ‘teoria della somma’, proponendo una lettura di Politica, HI, 11 in chiave sia antiplatonica sia
antiprotagorea.
38.
Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
ci troveremmo dinanzi al paradosso di una somma (la virtù politica) senza addendi (le virtù insufficienti, lo «specifico contributo» di ciascuno). È quindi preferibile non annettere valore temporale all’incipit di 1281b4 (il genitivo assoluto pollon gar onton): traducendolo con «quando sono molti», si potrebbe essere indotti a credere che ciascuno acquisti parti di arete e phronesis solo al momento della riunione. Le parti non rientrerebbero affatto nella dotazione di base di ciascuno. Pollon onton avrebbe così non solo la stessa valenza sintattica ma anche lo stesso significato dell’altro genitivo assoluto synelthonton: quando sono molti = quando si riuniscono. In tal modo finirebbero per coincidere due proposizioni logicamente distinte. Non a caso, per eliminare ogni ambiguità, vi è chi interpreta pollon onton non come genitivo assoluto ma come
genitivo partitivo: «ciascuno di
quelli che sono molti»??. Esaurita la digressione aristotelica, tralascio la questio-
ne, lungamente disputata, delle fonti sofistiche, e in particolare protagoree, alle quali attingerebbe Erodoto. Si tratta di ascendenze non documentabili. Tuttavia, si può sostenere che il dibattito sulle costituzioni, persiano nella materia, è «puramente greco», nel lessico e nelle argomentazioni, «un
58 s. GASTALDI, 1998, p. 220: «quel nente, ma in grado gendo l'ammontare tune».
Storia del pensiero politico antico, Roma-Bari, Laterza, tanto di virtù e saggezza [...] di per sé non emiappunto di sommarsi a quello degli altri raggiunsufficiente a determinare le scelte politiche oppor-
59 È il caso di E. SCHÙTRUMPF, Die Analyse der Polis durch Aristoteles, Amsterdam, Griiner, 1980, p. 181. Tuttavia, in ARISTOTELES, Politik. Buch II und III (= ARISTOTELES, Werke in deutscher Ubersetzung, hrsg. v. H. Flashar, Bd. 9, T. II), ubersetzt und erlàutert von E. Schitrumpf, Ber-
lin, Akademie-Verlag, 1991, p. 67, lo stesso autore propende per il genitivo assoluto con valore causale: «Dal momento che essi formano un grosso numero» (Denn da sie eine groBe Zahl bilden).
00 J.A.S. EVANS, Notes on the Debate of the Persian Grandees in Hero-
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39
dibattito greco su idee greche»; e «ateniese», nei suoi elementi strutturali, è l’isonomia descritta da Otane, attualizzata da Erodoto, in un breve cenno del libro VI, in termini di de-
mokratia: «[...] era necessario che i Persiani avessero un regime democratico (demokrateisthai)» (VI, 43, 3: trad. di G.
Nenci). Si aggiunga che l'avvio della composizione delle Storie risale presumibilmente alla metà del V secolo e che Erodoto fu esule ad Atene nel 445-444 a. C., dunque negli
anni della democrazia periclea, anni di grande fortuna, anche politica, per Protagora. E fortunatissime, ad Atene, furono le audizioni pubbliche (agonismata) di alcune parti dell’opera erodotea. Questi dati acquisiti non provano nulla circa le fonti della storiografia erodotea né forniscono elementi dai quali si possa inferire il pensiero politico dell’autore, le sue propensioni effettive. Peraltro è impossibile stabilire se la stesura del logos tripolitikos sia anteriore o posteriore al soggiorno ateniese. In compenso, da queste stesse
vicende si ricava che Erodoto ebbe senz'altro conoscenza diretta della democrazia, di cui poté indagare i presupposti teorici anche entrando in contatto con posizioni dottrinali
dotus 3, 80-82, in «Quaderni urbinati di cultura classica», ns 7 (1981), pp. 79-84 (la citazione si riferisce alla p. 82). 61 ASHERI, in ID.-MEDAGLIA, Erodoto. Le storie..., cit. p. 296. 62 K. BRINGMANN, Die Verfassungsdebatte bei Herodot 3, 80-82 und Dareios° Aufstieg zur Konigsherrschaft, in «Hermes», Bd. 104, H. 3 (1976), pp. 266-279: «Die Demokratie, die Otanes den Persern empfiehlt, ist die athenische» (p. 269). Cfr. anche il più recente K.E HOFFMANN, Das Recht im Denken der Sophistik, Stuttgart u. Leipzig, Teubner, 1997, pp. 404-405, che presenta un Erodoto filoateniese e filodemocratico (nonostante la reticenza del logos tripolitikos) ma si mostra opportunamente cauto nell'avanzare l'ipotesi di una fonte sofistica del discorso di Otane. Tra le prese di posizione più radicali in favore delle matrici sofistiche citerei a titolo di esempio quella di A. DIHLE, Aus Herodots Gedankenwelt, in «Gymnasium», Bd. 62, H. 1-2 (1962), pp. 22-32: Erodoto avrebbe «conservato» nel dibattito sui regimi politici «un brano compiuto (ein geschlossenes Stick) di teoria dello Stato (Staatstheorie) sofistica» (p. 27).
40
Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
sofistiche (il che non esclude, beninteso, prelievi da un corredo di fonti più composito)’. 4. Un'ultima notazione, in parte correlata alle precedenti, sugli elementi strutturali dell’isonomia nel discorso di
Otane. L'attribuzione delle archai per sorteggio (palo) pre| suppone che i membri del corpo politico siano considerati ‘fungibili’; postula non solo un'identità delle parti con il tutto ma anche un’identità, o comunque una non-differenza, delle parti nella loro relazione reciproca, in quanto appartenenti al corpo politico®*. Ha scritto Nicole Loraux: «La seconda proprietà del meson, luogo geometrico di una vita politica senza scosse (sans à-coups), è di riunire dei cittadini tutti intercambiabili, perché tutti simili in linea di principio». Non ammettendo adattamenti eis hekaston, diversamente dall’eunomia soloniana, ja procedura del sorteggio implica che l'uguaglianza (l’ison) prodotta dalle leggi comuni (i nomoi che disciplinano il koinon) assuma come irrilevanti, ai fini della partecipazione (e della decisione) politica, le disuguaglianze tra le nature dei cittadini. Anche in questo caso Erodoto eccede nella semplificazione, accentuando la distanza tra l’isonomia astrattamente delineata da Otane e l’esperienza della democrazia classica, nella quale non si giungerà mai, nemmeno dopo le riforme 63 Si veda, sulle fonti ioniche, S. MAZZARINO, Fra Oriente e Occidente. Ricerche di storia greca arcaica, Milano, Rizzoli, 19903 (I ed. Firenze,
La Nuova Italia, 1947), p. 226. Ma «o storico [scil. Erodoto] ha l’occhio alla democrazia ateniese»: ID., Il pensiero storico classico, vol. I, Roma-Bari,
Laterza, 1983“ (I ed. 1965), p. 204. Una sintesi efficace dell’intera materia delle fonti e della formazione intellettuale erodotea (con discussione cri-
tica della letteratura secondaria) è in THOMAS, Herodotus..., cit., pp. 9-27. ° Un riferimento obbligato è CHR. MEIER, Die politische Identitàt der Griechen, in O. MARQUARD-K. STIERLE (hrsg. v.), Identitàt (,,Poetik und Hermeneutik“, VIII), Minchen, Fink, 1979, pp. 371-406. © LORAUX, Le lien de la division, cit., D. SI
Su Erodoto, III, 80,1-6
di Efialte (462-461
41
a.C.: l'avvento della ‘democrazia radi-
cale’), a distribuire a caso tutte le archai. Deroghe significative al principio del sorteggio, criterio di scelta dei bouleutai (i membri
del Consiglio
dei Cinquecento,
la Boule), dei
dikastai (i membri dei tribunali popolari, dei dikasteria) e dei nove archontes (estratti a sorte dal 487-486%, ma solo tra i
membri delle prime due classi di censo, i pentacosiomedimni e i cavalieri, ai quali si aggiungeranno, a partire dal 457-456, gli zeugiti, appartenenti alla terza classe), saranno
previste per alcune competenze di particolare delicatezza (basti pensare alla materia della guerra e alla carica di stratego, che prevede sia elezione sia rieleggibilità, in deroga al principio della rotazione). Ma l’enfasi sulla sola «aleatorietà»*8 del regime popolare ha un suo peso nell'economia del logos persiano, in quanto essa presta il fianco alla replica di Megabizo. Leggiamone un brano: «Le parole che ha detto Otane
66 ARISTOTELE, Athenaion Politeia (Costituzione degli Ateniesi), XXII, 5: «[...] sorteggiarono (ekyameusan, da kyamos, la fava adoperata per il sorteggio) i nove arconti, tribù per tribù (kata phylas), tra cinquecento candidati già designati dai demoti, allora per la prima volta dopo la tirannide; i precedenti erano stati tutti scelti (hoi de proteroi pantes esan hairetoi)» (trad. di R. Laurenti). Si rinvia in proposito a L. PICCIRILLI, Efialte, Genova, il Melangolo, 1988, pp. 40 e 49-50.
© Sul punto, cfr. R.K. SINCLAIR, Democracy and Participation in Athens, Cambridge, Cambridge University Press, 1988, p. 81: «A strate-
gos could assume ular support: this election and thus 68 A scapito
from his election that he enjoyed a measure of popwas one of the very few offices which permitted rethe accumulation of experience and influence». degli elementi di continuità e di competenza: cfr. MU-
sTI, Demokratia..., cit., p. 173: «[...] la storia del modo di elezione degli
strategoi mostra come la democrazia classica, pur se fondata sul principio del limite temporale del potere, della sua rotazione e, in gran parte, della sua aleatorietà [...], d’altra parte, a contrappeso e reale compensazione, una volta soddisfatta quella primaria esigenza, perseguisse anche una qualche forma di stabilità, atta a scongiurare una desultorietà eccessiva, a consentire una tollerabile continuità di governo».
42
Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
per abolire la tirannide, si intendano dette anche da me. Tuttavia, quando ci sollecita a dare il potere alla moltitudine
(es to plethos...pherein to kratos), egli si allontana dall’opinione migliore: nulla infatti è più stupido (axynetoteron) e arrogante (hybristoteron) di una turba inetta (homilou...achreiou). Ed è assolutamente intollerabile che degli uomini, fuggendo l’arroganza di un tiranno, cadano in quella di un popolo sfrenato (es demou akolastou hybrin). Almeno il tiranno, se fa qualcosa, lo fa con cognizione di causa (ginoskon); nel popolo questa facoltà non esiste (oude ginoskein). Come potrebbe aver cognizione di causa (kos gar an ginoskoî) chi non è stato istruito, chi non conosce il bello (kalon) e nulla che gli sia proprio (oikeion), chi senza riflettere (aneu noou) sconvolge le cose su cui si getta, simile a un fiume in piena (cheimarroi potamoi eikelos)?» (III, 81, 1-2; trad. di A. Fraschetti). È difficile isolare un nucleo originale nella critica di Megabizo, così deferente ai topoi antipopolari (la kybris, in particolare, e la mobilità estrema) da ricalcare la longeva immagine omerica e poi teognidea del fiume che supera gli argini, del «fiume dalla corrente invernale» (cheimarroi potamoi: Iliade,V,vv. 87-88, XI, vv. 492-493, XIII, vv. 138; TEOGNIDE,
I, v. 348). Un aspetto mi sembra tuttavia centrale: l'insistenza di Megabizo su un verbo, ginoskein (‘percepire’, ‘conoscere’, ‘sapere’)?%. Diversamente dal tiranno, il demos non è capace di conoscenza (né di deliberazione) razionale e soprattutto ignora l’oikeion, ossia ciò che gli è proprio, ciò che dovrebbe limitarlo, vincolarlo a funzioni specifiche, conformi alla sua natura. Mentre plethos, nel discorso di Megabizo come pure
°° Sul paragone omerico del fiume straripante si veda il raffinato commento di Vv. DI BENEDETTO, Nel laboratorio di Omero, Torino, Einaudi,
1994, P. 147. 7° BERNARDETE, Herodotean Inquiries, cit., p. 86, rileva come questo verbo e la similitudine fluviale costituiscano i tratti distintivi del di-
scorso di Megabizo: «he alone of the three uses a simile (the demos are “like a torrent”) and a verb of knowing».
Su Erodoto, III, 80, 1-6
43
nelle altre occorrenze erodotee, assume un valore prevalentemente «descrittivo»?!, demos va qui inteso nel senso derogatorio di moltitudine inconsapevole??, perchè priva di noos (1’‘intelletto’, il ‘senno’, «that which moves, the purposing consciousness»?3, il principio-guida dell’agire in vista di un fine), di conseguenza inevitabilmente condannata alla hybris. E in questa chiave che va letta un’altra immagine potente: qualificando il demos come akolastos”*, Megabizo riconduce il movimento alluvionale della moltitudine all’assenza di freno, di una forza capace di kolazein (‘tenere a freno’, ‘contenere’, ‘Ìmoderare’, ‘temperare’, con una conno-
tazione sia fisica sia morale) l’irruenza, l'eccesso passionale??.
7! Così OSTWALD,
Nomos..., cit., p. 115: «[...] Herodotus
tends to
use it almost exclusively as a descriptive term whole”, encompassing all social strata».
for the ‘people as a
72 Cfr. RUZÉ, Plethos..., cit., p. 260: mentre
in Otane plethos si
dentifica con to poly (il più numeroso), nella replica di Megabizo «l’adversaire [...] expose en négatif ce que le partisan du régime exposait en positif, le plethos devient “la foule” (homilos) [...], et le régime est dit demos». 73 R.B. ONIANS, The Origins of European Thought about the Body, the Mind, the Soul, the World, Time, and Fate. New Interpretations of Greek, Roman and kindred evidence also of some basic Jewish and Christian beliefs, Cambridge, Cambridge
University Press, 1994 (I ed. 1951; II ed. con
modifiche e aggiunte 1954), p. 83. Per una disamina della gamma semantica di noos dall’epica omerica ai Presocratici si veda S.D. SULLIVAN, Psychological and Ethical Ideas: What Early Greeks Say, Leiden-New YorkKéln, Brill, 1995, pp. 18-35: «Of all physic entities noos perhaps is most important [...] it signifies the mind that thinks, the process of thinking, and the plan that may be formed» (pp. 18-19). 74 Akolastos, preciserà Aristotele, è «chi cede a ogni piacere (ho men
pases hedones apolauon) e non rinuncia a niente (kai medemias apechomenos)» (Etica Nicomachea, II, 2, 1104a22-23).
. ? All’opposto, nel discorso di Otane è l’isonomia (e in particolare l’istituto dell’euthyna) a configurarsi come un «freno (als eine Bremse) all'’ambizione dell’individuo (gegen die Herrschsucht des Individuums)», alla sua propensione alla hybris: ..M. ALONSO-NUNEZ, Die Verfassungsdebatte bei Herodot, in W. SCHULLER
(hrsg. v.), Politische Theorie und
44
Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
È l’incontro di una similitudine fluviale e di una metaforica equestre, destinate entrambe a una rapida e durevole canonizzazione nel pensiero politico classico. Moltitudine, non corpo civico: siamo di nuovo dinanzi,
come nei frammenti di Solone, a una fazione della polis, alla parte peggiore che come tale non dovrebbe mai detenere il kratos. Ciò emerge con chiarezza in III, 81, 3, dove al demos
| si oppongono gli aristoi, i ‘migliori’, e dove spicca un altro verbo, epilegein (epilexantes), che denota lo ‘scegliere’, il ‘selezionare’, ma anche il ‘riflettere’, il ‘pensare’, in antitesi alla
casualità democratica invocata da Otane: «Si valgano dunque della democrazia (demoi) quelli che vogliono male ai Persiani; noi invece, scelto un gruppo di uomini migliori (andron ton ariston epilexantes), affidiamo loro il potere (peritheomen to kratos): tra loro ci saremo anche noi ed è nell'ordine delle cose che le decisioni migliori (arista bouleumata) siano quelle degli uomini migliori» (trad. di A. Fraschetti). Dario, schierato nel logos a difesa della monarchia, con-
densa questi topoi in una formula efficace che pone la malvagità (kakotes) come un corollario del governo del demos: «quando comanda il popolo (demou...archontos), è impossibile (adynata) che non sorga la malvagità (kakoteta)» (III, 82, 4). Nel prosieguo, la ripresa insistita del tema semantico della malvagità, variamente
declinato, conferma
che tutto,
in democrazia, è male. Governando, i ‘cattivi’ danneggiano (sono ‘coloro che fanno il male’: hoi kakountes) il koinon: hoi
gar kakountes ta koina. Ancora una volta, la democrazia appare come la supremazia di una parte (i malvagi, i ‘malnati’, 1 kakot) a svantaggio della sfera comune, della comunità politica dei cittadini. Non solo: democrazia vuol dire anche ‘cospirazione’, trama tessuta nell'ombra (i cospiratori «agiscono insieme di nascosto»: synkrypsantes poieusi) e soprattutto paPraxis im Altertum, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1998,
pp. 19-29 (pp 25-26).
Su Erodoto, III, 80, 1-6
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radossale philia (‘amicizia’) tra i cattivi, legati insieme dal progetto sedizioso comune, dal pactum sceleris contro il koinon. La contrapposizione con l’oligarchia non potrebbe esser più evidente: il governo dei pochi, nel discorso di Dario, s'identifica con il perseguimento dell’interesse del koinon da parte di un’élite di virtuosi, i quali mettono la propria arete al servizio della sfera comune (areten...es to koinon: III, 82, 3). Tuttavia, l’arete, l'eccellenza, è per definizione
competitiva, a differenza del male che accomuna i cattivi inducendoli a collaborare. Dario marca la «fragilità antropologica»”° e i limiti ‘politici’ di una comunità, quella retta da un’oligarchia, che egli rappresenta saldamente ancorata al modello eroico, imperniato sull’affermazione e sul riconoscimento dell’onore (time). In una comunità eroica, l’ira (il cholos, la ‘collera’, e la menis, «‘indignazione’, ‘risentimento violento’»”, ‘rancore’, riservata, fra gli eroi, al solo Achille)?8
è sempre sul punto d’implodere all’interno del koinon??. Che ‘molti’ fra i ‘pochi’ cittadini eminenti perseguano il bene del koinon impiica che ognuno ambisca a primeggiare (letteralmente: a essere koryphaios, ‘vertice’, ‘sommità’, ‘cima’) e a «far prevalere (nikan) le proprie opinioni de su quelle dei rivali. Un conflitto di punti di vista, un agone retorico, che surroga, perlomeno inizialmente, l’arcaica
76 M. VEGETTI, Passioni antiche: l’io collerico, in S. VEGETTI FINZI (a cura di), Storia delle passioni, Roma-Bari, Laterza, 1995, pp. 39-73 (la citazione è a p. 40).
Aiibipszo: 78 DI BENEDETTO, Nel laboratorio..., cit., p. 111: «Ma mentre l’uso di
kholos è più esteso ed è usato, tra gli altri, sia per Agamennone che per Achille, invece solo per Achille — tra gli uomini — è usato nel poema il termine menis»). 7? Sull’inversione della direzione (StoBrichtung) naturale dell’ira, sul suo mutarsi da forza (Kraft) rivolta all’esterno in rovinosa debolezza (Schiwache) interna alla comunità eroica, cfr. la sintesi di J. LATACZ, Homer. Der erste Dichter des Abendlands, Minchen-Ziirich, Artemis, 1989, p. 100.
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Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
competizione delle forze, delle potenze dei singoli eroi*°. Di qui un crescendo di inimicizie, sedizioni (staseis), stragi.
Movendo da opposte premesse, oligarchia e democrazia pervengono dunque a una conclusione analoga: la crisi del koinon, che assume nel primo caso la forma palese e violenta della stasis, nel secondo quella sotterranea, latente, del
complotto8!. E identica è la soluzione della crisi che Dario suggerisce: la monarchia, esito necessario del conflitto sia oligarchico sia democratico. Finché perdureranno o la competizione oligarchica o la cospirazione
democratica,
le fazioni
si contenderanno
il
primato, il Rratos, nello spazio comune. Lo faranno l’una a danno dell’altra (aristoi contro aristoi oppure kakoi contro aristoi), senza
mediazioni
possibili. Finché
le archai saranno
distribuite fra una pluralità di soggetti, pochi o molti che siano, il koinon non potrà mai essere uno. Con andamento circolare, lo schema compositivo del dibattito si chiude riproponendo l'argomento di partenza, il governo di uno. È tuttavia mutato il ‘segno’, il valore anS0 VEGETTI, L'etica..., cit., p. 17: «L'insieme delle prestazioni eccellenti di cui l’agathos è capace costituisce la sua arete, la sua “virtù”. Anche questo termine va letto al di fuori dei significati attribuitigli dalla riflessione morale più tarda. Si tratta in Omero di una “virtuosità”, che si esprime soprattutto ed essenzialmente nell’agone guerriero, nella capacità di far prevalere la propria forza su nemici e rivali». S! Una notazione perspicua è quella di G.A. GILLI, Origini dell’eguaglianza. Ricerche sociologiche sull’antica Grecia, Torino, Einaudi, 1988, pp. 162-163: «[...] i due regimi sono entrambi criticati dal monarchico, — quasi come se fossero una cosa sola: fra i mali dell’oligarchia e della democrazia (ivi compresa la fragilità dell’eguaglianza), il monarchico Dario non vede ditterenze qualitative, ma solo di intensità». S Il discorso di Otane, come quello di Dario, è composto ‘ad anello’ (ringtòrmig angelegte Rede): «In opposizione al discorso in favore della democrazia, che antepone la parte negativa alla positiva (die den negativen Teil dem positiven vorausstellte), qui i beneficî della monarchia costituiscono l’inizio (bilden hier die Vorteile der Monarchie den Anfang), gli svantaggi delle restanti forme di governo la conclu-
Su Erodoto, III, 80, 1-6
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nesso alla monarchia. Che è da intendersi come il governo dell’uomo migliore» (andros...tou aristou), capace di «soprintendere alla moltitudine in modo impeccabile» (epitropeuoi an amometos tou pletheos) in virtù di una gnome (senno, buon senso, intelligenza) superiore (III, 82, 2). In risposta al duro esordio antimonarchico
del discorso di Otane, Dario
evoca l’immagine del buon re, del monarca virtuoso che prenda ‘sotto tutela’ (è questo il senso di epitropeuein) un plethos incapace, se abbandonato a se stesso, di sedare la discordia interna che lo dilacera. Ma andamento circolare può significare anche circolo vizioso. Agli occhi di Otane un monarca virtuoso rappresenta un ossimoro che contraddice una legge di necessità, la legge della hybris di chi concentri nelle proprie mani il governo, la potenza, la licenza illimitata di fare. Quella di Dario non è dunque l’ultima parola, nel senso che l’argomento filomonarchico potrebbe essere ancora rovesciato, come del resto il controargomento e così all’infinito, vista anche la neutralità di Erodoto nello scandire i passaggi da un oratore all’altro. Se nessuno dei logoi è vincente, se nessun
discorso
resiste
alla confutazione,
non
c’è soluzione
‘dialogica’ dell’impasse tra alternative opposte. Dalla polarità si esce solo demandando al consesso dei nobili persiani la decisione finale, che sarà presa a maggioranza*. Dov'è il molto, là è anche il tutto. sione (die Nachteile der beiden ibrigen Regierungsformen den AbschluB)»: BECK, Die Ringkomposition..., cit., pp. 66-67. 83 Su Dario «come regnante virtuoso (als guten Herrscher)», conformemente a un’«antica tradizione orientale» che s’innesterebbe sulle «riconosciute» matrici greche del logos tripolitikos, si veda D. FEHLING, Die Quellenangaben bei Herodot, Berlin-New York, de Gruyter, 1971, p. 92.
84 In questo modo Erodoto può ricondurre la monarchia persiana a una scelta, non a una necessità naturale fondata sull’opposizione ‘etnica’ tra «monarchy in a Persian context e «liberty in a Greek context»: R. FOWLER, Herodotos and Athens, in P. DEROW-R. PARKER (eds.), Herodotus and his World. Essays from a Conference in Memory of G. Forrest, Oxford, Oxford University Press, 2003, pp. 305-318 (la citazione si riferisce alla p. 309n.).
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Su Tucidide, II, 35-37,1
[...] veruna cosa è tanto atta a frenare una moltitudine concitata, quanto è la riverenza di qualche uomo grave e di autorità che se le faccia incontro;
N. MACHIAVELLI, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, I, 54.
Abituato a essere guidato, il gregge umano entra in allarme, se si sente abbandonato; le sue guide, che ha travolto e calpestato, ora
gli mancano; liberandosi delle loro pastoie, si è privato della loro protezione. Si sente lasciato solo, in un paese sconosciuto, esposto a pericoli che ignora e dai quali non sa come ripararsi. E se, ora che i pastori sono stati uccisi 0 disarmati, arrivassero i lupi?
H.A. TAINE, Le origini della Francia contemporanea. La Rivoluzione. I L’anarchia, I, III, 4.
I. Siamo stati introdotti da Erodoto in un contesto discorsivo e deliberativo limitato a sette partecipanti: i tre protagonisti, ai quali si aggiungono gli altri quattro cospiratori. Prevale la gnome di Dario. Sconfitto, Otane esce di scena; non vuole né essere coinvolto nella scelta del monarca
né contendere il regno ai sei. Si congeda, non prima di aver dettato condizioni, da quel meson (ek mesou kathesto: III, 83, 3) nel quale ha espresso invano la sua gnome in favore dell’isonomia e pronunziato, alla fine, parole di autoesclusione (elexe es meson: III, 83, 1)!. ! Paradossalmente, l’individuazione concreta del monarca è affidata al caso («allo spuntare del sole, mentre essi cavalcavano nel suburbio, co-
so
Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
Un meson e un agone selettivi, dicevo. Ne è escluso il plethos dei Persiani, come si ricava dall’ultimo intervento di Otane e dal racconto erodoteo. Certo, l’oratoria di Otane,
Megabizo e Dario appartiene al genere deliberativo (symbouleutikon), in quanto mira a orientare una decisione pur sempre collettiva; eppure l’uditorio è troppo scarno e di rango troppo alto perché il resoconto, reale o fantasioso, di Erodoto non faccia pensare a una riunione a porte chiuse, all'ultimo atto, strettamente riservato, della cospirazione.
Di tutt'altro tenore è il discorso sul quale dovremo intrattenerci in questa seconda sezione: l’epitaphios logos (orazione funebre) pronunciato da Pericle per i caduti ateniesi del primo anno della guerra del Peloponneso, nell'inverno del 431-430 a.C. (TUCIDIDE, II, 35-46).
Altro il genere retorico: a prima vista epidittico (epideiktikon), il cui fine è l’encomio di qualcuno, di qualcosa. Elogio collettivo, anonimo: diversamente dal threnos, l’epita-
fio non celebra i singoli, caricandosi di una valenza politica che ha spesso fatto dubitare della correttezza della sua classificazione come logos epideiktiko®.
lui il cui cavallo avesse nitrito per primo avrebbe avuto il regno»: III, 84, 3), nonostante Dario abbia istituito un nesso molto stretto fra l’as-
soluta eccellenza delle qualità personali del monarca (l’aner aristos, il miglior uomo: III, 82, 2) e la superiorità della forma monarchica
4: «Così anche il suo caso dimostra che la monarchia
(III, 82,
è la scelta mi-
gliore»; Rai en toutoi deloi kai houtos, hos he mounarchie kratiston). L'aporia non sfugge a BERNARDETE, Herodotean Inquiries, cit., pp. 86-87: «[...] he [scil. Dario] further assumes that the inevitability of monarchy coincides with the excellence of the monarch, for he equates the best with the strongest (ariston with kratiston). The way the conspirators decide to choose their king indicates the falseness of this equation. They rely on chance as much as the democrat Otanes [...]. The inevitable is the accidental, and the accidental is the best». ? Sull’intera questione è fondamentale N. LORAUX, L’Invention d’Athènes. Histoire de l’oraison funèbre dans la «cité classique», nouvelle édition abrégée, augmentée d’une préface, Paris, Payot, 1993” (I ed. Paris-
Su Tucidide, II, 35-37,1
S1
Altro lo scenario: nel Ceramico, «la località più bella del circondario di Atene» (II, 34, 5)?, l’oratore parla da una tribuna (bema) antistante al demosion sema, sepolcro ‘ufficiale’ dei caduti in guerra. In questo caso s’intuisce che la radice demos di demosion indica la totalità del corpo civico. Il logos è dunque una demegoria: un arringare (agoreuein) il demos riunito. Addirittura, c’informa Tucidide, il cerimoniale pre-
vede che «chiunque lo voglia (ho boulomenos), cittadino o straniero, potrà seguire il funerale» (II, 34, 4) e ascoltare la
lode dei morti per la patria: la platea più vasta e la massima risonanza per un oratore.
A un uditorio così ampio fanno riscontro criterî molto rigorosi nella scelta di chi debba tenere l’epainos (la lode): «un uomo, scelto dalla città (heiremenos hypo tes poleos), che
La Haye, Éditions de l’École des hautes études en sciences sociales, 1981), pp. 99-154 e 231-274 (capitolo significativamente dedicato a L’o-
raison funèbre, genre politique). H.YuNIS, Taming Democracy. Models of Political Rhetoric in Classical Athens, Ithaca-London, Cornell University Press,
1996, colloca l’epitaphios logos pericleo a mezzo tra retorica epidittica e deliberativa: «As the public funeral there is no question to be debated and no decision to be made; the audience merely listen and then go home. So according to formal categories the funeral oration is not deliberative. Funeral orations, which traditionally praise the dead, belong to the third Aristotelian genre of rhetoric, epideictic, which comprehends speeches of praise and blame [...].The deliberative element of Pericles’ epideictic speech is unmistakable. Returning to speak of the dead after completing his idealized account of Athens, Pericles epitomizes the common heroism of their various lives [...].Then follows the deliberative core of the speech, the formal exhortation to the audience to emulate the resolve of those who died, to be ready to make the same sacrifice. Pericles’ funeral oration represents formal epideictic rhetoric used for mass education in a marked political setting» (pp. 81-82). 3 Cito dalla traduzione di M. Cagnetta, in TUCIDIDE, La guerra del Peloponneso, a cura di L. Canfora, Torino, Einaudi-Gallimard, 1996. Ho tenuto conto anche della traduzione di O. Longo, in TUCIDIDE, Epitafio
di Pericle per i caduti del primo anno di guerra, a cura di O. Longo, Venezia, Marsilio, 2000.
sa
Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
sia apprezzato per le sue doti intellettuali (gnomei te dokei me axynetos einai; letteralmente: per la facoltà di giudizio e per la reputazione di essere particolarmente intelligente)* e goda del massimo prestigio (axioseî)» (II, 34, 6). Dunque xynesis (l'intelligenza non comune), gnome e axiosis sono i selettori. Gli ultimi due assumeranno un rilievo notevole nell’epitafio. Nessuna distanza spaziale o temporale, infine; nessun passato asiatico da rievocare. Il luogo e il tempo del discorso sono quelli di Tucidide, ateniese e contemporaneo dei fatti narrati, come si evince dal proemio dell’opera (I, 1, 1).
2. Cominciamo l'esposizione di alcuni brani dell’epitafio, tenendo presente un’avvertenza di Luciano Canfora: «Qui Pericle non parla solo di modelli costituzionali (che è l'aspetto dell’“epitafio” che maggiormente galvanizza l’attenzione dei moderni), parla anche dei ‘caratteri protondi” delle due città in lotta per l'egemonia [scil. Atene e Sparta]»®. Di conseguenza, quando parliamo di politeia abbiamo a che fare con un lemma il cui spettro semantico sì estende da ‘regime politico’, ‘costituzione’, a ‘carattere profondo’, ‘anima’, ‘complessione’, ‘regime di vita’ di una polis. L'occasione encomiastica non impedisce a Pericle di aprire il discorso in maniera sconcertante, prendendo le distanze da quei «molti» (hoi men polloi) che lo hanno preceduto sulla stessa tribuna. Non è tanto la contrapposizione in sé che qui c’interessa, quanto la sua giustificazione. Oratore scaltrito, Pericle dichiara subito di diffidare dell’eloquenza, come se il suo proposito di tenere l’orazione vacillasse. Egli dubita che l'eloquenza sia all'altezza dei fatti (gli erga) da * È un'efficace litote con funzione amplificativa: «per la reputazione di non essere non intelligente» vale «per la reputazione di essere particolarmente intelligente». ° L. CANFORA, La storiografia greca, Milano, Bruno Mondadori, 1999, p. 4.
Su Tucidide, II, 35-37,1
53
celebrare: «la fede nel valore di molti uomini (pollon aretas) non dovrebbe essere messa a repentaglio dalle maggiori o minori doti oratorie di un singolo (heni andri... eu te kai cheiron eiponti; letteralmente: da un solo uomo che parli bene o peggio)» (II, 35, 1). In questo primo paragrafo Peri-
cle mette sull’avviso l’uditorio. Si limita alla constatazione banale che, essendoci oratori buoni e meno buoni, sarebbe
preferibile diffidare del dire, dell’eipein in generale, e celebrare gli erga con gli erga, non con i logoi. Con il secondo paragrafo ci spostiamo dalla tribuna alla platea. Questa volta Pericle ha l’ardire di chiamare in causa l’uditorio. Lo fa in primo luogo adducendo un argomento d'ordine ‘gnoseologico’, o meglio impostando in termini gnoseologici un problema retorico in senso stretto: «Perché è davvero difficile, quando è arduo persino dare solide basi al concetto che ognuno ha della verità, trovare nel proprio dire la giusta misura» (II, 35, 2). Il passo richiede una lettura attenta. La prima proposizione appare come una constata-
zione non meno disarmante della precedente: è difficile dire secondo la giusta misura, in modo conveniente (metrios eipein), ossia tenersi equidistanti dal troppo e dal troppo poco. Tuttavia, questa difficoltà di ‘contenimento’ entro i confini normativi del metrion (la ‘misura del dovuto’) non
dipende in ultima istanza dal locutore ma dal destinatario, dal ricevente. Lo si evince dalla seconda proposizione, di cui non è semplice determinare il senso letterale: «laddove (en hoi) a stento (molis) si conferma (bebaioutai) la rappresentazione (la veduta) della verità (he dokesis tes aletheias)». Pierre Huart, al quale si deve un esame approfondito delle occorrenze
di dokesis in Tucidide, ritiene che il sostantivo
non
vada tradotto con ‘parvenza’, ‘Îmera apparenza’, nonostante la derivazione etimologica dal verbo dokein (‘sembrare’). Questo perché nella dokesis non si ha «passivité de l’esprit»® 6 p HUART, Le vocabulaire de l’analyse psychologigue dans l’oeuvre de Thucydide, Paris, Klincksieck, 1968, p. 255.
s4 = Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
ma un atto di comprensione? che produce conoscenza probabile®. Non a caso, Mariella Cagnetta rende il sintagma con la perifrasi ‘il concetto che ognuno ha della verità”?. E una resa efficace che da un lato tiene conto dell’indicazione di Huart, dall’altro coglie il valore ‘soggettivo’ della dokesis tes aletheias: più saranno gli uditori, più saranno le ‘presunzioni di verità’ a malapena raggiunte e a stento confermate, più sarà difticile per l'oratore la ricerca della giusta misura nel discorso. Due saranno allora gli ostacoli sulla via del metrios eipein e della ‘sintonia’ con l’uditorio (il rapporto fra la giusta misura e la persuasione è di mezzo a fine): lo scarto! non facilmente colmabile tra la verità dei fatti e la sua dokesis!!; la non identità di vedute, di rappresentazioni. ” Così l’intende s. HORNBLOWER, A Commentary on Thucydides. Vol. I: Books I-II, Oxford, Clarendon Press, 2003° (ristampa della II ed. 1090), p. 206: «in an area where nobody* grasp of the truth is sure» (in un campo nel quale non è sicura la capacità di nessuno di comprendere la verità). S Nella sua nota di commento ].S. RUSTEN, Thucydides. The Peloponnesian War Book II, Cambridge, Cambridge University Press, 1989, p. 140, identitica la dokesis come «appearence» ma nel senso di «plausibility». * Cfr. H. FRISK, Griechisches Etymologisches Worterbuch, Heidelberg, Winter, 19737, Bd. I, p 40s, ad voc. dokeuo: «dokesis,Glauben, Meinung,
Vorstellung, Schein'» (Credenze, opinione, rappresentazione/concetto, parvenza).
!° Parlerei di scarto piuttosto che di antitesi tra dokesis e verità, come
invece sostiene J. TH, KAKRIDIS,
Der thukydideische Epitaphios. Ein
stilistischer Kommentar, Miùnchen, Beck, 1961, p. 4, secondo il quale alla polarità /ogos-erga succede la contrapposizione tra aletheia e bebaiosis tes dokeseos
tes aletheias,
!! Coglie benissimo lo scarto Karl Wilhelm Kriger, in THUKYDIDOU Ayngraphe, Mit erklirenden Anmerkungen herausgegeben von K.W. KRUGER. Ersten Bandes erstes Heft, erstes und zweites Buch. Dritte verbesserte und sehr vermehrte Auflage (der folgenden Hefte zweite Autlage), Berlin, K.W. Krùgers Verlagsbuchandlung, 1860, p. 193, che traduce: «|...] in una materia (bei einem Gegenstande) nella quale a stento si consolida (erhartet) la parvenza della verità (der Glaube der
Su Tucidide, II, 35-37,,1
55
Questo scarto e questa non identità si manifestano anche nel secondo argomento addotto da Pericle: l’ideale del metrios eipein è minacciato dalla dualità, dalla frattura interna all’uditorio. La platea non è una. Non è uno l’akroates (1’‘ascoltatore’), o meglio non è una, univoca, la disposizione all’ascolto. Di conseguenza, non potrà essere univoca l’accoglienza che riceveranno le parole: «Poiché se chi ascolta è stato testimone dei fatti (xyneidos: da xyn + horao, ‘abbracciare con lo sguardo’) e nutre sentimenti di benevolenza (eunous), può pensare che gli argomenti esposti non rendano un merito adeguato a quel che egli sa (epistataî) e vorrebbe (bouletai); chi invece non sappia come sono andate le cose (apeiros) può essere indotto dall’invidia (dia phthonon), se ciò che ascolta (akouoî) è al di là delle sue forze! (hyper ten hautou physin), a credere che nell’elogio vi sia dell’esagerazione (pleonazesthaî)» (II, 35, 2). È lecito interpretare la distinzione periclea alla luce di un’«assiologia della sensazione», ossia di una gerarchia tra i sensi «attraverso cui si con-
segue la conoscenza dei fatti»!?. L’akroates del primo tipo ascolta dopo aver visto. Sa (epistatai) ciò che è accaduto perché vi ha assistito (xyneidos). In termini erodotei, la fonte della sua conoscenza dei fatti è l’opsis (l'osservazione diretta: anche questo termine è connesso etimologicamente a horao, ‘vedo’), non l’akoe (il ‘sentito dire’) (ERODOTO, II, 99, 1)!4. Di qui la buona disposizione di questa parte di uditorio nei confronti dei caduti. Wahrheit), che è riconosciuta come vera da chi ascolta (das von dem Zuhérer als wahr Anerkannte)». 12 Sulla scorta, fra gli altri, di KRUGER, THUKYDIDOU Xyngraphe..., cit., p. 193: «ciò che va al di là delle sue forze» (was iber seine Krifte geht). “. 13 CANFORA, La storiografia..., cit., p. 17 (per entrambe le citazioni). ..!* Cfr. sul punto B. GENTILI, Le teorie del racconto storico nel pensiero
storiografico dei Greci, in ID.-G. CERRI, Le teorie del discorso storico nel pensiero greco e la storiografia romana arcaica, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1975, pp. 19-45 (in particolare p. 23).
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Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
L'akroates del secondo tipo ascolta invece da apeiros, senza cognizione dei fatti. Fonte esclusiva e indiretta della sua conoscenza di quanto è accaduto sul campo di battaglia è l’orazione stessa, dunque un discorso altrui che potrà apparirgli non del tutto credibile. Un caso esemplare di opposizione tra erga € logoi, tra i fatti e le loro versioni orali. Mi fermerei su quest’aspetto dell'argomento di Pericle. La suddivisione
dell’uditorio
sembra
riflettere, trasfigurato
in chiave ‘retorica’, il problema metodologico centrale dell'indagine tucididea: le fonti della conoscenza storica degli erga. Tralascio la questione, non meno importante, della conoscenza dei logoi (che rientrano anch'essi tra i prachthenta, fra le ‘azioni’) rispetto ai quali l’udito «prevale come organo di senso»!5. Nel Proemio (I, 22, 2) Tucidide distingue tra fatti ai quali è stato presente (paren) e fatti appresi dagli altri (para ton allon), testimoni non imparziali e imprecisi nel ricordare (I, 22, 3). Detto altrimenti: la conoscenza degli erga richiede o la presenza (dunque la vista, l'autopsia) o l'audizione di testimoni, i cui esiti sono, come si è appena mostrato, malsicuri.
Ha commentato Luciano Canfora: «Con l’esaltazione della vista, la storiografia rivela tutta la sua debolezza conoscitiva: è infatti palesemente impossibile ‘esser presente a tutti i fatti” [...]. Ricorrere a testimoni, per quanto aftidabili e reciprocamente controllabili, significa comunque passare sotto il dominio dell’orecchio, dunque di una conoscenza sensoriale indiretta e per definizione imperfetta»! Queste sono anche le conclusioni di Pericle che pure dovrebbe essere immune da affanni teorici. Ai limiti di oggettività della pratica storiografica corrispondono nella pratica oratoria 1 limiti di oggettività del destinatario. Quanti nell’uditorio hanno visto? Quanti hanno conoscenza diretta !5 L. CANFORA,
Prima
lezione di storia greca, Roma-Bari,
2000, p. 6.
16 rp., La storiografia..., cit., p. 17.
Laterza,
Su Tucidide, II, 35-371
57
delle gesta gloriose che si celebrano? Una parte (la maggioranza) del pubblico ne avrà notizia solo per bocca dell’oratore!?. Questo limite cognitivo è il principale ostacolo alla ricezione benevola del discorso funebre: prima ancora che da una reazione emotiva (l’invidia, phthonos), il sospetto di una quota consistente degli spettatori nei confronti del passato dipende dalla distanza e dalla mediazione che fanno velo alla conoscenza storica. Un passato oscuro, estraneo, quantunque prossimo, si presta alla manipolazione oratoria. Se quest’argomento finisce per ‘assolvere’ sia il pubblico
maldisposto sia l’oratore la cui parola non s’accordi alle aspettative dell’uditorio, la meditazione periclea sull’invidia tocca vertici impensabili di sincerità!* e di profondità d’a44 KAKRDIS, Der thukydideische Epitaphios..., cit., p. 6, rovescia quest'argomento: «E certo che Pericle non abbia potuto parlare così davanti agli Ateniesi del 431: chi di loro non era xyneidos del grande evento (des
groBen Ergon) e perciò eunous?». Si potrebbe aggiungere: xyneidos non dal punto di vista di Tucidide (e del suo Pericle). 18 Molto acuto il commento
ad loc. di A.w. GOMME, A Historical
Commentary on Thucydides. Volume IL Books I-II, Oxford, Clarendon Press, 19667 (I ed. 1956), p. 103: «It is always dangerous to generalize about 4 people, but no body of men has ever been so conscious of envy and its workings as the Greeks. [...] but, though Perikles is consciously avoiding the obvious and the trite, to what other people, on such an occasion 48 this, could these words of his have been addressed®. Di di-
verso avviso KAKRIDIS, Der thukydideische Epitaphios..., cit., p. 5, il quale nega, come si è visto, la possibilità che frasi del genere siano state effet-
tivamente pronunciate e dunque propende per l’ipotesi di una manipolazione tucididea: «C'è nell'universo mondo un oratore che abbia mai parlato in questo modo? E come può sperare (hoffen) Pericle, con un simile preambolo (mit einer solchen Einfiihrung), di conquistare il fa-
vore (die Gunst... zu erlangen) degli Ateniesi che ascoltano?». Kakridis conclude: Nel nostro proemio è mutata la forma tradizionale della captatio benevolentige: in omaggio 21 lettore reale (um des wirklichen Lesers willen) l’ascoltatore presunto (der vermeintliche Zuhòrer) viene caratterizzato in un modo nel quale nessun ascoltatore reale (kein wirklicher Héorer) si è mai caratterizzato. Qui parla Tucidide [...]; il suo portavoce è Pericle (sein Sprachrohr ist Perikles)» (p. 8).
58.
Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
nalisi. In pochi cenni Pericle espone al suo pubblico un’eziologia. L’invidia s'ingenera quando si ascolta «qualcosa che eccede la propria natura». I germi dello phthonos si annidano nella presa di coscienza della sproporzione, della disuguaglianza tra la propria physis (la propria natura è anche la propria ‘potenza’)!? e quella altrui: l'enfasi cade sulla preposizione hyper (= ‘oltre’, ‘al di là di’, ‘sopra’) che denota l’alterazione di un regime di parità, l’istituzione di una polarità e di una gerarchia tanto più inaccettabili quanto meno le gesta descritte sono ripetibili. A nulla vale l’anonimità dell'elogio quando le parole rivelino a chi ascolta un limite invalicabile, un’eccellenza che non può essere emulata. Portato d'istinto a paragonarsi all’altro (che in democrazia è sempre un simile, un pari) e scoprendo di non poter agire come l’altro, di non poter rivendicare per sé una quota almeno uguale di reputazione, l’invidioso patisce. Per spegnere questa passione si rifugia nell’incredulità: «Le lodi rivolte ad altri sono infatti sopportate fino al punto in cui (es hoson) ognuno ritiene di poter essere in grado (hikanos einai) a sua volta di realizzare (drasai) qualcosa di quel che ha udito (ti hon ekousen); ciò che invece supera questo limite (hyperballonti) stimola l’invidia (phthonountes) inducendo anche alla diffidenza (apistousin)» (II, 35, 2). A ben vedere, nemmeno stavolta le parole di Pericle suonano come un rimprovero ai concittadini. Con l’invidia entriamo in un campo nel quale non vige autodeterminazione: un pathos si patisce, si subisce, non lo si sceglie. L’invidia sembra dunque obbedire a una necessità naturale: a questo è valsa la ricerca rigorosa delle cause. Esauriti gli argomenti in sfavore dell’orazione, Pericle dichiara di sottomettersi alla forza della consuetudine (nomos) e non fa mistero di proseguire il discorso più per senso
do,Dunque il limite di ciascuno: RUSTEN, Thucydides..., cit., p. 141, c
a
è
.
P
rs
traduce «exceeding his own natural limitations».
Su Tucidide, II, 35-37,1
59
del dovere (espresso da chre = ‘è doveroso’) che per intima convinzione (II, 36, 3).
Il capitolo 36, nel quale l'oratore dovrebbe finalmente entrare in argomento, offre una chiave per comprendere le ragioni di un esordio così spiazzante. Nemmeno in questo caso Pericle si mostra del tutto deferente alla prassi che impone all’epitafio di marcare i meriti dei progenitori e dei padri. Egli apporta una variante allo schema canonico: modula l’enfasi secondo una «scala crescente inversa» che glorifica l’oggi, l’attuale, più che il passato. Di qui a poco vedremo come quest’argomento si saldi ai precedenti e ne espliciti il senso. Il passo suona: «Prenderò innanzitutto le mosse dai nostri antenati (apo ton progonon proton): in una simile circostanza è giusto (dikaion) e doveroso (prepon) tributare loro l’onore del nostro ricordo (ten timen tauten tes mnemes dido-
sthai), poiché nel susseguirsi delle generazioni (diadochei ton epigignomenon) essi ci hanno trasmesso (paredosan), grazie al loro valore (di’ areten), una terra fino ai nostri giorni libera (choran...eleutheran) e abitata sempre dalla stessa gente (hoi autoi aiei oikountes). I nostri lontani progenitori sono degni di lode (axioi epainou), ma ancor più (kai eti mallon) lo sono i nostri padri (hoi pateres hemon) che, in aggiunta a quel che hanno ricevuto, acquisirono (ktesamenoi) l’intero impero su cui esercitiamo il nostro dominio (hosen echomen archen) e penarono per trasmettere (proskatelipon) anche questo a noi Ateniesi di oggi (hemin tois nyn). Ma la massima (ta de pleio) espansione dell’impero la si deve a noi che oggi (hemeis hoide hoi nyn) siamo nel pieno della nostra età matura, e siamo stati noi a provvedere la città di tutto, rendendola au-
tosufficiente (autarkestaten) sia in caso di guerra sia in periodo di pace» (II, 36, 1-3).
20 0. LONGO, commento Cit. Priso:
ad loc., in TUCIDIDE, Epitafio di Pericle...,
60
Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
Con una progressione a spirale, la partecipazione emozionale cresce d’intensità man mano che l’oratore si svincola dai passaggi obbligati di una «retorica della trasmissione»?!, della continuità lineare tra le generazioni: il mito dell’autoctonia (tra i «motivi topici della tradizione panegiristica»)?, la ktesis (‘acquisto’) e il ‘lascito’ dei padri. All’officiante trasgressivo sta a cuore sopra ogni altra cosa il nyn,
l'‘ora’, il presente. Il nyn è il tempo del noi; il tempo sotto gli occhi di tutti. E ‘noi’, un «‘noi” generazionale», è il soggetto del salto qualitativo dal passato, più o meno remoto, più o meno prossimo, al presente glorioso nel quale la polis si attua al massimo grado. «Noi abbiamo accresciuto» (epeuxesamen), «noi abbiamo dotato» (pareskeuasamen): è in questi terminì che si esprime, compiaciuto, l’oratore’*. Ecco dunque
2! n. LORAUX, Né de la terre. Mythe et politique à Athènes, Paris, Seuil, 1996, p. 28.
2° 1. CANFORA, Tucidide e l’impero. La presa di Melo, Roma-Bari, La-
terza, 2000° (I ed. 1992), p. 83. > MUSTI, Demokratia..., cit., p. 8: «[...] il primo immediato “noi” da cui nessuno può difendersi». °* Ed è un compiacimento acuito dall'assenza di qualsiasi riferimento a un disegno divino cui ricondurre le fortune ‘contemporanee’ della polis. Insiste sul carattere profano del presente come cifra dell’‘umanesimo’ pericleo L. EDMUNDS, Chance ‘and Intelligence in Thucydides, Cambridge
(Mass.), Cambridge
University Press, 1975, pp. 45-46: «De-
mocracy is then an episode in the “humanistic revolution” of the fifth century, and the fact that Pericles says nothing of the gods in the Funeral Oration is an indication of his humanism. [...] In the Periclean account ot Athens the gods have disappeared altogether, and the strength ot the city now appears as originating in human will, specifically, in Athens, in individual rational freedom». Analoghe notazioni in Ss. FORDE, The Ambition to Rule. Alcibiades and the Politics of Imperialism in Thucydides, Ithaca-London, Cornell University Press, 1989, pp. 27-28: «In the Funer-
al Oration he depicts Athens, Athenian power, and Athenian greatness, purely as monuments of human virtue and endeavor. His reduction of the city completely to its human beings, indeed, to the present generatton of its human beings (cf. 2.36.1-3), is to be sure typical of this imperial Athens: but that only underscores its revolutionary character».
Su Tucidide, II, 35-37,1
61
il senso del ‘disagio’ pericleo, della riluttanza a celebrare il passato, dell’inversione dei valori, della deviazione dalle di-
rettrici tradizionali dell’epitaphios logos: il presente unisce; il passato divide’. Nel presente vista e udito, opsis e akoe, coincidono. Se la distanza suscita incomprensioni, invidie, contrasti, incredulità, meglio abolirla, meglio rinunciare all’evocazione dei palaia, dei ‘tempi che furono’, e attenersi, per
quanto è possibile, all’hic et nunc, a tutti evidente. Di qui l’ultimo, inatteso, rovesciamento: quanto più il presente acquista un significato esemplare e carico di promesse per l'avvenire, tanto più il passato perde aura?”. La conclusione del capitolo 36 smorza e capovolge anche il to-
25 Secondo H.R. IMMERWAHR, Pathology of Power and the Speeches in Thucydides, in PH.A. STADTER (ed.), The Speeches in Thucydides, Chapel Hill, The University of North Carolina Press, 1973, pp. 16-31, la tra-
sgressione dei canoni dev'essere ascritta a Tucidide più che a Pericle: «Nevertheless, it might be argued that such patterns could be used ironically, somewhat in the Euripidean manner. But the Funeral Oration [...] departs from the conventional pattern in ways which bring it closer to Thucydidean ideas» (p. 26). Cfr. anche w.R. CONNOR, Thucydides, Princeton, Princeton
University Press, 19852 (I ed. 1984), p. 66: «This
point is developed by a rhetorical strategy unparalleled in other extant funeral orations. Pericles passes over the customary survey of Athenian history, real and mythic, and concentrates instead on those habits, civic arrangements, and dispositions that stand behind Athens’ growth to greatness». Perentorio il giudizio di C. ORWIN, The Humanity of Thucydides, Princeton, Princeton University Press, 1994, p. 16: «If we compare this speech of Pericles with other extant Athenian funeral speeches, most striking is the deprecation of the ancestors» (c.vo non testuale). 26 MUSTI, Demokratia..., cit., p. 11: «Sfidando i condizionamenti insiti per i Greci nell’idea del tempo, Pericle piega le cervici dei suoi concittadini verso il presente/futuro, sentito non più solo come
sede del-
l’incertezza e del declino [...]». . 2 Si veda la nota di commento di KAKRIDIS, Der thukydideische Epitaphios..., cit., p. 14: «Per Tucidide il mito antico e la grande impresa (die ‘groBe Tat) dei vincitori dei Persiani non hanno significato normativo (keine normative Bedeutung) come invece per gli altri oratori encomiastici, i poeti e gli artisti».
62
Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
pos della lontananza: da remoto, insondabile, il passato diventa ormai familiare, alla portata di tutti, addirittura scontato, perché l’oratore vi si attardi. Pericle non si cura dell’in-
congruenza del discorso, i cui sviluppi sembrano contraddire apertamente l’assunto centrale della prima parte: «Ma io tralascerò le imprese di guerra (ta men kata polemous erga) dei padri e nostre, grazie alle quali il nostro impero si è gradatamente esteso, o le operazioni difensive che hanno visto impegnati noi o i nostri padri nel respingere gli attacchi portati da nemici barbari o greci (barbaron e Hellena polemion) — non voglio far lunghi discorsi (makregorein) davanti a chi queste cose le sa già (en eidosin)» (II, 36, 4). Come si vede, si tratta di un passato non troppo lontano, non antecedente alle guerre persiane (il barbaros polemios, il ‘nemico straniero’ al quale Pericle allude, sono i Medi) che con il loro epilogo vittorioso segnano l’inizio dell’espansione imperiale di Atene. Dal rovesciamento continuano a rimanere esclusi gli estremi temporali in cui sono confinate le gesta mitiche, non storiche, dei progenitori. Eppure l'impressione d’incoerenza interna (all’epitafio), di parziale sconfessione delle premesse, permane. La chiave della contraddizione, che subito risalta, è nel
participio perfetto sostantivato eidosin (da oida, perfetto di eido = ‘sapere’, ‘conoscere’, in virtù di esperienza): «(en = ‘davanti a’) coloro i quali sono informati dei fatti». Come intendere questi «coloro», in assenza di specificazioni ulteriori? Sono i soli ‘testimoni oculari’ di II, 35, 2? O è venuto
meno il ruolo strategico della divisione dell’uditorio? La coincidenza di opsis e akoe si è forse estesa anche agli anelli più recenti del passato? Sono interrogativi retorici. Credo sia da scartare l’ipotesi di un ripensamento pericleo. Semplicemente, nell’economia interna dell’epitafio, l'intento conciliativo e «paideutico»? sovrasta la necessità di coerenza, legittimando la va°° G. PRETI, Retorica e logica, Torino, Einaudi, 1974} (I ed. 1968), pp.
Su Tucidide, II, 35-37,1
63
riazione di prospettiva. Portata a compimento l’opera di destrutturazione dello schema-base del discorso funebre (dissimulata dietro una deferenza formalmente ineccepibile alle «regole del genere “epitafio’’»?°), sanata la dualità accomunando tutti i cittadini nell’orizzonte del presente, Pericle si rivolge a tutto l’uditorio, sul presupposto che ora tutto l’uditorio sia in grado d’intenderlo, di riconoscersi nel ritratto che fisserà i caratteri più profondi della polis. Per essere a un tempo persuasiva e pacificante, per sortire l’effetto di una ricezione senza riserve e di una coesione senza crepe,
la demegoria deve abbandonare, seppure momentaneamente, quelle distinzioni sottili che tanto peso hanno avuto in precedenza (ma che risulterebbero quanto meno inopportune in questa fase del discorso) e assumere un punto di vista inclusivo, totalizzante, compromissorio,
meno
rigoroso
sul piano del ‘metodo’ ma senz’altro più efficace su quello della comunicazione esplicita”. Eppure, dopo questa lunga serie di false partenze non prive di una necessità interna, Pericle si è forse posto al riparo da fraintendimenti e ha vinto le resistenze del pubblico ma certo non è ancora entrato in argomento, se per argomento s'intende la materia che l’orazione si ripropone
150-151: «Il genere epidittico, il meno valutato dagli antichi (proprio perché il più...‘“retorico”, in senso dispregiativo) è invece quello che oggi riveste la maggiore importanza [...]. Proprio perché non ha fini pratici spiccioli, ma ha un intento culturale, “paideutico” [...]. Esso porta sui valori morali, e in generale sui valori di una
civiltà; mira a
rinforzare o suscitare atteggiamenti (sentimenti) non semplicemente nei confronti di una decisione contingente (giudiziaria o politica), ma nei riguardi dei grandi valori di cui è intessuta una civiltà». 2° L. CANFORA, Tucidide. L’oligarca imperfetto, Roma, Editori Riuniti,
1988, p. 43. 30 Il discorso risponde all’esigenza «not only to plan deeds but to creaté' social realities»: ]). OBER, Political Dissent in Democratic Athens. Intellectual Critics of Popular Rule, Princeton-Oxford, Princeton University
Press, 20023 (I ed. 1998), p. 89 (c.vo non testuale).
64
Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
effettivamente di trattare. L'attesa è ripagata già da quella nitida dichiarazione
d’intenti che è la prothesis, ossia l'‘in-
dice’ dell’organizzazione formale del discorso: «Prima di ogni altra cosa voglio invece esporre (tauta delosas proton eimi) quali principî ispiratori (hoias... epitedeuseos) ci abbiano mossi per giungere a tanto, sotto quale forma di governo (meth’hoias politeias) e con quale modo di vivere (tropon) sia nata la nostra potenza (megala egeneto); solo dopo passerò
a rendere l’elogio ai caduti (epi ton tonde epainon), perché ritengo che l'occasione sia particolarmente adatta (ouk... aprepe = ‘non sconveniente’: ancora una litote con funzione amplificativa) per affrontare questi argomenti, e che sia utile (xymphoron einaî) farli intendere a tutta la folla (panta homilon) di cittadini (aston) e di stranieri (xenon) che si è radunata» (II, 36, 4).
Fermiamoci solo sul primo segmento. Emergono tre parole-chiave: epitedeusis, politeia, tropoi. Con il termine astratto epitedeusis s'intende l’insieme dei principî guida dell’azione?!: «the principles underlying our actions»**. Questi principî esprimono la ‘vocazione’, la ‘missione peculiare’ della polis: Hjalmar Frisk rende epitedeusis con Beruf (‘professione’, ‘vocazione’), Benehmen (modo di comportarsi’), oltre che con Beschdftigung (‘atti via):
31 Ossia i presupposti astratti, le idee, i modelli, delle realizzazioni
concrete, degli epitedeumata di II, 37, 2. Cfr. il commento MARCHANT,
Thucydides.
Book
II, with
New
ad loc. di E.C.
Introduction
and Bibli-
ography by Th. Wiedemann, Bristol-London, Bristol Classical Press, 1993? (I ed. London, Macmillan & Co., 1891), p. 169: « principles’ on which concrete epitedeumata are based. Pericles will explain the meaning and point out the results of the ideas which underlie the Athenian constitution [...]». °° HORNBLOWER, A Commentary on Thucydides..., cit., p. 298. °° FRISK, Griechisches Etymologisches Worterbuch, cit., Bd. I, p. 544, ad voc. epitedes.
Su Tucidide, II, 35-37,1
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Politeia (singolare) e tropoi (plurale: le traduzioni cor-
renti oscillano tra «way of life»? e «atteggiamenti»)?? hanno invece un «significato più specifico»? Di solito si annette a politeia il valore di ‘ordinamento politico’ e a tropoi un significato morale? (in questo caso le ‘forme di vita’, i ‘caratteri’,
della polis)?? e talvolta ‘naturale’ (sempre nell’epitafio Pericle contrappone i tropoi, il ‘naturale modo alle ‘convenzioni’: II, 39,4).
di essere’, ai nomoi,
In realtà i confini tra politeiae tropoi non sono invalicabili. Certo, nel brano che stiamo prendendo in esame il plurale tropoi esclude la possibilità di un’endiadi. Detto altrimenti: esclude che dietro i due sostantivi si celi il sintagma tropos (singolare) tes politeias, la ‘forma, il modo di essere, dell'ordinamento’ (che invece ricorre in Pseudo-Senofonte,
Athenaion Politeia, 1.1). Inoltre, il prosieguo del discorso, che mette in relazione la specifica ed esemplare politeia ateniese e il ‘nome’ demokratia, sgombra il campo da equivoci: la valenza del termine politeia è qui schiettamente politica (ma è appena il caso di ricordare che quello dei politifa è un campo, presso i Greci, complesso e inclusivo”, irriducibile alla
54. Ibidem O. LONGO, in TUCIDIDE, Epitafio di Pericle..., cit., p. 35.
KAKRIDIS, Der thukydideische Epitaphios..., cit., p. 19. # Sul punto J. BORDES, Politeia dans la pensée grecque jusqu'à Aristote, Paris; Les Belles Lettres, 1982, p. 215: «l’un dans le domaine politique, l’autre dans le domaine des meeurs». 5 La valenza morale è desumibile anche dalla derivazione etimologica di tropos da trepein (‘dirigere’). 59 4[...] in quanto si estende (indem sie ausstrahlte) alle più svariate sfere e manifestazioni della vita (auf die verschiedensten Lebensgebiete und -4uBerungen) e le informa di sé (und diese von sich aus mit-formte)»: MEIER, Die Entstehung des Politischen..., cit., p. 45. Cfr. anche P. CARTLEDGE, La politica, in S. SETTIS (a cura di), I Greci. Storia Cultura Arte Società. 1. Noi e i Greci, Torino, Einaudi, 1996, pp. 39-72: «per
parafrasare Brecht, per i Greci anzitutto veniva la politica (compresa die Moral) [...]» (p. 44).
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Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
sola funzione di governo del koinon). Vanno tuttavia segnalati i punti di contatto (e di scambio semantico) fra le due nozioni: l’ampio spettro dei fropoi può arrivare a comprendere anche le «istituzioni pubbliche dello stato ateniese»! e la politeia può designare lo ‘statuto’, la ‘complessione’, il ‘regime”, l’‘abito etico’, della polis*! in un senso più estensivo rispetto a quello politico, che resta comunque il significato basico del termine. Ed è lo stesso Pericle a rendere ragione di questa contiguità quando afferma che i megala (la ‘grandezza’, le ‘grandi cose’) degli Ateniesi dipendono dal concorso del fattore politico e di quello costumale: due concause, un unico effetto.
3. Siamo giunti al punto focale dell’epitafio: la descrizione dei tratti salienti della politeia democratica. Qui, tra sottintesi e ambivalenze*, si corona il «sottile gioco di dissimulazione dell’io parlante, Pericle, e dell’io scrivente, Tu-
cidide, dietro la persuasività sempre più evidente delle argomentazioni»*. In altri termini: qui raggiunge il suo apice la tensione tra riscrittura e trascrizione ad verbum, tra tenden-
ziosità e fedeltà a una ‘lettera’ periclea che può essere solo
40 w. LAPINI,
Commento
all’Athenaion
Politeia
dello Pseudo-Seno-
fonte, Firenze, Università degli studî di Firenze, Dipartimento di Scienze dell’antichità “Giorgio Pasquali”, 1997, p. 17, con riferimento a TUCIDIDIIIEZIoA,
1! Appare molto pertinente il rilievo di EDMUNDS, Chance and Intelligence..., cit., p. 47: «If one considers the tripartite division of the subject announced in 2.36.4 (epitedeusis, politeia, tropoi), it is curious how
little Pericles says about the politeia as a system of laws and how much, by comparison, about the practices and habits of the citizens». 4 «Pericles’ Funeral Oration is deeply complex and often seemingly deliberately ambiguous, both in its syntax and in its presentation of the polis»: OBER, Political Dissent..., cit., p. 84 (c.vo non testuale). 4 D. LANZA, La disciplina dell’emozione. Un’introduzione alla tragedia greca, Milano, il Saggiatore, 1997, p. 123.
Su Tucidide, II, 35-37,1
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congetturata. E non è un caso che questa sezione dell’epitafio, indissociabile dai giudizî complessivi di Tucidide su Pericle e sulla democrazia periclea e post-periclea, susciti i conflitti interpretativi più aspri. Di questi conflitti bisognerà dar conto; ma prima occorre tornare a quell’avvertenza di Canfora che ho posto in apertura del secondo paragrafo. Sarebbe un errore attribuire all’epitafio, magari per non sminuirne il valore documentale (il valore di ‘fonte’ elettiva di una possibile teoria democratica classica), uno scopo meramente illustrativo dei profili ‘istituzionali’, degli elementi strutturali della politeia democratica. L’orazione funebre trova la sua forza e il suo senso nell’evocazione di qualcosa di più profondo: un sistema di valori, una forma di vita, un codice culturale. Il che, espres-
so nelle parole-chiave della prothesis, suona: la democrazia è insieme politeia e tropoi, situandosi al centro della loro intersezione*. Il primo nodo da sciogliere è dunque la ‘definizione’ di demokratia. Essa è preceduta dalla rivendicazione della specificità ateniese di una politeia che «non si propone di imitare (ou zelousei) le leggi di altri popoli (tous ton pelas nomous): noi non copiamo nessuno (e mimoumenoi heterous), piuttosto
siamo noi a costituire (autoi ontes) un modello (paradeigma de mallon) per gli altri» (II, 37, 1). Siamo di fronte a un punto alto di intensità retorica. La riprova è offerta, ancora
una
volta, dal verbo alla prima persona plurale (chrometha: da chre-
44 KAKRIDIS, Der thukydideische Epitaphios..., cit., p. 22, rileva come la distinzione non rigida e l'intreccio reciproco tra i fattori d’incremento della potenza imperiale (la politeia e i tropoi di II, 36, 4) trovino un preciso riscontro nella successiva descrizione della politeia democraticarin democrazia non è possibile «separare» (trennen) la «vita della comunità» (Leben der Gemeinde) dalla «vita del singolo» (Leben des Einzelnen), il «carattere dell'ordinamento politico» (Beschaffenheit der Verfassung) dal «contegno e dalla disposizione d’animo dei cittadini» (Haltung und Gesinnung der Biirger).
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Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
sthai, ‘usare’, ‘servirsi’, ‘praticare’, ‘fruire’, con il dativo) che
apre la proposizione principale veicolando un senso di forte identità collettiva: «Noi facciamo uso di una politeia che non imita (politeiai ou zelouseî) [...]». Questo il significato letterale dell’incipit, dal quale emerge con chiarezza che la
politeia, per la comunità
politica dei cittadini, è un ‘asd.
una ‘pratica’ con la quale si ha dimestichezza, ma anche un’‘acquisizione’, una ‘proprietà comune”. Della politeia si fa esperienza concreta. Se è un paradeigma, un modello, un’astrazione, lo è per gli altri che vorranno
imitarla, non
per gli Ateniesi che la esercitano, ne partecipano, la vivono”. Ritroviamo una formulazione analoga, con la variante di polis in luogo di politeia e con una diversa sfumatura di significato dettata dal contesto, in Euripide (Ione, v.
602): ton...chromenon te tei polei (= ‘coloro che prendono parte alla politica’). Fin qui nulla di ambiguo. Nulla che impedisca alla platea di continuare a rimirarsi nello specchio della lusinga oratoria. Al confronto, il passaggio successivo fa registrare una caduta dell’intensità. Il tono si fa distaccato e il senso delle parole meno univoco: «Si chiama democrazia (kai onoma men... demokratia kekletai), poiché nell’amministrare (dia to... oikein) si qualifica non rispetto ai pochi (me es oligous), ma alla maggioranza (all’es pleionas)» (II, 37, 1). * Lo evidenzia EDMUNDS, Chance and Intelligence..., cit., p. 45: But the Athenians, in using a constitution (chrometha...politeiai 2.37.1) of this sort, in which rational freedom comes into play, have innovated» (c.vo non testuale). 1° Cfr., sui nessi tra il significato basico di ‘possesso’ e quello derivato di ‘uso’, G. SEMERANO, Le origini della cultura europea. Vol. II. Dizio-
narî etimologici. Basi semitiche delle lingue indeuropee. I. Dizionario della lingua greca, Firenze, Olschki, 20002 (I ed. 1984), p. 319, ad voc. chraomai. 17 Sulla stessa linea RAAFLAUB, Die Entdeckung der Freiheit..., cit., p. 287: «Pericle analizza i tratti distintivi (Kennzeichen) dell’organizzazione politica (der politischen Organisation) e della convivenza nello Stato (des staatlichen Zusammenlebens) (politeia) degli Ateniesi».
Su Tucidide, II, 35-37,1
69
Così traduce Mariella Cagnetta. Addurrò alcuni esempî di soluzioni alternative (in prevalenza traduzioni, in qualche caso
parafrasi), discutendo
anche, ove
siano
esplicitate, le
motivazioni delle rispettive scelte. Distribuirò gli esempî collazionati in due linee interpretative, a seconda dell’accezione di demokratia che privilegiano:
I. Il demos come maggioranza assembleare come soggetto attivo della decisione politica:
e
1.1. Francesco di Soldo Strozzi: «Onde il governo nostro è chiamato Democratia, perche l’amministratione della Republica non è posta solamente in pochi, ma in pur as1y48 Sa: 1.2. Ernest Friedrich Poppo, Johannes Matthias Stahl: «quod non ad paucos, sed ad plures redacta administratur» [quanto al nome, si chiama democrazia] (perché è amministrata essendo stata ricondotta non a pochi, ma ai molti)’. Nel prosieguo dell’apparato critico si specifica il senso della locuzione «ad paucos/plures redigere»: ciò che si riduce/riconduce a pochi o a molti (e che consente di distinguere con sicura esattezza una costituzione democratica da una oligarchica) è «imperium vel respublica» (l’‘autorità politica’ o la ‘forma di governo’). 48 Gli otto libri di Thucydide atheniese, Delle guerre fatte tra popoli della Morea, et gli Atheniesi, nuovamente dal Greco idioma, nella lingua Thoscana, con ogni diligenza tradotto, per Francesco di Soldo Strozzi Fiorentino, In Venezia Appresso Baldassar de Costantini, Al Segno di S. Giorgio, 1545, $ 132, p. 927.
-4 THUCYDIDIS de Bello Peloponnesiaco libri octo. Ad optimorum librorum fidem editos explanavit ERNESTUS FRIDERICUS POPPO. Editio tertia, quam auxit et emendavit IOANNES MATTHIAS STAHL. Vol. I. Sect. II. Lipsiae, in Aedibus B.G. Teubneri, 1889, p. 75.
50 Ibidem.
70
Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
1.3. Johannes Classen, Julius Steup: «weil die Staatsverwaltung nicht auf einer Minderzahl, sondern der Mehrzahl der Biirger beruht» [quanto al nome, si chiama democrazia] (perché l’amministrazione dello Stato non appartiene a una minoranza, ma alla maggioranza dei cittadini)?!. Questa la traduzione. Nella nota di commento si precisa come la definizione periclea sveli il carattere intrinseco della politeia democratica: l'esclusione della minoranza. Con sospetta franchezza, l'oratore non ha remore
a inserire in un contesto
celebrativo della democrazia un topos della retorica antidemocratica: «nel nome ‘democrazia’ si trova sempre una restrizione (liegt immer eine Beschrinkung), l'esclusione della parte avversa degli oligoi (der Ausschluf der Gegenpartei der oligoi)»”. 1.4. Edgar Cardew Marchant: «our constitution is called a democracy [because] the administration is in the hands not of a few but of the majority»?3. I. 5. Johannes Theoph. Kakridis: «Die athenische Staatsverfassung beruht nicht auf der Minderheit der Biirger, sondern auf ihrer Mehrzahl [...]; deshalb ist ihr Name Demokratie» (La costituzione ateniese non si fonda sulla minoranza
dei cittadini ma
sulla loro maggioranza; proprio
per questo si chiama ‘democrazia’)?. Muovendosi, sia nel commento sia nella traduzione, nella direzione interpretativa di Classen e Steup, Kakridis ravvisa nella formulazione periclea un’aporia tra demokratia e uguaglianza. La democrazia implica necessariamente parzialità, in quanto essa si
configura come un regime politico per definizione sbilan5
Thukydides erklért von }. CLASSEN, zweiter Band, zweites Buch,
vierte Auflage, besorgt von J. STEUP, Berlin, Weidmann, 92 Ibidem.
1889, p. 65.
°3 MARCHANT, Thucydides..., cit., p. 170. 9 KAKRIDIS, Der thukydideische Epitaphios..., cit., p. 25.
Su Tucidide, II, 35-371.
71
ciato” a favore di una frazione del corpo civico (i pleiones che s’identificano con il demos) alla quale assegna il primato (il kratos come titolarità esclusiva dell’autorità politica) a danno dell’altra (che diventa la parte esclusa): «il suo nome dimostra che l’uguaglianza di tutti i cittadini (die Gleichheit aller Biirger) non appartiene al suo programma (nicht zu ihrem Programm gehòrt)»5. Dunque una democrazia insieme ‘faziosa’ e ‘totalitaria’ («nel molto c’è il tutto»): una linea di argomentazione sulla quale dovremo tornare più avanti.
1.6. Jacqueline de Romilly: «Pour le nom, comme les choses dépendent non pas du petit nombre mais de la majorité, c'est une démocratie»?8.
1.7. Wolfgang Schadewaldt: «Mit Namen wird sie, weil wir
uns
nicht
auf
eine
Minderheit,
sondern
auf
die
Mehrheit im Volke stiitzen, Volksherrschaft genannt» (Si chiama autorità del popolo perché noi ci reggiamo non su una minoranza ma sulla maggioranza nel popolo)”.
9 Cfr. A.G. WOODHEAD, Thucydides on the Nature of Power, Cambridge (Mass.), Harvard University Press for Oberlin College, 1970, p. 33:«There was an imbalance of its [scil. the kratos] distribution».
56 KAKRIDIS, Der thukydideische Epitaphios..., cit., p. 25. 7 CANFORA,
Tucidide e l’impero..., cit., p. 87, richiama l’attenzione
sul carattere «totalitario-demagogico» di un «sistema che il Pericle dell’epitafio a fatica difende, non ignaro di critiche feroci quali quelle dello Pseudo-Senofonte». 98 THUCYDIDE, La guerre du Péloponnèse, Livre II, texte établi et traduit par J. de Romilly, Paris, Les Belles Lettres, 1962, p. 27.
5? w. SCHADEWALDT, Die Rede des Perikles fir die Gefallenen. Thukydides II, 34-46, in ID., Hellas und Hesperien. Gesammelte Schriften zur Antike und zur neueren Literatur, Ziirich, Artemis, 1970°, Bd. I, pp. 593-600, ora anche in K. GAISER, Das Staatsmodell des Thukydides. Zur Rede des Perikles fiir die Gefallenen, Heidelberg, Kerle, 1975, pp. 7-16 (da cui si
cita la p. 9).
»
72
Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
1.8. Georg Peter Landmann: «Mit namen heisst sie, weil der Staat nicht auf wenige Biirger, sondern auf eine gròssere Zahl gestellt ist, Volksherrschaft» (Quanto al nome, si chiama ‘democrazia’ perché lo Stato si regge non su pochi cittadini ma su un numero più elevato). 1.9. Ezio Savino: «E il nome che gli conviene è democrazia, governo nel pugno non di pochi, ma della cerchia più ampia di cittadini»®!. 1.10. Walter Robert Connor: «The civic pattern of Athens [...] was in a name democracy, since administrative power resided not with the few but with the many»®2. 1.11. Mauro Moggi: «Quanto al nome, dal momento che è affidato non alla volontà di pochi, ma a quella della maggioranza, tale regime è definito democrazia». 1.12. Kurt A. Raaflaub: «Dem Namen nach handelt es sich, weil nicht eine Gruppe von Wenigen, sondern die Mehrheit ausschlaggebend ist, gewiB um eine Demokratie» (Quanto al nome, si tratta certo di una democrazia, perché è determinante non un gruppo di pochi ma la maggioranza). ‘Determinante’, chiarirà Raaflaub tornando sull’ar-
gomento in un articolo dell’89, significa che «Democracy [...] is based on decision by majority»99. %
G.P. LANDMANN,
Das
Lob Athens
Thukydides II 34-41, in «Museum
in der Grabrede
des Perikles.
Helveticum», vol. 31, fasc. 2 (1974),
pp. 65-95 (la citazione è tratta dalla p. 80).
© TUCIDIDE, Guerra del Peloponneso, trad. di E. Savino, Milano, Garzanti, 1974, p. 114.
° CONNOR, Thucydides, cit., pp. 226-227. ° TUCIDIDE, La guerra del Peloponneso, a cura di M. Moggi, Milano, Rusconi, 1984, p. 209. ° RAAFLAUB, Die Entdeckung der Freiheit..., cit., p. 287. STD, Contemporary Perceptions..., cit., p. $6.
Su Tucidide, II, 35-37,1
73
1.13. Peter John Rhodes: «The name given to this constitution is democracy, because it is based not on a few but on a larger number». Il senso della definizione, per Rhodes, risiede nell’antitesi tra democrazia («people-powern 0, secondo l’accezione aristotelica, «rule of the many» o «rule of the poor») e oligarchia («rule of the few»), tra modello ateniese e modello spartano. Pericle non prende affatto le distanze dalla parola (dali’‘etichetta’: label) demokratia che ‘contrassegna’ la politeia di Atene: «I have not accepted the argument of some scholars [...] that the use of men and de here shows that Pericles is praising the Athenian constitution despite the attachment to it of the label democracy»98. 1.14. Edward Monroe Harris: «[the Athenian political system] is called a democracy because the management of affairs is not in the hands of a few but in the hands of the majority»®?. Questa traduzione si regge su tre argomenti.
Il primo è che il brano contiene un’allusione al principio maggioritario: i più sono la maggioranza assembleare, la parte preponderante dell’ekklesia. Il secondo è che il termine demokratia, scomposto nei suoi elementi costitutivi (demos e kratia), «deve significare nella combinazione morfologica ‘potere del popolo” (power of the people), come oligarchia significa “governo dei pochi” (rule of the few)»?®.Va da sé che in tanto è possibile attribuire a demokratia la valenza di ‘demos dominante’, in
quanto è il demos (inteso come maggioranza in assemblea) a 60 THUCYDIDES, History. II, edited with translation and commentary
by P.J. Rhodes, Warminster, Aris & Phillips, 1988, p. 81.
67 Ivi, p. 219. - 98 Ibidem. 6? E.M. HARRIS, Pericles’ Praise of Athenian Democracy. Thucydides 2.37.1, in «Harvard Studies in Classical Philology», 94 (1992), pp. 157167 (la citazione si riferisce alla p. 161).
70 Ivi, p. 164.
74
Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
decidere sulle questioni più rilevanti. In termini più astratti: i più sono il soggetto attivo, la «fonte»”!, dell’oikein. In questo modo, aggiungerei, oikein finisce per coincidere con archein: al kratos, alla ‘possibilità’ di prevalere, si accompagna, inevitabilmente, archein, in forza di una «legge umana e più che umana». «Un necessario e naturale impulso (hypo physeos anankaias) spinge a dominare su colui che puoi sopraffare (hou an kratei, archein)» (V, 105, 2; trad. di L. Canfora), come rispondono i legati ateniesi ai Melii, enunciando un «rigoroso teorema del potere»?. Molto acuta, e centrale per la nostra impostazione dell’analisi, la conclusione
tratta da Harris: in caso contrario
(ossia: qualora demokratia non significasse «governo. nelle mani della maggioranza assembleare»), ogni genere di politeia potrebbe legittimamente qualificarsi ‘democratico’, purché chi governi lo faccia «for the benefit of all, or most, cit-
izens»?*.
7"! Impiego il concetto di ‘fonte’ («“‘chi” governa») nel senso di M. STOPPINO, La teoria pura della politica di Bertrand de Jouvenel, in «Quaderni di Scienza Politica», III (1996), pp. 349-392, ora in ID., Potere ed élites politiche. Saggi sulle teorie, Milano, Giuffrè, 2000, pp. 149-199 (da cui si cita
latpans2)i 72 CANFORA, Tucidide e l’impero..., cit., p. 83. 7 Adatto al contesto tucidideo il felice sintagma di M. VEGETTI, Quindici lezioni su Platone, Torino, Einaudi, 2003, p. 91, che invece riassume l'argomento di Trasimaco in Repubblica, I, 338c. E NIETZSCHE,
Menschliches, Allzumenschliches (= Umano, troppo umano: la prima edizione è del maggio 1878, Chemnitz, editore Schmeitzner), I, 92, in ID., Kritische Studienausgabe, hrsg. v. G. Colli u. M. Montanari, Bd. 2, Berlin-New York,
de Gruyter, 1988°, pp. 89-90, subisce la fascinazione del «terribile» (furchtbar) colloquio melio-ateniese nel quale è enunciata in forma di legge una verità ancor più tremenda: la giustizia presuppone assenza di «superiorità chiaramente riconoscibile» (keine deutlich erkennbare Uebergewalt). Una Uebergewalt manifesta implica solo kratos, solo dominio del più forte sul più debole. Cfr., sul Tucidide di Nietzsche, C. GINZBURG, Rapporti di forza. Storia, retorica, prova, Milano, Feltrinelli, 2000, pp. 15-22. 7 HARRIS, Pericles’ Praise..., cit., p. 164.
Su Tucidide, II, 35-371
75
Il terzo e ultimo argomento attiene invece all'uso tucidideo della preposizione es, il cui valore «in constitutional contexts» corrisponde a «in control of°’»??, dunque ‘nelle mani di’. All’interpretazione proposta da Harris fa esplicito rinvio quella di Mogens Herman Hansen: «It has the name democracy [...] because government is in the hands not of the few but of the majority»?. 1.15. Francesco Ingravalle: «Viene anche usato il nome di democrazia per indicare che ci amministriamo non attraverso un gruppo ristretto, ma allargato alla maggior parte dei cittadini»”. 1.16. Domenico
Musti: «Quanto a nome
si chiama de-
mokratia, per il fatto di non reggersi [...] a pochi [...] ma a maggioranza»”8. Il valore annesso a oikein intransitivo, nonostante le apparenze, coincide sostanzialmente con la traduzione di Mariella Cagnetta: «oikein significa “abitare”, ma “abitare” nel senso di ‘essere amministrati”, “reggersi a’’»??. Un significato politico, dunque. Tuttavia l’interpretazione complessiva della subordinata è diversa. Per Musti, ‘reggersi’ a ‘coloro i quali sono di più’ (es pleionas: l'aggettivo è di grado comparativo) equivale a «governo della maggioranza del popolo [...]. La democrazia è un regime della maggio-
PVI, prios. 7 M.H. HANSEN, The Ancient Athenian and the Modern Liberal View of Liberty as a Democratic Ideal, in OBER-HEDRICK (eds.), Demokratia..., cit.,
pp. 91-104 (la citazione è tratta dalla p. 92; il rinvio a Harris è a p. IOIN.). 77 TUCIDIDE, LISIA, PLATONE, DEMOSTENE, IPERIDE, Morire per la libertà. Gli epitaffi ateniesi tra V e IV sec. a.C., cura e traduzione di F Ingravalle, Torino, La Rosa, 1996, p. 12.
78 MUSTI, Demokratia..., cit., p. 11. 79 Ibidem. Si veda anche il commento
DOU Xyngraphe..., cit., p. 196.
ad loc. di KRÙGER, THUKYDI-
76
Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
ranza»8. Anche in questo caso la definizione di democrazia si configura come una definizione ‘formale’, perché incentrata sulla fonte dell’oikein, sul titolare, non sul contenuto e sui fini, della decisione politica. L'affermazione che il kratos,
la supremazia ‘legale’, risiede nei più implica necessariamente che i più governino, che i più detengano il monopolio della decisione. 1.17. Hartmut Leppin (una parafrasi): «sie [scil. die Verfassung Athens] besteht in der Herrschaft des Volkes — Perikles benutzt hier das Wort demokratia —, nicht in der Do-
minanz einer kleinen Gruppe» (la costituzione di Atene si regge sul potere del popolo — Pericle usa qui la parola demokratia —, non sulla prevalenza di un piccolo gruppo)”. A giudizio di Leppin, la formulazione scelta (onoma men... demokratia kekletai) non sottintende alcun divario tra il ‘nome’ (onoma) e la ‘cosa’ democrazia; vi è anzi piena corrispondenza tra ciò che la democrazia è «di fatto» (tatsichlich)** e la sua caratterizzazione nell’epitafio.
1.18. Oddone Longo: «Il suo nome è democrazia, poiché si fonda non su cerchie ristrette, ma sulla maggioranza dei cittadini»®8.
1.19. Ugo Fantasia: «Quanto al nome, per il fatto che il governo non è nelle mani di pochi, ma della maggioranza, esso si chiama democrazia». Per completezza va riportata 80 MusTI, Demokratia..., cit., pp. 11-12. °! Cfr. H. LEPPIN, Thukydides und die Verfassung der Polis. Ein Beitrag zur politischen Ideengeschichte des 5. Jahrhunderts v. Chr., Berlin, Akademie Verlag, 1999, p. 87.
82 Ibidem (in nota).
8 TUCIDIDE, Epitafio di Pericle..., cit., p. 35. S*«TUCIDIDE: La guerra del Peloponneso. Libro II, testo, traduzione e commento con saggio introduttivo a cura di U. Fantasia, Pisa, ETS, 2003,
Py
Su Tucidide, II, 35-371
77
anche la sobria nota di commento: si tratta di una traduzione «che inevitabilmente si allontana in una certa misura
dall’originale»85.
2.Il demos come destinatario della decisione politica
2.1. Lo scoliaste: «è democrazia non per il fatto che si governi in molti (ou’ para to pollous oikein gine[ta|]i demokratia), ma piuttosto significa questo (a[[]la toiouton legei) in quanto le cose non sono amministrate a vantaggio di un’o-
ligarchia (dia to me pros o[l}igarchian dioikeisthai ta pragmata) ma nell’interesse della maggioranza (alla eis [to] tou plethous sympheron)»8. Interpretazione che richiama un limpido passo ‘tucidideo’*’ della biografia di Apollonio di Tiana del neosofista severiano Flavio Filostrato, nel quale la prospettiva di II, 37, 1 si salda con quella di II, 65, 9: «Come un solo
uomo eminente per virtù (heis aretei prouchon) trasforma la democrazia nel governo del migliore (methistesi ten demokratian es to henos andros tou aristou archen phainesthai), così il governo di uno solo (he henos arche), quando sia rivolto in tutto all’utile della comunità (panta es to xympheron tou koinou proorosa), è governo popolare (demos estin)» (Vita di Apollonio di Tiana,V, XXXV)8. In entrambi i prelievi democrazia è l’aver cura della sfera comune, il provvedere (questo il
senso letterale di pro + horan) al koinon. 85 Ivi, p. 378. 80 Scholia in Thucydidem ad optimos codices collata, edidit Carolus Hude, Lipsiae in Aedibus B.G. Teubneri MCMXXVII, p. 131. 87 «Questa dichiarazione di Apollonio, cioè (diciam meglio) di Filostrato, è tucididea, nel suo presupposto»: S. MAZZARINO, Il pensiero storico.classico, vol. III, Roma-Bari, Laterza, 19974 (I ed. 1965-66), p. 289.
188 Sul passo di Flavio Filostrato e, più in generale, sulla caratterizzazione di Pericle come princeps si veda L. CANFORA, Il Pericle di Plutarco: forme del potere personale, in 1. GALLO-B. SCARDIGLI (a cura di), Teoria e prassi politica nelle opere di Plutarco, Atti del Convegno plutarcheo (Cet-
78.
Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
2.2. Lorenzo Valla: «snomenque habemus non quod ad paucos sed quod ad multos pertinet, democratia» (e abbiamo come nome demokratia in quanto si riferisce non a pochi ma a molti)®?. In questa traduzione memorabile tosa di Pontignano, 7-9 giugno 1993), Napoli, D'Auria, 1995, pp. 83-90
(il commento a Vita di Apollonio di Tiana,V, xXxv è alle pp. 89-90). Sull’uso più antico (poi aristotelico) della sinonimia di demos e demokratia è illuminante CHR. MEIER, Entstehung des Befriffs “Demokratie”. Vier Prolegomena zu einer historischen Theorie, Frankfurt a.M., Suhrkamp, 1970, p. 40n. 8 Bib. Ap. Vaticana, Cod. Vat. lat. 1801 = Laurentii Vallensis e graeco in latinum translatio Thucydidis ad sanctissimum dominum nostrum dominum Nicolaum papam Quintum, fol. 36v. Sulla necessità di citare dall’esemplare manoscritto conforme al chirographum valliano (copista Ioannes Lamperti de Rodenberg: fol. 184r.), e non dalle successive edizioni a stampa si veda G.B. ALBERTI, Tucidide nella traduzione latina di Lorenzo Valla, in «Studî italiani di filologia classica», vol. XXIX, fasc. 2 (1957), pp. 224-
249: «Di questa traduzione non esiste l’autografo, ma esiste una copia manoscritta, il codice Vaticano latino 1801, il quale reca una sottoscri-
zione per mano dello stesso Valla, che dichiara di volerlo considerare come l’unico testo autorizzato della sua versione. Perciò su questo manoscritto dobbiamo leggere la traduzione latina del nostro umanista, lasciando da parte le edizioni a stampa che dell’opera del Valla sono state successivamente fatte dai varî Parthenius, Ascensius, Heresbachius, Stephanus e Portus, edizioni che hanno via via modificato sensibilmente il
testo genuino [...]» (p. 224). Forse eccessivamente severo il giudizio su Valla traduttore: «[...] ad un attento esame Valla si rivela tutt'altro che fedele e scrupoloso nel tradurre, [...] per congetturare occorre essere bravi grecisti ed avere studiato a lungo i passi difficili: questo non è il caso del Valla, il quale commette numerosi errori di traduzione e dà l'impressione di aver lavorato in fretta e senza eccessiva cura» (p. 225). Categorico W. WESTGATE, The Text of Valla» Translation of Thucydides, in «Transactions and Proceedings of the American Philological Association», LXVII (1936), pp. 240-251: «It is to be noted at once that the true text of Valla” Translation has never been printed» (p. 241; c.vo non testuale). Il che è dovuto a una scelta degli editori, i quali, «ignorando sistematicamente il Vat. lat. 1801, hanno rivolto la loro attenzione agli apocrifi e, inoltre, nella presunzione di correggere Valla in base ad un testo greco diverso da quello adoperato dall’umanista, sono intervenuti spesso arbitrariamente modificando sensibilmente la struttura dell’opera valliana»: E FERLAUTO, Il testo di Tucidide e la traduzione latina di Lorenzo Valla, Pa-
Su Tucidide, II, 35-37,1
79
(1448-1452; committente papa NiccolòV) si perde l’opposizione tra i ‘pochi’ e i ‘più’, con il suo sottofondo di partigianeria, di prevaricazione e di esclusione della controparte: viene soppresso qualsiasi elemento di kratos. Di Tucidide Valla tenta di conservare l’ambivalenza della costruzione es + accusativo, resa con pertinere ad, che è formula
voluta-
mente ambigua, soprattutto se la confrontiamo con la postilla marginale valliana suil’oligarchia dei Lacedemoni. Qui la definizione suona tanto esplicita quanto univoca: «Oligarchia. i. paucorum principatus est Lacedaemoniorum»®. 2.3. Claude de Seyssel (calco francese della traduzione di Valla «che gli era risultata molto oscura»: il savoiardo non conosce il greco ed è costretto a valersi della consulenza di Giano Lascaris): «Aussi nostre gouvernement s’appelle Democratie / qui ne convient pas a peu de gens maîs a plusieurs». Due i tratti distintivi: il primo consiste nel ripristino dei gradi originarî degli aggettivi sostantivati (rispettivamente positivo e comparativo) e nel conseguente rilermo, Università di Palermo, Istituto di Filologia greca, 1979, p. 9. Tut-
tavia il passo in questione non evidenzia corruttele o emendazioni nelle edizioni a stampa che ho potuto consultare: quelle di Konrad Heresbach (Conradus Heresbachius), THUCYDIDIS ATHENIENSIS historiographi De Bello Peloponnensium Atheniensiumque libri octo. Laurentio Valla interprete: et nunc a Conrado Heresbachio ad Graecum exemplar diligentissime recogniti: Colonia excudebat Iaspar Gennepaus, Anno MDL, p. 55; di Sebastien Chateillon, THUCYDIDES,
Laurentio Valla interprete. Nunc
postremo correctus, & ex Graeco innumeris locis emendatus, quemadmodum ex Praefatione in proxima pagina videre licet. Basileae. Impensis Henrici Petri et Materni Collini. Anno Domini MDLXINMI, p. 72. 20 Bib. Ap.Vaticana, Cod. Vat. lat. 1801, fol. 361. 21 G. CAMBIANO, Polis. Un modello per la cultura europea, Roma-Bari, Laterza, 2000, p. 142.
92 L’histoire de Thucydide Athenien, de la guerre, qui fut entre le Pelo-
ponnesiens et Atheniens, Translatee en langue Francoyse par feu Messire Claude de Seyssel lors Euesque de Marseille et depuîs Archeuesque de Turin, Imprime a Paris: en l’hostel de maistre fosse Badius libraire ‘et
8o
Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
stabilimento della più netta forma antitetica della proposizione subordinata; il secondo, più appariscente, risiede nella scelta del verbo convenir (= ‘accordarsi con’, ‘esser proprio di’, ‘addirsi’, in un senso prossimo al pertinere ad valliano, ma anche ‘convenire’, nel senso del ‘vantaggio’, del ‘beneficio’)
che depone a favore di una possibile lettura di demokratia come regime che persegue l’utile della maggioranza e dunque ‘conviene’ ai più. 2.4. Henricus Stephanus (Henri Estienne), parafrasi marginale? a Lorenzo Valla: «Et nomine quidem, propterea quod non ad paucorum sed ad complurium commodum eam gerimus, democratia
vocatur. i. imperium populare» (E
quanto al nome, si chiama demokratia, cioè potere popolare, in quanto l’amministriamo a vantaggio non di pochi ma dei più)”. L'intervento esplicativo di Stephanus sulla versione di
imprimeur demourant en la rue sainct Iacques, empres la fleur de Lis, acheue le dixiesme iour d’aoust 1527, Libre. II. Chap.VII. Fo. LIM.w. 93 Giustamente WESTGATE, The Text of Valla*..., cit., pp. 245-246, definisce il lavoro di parafrasi marginale come «his [scil. di Stephanus] own new version of whole sentences in the margin». Revisione, quella di Stephanus, che presuppone un esame molto critico nei confronti della traduzione valliana. Nel prosieguo Westgate afferma con sicurezza che «all the alternative versions of Stephanus were confined to his margin» (p. 246): una deroga significativa, invece, si può riscontrare proprio per le linee finali di II, 37, 1. Qui il testo del Vat. lat. 1801, fol. 361, è:
«neque propter paupertatem quis quominus publico munere non fungatur dunmodo patriae prodesse possit pro virili parte prohibetun (c.vo non testuale); il testo (non la parafrasi marginale) di Stephanus (cito dall'edizione francofortese del 1589, p. 101, per i cui estremi rinvio alla
nota successiva) è: «neque propter paupertatem quis, quominus publico munere fungatur, dunmodo patriae prodesse possit, dignitatis inopia prohibetum (c.vo non testuale). % THUCYDIDIS de Bello Peloponnesiaco Libri vi. Ex interpretatione Laurentii Vallae, ab Henrico Stephano recognita. In hac secunda editione, quae & accuratior multis partibus, quam prima, & melior est, haec amplius etiam quam in illa, habes:Vitam Thucydidis ex Marcellino
Su Tucidide, II, 35-37,1
81
Valla è duplice. In primo luogo risulta evidente la connotazione ‘finalistica’ della politeia (la sua funzione ‘strumentale’ rispetto agli interessi della maggioranza), peraltro già in nuce nella versione di de Seyssel: la definizione di democrazia appare incentrata non sulla formazione della decisione collettiva ma sul contenuto e dunque sulla ‘destinazione’ dell’oikein, su ciò verso cui l’azione di governo tende (il commodum della maggioranza, corrispondente al sympheron dello scoliaste). Il secondo tratto distintivo è costituito, come in de Seyssel, dal restauro dei gradi degli aggettivi: compluies (= i più) si compone del prefisso cum- e di plures che è comparativo di multus. 2.5. Aemilius Portus: «Et nomine quidem vocatur Demokratia, [id est, status, sive dominatus popularis,| propterea quod non ad paucorum: sed ad communem utilitatem, [Rem pub. gerimus, ac] administramus» (E quanto al nome, essa si chiama certamente demokratia in quanto governiamo in vista non dell'interesse di pochi ma dell’interesse comune)”. Anche in questo caso registriamo un duplice intercastigatiorem, nunc primum Latinitate donatam: eiusdem integrae Historiae Chronologiam cum singulorum brevibus argumentis [...], Francofurdi, Apud heredes Andreae Wecheli, Claudium Marnium
& Ioann.
Aubrium. MDLKXXXIX, p. 101 n. 5. Nell'edizione ginevrina (Aureliae Allobrogum) dell’anno precedente, THUCYDIDIS de Bello Peloponnesiaco Libri vu. lidem latine, ex interpretatione Laurenti Vallae, ab Henrico Stephano recognita. In hac secunda editione quae amplius quam in prima praestita fuerint, extrema ad lectorem epistola docebit. Excudebat Henricus Stephanus Anno MDLXxxvIII, la glossa figura a p. 123, n. c. In entrambe le edizioni non si rilevano varianti alla traduzione di Valla del passo di cui ci stiamo occupando. 9 THOUKYDIDOU TOU OLOROU, peri tou Peloponnesiakou Polemou Biblia okto, THUCYDIDIS OLORI FILI de Bello Peloponnesiaco libri octo. Iidemi Latine, ex interpretatione LAURENTII VALLAE, ab Henrico Stephano recognita, quam Aemilius Portus, Francisci Porti Cretensis F. paternos commentarios accurate sequutus, ab infinita gravissimorum errorum multitudine noviBime repurgavit, magnaq diligentia pafim expolitam
82
Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
vento (su Stephanus e su Valla, di cui Portus contamina arbitrariamente la traduzione che ora appare ben più corretta ma lontanissima dall’archetipo)?. A una gerarchia (kratos) fondata sul ‘numero’ (criterio unico di attribuzione dell’autorità politica) subentra una gerarchia di valori al cui vertice sta la communis utilitas. Portus mutua da Stephanus la connotazione finalistica della politeia, sostituendo però complurium commodum con communis utilitas, ossia con la ‘convenienza’ dell’intera comunità politica, della xympasa polis, non più distinta in maggioranza e minoranza. Per valutare
se una
politeia sia democratica,
occorrerà
dunque
guardare ai moventi e agli esiti finali dell’agire teleologico dei decisori, indipendentemente dal loro numero. E questa l’implicazione più ambigua e rilevante dell’intervento di Portus, memore, forse, anche della glossa paterna, nei com-
mentarî stampati in coda al volume (Francisci Porti Cretensis in Thucydidem Commentarii, p. 132 della paginazione autonoma: «Democratia. Status popularis, nomine Democratia, re Aristocratia est»).
Una zione
notazione
conclusiva
di Valla, dalla redazione
sulla vicenda
della tradu-
del codice Vaticano
latino
1801 all’ultima delle edizioni a stampa collazionate: quello appena ripercorso rappresenta, 10 credo, un capitolo non del tutto trascurabile di «una storia delle idee che voglia dimensionarsi come storia della tradizione e della fortuna dei classic. innovavit. Francofurti, Apud heredes Andreae Wecheli, Claudium Marnium, & Ioan. Aubrium, MDXCIV, p. 122. °° Puntuale wESTGATE, The Text of Valla*..., cit., p. 246: «This, by its title page is so far and so patently removed from the text even of Stephanus that none could think it to represent the text of Valla accurately; at the same time, its superiority to the text of Stephanus, as a translation, caused it to be widely reprinted with but occasional and minor alterations». ?7 €. BOLOGNA, Tradizione e fortuna dei classici italiani. I. Dalle origini al Tasso, Torino, Einaudi, 1993, p. 120.
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2.6. Thomas Hobbes: «which [scil. a form of government], because in the administration it hath respect not to a few, but to the multitude, is called a democracy» (si chia-
ma democrazia perché nell’amministrazione essa ha uno speciale riguardo nei confronti non di un novero ristretto ma della comunità; in alternativa: perché nell’amministrazione essa fa riferimento non a un novero...)?. Ho reso ‘to have respect to’ con ‘avere uno speciale riguardo nei confronti di’ per non discostarmi troppo dall’originale hobbesiano. Una traduzione meno letterale e più efficace potrebbe equiparare ‘to have respect to’ a ‘to care for’ (= ‘prendersi cura di’) o a ‘to give heed to’ (= ‘prestare attenzione a’). In entrambi i casi è evidente la direzione finalistica impressa al concetto: la democrazia si risolve nel perseguire l’interesse dei cittadini come ‘collettività’. Non credo inoltre che l’ipotesi alternativa (‘to have respect to’ = ‘to have reference to’, dunque ‘far riferimento a’, nel senso del pertinet ad di Valla) possa modificare il senso della frase facendo di multitude il soggetto dell’amministrazione.
98 «[...] la prima rigorosa traduzione di Tucidide in una. lingua moderna»: L. CANFORA, Hobbes e Tucidide, in «Quaderni di storia», 35 (1992), pp. 61-73 (la citazione è tratta dalla p. 61). 9 Eight Books of the Peloponnesian War written by THUCYDIDES the Son of Olorus. Interpreted with Faith and Diligence immediately out of the Greek by TH. HOBBES, Secretary to the late Earl of Devonshire, London, Imprinted for John Bohn, MDCCCxLII (la prima edizione a stampa è del 1629), in The English Works of THOMAS HOBBES of Malmesbury; now first Collected and Edited by Sir William Molesworth, Bart., vol. VIII, London, John Bohn, MDCCCXLIN, p. 191). Il testo greco di riferimento è quello stabilito da Aemilius Portus. Hobbes lo dichiara nell’epistola 70 the Readers, ivi, p. IX: «[...] they [scil. i precedenti interpreti] foliowed the Latin of Laurentius Valla, which was not without some errors; and he a Greek copy not so correct as now is extant. [...] Here-
upon I resolved to take him immediately from the Greek, according to the edition of ZAEmilius Porta: not refusing or neglecting any version, comment, or other help I could come by».
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Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
Venuto meno ogni riferimento al kratos, alla preminenza di un interesse particolare su un altro a esso contrapposto, il beneficiario dell’oikein diventa ora il demos, senza di-
stinzioni di sorta. È per questo che ho preferito non identificare multitude con ‘the many’, nonostante si trattasse della soluzione più ovvia, specie per la polarità con ‘a few”: multitude, come già i multi di Valla e la communis utilitas di Portus, non è ricalcato sul comparativo pleionas (che, comparando, separa, disunisce, discrimina) ma qui assume piuttosto il significato ‘uniformante’ di ‘comunità’ (esemplato su una delle accezioni di multitudo in Tommaso d’Aquino)!, dal quale è esclusa ogni idea di calcolo della maior pars (prevalente in assemblea e quindi nel governo della polis)!®!. E la medesima conclusione cui giungerà un grande esegeta tucidideo dell'Ottocento, Karl Wilhelm Kriiger: «Con l’articolo [scil. tous pleionas] deve significare tous pollous, in quanto qui non si designa soltanto la maggioranza (da hier nicht bloss die Majoritàt bezeichnet wird)»!®. 2.7.Ambroise Firmin-Didot: «Elle s’appelle démocratie, parce qu'elle s'applique non au petit nombre, mais au plus grand»!93. 100 Cfr., tra le varie occorrenze, S.THOMAE AQUINATIS Summa Theologica, Prima secundae, q. 90, art. 3 (= S. TOMMASO D'AQUINO, La Somma
Teologica, traduzione e commento a cura dei Domenicani italiani. Testo latino dell’Edizione Leonina, vol. XII, HI, qq. 90-105, Bologna, Edizioni Studio Domenicano, 1991, p. 36): «Ordinare autem aliquid in bo-
num commune est vel totius multitudinis, vel alicuius gerentis vicem totius multitudinis» (Ora, ordinare al bene comune è compito o di tutta la comunità o di colui che gestisce il potere in sua vece). La traduzione, che rende multitudo con ‘comunità’ (non con ‘popolo’), è di P. GROSSI, L'ordine giuridico medievale, Roma-Bari, Laterza, 1995, p. 8on. !0! In un altro contesto (II, 65, 8) Hobbes rende con ‘multitude’ to plethos (che in questo caso designa non la maggioranza bensì proprio la moltitudine indistinta): Eight Books of the Peloponnesian War..., cit., p. 220. 102 KRUGER, THUKYDIDOU Xyngraphe..., cit., p. 196. !05 Histoire de la Guerre du Péloponnèse par THUCYDIDF. Traduction
Su Tucidide, II, 35-37,1
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2.8. Elie-Ami Bétant: «Elle a recu le nom de démocratie, parce que son but est l’utilité du plus grand nombre et non celle d’une minorité»!%.
2.9. Otto Regenbogen: «Ihr Name heiBt, weil wir nicht in Riicksicht auf wenige, sondern in Ricksicht auf die gròBere Zahl der Biirger leben, Volksherrschaft» (Il suo nome significa autorità del popolo, perché noi viviamo tenendo conto non di pochi ma della maggioranza dei cittadini)!°. L'unico dettaglio di rilievo consiste nell’attribuzione a oikein di un significato non politico (un generico ‘vivere’). Christian Meier, a margine della traduzione di Regenbogen, osserva che è possibile ‘vivere tenendo conto della maggioranza’ solo quando la partecipazione politica cresce. È quanto accadde nelV secolo, allorché ceti medî e inferiori «parteciparono concretamente alla politica nella forma più intensa» (stàrkste an der Politik praktisch beteiligten)!9. Si tratta di un’affermazione ‘realistica’ che congiunge i due angoli visuali finora opposti, delineando una ‘terza via’ interpretativa: per veder tutelati i proprî interessi, i più hanno bisogno di prender parte al processo decisionale, ossia devono ‘pesare’ come maggioranza assembleare.
2.10. Gregory Vlastos: «Though as to its name, because it is ordered with a view to the many, not the few, our con-
stitution is called “democracy’’» (Quanto al nome, la nostra costituzione si chiama “democrazia” perché è disposta in francaise, par Ambr. Firmin-Didot. Avec des observations, par M. de Brussy et Amb. Firmin-Didot. T. I. Paris, Typographie de Firmin-Didot Frères, 1833, p. 283.
104 Histoire de la Guerre du Péloponnèse de THUCYDIDE, traduction nouvelle avec une introduction et des notes par E.-A. Bétant, roÈ° édition, Paris, Librairie de L. Hachette et C', 1869, p. 94. 105 THUKYDIDES, Politische Reden, ausgewahlt, iibersetzt und eingeleitet von O. Regenbogen, Leipzig, Koehler & Amelang, 1949, p. 115. 106 MEIER, Die Entstehung des Politischen..., cit., p. 248.
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Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
vista dei molti, non dei pochi)!”. La democrazia trasferisce sui molti l’attenzione (il ‘riguardo’) prima focalizzata sui pochi. Vlastos intende preservare l'ambiguità, la ‘vaghezza’, della definizione periclea, la reticenza circa il soggetto del kratos. In linea di principio nulla esclude che la modalità fondamentale del perseguimento dell’interesse dei molti sia l'esercizio del governo (l’archein) da parte della maggioranza. Pericle potrebbe sottintenderlo ma certo si guarda dal dirlo in maniera esplicita. Anzi «l’idea delle moltitudini impegnate nella conduzione degli attuali affari di governo (the idea of the masses engaging in the actual business of government) [...] è assente in qualsiasi parte di quest’orazione (is suppressed throughout the whole of this speech)». Del resto la valenza di oikein intransitivo non è sovrapponibile a quella di archein: «Credo sia sbagliato tradurre o commentare (gloss) es pleionas cikein come se significasse senza ambiguità tous pleionas archein en autei oppure pleionas einai tous dioikountas
auten»!*8. Ne
consegue
che, se Tucidide
avesse
voluto identificare la democrazia con il governo della maggioranza numerica, probabilmente avrebbe fatto ricorso a una locuzione molto più esplicita. 2.11. Margherita Isnardi Parente (una parafrasi): «la democrazia si fa vanto [...] di essere il regime che, al di là dell'utile di alcuni, di un ceto, di un gruppo, guarda all’utile comune, costituita in vista dei molti e non di pochi»! La conclusione della Isnardi Parente è coerente con la traduzione di es pleionas con ‘i molti’: intesa come «il regime del
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'0” G.vLAsTOS, Isonomia politike, in J. MAU-E.G. SCHMIDT (hrsg. v.), Isonomia. Studien zur Gleichheitsvorstellung im griechischen Denken, Berlin, Akademie Verlag, 1964, pp. 1-35 (la citazione è tratta dalla p. 29). !08 Ibidem (in nota) per entrambe le citazioni. !0? M. ISNARDI PARENTE, Egualitarismo democratico nella Sofistica?, in «Rivista critica di storia della filosofia», I (1975), pp. 3-26 (la citazione si
riferisce alle pp. 14-15).
Su Tucidide, II, 35-371
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koinon», la democrazia è «superiore agli interessi parziali e settoriali»!!°, 2.12. Isabella Labriola: «Di nome lo si definisce democrazia, perché opera nell’interesse non di pochi, ma della maggior parte»!!!.
2.13. Guido Donini: «E quanto al nome, per il fatto che non si amministra lo stato nell’interesse di pochi, ma di una maggioranza, si chiama democrazia»!!. 2.14. Martin Ostwald: «Thucydides has Pericles define democracy as a form of government “run with a view to the interests of the majority, not of the few”»!!3. La parolachiave della lettura di Ostwald è «welfare»: «In quest'ottica, democrazia non definisce coloro i quali governano ma coloro per il cui benessere è organizzato il governo dello stato (to whose welfare the government of the state is geared)»! 14
2.15. mocracy, many»!!5. ‘majority
Jeffrey S. Rusten: «In name [...] it because we govern not for the Secca la nota di commento: «Note rule’, but ‘rule in the interests of the
is called a defew but the that this is not majority?»!!°.
di ivi, Pesi !!! I LABRIOLA, Tucidide e Platone sulla democrazia ateniese, in «Qua-
derni di storia», 11 (1980), pp. 207-229 20):
(la citazione si riferisce alla p.
112 TUCIDIDE, Le storie, a cura di G. Donini, vol. I, Torino, UTET, 1982, p. 33$-
113 M. OSTWALD, From Popular Sovereignty to the Sovereignty of Law. Law Society, and Politics in Fifth-Century Athens, Berkeley-Los AngelesLondon, University of California Press, 1986, p. 183.
114 Ibidem. 115 RUSTEN, Thucydides..., cit., p. 145.
116 Ibidem.
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Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
2.16. Nicole Loraux: «Parce que notre régime sert les intéréts [...] non pas du petit nombre [...], mais de la majorité [...], c'est une démocratie»!!?. L'‘inquietante’ definizione periclea tronca alla radice il legame tra il significato reale di demokratia e il suo senso letterale, etimologico (la preminenza del demos): «essa designa in realtà il governo per il popolo e il demos qui appare come beneficiario del regime piuttosto che come popolo sovrano (comme bénéficiaire du régime plus que comme peuple souverain)»!!. 2.17. Michael Palmer: «it is called a democracy, because it is administered with regard to the multitude, not the few»!!?. 2.18. Simon Hornblower: «It is true that we are called a democracy, for the administration is run with a view to the interests of the many, not of the few»! 2.19. Josiah Ober: «And it [our politeia] is called by the name |...] demokratia because government [...] is not oriented toward the few [...] but toward the majority»!?!.
4. A] termine di quest’inventario ci troviamo di fronte a una democrazia ‘una e bina’, per richiamare un titolo felicissimo di Emilio Garroni!, e a un Pericle non meno
doppio, come dimostra la difficoltà di scegliere una delle due linee interpretative.
!!7 LORAUX, L’Invention d’Athènes..., cit., p. 189n.
118 Ivi}p. 190. !!° M. PALMER, Love of Glory and the Common Good. Aspects of the Political Thought of Thucydides, Lanham, Rowman & Littlefield, 1992, p. 23. 120 HORNBLOWER, A Commentary on Thucydides..., cit., p. 298. 2! OBER, Political Dissent. .., Cit., p. 80.
(220E. GARRONI, Pinocchio: uno e hino. ; Bari, Laterza, 1975.
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La prima ha il pregio di non censurare il kratos, di mettere anzi in primo piano i rapporti di forza: in questo ha dalla sua il conforto sia della prassi sia dell’etimologia. Il suo limite risiede forse nella pretesa di purificare il discorso pericleo da quanto di allusivo e di cifrato esso contiene; nel
rendere la lettera più esplicita e univoca di quella che è. La seconda sottace gli elementi di kratos, restituendo in compenso una definizione certo inusuale ma aperta alla possibilità che a prendersi cura della maggioranza sia il primo cittadino o un’élite di virtuosi; possibilità che si realizza,
a giudizio di Tucidide, proprio nell’Atene periclea: «Di nome (logoi) era una democrazia, di fatto (ergoi) però il potere era nelle mani del primo cittadino (hypo tou protou andros arche)» (II, 65, 9). Una digressione. Riconsiderate alla luce della divaricazione logos-ergon, la definizione di demokratia e la sequenza argomentativa che da essa procede potrebbero suggerire l’idea di un
Pericle
critico, in incognito, della democrazia.
L’epitafio si presterebbe a una ricezione ‘esoterica’, per pochi intimi, capaci d’intendere, parallela a quella ‘essoterica’, la più immediata, la sola accessibile al piethos, destinato a fermarsi alla superficie delle parole. Il Pericle di Tucidide affronterebbe il problema della sopravvivenza di valori aristocratici all’interno di una politeia democratica, prefigurando, se non addirittura inaugurando e ispirando, una linea di pensiero che culminerà in Francois Guizot e nella sua nozione di gouvernement représentantatifi governo di «capaci» (di coloro che «savent le mieux et veulent le plus fermement la verité», dunque un’aristocrazia «véritable et légitime»)!?®, alternativo sia all’aristocrazia di sangue!* sia alla sovranità del
| 123 E GUIZOT, Histoire des origines du gouvernement représentatifenEurope, Bruxelles, Meline, Cans et Compagnie, 1851, t. I, 7È®€ Lecon, p. 86. 124 Ivi, pp. 86-87: «Mais tel n'a pas été le sens historique du mot aristocratie. A le prendre duns les fare al désigne un gouvernement où le
go
Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
popolo!?5 e soprattutto fondato su «cette vérité que la souveraineté de droit n’appartient à personne»!?°. pouvoir souverain est concentré dans une classe particulière de citoyens qui en sont héréditairement investis par le seul droit de leur naissance, d’une manière plus ou moins exclusive, quelquefois presque complète. ment exclusive [...].Jecherche le principe fondamental du gouvernement aristocratique, et je crois qu’il peut se résumer en ces termes: la souveraineté de droit, attribuée d’une manière, sinon tout è fait exclusive, du moins absolument prépondérante, d une certaine classe de citoyens,
en vertu du seul droit de naissance» (secondo e terzo corsivo non testuali): dunque anche la vicenda storica dell’aristocrazia è segnata da una divaricazione logos (mot)-ergon (le faits). 125 Il sistema democratico non è che l’estensione del potere sovrano a un numero più ampio di ‘partecipanti’. Denominatore comune dei due ‘sistemi’ l’irrilevanza del ‘merito’, della virtù. Sia in un’aristo-
crazia di sangue sia in democrazia, nota genialmente Guizot: «dle droit à la souveraineté dérive, non de la capacité présumée à certaines conditions, non de la supériorité intellectuelle et morale prouvée de telle ou telle manière, mais du seul fait de la naissance, sans condition. Dans le
système aristocratique on naît souverain, par cela seul qu'on naît dans la classe privilégiée; selon le systàme démocratique, on naît souverain par cela seul qu’on naît homme. La participation à la souveraineté est, dans l'un et l’autre cas, la conséquence d’un fait matériel, indépendant du mérite de celui qui la possède, et du jugement de ceux sur qui elle s'exerce» (Ivi, p. 87). Partecipare della sovranità, in democrazia come in un regime aristocratico è dunque un «privilége»: «La souveraineté du peuple, c'est le despotisme et le privilége aristocratiques dans la majorité» (Ivi, p. 91). Fondamentale, sulla critica guizotiana della deriva (anche ‘semantica’) dell’aristocrazia, EM. DE SANCTIS, Tocqueville. Possibili eguaglianze: un’introduzione a «La Democrazia in America», Roma, Bulzoni, 1995, pp. 27-32. 126 GUIZOT, Histoire..., cit., 6°" Lecon, p. 81. In argomento, è sem-
pre essenziale il rinvio al classico A. OMODEO, La cultura francese nell’età della Restaurazione, in 1D., Studî sull’età della Restaurazione. La cultura francese dell’età della Restaurazione. Aspetti del cattolicesimo della Restaurazione, Torino, Einaudi, 1974 (II ed. aumentata; I ed. 1970), pp. 3-298: «Rifuggivano 1 dottrinari dal problema astratto della sovranità, che per essi è un attributo divino estraneo all’uomo. [...] Concependo la società organicamente costituita, porre la questione della sovranità era qualcosa di simile alla ricerca se nel corpo umano la sovranità spetti al cervello, al
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91
Qualche assonanza, indubbiamente, c'è e non credo sia
un esercizio sterile registrarla. Anche Pericle, lo vedremo più avanti, pone un’enfasi particolare sulla virtù politica, ridisegnando (verrebbe da dire: ‘correggendo’) la democrazia come una politeia in cui l’axiosis (la concreta dimostrazione della capacità, del valore), non l’axioma (il ‘rango sociale’, lo ‘stato’), diviene il selettore principale. Tuttavia il divario tra le due prospettive permane e verte soprattutto su un punto, su un presupposto della teoria (e della «retorica dottrinaria»)!?: il principio guizotiano della capacità politica non può prescindere dalla distinzione «entre ordre social et ordre politique»!8 né da quella, conseguente, fra diritti sociali (i soli a essere conferiti in misura uguale a tutti e una volta per tutte) e diritti politici. È nella sfera politica, non nella società civile, che hanno luogo la selezione dei meriti e la distribuzione ineguale delle quote di partecipazione al governo dello Stato: «un droit politique, c'est une portion du gouvernement [...]. De là suit que les droits politiques ne sont pas universels, égaux pour tous; ils sont spéciaux, limités [...]. Bien loin donc que l’égalité soit le principe des droits politiques, c'est l’inégalité qui en est le principe; les
cuore o allo stomaco, che son tutti egualmente necessari alla vita. Tutto
si riduceva al riconoscimento delle diverse funzioni sociali, e alla tutela degli interessi legittimi, o diritti costituiti» (p. 66; c.vo non testuale). La mia attenzione sul libro di Omodeo è stata richiamata da Dino Cofrancesco, che
qui ringrazio. Per un commento al «principio che la sovranità non possa spettare a nessuno in particolare» si veda anche DE SANCTIS, Tocqueville. Possibili eguaglianze..., cit., p. 30. Cfr. inoltre ID., Tempo di Democrazia. Alexis de Tocqueville, Napoli, Edizioni Scientifiche
Italiane, 1986, p. 55:
«La sovranità del popolo, e le immagini o i ricordi che essa evoca, polarizzano i principali timori del liberalismo della Restaurazione. Quella sovranità significava, per il pensiero dottrinario, l’imperio immediato
del
numero e la dissoluzione della società» (c.vo non testuale). ‘127 P. ROSANVALLON,
99. 128 Ibidem.
Le moment
Guizot, Paris, Gallimard,
1985, p.
o2
Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
droits politiques sont nécessairement inégaux, inégalement distribués»!??. Nell’ottica guizotiana, la democrazia moderna, come l’uguaglianza, è sociale, non politica; non s’identifica, o meglio non dovrebbe identificarsi in alcun modo,
con la sovranità popolare. La speranza mal riposta di Guizot è che la democrazia possa esser confinata «dans les moeurs et dans la vie de la société civile»! affinché non pervada anche l’ordine politico. Ora, anche se si prescinde dagli scarti lessicali e dagli anacronismi (superfluo aggiungere che ‘sovranità’, ‘società civile’, ‘governo rappresentativo’, ‘diritti sociali’, ‘diritti politici’ sono concetti moderni), non si può fare a meno di notare come
il Pericle dell’epitafio, diversamente
da Guizot, non
arriverebbe mai a sostenere che i cittadini di una democrazia ambiscano soltanto a essere ben governati!*!. Se così fosse, l’Atene di Pisistrato non
sarebbe una
tirannide ma
una
democrazia, sebbene il tiranno esoneri il demos da ogni competenza politica (ARISTOTELE, Athenaion Politeia, XV, $)!??.
12° E GUIZOT, Discours à la Chambre des députés (Séance du $ octo-
bre 1831), in Histoire parlementaire de France. Recueil complet des discours prononcés dans les chambres de 1819 à 1848 par M. Guizot, t. I, Paris, Michel Lévy Frères, Libraires Éditeurs, 1863, pp. 308-309. 150 P ROSANVALLON, La démocratie inachevée. Histoire de la souveraineté
du peuple en France, Paris, Gallimard, 2000, p. 35. I GUIZOT, Discours à la Chambre des députés (Séance du 5 octobre 1831)..., cit., p. 316: «La démocratie
moderne
n’a rien de semblable è
celle-là [scil. alla democrazia nelle repubbliche antiche]. [...] La démocratie moderne n'est pas en lutte, comme on le prétend, contre l’aristocratie; elle n’aspire pas au pouvoir, elle n’aspire pas à gouverner elleméme, elle veut intervenir dans le gouvernement autant qu’il est nécessatre pour qu'elle soit bien gouvernée [...]. La démocratie moderne,je le répète, n’est pas essentiellement vouée è la vie politique, préoccupée des passions politiques». 152 «Quand’egli [scil. Pisistrato] ebbe terminato il suo discorso, disse [...] che [...] tornassero alle incombenze relative alla sfera dell’idion (epi ton idion), mentre lui si sarebbe preso cura in prima persona di tutti gli aftari relativi alla sfera comune (ton de koinon autos epimelesesthai panton)».
Su Tucidide, II, 35-371
93
Certo, Pericle separa nettamente l’ìmbito dell’idion (la sfera del proprium, dei possessi esclusivi) da quello del koinon, e separa (adottando, come vedremo, un criterio discre-
tivo non dissimile da quello di Guizot) anche i principî che regolano questi due àmbiti, ma nell’epitafio non sottrae mai al demos la «partecipazione» (il metechein) agli affari politici: «La cura degli interessi privati (oikeion: il ‘proprio’, inteso come ciò che è prossimo, familiare)! procede per noi di pari passo con l’attività politica (politikon epimeleia), e anche se ognuno è preso da occupazioni diverse, riusciamo tuttavia ad avere una buona conoscenza degli affari pubblici (ta politika me endeos gnonai; di nuovo una litote: ‘conoscere in modo non insufficiente’ = ‘conoscere bene’ oppure, qualora si annettesse alla figura una funzione non antifrastica!**, ‘conoscere quel tanto che basta’ a conferire razionalità alle decisioni collettive). Il fatto è che noi siamo i soli a considerare coloro che non se ne curano (metechonta) non persone tranquille (ouk apragmona), ma buoni a nulla (all’achreion). E siamo gli stessi a partecipare alle decisioni comuni (krinomen) ovvero a riflettere a fondo sugli affari di Stato (enthymoumetha orthos ta pragmata), poiché non pensiamo che il dibattito arrechi danno all’azione; il pericolo risiede piutto-
sto nel non chiarirsi le idee discutendone, prima di affrontare le azioni che si impongono» (II, 40, 2).
153 LORAUX, L’Invention d’Athènes..., cit., p. 39Sn., traduce oikeion
con «sa maison». 134 È il caso di BÉTANT, Histoire de la Guerre du Péloponnèse..., cit., p. 96: «entendre suffisamment»; della LORAUX, L’Invention d’Athènes...,
cit., p. 190; di G. RECHENAUER, Thukydides und die hippokratische Medizin. Natunwissenschaftliche Methodik als Modell fir Geschichtsdeutung, Hildesheim-Zirich-New York, Olms, 1991, p. 285 («iber hinreichende Kenntnis
in den staatlichen Dingen verfiigt»). Contra, fra gli altri, RUSTEN, Thucydides..., cit., p. 152: «have a thorough knowledge of politics» (avere piena contezza degli affari politici); HORNBLOWER, A Commentary on Thucydides..., cit., p. 304: «have a good idea of politics», p. 152.
o4
Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
Lasciamo che questo brano svolga per ora solo una funzione contrastiva e mettiamolo tra parentesi, non prima però di averne rilevato la parola-chiave per il discorso che stiamo svolgendo: gnonai (infinito aoristo di gignosko), la conoscenza diffusa dei politika, la competenza che è il presupposto del krinein, del giudizio emesso in comune e, più in generale, della partecipazione del demos. Torniamo all’interpretazione di II, 37, 1, al conflitto an-
cora irrisolto fra il Pericle ‘giacobino’, che propugnerebbe (soltanto nella definizione, beninteso) l’«onnipotenza del demo»!, e il Pericle ‘dottrinario’, il cui «uso [...] di ‘“demokratia” è circospetto e svalutativo,
o meglio mirante a svuo-
tarne il significato»!50, Ritengo che una prospettiva ‘realistica’ contribuisca a ridimensionare la questione, a rendere meno netta la linea di frattura. Comincerò tuttavia da un (classico) argomento d'ordine formale: se il nome ‘democrazia’ non denotasse
kratos, sarebbe lecito chiedersi perché nel passaggio immediatamente successivo alla definizione (non a caso introdotto da un de) Pericle senta il bisogno di mitigare l’asprezza di quel nome, di orientarne il senso in una direzione diversa. Mediante la particella de forse non si attua un’antitesi «propriamente detta»!” ma perlomeno l’asimmetria fra la definizione e quel che segue (ossia gradazioni di demokratia indubbiamente più tenui) è innegabile. Riprenderemo questo ragionamento più avanti, quando torneremo a seguire l’ordine dell’argomentazione periclea. 155 LL CANFORA, Studî sull’Athenaion Politeia pseudosenofontea, «Memorie
della Accademia
delle Scienze
di Torino», II, Classe di Scienze
Morali, Storiche e Filologiche, SerieV, vol. 4 (1980), p. 57 dell'estratto.
156 Ivi;-p. 38n. 137 de ROMILLY,
Notes complémentaires
a THUCYDIDE,
La guerre du
Péloponnèse, cit., pp. 95-96: «Il est très important de comprendre que ces diverses accolades ne correspondent pas à des oppositions proprement dites: en fait, chaque point de vue vient rectifier et compléter le précédent, de manière à suggérer l’harmonie mème du régime».
Su Tucidide, II, 35-37,1
95
ii all’ argomento che prima ho qualificato ‘realistico’. E davvero più debole, più rassicurante, la seconda versione di demokratia? Da essa emerge necessariamente l’idea di una demokratia disancorata dal kratos? Dare risalto all’interesse della maggioranza significa presupporre un divario tra la fonte e il beneficiario della decisione? A_ queste domande una prospettiva realistica risponde in modo negativo.Vi ho già accennato a proposito dell’interpretazione di Christian Meier che mi è parsa da subito per molti versi convincente. Ora è venuto il momento
di svolgere questo
punto in maniera più analitica, evitando d’incorrere in semplificazioni eccessive. La formula cui ricorre Pericle è palesemente ambigua. L’ambiguità è la sua articolazione essenziale; va dunque presa alla lettera. Questo perché ci troviamo di fronte a un testo, l’epitafio, sorvegliato al limite del virtuosismo; e chi lo sorveglia è, in ultima istanza, Tucidide, non Pericle. Ne con-
segue che anche l'ambiguità sia sorvegliata, intenzionale; che anche l’ambiguità e quel margine di indeterminatezza e di inconfessato che eccede la definizione rispondano a una strategia discorsiva precisa sebbene non dichiarata né dichiarabile (nell'epitafio). Contrariamente al suo Pericle, Tucidide può parlare con il senno di poi; conosce gli esiti ultimi della democrazia. È del tutto plausibile che la consapevolezza del punto di arrivo, del compimento di un processo orientato in senso involutivo, permei la definizione. Così come lo declina l’epitafio, il nome demokratia non è vincolato a un unico ergon, non è bloccato a un'unica realtà ma oscilla tra due possibilità divergenti, tra due forme storiche in reciproca antitesi: la prima è che la democrazia si connoti come regime virtuoso nel quale gli eventuali eccessi della dimensione assembleare siano temperati da figure eminenti, da garanti dell’unità della polis (è il caso dell’Atene periclea), in grado difrenare, di contenere, la deriva, al-
trimenti inevitabile, verso l'egemonia di una parte; la seconda è che la democrazia assuma la forma del predominio,
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Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
anche violento, di una fazione che agirà, senza freni, in vista
del proprio esclusivo interesse (è il caso, nel giudizio di Tucidide, dell’Atene post-periclea: qui il ‘post’ è indice di una sostanziale, ed esiziale, discontinuità)!**.
Per chiarire i termini dell’alternativa, prenderei spunto da un’indicazione di lettura di Luciano Canfora: nell’epitafio «abbiamo, credo, il più maturo
pensiero di Tucidide, il
suo bilancio conclusivo, indissolubile dal lungo capitolo di bilancio su Pericle (II. 65), per tanti versi consonante
con
ciò che Pericle stesso dice nell’epitafio che Tucidide gli attribuisce»!?. Per coglierne i nessi con l’epitafio, leggiamo dunque il passo saliente dell’epicedio di Pericle (che è anche un «lungo excursus anticipativo»!*, amaro perché presuppone l’epilogo della guerra)!#!: «Ed in realtà, per tutto il tempo che fu a capo della città (prouste tes poleos) in periodo di pace, governò sempre con moderazione (metrios exegeito) e garantì la sicurezza dello Stato (asphalos diephylaxen), che sotto di lui
158 Limpidamente RAAFLAUB, Contemporary Perceptions..., cit., p. $7:
«On the political level, the Funeral Oration as the last climax of Pericles’ career is followed in quick sequence by internal and external setbacks and his death. [...] At this point the historian4 thesis concerning democracy is clearly discernible: the detrimental combination of, on the side of the demos, lack of political competence, steadiness and discipline, and, on that of the leaders, lack of sufficient knowledge, integrity, and leadership quality, on the long run inevitably caused the breakdown of democracy». 15° L. CANFORA, Tucidide e Atene, in TUCIDIDE, La guerra del Peloponneso, a cura di L. Canfora..., cit., pp. IX-XXXIX (la citazione è tratta dalla p. XXXII). Cfr. anche EDMUNDS,
Chance and Intelligence..., cit., p.
$2: «Pericles’ description of Athenian democracy appropriately finds an echo in Thucydides” description of Pericles’ relation to that democracy [...] The echo is unmistakable».
14 CANFORA, Tucidide e Atene, cit., p. XXXIV. 14! Si tratta dunque, più propriamente, di un «obituary of Periclean strategy», come propone di correggere H.D. WESTLAKE, Individuals in Thucydides, Cambridge, Cambridge University Press, 1968, p. 40.
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raggiunse il massimo splendore; quando poi scoppiò la guerra, è chiaro che seppe calcolarne preventivamente la portata (ho de phainetai kai en toutoi prognous ten dynamin). Visse ancora per due anni e sei mesi; e fu dopo la sua morte che le previsioni (he pronoia) da lui formulate circa la guerra vennero comprese appieno (egnosthe), giacché agli Ateniesi aveva detto che, se fossero rimasti tranquilli, se avessero provveduto alla flotta, se non avessero accresciuto i loro dominî per tutta la durata della guerra, e non avessero fatto correre
rischi alla città, la vittoria sarebbe
stata loro; ma
quelli non solo fecero il contrario di tutto ciò, ma nel governo della città presero, per ambizioni personali (kata tas idias philotimias) e alla ricerca di personali vantaggi (kai idia kerde), altre iniziative, che apparivano del tutto estranee alla guerra ed ebbero un esito negativo per loro stessi e per i loro alleati: si trattò di iniziative che, finché ebbero successo,
furono piuttosto fonte di onoti e di guadagni per i privati (tois idiotais time kai ophelia), ma, quando poi si risolsero in un fallimento, rappresentarono per la città un danno in relazione alla guerra (sphalenta de tei polei es ton polemon blabe kathistato). La ragione (aîtion) era che egli, personaggio potente per prestigio e lucida capacità di giudizio (toi te axiomati kai tei gnomei), nonché assolutamente trasparente nella sua incorruttibilità, reggeva saldamente il popolo, senza però violarne la libertà (kateiche to plethos eleutheros), e non si faceva guidare da esso (kai ouk egeto mallon hyp'autou), ma” era piuttosto lui a fargli da guida (e autos ege), poiché non cercava di conseguire il potere con mezzi impropri (dia to me ktomenos ex ou’ prosekonton ten dynamin), e pertanto non era costretto a parlare per fare piacere al suo uditorio (pros hedonen ti legein): il suo potere si fondava sull’alta considerazione di cui godeva (all’echon ep’ axiosei), ed egli poteva quindi contrastare le vedute degli altri cittadini anche andando incontro a reazioni irate (kai pros orgen ti anteipein). Così, quando si accorgeva che quelli si abbandonavano intempestivamente (para kairon) a una sconsiderata baldanza
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Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
(hybrei tharsountas), li colpiva con le sue parole (legon kateplessen), portandoli allo sgomento (epi to phobeisthai), per ricondurli poi a uno stato d’animo di rinnovato coraggio se li vedeva preda di una paura irrazionale (dediotas au alogos). Di nome era una democrazia, di fatto però il potere era nelle mani del primo cittadino. Invece quelli che vennero dopo di lui, che erano più su un piano di parità fra di loro (isoi mallon autoi pros allelous ontes), ma miravano tutti al primato (oregomenoi tou protos hekastos gignesthai), si diedero a compiacere il popolo (etraponto kath’ hedonas toi demoi), abbandonando a esso il governo dello Stato» (II, 65, 5-10).
Questa pagina fa apparire il legame indissolubile e le consonanze di cui parlava Canfora: in più punti l’epicedio offre una vera e propria chiave di lettura dell’epitafio. Cerchiamo di isolare questi punti di contatto. Per ragioni di coerenza
interna comincerei
subito, in
anticipo rispetto all’ordine dell'esposizione tucididea, da un ossimoro
vistoso: Pericle, nota Tucidide,
kateiche to plethos
eleutheros (II, 65, 8). Alla lettera: ‘teneva la moltitudine frenata liberamente’ (Valla traduce: «libere multitudinem continebat»!4, seguito da Hobbes: «he freely controled the multitude»)'#. Una strana coppia di parole: ‘frenare’ e ‘liberamente’. Tucidide ricorre a un'immagine eloquente, il freno, attingendola al vocabolario dei critici della democrazia, come abbiamo già avuto occasione di mostrare nelle pagine su Erodoto!#. L'operazione tucididea è tuttavia più
14 Bib. Ap. Vaticana,
Cod. Vat. Lat. 1801, fol. 42r
145 Eight Books of the Peloponnesian War..., cit., p. 220. 144 Osserva E. TERRAY, La politique dans la caverne, Paris, Seuil, 1990,
p. 223: «Pour évoquer l’action de Périclès et l’influence qu’il exerce sur ses concitoyens, Thucydides use d’un terme significatif: il “tient le peuple en main” [...]; Ratechein signifie tout à la fois retenir, arréter, contenir, endiguer. Le mot n'est nullement péjoratif [...]. Mais il est clair du méme coup que la raison (logos) est d’abord frein, mors et entrave». Una trattazione sistematica delle principali occorrenze di katechein nel lessico
Su Tucidide, II, 35-37,1
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sottile, maliziosa, perché accosta all'immagine del freno la parola-chiave della politeia democratica: eleutheria. L’ossimoro, è evidente, risiede in questo: che il fattore frenante (per-
sonificato da Pericle, soggetto attivo del katechein) sia al tempo stesso, in virtù delle proprie specialissime qualità che ne fanno il ‘primo cittadino’, fattore di libertà per il plethos. Preferisco questa lettura a quella, prevalente, che vede nell’avverbio eleutheros un’allusione alla parrhesia, all’eleutheros legein di Pericle, alla sua ‘libertà di parola’ (di una parola sempre conforme a ‘ciò che si pensa’, sempre pronta a enunciare anche le verità più scomode) nel rivolgersi al popolo (demegorein) senz’alcuna sudditanza!#.
politico del V secolo è ora in S. FORSDYKE, Athenian Democratic Ideolcey and Herodotus’ Histories, in «American Journal of Philology», 12, 3 (2001), pp. 329-358: «In particular, the word is associated with the idea
of the weakness of peoples ruled by tyrants in contrast to the strength of free democratic societies» (p. 333); sull’uso tucidideo del lemma: «The
extent to which Thucydides was influenced by the theme of tyranny/civic weakness versus democracy/civic strength, yet modified its contents, is shown by his use of katechein in his presentation ot Pericles. Thucydides crafts the oxymoronic phrase kateiche to plethos eleutheros (“he held the masses in subjection freely”) to describe the paradoxical nature of Pericles’ power over the Athenian people [...]. Here Thucydides seems to be exploiting the ideological associations between katechein and the forceful rule of a tyrant in order to further his claim that under Pericles Athens “was a democracy in name, but, in reality, under the rule of the leading man”» (pp. 338-339).
145 Dall’avverbio eleutheros si ricava dunque che Pericle ‘lascia libero’ il plethos, pur frenandolo, pur contenendone le spinte distruttive: condivido
l’interpretazione
di WOODHEAD,
Thucydides...,
cit., p. 49:
«What Pericles did was to control the democracy, to restrain it from excess, and to exercise a moderating influence upon it. His doing so did not, on Thucydides’ interpretation, infringe the essential eleutheria, freedom [...].Thucydides counters such a charge almost fotidem verbis with his phrase kateiche to plethos eleutheros, ‘Pericles restrained the multitude in a manner consistent with their freedom’» (ultimo c.vo non testuale); cfr. anche l’intelligente precisazione di pp. 190-191n.: «Eleutheria and metriotes are thus revealed as the gifts of the ‘benevolent despot’ rather than as
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Un'altra considerazione, infine, mi fa propendere per la soluzione opposta. Il katechein to plethos eleutheros diventa un segno connotativo della democrazia periclea soprattutto se lo si confronta con il katechein ischyi to plethos che invece sintetizza l’oligarchia tebana (definita dynasteia oligon andron: ‘dominio di pochi’: III, 62, 3): «Costoro [scil. i pochi dominanti] da una vittoria dei Persiani si aspettavano un ulteriore accrescimento del loro potere personale (idias dynameis) e, tenendo a freno il popolo con la forza (katechontes ischyi to plethos), li fecero entrare nella nostra terra» (III, 62,
4; mi sono in parte discostato dalla trad. di Cagnetta). Nell’epicedio di Pericle, l'atto di frenare si rivela compatibile con la libertà del demo; all’opposto, nel passo del libro III il katechein implica una privazione forzosa della libertà (ischys denota ‘costrizione’, ‘coazione
fisica”: Hobbes
traduce
con
«kept the people under»!#; la Cagnetta con «schiacciando il popolo»)!#.
features inherent in the constitution, even though the position of Pericles [...] ultimately depended on the vote of the people». Concorda HORNBLOWER, A Commentary on Thucydides..., cit., p. 345: «like free men». Sostengono autorevolmente la tesi contraria (un Pericle libero da condizionamenti sia nell’agire sia nel parlare al popolo) GOMME, A Historical Commentary..., cit., p. 192: «as a free man should»; RUSTEN, Thucydides..., cit., p. 210: «an oxymoron, since katechein implies coercion and eleutheria its opposite [...] but eleutheros in this context refers especially to Pericles’ frankness, and refusal to resort to flattery»; C. FARRAR, The Origins of Democratic Thinking. The Invention of Politics in Classical Athens, Cambridge, Cambridge University Press, 1988, p. 177 e n.; LEPPIN, Thukydides..., cit., p. 152; da ultimo, FANTASIA, in TUCIDIDE, La guerra del Peloponneso. Libro IL..., cit., p. 498: «eleutheros: rimanda [...] alla libertà di Pericle nei rapporti con il popolo, alla sua indipendenza, come si chiarirà subito dopo». 140 Eight Books of the Peloponnesian War..., cit., p. 329. 147 Confronta opportunamente
II, 65, 8 e III, 62, 4 V. WOHL, Love
among the Ruins. The Erotics of Democracy in Classical Athens, PrincetonOxford, Princeton University Press, 2002, p. 67 (che tuttavia non trae dal confronto le mie stesse conclusioni, rendendo l’avverbio eleutheros
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Perché si produca ossimoro tra katechein ed eleutheros è necessario che i due termini dell’antinomia si concilino e si chiariscano a vicenda, rivelando così l’essenza della democrazia periclea nell’interpretazione di Tucidide, finalmente
sciolta dagli obblighi di fedeltà all’epitafio originale. Come intendere dunque quel «reggere saldamente il popolo, senza però violarne la libertà» (riprendo a seguire la traduzione di Mariella Cagnetta)? Perché il plethos avrebbe bisogno di freno? La cosa non dovrebbe sorprendere: chi parla, nell’epicedio, è solo Tucidide che, avendo simpatie oligarchiche, do-
vrebbe essere naturalmente incline a sdegnare il plethos e a infierire sulla democrazia. Non si corre il rischio di confondere le voci. Eppure la malizia di Tucidide, ancora una volta, sta nel presentare un'affermazione provocatoria (almeno quale noi l’intendiamo) non come una propria insinuazione, non come l’irruzione dei proprio punto di vista, ma come l’esito di un percorso coerente, consequenziale, che in questo caso presuppone il primo e il terzo (l’ultimo) dei discorsi pronunciati da Pericle. Le prime parole che Pericie rivolge agli Ateniesi nel pieno di un dibattito assembleare dall’esito incerto (i fatti narrati sono posteriori al 432! e non c’è ancora nessun
con «nobly», ‘nobilmente’): «Pericles hails the Athenians as eleutheroi the better to control them; he masters them by declaring them masters of themselves and guarantees his autocracy by lauding their personal autarky. Katechein often implies physical constraint and can also denote possession or mastery. [...] What does it mean to restrain someone eleutheros? And who is the eleutheros here, Pericles or the majority? If we take the adverb as pointing to the majority, how can it be free and constrained at the same time? A free man is not held down. If the adverb is added to soften the connotations of the verb, it instead highlights them. [...] Now eleutheria would seem to rest solely with Pericles, where it implies not so much freedom from constraint, but nobility». 14 GOMME, A Historical Commentary..., cit., p. 452, ad I, 139, 4: «some time after 432 B.C.».
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rito civico da celebrare: l’ekklesia è chiamata a decidere tra l'abrogazione del decreto su Megara e la guerra con i Peloponnesiaci) a tutto sembrano mirare fuorché alla benevolenza del demo: «La mia opinione (tes men gnomes), Ateniesi, è sempre la stessa (aiei tes autes echomai)» (I, 140, 1). Senza mezzi termini, Pericle contrappone la fermezza della propria gnome all’incostanza delle gnomai (dei ‘propositi’) altrui, bollate come
‘oscillanti’, in balìa degli eventi, sulla base di
un’universale legge di necessità, di un’intima natura degli uomini alla quale tuttavia l'oratore si sottrae: «so bene che gli uomini (tous anthropous; è un’astrazione, equivalente a ‘natura umana’)! [...] oscillano, nel loro sentire, in relazione agli eventi (pros de tas xymphoras kai tas gnomas trepomenous; letteralmente: ‘si volgono agli eventi e alle proprie risoluzioni’). Vedo nondimeno che anche in questo momento (nyn) io debbo darvi i medesimi consigli (homoia kai paraplesia xymbouleutea moi onta; si noti la dittologia, l’iterazione enfatica di epiteti di significato molto simile: homoia kai paraplesia = ‘i medesimi e pressoché identici’) [...]». Sono argomenti che affermano la distanza di chi parla da chi ascolta, di un singolo, per quanto eccezionale, dai polloi, ai quali non è risparmiato un giudizio negativo. Altrettanto fredda la «terapia contro corrente»!5 adottata nel terzo discorso di Pericle, davanti a un’ekklesia da lui
stesso convocata (xyllogon poiesas) perché «ancora stratego» (eti d’estrategei: II, 59, 3). E l'estate del 430. L’Attica ha subìto
una seconda invasione dei Peloponnesiaci (la prima risale al maggio-giugno dell’anno precedente). Gli Ateniesi sono falcidiati da una ‘pestilenza’!5’ (il termine specifico impie-
149 Per inciso, ‘natura umana’ (anthropeia physis) sì connota in Tucidide sempre in termini irrazionali: lo nota IMMERWAHR, Pathology of Poiverti; dityparo!
gg:
!50 CANFORA, Tucidide e l’impero..., cit., p. 57. >! E una traduzione approssimativa: CANFORA, Tucidide..., cit., p.
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gato è loimos; poi la si designa anche con nosos o nosema, ‘malattia’, ‘epidemia’, e con ponos, ‘morbo’), le cui conse-
guenze ‘morali’!52, nella testimonianza di Tucidide (che contrasse anch'egli il male: II, 48, 3), appaiono gravi quanto la devastazione dei corpi: la polis cade in preda all’anomia (a una ‘condizione eslege’: II, 53, 1), a un’intemperanza conta-
giosa, a causa della perdita dei freni inibitorî costituiti dal «timore degli dèi» (theon...phobos) e dalla «legge degli uomini» (anthropon nomos) (II, 53, 4)!5.
152 «Le double versant de la maladie»: PIGEAUD, La maladie de l’ime..., cit., p. 433. Cfr. anche RECHENAUER, Thukydides und die hippokratische Medizin..., cit., p. 271: «[...] Tucidide nella descrizione della pe-
ste vuole dar vita anche alla rappresentazione immaginosa di una malattia interna all’essenza dello Stato (auch bildhaft die Vorstellung von einer inneren Erkrankung des Staatswesens): il male fisico (Die physische Krankheit) che colpisce la polis ha come immediata conseguenza la corruzione etico-morale (zieht unmittelbar den moralisch-ethischen Verfall nach sich) [...]. È oltremodo evidente l’intento dello storico (Es ist naheliegend anzunehmen, daf} der Historiker beabsichtigte) di contrassegnare (zu kennzeichnen) attraverso questa stretta relazione (durch diesen engen Bezug) la crisi interna alla società politica come malattia dell’organismo politico (die innere Krise der Polisgesellschaft als Er-
krankung des politischen Organismus)». Notevole il contributo di M. CAGNETTA, La peste e la stasis, in «Quaderni di storia», 53 (2001), pp. 5-
36: «I nessi intrinseci fra malattia e contesto sociale, politico, ambientale, sono oggetto di una riflessione remota quanto l’intuizione di una valenza non meramente individuale della malattia. Nel mondo greco, sin dall’età arcaica, le manifestazioni del morbo, il suo esito benigno o letale, la pos-
sibilità stessa di una cura sono posti costantemente in relazione, oltre che con le condizioni fisiche del singolo, con le capacità collettive di modificare l’ambiente, di garantire condizioni di equità, di conservare o mutare l’organizzazione sociale e del lavoro, di stabilire rapporti con altre comunità, di trovare soluzione alle lotte per il potere, di stabilire un equilibrio fra sapere e potere, e così via» (p. 6; c.vo non testuale). 153 In assenza di freni inibitorî l’eleutheria idealizzata nell’epitafio degenera in licenza e in indifferenza morale: cfr. D. GRIBBLE, Alcibiades and Athens. A Study in Literary Presentation, Oxford, Clarendon Press, 1999, p. 172: «In the anarchy of the plague the freedom to do somethirig
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In questo clima di sfrenatezza (Tucidide usa il verbo apeirgein, ‘trattenere’, ‘distogliere’, che anticipa la semantica del katechein di II, 65, 8) l'ascendente di Pericle sulla folla è
quasi nullo: gli Ateniesi non perdonano allo stratego di averli trascinati in una guerra che, con il senno di poi, avrebbero volentieri evitato accettando l’ultimatum spartano: «Dopo la seconda invasione dei Peloponnesiaci gli Ateniesi, che avevano subìto per la seconda volta la devastazione dei loro campi, ed erano oppressi, oltre che dalla guerra, dall’epidemia, avevano ormai mutato parere (elloionto tas gnomas) e mettevano sotto accusa (en aitiai eichon) Pericle: era stato
lui a convincerli a entrare in guerra (hos peisanta sphas polemein), e per causa sua erano piombati in quelle disgrazie [ade 591132); Ebbene, anche nel momento il demo, il tono di Pericle, come
di massima tensione con si diceva, è severo. E lut-
tuoso: «Athens’ epitaph»!*. Così William Robert Connor riassume la tonalità elegiaca dell’ultimo logos. Pericle non adula, sferza. Non vuole suscitare la mozione degli affetti o comunque
non è questo il suo obiettivo primario. Siamo
davanti, più che a una perorazione, a un esercizio di fisiologia (detto in termini moderni: di psicologia delle folle) che devia il discorso sempre sugli Ateniesi. Pericle pretende di rovesciare le accuse (ma gli argomenti non risulteranno fino in fondo persuasivi; il che non meraviglia, data la loro perfidia) mostrando ai suoi concittadini dove si annidino i germi della loro avversione. Li colpisce nel vivo esibendo con
for ones own pleasure is perverted into an unrestrained self-indulgence». 4 CONNOR, Thucydides, cit., p. 71. Il passo merita di essere riportato per intero: «The Funeral Oration looks forward to a potentiality in Athens for a new pattern of civic life; the last speech looks forward, albeit briefly, to Athens’ decline. The first speech transforms epideictic to a new role and function; the second sounds, if only in passing, an ele-
giac note on the imagined passing of the city. It writes Athens’ epitaph».
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scrupolo analitico un campionario, una topica delle pulsioni e degli attributi più riprovevoli della moltitudine, ai quali fa da insolente contrappunto la piena maffrise de soi, l’enkrateia dell’oratore, fermo sulle sue posizioni. Il primo di questi eccessi passionali è la collera, l’orge: «I sentimenti di collera (ta tes orges) insorti da parte vostra contro di me me li aspettavo — ne vedo bene le cause (aisthanomai gar tas aitias) — e ho convocato l’assemblea (ekklesian...xynegagon) appunto per ricordarvi (hypomneso) come sono andate le cose, oltre che per muovervi un rimprovero (mempsomai) se — e ciò non è del tutto giusto (me orthos) — provate rancore contro di me (chalepainete) o vi piegate sot-
to il peso delle disgrazie (tais xymphotais eikete)» (II, 60, 1). Huart nota come in Tucidide «l’orge est le plus souvent l’attribut des foules»!, passione collettiva, affezione propria delle moltitudini!5; suo opposto è la gnome!?”, l’accortezza di mente che già nella poesia elegiaca arcaica «viene legata strettamente all’aidos, alla capacità di controllare i proprì istinti»!58. Carlo Natali rileva che nel corpus teognideo la coppia gnome-aidos diventa il corredo essenziale dell’uomo di valore, dell’agathos: «Agli uomini dabbene (andrasi tois agathois) si accompagnano (hepetai; da hepesthai, traducibile anche con ‘convenire’, ‘addirsi’, ‘essere appropriato’) riflessione e pudore (gnome te kai aidos)» (TEOGNIDE, I, v. 635). Seguono, in Tucidide, due verbi: l’uno denotante un’ostilità che è il corollario di orge (chalepainein, da chalepos = ‘duro’, ‘ostile’, ‘aspro’, ‘intrattabile’); l’altro (eikein, ‘indietreg-
155 HUART, Le vocabulaire de l’analyse..., cit., p. 159. 156 Cfr. VEGETTI, Passioni antiche..., cit., p. 42: «orge, termine che ora e in seguito si sostituisce alla ricchezza lessicale omerica, e che continua
comunque a designare l'impulso a vendicare l’oftesa ricevuta». 157 Sulle polarità gnome-orge e gnome-tyche (il destino, ciò che non è pianificabile razionalmente) si veda CONNOR, Thucydides, cit., p. 55 e n. 158 NATALI, La saggezza di Aristotele, cit., p. 27.
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giare’, ‘cedere’, ‘lasciar libero sfogo’, ‘abbandonarsi’ alle cir-
costanze) denotante, alla luce dei «modelli eziologici» elaborati dalla medicina del V secolo, il tratto distintivo della dimensione patica, intesa, alla lettera, come stato di sottomissione: il «cedimento, dovuto ad intrinseca debolezza, alla
pressione esterna»!5. Se non fosse per l’unica nota di biasimo espressa da quel mempsomai (futuro di memphesthai, ‘rimproverare’), fin qui l’argomentazione politica sembrerebbe mimare quella medica: agli occhi di Pericle gli Ateniesi prendono le fattezze di grandi malati; non appaiono come agenti morali ma come vittime della necessità, della natura umana (del loro essere comuni, non eccezionali come Pericle, che è modello di perfezione); le loro manifestazioni
morbose si configurano come ineluttabili. Non solo. Tucidide, nell’introdurre il discorso, attribuisce a Pericle un’in-
fallibile capacità di previsione: gli Ateniesi «si comportavano (panta poiountas: ‘facevano ogni cosa’) proprio come lui aveva previsto (haper autos elpize)» (II, 59, 3). Il verbo usato, elpizein, nel lessico della medicina ippocratica denota la formulazione di una prognosi!9. La descrizione dei sintomi prosegue (in crescendo) con: - «usciti di senno per le sventure abbattutesi sulle vostre case» (tais kat’oikon kakopragiais ekpeplegmenoi) (II, 60, 4): ekpeplegmenoi (da ekplesso, ‘essere còlto da timore’) indica un tipico squilibrio interiore, un’affezione che colpisce le phrenes (la ‘mente’), la psyche (l’‘anima’), il thymos (l’‘animo’, l'‘animosità’, il ‘cuore’). L'etimo conferma come anche in questo caso la passione, la follia collettiva, sia da ricondurre
15° Ivi, p. 47 (per entrambe le citazioni).
‘0 Sul punto, CANFORA, Ticidide..., cit., p. 39: «È significativo [...] l’uso di elpis nei trattati compresi nel corpus ippocratico; in particolare nel Prognostico (7, 7; 16, 7; 19, 6 ecc.), dove elpis, insieme con il verbo, el-
pizo, ricorre di frequente ad indicare in modo ‘prognosi ”».
del tutto neutrale la
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a un agente esterno, a un ‘colpo’ (plessein = ‘colpire’, ‘urtare’) inferto dall’esterno (il prefisso preposizionale ek- = ‘fuori’). Ancora: -
orgizesthe (‘siete infuriati’, da orgizesthai, la manifesta-
zione di orge) (II, 60, 5); - «voi invece siete mutevoli» (hymeis de metaballete) (II, 61, 2), che è un’accusa di incostanza (di indulgere alla metabole, al ‘mutamento’, di opinioni, di propositi, di stati d’ani-
mo, in conseguenza delle alterne vicende del conflitto)!9!, resa più intollerabile dall’ennesimo confronto con l’imperturbabilità di Pericle: «Io sono sempre lo stesso, non cambio idea» (kai ego men ho autos eimi kai ouk existamai). Nella coppia oppositiva stabilità (identità con se stessi, linearità e ‘dirittura’ della condotta)/incostanza (deviazioni continue dalle proprie gnomai), che accentua lo scarto fra Pericle e il suo pubblico, è implicito, anche in questo caso, un giudizio di disvalore!92;
-
«fiaccati nel morale» (asthenei tes gnomes) (II, 6I, 2); «la percezione del dolore è ormai netta in ognuno
161 In ARISTOFANE, Acarnesi (messi in scena alle Lenee del 425), vv. 630 e 632, gli Ateniesi sono etichettati dal coro degli Acarnesi rispettivamente come tachyboulois (‘impulsivi’) e metaboulois (‘volubili’, ‘Îmutevoli’). Un’analisi in J. de ROMILLY, Problèmes de la démocratie grecque, Paris, Hermann, 1975, p. 26: «L'instabilité des décisions était fonction du ròle dévolu au peuple dans la démocratie athénienne. Cette fois, c'est Aristophane qui confirme l’exactitude du diagnostic, et la conscience que l’on en avait alors, puisque les Athéniens sont définis par lui, dans les Acharniens, comme tachyboulous et metaboulous, c’est-à-dire ‘vite décidés”, ‘“vite ravisés”». 162 Cfr. NATALI, L'etica di Aristotele, cit., p. 23: «L’agire umano si
svolge, secondo le opinioni tradizionali, in condizioni piuttosto difficili: ad un ideale di correttezza, che i Greci esprimevano in genere con la linea retta (ithys, orthos), si oppone l’agire tortuoso ed insicuro delle persone disprezzabili, o di coloro che sono fuori di sé, ed ondeggiano in su e in giù [...])».
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Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
di voi» (to men lypoun echei ede ten aisthesin hekastoi) (II, 61,
2);
- «Dinanzi a un cambiamento così grande (metaboles megales), giunto così all’improvviso (ex oligou, empesouses), la vostra mente (he dianoia: la ‘facoltà di previsione razionale’) si rivela troppo avvilita (tapeine = anche ‘bassa’, ‘meschina’) per perseverare nelle decisioni prese (enkarterein ha egnote)» (II, 61, 2): la debolezza (astheneia) della gnome implica il depotenziamento della dianoia (l’abbassamento delle sue difese contro gli agenti patogeni esterni: su tutti il dolore fisico, to lypoun) e, infine, la perdita dell’enkrateia, del kratos, della signoria su di sé
(kartos, da cui en-karterein, è l'equivalente epico di kratos); - «la fiducia nei proprî mezzi si prostra (douloi gar phronema) dinanzi a eventi imprevisti e inaspettati (to aiphnidion kai aprosdoketon), che è del tutto impossibile prevedere razionalmente (paralogoi xymbainon: ‘che accadono contro la ragione’): è quanto a voi è successo, oltre che con tutto il resto, soprattutto con la peste» (II, 61, 3); -
ultimo sintomo
debolezza
la «mollezza»
(malakia)
(II, 61, 4),
sia fisica sia morale, eccessiva malleabilità!9, in-
dulgenza verso se stessi, giudicata negativamente già nell’epitafio: «Amiamo il bello (philokaloumen), ma non lo sfarzo (met’euteleias), e coltiviamo i piaceri intellettuali (philosophoumen), ma senza languori (aneu malakias)» (II, 40, 1).
Si aggiunga a questo quadro già fosco quello che a Pericle appare come il sintomo più grave dell’insania politica, come la causa principale della dissoluzione della polis: l’ab-
163 La malakia, esempio dell’opposizione tra la «menschliche Situation» (la condizione umana) e le «Bedingungen der Arete» (le condizioni di virtù), è così definita da GAISER, Das Staatsmodell des Thukydi-
des..., cit., p. 37: «Tentazione di cedimento egoistico (Versuchung zu egoistischer Feigheit) |...]: al piacere presente (zum GenuB vorhandenen) o alla speranza di ricchezza futura (oder zur Erwartung kiinftigen Reichtums)».
Su Tucidide, II, 35-37,1
109
bandono del koinon, della «salvezza comune» (tou koinou tes soterias: II, 60, 4), e la difesa a oltranza dell’idion, dell’oikos, il
vagheggiamento di un ‘quieto vivere’ (to apragmon: II, 63, 3), di un esonero dall’agire politico nel pieno della catastrofe comune
(tema, questo, che è una costante centrale in Ari-
stofane, dove tuttavia riceve una lettura diametralmente opposta) !°; la pretesa che a una «patria caduta in rovina» (dia-
164 Mi riferisco soprattutto ancora agli Acarnesi, dove l’eroe comico, Diceopoli, conclude con i Lacedemoni una tregua trentennale valida solo per lui, i suoi bambini e sua moglie (vv. 131-132): la pace emautoi (vv. 268-269) di un «cittadino perbene» (polites chrestos: v. 595), il quale arriverà a delimitare con horoi (pietre di confine) il suo spazio d’azione, la sua agorà (agoras...tes emes: v. 719), e qui riprenderà il commercio con i Megaresi, incurante del decreto di Pericle. Con la sua strenua difesa dell’idion Diceopoli non potrebbe essere più distante dall’ideologia periclea, sintetizzata in termini di ‘dispendio glorioso’ da L. KALLET-MARX, Money, Expense, and Naval Power in Thucydides’ History 15.24, Berkeley-Los Angeles-Oxford, University of California Press, 1993, pp. 115-116: «Perikles devalues individual property as a decoration
and ornament of wealth, insignificant compared to the poliss dynamis (2.62.3). The implications are clear and fundamentally disquieting to Athenians, for whom the measure of their worth and their power was those very things now denigrated by the statesman. The harsch fact was the complete separation of polis power from the land resources of Attica and the corresponding devaluation of the agricultural ocikos. The impact of these words would have been felt squarely by aristocrats and peasants alike. [...] The connection between expenditure and fame, and expenditure and power, serves as the capstone of Perikles’ vision of Athens and places the idea of expenditure almost in the realm of ideology, alongside the expression of the importance of using wealth in the Funeral Oration (2.40.1)». Cfr. anche J.J. PRICE, Thucydides and Internal War, Cambridge, Cambridge University Press, 2001, p. 183: «Eros for the
city and its dynamis usurps the objects of current obsessions — houses, land, individual glory». E dunque ponendosi in violenta contrapposizione a questo primato del koinon (e della politica di potenza) che «Aristofane [...] “scopre l'economia”, scopre cioè (o disvela ai suoi spettatori) che nell’Atene impegnata nella gestione dell’impero e nella guerra per l'egemonia sulla Grecia, sono operanti meccanismi, si sviluppano processi di acquisizione e allocazione di risorse che non obbediscono
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Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
phtheiromenes tes patridos: II, 60, 3) non si associ necessariamente anche la rovina dei singoli. Se dunque il male diagnosticato è l’antinomia tra idion e koinon (la rottura dell’armonia idealizzata nell’epitafio), la sola terapia possibile sarà questa: «Occorre dunque superare le pene (apalgesantas: ‘cessare di affliggersi’, ‘smettere di provare dolore’) private (ta idia) e impegnarsi per la salvezza comune (tou koinou tes soterias antilambanesthai)» (II, 61, 4). Ecco spiegata la continuità fra l’ultimo discorso di Pericle e l’epicedio: il resoconto postumo conferma l’esattezza della diagnosi e della prognosi. Pericle col suo discorso ha messo a nudo i caratteri di una moltitudine senza freni; ha
individuato nelle pulsioni di ognuno verso l’idion il fattore decisivo della crisi politica!9; e si è soprattutto posto come spartiacque tra due epoche, tra due concezioni, della democrazia ateniese! In un libro recente dedicato ad Alcibiade,
più interamente, o preminentemente, ai rapporti sociali e alle regole in essi funzionanti»: O. LONGO, Società ed economia in Aristofane, in ID., L’universo dei Greci. Attualità e distanze, Venezia, Marsilio, 2000, pp. 137-1$3
(la citazione è tratta dalla p. 139; lo scritto è apparso in origine in «Dioniso», 57, 1987, pp. I1I-133, con il titolo Società, economia e politica in Ari-
stofane). 165 Sul punto G. CRANE, Thucydides and the Ancient Simplicity. The Limits of Political Realism, Berkeley-Los Angeles-London, University of California Press, 1998, p. 67: «Even Perikles, when plague ravages the city and Athenian society starts to come unglued, shifts his focus in his final speech, stressing the primacy of state over individual and reflecting the fear that anarchy in the ‘state of nature” within, as well as between, city-states». 160 TABRIOLA, Tucidide e Platone..., cit., p. 209: «[...] il consenso tucidideo per il “buon governo” di Pericle, il periodo in cui era stato alla guida della città, è conclusivo e senza riserve [...]. Pericle — è il giudizio di Tucidide che aftiora dalla stessa articolazione del suo discorso — chiude propriamente un'età». Pericle è sia uno spartiacque sia un termine di confronto obbligato: cfr. PRICE, Thucydides and Internal War, cit.,
pp. 237-238: «It is my thesis that Thucydides implicitly or explicitly compares all important individuals active in the war to Pericles. Pericles
Su Tucidide, II, 35-37,1
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David Gribble ha descritto il dopo-Pericle nel bilancio tucidideo in termini di ‘individualismo competitivo’!9?. Questa formula fa luce sulle pulsioni che si sprigionano allorché viene meno il fattore frenante, il katechon che le imbriglia. Il perseguimento di ciò che è vantaggioso per sé e per la propria cerchia diventa, dopo Pericle, il movente principale dell’agire politico e, inevitabilmente, fonte di stasis, di con-
flitto interno!98.
S$. Fissato nell’opposizione idion-koinon il punto (dolente) di tangenza tra l’ultimo discorso di Pericle e l’epicedio, dedichiamo qualche altro cenno a II, 65, 5-10. L’indivi-
dualismo competitivo di cui parla Gribble prende qui la
controlled Athenian policy and strategy until his death, and in Thucydides’ narrative he overshadows any other individual Athenian while he is still alive». 167 GRIBBLE, Alcibiades..., cit., pp. 171-172: «The story of Athens after the fall of Pericles was no longer that of a unified and consistent policy directed by one man, but of individual Athenians and individual competing politicians. [...] The analysis of the Athenian decline after Pericles has two intimately related elements: the growth of harmful individualism in Athenian political life; and the increasing importance of competing individuals» (entrambi i corsivi sono di Gribble). Ma sull’individualismo si veda già TERRAY, La politique dans..., cit., p. 282: «Bref, l’individualisme commence par disloquer la cité, mais il ne s’arréte pas en si bon chemin et finit par désagréger les partis eux-méèmes». 168 GRIBBLE, Alcibiades..., cit., p. 170: «[...] the basic pattern: individual interests — harmful political division and bad decisions — open stasi». Sul punto si veda ancora PRICE, Thucydides and Internal War, cit., p. 239:
«Furthermore, the model of civic virtue contains just those qualities which in the stasis model are replaced by distorted, harmful forms or disappear: moderation, civic devotion, political talent and “intelligence” are displaced by extremism, greedy attention to one's private interests and a kind of obtuseness which cannot see beyond the immediate moment. Loyalty to anything beyond one* personal survival becomes dangerous and disappears, survival requires an aggressive attitude to all».
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Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
forma della philotimia, della passione divorante (e della lotta conseguente) per il riconoscimento della time, dell’onore (II, 65, 7). È il concorso delle «ambizioni personali» (kata tas idias philotimias) e del perseguimento di «personali vantaggi» (idia kerde: kerdos designa tanto il ‘profitto’ quanto la sua ‘sete’, il suo ‘appetito smodato’) a sviare gli Ateniesi dagli indirizzi di governo periclei. Invero Tucidide è ancora più drastico: nelle loro scelte strategiche gli Ateniesi «fecero il contrario» (es tounantion epraxan) di «tutto ciò» (tauta... panta) che Pericle aveva consigliato. Detto questo, riveste particolare importanza, per il suo valore tassonomico prima ancora che retorico, la ripetizione dell’epiteto idios. Il desiderio di appropriazione si riversa su due oggetti distinti: gli onori e i vantaggi materiali. È la ricerca di questi beni esterni, mai del tutto appagata, che muove l’azione dei cittadini e in particolare dei ‘capipopolo’, dei «Fiihrer der Demokratie»!°. E li induce a scelte che, nel breve periodo, possono rivelarsi efficaci, produttive di time e di «beneficî» (di «utilità»: ophelia), ma solo per alcuni singoli (tois idiotais) e a scapito degli altri; alla lunga esse appariranno non solo inefficaci ma dannose «per la città» (tei polei) (II, 65, 7), per tutti. Dannose «in rapporto» (es) a ciò che ogni cittadino avverte come il problema comune e politico per eccellenza: la guerra (ton polemon). Per il suo carattere intimamente agonistico, sarà soprat-
tutto la philotimia, l'appetito di reputazione!7, a generare di-
169 rEPPIN, Thukydides..., cit., prizzi 17% Adotto volutamente un lessico hobbesiano. Hobbes traduce philotimia con «ambition» e Rerde con «covetousness» (‘bramosia’, ‘cupidigia’): Eight Books of the Peloponnesian War..., cit., p. 220. Due appetiti sono quindi la causa della condizione di precarietà e della successiva catastrofe. Non è un caso che questa semantica sia ripresa da Hobbes (anche se con significative varianti lessicali) nella descrizione dello stato di natura in Leviatano, I, XIII. Si veda dunque TH. HOBBES, Leviathan, or, the Matter, Form, and Power of a Commonwealth, Ecclesiastical, and Civil (la
Su Tucidide, II, 35-37,1
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scordie per il primato nella polis e a orientare verso il peggio le decisioni dei contendenti, i quali, coinvolti in quella che di fatto è già una stasis, una lotta per l'egemonia interna!”!, perderanno di vista il polemos. La riprova è nel giudi-
Head Edition è del 1651), I, XIII, in ID., The English Works, cit., t. III,
London, John Bohn, MDCcexxxIX, p. 112: le «tre principali cause di conflitto» (three principal causes of quarrel) sono «First, competition; secondly, diffidence; thirdly, glory». Nel primo caso l’aggressività dipende dal perseguimento di un vantaggio (gain); nel secondo dalla diffidenza; nel terzo dalla reputation. Molto efficace la resa del Leviatano latino: «[...] competitio, defensio, gloria; quorum prima ad dominium, secunda ad securitatem, tertia ad famam spectat» (THOMAE HOBBES Malmesburiensis Opera Philosophica quae Latine scripsit Omnia in unum corpus nunc primum collecta studio et labore Gulielmi Molesworth, vol. III, Londini: apud Joannem Bohn, MDCCCKXLI, p. 99). Cfr. sul punto
C. GALLI, Ordine e contingenza. Linee di lettura del «Leviatano», in AA.VV., Percorsi della libertà. Scritti in onore di Nicola Matteucci, Bologna, Il Mulino,
1996, pp. 81-106: «Il desiderio, del resto, si rivolge sia ai beni materiali sia alla reputazione, ed è in pratica coincidente con la “gloria” o vanagloria, come elemento di destabilizzazione antropologica [...]» (p. 83). Sulla vanagloria in Hobbes si veda anche R. BODEI, Geometria delle passioni. Paura, speranza, felicità: filosofia e uso politico, Milano, Feltrinelli, 1991, p. 90: «[...] la vanagloria conduce gli uomini al conflitto e alla discordia, giacché ciascuno cerca di innalzarsi al di sopra degli altri, di ‘gonfiare’ il proprio io [...]». Sull’annosa questione delle possibili analogie tra stato di natura (hobbesiano) e guerra civile (tucididea) notazioni molto equilibrate in G. BORRELLI, Evidenza, verità e storia: Hobbes inter-
pretedi Tucidide, in TH. HOBBES, Introduzione a «La guerra del Peloponneso» di Tucidide, a cura di G. Borrelli, Napoli, Bibliopolis, 1984, pp. 11-37 (in particolare pp. 27-28). !! Dopo Pericle, Atene entra in una condizione di stasis permanente e di inesorabile decadenza: cfr. PRICE, Thucydides and Internal War, cit., pp. 326-327: «But Thucydides, far from viewing the Athenian stasis as beginning and ending with a particular oligarchical government in 411; interpreted the internal condition of Athens after Pericles’ death as one of prolonged and everdeepening stasis. [...] The breakdown was not sudden but gradual; factional squabbles fueled by a destructive form of philotimia eventually engulfed the whole state. In Thucydides” view this is how staseis work».
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Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
zio tucidideo circa gli esiti disastrosi della spedizione in Sicilia (estate del 413): «in essa non vi fu tanto un errore di valutazione delle forze (ou tosouton gnomes hamartema) contro cui venne portato l'attacco, ma accadde piuttosto che coloro che avevano deliberato (hoi ekpempsantes) l’invio della spedizione non prendevano le decisioni che sarebbero state più favorevoli alle truppe lontane (ou ta prosphora tois oichomenois epigignoskontes), ma agivano (epoioun) sotto la spinta di discordie private (alla kata tas idias diabolas), contendendosi l’un l’altro la guida del popolo (peri tes tou demou prostasias). La situazione dell’esercito al campo ne venne indebolita e per la prima volta il disordine creato dalle loro rivalità interne sconvolse (etarachthesan; letteralmente: ‘generarono una condizione di anarchia’) la vita della città (peri ten polin)» (II, 65, 11). Non è dunque un limite cognitivo (una falsa rappresentazione della gnome) a determinare il risultato della spedizione: chi ha deciso ha ben chiari i reali assetti di forza. È piuttosto il movente pragmatico, l’inopportunità dei fini, a spostare l’attenzione dal fronte esterno a quello interno. Il che aggrava le responsabilità dei decisori rispetto all'esito finale: essi hanno agito consapevolmente in maniera difforme dal dovuto. C'è anche dell’altro all’origine della philotimia e della stasis, per Tucidide. Lo hysteron, il dopo-Pericle, è il tempo dell'uguaglianza tra gli antagonisti politici: «i successori [di Pericle], che erano maggiormente uguali l’uno all’altro!” (hoi de hysteron isoi mallon autoi pros allelous ontes), ma miravano tutti al primato (oregomenoi tou protos hekastos gignesthai), si diedero a compiacere il popolo (etraponto kath’hedonas toi demoi), abbandonando a esso il governo dello Stato (kai ta pragmata endidonai)» (II, 65,10). Un maggiore ison (nel senso di una non-difterenza) caratterizza l’età di crisi come 172 Mi discosto, solo per motivi di coerenza interna, dalla traduzione di Mariella Cagnetta («erano più su un piano di parità fra di loro»).
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età dell’abolizione della distanza. Se l’invidia (phthonos), nei brevi cenni che le dedica l’epitafio, nasce dalla presa d’atto della superiorità della potenza altrui, la philotimia, all’opposto, deriva dalla percezione di una generale prossimità o meglio dall’assenza di una figura che si elevi al di sopra di tutti gli altri «sia nell’eloquenza sia nell’azione» (legein te kai prassein dynatotatos: I, 139, 4). L'uscita di scena di Pericle (la
cessazione del katechein, al tempo stesso freno e modello coesivo) sortisce l’effetto di liberare le aspettative, di ren-
derle tutte ugualmente legittime e dunque d’inasprire la competizione all’interno di uno spazio ‘orizzontale’, livellato!??. Ma la liberazione dalla gerarchia del primo cittadino non significa affatto scioglimento da ogni legame. Tutt'altro. L’ison non si attua solo nei rapporti reciproci tra coloro i quali aspirano al dominio divisi in fazioni; il regime di parità si stabilisce anche tra questi e la moltitudine (che in II, 65, 4 Tucidide ha chiamato, col tono velenoso dei vinti, homilos, ‘folla’, ‘Îmassa’). Ha osservato Gribble: «After the death
of Pericles [...] there is a new similarity between leaders and Athenians»!74. Similarity è la parola-chiave: analogia, isomorfismo, tra i pochi e i molti. Ne consegue che chi ambisca a primeggiare, non avendo le qualità personali!” per essere riconosciuto
migliore, debba venire a patti col demo, com-
piacerlo, assecondarlo. Fino a consegnargli i pragmata, scrive
173 GRIBBLE, Alcibiades..., cit., p. 172n.: «[...] what is to stop the cit-
izen's quest for honour and for independence in this sense developing in an uncivic direction?». 174 Ivi, p. 174 (c.vo non testuale). 175 Su questo punto insiste giustamente H.YUNIS, How Do the People Decide? Thucydides on Periclean Rhetoric and Civic Instruction, in «American Journal of Philology», 112, 2 (1991), pp. 179-200: «There were no formal constitutional changes marking the transition between Pericles and the successors. Hence the difference between the periods of good and bad government is to be accounted for by reference to the particular personalities and activities of those involved in government at any particular time» (p. 181).
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Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
Tucidide, delineando con questa formula (ta pragmata endidonai = «rimettere nelle mani del demo il governo della polis»)! il profilo di una nuova, più violenta, più cieca, soggezione!””. Un'ultima notazione. Il terreno sul quale Pericle vince il confronto con i suoi successori è il terreno della parola, del discorso. Quello instaurato da Tucidide è un confronto fra due retoriche politiche. E retorica è anche la tecnica con cui Pericle tiene a freno le pulsioni dei concittadini. Tucidide non si limita a dire che Pericle «non si faceva guidare da esso [scil. il plethos] (ouk egeto), ma era lui piuttosto a fargli da guida (mallon hyp'autou e autos ege)» (II, 65, 8); illustra anche il modo in cui l’agein (il ‘guidare’), la demagogia virtuosa, si realizza. Modo che potrebbe riassumersi nella formula ‘psicagogia onesta’!”8, di cui chiarisco subito il senso,
176 KRÙGER, THUKYDIDOU
Xyngraphe..., cit., p. 234: «die Staats-
verwaltung in die Hinde zu geben». Cfr. anche L. CANFORA, Oratoria pelitica e giudiziaria in Atene, in «Quaderni di storia», 8 (1978), pp. 295-305:
«[...] alla fine delV secolo, dopo Pericle e prima dei “Trenta”, si apre un venticinquennio di democrazia radicale, non a caso punteggiato dai sanguinosi sussulti oligarchici del 411 e del 403. Questo venticinquen-
nio è forse l’unico periodo della storia politica ateniese in cui il plethos consegue una propria diretta espressione politica: Cleone, Iperbolo, Cleofonte — tutti personaggi disprezzati dalla commedia e dalla tradizione contemporanea (Tucidide) e del secolo successivo (Eschine, II, 76, su Cleone; Aristotele, Athenaion Politeia) [...]. È sintomatico che, nel bilancio sul dopo-Pericle (II, 65), Tucidide indichi come caratteristica dei
politici affermatisi dopo Pericle to endidonai ta pragmata toi demoi, che è appunto il principale difetto dal quale gli oratori di quarto secolo si proclamano indenni, e che presentano costantemente come un disvalore (charizesthai toi demoi)» (p. 297). !77 Va rilevata la corrispondenza a distanza tra questa formula e quella di II, 65, 4: «rimisero tutto il potere nelle sue [scil. di Pericle] mani» (panta ta pragmata epetrepsan). I pragmata passano dalle mani di Pericle a quelle del demo.
178 Uso ‘onesto’ (nel senso di ‘moralmente retto’) secondo l’accezione di T. ACCETTO, Della dissimulazione onesta (1641), cap. IV, edizione
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peraltro già intuibile (del resto, anche PLUTARCO, Vita di Pericle, 15, 2, qualifica come psychagogia l’oratoria periclea, e la definisce peri ta ethe kai pathe methodos, ossia ‘trattamento dei comportamenti e delle passioni’). L'eloquenza periclea ha efficacia morale e persegue un fine parenetico, non la hedone della platea!??. È un’eloquenza che ‘percuote’ e ‘raggela’!9° (kateplessen = ‘abbatteva’)!8! per placare la hybris dell’uditorio, la tracotanza «inopportuna» (para kairon), trasformando l’euforia in paura (to phobeisthai), ‘distogliendo’ la moltitudine dai suoi conati selvaggi, come traduce Valla: «Quoties itaque intelligebat eos quippiam intempestive ferociterque
conantes,
orationis
acrimonia
deterre-
bat»!8. È un’eloquenza che induce a sperare (antikathiste palin epi to tharsein) quando invece serpeggia un’apprensione irragionevole (dediotas... alogos) (II, 65, 9). Terapeutica e pedagogica, la parola periclea presuppone dunque «his fine ability to read the peoples mood»!8 e una perfetta padro-
critica a cura di S.S. Nigro, Genova, Costa & Nolan, 1983, p. 42: «[...] non essendo altro il dissimulare che un velo composto di tenebre oneste e di rispetti violenti, da che non si forma il falso, ma si dà qualche riposo al vero, per dimostrarlo a tempo»; o anche cap. X: «Onesta e util è la dissimulazione, e di più ripiena di piacere [...]» (p. 50). 179 Cfr. L. CANFORA, Demagogia, Palermo, Sellerio, 1993, pp. 17-18: Pericle «parla essenzialmente per ammonire ed educare, non per adulare o suscitare facili riflessi condizionati. [...] Nasce, con il Pericle tucidideo (che forse assomiglia non poco a quello vero), l’oratoria politica severamente pedagogica; il politico che rimprovera il demo anziché blandirlo». 180 Seguo la traduzione di CANFORA, La storiografia greca, cit., p. 280: «quando il popolo era scatenato fuor di luogo e incline alla hybris, lui lo raggelava inducendolo a temere». 181 Sulla capacità del discorso di produrre kataplexis si veda v. HUNTER, Thucydides, Gorgias, and Mass Psychology, in «Hermes», Bd. 114, H. 4 :(1986), pp. 412-429: «Words too can produce kataplexis, indicating that they have the same power as visions to shock and unhinge men* minds» (p. 425n.). 182 Bib. Ap. Vaticana, Cod. Vat. lat. 1801, fol. 421. 183].OBER, Mass and Elite in Democratic Athens. Rhetoric, Ideology, and
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Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
nanza nel calibrare il discorso sugli umori incostanti dei destinatarî con un gioco sapiente di ‘contrappesi’ emotivi, di giusti dosaggi di umori contrarî: temperare la hybris con la paura (phobos) e la paura con la fiducia (tharsos)!??. La concordanza, per certi versi anche lessicale, di quest'argomento con la gnoseologia di Gorgia (una gnoseologia «strettamente connessa»!85 all'etica) è in re. Si confronti II, 65,9 con il paragrafo 14 dell’ Encomio di Elena: «C'è tra la potenza della parola (tou logou dynamis) e la disposizione dell'anima (pros ten tes psyches taxin) lo stesso rapporto che tra l’ufficio dei farmaci (he te ton pharmakon taxis) e la natura del corpo (pros ten ton somaton physin). Come infatti certi farmaci eliminano dal corpo certi umori (chymous ek tou somatos exaget), altri altri; e alcuni troncano la malattia,
altri la vita (ta men nosou ta de biou pauei); così anche dei discorsi (outo kai ton logon), alcuni producon dolore (hoi men elypesan), altri diletto (hoi de eterpsan), altri paura (hoi de ephobesan), altri ispiran coraggio agli uditori (hoi de eis tharsos katestesan tous akouontas), altri infine, con qualche persuasione perversa (peithoi tini kakei), avvelenano l’anima (ten psychen epharmakeusan) e la stregano (exegoeteusan)» (GORGIA, Encomio di Elena, $ 14 = 82 B 11 Diels-Kranz; seguo,
con modifiche irrilevanti, la trad. di M. Timpanaro Cardini). Il Pericle di Tucidide personifica in concreto ciò che Heidegger esprimerà, in astratto, ragionando sulla teoria aristotelica degli affetti enunciata nel libro secondo della Reto-
the Power of the People, Princeton, Princeton University Press, 1989, p. 9I. 184 HUART, Le vocabulaire de l’analyse..., cit., pp. 429-431, connette il
tharsos a una generale rassicurazione che compensa il phobos e genera ardimento.
185 M. UNTERSTEINER, I sofisti, Milano, Bruno Mondadori, 19963 (I ed. Torino, Einaudi, 1949, II ed. Milano, Lampugnani Nigri, 1967), p. 174: «La funzione del logos è [...] eudemonistica; il suo potere metafi-
sico si attua nella realtà concreta della vita».
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rica («la prima interpretazione degli affetti sistematicamente compiuta che sia stata tramandata»)!89: che la retorica, in quanto lavoro sulle passioni mirante al «consenso emotivo»!57, è ermeneutica!88; è la comprensione delle «possibilità della tonalità affettiva, per provocarle e dirigerle nel modo giusto» (der Méglichkeiten der Stimmung, um sie in der rechten Weise zu wecken und zu lenken)!9?. Ma vi è un caso, isolato e particolarmente istruttivo, nel
quale Pericle stesso diffida della potenza frenante della parola, della sua capacità di dominare le passioni contingenti. Occorre risalire, nel racconto di Tucidide, al primo anno di
guerra, al maggio-giugno del 431, quando le truppe di Archidamo invadono l’Attica spingendosi fino al demo rurale di Acarne, «a soli sessanta stadi» da Atene (II, 21, 2). L’atten-
dismo di Pericle (il lasciare campo libero al nemico) risulta incomprensibile ai più. Ad Acarne come ad Atene monta l’orge verso lo stratego (ton Periklea en orgei eichon: II, 21, 3): Tucidide preferisce questa formula generica, senza fornire chiarimenti ulteriori circa l'allargamento del fronte di opposizione interna! Ebbene, dinanzi al rischio concreto di
186 «[...] die erste iiberlieferte, systematisch ausgefiihrte Interpretation der Affekte»: M. HEIDEGGER, Sein und Zeit (1927), I, I,V, A, $ 29, in ID., Gesamtausgabe. I. Abteilung: Veroffentlichte Schriften 1914-1970, Bd. 2, Frankfurt a.M., Klostermann, 1977, p. 184.
187 R. BODEI, Il rosso, il nero, il grigio: il colore delle moderne passioni politiche, in VEGETTI FINZI (a cura di), Storia delle passioni, cit., pp. 315-353
(la citazione si riferisce alla p. 331). 188 Scrive HEIDEGGER, Sein und Zeit, I, I,V, A, $ 29, cit., p. 184: «la
prima ermeneutica sistematica della quotidianità dell’essere in rapporto ad altri» (die erste systematische Hermeneutik der Alltiglichkeit des Miteinanderseins). SAS Ta) p. 185. 190 7. ROOD, Thucydides. Nartative and Explanation, Oxford, Claren-
don Press, 1998, p. 139 (in un capitolo intitolato significativamente Selectivity and Omission: Athenian Politics, pp. 133-158), fa notare come Tu-
cidide preferisca istituire una polarità fra Pericle e «the amorphous mass
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Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
non riuscire a persuadere una moltitudine troppo inasprita e refrattaria alla gnome, Pericle opta per una mossa a sorpresa: «[...] vedeva che, indignati (chalepainontas) com'erano per la situazione in cui si trovavano, i loro propositi non erano dei più saggi (ou ta arista phronountas), ma era convinto che la strategia da lui adottata di non uscire incontro al nemico fosse quella giusta (orthos); perciò non li radunava in assemblea (ekklesian te ouk epoiei) né convocava alcun’altra riunione (oude xyllogon oudena), per evitare che trovandosi tutti insieme si lasciassero guidare dall’ira (orgei) più che dal giudizio (mallon e gnomei xynelthontas) e commettessero degli errori (examartein), ma vigilava sulla città (ten te polin ephylasse) e vi manteneva la calma (di’ hesychias) per quanto possibile» (II, 22, 1). Si tratta di una decisione che, almeno nei
termini in cui la presenta Tucidide, ha il sapore non di un mero rinvio (quale probabilmente fu) ma di una vera e propria sospensione precauzionale del metechein tes politeias!?!.Ai fini del nostro discorso è tuttavia essenziale non tanto la questione della legittimità della decisione di Pericle (il quale, membro di un collegio di strateghi, in realtà potrebbe o aver convinto gli altri membri a desistere dal chiedere ai pritani di convocare l’ekklesia obbligatoria, o persuaso la
of the Athenian demos» piuttosto che menzionare i «political pretenders» (in particolare Cleone). 1?! Pericle sembrerebbe adottare una decisione virtuosamente tirannica: virtuosa perché dettata comunque dal perseguimento del bene comune; tirannica perché egli decide in quanto depositario esclusivo dell’intelligenza politica. Tuttavia lo stratego non si autoproclama superiore; è riconosciuto tale (di qui la centralità dell’axiosis nel bilancio postumo tucidideo). Sul contrasto fra la ‘naturale tendenza’ del demo «to disorder» e la «recognized devotion to the common good» periclea come fondamento dell’autorità di Pericle, si veda YUNIS, Taming Democracy..., cit., p. 85. Sull’immagine (accreditata dall’archaia, dalla commedia attica antica) di Pericle tiranno e demagogo si veda il recente studio di A. BANFI, Il governo della città. Pericle nel pensiero antico, Bologna-Napoli, Il Mulino-Istituto Italiano per gli Studî Storici, 2003, pp. 3-43.
Su Tucidide, II, 35-37,1
121
boule a rinviare)!?2, quanto la motivazione paternalistica (la previsione dell’inflessibilità, della temporanea indocilità delle passioni collettive) che la sorregge'!’. Ed è ancor più es192 È l’ipotesi avanzata da J. CHRISTENSEN-M.H. HANSEN, What is syllogos at Thukydides 2.22.1?, in «Classica et Mediaevalia», 34 (1983), pp.
17-31 (pp. 17-18), ora anche in M.H. HANSEN, The Athenian Ecclesia II.A Collection of Articles 1983-1989, Copenhagen, Museum Tusculanum Press, 1989, pp. 195-2II (pp. 195-196): «The procedure was that the strategoi applied to the boule and asked it to summon the ekklesia. So ouk epoiei ekklesian probably means (1) that Perikles prevailed on his collegues in the board of generals to take no initiative towards the boule; (2) that Perikles persuaded the council not to use its prerogative to summon an ekklesia on its own authority». Christensen e Hansen propendono anche per un’interpretazione di ouk epoiei in termini di ‘rinvio’ (delay) e non di ‘sospensione’ (p. 20 dell’articolo = p. 198 del volume). Una conferma in M.H. HANSEN, The Athenian Democracy in the Age ofDemosthenes, trad. ing. di J.-A. Crook, London, Bristol Classical Press, 1999” (I ed. Oxford, UK, and Cambridge, Mass., usa, Blackwell Publishers, 1991), p. 133: «[...] we read in Thucydides that in the summer of 431, during the Spartan invasion ofAttica, i.e. during some forty days, Perikles avoided the calling of the Assembly — which would have been unconstitutional in Aristotle’s time but seems to have been quite legitimate in that of Perikles».
È un'ipotesi coerente
con quella di PJ. RHODES,
The Athenian Boule,
Oxford, Clarendon Press, 1972, p. 46, che interpreta la convocazione dell’ekklesia e la fissazione dell’ordine del giorno come una prerogativa esercitata congiuntamente dai pritani (per conto della boule) e dagli strateghi: «convening the ecclesia and arranging its agenda at this time may
have been the joint prerogative of the prytanes (on behalf of the boule) and the generals; the possibility of their disagreeing was perhaps not envisaged». Di diverso avviso L. SPINA, Il cittadino alla tribuna. Diritto e libertà di parola nell’ Atene democratica, Napoli, Liguori, 1986, p. 57, che interpreta il passo nel senso di uno ‘strappo’ costituzionale, di una decisione sullo stato di eccezione: «Ci troviamo
di fronte, con tale decisione, ad una
vera e propria “sospensione” del diritto di parola, sospensione generalizzata, vista Ja soppressione del “luogo”, l'assemblea, nel quale tale diritt6. veniva naturalmente esercitato». Perentorio il commento di CRANE, Thucydides and the Ancient Simplicity..., cit., p. 224: «Perikles’ parliamentary gambit saves the Athenians». 193 «[...] Pericles substituted his judgment for theirs»: FARRAR, The Origins of Democratic Thinking. .., cit., p. 164.
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Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
senziale mostrare come in questo caso non possa certo dirsi che Pericle kateiche to plethos eleutheros, se eleutheria implica partecipazione, metechein!?*. Negata la partecipazione assembleare, la conciliazione tra katechein e metechein si rivela im-
possibile: se si esercita l’uno, l’altro è ridotto all’inazione, al Silenzion®. In Plutarco, l'episodio sarà riletto proprio nei termini di uno scontro fra Pericle (la sua gnome e la sua techne) e le passioni del demos dalle quali potrebbe essere travolto: «Comunque non riuniva il popolo in assemblea (Ton de demon eis ekklesian ou synege) perché temeva di essere costretto ad andare contro la propria decisione razionale (dedios biasthenai para gnomen): come un nocchiero (hosper neos kybernetes), quando il vento cade, dopo aver disposto bene tutto, e tese le reti, sfrutta la sua abilità (chretai tei technei) e non si cura di pianti o suppliche dei marinai che stanno male o hanno paura (phoboumenon), così egli chiuse la città (fo t’ asty synkleisas), presidiò ogni luogo per garantirne la sicurezza (kai katalabon panta phylakais pros asphaleian), e pose in atto i pia-
194 Coglie quest’aspetto J. SCHWARZE, Die Beurteilung des Perikles durch die attische Komodie und ihre historische und historiographische Bedeutung, Minchen, Beck, 1971, p. 12: «[...] di fatto (tatsachlich) Pericle è stato l’istanza decisionale (die entscheidende Instanz) e all’occasione (gelegentlich) ha fatto valere (hat...geltend gemacht) la sua autorevole influenza in maniera assolutamente non democratica (seinen maBgeblichen EinfluB...in durchaus undemokratischer Weise), come ad esem-
pio durante la prima invasione dei Peloponnesiaci in Attica». 195 Cfr. il commento
ad. loc. di RUSTEN,
Thucydides..., cit., p. 129:
«I s meaning here must be that Pericles refused to debate peri tou me epexienai either in the assembly or elsewhere». Sui toni feroci del dibattito e sulla conseguente necessità di evitare il confronto assembleare ha insistito
recentemente
S.D.
OLSON,
Aristophanes.
Acharnians,
Oxford,
Oxford University Press, 2002, p. XXXVII: «In fact, the sight ofAttika being ravaged generated such fierce debate within the city that Perikles was forced to contrive to keep the Assembly from meeting, so as to guard against any rash alteration of public policy» (c.vo non testuale).
Su Tucidide, II, 35-37,1
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ni (echreto tois hautou logismois), poco curandosi di chi si irritava o gli dava addosso» (Vita di Pericle, 33, 6; adotto, ren-
dendo in maniera diversa solo para gnomen, la trad. di D. Magnino)!%. Ma non è tutto: con la sua decisione (Tucidide la connota come strettamente personale, autocratica, non condivisa collegialmente: la decisione di un princeps che sente le variazioni di ‘assetto’ della polis), Pericle dimostra che la sua maggiore virtù politica consiste nella capacità di leggere nel tempo, di saggiare la maturità o l’immaturità, l'opportunità o l’inopportunità dei momenti; di staccare dal tempo la sola frazione adeguata all’agire. Quest’'«attimo senza ritorno, da cogliere come un fiore miracoloso»! è il kairos, «l’attimo in cui si attua l’intimo nesso delle cose»!%, «l'accordo necessario
di un’azione con l'occasione della sua realizzazione»!?. Ma quest’accezione temporale (Valla traduce con opportunitas)?® è un valore traslato, già astratto. Il significato basico è un altro: kairos, in principio, è la parte che si deve colpire per arrivare all’obiettivo, lo spiraglio attraverso il quale la punta
196 Per una discussione della longeva metafora del nocchiero rimando, tra gli studî recenti, all'importante lavoro di G. DUSO, Fine del governo e nascita del potere, in ID., La logica del potere. Storia concettuale come fi-
losofia politica, Roma-Bari, Laterza, 1999, pp. 55-85 (in particolare pp. 5960). ‘197 c. caMPo, Tappeti volanti, in EAD., Ilflauto e il tappeto, Milano, Rusconi, 1971, pp. 76-88, ora in EAD., Gli imperdonabili, Milano, Adelphi,
1987, pp. 61-70 (da cui si cita la p. 68).
198 UNTERSTEINER, I sofisti, cit., p. 170. 199 A. TORDESILLAS, L’instance temporelle dans l’argumentation de la première et de la seconde sophistique: la notion de kairos, in B. CASSIN (éd.), Le plaisir de parle. Études de sophistique comparée (Actes du colloque Qu'est-ce que la sophistique, Cerisy-la-Salle, 7-17 septembre 1984), Paris, Les Éditions de Minuit, 1986, pp. 31-61 (la citazione si riferisce alla p.
34).
200 Ad esempio Rairoi (II, 40, 1) è reso con «in [...] opportunitate»:
Bib. Ap. Vaticana, Cod. Vat. lat. 1801, fol. 371.
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Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
dell’arma (una freccia, una lancia, una spada) può farsi strada. In questo senso il corpo di ogni vittima potenziale offre un kairos all’offensore. Uno soltanto, però, e la maestria del-
l’arciere sta nel riconoscerlo e nel coglierlo, cancellando dal proprio orizzonte visivo tutto il resto: di qui l’espressione tou kairou tychein, ‘cogliere nel segno’, che ritroveremo, ad esempio, in Platone (Alcibiade II, 148a6-7). Dal valore spaziale a quello temporale il passo è breve: una volta teso l’arco, l’arciere sa bene che l’attimo propizio per cogliere nel segno è uno solo. Il cattivo arciere è chi, troppo impaziente per attendere il kairos, anticipa il movimento, agendo pro kairou e facendo sì che «la freccia cada invano» (belos helithion skepseien) (ESCHILO, Agamennone, vv. 365-366).A un identico fallimento va incontro chi, per mo-
tivi opposti (riflessi troppo lenti che prendano troppo tempo, che temporeggino, ritardando oltremisura l’azione), si lasci sfuggire il momento opportuno, il termine ultimo per mettere in atto un proposito specifico. Detto nelle parole di Socrate: «se ci si lascia sfuggire (parei) il momento opportuno per un lavoro (ergou Rkairon), lo si rovina (diollytai)» (PLATONE, Repubblica, II, 370b7-8). Per evitare questo rischio, è
necessaria la schole (‘esonero’, ‘sollievo’) da tutto ciò che possa distogliere l’attenzione dall’ergon (‘opera’, ‘prestazione’) e dal tempo congeniale al suo buon esito: «e a ognuno degli altri avevamo assegnato un solo lavoro, per il quale erano naturalmente dotati (pros ho epephykei hekastos) e a cui dovevano accudire per tutta la vita (dia biou auto ergazomenos), liberi com'erano da altre occupazioni (fon allon scholen
agon), in modo che vi lavorassero senza lasciarsene sfuggire i momenti opportuni (ou parieis tous Rairous kalos apergazesthai)» (Repubblica, II, 374b9-c2; trad. di M.Vegetti).
Kairos è «l bene (tagathon)... nel tempo (en chronoî)» (ART STOTELE, Etica Nicomachea, I, 4, 1096a 24-27); il valore temporale racchiude un valore normativo, un valore d’interdizione?0: 2"! Che non sfugge a ONIANS, The Origins of European Thought...,
Su Tucidide, II, 35-37,1
125
subordinato gerarchicamente al kairos, il tempo residuo regredisce a pausa di attesa, a tempo del rinvio, del non poter ancora o del non poter più agire. Il che spiega perché Pericle si sforzi di mantenere la polis nella hesychia, in quiete (ma è la quiete di una molla pronta a scattare, condizionelimite, potenza sul punto di trascorrere in atto: la corda dell’arco è tesa, attende solo che la presa si allenti)?®, di tratte-
nerla dal decidere con avventatezza, fuori tempo, per non offrire un vantaggio al nemico. Alla hesychia, espressa nella forma verbale hesychazontas (da hesychazein: ‘stare calmi’, ‘star fermi’)?°, Tucidide dà il massimo risalto anche nell’ecit., p. 345 (ma tutte quelle dedicate al kairos, 343-348, sono pagine mira-
bili): «It will explain kairos apparently with a sense like ‘parting, division’. It will also explain the use of kairos to express ‘opportunity’ [...]. We, ourselves, speak of ‘an opening’ in just this sense (cf. also ‘loophole?). It will also explain the uses in which kairos has been translated by ‘due measure’ [...]- The kairos thus is what is right, the right aim, the right way». 202 PLUTARCO, Vita di Pericle, 15,1, si esprime proprio in termini di conatus, di tensione: «talora poi, quando il popolo gli faceva resistenza, lo teneva in tensione (katateinon) e lo domava indirizzandolo verso il suo utile (prosbibazon echeirouto toi sympheronti)» (trad. di D. Magnino). 203 Così Monica Centanni traduce il pro kairou di Agamennone, 365, in ESCHILO, Le tragedie, traduzione, introduzione e commento M. Centanni, Milano, Mondadori, 2003, p. 419.
a’cura di
204 Sulla hesychia si vedano le lucide considerazioni svolte da RECHENAUER, Thukydides und die hippokratische Medizin..., cit., p. 323 e n.: «Questo stato di disposizione ben ordinata della comunità politica (Dieser Zustand staatlicher Wohlgeordnetheit), in cui tutti i processi storicopolitici si svolgono in un àmbito di necessità del bene comune (im Rahmen der Erfordernisse des Gemeinwohls), sotto la direzione delle facoltà regolative dell’intelletto (gelenkt von den regulativen Kriften des Intellektes), si definisce in Tucidide secondo le categorie della stabilità e della continuità (nach den Kategorien der Stabilitàt und Kontinuitat), come pure della concordia politica (sowie der politischen Eintracht)». Riferendosi alle due coppie hesychia-hesychazein ed eunomia-eunomeisthai,
l’autore
precisa
che
si tratta
di
concetti
«relativi
alla
descrizione della quiete e della stabilità su di un piano che assume il corpo politico come un tutto (auf der die politische Kérperschaft als Ganzes betreffenden Ebene)».
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picedio, nel passaggio in cui riassume la strategia periclea disattesa dai successori (II, 65, 7): la quiete è lo stato che gli Ateniesi avrebbero dovuto mantenere per assumere decisioni dolorose, contro natura? (l’hesychazein sembrerebbe essere appannaggio esclusivo degli Spartani: I, 69, 4)?°, ma efficaci. Passaggio amaro: il decorso delle vicende sarà ben altro. Gli Ateniesi imboccheranno una strada diversa da quella tracciata da Pericle. Sulla hesychia prevarrà l’irrequietezza?. In assenza di controspinte razionali, le spinte passionali più turbolente muoveranno alle decisioni più precipitose. E la vittoria finale rimarrà tra le opportunità non colte. 205 Contro la propria natura iperattiva che rifugge da ogni eccesso di ponderazione. Cfr. H. NORTH, Sophrosyne. Self-Knowledge and Self-Restraint in Greek Literature, Ithaca, N.Y., Cornell University Press, 1966, pp. 101-
102: «Apragmosyne and hesychia are distinctive Spartan and oligarchic qualities. Prothymia (“enthusiasm”), synesis (‘intelligence’), to drasterion (“activity”), tolme (‘“audacity”, in a good sense), and polypragmosyne (also, and more surprisingly, in a good sense) belong to Athenians». 206 Sul punto, e sul carattere aristocratico dell’hesychia, notazioni persuasive
in U. BULTRIGHINI,
«Maledetta
democrazia».
Studî su
Crizia,
Alessandria, Edizioni dell'Orso, 1999, p. 59: «[...] hesychia, atteggiamento
tipicamente laconico e virtù aristocratica, peraltro riaffermata da Carmide come altra definizione di sophrosyne (Plat. Charm. 159b)». 207 Cfr. HUART, Le vocabulaire de l’analyse..., cit., pp. 368-369: «Car
les Athéniens ont une incapacité presque totale à s'abstenir d’agir. Périclès, qui les connaissait bien, et qui d’ailleurs lui-mème n’était pas ennemi de l’action, aurait voulu les voir renoncer à elle, pendant la durée de la guerre; et Thucydide nous rappelle, dans son jugement sur Périclès, qu'il leur promettait la victoire, s'ils voulaient rester tranquilles, hesychazontas [...], conseil fort utile, mais qu’ils n'acceptèrent qu’à grandpeine, du temps de Périclès, et se hatèrent d’oublier après sa disparition». Sul primato dell’intelligenza rispetto al coraggio (e sulle «notions intellectualistes du courage») si veda il classico libro di J. de ROMILLY, Histoire et raison chez Thucydide, Paris, Les Belles Lettres, 1967, p. 175 e n.; cfr. anche, tra gli studî recenti, R.K. BALOT, Pericles” Anatomy of Democratic Courage, in «American Journal of Philology», 122, 4 (2001), pp. 505525: «Pericles’ speeches emphasize the latter option — that courage has a necessary epistemological component» (p. 520; c.vo non testuale).
Su Tucidide, II, 35-37,1
127
6. Molti fili restano da riprendere dopo una digressione non breve. L’apologia tucididea ha evidenziato come i demagoghi consegnino al demo i pragmata, segnando così il passaggio da una democrazia del primo cittadino alla democrazia radicale. Dopo Pericle si entra in quella situazione, descritta con rude franchezza dallo Pseudo-Senofonte,
in cui i molti non solo sono i depositarî del kratos ma prendono anche le decisioni migliori (le più razionali, le più giuste) rispetto allo scopo che perseguono: la propria convenienza, il proprio utile (il sympheron). Un utile al quale nessuno altrimenti guarderebbe: sia che governino i chrestoi (i ‘ben nati’) sia che governino i poneroi (le ‘canaglie’, la ‘plebaglia’), sia che s’instauri un’eunomia sia che s’instauri una kakonomia, quelli che governeranno la polis (perché più forti, perché hanno il kratos) lo faranno per conto di una parte (la propria), senz’alcuna considerazione dell’altra, senz’alcun rispetto dell’ison?98, Nessun governo per il demo ma solo governo del demo per se stesso: tale è l’unica forma di democrazia dopo Pericle. Quelli che apparivano come due profili distinti (e come due opposte linee interpretative della democrazia: da un lato il governare, dall’altro l’esser governati e tutelati nei propri interessi) ora combaciano: «In secondo luogo, quanto al fatto che alcuni si meraviglino che essi in ogni campo concedano di più ai cattivi (pantachou pleon nemousi tois ponerois), ai poveri (kai penesi) e agli uomini del popolo (kai demotikois), che non ai buoni (e tois chrestois), apparirà evidente (phanountai) che proprio in questo (en autoi toutoi) essi provvedono ad assicurare la stabilità della democrazia (ten demokra-
208 Nota opportunamente LAPINI, Commento all’Athenaion Politeia:,., cit., p. 26: «la legge del proprio vantaggio non può ricevere una severa sanzione etica in quanto è estraneo allo P.X. il senso di una gestione imparziale della cosa pubblica: abbiamo qui l’intuizione di una legge intrinseca dell’agire sociale. Da notare che al biasimo segue subito la giustificazione razionalistica».
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Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
tian diasoizontes). Infatti i poveri, ipopolani e i peggiori (hoi cheirous), se stanno bene (eu prattontes) e se sono in molti a star bene (kai polloi hoi toioutoi gignomenoi), rafforzano la democrazia
(ten demokratian auxousin); se invece stanno bene
(ean de eu prattontes) i ricchi e i buoni (hoi plousioi kai hoi chrestoi), gli uomini del popolo rendono forte la loro parte avversa (ischyron to enantion sphisin autois kathistasin hoi demotikoi)» (PSEUDO-SENOFONTE, Athenaion Politeia, 1.4; trad. di G. Serra).
Ancora: «Proprio perché all’assemblea lasciano parlare anche la canaglia (tous ponerous legein), si regolano nel modo migliore (arista bouleuontaî). Se all'assemblea parlasse la gente per bene (ei men gar hoi chrestoi elegon), o partecipasse ai dibattiti del Consiglio (kai ebouleuonto), gioverebbe ai proprî simili (tois homoiois sphisin ‘autois en agatha), non al popolo (tois de demotikois ouk agatha). Ora invece può levarsi a parlare qualunque (ho boulomenos; letteralmente: ‘chiunque lo voglia’) ceffo (anthropos poneros) e perciò persegue l’utile suo e dei suoi simili (exeuriskei to agathon hautoi te kai tois homoiois hautoi)» (Ivi, 1.6; trad. di L. Canfora). Infine: «Io dico dunque che “il Popolo di Atene” sa ben distinguere i cittadini dabbene dalla canaglia (gignoskein hoitines chrestoi eisi ton politon kai hoitines poneroi). Ma, pur sapendolo (gignoskontes de), predilige (philousi) quelli che gli sono benevoli e utili (epitedeious kai symphorous), anche se sono canaglie (kan poneroi osi), e la gente dabbene la odia proprio in quanto per bene (tous de chrestous misousi mallon): pensano (nomizousi) infatti che la virtù (ten areten), nella gente per bene, sia nata per nuocere al popolo (ou...pros toi spheteroi agathoi pephykenai), non per giovargli (all’epi toi kakoi)» (Ivi, 2.19; trad. di L. Canfora)?®,
2° Ivi, p. 276: «Lo P.X., fin dall'inizio dell’operetta, si presenta come difensore della democrazia ateniese, contrapponendosi così ad altri accusatori (‘gli altri Greci’ di 1.1); egli, da aristocratico, è convinto che gli Ateniesi si comportino ingiustamente allorché scelgono i ‘peggiori’.
Su Tucidide, II, 35-37,1
Gl’interessi
delle forze avverse
non
sono
129
conciliabili,
non possono coesistere, si escludono: lo schema è quello dell’aut-aut, del tertium non datur. La parola demokratia «non è parola della convivenza»?! ma della disunione, della perdita di totalità, del conflitto endogeno. Come ha notato Giuseppe Serra, «nella concezione politica dell’autore [...] non c'è posto per un koinon inteso come contemperamento dei diversi interessi delle parti, perché, essendo il potere sempre di una di esse — oggi è del demos, domani potrà essere degli aristocratici —, il Roinon si risolve nella somma degli interessi particolari — degli oikoi, delle singole ‘economie domestiche’ — della parte che detiene il potere»?!!. Si è già detto più volte che la consapevolezza di quest’esito regressivo della democrazia aleggia sull’epitafio. L’intero passo dedicato all’ison, che segue la tormentata definizione del regime politico, si configura proprio come il tentativo, se non di risolvere le aporie sollevate da un’interpretazione tendenziosa, ma realistica, di demokratia, quanto
meno di fare astrazione dall’idea (e dall’effettiva realizzazione) di un predominio di parte?!: «Le leggi (kata men tous invece dei ‘migliori’, ma sa che il demo ateniese, come al solito, trae vi-
stosi vantaggi materiali da una scelta ‘filosoficamente’ ingiusta. [...] Vorrei ricordare — cosa non superflua, vista l’importanza che si è voluta dare a questa ‘contraddizione’ dell’anonimo — che questo medesimo atteggiamento di ammirazione e di ripulsa che pare animare lo P.X. lo si ritrova pressoché sempre nelle menti più illuminate e pragmatiche della critica antipopolare di tutti i tempi». 210 L. CANFORA, Sulla democrazia greca, in «Atti e Relazioni dell’Accademia Pugliese delle Scienze», vol. XLVIII, t. I (Classe di Scienze Morali), 1991, pp. 77-89 (la citazione si riferisce alla p. 87). 211 G. SERRA, La forza e il valore. Capitoli sulla Costituzione degli Ateniesi dello Pseudo-Senofonte, Supplemento 3 del «Bollettino dell’Istituto. di Filologia greca dell’Università di Padova», Roma, «L’Erma» di Bretschneider, 1979, p. 18. 212 Il fine encomiastico e quello parenetico, così come l’indubbia
idealizzazione di Atene e della sua forma politica, non escludono affatto che il Pericle di Tucidide si misuri con la realtà dell’Atene storica e da
130
Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
nomous) regolano le controversie relative all’idion (pros ta idia diaphora) in modo
tale che tutti abbiano un trattamento
essa tragga spunto per apportare correzioni decisive agli effetti potenzialmente perversi della democrazia. Andrebbe dunque sfumata la nettezza del giudizio, in larga misura condivisibile, di GAISER, Das Staatsmodell des Thukydides..., cit., p. 41: «Senza dubbio l’epitafio illustra un'immagine chiara della realtà (fiihrt...ein verklàrtes Bild der Wirklichkeit vor Augen). Leggendo il discorso (bei der Lektiire der Rede), non è priva di fondamento una sensazione che rievochi le imponenti figure dei fregi del Partenone (fiihlt man sich...an die groBartigen Figuren des Parthenonfrieses). Il Pericle tucidideo non descrive semplicemente la costituzione democratica di Atene, e neppure solo la caratterizzazione aristocratico-monarchica (und auch nicht nur den aristokratisch-monarchischen Zuschnitt) che essa ha ricevuto sotto la sua guida (den sie unter seiner Fiihrung erhalten hat), quanto piuttosto un modello ideale (sondern ein ideales Modell). Al di sotto della rimozione dei tratti negativi (Unter Beseitigung der negativen Ziige) si delineano gli elementi positivi, convenienti (die positiven, preiswiirdigen Elemente herauskristallisiert), tratti dalla realtà storica (aus der geschichtlichen Realitàt), e si accordano a un paradeigma (und zu einem Paradeigma vereinigt)». Nelle pagine successive Gaiser torna sull'argomento (il cruciale rapporto fra «Idealbild» e «Wirklichkeit»), fornendo un ulteriore, e più persuasivo, chiarimento: «Già da sempre il greco vede il ‘vero’ non solo nelle manifestazioni esteriori che s'impongono (Das ,Wahre‘ sieht der Grieche schon immer nicht nur in den sich aufdrin-
genden Erscheinungen), quanto piuttosto nei fondamenti normativi e nelle conformità a leggi universalmente valide (sondern eher in den normativen Grundlagen und allgemeingultigen GesetzmaBigkeiten), che certo vengono alla luce qua e là (die zwar hier oder dort zum Vorschein kommen), ma nondimeno — pur senza essere solo nel pensiero (ohne blof} erdacht zu sein) — sono pienamente intelligibili soltanto attraverso il pensiero (nur mit dem Denken unverhiillt ,geschaut' werden k6nnen). In Tucidide stesso si può osservare questo concetto di verità (ist dieser Wahreitsbegriff auch dort zu beobachten), laddove egli parla di una causa degli eventi che è la più vera (umso wahreren Ursache des Geschehens spricht), non di una causa evidente (einer nicht offen zutageliegenden) [...]. Che l’ordine della polis così descritto si fondi su un equilibrio che è costantemente precario (Daf die beschriebene Polisordnung auf einer Balance beruht, die jeden Augenblick aus dem Gleichgewicht
geraten kann)
non
rende
quest'ordine
in sé incerto
(macht
Su Tucidide, II, 35-37,1
131
uguale (pasi to ison), ma quanto alla reputazione (kata de ten axiosin) di ognuno (hos hekastos), il prestigio di cui possa godere chi si sia affermato in qualche campo (en toi eudokimei) diese Ordnung an sich nicht fragwiirdig). Quel che èx certo (Es bleibt dabei) è che nel discorso di Pericle è rappresentato un paradeigma positivo di arete politica e di eudaimonia (ein positives Paradeigma politischer Arete und Eudaimonie dargestellt wird)» (pp. 44-45). Ancor più limpide le considerazioni finali di p. 52: «Le idee di Tucidide (Die Gedanken des Thukydides) che s’imprimono sull’epitafio potrebbero forse assumere in un filosofo la forma di una teoria dello Stato ideale (k6nnten bei einem Philosophen vielleicht die Form einer Idealstaatstheorie annehmen). Ma non per niente c'è una distinzione (Aber nicht umsonst besteht ein Unterschied) tra il modello esemplare di Tucidide e le utopie costruite nella teoresi o le analisi dei filosofi (zwischen dem exemplarischen Modell des Thukydides und theoretisch konstruierten Utopien oder Analysen der Philosophen). Tucidide non separa realtà empirica e idea. Il suo modelio non è un’astrazione (Sein Modell ist keine Abstraktion) né procede per deduzioni puramente ideali (und nicht rein gedanklich deduziert), ma piuttosto rende manifesta (sondern es macht...sichtbar) la struttura generale fondamentale del fenomeno storico (die allgemeine Grundstruktur am geschichtlichen Phinomen), sull'esempio di Atene (am Beispiel Athens). Questa concretezza non è meramente
estrinseca
(Diese Konkretheit ist nicht bloBe Einkleidung) ma oggettivamente istruttiva (sondern sachlich aufschluBreich); essa costituisce in’ senso proprio il pregio del modello tucidideo di Stato (sie macht gerade den Vorzug des thukydideischen Staatsmodells aus). Dal momento che Tucidide connette il suo paradeigma politico all’Atene periclea (Dadurch da8 Thukydides sein politisches Paradeigma an das perikleische Athen bindet), bisogna comprendere che l’ideale si realizza, peraltro neppure completamente, solo sulla base di determinati presupposti storici (daB das Ideal nur unter bestimmten geschichtlichen Voraussetzungen und auch dann nicht vollkommen zu verwirklichen ist). D'altronde risulta evidente che in questo modo (Andererseits wird auf diese Weise deutlich) l’essenziale si può conoscere solo attraverso l’esperienza storica (daB das Wesentliche nur mittels geschichtlicher Erfahrung zu erkennen ist) è che la conoscenza così acquisita delle norme generali della vita politica (und daB die so gewonnene Erkenntnis der allgemeinen Normen
des politischen Lebens) è importante, d’altro canto, per il supera-
mento di situazioni storiche (wiederum ftir die Bewaltigung von geschichtlichen Situationen von Wert ist)».
132
Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
non lo si raggiunge nell’ìmbito degli affari comuni (es ta koina...protimatai) in base allo stato sociale di origine (ouk apo merous), ma in virtù del merito (e ap’aretes); e poi, d’altra parte, quanto all’impedimento costituito dalla povertà (kata penian), per nessuno che abbia le capacità di operare nell’interesse della polis (echon ge ti agathon drasai ten polin) è di ostacolo la modestia del rango sociale (axiomatos aphaneiai kekolytai)» (II, 37, 1)?!5. L'intero passo, dicevo, testimonia lo sforzo pericleo di contenere la democrazia entro la misura dell’ison. È come se Pericle, intervenendo sul nome demokratia, sul disequilibrio e sulla preponderanza che la nozione immediatamente suggerisce?!*, ripetesse nel discorso il medesimo, tipico gesto nel quale Tucidide usa ritrarlo: quello di limitare gli impulsi istintivi del demo, di preservare la polis dalla democrazia, intesa, in senso derogatorio, come eccedenza, trasgressione della giusta misura, pleonexia.
Tra ison e katechein, uguaglianza e freno, si stabilisce quindi un legame strettissimo. Lo stato di salute della polis (come organismo vivente), equivalente a un regime isonomico, all'assenza di «una posizione dominante assoluta»?! che alteri l'equilibrio umorale interno, presuppone un fattore stabiliz-
2!3 Mi sono in parte discostato dalla trad. di M. Cagnetta. 214 Merita d’essere riportata l'autorevole opinione contraria di RAAFLAUB, Die Entdeckung der Freiheit..., cit., p. 287: «tuttavia le implicazioni negative della parola in questo caso non risultano vere» (die negativen Implikationen dieses Wortes treffen hier nicht zu, denn). Tuttavia lo stesso Autore, in Contemporary Perceptions...cit., p. 57, osserva: «This is a very positive but also a very difensive description. Each point responds to criticism against democracy [...]». 215 RECHENAUER, Thukydides und die hippokratische Medizin..., cit., p. 291: «Abbiamo dunque uno stato (Zustand) nel quale nessuno detiene una posizione dominante assoluta nella polis (keiner im Staat eine absolute Herrschaftsstellung innehat) ma tutti in un rapporto armonioso (in einem ausgewogenen Verhàltnis) partecipano agli interessi della polis (an den staatlichen Belangen beteiligen) e possono far valere la propria influenza (und ihren EinfluB geltend machen kénnen) [...]».
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zante che, prevalendo sugli umori in conflitto, possa esercitare con successo la propria funzione. Detto altrimenti: è l’arche (effettiva, non dichiarata) del primo cittadino (di un disuguale de facto, non de iure) che rende possibile l’uguaglianza, la non-prevalenza?!9. Non vi è dunque opposizione, ma reciproca implicazione, tra uguaglianza e gerarchia. La polis democratica, nella sua forma sana, deve l’efficacia del proprio funzionamento alla combinazione di principio ugualitario e principio armonico; dove per armonia deve intendersi una condizione di equilibrio che si costituisce «anche a partire da elementi disuguali»?!7. L’eccesso di uguaglianza, di un’uguaglianza non compensata dall’«antidoto carismatico»?!8, dall’auctoritas (che è fattore di mediazione
216 Sul punto ha giustamente insistito PRICE, Thucydides and Internal War, cit., pp. 320-321: «The democracy had managed its affairs well when a strong leader was in charge [...]. Afterwards the democracy mismanaged the states business because of internal rivalries; strictly, Thucydides criticizes the people rather than the system. [...] What Thucydides admires is good government in which personal rivalries least interfere. He does not endorse any particular structure for all times and circumstances. Thucydides does not, for example, admire one-man rule per se in 2.65.9, but he rather praises the way Pericles ran the state, steering the democracy away from impulsive and unwise decisions, and maintaining internal unity of purpose». 217 G. CAMBIANO, Pathologie et analogie politique, in E. LASSERRE-PH. MUDRY (éds.), Formes de pensée dans la Collection Hippocratique, Actes du IV° Colloque International Hippocratique (Lausanne, 21-26 Septembre 1981), Genève, Droz, 1983, pp. 441-458 (la citazione è tratta dalla p. 446). Importante
questa notazione
(a margine di TUCIDIDE,
II, 65, 13) di E.
BAYER, Thukydides und Perikles, in «Wirzburger Jahrbiichem, 3 (1948), pp. 1-57, ora anche in H. HERTER (hrsg. v.), Thukydides, Darmstadt, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, 1968, pp. 171-259, da cui si cita la p. 257n,: «Pericle non è sovrano (Herrscher), piuttosto la guida (der Lenker), l’unità di misura (das RichtmaB), il custode dell’armonia dell’insieme (der Wachter uber der Harmonie des Ganzen)». 218 FANTASIA, in TUCIDIDE, La guerra del Peloponneso. Libro II..., cit., p. 36.
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Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
politica), genera conflitto al pari di un’esasperata accentuazione della disuguaglianza. E quanto accade nell’Atene post-periclea?!9, allorché gli isoi mallon (i ‘più uguali’ di II, 65, 10), proprio perché froppo uguali, non incontrano alcun ostacolo alla propria ambizione di prendere il sopravvento, finendo per destabilizzare la polis e avviarla alla catastrofe finale. L'equilibrio infranto si ristabilirà solo quando si raggiungerà nuovamente la «fusione dei pochi e dei molti» (es tous oligous kai tous pollous xynkrasis), di selezione e inclusione, uguaglianza geometrica e uguaglianza aritmetica, aristocrazia e democrazia (VIII, 97, 2).
21° Molto lucida questa notazione di H. FLASHAR, Der Epitaphios des Perikles. Seine Funktion im Geschichtswerk des Thukydides, in «Sitzungsberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschaften». Philosophischhistorische Klasse, 1969, Abh. 1, Heidelberg, Winter, 1969, p. 17: «Pericle apre la sua rappresentazione con il riferimento, proprio del genere del discorso encomiastico (mit dem zur Typik der enkomiastischen Rede geh6renden Hinweis), alla peculiarità e alla stabilità della costituzione (auf die Eigenwiichsigkeit und Stabilitàt der Verfassung); un riferimento che è tanto carico di significato per l’anno 431 (ein Hinweis, der fir das Jahr 431 ebenso sinnvoll) quanto privo di senso dal punto di vista di Tucidide del 404 (wie er aus der Sicht des Thukydides von 404 sinnlos ist). Ma la successiva, difficile proposizione in un certo qual modo nasconde la realtà politica dell’anno 431 (Der folgende, schwierige Satz aber beschònigt bereits bis zu einem gewissen Grade die politische Wirklichkeit des Jahres 431). Perché se il senso della proposizione (Denn wenn es der Sinn des Satzes) è che la democrazia come uguaglianza davanti alla legge (ist, daB die Demokratie als Gleichheit vor dem Gesetz) ha davvero un significato per l’arete che si dimostra nell’onore e nella considerazione (doch einen Sinn ftir arete hat, den sie in Ehre und Wertschaàtzung bekundet), si è dunque indotti a dubitare (so wird man... verfuhr, an... zweifeln), circa il modo in cui questa stessa democrazia si
caratterizza con Pericle (II, 65, 2-4) (angesichts der Art, wie diese Demokratie selbst mit Perikles), della validità generale di questa proposizione (der Allgemeingiiltigkeit dieses Satzes), per non parlare del fatto che (ganz zu schweigen davon) il suo senso si volge addirittura nel suo contrario dopo la morte di Pericle (daf} sein Sinn sich nach dem Tode des Perikles geradezu ins Gegenteil verkehrte)».
Su Tucidide, II, 35-37,1
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Parlare dell’ison significa dunque parlare di due uguaglianze distinte: un’uguaglianza che vale per tutti e che tutti parifica; un’altra che è invece selettiva, conducendo a distin-
zioni di merito, di qualità personali, di valore. A ciascuna di esse corrisponde un àmbito specifico: l’idion nel primo caso; il koinon nel secondo, sebbene l’ison, a rigore, sia asso-
ciato solo alla sfera dell’idion, essendo to ison il soggetto della prima proposizione (in cui metesti ha valore personale e pasi figura come dativo di possesso), non della seconda: «Quanto alle leggi (kata men tous nomous), l'uguaglianza (to ison: Valla rende la perifrasi con «Idem iuris»? Hobbes con «an equality... in point of law»)??! spetta a tutti (pasi) in materia di controversie relative all’idion (pros ta idia diaphora)». Nel suo commento del passo Domenico Musti ha còlto con grande finezza la «klimax che comprende tre gradini: oligous-pleionas-pasi (pochi — più [la maggioranza] — tutti)»?22. Il dativo di possesso pasi conclude un crescendo, una sequenza ascendente, e instaura un'opposizione: le leggi producono uguaglianza per tutti in un campo, l’idion, dominato invece dai diaphora (da diapherein: ‘differire’, ‘distinguersi’, ‘appartenere’, ‘essere in disaccordo’)??3, ossia da differenze e da dissidî che appaiono come la conseguenza necessaria di tali differenze, di tali particolarità?4. Davanti alle leggi, e per il tramite delle leggi, coloro i quali divergono, coloro i cui idia entrano in conflitto, si equivalgono???. Ed è un'identità 220 Bib. Ap. Vaticana, Cod. Vat. lat. 1801, fol. 36v.: «Idem iuris quantumlibet privatim inter se differentibus omnibus est». 221 Eight Books of the Peloponnesian War..., cit., p. 191. 222 MUSTI, Demokratia..., cit., p. 11. 223 Sui diaphora, KRUGER, THUKYDIDOU Xyngraphe..., cit., p. 75 (ad I, 68, 2): «diaphora streitende, collidirende Interessen» (interessi in conflitto, che collidono).
224 muSTI, Demokratia..., cit., p. 119: «E poiché la sede dell’armonia è il politico, e il “privato” la sede delle differenze, in definitiva è la polis
stessa che autorizza e armonizza le differenze del “privato”». 225 Cfr. la parafrasi di FLASHAR, Der Epitaphios des Perikles..., cit., p.
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di misura, quest'equivalenza legale (isonomia), che mostra ancora una volta la funzione arbitrale svolta dai nomoi???: l'ison prodotto dalle leggi istituisce un meson, un ‘alveo’ nel quale gli idia diaphora (che ricordano molto da presso le fatali idiai diaphorai, i conflitti ‘egoistici’, dell’epicedio: II, 65, 12), contenuti entro una misura legale egualmente condivisa, non compromettano l’unità della polis??8. Allorché si passa dagli idia ai koina (es ta koina) ed è in questione l’apporto di ciascuno agli affari d’interesse comune, di rilievo politico, l’ison subisce uno scarto. Ora l’uguale
non significa trattamento indifferenziato. Lo dimostra un verbo che non potrebbe suonare più discriminante e selettivo: protimasthai (= ‘essere preferito’, ‘essere onorato di più’, ossia ricevere maggiore fime, maggior riconoscimento da parte della comunità politica). Nella sua forma sana, la de-
18: «Per quanto concerne gli interessi privati (Bei den Privatinteressen), ognuno è (jeder ist) uguale davanti alla legge (vor dem Gesetz gleich)». Puntualissimo
il commento
ad loc. di KRÙGER,
THUKYDIDOU
Xyn-
graphe..., cit., p. 196: «fo ison Gleicheit vor dem Gesetze». Cfr. anche GOMME, A Historical Commentary..., cit., p. 109: «the share (la parte) is equal for all in civil right, before the law», seguito da RUSTEN, Thucydides..., cit., p. 145: «equality is shared by all». 226 HORNBLOWER,
A Commentary on Thucydides..., cit., p. 299, tra-
duce con «equal justice». 227 MuSTI, Demokratia..., cit., p. 100: «L’uguaglianza di fronte alle leggi è fatta valere come principio positivo, rispetto alla sfera delle diversità, divergenze private, che sono appunto riequilibrate dal nomos, che costituisce il principio pubblico dell’uguaglianza». Cfr. anche C.M.j. SICKING, The General Purport of Pericles” Funeral Oration and Last Speech, in «Hermes», Bd. 123, H. 4 (1995), pp. 404-425: «A case in point is the
carefully balanced description of democracy as realizing the equality of all citizens before the law» (c.vo non testuale). 228 L’uguaglianza è una delle «valvole di sicurezza» (safety-valves), uno dei «dispositivi di protezione» (protective devices), contro le patologie della competizione: P. waLCOT, The Funeral Speech, a Study of Values, in «Greece and Rome», XX, ii (1973), pp. ITT-121 (la citazione si ri-
ferisce alla p. 117).
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mocrazia deve combinare la massima partecipazione possibile ai processi decisionali e l’accesso alle cariche più delicate di quei cittadini che, a una valutazione esente da pregiudizî, risultino essere i più meritevoli??. Ciò che qualifica
come democratica la selezione è il criterio selettivo adottato: selettore, nella democrazia periclea, è la coppia axiosis-arete (reputazione-merito), non l’axioma (che equivale a una ‘rendita di posizione’), cui si ricorre nelle comunità incentrate su gerarchie prestabilite? (antimodello implicito è
229 Ne consegue che ogni regime politico, indipendentemente dalla sua denominazione e dalla sua configurazione formale, possa di fatto risultare aristocratico. Lo nota GOMME, A Historical Commentary..., cit., p.
109: «Any form of government could be ‘aristocratic’ in the Greek sense: a democracy, if in fact the masses elected the most suitable men to office; an oligarchy, if the governing class consisted of the most suitable men to govern (also if they elected to office their own best men); a monarchy, if the monarch was the best man in the state. Aristokratia, that is, was not itself a form of government, an eidos politeias». Si veda
anche
CONNOR,
Athens, Pericles
Thucydides, cit., pp. 226-227: «The said, was
in a name
democracy,
civic pattern of
since administrative
power resided not with the few but with the many. But he immediately went on to explain that this form of government gave due recognition to ability, arete, suggesting thereby that it was, in effect, an unusual form of aristocracy». In generale va dunque rilevata, con P. CARTLEDGE, Comparatively Equal, in OBER-HEDRICK (eds.), Demokratia..., cit., pp. 175-185, la «combination of partial egalitarianism in theory with hierarchy and subotdination in practice that characterized all ancient systems of direct self-rule of and for the demos» (p. 179). 230 Sul punto si veda quanto scrive E. AVEZZÙ TENUTA, Procedimenti paradossali e tecniche della persuasione in Tucidide, Supplemento 3 del «Bollettino dell'Istituto di Filologia greca dell’Università di Padova», Roma, «L’Erma» di Bretschneider, 1977, p. 72: «Axioma, dignitas, non è un concetto astratto, bensì uno stato già instaurato: in Tucidide (nove esempi) è una “considerazione acquisita”, a volte trasmessa “per eredità”, come nel caso di Alcibiade (V 43.2). Axioma differisce da axiosis, che è invece una considerazione attuale, legata alla persona e non al genos. Che la differenza sia sentita, è provato dalla compresenza dei due termini in II 65.8, in riferimento
a Pericle, compresenza
significativa, a dimostrare
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Sparta). Ha scritto Musti: «L'aspetto della processualità, ma anche quello del rinnovarsi di volta in volta della valutazione del merito (hos hekastos en toi eudokimei) rendono meglio di ogni altra considerazione il colorito democratico dell’axiosisy29!, Situazione sempre reversibile, l’axiosis estende virtualmente a tutti una possibilità di ‘reclutamento’ nel governo del koinon che una selezione fondata sull’axioma circoscriverebbe a un novero assai limitato di cittadini?*2. Solo virtualmente, però, se si tien conto che il principio della capacità e della reputazione risulta sempre essere un principio minoritario, da qualunque angolazione lo si guardi: non tutti riusciranno a eccellere, a emergere, a mettere la propria arete al servizio della polis. Qui l’ison in rapporto alle timai, ai munera publica (quell’ison che prenderà il nome di isotimia), si risolve nel non escludere nessuno dei membri della comunità politica da una competizione il cui esito sarà sempre una distribuzione ap’aretes, fondata su un’uguaglianza proporzionale al «contributo al buon ordinamento della polisy?3. Ovviamente restano ferme: (a) la massima e indifferencome la considerazione fosse (per Pericle) insieme eredità e attualità». Cfr. anche EDMUNDS, Chance and Intelligence..., cit., pp. 53-54: «The meaning of axioma in 2.37.1 is “rank in society based on wealth” [...]. Thus axioma has a different meaning from axiosis, which is further specified by hos hekastos en toi eudokimei. The meaning of axiosis is “position in society based on good reputation in some activity”. The difference between axiosis and axioma corresponds to the usual difference between pairs of -sis and -ma nouns from the same verb».
231 MUSTI, Demokratia..., cit., p. 100. 232 K.A. RAAFLAUB, Equalities and Inequalities in Athenian Democracy, in OBER-HEDRICK (eds.), Demokratia..., cit., pp. 139-174, ragiona di «equality of chances and participation in politics» (p. 141). Dello stesso avviso CARTLEDGE, Compatatively Equal, cit., p. 177: «[...] the Greeks, especially democratic Greeks, operated with an idea of equality of opportunity». 233 H. HOFMANN, Il diritto e il giusto: la questione della giustizia, in «Filosofia politica», 1/2001, pp. 57-67 (la citazione è tratta dalla p. 61). In questo senso ha ragione GOMME, A Historical Commentary..., cit., p. 108,
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ziata partecipazione dei cittadini a quei luoghi istituzionali della ‘militanza’’’ civica che non prevedono alcun limite di accesso (è il caso dell’ekklesia); (b) la partecipazione che vede i cittadini porsi «alternativamente in una situazione di differenza»? attraverso il sorteggio: ricorrendo a quest’espediente, che è un corollario dell’ison, si lascia comunque una «porta aperta alle magistrature»? a ogni membro di un corpo politico di uguali (è il caso, esemplare, della boule). All’antitesi tra axioma e axiosis, sulla quale Musti ha avuto il merito di porre l'accento, corrisponde un’altra tensione che completa e chiarisce la prima: quella tra l’arete e il meros, tra la virtù e la parte, l'appartenenza a questa o a quella classe di censo. Ciò significa che nella politeia democratica un’eventuale aphaneia (oscurità) dell’axioma (Stephanus traduce con «dignitatis inopia»)?57, derivante dall’appara sostenere che l’uguaglianza nel koinon «is not complete equality (since in fact everyone is not as good as his neighbour)». Sulla semantica di arete nell’epitafio (dal valore basico di ‘eccellenza’ a quello di ‘apporto’, ‘contributo’, ‘idoneità’) notazioni importanti in FLASHAR, Der Epitaphios des Perikles..., cit., p. 30 (con particolare riferimento a II, 42, 2): «E in-
teressante il concetto di arete che ricorre nella parte finale dell’epitafio. Qui non vi è alcuna determinazione di un valore etico (Er ist von keiner ethischen Wertung her bestimmt) né un’idealizzazione (und nicht idealisiert); piuttosto gli si imprime un senso pragmatico (sondern realistisch geprigt). In questo caso arete denota ‘idoneità’ (Brauchbarkeit) in senso materiale, materiale umano (Menschenmaterial) che si sacrifica per la patria (das fiir das Vaterland hingegeben wird)». Non a caso Mariella Cagnetta traduce le aretai di II, 42, 2 con «servigî» resi alla patria.
234 Mutuo la felice espressione da P.VEYNE, I Greci hanno conosciuto la democrazia?, in CHR. MEIER-P. VEYNE, L'identità del cittadino e la democrazia in Grecia, edizione italiana a cura di A. Dal Lago (trad. di M. Pelloni), Bologna, Il Mulino, 1989, pp. 73-107 (p. 73 e passim).
235 puso, La logica del potere..., cit., p. 59. - 236 E. LANZILLOTTA, Sulla formazione del concetto di democrazia, in A. D’ATENA-F. LANZILLOTTA (a cura di), Alle radici della democrazia. Dalla po-
lis al dibattito costituzionale contemporaneo, Roma, Carocci, 1998, pp. 17-28 (la citazione è tratta dalla p. 27). 257 THUCYDIDIS de Bello Peloponnesiaco Libri VIII. Ex interpretatione
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tenenza a un meros non elevato e dalla conseguente penia delle condizioni socio-economiche, non deve pregiudicare la possibilità di dimostrare il proprio valore e di ascendere nella scala della considerazione, dell’axiosis. Seguo quest’interpretazione di ouk apo merous che mi appare la più coerente con il contesto. Se si accogliesse l’ipotesi alternativa, che equipara apo merous a en merei (= ‘a turno’ ma anche ‘a sorte’)?®5, si finirebbe per marcare una distanza troppo netta (anche per un democratico non ortodosso quale il Pericle di Tucidide) tra la nozione periclea di democrazia e la prassi della democrazia ateniese, della quale caso fortuito e rotazione sono categorie portanti?” Il passo andrebbe così in-
Laurentii Vallae, ab Henrico Stephano recognita. In hac secunda editione...cit., p. 1I0I (= p. 123 dell’edizione ginevrina del 1688). Merita di esser citata la parafrasi marginale di Stephanus: «Quantum autem ad dignitatem, ut quisque in re aliqua spectatus est, vel celebratur, non ex parte civium potius quam ex virtute ad remp. gerendam praefertur. Id est, Propter suam virtutem, non autem quod sit ex certo nobiliorum civium numero» (p. 101, n. $ = p. 123, n. c dell’ed. 1588). Pars civium è di Valla, Bib. Ap. Vaticana, Cod. Vat. lat. 1801, fol. 36v.: «neque iis qui ex certa parte civium sunt potius quam ex virtute». 258 Cfr. la nota di commento di GOMME, A Historical Commentary..., cit., p. 108: «ouk apo merous, therefore, means [...] ‘not in rotation [...], i.e. amongst other things, ‘we do not use the lot for election to important office’; it does not mean
‘not from a section of the citizen
body only, as at Sparta»; è anche l’interpretazione di KAKRIDIS, Der thukydideische Epitaphios..., cit., p. 26: «Apo merous = (tutti i cittadini) a ciascuno secondo la stessa parte (nach demselben Anteil), a rotazione (der Reihe
nach); cfr. ana
meros, en mereiv; entrambi
sono
seguiti da
RHODES, THUCYDIDES, History. II, cit., p. 220.
239 Vedi ora, nel senso da me indicato nel testo, FANTASIA, in TUCIDIDE, La guerra del Peloponneso. Libro II..., cit., p. 379: «Va però osservato che in tal modo l’argomentazione di Pericle assume un andamento paradossale: egli nega, con una formulazione che solo in apparenza esprime una gradualità [...], che nella costituzione ateniese abbia un qualsiasi ruolo proprio l'elemento che appare ad essa consustanziale, cioè la pratica del sorteggio».
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terpretato: «il prestigio di cui possa godere chi si sia affermato in qualche campo non lo si raggiunge nell'àmbito degli affari comuni in base alla sorte (ouk apo merous), ma in virtù del merito (e ap’aretes)». Traducendo meros con ‘parte’, ‘stato sociale’, l'opposizione si stabilisce invece tra democrazia e oligarchia, tra la ‘mobilità’ (meritocratica) della democrazia e la rigidità oligarchica?4. Detto altrimenti, nei termini quasi guizotiani di Nicole Loraux: «Nel suo rifiuto dei criterî sociali che fondano i regimi oligarchici, la democrazia diviene anche il rifugio del puro principio aristocratico»?! Per riproporre l'ipotesi alternativa occorrerebbe forse intendere questo punto cruciale dell’epitafio come se anticipasse i passaggi salienti di II, 40, 2: bisognerebbe tradurre la litote periclea me endeos gnonai (= ‘avere una buona conoscenza’ dei politika) in un’affermazione molto più enfatica e impegnativa che presuma un'’arete politica distribuita fra tutti i membri del corpo civico. In tal modo il membro sorteggiato sarebbe anche virtuoso, proprio perché parte di un corpo di cui si postula la partecipazione alla virtù; parimenti la rotazione della titolarità delle cariche non com240 Così traducendo si conserva «the parallel between the’ phrase me es oligous in the first section and ouk apo merous in the last»: HARRIS, Pericles’ Praise..., cit., p. 162. Evidenzia il senso antioligarchico dell’asserzione anche LANDMANN, Das Lob Athens..., cit., p. 8In.: «quest’inuguaglianza (diese Ungleichheit) non si fonda (come nelle oligarchie) sull'appartenenza a un ceto (auf Zugehòrigkeit zu einer Schicht) ma sul merito (sondern auf dem Verdienst)». Cfr. anche L.M. JOHNSON, Thucydides, Hobbes, and the Interpretation of Realism, DeKalb, Northern Illinois Press, 1993, p. 167: «Athens is a democracy in that all men are treated
equally regarding the settlement of their private disputes, but is a meritocracy when it comes to public honors. It is merit, not class, that dis-
tinguishes Athenians» (ringrazio Sandro Chignola per la segnalazione di questo libro). Considerazioni analoghe svolge OBER, Political Dissent..., cit.,.p. 87: «The meritocratic ideal denies the priority of preestablished classes or orders (ouk apo merous), and gives priority to individual good reputation (en toi eudokimei)». 241 LORAUX, L’Invention d’Athènes..., cit., p. 194.
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porterebbe alcuna soluzione di continuità nella virtù. Si tratta però di una soluzione fuorviante, oltre che macchinosa. Pericle, in II, 40, 2, non parla di metechein tes aretes (nel
senso protagoreo di una partecipazione alla virtù politica come
requisito dell’esistenza stessa di una polis: PLATONE,
Protagora, 32343); si limita ad accennare alla partecipazione agli affari politici, supportata, anche nei cittadini impegnati negli erga?4, dalla competenza, dalla ‘contezza’ (gnosis) necessaria e sufficiente a prender parte al confronto assembleare, a
ragionare correttamente (orthos) dei pragmata e ad assumere le decisioni comuni?#. È un tratto saliente della caratterizzazione periclea: la partecipazione politica sembra non presup-
porre schole, esonero dalle incombenze quotidiane?*. Seb-
24 Per C.w. MULLER, Perikles tiber die politische Kompetenz des attischen Demos (Thuk. 2, 40. 2), in «Rheinisches Museum fr Philologie», Bd. 139, H. 1 (1996), pp. 1-5, gli erga denotano il lavoro agricolo: «erga ist hier konkret die Feldarbeit» (p.s). Per tetrammenois come «konzessives Partizip», KAKRIDIS, Der thukydideische Epitaphios..., cit., p. $3. Sull’inclusione tucididea dei «peasant-farmers» nel demos si sofferma A.wW. GOMME, The Old Oligarch, in ID., More Essays in Greek History and Literature, Edited by D.A. Campbell, Oxford, Basil Blackwell, 1962, pp. 38-69, il quale
vi ravvisa un elemento di divergenza rispetto al contemporaneo Pseudo-Senofonte (pp. 42-43). Cfr. anche BALOT, Pericles’ Anatomy..., cit., p. 521: «In order to participate eftfectively in democratic politics, individual Athenians must have an intellectual understanding of the issues involved in making any decision, both in terms of the society core val-
ues (the knowledge of the fearful and the pleasant) and in terms of their ability to predict outcomes accurately». 24 Sebbene la frase «e siamo gli stessi a partecipare alle decisioni comuni ovvero a riflettere a fondo sugli affari di Stato» (sempre in II, 40, 2) faccia supporre «una separazione delle diverse funzioni politiche (eine Trennung verschiedener politischer Funktionen), [...] tuttavia Tucidide, in maniera perfettamente consapevole (wohl bewuBt), attribuisce a Pericle una formulazione nuovamente inclusiva (legt...Perikles wieder eine inklusivistische Formulierung in den Mund)»: LEPPIN, Thukydides und die Verfassung..., cit., p. 88 (c.vo non testuale). 244 Tn argomento
G. CAMBIANO, Aristotele e la rotazione del potere, in
Su Tucidide, II, 35-37,1
143
bene la partecipazione possa variare d’intensità (dall’epimeleia, che è un ‘prendersi cura’, l’accento si sposta sulla gnosis, che è una mera facoltà di discernimento)?#, l'attitudine a occuparsi dei politika senza trascurare gli oikeia (e viceversa) rimane il denominatore comune sul quale cade l’enfasi di Pericle?#. Attitudine che non è solo un abito etico del cittadino democratico;
è anche
una
sua facoltà cognitiva, una
sua congruità, temprata nell'esperienza del logos comune, del dialogo assembleare, alla buona, accorta, deliberazione:
non è un caso che la concezione opposta del governo della polis, la concezione epistemica (fondata su una conoscenza scientifica non comune, inaccessibile ai più), nasca in antitesi
alla gnosis come democratica.
fondamento
teorico della partecipazione
In altre parole: II, 40, 2 differisce dalla conclusione di II,
37, I proprio perché non menziona affatto l’arete, l’eccellenza che giustifica l’eudokimein (il ‘godere di ottima fama’)
M. MIGLIORI (a cura di), Il dibattito etico e politico in Grecia tra il V e il IV secolo, Napoli, La città del sole, 2000, pp. 529-544 (in particolare p. 540). 24 Di diverso avviso MULLER, Perikles ber die politische..., cit., p. 2, il quale ritiene che la differenza tra epimeleia e gnosis sia tanto sfumata
da non offrire «alcun appiglio per una qualche differenziazione» (keine Handhabe fur eine solche Differenzierung bòten) tra cittadini. 246 Cfr.J.s. RUSTEN, Tivo Lives or Three? Pericles on the Athenian Character (Thucydides 2.40.1-2), in «Classical Quarterly», 35 (1) (1985), pp. 1419: «[...] Pericles adds [...] that those not engaged in this particular pursuit are far from uninterested in it»; Rusten propone questa traduzione: «finally (te), those who manage our city do the same for they households as well, and others, even though they pursue their trades, have a throrough knowledge of politics» (p. 18). Molto equilibrata la posizione di HORNBLOWER, A Commentary on Thucydides..., cit., p. 306, che attenua «the ‘élitist’ impact of the sentence [...]. It is true that Th. has in para. I [...] already implied that some Athenians are more politically active than others who have ‘business on their own' to attend to;
but that is a less startling concession that saying, in effect, ‘though few initiate a policy, many judge it’, i.e. some of us are active, some mere bystanders».
144
Katechein. Uno studio sulla democrazia antica
e il protimasthai fondato sulla buona reputazione. I due luoghi risultano incommensurabili in quanto si riferiscono a due diverse realtà della funzione di governo della polis che
la democrazia periclea ritiene tuttavia non contrastanti: pa-
rità/inclusione e asimmetria/selezione.
APPENDICE
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