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Italian Pages 49 [50] Year 1996
INTRODUZIONE ALL’ANALISI NONLINEARE DELLE STRUTTURE ANALISI IN CAMPO PLASTICO Raffaele Casciaro Universit` a della Calabria novembre 1996
Indice ` 1 INTRODUZIONE ALLA TEORIA DELLA PLASTICITA 1.1 Considerazioni iniziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.2 Elasto–Plasticit` a incrementale . . . . . . . . . . . . . . . 1.3 Ancora . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.4 Il postulato di Drucker (1951) . . . . . . . . . . . . . . . 1.5 Analisi Limite . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.6 Per intenderci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.7 I Teoremi dell’Analisi Limite . . . . . . . . . . . . . . . . 1.8 Ancora . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.9 Considerazioni sui teoremi. . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.10 Adattamento plastico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.11 Il teorema di Melan (1936) . . . . . . . . . . . . . . . . . 1.12 Rapporti con la verifica in campo elastico. . . . . . . . .
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3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15
2 ANALISI INCREMENTALE 2.1 Elasto–Plasticit` a olonoma. . . . . . . . . . . . 2.2 Il Principio di Haar–Karman (1908) . . . . . 2.3 Riscrittura in termini di predizione elastica 2.4 La teoria dei percorsi estremali . . . . . . . . 2.5 Un approfondimento della teoria . . . . . . . 2.6 Convessit` a dei potenziali estremali . . . . . . 2.7 Conseguenze della convessit` a . . . . . . . . . 2.8 Principio di minimo. . . . . . . . . . . . . . . .
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16 17 18 19 20 21 22 23 24
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25 26 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38
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3 STRATEGIE COMPUTAZIONALI 3.1 Algoritmi numerici in campo plastico. . . . . . 3.2 Analisi elasto–plastica al passo . . . . . . . . . . 3.3 Soluzione del sottoproblema P1 . . . . . . . . . . 3.4 Esempio 1: elementi piani a tensione costante 3.5 Qualche commento . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.6 Esempio 2: strutture intelaiate . . . . . . . . . . 3.7 Soluzione del sottoproblema P2 . . . . . . . . . . 3.8 Alcune osservazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.9 Il metodo del’arco di curva . . . . . . . . . . . . 3.10 Schema iterativo alla Riks . . . . . . . . . . . . . 3.11 Convergenza dello schema di Riks . . . . . . . . 3.12 Schema iterativo esplicito . . . . . . . . . . . . . 1
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3.13 Processo adattativo di analisi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3.14 Alcuni dettagli operativi. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4 DISCRETIZZAZIONE IN ELEMENTI 4.1 Considerazioni sul tipo di elementi. . . . 4.2 Elementi Misti Simplex. . . . . . . . . . . 4.3 Elementi basati su equazioni di flusso. . 4.4 Elementi HC. . . . . . . . . . . . . . . . . . 4.5 Elementi FLAT. . . . . . . . . . . . . . . . 4.6 Superconvergenza, Metodo Multigrid ed
2
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . altro ancora.
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39 40 41 42 44 45 46 47 48
Capitolo 1 INTRODUZIONE ALLA ` TEORIA DELLA PLASTICITA Questa sezione intende fornire le motivazioni e le ipotesi di base della teoria elasto–plastica e presentare alcuni dei risultati classici raggiunti. Sono presentati, in particolare i due teoremi fondamentali (statico e cinematico) dell’analisi limite e il teorema di adattamento plastico. La discussione permette di chiarire il reale significato dei procedimenti tradizionali di verifica in campo elastico.
3
1.1
Considerazioni iniziali
• Il comportamento delle strutture `e essenzialmente nonlineare. • Concetti quali Collasso o Sicurezza non sono inquadrabili nell’ambito di un rapporto di proporzionalit`a tra cause ed effetti. • I procedimenti usuali basati su soluzioni elastiche e verifiche alle tensioni ammissibili hanno solo base convenzionale. • La potenza di calcolo dei nuovi microcalcolatori a basso costo rende possibile, e lo render`a sempre pi`u tra breve, un uso generalizzato di procedimenti di verifica basati su analisi di tipo non–lineare. • La nuova normativa italiana sulle costruzioni fa riferimento ad analisi in campo nonlineare. Con l’entrata in vigore degli Eurocodici i concetti e le procedure dell’analisi nonlineare formeranno la base delle verifiche strutturali. Osservazioni: • La nonlineari`a del comportamento delle strutture discende sia da aspetti fisici (legame non–lineare tra tensioni e deformazioni: Plasticit` a ) che geometrici (legame non– lineare tra deformazioni e spostamenti: Instabilit` a ).
4
1.2
Elasto–Plasticit` a incrementale
Il comportamento plastico delle strutture pu`o essere inquadrato in una teoria (Elasto–Plasticit`a Incrementale) ormai consolidata. La teoria `e basata sui seguenti concetti primitivi: • I materiali presentano una soglia di resistenza. Le tensioni possibili sono cio`e limitate. Ci`o si formalizza assumendo che, per ogni punto del corpo, la tensione σ := {σxx , σxy , · · · , σzz } sia contenuta un dominio dello spazio delle tensioni, chiamato Dominio Elastico del materiale De := {σ : f [σ] ≤ 1} (Condizione di ammissibilit` a plastica). La funzione f [σ] contiene in generale parametri di stato in grado di tener conto delle variazioni di comportamento del materiale a seguito di processi meccanici o termici (incrudimento, fatica, ecc...). • Sono presenti deformazioni irreversibili. In cicli di carico e scarico la struttura non recupera completamente la configurazione iniziale. Ci`o si formalizza separando gli incrementi di deformazione ε˙ = ε˙e + ε˙p nelle due componenti elastica ε˙ e plastica ε˙pij di cui solo la prima `e legata all’incremento di tensione: σ˙ = Eε˙e 5
1.3
Ancora
• Per bassi livelli di tensione il comportamento ` e schematizzabile come elastico. Ci`o si formalizza assumendo che la componente plastica ε˙ p dell’incremento di deformazione possa essere diversa da zero solo se la tensione `e disposta sulla frontiera di De (in altri termini se la tensione `e al limite del dominio elastico): ε˙p = 0 solo se f [σ] = 1 Per valori pi`u bassi (in questo senso) di σ, il comportamento incrementale `e puramente elastico. Osservazioni: • Il problema `e retto da equazioni (di equilibrio, di compatibilit`a cinematica e di legame elastico) e da disequazioni (di ammissibili`a plastica). • Il comportamento elasto–plastico `e anolonomo. La presenza di deformazioni residue implica che lo stato di tensione e deformazione presente nel corpo a seguito della applicazione di un carico dipenda non solo dall’entit`a finale del carico ma anche dalle modalit`a di applicazione (Dipendenza dal percorso di carico) • Il legame costitutivo `e espresso in modo incrementale; ci`o permette di trattare pi`u facilmente il differente comportamento in fase di carico e di scarico.
6
1.4
Il postulato di Drucker (1951)
La struttura della teoria `e ancora troppo generica. Il comportamento elasto–plastico si inquadra in modo pi`u preciso se si accetta il seguente postulato formulato da Drucker: • Si consideri di applicare alla struttura e successivamente di rimuovere un sistema di forze addizionali. Si ha: 1) durante la fase di carico, le forze addizionali compiono lavoro non–negativo; 2) durante il ciclo di carico e scarico, il lavoro complessivo delle forze addizionali `e ancora non–negativo. Considerando un ciclo di carico e scarico che porti la tensione nel punto dal valore iniziale σ a (necessariamente ammissibile, cio`e contenuto in De) ad un punto σ y posto sulla sua frontiera e quindi di nuovo a σ a , il postulato fornisce: (σ y − σ a)T ε˙p ≥ 0 Per la genericit`a di σ a e σ y questa condizione fornisce: • Il dominio elastico De `e convesso. • La deformazione plastica ε˙p `e diretta secondo la normale esterna alla superfice di snervamento, frontiera di De .
7
1.5
Analisi Limite
I risultati finora raggiunti consentono di dare una risposta al seguente problema: • Data una struttura soggetta a carico proporzionale λp , determinare il massimo valore raggiungibile dal fattore λ. L’importanza tecnica del problema `e evidente: se p corrisponde al carico nominale di esercizio, determinare λmax corrisponde a valutare la sicurezza al collasso della struttura. Osservazioni: • Il problema ha senso se la funzione f [σ] si mantiene costante nel tempo (elasto–plasticit` a perfetta) o ha comunque inviluppo limitato. • La presenza di zone plastiche isolate (circondate da zone elastiche che ne limitano la possibile deformazione) non rappresenta di per s`e causa di rischio. • Diverso `e il caso in cui la deformazione plastica incrementale, non pi`u racchiusa da una cintura elastica, forma da sola un meccanismo cinematicamente compatibile ε˙p ⇐= u˙ p • quest’ultima situazione, che indicheremo con indice c, individua, come vedremo, il raggiungimento del collasso.
8
1.6
Per intenderci
• La plasticizazione della sola asta centrale non attiva meccanismi di scorrimento plastico, impediti dalle due aste laterali rimaste in campo elastico
Figura 1.1: Esempio a tre aste
• Il contenimento cessa e si attiva un meccanismo plastico non appena arrivano a snervarsi anche le due aste laterali.
9
1.7
I Teoremi dell’Analisi Limite
Consideriamo una struttura elasto–plastica perfetta ed indichiamo con σ c , ε˙c , u˙ c , λc la tensione, la deformazione plastica incrementale, lo spostamento plastico incrementale (ε˙c ed u˙ c sono assunti cinematicamente compatibili) e il moltiplicatore dei carichi al collasso. Indichiamo inoltre con q ed ¯ f i carichi di volume e di superfice agenti sulla struttura. Posto σ a un campo generico di tensioni staticamente ammissibili (che verificano cio`e l’equilibrio e l’appartenenza al dominio elastico), l’equazione dei lavori virtuali fornisce:
T c σ ε˙ dv B c
= λc {
T c σ ε˙ dv B a
= λa {
q u˙ dv + B T
c
q u˙ dv + B T
c
T c f u˙ ds} ∂B
T c f u˙ ds} ∂B
essendo λa il moltiplicatore associato a σ a. Per differenza si ottiene
(σ − σ ) ε˙ dv = (λc − λa ){ B c a T c
q u˙ dv + B T
c
T c f u˙ ds} ∂B
che essendo il primo membro non–negativo ed l’integrale a secondo membro positivo, in conseguenza del postulato di Drucker, fornisce la diseguaglianza: λc ≥ λa che corrisponde all’enunciato (Teorema Statico): • Il moltiplicatore di collasso `e il massimo fra i moltiplicatori che corrispondono a stati di tensione equilibrati e plasticamente ammissibili. 10
1.8
Ancora
Indichiamo con u˙ p ed ε˙p un generico campo di deformazione plastica cinematicamente compatibile ed il corrispondente campo di spostamenti; u˙ p ed ε˙p formano cio`e un meccanismo. Nei punti del corpo in cui ε˙p = 0, possiamo associare ad essa la tensione (di snervamento) σ p individuata sulla frontiera di De dalla condizione di normalit`a. Definendo il moltiplicatore plastico associato λp attraverso la condizione di bilancio:
σ T ε˙p dv B p
= λp {
B
q u˙ dv + T
p
∂B
f T u˙ p ds}
∂B
f T u˙ p ds}
e valendo, per l’equilibrio, la
σ T ε˙p dv = λc{ B c
qT u˙ p dv + B
si ottiene, per differenza:
(σ p − σ c)T ε˙p dv = (λp − λc){ B
qT u˙ p dv + B
∂B
f T u˙ p ds}
che essendo, al solito, il primo membro positivo o nullo ed il termine in parentesi a secondo membro positivo, in conseguenza del postulato di Drucker, fornisce la diseguaglianza: λp ≥ λc che corrisponde all’enunciato (Teorema Cinematico): • Il moltiplicatore di collasso `e il minimo fra i moltiplicatori associati a meccanismi plastici compatibili.
11
1.9
Considerazioni sui teoremi.
• I teoremi non forniscono n`e il campo di tensioni n`e il meccanismo di collasso ma solo il motiplicatore di collasso. • Il carico limite `e indipendente dalle condizioni iniziali e dal processo di carico. • Alla luce del teorema statico, il procedimento tradizionale di verifica, basato su soluzioni elastiche e verifica alle tensioni ammissibili, acquista un suo preciso significato: in effetti, in conseguenza dell’uso soluzioni equilibrate e plasticamente ammissibili, fornisce un moltiplicatore limite elastico λe che rappresenta una approssimazione per difetto del moltiplicatore di collasso. • Eventuali errori correlati ad una mancanza di informazioni sulle tensioni iniziali (tensioni presenti nella struttura in corrispondenza a carichi nulli) risultano irrilevanti a questo fine.
12
1.10
Adattamento plastico
• Il collasso plastico non `e la sola condizione da evitare nel caso di strutture soggette a cicli ripetuti di carico e scarico. • Pur assumendo che in ogni istante il carico agente si mantenga al di sotto dei valori di collasso, si pu`o comunque avere formazione di deformazioni plastiche ad ogni ciclo di carico. • Il ripetuto formarsi di nuove deformazioni plastiche finisce col portare a deformazioni totali illimitate o (se il processo di crecsita `e compensato) a fenomeni di degrado per fatica. • In entambi i casi il fenomeno porta alla inagibilit`a della struttura. ` necessario pertanto che il fenomeno plastico si esaurisca •E rapidamente, cio`e che dopo un numero limitato di cicli (periodo di rodaggio) la struttura finisca col comportarsi elasticamente. • Si parla in tal caso di adattamento plastico della struttura.
13
1.11
Il teorema di Melan (1936)
Si considera il processo di carico p[t] e sia σ ∗[t] = σ E [t] + ∆σ[t] ε∗[t] = εE [t] + ∆ε[t] + εp[t] la conseguente soluzione elastoplastica espressa in termini della soluzione elastica σ E [t] e εE [t] e della differenza rispetto a questa; ∆σ[t] corrisponde ad un campo di autotensioni. Si considera (se esiste) una soluzione elastica nominale: σ[t] = σ E [t] + σ 0 , f [σ[t]] < 1 che rappresenta la soluzione elastica a meno di un campo iniziale di autotensioni e risulta interna al dominio elastico. Introdotta la grandezza: Ψ[t] :=
∗ T −1 ∗ (σ − σ) E (σ − σ) dv B
si ricava, con qualche passaggio: ˙ =− Ψ[t]
∗ T p (σ − σ) ε˙ dv ≤ 0 ( Ψ˙ < 0 se ε˙ = 0) B
Abbiamo quindi una graandezza insieme positiva e decrescente fintanto che sussitono incrementi di deformazione plastica. Si ottiene pertanto: Ψ˙ → 0 e quindi ε˙p → 0 Vale quindi il seguente enunciato: • Se esiste una soluzione elastica nominale interna al dominio elastico, la struttura presenta adattamento plastico. 14
1.12
Rapporti con la verifica in campo elastico.
I risultati precedenti chiariscono il significato effettivo della verifica in campo elastico. • Il processo tradizionale di verifica, basato su soluzioni elastiche e verifiche alle tensioni ammissibili, fornisce una valutazione approssimata per difetto della sicurezza nei confronti dell’adattamento plastico. • Errori derivanti da errata valutazione delle tensioni iniziali risultano, anche in questo caso, irrileventi. • L’utilizzo di procedure di verifica basata su concetti di analisi limite (ad es., verifiche agli stati limite) non garantisce la sicurezza ad adattamento plastico. • La teoria dell’adattamento plastico fornisce uno strumento sintetico di analisi. Nella verifica entra infatti in gioco il solo inviluppo complessivo delle sollecitazioni e non l’andamento temporale di queste. • Il teorema di Melan non fornisce tuttavia informazioni sull’estensione della fase plastica prima che si abbia adattamento. • Una informazione completa sul comportamento della struttura pu`o essere fornita solo da una analisi elasto-plastica in cui si simuli il reale processo incrementale di carico.
15
Capitolo 2 ANALISI INCREMENTALE La sezione introduce e discute le basi teoriche dell’analisi elasto–plastica incrementale. Con questo termine si intende un processo di analisi orientato a fornire una descrizione dell’andamento temporale della risposta di strutture soggette ad un assegnato processo di carico. La soluzione `e ottenuta in forma di curva carico-spostamento costruendo una successione una sufficientemente fitta di punti di equilibrio {uk , pk } che permetta una sua accurata ricostruzione dell’intera curva per interpolazione. La problematica ha avuto un forte sviluppo a partire dagli anni ’60 a seguito della disponibilit`a di strumenti di calcolo sempre pi`u potenti e di algoritmi solutivi orientati all’analisi automatica.
16
2.1
Elasto–Plasticit` a olonoma.
Volendo ottenere una soluzione elasto–plastica incrementale e dovendo procedere mediente incrementi piccoli ma necessariamente finiti di carico, in ciascun passo del processo si pone il seguente problema: • Dato uno stato iniziale {σ 0, ε0} ed una assegnato incremento di carico (p1 −p0), determinare la relativa soluzione elasto–plastica di fine passo {σ, ε}. Osservazioni: • Data la irreversibilit`a del comportamento elasto–plastico e la dipendenza del risultato finale dall’effettivo percorso di carico, i dati che definiscono il problema sono incompleti. • Con riferimento alla figura, tanto u1 che u2 sono soluzioni possibili per l’incremento di carico (p1 − p0).
17
2.2
Il Principio di Haar–Karman (1908)
Un modo per definire il comportamento elasto–plastico olonomo `e quello di esprimere direttamente le equazioni della teoria incrementale in termini di incrementi finiti (Haar–Karman). La soluzione `e in tal caso caratterizzata dalla seguente condizione di estremo: Π[σ] :=
1 2
−1
σ E σ dv + B T
T p σ ε0 dv B
+
T ¯ ds u (Nσ) ∂B
sotto le condizioni: σ: equilibrata , f [σ] ≤ 1 Posto infatti:
ε = εe + ε p σ = Eεe (σ − σ a)T ∆εp ≥ 0
dove ∆εp = εp − εp0, si ottiene: δΠ = =
p T e δσ (ε + ε 0 ) dv − B
δσ T εT dv − B =
B
(Nδσ)T u ds
(Nδσ)T u ds − ∂B
B
δσ T ∆εp dv
T p (σ − σ ) ∆ε dv ≥ 0 a B
Il principio pu`o essere espresso come segue: • La soluzione elasto–plastica minimizza l’energia complementare totale del sistema sotto le condizioni di equilibrio e di ammissibilit` a plastica.
18
2.3
Riscrittura in termini di predizione elastica
Indicando con σ E la soluzione elastica ottenuta a partire dalle condizioni di inizio passo assegnate, il principio di Haar– Karman pu`o essere riformulato come segue: Π[σ] :=
1 2
T −1 (σ − σ ) E (σ − σ E ) dv = minimo E B
sotto le condizioni: σ: equilibrata , f [σ] ≤ 1 Il funzionale Π[σ] corrisponde, in una metrica espressa dall’energia di deformazione, al quadrato della distanza tra σ e σ E ; il principio pu`o essere pertanto enunciato come: • La soluzione elasto–plastica di fine passo σ `e la pi` u vicina (in una metrica energia), tra quelle equilibrate e plasticamente ammissibili, alla soluzione elastica σ E dello stesso problema. Osservazione: • Questo punto di vista `e particolarmente conveniente sia sotto l’aspetto teorico che applicativo. • La soluzione pu`o essere caratterizzata facilmente. Se il punto σ E `e contenuto nel dominio elastico, σ coincide con σ E . Altrimenti, σ corrisponde al punto di tangenza tra due superfici convesse: la frontiera del dominio elastico e una linea di livello della energia di deformazione. • Essendo quest’ultima strettamente convessa, ne risulta dimostrata l’unicit`a. 19
2.4
La teoria dei percorsi estremali
La teoria dei percorsi estremali, formulata da Ponter e Martin nel 1972, consente di inquadrare i rapporti tra teoria incrementale e teoria olonoma. La teoria fornisce i seguenti risultati: • Fra tutti i percorsi elasto–plastici incrementali che partono da assegnati campi iniziali σ 0 ed ε0, esistono dei percorsi estremali tali da realizzare contemporaneamente il massimo lavoro complementare (a parit`a di tensione finale σ 1 raggiunta) ed il minimo lavoro di deformazione (a parit`a di deformazione finale ε1 raggiunta). • L’uso dei percorsi estremali fornisce un legame olonomo nel passo che, indicando con indice 1 e 2 due generiche soluzioni di fine passo, soddisfa (per materiali stabili secondo Drucker)le condizioni: 0 ≤ (σ 2 − σ 1)T (ε2 − ε1) ≤ (ε2 − ε1)T E(ε2 − ε1) • Per materiali elasto–plastici perfetti la soluzione `e individuata dalla condizione di Haar–Karman.
Figura 2.1: Soluzione estremale ({σ 1 , ε1 } 20
2.5
Un approfondimento della teoria
Sia σ[t] un percorso nello spazio delle tensioni tra σ 0 e σ 1 e sia ε[t] il corrispondente percorso nello spazio delle deformazioni, immagine di σ[t] secondo il legame costitutivo. Il lavoro complementare lungo σ[t] `e definito dalla
U [σ[t]] := σ [t] σ˙ T ε dt Sono detti estremali i percorsi σ ˆ [t] caratterizzati dalla condizione Uˆ [σ 1] := U [ˆ σ [t]] ≥ U [σ[t]] Per completare il dominio di definizione di Uˆ si pone: Uˆ [σ 1] := +∞ nei casi in cui non esista alcun percorso ammissibile tra σ 0 e σ 1. In tal modo, Uˆ [σ 1] individua una funzione, che chiameremo potenziale elasto–plastico estremale, definita su tutto lo spazio delle σ. Dall’ipotesi di decomponibilit`a della deformazione totale ε = εe + εp nelle sue due componenti elastica e plastica, segue la decomponibilit`a del lavoro complementare in parte elastica U e[σ] e plastica U p [σ]. Solo quest’ultima, data da
U [σ[t]] := σ [t] σ˙ T εp dt p
dipende dal particolare percorso seguito. Per sottrazione risulta quindi definito il potenziale plastico estremale Uˆ p[σ 1] = Uˆ [σ 1] − U e [σ 1]
21
2.6
Convessit` a dei potenziali estremali
Consideriamo ora un percorso estremale tra σ 0 e σ 1 ed un ulteriore percorso composto da un primo tratto estremale tra σ 0 e σ 2 e da un secondo tratto lineare σ L[t] = σ 2 + tσ˙ L , σ˙ L = (σ 1 − σ 2) tra σ 2 e σ 1. Risulta, ovviamente: Uˆ [σ 1] ≥ Uˆ [σ 2] +
1
T (σ − σ ) (ˆ ε2 + ∆εL [t]) dt 1 2 0
= Uˆ [σ 2] + (σ 1 − σ 2)T εˆ2 +
1
T (σ − σ ) ∆εL [t] dt 1 2 0
L’ultimo termine a secondo membro pu`o essere riscritto
1
(σ 1 − σ 2) ∆εL[t] dt = 0 T
1 t
{ 0
0
σ˙ TL ε˙L dτ } dt
ed `e quindi non–negativo per materiali stabili secondo Drucker per i quali vale la condizione σ˙ T ε˙ ≥ 0. Si ottiene cos`i la seguente diseguaglianza fondamentale: Uˆ [σ 1] − Uˆ [σ 2] − εˆT2 (σ 1 − σ 2) ≥ 0 Da questa si ricava: 1. Uˆ [σ 1] `e un funzionale convesso. 2. La deformazione εˆ `e contenuta nel subdifferenziale ∂ Uˆ di Uˆ : ˆ 1]−η T (σ 2−σ 1) ≥ 0 , ∀σ 2} εˆ[σ 1] ∈ ∂ Uˆ [σ 1] := {η : Uˆ [σ 2]−U[σ In modo analogo si dimostra la convessit`a del solo potenziale estremale plastico Uˆ p [σ 1] e la normalit`a della deformazione plastica εˆp εˆp[σ 1] ∈ ∂ Uˆ p [σ 1] 22
2.7
Conseguenze della convessit` a
Dalla convessit`a del potenziale estremale si ricava, per due diverse tensioni σ 1 e σ 2, Uˆ [σ 2] − Uˆ [σ 1] − εˆT1 (σ 2 − σ 1) ≥ 0 Uˆ [σ 1] − Uˆ [σ 2] − εˆT2 (σ 1 − σ 2) ≥ 0 da cui, sommando membro a membro: (σ 2 − σ 1)T (ˆ ε2 − εˆ1) ≥ 0 Analogamente, dalla convessit`a del potenziale plastico estremale si ricava: (σ 2 − σ 1)T (ˆ εp2 − εˆp1 ) ≥ 0 Quest’ultima, per la legge di decomposizione della deformazione εˆ = εe + εˆp , σ = Eεe che implica: (ˆ ε2 − εˆ1)T E(ˆ ε2 − εˆ1) = (ˆ ε2 − εˆ1)T (σ 2 − σ 1) +(ˆ εp2 − εˆp1)T (σ 2 − σ 1) + (ˆ εp2 − εˆp1)T E(ˆ εp2 − εˆp1) fornisce la condizione: (ˆ ε2 − εˆ1)T E(ˆ ε2 − εˆ1) ≥ (ˆ ε2 − εˆ1)T (σ 2 − σ 1) Le due disequazioni possono pertante essere riscritte nella diseguaglianza, nel seguito di estrema importanza: ε2 − εˆ1)T E(ˆ ε2 − εˆ1) 0 ≤ (ˆ ε2 − εˆ1)T (σ 2 − σ 1) ≤ (ˆ
23
2.8
Principio di minimo.
Se indichiamo con σ la soluzione elasto–plastica estremale e con σ eq il generico campo di tensione equilibrato agli stessi carichi, vale la condizione (estremale): Uˆ [σ eq ] − Uˆ [σ] − εˆ[σ]T (σ eq − σ) ≥ 0 Essendo σ eq − σ un campo di autotensioni, risulta:
εˆ[σ] (σ eq − σ) dv − B T
T (N(σ − σ) u ds = 0 eq ∂B
Pertanto, per integrazione sul dominio B, la disequazione fornisce:
Uˆ [σ] dv− B
(Nσ)T u ds ≤ ∂B
Uˆ [σ eq ] dv− B
∂B
(Nσ eq )T u ds
che pu`o enunciarsi come segue: • La soluzione elastoplatica estremale minimizza il potenziale estremale totale fra tutti i campi di tensione equilibrati. L’enunciato corrisponde al principio della minima energia complementare per un materiale elasto–plastico alla Drucker che soddisfa la condizione di normalit`a εˆp[σ] ∈ ∂ Uˆ p [σ] Per materiali elastoplastici perfetti, essendo qualsiasi σ ammissibile raggiungibile mediante percorsi elastici e valendo la condizione σ˙ T ε˙ ≥ 0, i percorsi estremali tra le tensioni σ 0 e σ plasticamente ammissibili sono percorsi puramente elastici. Si ha pertanto:
Ue se f [σ] ≤ 1 ˆ U [σ] = +∞ se f [σ] > 1 da cui l’equivalenza col principio di Haar–Karman. 24
Capitolo 3 STRATEGIE COMPUTAZIONALI Questa sezione vuole descrivere alcune strategie numeriche utilizzabili per una analisi in campo plastico di strutture complesse ed adatte ad essere implementate in modo efficiente in termini di analisi automatica. Sar`a, in particolare affrontato il problema elasto–plastico incrementale e descritta in dettaglio la strategia initial stress che in combinazione con il metodo di Riks rappresenta lo standard attuale dell’analisi.
25
3.1
Algoritmi numerici in campo plastico.
1. Analisi limite: • Programmazione Lineare (gli algoritmi pi`u efficienti sfruttano la dualit`a tra aspetto statico e cinematico). • Programmazione Nonlineare (algoritmi basati sui due teoremi dell’analisi limite). • Formulazioni alternative combinate con l’uso di algoritmi specializzati. L’approccio ha avuto un certo sviluppo negli anni ’60 e ’70, anche se essenzialmente limitato al solo ambito accademico. Attualmente, salvo sporadiche proposte, `e poco seguito. I metodi sviluppati si sono infatti rilevati meno efficienti di quelli basati su di un approccio incrementale. 2. Adattamento plastico: • Situazione simile all’analisi limite. Il problema `e per certi versi simile a quello dell’analisi limite e si presta ad algortimi risolutivi simili. I metodi finora sviluppati sono poco efficienti, anche se la possibilit` a di fornire risultati sintetici per un insieme di condizioni di carico renderebbe l’analisi per adattamento plastico particolarmente interessante. Data l’importanza assunta dalla tematica in sede normativa, sarebbe conveniente lo sviluppo di algoritmi efficienti in questo campo.
26
3. Analisi incrementale: • Algoritmi incrementali o incrementali–iterativi di tipo euristico (estrapolazione alla Eulero, integrazione implicita, ecc. ..). • Programmazione Quadratica o algoritmi di Complementariet`a Lineare. • Metodi del tipo Initial Stress: – – – –
Algoritmo standard di Zienkiewicz Metodo Newton–Raphson Matrice secante Metodo di Riks o dell’arco di curva
• Algoritmi espliciti basati su approccio pseudo–dinamico. Sono i metodi attualmente pi` u utilizzati in quanto danno luogo ad algoritmi molto efficienti. Implementazioni dell’inital stress con strategia incrementale alla Riks sono presenti in tutti i codici ad elementi finiti di tipo commerciale e costituiscono lo standard attuale. Algoritmi di tipo pseudodinamico richiedono potenze di calcolo estremamente elevate ma vanno diffondendosi per applicazioni particolari. Attualmente ne esistono implementazioni di tipo commerciale.
27
3.2
Analisi elasto–plastica al passo
Dato un assegnato programma di carico p[λ], si pone il seguente problema: • Determinare una successione sufficientemente fitta di punti (uk , λk ) del percorso di equilibrio della struttura che permetta una sua accurata ricostruzione per interpolazione. Il problema presenta una struttura ricorrente e pu`o essere decomposto nei due sottoproblemi: P1: Note le condizioni di inizio passo ed assegnato il vettore u degli spostamenti di fine passo, determinare il corrispondente vettore s[u] delle forze nodali interne di fine passo. P2: Assegnato il vettore p dei carichi nodali di fine passo, determinare u tale che risulti verificata la condizione di equilibrio: s[u] = p Osservazioni: • Solo P1 richiede una descrizione della risposta elasto– plastica della struttura. • P2 corrisponde ad un problema astratto di soluzione di una equazione non–lineare implicita.
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3.3
Soluzione del sottoproblema P1
La teoria dei percorsi estremali fornisce l’ambito pi`u conveniente per inquadrare il problema P1. In tal modo si realizza nel passo un effettivo percorso elasto–plastico incrementale, che gode anzi di qualche vantaggio (uno scostamento piccolo dalla traiettoria di estremo porta a variazioni piccole, di ordine superiore, nella posizione finale raggiunta). Per questa via (integrando le condizioni puntuali valide nel percorso) si ottiene un legame s[u] caratterizzato dalla seguente condizione: 0 ≤ (s[u2] − s[u1])T (u2 − u1) ≤ (u2 − u1)T KE (u2 − u1) dove u1 ed u2 sono due diversi spostamenti possibili di fine passo e KE `e la matrice elastica della struttura. Sul piano operativo, le forze nodali s[u] possono essere ottenute assemblando contributi elementari calcolati separatamente sui singoli elementi. Valgono le seguenti considerazioni: 1. Viene determinata, su ciascun elemento, la soluzione elastica corrispondente agli incrementi di spostamento nodale (u − u0) ed allo stato tensionale σ 0 di inizio passo σ E = σ 0 + Eε , ε := D(u − u0) 2. L’elemento `e soggetto a condizioni di spostamento nodale impresso. Non vi sono quindi equazioni di equilibrio nodale che comportino una interazione tra gli elementi, per cui la condizione di Haar–Karman si risolve in condizioni locali definite separatamente sul singolo elemento. 29
3.4
Esempio 1: elementi piani a tensione costante
Indichiamo con σ¯ e σ˜ ij le componenti cubica e deviatoriche della tensione nell’elemento, e con σ¯ E , σ˜ Eij le corrispondenti predizioni elastiche. • L’energia di deformazione Φ[σ] e la condizione plastica (Mises) f [σ] ≤ 1 sono espresse dalle: Φ[σ] :=
1 2 (1 + ν) σ˜ ij + 3(1 − 2ν)¯ σ2 2E ij f [σ] :=
1 2 σ˜ < 1 σy2 ij ij
Figura 3.1: Soluzione di Haar-Karman
• Nello spazio deviatorico, le curve di livello di entrambe le funzioni Φ[σ] ed f [σ] hanno forma sferica. La soluzione del problema di Haar–Karman Φ[σ] = min. , f [σ] ≤ 1 (punto di tangenza tra le due sfere) `e quindi fornita dalla: σ˜ Eij , σ¯ := σ¯E σ˜ ij := max(f [σ E ]1/2, 1) 30
3.5
Qualche commento
• Lo stesso processo, applicato al singolo punto di Gauss, pu`o essere seguito, pi`u in generale, nel caso di elementi finiti compatibili basati su integrazione numerica. • In presenza di passaggio tra comportamento elastico e plastico, l’elemento non `e in grado di distinguere con precisione la posizione dell’interfaccia fra i due comportamenti. L’errore risultante `e proporzionale alla dimensione h dell’elemento anche nel caso di elementi complessi, tipicamente caratterizzati in elasticit`a da errori in hn (n ≈ 3, 4). • L’errore si manifesta generalmente in forma di locking (l’elemento risulta cio`e bloccato rispetto a meccanismi deformativi possibili nel continuo) e pu‘o avere entit`a rilevante. • Una via per ridurre il locking `e data dall’uso di formulazioni di tipo misto. • Data la struttura del problema elasto–plastico e la forma del principio di Haar–Karman, sono particolarmente adatti elementi di tipo ibrido, definiti da spostamenti compatibili lungo il contorno e campi di tensione equilibrati all’interno dell’elemento.
31
3.6
Esempio 2: strutture intelaiate
Viene usato un elemento ibrido di trave definito dagli spostamenti e rotazioni nei due nodi di estremit`a e da andamenti equilibrati del momento e dello sforzo normale all’interno dell’elemento. L’elemento presenta 6 gradi di libert`a cinematica e 3 iperstatiche. Sia N lo sforzo normale, Mi ed Mj i momenti nelle due sezioni di estremit`a dell’elemento ed NE , MEi ed MEj i corrispondenti valori di predizione elastica conseguenti a spostamenti nodali assegnati. • L’energia complementare di deformazione `e definita dalla: 1 & 3& Φ[σ] := N2 + (Mi2 + Mj2 − 2cMi Mj ) 2 EA EJ essendo c :=
1 − β/2 2+β
β :=
12EJ GA&2
• La condizione plastica (imposta solo nelle sezioni di estremit`a) fornisce: −My ≤ Mi ≤ My , −My ≤ Mj ≤ My • La soluzione di Haar-Karman `e fornita dal seguente algoritmo di ritorno in 3 passi: 1) Mi := max{−My , min{MEi, My }} 2) Mj := max{−My , min{MEj −c(MEi −Mi), My }} 3) Mi := max{−My , min{MEi −c(MEj −Mj ), My }} 32
3.7
Soluzione del sottoproblema P2
L’equilibrio della configurazione di fine passo `e espresso dalla condizione: s[u] = p che si presenta come equazione implicita nonlineare nelle incognite u. L’equazione si presta ad una soluzione iterativa del tipo Newton–Raphson Modificato: rj := p − s[u] ˜ −1 rj uj+1 := uj + K ˜ una opportuna approssimazione della matrice Hesessendo K siana ds[u] Kt [u] := du La convergenza dello schema MNR pu`o essere discussa introducendo la matrice secante Kj definita nel passo dalla Kj (uj+1 − uj ) = s[uj+1] − s[uj ] Lo schema comporta
rj+1
˜ −1 rj = I − Kj K
Ne risulta la seguente condizione (sufficiente) di convergenza:
˜ −1 < 1 , ∀j ρ I − Kj K essendo ρ[·] il raggio spettrale della matrice. La condizione di convergenza pu`o essere riscritta nella forma pi`u espressiva: ˜ 0 < Kj < 2K 33
3.8
Alcune osservazioni
• La diseguaglianza 0 ≤ (s[uj+1]−s[uj ])T (uj+1−uj ) ≤ (uj+1−uj )T KE (uj+1−uj ) valida per soluzioni ottenute, a partire da u0, mediante percorsi estremali corrisponde alla condizione: 0 ≤ Kj ≤ KE ˜ della condizione di converLa seconda parte (Kj < 2K) genza `e quindi banalmente verificata se si assume (come nel metodo initial stress) ˜ := KE K (o una sua ragionevole approssimazione). • La prima parte (Kj > 0) della condizione risulta invece critica in quanto, pur risultando Kj ≥ 0 lo schema perde convergenza in prossimit`a del collasso dove Kt [u] → 0 • In queste condizioni il processo incrementale non `e in grado di raggiungere la condizione di collasso della struttura. • In effetti, al progredire della plasticizazione, la convergenza dello schema iterativo tende rapidamente a deteriorarsi e ci`o comporta in genere una terminazione prematura del processo.
34
3.9
Il metodo del’arco di curva
• Le difficolt`a di convergenza presenti in zone prossime a punti limite del percorso di equilibrio sono connesse alla rappresentazione parametrica utilizzata, che `e stata assunta nella forma u = u[λ], mentre la curva che si vuol rappresentare non `e analitica in λ.
Figura 3.2: Analisi a controllo di carico e di arco di curva
• Le difficolt`a possono essere aggirate utilizzando na rappresentazione sicuramente analitica che impieghi, ad esempio, come parametro descrittore della curva di equilibrio direttamente l’ascissa curvilinea nello spazio (u, λ). • Il metodo dell’arco di curva (arc–lenght method) `e stato proposto inizialmente da Riks (1974) per l’analisi incrementale di problemi elastici geometricalmente nonlineari. Attualmente rappresenta lo standard di fatto dell’analisi nonlineare.
35
3.10
Schema iterativo alla Riks
Lo schema iterativo di Riks rappresenta la prima, e ancora pi`u efficiente, implementazione del metodo dell’arco di curva. L’idea base del metodo `e quella di introdurre esplicitamente il parametro di carico λ come ulteriore variabile da determinare e di aggiungere al contempo una ulteriore equazione che esprima l’ortogonalit`a (nello spazio allargato {u, λ} ) ∆uTMu˙ + µ∆λλ˙ = 0 (in cui M e µ sono opportuni parametri metrici) tra la correzione iterativa u ˙ = uj+1 − uj ˙ = λj+1 − λj λ e l’incremento totale nel passo
∆u = uj − u0 ∆λ = λ − λ j 0 Se l’iterazione parte da una opportuna estrapolazione {u1, λ1} che realizzi la distanza desiderata da {u0, λ0}, la condizione rappresenta un modo approssimato ma computazionalmente efficace di imporre la lunghezza dell’arco di curva. L’equazione base dello schema iterativo diventa pertanto:
˜ u˙ K −ˆ pλ˙ = rj ∆uT Mu ˙ +µ∆λλ˙ = 0 in cui p ˆ :=
dp[λ] dλ
36
3.11
Convergenza dello schema di Riks
L’uso dello schema di Riks porta alla sequenza:
rj+1
˜ −1 [I − αj Bj ] rj = I − Kj K
in cui, posto
˜ −1 M∆uj dj := K
la matrice Bj ed il fattore αj sono definiti dalle: p ˆdTj Bj := T p ˆ dj
,
p ˆ T dj αj := µ∆λj + p ˆ T dj
La convergenza dello schema pu`o essere cos`i ricondotta alla condizione sufficente:
˜ −1][I − αj Bj ] < 1 , ∀j ρ [I − Kj K Osservazioni: • La maggiore efficienza dello schema di Riks `e direttamente legata all’effetto filtro operato dalla matrice [I − αj Bj ] • Il filtro lascia invariate le componenti di rj ortogonali a dj e riduce la componente parallela del fattore (1 − αj ). • Per µ ≈ 0 e, comunque, in vicinanza del carico di collasso dove ∆λ → 0, risulta αj ≈ 0 e quindi il filtro diventa una proiezione ortogonale alla direzione dj .
37
3.12
Schema iterativo esplicito
Lo schema di Riks rappresenta uno strumento estremamente potente, tuttavia le sue prestazioni dipendono in parte da una scelta opportuna dei parametri metrici µ ed M. Una scelta conveniente in problemi elasto–plastici `e quella di assumere µ = 0 ed M tale che ˜ −1 p dj = u ˆ := K ˆ (La scelta corrisponde ad assumere M ≈ Kj .) Con questa scelta, lo schema pu`o essere riorganizzato nella seguente forma esplicita:
λj+1 = λj − rT ˆ/ˆ pT u ˆ j u ˜ −1 u u j+1 = uj + K rj + (λj+1 − λj )ˆ Con questa scelta, procedendo in modo analogo a quanto fatto per lo schema a controllo di carico, si ottiene la seguente condizione sufficiente di convergenza:
in U¯ := u˙ : p ˆTu˙ = 0
˜ ; 0 < Kt [u] 0 c B
per ogni meccanismo di collasso u˙ c non nullo, le direzioni di singolarit`a dell’operatore Kt [u] non rientrano nello spazio ortogonale a p ˆ e quindi la convergenza globale dello schema `e assicurata. 38
3.13
Processo adattativo di analisi.
Un processo incrementale efficiente deve avere un comportamento adattativo; deve cio`e essere in grado, sulla base di scelte autonome, di variare i sui parametri interni in modo da ridurre l’impegno computazionale dell’analisi e migliorare l’accuratezza fornita. In particolare, nell’ambito di una analisi elastoplastica incrementale si richiede: • Il processo deve adattare la lunghezza del passo in modo ampliarlo nelle zone di maggiore linearit`a della curva di equilibrio e ridurlo nelle zone di maggiore nonlinearit`a. Ci`o comporta insieme una migliore descrizione della curva ed un minor numero di punti da calcolare. ˜ utilizzata • Il processo deve poter adattare la matrice K nello schema iterativo in modo da adeguarla alle necessit`a del momento: deve utilizzare cio`e una piena rigidezza elastica solo nelle fasi di comportamento elastico ed una rigidezza ridotta in condizioni di comportamento plastico. • L’adattamento deve essere automatico, risultare poco costoso e comunque non comportare alcuna perdita di affidabilit` a.
39
3.14
Alcuni dettagli operativi.
Conviene introdurre due parametri adattativi: β ed ω. • Il primo interviene nella estrapolazione iniziale del passo
u1 = u0 + β∆u0 λ 1 = λ0 + β∆λ0 in cui ∆u0 e ∆λ0 sono gli incrementi totali ottenuti nel passo precedente. • Il secondo interviene nella valutazione della matrice di ˜ che viene assunta proporzionale a KE iterazione K ˜ = 1 KE K ω (L’uso di questo scalare non comporta oneri particolari in ˜ −1 = ωK−1 quanto K o consente di usare la matrice E e ci` KE decomposta una volta per tutte) Possono essere utilizzate le seguenti formule: • per il j–esimo ciclo di iterazione, ωj+1
rT ˙j j u = ωj (rj − rj+1)Tu˙ j
con i limiti 0 < ω < 2
• per il k–esimo passo del processo incrementale, n−¯ n
βk+1 = βk t 2n¯n
dove n `e il numero di cicli iterativi richiesti, n ¯ il valor medio di cicli desiderato e t rappresenta la tolleranza relativa richiesta per terminare l’iterazione.
40
Capitolo 4 DISCRETIZZAZIONE IN ELEMENTI La presenza di discontinuit`a legate al comportamento elastoplastico del materiale implica uno scenario diverso da quello tipico in problemi di elasticit`a caratterizzato da un alto grado di continuit`a della soluzione. Metodologie di discretizzazione (elementi finiti) efficienti in elasticit`a non sempre risultano egualmente convenienti in plasticit`a. La sezione discute alcuni aspetti di questa problematica con l’obiettivo di descrivere le tipologie di elementi finiti potenzialmente pi`u adatte ad un uso in campo plastico.
41
4.1
Considerazioni sul tipo di elementi.
• Nelle zone plasticizzate, a causa delle discontinuit`a introdotte dal comportamento plastico nell’andamento della deformazione, l’errore derivante da una discretizzazione in elementi finiti dipende linearmente dalla dimensione h del reticolo, anche se si usano elementi ad alto grado di interpolazione. • Non vi `e guadagno quindi (al contrario di quanto accade in elasticit`a) dall’uso di elementi complessi caratterizzati da un numero elevato di variabili per elemento. • L’accuratezza va perseguita quindi attraverso l’infittimento del reticolo di discretizzazione. • Tutto ci`o spinge all’uso di elementi semplici, con poche variabili per elemento, accompagnati a reticoli fitti. • Una buona ricostruzione del campo di tensione acquista maggior peso che in elasticit`a essendo il comportamento del materiale condizionato dal livello di tensione raggiunto. • Al riguardo, elementi di tipo compatibile, capaci di una migliore ricostruzione dello spostamento che delle tensioni (ottenute dagli spostamenti per derivazione) sembrano poco conveniente. • Elementi di tipo ibrido o misto dovrebbero assicurare dei vantaggi.
42
Inoltre: • Il fenomeno di concentrazione della deformazioni plastica lungo superfici (di scorrimento) isolate in corrispondenza a livelli di carico prossimi al collasso spinge verso elementi con deformazione concentrata o comunque tali da permettere discontinuit`a nella tensione e nella deformazione. • Riguardo alla cinematica, gli elementi dovrebbero imporre la continuit`a, lungo le superfici di contatto, dello spostamento normale ma non di quello tangenziale. • Riquardo alla statica, gli elementi dovrebbero imporre la continuit`a della tensione normale e tangenziale ma non della tensione trasversale. • Un compromesso tra le esigenze di continuit`a richieste dalle diverse componenti non `e facile e comunque non porta ad un’algebra semplice dell’elemento. In aggiunta, l’uso di campi discontinui non sarebbe opportuno nelle zone elastiche del dominio. • In alternativa, si richiede l’uso di reticoli estremamente fini, in modo che le discontinuit`a possano esaurirsi in una fascia di piccola ampiezza (pari alla dimensione degli elementi).
43
4.2
Elementi Misti Simplex.
• L’elemento `e triangolare (pi`u in generale un tetraedro con numero di vertici pari alla dimensione del problema +1). • Sia il campo di spostamento che di tensione sono interpolati linearmente a partire dai valori assunti nei vertici (nodi del reticolo). • Si ha continuit`a dello spostamento e della tensione sulle interfacce. Tuttavia, per un rapporto elementi)/vertici pari a 2, il modello richiede 5/2 variabili per elemento nel caso di problemi bidimensionali e l’algebra coinvolta `e molto semplice. ci`o rende possibile l’uso di discretizzazioni fitte. • Risulta conveniente raggruppare 4 elementi triangolari in un unico elemento quadrangolare (il quadrangolo `e suddiviso dalle due diagonali). In tal caso si hanno 5 variabili (2 spostamenti e 3 tensioni) per elemento quadrangolare.
44
4.3
Elementi basati su equazioni di flusso.
• L’elemento `e in generale quadrangolare (sono possibili versioni triangolari); il reticolo di discretizzazione presenta topologia regolare (meglio se con geometria regolare). • Lo spostamento `e definito in funzione del flusso che attraversa le superfici di interfaccia. La tensione `e interpolata linearmente sui lati dell’elemento. • Le equazioni di bilancio (equilibrio e compatibilit`a cinematica) sono risolte in modo assoluto su ciascun elemento (Equilibrio di corpo rigido e conservazione della massa). L’errore di discretizzazione si riflette nel legame elastico ed `e correlato all’interpolazione interna della tensione (lineare–costante). • Si hanno 5 variabili (2 spostamenti e 3 tensioni) per elemento. Sono possibili discretizzazioni fitte. • L’algebra diventa semplice per reticoli a geometria regolare (elementi rettangolari di dimensione costante)
45
4.4
Elementi HC.
• L’elemento `e quadrilatero; Il reticolo ha topologia regolare (meglio se con geometria regolare). • Lo spostamento viene interpolato con funzioni bi–quadratiche con nodi di controllo esterni all’elemento. Si impone la continuit`a all’interfaccia sia della funzione che delle sue derivate prime. Ci`o permette di ridurre le variabili in gioco ad un solo nodo per elemento. • La tensione `e descritta da una interpolazione bi–lineare a partire dai vertici dell’elemento. • Si hanno 5 variabili (2 spostamenti e 3 tensioni) per elemento. Sono possibili discretizzazioni fitte. • Si ha interpolazione ad alto grado di continuit`a pur con un numero minimo di parametri in gioco. • L’algebra diventa semplice per reticoli con geometria regolare (elementi rettangolari).
46
4.5
Elementi FLAT.
• Elemento triangolare misto utilizzato per piastre e cupole sottili. • Presenta interpolazione lineare dello spostamento e valore costante della sollecitazione sull’elemento. La deformazione flessionale `e messa in conto attraverso la rotazione concentrata lungo i lati dell’elemento. • L’elemento resta rozzo ma coinvolge una algebra semplicissima e di esecuzione veloce. Richiede discretizzazioni estremamente fitte che si prestano tuttavia a descrivere superfici complesse. • Consente di caratterizzare facilmente ed in modo esatto cambiamenti anche notevoli di configurazione (analisi per grandi deformazioni). • Sono possibili varianti diverse che si differenziano per la scelta dell’interpolazione della sollecitazione (lineare sull’elemento, costante sull’area di influenza di ciascun nodo, localizzata sul lato, ecc...). • Sono particolarmente adatti ad analisi basate su algoritmi espliciti (simulazione pseudo–dinamica) o dove la soluzione `e ottenuta mediante schemi iterativi di tipo locale (approccio multigrid).
47
4.6
Superconvergenza, Metodo Multigrid ed altro ancora.
• L’uso di elementi opportuni, di reticoli fitti, di una topologia regolare e di una geometria (quanto meno) variabile con regolarit`a porta al fenomeno chiamato superconvergenza. Gli errori prodotti sui singoli elementi tendono cio`e a compersarsi sull’intero reticolo producendo un errore complessivo minore per ordini di grandezza di quello proprio del singolo elemento (ad es., da h2 ad h6). • L’uso di reticoli realmente fitti comporta comunque un numero elevato di variabili e, anche se l’algebra richiesta dalla costruzione delle matrici e vettori utilizzati dall’analisi possa rivelarsi particolarmente semplice, pu`o risultare inabbordabile nell’ambito di strategie tradizionali basate sull’assemblaggio esplicito della matrice di rigidezza e sulla soluzione del sistema risultante mediente decomposizione alla Gauss. Per un problema in n variabili, solo quest’ultima operazione richiede O(n2) operazioni aritmetiche.
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• In queste condizioni, strategie di tipo Multigrid Adattativo, basate sull’uso contemporaneo di una sequenza di discretizzazioni a successivo livello di infittimento e capaci di sfruttare la parentela fra queste, permettono di ricavare la soluzione corrispondente al reticolo pi`u fitto pur operando essenzialmente sui reticoli radi della sequenza. Si ottiene cos`i uno strumento estremamente potente, capace di risolvere problemi in meno che O(n) operazioni aritmetiche con prestazioni superiori di ordini di grandezza rispetto ai procedimenti tradizionali. • Guadagni ancora maggiori sono forniti da strategie di infittimento selettivo in cui, assegnata l’accuratezza desiderata sulla soluzione finale, `e lo stesso processo che provvede a realizzare, nella sequenza multigrid, un differente raffinamento delle varie zone del dominio di definizione del problema consentendo cos`i di localizzare e catturare le superfici ad elevato gradiente di deformazione.
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