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Italian Pages [297] Year 2001
GLI
ARCHI
Mario Polia
IMPERIVM Origine e funzione del potere regale nella Roma arcaica
l/Cerchio
ifili/OtiVi idìiOrléJII
© 2001 IL CERCHIO lNIZ!ATNE EDITORIALI via Dell'Allodola, 8- 47900 Rimini e-mail: [email protected] www.ilcerchio .it Tutti i diritti riservati
ISBN 88-8474-007-X
Finito di slampare da Fototno Gfap>llcolor s. n.e. Clnò di Castello net mese di marzo 2002
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Introduzione
In questo saggio di antropologia religiosa abbiamo affrontato un argomento
di primaria importanza per la conoscenza degli orizzonti religiosi dell'uomo roma no arcaico: il concetto di "imperium", l'esclusivo carisma concesso da Giove al rex delle origini. Trattando
dell'imperiwn occorre porsi da una prospettiva essenzial
mente religiosa poiché la natura del potere regale, la cui presenza era rivelata me diante gli auspicii d'investitura, appartiene essenzialmente all'ambito del sacro. Dopo aver analizzato dal punto di vista linguistico il significato originale del termine, passeremo a trattare, da un punto di vista storico-religioso le caratteristi
che e le funzioni deli'imperiwn, nonché a esaminare i simboli arcaici del potere che sancivano e manifestavano la sacralità del carisma divino esprimendo le funzioni del rex delle origini. Esamineremo quindi i riti di fondazione della città riservati al sovrano nella sua funzione di augure e sacerdote e la questione concernente il significato del
nome "Roma" nonché la tradizione che riguarda la parallela esistenza di un suo nome arcano e di una divinità tutelare dell'Urbe. Nel capitolo dedicato ai miti d'origine degli eroi culturali fondatori di Roma,
oltre a passare in rassegna e commentare le fonti latine e greche, abbiamo svolto l'analisi linguistica e quella comparativa di alcuni elementi simbolici quali il fuoco di Vesta, il Fico Ruminate, il lupo, il picchio, ecc. esaminando il mito di fondazione da una prospettiva etica. Un capitolo a parte è dedicato ai pignora
imperii, ossia agli oggetti fatali me
diante i quali gli dèi, e in primo luogo Giove, garantivano a Roma la perennità
dell'imperium.
Un lungo capitolo, che forse un giorno trasformeremo in un saggio monogra fico, introduce un tema di fondamentale interesse per la comprensione del carisma e della funzione del rex delle origini: la relazione esistente tra il re e la veggenza in tesa come potere oracolare, capacità di stabilire un contatto diretto col divino, co noscenza della natura e delle caratteristiche del sacro oltre che delle forme della li turgia. Nel medesimo capitolo esamineremo dettagliatamente la genealogia mitica della dinastia divina delle origini la quale, iniziando agli albori dell'età dell'oro la ziale con le figure divine di Satumo e Giano, termina con l'ultimo re di ascendenza divina da parte di padre: Romolo Quirino. Dopo Romolo inizia la lista dei re umani ma fra il primo re di Roma e gli ulti mi cinque si situa la figura archetipica di Numa. Questi, ·pur essendo il primo re umano da parte di padre e di madre, è assistito come i re delle origini - Pico, Fauno, l'arcade Evandro, Latino - da un'entità numinosa esperta in oracoli, riti e incanta menti: la ninfa Egeria, Camena italica.
Pur se umano, Nurna fu reputato dallo stesso Padre degli dèi "non indegno di trattare coi numi". E proprio perché uomo favorito da una continua assistenza divi-
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na, uomo intimamente pio e per questo rispettoso e conoscitore del sacro, proprio perché uomo dotato di un misterioso potere, superiore per natura al potere guerrie ro, la sua conoscenza, invece di essere lim itata nello spazio e nel tempo, supera le barr iere dello spazio e del tempo. La figura di Numa incarna e ribadisce un concet to caro al pensiero rel igioso della Roma arcaica: si è pienamente rex anche se si è pienamente uomo purché si possegga la virtù dellapietas da cui discendono le altre virtù assieme a quella della iustitia che è aderenza alla Norma e garanzia del giusto esercizio del l ' imperium fra gli uomini. La fondazione di Roma e la morte di Romolo, alla fine del suo regno, segnano allo stesso tempo una fine e un inizio: la fine del tempo in cui gli dèi abitavano fra gli uom ini e si un ivano ad essi generando eroi sem idivini e l 'epoca in cui gli dèi si uniscono solo spiritualmente all'uomo per ispirarlo, istruirlo, dotarlo del potere di trasformare divinamente gli uomini, il mondo e la storia, ché questo è, in essenza, l ' imperium e l 'auctoritas. L' ultimo capitolo di questo saggio sviluppa un tema che, se non venisse com preso, renderebbe l ' imperium un concetto astratto, lim itato alla sfera del sacro, profondamente caratterizzato da una inerente qual ità "magica" ma senza relazioni concrete con la sfera del l ' etica e con l ' idea stessa di "uomo" e di "cittad ino roma no" che fu propria a Roma fino a quando, nel la sua storia, operò un' identità cultura le propriamente "romana". La conservazione del privi legio d ivino del l ' imperium, infatti, non era affidata solo ai riti religiosi ed alla presenza dei pignora sacri sul suolo del l 'Urbe, era affi data soprattutto ai figli di Roma ed alle qual ità etiche richieste loro dalla Madre co mune. Per quanto riguarda la scelta delle fonti, abbiamo selezionato i documenti più importanti in relazione ad ognuno degli argomenti trattati. Di ognuno dei passi scelti d iamo nel testo la traduzione italiana mentre nelle note il lettore potrà usufru ire del l ' originale latino. In questo modo potrà avere sottomano un'utile antologia di testi in l ingua originale. Prima d i concludere questa Introduzione sentiamo il desiderio d i ringraziare quanti ci hanno permesso di portare a term ine quest'opera: in modo speciale rin graziamo il personale della B ibl ioteca Paroniana di Rieti che, con squisita cortesia e disponibilità, ha agevolato grandemente la nostra consultazione dei classici latini e greci . Desideriamo, inoltre, ringraziare la Bibl ioteca dell ' Istituto d i Fi lologia C lassica dell 'Università d i Roma "La Sapienza". Per ultimo, :un ringraziamento va a m io frate l lo Riccardo, autore di molti dei disegni che i l lustrano i l testo. Cuzco, IO luglio 2001 Abbreviazioni nel testo: i.e. =indoeuropeo picio presso gli antichi che non usavano la preposizione "99 • Gli auspicia formavano parte integran te del rito della inauguratio, ossia de l rito augurale di cui costituivano, propriamen te, l ' el emento mantico. Compito degli auspicia era quello di rivelare gli auguria, ossia i segni (fausti o infausti) che rendevano manifesta la volontà degli dèi . In ogni caso, gli auguria non erano in nessun caso il risultato meccanico dei riti compiuti dal l 'augure poiché lo scopo di tali riti era unicamente quello di creare le condizioni indi spensabili perché i segni avessero valore di auguria. In altre parole : l ' augure, nel caso del l ' investitura regale, chiedeva agl i dèi (e principalmente a Giove) di ma nifestare mediante "segni certi e chiari" 1"" se intendessero concedere il carisma che avrebbe permesso alla persona di diventare re . L' augure stesso, però, non aveva al cun potere per creare il carisma o per far sì che questo, in qualche modo, discendes se sulla persona del futuro re . Il nome arcaico col qualt: questo carisma era designa to, si è visto, era *auges : il potere divino che discende sul prescelto e lo investe de lla auctoritas, term ine formato sulla stessa radice di •auges e augurium. I segni osservati in cielo dall'augure acquisivano valore di "segni certi" solo dopo che questi aveva compiuto le cerimonie prescritte dal la liturgia le quali consi stevano, essenzialmente, nel l 'ordinamento dello spazio secondo precisi c rite ri sa cral i e simbolici per cui i quattro punti cardinali ed ogni parte dello spazio fra essi compresa acquisiva un determ inato valore in riferimento al la divinità che presie deva a quella parte dello spazio. In altre parole, i riti augural i trasformavano lo spazio in templum, ossia in uno spazio "culturizzato", dotato di significato simbolico ed interpretabile d ' accordo alla tradizione sacerdotale 101 Le fasi essenziali della cerimonia augurale romana
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sono riportate da Tito Li vi o nel passo in cui descrive l 'investitura di Numa Pompi ho, passo che abbiamo esaminato precedentemente . La comparsa di segni favorevoli rivelava all ' augure e a quanti assistevano alla cerimonia augurale -fra essi i patres conscripti, i senatori che avevano designa to il candidato al trono- la discesa del potere divino, l 'auctoritas, sulla persona del futuro rex. La formula augurale nella quale il sacerdote chiedeva la comparsa dei segni era rivolta direttamente a Giove nella qualità di pater 102 • Il fatto è specialmente significativo poiché dimostra con estrema chiarezza che luppiter era considerato fonte suprema ed unica del potere regal e . A llo stesso tempo dimostra che la concessione del potere da parte di Giove Padre era interpre tata come una sorta di generazione spirituale per cui il rex acquisiva, assieme col potere, la qualità propria a Giove, la stessa che lo distingueva fra tutte le altre divi nità: l 'auctoritas. Nella persona del rex l ' uomo, avendo ricevuto i l potere da Gio ve, partecipa nel mondo degli uomini della stessa funzione svolta da Giove nel co smo: diventa auctor. Acquisisce, cioè, il potere di portare ad esistere le cose ( l ' imperium), di favorirne lo sviluppo (augere, dalla stessa radice di auctoritas) e di dirigerle al loro compimento (regere: la funzione precipua del rex) . In altre parole, il rex diviene il vicario di Giove fra gli uomini senza che questo fatto, alle origini della tradizione romana e prima che si diffondessero le mode e lle nistiche-orientali della divinizzazione del re, desse alla persona del rex il di ritto di essere considerata divina e di ricevere culto 103 . L'imperium è la manifestazione del l ' auctoritas concessa da Giove ed è, nella tradizione romana, un cari sma divino di cui unica è la fonte ed unico il destinatario: il rex. In quanto tale, l' auctoritas, morto i l rex, si ritira dal mondo degl i uomini, tor na nel g rembo della fonte suprema per discendere di nuovo, mediante il rito d ' i nvestitura regale, sul nuovo rex. Ciò significa, ipsofacto, che l ' auctoritas, oltre a non poter essere creata da mano umana, non è neppure trasmissibile e che l ' idea della monarchia e reditaria non forma affatto parte della tradizione romana delle origini e neanche della tradizione indoeuropea in generale '"' . Dal momento che una delle funzioni de l i ' auctoritas concessa da Giove, oltre al potere di accrescimento è quella del potere di vittoria in guerra, risulta senz' altro illum inante, in questo contesto, ricordare la cerimonia con la quale si concludeva, in tempi di molto posteriori alla monarchia delle origini, la grande parata militare (di origine etrusca) chiamata "trionfo" 10J . Dopo essersi ritualmente purificato dalla contaminazione del sangue e dopo aver percorso trionfalmente tutta la Via Sacra passando dinanzi ai templi dei principali dèi di Roma, giunto ai piedi del declivo capitolino, il dux cui Giove aveva concesso la vittoria in guerra, scendeva dalla quadriga trionfale e percorreva a piedi l ' ultima parte della Via Sacra, il Cliuus Ca pitolinus, fino al tempio di Giove Ottimo Massimo sul Campidoglio. lvi giunto, il trionfatore che aveva indossato l 'omatus Jouis Optimi Maximi, deponeva sulle spalle de l i ' effigie del dio il mantello di porpora, cingeva sulla fronte della statua la corona d ' alloro che durante il trionfo aveva cinto la sua fronte e poneva nella mano destra del l ' immagine divina Io scettro d ' avorio sormontato dall ' aquila che aveva tenuto in mano durante il trionfo. Dopo di ciò il duce vittorioso si detergeva il volto
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dal m inio col quale era stato ricoperto durante il trionfo stesso a somiglianza del volto del l ' immagine di Giove. Questa cerimonia è talmente eloquente da non richiedere un prolisso com mento, basti infatti considerare come tutta la sua struttura e i l valore dei gesti com piuti dal trionfatore mediante la devoluzione dei segni esteriori del pote re, manife sta l ' idea romana che l'auctoritas proviene da Giove per investi re i prescelti affinché essi svolgano fra gli uomini il compito che la divinità ha assegnato loro, ma l' auctoritas torna, alla fine, alla fonte da cui era discesa. Dopo questa necessaria premessa, che complementa e riassume le osserva zioni esposte nel precedente saggio sul rex e l' imperium, possiamo tornare ad ana lizzare il mito di fondazione di Roma. La prima, evidente considerazione da fare è che né Romo lo né Remo, al mo mento di compiere i l rito augurale, sono assistiti da un sacerdote special ista, un au gure , ma compiono essi stessi la funzione di sacerdote . Ciò significa che la tradi zione che fissò i l mito nelle forme pervenuteci considerava inerente alla persona dei gemelli fondatori la funzione sacerdotale, forse a causa della loro nascita divi na, o forse perché, nella tradizione romana del le origin i , la qualità sacerdotale era considerata inerente alla persona a prescindere ed ancor prima che questa, even tual mente, assurgesse alle cariche sacerdotali istituzionali dello Stato . Rom o lo era, sì, figlio di Marte ma ciò non lo esimeva dal lo svolgere, nella vita materiale, la fun zione di pastore . Il formar parte della tradizione, il rispetto e il compimento fedele delle norme liturgiche e rituali prescritte dalla tradizione era ritenuta condizione sufficiente perché, almeno nella sfera del diritto sacro privato, il ciuis romanus e specialmente il paterfamilias agisse come sacerrios 1"" . Per quanto riguarda gli auspicia, occorre ricordare che a Roma nessuna azio ne importante la cui portata ed il cui risultato coinvolgesse l ' intera società poteva essere intrapresa senza prima aver ottenuto auspici favorevoli: n isi aues admisis sent (o addixissent) , "senza che gli uccelli avessero rivelato parere favorevole " da parte degli dèi. Il re, in quanto sacerdote supremo, è optimus augur anche se in pra tica, nell'esercizio di questa sua funzione è assistito da un collegio augurale il cui compito è quello di conservare i segreti dell 'arte, le regole dell ' interpretazione dei segn i , le formule ri tual i , ecc. Lo scopo del rito degl i auspicia compiuto dai gemelli è magistralmente chiarito, come abbiamo visto, da Marco Tullio Cicerone, che si 108• 1 07 rira ad Ennio, fonte autorevole data l ' epoca cui essa appartiene e da lito Li vi o Entrambi gli autori non esitano a riferire agli auspicia romulei il duplice scopo di far discendere sul fondatore l 'auctoritas che lo investe della funzione regale e che, allo stesso tempo, gli concede l 'imperium sul territorio dell ' Urbe che stava per es sere fondata. In altre parole : gli auspicia compiuti alla vigilia della fondazione di Roma servirono a dimostrare quale dei due gemelli fosse stato prescelto dagl i dèi per di venire rex e per compiere i l rito della fondazione di Roma; dotare il prescelto del l ' auctoritas necessaria affinchè questi divenisse rex; permettere al prescelto, una volta che fosse divenuto rex, di accedere alla fun zione di conditor urbis.
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Valgono anche in questo caso le considerazioni di cui sopra, ossia che Ramo lo, eletto da Giove e chiamato ad essere conditor Vrbis e suo primo re, mediante il rito augurale crea le condizioni atte al confe rimento dell ' auctoritas e del l 'impe rium che da essa discende . Il rito crea altresì le condizioni per cui la volontà divina può manifestarsi attraverso segni certi e interpre tabili con certezza che sanciscono l 'avvenuto conferimento d e l i ' auctoritas ma in nessun caso il rito crea l' auctoritas che investe la sua persona. Si badi, inoltre , alla consequenzial i tà degli eventi : Romolo viene investito del l ' imperium (diviene induperator, secondo l ' arcaica espressione di Ennio) e di viene rex e, in quanto re, acquisisce il diritto di fondare Roma. Ossia, Romolo pos siede ne l la sua persona il potere sufficiente a svolgere la funzione di augure ma solo un conferimento speciale da parte di Giove lo doterà del potere necessario a compiere i riti di fondazione , a svolgere la funzione sacerdotale inerente al rex")\). Per quanto riguarda la qualità degli auspicia ottenuti dai due gemelli, quell i ottenuti d a Romolo si rivelan o essere auspicia maiora: rivelano, cioè, in modo ine quivocabile non solo il favore divino nei confronti della sua persona chiamata ad esercitare la funzione di rex ma rive lano anche la pienezza dell 'elezione e la pie nezza del carisma concesso da Giove nel numero degli uccelli che compaiono du rante il rito: dodici a differenza di quelli che compaiono nel caso di Remo, che sono SC I .
Il numero dodici, nella tradizione romana delle origini e d anche i n altre tradi zioni, è un numero fausto che esprime l ' idea di "pienezza" e di "universalità" 1 1 0 . Il suo prestigio sacrale e simbolico è da porre in relazione col numero dei segni zodia cali, con quello dei mesi che compongono l ' ann o solare ed anche con la struttura della cosmografia arcaica, comune a varie culture, in cui il numero tre è riferito alle zone del cosmo (i tre "mondi ", quello uranio, quello terrestre e i l mondo sotterra neo) e il numero quattro rappresenta la divisione fondamentale dello spazio tem plum diviso da due linee che s ' intersecano e che fanno capo ai quattro punti cardi nali 1 1 1 . Dunque, se il numero quattro esprime la totalità dello spazio visibile e il nu mero tre quella delle regioni del cosmo, il prodotto dei due numeri (il quattro ri pe tuto nel l e tre region i del cosm o) sarà que l l o del l a totalità piena ed assol uta . Nel caso de li 'investitura di Romolo, gli auspicia mai ora, oltre a conferirgli la pienezza del potere, venne ro posteriormente intesi come indicatori del numero simbolico dei saecula, o cicli concessi da Giove all 'esistenza terrena di Roma. Pe r quanto si riferisce ai luoghi in cui, secondo la tradizione vennero compiuti gli auspicia, occorre notare che Romolo, nella versione del mito riportata da Tito Livio, scelse come auguraculum il Palatino, colle fausto e sacro al le origini di Roma, a Fauno, a Evandro e Carmenta ed alla dea Pales dalla duplice persona, ve ne rata dagli allevatori e protettrice del bestiame grande e di quello minuto m Remo, al contrario, sce lse l ' Aventino, colle incluso posteriormente nella cinta del le mura serviane ma escluso dal pome rio, sede de li 'antico dèmone o brigante Caco ("Malvagio"), vinto da Ercole in una delle sue imprese in terra laziale. Il dato lette rario sembrerebbe servi re ad avvalorare, ancora una volta, l ' idea dell 'elezione di -
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Romolo ri spetto a Remo, almeno in quelle fonti che pongono l 'auguracu/um ro muleo sul Palatino e quello di Remo su l i ' A venti no, fonti che sono la quasi total ità con l 'eccezione di Ennio . Se ci si pone dal la prospettiva arcaica, che è quella in cui prende forma il mito di fondazione, si può cogliere un ulteriore senso di questo det taglio: una delle qualità del re, o meglio della natura spirituale di chi è destinato a diventarvi, è quella del saper scegliere i luoghi secondo la loro natura sacrale, o la qual ità della loro "energia" decifrando i segni che caratterizzano un determinato luogo, o conoscendo le tradizioni che ad esso si riferiscono. E la conoscenza della geomanzia, scienza tradizionale dovette essere ben conosciuta nella Roma delle origini -che forse I 'apprese dal la etrusca disciplina- e i cui ultimi residui si rinven gono nelle opere di Igino e Vitruvio (entrambi appartenenti al l ' epoca augustea). Orbene, nel caso di un condi tor urbis il saper scegl iere i l luogo ove fondare la città non è solo un segno rivelatore di saggezza: è una facoltà indispensabile. Si noti come gli auspicio, nella maggior parte delle fonti, oltre alle altre funzioni che ab biamo esaminato, indichino anche il luogo in cui avverrà la fondazione . Luogo scelto, assieme al fondatore, espre ssamente da Giove . 5 . IL SIGNI FIC ATO ETIC O DELLA GEMEllA RITÀ E DEL SACRIFIC IO DI REMO
Figli della stessa madre e generati nello stesso parto, entrambi figli di Marte , i due fratelli trascorrono la loro infanzia e fanciullezza senza che i fatti permettano stabil ire chi dei due presenti le qual ità interiori che avrebbero fatto di lui un candi dato a divenire primo re di Roma. Dal momento in cui si accingono ad effettuare il rito del l ' inauguratio, tuttavia, e specialmente una volta conosciuti gli auspicio, la differenza fra i due protagonisti del mito diviene netta e la distanza si accentua fino a divenire incolmabile. Dopo l 'errore nella scelta del l 'auguracu/um e i l verdetto negativo fornito dagli auspici i, la candidatura di Remo a re e fondatore della città viene divinamente "bocciata" . Stando così le cose, al non-prescelto Remo si presenta, dal punto di vista tra dizionale, solo una duplice via da percorrere : inficiare gli auspicio del fratello per vizio di procedura, cosa che Remo non fa poiché , evidentemente, i l verdetto degli auspicio palatini risultava chiaro e inoppugnabile, oppure rassegnarsi al fatto che la volontà divina aveva prescelto il fratello, accettarne l ' e lezione a re e prestargli una fedele e pronta obbedienza, obbedienza che, dal punto di vista tradizionale, sa rebbe stata prestata direttamente al la Parola di Giove , al Fas, mediante il rispetto dello ius . Questo dal punto di vista etico tradizionale. Remo, però, sceglie una terza via, quella del ribelle, la via che calpesta il diritto sacro e lede lo ius : si rifiuta a ricono scere la validità del rito di fondazione e scavalca il sulcus primigenius tracciato dal fratello, lo stesso che delimitava i confini del territorio sacralmente ordinato dal ri tuale in templum . L'atto di scavalcare il solco pone Remo nella condizione di chi ri fiuta l 'ordine e sceglie il disordine , di chi volontariamente attua il passaggio dal co 1D smos al chaos .
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II movente del gesto compiuto da Remo, peraltro, è definito efficacemente da Tito Li vi o con un ' espressione pregnante : "cupido regni", "bramosia del potere su premo" ' " II gesto, configurabile secondo i canoni d e l diritto romano nella categoria dei crimina maiora in quanto tradiva lajìdes ledendo la maestà del re e i l diritto degli dèi, produceva come risultato che il colpevole diventasse passibile di morte . In ef fetti, il castigo non tarda a sopraggiungere e viene inflitto per mano dello stesso fra tel lo. Perché ? La risposta a questa domanda permetterà di accedere al significato etico del mitp. Dal punto di vista del diritto arcaico Romolo uccide Remo perché egli è re x e, in quanto tal e , non solo è il supremo garante del rispetto dello ius ma è anche colui che deve garantirne l ' applicazione pratica. Nel rex delle origini si assomma la mas sima funzione religiosa e la suprema funzione legislativa. Per questa sua caratteri stica e per la natura stessa del suo potere, in quanto supremo sacerdote e magistrato supremo il rex ha l 'obbligo di reprimere e punire i crimina che, ledendo lajìdes nei confronti degli dèi , espongono la società tutta al le conseguenze della loro ira. In questo senso la pena capitale, il supplicium, con cui venivano puniti i rei dei crimi na maiora, riveste esattamente il valore di un sacrificio espiatorio e non solo quello di castigo e di esempio dotato del massimo valore dissuasivo . Romolo, uccidendo Remo, agisce come sacerdote sacrificatore di una vittima la gravità della cui colpa solo può essere cancellata mediante il versamento del suo stesso sangue . Dal punto di vista del diritto divino l 'uccisione di Remo rappresenta l 'espiazione di una colpa contro gli dèi , una lesione cosciente e grave del Fas . Dalla prospettiva etica, costituisce l 'esempio fondante per i secoli a venire di come la l egge romana debba agire quando si tratti di un reo di crimina maiora. L'uccisione di Remo costituisce, nel l 'ambito generale del mito di fondazione di Roma, il m ito di fondazione del diritto romano attraverso un modello archetipi co. Da questa prospettiva il fatto che si tratti di un fratello che per far rispettare lo ius deve uccidere il proprio frate llo, sottolinea in modo altamente drammatico l ' esigenza del l 'imparzialità da parte del magistrato romano incaricato di far rispet tare lo ius 1 1 s . Allo stesso tempo, però, l ' intera vicenda dei due gemelli e il modo tragico in cui essa si conclude , induce a ipotizzare un ' altra interpretazione che, senza esclu derle, si affianca al le precedenti permettendo un ulteriore approfondimento del si gnificato etico del mito. "Romolo e Remo", in effetti, si prestano ad essere inter pretati come un 'endiade, come l 'allegoria dei due aspetti contrari che convivono nella medesima persona in quanto "umàna": la tensione rel igiosa verso il rispetto della legge e degli dèi e la tensione oscura verso l ' affermazione del l ' i o a dispetto della legge e degli dèi , la hybris dei Titani . Romolo rappresenta l 'ideale di ciò che Roma s'aspetta dai suoi cittadini, Remo rappresenta invece la palese e totale nega zione di questo ideale . Non solo, Roma non può convivere con "Remo", anzi non può neppure ini ziare ad esi stere in quanto ciò che "Remo" rappresenta costituisce l ' impossibilità
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stessa del l 'esistenza di Roma. Allo stesso modo, "Remo" non può convivere inco lume con Roma poiché, se ciò accadesse, lo ius romano verrebbe negato mediante l 'affe rmazione del suo esatto contrario e questa negazione avverrebbe proprio in un m omento , come quello che inaugura un nuovo ciclo, in cui ogni gesto ed ogni parola hanno valore fondante . Nel l a vicenda miti ca dei due gt:melli, accomunati dalla stessa origine divina e dalla stessa sorte e in seguito contrapposti irrimediabilmente proprio al momento fatale della conditio urbis, è da leggere il dramma che si ripete in ogni persona al momento fatale in cui questa deve compiere coscientemente la propria sce lta di vita. Scegliere, cioè, la via che porta alla realizzazione del l ' ideale di "uomo" se condo le norme dell a tradizione e gli esempi dei maiores, o scegliere la via in cui I' io è l asciato libero di seguire il proprio istinto e la propria legge affe rmandola al disopra e contro qualsiasi altra legg e . La via del l ' eroe o quella de l Titano . La prima via è quella che permette l ' esistenza di una societas rispettosa dei diritti degli uo mini e degli dèi e fonda un ordine cosmico stabile e fecondo; la seconda antepone gli interessi della persona al bene comune della societas, lede l 'ordine cosmico in staurato dalla legge e dal rito e fonda il disordine aprendo le porte al caos politico e moral e . La prima via garantisce agl i uomini ed alle loro attività la presenza feconda del potere divino, che è "forza d 'accrescimento" (auctoritas) e "potere di vita e di rinnovamento" (imperium). La seconda allontana dagli uomini la benevolenza divina ed attira sulle loro opere la folgore di Giove così come , agli inizi dei tempi, l ' attirarono su di sé i Titani violenti e beffardi . La prima via, per essere vittoriosamente seguita, presuppone nella persona l 'esercizio e il rafforzamento continuo delle qual ità etiche fondamentali richieste da Roma ai suoi figl i : la pietas, inanzitutto, nei confronti degli dèi e nei confronti degl i uomini ; la uirtus, il coraggio nel l ' affermare ciò che la tradizione afferma e nel negare e combattere ciò che essa combatte e nega; la.fide/itas al mos maio rum ed al l e leggi. Figli dello stesso dio, patrono di un ' attività moralmente bivalente e dal l e im mense possibilità negative come è la guerra, de i due fratelli Romolo real izza l ' ideale di Marte solare, insonne e indom ito protettore del l 'ordine sociale, dello ius e delle attività umane che meri tano il nome di iustae, Marte solare paredro di Vene re e quindi difensore della vita e del potere che genera la vita nel cosmo e, assieme a Venere patrono di Roma nella visione rel igiosa prevalsa al tempo di Augusto . Remo, al contrario, realizza nel suo operato le valenze negative del guerriero sordo alla voce dello spirito, violento e tracotante, irrispettoso della legge e del rito : in lui opera il Marte ctonio dei sopraffattori il cui emblema è i l lupo famel ico "carico d ' ogni brama", la cui attività è il bel/um iniustum e la cui controparte è la Venere terrena, il dèmone della concupiscenza sfrenata di cui fa parte anche la cupido regn i .
Figli del medesimo fuoco, Romolo real izza le qualità positive del l a fiamma: la luce , il calore, i l potere purificatorio e sacrificate . Remo realizza le qual ità infere
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del fuoco: il potere distruttore della fiamma e quello oscuro e attossicante del fumo che si sprigiona dalla materia impura creando tenebra e morte . Nati dal la medesima madre, Romolo realizza la sacralità della selva, il nemus consacrato agl i dèi e protetto dal rito, il bosco sacro nel cui silenzio, m: l chiarore so lare della radura, del /ucus, i numi sogliano rivelare i vaticini e istruire i mortali . Remo della selva realizza invece l ' oscurità, l ' intreccio inestricabile e "selvaggio", la sua latente pericolosità di labirinto impenetrabile dal sole, la sua funzione di te muto, oscuro rifugio per dèmoni, belve, criminali e proscritti . La "selva colpevo le" : la rea si/ua. Allattati dalla medesima fiera nutrice, Romolo realizza i l coraggio del lupo, la sua qualità solare che ne fa simbolo iperboreo di luce e saggezza; Remo incarna il carattere notturno, sfuggente, predatorio e violento della belva. Ed è per questo che quando i possibili futuri fondatori di Roma celebrano en trambi il medesimo rito per essere investiti del potere che crea re, solamente Ramo lo ottiene la pienezza degli auguri i e il diritto ad essere fondatore . Ucciso Remo, il suo sangue si sparge sul medesimo solco sacro che da vivo aveva negato e oltraggiato, imbeve il terreno della Città appena nata come prima offerta sacra e fatale. Se si interpreta il simbolismo della terra che riceve il sangue della vittima sa crificata secondo una delle valenze di cui la "terra" è tradizionalmente passibile, quella di "sostanza fisica" e di "corpo", si ottiene un significato eloquente che i l lu m ina l ' intera vicenda: la "morte" di Remo riguarda Romolo stesso, diviene allego ria del superamento della sfera ctonia della sua stessa persona, il superamento della hybris e del l 'impietas. La sua "morte'' e il simbolico assorbimento del "sangue" da parte della "terra" diviene così allegoria della riunificazione delle due opposte fa coltà e possibilità inerenti al la persona umana . Secondo questa chiave di lettura, "Remo" non scompare dalla scena del mito con la sua morte, al contrario: attraverso di essa, entra stabilmente a far parte della persona di "Romolo" e del l ' ideale di "Roma" realizzando, al medesimo tempo, il mandato divino cui la persona del fondatore e Roma stessa era stata chiamata fin dal momento della sua fondazione . Fondazione di una città che è, allo stesso tem po, realtà storica e metafora di una realtà metastorica, immagine concreta ed icona di una vicenda metafisica in cui una Roma terrena fa da controparte ad una Roma archetipo, una Roma celeste . Fondazione che presuppone la necessaria fondazione di un uomo nuovo senza la quale la stessa conditio Vrbis resterebbe priva di signifi cato e il suo destino futuro privo di qualsiasi possibilità di realizzazione . E, se "terra" può essere correttamente intesa come simbolo e allegoria, allo stesso modo possiamo sviluppare il simbolismo della "cesta" (a/ueus) contenente i due gemelli durante la navigazione sul fiume sacro di Roma: "cesta" come m etafo ra del corpo materiale in cui due principi i, due possibilità, due opposte tensioni co esistono. La "cesta" al i 'inizio del mito, l ' a/ueus in cui è latente la dupl ice possibi li tà, prelude alla simbolica "terra" che, alla fine della vicenda, già trasformata in temp/um, raccoglierà il sangue di Remo e di quel simbolico "sangue" si nutrirà.
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Note SERVIO, A d Aen. 7, 678: " . . . erant illic duofratres. qui diui appellabantur. Horum soror dum ad focum sedere/. resiliens scintilla eius uterum percussil. unde dicitur concepisse . . . ", "Vi erano l ì ( a Preneste) due frate l l i considerati divini. La loro sorel la, mentre era seduta presso i l focolare, ri ccvc"e i n grembo una scintilla che era saltata dal fuoco. Dicono che, d opo questo fa"o, avesse concepito un figlio . . . " . 2
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Si tra"a del p opulus , come chiarirà Cicerone, ossia dcii 'assemblea deg l i uomi ni li beri alla qu al e toccava, dopo av e r constatato la val idità d egl i auspicia e d e i segni o"enut i , a c c l a m a re il nuovo rex. LIVIO, 1 , 4- 7 . Q CERONE, De Rep . 1 , 2, 4-7 .
FESTO, p. :WS L (Pauli e.xcerpla) riporta u n a serie d i toponi m i c i collegati a Remo fra i quali Re moria a p p l i c a to al l uogo, situato sulla sommità del l ' A ventino, dove Remo aveva compiuto gli auspi ci i per la fondazione d ell ' U rb e ; remurinus ager sarebbe stato il terreno posseduto da Remo c Remona il nome della sua ab it azion e : "Remurinus ager dictus. quia p ossessus est a Remo. et ha bitatio Remona. Sed et loc us in summo Auentino Re moria dicitur. ubi Remus de urbe condendo foerat ausp icatu.s . " 6 OCERONE , De Diu. l , 1 07- 1 08: v. Cap. l , nota 2 5 . 7 OVIDIO, Fasti 2, � 8 1 -�82: "Forsitan e t quaeras. cur sit locu.s il/e L upercal. l quaeue diem tali no mine causa notet. l Siluia Vestalis caelestia semina partu ediderat. patruo regna tenente suo." "Forse ti chied era i perché quel l uogo Lupercale sia de"o c pe rc h é qu e l nome serbi questo gi orno. Silvia vestal c aveva partorito germogl i d i v i ni mentre suo zio (Amulio) occupava il trono." 8 OVIDIO, Fasti 3 , 1 1 -24 : "Siluia Vesta lis [ . . . ) l sacra lauaturas mane petebat aquas. l Ventum erat ad molli decliuem tramite ripam: l ponitur e summafictilis urna coma: lfessa resedit humo. uen /osque ac c ep il aperto l peciore. turbalas reslituilque comas. l Drnn sedei. umbrosae salices uolu cresque canorae l fecerunt somnos et leve murmur aquae; l b landa quiesfurtim u ictis o brepsil ocellis. l el cadit a mento languida/acta manu.s. l Mars uidet hone. uisamque cupi l. potiturque eu pila. l et sua diuinafurtafefellit ape. l Somnus abit. iacel ipsa grauis. Iom sci/ice/ intra l uiscera Romanae condi/or urbis era/. u 9 OVIDIO, Fasti � . 27-�8: " VI i/e sitfauslwnque, precor. quod imagine somni l u idimus: an somno clarius illud erat? l Jgnibus Iliacis aderam. cum lapsa capillis l decidi/ ante sacros lane a uillajo cos. l lnde duae pariler. uisu mirabile. palmae l surgunl: ex illis altera maior eroi. l el grauibus
ramis totum prote.xera/ orbem. l contigeratque sua sidera summa coma. l Ecce meusferrum pa truus molitur in i/las: l /erreor admonitu. corque timore mica/. l .Uarlia. picus. auis gemino pro stip ite pugnanl l e/ lup a: tula per hos u/raque palmafuit." OVIDIO (Amores �. 45-!!2) n a rra di l l i a (Rea S i l via) ch e, d opo e sse re st a t a c o nc u p i ta da M a rt e cerca di espiare i l d e l i " o d e l d io (delicta Martis) e v a g a , d i scinta e negle"a, l ungo l ' Aniene. Il genio, o dio d e l fiume, la invita a d e n tra re ne l l a s ua regg i a e a d i veni r regi na d e l l e n i nfe che hanno d i mora in q ud l e acque. Prima di l a nciarsi ne ll a ra pi da corrente , S i l via così si lamenta: ""O ulinam mea lectaforenl patrioque sepulcro l condita. dum poleranl uirginis ossa legif l Cur. modo r 'estalis. taedas inuitor ad ullas l turpis et iliacis infitiandafocis? l Quid moror? Et digitis de signar adultera vulgi; l desintfam osus quae note/ ora pudon>l l Haclenus; el uestem tumidis praetendit ocellis. l atque ila se in rapidas perdi la misil aquas. l Supposuisse manus ad peclora lubricus am nis l dicitur et socii iura dedisse ton"' "O fossero state rac co l te c ra c c h i u s e ne i patri i sepo lcri le mie ossa quand ' e rano a nc o ra quel le di tma ve rg i n e ' Perc hé, io che dapprima Vesta l e , fui tratta a faci nuzi al i e d ora sono i m p ura e inde gna dci fuochi di Tro ia '! Pe rc h é i nd ug i o '! I l volgo già mi segna a dito come adtùtera: finisca questa i n fame vergogna che s egn a il mio volto ' » Fin q u i d i sse c la ve s te stende d i na nzi agl i occhi bagnati di pi a nt o c si gc"a nelle ra pi d e acque. Si dice che il fiume scorrente le pose dunque le mani sui seni e le concesse il d i ri t1 o del suo l etto nuziale" IO VIRGI LIO, Aen. l, 272-278.
Il Idem, ibidem: 7, 659-66 1 . 1 2 Idem, ibidem: 6 , 777-778. 13 OVIDIO, Fasti 2, �89-�90: "A ih ula. '("em Tiberim mersus Tiberinus in undis l reddidit", "L'Aibula, che T e ver e fu de tta da Ti ben no che in essa annegò". Secondo Dionigi d ' Ai i ca ma s so ( 1 , 62) il Tevere prese nome da Tibcrino, re d'Alba morto comba"endo l ungo le sponde deii 'Ai bul a. Il s u o corpo fu rap i to dalla corrente del fi ume che da lui p�se il suo nuo v o nome.
lxl
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SERV I O , A d Aen . 8, 6� e
90.
TACITO, A nn . 1 3 , 58: "Eodem anno !Ùiminalem arborem in comiti o. l{lltu oclingentos el frigin/a annos Remi Romulique infantiam /aera/, mortuis ramalibtts et areseente lnmco demimllam pro digii loco habitum est. donec in nouosfetus l'euiresceret." "Nel medesimo ann o (si dice che) nel Comizi o l ' al be ro nmu nale, che aveva protetto l ' i n fanzia di Romolo e Remo oHocentotrenta anni pri ma , essend o morti de i rami e disseccatosi il tronco, fu ritenuto di (cattivo) prodigio fi nchè non rivisse in n uovi ge nno g l i . "
16 PUNIO,
N. H. ! 5 , 20, 77ss.
"Ruminalis dieta es/ficus. quod sub ea arbore lup a mammam dederal Remo et Romulo. Mamma autem rumis dicitur unde rustici appellant hoedos subnmtos. /{Ili adhuc sub mammis haben/ur." VARRO NE, LL. 5, 54: "Germalum a �rmanis Romulo el Remo. l{llod adficum ruminalem ibi in uen ti. quo aqua iberna Tiberis eos detwlera/ in alueolo exposi/os. " Germalus/CemJalus è il
1 7 FESTO, p.:n:1 L (Pauli exc erpta) :
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nome di 1ma d e l l e tre sommità del col le Palat i no , quel l a prospi ciente l 'Aventino. Le altre due sono il Palatiwn e la Ve lia .
19 IGINO , Fab . 252: "Qui lacte nutriti suni. Telephus Herculis el A u�sfilius ah cerua. Aegystu.J Thyeslis el Pe lopisfìlius ab capra. Aeolus el Boetius Neptuni el Meltmippesfilii. a uacca. Hippol hous Neptuni etA /opesfìlius. ab equa. Romulus e/ RemusMartis et lliaefìlii. a lupa. Antilochus Neslorisfìlius exposilus in Ida monte. ab cane. Harpa/ice Harpalicis regis A mymn eorumfìlia. a uacca et equa. Camilla Metabi regis l 'olscorumfilia. ab e /{Ila." Quelli che furono nutriti col latte (di fiera ] : Tclefo, figl io d i E rc ol e e d A uge s da lUla cerva. Egisto Ti este e il figlio di Pelopc da lUla capra. Eol o c Boezio, fi g l i di Nettuno e Mc la n i p pe , da una vacca . I ppotoo fi gl i o di Nettuno ed Al ope, da una cavalla. Romolo c Remo figli di Marie c di I l i a da una l upa. Anti l oco fi gl io di Ne stare esposto sul monte Ida, da una cagna. Arpa! ice, fi glia di Arpa! i co re degli Amimneori, da una va cca e da una caval la. Cami l la, fi g l i a d i Me tabo re dei Volsci , da una ca val l a . "
b
20 I'LUTARCO, Rom . : 2 . 2 1 Idem, ibidem : � . 22 Idem , ibidem: 4 . 23 Idem, ibidem : 9 . Ri s ul ta interessante notare co me l 'avvoltoio, a Roma, non foss e soltanto una fi gura del mi to : ne i riempi menti d e l l a st i pc votiva sotto i l l astricato d e l Lapis Niger, nel Foro Ro mano, scavata da Giacomo Boni agl i i n i zi del ' 900 , fra le ossa di animal i sacri ficati nel ri to vi era no l e ossa di Wl avvoltoio l a cui presenza non si spiega se non mediante u n r i c ol l e g arn e nto col mito di fondazione o, comunque, col prestigio c he questo uccello godcn a Roma . (Cfr. BLANC, G.A. "Scienze nat ura l i c pre i storia ". Alti del VI Congresso Internazionale delle Scienze Preisto riche e Prolosloriche, I: 5 5 ; 64. Firenze: 1 962).
24 I'LUTARCO, Rom. I O- l l . 25 Idem, ibidem: 27-28. Occorre citare la \'ersione di I'LUTARCO (Rom . 27) secondo il qual e Romolo fu ucc i s o nel santuario di Vtùcano, il Va/canal, medesima sorte sarebbe toccata ad Orazi o Coel i te la c u i statua e ra posta su una colonna nel! 'area del Comizio. Si è i potizzato che la colonna posta a fi a n co del c i ppo con i sc rizi one del Lapis Niger sia proprio que l l a che sopportava la statua dell 'eroe (LUG LI 1 946: 1 25). Feslo t ramanda la notizia che l 'arca coperta dal l e pietre nere nel Foro Romano i nd i .:ava un l uogo nefasto (locum nefa.stum significai) e d e ra stata posta a cope rt ura del s e pol c ro di Romolo il quale, però, non vi era mai stato se pol to mentre invc.:e vi si trovavano i re st i di Faustolo, "padre" adotti vo di Romolo; altri , prosegue l ' autore, parlano del sepol cro di Qu intilio, o di Osto Ost i l io, padre del re Tullo Osti l i o (FESTO p . l 84 L). DIONIGI D 'ALICARNASSO ( l , 117, 2 ) riferisce anch 'egli l a trad izione se.:ondo l a quale "i l l eone d i pietra che era collocato ne l sito più emine nte del Foro Romano, presso i Rostri, ri co priss e il corpo di Faustolo, s e p olto nel mcd� simo l uogo dove cadde in battagl i a". Il medesimo autore, a proposito del Lapis 1\'iger, dice che si t ra ttava "del l uogo p i ù notevole d el Foro, riservato ai re dove era stato sepolto Osio Osti ! io (DIO. NIGI D'ALICARNASSO, �. l , 2).
26
DI ONIGI D 'ALI C ARNAS S O ,
l , 67.
Idem, ibidem: l, 68. 28 Idem, ibidem: l , 70. 29 Idem , ibidem: 2, 56. 30 Esiste una precisa corri spondenza fra i l ri to romano del fuoco d i Vesta, i l sacri ficio vedi co al co c i l rito vedico d c l "fuoco d e l padrone d i casa" (cfr. DUMÉZIL 1 977: 278as). 27
1 82
fuo
Il fano non è unico nel l a tradizione romana delle origi ni : nella Regia, ad esempio, Marte era rap presentato da Wl& lancia (hasla Martis) e Giove; nel c\Ùto a luppilu Fer.rrius (o luppiler Lapis dall a p i e tra sca gl i ata dai F ezial i co ntro i nemici dd popolo ro ma no ) , celebrato i n un antichissimo tempio s\Ù C a m pi d ogl i o , dedicato secondo la tradizione dallo stesso Romolo, l a di vi nità era rap presentata d a Wl& pi e tra (forse una selce, o una m e t eori te ) c da uno scettro. 32 Il tem p i o di Vesta, secondo gli an1ichi a uto ri , è co n tem pora neo, o quas i , alla fondazione dcii 'Urbe (DIONIGI D 'ALICARNASSO 2, 65s; PLliT ARCO, Numa I l , ccc.). Una tradizione attri bu isce l ' edificazione d e l tem p i o a Numa Pompi lio, secondo re di Roma ma Rea Sil via, madre dei gemelli fondatori, era g i à Vest al e ad Al balonga . Uno dei pozzi sacri (p ulealia ) rinvenuti nel! 'arca in cui sorgeva il tempio, ri sa le nte al sec . VHI- VII a . C . , racchi udeva frammenti di vasi voti vi che co n fo rt e re bbero l ' i pote s i d i una presenza anti chi ssi ma del l ' aedes Vestae c del cul to ad essa asso ciato (Bui/. Arch. Com. 1 9�\ p 259). A g l i i nizi di Roma, l ' aedes Vestae apparteneva senz ' altro alla ci ttà romulea (Roma Q uadrata) e, pur non essendo incluso nella cinta m uraria pri miti v a , i l tempio restava com u n q ue incl uso n e l pomerio ( TACITO, Amr . , 1 2 , 2 4 ) . Forse la presenza d e l fuo co sacri ficale, potenzi ale causa d ' i ncendi, aveva suggerito la separazione materiale dd tempio da ll ' are a urbana, come e ra accaduto anche per l ' a l tare di Vulcano (VITRU\"IO, l, 7, 1 ). 11 tem p i o di Vesta sorgeva al centro di una piccola pi az7.a q ua d rat a, un'area sacra (area Vestae), con fi n ava con i l convento delle vergini Ves tali (domus publica) e con la casa del rex sacrificulus essendo se parato dal la casa de l Pontefi ce (regia ponlifìcis) da un vicolo ( u ic us Veslae). In Roma esi stette sempre e solo un un i co te m p i o di Vesta, adibito al culto ufficiale dello Stato situato nel Foro, an che quando A ugusto nel la sua funzione di p on t ifex , per esigenze di c1dto, edificò un t emp i o s ul Palati no. li tem pio conobbe al meno s e t t e tàsi di successi vi ri fa c i m en ti e ricostruzioni , dalle origi ni fi no al �94 d . C . , data i n cui il c ul t o di Vesta fu ufficial mente abol ito dali ' i mperatore Te o d os i o e il tempio fu chi uso. Il p ri m i t i vo edi fi cio, secondo Ovidio, era una costruzione di rami e vimini, coperta di pagl ia, imitante l e capanne d e i pri sch i pastori d e l Lazio e la re gg i a dd re del l e origini che avrebbe, secondo l ' autore , presi eduto al culto pubbl ico di questa divinità (OVIDIO, Fasti 6, 26 1 -264). Alcuni fra i pri nci pal i pignora, come i l Pal la dio, sarebbero sta1i custodili proprio nel penus Veslae, nel l a parte p i ù recondita e in v iol abi l e de l t e m pio , sicchè nel 24 1 a.C. Ceci lia Me tcll o sal vò il Pal ladio che rischiava di restare i nc e nerito da un i ncendio scoppiato nel tempio (LIVIO, Epil. 1 9; OROSIO 4 , 1 1 ,9. ecc.). Vi è da notare che il tempi o di Vesta n on era, secondo il di ritto sacro romano, un templum vero e proprio i n quanto, a causa della forma rotonda della sua pianta, non poteva essere augurio corrsecratum (AULO GELLIO 14, 7, 7; SERVI O , A d Aen. 7, ! 53) come, i nvece, potevano esserlo i tem pii a p i an ta quadrata o rettangolare. Da questo fatto d e ri vava che, in quanto a e des e non lemplum, l ' edificio non poteva ospi tare le ri unioni del S e n ato . l3 DIONIGI D'ALICARNASSO, 4, 2 . 34 LIVJO, l , 39 s s . Il p rodigio del l ' arsione sovrannaturale delle chi ome della persona chiamata ad es sere re (in questo caso regina) si ripete nel caso di Lavinia, figlia di re Latino, all a vigi lia del l ' i ncontro con E ne a c h e diverrà suo mari to e fa rà d i lei una re g ina: ''Mentre l a vergi ne Lavinia brucia sugl i altari pie fi accole accanto al padre, sembrò, orrore, ardere nelle lunghe chi ome ed ogni o rn amen to i ncendi arsi , accese le chiome regali . . . " "Praeterea. castis ado/et dum altaria tae dis l et irata gerrilorem adstat Lauinia uirgo. l uisa (rrefas) longis comprendere crinibus ignem l alque omnem omalllm jlamma crepitante cremari l regalisque accensa comas. . . " (VIRGILIO, 31
Aen. 7, 7 1 -75).
3!1 In latino Lar, dali ' etrusco Lasa come esito del fenomeno del rotaci smo per cui la s si m uta i n r. I Lares romani erano geni p rotetto ri dello spazio domesti co . Anche presso la corte di Giove, nel la prima regi one del ci el o , vi erano L ari (MARZI ANO C APELLA, De Nupt. Mere. et Ph il. l, 41 s s ) a somig l i a nza delle case degl i uomi ni . 36 SERVIO, AdAen. 7, 678; SOLINO, 2, 9; DUMÉZIL 1 977: 229-230. 37 VIRGILIO, Aen. 1 1 , 252. 38 VARRO NE, L L. 5 , 64: "Quare quod caelum princ ip ium . ab sa/u est diclus Satum11s. el quod Sa tumalibus. cerei superioribus milluntru." "Per cui , come i l cielo è i l principio, così Saturno è det to dal seme (satu) ed è questo il motivo per cui nelle feste S atu rna l i si regal ano dei ceri ai propri pa d roni . " 39 MACROBIO, Sal. l, 7 : "Cum inter haec subito Saturnus non comparuissel. excogilatru lanus ho rwntm eills augmenta. A c primum terram omnem diciorri suae parentem Sahlrniam nominauit. " 40 VIRGILIO, Aen. 8, � 2 2 : "quoniam latuissel", "perché [Sah1rno] vi si nascose " . 41 0\1010, Tristia l , 3, 29-�0: "'t> , riferito ali 'ascolto delle sup pl iche)" (MACROBIO, Sal . 3, 20, 2-3; cfr. anche PLINIO, Nat. Hist. 16, I O!!). G l i arboresfe lices erano. i nv e ce , q ue l l i che producevano trutti commesti bi li o la c ui linfa era bianca: in questa cate goria rientra a pi e n o d i ri t1o il fico. Alla medesima categoria apparti ene, pe rò, anche l 'alloro, pur non presentando nessuna delle d ue carat1 eristi ch d egl i arhoresfelices, sempre che cre sca in un l uogo dove nessuno lo ha p ia nt ato , o che superi in altezza tutte le altre p ia n te del circondario. Qu esto alloro era seg no speci a l e di gl oria e v i t to ri a e le sue fronde erano p art i co l ar m e n te sacre (Cfr. BLOCH 1 977: 6� 1 ). Ecco il pa ss o di MACROBIO (Sat. 3, 20, 2-3 ) ri guardan te la differenza Ira arboresfelices e infelices: "Sciendam quodficus alba exfelicibus sii arboribus. contra n igra e:t infelici bus. Docent nos utrumque pontifices. A il enim Veranius De Verbis Ponti ficali bus: «Feli ces arbores putanlur esse quercus. aescul11s. ilex. suheries.fagus. corylus. sorhus.ficus a/ha. pi rus malus. uitis. prunus. camus. lotus. » Tarquitius autem Priscus in Ostentario Arborario .n'c ait: «Arbores quae inferum deorum auertentiumque in tutela suni. eas infelices nominant: altem&Dn. sangu ine m. filic em . fic um atrum. quaeque bacam nigram nigrosquefructusferunt; itemque acri folium. pirum siluaticum. pruscum ruhrum. sentesque. quibus porlenta prodigiaeque ma/a com buri iuhere aporiet. " "Bisogna sapere c he i l fi c o bi an c o a ppart i ene ag li alberi felici, mentre il nero a p p.art i e n e a gl i i n felici . l P? ntefici ci !omiscono i nsegnamenti al riguardo di entrambi i t i p i . Di c e m tatti V e ra m o nel De l'erbrs Pon tificalrbus : «SI n t e ngo no arb ores fe licu la querela, l ' ischio, il leccio, il sughero, il faggio, il nocciolo, il sorbo, il fico bianco, il pero, il melo, la vite, il pruno, il co rn i olo, il loto.» Tarqui nia Pri sco, invece, nello Ostentarium Arborarium cosi dice: «Gli alberi che sono sotto la tutel a degli dèi i nferi , quel li che torcono il viso (all e suppliche), sono
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de n i infelices: l ' altemum ('/ ), le p i ant e col s ucco del co l rre del sangue, la fe l ce , il fico nero e tutti que ll i che recano bacche o fruni neri ; ed anche l 'agri foglio, il pe ra s tro sel v a t i co , i l pruscum ru brum (ribes?) e i rovi s pi nos i coi quali deve ordi narsi di bru c i are i porlenla e i prodigia n e fa st i . >> " Sulla scorta di Catone, Verrio Flacoo (apud FESTO, p . 8 1 L) i denti fi ca , p i ù sempli cemente, gli al berife/ices con gli al beri da fruno, g l i infelices con g l i alberi che non portano frutto: "Felices ar
bores Calo dixit. quaefructumferunl. infelices quae nonferunl." 52 FESTO, p. 94 L: "Ignis Veslae si quando interstinctus essei. uirgines uerberibus adjìciehantur a pontifice. quibus mos erat tabulamfelicis materiae tamdiu terebrare. qrwusque exceptum ignem cribro aeneo uirgo in aedemferrei." 53 Per l ' accensione rituale del fuoco sac ri fi ca le i l Rig Veda presc ri ve uno strumento d e tt o arani (o swastika dalla formula ri t ual e su asti ka " que sto e buono" pro nunc ia ta dal s ac erdote al l ' atto
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del l ' accensione stessa) composto d i due part i : una ori zzon t a l e formata da d ue a ssi celle d i s pos te a croce di l e g no di mi mosa (çami), a l b ero "femm i n i l e " per ecce l l e nza , e d a tma parte verti cale con sistente i n u n p i ol o di l egno d i fi co (açwalta) fa tt o ruotare per me zzo d i u na corda ti rata alternati vamente da due o p e ra to ri e i n fi sso nel foro centrale della croce fi ssata al terreno per mezzo di pio li. L 'accensi one rituale del fuoco ve d i c o (immagi ne d i A gni ) ri p ete i l mito c o smo go n i co : l e d u.: parti d e l l o strumento s i mboleggiano infatti i d ue "as petti" o " p o l a ri zzazi o n i " del p ri nc i p i o uni versale (Brahman) come Puru�a. i l fecondatore, e Pmkrti, la sua "s p o sa", l a femmi na cosmica: nella s im bolog i a del fuoco sacri fi cale vedico si m ani fe s ta la s te s sa ene rgi a che d i e d e vita al l ' uni v e rso e ne sostiene l ' esi stere e c he, alla fine del ciclo cosmico, lo ria ssorbi rà nel suo seno dopo averne d i strutto l e forme. il movi mento rotatorio impresso al l 'asse verticale dal trapano da fuoco era d etto pramantha, ro tazi one veloce, ed era assi milato, a s ua vol ta, al l ' anività creatrice del dio che man i festa i l co s m o all ' i n i z i o d e i te mp i "frul lando" l ' oceano pr im o rd i al e .
SERVIO, A d A en . 8, 6� : "STRINGENTE!vf RIPAS radenlem. inminuenlem nam hoc est Tiberini jluminis propri11111. adeo ut ab antiquis Rumon dictus sii. quasi ripas ruminans et exedens. In sa cris etiamSerra dicebatur. unde ai/ mmc «el pinguia culla secanlem!>. In aliqua etiam urbis parte Tarentum dicitur eo quod ripas terat." Pe r qua nto ri guarda il verbo rumore, abbiamo documenta to l ' uso della m ed e si m a forma ne l dialetto odierno par la to da i pa sto ri del l 'A l t a Sabina dove "ru ma .., , l "rumare" s ign i fi ca .. ruminare" ed anche Hpascolare". FEsro, p. 4 L: "A/buia Tiberisjluuius diclus est ab albo aquae colore; Tiberis autem a Tihe rio Siluio. rege Albanorum. quod is in eo extincus est." VARRONE, RR. , 2 , I l , 5 : rumis de si g na la poppa d egl i animal i . FEsTO, p .400-402 L . : "Subrumari dicuntur haedi. cum ad mammam admouenlur. quia ea is uocaba(n]tur. uel quia rumine trahunt lacte sugrmles". Idem, ibidem: p. :n� L (Pauli excerpta): "Rumen est pars colli, qua esca deuoratur; unde rumare dicebatur quod nunc ruminare ." Idem , ibidem: Va rrone (RR. 2, I l , 4-5) t ra m a nda un modo usato per c a gliare i l l ane che i mp ie ga va la l i n fa del fico me s col ata con l 'aceto: "A/ii pro coagulo addunt defici ramo eac et acetum . . . ", " . . . ideo apud diuae Ruminae sace/lum a pastoribus satamficum. lhi enim solent sacrificari /acle pro uino el (pro] lactentibus. Mamma enim rumis (siue ruminare] [ . . . ] a rum i etiam n une dicuntur s:ubrumi agni . . . " " . . . per questo p resso i l sace l l o d e l l a diva Rumina dai pastori fu p i a ntato tm fi c o .
LI que l l i sono soliti sac r i fi c a r e lane i n vec e che v i no o ani m a l i lanant i . « Mammella>> infatti è detta
rumis [ed
anche ruminare] > ) . "
[. . .]
e da
rumis
anche gli a g ne l l i da l ane sono d e n i
60 AGOSITNO, D e Ciu. Dei 7, 1 1 - 1 2 . 61 A/tar d a alo (i n f. a/ere) "n utro" e d anche " m ante ng o ", ala, "procreare", "al levare".
subrumi (l etter.
"faccio crescere" < i .e . AL- da cui a . i s i .
6l FEsro, p.326 L: "Rom11/um q11idam fico Rumina/i. ali quod lupae rvma nutritus est. appella tum esse ineptissime dixerlln/. Quem credibile est a uirium magnitudine. itemfratrem eius appei Iatos." 63 Edda di Sno rr i , Gylfaginning, 6. 64 Questo fico era deno Ficus Navia in quanto, secondo la trad i z i one , fu p i an ta to n el l uogo in c ui
l 'augure A n o Na v i o aveva tagliato una pi e tra con un ra soio nascondendo i l rasoio st e s so e l e d u.: parti d e l l a pi et ra i n un puteal sacro c h e sareb be esistito n e i pressi d el l a s t at u a d el l ' a ugure (CICE RONE, De Diuin. l , :B) e del ti co in q uest i o ne . Secondo alc une fonti (PLINIO, N. H. 1 5 , 77) il fi co di Atto Navi o s a rebbe stato il m ede s imo ficus ruminalis d e l mito di fondazione trasferito, me di ante un p rod igi o , dal Lupercale nel Foro da A no Navio il quale avrebb e posto sono l ' al bero sa cro l ' immag ine della l upa nel l 'atto di allattare i gemel l i .
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65 66 67 68 69 70
G. GLOTZ, La Civilisation égùnne, 1 923: 293 , fig. 47. PLUTARCO, De /s. el Os. 68, 2 e 5. PAUSANIA, l , '."7. Cfr. KERENY! 1 972: 2 1 1 . ATENEO, 78. AGOSTINO, Confess. 3 , I O, 1 8: "E cosa face vo ( ... ) trascinato i nsensi b i l mente e poco a poco alla
s t o l tezza di credere che, qua n do viene raccolto, i l fico c l ' al bero che l ' ha nutrito piangano lacrime di latte'! F ic o c he , se lo m a n gi ass e tmo di quei santi -colto con azione de l i tt uosa. certo non s ua, m a di al tri-, l o m e scol e re b be nelle s ue viscere e lo es p e l l ere b b e , tra gemiti di p reg hi e ra e rutt i , sotto forma di a nge l i , o megl i o di p arti ce l l e di Di o : p art i ce l l e del sommo c vero Dio che sareb b e ro rima ste impr i g i onat e i n quel frutto, se non fossero state l i be rat e dal de nte e dal ventre di q u el santo e l et to " (AGOSTINO 1 992: 1 05).
7 1 MACROBJO, Sat. l, 7, 25. 72 'È significativo, d a q u e sta p ros petti v a , il fatto che Cristo maledica proprio i l fico facendolo istcri
l i rc, fico che rappresenta al legoricamente l a tradizione giudaica che non ri con o bbe i l Messia. Al simbo l is mo del fico d i s seccato può accostarsi quel l o dell'Albero Secco (Arbre Sec) c della Terra Desolata (Terre Gas/e) delle saghe g raa l ich e , l ' A l be ro simbolo dcii ' I m pero che rinvcrdirà solo d op o che l ' eroe avrà concl uso vi ttoriosamente l a Cerca del Santo G raal .
73
I lficus ruminalis cresceva di nanzi a l l ' antro sacro conosci uto col n o me di Lupere al, situato ai p i e di d e l c o l l e Palati no, di fronte al Velabro, c i rco n da t o da un folto bosco sa c ro . A l l ' i nterno della grotta scaturi va tma s o rg e nt e sacra. Nel Luperc al era c us todi t o i l gruppo sc ul to re o della l u pa coi ge m e l l i rappresentato nel l e anti che m o net e di Ro m a . Lupercus e ra anche il nome d i Fauno prote t
tore del le g reggi d a g l i attacchi d e i l upi per c ui , secondo alcuni, l ' antro sarebbe s t ato dedicato a questa entità mitica mentre, secondo altri , il nome del l uogo deri verebbe dal fatto che i vi la l upa al l a tt ò i due g e me l l i (sulle di verse opinioni, v. LUGLI I 946: 42 1 ).
74 Voluspà, 57: Sol tér sortna l sigrfold i mar l hverfa afhimni l h eidar stjlinrllf': "il sole s ' insozzcrà, la t e rra s pro fo nd e rà nel mare, s c o m pari ra nno dal c r e l o le stel le s pl e nd e nti . " 75 Il termi ne grec o d e ri v a da l l a ra d i ce i ndo euro pe a •LEUK- da cui deriva il l atino lux, "luce"; luna, col senso ori gina ri o di " s pl e nd e nt e "; lucus, lo spazio sacro del l e radure nei boschi; lustra/io nel senso
di deambulazione puri fi catori a e se g u i ta in senso solare , ecc .
7 6 SERVI O , ..J dAen. I l , 785 ( ri a ss u mi a mo ) : mentre gl i abi tanti c h e vi vevano s u l l e pend i ci del Sarai t e offri vano un sacri ficio a Dis Pater, giunse un branco di lupi famelici che strapparono dal fu oc o i pezzi di carne consacrati al dio. Invano i n s eg u i t i dai Sorani , i l u p i scompan•ero in un profondo antro d a cui uscì un miasma t an to esiziale che uccise g l i i nseguitori e propagò u n ' e pi d em i a . Con sultato l 'oracolo, questi r i sp os e che i Sorani , per p l ac are gl i dci, dovevano "d i v e n tare si m i l i a l u p i ". Per quanto ri g uarda il Soratte Servio d ice che era "diis manibus consecra/um".
77 O CERONE, Cael. 26: "Fera quaedam sodalitas el piane pasloricia atque agrestis germanarum Lupercarum. quorum coitio il/a silueslris ante el instilula quam humani/as atque leges. . . " 78 Sui prodigi dopo la disfatta del Tras imeno e di Canne, cfr. L"10, 22, l , S-20. 79 LIVJO, l O, 27, S-9: " . . . uictor martius lupus. integer el inlactus. gentis nos marliae el conditoris nostri admonuit", "il l upo vinc i tore sacro a Man e , intatto cd illeso, ci ricorda la nostra stirpe mar zial e e il nostro fondatore".
80 AURELIO VITTORE, Orig. 20, 4: "inde uide lice t lupum picumque Martiae lutelae essenf'. 81 L'Asylum era u n a p i cc ol a val le, situata sul C amp i dog l io fra l e due p rom i n e nz e del c o l l e , quella su cu i in seguito sorse il t em p io di /uno Moneta e quella su ctti venne costruito il tempio a lwppita Optim us Maximus , la stessa c u i spettava di diritto il nome di Cap itolium mentre al l 'al tra spettava q u e ll o di Arx, o Arce C ap it ol in a .
82 Cfr. DVMEZIL 1 977: 306-307. 83 AURELIO VITTORE, Orig. 1 7, 5: "Addunt quidam. Faustu lo inspectante. picum quoqve aduolas se el ore pleno cibum pueris ingessisse: inde uidelicel lupum picumq ue Marti� tute lae esseni." 84 DEVOTO 1 954: p. 4 1 3 . 8 5 I l passo è di uno scol i a st e d i I s i doro di S i vi g l i a : SCHOL. ISID. Ethymologiae 1 2 , 2 , 47 in Glossario Latina, IV, 1 930: 320 ed. L i ndsay s . v . Picena Regio. 86 PAOLO DI ACONO, Hisl. Lang. 2, 1 9 : "Huius habita/ores cum a Sauinis illuc properare n l . in e�; rum uexillopic us consedit. alque hac de cawsaPicenu.s nomen accipit." La fo nte di que st o autore c di quello c r t at o a ll a n o l a p rece d e n t e , è FESTO, p. 253 L : "Picena regio, in qua est Asculum. dieta. quod Sahini cum Asculum projìc isce ren tur. in uexillo eorum picus c onsedera l ." I p art ec i p ant i al
1 !1 6
""' sacr11n1 erano detti "sacrant'. Lo stesso nome era dato a quelli che nascevano durante la pri mavera sacra: "Si chiamano sacrani quell i che partirono da Rieti e che scacci arono dal Setti mon zio i Liguri e i Siculi; sono detti sacran i perché sono nati durante la primavera sacra Sacran i ap ""
pellati 511111 Reale orti. q11i a Septimontio Lig��res Sic11losq��e aeger1111/; eranf' (FESTO, p .424 L).
nam
11ere
sacro nati
87 FEsTO, p.228 L: "Pie��m auem q11idam diclum pulan/ a Pico rege A borigin..m . . . " 88 SIUO lTALICO, Pun. 8, 439-442 : "el inclemens hirSIIIi signifer Ascii. l Hoc Picws quondam. no men memorabile ab alto l Saturno. s/atuil geni/or. quem carmine Circe l e:zu/umfonnae uolilare per aelhera ius.ril l el sparsi/ croceum plumisfogienlis honorem." 89 DIONIGI D'ALICARNASSO l, 22. 90 FESTO, p 93 L: "lrpini appellati nomine lupi. quem irp11n1 clicun/ Samniles; eum enim ducem se· CVIi agros OCCIIpCIIIere . n 91 PLINIO, N. H. I O , 20, 40-4 1 : " . . . pici Martio cognomine insignes el in auspiciis magni ( . . . ) lpsi principales Lalio SIDII in aug��riis a rege qui nomen huic aui dedit." 92 DIONIGI D'ALICARNASSO, 1 ,6; l , 1 4 , 5. Sulle qual ità oracolari del picus marlius cfr. FESTO, p.2 1 4 L: "Oscines aues Ap. Clauclius esse ai/. q��ae ore canerrlesfacianl auspicium. u/ coruus. comix. noc/ua: alites q��ae alis ac uolatu; u/ buteo. sarrqualis. aquila. inmusulus. uulturius: tpi· cam auft Martius Feroniusq��e el parra et in oscinibus. el in alitibus habentur", "A ppio Claudio dice che gli uccelli oscines sono quelli che servono agli auspici mediante il loro canto, come il corvo, la cornacchia , la c i vetta. Gli uccelli alites sono que l l i che forniscono auspici mediante le .
loro ali ed il volo, come il bozzago, l ' aquila ossifraga, l 'aquila, i l falchetto, l ' avvoltoio; la piea o i l picchio marzi o e i l picchio fe ronio assieme al l ' upupa sono considerati sia oscines c h e ali/es."
93 FEsTO, p .2 1 4 L (v. Sllpra). 94 STRABONE, 5 , 2, 9. 95 PLINIO, N. H. 84-85: ''Giycyside. quam aliq11i Paeoniam aut Pentoboron uocanl ( . . ) nascun/ur in siluis. Traduni nocie effodiendas. q��oniam inlerdiu periculasum sii pico Martio inpetum in ocu losfac ien/e ." 96 Idem, ibidem 2 5 , 29: "Haec medetur et Faunorum in quiete ludibriis. Praecipiunl eruere noclu. q��oniam. si pic us Martius uideal. /��endo in OCIIIOS impetumfacial." m Idem, ibidem, 29, 92: "Noctua apibus contraria el uespis crabronibusq��e et sangrJiSIIgis; pici t[IIO([IIe Martii ros/rum secum habenles nonferiunlur ab iis", L a ci vetta è contraria alle api, al le vespe , ai calabroni cd alle sanguisughe, ma anche coloro che portano con sé il becco del picchio marzio non saranno feriti da questi i nsetti ." V. anche 30, 147: ... eosque qui arborarii pici ro strum habeanl et mella ex imani ab apibus non al/ingr••, . . . e quel l i che portano con sé il becco di .
,
"
"
un
"
picchio arborari o, quando raccol gono i l miele non sa ranno toccati dal l e api."
98 Cfr. POL I A 1 983: 28-3 1 . Ne l l Inno Omerico adApollo (559-56 1 ) le tre vergini che hanno appreso '
l a mantica dal dio sono donne-api e profetizzano dopo essersi nutrite di miele; l e saccrdotesse di Eleusi c d i Efeso erano dette "api" per la loro relazione con la Parola d i v i na e nei ri ti dei Misteri Eleusini i l miele era dato da mangiare agli iniziati di grado superi ore come segno di sapienza c di rinascita; i l miele è il ci bo di Cronos, re dell 'età del l ' oro greca (KERN, Orphic. Fragrn. n. l 54); le api sono poste i n relazione con A pol lo, la Terra degl i lperborei e l a profezia; quando a Preneste vennero ri nvenute le tavolette oracolari che portavano incisi arcaici segni, un al bero di ulivo si fendette nel mezzo c ne sCJtturì un fiotto di miele, ccc . Miele e i dromele sono i nti mamente asso ciati al la poesia cd al vaticinio in tutta l ' area cultural e i ndoeuropea. 99 FESTO, p . 2 L: "Auspicium ab aue spicienda. Nam quod nos cum praepositiane dicimus aspicio.
apud ue/eres sine praeposilione spicio dicebatur."
100l.JVIO 1 , 1 8, 5- 1 0. 101 Un doc umento prezioso per la conoscenza dei cri teri che permettevano al sacerdote d ' i nterpretare i segni presenti nel lo spazi o trasformato in lemplum è costituito dal model lino etru
sco di fegato ovino uti l i zzato dagli amspici conosci uto come "Fegato di Piacenza". Questo mo dello (una vera e propria imago mundi) e la suddivi sione sacrale dello spazi o in sedici quadranti fornita da PLINIO (Nal. Hist. 2 , 54, I 43) e da MARzi ANO CAPELLA (De nuptiis Merc. et Philol. l , 4 5 sgg) pc nnette l a ri costmzione dello spazio suddiviso i n quattro q uadranti da una croce facente capo ai quattro punti cardinal i c a quattro divinità pri nc i pal i . Ogni quadrante � ulteriormente sud diviso in settori ad ognuno dci quali è preposta lma di l'i nita . Le divi nità i n fernali c del fato presie devano al quadrante compreso fra nord ed ovest; le di vinità UJ·ani e al settore dello spazi o compre so fra il nord c l ' est; le divinita terrestri c della natura presiedevano agl i altri due settori , quello compreso fra i l sud e l 'ovest e quello compreso fra il sud e l 'est. Il punto di osservazione verso cui
1 11 7
il sacerdote dirigeva lo sguardo, secondo / 'etrwca disciplina era il meri dione (pars una ri costruzione dcl templum secondo gli Etruschi i n M. Pallottino 1 95 5 : 2 J:lss).
ànlica). (V.
102L!VIO, l , 1 8 ,5- 1 0 . 103 I n questo senso, la reazione dei pri mi cri stiani che ri fi utavano la versione romana della proskynEsis ellenistica ( s i pe nsi al sacrificio i n massa di Zenone e dci legionari c ri st i an i del la Lo gi onc Tebana) non è interpreta b i l e come i l rifi uto d i riconoscere i l potere del sovrano ma come il rifiuto di considerare divina l a sua persona . Questo atteggiamento, considerato sovvers i vo c pu nito con la morte nei p ri m i secol i della nostra èra, sarebbe invece ri sul tato comprensi bile ai Ro mani de l tempo dell ' antica Monarchia e de l l a R e pubbli ca .
l04Il tema della d i scesa del potere sul re c del suo ritorno alla fonte ori g i naria apri re bbe il campo a una lunga serie di comparazioni feconde sia con altre cerimonie d ' i nvesti tura regale nel l 'ambito culturale i ndoc u ro p co (si pe n s i ad esempio a l l ' i nvestitura de l rig ce l tico c al ruolo della pi etra sa cra d ' I rl anda Ua Fari come segno della presenza del cari sma regal e sul l a persona designata) sia con l a concezione "ghi bel l i na" del potere rega le nel Medioevo: si pensi, ad esempio, al l a prova dcii 'estrazione della spada dalla roccia d a pa rt e d e l gi o va ne Artù, prova che conferma con un va lore equi valente a que l l o di un augurium la sua elezi one divina a re, o al tema del ritorno del Graal al l a sede iperborea di Avall on, ecc. ,
105 Triumphus l lriumpus deri va
dal greco thriambos (col significato originario di "canto dionisia co'') mediante una forma etrusca che muta la consonante sonora b in sorda p.
1 06 S i pens i , ad esempio, ai ri ti com p i u ti nel mi crocosmo domestico dal
paler familias.
l , l 07- 1 08. Enni o , poeta latino e storico autore de g l i Anna/es, cui si ri fe ri sce i l frammento c i tato da C i cerone, nacque nel 2:'19 a . C . c fu particolarmente attento al valore della tradizione origi na ri a d i Roma.
107Ci CERONE, De Diu., 108Ll\10, l
6 4 ; l ' 1 8,6.
,
,
109Ci rca la funzione sacerdotal e del re delle origini, presso i Si cul i , che come i Romani appartengo no ali 'ethnos protolatino, il rhlsos (equival ente de l rex romano) aveva parimenti funzioni sacer dota l i : ancora nel V se c. a . C . sovri ntcndcva a gl i oracoli, come di chiara Epicarmo (MAZzARINO !945: �2 ) . I l O Presso g l i Etruschi il numero della l ega delle c i ttA era dodici e dodici era i l numero degli d è i mag giori , includendo Gi ove (Tin l Tinia); presso i Romani erano dodici i l i ttori che recavano ifasces accompagnando ognuno dei conso l i . Il simboli smo si ri pete nell o spazio e nel tempo (i dodici a p os t o l i ; i dod ici cavalieri della Tavola Rotonda, e cc . ) .
l l l Lo s pazi o trasformato in lemplum dal rito augurale e ra suddiviso, rispetto al punto di s tazio ne del sacerdote, i n quattro parti: pars ànlica o an te ri ore, pars pòs/ica o posteriore, dextera pars o parte
destra e /aeua pars, la parte posta a sini stra del l ' operatore . Nella t radizione etrusca il sacerdote guardava verso sud per cui la pars pòstica era il nord , la laeuapars era l ' oriente dotato d i valore fausto e la dextera pars l 'occidente dotato di val ore i n fausto, o comunque p os to in relazione coi morti . Se la direzione dell ' osservatore muta verso il nord, la parte infausta sarà la parte s i ni st ra ("si ni stro" col senso di i n fausto di scende dal l inguaggio augural e).
l l 2 V. DUMÉZIL 1 977: ��4ss. Per quanto ri guarda il Pa lati no, probabil mente, i l suo nome pri m i t i vo e ra Ruma l Roma sia dal nome del fi ume (Rumon) sia perché le due sommità pri ncipa l i del colle, Palalium c Cermalus, suggeri vano la forma di due mammelle (rumes). Quando i l nome di Roma si estese anche agli al tri col l i , il nome primi t i vo del col le dove avvenne la fondazione (Ruma) sa rebbe stato mutato prendendo il nuovo nome dal l a sommità principale, o Palalium (LUGU 1 946: �98). Nella Hisloria A ugusta il colle è indicato col nome d i Mons Romuleus. l l J Dal punto d i vi sta storico-re l i g i oso, l ' ag i re di Remo permette di i nterpretare la sua figura come quella dd lrickster. il personagg i o negat ivo (''b uffone divi no'') che si d i verte a disfare ciò che il demi urgo ha fatto, a di sord i nare ciò che q ue st i ha ordi nato, a cal pestare le leggi che q ue s t i ha sta bi l i to Anche Remo, comunque, interpretato da questa prospettiva, compie il medesimo ruolo del lrickster che è quello d i fondare, mediante la sua negazione e mediante un comportamento pale semente esecrabi l e , l ' esigenza del l ' ordine fondato sul ri spetto del l a tradizi one e d e l l a legge. .
1 1 4 L!VJO, l, 6, 4. 1 1 5 1 1 tema mitico del fratello che è costretto ad ucci dere i l proprio fra te ll o, o i parenti più stretti per restare fedele alla Gi ustizia è pre s en te nei cicli e pi c i ind1ani : si confronti l ' i nizio de l l a Bhagavad Grtlf ( 1 , 28ss) dove Arj una è rappresentato affranto perché sa di dover uccidere i pro pri parenti che combattono nel l ' esercito nemico ed è rinc uorato da Kr�1.1a. Appartiene a questo tema anche l 'episodio del generale romano Tito Mani io Torquato costreNo ad uccidere il fi g l i o che gl i ha di subbi dito ( v . C a p . VIII).
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Capitolo
7
Gli antenati divini dei re di Roma.
Il rex e il potere spirituale
In questo capitolo esamineremo due importanti questioni, così intimamente collegate fra loro da richiedere una trattazione un itaria. Si tratta di questioni cosi inerenti a l i ' idea romana di imperium e d i regal ità che appaiono da essa inseparabi li: la prima concerne gli antenati divini che precedettero Numa; la seconda il potere spirituale prerogativa del rex delle origini. La prima questione riguarda la fede in un ' interrotta continuità nel tempo della regal ità a partire da origini d ivine. La tradizione romana fa risalire l ' inizio della re galità in terra laziale a due dèi, Giano e Saturno, ed enumera una serie di sovrani d i natura d ivina che a d essi succedettero. Secondo ta l e tradizione, d i c u i documente remo in questa sede alcuni aspetti fra i più rilevanti, questi antichissimi sovrani re gnarono sugli Aborigeni, i prim itivi abitatori che, dopo l ' arrivo di Enea nel Lazio e la loro fusione con gli imm igrati troiani, si ch iamarono Latini. Da tali sovran i, in li nea ininterrotta, la tradizione romana fa discendere i l primo rex che fu anche i l fon datore di Roma: Romolo. L' analisi dei documenti riguardanti la continuità del potere regale a partire d a l l ' epoca m itica del regno di Giano e Saturno fino a giungere ai re di Roma, per metterà inoltre, per quanto riguarda il fondamento e la trasm issione della regalità, di stabi l ire quali dèi intervengano - o direttamente come capostipiti di discendenze regali, o indirettamente mescolando la loro natura divina a quella di eroi umani- ed, allo stesso tempo, d i intendere il significato e la portata del loro intervento. Per quanto riguarda la natura dei re delle origini, la lista pervenutaci può esse re suddivisa come segue: re divini (da Giano e Saturno fino a Latino); re di ascen denza divina (da Enea a Romolo); re umani (da Numa fino a Lucio Tarquinia detto il Superbo). Ognuna di queste suddivisioni corrisponde a un' epoca, o ciclo. Romolo, pur essendo i l primo re di Roma, è l 'u ltimo re d i ascendenza d ivina d a parte di padre essendo figlio di Marte, ma lo è anche da parte d i madre poichè la stirpe cui S i lvia appartiene in linea materna, tram ite l 'antenata Lavinia, figlia d i re Latino, fa capo a Giano e a Saturno. A l lo stesso tempo l ' ascendenza d i S i lvia - e dunque di Rom o lo - risale a Venere tramite Enea, figlio della dea e capostipite della d iscendenza dei re d i Alba che ha origine dal suo matrimonio con Lavin ia, figlia d i Latino. Dopo Rom o lo, Numa è i l primo re interamente umano ma, nonostante la sua natura mortale, forse in quanto primo cod ificatore della trad izione e del diritto re li-
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gioso romano, v iene assistito nel l ' esercizio della sua funzione da un'entità d iv i na: la ninfa Egeria. Numa è, però, anche l ' u ltimo sovrano della tradizione romana a contare con l ' assistenza di un' entità d ivina: dopo di lui solamente Tarquinia Pri sco, primo re della li sta etrusca, conterà con l ' assistenza in sacris di una contropar te femm i n i le, Tanaquil la, ma quest'ultima, donna esperta nelle arti etrusche d e l la divinazione e dell ' interpretazione dei segn i, è pur sempre una donna, non una ninfa come Egeria, Carmenta, Fatua o Canente, numi consil iari degli antichi re. La seconda questione riguarda uno degli aspetti del carisma che qua l ifica i l rex delle origini, carisma che, dal l ' analisi delle fonti scrittura l i , appare inscind ibi le dalla funzione regale: la capacità mantica ed oracolare attribuita ai re delle origini. In una parola: la veggenza, unita forse nelle remote origini, come testimoniano sparsi frammenti di m iti, al potere taumaturgico. I l sovrano, però, sicuramente con tava con l ' assistenza di entità divine o semidivine (ninfe) che proteggevano, ispira vano, assistevano l ' arcaico rex. Fra queste entità la ninfa Egeria, "sposa" e ispira trice di Numa Pompilio è s icuramente la più nota, ma non è certamente l ' unica, anzi, è solo l ' u ltima di una lunga serie di paredre semidivine dotate di potere profe ti co, ispiratrici e consigliere di re. La relazione fra la figura del rex e la veggenza, la quale forma parte integrante del carisma regale, schiude un campo fecondo d ' indagini e di comparazioni che esula, in questa sede, dalla nostra trattazione e non si l i m ita al solo ambito culturale indoeuropeo, ma si estende a civi ltà diverse ed anche a culture d ' interesse etnogra fico. A . l RE DIVINI DELLE ORIGINI : GIANO E SATURNO
Seguendo il medesimo percorso chiaramente indicato dalla tradizione roma na, esamineremo innanzitutto la personal ità, le funzioni ed il ruolo svolto dai fon datori divini della regalità laziale: Giano e Satumo. A . I . Il regno di Saturno, Saturnia e il secolo aureo Una tradizione costante, fondata su numerose ed autorevoli testimonianze di autori Roman i e Greci, tramanda l ' esistenza di un abitato sorto su l Campidogl io, molto prima che Roma fosse fondata (o ri-fondata) da Romolo, ad opera del primo m i tico fondatore d ivino e re, Satumo. La medesima tradizione assegna a questo primo stanziamento capitolino i l nome di Saturnia e al colle que l lo di Saturnius. Abbiamo volutamente rimandato in questo capitolo l 'esposizione ed il com mento di queste fonti non per sodd isfare una curiosità antiquaria ma per forn ire la prova d i come, presso i Romani, fu vivente la coscienza d i u n a continuità ideale ch e ricolle gava l ' esistenza della Roma fondata da Romolo a quella di centri abitati da genti molto più antiche. Questi centri appartenengono ad un'età m itica, l ' età del secolo d ' oro, i saturnia regna d i Virgilio, e ad un' umanità facente parte del m ito delle ori g i n i : quella degl i Aborigen i .
1 . 1 . Gli Aborigeni Nella trad izione romana, g l i Aborigeni, secondo il senso letterale del term ine che significa "que l l i che sono nati nel luogo", sono i primi abitatori del l ' Ita l ia cen-
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trale nei lontani tempi delle ongm1, assai prima del regno di re Latino e dell ' approdo di Enea ai lidi del Lazio ' . Creature si lvestri e possenti, gli Aborigeni, secondo un m ito ripreso da Esiodo m a comune a d iverse culture indoeuropee, era no nati dagli alberi ; non avevano leggi né forme di vivere associato, praticavano i l nomadismo v ivendo i n comunione con l a natura e con g l i dèi tutelari dei luoghi sel vaggi , Fauni e Ninfe esperti di oracoli e magie coi quali, a volte, dai poeti gli Abori gen i vengono confusi. Gli Aborigeni non conoscevano l ' agrico ltura e vivevano di cacci a e raccolta. Essi rappresentano nella memoria del la prisca civiltà agricola e pastorale laziale il ricordo ancor v ivo, sebbene trasfigurato dal m ito, di epoche lon tan i ssime e real i precedenti l ' invenzione della domesticaz i one e del l ' agr i coltura. "Si narra che l 'epoca del regno d i Satumo fu o ltremodo felice, sia per l ' abbondanza dei prodotti sia perché ancora nessuno era giudicato appartenente alla condizione di uomo l i bero o di sch iavo"2• L'origine d i questa prima umanità, che la tradizione volle generata dagli albe ri, si confonde con l ' origine stessa della stirpe umana e rimanda idealmente alla lunghissima avventura dei cacciatori e raccoglitori, prima del l 'alba della storia. La lenta, inesorabile fine di quei tempi conclude non solo un' epoca del m ito ma segna anche la fine d i un'era del l ' umana vicenda. Il term ine d i quella prima età cantata dai vati coincide con il laborioso, sapiente e paziente svi luppo de li ' agricoltura, del la domesticazione degli an imali e, poi, della d iffusione e perft:zionamento delle tecniche d i lavorazione dei metal l i . Di quelle lontan issime epoche in cui le vie de gli uomini e quelle degli dèi s ' incontravano, le norme rituali romane conserveran no scrupolosamente alcuni elementi che rappresentano veri e propri fossi l i cultura li divenuti oggetto di riverente rispetto. Fanno parte di essi, ad esempio, l ' uso della sei ce come arma vittimatrice in certi sacrifici, l ' uso rituale del bronzo con esclusio ne del ferro, o il d ivieto di usare qualsias i tipo di metallo o strumento meta l l ico per la riparazione del Ponte Sublicio, costruito senza l ' uso di chiodi ma mediante lega ture vegeta l i e incastri delle travi . I l primo sovrano del l 'epoca d e i re divini fu G iano i l quale re gn ò sugli Abori gen i a l l ' i n izio dei tempi. In seguito venne Satumo, profugo daii'Oi impo, che con divise il regno con Giano e insegnò a quelle prische genti l ' agricoltura e le leggi. Alcune fonti associano a Giano, prima del l ' arrivo d i Satumo, i l re autoctono Ca mese. Secondo tale versione del m ito di origine, forse d i conio greco data l ' assoluta "ita l i cità" di questa arcaica divin ità, Giano sarebbe pervenuto agl i ita l i lidi profugo dalla Tessaglia' . Per quanto riguarda Camese, Macrobio scrive: "Giano ottenne di regnare su questo territorio che oggi è chiam ato Italia ed egli, come tramanda Igino che segue l ' opin ione d i Protarco d i Tral l is, regnò condiv idendo il po!ere con Camese, anch ' eg l i ind igeno, così che il territorio fu chiamato Camesene e la roccaforte [di Giano] Gianicolo' ,. . Dopo G iano e Satumo inizia la serie dei re d 'ascendenza divina con la succes s ione al trono di Pico, figlio d i Satumo, e poi di Fauno. Questi primi re sono veg genti e profeti, signori degli incantesimi e conoscitori dei segreti delle erbe che cu rano, sovrani non solo degli uomini ma anche degli an imali che vivono nel bosco e nelle terre incolte, come i lupi che obbediscono a Fauno Luperco.
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Dopo l ' arrivo di Enea e il suo incontro con Latino, dal nome del loro re gli anti chi Aborigeni cambiarono i l nome in quello di Latini. Tuttavia, per quanto riguarda i l nome della regione in cui essi abitavano, racconta la tradizione, questa già dai tem pi di Satumo era stata chiamata Lazio. I l re Latino, considerato dagli antich i autori l ' epon imo del l 'ethnos che parlava la l ingua latina, in realtà deriva il nome dal l ' antica regione d i Satumo poiché latinus è una forma aggettivale che significa "del Lazio". Virgilio espone la storia mitica del l ' U rbe preromu lea desunta dal le più d iverse trad izioni. Leggiamo a continuazione il passo in cui i l poeta descrive il colloquio tra ' l ' arcade Evandro, abitatore del Palatino ai tempi del re Fauno, ed il profugo Enea : "Disse il re Evandro, fondatore della rocca romana6 : Abitavano questi luogh i Fauni indigeni e Ninfe, forti creature nate da tronchi di rovere7;
non avevano civi ltà di costum i , né sapevano aggiogare
tori, o raccogl iere provviste, o serbare il raccolto,
m a gli alberi e la dura caccia li sostentavano di nutrimento. Primo venne Satumo dal l ' etereo Olimpo,
fuggendo le arm i di Giove esule dal regno usurpato.
Raccolse la stirpe indocile e di spersa per gli alti monti,
e d iede leggi e vol l e che si chiamassero Lazio
le terre nella cui custod ia era vissuto nascosto.
Sotto quel re vi fu il secolo d ' oro,
che narrano; cosi reggeva i popo l i in placida pace; finché a poco a poco segu i un' età peggiore
che mutava in peggio il colore, e furia di guerra e desio di possesso. A l lora vennero le schiere ausonie e le genti sicane,
e spesso la terra saturnia cambiò nome; e sorsero re, e l ' aspro Tevere dal corpo i mmane,
dal quale po i noi italici chiamammo Tevere
il fiume e l ' antica A lbula perdette il vero suo nome.
La Fortuna onnipossente e l ' ineluttab i le Fato m i condussero in questa regione, scacciato dalla patria e su lle estreme
rotte del mare, e mi sp insero i tremendi moniti
della madre, la ninfa Carmenta, e i l dio ispiratore Apollo".
"Fauni" e "Ninfe" qui non sembrano indicare gli esseri sem idivini della m ito logia greco-romana ma, piuttosto, rappresentano in Virgilio i prischi abitatori, detti in altre fonti Aborigeni • . Con il re Fauno, figlio di Pico e nipote di Satumo e d i G ia no, vate e padre di re Latino essi condividono, oltre al nome, le medesime qualità profetiche. Si noti come Virgi lio, facendo riferimento all' età che segue i l secolo d 'oro usi il termine di decolor aetas: "età scolorita", quasi ad evocare l ' immagine d i una fu l gida luce che, poco a poco (paulatim) va perdendo d ' intensità e di ch iarità fino a ri dursi a uno scialbo chiarore. Si avverte, negl i antichi scrittori, una forte contrapposizione tra l 'eroe civiliz zatore Satumo e gli esseri sem iferini abitatori dei nemora che, si lenti ed ombrosi,
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coprivano i col l i che saranno un giorno roman i . Tuttavia, a d ispetto della loro natura selvaggia, i Fauni erano ritenuti dotati d i potere oracolare (Fauni uatesque) e depo sitari del l ' antica poesia in versi detti "saturni". Ennio l i ricorda nel proem io al libro VII degl i Anna/es: "Con versi che un tempo i Fauni v ati cantavano: Fauni sono dèi dei Latini, come anche Fauno e Fauna; si tramanda che essi erano sol iti svelare i l fu turo in luoghi si lvestri coi versi detti saturni e per questo, per i l fatto che erano dotati di parola profetica (afando) furono detti Fauni' "' . Secondo Catone e Varrone gli Aborigeni erano sparsi per tutta Italia e si con fondevano coi primi abitatori del Palatino. A i tempi di re Latino, che regnò sul Lazio contemporaneamente alla guerra di Troia, gli Aborigeni del Lazio avrebbero com in ciato a chiamarsi Latini 1 0 • Secondo Varrone gli A borigeni sarebbero provenuti dal l 'agro reatino ed avrebbero stabil ito sul Palatino la loro d imora. Secondo Livio, invece, gli Aborigeni erano originari del l ' Arcadia e sarebbero stati condotti in Italia da Ercole " . Diodoro S iculo 1 2 indica la sede degli Aborigeni sul Palatino, prima della venu ta di Ercole: "Credo che, prima del l ' arrivo di Ercole in Italia, il Campidoglio fosse dedicato a Saturno. Anzi, tutto il resto del paese che oggi porta il nome di Italia era ded icato a quella divinità e dagli indigen i denominato Saturnia, come d icono i Libri S i b i l lini e gli oracol i della divin ità ( . . . ) Ercole, dopo aver attraversato la Liguria e la Tuscia, giunto presso i l Tevere, prese dimora nel luogo ove oggi è Roma, fondata dopo m olto tempo da Romolo figlio di Marte. A llora gli Aborigeni abitavano una piccolissima c ittà, posta sul colle denominato Palatino. Qui Cacio (Kakios) e Pina rio, persone tra le più nobi li, dettero ospital ità generosa ad Ercole, ricolmandolo dei don i più grand i . Oggi sopravvivono ancora i ricord i di tali personaggi". 1. 1 . l .
La lotta di Ercole contro Caco.
S u l Palatino esistono tutt'ora delle scale denom inate Sca/ae Caci. Esse sono poste su l i ' alto del Gerrnalo, a cavallo d ' una strada selciata che attraversa le fortifica zioni "serviane". La local ità, indicata da Soli no come superc:i/ium scalarum Caci", era uno dei punti di confine della Roma Quadrata" forse in connessione con l ' atrium Caci, la spelonca circa la quale si conservava la memoria del gigante Caco, vinto da Ercole. Siccome, però, la grotta che serviva da abitazione di Caco era loca l izzata dalla tradizione sul l ' Aventino e non sul Palatino, si è fatta strada fra gli stu diosi l ' i potesi che le scale suddette derivino il loro nome non dal m itico evento ma da un personaggio d e lla fam iglia d e i Potitii, Cacus o Cacius, c h e abitava in q u e l luo go (cfr. Kakios nel passo citato di Diodoro S icu lo). Secondo So lino i l gigante Caco, invece, fu pun ito da Ercole ed abitava "ove ora sono le saline e la porta Trigem ina". Dopo il ritrovamento dei buoi Ercole avrebbe dedicato al Padre, invocato come Giove Inventore, un'ara. L'arcade N ikostrate, "Vincitrice d ' Eserciti", madre di Evandro, detta in lingua latina Carrn e nta per i car mi coi quali vaticinava, lo riconobbe immortale. Ercole insegnò ai Potizii il modo d i sacrificare ed eg li stesso sacrificò n e l Foro Boario, dove ora è la cappella dedicata 1 all 'eroe. lvi invocò i l dio Miagro 1 ponendo la clava di traverso su l l ' entrata del luogo così che m ai più né mosche né cani entrassero in quel luogo consacrato. I compagni
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di Ercole avrebbero eretto il tempio di Saturno, chiamato il colle capitol ino Satur nius e, in ricordo del dio, primo abitatore di quel paese, Saturnia la porta che ora è detta Pandana 1 6•
Evandro accolse Ercole salutando lo così: "O figlio di G iove, Ercole, salve; m i a madre (Carrnenta) veridica interprete degli d è i , m i profetizzò c h e t u avresti aumen tato il numero dei Celesti, che a te sarebbe stata dedicata un'ara in questo luogo". Ercole, scelti deg l i splendidi buoi dal suo armento, incaricò i Potizii ed i P ina rii, i l l ustri fam iglie signore del Palati no, di sacrificar( i. I Potizii, che furono più pron ti dei Pinarii, ebbero le interiora (ex/a), cioè i polmoni, il cuore ed il fegato, parti no b i l i per i sacrifici. I Pinari i ebbero il resto. Rimase quindi il costume che i Pinari i nei giorni sacri ad Ercole, non mangiassero interiora. Potizio fu i l primo inventore (pri mus auctor) del culto di Ercole, e custode ne fu la gente Pinaria. I sacerdoti del di o andavano cinti di pell i, secondo l ' usanza e l ' antico costume d i Ercole, e portavano fiaccole17• I Poti zi i, ammaestrati da Evandro, restarono a lungo custodi dei riti in onore di Ercole ma, avendo in seguito essi, sotto istanza di Appio C laudio, demandato l ' esclusiv ità di questo ufficio ai serv i, per castigo divino tutti i giovani membri della gens Potitia, trenta adolescenti, morirono nello spazio d i un anno ed Appio C laudio d ivenne c ieco, come attesta Valerio Massimo11• Pomponio Leto afferma invece che, essendos i estinti i Potizii, l ' i ncarico sacro fu passato ai servi comprati con pubbl ico denaro 19• Delle i l lustri (maximae inclitae) fam iglie che accolsero Ercole vincitore abbiamo notizia in Livio20 • Per quanto riguarda Caco, in Virgi lio21 egli abitava un antro, una spelonca oscura (spelunca inaccessa radiis) sotto un d irupo che sprofondava nelle v iscere del monte Aventino. I l suolo era intriso d i sangue; teste umane erano affisse a l l ' entrata della spelonca. Vu lcano era padre di Caco e questi, che aveva ereditato l ' ignea natu ra del padre, eruttava fiamme e fumo dalla bocca. Ercole, dopo aver v into Gerione triforrne, portava al pascolo i buoi sulle sponde dei Tevere. Dal l 'armento del d io, Caco sottrasse quattro buoi di rara bel lezza ed altrettante giovenche facendo sparire il malto ho nel l ' antro. Ercole fu rich iam ato dal muggito degli animali proveniente da sottoterra. L' eroe, furente, scoperchiò la cima rocciosa del monte e abbrancò C aco, che invano cercava di proteggersi col fumo e col fuoco, fino a soffocar lo nella stretta mortale. Lasciando da parte i l problema della derivazione virg i l iana, o della l ibera riela borazione del m ito dovuta alla fantasia del poeta m antovano, ci chiediamo: qual è il senso del l ' episodio che la trad izione dei tempi d i Augusto, per bocc a d i Virgilio, volle d are alla lotta tra Ercole e Caco? Tornano spontanee alla mente le imprese di Ercole v incitore d i mostri, ma, allo stesso tempo, si affaccia al ricordo il m ito apo l lineo che narra come il dio l i berasse la terra dai mostri che l ' infestavano ed il pensiero si riporta alle raffigurazion i delle sue lotte contro i centauri scolpite sul timpano del tempio di Zeus ad O limpia. Due per sonaggi del m ito, uno d ivino l 'altro semid ivino, entram bi v incitori d i mostri . Apollo ed Ercole, pur nella d iversità della loro natura, delle loro funzioni e dei loro caratteri, appaiono accomunati da una intima uis che entrambi manifestano v ittoriosamente come potenza ordinatrice del mondo.
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A po l l o agisce da lontano, in si lenzio, misteriosamente. Il furore del combat tente I ordato di sangue è al ieno dalla sua personalità; gli è proprio invece il sereno distacco che lo tiene lontano dai tumulti delle passioni e dal l ' orgia cruenta della bat tag l ia. Un sorriso lievemente ironico, espressione d ' una superiore saggezza, g li aleggia sulle labbra, lo stesso plasmato n e l l a statua fittile c h e u n tempo ornava i l fa stigio del tempio d i Veio, attribuita al leggendario coroplasta Vulca: un sorriso che ha un non so che di crudele. L' arma d i Apollo è l ' arco. Il dio è maestro del l a potenza alata nata dal legno e dal como tesi dal tendine, concentrata su llo strale infa l l ible, lo stra le che vola da lontano ed uccide senza infrangere l ' armonia del corpo. La parola del d io lungisaettante è un /ogos d i sapienza che, oltrepassando la mente e sfidando la con l ' enigma impietoso, giunge direttamente al cuore. I l logos d i Apollo "non na sconde né svela, ma accenna". L'arma di Eracle è invece la clava che colpisce da vicino, che schianta e frantu ma. Ad Eracle appartiene la possanza delle braccia che strito lano nel corpo a corpo ed il suo logos è il grido di guerra. Apo l lo è dio per nascita, Eracle è un uomo che porta in sé i l destino e la potenza d'un dio: un dio per vocazione. Apo l lo ha portato a term ine una volta per tutte, in questo ciclo cosm ico, la vit toria della luce sul mondo convu lso delle tenebre del caos primordiale e sui fantasm i c h e in esse pullu lano. Eracle vincerà solo dopo aver asceso tutti i dodici terribili gra di della scala che lo conduce alla immortal ità. Apol lo è infallibile, come la traiettoria dei suoi dard i, Eracle è uomo e può erra re ed ha pertanto bisogno del l ' amorevole assistenza di Athena per discendere agli inferi e risalire vincitore. Infine, però, egli vince e, mortale, dopo essere stato purifi cato dalla morte viene assunto tra gli dèi immortali. Come avvenne per Romolo, fi glio di Marte. Il destino d i Erac le, uomo assunto fra dèi, si prestò ad essere paragonato ideal mente a quello d i Roma, nata da un piccolo accam pamento di pastori guerrieri uniti dal presentimento di una chiamata divina, stretti dal sangue e dal rito attorno al desti n o d ' un uomo figlio d ' un dio, Romolo, continuatore della regalità div ina d i G iano e di Satumo. In Apo l lo ed in Eracle, nel l ' azione congiunta del dio e del l ' eroe, si compendia i l m ito-forza cuore della visione romana e indoeuropea del mondo. Roma si seppe depositaria di valori primevi e potenti e senti la sua missione terrena indissolubil m ente legata a l l 'affermazione di quei valori. Ciò era evidente nell 'animo d i Vi rg i l io e nelle conv inzioni che an imavano que l l 'aristocrazia fautrice della renouatio augu stea e della sintesi, m irabile ed effimera, dellapax augusta. L' episodio di Ercole vin c itore del mostro d e l i ' Aventino, "umano solo per metà" (semihomo 22 ) è interpretato come la prefigurazione m itica del destino di Roma ord inatrice del mondo. Questo, forse, il poeta mantovano vo lle adombrare nel ricordo della vittoria di Ercole sul sel vaggio Caco, quando tutto i l mondo sembrava ormai raccolto nella pace sotto le a li spiegate dell 'aquila romana.
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1.2. Saturno: il capostipite divino dei re del Lazio Già Q. Fabio Pittore, che scrisse al tempo delle guerre puniche, tramandava la notizia che Saturno abitava ai piedi del Campidoglio e che ivi fu l 'origine della pri m a Roma. Afferma che il regno di Saturno fu contemporaneo a quello di Giano: "Giano, quasi agli inizi del secolo d 'oro, tenne i l lato sinistro del Tevere in Etruria. ma Camese (Cameses) e Saturno abitarono il destro, verso la fine di questa età'o1.1. Catone mette in relazione Saturno con la prima Italia e con l ' età del l ' oro: "L' origine del l ' Italia fu i l lustre, sia per l ' antichità che per i l principio della gente, in fatti essa ebbe inizio nel secolo d 'oro, sotto Principi divini, Giano, Camese, S atur no "24• Saturno abitò il Campidoglio, dove fu la città di Saturnia e dalla quale, per estensione, l ' Italia tutta fu detta Saturnia." Varrone25 fa rimontare a Saturno le origini dell' agricoltura ed afferma che, ai suoi tempi, gli agricoltori del Lazio erano gli unici superstiti della stirpe del re S atur no e continuatori ideali del l ' età del l ' oro. Per quanto riguarda la relazione fra Saturno e Lazio, Ovidio26 spiega l ' etimologia del Lazio col fatto che Saturno vi si nascose (Latium da latlre): "Ricordo che Saturno in questa terra fu accolto,
scacciato da Giove dai regni celesti ,
per cui a lungo rimase il nome alla gente Saturnia, ed anche la terra dal dio ivi latente Lazio fu detta"
Si tratta di un'etimologia fantasiosa che, tuttavia, allo stesso tempo, rimane aderente al ricordo del m ito che fissava i l regno d i Saturno nel Lazio e faceva del La zio il luogo del suo occultamento. Per questo essa, falsa nella sostanza, deve essere considerata "reale" da una prospettiva cu lturale: que l la che concerne la coscienza che Ovidio, Virgi lio e la tradizione romana avevano di quella originaria presenza di vina e di quella divina latenza. Come Ovidio, anche M inucio Felice2 7 col lega il Lazio a Saturno e ricorda la prima città che sorse là dove Romolo avrebbe in seguito fondata Roma: "S aturno, profugo da Creta per timore della crude ltà del figlio, era giunto in Italia, dove fu ac colto da Giano come ospite. Insegnò molte cose a quegli uom ini rudi ed agresti, es sendo egli un greco colto: a tracciare le lettere, a battere moneta, a fabbricare utensi1 i . E così questi preferì che i l nascondigl io ove aveva latitato in salvo, fosse chiamato Lazio e, dal suo nome, Saturnia la città mentre Giano dette nome al Gian icolo ed en trambi lasc iarono ai posteri il loro ricordo". Virgilio28 saluta l ' Italia come "Saturnia terra" : "Salve , grande madri di messi , Saturnia terra ,
grande madre di ero i : per te le sacre fonti osando dischiudere
a trattar io passo delle antiche glorie e dei prischi costum i e il carme ascreo canto per le ville romane."
Ed altrove:!'> ricorda , il poeta, le città fondate da G iano e da Satumo nel l e paro le di Evandro che rievoca ad Enea i tempi antichi :
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"Guarda queste due rocche, avanzi e ricordi vetusti, fondata questa da G iano, da Saturno quest'altra. E l ' una ebbe nome Gianicolo, l' altra Saturnia".
Servio10 cosi commenta Virgilio: "Satumo fu re di Creta scacciato con la guerra dal figlio suo G iove. Egli, fuggendo, fu accolto da Giano, re della città che fu ove ora è i l G ianicolo, i l quale regnava sul l ' Italia. Satumo, dopo che ebbe inse gnato l ' uso della v ite, della falce e di un v itto più consono all 'uomo, fu ammesso al regno e costrui una città sotto il cl ivo capitolino fuggendo le arm i di G iove ed esule dal regno usurpato". Aurelio Vittore ricorda come "Mentre G iano regnava sugli indigen i rudi ed incolti, Satumo profugo dal suo regno, giunto in Italia, fu accolto benevolmente ed ospitato e, poco d iscosta dal Gianicolo, costrui la c ittà chiamata dal suo nome Sa turnia. Egl i per primo insegnò l ' agricoltura e condusse ad una vita più ordinata quegl i uom ini selvaggi abituati a v ivere di rapina." G iano, da parte sua, aveva pri ma d e l l ' arrivo di Satumo insegnato ai prim i abitanti soltanto " i l modo di venerare gli dèi e le norme rel igiose"1 1 • Quando la feconda pax augusta parve aver composto l 'orbe, i l poeta cantò i l ritorno dell ' età aurea e riferl quel l ' età a Saturno: "redeunt Saturnia regna", " i l re gno d i Saturno ritorna"n. Anche Plinio" ricorda la tradizione secondo cui "vi furono nel Lazio i l l ustri città (oppida) ( . . . ) Saturnia, dove ora è Roma . . . ". Festo14 ricorda gli antichi m iti di Saturno: "L' Italia si chiamava Saturnia ed i l monte c h e era detto Capitolino si chiamava allora mons Satumius perché s i pensa va fosse posto sotto la tutela di Saturno. Ed erano anche detti Saturnii gli abitanti d i u n luogo fortificato (castrum) situato a l l e falde d e l Campidoglio (in imo cliuo Ca pitolino) dove un'ara fu dedicata a Saturno prima della guerra di Troia"H. Dionigi d ' A licamasso, narrando della consacrazione d i un altare dedicato a Saturno da Heracles alle falde del Campidoglio, nel Foro testimonia il ricordo della presenza d i Satumo nel Lazio e specialmente sul Campidoglio: "Io penso che quel luogo era già sacro a Saturno prima della venuta d i Heracles in Italia e Satumio era detto il colle dai suoi abitanti perché ded icato a quel nume, come si legge nelle ri sposte date dalle sibille o da altri num i . E in molti luoghi d ' Italia vi sono templi de dicati a Sa turno mentre alcune città portano ancora il suo nome, cosi come un tem po l ' Italia tutta, e molti luoghi, in specie i monti e le rupi, portano il nome del dio"16• L'altare di Heracles rimase al suo posto fino al l 'ultimo re etrusco, Tarquinio i l Superbo, i l quale stabili d i erigere i n quel luogo u n tempio dedicato al primo r e del Lazio che, però, non fece in tempo a dedicare a causa del crollo della monarchia. Il tempio, costruito fra i l 5 0 l e i l 493 a.C., fu ded icato i l 1 7 d icembre, nel giorno dei Saturna/ia. La prisca ara, oggetto d i riverente rispetto, restò comunque al suo po sto, protetta da una piccola area sacral 7 . 1.3 . 11 mito
di Saturno nella coscienza religiosa romana
A questo punto sorge spontanea una domanda: cosa rappresentava per la co scienza romana il m ito di Satumo, cosi radicato nella tradizione più antica?
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Saturno, per quanto riguarda l ' etimo del nome, fu posto dagli antich i in rela zione col seme e col m istero della germinazione nel grembo della terra. Varron e11 interpreta Saturnus come derivante da satus: l ' azione del sem inare; sator è il "se minatore". Ai fini d ' una comprensione del m ito non importa stabilire subito la giustezza l inguistica di tale etimologia o la sua invalid ità. Occorre piuttosto interpretare i l senso di questa figura divina d ' accordo coi dati che offre l a trad izione romana. I n un secondo momento, tram ite i criteri linguistici, potranno tentarsi altre vie d 'approccio ad etimologie più probanti dal punto di vista scientifico. Le fonti citate dimostrano ampiamente, e senza ombra di dubbio, che per i Roman i Sa turno era associato al ricordo del l ' età del l ' oro ed alla feracità della terra nella pace operosa di una società ideale eminentemente agricola. Tuttavia, il carat tere stesso del simbolismo tradizionale, per sua natura polivalente, oltre ad inequi vocabil i precisazioni degli antichi stessi mostra come tale abbinamento non sia in terpretabile in chiave esclusivamente "naturalistica". Accanto ad un riferimento materiale, infatti, il simbolo ha per sua natura un ineludibile riferimento metafisi co. In virtù di questa poli valenza di significato ciò che accade nel mondo visibile ri manda ad un archetipo ideale, a un principio spirituale che sta al piano della mani festazione concreta come causa sta ad effetto. Per questo, spiegare Saturno come "dio agricolo" ha un senso solo se per "agricoltura", "terra" e "seme" s' intende ciò che il simbo l ismo tradizionale intese e se si rispetta i l valore allegorico di questi term ini per cui poterono esistere i n izia zion i ai Misteri agricoli assieme a una complessa simbologia iniziatica riferita al mistero della germ inazione interpetato come supporto per una conoscenza metafi sica.
1 . 3 . 1 . Saturno e l 'età dell 'oro latina.
Risulta evidente che Saturno, per la sua funzione di divin ità del l ' età del l ' oro, fosse accomunato all' idea di pace, d i abbondanza e feracità. Durante l 'età aurea, infatti, la terra offriva spontaneamente i suoi frutti e ciò non solo nella tradizione romana, ma anche in quella greca ed in altre trad izioni del l 'area indoeuropea, per (im itarci a quest'ambito culturale. Dobbiamo al più antico annalista conosciuto, Quinto Fabio Pittore, nel primo libro delle sue Rerum Gestarum Libri questa rara testimon ianza sul l ' età del l ' oro laziale: "In quel tempo non vi fu monarchia alcuna, poiché non era ancora entrato nei petti uman i il desiderio di regnare e Principi e Capi, poiché erano giusti e dediti alla religione, furono a ragione chiamati e temuti come dèi. Nell 'esercitare il loro arbitrio non si separavano dal dovere, né il popolo dalla ragione natu rale. A l lora "'gnu no osservava, non per forza o per timore, ma per proprio volere, la fedeltà e nestà. Il pudore e la modestia reggevano i popoli e la ragione i Principi. Le case, canto loro, non erano costruite o adorne e splendide e i l lustri per sfarzo, ma era o grotte, o capanne di vimini, o tronchi cavi d 'alberi. Le cose che spontanea.tente nascono davano loro il cibo, o essi cercavano il vitto alla giornata mediante la cacc ia."
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I l quadro che Ovidio offre del l ' età aurea nel le Metamorfosi si discosta di poco dal mode l l o tradizionale ed indugia piuttosto sulla tranquilla pace di que l l ' epoca beata, quando le città (ammesso che di "città" si potesse parlare) non conoscevano ancora fossati o m ura difensive. G iustino, trattando del primo periodo del l ' umanità, descrive la figura dei re "che non l ' amb izione popolare ma una moderazione riconosciuta tra i buoni solle vava al fastigio di quella dignità. I l popolo non era tenuto a freno da leggi poiché le dec isioni d i questi uom ini avevano esse stesse valore d i legge. Era costume tutelare i confini piuttosto che ampliarli"19• Le tre fonti sono state scelte e citate di proposito come esempi significativi d ' una tradizione che abbraccia, tra il primo e l ' u ltimo autore, un arco d i più d i tre secol i . Una trad izione che proveniva da lontano ed era destinata a durare a lungo nel ricordo dei Roman i. Occorre tuttavia porre in relazione le qualità caratteristi che dell 'età del l 'oro, specialmente la pace e l ' abbondanza che la caratterizzano, col ruolo che la tradizione attribu isce alla figura del sovrano e al potere inerente al suo carisma. Il potere del rex, infatti, non si limita soltanto al governo degli uomini ma include anche la capacità d i ordinare i l mondo instaurando e garantendo lapax deorum: l ' armonia fra uom ini e dèi fondata sulla pie las di cui i l re è l 'esponente su premo. Il re, in quanto supremo sacerdote della società, garantisce mediante l 'esercizio della pie/as lo svolgimento ordinato dei cicli naturali; l ' ord inato succe dersi delle stagioni con l'alternanza dei period i piovosi e asciutti; la salute delle piante, degli animal i e deg l i uom ini. L' idea che a l l ' epoca di Saturno e di G iano avrebbe regnato una pace non in terrotta da guerre o discord ie motivò la proibizione d i intraprendere battaglie o di esegu ire condanne capita l i durante le feste dedicate al ricordo d i quei tempi lonta ni, i Saturna/ia: "Fu considerato empio intraprendere guerre durante i Saturnali e se durante g l i stessi giorni si procede a giustiziare i crim inal i, i l fatto rich iede un'espiazione""" . Da questa prospettiva il regno di Numa e la lunga pace ininterrot ta che lo contraddistinse, rappresentò una riattual izzaz ione del l ' età aurea delle ori gin i . P e r quanto concerne una comparazione d e l m ito del l ' età aurea d e l l a tradizio ne romana, in Grecia Esiodo, ne Le Opere e i Giorni, descrive le cond izioni deg l i uomini del l ' età d ' oro, quella in c u i Cronos regnava, l a quale richiama d a vicino l a mitica età d i Saturno anche per la sostanziale affin ità d e l l e d u e figure d ivine. Ter m inato questo secolo d ' oro e concluso il secolo argenteo, quando, dopo la violenta età dei giganti nati dai frassini (me/ioi) una nuova stirpe d 'eroi restauratrice appar ve su lla terra, sembrò essere di nuovo tornata l ' età beata" . Ciò accadde immediata mente prima del l ' avvento del l ' umanità attuale, ma si trattò solo di un lum inoso in termezzo che, secondo Esiodo, si chiuse con la guerra d i Troia. Quando questi eroi "stirpe celeste" lasciarono la vita i l Padre Zeus concesse loro di vivere ai confini del mondo, nelle Isole dei Beati dove Cronos regna. lvi essi v ivono "avendo il cuo re senza affanni, eroi felici cui tre volte ali' anno la terra feconda porta frutti fioren ti, dolci d i m iele". Fabio Pittore certamente conosceva Esiodo, dal momento che sapeva i l greco a tal punto da scrivere in questa lingua la sua opera storica, ma Esiodo, a sua volta,
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attingeva ind ietro nel tempo a fonti per noi sconosciute derivanti la sostanza del la loro conoscenza da antichissime tradizioni oral i . Celti e german i a occidente e l ' India e l ' lnin a ll'estremo orientale dell ' area arioeuropea testimoniano l ' esistenza di un comune, preciso ricordo di una prim itiva età del l ' oro e, assieme, il ricordo d ' una terra nella quale tal i eventi si svolsero, terra detta dai Greci Leukè, "Bianca" o Thule i perborea. lvi v iveva Cronos, immerso in un dolce sonno che durerà fin quan do una nuova età del l'oro sopravverrà. Il dio riceve da uccel l i sacri il nutrimento: l ' am brosia d i immortalità42• E con Cronos fini per confondersi Saturno quando l ' influsso della cultura greca conquistò Roma. Ma un altro dato del m ito d i Saturno occorre specialmente sotto lineare: egli era i l primo re del Lazio assieme con Giano e da lui d iscese, come vedremo in seguito, la stirpe dei re latin i. Il primo suo figlio fu Pico che, rifutando gli amori d i Circe, da C a nente ebbe Fauno. Questi, unitosi secondo Virgilio a Marica e secondo altre fonti a Fauna, generò Latino, re di Laurento e padre d i Lavinia, seconda sposa d ' Enea. Da Lavinia Enea ebbe S i lvio, re d ' A lba Longa43 • Dalla stirpe dei re d ' A lba d iscese S i l via, figlia di Num itore, vergine vestale fecondata dal fuoco di Marte e madre dei ge m e l l i fondatori. La regal ità che a Romolo deriva dalla dupl ice ascendenza divina -Marte come padre e Saturno come capostipite da parte di madre- lo fa dunque depo sitario di un mandato celeste primevo e d iv ino poiché il primo re, Saturno, era disce so direttamente daii ' Oiimpo: primus ab aetherio uenit Satumus 0/ympo. In tal m odo, dunque, come Romolo continua la regalità del primo re divino, cosi l a nuova Roma che egli inaugura agli inizi del ciclo, che succede a quello di Sa turno, prende v ita proprio in v irtù del l ' auctoritas della quale egli è investito e conti nua idealmente l ' esistenza della prisca Saturnia. Proprio come in una nuova fioritu ra -la terza secondo la tradizione- o come il rinverdire del .ficus rumina/is, il vecch io tronco rivive nei nuov i getti. Tutto ciò, lo ripetiamo, non è casuale ma sve la i l senso riposto del m ito e dovet te essere ben presente alla coscienza dei Roman i o, almeno, di quelli fra loro che sa pevano sol levare il velo dei simboli coi quali il m ito e i l l inguaggio sacerdotale so gliono adombrare le realtà dello spirito. Abbiamo accennato prima all ' interpretazione riduttiva ed arbitraria di Saturno come "dio dei semi" e, quindi, come divinità agraria. A tal proposito, tuttavia, con v iene cedere la parola a Macrobio, autore dei Satumalia, opera composta, probabil mente, verso la fine del quarto secolo della nostra èra. L'autore parla espressamente d i insegnamenti m isterici circa l ' arcana natura del dio e del d iv ieto che li protegge44: "È lecito ifas est) render pubblica l ' origine delle feste Satumali ; non que l la che si at tribuisce al i ' arcana natura della divinità, ma quella che v iene espressa o m escolata a e lementi favolosi o divu lgata dai fisici; difatti, non è permesso neppure nelle ceri monie man i festare le ragioni occulte e promananti dalla fonte della pura verità, e se qualcuno le penetra, gli si ordina che le tenga protette nel proprio intimo". Lo stesso Macrobio4s dichiara con sapienti parole: "È cosa nota che la natura non vuoi essere vista palesemente e tutta nuda e, poiché ai sensi degli uomini comu ni ricoprendosi e più e più volte velandosi, proibl che la riconoscessero, cosi volle che dai saggi i suoi arcani fossero mescolati a cose favolose. Cosi, allo stesso modo, i m i steri stessi furono occultati nelle latebre delle figure, affinché la natura del le cose,
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tolto via questo schenna, non si mostri nuda; ma essendo gli uomini più eminenti, come que l l i che sono i lluminati dalla sapienza, consapevol i della verità arcana, gli altri s i contentano nella venerazione, poiché i l bel frutto dei simboli è che i l segreto non si svi l isca." 1 . 3 . 2 . Sa turno, i Saturna/ia e l 'età del/ 'oro come stato del/ 'essere. Esaminiamo più da vicino questa figura divina: le sue feste, Saturna/ia, cade vano nei cinque giorni precedenti il solstizio d ' i nverno, dal l 7 al 2 1 dicembre . Esse accompagnavano e celebravano la fine del ciclo ann uale, giacché l 'ann o astrono mico tennina al 2 1 dicembre . Durante questi cinque giorni le leggi "nonnali" del la società romana erano abolite : i servi sedevano a mensa coi loro padroni . Si trattava, da un Iato, di un vero e proprio ritorno rituale al caos in concomitanza con lo scade re del l ' ann o ed in vista d'un nuovo ordine . Dal l ' altro, si effettuava un ritorno all 'età aurea delle origini nella quale non esistevano differenziazioni in classi so ciali e nella quale regnava Saturno, dio delle possibilità non manifeste, assieme con Giano, dio che tutela i principia ed il passaggio alla sfera deli ' esistenza. Per chiarire ulterionnente il senso dei Sa tumalia e della figura di Saturno as sociata all 'età del l ' oro, può tornare utile una comparazione, oltre che con la tradi zione greca esiodea, con quanto l ' India tramanda della società delle origini, l 'Hamsa, quando il mondo era nel kriya yuga, o età dell 'oro. Hamsa significa "ci gno", "oca selvatica" (cfr. lat. anser). animal e emblematico de li' età dell 'oro e del la perfezione spirituale. In que l l ' epoca la società umana non conosceva il principio della divisione castale e questo non perché regnass e un ibrido comunitarismo, ma perché vigeva una condizione di vita spirituale piena e comune agl i uomini tutti . Si trattava d ' una naturale comunione col Principio divino nel l ' uomo e nel cosmo, di uno stato di sintesi suprema nella quale non esisteva ancora la contrapposizione, e quindi il conflitto, tra il sé (jivatman) ed il Sé universale (litman): la mente era natu ralmente desta e godeva di una visione amni comprensiva che non separava la ma teria dallo spirito, i segni dalla realtà metafisica. Il pensiero, e la parola che lo esprime, si originavano dalla conoscenza delle cose percepite nella loro natura essenziale, sostanzialmente una con la potenza uni versale Pensiero e p arola possedevano, dunque, il potere di realizzare le cose, di portarle ad essere • . L'uomo delle Origini godeva d ' uno stato di perfetta spontaneità era "colui che segue la sua propria volontà" (sw�chchhachar t t . L'uomo era naturalmente ali-var!IG. al di sopra cioè di qualunque identifica zione con quelle che in seguito sarebbero state le caste, dunque re e sacerdote e, per conseguenza, non esistevano caste né differenziazioni social i . Nell 'unità perfetta c o l Principio non v 'era necessità di ordinamento gerarchi co i n quanto non v'era chi, vittima della propria cecità interiore, avesse bisogno d'essere guidato o contro cui occorresse premunirsi per la salvaguardia dell 'ordinamento sociale . Come conseguenza, non esisteva neppure l ' istituzione regal e . N o n esisteva il sacerdozio come funzione separata, n é esisteva la "religione" dal momento che non v'era bisogno di riunire ciò che naturalmente era unito . Nep.
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pure occorreva che qualcuno facesse da ponte tra uomo e Assoluto ristabi lendo l ' equil ibrio tra "visibi le" e "invisibi le", posto che quest'u ltima differenziazione nell'unità del l ' Essere è prodotta unicamente da un' incapacità d i discernimento. Neppure il rito, in quanto azione che permette al sacro di agire nel mondo de gli uom ini, esisteva: le azioni fluivano naturalmente in aderenza con l ' Ord i ne u n i versale e, quindi, erano spontaneamente espressioni di tal i Ordine e, perciò, rito" . In questo senso, od anche in questo senso profondo (che diremmo "esoterico" se il term ine non si prestasse, oggi, a insulsi fraintend imenti) vanno intes i i riferi menti delle fonti che abbiamo citato circa gli Aborigen i considerati privi di leggi e carenti delle tecniche atte a far produrre il suolo, ma in comun ione naturale con gli dèi e in possesso di una naturale capacità di veggenza. L' "assenza" di leggi non sottintende, negli autori citati, né autorizza il riferi mento impl icito ad una necessaria anarchia derivante dal l ' ignoranza delle leggi, o dalla mancanza di rispetto nei loro conftonti la quale permette che il più forte detti la propria legge. Al contrario, ( ' "assenza" si riferisce alla mancanza della necessità di norme cod ificate. Queste, sebbene non avrebbero potuto essere scritte dato che alcune versioni del m ito attribuiscono i l primo uso della scrittura a Satumo ed altre a Carmenta, avrebbero potuto essere tramandate oralmente, come avviene presso tutti i popoli senza scrittura. Nel l ' età de l l ' oro, che è innanzitutto uno stato del l ' essere, tuttavia, neanche questa cod ificazione orale e la conseguente trasmissione delle norme etiche era ne cessaria perché l ' umanità viveva spontaneamente nella Norma. Il tramandamento attraverso la parola (la "tradizione") è necessario quando si debba conservare il ri cordo della Parola, ma diviene non necessario quando si è in grado di ascoltarla d i rettamente. Vivendo nel Fas, lo ius diviene non necessario ma superfluo diviene anche ilfari, i l parlare. La mancanza di norme religiose e della stessa rel igione non era interpretata come ignoranza d e l i ' esistenza del sacro o indifferenza nei suoi conftonti, al contra rio: il contatto diretto col sacro rendeva non necessaria la religione e i l rito. La vita stessa era rito secondo il significato primo del term ine che si riferisce a l l ' armonia fra visibile e invisibi le, fra umano e divino ed al sacro agire che propizia tale armo nia. La mancanza di strumenti tecnologici, dal suo canto, non era vista come inca pacità da parte dei prim i uom ini ad inventare i mezzi idonei a sottomettere la natura alle esigenze della specie umana, ma era considerata piuttosto una conseguenza d e l fatto c h e tal i strumenti non erano necessari in quanto la terra, a causa d e l l a naturale armonia del l ' uomo con gli dèi, spontaneamente offriva i suoi frutti. In questo senso, evidentemente, va interpretato il passo citato d i Quinto Fabio Pittore ed anche quello di Giustino. Da questa prospettiva, tuttavia, restando aderenti ai dati offerti dalla compa razione coi dati della trad izione greca e indoeuropea in generale, risulta senz' altro più pertinente riferire l ' età del l ' oro a G iano piuttosto che a Satumo. l l m ito, infatti, pone la presenza di G iano prima di quella d i Satumo e attribu isce l ' invenzione (o l ' insegnamento) d eli 'agricoltura a Satumo. Satumo rappresenta, quindi, un secon do momento nello sviluppo del ciclo cosm ico secondo la tradizione romana, un
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momento che potremmo comparare al l ' ultimo periodo dell "'età del l ' oro" ed agl i inizi del l ' "età del l ' argento" di Esiodo e del l ' India. In questo secondo momento, anch ' esso caratterizzato dalla pace fra gli uom ini e dalla prosperità della terra, la naturale comun ione degli uom ini con gli dèi non si è ancora interrotta come dimo stra i l fatto che gli uomini vivono a contatto con re divini e sono da essi retti. Eppu re, qualcosa nella originaria comunione, si è già spezzato: occorre infatti lavorare la terra, pregare gli dèi e costruire i tempi i; promu lgare le leggi e imparare ad obbe dir loro e a far loro obbedire. Alcuni autori antichi (v. infra) attribu iscono a G iano la funzione di "eroe civi l izzatore": i l fatto non sposta comunque i l problema se non nel senso che, acco gliendo questa versione del m ito, l ' assunzione del regno da parte di G iano e poi d i Satumo sarebbe posteriore a l l o stato originario di un'uman ità senza re, n é leggi, n é rel i gione n é strumenti . Secondo questa versione d e l m ito, l ' epoca aurea viene s po stata al regno del l ' oscurissimo Camese di c u i resta poco p i ù d e l nome, c h e regnò ancor prima di Giano e poi cond ivise con lui il regno. Per stabil ire u lteriori paral leli col mito di Satumo re del l ' età del l ' oro basterà citare il m ito scandinavo di Fr6dhi, o consultare ciò che la tradizione celtica riporta circa i re delle origini. Tra i Celti i l re (rig) ebbe carattere sempre rel igioso e l 'esercizio delle sue funzion i produceva un intimo e m i sterioso influsso sui cicli natural i : "In genere, si considera i l re garante della felicità del suo popolo. La prin c ipale manifestazione d i ciò è la fruttificazione del suolo durante il suo regno. Di Conaire Mòr, che può essere considerato i l tipo di re la cui funzione e rel igiosa ( . . . ) è detto che sotto il suo regno la pesca era fruttuosa ed in autunno le ghiande destina te al pasto dei cinghiali erano talmente abbondanti da giungere alle ginocchia. Non v ' erano più assassinii sul suolo d ' I rlanda e pace e armonia regnavano dovunque. Dalla primavera a l l ' autunno nessun vento faceva danzare la coda delle vacche e uragani e tempeste non affliggevano gli uom ini. Si lodava allo stesso modo il regno del re Domnal l mac Aedh che aveva dato la pace al paese; lo stesso vale per Brian Boru. Ma del re Lugaid mac Con si d ice che il suo popolo lo depose dal trono per chè sotto il suo regno l ' erba non cresceva, gli alberi erano senza foglie e le spighe senza gran i' ,.•. Nella m itologia germanica, l 'età del l ' oro è posta sotto i l segno di Freyr-Fr6dhi, sovrano m itico i l cui potere è riassunto dal l 'epiteto arsae/1, "fecon do d ' opulenza". La caratteristica più sal iente del suo regno è la "pace di Fr6dhi" che si accompagnava ad una grande abbondanza di messi, alla prol ificità del be stiame: lo stesso nome "Fr6dhf' parrebbe significare "fruttifero" giacché questo significa frodar nella l ingua svedese; altri lo interpretano come "saggio" dal l ' an tico norreno.fr6dhr, "sapiente". In ogni caso, i due epiteti concordano perfettamen te con le qualità attribuite al re delle origini: sapiente-veggente, mago e datore di pace e fertil ità. Quando Freyr (''S ignore"), il re dell 'età del l ' oro nordica muore, la sua "mor te" richiama da vicino quella di Satumo in quanto anch 'egli, come il primo sovrano del Lazio, in realtà non scompare per sempre ma si avvolge in una div ina inaccessi bilità. A l contrario, Freyr s' occu lta nel suolo e il suo tumulo comunica con la super ficie del m ondo mediante tre aperture nelle quali i suoi sudditi versano oro, argento e rame perché la pace sia preservata e la prosperità della terra non venga meno.
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Si ricorderà, come significativo parallelo col mondo nordico, che a Roma il rame (aes) dell'aerarium statale era conservato a l l ' interno del podio del tempio d i Saturno. Macrobio scrive a questo proposito che: "l Roman i vollero ch e i l tempio d i Saturno fosse anche l 'erario perché si d i ce che al tempo in c u i Saturno abitò l ' Italia non fu commesso nessun furto o perché quan d'egli regnò non esisteva la proprietà privata (nihil erat cuiusquam priuatum) [ . . ] Per queste ragioni il denaro comune del popolo romano fu riposto presso colui sotto il cui regno tutti ebbero ogni cosa in comune""'. A F rey r succede Fj6lnir ed anche egl i era "fecondo d ' opulenza e benedetto dal la pace" (arsae/1 olcfrid hsae ii) . I l suo nome allude a l l ' occultamento (je/a, "nascon dere") ed anche alla "abbondanza" (fìol, cfr. ingl..fu/1). Fjolnir muore ann e gando in un tino d ' idromele sicché nella bevanda sacra v i è nascosto i l dio che comunica forza al corpo e pienezza a ll' ispirazione. Lo stesso avviene per i l vedico Agn i nascosto nel samudra, i l tino sacro del soma. In tal modo, quando gli uom ini berranno i l sacro idromele, se saranno capaci di conoscere il loro cuore e d irigere la loro mente, po tranno tornare a fruire della p ienezza d e l i ' età d e l i ' oro cui la bevanda e soprattutto i l m iele, dalla c u i fermentazione essa è ottenuta, è simbolicamente col legata. Se l ' idromele (,Yiidhr) è associato a Fj6 lnir, a Freyr è assoc iato il cinghiale, suo an imale emblematico che compare, nei m iti indoeuropei, in re lazione alla fun zione sacerdotale: una delle funzioni del sovrano delle origini . La carne d i cinghiale assieme a l l ' idromele sono serviti nel banchetto agl i eroi che, morendo in battaglia, hanno ottenuto l ' ingresso alla Valh61 1 : la "Sala dei prescelti". L'entrata nel paradiso nordico, da questa prospettiva, coincide dunque con il ritorno a l l ' età dell ' oro e con s iste nella riunificazione dell ' eroe coi sovrani di quel l ' età di cui i l cingh iale e l ' idrome le sono simbo l i ed a l lo stesso tempo veicolo "sacramentale". La decadenza del potere regale, parallela alla decadenza del rito di cui i l re è m assimo offic iante, conduce alla decadenza della natura, a l l ' al terazione dei suoi rit m i . Le narrazioni graal iche riprendono e sviluppano questo motivo nel m ito m ed ie vale della Terre Gaste e in quello de l i ' Arbre Sec, entrambi ripresi da quella tradizio ne imperiale ("ghibellina") che aveva un concetto del l 'imperium che presenta notevoli punti di contatto con quello romano. Si noti come in tali narrazioni, partico larmente in Wolfram von Eschenbach, la funzione regale sia assoc iata a l la Santa Coppa e il risanamento del sovrano languente e della terra desolata alla conquista v ittoriosa del Graal' 1 • Tornando a Satumo, poco si sa delle origini del suo culto né ci interessa in q u e sta sede d ibattere l ' argomento: le opinioni sono d ivergenti, ci si riporta ad un etrusco Satres o si pensa addirittura ad un'origine africana o, comunque, ad un impulso a l s u o cu lto al tempo delle guerre puniche". Discussa è anche l ' etimologia del nome. Le forme più arcaiche sembrano esse re state Sateumus" e Saetumus. Questa seconda forma compare su una coppa dedi cata al dio: SAETVRNI POCOLOM 14 • La identificazione d i Satumus con sata, "i sem i nati", che godeva dal favore degli antichi, pur conservando intatto i l suo valore ideale, oggi sembra non reggere dal punto di v ista lingu istico e Dumézil ha sol levato seri dubbi persino sulla derivazione del nome dal l ' indoeuropeo comune". La figura d i Saturno è figura d i dio sovrano detentore d ' una regal ità anteriore allo stesso G iove dal quale Saturno fu spodestato dal trono. Probabi lmente questo .
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ultimo dettaglio del m ito è derivazione greca e ricalcato sul modello di Cronos, come pure dalla storia del matrimonio Cronos-Rhea derivò a Roma il m ito del l ' un ione Satumo-Ops. Nella lista degli dèi di Tito Tazio Satumo figura accanto ad Ops e Flora, divin ità chiaramente collegate con la sfera della vegetazione: Ops coi semi stipati nei granai e Flora con la primavera e la fioritura in genere. Sennon ché i l rapporto che intercorre tra Satumo ed Ops (o Flora) è lo stesso che intercorre tra la sua funzione di sovrano e la fel ice spontaneità del suolo nel l ' età in cui egli re gnava. È il potere del re che fa germ inare la terra e questa fiorisce e produce i suoi frutti manifestando la potenza sacra del re attraverso la quale si manifesta il potere deg l i dèi. Il rex è auctor. Il m ito di Satumo era vivo a Roma ed era pienamente attuale ancora alla fine delle Guerre Pun iche quando fu con iata la moneta (aes graue) recante su una faccia il duplice volto d i Giano e sul l ' altra la prora della nave che avrebbe portato nel La zio Saturno. Ov idio a questo proposito canta "« . . . perché dunque sul rame
è
segnata da una parte una nave
e dal l ' alrra un volto bifronte?)) « Perché ru potessi conoscerm i dal duplice
aspetto,
se il tempo non avesse cancel lato quel con io ma rimane la prora. I l dio portatore di falce, avendo errato pel mondo
con la nave approdò al fiume Etrusco ( i l Tevere) . . . ))"56
Figura 1 5
Vi è ancora da dire che la statua d i Satumo, conservata nella cella del suo tem pio, nel Foro Romano, era cava e conteneva olio: "Di certo la statua di Satumo a Roma a l l ' interno è riempita con ol io"17 ed era portata solennemente in processione in occasione della celebrazione dei trionfi : "Chiudevano i l corteo trionfale, portati a spalla, i simu lacri divini ( . . . ) e non soltanto vi erano le effigi di G iove, d i Giuno ne, di M inerva, di Nettuno e degli altri che i Greci annoverano fra i dod ici num i, ma anche quelle dei numi più antichi ( . . . ) d i Saturno, di Rea . . . "". Per quel che riguar da l ' o lio si tratta, cred iamo, di un riferimento al l ' abbondanza della terra rappresen-
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tata da un prodotto proveniente dal l ' agricoltura e dal l ' elaborazione dei frutti . Sa turno garantì un tempo la produzione della terra non solo insegnando agli uomini i segreti dell'agricoltura ma esercitando il suo potere regale. Nella tradizione roma na Saturno garantisce ancora, invisibilmente, la fertilità dal suo regno occulto nel sottosuolo laziale . La relazione Saturno-produzione e, in senso lato, Satumo-ricchezza fece sì ''' che l ' e rario di Roma, detto anche aerarium Satum/ , fosse custodito proprio nel 00 tempio di Satumo, nel podio dello stesso, sotto la protezione del dio • Vi è da dire che la figura e il ruolo di Satumo in relazione con la sfera della produzione e della ricchezza non è affatto riconducibile a quello di una qualunque divinità associata alla terza funzione caratteristica della società romana e indoeu ropea. Il potere di Satumo è quello del rex e va ricondotto piuttosto alle origini divi ne della regalità, alla funzione di una divinità suprema e inconoscibile, anteriore a qualsiasi differenziazione ed alla stessa manifestazione universal e . Una divinità che estende il suo potere su ogni piano d eli' essere e in ogni fibra del cosmo . Questa divinità nella cosmovisione vedi ca è rappresentata da Varw:ta e, in quella germani ca, da alcune funzioni proprie a 6 dhinn, specie quelle che riguardano la conoscen za delle rune e l ' esercizio del la magia sovrana. I l . SATURNO E GIANO: IL SEME E IL GERMOGLIO
La figura di Giano, menzionata assieme a quella di Satumo in relazione alla prisca età d eli ' oro ed alla Saturnia Te//us, merita alcuni cenni esplicativi poichè, in effetti, nel mito è così legata a quella di Satumo (tanto da condividere con lui il re gno) che le due personalità divine, le funzioni che esse rappresentano e i simbo l i c u i esse rimandano s ' integrano e chiariscono a vicenda.
1 1 . 1 . Giano,
re
divino delle origini
Giano, fin dal l ' antichità, fu riconosciuto come divinità tipicamente romana ed italica, estranea ed ignota al mondo greco . Ovidio 61 sottolinea l 'origine indigena di Giano "nam tibi par nu//um Graecia numen habet": "la Grecia non ha nessun nume a te pari". Giano è associato dal m ito col Latium dei primordi di cui era stato il primo re , nell'età del l 'oro, nella quale non v' erano né guerre né discordie 62 • Erodiano lo dice "la più antica divinità indigena de li 'Italia' '"J e Procopio: "il primo degli antichi dèi .. che i Romani chiamavano Penati" . Giano fondò la religione ed insegnò la costru 65 zione dei p rimi templi . Il potere regio di Giano è espresso dal segno dello scettro che, a volte , si sosti tuisce a quello delle chiavi nel l ' iconografia di questa divinità. Giano, primo re as sieme a Satumo, rappresenta il principio della regalità che si manifesta agli inizi dei tempi sul suolo sacro del Lazio. Da lui la regalità si tramanda, lungo tutto il ci 06 clo della storia di Roma, agli altri re e poi ai supremi magistrati romani . L'avvento della Repubblica, a Roma, infatti segna la fine della Monarchia come istituzione politica ma non comporta la fine de li 'idea secondo la quale il potere è concesso da Giove il cui volere si manifesta negli auspicia d ' investitura.
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S ingolare figura quella di G iano che, pur essendo nel culto ufficiale inferiore alla maestà d i G iove, ha comunque la prerogativa su tutti gli inizi, sia che essi ri guard ino il rito sia che si riferiscano alla vita sociale. Cicerone afferma che a G iano è dovuta la prima offerta, a Vesta l ' u ltima: "Dal momento che questi due dèi pos siedono il supremo potere (uim) sugli in izi e la conclusione di ogn i opera [gli ante nati] vollero che ad essi fossero dedicate le prime offerte e le u ltime e che Giano fosse il primo a riceverle. l l potere d i Vesta, invece, riguarda gli altari ed i fuochi del sacrificio ed è per questo che a questa dea, custode delle cose segrete (intimarum), viene dedicata ogni u ltima invocazione ed offerta"67• S. Agostino, riportando il pensiero di Varrone, chiarisce il diritto del dio a pre siedere gli inizi e dice che a G iano spettano le prima delle offerte e a G iove le sum "" ma . G iano ha il potere su tutti gli inizi: omnium initiorum potestatem•• ; potesta
tem primordiorum10 •
G i ano è menzionato in arcaiche formule, come in quella della deuotio, de lla consacrazione che i l guerriero faceva d i se stesso come vittima propiziatoria d i sal vezza per Roma e per i l suo eserc ito. Nella formula della deuotio G iano è invocato per primo, segu ito da Giove, da Marte e da Quirino gli dèi preposti alle tre funzion i " social i : "lane, Iupiter, Mars pater, Quirine" . In omaggio alla funzione di iniziatore propria a Giano, nelle formule liturgi che, come accade nel canto dei Salii, i versi ianuli sono posti prima degli ionii, dei iunonii e dei mineruin . Nellapraefatio dei due ritual i agrari i riportati da Catone appare al primo po sto Ianus: "«Giano padre, offrendoti questa strues io ti prego mediante buone pre gh iere d ' essere benevolo nei confronti della mia persona, dei miei li berti, della m ia casa e della mia famiglia>>"71 • In un rituale dei Frate l l i Arvali Giano si trova a l l ' inizio insign ito del nome di pater, seguito da Giove. La l ista term ina con l ' invocazione d i Vesta. Giano fu anche posto in relazione con la creazione degl i dèi e del l 'universo. Ciò avvenne probabi lmente in concomitanza con la d iffusione dei m iti cosmogoni ci greci nella cultura d i Roma, ma per sua propria natura il dio appare comunque in dipendente dagli altri dèi e ad essi precedente. A questo riguardo fu detto princi pium deorum14 • Un carme dei Sal i i sembra addirittura averlo invocato con l'epiteto di "creatore benefico"". 1.1.
Giano e il suolo di Roma
Il dio ebbe a Roma un colle a lui consacrato, il G ianicolo (laniculum), posto a barriera difensiva della città, il quale prende nome da Giano. Ai piedi del Gianico lo, forse in omaggio alla regalità d ivina delle origini, il pio re Numa vo lle essere se polto assieme ai libri sacri da lui redatti . Sopra i l colle c h e porta i l suo nome i l d io si erge minaccioso, in arm i, ed appa re ad Annibale che, dopo la disfatta romana di Canne, aveva osato spingersi alla te sta dei suoi caval ieri fino alle porte di Roma. Assieme a G iano, tutti gli altri dèi protettori del l ' U rbe sorgono dai loro col l i a dife sa di Roma. In questo passo di S i lio l tal i co Giunone esorta Ann ibale a rendersi conto che, anche se la v ittoria fino a quel momento gli ha arriso, gli è comunque im-
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possibile conquistare Roma perché questa è protetta dai suoi dèi tutelari e, soprat tutto, da Giove ritratto, nel brano di S i i io che qui riportiamo, come il mass i mo ga rante e tutore della aeternitas dell'Urbe: "Non hai a che far con un frigio colono o laurentino; ecco, vieni (per un istante i l velo alzerò dai tuoi occhi, ti concederò di vedere interamente le cose). Vedi là dove alta s' innalza nell ' acre la cima del colle che Evandro chiamò Palatino, colui che lo tiene, dalla faretra colma e crosciante, che tende l ' arco e s ' appresta alla pugna: egli è Apollo. E là dove, superando i co l l i vicini, del l ' Aventino alta s ' erge la mole, non vedi come di Latona la figlia squassa le faci ch' accese nei gorghi del Flegetonte, e come avida di guerra ha nudato le braccia? Dall ' altra parte vedi come Marte Gradivo crudele con l ' arm i intero occupa il campo che da lui trae i l nome? Qui G iano brandisce le arm i e colà le brandisce Quirino, ogn i dio sul suo colle. E guarda frattanto quant'è immane mentre l ' egida scuote che fuoco vom ita e nembi, Giove e con quali fiamme, furioso, l ' ira sua pasca. Gira lo sguardo! osa, Annibale, fissare il Tonante: qual i tempeste guarda, che tuoni possenti accompagnano il gesto mentre scuote la testa ! E nei suoi occhi qual fuoco vi folgori !
Arrenditi dunque agl i dèi, la titanica lotta abbandona."
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La tradizione, fissando le sed i di Satumo e di G iano rispettivamente sul Mons Saturnius, poi Campidoglio e sul Ùian icolo delim ita i confini di uno spazio geo grafico ed ideale che è il medesimo che, un giorno lontano, sarà incluso nel pome rio di Roma. Ma, proprio per questo, la trad izione ribad isce la fede in una continui tà ideale tra la monarchia divina delle origini e la presenza d i Roma nella storia. Ancora una volta, storia e metastoria si sovrappongono su llo scenario della v icen da terrena d i Roma: il m ito si fa storia e la storia conferma, nei fatti degli uom ini fe deli al mos maiorum, il ruolo fondante e l ' atemporale validità del m ito. 1 .2.
Giano e le porte
Giano, nella religione romana, rappresenta, essenzialmente, i l dio che presie de ai passaggi ed agli inizi. Proprio nell'etimologia del nome è impl icito il senso di "passaggio" in quanto Ianus deriva dalla rad ice indoeuropea * YA- la quale espri me, appunto, l ' idea di "passaggio", come nel latino ianua, "porta" e nel l ' irlandese àth (da • YA- TU "guado")77• Nello spazio in cui si svolge la vita della fam iglia e della società G iano è pre sente a l i' entrata delle case come ianitor; custode e protettore delle porte - sia que l le domestiche che le porte del l 'Urbe - e, sempre in relazione alle porte, possiede il
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doppio nome di Patu/cius, da patire, "stare aperto" e di Clusius, da c/audere, "ch iudere"". Essendo lo spazio delle porte consacrato al dio, egli si trova altresì in relazione con tutti gli archi e le porte della città di Roma, specialmente con la porta del l ' Arce Capitolina, fin dai primordi della città"'. La stessa struttura del tempio di Giano ripete quella di un corridoio desinente ad ognuna delle estrem ità con un arco mun ito di porte. Per questa sua caratteristica di protettore dei passaggi, punti deboli nella cinta muraria, il dio è custos del l ' Urbe ma è anche protettore di ogn i "passaggio" inteso come in izio, punto critico d i ogn i creazione e di ogni opera. Dietro il silenzio delle fonti scritte, s ' indiv idua la sua sacra presenza che sovraintende, invisibile, ali ' alba fatidica in cui ebbero inizio i riti augurali celebrati da Rom o lo e presiede al primo suss ulto d eli 'aratro nel momento in cui i l fondatore tracciò i l solco prim igenio. • • 1 .3 .
Giano, il ciclo del/ 'anno e Giunone
Nel ciclo d iurno G iano presiede agli inizi, quindi al mattino e per questo Ora zio lo chiama "padre mattutino''" ' . Da altri autori latin i fu assim i lato al Sole: "Cer tun i vogl iono dimostrare che G iano è il Sole e per questo è gemino in quanto signo re delle due porte celesti: sorgendo apre il giorno, tramontando lo chiude''"1• G i ano presiedeva all'apertura d i tutti i mesi del l ' anno, quindi alle calende che gli furono consacrate. In quell'occasione riceveva un'offerta speciale di un dolce detto ianual, la ricetta del quale è tramandata da Ovidio81• Nel l ' anno Giano presie de, con speciale solennità, a l l ' inizio, al mese detto dal suo nome lanuarius. Ma gennaio, oltre ad essere inizio, è anche punto d i passaggio, ianua, da un ciclo ad un altro: dal punto d i vista della liturgia romana i l ciclo annuale precedente si chiude sotto i l segno di Satumo confluendo nel nuovo sotto i l segno d i G iano. "Numa chiamò il primo dei due mesi Gennaio e ne fece i l primo mese dell ' anno in q uanto mese del dio bifronte che guarda a l l ' indietro e in avanti, verso la fine del l ' anno tra scorso e l ' inizio del nuovo'"". La prima festa annuale, l ' agonium, è consacrata a G iano. Assieme a Giano, a l l ' inizio d ' ogni mese, si trova associata, significativamente, G iunone per la sua prerogativa di tutelatrice delle nascite. La coppia G iano-G iunone svolge una dupli ce funzione in un dupl ice ambito: Giano ha in custod ia l ' inizio invisibile e la tutela sugli in izi, cioè sul momento in cui avv iene i l passaggio dallo stato pre-formale al mondo delle forme; Giunone, in quanto Lucina, tutela invece la nascita visibi le, la manifestazione nella sfera biologica. S i deve a S. Agostino questa preziosa precisazione circa i l ruolo svolto da Giano nella procreazione: "Giano, al momento del concepimento, apre all ' accogl imento del seme. Per lo stesso motivo è presente Satumo"15• Si noti, an che in questo caso, la funzione di ianitor, propria a Giano, in questo caso volta a fa vorire l ' in izio della fecondazione vegliando sulla ianua attraverso la quale i l seme raggiunge l ' utero. La fecondazione in sé e lo svi luppo del feto esula dai compiti di Giano e rientra in que l l i d i Giunone. Si noti altresì come Agostino pone a fianco a Giano S atumo, evidentemente in quanto, in senso lato, dio preposto ai "semi" ed alla "sem ina".
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Ancora una volta il simbol ismo gioca su lla funzione complementaria svolta da ognuna delle due divin ità, rispettivamente da Giano e da G iunone : immanifesto l man i festo; invisibile l visibile; potenza l atto. Per essere stato assoc iato a Giunone in occasione delle calende dalla l iturgia Giano fu anche detto lunonius: "Nei riti siamo soliti invocare «Giano Gem ino, Giano Padre, G iano Giunonio, Giano Consivio, Giano Quirino, G iano Apritore e Chiud itore». «Giunonio» perché Giano presiede non solo al mese di Gennaio ma a l l ' ingresso d i ognuno dei mesi mentre le calende sono sotto la tutela d i Giunone, per cui Varro ne nel, l ibro quinto delle Rerum Diuinarum scrive che a G iano sono dedicati dodici altari, uno per ognuno dei mesi"86 • La relazione Giano-Giunone permetterà di chiarire il senso di altre due signi ficative relazion i : quella d i G iano con Saturno nel m ito del l ' età del l ' oro romano e quella di G iano con Vesta nelle formule l iturgiche in cui Giano è invocato a l l ' inizio e Vesta a l l' u ltimo. 1 .4 .
Giano e Saturno
Nel simbol ismo astronom ico i due volti di Giano possono essere posti in re la zione coi due punti solstiziali del l ' anno. A l l ' inverno, stagione in cui la tenebra e i l freddo sembrano aver la meglio s u l l a luce, e d a l solstizio invernale corrisponde il volto d i Giano rivolto verso i l passato, il volto "notturno". Ma è proprio nella cul m inazione del l ' ombra che si prepara la nuova generazione della vita. Saturno, cui è dedicato il mese d i d icembre e i Saturnalia che si celebrano in prossimità della fine del l ' anno, presiede alla fine del ciclo, al ritorno del cosmo al chaos simbo leggiato dallo sparire della vegetazione e dall ' affievolirsi della luce. Ma l ' inverno è anche la stagione sacra a l si lenzio ed al riposo della Madre Terra. Stagione dei poteri germ inativi che nel sottosuolo, d imora di Saturno, prepa rano la nuova fioritura. L' inverno corrisponde, dalla prospettiva del simbolo, al ri tirarsi nel l ' invisibile delle forze divine che agivano man i festamente nel mondo ai tempi d e l i ' età d e li' oro. Stagione non di assenza, dunque, ma di "latenza": stato so speso di invisibile presenza, la presenza di Saturno che, ritiratosi dal mondo visibi le alla fine dell 'età del l ' oro, non scompare dal Latium poiché si occ u lta, "latita" (/atei) nel suo sottosuolo alla fine del ciclo. Conclusasi l 'età del l'oro laziale, nel ciclo successivo, Giove si sostituisce a Saturno spodestando lo per la seconda volta e inaugurando, nella persona di Roma lo, i l tempo della nuova Roma che sorge sul ricordo dell' Antica Saturnia. G iove, nel m i to, aveva regnato neii'Oi impo prima d i Saturno, cacciandolo dal cielo e re gna dopo di questi sulla terra del Lazio ma lo spodestamento di Saturno, insegna i l m ito, non comporta m a i l a cessazione del suo potere bensì il suo occ u ltamento nel l ' invisibile. In questa al legoria l ' occultarsi di Saturno esprime il momento d i passaggio da un ciclo a d u n nuovo ciclo d i cui e g l i rappresenta le potenzialità, d i cui Giano tutela gli inizi e in cui Giove rappresenta la sovran ità ch e governa o gni ciclo. Mentre Saturno, terminata la sua v icenda terrena alla fine del l ' età de li' oro ap parentemente scompare, Giano rimane invece, nella sfera de l i ' invisibi le, a presi e-
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dere agli inizi, ad ogni inizio. Possiamo cogl iere in questo dettaglio del m ito una sottile relazione che permette di ricol legare i l simbol ismo espresso da "Saturno" al volto d i G iano che guarda verso il passato, verso le origini e il non-tempo che pre cede le origin i di tutti i tempi e gli spazi. La relazione Saturno-Giano è interpretabi le in chiave cosmogonica come i l passaggio dal non-tempo, o "tempo religioso" precedente la manifestazione, al tempo scand ito dai ritm i dei cicli universali; come il passaggio dal l ' essere al d ivenire. E se Saturno rappresenta il si lenzio delle Origi ni e della Parola inespressa, la possibilità divina conchiusa in sé stessa, Giano è, nel suo volto d iurno, la manifestazione d i tale occ u lta potenza come impulso del ciclo e norma del suo svolgersi nel regno del tempo. "Saturno" e "Giano" costitu iscono, insomma, due momenti della cosmogo nia, dei cicli della storia di Roma e sono in relazione con due momenti del ciclo li turgi co romano. Dopo Saturno, cui era consacrato il mese di Dicembre, G i ano, nel suo aspetto di Patulcius o "apritore" inaugurava il passaggio al nuovo ciclo. Dopo il regime d i Saturno, G iano Apritore apre la nuova possibil ità d ' essere ed avvia i l nuovo ciclo nel segno della luce che riafferma i l suo dominio sulla notte. I l mese Ianuarius è la porta, ianua, del l ' anno sacerdotale, litu rgico. Da gen naio a marzo si compie la maturazione sotterranea del seme di vita il cui primo ger mogl iare è tutelato da Giano nella sfera de l l ' invisibile e da G iunone nella sfera del visibile. A marzo, inoltre, sotto il dom inio di Marte, quando i l sole entra nel segno d ' A riete, il fuoco divino che presiede ad ogni generazione d iviene visibile nella gloria primaverile. E la terra germogl ia. Il solstizio d'estate è la culm inazione del volto solare di Giano ma, allo stesso tempo il giorno del trionfo del sole segna l ' in izio della lunga parabola discendente della luce verso il regno di Saturno. Al simbo l ismo del volto bifronte s i accompagna, nel l ' iconografia tradiziona le, quello del le chiav i associate alla figura del dio: dopo la chiave di Ianus Patul cius, Ianus Clusius avv ia il ciclo annuale alla sua chiusura. I .5.
Giano e Vesta
Per quanto riguarda la relazione fra Giano e Vesta, menzionati l ' uno agli in izi e l 'altra alla fine delle formule l iturgiche, la stessa disposizione dei nom i delle due divinità permette d ' intuime l ' intima relazione: G iano ha la tutela gli inizi (potestas primordiorum) garantendo sia la sacralità del l ' in izio stesso in quanto conforme a giustizia che la protezione su ciò che sta per avvenire, una protezione limitata al momento fatale in cui c iò che avverrà inizia ad esistere. G iunone, in quanto Lucina e Madre un iversale, estende la sua tutela sulla prima manifestazione del le cose, sulla loro "nascita" biologica, ossia sugli inizi i del ciclo vitale. Vesta, da parte sua, rappresenta i l compimento e, allo stesso tempo l ' inizio: rappresenta i l compimento in quanto mediante i l simbo l o del fuoco perenne i l culto di Vesta esprime l ' idea della continuità e del sacri ficio inteso nel senso pregnante del sacrumfacere, di un agire in conformità con le norme religiose che è fine ulti mo della v isione del mondo propria a Roma. Il sacrificio, infatti, mediante il sim bolismo del l ' arsione, riporta le forme manifestate a loro stato non manifesto, le
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"trasmette" fuori della sfera visibile al mondo degli dèi e del l ' Origine. A l lo stesso tempo, il sacrificio rappresenta l ' inizio perché solamente l ' azione sacrificate che "nutre" gli dèi garantisce la perennità della loro assistenza, assicura l ' impulso spiri tuale che essi danno ad ogn i opera umana perché questa possa fel icemente svilup parsi e giungere a compimento. La relazione fra Giano e il sacrificio, dalla prospettiva cui abbiamo accennato, è magistralmente chiarita da Macrobio: "Quanto al fatto che Giano è invocato per primo nella celebrazione dei sacrifici agl i dèi, questo si fa per ottenere che Giano permetta l ' accesso al dio cui è offerto i l sacrificio, come se fosse Giano a far passare attraverso le sue porte le pregh iere dei supplicanti perché queste raggiungano g l i dèi" 1 7 • Se G i ano "apre" i sacrifici in quanto permette alle preghiere ed al fumo delle offerte d i raggiungere gli dèi cui sono destinate, Vesta, dal canto suo, rappresenta in massimo grado "il" sacrificio in quanto ogni sacrificio compiuto sul suolo d i R o m a è idealmente collegato al sacerdozio di Vesta ed al sale sacro preparato dalle Vesta! i la mola salsa con la quale le vittime devono necessariamente essere asperse prima di essere sacrificate. I l fuoco di Vesta, ''vergine" per natura, non poteva essere usato per ardere corpi d i vittime sacrificat i, eppure era ritenuto a l l ' origine di ogni fuoco sacrificate ed era considerato la forma suprema del sacrificio tanto che la cessazione del culto d i Vesta e lo spegnimento del fuoco sacro erano posti in relazione con la fine stessa di Roma. Nel fuoco di Vesta l ' unica ''vittima" è i l legno tratto da alberi da frutto la cu i ar sione rappresenta i l compimento religioso del l ' opera del l ' uomo: l ' offerta sacrifica le non solo della sua opera ma della sua stessa natura, della sua hyle. Vesta rappresenta l ' in izio anche in un altro senso, in quanto, essendo i l suo tempio il sacrario dei Penati romani, i l suo fuoco esprime la "nascita culturale" o ri-nascita spirituale (religiosa) del l ' uomo romano che, da entità biologica prodotta dal seme della gens che si perpetua nel tempo, passa ad esistere come entità culturale rel igiosamente definita, come ciuis romanus nel solco tracciato dal mos maiorum che dona il significato u ltimo al suo esistere ed al suo agire. I l tempio di Vesta proprio in questo senso, che è que l lo d i una continuità ideale che unisce il presente al passato ed agli inizi, la generazione fisica della stirpe roma na a quella spirituale rappresentata dal mos maiorum, è dedicato ai Penati del Popolo Romano (il primo dei quali è Giano) dei quali costitu isce l 'altare del culto statale.
1. 6. Giano bifronte e il tempio dalla duplice porta I l dupl ice volto di G iano si ricollega da vicino al simbol ismo generale della doppia scure e, in particolare, alla doppia scure che si ergeva al d i sopra d e l l ' arcaico fascio di verghe, come è testimon iato dal fascio di Vetu lonia o che, da sola, costitui va un'arcaica insegna del potere : in entrambi i casi l ' immagine evoca il doppi o pote re del rex prim itivo, rel igioso e pol itico; nella sfera del l ' invisibile ed in que l la del vi sibile. Analogamente, le due ch iavi di Giano e l ' apertura e chiusura delle porte del suo tempio possono esser poste idealmente in relazione con lo scioglimento e i l lega-
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mento della funicella, o del laccio di cuoio che tiene u nite assieme le verghe del fa
SCIO.
Il tempio di Giano posto nel Foro, ripeteva con le sue duplici porte, la peculia rità del d io bifronte e il simbol ismo del l ' apertura e della chiusura delle ianuae deve essere posto in relazione alla duplicità del volto del dio ed al suo s ign ificato. Du rante la guerra le porte restavano aperte, ma venivano richiuse nel tempo d i pace81• La spiegazione proposta da Ovidio nei Fasti secondo la quale esse venivano chiuse per i mprigionare la pace, o per tener rinchiuse le guerre••, sembra piuttosto un ' im magine poetica, comunque lontana dal senso originario della cerimonia con nessa alle porte. O, forse, contiene il ricordo trasfigurato dal l ' i nventiva poetica di un m ito assai arcaico in cui bellum e pax erano entità person ificate, dèmoni o numi uno dei quali, a turno mediante l ' apertura e la chiusura delle ianuae, era ritualmen te i m prigionato, mentre l 'altro veniva lasciato libero d i regnare nel mondo. Il senso metafisico di questa cerimonia così caratteristica e pecul iare, proba bilmente, è da rintracciare svolgendo un' altra considerazione: la guerra rappresen ta sempre l ' alterazione d'un ordine, sia pure in vista del raggiungimento d ' un ordi ne più stabile e duraturo. La guerra comporta sempre dualità e conflitto e, in quanto fatto d ' arm i, avviene nella storia e interessa il mondo del d ivenire, anche se la sua funzione è quella di ripristinare l ' ordine leso, riparare il d iritto deg l i dèi che è stato calpestato. Sul p iano personale, inoltre, la guerra dischiude, mediante la mors triumphalis, l ' accesso del combattente al mondo dei grandi Penati di Roma ed a l l 'eternità della memoria. La guerra rappresenta sempre e comunque un momento d i crisi e d i passag gio : a una cond izione m igl iore, se Giove concede la vittoria, o ad una peggiore se s i è sconfitt i . F inché si protrae la guerra c ' è alternanza di sorti, possibilità di cambia mento, mutazione di condizioni . Durante la guerra, come avvenimento materiale, la dual ità, simboleggiata d a l dupl ice volto del d io, diviene visibile attraverso le porte spalancate. E questa duali tà è anche quella di vita l morte la cui drammatica realtà la guerra rende manifesta. La guerra, insomma, conclude ed inizia un ciclo: per questo, costituendo es senzialmente un significativo momento di passaggio, ricade d i diritto sotto la tutela del Dio dei Passaggi e signore della doppia ch iave. Durante la pace, che è pax augusta, pace "santa e feconda" che gode del la pie nezza del potere concesso da Giove, mediante l ' instaurazione in terra dello ius, l ' ord ine materiale, po litico e spirituale è ormai assicurato, il cambiam ento propi ziato dalla guerra è ormai avvenuto in senso positivo. Giano allora d iv iene invisibi le o, megl io, celando il suo dupl ice aspetto nel segreto del tempio dalle porte sbar rate, agisce a l l ' esterno attraverso l ' azione palese del Fas che si manifesta nella giustizia regnante nel mondo e fra gli uom ini, veglia occu l tamente sul sorgere, su g l i inizi del le azioni e delle cose. In questo senso "Giano" pacifico, occu lto nel si lenzio del suo tempio, coinci d e idealmente con "Satumo" nascosto nel sottosuolo laziale. Non v'è realmente d i scordanza tra le fonti che pongono Satumo come primo re del Latium "" e quel le che attribuiscono questa funzione a Giano: questi cond ivide il regno con Satumo, i due
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dèi appaiono come due aspetti complementari di una medesima d ivin ità suprema ossia, si è portati ad affermare, Saturno rappresenta uno dei volti d i G iano. V'è una profonda e sign ificativa connessione tra Saturno e Giano, nel segno della continua zione non solo della vita del la stirpe ma soprattutto dei principi i di una superiore saggezza, dettati da una Parola che Roma fa sua e perpetua nella sua tradizione: nel
mos maiorum.
Il simbolo delle duplici porte del tempio di Giano e quel lo della loro apertura e chiusura è perfettamente comparabile, in quanto a significato e funzione del rito, a l l ' azione compiuta dal littore consistente nello slegare e nel legare i l fascio. Quando le verghe sono strette attorno al loro asse centrale, la verga del fascio recante la scure rimane occulta, così come l ' immagine d i G iano è occulta nel tem pio quando le porte restano serrate. Quando i l fascio viene slegato, e ciò avviene unicamente per esercitare la giu stizia, l ' asse che prima era nascosto, o comunque inattivo, si mostra per colpire. A Ilo stesso modo, quando la guerra viene dichiarata e le porte del tempio spa lancate, ciò che Roma aspetta dal l ' azione m i l itare intrapresa dai suoi milites è la ri parazione del l ' ord ine leso o decaduto. Quando le porte del tempio sono aperte, cosa che avviene unicamente in tempo di guerra, l ' immagine d i G iano altrimenti occulta diviene visibile significando che il potere del Fas si manifesta tramite l ' appl icazione del rigore della giustizia che è trionfo dello ius e motivazione ideale del bellum iustum. In altre parole: l ' asse del fascio, che è anche manico del l ' ascia vittimatrice, si mostra solo per essere impugnato e per colpire, proprio come Giano si mostra attra verso le porte spalancate del suo tempio, nella sua immagine e nelle armi d e l i ' esercito romano schierato a battaglia, s o l o quando Roma intraprende la guerra per colpire i nem ici. Ma il dio si nasconde quando "la pace è stata partorita dalle v it torie" (pax parta uictoriis) secondo l ' efficace espressione augustea del concetto romano di "pace". Ma proprio tenendo presente la concezione originaria romana di "bellum iu stum" può cogl iers i un'altra profonda analogia fra il volto visibile di Giano e lo ius di cui la guerra (almeno idealmente) rappresenta l 'affermazione, nonchè l ' analogia esistente tra i l volto invisibile di Giano, rivolto verso l ' Origine ed il Fas, la parola divina inespressa, il volere degli dèi di cui lo ius è manifestazione. Qu est'ultima considerazione, per la stretta analogia dei simboli, è particolarmente im portante e sign ificativa. Il dupl ice volto di Giano guarda verso il passato e verso il futuro, verso il m ito e verso la storia ma da una posizione "centrale" che trascende la condizione tem po rale e d è partecipe, pertanto, della visione simu ltanea del l ' eterno presente. Visione "dal centro" e nel centro che coincide con la pienezza de l l ' Essere e con l ' abol izione di ogni dual ità. Questo simbol ismo si presta, per la sua valenza, ad e s sere appl icato alla caratteristica spirituale del rex delle origini veggente e profeta, capace di trascendere l ' ambito dello spazio e del tem po ord inari per attingere i l passato e i l futuro. U n ' u ltima considerazione chiude questi scarn i appunti: Giano, tra i simboli che possono essergli attribuiti rappresenta anche l ' archetipo del rex-sacerdos. In
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quanto primo re del Latium egli è anche il primo pontefice della terra nella quale giace occulto i l dio del l ' età del l ' oro e dalla quale fiorì, come un nuovo germoglio posto sotto la tutela di G iano, i l nuovo ciclo concesso da G iove a Roma ed alla ma nife stazione della visione del mondo che Roma rappresenta: l ' ultima, in ord ine d i tem po, propriamente "occidentale". Nella Saturnia Tellus, cosi chiamata in quan to in essa si nascose Satumo e, nel Latium, indicante il suolo consacrato sede del la tra dizione romana, giacciono occulti i "sem i" simboleggiati dalla latenza di Satumo: possi b i l ità d 'essere, soprattutto spirituali, implicite nel mandato d ivino d i cui Roma s i sentì investita. 1 .7.
Giano e la veggenza del re
Macrobio interpreta la caratteristica bifronte di Giano come espressione della prerogativa del d io nella sua funzione di archetipo regale. Questa prerogativa, però, era la medesima del rex arcaico il cui carisma, come vedremo, comprendeva il potere della veggenza, ossia la capacità d i superare la d imensione del tempo sto rico per attingere il passato o il futuro. Il seguente passo di Macrobio costitu isce certamente un documento prezioso riguardante il concetto di auctoritas e di imperium riferito alla sfera della sapienza: "Si d ice che Giano avesse due volti che gli permettevano di vedere davanti e d i die tro, ma senza dubbio questa credenza è riferita alla saggezza (prudentiam) ed all ' abil ità (sollertiam) del re che conosceva il passato (praeterita nosset) e preve deva il futuro ifutura prospiceret)"9 1 • D i quale re? Certamente di Giano, archetipo della regalità ma anche di tutti i re che, almeno fino a Numa, gli succedettero sul su olo del Lazio. I l tema della veggenza attribu ita al sovrano arcaico si presenta a una serie di notevoli comparazioni in ambito indoeuropeo la cui esposizione non è prevista nel l ' economia di questo lavoro. Ci lim iteremo ad accennare ad una figura divina dai tratti notevolmente arcaici, d io-mago, d io-sciamano della antica m itologia ger manica: Odhinn. In un precedente saggio abbiamo esam inato il tema della regal ità divina nei m iti del Nord e, in questo ambito, abbiamo trattato della figura di Òdhinn91• Come Giano e Satumo, anche Odhinn svolge la sua funzione d i "eroe cultura le" rivelando le arti che in seguito gli uom ini hanno praticato: il dio insegna l ' arte della poesia (lj6dh) agli scaldi, l ' arte dei canti magici (galdrar) ai sacerdo ti-indovini ai quali rivela anche i segreti delle rune; rivela le norme rituali che ga rantiscono il corretto rapporto fra uom ini e dèi; insegna le norme della pietà verso i defunti e gli antenati. Nella sua persona e nella sua funzione di archetipo regale si assommano i l ca rattere del mago possente ed invincibile, conoscitore di incantesimi e del l ' arte del la metamorfosi, signore dei segreti del "viaggio" sciamanico fra i vari l ivel l i del co smo che egli raggiunge cavalcando il suo magico destriero Slepinir. Odhinn è "preveggente e conoscitore di magie", le sue parole spengono il fuoco, calmano i marosi, mutano il soffiare del vento, ridestano i morti coi quali egli conversa per conoscere il futuro.
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Ma Odhinn è anche un mago-guerriero, instancabile e dotato di un arcano po tere che lega l ' avversario propiziando la vittoria: uno dei suoi teonim i , infatti , è Herrjjoturr, "Laccio d ' eserciti", nome che qualifica anche l 'obliqua, magica natu
ra del suo potere (kraptr) che egli esercita gettando la sua lancia al disopra delle schiere nemiche le quali , pur senza essere trafitte da quella lancia, restano avvinte, "legate". Come Giove latino nella sua funzione di Juppiter Jlìctor, Òdhinn è detto Sig fodhr: "Padre della vittoria" e Sigrsa!ell, "Fecondo di vittoria". Egli è signore del l' odhr, i l divino furore (da cui il dio deriva il nome) che si manifesta come ispira zione nel poeta, come èmpito e furore nel guerriero e, in specie, nei guerrieri a lui consacrati : i "lupi mann ari " (uifedhnar) e i "veste d ' orso" (berserkir) che tramuta vano il loro sembiante e la loro forza in que l la del lupo e del l ' orso. Il furore è la ma nifestazione del potere del dio: l , odhr è la manife stazione del kraptr. I sovrani umani possiedono un carisma donato loro dal dio: ga!efa o het/1 che si traduce come "fortuna" e "felicità l prosperi tà / salute" . I capi comunicano al loro popolo ed al la loro terra la lorofortuna e lafolicitas che si traducono nel dono della salute, della prosperità, d eli ' abbondanza, della vittoria . Odhinn è, inoltre, signore d e i Vati e d e i poeti , Vate egli stesso, rubò a i giganti il sacro idromele dopo essersi metamorfosato in serpente ed in aquila e lo trasse nella Valhòll perché gli dèi e i prescelti caduti in battaglia ne bevano per semp re . Ma n e l paradiso germanico giungono, d a vivi, anche i grandi fra i poeti, que lli che abbiano appreso l ' arte di volare fino al cielo per bere dalla coppa del dio un sorso della divina bevanda: i vati che, sul l ' e sempio del dio-Vate, sanno trascendere le barriere dello spazio e del tempo che imprigionano gli uomini nei meandri della mente e nelle spire della storia. Odhinn, inoltre , è supremo legislatore e rivela agli uomini le leggi che per mettono loro di vivere in società, di rispettare i vincoli famigl iari, i patti e i giura menti , che tutelano il diritto di proprietà: il primo capitolo della Ynglinga Saga è in teramente dedicato al rapporto fra il dio supremo dei germani e il diritto.
B. l
RE
DIVINI DELLE ORlGINI E IL CARlSMA DELLA VEGGENZA
Questo argomento, di estremo interesse per la conoscenza del concetto roma no arcaico di "regalità", permette una feconda comparazione con miti s im i l i con cementi la regalità divina presso altre culture del l ' area indoeuropea. Per questo meriterebbe di essere trattato in un ' opera dedicata esclusivamente al l ' esame dei miti concernenti il potere spirituale del rex delle origini . In questa sede, ovviamen
te, dovremo limitarci a trattare il tema che riguarda il carisma della veggenza del rex solo nelle sue l inee essenziali .
l . PICUS, FIGLIO DI SATURNO Il mito di Pico, antico re del Lazio e degli Aborigeni che da lui presero il nome di Latini, lo fa figlio di Stercu/us, o Sterces, ossia del "letamaio". Questa ascenden za sembrerebbe, in apparenza, poco appropriata ad un re divino se tale nome non
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fosse uno dei teonimi di Satumo usato per esprimere la sua funzione di rigeneratore dei sem i e della vegetazione e per ricordare una delle attività essenziali per l 'agricoltura, attività insegnata dal dio agli Aborigeni: la concimazione del terreno. Ad e l i m inare ogni dubbio su questa identificazione anche Ovidio, oltre a Virgi lio, chiama P ico "prole d i Satumo"93 • Macrobio afferma che: "l Roman i chiamano Satumo anche Stercul io perché questi per primo donò fertilità ai campi mediante lo sterco"94• S. Agostino riporta la tradizione secondo cui Satumo regnò in Italia prima d i suo fi g l i o P ico e precisa: "Potrebbero pensare però ( . . . ) che i l padre d i Pico s i a stato piuttosto Sterce, un abil issimo agricoltore che avrebbe scoperto il m odo di fecon dare i campi con il letame degli animali, chiamato sterco dal suo nome; altri sosten gono che si chiamasse Stercuzio (Stercutius). Comunque, quale sia l ' origine del nome d i Satumo, certamente fecero a buon diritto dio del l ' agricoltura questo Ster ce o Stercuzio. In modo sim i le accolsero nel novero degl i dèi anche suo figlio Pico, che secondo loro sarebbe stato un i l lustre indovino e combattente. Pico generò Fa uno, secondo re d i Laurento; anch 'egli è, o è stato una divinità per loro"95• Dopo aver riferito ai pri sch i re l aziali l ' origine e l ' uso del le insegne regali, Virgilio passa a descrivere le effigi degli avi scolpite nel l ' antico legno d i cedro96, racco lte nella Reggia di re Latino. Fra queste antiche immagini, oltre a quella d i G iano e d i Satumo, v i è l ' immagine d i Pico, padre d i Fauno e nonno d i Latino, lo stesso che la maga Circe trasformò in picch io: " . . . colta da brama nuziale, Circe percosso l ' avea con l ' aurea sua verga
e, coi filtri mutato, l ' avea reso un uccello 97 cui soffuse di colore le ali."
L' immagine del primo re del Lazio succeduto a Satumo era conservata, se condo Virgil io, nella Reggia di Latino fra i ritratti (imagines) dei suoi antenati rega li e cosi viene descritta: " ... Pico, domator di cavalli col lituo quirinale sedeva succinto dalla breve trabea e nella s inistra recava un ancile."
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Pico ebbe come sposa Canente, figlia del dio Giano e della ninfa Venilia. I l mito narra che un giorno, durante u n a battuta di caccia, venne concupito dalla maga C i rce ma Pico rifiutò i l suo amore d ichiarando la sua fedeltà a Canente. Cir ce, al lora, folle d ' amore e di rabbia, ferita dal disprezzo del g iovane, med iante ar cani incantesimi suscitò la forma-fantasma di un cinghiale. Pico, ignaro, segu ì la bestia incantata spronando il suo cavallo nel folto del bosco dove la terribile arte della maga lo mutò in un picchio99• Secondo Ovidio, Pico era rappresentato nelle raffigurazioni scultoree come un giovane sulla cui testa era posato un picchio. Secondo altre fonti, Pico era così chiamato dal picchio verde che portava con sé e che era dotato d i potere oracola-
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re 100• Sappiamo inoltre che Pico era col legato a l i ' oracolo di Ti ora Matiena dove un p icch io, animale sacro a Marte, vaticinava dal l 'alto di un palo 1 0 1 • Isidoro di S iviglia documenta la tradizione secondo la quale "Il picchi o fu così chiamato da P icus, figlio di Satumo, perché di quel l ' uccello si servivano per prendere gli auspici i . Riferiscono infatti che questo uccello ha in sé qualcosa d i d i v ino ed è prova di ciò il fatto che, qualsiasi sia l ' abero in cui il picchio n id ifica, se v i s i pianta u n chiodo o si infigge qualche altra cosa, non vi può restare a lungo poiché presto cade. Questo è i l picchio Marzio" 1 02• Come il nome della sposa di suo figlio Fauno, Fatua, anche quello della sposa d i Pico, C anente (Canens), si riporta esplicitamente alla sfera mantica-oracolare in quanto deriva dal verbo canere che significa "cantare" ma è usato anche per signi ficare la recitazione d i carm i magici, o incantamenti. Anche i l nome Picus contie ne in sé un riferimento alla scienza mantica ed oracolare in quanto il p icchio mar zio, si è visto, era considerato per eccel lenza uccello augurale ed oracolare. Questo riferimento simbolico doveva risultare molto fam igl iare ai Roman i data la loro di mestichezza col m ito. "Pico è, già, nel nome, immagine del l ' arcaica connessione fra rex e auguri (il «picch io» è uccello augurale) ( . . . ) la saga d i Picus rex si è form ata ( . . . ) perché si è attribuito un carattere magico e augurale ali 'arcaica regalità latina, e per questa ragione il dio del «picch io» fu abbassato ad eroe" 101 • L a tradizione romana, inoltre, conosce un'altra figura mitica appartenente a l mondo pre-romuleo la quale possiede un nome derivato anch ' esso d a l verbo cane re e, più esattamente, dalla parola che designava il "carme magico": carmen, da una forma arcaica *canmen. Si tratta di Carmen/a, sposa dell' arcade Evandro ac colto sul Palatino dal re Fauno, secondo la tradizione, sessanta anni prima della guerra di Troia. Secondo altre fonti, la promessa sposa di Pico fu Pomona la quale: "dea dei frutti, amò Pico ed era stata designata sua sposa perché egli ricambiava i l suo amo re. In seguito, Circe, innamoratasi di Pico ma da questi essendo stata disprezzata, irata lo tramutò nel Picchio Marzio ( . . . ) A tal punto giunge la fantasia, perché egli fu augure e nella sua casa aveva un picchio attraverso i l quale conosceva le cose fu ture: questo dicono i libri pontifica t i . I l poeta, nei versi precedenti, gli attribui giu stamente il l ituo che è proprio deg l i auguri poiché l 'ancile e la trabea sono comu ni al sacerdote d i Giove e a quello d i Marte" ">'. Si noti come la funzione augurale pro pria ai re roman i venga esplicitamente riferita al re delle origini. Non è privo di interesse, pur senza soffermarci sul tema, notare come, nel la descrizione della statua di Pico fatta da Virg i l io e commentata da Servio, siano pre senti tre d ivin ità simboleggiate da tre insegne: Giove dal l ' ancile, Marte dalla tra bea (che è anche quella indossata dal l ' augure), Quirino il cui nome è associato al l i tuo così chiamato in quanto più tardi passò in mano di Romolo Quirino. S i tratta di tre divinità affatto casuali essendo le medesime che presiedono alle tre funzioni della società romana e che costitu iscono l a primitiva triade romana anteriore all ' i ntroduzione della triade cap itol ina, com posta da Giove, Giunone e Minerva, la cui origine è etrusca. Giove, Marte e Quirino presiedono anche al l 'esercizio del la rega lità che si espl ica nelle tre funzioni principali del sacerdozio, che garantisce la pax deorum; del comando in guerra che comporta la propiziazione del l a vittoria ed,
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inoltre, il potere del rex si estende anche sulla sfera della produzione garantendo la ferti lità della terra, la fecond ità degli animali e la continuità biologica della stirpe. l .a. Il canto magico e oracolare: Canens, Carmen/a, le Camene Per intendere il carattere e la funzione di queste due figure m itiche, delle qua l i q u i c i interessa soprattutto Canens per la sua relazione con Pico, e prima di prose guire trattando l ' argomento della veggenza regale, non sarà inutile passare breve mente in rassegna alcuni vocabol i latini, direttamente relazionati al mondo della mantica e della magia, formati sulla rad ice verbale can-. Di Carmenta Plutarco scrive: "Altri dicono che era la sposa del l ' arcade Evan dro, che aveva il dono della divinazione (mantilcen) e che, ispirata da A po l lo, prof ferisse oracoli in versi (emmétron chresmon genouménen) da cui l ' epiteto di Car menta perché i Romani chiamavano carmina i versi, ma il suo vero nome era Nikostratt'''". E Dionigi d' A l icamasso di essa dice: "questa donna, còlta dallo spi rito divino, presagiva le cose future rivelandole col canto alle genti"",.. " Sotto i l regno di Fauno, circa sessant'anni prima che Enea giungesse in Ita l ia, l 'arcade Evandro, figlio di Mercurio e del la ninfa Carmenta, arr i vò in quel luo go (su l Palatino) assieme alla madre. Di costei alcuni tramandano il ricordo del nome originario N ikostrate, poi divenuto Carmenta dai carm i , poiché era espertis sima in ogni genere di lettere e, conoscitrice del futuro (futurorumque prudens), era solita rivelare g li oracoli in versi" 107 • Ed ancora Servio: "La madre di Evandro, chiamata Nikostrate, fu chiamata dai suoi Carmentis perché mediante la divinazione cantava i fati : infatti anticamen te i vati erano detti carmen/es"'"". Carmenta era detta Postuerta, "Che guarda indietro" e Prorsa, "Che guarda avanti" ed era venerata dalle donne romane come protettrice dei parti 1 09• In questo senso, il primo nome si riferiva al parto che avven iva in posizione normale, con la testa in avanti, il secondo si riferiva al temuto parto podal ico per scongiurare il qua le le donne invocavano la dea specialmente in occasione delle sue feste (Carmen/a lia). Servio tramanda gli appel lativi Anteuorta e Postuorta, variazioni dei prece denti 1 1 0 È probabi le, però, che l 'originaria funzione dei due nom i si riferisse non al parto ma alla capacità m antica riferita a Carmenta in virtù della quale la profetessa madre di Evandro poteva spaziare nel futuro, "guardando verso ciò che verrà dopo" (Postuorta l Postuerla) e nel passato "guardando verso ciò che è stato pri ma" (Anteuorta l Prorsa). Sembra, insomma, accaduto per Carmenta lo stesso che successe per Egeria la quale da ninfa ispiratrice d ivenne, in virtù del nome, protet trice del parto. Macrobio, invece, interpretando i due appel lativi come riferiti al po tere della veggenza ritiene che le due figure divine di Anteuorta e Postuorla "sono intimamente connesse con la natura divina" " ' . Per quanto riguarda l e Camene, nel l ' arcaica mitologia romana esse sono nin fe custodi delle fonti cui era consacrato un bosco nei pressi di Porta Capena. La più nota d i esse è certamente Egeria, ispiratrice di Numa. Anche i l loro nome è fatto de rivare, da Verrio Fiacco, da carmen, il canto oracolare e magico: "Le Muse Came nae sono chiamate così dai canti (a carminibus), sia perchè cantano le lodi degli an tichi, sia perchè sono le custod i del la mente pura (castae mentis praesides)" 1 12• I l •
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nome antico, secondo Verrio, era Casmenae: "Gli antichi, infatti, interponevano la lettera S e dicevano Casmenae invece d i Camenae"1 11• S i noti, a proposito del passo d i Verrio prima citato, la giustapposizione, appa rentemente incongruente, della funzione oracolare delle ninfe Camene e della loro funzione di "custodi della mente pura". Si tratta, secondo noi, non d i u n ' incongruenza ma di una precisa relazione funzionale espressa d a una prospetti va "tecnica" riguardante l ' arte della m antica: l 'affiorare della Parola profetica nel la coscienza solo è possibile in uno stato d i decond izionamento della mente sia dal pensiero profano che dalla sfera della passionalità, uno stato espresso in Verrio dal termine allegorico castus. La purificazione della mente, come possiamo evincere dalle fonti riguardanti Numa, comprendeva tecniche ascetiche quali la solitudine, il si lenzio, la frequentazione d i luoghi sacri. A l l ' osservanza d i queste regole, è ra gionevole supporre, doveva accompagnarsi, durante certi periodi propedeutici al vaticinio, la sol itudine, i l digiuno, o perlomeno l ' astensione da certi cibi (forse dal la carne e dal vino) e dal sesso. In questo stato di castitas avviene il ricongiungi mento con la Parola, col Fas, ricongiungimento espresso nel m ito dalle "nozze" dei re delle origini con potenze numinose femminili qual i Canente, Fatua, Carmenta, Egeria. S i tratta di un matrimonio sacro, uno hier6s gamos, che coinvolge due po tenze, o stati dell' essere della stessa persona: lo spirito (espresso nel simbolismo dalla figura masch i le del re) e la sfera psichica ( l ' anima e la mente, espressa nel simbol ismo dal la figura femminile del la ninfa) 1 14• Il verbo cano - canere significa "cantare" ma anche "vaticinare", "predire"us e si usa per riferirsi alla recitazione d i formule magiche ossia, propriamente, d i " in cantes im i", gli stessi che, secondo Ovidio, hanno il potere di far discendere la luna dal cielo: "Orione la cui madre Micale, era noto,
spesso avea tratto dal cielo col magico canto
le corna della luna ritrosa" 1 1 6
Cano entra a formar parte d i composti appartenenti al lessico oracolare come uaticinor -"profetizzo", "vaticino" da uates + cano-, uaticinium che significa "pre dizione", "oracolo" e uaticinator che designa il "profeta", ! "'oracolo". Canto - cantare significa, simi lmente al precedente, "cantare" ma anche
"pronunc iare incantesim i", "recitare formule magiche" 1 1 7 • Cantus si traduce con "suono", "canto" ma s i usa anche p e r riferirsi a l l a paro la dei vati, ossia al "vaticinio" ed alla "predizione": "ueridicus cantus" è il "vatici nio che non mente" 1 11• Allo stesso tempo, cantus è anche la "formula" magica e l ' "incantesimo": "Forse c o n formule magiche, forse con malefiche erbe ti consacrò una vecchia nelle silenti ore notturne?
Gli incantesim i (cantus) sottraggono le messi ai campi del vicino "e arrestano i l cam m ino del l ' irato serpente.
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G l i incantesi m i tentano di trarre giù dal carro la Luna 1 19 e lo farebbero, senza il fragore dei bronzi percoss i . "
Cantio significa "canto" e "canzone" ma designa, a l lo stesso tempo, ( ' " incan
tesimo".
Incantare vuoi dire, alla lettera, "cantare contro (in-)" qualcuno ed è usato in riferimento alla recitazione cantata d i formule magiche (carmina) recitate ai danni di un nem ico, dunque ad operazioni magico-stregoniche. G l i effetti d i tal i pratiche e formule, definite carmina ma/a, erano ritenuti efficaci e molto temuti cosicché le operazioni stregoniche, fin dalle origini della Repubbl ica romana, vengono con temp late dalle Leggi delle XII Tavole che prevedono castighi contro il colpevole d i incantesimi ai danni di qualcuno: "E che, non sono parole delle stesse Leggi delle Dodici Tavole: «Chi avrà gettato incantesimo sulle messi (qui fruges excantas sit)», ed altrove «Chi avrà pronunc iato una maledizione (qui carmen ma/um incan tass il)»?'' 120 lncantatus significa "consacrato per mezzo di incantesimo" (cantus) ed an che "legato med iante la recitazione di una formu la magica" 1 2 1 la quale è detta in cantamentum. Excantare, a differenza di incantare ma pur nel medesimo ambito concettuale
riguardante la magia, è usato in riferimento a quelle speciali operazioni nelle quali il risultato che ci si attende non è la proiezione diretta, "contagiosa", del danno o maleficio contro qualcuno o qualcosa, ma è quello di far sì che i beni appartenenti ad un altro gli siano sottratti e passino a far parte dei possed imenti del l ' incantatore, o di chi ha sollecitato l 'opera del l ' incantantore : nelle Leggi delle XII Tavole l ' espressione ''fruges excantare" significa "attrarre magicamente nel proprio cam po il prodotto del l ' altru i campo" 1 22•
2 . F AUNUS
l FATUUS E FAUNA l FATUA
"Dopo P ico regnò in Italia Fauno che ritengono derivi il nome dalle sue rive lazioni oracolari (afando) poiché egli era sol ito pred ire cantando (praecinere) i l futuro c o i versi che diciamo Satu m i . Questo tipo di metro fu usato per la prima vol ta a S aturnia per rivelare i detti oracolari"1 23 • Fauno, in omaggio al carattere spiccatamente marziale di suo padre Picus, qualità che gli derivava dall ' associazione picch io-profezia-Marte, è detto "discen dente di Marte"124 ed è anch 'egli dotato di potere oracolare. Virgilio 1 25 applica a Fa uno l 'epiteto difatidicus, che deriva da fata dicere: "rivelare med iante la parola i fati". Nella trad izione romana, nei confronti di Fauno, si rinvengono due opinioni apparentemente diverse fra loro: la prima ne fa un re delle origini, l ' altra lo consi dera una d ivinità si lvestre benevola, fautrice della riproduzione degli animali sel vatici, protettrice delle greggi contro le insidie dei lupi, dotata d i carattere oracola re. Forse si tratta della medesima figura m itica che svolge, contemporaneamente,
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la funzione di re delle origini e la funzione di d ivinità la quale non solo non è in compatibile con la figura m itica del re nel tempo sacro che va dai primord i a Romo lo, anzi, appare consustanziale alla sua persona ed alla sua funzione. Lo spazio pertinente alla geografia m itica arcaica, l 'habitat ideale di questa antica divin ità agreste sono i "terreni non del tutto domestici, ma neppure così i nac cessibili da non interessare gli uom ini né servire ad ess i : non le zone incolte e sel vagge, le terrae incognitae, le regioni stran iere, con i loro grandi, incontro llabi l i pericoli, ma l a foresta vicina, l a campagna stessa, compresa, d i l à dai confini delle proprietà in cui v iene sfruttata, come un mondo unitario che presenta le sue sorpre se, le sue paure, i suoi odori di foia, le sue potenze segrete di ferti l ità; una campagna più sostanziale, più concreta, di quella dei Lari e defin ita in contrapposizione totale alla c ittà: Fauno è agrestis "'" , in tutte le sfumature della parola. I contadini però, o f frendo dei sacrifici e ricorrendo ad alcune precauzioni, sanno trarre vantaggio da quelle creature selvagge che moltiplicano il bestiame, fecondano i campi, offrono i pascol i della foresta"1 27• Dopo la sua morte, Fauno continuò a vaticinare e gli venne ded icato, nei pres si di Tivoli, un culto oracolare nel nemus sacro ad Albunea, una ninfa anch'essa esperta in vaticin i . Ad essa era sacra una grotta ed una fonte d i acqua sulfurea (aqua a/buia) esalante vapori mefitici dalla quale Albunea, nella sua funzione di genius foci, deriva il nome. In questo bosco sacro alla ninfa vi era l 'oracolo di Fauno il quale dava i suoi responsi durante il sonno, in sogno, a coloro che lo consu ltavano facendo, ino ltre, risuonare la sua voce dal folto del bosco. Virgilio narra che il re Latino, in segu ito ad alcuni prod igi avvenuti alla vigi lia del l ' arr i vo di Enea, si recò a consultare l 'oracolo di Fauno: "Turbato dai prodigi, i l re si rivolge all'oracolo d i Fauno,
suo profetico padre, e i sacri boschi consulta
sotto l ' alta A l bunea, massima tra le selve che dal sacro fonte risuona ed, ombrosa, esala crude l i vapori.
Da qui le itale genti e tutta la terra d ' Enotria nei dubbi chiedon responsi; qui i l sacerdote
recando offerte, nella notte si lente giacendo
s ' addorme su pe l l i di vittime ovine
e molte figure volteggiare vede in m irab i l i modi
e molte voci ascolta ammesso
a
fruire del colloquio coi num i
e con l ' Acheronte comunica negl i abissi d ' Averno.
Qui anche al lora i l padre Latino chiedendo responsi secondo i l rito sacrifica cento lanose bidenti 1 21 e giace poggiato col dorso sui !or vel l i distes i ;
quand ' ecco u n a voce prorompe d a l fo lto d e l bosco:
«Non cercare di congiunger tua figlia con nozze latine, o mia progenie, e non affidarla a preparati sponsali;
generi stranieri verranno che mescol ando i l lor sangue
col nostro lo porteranno alle stelle e dalla loro progenie i n ipoti vedranno ogn i cosa, che il Sole contempla
percorrendo entrambi gli Oceani, volgersi
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e piegarsi sotto i l or piedi.»"
1 29
Uno dei nom i sacri di Fauno era Fatuclus, "rivelatore di oracoli": "Fatuclus è una divinità che ha per moglie Fatua e sono le stesse divin ità chiamate Faunus e Fauna. Sono detti Faunus e Fauna per il fatto che rivelano oracol i (a uaticinando) , cioè perché parlano (afando), per cui chiam iamofatui coloro che parlano dicendo cose senza senso""0• Isidoro d i S iviglia interpreta il nome Fatuus come quello d i un oracolo posse duto dal dio il quale, in questo stato di esaltazione m istica, non intende ciò che va dicendo e neppure ciò che gli altri dicono. Aggiunge poi che il nome d i Fatui deriva dai seguaci ed ammiratori d i Fatua, "sposa di Fauno dotata di capacità oracolare (fatidica)" i quali "erano cosi profondamente stupefatti l esaltati (ohstupefactl) du rante le sue sessioni oracolari che raggiungevano uno stato d i alterazione mentale (amentia)." Il term ine usato da Isidoro è particolarmente rivelatore poichè si form a d a a-mens e designa u n o stato in c u i , letteralmente, " l a mente è assente": u n o stato diforor, quindi, o di esaltazione profetica che richiama da vicino quello della si bil Ia di Delfo espresso dalla parola greca mania (solo per restare in ambito classico e omettendo i riferimenti a l l '6dhr germanico, ecc.t ' . In altre occasioni, dal folto dei boschi sacri Fauno, nella sua funzione d i Fa tuus o Fatuclus, i l "Parlante", annuncia la vittoria, come avvenne durante la guerra fra Romani e Tarquini, dopo la cacciata d i Lucio Tarquinia e la proclamazione del la Repubblica, sotto i due primi consol i L. Giunio Bruto e L. Tarquinia Col latino: " ... mentre così pensavano e dicevano, uscì verso la prima vigilia dal bosco presso cui s 'accampavano una voce, sia del genio tutelare di quel bosco, sia di colui che chiamano Fauno ed essa tuonò sul l ' uno e l ' altro esercito così che tutti la udirono in modo chiarissimo. I Romani attribuivano a Fauno i timori panici ed ogn i visione che, in vari luogh i, si presenta terrifica ai mortali. Dicono anche che siano opera di questo nume le voci che chiamano scendendo dal cielo e perturbano intensamente chi le ascolta"m. Si noti come sul l ' arcaica personalità di Fauno, d io agreste dei La tini, nella versione greca del m ito si siano innestati attributi propri a Pan e, fra essi, l ' inesplicabile e incontrollabile timore che, nei boschi solitari e selvaggi, coglie a l l ' i m provviso i l viandante. Servio, riportando l 'opinione degl i antichi annalisti romani Lucio C incia Ali mento e Lucio Cassio Hem ina, dice che "Il dio fu chiamato Fauno da Evandro" ri ferisce, inoltre, ai medesimi autori l ' etimologia che fa derivare la parolafanum, "tempio", " luogo consacrato" da Faunus e interpreta "fanaticus" come appellativo proprio ai vati: "ed è per questo che gli edifici sacri furono dapprima chiam atifau nae e in segu itofana, e dal suo nome derivò quello difanatici che designa coloro che pred icono il futuro" " ' . 2. 1 .
Fauna l Fatua
Per quanto riguarda la sposa d i Fauno, che in Virgilio è la ninfa Marica, presso altre fonti è Fatua e Fauna. Le medesime fonti tramandano il ricordo che questa, oltre ad essere sua sposa, era anche sua sore l la. Fauna, come Faunus, si riporta al-
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tresì in quanto ad etimo al verbofaueo, "favorire", nel senso di "colei che favorisce benevolmente". S i tratta del teon imo d i un'arcaica d ivinità agreste da non confina re, tuttavia, nel ristretto ambito funzionale agricolo e pastorale. L' altro nome con cui è conosciuta la moglie di Fauno, infatti, è Fatua e tale nome si ricol lega direttamente e senza dubbio alcuno al verbo fari, "parlare" m a anche "profetizzare", afatus efatum come "parola oracolare" ma, ancor p i ù d i ret tamente, a Fatuus: uno dei nom i con cui Fauno era conosciuto e che riguardava la sua veggenza e la sua attiv ità oracolare. Fatuae erano chiamate certe donne, o esse ri sem idivini, dotati di capacità oracolare, come precisa Varrone: "Da qui" (dal ver bo /or, parlo) "discendono molti altri composti e derivati fra cui Fatuus e Ftr
tuae'' 1 34 •
Nel Mythographus Vaticanus si legge: "Fatuus è un dio la cui moglie è Fatua ma essi sono detti anche Faunus e Fauna. I nom i di questi dèi derivano dalla loro capacità di pronunciare detti profetici (a uaticinando) ed è per questo che chiamia mo fatui que l l i che parlano d icendo cose senza senso"JJS. In una tradizione riportata da Dionigi di Alicamasso, della quale lo storico greco non specifica la fonte, Fauna è una fanci u l la iperborea amata da Ercole che d iede a l la luce Latino, l ' eroe eponimo dell 'ethnos latino. Fauna, secondo un'altra versione del m ito, fu una sposa esemplare esperta nei lavori domestici e dotata d i integerrima fede ltà con iugale. Un giorno, avendo be v•Jto vino fino ad ubriacarsi, fu bastonata dal marito con verghe d i m irto così dura mente che essa ne morì . Fauno, pentito del l 'eccessivo castigo infl itto alla moglie, istituì in sua memoria i l cu lto alla Bona Dea che esclude nel boschetto sacro i n cui viene celebrato, in ricordo del fatto, l ' arbusto del mirto. I l culto di questa divinità, dal quale g l i uom ini erano esclusi, era celebrato dalle donne in un nemus ai piedi del l ' Aventino. I l nome d i Bona Dea continua nel tempo l ' arcaica denominazione propria a Fauna, in quanto divinità benevola. Macrobio identifica Bona Dea con Fauna e con la Madre Terra (Maia): "Que sta (Maia) nei l ibri dei Pontefici è indicata coi nomi d i Bona e Fauna, d i Ops e Fa tua: Bona perché produce tutto ciò che è buono per il vitto, Fauna perché favorisce tutto ciò che è buono per i v iventi, Ops perché per opera sua, cioè mediante il suo aiuto, la vita sussiste, Fatua perché parla" 1 16• In un'altra versione del m ito, Fauna è la figlia di Fauno con la quale il padre incestuosamente s ' unisce avendo previamente assunta la forma di un serpente. 2.2.
Faunus e /afecondità delle donne di Roma
Nel m ito, Fauno-nume è contradd istinto da un' aggressiva sessual ità tanto da essere chiamato inuus, "penetratore" ll 7, sessual ità che egl i manifesta non solo nei confronti delle N infe dei boschi m a anche delle femm ine di tutti gli animal i : "Fau no da molti ch iamato S i lvano dai boschi, e d io Inuus, da alcuni fu detto anche Pan" ' " . Questa caratteristica, eticamente d iscutibile se giudicata dalla prospettiva romana, è invece perfettamente consona a questa antich issima divinità agreste che presenta, ancora ben indiv iduati e faci lmente riconoscibi l i , i tratti propri alla figura del "signore deg l i an imali". Una delle funzioni essenziali del "signore deg l i anima l i", oltre alla protezione delle specie, è proprio la loro riproduzione assicurata,
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nel l ' am bito m itico, dal suo congiungersi con tutte le femm ine della specie, o delle speci e animali su cu i egli estende i l suo potere. Vi è però da dire che, nella Roma arcaica, il potere fecondante di Fàuno non si limitava solo alla riproduzione degli animali ma influiva anche sulle donne: quan do, il quindici d i febbraio, i giovani Luperci seguaci del cu lto a Fauno Luperco, fu stigavano le donne con corregge tratte dal cuoio della capra sacrificata, i l potere di Fauno protettore dai lupi, cui il culto era ded icato, propiziava la loro fecondità espletando in modo utile a Roma la sua funzione di Faunus Inuus. Non solo: il rito dei Luperci ricol legava idealmente la procreazione delle stirpi romane al mondo divino delle origini e, in particolar modo, alla funzione dell'antenato-fecondatore svolta da Faunus. Nella sua figura, infatti, il ruolo di "signore degli animali" si ac com pagna a quello del l 'antenato m itico. Si è visto come, alcune fonti antiche, tra cui C icerone, attribuiscano a Fauno la creazione del si lvestre sodal izo dei Luperc i . Una d e l l e arcaiche funzioni d i questo nume e r e delle origini era quella d i protegge re le greggi e gli armenti dai lupi, funzione espressa dal nome lupercus, forse deri vante da lupos arcere, "tener lontan i i lupi" o, forse, arcaica form a aggettivale che identificava Fauno col lupo ' ,.. Ma v'è d i più, dietro Fauno si nasconde la figu ra di Marte. Esam in iamo un passo d i Festo: "Il mese di febbraio (jebruarius) è così chiamato perché in quel tempo, ossia nel l ' u ltimo mese del l ' anno [de l l ' antico calendario] il popolofebrua retur, cioè si purifica ritualmente libe randosi dalle impurità (lustraretur ac purga retur). Oppure il mese deriva il nome da Giunone Februata, che altri chiamano Fe brualis e i Romani Februlis poiché essi in quel mese eseguivano sacre cerimonie e nello stesso mese vi erano le feste dei Luperca/ia. In quel giorno le donne erano «februate» (jebruabantur) dai luperci mediante la sopravveste di G iunone (amicu lo lunonis), cioè mediante una � I le caprina, per la qual ragione il medesimo gior no era anche detto Februatus" 40• In questo arcaico rito che ha essenzialmente una dupl ice finalità, purificare i l popolo e fecondare le donne romane, il ruolo d i G iunone è perfettamente spiegabi le dato il potere che la dea estende sulle nascite e sulla maternità in generale. Ma vi è la traccia di un m ito che ricol lega direttamente Giunone ai riti dei luperci, anzi ne fa la divina ispiratrice. Narra Ov idio 1 4 1 che, dopo che le donne sabine furono rap ite dai Romani, gli dèi castigarono i rapitori condannando le loro nuove mogli alla ste ril ità. I Roman i e le Sabine, al lora, chiesero aiuto a Giunone, in un bosco a lei con sacrato e la dea fece scaturire dal folto del nemus un responso oracolare perlomeno sconcertante: "Le
italiche madri vengano penetrate da
un sacro caprone"
Il verbo usato dalla dea è proprio inito, da in ire, "penetrare", verbo che rich ia ma m olto da vicino il teonimo di Faunus inuus. Troppo da vicino per essere casua le. Gli allibiti sposi si rivolsero, com 'era costume a quei tempi in caso di responsi diffic i l i , a un indovino etrusco il quale addolcì la sorte delle sa bine e d i tutte le spo se romane a venire prescrivendo d i sacrificare un capro, di tagliare la sua pelle in
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strisce e di fustigare con esse le ita/icae matres in modo che queste, obbedendo all ' ingiunzione dei numi, potessero ottenere la desiderata fecondità e servire de gnamente la patria. Compare , dunque, ancora una volta, il tema arcaico della fecondazione so prannaturale: un intervento divino fà sì che la donna venga fecondata. Questo inter vento non prescinde dali 'opera del l ' uomo, ma senza di esso la fecondazione uma na sarebbe vana. Ma quale divinità interviene in questa fecondazione sovrannaturale? La risposta può essere data considerando gli animali che, direttamente o indi rettamente, intervengono in questo rito : i l capro, gli arieti sacrificati nel l ' antro sa cro ai piedi del Cerma/us che forniscono le corregge sacre usate per la fustigazione ed anche le vesti che cingono i lombi dei luperci ed inoltre, ovviamente , il lupo dato che il nome lupe rei contiene in sé il "lupo" come lo contiene il nome stesso di Fau no Lupercus cui era dedicato l 'antro sacro prospiciente il fico ruminale . Entrambi gli animali - ariete e lupo - sono sacri a Marte i l quale interviene all ' inizio ed al la fine del mito di fondazione della regalità divina: agli inizi, dietro la figura del p ri mo re Picus vi è Marte la cui presenza è adombrata dal simbolo del picchio oracola re . Pico è il padre di Fauno Luperco tramite la cui discendenza si giunge fino al re albano Numitore e a Silvia la quale è fecondata da Marte così che il fondatore e la fondazione di Roma sono posti direttamente sotto il patrocinio del dio . Durante i Luperca/ia, dunque , mediante la flagellazione sacra propiziatrice di fecondità, ancora una volta è Marte ad intervenire "fecondando" idealmente le donne romane. Idealmente, ma non per questo meno efficacemente, secondo la mental ità arcaica per la quale il mito è il fondamento della realtà. Sicché tutta la ro mana iuuentus che le donne, divinamente initae dal dio, perpetueranno nel tempo, idealmente ma non per questo meno efficacemente sarà figlia di Marte , come lo e ra stato Romolo e come lo fu Fauno. Ma Faunus, durante i Luperca/ia, non influisce solo nella sfera della fecondi tà dato che è documentato un incerto rapporto la cui oscurità è dovuta alla mancan za di documenti riguardanti l ' epoca più antica, fra Faunus e la reg.:.lità. In conco mitanza con la celebrazione dei Lupercalia, infatti, il potere regale e ra fatto oggetto di riti e proprio durante la corsa rituale dei Luperci Cesare fu i ncoronato "2 • Fu lo stesso Cesare, inoltre, ad istituire il gruppo dei Luperci Ju/ii che aggiunse agli altri due gruppi g ià esistenti . Questa arcaica, probabile relazione Faunus-rex si giustifi ca e svela il suo significato proprio prendendo in considerazione la figura di Fauno come re delle origini la cui regal ità sacra e la cui protezione sui sovrani si prolunga nel tempo . Da questa prospettiva, anzi , acquisisce un significato speciale anche il fatto che I ' approdo e l 'allattamento del fondatore di Roma e suo primo re avvenga pro prio dinanzi ali ' antro sacro a Fauno Luperco e che, secondo una tradizione, fosse stato lo stesso Romolo ad istitu i re il culto dei Luperci. 3 . LATINO
Nella lista dei re delle origini di ascendenza divina Latino occupa un posto di w ril ievo in quanto padre di Lavinia, "donna espe rta di profezie" la quale, dopo la
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morte di Creusa, figlia di Priamo ed Ecuba, andò in sposa ad Enea in seconde noz ze. La madre di Lavinia è conosciuta col nome di Amata, che è anche il nome col quale i l Pontefice accoglie la vergine postulante perché entri a far parte del sacer dozio delle Vestali ' .. . L ' accostamento fra Latino e il culto di Vesta, tramite il nome della moglie, forse non è casuale in quanto i l fuoco perenne di Vesta, secondo una tradizione cui attinge fra gli altri Virgilio, continua idealmente il fuoco sacro di Ilio sottratto al l ' ara troiana da Enea e portato nel Lazio . Con i l matri monio fr a Enea e Lavinia, l 'ascendenza divina di Ve nere, madre di Enea, s' innesta sul l ' ascendenza divina della regalità delle origini laziali facente capo a Giano e a Satumo. Abbiamo visto come, nella trad izione cui Virgilio si rife risce, sia proprio il padre di Latino, Fauno, a profetizzare la discendenza che sareb be seguita ali ' unione fra la stirpe latina e quella troiana. Alla morte di Latino il po polo degli Aborigeni e quello degli immigrati troiani profughi da Ilio si uniscono sotto un solo nome, quello di Latini. "Re Latino, o nna i vecchio, campi e città placide reggeva in pace durevole. S i sa che da Fauno e Marica, ninfa Laurente, fu generato : a Fauno P ico fu padre " 45 ed egli padre chiamò te, Sa turno, creator della stirpe'
Satumo è definito da Vi rgilio sanguinis u/timus auctor, letteralmente : "primo creatore del sangue ", inteso come stirpe, discendenza, ossia capostipite. In gergo antropologico potremmo interpretare u/timus au c to r come "antenato m i tico", o te nendo presente il ruolo di civilizzatore attribuito a Satumo, potremmo interpretarlo come "eroe culturale" della stirpe che si chiamò dapprima Saturnia e poi, dal nome di Latino, Latina. Il mito dell 'ascendenza divina dei re delle origini dovette essere ben presente alla coscienza romana: Virgilio attribuisce al trono di Latino i l titolo di so/ium aui tum, "soglio degli avi" in quanto quel trono fu, prima di lui, occupato da Pico ed, ancor prima, da Satumo. L'associazione Satumo-Giano riferita all 'età dell 'oro è ri badita, in Vi rgilio, dalla presenza delle imagines !ignee dei due dèi e re delle origini fra i ritratti degli antenati di Latino, e roe eponimo della sti rpe latina: sotto il suo re gno, infatti, gli Aborigeni avrebbero cominciato a chiamarsi Latini " " . Descrivendo l ' incontro fra Enea e Latino, Virgilio menziona la Reggia di La tino : "tectum augustum, ingens, centum sublime co/umnis": "Il grande augusto palazzo, alto su cento colonne costnùto sulla cima dell 'wbe, reggia di Pico Laurente 1 47 che incuteva timor per le selve ed il culto dei padri. " 4 . l RE D' ALBA
Da Enea e Lavinia nacque Silvio, venuto al la luce dopo la morte del padre e fratellastro di Ascanio, figlio di Enea e la sua prima moglie C re usa . Ascanio avreb-
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be lasciato i l governo della città di Lavinio, fondata da Enea, al fratellastro per fon dare la città di Alba di cui fu il primo re . Alla morte di Ascanio, essendo questi pri vo di discendenza, il regno sarebbe passato al fratel lastro S ilvio . Questi dette il nome a tutti i re di Alba fino alla figlia di Numitore, la fatale Silvia da cui , per inter vento di Marte, sarebbe nato il fondatore di Roma. Aurelio Vittorino scrive : "Tutti i suoi discendenti (di Silvio) regnarono in Alba col cognome di Si/ui fmo alla fon dazione di Roma, come è scritto nel quarto libro degli Annali dei Pontefici" 1 41 . Festa spiega perché i re di Alba erano chiamati Silui: "I re albani sono chia mati Silui, dal figlio di Lavinia la quale, essendo rimasta incinta, dopo la morte di Enea temendo per la sua vita e per quella del figlio che portava in grembo, nascon dendosi nelle selve lo diede a luce . Dopo la morte di Ascanio gli fu restituito il tro no, essendo stato preferito a lula, figlio di suo fratello, poiché entrambi ambivano "" al regno" . Tito Livio 1 50 fornisce la genealogia dei re albani a partire da Silvio, figlio di Enea e fratel lastro di Ascanio che era stato il fondatore di Alba. Silvio era così chia mato perché era nato "per caso" nelle selve e, da lui , il nome rimase a tutti quelli che regnarono su Alba. Da Silvio nacque Silvio Enea e da questi Latino Silvio. Da Lati no nacque Alba, da Alba Ati , da Ati Capi, da Capi Capeto, da Capeto Tiberina . Qu esti , essendo annegato mentre guadava il fiume Al buia diede al fiume il nome col quale esso sarebbe divenuto famoso fra i posteri . Da Tiberina era nato Agrippa, da Agrippa Romolo Silvio che ricevette il regno, come gli altri , dal padre . Dopo la morte di Rom o lo Silvio, ucciso dal la folgore, il regno passò ad Aventino . Questi fu sepolto sul col le che oggi fa parte del l ' Urbe e a quel col le diede i l suo nome . Dopo Aventino regnò Proca che lasciò il regno al figlio maggiore Numitore ma il fratello minore, Amulio, lo spodestò dal trono e condannò la figlia S ilvia a perpetua castità per timore di discendenti . La l ista dei re succedutisi sul trono di Alba tramandata da Dionigi d'Aiicamasso 1 s 1 è, invece, la seguente : Ascanio, Silvio, Enea (junior), Latino Sil vio, Alba, Capeto, Capi, Calpeto, Tiberina, Agrippa, Allade, Aventino, Proca, Nu mitore. A Numitore succede per un certo tempo il fratello Amulio, usurpatore del trono, quindi Numitore, ultimo re d ' A lba, viene rimesso sul trono da Romolo e Remo. In entrambi gli autori la lista di successione dei re d ' Alba contiene quindici nomi a cominciare da Ascanio, variando i nomi di alcuni re a seconda della lista (Rom o lo Silvio in Dionigi è sostituito da Allade); Ati è assente nella li sta di D ioni gi ed è sostituito da Capeto che, nella medesima lista, è padr di Capi, mentre il re Calpcto è assente nella lista liviana. Si tratta di liste poco attendibili dal punto di vi sta storico poiché la loro probabile funzione era quella di riem pire il vuoto che dali 'ultimo re divino della lista laziale, Latino, giunge fino a Romolo. 4. 1 .
Discendenza regale patri lineare ed elezione augurale
Prima di passare ai due primi re della lista dei sovrani umani, N urna e Tullo Ostilio, è bene richiamare l ' attenzione su un fatto che appare assai chiaro esami nando i dati dei miti che siamo andati illustrando fin qui : dal primo re Satumo fino a Num itore la successione dei re al trono avviene seguendo un criterio di elezione patri l ineare . I dati a nostra disposizione non ci permettono di sapere se ad Alba era
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il figlio maggiore ad ereditare il trono, comunque è certo che il figlio, o un figlio succede al padre nel regno. Dopo Numitore la successione patrilineare s ' interrompe ed ascende al trono Romolo, suo nipote per parte di madre e figlio di Marte . Da Romolo in poi, durante tutta la Monarchia e la Repubblica, la discendenza regale non sarà rispettata come elemento valido per la successione al trono, anzi sarà sostituita del tutto dal criterio di elezione basato sui riti augurali e sugli auspici . Il medesimo criterio resterà vi gente durante la Repubblica per quanto concerne l ' elezione dei consoli . Questa notevole differenza nel criterio di elezione dei sovrani sembra potersi interpretare come segue : nel caso dei re divini e semidivini, la loro stessa natura e la sua trasmissione , considerata evidentemente ereditaria, legittimava l ' as cesa al tro no, senza però che questo fatto, come nel caso di Romolo, esimesse il candidato dal consultare gli auspici d ' investitura. Al contrario, nel caso dei re umani, ossia da Numa in poi, venuta meno l ' ascendenza divina e quindi il criterio di successione patrilineare, la consultazione degli auspici rimaneva l ' unico criterio di elezione.
C.
IL PRIMO RE D I ASCENDENZA UMANA: NUMA
Dopo Romolo ultimo re d ' ascendenza divina da parte di madre, a differenza dei re che l ' hann o preceduto fin dalle remote origini della regalità del Lazio, Numa è soltanto un uomo figlio di uomini. La tradizione romana, tuttavia, riserva a lui un ruolo speciale, quello di fondatore del diritto sacro e del diritto pubblico . Nello svolgimento di questa sua funzione , re Numa, come i re delle origini e quelli che lo precedettero, non si affida ali' arbitrio umano ma è assistito da una paredra divina: Ege ria, Camena i tal i ca e ninfa delle fonti la quale, prima di svolgere il ruolo di ispi ratrice di Numa, faceva parte delle figure divine associate al culto di Diana celebra to a Nemi nel bosco sacro di Diana. l . IL CARATIERE E I CARJSMI
Quando Anchise mostra al figlio Enea, nei Campi Elisi, i futuri eroi artefici della gloria di Roma, anime gloriose che assunto un corpo raggiungerann o un gior no la terra, addita una di esse e dice: "Chi è l aggi ù, insigne per rami d'olivo, che sacri arredi reca? Riconosco le chiome ed il mento canuto del re di Roma che la nuo\'a città sulle leggi fonderà, dalla piccola Curi e da una povera terra 1 52 a un grande potere (imperium) im·iato" •
Virgilio, nel passo citato, caratterizza Numa con pochi tratti salienti : le fronde d' olivo, segno di pace e di sapienza, gli oggetti sacri (sacra) che denotano la sua funzione essenzialmente sacerdotale, la canizie segno di senile saggezza e l ' umana condizione dei natali di colui che è stato inviato (missus, dietro l ' inespresso sog getto si intuisce il volere di un nume) a svolgere la missione più importante che un re possa svolgere : fondare la società sulle leggi nel rispetto del diritto degli dèi .
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Quando Cicerone aveva ricordato il regno di N urna, aveva posto in risalto la caratteristica essenziale di quell ' èra che sembrava aver riportato sulla terra i l seco lo d ' oro delle origin i : "quella stabile pace di N urna, madre del diritto e delle istiru zioni rel igiose di questa città" ' -' ' . Nwna era nato nella sabina Curi , che nella lingua di quel popolo significa "lancia" e da cui i Romani furono detti Quiri ti 154 • Era figlio di PiJnpiJn, secondo la trascrizione del nome pervenutoci in greco, ed era il più giovane di quattro fratelli. Già nella nascita di N urna era contenuto un chiaro presagio, infatti il fururo re era nato lo stesso giorno in cui Romolo aveva fondato Roma. Questa coincidenza di date manifesta chiaramente la funzione principale di Nurna: essere il rifondatore rel igioso di Roma dopo la prima fondazione portata a term ine dal primo re, ultimo dei sovrani di ascendenza divina. N urna era figlio di una famiglia illustre ed era molto stimato da Tito Tazio , il re sabino associato a Romolo nel l 'ese rcizio del potere regale, tanto che questi gli aveva concesso in moglie Tatia, sua unica figlia. Quando Romolo morì , o meglio scomparve dal la terra degli uomini, dopo un breve interregnum, il Senato e il popo lo offri rono a N urna la candidarura al trono di Roma. N urna aveva allora quaranta ann i . Tentò di rifiutare la proposta adducendo il fatto che la regalità espone i l re al pericolo della calunnia. Invocò anche il motivo filosofico che non è buono, per chi goda già - come egli godeva - di una condizione di vita pienamente consona alla propria natura cambiare improvvisamente lo stato di vita passando dal ritiro del saggio al i ' esercizio del potere regale, anzi è pericoloso. Ricordò, inoltre, che Romolo e la sua opera essenzialmente guerriera aveva fondato la grandezza di Roma sul potere delle arm i . Come poteva contribuire , in questo progetto militare , un uomo la cui natura era essenzialmente tranquilla e in cline alla pace e al silenzio, un uomo dedito alla solitudine ed al la coltivazione de gli studi, intimamente votato alla conoscenza del sacro? Inoltre, ricordò i suoi natali , così diversi da quelli divini del fondatore dell ' U rbe: "io sono di razza mortale e sono stato allevato e nutrito da uomini che voi tutti conoscete . " Nonostante tutto, però, alla fine N urna finì per accettare la � ro pria candidatura sottoponendo il suo assenso al verdetto degli auspicii regali �� . Di Numa Li vi o dice : "Insigne per la sua giustizia e la sua pietà ( . . . ) Abitava nella sabina Curi ed era profondamente istruito, come lo si poteva essere allora, di 1 ogni diritto umano e divino . " 16 Si noti il duplice campo di applicazione dello ius: umano e divino, conforme al i ' idea delle culture tradizionali che fondano sul diritto sacro il diritto pubblico. Dopo aver rifiutato l 'opinione grecizzante che N urna fos se stato ispirato da Pitagora e dalle sue dottrine, per il semplice fatto che Pitagora tenne scuol a nella Magna Grecia un secolo più tardi mentre a Roma regnava Servio Tullio, lo storico romano riferisce le qualità che distinguevano N urna alla sua stes sa natura ed ali 'educazione ricevuta ne lla sua patria sabina: "Io credo, dunque, che egli fosse per sua natura uno sp i ri to temprato nelle virtù ed i n esse istruito non tanto da dottrim: straniere quanto dalla severa ed aspra disciplina dei p rischi Sabini , gen te incorrotta quant'altri mai" 1'7 •
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Gli antichi autori pongono in rilievo il carattere schivo di Numa, che apparen temente lo rendeva poco incline a salire sul trono . Lo descrivono come uomo amante della solitudine e del silenzio, amico dei boschi e delle fonti remote, fre quentatore di luoghi deserti e disabitati dagli uom ini, ma e letti dai numi a loro di mora. La sol itudine di Numa non è fine a sé stessa né ha carattere espiatori o . È una tecnica ascetica propedeutica all ' acquisizione della sapienza. È purificazione, meditazione, conoscenza di sé stesso. È una tappa necessaria perché la persona umana, acquetata la mente ed il cuo re, apprenda a parlare coi numi che amano rivelare i fati nel silenzio dei boschi sa cri, ma soprattutto nel silenzio della mente e del cuore . È la castitas mentis cui abbiamo sopra accennato e di cui Egeri a e ra custode . Numa sabino, insomma, presenta i tratti caratteristici del sapiente delle origi ni più remote, del snph6s greco, come Epimenide di Creta, che nel silenzio delle grotte sacre e in un sonno in cui il sogno era visione diretta, conversava con gli dèi ed era da essi istruito . "Numa, abbandonata la sua dimora i n città, s i decise a vivere in campagna la maggior parte del tempo, passeggiando da solo nei boschi consacrati agli dèi , nelle praterie sacre e nei luoghi deserti . Fu specialmente questo suo ritiro a far nascere la voce riguardante la dea: si diceva infatti che il celebre Numa non avesse rinunciato alle relazioni umane a causa di un disordine o di uno smarrimento del suo spirito, ma perché aveva goduto di una relazione più augusta essendo stato giudicato de gno di sposare una dea e si diceva anche che egli dividesse i l talamo e la sua dimora con con la ninfa Egeria da cui era amato e che aveva fatto di lui un uomo felice, istruito nelle cose divine (perì tà theia pepnuménos)" 1�8 • Ovidio chiama Egeria "sposa e consigliera di Numa"1 �9 • Per quanto riguarda i l nome della ninfa, alcuni antichi autori lo fanno derivare d a e-gerere, c h e significa alla lettera "portar fuori ". In senso lato ed in quest'ambito specifico, che è quello della conoscenza re ligiosa, ci sembra che i l verbo -se la derivazione è esatta- possa significare "manifestare l 'occulto", esprimendo in tal modo la qualità più caratteri 0 stica di Egeria: l ' istruzione e l ' ispirazione del re nella sfera del sacro 10 • In questo senso, riferito all ' insegnamento ed al l ' apprendimento, si ricorderà il senso di un verbo analogo a e-gerere che è e-duce re, "trar fuori da", da cui deriva "educare" ed "educazione ". L'oggetto di questa rivel azione da parte di Egeria è la scienza del sa cro, la conoscenza della natura, i segreti dei riti e dei carmi per cui Egeria è detta Camena, "Vaticinante ". Narra Plutarco che Numa, oltre alla ninfa Ege ria, avrebbe goduto anche de li 'assistenza delle Muse e, in particolare, di una di esse il cui nome suona in lati no Tacita c in greco Siope/e' 1 0 1 • Si tratta, evidentemente, della personificazione mi tica del culto per il silenzio e il ritiro sacro che distinguevano Numa, silenzio e riti ro propedeutici all'acquisizione della sapienza. Frutto di questa diuturna convivenza con la ninfa Ege ria c del suo profondo studio, furono una serie di libri scritti dallo stesso Numa dci quali dodici riguarda vano le sacre cerimonie e i segreti dei riti mentre altri dodici, scritti in greco, conte nevano una serie di trattazioni su temi filosofici . Quando Numa fu prossimo alla
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morte, chiese che il suo corpo non fosse bruciato ma ordinò di essere sepolto in un sarcofago scavato nella pietra e che i suoi libri fossero sepolti, accanto a lui, in un sarcofago a parte . Indicò come luogo scelto per la sepoltura le falde del Gianicolo, forse per la sua qualità di colle sacro a Giano ed agl i inizi, o forse essendo stato ispi rato dalla sua paredra divina . Circa quattrocento ann i dopo la morte di Numa, durante il consolato di P. Cor nelio e M. Bebio, una forte pioggia che aveva dilavato profondamente il terreno, pose allo scoperto due antichi sarcofagi di pietra. Uno di essi risultava completa mente vuoto, senza il minim o indizio che vi fosse stato inumato un corpo; l ' altro conteneva i ventiquattro libri scritti dal re Numa. Il pretore Petillio portò i libri al Senato e li mostrò ai Pa tr-es. Dichiarò che gli sembrava contrario alle leggi umane e divine divulgare il contenuto di quei volum i e segnalò il pericolo che il popolo ne venisse a conoscenza. In conseguenza, i Senatori decisero che era meglio porre per tempo rimedio al l ' inevitabile ed ordinarono che i libri di Numa venissero bruciati nell ' area del Comizio, nel Foro . E così fu fatto . A quanto sembra, però, alm eno uno di que i volumi giunse a mano del re che succedette a Numa sul trono, Tullo Ostilio . Questi , però, n e fece un pessimo uso dimostrando, a proprie spese, la pericolosità della materia in essi trattata. Ma su ciò torneremo. l . l . Le opere di Numa. La pace del suo regno Per intendere più da vicino la natura e la funzione di Numa, può essere utile passare velocemente in rassegna le opere attribuitegl i dalla tradizione. Fra esse spiccano, per importanza, le seguenti : lo scioglim ento del corpo della guardia rega le istituita da Romolo, ossia dei trecento Celeres . Numa, infatti "non pensava che avrebbe dovuto diffidare di coloro che si fidavano di lui e che non avrebbe potuto n:gnare su gente che non si fidava di lui"'"2: creazione del l ' i stituzione dei pontifi ces ; la creazione del flamine quirinale dedicato al culto di Rom o lo; l ' istituzione del culto al fuoco perenne di Vesta, del tempio e delle vergini vesta! i , la forma rotonda del tempio, secondo Plutarco, fu voluta dallo stesso Numa "per imitare la figura non della terra, come se la terra fosse Vesta, ma de li 'universo i l cui centro, secondo i pitagorici, è occupato dal fuoco che essi chiamano Vesta e Monade"'"'; l ' istituzione dei Fetia/es e del sodalizio dei Salii; l 'edificazione del tempio a Fides e a Terminus; l ' edificazione della Regia presso i l tempio di Vesta; l 'istituzione del divieto di eseguire pubblici lavori durante le feste e le sacre celebrazioni ; la riforma del calendario. Per ultimo, si attribuisce a Numa l a divisione del popolo secondo le seguenti classi funzionali che furono delle corporazioni che eseguivano ognuna proprie cerimonie religiose e, forse, proprie iniziazioni di mestiere : flautisti (ad detti al l ' accompagnamento musicale dei carmina e dei riti); orafi : falegnami; tin tori : calzolai; conciatori, fabbri e vasai mentre gli altri mestieri furono riuniti in una sola categoria . Li vi o, d a parte sua, attribuisce a Numa anche la creazione d e l flamine di Gio ve (F/amen Dialis) e del flamine di Marte (F/amen Martia/is) . Per quanto riguarda la creazione del l ' istituzione pontificale, Li vi o afferma che i l compito del Pontefice Massimo era quello di garantire l ' osservanza del diritto divino; la custodia delle norme re ligiose e di quelle che regolano le cerimonie sacre i vi compreso i l culto ai
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defunti , oltre a rendere possibile l ' interpretazione e l ' espiazione dei prodig i . Numa, inoltre, avrebbe dedicato u n tempio a Giove Elicio sull 'Aventino allo scopo di provocare dagli dèi tali segni ed avrebbe consultato la divinità mediante gli au spici per sapere quali segni dovessero essere ritenuti espressione della volontà di Giove . Li vi o attribuisce , inoltre, a N urna la consacrazione del bosco che era sede di Egeria e delle ninfe Camene, dove acqua perenne sgorgava da unag rofonda grotta e dove Numa si recava a conversare con la sua divina i spiratrice1 A Numa si attribuisce anche l 'edificazione del tempio di Giano dalla duplice porta il quale "sotto il regno di Numa non fu visto aperto neppure per un giorno e durante quarantatre ann i restò chiuso perché la guerra era scomparsa per completo e dappertutto"16s. Plutarco scrive, a questo proposito, che "La storia non ricorda né guerra, né sedizione, né rivoluzione politica sotto il regno di Numa. Non sorse contro di lui né odio né invidia e l ' ambizione di regnare non suscitò contro di lui né complotto né congiura. Sia per il timore verso gli dèi che sembravano proteggerlo, o per il rispet to nei confronti delle sue virtù, o per un favore divino, gli uomini del suo tempo si mantennero puri, a riparo da tutti i vizi, e fu un esempio e una testimonianza splen dida della verità che Platone, che visse molto tempo dopo Numa, non ebbe timore di dichiarare a proposito della vita politica, dicendo che gli uomini avrebbero visto la fine e la scomparsa dei loro mali solo quando, per un favore divino, la potenza re gale e lo spi rito del filosofo si fossero uniti in una medesima persona ed esse avreb bero assicurato l 'impero e la superiorità della virtù sul vizio . " Dionigi d ' Alicarnasso tramanda il ricordo che "Per opera d i Numa n é sedizio ne disunì la città ali ' interno, né guerra ali' esterno la distolse dalla sua ottima ed ol tremodo mirabile disciplina. E i popoli vicini di Roma furono così alieni dal l 'approfittarsi della pace interna di Roma per invaderla che, se scoppiava una guerra fra quei popoli , essi assumevano i Romani come mediatori e deliberavano di sedare le inimicizie accettando le condizioni dettate da Numa." Il regno di Numa, a seconda del l ' anno in cui si fissi la fondazione di Roma, durò dal 7 1 5 al 673, oppure dal 709 al 667. •
2 . LA FOLGORE, L'ARTI: AUGURALE E IL RITO
Prima di passare a trattare del rapporto fra N urna e la folgore, per meglio in tenderlo, sarà bene delineare le idee romane riguardanti il fulmine, la sua origine, il suo valore augurale ed i riti aventi come oggetto la propi ziazione di fulmini fausti o l ' esorcizzazione dei fulmini infausti . l Romani avevano ereditato dagli Etruschi una complessa disciplina riguar dante l ' interpretazione augurale dei fulmini assieme a pratiche rituali concernenti la propiziazione dei numi e l ' espiazione in materia fulgurale . Non sarà inutile, in questa sede , richiamare nelle loro linee essenziali i principali temi che riguardano le antiche concezioni sui fulmini e l ' arte di interpretarl i, scongiurarli, o propiziarl i presso Etruschi e Romani . Dagli àuguri romani i fulmini venivano innanzi tutto divisi , a seconda del mo mento in cui scoccavano, in due categorie principal i : i fulmini diurni ed i notturni . I
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primi venivano riferiti a Giove, i secondi a Summano : "Dium chiamavano il fulmi ne diurno, poiché credevano provenisse da Giove, mentre il notturno da Surnma no" aoo Le notizie su Summano sono estremamente scarse : si sa che il suo culto fu in trodotto a Roma dal sabino Tito Tazio, associato a Romolo ne l i ' esercizio della re galità, assieme al culto di altre divinità fra le qual i Ops, Flora, Vediouis, Saturno, "' Vulcano e Terminus . Si sa anche dell 'esistenza di offerte a Summano consistenti in speciali foccacce di farina, dette summanalia li ba, che avevano la forma di una ruota 1 68 • Summano, in ogni caso, nella sua funzione di divinità del sottosuolo, rien tra in qualche modo nella lista di numi associati da Tito Tazio alla terza funzione della società romana e indoeuropea, la produzione di alimento e ricchezza '•• . L'arte di interpretare i fulmini come presagi faceva parte di una branca specia le della etrusca disciplina e, pur rientrando nel l ' arte augurale, aveva come protago nista un augure specializzato nella ars jùlguratoria. I l fortunato rinvenimento di un ' iscrizione bil ingue etrusco-latina da Pesaro, fornisce i titoli di un sacerdote, L. Cafate che, oltre ad essere stato haruspex, in etrusco netsvis, aveva svolto anche la 1 70 funzione dijùlgurator, termine che in etrusco equival e a trutnvt.frontac . Plinio afferma che "Gli scritti degli Etruschi attribuiscono a nove dèi il potere di scagliare la folgore e riconoscono undici tipi di folgori . Di essi credono che tre siano scagliati da Giove. I Romani di queste categorie ne hann o conservate soltanto due : i fulmini diurni attribuiti a Giove, i notturni a Summano ." Il segno augurale rappresentato dai fulmini , inoltre, dipende dalla loro provenienza, infatti alcuni 1 71 . scoccano dalla terra e questi fulmini, da certuni, sono attribuiti a Saturno Riportandosi alla divisione etrusca del cielo i n sedici parti che abbiamo espo sto altrove (v. Cap. III e nota 46), Pl inio precisa che, per quanto riguarda i fulm ini "Importa molto da dove essi provengano e verso dove essi scompaiano. La cosa migliore è quando i fulmini si ritirano verso le parti orientali del cielo. Per questo, quando provengono dal primo settore del cielo e scompaiono in esso, ann u nciano massima fortuna ( . . . ) Se ciò accade in altre parti del cielo, i segni sono meno pro speri o addirittura nefasti , m Per quanto riguarda il genere dei fulmini, sulla scorta di Cecina (l 'etrusco Ce iena), Seneca riferisce che "Vi sono tre generi di folgori : la folgore che consiglia (consiliarium) ; la folgore che riguarda il potere di governare (auctoritatis) e la fol gore che è detta statutaria (quod status dicitur). La folgore che consiglia scocca pri ma che venga compiuta un' impresa, ma dopo avervi pensato, quando si volge nell 'animo un progetto mediante lo scoccare del fulmine o si è persuasi o si è dis suasi dal portarlo a termine . La folgore che riguarda l 'autorità è quella che scocca dopo aver compiuto qualcosa ed essa ne predice l ' esito o la cattiva riuscita nel futu ro . La folgore statutaria è quella che interviene quando si è tranquilli e non si sta fa cendo nulla e neppure pensando di far qualcosa: questa folgore o minaccia, o pro mette, o fornisce indicazioni (monet) . Essa è detta anche arnmonitrice . . . " m . Vi è, inoltre, una classificazione più minuziosa e maggiormente esatta de l le folgori dalla prospettiva augurale , sempre dovuta agli Etruschi, che comprende ben tredici tipi di fulmini . Seneca attinge, ancora una volta, alla sua fonte: "Diamo ora i nom i delle folgori secondo Cecina ( . . . ) Vi sono le folgori postulatoria, che
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chiedono soddisfazione nel caso di sacrifici non portati a termine o non eseguiti correttamente; le moniloria, dalle quali si apprende in che modo occorra premunir si; le pestifera che annunciano la morte o l ' esilio; le fallacia che, sembrando pro mettere qualcosa di buono invece arrecano danno ( . . . ) le dentanea [forse da leggere ostentanea] che senza pericolo mostrano segnali pericolosi ; le peremptalia che eli minano i minacciosi presagi di precedenti folgori ; le attestata che confermano i se gn i p recedenti; le atterranea che scoccano in luoghi chiusi; le obruta dal l e quali sono colpite cose già precedentemente colpite e non ritualrnt:nte purificate (procu rata): le regalia che colpiscono il foro, o il com izio o i luoghi più notevoli di una l i bera città e il cui presagio minaccia il regno su quella città; le inferna, quando il fu oco scaturisce dal l a terra; le hospitalia che per mezzi di sacrifici costringono, o per usare un 'espressione più del icata, invitano Giove a scendere fra di noi ma fanno anche sì che l ' invitato non si adi ri poiché affermano che ciò accade non senza grave pericolo per gli invitanti ; le auxiliaria, che sono state invocate e si manifestano an nunciando fortuna per quelli che le hanno invocate " 1 74 • Considerando la durata del pronostico rivelato dalla folgore, invece, queste si dividono in tre categorie. Gli Etruschi "dicono che i fulmini possono essere perpe tua, ofinita, o prorogatiua. I perpetui sono quelli il cui significato riguarda l ' intera durata della vita, non si riferi sce ad un ' unica cosa ma abbraccia tutto il corso del tempo futuro a partire da quel momento; questi sono i fulmini che scoccano imme diatamente dopo aver ricevuto una proprietà o quando si produce un cambiamento nella condizione di una persona o di una città. I fulmini limitati (finita) riguardano il pronostico per il medesimo giorno . I fulmini prorogati vi sono quel li i cui prono stici minacciosi possono essere differiti ma non eliminati " m . Qual i sono le divinità responsabili del lancio delle folgori sulla terra degli uo mini? Bisogna ancora una volta ricorrere alla etrusca disciplina avendo come gui da Seneca il quale afferma che : "I filosofi etruschi non sono d' accordo (coi Roma ni) su una questione poiché dicono che i fulmini sono lanciati da Giove cui accordano tre fulm ini . Con il primo, così dicono, egli ammonisce , questa folgore può essere placata e dipende direttamente dal volere di Giove . Anche la seconda folgore è inviata da Giove, ma dopo aver ricevuto parere favorevole poiché egli si rivolge al consesso dei dodici dèi ; questa folgore a volte produce qualcosa di buo no, ma anche in questo caso procura comunque del danno e neppure giova senza pericolo. La te rza folgore è anch'essa inviata da Giove, ma dopo aver convocato a consiglio gli dèi chiamati Superiori o Involuti . Questa folgore devasta ogni cosa e produce sempre un cambiamento di stato nella persona o nella sfera pubblica; nulla 76 che è stato soggetto al fuoco, infatti, resta quello che era" 1 • "Ma perché - si chiede il filosofo romano - solo il fulmine scoccato da Giove può essere placato, mentre è pericoloso que llo su cui Giove ha richiesto il parere e quello scagl iato con la responsabil ità degli altri dè i?" Ed egli così risponde: "Per ché conviene che Giove, ossia il re, possa far del bene anche da solo mentre per nu ocere conviene che egli debba richiedere il parere di molti " 1 77 • Similmente Festa, riportando l 'opinione di Ve rrio Fiacco scrive: "Credono che le folgori scagliate da Giove siano tre . Di esse alcune sono poco potenti , hanno
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il compito di avvisare e sono placabili. Le altre, quelle più potenti e che scoccano con fragore scuotendo o abbattendo, credono siano scoccate da Giove dopo aver ri chiesto i l parere degli altri dèi . Le terze, le più potenti di tutte, scoccano accompa gnate dal fuoco e, sebbene non vi sia folgore senza fuoco, la differenza di queste folgori consiste nel fatto che esse o bruciano completamente , o deformano col fumo, o incendiano: esse mutano lo stato delle cose con l ' assenso degli dèi superio. , I 7a n
Circa l ' atteggiamento del sacerdote, o del l ' augure , nei confronti della folgo re , Seneca divide l 'arte fulgurale in tre special ità riguardanti i l "come compiere l 'osservazione, come interpretare, come espiare . La prima specialità riguarda la conoscenza dei testi canonici (formula m), la seconda la divinazione, la terza la pro piziazione degli dèi che debbono esse re invocati perché mandino un fulmine favo revole e scongiurati contro i fulmini nefasti : invocati perché rassicurino mediante promessa, scongiurati perché allontanino le m inacce" ' "' . I Romani (e prima di loro gli Etruschi) consideravano religiosus, "soggetto a norme e interdizioni rituali " il luogo colpito dal fulmine, luogo che era dettofolgu ritum : "Fulgurilum è tutto ciò che è stato colpito dal fulmine, tale luogo era imme diatamente dichiarato religiosus poiché pensavano che un dio lo avesse dedicato a sé" 180 . Se, invece, ad essere colpito dal fulmine era un albero, questo era dettofana tica 181 . Uno dei Jocafolgurita di cui si ha l 'evidenza storica e che è anche il più cele bre, era situato proprio in quell ' area nel Foro Romano, dinanzi al Comizio che , in memoria d eli ' avvenuta folgorazione, fu dichiarata sacra e ri coperta dal le lastre di pietra nera da cui il luogo derivò il nome di Lapis Niger. 3 . NUMA E lA FOLGORE
Prima di affrontare il tema occorre ricordare che fra i consiglieri divini di Numa non vi era soltanto la ninfa Egeria, che faceva parte di quel gruppo di ninfe i tal i che dotate di potere oracolare chiamate Camene e che di sua spontanea volontà (nessuna fonte riporta i l contrario) aveva accettato di istruire i l re sui misteri del sa cro e delle sacre cerimonie . Numa contava con altri personaggi divini obbligati da lui con l ' ingann o e la forza a svolgere il ruolo di consiglieri. Questi ultimi erano Pico e Fauno, catturati dal re con uno stratagemma suggeritogli dalla stessa Egeria perché gli rivelassero con qual i riti potevano essere scongiurati i fulmini . Evidentemente , il campo di conoscenza della ninfa Egeria aveva anch ' e sso i suoi limiti sebbene ella conoscesse il modo in cui quei limiti potevano esse re oltre passati dal suo assistito . E quel modo faceva ricorso alla magia del l ' incantamento e de l i ' evocazione, appannaggio di altri num i : Pico e Fauno . Questi, divenuti ai tempi di Numa divinità boschive, erano stati un tempo antichi re . Considerato da questa prospettiva l 'episodio in cui Numa si rivolge loro perché lo aiutino in un campo precluso alle umane possibilità, acquista il valore di una ricerca cosciente e pe rico losa, da parte del primo re umano, della fonte stessa del potere, di un ricongi ungi mento con gli archetipi divini della regalità.
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"Si racconta nei miti (mythologousi) che l ' Aventino, colle che non faceva an cora parte della città e non era neppure abitato, ma ricco di fonti con abbondante ac qua e di vallicelle ombrose, era abitato da due spiriti del luogo (daimones}, Pico e Fauno ( . . . ) Di essi si dice che erano famosi in tutta l ' Italia per il potere dei loro far maci (dynamei pharmakon) e per la loro abilità di maghi esperti nelle cose sopran naturali (perì tà thefa goethfas) e si narra anche che compissero gli stessi prodigi compiuti da quelli che i Greci chiamano Dattili del l ' Ida. S i racconta che Numa s ' i mpossessasse della volontà dei due dalmones mescolando vino e miele nell 'acqua della fonte al la quale essi erano soliti bere . Essendo stati assaliti da Numa, assunsero molte forme e mutarono la loro natura offrendo agl i occhi appari zioni (phantasmata) insolite e terrificanti . Quando si resero conto d 'essere stati saldamente legati e di non aver scampo, fecero a Numa molte rivelazioni concer nenti il futuro e gli insegnarono i riti di purificazione riguardanti la caduta della fol gore , gli stessi riti che si praticano ancor oggi con cipolle, capelli e pesciolini . Ma alcuni autori dicono che non furono i due daimones ad insegnargli tali purificazioni ma che essi, mediante i loro riti magici (mageusantas) costrinsero Zeus a scendere 82 dal cielo . . . " 1 • Si noti, in entrambi i passi, il riferimento agl i eremitaggi di N uma lontano dal la gente e dal la vita consociata; la sua solitaria frequentazione di luoghi sacri : bo schi consacrati agli dèi ; "praterie" (forse i luci, le radure nei boschi sacri) dimora di numi ispiratori quali la ninfa Egeria; colli disabitati, val l i ombrose nelle quali sca turiscono fonti cui si abbeverano entità divine, i geni del luogo che Io storico greco interpreta e llenicamente come dafmones: dèmoni. Plutarco precisa, per evitare indebite interpretazioni da parte dei suoi lettori, che, a quanto si diceva e da quello che egli stesso aveva appreso dai suoi studi, Numa non era affetto da turbe psichi che che lo spingevano a sfuggire il consesso umano, ma e ra spronato dalla cosciente volontà di incontrare i daimones e le ninfe per poter apprendere da loro le arti magiche e divinatorie, gli incantesimi e i segreti dei riti, arti che essi conoscevano e praticavano assieme alla scienza dei farmaci. Un re , insomma, che, d'accordo alla sua funzione tradizionale, prende molto sul serio i l fatto che da lui il suo popolo aspetta che sia abile nella scienza profeti ca, sappia scongiurare i numi e possieda virtù taumaturgiche. Solitudine di un sapiente, dunque, quella di Nurna ma di un sapiente arcaico, una solitudine funzionale all ' acquisizione del potere spirituale. La solitudine di un saggio. O di uno sciamano? E se quest'ultima è la qualità del re arcaico (di tutti i re arcaici che abbiamo passato in rassegna) sacerdote, taumaturgo e profeta, le divini tà femminili che lo ispirano e proteggono possono essere interpretate alla stregua di quegli spiriti ausiliarii che accompagnano ed assistono lo sciamano? Si tratta di un tema assai stimolante e che offre molti spunti di ricerca ma che qui, purtroppo, non possiamo affrontare in modo adatto. Ovidio 1 s.1 fornisce una versione poetica del m ito che abbiamo riportato nel brano citato di Plutarco. Secondo Ovidio, la stessa ninfa Egeria avrebbe consiglia to a Numa a chi rivolgersi per apprendere come scongiurare il fulmine e come cat turare gli ignari consiglieri (vv. 2 8 9-294):
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lat opoca mephitim. 1 Hinc ltalae gmtes omnisqwe oenotrra tell11s
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responso pellmt.
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130
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h wc dona sacerdos l c 11m filiit caesarwm o11i11m Sll b nocte si/enti l pellibiiS incwhllit straJis sam nosqwe peliwil. l mwlta modis simwlacra llidet woli tan lia miris l el warias alldit woces.frllitwr l{lle deon�m l con loq wio aJqwe imisAcheron/a adfatwr A wemis. l Hic el 111m paler ipse pelens respon so LatiniiS l cenfllm lanigeras mactabat rite bidentis l atl{lle har11m e.f)ùltiiS tergo stratisqwe ia cebat l welleribws; Sll bita ex alto wox reddita lwco est: l KNe pete conwbiis natam sociare Latinis. l o me a progenies. thalamis new crede paratis; l ex/emi wenient generi. l[lli sangwine nostntm l nomen in astraferant i[IIOTIIm l{lle ab stirpe nepotes l omnia Sll b pedibws. l{lla So/ wtrwml{lle re cwrrens l aspicit Oceanwm. wertiqwe regil{lle llidebwnf>> ." Una signi ficativa e rivelatrice compa razione potrebbe i staurarsi tra i l conceno di "amentia" e quello di "mw-shin", "non mente" nella tradizione del bud d hi smo giapponese zen. S ERVI O A dA en. 7, 47: " . . . l[llidam dews est Fafllclws, hll iiiS IIXOT est Fallla. ldem FtnmiiS et Fa wna. Di eli awlem swnl Fa��n iiS et Fawna a uaticinando. idestfando. wnde etjafllos dicimiiS incon siderate loquentes." ISIDORO, Orig. 1 0 . I O) : "Fat11 11s ideo existima/wr dictiiS. qwia neqwe I[IIOdjaJw ipse. nel{lle q wod alii die��n / intellegil. Fafllos origine dwci l[llidam pwtant a miratoribws Fafllae. Fa1111i IIXo risfatidicae. eosqwe primwmfatwos appellatos. qwod prae/er modrun obstllpefacti Slllll llaJici niis illius usque ad amentiam." ,
13 2 DIONIGI D'ALICARNASSO, 5 , 1 6, 2 . 133
134 13!i
S ER VI O , A d Georg. l , I O: "Cinci11s et Ca.ssi11s aiwnl a b EwandroFawn��m de11m appel/a.fllm . ide oqwe aedes sacrasftnmas primo appellatas. posleafana dieta. el ex eo (jll i,{ll fllra praecinerent fanatici dici." V ARRO NE, L.L. 7 , ::16: "Hinc compositicia alia item ut declinala mwlta, in qwo el FaiiiiiS el Fa luae". MYTHOGR. VA T. (I) ::1, 25: "Qwidam deiiS Fafii iiS; h11i11s IIXOT Fatwa; idem Faunws e/ eadem Fa�� na. Dicti swnl aw/em Ftnmws el Fawna a wa/icinando. wnde etjafllos dicimiiS inconsitkra/e lo qwen/es."
136 MACROBIO, Sat. l , 1 2 , 2 1 ss . :
"Hanc eandem Bonam Fa1111amq11e. Opem et FaJwam pontijìc11m libri indigitari: Bonam qwod omnium nobis ad 11ictum bonorum c011sa est. Fa1111am I[II Od omni IISIIi animanli��mfawel. Opem qwod ipsiiiS OIIXilio wita consta/. Fafll am afando . . . " 137 SERVIO, A d Aen. 6, 775: "ab inewndopassim cum omnibiiS animalibws"; Ll\10, l , 5, 2 . 1 3 8 Idem, ibidem: 4 , 6: "H��nc Fa��n um pleril{lle e11ndem Silwanwm a silwis. !nllllm dewm. qwidam etiam Pana esse dixer��nl. " 139 V. la critica a questa i nterpretazione in DuMÉZIL 1 977: 306-307. Alle pagg. 306-309 è franato il rito dci Lwpercalia. 140 FESTO, p.7 5-76 L: "FebTIIariws mensis dictiiS. I[IIOd film. ides/ ex/remo mense anni. popwiiiSje br��arelllr, idest lustrarefllr ac pwrgarefllr. wel a l��none Febrwala. l{llam a/ii Febr��alem. Roma ni Febrwlim wocant. quod ipsi eo mense sacrafiebant. eiiiSI[IIe/eriae erant Lupercalia. qwo die mwlieresfebr��abanlwr a /upercis amicwlo /��nonis. id est pelle caprina; l{llam ob c011sam is qwo qwe dies FebTIIaflls appellaballlr . " 141 OVIDIO, Fasti 2 , 42 5 -4 5 2 : "ltalidas madres. inqwit. sacer hirCIIs inito!". .
142 DVMÉZIL 1 977: 308-309. 143 DIONIGI D 'ALICARNASSO l, 50. 144 GELLIO, Noct. Ali. l , 12, 14; 1 9 : mo).
"
.. te amala capio" (parole pronWlCiate dal Pontefice Massi
14!i VIRGILIO, Aen. 7, 45-49:
"Rex arwa Latinws e/ wrbes l iam senior longo placidas in pace rege bat. l Hwnc FaJ/Tio el Nympha genifilm Lallrente Marica l accipimiiS; FaJ/Tio Picws paJer isqwe paren/em / te. SaJwme. refert. 111 sangwinis wltim11s 011c/or. "
146 DIONIGI D'ALICARNASSO, l , l .
147 VIRGILIO, Aen. 7, 1 70- 1 72: Tecl wm awgwstwm. ingens. cenfllm Sllblime columnis. l !D'be foit summa. Lawrenli regia Pici l horren dum silwis el religione paren lum." SERVJO , A dAen. 7 , 1 72, commenta il termine horrendwm: "wenerandrun. non qwod h orrori sif', "degno di venerazione e non p.;:rché inc utesse ti more". "
.
148 AURELIO VITTO RE, Orig. 1 7, 5: "EiiiSdem [Si/ui11 posteri omnes cognamenlo Si/Ilii IISI[IIe ad conditam Romam A lbae regnawerwnl. 111 est scripfllm Annaliwm Pontificaliwm libro l[lla.rlo."
149
256
FESTO, p .460 L: "Silui swnl appellati A lbani reges a Lalliniaefilio. qwem posi excessum Aeneae gra�� ida relieta. limenspericwlum el Silae 11itae et eiiiS. l[llem w/ero gerebat. in silwis latens. eni-
xa
est. Qrli restitutus in regn11m est posi mortem Ascanii. praelatus 111/ofratrisfilio. c11m inter eos de regno anbigeretur."
150 LMO, l , 3 . 151 DIONIGI D'ALICARNASSO l , 70. 152
VIRGll..I O ,Aen . 6 , 808- 8 1 2 : "Qttisproc11/ il/e aulem ramis insignis oli11ae l sacraferens? nosco crinis incanal{lle menta l regis Romani. primam l[lli legib11s wbem lfondabit. C11ribJLJ paruis et paJipere terra l missus in imperi11m magmon." Abbiamo tradotto imperium con "potere", là dove la maggior parte dci traduttori rende con "impero". Entrambi le traduzioni sono val ide: la seconda privilegi a il carattere profeti co dcii ' apparizione che si ri ferisce alla futura grandezza di Roma; la prima si riferisce alla realtà storica del momento in cui N urna salì al trono , quando non esi steva ancora un "impero" (che esi sterà grazie ai fondamenti del d i ri tt o umano c d i vino posti da Numa) e il termine "imperium" può, quind i , essere reso nella sua nuda, intima essenza di " po tere spi ri tual e del re " su cui si fonda il potere politico .
1 5 3 CICERONE, Rep. 5 , 3 :
"il/a diuturna pax Numae mater h11ic 11rbi iwis ac religionisfoit." "Cwis est Sabine hasta. Unde Romulus Q11irinus. q11ia eamferebat. est dictus; et Romani a Quirino Quirites dicuntur. Qttidam eum dictum putant a Curibus. quaefuit urhs opulentissima Sabinorum." PLUTARCO, Numa 5-6. LMO, l, 18: "Inclita iustitia religioque [ . . . ) era/. Cllrihus Sabinis habitabat. consultissimus uir. ut in il/a quisquam esse aetate poterai. omnis diuini atl{lle hwnani iuris." Idem, ibidem: "Suopte igitur ingenio temperalwn anim11m uirtlltibusfoisse opinor magis. in structumque non tam peregrinis artibus quam disciplina tetrica ac tristi ueterum Sabinora•m. quo genere nullum l[llindam incorruptius/11it." C fr. anche CICERONE, Rep. 2, 1 3, 25; 1 6 , 30. Idem, ibidem: 4, 1 -2 . OVIDIO, Fasti 3 , 275-276; "Egeria [ ... ) Numae coniunx consili11m". FESTO, p. 6 7 L: "Egeriae nymphae sacrificabant praegnantes. l{lla eam putabantfacile concep tum aluo egerere": "A l l a ni nfa Egeria sacrificavano le donne in gravidanza. po iché credevano ch e costei potesse facilme nte trarre fuori (egerere) dali ' utero il feto ." Questa funzione, attribui·
154 FE STO , p . 43 L:
155 156 157
1 58 159 160
la alla C amena Egeria, sembra del tutto secondaria c riduttiva, valida forse solo in ambito popo lare c in un ' e poca d i molto posteriore a quella i n cui si formò i l mito di Numa.
161 PLUTARCO, Numa 7, 162 163
Idem, ibidem: 7, 8 . Idem, ibidem: I l , l .
I O.
164 LMO, l , 1 9. 165 PLUTARCO,
Numa 20.
166 FESTO, p . 66 L: "Diumfolgw appellabant di��mum. l[IIO dputabantlouis. ut nocturnum Summa ni." Cfr. idem: p . 2 54 : " . . . l[II Od diurna /ouis. nocturna Summanifolgwra habentur." A queste due catego rie F est o (o Verrio F i acco) ne aggi unge una terza, quel la delle prouorsafulgwa, ossia dci ful m i ni di cui non si sa con certezza se sono scoccati di notte o di giorno e che sono att ri bui t i , i nd i sti ntamente a G i o v e Folgore e a S ummano (F ESTO p 254 L). .
1 6 7 VARRO NE, LL 5 , 7 4 : 168
"uouit Opi. Florae. Vedioui SalllrnOl[lle. Soli. Lunae. Volcano et Summa no. itemq11e Larundae. Termino. Quirino. Vortumno. Larib11s. Dianae Lucinaeque." FESTO, p.474 L : "Summanalia /ibafarinacea in modum rotaeficta[e) ."
1 6 9 Un 'immagine di S ummano decorava, forse in forma di acroterio fi tt i l e , i l tempio di Giove Ott i· mo Massimo (CICERONE, De diu. ! , I O); fi no al I V sec. si m e nziona l ' esistenza di un tempi o de dicalo a S tunmano o Dis Pater nella regione compresa fra i l Circo Mass i mo, l 'A venti no, la Porta Trigcm i na e il Tevere (LUGLI 1 946: 5 K l ) , tempio che, forse, e da i denti fi care nel tempio rettan golare del Foro Boario attri bttito erroneamente alla Fortuna Vi ri l e ma che sembra potcrsi attri buire a Portunus, protettore del vicino porto, o a Sumrnano i l cui tempio PLINIO (N. H. 29, 57) dice e ssere prossimo a quel l o di lu11entas (LUGLI 1 946: 584).
C.l./. (Corpus lnscriptionum ltalicarum), 6; Pal lottino 1 95 5 : 2 1 6. "Tuscorum lillerae nouem deos emillerefo/mina existimant eaque esse un decim generum; [ouem enim trina iac11/ari. Romani d11o /antum ex iis serua11ere. diurna altribu enles loui. nochlrna Summano."
170 A . F ABBRETil
1 71 PL!Nio, N.H. 2, 1 3 8:
257
172 Idem, ibidem: 55, 1 44 : "ltaque plurimum refert uruie uerrerintfolmina et tpiO corr ce.ssuinL Opti mum est in exortiuas redire par/es. ldeo cum a prima caeli parte uenerml el m eandem corrces serinl, 51/mmafe/icilas porlendetur [ . . . ] Cetera ipsiu.s mun di por/ione minu.s prospera aut dira."
173 SENECA, Nal. Quaes/. 2, 39: "Generafulgurum tria esse ai/ Caecina. con.siliarium, aucloritaJis el quod slallls dicilllr. Consiliarium ante remfit sed prul cogitationem. cum aliquid m animo uersantibu.s aut suadeturfulminis iclll aut dis511adetur. A ucloritatis est ubi posi remfac tam ue nil, quam bonofuturam maloue significa/. Status est ubi quietis nec agentibus tp�ictp�Qm nec co gilantib us quidemfulmen interuenil et aut minalur. aut promillit aut monet."
ibidem: 2, 49: "Nunc nominafulgurvm tp�ae a Caecina porruntur [ . . . ] A il esJe prutulato ria. tp�ibu.s sacrificio inlermissa aut non rilefaeta repelllunlur; moniloria. quibu.s docetur tp�id cauendum sii; pestifera. qua e mortem exiliumque portendunt;fallacia. qua e per speciem aliCJI iu.s boni nocenl [ . . . ] tdenlaneat. quae speciem periculi sine periculo affenmt; peremptalia. quibu.s tollun tlll' priorum fulm inum minae; attestata. tp�ae prioribu.s consentiun/; a tterrane a. quae in clausofiunt; obrula. quibu.s iam prius percussa nec procurataferiuntur; regalia. cum forum tangitur uel comitium uel principalia urbis liberae /oca. tp�orum significa/io regnum ciu itatis minalur; infema. cum e terra exiluil ignis; hospitalia. tp�ae sacrificiis ad nos louem arces Sllnl. :se d ul uerbo molliore utar. inuitanl. - se d non irascetur inuilalaLS; n l/TIC uenire eum magno inuilantium p ericulo ajfirmant-; awciliaria. quae muoca/a sed aduocantium bono ueniunt." C i rca l ' i nterpretazione di dentanea con osltntanea, cfr. SERVIO, (A d Aen. 8, 429) che chiama oslentanea l e folgori c he procurano soltanto spavento Idem, ibidem: 2 , 47 : "[Etrusci] aiunl aut perpetua essefulm ina. aut.finita. aulprorogatiua. Per petua. quorum significa/io in totam pertinet uitam nec unam rem dtmmtiat sedcontextum rerum per omnem deinceps ae/alemfuturam comp lec titur; haec 51/ntfu/m m a tp�ae prima acctplo pa trimonio el in nouo hominis aut urbis sta tufiunl. Finita ad dit m utique respondenl. Prorogatiua suni quorum minae differri prusunt. auer/i tollitplt non possunl." Idem, ibidem: 2 , 4 1 : "[Etrusci philosophzl in ilio dissenliunl tp�od.fulmirra a Ioue dicvrrl mitti el tres il/i manubias dant. Prima. 111 aiunl. mone/ tl. placata est et ipsiu.s iovis corrsilio millilllr. Se cundam mittit tp�idem lupiter. sed ex consilii sententia. duodecim enim deru aduocal; hoc fol men boni aliquid aliquandofacil, sed lune ipiOtple non a/iter tp�am ut noctat; ne prodest qwidt m impune. Tertiam manubiam idem Iupittr mitlil. std adhibitis in consilium diis tpiOS sup erru t/ inuolu tos u ocan t. quia uastat in quae incidit et utique mutat statum priuatum el publicvm qutm inutnil; ignis enim nihil esse 'l. uodfuit patitur." Manubia, i n questo contesto, è WJ icrminc: I.J>'
174 Idem,
175
176
partcnente al lessico della disciplina augurale c, al la lettera, significa "arma manuale", "arma da getto" (cfr. S ERVJ O , AdA en . l , 46) ma viene tradotto normal mente con "folgore" poiché si ri fo ri sce alle tre folgori di cui Giove di spone .
177 Idem, ibidem: 2, 43 : "Quare ergo id.fulmen tp�od solu.s Iupiler mi/Iii placabile MI. perniciosum id de quo de liberauil t l quod aliis ipiOiplt diis au ctoribus misit? Quia [ouem. id est regem. pro desse eliam solum oporlet. nocere non nisi cum plurihus uisum �li. " 178 FESTO, p. 1 1 4 L: "Manubiae Iouis tres creduntur esse. quarum unae sini mmimae. quae mont an/ p lac a/aetp�e sin t. A lterae quae maiores sini. ac uenianl cumfragore. diSCII tiantque aut tfiu. tllant. quae a loue sint. el consilio dtorum mitti existimelur. Tertiae his ampliares. tp�ae clll1f ignt uenian/; el quamquam nullum sine ignefulgur sit. h at propriam differentiam habean/ tp�od aut adurant. aut.fuligirrt deforment. aut accendan/; tp�at s/atum mwlent deorum consilio Sllpt
rionun."
1 7 9 SENECA, Nat. Quaest. 2, JJ: "Nunc ad.fulmina reuer/amur. Qu orum ars m haec tr io diuiditur: tp�emadmodum exploremu.s. tp�emadmodwn ilerpre/emwr. tp�emadmodum e:xpiennu. Prima pars adformulam perlirr et. Jecvnda ad diuinationem. tertia ad propitiandos deru. tp10s bano folmme rogare oportel. malo deprecaTi; rogare u/ promissajìl"''rrDD I. deprecaTi. 111 remi t/an/ mi na.r." 180 FESTO, p. 82 L: "Fulguritum. id quodest.fulm me ictum. qwi locus slatimfieriputabanturreligio .ru.s. quod ewm deus sibi dicasse uiderttlll'. "
l81 Idem,
ibidem:
"Fanatica dicitur arborfulm ine icla."
182 l'LliTARCO, Numa 1 5, J-8. L ' espressione usata da Pl utarco, tòn tpi tois kera�mois katharmòn, corrisponde a que l l a usata da V ALERIUS ANTIAS (Hin. Rom. Framm. i 53),procvrandi.fulmirris scientia ed all ' e spressione di OVIDIO (Fasti 3, 3 3 3- 3 :>4) , p iaculafulm mis.
1 83 OVIDIO, Fasti: J, 28 5-344: "«Ne nimium ltrrtre! Piab iltfulmen l est». ait ..et saeuiflectilllr ira Iouis. l Sed polenml ritum Picu.s Faunu.stp�e piandi ! tradere. Romani lflllelf n utrumque soli. / Nec sine ui tradenl: adhibeto umcula caplis»; l atqut ila tp�a possirrt. erudit arte capi. l U.cvs A wentino Sllberat niger ilicis umbra. l qwo posses uiso dicere «N11men inest». l In medio gramen.
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mwscoque adoperta wirenti l manabat saxo wena perennis aqwae: l indefere soli FtliOIIIS Picll sque bibebant: l h11e uenil el Fonti rex Nwma mac/a/ owem; l plenaq11e odorati disponi/ pocwla Bacchi. l crunque swis antro condilus ipse lati/. l Ad solitos wenirml siluestria numinafonles. l el releJilUII multo pectora sicca mero. l Vina quies sequitwr: gelido Numa prodit ab antro. l uincla qwe sopilas addii in arta mam1s. l Somnus ul abscessil. pugnando uincwla lemplan/ l r11mpere; pugnan/esfortius il/a /enenl. l T11nc Nruna: «Di nemorrun.factis ignoscile nostris. l si scelus in genio scilis abesse meo: l qrwqwe modo possitfulmen. monslrale. piari. >J [ . . ) Sic Numa; sic qualiens cornua Farmus ai/: l «Magna petis. nec quae mani tu tibi disc ere nostro !fas est: haben/ fmis nrunina nostra swos. l Di srunus agres/es el qui dominemur in altis l montibus; arbitrium est in swa tela loui. l Huc 111 non poteris per te dedwcere caelo. l al poleris nostraforsilan usus ope .» [ . . . ) «Caede capul" dixit; cui rex «Parebimus" inquil l «caedenda est horlis erula cepa meis». l A ddidit lric «hominis»; «summos" ai/ il/e «capillos». l Pos/11/at hic an imam; cui Nruna «piscis» ai/. l Risi/. el «His" inquil «Jacilo mea tela procures. l o uir conloquio non abi� nde de01!'. Vi sono , nel testo, alcune pa rol e del l csstco sacerdotal e degne d t nota: p iare, s t g m fi ca "cercare dr placare un nume mediante sacri fi ci " cd anche "propiziare una d i vi m tà med ian t e sacri ficio", cd ancora "espi are", "scong i urare", " p ur i fi c are . lpiaculafulminis sono le ce ri mo ni e che hanno lo scopo di scong i ura re i l ful mine di Giove ed anche quello pre ve nti vo di e s pi are le eventuali colpe che a«irano i l ful m i n e . La scienlia procurandifolminis (v. swpra n. 1 27) e l ' espressione ovidia na hisfacilo me a tela procwres si riferisce alla procura/io (da procurare), ossia alla cerimonia .
"
d 'espiazione mediante sacrificio il cui scopo è e l i mi nare ri tualmente gli effetti negativi di un presagio (monstra, prodigia), o di un'azione nefilsta.
184 Le coma attri buite a Fauno provengono dal l a sovrapposizione della figura di Pan greco a quel la della prisca divi nità lati na . 1 8 5 OVIDIO, Fasti 3 , 327-328 : "EiiciiiTII caelo le. luppiler; rmde m mores l n une quoqwe /e celebran/ Ehciumque uocant." 186 Il nome Volta sembra essere la trasposizione foneti ca latina di un nome etrusco ap Jl!rlencnte al l a serie Ve/6a l Ve/lune l Voltronn a , no m i c he si riferiscono a l l a di vinità etrusca c h e 1 R o mani chia meranno Verl��mn��s , "d i v i ni tà dalle cara«eri sti c he strane c contrastanti , rappresentato tal volta come un mostro malefico, tal volta com e un d i o d e l l a veg e t azione dal sesso incerto, tal vol ta come un grande nume guerriero." (PALLOTIINO 1 9 5 5 : 206-207) . 187 PLINIO, N. H. 2, 54: "&tal arrnaliwn memoria sacris quibusdam elprecalionibus uel cogifwlmi na uel impetrari. Vetusfama Etruriae est. impetra/IIm Volsinios urbem depopulatis agris swbe un/e monstro. quod uoca��ere Voltam. euoca/um a Porsinia swo rege. Et ante eum a Numa sae pius hoc Jactilalwm in primo annalirnn suonim tradidit L. Piso. grawis a��c/or. quod imita/IIm par11m rile Tullum Hostilium ictumfolmine. " 1 88 L ' identificazione è stata proposta da S .P. CORTSEN 1 92 5 , D ie etruskischen Standes- u nd Beam tenlitel, v . critica in PALLOTIIN O 1 95 5 : 1 80ss; per il titolo pur6ne che, agli inizi del VI sec. so stituisce a Chiusi q ue l l o di larr;:,me ( l uc umone ) v. MAZZARIN O 1 94 5 : 84 . 189 LIVIO, l , 3 1 : . . . qui nihil ante ralus esse/ minus regium quam sacris dedere animum. repenle omnibus magnisparuisque swperslilionibus obnoxius degerel. religionibusque eliam populum impleret. Vulgo iam homines. eum slatum re rum qui SJib Numa rege fueral requiren/es. unam opem aegris corporibus reliclam. si pax ueniaque ab Diis impetrala essei. credebant. lpsum re gem /raduni uoluen/em commen/arios Nrnn ae. cum ibi quaedtun occulta sollemnia sacrificia loui E/icioJacta inwenissel. op era/um iis sacris se abdidisse; se d non rile initium ha��d cura/IIm idsacrum esse. nec solum nullam e i oblatam Caelestium speciem. sedira louis. sol/ici/ali praua religionefolmine ictum cum domo conflagrasse." "
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Capitolo 8
Le qualità etiche nel/ 'ideale del ciuis romanus: l 'eredità di Roma
Le considerazioni sulla concezione romana del l ' imperium, sulla sua origine, natura e funzioni, resterebbero solo d issertazioni intel lettuali se non fossero con frontate con la v ita vissuta degli antichi Roman i chiarendo "come" l ' etica romana insegnasse loro a rendersi d isponibili a l l ' azione del favore speciale concesso da Giove ai destini d i Roma. Roma intese forgiare un ideale d i uomo che fosse espressione storica del suo genius incarnando i valori ideal i del la sua tradizione. I destini di Roma furono in dissolubi lmente legati alla figura del ciuis romanus. I valori che concorsero alla sua formazione s ' incentrano e poggiano su una visione rel ig iosa del mondo, della persona, del d iritto e della società che Roma fece sua o, meglio, alla quale coscien temente appartenne. Quei valori, essenzialmente religiosi ed etici, sui quali s i fon da la v isione romana del mondo e del l ' uomo e che, in pace e in guerra, s' incarnano e manifestano nella v ita quotidiana, vengono da lontano, dalla comune origine in doeuropea della componente latina ed ital ica del popolo romano, pur trattandosi d i valori comuni a d altre tradizioni anche fuori dell ' area culturale europea. S i tratta d i valori universali, fondanti, che definiscono i l concetto stesso d i "civi ltà" n e l l a m i sura in c u i , controllando l ' espansione selvaggia d e l i ' ego, permettono la coesisten za umana e garantiscono l ' ord inato svi luppo della società. U n ' utile comparazione con i valori etici del l ' "eroe" nel l ' epica greca potrà, per esempio, esser fatta scor rendo le pagine che abbiamo dedicato altrove a questo argomento ' . Il compito che Roma si assunse fin dai primord i fu quello di porre i valori etici fondati sul mos maiorum come salde fondamenta per la costruzione di un mondo. Pur agendo nella storia, tal i valori non appartengono ad essa, eppure ne d irigono i l corso e permettono una lettura "trasversale" della storia stessa. Questa lettura ren de palese come, ogn i volta che una cu ltura, o una civiltà, trad isca, rinunci alla pro pria tradizione ed abbandoni l ' ideale etico che s ' ispira ai valori fondanti del l ' antropologia in quanto propria del l 'anthropos, condanna sé stessa alla deca denza, a l i ' oscurità e alla barbarie. Non v'è pensiero religioso, infatti, che s i d iscosti da que l l ' ideale etico che pone la forza al servizio della giustizia, ideale che in occi dente fu romano, o lo rinneghi . G l i argomenti accennati in queste brevi note, suggerite dalla lettura d e l b e l li bro d i M iche! Mesi in "L 'uomo Romano", meriterebbero una trattazione ben più ampia e profonda ma era nostra intenzione, in questa sede, stilare solo una serie d i
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appunti orientativi in grado di stimolare il lettore ad una riflessione ed ad un even tuale, utile approfondimento. l . RELIGIO E PI ETAS
Maiores religiosissimi homines: per tradurre correttamente dobbiamo inter pretare il term ine religio che, a Roma, esprime il valore fondante d ' un patto stipu lato fra uomo e divinità. Religio è l ' osservanza delle norme che regolano i rapporti fra uomo e sacro.Questo permette al la società d i sussistere in quanto i l patto sociale è garantito da norme rel igiose e su di esse è fondato . Tradurremo dunque: "gli ante nati furono uom ini attenti quant' altri mai a l l ' osservanza delle norme che rego lano i rapporti col sacro" 2 • Questa d ich iarazione esprime il senso ed indica la giusta direzione per qua lunque ricerca, o valutazione, su l l ' etica, su l d iritto e sul pensiero romano. Il roma no, almeno fin quando fu cosciente della propria identità, presentò, infatti, i carat teri del l ' homo re/igiosus. Come avviene in ogn i civiltà "tradizionale" Roma non crea arbitrariamente i model l i di comportamento ma li deriva "da l l ' a lto", da princi pi archetipici . Numa è il re che, per primo, pone in modo stabi le i fondamenti della religione romana fissando le norme del d iritto sacro e del diritto sociale. I l m i to narra, come si è visto, che egli ricevette ispirazione da Egeria, entità divina, n in fa delle fonti, o Camena ' italica dotata di potere oracolare, che divenne "sua sposa". Ben veniste traduce religiosus come "scrupoloso nei riguardi del culto, che si fa un caso di coscienza dei riti' " . Religio ind ica "una disposizione interiore e non s una proprietà oggettiva d i certe cose o un insieme d i fede e di pratiche" . Religio che Cicerone fa derivare da legere, "cogliere", "riunire" ma anche "riconoscere" è la disposizione a riconsiderare e riprendere (retractare) una scelta, o un' azione considerandola secondo i canoni del d iritto divino. Religens è chi si preoccupa del le cose rel igiose, l ' uomo attento e rispettoso del sacro, mentre religiosus, qualora venga meno la coscienza vissuta e partec ipe del sacro d iventa un term ine peggiora tivo assumendo il senso di "superstizioso" (N igidio Figulo). I l fondamento della fam igl ia, del diritto, del potere pol itico e del rito, a Roma, poggiava saldamente su l la coscienza del sacro: il senso ed i l rispetto del sacro i l lu m ina e regola tutte le attività umane. E cosi pure l ' etica, anzi prima di tutto l ' etica, è fondata sulla religio e risulta da essa inseparabile. I riti comp iuti dal rex e dai col l egi sacerdotali per la salvezza dello Stato ed i riti compiuti su l i ' ara domestica dal paterfamilias sottintendono ed esprimono una comune d ign ità sacerdotale che si esplica in ambiti diversi eppure omogenei - la fa miglia e lo Stato - e la cui espressione simbol ica più a lta e significativa è espressa dal l ' ignis perennis di Vesta. Quando, i l 5 febbraio del l ' ann o secondo della nostra èra, Augusto viene insi gnito del titolo d i Pater Patriae è da vedersi in ciò la manifestazione, i l compimen to storico di un' idea che considera il rapporto fra populus e princeps della stessa natura di quello che intercorre trafì/ii e pater familias e che impl ica, n e l l ' uno e nel l ' altro caso, prec isi doveri reciproci dipietas e difides. I noltre, come i l paterfa-
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milias è rex e pontifex nell ' ambito della sua famiglia, così i l princeps è rex eponti fex del l ' intero universo sociale di Roma. I l concetto d i "paternità", riferito al sovrano, non va inteso, infatti, in senso puramente "paternal istico", e quindi demagogico. Indipendentemente dagli al lon tanamenti dal l ' ideale che nella storia romana possono essere e sono avvenuti, que sto concetto si riferisce ai doveri del pater che fanno parte della pietas e che sono, fra gli altri : la protezione della fam iglia, la garanzia della sua sopravvivenza, i l mantenimento e la trasmissione delle norme religiose che regolano i rapporti d i questa con g l i d è i e c o n gli antenati d e l l a gens. Con Augusto, infatti, la suprema d ignità sacerdotale e pol itica (il pontificato massimo e la sovranità d ' investitura d ivina) confluiscono in un'unica persona, com ' era stato alle origini di Roma e come s ' era conservato, lim itatamente al m i crocosmo fam i liare, nella figura del pater. Le qualità etiche del ciuis romanus sono incentrate _tutte sulla pietas come loro cuore pulsante e naturale asse d 'equil ibrio. La pietas si definisce essenzial mente come "sentimento del dovere" che si esplica innanzi tutto nei confronti degli dèi, quindi, propriamente, come "pietà rel igiosa", "devozione", "sentimento reli gioso" basato sul riconoscimento e sul rispetto del sacro. Nella v isione del mondo romana gli dèi, comunque, non sono entità astratte e lontane ma punti di riferimen to concreti che agiscono nella storia attraverso la testimonianza e la fedeltà del l ' uomo alla loro parola espressa dal l ' osservanza del diritto. Questa testimo nianza fedele è, appunto, la pietas romana. Verso i maiores, gli antenati, la pietas si esprime mediante i l culto domestico ai Lares e Penati e si manifesta nel culto statale di cui, in questo ambito specifico il fuoco di Vesta e i l suo tempio come Lararium populi romani è espressione supre ma. Come la famiglia, nel lararium domestico, rende cu lto agl i antenati, così Roma col fuoco eterno d i Vesta rende culto agli antenati di tutte le gentes che fecero Roma e, fondando il mos maiorum - la tradizione romana - ne permettono l ' esistenza nel tempo. Tanto importante era ritenuto questo culto che C icerone af ferma: "se gli dèi sdegnassero le pregh iere della Vesta le Massima, la nostra salvez za sarebbe perduta' ... Nei confronti della societas romana la pietas si man ifesta innanzitutto nel l 'un iverso fam i l iare come pietas del padre verso i figli e la sposa e di questi ver so il pater e sposo. La pietas famigl iare d iviene pietas verso la patria - intesa come terra sacra dei patres, gli antenati fondatori di Roma - sia garantendo la perpetuità della stirpe che la trasmissione dei valori fondanti del l ' etica e della visione del mondo romana. Questa trasm issione, che avviene med iante l ' educazione dei figli, esprime la pietas verso la potestas di Roma garantita dallo ius e incarnata nelle au torità preposte al consorzio civile romano. Enea, ai temp i di Augusto assurge a prototipo di quello che in segu ito sarà il ciuis romanus, ma già nel VI sec. A . C . i coroplasti etruschi veienti lo rappresenta vano col vecchio padre Anchise sulle spalle, profugo verso i lidi italici e i nuovi de stini riserva tigl i dagli dèi. Enea è pius per eccellenza ed archetipo d i pietas per i tempi a venire. In Enea, infatti, il sentimento di devozione verso gli dèi, gli antenati e l a patria, per la quale egli ha combattuto strenuamente in arm i, si congiunge
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a l l ' espressione più alta della pietar fi l iale nei confronti del padre e del figlioletto. Le raffigurazioni che lo rappresentano armato col vecchio padre sulle spalle e i l Pal ladio tra l e braccia esprimono con un' intensa efficacia simbol ica u n mode l lo d i pietar che, fin dalle sue prime apparizioni nel l ' arte plastica d e l VI sec., con Virgi lio d iverrà paradigmatica per tutta la romanità. In Cicerone la pie tar è quasi sempre sinonimo di religio: assicura la pax dea rum prodotto deg l i armoniosi rapporti con gli dèi che salvaguardano e garantisco no la prosperità, l 'auctoritar e la sopravvivenza stessa di Roma. E come gli uom ini sono tenuti alla pietar verso gli dèi, così anche gli dèi sono tenuti a rispettare la pietar verso gli uom ini elargendo loro, in cambio del le pre ghiere e dei sacrifici, la protezione sacra, l ' ispirazione e i doni che permettono la continuità della v ita assieme alla fertil ità del suolo, alla fecondità deg l i animali e del le donne, alla vittoria e alla pace. In Virgilio lapietar degl i dèi nei confronti de gli uom ini s ' identifica con la iustitia divina che punisce i colpevo l i d 'empietà ' . In l atino pius, che si tratti degl i uom i n i o deg l i dèi, è essenzialmente "colui che paga un debito contratto in cambio d ' un bene ricevuto. La nozione stessa d i pietà comporta dunque rapporti di rispetto ( . . . ) e di devozione, ma al tempo stesso di osservanza degl i impegni assunti ( . . . ) esattamente come definisce l 'atteg giamento del l ' uomo nei confronti deg l i dei'". "La p ietà è dunque la virtù sociale per eccel lenza, poiché , viene esercitata nei confronti dei genitori, della patria e del suo capo. Essa sola può indicare il buon accordo tra gli dèi e g l i uom i n i i n quanto si gnifica prima d i tutto la concordia tra i figli e il loro padre, tra i cittad ini e il princi pe"•. Lapietar verso gli antenati rifugge da un tentativo un ivoco d ' inquadramento della stessa nel l ' ambito dei culti propiziatori a sfondo magico (assicurarsi la bene volenza dei defunti perché questi assicurino la fecondità e la produzione di alimen ti). Non si tratta, infatti, di culti un icamente "util itaristici" e neppure dettati da un atteggiamento emozionale nei confronti delle rad ici della gens. Tale pie tar presup pone innanzitutto la coscienza della memoria che è molto m eno una celebrazione commemorativa e molto più un rapporto vissuto e leale di confronto col mos maio rum, cioè con la visione del mondo e lo sti le di vita degli antenati. La pietas presuppone, dunque, un rapporto d ' apprendimento e d i imitazione cosciente che, tram ite l ' esempio e la memoria degl i antenati, conservata dalla tra dizione attraverso gli exempla e il mito, ripropone continuamente come realtà sem pre presente ed attuale. Plinio afferma che: "G l i antenati ci i nsegnano non solo attraverso g l i orecchi, ma anche cog l i occhi i costumi che bisognava praticare e trasmettere, passando l i di mano in mano ai nostri d iscendenti . Ad ognuno i l gen itore serviva da maestro e i l posto d e l padre, per c h i n o n lo aveva p i ù , era preso d a uom ini i l lustri e d anziani"10• E proprio questo "passare d i mano in mano" esprime letteralmente i l senso d i "tra dizione" come traditio, come "tramandamento". Il pater familias dimostra la sua pietar verso i figli innanzi tutto incarnando l ' ideale del ciuis romanus e d ivenendo testimone di esso con l ' esempio delle virtù nelle quali g li antenati già eccelsero. Così facendo, il parer testimonia la perenne attualità di quelle virtù e la realizzabil ità del progetto romano. Anche la trasm issio-
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ne della v ita, da parte del padre e della madre e l 'educazione dei figli, è un atto d i
pietas n e i confronti della patria e della propria gens della quale i genitori n o n ga rantiscono solo la continuità biologica nel tempo, ma anche la trasmissione dei va lori che rappresentarono l ' anima profonda, il genius della stirpe. La pietas d e l mi/es si espl ica mediante i l combattimento, mediante, cioè, quella che il medioevo cristiano chiamerà la "carità delle arm i". La pielas del mi/es presuppone l ' um i ltà nel l ' accettazione della d isciplina m i l itare, il coraggio in com battimento e, soprattutto, la cosciente accettazione del sacrificio della propria v ita come tributo alla d ifesa del popolo, del suolo patrio e dei diritti rel igiosi del popolo e degli dèi. Ma v ' è pielas anche nel contadino che, per quanto vecchio, pianta giovani al beri dei quali sa bene d i non poter goderne l ' ombra ed i frutti . A chi gli chiede per chè, dunque, lo faccia egl i risponde : "Per gli dèi immorta l i che vogliono che senza !imitarmi unicamente a ricevere questo bene dai m ie i antenati, io lo trasmetta an che ai miei d iscendenti" " . La pietas d e ll' anziano, i l senex, nei confronti della fam iglia e d i Roma s i esplica mediante l ' esempio, i l consiglio e l a saggia parola nell ' ambito della fam i glia e dello Stato: " S e queste qualità - la saggezza, la capacità d i d iscernimento, i l valore d e l consiglio - non fossero caratteristica d e i vecchi, i nostri antenati non avrebbero chiamato il consiglio supremo dello Stato Senatus, cioè «consiglio dei vecchi»" 1 2• La lungimirante saggezza degli anziani, alimentata dal l ' esperienza e dal la fedeltà alla tradizione, guida e convoglia la potenza irruente della iuventus ro mana verso il consegu imento deg l i ideali suprem i che Roma si propone. La gio ventù, da parte sua, riconosce la forza ordinatrice del l 'auctoritas spirituale, che p romana dagl i i l lustri vegliardi, come già l ' invitto Ach i l le si sottom ise di buon gra do alla veneranda saggezza di Nestore. Ed è pius sia chi pratica la difficil issima arte del consiglio, sia colui che pos siede la prudente saggezza del l ' ascolto. La saggezza congiunta al valore, il senalus e il populus forgiarono la storia ro mana e Roma prosperò fino a quando le due componenti seppero equilibrarsi e in tegrarsi in vista della real izzazione d i una superiore m issione d i civi ltà della quale Roma fu conscia. S . P.Q . R . : Senatus Populusque Romanus non è solo espressione d i una formu la giuridica standard izzata: è il man ifesto della visione del mondo e del concetto rom ano di "popolo"; rappresenta l ' unione feconda della tradizione con l ' energia vitale della stirpe. Il Senato romano aveva, infatti, come precipuo compito la conservazione e la trasmiss ione del mos maiorum, ossia de lla tradizione romana poichè, nelle parole d i Cicerone, "ciò che è più antico è più vic ino al d ivino": "conservare i riti della fa miglia e degli antenati sign ifica, in certo qual modo, conservare la rel igione tra smessa dagli dèi. Infatti, ciò che è più antico è più vicino agli dèi"". I l mos maiorum, ideale d i v ita d ivenuto pratica quotidiana, è i l segno distinti vo delle gentes che fecero Roma, anzi è la prova tangibile e la manifestazione stes sa della loro nobi ltà. Aderire al mos maiorum significa, per il romano, accettare la stabilità consol idata da una lunga esperienza, opposta a l l ' innovazione arbitraria e
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priva di saggezza. Questa aderenza, tuttavia, presuppone una cosciente fedeltà e può esser realizzata solo facendo propri i principi spirituali ed etici sui qua li si fon da il mos maiorum e dai qual i deriva alla persona i l carattere essenziale d i salda fer mezza . Si ricorderà, a questo proposito, l ' appassionata difesa del mos maiorum da parte di Marco Porzio Catone, "trad izionali sta plebeo" 14 alle sog l ie dei tempi e de g l i homines noui quando, al seguito delle legioni v ittoriose e per opera di c irco l i in tel lettuali, costum i e culti greci e orienta l i invadevano Roma. E s i ricorderà anche l ' u ltima, appassionata difesa della rel igione dei padri da parte del console Q. Aure l io S i mmaco mentre il quarto secolo volgeva ormai al tramonto. È significativo, a questo riguardo, che la l ingua latina, pur conoscendo il ter m ine traditio 1 5 , usi un term ine molto più concreto, meno vago, riferendosi alla tra dizione romana: mos, uno "stile di vita", un "modo di essere e d ' agire" che è pro prio del romano e che lo distingue. A l lo stesso tempo, è indicato anche il punto d i riferimento e d anche in questo caso i l riferimento è netto e n o n lascia adito a dubb i : i maiores. In altre parole, c h e sono le stesse o molto sim i l i a quelle c h e un romano avrebbe potuto pronunciare: per Roma "trad izione" è fare ciò che i m igliori tra g l i a v i fecero. E n o n s o l o questo: è real izzare i l compito c h e g l i a v i affidarono ai poste ri. Ma, siccome i maiores posero in pratica nella loro esistenza l ' insegnamento de gli dèi (vedi il caso esemplare di Numa) fare ciò che essi fecero significa realizzare , ancora una volta, la volontà deg l i dèi. A Roma, come presso qualsiasi altra civi ltà tradizionale, la morte non ha il va lore di una cessazione definitiva, di un ritorno al nulla e al s ilenzio. L' antenato non è soltanto un ricordo destinato ad affievol irsi nel tempo ed a spegnersi col progredi re degli anni e del l ' oblio dei suoi discendenti. A l contrario, i l ricordo degli antenati che hanno onorato il nome della gens e di Roma è un punto costante di riferimento, un esem pio dal quale ci si sente direttamente coinvolti e spronati. Ed è il valore fon dante di questo esempio a trasformare la morte in vita, l ' oblio in ricordo, il passato in presente e in futuro. Il m ito in storia. L' esempio degli antenati, che un tempo realizzarono concretamente ciò che essi stessi insegnarono e additarono come iustum, costituisce una sfida, per i suoi discendenti e per Roma, a sovrapporsi a cedimenti interiori, a dubbi, a timori. I maiores rappresentano per i discendenti la sfida a raggiungerne la grandezza e la nobi ltà. O la vergogna per un destino abortito, un compito sacro non real izzato. Il romano, per quanto riguarda l ' ald i là, non investe nella beatitudine celeste. Pur conoscendo i destini del l ' oltretomba, la grigia polvere del l ' Averno o l 'eterno splendore dei Campi Elisii, il romano investe soprattutto nel tempo degl i uomini, nella storia: la storia d i Roma e que l la della gens cui appartennero i suoi maiores, cui anch ' eg l i appartenne e per la quale ha generato discendenti che perpetueranno la stirpe. Il romano investe nell ' esempio e nel ricordo. Affida i l destino del suo nome dopo la morte alla memoria dei suoi d iscendenti e d i tutto il popolo e, ciò facendo, continua a v ivere nel seno della sua fam iglia e del suo popolo. Far parte di Roma è sentito come un vincolo sacro con g l i antenati che non solo la morte è incapace di infrangere ma che, anzi, essa rafforza col trascorrere del tempo e delle generazion i . Lo sforzo cosciente e quotidiano dei vivi per restare
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aderenti al mos maiorum, la pietas, la uirtus, lafidelitas necessarie per percorrere un cam m ino il cui valore allegorico può paragonarsi giustamente a quello del sul cus primigenius, non nutrono solo la larva di un antenato assetato - secondo le con cezioni arcaiche - di vita, di luce e d ' affetto : nutrono l ' an ima stessa di Roma che è formata dalla presenza vivente del Dio tutelare del l ' Urbe, dag l i spiriti dei maiores (i Pena/es populi romam) e dag l i spiriti dei v iventi . Romolo, il primo e il più i l lustre degli antenati, non traccia solo un solco ma teriale per la recinzione di una porzione consacrata dello spazio concesso a Roma, traccia i confini netti e invalicab i l i di un mondo ideale separando ciò che appartie ne al Fas da ciò che non vi appartiene ed è nefas. La "Roma Quadrata" fondata da Romolo non è solo una prim itiva piccola città fortificata è anche e soprattutto un templum che contiene e diffonde tutto quel complesso d i valori ideali, d i principi i, di certezze che fanno parte della tradizione e senza i quali Giove ritirerebbe da Roma i l suo favore privando la del l ' imperium. Questa comunione di passato e presente, la dinam ica del m ito che diviene sto ria e della storia che realizza il m ito, abolisce le leggi norm a l i del tempo . La espres sione più alta e signi ficativa di questa comun ione fra maiores e iuuentus è quella del fuoco sacro, l ' ignis perennis, di Vesta. A l l o stesso significato rimanda uno dei simbolism i del doppio volto di Giano che, pur essendo assieme a Saturno re del l ' età del l ' oro, si man ifesta nel presente, in ogni inizio, con lo sguardo volto ver so il passato e verso il futuro . Nel presente, med iante la fedeltà alla trad izione, il romano real izza la presen za d ivina che agisce nella storia attraverso l ' agire degl i uom i n i . Gli antenati costi tuiscono il ponte che lega i l visibile a l l ' invisibile. Essi congiungono i l tempo della storia coi suoi ritm i al tempo religioso coi suoi si lenzi. Ma g l i antenati, un tem po, furono anch 'essi visibili, presenze tangibili che appartennero alla storia. La memo ria dellafamilia e della gens li ricorda per quello che essi operarono nella storia, per la traccia profonda che vi scavarono. Le loro imagines dipinte, o le più antiche, roz ze statuette del lararium domestico sono segni tangibili e quotidianamente riveriti della loro presenza. Furono uom ini, i maiores, e segu irono le leggi del l 'uomo e della storia testi moniando l ' invisibile e l ' eterno. Dopo la morte essi sono più vicini al mondo degli dèi d i quanto non lo sian o i vivi e fungono da tram ite tra i l Fas e lo ius, tra la Parola inespressa e il diritto che ne realizza e tutela la presenza nel mondo. Real izzando ciò che gli antich i insegnarono, i l romano è cosciente di apparte nere alla loro stirpe, una stirpe che non è solo del sangue ma prima di tutto è dello spirito. Non solo, è cosciente di ricevere la bened izione e la g loria dei suoi an tenti, orgogliosi del loro figlio. La morte, in tal modo, rappresenta nient 'altro che la riu n ione del discendente al ceppo sacro della gens. Ucciso i l corpo, la morte non può uccidere la memoria né l ' anelo dei vivi a real izzare i l messaggio degli avi nella loro vita. Così suona il testamento spirituale di un romano, Cneo Cornel io, figlio di C neo Cornelio Scipione lspan ico: "Ho riunito nei miei costumi la virtù de l l a mia stirpe.
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Ho generato una discendenza. Ho eguagliato le gesta dei miei padri . Ho avuto la gloria dei m iei antenati, tanto che essi si fe licitano di avermi generato per la loro gloria. 1 Con i miei onori ho dato lustro alla mia stirpe" 6 •
2 . LA IU STITIA : LO IUS
E
IL FAS, IL DIRI TTO
E
LA NORMA
La pietas si esprime attraverso la iustitia che m an i festa ! ' "aderenza alla nor ma", o ius. Da questa aderenza deriva, secondo la tradizione romana, sia la "giusti zia" che l ' "equità", qualità etiche comprese nei significati della parola. Ulpiano de finisce così la iustitia: "La giustizia è la volontà costante e duratura d i attribuire ad ognuno il suo ius"1 1 • E Cicerone definisce la rel igione: "giustizia verso g li dèi" . . Esiste, nelle parole d i Cicerone, una giustizia verso g l i dèi ed una verso i fam i gl iari che si esprime med iante i doveri fi l i a l i : iustitia erga deos, iustitia erga paren tes. /ustus è chi "sente", rispetta la giustizia e la pratica ed è per conseguenza "giu sto", "equanime", "onesto". lustus è ciò che rigorosamente è conforme al d iritto degli uom ini (ius) il qua le, a sua volta, prende forma da model l i divini ed esprime nella societas la Norma, la Parola d i G iove come massimo Legislatore: il Fas. "È giusta la guerra che v iene intrapresa per una ragione legittima": "bellum iustum quod de legitima ratione ini tur " ; "È guerra giusta e pia quella che si rende necessaria per vend icare le ingiusti zie": "lustum piumque bellum necessarium quod iniurias ulciscitur" (Livio ). Il neutro p lurale, iusta, indica "ciò che è dovuto", "ciò che spetta per giusti zia" e per g iustizia deve essere compiuto. Esistono iusta mi/ilaria, doveri verso la patria che si assolvono med iante l ' adempimento del servizio m i l itare, così come esistono doveri verso i defunti, iustafuneraria, che esigono cerimonie e sacrifici (Livio). La iustitia romana è inscind ibile dalla pietas rel igiosa poiché, i l d iritto d i Roma s i fonda sulla legge divina, sul Fas 1 1 . l l Fas è , dunque, innanzitutto l a "parola pronunciata dagli dèi", ed è "norma" e "diritto divino", oltre ad essere la "sorte sta bil ita dagli dei":fas obstat, signi fica "il fato vi si oppone" (Virgil io). In secondo lu ogo,fas indica "ciò che è conforme al diritto divino" - si tratti d i una festività, o un ' im r resa - e la parola finisce per determ inare un "ordine sacro" che si oppone a nefas' , a "ciò che è contrario alla norma", che lede i l diritto divino e finisce, pertan to, per designare ciò che è "sacri lego" e " i l lecito". A Roma l 'espressionefas est in dicava la conform ità al d iritto d ivino nel l ' adempimento d i un dovere umano osse quiente a l lo ius. "Èfas ( . . . ) quanto è conforme alla regola cosm ica, quanto si integra in un ordi ne universale. La formula r i t ualefas est, non è da intendersi come espressione d i un permesso, «dagli dèi è consentito fare questo», ma piuttosto come un riferimento ad una legge di organizzazione fondamentale del mondo : «è conforme a l l ' ordine delle cose far questo» . l lfas definisce, dunque, a un l ivello superiore, l ' aspetto nor 2 male di qualsiasi azione" 0 • E "normale", ancora una volta, è da intendersi alla let tera: come "ciò che è attinente alla Norma"" .
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Dalfas discende lo ius essendo i l primo l ' archetipo d ' ogni norma e i l secondo la sua espressione nella /ex, la legge che sancisce e tutela lo ius della persona accor dandolo ali 'universo della socieras. A l lo stesso tempo, la legge lim ita l 'espansione caotica della persona tutelando l ' armonia e l ' equ i l ibrio del v ivere consociato e ga rantendo, altresì, un m igl iore svi luppo della persona. È evidente, nella concezione romana dello ius, un concetto d i "libertà" che non coincide affatto con il "fare ciò che si vuole" ma col "fare ciò che è giusto sia fatto" ed è giusto perché conforme al diritto deg l i uom ini ed al diritto divino. Lo ius romano non è mai concetto puramente "pol itico" ma regola anche i rapporti fra umano e divino. Ciò avv iene perché solo la continua aderenza alfas ga rantisce la stabil ità dello ius: ius ac fas colere, "coltivare lo ius e i l fas", il d iritto umano e il d iritto religioso (L iv io). Esistono azioni che sono conrrafas ac ius (C i cerone), azioni che legittimano come risposta riparatrice i l bellum iusrum e la puni zione capitale del colpevole di crimen la quale ripara, mediante l ' effusione del san gue, la lesione al l ' ordine sacro, alfas. Numa Pompi lio, secondo Livio, insegnò ai Romani che "fare la guerra non era sufficiente, bisognava anche dich iararla d' accordo alle regole"''. E così re Numa istitu ì i Feria/es il cui compito era quello di d ich iarar guerra "secondo le re gole". Il Parer Patrarus, il massimo dei Feziali, agisce come un sacerdote nel l ' eserc izio delle sue funzioni : avanza col capo velato e dichiara la guerra come riparazione di un torto subito non da Roma come entità storica ma dal d iritto d ivino calpestato dal nemico. Nella formu la che precede la dichiarazione d i guerra vera e propria il Parer Parrarus invoca Giove, i confini (e quindi il dio Terminus che pre siede alla santità e inamovibilità dei confini'' ) e il Fas affinché lo ascoltino e siano testimon i . Quindi chiede all' offensore di riparare il torto. Se ciò non avviene, nello spazio massimo di trentatrè giorni, segue la seconda richiesta di riparazione nella quale è invocato a testimone luppiter (come supremo iudex) e Giano Quirino (come dio degl i inizi e della pace feconda) assieme a tutti gli dèi del cielo e degli in feri . Il terzo intervento dei Feziali avven iva per d ich iarare la guerra, cosa che era esegu ita scagl iando una lancia, o un giavel lotto di corn iolo oltre i con fini nemici e dichiarando la guerra in nome del Senato e del popo lo romano come riparazione del torto. lus dare è il potere di promu l gare leggi, è antica prerogativa dei re di Roma. I l r e è iudex: manifesta l o ius i n quanto poresras inerente alla sua aucrorirai4• Si trat ta, nella coscienza romana delle origini, non di una "creazione" ma della "manife stazione" di una norma con forme al mos maiorum e su cui l ' intera trad izione si fon da: il fas prees iste al re e preesiste allo ius in un rapporto funzionale di causa-effetto. Chi infrange lo ius è considerato sacer, fuori cioè del l ' ord ine umano, "conta m inato e contam inante", appartiene al sacrum notturno e distruttivo delle potenze degli Inferi e del caos. N e l l ' iscrizione del Lapis Niger l ' infrattore delle norme inci se sul cippo, che tutelavano la sacral ità di un ' area folgorata, è consacrato agli dèi inferi ed alla tenebrosa divin ità Sorano: SAKROS ESED SORA( . ) (sacer erir Sora[no]). È abbandonato, da quel momento, alla vendetta degli dèi ed alla puni. .
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zione degli uom ini del consorzio dei quali ormai egl i non fa più parte essendo stato relegato dal rito, in quanto sacer, nelle sch iere dei dèmoni della notte e della morte. La forma originaria del suppl izio per i crimina maggiori presenta tutte le ca ratteristiche d i un rito più che d i una sem p l ice procedura d i d iritto penale. Il sangue del crim inale giustiziato (uictima) v iene offerto agli dèi offesi dal colpevole come riparazione al la lesione delfas e si è visto come la forma del la scure usata per le ese cuzioni capitali, tratta dai fasci slegati, fosse simile a quella della sacena, la "scure sacra" del sacrificatore (uictimans) adoperata dal pontifex. 3 . LA FIDES E LA FIDELITAS
Fidelitas è la "lealtà", ma significa anche "devozione" e "sentimento del do vere". È l ' espressione tangibile dellajìdes e scaturisce da un universo di valori fra i pù cari a Roma. Fides è la "fede" e la "fiducia" che si ha e che si dà. È la "fedeltà" ad una promessa ed alla parola data: fide mea significa "sulla m ia parola", dunque è anche la "parola data", la "promessa offerta": jìdem dare. Fidem suam obligare si gnifica "impegnare la propria parola" (C icerone). Fidem /aedere equ ivale ad "in frangere la parola data" (Cicerone). Fides è, a l lo stesso tempo, la "lealtà" con la quale le promesse offerte e la parola data vengono mantenute . Lajìdes è "buona" quando è leale, come dimostra l ' espressione bonafide, "secondo lealtà", "sincera mente". Nel definire lajìdes C icerone afferma che essa è l ' elemento fondamentale di ogni giustizia in quanto non solo è verità di quanto è stato detto ma anche perma nenza nel tempo degli accordi stipulati fra gli uom ini2'. Lajìdes s i esprime gestualmente mediante l a dextrarum iunctio, la stretta del la mano destra effettuata dalle due parti che stipulano l ' accordo, o che s i scambiano la parola: "unendo la destra con la destra abbiamo stretta lajìdes", "infatti coloro che si sono impegnati con la stretta di mano sono associati nella stessa sorte (con sortes)"26 e "consorti" sono anche gli sposi che hanno unito le loro v ite mediante un patto di jìdes siglato dalla mutua stretta della mano destra. La dextrarum iunctio non suggellava solo g l i accordi privati ma anche pubblici ed era il rito con cui s i concludevano e siglavano i trattati di pace. Secondo la trad izione romana fu Numa, re piissimo, a dedicare per primo, sul Cam p idoglio, un tempio a Fidei7, il tempio era dedicato alla Fides Pub/ica Populi Romani: "il nome stesso spiega la funzione del tempio, che era quella d i custodire i trattati stretti da Roma con g l i altri popo l i ; vi erano inoltre custoditi, sotto i primi imperatori, alcuni original i dei diplomi consegnati ai soldati che avevano compiu to con onore la loro ferma m i l itare"21• Sembra che questo tempio fosse adibito ad alcune riunioni del Senato29 e che fosse costruito nei pressi del tempio di Giove Ottimo Massimo10• Un altro tempio, o forse il più antico, secondo Festo che attinge da Agatocle sarebbe stato dedicato a Fides sul Palatino add irittura da Rome, figlia di Ascanio" . A Roma non vi fu virtù più stimata della "buona fede", della fiducia incorrot ta. Come divin ità, Fides tutela e protegge il contratto, l ' atto giuridico, l ' impegno dato con la parola o con lo scritto, cosi come Dius Fidius, uno dei nomi sacri di Gio ve come garante dei patti, tutela i giuramenti. 270
La.fides motiva dal profondo il comportamento del l ' uomo romano nel l a v ita privata e pubblica. S i fonda, essenzialmente, sulla coscienza del dovere che lega fra loro il populus ed i suoi capi, pur appl icandosi in ambiti diversi con d iverse fun ZIOni. Ma non può esservijìdes d isgiunta dalla pietas e dalla iustitia in quanto la.fi des presuppone il riconoscimento, il rispetto e l ' applicazione dello ius, del d iritto privato e pubblico. Esiste una.fides publica inter populos mediante la quale sono salvaguardate le alleanze, i trattati di pace, gli accordi fra i popo l i . I vinti che s' arre ndono allajìdes publica populi romani, si rimettono alla "lealtà" romana che "tende agli uom ini la destra come pegno di salvezza"32 fiduciosi che Roma manter rà i patti. 4 . LA UIRTUS
La uirtus è qualità che adorna e nobi lita l ' uomo fisicamente e interiormente. Non si tratta del sempl ice "coraggio" (che semmai è una manifestazione di uirtus) e non si tratta soltanto di "virtù etica" in senso moderno e moralistico. C icerone distingue fra una uirtus animi ed una uirtus corporis. Vìrtutes sono, in Cicerone, la modestia, la temperanza e la giustizia. Il coraggio e la fermezza sono uirtutes richieste in ogni frangente della vita e non solo sul campo d i battaglia dove la uirtus sugge lla lajìdes fino al i ' estrema prova di coerenza che è i l sacrificio di sé stesso. La uirtus, a l d i là della morte, garantisce la sopravv ivenza della perso na nel ricordo dei posteri : la memoria. La fortuna (jelicitas) nelle imprese non è mai d isgiunta dalla necessità del valore personale e dal favore d ivino. C iò vale nel microcosmo personale e per l ' intera soc ietà romana: s i è visto, infatti, come la v it toria in guerra fosse considerata un favore divino concesso da Giove. "La buona sorte può appartenere anche alle nature volgari, ma il merito è esclusiva qual ità d i queg l i uom ini superiori che bisogna considerare favoriti dag l i d è i e come immagi ne stessa deg l i dèi"" . I l romano delle origini, e durante i periodi più gloriosi della sua storia, non cadde nella concezione fatal istica dei Greci e degli Etruschi (almeno dal V sec.) se condo la ·quale un Ente oscuro e involuto, superiore per potere a tutti gli dèi ed allo stesso Zeus, e per sua natura inconoscibile governa ogni cosa: la Tyche, o Anagke. Per i l romano i l favore d ivino agisce, nella persona e nello Stato, solo quando abbia come necessaria controparte la presenza delle qual ità etiche indispensabi l i affin ché la sua azione d ivenga possibile: "per quanto portentose siano state la nascita di Sci p ione e i suoi rapporti personal i con Giove che lo consigl iava sulla condotta del lo Stato, egli dovette la sua reputazione di essere d ivino meno a tali prodigi che alle proprie qualità ed alle imprese da lui compiute",.. Per i l romano, dunque, la fortuna derivante al capo o a l l ' eroe dalla benevolen za del suo "dio personale" deve essere comunque e innanzitutto sostenuta da una strenua uirtus. Il valore del soldato romano real izza la fortuna, intesa come prote zione concessa da Giove ai discendenti di Enea. Vìrtus ricevette cu lto come dea H assieme ad Honos, personificazione divina del l ' onore al quale si offrivano sacrifici a capo scoperto'•. A Honos e Virtus rende-
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vano omaggio i caval ieri romani prima dell ' annuale parata. Il tempio di Honos e Virtus era situato ai piedi del l 'Arce capito l ina, sotto l 'auguraculum". La pratica della uirtus è decus, "dignità", "decoro" del cittadino romano cosi come la purezza di costu m i è ritenuta decus mul iebre per eccellenza (L iv io). In una cu ltura tradizio nale la più alta dignità non è data dal possesso della ricchezza e deg li onori ma d a quello del la v irtù e dell'onore, n o n è data dall ' avere ma dal l ' essere. 5. LA MAGNANIMITAS, LA FIRMITAS E LA CLEMENTIA
Il concetto di magnanimi/ai' o magnitudo animi, la "grandezza d ' an imo" scevra da ogni cedimento, compromesso e meschin ità, come pure da ogni esalta zione, si lascia confrontare con analoghe espressioni greche: anche qui la nobi ltà interiore, l'are/e, s ' accompagna alla mega/opsychia sicché l 'eroe è detto me gale/or: "dal grande cuore". La magnanimitas romana e la megalopsychia greca si confrontano, oltre che per l 'etimo per i valori che sottintende, con l ' analogo concetto antico-germanico d i miki/menslca e d i stormenslca, "grandezza d ' an imo". I Germani chiamavano l ' uomo in possesso di questa virtù stormenni: "grande uomo", "uomo generoso"19• La magnitudo animi si esprime, a Roma, mediante la firmitas, o firmitudo animi (C icerone), cioè mediante l ' "incro llab i lità" di fronte alle situazioni più di sperate e nelle più grandi avversità. Firmitas è la capacità d i sovrapporsi cosciente mente ai sommovimenti del cuore e degli affetti più cari ne l i ' adempimento dellafi
des. Ma, assieme allafirmitas, dalla magnitudo animi unita alla pie las d iscende allo stesso tempo la clementia, la serena "indulgenza". La capacita di perdonare che si oppone alla barbarie d e l i ' atrocitas, della crude/itas e della saeuitia. La c le menza tempera le furiae uirtutis in un equil ibrio che fu caratteristico del l ' etica ro mana e che è espresso dalla formula virgiliana: parr:: ere subiectis et debellare su
perbos.
Augusto ricevette nella Curia lulia, da lui costruita nel Foro Romano40, uno scudo d ' oro sul quale erano stati incisi i nom i delle quattro virtù che il Senato e i l Popolo romano g l i avevano riconosciuto: la uirtus; l a clementia; la iustitia e la pie las. Queste quattro v irtù non definiscono solam ente l ' ideale del princeps ma, attra verso i secoli, quello del ciuis romanus. 6 . GLI EXEMPLA
A chiusura di questi appunti riportiamo alcuni esempi fra i più sal ienti, tratti dalla trad izione romana, che riguardano l ' appl icazione delle qualità etiche da parte di personaggi d ivenuti i llustri punti di riferimento. Alcuni di questi personaggi , forse, non sono necessariamente esistiti n e l l a storia di Roma, senza c h e p e r questo si debba ricorrere, nei confronti degli antich i annal isti, all'accusa di falso storico. L' esistenza di questi eroi, infatti, fu giud icata non solo possibi le ma necessaria ne l l ' ambito della storia ideale, nel l ' ambito del m ito e d i ciò che il m ito rappresenta per il romano : l ' immanente possibil ità di un' irruzione del sacro nel la storia per mezzo di uom ini che ne testimonino la presenza; un' idea d ivina da tradurre in pra-
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tica, una pratica di v irtù mediante la quale l ' uomo agisce nella storia in conformità col mos maiorum. I personaggi di queste storie esemplari costitu iscono, dunque, exempla in senso romano del term ine: m iti storificab i l i e storificati, e allo stesso tempo costi tuiscono punti di riferimento metastorici del tutto real i perché real i sono considera te le qualità etiche che presiedono al loro agire e real i le possibil ità di real i zzare quelle qualità e quegl i esemp i in ogni frangente della vita e nel corso della storia terrena di Roma. Orazio Coclite : questo eroe, un soldato romano, appartiene ai tempi burra scosi che segu irono la cacciata dei Tarqui n i da Roma, la fine della Monarchia - e soprattutto del dom inio degli Etruschi su Roma- e l ' instaurazione della Repubbli ca. Gli Etruschi tentano la riconquista del l ' U rbe e muovono contro i Romani un grande esercito sotto i l comando d i Porsenna, re d i C h iusi che stabi l i sce i l suo ac campamento sul G ian icolo. Questo è l ' antefatto. La versione che riportiamo di se guito è tratta da Livio. "Il nemico era già a l le porte, onde tutti ripararono dalle campagne nella città; e questa fu tutta cinta da difese. Alcuni punti apparivano s icuri per le mura, altri per l ' opposto corso del Tevere; i l ponte Sublicio, invece, avrebbe consentito l ' avanzata del nem ico, se non ci fosse stato un uomo solo, Orazio Coclite; tal difesa ebbe quel g iorno la fortuna di Roma. Essendo egli per caso comandante del presi dio del ponte, come vide che i nem ici, occupato con improvviso assalto il Gian ico lo, ne scendevano giù a furia, e che i suoi, spaventati, lasciavano le arm i e il posto, trattenendo li a uno a uno, fermandoli, invocando testimoni g l i Dei e g li uom ini, gri dava a gran voce che inuti l i sarebbero stati l ' abbandono del posto e la fuga; se aves sero passato il ponte lasciandoselo a l le spalle intatto, ben presto ci sarebbero stati più nemici sul Palatino e sul Campidoglio che non sul G ianicolo. Li ammoniva quindi e l i sollecitava a distruggere i l ponte con ferro, con fuoco, con qualunque m ezzo potessero; egli avrebbe sostenuto, resistendo quanto era possibile a un uomo solo, l ' impeto del nem ico. Si avanza, ecco, verso la testa del ponte e, al.to su que l l i che volgono le terga ritraendosi dal combattimento, vòlte le sue arm i contro il nem ico in atto di offrir battagl ia a corpo a corpo, con la m i rabi l ità stessa del suo ardimento stupisce g l i assal itori . Due altri, tuttavia, furono trattenuti dal pudore al suo fianco, Spurio Lanio e Tito Erm inio, illustri entrambi per nascita e per atti compiuti . Con questi sostenne egli la prima tempesta e i l più aspro impeto deg li as salti; ma poi, quando non restava più se non una piccola porzione del ponte e que l l i che d ietro tagliavano l i incitavano a ritirarsi, costrinse anche loro a trarsi in salvo. Quindi, girando m inacciosamente i fieri occhi sui capi etruschi, ora l i sfidava ad uno ad uno, ora li apostrofava tutt i : fattisi servi di superbi re, immèmori della liber tà propria, venivano a combattere quella degli altri . Indugiarono essi un poco, guar dandosi l ' un l ' altro in attesa d ' iniziare l ' attacco; poi li punse vergogna, e d ' ogni parte con alte grida scagl iarono strat i su que l l ' unico nemico. S i confissero que l l i nello scudo eh ' e g l i opponeva, e d egl i movendosi a gran passi p u r teneva sempre più fermamente il ponte; onde quelli si accingevano ormai a ricacciar l ' eroe con un solo impeto; ed ecco, il fragore del ponte prec ipitante e il clam ore levatosi dai Ro-
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mani esultanti per l ' opera compiuta trattenne, con improvviso spavento, l ' assalto. Allora Còclite: «Padre Tiberino,» gridò, «devotamente ti prego d i accogl iere con propizie acque queste arm i e questo soldato ! » E così con tutte le armi si gettò giù nel Tevere, e sotto la p ioggia dei dardi nuotò incòlume fino ai suoi, dopo aver com piuto un ' im presa la quale avrebbe avuto presso i posteri più rinomanza che credito. Riconoscente gli fu la città per tanta prodezza; gli fu innalzata una statua nei Comi zii; gli fu donata tanta terra quanta poté c ircumarare in un giorno''"' ' . Muzio Scevola : questa storia esemplare s ' inserisce nel m edesimo contesto della precedente, nelle guerre che sussegu irono la cacciata dei Tarquini da Roma. La fonte è ancora Livio. L' Urbe è assediata da Porsenna, accampatosi sulle sponde del Tevere, nella pianura e sul Gianicolo, il quale ha creato un b locco per terra e sul fiume, mediante navi, in modo che i l grano non possa rifornire Roma as sediata. Mentre l ' assedio rende la situazione precaria dentro la città, i soldati di Porsenna scorrazzan o liberamente per l ' agro romano desolandolo e depredando. Il console Publio Valerio attrae i predatori in una trappola, facendo uscire del bestiame dalla porta Esqu i l ina in modo che servisse da esca e sterm ina g l i Etruschi i n gran numero quando questi, dopo la razz i a, tentano di raggiungere di nuovo il Tevere. C iò nono stante, Roma è ridotta alla fame. In quel frangente "Caio Muzio, giovane nobile a cui pareva indegno che il popolo romano, i l quale mentre era servo sotto i re non aveva mai patito assedio da nessun nemico in nessuna guerra, ora ch ' era l i bero si trovasse premuto proprio da queg l i Etrusch i di cui tante volte aveva sbaragliato g l i eserciti, volendo vendicare tal vergogna con qualche atto grande e audace, si pro pose dapprima di penetrare di sua iniziativa nell ' accampamento dei nem ici; ma poi, temendo di essere sorpreso dalle sentinelle romane e catturato come disertore se vi fosse andato senza il consenso dei conso l i e a l l ' insaputa di tutti ( . . . ) si pre sentò al Senato: « Senatori,» egl i disse, «vogl io passare il Tevere ed entrare, se vi riuscirò, nel campo nemico, ma non per far preda né per vendicare le devastazioni che abbiamo sofferte; più grande impresa, se m i assistono gli dèi mi propongo. » I senatori consentono; nascostosi un pugnale nella veste, egli partì. G iunto nel campo nem ico, ristette presso il seggio del re, in mezzo a una fittis sima fol la. Si stava per caso distribuendo la paga ai soldati; uno scriba in gran fac cende era seduto accanto al re in abito quasi regale, e a lui particolarmente si rivol gevano i soldati. Egli, non osando domandare qua l i dei due fosse Porsenna per non svelare l 'esser suo col mostrare di non conoscere il re, lasciandosi guidare dalla sorte uccise lo scriba invece del re ( . . . ) Portato davanti al seggio reale, e anche allo ra, in mezzo a tanto pericolo, più terribile che atterrito, « Sono cittadino romano», disse; «mi chiamo Caio Muzio. Nemico, volevo uccidere i l nem ico; come fu i ad ucc idere sono pronto a morire ; e fare e soffrire fortemente è proprio dei Romani (jacere el patifortia romanum est). Né io sono il solo che abbia contro te questo proposito; una numerosa schiera d ietro a me sollecita questo stesso onore. A questa sorte preparati dunque fin da ora, se vuo i : a difendere di continuo la tua vita, ad ave re nel vestibolo della tua reggia un ferro e un nem ico. Questa guerra ti dichiariamo noi gioventù romana ( . . . ) .»
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E poiché i l re acceso d ' ira e insieme atterrito dal pericolo corso aveva minac ciosamente ordinato ch'egli fosse tratto in mezzo ai fuochi se non chiarisse senza indugio quali erano le insidie che aveva in modo ambiguo annunziate, Muzio esclamò: « Eccoti ; ved i quanto a vile tengano il proprio corpo que l l i che hanno da vanti a sé una grande visione della glori a ! » E ficcò la mano destra in un brac iere ac ceso per il sacrificio, (asciandovela bruciare come se l 'animo suo fosse divenuto estraneo al senso. Attonito per quel prodigio il re balzò giù dal suo seggio, e, ord i nato che i l giovine fosse al lontanato dal l ' a ltare, gli disse : «Vattene, poiché hai osa to in te stesso violenza maggiore che in me. Applaud irei il tuo coraggio se per la m ia patria esso fosse; ti rendo l ibero secondo la ragione di guerra e ti lascio partire da qui intatto e i l leso.>> Allora Muzio, quasi per ricambiare il beneficio, rispose : «Poiché vedo che rendi onore al coraggio, e affinché tu abbi da me, col tuo benefi cio, quel lo che non avevi potuto ottenere con le minacce, sappi : trecento fra i più nob i l i giovini romani siamo che giurammo d i assalirti così. È toccato a me d ' essere il primo . . . »',.'. Marco C u rzio: d i questo eroe le fonti coincidono sul cognomen ma del no men s i tramandano due version i : Marcus e Mettius, i l secondo nome è sabino. Di
verse sono anche le versioni che spiegano l ' esistenza di un lastricato che, nel Foro Romano, copre un'area sacra sulla quale, verso la fine della Repubblica, dovettero esistere alcuni altari. L'area è ch iam aci Lacus Curtius e lacus tramanda il ricordo del l ' antica palude che, a l l ' origine, esisteva nel Foro. La versione di Dionigi d ' A licamasso, che riportiamo di seguito, coincide con una trad izione che esistette, come fa fede un bassori lievo conservato nel Nuovo Museo dei Conservatori e fu tramandata da Varro ne41, Valerio Massimo44, P l inio41 ed altri . Secondo un'altra ver sione, invece, il luogo fu lastricato per ordine del Senato, in seguito alla caduta del fu l m ine, dal console Caius Curtius nel 445 46 • Esiste anche una terza versione se condo la quale il luogo deriva il nome da quello di un caval iere sabino, Mettius Curtius che, ai tempi di Romolo, cadde nella palude e ne fu tratto miracolosamente i l leso". Il lastricato copre, in ogn i caso, un luogo considerato porta d ' accesso al mondo sotterraneo, alle regioni della Terra e dei Man i : un mundus, ne fanno fede anche le offerte di primizie che in esso furono gettate secondo la tradizione. "In Roma si manifestarono molti segn i divini di cui questo fu il maggiore. I l Foro Romano, quasi nella sua parte centrale, s i sprofondò in una cupa voragine che rimase spalancata per più giorn i . I magistrati preposti alla consu ltazione deg l i Ora col i S i b i l l in i , avendo interpellato i l ibri sacri per decreto del Senato, risposero che la terra s i sarebbe richiusa quando avesse ricevuto dai Romani le cose stimate da loro le più preziose, anzi, per l ' avvenire avrebbe moltiplicato l ' abbondanza d i quei beni . Uditi tal i responsi, ognuno gettò nella voragine oblazioni di tutte quelle cose d i cui s i credeva che la patria avesse bisogno: il meglio dei prodotti della terra, le pri m izie ed altre offerte. Marco Curzio, però, stimato eccel lente fra i giovan i per saggezza e valore, avendo chiesto udienza, d ichiarò dinanzi al Senato che il valore del l ' uomo era i l p i ù be l l o e i l p i ù stimato d e i be n i pe r i Romani. Disse che s e la terra avesse ottenuto una oblazione di valore e si fosse trovato chi l ' avesse consacrata spontaneamente
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alla patria, a llora la patria avrebbe generato una moltitudine di uom ini coraggios i . Dopo aver soggiunto c h e e g l i n o n sarebbe rimasto secondo a nessuno in quella gara, s i armò e salì sul suo cavallo d i guerra. La fol la accorse ad ammirare l ' evento. Per prima cosa egli fece voti perché g l i d è i rendessero effettivo l 'oracolo e facessero nascere nella patria molti uom i n i uguali a l ui per valore. Dopo d i ciò, allentate le redini e dato di sprone al caval lo, s i gettò n e l baratro. Sopra di lui furono gettate nell ' abisso molte v ittime, molti frutti, ricchezze, vesti preziose e molti oggetti prodotti da ogni tipo di arte e, quindi, immediatamen te la terra si richiuse'"18• Tito Manlio Torq uato : l ' episodio si svolge durante le guerre sostenute da Roma contro i Latini, ne1 340 a.C., durante la battaglia combattuta ai piedi del Ve suvio o, secondo altri, presso i l Monte Vescino (Trifano). I l console Tito Manlio Torquato aveva un figl io, Tito Mani io. Questi sfidò a duello il caval iere di Tuscolo Gem ino Mecio e lo vinse d isobbedendo, in tal modo, a un ordine espresso dei con soli che avevano proibito a chiunque di abbandonare il proprio posto per andare al l ' assalto del nem ico. "Il caso volle che tra gli altri ufficiali dei vari squadroni in viati in tutte le direzioni a perlustrare i dintorn i c i fosse Tito Man lio, il figlio del console. Egl i si era spinto, con i suoi caval ieri, al d i sopra del l ' accampamento ne m ico, fino a trovarsi a d istanza d i un lancio d i giavel lotto dal posto d i guardia più vicino. In quel settore c 'erano i caval ieri di Tuscolo agli ordini di Gem ino Mecio, un uomo famoso tra i compagn i sia per i nobili nata l i sia per i l suo passato di com battente. Riconosciuti i caval ieri romani e i l figlio del console, alla testa del drap pel lo ( . . . ) disse: «Non vorrete davvero, Romani, combattere la guerra contro i Lati ni e i loro alleati con un solo squadrone d i caval leria? Cosa faranno nel frattempo i consoli e i due eserciti?» . «Arriveranno a tempo debito», repl icò Man l io, «e con loro arriverà anche Giove in persona, ben più forte e potente, testimone degli ac cordi che avete violato. Se al lago Regi Ilo vi abbiamo massacrato fino alla nausea, anche qui faremo sicuramente in modo che non vi stia troppo a cuore l ' affrontarci in battagl ia» . Udite queste parole, Gem ino avanzò in sella poco oltre la l inea dei compagni e domandò: «Mentre aspetti che venga quel giorno nel quale farete il grande sforzo d i muovere l 'esercito, non vuoi m isurarti in persona con me, in modo che già dal l ' esito del nostro duello la gente veda quanto sia superiore un caval iere latino a uno romano?». L' indole tracotante del giovane venne spinta dal risenti mento o forse dalla vergogna di rifiutare la sfida, o ancora dalla forza irresistibile del destino. E così, dimentico del l ' ordine del padre e del proclama del console, si gettò sconsideratamente in un duello nel quale non avrebbe fatto molta d i fferenza se avesse vinto o perso . " L' esito d e l duello fu favorevole al figlio d e l console c h e uccise i l caval iere la tino e gli to lse l ' armatura come trofeo . Accolto dai compagni con un urlo di gioia, si diresse alla tenda del padre : « Padre», d isse «perché tutti mi ritengano veramente figlio tuo, io ti porto queste spoglie equestri, strappate al corpo di un nemico che m i aveva sfidato a due l lo» . Non appena i l console sentì queste parole, d istolse imme diatamente lo sguardo dal figlio e ord inò al trombettiere di suonare l ' adunata. Rac-
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coltisi gli uom ini d isse: «Po iché tu, Tito Manlio, senza portare rispetto né all ' autorità consolare né alla patria potestà, hai abbandonato i l tuo posto, contro i nostri ord in i, per affrontare il nemico, e con la tua personale iniziativa hai violato quella d isciplina m i litare grazie alla quale la potenza romana è rimasta tale fino al giorno d ' oggi, mi hai costretto a scegliere se dimenticare lo Stato o me stesso, se dobbiamo noi essere puniti per la nostra colpa o piuttosto è il paese a dover pagare per le nostre colpe un prezzo tanto alto. Stabi liremo un precedente penoso, che però sarà d ' aiuto per i giovani di doman i . Quanto a me, sono toccato non solo dall ' affetto naturale che un padre ha verso i figli, ma anche dalla dimostrazione d i valore che ti h a fuorviato con una falsa parvenza d i gloria. M a visto che l 'autorità consolare dev ' essere o consol idata dalla tua morte oppure del tutto abrogata dalla tua impunità, e s iccome penso che nemmeno tu, se in te c ' è una goccia del m io san gue, rifiuteresti di ristabi lire la disciplina m i l itare messa in crisi dalla tua colpa, va, o l i ttore, e legato al palo (i, lictor, deliga ad palum))) . Di fronte a un ordine tanto crudele (ram atroci imperio) rimasero tutti senza fiato : ciascuno frenato più dalla paura che dalla discipl ina, guardava alla scure come fosse rivolta contro se stesso. Ma quando si riebbero dallo stupore che li ave va tenuti immob i l i i n s ilenzio, a l l ' improvviso, mentre il sangue sgorgava dal collo reciso, le loro voci esplosero in un lamento così incontrol labile da non risparm iare né gem iti né maledizioni; e dopo aver coperto con le spogl ie il corpo del giovane, costruirono una p ira al di là della trincea e lo cremarono con tutti gli onori funebri che la cura dei soldati gli potesse offrire ( . . . ) . Tuttav ia la brutalità di quella punizio ne rese più obbedienti i soldati, e non solo i serv izi di guard ia, i turni d i sentinella e di picchetto vennero dovunque effettuati con maggiore attenzione, ma que l l ' eccesso d i severità fu d ' aiuto anche nella parte finale della lotta, quando si ar rivò allo scontro in campo aperto'"'9• Molti sono gli esemp i i l lustri di eroismo fomiti dalle donne romane fin dai primordi della stroia d i Roma, qui c i lim iteremo a riportame uno, que l lo di Arria, celebrata da Plinio i l giovane: Arria maggiore : Arria era la moglie di Caecina Paetus, uno degl i apparte nenti alla congiura m i l itare ordita, in I l l iria, da Scriboniano contro C laudio nel 42 d . C . Scoperta la congiura, dopo l ' uccis ione di Scribon iano, Paetus venne arrestato e portato prigioniero a Roma. Arria ch iese ai soldati di lasci aria salire sulla nave as sieme al marito d icendo: "Voi ben darete a un personaggio consolare alcuni sch ia vi, che g l i porgano il cibo, che lo vestano, che lo calzino; io sola farò tutto ." Poiché questo favore non le venne concesso, la donna seguì la nave su un' imbarcazione di pescatori fino al porto dì Roma . Giunta al cospetto del l ' im peratore C laudio, rim proverò aspramente alla moglie di Scribon iano di aver voluto sopravv ivere a l l ' uccisione del marito. Un altro congiurato cui presto sarebbe giunto l ' ord ine di condanna a morte da parte del senato, Trasea, il quale aveva sposato la figlia di Arria, una giovane con lo stesso nome della madre, tentava di far desistere Arria dal proposito del suicidio di cendo: "Vuoi dunque che, se io dovrò morire, la tua figlia muoia con me?"
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La risposta che ottenne dali ' inflessibile suocera fu la seguente : "Se ella è vis suta con te tanto tempo e in tanta concordia come io con Paetus, sì, lo voglio." Vista la risoluzione della donna, i parenti iniziarono a sorvegliarla da presso per evitare che ponesse in atto il suo proposito ma Arria, un giorno, disse loro : "Non serve a nulla; potrete ottenere non g i a e h 'io non muoia, ma e h 'io muoia i n malo modo" e , gettatasi in avanti, colpì fortemente col capo il muro. Riavutasi dal colpo soggiunse : "Vi avevo detto che avrei trovato qualsiasi più difficile via alla morte se voi mi aveste impedita quella più facile . " Impadronitasi infine di un pugnale, l 'ultimo atto della sua v i ta fu trarlo dal seno, al cospetto del marito, trafiggersi ed esclamare porgendo l 'arma al lo sposo, prima di morire : "Non do/et, Paete!", "Paetus, non fa mal e ! " . Plinio il giovane , dopo aver giudicato le parole della morente "immortali e quasi divine" (uocem immortale m ac paeene diuinam) commenta che, così facen do, Arria "aveva davanti agli occhi la gloria e l ' immortalità',j() : la prima come con dizione per la seconda, la seconda come ricordo ed esempio perenn e . Trasea, a sua volta, raggiunto dalla sentenza di morte, dopo aver scongiurato la moglie di non uccidersi per non lasciare sola al mondo la figlia, si fece recidere le vene di entrambe le braccia e, mentre il sangue scaturiva a fiotti, ne spruzzò il terre no intorno a sé come si fa quando si offre una libagione agli dèi e, rivolto al giovane genero Elvidio, disse : "Noi libiamo a Giove Liberatore . Guarda, o giovane : tenga no lontano gli dèi l ' infausto presagio, ma tu sei nato a vivere in tempi nei quali si deve corroborare l ' animo con esempi di fermezza" s1 .
Note l
PoLIA 1 985.
2
Cfr. CICERONE, Pro Balbo 24, 55: summa religione caerimoniaque, "col pi ù scrupoloso rispeno
3
Le Camenae o Camoenae, esseri d i v i ni di origine probabil mente etrusca, erano Ni nfe delle fonti. Avevano il loro santuari o in un nemus, un bosco sacro nei pressi della Porta Ca pe na. Accanto al l oro santuari o si trovava un sacel lo dedi cato ad Egcria, la Ni nfa ispiratrice del re N urna. Sulle Ca mene v.: LiVIO l , 2 1 , � ; SERVIO, Ad Ecl. 7, 2 1 (cita Varro ne); PLliTARCO, Numa 1 3 .
dei riti".
4
BENVENISTE 1 976: 489.
5
Idem, ibidem: 490. CICERONE, Font. 48.
6 7
V!RGILIO, A en. 2, 5�6: A t tibipro scelere [ . . . ] pro talibus ausis l di. si qua estcaelopietas. quae talia cure/. l persoluant grates dignas etpraemia reddant debita": "per tale dcii no c per l e empio là che hai osato compiere:, se vi è nel cielo pie/as che tenga a cuore: tal i cose:, gli dèi ti ricompensi
8
MESLIN
9
Idem: ibidem.
"
no con grazi e degne del la tua azione c con debiti premi".
lO PLINIO
1 978: I l i .
( i l crtov.),
Epist.
8, 1 4 , 4, 6 .
CICERONE, Cato Maior 7 , 2 5 5 . 1 2 CICERONE, De Senec/ . 6, 1 9. l3 CICERONE, De Leg. 2, I l , 27. 14 PARATORE 1 962: I O�. 11
15
Traditio, i n l atino significa "consegna" (materiale) di qualcosa: /radi/io oppidDrllm si gni fi ca "resa del le ci ttà"; il secondo signi fi cato è quello di "insegnamento": traditio praeceptonon,
278
"esposizione dei precetti" (QUJNTIUANO 3, l , 2-J); il terzo è "racconto": "racconto intorno ai loro ul timi momenti " (TACITO, Ann. 1 6, 1 6)
tradilio supremorum,
16 CI. L. l , J8. (Trad . Mi che! Mesi in 1 978: 242). 17 ULPIANO, lnslil. luslin. 1 , 1 , 1 . 1 8 La parola deri va d a una radice indoeuropea "BHA- che ha i l senso pri mario di "parlare": greco ftmi; lat. arc .for parlo ; lat.Jatum come "ciò che è stato detto" quind i , in senso t raslato, "Fato" "
"
come espressione della volontà divina.
19 Da nec fas. 20 MESLIN 1 978:20. 2 1 Dumézil fa deri vare, i nvece, l ' etimologia difas dalla radice indo-curopea •vHE- c he esprime i l senso di "fondare", "stab i l i re" (greco tithlmt, sanscrito dharma). Secondo tale e t i m o log ia i l fas sarebbe il " fondamento" uni versale, analogo quindi, anche etimologicamente, al Dharma, la Norma o Fondamento universale
(DUMÉZIL 1 977: 1 27).
22 UVJO, l , J2. 23 Qui "confi ne" è da i ntendersi i n se nso geografico ed etico, cioè come l inea invalicabilc c sacra che di stingue ciò che è iuslum e fas da ciò che è iniuslum c nefas. 24 lude:x da ius + dicere nel senso di "enunciare regole" da 0DEIK- c he significa "mostrare quello che deve essere, una prescrizione c he interviene sotto la forma, per esempio, di Wl8 sentenza gi u
25 26 27 28 29 30 31 32
33 34 3� 36
37 38 39
40 41 42 43
44 4� 46 47 48 49 50
�l
diziaria" (BENvENISTE 1 976,11: J64). CICERONE, De 0./Jic. l, 2J. LIVJO, 9 , D . L IVIO l , 2 1 , 4; DIONIGI D 'ALICARNASSO, 2, 7 5 ; PLliT ARCO, Numa 1 6 . LUGLI I 946: 29-30. VALERlO MASSIMO, J, 1 7; APPI AN O Bel/. Ciu. l, 1 6 . CICERONE, De Off. 3, l 04. LUGLI 1 946: 446. VALERIO MASSIMO 6, 6. PoLIBIO, Hisl. l O, 2 , 4. AULO GELUO, Noci. A cl. 7, l . CICERONE, De Nal. Deor.2, 6 1 ; LNIO 27, 25, l . CICERONE, Ve". 4, 1 2 1 ; L i vi o 27, 25, 7; VALERIO MASSIMO l , l , 8. LUGLI 1 946: 38. CICERONE, De Off. l, 1 52 . Zo�GA 1 9 7 5 : 4 1 1 . L 'agg e tti vo miki//, "grande", e qui val e al greco megas. Augusto inaugurò la Curia Iulia i l 28 di agosto del l ' anno 29 a . C . (Res Geslae, 4, l ). LIVIO, 2, I O . LIVJO, 2, 1 2 . VARRO NE, L.L. 5 , 1 48. VALERIO MASSIMO, 5 , 6, 2. PLINIO, NH. 1 5 , 78. VARRONE. L.L. 5 , I SO. LI VI O, l, 1 2 , 9; VARRO NE, L L. 5 , 1 49; DIONIGI D'ALICARNAS SO 2 , 42; PLUTARCO, Rom . 1 8 . DIONIGI D'AUCARNASSO, 1 4, 20-2 1 . LIVIO, 8 , 7-8. PLINIO, Episl. 3 , 1 6 (cfr. SUETONIO, Ciaud. D ; CASSIO DIONE 40, 1 6, MARZIALE, De specl. D ) . TACITO, A nn . 1 6, 3 5 . A n c he Seneca, condannato a morte da Nerone, d o po essersi aperte l e vene, ,
dal mome nto che l a morte sopraggi ungeva troppo l e ntamente, si fece porgere una coppa di veleno
che pe rò tardò a fare effetto sic c hé venne soffocato in un bagno di va pore. Prima di mo ri re spruzzò l 'acqua sui suoi amici di cendo che offri va quella l i bagionc a Giove Li beratore (TACITO, Ann. 1 5 , 64).
279
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- VIRGILIO, -
283
Indice analitico
a.
vocaboli latini
Aborigeni: 95 -97, 1 0 1 , 1 70, 1 7 1 , 1 89- 1 93 , 202, 2 16, 2 1 7, 227, 248 Acca Larentia: 148, 1 72 acus: 1 07, 108, 1 2 7- 1 3 1 addictio : 24 aedes Vestae : 79, 1 0 3 , 1 0 5 , 108, 1 3 5, 1 50, 1 5 3 , 1 54, 1 55, 1 83 aetcmitas: 208 agger: 70 agoniurn: 209 Alba l Albalonga: 1 3 , 14, 1 9, 34, 35, 65, 89, 95, 97, 1 1 2, 1 1 3 , 1 1 6, 1 32 , 1 44-148, 1 50, 1 5 1 , 159, 168, 1 8 1 , 1 8 3 , 200, 227, 228 AJbula : 92, 9 3 , 1 46, 1 58, 1 8 1 , 1 85, 1 92, 228 AJbunea: 222 alites (aues): 1 87 AJmus (luppiter): 1 59 alueus : 1 80 amentia: 245 Amor: 9 1 , 92, 1 00 amptruare, redamptruare: 1 20 Amulio (Amulius) : 97. 1 44. 145. 1 47-1 49. 1 52, 168, 1 8 1 , 228 ancile l ancilia: 1 0 5 - 1 08, 1 1 4, 1 1 8- 1 24, 1 3 1 - 1 3 5 , 1 3 8, 1 3 9 , 2 1 8, 243 Angerona l Angeronia: 82-85, 99 Angcronalia: 84 angustiac : 84, 85 Anna nutrix: 1 2 3 A nna Perenna: 4 9 , 1 22, 1 2 3 antica (p�): 63, 64, 68, 77, 1 88 aquilifer: 3 5 Ara Pacis: 3 9 , 42 arbores felices: 1 5 5 , 1 57, 1 !!4 arborcs infelices: 1 84 Armilustrium: 1 2 1 Arvali (Fratelli): 99, 207 Asculum : 169 A sylnm: 168 atterranea (fulmina) : 2 3 5 attestata (fulmina): 235 Atto Navio : 47, 54, 58, 75, 1 46, 1 85 auctifer: 163 auctio : 163
auctor: 9, 10, 1 59, 163, 1 64, 174, 205, 227 auctoritas: 6, 8- 1 3 , 1 8, 22, 23, 25-27, 44, 69, 88, 1 04, 1 26, 1 52, 1 54, 155, 1 6 3 - 1 65, 1 7 3 - 1 76, 1 79, 200, 2 1 5, 24 1 , 242, 245, 264, 265, 269 auctoritatis (fulmen) : 234 aug-: 8, 13, 163, 1 72 augeo: 9, 10, 26 augere: 9, 10, 163, 1 74 •auges: 9, 1 59, 1 6 3 , 1 79 augmen: 1 6 9 augmentum: l O augurlaugure: IO, 20, 4 6 , 4 8 , 4 9 , 6 0 , 6 1 , 6 3 , 7 7 , 145, 1 6 3 , 1 72, 1 7 3 , 1 75, 2 1 8, 23 3 , 234, 254 augura: I O auguraculurn: 1 8 , 23, 25, 27, 6 1 -6 3 , 87, 1 76, 1 77, 270 auguratio: 90 augurium: l O , 1 2 - 1 5, 1 8-20, 25, 27, 29, 46, 6 1 , 1 32, 1 6 3 , 1 64 , 173, 1 88, 1 94, 202, 263 , 272, 279 •augus : IO Augusto (Qna,·iano) : 40. 42. 50. I l O. 1 1 8 . 1 2 1 , 1 30, 1 3 8, 1 79, 1 94 augustus : I O , 1 6 3 auspicia impetratiua : 1 8, 6 1 auspicium l auspicia: 8, 1 0- 1 3 , 1 5, 16, 20, 23-25, 27, 36, 37, 46, 6 1 , 62, 65, 89, 1 2 3 , 1 4 3 , 1 58, 1 72, 1 7 3 , 175-1 77, 1 8 1 , 206 , 245 auxiliaria (fulmina): 235 Aventino: 1 3 , 14, 27, 73, 78, 90, 1 36, 1 44- 1 46, 1 48, 1 76, 1 77, 1 8 1 , 1 94, 1 95, 224, 228, 233, 237, 238, 240, 244, 245, 253, 257 axis mundi: 35, 69. 163, 164, 1 84 bellurn iusturn : 2 1 , 27, 37, 5 1 , 1 2 1 , 2 1 4, 246, 25 1 , 268, 269 Bona Dea: 224 Cacius : 1 9 3 Caco : 73, 7 9 , 1 76, 1 9 3 , 1 95 , 248 caduccus: 5 1 Caeculus: 1 5 1 , 1 52 Caelestis (Iuno) : Camene: 2 1 9-22 1 , 236, 257, 262, 278
2 !1 5
Cameses l Camese : 1 9 1 , 1 96, 203 Camillo (Marco Furio): 29, 48, 90, 100, 1 04- 1 06 Campidoglio: 1 8, 2 3 , 42, 62, 66, 7 1 , 75, 83, 86, 96, 1 0 1 , 1 07, 1 08, 1 2 1 , 1 25 , 1 26, 1 40, 1 74, 1 8 3 , 1 86, 1 90, 1 96, 1 97, 208, 2 5 3 , 273 Canens l Canente: 1 70, 1 90, 200, 2 1 7, 2 1 8-22 1 •carunen: 1 0 1 , 2 1 8, 253 cano: 220 cantare : 220 Caprea (palude) : 1 48, ! 56 caput humanum: 1 8 , 1 25, 2 3 9 cardo : 5 7 , 68-70, 8 6 , 1 08, 1 3 4, 1 3 5 , ! 55 Carinae : 76 Carmenta: 97, 1 00 , 1 0 1 , 1 76 , 1 90, 1 92-1 94, 202, 2 1 8-22 1 carmcntes: 2 1 9 camifex: 43 Casrnenae : 220 Cererc : 67, 97, 99, 1 0 1 , 1 5 9, 249, 253 Cereris mundus: 68 Cerrnalus l Gerrnalus: 94, 1 00, 1 47, 1 82, 1 88, 1 9 3 , 226 Cibele : 108, 1 09, 1 28, 1 40, 1 4 1 , 1 56, 1 84 Circe: 1 70, 200, 2 1 7, 2 1 8 claua (lituo) : 46. 49. 5 5 Claudia : 1 27, 1 2 8 clementia: 272 Clusius (Giano): 1 2 3 , 209, 2 1 1 , 253 Coclitc (Orazio) : 1 82, 273 , 274 comitia curiata: 1 8 Comizio: 58, 9 3 , 1 46, 1 6 1 , 1 8 1 , 1 82, 232, 236, 274 conditio Urbis: 1 52, 1 6 5 , 1 7 3 , 1 79, 1 80 consensus: 1 9 consiliarium (fulmen) : 234 consuleslconsoli: 1 6 , 1 7 , 25, 4 3 , 60, 62, 1 04 Consus : 7 1 , 85, 1 5 9 contemplare: 6 3 , 77 creatio (rito d ' im·estitura regale) : 1 2 crirn� : 47, 1 7 8 , 269, 270 e limina rnaiora: 86, 1 7 8 , 270 decumanus : 57, 68-70, 86, 1 08, 1 3 4, 1 3 5, !55 decus: 272 delicta: 1 8 1 Delubrum: 79, 1 1 0, 1 3 6 deuotio: 8 9 dextrarum iunctio: 270 dextratio: 64 Diana: 1 1 6, 1 3 1 , 1 36, 228, 253 dictator: 1 5 , 1 6 , 25, 42, 1 1 3 dictio : 1 5
286
dies natalis : 8 8 discipl� : 5 8 , 75 Dis Pater: 167, 1 86, 2 5 7 Diualia: 8 4 dium: 2 1 , 2 3 4 Dius Fidius: 5 1 , 270 doliola: 105, 106, 1 1 5 , 1 3 5 duellum: 2 9 dux: 1 2 , 2 3 , 24, 3 5 , 1 00 , 1 74 Effari: 6 1 , 62 effatio : 20 Egeria/Ninfa: 5, 50, 1 07, 1 1 9, 1 90, 2 1 9, 220, 229, 2 3 1 , 2 3 3 , 236-2 3 9 , 244, 257, 262, 278 Elena : 1 36, 1 3 8 elicere: 240, 244 Elicio l Elicius (Juppiter): 23\ 240, 24 1 Enea: 1 4 , 3 1 , 34, 9 1 , 95, 97, 1 0 1 , 104, 1 06, 1 08- 1 1 3 , 1 1 5, 1 1 6, 1 24, 1 2 8 , 1 3 2, 1 3 8, 1 4 5 , 1 46 , 1 83 , 1 89, 1 9 1 , 1 92, 1 %, 200, 2 2 2 , 227-229, 239, 246, 247, 263, 2 7 1 Ercole: 2 9 , 6 6 , 7 1 , 1 46, 1 76, 1 82 , 1 93 - 1 95, 224, 249-25 1 etrusca disciplina: 57, 1 24, 1 2 5 , 1 77, 2 3 5 , 244 euocatio: 90, 9 1 Evandro : 5 , 88, 96, 97, 1 0 1 , 1 76, 1 92- 1 94, 1 96, 208, 2 1 8, 2 1 9, 223, 248, 256 exauguratio : 82, 8 3 , 86, 89-9 1 excantare: 22 1 fallacia (fiùmina) : 2 3 5 fanatica (arbor) : 1 0 1 , 2 5 8 , 263 fanatici : 223 fari : 20, 202 fas i Fas : 9, IO, 1 7 , 20, 22, 25, 37, 5 1 , 6 1 , 7 1 , 86, ! 5 3 , ! 54, 1 77, 1 78 , 200, 202, 2 1 3 , 2 1 4 , 220, 267-270, 279 fascinum: 1 3 3 fascinus : 1 3 3 , 1 4 1 fascis l fasces : 3 9-44, 5 3 , 54 fastus : 20 fatidicus : 22 1 Fatua: 1 90, 2 1 8, 220, 22 1 , 223, 224, 2 5 6 Fatuclus: 223 Fatum: 20, 65, 1 3 5 , 1 92, 224, 2 7 9 Fatuus: 22 1 , 223, 224 Fauna : 1 9 3 , 200, 22 1 , 223, 224, 256 Fauni: 1 7 1 , 1 90, 1 93 Faunus 1 Fauno : 5, 32, 66, 70, 97, 1 0 1 , 1 3 2 , 1 66- 1 68 , 1 70, 1 76 , 1 86, 1 9 1 - 1 93 , 200, 2 1 7, 2 1 8 , 22 1 -227, 236-240, 245, 247, 2 5 5 , 256, 259 Fauores Opertanei: 64
Faustulus: 7 3 , 79, 1 44, 1 47- 1 49, 1 5 8, 168, 1 72 felix: 1 84 Feretrius (Juppiter) : 52, 55 femun: 129 Fetiales: 5 1 , 2 3 2 , 269 ficus ruminalis (''· rurninalis) fidelitas : 1 89, 267, 270, 27 1 fides : 4 3 , 1 1 8, 1 78, 232, 262, 270, 27 1 fines : 8, 28, 76 finita (fulmina) : 2 3 5 firrnitas : 272 flamines : 2 1 , 50, 232, 254 Flora : 9 1 , 92, 1 00 , 205, 234 Floralia: 9 1 , 92 foedus : 5 1 , 5 5 Foro : 2 4 , 4 3 , 6 6 , 7 0 , 7 1 , 7 9 , 99, 1 08, I 1 3 , 1 2 1 , 1 46, 1 6 1 , 1 82, 1 85 , 1 91 , 205, 2 D , 2 :12 , 236, 25 1 , 257, 272, 275 fulgurator: 234, 244, 245 fulguriturn l fulgurita (loca) : 236 fulmen l fulmina: 244, 245 furor: 168 genius l Genius : 87, 88, 99, 26 1 , 265 Genius loci: 87-89, 99, 222 Genius Populi Romani : 86-88, 99 Genius Publicus: 86-88 Gianicolo : 37, 38, 53, 1 0 5 , 1 3 6, 1 9 1 , 1 96, 1 97, 207, 208, 232, 25 3 , 273, 274 Giano/Ianus: 5, 2 1 , 22, 32, 38, 44, 46, 50, 52, 64, 66, 86, 96, 1 04, 1 07, 1 23, 1 3 6, 1 5 3 , 1 70 Giove : 5, 9-1 1 , 1 3 - 1 8, 20, 2 1 , 23-27, 3 3 -37, 42, 44, 50-52, 57-5 9 , 6 1 , 63-66, 69, 7 1 -7 3 , 75, 8 0 , 82, 83, 8 8 , 89, 1 04, 1 07, 1 08, 1 1 6, 1 1 8, 1 1 9, 1 20, 1 24- 1 27 , 1 30, 1 3 2- 1 34, 1 36, 1 46, 1 5 3 - 1 55, 1 5 9, 1 60, 163, 1 65, 1 67, 169, 1 7 3 - 1 77, 1 79, 183, 1 88- 1 92, 1 95, 1 97, 1 99, 200, 202 , 203, 205-2 1 6, 227, 232, 2 3 3 , 246, 250, 252-254, 267, 269 Giuliano (Imperatore) : 58, t!7 grorna l gruma: 69, % haruspicinae disciplina: 5 9 basta : 3 1 , 3 3 - 3 5 , 1 08, 1 22, 1 3 1 , 1 3 5 basta donatica: 3 5 basta Martis: 1 1 8, 1 3 3 , 1 5 1 , 1 8 3 Honos : , 27 1 , 272 hospitalia (fulmina) : 2 3 5 , 244, 245 ianii (,·ersi) : 1 20, 1 2 3 ianitor: 208 ianua : 1 5 3 , 208, 209, 2 1 1 ianuarius: 209, 2 1 1 ignis Vestae : 1 54, 1 57 , 1 85 , 262, 267
lliona: 1 08, 109, I I I , 1 1 6 imaginifer: 3 6 immolare : 1 84 imperator: 1 3 , 1 6 , 24, 27 imperium: 6, 7-29, 32, 3 5 , 36, 3 9 , 43, 44, 57, 79, 88, 89, 98, 1 03 - 1 05, 1 07, 109, 1 1 0, 1 1 2 , 1 1 6, 1 2 1 , 1 23 - 1 26, 1 3 2, 1 3 3 , 1 46, 1 52 , 1 6 3 , 1 7 4- 1 76, 1 79, 1 89 , 204, 2 1 5 , 229, 2 5 3 , 257, 26 1 , 267 imperium domi: 1 5 , 2 3 , 25, 4 3 , 1 04, 1 26 imperium militiae : 2 3 -25, 4 3 , 44, 1 04, 1 26, 242 impetratiua (auspicia) : 1 8, 6 1 impietas : 1 58, 1 80 inauguratio: 1 3 , 1 8, 20, 60-6 3 , 90, 108, 1 6 5 , 173, 1 77 incantare : 22 1 induperator: n, 27, 1 76 inferna (fulmina) : 2 3 5 insignis l insigne : 3 1 interregnum: 1 2 , 1 8 , 27, 230 interrex: 12, 27 iudex: 1 2 , 22, 269 !uno/Giunone : 64, 75, 90, 9 1 , 1 26, 1 3 1 , 1 5 3 , 1 60, 1 86, 205, 207, 209, 2 1 0, 2 1 8 , 225, 239, 2 5 3 , 254 Iunonius (lanus) : 52, 1 83 . 2 1 0 Iuppiter: 9 , 1 8, 35-38, 52, 5 5 , 80, 1 5 9, 1 60, 1 74, 1 83 , 1 86, 2 1 6, 252, 269 Iuppiter Elicius : 244 ius: 9, 22, 3 7 , 43, 44, 86, 1 2 1 , 1 54, 1 58, 1 64, 165, 167, 1 68, 1 7 7- 1 79, 202, 2 1 3 , 2 1 4, 230, 2 3 9 , 242, 263, 267, 268, 269, 273 ius edicendi : 2 1 iustitia : 6 , 22, 26, 4 3 , 5 1 , 264, 268-272 iustum: 22, 266, 279 lapis manalis : 68 Lapis Niger: 4 7, 1 46, 1 67 , 1 82, 236, 269 Lar: 1 5 1 , 1 8 3 Lararium: 1 3 0, 263 , 267 Larentalia : 1 72 Lares/Lari : 7 1 , 1 83 , 222, 263 Latino, re: 3 1 -3 3 , 52, 66, 97, 108, l 1 3 , 1 1 5, 1 24, 1 3 2, 1 3 5 , 1 83 . 1 89, 1 9 1 - 1 93 , 200, 2 1 7, 222, 224, 226-228, 246 latinum nomen: 89, 98 Latium : 32, 1 96, 206, 2 1 O, 2 1 3 , 2 1 5 Laurento : 1 1 2, 1 70, 200, 2 1 7 La\'inia : 3 2 , 34, 1 04, 1 8 3 , 1 89 , 200, 226-228 Lavinio: 95, 97, 1 1 2, 1 1 3 , 1 25, 1 36, 228 liberatio: 20 Libri Rituales : 58, 59, 244
287
Libri Sibillini: 76, 1 27, 1 28, 140, 1 93 libri Ve go i c i : 7 1 , 72 lictorllittorellittori : 43, 54 limes decumanus: 69 lirnitatio: 69-73 *lita : 46 litare : 46 lituusll ituo : 1 7 , 46-50, 6 1 , 6 3 , 1 3 2, 2 1 8 lituus qu i rinali s : 32, 48-50, 1 3 2, 1 4 1 locuta (loca) : 52, 62, 76-78, 1 00 , l O l Lua: 98 Lucina (I uno) : 2 1 1 lucus: 1 7 1 , 1 80, 1 86, 2 3 7 lupa : 1 4 3 - 1 49, 1 60, 1 67, 168, 1 7 1 , 1 72, 1 86 Lupe rca l: 1 46, 168, 1 86 Luperci: 70, l O l , 1 67- 169, 225, 226 lustratio: 70, 1 86 magnanimitas: 272 Mamuralia: 49, 122, 1 2 3 Mamurius Veturius : 106, 1 1 2, 1 1 4 , 1 20, 1 22, 1 3 9 manubia : 258 Ma�arte : 2 1 , 48, 50, 5 1 , 54, 64, 72, 73, 89, 91, l OO, 105, 1 1 8, 1 20- 1 2 3 , 1 30, 1 3 2- 1 34, 1 36, 1 3 9, 1 44-148, 1 50- 1 52, 1 55, l 5 9, 167-l 7 l . l 75. l 77, l 8 l , l 82. l 84, l 86. 1 89, 1 93 , l 94, 200, 208, 2 l l , 2 l 8, 225, 226, 229, 232, 242, 246 mater: 26, 80, 1 40, 255, 257 materia: 1 56 mauortius: 1 46 Me galc sia l Me galenses : 1 28, 1 2 9 Metello (C ec ili o) : l l 3 , 1 1 4 Minerva: 64, 75, 1 08, l l l , 1 1 3 , 1 22, 1 26, 1 36, 205, 2 1 8 mola: 1 5 5 , 1 84 , 2 1 2 monitoria (fulmina) : 2 3 5 Mons Romuleus (Pala ti no ) : 1 1!1! Mons Tarpeius : 57, 75, 1 2 5 monstrum: 74 mos maiorum: 22, 44, 1 53 , 1 54, 1 79, 208, 2 1 2, 2 1 4, 260, 262, 263-267, 269, 273 mundus : 60, 66-68, 70, 79, 108, 1 3 5 , 275 muries : 1 5 5 nefas: l O , 20, 82, 247, 2 7 9 nemus: 1 80, 222, 2 2 5 , 2 5 4 , 278 Nemus Aricinum: 1 1 6 noyemdiali s ( ri to ) : 24 1 Numa : 5, 6, 1 4 , 1 7, 1 8 , 2 1 , 23, 50, 5 1 , 60-63 , 80, 98, l l 2, 1 1 3 , l l 9- l 2 l , 1 2 3 , 1 24, 1 3 5, 1 54, 1 5 5, 1 7 1 , 1 83 , 1 89, 1 90, 1 99, 207, 2 1 5 , 2 1 9, 220, 228-23 3 , 236-240, 243, 244, 246, 247, 257, 262, 266, 269, 270, 278
288
Numen: 50, 60, 6 l , 64, 76, 82, 1 3 1 Numi tore (Numitor) : 1 3 , 1 4 , 1 9, 97, 1 44 , 147, 148, 200, 226, 228, 229 obruta (fulmina) : 235 Oleno Caleno : 57, 75, 1 25, 2 3 9 Ops Consiua : 8 3 , 8 5 , 8 9 , 9 9 , 100, 224, 234 o pt i m us augur: 20, 1 75 Optimu s Maximus ( I upp i te r) : 55, 5 8 , 8 2 , 83, 1 27, 1 74, 257, 270 orientatio : 65 oscines (aues): 1 87 ostentanea (fulmina) : 2 3 5 Ostentaria (Libri): 1 84 ostentum l ostenta: 57, 6 1 , 74
Palati no : 14, 23, 25, 48, 49, 5 5 , 62, 66, 7 1 , 7 J , 76, 78, 87, 94, 1 08, l l 4, 1 20, 1 27, I D , 1 3 5 , 1 36, 1 40, 1 44, 1 47, 172, 1 76, 1 77, 1 8 3 , 1 88, 1 92-1 94, 208, 2 1 8, 249, 2 5 3 , 270, 273 Palatium: 94, 11!8, 249 Pales : 1 3 9, 1 4 1 , 1 76 palladiolpalladium: 92, 97, 1 04- 1 0 8 , l l 0- l l 5, 1 22, 1 30, 1 3 2, 1 33 , 1 36, 1 54, 1 8 3 , 247, 264 Pallanteum: 14, 88, 97, 1 0 1 , 1 49 , 249 paludamentum: 23 Pandana (porta): 1 94, 249 Papirio (Marco) : 35 Parilia: 7 3 , 80, 97, 1 34, 1 4 1 pars: 63 pater familias : 26, 1 5 3 , 1 75 , 1 88, 262, 2M Pater Patratus: 5 1 , 269 patres: 9, 1 2 , 1 7, 1 8 , 27, 86, l l 7, 1 74, 2 3 2 Patulcius (Giano): 1 2 3 , 209, 22 1 , 2 5 3 pax augusta : 1 2 1 , 1 95, 1 97, 2 1 3 pax deorum: 20, 1 72, 1 99, 2 1 8, 242, 2 4 3 , 264 pax romana: 44 pedum: 46, 54 Penates: 97, l l 0- l l 3 , 1 36, 1 5 3, 206, 2 1 2 , 263, 267 penetralia l Penetralia: 64, I l O, l l 5, 1 36 penus l penum: l09, l l 0, 1 1 3 , 1 1 5 , 1 3 3 , 1 3 6, 1 54 pe re mp ta li a (fulmina) : 2 3 5 Pererutitas: 4 4 , 85, 1 52, 1 5 4 perpetua (fulmina): 2 3 5 pestife ra (fulmina) : 2 3 5 piare : 2 1 , 260 Picenum : 170 Pico/Picus : 5, 3 1 , 32, 46, 50, 52, 1 24, 1 3 2 , 1 4 1 , 168- 1 7 1 , 1 9 1 , 1 92 , 200, 2 16-2 1 8, 2 2 1 , 226, 227, 23 6-240, 247, 254 picus martius: 145, 1 68, 169, 1 7 1 , 1 87, 2 5 4
pietas: 6, 2 1 , 22, 26, 36, 5 1 , 1 47, 1 58, 1 79, 1 99, 242-244, 246, 262-265 , 267, 268, 27 1 , 272, 278 pi gnus l pignora: 6, 1 03- 14 1 , 1 54, 1 83 Finaria (gens): 1 94 pius : 243, 247, 263-265 porneriurn: 24, 60, 70, 1 04, 108 pontifex: 1 2 , 20, 2 1 , 26, 66, 82, 83, 85, 109, 1 1 3 , 1 30, 1 57, 1 83 , 2 3 , 263 , 270 populus: 1 2 , 1 9, 1 04, 164, 168, 1 8 1 , 243 Portunus: 257 p6stica l postica (pars): 6 3 , 64, 68, 77, 1 88 postulatiua (fulmina) : 234 potestas prirnordiorurn: 2 1 1 Potitii: 1 93 , 1 94 praefatio: 207 Praepositus Palladii Palatini: 1 30 praesul: 1 20 praetor: 16, 23, 28 Preneste: 1 5 1 , 1 52, 1 8 1 , 1 87 principiurn deorurn: 207 prodigiurn l prodigia : 37, 38, 57, 74, 1 07, 1 1 8, 1 22, 1 25, 1 26, 1 3 1 , 1 5 1 , 24 1 , 244, 250 prorogatiua (fulmina): 235 prouorsa fulgura: 257 puteal l putealia: 58, 7 5
2 1 8, 2 19, 226, 239, 240, 242, 243, 245, 262, 263 rex sacrorurn: 18, 2 1 Rhea: 97, 1 29, 1 46-148, 1 50, 1 56- 1 58, 205 ritus: 25 1 Roma Quadrata: 57, 66, 67, 70, 73, 7t!, 79, 87, 1 83 , 1 93 Rornolo l Rornulus: 5, 6, 10, 1 2 - 1 7 , 1 9, 20, 22-24, 27, 28, 3 1 , 32, 34, 42, 48-50, 54, 55, 57, 62, 65, 66, 70-75, 78, 80, 84, 88, 89, 9 1 -95, 97, 100, 1 04, 108, 1 1 3 , 1 1 7, 1 2 3 , 1 32, 143- 1 5 1 , 1 56-1 58, 1 60, 1 64, 165, 1 67, 168, 1 72, 175- 1 90 , 1 93 , 1 94, 200, 209, 2 1 0, 2 1 8, 226, 228-230, 232, 234, 246, 247, 249, 275 Rornula gens: 92 rurna: 92-94, 1 00, 1 47 , 1 59, 1 60, 1 72, 1 88 rurnen: 92, 1 59, 185 Rumilia: 93, 1 47 Rumina: 93, 1 59, 1 60, 1 85 Rurninalis (ficus) : 5, 50, 92-94, 144, 1 46, 1 47, 1 58-165, 1 68, 1 85, 1 86, 200, 226 Rurninus (Juppiter) : 1 5 9 , 1 60 *rurnis: 9 3 , 1 47, 1 59, 1 85 Rurnon: 92, 93, 100, 1 46, 1 56, 1 5 9, 1 88 Rurnulus: 92, 94, 1 60 ruo: 92
�nquatrus: 49, 1 2 1 , 1 2 3 �rinale : 1 0 5 , 106, 1 20, 1 36, 252 �rinus l Quirino: 5 , 2 1 , 32, 50, 52, 1 00, 105, 106, 120, 1 2 1 , 1 2 3 , 1 32, 1 3 3 , 1 36, 148, 207, 208, 2 1 0, 2 1 8, 253, 254, 257, 269
sacena: 40, 53, 270 sacerdos: 28, 44, 68, 1 32, 1 7 5 , 2 1 4, 242, 244, 245 sacrani: 1 70 Salii : 48-50, 1 1 9, 1 20- 1 24, 1 3 3 , 1 3 4 , 1 3 9, 1 53 , 207, 232, 25 1 Sateumus : 1 5 3 , 204, 25 1 Saturnalia: 1 8 3 , 1 97, 1 99-20 1 , 2 1 0, 2 5 1 Saturnia: 6 5 , 96, 1 90, 1 93 , 1 96, 1 97, 200, 2 10, 22 1 , 227 Saturnia regna: 1 5 3 , 1 90 , 1 97 Sanunia Tellus: 1 53 , 1 96, 206, 2 1 5 Sanunius (Mons): 1 25, 1 90 , 1 94, 1 97, 208 SanlfllO ISatumus: 5 , 2 1 , 32, 46, 52, 64, 66, 73, 78,86, 88, 96, 98, 99, 1 04, 108, 1 16, 1 17, 1 26, 1 32, 1 46, 1 53 , 162, 1 68, 1 70, 1 83 , 1 89- 1 92, 1 94, 1 96-206, 208-2 1 1 , 2 1 3-2 1 5 , 2 1 7, 2 1 8 , 227, 228, 234, 246, 250, 25 1 , 267 satus : 1 5 3 , 1 98 Scalae Caci : 1 9 3 sceptrurn!scettro: 32, 1 1 6, 1 3 2 Scevola (Muzio): 274 Scipione: 1 27 Scipio: 3 3 securi s: 40 sella curulis : 3 1 , 3 3, 44-48 seria (\·aso sacro) : 1 1 4 Serra (nome sacro del TC\·ere): 1 5 t!
Rea: 73, 97, 129, 1 4 3 , 1 44, 1 50, 1 5 1 , 1 56-158, 1 80, 1 83 , 205 regalia (fulmina): 2 3 5 , 244, 245 Regia: 52, 54, 99, 1 08, 1 1 8, 1 1 9, 1 22, 1 24 , 1 34, 1 3 5 , 1 3 8., 1 5 1 , 1 53 , 1 83 , 232, 245 regifugiurn: 1 22 Regina (luno): 90, 1 00 regio : t!, 3t!, 47, 245 regnaria: 1 4 8 regnurn: 1 3 , 1 7 rego: 8 regula: 8 Re mo i Rernus: 14, 1 9, 22, 27, 70, 7 1 , 73, 78, 92, 93, 95, 97, 1 4 3 - 1 45, 147- 1 5 1 , 1 58, 1 64, 1 67, 168, 1 72, 1 75- 1 88, 228 Remona: 1 8 1 Remonia: 1 48, l t! l reus : 1 57 rex: 5-29, 3 1 , 32, 43, 44, 46, 48, 60, 89, 122, 1 32, 1 52, 1 57, 163, 1 64, 1 70, 1 74- 1 76, 1 78, 1 8 1 , 1 89, 1 90, 1 99, 205, 206, 2 1 2, 2 1 4-2 16,
2 !! 9
Sen·w TUllio : 86, 1 50, 1 5 1 , 230, 250 signa: 17, 18, 6 1 , 168 signa militaria: 3 6 signiferi: 3 5 silua : 1 55, 1 56, 1 80 Siluia : 1 50 Sil\'ia : 1 3 , 34, 7 3 , 97, 1 4 3 - 1 45, 1 48, 1 5 1 , 1 55-1 58, 1 8 1 , 1 8 3 , 189, 200, 226, 228 Sorano (Valerio) : 82-84, 86, 98, 1 60, 269 sponte sua: 1 22, 1 3 1 , 1 5 1 Stator (luppiter): 66 , 78 status (fulmen): 234 suffimenta : 66, 78 suffragium: I l , 1 2, 27 sulcus primigenius: 69-7 1 , 1 65, 1 77, 267 sumrna: 52, 1 2 3 , 1 37, 207, 256, 258, 278 sumrna imperli: 1 2 3 sumrnanalia l ib a : 234 Sommano l Summanus : 234, 258 Superiores et inuoluti (dèi) : 2 3 5 supplicium: 2 2 , 1 7 8 Tacita (ninfa): 23 1 Tagetici (libri): 58 Tarentum (nome del Te\'ere): 1 58 Tarquinia P risco: 3 1 , 36, 37, 42, 57, 58, 7 1 , 75, 1 24, 1 25, 1 3 8, 1 50. 1 5 1 , 1 84, 1 90 Tarruntius (Lucius): 7 3 , 74, 80 templum l tempia: 46, 60�5. 7 1 , 77, 1 1 3, 1 56, 1 7 3 , 1 76, 1 77, 1 80, 1 8 3 , 1 87, 1 88, 267 terebratio: 1 54, 1 57 Terntinus: 69, 7 1 , 80, 232, 234, 269 tescum l tesca: 6 1 , 62, 76, 77 Te-.·ere : 27, 92, 95, 1 27, 1 44, 147, 1 49, 1 56, 1 8 1 , 1 92-1 94, 205, 257, 273, 274 Thybris: 93, 100 Tigillus (Iuppiter): ! 5 9 Tito Tazio : 6 6 , 7 1 , 100, 1 2 1 , 205, 230, 234 Tiber: 9 3 , 146, 159 Tiberinus: 1 00, 1 46, 228, 274 toga palrnata: 45, 46, 54 toga picta: 45, 46, 54 toga practcxta: 42, 45, 54 Torquato (Tito Manlio): 1 88 trabea: 3 1 , 45, 46, 1 24, 1 3 9, 1 4 1 , 2 1 8, 255 triumphus/trionfo : 29, 3 1 , 1 74, 188 Troia: 66, 105, 1 1 2, l l 4, 1 1 5 , 2 1 6 tubae : 49 Tubilustrium: 49, 1 23 Tuditano (Caio S.): 96 Tullo 0stilio: 42, 50, 74, 1 20, 1 2 1 , 1 82, 228, 232, 240-247 tutela Iouis : 124, 1 3 9 Valentia : 94
290
uallwn: 70 uber: 8 Vediouis l Vewuis: 167, 234 uer sacnun: 169, 1 70 VCrturnnus: 46, 92, 100, 254, 259 uictima: 43, 270 uindicta : 43 Victor (luppiter): 2 16 uirtus : 23, 26, 36, 5 1 , 1 52, 164, 168, 1 79, 242, 243, 267, 27 1 , 272 Virtus: 26, 27 1 Vmbilicus Vrnis: 67, 79, 108 \blcanal: 182 \blupia: 85 Vibes: 57 urns: 1 5, 60, 70, 74, 79, 83, 84, 86, 88, 89, 91 u rua re : 70, 74 uruus l urnum: 70 uultures: 1 44 Vegoia l Begoè: 59, 7 1 , 72, 76, 80 VCnere: 14, 73, 9 1 , 97, 104, 1 28, 1 79, 1 89, 227 Vesta: 5 , 50, 55, 73, 79, 86, 1 0 5- 1 07, 109- 1 1 4 , 1 46, 1 47, 1 5 3 - 1 57, 1 8 1 , 1 8 3 , 207, 2 1 0-2 1 2, 227, 232, 262, 267 VCstali: 43, 85, 99, 105, 106, 109, 1 1 3 , 1 1 4, 1 1 6, 1 3 3 , 1 4 1 , 1 44, 1 45-147, 1 53 - 1 57, 1 8 1 , 1 8 3 , 2 1 2 , 227, 263 Vulcano: 64, 1 40, 1 5 1 , 1 52, 1 82 , 1 8 3 , 1 94 , 234 b. vocaboli grec:i o derivati dal grec:o:
Achille: 1 04, 1 1 5 , 1 16 Agamennone : 32, 1 16, 1 1 7 Alpheios: 92, 100 anagke : 2 7 1 Anto: 1 47 Apollo: 66, 7 1 , 7 3 , 76, 78, 79, 90, 100, I l O, I l i , 1 1 7, 1 1 8, 1 26, 1 36, 1 66, 167, 1 87, 1 92, 1 94, 1 95 , 208, 249, 253 Apollon Lykaios: 1 66, 1 67 Argonauti: 1 6 1 arete : 272 Armonia : 25 1 Atena: 3 3 , 1 09, l l 3 , 1 36, 1 95 Athenà P alias: l 09 A!Mm Polias: 1 1 1 Circe : 1 70, 1 87, 200, 2 1 7, 2 1 8, 254 Cheronea: 32 Clitennestra: 1 16
Crono: 96, I40, I 62, I 87, I 99, 200, 205 , 25 I Dardano: I l O, I I I Diomede : I08, I l i , I I 2
Siopele: 23 I skeptron: 32, 3 5 Sykasios (Zeus) : 162 S y kites (Dioniso): I62
Ecuba: 227 Eriruri: l l 6 Giasone : I 6 I gni) ma l gni)mon: 6 9 , 7 9 Gorgoneion: I09 Helios: I 26, I 6 I Heracles: 1 6 I , I 97 Hennes Ctonio: 59 Hiera Syke : 162 hieros gamos: I 57, 220, I!Ybris: I 64, I 78, I SO byle: I 56, I 58, 2 1 2
Rh6mos: 95 Rh6mylos : 95
Telegono: 95 Telphusa: 97 témenos: 69 témn6: 63 Thule : 200 Tiresia: 3 3 , l l 3 Titani : 1 78, 1 79 255
Ulisse: 95, 97, 1 08, I l i , 1 1 2 , 1 6 1
(•V)ortix: I 66
ide: I 56 Ilione: I I 6
Zeus:
krainein: 25 1 Kybele: I40 kyrbasiai : I 24
c. vocaboli etruschi o di derivazione etrusca, o forme etruschizzat e:
13bris: 4 I llssomai:
lite : 46
46
16pbos: 109 lykaios I 66, 1 6 8 lykos: 1 66
32, 3 3 ,
37, 9 6 , 1 40, 166
Am9 l Artile l Amms : 250 Amms Velthurnnus : 59, 7 1
A,·Je Fluske :
53,
250
melioi: I 99 Moirai : l l 7
Caclu: 250 Caere (CerYeteri): I05 Caile Vipina: 250 Ceicna l Cecina: 234 Cilen: 65 •emma: 69, 79
Naute : I I 2 Nereo : 1 6 1 Nikostrate: I 93 , 2 1 9, 255 nympha: 76, l U I , 2 5 5 , 2 5 6
LruB Nine: 4 1 Lasa : I 8 3 Iauxme : 5 2 , 2 5 9 Lucumone : 36-3 8,
Olimpo : 96, I 9 I , I 92, 200 Oreste : I09, I09, 1 1 6- l l 8, 1 3 8, 2 5 1
�starna: I 50, 250
pali o : 109 Pan Licio : 97, 1 0 1 Pelope : 1 82 phall6 s : 1 50, 1 5 1 phantasma: 1 5 1 , 237 Pithiskon: I06 Poseidone: 1 04 Priarno : l l 5 , 1 1 6, 1 3 2
netsYis: 234
Rh6mé : 94-97, 100, IO I , 270
52, 5 9 , 2 5 9
munEl : 79
Po�nna: 240, 244, 274 • pursna l • purt sna l pwOne : 240, 260 rumax: 9 3 Satres: 204 Tages: 58, 59, 75, 76, 1 3 1
29 1
Tanaquil / Tanaquilla: 37, 5 3 , 1 50, 1 5 1 , 1 90 Tarchezio (