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Italian Pages [88] Year 1948
SESTO
PRETE
''H uman1-1s,, nella
letteratura
•
arcaica
Dott. CARLO MARZORATI - Editore MILANO .Via Borromei,
11
lati11a
Al MIEI MAESTRI
G. JACHMANN G. B. PIGr1I CON
ANIMO
GRATO
l'1opnerà
letteraria
risen·ata
Stampato in Italia - Printed
in ltaly
1948 ,. A. G. " A. - Società Arti Gra6che' S. Abbondio - COMO - S. p. A.
Quest-0 studio è costituito in gran parte da. alcuni capitoli della t. 2, n. 2. (6) Cfr. R~ REITZENSTEIN, Werden und Wesen der Humanitr:et im Altertum, Str&S8• burg, 1907, p. 26, n. 6. ( 7) Berlin, 1897.
lntrotkuione
u
e Terenzio prima di arrivare a Cicerone (troviamo solo un breve accenno ai v·. 77 dell'hautontim. a p. 30) e non avrebbe dovuto dimenticare Orazio, Seneca, Plinio che, anche se vissuti dopo Cicerone, hanno dato tuttavia un notevoie personale contributo allo sviluppo del nostro concetto; non· ab.biamo però nulla di tutto ciò: lo Schneidewin coglie il frutto dalla pianta quando esso è maturo· senza curarsi affatto di studiare i periodi di svolgi• «antike Humanitaet» e .«cice,mento percorsi; per Io Schneidewin 'roriianische Humanitaet » sono la stessa cosa; egli quindi, nel suo ampio trattato non fa che dare un quadro del valore di humanitas qua\e può ~ssere ricavato dagli scritti di Cicerone, perchè -appunto questi rappresentano per noi «il vero specchio dell'antica humanitas» (p. 18). · Tolta tale dwonanza fra il titolo e contenuto abbiamo molto da imparare dal libro ricco di materiale documentario. Il tutto è raggruppato in quattro capitoli che trattano delle relazioni: 1) tra uomo ed uomo, 2) tra uomo e patria, 3) tra uomo e scienza, 4) tra uomo e natura. Sui particolari non ci sembra necessario soffermarci e rimandiamo il lettore a ciò che del libro -dello Schneidewin ha scritto lo ZIELINSKÌ in Ilbergs ·NJB. I, 1898, ,p.l. ss. Un saggio modes~ per inole (una trentina di pagine di cui alcune di interessanti annotazioni) ma fondamentale per il contenuto è quello di R. REITZENSTEIN: W erden und Wesen der Humanitaet iim Altertum (Str~s:sburg 1907). In esso l'autore sostiene che Li formazione del concetto huma.nitas è frutto dell'infiusso dello spirito greco su quello romano: « primieramente l'influsso dello spirito greco su un popolo straniero potentemente sviluppato ed il co_nflitto fra due nazionalità ha formato il concetto e la parola » ('); il contatto spirituale fra i due popoli 11isarebbe particolarmente avuto, secondo il Reitze08tein,_ nel circolo degH-Scipioni di cui,· nello studio, viene graademente esaltata l'importanza; a diritto viene fatta notare (p.- 8) la ripercussione che ha avuto nella storia il . gesto compiuto da un giovane appartenente ad una delle più nobili famiglie romane, Scipione, che,' adolescente ancora, si affida ad un greco; Polibio, per essere ' da Jui educato e per apprendere come divenire un. uomo degno _dei suoi grandi antenati. Dal· circolo degli Sci pioni il Reitzenstein passa logicamente al filosofo ( 8) Riportiamo, nel testo tedesco, insieme alla frase tradotta, anche I!! espressioni pre.-edenti: ]edes ldeal du Menschentum./J, der humanitas, das damals, wie in der Zeit der Renai&lllRCe di.e edelsUn Gemueter er/W?Ute, galt einem Schiller und Goethe ohne weiteres als griechl,ch,, und ist das ooch,nur in einer gewissen Beschraenkung. Die griechisch.e Sprache hat kein Won dafuer geschaflen, ja selbse der Begrifj ist noci,, unentwickelt. Erst bei den Roemem finden wir in Reden, und Briefen, ja selbst in wissenscha/tlichen Darlegungen immer wieder di.e W orte « echter Mensch » und « Menschentum », « humanus » Wld « humanitaa ». Ern die Einwirkung griechischen Geistes auf ein kraftvoll entwickeltes Jremdes Yolkatum, d,a-Kon/likt zweier Nazionalit,a,eten hat den Begriff und tllu Wort getdaaflen (p. 4).
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•
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HUJ\U.NIJS
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NELLA LEl'TEU'l'UIU
AICAIC,\
LATINA
che ne fu il vero fondatore: Panezio di Rodi: « chi vuole descrivere il divenire dell'antica humanitas non ha che da mostrare come dall'etica ·di • questo uomo sia derivata la morale della nobile società romana» ·(p. 7). Mi sembra che l'importanza del filosofo stoico venga meHa troppo ia risalto dal Reiuenstein ('); stando infatti alle parole di questo studioeo, Panezio sarebbe stato il creatore del concetto di « humanitas » che invece ha trovato già nel mondo greco coloro i quali hanno preparato il terreno alla sua formazione; basti pensare a Platone (1°), Pericle (11), Menandro ed · a molti altri ancora. Occorre poi tener presente un altro fatto: i principali e quasi unici documenti che testifichino il significato del concetto ed ideale di humanitas nel circolo degli Sci pioni sono gli scritti di Cicerone; questi, pur grandemente dipendendo, per la parte morale delle sue dottrine filosofiche, da Panezio sa tuttavi~ di frequente staccarsi dagli insegnamenti del ' filosofo di Rodi quando lo crede opportun~; Cicerone ha in mano la fonte ma la tratta còn una certa libertà; basti ricordare a questo proposito un passo del de officiis (1,6) ove l'autore espressamente dichiara di conservare tutta la sua personalità anche di fronte all'opera di Pa_nezio: sequemur igitur hoc quidam tempore et hoc in .quaestwne potissimllm, Stoi.cos non ut interpretes, sed, ut solemus, e fontibus eorum iudicio arbitrwque nostro, quanto quoque modo uidebitur, hau.riemus. E' lecito dunque pensare che anche il concetto di humanitas, quale si trova rispec_chiato nella produzione letteraria del grande oratore romano, sia in gran parte quello già esistente nel Circolo degli Scipioni e, di conseguenza, nelle opere di Panezio, ma non si può d'altra parte negare che esso abbia avuto un particolare sviluppo per opera di Cicerone stesso che svolge la sua attività letteraria più grande circa un secolo dopo la formazione del Circolo degli Scipioni; in questo lungo spazio di tempo il concetto racchiuso nel termine humanitas deve essersi esteso avendo il mondo romano subìto un'evoluzione culturale profonda che iniziatasi verso la metà del secondo secolo a.C. si sviluppa fino al tempo di Augusto. · Cicerone, come si è osservato, trattò le fonti dalle (Juali attinse, sempre con una certa li~ertà; diede del suo aggiungendo a volte osservazioni nuove anche se non sempre giuste: ciò noi dobbiamo tener presente nella valutazione del valore di humanitas quale risulta dalle opere del grande oratore; esatta ci sembra a questo proposito la seguente osservazione del PHU.IPPSON 12 ( ): « è lecito supporre che esso (l'ideale di hunumitas) teoricamente derivi da Panezio e nella pratica sia staio ~ttinto dal Circolo degli Scipioni. Ma (9) Cfr. a questo proposito R. PFEIFFER, o. c., p. 2, n. I. (10) Cfr. R. HARDER, racchiude in sè, anche se solo in embrione, proprietà che si riferi5cono all'aspetto esteriore dell'uomo, come pure, in parte, al suo animo. Nella Mostellaria abbiamo invece il primo chiaro esempio nella letteratura latina ove il nostro termine ha un valore prettamente etico; esso indica le qualità morali dell'uomo, la sua nobiltà di sentimento, la sua bontà d'animo. Abbiamo esaurito la trattazione dei passi delle commedie di Plauto (13) « lngenium » presso i comici significa, nella maggior parte dei casi, « imlole, caratt.ere ». Cfr. PLAUTO Amph. 899 ita ingenwm meumst; Stich. 626 itast ingenium nmliebre; ib. 744; P.oen. 302; TERENZIO And. 50 ita ut ingenium est omnium homi1u,m ab labore procliue ad, libidinem; And. 274 s. bene et pudice eius doctum atque edactum sinam coactum egestate ingenwm immutarier; spesse volte compare insieme a mos Bee. 860 at tu ecastor morem antiquom atque ingenium obtines; EUJÌ. 931 quo modo adulescentulus meretricum ingenia et mores pssetnoscere; è accompagnato d:a aggettivi come pium, pudicum;. cfr. Hec. 152; And. 487 ecc. ·
«
Humanus, inhumanus, homo» ,nelle commedie di Plauto
ove compare il vocaholo « humanus »; resta ancora da vedere un altro luogo plautino che è particolarmente interessante perchè ci offre l'unico esemp.io ove, con probabilità, figura il termine « inhumanu'!' ». RUDE_NS
767.
L'atto terzo del Rudens si apre con un monologo di Demone, vecchio ateniese, trasferitosi per affari ,a Cirene ove possiede una casa in riva al mare; questi manifesta agli spettat~ri il suo turbamento per uno strano sogno avuto durante la notte; gli ~ sembrato di vedere una scimmia _cercare . una .scala per rapire un nido di rondini, uccelli, questi, particolarmente cari al vecchio perchè discendenti dall'ateniese Filomèla, originari quindi della stessa città; ciò ricordando, Demone protegge e diende le rondini dalla nequissima bestia riuscendo a salvar loro la vita. Il vecchio ·ha appena terminato di raccontare il suo sogno quando sente delle grida; sono le grida del servo Tracalione che esce dal vicino tempio di Venere per chiedere aiuto contro Labràce, il volgare lenone che cerca di togliere a viva forza dall'altare della dea Palestra e Ampelisca ad. esso aggrappate: sono queste due giovani schiave di Labrace che, riuscite a salvarsi dal naufragio, rifugiatesi nel tempio, non vogliono più tornare dal loro antico padrone è si tengono strette all'altare per restare incolumi dal]e sue minacce; il lenone, nell'impossibilità di riavere le sue schiav~, dice di voler andare in cerca di fuoco per far perir così le due fanciulle nelle fiamme.
766 Lab. Daem. La. Dae.
La.
lbo hercle aliquo quaeritatum, igniem. Quid, quom in.ueneri&? Isnem magnum hic faciam
Quin inhumanum
exuras tibi?
lmmo ha.&ceambas hic in ara ut ùiu.as oomburam.
Il senso di questo passo non è chiaro; la difficoltà sta tutta nell'interpre~ione del secondo emistichio del v. 767: quin inhumanum exuras tibi così tramandatoci dal principale codice plautino, l'ambrosiano (A); gli altri manoscritti hanno: ut humanum. Dagli studiosi si è tentato di interpretare il passo nei modi più vari: nella sua edizione plautina, l'Ernout (1') sostiene che ambedue le lezioni, sia quella di A come quel1a degli altri codici, sono corrotte; inserisce nel . testo quella di A, dichiara, in nota (15 ), che il senso dell'emistichio è sconosciuto, traduce però « inhumanum » con « cadavere» (11 ). Una emenda( 14) Paris, 1938. (15) pag. 159, n. 1. (16) pour y bnller ton cadavre, sans dome?
30
e, HUJIIA!liUS
»
NELLA LETrERATURA
ARCAICA LATINA
zione al testo è stata fatta nell'ediz. del Rudens curata dal Marx (17) ché integra l'emistichio con un « quod »: quin (quod) inhumanum exuras tibi. Accettano invece senz'altro il testo di A il Leo (1892), il Lindsay (1936) ed altri ancora. Delle tante interpretazioni proposte ricordiamo in modo particolare l(' seguenti: E. A. Sonnenschein {18 ) così traduce il passo: per bruciarvi la tua inu,nanità; il Lindsay (11 ) ci~a questo luogo come u,na sicura testimonianza della pronunzia del gruppo consonantico « p » latino che doveva essere pari a quella di una doppia « n. » e dice: chiaramente questa strana ripetizio~ è dovuta alla. somiglianza di pronan.zia tro « ignem magnum » e « in.humanium ». Secondo il Lindaay quindi, « inhumanum » non avrebbe nel verso alcun significato specifico; esso non sarebbe altro che la ripeti:zione, f.atta a mod~ di canzonatura, della frase antecedente « i~ maplUll, » eo). E. A .. Housman ( 21 ) pensa invece di poter risolvere ogni questione senza far ricorso all'« a.bisao» della medicina antica ( 22 ) o all'ipotesi dellit· pronunzia del gruppo consonantico « gn » come fa il Lindsay; l'espressione « quin. in.humanum exunu · tibi » sarebbe spontaneamente venuta sulla bocca di Demone come eco dell'interiezione « hercle » al v. 766; il nome di E~ole avre-bbe destato nei due interlocutori che hanno una grandè conoscenza della mitologia (23 ).il ricordo di un grande _fuoco che ha bruciato l'elemento umano del famoso eroe (2'). Prima di ricorrere ad una integrazione del testo, pari a quella proposta dal Marx, vediamo se il verso, nella forma in cui viene presentato dall' Am. brosiano, ci offre un senso compiuto; più che nel vocabolo « inhumanum », ( 17) Lipsia, 1928. (18) T. Macci Plauti R.udens, Oxford, 1891, p. 138. (19) « Classical Review », XVIII 0904), p. 402. (20) Nel1a stena nota egli cita per fo stesso scopo Cic. de rep. IV, 6 ( Non. p. 24): censoris iudicium nlhil /ere damnat·o obfert nisi ruborem, itaqJJc, ut om11is1ea. imliCOl.io uersalllr tanu,,,nmodò in nomine, an'imaduersio illa ignominia dieta est>> e ) che -ritorna assai spesso in Plauto ( 25 ); alle volte esso figura in opposizione al nome_« deus » (come, p. es., nel Miles 1043 :- dew dignior fuit qrtisquam homo qui esset?) o in stretta unione con esso (Capt. 622 ne rex deorum atque hominwn faxit ••. co-,npotem; Cure. 694, Epid. 580 pro deum atque hominum fidem); altrove invece il sostantivo «homo» viene opposto al nome di qualche animalt: (Amph. 320 ,ne qua.si murenam exoss(!.re cogitat; ultro istinc _qui exossat homines; Asin. 34 uiuos e,qi,ers / atque immune necis nullaque domabile fiamma; 262-5, in te rea, quodcumque fuit populabUe fùimmae, / mulciber absllJ.erat, nec cognoscenda remansit / Herculis eOigies, nec quicquam ab imagine ductum / matris habet tantumqrie louis uestigia seruat. Vengono portate ancora altre testimonianze prese da Seneca e da altri autorj. Il fuoco fu pure adoperato oon lo stesso intento > vien detto « buono » nella commedia, ma in una maniera diversa; « umaino » è colui che ha comprensione per le miserie altrui; «liberale» è co'ui che si mostra generoso e pronto a donare; nel paeso dei Captiui, v. 419, è detto «liberale» l'animo di Tindaro e di Filo-• crate che danno mirabile prova di reciproca generosità; negli Adelphoe, , .. 57, « liberalitus » indica quel senso di larghezza e di liberalità che un ge• nitore deve ayere nell'educazione del figlio; « humanus » è invece coluf che è buono perchè comprende e quindi tollera i difetti e le colpe degli altri (Most. 814) e si mostra pronto a sollevare il prossimo dalle tristi condizioni in cui si può trovare (Andria 113). Ma ove, in modo particolare, netta risalta la differenza di valore tra· ( 7) Sul valore di liberaUs nella oommedia romana si veda: Il concetto e( Liberalitas ,:,. nelle commedie di Pl6uto e Terenzio, ccConvivinm », raccolta nuova I (1947), p. 259 ss•.
« (lumanus, inhumaiu1s, lwnw
1> 11elle commedie
di T f',enzio
gli aggetth i (( humanu.s )) e ((liberalis I) è nei passi dO\·e i due vocaboli tii riferiscòno direttamente ad un'azione e non alla persona cbe la compie; nei due luoghi degli Adelphoe la. mancanza di Eschino vien detta dapprima «µmana» (v. 471, v. 687) e poi « illiberale-,; (464, 684); ccliberalis» è. dun. que, nel passo, in perfetta antitesi èon « humanu.s »; a noi non sembra che i due termini abbiano qualche cosa in comune; essi, neijo sviluppo del loro significato, hanno tenuto un percorso diverso;· soltanto in un certo momento si· accostano conservando però un valore ben distinto. Nell'epoca ciceroniana poi i due aggetti~i sembrano ancora aver acquistato un valore affine; . essi restano però indipendenti fra loro; se infatti « liberalis » e l
M,:1.J •.\ I.ETTEIUTL"R.\
(37) .9-vxtci X?~ 'tÒ'II .9-vxTov,OÙi'.
Epicarmo
ARCAICA 1..\TJ'.'iA
Axiopistos
.9-v~-:-Ò'II ?('l'IC:!v. In tutti questi luoghi torna la stessa espressione in diverse sfumature di si~ficato; la sua tendenza originaria però non è, come pensa il Bickel di « ammonire gli uemini di non occuparsi di ciò ,che è metafisico ultra• tei:reno », bensì quella di esortare gli uomini a rimanere nei limiti assegnati dal1a natura umana per quello che riguarda le loro aspirazioni intellettuali come pure la loro condotta di vita; tale espressione contiene solta~to unammonimento rivolto agli uomir.:i a volere accontentarsi della situazione in cui la natura li ha posti. Quelli che si sforzano di. tendere a ciò che porta oltre i limiti· della natura umana non accettano quanto la frase esaminata dice; essi vi oppongono il desiderio che il pensiero ~oli sempre a mète più alte. Questo però è lontano da ciò che esprime il verso di ·Euripide ed il monostico di Menandro. i.3-i'IIXt7.
Una parola a parte merita il frammento portato dal STOBEOecl. II 33, 7
TÒ'II
602 (Kock) di Menandro,
ri•
où3ii; ia-'t! 1.10~ i),Àr5tp~o;,&v -~ X?'la--:-o,· fi ipoo-tc;µlx .. iv'tWI , 'tÒ ~ ' o!x.t!O'II t;IJ'll!O'tYJGW -.p61C'o;, 38 Secondo il Koerte ( ) questo frammento dovrebbe con maggior diritto del Monostico I venir messo in relazione con il verso di Terenzio; ciò è stato già fatto dallo HEADLAM(39 ) che ha integrato il primo verso nel modo esguente: ( àv.9-pw .. 6; .:Z;i.'· i'll.9-pwr.o;) oò~e!~ È'1'tt p.ot Koerte' chiama « elegante » e «seducente» tale integrazione; dubita tut• tavia che il verso terenziano possa aver rapporti con questo frammento poichè l'aggiunta &..,~ X.P'l':1t6; suona poco piacevole (wenig liebenswuerdig) sulla bocca del Cremete menandreo. · Con ciò è detto in verità troppo poco; più felice è il Bickel (4°) il quale pensa. che tale aggiunta sopprime il pen• siero di Menedemo ( schlaegt den Gedanken tot). Di altra opinione è invece J. DoRNSEIFF (41 ); questi trova il Monostico I accettabile come originale dell'homo sum terenziano; più accettabile però crede éhe sia il frammento menandreo 602. Secondo il Domseiff, Terenzio da « dimidiatus Menander » avrebbe tralasciato la frase ixv ~ XP1JO"t"Òc; che però in sè non è nè « poco gradevole » nè « sopprime il pensiero» di Menedemo; l'espressione sarebbe stata tralasciata da Terenzio -perchè essa (37) 23 B 20, Diels. ( 38) l. c., p. 102. ( 39) « Classica! Review » XIII \ 1899) p,. 7. ( 40) ccRhein. Mus. » 91, p. 191, n. 4. ( 41\ « Hermes » 78 ( 1943), p. HO.
« Huma11us, inhumanus, homo»
nelle commedie di Terenzio
-era troppo difficile per lui da tradursi, non solo, ma, sempre secondo il Dornseiff, il nostro· poeta avrebbe dovuto rinunziare a tale (u) « elevata :sentenza» (hohe Gnome) perchè eg1i per tradurre le parole tpo(n,; e -i-p6;:o,; -avrebbe dovuto usare due volte il vocabolo « natura », dato che nella lingua latina non esisterebbero due diversi termini corrisp:ondenti ai due greci ri-cordati. Se il Koerte, pur negando una somiglianza del framm. 602 con il verso terenziano, rimane un po' incerto, il Dornseiff è quanto mai disposto no~ solo ad accettare, come originale greco, ìl monostico I? ma in tnodo particolare il framm. 602. Occorre -a questo punto far notare in modo chiaro e preciso che· è piuttosto pericoloso procedere così arbitrariamente nei riguardi delle commedie . di Terenzio. E' noto che questi è rimasto sempre fedele agli originali greci che trliduceva; non ci è quindi permesso supporre che egli si sia troppo staccato dal testo greco quando non ci sono motivi sufficienti che _ci spingono a crederlo. Di ·fronte al passo terenziano rivolgiamoci questa domanda: offre esso un qualsiasi foz:daÌnento a supporre che il poeta latino in tale punto ha più o meno mutato l'originale menandreof La risposta può esser.e soltant6 negativa. All'inizio del nostro studio :seguendo in modo particolare il Mewaldt, abbiamo fatto notare come i ·versi 76-77 contenenti rispettivamente domanda e risposta, s~ano antiteti,.. ·camente formulati; la loro . stretta unione dialogica ci offre appunto la sicurezza che noi qui ci troviamo di fronte a delle battute ben serrate fra . loro; non è quindi lecito considerare il verso 77 dell 'Hautontimorumenos ·come frammentario, come pure non è lecito rappresentarselo come un luogo ·ove il poeta latino si è staccato dal suo originale greco. Tale considerazione suJla quale abbiamo ripetutamente insistito già fin dall'inizio è quella clie fa ritenere non giusta l~opinione del Bickel, che cioè Terenzio abbia tolto via il doppio senso in cui sarebbe stato àsato il ·verbo tppovtN che il Bickel suppone esistente nell'originale greco, e lo abbia sostituito con il doppio uso di « alienus » come pure il tentativo del Domseiff di mettere insieme. il verso latino con il frammento 602 Kock. Contro tale identificazione deve essere rilevato un particolare sfuggito tanto al Koerte che al Bickel, il particolare cioè che nel frainm. 602 si parla di relazioni di un uomo con un altro uomo, nel passo terenziano invece si tratta di rapporti con cose che riguardano gli uomini; sopra · quindi si fa menzione di relazioni personali, sotto invece di rapporti con ciò che è più o meno intimamente legato ad un~ persona; di certo tali rapporti sono· uniti tra loro, gli uni· sorgono con gli altri; basta a tal proposito ricordare il passo ciceroniano, fi~. III 63 hominem ab lwmine ob id ipsum quod homo sit non alienum uideri; abbiamo considerato sopra (42) ib.
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« HUI\.IANUS
»
NELLA
LETTERATURA
ARCAICA LA111NA
questo luogo come un riflesso del verso terenziano, ove però si tratta di rapporti di un uomo con gli interessi e gli affari di un vicino. Questo tutt:ivia non toglie nulla al fatto che la formula nei due casi rimanga diversa; u humanum » non è lo stesso che «homo». Appunto l'aggettivo sostantivato « alienum » corrispondente al termine greco iÀÀo-rp,ov che supponiamo figurasse nell'originale menandi'eo non può essere escluso dal pas80 dello Hautontimorumenos del poeta greco poichè esso è radicato nello svolgimentodel dialogo. Già per questo motivo è da escludere il framm. 602 Kock come· modello del passo terenzia~o. · Ùopo quanto si è detto non ci sembra più necessario andare oltre nel1'esamè di ciò che asserisce il Domseiff, che cioé Terenzio abbia tolto tutto. via dalla frase &v ~ XPY111TÒ' in poi; soltanto ci sembra opportuno n_otare cbe una supposizione del Domseiff è particolarmente errata, quella cioè che il commediografo latino, per tradurre le due parole greche tpu11,; e -rpoi.o, avrebbe avuto a sua disposizione soltanto il vocabolo « natura. ». In verità il poeta aveva un numero molto più grande di termini di quanto il Dornseiff crede; basti pensare a « ingenium, mores » (' 3 ), A giudicare con esattezza non c'è neppure somiglianza tra il verso di Terenzio e il frammento 602,. tanto Ìneno quindi eguaglianza· di contenuto. la quale però, almeno parzialmente, è stata raggiunta con l'integrazione del verso iniziale fatta dallo Headlam. Non è lecito, ad_ ogni modo, giustificare una- concordanza tra duepassi se essa è fondata su un'integrazione che deriva da congetture anche quando queste possono sembraci accettabili. Il Domseiff accoglie quella: fatta dallo Headla~ come sicura, il Koerte la dice « seducente »; in_ verità essa può apparire tale solo se dimentichiamo un elemento importante della· tradizione del frammento. Esso ci viene tramandato dall'antologista STOBEO il quale usa non spezzare i passi che riporta, specialmente quando in essi_ compaiono eletnenti .che sono di per sè sentenziosi o che rafforzano il carattérc sentenzioso del passo. Prendiamo IV 20,25
IV 21,2 .. IV 22,33
alcuni esempi a conferma di quanto abbiamo detto: sx.ro 3è 'TOÀ:1-11; X.ott.9-pi11ou,a,3ciax.~ÀO'I iv -cori;&ii-11x.livotaw EÙ'lt'~p6-cot-cov, "Epro'tot' 7.CXV't(l)V 8u11µotX,W't!X'tOV .9-eov "OtotV!p:Jl1Et'tÒ xci)J..o, t'lt'&X.011!'-~ -cpo,;oui; X.P110'to6; , 3,1rÀot11!roç 6 r.?oa,wv 4Àfoxnot, "EÀE"(OV èyw 110t IL'Ylyotµe!'v , çi)v ~· -ij3éroi; -cò ,;À~-crovoi;tiya.9-òv 3'è11-r1'tof>-co, cl.>st31)..e, !L'YJ Àll:!'-~ivsw yuv~rx.ot µ11aè 'T'?i'tuXri 3~¾7'À!t0VOOV > nelle
commedie di Terenzio
Ognuno di questi passi ha un senso ben determinato e c?mpiuto e non. ~el luogo donde è stato preso per comprenoccorre leggerlo nell'insieme dere il suo valore. Nel nostro caso Stobeo avrebbe invece soppresso non solo le parole programmatiche &v:9"pw1r6; Eè1.u, ma avrebbe anche tralasciato il primo vocabolo nel gruppo &v.9-pwr.oc; où3ei; , ove i due termini sono in stretta. relazione grammaticale di aggettivo e sostantivo; ciò è inverosimile; con oùòElc; dovrebbe invece, secondo noi, aver avuto inizio la frase, o meglio il discorso di una persona, dimodochè qui si sarebbe avuto il cambio di personaggi. Il tutto dovrebbe essere stato detto in risposta ad una domanda come. questa: « perchè ti curi di questo uomo, che è a te completamente estraneo? ». Alla luce di. tali ~onsiderazioni l'integrazione dello Headlam, in sè certamente bella, perde ogni forza persuasiva._ Questo frammento è quindi da eliminare dalla discussione nè può venir ricordato in una raccolta di frammenti menandrei, fra quelli dell'Hautontimorumenos, cosa che il 44 Koerte · ( ) invece vorrebbe concedergli. Il risultato del nostro esame del Monostico I e del frammento 602 Kock di Menandro nei riguardi dell'homo swm terenziano è negativo; non credfamo cioè ad alcuna relazione tra il senario latino . ed i ricordati versi greci; « per Terenzio, haunell'articolo di Dotnseiff già le parole introduttive 1) framm. 602, tontim. 77 si offrono alla scelta due esemplari menandrei: 2) Mon. I>> non sono giuste. Dornseifl ci presenta 1a cosa, come se si dovesse scegliere uno dei due frammenti; in verità non possiamo sce_glierne alcuno. Un'ultima domanda deve essere ancora posta sul Mon. I: è esso davvero di Menandro? Il Koerte lo mette a confronto con il verso 709 dell'Alcesti di Euripide
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ai.9-VYJ'tC.Ùc; .9-VY)'tlX x.oclcp;iovirvXPE(t>V.
e crede poterlo attribuire ad un poeta anteriore a Menandro, forse allo, 0 stesso Euripide (4-); la raccolta dei monostici contiene molto materiale premenandreo e la somiglianza di significato con il verso dell 'Alcesti è innegabile; tuttavia con ciò non è detto che il verso
ix•,.9-pw'lt'OV OV'ltOC ' 3er ippc.~e!'v'tiv.9-pwr.1voc derivi da Euripide o dalla tragedia in genere e che possa essere stato formulato in un tempo anteriore a quello in cui visse Menandro; non è infatti causale nè trascurabiJe il fatto che nel verso dell' Alcesti si parli di .9-vY)'tÒc; e .9-V1J't1X, La tragedia considera l'uomo come mortale, cioè come non immortale, non divino. La véocxwµ> del parlare comune pe.r ribattere 1'« homo» del fratello usato nel valore già visto. Ritorniamo ora all'interpretazione del v. 145; ravverbio « humane » che in esso figura può essere inteso in due modi: A. SPENGELnella sua edizione degli Adelphoe (Berlin 1905) crede che con la frase uix humane patitur Micione voglia rilevare il fatto che Demea non riesce· a sopportare da uo-,no Je cose che possono accadere contro la sua volontà; eg1i non ha ciÒè nè pazienza nè forza tali da restare sere~o di fronte ad un fatto. che avvenga contro ogni sua previsione o desiderio: a conferma di quanto dice, I~ Spengel cita un passo di Cicerone Tusc. II 65 morboti toleranter atque liumane /erunt; più a proposito avrebbe potuto ricordare un noto frammento • di Airanio ( 48 ). quanto facilius ego, qui ex aequo uenio, adducor /erre humana humanitus.
.
(48) O. Rieeu1t, CRF. Li1>5iae3 , 1898, 289.
51
« HUMANUS
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NELLA LETrERATURA
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ARCAICA LATINA
Lo HEINEMANNinvece ('") intende il passo in altro modo: uix humane _patitur vorrebbe soltanto significare che Demea non si comporta in maniera garbata e fine quale si conviene ad un uomo della sua età e condizione; non si tratta qui di forza di resistenza, bensì piuttosto del modo da usare .di fronte ad un rimprovero; l'opinione dello Heinemann mi sembra più . verosimile perchè più confacente all'insieme del passo; Demea infatti si è mostrato aspro e più volte in preda all'ira ·( cfr. v. 136; v. 146) quando il fratello ha voluto •correggérlo nelle sue idee. HAUTONT.
99.
Il vecchio Menedemo narra a Cremète, suo·_coetaneo, la triste vicenda -capitatagli: il figlio Clinia l'ha abbandonato, stanco della condotta patema i11sopportabile nei suoi ;·iguardi. F.cco il racconto:
Men.
96
_Est e Corintho hic aduena anus paupercula; eius filiam ille amare ooepit uirginem, prope ut pro u.xore haberet: haec clam me om~. Ubi rem resciui,_ coepi non humanitus .neque ut animum decuit aegrotum adulescen.tuli tractare, sed ui et uia peruolgata. patrum.
100
L'avverbio «humanitiu» indica _la maniera con cui Menedemo non tratta ,suo figlio: esso figura in opposizione con la frase al v. 101 «sed ui et uìa peruolgata patrum » con la quale viene indicato •. il metodo seguito dal vecchio per correggere Clinia verso cui si· mostra severo e duro, senza com-prendere come invece sarebbe conveniente. comportarsi nei riguardi di un -giovane preso d'amore per una fanciulla (v~ 100); « humanitus » (5°) può ·essere reso con l'espressione italiana « con bontà» e l'avverbio accompa'g~ato dal termine «_tractare " ha, in questo passo, una portata molto più ,ampia di quella vista negli altri ~uoghi studiati; esso determina infatti_ tutto il modo di agire di una persona nei riguardi di un'altra senza limitarsi ad una singola azione _()·ad un caso specifico. Altro luogo simile a questo esaminato è, nella stessa commedia, al v.
1046: 1046
e,ùmuero Chremes nimis grauiter cruciat adulescentulum nimisque inhumane.
Le parti, nella commedia, si invertono; prima era Menedemo spietato ·verso suo figlio, ora invece è Cremète; il senso però dei due avverbi è in .ambedue i casi identico; « inhumane » al v. 1045 corrisponde, quanto al .significato, a « non humanitus » del v. 99. ( 49) L. c. p. 299.
(5.0) Cfr. Th. I. L. VI 3097, 75.
« Humam,s, inhumanus, homo»
nelle commedie di Terenzio
Restano ancora alcuni passi da vedere che offrono_ esempi ove compare 1'aggettivo cc;inliumanus ». ANDRIA
278.
Ai timori ed a1le preoccupazioni le dichiarazioni
della schiava Miside, Panfilo oppone di fedeltà per la fanciulla amata:·
Adeon ·me ignauom putas,. 277 Pamphilus adeon porro ingratum aut i,1humanum aut ferum, ut neque me consuetudo neque am,or neque pudor comm,oueat nec commoneat, ut seruem fidem? Gli aggettivi « ignauus, ingratus, inhumanus, ferus » sono in gradazione e« iAhumanus » occupa il posto tra « ingratus » e-« ferus ». Donato {51) vede -una rispondenza tra questi aggettivi e i vocaboli del v. 279 e annota: « con.suetudo » aduersus feritàtem, « amor », aduersus . inhumanitatem, « pudor » aduersus ingratu,n, animum; più sopra aveva già notato a proposito delJa disposizione di questi aggettivi ( v. 279): non ordilnem, reddidit: « ferum » enim reddidit ad consuetudinem quia etiam fera_e mansuescunt; « neque amor» ad illud « inhulTUJ!l,Um ».••• « pudorem » ad « ingratum » rettulit. Lo Spengel (52) non crede alla rispondenza stabilita da Donato; egli pema -che gli aggettivi siano stati posti disordinatamente senza affatto tener conto dei vocaboli che sarebbero seguiti; questa osservazione è forse giusta, ma solo in parte, perchè anche se non v'è quella rispondenza voluta da Donato tra gli altri termini, tuttavia un rapporto tra « humanus » è « amor » mi sembra palese. Tanto in questo passo come altrove (cfr. specialmente il v. 880 dell 'Eun. che esaminerC?mo più sotto) il sostantivo « amor» esprime il sentimento che particolarmente rende una persona « umana » o « inumana »; nel nostro caso si vuol appunto dire che se l'amore portato da Panfilo per la fanciulla Glicerio non· riuscisse a commuovere l'animo del giovane ed a spingerlo a mantenere Ja parola data, questi non sarebbe « umano »; tale vocabolo viene riferito qui alla persona che nutre affetto e -che in tale affetto sa perseverare anche nei momenti più difficoltosi; il rinunziare ad esso sarebbe indice di un animo inumano; il nostro aggettivo ha in questo passo un valore etico, esprime infatti i' sentimenti dell'animo; esso trova il· suo contrario nell'agg. « humanus » visto già nell'Andria, al v. 113 dove Panfilo è caratterizzato come un giovane « humani ingeni » perchè sente dolore e si commuove per la morte di Criside, giovane donna che· egli ha da poco imparato a conoscere; appunto perchè mostra di ricordarRi di lei, anche dopo morta, egli si svela « umano». ( 51) o. c., I, p. 112. ( 521 Terenzio_, À11dria, commento e note di A.
Si>ENGEL,
Berlin, 18883 •
(( IIUMANUS
--------------llECYRA
)) :SELLA LETTERATL'R.\
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ARCAICA tsn:.A
499.
Panfilo non vuol più convivere con la sua sposa; sono sorti inconvenienti. che l'hanno costretto ad abbandonarla; intanto i due vecchi Lachète eFidippo, rispettivamente l'uno padre e l'altro suocero· del giovane, fanno. il possibile per riavvicinare -i due; in una conversazione piuttosto animata. cercano di convincere il giovane a tornar da sua moglie; Panfilo però, stanco-ormai delle insistenze che gli vengon fatte,. pianta i due vecchi in asso,. senza dar loro affatto ascolto. Riferendosi al gesto del genero, Fidippo commenta: 499
non credidi edepol adeo inhumanum
/ore.
Lo scoliasta {53 ) pone come equivalente alla parola « inhu.manum » l'aggettivo ccdurum » e tale, a giudizio dei due vecchi, si mostra Panfilo che non provà ritegno ad abbandonare la sposa da cui ha avuto .di recente un figlio; « duro » _ed « inumano » è ancora perchè non si lascia commuovere dalle insistenti preghiere di Lachete e Fidippo, ambedue a tutto di.sposti pur di veder riconciliati i loro figli. Anche in qu~o passò, come sopra al v. 278 dell'Andria, « inhumanum » ha un valore etico, indica ciò_ che è proprio esclusivamente dell'animo umano di cui veng~no messe in rilievo determinate qual~tà. Tradurrei il termine in italiano con l'aggettivo « insensibile» che esprime l'accusa fon-damentale rivolta a Panfilo dai due vecchi. ' 1
PHORMIO
509.
Un lenone. Dorio, due giovani,· Fedria ed Antifone. un servo, Geta, sono sulla scena; uno dei due giovani, il primo, fa ai tutto per avere in suo possesso una fanciulla, Panfila, di cui è foJlemente innamorato; coste{ si trova nelle. mani del lenone al quale Fedria chiede tre giorni di tempo. per procurarsi denari da amici e riscattare così l'amata; Dorio però, per nulla badando a tali richieste, cede Panfila d un ltro offerente. 510
Antipho Phaedria
1V.umquid hic confecit? Hicine? quod homo inbumanissumus Pamphilam meam uendidit.
Quì viene chiamato · « inhumanissimus » il lènone, uomo freddo, insensibile che non sa comprendere e quindi non sa aver riguardi per i sentimenti che un giovane nutre verso . una ragazza; pensa solo al proprio interesse nè si lascia commuovere dalle parole e daile promesse di Fedria che ritiene vane (cf. vv. 499-500). Anche in questo passo, come nei due già studiati~ (53) ~holia
Terentiana
collegit et disposuit F. Scu1.EE, Lip~ia, 1893, p. 145.
:-
, imn vuol tanto indicare in questo passo il soldato duro ed insensibile di cuore, quanto piuttosto la persona dalle maniere rozze e grossolane che per nulla conosce le convenienze del viver civile le quali, per la donna, hanno grande importanza; lo
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ARCUCA
I.AlT'iA
aggettivo figura quindi nel passo in un significato nuoyo, non ancora trovato in Terenzio; esso determina le qualità di una persona considerata dal punto di vista che chiameremmo «estetico»; l'individuo viene osservato nel suo esteriore, nel suo modo di preseµtarsi; delle doti dell'animo probabilmente la meretrice non intende q~i parlare, chè queste a lei non interessano. Dopo la trattazione dei singoli passi terenziani o\·e -compaiono i vocaboli cchumanus, inhumanus, Immane, hunianitus » rimane ancora d~ vedere quale significato ha il termine cchomo» nelle commedie del poeta di Cartagine. Come in Plauto, così in Terenzio, questo sostantivo figura a volte in antitesi col Yocabolo c1deus » (Eun. 588 deum sese in homine,n cònuortisse atque in alienas tegulas uenisse clanculum per impluuium fucum Jactum mulieri) o a nomi che indicano esseri inanimati (Hec. 214 me omnino lapidem non homin.e:111, putais); in tali luoghi esso determina la natura umana delle sue qualità esse1:ziali che la differenziano dalle altre nature; altrove invece cchomo>> indica l'essere ragionevole ( cfr. Adelphoe 934) (54 ); in diversi altri passi però esso ha un valore più esteso ed ha il significato di ccuomo umano, sensibile>> ("5 ), Un esempio ove il sostantivo cchomo» figura appunto in tale accezione ci- sembra di trovarlo negli Adelphoe al v. 736. Al fratello Micione, Demea ha dato in .adozione il suo figlio maggiore Eschino; dalle dicerie che corrono per ·1a città il vecchio padre apprende che il figlio commette gravi mancanze contro il buon costume; rattristato di ciò si reca quindi dal fratello per lamentarsi con lui della condotta del giovane; durante la conversazione si adira sempre più ad ascoltare le ri· sposte di ·Micione, che svelano per lui un'ostentata freddezza .
.
Fero alia fl,agi.tia ad te ingentia boni illius adui't scentis. Micio Ecce autern!
721 Demea
De.
Noua, capitalia.
Mi. De. Mi. De. Mi.
Ohe iam! Nescio qui uir sit. Scio. O stultc, tu de psaltria mc somnias c:gerc: hoc pecrahtm in uirginemst cmcm. Scio.
(54) Cf. il commento di A. SPENGEL agli Adel1>hoe (Berlin, 1905) al \'. lOi. ( 55) Th. l. L., VI, 28i9, 52: ffre i. q. homo lu1manus, non cluru.> che compare quasi esclusivamente in un YalorP etico.
CAPITOLO
I termini nei frammenti
" homo,
III. humanus ,,
degli autori arcaici
latini.
Nei primi capitoli del · nostro lavoro ci siamo limitati allo studio del gruppo di vocaboli « humanus, inhumanus, homo» nei due più grandi commediografi latini,. per i quali abbiamo creduto necessaria una trattazione a parte~ data la :particolare importanza che tali termini assumono nelle opere _di questi poeti. Dei contemporaqei di Plauto e Terenzio e in genere degli altri autori del periodo arcaico restano solo scarsi frammenti, che non ci permettono una trattazione organica di un gruppo di parole quale è stata possibile per i comici; però anche i loro passi frammentari potranno esserci utili, se studiando in essi i vocaboli che ci riguardano, potremo vedere quale · valore e quale particolare accezione tali termini hanno; noi quindi, muo• vendo dai primi scrittori di Roma, ci porteremo fino a Lucilio ed esamineremo così ancora nei restanti monumenti della letteratura arcaica latina il gruppo di parole già studiato in Plauto e in Terenzio.
InCatone
incontriamo più volte il vocabolo « humamu »; nel « Carmen de moribus » (1) si legge: Nam uita humana prope uti ferrurn est. Si exerceas conteritur; si non exerceas, tamen rubigo interficit. Item homines exercendo uidemus conteri; si nihU exerceaw, inertia atque torpedo plus detrimenti /acit quam exercitatio. Dell'orazione contro Q. Termo abbiamo. conservato un frammento (2) che dice : Tuum nefarium facinus. peiore facin()re operire postulas, succidias hum,anas facis, tantam trucidationem facis, decem /un.era facis, decem capita libera interficis, decem hominibus uitarn eripis indicta causa, iniudicatis, incondemmatis. · L'espressione « uita h•umana » nella prima citazione corrisponde all'altra
(l) Cf. H. ]ORDAN,M. Catoni.s praeter librum de re rwitica guae exta11t, Lipsia, 1860, p. 83.
(2) Riportato da GELLIO,NA XIII, 25, 12; rfr. E. MucovATI, Orntorum Romanor11m fragmaua, Torino, 1930, p. 61.
«.llomo,
humanus » nei frammenti
,legli autori arcaici latini
63
uita lwminum »; « humaria » ha in essa il valore di un l!eniti,·o pl. « hominum », nè acquista alc_un senso traslato ma si mantiene adcr> in questo passo non è forse tanto proprio dell'aggettivo in ·sè, -quanto piuttosto di tutta la frase conside~ata nel suo insieme e nel riflesso che vi gettano le parole dell'ultimo verso; cchuman:us » ha un valore più o meno· eguale a quello già esaminato negli altri passi; certamente il contrasto che si nota nei :versi tra il èadavere straziat«1 di Atreo e la nobiltà e completezza della vita dell'uomo pùò dare all'aggettivo cchuman.us » un •ignificato più alto e «suggestivo». In un_ altro frammento di Ennio « homo » compare in funzione di un semplice pronome relativo ( 13 ): homo qui erranti comiter monstrat viam ••. Chiaro è il significato di «homo» in un frammento di Pacuvio (u):
Odi ego homines ignaua opera et philosopha
sententia.
In due passi di Accio, l'uno appartenente all'Egisto, l'altro all'An15 tigone ( ) il termine «homo» ha. pure il valore già studiato, quello per cui indica gli esseri dotati di natura umana. Ribbeck Ribbeck
iam iam neque di regunt neque pro/ecto deu,n supremus rex iam. curat hominibus 25 neque /era hominum pectora frigescunt, donec uim imperi persenserint. 142
(Il) RIBBECJt, 270. (12) ccRomana » 1941, p. 170. ( 13) RIBBEClt, 366. ( 14,) RIBBECK., 348. (15) Cf. inoltre RIBBECK, 25.
«
Homo, hummws
J)
nei frammenti
degli autori arcaici latini
In un frammento dall'Armorum iudicium (16 ) riportato da Nonio come un esempio ove il termine « propriu.tn » significa céperpetuum » leggiamo: nam nan fo,cile sine deum opera humana propria sunt bona. ccHuma,w >> sono qui chiamate le cose riguardanti gli uomini e l'agget1:ivo ha un valore di universalità pari a quello già trovato in Plauto, Capt . .194 ,ove l'espressione ccut sunt humana, nil est perpetuum datu:m, >) riferisre lo stesso concetto del frammento di Accio. · Pure ad Accio appartengono i segue~ti altri passi frammentari: Ribbeck Ribbeck Ribbeck
339 ... pro di immortales speciem humanam! ... inuisitatam egregiam, indi_gnam clade et squalitudine 463 ex taurigena semine ortam fuisse an humano feram 613 quem ego ubi aspexi, uirum memorabilem intuì uiderer, ni uestitus taeter, uastitudo, maestitudo praedicarent hominem esse, .•
( 17 ).
Nel secondo passo riportato non abbiamo nulla da osservare; notiamo soltanto che l'aggettivo « huinanus » è in opposizione con l'altro aggettivo '« taurigeno >) ed è riferito al vocabolo « semen », indicando ciò che è proprio dell'uomo in contrasto a ciò che è invece della bestia. Nel primo passo_« humanus n è riferito al vocabolo ccspecies » ed 'esprime pure ciò che è proprio dell'uomo considerato però non nei suoi elementi fisici che costituiscono la sna natura, ma piuttosto in ciò che di bello e dignitoso ha nel suo esteriore. Nel terzo frammento riportato il sostantivo cchomo», al terzo verso, compare in opposizione al vocabolo ccuirum » del primo verso; gli elementi per cui quel determinato personaggio che in un primo momento sembrava un « uir memorabilis » ed osservato invece più da vicino e più attentamente sembrava soltanto cchomo», sono descritti nel passo: uestitus taeter, uastitudo, maestitud? »; il ccuir » è dunque la persona illustre e dignitosa, l' « homo » è invece l'individuo comune ed abbietto. Nei Tragici troviamo ancora altre volte il sostantivo « homo » an-che in frammenti di autori incerti (cfr. ad es., RIBBECK, 228, omnés homines ad .suum quaestum calfunt nec fastidiunt), sempre però nei significati già visti. Lo stesso potremmo più o meno dire per i luoghi frammentari dei comici latini: il sostantivo cchomo» si limita anche in essi quasi sempre a determinare l'essere che ha la natura umana senza acquistare alcun senso tr-a(16) R.me,i;:cK, 159. (17) Diversamente_ ricostruisce il passo il Lindsay nella sua ediz. di Nonio pro di immortales! speckm humanam inuisita tam egregiam, indignam clade et squalitudine.
226, I:
(C HU!IIA!'IUS
>> NELLA
1,ETTERATUR.t
ARl:AICA
LATl!'iA
slato: tra i frammenti di Nevio leggiamo: homines pecua beluasque (18 ); nimis homo /ormidulosust (1"); uisam: deo meo propitio meus homo est (2°). A Cecilio Stazio appartengono i seguenti passi: ut hominem... toxico 1 transegerit (2 ); equi homo ineptitudinis cumulatus cultum_ oblitus es? ( 22 ); et homini et pecubus omnibus ( 23 ); edepol uoluntas homini rarenter uenit (2•). Non crediamo opportuno citare ancora altri passi ove figura il vocabolo > già vista in Ennio,. l'altro è adoperato nell'accezione più comune ed indica l'essere dotatò di natura umana costituita di anima e corpo :
635
constare hominem
ex anima et corpore
(30) Cf. MoREL, Fragmento poetarum latinornm epicorum et lyricornm praeter Ennwm et Lucilium, Lipsia, 1927; cf. ad es. Andronico, 20; 27. (31) Cf. per essi E. MALCOVATI, Oratorum Romarwrum fragmento, Torino, 1930, voi. I. (32) Cf. PETER, 35_; il passo è riportato da Nonio, 514, 172, Linds. (33) PETER,123; cf. Nonio 133, 2 Linds. (34) RIBBECK,TRF., 270. (35) VAHLEN, Ennionae poesis rel/iquiae, Li'.P5ia2 , 1903.
·68
« HUI\U!liUS
»
NELLA LETTERATURA
ARCAICA "ATINA
Anche da questo rapido esame dei passi. principali degli autori della letteratura arcaica latina ove compaiono i termini da noi presi in esame è possibile constatare che essi sono usati oltre ·che dai due principali comici naturalmente non si deve latini anche dagli altri autori contemporanei; dimenticare che ci troviamo di fronte à dei passi molto frammentari e spesse volte non è facile stabilire in essi il particolare significato di un vocabolo; però è possibile vedere c11e i molteplici valori di « humanus » testimoniati in Plauto e Terenzio sono riscontrabili anche nei frammenti degli altri autori; soltanto per il caso particol~re in cui « humanus » ha un significato etico non ci è dato di poter asserire tale cosa; gli unici esempi che ci potrebbero indurre a pensare che anche questa particolare accezione di « humanus » è nota agli altri autori sono quelli di S. · Turpilio e ·di Afranio . i quali, come contemporanei o posteriori a Terenzio, sentono forse l'io.flusso del poeta di Cartagine. A noi quindi sembra che « humanus » abbia acquistato nella letteratura latina un valore etico per opera pal'ticolarmente dei due grandi commediografi. Abbiamo fin qui esaminato i passi degli autori della letteratura arcaica latina ove figurano i termini « humanus, inhumam,s »; ne abbiamo esaminato molti ove compare anche il sostantivo « homo>> ed abbiamo •visto il valore particolare di tali termini nei singoli passi; ci sembra ora oppor:tuno studiare, molto in breve, l'ulteriore sviluppo di tali termini negli altri autori latini; a questo scopo ci serviremo particolarmente degJ_i.esempi -che troviamo citati nei Thesaurus VI 3084 ss., come pure dei luoghi che ricorda lo Heinemann nell'articolo « humanitas >> in Pauly-Wissowa {36 ). « Humanus » resta sempre testimoniato negli autori latini nel ·suo valore •Originario pari a queUo di un genitivo del te,rmine « homo »: tale significato si riscontra non solo in Ennio (Ann. 322 Cyèlopis uenter 'carnibus humarus · distentus) o in ~lauto (Bacch. 1141 humana rws zwce appellant oues), ma anche in Ovidio (am. 2, 6, 37 humanae uocis imago; met. 11, 601 linguae) Val. Massimo (1, 6, 5 sermonem), Lucano (1, 5,61 murmura). In Accio abbiamo trovatQ l'espressione (Ribbeck ·339): speciem humanam; in Cicerone· troviamo espressioni simili, come « figura humana » (S. 'Rose. 63), « formas humanas » (nat. deor. 76); in rroperzio (2, 2_, 3) « humanus » è riferito a « facies » viene inoltre adoperato ad indicare le ~e appartenenti all'uomo, le azioni a lui proprie: in Cicerone abbiamo « humanus » che viene riferito al vocabolo « officium » (inv. 1, 2), « sÒcietas » leg. 2, 22) « com:munitas » ( off. 1, 50); in Ovidio (met. 9, 501) leggiamo: ad caelestia ritus exigere hu.manos; Apuleio dice (met. 10, 115): humanis cibis sagi:natus (asinw). (36) 7. c., 282 ss.
« Homo, humarws » nei frammenti
degli autori arcaici latini
Altrove « lmmanus » è riferito al termine (< ius » e lo si trova o in unione a « diuinum » o da solo col sostanti\-o: Cicerone (S. Rose. 37) iura diuina atque humana cogebant; Fior. (epit. 3, 5, 7) domus templa et nrae, humana omnia, atque diuina iura uiolata sunt; Livio (9, 1, 8): si nihil ... iuri,s /mma.ni relinquitur inopi, at ego ad deos comfugiam. Molto spesso compare poi il vocabolo > che noi abbiamo riportato nell'introduzione di questo studio; quando Gellio dice: qui uerba latina fecerunt, quique his probe usi sunt, humanitatem non id esse uoluerunt quod uulgus existimat quodque a Grae• -eia lfi1Àocv.9-p11r;;loc dicitur ... ha ragione solo in parte; « humanitas », in una .sua particolare accezione ha anche un valore simile a quello espresso dal vocabolo greco cpi),ocv.S-pw;;loc che però Gellio ~on tiene presente, preoccu• pato, com'è, di correggere l'uso allora ·comune m cui il vocabolo « humanitas » veniva adoperato. Con la venuta del Cristianesimo tale sostantivo acquista ancora nuovi valori dei quali noi qui non ci interessiamo, limitandoci a rimandare, per 43 ,..ualche accenno sull'argomento, al citato studio dello Heinemann ( ).
(43) l. c., 306.
CAPITOLO
Menandro
e i frammenti
nei loro rapporti
IV. della
con Plauto
commedia
nuova
e Terenzio.
E' noto che la commedia palliata latina segue gli originali greci dei poeti della 'IÉCX x.wv-ò[oc , come è pure noto che soprattutto Menandro ha fornito a Plauto e Terenzio l'argomento delle loro commedie; sappiamo inoltre che quest'ultimo commediografo si è· spesso fedelmente attenuto al testo. greco fino a raggiungere in alcuni punti la traduzione letterale ( cfr. Ad. II uerbum de uerbo expressum extulit); è logico quindi chiedersi se il concetto « humanitas » nel valore che abbiamo visto indicato dai vocaboli « human:us, inhumanus, homo» nella commedia latina sia già esistente nella vfo. x.w:'·()l~lx e st quindi Plauto e Terenzio non abbiano fatto altro che tradurre in latino ciò che essi hanno trovato nel testo greco. La nostra domanda. è tanto più giustificata in quanto nella trattazione dei due primi capitoli un punto è rimasto ancora oscuro: abbiamo costatato che Terenzio supera Plauto non solo lessicalmente per Ia ricchezza dei vocaboli (humane, lmmanitus ecc.) ma anche per il significato particolare di questi vocaboli i quali figurano nel poeta di Càrtagine in un valore prevalentemente etico però non abbiamo che è invece appena accennato nell'altro commediografo; imcora studiato il motivo di tale diversità; a tale fine è infatti necessario spingersi all'esame degli originali delle commedie plautine e terenziane e poiehè nessuno di questi originali è pervenuto fino a noi non è pos!libile stabilire un rigoroso confronto tra il testo greco e quello latino•; allora non rimane altro che prendere i frammenti di Menandro e quelH degli altri poeti della conimedia nuova e studiare in essi i termini che _più si avvicinano, nel !01·0 valore, ai vocaboli « humanus, inh11mmius, homo come li abbiamo trovati nei due commediografi latini. Tra le parole grecl~e, scegliamo partic·olarmente per il nostro studio >)
x'l.9-pw;-;-c,; e i loro derivati. PERIKEJROMENE,
Nel prologo
·prologo v. 17 (1) della Perikeiromene
la dea 'Ayvo,x
narra
la storia di Mo-
(I) Per il testo di Menandro seguiamo, di rng•:>ÌU, l'edizi,•HH! di A. KoERTE, 1938; quando ce ne scostiamo lo indicheremo in noi.a.
Lipsia,
Me,wndro e i suoi rapporri con Plmito ~ Terenzio
73
schione e Glicera, due dei personaggi principali della commedia; i primi versi. del prologo mancano; in essi probabilmente era detto che i due fan.l'iulli, fratello e sorella, essendo stati esposti, furono salvati da una donna che li prese con sè. e li nutrì: ... 1a vecchi.i avendo intenzione di allevarne uno solo (2), di dare invece l'altro ad una ricca donna che abitava questa casa qui vicino e che voleva un bimbo. Ora avvenne quanto segue. Passati alcuni anni e la guerra e i mali di Corinto divenendo più gravi, la vecchia giunse in grande povertà. Cresciuta 1a fanciulJa che voi ora vedete e innamoratosi di lei questo giovane impetuoso di Corinto, dà a costui, in qualità di concubina, la fanciulla, facendòla passare per propria figlia. Poichè diveniva sempre più debole e prevedeva già vicina la fine della sua vita non nascose 1a situazine, dice alla fanciulla come l'aveva raccolta e nello stesso tempo le dà i panni nei quali l'aveva trovata, le indica il fratello naturale a lei sconosciuto, poichè prevedeva qualche cosa di umano, se mai avesse bisogno ·di un aiuto, vedendo che questi era il solo congiunto e prendendo riguardo per lei, perchè a loro per opera mia, •Ar1oirx , non accadesse qualche cosa di involont~rio, vedendo quello ricco e sempre ubriaco, lei bella e giovane e non sicuro colui al quale l'aveva lasciata. La vecchia dunque muore. 11
71~7) ~ '
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