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Italian Pages 83 [28] Year 2018
NE.L ,c ,INEM.A E IN LETTERAT'URA
INDICE
Il libro L'autore Scrivere l'horror - Nel cinema e nella letteratura
Citazioni
Parte I Teoria della paura Amore, tempo e morte Il Culto dell'Immagine Immedesimarsi Esempi da non seguire Gli elementi della storia
La contaminazione e il ritorno al weird
Parte II Analisi delle strutture cinematografiche e letterarie Dalla teoria alla pratica Scappa: Get out (2016) - Film Shining (1977) - Romanzo It Follows (2014) - Film
La notte del giudizio (2013) - Film Lasciami entrare (2004) - Romanzo Io sono leggenda (1954) - Romanzo Stranger Things (2016) - Serie televisiva Cabal (1988) - Romanzo Danza macabra (1989) - Romanzo L'esorcista (1971) - Romanzo Scarlett (2017) - Film
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I grandi capolavori dell'horror non si sono mai occupati, in realtà, dei mostri, ma dell'umanità. DOUGLAS E. WINTER Tutte le storie horror si dividono in due gruppi: quella in cui l'orrore deriva dalla scelta libera e consapevole di essere malvagi, e quella in cui l'orrore è frutto del destino e arriva dall'esterno come un fulmine a ciel sereno. STEPHEN KING
Dovremmo invidiare i mostri. CLIVEBARKER
PARTE I TEORIA DELLA PAURA
AMORE, TEMPO E MORTE
«Amore, tempo e morte: queste tre cose mettono in contatto ogni singolo essere umano sulla terra.» Prendiamo spunto da questa citazione del film Collateral Beauty per dare forma a una fondamentale riflessione che sta alla base dell'esistenza stessa del genere horror, letterario e cinematografico: l'amore (la nascita, l'atto supremo) e la
morte (la fine di tutto, il buio eterno) sono i due estremi del percorso lungo il quale si svolge la nostra vita. Il tempo è la costante, l'orologio universale che scandisce ogni attimo dell'esistenza stessa, il giudice assoluto con il volto dell'inganno che decide della razza umana. Il nostro universo (o almeno la porzione che ne conosciamo) si basa su un delicato equilibrio di leggi quantistiche e fisiche, ma non esiste forza alcuna nel cosmo che possa mettere in discussione la mo1te, l'amore, e il tempo. Sono per noi elementi insovvertibili. Tre pilastri che ci definiscono per ciò che realmente siamo: un concetto finito, una prigione, un territorio limitato, un destino preconfezionato. Comunque vada il viaggio di ognuno di noi, saremo tutti un inizio e una fine. C'è un solo genere al mondo che abbia osato cercare di scardinare le regole di questa realtà, violando i principi della fisica, dello spazio e, soprattutto, del tempo: l'horror ci ha donato l'immortalità, concedendo alla nostra mente una possibilità per abbattere i muri della prigione ed essere libera di addentrarsi nei tenito1i dell'impossibile. Se analizziamo ad esempio Dracula, scritto da Bram Stoker nel 1897, che resta probabilmente il romanzo capostipite del genere più conosciuto e amato nel mondo, oltre che quello con le maggiori trasposizioni cinematografiche, troviamo il primo vero tentativo di abbattere i "limiti della carne". Il vampiro di Stoker è una sorta di divinità, una sfida vinta su Dio e sulla natura, il primo eletto di una razza supe1iore che può vivere per secoli.
Il libro uscì nel 1897 e fu un successo immediato: di tali proporzioni, anzi, da sollecitare in seguito interi studi dedicati ad analizzare le motivazioni di tanta presa sul pubblico di tutto il mondo, in un'epoca il cui il positivismo aveva già scosso radicalmente gli opposti fascini del cielo e dell'inferno.[ ... Quando gli uomini smettono di credere in Dio finiscono non col credere in nulla, ma col credere a tutto: e probabilmente, proprio l'aver fatto emergere il suo personaggio dalle nebbie più cupe della superstizione medievale, permise a Stoker di affascinare col suo libro un mondo ormai già rassicurato nel suo mate1ialismo.
Da sottolineare che la ricerca dell'amore, oltre che quella della sussistenza, resta l'elemento dominante (il leitmotiv) di questa immortalità. Ma c'è anche un altro elemento di forte impatto psicologico sul pubblico, un fattore quasi inconscio: il Vampiro è trasfigurazione
dell'eros, è il simbolo di una sotterranea ma sempre palpabile venatura erotica. Dracula è espressione «di una sessualità totalmente deviata, vista come male assoluto e assoluta perdizione. È il seduttore infernale che viola l'innocenza con una malvagità così turgida e totalizzante da essere irresistibile. L'unione con lui non significa soltanto perdita della purezza, ma remissione completa del sé, assorbimento completo nella non-vita dei non-morti, e quindi esclusione sia da questo mondo che dall'altro. Nel suo disordine totale, la sessualità del vampiro è ambigua, onnivalente.» Ecco il quarto elemento, che insieme all'amore, al tempo, e alla morte, genera l'alchimia vincente che ha permesso al conte della Transilvania - e alle successive stirpi vampiriche che ne hanno raccolto l'eredità - di essere il "principe della paura" nel vasto immaginario cinematografico e letteraiio. Il Vampiro è stato infatti per oltre un secolo la perfetta metafora del male, la cosa senza nome che si nasconde negli aimadi e che respira sul limitare dei nost1i incubi, ma prima di ogni interpretazione, egli ha simboleggiato e incarnato le fattezze dell'uomo nero della nostra società.
Presente da molti secoli nella cultura di diversi popoli in tutto il mondo, l'uomo nero non ha una sua riconoscibilità, non possiede caratteristiche precise: siamo noi, attraverso i nostri timori e desideri più profondi, a dargli un volto, una profondità, un motivo per esistere.
Il cinema e la letteratura sono da sempre impegnati nel tentativo di dare un nome e un volto al boogeyman perfetto, poiché è questo fondamentalmente il fine ultimo del genere dell'orrore: soggiogarci attraverso la paura, senza nessuna regola, terrorizzarci fin dentro le ossa possibilmente attingendo ai ricordi della nostra infanzia (una sorta di pozzo nero in cui ogni cosa diventa possibile), e se a suscitai·ci queste
emozioni negative è un nome ben preciso, un nome che è sinonimo di spavento e crudeltà, allora lo scopo è stato raggiunto. Cosa contraddistingue un grande romanzo dell'orrore? Mi piace rispondere a questa domanda con una citazione dello scrittore e critico americano Douglas E. Winter: Per trovare una risposta soddisfacente alla domanda[ ... ] è necessario che condividiate con me un'impo1tante considerazione anche se può essere considerata un'eresia: l'horror non è un genere, come il giallo, la fantascienza o il western. Non è un tipo di narrativa se con questo concetto indichiamo qualcosa di ristretto a un ghetto o peggio a uno scaffale speciale nelle biblioteche o nelle librerie. L'orrore è un'emozione.
Nella nostra società attuale, l'amore e la mo1te sono ancora i pilastri fondanti di quest'emozione? La risposta è affermativa: di questi tempi il tema dell'amore e quello della morte (e quindi più che mai dell'immortalità) muovono ancora tutte le coordinate emozionali dell'essere umano. Ci sono quattro punti vitali che non dovrebbero mai mancare in una grande storia dell'orrore moderna, sia essa un romanzo o un fùm, che aspira a conquistare un grande pubblico. Quattro semplici ingredienti che potete ritrovare in tutti i capolavo1i della letteratura o del cinema che avete amato:
L'eroe Non esistono storie senza gli eroi. Ogni opera a1tistica ha il suo eroe
buono o cattivo: stiamo parlando del personaggio principale, quello che ci traspo1ta nella sto1ia, che ci emoziona o ci spaventa, che ha la capacità di farci rimanere attaccato alla narrazione fino alla fine. L'eroe è il protagonista, ed è una sorta di specchio per la maggior parte dei lettori o spettatori, che in lui si riconosceranno. C'è infatti un complesso fenomeno di immedesimazione che si instaura tra il lettore e l'eroe della storia, un'alchimia che non ha regole. Se i lettori ameranno o odieranno il tuo protagonista, vuol dire che hai scritto una buona storia.
L'amore L'amore rappresenta la speranza. C'è sempre una possibilità per cavarsela, da una vita in bilico o da una situazione ormai disperata. Lì dove il male sta per vincere, deve esserci una seppur vana probabilità che noi possiamo fai·cela.
La morte Perché la morte ci accomuna, tutti, nessuno escluso. Perché creare l'orrore «equivale a paralizzare un avversario con le arti marziali: si tratta di localizzare i punti vulnerabili e poi schiacciarli con decisione. Il più comune punto di pressione fobica è la consapevolezza della nostra mortalità.»
Il finale I lettori vogliono essere spiazzati. Adorano essere presi in contropiede. Nessun lettore amerà mai un romanzo con un finale prevedibile. Perché se la sto1ia funziona e ha tutti gli elementi giusti, trasmetterà pathos, e il finale ne rappresenta il suo punto più alto, lì dove si sciolgono i nodi della storia e tutti gli eventi narrativi convergono. Stiamo parlando di quel "colpo di scena" che non ti aspetti e che ti sorprende. Se ti delude il finale, alla fine tutta l'opera ti deluderà.
IL CULTO DELL'IMMAGINE
Parlare di letteratura dell'orrore significa soprattutto confrontarsi con il cinema, perché se i racconti e i romanzi dell'orrore hanno avuto la capacità di trasformarsi in un "genere popolare", e quindi arrivare all'attenzione di un grande pubblico in tutto il mondo, è solo grazie ai film. Pensiamo al romanzo di Mary Shelley, Frankenstein: « Una modesta storia gotica, di appena un centinaio di pagine in fase di stesura iniziale, che è rimasta intrappolata in una sorta di camera a eco culturale, amplificandosi nel tempo» così tanto che oggi, a distanza di due secoli, il Mostro Frankenstein è una delle icone culturali del nostro tempo. È il cinema ad aver trasformato in archetipo pop la creatura di Mary Shelley, ad averla resa immortale.
In alternativa alle idee offerte da racconti e romanzi, i film spesso propongono ricche dosi di emozioni viscerali. Inoltre il cinema americano ha dalla sua il culto dell'immagine incisa, e le due cose messe assieme garantiscono uno spettacolo sbalorditivo.
Oggi non vi è più una chiara distinzione tra il cinema e la letteratura dell'orrore: si tratta di un unico "grande genere" che sopravvive e si rigenera grazie alle suggestioni dei vari media, compresa la televisione e i videogiochi. È un genere di "citazioni interconnesse" a più livelli che sopravvivono l'uno grazie all'ispirazione e al condizionamento dell'altro. Non puoi scrivere un romanzo o un racconto dell'orrore senza rapportarti (consciamente o inconsciamente) con il cinema. I film sono pa1te del nostro patrimonio genetico e in qualche modo hanno invaso e contaminato la nostra immaginazione: ciò significa, per fare un esempio, che non puoi inventare una storia sugli zombie senza avere in mente La notte dei morti viventi di George Romero o la serie televisiva
The Walking Dead. Negli ultimi cento anni in qualche modo l'immagine ha preso potenza sulla parola permettendo all'universo cinematografico di popolarsi di Creature che si contendono il primato di infestare i nostri incubi. L'horror trae la sua essenza dalle tradizioni folkloriche e letterarie che vedono in primo piano creature come l'Uomo Lupo, Frankenstein e il Vampiro, ma è un genere che sta diventando sempre più arduo e visionario.
L'horror vuole "prendere respiro", tenta di liberarsi dai propri retaggi culturali per dare sostanza a quelle che sono le nuove angosce della società: soprattutto l'essere umano (la sua follia) torna al centro dei nostri incubi più ancestrali e indossa i panni di un "uomo nero" dalle molteplici facce.
Il 1960 in particolar modo è un anno di "rottura" con il passato. Nelle sale cinematografiche escono tre film: Psyco negli Stati Uniti (tratto dal romanzo di Robert Bloch del 1959), Peeping To1n in Gran Bretagna e Occhi senza volto in Francia, che tentano un'operazione difficile e piena di ostacoli: spogliare l'horror di tutto l'armamentario gotico e soprannaturale, trascinarlo fuo1i dai castelli infestati e dalle contrade europee dove abitano i vamphi, e gettarlo nel quotidiano.
Questo non significa che da quel giorno in poi l'horror gotico abbia cessato di esistere. Vuol dire che, accanto agli spett1i e alle creature del demonio, anche gli esseri umani stessi mostravano di avere tutte le potenzialità per fare paura. E che le mostruosità e le perversioni peggiori si potevano nascondere in sentimenti insospettabili come l'amore paterno, strisciare fuori dalle rispettabili case della borghesia e fermentare tra solitudine ed esclusione sociale.
L'esorcista (film e romanzo) è incentrato ad esempio «sui mutamenti sociali dirompenti e tocca con estrema accuratezza un punto nodale della ribellione giovanile dei tardi Sessanta e primi Settanta. Il film era dedicato a quei genitori che si accorgevano con angoscia e terrore di stare perdendo i propri figli ed erano incapaci di capire perché o come stesse capitando.» Gli anni Ottanta in paiticolar modo rappresentano la "grande rivoluzione" dell'horror. Tra la fine degli anni Settanta e l'inizio dei Novanta «i fantasmi del passato e quelli del presente si fondono per dare 01igine alla grande epoca d'oro che vede la nascita dei Mostri
Sacri, quelli che rimarranno nell'immagina1io collettivo fino ai nostli giorni, ridefinendo lo stesso genere e i suoi nuovi confini immaginifici.» Queste icone rappresentano il concetto stesso di "horror" in tutte le sue fondamentali esistenze: la pazzia, il soprannaturale, la mitologia del sottobosco folklorico. Michael Myers di Halloween -La notte delle streghe (John Carpenter, 1978), Jason Voorhees di Venerdì 13 (Sean S. Cunningham, 1980) e Freddy Krueger di Nightmare, dal profondo della notte (Wes Craven, 1984) sono ad esempio tre evoluzioni diverse dello stesso "personaggio": il male diventa metafora della grande società americana che vuole punire i suoi figli per un condotta di vita libertina, sfrenata e irrispettosa.
La maggior parte dei libri e dei film degli anni Ottanta propone un messaggio conservatore quanto la loro morale. I maniaci di Halloween
- la notte delle streghe e della serie Venerdì 13 sono i killer dell'omogeneità. "Non fate quelle cose" ci dicono "o dovrete pagare il prezzo più atroce. Non parlate agli sconosciuti. Non divertitevi alle feste. Non fate l'amore. Non osate essere diversi dalla massa." Le loro vittime, cadute nelle trappole della generazione della liberazione sessuale, ballano un valzer senza fine nelle braccia di questi mostri pronti a ghermirli. L'unica ad avere la possibilità di salvarsi è, immancabilmente, una monogama (se non vergine) eroina, una so1ta di Madonna borghese che ha ascoltato i suoi genitori e le loro raccomandazioni. Ed è proprio il suo comportamento casto, non le crocifissioni o i proiettili d'ai·gento, che può sconfiggere i mostri del nostro tempo.
Quindi l'horror "commerciale" (cioè l'horror destinato a un grande pubblico e non solo più a una nicchia di appassionati) trova nuovi stimoli creativi per spaventare il suo pubblico di tutte le età, ma al contempo indaga nelle debolezze, nelle crepe, e nei comportamenti sbagliati della società. Purtroppo il genere con il passare degli anni, prop1io quando cavalca l'onda della notorietà e si sta guadagnando l'attenzione anche dei grandi produttori hollywoodiani, abbandona mano a mano questo suo
carattere di critica, per trasformarsi in un cinema che ricicla perpetuamente se stesso, spesso fatto di violenza gratuita e fiumi di sangue che tradiscono quella che è la sua primaria funzione di esistenza: l'Ente1tainment. Dagli anni Novanta a oggi l'horror ha smesso di indagare, di chiedersi che cos'è veramente che spaventa il pubblico e soprattutto, di capire e inventarsi nuove formule per intrattenerlo. Lo stesso processo avviene nella letteratura moderna: se escludiamo quelli di Stephen King (una leggenda che ha conquistato una poltrona in prima fila nell'olimpo dell'immaginario collettivo di tutto il mondo), si contano davvero sulla punta delle dita i romanzi e i racconti in grado di rapire e conquistare i letto1i. Storie capaci di non fai·si dimenticare il giorno dopo che hai chiuso il libro. Spesso si va avanti per moda (vedi
Twilight) , ma le mode sono destinate a durare per un tempo breve e a sparire quasi senza lasciare traccia.
IMMEDESIMARSI
Che cos'è che fa p an1·a oggi"! l'er risponrlere a qnesta rlomanrl11 dobbiarno fare un pai;so indielro