Immigrazione e multiculturalismo. La ragioni degli oppositori 9788866770961


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Immigrazione e multiculturalismo. La ragioni degli oppositori
 9788866770961

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STUDI INTERCULTURALI

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a cura di Francesco Susi e Massimiliano Fiorucci

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Alberto Donati

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IMMIGRAZIONE E MULTICULTURALISMO Le ragioni degli oppositori Prefazione di

Tonino Perna

ARMANDO EDITORE

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DONATI, Alberto Immigrazione e multiculturalismo. Le ragioni degli oppositori ; Pref. di Tonino Perna Roma : Armando, © 2012 176 p. ; 20 cm. (Studi interculturali) ISBN: 978-88-6677-096-1 1. Il sistema capitalistico della produzione 2. Fenomeno immigratorio e conseguenze culturali 3. Moralizzazione dell’economia / Moralizzazione dell’attività conoscitiva

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CDD 300

© 2012 Armando Armando s.r.l. Viale Trastevere, 236 - 00153 Roma Direzione - Ufficio Stampa 06/5894525 Direzione editoriale e Redazione 06/5817245 Amministrazione - Ufficio Abbonamenti 06/5806420 Fax 06/5818564 Internet: http://www.armando.it E-Mail: [email protected] ; [email protected] 02-08-10 I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), in lingua italiana, sono riservati per tutti i Paesi. Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra SIAE, SNS e CNA, CONFARTIGIANATO, CASA, CLAAI, CONFCOMMERCIO, CONFESERCENTI il 18 dicembre 2000. Le riproduzioni a uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non superiore al 15% del presente volume/fascicolo, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Via delle Erbe, n. 2, 20121 Milano, telefax 02 809506, e-mail [email protected]

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Sommario

Prefazione: Il nichilismo dell’occidente esige un’alternativa di TONINO PERNA

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Introduzione

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Capitolo I: I Caratteri del sistema capitalistico della produzione 1. 2. 3.

Il sistema capitalistico della produzione La sociologia a fondamento capitalistico La vocazione assolutistica di tale sistema e la “political demobilization of the citizenry” 4. Totalitarismo classico ed “inverted totalitarianism” 5. La désinstitutionalisation e la désymbolisation 6. Lo storicismo capitalistico 7. Evoluzionismo classico ed evoluzionismo capitalistico 8. La settorializzazione della cultura 9. Il progressivo impoverimento della società civile 10. Segue: privatizzazioni e delocalizzazioni 11. La corruzione dello Stato

Capitolo II: Ortodossia e tolleranza 12. Delineazione della tematica 13. Il significato filosofico della ortodossia

25 25 30 33 35 37 40 42 45 46 48 51 53 53 54

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14. Il suo significato politico. Il rapporto tra ortodossia e tolleranza 15. Tolleranza e pluralismo nell’Ancien Régime 16. Il cristianesimo illuministico 17. L’ortodossia illuministica: uguaglianza e libertà

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Capitolo III: Dalla ortodossia illuministica alla ortodossia capitalistica 18. L’introduzione del pluralismo culturale 19. Pluralismo e relativizzazione del principio di uguaglianza. Dal “decostruttivismo” sociale al “Group constitutionalism” 20. La tolleranza come categoria ordinante del pluralismo 21. L’ulteriore categoria ordinante le relazioni sociali: l’utilitarismo 22. Il nichilismo come valore unificante della tolleranza e dell’utilitarismo, come ortodossia del sistema capitalistico della produzione

Capitolo IV: La “Resistance to Patriarchal Voice” La “New Constitutional Morality” 23. 24. 25. 26. 27.

La cultura della disgregazione Dall’individual right all’absolute individual right Dalla liberty alla license Il transito dalla political diversity alla political division La fondazione del “post-national constitutionalism”, della “New Constitutional Morality”

Capitolo V: Società civile e componenti aliene 28. La visione intellettualistica e l’integrazionismo 29. La visione volontaristica: l’accomodazionismo

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30. La “disestablishmentarian” response to cultural diversity 31. La “Transcivilizational Perspective”, ovvero, verso il caos planetario

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Capitolo VI: Le analogie con il periodo della decadenza 135 dell’Impero Romano 32. Le analogie strutturali: feudalità terriera e feudalità capitalistica 33. Le analogie sovrastrutturali: il pluralismo culturale e lo scetticismo 34. Lo scadimento dello spirito patriottico 35. La diseducazione dei giovani 36. La formazione della giurisprudenza arbitraria 37. La confluenza del nichilismo nella teologia cristiana 38. L’assolutismo politico

Capitolo VII: L’alternativa

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39. I limiti del giuspubblicismo illuministico tradizionale e la rivalutazione del suo carattere intrinsecamente 156 confessionale 40. Le due linee della palingenesi sociale: la moralizzazione 158 dell’economia 41. Segue: la moralizzazione dell’attività conoscitiva 160 42. La teleologia dello Stato 163

Bibliografia

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“La causa della rovina […] non fu la viltà […] quelle cose furono distrutte […] dall’ignoranza dei principali fatti umani” (Platone, Leggi, 688 c-d). “The concept of human rights […] constitutes a grand design for a peaceful society where everyone enjoys everything that permits a life in dignity” (Tomuschat C., Human Rights Between Idealism and Realism2, Oxford University Press, 2008, p. 387). “Quando separano l’utile dall’onesto, gli uomini sovvertono i fondamenti stessi della natura” (Cicero, De officiis, III, 28). “Ed ora […] scendiamo in campo con buon augurio come al suono di una tromba” (Pico della Mirandola, De hominis dignitate, in fine).

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Prefazione

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Il nichilismo dell’occidente esige un’alternativa

Questo che avete preso in mano è un libro difficile, a tratti respingente, sicuramente non accattivante. Non naviga sull’onda mediatica, non risponde alle ultime bollicine della cronaca politica o economica, non usa il marketing per farsi comprare. È un libro di quelli che si scrivevano una volta, impiegando tanto tempo, dopo aver letto e consultato centinaia di testi. La bibliografia è sterminata e spazia da autori famosi che hanno segnato la nostra epoca (come Marcuse o Marx ad esempio), ad autori altrettanto importanti che son vissuti in epoche lontane (da Platone a Seneca a Grotius). Il testo attraversa diverse discipline – dalla politologia alla sociologia, dall’economia alle scienze giuridiche – nella ricerca di una Verità che illumini il nostro tempo, che ci faccia uscire dai luoghi comuni così abusati. Non è facilmente catalogabile e forse per questo più interessante di altri testi che sono immediatamente comprensibili e incasellabili. Ma la stranezza più grande è quella che lega il titolo al contenuto di questo volume. Chi pensa che si tratti di un classico testo sui problemi dell’immigrazione, dell’integrazione o della xenofobia, è fuori strada. È un’esperienza che chi scrive ha fatto direttamente. Quando, visto il titolo, ho cominciato a scorrere la bibliografia, come faccio per mestiere quando mi accingo a leggere un nuovo testo, 11

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sono rimasto sorpreso, spiazzato. Anzi, attonito e perplesso, con un istintivo senso di rigetto. Per affrontare un tema di grande attualità come quello dell’immigrazione e del multiculturalismo, l’autore parte da lontano, da molto lontano. Scarta il dibattito attuale, dà per scontato la forza e l’impatto del fenomeno immigratorio sulle società occidentali, cerca di andare alle radici degli attuali conflitti etnico-culturali. Cerca di cogliere la metamorfosi delle basi culturali che hanno retto l’Occidente, ne hanno impregnato le istituzioni e la vita politica, ne hanno determinato l’egemonia culturale per un lungo arco di tempo: dalla cultura giudaico-cristiana all’Illuminismo, nelle diverse sue derivazioni, fino ad arrivare al trionfo del nichilismo che, secondo l’autore, porterà al tramonto della nostra civiltà. Il parallelo che viene fatto è quello classico che riguarda la caduta dell’Impero Romano, con la relativa erosione dei valori, dei costumi, della mission di una civiltà. Tesi non nuova che ci rimanda ad un testo famoso degli anni ’20 del secolo scorso – Il Tramonto dell’Occidente di Oswald Spengler – che proprio in questi ultimi anni è stato ristampato in diversi paesi. Ma questo volume non costituisce una riproposizione delle tesi di Spengler, né il solito testo apocalittico sulla fine della nostra civiltà. Innanzitutto perché le ragioni della decadenza vengono individuate, non in una generica caduta dei valori, ma nel meccanismo onnivoro della macchina capitalistica, che tutto riduce a merce e profitto, che macina valori, sentimenti e passioni, producendo un frullato che sta diventando ogni giorno più acido ed indigesto. Questo “frullato” di valori-sentimenti-passioni che sono sussunti nelle merci portano a quello che Donati definisce il male assoluto: il nichilismo. Frutto della sinergia tra utilitarismo individualistico e tolleranza, intesa come indifferenza, il nichilismo occidentale appare come un meccanismo autodistruttivo in quanto affida all’accumulazione infinita di merci l’unica meta 12

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di questa società. Un approccio questo che si differenzia dalla nota tesi di un grande intellettuale come Umberto Galimberti che vede nella tecnica che cresce su sé stessa, senza senso o direzione, il pericolo più grande della nostra società e l’insorgente nichilismo che colpisce le nuove generazioni (vedi L’ospite inquietante. Il nichilismo ed i giovani, Feltrinelli, 2007). Infatti, per Donati il progresso tecnologico, il dominio della tecnica è solo un’apparenza: è l’egemonia del modello di accumulazione capitalistica che ha tolto al progresso tecnico ogni rapporto con i fini sociali, è la frattura tra etica ed economia che ha reso privo di senso il lavoro umano. Alla fine del volume l’autore propone alcune vie d’uscita, una resistenza/rivolta morale rispetto alla passività che domina le classi dirigenti occidentali. Molte delle proposte possono non essere convincenti, ma l’importante è il messaggio che ci arriva da questo testo: l’Occidente ha rinunciato ad ogni obiettivo/valore che non sia quello della crescita economica, dell’extraprofitto, dell’individualismo edonistico. Per un secolo è riuscito a esportare questo modello in ogni parte del pianeta, a colonizzare/mercificare ogni risorsa naturale, ogni spazio incontaminato, fino a portarci al disastro ambientale che dovremo scontare per molto tempo. Si diceva e si scriveva che questo è un modello insostenibile, ma in fin dei conti sono stati proprio i più poveri e disperati della terra che sono arrivati con ogni mezzo in tutti i paesi occidentali, spesso perdendo la propria vita, come accade da troppo tempo nel mar Mediterraneo, ma anche in Centro America e negli arcipelaghi asiatici. Ma oggi siamo arrivati velocemente ad un punto di svolta: il modello che abbiamo esportato ad est e a sud ci si sta rivoltando contro. In trent’anni abbiamo triplicato il Debito Globale – Stato, famiglie, imprese – dei nostri paesi occidentali, facendoci finanziare il nostro “surplus” dalle popolazioni dell’Asia, Africa ed 13

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America Latina. Abbiamo smantellato l’industria in Europa e nord America, attraverso il meccanismo della delocalizzazione, per una brama infinita di extraprofitti. Le imprese multinazionali occidentali hanno goduto delle straordinarie opportunità di profitto e riduzione dei costi che offrivano i nuovi paesi emergenti, i cosiddetti BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), sottovalutando la capacità di questi paesi di diventare indipendenti e protagonisti. Abbiamo immesso una quantità abnorme di liquidità nel sistema finanziario, costruito bolle giganti, sciolta la finanza da ogni vincolo fino a far diventare questo sistema una sorta di Casino-Kapitalism. Tutto questo è saltato. Tutte le nostre sicurezze sono andate in pezzi. Negli anni ’70 e ’80 del secolo scorso, abbiamo assistito indifferenti ai dictat della Banca Mondiale e del FMI (Fondo Monetario Internazionale) nei confronti dei paesi del Sud del mondo che erano entrati nella morsa del “debito esterno” e dovevano subire i ricatti e l’ideologia neoliberista: tagli alla spesa sociale, sanitaria, ai contributi agli agricoltori per calmierare i prezzi, abbattimento delle barriere doganali che proteggevano le economie locali, etc. Un disastro per molti paesi del Sud del mondo ed una goduria per le banche occidentali ed istituzioni finanziarie che avevano effettuato i prestiti in dollari a tasso variabile. Con l’avvento della Reaganomics – delle politiche monetariste legate alla presidenza Reagan – il dollaro schizzò verso l’alto insieme ai tassi d’interesse ed i paesi indebitati del sud del mondo furono rapinati, legalmente, di immense risorse. Alcuni di loro sono arrivati a pagare, grazie al tasso d’interesse composto, anche cinque volte l’ammontare del prestito iniziale, altri sono falliti ed i loro debiti sono stati graziosamente cancellati dalle istituzioni finanziarie, spacciando per “aiuto umanitario” quello che era solo un dato di fatto. 14

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Oggi tocca a noi occidentali e siamo semplicemente terrorizzati. Nessun leader politico ha il coraggio di dire la verità: un modello di sviluppo è finito, una forma di civiltà fondata sui diritti civili e politici sta andando in pezzi, è finita la parte di primi attori che ci eravamo conquistati nella storia moderna e contemporanea. In Europa è nato lo Stato moderno, le democrazie parlamentari, le Costituzioni che sanciscono i diritti fondamentali del cittadino, il mercato capitalistico e le sue istituzioni. Liberté, Fraternité, Egalité, sono state le parole d’ordine, i fari, su cui si è costruita la civiltà europea dopo il 1789. Di questi tre principi fondamentali è rimasta solo la Liberté, che in gran parte si è ridotta a liberté de consumer e, soprattutto, alla libertà del capitale di muoversi senza vincoli morali ed istituzionali. In questo scenario si può cogliere pienamente il monito che ci viene da questo saggio. L’Europa ha rinunciato ai suoi valori fondanti, ha ridotto la costruzione dell’Unione Europea – una grande conquista storica dopo cinque secoli di guerre tra le nazioni europee – a mera costruzione finanziaria e monetaria (Euro), a pura gestione tecnocratica in nome della Crescita Economica. Ed ora che “crescita e sviluppo” sono diventate parole fuori contesto, ora che i popoli asiatici, e non solo, si sono ripresi il posto nella economia-mondo che gli spettava, l’Occidente non ha più nulla da dire, o se parla usa per l’appunto parole vuote come “crescita del PIL”, un indicatore che non indica più nulla sullo stato effettivo del buen vivir di una popolazione. Il multiculturalismo è un valore se significa rispetto reciproco tra culture diverse, ma se diventa indifferenza valoriale, perdita di senso ed identità, riduzione delle diversità a differenziazioni mercantili, allora diventa un disvalore e si trasforma in apatia, anomia culturale, in perdita di orizzonti condivisi. Le conseguenze le stiamo vivendo sulla nostra pelle. Il fenomeno immigratorio in Europa moltiplica ogni giorno di più i conflitti 15

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locali, emergono con forza movimenti politici xenofobi, i diversi fanatismi religiosi si autoalimentano. Ed ora arriva la Grande Recessione, lo smantellamento del welfare state, l’impoverimento dei ceti medi che avevano costituito lo zoccolo duro delle democrazie parlamentari. Il dominio degli oligopoli finanziari e delle imprese multinazionali, dopo aver ridotto al lumicino la sovranità nazionale, ci stanno portando a forme di governo autoritario e dispotico, in quello che giustamente Donati definisce il “Medioevo Capitalistico”. Certo, nella storia umana nulla è dato per scontato e non va sottovalutata la capacità dei popoli di reagire a questa crescente ed insopportabile divaricazione sociale, al dominio economico e politico di una élite di privilegiati, di nuovi principi e despoti che possono cancellare in pochi anni secoli di crescita culturale e civile. Siamo entrati in una fase storica estremamente delicata, dove l’accelerazione della vita quotidiana – indotta dal modo di produzione capitalistico associato alle nuove tecnologie – sta contaminando la sfera politico-istituzionale. In un mare in burrasca, di fronte a “fluttuazioni giganti” che dalla sfera finanziaria (Borsa valori) si propagano al resto dell’economia reale e delle istituzioni, il ritrovare “valori forti” e non negoziabili può rappresentare l’unica ancora di salvezza per evitare di colare a picco. TONINO PERNA Docente di Sociologia economica

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Introduzione

La ormai significativa presenza degli immigrati nelle società del Primo Mondo, il fallimento della loro integrazione, si sono tradotti nella minaccia per l’identità politica di queste stesse società, identità significata, nelle sue manifestazioni più elevate, dalla tradizione cristiano-illuministica1. Vale a dire, sul piano culturale, dalla vigenza di due valori, quello del sapere aude (“abbi il coraggio di servirti della tua intelligenza”)2 e quello della inherent dignity (“dignità inerente”) implicata dalla visione dell’essere umano inteso come depositario degli inherent rights (“diritti immanenti alla persona umana”); sul piano economico, dal superamento dell’economia feudale e dall’inaugurazione dell’economia di mercato, tale, in quanto basata sul protagonismo individuale, tale, pertanto, in quanto economia democratica. Non si tratta soltanto di conservare questa identità politica, ma anche di impedire la definitiva affermazione di un nuovo assetto sociale informato a valori opposti e, di conseguenza, foriero del caos. Né si tratta soltanto di dare luogo ad una sorta di campanilismo culturale, ma di preservare e tramandare un patrimonio 1

Sui cui contenuti vd. A. Donati, La concezione della giustizia nella vigente Costituzione, ESI, Napoli, 1998, capp. IV e V. 2 Così, I. Kant, Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo?, trad. it. di F. Di Donato, in Scritti politici2, Utet, Torino, 1965, p. 141.

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spirituale che costituisce il vertice della speculazione e dell’esperienza umane (senza che ciò implichi la sua intrascendibilità). Al tempo stesso, sarebbe riduttiva ed infeconda una analisi che si soffermasse unicamente sull’immigrazione senza inquadrarla nel più ampio contesto del multiculturalismo che, a sua volta, è un prodotto specifico del sistema capitalistico della produzione, considerato non più soltanto nelle sue dimensioni nazionali, ma anche nella sua strutturazione globalizzata. Identica, infatti, è la problematica sia a livello nazionale che a livello internazionale. Il pluralismo culturale e politico connota entrambi, donde la ricerca di un valore di giustizia unificante, idoneo, quindi, per questa sua natura, a rendere tendenzialmente omogenei i comportamenti umani. L’economia di mercato, nel corso del tempo, si è trasformata nel sistema capitalistico della produzione caratterizzato dal protagonismo delle concentrazioni di capitale finanziario ed industriale; dal protagonismo, dunque, delle relative lobbies capitalistiche. Si è, dunque, passati da un’economia democratica ad un’economia oligarchica, da una economia nazionale ad una economia transnazionale, ciò che costituisce la causa primaria della crisi dell’assetto politico tradizionale. Il tessuto economico, nella sua dimensione globalizzata, unifica, come mai avvenuto in tutto il corso della vicenda storica pregressa, la società umana, uniforma i comportamenti umani, rende possibile realizzare un antico sogno, quello di una società non suddivisa in entità politiche indipendenti e poste tra loro in una relazione conflittuale scandita dalla prassi della guerra. Per altro, la positività di questa tendenza non è scontata. Occorre, infatti, indagare quale ne sia il valore, al tempo stesso, economico e culturale, che attualmente la informa. Esso è il profitto capitalistico, la cui fonte è la spoliazione delle risorse naturali congiunta a quella dell’essere umano, poiché lo priva 18

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della cultura della inherent dignity e delle conseguenze che alla sua vigenza si sono storicamente riconnesse, vale a dire, la formazione dello Stato garante degli inherent rights, del welfare state, la costruzione di una società volta a realizzare il “fine […] di far pervenire tutti i cittadini ad un livello sempre più elevato di moralità, di conoscenza e di benessere” (Constitution de la République française du 4 novembre 1848, Préambule). Il pluralismo culturale è un momento costitutivo di questo processo spoliativo. Di esso, dunque, si deve indagare la sintomatologia, l’eziologia e la terapia. Esiste un pluralismo fisiologico ed un pluralismo patologico. Il primo si coniuga con l’esistenza di valori condivisi, talché, esso si risolve nella diversità delle modalità relative alla loro attuazione. Il secondo, invece, consegue alla caduta di questa visione, all’Eclisse della ragione (Horkheimer), all’insorgenza di una molteplicità di valori, alla scomposizione della società in un agglomerato di componenti animate da una forza centrifuga. Il primo, costruttivo, il secondo, tendenzialmente distruttivo in quanto basato sulla multiculturality (“multiculturalismo”) e sulla polyethnicity (“polietnicità”)3, sulla parochial perspective (“prospettiva parrocchiale”)4, in quanto traduce il pluralismo delle opinioni nel normative pluralism (“pluralismo normativo”), vale a dire, nella compresenza di “different bodies of norms within the same social space” (“fonti differenti del diritto in un medesimo contesto sociale”)5, in quanto involge “a political attack on state centralism” (“un attacco politico contro ‘il centralismo dello Stato’”), talché, “all societies have a diversity of legal orders, of which ‘official’ state law is only one, and not 3

Espressioni tratte da W. Twining., Globalisation & Legal Theory, Cambridge University Press, Cambridge, 2000, p. 4. 4 Ivi, p. 7. 5 Ivi, p. 83.

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necessarily the most powerful” (“ogni società possiede differenti ordinamenti giuridici, dei quali quello ‘ufficiale’, proprio dello Stato, è soltanto uno di essi e neppure, necessariamente, quello dotato di maggiore autorità”)6. È in questo ambito che si inquadra e si rende compiutamente intelligibile il ruolo delle componenti aliene presenti nei contesti nazionali del Primo Mondo, la funzione decomponente da cui è caratterizzato. Come anche attestato dall’esperienza storica, in particolare, dal periodo della decadenza romana, il pluralismo culturale, lasciato a se stesso, si traduce in una forza centrifuga che induce, sul piano politico, una svolta assolutistica7, in quanto capace di arrestarne gli effetti disgreganti, svolta congiunta alla affermazione di una fenomenologia religiosa idonea ad apprestarne la giustificazione teologica. Il valore ordinante e significante il pluralismo patologico è il nichilismo, la manifestazione più elevata dell’antiumanesimo, talché, ove non si riesca a trascendere “this nightmarish scenario” (“questo scenario da incubo”)8, esso finirà per indurre il collasso della società umana. Deve, dunque, essere rinvenuto un principio di giustizia capace di trascendere il pluralismo patologico ed il nichilismo ad esso inscindibilmente connesso: “established government is necessary for the existence of society and therefore its safety against violent overthrow must be secured. But an established morality is as necessary as good government to the welfare of society. Societies disintegrate from within more frequently than they are broken up by external pressures. There is disintegration when no common morality is observed and history 6

Ivi, p. 84. Vd. il luogo cit., infra, testo e nota 31. 8 Così, B.Z. Tamanaha, Law as a Means to an End Threat to the Rule of Law, Cambridge University Press, Cambridge, 2006, p. 2. 7

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shows that the loosening of moral bonds is often the first stage of disintegration, so that society is justified in taking the same steps to preserve its moral code as it does to preserve its government and other essential institutions” (“la istituzione dello Stato è necessaria per l’esistenza di una società poiché la sua sicurezza deve essere garantita contro le rivoluzioni. Per altro, la formazione di una morale è tanto indispensabile quanto lo è un buon governo per il benessere della società. Le società vengono più frequentemente disgregate dal proprio interno che essere sconfitte da pressioni esterne. C’è disgregazione se non è rispettata una moralità comune e la storia dimostra come il superamento dei limiti etici è spesso la prima fase del decadimento, talché la società è giustificata allorché prende provvedimenti uniformi al fine di preservare il proprio codice etico tanto quanto lo è nel preservare la sua esistenza e le altre istituzioni essenziali”)9. Sul piano prospettico, si danno solo due possibilità. La prima, è quella implicata dall’evoluzione del sistema capitalistico della produzione, lasciato a se stesso. Poiché il potere politico si situa nelle sedi in cui si concentra il potere economico, considerata la necessaria tendenza verso l’oligopolio propria di questo stesso sistema, ciò significa, ove, appunto, non si intervenga, l’inevitabilità dello scadimento verso il dispotismo10, verso la formazione di quello che potrebbe essere chiamato il feudalesimo capitalistico, poiché le moderne concentrazioni di capitali 9 Così, P. Devlin, The Enforcement of Morals, Oxford University Press, Oxford, 1965, p. 13. Per la sua critica, con argomentazioni, tuttavia, non significative, vd. H.L.A. Hart, Law, Liberty and Morality, Stanford University Press, Stanford, 1963, in particolare, le conclusioni finali, p. 82 s. 10 Questa è la risposta alla domanda: “what causes a democracy to change into some non- or anti-democratic system, and what kind of system is democracy likely to change into?”. Così, S. Wolin, Managed Democracy and the Specter of Inverted Totalitarianism, Princeton University Press, Princeton, 2008, p. XII.

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finanziario e industriale stanno alla società civile come le concentrazioni del capitale terriero, vale a dire, i latifondi ed i feudi, sono stati alla società premoderna. Si viene, così, delineando, su basi capitalistiche, l’État despotique (“lo Stato assolutistico”), “où le prince est propriétaire de tout le territoire, où tout le commerce se fait au nom du chef de l’État et à son profit, où les particuliers n’ont ni liberté, ni volonté, ni propriété” (“dove il principe è il proprietario di tutto il territorio, dove il commercio si svolge in nome del sovrano e a suo vantaggio, dove i singoli non hanno né libertà, né volontà, né proprietà”)11; “What we are in fact witnessing is something new, a conservative form of étatisme that, while it is hostile toward social spending, is eager to intervene in the most personal of affairs: sexual relations, marriage, reproduction, and family decisions about life and death” (“Ciò cui stiamo di fatto assistendo è qualcosa di nuovo, una forma reazionaria di statalismo che, mentre è ostile nei riguardi della spesa sociale, aspira ad intervenire negli aspetti più personali: le relazioni sessuali, il matrimonio, la generazione della prole e le decisioni della famiglia circa la vita e la morte”)12. Secondo questa prospettiva ci si avvia verso la riedizione, mutatis mutandis, di un secondo Medioevo, il Medioevo capitalistico, ben più terribile del primo, in considerazione degli strumenti di controllo della persona umana modernamente resi possibili dalla scienza, in considerazione, altresì, della candidatura della Chiesa cattolica ad unica rappresentante della cristianità, per questa via, della riproposizione del suo ruolo di garante teologica di tale apparato. 11

Così, J.E.M. Portalis, Discours préliminaire, in P.A. Fenet, Recueil complet des travaux préparatoires du Code civil, Réimpression de l’édition 1827, Otto Zeller, Osnabrück, 1968, I, p. 468. 12 S. Wolin, Managed Democracy…, cit., p. 45.

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La seconda possibilità – tenuto conto del fatto che il processo degenerativo, quando ancora sia in corso, può essere evitato allorché se ne acquisisca una adeguata conoscenza e, con questa, la correlata capacità di intervenire – risiede nella formazione di un movimento politico di reazione basato sull’assoggettamento della logica del profitto alle esigenze della persona umana sintetizzate dal sapere aude, dagli inherent rights e dal welfare state. I valori capaci di dar luogo ad una società politica ordinata esistono già e non devono, dunque, essere discoperti. Il problema è che essi sono corrosi e rifiutati dall’etica immanente al sistema economico capitalistico, vale a dire, dal nichilismo. Lo scontro non è tanto tra civiltà13 poiché il sistema economico, nei termini della globalizzazione, svolge una funzione inarrestabilmente unificante e, per ciò stesso, corrosiva delle fisionomie culturali fondate sulla tradizione14, quanto, piuttosto, tra umanesimo ed antiumanesimo, il primo, significato dalla inherent dignity connessa al sapere aude, agli inherent rights ed al welfare state, il secondo, dal nichilismo, dalla riduzione dell’essere umano a res extensa (“materia estesa”). Occorre, dunque, una presa di coscienza che sia accompagnata da una metanoia collettiva. 13 S.P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, trad. it., Garzanti, Milano, 2000. 14 Vd. K. Marx - F. Engels, Manifesto del Partito comunista, in Marx-Engels, Opere complete, trad. it. di U. Cerroni, vol. VI, Editori Riuniti, Roma, 1973, p. 488: “La borghesia ha avuto nella storia una funzione sommamente rivoluzionaria. Dove è giunta al potere, essa ha distrutto tutte le condizioni di vita feudali, patriarcali, idilliache. Essa ha lacerato senza pietà i variopinti legami che nella società feudale avvincevano l’uomo ai suoi superiori naturali, e non ha lasciato tra uomo e uomo altro vincolo che il nudo interesse, lo spietato ‘pagamento in contanti’. Essa ha affogato nell’acqua gelida del calcolo egoistico i santi fremiti dell’esaltazione religiosa, dell’entusiasmo cavalleresco, della sentimentalità piccolo-borghese. Ha fatto della dignità personale un semplice valore di scambio”.

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Entrambe le possibilità implicano una svolta autoritaria nella società civile, ma con esiti diametralmente opposti. Lo svolgimento dell’indagine è suddividibile in quattro parti. La prima, Cap. I, descrive i caratteri generali del sistema capitalistico della produzione. La seconda, Capp. II-V, è dedicata agli effetti distruttivi indotti, nella società civile, dal pluralismo culturale. La terza, Cap. VI, evidenzia l’analogia esistente tra la società contemporanea ed il periodo della decadenza dell’Impero Romano. La quarta, Cap. VII, delinea l’assetto politico che la società umana dovrebbe assumere al fine di impedire la deriva assolutistica ed antiumanistica immanente al sistema capitalistico della produzione.

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Capitolo I

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I Caratteri del sistema capitalistico della produzione

1. Il sistema capitalistico della produzione Il sistema capitalistico della produzione è connotato da leggi ontologiche che ne regolano lo svolgimento, leggi che, per la loro natura cogente, se lasciate a se stesse, non possono non conformare di conseguenza, come, del resto, sta già avvenendo, la sociologia, l’etica e la politica15. Tale sistema richiede che si renda disponibile la forza lavoro come merce. Gli uomini, dunque, si presentano sul mercato come proprietari e venditori della propria forza lavorativa che mettono a disposizione, per un periodo di tempo determinato16, 15

Su quanto verrà esposto in questo paragrafo vd., più estesamente, A. Donati, Elementa juris naturalis, ESI, Napoli, 1990, Appendice III, dedicata al pensiero economico di Marx e a rilevarne la totale estraneità al comunismo. Sulla sua rivalutazione in questa diversa prospettiva, vd., tra gli altri, G. Carandini, Un altro Marx. Lo scienziato liberato dall’utopia, Laterza, Roma-Bari, 2005; D. Fusaro, Bentornato Marx! Rinascita di un pensiero rivoluzionario, Bompiani, Milano, 2009; P. Bevilacqua, Il grande saccheggio. L’età del capitalismo distruttivo, Laterza, Roma-Bari, 2011, p. 61 ss. 16 La vendita della forza lavorativa può avvenire solo per un tempo stabilito poiché, se la vendita fosse a tempo indeterminato, il suo possessore venderebbe in realtà se stesso, trasformandosi così da libero in schiavo, da possessore di merce (forza lavorativa) in merce.

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del capitalista, di colui che possiede i mezzi di produzione capaci di utilizzarla ed al quale soltanto può, in linea di principio, essere utilmente venduta17. Il sistema capitalistico della produzione è retto dalla legge del plusvalore (profitto), la cui fonte è il pluslavoro, vale a dire, la parte della giornata lavorativa del prestatore di lavoro subordinato non remunerata18. Il processo produttivo rivela una dinamica che coinvolge, da un lato, la classe dei capitalisti e, dall’altro, quella dei prestatori di lavoro subordinato, poiché la prima può esistere e svilupparsi a condizione che l’altra esegua il pluslavoro, produca, cioè, il Questa situazione non è casuale. Essa è il prodotto dell’evoluzione storica, del superamento di una struttura economica e politica, quella dell’Ancien Régime, informata a valori diametralmente opposti. Vd. K. Marx, Il Capitale, trad. it., Newton Compton, Roma, 1974, I, 1, pp. 200-201. 17 Questo è uno degli aspetti fondamentali del sistema di produzione capitalistico. Chi si presenta sul mercato del lavoro è privo della possibilità di produrre in proprio quanto gli necessita per il sostentamento quotidiano, avendo i capitalisti acquisito il controllo delle condizioni che consentono lo svolgimento dell’attività economica. L’essere umano è, pertanto, libero in un duplice senso: perché egli può disporre della propria forza lavorativa come proprietario (a differenza dello schiavo e del servo della gleba); perché egli è “liberato” dalla proprietà dei mezzi di produzione necessari per l’impiego di questa sua stessa forza lavorativa. Ciò fa sì che il proprietario dei mezzi di produzione (capitalista) ed il proprietario della forza lavorativa possano porsi tra loro quali possessori di merci (denaro e forza lavorativa) di uguale diritto, distinguendosi solo perché il primo è acquirente ed il secondo venditore e, dunque, caratterizzandosi come persone giuridicamente uguali. 18 Da ciò non segue la sua delegittimazione sul piano etico e, quindi, politico, poiché un sistema economico conserva la propria legittimità fino a quando svolge la funzione emancipativa che gli è propria. Solo quando quest’ultima viene meno, le contraddizioni da cui è affetto diventano dominanti, inducendone la decadenza, il transito ad un modello produttivo e distributivo della ricchezza sociale superiore. Per riferimenti bibliografici, vd. A. Donati, Elementa juris naturalis, cit., pp. 131-132.

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profitto, e, inversamente, la seconda in tanto può esistere ed accrescersi in quanto la prima la metta in condizione di realizzare questo stesso pluslavoro. Poiché l’uomo viene preso in considerazione come prestatore di lavoro subordinato e come consumatore, vale a dire, in questo secondo caso, come base di consumo capace di realizzare il valore ed il plusvalore contenuti nelle merci, per questa via il profitto, poiché non può non svolgere questi ruoli dal momento che da essi dipende il suo sostentamento, da ciò deriva che egli deve incrementare il profitto, vale a dire, la propria spoliazione, e, così facendo, accrescere la propria miseria economica, morale e politica19. La produzione del plusvalore (profitto) costituisce, dunque, il fondamento e lo scopo della produzione capitalistica: “Il capitale produce essenzialmente capitale, e fa ciò solamente nella misura in cui produce plusvalore”20. Questa necessità si traduce, per effetto della concorrenza21, nella induzione di un continuo accrescimento della forza produttiva del lavoro al fine di aumentare la produzione delle merci e di diminuirne il costo unitario, consentendo, così, un profitto maggiore di quello pregresso. La produzione capitalistica assume un andamento a spirale, risolvendosi nel processo di accumulazione e di centralizzazione dei capitali industriali, dando luogo, da un lato, ad una concentrazione di capitali sempre maggiore sotto il controllo di un numero di capitalisti corrispondentemente minore, dall’altro,

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Vd. anche H. Marcuse, Un nouvel ordre, in «Le Monde diplomatique», luglio, 1976. 20 K. Marx, Il Capitale, cit., III, 2, p. 1171. 21 Ivi, I, 2, p. 590: “Se si eccettuano i periodi di prosperità, si combatte tra i capitalisti una lotta assai accesa per il possesso della loro singola parte di spazio sul mercato. Tale parte è in ragione diretta del basso prezzo del prodotto”.

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ad un proporzionale accrescimento della divisione del lavoro22, vale a dire, del processo di proletarizzazione della società civile. La produzione capitalistica può, dunque, sussistere solo a condizione che, ad un capo della società, rappresentato dalla classe dei capitalisti, si accumuli, nella misura espressa dalla spirale dell’accumulazione e della centralizzazione dei capitali, la ricchezza sociale prodotta e, nell’altro, si determini il correlativo ampliamento ed impoverimento della classe che questa ricchezza ha prodotta23. Come si è accennato, questo svolgimento fa sì che si estenda la proletarizzazione della società. Ciò sta a significare che diviene sempre più generalizzata quella condizione esistenziale che si risolve nella proprietà della sola forza-lavoro incapace, in linea di principio, di attivarsi, in maniera vantaggiosa, autonomamente e indipendentemente dall’inserimento nel processo produttivo e distributivo capitalistico. L’accumulazione e la centralizzazione dei capitali sviluppano, in misura corrispondente, il processo di socializzazione dell’attività lavorativa. Il lavoro assume, infatti, un carattere generalmente organizzato, talché ciascun lavoratore, ciascun contesto regionale produttivo, si trova a dipendere dall’altro secondo un rapporto di coordinamento, secondo un rapporto di reciproca collaborazione ed interdipendenza. Il commerciante stesso cessa di essere un autonomo intermediatore tra la produzione ed il consumo per divenire un organo della distribuzione capitalistica. Per questa via, anche il commercio acquisisce 22

Vd. K. Marx, Miseria della filosofia, trad. it., in Opere complete, vol. VI, Editori Riuniti, Roma, 1973, p. 196: “La concentrazione degli strumenti di produzione e la divisione del lavoro sono inseparabili l’una dall’altra quanto lo sono, nel campo politico, la concentrazione dei poteri pubblici e la divisione degli interessi privati”. 23 Ivi, §§ 9 e 10.

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una disposizione integrata, non più considerabile, almeno in linea di principio, autonomamente. In altri termini, la produzione capitalistica tende ad assumere il carattere della produzione e della distribuzione collettive, nel cui contesto l’operatore economico (lavoratore e commerciante) non appare più come monade produttiva autonoma, distinta e contrapposta, secondo uno schema concorrenziale, a tutte le altre, ma, piuttosto, solo come parte integrante del processo produttivo sociale. La sua individualità economica assume rilievo solo in quanto si rende partecipe di un ciclo produttivo ormai essenzialmente unitario, in quanto compenetrata con esso. Il capitale industriale, il know how tecnologico che lo rende possibile, non è il solo protagonista. Esso, infatti, presuppone il capitale finanziario che ne costituisce la fonte. Senza ripercorrerne minutamente il percorso evolutivo, si può dire che tale capitale è ormai gestito dal sistema bancario internazionale, anch’esso evolvente verso l’oligopolio, talché, all’oligopolio capitalistico fa da pendant l’oligopolio del capitale finanziario. Peraltro, all’originaria natura strumentale di quest’ultimo rispetto al primo, si è affiancato l’assolvimento di una funzione meramente speculativa24, capace di invertire quel rapporto, vale a dire, capace di deputare la produzione industriale al soddisfacimento delle sue esigenze meramente speculative, con conseguenti effetti devastanti sul tessuto economico e sociale, come attestato dalla recente crisi del sistema bancario. L’evoluzione del sistema capitalistico, l’accentuazione del processo di centralizzazione dei capitali sia industriali che fi24

Vd., a titolo indicativo, J. Lanchester, Dalla bolla al crac, trad. it. di F. Saulini, Fusi orari, Roma, 2008; S. Halimi, Il grande balzo all’indietro, trad. it., Fazi, Roma, 2006; D. Harvey, Breve storia del neoliberismo, trad. it., il Saggiatore, Milano, 2007.

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nanziari, la connessa dilatazione della base di produzione e di quella di consumo, sono, pertanto, la causa del processo della globalizzazione.

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2. La sociologia a fondamento capitalistico L’uomo, nella sua qualità di prestatore di lavoro subordinato e di consumatore, è gradatamente ridotto ad organo della produzione, ciò che, in virtù della corrispondenza tra la struttura economica e la sovrastruttura politica, induce il passaggio dalla concezione democratica alla concezione organica dello Stato, al cittadino inteso come organo dello Stato, vale a dire, allo “Stato [che] non esiste per i cittadini”25. Il sistema capitalistico della produzione, in conseguenza della progressiva accentuazione della divisione del lavoro, induce la prassi dei comportamenti collettivi uniformi ed il corrispondente dimensionamento dell’organizzazione sociale. Così, l’inizio e la fine della giornata lavorativa, le pause intermedie, i periodi feriali, l’allocazione dei figli e degli anziani, etc., si estrinsecano, appunto, come comportamenti collettivi uniformi o tendenzialmente tali. Esiste un ulteriore fattore qualificante la società capitalistica, quello costituito dalla immigrazione. Quest’ultima è stata indotta dalla necessità di ampliare le produzioni nazionali, ma, nel corso del tempo, si è tradotta in una causa destabilizzante l’ordine pubblico in ragione della mancata integrazione delle sue componenti costitutive, vale a dire, in ragione del loro rifiuto 25

G.W.F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, I, trad. it. di G. Calogero e C. Fatta, La Nuova Italia, Firenze, 1978, p. 105. Vd. anche il paragrafo successivo.

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dei valori afferenti alle società ospitanti, nonostante che ad essi debbano l’emancipazione dalle condizioni proprie dei rispettivi paesi di origine, rifiuto congiunto alla conservazione dei propri, al loro conseguente trapianto nelle stesse società ospitanti26. Il multiculturalismo, la compresenza, in uno stesso contesto sociale, di culture diverse, financo opposte, vengono garantiti dal valore della tolleranza il cui presupposto è il convincimento secondo cui la verità non esiste e, pertanto, tutto è ugualmente vero ed ugualmente falso, tutto, dunque, deve essere ammesso: “i concetti di giustizia, di uguaglianza, di felicità, di tolleranza, tutti i concetti insomma che nei secoli precedenti il nostro si credevano una cosa sola con la ragione o sanzionati da essa, hanno perso le loro radici intellettuali. Sono ancora scopi e fini, ma non esiste più nessuna entità razionale autorizzata a darne un giudizio positivo e a metterli in rapporto con una realtà oggettiva. Confermati da venerabili documenti storici, godono ancora di un certo prestigio; alcuni di essi informano le leggi di alcuni grandi paesi. Tuttavia, manca ad essi ogni conferma da parte della ragione, intesa nel senso moderno del termine”27. Ciò che ha concorso significativamente a fondare il “moral disagreement” (“il dissenso morale”), la “new constitutional morality” (“la nuova moralità costituzionale”), la “defense of absolute individual rights” (“la difesa dei diritti individuali assoluti”)28, pertanto, il pluralismo culturale, ha concorso a configurare la società come un Archipelago29, vale a dire, ad indurre la crisi della tradizione costituzionale basata sulla uguaglianza degli uomini, sulla conseguente unità dell’archetipo costituzionale. 26

Ivi, capp. IV e V. M. Horkheimer, Eclisse della ragione, trad. it. di E. Vaccari Spagnol, Einaudi, Torino, 1969, p. 27. 28 Vd., infra, cap. IV. 29 Vd., infra, testo e nota 44, p. 102. 27

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L’“Eclisse della ragione”30 non può non portare con sé la cultura della violenza, il riemergere dei fondamentalismi religiosi, di quella “eccessiva libertà” prodromica del passaggio all’assolutismo politico e religioso: “L’eccessiva libertà […] non può trasformarsi che in eccessiva schiavitù, per un privato, come per uno Stato […] È naturale, quindi, […] che la tirannide non si formi da altra costituzione che la democrazia: cioè […] dalla somma libertà viene la schiavitù maggiore e più feroce”31. La visione culturale, fondata da Galileo Galilei32, informata al “paradigma scientifico”, vale a dire, al predominio della scienza – cui si correla il carattere della universalità della conoscenza, il dissolvimento di tutte le tradizioni culturali con essa contrastanti, l’affermazione del valore della libertà –, basata, sul piano politico, sulla democrazia, è ormai trascesa dall’avere la scienza acquisito natura strumentale rispetto alle esigenze del sistema capitalistico della produzione, dall’essere stata incorporata in questo stesso sistema, dall’essere diventata organo della produzione capitalistica. L’universalismo della scienza si configura come parte costitutiva e significante dell’universalismo capitalistico, della globalizzazione economica e, quindi, politica della società umana. La scienza non è più l’espressione della filosofia dell’umanesimo, non è più al servizio dell’uomo, non è più via ad Deum, inteso come Summa Ratio (“razionalità perfetta”). Essa, integrata nel sistema economico capitalistico, ne supporta, con il suo ateismo, vale a dire, con il suo rifiuto del deismo illuministico, il valore ordinante costituito dal nichilismo.

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Titolo della omonima opera di Horkheimer, precedentemente cit. Così, Platone, Repubblica, trad. it. di F. Sartori, Laterza, Roma-Bari, 1988, 564a-b. 32 Vd. A. Donati, Le motivazioni teologiche della condanna di Galileo Galilei, Morlacchi, Perugia, 2010. 31

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3. La vocazione assolutistica di tale sistema e la “political demobilization of the citizenry” L’espropriazione dell’autonomia economica individuale realizzata tramite l’acquisizione, da parte delle oligarchie economiche, della proprietà del capitale industriale e finanziario, non può non avere riflessi sul piano politico, in base alla necessaria correlazione tra il potere economico ed il potere politico: “L’avvento della globalizzazione […] ha, in larga misura, vanificato la tradizionale funzione della democrazia, spostando, progressivamente in ambiti transnazionali, sui quali i cittadini dei singoli Stati non possono influire, le sedi in cui si formano le decisioni che toccano i loro destini”33. Così come l’individuo non ha alcun potere di controllo sulle strategie economiche delle concentrazioni capitalistiche, parimenti sullo Stato: “L’abisso tra i governanti e i governati è così vasto che l’attiva partecipazione dei cittadini agli affari del governo ne è completamente vanificata. Anche le elezioni periodiche divengono un rituale nel corso del quale i votanti scelgono un presidente tra due candidati che essi non hanno nominato per prendere decisioni intorno a problemi che non sono stati neppure discussi, sulla base di fatti che non possono essere resi di pubblico dominio. Ne risulta una politica in cui prevalgono la forma, l’immaginazione e il fideismo, e che ripugna all’uomo libero ed è incompatibile coll’ideale della democrazia”34. 33

Così, F. Galgano, La globalizzazione nello specchio del diritto, il Mulino, Bologna, 2005, p. 197. Vd. anche p. 200: “Gli ideali di democrazia, per quanto fortemente sentiti, debbono arrendersi di fronte alla realistica considerazione che le regole di democrazia affermatesi entro gli Stati nazionali non sono riproponibili entro la società globale”. 34 R.P. Wolff, Al di là della tolleranza, in R.P. Wolff - B. Moore jr. - H. Marcuse, Critica della tolleranza4, trad. it. di D. Settembrini e L. Codelli, Einaudi, Torino, 1968, p. 23. Vd., altresì, F. Galgano, Democrazia politica e legge della

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Nella società occidentale ha avuto luogo una autentica rivoluzione: si è transitati dalla democrazia alla oligarchia capitalistica, dal Government of Right (“Stato garante”), tale in quanto basato sul primato degli inherent rights, al Rechtsstaat (“Stato di diritto”), ad uno Stato in cui l’elettorato, il Parlamento, da tradizionali sedi della sovranità popolare, sono divenuti organi di quella oligarchia, sono organi di uno Stato ormai separato dalla base sociale35. Si è conservata la terminologia tradizionale, capace di evocare contenuti di grande valenza culturale, ma, essa è ormai priva di una reale rispondenza nella realtà, la continuità è solo apparente: “Parts of Britain’s constitutional edifice, including some of the most visible parts, remain intact, but the edifice as a whole is, for all practical purposes, a new building” (“Parti dell’edificio costituzionale britannico, ivi comprese quelle di esse maggiormente visibili, rimangono intatte, ma l’edificio nel suo insieme, sotto il profilo pratico, è un nuovo edificio”)36. Più comprensivamente, “What we possess […] are the fragments of a conceptual scheme, parts which now lack those contexts from which their significance derived. We possess indeed ragione, in «Contratto e impresa», n. 2, Cedam, Padova, 2007, p. 393: “è in corso […] la parabola discendente della democrazia politica; né manca chi già parla di ‘postdemocrazia’”. 35 S. Wolin, Managed Democracy…, cit., p. 47: “‘democracy’ is understood as ‘managed democracy’, a political form in which governments are legitimated by elections that they have learned to control […] Managed democracy is democracy systematized”. 36 Così, vd. A. King, The British Constitution, Oxford University Press, New York, 2009, p. 3. Vd., altresì, J. Raz, Multiculturalism: A Liberal Perspective, in Id., Ethics in the Public Domain Essays in the Morality of Law and Politics, Clarendon Press, Oxford, 1995, p. 171: “Those of us who adhere today to liberal political theories should do so not by adhering to the theories of Locke or Kant but by embracing contemporary theories, valid for our conditions, which descend in spirit from those of their classical forefathers”.

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simulacra of morality, we continue to use many of the key expressions. But we have – very largely, if not entirely – lost our comprehension, both theoretical and practical, or morality” (“Ciò che noi possediamo [...] sono frammenti di una schema concettuale, parti che attualmente sono separate da quei contesti da cui il loro significato è derivato. Noi possediamo infatti simulacri di moralità, noi continuiamo ad usare molte espressioni significative. Ma abbiamo perduto – largamente, se non interamente – la nostra comprensione, sia teorica, sia pratica, o morale”)37.

4. Totalitarismo classico ed “inverted totalitarianism” Si parla, così, di inverted totalitarianism (“totalitarismo invertito”), volendo, con questa espressione, indicare “the political coming of age of corporate power and the political demobilization of the citizenry” (“l’affermazione politica dell’era del potere corporativo e la smobilitazione politica della cittadinanza”)38, mentre l’attributo inverted sta a significare che tale totalitarismo “is not derivative from ‘classic totalitarianism’ of the types represented by Nazi Germany, Fascist Italy, or Stalinist Russia” (“non è derivato dal ‘totalitarismo classico’ del tipo costituito dal nazismo tedesco, dal fascismo italiano, o dallo stalinismo russo”)39 ma ha una fondazione autonoma anche se convergente quanto al suo contento primario, la soppressione della democrazia40. Il totalitarismo classico era “inseparable from its Führer, or Duce” – mentre – l’“Inverted totalitarianism follows an entirely 37 Così, A. MacIntyre, After Virtue. A Study in Moral Theory2, University of Notre Dame Press, Notre Dame, 1984, p. 2. 38 S. Wolin, Managed Democracy…, cit., p. X. 39 Ivi, p. XIII. 40 Ivi, cap. III, p. 41 ss.

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different course: the leader is not the architect of the system but its product. […] Inverted totalitarianism […] is largely independent of any particular leader and requires no personal charisma to survive: its model is the corporate “head”, the corporation’s public representative” (“il totalitarismo invertito segue un percorso completamente diverso: il leader non è l’architetto del sistema ma il suo prodotto. [...] Il totalitarismo invertito [...] è significativamente indipendente da ogni particolare leader e non richiede un carisma personale per conservarsi come tale: il suo modello è ‘l’autorità’ corporativa, la pubblica rappresentanza in termini corporativi”)41. Dell’inverted totalitarianism il protagonista, non è una persona carismatica, ma lo stesso sistema economico capitalistico42. Il progresso scientifico, le istanze connesse, da un lato, alla lotta contro la delinquenza organizzata, dall’altro, alla definizione delle strategie militari, hanno sviluppato un sistema di controllo della persona umana suscettibile di essere integrale, capace di dar luogo ad una società orwelliana, al primato, vale a dire, del “grande fratello”, alla compiuta realizzazione del benthamiano Panopticon43. Questo bagaglio tecnologico è destinato a divenire lo strumento suscitativo del consenso politico, religioso ed economico, la cui efficacia sarà direttamente proporzionale al livello raggiunto dalla centralizzazione dei capitali e dal conseguente livello di concentrazione del potere politico, dal grado di connessione tra quest’ultimo ed il potere religioso.

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Ivi, p. 44. Ivi, p. 47. 43 Vd. D. Lyon, La società sorvegliata. Tecnologie di controllo della vita quotidiana, trad. it., Feltrinelli, Milano, 2003, con Prefazione di S. Rodotà. 42

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5. La désinstitutionalisation e la désymbolisation Ha, così, luogo la legittimazione del Superpower (“Superpotere”), tale in quanto “indeterminate, impatient with restraints, and careless of boundaries as it strives to develop the capability of imposing its will at a time and place of its own choosing” (“indeterminato, insofferente delle restrizioni e privo di limitazioni nella misura in cui cerca di sviluppare la capacità di imporre la propria volontà nel tempo e nel luogo delle proprie scelte”), in quanto “It represents the antithesis of constitutional power” (“Esso rappresenta l’antitesi del potere costituzionale”)44; ha così luogo l’affermazione della “teoria evolutiva della volontà di potenza”, vale a dire, di quella “psicologia” che assume “le passioni dell’odio, dell’invidia, della cupidigia, della brama di dominio come qualcosa di fondamentalmente e originariamente indispensabile alla complessiva economia della vita, qualcosa che deve quindi ulteriormente potenziarsi ove la vita debba essere ulteriormente potenziata”, della dottrina che pone questa stessa “psicologia” come “nuovamente riconosciuta signora delle scienze, al servizio e alla preparazione della quale è destinata l’esistenza delle altre scienze”45. La legge del massimo profitto, la legge dell’accumulazione

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Così, S. Wolin, Managed Democracy…, cit., p. XIII. Su quanto esposto, Vd. F. Nietzsche, Al di là del bene e del male, trad. it., in Opere, Adelphi, Milano, vol. VI.2, 1986, § 23, p. 28 s. Come momenti di riscontro nella letteratura contemporanea, vd., tra gli altri, M. Scheuer, L’arroganza dell’impero, trad. it., Marco Tropea, Milano, 2005; J.K. Galbraith, L’economia della truffa, trad. it., Rizzoli, Milano, 2004; Z. Bauman, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, trad. it., Laterza, Roma-Bari, 2003; D. Harvey, La crisi della modernità, trad. it., il Saggiatore, Milano, 2002; N. Chomsky, Il golpe silenzioso. Segreti, bugie, crimini e democrazia, trad. it., Piemme, Casale Monferrato, 2004. 45

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progressiva46, delegittimano ogni categoria culturale che ne rappresenti una limitazione. Tali leggi sono, infatti, incompatibili con l’esistenza di valori etici capaci di contenerne l’espansione. La loro relativizzazione, la désinstitutionalisation47, la désymbolisation48, il nichilismo, appunto, costituiscono il presupposto culturale e filosofico del dispiegamento illimitato del sistema capitalistico della produzione. Il profitto determina, infatti, la desertificazione dei valori etici che sono alla base della società sorta dalla catarsi protestante ed illuministica, rende improponibile una visione culturale globale capace di orientare gli uomini in senso razionalistico. È immanente alla formazione delle concentrazioni capitalistiche una vocazione assolutistica, una vocazione al progressivo 46

Vd., retro, § 1. Vd. D.R. Dufour - P. Berthier, Vers un nouveau nihilisme?, in Le Débat, Gallimard, Paris, 2003, p. 168; sui cui contenuti, vd. p. 163: “le modèle marchand ne peut œuvrer qu’à la désintégration de tout ce sur quoi peut venir achopper la course toujours élargie de la marchandise. C’est-à-dire les instances collectives telles que la famille, les syndicats, les collectifs supposés veiller à l’intérêt public, les associations environnementales, les formations politiques et culturelles, les peuples, leurs États-nations et même, au-delà, les croyances symboliques et les convictions morales…”. 48 Vale a dire, la relativizzazione di ogni modello etico capace di ostacolare la circolazione delle merci. Vd., ivi, p. 168: “C’est ainsi que le modèle du marché promeut aujourd’hui ‘un impératif de transgression des interdits’” qui “confère à ce discours un ‘parfum libertaire’ fondé sur l’extension indéfinie de la tolérance dans tous les domaines”. […] Or, ce que produit immédiatement cette désinstitutionalisation, c’est bien une désymbolisation des individus”, vale a dire, p. 169: “Les valeurs (morales) n’ont pas de valeur (marchande). Ne valant rien, leur survie ne se justifie plus dans un univers devenu intégralement marchand. De plus, elles constituent une possibilité de résistance à la propagande publicitaire qui exige, pour être pleinement efficace, un esprit ‘libre’ de toute retenue culturelle. La désymbolisation a donc un objectif: elle veut éradiquer, dans les échanges, la composante culturelle, toujours particulière”. 47

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svilimento degli human rights in quanto limitativi della legge del massimo profitto49. Dal loro punto di vista, le “norme sui diritti umani cominciano ad essere oggetto di valutazione […] [allo scopo di stabilire la] loro compatibilità con il mercato, allo scopo di determinare quanta importanza dare loro – o se dare loro una qualunque importanza. Nel mondo della globalizzazione, per sostenere una reazione energica contro la discriminazione di genere o altre forme di discriminazione, contro la soppressione dei sindacati o contro la mancanza di cure mediche o di servizi educativi, non basta più dimostrare che questi comportamenti sono contrari agli standard sui diritti umani, ma si deve anche aggiungere la dimostrazione che essi ledono gli imperativi dell’efficienza economica e il funzionamento del libero mercato. Se questi test incentrati sul libero mercato non vengono superati, il fatto che quelle norme sui diritti umani continuino a esistere è considerato un’anomalia del sistema, se va bene, 49

H. Marcuse, L’uomo a una dimensione. L’ideologia della società industriale avanzata, trad. it., Einaudi, Torino, 1967, p. 21. Come momento di ulteriore riscontro, vd. G. Pontara, Introduzione, a Ph. Alston - A. Cassese, Ripensare i diritti umani nel XXI secolo, trad. it., Ega Edizioni, Torino, 2003, p. 6 ss.: “[la società è lasciata] sempre di più alle operazione di un mercato globale presupposto libero, in realtà fortemente dominato da diecimila multinazionali e da potenti istituzioni finanziarie internazionali quali la Banca Mondiale e il Fondo monetario internazionale. In questo modello, caratterizzato dalla deregulation del potere di attori privati mossi dalla logica dell’efficienza economica e della massimizzazione del profitto, favorevole alla privatizzazione anche dei servizi pubblici più essenziali, in cui le esigenze connesse al rispetto dei diritti sono sistematicamente messe in secondo piano (a meno che non si tratti di quelle che favoriscono le operazioni del mercato e dello stato minimo), i deboli del mondo, coloro che non hanno potere contrattuale e potere di acquisto, sono destinati ad essere spazzati via. La logica in questo modello non è quella di una benigna mano invisibile che assicura continui miglioramenti per tutti, bensì piuttosto quella di un duro stivale – spesso assai visibile – che a grandi pedate relega i più poveri e i più deboli nei ghetti della povertà assoluta”; vd. anche p. 10 ss.

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oppure, nell’ipotesi peggiore, come un anacronismo destinato a scomparire rapidamente”50. Il nichilismo è la filosofia che consente di rimuovere “gli ostacoli che frenano la volontà di dominio”51. Poiché quest’ultima “non può dispiegarsi completamente se esiste il limite invalicabile della verità definitiva proclamata dell’epistéme”, da ciò segue che la “distruzione dell’epistéme e di ogni struttura eterna e immodificabile della realtà” costituisce la condizione del suo “dispiegamento totale”52.

6. Lo storicismo capitalistico Il transito dall’economia di mercato al sistema capitalistico della produzione è avvenuto gradualmente, è mancata una cesura rivoluzionaria, abrogativa dell’antico e costitutiva del nuovo. La società d’Ancien Régime, in quanto basata sul latifondo, era conservatrice, caratterizzata, pertanto, da un movimento circolare, ripetitivo, al pari di quello agricolo. La società cristianoilluministica introduce, invece, l’idea della evoluzione della società umana, l’idea del progresso, del miglioramento continuo delle condizioni esistenziali, l’idea dell’antistoricismo, tale, in quanto connesso alla realizzazione del “but […] de faire parvenir tous les citoyens […] à un degré toujours plus élevé de moralité, de lumières et de bien-être” (“del fine [...] di far pervenire 50

Così, Ph. Alston, L’era della globalizzazione e la sfida di espandere la responsabilità per i diritti umani, in Ph. Alston - A. Cassese, Ripensare i diritti umani nel XXI secolo, trad. it., EGA, Torino, 2003, p. 24; p. 30: “il principio di responsabilità per i diritti umani da un lato e la globalizzazione dall’altro possono essere visti come due treni che viaggiano a velocità considerevole in direzioni opposte”; vd. anche p. 31. 51 E. Severino, La filosofia contemporanea, BUR, Milano,1997, p. 262. 52 Ibidem.

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tutti i cittadini [...] ad un livello sempre più elevato di moralità, di conoscenza e di benessere”) (Constitution de la République Française du 4 novembre 1848, Préambule). Trattasi di un progresso fondato sul primato della ragione in filosofia, nella scienza, nell’etica, quindi, nella politica. Il modello economico è quello dell’economia di mercato incentrato sul protagonismo individuale, sull’ideale democratico dell’economia sostitutivo del modello autocratico proprio dell’economia feudale, incentrato, altresì, sul legame tra scienza e produttività economica, legame che concorre significativamente a diffondere il valore della progressività. Alla visione antistoricistica e progressiva, propria dell’Illuminismo, si è sostituito lo storicismo capitalistico caratterizzato dal disconoscimento del valore dell’esperienza storica53: “Noi da tempo siamo immersi in un universo culturale che punta tutto sul futuro e svaluta il passato”54; “la memoria americana ha una capienza di circa tre giorni”55. Lo storicismo trova il proprio fondamento anche nel carattere tecnologico della produzione capitalistica. Da questo punto 53

Non può, pertanto, essere condivisa la tesi di M. Horkheimer, Eclisse della ragione, cit., p. 32, secondo cui “l’Illuminismo, giunto a un certo punto di sviluppo, tende a trasformarsi in superstizione e paranoia”, secondo cui la crisi etica e politica della società moderna sarebbe il prodotto del processo di “autodistruzione dell’Illuminismo” (M. Horkheimer - T.W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, trad. it., Einaudi, Torino, 1980, p. 5). Un sistema di valori non può, infatti, in se stesso, fondare e legittimare un sistema ad esso opposto. Non è la filosofia illuministica ad essere mutata, ma è la struttura economica della società ad essere transitata nel sistema capitalistico della produzione, determinando, così, l’insorgenza di una sovrastruttura corrispondente, vale a dire l’“Eclisse della ragione”. È, pertanto, la mancata soggezione di tale sistema ai valori dell’Illuminismo la causa della “sua irrazionalità”. 54 Così, P. Bevilacqua, Il grande saccheggio…, cit., p. 24. Vd., altresì, C. Antoni, Storicismo e antistoricismo, Morano, Napoli, 1964, cap. I, p. 33 ss. 55 Così, G. Vidal, Democrazia tradita, trad. it., Fazi, Roma, 2004, p. 90.

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di vista, il passato non ha importanza poiché la produzione è proiettata verso il futuro ed ogni nuova acquisizione relega nella dimensione della inutilità il bagaglio tecnologico pregresso. Non interessa il passato, ma lo svolgimento attuale e futuro. La tecnologia produttiva è costretta a trascendersi “poiché, solo in tal modo, si sollecita la domanda sia mediante la novità che ad essa è connessa, sia tramite la riduzione dei costi delle merci e dei servizi che, di regola, essa comporta. Come messo in luce da Marc Augé, nella attuale società le “macerie non hanno più il tempo di diventare rovine”56. Ciò è causato dal culto contemporaneo per un “presente perpetuo”, che tende a cancellare la storia57, vale a dire, da una cultura tecnologica separata dai propri fondamenti filosofici ed etici, da una cultura tecnologica il cui carattere è di tale natura da “calcinare” il sapere pregresso. Si celebra, così, il trionfo del nietzschiano “nichilismo positivo”, vale a dire, della “volontà di potenza” (Wille zur Macht) intesa come volontà del momento attuale, come volontà liberata dai vincoli dell’esperienza pregressa posta come incausante58. 7. Evoluzionismo classico ed evoluzionismo capitalistico Allo storicismo capitalistico fa da pendant un evoluzionismo ugualmente conformato dalle istanze del sistema economico. Alla filosofia dialettica e, quindi, progressiva della vi56 M. Augé, Rovine e macerie, trad. it., Bollati Boringhieri, Torino, 2004, Prefazione. 57 “The world is weary of the past, / Oh, might it die or rest at last”. Versetti cit. da M. Horkheimer, Eclisse…, cit., p. 43. 58 Vd. D.R. Dufour - P. Berthier, Vers un nouveau nihilisme?, cit., p. 162. Ciò che concorre a spiegare la “montée chez les individus de la violence individuelle et […] ses déchaînements dans l’espace public”. Vd., altresì, D. Lowenthal, No Liberty for License: The Forgotten Logic of the First Amendment, Spence Publishing Company, Dallas, 1997, p. 106: “brutishness is our natural state”.

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cenda umana, propria del cristianesimo illuministico, si è sostituita una progressività che è il frutto della filosofia della “devitalizzazione”59, della “disumanizzazione”60, della “desublimazione”, vale a dire, della riduzione dell’alta cultura a cultura di massa61, donde la sua diffusione in “forma di merce”62. Come rilevato da Marx, “La borghesia non può esistere senza rivoluzionare incessantemente gli strumenti della produzione, quindi i rapporti di produzione, di conseguenza tutto il complesso dei rapporti sociali. Condizione indispensabile d’esistenza di ogni classe [dominante] precedente era, al contrario, la conservazione inalterata dell’antico modo di produzione. Il costante rivoluzionamento della produzione, l’ininterrotto scuotimento di ogni condizione sociale, un’eterna incertezza e un movimento senza fine contraddistinguono l’epoca borghese da tutte le epoche precedenti. Vengono meno tutti i rapporti solidi e irrigiditi col loro seguito di opinioni e concetti rispettati per tradizione, mentre i nuovi invecchiano ancor prima di essersi potuti impiantare. Tutto ciò che era stabilito e rispondente alla situazione sociale svanisce, ogni cosa sacra viene profanata e gli uomini si trovano costretti infine ad osservare senza più illusioni la loro condizione di vita, i loro reciproci rapporti”63; “Change works to dispiace existing beliefs, practices, and expectations […] today change succeeds change” (Il cambiamento induce il decadimento dei valori, delle pratiche e delle aspettative attuali [...] oggi il cambiamento si sussegue al cambiamento”)64. 59

M. Horkheimer, Eclisse…, cit., p. 28. Ivi, p. 29. 61 H. Marcuse, L’uomo a una dimensione, cit., p. 74. 62 Ivi, p. 76. 63 K. Marx - F. Engels, Manifesto del partito comunista, trad. it., Newton Compton, Roma, 1971, p. 52 s. e in Opere complete, VI, Editori Riuniti, Roma, 1973, p. 489. 64 S. Wolin, Managed Democracy…, cit., p. X. 60

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L’assuefazione a questa evolutività induce a pensare alla continuità tra presente e passato, spiega “this deep-seated carelessness” (“questa radicata negligenza”)65 che consente di ritenere che si sia in presenza di una modificazione quantitativa, ma non qualitativa, della società pregressa66, tanto più se si considera che l’ordine nuovo “is not expressly conceptualized as an ideology” (“non è espressamente teorizzato come una ideologia”)67. La progressività, per altro, non è più il prodotto della ragione ma della “emergence of concentrations of economic power” (“emersione delle concentrazioni del potere economico”)68, talché, essa è divenuta “a private enterprise inseparable from exploitation and opportunism” (“una iniziativa privata inseparabile dallo sfruttamento e dall’opportunismo”), vale a dire, dal “major, if not the major, element in the dynamic of capitalism” (maggiore, se non il maggiore, tratto distintivo della dinamica capitalistica”)69. Per questa via, si verifica l’induzione della “désymbolisation des individus” (“desimbolizzazione degli individui”)70, vale a dire, la formazione “d’une nouvelle identité, disons “post-moderne” (“di una nuova identità, diciamo, ‘post-moderna’”)71, di un homme nouveau (“uomo nuovo”) permeato da “un esprit ‘libre’ de toute retenue culturelle” (“uno spirito ‘libero’ da ogni condizionamento culturale”)72, determinato “par rien d’autre 65

Ibidem. Ivi, p. 42: “significant change would then appear as a modest accentuation of previous tendencies, it could gain the protective cover of ‘continuity’ or ‘precedent’”. 67 Ivi, p. X; p. 46: “inverted totalitarianism has emerged imperceptibly, unpremeditatedly, and in seeming unbroken continuity with the nation’s political traditions”. 68 Ivi, p. XI. 69 Ibidem. 70 Vd. D.R. Dufour - P. Berthier, Vers un nouveau nihilisme, cit., p. 168. 71 Ivi, p. 164. 72 Ivi, p. 169. 66

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que des besoins consommatoires toujours élargis” (“solo da bisogni consumistici continuamente elargiti”), per ciò stesso idoneo a “devenir lui-même un nouveau marché en soi” (“divenire egli stesso, intrinsecamente, un nuovo mercato”)73.

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8. La settorializzazione della cultura La progressività propria del sistema capitalistico della produzione induce anche la delegittimazione della teleologia politica che non sia subordinata alle necessità del profitto industriale e finanziario. Questo aspetto è riscontrabile nel processo di settorializzazione della cultura, vale a dire, nell’istanza che priva l’uomo della visione d’insieme, rendendolo, così, più prono a soddisfare le immediate esigenze della accumulazione capitalistica a detrimento delle situazioni future: “La settorializzazione, culturale, economica, sociale che impedisce di considerare gli effetti globali di azioni e interessi particolari non solo rende impotente la politica e condiziona il governo dei problemi complessi, ma espone l’umanità a gravi rischi”74. Ha, così, luogo il paradosso di un sistema economico globalizzato cui fa riscontro la formazione di “culture strumentali di breve periodo, che frammentano la conoscenza e abbassano l’orizzonte della previsione”75, talché, appunto, “la cultura che dovrebbe analizzare e governare una realtà sempre più configurata come globale si è invece ulteriormente settorializzata, divisa, segmentata”76. 73

Ivi, p. 163. Così, P. Bevilacqua, Il grande saccheggio…, cit., p. 28. 75 Ivi, p. 25. 76 Ibidem. 74

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9. Il progressivo impoverimento della società civile Il sistema capitalistico della produzione induce un impoverimento progressivo della società77. Al riguardo, occorre svolgere una valutazione complessiva e tenere conto dei periodi di crisi economica, delle guerre, delle malattie, indotte da tale sistema, della situazione del cosiddetto Terzo Mondo che è ormai parte integrante della base di consumo e della base di produzione del sistema capitalistico78. Si deve, poi, considerare, da un lato, il processo di degrado ecologico dell’ambiente naturale che, ormai, è tale da mettere in pericolo la sopravvivenza dell’uomo; dall’altro, l’esplosione demografica, conseguenza del progressivo allargamento della base di consumo, che, analogamente, rischia di pregiudicare l’avvenire della società umana. Nell’area 77

Ivi, p. 55: “l’incremento costante dei consumi non accresce il benessere delle persone”; p. 183: “Una ricchezza straripante che dilaga dappertutto e la condanna alla marginalità degli uomini e delle donne che la producono. Oceani di beni che dilagano intorno a noi, ma che non servono a darci tempo di vita, non ci liberano dalla precarietà, ci gettano nell’insicurezza, ci spingono a un lavoro crescente, a rapporti umani definitivamente mercificati e privi di senso. Una potenza tecnologica senza precedenti, che non ci libera dalle fatiche quotidiane, ma che ormai si erge come una potenza che minaccia il mondo vivente”. 78 Vd. K. Marx, Salario, in Opere complete, VI, Editori Riuniti, Roma, 1973, p. 438: “Quando si parla della caduta o dell’ascesa del salario non si devono mai perdere di vista tutto il mercato mondiale e la condizione degli operai nei vari paesi”; p. 442: “Quando si parla di aumento del salario va osservato che si deve tener sempre conto del mercato mondiale e che l’aumento del salario è reso vano per il fatto che i lavoratori di altri paesi vengono privati dell’occupazione”; Id., Discorso sulla questione del libero scambio, in Opere complete, cit., p. 479 ss.: “la classe operaia sarà qualche volta più fortunata. Avrà qualche volta più del minimo; ma questo sovrappiù non sarà che la compensazione di ciò che essa avrà in meno del minimo nei periodi di stasi industriale” (p. 480); Id., Miseria della filosofia, ivi, p. 134 ss., “dove l’impoverimento della classe dei produttori viene valutato in riferimento allo scadimento della qualità dei prodotti conseguente al progressivo aumento della produzione”.

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industrializzata, invece, il livello delle nascite ha un andamento decrescente e ciò dipende dal progressivo aumento della produttività del lavoro che non lascia più, all’uomo ed alla donna, il tempo e la disponibilità mentale necessari per dedicarsi ai problemi della famiglia. Tanto meno l’uomo e la donna sono impegnati in problemi familiari, tanto più si accresce la loro produttività. Anche questo degrado del quadro familiare concorre ad evidenziare la misura ed il senso del progressivo impoverimento della società. E, tuttavia, non è soltanto su questo piano che si rivela l’impoverimento suddetto. Il processo di accumulazione e di centralizzazione dei capitali è accompagnato da un aumento in termini assoluti del numero dei produttori impiegati ed anche da un aumento, in termini reali e non soltanto monetari, del saggio del salario: dunque, da un aumento del benessere materiale. Tuttavia, senza considerare che l’accrescimento della retribuzione deve essere contenuto nei limiti imposti dalle esigenze di valorizzazione del capitale, pena la crisi economica, il senso della legge del progressivo impoverimento della società lo si coglie nel rapporto tra il valore prodotto dal lavoro e la sua acquisizione da parte della classe dei capitalisti. Questo rapporto evolve, secondo il processo di accumulazione e di centralizzazione dei capitali, nel senso che è progressivamente crescente la quantità di plusvalore e, quindi, di capitale, che viene destinata ai capitalisti; nel senso che aumenta altrettanto progressivamente la sproporzione tra il potere economico e politico dei capitalisti e quello della base sociale79. La circostanza del miglioramento del benessere materiale, ove effettivamente abbia luogo, non incide minimamente sul 79

Vd., retro, §§ 3 e 4.

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fatto che il capitale di proprietà dei capitalisti sia il risultato del pluslavoro dei produttori, i quali devono ancora accrescerlo se vogliono continuare ad esistere come meri proprietari della sola forza-lavoro. Così come un migliore peculio non modifica la condizione esistenziale dello schiavo, parimenti, una maggiore retribuzione non fa venire meno la condizione, propria del prestatore di lavoro subordinato, di soggetto espropriato del prodotto del proprio lavoro e, dunque, del fondamento materiale della sua libertà.

10. Segue: privatizzazioni e delocalizzazioni Il continuo allargamento della base di produzione e della base di consumo, implicato dal processo della accumulazione progressiva del capitale industriale (e finanziario), ha causato il fenomeno della globalizzazione. Peraltro, il sistema capitalistico della produzione, in questa sua nuova dimensione, reagisce sull’area del Primo Mondo, da cui ha preso le mosse, accrescendone la destrutturazione già indotta in virtù del relativismo etico80. Sul piano sociologico, tale azione è resa manifesta dal fenomeno delle cosiddette privatizzazioni, vale a dire, dalla liquidazione di una delle conquiste più significative della cultura occidentale, consistente nella costituzione del welfare state: “In molti stati occidentali i trasporti pubblici, le poste e le telecomunicazioni sono già stati privatizzati. Una seconda ondata di privatizzazioni si prepara nei confronti delle scuole, delle università, degli ospedali, delle prigioni e presto anche della polizia”81. 80

Vd., infra, capp. III e IV. J. Ziegler, La privatizzazione del mondo, trad. it., il Saggiatore, Milano, 2005, p. 101. Vd., altresì, P. Alston, L’era della globalizzazione…, cit., p. 30, nota 12, richiamando il pensiero di T. Friedman, Le radici del futuro. La sfida 81

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La motivazione di questo momento destrutturante è economica e deriva da due fenomeni strettamente correlati: la capacità dei paesi del Secondo e del Terzo Mondo di produrre le stesse merci del Primo Mondo ad un costo della mano d’opera significativamente più basso; il verificarsi delle delocalizzazioni, vale a dire, del trasferimento delle unità produttive dal Primo Mondo al Secondo ed al Terzo Mondo in ragione della economicità di questi stessi costi. Questa inferiorità deriva, fondamentalmente, dall’assenza, o da una presenza non significativa, dello Stato assistenziale. Le privatizzazioni assolvono, così, una duplice funzione: quella di diminuire i costi dello Stato e, quindi, il costo del lavoro; quella di rallentare, proporzionalmente, le delocalizzazioni. Resta, tuttavia, il problema che il sistema complessivo, invece di procedere ad una elevazione delle condizioni di lavoro vigenti nel Secondo e Terzo Mondo a quelle proprie del Primo Mondo, adotta un percorso inverso, abbassando, proporzionalmente, le condizioni socio-economiche in esso vigenti, procedendo, così, verso un livellamento generalizzato. Uno dei momenti significativi di questo andamento è evidenziato, nel Primo Mondo, dalla prassi dell’aumento, non remunerato, delle ore di lavoro e dalla significativa riduzione della retribuzione per i nuovi assunti: “Dal dopoguerra, la Uaw e gli altri sindacati hanno trasformato la classe operaia in classe media. Ma quel percorso è diventato insostenibile. E temo che non lo si potrà riprendere”82. tra Lexus e l’ulivo: che cos’è la globalizzazione e quanto conta la tradizione, trad. it., Mondadori, Milano, 2001, secondo cui “gli sforzi messi in atto dai paesi dell’Europa occidentale per difendere il welfare, come loro lo intendono sono destinati al fallimento”. 82 Così, Gary Chaison, professore di relazioni industriali della Clark University, in “Il Sole 24 Ore”, 21 novembre 2010, p. 8.

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Si viene, così, transitando da uno Stato garante del benessere sociale, allo Stato garante dell’impoverimento sociale: “Il compito primario dello stato e della sua società civile era usare i propri poteri e stanziare le proprie risorse allo scopo di sradicare fame e povertà e garantire condizioni di sussistenza, protezione dai rischi più gravi e dalle vicissitudini della vita e un’abitazione decente. La libertà dal bisogno era una delle quattro libertà cardinali che […] Roosevelt avrebbe definito fondamentali nella sua visione politica del futuro. Sono discorsi che contrastano con le ben più limitate libertà neoliberiste che il presidente Bush pone al centro della sua retorica politica. L’unico modo per affrontare i nostri problemi, sostiene Bush, è che lo stato smetta di regolamentare l’impresa privata, che si ritiri dal campo dei provvedimenti sociali e che promuova la diffusione universale delle libertà di mercato e dell’etica di mercato”83. Si realizza, così, la “degradazione neoliberista del concetto di libertà ‘a mero patrocinio della libertà d’impresa’”84. Per altro, “Uno Stato che non dà ai suoi cittadini un senso di sicurezza, assicurando loro un minimo di stabilità sociale e di reddito e un avvenire prevedibile, e non garantisce un ordine pubblico conforme alle loro convinzioni morali, è uno stato condannato. […] Uno stato che smantella volontariamente i suoi servizi pubblici più essenziali e trasferisce al settore privato i compiti che rispondono a un interesse collettivo, sottomettendoli così alla legge della massimizzazione del profitto, costituisce […] un failed state, uno ‘stato fallimentare’. […] La privatizzazione dello stato distrugge la libertà dell’uomo e annienta la cittadinanza”85. 83

D. Harvey, Breve storia del neoliberalismo, trad. it., il Saggiatore, Milano, 2007, p. 208. 84 Ibidem. 85 J. Ziegler, La privatizzazione del mondo, cit., p. 101 s.

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11. La corruzione dello Stato Il sistema capitalistico della produzione costringe lo Stato a disporsi in modo da soddisfarne le esigenze, in ciò vi è un ulteriore momento destrutturante delle società del Primo Mondo. Questa influenza fa sì che il vantaggio economico finisca per diventare la finalità primaria che, concretamente, anima i politici: “La politica dei leaders economici, da cui nella fase odierna la società dipende sempre più direttamente, è rivolta con ostinata tenacia al perseguimento di fini egoistici, e quindi forse ancora più cieca alle necessità reali della società di quanto non fossero le tendenze automatiche che un tempo determinavano i movimenti del mercato. L’irrazionalità forgia ancora il destino dell’uomo”86. Come osservato da Herbert Marcuse, “Un nuovo sistema sociale sembra prendere forma: un regime neo o semifascista supportato da larghe assise popolari: […] la crescita della popolazione dipendente, l’alleanza della Mafia con i gruppi di affari legittimi, il contagio della violenza, il razzismo endemico, la concentrazione delle armi di distruzione di massa nelle mani delle autorità costituite, la corruzione che infetta l’insieme del processo democratico”87. Il profitto industriale e finanziario non può non costituire una liaison con la delinquenza organizzata. La distinzione tra l’imprenditoria onesta e quella disonesta non è più tracciata dalla totale diversità dei valori cui rispettivamente dovrebbero 86

M. Horkheimer, Eclisse della ragione, cit., p. 135. H. Marcuse, Un nouvel ordre, in «Le Monde diplomatique», luglio, 1976, p. 1. Vd., inoltre, tra gli altri, J.E. Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori, trad. it., Einaudi, Torino, 2002; M. Hardt - A. Negri, Impero, trad. it., Rizzoli, Milano, 2002; P. Barnard, Usa: il più grande “Stato canaglia”, in «MicroMega», 1, 2004, p. 21 ss. 87

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ispirarsi, ma ha piuttosto un significato soltanto formale: “La criminalità organizzata è il capitalismo aggravato [verschärfter Kapitalismus]”88. L’imprenditoria criminosa ricerca, anch’essa, il profitto e si sviluppa secondo i criteri di efficienza propri dell’imprenditoria normale: “Secondo il ministero degli Interni della Federazione russa, circa 5700 bande mafiose controllano il 70 percento del settore bancario del paese e la maggior parte delle esportazioni di petrolio, di gas naturale, di minerali strategici e di materie prime forestali; in Germania, Italia, Turchia e negli Stati Uniti, la criminalità organizzata sovverte interi settori dell’economia di mercato; in Francia è ogni giorno più potente; le economie nazionali di numerosi paesi dell’Africa nera sono totalmente in preda alla criminalità”89. L’imprenditoria criminosa genera occupazione, per questa via, consenso politico: “La criminalità transnazionale in Europa, dotata di una tecnologia avanzata, è indiscutibilmente inquietante, ma non perché sfidi le istituzioni, la legge, lo Stato; se fosse solo questo, sarebbe sufficiente per domarla il rafforzamento dell’azione repressiva della società democratica, della sua magistratura, delle sue leggi e della sua polizia. In realtà il pericolo mortale della criminalità organizzata è un altro: con la lusinga del guadagno rapido, con la corruzione endemica, la minaccia fisica e il ricatto essa indebolisce la volontà dei cittadini”90, induce, appunto, il consenso politico.

88

J. Ziegler, I signori del crimine. Le nuove mafie europee contro la democrazia, trad. it., Marco Tropea, Milano, 2000, p. 57. 89 Ivi, p. 35. 90 Ivi, p. 33.

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Capitolo II

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Ortodossia e tolleranza

12. Delineazione della tematica “Un fantasma si aggira nel mondo, il nichilismo”91. L’uomo sembra, infatti, avere smarrito la ragione, la sola qualità che lo differenzia dal mondo animale92, la sola qualità capace di essere depositaria di valori universali. Il disordine morale e, quindi, politico, non ha, infatti, altra causa immediata che il soggettivismo, il porsi dell’individualismo come normatività93. Nulla è più letale per l’uomo dell’antiumanesimo di cui il nichilismo è la massima manifestazione. L’antiumanesimo, fatalmente, induce il passaggio all’assolutismo politico e religioso, in quanto unici rimedi per arrestarne la spinta centrifuga, per impedire la disgregazione della società, migliori interpreti dei suoi contenuti.

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Parafrasi del principium del Manifesto del Partito comunista di MarxEngels. 92 Vd. Cicero, De legibus, I, 10: “ratio, quae una praestamus beluis”. 93 Vd. Platone, Leggi, trad. it., Laterza, Roma-Bari, 1987, 732a: “è […] errore in cui tutti credono, credere cioè sapienza la propria ignoranza”. Nella letteratura contemporanea, vd. C. Antoni, Storicismo e antistoricismo, cit., p. 41: “l’individualismo conduce alla relatività di tutti i valori”.

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Il nichilismo contemporaneo, espressione suprema della svalutazione della persona umana, trova la propria giustificazione, oltre che nella logica del profitto94, anche nel multiculturalismo, ugualmente indotto dal sistema capitalistico della produzione, nella connessa pratica della tolleranza. Se non esiste la verità, nessuno può esserne il portatore, tutte le idee sono ugualmente valide, tutte devono essere rispettate. Per intendere questa genesi conviene esaminare il rapporto tra ortodossia e tolleranza, ricercarne i rispettivi fondamenti, le relative implicazioni etiche, filosofiche e politiche.

13. Il significato filosofico della ortodossia Il termine ortodossia (Ñrq» dÒxa, orthodoxia) assume, fondamentalmente, due significati, tra loro correlati, uno filosofico, l’altro politico. Nella prima significazione, fondata essenzialmente sul pensiero greco-romano e sull’Illuminismo, l’ortodossia è sinonima di recta ratio (ragione retta), di una ragione, quindi, che si svolge con modalità, per quanto umanamente possibile, esenti da errori. La ratio è recta, è perfecta95, sulla base di almeno tre criteri. In primo luogo, allorché si svolge alla stregua del principio primo che regola la logica formale, vale a dire: del principio di identità (A è A), da cui derivano, sillogisticamente, il principio di non contraddizione (A non è, al tempo stesso, non-A) e del terzo escluso (tra A e non-A, tra ente e non ente, non si danno posizioni intermedie, tertium non datur). La ratio è, in secondo luogo, recta quando, nel procedere alla 94

Vd., retro, cap. I. Cicero, De finibus bonorum et malorum, lib. III, cap. VII; Seneca, Epistulae morales ad Lucilium, CXXIV, [23]. 95

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interpretazione filosofica dell’esistente, muove dai prima vera (verità prime) e da quest’ultimi deduce (veritates participatae a principio), o induce (veritates latae a principio), le ulteriori verità che, alla stregua del ragionamento inferenziale, si rendono acquisibili. Così, Aristotele, dalla verità, per sé evidente, costituita dalla eteronomia del movimento (omne quod movetur ab alio movetur), induce l’esistenza del primum movens immobile (primo movente immobile). Analogamente, Cartesio prende le mosse dal primum verum costituito dal cogito ergo sum per giungere, anch’egli, ad affermare l’esistenza di Dio. La ratio è, in terzo luogo, recta allorché desume i precetti etici e, quindi, giuridici, che si rendono necessari al governo delle relazioni intersoggettive, dalla coscienza umana, dai prima vera moralia96. Riassuntivamente, la ratio è recta allorquando la sua attività speculativa si basa sui prima vera; la ratio è, dunque, recta quando si conforma al Liber naturae (Libro della natura), comprensivo del Liber conscientiae (Libro della coscienza umana).

14. Il suo significato politico. Il rapporto tra ortodossia e tolleranza Politicamente, l’ortodossia esprime la relazione tra il civis ed il valore preposto al governo della civitas, talché il suo comportamento è ortodosso allorquando ad esso si conforma. L’ortodossia diviene, così, lo strumento per il cui tramite una comunità umana viene raccolta intorno ad un ideale e disposta alla sua conservazione e alla sua realizzazione progressiva. 96

Su cui, vd. A. Donati, Diritto naturale e globalizzazione, Aracne, Roma, 2007, capp. X e XII.

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L’ortodossia presuppone, dunque, un valore avente, con terminologia moderna, valenza costituzionale, rendendo, così, possibile sia il diritto civile che quello penale. In una comunità politica, poiché gli uomini mai realizzano la concordia sulla idealità assunta come ortodossa, si pone il problema del rapporto con le soggettività che sono portatrici di valori ritenuti con essa contrastanti. Tale problema non ammette che due soluzioni, alla stregua di due diverse filosofie della ortodossia: la soppressione delle diversità, ovvero, l’apertura, misurata, nei loro confronti. Nella prima, riscontrabile nei sistemi assolutistici, la tolleranza è senz’altro esclusa. Dal punto di vista della ortodossia, infatti, tutto ciò che non le corrisponde si qualifica come errore, come falsità97, come attività sovversiva. Le correnti di pensiero che ad essa non si conformano vengono sussunte nel concetto di hairesis (a†resij) (eresia) (Codex Iustinianus 1, 4, 5)98. L’eresia, pertanto, da espressione sinonima della libertà di opinione, diviene la denominazione di una libertà che, ponendosi in contrasto con il valore assunto come costituzionale, acquisisce il carattere della illegittimità. Quando, contraddicendo questo assolutismo, l’ortodossia si apre alla tolleranza99, ciò sta a significare che il potere politico non è in grado di eliminare la eterodossia e, per conservarsi, deve attenuare la propria vocazione totalitaria. Come esemplificazioni storiche, si possono ricordare: l’editto sulla tolleranza in favore dei cattolici (Editto di Milano dell’anno 312 d.C.); l’editto sulla tolleranza in favore dei protestanti (Editto di Nantes dell’anno 1598); la Declaration of Indulgence, promulgata, in 97

Tra le fonti disponibili, vd. Codex Iustinianus, lib. I, Titt. V-XI; Pius IX, Syllabus, § X, in Denzinger-S., Enchiridion Symbolorum, 2977-2980. 98 Vd. Isidorus, Etymologiae, VIII, III. 99 Vd. Thomas de Aquino, Summa theologiae, II-II, q. 10, a. 11.

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Gran Bretagna, sia pure con intenti reazionari, dal re Carlo II nel marzo 1672 in favore dei cattolici; le dichiarazioni di tolleranza nei confronti dei culti non cattolici contenute nell’art. 1 dello Statuto albertino e nell’art. 1 dei Patti lateranensi. In questa situazione, la tolleranza assume carattere strumentale rispetto alla conservazione della ortodossia. La tolleranza è soggetta, tuttavia, al limite di non potere mai assurgere al ruolo di delegittimare politicamente l’ortodossia. Quando raggiunga questa dimensione, l’ortodossia ripristina, o cerca di ripristinare, l’intolleranza. Nella seconda filosofia, l’ortodossia è animata dal valore della humanitas, valore che si specifica nel sapere aude e nel neminem laedere. Da questo punto di vista il pensiero umano non si deve irrigidire in una loro attuazione che sia meramente ripetitiva ed invariante, ma deve consentire la possibilità di ulteriori apporti innovativi, onde realizzare il “fine […] di far pervenire tutti i cittadini ad un livello sempre più elevato di moralità, di conoscenza e di benessere” (Constitution de la République française du 4 novembre 1848, Préambule). In questo contesto, lo svolgimento della vicenda umana ha, infatti, natura progressiva e, quindi, dialettica in quanto implica la necessità del trascendimento delle conoscenze già acquisite. In tal senso, si afferma che “Il telos della tolleranza è la verità”100. Ciò, peraltro, non significa che l’apertura verso la diversità possa atteggiarsi come tolleranza verso la licenza, come legittimazione di ciò che, palesemente, contraddice la recta ratio: “Comunque, questa tolleranza […] non può proteggere le parole 100

H. Marcuse, La tolleranza repressiva, in R.P. Wolff - B. Moore jr. - H. Marcuse, Critica della tolleranza4, trad. it., Einaudi, Torino, 1968, p. 86; p. 84: “per trovare la via verso la libertà – è necessaria la tolleranza”.

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false e i fatti sbagliati che […] vanno contro alle possibilità di liberazione”101. La differenza tra queste due filosofie della ortodossia risiede, pertanto, in ciò, che la prima è tanto involutiva, quanto la seconda è progressista.

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15. Tolleranza e pluralismo nell’Ancien Régime L’ortodossia classica, basata, fondamentalmente, sul convincimento dell’esistenza di Dio inteso come LÒgoj (Lógos), vale a dire, come Summa Ratio (perfetta ragione) e sul primato delle virtutes morales et intellectuales (virtù etiche e dianoetiche), viene sostituita dalla opposta ortodossia afferente all’assolutismo cristiano-cattolico (Codex Iustinianus 1, 1-13; 1, 4, 5), è per questa via che si costituirà l’Ancien Régime. Il cambiamento inizia a delinearsi nel II secolo d.C. in ragione di tre concause: la compiuta trasformazione dell’economia agricola in economia latifondista basata sul lavoro degli schiavi, da cui deriva una corrispondente svalutazione del lavoro dell’uomo libero102; il pluralismo culturale, espressione di una società cosmopolita, di una società multirazziale che ha raggiunto l’unità politica ma non quella morale; lo scetticismo, prodotto specifico di questo stesso pluralismo. Il pluralismo, connesso allo scetticismo, viene trasceso dalla religiosità cristiana, da questa “revolt against ‘reason’” (“rivolta contro la ‘ragione’”)103, che diviene, così, la sovrastruttura ideo101

Ivi, p. 84. Vd. V.I. Kuziscin, La grande proprietà agraria nell’Italia romana, trad. it., Editori Riuniti, Roma, 1984. 103 Così, sul piano ricostruttivo, C.N. Cochrane, Christianity and Classical Culture. A Study of Thought and Action from Augustus to Augustine, Liberty Fund, Indianapolis, 2003, p. 442; vd. anche p. 244 ss. 102

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logica del dominato latifondista ed imperiale, secondo la delineazione contenuta nel Codex Iustinianus. L’Ancien Régime, punto di approdo di tale trasformazione, è il sistema in cui l’assolutismo politico e religioso trovano, nella storia dell’Occidente, in ragione della loro connessione protrattasi per circa un millennio e mezzo104, la massima espressione. L’Ancien Régime è, tuttavia, caratterizzato da forme di tolleranza (rectius, da forme attenuate di intolleranza), fondamentalmente, verso gli ebrei, verso i protestanti, verso i borghesi. Esso, inoltre, è ontologicamente connotato da uno specifico pluralismo di natura istituzionale. La società feudale è suddivisa in una molteplicità di componenti sociali, ognuna delle quali dotata di un proprio statuto giuridico. Lo status è la categoria che rende intelligibile questo pluralismo: status di feudatario, di nobile, di ecclesiastico, di mercante, di servo della gleba, etc. Al vertice, come momento unificante, il sovrano: “In cima alla società l’‘État c’est moi’ di Luigi XIV, e la società stessa era organizzata in associazioni legali, clero, nobiltà, maestranze, corporazioni, che pretendevano proteggere l’individuo e riuscivano invece a schiacciare ogni iniziativa”105. Lo status è, dunque, lo strumento attraverso il quale il pluralismo d’Ancien Régime si esprime giuridicamente e politicamente. Gli status si dispongono gerarchicamente (servi della gleba, proletariato urbano, borghesia, nobiltà, clero, sovrano), dando, così, luogo ad una società suddivisa in classi.

104 I momenti di emancipazione da tale sistema sono, infatti, costituiti, da un lato, dalla “gloriosa rivoluzione” inglese del 1688, dall’altro, dalla Révolution française del 1789. 105 Così, F. De Sanctis, La letteratura italiana nel secolo XIX, 2. La scuola democratica, in Opere, Riccardo Ricciardi, Milano-Napoli, 1961, p. 1116.

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Assolutismo, disuguaglianza, pluralismo istituzionale, intolleranza significata, nelle sue manifestazioni più elevate, dall’azione della Sancta Romana et Universalis Inquisitio e dalla redazione dell’Index librorum prohibitorum, sono caratteristiche fondamentali della società d’Ancien Régime. Esse rinvengono nel primato della religiosità cattolica il loro momento unificante.

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16. Il cristianesimo illuministico Storicamente, la società transita dall’Ancien Régime alla democrazia illuministica moderna. Tra i momenti fondanti questo passaggio, assume particolare rilievo il processo di razionalizzazione cui, nei secoli XVII e XVIII, va incontro il cristianesimo, reso possibile, da un lato, dal principio, introdotto dal protestantesimo, espresso dalla formula sola scriptura, che ne segna l’emancipazione dal dogmatismo del magistero romano; dall’altro, dalla generale tendenza a rifondare la cultura sulle verità di ragione. La lettura illuministica costituisce un notevole tentativo volto a rendere il cristianesimo compatibile con la filosofia dell’umanesimo informata al primato della recta ratio. Nel contesto di tale lettura, l’essere umano diviene il destinatario e, quindi, l’interprete del testo sacro, ciò che induce lo spostamento della sovranità religiosa dal vertice cattolico alla base protestante. La religiosità si democratizza. Poiché là dove risiede il potere religioso, risiede anche quello politico, la democratizzazione della religiosità si pone come prodromica della democratizzazione politica. Il cristianesimo cessa di essere la fonte di legittimazione dell’assolutismo politico, delle potestates sublimiores, vale a dire, della nobiltà ecclesiastica e laica, concorrendo a divenirne, anzi, la fonte di delegittimazione. 60

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Al protagonismo religioso della base si associa anche quello economico, reso evidente dalla progressiva instaurazione dell’economia di mercato. Dal primato economico dei feudatari si passa, così, al primato della borghesia106. Lo spessore etico di questa rivoluzione può essere sintetizzato richiamando la relativizzazione della charitas neotestamentaria107 cui esso dà luogo, la corrispondente rivalutazione del ruolo del Decalogo, il convincimento circa la concordanza tra “le immutabili obbligazioni della religione naturale e la verità e la certezza della rivelazione cristiana”108. Al riguardo, viene in considerazione il pensiero di H. Grotius109, di R. Williams110, 106 Vd., al riguardo, M. Weber, L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, Sansoni, Firenze, 1977. 107 Sul cui significato, vd., riassuntivamente, Ambrogio, De officiis, trad. it., Città Nuova, Roma, 1991, I, XXVIII. 28, § 131, p. 103: “Noi […] escludiamo proprio quello che i filosofi considerano il primo compito della giustizia. Essi dicono, infatti, che la prima norma della giustizia sia di non nuocere a nessuno se non provocati da un’offesa; orbene questa norma è annullata dall’autorità del Vangelo che esige in noi lo spirito del Figlio dell’uomo, venuto a comunicare la grazia, non a recare offesa”. Questa opera di Ambrogio è volutamente antitetica al De officiis di Cicerone. 108 Così, S. Clarke, Other Writings, VII, in Id., A Demonstration of the Being and Attributes of God, Cambridge University Press, Cambridge, 1998, p. 147. Vd., anche, J. Butler, L’analogia della religione naturale e rivelata con la costituzione e il corso della natura, 1736, trad. it., Sansoni, Firenze, 1970. 109 H. Grotius, Della vera religione cristiana, trad. it., Laterza, Roma-Bari, 1973. Sulla problematica, vd. anche Id., De jure belli ac pacis Libri tres, Amstelaedami, Amsterdam, 1720, I, CII, §§ V-X. 110 R. Williams, La sanguinaria dottrina della persecuzione per causa di coscienza, trad. it., in S. Ferlito, Separazione fra Stato e Chiesa e libertà religiosa nel pensiero di Roger Williams, Giappichelli, Torino, 1994; Id., Modello di potere ecclesiastico e civile redatto dal Signor Cotton e dai ministri del New England ed inviato alla Chiesa di Salem (come ulteriore conferma della sanguinaria dottrina della persecuzione per causa di coscienza) esaminato e ribattuto.

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di W. Blackstone111, di R. Hooker112, di P. Bayle113, di J. Locke114, il pensiero espresso nei Political Sermons (“Prediche Politiche”), fondativi del costituzionalismo statunitense115. Questo contesto presenta, fondamentalmente, due orientamenti. Alla stregua del primo, si assume che la Rivelazione ha avuto solo il compito di suffragare ulteriormente i precetti di diritto naturale116; “la Rivelazione non è stata data agli uomini per insegnare loro […] tutto ciò che essi devono sapere: essa, al contrario, presuppone alcune conoscenze acquisite […] con il solo ausilio della ragione (‘par les lumières seules de la Raison’)”117. Donde deriva che non c’è contraddizione tra la legge naturale e la Rivelazione118, donde deriva, anzi, “la conformità dei doveri, che la retta ragione ci insegna, con le massime del Vangelo”, “la conformità della morale cristiana con i principî 111

Cit., infra, nella nota 26, p. 62. R. Hooker, Of the Laws of Ecclesiastical Polity, in The Works, VII Ed., Oxford, 1888. 113 P. Bayle, Commentaire philosophique sur ces paroles de Jesus-Christ, Contrain-les d’entrer; où l’on prouve, par plusieurs raisons démonstratives, qu’il n’y a rien de plus abominable que de faire des conversions par la contrainte: et où l’on réfute tous les sophismes des convertisseurs à contrainte, et l’apologie que St. Augustin a faite des persécutions. 114 J. Locke, La ragionevolezza del cristianesimo, trad. it., La Nuova Italia, Firenze, 1976; Id., Lettera sulla tolleranza, trad. it., La Nuova Italia, Firenze, 1978. Nel quadro del cristianesimo illuministico, si inserisce anche il movimento dei sociniani. Sul punto, vd. F. De Michelis Pintacuda, Diritti umani e protestantesimo nell’Europa moderna, in «Protestantesimo», vol. 60, 4, 2005, p. 327 s. 115 Vd. E. Sandoz, Political Sermons of the American Founding Era, 17301805, voll. I e II, Liberty Fund, Indianapolis, 1991. 116 Così, S. Clarke, A Demonstration…, cit., Sect. XII, p. 91 s. Vd., altresì, W. Blackstone, Commentaries on the Laws of England, Kessinger Publishing, Oxford, 1765, vol. I, Introduction, Sect. II, p. 40. 117 J. de Barbeyrac, Préface, a S. de Pufendorf, Le Droit de la Nature et des Gens, trad. franc., Basle, 1750, Tom. I, § XXXII, p. 91. 118 W. Blackstone, op. cit., p. 40 s. 112

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più elevati del buon senso (‘avec les lumières les plus pures du Bon-Sens’)”119. Ciò sta a significare che la legge naturale partecipa della propria razionalità la Rivelazione o, se si preferisce, che la razionalità divina si esprime in maniera uniforme nei due contesti. Per questa via, la Rivelazione acquisisce una configurazione prevalentemente illuministica, in netto contrasto con tutta la tradizione anteriore. Non è la fede ad ordinare la filosofia, ma è quest’ultima, secondo i contenuti che essa acquisisce nel contesto illuministico, a conformare (make up) la Rivelazione: “La Scrittura non ci prescrive di abbandonare, di distruggere la nostra ragione, ma di esercitarla imparzialmente, senza timore, ma con prudenza […] La ragione è la nostra gloria – la nostra guida – il nostro carattere più distintivo (‘our distinguishing excellence’)”120. Alla stregua del secondo orientamento, mera specificazione del primo, assume rilievo il rapporto, non tra la legge naturale e la Rivelazione, ma tra il Decalogo (corrispondente, nei contenuti, alla legge naturale) ed il Nuovo Testamento. Il principio ispiratore di questo ulteriore movimento può essere ritenuto il seguente: Christus non est novus legislator (Cristo non è un nuovo legislatore)121. Con ciò si vuol dire che la 119

J. de Barbeyrac, loc. ult. cit. Vd. anche § VIII, p. 21: “Jesus-Christ […] donna […] des Règles générales, mais parfaites, entièrement conformes à la Raison, et aux véritables intérêts du Genre Humain. Donde la condanna, tra l’altro, di coloro “qui étant audacieux et insolens, ne craignoient pas parler mal des Dignités; qui tenant des discours pleins de vanité et de folie, attiroient par les cupidités de la chair, et par les impudicités […] en un mot, qui changeoient la grâce de nôtre Dieu en dissolution”. 120 Così, G. Turnbull, The Principles of Moral and Christian Philosophy, Liberty Fund, Indianapolis, 2005, vol. II, Originals contents, Sect. II, p. 483; vd. anche Preface, p. 472 s. 121 Così, J.G. Heineccius, Praelectiones Academicae in Hugonis Grotii De jure belli, et pacis Libros tres, Roboreti, 1746, lib. II, cap. I, § 13, p. 223.

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charitas, il valore primario del cristianesimo, è di consiglio e non di precetto (at non in praecepto positum)122; “questa pazienza non è obbligatoria; nel Vangelo, infatti, ci viene comandato di amare il prossimo come noi stessi, non più di noi stessi (‘non prae nobis ipsis’)”123. Da questa premessa segue che il cristiano non deve né perdonare le violazioni del diritto naturale di cui sia stato vittima, né condonare la pena al reo che si sia pentito. In entrambe le ipotesi, la motivazione è la stessa: diversamente operando, si incoraggia il male124 e si contraddice l’imperatività del Decalogo. La relativizzazione della charitas consente di porre i precetti della seconda tavola del Decalogo (“Onora tuo padre e tua madre”; “Non uccidere”, etc.) come i valori cogenti, ordinanti le relazioni intersoggettive socialmente rilevanti. Il rilievo politico attribuito al Decalogo; lo spostamento della sovranità religiosa dal vertice cattolico alla base; l’unificazione della civitas Dei e della civitas hominis resa possibile dall’affermazione secondo cui “la Chiesa e lo Stato cristiano sono […] una sola cosa”125; il primato attribuito al lavoro tramite la vocatio (Beruf, calling)126 e la conseguente delegittimazione della rendita parassitaria feudale; costituiscono le basi del rinnovamento etico, economico e politico della società. Questo patrimonio di

122

Vd. H. Grotius, De jure belli ac pacis…, cit., lib. I, cap. II, IX.4. Ivi, lib. I, cap. III, § III.3. 124 In relazione alla prima ipotesi, vd. Barbeyrac, nella sua traduzione francese dell’opera di Grozio, Le Droit de la Guerre et de la Paix, Tom. I, Basle, 1746, nota 19, a liv. I, chap. II, § IX.4, p. 98; in relazione alla seconda, vd. H. Grotius, ivi, lib. II, cap. XX, § XI.2. 125 T. Hobbes, De cive, cap. XVII, § 28, in Opera philosophica omnia, vol. II, Londini, 1841. Sec. repr. Scientia Verlag Aalen, 1966, p. 413. 126 Su cui, vd. A. Donati, La concezione della giustizia…, cit., § 55. 123

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valori transita, poi, nell’Illuminismo127 dove viene rielaborato sulla base di una teologia naturale (theologia naturalis)128, in quanto tale, capace di trascendere i particolarismi e le endemiche conflittualità religiose129.

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127

Sul rapporto di consonanza tra la Riforma e l’Illuminismo, vd. ivi, titolo II, p. 129 ss. 128 Espressa da H. Grotius, De jure belli ac pacis…, cit., lib. II, cap. XX, § XLV.1, nei seguenti termini: “esiste un solo Dio (Deum esse, et esse unum); Dio non è nulla di ciò che si vede, ma qualche cosa di più elevato (Deum nihil esse eorum quae videntur, sed his aliquid sublimius); Dio prende cura delle cose umane e ne giudica molto giustamente (a Deo curari res humanas, et aequissimis arbitriis dijudicari); questo stesso Dio è il creatore di tutto ciò che è fuori di lui (eundem Deum opificem esse rerum omnium extra se)”. Come ulteriori fonti del deismo illuministico, vd. Constitution of Pensylvania, 1776, Preambolo, dove si fa riferimento all’“autore del creato” (Author of existence), al “grande Governatore dell’universo” (the great Governor of the universe); Constitution of Connecticut, 1776, Preambolo, dove si richiama la “provvidenza di Dio” (providence of God); Constitution of Massachusetts, 1780, art. II, dove si fa riferimento all’“Essere Supremo, il grande Creatore e Preservatore dell’universo” (the Supreme Being, the great Creator and Preserver of the universe); Préambule della Déclaration des droits de l’homme et du citoyen del 1789: “en présence et sous les auspices de l’Être suprême”. 129 Al cristianesimo illuministico si oppone il cristianesimo volontaristico, anch’esso svincolato dal magistero romano, ma volto a riproporre la consueta dottrina della disuguaglianza degli uomini e dell’assolutismo politico. Viene, per questa via, in considerazione il cristianesimo di Hobbes, di Pufendorf, di Wolfius, di Heineccius. Nel successivo svolgimento, il riferimento al cristianesimo è, invece, implicito. Così avviene nella filosofia di Kant (vd. Critica della ragion pura, trad. it., Laterza, Roma-Bari, 1977, Prefazione alla seconda edizione, p. 28: “ho dovuto sopprimere il sapere per sostituirvi la fede”), in quella di Hegel, come, con specifico riferimento a quest’ultimo, messo in rilievo da Benedetto Croce (Perché non possiamo non dirci “cristiani”, in Discorsi di varia filosofia, Laterza, Bari, 1945, p. 11 ss. Vd., altresì, G. de Ruggiero, Hegel, Laterza, Roma-Bari, 1975, p. 33 ss.).

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17. L’ortodossia illuministica: uguaglianza e libertà La democrazia moderna, riscontrabile, essenzialmente, con riguardo al Regno Unito, nel Bill of Rights (An act declaring the Rights and Liberties of the Subject, and settling the Succession of the Crown) del 1688130, nelle Constitutions nordamericane correlate alla Constitution of the United States (1787) ed ai relativi Amendments (1789), con riguardo all’Europa continentale, nella Déclaration des Droits de l’Homme et du Citoyen del 1789, trova il proprio fondamento nella filosofia illuministica, il cui assioma primario si risolve nell’affermazione secondo cui tutti gli esseri umani sono portatori di diritti innati, inherent rights, in quanto tali, inviolabili, indisponibili, inespropriabili, imprescrittibili: “Tutti gli uomini sono da natura egualmente liberi e indipendenti, e hanno alcuni diritti innati, di cui, entrando nello stato di società, non possono, mediante convenzione, privare o spogliare la loro posterità; cioè, il godimento della vita, della libertà, mediante l’acquisto ed il possesso della proprietà, e il perseguire e ottenere felicità e sicurezza” (Virginia Declaration of rights, 12 june 1776, art. 1). Gli inherent rights si impongono anche allo Stato che, per avere natura strumentale nei loro riguardi, si qualifica come Stato garante. Due sono i valori, di rango costituzionale, che rendono intelligibile questa democrazia: da un lato, l’uguaglianza, dall’altro, la libertà. Sotto il primo profilo, poiché tutti gli uomini sono depositari 130 Vd. P.S. James, Introduction to English Law20, Butterworths, London, 1989, p. 118: “The statement that our constitution is not ‘written’ does not mean that we possess no important constitutional documents; it merely means that the constitution is not embodied in any single document, or series of documents, containing our essential constitutional laws”.

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degli stessi inherent rights, essi sono anche uguali, nessuno potendo rivendicare a sé una posizione giuridica diversa da quella afferente a tutti gli altri. Il principio di uguaglianza induce la generalità e l’astrattezza delle norme giuridiche, ovvero, nei sistemi di common law, il ricorso all’equità, talché i casi analoghi a quelli precedentemente decisi devono ricevere la stessa disciplina, ciò che è reso dal canone della vincolatività del precedente giudiziale (doctrine of precedent)131. Il principio di uguaglianza delegittima la cultura degli status, alla cui stregua gli esseri umani erano, sin dalla nascita, legati ad uno specifico ruolo sociale (status), per stare agli estremi, quello di servi della gleba, ovvero, di nobili. La nuova società è, anch’essa, connotata dal pluralismo, non esistendo contesti sociali che ne possano prescindere, ma trattasi di un pluralismo che non emerge a livello costituzionale, di un pluralismo insuscettibile, pertanto, di esprimersi nei termini degli status. L’uguale libertà degli esseri umani rende inammissibile il privilegium. Il principio secondo cui “Le leggi si fanno non per le singole persone, ma per la generalità” (Dig. 1, 3, 8), torna a riproporsi con una valenza costituzionale. Questa democrazia si pone come ortodossia, talché sono considerate come contrarie all’ordine pubblico le componenti che si richiamano a valori opposti. Il valore della libertà rende improponibile, almeno in linea di principio, la tematica della tolleranza. La libertà di coscienza e di opinione, esplicabili entro i limiti dell’ordine pubblico illuministico, costituiscono un diritto innato, in quanto tale insussumibile nella sua logica. 131

Per una trattazione più approfondita, vd. A. Donati, Rule of Law Common Law. Lineamenti, Giuffrè, Milano, 2010, parte I.

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Capitolo III

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Dalla ortodossia illuministica alla ortodossia capitalistica

18. L’introduzione del pluralismo culturale L’evoluzione dell’economia di mercato nel sistema capitalistico della produzione ha indotto una svolta volontaristica della società umana, evidenziata dalla tendenziale degenerazione dei costumi (oltre che dal dissesto ecologico e demografico planetario). Tale sistema ha determinato una sostituzione dei valori etici tradizionali espressi dal cristianesimo illuministico132. Esso ha anche modificato l’etica che presiedeva ai rapporti tra gli stessi imprenditori, in questo senso, ha modificato l’etica preposta alla produzione del profitto. Si è determinato, infatti, il passaggio 132

Sui risultati di tale sostituzione, vd. anche E. Betti, Problemi proposti dallo sviluppo del capitalismo e della tecnica di guerra, in Studi in onore di Antonio Cicu, II, Giuffrè, Milano, 1951, p. 591 ss.: “Nell’orbita dell’apparato tecnico collettivo è abolita, in sostanza, la distinzione netta fra persona e cosa: persone e cose sono entrambe elementi costitutivi di quell’apparato, dominate del pari dal suo automatismo, gravate di funzioni che risultano fra loro complementari. Così la persona viene tendenzialmente degradata al ruolo di cosa or più or meno fungibile […] viene trattata come un articolo di commercio, che ha un prezzo di mercato e che può essere contrattato, prestato, trasferito da un’azienda ad un’altra, come un pezzo di ricambio che può essere applicato ad ogni macchinario di un dato tipo, senza essere organicamente legato ad alcuno”.

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dalla old economy ad una new economy, ad “un nuovo clima commerciale e finanziario nel quale i parametri più morali e le relative procedure, che erano considerati eticamente dubbi nella vecchia economia, vengono considerati ‘normali’”133. Questa rivoluzione si incardina sul primato del profitto. Esso è divenuto, infatti, il valore fondamentale della società, il fine ultimo delle azioni umane, ciò che, sul piano filosofico ed etico, si traduce nel primato del nichilismo. La logica del profitto induce la logica del consumismo e tutto quanto contraddice questo sistema si pone in un rapporto di contrarietà con l’ordine pubblico capitalistico. L’immoralità, in quanto fonte di consumismo, in quanto, più semplicemente, non contrastante con esso, diventa parte integrante e costitutiva di quest’ordine134. Ciò che può essere ulteriormente espresso rilevando come si sia transitati da un umanesimo in cui la volontà è soggetta alla ragione, ad un umanesimo in cui il rapporto tra questi due termini è invertito135; in cui, dunque, ha luogo la “revolt against ‘reason’” (“rivolta contro la ‘ragione’”)136. È, così, fondato il pluralismo etico. Esso viene integrato da 133 Così, H.J. Blommestein, Etica nel nuovo mondo mirabile, in «Il Regno»,

1 luglio 2001, n. 884, p. 458; Ibidem: “Ora il riciclaggio di denaro sporco e la corruzione hanno assunto dimensioni mondiali e si servono della tecnologia più avanzata”. Vd., altresì, J. Useem, New Ethics or No Ethics?, in «Fortune», 20 marzo 2000, relativamente alla Internet economy. 134 Vd., tra gli altri, T.W. Adorno, Minima moralia. Meditazioni della vita offesa, trad. it., Einaudi, Torino, 1979, p. I, § 14, Le bourgeois revenant, p. 28 s.: “Tutto ciò che vi poteva essere, un tempo, di buono e di onorevole nel carattere borghese, lo spirito di indipendenza, la tenacia dei propositi, la capacità di previsione, l’avvedutezza del comportamento, è guasto e corrotto fino alle midolla […] I borghesi sopravvivono a se stessi come spettri annunciatori di sventura”. 135 Vd. R. Song, Christianity and Liberal Society, Oxford University Press, Oxford, 2006, p. 217. 136 Vd. il luogo cit., retro, nella nota 13, p. 58.

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quello indotto dalle componenti razziali richiamate nei contesti nazionali dallo sviluppo dell’economia di mercato. Ed infatti, annullato il primato dell’etica cristiano-illuministica tradizionale, venuta meno la tendenziale omogeneità morale della società, le soggettività culturali ed etiche manifestate dalle componenti aliene, lungi dall’integrarsi, si corporativizzano137, assurgono, anch’esse, al ruolo di co-protagoniste, di parti costitutive, della nuova fisionomia sociale. Trova, così, compiuta spiegazione il transito dalla visione espressa dall’E Pluribus Unum (“out of many, one”), “written on the dollar” (“scritta sul dollaro”), da questo concetto che sintetizza il processo storico che ha consentito di trascendere i particolarismi rinvenendo valori comuni, diretto, pertanto, “to find unity or unifying principles and laws that would help make sense in our extremely diverse world” (“a rinvenire l’unità, ovvero, principi e leggi unificanti, capaci di dare un senso nel nostro mondo estremamente diversificato”), si passa all’opposta visione resa dall’E Unum Pluribus [Ex Uno Plures] (“out of one, many”), alla cui stregua “some members of a single community or a few communities […] started to go their separate ways and in this process acquiring traits, both physical and cultural, that made these spreading communities as well as their members quite different from each other” (“alcuni membri di una determinata comunità o alcune comunità [...] hanno iniziato ad intraprendere percorsi separati, acquisendo, in questo processo, tratti, al tempo stesso, fisici e culturali, che rendono queste stesse comunità in continuo ampliamento, come le loro parti costitutive, straniere le une alle altre”)138. 137 Sotto il profilo religioso, vd. M. Ambrosini, Gli immigrati e la religione: fattore d’integrazione o alterità irriducibile?, in «Annali de Il Regno», Supplemento a «Il Regno», n. 22, 15 dicembre 2005, p. 69 ss. 138 Su quanto esposto, vd. R. Müllerson, From E Unum Pluribus to E Pluribus Unum in the Journey from an African Village to a Global Village?, in S.

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La diversificazione delle componenti che a vario titolo concorrono a mantenere e ad incrementare la produzione capitalistica, la loro conseguente legittimazione giuridica, hanno indotto il tramonto della homogeneity (“omogeneità”) e l’attestazione, a livello ordinamentale139, della heterogeneity (“eterogeneità”)140, talché la società civile non è più “una comunità nazionale di persone che […] [condividono] una cultura comune, una storia comune e un credo comune, ma un conglomerato di razze, etnie, e culture subnazionali, in cui gli individui […] [vengono] definiti dall’appartenenza a un gruppo, e non dalla nazionalità comune”141.

Yee e J.-Y. Morin (a cura di), Multiculturalism and International Law, Martinus Nijhoff Publishers, Leiden-Boston, 2009, p. 35 ss. 139 Sul piano giuridico, nella letteratura italiana, vd. P. Grossi, Pagina introduttiva (ancora sulle fonti del diritto), in «Quaderni fiorentini», 29, 2000, in particolare, p. 5 ss.; Id., Oltre le mitologie giuridiche della modernità, ivi, p. 217 ss.; Id., Globalizzazione e pluralismo giuridico, ivi, p. 551 ss. Sul piano descrittivo, vd. J. Habermas, Legittimazione tramite diritti umani, in L’inclusione dell’altro. Studi di teoria politica, trad. it., Feltrinelli, Milano, 1998, p. 222: “donne, ebrei, zingari, omosessuali e profughi politici furono riconosciuti come ‘persone’ [Menschen] – aventi diritto a effettiva ‘parità di trattamento’”. Questo concetto va inteso nel senso della attribuzione del diritto allo status. 140 R.A. MacDonald, The Design of Constitutions to Accommodate Linguistic, Cultural and Ethnic Diversity, in K. Kulcsar - D. Szabo (a cura di), Dual Images: Multiculturalism on two Sides of the Atlantic, Royal Society of Canada-Hungarian Academy of the Sciences, Budapest, 1996, p. 52; p. 53: “the design of constitutions to recognize linguistic, cultural and ethnic diversity means the design of constitutions that recognize the plurality of constitutionalism in modern polyethnic states. Paradoxically, the constitution that best recognizes and accommodates all types of diversity is that which denies its own power to define the scope of that recognition and accommodation”. 141 S.P. Huntington, La nuova America, trad. it., Garzanti, Milano, 2005, p. 169.

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La nazione, dunque, basata sulla identità razziale e culturale, si è trasformata in una “nazione di nazionalità”142, in un “mixing of diverse peoples” (“miscuglio di popoli differenti”)143. È così fondato il pluralismo culturale, politico e giuridico, cui si deve l’insorgenza di quel “formidable […] problem of moral disagreement” (“terribile [...] problema del dissenso morale”)144 che caratterizza la società attuale. Questo processo può essere sintetizzato affermando che ha avuto luogo il transito dagli human rights (“diritti umani”) agli individual rights (“diritti individuali”)145, dalla Rational Liberty (“libertà fondata sulla ragione”)146, dalla Freedom of Speech (“libertà di parola”) alla Freedom of Expression (“libertà di espressione”) 147, dalla Happiness fondata sul rigorismo etico, alla Happiness (“felicità”) intesa come valore edonistico. 142

Ivi, p. 170. R. Hardin, Liberalism, Constitutionalism and Democracy, Oxford University Press, Oxford, 2003, p. 176. 144 A. Gutmann - D. Thompson, Democracy and Disagreement, The Belknap Press of Harvard University Press, 1996, p. 1: “Of the challenges that American democracy faces today, none is more formidable than the problem of moral disagreement. Neither the theory nor the practice of democratic politics has so far found an adequate way to cope with conflicts about fundamental values”. 145 E.J. Erler, The First Amendment and the Theology of Republican Government, in «Interpretation», vol. 27, n. 3, 2000, p. 253: “the modern court has pushed free exercise rights too far in the direction of individual rights”. Pertanto, questa espressione non viene impiegata come sinonimo degli “individual rights referred to […] the sanctity of the person and the rights of property” (per questa espressione, vd. B. Schwartz, A Commentary on the Constitution of The United States, p. III, vol. I, New York-London, 1968, p. 170), bensì, come sinonima del diritto allo status. 146 «The Federalist», n. 53, nella citata edizione curata dalla Cambridge University Press, Cambridge, 2003, p. 260. 147 E.J. Erler, op. cit., p. 247: “the court […] prefers to interpret the first amendment as if it protected “freedom of expression” rather than freedom of speech. Included within freedom of expression are flag burning, nude dancing, reproachful silence, and a host of other non speech activities”. 143

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Per questa via, il Primo Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, relativo alla libertà di parola148, è stato piegato ad indurre il passaggio dalla “Liberty” (“Libertà”) alla “License” (“Licenza”)149, trasformandosi, così, da “baluardo della democrazia” nella “causa prima (prime agent) della sua distruzione”150.

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19. Pluralismo e relativizzazione del principio di uguaglianza. Dal “decostruttivismo” sociale al “Group constitutionalism” La diversificazione delle componenti che a vario titolo concorrono a mantenere e ad incrementare la produzione capitalistica, la loro legittimazione giuridica, inducono, come già si è accennato, un significativo mutamento nella cultura e nella prassi costituzionali. Il costituzionalismo illuministico è, come si è detto151, sotto il profilo che si viene trattando, informato al principio di uguaglianza, vale a dire, al principio della homogeneity significata dalla invarianza degli inherent rights e da quella dell’etica cristiano-illuministica. Il passaggio da tale principio al pluralismo, avviene, in un primo momento, attraverso la prassi e la teorizzazione del “decostruttivismo” sociale: 148

Che, così, dispone: “Congress shall make no law respecting an establishment of religion, or prohibiting the free exercise thereof; or abridging the freedom of speech, or of the press; or the right of the people peaceably to assemble, and to petition the government for a redress of grievances”. 149 Così, L. Strauss, in E.J. Erler, op. cit., p. 231. 150 Così, D. Lowenthal, No Liberty for License: The Forgotten Logic of the First Amendment, Spence Publishing Company, Dallas, 1997, p. XV, cit. da E.J. Erler, The First Amendment and the Theology of Republican Government, in «Interpretation», vol. 27, n. 3, 2000, p. 231. 151 Vd., retro, § 6.

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“I decostruzionisti promossero dei programmi finalizzati a rafforzare lo status e l’influenza dei gruppi subnazionali, razziali, etnici e culturali. Invitarono gli immigrati a mantenere la cultura del paese d’origine, garantirono loro dei privilegi legali negati agli stessi americani, e denunciarono l’idea dell’americanizzazione, in quanto “non-americana”. Propugnarono la riscrittura dei libri di storia, in modo da fare riferimento ai “popoli” degli Stati Uniti, anziché al popolo unitario di cui parla la Costituzione [WE The People]. Chiesero a gran voce l’integrazione o la sostituzione della storia nazionale con la storia dei gruppi subnazionali. Relegarono in secondo piano la centralità dell’inglese nella vita americana e promossero l’educazione bilingue e l’eterogeneità linguistica. Rivendicarono il primato giuridico dei diritti e delle preferenze razziali dei diversi gruppi, sui diritti individuali [inherent rights] posti al centro del credo americano. Giustificavano le loro azioni con le teorie del multiculturalismo e con l’idea che l’eterogeneità, anziché la comunità o l’unità, dovesse essere il valore predominante dell’America. L’effetto combinato di questi sforzi fu quello di promuovere la decostruzione dell’identità americana che si era gradualmente creata nell’arco di tre secoli, e l’ascesa delle identità subnazionali”152. Si è, così, transitati alla prassi del “Group constitutionalism”153, della “Group democracy”154, del “Liberal pluralism”, ovvero, del “pluralismo costituzionale”155. Il pluralismo, in quanto, incentrato sulle diversità culturali, 152

S.P. Huntington, La nuova America, cit., p. 170. R. Hardin, Liberalism…, cit., p. 303. 154 Ivi, p. 305; R.P. Wolff, Al di là della tolleranza, cit., p. 23 ss.: “Il governo ha di fronte a sé non una massa di cittadini privati indistinguibili e privi di potere, ma un sistema articolato di gruppi organizzati. Rapporto diretto, efficacia, potere, e quindi partecipazione democratica, sono garantiti al singolo individuo all’interno delle associazioni economiche, religiose o etniche di cui fa parte”. 155 Vd. anche ivi §§ 26 e 27. 153

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induce il trattamento giuridico differenziato, delegittimando, quindi, “il principio universale secondo cui i casi uguali (like cases) devono essere trattati in modo uguale”156; esso è, dunque, anti-universalist, talché, “la visione che il gruppo ha dei diritti dei propri membri, non ha una valenza universale (cannot be judged universalistically) […] Donde deriva che i gruppi devono essere autorizzati (must be allowed) a determinare autonomamente i propri diritti”157. Il fenomeno dell’“associazionismo”158, espressione del transito dall’homme abstrait (“essere umano astrattamente considerato”) all’homme situé (“essere umano situato”), concorre significativamente a realizzare, progressivamente, il passaggio dallo Stato democratico allo Stato assolutistico: “Bastano oggi le dimensioni e l’organizzazione industriale dello Stato moderno a distruggere ogni possibilità di democrazia liberale nel senso classico, poiché […] si rende necessaria la funzione intermediaria di associazioni burocratiche”159. In altri termini, gli enti che si pongono come intermedi tra il cittadino ed il potere politico fanno venire meno l’ideale democratico basato sul rapporto diretto tra questi due termini (“In alto, lo Stato; in basso, l’individuo: tra questi due termini estremi, nessun intermediario”)160. Tali enti, infatti, separano il cittadino dallo Stato, ma separano anche il cittadino dagli altri cittadini poiché l’ente, cui egli afferisce, gli attribuisce uno status, una fisionomia giuridica e politica irriducibile al principio di uguaglianza. 156

R. Hardin, Liberalism…, cit., p. 300. Ibidem. 158 Vd. R.P. Wolff, Al di là della tolleranza, cit., p. 49, facendo riferimento alla trasformazione della politica in “una contesa tra gruppi sociali per il controllo sul potere di decisione del governo”; p. 23 s. 159 Ivi, p. 17. 160 Così, B. Terrat, Du régime de la propriété dans le Code civil, in Le code civil, 1804-1904, Livre du centenaire, I, Paris-Frankfurt, 1969, p. 346. 157

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Il corporativismo medievale si ripropone dando luogo ad un neocorporativismo capitalistico. Lo Stato non è più garante della uguale libertà degli uomini, ma della compresenza degli status; esso si è trasformato in uno Stato corporativo: “Come nella società feudale, così anche nella democrazia pluralista il principio guida non è: ‘un uomo – un voto’, ma piuttosto: ‘ad ogni gruppo legittimo la sua parte’”161. Operando una valutazione complessiva, si può affermare che lo status non individua soltanto una situazione di interesse economico, ma anche e soprattutto una condizione soggettiva volta a legittimare visioni etiche e politiche contrastanti con la struttura etica e politica originariamente propria di ciascuno Stato, più comprensivamente, propria del cristianesimo illuministico. Questo, precisamente, è il senso della rivoluzione costituzionale in corso, vale a dire, il riconoscimento normativo delle diversità, l’attribuzione di un rilievo costituzionale agli status. Il pluralismo fa venire meno, nella base sociale, la coscienza del bonum commune, ovvero, la relega in una dimensione affatto residuale. Si verifica, così, l’involuzione della madisoniana extended republic162, informata a quel bonum, verso la democracy in cui, invece, “il bene pubblico viene trascurato nel conflitto delle parti contrastanti […] e […] vengono spesso prese delle misure, non in base a principi di giustizia, o in considerazione dei diritti della minoranza, ma in forza della superiorità numerica della maggioranza interessata e prepotente”163. Ciò che rende conto del perché “Current analyses of ‘polyarchal’ forms of 161

R.P. Wolff, op. cit., p. 22. Per questa espressione, vd. G.W. Carey, In Defense of the Constitution, Liberty Fund, Indianapolis, 1995, p. 34. Essa sintetizza il pensiero espresso da J. Madison in «The Federalist», 10. 163 Così, Madison, ivi, p. 40. 162

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democracy lack any genuine conception of public, communal values” (“L’analisi corrente delle forme poliarchiche della democrazia difetta del tutto di una originale concezione di valori pubblici, comuni”), del motivo per cui “In polyarchical politics, spectacle has eclipsed substance” (“nella politica poliarchica, lo spettacolo ha eclissato la sostanza”)164. Se il gruppo, portatore di un proprio interesse, diviene il soggetto ordinante i rapporti con lo Stato, ne consegue che ciascun gruppo è animato dall’intento di acquisire, proporzionalmente alla propria rilevanza sociale, le maggiori facilitazioni, ciò che determina, appunto, la obliterazione del bonum commune165. Il pluralismo, infatti, è “fatalmente cieco di fronte ai mali che affliggono l’intero corpo sociale, e come teoria della società esso diverge l’attenzione proprio da quelle revisioni sociali radicali che potrebbero essere necessarie per rimediare a quei mali”166; “Il pluralismo esclude tutto ciò sul piano teorico descrivendo la società come un aggregato di comunità umane piuttosto che come una comunità umana in se stessa; ed esclude ugualmente in pratica un interesse per il bene generale della società favorendo una prassi politica basata sulle pressioni dei gruppi d’interesse, in cui non v’è nessun meccanismo per scoprire ed esprimere il bene generale della società”167. Da ciò discende che la ricerca e la realizzazione di tale bonum sono sempre più demandate allo Stato che, per ciò stesso, si trasforma in Stato super partes e, dunque, in Stato assolutistico. 164

Così, A.C. Hutchinson - P.J. Monahan, Democracy and the Rule of Law, in A.C. Hutchinson - P. Monahan (a cura di), The Rule of Law: Ideal or Ideology, Carswell, Toronto, 1987, p. 109. 165 R.P. Wolff, op. cit., p. 49, facendo riferimento alla trasformazione della politica in “una contesa tra gruppi sociali per il controllo sul potere di decisione del governo”. 166 Ivi, p. 52. 167 Ivi, p. 50.

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Le ulteriori implicazioni del pluralismo, in quanto connesso alla progressiva attuazione del processo di globalizzazione dell’economia, sono costituite dalla denazionalizzazione della base sociale, cui corrisponde la “denazionalizzazione” delle élites168, vale a dire, la formazione della “classe dei cosmopoliti ricchi”169, dunque, complessivamente, dalla progressiva attenuazione dell’identità nazionale170 e del correlativo concetto di cittadinanza171. Si verifica, in tal modo, il transito dalla “cittadinanza-appartenenza” legata alla nazionalità (nationality, nationalité), alla “cittadinanza-partecipazione” (citizenship, citoyenneté), vale a dire, ad una cittadinanza non più dipendente dalla afferenza ad un popolo connesso ad uno specifico territorio e caratterizzato da una propria personalità storico-culturale172. È in tale contesto che si inquadra e si rende comprensibile il fenomeno degli ampersands, vale a dire, dei “doppi cittadini”, di coloro che hanno una doppia cittadinanza, “due lingue, due case e molto spesso anche due lealtà”173. Il cosmopolitismo capitalistico è, dunque, incentrato sull’homo oeconomicus, titolare della “cittadinanza-partecipazione”, ciò che gli garantisce la mobilità planetaria richiesta dal sistema produttivo. In questo senso, il civis diviene cittadino del mondo. Situazione ben diversa, sul piano culturale, da quella espressa dall’universalismo classico fondato sull’ideale dell’uomo kosmopol…thj, sull’ideale di una cittadinanza universale filosofi168

S.P. Huntington, La nuova America, cit., p. 165, p. 315 ss. Così, R.J. Shiller, La classe emergente dei cosmopoliti ricchi, in “Il Sole 24 Ore”, 31 dicembre 2006, p. 1. 170 S.P. Huntington, op. cit., p. 164 ss. 171 Ivi, p. 246; vd. anche p. 65 ss. 172 G. Brunelli, Divieto di discriminazioni e diritti di cittadinanza, §§ 1 e 2, in C. Calvieri (a cura di), Atti del Seminario di Perugia del 18 marzo 2005, Giappichelli, Torino, 2006, p. 3 ss. 173 Vd. S.P. Huntington, La nuova America, cit., p. 249 ss. 169

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camente basata sulla derivazione dell’uomo da un unico Dio174, sul superamento, quindi, dei particolarismi religiosi e politici, sulla universalità degli jura naturalia175. Visione, questa, che viene poi ripresa ed ulteriormente approfondita dal giusnaturalismo illuministico, dalla cui riproposizione nel contesto attuale dipende la moralizzazione della globalizzazione economica, la subordinazione di quest’ultima al valore della humanitas176.

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20. La tolleranza come categoria ordinante del pluralismo La compresenza degli status, soprattutto di quelli a carattere culturale, richiede un valore ordinante. Esso non può più essere rinvenuto nel principio di uguaglianza, dal momento che la teorica degli status ne costituisce, piuttosto, la negazione. Il nuovo valore ordinante è, invece, la tolleranza177, talché quest’ultima “costituisce lo stadio più alto di sviluppo politico del capitalismo industriale”178. Del pluralismo e della tolleranza, nelle costituzioni illuministiche settecentesche, come si è visto179, non c’è traccia. Sono, quindi, valori estranei a questa cultura. Ciò non di meno, essi hanno assunto un ruolo costituzionale, tanto da essere esplicitamente menzionati nell’art. 2 del Trattato sull’Unione Europea: “L’Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza, dello Stato 174

Vd. A. Donati, Diritto naturale e globalizzazione…, cit., cap. VII. Iustiniani Institutiones, 1, 2, 11. 176 Vd., infra, cap. finale. 177 R.P. Wolff, Al di là della tolleranza, cit., p. 29. 178 Ivi, p. 52. 179 Vd., retro, §§ 16 e 17. 175

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di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a una minoranza. Questi valori sono comuni agli stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini”. È, così, introdotta la filosofia del “pensiero debole”180, vale a dire, la filosofia e la prassi della pure tolérance, il cui portato si risolve in un “generale relativismo”181, il cui “risultato è una neutralizzazione degli opposti”182, l’“unità dei contrari”183, è la realizzazione della “società unidimensionale […] [che] altera la relazione tra il razionale e l’irrazionale”184. La tolleranza, il cui “telos […] è la verità”185, viene, invece, trasformata nella forma “di pensiero e di comportamento ad una dimensione”186, in quanto strumentale rispetto alla conservazione del sistema capitalistico della produzione187: “C’est ainsi que le modèle du marché promeut aujourd’hui ‘un impératif de transgression des interdits’ qui confère à ce discours un ‘parfum libertaire’ fondé 180

Titolo dell’omonima opera di G. Vattimo. Così, M. Horkheimer, Eclisse…, cit., p. 23. 182 Così, H. Marcuse, La tolleranza repressiva, cit., p. 91. Vd., altresì, M. Horkheimer, Eclisse…, cit., p. 27: “Chi può dire che uno qualsiasi di questi ideali [di giustizia, di eguaglianza, di felicità, di tolleranza] sia più vicino alla verità del suo opposto? […] L’affermazione che la giustizia e la libertà sono di per sé migliori dell’ingiustizia e dell’oppressione è scientificamente indimostrabile e inutile; e all’orecchio nostro suona ormai tanto priva di significato quanto potrebbe esserlo l’affermazione che il rosso è più bello dell’azzurro o le uova migliori del latte”. 183 Vd. H. Marcuse, Controrivoluzione e rivolta, trad. it., Mondadori, Milano, 1973, p. 156: “la ripugnante unità dei contrari (la più concreta e meno sublimata manifestazione della dialettica capitalistica!)”. 184 H. Marcuse, L’uomo a una dimensione, cit., p. 256. 185 H. Marcuse, La tolleranza repressiva, cit., p. 86. 186 H. Marcuse, L’uomo a una dimensione, cit., p. 32. 187 Ivi, p. 39: “Nella sfera politica questa tendenza si manifesta in una marcata unificazione o convergenza degli opposti”. 181

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sur l’extension indéfinie de la tolérance dans tous les domaines” (“È così che il modello del mercato promuove oggigiorno ‘un imperativo di trasgressione dei divieti’ che ‘conferisce a questo discorso un ‘parvenza libertaria’ fondata sulla estensione indefinita della tolleranza in tutti i campi’”) 188. La tolleranza è, dunque, il nuovo valore costituzionale la cui funzione è quella di consentire l’emersione sul piano ordinamentale degli interessi sottintesi dagli status. Essa assume un duplice significato politico. Il primo, è operante sul piano, per così dire, orizzontale, in quanto regola le relazioni intersoggettive e intercorporative. Il secondo opera sul piano verticale, regolando il rapporto tra la base ed i vertici economici e politici. La tolleranza, infatti, è divenuta un “comportamento obbligatorio nei confronti delle politiche istituite […] È la gente che tollera il governo il quale a sua volta tollera l’opposizione entro la struttura determinata dalle autorità costituite. La tolleranza verso ciò che è radicalmente un male ora appare come un bene perché serve alla coesione del tutto sulla strada dell’abbondanza o della maggiore abbondanza. Il tollerare l’incretinimento sistematico dei bambini come degli adulti, prodotto dalla pubblicità e dalla propaganda, lo sfogo della distruttività realizzato nella guida aggressiva, il reclutamento e l’istruzione di truppe speciali, l’imponente e benevola tolleranza verso l’inganno completo nel commercio, nello spreco e nell’inutilizzazione pianificata, non sono distorsioni e aberrazioni, sono l’essenza di un sistema che coltiva la tolleranza come un mezzo per perpetuare la lotta per l’esistenza sopprimendone le alternative”189. Sintetizzando, la tolleranza assolve le seguenti funzioni: 188 189

Così, D.R. Dufour - P. Berthier, Vers un nouveau nihilisme, cit., p. 168. H. Marcuse, La tolleranza…, cit., p. 80.

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a) sul piano sociologico si fa garante del pluralismo etnico e culturale, della cultura, pertanto, degli status, accentuandone la diffusione: “Così la filosofia della tolleranza, come è concepita dal liberalismo, conduce naturalmente all’incoraggiamento della diversità culturale, religiosa, sociale e politica all’interno dell’ambiente urbano”190; b) sul piano politico, autorizza il rifiuto di assoggettare il sistema capitalistico della produzione a norme uniformi capaci di renderlo compatibile con la dignità della persona umana, di rimediare, pertanto, all’effetto serra, al dissesto ecologico, al dissesto demografico, al degrado delle relazioni internazionali; c) sul piano del diritto costituzionale, concorre a legittimare il passaggio dal costituzionalismo illuministico al liberal pluralism (“pluralismo liberale”), dallo Stato garante degli inherent rights (“diritti inerenti [alla persona umana]”) allo Stato garante degli status (“condizioni giuridiche soggettive”), allo Stato corporativo, allo Stato, di conseguenza, tendenzialmente assolutistico; d) sempre su questo medesimo piano, fonda l’absolute individual right (“diritto individuale assoluto”)191. Questo neologismo esprime il profondo mutamento di significato subito dalla inherent dignity (“dignità innata”). Essa era tale in quanto connessa agli inherent rights, il cui esercizio era regolato dall’etica cristiano-illuministica. Nella accezione attuale, la inherent dignity è, invece, significativa dell’absolute individual right, vale a dire, del diritto ad essere ciò che si è, o si ritiene che si sia, nel momento in cui lo si è (identity choice). Esso è la conseguenza della recisione che 190 191

Così, R.P. Wolff, Al di là della tolleranza, cit., p. 32. Vd., infra, § 24.

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ha avuto luogo nei riguardi della matrice cristiano-illuministica, è la conseguenza della sua fondazione nichilistica; e) infine, sul piano filosofico, essa legittima, essendone, al tempo stesso, espressione, il nichilismo. Prima di svolgere quest’ultimo aspetto, conviene, al fine di darne una trattazione più approfondita, richiamare un ulteriore valore, avente anch’esso natura ordinante il complesso delle relazioni sociali proprie del sistema capitalistico della produzione, il valore dell’utilitarismo.

21. L’ulteriore categoria ordinante le relazioni sociali: l’utilitarismo Il sistema capitalistico della produzione si basa su due leggi inscindibilmente connesse: la legge del massimo consumo; la legge del massimo profitto. La logica del consumismo determina la transizione dal bonum inteso come valore etico, dal malum inteso come disvalore etico, nei termini implicati dal cristianesimo illuministico, al bonum riguardato come ciò che è “piacevole” ed al malum riguardato come ciò che è “penoso”. Questa visione si traduce nell’affermazione dell’etica dell’utilitarismo192. D’altra parte, la logica degli status, come già si è detto193, è tale da indurre la perdita del valore costituito dal bonum commune, ciò che determina l’accentuazione di questa etica. L’utilitarismo concorre, così, a delineare la fisionomia dell’e192 Al

riguardo, si veda la notazione di Cicero, De officiis, III, 28: “Quando separano l’utile dall’onesto, gli uomini sovvertono i fondamenti stessi della natura”. 193 Vd., retro, § 19.

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tica dominante nella società capitalistica. Filosoficamente, nella cultura moderna, esso trova la propria fondazione, in particolare, nel pensiero di David Hume: “Quando dichiarate viziosa un’azione o un carattere, non intendete dire niente altro che, data la costituzione della vostra natura, voi provate un senso o un sentimento di biasimo nel contemplarli. Il vizio e la virtù possono, perciò, essere paragonati ai suoni, ai colori, al caldo e al freddo che, secondo la filosofia moderna, non sono qualità degli oggetti, ma percezioni della mente. […] Niente può essere più reale o interessarci di più che i nostri sentimenti di piacere e dolore, e se questi sentimenti sono favorevoli alla virtù e sfavorevoli al vizio, non occorre certo niente altro per regolare la nostra condotta e il nostro comportamento”194; nel pensiero di Jeremy Bentham: “Per principio di utilità si intende quel principio che approva o disapprova qualunque azione a seconda della tendenza che essa sembra avere ad aumentare o diminuire la felicità della parte il cui interesse è in questione”195; nel pensiero di John Stuart Mill: “La dottrina che ammette come fondamento della morale l’Utilità, o il Principio della Massima Felicità, sostiene che un’azione è moralmente ingiusta nella misura in cui ha la tendenza a produrre il contrario della felicità. Per felicità si intendono il piacere e l’assenza della sofferenza, per infelicità il dolore e la privazione del piacere”196; nella Interessenjurisprudenz (“giurisprudenza degli interessi”): “La posizione della persona nel mondo riposa quindi su tre principi: da due essa desume il suo diritto, mentre sul terzo il mondo fonda il suo dovere verso la 194

D. Hume, Trattato sulla natura umana, trad. it., Laterza, Roma-Bari, 1978, in particolare, lib. III, P. I, sez. I, p. 496; vd. anche sez. II, p. 498. 195 J. Bentham, Introduzione ai principi della morale e della legislazione, trad. it., Utet, Torino, 1998, cap. I, § 2. 196 J.S. Mill, Utilitarismo, trad. it., Cappelli, Bologna, 1981, cap. II, p. 58. Vd. anche il cap. V relativo alla “connessione tra giustizia e utilità”.

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persona stessa: 1) io esisto a mio vantaggio; 2) il mondo esiste a mio vantaggio; 3) tu esisti a mio vantaggio”197, che dichiara ancora: “L’utilità […] è la sostanza del diritto”198. Questa visione si traduce nella formula politica della “massima felicità divisa per il maggior numero”199. Nel quadro dell’utilitarismo, l’asserto: “la verità vi farà liberi” (“Deo parere libertas est”)200, viene convertito nell’altro: “è vero ciò che è per me efficace e utile”201. La tolleranza e l’utilitarismo sono, dunque, i due valori ordinanti il tenore delle relazioni sociali a fondamento capitalistico.

22. Il nichilismo come valore unificante della tolleranza e dell’utilitarismo, come ortodossia del sistema capitalistico della produzione Né la tolleranza, né l’utilitarismo sono, peraltro, i valori ultimi della società capitalistica. Essi, infatti, implicano un valore ulteriore, unificante, costituito dal nichilismo. Che l’utilitarismo si risolva in una filosofia nichilistica, è affermazione che non necessita di dimostrazione. Anche la tolleranza induce questo stesso esito: “Tutti i punti di vista possono essere ascoltati: i comunisti e i fascisti, la sinistra e la destra, il bianco e il negro, i crociati dell’armamento 197 Così, R. von Jhering, Lo scopo del diritto, trad. it., Einaudi, Torino, 1972, cap. V, p. 61. 198 R. von Jhering, L’esprit du Droit Romain dans les diverses phases de son développement, trad. franc., Rist. anast. dell’ed. di Paris 1886-1888, tomo IV, p. 327. 199 C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, “A chi legge” e Introduzione. 200 Seneca, De vita beata, XV, 7. 201 Così, sul piano ricostruttivo, V. Possenti, La filosofia dopo il nichilismo, in «Sapientia», 210, 2001, p. 598.

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e quelli del disarmo. […] Questa tolleranza “pura” dell’assennatezza e della stupidità è giustificata dall’argomento democratico che nessuno, sia gruppo o individuo, è in possesso della verità e capace di definire cos’è giusto e cos’è sbagliato, cos’è bene e cos’è male. Perciò, tutte le opinioni in lotta devono sottomettersi alla “gente” [the people] che decida e faccia la sua scelta”202. In altri termini, la tolleranza necessariamente induce la “neutralizzazione degli opposti” e ciò che finisce per prevalere è la conservazione del “tutto”, “è il tutto che determina la verità”203, ma la verità asseverata dal “tutto”, altro non può essere che il nichilismo. È così fondato il nichilismo moderno, inteso non tanto come “nichilismo incompiuto”, ma come “nichilismo compiuto”204. Il crescente consolidamento del “relativismo etico” è il portato della espansione del sistema capitalistico della produzione205, della corrispondente mercificazione dei rapporti umani, 202

H. Marcuse, La tolleranza repressiva, cit., p. 88 s. Ivi, p. 91. 204 “Il nichilismo incompiuto sostituisce, sì, i precedenti valori con altri, ma li pone al posto dei precedenti, posto che conserva così il rango di regione ideale del soprasensibile. Il nichilismo compiuto, invece, deve eliminare il luogo tradizionale del valore, il sovrasensibile come regione a sé, e deve pertanto porre i valori in modo diverso, cioè capovolgerli”. Così, M. Heidegger, La sentenza di Nietzsche: “Dio è morto”, in Id., Sentieri interrotti, La Nuova Italia, Firenze, 1968, p. 206, cit. da G. Mucci, Le origini del nichilismo contemporaneo, in «La civiltà cattolica», n. 3571, 3 aprile 1999, p. 40; ivi, p. 39: “La tappa conclusiva del nichilismo è, dunque, il risultato della trasvalutazione radicale dei valori supremi e del loro traslocamento dalla sfera dell’essere e della trascendenza alla sfera immanente della volontà di potenza”. 205 M. Horkheimer, Eclisse della ragione, cit., p. 27: “Quali sono le conseguenze del formalizzarsi della ragione? La prima di esse sta nel fatto che i concetti di giustizia, di uguaglianza, di felicità, di tolleranza, tutti i concetti insomma che nei secoli precedenti il nostro si credevano una cosa sola con la ragione o sanzionati da essa, hanno perso le loro radici intellettuali. Sono anco203

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del corrispondente asservimento della politica alla logica del profitto206, dell’assoggettamento della ragione stessa a questa medesima logica207, della separazione tra homo oeconomicus e homo moralis, ovvero, ciò che non cambia, del tendenziale risolversi di quest’ultimo nel primo208. ra scopi e fini, ma non esiste più nessuna entità razionale autorizzata a darne un giudizio positivo e a metterli in rapporto con una realtà oggettiva. Confermati da venerabili documenti storici, godono ancora di un certo prestigio; alcuni di essi informano le leggi di alcuni grandi paesi. Tuttavia, manca ad essi ogni conferma da parte della ragione, intesa nel senso moderno del termine. […] L’affermazione che la giustizia e la libertà sono di per sé migliori dell’ingiustizia e dell’oppressione è scientificamente indimostrabile e inutile; e all’orecchio nostro suona ormai tanto priva di significato quanto potrebbe esserlo l’affermazione che il rosso è più bello dell’azzurro o le uova migliori del latte”. 206 Ivi, p. 135: “La politica dei leaders economici, da cui nella fase odierna la società dipende sempre più direttamente, è rivolta con ostinata tenacia al perseguimento di fini egoistici, e quindi forse ancora più cieca alle necessità reali della società di quanto non fossero le tendenze automatiche che un tempo determinavano i movimenti del mercato. L’irrazionalità forgia ancora il destino dell’uomo”. Vd., altresì, H. Marcuse, Un nouvel ordre, in «Le Monde diplomatique», luglio, 1976, p. 1: “Un nouveau système social est peut-être en train de naître: un régime néo - ou semi-fasciste avec de larges assises populaires. Certains signes pointent dans cette direction: le rétrécissement des possibilités de l’expansion capitaliste, la croissance de la population dépendante, l’alliance de la mafia avec les groupes d’affaires légitimes, la contagion de la violence, le racisme endémique, la concentration des armes d’annihilation aux mains des autorités constitituées, la corruption qui infecte l’ensemble du procès démocratique”. Vd., inoltre, tra gli altri, G. Martirani, Il drago e l’agnello. Dal mercato globale alla giustizia universale, Ed. Paoline, Milano, 2001; J.E. Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori, cit.; M. Hardt - A. Negri, Impero, cit.; P. Barnard, Usa: il più grande “Stato canaglia”, cit., p. 21 ss. 207 Vd. M. Horkheimer, op. cit., p. 25: “La ragione è ormai completamente aggiogata al processo sociale; unico criterio è divenuto il suo valore strumentale, la sua funzione di mezzo per dominare gli uomini e la natura. […] Si potrebbe dire che il pensiero stesso è stato ridotto al livello dei processi industriali, assoggettato a tabelle orarie rigorose; in breve, che sia diventato parte integrante del processo di produzione”. 208 Vd. K. Marx, Manoscritti economico-filosofici del 1844, in Opere complete, III, Editori Riuniti, Roma, 1976, p. 338, rendendo, criticamente, il rap-

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La crescente affermazione del “materialismo”, del “relativismo etico”, del protagonismo dei fondamentalismi religiosi, la crisi morale dello Stato, non sono, dunque, che sovrastrutture del sistema capitalistico della produzione, sono la conseguenza dell’etica economica informata al primato del profitto, della corrispondente mercificazione dei rapporti umani, del corrispondente asservimento della politica alla logica della accumulazione capitalistica.

porto tra economia e morale nel sistema capitalistico della produzione: “la relazione dell’economia politica alla morale […] può essere soltanto la relazione delle leggi dell’economia politica alla morale […] Del resto, la stessa antitesi di economia politica e morale è solo un’apparenza, e nella sua forma di antitesi non è in realtà un’antitesi. L’economia politica esprime le leggi morali semplicemente a sua guisa”.

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Capitolo IV

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La “Resistance to Patriarchal Voice” La “New Constitutional Morality”

23. La cultura della disgregazione Il sistema capitalistico della produzione, nella sua dimensione globalizzata, reagisce sull’area del Primo Mondo, da cui ha preso le mosse, inducendone, progressivamente, la destrutturazione. La logica di tale sistema è, infatti, tale da essere incompatibile con l’assetto culturale tradizionalmente proprio di quest’area, espresso dal cristianesimo illuministico. L’azione destrutturante è resa manifesta dalla presenza di precise linee di tendenza, tutte, peraltro, confluenti nel disvalore unificante ed ordinante costituito dal nichilismo, quindi, dall’antiumanesimo. Quella più significativa è espressa dallo sviluppo della “resistance to fondamentalism yeld” (“resistenza alla tradizione fondamentalista”)209, dalla “antipatriarchal […] psychology” (“psicologia [...] antipatriarcale”)210, dalla “Resistance to Patriarchal Voice as the Key to Resistance to Anti-Semitism, Raci209

Vd. D.A.J. Richards, Fundamentalism in American Religion and Law, Cambridge University Press, Cambridge, 2010, p. 2. 210 Ivi, p. 3.

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sm, Sexism, and Homophobia” (“resistenza alla cultura patriarcale come via alla resistenza all’antisemitismo, al razzismo, al sessismo e alla omofobia”)211. La patriarchy (“patriarchia”) viene presentata come “a hierarchical conception requiring that only the father has authority in religion, politics, or law – resting on the repression of the free, resisting voice of those unjustly subject to his authority, both women and men” (“una concezione gerarchica volta a richiedere che soltanto il padre ha autorità in materia religiosa, politica, o legale – indulgendo alla repressione della libera, contraria voce di coloro, uomini e donne, che sono ingiustamente sottoposti alla sua autorità”)212. In questa veste, “patriarchy […] is a continuing threat to democracy” (“la patriarchia [...] è una continua minaccia alla democrazia”)213. Il movimento che si richiama alla Patriarchal Voice (“cultura patriarcale”) viene definito come originalism (“originalismo”), come expression of a reactionary psychology (“espressione di una psicologia reazionaria”)214, come fundamentalism in law (“fondamentalismo giuridico”), come patriarchal psychology (“psicologia patriarcale”). Esso viene, poi, abbinato al fundamentalism in religion (“fondamentalismo religioso”), talché, fundamentalism in both religion and law threatens democratic values (“il fondamentalismo religioso e politico minaccia i valori della democrazia”)215. Del fondamentalismo “both in American religion and in law” (“al tempo stesso, religioso e politico”), viene, dunque, in considerazione “its ahistorical appeal to history, the anger and even 211

Ivi, titolo del cap. I, § 3, p. 31. Ivi, p. 4 ss. 213 Ivi, p. 5. 214 Ivi, p. 3. 215 Espressioni tratte dalla nota redazionale introduttiva ad ubi supra, p. і. 212

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violence directed at dissent, and of course, its demonization of certain contemporary claims for justice in matters both of sexuality and gender” (“il suo antistorico appello alla storia, il risentimento e perfino la violenza nei confronti del dissenso e, naturalmente, la sua demonizzazione di specifiche richieste di giustizia in materia di sessualità e di tipologia umana”)216. Riassuntivamente, “At the heart of fundamentalism is a form of irrationalism, a sectarian conception of certainty – itself demonstrably unreasonable – that refuses to be open to contemporary argument and experience” (“alla base del fondamentalismo c’è una forma di irrazionalità, una concezione settaria della certezza – anche essa irrazionale – che rifiuta di aprirsi alla problematica ed all’esperienza contemporanee”)217. Peraltro, la definizione della patriarchy come dispotismo dei vathers (“Padri”) è volutamente riduttiva e retorica. La patriarchy, infatti, non veniva in considerazione per se stessa, ma come strumento di attuazione della filosofia dell’uomo, della giustizia e del trascendente, propria del cristianesimo illuministico. La “resistance to patriarchal voice” (“resistenza alla cultura patriarcale”), di cui è portatore qualificato anche l’attuale presidente Barack Obama218, non è diretta ad accertare se della filosofia cristiano-illuministica sia possibile la realizzazione senza ricorrere alla patriarchy; essa, al contrario, è volta a realizzare la ben diversa finalità consistente nella eliminazione del suo primato, vale a dire, della protezione propria degli inherent rights, protezione specificamente richiamata, proprio in favore degli immigrati e delle rispettive famiglie, dalla “International Convention on the Protection of the Rights of All Migrant Workers and Members of Their Families Adopted by General Assembly 216

Ivi, p. 8. Ibidem. 218 Ivi, p. 1 ss. 217

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Resolution 45/158 of 18 December 1990” (“Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori emigranti e dei membri delle loro famiglie, adottata dalla risoluzione della Assemblea Generale 45/158, il 18 dicembre 1990”)219. L’intento della “resistance to patriarchal voice” risiede nella sostituzione della cultura presupposta dalla patriarchy con il nichilismo, vale a dire, con la filosofia dell’antiumanesimo. Il venire meno della uguaglianza illuministica, come già accaduto, mutatis mutandis, nella società romana, reintroduce la cultura dell’essere umano inteso come persona220, cui si correla l’unicuique suum, vale a dire, la prassi del pluralismo. La resistance alla patriarchal psychology soddisfa le istanze del sistema capitalistico della produzione, la sua a-nomia etica, la sua vocazione all’assolutismo economico e politico, essendo certo che “L’eccessiva libertà […] non può trasformarsi che in eccessiva schiavitù, per un privato, come per uno Stato […] È naturale, quindi, […] che la tirannide non si formi da altra costituzione che la democrazia: cioè […] dalla somma libertà viene la schiavitù maggiore e più feroce”221.

24. Dall’individual right all’absolute individual right L’asserto di J.S. Mill, secondo cui l’intervento dello Stato è giustificato solo allorquando sia diretto ad impedire che l’indivi219

In R. Cholewinski - P. de Guchteneire - A. Pécoud (a cura di), Migration and Human Right.s The United Nations Convention on Migrant Workers’ Rights, Cambridge University Press, Cambridge, 2009, p. 393 ss. 220 Su cui, vd. A. Donati, Homo e Persona. Inherent Dignity e Menschenwürde, §§ 27 e 28, in Atti dell’Accademia Romanistica Costantiniana, XVII Convegno Internazionale, Aracne, Roma, 2010, tomo I, p. 135 ss. 221 Vd. il luogo cit., retro, testo e nota 17, p. 32.

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duo danneggi gli altri222, si è tradotto nella “defense of absolute individual right” (“nella difesa del diritto individuale assoluto”). L’introduzione di questa Liberty, connessa all’affermazione del sistema capitalistico della produzione, ha causato “adverse consequences for democratic politics and the legitimacy of the regime” (“conseguenze contrarie alla politica democratica ed alla legittimazione dell’ordinamento”), poiché essa “is defined, not as a function of democracy but in opposition to democracy, as an individual’s guarantee against what the majority might will [c.n.]. I am free insofar as I am the bearer of rights, where rights are trumps” (“è definita, non come una funzione della democrazia, ma in opposizione alla democrazia, come una garanzia individuale contro ciò che la maggioranza può volere [c.n.]. Sono libero nella misura in cui sono portatore di diritti, dove i diritti sono trionfi”)223. Per questa via, si è provocata la civil disobedience (“disobbedienza civile”), si è indotto il passaggio dalla preminenza del bonum commune a quella del bonum singulare (“bene individuale”), quindi, del rule of individual persons (“preminenza della volontà individuale”)224. L’ideale era la realizzazione del “government of law, and not of men” (“governo delle leggi e 222

Vd. J.S. Mill, Saggio sulla libertà, trad. it., il Saggiatore, Milano, 1981, Introduzione, p. 33. 223 M.J. Sandel, The Political Theory of the Procedural Republic, in A.C. Hutchinson - P. Monahan (a cura di), The Rule of Law: Ideal or Ideology, Carswell, Toronto, 1987, p. 95. Vd. anche J. Waldron, Rights and Majorities: Rousseau Revisited, in Id., Liberal Rights. Collected Papers 1981-1991, Cambridge University Press, Cambridge, 1993, cap. 16, p. 392: “Those who believe in rights hold that individual and minorities have certain interests that they can press, certain claims they can make against the rest of the community that are entitled to respect without further ado”. 224 Su questa terminologia, vd. M. Rosenfeld, in A.C. Hutchinson - P. Monahan (a cura di), The Rule of Law…, cit., p. 1313.

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non delle persone”)225, dove la law altro non era che il diritto naturale, il punto di arrivo è il rule of men (“preminenza della volontà arbitraria”). L’affermazione iniziale “We the People” (“Noi, il Popolo”) si è tradotta nel “we the individuals” (“noi, gli individui”)226. Il transito dell’economia di mercato al sistema capitalistico della produzione, l’elevazione del profitto a valore etico ordinante le relazioni sociali, la logica del consumismo e dell’edonismo che ne conseguono, hanno indotto la trasformazione dell’individualismo etico, proprio dell’etica cristiano-illuministica227, nell’individualismo economico, ciò che si è risolto nella introduzione del “principio degli atomi, [vale a dire, del primato] delle volontà singole”228, ciò che, a sua volta, dà ragione del perché l’“individualismo conduce alla relatività di tutti i valori”229. Così, negli Stati Uniti, la Supreme Court, accogliendo l’indirizzo denominato noninterpretivism230, ha introdotto una Liberty soggettivamente intesa, apprestandone, quindi, una tutela disancorata dalle esigenze del bonum commune e della moralità pubblica, secondo i loro originari significati: “the Supreme Court itself has led the nation away from the moderate freedom 225 T.R.S. Allan, The Rule of Law as the Rule of Reason: Consent and Constitutionalism, in «The Quarterly Review», vol. 115, 1999, p. 222. 226 Vd. il luogo cit., infra, testo e nota 24, p. 96. 227 Su cui, vd., retro, § 16. 228 Così, G.W.F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia, vol. IV, trad. it., La Nuova Italia, Firenze, 1975, p. 213. 229 Così, C. Antoni, Storicismo e antistoricismo, cit., p. 41. 230 Sulla distinzione tra l’interpretivism ed il noninterpretivism, vd., tra gli altri, J.H. Ely, Democracy and Distrust…, cit., p. 1: “the former indicating that judges deciding constitutional issues should confine themselves to enforcing norms that are stated or clearly implicit in the written Constitution, the latter the contrary view that courts should go beyond that set of references and enforce norms that cannot be discovered within the four corners of the document”.

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that the common good requires and generations of liberals have advocated. […] Ceasing to be the conservative guardian of the Constitution that the founders expected it to be, […] the Court made individual freedom its god – at the expense of the moral, social, and political needs of ordered society. Thus, the First Amendment has become a vehicle for degrading and destabilizing the republic it was meant to strengthen and preserve” (“la stessa Corte Suprema ha allontanato la nazione da quella libertà moderata che il bene comune richiede e che generazioni di liberals hanno difeso. [...] Cessando di essere la garante della conservazione della Costituzione così come voluta dai suoi fondatori, [...] la Corte ha fatto della libertà individuale il proprio dio – a spese delle esigenze morali, sociali e politiche di una società ordinata. Di conseguenza, il primo Emendamento [della Costituzione], pensato per rafforzare e preservare la repubblica, è divenuto il veicolo della sua degradazione e destabilizzazione”)231. Nella logica dei Founders, la libertà individuale, il soggettivismo, dovevano essere trascesi nella realizzazione dell’unità politica (a sua volta basata sull’unità dei valori condivisi, quelli cristiano-illuministici): “The founders seem to have concluded that the very division of individual from individual might to some extent have to be transcended in the direction of forming one people of which all were parts – the famous ‘We the People’, rather than we the individuals, of the Preamble” (“I fondatori sembrano avere ritenuto che la divisione tra le persone doveva essere, per certi versi, trascesa nella direzione di formare 231 Così, D. Lowenthal, No Liberty for License…, cit., p. XIV. Il First Amendment, così dispone: “Congress shall make no law respecting an establishment of religion, or prohibiting the free exercise thereof; or abridging the freedom of speech, or of the press, or the right of the people peaceably to assemble, and to petition the Government for a redress of grievances”.

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un solo popolo di cui esse non erano che parti – il famoso ‘Noi il Popolo’, piuttosto che noi gli individui, del Preambolo [della Costituzione]”)232. La Corte suprema ha reciso questa connessione accogliendo le istanze del pluralismo233. Si è, così, verificato il transito dalla “‘interpretive’ judicial review” (“revisione ‘interpretativa’ giudiziaria”), vale a dire, dalla “constitutional interpretation” (“interpretazione costituzionale”), alla “‘noninterpretive’ review” (“revisione ‘non interpretativa’”), vale a dire, alla “constitutional policymaking” (“interpretazione politica della Costituzione”)234 svolta, appunto, dalla Corte Suprema235. La società pluralista, tale in quanto “divided along ethnic, 232

Ivi, p. XIX; p. XX: “Wholly apart from Christianity, […] Locke and his followers, both English and American, were so concerned about the elementary conditions of moral and social life that they were willing to suppress opinions that might destroy the moral rules necessary to maintain civil society. In Sir William Blackstone’s Commentaries on the Laws of England – the most authoritative book of jurisprudence of the founding generation – this moral concern took the form of excluding immoral or obscene ‘libels’, as they were then called, from the freedom of the press”. 233 Vd. M.J. Perry, The Constitution, the Courts, and Human Rights, Yale University Press, New Haven and London, 1982, p. 1: “Over a quarter century ago, in Brown v. Board of Education, the Supreme Court of the United States ruled that racially segregated public schooling violates the United States Constitution. More recently, in Roe v. Wade, the Court ruled that restrictive abortion legislation violates the Constitution. In neither case was the Court’s ruling authorized, much less required, by the Constitution as written and understood by the framers of that document”. 234 Per questa terminologia e sui relativi significati, ubi supra, cap I, p. 9 ss. 235 Ivi, Prologue, p. 2: “Virtually all of modern constitutional decision making by the court […] must be understood as a species of policymaking, in which the court decides, ultimately without reference to any value judgment constitutionalized by the framers […] Thus, in America the status of constitutional human rights is almost wholly a function, not of constitutional interpretation, but of constitutional policymaking by the Supreme Court”.

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religious, linguistic, cultural, or ideological lines” (“divisa da linee etniche, religiose, culturali, o ideologiche”), in quanto composta da “different groups who do not share the same values or conceptions of the good” (“differenti gruppi che non condividono gli stessi valori o le medesime concezioni di ciò che è bene”)236, in quanto, quindi, “fragmented society”237, ha delegittimato, almeno sotto tre profili, la società informata alla preminenza del Rule of Law238 e, per ciò, riguardata come “a form of moral association” (“un esempio di associazione etica”)239. Il primo riguarda la rappresentanza politica degli elettori. Essa non è più orientata dal bonum commune connesso alla preminenza del Rule of Law, ma alla difesa degli interessi settoriali espressi dai gruppi di pressione: “Members of Parliament have become advocates of their constituents’ interests, and dependent on voters’ satisfaction with governmental measures, rather than representatives whose task is to constrain the executive by framing general rules or principles of justice” (“I membri del parlamento sono divenuti i difensori degli interessi dei loro elettori, sono divenuti dipendenti dal gradimento espresso dagli elettori circa i provvedimenti governativi, piuttosto che essere rappresentanti il cui scopo risiede nel forzare l’esecutivo alla formazione di doveri, o di principi di giustizia, di carattere generale”)240. 236

Così, M. Rosenfeld, The Rule of Law…, cit., p. 1311. Ivi, p. 1347. 238 Sul “role of social movements in constitutional change outside Article V”, vd. R.B. Siegel, Constitutional Culture, Social Movement Conflict and Constitutional Change: The Case of the De Facto ERA, in «California Law Review», vol. 94, 2006, p. 1323 ss. 239 Espressione tratta da N.B. Reynolds, Grounding the Rule of Law, in «Ratio Juris», vol. 2, 1989, p. 9. 240 Così, sul piano descrittivo, T.R.S. Allan, Law, Liberty, and Justice. The Legal foundation of British Constitutionalism, Clarendon Press, Oxford, 1994, p. 49. 237

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Il secondo attiene alla fondazione etica delle leggi, nel senso che, nella società che si poneva come moral association, non poteva darsi alcuna legge che avesse importato, sia pure implicitamente, l’accoglimento di una visione etica in contrasto con quella cristiano-illuministica dominante, mentre nella “pluralistic society, it is not clear how to incorporate an authoritative set of abstract rights without asserting the validity of a particular moral point of view (usually liberalism in the case of contemporary rights theorists) against the claims of all others” (“società pluralista, non è chiaro come si possa introdurre un set di diritti generali cogenti senza garantire la validità del particolare punto di vista etico [...] di contro alle istanze di tutti gli altri”)241. Il terzo, evidenzia il venir meno della generalità ed astrattezza della norma giuridica. Tali attributi sono la conseguenza del principio di uguaglianza degli uomini, uguaglianza misurata nei termini dell’uguale immanenza, in ciascun uomo, degli inherent rights, sorretta, quanto al loro esercizio, da una medesima etica di base, quella cristiano-illuministica. L’esigenza tutelata tramite quei caratteri, quando si tratti delle statuizioni giurisprudenziali di Common Law, è soddisfatta mediante il ricorso all’analogia, espressa tramite la vincolatività del precedente, ciò che, appunto, assicura il trattamento uniforme dei casi simili. Il principio della generalità ed astrattezza delle prescrizioni normative non è più vigente242. Esso è stato sostituito da un ulteriore principio, quello del “conventional character of law” (“carattere convenzionale della legge”), capace di riflettere l’etica di 241

N.B. Reynolds, Grounding the Rule of Law, cit., p. 6. M. Rosenfeld, The Rule of Law…, cit., p. 1347: “In any pluralist society with diverging conceptions of the good, there may be as wide a lack of consensus concerning what ought to count as a fundamental right, as regarding what would constitute a fair means to stabilize legal expectations”. 242

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ciascuna delle componenti che costituiscono il pluralismo: “In a pluralistic society, […] the conventional character of law can be an advantage in that it sets out common rules for people of all moral persuasions to follow without vesting authority in one particular moral rationale for the rules. Rules based on agreement need not enjoy the same moral justification in the minds of all parties to the agreements” (“In una società pluralistica, [...] il carattere convenzionale della legge può conseguire il vantaggio di elaborare doveri comuni a persone che si richiamano a sistemi etici differenti senza implicare, obbligatoriamente, una fondazione etica determinata di questi stessi doveri. I doveri basati sul consenso non necessitano di usufruire di una medesima giustificazione morale da parte di coloro che partecipano all’accordo”)243. Ciò che può essere ulteriormente espresso, affermando: “Moral truth is not widely available in the self-governance of a pluralistic society” (“La verità etica non è generalmente richiesta nel processo di autogoverno proprio della società pluralistica”)244. Alla stregua del quarto dei profili indicati, il pluralismo ha invalidato il principio maggioritario cui era demandato il compito di applicare i valori afferenti al Rule of Law, ha frustrato “the ability of majorities to fulfill certain objectives which they consider Paramount” (“la capacità della maggioranza di realizzare quegli obiettivi che essa considera fondamentali”)245. Tale principio, in ragione di questa sua teleologia, diviene, nel quadro della società pluralista, uno strumento di oppressione, uno strumento antidemocratico. Ed infatti, la “constitutional democracy itself can be oppressive” (“la stessa democrazia costituzionale 243

N.B. Reynolds, Grounding the Rule of Law, cit., p. 6. Ibidem. 245 M. Rosenfeld, op. cit., p. 1312. Vd. anche p. 1315: “in a constitutional democracy, all laws are prone to being considered advantageous or acceptable by some and oppressive or coercive by others”. 244

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può essere oppressiva”) poiché essa “implements the will of political majorities and coerces political minorities to contribute to the realization of majority objectives with which minorities may strongly disagree” (“implementa la volontà politica della maggioranza ed obbliga la minoranza a contribuire a realizzarne gli obiettivi rispetto ai quali può essere in profondo disaccordo”), poiché, dunque, “the enforcement of constitutional rights would seem to lead to a significant amount of coercion” (“la difesa dei diritti costituzionali si possa presentare come una significativa quantità di coercizione”)246.

25. Dalla liberty alla license Il valore rispetto al quale, con maggiore precisione, è possibile riscontrare la rottura nei confronti del pensiero dei founders, è quello della liberty247. Quest’ultima, infatti, ha assunto dei contenuti affatto irriducibili a quelli cristiano-illuministici che ne sono stati il fondamento: “the words, the ideas, and the political logic of the founders and framers reveal an understanding of freedom very different from – and much sounder than – the one to which we have grown accustomed in the past thirty years. The founders and framers understood freedom to require limits that would prevent harm to others and to the republic. They did not include the abuse of freedom, or license, in the notion of freedom itself” (“le parole, le idee, la logica politica dei fondatori ed artefici rivelano una concezione della libertà molto diversa – molto più 246

Ivi, p. 1312. J. Locke, Two Treatises of Government, II, § 6: “[the] State of Liberty, yet it is not a State of Licence, though Man in that State have an uncontroleable Liberty, to dispose of his Person or Possessions, yet he has not Liberty to destroy himself, or so much as any creature in his possession”. 247

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significativa – da quella a cui siamo stati abituati negli ultimi trent’anni. I fondatori e gli artefici intesero la libertà come soggetta a dei limiti onde prevenire danni agli altri ed alla repubblica. Essi non ricompresero nella sua nozione il suo abuso, ovvero la licenza”)248. La rottura, pertanto, risiede nel passaggio dalla “liberty” alla “license”, talché “the first amendment, intended as a bulwark of the republic, has become a prime agent of its destruction” (“il primo Emendamento [della Costituzione], inteso come baluardo della repubblica, è divenuto il primo agente della sua distruzione”)249, talché, ancora, “It is certainly an irony of no 248

Così, D. Lowenthal, No Liberty for License…, cit., p. XIII. Ivi, p. XIV. Vd. anche J. Erler, The First Amendment…, cit., in particolare, p. 231; p. 239 ss.: “The greatest danger to constitutional government stems from the Supreme Court’s misinterpretation of the free speech provisions of the first amendment which has allowed revolutionary groups to engage in seditious libel with virtual impunity. Courts have also undermined the moral foundations of democracy by including obscenity and pornography within the protection of the first amendment”; p. 247: “The Supreme Court […] has played a powerful role in undermining morality by manufacturing first amendment protections for obscenity and pornography, both of which helped undermine ‘democracy’s moral prerequisites’”. Vd., altresì, H. Marcuse, L’uomo a una dimensione…, cit., p. 21: “I diritti e le libertà che furono fattori d’importanza vitale alle origini e nelle prime fasi della società industriale cedono il passo ad una fase più avanzata di questa: essi vanno perdendo il contenuto e il fondamento logico tradizionali. Le libertà di pensiero, di parola e di coscienza erano idee essenzialmente critiche, al pari della libera iniziativa che servivano a promuovere e a proteggere, intese com’erano a sostituire una cultura materiale e intellettuale obsolescente con una più produttiva e razionale. Una volta istituzionalizzati, questi diritti e libertà condivisero il fato della società di cui erano divenuti parte integrante. La realizzazione elimina le premesse”. Sulla tematica, vd. anche B.A. Shain, Liberty and License: The American Founding and the Western Conception of Freedom, in Vital Remnants America’s Founding and the Western Tradition, G.L. Gregg II (a cura di), ISI Books, Wilmington, Delaware, 1999, p. 211 ss.; P.A. Lawler, The Therapeutic Threat to Human Liberty: Pragmatism vs. Conservatism on America and the West Today, in ivi, p. 305 ss. 249

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small proportion that […] the due process clause of the fifth and fourteenth amendments […] now does service as the constitutional anchor for a very different line of jurisprudence that […] brings to the interpretation of the Constitution philosophical arguments in defense of absolute individual rights” (“È certamente un’ironia di non piccole proporzioni che [...] il Due Process previsto nel quinto e nel quattordicesimo Emendamento [...] serva ora come difesa costituzionale di un ben diverso orientamento giurisprudenziale che [...] introduce motivazioni filosofiche per una interpretazione della Costituzione volta a difendere il diritto individuale assoluto”)250. Ciò che può essere ulteriormente espresso rilevando come si sia passati da un umanesimo in cui la volontà è soggetta alla ragione, ad un umanesimo in cui il rapporto tra questi due termini è invertito: “The detachment of the will from reason and the association of freedom with the former are liable to render freedom a matter of empty choice, directionless, indeterminate, and independent of ends” (“La separazione della volontà dalla ragione e l’associazione della libertà con la prima sono idonee a rendere la libertà materia di una scelta vuota, senza direttive, indeterminata e priva di finalità”)251.

26. Il transito dalla political diversity alla political division Il pluralismo culturale formatosi all’interno degli Stati nazionali del Primo Mondo e la connessa conflittualità ad esso immanente, fanno sì che “how societies should respond to the oppor250 Così, sul piano ricostruttivo, J.R. Stoner jr., Natural Law, Common Law,

and the Constitution, in D.E. Edlin (a cura di), Common Law Theory, Cambridge University Press, Cambridge, 2007, p. 179. 251 Così, R. Song, Christianity and Liberal Society, cit., p. 217.

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tunities and challenges raised by ethnocultural divisions – and in so doing promote democracy, social justice, peace, and stability – is one of the most difficult and important questions of contemporary politics” (“come le società debbano rispondere alle opportunità ed alle sfide derivanti dalla divisioni etnico-culturali – e, al tempo stesso, promuovere la democrazia, la giustizia sociale, la pace e la stabilità – è uno dei problemi di maggiore difficoltà e importanza della politica contemporanea”)252. Questa tematica è imposta dal transito, indotto dal sistema capitalistico della produzione, delle società nazionali, da una configurazione razziale e culturale fondamentalmente omogenea253, regolata, nel contesto dell’area riformata dal cristianesimo illu252

Così, S. Choudhry, Bridging Comparative Politics and Comparative Constitutional Law: Constitutional Design in Divided Societies, in Constitutional Design for Divided Societies: Integration or Accommodation?, S. Choudhry (a cura di), Oxford University Press, Oxford, 2008, p. 4. Vd., altresì, C. Kukathas, The Liberal Archipelago. A Theory of Diversity and Freedom, Oxford University Press, Oxford, 2007, Introduction, p. 1 s.: “In the western democracies […] the rise of civil rights and women’s movements, and the extension of cultural pluralism (brought about by immigration and by rising demands of ‘indigenous’ peoples) occasioned a sustained debate on the foundations of liberal constitutionalism”; p. 3: “liberal philosophers are still struggling with the problems posed for political theory by the facts of moral diversity, group loyalty (to particular ethnic and religious communities), and nationalist sentiment”; R.H. Pildes, Ethnic Identity and Democratic Institutions: A Dynamic Perspective, in Constitutional Design for Divided Societies…, cit., p. 173: “The most urgent problem in the design of democratic institutions today is how best to design such institutions in the midst of seemingly profound internal heterogeneity, conflict, and group differences”. 253 Ivi, p. 174: “democratic institutions are constitutionally built along premises that assume particular ethnic identities”. La ragione remota della rivoluzione indotta dal pluralismo è rinvenibile, con particolare riferimento alla società inglese, nel processo di legittimazione e di integrazione, che ha avuto luogo nel XIX secolo, dei Nonconformists, pertanto, anche della componente ebraica e di quella cattolica, nel venire meno degli “Acts of supremacy and uniformity”.

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ministico254, ad una strutturazione multiculturale, talché ciascuna comunità nazionale è divenuta una “multiplicity of demoi” (“molteplicità di popoli”)255, una “nazione di nazionalità”256, non si configura più come un melting pot, vale a dire, come un crogiolo in cui le diversità culturali si integrano mediante l’accoglimento di valori sovraordinati, ma come un “mixing of diverse peoples” (“misto di popoli diversi”)257, un insieme di “divided societies” (“società divise”)258, una “fragmented society” (“società frammentata”)259, un liberal archipelago (“libero arcipelago”)260, alla stregua della “theory of multiple sovereignties” (“teoria delle sovranità multiple”)261. Come attestato dallo svolgimento storico che ha avuto luogo nel secolo XVIII e in larga parte del secolo XIX, non è la libertà di culto e di coscienza (the freedom of worship and of conscience), ad avere indotto, nell’area anglosassone, il relativismo etico262, ma è stato il transito dell’economia di mercato – inizialmente basata sul protagonismo individuale sorretto dalla valenza teologica del calling263 – al sistema capitalistico della produzione, informato al primato del profitto e del consumismo, 254

Su cui, vd., retro, § 16. Espressione tratta da N. Krisch, Beyond Constitutionalism. The Pluralist Structure of Postanational Law, Oxford University Press, Oxford, 2010, p. 269. 256 Così, S.P. Huntington, La nuova America, cit., p. 170. 257 Così, R. Hardin, Liberalism…, cit., p. 176. 258 Così, S. Choudhry, Bridging Comparative Politics…, cit., p. 4. 259 M. Rosenfeld, The Rule of Law and the Legitimacy of Constitutional Democracy, in «Southern California Law Review», vol. 74, 2001, p. 1347. 260 Per una trattazione più estesa, vd. A. Donati, Government of Right, Liberal Pluralism, Liberal Archipelago, in «Polemos», 2009, 1, §§ 4 ss. 261 Espressione tratta da W.A. Galston, Liberal Pluralism, cit., p. 36. 262 In questo senso, invece, P. Devlin, The Enforcement of Morals, cit., p. 86. 263 Per riferimenti bibliografici, vd. A. Donati, La concezione della giustizia…, cit., § 55. 255

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in una, al nichilismo, ad avere progressivamente eroso il cristianesimo illuministico. Questa azione dissolvente è stata integrata da quella dell’immigrazione. Il sistema capitalistico della produzione ha, infatti, incorporato, utilizzandole come basi di produzione e di consumo, componenti razziali aventi status culturali propri, in maggiore o minore misura, incompatibili con il cristianesimo illuministico, inducendo, così, il pluralismo culturale, ciò che accresce significativamente il rilievo costituzionale della diversity, ciò che concorre a dare una compiuta spiegazione della correlativa affermazione dell’absolute individual right264. Non si deve confondere la diversità (diversity), dovuta alla compresenza di etnie diverse, con la divisione politica (political division), con le “‘polyarchal’ forms of democracy” (“strutturazione ‘poliarcale’ della democrazia”)265. La prima è compatibile con la omogeneità politica, con una fisionomia costituzionale, quella cristiano-illuministica, capace di porsi come dominante e, al tempo stesso, di legittimare le diversità266. Si può dire che, in questo contesto, le diversità, pur avendo o pur potendo avere un proprio specifico fondamento, tuttavia, si esprimono come tali in quanto legittimate dallo stesso ordinamento costituzionale cristiano-illuministico; esse, dunque, non ne pongono in discussione la preminenza. Al contrario, nella società connotata dalla political division, le diversità acquisiscono una rilevanza politica, nel senso che la loro fonte culturale è, al tempo stesso, la fonte della loro legittimazione costituzionale. Per questa via, l’ordinamento costituzionale non è più unitario, ma si moltiplica in maniera corri264

Su cui, vd., retro, § 24. Espressione tratta da A.C. Hutchinson - P.J. Monahan, Democracy and the Rule of Law, cit., p. 109. 266 Vd., retro, § 6. 265

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spondente: “what marks a divided society is that these differences are politically salient – that is, they are persistent markers of political identity and bases for political mobilization. Ethnocultural diversity translates into political fragmentation […] and political conflict is synonymous with conflict among ethnocultural groups” (“ciò che caratterizza una società divisa è che queste differenze sono politicamente salienti – vale a dire, sono significative di una identità politica e basi per un coinvolgimento politico. La diversità etnico-culturale si traduce invece in una frammentazione politica [...] e la conflittualità politica diviene espressione di una conflittualità tra gruppi etnico-culturali”)267. Al pluralismo si connette, infatti, l’insorgenza della dottrina che pone, all’interno di una medesima comunità politica, il pluralimo costituzionale, che teorizza il group constitutionalism268, la group democracy269, poiché, “il progetto costituzionale volto a riconoscere le diversità linguistiche, culturali ed etniche, si traduce nel progetto di un pluralismo costituzionale”270. Si è sviluppato, così, il survival argument (“l’argomentazione della sopravvivenza”), “concerning the survival of the group” (“attinente alla conservazione del gruppo”), la tesi, vale a dire, secondo cui “Members of certain nations may indeed seek to acquire national rights, especially the right to establish their own nation-state, because they believe that this entity alone will protect them from the violence and the intimidation of their neighbours” (“le componenti inserite in determinati contesti nazionali tentano, infatti, di acquisire diritti nazionali, specialmente il diritto di stabilire il proprio stato-nazione, poiché esse ritengono 267

S. Choudhry, Bridging Comparative Politics…, cit., p. 5. R. Hardin, Liberalism…, cit., p. 303. 269 Ivi, p. 305. Vd. anche, retro, § 19. 270 R.A. MacDonald, The Design of Constitutions…, cit., § 2, p. 53, già cit., retro, nella nota 9, p. 72. 268

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che solo questa identità politica potrà proteggerle dalla violenza e dalle intimidazioni dei loro vicini”)271. La visione di Roger Williams, propria del cristianesimo illuministico, basata sull’affermazione secondo cui il non cristiano può essere un cittadino esemplare quanto il cristiano, non dipendendo l’onestà civile dalla fede religiosa praticata272, è fallita. Più specificamente, il sistema capitalistico della produzione ha causato la relativizzazione del rigorismo proprio del cristianesimo illuministico, ha scemata la sua capacità di relegare nella sfera privata i convincimenti etici soggettivi con esso contrastanti, la sua idoneità a privare di qualsivoglia rilievo giuspubblicistico i contesti culturali alieni. Di fronte a questa situazione, il cristianesimo illuministico scade al livello di una delle possibili culture compresenti nel tessuto sociale, ponendosi, rispetto ad esse, in un rapporto di pariteticità: “from this standpoint the Rule of Law could be only a watery ideal at best. As an ideal it can represent only one value among many, and it therefore ‘has always to be balanced against the competing claims of other values’” (“da questo punto di vista, il Rule of Law, bene che vada, può solo essere un ideale sbiadito. Come ideale, esso può essere solo un valore tra gli altri e, pertanto, ‘deve sempre essere contemperato con le concorrenti esigenze degli ulteriori ideali’”)273. Il fenomeno di frammentazione della società civile, indotto dalle componenti aliene, deve essere integrato con la prassi, in 271

Così, sul piano descrittivo, Y. Tamir, Liberal Nationalism, Princeton University Press, Princeton, 1995, p. XI, talché, l’autore può proseguire affermando: “The term ‘survival’ is thus too often used to trump individual rights” (p. XII). 272 Su quanto esposto, vd. A. Donati, La concezione della giustizia…, cit., § 59. 273 E.J. Weinrib, The Intelligibility of The Rule of Law, in A.C. Hutchinson - P.J. Monahan (a cura di), The Rule of Law: Ideal or Ideology, Carswell, Toronto, 1987, p. 67.

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virtù della quale la stessa originaria comunità ospitante viene suddividendosi in più componenti, ciascuna animata da uno specifico interesse, il cui scopo è quello di ottenere dallo Stato i maggiori vantaggi possibili, la cui caratteristica, pertanto, è la più o meno accentuata obliterazione del bonum commune274. Si è, in tal modo, determinata una constitutional crisis (“crisi costituzionale”) che “can [be] pictured in terms of a new and antagonistic morality encroaching upon the old” (“può [essere] descritta come una nuova e antagonistica moralità prevaricante quella precedente”)275. La problematica viene, complessivamente, sintetizzata nei seguenti termini: “what is to be done if not everyone agrees with the resulting theory of justice?” (“che cosa si deve fare se non tutti sono d’accordo con la teoria dominante della giustizia?”)276; “how can diverse human beings live together, freely, and peacefully?” (“come possono contesti umani diversi convivere liberamente e pacificamente?”)277; “what would a good society look like in a world marked by moral diversity?” (“come dovrebbe presentarsi una società caratterizzata dalla diversità etica”)278; “by what values should ‘we’ live?” (“in base a quali valori ‘noi’ dobbiamo vivere”)279; “what is the principled basis of a free society marked by cultural diversity and group loyalties? More particularly, […] how far it should tolerate such minorities when their ways differ from those of the mainstream community” (“qual è la solida base di una società libera caratterizzata dalla diversità culturale e dalla lealtà di gruppo? Più in partico274

Vd., retro, § 19. Così, G.W. Carey, In Defence of the Constitution, cit., p. 6. 276 C. Kukathas, The Liberal Archipelago…, cit., p. 7. 277 Ivi, p. 2. 278 Ivi, p. 256. 279 Ivi, p. 5. 275

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lare, [...] quanto è doveroso tollerare tali minoranze allorché le loro vie differiscono da quelle della comunità dominante?”)280; “what role, if any, the state should play in the shaping of a society’s (national) identity; and what fundamental values should guide our reflections on these matters” (“quale ruolo, se uno ne esiste, deve svolgere lo Stato nella conformazione della identità nazionale; quali valori fondamentali devono guidare le nostre riflessioni in queste materie?”)281. 27. La fondazione del “post-national constitutionalism”, della “New Constitutional Morality” La valenza attuale del pluralismo è evidenziata dal passaggio dal costituzionalismo illuministico al “post-national constitutionalism” (“costituzionalismo post-nazionale”)282, alla inammissibilità della visione che intende la Constitution come “an unchanging document whose meaning was determined when it was ratified” (“un documento immutabile il cui significato fu determinato nel momento della sua ratifica”)283, alla conseguente 280

Ivi, p. 3. Ivi, p. 4. Ulteriori domande in S. Choudhry, Bridging Comparative Politics…, cit., p. 8 ss. Vd., anche, S.A. Barber - J.E. Fleming, Constitutional Interpretation. The Basic Questions, Oxford University Press, Oxford, 2008, passim; H.K. Gerken, Second-Order Diversity, in «Harvard Law Review», vol. 118, n. 41, 2005, p. 1101 ss., dedicato al problema: “how to treat electoral minorities in a majoritarian system”. 282 Vd. R.A. MacDonald, The Design of Constitutions…, cit., § 33, p. 73: “The analysis […] suggests that the notion of constitutions being designed to accommodate linguistic, cultural and ethnic diversity is post-national. That is, however any particular form of national aspiration is defined, it is fundamentally incompatible with a commitment to recognizing linguistic, cultural and ethnic diversity”. 283 Così, D.A. Strauss, The Living Constitution, Oxford University Press, Oxford, 2010, p. 4. 281

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teorizzazione della living Constitution (“Costituzione vivente”), della living constitutional tradition (“tradizione costituzionale vivente”). Quest’ultima è basata sul convincimento secondo cui, poiché dal tempo in cui la U.S. Constitution fu promulgata “The United States has grown in territory, and its population has multiplied several times. Technology has changed, the international situation has changed, the economy has changed, social mores have changed – all in ways that no one could have foreseen when the Constitution was drafted” (“Gli Stati Uniti hanno esteso il proprio territorio e la popolazione si è moltiplicata diverse volte. La tecnologia è cambiata, la situazione internazionale è cambiata, l’economia è cambiata, i costumi sociali sono mutati – in maniera che nessuno avrebbe potuto prevedere allorché la Costituzione fu delineata”)284, è inevitabile che “the Constitution will change, too” (“anche la Costituzione dovrà cambiare”)285, talché “the […] idea of a static Constitution grounded in a narrow conception of ‘original’ meaning is both incoherent and indefensible” (“l’idea [...] di una Costituzione statica basata su una interpretazione restrittiva del sua significato ‘originale’ è, al tempo stesso, incoerente e indifendibile”)286, talché, ancora, solo “the living Constitution […] is responsible for keeping the U.S. Constitution from becoming obsolete, or worse” (“una Costituzione vivente [...] è capace di evitare che la Costituzione degli Stati Uniti diventi obsoleta o peggio ancora”)287. Per questa via, ha avuto luogo il transito ad una “new constitutional morality” (“nuova moralità costituzionale”)288, la cui caratteristica è di essere “inimical to the older morality wrou284

Ivi, p. 1 s. Ivi, p. 2. 286 Ivi, Editor’s Note, p. XIII s. 287 Ivi, p. 5. 288 Così, sul piano ricostruttivo, G.W. Carey, op. cit., p. 4. 285

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ght by the Framers and articulated in The Federatist” (“nemica della antiquata moralità scritta dai Fondatori ed espressa ne Il Federalista”)289, da indurre il giurista a porsi la domanda: “should invocations of the Rule of Law be dismissed as empty, rhetorical appeals to an ideal whose time is past?” (“il richiamo al Rule of Law deve essere respinto in considerazione della vacuità dei suoi contenuti, in quanto appello retorico ad un ideale il cui tempo è trascorso?”)290. L’Illuminismo, anche in ciò il suo apporto è stato rivoluzionario, aveva abolito la disuguaglianza degli uomini, giuridicamente espressa dalla teorica degli status291, elaborando l’idea di una umanità portatrice di uno stesso patrimonio di diritti innati (inherent rights), realizzando, così, una uguaglianza fondata su un preciso valore di giustizia (la alieni abstinentia (“astensione di ciò che è altrui”) di Grotius, ovvero, la property in his own person (“diritto di proprietà sulla propria persona”) di Locke), calato, poi, nei testi costituzionali che ad esso si sono informati292. Per altro, il problema posto dalla società contemporanea, in quanto caratterizzata dalla multicultural citizenship (“cittadinanza multiculturale”)293, non è più, come già si è detto, quello 289

Ibidem. Vd. anche, sul piano descrittivo, S. Choudhry, Bridging comparative politics…, cit., p. 11: “Although the protection of human rights is an important issue for constitutional politics in divided societies, it is certainly not the only one on the table”. 290 Così, R.H. Fallon jr., “The Rule of Law” as a Concept in Constitutional Discourse, in «Columbia Law Review», vol. 97, n. 1, 1997, p. 4. 291 J.G. Heineccius, Elementa Juris Civilis secundum ordinem Institutionum, 1727, § 76: “status est qualitas, cujus ratione homines diverso jure utuntur”; H.L.B. Cocceius, Dissertationes prooemiales XII, Lausannae, 1751, Dissert. XII, § CVI, p. 335: “Status hominum est conditio, per quam persona capax fit jurium, quae ad statum hominum pertinent”. 292 Per riferimenti bibliografici, vd. A. Donati, La concezione della giustizia…, cit., cap. VI; Id., Diritto naturale e globalizzazione, cit., capp. VI-VII, X. 293 C. Kukathas, The Liberal Archipelago…, cit., p. 10.

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di garantire l’uguaglianza, ma di assicurare la disuguaglianza, nonché il diritto al “moral disagreement” (“dissenso morale”)294, donde il transito dalla homogeneity (“omogeneità”) alla heterogeneity (“eterogeneità”). Da questo punto di vista, l’Illuminismo viene visto come affetto da un undemocratic character (“carattere ‘antidemocratico’”)295, diviene una dottrina obsoleta da relegare nel periodo in cui ebbe a diffondersi: “the commonly told story of the Enlightenment’s dawn, heralding a revolutionary conception of humanity and society marked by equality, and by liberty of conscience, has come to be viewed with suspicion” (“la storia comunemente raccontata relativa alla nascita dell’Illuminismo, araldo di una concezione rivoluzionaria della umanità, di una società caratterizzata dalla uguaglianza e dalla libertà di coscienza, è ormai vista con sospetto”). Si afferma, così, l’emancipazione dalla liberazione illuministica, dalle differenze di razza, di sesso, etc.: “such emancipation required that difference be recognized – and the different (in the shape of oppressed minorities) be empowered” (“questa emancipazione richiede che le differenze siano riconosciute – e che la diversità (nella forma delle minoranze oppresse) sia autorizzata”)296. Si evidenzia, per questa via, il contrasto tra due correnti dottrinali relative allo svolgimento del judicial review (“controllo giudiziario”), la prima, conservatrice dell’originario significato 294 A. Gutmann - D. Thompson, Democracy and Disagreement, cit., p. 1; A. MacIntyre, After Virtue…, cit., p. 6. 295 Così, sul piano ricostruttivo, G.W. Carey, In Defence of the Constitution, cit., p. 3. 296 Così, sul piano ricostruttivo del movimento antilluministico, C. Kukathas, op. cit., p. 3. Esso, conseguentemente, coinvolge anche la Common Law: “liberals […] have little patience with the traditional common law, which they see as oppressive and irrational”. Analogamente, J.R. Stoner jr., Natural Law, Common Law…, cit., p. 178.

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del testo costituzionale, la seconda, aperta alle esigenze del pluralismo297. Dal punto di vista del primo degli orientamenti, denominato contract theory (“teoria contrattuale”), ovvero, degli originalists (“originalisti”), i valori costituzionali devono essere assunti secondo il loro significato originario, talché le nuove leggi vengono giudicate di conseguenza seguendo lo schema del sillogismo: “The major premise is a rule or principle […] that was part of the original understanding. The minor premise requires the judges to determine whether that principle or rule is threatened by the law or state action they have been asked to review. (Laws making sodomy a crime do (or do not) deny gays the equal protection of the law). If a judge thinks the law is in conflict with the constitution, she or he must declare it to be invalid even if sympathetic to what it is trying to do” (“La premessa maggiore è costituita dalla prescrizione, o dal principio, posti come parti dell’originario significato. La premessa minore richiede che i giudici verifichino se tale principio, o prescrizione, siano minacciati dalla legge o dall’azione dello Stato su cui essi sono stati chiamati a decidere. (Le leggi che criminalizzano la sodomia negano (o non negano) agli omosessuali la uguale protezione della legge). Se il giudice ritiene che la legge è in conflitto con la Costituzione, l’una o l’altro devono dichiararla invalida anche se condividono ciò che essa si appresta a realizzare”). “The conclusion – pertanto –, fol297 Vd. F.A.R. Bennion, Understanding Common Law Legislation. Drafting and Interpretation, Oxford University Press, New York, 2009, p. 170: “In the United States […] there is open disagreement between the proponents of what is called textualism and those who believe in the living constitution”. Secondo l’autore, ciò dipenderebbe dal fatto che il testo costituzionale scritto “is gravely incomplete” in quanto in esso mancano le “full instructions on exactly how it is intended by the framers to be interpreted and applied”. Ed infatti, “Without such instructions the text is at large, and at the mercy of further interpreters” (p. 168).

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lows inevitably from the way the minor premise is phrased” (“la conclusione [pertanto] è la conseguenza inevitabile del modo in cui è stata formulata la premessa minore”)298. Secondo questo movimento – che “is now decidedly the minority view” (“che attualmente esprime senz’altro il punto di vista della minoranza”)299 –, le nuove istanze del pluralismo possono essere soddisfatte solo a condizione che si proceda ad una revisione del testo costituzionale: “if americans want to make capital punishment and laws that single out and disadvantage gays and lesbians unconstitutional, they must follow the procedures the constitution provides for its own amendment” (“se gli Americani vogliono rendere incostituzionali la pena capitale e leggi che isolano e svantaggiano gli omosessuali e le lesbiche, devono seguire la procedura che la Costituzione prevede per le proprie modifiche”). I diversi, i non conformist, conseguentemente, “cannot ask the court to issue rulings it has no constitutional authority to make” (non possono domandare alla corte provvedimenti che essa non ha autorità costituzionale di emanare”)300. L’ulteriore corrente di pensiero si suddivide in quella dei proceduralists (“proceduralisti”) che teorizza la process theory (“teoria processuale”), il procedural model of judicial review (“modello procedurale del controllo giudiziario”) ed in quella che, invece, propone la moral theory (“teoria morale”). Comune ad entrambe è il rifiuto dell’originalism e l’accoglimento delle istanze del pluralismo. Alla stregua della prima, elaborata da John Hart Ely301, con298

Così, sul piano ricostruttivo, D.M. Beatty, The Ultimate Rule of Law, Oxford University Press, Oxford, 2005, p. 7. 299 Ivi, p. 9. 300 Ivi, p. 8. 301 J.H. Ely, Democracy and Distrust. A Theory of Judicial Review, Harvard University Press, Harvard, 1980.

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siderata la improponibilità dei valori costituzionali tradizionali, ritenuto che “Making value determinations and establishing the moral character of their communities […] [is] for the people, not the courts, to do” (“Elaborare i valori e determinare la personalità morale delle loro comunità [...] [è] compito del popolo e non delle corti”); quest’ultime devono limitarsi a verificare il corretto funzionamento delle sedi istituzionali in cui si forma il consenso politico, assicurandone la uguale partecipazione a tutti i cittadini e la inammissibilità di decisioni che siano discriminatorie, “guaranteeing that the ordinary institutions of politics worked fairly, remained open to change, and did not systematically exclude or work to the disadvantage of particular groups” (“garantendo che le istituzioni politiche ordinarie abbiano svolto la propria attività correttamente, siano rimaste aperte ai cambiamenti, abbiano evitato di escludere sistematicamente o di svantaggiare particolari gruppi”)302. La moral theory è, invece, riconducibile al pensiero di Dworkin che, da un lato, rigetta “the idea that democracy can be reduced to the simple formula of majority rule” (“l’idea che la democrazia possa essere ridotta alla semplice formula della prevalenza della maggioranza”), dall’altro, attesta che il potere politico ed il potere giudiziario derivano “from a deeper moral principle, drawn from liberal political theory, that recognizes each person as someone entitled to being shown ‘equal concern and respect’ by the state” (“da un più profondo principio etico, elaborato dalla teoria politica liberale, che pone ogni persona come idonea ad una ‘uguale considerazione e ad un uguale rispetto’ da parte dello stato”)303, vale a dire, derivano, in definitiva, dalla vigenza dell’absolute individual right (“diritto assoluto individuale”). 302 303

Su quanto esposto, D.M. Beatty, in ivi, p. 16. Così, sul piano ricostruttivo, op. cit., p. 26.

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Capitolo V

Società civile e componenti aliene

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28. La visione intellettualistica e l’integrazionismo Approfondendo l’indagine, la problematica del pluralismo, storicamente considerata, presenta tre soluzioni corrispondenti a tre modelli rispettivamente adottati in tre degli Stati costituenti gli Stati Uniti d’America, in Virginia, nel Massachusetts, nella Pennsylvania. Alla stregua del primo, gli immigranti furono accolti, ma rimasero separati dal contesto sociale, “Their labor was welcomed but […] full social membership was denied” (“La loro attività lavorativa era apprezzata mentre [...] la piena afferenza al contesto sociale era denegata”). Alla stregua del secondo, prevalse l’assimilazionismo, nel senso che erano accolti solo coloro che avessero accettato la religiosità puritana: “the colony’s immigration model was to welcome the true believer but to exclude and, in certain cases, to expel or even kill those whose views challenged the conventional wisdom” (“il modello della immigrazione coloniale consistette nell’accogliere favorevolmente il vero credente ma di escludere e, in certi casi, di espellere, o perfino di uccidere, i portatori di visioni contrastanti con la cultura dominante”). Alla stregua del terzo, prevalse la tolleranza e, quindi, la legittimazione del pluralismo culturale: “Members of religious minorities throughout Europe responded, making Pennsylvania one of the most diverse colonies in 119

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religion, language, and culture. […] the Pennsylvania ideal – that immigrants (specifically, white European settlers) would be welcomed on terms of equal rights prevailed in the making of the new nation” (“I membri delle minoranze religiose provenienti dall’Europa reagirono facendo della Pennsylvania una delle colonie maggiormente diversificata in materia religiosa, linguistica e culturale. [...] L’ideale della Pennsylvania, secondo cui gli immigranti (nella fattispecie, gli emigrati bianchi europei) avrebbero dovuto essere bene accetti in termini di uguali diritti, prevalse nella formazione della nuova nazione”)304. Dei tre, quello divenuto prevalente è lo statuto adottato dalla Pennsylvania. Peraltro, l’assetto contemporaneo rende obsoleto questo statuto basato sulla compresenza della originaria cultura americana e di altre culture, poiché è ormai divenuta dominante la tendenza alla prevalenza di quest’ultime sulla prima. Il problema, dunque, non risiede più nel delineare “an agenda for restoring the Pennsylvania model that would afford full membership to legal immigrants” (“un tracciato volto a riproporre il modello della Pennsylvania capace di attribuire la cittadinanza agli immigrati legalmente”)305, poiché questo modello è stato trasceso, appartiene, ormai, al passato. Il problema non è di garantire i diritti degli immigrati, soprattutto se clandestini, il problema è la sopravvivenza di una cultura, di un umanesimo, fondati sulla inherent dignity (“dignità inerente”), sui valori, dunque, del saper aude (“dovere di accrescere la conoscenza”) e del neminem laedere (“non ledere alcuno”), sulla realizzazione del “but […] de faire parvenir tous les citoyens […] à un degré toujours plus élevé de moralité, de lumières et de bien-être” 304

Su quanto esposto, vd. S.F. Martin, A Nation of Immigrants, Cambridge University Press, Cambridge, 2011, p. 3. 305 Ivi, p. 287.

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(“fine [...] di far pervenire tutti i cittadini [...] ad un livello sempre più elevato di moralità, conoscenza e benessere”) (Constitution de la République française du 4 novembre 1848, Préambule). Sintetizzando, si può dire che, posta di fronte alla problematica del pluralismo, la scienza giuridica ha sviluppato, fondamentalmente, due orientamenti, il primo, intellettualistico, il secondo volontaristico. Il primo, il Conservative Right, erede della tradizione, ancorato alla concezione della persona umana portatrice di una inherent dignity, tale in quanto connessa ad un’etica sociale rigoristica, quella cristiano-illuministica306; il secondo, il legal pluralism (“pluralismo legale”), variegato, connotato da un abbandono più o meno marcato di tale visione. Il Conservative Right307 postula, in ultima istanza, il ripristino del cristianesimo illuministico, induce “a reaction to a revisionist school of thought, now dominant in academia, that has sought in various ways to disparage our Founding Fathers and their handiwork” (“una reazione nei confronti della scuola revisionista, attualmente dominante nell’accademia, che ha tentato in diverse maniere di denigrare i Padri fondatori e la loro opera”)308. Il Conservative Right si svolge “In Defense of the Constitution” (“Nella difesa della Costituzione”)309 ed è esprimibile tramite l’affermazione: “No Liberty for the License” (“Nessuna libertà per la licenza”)310. Esso assevera l’interpretazione dei testi costituzionali settecenteschi secondo il loro significato originario, quello, appunto, proprio del cristianesimo illuministico. 306

Su cui, vd., retro, § 16. Così, criticamente, H.L.A. Hart, Between Utility and Rights, in A. Ryan (a cura di), The Idea of Freedom. Essays in Honour of I. Berlin, Oxford University Press, Oxford, 1979, p. 77. 308 Così, G.W. Carey, In Defence…, cit., p. 3. 309 Titolo della citata monografia di Carey. 310 Titolo della già citata omonima monografia di Lowenthal. 307

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Dal suo punto di vista, la “nuova moralità costituzionale” “is truly revolutionary because it represents […] a repudiation of the basic principles upon which our constitutional system was founded” (“è veramente rivoluzionaria poiché rappresenta [...] il ripudio dei principi basilari sui cui il nostro sistema costituzionale è stato fondato”)311, perché, pertanto, “poses such a formidable threat to the older morality that has guided our constitutional development for the better part of two hundred years” (“realizza questa formidabile minaccia a quella moralità tradizionale che ha guidato il nostro sviluppo conforme al dettato costituzionale durante le parti migliori degli ultimi duecento anni”)312. Questo movimento, si bipartisce. Da un lato, gli integrazionisti, tali in quanto tengono fermo il primato, nelle relazioni pubbliche, della cultura costituzionale tradizionale, mentre consentono, nella sfera privata, i comportamenti devianti. Pertanto, “Integration, while respecting differences in the private domain, involves the elimination of differences in the public sphere. It aims at public homogenization through common citizenship” (“L’integrazione, mentre rispetta le differenze nella sfera privata, ne involge l’eliminazione nella sfera pubblica. Essa tende ad una omogeneizzazione politica tramite la comune cittadinanza”)313. Dall’altro, gli assimilazionisti che, invece, propugnano, anche nella sfera privata, la conformità ai valori espressi dalla fisionomia costituzionale della società314, dalla cultura cristianoilluministica. Gli assimilationists, di conseguenza, “seek the 311

Così, G.W. Carey, op. cit., p. 4. Ivi, p. 16. 313 Così, sul piano descrittivo, J. McGarry - B. O’Leary - R. Simeon, Integration or Accommodation? The enduring Debate in Conflict Regulation, in Constitutional Design for Divided Societies…, cit., p. 42. 314 In questo senso, “integration today is synonymous with ‘assimilation’, the process whereby ‘a minority group gradually adopts the customs and at312

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erosion of private cultural and other sorts of difference among citizens as well as the creation of a common public identity, through […] acculturation. […] Acculturation involves one community adopting the culture of another and being absorbed into it (A+B=A)” (“gli assimilazionisti tendono al dissolvimento dell’individualismo culturale e delle altre forme di differenziazione tra i cittadini e, nello stesso tempo, alla formazione di una identità politica comune, tramite [...] l’acculturamento. [...] L’acculturamento comporta che una comunità adotti la cultura di un’altra comunità rimanendone assorbita (A+B=A)”)315. 29. La visione volontaristica: l’accomodazionismo Il versante volontaristico, pur nella sua variegata composizione316, è animato dal convincimento dell’avvenuto tramonto del giusnaturalismo illuministico causato dalla affermazione del pluralismo culturale. Esso è sussumibile nel movimento degli accommodationists (“accomodazionisti”), tali, in quanto volti a sostenere la accommodation317, il modello della differentiated citizenship (“cittadinanza “differenziata”)318. Questo movimento è, dunque, favorevole all’accoglimento integrale del pluralismo, conseguentemente esso “promotes dual or multiple public identities, titudes of the prevailing culture’”. Così, M. Adams, Radical Integration, in «California Law Review», vol. 94, n. 2, 2006, p. 264. 315 Così, sul piano descrittivo, J. McGarry - B. O’Leary - R. Simeon, Integration or Accommodation?…, cit., p. 42. 316 Al riguardo, si rinvia a A. Donati, Rule of Law…, cit., cap. III, §§ 30.130.5. 317 Vd. J. McGarry - B. O’Leary - R. Simeon, Integration or Accommodation?…, cit., p. 41. 318 Vd. A. Patten, Beyond the Dichotomy of Universalism and Difference: Four Responses to Cultural Diversity, in S. Choudhry (a cura di), op. cit., p. 91.

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and its proponents advocate equality with institutional respect for differences” (“favorisce la duplicità o la molteplicità delle identità pubbliche e i suoi fautori difendono l’uguaglianza connessa al rispetto istituzionale per le differenze”)319, postulando, ad esempio, un multinational federalism (“federalismo multinazionale”) e una corrispondente administrative decentralization (“decentramento amministrativo”), ovvero, un legal pluralism (“pluralismo giuridico”), vale a dire, rendendo possibili tante normative giuridiche quanti sono i soggetti del pluralismo, reintroducendo, in altri termini, la cultura degli status propria della società d’Ancien Régime. Pertanto, “Accommodation […] allows for the public and institutional expression of differences in the public sphere” (“l’Accommodation [...] permette la pubblica ed istituzionale manifestazione delle differenze nella sfera pubblica”)320. Così come nell’Ancien Régime l’unitarietà del sistema economico feudale si coniugava con le diversità locali da cui, sul piano politico, veniva significativamente rafforzato in virtù del connesso assolutismo politico e religioso321, analogamente, mutatis mutandis, il sistema capitalistico della produzione322. 319

J. McGarry - B. O’Leary - R. Simeon, Integration or Accommodation?…, cit., p. 41. 320 Ivi, p. 42. 321 Vd. J.E.M. Portalis, Discours préliminaire…, cit., p. 464: “la France n’était qu’une société de sociétés. La patrie était commune, et les états particuliers et distincts. Le territoire était un, et les nations diverses”; J.I. Jacqueminot, Idées préliminaires, in J.E.M. Portalis, op. cit., p. 327: “elles [les anciennes lois] semblaient d’ailleurs faites uniquement pour partager l’état en mille peuplades étrangères les unes aux autres, comme si le despotisme avait lui-même eu la conscience qu’un immense assemblage de vingt-cinq millions d’hommes ne pouvait rester son domaine dès qu’ils viendraient à se compter et à connaître leurs rapports mutuels”. 322 Vd. S. Wolin, Managed Democracy…, cit., p. 46: “A giant corporation includes prayer sessions for its executives, while evangelicals meet in ‘fran-

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Dal punto di vista dell’orientamento in esame, si tratterebbe, dunque, non di criticare e delegittimare il pluralismo, poiché ciò equivarrebbe a mettere in discussione il sistema capitalistico della produzione secondo la sua attuale conformazione, ma soltanto di dare, del pluralismo, una adeguata giustificazione nei termini di una teoria generale della giustizia, ciò che dovrebbe consentire una sorta di ordinato anarchismo. Complessivamente, l’orientamento suddetto è diretto alla formazione di una nuova tipologia costituzionale avente lo scopo di favorire le “‘polyarchal’ forms of democracy” (“la forma ‘poliarcale’ della democrazia”)323.

30. La “disestablishmentarian” response to cultural diversity Riassuntivamente, il volontarismo, pur considerando la diversità delle sue componenti, presenta due tratti ricorrenti: il rifiuto di valori giuridici ordinanti ed unificanti, in quanto incompatibili con la logica del pluralismo324; la relegazione dello Stato ad una funzione di garanzia di quest’ultimo325. chised’ congregations and millionaire preachers extol the virtues of capitalism”. Vd. anche p. 128. 323 Espressione tratta da A.C. Hutchinson - P. J. Monahan, Democracy and the Rule of Law, cit., p. 109. 324 Vd. M. Rosenfeld, op. cit., p. 1350: “In a pluralist society with competing conceptions of the good, […] it is difficult to imagine the prevalence of a solid, extrinsic link between the rule of law and both predictability and fairness”. 325 Vd. R. Dworkin, Liberalism, in S. Hampshire (a cura di), Public and Private Morality, Cambridge University Press, Cambridge, 1978, p. 142 s.: “Liberalism […] provides that human beings must be treated as equals by their government […] liberals, as such, are indifferent as to whether people choose”. Sul piano descrittivo, vd. H.L.A. Hart, Between Utility and Rights, cit., p. 77: “Liberal left […] is dominated by the duty of government to treat their subjects as equals, with equal concern and respect”.

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Lo Stato illuministico, nel porre e garantire i diritti della libertà di coscienza e di opinione, nonché, gli altri a questi connessi, si poneva come Stato dotato di una propria cultura, talché il riconoscimento del multiculturalismo, che esso induceva, era un suo prodotto326. Tale riconoscimento si traduceva, in realtà, in un processo di assimilazione, quanto meno nel senso che le componenti culturali non conformist (“non conformiste”) conservavano la propria fisionomia in virtù di una istanza illuministica e non per virtù propria. Per altro, “there is value and dignity in individuals charting their own courses in life, without being pushed or prodded in one direction or another on the basis of collective judgments about valuable cultures and identities” (“c’è valore e dignità nelle scelte esistenziali degli individui, senza che debbano essere spinti o incitati in una direzione o in un’altra sulla base dei giudizi collettivi relativi alla ammissibilità di culture e di identità”)327. Si è sviluppato, così, con particolare riferimento agli States, un movimento di reazione sia nei confronti delle Costituzioni illuministiche, sia in quelli della Corte Suprema, in quanto ritenuta garante di tali testi e riguardata come espressione dell’altrettanto illuministico principio della separazione dei poteri fondamentali dello Stato. Questo indirizzo, nelle sue manifestazioni più radicali, qualifica come antidemocratico il Government of Right, tale in quanto basato sugli inherent rights, fondamentalmente, per tre motivi: perché la Constitution si risolve in una limitazione del 326 A.

Patten, Beyond the Dichotomy of Universalism and Difference: Four Responses to Cultural Diversity, in S. Choudhry (a cura di), Constitutional Design for Divided Societies…, cit., p. 96: “Presumably the neutralist favors neutrality because she believes in certain values and principles that appear to demand it in a range of different areas. It would be incoherent for her to be neutral about those values and principles”. 327 Ibidem.

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Parlamento328, per questa via, della base elettorale329; perché gli organi di governo sono, in realtà, separati dalla volontà dei cittadini, pur assumendo di esserne i rappresentanti330; perché, infine, la Constitution consente il judicial review (“controllo giudiziario”) da parte della Supreme Court, vale a dire, il controllo sulla legittimità costituzionale delle leggi ordinarie esercitato da un ristretto numero di giudici, non eletti democraticamente e, tuttavia, preminenti sulle statuizioni provenienti dagli organi posti come rappresentativi della base elettorale. Questa critica al potere giudiziario viene denominata come Argument from Democracy (“motivazione democratica”), alla cui stregua, dunque, “Democratic principle is seriously compromised if unelected and politically unaccountable judges are left with the task of fleshing out the contours of the moral rights the Charter claims to guarantee, and then applying these rights against legislation duly passed by democratically accountable bodies like Parliament and the provincial legislatures” (“Il principio democratico è seriamente compromesso allorquando a giudici non eletti e privi di responsabilità politica viene lasciato 328

Per la giustificazione di questo aspetto dal punto di vista dell’Illuminismo giuridico, vd. A. Donati, La concezione della giustizia nella vigente Costituzione, cit., §§ 81 e 90; Id., Giusnaturalismo e diritto europeo. Human Rights e Grundrechte, Giuffrè, Milano, 2002, § 17. 329 Così, W.J. Waluchow, A Common Law. Theory of Judicial Review The Living Tree, Cambridge University Press, Cambridge, 2007, p. 75: “Why, among the numerous possibilities open to it, would a democratic society choose a system of government in which the powers of government are limited by an entrenched, written Charter of Rights?”. 330 Ivi, p. 74: “constitutional democracies […] embrace a number of different ways in which law-determining decisions […] are “distanced” from the people on whose behalf and authority they are made. […] Furthermore, they also typically contain a number of practices and institutions […] that combine to create even greater distance between law-determining decisions and the general citizenry”.

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il compito di accrescere i limiti dei diritti morali garantiti dalla Carta e, quindi, di rivolgere questi diritti contro le leggi debitamente approvate da corpi democraticamente legittimati quali il Parlamento e gli organi legislativi provinciali”)331. Si obietta, inoltre, che la Supreme Court, riservandosi il “role of enforcer of its own understanding of natural law and natural rights” (“ruolo di garante della propria interpretazione del diritto naturale e dei diritti naturali”), ha “usurped the legislative authority reserved to congress and the states” (“ha usurpato l’autorità legislativa riservata al Congresso ed agli Stati”)332. Si qualifica la “continuing revision of the Constitution under the guise of interpretation […] as a ‘continuing constitutional convention’” (“la continua revisione della Costituzione condotta sotto l’egida della interpretazione [...] come una ‘continua convention costituzionale’”), con la conseguenza di dar luogo, in 331 Ivi, p. 3 s.; p. 4: “The duly considered views of citizens and their representatives about the laws by which they are to be governed […], are, in effect, being set aside in favour of the moral opinions of a handful of judges”. In relazione alla Gran Bretagna, vd., J. Goldsworthy, The Sovereignty of Parliament: History and Philosophy, Oxford University Press, Oxford, 1999, p. 269: “The whole point of having a democracy is that […] the opinion of the majority rather than of an unelected elite [of judges] is supposed to prevail”. 332 Così, G.L. Gregg II, Vital Remnants…, cit., Introduction, p. XXV. Da un punto di vista più generale, vd. E.B. Racket, More Supreme than Court? The Fall of the Political Question Doctrine and the Rise of Judicial Supremacy, in «Columbia Law Review», vol. 102, 2002, p. 237 ss., che pone in evidenza la progressiva decadenza della “political question doctrine”, vale a dire, dell’“idea that some constitutional questions fall outside the purview of the judiciary” (p. 244); decadenza indotta dal fatto che “the Supreme Court has become increasingly blind to its limitations as an institution” (p. 301); dal fatto che “The current court increasingly displaces congress’s view with its own” (p. 302), dall’avere essa pretermesso che “Constitution’s vesting of interpretive power with the other branches on some constitutional questions reflects the institutional differences among the branches” (p. 301); dal passaggio, pertanto, alla judicial immodesty: “The court has therefore become increasingly immodest when it comes to deciding how constitutional interpretive power should be allocated” (ibidem).

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contrasto con la “‘original intention’ of the Framers” (“l’intento originario dei Padri”), ad un “government by judiciary” (“governo di giudici”), essendo “such judicial revision an exercise of statesmanship” (“tale revisione giudiziaria un esercizio della sovranità statale”)333. Talché, la Supreme Court, presentata come garanzia dei moral rights (“diritti morali”) contro le decisioni arbitrarie degli organi di governo della società civile, “is transformed into a living nightmare, a nightmare in which democracy and the rule of law have, in effect, been abandoned and replaced by the rule of a few men and women, by a kind of ‘judicial oligarchy’” (“è stata trasformata in un incubo vivente, un incubo in cui la democrazia ed il rule of law sono stati, infatti, abbandonati e sostituiti dall’autorità di pochi uomini e donne, da una sorta di ‘oligarchia giudiziaria’”)334. Più latamente, tale movimento non limita la critica all’operato della Suprema Corte, ma la estende al sistema giudiziario, alle Courts, in quanto sorrette dal principio di autonomia (judicial independence), da un principio opposto a quello secondo cui “law cannot be separated from politics” (“la legge non deve essere separata dalla politica”)335. Il movimento, dunque, su questa più ampia scala, pone in evidenza la ritenuta incompatibilità tra “the legislatures and the 333

Così, R. Berger, Government by Judiciary. The Transformation of the Fourteenth Amendment, II Edit., Liberty Fund, Indianapolis, 1997, p. 3 s. Sul ruolo della U.S. Supreme Court, vd. anche S. Breyer, Active Liberty. Interpreting a Democratic Constitution, Revisited Ed., Oxford University Press, Oxford, 2008. 334 Così, W.J. Waluchow, op. cit., p. 5; p. 8: “It is difficult to think of the Charter as ‘guaranteeing’ our moral rights, when it is largely left to judges to figure out what these so-called guarantees really mean”. 335 J.M. Maravall - A. Przeworski (a cura di), Democracy and the Rule of Law, Cambridge University Press, Cambridge, 2003, Introduction, p. 15.

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courts” (“la legislazione e le corti”)336, lo sfasamento (displacement) tra le “nonaccountable courts” (“le corti non responsabili [politicamente]”) e gli “elective and accountable organs” (“organi elettivi e [politicamente] responsabili”), il fenomeno della “judicialization of politics” (“giuridizzazione della politica”)337. Le esigenze del pluralismo culturale possono, dunque, essere adeguatamente soddisfatte solo abrogando lo Stato cristianoilluministico e costituendone uno informato alla “idea of difference-blindness” (“mancanza di identità culturale”), al “disestablishment principle” (“principio di destabilizzazione”)338, vale a dire, ad una concezione che pone lo Stato come privo di una propria filosofia della giustizia che non sia quella del nichilismo. È così, autonomamente fondata la diversità, il diritto di quest’ultima a conservarsi come tale, espresso, giuridicamente, nei termini dello status. È, così, anche fondata la “equality of status” (“uguaglianza degli status”)339, poiché ove la pariteticità dovesse venire meno, neppure quel diritto potrebbe sussistere. La “‘disestablishmentarian’ response to cultural diversity” (“risposta ‘destabilizzataria’ al problema della diversità culturale”) condanna, pertanto, le “policies that consciously set out to encourage or discourage particular forms of cultural life” (“le politiche che consapevolmente si prestano ad incoraggiare o scoraggiano particolari modelli culturali”)340, “the state should not establish any particular culture or identity” (“lo stato non dovrebbe fissare nessuna cultura o identità particolari”)341.

336

Ivi, p. 13. Ivi, p. 14. 338 A. Patten, Beyond the Dichotomy…, cit., p. 96. 339 Ivi, p. 105 ss. 340 Ivi, p. 95. 341 Ivi, p. 96. 337

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31. La “Transcivilizational Perspective”, ovvero, verso il caos planetario La globalizzazione ha relativizzato il principio di nazionalità342, ma, per ciò stesso, ha anche relativizzata la distinzione tra il diritto internazionale ed i diritti nazionali, nel senso che le fonti di quest’ultimi sono ormai integrate dalle fonti afferenti al primo343. Il diritto internazionale, dunque, manifesta una tendenza a sostituirsi alle fonti nazionali favorendo, così, la omogeneizzazione dei loro contenuti e consentendo, alla globalizzazione economica, di iniziare a dotarsi di una globalizzazione giuridica, vale a dire, di un diritto uniforme344. La globalizzazione ha modificato, dunque, il diritto internazionale che da fonte del diritto applicabile tra gli Stati è divenuto anche fonte dei diritti nazionali. Tanto più si accresce questa seconda funzione, tanto più diminuisce la prima. Di fronte a questo nuovo assetto, la scienza giuridica parla di postnational law (“legislazione postnazionale”). 342

W. Twining, Globalisation & Legal Theory, Cambridge University Press, Cambridge, 2000, p. 4: “the term ‘globalisation’ refers to those processes which tend to create and consolidate a unified world economy, a single ecological System, and a complex network of communications that covers the whole globe, even if it does not penetrate to every part of it”. 343 Vd. N. Krisch, Beyond Constitutionalism…, cit., p. 4: “The classical distinction between the domestic and international spheres […] is increasingly blurred, with a multitude of formal and informal connections taking the place of what once were relatively clear rules and categories. In this sense, law has become ‘postnational’ – the national sphere retains importance, but it is no longer the paradigmatic anchor of the whole order”. 344 Vd. quanto osservato da N. Krisch, Beyond Constitutionalism…, cit., p. 12: “We may thus not have arrived at one integrated legal order for the globe, but we have left behind the traditional dichotomy for a denser form of interaction in which national law – the anchor of the old order – only plays one part among others”.

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Peraltro, la dimensione internazionale è, al tempo stesso, caratterizzata da un pluralismo che si differenzia da quello tradizionale, tanto da essere definita una “costellazione postnazionale”345. La caratteristica emergente di tale pluralismo è, infatti, il rifiuto di regole giuridiche unificanti in quanto viste come strumenti volti a limitare la libertà degli Stati346. Così come, sul piano del diritto interno, il pluralismo si caratterizza per il rifiuto dei modelli giuridici unificanti, analogamente avviene sul piano del diritto internazionale. Questa situazione induce la domanda: “Dove possiamo trovare una risposta politica alle sfide della costellazione postnazionale?”347. Al riguardo, si dànno, fondamentalmente, tre risposte: containment, transfer, break. La prima, conservatrice, postula il mantenimento dello status quo, vale a dire, la perpetuazione dell’assetto tradizionale basato sulla netta distinzione tra diritti nazionali e diritto internazionale. La seconda, risolve il problema “by transferring key domestic concepts and institutions to regional and global levels” (“trasferendo i valori e le istituzioni guida nazionali ai livelli regionali e globali”), richiede, dunque, che si trasferiscano a livello internazionale i valori ordinanti gli Stati nazionali, in particolare, quelli del Primo Mondo, sintetizzati dalla formula del Rule of Law. La terza propugna, invece, l’abbandono di queste due posizioni e la fon345

Titolo della omonima opera di J. Habermas, trad. it., Feltrinelli, Milano,

1999. 346

Vd. N. Krisch, Beyond Constitutionalism…, cit., p. 68: “The ideological divisions of the Cold War might have withered away, but outlooks on life, politics, religion, and justice in the world continue to differ enormously. In these circumstances, the idea of settling the central questions of a polity in constitutionalist form may not only seem unachievable but also undesirable […] a constitutional settlement may appear as imposed by one group on the other, as an imperial tool rather than an expression of common self-government”. 347 Così, J. Habermas, La costellazione postnazionale, cit., p. 33.

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dazione ex novo dei valori capaci di presiedere allo svolgimento della globalizzazione348. Anche nel quadro della postnational law (“legislazione postnazionale”) si riproduce, dunque, l’antagonismo tra una visione favorevole alla individuazione di valori giuridici unificanti ed uniformanti e la visione atomistica favorevole, invece, al pluralismo. Si determina, così, una corrispondenza tra la tendenza al pluralismo riscontrabile nei singoli Stati e l’analoga tendenza rinvenibile nel quadro dei rapporti internazionali. Sintetizzando, accanto alla corrente di pensiero ancorata al primato degli human rights, attesato dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata dalla Assemblea delle Nazioni Unite nel 1948, si rinviene una linea di pensiero, emergente, volta a sostenere la Transcivilizational Perspective, vale a dire, la concezione secondo cui “we see, recognize, interpret, assess, and seek to propose solutions to problems transcending national boundaries by developing a cognitive and evaluative framework based on the recognition of plurality of civilizations that have long existed in human history” (“noi vediamo, riconosciamo, interpretiamo, valutiamo e cerchiamo di proporre soluzioni ai problemi che trascendono i confini nazionali mediante lo sviluppo di un contesto conoscitivo e valutativo basato sul riconoscimento della pluralità culturale che stabilmente connota la storia umana”). Talché, “The transcivilizational perspec348

Su quanto esposto, vd. N. Krisch, Beyond Constitutionalism…, cit., pp. 14-17. La seconda e la terza delle soluzioni, si risolvono nella “challenge to all ‘black box theories’ which treat nation states or geographically bounded ‘societies’ or legal systems as discrete entities that can be studied in isolation either internally or at the international level”. Così, W. Twining, Globalisation…, cit., p. 8, p. 51, p. 252. Per quanto riguarda il Rule of Law, vd. quanto riferito da A. Donati, Rule of Law…, cit., Introduzione.

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tive enables us to see, understand and construe the problems not merely […] from a West-centric transnational perspective of ‘global civil society’. It assumes, rather, the plural existence of long lasting and diverse civilizations […] [The transcivilizational perspective] enables us to liberate ourselves from the preconception that we belong to only one civilization. It thus enables us to avoid a glorification of ‘our’ civilization at the cost of ‘their’ civilization” (“la transcivilizational perspective ci abilita a considerare, a comprendere e a risolvere i problemi non più semplicemente [...] considerando ‘la società civile globale’ dal punto di vista di una prospettiva transnazionale della cultura occidentale. Essa, piuttosto, prende atto della perdurante esistenza di tradizioni culturali diverse [...] [La transcivilizational perspective] ci rende capaci di liberarci dal pregiudizio secondo cui noi apparteniamo ad un unico modello culturale. Pertanto, essa ci permette di evitare l’esaltazione della ‘nostra’ civiltà a spese delle ‘altrui’ civiltà”)349. Per questa via, il pluralismo affermatosi nelle singole comunità nazionali si coniuga con quello proprio, o che si profila a dover essere proprio, del diritto internazionale, donde il caos planetario.

349

Così, O. Yasuaki, cit. da G. Koroma Abdul, International Law and Multiculturalism, in S. Yee - J.-Y. Morin (a cura di), Multiculturalism…, cit., p. 91 ss. Analogamente, vd. N. Krisch, Beyond Constitutionalism…, cit., p. 299, p. 307: “In the fluid, divided, and highly contested space of the postnational, easy solutions are elusive – and pluralism, for all its complexity, may allow us to realize central political values better than more clearly structured, constitutional frames”.

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Capitolo VI

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Le analogie con il periodo della decadenza dell’Impero Romano

32. Le analogie strutturali: feudalità terriera e feudalità capitalistica Le odierne concentrazioni capitalistiche stanno alla società civile così come il latifondo romano, prima, ed il feudo, poi, si posero nei confronti della società europea del tempo. In altri termini, se si vogliono indagare le conseguenze politiche che possono derivare dalla formazione delle concentrazioni di capitale industriale e finanziario, vale a dire, dal transito da una visione democratica dell’economia – tale in quanto, nel suo contesto, ciascuno era legittimato ad acquisire la qualifica di imprenditore –, ad una visione oligarchica e, quindi, antidemocratica dell’economia350, si deve considerare quell’aspetto del350 Essa viene realizzata mediante la soppressione di capitali individuali ed indipendenti; essa è l’“espropriazione del capitalista da parte del capitalista”; è la “decapitalizzazione” dei capitali più piccoli da parte di quelli più estesi; è la sussunzione di molti capitali minori in pochi capitali maggiori. In virtù di questo processo, più capitali individuali vengono sostituiti da un solo nuovo capitale che allarga, in misura corrispondente, la propria scala di produzione e, in misura altrettanto corrispondente, pone il fondamento per un nuovo e più vasto processo di accumulazione. Vd. K. Marx, Il Capitale, cit., III, 1, p. 336. La centralizzazione è prodotta dalla concorrenza, talché, “il [suo] risultato

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la vicenda umana caratterizzato da una analoga fenomenologia (historia magistra vitae). Questa esperienza, infatti, ha avuto luogo in riferimento al capitale terra, fonte della produzione della ricchezza sociale prima dell’avvento dell’economia di mercato. La formazione del latifondo nella società romana conclude il processo di accumulazione del capitale terra nelle mani di una oligarchia, fondamentalmente senatoriale e, quindi, nobile. Questa formazione si correla ad una società divenuta multirazziale e multiculturale, il cui tratto significante è costituito dalla decadenza dell’umanesimo classico, sintetizzato dall’ideale dell’essere umano inteso come kalÕj kaˆ ¢gaqÒj (“armonioso sia fisicamente che spiritualmente”) come filomat»j (Ö ge Ôntwj filomat»j), vale a dire, dall’uomo “che ha veramente il desiderio di conoscere”351, dall’uomo, pertanto, che è animato dall’œrwj (“eros”) filosofico352, dalla “nostalgia dell’Uno”353, perciò capace di colmare “l’intervallo [tra l’esistente e Dio,] sicché il tutto risulti seco stesso unito”354. Il protagonismo economico del latifondo, basato sul lavoro degli schiavi, sulla conseguente svalutazione del lavoro degli uomini liberi, congiunto al multiculturalismo, al lassismo etico e, quindi, al nichilismo, si correla, secondo un rapporto d’analogia, all’odierno protagonismo delle concentrazioni di capitale finanziario ed industriale. Quest’ultimo è connesso, in virtù del inevitabile […] è l’accumulazione del capitale in poche mani, dunque una più spaventosa restaurazione del monopolio”: K. Marx, Manoscritti…, cit., p. 296. 351 Platone, Repubblica, cit., 490a; vd. anche Id., Sofista, trad. it., Laterza, Roma-Bari, 1984, 254a-b. 352 Platone, Repubblica, VI, 490 a 8 ss., cit. da M. Heidegger, L’essenza della verità, trad. it., Adelphi, Milano, 1997, p. 92 s. 353 Così, sul piano ricostruttivo, G. Reale, Eros dèmore mediatore, Bompiani, Milano, 2005, p. 26. 354 Platone, Simposio, trad. it., Laterza, Roma-Bari, 1989, 202e.

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processo di delocalizzazione, alla svalutazione del lavoro dei cittadini del Primo Mondo ed alla progressiva erosione della loro più importante conquista, il Welfare State, connesso, altresì, al multiculturalismo, al permissivismo morale e, quindi, al nichilismo. “Io vedo qui una sincronia paradossale: con la vittoria del mondo tecnico-secolare posteuropeo, con l’universalizzazione del suo modello di vita e della sua maniera di pensare, si diffonde, specialmente nei paesi strettamente non europei dell’Asia e dell’Africa, l’impressione che il sistema di valori dell’Europa, la sua cultura e la sua fede, ciò su cui si basa la sua identità, sia giunto alla fine e sia anzi già uscito di scena […] L’Europa, proprio nell’ora del suo massimo successo, sembra svuotata dall’interno […] Al cedimento delle forze spirituali portanti si aggiunge un crescente declino etnico. C’è una strana mancanza di voglia di futuro. I figli, che sono il futuro, vengono visti come una minaccia per il presente. Ci portano via qualcosa della nostra vita, così si pensa. Non vengono sentiti come una speranza, bensì come una limitazione. Il confronto con l’Impero Romano al tramonto si impone: esso funzionava ancora come grande cornice storica, ma in pratica viveva già di quei modelli che dovevano dissolverlo, aveva esaurito la sua energia vitale”355. 355

Vd. J. Ratzinger (Benedetto XVI), Europa. I suoi fondamenti spirituali ieri, oggi e domani, in J. Ratzinger - M. Pera, Senza radici, Mondadori, Milano, 2004, p. 59 s.; Id., Europa. I suoi fondamenti oggi e domani, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2004, p. 20: “Il confronto con l’Impero Romano al tramonto si impone: esso funzionava ancora come grande cornice storica, ma in pratica viveva già di quelli che dovevano dissolverlo, poiché esso stesso non aveva più alcuna energia vitale”. Vd. anche G. Jervis, Contro il relativismo, trad. it., Laterza, Roma-Bari, 2005, p. 115: “il multiculturalismo relativista concede ampio spazio alla crescita dei settarismi. Paradossalmente, esso incoraggia e giustifica l’anti-relativismo dei fanatici e dei dogmatici di tutte le religioni. Questo non ci dovrebbe meravigliare: le più accese convinzioni di fede hanno in comune con il relativismo l’appello alla soggettività e il disprezzo per la realtà empirica”.

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Questa analogia consente di prevedere che, ove non intervengano fatti ostativi, il sistema capitalistico della produzione evolverà verso il feudalesimo capitalistico

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33. Le analogie sovrastrutturali: il pluralismo culturale e lo scetticismo Più specificamente, i momenti di riscontro di questa analogia sono costituiti: dal pluralismo culturale correlato allo scetticismo; dallo scadimento dello spirito patriottico356; dallo svilimento dell’educazione giovanile357; dalla crisi della giustizia358; dalla confluenza del nichilismo nella teologia cristiana359; dalla propensione verso l’assolutismo politico360. Quanto al primo profilo, anche la società romana assunse una veste cosmopolita cui conseguono il pluralismo culturale e lo scetticismo che ne divennero la fonte di legittimazione filosofica. Nel mito di Hermes, che ne costituisce una significativa rappresentazione, “troviamo la negazione dei principi di identità, di non contraddizione e del terzo escluso, e le catene causali si riavvolgono su se stesse in spirali: il ‘dopo’ precede il ‘prima’, il dio non conosce limiti spaziali e può, in forme diverse, essere in posti diversi allo stesso tempo. Hermes trionfa nel II secolo dopo Cristo. Il II secolo è un periodo, dal punto di vista politico, di ordine e pace, e tutti i popoli dell’Impero sono apparentemente uniti da un linguaggio e da una cultura comuni. L’ordine è tale che nessuno può sperare di cambiarlo con un qualunque 356

Vd. paragrafo successivo. Vd., infra, § 35. 358 Vd., infra, § 36. 359 Vd., infra, § 37. 360 Vd., infra, § 38. 357

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tipo di operazione militare o politica. […] il mondo del II secolo è un crogiolo di razze e lingue; un crocevia di popoli e idee, un mondo in cui tutti gli dèi sono tollerati. In precedenza questi dèi avevano significato qualcosa di molto profondo per la gente che li aveva adorati, ma quando l’impero aveva inghiottito i loro paesi, aveva anche dissolto la loro identità: non ci sono più differenze tra Iside, Astarte, Demetra, Cibele, Anaitis e Maia. […] Nell’ambito di questa dimensione sincretistica, uno dei principi del razionalismo greco, quello del terzo escluso [o A è vero o A è falso, tertium non datur], entra in crisi. È possibile che molte cose siano vere allo stesso tempo, anche se si contraddicono l’un l’altra […] era dunque necessario cercare una rivelazione che andasse oltre i discorsi umani, una rivelazione annunciata dalla divinità stessa, grazie alla visione, al sogno o all’oracolo. Ma una rivelazione così inedita e mai udita prima doveva parlare di un dio fino ad allora sconosciuto e di una verità segreta. La conoscenza segreta è una conoscenza profonda […] In tal modo la verità si identifica con ciò che non viene detto o con ciò che viene detto oscuramente, e deve essere compresa a partire da ciò che sta oltre o sotto la superficie di un testo”361.

34. Lo scadimento dello spirito patriottico Quanto al secondo dei profili, lo scadimento dello spirito patriottico, è attestato dalla seguente testimonianza di Cornelio Tacito: “costoro che istigano ad abbandonare i reparti e a lasciare il campo […] sono ascoltati liberamente nell’assemblea; al punto che, qualunque cosa dica un tribuno della plebe, anche se mira 361

Così, sul piano ricostruttivo, U. Eco, Interpretazione e sovrainterpretazione, Bompiani, Milano, 2002, p. 40 s.

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a tradire la patria e a distruggere la Repubblica, voi, o Quiriti, siete avvezzi ad ascoltarlo e, presi dal fascino che esercita su di voi quella magistratura, consentite che sotto di essa si nasconda qualsiasi misfatto. […] perché in questo appunto consiste la libertà di Roma, nel non rispettare né il Senato, né i magistrati, né le leggi, né i costumi degli antenati, né le istituzioni dei padri, né la disciplina militare”362. Analogamente, nel contesto attuale risulta lecito il vilipendio della bandiera nazionale, in cui le forze armate sono ormai fondamentalmente mercenarie.

35. La diseducazione dei giovani Quanto al terzo dei profili, significativa, anche in questo caso, la testimonianza di Cornelio Tacito: “Nei tempi antichi ognuno faceva allevare i propri figli, nati da casta sposa, non già nella cella di una nutrice, ma nel grembo e tra le braccia della madre, la cui massima lode era di custodire la casa e attendere ai figli. Ad una parente anziana di ottimi e specchiati costumi si affidavano tutti i bambini di una stessa famiglia, alla cui presenza nessuno osava pronunciare parole turpi o fare gesti che sembrassero sconvenienti. Col rispetto che ispirava, ella non solo regolava gli studi e le occupazioni serie dei fanciulli, ma anche i loro svaghi e giochi. […] Questa disciplina severa faceva sì che quegli animi schietti, integri, immuni da vizi, sentissero presto tutto il fascino delle arti liberali e, sia che inclinassero alla milizia, al diritto o all’eloquenza, attendessero unicamente a quello e in quello s’impegnassero a fondo”363; “Ma 362

Così, T. Livio, Storia di Roma dalla sua fondazione, trad. it., Rizzoli, Milano, 1982, V, cap. VI, in fine. 363 Tacito, Dialogus de oratoribus, XXVIII.

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ora i bambini si affidano appena nati ad una ancella greca, cui s’aggiungono a caso uno o due servi, spesso i peggiori e meno adatti ad occupazioni serie, che imbevono di favole e pregiudizi i loro animi teneri e ignari; né alcuno in tutta la casa si preoccupa di ciò che dicono o fanno alla presenza del bambino. Gli stessi genitori non abituano i loro figliuoli all’onestà e alla moderazione, ma alla petulanza e alla mordacità, per cui a poco a poco l’impudenza ed il disprezzo di sé e degli altri s’insinuano negli animi. Mi sembra poi che i vizi particolari di questa città, la passione per gli istrioni e per i giochi si concepiscano quasi nello stesso seno materno: e quale spazio potrà lasciare alle arti liberali un animo tutto preso da queste infatuazioni? Quanti ragazzi troverai che in casa parlino d’altro? Quali altri discorsi sentiremo, se entriamo in una scuola? Perfino i maestri parlano spesso di queste cose con gli scolari, poiché non con severità di disciplina e prove di ingegno essi li attirano a sé, ma con adulazioni e complimenti d’ogni genere”364; “Tralascio l’insegnamento primario, fatto anch’esso poco seriamente. Non si dedica abbastanza tempo e non si attende con la cura necessaria alla lettura degli autori, allo studio dell’antichità, alla conoscenza della storia”365. Analogamente, nel tempo presente, in cui i giovani sono traviati e debilitati dalla pornografia, dall’abuso del sesso e dall’uso della droga, sono allontanati dall’ideale della famiglia, sono deculturalizzati mediante la prassi della settorializzazione della cultura366 e dal primato del nichilismo.

364

Ivi, XXIX. Ivi, XXX. 366 Vd., retro, § 8. 365

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36. La formazione della giurisprudenza arbitraria Quanto al quarto dei profili, la crisi della giurisprudenza romana può essere sintetizzata dalla seguente affermazione, anche in questo caso, felicemente resa da Cornelio Tacito: “giudici che non deliberano in base al diritto e alle leggi, ma in forza del loro potere”367. Analogamente accade nella società contemporanea, nel cui contesto, con specifico riferimento all’area anglosassone, si assiste, infatti, alla formazione di una “‘new’ constitutional morality” (“nuova moralità costituzionale”), la cui caratteristica è di essere “inimical to the older morality wrought by the Framers and articulated in The Federatist” (“nemica della antiquata moralità scritta dai Fondatori ed espressa ne Il Federalista”), di indurre il giurista a porsi la domanda: “should invocations of the rule of law be dismissed as empty, rhetorical appeals to an ideal whose time is past?” (“il richiamo al Rule of Law deve essere respinto in considerazione della vacuità dei suoi contenuti, in quanto appello retorico ad un ideale il cui tempo è trascorso?”)368. Così, negli Stati Uniti, la Supreme Court ha introdotto la liberty soggettivamente intesa, apprestandone, quindi, una tutela disancorata dalle esigenze del bonum commune e della moralità pubblica, secondo i loro originari significati: “the Supreme Court itself has led the nation away from the moderate freedom that the common good requires and generations of liberals have advocated. […] Ceasing to be the conservative guardian of the Constitution that the founders expected it to be, […] the Court made individual freedom its god – at the expense of the mo367 368

C. Tacito, Dialogus de oratoribus, XIX. Su quanto esposto, vd., retro, § 27.

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ral, social, and political needs of ordered society. Thus, the first amendment has become a vehicle for degrading and destabilizing the republic it was meant to strengthen and preserve” (“la stessa Corte Suprema ha allontanato la nazione da quella libertà moderata che il bene comune richiede e che generazioni di liberals hanno difeso. [...] Cessando di essere la garante della conservazione della Costituzione così come voluta dai suoi fondatori, [...] la Corte ha fatto della libertà individuale il proprio dio – a spese delle esigenze morali, sociali e politiche di una società ordinata. Così, il primo emendamento è diventato un veicolo per degradare e destabilizzare la repubblica che aveva lo scopo di rafforzare e preservare”)369.

37. La confluenza del nichilismo nella teologia cristiana Quanto al quinto dei profili, viene in considerazione la descrizione, operata dall’apostolo Paolo, della immoralità della base sociale romana: “perciò Dio li ha abbandonati all’impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi […] Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura. Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s’addiceva al loro traviamento. E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d’una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno, colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; 369

Già cit., retro, testo e nota 23, p. 96.

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pieni d’invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori, maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori, insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia. E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa” (Rm 1, 24-32). Questa pagina, benché datata, è descrittiva della società contemporanea. Poiché l’uomo non vive senza darsi un assetto religioso, senza porsi in un rapporto ritenuto di consonanza con Dio, così come alla decadenza etica e politica della società romana è corrisposto il cristianesimo, analogamente, quest’ultimo, ormai separato dall’Illuminismo370, si appresta a divenire l’espressione religiosa della decadenza etica e politica del Primo Mondo371. Per intendere questo aspetto, si deve tenere presente che il cristianesimo divinizza l’umanità degradata ed il nichilismo che, di tale degradazione, è la causa culturale. “La fede [infatti] si nutre di scetticismo”372. 370

Sulla loro connessione, vd., retro, § 16. Nota redazionale a Unione Superiori Generali, Verso una comunione pluricentrica, in «Il Regno», 9/2001, p. 290: “I processi di unificazione mondiale [globalizzazione] si affiancano a quelli della mondializzazione della Chiesa”; H.-M. Barth, Il volto di Dio nelle religioni, in «Protestantesimo», vol. 57, 2002, p. 329: “In tempi passati accadeva che i cristiani vedessero le religioni come espressione del diavolo; sotto questa luce è certo cosa gradita che ora la teologia pensi di scoprire in esse il volto di Dio. Non potrebbe tuttavia bastare, in un primo tempo, il fatto di esporsi senza protezioni alla diversità delle religioni non cristiane e lasciare aperta [l]a domanda sull’azione del Dio nascosto, che potrebbe aprirsi in modo inaspettato e nuovo agli esseri umani di una generazione che si sta globalizzando?”. 372 Così, D. Antiseri, La fede si nutre di scetticismo, in “Il Sole 24 Ore”, 5 febbraio 2006, n. 35, p. 36. Di fronte al pensiero forte “c’è anche il pensiero debole che […] apre, invece, alla possibilità della scelta di fede. E un momento significativo di siffatta tradizione è il ‘pirronismo cristiano’. Il pensiero debole 371

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Sotto il primo aspetto, il cristianesimo esprime il protagonismo di coloro che sono “la spazzatura del mondo, il rifiuto di tutti” (1 Cor 4, 13), di coloro che sono “stoltezza”, “debolezza”, “ignobile(i)”, “disprezzato(i)”, “nulla”: “Considerate la vostra chiamata, o fratelli: non sono molti tra voi i sapienti secondo la carne [i.e., secondo la sapienza cosiddetta terrena], non molti i potenti, non molti i nobili. Ma Dio ha scelto ciò che è stoltezza [c.n.] del mondo per confondere i sapienti [secondo il Decalogo], Dio ha scelto ciò che è debolezza [c.n.] del mondo per confondere i forti [nel Decalogo], Dio ha scelto ciò che è ignobile [c.n.] nel mondo e ciò che è disprezzato [c.n.] e ciò che è nulla [c.n.] per annientare le cose che sono, affinché nessuno possa gloriarsi davanti a Dio. Ed è per Lui che voi siete in Cristo Gesù, il quale è diventato per noi, per opera di Dio, sapienza, giustizia, santificazione e redenzione” (1 Cor 1, 26-30). Sotto il secondo aspetto, il nichilismo e l’immoralità conseguente, sono transustanziati nei termini della kenosi (Fil 2, 5-8) cosmica divina: “A immagine di Dio [trinitario] sono le donne che interrompono volontariamente la gravidanza, le ragazze madri, i divorziati, chi ricorre alla maternità medicalmente assistita attraverso ‘viaggi della speranza’ all’estero per sopperire a una ‘legge talebana’. A immagine di Dio sono […] coloro che fanno ricerca sulle cellule staminali; a immagine di Dio sono gli omosessuali e i transessuali. […] E scandalo dovette procurare la Parola quando questa si manifestò nel racconto della relazione […] tra Giuseppe e Maria, tra Gesù e Giovanni, tra Gesù e Maria di Magda. Scandalo suscitò la guarigione nel giorno di shabbat, scandalo nel rimettere i peccati. Scandalo nel dichiararsi ‘figlio di Dio’, Parola fatta carne, Parola risorta. […] permette di raggiungere […] ‘il fine lontano’, il quale consiste nel ‘preparare lo spirito a ricevere la fede’. […] ai nostri giorni, ha più forza, è più convincente una posizione come questa, articolata sulla humana contingentia” (ibidem).

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È lo stesso ‘scandalo’ a cui siamo chiamati a rispondere oggi: riconoscere l’amore omosessuale quale manifestazione dell’amore di Dio accogliendolo nelle nostre comunità e batterci per il riconoscimento civile”373; “Mi sono trovato a pensare che la lettura “debolista” di Heidegger e l’idea che la storia dell’essere avesse come suo filo conduttore l’indebolimento delle strutture forti […] non fosse altro che la trascrizione della dottrina cristiana dell’incarnazione del figlio di Dio”374. Si forma, per tale via, il convincimento “secondo cui anche il nostro tempo con la sua struttura anarchica è il prodotto dell’idea cristiana della kenosi”375. Ed infatti, “Per analogia con l’idea della kenosi si può affermare che Dio si è assoggettato anche alla moderna negazione e alla moderna delimitazione. Il Logos fatto carne si è svuotato della sua capacità di determinazione, fino alla totale scomparsa della sua verità nel chiasso dei mezzi della comunicazione sociale e del consumismo”376. Questa correlazione tra il nichilismo ed il cristianesimo è bene espressa anche dal seguente passo, in cui la moderna “secolarizzazione” viene posta come “fede purificata”: “Secolarizzazione come fatto positivo significa che la dissoluzione delle strutture sacrali della società cristiana, il passaggio a un’etica dell’autonomia, alla laicità dello stato, a una meno rigida lettera373

Così, R. Vitelli, Figli dello scandalo dell’amore, in «Riforma», 19 ottobre 2007, p. 10. 374 Così, G. Vattimo, Credere di credere, Garzanti, Milano, 1999, 27. Vd., altresì, R. Carbone, Temporalità, relazione e angustia nell’esperienza effettiva della vita: Heidegger a confronto con Paolo e Lutero, in «Protestantesimo», vol. 61, 2, 2006, p. 139 ss.: “Il filosofo tedesco cerca dunque di penetrare la storicità della vita religiosa della cristianità delle origini e di esprimerla sul piano di un linguaggio filosofico rinnovato in chiave fenomenologica” (p. 139). 375 Così, K. Ruhstorfer, Credere e pensare: la presenza della rivelazione in Occidente, in «Il Regno», n. 969, 15 maggio 2005, p. 348. 376 Così, ivi, p. 349.

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lità nella interpretazione dei dogmi e dei precetti, non va intesa come un venir meno o un congedo dal cristianesimo, ma come una più piena realizzazione della sua verità che è, ricordiamolo, la kenosis, l’abbassamento di Dio, la smentita dei tratti ‘naturali’ della divinità”377. Più specificamente, vengono in considerazione due linee di tendenza opposte, l’una protestante, l’altra cattolica; entrambe, tuttavia, confluenti nel realizzare una religiosità, una visione del trascendente, compatibili con l’attuale decadenza dei costumi, entrambe confluenti nell’indurre la legittimazione teologica del sistema capitalistico della produzione. Il protestantesimo contemporaneo è, infatti, caratterizzato dall’abbandono della configurazione rigoristica propria della Riforma delle origini, significata dal rilievo sociologico attribuito al Decalogo e dalla conseguente successiva coesione con l’Illuminismo378. Nel pensiero protestante contemporaneo, si rinviene un orientamento, traente origine dai teologi F. Schleiermacher e K. Barth, che ha separato lo “spiritualismo”, vale a dire, il protestantesimo illuministico379, dalla Riforma. Con il termine “spiritualismo” si indicano quelle correnti religiose protestanti influenzate dalla filosofia illuministica, incentrate su uno “Spirito” evangelico inteso, sostanzialmente, come Logos [i.e., come ragione] invece che come Pneuma [i.e., come mera volontà], incentrate su una esperienza di Dio tratta dalla coscienza, da una esperienza, dunque, ontologica, piuttosto che

377

G. Vattimo, Credere di credere, cit., p. 40 s. Su questo aspetto, vd. J. Ratzinger (Benedetto XVI), Lettera a Marcello Pera, in J. Ratzinger - M. Pera, Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, islam, Mondadori, Milano, 2005, p. 106. 379 Su cui, vd., retro, § 16. 378

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dalla Rivelazione380. Lo spiritualismo sarebbe, dunque, il portato di quelle “sètte spiritualistiche” “giunte alla loro piena espansione nel tardo ’600 e nel ’700”, al cui interno sarebbero maturati “i principi moderni del valore della personalità, della tolleranza e libertà di coscienza, della democrazia”; sètte che “evolvendo secondo il loro impulso interiore, e per influenza del clima illuministico, compievano un distacco sempre crescente dalla fede della Riforma, anzi, da ogni cristianesimo positivo, e venivano a sfociare nella spiritualità senza dogmi e senza chiesa della cultura moderna”381. In questo quadro di revisionismo storico, la vera Riforma sarebbe “una reazione del cristianesimo biblico contro il sincretismo ellenistico-cattolico, da cui emerge lo spiritualismo. Riforma e spiritualismo non sono due anelli di una catena, sono poli opposti di una grande antitesi spirituale”382. La tesi è priva di fondamento, sia perché la interiorizzazione della fede cristiana e la elevazione del Decalogo a carta costituzionale della società civile sono un portato specifico del pensiero di Lutero, di Calvino e di Williams383, sia perché, storicamente, è la Riforma e non le anonime “sètte spiritualistiche” a correlarsi all’Illuminismo come, in particolare, è dato di riscontrare nelle Constitutions nordamericane. Lo “spiritualismo” non fu una prosecuzione del “sincretismo ellenistico-cattolico”, al contrario, esso ne costituì il radicale rifiuto come attestato dalla reazione cattolica, pertanto, dalla Guerra dei trent’anni (1618-1648) e dal Concilio di Trento. La 380

Così, G. Miegge, Protestantesimo e Spiritualismo, Claudiana, Torino, 1965, p. 20 ss. 381 Ivi, p. 17. 382 Ivi, p. 21. 383 Per riferimenti bibliografici, vd. A. Donati, La concezione della giustizia nella vigente Costituzione, cit., cap. IV.

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vera Riforma, quella che ha segnato il corso della storia, non è che il protestantesimo illuministico. Questo orientamento volto ad espungere lo “spiritualismo” dalla Riforma induce la conseguenza di rendere il cristianesimo compatibile con il sistema capitalistico della produzione. Compatibilità, invece, esclusa dal protestantesimo delle origini, in considerazione del rigorismo etico da cui era caratterizzato, espressione, a sua volta, di una economia di mercato basata sulla iniziativa e sul protagonismo individuali, sulla teologia del calling384. Opposta la posizione della Chiesa cattolica in quanto diretta a recuperare il rapporto con l’Illuminismo, per questa via, con la scienza: “l’Illuminismo è di origine cristiana [i.e., cattolica385] ed è nato non a caso proprio ed esclusivamente nell’ambito della fede cristiana. […] È stato ed è merito dell’Illuminismo aver riproposto questi valori originali del cristianesimo e aver ridato alla ragione la sua propria voce. Il Concilio Vaticano II, nella costituzione sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, ha nuovamente evidenziato questa profonda corrispondenza tra cristianesimo ed Illuminismo, cercando di arrivare ad una vera conciliazione tra Chiesa e modernità, che è il grande patrimonio da tutelare da entrambe le parti”386. Posizione, questa, meramente politica, in quanto in aperto contrasto con i dati storici387. In particolare, con le risultanze dello stesso Concilio Vaticano II, il cui primo documento, la Constitutio dogmatica “Dei Verbum”, si riporta al Concilio Vati384

Su cui, vd., ivi, § 55. Nella letteratura cattolica contemporanea, il termine “cristiano” è sinonimo di “cattolico”, con la conseguenza di delegittimare le correnti cristiane non cattoliche. 386 J. Ratzinger (Benedetto XVI), L’Europa nella crisi delle culture, 1 aprile 2005, in Parole di Benedetto, Áncora, 2005, p. 14 s. 387 Vd. A. Donati, Homo e Persona…, cit., p. 73 ss. Vd., anche, infra, § 41. 385

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cano I ed al Concilio di Trento, alla negazione radicale, pertanto, dell’itinerario teologico, filosofico e politico che è alla base dell’Europa moderna. Tale posizione ha, dunque, natura strumentale rispetto all’esigenza di riassorbire l’area della Riforma nell’area e nella cultura della Controriforma, ripristinando, così, il Medioevo in versione capitalistica. Se, da un lato, il sistema capitalistico necessita di normative uniformi per quanto riguarda la produzione e l’allocazione delle merci e dei servizi poiché, in tal modo, diminuisce i costi di produzione, dall’altro, favorisce il pluralismo allo scopo di far evaporare la cultura degli human rights e dello Stato garante della loro vigenza. Per questa via, il cristianesimo cattolico, informato al pluralismo estremo388, si coniuga, anche sotto questo profilo, con il sistema capitalistico della produzione ripristinando quella collusione tra religione e politica che l’età moderna, tramite il protestantesimo e l’Illuminismo, aveva infranta. La Guerra dei trent’anni, conclusasi nel 1648, è più che mai in corso, combattuta, per altro, con la ben più potente arma della decadenza messa a disposizione dal sistema capitalistico della produzione. Esiste una precisa correlazione tra la struttura economica e la sovrastruttura religiosa. Ogni sistema economico induce una fenomenologia religiosa corrispondente. Così, alla struttura feudale ha fatto da pendant la religiosità cattolica389; alla struttura propria dell’economia di mercato, la religiosità protestante390. Con riferimento alla moderna struttura capitalistica, torna a ricandidarsi il cattolicesimo. Ed infatti, l’espropriazione 388

Per le fonti, vd. Donati, op. ult. cit., §§ 27-34. Ci si limita a richiamare Thomas de Aquino, De regimine principum, Marietti, Taurini-Romae, 1948. 390 Ci si limita a richiamare M. Weber, L’etica protestante…, cit. 389

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del prodotto del lavoro sociale propria della prima si coniuga con l’espropriazione della dimensione etica propria del secondo significata dal dogma della infallibilità391. Si ripropone, per questa via, quella convergenza tra, da un lato, il potere economico e politico, dall’altro, il potere religioso, che fu caratteristica dell’Ancien Régime, ciò che consente di prefigurare il Medioevo capitalistico.

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38. L’assolutismo politico Quanto al sesto dei profili, come noto, la società romana transita dalla forma repubblicana (Senatus populusque romanus) al principato e, successivamente, al dominato: il civis romanus diviene subditus. Un processo analogo è in corso di svolgimento nell’area del Primo Mondo nel cui contesto si assiste ad un progressivo logoramento della democrazia, ad una progressiva decadenza della visione che pone l’essere umano come portatore degli inherent rights (“diritti immanenti”) e, pertanto, come depositario di una inherent dignity (“dignità immanente”). La formazione della oligarchia capitalistica transnazionale ha ridotto ad una formalità l’esercizio della sovranità popolare a livello nazionale: “L’avvento della globalizzazione […] ha, in larga misura, vanificato la tradizionale funzione della democra391

“Romani Pontificis definitiones ex sese, non autem ex consensu Ecclesiae, irreformabiles esse”. Così, Concilium Vaticanum I, Sess. IV, Const. “Pastor aeternus”, in Denzinger-Schönmetzer, Enchiridion symbolorum…, cit., n. 3074; Codex iuris canonici, 1918, can. 1323; analogamente il codex vigente, can. 749, § 1; Catechismus Catholicae Ecclesiae, cit., 1992, §§ 889-892 e 2035; Thomas de Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. I, a 9: “Ecclesia universalis non potest errare”.

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zia, spostando, progressivamente in ambiti transnazionali, sui quali i cittadini dei singoli stati non possono influire, le sedi in cui si formano le decisioni che toccano i loro destini”392; “Gli ideali di democrazia, per quanto fortemente sentiti, debbono arrendersi di fronte alla realistica considerazione che le regole di democrazia affermatesi entro gli Stati nazionali non sono riproponibili entro la società globale”393. Così come l’individuo è strumentale rispetto alle esigenze della accumulazione capitalistica, così come il rapporto tra l’impresa capitalistica e l’individuo ha natura organica, parimenti, il rapporto tra lo Stato e l’individuo stesso. Così come la persona umana non ha alcun potere di controllo sulle strategie economiche delle concentrazioni capitalistiche, parimenti sullo Stato: “L’abisso tra i governanti e i governati è così vasto che l’attiva partecipazione dei cittadini agli affari del governo ne è completamente vanificata. Anche le elezioni periodiche divengono un rituale nel corso del quale i votanti scelgono un presidente tra due candidati che essi non hanno nominato per prendere decisioni intorno a problemi che non sono stati neppure discussi, sulla base di fatti che non possono essere resi di pubblico dominio. Ne risulta una politica in cui prevalgono la forma, l’immaginazione e il fideismo, e che ripugna all’uomo libero ed è incompatibile coll’ideale della democrazia”394; “è in corso […] la parabola discendente della democrazia politica; né manca chi già parla di ‘postdemocrazia’”395. Il progressivo transito verso l’assolutismo è anche significato dalla altrettanto progressiva sostituzione degli inherent rights (“diritti immanenti”) con i fundamental rights (“diritti 392

Così, F. Galgano, La globalizzazione…, cit., p. 197. Ivi, p. 200. 394 R.P. Wolff, Al di là della tolleranza, cit., p. 23. 395 Così, F. Galgano, Democrazia politica…, cit., p. 393. 393

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fondamentali”)396, altrimenti detti legal rights (“diritti legali”)397, civil rights (“diritti civili”), ovvero, con riferimento alla loro matrice culturale, Grundrechte (“diritti fondamentali”)398. La differenza tra gli inherent rights ed i fundamental rights risiede in ciò: che i primi sono immanenti alla persona umana e, pertanto, si impongono allo Stato; i secondi sono attribuiti dallo Stato e, indipendentemente da questa attribuzione, la persona umana non è portatrice di diritti. Nel primo caso, si ha il Government of Right (“Stato garante”), nel secondo, il Rechsstaat (“Stato di diritto”). Formalmente, le due espressioni sono sinonime, ma culturalmente sono opposte, indicando, la prima, lo Stato derivato dall’esercizio degli inherent rights e della inherent dignity (“dignità immanente”), la seconda, lo Stato rispetto al quale la persona umana non è che un suo organo, lo Stato fondato sulla Menschenwürde (“dignità della persona umana”)399. Nella cultura giuridica statunitense, si rinvengono i civil rights, ovvero, riguardati dal punto di vista della loro fonte, i civil rights acts. Questi diritti sono caratterizzati da ciò, che sono posti dalla legge400, peraltro in applicazione del tredicesimo, del quattordicesimo e del quindicesimo Amendment della Costituzione401, sono attribuiti al soggetto in quanto cittadino402. Tal396

Vd. N.B. Reynolds, Grounding the Rule of Law, cit., p. 6. Espressione tratta da Reynolds, Ibidem. 398 Per riferimenti bibliografici, vd. A. Donati, Giusnaturalismo e diritto europeo…, cit., § 47; Id., Homo e Persona…, cit., P. III, §§ 35 ss., p. 158 ss. 399 Per approfondimenti, vd., A. Donati, Giusnaturalismo…, cit., §§ 46 e 47. 400 Vd. Corpus juris secundum, vol. 14, West Publishing Co., Eagan, Minnesota USA, 1974, § 2, p. 8: “the term ‘civil right’ is defined to mean those rights which the law gives to a person”. 401 Ivi, § 4, p. 10; § 6, p. 13. 402 Ciò non toglie che anche lo straniero sia ammesso al loro godimento. Vd., ivi, p. 9, nota 15: “Every one, unless, deprived of them [of civil Rights] by sentence of civil death, is in the enjoyment of the civil rights, which is not the 397

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ché “A civil right may be defined as a right which appertains to a person by virtue of his citizenship, a right accorded to every member of a distinct community or nation” (“Un diritto civile può essere definito come un diritto che appartiene ad una persona in virtù della sua cittadinanza, un diritto accordato ad ogni membro di una specifica comunità o nazione”)403. I civil rights riguardano le “prohibitions against discrimination because of race, religion, color, sex, or other reasons” (“i divieti delle discriminazioni di razza, di religione, di colore, di sesso, o di altre ragioni”), oltreché i “federal and state remedies for violations of such rights or prohibitions” (“i rimedi statali o federali per le violazioni di tali diritti o divieti”)404. Netta è la differenza rispetto ai natural rights (inherent rights). Questi ultimi hanno una fondazione etica che delegittima la libertà morale; i civil rights recidono questa derivazione, realizzando, così, la legittimazione dell’individualismo etico. Per questa via, la fonte dei diritti della persona umana diviene lo Stato, il quod principi placuit (“la volontà arbitraria del detentore del potere politico”), donde la fondazione dell’assolutismo politico.

case with political rights, for an alien, for example, has no political, although in full enjoyment of the civil rights”; vd. anche § 7, p. 16. 403 Ivi, § 2, p. 8. 404 Ivi, § 1, p. 8; § 2, p. 8: “Civil rights include the rights of property, marriage, protection by the laws, freedom of contracts, trial by jury, etc.”.

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Capitolo VII

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L’alternativa

Il sistema capitalistico della produzione, anche nella sua dimensione globalizzata, necessita di leggi uniformi che regolino la produzione e la distribuzione della ricchezza sociale, poiché la diversità accresce, inutilmente, i relativi costi, riduce il profitto, impoverisce, altrettanto inutilmente, la società umana. Peraltro, sia sul piano interno che a livello internazionale, il nichilismo ha indotto la cultura della diversity (“diversità”), un pluralismo politico e giuridico che contraddice la sua istanza economica verso l’uniformità. Il pluralismo, in quanto culturalmente correlato al nichilismo, favorisce, al tempo stesso, lo scivolamento verso la configurazione autoritaria della società umana ponendosi, così, in un rapporto di consonanza con la vocazione assolutistica di tale sistema405, in ragione della sua tendenza verso l’oligopolio, in una prospettiva ultima, verso il monopolio. Questo quadro deve poter essere ricondotto a valori ordinanti capaci di razionalizzarne gli attuali contenuti, di evitare la riproposizione di un secondo e più terribile Medioevo, in virtù degli strumenti tecnologici di controllo e di condizionamento della persona umana messi a disposizione dalla scienza. 405

Vd., retro, § 3.

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39. I limiti del giuspubblicismo illuministico tradizionale e la rivalutazione del suo carattere intrinsecamente confessionale Il degrado etico e, quindi, politico, indotto dal sistema capitalistico della produzione, le implicazioni assolutistiche che ad esso si connettono, la prospettiva di un secondo Medioevo, costringono a rivedere le fondamenta dello Stato illuministico. La società sorta dalla catarsi protestante ed illuministica presenta una proprietà che concorre a spiegarne l’attuale degrado. Essa è costituita dall’individualismo che si esplica secondo due modalità primarie, una di natura giuridica, l’altra di natura etica. Il primo aspetto è riscontrabile nella centralità del diritto soggettivo, la cui funzione, come affermato da Grozio, “in senso proprio e stretto”, risiede “nel lasciare agli altri ciò che loro appartiene o nell’adempiere le obbligazioni verso di essi”406. Tale diritto è, propriamente, la Property in his own Person (“diritto di proprietà sulla propria persona”). I suoi contenuti dànno conto sia del diritto privato che di quello pubblico407. Quest’ultimo acquisisce natura strumentale rispetto alle sue esigenze di conservazione e di godimento. Si può dire che il fenomeno giuridico finisce per incentrarsi sul primato del diritto patrimoniale, mentre viene espunto dal suo ambito, in omaggio al principio della libertà di coscienza, il rapporto dell’uomo con Dio, per questa via, la considerazione del fine ultimo della vicenda umana. Anche questo aspetto fondamentale viene privatizzato, nel senso che la sua valutazione viene relegata nella dimensione individuale. Peraltro, non può darsi un diritto positivo che non sia ontologicamente correlato ad una filosofia morale socialmente condi406 407

H. Grotius, De jure belli…, cit., Prol. 10. Vd. A. Donati, Giusnaturalismo e diritto europeo…, cit., cap. III.

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visa. Il diritto positivo non è sufficiente a realizzare il compiuto governo delle relazioni umane. Tale completamento è, appunto, attuato dall’etica, vale a dire, dall’interiore adesione dei cittadini ai suoi contenuti, talché quest’ultimi hanno vigenza indipendentemente dalla presenza dei controllori e dell’apparato repressivo, fatta eccezione per gli episodi marginali di ingiustizia che, inevitabilmente, hanno luogo. Nello Stato garante degli human rights, l’etica è, fondamentalmente, quella cristiano-illuministica408, anch’essa essenzialmente individualistica. Questo individualismo giuridico ed etico è transitato nell’individualismo a fondamento capitalistico, dai contenuti diametralmente opposti, ciò che è espresso dal passaggio dallo Stato garante dell’etica illuministica e protestante allo Stato garante della license (“licenza”)409. Il superamento di tale situazione deve, dunque, avvenire mediante la rimozione delle cause che l’hanno generata410, convertendo la license nella liberty411, riattribuendo, quindi, allo Stato la funzione di promozione e di governo dell’etica umana, del rapporto tra l’uomo e Dio, riassegnandogli il compito di perseguire “[le] but […] de faire parvenir tous les citoyens […] à un degré toujours plus élevé de moralité, de lumières et de bien-être” (“del fine [...] di far pervenire tutti i cittadini [...] ad un livello sempre più elevato di moralità, di conoscenza e di benessere”) (Constitution de la République française du 4 novembre 1848, Préambule). 408

Vd., retro, § 16. Vd., retro, §17. 410 Vd. paragrafi successivi. 411 Vd. L. Strauss, in E.J. Erler, The First Amendment…, cit., p. 231: “License consists in doing what one lists; liberty consists in doing in the right manner the good only; and our knowledge of the good must come from a higher principle, from above”; Cicero, Pro C. Plancio, XXXIX: “libertatem […] non in pertinacia sed in quadam moderatione positam putabo”. 409

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Una società in cui manchi l’azione pastorale dello Stato, una società che non sia capace di orientare se stessa secondo il culto di Dio inteso come summa Ratio (“somma Ragione”), di assegnare alla famiglia il ruolo di seminarium rei publicae (“seminario dello Stato”) che le è proprio, di disporre la ricerca scientifica in funzione delle istanze filosofiche, prima ancora che materiali, della persona umana (e non in funzione delle esigenze della accumulazione capitalistica), è fatalmente destinata alla degenerazione, a diventare espressione del primato della filosofia volontaristica, del Dio inteso come Summa Voluntas (“Somma Volontà”), del primato, quindi, dei fondamentalismi religiosi.

40. Le due linee della palingenesi sociale: la moralizzazione dell’economia Il processo di revisione dello Stato deve prendere le mosse dalla moralizzazione dell’economia. Non è possibile, infatti, modificare l’etica sociale se non modificando previamente l’assetto economico. Diversamente, si scade nel moralismo, soprattutto di matrice religiosa, la cui inutilità è pari alla sua capacità di lasciare invariata la causa materiale della immoralità; la cui pericolosità risiede nell’imputare alla immoralità individuale una immoralità che è, invece, collettiva in quanto connessa alle modalità della produzione economica. La massimizzazione del profitto non può più essere la causa initialis (“causa iniziale”) e la causa finalis (“causa finale”) dell’ordinamento sociale. Il processo economico deve essere reso conforme alle istanze espresse dalla obligatio connata (“dovere innato”), sostanziata dal precetto del Deum colere 158

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(“onorare Dio”), da cui discendono i tre valori ordinanti la società civile: il primato della famiglia, il sapere aude (“dovere di conoscere”) ed il neminem laedere (“non ledere alcuno”). Ciò significa che, fermo rimanendo il ruolo del profitto in quanto indice della produttività e, quindi, della utilità sociale del lavoro, gli investimenti in termini di capitale finanziario non dovranno più avere un carattere meramente speculativo, mentre i ritmi produttivi, indotti dal capitale industriale, dovranno essere adeguatamente ridotti. Ciò consentirà un rallentamento dei ritmi esistenziali, una maggiore disponibilità nei confronti della famiglia e della elevazione culturale. La ricostituzione della famiglia, intesa come seminarium reipublicae (“seminario dello Stato”)412, rappresenta un ulteriore fondamentale passo verso la moralizzazione dell’economia capitalistica. Ciò comporta che deve essere abbandonata la prassi della individualità dei redditi, poiché essa pone in concorrenza la componente maschile e quella femminile, spezzando la loro naturale unità che ha luogo nella famiglia, poiché separa i figli dai genitori. Non più l’individuo, ma la famiglia deve riproporsi come il soggetto economico sociale. Anche la considerazione individualistica ed egoistica dei carismi deve essere superata. Coloro che li posseggono non debbono più impiegarli a loro esclusivo vantaggio. La loro presenza non deve essere intesa come attribuzione di una superiorità sugli altri tale da giustificarne l’impiego strumentale. I carismi sono da natura, vale a dire, da Dio e sono deputati alla elevazione propria e degli altri uomini; essi non sono che doveri, il cui esercizio è finalizzato a realizzare la progressività della società umana. 412

Su cui vd. A. Donati, La famiglia tra diritto pubblico e diritto privato, Cedam, Padova, 2004, §§ 33-40.

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La categoria ordinante le relazioni umane, il rapporto stesso tra lo Stato ed i cives, diviene non più il diritto, ma, appunto, l’officium413, secondo il significato che questa parola assume alla stregua della sua etimologia filosofica: officium ab efficiendo, vale a dire, il fare in modo che si eviti l’officire, il danneggiare gli altri e si giovi, invece, a tutti414, realizzando, così, i due principi fondamentali della giustizia, “primum ut ne cui noceatur, deinde ut communi utilitati serviatur” (“primo, non nuocere a nessuno; secondo, servire al vantaggio comune”)415.

41. Segue: la moralizzazione dell’attività conoscitiva L’etica intellettualistica si suddivide dando luogo a due precetti fondamentali: l’alieni abstinentia ed il sapere aude. Non può darsi l’uno senza l’altro. Più specificamente, il secondo è strumentale rispetto alla migliore realizzazione del primo. Poiché l’ignoranza è il più grande dei mali416, tanto maggiore 413 Vd. Cicero, De finibus bonorum et malorum, III, VI ss.; W. Blackstone, Commentaries…, cit., vol. I, Introduction, Sect. II, p. 40: “This law of nature […] is […] superior in obligation to any other”. 414 Così, sul piano ricostruttivo del pensiero classico, Ambrogius, De officiis, cit., I, 8. Sul piano dei contenuti, vd. Cicero, De officiis, I, 9. 415 Cicero, De officiis, I, 10. 416 Vd. Platone, Ippia maggiore, trad. it., Laterza, Roma-Bari, 1988, 296a: “la sapienza è di tutte la cosa più bella, l’ignoranza la più brutta”; Id., Alcibiade I, trad. it. di P. Pucci, Laterza, Roma-Bari, 1988, 118a; Id., Repubblica, cit., 586a: “le persone che non conoscono intelligenza e virtù […] vengono trasportate, sembra, in giù”; Id., Protagora, trad. it. di F. Adorno, Laterza, Roma-Bari, 1988, 361a-b; Cicero, Hortensius, fragm. 53: “nam quid est aliud hominibus negare sapientiam quam mentibus eorum verum ac divinum auferre?”; fragm. 54: “constat hominem non ad stultitiam, sed ad sapientiam nasci”; fragm. 73: “Est ergo animi egestas […] nihil aliud quam stultitia. Haec est enim contraria sapientiae et ita contraria ut mors vitae, ut beata vita miserae, hoc est sine aliquo medio”; Id., De officiis, I, 6: “Omnis autem cogitatio motusque animi

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la sua diminuzione, tanto maggiore la realizzazione del primo dei due precetti. Per altro, il sapere aude non ha solo questa strumentalità, possedendone una ulteriore, più elevata. L’ignoranza misura la lontananza da Dio, talché la lotta contro di essa è via ad Deum. Per questo motivo, nella filosofia intellettualistica, le virtutes intellectuales (“le virtù intellettuali”) sono gerarchicamente sovraordinate a quelle morali, per questo stesso motivo è nel quadro del loro esercizio che l’essere umano giunge alla contemplazione di Dio (contemplatio Veritatis), consegue il proprio fine ultimo, la propria felicità417. Due sono le fonti del sapere umano, da un lato, il Liber Naturae (Libro della Natura) dall’altro, il Liber Scripturae (Libro della Scrittura). Il primo, oggettivamente esistente, il secondo, redatto da aut in consiliis capiendis de rebus honestis et pertinentibus ad bene beateque vivendum aut in studiis scientiae cognitionisque versabitur”; G. Galilei, Lettera ad Orso D’Elci, 13 novembre 1616, in Le Opere, vol. XII, Barbera, Firenze, 1934, p. 294: “né io credo che si trovi nel mondo odio maggiore che quello dell’ignoranza contro il sapere”; XVI, p. 59: “l’ignoranza, madre della malignità, dell’invidia, della rabbia e di tutti gli altri vizii e peccati scellerati e brutti”. 417 Sotto il primo profilo, vd. Aristotele in T. de Aquino, In decem libros Ethicorum Aristotelis ad Nicomachum expositio, Marietti, Torino, 1964, § 2080: “cum felicitas sit operatio secundum virtutem […] rationabiliter sequitur, quod sit operatio secundum virtutem optimam […] consequens est quod operatio optima hominis sit operatio eius, quod est in homine optimum. Et hoc quidem secundum rei veritatem est intellectus”; Id., in T. de Aquino, In duodecim libros Metaphysicorum Aristotelis expositio, Marietti, Torino, 1950, Thom. Aq. expos., § 3: “Propria autem operatio hominis inquantum homo, est intelligere”. Sotto il secondo profilo, vd. Id., Etica Nicomachea, trad. it. di A. Plebe, Laterza, Roma-Bari, 1973, 1178b “Cosicché l’attività del Dio, che eccelle per beatitudine, sarà contemplativa. Quindi anche tra le attività umane quella che è più congenere a questa, sarà quella più capace di rendere felici […] Per quanto dunque si estende la speculazione, di tanto si estende anche la felicità, e in quelli in cui si trova maggiore speculazione v’è anche maggiore felicità […] Così la felicità è una specie di speculazione”.

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uomini ritenuti ispirati da Dio, latore, pertanto, di un pensiero divino trasmesso all’uomo mediante un processo di hermetizzazione418, nonostante questa origine, variabile a seconda del contesto umano considerato. Il primo è depositario di una verità che deve essere discoperta, ciò che rinvia ad una visione dialettica e progressiva della vicenda umana, espressa dal sapere aude (“ardisci di sapere”). Il secondo è depositario di una verità rivelata, la cui conoscenza non è soggetta a criteri di verifica oggettivi, i cui contenuti vengono, tuttavia, intesi come idonei a delegittimare la ricerca di ogni ulteriore verità: se la verità è data, la ricerca di nuove verità è una contraddizione in termini, è una blasfemia quod non est ex fide, peccatum est (“ciò che non deriva dalla fede è peccato”) (Rm 15, 23). Il Liber Scripturae conforma, infatti, la conoscenza umana, vanificando le risultanze conoscitive con esso contrastanti, esautorando il Liber Naturae quando sia inteso come depositario di una verità propria419, ciò che è espresso dal noli altum sapere (“non osare di sapere”) (Rm 11, 20; 12, 16), dal divieto di mangiare i frutti dell’albero della conoscenza (Gn 2, 16-17), dalla sorte riservata alla torre di Babele (Gn 11, 1-9). Il Liber Naturae, in ragione della sua oggettività, induce non solo una scienza della natura, una physica (“fisica”), ma anche una meta-physica (“meta-fisica”), nel senso che esso è in grado di rivelare se è fine a se stesso o se trae origine da un disegno intelligente. Il Liber Naturae, non foss’altro a causa della sua unitarietà, trascende il pluralismo dei Libri Scripturarum. Questi ultimi, considerata la loro molteplicità, non possono essere che testi filo418

Hermes, nel contesto mitologico, è il messaggero degli Dei. Più estesamente, vd. A. Donati, Le motivazioni teologiche…, cit., cap. IV, § 1. 419

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sofici, interpretazioni dell’esistente, in quanto tali, soggetti ai criteri di verifica propri della filosofia e della scienza della natura.

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42. La teleologia dello Stato Il perseguimento di queste finalità può essere garantito solo dall’azione dello Stato. Così come l’uomo è kt»ma tîn qeîn (“proprietà degli Dei”)420 e, quindi, organo dell’azione divina, membra sumus corporis magni (“siamo membra di un grande corpo”)421, parimenti è organo dello Stato, cui egli ha delegato il compito di realizzare più compiutamente quella stessa azione, divenendone, così, il membrum organicum: “Ut corpora nostra sine mente, sic civitas sine lege suis partibus, ut nervis ac sanguine et membris, uti non potest” (“Come il nostro corpo non può reggersi senza la mente, così lo Stato senza la legge non può valersi delle sue parti, che sono come i suoi nervi, il suo sangue, le sue membra”)422. Questa concezione organica dello Stato è derivata dall’esercizio della property in his own person (proprietà sulla propria persona) ontologicamente afferente a ciascun essere umano. La sua permanenza, la sua inviolabilità, costituiscono la garanzia volta ad impedire la trasformazione dello Stato garante nello Stato dispotico. La property fonda una partecipazione collettiva e consapevole della base sociale, elevando, così, il tenore etico di questa stessa partecipazione, ciò che non sarebbe possibile se il protagonismo dell’eticità si situasse in una aristocrazia o in un monarca. Ed infatti, in questo caso, l’eticità della base avrebbe luogo per partecipazione e non per un protagonismo proprio. 420

Platone, Fedro, trad. it. di P. Pucci, Laterza, Roma-Bari, 1989, 274a. Seneca, Epistualae morales ad Lucilium, 95, 52; Cicero, De legibus, III, 1: “hominum vita jussis supremae legis obtemperat”. 422 Cicero, Pro Cluentio, 53. 421

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Sono, in tal modo, poste le premesse per delineare l’assetto costituzionale e la teleologia dello Stato. Quest’ultimo è fondato sulla property in his own person, di cui realizza la protezione, peraltro, nei termini di una progressiva realizzazione delle istanze etiche e dianoetiche di cui è ontologicamente portatrice. La scoperta, ad opera della scienza, della natura evolutiva e dialettica della vicenda esistenziale, non può non influire sulla dottrina dello Stato. Nel pensiero di Darwin, il principio della selezione naturale fonda un’etica umana corrispondente, traducendosi nell’affermazione della necessità di operare una analoga selezione all’interno della società civile, al fine di garantire la supremazia dei più forti423; legittimando, sul piano delle relazioni interstatali, la teoria della superiorità razziale. In tal modo, il darwinismo si coniuga con la hegeliana mistica del “popolo leader”: “Gli spiriti dei popoli sono i membri del processo per cui lo Spirito universale giunge alla conoscenza e alla realizzazione di sé. Essi sono simili agli individui naturali; nascono, fioriscono, muoiono. […] La morte dello spirito di un popolo si può manifestare non solo con l’estinzione fisica, ma anche sotto forma di nullità politica. […] il popolo leader è quello che in un determinato periodo della storia incarna in sé la ragione e la vita dello Spirito universale, e con la forza divina che lo agita, muove la massa inerte”424. Per altro, la selezione naturale, contrariamente a quanto sostenuto da Darwin, non ha solo ad oggetto la conservazione e la trasmissione delle qualità fisiche, bensì e soprattutto di quelle 423

Vd. A. Donati, Ethica darwiniana, in Studi in memoria di Lino Salis, Giappichelli, Torino, 2000, §§ 10-17. 424 Così, sul piano ricostruttivo, G. de Ruggiero, Hegel, cit., p. 184 s. Come precedente, vd. T. Hobbes, Leviathan, De homine, cap. XII, in Opera philosophica omnia, vol. III, Londini, 1841, Sec. repr. Scientia Verlag, Aalen, 1966, p. 93: “Deus terrarum quidem omnium rex est; nil tamen prohibet quin gentis alicujus, peculiari modo, rex esse possit; nulla enim istic incongruitas est”.

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intellettuali, come attestato dal fatto che essa raggiunge la sua massima espressione, secondo la sua attuale configurazione, con l’uomo, con una specie, sul piano fisico forse inferiore, ma superiore in virtù delle sue capacità raziocinanti. La selezione, allora, all’interno della compagine sociale, può solo avere ad oggetto la promozione dei soggetti maggiormente dotati di qualità intellettuali. Perciò, Platone, nell’enumerare i principi del buon governo, dopo avere richiamato quello volto a prescrivere “che comandi chi è più forte e chi è da meno obbedisca”, principio “diffusissimo per natura presso tutti gli animali”, prosegue affermando: “Ma il principio che pare il più importante è […] quello […] che ordina che chi è sapiente ed intelligente comandi e governi e guidi e chi è ignorante lo segua”425. Esso, dunque, è diametralmente opposto a quello darwiniano, ma anche all’altro che importa l’esaltazione della “stoltezza” (1 Cor. 1, 26-30; 2, 19; 4, 13) e dei microí (“delle nullità”) (Mt. 18, 6; 5, 2-12; Lc. 6, 20-23). L’ordinamento giuridico si costruisce in considerazione del fine ultimo delle azioni umane (“societates sunt ut fines” – “le società sono come i fini che esse perseguono”). È tale valore che, poi, seleziona i media che si rendono più opportuni al suo conseguimento. Poiché lo Stato ha natura strumentale rispetto alla realizzazione della ontologia umana, la promozione dell’esercizio delle virtutes morales e delle virtutes intellectuales426, in una, il perseguimento del “sapere aude”, diviene la ratio fundamentalis della sua esistenza e della sua azione. 425

Platone, Leggi, cit., III, 10, 690b-c. Vd., Cicero, De officiis, I, 6: “Omnis autem cogitatio motusque animi aut in consiliis capiendis de rebus honestis et pertinentibus ad bene beateque vivendum aut in studiis scientiae cognitionisque versabitur. Ac de primo quidem officii fonte diximus”. 426

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