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English Pages 35 [32] Year 2005
M E T O D O L O G I E R I A B I L I TAT I V E I N L O G O P E D I A • V O L .
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Collana a cura di Carlo Caltagirone Carmela Razzano Fondazione Santa Lucia, IRCCS, Roma
Maria Rosa Pizzamiglio • Laura Piccardi • Marina Mattioli
Il Parlagioco Uno strumento per comunicare attraverso il gioco
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MARIA ROSA PIZZAMIGLIO Servizio di Neuropsicologia dell’Età Evolutiva Fondazione S. Lucia, IRCCS Roma LAURA PICCARDI Centro Ricerche di Neuropsicologia Fondazione S. Lucia, IRCCS e Dipartimento di Psicologia Università “La Sapienza” Roma MARINA MATTIOLI Madre di un bambino speciale Si ringraziano la famiglia che ha dato l’autorizzazione per la descrizione del caso clinico e l’insegnante di sostegno Loredana Picano, del 3° Circolo Didattico di Anzio - Scuola Collodi, che ha dato il suo contributo nell’effettuare alcuni disegni.
Springer-Verlag fa parte di Springer Science+Business Media springer.it © Springer-Verlag Italia, Milano 2005 ISBN-10 ISBN-13
88-470-0323-7 978-88-470-0323-1
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Prefazione alla collana
Nell’ultimo decennio gli operatori della riabilitazione cognitiva hanno potuto constatare come l’intensificarsi degli studi e delle attività di ricerca abbiano portato a nuove ed importanti acquisizioni. Ciò ha offerto la possibilità di adottare tecniche riabilitative sempre più efficaci, idonee e mirate. L’idea di questa collana è nata dalla constatazione che, nella massa di testi che si sono scritti sulla materia, raramente sono stati pubblicati testi con il taglio del “manuale”: chiare indicazioni, facile consultazione ed anche un contributo nella fase di pianificazione del progetto e nella realizzazione del programma riabilitativo. La collana che qui presentiamo nasce con l’ambizione di rispondere a queste esigenze ed è diretta specificamente agli operatori logopedisti, ma si rivolge naturalmente a tutte le figure professionali componenti l’équipe riabilitativa: neurologi, neuropsicologi, psicologi, foniatri, fisioterapisti, insegnanti, ecc. La spinta decisiva a realizzare questa collana è venuta dalla pluriennale esperienza didattica nelle Scuole di Formazione del Logopedista, istituite presso la Fondazione Santa Lucia - IRCCS di Roma. Soltanto raramente è stato possibile indicare o fornire agli allievi libri di testo contenenti gli insegnamenti sulle materie professionali, e questo sia a livello teorico che pratico. Tutti gli autori presenti in questa raccolta hanno all’attivo anni di impegno didattico nell’insegnamento delle metodologie riabilitative per l’età evolutiva, adulta e geriatrica. Alcuni di essi hanno offerto anche un notevole contributo nelle più recenti sperimentazioni nel campo della valutazione e del trattamento dei deficit comunicativi. Nell’aderire a questo progetto editoriale essi non pretendono di poter colmare totalmente la lacuna, ma intendono soprattutto descrivere le metodologie riabilitative da essi attualmente praticate e i contenuti teorici del loro insegnamento. I volumi che in questa collana sono specificamente dedicati alle metodologie e che, come si è detto, vogliono essere strumento di consultazione e di lavoro, conterranno soltanto brevi cenni teorici introduttivi sull’argomento: lo spazio più ampio verrà riservato alle proposte operative, fino all’indicazione degli “esercizi” da eseguire nelle sedute di terapia. Gli argomenti che la collana intende trattare vanno dai disturbi dell’apprendimento dell’età evolutiva, all’afasia, alle disartrie, alle aprassie, ai disturbi percettivi, ai deficit attentivi e della memoria, ai disturbi comportamentali delle sindromi postcomatose, alle patologie foniatriche, alle ipoacusie, alla balbuzie, ai disturbi del cal-
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Prefazione alla collana
colo, senza escludere la possibilità di poter trattare patologie meno frequenti (v. alcune forme di agnosia). Anche la veste tipografica è stata ideata per rispondere agli scopi precedentemente menzionati; sono quindi previsti in ogni volume illustrazioni, tabelle riassuntive ed elenchi di materiale terapeutico che si alterneranno alla trattazione, in modo da semplificare la lettura e la consultazione. Nella preparazione di questi volumi si è coltivata la speranza di essere utili anche a quella parte di pubblico interessata al problema, ma che non è costituita da operatori professionali e da specialisti. Con ciò ci riferiamo ai familiari dei nostri pazienti e agli addetti all’assistenza che spesso fanno richiesta di poter approfondire attraverso delle letture la conoscenza del problema, anche per poter contribuire più efficacemente alla riuscita del progetto riabilitativo. Roma, giugno 2000
Dopo la pubblicazione dei primi nove volumi di questa collana, si avverte l’esigenza di far conoscere quali sono state le motivazioni alla base della selezione dei lavori fin qui pubblicati. Senza discostarsi dall’obiettivo fissato in partenza, si è capito che diventava necessario ampliare gli argomenti che riguardano il vasto campo della neuropsicologia senza però precludersi la possibilità di inserire pubblicazioni riguardanti altri ambiti riabilitativi non necessariamente connessi all’area neuropsicologica. I volumi vengono indirizzati sempre agli operatori, che a qualunque titolo operano nella riabilitazione, ma è necessario soddisfare anche le esigenze di chi è ancora in fase di formazione all’interno dei corsi di laurea specifici del campo sanitario-riabilitativo. Per questo motivo si è deciso di non escludere dalla collana quelle opere il cui contenuto contribuisca comunque alla formazione più ampia e completa del riabilitatore, anche sotto il profilo eminentemente teorico. Ciò che continuerà ad ispirare la scelta dei contenuti di questa collana sarà sempre il voler dare un contributo alla realizzazione del programma riabilitativo più idoneo che consenta il massimo recupero funzionale della persona presa in carico. Roma, aprile 2004
C. Caltagirone C. Razzano Fondazione Santa Lucia Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico
Prefazione al volume
Il Parlagioco è nato in prima istanza dalla necessità di avere uno strumento facile da utilizzare e accattivante per aiutare un bambino autistico a sperimentare in modo divertente le regole dell’interazione e della comunicazione. È un gioco di carte che si prefigge come primo obiettivo quello di aumentare la capacità di interazione e comunicazione con gli altri. Consente di esercitare la competenza linguistica sia a livello lessicale che pragmatico, richiedendo al bambino di mantenere i tempi di attenzione e di discriminare i singoli dettagli per arrivare alla comprensione di un tutto. È possibile il suo utilizzo sia in ambito riabilitativo che in situazioni ludicodidattiche nella scuola materna, nel primo ciclo della scuola elementare o in famiglia.
Indice
Capitolo 1 Importanza e significato del gioco in età evolutiva................................................. Le caratteristiche del gioco ......................................................................................... Il gioco didattico.......................................................................................................... Obiettivi del gioco didattico .......................................................................................
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Capitolo 2 Uso terapeutico del gioco ........................................................................................... Il gioco nelle strutture ospedaliere ............................................................................ Il gioco didattico come strumento riabilitativo nel ritardo mentale...................... Il gioco didattico come strumento riabilitativo nel disturbo specifico del linguaggio............................................................................................................... Il gioco didattico come strumento riabilitativo nei disturbi specifici di apprendimento della letto-scrittura ...................................................................... Il gioco didattico nel disturbo di apprendimento della matematica......................
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Capitolo 3 Il Parlagioco - Un gioco per comunicare .................................................................. N° giocatori .................................................................................................................. Fascia di età .................................................................................................................. Contenuto ..................................................................................................................... Presentazione del gioco............................................................................................... Descrizione del materiale............................................................................................ Applicazione del gioco nella situazione terapeutica e regolamento....................... Il Parlagioco usato con un bambino affetto da sindrome autistica ........................ Applicazione del gioco in ambito scolastico o familiare..........................................
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Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
Capitolo 1 Importanza e significato del gioco in età evolutiva
Numerose scienze si sono dedicate allo studio del fenomeno del gioco: l’etologia, la psicologia, l’antropologia, la sociologia, la pedagogia. Il comportamento ludico rappresenta una delle manifestazioni filogeneticamente e ontologicamente più significative nella storia evolutiva degli animali e dell’uomo (Lorenz, 1980; Bruner, 1976). Secondo Lorenz il gioco avrebbe la funzione di mantenere flessibili i comportamenti delle specie filogeneticamente più avanzate, modificando sequenze di comportamenti già noti secondo modalità non rigide o stereotipate. Anche l’uomo ha bisogno, durante la giovinezza di un lungo periodo in cui esercitare la sua curiosità attraverso l’esplorazione e il gioco, attività con le quali si sperimentano in contesti diversi le nuove capacità sviluppate. Lo studio del comportamento del gioco umano ha avuto una grande espansione con l’aumento delle conoscenze sui vari aspetti dello sviluppo infantile nei primi anni di vita da parte della psicologia dell’età evolutiva. La pedagogia ha da sempre sottolineato la natura educativa del gioco che contribuirebbe ad arricchire e ad armonizzare lo sviluppo intellettuale e sociale dell’individuo. Nelle prime fasi della vita abbiamo: • Il gioco locomotorio: agisce sull’attività psicomotoria, sviluppando strutture e funzioni cognitive e migliorando la coordinazione dei movimenti; • Il gioco funzionale: attraverso l’uso degli oggetti viene potenziata la capacità di adattarsi alle cose nelle varie situazioni. Il gioco diventa una continua sperimentazione manipolativa effettuata sugli oggetti, sull’ambiente, sul proprio corpo, che include ripetute ristrutturazioni di schemi comportamentali funzionanti; • Il gioco di costruzione: attraverso la costruzione del giocattolo, trova piena realizzazione il momento logico che si esplica nelle fasi d’imitazione, rappresentazione, progettazione e realizzazione di una realtà. Promuove inoltre la dimensione collegata al fattore spazio-tempo; • Il gioco sociale: prevede il contatto e lo scambio con i coetanei; • Il gioco di simulazione: permette di utilizzare strategie e tattiche, scegliendo quelle più adatte; • Il gioco di ruolo: il giocatore si immedesima in un altro personaggio o in un altro ruolo.
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Capitolo 1 • Importanza e significato del gioco in età evolutiva
Attraverso l’attività ludica il bambino/ragazzo sperimenta ed elabora attivamente la rappresentazione della realtà esterna. Il gioco è necessario per imparare non solo a conoscere se stessi e il mondo circostante, ma per stabilire le prime forme di autocontrollo e d’interazione sociale. Esso quindi diventa una tappa fondamentale nel processo di socializzazione, inserendosi in un ambito culturale preciso, riconoscendo e adottando una serie di regole e comportamenti adatti alle varie età di sviluppo. L’esplorazione da parte del bambino di oggetti, persone, situazioni, ambienti nuovi avviene solitamente alla presenza di altre persone: genitori, coetanei, insegnanti o estranei. La situazione sociale può avere quindi un effetto su ciò che è esplorato e su come viene esplorato: i fattori sociali hanno infatti importanti effetti sulla frequenza, sulla durata e sulle forme di esplorazione effettuate dai bambini.
Le caratteristiche del gioco Per essere tale, il gioco deve essere piacevole e divertente, deve cioè essere vissuto in modo positivo da chi lo svolge. Non ha scopi particolari, se non il divertimento in sé ed è perciò improduttivo. Tutti i giochi richiedono la comprensione da parte dei giocatori che ciò che si fa è una finzione (Garvey, 1977). Il gioco contribuisce ad alimentare un atteggiamento di disponibilità nei confronti del mondo che ci circonda. Attraverso esso il bambino sperimenta la sospensione temporanea della frustrazione, poiché durante la sua esecuzione gli ostacoli vengono affrontati con serenità e allegria, migliorando il proprio atteggiamento nei confronti del mondo (Bruner, 1976). Il fatto che il gioco non comporti rischi in quanto finzione, rappresenta una condizione fondamentale, perché il bambino possa raggiungere quella sicurezza e flessibilità di pensiero che rende possibile la padronanza dell’uso di strumenti sempre più complessi (Bruner, 1976). Anche la componente “fortuna” ha un’importanza non secondaria. L’imprevisto, infatti contribuisce a sdrammatizzare l’insuccesso e a ridimensionare l’importanza della bravura o dell’incapacità dei singoli. Concludendo con Piaget possiamo dire che attraverso il gioco funzionale, di movimento e d’interazione, il bambino costruisce il proprio adattamento nei confronti dell’ambiente, attraverso i processi basilari dell’assimilazione e dell’accomodamento, modificando l’ambiente in base alle proprie nozioni e cambiando le proprie azioni per adeguarle alle esigenze esterne (Piaget, 1972). Possiamo quindi considerare il gioco come un potente mediatore per attivare l’apprendimento e la socializzazione nei soggetti in ogni periodo della loro vita.
Il gioco didattico Il gioco didattico è stato applicato per la prima volta nel 1950 allo studio della matematica da Gattegno e Dienes.Un posto fondamentale ricopre il gioco didattico che, grazie alla sua struttura basata sulle regole e sul riconoscimento dei ruoli, aiuta il bambino ad in-
Il Parlagioco - Uno strumento per comunicare attraverso il gioco
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tegrare, divertendosi, nuove conoscenze e competenze sociali. Lo scopo principale del gioco didattico è quello di introdurre concetti,far vivere situazioni d’apprendimento,far nascere interesse attraverso un approccio piacevole al tema e allo sviluppo dei concetti in oggetto di studio.Attraverso l’esecuzione di tali giochi il bambino/ragazzo viene favorevolmente attratto dalle attività proposte e può accedere a situazioni di apprendimento strutturato su temi e argomenti difficili e distanti dalla sua immediata esperienza. La caratteristica fondamentale del gioco didattico è quella di trasformare l’attività ludica in un’attività di conoscenza di tipo scolastico, attraverso una tecnica specifica e complessa. Nell’insegnamento-apprendimento il gioco didattico, a differenza della situazione in cui il bambino svolge i compiti a casa o in classe, esige un momento forte di socializzazione, in quanto nella fase di apprendimento ludico il bambino deve stare con gli altri e interagire con loro nel rispetto delle regole. Il gioco con regole è inoltre particolarmente costruttivo per la sua funzione di controllo delle emozioni e per la sua funzione conoscitiva. Infatti, il rispetto della regola guida l’energia ludica verso una ben indirizzata curiosità.
Obiettivi del gioco didattico Gli obiettivi sono: • potenziare e polarizzare la motivazione del bambino verso un’attività di apprendimento strutturata; • sviluppare un ruolo attivo e protagonista nei confronti di attività e apprendimenti che difficilmente lo vedrebbero come parte attiva (ad esempio, in giochi che, prevedendo situazioni di compravendita, stimolano l’abilità del calcolo) e rendere attraenti attività didattiche altrimenti noiose. Si può dire allora che il gioco assume una valenza funzionale per l’apprendimento e l’integrazione del bambino: attraverso il gioco egli può prepararsi a vivere in una vera e propria “palestra” ludica. Il coinvolgimento dei ragazzi in ambito formativo contribuisce a modificare l’immagine della scuola spesso vissuta come pesante, estranea e lontana dai reali bisogni dei giovani. Frequentemente, infatti i ragazzi si applicano con difficoltà nell’impegno scolastico, quando ciò che viene loro presentato è vissuto come imposto, come un insieme di nozioni da incamerare passivamente. Già Froebel nel XIX secolo nella sua opera (1826) aveva sottolineato la natura educativa del gioco e l’importanza di trasferirlo nell’educazione scolastica. Con la Montessori (1909) poi il gioco educativo fu preso fortemente in considerazione come elemento fondamentale da utilizzare per potenziare e approfondire gli apprendimenti. Il gioco didattico può essere realizzato a vari livelli di complessità. Può essere infatti: • gioco didattico esplorativo-manipolativo; • gioco di rappresentazione raffigurativa e immaginativa; • gioco di soluzione di problemi di varia complessità e astrazione.
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Capitolo 1 • Importanza e significato del gioco in età evolutiva
Può essere utilizzato inoltre in tutte le tappe dello sviluppo mentale del bambino: • per i piccolissimi deve avere alcune caratteristiche fondamentali, come garantire la massima sicurezza, essere allegro, semplice, accattivante e colorato, tale cioè da attrarre e sostenere l’attenzione senza mai stancarli; • in età prescolare è concepito in modo da familiarizzare il bambino al mondo delle lettere, delle parole, dei numeri, delle forme, dei colori e dei suoni, coinvolgendo ambiti astratti o simbolici. L’alfabeto e i numeri rappresentano i primi universi di relazioni codificate, implicando un processo di sviluppo delle capacità d’astrazione e di sintesi. L’apprendimento comincia a divenire più specifico e propedeutico all’educazione scolastica; • in età scolare propone varie attività didattiche riguardanti l’italiano, la matematica, l’ortografia, la grammatica, la comprensione della lettura, la logica, le lingue straniere. L’aspetto didattico viene proposto in forma di quiz e di sfida da condividere con gli amici.
Capitolo 2 Uso terapeutico del gioco
Il gioco nelle strutture ospedaliere L’animatore nella struttura sanitaria, attraverso il gioco esplica un’attività preventiva di possibili disagi psicologici del bambino affetto da gravi malattie croniche e terapeutica per il mantenimento del suo equilibrio. Egli deve proporre giochi adeguati alle disabilità e deve tener conto di eventuali impedimenti dovuti alle terapie, che il bambino assume. L’operatore didattico o insegnante dovrà osservare le condizioni psico-fisiche del bambino, che influenzano le sue capacità e i suoi tempi di attenzione e di apprendimento, rendendolo partecipe di attività didattiche, proposte in modo ludico. L’organizzazione dell’attività di gioco didattico utilizzato con questi bambini deve risultare elastica, versatile nelle modalità, discreta negli approcci, rispettosa delle modalità di apprendimento proprie di ognuno.
Il gioco didattico come strumento riabilitativo nel ritardo mentale Nella situazione specifica del trattamento riabilitativo in bambini affetti da varie patologie di origine genetica, neurologica, dismetabolica il ruolo del gioco in generale e del gioco didattico in particolare riveste un posto importantissimo. Nei bambini piccoli e/o in quelli con grave ritardo cognitivo il lavoro riabilitativo sarà volto al raggiungimento dei fondamentali prerequisiti linguistici-cognitivi, che sono la conoscenza dell’oggetto, l’attenzione e la comprensione del linguaggio. 1) La conoscenza dell’oggetto Il bambino passa dallo stadio più elementare della permanenza dell’oggetto, all’utilizzo funzionale dell’oggetto stesso, fino alla rappresentazione simbolica e al suo uso attraverso il gioco, soprattutto il gioco simbolico. Quest’ultimo comprende la capacità di rappresentare azioni di tipo familiare attraverso l’uso di oggetti appropriati, realizzando così delle vere e proprie animazioni. In uno stadio successivo, egli comincia ad utilizzare oggetti sostitutivi, che assomigliano per la forma all’oggetto appropriato, arrivando così a giocare al “far finta”. Perché si possa parlare però, di gioco simbolico nella sua forma più matura, cioè
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Capitolo 2 • Uso terapeutico del gioco
vera finzione, sono necessarie due condizioni: l’evocazione di un’azione per il semplice piacere di evocarla e l’utilizzazione di oggetti diversi da quelli con cui viene abitualmente applicata (Piaget, 1972). Vari teorici (Piaget, 1972; Vygotsky, 1967) ipotizzano una relazione forte fra gioco simbolico e l’emergere delle prime forme di linguaggio. Non è possibile quindi, in ambito riabilitativo, prescindere dal favorire e incrementare l’emergere di questa forma di attività. 2) L’attenzione a) l’attenzione divisa, necessaria per affrontare più compiti contemporaneamente, che contengono ciascuno informazioni rilevanti, tali da richiedere l’impiego di operazioni mentali diverse: ascoltare e guardare, guardare e prendere, cercare in base a richieste precise. Anche operare su due o più oggetti o figure correlati significativamente fra di loro costituisce un’altra importante difficoltà da superare. b) l’attenzione focale o selettiva, per imparare a concentrarsi su uno stimolo informativo in presenza di distrattori. Veri e propri programmi con finalità educative e riabilitative possono essere utilizzati per favorire e migliorare i tempi di attenzione e concentrazione attraverso la soluzione di problemi visivi, che richiedono l’uso di strategie cognitive e metacognitive alla ricerca della soluzione attraverso procedimenti per prove ed errori. Tutte le attività devono naturalmente essere presentate a diversi livelli di difficoltà in base all’età e alle reali capacità di ogni soggetto. Molto divertenti e di facile utilizzo a questo scopo sono le varie presentazioni di “Tombole” (Fig.1), che permettono di trovare l’elemento uguale all’interno di cartelle ricche di stimoli diversi che hanno funzione di distrattori. 3) La comprensione del linguaggio Attraverso l’uso di materiale figurato attraente e colorato, presentato sotto forma di indovinelli si può stimolare il bambino ad elicitare le sue conoscenze e si consente all’operatore di monitorare di volta in volta lo sviluppo linguistico del piccolo paziente. 4) Sviluppo della memoria Nel cammino della riabilitazione cognitiva un posto importante è rappresentato dallo sviluppo della memoria, delle conoscenze spaziali e del pensiero analogico, processo mentale capace di stabilire relazioni e somiglianze tra le cose. Per migliorare tali abilità esiste il “Memory” (ad es., Fig. 2) che stimola la capacità di prestare attenzione a carte con le stesse connotazioni e diversa collocazione spaziale. In tal modo, consente di addestrare nel bambino la memoria spaziale, in quanto deve ricordare il posto in cui è collocata la carta uguale scoperta precedentemente.
Il Parlagioco - Uno strumento per comunicare attraverso il gioco
Fig. 1. Tombola degli oggetti
Fig. 2. Gioco del “Memory”
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Capitolo 2 • Uso terapeutico del gioco
Il gioco didattico come strumento riabilitativo nel disturbo specifico del linguaggio Il ritardo specifico del linguaggio è un disturbo nell’apprendimento delle varie fasi dello sviluppo linguistico che si manifesta in bambini con un’intelligenza nella norma, senza apparente eziologia (Cipriani e coll., 1991; Rapin e coll., 2003). Esso necessita di una riabilitazione specifica orientata a migliorare tutti gli aspetti deficitari: articolatorio, fonologico, semantico e morfo-sintattico. Per rendere divertente e attraente l’apprendimento del lessico e della capacità narrativa in bambini che soffrono di tale disturbo è possibile utilizzare diversi giochi didattici. Ai bambini più piccoli possono essere proposti facili incastri di legno da inserire negli appositi spazi: l’operatore richiede al bambino di denominare ogni incastro man mano che egli va avanti con il gioco (Fig. 3). Con i più grandi si può giocare con la “Tombola”, un po’ diversa dal gioco tradizionale, arricchita da diverse categorie di animali, frutta, oggetti di uso comune e azioni; il bambino tiene il cartellone e estrae l’elemento, denominandolo (ad es., nel caso della frutta: mela, limone, ecc.) ottenendo feedback sulla sua produzione dai genitori e dall’operatore (vedi Fig. 1).
Fig. 3. Gioco degli incastri
Il Parlagioco - Uno strumento per comunicare attraverso il gioco
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Il “Domino” rappresenta un altro interessante sussidio nella riabilitazione. Il domino è più complesso rispetto al gioco della “Tombola”. Richiede infatti la capacità da parte del bambino di adattamento alla proposta dell’altro nel rispetto di regole spaziali. Egli deve mettere la propria carta con lo stesso o analogo significato di quella precedente, seguendo un ordine spaziale definito (Fig. 4). Attraverso questo gioco viene stimolata la capacità di comprensione del linguaggio, ampliando il lessico ed imparando ad effettuare categorizzazioni.
Fig. 4. Esempio di domino per bambini. I tasselli con la stessa immagine devono combaciare
Quando il bambino inizia a produrre delle frasi, si possono proporre giochi più strutturati a livello linguistico come le “Storie figurate”. Il piccolo paziente deve ordinare secondo criteri temporali, spaziali e logici le storielle, spiegando, durante il riordino, i nessi e i rapporti di causalità che legano le varie figure. Una volta riordinata la storia, dovrà raccontarla per intero. Ancora più complessi delle storie figurate sono gli “Indovinelli” perché richiedono una maggiore padronanza linguistica e una capacità di problem solving. Negli “Indovinelli” il bambino deve interagire con l’altro, mostrando sia una comprensione verbale superficiale di ciò che gli viene esposto, che una comprensione più profonda e implicita, attraverso la quale è possibile dare la soluzione del problema (ad es.“Qual è quella cosa che sente, senza avere le orecchie?”...“Il naso!”).
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Capitolo 2 • Uso terapeutico del gioco
Il gioco didattico come strumento riabilitativo nei disturbi specifici di apprendimento della letto-scrittura Con disturbi di letto-scrittura si intendono le dislessie e le disortografie e disgrafie evolutive. Sono disturbi specifici in assenza di patologie aggiunte e in presenza di un’intelligenza nella norma (Cornoldi, 1991). Per quanto riguarda la lettura, vi sono disturbi in comprensione e/o in produzione. Gli errori possono essere di tipo fonologico e di tipo semantico. Per quanto riguarda la scrittura anche qui gli errori presentano varie caratteristiche, che vanno dalla brutta grafia (disgrafia) alla disortografia con errori fonologici, ortografici e semantici (Colpo e coll., 1980; Tressoldi e coll., 1991). Per facilitare l’apprendimento della letto-scrittura esistono divertenti “Cruciverba”, dove è possibile graduare il livello di difficoltà e complessità. Anche la grafica simile a quella della “Settimana enigmistica” fa sì che il bambino sia attratto dalle sembianze di un gioco per adulti ed è più motivato ad impegnarsi maggiormente rispetto agli esercizi scolastici abituali (ad es., lettura di brani o dettato). Nel cruciverba il ragazzo deve leggere e capire bene, per sapere cosa scrivere e deve scrivere correttamente le parole, se vuole riuscire a terminare con successo il gioco. A livelli più semplici la lettura è sostituita da figure, che suggeriscono il nome corretto da scrivere per la soluzione del gioco (Fig. 5). Giochi ancora più complessi possono essere i “Rebus” e la “Caccia all’errore ortografico e morfo-sintattico”.
Fig. 5. Esempio di cruciverba per i più piccoli
Il Parlagioco - Uno strumento per comunicare attraverso il gioco
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Il gioco didattico nel disturbo di apprendimento della matematica Per familiarizzare al concetto di quantità anche qui esiste una varia gamma di proposte didattiche molto divertenti.Vi sono valigette contenenti set di oggetti con varie forme, colori e dimensioni di ispirazione piagetiana, che consentono al bambino di sperimentare concretamente la nozione di grande/piccolo; tanto/poco; pesante/leggero; dentro/fuori; uguale/diverso; forma-diversa/uguale-capienza; ecc. Per il riconoscimento dei numeri e la corrispondente quantità, si possono utilizzare il “Domino dei numeri”, semplici “Puzzle” a due elementi (numero e la corrispondente quantità), oppure la “Tombola” classica.
Capitolo 3 Il Parlagioco - Un gioco per comunicare
N° giocatori:
dai 2 ai 7 giocatori
Fascia di età:
dai 5 ai 10 anni
Contenuto: - 2 mazzi di 237 carte ciascuno; - 1 coppia di dadi; - Da ritagliare: 8 coppe premio da assegnare al vincitore delle singole partite; 1 clessidra; 10 biglietti da 5, 10, 20 e 50 Euro.
Presentazione del gioco Nell’ambito del gioco didattico, il Parlagioco si qualifica come gioco di carte con la finalità di aumentare la capacità di interazione e comunicazione con gli altri. Nel Parlagioco si esercita la competenza linguistica sia a livello lessicale che pragmatico, il mantenimento dei tempi di attenzione e la ricerca del dettaglio. Le carte possono essere utilizzate in ambito riabilitativo, come pure in situazione ludico-didattica nella scuola materna o in famiglia. Nel contesto riabilitativo il gioco viene condotto da due giocatori (l’operatore e il bambino), mentre in ambito scolastico o familiare il gioco può essere strutturato in piccoli gruppi coordinati da un adulto.
Descrizione del materiale Due mazzi di carte suddivisi in quattro serie (vedi Fig. 6): 1° serie: Frutta n. 27 2° serie: Animali n. 52 3° serie: Persone suddivisa in adulti n. 20 (carte in bianco e nero) e in bambini n. 52 (carte colorate) 4° serie: Oggetti n. 86 suddivisa per materiale e uso. Si può giocare con un’unica serie (soprattutto con i bambini più piccoli), con alcuni elementi di ogni serie o con tutte le serie complete. Per poter giocare, le carte di un mazzo devono corrispondere esattamente a quelle dell’altro.
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Capitolo 3 • Il Parlagioco - Un gioco per comunicare
Prima di iniziare il gioco, a seconda del numero di giocatori, 1 o più biglietti per ogni taglio di Euro saranno distribuiti ai bambini, che li dovranno gestire nel corso della partita. I soldi verranno persi ad ogni errore e accumulati ad ogni risposta corretta. Vince chi al termine della gara avrà accumulato il numero più alto di Euro. I criteri di perdita e vincita sono stabiliti dal regolamento quando si gioca in ambito scolastico o familiare, mentre verranno decisi caso per caso dall’operatore in ambito riabilitativo.
1° serie: frutta (27)
2° serie: animali (52)
3° serie: persone - adulti (21) bambini (52)
4° serie: oggetti (86)
Fig. 6. Carte del Parlagioco: esempi tratti da ogni serie
Il Parlagioco - Uno strumento per comunicare attraverso il gioco
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Applicazione del gioco nella situazione terapeutica e regolamento Il gioco delle carte può essere utilizzato con vari obiettivi. 1) Migliorare la competenza linguistica a diversi livelli di difficoltà (si usa un solo mazzo di carte): a) Aumentare la comprensione del lessico, chiedendo al bambino di cercare all’interno di un vasto numero di carte, appartenenti a una serie e successivamente a più serie, l’oggetto denominato. Si può accrescere la difficoltà del compito, chiedendo di cercare l’oggetto in base alla categoria di appartenenza (animali, frutta, utensili ecc.); in base all’uso che si fa dell’oggetto (una cosa che serve per tagliare, per cuocere, ecc.); in base alle caratteristiche percettive (un oggetto di colore “rosso”; un animale con le piume, o a quattro zampe ecc.); in base al materiale con cui è fatto (di legno, di plastica, di ferro, ecc.); in base alla localizzazione nello spazio (sotto, sopra, dentro, fuori ecc.) (vedi Fig. 7). Ogni risposta corretta verrà premiata con 1 biglietto da 5 Euro (il premio lo fissa l’operatore prima di iniziare il gioco).
Sopra
Sotto
Dentro
Fuori
Fig. 7. Esempi di elementi spaziali
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Capitolo 3 • Il Parlagioco - Un gioco per comunicare
b) Aumentare la produzione del lessico, invertendo i ruoli (si usa un solo mazzo di carte): è il bambino che chiede all’adulto di cercare la figura giusta. L’esaminatore assegnerà tanti più soldi, quanto maggiore è il livello di difficoltà linguistica prodotta dal bambino. Questa situazione di gioco è particolarmente utile per bambini che presentano un ritardo del linguaggio di vario tipo: ritardo semplice e specifico del linguaggio; collegato al ritardo mentale a eziologia sconosciuta o derivante da malattie genetiche (Sindrome di Down, Sindrome della X fragile, Sindrome Prader-Willie, ecc.), o da danno neurologico (epilessia, paralisi cerebrali infantili, ecc.). 2) Migliorare la capacità attentiva, considerando i vari aspetti dell’attenzione (si usa un solo mazzo di carte): a) Prolungare i tempi di attenzione: da situazioni di gioco brevi, che si concludono con l’assegnazione del premio in pochi minuti (verrà utilizzata una sola serie, o pochi elementi di qualche serie),si aumenterà gradualmente la durata della partita,chiedendo al bambino di trovare o di far trovare all’operatore le varie carte in base al loro nome. b) Aumentare la capacità di attenzione selettiva: l’esaminatore userà carte simili appartenenti alla stessa categoria contenenti numerosi dettagli. Il bambino dovrà indovinare la carta scelta dall’esaminatore, prestando attenzione alla presenza dei dettagli e riuscendo ad escludere i distrattori. Si partirà da diversi livelli di difficoltà, modificando la presentazione della configurazione delle carte. Ad esempio, si inizierà con una configurazione lineare (disposte su un’unica riga) e pochi elementi, dopo di che si passerà ad una configurazione geometrica dove le carte saranno disposte a colonne ed infine si arriverà ad un ordine casuale (vedi Fig. 8) c) Migliorare la capacità di attenzione sostenuta: il bambino dovrà sostenere a lungo (ad es., 10 minuti senza distrarsi) la situazione di gioco. Il tempo di attenzione richiesta varierà in base all’età e alle capacità del bambino. Egli sarà invitato ad esplorare all’interno di un ampio repertorio di carte e cercare in base alla consegna data dall’esaminatore la carta giusta, senza procedere per tentativi ed errori. Si userà una clessidra, per dare al bambino la cognizione del tempo che passa e del tempo che ancora deve trascorrere perché finisca la situazione di gioco. La clessidra può essere posta sul tavolo per far capire al bambino che si tratta di una prova a tempo e sarà l’adulto a fermare il tempo. Ad ogni errore, seguiranno da parte dell’operatore ulteriori spiegazioni e incoraggiamenti per motivare il bambino a cercare ancora. Agli errori sarà attribuito un valore in denaro, all’inizio della partita. Egli otterrà un punteggio tanto maggiore, quanto minori saranno gli errori commessi. Verrà premiata anche la capacità di rispettare il tempo richiesto all’inizio della partita. Questa situazione di gioco è utile nelle patologie in cui sono presenti problemi attentivi, come nel caso di iperattività, epilessia, autismo e in alcune malattie genetiche (in modo particolare nella Sindrome della X fragile).
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Configurazione lineare semplice
Configurazione complessa Fig. 8. Esempi di configurazioni
3) Migliorare la capacità visuo-percettiva (si usa un solo mazzo): Al bambino viene chiesto di compiere un’analisi degli stimoli proposti, in base al colore, alla forma, alla grandezza, alla posizione nello spazio. L’esaminatore chiederà quindi al bambino di individuare la carta in base ai dettagli indicati. Intervenire in ambito percettivo è particolarmente utile nel caso di lesioni focali all’emisfero destro e nelle sindromi genetiche con particolari disturbi visuo-spaziali e percettivi, come nella Sindrome di Williams.
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4) Migliorare la capacità comunicativa (si usano due mazzi di carte con tre possibilità di esecuzione): • L’operatore nasconde la carta e il bambino deve indovinare; • Il bambino nasconde la carta e l’operatore deve indovinare; • Contemporaneamente sia il bambino, che l’operatore nascondono una carta: vince chi arriva per primo ad indovinare la carta dell’altro. L’obiettivo è quello di facilitare il bambino a rispettare le esigenze che sono insite in un atto comunicativo, attraverso il compito di indovinare la carta nascosta dall’operatore, o dare informazioni corrette perché l’altro indovini la propria. Durante questa attività ludica il bambino deve: a) Imparare ad immaginare ciò che l’altro vede. Questa è una componente molto importante del pensiero perché prevede la capacità di porsi nella prospettiva dell’altro e abbandonare la posizione egocentrica, caratteristica del bambino molto piccolo. Nella situazione di gioco, il bambino impara ad accettare di non sapere subito il contenuto della carta nascosta e ad aspettare fino a quando non riuscirà ad indovinarla, seguendo le regole del gioco. Allo stesso modo deve imparare a non mostrarla, quando chi deve indovinare, è l’operatore. In questa situazione il bambino assapora il gusto che l’altro sia in difficoltà. Infatti, in questo caso è l’operatore a dover cercare, sbagliando e correggendosi progressivamente, seguendo le indicazioni date dal bambino stesso. b) Imparare ad ascoltare i suggerimenti proposti dall’interlocutore, per risolvere il quesito: “Cosa c’è nella carta nascosta?”. È molto importante infatti che l’operatore formuli il quesito correttamente. Se egli chiedesse al bambino: “Qual è la carta nascosta?”, il bambino inizierebbe immediatamente a tentare di indovinare, rispondendo, ad esempio,“È un gatto?”,“È un tavolo?”,“È la pera?”, senza sforzarsi di trovare delle caratteristiche generali comuni alle varie carte, che restringano man mano per esclusione il campo di ricerca. c) Imparare a chiedere con domande a livelli di concettualizzazione il più possibile alti. Invece di dire: “È un cane?”; “È una mela?”, ecc. si può dire: “È un animale?”; “È un frutto?”, riducendo quindi l’ampiezza del campo semantico di cui si sta parlando e i tempi per il raggiungimento della risposta giusta. d) Imparare ad agire coerentemente con la risposta ottenuta. Il bambino dovrà infatti togliere tutte le carte che non c’entrano con la risposta data e lasciare quelle giuste. e) Imparare a dare la risposta giusta ad una domanda precisa posta dall’operatore, effettuando mentalmente un giudizio sul significato di ciò che è stato chiesto. Il bambino apprende così a inibire il “sì” o il “no” detti a caso e a riflettere prima di rispondere. Se infatti risponderà a caso, l’altro giocatore sarà tratto in inganno e non potrà indovinare qual è la carta nascosta. f) Imparare a rispettare il turno di ognuno, perché la partita si svolga ordinatamente.
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Questa situazione di gioco è particolarmente utile per quelle patologie, in cui lo sviluppo della capacità comunicativa è fortemente compromessa ed in particolare nell’autismo ad alto funzionamento, nei disturbi pervasivi dello sviluppo non altrimenti specificati, ecc.
Il Parlagioco usato con un bambino affetto da sindrome autistica A.C. è un bambino affetto da sindrome autistica. Si è presentato al Servizio di Neuropsicologia dell’Età Evolutiva della Fondazione Santa Lucia per un trattamento neuropsicologico all’età di 3 anni e mezzo. Durante la prima valutazione, mentre accettava di effettuare con interesse i compiti che comportavano abilità non verbali, dimostrava grande fastidio e insofferenza di fronte a richieste di tipo linguistico a causa di un grave disturbo del linguaggio. Il bambino, infatti comprendeva pochissimo le richieste degli altri e il suo linguaggio espressivo si riduceva a “mamma” e “papà” e a pochissime altre parole, prodotte solo in caso di assoluta necessità. Lo sviluppo cognitivo era collocabile ai limiti inferiori della norma. Il comportamento era caratterizzato da scoppi d’ira molto violenta, quando veniva proposto qualcosa di non gradito o di non compreso. Il trattamento neuropsicologico con una frequenza di tre incontri settimanali ha avuto come primo obiettivo quello di interessarlo, di agganciare la sua attenzione e di controllare il suo comportamento. Sono stati utilizzati così, durante la terapia, tutti quegli stimoli, che potessero piacergli. Dopo un primo momento di attività più o meno libera, che aveva il ruolo di tranquillizzare il bambino e di creare una prima forma di intesa tra il paziente e l’operatore, si è iniziato a dare una prima strutturazione ai giochi da lui scelti, utilizzandoli in modo funzionale. In questa fase si poteva notare una caratteristica costante da parte di A.C., quella cioè di agire in modo solitario, senza utilizzare nessuna forma spontanea di comunicazione. Ogni tentativo di bloccare questa esuberanza manipolatoria produceva rabbia, aggressività e comportamenti catastrofici. Tuttavia quando l’interesse era forte, il bambino cominciava piano piano ad accettare di ripetere il nome di ogni oggetto, che desiderava avere e, in un secondo momento, a prendere addirittura l’iniziativa verbale nel richiedere ciò che lo interessava. L’apprendimento di parole nuove era lento e molto faticoso. Inoltre gli apprendimenti ottenuti erano caratterizzati da un eccessivo legame al contesto in cui tali acquisizioni erano avvenute: se ad esempio aveva imparato il verbo “apri” in occasione di una bottiglia da aprire, il bambino ripeteva automaticamente “apri la bottiglia” anche se si trattava di una scatola, di una porta, di un barattolo, ecc. Lentamente ha poi cominciato a capire che se voleva qualcosa, doveva passare attraverso la comunicazione, imparando non solo a dire il nome delle cose desiderate, ma a guardare la persona a cui chiedere, chiamandola per nome e formulando un’esplicita richiesta. Anche qui la caratteristica peculiare del suo tipo di comunicazione era la rigidità e la forma stereotipata della richiesta. Infatti, se si era
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abituato a dire: “Mamma, mi dai l’acqua...”, facilmente utilizzava questo stereotipo, anche se l’interlocutore era il papà o un’altra persona. Per rinforzare e generalizzare l’acquisizione di questa forma di interazione per lo meno all’interno della richiesta, intesa come prototipo della comunicazione, si sono introdotti vari tipi di gioco, che potevano riscuotere il gradimento del bambino. Si sono ad esempio impiegati quei materiali, che si adoperano la notte di capodanno: scoppietti, petardi non pericolosi di varie forme e di differente effetto acustico e visivo, girandole luminose. Il bambino doveva chiedere cosa preferiva in base al nome dell’oggetto, del suo colore, della sua grandezza ed utilizzare il verbo esatto per realizzare l’effetto desiderato (tira, spara, accendi, ecc.). Oppure lo si invitava a realizzare una “torta” con vari ingredienti, che il bambino doveva chiedere. Sulla “torta” così realizzata, doveva poi apporre candeline, che sarebbero state scelte in base al colore e al numero. In questa fase si è cercato di arricchire la capacità espressiva del bambino, con un vocabolario più ampio possibile a livello di nomi, verbi, aggettivi. Per quanto riguarda gli aggettivi l’attività manipolatoria del bambino con i vari materiali è stato di grande aiuto, per fargli comprendere le caratteristiche legate all’oggetto: pieno e vuoto, tanto e poco, lungo e corto, così come il significato dei colori e delle quantità numeriche. Il bambino infatti doveva sempre scegliere verbalmente quello che desiderava fra due alternative precostituite (ad es., tra un barattolo pieno di farina o uno vuoto; tra un bicchiere con poca o con tanta acqua, quando chiedeva di bere; fra dei coriandoli verdi, piuttosto che gialli; fra due cioccolatini o soltanto uno, ecc.) Alla fine di questo stadio del trattamento era stato raggiunto il primo obiettivo fondamentale e cioè la generalizzazione del linguaggio sia in comprensione, che in produzione. Il comportamento del bambino era inoltre globalmente molto migliorato: infatti il linguaggio, come strumento per esprimere e ottenere l’oggetto dei propri desideri si era consolidato ed era diventato un vero e proprio moderatore del comportamento. Si è ritenuto quindi importante lavorare sull’aspetto più propriamente comunicativo e relazionale, introducendo il Parlagioco come strumento riabilitativo. Il bambino ha gradito subito il gioco: infatti non solo ha accettato di partecipare, ma si è anche divertito e in varie occasioni ha richiesto egli stesso, senza sollecitazioni dall’esterno, la possibilità di giocarci. Interessante è notare come, invece di chiamarlo col suo nome, si sforzava di farsi capire, descrivendo il contenuto di alcune figure che lo avevano più colpito, ad esempio chiedeva “vola”, ricordando che vi era una figura con un aereo che volava. In una prima fase i genitori, che erano sempre presenti durante il trattamento, aiutavano il bambino a giocare formando un piccolo gruppo coalizzato “contro” l’operatore. Infatti gli suggerivano le richieste da formulare e lo invitavano ad aspettare la risposta o a capire la domanda fatta dall’operatore. Di solito il bambino sceglieva il ruolo di chi indovina. Questa situazione ha facilitato prima di tutto l’ampliamento del lessico sia in comprensione, che in produzione, così come l’acquisizione di categorie semantiche, come la frutta, gli animali, le persone, i mezzi di comunicazione, gli utensili di casa, ecc. Più complesso è stato accompagnare il bambino all’accesso di categorie più
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astratte come il colore, la forma, il materiale di cui gli oggetti sono composti, la funzione esplicata dall’oggetto stesso. Pur in seguito ad addestramento, A.C. tendeva spontaneamente a percorrere la strada più facile e solo in seguito a sollecitazioni verbali si sforzava di cercare percorsi più complessi. Il secondo obiettivo che ci si era proposti era quello di migliorare sostanzialmente la qualità della sua attenzione. Sappiamo infatti che uno dei disturbi più gravi dei bambini affetti da autismo è l’“ultraselettività” dello stimolo (Ciesielski e coll., 1990), rappresentata dall’incapacità di utilizzare tutti i suggerimenti, così importanti, che provengono dall’ambiente. Essi rispondono a pochi stimoli e ciò interferisce in modo rilevante sull’apprendimento. Ad esempio, quando l’interlocutore indica una figura, dicendo: “Cane”, se il bambino guarda soltanto la figura, ma non ascolta la parola detta, non impara l’associazione fra la parola e il significato della figura. La stessa cosa si verifica, se il bambino ascolta la parola, ma non osserva la figura. Di fatto si può attribuire all’ “ultraselettività” degli stimoli (Lovaas e coll., 1971) il fallimento nell’apprendere nuovi comportamenti, nella capacità di generalizzare quelli appresi, nel trarre vantaggio dalle normali procedure educative, quali i suggerimenti verbali o mimici. Molti di questi bambini presentano storie di sospetta cecità o sordità, tanto sembrano ignari di ciò che li circonda, mentre si dimostrano estremamente attenti a dettagli assolutamente irrilevanti e portano su di essi un interesse ossessivo, abituandosi sempre di più a prendere in considerazione uno stimolo per volta, senza tener conto della pluralità degli elementi che contribuiscono alla conoscenza della realtà. È ovvio che il fallimento nell’uso efficace delle stimolazioni ambientali comporta un effetto profondo e devastante sull’abilità ad apprendere. Per ovviare a questa grave limitazione del bambino autistico, una tecnica molto efficace è quella di abituare il soggetto a dare delle risposte o eseguire degli ordini, dovendo sempre tener presenti almeno due discriminanti (es. dammi il “cappotto rosso”, in presenza ovviamente di cappotti di vari colori). L’addestramento a dare risposte a stimoli multipli rappresenta così una caratteristica essenziale nella programmazione del contesto riabilitativo, accompagnando il bambino in un progressivo distacco dalla sua tendenziale ultraselettività attentiva. L’uso del Parlagioco si è rilevato in questo senso estremamente terapeutico dal momento che il bambino, per avere informazioni utili alla conduzione del gioco, doveva continuamente analizzare la pluralità dei dettagli presenti nella varie carte. Nella situazione invece in cui era l’altro che doveva indovinare, A.C. è progressivamente migliorato in un’abilità molto importante: quella di capire la domanda, e di dare una risposta coerente espressa dal “sì” o dal “no”. Il bambino infatti spontaneamente, di fronte ad ogni richiesta, ad esempio “È un animale?” dava comunque una risposta affermativa, dal momento che, non riuscendo a comprendere l’intenzione comunicativa dell’interlocutore, preferiva superare la difficoltà senza nessuna forma di riflessione, rispondendo sistematicamente “sì”, parola magica, che avrebbe avuto comunque il potere di accontentare l’altro. Durante le varie sedute, il bambino ha progressivamente cominciato a capire, che rispondere a caso bloccava il gioco. Ha iniziato così ad inibire l’impulsività delle risposte, formulando un giudizio sulla ri-
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chiesta fatta dall’altro e confrontandola con il significato della carta scelta. Il bambino ha imparato dapprima a ridurre gli errori e quindi ad usare in modo stabile il “sì” e il “no” appropriatamente e nei vari contesti, anche fuori dal setting terapeutico. La famiglia era naturalmente invitata a sollecitare l’elicitazione di questi apprendimenti durante la comunicazione spontanea del bambino nelle situazioni di vita quotidiana, allo scopo di consolidare e generalizzare gli apprendimenti raggiunti durante il trattamento. Visti i progressi ottenuti fino allora, si è passati alla terza situazione di gioco, in cui i due partecipanti giocano uno contro l’altro, nel tentativo di arrivare per primi ad indovinare la carta dell’altro. Si è cercato in questo contesto di introdurre l’acquisizione di concetti fondamentali molto astratti, rappresentati dal “vincere”, dal “perdere” e dal “premio”. Il fatto di enfatizzare il successo con applausi e incoraggiamenti verbali ha attivato uno stato emotivo sconosciuto precedentemente dal bambino. Sappiamo infatti che le persone autistiche difficilmente sono in grado di esprimere e vivere emozioni. Le reazioni emotive a cui si assiste sono il più delle volte legate a stimoli fisici, come ad esempio gustare un cibo gradevole, o piangere in risposta a un dolore fisico, mentre difficilmente si assiste a manifestazioni di delusione, gioia o sorpresa. Su questa caratteristica del comportamento, la cosiddetta “Teoria della mente”, (Baron-Cohen e coll., 1985) ha messo in evidenza come l’incapacità del soggetto affetto da autismo ad attribuire stati mentali a sé e agli altri sia all’origine delle problematiche cognitive e comportamentali della sindrome stessa. Alla fine delle partite, che spesso venivano condotte in modo da far vincere il bambino, A.C. ha cominciato a entrare in sintonia con l’entusiasmo degli altri, a capire che gli applausi erano per lui e che tutti erano contenti del suo successo. Il premio, inoltre, scelto di volta in volta in base ai suoi reali interessi, ha rinforzato ulteriormente la sensazione di piacere e soddisfazione. Egli ha capito che il premio non è qualcosa di gradevole che si usufruisce subito, in seguito ad una richiesta impulsiva, ma è la risposta a un lavoro lungo nel tempo, da conquistare pazientemente con sforzo, attenzione e impegno dove è presente pure la possibilità di perdere e quindi di non raggiungere l’oggetto del proprio desiderio. Ha cominciato inoltre a sperimentare il concetto di “più bravo”. Essere “più bravo” non è una nozione statica, ma dinamica. Infatti, si conquista volontariamente, perché si ha un interesse preciso, una finalità: quella di raggiungere il premio. Il bambino ha iniziato a sganciarsi dalla concretezza delle cose, per effettuare collegamenti fra nozioni astratte, a misurarsi in qualche modo col pensiero, pensiero che conduce a strutturare lentamente una personalità più consapevole e matura, in grado realizzare nel tempo una capacità di autogestione e di autocontrollo. Dopo cinque anni di trattamento il bambino è stato dimesso, avendo raggiunto in modo consolidato un linguaggio di base per poter interagire con l’ambiente, un comportamento sufficientemente controllato per affrontare le novità e gli imprevisti che la vita sociale comporta, e un discreto livello attentivo per apprendere gli insegnamenti scolastici.
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Applicazione del gioco in ambito scolastico o familiare Anche in questa modalità di gioco è possibile utilizzare una parte delle carte, ad esempio solo una o alcune serie, oppure tutte le carte al completo. Quando si inizia il gioco è necessario disporre le carte prescelte di uno dei 2 mazzi in ordine sparso sul tavolo, in modo che tutte le figure siano ben visibili. Quindi si tirano i dadi a turno e il giocatore che ha ottenuto il punteggio più alto sceglie una carta a piacere dal secondo mazzo, senza farla vedere agli altri giocatori, che cominceranno a fare domande per cercare di indovinare la carta posseduta dal primo giocatore. Alle domande che gli verranno rivolte, dovrà rispondere solo con un sì o con un no, senza dare altre spiegazioni. Sarà penalizzato con la perdita di una banconota da 5 euro se ingannerà gli altri giocatori, dando false risposte, o se tenterà di aiutare uno dei giocatori. Colui che ha ottenuto il punteggio più basso o automaticamente l’adulto, nel caso sia presente, avrà il ruolo di giudice e gestirà la banca (per l’assegnazione dei premi e per la riscossione delle penitenze). Il giudice distribuirà o 1 o 2 biglietti di banca per ogni taglio, a seconda del numero di giocatori, prima dell’inizio del gioco. Inoltre, assegnerà la coppa a fine partita al vincitore. I giocatori che devono indovinare effettueranno a turno delle domande che non dovranno mai essere dirette (ad es.“è un cane?” oppure “è un ombrello?”). Domande di questo tipo non sono consentite e verranno penalizzate ogni volta che uno dei giocatori le utilizzerà. Nel caso dell’utilizzo di un’unica serie, le domande dovranno riferirsi inizialmente a categorie più ampie (colore, forma, dettagli comuni, materiale,ecc.). Nel caso invece di più serie, le domande dovranno riguardare la classe di appartenenza categoriale (animali, oggetti, persone, frutta, ecc., procedendo se possibile per gradi, ad esempio:“è un essere vivente?”; se la risposta fosse sì, un altro giocatore dovrebbe poi domandare: “si tratta di un animale?” oppure: “è un bambino?”). Verranno sottratti i soldi di carta (la penale è da fissare prima dell’inizio del gioco dal giudice) e salterà il turno il giocatore che ripeterà una domanda già rivolta da un altro. Infatti, se il giocatore del turno precedente ha già chiesto: “è un bambino?”, il giocatore successivo non potrà ripetere la stessa domanda, né una domanda analoga, del tipo “è un essere vivente?”; né tanto meno formulare una domanda diretta (ad esempio: “ma questa carta è quella giusta?”). Queste piccole accortezze consentono il mantenimento di alcune regole, dell’attenzione sostenuta e l’esercizio di una buona comunicazione. Ogni risposta data dà la possibilità di togliere alcune carte dal tavolo. Ad esempio alla domanda “è un animale?”, se la risposta è “sì”, il giocatore dovrà togliere tutte le carte che non siano animali. Nel caso la risposta fosse no, dovrà togliere tutti gli animali. Se il giocatore lascia sul tavolo delle carte che doveva togliere, verrà penalizzato con la sottrazione dei
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Capitolo 3 • Il Parlagioco - Un gioco per comunicare
soldi (penale da decidere prima dell’inizio del gioco dal giudice). Vince chi indovina per primo la carta prescelta. Se un giocatore ritiene di sapere la risposta corretta prima del suo turno, dovrà chiedere al giudice il permesso di formulare la risposta; nel caso la risposta fosse inesatta dovrà saltare il turno successivo e pagare una penale in denaro (la penale verrà fissata dal giudice prima dell’inizio del gioco). Se due giocatori arrivano ad indovinare nello stesso momento, dovranno scrivere la loro risposta su un foglietto di carta che verrà dato al giudice; se le due risposte saranno identiche, entrambi i giocatori avranno vinto la partita. A questo punto è necessario procedere ad uno spareggio fra i due giocatori con una nuova partita. Variante Un’altra modalità di gioco è quella rappresentata da una sfida fra due giocatori che possiedono ognuno una carta nascosta e tutte e due debbono indovinare la carta dell’avversario. Vince chi indovina per primo. Nel caso in cui a giocare ci fossero più di due giocatori è possibile utilizzare una modalità a squadra (meglio se è un adulto a formare le due squadre). Entrambe le squadre avranno una carta nascosta e dovranno indovinare quella dell’altra facendo domande a turno. Vincerà la squadra che arriva per prima alla soluzione.
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