Il Cristo dell'Apocalisse 9788810410455

L'Apocalisse sviluppa una delle cristologie più ricche ed elaborate dell'intero Nuovo Testamento. Se si consid

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Il Cristo dell'Apocalisse
 9788810410455

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Collana Studi biblici

M. Pesce, Le due fasi della predicazione di Paolo Metodologia dell'Antico Testamento, a cura di H. Simian-Yofre F. Manns, La preghiera d'Israele al tempo di Gesù B. Costacurta, Il laccio spezzato G. Ibba, La teologia di Qumran A. Wénin, Entrare nei Salmi B. Costacurta, Con la cetra e con la fionda X. Léon-Dufour, Agire secondo il Vangelo X. Léon-Dufour, Il Pane della vita A. Wénin, Il Sabato nella Bibbia B. Costacurta, Lo scettro e la spada L. Mazzinghi , Storia d'Israele dalle origini al periodo romano A. Pitta, Paolo, la Scrittura e la Legge M. Grilli, L 'impotenza che salva L. Schiavo, Il Vangelo perduto e ritrovato S. Paganini, Qumran le rovine della luna P. Lombardini, Cuore di Dio, cuore dell'uomo M.L. Rigato, Discepole di Gesù V. Polidori, La Bibbia dei Testimoni di Geova M.L. Rigato, I genitori di Gesù A. Spreafico, La voce di Dio. Nuova edizione P. Lombardini, I profeti G. Benzi, La profezia dell'Emmanuele B. Standaert, Il Vangelo secondo Marco W. Egger - P. Wick, Metodologia del Nuovo Testamento J. Dupont, Teologia della Chiesa negli Atti degli apostoli G. Lorusso, Chiesa, ministero e ministeri nell'esperienza di Paolo L. Gasparro, La parola, il gesto e il segno G. Pagano, I profeti tra storia e teologia S. Rotasperti, «Sorgente di vita è la bocca del giusto» I. Rojas Gatvez, I simboli dell'Apocalisse P. Lombardini, Osea A. de Palmaert - J. Chabert, Cento personaggi per comprendere la Bibbia S. Vidal, La risurrezione dei morti G. Pagano, La Sapienza che viene dall'alto Ricerca storica su Gesù, a cura di N. Ciola - A. Pitta - G. Pulcinelli J.L. Sicre, Satana contro gli evangelisti A. Wénin, Salmi censurati G. Lorusso, Introduzione a Paolo S. Pinto, Il corpo in preghiera nei Salmi F. Piazzolla, Il Cristo di Giovanni L. Castangia, Timore e tremore G. Lorusso, Risurrezione E. Di Ped e, L 'alleanza nei profeti A. Wénin, Abramo G. Pulcinelli, La giustizia di Dio, salvezza per chiunque crede Il paradosso della risurrezione, a cura di A. Landi F. Piazzolla, Il Cristo dell'Apocalisse ·

FRANCESCO PIAZZOLLA

IL CRISTO DELL'APOCALISSE

EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA

Realizzazione editoriale: Edimill srl - www.edimill.it

0

2020

ISBN

Centro editoriale dehoniano via Scipione Dal Ferro, 4 - 40138 Bologna www .dehoniane.it EDB��> 978-88-10-41045-5

Stampa: LegoDigit srl, Lavis (TN) 2020

SIGLE E ABBREVIAZIONI

Abbreviazioni c. (cc.) col. (coll.) ktl. lett. ms. (mss.) AT NT QV TM

v. (vv.)

capitolo (capitoli) colonna (colonne) kata ta loipa (e il resto) letteralmente manoscritto (manoscritti) Antico Testamento Nuovo Testamento quarto vangelo Testo masoretico versetto (versetti)

Altre abbreviazioni PG PL

Patrologiae cursus completus Series graeca et orien­ talis, ed. J.P. Migne, Paris 1857-1886. Patrologiae cursus completus . Series latina, ed. J.P. Migne, Paris 1844-1864. . . .

. .

Abbreviazioni opere antiche l En 2Bar 3Bar 4Esd A.J.

Primo libro di Enoc Apocalisse siriaca di Baruc Apocalisse greca di Baruc Quarto libro di Esdra Antiquitates Judaicae 5

A br. Adv. Haer. Aen. ApcAbr ApcMos Av BemR C.Ap. Confus. Deus Dia/. Giub. Hist.Eccl. Hist. Rom. Ign. Eph. lgn. Phld. MartPol MekhY Migr. MTeh PGM Plant. Praem. PsSal She. Rab. Sib. SifDev Sobr. TestA br Test. Giob TestXIIDan TestXII.Jos TestXII.Jud TestXII.Lv TestXIIZab Tgls TgZac Th TLG TNeo TO 6

De Abrahamo Adversus Haereses Eneide Apocalisse di Abramo Apocalisse di Mosè Mishna 'A bot Bemidbar Rabba Contra Apionem De confusione linguarum Quod Deus sit Immortalis Dialogo con Trifone Libro dei Giubilei Historia Ecclesiastica Historia Romana Ignazio di Antiochia, Lettera agli Efesini Ignazio di Antiochia, Lettera ai Fìladelfesi Martirio di Policarpo Mekilta de Rabbi Yishmael De migratione Abrahami Midrash Tehillim Papyri Graecae magicae De Plantatione De praemiis et poenis Salmi di Salomone Shemot Rabba Oracoli Sibillini Sifre Devarim De Sobrietate Testamento di Abramo Testamento di Giobbe Testamento di Dan Testamento di Giuseppe Testamento di Giuda Testamento di Levi Testamento di Zabulon Targum di Isaia Targum di Zaccaria Teodozione Thesaurus linguae graecae Targum Neofiti Targum Onqelos

TPsJ Vit. Soph WaR Yom

Targum Pseudo-Jonathan Vitae sophistarum Wayiqra Rabba Yoma

Letteratura qumranica 1028b 10H 10M 401 12 40161 40164 40174 40175 40285 CD-A

10 Raccolta di benedizioni 10 Hodayot 10 Regola della guerra 40 Daniele8 40 Pesher Isaiaa 40 Pesher Isaiad 40 Florilegio 40 Testimonia 40 Regola della guerra Documento di Damasco, esemplare A

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CSB C1NT

EO EuntDoc Exp Tim FRLANT GLA T GLNT Greg HNT JBL JJS JSJ.S JSNT JSNTS !ThS KEK LASBF LeDiv MHUC MSJ NT NTA NTD NT.S NTS PaVi PSV RExp RB RHPR RivBib RQ RSR RThom 8

Collana Studi Biblici Commentario teologico del Nuovo Testamento. Brescia Ecclesia orans Euntes docete Expository Times Forschungen zur Religion und Literatur des Alten und Neuen Testaments Grande Lessico dell'Antico Testamento Grande Lessico del Nuovo Testamento Gregorianum Handbuch zum Neuen Testament Joumal of Biblica/ Literature Joumal ofJewish Studies Journal far the Study of Judaism in the Persian, Hel­ lenistic and Roman Period Supplements Joumal for the Studies of New Testament Journal far the Studies of New Testament Supple­ ment Series Joumal of Theological Studies Kritisch-exegetischer Kommentar zum Neuen Testament Liber annuus Studium biblicum franciscanum Lectio divina Monographs of the Hebrew Union College Master's Seminary Joumal Novum Testamentum Neutestamentliche Abhandlungen. Neue Folge Das Neue Testament Deutsch. Neues Gottinger Bibelwerk Supplements to Novum Testamentum New Testament Studies Parole di vita Parola Spirito e vita Review and Expositor Revue biblique Revue d'histoire et de philosophie religieuses Rivista biblica Revue de Qumran Recherches de science religieuse Revue Thomiste

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INTRODUZIONE

L'Apocalisse sviluppa una delle cristologie più ricche ed ela­ borate dell'intero NT; se si parte, infatti, dal solo dato statistico le attribuzioni cristologiche del libro sono di gran lunga superiori a molti altri scritti. Ugualmente le sfumature e la valenza dei diversi appellativi, dati a Gesù, presentano una vasta gamma di significati e implicazioni di carattere cristologico, ecclesiale, sociologico, esca­ tologico e culturale in genere. Numerosi studi sono stati condotti sul tema; in questa sede se ne menzionano alcuni, mettendo in rilievo il peculiare contributo e i loro eventuali limiti. La prima trattazione sistematica sulla cristologia dell'Apocalis­ se si trova nell'opera di F. Bi.ichsel;1 trattandosi del primo lavoro sul tema il testo appare notevolmente limitato, anche se esso ha co­ stituito la base per lo sviluppo dei commentari successivi. Un'altra opera in lingua tedesca è il testo di Traugott Holtz,2 per il quale il fulcro della cristologia nell'Apocalisse è dato dal mistero pasquale. Cristo è l'Agnello vittorioso, che regna sulla sua Chiesa, mentre poco interesse il testo mostra nei riguardi del futuro escatologico. Infatti, il giudizio finale, la distruzione del male e l'instaurarsi della nuova città celeste sono opera di Dio e l'Apocalisse non presenta un coinvolgimento di Cristo negli eventi ultimi della storia umana. Si può ritenere che la centralità data al mistero pasquale costituisca un'intuizione esegetica ancor oggi valida; il commentario di Holtz, tuttavia, cristallizza la figura di Cristo al presente e valuta in modo troppo marginale la tensione escatologica della stessa cristologia. 1 F. BOCHSEL, Die Christologie der Offenbarung Johannis, Druck von C.A. Kammerer, Halle 1907. 2 T. HOLTZ, Die Christologie der Apokalypse der Johannes (TU 085), Akade­ mie Verlag, Leipzig 1962.

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Ugualmente l'opera di Holtz ha il pregio di manifestare, per la pri­ ma volta, la connessione tra la cristologia e la situazione ecclesiale, ma l'autore non esplicita in quale maniera la rivelazione di Giovan­ ni su Cristo abbia potuto influenzare le comunità d'Asia. Lo studio di J. Comblin sul Cristo dell'Apocalisse3 inserisce la riflessione del libro nel solco della tradizione della Chiesa primitiva per la quale Gesù appare come il morto e risuscitato ma, a diffe­ renza del kerygma originario, l'Apocalisse rilegge il dato tradizio­ nale alla luce dei simboli dell'AT e delle immagini messianiche. Per Comblin la figura-cardine dell'opera di Giovanni è l'Agnello, descritto secondo i criteri del servo di Isaia; in quanto sacrificato e glorificato il Cristo è presente nella sua comunità che corregge, ama e dirige nell'oggi della sua storia. L'autore francese, inoltre, pensa che alla figura principale del servo l'Apocalisse affianchi quelle del Figlio dell'uomo e del messia, le cui funzioni e la cui identità sono modificate, rispetto alla tradizione letteraria da cui derivano. Il Fi­ glio dell'uomo, infatti, non è l'essere trascendente della narrazione danielica o apocalittica, ma l'Esaltato presente nella sua comunità; anche il messia non è l 'individuo liberatore presente in Israele, bensl colui che sale a Dio con la sua Chiesa. Il testo di Comblin ha il merito di riconoscere le influenze anticotestamentarie, che costi­ tuiscono l 'impalcatura letteraria della cristologia dell'Apocalisse, ma l'autore esagera nel sottolinearne l'importanza nel processo di elaborazione della figura di Cristo. François Bovon4 ha posto in rilievo la dimensione relazionale che emerge dalla cristologia dell'Apocalisse, per cui l'identità del Risorto si ricostruisce dai suoi dialoghi con la comunità. È la Chie­ sa, infatti, a confessare di essere la destinataria dell'amore di Cri­ sto, partecipe dello stesso destino di Gesù, come si evince da nume­ rosi particolari, soprattutto presenti nel settenario epistolare (Ap 2-3). Per tale ragione si può affermare che la nozione di imitazione permette di intendere il rapporto Cristo-Chiesa in due direzioni: da Cristo alla Chiesa, ma anche dalla Chiesa e dalla sua etica a Cristo e alla suà verità. Piuttosto carente appare nell'articolo il rapporto Cristo-mondo, che Bovon individua nel ruolo della martyria del Risorto, secondo l'etimologia greca della testimonianza. In realtà si deve ritenere che la relazione tra Cristo e l'umanità nell'opera non sia cosl marginale, dal momento che in numerose pericopi si trova

3 J. CoMBLIN, Le Christ dans l'Apocalypse, Desclée, Paris 1965. 4 Cf. F. BovoN, «Le Christ de l' Apocalypse», in R ThPh 22(1972), 65-80.

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l'afflato di una salvezza universale, soprattutto nei testi di indole escatologica. Il contributo di Eugene Boring5 si pone la questione sulla di­ mensione narrativa della cristologia nell'Apocalisse; l'autore ame­ ricano individua quattro livelli di narrazione nell'opera, costituiti da: 1) la storia della Chiesa, in cui emergono l'esperienza e la visio­ ne del veggente Giovanni (Ap 2-3); 2) la storia di Dio e di Cristo nello scenario celeste (Ap 4-5); 3) la storia del mondo, narrata nelle sezioni dei sette sigilli, delle sette trombe e delle sette coppe; 4) una macra-narrativa cristologica, che si pone alla base di tutti gli altri livelli. Essa è costituita dalla storia di Gesù che - a detta dello studioso è stilizzata in pochi essenziali eventi (proto­ logia, accenni alla nascita e alla vicenda storica, mistero pasquale) , con una particolare concentrazione sul pre-creazione, pasqua ed escatologia. Il pregio dello studio di Boring consiste nell'aver individuato una cristologia di fondo, che accomuna l'intera narrazione dell'A­ pocalisse, ma condurre la ricerca a partire dalla storia di Gesù diventa impresa ardua, soprattutto per l'ultimo libro della Bibbia. D.E. Aune,6 come Boring, ha trattato della cristologia dell'A­ pocalisse partendo dalla storia di Gesù; l'autore nota che mentre per i vangeli la preoccupazione è quella del racconto biografico (Mc-Mt) o storiografico (Lc-At) , l'Apocalisse, invece, presenta una «grande storia>> in cui il conflitto bene-male si risolve nella vittoria escatologica di Cristo. A partire da questo modello cristologico della grande storia, secondo Aune, bisogna rileggere ogni vicenda umana. Il modo di narrare di Giovanni, poi, non è sempre dettato dalla consequenzialità cronologica per cui alcune storie nell' Apo­ calisse sono menzionate, ma senza presentarne sempre un epilogo (il caso della donna e del bambino in Ap 12) . Infine, se la narrativa evangelica parla di una storia reale, nella rivelazione di Giovanni la vicenda di Gesù è «mitica». Aune pensa che tutti i riferimenti cristologici del libro passino attraverso due modalità narrative: il discorso descrittivo e il discorso espositivo; il primo consistente in -

5 Cf. E. BoRING, «Narrative Christology in the Apocalypse>>, in CBQ 54(1992), 702-723. 6 Cf. D.E. AUNE, «Stories of Jesus in the Apocalypse of John>> , in lo., Apoca­ lypticism, Prophecy and Magie in Early Christianity (WUNT 199), Mohr Siebeck, Ttibingen 2006, 190-21 1.

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un'esposizione, fondata sull'esperienza di visione (Ap 4,1-8,1); il secondo, invece, sviluppa argomenti attraverso dichiarazioni, do­ mande o comandi (Ap 1,1-3; 1 ,4-5a; 1,5b-6) . In alcuni testi, inoltre, l'Apocalisse combina insieme questi due elementi come è il caso del Figlio dell'uomo (1,9-20) o del guerriero divino (19,1 1-21). L'interpretazione della cristologia, che Aune propone, rischia di ingabbiare il racconto su Cristo in schemi precostituiti e di perdere, così, la caratteristica narrativa di Giovanni, che mai soggiace, in modo automatico, a griglie narrative fisse. L'opera di D. Lioy, The Book of Revelation in Christological Focus,1 si propone di rileggere tutto il libro dell'Apocalisse nell'ot­ tica della cristologia. L'autore, dopo alcuni capitoli introduttivi, focalizza la sua ricerca su cinque registri cristologici: lo schema di promessa-compimento, la risurrezione, il Figlio di Dio, il Figlio dell'uomo, l'Agnello. Sebbene questa comprensione risulti più ampia di altre generalizzazioni o assemblaggi Lioy deve ricondurre, in modo forzato, alcune qualifiche alle sue caratterizzazioni; la sua ricerca, inoltre, è principalmente dettata da ragioni dogmatiche, come lui stesso dichiara, e non da un esame oggettivo dei testi. Il recente contributo di Nusca8 sul Cristo dell'Apocalisse non pretende di essere una trattazione completa sulla figura del Risorto nel libro. L'autore procede per aree tematiche e si pone la finalità teologico-spirituale di offrire, attraverso la cristologia, una chiave di lettura ermeneutica ed etica per la Chiesa. Alcuni studiosi, infine, hanno voluto ricondurre tutta la rifles­ sione su Gesù nell'Apocalisse a titoli cristologici predominanti;9 una tale sintesi risulta riduttiva poiché non tiene conto delle sfu­ mature e del simbolismo specifico di cui si caricano le differenti immagini. A partire da questa ricerca precedente il presente studio prefe­ risce procedere nell'esame di aspetti tematici della cristologia, che attraversano la narrazione dell'intera opera e forniscono, cosl, uno sguardo d'insieme sulla persona di Cristo. 7 D. LIOY, The Book of Revelation in Christological Focus (SBLit 58), Peter Lang, New York 2003. 8 A.R. NuscA, The Christ ofthe Apocalypse. Contemplating the faces ofJesus in the Book of Revelation, Emmaus Road publishing, Steubenville 2018. 9 D.L. BARR, «The Lamb Who Looks Like a Dragon? Characterizing Jesus in John's Apocalypse», in In., The Reality of Apocalypse. Rhetoric and Politics in the Book of Revelation (SBLSymS 39), Brill, Leiden-Boston 2006, 214, pensa, a tal proposito, alla figura del Figlio dell'uomo che domina il messaggio alle sette lettere (Ap 2-3), all'Agnello sgozzato e risorto e al guerriero celeste. 14

Nei primi due capitoli si esaminerà il titolo «Figlio dell'uomo>>, come figura di giudizio, attiva nel presente della vita comunitaria; tale caratteristica si manifesta nella visione inaugurale (1 ,9-20) e nella successiva sezione di Ap 2-3, dove le qualifiche precedenti tornano parzialmente in rapporto alle sette chiese d'Asia. La figura di Cristo-Agnello è studiata nel terzo capitolo; le par­ ticolarità del titolo, rispetto al medesimo simbolo nella letteratura biblica e intertestamentaria, emergono già nella scelta lessicale, che distanzia l'Apocalisse dagli altri autori biblici. Dal momento che l'Agnello è la principale figura cristologica del libro, con sviluppi tematici plurimi, l'esame di questa qualifica non sarà condotto a partire dal titolo stesso, ma in base alle funzioni che l'Agnello svol­ ge nella narrativa del libro. Per tale ragione il capitolo sull'Agnello si limita a considerare la prima pericope in cui compare tale figura cristologica (5,5-14). Il tema del giudizio- oggetto del quarto capitolo- è un aspetto coniugato attraverso differenti titoli cristologici; Giovanni presen­ ta, in linea con la tradizione sinottica, danielica e intertestamenta­ ria, il ruolo del Figlio dell'uomo, come giudice dei tempi futuri (1,7; 14,14-16), ma arricchisce questo filone tematico con altre immagini. Nella figura del seduto sul cavallo bianco (6,2; 19,11-21) e nell'ira dell'Agnello (6,12-17), infatti, l'autore mostra ulteriori risvolti del­ la krisis (giudizio) di Cristo, che appare quale giudice universale degli uomini alla fine dei tempi. Nel capitolo quinto sarà affrontato il tema del regno di Cristo, aspetto che l'autore dell'Apocalisse pone tra il già della storia e il non ancora della consumazione. La coniugazione tra presente e fu­ turo emerge nei titoli regali con cui il Risorto è designato, ma anche nelle immagini e nel linguaggio che esprimono la semantica della regalità. Giovanni considera il regno cristologico in contrapposizio­ ne al potere umano, spesso manifestazione di forze diaboliche ope­ ranti nella storia, e dichiara che l'incipiente evolversi della basi/eia (regno) di Cristo e dei suoi giungerà a pienezza alla fine dei tempi. La metafora matrimoniale, come immagine del rapporto di Ge� sù con la Chiesa, sarà considerata al capitolo sesto. Questo aspetto della cristologia prende le mosse da molta riflessione simile nel NT, che rilegge una categoria teologica dell' AT. La novità dell' Apoca­ lisse sta nel riproporre il tema in due modalità: una fase prepara­ toria, costruita sul linguaggio amoroso e le immagini annesse, una fase costitutiva, che evolve nella celebrazione nuziale (19,1-9) e nella consumazione escatologica della città-sposa (21 ,1-22,5). 15

Nei capitoli sette e otto si torna al titolo dell'Agnello, che costi­ tuisce il protagonista principale delle scene celesti, presenti nel li­ bro. In una prima fase si guarderà a quelle scene ultramondane, che l'autore pone nel suo racconto interrompendo la narrazione delle vicende storiche (14,1-5; 15,2-4; 20,1-6); questi testi costituiscono un messaggio di speranza e una promessa per la comunità, vessata da vicissitudini e sofferenze. In un secondo momento le medesime scene celesti assumono il valore di compimento e Giovanni le narra come una previsione del futuro escatologico. L'esame della sezio­ ne 21,1-22,5 sarà condotto attraverso l'individuazione delle sue specificità cristologiche, con un particolare risalto dato all'indole universale e cosmica della salvezza. Il mistero pasquale assume un particolare risvolto ecclesiale nell'Apocalisse. Nel capitolo nono si prende in esame come, a partire dalla prima qualifica cristologica «il martire fedele» (1,5), l'autore rilegga la vicenda di Cristo morto e risorto in rapporto alla Chiesa. Nella sua personale storia (1,9), nel ministero profetico (11,1-13), nella morte dei credenti in Gesù (14,12-13) e nella loro testimonianza al Signore (12,11; 20,4) Giovanni riconosce il ripe­ tersi della dialettica pasquale, .che ha in Cristo il suo paradigma, e costituisce la via con la qualej credenti aderiscono al Kyrios. Il decimo capitolo vuole considerare l'intera rivelazione dell'A­ pocalisse nella sua valenza cristologica; il libro, infatti, si apre e si chiude con un rimando alla sua origine: è «apocalissi di Gesù Cristo» (1,1 ), «parole di profezia» consegnate a Giovanni da Gesù (22,18). Il messaggio scritto e rivelato, dunque, ha lo scopo di giun­ gere alla comunità come comunicazione di Cristo e come annuncio riguardante lui. Il passaggio del logos rivelato dal Risorto alla Chiesa è consegnato al ruolo dei profeti: Giovanni, e quanti con lui condividono lo stesso ministero, hanno la funzione di essere me­ diatori e trasmettitori in questo transito della rivelazione. L'autore pone sotto l'egida dello Spirito l'annuncio e l'interpretazione della Parola (19,10); lo pneuma divino, infatti, garantisce l'autentica ra­ dice cristologica del messaggio e svolge il compito di attualizzarlo nella vita della comunità.

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Capitolo I IL FIGLIO DELL'UOMO NELLA VISIONE INAUGURALE ( 1 ,9-20)

Introduzione Il titolo «Figlio dell'uomo>> (uios anthropou) compare due volte nel libro dell'Apocalisse;. si trova nella visione iniziale del Risorto (1113), dove il sintagma è accompagnato da numerosi dettagli de­ scrittivi, e nell'immagine escatologica di 14,14-16. Questa qualifica, tuttavia, sembra stare alla. base di tutte le cristofanie di Ap 2-3, do­ ve diversi aspetti della rivelazione iniziale sono ripresi, e si ritrova ancora indirettamente nella proclamazione profetica di Ap 1,7. Da questa prima panoramica, dunque, si comprende che il titolo «Fi­ glio dell'uomo» ha un ruolo importante nell'elaborazione cristolo­ gica del libro che si inserisce, cosl, nella tradizione letteraria inau­ gurata dall'AT; in Dn 7;13, infatti, il Figlio dell'uomo (bar- 'enosh in aramaico ) fa la sua prima comparsa come un essere celeste vicino a Dio, definito «Anziano dei giorni». Il modello danielico ha generato una rilettura molto ampia nella letteratura posteriore, che lo ha inteso come un simbolo individuale e collettivo.! Dallo studio della letteratura giudaica del I secolo, tuttavia, appare evidente l'interpretazione in chiave messianica del Figlio dell'umno,2 quale

1 Nel testo di Dn 7,13 la figura del Figlio dell'uomo è descritta in un contesto celeste, mentre si avvicina al divino «Anziano dei giorni»; quest'ultimo gli conferi­ sce un potere illimitato e il servizio di tutti i popoli (Dn 7,14). Secondo la dinamica narrativa seguente (Dn 7,15-27) il Figlio dell'uomo corrisponde ai «santi dell'altis­ simo>> (Dn 7,18.25.27) e rappresenta una figura corporativa che descrive quanti, nel popolo ebraico, sono rimasti fedeli durante la persecuzione di Antioco Epifane (cf. J. E . GoLDINGAY, Daniel, Word Books, Dallas 1989, 170; H. HAAG, «ben-'àdàm», in GLA T I, 1395-1 396) . 2 J.J. CoLLINs, The Scepter and the Star. Messianism in the Light of the Dead Sea Scrolls, Eerdmans, Grand Rapids-Cambridge 2010, 191-214, mostra come nel I

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rappresentazione di un essere celeste in forma umana.3 Anche il NT ha recepito questo titolo come un'autoattribuzione di Gesù che si definisce >, ri­ tenendo che, con quest'aspetto, il Cristo di Ap 1,13 rievochi l' Adam, uomo e donna di Gen 1,27. L'autrice adduce come possibile referente letterario il dio N ilo, rappre­ sentato con grosse mammelle femminili, simbolo di fecondità. In realtà il termine mastos in greco può genericamente significare >. ,

.

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e all'umanità (19,12) di cui Cristo conosce la condizione spirituale e ne opera una continua purificazione.32 Il terzo aspetto riguarda i piedi, descritti «simili a bronzo lu­ cente (chalkolibano)», come quando brucia nella fornace (os en kamino pepyromenes al v. 15a). Il punto di partenza di questa immagine è Dn 10,6, dove il personaggio trascendente è descritto con braccia e gambe «simili a bronzo che scintilla» (osei chalkos exastrapton nella versione dei LXX) , mentre l'Apocalisse fa riferi­ mento solo ai piedi. Anche il termine di paragone è espresso con un linguaggio differente da Daniele e presenta un'anomalia gram­ maticale. Il participio genitivo femminile pepyromenes, infatti, non può essere concordato con nessuno dei sostantivi della frase. Già gli antichi codici hanno tentato alcune correzioni,33 ma l'opzione per la lectio difficilior'M porta a ritenere che l'autore ricorra in que­ sto caso a un genitivo assoluto, focalizzando così l'attenzione sul termine di paragone, cioè la fornace mentre brucia.35 Una tale ca­ ratteristica richiama, nella simbolica antica, il potere trascendente ed e un attributo di molti esseri divini.36L'immagine che ne deriva suggerisce la stabilità del Risorto, nello splendore soprannaturale della sua presenza, soprattutto in relazione alla Chiesa (cf. 2,18), perché anch'essa cammini in una purità morale secondo il modello di Cristo (3,18). La descrizione della figura del Figlio dell'uomo continua nel particolare della voce, che è «come la voce di molte acque» (v. 15b ) ; questo dettaglio è presente numerose volte nel libro e con 32 Cf. T. HoLTZ Die Christologie der Apokalypse der Johannes (TU 085), Aka­ demie Verlag, Leipzig 1962, 121 -122. 33 S 2050.2053.2062; h·arm.Iotvòd presentano il dativo pepyromen6 concordando­ lo con kamin6, mentre P 04.1006.161 1 . 1841.1854.2329.2344.2351 M syhmg hanno pepyromenoi attribuendo il participio a podes. Cypv.I. Prim; 2329 h, invece, correg­ gono il testo in ek kaminou, concordando pepyromenes con il sostantivo kaminos, di genere femminile. G.K. BEALE, The Book of Revelation: a Commentary on the Greek Text, Eerdmans-Patemoster, Grand Rapids-Carlisle 1999, 210, pensa che l'autore voglia rimandare alla citazione di Dn 3,21 .23 nella versione di Teodozione, dove troviamo il participio al genitivo. 34 La forma è attestata in A C ed è da preferire perché spiega anche le possibili varianti. Cf. B.M. METZGER, A Textual Commentary on the Greek New Testament, Deutsche Bibelgesellschaft, Stuttgart 22001, 663-664. 35 È di questa opinione L. FLORENTIN Mor, Morphological and Syntactical lrregularities in the Book of Revelation. A Greek Hypothesis (Linguistic Biblica! Studies II), Brii!, Leiden-Boston 2015, 136-138; in questo caso si dovrebbe sottinten­ dere al participio pepyromenes il pronome autes, tuttavia si tratterebbe di un caso unico, poiché nell'Apocalisse il genitivo assoluto non compare mai. 36 La venerazione del piede di Serapide è attestata da un suo busto, sostenuto da un enorme piede. Cf. K. WEiss, «pous», in GLNT Xl, 8-1 1. 24

vari soggetti.37 L'espressione «voce di molte acque» è la combi­ nazione di diversi testi dell'AT: da Dn 10,6 l'Apocalisse ricava l'apparte nenza della voce alla figura che guida le visioni, mentre da Ez 1,24.28b si prende il termine di paragone, cioè la «voce di molte acque», descrittiva della «gloria del Signore» (Ez 1 ,24a).38 A partire da questo sostrato letterario la voce del Risorto assume una consi­ stenza divina e tale dato opera, ancora una volta, l'equiparazione tra teologia e cristologia. L'enfasi data alla voce, inoltre, sembra essere un'anticipazione dell'autorità con cui l'Esaltato parlerà, di n a poco, alle sette chiese.39 .Dal v. 16 la descrizione del Risorto si discosta dal modello di Dn , 10,5-6 e presenta caratteristiche proprie. Il primo dettaglio è dato dal fatto che il Figlio dell'uomo . «aveva ( echon )40 nella sua mano destra sette stelle» (1 ,16a). Questo elemento è stato inteso come un influsso dell'astrologia sul libro per cui, a imitazione dei miti coevi, il Cristo apparirebbe come colui che detiene il destino del mondo41 e si oppone alle potenze caotiche della creazione.42 Si è pensato anche a un'interpretazione anti-imperiale del simbolo del­ le stelle che, attraverso un riferimento alla vita di Augusto, conferi­ rebbe.. al Risorto il vero dominio che gli imperatori si attribuivano.43 " In Ap 5,2.11; 7,2.11; 14,9.15.18; 16,17; 18,2; 19,17 indica gli angeli; in 14,2 sono i 144.000. Di dubbia identità è la voce in 21,3 dove, forse, è Dio stesso che parla. Già in precedenza (1 ,10) la visione ha fatto accenno a una voce come di tromba che ri­ chiamato shofar, il como d'ariete suonato per le feste ebraiche che, simbolicamente, rimanda alla teofania divina (Es 19,16; 20,18; Is 18,3; Gl 2,1 ; Zc 9,14). 38 Come ha osservato A. VANHOYE, «L'utilisation du libre d' Ézechiel dans l'Apocalypse», in Bib 43(1962), 436-476, il testo di Ezechiele nell'Apocalisse è una traduzione fedele dall'ebraico. 39 Suggestiva appare l'interpretazione di IRENEO, Adv. Haer. IV,14,2, che vede in questa voce un riferimento allo Spirito e alle molteplici forme del suo intervento in relazione agli uomini, ma tale tipo di lettura non è supportato dal testo . .w Il participio ech6n senza l'articolo, con valore di un verbo principale, rivela una sintassi semitica. Cf. R.H. CHARLES, A Criticai and Exegetical Commentary on the Revelation of St. John, 2 voli., T & T Clark, Edinburgh 1 920, I, 29-30. 41 A. DIETERICH, Eine Mithrasliturgie, B.G. Teubner, Leipzig 1923, 14 linea 16, mostra che, nei testi magici dell'ermetismo, la divinità tiene nella mano destra una sfera di vetro, che simboleggia la costellazione deli'Orsa e raffigura il destino del mondo. 42 K. RuooLPH, Die Mandaer, 2 voli. (FRLANT 56-57), Vandenoeck & Ru­ precht; Gottingen 1960, I, 207, nota che nei testi ermetici si parla di sette pianeti, identificati con sette dèi immortali. L'autore ritiene che l'Apocalisse, passando per la teologia dei Mandei, intenda rappresentare nelle sette stelle le potenze che si oppongono a Dio nella creazione. 43 SVETONIO, De vita Caesarum, Divus Augustus 80,1, nella descrizione di Au­ gusto menziona che sulla pelle del petto e dello stomaco del sovrano c'erano «mac­ chie» che, per il loro ordine e la loro disposizione, riproducevano la costellazione dell'Orsa. A partire da questo dettaglio BEALE, The Book of Revelation, 211; D.E.

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Queste letture appaiono troppo forzate, per cui è preferibile cerca­ re il significato delle stelle nel testo stesso dell'Apocalisse; in 1 ,20 l'autore dichiara: «Le sette stelle sono angeli44 delle sette chiese e i candelabri sono le sette chiese». In questa espressione si assiste all'identificazione di due simboli, stelle e candelabri, con due real­ tà, gli angeli e le sette chiese. La frase, dunque, sembra distinguere gli angeli/astri dai candelieri/chiese ma, più in là, nei messaggi del Risorto alle comunità (Ap 2-3), si trova un costrutto piuttosto complesso, «l'angelo della Chiesa . . . (+ il nome della località)>>,45 in cui le due realtà, angelo e Chiesa, appaiono connesse. Poiché l'an­ gelo è un'identità operativa nella comunità, alcuni hanno visto nel simbolo un rimando all'autorità locale, il vescovo o un altro leader; tale interpretazione, tuttavia, non è sostenibile giacché non ci sono riferimenti alla struttura episcopale della Chiesa nell'Apocalisse. Anche l'ipotesi che l'angelo della Chiesa possa rappresentare il movimento profetico, dato il significato etimologico di anghelos come «messaggero», appare piuttosto labile.46 Non c'è, infatti, nes­ suna identificazione nell'Apocalisse tra angeli e profeti.47 Nel ten­ tativo di decodificare questo soggetto è preferibile cercare nel testo alcuni indizi interpretativi. Nelle sette ricorrenze dell'espressione «angelo della Chiesa» questo personaggio è il destinatario del mes­ saggio cristologico ma, nel decorso di ciascuna lettera, la narrazio­ ne passa spesso da un ricevente singolo all'intera comunità.48 Tutte le comunicazioni del Risorto, inoltre, terminano con una promessa al vincitore49 e con una Weckformel (formula di risveglio) «chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese»,50 aspetti che rimandano, con evidenza, all'intera comunità. Questi dati inducono

GRAVES, Jesus speaks to Seven of His Churches. A Historical and Exegetical Com­ mentary on the Messages to the Seven Churches in Revelation, EMC, Toronto 2017, 129-130, costatano che esistono monete imperiali, databili intorno all'82-83 d.C., in cui è rappresentato l'imperatore Domiziano come un bambino, seduto sul globo e circondato da sette stelle. 44 In 1 ,20 la parola anghelos manca dell'articolo, particolare che lascia supporre l'assenza di un carattere personale. 45 Cf. Ap 2,1 .8.12.18; 3,1 .7.14. 46 F. SPITIA, Die Offenbarung des Johannes, Waisenhaus, Halle 1889, 38-39. 47 Cf. R. C. TRENCH, Commentary on the Epistles to the Seven Churches on Asia: Revelation 2-3, Parker, Son & Boum, London 1862, 53-58. 48 Nel messaggio alla Chiesa di Smirne si trova la seconda persona singolare (2,9-lOa), mentre in 2,10b si passa al plurale, per tornare al singolare in 2,10c. Lo stesso fenomeno si verifica in A p 2,19-25. 49 La promessa al vincitore si trova in ogni messaggio di Cristo alle sette chiese ed è posta in ultima (2,7b.11b.l7b) o penultima posizione (2,26-28; 3,5.12.21). 50 Ap 2,7.11 .17.29; 3,6.13.22. ·

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a ri tenere che il costrutto «angelo della Chiesa» corrisponda a un gen itivo epesegetico in cui l'angelo è la stessa comunità cristiana. 51 In base a questa equiparazione si può ritenere che «astri e angeli»52 sian o un linguaggio parallelo per richiamare l'identità ecclesiale. Applicando questo dato ad Ap 1 ,16 l'immagine del Risorto, che tiene nella sua destra le sette stelle, esprime l'idea della realtà della Chiesa che è nelle mani dell'Esaltato. Il penultimo aspetto con cui il Risorto è descritto è costituito l da fatto che «dalla sua bocca usciva53 una spada (romphaia) affila­ ta a d oppio taglio (distomos)» (1,16b). Questa immagine richiama diversi testi biblici in cui la Parola di Dio è equiparata a una spada (cf. ls 49,2; Sap 18,15; Eb 4,12).54 Si potrebbe considerare anche Is 11,4, sebbene in questo testo non appaia il termine spada, ma si attribuisca alla parola del messia la forza di «percuotere la terra». 55 La semantica di questi testi anticotestamentari pone in relazione la bocca con la spada, per indicare la lingua e la sua funzione di parlare. Soprattutto i testi isaiani sembrano essere alla base di Ap 1,16b, dove la spada che esce dalla bocca di Cristo, come in ls 49,2, è definita oxeia (affilata) .56 A questo dato l'Apocalisse aggiunge che la spada è tagliente da ambedue i lati (distomos), aspetto che accomuna Ap 1,16b con Eb 4,12 e. conferisce alla spada-parola la funzione penetrante e la sua capacità di arrivare a fondo.57 Questo dettaglio è anch'esso in prospettiva del messaggio alle sette chiese

si U . VANNI, Apocalisse di Giovanni, 2 voli., Cittadella, Assisi 2018, Il, 104, os­ serva che il costrutto anghelos + il genitivo, negli altri contesti dell'Apocalisse (9,1 1� 16,5), è una personalizzazione letteraria in cui una realtà del creato (abisso, acque) ' è posta in contatto con la trascendenza (l'angelo). 52 Tanto gli angeli quanto gli uomini sono paragonati agli astri. In Dn 12,3 i saggi, che hanno guidato la comunità d'Israele durante la persecuzione di Antioco IV, splenderanno come stelle (astra) nel cielo. 53 Il verbo è al participio ekporeuomené (sta uscendo) ma, anche in questo caso, è corretto tradurre con una forma dell'indicativo. 54 Is 49,2 usa il termine machaira che indica un coltello o un pugnale, mentre in Ap 1,16 e 19,15 la parola di Cristo è descritta con il termine romphaia, che in greco designa una spada larga e lunga. 55 La rilettura messianica di Is 11 si trova in 4Esd 13,10 e in lEn 49,3-4; 62,2-3 e nelle opere targumiche che parafrasano il testo con il titolo «il re, il messia>>. Cf. S.H. LEVEY, The Messiah: an Aramaic interpretation: the Messianic exegesis of the Targum (MHUC 002), Hebrew Union College, Jewish Institute of Religion, Cin­ cinnati 1974, 49-52). 56 In ls 49,2 è la bocca a essere paragonata a una spada. 57 Cf. W.L. LANE, Hebrews 1-8 (WBC 47A), Word Books, Waco 1991 , 102-103. �i può notare. che l'immagine della spada, per designare la parola, sia in Eb 4,12 sia 1D Ap 1 ,16 presenta un aspetto contestuale comune per il carattere parenetico dei testi, ambedue in relazione alla comunità.

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(2,12) e all'intera umanità (19,15): le parole del Risorto, infatti, svelano gli aspetti deficitari non in una prospettiva di condanna, ma al fine di realizzare la conversione.58 L'ultima caratteristica descrittiva del Figlio dell'uomo è il suo volto (opsis) che «splendeva59 come il sole nella sua potenza» (Ap 1,16c) . Il termine opsis ricorre nel NT solo qui e in Gv 11,44, e ri­ manda alla visione/manifestazione esterna, ma può indicare anche il viso.60 Il paragone del volto con la luce e il sole è un eco di due testi veterotestamentari: Dn 10,6 (LXX) , dove il volto del media­ tore celeste è descritto «come la visione della luce» ( 6sei orasis astrapes), e Gdc 5,31 (LXX), dove il canto di Debora descrive la condizione dei vittoriosi guerrieri d'Israele che sono «come l'uscita del sole nella sua potenza» (6s exodos eliou en dynamei autou ). In conformità a questi due antecedenti letterari la luminosità del volto di Cristo rimanda, dunque, alla dimensione trascendente del suo essere divino e alla forza vittoriosa che gli viene dal mistero pasquale.

L'autorivelazione di Cristo (1,17-19) le autoproclamazioni cristologiche (22,13.16)

e

La descrizione del Risorto è interrotta dalla reazione di Gio­ vanni davanti alla visione: «E quando lo vidi caddi a terra come morto» (v. 17a) che esprime la condizione delle creature di fronte all'epifania divina.61 Il gesto della mano destra, posta sul veggen­ te, e le parole «non temere» (v. 17b) sono il modo in cui il Cristo conforta Giovanni e lo rassicura;62 a questo dato segue una nuova rivelazione verbale del Risorto:

58 Cf. VAN NI , Apocalisse di Giovanni, II, 93. 59. Il verbo phainei è coniugato al presente indicativo, forma che rimanda il lettore alla vivacità del racconto e dell'esperienza narrata dal veggente. Cf. F. BLASS - A. DEBRUNNER, Grammatica del greco del Nuovo Testamento, trad. it. a cura di U. MATIIOLI - G. Plsi, Paideia, Brescia 1982, § 321. 60 Cf. W. MICHAELIS, «kratos ktl.», in GLNT V, 1041, nota l . 61 Cf. Tb 12,16; Ez 1 ,28; Dn 8,18 ( Th); l En 60,3; 4Esd 10,28.30. 62 Il gesto della mano su Giovanni ricalca il testo di Dn 10,10.18, mentre le parole > che, unita all'invito «n.on temere», richiama il contesto evangelico di Mc 6,50 dove i discepoli sono impauriti dalla visione di Gesù che cammina sulle acque.63 Il costrutto di autodichiarazione ego eimi è usato dal Risorto nell'Apocalisse quattro volte (1,17 ; 2,23; 22,13.16) e rispecchia la tradizione dei sinottici,64 ma soprattutto del QV dove l'espressione, in bocca a Cristo, si ritrova in una du­ plice formulazione: l) formula in uso assoluto, senza altre qualifiche:65 in questi testi Giovanni, a partire dai titoli di Dio nel secondo Isaia,66 attribuisce alle. autoaffermazioni di Gesù la valenza di epifanie della sua iden­ tità .divina;67

63 In ambedue i brani si tratta di una rivelazione della potenza di Cristo di fron­ te alla quale gli uomini reagiscono con un atteggiamento di timore. 64 Nei sinottici la formula ricorre come autopresentazione cristologica in senso assoluto (cf. Mt 14,27//Mc 6,50; Mc 14,62//Lc 22,70; Le 24,39) o con un attributo (cf. Mt 28,20; Le 22,27). In un caso essa esprime la pretesa di sedicenti «cristi» che si presenteranno lungo l'arco della storia (cf. Mt 24,5//Mc 13,6//Lc 21 ,8) . L'espressione assume una valenza teologica due volte, ma come citazione dell'AT (Mt 22,32 cita Es 3,6 e 1Pt 1,16 cita Lv 11,44.45; 19,2; 20,7). La valenza cristologica si ritrova ancora in At 9,5; 18,10; 22,8 ed è assente nel resto del NT. 65 Cf. Gv 6,20; 8,24.28.58; 13,19; 18,5.6.8. 66 C.H. Dono, L 'interpretazione del Quarto Vangelo, trad. it. a cura di A. 0RNELLA (Biblioteca teologica 11), Paideia, Brescia 1974, 126-1 31, riconduce la formUla ego eimi all'autoaffermazione divina 'anfl'anoki hii ' (io sono costui) del deutero-Isaia (cf. Is 43,25; 48,12; 52,6;) e che i LXX traducono, appunto, con ego eimi. Accanto a questo dato biblico nella cultura rabbinica si ritrova la formula 'ani �e hii ' (io e lui), usata per indicare la stretta relazione tra Dio e Israele, formula che nmanda, a detta di Dodd, alle parole di Gesù: ( Gv 8,16). 67 H. ZIMMERMANN, «Das absolute ego eimi als die neutestamentliche Offenba­ rungsformel», in BZ 4(1960) , 60-61.

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2) formula accompagnata da un appellativo autodesignante:68 in queste espressioni si ritrovano immagini dell' AT, che descrivono la salvezza futura, e manifestano in Gesù il compimento delle antiche promesse fatte a Israele.69 L'Apocalisse, rispetto al resto del NT, presenta la formula ego eimi non solo come una qualifica cristologica, ma anche teologica (1,8; 21,6); mai in forma assoluta e sempre accompagnata da una qualifica. La prima di queste autopresentazioni di Cristo è «lo sono il Primo e l'Ultimo» (1,17). Il testo riecheggia le formule isaiane dove queste dichiarazioni sono in bocca a Dio e assumono un tono polemico contro l'idolatria.70 In Is 44,6 e 48,12 si trova l'olismo 'ani rishon . . . 'a/:z(iron (io il primo . . . io l'ultimo) , che però i LXX rendono con una traduzione differente dall'ebraico: ego protos kai ego meta tauta (io il primo e io dopo tutte le cose) in Is 44,6 e ego eimi protos kai ego eimi eis ton aiona (io sono il primo e io sono per sempre) in Is 48,12. Più complessa appare l'affermazione di Is 41 ,4, che si trova nel conte­ sto di una scena di giudizio ·(Is 41 ,1-20) dove Dio appare nella sua costante assistenza accanto ai diversi leader d'Israele. Pertanto l'e­ spressione ebraica 'ani rishon we 'et 'a/:z(ironitn può essere tradotta con «io sono il primo e (sono) con gli ultimi», affermazione che manifesta la solidarietà di Dio con il suo popolo, lungo tutto l'arco della sua storia.71 Anche in questo caso la traduzione dei LXX pre­ senta una diversità, rispetto al TM, con la formula ego theos protos kai eis ta eperchomena ego eimi (io Dio primo e in vista delle cose

68 Nel QV si ritrovano sette affermazioni autodesignanti di Gesù, introdotte dall ' ego eimi: l) il pane della vita (6,35.48), il pane disceso dal cielo (6,41 ), il pane vivo che discende dal cielo (6,51); 2) la luce del mondo (8,12; 9,5 senza ego); 3) la porta (10,7.9); 4) il buon pastore (10,11 .14); 5) la risurrezione e la vita (1 1 ,25); 6) la via, la verità e la vita (14,6); 7) la vera vite (15,1.5). Manca nel QV la formula «lo sono l'acqua viva», sebbene diversi contesti del racconto la suggeriscano (cf. 4,14; 6,35b; 7,38; 19,34). Esistono altri passi in cui si ritrova la formula ego eimi (cf. 4,26; 8,18), legata a un participio sostantivato e, anche in questo caso, designa l'identità di Gesù; in 7,34.36; 8,23; 12,26; 14,3; 17,24 il senso dell'autopresentazione si ricollega all'origine o alla meta celeste di Gesù e, quindi, implica il suo essere trascendente. 69 Cf. R. ScHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni. Testo greco e traduzione, trad. it. a cura di G. CEccHI - O. SoFFRITTI, 4 voli. (CfNT 4/1 , 4/2, 4/3, 4/4), Paideia, Brescia 1973; 1977; 1981 ; 1987, IV/2, 97. 70 La triplice ricorrenza della formula «lo sono» nel deutero-lsaia manifesta l'importanza dell'espressione all'interno della composizione dei cc. 40-48 del libro profetico. Cf. R.P. MERENDINO, Der Erste und der Letzte: Eine Untersuchung von !es 40-48, Brill, Leiden 1981 . 71 Cf. J.D.W. WATIS, Jsaiah 34-66 (WBC 25), Word Books, Waco 1987, 103.

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future io sono). In tal caso si può ritenere che la versione greca ricorra sempre a perifrasi temporali che evitano di introdurre un co ncetto di limitazione temporale in Dio.72 Possiamo dunque desumere che, nei diversi esempi su esposti, tra la duzione dei LXX appaia più cauta rispetto al testo ebraico; la ragion e potrebbe essere ricondotta a una mutata sensibilità teolo­ gica per cui la versione greca ricorre a perifrasi, che evitano di in­ tr odurre una temporalità in Dio. L'Apocalisse, riferendosi a questi contesti isaiani, sembra più fedele al TM poiché traduce il termine «ultimo», in ebraico 'afzèiron , con l'aggettivo eschatos (ultimo). La scelta sembra motivata dal fatto che gli attributi «Primo ed Ultimo» passano da Dio a Cristo, pertanto, in forza dell'incarnazione, il Risorto è entrato nella storia e, con il suo mistero pasquale, segna i limiti del cammino umano ed ecclesiale. In Ap 22,13 troviam.o una formula simile, sempre relativa al Risorto, in cui si riprendono gli appellativi protos kai eschatos, ma si aggiungono altre due qualifiche già attribuite a Dio in 21 ,6; lp l'Alfa e l'Omega, il Primo e l'Ultimo, il Principio e la Fine (ego to alpha kai tQ omega ho protos kai ho eschatos e arche kai to telos).

Questa c.lichiarazione appare nella parte conclusiva del libro e, posta sulla bocca di Cristo, gli conferisce un'identità simile a l que la del Padre. L'espressione è ellittica del verbo eimi (sono), ma può essere paragonata alle formule di autodesignazione per la sua portata teologica. La prima e l'ultima lettera dell'alfabeto greco, infatti, indicano un riassunto del nome divino YHWH, tradotto in greco con fao, parola costituita dalle vocali con cui inizia e termina il sistema delle lettere greche.73 Con questo titolo, dunque, il Ri­ sorto è dichiarato quale origine e fine dell'intera storia, alla stessa stregua di Dio. Ugualmente l'attributo arche kai telos (principio e

72 In un'altra linea interpretativa R.L. TROXEL, LXX-Isaiah as Translation and Interpretation. The Strategies of the Septuagint of lsaiah (JSJ.S 124), Brill, Leiden­ Boston 2008, 186-188, sostiene che in Isaia il greco eschatos traduca l'ebraico '4l:zì1ròn, quando si tratta di un futuro generico, ma il traduttore greco evita questo aggettivo Iaddove potrebbe generare l'idea di una. concezione escatologica troppo marcata. 73 Le vocali alpha e omega nei papiri magici dell'ellenismo significano il compendio dell'intero sistema · vocalico e rappresentano il nome divino YHWH, tradotto in greco con laò (cf. AuNE, Revelation, l, 57-58). Nella tradizione rabbinica la parola 'emet assume la stessa valenza rappresentativa, essendo costituita dalla Prim a, la media e l'ultima delle lettere dell'alfabeto ebraico.

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fine) designa l'eternità e la maestà divina del Cristo;74 quest'ultimo appellativo trae origine dal mondo religioso pagano e, attraverso Filone e Giuseppe Flavio, diventa anche un titolo del Dio biblico.75 Il sapore filosofico della definizione arche kai telos, che si riferisce al principio e alla fine del cosmo, conferisce al Risorto la qualifica di essere il punto di partenza e di arrivo dell'intero creato. Per questa ragione l'Apocalisse pone tale titolo alla fine del libro, vo­ lendo indicare una presenza costante di Cristo, che guida il decorso della storia, dall'inizio al compimento del tempo.76 Si può ritenere, in una visione semiotica del titolo, che il Risorto, in quanto alpha e omega, riassuma in sé la trasformazione della storia umana che, dalla sua dimensione politico-sociale-ideologica (alpha) , evolve in una nuova creazione, rappresentata dalla Gerusalemme celeste (omega).17

Le autoproclamazioni pasquali (1,18) La seconda parte delle parole del Figlio dell'uomo, nel dialogo con il veggente Giovanni, è costituita da due affermazioni che ab­ biamo definito autoproclamazioni pasquali. La prima: «il Vivente. Ero morto (eghenomén nekros) , ma ora vivo nei secoli dei secoli» (1,18a) giustappone due aspetti del mi­ stero pasquale, formulati in una costruzione temporale che relega al passato l'evento della morte e a un presente reale78 la condizione di vivente. L'uso del costrutto eghenomén nekros è solo dell'au-

74 Cf. G. DELUNG, «telos ktl.», in GLNT XIII, 969. 75 FILONE m ALESSANDRIA, Plant. XXII,93, usa il binomio arche te kai telos riferito a Dio, mostrando che l'attività di ricerca del sapiente non si esaurisce nelle cose create, ma in Dio, Principio e Fine del cosmo. Ugualmente GIUsEPPE FLAVIO, A.J. 8,280, utilizza lo stesso titolo parlando di Dio e della sua giustizia nell'operare all'interno del creato. In ambedue gli autori emerge l'idea di una presenza costante del Creatore nella storia umana, dall'inizio alla fine. 76 Cf. W.C. VAN UNNIK, «The Divine Predicate "The Beginning and the End" in Flavius Josephus and the Apocalypse of John», in W.C. VAN UNNIK - P.W. VAN DER HoRST - C. BREYrENBACH, Sparsa Collecta, The Collected Essays of W. C. Van Unnik, 4 voli. (NT.S 156), Brill, Leiden 1973; 1980; 1 983; 2014, IV, 158-235. 77 Cf. J. CALLOUD, «Je suis l' Alpha et l'Oméga. L'Apocalypse à la lettre>>, in SémBib 128(2007-08), 23-38. 78 La costruzione verbale presenta una perifrastica rara nell'Apocalisse (si trova un'altra volta solo in 3,2) . Probabilmente l'autore sceglie questa forma gram­ maticale per porre in contrasto la condizione di Cristo nella morte (passato) e il suo attuale stato di Vivente.

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tore dell'Apocalisse e indica un «divenire cadavere»,79 uno status che coinvolge Gesù nella stessa esperienza di tutti gli uomini. La morte, però, appartiene al passato perché l'attuale condizione di Cristo è la vita, come dichiara il participio sostantivato ho zi5n = il Vivente, ripetuto due volte nel testo. La stessa dialettica di morte­ risurrezione, come riferimento a Cristo, torna in Ap 2,8 ma - come si vedrà - in un contesto di rilevanza ecclesiale; in 1,18, invece, l'insistenza sulla vita pone ancora una volta l'Esaltato in rapporto a una qualifica divina, giacché Dio stesso è chiamato «il Vivente».80 Nella formula, inoltre, si trova un rafforzativo, dato dall'espressio­ ne temporale «nei secoli dei secoli», un altro costrutto che in Ap 15,7 designa la vita divina e conferma l'equiparazione di Cristo con il Padre.81 Nel mondo greco-romano l'acclamazione «vivere nei secoli dei secoli>> appartiene al linguaggio di captatio benevolentiae nei riguardi dei benefattori;82 pertanto si può pensare che questo dato assuma una chiave polemica contro i centri di potere monda­ no affermando, così, l'esclusiva pienezza di vita del Risorto. Il secondo stico del v. 18 si connette alla dialettica morte­ risurrezione di 1 ,18a poiché in esso Cristo afferma: «Ho le chiavi della Morte e dell'Ade (kleis tou thanatou kai tou qdou)»; questa dichiarazione crea un problema di traduzione, dal momento che il doppio genitivo potrebbe essere: - genitivo soggettivo: in tal caso si indica un cambio di possesso delle chiavi, dal momento che esse passano dalle mani della Morte e dell'Ade nelle mani di Cristo. È stato notato che nella letteratu­ ra pagana la dea Ecate e molte altre divinità sono esplicitamente

7� Cf. C. Doauo, Il Primogenito dei morti. La risurrezione di Cristo e dei cristia­ ni nell'Apacalisse di Giovanni, EDB, Bologna 2005, 106-107. 80 Il costrutto 'elohfm bayiym (Dio vivente) è reso nella traduzione dei LXX con il participio zon (cf. Dt 5,26; 1Sam 17,36; Dn 6,27). Lo stesso titolo è sempre attribuito a Dio in molti passi del NT (cf. Mt 16,16; 26,63; Gv 6,57; At 14,15; Rm 9,26; 2Cor 3,3; lTs 1 ,9; ecc.) e in diversi testi della letteratura intertestamentaria e pagana (cf. AuNE, Revelation, I, 102). Nell'Apocalisse lo stesso verbo za6 designa una vita spirituale che, a partire da Dio (cf. 4,9.10; 7,2; 10,6; 15,7), investe le creature in una condizione celeste (le anime in 20,4 e i tessara zoa quattro viventi in 4,6.8.9; 5,8.14; 19,4). 81 L'espressione rimanda all'eternità della vita (cf. H. SASSE, «aion, aionios», in GLNT l , 532-564, in part. 536) e si trova a partire dal libro di Daniele, come riferimento a Dio (3,90; 7,18) e in alcuni passi del NT (cf. Gal 1,5; 1Tm 1 ,17; 2Tm 4,18; 1Pt 4,11). Il costrutto è riferito a Cristo in Eb 13,21 , mentre nell'Apocalisse riguarda sia Dio (cf. 1,6; 4,9.10; 5,13; 7,12; 10,6; 1 1 ,15) sia Cristo (cf. 1,18; 5,13; 1 1 ,15). 82 Cf. J.H. ELuorr, «Patronage and Clientelism in Early Christian Society», in Forum 3/4(1 987), 399-448. =

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indicate come detentrici delle chiavi dell'intero cosmo e, talvolta, anche della Morte e dell'Ade.83 In tal modo l'autore dell'Apocalis­ se rivendica per Cristo il potere sul regno dei morti, contro la cre­ denza popolare ellenistica che attribuiva a Ecate tale prerogativa;84 - genitivo oggettivo: il Risorto possiede la capacità di entrare nell'Ade e nella Morte. Nel Sal 68,21 si dice che a YHWH ap­ partengono le «uscite della morte» (lamawet to$a 'ot in ebraico e diexodoi tou thanatou in greco) e, nel contesto della letteratura rabbinica, la menzione delle chiavi fa riferimento a un potere di Dio su diversi regni del creato;85 gli antichi pensavano che il cielo e gli inferi fossero chiusi da porte le cui chiavi erano possedute da Dio, l'unico ad avere la possibilità di aprire o chiudere i regni dell'oltretomba. La scelta tra i due sensi del genitivo porta a considerare la ri­ correnza dei termini «morte e inferi» nel decorso del libro86 dove la Morte precede sempre l'Ade, che ne diventa la conseguenza ultima. Morte e Ade hanno il potere di devastare la terra (6,8), nel giudizio finale restituiscono i morti (20,13) e sono inesorabilmente distrutti nello stagno di fuoco (20,14). Si potrebbe parlare, dunque, di una sorta di personificazione di queste due entità nell'Apocalisse e, in tal caso, si deve propendere per il senso soggettivo del genitivo «chiavi della Morte e dell'Ade». In questo modo l'Apocalisse ma­ nifesta che se nella storia queste due forze hanno un potere sugli uomini, in fase escatologica si assiste a un annientamento dell'e-

83 D.E. AuNE, «The Apocalypse of John and Graeco-Roman Revelatory Ma­ gie>>, in NTS 33(1987), 481-501 , nota che Ecate è chiamata kleidouchos ovvero «colei che detiene le chiavi>>. 84 Cf. 3Bar 1 1 ,2, dove l'arcangelo Michele è descritto come il detentore delle chiavi del Regno dei cieli. 85 L. GINZBERG, The Legend ofthe Jews, 7 voli., The Jewish Publication Society of America, Philadelphia 1954-1967, VI, 318-319, parla delle chiavi della pioggia, della nascita e del ritorno dalla morte. L'idea di un potere sulla morte e sull'Ade, inoltre, risente di una concezione giudaica ben attestata in cui Dio è l'unico ad avere il dominio su thanatos. Cf. H.L. SrRACK - P. BILLERBECK, Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrash, 5 voli., C.H. B eck'sche Verlagsbuchhandlung, Mtinchen 1926-1961, l, 747. 86 Nell' AT il binomio thanatos/qdes traduce quasi sempre l'ebraico miiwet/§e '6l (cf. 1Sam 2,6; Sal 6,6; 18,6; 49,15; 55,16; 89,49; 116,3; Pr 5,5; 7,27; Ct 8,6; Sap 16,13; Sir 14,12; 28,21; 48,5; 51 ,6; Os 13,14; Ab 2,5; Is 28,15.18; Dn 3,88 [LXX e Th]). Tra il TM e i LXX ci sono alcune differenze nei seguenti testi: in Pr 2,18 il termine qdes traduce l'ebraico r"pM 'fm = ombre/spiriti morti. Nel libro di Giobbe ci sono due testi: in 33,22 thanatos rende la parola §al;lat = fossa, mentre qdes traduce il participio maschile plurale hifil m•mitfm = coloro che infliggono la morte; in 38,17 thanatos traduce l'ebraico o1almdwet = ombra di morte. La coppia thanatoslqdes è assente nel resto del NT.

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gemonia di thanatos e qdes perché Cristo, che ha già vinto queste forze cosmiche nel suo mistero pasquale, ne disattiverà completa­ mente l'influenza alla fine dei tempi.

Sintesi teologjca La visione inaugurale del Figlio dell'uomo costituisce la prima presentazione cristologica con la quale l'Apocalisse introduce la figura del Kyrios. L'autore ricorre a un titolo della tradizione lette­ raria dell'AT e della letteratura apocalittica che, nella loro elabora­ zione definitiva, ne hanno fatto una figura messianica. Alla luce dei sinottici e del QV il Figlio dell'uomo si presenta nella sua funzione giudiziaria, che si attua nel presente della comunità, ma anche nella prospettiva escatologica, come si avrà modo di vedere nei testi di 1 ,7 e 14,14-16. La visione inaugurale si pone in un contesto liturgico-pasquale, dato dal «giorno del Signore». Il Kyrios si ma­ nifesta con la sua voce possente, segno autorevole della sua parola, e appare in mezzo all'assemblea, soprattutto nella sua dimensione celebrativa. La sua veste esprime un 'identità trascendente, ma anche un possibile riferimento al ruolo sacerdotale che egli svolge nella comunità. I tratti divini della sua persona sono particolarmen­ te sottolineati dal recupero di immagini che, nell' AT, sono attribu­ ite a Dio. I suoi capelli bianchi, infatti, richiamano l'autorevolezza dell'Anziano dei giorni e i suoi occhi, fiamma di fuoco, rimandano al trono divino di Daniele. Con le sette stelle nelle sue mani il Ri­ sorto esprime il pieno potere sulla Chiesa, all'interno della quale svolge la sua opera di giudice, con la spada della sua parola. I suoi piedi, simili al bronzo che brucia nella fornace, richiamano la sta­ bilità di una presenza che, in mezzo alla Chiesa, offre un modello comportamentale costante. Lo splendore del volto di Cristo, infine, anticipa le autodichiarazioni pasquali di «Primo e Ultimo», «Prin­ cipio e Fine», «Alfa e Omega». In queste affermazioni il Kyrios dichiara di essere all'inizio e alla fine di tutto il cammino storico ed ecclesiale il cui potere scaturisce dagli eventi pasquali, come si desume dal riferimento al suo essere morto-risorto, detentore delle chiavi della morte e degli inferi.

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Capitolo II IL CRISTO DEL SETTENARIO EPISTOLARE ( Ap 2-3 )

Introduzione I messaggi del Risorto alle sette chiese d'Asia contengono im­ portanti elementi per comprendere la cristologia dell'Apocalisse poiché, in ciascuna delle sette lettere, appare un aspetto specifico del Cristo, in rapporto alle sue comunità. Molte delle autopresenta­ zioni del Risorto in Ap 2-3 richiamano la cristofania iniziale, come si nota dallo schema sottostante. Cristofania domenicale vidi sette candelabri d'oro e, in mezzo ai candelabri, uno simile a un Figlio d'uomo (1 ,12b-13) l suoi occhi erano come fiamma di fuoco e i piedi avevano l'aspettQ del bronzo splendente, purificato nel crogiuolo (1 ,14b-15) Teneva nella sua destra sette stelle (1,1 6a)

Autopresentazioni alle comunità ecclesiali Chiesa di Così parla Colui che . . . camEfeso mina in mezzo ai sette candelabri d'oro (2,1b) Chiesa di Colui che ha gli occhi fiammeggianti come fuoco e i pieTiatira di simili a bronzo splendente : (2,1 8b) Chiesa di Colui che tiene le sette stelle (2,1 a) Efeso

dalla bocca usciva una spada affilata, a doppio taglio (1 ,16b) Io sono il Primo e l'Ultimo, e il Vivente. Ero morto, ma ora vivo per sempre (1,17b-1 8a) e ho le chiavi della morte e degli inferi (1,18b)

Chiesa di Colui che possiede . . . le sette stelle (3,1 b) Sardi Chiesa di Colui cb.e ha la spada affilata Pergamo a doppio taglio (2,12b) Chiesa di il Primo e l'Ultimo, che era morto ed è tornato alla vita Smirne l (2,8) Chiesa di Colui che ha la chiave di DaFiladelfia vide: quando egli apre, nessuno chiude e quando chiude nessuno apre (3,7b)

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Accanto alle somiglianze, tra la cristofania di Ap 1,12-20 e le autopresentazioni di Ap 2-3, ci sono alcune differenze. Nella visio­ ne iniziale il discorso è una descrizione alla terza persona, mentre nei messaggi alle sette chiese le qualifiche cristologiche sono sulla bocca del Risorto che se le attribuisce parlando, però, alla terza persona. Alcuni aspetti descrittivi di Ap 1,12-20, inoltre, sono omessi dal settenario epistolare: l) la veste fino ai piedi e la cintura d'oro (v. 13b); 2) il capo e i capelli (v. 14); 3) la voce (v. 15b) ; 4) lo splendore solare che emana dal volto del Risorto (1,16b). A sua volta nelle qualifiche cristologiche di Ap 2-3 ci sono titoli assenti dalla cristofania iniziale: l) Figlio di Dio (2,18b); 2) io sono colui che scrvta gli affetti e i pensieri degli uomini (2,23b); 3) colui che possiede i sette spiriti di Dio (3,1a); 4) il Santo, il Veritiero (3,7b) ; 5) l'Amen, il Testimone degno di fede e veritiero, il Principio della creazione di Dio (3,14bc) . Il motivo delle differenze può essere dovuto al fatto che gli elementi esclusivi di Ap 1 ,12-20 hanno aspetti poco attinenti con il contesto ecclesiale, mentre le caratteristiche conservate e quelle aggiunte sono in rapporto alla Chiesa e alle sue situazioni concrete. L'atipicità linguistica e stilistica di Ap 2-3, rispetto al resto del libro, ha portato alcuni studiosi a ritenere che questa sezione testuale non sia appartenuta alla fase iniziale dell'opera;1 non ci sono, tuttavia, buone ragioni per ne &are il suo carattere originario. Il movimento letterario delle lettere conosce differenti propo­ ste da parte degli autori;2 anche la ricerca di un background di rife1 Per la discussione cf. D.E. AuNE, Revelation, 3 voli. (WBC 52A; 52B; 52C), Word Books, Dallas 1997-1998, l, 120. 2 U. VANNI, La struttura letteraria dell'Apocalisse, Morcelliana, Brescia 1980, 302-304, parla di: 1) indirizzo; 2) autopresentazione di Cristo; 3) giudizio sulla Chie­ sa; 4) esortazione particolare secondo il giudizio dato; 5) esortazione generale (la formula «chi ha orecchio . . . >> ) ; 6) la promessa al vincitore. AU!:'E, Revelation, l, 120124, seguendo la nomenclatura della retorica greco-romana, riconosce otto parti: 1) adscriptio; 2) il comando di scrivere; 3) la formula tade leghei; 4) i predicati cristolo­ gici; 5) la narratio; 6) la dispositio; 7) la formula di proclamazione; 8) la formula di promessa al vincitore; G.K. BEALE, The Book of Revelation: a Commentary on the Greek Text, Eerdmans-Patemoster, Grand RapidscCarlisle 1999, 225, suddivide il contenuto di ciascuna lettera in sette parti: l) comando di scrivere; 2) l'autoprocla-

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rimento conduce gli esegeti all'individuazione di molteplici modelli so ttostanti, di cui ne indichiamo alcuni. 1) Il linguaggio del profetismo: Miiller ha mostrato come nei messaggi cristologici alle sette chiese sia reperibile lo sche­ ma del profetismo anticotestamentario con l'invito alla penitenza (Bussparaklese) e l'annuncio di salvezza (Heilspredigt) . Queste due caratteristiche della predicazione profetica sono riprese nel tardo giudaismo, nei testi apocalittici e nella predicazione del Battista {cf. Mt 3,7-12; Le 3,7-9) e Miiller, nella sua analisi, le individua anche in Ap 2-3.3 2) Sfondo giuridico e politico: alcuni esegeti nel passato, ma ancora di recente, pensano ai trattati di vassallaggio dell'antico Medio Oriente come a documenti che hanno influenzato molta letteratura biblica, compreso lo schema narrativo di Ap 2-3 che, per tale ragione, assume il valore di un trattato, secondo le catego­ rie dell'alleanza.4 Una sfumatura sul carattere giuridico delle sette lettere si trova in autori che rimandano il background delle lettere ai decreti imperiali persiani e romani; la differenza tra i messaggi di Ap 2-3 e questi documenti consiste nel fatto che gli editti imperiali hanno valore giuridico e pubblico, mentre i dettami cristologici sono informati e privati.5 3) Discorso retorico: Benner riconosce in Ap 2-3 le regole della retorica e, in specifico, del discorso deliberativo, finalizzato alla persuasione degli uditori. Se si accetta tale possibile dipendenza, si deve pensare che l'Apocalisse giustapponga l 'autorità imperiale

mazione di Cristo, introdotta dalla formula tade leghei; 3) elogio alla comunità per il lavoro svolto; 4) accusa circa la situazione peccaminosa della Chiesa; 5) esortazione al pentimento con una minaccia o un incoraggiamento; 6) esortazione a discernere la verità che consiste nell'ascoltare quanto lo Spirito ha detto alla comunità; 7) la promessa al vincitore. 3 Cf. U.B. MOLLER, Prophetie und Predigt im Neuen Testament: Formgeschicht­ liche Untersuchungen zur urchristlichen Prophetie (StNT 010), Mohn, Gtitersloh 1975, 57-104. 4 E. LoHSE, Die Offenbarung des Johannes (NTD 11), Vandenboeck & Ru­ ptecht, Gottingen 1993, 24, è il primo a rileggere lo schema dei trattati di vassal­ laggio come base letteraria di Ap 2-3; di recente la posizione è stata ripresa da D.E. GRAVES, Jesus speaks to Seven of His Churches. A Historical and Exegetical Commentary on the Messages to the Seven Churches in Revelation, EMC, Toronto 2017, 65-99. La corrispondenza, tuttavia, appare forzata in alcuni casi, come l 'iden­ tificazione dell'espressione «conosco le tue opere» con il prologo storico dei trattati. Ugualmente l'autore pensa che il suggello dell'alleanza, che consiste nel depositare il documento nel tempio e nella sua pubblica lettura, sia individuabile nella formula «chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chiese>>. 5 Cf. A uNE, Revelation, I, 127.

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a quella di Cristo, manifestando la superiorità della rivelazione del Risorto rispetto al potere vigente.6 Nella presente ricerca si preferisce parlare di un genere lette­ rario misto in cui è presente, iuxta modum, un carattere retorico secondo i criteri del discorso deliberativo. Possiamo, quindi, indivi­ duare i seguenti elementi costitutivi. 1) Il titolo cristologico, corrispondente agli attributi con cui il Kyrios si presenta in ogni lettera. Ciascuna di queste autopro­ clamazioni è introdotta dalla formula tade leghei = queste cose dice (cf. Ap 2,1.8.12.18; 3,1.7.14) che nei LXX, per ben 250 volte, traduce la formula del messaggero ko 'amar YHWH (cosl dice il Signore); attribuendo questa espressione a Cristo, l'autore confe­ risce al Risorto la medesima autorità del Padre e lo considera in giustapposizione ad ogni forma di potere umano. 2) La narratio (esposizione): è il messaggio alla Chiesa, un resoconto di Cristo sulla comunità e sulla sua vita, negli aspetti positivi ma anche nelle fragilità e lacune. In questa parte, tutta­ via, non si scorge solo una dimensione ecclesiologica, ma anche una portata cristologica: per ben sette volte (cf. Ap 2,2.9�13.19; 3,1.8.15), infatti, il Risorto afferma di avere una conoscenza per­ sonale della vita delle sue comunità (verbo oida = conosco); elogia le congregazioni, quando il loro cammino è in conformità ai suoi valori, e le invita a conversione, laddove scorga difformità etiche o dottrinali. 3) La dispositio (ordine) che, nella retorica classica, corrispon­ de alla parte centrale del discorso, ma è anche il momento in cui si formulano le decisioni,? Nel caso dei sette messaggi la dispositio cristologica rimanda ai testi costruiti con la particella condizionale «Se» e il verbo «venire», che introducono un avvento del Risorto nella vita della comunità, con significato intimidatorio (cf. 2,4.16) o semplicemente per esortare a conservare il proprio status di fedeltà ecclesial� (2,25; 3,11). 4) La sanctio o corroboratio (sanzione o rinforzo) che, su mo­ dello degli editti imperiali, convalida l'autenticità del messaggio;8 nel caso del settenario epistolare si preferisce parlare di «traguardo

6 M. BENNER, The Emperor says. Studies in the Rhetorical Style in the Edicts of the Early Empire (AUG 67), Cambridge University Press, GOteborg 1975. 7 Cf. A uNE, Revelation, I, 128. 8 Cf. AUNE, Revelation, I, 129. 40

ecclesiale» o «promessa al vincitore», introdotta dal participio del ve rbo nikao (vincere).9 5) La formula di proclamazione o Weckformel (formula di )10 «chi ha orecchio ascolti ciò che lo Spirito dice alle chie­ veglio ris un altro dato cristologico con un sostrato abbastanza com­ se» è sso.11 Forme letterarie simili si ritrovano in molti libri biblici12 ple e sono riprese nel contesto liturgico dell'Apocalisse con la finalità di invitare i lettori-ascoltatori alla riflessione. L'autore fa leva sulla funzione uditiva13 e sul costante presente dell'enunciato (il verbo leghei = dire al tempo presente) il cui soggetto è lo Spirito. Nel solco della tradizione giovannea14 l'Apocalisse attribuisce il mes­ saggio, che poc'anzi ha proferito il Risorto, alla voce dello Spirito il quale ha il compito di rendere sempre attuale la rivelazione di Cristo nella Chiesa.15 La funzione locutoria, dunque, non fa riferi­ mento a parole proprie dello Spirito, ma al suo ruolo di adattare il messaggio cristologico al contesto ecclesiale. Se la rivelazione di Cristo ha valore fondativo lo Spirito, con la sua azione, conduce la comunità nel cammino di «ricomprensione e attualizzazione di tutto quello che Gesù ha detto»,16 cosicché l'insegnamento e la memoria del Risorto continuano a risuonare nella comunità attra­ verso l'azione dello Pneuma (cf. Gv 14,26; 16,14). A partire da questa ripartizione consideriamo i singoli messaggi del Risorto alle diverse chiese, cercando di porre in particolare ri­ salto gli aspetti in cui la dimensione cristologica emerge.

• In. tutti e sette i messaggi si ritrova il participio presente del verbo nikao (vin­ cere), costruito in caso nominativo, «il vincitore (ho nikon in 2,1 1 b.26-28; 3,5. 12.21 )>> d in dativo, «al vincitore (to nikonti in 2,7b; 2,17b)>>. La promessa al vincitore costi­ tuisce l'ultimo elemento del messaggio nelle prime tre lettere (cf. Ap 2,7b; 2,1lb; 2,17b) e il penultimo nelle restanti quattro (cf. Ap 2,26-28; 3,5; 3,12; 3,21 ). 1° Cf. M. DIBELIUS, Die Formgeschichte des Evangeliums, Mohr Siebeck, Ttibin­ gen 61971 , 248. 11 Questa formula si trova in tutte e sette le lettere, sebbene in posizione differente: è l'ultimo elemento in 2,29; 3,6.13.22, mentre è alla fine della lettera in 2,7.11 .17. 12 Nell'AT appaiono formule simili in un contesto sapienziale (cf. Dt 32,1; Gb 13;6; Pr 4,1 ; 7,24; Is 28,23; 49,1 ; ecc.) e nel NT si ritrovano sulla bocca di Gesù (cf. Mt 1 1 ,15; 13,9.43; Le 8,8; 14,35). Altre formule simili sono in Ap 13,9.18; 17,9. 13 Cf. J. HoRST, «ous, ktl.», in GLNT VIII, 1527-1528. 14 La parola dello Spirito è espressa dal verbo lale6 (parlare) in Gv 16,13 e dal verbo lego (dire) in Ap 2,7.11 .17.29; 3,6.13.22. 1 5 Cf. BEALE, The Book of Revelation, 234. 16 Cf. R. FABRIS, Giovanni, traduzione e commento, Boria, Roma 22003, 595.

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Il Cristo di Efeso: Signore e modello della Chiesa Il titolo cristologico L'autopresentazione del Risorto alla Chiesa di Efeso è costru­ ita con due frasi participiali, che possono essere considerate un parallelismo sintetico con riferimento alla comunità, giacché sia le sette stelle sia i sette candelabri sono simboli della medesima realtà ecclesiale. Cosi parla Colui che tiene (ho krati5n) le sette stelle nella sua destra e cammina (ho peripati5n) in mezzo ai sette candelabri d'oro (Ap 2,1).

Queste due designazioni sono già presenti nella cristofania ini­ ziale; rispetto alla prima apparizione del Risorto qui si verificano due modifiche verbali: 1 ) il Cristo non solo possiede ( echo) , ma «tiene con for­ za (kratei5)»11 l'identità della Chiesa, rappresentata dal simbolo stellare; 2) il Risorto non è presente solo in modo statico nella vita litur­ gica della comunità, ma «cammina» in mezzo ad essa in qualità di suo paradigma morale, come suggerisce il verbo peripatei5.18 Dal momento che i titoli cristologici assumono una funziona­ lità ecclesiale, e sono spesso ripresi nel momento successivo del messaggio, si deve considerare in breve la situazione di Efeso, cosi come emerge dal testo. In questa lettera si trova una narratio costituita da un encomio della Chiesa (vv. 2-3.6) , ma anche da una sua critica (v. 4) , che pone in evidenza un divario nella comunità, dove alcuni membri seguono le direttive orientate dai dettami cri­ stologici mentre altri hanno deviato rispetto alla dottrina ufficiale. Per queste ragioni il Risorto propone un ravvedimento (v. Sa) cui segue una dispositio, che consiste nell'avvento di Cristo e nella ri-

11 W. MICHAELIS, «kratos ktl.», in GLNT V, 995, sostiene che il senso del verbo nell'Apocalisse indichi il , in GLNT IX, 1101).

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mozione della realtà ecclesiale, rappresentata dal suo candelabro (v. 5 b).

l/messaggio alla Chiesa Nella parte positiva il Risorto si complimenta con la Chiesa per le sue opere (2,2a) , che denotano l'operato concreto19 e indicano

l'espressione visibile e rilevabile dei suoi valori interiori. Tali ope­ re, nel caso della Chiesa di Efeso, si esplicitano nella fatica (kopos) e nella sopportazione paziente (ypomonè);2° Cristo scorge, dunque, la difficoltà del cammino ecclesiale che si svolge in un ambiente pa­ gano, spesso ostile.21 A tal proposito la Chiesa ha dovuto «mettere alla prova» (peirazo) alcuni suoi membri, giudicati «falsi apostoli» (v. 2b); il testo non specifica in che cosa consista questa verifica, ma probabilmente si tratta di un costatare l'atteggiamento lascivo di alcuni predicatori missionari. L'encomio della parte fedele della Chiesa continua nella dichiarazione «sei perseverante e hai molto sopportato per il mio nome, senza stancarti» (v. 3). La comunità fedele ha dimostrato di resistere senza stanchezza di fronte ai dis­ sidenti e tale capacità è motivata dalla persona stessa del Risorto, come esplicita la metonimia «per il mio nome», espressione che connette Ap 2,3 a numerosi testi evangelici.22 Il messaggio critico del Risorto si intreccia con la parte positi­ va, poiché le opere faticose di sopportazione di questa comunità

1 9 Il termine erga si trova solo al plurale in Ap 2,2.5.6.19(2x).22.23.26; 3,1.2.8.15; 9,20; 14,13; 15,3; 16,11; 18,6; 20,12.13; 22,12. In queste venti ricorrenze solo in 15,3 la parola si riferisce alle opere di Dio, mentre per il resto designa le azioni umane. 20 La perseveranza è la ; questo linguaggio ridondante viene, poi, esplicitato dal riferimento al lusso e alla ricchezza. Anche il testo di Ap 18,9 è un oracolo profetico sulla futura distruzione della città imperiale: davanti ad essa piangeranno i re che si sono «prostituiti» con l'impero; in questo ca­ so il verbo «prostituirsi>> è costruito in parallelo con l'espressione . La vittoria sulla distruzione d i Babilonia è cantata i n A p 19,2, dove l a prostituzione (porneia) che corrompeva tutte le genti è stata annientata; anche in questo caso il termine porneia sembra alludere all'insieme di atteggiamenti permissivi e idolatrici, presenti nella società romana.

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nicolaiti (2,6) costituisca la critica cristologica nei riguardi di una dottrina deviante, che scade nell'infedeltà e assume i segni della prostituzione per influenza di culti paganeggianti.35

La perdita del primo amore e la parenesi del Risorto Un secondo elemento umbratile caratterizza la Chiesa di Efeso: «ma ho contro di te che hai perso il primo amore (prote agape). Ricorda, dunque, da dove sei caduto e compi le prime opere (er­ ga)» (2,4-5a) ; le parole di rimprovero del Risorto giustappongono l'amore e le opere conferendo, cosi, un carattere fattuale all'agape, come già si nota nel resto della tradizione giovannea: 1) in Gv 14,23.24 amare Gesù è osservare la sua parola, cioè compiere i suoi comandamenti (cf. Gv 14,15.21; 15,10); 2) nell'epistolario l'aspetto concreto dell'amore di Dio consiste nell'osservare i comandamenti (cf. 2Gv 6); chi ama Dio, inoltre, ama anche il fratello (cf. 1 Gv 4,21) poiché il comando ricevuto con­ siste proprio nell'amarsi reciprocamente (cf. 1Gv .3,23; 5,2; 2Gv 5). Ponendo in rilievo il rapporto amore-opere l'Apocalisse ri­ badisce un leitmotiv della sua teologia dove gli erga ecclesiali co­ stituiscono la manifestazione visibile della vita comunitaria;36 nel contesto di Efeso (2,2), di Smirne (2,9) e di Tiatira (2,19) , infatti, le opere sono esplicitate in una serie di attitudini della comunità attraverso la congiunzione «e» (kai) che assume un valore epe­ segetico ed esplicativo.J7 Nel caso specifico della Chiesa di Efeso la relazione amore-opere sembra interrotta e, per questo motivo, il. Risorto. pone in rilievo la perdita del primo amore. Il testo non specifica i dettagli, per cui si può pensare che si stia condannando il permissivismo etico legato ai nicolaiti, dovuto anche al silenzio dei responsabili della comunità. Per questo motivo Cristo chiede alla Chiesa il ritorno a un amore primordiale che è recupero delle opere iniziali (2,5); a tal fine l'Esaltato offre nella dispositio una duplice operazione che la comunità deve compiere: «fa' memoria 35 A Efeso, come in molte altre città, si celebravano le feste in onore di Afro­ dite, durante le quali le sacerdotesse della dea praticavano la prostituzione sacra e le licenziosità sessuali erano ammesse. Cf. W. DURANT, The Story of Civilization, 2: The Life of Greece, Simon & Schutler, New York 1966, 75 e 185. 36 Sulle venti ricorrenze del termine erga nell'Apocalisse, per ben undici volte le opere designano l'operato concreto della Chiesa (cf. 2,2.5.6.19.22.23; 3,1 2.8.15; 14,13) . 37 Cf. F. B LASS - A. DEBRUNNER, Grammatica del greco del Nuovo Testamento, trad. it. a cura di U. MATIIOLI - G. PISI, Paideia, Brescia 1982, § 442,6a.

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(mnemoneue) e convertiti (metanoeson)». La coppia verbale si ri­ trova anche nel contesto della Chiesa di Sardi (3,3) e comporta due differenti azioni ecclesiali: l) fare memoria è un rimando al passato, poiché implica un recupero dei comportamenti morali e spirituali precedenti;38 tale operazione, tuttavia, investe l'intera vita ecclesiale, come suggeri­ sce la forma verbale dell'imperativo presente, con valore durativo; 2) convertiti è, invece, un atto immediato (l'imperativo aoristo )39 perché la Chiesa deve conformarsi ai dettami cristologici senza dilazioni. In caso contrario il Risorto minaccia un intervento sulla co­ munità, legato al suo venire; in questo contesto troviamo uno dei numerosi riferimenti all'avvento di Cristo che, nell'Apocalisse, si muove tra il presente della vita ecclesiale e il futuro dell'escatolo­ gia. Nella situazione specifica di Efeso la non corrispondenza delle comunità ai valori della rivelazione comporterà la venuta del Ri­ sorto e una conseguente perdita dell'identità ecclesiale, come si ri­ cava dal simbolismo del «candelabro» rimosso (2,5b ) .4° Forse, nella mente dell'autore, questa immagine richiamava la distruzione di Gerusalemme, avvenuta qualche anno prima, quando la menorah del tempio era stata portata via e trasferita a Roma, come trofeo di guerra. Da questo evento storico la Chiesa di Efeso riceve un monito onde evitare un epilogo tragico della sua vicenda. Se all'i­ nizio del testo il Risorto si è presentato come «Colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d'oro», ora egli rimanda alla comunità l'efficacia ecclesiale di questi appellativi. La presenza di membri accondiscendenti a valori etici, lontani dalla rivelazione, ha spento l'amore iniziale e il richiamo di Cristo tende a mettere in guardia i credenti dal pericolo di allonta­ narsi da lui, che possiede l'identità della Chiesa. 38 L'enfasi sul «far memoria>> si ritrova in numerosi testi parenetici dell'episto­ lario del NT e, in diversi casi, è un invito a rammentare gli insegnamenti apostolici dai quali la comunità ha deviato o rischia di allontanarsi (cf. Rm 15,15; 1Ts 4,1-2; 2Pt 1,12-13; ecc.). 39 Nell'Apocalisse il verbo metanoe6 è usato in contesti ecclesiali, nella forma dell'imperativo (cf. Ap 2,5. 16; 3,3.19), o per costatare una risposta negativa (cf. 2,21-22). Negli altri usi (cf. Ap 9,20.21 ; 16,9.11) il verbo appare sempre al negativo e indica la mancanza di conversione degli uomini, nonostante gli interventi divini. 40 Cf. W. BoussET, Die Offenbarung Johannis (KEK 16), Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 61906, 203; BEALE, The Book of Revelation, 232, ricorda che «I will remove [ . . . ] indicates removal of church as a light of witness t o the world (Io rimuoverò [ . . . ] indica la rimozione della Chiesa come una luce di testimonianza per il mondo}>>.

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Il traguardo ecclesiale: l'albero della vita In tutti i messaggi alle sette chiese il Risorto prospetta un cam­ mino ecclesiale che tende alla vittoria e chiude in positivo il suo rapporto con la comunità; tale epilogo è costituito dalla promessa al vincitore che appare come una prerogativa del Cristo, il quale premia i fedeli al termine del loro percorso. Nel caso di Efeso la ricompensa futura consiste nella possibilità di «mangiare dell'albe­ ro della vita (xylon tes zoes) che sta nel paradiso di Dio» (Ap 2,7). Questo simbolo e la sua collocazione «nel paradiso>> anticipano la descrizione che l'autore ne farà alla fine del libro (Ap 22,2); esso è. stato interpretato in vari modi nella storia dell'esegesi. Ireneo lo ìdentifica con la croce di Cristo, in contrapposizione all'albero della conoscenza del bene e del male, che ha provocato la morte.41 Anche Hemer, alla luce della storia di Efeso, costata che la croce, in quanto albero della vita, contrasta con l'albero sacro ad Arte­ mide, presente nella città; i due simboli, dunque, sono costruiti in antitesi poiché ambedue sono strumenti di salvezza.42 L'identifica­ zìone della croce con l'albero della vita, tuttavia, resta problema­ tica poiché, dalle ricorrenze dell'espressione nell'Apocalisse, non compare nulla a riguardo e la possibilità di «mangiare» dell'albero della vita, in Ap 2,7, rende ancor più complessa tale equiparazione. Nella linea sacramentale si muove Sweet, il quale pensa all'albero della vita come a un simbolo escatologico, i cui effetti possano essere sperimentati nel battesimo e nell'eucaristia.43 Sembra più opportuno, però, pensare a questo simbolo come a un'immagine della vita eterna, interpretazione già presente presso gli antichi commentatori;44 nella teologia dell'Apocalisse, infatti, lo xylon tes toes è un complesso simbolo che, a partire da Gen 2,9 ed Ez 47,712, segue l'evoluzione semantica tipica della tradizione giudaica. Accenniamo qui ad alcuni testi importanti.4S In l En 24,4--25,6 si

41 Cf. IRENEO, Adv. Haer. V,17,3. 42 Cf C.J. HEMER, The Letters to

the Seven Churches of Asia in Their Local Setting, Eerdmans, Grand Rapids 2001 , 44, 51, 55. 43 Cf. J. SWEET, Revelation, SCM, London 1979, 83. 44 BEDA .IL VENERABILE, Expositio Apocalipseos 2,7, afferma: «Lignum vitae Christus est, cuius in caelesti paradiso visione sanctae reficiuntur animae (il legno della vita è Cristo dalla cui visione le anime sante sono gratificate nel paradiso celeste)>>. 45 Per uno studio approfondito sul tema, si rimanda a D.K.K. WoNG, , in BS 155(1998), 211-226, in part. 216; A. GANGEMI, > (2,24) ; a Filadelfia, dove si ripete la frase «sinagoga di Satana>> (3,9) . Nel caso specifico di Smirne e Filadelfia la «sinagoga di Satana» è un'espressione che rappresenta la negazione caricaturale del titolo «comunità di YHWH»;63 questo appellativo, tuttavia, non deve essere concepito come formula an-

�8 Cf. At 7,1-8,3; 9,1-9; 13,44-52; 14,1-7; 17,5-9; 21 ,27-36; 1Ts 2,14-16; Gal 1,1314.23; 1Cor 15,9; Fil 3,6. Nel QV, inoltre, la polemica si acuisce e l'evangelista, in una visione retrospettiva, rilegge lo scontro Chiesa-sinagoga (cc. 5-10). Nelle parole di Gesù contro la leadership gerosolimitana si ritrova un'eco dell'espressione , poiché i giudei sono accusati di compiere le opere del padre loro: il diavolo (cf. Gv 8,41 .44) . 59 GIUSTINO, Dia/. 16,4; 17,1; 47,4; 96,2, parla del contrasto tra i cristiani e i giudei. Nel Martirio di Policarpo, avvenuto a Smirne, troviamo notizie concernenti l'azione di ebrei che denunciano Policarpo alle autorità politiche e prendono atti­ vamente parte alla sua esecuzione, cercando di impedire ai cristiani di recuperare il corpo del martire dopo la sua morte. 60 Cf. B EALE , The Book of Revelation, 240. 61 Torna in questo contesto il costrutto «lego + eauton (definirsi/dirsi) . . . kai ouk eisin (non lo sono) + nuova dichiarazione sull'identità», già notato in Ap 2,2. 62 Il sarcasmo è una particolare forma di ironia che, però, manifesta un attacco più personale, arrivando al vilipendio. Cf. S. FRIESEN, >. Questo aspetto si collega al racconto di 2Mac 2,4-8, dove è riportata una notizia, contestualizzata ai tempi dell'esilio babilonese, secondo la quale Geremia avrebbe fatto nascondere l'arca, .con dentro la manna, in una caverna. Quelli che seguivano il profeta tornarono per segnare la strada e non furono capaci di ritrovarla. Geremia li rimproverò dicendo: «>, in GLNT X, 1266-1269. 90 Cf. A. GANGEMI, «La Manna nascosta e il nome nuovo», in RivBib 25(1977), 337-356; HEMER, The Letters to the Seven Churches of Asia, 95. 91 Si veda, in proposito, il commento ai cc. 7 e 10. 92 L. GINZBERG, The Legend ofthe Jews, 7 voli., The Jewish Publication Society of America, Philadelphia 1954-1967, I, 83, osserva che i rabbini parlano della manna

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gli uomini.93 Alla luce di questa tensione tra presente e futuro, dunque, la manna nascosta richiama il premio cui la comunità è destinata e del quale sperimenta l'efficacia già nell'oggi della celebrazione eucaristica. Il secondo traguardo della Chiesa è la «pietra bianca su cui è scritto un nome nuovo che nessuno conosce, se non chi lo riceve». Il simbolo è stato interpretato alla luce di numerosi corrispettivi nella cultura antica.94 Qualche esegeta ci vede un riferimento ad amuleti magici e superstizioni diffuse nel I secolo d.C.; in base a queste usanze pagane, quindi, anche la Chiesa di Pergamo avrebbe avuto un amuleto cristiano sul quale era riportato il nome di Dio o di Cristo.95 Un'altra interpretazione vede nella pietra bianca un riferimento all'identità sacerdotale dei cristiani;96 in Es 28,9-12, infatti, sull'ephod del sommo sacerdote si trovano due pietre sulle quali sono scritti i nomi delle dodici tribù d'Israele. Gli argomenti in favore di questa ipotesi sono diversi: a) una tradizione giudaica ritiene che le pietre dell'ephod del sommo sacerdote siano state conservate nell'arca nascosta e saran­ no rivelate al tempo del messia (cf. 2Bar 6,7-8) ; b) il nome nuovo di Gerusalemme in Is 62,2 è associato con la salvezza dei pagani che, nel futuro, riceveranno il titolo di «sacer­ doti del Signore)) (cf. Is 56,5); c) la nuova identità sacerdotale, preannunziata in Es 19,4, ri­ sulta compiuta per i cristiani in diversi testi dell'Apocalisse (cf. 1,6; 5,10; 20,6). Una terza interpretazione del nome nuovo si connette al fatto che in Isaia, per i tempi messianici, è previsto un rinnovamento in cui Gerusalemme sarà chiamata con «Un nome nuovo che la tra le cose create da Dio nel primo sabato del mondo. Sullo sviluppo escatologico del simbolo cf. ivi, VI, 19. 93 2Bar 29,8 afferma: «E accadrà in quel tempo che il tesoro della manna sCenderà di nuovo dall'alto e mangeranno di essa in quegli anni perché questi sono coloro che sono giunti alla consumazione del tempo». 94 Per la discussione cf. HEMER, The Letters to the Seven Churches of Asia, 97102. 95 Cf. W. HEITMOLLER, «1m Namen Jesw>: Eine sprache und religionsgeschichtli­ che Untersuchung zum Neuen Testament.speziell zur altchristlichen Taufe, Vanden­ hoeck & Ruprecht, Gottingen 1903, 174-175 e 234-325; 0RIGENE, Contra Celsum: PG 1 1 , l, 24; IV, 33; V, 35, il quale attesta che presso gli ebrei era diffusa la credenza di un'efficacia magica di alcuni nomi di Dio. AuNE, Revelation, l, 191 , osserva che nel NT si ritrova l'invocazione del nome di Gesù per le guarigioni e gli esorcismi (cf. At 3,6; 4,10; 9,34; 16,18). 96 Cf. M. SruART, Commentary on the Apocalypse, 2 voli., Newmann, New York 1845, Il, 78-79.

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bocca del Signore indicherà» (ls 62,2).97 Anche l'Apocalisse sem­ bra percepire questo aspetto, come si rileva dall'insistenza sul «nome» all'interno del libro. Cristo, infatti, ha elogiato Pergamo perché ha tenuto saldo il suo nome (2,13), e anche nel messaggio a Filadelfia si dice che la comunità non ha rinnegato il nome di Gesù (3,8) , motivo per cui il Risorto imprimerà sul vincitore ecclesiale «il nome di Dio . . . il nome della città di Dio, la nuova Gerusalemme . . . il mio nome nuovo» (A p 3,12). Nell'immagine cristologica del cavaliere messianico, infine, torna il dato del suo nome che corrisponde ai titoli «Verbo di Dio» (19,13) e «re dei re e signore dei signori» (19,16), con un significato che rimanda al dominio dell'Esaltato sulle -forze del male. Per questa corrispon­ denza tra la professione di fede ecclesiale e il nome del Risorto è più coerente pensare che il nome nuovo, ricevuto dal vincitore di Pergamo, equivalga all'identità cristologica che gli è conferita alla fine del percorso ecclesiale. In sintesi possiamo ritenere che i due simboli della manna e della pietra bianca, su cui è scritto il nome nuovo, corrispondano a un'endiadi semantica di natura cristologica. La comunità di Pergamo, dunque, già beneficia, nella celebrazione eucaristica e nella confessione del nome di Cristo, del suo futuro, ma attende la pienezza escatologica che si attuerà in una totale partecipazione al banchetto celeste e all'identità del Risorto.

Il Figlio di Dio a Tiatira, luce comunitaria nel fascino mondano Il titolo cristologico L'autorivelazione del Risorto a Tiatira presenta tre titoli cri� stologici, due dei quali in comune con la visione iniziale (1,14b-15) , mentre la qualifica «Figlio di Dio» compare solo qui e non si ritrova in altre parti del libro.9s

97 Come osserva J. FEKKES III, lsaiah and Prophetic Traditions in the Book ofRevelation. Visionary Antecedents and their Development (JSNTS 93), Sheffield Accademie Press, Sheffìeld 1994, 128-130, in Is 65,15 (LXX) si dice: «>, in NTS 43(1997), 116-123. 105 Il processo di Mirrot Reading (lettura speculare) è un tentativo di rico­ struire, partendo dai brani biblici, il sostrato culturale apparentemente ignoto ma individuabile attraverso gli indizi testuali e la comprensione di essi nel loro contesto storico. Un esempio di Mirror Reading Io offre J.M.J. BARCLAY, «Mirror-Reading a Polemical Letter: Galatians as a Test Case», in JSNT 3(1987), 73-93, a proposito della Lettera ai Galati. 104

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vita cristiana.106 Anche la comunità di Tiatira, tuttavia, presenta toni umbratili, come si denota dalle parole «ma ho contro di te che tolleri la donna Gezabele, colei che si dice profetessa e insegna e svia i miei servi a prostituirsi e a mangiare idolotiti» (2,20). La critica riguarda la permissione data a un profetismo accondiscen­ dente ai valori pagani e operato da una figura femminile, chiamata sarcasticamente «Gezabele».107 Come già nel caso del profeta Ba­ laam a Pergamo (2,14) , anche per Tiatira ignoriamo il vero nome della profetessa; Giovanni la chiama con il nome della moglie di Acab,108 che introdusse culti idolatrici in Israele (1Re 16,31)109 e fa­ vorl fenomeni profetici paganeggianti, contro i quali si scagliò Elia (1Re 18). La critica nei confronti di Gezabele differisce rispetto ai contesti simili; infatti, l'espressione «colei che si dice profetessa» non è in seguìto contestata, a differenza dei sedicenti «apostoli» di Efeso (2,2) o dei «giudei menzogneri» di Smìrne e Filadelfia (2,9; 3,9); questo lascia supporre l'esistenza di un ministero profetico effettivo della donna di Tiatìra.110 I tratti con cui Gezabele è de­ signata sono i verbi planao (sviare) e porneuo (prostituirsi) , che

106· Tiatira era famosa nell'antichità per la produzione tessile e per il processo di tintura della porpora (cf. GRAVES, Jesus speaks to Seven of His Churches, 283-297); in At 16,14 è ricordata Lidia, abitante di questa città e commerciante di porpora, convertita al cristianesimo. 107 Cf. F'RIESEN, «Sarcasm in Revelation 2-3», 134. 108 La frase di 2,20a: «ma ho contro di te che lasci fare la donna (ghynaika) Gezabele, colei che si dice profetessa (e legousa eauten prophetin) . . . » grammatical­ mente crea problemi, poiché c'è discordanza di casi tra l'accusativo ghynaika e il nominativo della frase participiale e legousa . . Alcuni manoscritti, infatti, correggo­ no con l'accusativo ten legousan (S1 P 1854 2050 MA) o con la relativa e leghei (046. 1006. 161 1 . 1841. 2351. M�), ma la lectio difficilior è validamente attestata (S' A C 2053.2329) . Forse tale incongruenza nasce da un'allusione al testo dell'AT (cf. 2Re 20,5.7), dove il nome Gezabele compare sempre con ghyne al nominativo (cf. BEALE, The Book of Revelation, 263) o piuttosto, come già segnalato a proposito di 2,13, si tratta di un ebraismo frequente nel libro (cf. 1,4.5; 2,13; 7,4; 8,9; 9,14; 14,12.14; 20,2). A 046 .. 1006. 1841. 1854. 351. MK sy Cyp Prim, inoltre, affiancano il possessivo sou (di te) a «donna>>, per cui Gezabele sarebbe la moglie dell'angelo di Tiatira, capo della. congregazione della città (cf. T. ZAHN , Die Offenbarung des Johannes, 2 voli., Erlangen, Leipzig 1924, l, 286); tale interpretazione, però, non è sopportata da nessun elemento testuale. 109 In 2Re 9,22 Gezabele è anche artefice di riprende il testo di Ez 32,25 (LXX).

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corrisponde a una libera citazione di Ger 17,10.117 Il senso dell'e­ spressione si fonda ancora sul simbolo degli occhi, già proposto, all'inizio di questa lettera, nell'autopresentazione del Risorto, e rimanda a una conoscenza profonda dell'interiorità umana.U8 An­ che in questo caso l'Apocalisse crea un parallelo tra l'antecedente veterotestamentario e il contesto situazionale di Tiatira. Infatti, come in Ger 17,10 l'onniscienza divina è in relazione al giudizio per quanti praticano l'idolatria, cosi nella Chiesa di Tiatira i falsi maestri non possono sfuggire allo sguardo scrutatore del Risorto, che risulta più penetrante di quello di Apollo Tirimno.U9 La cono­ scenza che Cristo ha della comunità diventa anche il criterio in base al quale egli compie la retribuzione degli atti ecclesiali: > e l'intera profezia di Nm 24,17 è applicata a lui. 137 Rispetto ad Ap 22,16 in 2,28 manca l'aggettivo lampros.

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Così parla colui che ha i sette spiriti di Dio (ta epta pneumata tou theou) e le sette stelle (3,lb) .

Le sette stelle indicano, come si è visto nella cristofania iniziale,

la dimensione trascendente della Chiesa, posta nelle mani del Ri­ sorto. A questo dato la descrizione di Cristo aggiunge un elemento nuovo, rappresentato dai «sette spiriti di Dio». L'interpretazione di questo simbolismo oscilla tra un riferimento agli angeli e un rimando allo Spirito Santo.138 I sostenitoril39 della valenza angelica del simbolo si appellano a diverse ragioni; infatti, nella Bibbia140 e a Qumran,141 alcune volte si assiste all'accostamento dei termini anghelos (angelo) e pneuma (spirito) per cui le quattro ricorrenze dell'espressione epta pneumata tou theou (1 ,4; 3,1; 4,5; 5,6) potreb­ bero essere un richiamo ai sette arcangeli della tradizione apocalit­ tica.142 In realtà questa interpretazione non tiene conto di una parti­ colarità linguistica del libro dell'Apocalisse, che non utilizza mai la parola pneuma per designare gli angeli. Oltre alla diversificazione terminologica esiste anche una differenza di ruoli, giacché i sette angeli nel libro dell'Apocalisse sono portatori dei flagelli divini.l43 Gli epta pneumata, invece, appaiono in stretto legame con il trono di Dio e con la persona di Cristo: - in 1,4-5 il sintagma appare nel saluto iniziale dell'autore, in una formula trinitaria: «Giovanni alle sette chiese . . . grazia e pace da Colui che è e che era e che viene e dai sette spiriti che stanno davanti al trono di Dio e da Gesù Cristo, il testimone fedele e il principe dei re della terra». In questo contesto risulterebbe strano che, accanto a Dio e a Cristo, compaiano sette angeli; - in 4,5 si descrive il trono di Dio presso il quale si trovano i sette spiriti. In questo caso si potrebbe vedere un aggancio al testo di Zc 4,2.10 dove si parla di «sette lucerne» che rappresentano

138 RAMSAY, The Letters to the seven Churches of Asia, 272, pensa che i sette spiriti siano un simbolo del potere divino, senza un carattere personale. 139 Cf. CHARLES, A Criticai and Exegetical Commentary on the Revelation of St. John, I, 13; E. ScHWEITZER, «pneuma, ktl>>, in GLNT X, 1095; C. H. GrauN, The Book of Revelation: The Open Book of Prophecy, The Liturgica! Press, Collegeville 1993, 55. 140 Cf. Sal 103,4 (LXX); At 23,8.9; Eb 1 ,7.14. 141 Cf. 10M XII,8-9. 142 In 1 ,20; 8,2.6; 15,1 .6.7.8; 16,1; 17,1 ; 21 ,9, infatti, si parla di epta angheloi (sette angeli) . 1 43 I sette angeli sono sempre in connessione con eventi catastrofici: suonano le trombe, che introducono punizioni (8,2.6); sono i portatori delle piaghe (15,1 .6.8; 21 ,9) e delle coppe colme dell'ira di Dio (cf. 15,7; 16,1; 17,1; 21,9).

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l'onniscienza divina. Anche qui la vicinanza dei sette spiriti con la trascendenza spinge a leggere il significato del simbolo come un riferimento allo Spirito Santo; - in 5,6 l'espressione epta pneumata si connette con la descrizio­ ne dell'Agnello e in questo contesto - come si vedrà nel capitolo sull'Agnello - ritorna il background letterario di Zac 4, che serve all'autore per formulare la sua cristologia sull'invio pasquale dello Spirito. Da questi dati si desume che il simbolo dei sette spiriti è più comprensibile come un riferimento allo Spirito Santo piuttosto che agli angeli; l'uso del plurale spiriti va pertanto compreso sulla base dell'AT (cf. Is 1 1 ,1 LXX) e mostra l'azione distributiva e totaliz­ zante dello Spirito, data dal numero sette.144 L'immagine completa dell'autopresentazione di Cristo alla Chiesa di Sardi, dunque, manifesta il Risorto come colui che pos­ siede l'identità della comunità e che, in forza della pienezza dello Spirito, anima la vita ecclesiale.

Il messaggio alla Chiesa Il giudizio sulla Chiesa di Sardi è uno dei più severi delle sette lettere;145 nella narratio appare subito un elemento ironico, che consiste nel paradosso tra l'apparente stato vitale della comunità e la sua morte reale: «conosco le tue opere: hai la fama di essere vivo [lett. "hai un nome che sei vivo"], ma [kai avversativo] sei morto» (3,1c).146 Con queste parole critiche il Risorto dice che la comunità cristiana di Sardi si pone in discontinuità con il mistero pasquale, poiché essa compie un itinerario inverso: non va, come Cristo, dalla morte alla vita, ma dalla vita alla morte. C'è, forse, anche un riferimento alla conformazione geografica della città, che sorgeva su due colline, l'una di fronte all'altra: l'acropoli e la

144 Cf. BEALE, The Book of Revelation, 189. G.H. Dix, ««The seven Arcangels and the seven Spirits», in JThS 28(1927), 250, scrive: «The seven Spirits of God are seven only in operation: they are One Spirit in essential Being. The Seven are extrinsically what the One Spirit is intrinsically, the Spirit of God and of Christ (I sette Spiriti di Dio sono sette solo operativamente: essi sono il solo Spirito nel suo essere. I sette Spiriti sono estrinsecamente ciò che l'unico Spirito è intrinsecamente, lo Spirito di Dio e di Cristo)». 145 Cf. PRIGENT, L 'Apocalypse de saint Jean, 147. 14> (eureka pepleromena) ha una eco in numerosi testi biblici (cf. Sir 44,17.20; Dn 5,27 [Th]; At 5,39; 23,9; 1Cor 15,15; 2Cor 5,3; 1Pt 1,7; 2Pt 3,14; Ap 2,2) , si trova nella forma prevalentemente passiva del verbo eurisko (essere trovato) e corrisponde a una formula giuridica. 152 L'idea di perfezione esprime, nell' AT, il concetto di (Rm 13,8; Gal 5,14 usano l'espressione pleroun nomon ·= adempiere la legge) e imitazione di Dio stesso (cf. Mt 5,48 ) . 153 Nell'Apocalisse il costrutto enopion + sostantivo (davanti a) assume un valore locativo e si trova in contesti liturgici, con riferimento a Dio (cf. 3,2; 8,2.4; 9,13; 1 1 ,16; 12,10; 16,19) ; al suo trono (cf. 1,4; 4,5.6.10; 7,9.11.15; 8,3; 14,3; 20,12) ; all'Agnello (cf. 5,8; 7,9; 14,10) e agli angeli (cf. 14,10 ) .

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que ciò (pos)154 che ricevesti (eilephas) e ascoltasti (ekousas) e custodisci (terei) e convertiti (metanoeson)» (v. 3a) . La Chiesa è chiamata a fare memoria in rapporto al primo annuncio della fede cristiana, ricevuta (eilephas)155 e ascoltata (ekousas) ; in tal senso il ricordare non è da intendersi come un semplice riman­ do al passato, ma come un tornare all'eredità spirituale, che la comunità ha ricevuto e che deve sempre motivare le sue scelte presenti. Da questa memoria viva scaturisce il comando di Cristo «convertiti e custodisci»; l'ordine delle due parole segue la tecnica dello hysteron-proteron,156 tipica dell'Apocalisse, per cui si deve intendere «convertiti e custodisci»; anche i tempi in cui i due verbi sono coniugati offrono una sfumatura di significato: se, infatti, la conversione deve essere immediata (metaneson è un imperativo aoristo) , la custodia del messaggio comporta un'operazione che assume un carattere continuativo ed esteso nel tempo (terei è un imperativo presente) . Il venire di Cristo, improvviso come un «ladro»

La dispositio del Risorto è data da un'intimazione condizio­ nale: «Se, dunque, non veglierai, verrò come un ladro (kleptes) e non saprai in quale ora arriverò da te» (v. 3b ) . La venuta del Risorto è qui descritta con l'immagine del ladro, una simbologia che richiama diversi testi del NT.157 L'uso della figura del ladro, per la sua presenza in contesti letterari differenti, lascia supporre che appartenga agli ipsissima verba Iesu; non sembra, infatti, che prima di Gesù tale immagine sia mai stata utilizzata. Rispetto agli

154 L'uso dell'avverbio pos (come) sostituisce il pronome indefinito ti (cosa), come accade anche in altri contesti del NT (cf. BLASS - DEBRUNNER, Grammatica del greco del Nuovo Testamento, § 436 nota 2); tuttavia anche il senso modale originario può essere accettato e, in tal caso, la Chiesa deve far memoria > nel contesto del mondo rinnovato.174 Da questa riflessione. si può dire che Cristo garantisce ai cre­ denti di Sardi, che non si sono mescolati a pratiche paganeggianti, la possibilità di peripatein = vivere con lui, partecipando della sua risurrezione, così come suggerisce il riferimento alle «vesti bianche».175 Il risultato di questa condizione ha una ragione: «per­ ché sono degni (axioi)» (v. 4d); in questo modo il testo ripropone la necessità di una risposta etica della comunità che, per accedere al mondo celeste, deve essere «degna» come l' Agnello.176

Il traguardo ecclesiale: le vesti bianche, il nome nel libro della vita, la confessione di Cristo La promessa al vincitore di Sardi si articola in tre doni del Ri­ sorto, quale compimento del cammino ecclesiale: «Il vincitore sarà cosl rivestito (peribaleitai) in vesti bianche e non cancellerò affatto (ou me) il suo nome dal . libro della vita e confesserò il suo nome davanti al Padre mio e ai suoi angeli» (3,5). Il primo elemento è l'essere «rivestito cosl (outos) in vesti bian­ che»; l'avverbio esprime la modalità della ricompensa, che consiste nelle stesse bianche vesti; anche in questo caso, come in 3,4b, il sim­ b0lo abbigliamentare descrive il destino escatologico che il creden­ te riceve; suggerisce questa interpretazione anche la forma verbale del passivo, che denota un'azione. di cui il soggetto è destinatario.

174 ' A uNE, Revelation, III, 1 170-1171, definisce in questo caso il verbo peripate6 come è attribuito raramente a Gesù, ma nell'AT (LXX) serve per designare perso­ naggi eletti da Dio per una missione.184 Dai contesti in cui l'agget­ tivo è riferito a Gesù si può dedurre che esso assuma l 'equivalente significato di «messia». In Le 1 ,35 le parole dell'angelo a Maria denotano che il nato da lei sarà «santo» poiché l'esistenza del nascituro sarà santificata dall'azione dello Spirito, che ne manifesterà la natura divina, come precisa il titolo «figlio di Dio». Nell'episodio dell'uomo posseduto dallo spirito impuro (Mc 1 ,21-28//Lc 4,31-37} il demonio confessa Cristo come «Santo di Dio (aghios tou theou in Mc 1 ,24; Le 4,3 4) » e la medesima confessione ricorre in Gv 6,69, sulla bocca di Pietro; essa è paragonabile all'episodio sinottico in cui l'apostolo proclama 183 Cf. GRA VES, Jesus speaks to Seven of His Churches, 400. 184 In Gdc 13,7; 16,17 (cod. B) il santo è Sansone; lo stesso aggettivo è attribuito ad Aronne (Sal 105,16) e a Elia (2Re 4,9).

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l'identità di Gesù come messia (cf. Mt 16,16 e Mc 8,29). La corre­ lazione tra questi testi sembra avallata dal fatto che diversi mano­ scritti correggono «il santo di Dio» di Gv 6,69 con l'espressione si­ nottica «il Cristo, il Figlio del Dio vivente>> o «il Cristo».185 L'ultimo testo in cui aghios è attribuito a Gesù è il discorso apostolico di At 3,11-26, dove si ritrovano insieme i termini «santo e giusto [dikaios in 3,14]». Questi due appellativi rimandano, nella tradizione bibli­ ca e giudaica, al messia e al popolo messianico ed è probabile che anche nel discorso di Pietro essi siano un riferimento alla funzione messianica di Gesù.186 Alla luce di questi testi, dunque, la definizione «santo», in rap­ porto a Gesù, va compresa nel senso della sua autorità carismatica e sembra essere un corrispettivo di «eletto» ovvero «messia».187 Il secondo attributo con cui il Risorto si definisce è alethinos, la cui valenza può esprimere: l) sicurezza e stabilità:188 questo significato si basa sul fatto che alethinos appare in coppia con altri due termini, «giusto» (dikaios)189 e «degno di fede» (pistos) ;190 in tal modo le coppie ag­ gettivali costituiscono un'endiadi che indica la solidità delle realtà divine; 2) alcuni esegeti contestualizzano alethinos nell'ambito della Chiesa di Filadelfia, dove il conflitto con i giudei, che negavano l'identità di Gesù, porta i cristiani a proclamare il loro Kyrios come il «vero» messia.191 Se si accetta il secondo significato del termine alethinos esso ap­ pare come un'esplicitazione dell'aggettivo aghios, per cui ambedue le parole «santo e verace» orientano verso una valenza messianica 185 Il testo di Gv 6,69, nei codici ec 'f' 0250 f13 28 157 180 579 597 700 892 ecc., si accorda con Mt 16,16 «il Cristo, il Figlio del Dio vivente»; mentre p66 cop,. Cirillo1•m seguono Mc 8,29 che ha la lezione il «Cristo>>. 1 86 Cf. F.F. BRUCE, The Acts of Apostoles. Greek Text with lntroduction and Commentary, Eerdmans, Grand Rapids 1990, 141 . 187 Cf. H. ScHùRMANN, Il Vangelo di Luca. Testo greco e traduzione, trad. it. a cura di V. GATn - O SoFFRrm - M.L. SANCASSANO, 2 voli., Paideia, Brescia 1983, I, 148-149; 429. 1 88 Come ha osservato l. DE LA PorrERIE, «La verità in S. Giovanni>>, in RivBib 1 1 (1963), 164-173, l'uso dell'aggettivo alethinos è distinto dall'altra forma alethes, assente in Apocalisse. Nel QV i due aggettivi indicano: «quanto è veritiero» (alethes) e > ha una valenza universale e indica l'intera superficie terrestre (cf. 2Mac 2,22; Is 10,23; 13,5.9. 1 1 ; 14,17.26; Dn 3,45; Mt 24,14; At 11,28; 19,27; Ap 12,9; 16,14). 214 L'espressione «abitanti della terra» (oi katoikountes tes ghes) nella Bibbia e nella tradizione giudaica si riferisce alla popolazione che vive nel paese d'Israele (cf. Os 4,1; 01 1 ,2.14; 2,1; Ger 6,12; 10,18; ecc.) o agli «abitanti del pianeta terra» (cf. ls 24,6; 26,21; l En 37,2.5; ecc). Il costrutto è particolarmente presente nell'Apocalisse (cf. 6,10; 8,13; 1 1 ,10[2x]; 13,8.14[2x); 17,8) con variazioni (cf. 13,12; 14,6; 17,2) e as­ sume diverse accezioni, tutte negative: 1) coloro sui quali si verificano gli interventi punitivi di Dio (cf. 3,10; 8,13); 2) quanti sono causa del male per i cristiani (cf. 6,10) o gioiscono davanti alla sorte tragica dei credenti (cf. 11 ,10). La relazione di questo gruppo umano col demoniaco è differentemente qualificata: 1) adorano la bestia (cf. 13,12); 2) sono sviati dai suoi prodigi (cf. 13,14); 3) portano il suo marchio, il suo nome e il suo numero (cf. 13,16-17); 4) sono integrati nel sistema della città di Babilonia (cf. l7 ,2.8) e, per tutte queste ragioni, il loro nome non è scritto nel libro della vita dell'Agnello (cf. 13,8; 17,8). 212

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(ora tou peirasmou in greco), inoltre,215 rimanda a concetti simili nel giudaismo apocalittico per designare un periodo di angoscia e sofferenza, con la successiva vittoria escatologica di Dio.216 Anche nei vangeli sinottici Gesù raccomanda ai suoi discepoli di «per­ severare» (cf. Mt 24,13; Mc 13,13) e di pregare perché sia loro garantita protezione al momento della tribolazione finale. In Gv 17,15, infine, Gesù prega il Padre perché «preservi» i discepoli dal Maligno; come in questo testo giovanneo, anche in Ap 3,10 il Risorto assicura la comunità di Filadelfia che la tribolazione non si abbatterà su di essa.217 Nella lettera a Filadelfia torna il tema dell'avvento di Cristo: «Ecco vengo all'improvviso (erchomai tachy); tieni ciò che hai per­ ché nessuno porti via la t\,la corona» (3,1 1). La venuta improvvisa del Risorto, già incontrata nel contesto di Pergamo, qui assume una valenza escatologica ed è una verifica della condizione di vita della comunità, secondo quanto i cristiani di Filadelfia già possiedono. Pertanto la congregazione è invitata a tener saldo il suo status ec­ clesiale per non perdere il premio escatologico, rappresentato dalla corona; il simbolismo potrebbe richiamare indirettamente il titolo cristologico iniziale: infatti in Is 22,21 si dice che a Sebna è tolta la «Corona» per essere data a Eliakim. In tal modo Cristo mette in guardia la Chiesa da un'eventuale perdita del suo ruolo di autentica comunità messianica, in contrapposizione alla sinagoga.218 Il traguardo ecclesiale: il credente «colonna del tempio» e i «nomi» scritti sul vincitore Nella promessa al vincitore sono previsti quattro doni del Ri­ sorto per il credente:

m Nell'Apocalisse il termine peirasmos ricorre solo in questo contesto, mentre il verbo peiraz6 (mettere alla prova) si ritrova anche in Ap 2,2.10. Le due parole, nell'uso biblico generale, indicano: l) una «prova», con l'idea positiva di saggiare l'indole o la natura del credente; 2) una «tentazione», con la valenza negativa di in­ durre qualcuno al peccato (cf. H. SEESEMANN, «peira ktl.», in GLNT IX, 1413-141). Nel contesto di A p 3,10 sia il termine peirasmos sia il verbo peiraz6 sembrano avere significato negativo. 216 Cf, Dn 12,1 ; Giub. 23,1 1-21; 2Bar 27,1-15; Mt 24,15-31; Mc 13,7-20; in Ap 7,14 si trova l'espressione thlipsis megale (grande tribolazione) e in Mc 13,19 si parla di tlipsis oia (una tale tribolazione), frasi che esprimono il medesimo concetto. 217 S . BROWN, ; PINDARO, Olim­ piche 2,81-82, definisce Ettore >; questo appellativo, di interesse cosmologico, manifesta un processo di Mirror Reading poiché eSso si connette alla temperie culturale della comunità; all'interno della quale il titolo stesso è proclamato. La medesima questione, infatti, è sollevata in un contesto paolina simile, dove l'Esaltato è chiamato «Principio (arché) , primogenito dei morti (prototokos ton nekron)» (Col 1,18). Si deve pensare, dunque, che nelle città della v:alle del Lico (Gerapoli, Colossi, Efeso, Laodicea) si fosse diffusa una forma di giudaismo, misto a credenze pagane.244 Dalle lettere di .Paolo agli Efesini e ai Colossesi emerge, infatti, che in queste comunità si credesse all'esistenza di creature celesti, capaci di influenzare i destini del mondo.245 Per tale ragione, nelle suddette lettere, il Risorto è presentato come il creatore di tali entità (Col 1,16) , il Principio (arché) di tutte le potenze cosmiche (Col 2,10), che da lui sono state sconfitte e sottomesse nella sua glorificazione (Ef 1 ,20-21).246 Un ulteriore collegamento si nota tra i testi paolini e Ap 3,14-22: l'idea del Cristo intronizzato nei cieli si trova sia nel­ le lettere di Paolo (Col 3,1) che in Ap 3,21b; questa sorte, inoltre, coinvolge le stesse comunità dal momento che in Ef 2,6 Dio «ci fece sedere nei cieli in Cristo Gesù» e in Ap 3,21 a la promessa al vincitore di Laodicea comporta un sedere con il Risorto sul suo tro­ no.247 Accanto a questo comune sostrato, tuttavia, si devono notare anche delle differenze. Nella Lettera ai Colossesi, infatti, Cristo è chiamato p rototokos, sia in rapporto alla creazione (il primogeni­ to della creazione in 1,15) che alla risurrezione (primogenito dei L'Évangile selon saint Jean, 1: L 'Évangile selon saint Jean (1-12); 2: L 'Évangile selon saint Jean (13-21) (CNT IVa-IVb), Labor et Fides, Genève 2014-2007, II, 236-237. 243 I due aggettivi pistoslalèthinos traducono nei LXX la radice ebraica 'tlman. Nell'Apocalisse si ritrovano in coppia per designare Cristo in 19,1 1 e le «parole>> della rivelazione in 21,5; 22,6. 244 J.B . LIGHTFOOT, St Paul's Epistles to the Colossians and to Philemon, a revi­ sed text with introduction, notes and dissertations, MacMillan, London 1 927, 73,94, pensa a un'influenza del giudaismo essenico sulle comunità di Colossi e Laodicea, combinato con credenze filosofiche e pagane locali; l'autore indica gli Oracoli Sibil­ lini come un'espressione di giudaismo eterodosso in Asia Minore. 245 In Ef 1 ,21 è fornito un elenco che qualifica tali entità come archè (Principa­ to), exousia (Potenza), dynamis (Forza), kyriotès (Dominazione); anche in Col 1,16 l'autore offre una lista uguale, sostituendo dynamis con thronoi (Troni). 2% Cf. A.T. LINcOLN, Ephesians (WBC 42), Word Books, Waco 1990, 186. ·247 Cf. CHARLES, A Criticai and Exegetical Commentary on the Revefiltion of St. John, I, 94-95.

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morti in 1,18).248 L'Apocalisse, invece, utilizza due termini distinti e qualifica l'Esaltato come arche in rapporto alla creazione,249 mentre riferisce prototokos all'evento della risurrezione (Ap 1, 5). La ragio­ ne della differente scelta terminologica può essere ricondotta, per quanto riguarda l'Apocalisse, alla familiarità con gli altri testi di scuola giovannea dove il termine arche descrive Cristo in relazione al creato, indicando una sua prìorità che è insieme cronologica e causale. Il quadro d'insieme dei titoli cristologici ci fornisce un'immagi­ ne del Risorto in funzione del contesto ecclesiale. Egli è il garante stabile delle promesse divine, colui che possiede ogni preminenza su tutta la creazione; in quanto arche del cosmo e suo architetto è all'origine di ogni potenza creata, contro le speculazioni esoteriche e gnosticizzanti della comunità.

Il messaggio alla Chiesa Il messaggio a Laodicea non presenta - come nelle altre lette­ re - alcun encomio; le parole del Risorto appaiono subito dure e l'intero messaggio è una satira sulla comunità:250 Conosco le tue opere: non sei né caldo (psychros) né freddo (zestos), ma­ gari tu fossi caldo o freddo ! Ma poiché sei tiepido (chliaros), cioè non sei né caldo né freddo, sto per vomitarti dalla mia bocca (3,15-16).

L'accusa di una Chiesa «tiepida» sembra essere un'allusione al­ le acque della città, non paragonabili a quelle caJde delle vicine Ge­ rapoli e Colossi, dove esistevano bagni termali, alimentati da fonti terapeutiche; in base a questo paragone la condizione spirituale

248 Il sostantivo prototokos, nei diversi usi che si ritrovano nella Bibbia, non indica principalmente l'antecedenza cronologica (primo nato), ma una superiorità di rango (cf. SWETE, The Apocalypse of St. fohn, 59-60). Pertanto, sulla scia degli scritti biblici e giudaici, che parlano della Sapienza collaboratrice di Dio, anche Cristo è presentato come colui che sta al di sopra di tutto il cosmo. Cf. J.L. SuMN EY, Colossians, A Commentary, Westminster John Knox, Louisville 2008, 65. 249 Come si è notato nel primo capitolo, Cristo si definisce arche kai telos (22,13), presentandosi come l'inizio e la fine di tutta la creazione. 250 La satira è una forma ironica più strutturale, che non si ferma a una semplice immagine, ma mostra una serie di aspetti che, nell'insieme, conferiscono un carat­ tere paradossale al destinatario della critica. Cf. FRIESEN, «Sarcasm in Revelation 2-3», 130-131.

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della comunità si registra mediocre come le sue acque !251 Questo collegamento evocativo è stato contestato da Koester, il quale nota che, dalle testimonianze antiche, ci sono attestazioni positive sulla bontà dell'acqua potabile a Laodicea; in 3,16, inoltre, il Risorto fa riferimento al «vomito» e alla «bocca» per cui il paragone dovrebbe interessare il sapore dell'acqua e non il suo uso termale. Per queste ragioni Koester preferisce vedere nel testo un rimando ai banchetti degli antichi, durante i quali si servivano bevande calde o fredde, e mai tiepide.252 Se si accetta questa osservazione gli aggettivi «caldo, freddo, tiepido» vanno intesi nel loro significato metaforico; nella letteratura sapienziale, infatti, «essere caldo» assume una valenza negativa, corrispondente all'impulsività, mentre «essere freddo» ha un significato positivo poiché indica la moderazione.253 L'espres­ sione, inoltre, è costruita come un desiderio impossibile, come si evince dal costrutto della particella ophelon + l'imperfetto254 che, in italiano, traduciamo con «magari tu fossi . . .». In tal modo il qua­ dro completo pone in rilievo !!atteggiamento dei laodicesi che, nel desiderio irrealizzato del Risorto, non corrisponde né a una fede fervente, né all'incredulità, ma a una tiepidezza che è sinonimo di indecisione255 o addirittura di accondiscendenza lasciva, tipicamen­ te gnosticizzante.256 In quest'ultimo caso il rimprovero di Cristo allude al contesto situazionale e religioso della comunità, già pro251 A Laodicea sono visibili i resti di un acquedotto che prendeva acqua da una sorgente, posta cinque miglia a sud del centro cittadino per cui, quando il corso d'acqua precipitava velocemente nel condotto, giungeva tiepido nella città. Per la discussione sul tema cf. M.J.S. RuowicK E.M.B. GREEN, «The Laodicean Lukewarmness», in Exp Tim 69(1957-58), 176-178; HEMER, The Letters to the Seven Churches of Asia, 186-191 . 252 Cf. C.R. KoESTER, , in NTS 49(2003), 409-411; lo., Revelation, 337 e 343-344. 253 AUNE, Revelation, l, 257, cita Pr 15,18, dove l'uomo collerico è definito «Uomo di calore ( 'fsh Mmilq)», e Pr 17,27, dove si parla dell'uomo «che modera le parole». 254 Cf. CHARLES, A Criticai and Exegetical Commentary on the Revelation of St. John, l, 95-96; altri esempi si trovano in l Cor 4,8; 2Cor 1 1,1; Gal 5,12. Alcuni mano­ scritti (A 1006) omettono questa espressione, ma non ci sono ragioni per escluderla, poiché per uno scriba poteva essere facile tralasciare la stessa coppia verbale, ripe­ tuta a breve distanza (cf. BEALE, The Book of Revelation, 304). 255 L'invito alla vigilanza operosa è una caratteristica dei testi neotestamentari, in contesti escatologici, come anche la critica nei riguardi di atteggiamenti oziosi (cf. Mt 24,23; Mc 13,34.37; Le 12,37; 1Ts 5,6; 2Ts 3,6-12; 1Pt 5,8 Ap 3,2.3; 16,15). 256 Il rifiuto di chiarezza dottrinale e quello di determinazione morale appaio­ no come caratteristiche di uno gnosticismo che rifiuta le virtù cristiane e si mostra accondiscendente con il paganesimo. Cf. PRIGENT, L'Apocalypse de saint Jean, 164-165. -

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spettato nei titoli cristologici; Laodicea, dunque, si manifesta tiepi­ da creando nel Risorto una situazione di malessere, paragonabile alla sensazione di vomito. Si potrebbe vedere, in questo contesto, un'allusione a Lv 18,25-28 dove compare l'elemento comune del «vomito». Il testo anticotestamentario è un monito per il popolo d'Israele ·perché non cada nel peccato di idolatria, come i cananei che la terra «ha vomitato»; ugualmente il vomito di Cristo simbo­ leggia la sua reazione di fronte al disordine dottrinale dei laodicesi. La critica del Risorto continua, in modo ironico, citando le parole della Chiesa: «Tu dici: sono ricco (plousios eimi) e mi sono arricchito (peplouteka) e non ho bisogno di nulla (ouden chreian echo)>> (3,16a). La comunità millanta una sua sicurezza, che l'ha condotta a un senso di autosufficienza, come dimostra l'enfasi dell'espressione;257 nel I secolo d.C. la situazione economica di Laodicea era fiorente258 al punto che, durante il terremoto che distrusse la città nel 60 d.C., essa fu ricostruita con la sola forza dei suoi cittadini, senza alcun contributo dell'impero.259 Davanti a questa stabilità materiale si erge il giudizio di Cristo, che manifesta la discrepanza tra situazione economica ed etico-religiosa della Chiesa. E infatti prerogativa del Risorto mostrare il vero status della comunità, come emerge nella seconda parte del v. 17: «Ma Tu (sy) non conosci (ouk oidas) che sei l'infelice (talaiporos) , e miserabile (eleeinos) e povero (ptochos) e cieco (typhlos) e nudo (ghymnos)». L'enfasi sul soggetto comunitario260 e la costruzione polisindetica,261 data dal ripetersi della congiunzione «e», conferi­ scono un crescendo drammatico alle parole di Cristo, che sottoli­ neano la condizione disperata della Chiesa. L'espressione «tu non conosci (ouk oidas)», inoltre, si contrappone a Cristo stesso, che

251 «Sono ricco», «mi sono arricchito» sono una tautologia, ottenuta dal ripeter­ nella forma verbale plauteo e nella forma aggettivale plausias, termini affiancati secondo la tecnica dello hysteran-prateran. La stessa semantica ha l'espressione «non ho bisogno di nulla», .formulata come una negazione. 258 Cf. HEMER, The Letters ta the Seven Churches afAsia, 191-196. 259 TACITO, Annales 14,27.1, dichiara: «Eodem anno ex inlustribus Asiae urbi­ bus Laodicea tremore terrae prolapsa nullo a nobis -re medio propriis opi bus revaluit (In quello stesso anno, tra le famose città dell'Asia, Laodicea, colpita da un terremo­ to, si risollevò con le proprie forze, senza alcun aiuto da parte nostra)». 260 Si noti la posizione enfatica del pronome sy, seguito da una serie di aggettivi predicativi, preceduti dall'articolo, quasi a indicare l'infelice, il misero, il povero, il cieco e nudo per eccellenza. Cf. CHARLES, A Criticai and Exegetical Cammentary an the Revelatian af St. John, l, 96. 261 Il polisindeto è una figura sintattica che consiste nel collegare le varie propo­ sizioni di una frase attraverso numerose ripetizioni della congiunzione su Laodicea, come prezzo della sua vittoria, confermato da Antonio che lo rese re del Ponto nel 36 a.C.288 Altri esegeti, inoltre, connettono il tema della vittoria con il tempio di Domiziano a Laodicea, che celebrava cosl il suo trionfo;289 2) ragioni biblico teologiche: il racconto dell'Ultima cena se� condo Luca (Le 22,29-30) presenta aspetti comuni con Ap 3,20-21. Sia Le 22,29 sia Ap 3,21, infatti, parlano di un conferimento di potere che il Padre dà a Cristo e che da lui passa ai credenti; Il banchetto menzionato nei due testi, inoltre, rimanda al mondo a venire: Ap 3,20 formula l'azione del cenare al futuro e Le 22,29 proietta il «mangiare e bere alla tavola» di Cristo nel Regno escato­ logico del Padre. Anche il sedere sul trono, in ambedue i testi, è in prospettiva futura. Per questa ragione si è pensato che la relazione tra le due pericopi dipenda da un loghion originario di Gesù, poi differentemente contestualizzato nei testi.290 Piuttosto che parlare di un loghion comune, tuttavia, si deve pensare a un topos della prima predicazione cristiana, reperibile in molti contesti simili (cf. M t 19,28; Mc 10,40; Ef 2,6; 2Tm 2,12). A queste considerazioni bisogna aggiungere che, negli scritti giovannei, il tema. della vittoria è sviluppato, come nell'Apocalisse, in chiave cristologica e teologica:

287 Il termine nikon è un participio norrùnativo e costituisce un casus pendens o norrùnativo assoluto; esso riflette Io stile serrùtico dell'autore, come si è già notato per 2,26; 3,12 (cf. CHARLES, A Criticai and Exegetical Commentary on the Revelation of St. John, I, cxlix). 288 Cf. HEMER, The Letters to the Seven Churches of Asia, 204. 289 a. KOESTER, Revelation, 349. 290 Cf. BAUCKHAM, «Synoptic Parousia Parables», 173. 104

l) cristologica: nel QV il «vincere» (nikao) è una prerogativa esclusiva di Cristo nella sua morte e risurrezione, motivo di corag­ gio per la comunità, nei tempi della futura sofferenza; Gv 16,33 è l'unico versetto in cui si trova il verbo nikao: «Voi avete tribolazio­ ne nel mondo, ma abbiate coraggio io ho vinto il mondo». Il testo si presenta come una predizione ai discepoli per il tempo futuro, segnato dalla persecuzione, ma il messaggio di consolazione sca­ turisce dal fatto che Gesù ha vinto il mondo. Tale affermazione si connette a contesti simili (cf. Gv 12,31; 14,30-3 1 e 16,11) dove la vittoria di Cristo è vista come disfatta del principe di questo mondo negli eventi pasquali;29t 2) ecclesiologica: nella Prima lettera di Giovanni la vittoria appare un tema esclusivamente legato ai credenti che, nella pro­ fessione di fede, vincono il maligno e il mondo (cf. lGv 2,13-14; 4,4; 5,4-5). L'Apocalisse recupera ambedue questi dati, mostrando una radice cristologica della vittoria, che inizia negli eventi pasquali ma diventa definitiva solo alla fine della storia. Cristo-Agnello, infatti, è il «leone vittorioso», che ha sconfitto la morte e può apri­ re i sigilli (5,5); il trionfo decisivo sulle forze del male, tuttavia, è raccontato come un evento futuro, quando l'Agnello sconfiggerà le forze del male (17,14). Come il Risorto anche i credenti vivono un presente di vittoria, prendendo parte alla passione di Cristo e sconfiggendo il Maligno e i suoi alleati (12,11; 15,2); questo trionfo, tuttavia, attende una consumazione escatologica; lo ricordano le promesse al vincitore, poste alla fine del percorso ecclesiale (Ap 2,7b.llb.l7b.26; 3,5.12.21 ), e le parole divine in Ap 21,7 dove si afferma che la città celeste, appena descritta, «sarà data in eredità [il futuro kleronomesei] al vincitore».

Sintesi teologica La figura di Cristo nei messaggi alle sette chiese presenta gli aspetti tipici di un incontro liturgico tra il Risorto e le sue comuni­ tà, come appare dal contatto con la visione iniziale, di cui il settena­ rio epistolare conserva numerosi appellativi. Si è visto che le lettere alle sette chiese mantengono, nello schema narrativo, i caratteri del linguaggio profetico, poiché gli interventi di Cristo assumono 291 Cf. ZuMSTEIN, L 'Évangile selon saint Jean, Il, 157.

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l'aspetto dell'invito a conversione e l'annuncio di salvezza; ciascun messaggio, inoltre, è organizzato secondo un modello standard in cui appaiono cinque elementi costitutivi. 1) D titolo cristologico è un'autodesignazione del Risorto, intro­ dotta dalla formula «così parla + una serie di qualifiche»; con questi appellativi Cristo si presenta alle comunità e offre ad esse un crite­ rio orientativo per la loro prassi etica o per la fede da professare. 2) La narratio è la parte più specifica e più articolata di ogni messaggio perché esamina i singoli contesti ecclesiali. Tutte le se­ zioni espositive di ogni lettera sono introdotte dalla dichiarazione cristologica «conosco»; con questo verbo il Risorto manifesta una profonda consapevolezza della situazione ecclesiale ed esprime - come meglio si vedrà nel capitolo «Il Risorto, sposo della Chie­ sa» - una dimensione relazionale e sponsale con la sua comunità. Laddove il cammino ecclesiale lo consente Cristo pone in risalto gli aspetti positivi di ciascuna Chiesa, ma non manca di mettere a fuoco le incongruenze e le deficienze delle singole comunità, I peri­ coli nei quali incorrono le congregazioni sono fondamentalmente di due tipi: le avversioni dei gruppi giudaici e il fascino di una cultura paganeggiante. Per ambedue queste minacce si ritrova un giudizio del Risorto che ricorre al linguaggio dell'ironia e del sarcasmo. Nello scontro con il giudaismo l'autore, lungi da un antisemitismo globale e sistematico, presenta contesti circostanziati a comunità in cui il ruolo sociale degli ebrei impediva ai cristiani la pratica della loro fe­ de, D�i pochi elementi presenti nel testo emergono le ragioni dello scontro tra giudei e cristiani, che possiamo ricondurre al rifiuto della messianicità di Gesù da parte della comunità ebraica. La cultura pagana costituisce il principale bersaglio di attacco del Risorto; se, infatti, lo scontro con il giudaismo riguarda un contenzioso sul ruolo salvifico, il rapporto con i valori e lo stile etico-esistenziale della società imperiale non ammettono compromessi. Cristo rinfaccia alle sue comunità un eventuale permissivismo nei riguardi di gruppi eterodossi, che indulgono a tali forme di sincretismo. Nel delineare i tratti degli avversari il linguaggio diventa espressamente sarcastico e satirico. Nulla di chiaro traspare sugli elementi dottrinali di questi gruppi; l'autore parla di insegnamento (2,14.15.20.24), di profezia (2,20), di «profondità di Satana>> (2,24); anche i termini «prostituzio­ ne» (2,20.21), «sviamento>> (2,20) e «vesti contaminate» (3,4) sono un linguaggio simbolico, suscettibile di numerose interpretazioni. In una sola espressione l'accusa è registrata con il linguaggio reale degli «idolotiti» (2,14; 2,20) , parola che designa la pratica di mangiare car106

ni sacre agli idoli, e di cui abbiamo menzione anche in altri testi del NT (cf. At 15,29; 21 ,25 e 1Cor 8,1 .4.7.10; 10,19). Nei messaggi alle sette chiese la dimensione della conversione costituisce un momento determinante; in questo aspetto il linguaggio delle lettere assume le caratteristiche della predicazione profetica. Le parole di Cristo alla Chiesa, infatti, hanno la finalità di condurre i credenti a rimettersi in linea con i dettami della rivelazione e ristabilire, così, un rapporto positivo tra il Risorto e le sue comunità. In quattro contesti (2,5.16; 3,3.19) il verbo «convertirsi» (metanoeo) appare all'imperativo ao­ risto, modo e tempo che esprimono la necessità e l'urgenza di un cambiamento di stile. La conversione è concepita quasi sempre come un ritorno ai valori vissuti in passato e tralasciati nel presente. 3) La dispositio di Cristo si formula in parallelo con il suo avvento; la sua venuta assume un significato intrastorico e si mani­ festa negli eventi concreti della Chiesa (2,5). In alcuni casi l'arrivo del Risorto ha il carattere della repentinità (2,16; 3,11) e dell'in­ conoscibilità (3,3), espressa anche dall'immagine del ladro (3,3) . A Tiatira sembra che Cristo alluda al suo avvento ultimo (2,25), mentre ambivalente è il linguaggio di Laodicea dove l'immagine del «venire a cena» rimanda al già dell'eucaristia e al non ancora del banchetto escatologico (3,20) . 4) Il traguardo ecclesiale, presente nella promessa al vincitore, è anch'esso un aspetto che personalizza il premio con cui il Risorto ricompensa la fedeltà dei credenti; esso si connette ai singoli conte­ sti ecclesiali e alla loro specifica situazione. 5) La formula di risveglio si ritrova in uguale maniera in tutto il settenario (cf. 2,7. 11.17.29; 3,6.13.22) , ma non assume mai un ca­ rattere stereotipo. L'invito ad ascoltare lo Spirito, infatti, mette in moto la capacità sapienziale della comunità, chiamata ad accogliere e meditare il messaggio appena annunciato. Lo Spirito, dunque, svolge il ruolo di attualizzare le parole del Risorto e, per suo conto, la Chiesa deve comprendere le disposizioni che ha ricevuto e che la aiutano a crescere in direzione del Kyrios che le ha parlato.

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Capitolo III L'IMMAGINE CRISTOLOGICA DELL'AGNELLO IN Ap 5,5-14

Introduzione Il simbolo teriomorfo dell'Agnello costituisce uno degli ap­ pellativi cristologici più ricchi dell'intero libro; il termine, infatti, ricorre 29 volte nell'Apocalisse e 28 volte si riferisce a Cristo.1 Questo dato, nel simbolismo numerico del testo, conferisce alla figura cristologica la valenza di una pienezza di potere sull'intero creato, essendo la risultante di 7 (numero di completezza) x 4 (nu­ mero indicante i punti cardinali) . L'Agnello, come si avrà modo di vedere, rimanda a numerosi background teologici; questo tipo di animale, inoltre, assume una grande importanza per la cultura religiosa, civile e domestica in Israele,2 anche se, per l'uso sacri­ ficale, si adoperano generalmente tori o capri e solo raramente si menzionano agnelli. 3 Per designare Cristo-Agnello l'Apocalisse ricorre a un termine insolito, rispetto al resto del NT,4 poiché usa la parola greca arnion; da un punto di vista lessicale questo termine indica «il montone, la pecora, l'agnello»5 e, grammaticalmente, costituisce un diminutivo 1 Il termine arnion si ripete nell'intera Apocalisse 29x (cf. 5,6.8.12.13; 6,1 .16; 7;9. 10.14.17; 12,1 1 ; 13,8. 1 1 ; 14,1 .4 [2x ) .10; 15,3; 17,14 [2x] ; 19,7.9; 21,9.14.22.23.27; 22,1.3); solo in 13,11 il simbolo non si riferisce a Cristo, ma al , in Emerita: Revista (Boletin) de Linguistica y Filologia Cldsica 57(1989), 277-288. 8 In Ger 1 1 ,19 arnion rende la parola kebes; in Ger 27,45 e nel Sal 1 13,4.6 (LXX) traduce la parola .)'O 'n; il termine si trova anche nel testo greco dei PsSal 8,23. 9 Cf. JoHNS, The Lamb Christology of the Apocalypse offohn, 145-149. 10 Si tratta di due varianti dello stesso verbo istèmi: estos è la forma classica del participio, mentre estekos si trova nel greco della koinè. Cf.. H.J. LIDDEL - R. Scorr,

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2) l'Agnello guerriero i cui tratti sono: a. «le sette corna>> (5,6c); b. «l'ira» (6,16; 14,10) ; c. «il combattere» (17,14); 3) l'Agnello rivelatore dei piani divini, come appare nell'opera­ zione dell'apertura dei sigilli (6,1.3.5.7.9.12; 8,1); 4) l'Agnello nella sede celeste (5,13; 7,9.10.17; 14,1 .4; 15,3; 21 ,14.22.23.27; 22,1.3); 5) l'Agnello, sposo della Chiesa (19,7.9; 21 ,9). In questo capitolo si prende in esame la pericope in cui compa­ re per la prima volta il Cristo-Agnello, mentre le altre ricorrenze del termine saranno considerate in rapporto a diversi momenti tematici della cristologia. L'iniziale menzione dell'arnion si trova in una cornice narrativa complessa: il capitolo 4 presenta una scena di corte celeste in cui Dio è seduto sul trono, mentre ha in mano il rotolo dei destini umani, inaccessibile all'intero creato (5,1-3). In questo quadro drammatico l'autore introduce la figura dell'Agnel­ lo che, con i suoi tratti descrittivi, costituisce la soluzione al dram­ ma precedentemente narrato. Cristo, infatti, appare come l'unico capace di prendere dalle mani di Dio il rotolo e di svelarne il senso. Questa sua abilità genera una lode cosmica, costruita in tre canti responsoriali (5,9b-10; 5,12b; 5,13b), che celebrano l'opera reden­ tiva dell'Agnello. Nella comune lode di Cristo e del Padre, inoltre, la comunità riconosce che il vero potere sul cosmo è nelle mani di Dio e non del sistema politico vigente. Il pieno potere dell' Agnel­ lo, infine, si fonda sull'eternità del suo sacrificio, dato che appare nell'espressione «Agnello immolato dalla fondazione del mondo» (13,8); quest'affermazione recupera un'idea rabbinica del I secolo ed elabora, in linea con 1Pt 1,18-20, il concetto teologico del sacri­ ficio di Cristo, preordinato da Dio prima della creazione. D

libro sigillato e il leone-Agnello

La figura di Cristo-Agnello è preparata dallo sfondo liturgico­ contestuale dei capitoli 4,1-5,4, dove sono presentati alcuni ele­ menti decisivi nella narrativa dell'intero libro.U Dio, nella sua corte

A Greek-English Lexicon, Clarendon Press, Oxford 1968, 841 . 11 A. GANGEMI, >. 2° Cf. P. PRIGENT, Apocalypse et Liturgie, Delachaux et Niestlé, Neuchàtel 1964, 46-79, il quale però è di opinione più attenuata nel recente commentario L'Apo­ calypse, 187-188. Anche L. MowRY, >, in lnterpretation 18(1964), 413-418, pensa che il cavallo bianco sia un'allusione all'in­ vasione dei Parti, particolarmente esperti nell'uso dell'arco e divenuti emblema di forze negative. Più sfumata la posizione di J.C. POIRIER, «The First Rider: a Re­ sponse to Michael B achmann>>, in NTS 45(1999), 257-262, che interpreta il cavallo bianco come una potenza mondana al servizio di Dio, alla stessa stregua di Ciro nel deutero-Isaia. 27 B EA LE , The Book of Revelation, 377, ritiene che anche il primo cavaliere rappresenti una forza satanica, intenta ad allontanare i credenti dalla vera fede, oppure richiami il potere politico, che perseguita i cristiani. Per D.E. AUNE, Re­ velation, 3 voli. (WBC 52A; 52B; 52C), Word Books, Dallas 1997-1998, Il, 395, il cavallo bianco è simbolo della guerra, i cui dettagli sono meglio chiariti negli altri tre cavalli. 28 Cf. IRENEO, Adv.Haer. IV,21 ,3, dice: «Per questo, infatti, nasceva il Signore. . . del quale anche Giovanni nell'Apocalisse dice usci vincente, per vincere>>; PRIMASIO, Commentarius in Apocalipsin 6,2, sostiene: «Questo cavallo può essere compreso dalla Chiesa negli apostoli e nei predicatori di verità . . . il cui cavaliere è Cristo»; BEDA IL VENERABILE, Expositio Apocalipseos 6,2, afferma: «Il Signore presiede alla Chiesa che è stata resa più bianca della neve e portando le armi della dottrina spiri­ tuale contro gli empi, \incitore riceve la corona>>. 29 Lo stesso Sal 45 è inteso messianicamente anche in Eb 1,8.

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Ap 6,2

Immagini cristologiche parallele nell'Apocalisse il Figlio dell'uomo (1,13; 14,14)

Personaggio il seduto sopra il cavallo = kathemenos il seduto sopra il cavallo = kathemenos ep 'auton ep 'auton (1 9,1 1) Simboli una corona d'oro = stephanos chrysous (14,14) la corona = stephanos di vittoria e so-vranità molti diademi = diademata polla (19,12) Simboli l'arco = toxon la falce affilata = drepanon oxy (14,14) bellici o la spada tagliente = romphaia oxeia (1,16; di giudizio 19,15) Tema uscì vincendo della vittoria per vincere

(nikaO)

il verbo nikao in relazione a Cristo (3,21 ; 5,5; 17,14)

Questi dati ci inducono a pensare che il primo cavaliere esprima una dimensione cristologica: l'elemento equino30 e il simbolismo cromatico del bianco31 richiamano l'irruzione della risurrezione nella storia; l'arco dice la funzione di giudizio, che il personaggio esercita nel decorso degli eventi;32 la corona (stephanos) è il premio per la vittoria, aspetto che nel testo riceve particolare rilevanza, come si denota dalle parole «usci in modo vittorioso (nikon) e con la finalità di vincere (ina nikese)». Il costrutto della frase esprime il senso perentorio del trionfo, attraverso la duplice ripetizione del verbo nikao; la sua prima ricorrenza, al participio presente, rammenta il medesimo tema in chiave ecclesiale:33 si verifica cosl un parallelo tra il trionfo di Cristo nel tempo e quello dei credenti. La seconda menzione del verbo «vincere», nella costruzione finale ina nikese, pone in rilievo che tale vittoria non è ancora data, ma in

30 I cavalli bianchi sono la cavalcatura dei condottieri vittoriosi; VIRGIUO, Aen. III,537, parla di quattro cavalli bianchi come neve, segno di vittoria; DIONE CASSIO, Hist.Rom. 43,14,3,2, racconta di quattro cavalli bianchi che trascinano il carro di trionfo di Giulio Cesare. 31 Il colore .38 Il tema dell'ira nell'Apocalisse è sempre connesso con Dio,39 ma in questo caso si parla dell'Agnello, anche se in seguito si precisa: «Venne il grande giorno della loro ira» (6,17) . In tal modo l'autore manifesta che l'azione del giudizio teo-cristologico è sempre con­ giunta e che la benevolenza divina si muterà in collera se gli uomi­ ni, nell'arco del tempo, avranno rifiutato gli inviti a conversione.40 Parlando del «grande giorno della loro ira», inoltre, l'autore si ispi­ ra alla tradizione profetica,41 dove il giorno in cui Dio avrebbe giu­ dicato Israele e le genti viene ormai concepito anche in relazione a Cristo. Nel NT, infatti, il giorno del Signore è il giorno di Cristo,42 pertanto l'Apocalisse è in linea con una generale evoluzione in cui funzioni e caratteristiche attribuite a Dio sono diventate ormai pertinenza del Figlio. In questi termini il background anticoste­ stamentario di Ap 6,12-17 è finalizzato a mostrare il ribaltamento di sorti della storia umana: i centri di potere, avversi al messaggio della rivelazione, oggi esercitano il dominio ma, alla fine del tem-

37 Anche nel racconto della via crucis Le 23,30 cita Os 10,8 nel dialogo di Gesù con le donne di Gerusalemme. 38 Cf. J. FEKKES III, lsaiah and Prophetic Traditions in the Book of Revelation. Visionary Antecedents and their Development (JSNTS 93), Sheffield Academic Press, Sheffield 1994, 161-162. 11 tema del terrore dell'umanità, davanti al trono divi­ no e all'Eletto, rimanda alla letteratura apocalittica, dove sono nominate numerose categorie umane di potere, simili ad Ap 6,15 (cf. /En 62,5-9). 39 L'ira è attribuita a Dio in A p 1 1 ,18; 14,10.19; 16,1 .19; 19,15; per cui quest'uni­ co riferimento a Cristo ha portato gli autori a vedere in A p 6,16 un'inserzione reda­ zionale (cf. F. SPmA, Die Offenbarung des Johannes, Waisenhaus, Halle 1889, 78). 40 Cf. PRIGENT, L 'Apocalypse de saint Jean, 212-213. 41 Cf. Gl 2,1 1 ; 3,4; Sof 1 ,14.15.18; 2,2; Na 1,6; Ml 3,2. 42 Cf. 1Ts 5,2; 2Ts 2,1-2; 1Cor 1,8; 5,5; 2Cor 1 ,14; Fil 1,6.10; 2,16. 147

po, si ritroveranno davanti allo sconvolgimento totale del creato e all'ira dell'Agnello che, nella sua posizione di Esaltato, eserciterà il giudizio cosmicoY

La mietitura escatologica del Figlio dell'uomo (Ap 14,14-16) Il Figlio dell'uomo, quale figura di giudice escatologico, torna nel capitolo 14, testo che si inserisce nella sezione del triplice segno (12,1-16,21). La dinamica narrativa di questo capitolo presenta differenti quadri di indole escatologica. La pericope di 14,1-5 è una scena celeste, che conferma la vittoria definitiva dell'Agnello insie­ me ai redenti, cui seguono tre episodi con tre angeli protagonisti: 1) il primo reca «un vangelo eterno» ed esorta gli uomini a adorare Dio (14,6-7); 2) il grido prolettico del secondo angelo annuncia la fine di Roma-Babilonia (14,8) ; 3) il terzo angelo mostra, in chiave esortativa, la punizione eterna (14,9-12) , destinata agli adoratori della bestia, mentre si proclama una beatitudine di «riposo» per i credenti, in virtù della loro perseveranza e della loro fedeltà ai comandamenti (14,13). Il capitolo si chiude con una duplice immagine di giudizio: 1) gli eletti sono radunati dal Figlio dell'uomo per la mietitura finale (vv. 14-16); 2) gli idolatri subiscono l'ira del giudizio divino, raffigurato dall'immagine della vendemmia e operato da un angelo (vv. 17-20) . In questo quadro narrativo, globalmente escatologico, compare il Figlio dell'uomo: E vidi ed ecco una nube bianca e sulla nube, seduto uno simile a un figlio d'uomo, il quale aveva (echon)44 sul suo capo una corona d'oro e nella sua mano una falce affilata. E un altro angelo uscl dal tempio gridando 43

Cf. BEALE, The Book of Revelation, 402-403. In questo contesto riappare la discordanza di casi, dal momento che il parti­ cipio predicativo è al nominativo, mentre l'oggetto della visione «seduto . . . simile» è all'accusativo. La lectio difficilior si trova in S A 046•. 2329 MK vg"'"; Bea, mentre P'7 S* 1006. 1841 . 2053. 2329 correggono con l'accusativo echonta. Se si sostiene la lectio difficilior si deve ritenere che in questo caso l'autore utilizzi il participio come un verbo che assume il significato deli 'indicativo (cf. BEALE, The Book ofRevelation, 770) oppure si deve pensare che si tratti di un qualificatore dell'accusativo, come si nota anche in Ap 17,3 (cf. L. FLORENTIN Mor, Morphological and Syntactical lrre­ gularities in the Book of Revelation.. A Greek Hypothesis [Linguistic Biblical Studies II], Brill, Leiden-Boston 2015, 131). 44

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a gran voce a colui che era seduto sulla nube: lancia la tua falce e mieti perché è giunta l'ora di mietere perché la messe della terra è matura. E colui che era seduto sulla nube lanciò la sua falce sulla terra e la terra fu mietuta (Ap 14,14-16).

Una prima problematica nasce dall'identificazione della figura in questione, dal momento che non tutti gli autori concordano sul fatto che il «figlio dell'uomo» di Ap 14,14-16 sia un'immagine cristologica. Le ragioni fondamentali per questa obiezione sono le seguenti: - il costrutto «figlio d'uomo» omoion uion anthropou (simile a figlio d'uomo ) appare senza gli articoli e come una comparazione, pertanto si potrebbe pensare che, in questo caso, Giovanni voglia designare una figura angelica, come già accade in Dn 10,5; - il «figlio dell'uomo» è in connessione con altre figure trascen­ denti: ai vv. 15.17.18 si parla, infatti, di un «altro angelo» (allos an­ ghelos) e una di queste creature angeliche è particolarmente simile al figlio dell'uomo, poiché ha nelle sue mani «una falce affilata» (14,17); - il figlio dell'uomo riceve un ordine di lanciare la falce per la mietitura (14,15), aspetto che crea difficoltà teologica poiché Cristo risulterebbe subordinato a un comando da parte di una creatura inferiore. Queste e altre ragioni hanno indotto a ritenere che la figura ivi descritta sia una creatura angelica45 o, in un giudizio più tenue, qualche studioso ritiene che Giovanni elabori, qui e in altri testi, una cristologia angelomorfica.46 Tali legittime obiezioni possono essere superate se si tiene conto che diversi altri elementi del brano inducono a leggere la figura del figlio dell'uomo come un rimando cristologico. Anzitutto il medesimo sintagma omoion uion anthropou appare anche in 1,13 e il suo essere sulle nubi si ritrova già in 1,7. In questi due contesti non si dubita che il personaggio sia Cristo; a questi elementi va aggiunto che la descrizione del figlio dell'uomo in 14,14-16 appare preminente rispetto a quella degli angeli presenti nel testo, come si nota dai dettagli della narrazione. La visione si apre con un riferimento alle nubi del cielo su cui è assiso il Figlio dell'uomo. Qui il testo arricchisce l'immagine, già 45 È di quest'opinione AUNE, Revelation, Il, 841-842. 46 Cf. L.T. STUCKENBRUCK, Angel Veneration and Christology. A Study in Early Judaism and in the Christology of the Apocalypse of John (WUNT 70), Mohr Sie­ beck, Ti.lbingen 1995, 240-245. 149

menzionata in Ap 1 ,7, e la prospetta in fase di compimento. Se, infatti, nel contesto precedente il ritorno di Cristo è annunciato nella forma della profezia, in 14,14-16 si tratta della realizzazione di quanto è stato proclamato in Ap 1,7. Rispetto alla profezia iniziale, inoltre, l'autore aggiunge alcuni aspetti descrittivi. Anzitutto la nu­ be sulla quale il Figlio dell'uomo asside è qualificata con l'aggettivo «bianca» e questo aspetto - come si è notato - è un rimando alla risurrezione di Cristo. La corona (stephanos) d'oro che egli porta sul capo, inoltre, è un simbolo di vittoria, già incontrato in rapporto a Cristo in 6,2.47 A questi dettagli si aggiunge un altro elemento, co­ stituito dalla «falce» (drepanon), che richiama Gl 4,13 dove si parla della convocazione delle nazioni nella valle di Giosafat. Il testo profetico presenta il giudizio divino usando la duplice immagine della mietitura e della vendemmia. Ambedue i paragoni sono ripre­ si dall'Apocalisse, che però attribuisce l'immagine della mietitura al Figlio dell'uomo, mentre quella della vendemmia è opera di un angelo (14,18) .48 Il comando dato al Figlio dell'uomo (v. l5), perché getti la falce e compia la mietitura, va compreso nell'ottica del con­ testo celeste. Gli autori hanno notato che l'ordine viene dal tempio trascendente e, quindi, da Dio stesso,49 e la «voce che grida», piut­ tosto che essere quella dell'angelo, potrebbe essere la voce stessa di Dio.50 L'azione del Figlio dell'uomo, dunque, per comando divino si compie in rapporto alla terra, sulla quale si realizza la mietitura escatologica. Il senso di tale operazione suggerisce una valenza positiva; il tema della mietitura, infatti, nel NT è un'immagine che assume un aspetto particolarmente cristologico: descrive l'opera missionaria di Gesù in diversi contesti evangelici (cf. M t 9,37-38/l Le 10,2; Gv 4,36-38) e rappresenta il giudizio finale del Figlio dell'uomo, come appare dalla parabola del grano e della zizzania (cf. Mt 13,31-32). Soprattutto nella spiegazione alla parabola di Mt 13;31-32 la mietitura è contestualizzata alla «fine del mondo» (v. 47 La corona (stephanos) è un copricapo conferito a un vincitore; essa è spesso àssociata ad agoni olimpionici o, comunque, indica la ricompensa per un trionfo conseguito (cf. AUNE, Revelation, I, 173-174). Nell'Apocalisse il termine stephanos esprime due volte il trionfo di Cristo (6,2; 14,14), ma anche la vittoria della Chiesa, nella sua fase terrena (12,1) e al termine del suo percorso (3,1 1 ; 4,4.10). 48 Il medesimo linguaggio del giudizio, come mietitura o come vendemmia, è presente in diversi testi biblici (cf. Is 17,4-6; 63,3; Os 6,1 1 ; Mie 4,13; Mt 13,39-40; Mc 4,29), ma solo 01 4,13 e Ap 14,15-16.18 accostano le due immagini. 49 Cf. U.B. MtlLLER, Messias und Menschensohn in jUdischen Apokalypsen und in der Offenbarung des Johannes, Mohn, GUtersloh 1972, 270. 50 Cf. T. HoLTz, Die Christologie der Apokalypse der Johannes (TU 085), Aka­ demie Verlag, Leipzig 1962, 44-47 e 132-133. 150

39) , momento in cui sono attori il Figlio dell'uomo (vv. 37.41 ) e gli angeli (vv. 39.41), esecutori della raccolta. La mietitura, poi, nella parabola matteana prevede una seconda operazione, che consiste nella separazione del grano dal suo scarto (Mt 13,30.40-43);51 per tale ragione l'immagine, globalmente considerata, suggerisce una valenza positiva poiché richiama il raduno degli eletti per la fine dei tempi. Di differente significato, invece, appare la vendemmia, che è legata allo spargimento di sangue e operata non da Cristo, ma da un angelo (vv. 17-20).52 A partire da questi dati si può ritenere che il quadro completo di Ap 14,14-20 fornisca, attraverso le due immagini della mietitura e della vendemmia, la duplice indole del giudizio escatologico; que� sta doppia valenza si attiene alle dinamiche narrative del capitolo 14 dove, a più riprese, si contrappone la sorte dei malvagi (14,8.911)53 e quella dei buoni (14,1-5; 6-7.12-13). In questa dicotomia etica degli uomini il libro offre alla comunità un criterio interpre­ tativo della storia perché la Chiesa continui a mantenere la propria fedeltà a Cristo, in vista della mietitura finale. D

cavaliere, giudice escatologico (19,11-21)

La figura di Cristo-cavaliere, già incontrata nel testo di Ap 6,2, assume il carattere di giudice escatologico nella pericope di 19,11-21. Questo brano si coniuga secondo due paradigmi simbo­ lici: quello del guerriero-giudice nella battaglia finale, e quello del sovrano vincitore sui centri di potere ter'reno. In questo paragrafo ci occupiamo del primo aspetto, mentre si rimanda al secondo nel capitolo sul regno di Cristo. La scena fa parte di un dittico in cui l'immagine del Risorto è descritta in modo dettagliato (vv. 11-16); 51 La stessa operazione di separazione si registra in Sal l ,4; M t 3,12; Le 3,17.

52 Le immagini della mietitura e della vendemmia sono intese in modo dif­ ferente dagli autori. Per CoLLINS, , 565; AUNE, Revelation, II, 801 ; B EALE , The Book of Revelation, 776778, ambedue i simboli esprimono, in modo parallelo, il giudizio in senso negativo. BAUCKHAM, The Climax of Prophecy, 290-296; PRIGENT, L 'Apocalypse de saint Jean, 347-348; C.R. KoESTER, Revelation. A New Translation with lntroduction and Com­ mentary (A YB 38A), Yale University Press, New Haven-London 2014, 628-631; VANNI, Apocalisse di Giovanni, II, 516-517, distinguono l'immagine positiva della mietitura (14,15-16) da quella negativa della vendemmia (14,17-20). 53 Contrariamente a Bwuzzi, Apocalisse, 340, che attribuisce a Cristo il titolo e il compito del vendemmiatore, il testo di Ap 14,17.19-20 parla esplicitamente di «un altro angelo>> che realizza la vendemmia.

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a questa pericope segue una dichiarazione di vittoria (vv. 17-18) e finalmente il climax della narrazione presenta la sconfitta definitiva dei nemici. In questo testo si racconta l'annientamento finale delle forze ostili al potere di Cristo; si assiste, infatti, alla precipitazione del potere politico (la bestia) e della sua propaganda (il falso pro­ feta) nello stagno di fuoco, mentre il resto dei nemici sono uccisi dal cavaliere e le lo:ro carni sono date in pasto agli uccelli del cielo (vv. 17-21). Il testo esordisce con l'espressione «e vidi il cielo aperto» (v. 11a), che indica un contesto di rivelazione;54 qui tuttavia l'aper­ tura del cielo segnala un evento su larga scala perché si riferisce all'irruzione del giudice-messia nella storia..55 Il v. llb continua con il primo tratto descrittivo di Cristo: «Ecco un cavallo bianco e colui che vi è seduto sopra (chiamato)56 fedele (pistos) e verace (alethinos) e giudica con giustizia e combatte». L'immagine del cavallo bianco rimanda al medesimo simbolò cristologico in 6,2 e i due titoli «fedele e verace» si ispirano al polisemantico concetto ebraico di 'iìman nel senso di «fedeltà, stabilità, verità». Queste qualifiche sono già state attribuite a Cristo (pistos in 1 ,5; pistos kai alethinos in 3,14) e tornano alla fine del libro (21 ,5; 22,6) per designare la Parola di Dio. Si può, dunque, vedere in tali espres­ sioni la fedeltà della promessa del Kyrios che, alla fine dei tempi, si presenta come giudice e vincitore sul male. Nel libro, ripetute volte il Risorto ha promesso il suo ritorno57 e in diversi momenti esso .è stato invocato e dichiarato;58 pertanto tale evento ora si adempie. La prima azione del cavaliere è descritta con l'espressione «giudica con giustizia e combatte» (v. llc); essa è coniugata al presente, tempo che qui assume un significato iterativo e volontativo59 per cui Cristo è il giudice continuamente attivo nell'oggi, in vista del

54 Cf. Ez 1,1; Mt 3,16; Mc 1 ,10; Le 3,21; Gv 1 ,51; At 7,56; Ap 4,1 ; 2Bar 22,1 ; 3Mac 6,18; ecc. 55 Cf. H.B. SwETE, The Apocalypse of St. fohn, the Greek text with introduc­ tion, notes and indices, MacMillan, London 1922, 250. 56 Il participio kaloumenos (chiamato) è omesso da importanti codici (A MA), ma è presente in numerosi altri (S 2329. 1611. 1841. 1854. 2053. 2062. W); per cui non ci sono buone ragioni per sopprimerlo. 57 Cf. Ap 2,5.16; 3,11; 16,15; 22,7.12.20. 58 Cf. Ap 1 ,7; 5,7; 6,1.3.5.7.17; 19,7; 22,17. 59 Il presente volontativo o tendenziale indica un'azione desiderata nel pre­ sente, ma ancora in atto di compiersi. Cf. WALLACE, Greek Grammar Beyond the Basics, 535.

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futuro.60 Il «giudicare con giustizia» riecheggia l'oracolo di Is 1 1 ,4, testo applicato al messia nella letteratura intertestamentaria,61 per cui si deve pensare a una descrizione di compimento.62 Nella tradi­ zione anticotestamentaria, inoltre, «giudicare con giustizia» è una caratteristica di Dio, che si manifesta giusto non solo con Israele, ma anche con gli altri popoli.63 La giustizia, come atto divino, si ri­ scontra a più riprese anche nell'Apocalisse (cf. 15,3; 16,5; 19,2) ma, in questo contesto, la sua attribuzione a Cristo rammenta una delle caratteristiche del libro, dove il Risorto assume molte funzioni esclusive di Dio. La collocazione del cavaliere su un cavallo bianco è in contrasto con l'immagine mite di Zc 9,9, che pone il sovrano escatologico su un asino.64 Il cambiamento della cavalcatura, tut­ tavia, si spiega in base al significato della scena: il cavallo bianco è infatti simbolo di vittoria65 ed esprime in modo più appropriato la funzione del Risorto alla fine dei tempi. Una seconda caratteristica del cavaliere è costituita da «i suoi occhi come fiamma di fuoco» (v. 12a); l'autore del libro ha già attribuito al Risorto, in fase intrastorica, la descrizione degli occhi fiammeggianti. Nella cristofania iniziale (1,14b) questo particolare esprime il potere dell'Esaltato in rapporto alla Chiesa in genere o alla . comunità specifica di Tiatira (2,18); in 19,12a, invece, lo sguardo scrutatore del cavaliere è universale e assomiglia a quello dell'Agnello che, con i suoi «sette occhi», è capace di conoscere tutte le condizioni umane (5,6). Il dettaglio del mantello di Cristo «intriso ( bebammenon) di sangue» (v. 13a) si ispira a Is 63,1-3, dove Dio è descritto come l'escatologico guerriero che sconfigge i suoi nemici, sporcandosi la veste di sangue; anche in questo caso l'Apocalisse compie un trasferimento dell'immagine biblica da Dio a Cristo. Il testo di Ap 19,13a presenta un problema testuale poiché il verbo «intridere» (bebammenon) è sostituito da rantizo (aspergere) in differenti for-

60 D. L . MArHEWSON, Verbai Aspect in the Book of Revelation: The Function of Verb Greek Tenses in the John's Apocalypse, Brill, Leiden-Boston 2010, 160, parla di un presente (timeless descriptive). 61 Cf. 40161 , 8-10; Tgls 1 1 ,1-6; JEn 62,2; PsSa/ 17,24-26; 4Esd 13,9-11 .37-38. 62 Cf. FEKKES III, lsaiah and Prophetic Traditions in the Book of Revelation, 1 17-122. 63 Cf. 1Sam 2,10; l Re 3,9; Sal 9,5.9; 35,24; 72,2; 96,13; 97 ,9; At 17 ,31. 64 Il testo di Zc 9,9 è utilizzato per descrivere il messia nei testi evangelici, che raccontano l'ingresso di Gesù in Gerusalemme (cf. Mt 21,1-1 1 ; Mc 11,1-1 1 ; Le 19,2840; Gv 12,12-19). 65 Cf. VIRGILIO, Aen. III,537; DIONE CASSIO, Hist.Rom. 43,14,3,2.

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me e composti.66 La lectio difficilior rimane la più probabile perché manifesta l'originalità dell'Apocalisse, rispetto a Is 63,3, mentre le correzioni potrebbero essere un tentativo di armonizzazione.67 La rilettura cristologica di Is 63,3 trova un eco nel TP, dove il testo profetico è combinato con Gen 49,1 1 , secondo il metodo della ghezerah shawah (equivalenza di espressioni), per cui i due testi possono essere letti insieme, grazie alla presenza di due immagi­ ni comuni: la veste e il sangue che la sporca, paragonato al vino. Anche il Targum interpreta messianicamente questi passi, per cui le vesti rosse del messia sono bagnate dal sangue dei nemici di cui egli si macchierà durante la battaglia escatologica.68 Alcuni studiosi ammettono una rilettura pasquale di questo testo isaiano; il sangue di cui è intrisa la veste del cavaliere, infatti, non è inteso come un riferimento al sangue dei nemici69 o a quello dei martiri,70 ma al sangue stesso di Cristo. Questa interpretazione sembra plausibile; la dinamica narrativa della pericope, infatti, induce a pensare che non possa trattarsi del sangue dei nemici poiché in Ap 19,13 gli avversari del cavaliere sono ancora vivi e sono uccisi «con la spada della bocca)) solo in 19,21 .71 Si deve aggiungere che l'enfasi data al sangue di Gesù nell'Apocalisse (cf. 1 ,5; 5,9; 7,14; 12,11) abbia spin­ to l'autore a cambiare il senso della lettura targumica, intendendo cosl il sangue come un riferimento alla passione di Cristo.72

66 La forma bebammenon si trova in A 046. 051 . 1854. 2030. 2344. I l verbo rantiz6 è attestato nelle due forme del participio perfetto: rerantismenon in P 2329; errantismenon in l 006. 1841. Hipp; si trova anche il corrispettivo classico rain6 nelle forme participiali erramenon (2053� 2062) e rerramenon (161 1). Tra le varianti ci sono anche le forme composte: perirerammenon in S* e perirerantismenon in 82 • H. KRAFr, Die Offenbarung des Johannes (HNT 16a), Mohr Siebeck, Ttibingen 1974, 249, pensa che la versione originale sia nell'uso del verbo rantiz6, in seguito cam­ biato con bapt6, a causa del significato cristologico dato al sangue; questa ipotesi, tuttavia, appare poco attendibile. 67 La versione di LXX di ls 63,3 non combacia con il TM, dove invece si parla del sangue dei nemici (patei) ; il mutamento del tempo verbale conferisce alla funzione della spada-parola una valenza continuamente operativa e corretti­ va e richiama un'azione in atto nella storia. La medesima immagine della spada torna in 19,21 dove «furono uccish> il resto dei nemici del cavaliere; in questo caso il carattere descrittivo dell'aoristo apektanthesan (furono uccisi) rimanda alle vicende conclusive della storia. Questa tensione tra presente e futuro inquadra la narrazione di Ap 19,11-21 in uno svolgimento che da una parte mostra l'opera in atto del Risorto e dall'altra invita alla conversione, in vista del giudizio finale.77 Lo scettro di ferro per pascere le genti (19,15b) è un altro stru­ mento del giudizio del cavaliere; il riferimento costituisce una cita­ zione parziale del Sal 2,8-9: «ed egli pascerà (le genti) con scettro di ferro>>. La stessa applicazione cristologica si troverà in Ap 12,5, dove il bambino nato «sta per pascere tutte le nazioni con scettro di ferro>>; se in questo caso l'azione è in fase di realizzazione, come esprime la costruzione perifrastica, in 19,15 essa· è descritta al futu­ ro e, quindi, rimanda all'azione escatologica del Cristo. L'ultima immagine di giudizio è anch'essa espressa al futuro: «Pigerà il tino del vino della collera che è l'ira di Dio, l'Onnipoten­ te» (19,15c) ;78 il referente anticotestamentario è ancora Is 63,2-3 ma qui, rispetto al testo profetico, Giovanni combina l'immagine della vendemmia (14,19) con quella dell'ira.79 Se nella pericope isaiana è Dio che sconfigge Edom, figura escatologica dei nemici,80 in Ap 19,15c, sulla base della tradizione targumica (TP a Gen 49,1 1), è il messia che compie l'ira divina contro quell'umanità che rifiuta di aderire ai dettami della rivelazione.

77 Cf. HoLrz, Die Christologie der Apokalypse der Johannes, 110. 78 La traduzione CEI 2008 è piuttosto libera poiché il costrutto, in lingua greca,

è abbastanza complesso e presenta cinque genitivi: «il tino del vino della collera (thymos) dell'ira (arghi) di Dio onnipotente»; il genitivo «della collera dell'ira di Dio>> ha un valore epesegetico e va, pertanto, tradotto con «la collera che è l'ira . . . >> . 79 Cf. CHARLES, A Criticai and Exegetical Commentary on the Revelation of St. fohn, II, 137. 80 BEALE, The Book of Revelation, 959.

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Il quadro completo del Cristo-cavaliere in Ap 19,11-21 fornisce una descrizione alternata tra presente e futuro; se da una parte la pericope narra il compimento delle promesse, dall'altra mostra che esse sono ancora da attendersi. La tensione dei verbi nella visione permette al racconto di mantenere questo duplice significato; in tal modo il testo offre alla comunità ecclesiale la speranza della realiz­ zazione delle parole di Cristo e invita gli uomini, ancora lontani dal circuito divino, ad accogliere la forza critica della Parola.81

Sintesi teologica La funzione giudiziaria del Risorto è distribuita nel libro attra­ verso numerosi titoli cristologici. L'autore dell'Apocalisse non si limita a offrire una dimensione escatologica, ma descrive l'azione di Cristo giudice continuamente operativa nella storia, in una ten­ sione tra presente e futuro. L'immagine del Figlio dell'uomo nel libro (1,7; 14,14-16) è riletta secondo le caratteristiche della tradizione sinottica, dove il soggetto cristologico è il giudice dell'ultimo giorno; rispetto ai sinottici, tuttavia, l'Apocalisse formula in modo differente il dato escatologico. La profezia di Ap 1 ,7, infatti, ha una caratterizzazione ecclesiale ed è un annuncio di consolazione per la comunità, nel tempo della sua tribolazione; per cui il Figlio dell'uomo costituisce un modello etico-comportamentale di sofferenza e vittoria per la Chiesa. Anche nell'immagine della mietitura escatologica (Ap 14,14-16) si nota un messaggio di esortazione ecclesiale: Cristo, in­ fatti, è presentato come il vincitore che torna per il giudizio finale, e questo messaggio spinge i credenti a perseverare nella loro azione, in vista della mietitura escatologica, quando saranno maturi i frutti dell'azione missionaria, svolta durante l'eone presente. L'azione del Figlio dell'uomo nell'Apocalisse non è solo il recu­ pero di un dato sinottico, ma costituisce anche una comprensione del giudizio cristologico nell'oggi, dove è manifesta l'opera del Risorto in rapporto alla Chiesa. Questo dato, presente già nella 81 D.L. BARR, dell'Agnello (Ap 5,6) , e la ripropone nella fase conclusiva della storia. La prima attestazione sulla regalità escatologica dell'Esaltato si trova dopo la complessa presentazione del sistema dell'impero romano e dei suoi re, rispettivamente rappresentati nell'imma­ gine della donna (17,1-6) e della bestia con , sette teste (17,8-13). Giovanni precisa che la finalità della società imperiale è quella di acquisire un potere sempre più grande (17,13), con una pretesa anticristologica che però è fallimentare, poiché «essi combatteran­ no contro l'Agnello e l'Agnello li vincerà perché è il Signore dei signori e il Re dei re (kyrios kyrion kai basileus basileon)» (17,14). Il versetto entra in scena ex abrupto2 e, dopo un lungo racconto sul potere umano (17,1-13) , dichiara la vittoria futura di Cristo e il suo titolo di sovrano. La qualifica «Signore dei signori e Re dei re» ha il suo background in Dn 2,37 (LXX) dove Nabucodonosor è definito «re dei re», epiteto usato in modo sarcastico; infatti, più in là nel testo, è Dio a essere proclamato «Signore dei signori e Re dei re» (Dn 4,37 LXX). Si può dunque ritenere che, a partire da

1 Anche in questo caso i LXX usano il sostantivo prototokos. Cf. H.B. SWETE, The Apocalypse of St. fohn, the Greek text with introduction, notes and indices, MacMillan, London 1922, 7. 2 D.E. AuNE, Revelation, 3 voli. (WBC 52A; 52B ; 52C), Word Books, Dallas 1997-1998, Ill, 953, pensa che il testo di 17,14 sia un'interpolazione redazionale, che disturba la narrazione e potrebbe essere influenzata dal contesto di 19,1 1-21. Non ci sono buone ragioni per eliminare Ap 17,14, che sembra presentarsi nella forma di una profezia, anticipatrice del risultato escatologico narrato in 19,1 1-21. 160

questo referente anticotestamentario, anche l'Apocalisse concepi­ sca il titolo in chiave polemica poiché esso spetta a Cristo e non ai poteri umani. 3 La seconda pericope in cui si parla del ruolo regale del Risorto è in 19,11-16, dove il cavaliere cristologico è descritto secondo i canoni di molta letteratura biblica e giudaica in cui il messia è di­ pinto come il re che combatte contro le nazioni;4 i tratti regali ivi presenti sono: - «molti diademi (diademata) sulla sua testa» (v, 12b ) ; - «Un nome nuovo che nessuno conosce se non lui solo» (v. 12c}; - «sul mantello e sul femore il suo nome scritto: Re dei re e Signore dei signori» (v. 16). La caratteristica dei «molti diademi» (v. 12b ) , l'indefinito diademata polla, richiama il copricapo indossato dai re per signifi­ care la loro autorità sui popoli;5 tale emblema, applicato a Cristo, esprime la sua signoria completa sulle genti.6 Il particolare del nome «scritto che nessuno conosce, se non lui solo» (v. 12c)1 rende difficile l'individuazione del dove esso sia collocato, ma si può presupporre che si alluda allo stesso diade­ ma.8 La non conoscibilità del nome scritto, inoltre, non va intesa

3 G .K. BEALE, «The Origin of the Title "King of Kings and Lord of Lords" in Revelation 17,14>>, in NTS 31(1985), 618-620, nota che questo appellativo, presente in Daniele, potrebbe stare alla base dell'uso che se ne trova in Apocalisse. Nel resto del NT solo l Tm 6,15 parla di Dio come «Re dei re e Signore dei signori». 4 Cf. Es 15,3-4; Is 63,1-3; Sap 18,15; TgNeo a Gen 49,1 1 ; TO a ls 63,1-6; MekhY, Shirata l . 5 l s 62,3 parla d i «diadema regale (diadema basileias)>>; SENOFONTE, Cyroped. 8,3,13, descrive la tiara del re Ciro attorno alla quale c'è un «diadema>>. Secondo la testimonianza di lMac 1 1 ,13 e GIUSEPPE F LAVIO, A.J. 13,113, Tolomeo VI Filometo­ re si pose sul capo due corone, rappresentative del suo potere sull'Egitto e sull'Asia. PLUTARCO, Caesar 61,5,3; 61 ,8,2; 64,3,3; Tiberius et Gaius Graccus 14,3,4; 1 9,3,2; An­ tonius 12,3,2; ecc., spesso usa il diadema in riferimento agli imperatori romani. Au­ NE, Revelation, III, 1050-1052, mostra inoltre, citando alcune testimonianze lettera­ rie e numismatiche, che numerosi aspetti descrittivi del Cristo-cavaliere rimandano all'ascesa e alla deificazione dell'imperatore Adriano. In realtà il regno di Adriano è troppo distante dal tempo di composizione dell'Apocalisse per vederci un nesso. 6 Cf. G.B. CAIRO, A Commentary on the Revelation of St. fohn the Divine, Harper and Row, New York 1966, 241 . 7 R. H. CHARLES, A Criticai and Exegetical Commentary on the Revelation of St. fohn, 2 vòll., T & T Clark, Edinburgh 1920, Il, 132, considera l'espressione un'inter­ polazione, ma essa appartiene al linguaggio di Giovanni (2,17) per cui non ci sono ragioni valide per sopprimerla. 8 Y. MESHORER, fewish Coins of the Second Tempie, Am Hassefer, Tel Aviv 1967, 128, n. 41, parla di una moneta del tempo di Erode il Grande, conservata al museo della Flagellazione, dove appare una croce sormontata da un diadema con

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in senso letterale poiché la pericope dà una particolare enfasi al «nome» (vv. 12.13.16);9 Cristo, infatti, è detto «fedele e verace» (v. 11); «Verbo di Dio» (v. 13) e «Re dei re e Signore dei signori» (v. 16). L'Apocalisse inoltre, a più riprese, offre un riferimento al nome-identità di Gesù. Nel contesto del messaggio alle sette chiese il Risorto ha elogiato le comunità, disposte a soffrire per confessare il suo nome (cf. 2,3.13; 3,8) e tale fedeltà è premiata nel futuro esca­ tologico. Il vincitore di Pergamo, infatti, riceve un nome nuovo che nessuno può conoscere se non lui solo (2,17); in questo contesto la frase vuole esprimere la nuova identità del credente, nota a lui solo al termine della sua trafila umana. Anche al vincitore di Filadelfia il Risorto promette di scrivere su lui il suo «nome nuovo» (Ap 3,12) e, nelle scene di vita celeste, il nome di Cristo e del Padre sono impressi sulla fronte dei redenti (14,1; 22,4). In base a questa traiet­ toria del nome, si deve perciò ritenere che la sua non conoscibilità in 19,12c sia solo relativa e appartenga all'eone temporale; Cristo, infatti, unico conoscitore delle sue azioni escatologiche, si rivelerà fedele e verace, Verbo di Dio, sovrano assoluto, solo a conclusione della storia, rendendo partecipi della sua identità i fedeli. La regalità di Cristo appare nuovamente connessa con il nome al v. 16: «e ha sul suo mantello e (kai) sul suo femore un nome scritto: Re dei re e Signore dei signorh>;10 l'espressione suscita pro­ blemi poiché può essere intesa come una scrittura sia sul femore sia sul mantello,11 oppure bisogna comprendere la congiunzione

l'iscrizione «ERODOY BASILEÒS» (del re Erode); in questo caso non si trova un nome scritto sul diadema, ma sia la corona sia il nome del suo possessore compaiono insieme. 9 Nell'AT l'incomunicabilità del nome esprime la natura trascendente di un personaggio (cf. Gen 32,30; Gdc 1 3,17-18); nei PGM XXI,1 la divinità è cosl invoca­ ta: «Ascoltami, Signore, il cui nome non può essere pronunciato>>. Anche di Babilo­ nia, in Ap 17 ,5, si dice che il suo nome scritto è un «mistero», ma poi viene svelata la sua identità; perché chiamata «Babilonia la grande, la madre delle prostitute e degli abomini della terra». 10 L'onciale A e i mss. 1006 e 1841 omettono l'espressione «sul femore», per cui si potrebbe pensare a un'interpolazione successiva (cf. CHARLBS, A. Critical and Exegetical Commentary on the Revelation of St. John, II, 137); H. KRAFT, Die Of­ fenbarung des Johannes (HNT 16a), Mohr Siebeck, Ttibingen 1974, 251 , corregge il testo in modo congetturale: sulla base di ls 11,5, dove del messia si dice: «La giustizia sarà cintura dei suoi lombi e la fedeltà fascia dei suoi fianchi», Kraft pensa a una confusione di lettura da parte dei copisti che, invece di leggere MITRAN (cintura), hanno letto MHPON (femore). 1 1 Nella letteratura antica ci sono alcune testimonianze relative alla scrittura sul femore: OcBRONB, In Verrem IV,93, accusando Verre dice: «Non è vero che portasti via da Agrigento, dal frequentatissimo luogo sacro a Esculapio, un ricordo di Publio Scipione medesimo, vale a dire la bellissima statua di Apollo, con inciso sul femore

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kai in modo epesegetico per cui il nome è scritto sul mantello che scende all'altezza del femore.12 La posizione del nome, in quella parte del corpo dove si tiene solitamente la spada (cf. Es 32,27; Gdc 3,16.21; Sal 45,4) , determina ulteriormente il carattere vittorioso di Cristo sui nemici. n titolo qui scritto «Re dei re e Signore dei signori» riprende, anche se nell'inversione dei sostantivi, Ap 17,14 e riafferma per Gesù una qualifica esclusiva di Dio nell'AT; questa dichiarazione è stata intesa secondo un valore gematrico per cui l'espressione, tradotta in aramaico, equivarrebbe al numero 777 e si contrapporrebbe al 666 della bestia (13,18).13 Questa ipotesi, per quanto suggestiva, presenta delle difficoltà. Per il valore numerico 777, infatti, bisognerebbe eliminare la congiunzione «e» (kai); il computo numerico, inoltre, sarebbe sfasato per l'espressione paral­ lela «Signore dei signori e Re dei re» (17,14) . Pertanto è preferibile conservare il senso di sovranità assoluta, che le due acclamazioni conferiscono a Cristo.14

Il bambino destinato a governare le nazioni (Ap. U,l-5a) Nella dinamica narrativa dell'Apocalisse il racconto del capito­ lo 12,1-5a racconta la vicenda della Chiesa e del regno di Cristo in

un intreccio simbolico piuttosto complesso. La visione ivi narrata è presentata come un semeion (segno )15 in cui la donna-comunità partorisce Cristo ed è aggredita dal drago infernale. In questa nar­ razione diversi commentatori hanno riconosciuto un background mitologico, ispirato alla storia di Latona e del figlio Apollo, che Pitone cerca di mangiare; poiché tale mito era particolarmente

a piccoli caratteri d'argento il nome di Mirone?>>; PAUSANIA, Greciae Descriptio 5,27,12,5, parla di un distico elegiaco scritto sul femore di una statua. 12 Cf. SwETE, The Apocalypse of St. John, 255. 13 La proposta è di P.W. SKEHAN, «King of Kings, Lord of Lords (Apoc. 19:16)», in CBQ 10(1948), 398, il quale vedrebbe una base aramaica del titolo «Re dei re e Signore dei signori>> (in aramaico mlk mlkyn mr ' mrwn ) . 14 Altri autori hanno avanzato l'ipotesi, sulla base degli Oracoli Sibillini, a partire dal valore numerico delle lettere greche. In tal caso il titolo cristologico rimanderebbe al numero 888 per esprimere l'impareggiabile nome di Gesù. Cf. J.P. PRÉVOST, How to read the Apocalypse, Novalis, Ottawa 1991 , 40; J.M. FoRo, Revelation. Introduction, Translation and Commentary (AB 38), Doubleday, New York 1975, 226. 1 5 La parola sémeion neli' Apocalisse è usata al singolare per indicare la donna­ Chiesa (12,1 ), il drago-Satana (12,3) e i sette angeli, portatori delle piaghe escato­ logiche (15,1).

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diffuso in Asia Minore,16 con varianti specifiche a Patmos,17 si pos­ sono individuare possibili influssi di esso su Ap 12.18 Altri autori pensano a un'influenza letteraria, reperibile nell'inno di Qumran lQH, col. XI, che parla di due donne le quali partoriscono una il «consigliere miracoloso», l'altra «un serpente)), Il simbolismo del parto dei due nascituri può essere inteso, nel testo qumranico: l) in senso collettivo, con riferimento a due differenti comuni­ tà: la «congregazione di santità perfetta)) e quella che si è smarrita nelle vie dell'empietà; 2) in senso messianico-individuale: sulla base di ls 9,5-6 l'in­ no parlerebbe del parto di una figurà messianica positiva e di un «anticristo)),19 Questa duplice valenza del testo qumranico pone in rilievo aspetti di relazione con Ap 12, ma non si possono negare le speci­ ficità di ciascun componimento; per cui l 'ipotesi di una dipendenza letteraria tra i due inni appare improbabile.20 Si deve dunque rite­ nere che Ap 12 sia un testo costruito su un reticolato di riferimenti profetici, riletti alla luce del contesto situazionale ed ecclesiale. La figura simbolica della donna, infatti, al v. l è descritta con una serie di elementi che richiamano la descrizione di Sion-Gerusalemme, soprattutto nella prospettiva della ricostruzione post-esilica.21 È a partire dal v. 2 che tale immagine corporativa assume i tratti della maternità, poiché della donna si dice: «ed era incinta ( en gastri echousa) e gridava (krazei) mentre soffriva le doglie e si contor­ ceva per partorire)),22 L'immagine del parto è abbondantemente 16 Si consideri l'opera già çitata di A.Y. CoLLINs, The Combat Myth in the Book of Revelation, Scholar Press, Missoula 1976. 17 Cf. H.D. SAFFREY, «Relire l' Apocalypse à Patmos», in RB 92{1975), 385-417. 18 S. ScHREIBER, «Die Sternenfrau und ihre Kinder (Offb 12). Zur Wiederentde­ ckungeines Mythos», in NTS 53(2007), 436-457, pensa che Giovanni abbia riformu­ lato l'immagine della donna e del bambino a partire dai miti ellenistici, ma con la finalità di fornire un nuovo inizio escatologico per la comunità. In questa maniera l'autore tedesco ritiene che l'Apocalisse abbia voluto sostituire i miti pagani con l'immagine cristiana della madre-figlio. 19 Per l'interpretazione comunitaria delle due donne cf. G. HINSON, >, in RB 66(1959) , 63. 30 F. PiAZZOLLA, «Onde_{vv. 7-12} i frutti degli alberi sono commestibili (v. 12)

il simbolo del fiume appare accanto a quello dell'albero, senza legami in Apocalisse non si parla di frutti come cibo l'albero dà dodici frutti/4 i frutti maturano ogni mese (v. 12) ciascun frutto a seconda del mese (v. 12) i frutti servono come cibo e le foglie per le foglie dell'albero sono teramedicina (v. 12) peutiche25 per le genti (v. 12)

La non perfetta corrispondenza tra Ez 47,7-12 e Ap 22,2 lascia pensare che Giovanni parta dal modello profetico, ma lo combini con l'immagine dell'albero della vita in Gen 2,9.26Anzitutto, rispet­ to a Ezechiele, Ap 22,2 colloca il fiume «in mezzo alla piazza», e tale dato manifesta la centralità di questa sorgente.27 In Ez 47,7-12 l'acqua che scaturisce dal tempio è la causa di vita per molti alberi. In Ap 22,1-2, invece, il fiume esce direttamente dal trono teo-cri­ stologico e c'è un solo albero di vita. Resta problematico compren­ dere come questo solo albero possa crescere su ambedue le sponde; 23 Cf. 2Bar 4,1-7; 4Esd 8,52; TestXIIDan 5,12-13. 24 a. H.L.STRACK - P. BILLERBECK, Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrash, 5 voli., C.H. Beck'sche Verlagsbuchhandlung, MUnchen 1926-1961 , III, 856. 25 Cf. D.K.K. WoNG, «The Tree of Life in Revelation 2:7», in BS 155(1998), 220-221. 26 In Gen 2,9 si parla di «albero della vita in mezzo al paradiso» che, nella versione dei LXX, corrisponde al testo di Ap 22,2 (to xylon tes zoes en meso to paradeiso) . 27 Cf. BEALE, The Book of Revelation, 1104.

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si deve ritenere che l'autore usi xylon come collettivo28 oppure, in linea con una certa tradizione rabbinica, pensi a più alberi della vita.29 La particolare insistenza sui dodici frutti nell'Apocalisse, aspetto che manca in Ez 47,12, forse è un rimando alle dodici tribù d'Israele e agli apostoli dell'Agnello, apparsi nella descrizione della città celeste (cf. 21,12.14.21). L'ultimo dato che distingue Ezechiele e Apocalisse è la funzione dei frutti/foglie: per Ez 47,12, infatti, «i suoi frutti sono nutrimento e le sue foglie medicina>>, mentre Ap 22,3 afferma che «le foglie dell'albero sono medicina per le genti». L'aspetto terapeutico delle foglie, in un contesto di salvezza attua­ ta, appare improprio; l'espressione, tuttavia, potrebbe alludere alla funzione intrastorica di Cristo, che sta realizzando nel tempo la redenzione delle genti.3° In Ap 22,3b l'autore sostiene che il trono di Dio e dell'Agnello starà in mezzo alla città; si tratta di un ulteriore recupero di un dato già espresso in 21 ,22-23, con l'immagine del tempio e della gloria-luce. In questo contesto Giovanni pensa alla vita celeste dei credenti nei termini di un servizio liturgico: «e i suoi servi lo adore­ ranno (latreusousin)»31 (22,3c). L'atto di culto dei redenti è espres­ sione del loro sacerdozio che non si compie solo sulla terra (1 ,6; 5,10) e nel ruolo dei martiri (20,6) , ma anche in fase escatologica. Il testo non precisa a chi sia rivolto l'omaggio dei fedeli, ma forse tale laconismo è intenzionale. Nella pericope, infatti, si parla di un uni­ co trono di Dio e dell'Agnello, e questo dato porta a pensare che il culto sia indirizzato ad ambedue le persone divine.32 Sulla stessa linea bisogna intendere il versetto successivo: «e vedranno il suo volto e il suo nome (sarà) sulle loro fronti» (v. 4); anche in questo caso si può ritenere che la contemplazione del volto riguardi sia il Padre sia Cristo.33 A proposito del «nome sulla fronte» si è visto che il Risorto ha promesso al vincitore di Filadelfia di imprimere su di lui il nome del Padre, di Gerusalemme e il suo nome nuovo 28 Cf. CHARLES, A Criticai and Exegetical Commentary on th� Revelation of St. John, Il, 176; SwETE, The Apocalypse of St. John, 299. 29 Cf. BEALE, The Book of Revelation, 1106. 30 Cf. SWETE, The Apocalypse ofSt. John, 300. 31 I l verbo latreu6 nei LXX traduce l'ebraico 'abad e assume un carattere pret­ tamente religioso per indicare il sacrificio nel culto o la preghiera liturgica. Cf. H. SrRATHMANN, è in S A 1006. 1841. 2050. 2053. 2062. vg" sa; Fulg Apr, mentre la variante «coloro che compiono i comandamenti>> (poiuntes tas entolas) si trova in 046. 161 1'. 1854. 2030. 2329. 2344. 2377. M gig. by. bo. Tert. S. GoRANSON, «The Text of Revelation 22.14>>, in NTS 43(1997), 154-155, sceglie la variante meno accreditata e osserva che negli antichi manoscritti il textus receptus (testo accolto) si fonda sugli onciali d'influenza alessandrina, mentre le citazioni pa­ tristiche sono ambigue, poiché presentano ambedue le possibilità. Goranson pensa che la matrice giudeo-cristiana del libro induca alla scelta «compiere i comandamen­ ti», più tardi cambiata in «lavare le vesti» per il mutato atteggiamento dei cristiani nei riguardi dei giudei. 37 Si veda il commento alla Chiesa di Sardi.

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testo esprime il fine delle prerogative richieste per entrare nella città santa. Anche questo aspetto ha un richiamo cristologico; Ap 22,14, infatti, sembra riprendere Gv 10,7.9: «In verità in verità vi dico: io sono la porta delle pecore . . . io sono la porta se uno entra attraverso me sarà salvato ed entrerà e uscirà e troverà pascolo». In ambedue i testi si parla di: l) funzione strumentale delle porte («chi entra attraverso me» in Gv 10,9; «per entrare attraverso le porte» in Ap 22,14); 2) il costrutto «entrare in>> (eiserchomai); 3) destinazione dell'ingresso: in Ap 22,14 è la città, in Gv 10,9 è la vita eterna, espressa attraverso l'immagine del pascolo. Anche se nell'Apocalisse non c'è l'esplicita identificazione di Cristo con la porta,38 come in Gv 10,7.9, il carattere universale delle porte, sui quattro lati della città escatologica (cf. 21,13), richiama la salvezza aperta a tutte le genti, che l'Agnello ha operato grazie al suo sacrificio (5,9b; 7,9).

La salvezza universale dell'Agnello Alcuni dati della sezione di Ap 21,1-22,5 costituiscono un riferimento alla dimensione universale della città escatologica e possono essere considerati il frutto della redenzione di Cristo. C'è infatti una particolare insistenza del testo sull'universalismo salvifi­ co, attraverso alcuni elementi quali: le «nazioni>> (ethne in 21,24.26; 22,2); i «popoli» (laoi in 21 ,3) e i «re della terra» (basileis tes ghes in 21 ,24). L'universalità della redenzione è già un evento presente per la comunità, che dichiara di essere stata riscattata da «ogni tribù e lin­ gua e popolo e nazione>> (5,9b). Ugualmente la folla incalcolabile, che ha lavato le sue vesti nel sangue dell'Agnello, viene anch'essa «da ogni nazione e tribù e popoli e lingue» (7,9).39 Se la valenza cosmica della salvezza appare già in atto nella Chiesa, il libro apre

38 Il QV e l'Apocalisse ricorrono a due differenti termini per designare la porta; Gv 10,7.9 utilizza il termine thyra, che si riferisce all'ingresso di un'abitazione {cf. J. JEREMIAS, >, in NT 15(1973), 72-80; In., The New Testament Concept of Witness (SNTSMS 31), Cambridge University Press, Cambridge 1977, 156-158. L'autore suppone che nell'Apocalis­ se il circuito semantico legato alla radice marty- conservi il significato originario della lingua greca, sebbene egli stesso debba ammettere che la questione rimane discussa. 6 Questo limitato uso del verbo è stato giudicato da D.E. AuNE, Revekltion, 3 voli. (WBC 52A; 52B; 52C), Word Books, Dallas 1997-1998, l, CXX e 19, come un elemento redazionale che appartiene all'ultima versione dell'Apocalisse. 7 In 1 ,2 il soggetto del verbo martyre6 è Giovanni; in 22,16 è l'angelo, men­ tre di dubbia interpretazione sono i testi di Ap 22,18.20; per alcuni autori Gesù è il soggetto (cf. E.B. ALLO, Saint fean L 'Apocalypse, Gabalda, Paris 1921, 333; CHARLES, A Criticai and Exegetical Commentary on the Revelation of St. fohn, Il, 218; H.B. SWETE, The Apocalypse of St. fohn, the Greek text with introduction, notes and indices, MacMillan, London 1922, 311), ma tale ipotesi non è condivisa da altri, che pensano all'autore (W. BoussEr, Die Offenbarung Johannis [KEK 16], Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 61906, 409; E. LoHMEYER, Die Offenba­ rung des Johannes [HNT 16], Mohr Siebeck, Ttibingen 1970, 181; G.B. CAIRO, A Commentary on the Revelation of St. fohn the Divine, Harper and Row, New York

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rimanda esclusivamente al testimoniare la rivelazione, senza impli­ cazioni con l'offerta della vita. 2) Il sostantivo martyria = testimonianza, privo di specificazio­ ni, si connette alla testimonianza cristiana (11,7) e talvolta compor­ ta il sacrificio della vita (6,9; 12,11 ). 3) Il sintagma «testimonianza di Gesù (martyria tou Iesou)» si ritrova sei volte nel testo (cf. 1 ,2.9; 12,17; 19,10[2x); 20,4) e può avere il senso di: a) genitivo soggettivo per cui Gesù è il prota­ gonista della testimonianza, che corrisponde a quanto egli ha trasmesso nella sua vita e nella sua rivelazione;8 b) genitivo ogget­ tivo per cui l'espressione indica la testimonianza data a Gesù dai credenti i quali, attraverso la loro missione profetica, annunciano la Parola di Dio e osservano i comandamenti. Tale senso sembra essere più appropriato perché il costrutto «testimonianza di Ge­ sù» è sempre accompagnato da altre espressioni, che orientano nella comprensione del genitivo oggettivo.9 Per quanto riguarda il rapporto con il martirio, in alcuni contesti la testimonianza di Gesù è associata esplicitamente alla sofferenza e alla morte (1 ,9; 12,17; 20,4) .10 4) Il sostantivo martys = testimone/martire si ritrova in rappor­ to a Gesù (1,5; 3,14) e ai suoi testimoni (2,13; 11,3; 17,6) ; solo in 1,5 Gesù è il «martys, il fedele, il primogenito dai morti» e, quindi, il termine è connesso con il sacrificio della vita. In tutte le ricor­ re nze in cui martys si riferisce agli uomini, invece, richiama il loro martirio. 11 Da questi dati si desume che il campo linguistico legato alla martyria, pur continuando a mantenere la sua valenza di attesta­ zione veridica e di testimonianza, assume nell'Apocalisse una sfu­ matura che rimanda al martirio, sebbene questo significato tecnico

1966, 287; T. ZAHN, Die Offenbarung des Johannes, 2 voli., Erlangen, Leipzig 1924, Il, 628-629). 8 Condividono questa ipotesi CHARLES, A Criticai and Exegetical Commentary on the Revelation ofSt. John, l, 7; AUNE, Revelation, 1, 19; P. PRIGENT, L 'Apocalypse de saint Jean (CNT XIV), Labor et Fides, Genève 2000, 83-84. 9 La martyria tou Iesou è connessa con la «parola di Dio» in Ap 1 ,2.9; 6,9; 20,4; con «i comandamenti di Dio» in 12,17 e con «lo Spirito della profezia» in 19,10. 10 P . VASSIDALIS, «The Translation of martyria Iesou in Revelation», in BT 36(1985)1, 129-135, mostra che soprattutto nell'espressione martyria Iesou si ricono­ sce il nuovo significato di una testimonianza data a Gesù fino alla morte, 11 In 2,13 si parla di Antipa come martys, «quello che fu ucciso presso di voi>>; in 17,6 appare la visione di Babilonia, «ebbra del sangue dei santi e del sangue dei martyres di Gesù>>; in 1 1 ,3 i «dUe testimoni>> sono chiamati martyroi, anch'essi de­ stinati alla morte (11,7).

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appaia esplicitamente solo negli scritti successivi.U Si può dunque ritenere che in Ap 1 ,5 il saluto iniziale presenti Gesù come il «mar­ tire», la cui vicenda umana si compie nell'epilogo glorioso della risurrezione e della signoria universale. In questa proclamazione inaugurale il libro offre ai suoi destinatari il modello vitale cristo­ logico, che accompagna le loro vicissitudini storiche e ne mostra la felice conclusione.

Tribolazione, regno e perseveranza in Gesù (Ap 1,9) Prima di narrare la visione del Risorto (Ap 1,9-20) Giovanni premette una cornice narrativa in cui la figura storica di Gesù è presentata come modello pasquale della comunità: Io Giovanni vostro fratello (adelphos) e compartecipe (synkoini5nos) nel­ la tribolazione (thlipsis) e nel regno e nella perseveranza (ypomoné) in Gesù, mi trovavo nell'isola di Patmos a causa della parola di Diò e della testimonianza di Gesù (Ap 1,9)

Quest'autopresentazionè dell'autore fa riferimento a una tripli­ catena di sostantivi, «tribolazione, regno, perseveranza», legata al iwme di Gesù. La narrativa della visione pone il veggente in una familiarità (adelphos) e condivisione di sorte (synkoinonos) con i destinatari del suo messaggio; attraverso i tre sostantivi, «tribo­ lazione», «regno» e «perseveranza>>, l'autore mette in rilievo gli aspetti in cui si attua la comune sorte. La tribolazione (thlipsis) è un concetto che Giovanni recupera dal linguaggio apocalittico e contestualizza in ambito ecclesiale: -- la Chiesa di Smirne vive nella sua esperienza la tribolazione del contrasto con la comunità giudaica (2,9); - Cristo stesso sottopone i membri fuorvianti della comunità di Tiatira a un tempo di tribolazione (2,22) perché si convertano; - i salvati sono coloro che provengono «dalla grande thlipsis e hanno lavato le loro vesti rendendole bianche nel sangue dell'A­ gnello» (Ap 7,14); - nella lettera a Filadelfia Cristo invita la comunità a conservare la logica della sua perseveranza, per essere preservata «nell'ora

ce

12

a. MartPol 11,2; XIV,2; XVII,3; XVIII,3; XXII,l.

233

della prova che sta per abbattersi su tutta la terra per mettere alla prova gli abitanti della terra» (3,10). Da questi testi si può ritenere che la thlipsis, vissuta nelle co­ munità dell'Apocalisse, corrisponda ai momenti negativi in cui la Chiesa sperimenta la dura prova del suo presente storico.13 Il regno (basileia) costituisce l'unico concetto positivo, nella sequenza dei sostantivi, e va inteso nel senso di regalità, piuttosto che di reame o potere.14 Abbiamo già notato, nel capitolo sul regno di Cristo, che la basi/eia è una realtà in fieri: la Chiesa già in qual­ che modo la possiede (1 ,9; 5,10), ma è solo nella prospettivafutura che emerge in pienezza La tensione tra il già e non ancora della basileia si percepisce nella proclamazione innica, che ne dichiara la presenza operativa: - nell'oggi della Chiesa: «e li rendesti per il nostro Dio un regno e sacerdoti e regnano sulla terra» (5,10); - nella sorte dei martiri che, nel loro destino eterno, sperimen­ tano lo stato incoativo della vita e del regno: «vissero ( ezesan) e regnarono (ebasileusan) per mille anni» (20,4) .15 Il regnare dei credenti, tuttavia, non si coniuga solo in una pro­ spettiva presente e iniziale, ma tende alla consumazione definitiva. Tale aspetto emeFge nei contesti in cui il verbo basileuo è coniugato al futuro: degli stessi martiri di 20,6, infatti, si dice: «Regneranno (basileusousin) nei secoli dei secoli» (20,6) e, nel contesto della Gerusalemme celeste, gli uomini che la abiteranno > (plateia) non può fare riferimento a un luogo di Gerusalemme, non solo perché non si ha memo­ ria di martiri ivi uccisi, ma anche perché l'esecuzione capitale non poteva avvenire nella città santa, per le regole di purità degli ebrei. Gesù stesso muore fuori dalle mura della città (cf. Mt 27,32-33; Mc 15,20; Le 22,33; Gv 20,17; Eb 13,12) e anche il protomartire Stefano (cf. At 7,58). La piazza, pertanto, indica un luogo che sim­ bolicamente rimanda a un ambiente pubblico e frequentato, come si rileva dalla visibilità universale dell'evento. 37 Cf. A uNE, Revelation, II, 621.

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Il tempo della morte dei due, però, è limitato e segnato dalla parzialità dei «tre giorni e mezzo», ulteriore dato che si connette ai precedenti elementi temporali del testo. Si tratta, infatti, di un'allusione alla durata del ministero profetico nel mondo, che coincide con la parzialità dell'eone storico. Al termine di questo tempo circoscritto si verifica il riscatto dei martiri: lo spirito di vi­ ta, che viene direttamente da Dio, li risuscita e li porta al cielo. Il testo si ispira al soffio dello spirito in Ez 37 ,10, che vivifica le ossa inaridite, mentre l'ascensione al cielo attraverso una nube ricorda la sorte di Elia (2Re 2,1 1) e l'assunzione di Mosè.38 L'epilogo della vicenda dei due testimoni viene così inteso come un momento di riabilitazione dei giusti, ma soprattutto ricalca la sorte di Cristo e del suo rapimento verso il trono di Dio (cf. Ap 12,5). Davanti a questo scenario gli abitanti della terra sono presi da timore e, in quella medesima ora, avviene un terremoto. Il racconto sembra ricalcare ancora il dramma cristologico, poiché anche alla morte di Gesù si assiste a un terremoto e alla risurrezione dei giusti (cf. M t 27,51-53) . Gli effetti del sisma distruggono 1110 della città e 7000 uomini: le cifre potrebbero essere convenzionali, ovvero essere un richiamo a grandi numeri che suscitano meraviglia, ma potrebbero avere anche una base reale, come menzione di fatti storici contem­ poranei alla narrazione.39 Davanti a questi fenomeni sconvolgenti i superstiti «danno gloria al Dio del cielo»,40 espressione che richia­ merebbe una conversione finale delle genti.41

38 Anche l'assunzione di Mosè avviene su una nube (cf. GIUSEPPE FLAVIO, A.J. 4,326; Yom 4a; CLEMENTE ALESSANDRINO, Stromata: PG 2, VI, 15; ORIGENE, In Li­ brum Jesu Nave homilia 11,1 ). 39 Il numero degli abitanti di Gerusalemme doveva aggirarsi intorno ai 120 mila nel I sec. d.C. (cf. GIUSEPPE FLAVIO, C.Ap. 1,197) . I sostenitori della composi­ zione dell'Apocalisse prima del 70 d.C. citano questo testo che mostra, nell'evento del terremoto, un'imprecisa narrazione sui fatti che portarono alla distruzione di Gerusalemme. Cf. J.A.T. RoBINSON, Redating the New Testament, SCM, London 1976, 238-242. 40 L'espressione «Dio del cielo» si trova in Ne 1 ,4; Sal 135,26 (LXX); Dn 2,18. 41 Si è notato nel capitolo ottavo come la narrazione della Gerusalemme ce­ leste ponga in rilievo la speranza escatologica della salvezza universale. Di questo parere sono CHARLES, A Criticai and Exegetical Commentary on the Revelation of St. fohn, I, 292; AuN E , Revelation, Il, 628-629; R. BAUCKHAM, The Climax of Prophecy. Studies on the Book of Revelation, T & T Clark, Edinburgh 1993, 278; ecc. Al contrario PRIGENT, L 'Apocalypse de saint Jean, 276, pensa che qui si tratti di un blando riconoscimento dei pagani, i quali riconducono quelle catastrofi al «Dio del cielo>>, espressione generica che, sulla base dei testi giudaici, non qualifica il Dio d'Israele.

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La fede in Gesù (14,U) La «fede in Gesù» (pistis lésou in 14,12) e la beatitudine per i «morti nel Signore» {14,13) sono due temi connessi con la dialettica pasquale del Cristo, che torna a ripetersi nella dinamica esistenzia­ le dei credenti. Le due espressioni si pongono nel capitolo 14 che, secondo uno sviluppo a doppio piano, costituisce la controparte celeste delle vicende terrene narrate nel capitolo 13. Il capitolo 14, come si è visto nel paragrafo sulla mietitura finale del Figlio dell'uomo, assume un'indole particolarmente escatologica, costrui­ ta secondo la tecnica del chiaroscuro:42 dopo l'annuncio dei tre an­ geli (14,6-1 1), la narrazione è interrotta da una formula di risveglio (v. 12) e dalla beatitudine (v. 13), testi che mettono in guardia i credenti di fronte agli interventi divini nella storia. La brusca inter­ ruzione, costituita dai vv. 12-13, ha indotto alcuni esegeti a ritenere il testo un elemento redazionale;43 poiché i commenti ex abrupto dell'autore sono una consuetudine dell'Apocalisse {cf. 13,10.18; 17,9), non sembra opportuno pensare a un'aggiunta e, per questo, considerare il testo non originale. La· prima espressione è costituita da una formula di risveglio: «qui (ode) è la perseveranza (ypomone) dei santi, quelli che os­ servano (oi terountes)44 i comandamenti di Dio e la fede in Gesù (pistis Iesou)» ( 14,12 ) . In diversi contesti dell'Apocalisse ricorre l'avverbio ode, come introduttivo di una frase gnomico-sapienziale: - in 13,10, davanti alla descrizione della «bestia che sale dal ma­ re» e alla sua persecuzione, è richiesta ai credenti «la perseveranza e la fede»; - in 13,18, dopo la presentazione della «bestia che sale dalla terra>>, si domanda «sapienza» (sophia) , per intendere il significato del suo numero; - in 17,9a l'esercizio dell'intelligenza (nous) e della sapienza (sophia) deve funzionare per comprendere il senso della presenta­ zione di donna-Babilonia, della bestia e dei re. 42 Cf. BiGUZZI, Apocalisse, 277. 4� CHARLES, A Criticai and Exegetical Commentary on the Revelation of St. fohn, Il, 18, ritiene che Ap 14,12-13 fosse in origine dopo 13,10, come naturale conclusione esortativa dopo la descrizione delle persecuzioni della bestia. AUNE , Revelation, Il, 798, invece pensa che Ap 14,12-13 sia una glossa redazionale. 44 Il costrutto grammaticale è un barbarismo, poiché , mentre il testo è al nominativo oi tèrountes. La svista è stata corretta nei codici S 1006. 1611. 1841 che presentano il genitivo.

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Come si può vedere, questi testi sono caratterizzati da una narrazione cui segue l'invito a leggere ì1 senso di quanto si sta af­ fermando, oppure la necessità di vivere una delle virtù richieste dal libro. Anche in 14,12 i credenti, dopo la visione dei tre angeli, sono chiamati a esercitare la loro perseveranza, per sottrarsi al fascino della società idolatra e per prevenire la punizione escatologica. I santi, che esercitano la ypomone, sono qui identificati con coloro che «osservano i comandamenti di Dio e la fede di Gesù». In que­ sto contesto il sintagma «fede di Gesù (pistis Iesou )» è un genitivo oggettivo, che corrisponde alla fede in Gesù.45 L'espressione riman­ da al messaggio di Pergamo, dove Cristo elogia la Chiesa dicendo «non hai rinnegato la mia fede (arneomai ten pistin mou)» (2,13c) . In questo caso «mia fede» equivale alla dottrina, che la comunità ha mantenuto salda, pertanto anche la pistis di Gesù, in 14,12, è fede riguardante la sua persona, come meglio si esplicita in 2,13c. Rispet­ to al contesto ecclesiale di Pergamo, l'esortazione di 14,12 affianca la fede in Gesù al costrutto «osservanza dei comandamenti di Dio»; in tal modo i precetti divini si identificano con la dottrina relativa a Gesù, divenuto il compimento della Parola di Dio.

I morti nel Signore (14,13) Il detto macaristico di Ap 14,13 costituisce l'altra interruzione testuale del capitolo 14. Si tratta della seconda beatitudine del libro, anch'essa costruita in modo da conferire un risvolto cristolo­ gico-pasquale per la vita dei credenti. E ascoltai una voce dal cielo che diceva: scrivi: beati fin da ora (ap'arti) i morti che muoiono nel Signore; sì - dice lo Spirito - riposino dalle loro fatiche, le loro opere, infatti, li seguono (14,13).

Da uli punto di vista strutturale la beatitudine è costituita da due aspetti: 1) la voce che proclama e comanda di scrivere (v. 13a); 2) la dichiarazione macaristica.

45 BEALE, The Book of Revelation, 766-777, pensa a un genitivo di origine per cui si tratterebbe della fede che il credente matura dall'incontro con Gesù. AUNE, Revelation, II, 837-838, condivide l'idea del genitivo oggettivo ma, sulla base di esempi tratti da numerosi testi, intende il costrutto pistis Iesou come .

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L'identità della voce è difficile da stabilire, ma potrebbe sem­ plicemente costituire un rimando al mondo celeste, che manifesta agli uomini un contenuto di rivelazione.46 La beatitudine vera e propria parla di «Coloro che muoiono nel Signore»,47 un costrutto unico nell'Apocalisse, ma molto più familiare all'epistolario paoli­ na. Nelle lettere di Paolo esso indica una relazione tra i fedeli e il Signore glorificato, soprattutto in relazione all'evento pasquale.48 Sulla base di questo uso si può intendere il locativo «nel Signore» come un dativus commodi (dativo d'interesse) per cui l'espressione «morti nel Signore» significa «morti per il Signore».49 Un problema di traduzione nasce dalla collocazione dell'avverbio ap 'arti= fin da ora, se debba legarsi al participio «coloro che muoiono» oppure all'aggettivo «beati». La prima interpretazione porterebbe a tra­ durre: «beati coloro che muoiono nel Signore fin da ora»; in questo senso il macarismo si riferirebbe a un gruppo di martiri e non a tutti i credenti. La seconda interpretazione, invece, dovrebbe rendersi «beati fin da ora coloro che muoiono, . . »; in tal caso la beatitudine riguarda una condizione di partecipazione alla vita eterna, imme­ diatamente fruibile dopo la morte e senza esclusione di persone.5° Questa seconda chiave di lettura è stata scelta nella traduzione su indicata e sembra la più corretta; si è visto, infatti, che in numerose pericopi dell'Apocalisse e in molta letteratura intertestamentaria appare l'idea di un immediato riscatto dopo la morte.51 Il contenuto della beatitudine è connesso con la voce dello Spirito e rimanda a un ambito liturgico e profetico, sia per la pre­ senza dello pneuma divino,52 sia per la particella affermativa «Si»

46 L'espressione «voce dal cielo che dice» si ritrova numerose volte nell'Apo­ calisse (cf. 10,4.8; 11,12; 14,2; 18,4), ma è di difficile decifrazione; si può pertanto pensare che essa indichi una dimensione trascendente e rivelatoria del messaggio (cf. A uNE, Revelation, II, 561-562) . 47 Il testo è caratterizzato da varianti; in C P 1854; Bea si trova l'espressione «in Cristo (en Christò)», mentre 161 1 syhhimno «in Di o (in theò)>>. Tali correzioni potrebbero essere un tentativo di specificare l'ambiguo «Signore», riferendolo a Cristo o a Dio. 48 Cf. C.F.D. MouLE, Th e Origin of Christology, Cambridge University Press, Cambridge 1990, 95-112. 49 Cf. BEALE, The Book of Revelation, 767, mostra che in Ap 1 ,9; lTs 4,16 e lCor 15,22 ricorre il costrutto Jocativo «in» con valore strumentale-causale. 5° Cf. ivi, 769. 51 Cf. Ap 6,9-11; 7,13-14; 11,1-13; 20,4-6). In 4Esd 7,95, inoltre, parlando dei beati si dice: «comprendono il riposo di cui ora godono, riuniti nelle loro stanze e custoditi dagli angeli in profonda tranquillità». 52 Lo Spirito, nell'Apocalisse, è l'origine della profezia (cf. 1 ,9; 4,2; 19,10) ed è egli stesso profeta, in quanto offre le parole del Risorto alle chiese, nelle rivelazioni

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(nai).53 Si tratta, dunque, di una profezia dello Spirito che, come già nelle sette lettere, assume una funzione locutoria e riporta la valenza del messaggio cristologico nella vita ecclesiale. Da questo punto di vista Ap 14,13 si accosta a 1 Tm 4,1, dove lo Spirito parla apertamente sulle false dottrine che si diffonderanno negli ultimi tempi, mettendo in guardia la comunità da tali pericoli. Sebbene il contesto sia differente, Ap 14,13 e 1 Tm 4,1 sono accomunati dalla funzione locutorio-profetica dello Spirito, in rapporto alla Chiesa e al presente della sua situazione. 54 TI messaggio dello pneuma divino esprime le conseguenze celesti per i morti nel Signore attraverso due frasi: 1) una dichiarativa: «si riposino dalle loro fatiche»;55 2) una esplicativa: «infatti le loro opere li accompagnano». Nella frase dichiarativa il riposo celeste dei credenti presenta numerosi punti di contatto con Dn 12,13, conclusione del libro nel­ la versione del TM. Come nell'Apocalisse, così anche in Daniele il contesto è dato da condizioni esterne, che premono sulla comunità e ne condizionano la vita in modo negativo. Nel testo danielico l'angelus interpres invita il profeta a entrare nel riposo della morte (anapausis) , in vista della ricompensa alla fine dei giorni (TM) ,56 in Ap 14,13 invece lo Spirito assicura ai credenti un immediato riposo

di Ap 2-3 e nella stessa beatitudine di 14,13. Anche la particella nai sl assume valenza profetica poiché è conferma ad affermazioni di carattere profetico (cf. 1 ,7; 16,7; 22,20). Il 47 S A C); pertanto si deve pensare a una dichiarativa, espressa con una formulazione insolita. Cf. F. BLASS - A. DEBRUNNER, Grammatica del greco del Nuovo Testamento, trad. it. a cura di U. MArnou - G. Pis1, Paideia, Brescia 1982, § 456,2; CHARLES, A Criticai and Exegetical Commentary on the Revelation of St. fohn, I, 370. 56 Il testo greco (LXX e Th) specifica tale ricompensa nell'esplicita menzione della risurrezione (il verbo anistemi). =

=

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dopo la morte, che non attende dilazioni. Nel caso dell'Apocalisse, inoltre, la dichiarazione del riposo celeste sembra richiamare dia­ letticamente la condizione escatologica degli adoratori della bestia, dei quali si dice che «non riposano (ouk echousin anapausin) gior­ no e notte» (14,11). La frase esplicativa rammenta il tracciato esistenziale dei fedeli, chiamati a riposarsi dalle loro «fatiche (kopos); infatti le loro opere (erga) li accompagnano». La teologia delle opere nell'Apocalisse è particolarmente evidente nel contesto del messaggio alle sette lettere, dove il Risorto conosce profondamente gli erga ecclesiali (il verbo oida in Ap 2,2.9.13.19; 3,1.8.15). Tali opere, come si è visto, sono elogiate da Cristo, quando sono conformi ai suoi dettami; esse, inoltre, costituiscono la «fatica» (2,2), attraverso la quale la comunità vive la sua etica cristologica, poiché il Risorto parla di cu­ stodire le sue opere (2,26) . Il cammino ecclesiale degli erga ha una finalità escatologica, poiché Cristo giudica e ricompensa la Chiesa in base alle opere (cf. Ap 2,23; 22,12). A partire da questa teolo­ gia, la beatitudine di 14,13 si presenta come l'epilogo felice per i credenti che hanno realizzato gli erga cristologici fino al dono della vita, e ora hanno accesso alla ricompensa promessa. Lo Spirito, dunque, certifica la parola di Cristo e dichiara che gli erga ecclesiali costituiscono un'espressione esistenziale della fede e sono la via d'accesso alla vita eterna.57

Beatitudini nel tempo della prova Nel NT ci sono numerosi testi in cui torna il tema della beati­ tudine nel momento della persecuzione e della prova.58 In queste pericopi si riconosce una dottrina fondativa della sofferenza dei cristiani, che imitano il modello di Cristo e, partecipando alla sua passione, si consegnano senza riserve nelle mani di Dio.59 Si può

57 FiLONE, Deus, parla dell'anima che «riposa (anapauo). in Dio e non fatica (poneo) più per le opere (erga) mortali»; A v 6,9 recita: «Quando un uomo muore non porta con sé né argento né oro né pietre preziose, né perle, ma solo (la sua conoscenza del)la Legge e le buone opere». Altri concetti simili si trovano anche in 4Esd 7,35.77; 8,33. 58 a. H. DUPONT, Les Béatitudes, 3 voli ., E. Nauwelaerts-Gabalda, Louvain-Pa­ ris 1958-1973, II, 341-345. 59 a. E. G. SELWYN, The First Epistle of St Peter, the Greek text with introduc­ tion, notes and essays, MacMillan, London 1952, 191.

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dunque parlare di uno sviluppo di questo tema nel NT, espresso attraverso la forma letteraria del macarismo: Mt Temi 5,1 1-12 costitutivi beatitudi- beati siete voi quando ne nella sofferenza vi insulteranno (oneidizo), vi perseguiteranno e diranno, mentendo, ogni male contro di voi. . . Rallegratevi ed esultate

Le

6,22-23 siete beati se gli uomini vi odiano e vi isolano e vi insultano (oneidizo) e dichiarano il vostro nome malvagio . . . Rallegratevi in quel l giorno a causa a causa causa del Figlio mia della dell'uomo sofferenza (eneken emou) (eneka tou uiou tou anthroi pou) ricompen- perché ecco grande infatti sa e dimensio- è la vostra la vostra ne pneu- ricompen- ricomsa (mistos) pensa matica nei cieli (mistos) è grande nel cielo

1Pt 3,14 se poi doveste soffrire (pascho) . . . beati voi

1Pt 4,14 beati voi se venite insultati (oneidizo)

Gc Ap 1,12 14,13 beato beati l'uoi morti mo che resiste alla tentazione

nel nome per la di ,Cristo giustizia (dia (en dikaio- onomati synen) Christou)

nel Signore (en Kyrio)

lo Spirito della gloria e lo Spirito di Dio (to tes doxes kai to tou theou pneuma) riposa (anapauo) su di voi

riceverà la corona della vita

dice lo Spirito (leghei to pneuma) riposino (anapauo) . . . le loro opere li accompagnano

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I testi evangelici affermano concordemente che la causa della sofferenza, nel tempo di persecuzione, è Cristo, ma tale situazione evolve in una ricompensa, collocata nel mondo celeste. Le beati­ tudini di Matteo e Luca rappresentano il fondamento scritturistico su cui si compie il processo di deuterosi e di riscrittura ermeneutica delle parole di Gesù.60 In quasi tutte le beatitudini posteriori, infat­ ti, si ritrovano questi elementi di partenza. l) Sofferenza per Cristo: Mt 5,11 e Le 6,22, rispettivamente con i costrutti «a causa mia» e «a causa del Figlio dell'uomo», indivi­ duano nella persona di Gesù il motivo della persecuzione. Questo aspetto compare anche nelle altre beatitudini, ma è differentemen­ te formulato. In lPt 4,14 e Ap 14,13 si trova un dativus commodi, costituito rispettivamente dalle espressioni en onomati Christou ed en KyriO. Anche il «soffrire per la giustizia» di lPt 3,14 rimanda a una valenza cristologica, poiché la dikaiosyne corrisponde alla nuova condizione del cristiano, scaturita dalla morte di Cristo.61 La beatitudine di Gc 1,12 non si trova in un contesto di persecuzione e forse, per tale ragione, esclude la causa cristologica della sofferen­ za. Il macarismo di Gc 1,12 si colloca nella situazione di «tentazione (peirasmos)», concetto generico il cui senso si comprende nel de­ corso dell'epistola.62 Il macarismo, infatti, si trova nel saluto intro­ duttivo, che sintetizza i temi su cui si svilupperà l'intero scritto: la perfezione, la sapienza, la pietà per i poveri.63 Nei singoli testi della Lettera di Giacomo si può riconoscere l'invito a persistere nella scelta del bene, per vincere queste concrete tentazioni e mantenere così la propria fede nel Signore (Gc 2,1). 2) Ricompensa celeste:64 chi accoglie la sofferenza che sca­ turisce dalla sequela di Gesù riceve un salario escatologico, che

60 Il processo della deuterosi è stato posto in rilievo da P. BEAUCHAMP, Cin­ quanta ritratti biblici, trad. it. a cura di H. MARTORANA, Cittadella, Assisi 2004, come un'a�one di riscrittura e attualizzazione delle parole fondamentali della Bibbia, nei mutati contesti storici e situazionali. 61 Il sostantivo dikaiosyne in l Pietro si trova solo in 2,24 e 3,14; in 2,24 il ter­ mine è costruito in giustapposizione al peccato: «perché morendo in relazione ai peccati (tais amartyais) vivessimo in relazione alla giustizia (te dikaiosyne)» (v. 24b) e corrisponde all'opera di Cristo che, prendendo su di sé i peccati degli uomini, li ha guariti (v. 24ac). 62 Il circuito semantico, legato alla tentazione (il verbo peiraz6 in 1,13(3x).14 e il. sostantivo peirasmos in 1,2.12), si concentra esclusivamente nel saluto iniziale che anticipa, riassumendoli, i temi principali dell'epistola. 63 Cf. R.P. MARTIN, James (WBC 48), Word Books, Waco 1988, lxxix-lxxxvi. 64 La causa cristologica della sofferenza è assente in Gc 1,12 e la ricompensa non si trova in lPt 3,14.

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i vangeli pongono in cielo (cf. Mt 5,12; Le 6,23). Questo motivo, assente in 1Pt 3,14, conosce un'elaborazione differente nelle altre beatitudini. In 1Pt 4,14 l'aspetto della ricompensa è connesso con l'azione dello Spirito sul credente; Gc 1,12, invece , utilizza l'imma­ gine della «corona della vita», genitivo epesegetico che rimanda alla pienezza di vita, come conseguimento vittorioso per chi resiste alla tentazione. Il macarismo di Ap 14,13, attraverso l'immagine del riposo, parla della ricompensa eterna come conseguenza delle opere faticose dei credenti. La presenza dello Spirito si congiunge al tema della ricompensa solo in 1Pt 4,14 e Ap 14,13, ma con due sviluppi differenti. Nell'A­ pocalisse lo Spirito è il garante del riposo per i morti nel Signore in quanto, con la sua voce, dichiara le conseguenze celesti per quanti hanno sacrificato la vita per Cristo. Più complessa appare la funzio­ ne dello Spirito in 1Pt 4,14, dove la frase «lo Spirito della gloria e lo Spirito di Dio riposa su di voi» sembra essere un'interpretazione di Is 1 1 ,2.65 ' Rispetto al modello isaiano la l Pietro riduce a uno i doni dello Spirito,66 poiché sul fedele si posa «lo Spirito della gloria (doxa) che è (kai epesegetico) lo Spirito di Dio». L'insistenza sulla doxa, in questo contesto e nell'intera lettera, pone in rilievo che la presenza di Dio e di Cristo sul cristiano sofferente è attualmente realizzata dallo Spirito il quale avvia il processo della gloria, in vista della sua pienezza celeste (1,11.21; 5,1).67 Un'ultima considerazione va fatta mettendo a confronto le sei felicitazioni appena esaminate. Mt 5,11-12; Le 6,22-23; lPt 3,14; 4,14; Gc 1 ,12 sono beatitudini per i credenti sulla terra, mentre Ap 14,13 è un macarismo per i «morti nel Signore». Le beatitudini evangeliche, con le loro formulazioni ipotetiche, parlano del futuro dei credenti, soggetti a diverse forme di sofferenza in nome di Cri­ sto. I testi della l Pietro raccontano un contesto di persecuzione, in cui vivono i destinatari della lettera, mentre la beatitudine di Giacomo ha una funzione intra-ecclesiale ed è un invito al po­ tenziamento delle virtù cristiane, come vittoria sulle tentazioni. Il macarismo di Ap 14,13, invece, pur rimanendo una beatitudine per la Chiesa sulla terra, mette in conto l'epilogo di ogni persecuzione

65 Come nel testo profetico lo pneuma «SÌ posa sulla (anapau6 ep 'auton ) radice di lesse>>, cosi in lPt 4,14 1o Spirito «riposa sul credente (anapau6 ep 'auton ) >>. 66 Nel testo di ls 1 1 ,2 (TM) sono menzionati sei doni, mentre nella LXX si trovano sette genitivi. 67 Cf. J.H. ELLIOTI, I Peter. A New Translation with Introduction and Commen­ tary, Doubleday, New York 2000, 782.

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e tentazione, che è la morte, al di là della quale lo Spirito garanti­ sce alla comunità che nessuna sua fatica rimane vana agli occhi del Signore (cf. 1Cor 15,58).68

La testimonianza di Gesù tra persecuzione e martirio L'espressione «testimonianza di Gesù (martyrla tou Ieso u )» è un ulteriore percorso cristologico offerto dall'Apocalisse, in cui riconoscere l'itinerario dei credenti nell'imitazione della pasqua. Questo sintagma - come si è yisto all'inizio del presente capitolo va inteso come una testimonianza data a Gesù che, in diversi casi, comporta anche la morte. L'inno di Ap 12,10-12 parla di una parziale vittoria terrena sul demonio, ad opera dei «fratelli», i quali hanno conseguito il trionfo «a causa del .sangue dell'Agnello e della parola della loro martyria poiché essi non amarono la loro vita fino alla morte» (v. 11). L'associazione del sangue di Cristo e della testimonianza dei martiri costituisce un momento iniziale e parziale di vittoria, ma la battaglia contro Satana continua sulla terra, poiché «s'infuriò il drago contro la donna (ghyne) e andò a far guerra con il resto della sua discendenza (sperma = seme), quanti osservano i co­ mandamenti di Dio e la testimonianza di Gesù» (12,17). In questa ulteriore aggiunta l'autore, alla luce del contrasto donna-serpente di Gen 3,15,69 mostra che i discendenti della ghyne sono «coloro che possiedono i comandamenti di Dio e la testimonianza di Gesù». Nella tradizione giudaica un midrash a Gen 3,1570 intende la lotta serpente-seme della donna come una battaglia di Satana contro quanti osservano i comandamenti della Legge. Ap 12,17 riprende dunque questa tradizione rabbinica e la rilegge in chiave ecclesiale: i comandamenti di Dio, infatti, diventano testimonianza a Gesù e il potere del demoniaco si scaglia nella storia contro questa martyrla offerta dai seguaci di Cristo.

68 Cf. E. ScHOSSLER FIORENZA, Invitation to the Book of Revelation: A Com­ mentary on the Apocalypse with complete text from the Jerusalem Bible, Doubleday, New York 1981, 143. 69 È questa l'unica ricorrenza nell'Apocalisse del termine sperma (seme), che appare come una citazione di Gen 3,15 (LXX). 7° Cf. M. McNAMARA, The New Testament and the Palestinian Targum to the Pentateuch (AnBib 27), PIB, Roma 1966, 221-222.

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La testimonianza data a Gesù fino alla morte torna nelle perico­ pi di Ap 6,9-11 e 20,4-6, due contesti in cui si riconosce uno schema tripartito comune:71 l) visione: il verbo «vidi» (6,9; 20,4); 2) oggetto della visione sviluppato in due aspetti: a. le anime degli sgozzati (esphagmenon) in 6,9; le anime dei decapitati (pepelekismenon) in 20,4; b. la ragione della loro morte: «a causa della parola di Dio e del­ la testimonianza che avevano» (6,9); «a causa della testimonianza di Gesù e della parola di Dio» (20,4); 3) l'attuale ricompensa per le anime: «fu data a ciascuno di loro una veste bianca e fu loro detto di riposare un po' di tempo» (6,1 1); «vissero e regnarono con Cristo per mille anni» (20,4) . Ap 6,9-11, con il riferimento alle «anime degli sgozzati (ton esphagmenon) a causa (dia) della parola di Dio e della testimonian­ za che avevano», sembra riprendere una tradizione rabbinica dove i martiri sono presso il «Trono di Gloria».72 Seguendo la tecnica dello hysteron-proteron l'autore descrive la condizione precedente delle anime e parla della loro violenta morte (il verbo sphaz o) «a causa (dia) della testimonianza che avevano». La difficoltà di questo testo, privo di specificazioni, è registrata dalle correzioni scribali che hanno completato il riferimento alla testimonianza con il genitivo «dell'Agnello».73 Nella scelta della lectio difficilior il laconismo dell'espressione può essere sopperito dalla presenza del participio esphagmenon che, nell'Apocalisse, è quasi sempre in rapporto all'Agnello «sgozzato>> (cf. Ap 5,6.9.12; 13,8); in tal mo­ do la sorte violenta dei martiri è assimilata a quella di Cristo e la generica martyria di Ap 6,9 assume i contorni cristologici. . Per tale coinvolgimento dei credenti con la passione di Gesù il loro destino ultraterreno è una partecipazione alla vita eterna, simboleggiata dalla «veste bianca» e da un «riposo parziale» che essi ricevono in sorte.74 Nella scena di Ap 20,4-6 si assiste a un quadro di giudizio: «E vidi troni e sedettero su di essi e fu loro dato un giudizio e (vidi)

71 Cf. AuNE, Revelation, III, 1087-1088. 72 CHARLES, A Criticai and Exegetical Commentary on the Revelation of St. fohn, l, 172-174, cita numerose opere della tradizione giudaica a sostegno. 73 I CC>dici 046. 1611 '. 2351. MK syh** aggiungono «dell'Agnello>>, forse perché influenzati dall'uso del participio esphagmen6n. 74 Cf. F. PIAZZOLLA, Le sette beatitudini dell'Apocalisse. Studio esegetico e teologico-biblico, Cittadella, Assisi 2010, 283-2.88.

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le anime di coloro che erano stati decapitati (pepelekismenoi) a causa della testimonianza di Gesù e della parola di Dio» (20,4a-b ). In questo testo l'autore offre una narrazione piuttosto contorta grammaticalmente ricorrendo, anche per questa scena, alla tecnica dello hysteron-proteron. Il primo elemento della pericope è costi­ tuito dall'attuale condizione dei martiri, «seduti sui troni» (20,4a) , ma subito dopo essi sono designati come «decapitath> (20,4b).75 Con questo participio l'autore ha in mente il capite puniri (essere punito col taglio della testa) con cui l'impero giustiziava le classi meno abbienti.76 Qui la causa della morte è più esplicita che in 6,9, poiché si parla di testimonianza relativa a Gesù e di Parola di Dio. Dopo questo primo quadro appare una frase relativa: «i quali (oitines)11 non adorarono la bestia, né la sua icona e non ricevettero il marchio sulla fronte e sulla loro mano» (20,4c). Il testo potrebbe essere connesso al gruppo dei decapitati appena presentato, op­ pure indicare una seconda categoria di persone, corrispondente a quanti non si sono lasciati coinvolgere nel sistema terrestre.78 È preferibile pensare che si tratti di un'esplicitazione dell'identità dei martiri, negli aspetti etico-morali che hanno contrassegnato la loro esistenza terrena.79 Il testo, dunque, è costruito attraverso il pro­ cedimento narrativo dell'analessi (retrospezione): Giovanni «riav­ volge» la sua narrazione e torna, attraverso espressioni tipiche del suo linguaggio, a descrivere quanti si sono sottratti al fascino della società e per questo hanno subito la pena della decapitazione.80 Per questi credenti, la cui testimonianza ha conosciuto un tragico epi­ logo, si assiste a un ribaltamento di sorti che li rende ota partecipi di un destino celeste, espresso nel linguaggio del millennio (20,4d). Un ultimo dato, connesso alla testimonianza di Gesù, è costi­ tuito dall'espressione «i santi e i martiri di Gesù»; questo costrut­ to appare in Ap 17,6, nel quadro di una visione dove Giovanni

75 Cf. ALLO, Saint Jean L'Apocalypse, 285. 76 Cf. AUNE, Revelation, III, 1086.

n Nel greco della koinè il relativo individuale os può essere sostituito dall'in­ definito otis. Cf. BLASS - DEBRUNNER, Grammatica del greco del Nuovo Testamento, § 293, nota 8. 78 Cf. BoussET, Die Offenbarung Johannis, 437; SwETE, The Apocalypse of St. John, 262; PRIGENT, L'Apocalypse de saint Jean, 438; Bwuzz1, Apocalisse, 342-343. 79 Sono di quest'opinione AuNE, Revelation, III, 1088-1089; KoESTER, Revela­ tion, 772. D'altra parte lo stesso fenomeno si riscontra in 7,9-14 e'14,1-5. 80 Le espressioni con cui sono descritti i martiri sono un recupero di elementi simili al c. 13: il rifiuto di adorare la bestia e il non piegarsi alla sua immagine (20,4b) sono dati reperibili in 13,4.8. 12.16; il non «ricevere il suo marchio sulla mano e sulla fronte» è già comparso in 13,16.

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contempla l'impero romano nelle fattezze di donna-Babilonia (17 ,3b-6). La città imperiale è presentata secondo i caratteri dell'ekphrasis, procedimento letterario che consiste nel descrivere un'opera d'arte, una battaglia, costruzioni, animali, secondo le loro caratteristiche reali o simboliche.81 L'autore dell'Apocalisse sembra ricorrere a questa tecnica retorica in diversi momenti della narrazione,82 ma è soprattutto nella descrizione di Roma che essa emerge.83 Giovanni non si attiene a un'opera d'arte in particolare o a una singola immagine celebrativa dell'impero, ma allude a un insieme di aspetti, che dovevano essere presenti anche alla mente dei suoi lettori. L'originalità descrittiva dell'Apocalisse sta nel conferire un carattere caricaturale a tali elementi. Il veggente di Patmos, infatti, mostra che l'apparente lusso e ricehezza di Ro­ ma sono in realtà espressione della sua porneia (prostituzione) e idolatria.84 In Ap 17,6 la visione è data dalla «donna ebbra del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù». L'immagine dell'ebbrezza nell'Apocalisse evoca il vino dell'ira divina (16,19) e l'ubriacatura idolatrica dei poteri annessi a Babilonia (17,2) , ma in questo caso è la città imperiale a essersi ubriacata del sangue di santi e martiri.85 Anche in questo contesto, come 6,9-11 e 20,46, sebbene non compaia il sintagma della testimonianza di Gesù, il sostantivo «martiri» esprime il medesimo percorso di quanti si sono sottratti al fascino dell'impero e hanno pagato con la vita tale rifiuto.86 Nel dettaglio dell'ebbrezza di sangue, quindi, l'autore for� nisce il capo d'accusa contro donna-Babilonia, che sarà destinata al giudizio (17,1 ; c. 18), e al contempo permette di comprendere

81 Cf. R. WEBB, Ekphrasis, lmagination and Persuasion in Ancient Rhetorical Theory and Practice, Ashgate Publishing Company, Burlington 2009. 82 Un altro esempio di ekphrasis si può ritrovare in Ap 4,1-5,14. A tal proposito cf. R.J. WHITAKER, «The Poetics of Ekphrasis. Vivid Description and Rhetoric in the Apocalypse», in S. ALIKIER - T. HIEKE - T. NICKLAS, Poetik und lntertextualitiit der Johannesapokalypse (WUNT 346), Mohr Siebeck, Tilbingen 2015, 227-240. 83 Sul fenomeno dell'ekphrasis in Ap 17 cf. AUNE, R.evelation, III, 923-928; lo., «Revelation 17. A Lesson in Remedial Reading», in lo., Apocalypticism, Prophecy and Magie in Early Christianity (WUNT 199), Mohr Siebeck, TUbingen 2006, 240249, in part. 247-249. 84 Cf. F. Bovo N, «Possession ou enchantement. Les institutions romaines selon l'Apocalypse de Jean», in lo., Révélations et Écritures (Le monde de la Bible 26), Labor et Fides, Genève 1993, 131 -146, in part. 143-144. 85 I due aggettivi potrebbero alludere a due gruppi, ma la congiunzione > è sostenuta da S1 e A e, quindi, è la più attendibile. 4 Cf. G.K. BEALE, The Book of Revelation: a Commentary on the Greek Text, Eerdmans-Patemoster, Grand Rapids-Carlisle 1999, 183. 5 L'origine divina della rivelazione di Gesù è attestata anche in Mt 1 1 ,271/Lc 10,22 con il verbo «rivelare» (apokalypto).

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4) seconda reazione comunitaria (22,20b) ; 5) il saluto dell'autore (22,21). Con la dichiarazione: «Io Gesù ho mandato il mio angelo a te­ stimoniare a voi, nelle chiese,6 tutte queste cose» (v. 16) il Risorto conferma che quanto è stato manifestato per la mediazione ange­ lica ha lui come origine.7 Questo dato riprende Ap 1 ,1 ma con una differenza: se nell'introduzione al libro la preoccupazione di Gio­ vanni è stata quella di manifestare la fonte divina dell'apokalypsis, alla fine del testo emerge solo la sua natura cristologica. Davanti alle parole dell'Esaltato la comunità reagisce invocando la sua ve­ nuta: «Vieni, Signore Gesù» (22,20) e riconoscendo che la persona storica di Gesù è il Kyrios della Chiesa nella cui grazia Giovanni formula il saluto conclusivo del libro: «La grazia del Signore Gesù (è) con tutti» (v. 21). Questo epilogo del testo non è solo l'utilizzo di una formula standard, poiché, lungo l'arco del racconto, l'autore ha avuto modo di esporre la dialettica ambivalente della signoria di Cristo. Il Kyrios, infatti, è un titolo che celebra il trionfo . del «principe, Signore dei signori» sulle forze mondane (cf. 1,5; 17 ,17; 19,16), ma è anche un richiamo al Signore crocifisso (11,8), nel cui modello muoiono i martiri (14,13). Il lettore del testo, dunque, è chiamato a non perdere di vista la vicenda umana di Gesù, che offre alla comunità un paradigma non solo dottrinale ma anche esistenziale della rivelazione, evidente nel dinamismo pasquale di morte e risurrezione.

La scrittura della rivelazione: comando di Cristo In diversi contesti del libro si trova l'ordine di scrivere;8 questo comando è sempre espresso dall'imperativo aoristo grapson, che dice il carattere puntuale dell'azione e si dovrebbe tradurre con

6 Il testo greco presenta la preposizione epi = a, corretta con en (in) da A 1006. . 1841. 2329. 7 Cf. P. PRIGENT, L 'Apocalypse de saint Jean (CNT XIV), Labor et Fides, Ge­ nève 2000, 496. 8 L'imperativo grapson si ritrova anche nelle due beatitudini di 14,13 e 19,9. Nel primo caso il soggetto è una voce dal cielo, la cui identità rimane oscura, mentre in 19,9 la generica espressione è ellittica del soggetto ma, in que­ sto caso, potrebbe trattarsi dell' angelus interpres che accompagna Giovanni (17,1). L'angelo, infatti, è già soggetto della stessa frase in numerosi contesti (cf. Ap 10,9; 17,15; 19,10; 22,9.10). L'ultima ricorrenza dell'imperativo «scrivi>> in 21 ,5 ha come soggetto Dio «seduto sul trono».

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«scrivi subito». In numerose ricorrenze di questa forma verbale il Risorto è il soggetto della disposizione (cf. 1,11.19; 2,1.8.12.18; 3,1.7.12.14) e il veggente Giovanni destinatario dell'ingiunzione cristologica. In tali circostanze, guardando all'uso del verbo, si può notare che la sua distribuzione è cosi catalogata: l) comando di scrivere il libro dell'Apocalisse e la sua rivela­ zione (1,11.19); 2) comando di scrivere il messaggio alle sette chiese (2,1.8.12.18; 3,1 .7.12.14) . L'ordine d i mettere per iscritto l a rivelazione si trova all'inizio del testo; esso aiuta a comprendere che l'origine del messaggio non è il veggente ma Cristo stesso, che si serve di lui in qualità di me­ diatore. Questo dato è confermato dal doppio imperativo in 1,11: «scrivi e manda», che equivale a una formula di commissione, tipica del messaggio profetico (cf. Is 6,1-13; Ger 1,1-10; Ez 1,1-3,27; Am 7,14-17).9 Il contenuto dello scritto per le sette chiese (1,11) non si circoscrive alle comunità menzionate, ma è indirizzato a tutta la Chiesa, destinataria della rivelazione.10 In 1 ,19, infatti, l'invito a scrivere omette il destinatario e menziona solo il contenuto: «Scrivi ciò che hai visto, ciò che è e quanto sta per accadere in seguito». Questa espressione11 è una «formula di profezia», già presente nel giudaismo e negli scritti protocristiani, e serve per parlare della conoscenza del passato, presente e futuro.12 Essa è connessa con l'essere stesso di Dio, definito nel libro come «colui che è, che era e che viene» (cf. Ap 1 ,4.8; 11 ,17; 16,5) , ed esprime il carattere del messaggio profetico che, attraverso la parola di Cristo, investe tutta la storia.13 Se in 1,11 il Risorto non è esplicitamente menzionato quale soggetto dell'imperativo «scrivi»/4 in 1 ,19, invece, il mede9 Cf. D.E. AUNE, Prophecy in Early Christianity and the Ancient Mediterranean World, Eerdmans, Grand Rapids 1983, 90 e 330. 1 ° Cf. M. RAMSAY, The Letters to the seven Churches of Asia and their Place in the Plan of the Apocalypse, Hodder and Stoughton, London 1904, 36-37. 11 Sul senso dell'espressione ci sono varie interpretazioni {cf. BEALE, The Book of Revelation, 216). 12 D.E. A uNE, Revelation, 3 voli. (WBC 52A; 52B; 52C) , Word Books, Dallas 1997-1998, l, 1 12-114, mostra come nella letteratura greco-romana la formula tri­ partita passato-presente-futuro si riferisca al potere profetico e oracolare di poeti e indovini. 13 Cf. W.C. VAN UNNIK, «A Formula describing Prophecy», in NTS 9(1963), 86-94. 14 Si può parlare di un soggetto cristologico sottinteso poiché, in 1 ,10.12, si trova la sineddoche della , in Offenbarung des Johannes: Eine exegetisch-theologische Untersuchung, Herder, Roma 1980, 70, afferma: «L'Agnello nella sezione dei sigilli ha la funzione di rivelare alla comunità». 19 T. ZAHN, Die Offenbarung des Johannes, 2 voll., Erlangen, Leipzig 1924, I, 337-338; R. BERGMEIER, «Die Buchrolle und das Lamm (Apk 5 und 10)», in ZNW 76(1985), 230, affermano uno stretto rapporto tra Ap 1,1 e 6,1-8,1, dove l'Apoca­ lisse di Gesù Cristo e l'Agnello rivelatore sono due temi paralleli e dal medesimo significato. 263

(7,2). Subito dopo si procede a identificare i salvati e a descriverne la sorte celeste (7,4-17). A conclusione di questa contorta narrazio­ ne, Giovanni giunge al settimo sigillo che, di fatto, coincide con la prima tromba e segna l'inizio delle pene medicinali, fino al tempo escatologico. In questa prospettiva i sigilli costituiscono uno sguar­ do d'insieme, in rapporto alle vicende umane; l'Agnello cosl rivela agli uomini alcune costanti storiche negative, ma al contempo li in­ vita a considerare il premio celeste, offerto a quanti saranno rimasti fedeli al suo messaggio.

La rivelazione: testimonianza di Cristo e Spirito di profezia Il sintagma «testimonianza di Gesù Cristo», come si è visto nei capitoli precedenti, assume diversi risvolti cristologici nell'opera. In questo paragrafo vogliamo considerare il rapporto dell'espressione con la rivelazione e la sua trasmissione, attraverso la mediazione profetica. In Ap 1,2 troviamo la prima comparsa del costrutto, nella prima beatitudine del libro: «Beato chi legge e coloro che ascoltano le parole di profezia e custodiscono le cose scritte in questo libro» (1,3). Poiché in diversi contesti dell'opera si ritrova la definizione della rivelazione apocalittica come «parole di profezia» (cf. Ap 1,3; 22,7.10.18.19), si comprende come il veggente si percepisca profeta, sulla scia del medesimo fenomeno nell' AT.20 Giovanni invita così l'assemblea liturgica a prestare ascolto al suo messaggio, che assu­ me il carattere complesso di «rivelazione, parola, testimonianza>>, proprio grazie al suo ministero.21 Il nesso tra testimonianza di Gesù e profezia appare nuovamente nella cornice narrativa della prima visione, dove Giovanni dichiara di trovarsi a Patmos «a causa della parola di Dio e della testimonianza di Gesù». Questa espressione causale designa il ruolo del profeta perseguitato ed esprime anche la consapevolezza del veggente in rapporto al suo ministero. Tale coscienza emerge soprattutto nella visione angelica di Ap 10,11, dove Giovanni deve mangiare il rotolo della parola, cioè interioriz­ zarlo, e solo dopo riceve l'incarico cosmico di profetizzare su «po­ poli, nazioni, lingue e re». Questo rito d'invio è costruito in paralle20 L'espressione «parola del Signore>> (logos kyriou in Os 1,1; Gl 1,1; Ger 1 ,4.11 o rema tou theou parola di Dio in Ger 1,1 ) costituisce una formula stereotipa per parlare di un'esperienza di rivelazione, legata a un profeta. 21 Cf. F. PIAZZOLLA, Le sette beatitudini dell'Apocalisse. Studio esegetico e teologico-biblico, Cittadella, Assisi 2010, 88-91. =

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lo con episodi dell'A'f22 e serve a ribadire il carattere trascendente del servizio profetico. Nel suo ruolo di annunciatore Giovanni non si concepisce isolato, poiché parla spesso di profeti23 che definisce «fratelli» (cf. 19,10; 22,9), come anche critica esponenti di un pro­ fetismo fuorviante, non in linea con il suo ìnsegnamento.24 Il libro non specifica la modalità della profezia giovannea e del circolo a lui legato; dai pochi dati si può desumere che il ruolo profetico del veggente e dei suoi compagni sia connesso con l'interpretazione delle vicende storiche, alla luce della rivelazione.25 Il ministero profetico, quindi, corrisponde a un'azione ordinaria, in seno alle comunità dell'Apocalisse, alla stessa stregua di fenomeni simili in molti contesti protocristiani.26 Nelle pericopi in cui la martyria Jesou ricorre non si trova mai una spiegazione sul senso dell'espressione, tranne che in Ap 19,10b dove Giovanni stesso, a mo' di footnote (nota a piè di pagina) , dice: «La testimonianza di Gesù, infatti, è lo Spirito della profezia».27 L'equiparazione delle due espressioni mostra che l'annuncio relati­ vo a Gesù da parte dei profeti è connesso con l'azione dello Spirito, che supporta il loro messaggio.28 Il costrutto «lo Spirito della pro­ fezia» è un genitivo soggettivo che mostra lo pneuma quale agente operativo nel fenomeno profetico. Dal momento che l'espressione «lo Spirito della profezia» è esplicitazione della precedente frase «testimonianza di Gesù», si comprende che l'azione dello Spirito, in rapporto alla profezia, consiste nel rendere testimonianza a Gesù e alla sua rivelazione. Lo Spirito costituisce l'interprete della

22 In Ez 2,8-3,3 si ritrova lo stesso rito del mangiare il rotolo, che ha un sapore dolce (3,3), ma il suo contenuto è pieno di «lamenti, pianti, guai» (Ez 2,10) . In Ger 15,16 c'è la metafora del mangiare, connessa con l'accoglienza delle parole del Si­ gnore «divorate con avidità>>, ma non si tratta di un mangiare materiale. 23 In alcuni testi si trovano figure indistinte, chiamate «profeti>> (10,7; 16,6; 18,20.24; 22,6.9); anche i �, in ZNW 36(1938), 98-113. RoLOFF J., The Revelation of John: A Continental Commentary, Fortress, Minneapolis 1993. RORDORF W., Der Sonntag: Geschichte des Ruhe- und Gottesdiensttages im iiltesten Christentum, Zwingli, Ziirich 1962. RoYALTY R.M. JR., «The Rhetoric of Revelation», in One hundred Thirty-third Annua/ Meeting November 22-25, 1997 (SBLSP 36), Scholar Press, Atlanta 1997, 596-617. RuooLPH K., Die Mandiier, 2 voli. (FRLANT 56-57), Vandenoeck & Ruprecht, Gottingen 1960. RUDWICK M.J.S. - GR EEN E.M.B. , «The Laodicean Lukewarmness», in Exp Tim 69(1957-58), 176-178. SAFFREY H.D., «Relire l'Apocalypse à Patmos», in RB 92(1975), 385-417. SALDARINI A.J. , The Fathers according to Rabbi Nathan: translat­ ed from the Hebrew (SJLA XI) , Yale University Press, New Haven-London 1975.

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