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Italian Pages 320 [317] Year 2012
I vincoli della natura Magia e stregoneria nel Rinascimento A cura di Germana Ernst e Guido Ciglioni
Carocci editore
@ Frecce
Nella stessa collana : Il linguaggio dei cieli Astri e simboli nel Rinascimento A cura di Germana Ernst e Guido Giglioni
I a edizione, ottobre 2.012.
©copyright
2.012. by Carocci editore S.p.A., Roma
Realizzazione editoriale: Omnibook, Bari Finito di stampare nell'ottobre 2.012. dalle Arti Grafiche Editoriali Srl, Urbino ISBN
978-88-430-6077-1
Riproduzione vietata ai sensi di legge
( art. 171 della legge n aprUe 1941, n. 633 ) Siamo su Internet: http://www.carocci.it
Indice
Introduzione di Gennana Ernst e Guido Ciglioni
Il
Parte prima L'universo magico tra riflessione filosofica e vita quotidiana La magia rinascimentale e le tensioni della prima modernità di Guido Ciglioni « Questa Mente è Dio negli uomin i >> . Presenza dell'ermetismo nella magia neoplaronica di Ficino e di Agrippa di Vittoria Perrone Compagni
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La magia e i poteri dell' immaginazione di Guido Ciglioni Segni, mirabilia e mostri. Joseph Gri.inpeck interprete di un mondo alla deriva del senso
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di}ennijèr Spinks Tra gli scaffali della biblioteca di don Ferrante. Segreti della natura, magia popolare e scienza di Laura Balbiani
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Parte seconda Magia e stregoneria Angeli, demoni, diavoli di Annando Maggi
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Il simulacro illusorio del diavolo
I3S
dijean Céard Sperrri e possessioni di Paolo Lombardi
ISI
Incantare. Musica, magia ed esorcismi di Laurence Wuidar Stregoneria e Inquisizione di Vincenzo Lavenia
I8S
I dubbi sulle streghe di Matteo Duni
2.03
Stregoneria e politica nel Rinascimento. Il "caso" Jean Bodin di Andrea Suggi « Per uno stregone che si vede, se ne veggono dieci m ili a donne » . Caccia alle streghe e questioni d i genere di Michaela valente
2.39
Parte rerza Rappresentazioni di maghi e streghe La magia in scena. Maghi, fare e streghe nel rearro inglese del Rinascimento di Nicholas Holland
2SS
« Ah, certo, lo so ! Ma non sono tutte delle streghe, dentro ? >> . Iconografia della strega i n età moderna di Andrea Meyer-Ludowisy
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Bibliografia Gli autori Indice dei nomi
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Introduzione di Germana Ernst e Guido Giglioni
1. Nell'esaminare il tema della magia in età moderna occorre tener conco di una serie di eventi storici che contribuirono a rendere il dibattito dell'e poca particolarmente acceso. Tra i più significativi, vanno certamente ri cordati il force impacco esercitato dalla Riforma protestante sul modo di concepire il rapporto era natura e soprannatura, la diffusione dei processi di stregoneria con la vasca elaborazione di sapere demonologico e giuri dico ad essi socceso, e in lì ne l' invenzione della scampa, e la conseguente riproducibilicà meccanica dei saperi magici e delle discussioni religiose in tutta Europa. Va inolcre ricordato come era il XY e XYI secolo si fosse ve rificato un effettivo peggioramento delle condizioni meteorologiche, che a sua volta condusse ad una serie di cattivi raccolci, ad un deterioramento delle condizioni di vita e ad un calo delle nascite. Il senso generalizzato di ansia e incertezza che ne derivò contribuì ad alimentare il potente im maginario relativo a un mondo pronto a cadere nelle mani di Satana e dei suoi accoliti. Sullo sfondo di questo contesto storico e materiale, la ricerca riguar dante il posto della magia nella vita e riflessione dei secoli XY-XYII si è interrogata negli ultimi anni, con particolare attenzione, sulla natura di cale espressione culcurale. Pur con cucce le migliori intenzioni storiogralì che e mecodologiche, l' idea di una netta divisione era cultura popolare e cultura dotta in età moderna muove dal presupposto che già all'epoca gli intellettuali vivessero in corri d'avorio più o meno confortevoli. Si tratta di una proiezione poscilluminiscica, di chiara derivazione accademica: è molto spesso il professore universitario dei nostri tempi a sentirsi via via sempre più estraniato dal mondo e ad essere sempre meno coinvolto negli effettivi processi di decisione e trasformazione della realtà. Il mondo della magia in età moderna, nel suo significato più ampio, dal como di lìlosolìa al libro di ricette, si è quindi ottimamente prestato nei passati decenni a rafforzare il copos scoriogralìco della divisione era culcure aulico-elitarie e
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culture nazional-popolari. Si potrebbe perfìno caratterizzare la differenza tra magia erudita e magia popolare facendo riferimento alle parti "alte" e "basse" dell'anima: le facoltà intellettive, da un lato, e quelle concu piscibili, dall'altro. E così, mentre il mago rinascimentale alla John Dee ( 1 5 27-1608) o Cornelio Agrippa di Nettesheim (1486-1535), imbevuto di domine ermetiche e neoplatoniche, mirerebbe a congiungersi a Dio, lo stregone "infame", descritto da Johann Wier ( 1 5 1 5- 1 5 8 8 ) nel suo De prae
stigiis daemonum, et incantationibus, ac veneficiis (Le illusioni dei demoni, gli incantesimi e i venefici), sarebbe tutto intento al soddisfacimento di de sideri sessuali e primari bisogni vitali. Non a caso, nella Tragica! History of Doctor Faustus, il capolavoro di Christopher Marlowe, il protagonista prorompeva nel celebre grido : « Oh, what a world of profìt and delight ! >> ( 1, 52). La distinzione sulle prime sembra plausibile, anzi in un certo senso rispettosa delle differenze: cosa potrebbe essere più diverso da una ricetta per preparare un incantesimo d'amore del livello di sofìsticatezza logica con cui Pietro Pomponazzi ( 1 46 2- 1 5 2 5 ) nel De incantationibus passa in rassegna il mondo delle guarigioni miracolose, delle reliquie taumaturgi che e delle straordinarie apparizioni ? Eppure Pomponazzi proprio quel mondo passa in rassegna, e quel mondo conosce assai bene perché di esso è parte integrante. E non avvertiamo in alcun modo nel suo approccio una scissione tra realtà vissuta e realtà studiata, cosa che lo condurrebbe ad una curiosità meramente antiquaria o antropologica. Non si può certamente negare come vi fossero delle differenze cospicue tra la visione dotta e transnazionale della magia e stregoneria, codificata in testi canonici di demonologia e conoscenze magiche, spesso scritti in latino, e le credenze popolari, di origine locale, trasmesse oralmente di ge nerazione in generazione. Ad accentuare la differenza tra i due universi in tervenne un inasprirsi della tensione tra il controllo delle autorità centrali e le spinte centrifughe e particolaristiche delle regioni periferiche. Sembra però che si possa ormai riconoscere che il sapere delle élites e la cultura po polare non esistessero come universi paralleli, tra loro non comunicanti. Si pensi a quello che è stato chiamato il processo di democratizzazione della magia, messo in moto dalla stampa tramite produzione di testi più o meno autorevoli, nei quali veniva codificato un gran numero di conoscenze ma giche (Davies, 2009 ; Thomas, 1 9 8 5 ) . Si pensi anche alla continua osmosi di informazioni, tecniche e perizie messa in atto dai processi di stregone ria: esperti nei vari campi dello scibile - demonologia, fìlosofìa naturale, medicina e giurisprudenza - vennero chiamati ad esprimere il loro parere
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su casi di possessione diabolica, ma anche a dibattere visioni che permea vano la cultura popolare del tempo, da questioni di cosmologia a teorie riguardanti l'anima, il suo rapporto con il corpo e il suo destino ultrater reno; da conoscenze di nosologia empirica ad importanti aspetti della far macopea tradizionale e terapie alternative. Perfino nei casi di esperti più spregiudicati, come Pietro Pomponazzi, Girolamo Cardano ( I SOI-IS76 ) e Johann Wier, la prudenza interpretativa prevaleva sulla condiscendenza e lo scherno. Un ulteriore aspetto che sembra confermare la natura trasversale del sapere magico rispetto alle culture "alte" e "basse" è il presupposto fonda mentale comune ad entrambi i mondi, secondo cui ogni elemento dell'u niverso è regolato da un'economia vitale, alla quale fanno riferimento tan to i grandi teorici rinascimentali della magia quanto gli effettivi operatori delle conoscenze occulte. Che si abbia a che fare con fenomeni meteoro logici, riproduzione animale e umana, salute fisica e mentale, prolunga mento della vita, processi di nutrizione e crescita, si trana sempre di saper utilizzare e di promuovere la circolazione di vita e conoscenza ali' interno del cosmo. La natura è maga ovunque, dichiara Ficino al termine del De vita, richiamando celebri luoghi di Plo tino (Enneadi, IV, 4, 40 ) e Sine sio (De insomniis, 132D ), e dimostra con un' illustre tradizione di teurgia filosofica l'esistenza di scambi di energia vitale tra il cielo e la terra, e la possibilità (e legittimità) di trame giovamento per usi pratici. Secondo Fi cino, magia è fondamentalmente porsi in sintonia con la vita del cosmo e impregnarsi dei suoi doni celesti. In questo modo sostiene la teoria dell'a nimazione universale del cosmo su basi tanto filosofiche (richiamandosi al neoplatonismo) quanto astrologico-ermetiche (riferendosi a Picatrix, celebre testo di magia pratica talismanica, dalla forte caratterizzazione alchemico-astrologica) e richiamando altri scritti di astrologia araba (Pin gree, 1 980, 1 9 8 7 ) . In questa visione della natura, l'astrologia diventa una disciplina cruciale in quanto fornisce una comprensione vitale della real tà e contribuisce in maniera determinante allo sviluppo delle conoscenze mediche. Ciò è particolarmente evidente nel libro III del De vita, dove Ficino delinea un'anatomo-fisiologia del corpo umano e del corpo dell'u niverso su base astrologica, in cui i temperamenti specifici di organi e parti del corpo corrispondono ai temperamenti dei pianeti. La terapia consiste in un delicatissimo bilanciamento delle opposte influenze astrali. Ficino è ben consapevole che il suo modello esplicativo tocca più ambiti - medici na ufficiale, ortodossia religiosa e filosofia delle scuole, ma anche empiria
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popolare e prassi astrologica - e che così facendo rischia di arrogarsi com petenze che non gli pertengono. Di conseguenza, si sforza in ogni modo di presentare il suo progetto di medicina astrale come un tentativo volto ad assorbire e accumulare la vita dai pianeti, senza per questo incorrere in procedure e pratiche che possano entrare in conflitto con i principi della Chiesa: « Non temiamo nulla di proibito dalla santa religione » (Ficino, Sulla vita, p. 215). Lungi dall 'essere un puro fenomeno intellettuale ristretto a fìlosofì, medici, teologi e giuristi insoddisfatti delle spiegazioni fornite dal sa pere tradizionale e desiderosi di risolvere i conflitti creati dalle dispute religiose, la magia in tutte le sue forme riguardava quindi la realtà ( vis suta e riflessa, quotidiana e anomala), andando da modalità di ascetismo teurgico, volto al raggiungimento del sublime intelligibile, alle credenze nelle fondamentali ricorrenze e corrispondenze nei ritmi vitali sottesi ai processi naturali. Da questo punto di vista, la comprensione della com plessità ontologica ed epistemica del fenomeno magico in età moderna richiede una particolare attenzione rivolta ai vari livelli di realtà e sapere e un'apertura ai domini del possibile e del paradossale : efferati crimini contro bambini, distruzione di bestiame e raccolti attraverso lo scate namemo di pestilenze e tempeste di grandine, trasmissione di malattie, sterilità e impotenza maschile, congiungimenti carnali con il demonio, possessioni, profanazioni di ostie, donne a cavalcioni di scope volanti, ma anche galli che mettono in fuga leoni, sostanze capaci di penetrare la ma teria e anime dei defunti che ritornano a conversare con i vivi. Si tratta di fenomeni che godono tutti di credibilità e realtà, un tipo di realtà nella produzione della quale l ' immaginazione gioca un ruolo fondamentale, intendendo per immaginazione non solo la facoltà della combinazione e manipolazione delle rappresentazioni sensibili, ma anche e soprattutto il sostrato naturale delle credenze, il loro humus, per così dire. In questo senso, l' immaginazione è tanto popolare quanto intellettuale, individua le e collettiva. In termini più propriamente storiografìci, si è verificato ne gli ultimi anni un passaggio da un approccio basato sull 'esame delle realtà "immaginarie" (ritenute essere state prodotte da credule comunità - in gran parte rurali - in preda a superstizioni irrazionali) ad una tendenza maggiormente interessata allo studio delle realtà "immaginate" (elabora te da determinate società nel loro insieme, indipendentemente dai loro livelli di sapere) (Ankarloo, Henningsen, 1 9 9 3; Bever, w o 8 ; Osding, w u ) . L' interpretazione e l'uso del processo magico-divinatorio, il sorti-
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legium - inteso d i volta i n volca come fenomeno d i previsione e profezia, diretto ora ad effetti benefici, ora a provocare danni - presuppongono livelli di realtà e sapere che variano a seconda dei personaggi implicati nella vicenda, dal professore universitario alla guaritrice del villaggio, dal prete di campagna all ' illustre demonologo. È però sempre l' immagina zione collettiva a collegare le varie storie di cui essi sono i protagonisti. Nei processi di stregoneria, ad esempio, nelle accuse e nelle confessioni, le credenze popolari interagiscono con i principi dell'ortodossia religiosa, visioni cosmologiche primitivamente animistiche su base rurale e intrise di residui di paganesimo si adattano alle più sofisticate teorie filosofiche riguardanti il concetto di animazione universale, la perizia nel preparare incantesimi trasmessi oralmente di generazione in generazione entra in contatto con quella particolare sezione della materia medica che aveva a che fare con le qualità occulce.
2. Tra gli aspetti più "elitari" della cultura magica d'età moderna vi è cer tamente l'attenzione tipicamente umanistica al recupero e al restauro fi lologico dei testi canonici dell'antichità. L' interesse rinascimentale per le grandi correnti magiche del passato rientra nel più generale programma di ritorno alle fonti originarie del sapere. La ripresa della tradizione classica non è comunque limitata ai testi dell'antichità greco-romana, ma com prende anche la riscoperta di fonti ebraiche, arabe e cristiane. Ficino, Gio vanni Pico della Mirandola (1463-1494), Francesco Giorgi (1466-1540), Johann Reuchlin (1 455-1522), Agrippa, Guillaume Poste! (1SI0- 1 5 8 1 ) consi derano l 'originaria unità della rivelazione giudaico-cristiana strettamente legata alla persistenza di motivi sapienziali caldaici, egizi e persiani. A ciò va aggiunta la diffusione di varie correnti ermetiche nella prima età moder na, tra cui le principali sono l'ermetismo placonizzante di stampo ficiniano e quello medico-alchemico, dalle forti influenze paracelsiane, sviluppatosi a nord delle Alpi. A differenza di quella ebraica e cristiana, la rivelazione del mitico Ermete Trismegisto - identificato con il dio egizio Thoth e rite nuto il depositario di un'originaria sapienza egizia, in seguito trasmessa a Mosè e Platone - si presenta come avvolca nel segreto ed è riservata a pochi saggi, resisi disponibili ad essere illuminati dalla verità attraverso un lungo e laborioso processo di iniziazione. In questa visione i geroglifici hanno un ruolo fondazionale in quanto rappresentano un modo in cui la conoscenza si fa realcà visibile trascendendo le mediazioni e convenzioni dei linguaggi umani (Curran, 2007, pp. 177-87, 227-43; Ebeling, 2007).
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Attraverso il recupero umanistico della tradizione ermetica e neoplato nica, la magia diventa un soggetto di studio particolarmente attraente per il filosofo rinascimentale. Si scopre che il problema del senso e dell'effica cia dei rituali magici, e, da un punto di vista più propriamente filosofico, la questione se disciplina, iniziazione e purificazione possano in qualche modo contribuire al progresso della consapevolezza filosofica, erano in realtà già stati esaminati nella tarda antichità, in un'epoca di serrato con fronto tra culti religiosi e scuole filosofiche. Già Platone, del resto, aveva caratterizzato nel Fedro una delle quattro forme di furore divino come appartenente alla sfera dei misteri religiosi, ovvero cerimonie e sacrifici (265B). Documento particolarmente importante per questa discussio ne risulta essere la Lettera ad Anebo di Porfirio - ricostruita per la prima volta da Thomas Gale nel 1 678 attraverso citazioni sparse nelle opere di Agostino, Eusebio, Teodoreto e Cirillo -, ma la cui trama era chiaramente delineata nel De mysteriis Aegyptiorum di Giamblico, opera che si presen tava appunto come una risposta dettagliata ai dubbi avanzati da Porfirio nella sua lettera (Sodano, 1958). Nella Philosophia ex oraculis haurienda, Porfirio aveva inoltre avanzato il progetto di una filosofia oracolare, in cui l'attività speculativa veniva descritta come un percorso privilegiato per la salvezza dell'anima e il raggiungimento di un rapporto immediato con la divinità. Il già citato De mysteriis, parafrasato da Ficino alla fine degli anni ottanta del Quattrocento, presentava una visione del mondo in cui le nozioni di ierofania e catarsi venivano legittimate da un punto di vista filosofico, e si assegnava un ruolo chiave alla teurgia e alla divinazione per il raggiungimento della realtà intelligibile. Teorizzando il concetto di re ligione filosofica (o filosofia religiosa), volta a purificare la mente dal con tagio del corpo e dei sensi, i platonici postplotiniani da Porfirio a Psello, così come vennero recepiti da Ficino e Pico, dischiudevano la possibilità filosofica per l'uomo di attingere uno stato di divinizzazione (deificatio) (Celenza, 2002). Dottrine e pratiche teurgiche ponevano l'accento sulla questione, assai delicata all'epoca, di come distinguere tra fenomeni naturali e sopranna turali, tra realtà e apparenza. Per Ficino la realtà dei sensi era caratterizzata da un tipo di chiarezza e familiarità solo apparente, la quale nascondeva invece un'opacità di fondo nei confronti della mente : « ogni realtà cor porea, che per te è facilmente sensibile, in quanto adeguata ai tuoi sensi, è piuttosto densa e di una natura alquanto lontana dall'anima, che è divinis sima » (Ficino, Sulla vita, p. 197). Ficino poteva aver tratto il forte senso
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di caducità e mortalità che pervade gran parte della sua opera dalle lettu re platonico-ermetiche, in cui immagine, apparenza e generazione sono strettamente connesse tra loro. Nel Corpus Henneticurn (Y, 1 ) , ad esem pio, la rappresentazione sensibile veniva caratterizzata come « propria di tutti gli esseri generati; nascere infatti non è altro che apparire ai sensi » ( Hermes Trismegistus, Discorsi, p. 34). Un senso di profonda inquietudi ne per il labile confine che sembrava separare la realtà dall 'apparenza è certamente il fattore che più di ogni alrro animava i culrori di conoscenze magico-esoteriche, dai teorici della magia ai praticanti e vittime delle arti occulre. Nei Medicinaliurn libri septern (1635), scrivendo a proposito della questione degli "incubi" e connessi casi di possessione diabolica riferiti da un gran numero di donne, Campanella esortava a non considerare questi fenomeni come « immaginazioni di credule vecchiette >> , ma ad esaminar li piuttosto come il frutto di « esperienze condotte da filosofi che vi hanno dedicato tempo e hanno proceduto con cautela >> , così da poter in qualche modo penetrare il mistero del rapporto tra apparenza e realrà ( Campanel la, Medicinaliurn libri, p. 352). Uno dei maggiori contributi di natura intellettuale apportati dall'er metismo e dalla magia rinascimentali alla riflessione filosofica dell'epoca riguardava proprio la straordinaria espansione dei limiti del possibile. Pomponazzi osservava come Aristotele, a differenza di Platone, non avesse dedicato attenzione ai caratteristici problemi del sapere magico - la realtà dei fenomeni soprannaturali, l'esistenza dei demoni e forme di intervento divino - ma avesse tuttavia fornito dei potenti strumenti logico-metafisici attraverso cui esaminare la questione. L'atteggiamento di Pomponazzi è quello di immaginare speculativamente cosa avrebbe pensato Aristotele a proposito di demoni e rnirabilia (De incantationibus, p. 17 ) . Si veniva in tal modo a delineare un approccio fortemente razionalistico al tema della magia, interessato a spiegare come fosse possibile una gamma vastissima di effetti preternaturali, piuttosto che accertare se tali effetti esistessero o meno. Filosofi della natura come Cardano, Giovan Battista Della Porta ( ca. I S 3 S- I 6 1 S ) e Francis Bacon (1561-1 626) avrebbero condotto questo ap proccio alle estreme conseguenze, sottoponendo ad esame sperimentale i fenomeni più bizzarri della natura. Non c 'è dubbio che, quando si affronta il tema della magia in età moderna, si rimane quasi storditi dalla gran va rietà di argomenti e questioni e da come essi riuscissero a influenzare i più disparati campi della cultura del tempo. Il concetto di somiglianza natu rale, in base al quale si instaurano corrispondenze tra forme della natura,
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rappresentazioni mentali e linguaggi, costituisce il fondamento del sapere e dell 'operare magico. La nozione di patibilità e reattività della materia, con la connessa idea di un sostrato materiale illimitatamente estendibile e contraibile (una materia per così dire "spirituale"), rappresenta la condi zione di possibilità delle innumerevoli trasformazioni e metamorfosi a cui la natura sembra andare incontro quando si allentano i vincoli strutturali di sessi, specie e generi. L'attenzione rivolta ai sensi e alla conoscenza sen sibile contribuisce in qualche modo a "salvare" le apparenze del mondo visibile, anche quelle meno plausibili. La concezione della realtà come do minio instabile, costantemente esposto a rappresentazioni e illusioni, astu zie e adescamenti - esche che possono essere state predisposte da principi intelligibili al di là del mondo sensibile tanto quanto da potenze demoni che immanenti alla natura - è strettamente connessa alla logica oscura del desiderio in tutte le sue forme, dall 'amore per l ' idea disincarnata al soddi sfacimento degli appetiti materiali, dal fascino per il potere della ragione alla ricerca del profitto economico.
3· Il complesso rapporto tra immaginazione (degli individui e delle co munità), stregoneria e realtà è particolarmente evidente tutte le volte in cui la magia entra in conflitto con la religione. Tra il XYI e il XYII secolo, un gran numero di pratiche religiose andarono incontro ad un profondo riesame, in campo tanto cattolico quanto protestante, diretto ad esercitare un maggior controllo e disciplina sui fedeli, depurare il culto da quelle che venivano viste come forme di superstizione e blasfemia, e soprattutto de finire con chiarezza i confini tra i domini del sacro e profano, del naturale e soprannaturale. I maggiori attriti tra magia e religione si verificarono so prattutto nelle sfere della divinazione, guarigioni, esorcismi, visioni profe tiche, poteri carismatici e richieste di intercessione rivolte direttamente ad angeli e santi. Più di ogni altro, fu il dominio dei rituali e della precettistica a sollevare i contrasti più forti tra clero e guaritori, teologi e incantatori. Si cercò in tutti i modi di restringere l'accesso al mondo soprannaturale e all ' intelletto come potenza sovralunare e trascendente ogniqualvolta un tale accesso fosse avvenuto senza la mediazione delle autorità ecclesiasti che e degli interpreti della noetica aristotelico-platonica (Davies, 2009; Jacobson Schutte, 2002; Niccoli, 1998; Seitz, 201 1; Zambelli, 2010). Basti solo pensare, per fare un esempio, all'uso della Bibbia come talismano e risorsa magica, i cui salmi potevano essere impiegati quali rimedi tanto per disturbi fisici che spirituali, o alla ricchissima letteratura in latino e volgare
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su demoni, diavoli, spiriti familiari e tutelari, angeli, folletti, fate, fantasmi, spiriti e veicoli aerei. Per alcuni, fossero essi "dotti" o "ignoranti': non c 'e ra alcun dubbio che l'ascesa a Dio potesse essere facilitata da conoscenze magiche, come anche Bruno ricordava nello Spaccio de la bestia trionjànte: « Gli Egizzi (come sanno i sapienti) da queste forme naturali esteriori di bestie e piante vive ascendevano e (come mostrano gli !or successi) pene travano alla divinità >> (Bruno, Expulsion, pp. 445-7 ). Dal momento che la magia costituiva una parte integrale del sistema di credenze del mondo della prima età moderna, il grande interesse manife stato per le pratiche magiche durante questo periodo, tanto a livello della vita quotidiana che della speculazione filosofica, non poteva dunque che collidere con la sfera della devozione religiosa. Come già detto, magia e religione condividevano un certo numero di elementi: cerimonie, demo ni, trasformazioni miracolose, guarigioni. Soprattutto, magia e religione condividevano un approccio, per così dire, olistico a salute e salvezza. La maggior attrazione esercitata dalla magia sugli intellettuali del tempo di pendeva proprio dal suo presentarsi come una prospettiva universale. La magia in tutte le sue forme offriva l'opportunità di ricomporre le tante fratture e scissioni che sembravano caratterizzare la realtà dell'epoca. In quanto forma di sapere volto a salvare il mondo dei sensi e delle apparen ze sensibili, essa portava in primo piano un cosmo animato fatto di luce, colori, profumi e raggi benefici, e proponeva un'alternativa a visioni in cui la ragione sembrava porsi in aperto contrasto con la realtà materiale. Non pochi autori si industriarono infatti a dimostrare come gli elementi fondamentali del mondo materiale - terra, acqua, aria e fuoco - entravano a comporre i mondi celeste e intellettuale (Agrippa, De occulta philoso phia, p. 103 ) . In uno dei dialoghi del Corpus Hermeticum (xm, 1 9-20 ), testo ben noto ai grandi teorici della magia rinascimentale, nel rivolgere una preghiera (un « sacrificio resoti con parole >> ) all ' intelletto divino (il Logos che rutto avvolge e penetra), Ermete Trismegisto aveva innalzato il suo inno « attraverso il fuoco, arrraverso l'aria, la rerra, l'acqua, il soffio vitale >> (Discorsi, p. 100 ). Anche i demoni e i loro veicoli corporei con fermavano l'esistenza di un continuum di spirito e materia all' interno del cosmo creato. In alcuni autori, come ad esempio Campanella, la magia assurse a vero e proprio fondamento di un progerro di riforma universale a carattere filosofico, politico e religioso (Ernsr, 2002, pp. 99-137 ) . In questo panorama, l'ermetismo esercirò una straordinaria influenza sulla cultura della prima modernità, proprio per il suo costante richiamo alla primor-
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diale unità del divino, dell'umano e del naturale. Sia Ficino che Giovanni Pico esaltarono la figura del sapiente come filosofo e sacerdote allo stesso tempo, capace di riunire in sé i principi della più antica saggezza umana e divina, la pia philosophia ( Vaso li, 2010 ) . Nel campo degli studi relativi all'ermetismo rinascimentale, la vec chia distinzione tra un ermetismo teologico-metafisico e uno magico alchemico-astrologico non è più accettabile. Gli scritti che si ritengono oggi far parte della letteratura ermetica comprendono i diciassette trattati del Corpus Herrneticum, l'Asclepius, una serie di frammenti, tra cui quelli contenuti nell ' Anthologium di Sto beo, due testi rispettivamente in lingua copta e armena (L'Ogdoade e l'Enneade, e Le definizioni di Ermete Trisme gisto ad Asclepio), il Liber XXIV philosophorum e il De sex rerum principiis, composti in latino con tutta probabilità nel XII secolo, oltre a vari trattati di natura alchemica e astrologica, originariamente greci e arabi, tradotti poi in latino a partire dalla fine dell'xi secolo ( Ebeling, 2007; Festugière, 1 9 50, 1991; Fowden, 1986; Gilly, Van Heertum, 2002; Lucentini, 2007; Moreschini, 2000; Parri, 2005; Perrone Compagni, 2003, 2010; sempre di V. Perrone Compagni cfr. infra, il contributo alle pp. 47-62). La ma gia ermetica, incentrata sull' idea di potenza operativa e sull'uomo come secondo creatore, con i suggestivi richiami alla tecnica di animazione del le statue e alla creazione di talismani e immagini astrologiche, sembrava capace di combinare le forme più astratte di ascesi spirituale con radicali interventi nel mondo della vita attiva. Come scrive Perrone Compagni, la magia ermetica si presentava come « Una magia sovversiva, non rivelata, non mediata da angeli o apparizioni misteriose, ma fondata sulla ragione e sulla memoria - doni divini al genere umano, che lo rendono capace di assimilarsi a Dio >> , ed il fine era « una contemplazione che si fa anche cura del mondo - che non solo plasma l'ambiente naturale e tutela il benesse re degli individui e la stabilità degli aggregati civili mediante il progresso tecnico e culturale, ma anche incrementa la presenza del divino nel mon do>> ( Perrone Compagni, 2010, pp. 1 6 5 , 173). Inevitabilmente, l'anelito verso una comprensione totalizzante del co smo si traduceva in un'ambiguità di fondo. Nei testi ermetici, l' intelletto, visto come la chiave di volta di ogni ascesa e trasformazione, poteva assu mere un gran numero di significati: Dio, uomo, demone e anima del mon do, per !imitarci alle principali figure che il principio intellettivo assumeva all' interno del cosmo pieno di vita. In un'epoca percorsa da tendenze scet tiche a tutti i livelli, in cui il legame che unisce la realtà e i suoi fondamenti
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antologici al mondo dei fenomeni e delle rappresentazioni sembrava far si sempre più labile e problematico, il dibattito sulla natura della pratica magica, sul suo effettivo incidere sulla realtà ( naturale e sociale ) , sul suo rapporto con la religione e la stregoneria rappresenta storicamente un mo mento di straordinaria presa di coscienza, tanto a livello filosofico che teo logico. Non a caso, Bacon avrebbe collegato magia, stregoneria ed eresia come espressioni di un generale disagio dell' immaginazione ( Works, l , pp. 6 o 8-9; I I , p. 6 s 8, III, p. 490 ). In una situazione in cui la realtà era divenuta particolarmente opaca per tutti, si richiedevano nuovi mezzi - cognitivi e pratici - per mettere alla prova comuni assunti, scoprire nuove dimensioni o anche solo riconfermare le vecchie certezze (Clark, 2007 ) Per più di un secolo, la magia e l'osservazione attenta e accurata delle pratiche di strego neria sembrarono poter offrire delle risorse interpretati ve e concettuali per ripensare in maniera più aggiornata i rapporti tra realtà e rappresentazio ne, credenza e dubbio, verità e finzione. Il grande ritorno della metafisica platonica nell 'Occidente europeo, già in atto ben prima dell 'operazione ficiniana ( Siniossoglou, 2011, pp. I-4s), coincide con questo bisogno di confermare l 'esistenza di strutture stabili dell'essere. La tesi condivisa da filosofi, maghi e fattucchieri, secondo cui le apparenze sensibili si modellerebbero sugli archetipi divini ( tesi definita come ideatio in linguaggio elevato, e "simpatia", in termini meno erudi ti ) , presuppone che la realtà materiale rispecchi in qualche modo quella ideale. Si tratta di una visione della realtà strutturata in base a una precisa corrispondenza tra pensiero, realtà e linguaggio, dalle forti implicazioni teologiche, visione che sarebbe stata lentamente smantellata nel corso dei secoli XVI I e XVIII. In virtù del concetto di ideatio come legame tra mondo visibile e mondo intelligibile - legame che tiene unito l'universo in virtù di una somiglianza naturale e originaria tra idea e ideatum -, il mondo ma gico della prima modernità, nonostante la bizzarria e l' inverosimiglianza di molte delle sue credenze, può per questo dirsi più vicino al senso comu ne di quanto non lo sarebbe stato il nascente mondo meccanizzato della nuova scienza e dei nuovi sistemi filosofici, con paradossi e controsensi di ben altra portata antologica. .
4- La connessione tra idee divine, specie naturali, forme matematiche e linguaggi umani è il fondamento dell'azione magica. In questa serie di corrispondenze, l'anello debole è costituito dal linguaggio, come già ben riconosciuto da Agostino nel De doctrina Christiana ( II, 89-9s). Mentre
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il parallelismo tra forme sensibili e idee archetipe sembra si possa salva guardare invocando la naturalità dell'analogia, nel caso dei linguaggi umani, a parte l'onomatopea, il processo di corrispondenza con la realtà viene fatto dipendere dall' istituzione di precise convenzioni simboliche. L'elaborazione di codici, spesso richiesti dalla stessa natura esoterica del sapere magico, presuppone allora l'esistenza di menti capaci di leggere e comprendere i significati trasmessi dai simboli. La pericolosità dei segni arbitrari - dalle parole alle formule - deriva dal fatto che essi favoriscono l' intromissione di potenze demoniche, non importa se l'utente del codice lo voglia o meno, o ne sia o meno al corrente. Quando Pomponazzi discu te la questione se parole o caratteri possano convogliare speciali poteri dai corpi celesti, la sua risposta è negativa in quanto gli intelletti demonici non possono per lui tradurre i significati veicolati da segni particolari, storica mente determinati e contingenti (Pomponazzi, De incantationibus, pp. 4. 40-1, S I ) . Ciò è coerente con la sua visione delle menti celesti come recet tori impersonali capaci di intuire significati universali indipendentemente dalle particolarità e contingenze dell'esperienza sensibile, non costretti a volere e liberi dalle traversie argomentative della ragione discorsiva. Tut tavia, un gran numero di filosofi e teologi rigettano la posizione di Pom ponazzi in quanto i demoni sembrano in realtà capaci di leggere formule, ascoltare invocazioni e soprattutto scegliere di rispondere e intervenire ogniqualvolta vengano provocati dai segni del mondo linguistico umano. Johannes Trithemius (1462- I S 1 6 ) e Agrippa non escludono affatto che l 'e laborazione di codici e linguaggi artificiali possa facilitare la comunicazio ne con ogni sorta di demoni (Zambelli, 2003). Nella prima età moderna, la sfera del demonico viene studiata con par ticolare curiosità e diligenza. Si guarda ai demoni come a potenze divi ne impersonali, entità intermedie tra le regioni del soprannaturale e del naturale, principi dell' inganno in quanto sofisti, illusionisti e menti tori. In particolare, in conseguenza della rinascita platonica, si afferma con decisione la visione del demone quale veicolo di energia nel processo di distribuzione di vita e conoscenza che percorre ogni parte dell'universo. Vi è un rapporto strettissimo, quasi naturale, tra il linguaggio (visto tanto come vettore di simboli che materia dei suoni musicali), la costituzione pneumatica del demone e l'aria, rapporto teorizzato già da Proclo nel suo commento al Crati/o di Platone (Cuniberto, 2002; Timotin, 201 2). Tut tavia, sull' idea del demone quale espressione di una dimensione nascosta e profonda della vita del cosmo prevale quella del diavolo come angelo
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caduto e strumento del male, tutto preso dal suo tentativo caparbio e invi dioso di precipitare l'uomo nell'abisso del peccato. In una situazione per cepita in termini di generale promiscuità tra spiriti tutelari, geni e creature demoniche di ogni sorta, uno dei timori ampiamente diffusi riguardo a possibili presenze demoniche nella vita degli esseri umani concerne la sup posta facilità con cui tali presenze possono insinuarsi nella realtà naturale e sociale. L'arruolamento di spiriti familiari - attività che ad alcuni, come ad esempio Cardano, può apparire del tutto naturale è invece esposta a rischi necromantici di non poco rilievo (Giglioni, 2010d). Già a metà del Cinquecento, la fiducia ottimistica con cui Ficino poteva immaginare una condizione di familiarità tra spiriti e umani - « cercherai innanzi tutto che questo spirito penetri in te » (Sulla vita, p. 1 9 9 ) - è ampia mente venuta meno. In un clima di ansia diffusa riguardo al destino del mondo, accentuato dal nesso ritenuto sempre più stretto tra stregoneria ed eresia, il demonico inteso come il non-umano per eccellenza diventa parte integrante delle varie tendenze a "demonizzare" il nemico, comin ciando dalla demonizzazione delle divinità pagane (Warburg, 1 9 9 9 ) . La minaccia di una congiura diabolica di proporzioni cosmiche viene presto associata alla diffusione della stregoneria e di sette eretiche quali i valdesi e gli anabattisti (Waite, 2007 ). L' idea di una grande trama eversiva messa in opera da Satana, sviluppatasi a partire dal concetto tardo-medievale di eresia, si rafforza all' inizio dell'età moderna in un momento in cui le gerarchie ecclesiastiche e il potere papale sembrano venir messi in di scussione, e i dissidenti religiosi sono sempre più spesso considerati alla stregua di emissari diabolici. Non è quindi un caso che le frizioni di na tura teologico-politica, che inevitabilmente sono associate al diffondersi della magia, si facciano particolarmente intense nel caso della delicata questione dei demoni. Un tema di grande complessità è quello dell'aggressione e possessione diabolica. I decenni a cavallo tra i secoli XYI e XYII rappresentano l'epo ca d'oro della trattatistica demonologica ed esorcistica. L'Aureus tractatus exorcismique pulcherrimi (1573) di Silvestro Prierio (Silvestro Mazzolini), il Compendio dell'a rte essorcistica (1576), il Flagellum daemonum (1577), il Fustis daemonum (Randello per demoni, 1 5 84) e la Fuga daemonum ( 1 5 9 6 ) , tutti di Girolamo Menghi, i l De morbis veneficis ac veneficiis (Sulle malattie causate per malefizio e sui venefici, 1 5 9 5 ) di Giovanni Battista Codronchi, il Baculus daemonum (Bastone per demoni, 1 6 1 8 ) di Carlo Olivieri, per ci tare solo alcuni esempi di questo rigogliosissimo genere letterario. Fin dai -
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titoli, è evidente come la letteratura strettamente demonologica non esiti a ricorrere alle maniere forti quando si tratta di porre rimedio alla crisi montante della stregoneria. Martelli, fruste, bastoni, randelli, clave : sono titoli che evocano strategie di repressione basate sulla forza fisica piuttosto che su persuasione e argomentazioni. Medici, demonologi e inquisitori si confrontano a proposito delle diverse competenze implicate nel trat tamento dei posseduti, specialmente nei casi in cui non è facile stabilire con chiarezza quali siano i confini che separano sindromi assai simili come l'epilessia, il raptus di follia e la possessione diabolica, aree maldefinite, di incertezza epistemologica e normativa, dove prosperano impostori e fac cendieri, tanto in campo medico che religioso. I rapporti tra esorcismo e medicina sono particolarmente delicati, specialmente per quel che concer ne la somministrazione di rimedi naturali da parte dei medici o il ricorso all ' intercessione dei santi e altre figure istituzionali della Chiesa (primi fra tutti, Cristo e la Madonna) da parte degli esorcisti. In questo clima di dif fidenza e sospetti reciproci, veniva anche ad acutizzarsi il contrasto tra for me "basse" di esorcismo, rivolte al trattamento di malefizi e fattucchierie, e forme elevate, dirette ad espellere i demoni dal corpo dei posseduti. Non a caso, con il suo Rituale romano del 1 6 1 4, Paolo Y era dovuto intervenire a disciplinare una materia divenuta sempre più controversa (Castelli, 2002; Clark, 1 9 9 7; Maggi, 2001, 2006; Romeo, 1990). S · Uno dei problemi più complessi nell 'affrontare la questione della ma gia nel Rinascimento, come si vedrà nei saggi che seguono, è di natura squisitamente storiografica, e dipende dal modo in cui si sono formate e quindi stabilite le tradizioni di storia della filosofia, storia della scienza e storia delle religioni. Rispetto al primo punto, va detto che la rivalu tazione dei meriti speculativi del pensiero tardo-antico, a parte il breve interludio rinascimentale, è acquisizione relativamente recente. Nel caso della storia della scienza, è bene ricordare come il dibattito relativo alla questione del rapporto tra magia e rivoluzione scientifica sia stato soffer tissimo e assai drammatico, e continua ad essere esposto a banalizzazioni cripto-positiviste. Quanto alla storia delle religioni, non c 'è dubbio che il cristianesimo abbia fin dali' inizio assunto un ruolo egemone rispetto a tradizioni alternative. La questione della magia nel Rinascimento - pro prio per l'accento posto sulla riscoperta del pensiero tardo-antico, per l'attenzione rivolta a saperi alternativi, tanto popolari che eruditi, e per la discussione del valore dei rituali, in tutte le loro forme : teurgici, liturgici
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e sociali - ebbe un ruolo cruciale nel dar forma alla cultura della prima modernità. Avvertenza. Le indicazioni bibliografiche relative agli studi sono state unificate nella Bibliografia finale; quelle relative alle fonti dei singoli contributi sono collocate in calce ad ogni capitolo.
Fonti di riferimento AGRIPPA ENRICO CORNELIO, De occulta philosophia libri tres, a cura di V. Perrone Compagni, Brill, Leiden-New York-Koln 199L
BACON FRANCIS, Works, ed. by J. Spedding, R. L. Ellis, D. D. Heath, 1 4 voll., Longman, London 1 857-74 (rist. anast. Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 196>; Cambridge University Press, Cambridge wu). BRUNO GIORDANO, Expulsion de la béte triomphante, éd. par G. Aquilecchia, Les Belles Lemes, Paris 1999. CAMPANELLA TOMMASO, Medicinalium juxta propria principia libri septem, Jean Pillehotte, Lugduni 1 635. FICINO MARSILIO, Sulla vita, a cura di A. Tarabochia Canavero, Rusconi, Milano 1995· H ERMES TRISMEGISTUS, Discorsi. Corpo ermetico e Asclepio, a cura di B. M. Tordini Portogalli, Editori Associati, Milano 1991. POMPONAZZI PIETRO, De incantationibus, a cura di V. Perrone Compagni, Olschki, Firenze 2011.
Parte prima L'universo magico tra riflessione filosofica e vita quotidiana
La magia rinascimentale e le tensioni della prima modernità di Guido Giglioni
Il ruolo dei riti magici nell'universale economia della vita e conoscenza
Nel De vita coelitus comparanda (Come procurarsi vita dal cielo), terza parte del De vita libri tres ( 1489 ) , Marsilio Ficino (1433-1499) sottolinea la stretta connessione tra pratiche magiche di varia natura e il concetto neoplaconico di una corrispondenza strutturale tra mondo sublunare e mondo celeste. Il punto cruciale della magia è la possibilità di attrarre energia e conoscenza dalle potenze incorporee, in alcuni casi perfino dalla divinità ( «le cose so pracelesti » ) . Si tratta della « credenza magica » in base alla quale per mezzo delle cose inferiori, conformi, si capisce, a quelle superiori, le cose cele sti possono essere in un certo modo, nei tempi opportuni, tratte presso gli uomi ni; ed anche per mezzo delle cose celesti possono essere condotte a noi e forse fatte penetrare in noi le cose sopracelesti (Ficino, Sulla vita, p. 242).
Ficino fa qui riferimento alla possibilità di interpretare una certa letteratura ermetica e neoplatonica della tarda antichità come una forma di filosofia pratica, volta a trovare dei modi adeguati di attrarre la vita dal cielo, e quin di convogliarla e serrarla in oggetti opportunamente predisposti, seguendo precise istruzioni e facendo attenzione a circostanze e tempi opportuni ( ivi, p. 291). Appoggiandosi all'autorità di Ermete Trismegisto, Platino, Partì rio, Giamblico, Sinesio e Proda, Ficino dimostra come la questione non sia quella di sedurre demoni o piegare la volontà divina, ma di agire sull'uni versale circolazione di energia celeste ali' interno del cosmo. Il vero mago, argomenta Ficino, non traffica con demoni o, peggio ancora, indulge nella credenza superstiziosa di poter manipolare la volontà divina, ma contribui sce a diffondere « una certa vita o qualcosa di vitale che proviene dall'anima del mondo e dall'anima delle sfere e delle stelle, o anche un cerco movi-
I VINCOLI DELLA NATURA mento e quasi una presenza virale che proviene dai demoni>> (ivi, p. 292). In virrù della connessione che lega le forme degli enti narurali alle ragioni seminali e, arrraverso quesre, all'anima del mondo, e quindi alle idee divine, l'uomo può arrivare a richiamare doni celesri dalle sfere più elevare dell'es sere. Il punto centrale della quesrione è che rali doni rimangano appunto dei "doni". «E quesro è anche quello che approva Giamblico, là dove rrarra dei sacrifici » (ivi, p. 294). In realrà, Ficino propone qui una soluzione assai meno forre risperro alla posizione sosrenura da Giamblico nel De myste riis Aegyptiorum. In quell'opera, Giamblico aveva chiaramente posrularo la fondamentale ragionevolezza della prosperriva reurgica come base per una filosofia aperra all' intellerro divino. Occorreva cioè pensare il mondo visibile e crearo come lambiro incessantemente dalla forza vivificante del mondo divino per permerrere la comunicazione rra i due universi: Non vedo in qual modo le cose di quaggiù sono create e specificate, se nessuna divina attività creativa e nessuna partecipazione delle idee divine si stendono per tutto il corpo. Ma questa opinione, mettendo fuori della terra la presenza degli es seri superiori, è totale abolizione del sacro culto e della comunione teurgica degli dei con gli uomini (Giamblico, Misteri, p. 75).
Giamblico pareva concludere che « né gli dei sono cosrrerri in cerre parri del cosmo, né la rerra è privara di essi » (ibid.). Dara l'esrrema delicarezza della quesrione riguardante il modo di srabilire connessioni rra cose rer rene, celesri e sopracelesri, quesrione assai complessa ramo dal punto di visra filosofico quanto reologico, Ficino si era premuraro di aggiungere subiro la clausola: « Ma quesr'ulrima cosa la vedano loro >> (Sulla vita, p. 242). Come può ciò che è superiore accondiscere alle richiesre di ciò che è inferiore ? O, derro in modo forse un po' più brucale, come può ciò che è inferiore piegare la volontà di ciò che è superiore ? Giocare d'asruzia non può cerro dirsi un segno di devozione religiosa. Non c'è dubbio che srabilire un contarro, possibilmente direrro, con la divinirà rimane uno degli obierrivi più nobili del mago. La posizione di Ficino, va derro, rimaneva equilibrara: l'uomo saggio e pio si rende disponi bile all'azione dei corpi celesri. Egli scrura il cielo e comprende quando esso sia propizio al nosrro benessere e ai nosrri affari, senza intervenire in modo direrro e violento, o usando srraragemmi che alla fine, in virrù della con nessione intelligibile del rurro, non possono che rivelarsi degli espedienti meschini e di breve respiro (ivi, p. 279 ). Non si può rrasformare il rapporro rra uomini e dèi in una forma di mercimonio, in cui per di più le regole del
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gioco non sempre vengono risperrate. Riportando i n vita, con l a sua para frasi dei misteri giamblichei (e sopratrurro dopo aver approfondito la co noscenza della filosofia plotiniana), la complessa discussione tardo-antica relativa all'efficacia dei riti e alla circolazione universale della vita e della conoscenza del cosmo, Ficino andava al cuore della questione "magia" e la impostava in modo tale che la sua influenza si sarebbe farra sentire nei due secoli a venire. Al di là delle questioni più propriamente tecniche in materia di teurgia (anch'esse comunque di notevole importanza per comprendere la cultura materiale dell'agire magico), Ficino esponeva con estrema lucidi tà e rigore i presupposti filosofici della teoria e pratica della magia. Sulla scorta di Ficino, Giordano Bruno ( 1 s48- 1 6 o o ) rafforzò il nesso speculativo tra rituali magici, religione degli antichi Egizi e filosofia. Nel lo Spaccio de la bestia trionjànte ( 1 s 84 ) , in pagine divenute celebri, Bruno cararrerizzava gli antichi riti egiziani - il « magico e divino culto degli Egi zii >> , rifluito, tramite la mediazione di Mosè, nella cabala ebraica - come un accesso privilegiato alla natura e a Dio, il quale richiedeva da parte degli esseri umani un intenso e sofisticato esercizio meditativo : pensa del Sole nel croco, nel narciso, nell'elitropio, nel gallo, nel leone; cossì pen sar devi di ciascuno de gli Dei per ciascuna de le specie sotto diversi geni de lo ente, perché sicome la divinità descende in certo modo per quanto che si comunica alla natura, cossì alla divinità s'ascende per la natura, cossì per la vita rilucente nelle cose naturali si monta alla vita che soprasiede a quelle (Bruno, Expulsion, p. 415).
Questi « ceremoni>> , Bruno poteva quindi concludere, non erano « vane fantasie >> , ma « vive voci >> . Soprattutto non erano espressioni di un lin guaggio convenzionale ( « voci d' idioma che !or [gli dèi] sappiano fenge re >> ) - linguaggio che, come già chiaramente ammonito da Agostino, po teva facilmente essere manipolato dai demoni - ma segni universali perché naturali ( « voci di naturali effetti >> ). Gli antichi riti erano per Bruno una prova che la magia, come originario nesso di ragione e natura, istituiva un rapporto privilegiato tra gli uomini e gli dèi. Non solo. Bruno contrappo neva polemicamente i « magici e divini riti >> della saggezza egizia ai «pazzi riti >> delle contemporanee serre cristiane, che cercavano la divinità « ne gli escrementi di cose morte ed inanimate >> (ivi, p. 417 ) Nella sua discussione del significato dei riti dell'antichità egizia, Bruno non dava mostra di alcun arreggiamento condiscendente nei confronti della religione del passato. Al contrario, egli sottolineava come i loro cultori fossero stati perferramente consapevoli dello scarto esistente tra simboli e realtà da essi significata, e .
I YINCOLI DELLA NATURA proprio per questo sapevano usare la potenza rappresentativa dei segni. Nel venerare uomini e animali, essi veneravano il principio immanente nella realtà del cosmo, la « magica et efficacissima raggione >> (ivi, p. 419 ). Citan do direttamente dall'Asclepius, Bruno guardava con nostalgia alla religione magica degli Egizi (la « religion della mente >> ), in un contesto dominato da «la vecchiaia et il disordine e la irreligione del mondo >> , in cui la divinità abbandonava il mondo « remigrando al cielo >> (ivi, pp. 429-3 1 ) . L'apporto dell'ermetismo alla definizione della magia rinascimentale è innegabile. Un gran numero di temi, che percorrono da un capo all 'altro i dialoghi del corpus ermetico, rifluirono nella vulgata magica del X\"1 seco lo, anche grazie alla traduzione ficiniana dei dialoghi ermetici, completata nel 1463. Qui si delineavano i principi di una filosofia al tempo stesso con templativa e operativa: la centralità dei processi di creazione, procreazione e generazione nell 'ambito della vita dell 'universo; l'uomo come contem platore della perfezione divina e signore del creato, esso stesso in possesso di estesi poteri creativi; il concetto di cosmo come grande essere vivente e paradigma di bellezza; il rapporto tra intelligibile e sensibile, e il ruolo cruciale delle immagini e dell' immaginazione come mediatrici tra le idee e i corpi; la concezione positiva del cosmo come espressione della volontà divina; la pervasiva presenza di demoni, buoni e cattivi, nella generale or ganizzazione dell'universo ; e soprattutto il nesso tra rigenerazione interio re, ascesa al divino e trasformazione della natura. Il contributo maggiore fu forse quello di presentare il rapporto tra l' intelletto umano, l' intelletto del cosmo e quello divino in termini di teurgia filosofica (YI, s ) : « Una sola è la via che conduce al bello : la pietà unita alla conoscenza >> (Hermes Tris megistus, Discorsi, pp. 43-4).
I presupposti fìlosofìci della magia rinascimentale
Una delle ragioni per cui la questione dell'efficacia dei riti magici veniva percepita all 'epoca come particolarmente delicata riguardava il fatto che ogni discussione relativa alle caratteristiche della magia teurgica portava ad ipotizzare una permeabilità di fondo dei confini tra magia naturale e magia demonica, in quanto si riteneva che la vita e la conoscenza avessero la loro sorgente nell' intelletto divino o in una serie di intelletti supralu nari. Le opinioni riguardo alla natura di un tale intelletto potevano certo variare da posizione a posizione filosofica, ma in generale si trattava di un
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principio di vita e conoscenza sulla cui esistenza e causalità potevano con cordare aristotelici e platonici, averroisti e avicenniani, ermetici e stoici. Il tema della comunicazione con gli intelletti dell 'universo e con il principio divino da essi veicolato rappresenta uno dei presupposti fondamentali del le speculazioni magico-naturali nella prima età moderna. Ritroviamo in esso la già menzionata « magica ed efficacissima raggione » di cui parlava Bruno nello Spaccio de la bestia trionjànte. In queste pagine, nei limiti consentiti dallo spazio di un capitolo, si esa mineranno alcuni di tali presupposti: la tesi dell'animazione universale, il principio della corrispondenza analogica tra le varie sfere dell'essere, il con cetto di materia spirituale, la nozione di una fisica astrale, fondata sull'azio ne di potenti radiazioni celesti, l' importante ruolo giocato da varie forme di immedesimazione empatetica e mimetica nel definire i rapporti tra esseri umani e la realtà ad essi circostante, e infine l' idea che esistessero vari livel li di consapevolezza ali' interno del cosmo. l suddetti presupposti filosofici non sono altro che aspetti interrelati di una generale visione del mondo ora filosoficamente argomentata in forme estremamente sofisticate, ora data per scontata come "metafisica di sfondo" di una quotidianità alle prese con un mondo che sembrava sempre più sfuggire alla comprensione e quindi al controllo dell'uomo. Questa generale visione magica si fonda sull'assunto che l'economia vitale dell'universo dipenda da una precisa circolazione di conoscenza e vita tra tutte le parti del cosmo. La fisica sottesa alla visione magica delle cose - anche qui a livello tanto colto quanto popolare - faceva riferimento a una realtà materiale ritenuta penetrabile dallo spirito (ambi guamente descritto come una sostanza pneumatica, rarefatta al punto da perdere i tratti di resistenza e refrattarietà caratteristici della materia tangibi le) e capace di rispondere ai significati della natura; presupponeva la possibi lità di azioni simpatetiche a distanza governate da connessioni simboliche; e soprattutto si richiamava ali' immaginazione, considerata come una potenza capace di convogliare i significati più astratti dell'essere e di tradur!i in un codice, accessibile anche a menti distratte da una lunga familiarità con gli oggetti dell'esperienza sensibile e appesantite da gravami materiali di ogni tipo. È qui importante precisare che una tale materialità dell'esperienza non si limitava solo alla materia spirituale, lo spiritus, ma si estendeva al tessuto di allegorie, simboli e segnature che rivestiva da ogni lato il corpo della natura'. 1. Dei poteri dell' immaginazione e del loro ruolo nel mediare tra idea e realtà, intenzione e trasformazione materiale si parlerà infra, nel mio contributo alle pp. 63·78.
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Tutti i grandi teorici della magia rinascimentale concordano nel ritene re il mondo della natura come impregnato di vita, percezioni e pulsioni. L'universo è un grande animale (Ficino, Sulla vita, pp. 193, 288-90 ), il cui corpo è vivo in ogni sua parte in quanto percorso dallo spirito universale (ivi, p. 197). È il presupposto in base al quale Bruno può affermare che una forma di monismo vitalistico è alla base della magia: « una semplice divinità >> , in forma di « feconda natura, madre conservatrice dell 'univer SO >> , pervade ogni ente naturale. In questo universo, « gli animali e piante so n vivi effetti di natura >> , e la natura « non è altro che dio nelle cose >> (Bruno, Expulsion, p. 415). Anche ad un livello più tecnico, riguardante le varie procedure incantatorie volte ad imbastire "legami" tra cose, animali e umani ( ligationes, vincula ), Bruno conferma la necessità di presuppor re un potere originario di percezione e reazione all' interno della natura, affinché l'operatore magico possa contare su un sistema articolato di con nessioni e corrispondenze (De vinculis, p. 414). Del fitto sistema di corrispondenze, la principale è certamente quella tra individuo e cosmo, passibile di essere interpretata in entrambe le di rezioni: una più "oggettivante", in base alla quale l'essere umano diventa parte dell'universo a tutti gli effetti fino a perdersi nell' infinito brulichìo vitale del macrocosmo (Paracelsus, Sdmtliche Werke, XIY, p. s8; cfr. Bian chi, 1 9 8 7, w u ) , e una per la quale è il mondo corporeo nel suo insieme a farsi rappresentazione dell'anima individuale (Ficino, Sulla vita, p. 1 9 0 ; Pomponazzi, De incantationibus, p. w ) , a l punto che l'uomo può addirit tura aspirare ad unirsi a Dio, espandendo le potenzialità della sua mente fino ad inglobare in sé il contenuto dell' intelletto divino (Hermes Tris megisrus, Discorsi, l , 26, II, 12; pp. 1 4, n ) . Secondo Giovanni Pico della Mirandola ( 1 463-1 494), la natura indefinita dell'uomo ( indiscretae opus imaginis ) contiene « semi d'ogni specie e germi d'ogni vita >> . Sta alla sua libertà sviluppare tali semi e diventare pianta, animale, uomo, demone o angelo, o perfino persistere in una condizione di assoluta indifferenza ontologica, in modo da unirsi più facilmente a Dio (Pico, Opere, l , pp. 104-7 ). Cornelio Agrippa di Nettesheim (1486-1s3s). tenendo in precario equilibrio i due poli dell'analogia macro-microcosmica, ribadisce come il mondo, gli elementi e i sensi innumerevoli si ritrovino nella costituzione stessa dell 'uomo (De occulta philosophia, p. 1 01 ). Si tratta di una visione ontologica dell'universo incentrata interamente sul concetto di somiglianza naturale tra originale e copia (Ficino, Sulla vita, p. 190; Pomponazzi, De incantationibus, p. 44). li mondo sensibile risponde
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con maggiore o minore cedevolezza ai richiami supralunari del!' intelletto divino, perché il mondo sublunare è percorso da tutta una serie di forze più o meno indipendenti dalla materia, fatte di qualità elementari e occulte, luce, colori, numeri, figure, raggi. Nell'ordinamento gerarchico dell'univer so, Ficino distingue sette « gradi di realtà >> corrispondenti alle differenze dei regni naturali e ai sette pianeti: le immagini si riferiscono alle pietre e ai metalli, e, più in generale, alla sfera della Luna; rimedi e medicine corrispon dono al livello delle erbe e delle parti degli animali, e, da un punto di vista astrale, al pianeta Mercurio; odori, vapori, polveri e unguenti fanno riferi mento a Venere; suoni, parole, canti, gesti e danze ad Apollo, ovvero al Sole; immaginazioni, passioni e movimenti a Marre; discorsi e decisioni razionali a Giove; infine, le contemplazioni più elevate della mente si richiamano a Saturno (Ficino, Sulla vita, pp. 269, 27 5). Agrippa riprende più o meno lo stesso modello di universo pluriarticolato, organizzandolo in tre « mondi >> - elementare, celeste e intellettuale -, a loro volta corrispondenti agli univer si della medicina (e magia naturale), astrologia (e magia celeste) e religione (e quindi magia cerimoniale) (Agrippa, De occulta philosophia, p. 85). L' idea di mediazione è uno dei motivi più ricorrenti nei sistemi di magia rinascimentali, e la nozione di animazione universale sovviene alla necessità di mediare tra conoscenza e realtà materiale. Si tratta, innanzi tutto, del fondamentale rapporto tra intelletto e materia, con l'anima - e soprattutto l'anima del mondo - a fungere da interfaccia tra un livello di trasparenza intelligibile troppo intenso per essere compreso dalla mente umana e un livello di opacità materiale troppo spesso per essere illuminato dalle funzioni della vita e della conoscenza. Facendo leva su categorie me tafisiche plotiniane, Ficino illustra chiaramente come il mondo magico sia un mondo pervaso di anima: Se nel mondo ci fossero soltanto queste due cose, da un lato l ' intelletto, dall'al· tro il corpo, ma mancasse l 'anima, allora né l ' intelletto sarebbe attrano verso il corpo - infatti l'intelletto è del tutto immobile e privo dell'affetto, principio del movimenw, ed anche assai lontano dal corpo -, né il corpo sarebbe attratto verso l'intelletto, in quanto incapace e inetto a muoversi da sé e molto distante dall' in· tellerro. Ma se si pone in mezzo l'anima, che è conforme ad entrambi, facilmente ci sarà l'attrazione reciproca dall'una e dall'altra parte ( Ficino, Sulla vita, p. 187 ) .
I l conformarsi dell'anima tanto alla radice intelligibile dell'essere che alla natura corporea è ciò che consente di conciliare le altrimenti irresanabili fratture dell'esistenza: realtà e apparenza, intelletto e sensi, amore e appeti-
I VINCOLI DELLA NATURA to, l'imperturbabile immobilirà dell'essere e lo slancio - mimerico ed em parerico - dell'eme individuale verso l'essere del rurto. Ficino vede la magia come una filosofia dell'anima del mondo e dello spirito. Da un lato, la ma reria e i corpi sono inanimari, e quindi incapaci di amarre la vira del cosmo ; dall'alrro, l' imellerto è rroppo disrame, essendo di narura divina e comple rameme immareriale. L'anima - soprarrurto l'anima del mondo - conseme ai corpi e alle menri di comunicare rra loro. È questo il senso più profondo della circolazione di vira e conoscenza che pervade le sfere del!' universo, su pralunari e sublunari. Unendo morivi stoici e neoplatonici, l'anima del mondo viene general menre descrirra come una riserva inesauribile di ragioni seminali, le quali possono considerarsi un riflesso delle idee comenure nella meme divina. La corrispondenza rra cosa, idea, ragione seminale e specie - narurale, sen sibile e inrelligibile - è il fondamemo di ogni rrasformazione, sia essa naru rale, soprannarurale o prerernarurale. Ciascuna specie, chiarisce Ficino nel De vita, « arrraverso la propria ragione semina!e corrisponde alla propria idea, e per mezzo della ragione seminale può facilmenre ricevere qualcosa dal!' idea, dal momemo che è srara realizzara per mezzo della ragione semi nale proprio a partire dall' idea » ( ivi, p. 1 8 8 ) . Per « opinione unanime di rurri i platonici » , conferma Agrippa nella sua Occulta philosophia, « rurto è in rurro » , ramo nel mondo « archeripo » che in quello « corporeo » . E così srelle e demoni possono dirsi acquei e aerei, allo sresso modo in cui la calamira e il rabarbaro ricevono i loro pareri da particolari corrisponden ze amali e inrelligibili. La ragione è che, in accordo con i principi della filosofia platonica, « rurri gli emi inferiori sono ideari (ideata) dalle idee superiori » (Agrippa, De occulta philosophia, p. 107 ) . Pierro Pomponazzi ( 1462-1S2S). nonosrame riconosca l 'esisrenza di serie onrologiche paral lele rra le idee nella meme divina e quelle nelle inrelligenze celesri, nelle memi umane e infine nelle cose, e che vi sia inolrre un preciso rapporto di corrispondenza, a livello merafisico, rra l' idea e il suo ideatum, non arriva rurravia ad ammerrere alcun processo di causazione direrra rra le varie sfere di inrelligibilirà ( Pomponazzi, De incantationibus, p. 24). Secondo Pom ponazzi, quesri efferri dipendono dal particolare disporsi e mescolarsi di dererminare qualirà mareriali, e non da processi di "ideazione" archeripa. Anche le cosidderre qualirà occulre sono il risulrato di processi mareriali che semplicememe sfuggono alla percezione dei sensi ( ivi, p. 33). Va derto che la resi di un' influenza immediara dell ' inrellerro sulla ma reria - sorta di ideazione direrra di cararrere inrelligibile, nora all'epoca
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come l'opinione difesa da Avicenna - non trova un largo seguito tra i fìlo sofì della natura rinascimentali'. Paracelso (1493-1S41), medico e filosofo della natura, vi si avvicina di molto, difendendo l'opinione che gli enti naturali siano sensibilissimi a tutte le sollecitazioni provenienti dagli ar chetipi intelligibili tramite l' immaginazione, tanto umana che planetaria ( Paracelsus, Sdmtliche Werke, XII, pp. 3 1 7, 481-6; Bacon, Works, l , P· s87 ). In generale, prevale piuttosto l'opinione secondo cui nei processi di distri buzione di energia celeste e terrestre debba intervenire una qualche forma di mediazione corporea. Particolari materie e particolari oggetti possono trasformarsi in ricettori di vita celeste solo in determinati momenti e cir costanze e, soprattutto, solo rispettando la logica delle corrispondenze ontologico-astrali: idea-ragione seminale-specie-cosa. Lo schema si ap plica - parallelamente - a tutti i processi della natura e ai procedimenti della magia, e demoni e stelle rientrano a pieno titolo in questo processo di universale distribuzione di vita e conoscenza. Ficino sottolinea anche in questo caso il ruolo centrale dell 'anima del mondo nell 'amministrare le funzioni della generazione e della conoscenza. Sia come semina che come exemplaria, le idee governano dunque ogni aspetto della vita: Ricorrendo poi a cose che riguardano una stella e un demone particolari, [l'uo· m o] subisce l' influsso proprio di questa stella e di questo demone, come un legno preparato con lo zolfo ad accogliere in sé una fiamma, ovunque sia presente. E questo infl u sso lo subisce non solo attraverso i raggi stessi della stella e del demo ne, ma anche attraverso la stessa anima del mondo presente ovunque, in cui vive e ha forza la ragione di qualsivoglia stella o demone, ragione per un aspetto invero seminale, in vista della generazione, per l'altro aspetto esemplare, in vista della conoscenza (Ficino, Sulla vita, p. 189 ) .
I principi seminali, di cui è ricolma l'anima del mondo, costituiscono dun que i fondamenti conoscitivi e produttivi dell'essere. Conoscenza e cam biamento dipendono dal modo in cui una determinata realtà dell 'univer so corrisponde alla forma di un'altra realtà di diverso livello ontologico, e questa corrispondenza deriva dal modo stesso in cui l'universo venne originariamente strutturato, essendo un'emanazione dell'originaria unità del!'essere. L'essere delle cose riflette l' intelletto, e l' intelletto si ricono sce nelle cose. In ultima analisi, l' interfaccia creata dall'anima del mon2.. Cfr. Pomponazzi, De incantationibus, p. 4: « so lucio apud Avicennam, eu m ponat in tellectui bene disposico et a materia elevato omnia materialia obedire » . Cfr. ivi, pp. 15, 33·
I VINCOLI DELLA NATURA do si basa su corrispondenze rra immagini. L'anima arrrae le forze celesri usando delle forme mareriali, ed essa sressa può venir da esse arrrarra, dal momenro che è l 'anima ad aver crearo queste forme e in esse si riconosce. Per quanro essenziale, l' inrelaiarura ideale del cosmo non basrereb be rurravia a spiegare la vira dell'universo. Si richiede infarri un'ulreriore condizione onrologica, un vero e proprio ossimoro concerruale : la mareria spiriruale. Anche le azioni a disranza basare su corrispondenze analogiche presuppongono una qualche forma di mediazione materiale per porersi dire efficaci. Da un punro di visra onrologico, lo spiriro sra al rapporro rra srella e vira come l'anima sra al rapporro rra inrellerro e mareria. Tale rap porro è il verrore privilegiaro delle influenze celesri provenienri dall'anima del mondo (lo spiriro universale) e dalle srelle (i raggi celesri) (ivi, p. 1 9 6) . Da un punro di visra asrrale, lo spiriro h a una narura gioviale, solare, venerea e mercuriale; da uno più propriamenre cosmologico, ha una narura calda e umida, vaporosa e luminosa (ivi, pp. 222-3). Dara la sua consisrenza pneu marica, lo spirito ha una srrerra affinità con l'aria. Tramire lo spiriro che p romana dalle srelle, l'aria si impregna di doni celesri, menrre quesra a sua volra rrasmerre allo spiriro « il movimenro e il vigore del mondo » (ibid. ). Descrirro in termini che sono al limire della plausibilità speculativa, lo spiriro è un « non-corpo >> che provvede alle operazioni del corpo ( ivi, p. 1 9 7 ) : è u n corpo sottilissimo, quasi u n non-corpo e quasi già-anima, e similmente quasi non-anima e quasi già-corpo. Nella sua virtù c 'è pochissimo della natura terrena, di più della natura acquea, più ancora di quella aerea, e infine moltissimo di quella ignea e stellare ( ivi, p. 198).
La nozione di materia spiriruale elaborata da Ficino è quindi un sofisricaro congegno merafisico inrrodorro per illustrare l' idea di un originario so srraro virale, espressione della pura plasricirà della vira, anreriore alla sressa divisione dell'essere in anime e corpi. Una delle cararrerisriche più imporrami della mareria spiriruale è quel la di essere esrremamenre ricerriva alle sollecitazioni che provengono ran ro dalla materia quanro dall' inrellerro. Lo spiriro ha la capacirà di assorbire l'energia e le informazioni rrasmesse dall'universo sublunare e supraluna re. Si ripresenra qui la concezione della magia, cui si è già accennaro in aperrura di capirolo, come recnica arra a rendere lo spiriro degli individui adano ad assorbire la vira dell'universo. Si rrarra di un insieme di prariche volre a rrasformare lo spiriro individuale in spiriro celesre, di una forma,
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per così dire, di esercizio ascerico che non vuole abbandonare il mondo, ma farsi mondo. Combinando remi ermerici e neoplaronici, Ficino aveva già chiariro quamo imporrame fosse per il culrore di magia rrarrare il pro prio spiriro come uno srrumemo demonico-asrrale di espansione virale : « cercherai innanzi rurro che quesro spiriro penerri in re >> , « infarri con quesro mezzo rrarrai alcuni benefici narurali, proveniemi sia dal corpo del mondo, sia dall 'anima del mondo, sia anche dalle srelle e dai demoni >> (i vi, p. 199 ). Ficino dimosrrava così di aver farro propria la lezione di Porfirio e Giamblico, e pareva imerprerare l'esercizio filosofico come una forma di razionalirà reurgico-ermerica: «A quesro rendono invero rurre quesre no sere osservazioni, a che il nosrro spiriro, prepararo e purificaro secondo le regole con mezzi narurali, per mezzo dei raggi delle srelle opporrunameme ricevuri accolga in sé quamo è più possibile dallo spiriro sresso della vira del mondo >> (ivi, p. 220 ). Trami re la ripresa di morivi reurgici ed ermerici, e facendo leva sui pareri mimerici ed emparerici dell' immaginazione, la magia ficiniana divemava una vera e propria filosofia della vira: La vira del mondo in verità, che è insita in tutte le cose, si propaga in modo evi dente nelle erbe e negli alberi, che sono quasi i peli e i capelli del suo corpo. Cova inoltre nelle pietre e nei metalli, come nei denti e nelle ossa. È diffusa anche nelle conchiglie viventi, attaccate alla terra e alle pietre. Tutti questi esseri infatti non vivono tanto di una vita propria, quanto della stessa vita comune del tutto ( ivi, pp. 2 2 0 - 1 ) .
Arrraverso l ' imi razione dei rirmi che regolano la vira celesre, lo spiriro in fluisce sulle realrà celesri e insieme riceve influssi da esse. Quesro fenome no è parricolarmeme evideme nel caso della musica. Il camo, nello specifi co, ha il porere di rrasmerrere a chi lo asco ira l'energia e l' immaginazione di chi cama. Essendo una parricolare modulazione di spiriro aereo, esso è come uno sdoppiarsi dello spiriro del camame. Il camo non è alrro che « un alrro spiriro concepiro resré in re accamo al ruo spiriro e farro solare, arrivo, in forza del parere solare, ora su di re, ora su chi ri è prossimo >> (ivi, pp. 271-2). Più di ogni alrra arre, è la musica secondo Ficino a rivelare come l' immaginazione sia la forza maggiormeme responsabile del diffondere si ruazioni di comagio mimerico: « quando, grazie ad un camo e ad un suono febeo, ru divemi febeo, puoi prerendere per re la virrù di Giove, di Venere e di Mercurio. E, di nuovo, con uno spiriro così arreggiaro imeriormeme, arreggia in modo analogo la rua anima e il ruo corpo>> (ivi, p. 274). Corri spondenze, arrrazioni, simparie, assimilazioni e idemificazioni rappresen-
I VINCOLI DELLA NATURA tano le varie modalità di comunicazione di vita e conoscenza che vengono attivate nel cosmo dalla potenza dell' immaginazione. Ancor più efficace - poiché ancor più primordiale - è la forza dell'amore, il gran demone capace tanto di liberare le potenze primigenie degli appetiti irrazionali quanto di promuovere l'espansione dell 'appetito razionale. Se vuole trarre vantaggio dagli effetti empatetici risultanti dalle armonie che innervano il cosmo, il mago deve mirare a sollecitare le pulsioni dell'amore, che perva dono ogni parte dell'universo - « il potere dell'amore infatti è quello di trasportare >> (ivi, p. 267). Il conflitto degli appetiti - razionali e irrazionali - dimostra a livello del microcosmo umano come l 'operare magico faccia leva su diversi gradi di consapevolezza. Questo vale anche a livello del macrocosmo. Nella gran circolazione di vita e conoscenza, su cui fa leva l 'organizzazione dell'u niverso, hanno costantemente luogo processi percettivi più o meno illu minati dalla luce della coscienza. L'economia vitale dell'universo si fonda su un armonioso equilibrio tra le parti e il tutto che, in ultima analisi, di pende dalla presenza di gradi di maggiore o minore consapevolezza. La logica sottesa al continuo comporsi e ricomporsi di percezioni coscienti e inconsce coincide con i rapporti tra ideae e ideata pianificati dali' intelletto divino. Nel caso dell 'operatore magico, tale logica è inevitabilmente espo sta alle limitazioni e incertezze della ragione umana e si presenta quindi come una logica obliqua. La manipolazione magica, avvenga essa in base a forze naturali o demoniche, presuppone un dislivello di conoscenza tra l 'operatore, il quale è a conoscenza delle virtù più segrete degli enti natu rali, e l 'ente manipolato, il quale ignora di essere parte di una complessa rete di rapporti che lo trascendono interamente : « queste forme, visto che non comprendono se stesse, sono riportate alle forme che comprendono se stesse presenti in una mente o animale o più eccelsa >> (ivi, p. 1 9 0). L'o perare magico, nel suo essere un'attività inevitabilmente manipolatoria, presuppone dislivelli e asimmetrie nei rapporti di conoscenza, e si presta quindi ad essere divisa in forme di magia lecita e illecita. A complicare ulteriormente il quadro interviene il ruolo svolto da varie presenze demo niche. Ancor più del magus infomis - espressione usata da Johann Wier (IS IS-IS88) nel suo De praestigiis daemonum, et incantationibus, ac veneficiis (Le illusioni dei demoni, gli incantesimi e i venefici, 1 5 6 3) - sono i demoni ad approfittare di chi agisce senza sapere cosa stia facendo. Prendendo tutte le dovute cautele e muovendosi con estrema reticenza, Ficino non esclude che si possano evocare e attirare demoni: « Nessuno
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creda dunque che con determinate macerie del mondo si possano attrarre certe divinità (numina) del tutto separate dalla materia, ma piuttosto i de moni e i doni del mondo animato e delle stelle viventi >> (Ficino, Sulla vita, p. 1 8 8. Cfr. anche ivi, p. 292). Ficino ricorda come Porfirio e Giamblico sostenessero la tesi che i demoni si potessero infatti insinuare in certe im magini e statue in forma di spiriti planetari (i vi, pp. 233, 2 6 s ): « Dai teologi e da Giamblico imparai che coloro i quali fabbricano le immagini sono più spesso degli altri posseduti ed ingannati dai demoni cattivi >> (ivi, p. 240; Ficino, Opera omnia, II, p. 1 8 8 1 ; Giamblico, Misteri, pp. 100-3, r o 6 ) . Ficino, ambiguamente, n o n esclude che ognuno di n o i abbia u n demone che presiede alla propria genitura e che debba essere identificato facendo ricorso a conoscenze astrologiche, in modo da scoprire la regione origina riamente assegnata ali' anima dal demone e dalla stella. Richiamandosi alle dottrine dei platonici, egli ipocizza anche che almeno due diversi demoni si prendano cura della nostra vita: il genio naturale, che dipende dalla no sera genitura, e il demone relativo alla professione, il quale si acquisisce tramite l 'esercizio di una determinata arce. Ficino sembra anzi affermare che ogni persona porti con sé un cerco numero di demoni, buoni o cat tivi, a seconda del carattere, della professione e delle scelte di vita, e che cali demoni inducano veri e propri contagi, che possono essere benefici o malefici, a seconda dei demoni coinvolti nel processo (i vi, pp. 280-3). Per Pomponazzi, il discorso su demoni e angeli deve distinguere tra il livel lo religioso (demoni come agenti personali) e quello filosofico (demoni come intelligenze e principi di causalità universale nel cosmo). Da un pun to di vista filosofico, i demoni sono degli intelletti e, in quanto cali, non possono conoscere, né tantomeno volere i particolari dell'esperienza. Essi non possono udire le nostre parole e non possono percepire quanto è da noi visco (Pomponazzi, De incantationibus, pp. 4, 7- 13, 27, 3 8 ) . Qualunque s i a il ruolo che s i voglia assegnare alle entità demoniche nel tessere la trama di vincoli e rimandi in cui si trovano avviluppati tutti gli enti naturali, incluso l'uomo, la definizione rinascimentale di magia sot tolinea l'aspetto pratico-operativo. Il mago è « quel filosofo esperto delle cose naturali e degli astri >> , il quale, scrive Ficino, « con certi determinati incantesimi>> fa rifluire la vita celeste nella realtà del mondo sublunare (Sulla vita, p. 291). La definizione bruniana di magia è strettamente con nessa ali' idea ficiniana del sapere magico quale filosofia della vita cosmica. Bruno descrive la magia come un « abito >> intellettuale basato sul princi pio secondo cui « la divinità che si crova in tutte le cose >> è una. In quan-
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co « versa in principi sopranaturali » , la magia è divina; in quanto « versa circa la contemplazion della natura e perscrutazion di suoi secreti » , essa è magia naturale ; in quanto « consiste circa le raggioni ed atti de l'anima, che è nell 'orizonte del corporale e dello spirituale, spirituale ed intellet tuale » , la magia si dice « mezzana e matematica >> ( Bruno, Expulsion, p. 42.5). Secondo Giovanni Pico, Pomponazzi e Agrippa, la magia è la sintesi più elevata delle conoscenze umane relative alla matematica, alla filosofia naturale e alla teologia, e in questo senso può anche essere considerata, ari srotelicamente, come una forma di peifèctio intellectus ( Pico, Opere, p. II 6 ; Pomponazzi, D e incantationibus, p . 45; Agrippa, D e occulta philosophia, p . 8 8 ) . Solo chi unisce in s é i l sapere delle proprietà naturali, u n elevato livel lo di competenze astrologiche e la capacità di comunicare con le sostanze incorporee può arrivare a comprendere in che senso la magia possa dirsi una conoscenza razionale (rationabilitas magia e) ( Agrippa, De occulta phi losophia, p. 89 ). La magia intesa come comprensione globale, superiore per certi versi alla stessa filosofia in quanto si presenta quale sapere pratico capace di ri solvere le scissioni tra mente e corpo, e riunire in una forma di razionalità vivente i condizionamenti della materia con le esigenze dell' intelletto, non poteva non entrare in conflitto con le prerogative altrettanto egemoniche del sapere teologico. Ficino è perfettamente consapevole del problema. La domanda che pone a se stesso nell'Apologia è chiarissima: « Che cosa ha a che fare un cristiano con la magia ? >> . La risposta da lui fornita fa leva sul valore pratico del sapere magico. Gli antichi sacerdoti erano anche medici e astrologi. Il fine della magia è pratico, e questo è particolarmente eviden te quando rituali magici e astrologici vengono applicati alla sfera della me dicina, perché in questo caso il fine è la cura caritatevole, senza compenso, dei malati ( Ficino, Sulla vita, pp. 2.96-8). La giustificazione ficiniana della magia tiene certamente in gran conco il concetto di utilità medica. Il sapere magico, anche nelle forme più elevate, ha quindi sempre un fine pratico. Come spiega Ficino in apertura del libro III del De vita, gli esseri umani non avrebbero mai intrapreso lo studio dei movimenti astrali e degli influssi celesti, se essi non avessero presto compreso come il cielo contribuisca al loro benessere e felicità, anche solo al livello della salute fisica e longevità ( ivi, p. 1 83 ) . Al contrario, secondo Pomponazzi, proprio perché la magia è una conoscenza che si acquisisce in modo pratico e pro duce degli effetti a livello operativo, essa dev 'essere bandita dallo Stato : « riguardo al modo dell'acquisizione, la magia non è vera conoscenza
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(scientia ), né si ottiene attraverso vera conoscenza. Il modo di attenerla è rovinoso e criminale (pestifèr et sceleratus ), dal momento che è manifesta idolatria » . La conclusione non lascia adito a dubbi: È opportuno c h e tali uomini vengano banditi d a u n o Stato b e n ordinato e c h e la stessa arte venga proibita, certamente non per il suo valore, ma per le conseguen� ze (non quidem per se, sed per accidens). Se infatti la magia fosse unicamente un sapere teoretico (speculativa), forse non ci sarebbe bisogno di espellerla in questo modo. Però la magia è pratica ljàctiva), e una disciplina pratica non è buona a meno che non venga congiunta con una retta intenzione (appetitus) e una ragione della stessa natura. La realtà è che invece gli uomini abusano sempre di queste arti: alcuni, tramite loro, vogliono essere considerati degli dei, che è il peccato maggiore ; altri se ne servono per amori illeciti, ruberie, aborri e altre nefandezze del genere. Ritengo quindi che a buon diritto gli Stati non vogliano ammettere arti siffatte ( Pomponazzi, De incantationibus, pp. 45-6).
La principale giustificazione addotta da Pomponazzi per la messa al bando della magia è che, per quanto ci possano essere singoli individui mossi da un onesto desiderio di conoscere (appetitus rectus ) , la maggior parte degli esseri umani è preda di desideri incontrollati (maior pars hominum est cu piditatibus dedita) ( ivi, p. 46) . Ritroviamo qui la caratteristica tensione tra appetiti irrazionali e volontà illuminata dalla ragione che deriva dalla pre senza di vari dislivelli di consapevolezza all' interno dell 'economia vitale dell'universo e che si è detta essere alla base della manipolazione magica. Mettendo in luce il nesso tra conoscenza jàctiva e appetitus, Pomponazzi teorizza con lucidità l'uso politico - inevitabilmente distorto - di ogni sapere magico. Si tratta della situazione che un secolo dopo sarebbe stata riproposta da Francis Bacon ( I S 6 I - I 6 2 6 ) nella sua New Atlantis (1 626), so cietà ideale in cui la produzione dei magnalia naturae, i grandi miracoli di una tecnologia magica riformata e liberata da frivole superstizioni, dev 'es sere tenuta rigorosamente segreta.
Conclusioni
L' importanza della questione dei fondamenti filosofici della magia appare particolarmente evidente nel caso di Bacon: Sembra si debba esigere che alla parola "magia", ormai intesa nel suo senso peg giore, venga restituito il prestigioso significato di un tempo. Presso i Persiani ve-
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I VINCOLI DELLA NATURA niva intesa come sapienza sublime e sapere relativo alle un iversali simpatie tra le cose; e, infani, i tre re che vennero dall'oriente ad adorare Cristo, erano chiamati "magi". Io intendo la magia nel senso di un sapere che riconduce la conoscenza delle forme nascoste ( cognitio jòrmarum abditarum ) a opere straordinarie e che rivela i magnalia naturae, unendo, come si suole dire, "gli attivi ai passivi" (Bacon, Works, l, p. 573).
Leggendo questa pagina centrale del De augmentis scientiarum ( 1 6 23) si comprendono meglio le ragioni del perché un' intera epoca avesse mani festato un interesse quasi ossessivo per la magia. Secondo Bacon, nessuna ricerca a tentoni nel campo della natura avrebbe mai portato alla scoperta delleforme, le strutture ultime della materia che solo possono condurre ad autentiche trasformazioni della natura. Si è imposta una forma corrotta di magia (levis et degeneris ) , legata ad un cumulo di credenze infondate e su perstizioni (credulae et superstitiosae traditiones), basata su frivolezze speri mentali lftivola experimenta ) , espressione di ambizione sfrenata e desiderio sregolato (insana et impotens cupiditas ) , sviata dalle tendenze all' autoingan no caratteristiche del!' immaginazione (per imaginationisJùmos et nebulas ) , la quale fa eccessivo affidamento sulle facoltà umane del rappresentare e credere (nimium trahunt ex phantasia etfide). Bacon rigetta come incon cludente e sviante questo tipo di magia, che ritiene di poter appropriarsi di speciali poteri soprannaturali di origine celeste (tanquam coelitus demis sae) - proprio il sogno ficiniano di catturare la vita dal cielo -, ed esorta invece a lavorare qui sulla terra, al fine di scoprire la vera realtà delle cose (verae causae) e le autentiche proprietà e processi della materia (malleabi litas, extensibilitas, arejàctio, assimilatio, alimentatio ) . Solo su questa base si trasformeranno i metalli, si prolungherà la vita umana, si metteranno a frutto le influenze celesti, e la magia potrà di nuovo dirsi il fondamento della chimica, della medicina e dell 'astronomia ( ivi, I, pp. 573-4)3• L'espressione « fondamenti filosofici » della magia rinascimentale usata in questo capitolo può andare soggetta a fraintendimenti. Non si è inteso far riferimento ad alcun tentativo di giustificazione razionalistica della pratica magica. Si è voluto sottolineare piuttosto l'originalità della speculazione filosofica sottesa al pensiero e alla pratica magica. Rispetto alle grandi scissioni che avrebbero rappresentato la nota dominante del 3· Sulla questione riguardante i rapporti tra Bacon e il pensiero magico, rimane fonda mentale lo studio di Paolo Rossi, pubblicato originariamente nel 19 57. Francesco Bacone. Dalla magia alla scienza (Rossi, wo4).
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mondo moderno - teoretico e pratico, individuale e collettivo, naturale e meccanico -, la riflessione magica del Rinascimento mette in luce una tensione fortissima verso la ricomposizione di un'unità perduta. In que sto senso, il recupero della dimensione ceurgica attraverso la riscoperca di fondamentali cesti neoplaconici ed ermetici sembrava promettere una collettiva rigenerazione spirituale e una rinnovata esperienza filosofica e religiosa della natura.
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« Questa Mente è Dio ne gli uomini » . Presenza dell'ermetismo nella magia neoplatonica di Ficino e di Agrippa di Vittoria Perrone Compag ni
Il ritorno di Ermete
Ripercorrere la fortuna dell'ermetismo nel Rinascimento significa narrare la vicenda di un mito e di un progetto : di un mito longevo, ma dal profilo incerto ; di un progetto ambizioso, ma destinato a tramontare nel volge re di poco più di un secolo. La diffusione rinascimentale della letteratura ermetica ha il suo punto di avvio nel ritorno dalla Macedonia a Firenze del monaco Leonardo da Pistoia, che portava con sé un manoscritto, con tenente anche quattordici trattati del Corpus Henneticum greco (Gentile, 1999a)'. Cosimo de' Medici acquistò il codice e lo affidò alla traduzione di Marsilio Ficino non senza raccomandargli di anteporla alla traduzione di Platone (Ficino, Opera omnia, p. I S 37 ). Non si capirebbe il senso di tanta urgenza se non si tenesse conto che la richiesta di Cosimo e gli interessi di Ficino si radicavano in una considerazione già ampia e sensibile delle reli quie dell'ermetismo. Ermete Trismegisto, "il tre volte grandissimo", aurore della cronologia discussa, ma per lo più considerato di poco posteriore a Mosè, è ricordato da Cicerone e da Varrone quale inventore della scrittura e interprete degli dèi. Già alla fine del II secolo è citato come detentore di una dottrina filosofico-religiosa, via via più dettagliatamente discussa dagli apologisti cristiani (Moreschini, 2000, pp. s6-61). L'Asdepius' aveva poi 1. La letteratura ermetica, dacabile tra il I e il III secolo d.C., è attualmente costituita dai di ciassette trattati raccolti nel Corpus Hermeticum, dall'Asdepius e dalle citazioni conservate da autori greci e latini: da estratti e frammenti e da due scritti in copto e in armeno; infine da due testi attribuiti a Ermete Trismegisto, ma composti da autori latini probabilmente dopo la metà del XII secolo, il Liber viginti quattuorphilosophorum e il De sex rerumprincipiis. Alla let teratura filosofica vanno aggiunti i testi di astrologia, magia e alchimia circolanti sotto il nome di Ermete o di suoi discepoli. Cfr. Festugière (1950 ) , Lucentini, Perrone Compagni ( w o t ) . 1. Versione latina, creduta di Apuleio e databile tra il IV e v secolo d.C., di un perduto originale greco dal titolo Discorso perfetto ( Parri, 1005). Lattanzio conosceva l'originale greco, Agostino la versione latina.
I VINCOLI DELLA NATURA orientato le reazioni dei pensatori medievali secondo due direttrici an titetiche: quella ispirata a Lattanzio, che aveva riconosciuto in Ermete, « antichissimo ed eruditissimo in ogni ambito dottrinale » , il depositario di una sorta di illuminazione superiore dell 'unico Dio e il profeta « quasi divino» del cristianesimo ( Scott, Hennetica, IV, pp. 9- 27, 483-4); e quella ispirata ad Agostino, che aveva duramente criticato in Ermete, profeta illuminato dai demoni ed empio idolatra, l' illusorietà della saggezza pa gana - superba, individualistica, autosufficiente e del tutto incapace di costituirsi come via di salvezza per il genere umano (De civitate Dei, VIII, 22-27 ) . La condanna che nel corso del Duecento colpì l'insieme di scritti operativi di magia e astrologia attribuiti a Ermete o a suoi allievi ( Ferrone Compagni, 2003, 2010) aveva infine introdotto una scissione nella figura del Trismegisto : se il suo volto "magico" lo aveva ricacciato nell 'oscuro territorio della necromanzia, il volto "filosofico" aveva conservato uno spazio nella riflessione teologica delle correnti platoniche dei secoli XIII XIV ( Moreschini, 2000, pp. 172-90 ) , soprattutto grazie alle immagini enigmatiche e audaci con cui il Liber viginti quattuor philosophorum par lava del mistero del Dio trinitario e dell ' infinità trascendente della prima Causa ( Lucentini, 1 9 9 9 ) . Ficino s i confronta perciò con una tradizione interpretativa già molto solida e di essa trasceglie gli spunti che gli consentono di rafforzare il pro prio progetto di una pia philosophia con l ' ideale garanzia di remoti proge nitori. Il "ritorno degli antichi", avviatosi « non senza l' intervento della di vina provvidenza » , diviene lo strumento di un ripensamento del presente : per abbattere l'empietà di una filosofia potente come quella dei Peri patetici, che « occupano il mondo » ed « estirpano dalle radici la religione » , occorre una potenza superiore : e questa viene o dai miracoli divini che s i mani festano ovunque, o almeno da una sorta di religione filosofica in grado di persua dere i fi l osofi , che l 'ascolteranno più volentieri. Piace in questo tempo alla divina provvidenza portare conferma al genere della religione con l'autorità del ragiona mento filosofico (Ficino, Opera omnia, p. 872).
La ricerca di una connessione tra il nucleo di certezze teologiche date ( mo noteismo, creazione, immortalità dell'anima) e la loro comprensione razio nale spiega l'accettazione senza riserve della lettura di Ermete proposta da Lattanzio. L'ermetismo è centrale nella costruzione di un' identità culturale che si pone l'obiettivo di arginare una crisi spirituale e di costituirne l'alter nativa: Ficino cerca un nuovo codice morale in Ermete, «primo fondatore
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della teologia » (ivi, p. 1 836), proprio come va cercando in Platone (o, me glio, in Plotino) un nuovo codice epistemologico. Nell 'aprile del 1463 il Corpus Henneticum era volto in latino con il tiro lo complessivo di Pimander, che Ficino ricavò dal tirolo del primo trattato e assegnò all ' intera collezione, considerandola un unico dialogo ; nel 1 47 1 n e uscì la prima stampa, n o n autorizzata, c u i seguirono altre ventiquat tro edizioni fino al 1 641 (Garin, 2006, p. 8). La storia del miro ermetico e del progetto che esso sottintendeva sarebbe però incompleta se non si ricordasse che alla traduzione latina del Pimander si accompagnò subi to una versione volgare, condotta a termine da Tommaso Benci nel set tembre dello stesso 1463 su incarico di Ficino (Gentile, 1999b; Tamurli, 2006). L' intenzione di far conoscere l'ermetismo in un ambito più ampio di quello tradizionale degli intellettuali di professione veniva incontro alle esigenze della borghesia fiorentina: mercanti, notai e lettori curiosi con dividono infatti un bisogno di conoscenza intorno alle cose di religione (Toussaint, 2010, pp. 1 3-4) che in gran parte spiega la richiesta di tradu zione della « operetta di Mercurio Trismegisto » (Benci, Al nobile et pre claro huomo Francesco di Nerone, p. 1 6 9 ). La sollecitazione originata dalle aspettative degli anonimi destinatari della traduzione si incontrava del re sto con la politica religiosa dello stesso Ficino, intenzionata a diffondere la riflessione teologica anche tra i laici (Vasoli, 1988, pp. 67-8): la certezza che «questo nostro rinnovamento degli amichi serve alla provvidenza di vina >> , espressa in tempi successivi nel! 'epistola a Giano Pannonio (Ficino, Opera omnia, p. 872 ), legittima retrospettivamente questa versione "po polare", la cui fortuna tra i lettori è attestata dai diciotto codici superstiti, nella maggior parte quattrocenteschi (Gentile, 1 999b, p. 57). Una società di credenti profondamente mutata, come era anche quella della Firenze di tardo Quattrocento, non poteva identificare il proprio fine nell'acquisizione di un sapere soltanto speculativo, né poteva far proprio un ideale di distacco dalle cose terrene modellato sull' insegnamento di Plotino, che pure alcuni trattati del Corpus Henneticum sembrano condi videre. Il fine dell 'uomo "nuovo" doveva essere un sapere teologico (devo tio) che si fa anche impegno nel mondo, che plasma l'ambiente naturale e tutela il benessere degli individui e la stabilità degli aggregati sociali me diante il progresso artistico, tecnico e culturale, imitando in questo suo operare l'azione provvidenziale che Dio esercita sulla sua creazione. Per realizzare questo programma era però necessario un percorso complesso che, garantendo filosoficamente i principi fondami del cristianesimo, con-
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ducesse a una forma più alta di religiosità: « Gli ingegni acuri si affidano soltanto alla ragione e, quando ricevono dal filosofo devoto la religione, subito volentieri la condividono; da essa educati, più facilmente sono gui dati a una specie migliore, che fa parre del genere religione » ( Ficino, Ope ra omnia, p. 872). Nella prospettiva ficiniana, Ermete, « sapiente filosofo, pio sacerdote, re potente >> ( ivi, p. 1 8 3 6 ) , era strumento perfetto per delineare le basi di questa spiritualità rinnovata - cristiana nelle sue linee generali, ma più in dividuale, meno legata ai modi astratti di pensare Dio tipici delle scuole e svincolata dal formalismo cerimoniale ; preoccupata del destino ultraterre no dell'uomo, ma anche capace di dare un significato concreto e positivo al suo impegno mondano. Ermete insegna a spogliarsi « degli inganni dei sensi e delle nebbie della fantasia >> , a trascurare l'elemento sensibile, fal lace e instabile, a entrare in se stessi, coltivando l' interiorità e seguendo la verità che è nello spirito (ibid. ). L'uomo, detentore dell ' « immagine del Padre >> nella sua essenza, deve « conoscere se stesso >> , come ossessivamen te Pimander, la Mente divina, ripete a Ermete nella visione narrata nel pri mo trattato (Pimander, pp. 1 837-8) - meglio ancora, deve « riconoscersi>> , come recita l a traduzione volgare, sottolineando con maggiore efficacia l'urgenza di un percorso di ritorno alla purezza della natura immortale (Pimandro, pp. 1 8 7-8, 1 9 1 ) . Perciò il discorso ermetico vuole essere non tanto una "rivelazione" quanto piuttosto una maieutica, un portare alla luce i contenuti dell 'anima che tutti gli uomini possono ritrovare in se stessi: «la virtù dell'anima è conoscenza >> , ossia consapevolezza della sapienza divina e del suo disegno creativo, capacità dispiegata di cogliere l'origine e il fondamento di ciò che nella vita dell'uomo appare come di spersione e caos. E il vizio non è altro che ignoranza: L'anima che non ha scienzia della natura delle cose né del bene, privata de gli oc chi, s'avviluppa nelle passioni del corpo et, corrotta per l'usanza del malo demo nio, non conoscendo se medesima, serve alli vili corpi et a cose brutte et fuori di natura. Er attorno porta il suo corpo come molesto peso, non presidente al corpo, ma da quello per sua negligenza soggiogata. Ma per contra la virtù dell 'anima è la cognizione, impero che colui il quale è veramente erudito è buono, pio, divino ( ivi, p. 241).
La salvezza che Ermete promette ai suoi lettori non è elargizione di con tenuti che si collochino al di sopra delle capacità razionali dell'uomo, ma è un' intuizione, il riconoscimento della propria dipendenza da Dio,
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Uno, Bene, Vero : è, insomma, una direzione teologica del vivere (Piman
der, p. 1 8 5 2 ) . In questa interpretazione ficiniana della dottrina ermetica è sottinteso anche un complesso ripensamento della religione cristiana. La definizione ficiniana dell 'anima come « terza essenza >> , « copula del mondo >> e con nessione di estremi ontologici altrimenti non comunicanti obbliga a rico noscere la sua simultanea presenza nel livello superiore dell 'essere (come attività di contemplazione) e in quello inferiore (come attività raziocinan te e vivificante). Se la parte superiore dell 'anima (mens o intellectus) non si separa mai da Dio e gode di una ininterrotta intuizione delle idee, allora riconoscersi come mente significa riprendere coscienza della propria "di vinità''; e la "deificazione" dell'uomo, in cui egli si fa figlio di Dio e in Lui si immedesima, è riappropriazione di un possesso originario mai perduto, che dipende da un movimento autonomo della ragione/volontà ( Theolo gia Platonica, III, 2, p. 1 3 8 ; XIII, 4, pp. 237, 241 ) : allora l'ermetico « mistero della rigenerazione >> (Pimander, p. 1 8 5 6 ) , che pure Ficino concepisce in armonia con il mistero evangelico, sembrerebbe rendere non indispensa bile la venuta di un redentore (De Pace, 2002, pp. 221-9 ), se non come modello nel quale si è perfettamente compiuto il cammino di ogni anima.
La magia ermetica di Ficino
Sullo sfondo dell'ermetismo la celebrazione della dignitas hominis diviene celebrazione della sua divinità: « Questa Mente è Dio nelli huomini et per questa alcuni del numero delli huomini sono Dii>> , perché colui « il quale riconosce se medesimo diventa Dio [ . ]. Et questo è il sommo bene di colo ro a' quali tocca la sorte del riconoscersi, cioè diventare Dio>> (Pimandro, pp. 9, 13, 88 ). Potrebbero qui immaginarsi sottintesi il disprezzo per la fuga ce parentesi che l'anima trascorre in compagnia del suo corpo e il desiderio di distacco da un mondo concepito come immagine sbiadita di un'esistenza più piena e perfetta. Invece all'esaltazione della dimensione soprannaturale Ficino accosta non contraddittoriamente la considerazione dell'operosità dell'uomo, di quel suo fare che lo investe del ruolo di intermediario cosmi co, tramite di elevazione della materia e di liberazione della corporeità dal ciclo distruttore della corruzione (Pere ira, 2001, p. 21 ). L'accreditamento della magia come ricostituzione del nesso tra spirituale e corporeo e d composizione dell'unità dispersa nel molteplice è infatti la vera vocazione ..
I VINCOLI DELLA NATURA della riflessione ficiniana, che nella sua lettura della gerarchia antologica plociniana privilegiava l'aspetto della continuità piuttosto che quello della caduta ( « un unico Principio domina cucci gli esseri della natura, i quali lo seguono, avvinci e sospesi ad esso e germoglianti, per così dire, da esso, come rami che dipendono dall ' incera pianta » : Platino, Enneadi, p. 631). La na tura, pur essendo lontana dalla pienezza dell' Uno, non è "male"; è invece, secondo l' insegnamento di Platino, « una virtù vitale e vivificante, interna a tutti i corpi>> ; secondo la dottrina di Dionigi Areopagita, è « strumento della provvidenza divina >> ; secondo le parole di Ermete, è « statua di Dio>> e quindi sempre unita a ciò che rappresenta; è ancora, secondo l'opinione di Platone, « arte di Dio o suo ingegnoso organo >> ( Ficino, Opera omnia, pp. 1095, 10 20, 1 209 ) . In quanto pluralizzazione dell'unità, per un verso essa è internamente percorsa da una tensione più o meno conscia di ritorno verso il Bene ; per altro verso riproduce a suo modo l'unità da cui deriva, grazie all' intimo legame delle sue parti, che « come membri d'uno animale dependendo tutte da uno Auctore, si connectono insieme per comunione di natura >> ( Ficino, Ellibro dell'amore, p. 144). In forza di questo nesso co smologico, è la natura stessa a presentarsi come "maga": « gli Egizi dettero alla natura l'appellativo di maga, identificando la forza della magia in una sorta di attrazione del simile da parte del simile >> ( Ficino, Opera omnia, p. 1388; cfr. Ficino, Sulla vita, pp. 289-90; El libro dell'amore, p. 145). La personificazione della Natura-maga consente di legittimare l'azione tra sformacrice del!' arte come un ingegnoso episodio di collaborazione e di soccorso dell'uomo all'ordinato svolgimento delle leggi del divenire : Mercurio dice che i sacerdoti presero dalla natura del mondo virtù appropriare e le mescolarono. Seguendo costui, Platino ritiene che tutto ciò si possa fare con la mediazione e il favore dell'anima del mondo, dato che questa genera e muove le forme delle cose naturali per mezzo di certe ragioni seminali insire divinamente in essa. E queste ragioni in verità le chiama anche dèi, perché non sono mai ab bandonare dalle idee della mente suprema. Pertanto, per mezzo di siffatte ragioni, l 'anima del mondo si unisce facilmente alle materie, che formò all' inizio per mez zo di quelle medesime ragioni, quando il Mago, o il sacerdote, nelle circostanze opportune, avrà adoperato forme di cose raccolte come si deve, e che riguardano propriamente questa o quella ragione (Ficino, Sulla vita, pp. 293-4).
L'operare dell'uomo non fa che osservare, riprodurre, sollecitare l' at trazione che lega gli enti l'uno all'alcro - quell' « amore >> che nel Libro dell'amore ( un alcro volgarizzamento voluto da Ficino, scavalca di un'o-
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pera propria) era posto a fondamento di ogni « vera magica » : « tutta l a forza della magica consiste nello amore: l'opera della magica è uno certo tiramento dell'una cosa dall 'altra per similitudine di natura >> ( Ficino, El libro dell'amore, p. 144). Alla luce dei testi di Platino e dei neoplatonici, Ficino può dunque ripensare in modo nuovo il ruolo della magia: essa esplicita e porta a compimento l' « amore naturale >> , ossia il « movimento profondo, capace di unire e connettere insieme >> , che come originario de siderio di ogni cosa verso il Bene percorre il mondo fisico (Opera omnia, p. 1070 ) . E insieme egli può aggirare con un' interpretazione minimizzante l' imbarazzante passo ermetico sull'animazione delle statue, che attribuiva all'uomo il potere di « dare la vita >> e di progredire nell' imitazione del dio, fino a divenire egli stesso produttore di "dèi": Come il signore e padre [ ... ] è creatore degli dèi celesti, cosl l'uomo è artefice degli dèi terreni che si trovano nei templi, contenti della loro prossimità con gli uomini. E non solo l'uomo riceve la vita, ma anche la dona. E non solo progredisce verso il dio, ma anche plasma gli dèi [ ... ] ; l'uomo ha potuto trovare la natura divina e produrla ( Hermes Trismegistus, Corpus Hermeticum, pp. 325, 3 47-9) .
L o scritto forse p i ù famoso di Ficino, i l De vita coelitus comparanda, vera carta di fondazione della magia naturale, venne costruendosi come una sorta di lungo commento a un passo delle Enneadi di Plorino'. È infatti la filosofia ploriniana e neoplaronica a fornire la struttura teorica, le im magini, il linguaggio e perfino le tecniche operative. E tuttavia, nella de scrizione delle reciproche influenze che legano la realtà tutta, come pure nella fissazione della figura del mago « coltivatore del mondo >> (Apologia, in Sulla vita, p. 298), non può non avvertirsi l'eco persistente deii' Asde pius ermetico, che per Ficino continuò a costituire la chiave interprerariva dell'ermetismo anche dopo la traduzione del Pimander. Proprio nella con tinua insistenza sulla necessità di studiare la natura per scoprirvi l'arre e la presenza del dio, l' Asdepius aveva provvisto di una intrinseca consistenza e di una legittimazione teologica l'ordine, la connessione, la regolarità del l · Stampato nel dicembre del 1489, il De vita raccoglie tre libri: i primi due (De vita sana, De vita longa) si inseriscono nella tradizionale letteracura terapeucica; il terzo, De vita coelitus comparanda, trae invece origine dal commento a un luogo delle Enneadi ploti niane ( « come attirare il beneficio dal cielo » ) ed espone dal punto di vista della medicina astrologica la compiuta strutturazione della nuova magia naturale. Circa il luogo dal quale si sarebbe sviluppato il commento, cfr. Garin (1969, pp. 245-7 ) , Kaske, Clarke (1989, pp. 26-8), Kristeller (1937, p. LXXXIV ) , Walker (2002, pp. J , 41), Yates (1981, pp. 82-3).
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mondo fisico, percorso dal Russo vivificante delle stelle : « dai corpi celesti di cui ho parlato e che sono tutti retti dal dio, si diffonde un continuo effluvio [ ... ] ; la natura, figurando la materia di forme sensibili per mezzo dei quattro elementi, prolunga fino al cielo la serie di tutte le cose affinché esse siano gradite al dio » (Hermes Trismegistus, Corpus Henneticum, pp. 298-9). E se « tutto l ' insieme obbedisce a quel signore sommo che lo go verna, sì da costituire non una molteplicità, ma piuttosto una unità » (ivi, pp. 3 1 9-20), l ' uomo, « grande miracolo >> , « reggitore della terra >> , « se conda immagine di Dio >> , su tutto esercita un dominio vicario : « nessuna caligine dell ' aria può confondere l ' attenzione del suo animo ; la densità della terra non ostacola la sua azione, l'abisso profondo dell'acqua non ottunde il suo sguardo. Egli è tutte le cose ; egli è ovunque >> (ivi, p. 302). La leggibilirà del mondo si rende concreta nel movimento del pensiero dell ' uomo ; e nel suo "fare" vengono alla luce le infinite potenzialità della natura, che il dio ha lasciato come in sospeso, in arresa dell' intervento per fezionante del suo imitatore : il dio, appunto, « ha fatto l ' uomo immagine attiva (imitator) della sua ragione e della sua provvidenza. [ ... ] La parre terrena del mondo è conservata dalla conoscenza e dalla pratica delle arri e delle scienze, perché il dio non ha voluto che il mondo fosse perfetto senza di esse >> (ivi, pp. 305-6). Se è vero che le categorie merafisiche sulle quali venne costruendosi la magia naturale di Ficino sono quelle del neoplato nismo (Copenhaver, 1 9 84, 1 9 8 7a, 1 9 8 7b, 1 9 8 8 ) , è però altrettanto vero che l 'ermetismo fornì a questo progetto la sua legittimazione religiosa: è la teologia dell'Asclepius a giustificare l ' attività mondana dell ' uomo come compimento di un dovere cosmico che gli appartiene e che ha la stessa dignità dell ' altro suo dovere, quello di essere contemplatore di Dio. La modalità con cui Ficino recepì e adattò la tradizione magico-tecni ca medievale, che la teologia duecentesca e la filosofia universitaria aristo relico-tomisrica avevano demonizzato, è attestata dal De vita coelitus com paranda nel tacito impiego del trattato di origine araba Picatrix•. Nella 4· L'originale arabo ( Ghdyat al-hakim, Ilfine del saggio) di questa ampia compilazione magica fu tradotto in castigliano e probabilmente anche in latino atcorno al 1 l 56 alla corte di Alfonso X il Saggio. Atcribuito a Maslama al-Magri ti, importante matematico ed astronomo nella Spagna moresca dell'xi secolo, il manuale deve essere probabilmente postdatato di almeno mezzo secolo. Nella tradizione occidentale circolò con atcribuzione a un misterioso Picatrix, sulla cui identificazione sono state avanzate numerose ipotesi ( Thomann, 1990 ) ; successivamente il nome passò a designare il titolo dell'opera. A parte la sua presenza alla corte alfonsina, sono scarsissime le testimonianze di una sua circola zione prima di Ficino.
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s u a corrispondenza Marsilio Ficino consigliava all'amico Filippo Valori di non darsi pena a cercarne una copia, perché tutto ciò che di valido e utile esso conteneva era già stato scrupolosamente riportato nelle pagi ne dell 'appena terminato De vita, mentre era stato tralasciato tutto ciò che era fucile, inconsistente e condannato dalla religione cristiana (Del Corno, 1976, pp. 470- 1 ) . Non si tratta soltanto di una forma di sottile autopromozione o di prudente autodifesa; in realtà, le parole di Ficino indicano il criterio che lo guidò nella lettura del manuale arabo: una let tura selettiva, ma ampia; senza dubbio interessata alle prescrizioni ope rative, ma anche concettualmente orientata nel rintracciare le assonanze, i richiami, le analogie che legano questa scabra esposizione alla raffinata concezione neoplatonica. Nel Picatrix si delinea infatti una visione del sapere sia come conoscen za fìlosofìca della struttura seriale della realtà, dell 'animazione universale, dei rapporti di consonantia che legano l'alto e il basso e le cose tra loro ; sia come attivazione magica di questi presupposti teorici nella riproduzione di «effetti straordinari e azioni che agli occhi degli uomini non appaiono usuali, ma che sembrano quasi appartenere al genere del miracolo>> (Pi catrix, p. 8 9 ) . In tal senso l ' intervento sui nessi universali descritti dalla fìlosofìa viene a costituirsi come la perfezione dell'uomo, il suo vero e su premo compito ; solo nel "fare" (in quanto immagine del "creare" divino) prende consistenza il privilegio di cui l'uomo è stato gratificato al mo mento della creazione: « Dio ha formato l ' uomo capace di raccogliere e scoprire la sua sapienza e la sua scienza, di spiegare le sue qualità e quelle di tutte le cose del mondo, [ ... ] di comprendere tutte le cose e tutti i rap porti che legano gli enti nel mondo superiore >> (ivi, p. 26). L'acquisizione della conoscenza e il suo tradursi in operatività sono sempre ricondotti a un esercizio di ragione, ovvero a una caratteristica del tutto umana che può svilupparsi in modo più o meno articolato, ma anche non svilupparsi affatto : la sapienza non è accessibile a tutti, perché l ' intelletto, presente in linea di principio nell ' intero genere umano, resta di fatto inerte nella maggior parte degli uomini, soffocato come è dal groviglio delle pulsioni materiali. I sapienti acquisirono la conoscenza delle forze spirituali e se ne impadronirono soltanto con grande fatica, impegno e applicazione; e ne colsero quanto riusciro� no, ma non prima di aver placato e allontanato da sé le preoccupazioni e la cura delle cose mondane per dedicarsi con studio assiduo alla conoscenza grazie al loro valido ingegno e alla memoria ( ivi, p. 74) .
I YINCOLI DELLA NATURA Da un lato la magia può essere descritta come una relazione imitativa dei processi naturali, analoga a quella che caratterizza la quotidiana fabbri cazione di certi prodotti: « ogni giorno gli uomini fabbricano talismani senza saperlo >> , «proprio come fanno gli artigiani che filano la seta >> (ivi, pp. 51-2, 6 9 ) . D'altro lato, però, non contraddittoriamente - almeno agli occhi di lettori come Ficino - essa deve far riferimento a una istanza le gittimatrice superiore. La perfezione del mago richiede come condizione preliminare una personale inclinazione, derivante dalla disposizione cele ste al momento della nascita (la sua « natura completa >> ); ma il privilegio strettamente naturale tende poi ad assumere la consistenza di un daimon, controparte spirituale e angelo tutelare della specie umana: così suggerisce il racconto del sogno di Ermete, in cui egli incontra la sua natura completa e, da lei guidato, estrae da un pozzo « la scienza dei segreti della creazione, delle cause della natura, delle origini e delle modalità delle cose >> (ivi, p. 144). La magia perciò non è soltanto culmine del percorso intellettuale come suo concreto riversarsi sulla realtà e possibilità di produrre nuove combinazioni fenomeniche ; ma si impone anche quale punto di arrivo dell' itinerario spirituale di ritorno all'origine e momento di comunica zione con un ente divino. La lettura di Ficino, già orientata dal neopla tonismo e dall'ermetismo, gli permise forse di intravedere una affinità tra questa narrazione e l'apparizione di Pimandro-Mente nel primo trattato del Corpus Hermeticum; e, pur nella consapevolezza del carattere teologi camente riprovevole di buona parte delle pagine del Picatrix, Ficino po trebbe aver riconosciuto anche qui una formulazione della magia come esplicitazione del doppio compito dell 'uomo : la ricerca intellettuale e il cammino "religioso" di avvicinamento al divino.
Devotio ermetica Dopo Ficino, il richiamo all'ermetismo assumerà un rilievo particolare nella riflessione di tutti gli autori nei quali l'aspirazione alla renovatio si è ormai apertamente tradotta in una concreta aspettativa di riforma religio sa. I motivi tipici della devotio ermetica - l'esigenza di un risveglio della coscienza religiosa, l' insistenza sulla fede come esperienza rigenerante e salvifica, il richiamo all' illuminazione interiore, la svalutazione delle ceri monie - si saldano infatti con i temi che sostanziano la contrapposizione alla tradizionale strutturazione della vita cristiana: l' interpretazione della
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libertà come patrimonio interamente spirituale ed esperienza personale di fede pone il credente in diretto rapporto con Dio, lo svincola dagli obbli ghi di una religione formalistica e implicitamente limita il ruolo istituzio nale della Chiesa. In questo senso andrà forse intesa l ' iniziativa editoriale che guidò la stampa dell' Ermete in volgare, curata nel 1548 dall'accade mico fiorentino Carlo Lenzoni. Rendendo disponibile anche a stampa il Pirnandro in traduzione italiana, « preciosissima e singularissima gioia » (Al molto reverendo M. Pierfrancesco Riccio, p. 1 6 5), l'edizione si adeguava al progetto ufficiale del duca Cosimo di provvedere a una educazione più ampia; e insieme adempiva all' intenzione di promuovere il prestigio del ducato, sia attribuendo alla lingua fiorentina il ruolo di lingua di cultura, sia sottolineando la continuità filosofica della dinastia medicea con l' ac costare i due Cosimo sotto il segno della diffusione di Ermete (Toussaint, 2010, p. 8 ) . Però attraverso Ermete la strategia culturale del duca metteva forse in atto anche quel gioco sottile di sotterranee allusioni e di velate minacce che sempre accompagnò i suoi rapporti con il papato romano: la dedica del Lenzoni reca per l'appunto la data del 1547 ed è perciò per fettamente contemporanea alla lettera di Cosimo ali ' imperatore Carlo v, nella quale si avanzava l' ipotesi di « tor la ripurazione al Papa» mediante il concilio, sfruttando il serpeggiare della dissidenza religiosa. La dottrina ermetica, così profondamente individuale, spogliava la no zione di libertà di valore politico e inquadrava anche dal punto di vista re ligioso l'acquiescenza al potere del principe. Può darsi che questo spieghi il favore accordato da corti e potenti a molti intellettuali platonizzanti, che tentavano di crearsi uno spazio sociale insistendo proprio sulla rappresen tazione di se stessi come illuminati ermetici (Celenza, 2001, p. 128). Se non molto si può dire della stravagante avventura del profeta Giovanni "Mer curio" da Correggio, protetto del re di Francia e protagonista di spettaco lari apparizioni nelle città europee (Lazzarelli, Epistola Enoch; cfr. Garin, 2006, pp. 52-7 ), nel visionario ed esaltato Crater Herrnetis del suo discepolo Ludovico Lazzarelli la funzione redentrice di Pimandro e quella di Cristo sono sovrapposte come in un'unica figura: « Questi, che nella mente di Er mete era Pimandro, Gesù Cristo, si è degnato di prendere residenza in me e, illuminandomi la mente con la luce di verità, Consolatore eterno, mi ha consolato >> (De surnrna horninis dignitate, p. 341)1• La volontà di porre il criIl Crater Hermetis ebbe due redazioni: la prima, databile tra il 1486 e il 1494, rimasta manoscritta, poi rimaneggiata (Moreschini, l O O O , pp. 217�2I) e stampata con l'edizione
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stianesimo in continuità con l'ermetismo è del resto chiarita dalla ricostru zione della genealogia della vera sapienza che culmina in Cristo; all'origine di questa catena teologica non c 'è più Mosè, ma l'egizio Ermete: ·4) .
La mente, «parte somma della nostra anima » , vede le ragioni del cucco in Dio stesso ; questa intuizione diretta delle essenze si trasforma immediata mente in dominio sulla natura (miracu!osa potentia) : « la mente è l'unico artefice degli effetti straordinari » (ivi, pp. 407, 414). A questa conoscenza si giunge percorrendo il cammino della dignificatio, «principio, compi mento e chiave di cucce le operazioni magiche >> (ivi, pp. 406-8), nel quale è facile riconoscere una sintesi originale della deificazione ficiniana con la nozione di natura completa del Picatrix. Per elevarsi alla sapienza/potenza è indispensabile il possesso di una «dignità per natura >> , ovvero la nascita sotto una configurazione scellare che dota l' individuo dell'ottima disposizione fisica e di un'anima purifica ca. Il sentore "gnostico" di questo requisito, assai prossimo al primo signifi cato della "natura complecà' di Picatrix, è solo apparente; non c 'è una sud divisione in classi di individui (gli eletti per natura e cucci gli alcri), perché Agrippa aggiunge subito che la necessaria disposizione fisico-psichica può essere procacciata anche mediante un regime di vita adeguato : chi non sia naro socro quell 'oroscopo favorevole (che è lo stesso di Cristo) può com pensare il difetto di naturalis dignitas soscicuendola con una dignità artifi ciale. Il secondo requisito è l'acquisizione della «dignità per merito >> : dopo aver volto lo sguardo sul mondo, l'anima deve avviarsi alla contemplazione intellettuale ; e per far ciò deve convertirsi in se stessa. Con il superamento delle spinte che provengono dal corpo e dalle funzioni inferiori (le passioni, le false immaginazioni, gli appetiti smodati), l'anima si riappropria della « capacità di comprendere >> e della « signoria >> su cucce le cose: entram be le appartengono come patrimonio innato, ma sono attenuate e oscurate
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dalla materialirà. La dignificatio attraverso il merito è dunque una prepara zione morale e intellettuale che non fa certo a meno della scienza - il mago, anzi, deve padroneggiare fisica, matematica e metafisica ( ivi, pp. 88-9) -; ma queste conoscenze devono trovare inveramento nella loro corrispon denza con i contenuti innati della mente : il ripiegamento nell' interiorità rappresenta la disposizione adeguata per riportare alla coscienza e rendere operativamente attivo il divino che è nell'uomo. L'ultimo requisito della dignificatio è l' « arte religiosa » , ossia una devozione costante e la pratica delle opere sacre, che possono anche non essere comprese, ma che devono essere osservare con pietà e fermamente credute : è questa una conseguenza del riconoscimento ( già ficiniano ) della dignità di tutte le religioni agli oc chi di Dio, che Agrippa trasferisce sul piano operativo. Il richiamo alla pratica religiosa come presupposto ineliminabile per un esercizio legittimo della magia non deve essere però confuso con la richiesta di una iniziazione misrerica. La magia resta sempre e soltanto «parte pra tica >> della scienza ( ivi, pp. 86-8); ma soltanto l'uomo «perfettamente pio e veramente religioso » ne realizza l'uso legittimo, ossia "naturale" ( ivi, pp. 402-3 ) : il criterio morale e religioso di legittimità, che consente la riabili tazione della magia in tutte le sue forme, risiede nel recupero della divinità che il Creatore volle partecipare alla sua creatura. Perciò, definendo la magia «perfezionamento assoluto della filosofia più nobile >> ( ivi, p. 86), Agrippa l'accredita in quanto espressione di un certo modo di far filosofia, "il più nobile" perché il più prossimo alla comprensione del piano divino. In questa prospettiva, però, la magia non rappresenta più soltanto il settore applicativo della scienza della natura; diventa invece un rapporto di collaborazione con Dio, perché Dio ha affidato proprio all'uomo il compito di portare a per fezione (consummare, appunto ) la parte della creazione che il suo disegno imperscrutabile ha lasciato intenzionalmente inespresso in arresa dell' imer vento attuativo dell'uomo : è, anche la magia, atto d'amore, estrinsecazione di quel ministero universale che compere al lume naturale quando è accom pagnato dal lume soprannaturale. La riforma della magia contribuisce a dare una nuova direzione all' impegno umano nel mondo, fondando un nuovo ripa di sapere che attribuisce pari dignità alla speculazione e all'azione - che è, insomma, un sapere utile agli uomini. Il filosofo non deve più soltanto contemplare Dio, né solramo custodire un giardino già perfetto ; egli deve diventare nesso escatologico dell'universo creato: gubernator mundi, diceva l' Asclepius. Anche per Agrippa, in farri, «la conoscenza è la radice di turre le azioni straordinarie ; infatti quanto più comprendiamo e conosciamo, ramo
« QUESTA MENTE È DIO NEGLI UOMINI»
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più straordinarie azioni compiamo e con tanta maggiore facilità e d efficacia operiamo>> ; e, d'altra parte, solo il pensare che si trasforma in operare costi tuisce il fondamento della dignità dell'uomo, vera immagine di Dio, che è conoscenza assoluta e incessante attività ( ivi, pp. so8-9 ). Nel I 6I4, ovvero pochi decenni dopo che Giordano Bruno aveva esaltato la fecondità « del magico e divino culto degli Egizii >> e ricordato la sapienza dei « trismegisti presso gli Egizi >> (Spaccio de la bestia trionjànte, p. 782.; La magia naturale, p. I6I ) , l'erudito Isaac Casaubon denunciava la non autenti cità della letteratura ermetica (Grafi:on, I983; Purnell, I976, I977 ) . I termini estremi - Bruno e Casaubon, l' « accademico di nulla accademia >> e «omo sanza legge >> da una parte, e il pio riformato, dal!' altra - rappresentano bene le due facce opposte della complessa vicenda dell'ermetismo rinascimemale. Facce opposte, ma accomunate alla radice da una identica consapevolezza: il giudizio sull'ermetismo implica una valutazione dei suoi rapporti con il cristianesimo. La fortuna dell'ermetismo in Occideme fu sempre questione di ideologia: è ideologico - e assai generico - l'elogio del!' amica religione degli Egizi (una zoolatria "civile" molto lontana dall'arisrocratica spiritua lità del Pimander) che Bruno pone a contrasto con l' inadeguatezza della filosofia cristiana e di qualunque filosofia che non cerchi nella natura la via d'accesso a Dio; è ideologica, per quanto sostanzialmente esatta, l'analisi filologica e storica a cui Casaubon sortopose gli scritti del Trismegisto per dimostrarne l' impostura, liquidando l' illusione di una antichissima teolo gia consapevole dei misteri cristiani ancora prima che essi fossero manife stati ai legittimi destinatari. Fino a quel momento, però, l'ermetismo - per la sua connessione con la venerabile figura del profeta egizio e per la natura composita del suo insegnamento, a metà tra filosofia e religione, tra conqui sta della ragione e rivelazione di ordine soprannaturale - aveva assolto con straordinaria efficacia al ruolo di mito di riferimento di un'altra ideologia, quella della rinascita: riappropriazione di un passato perduto, ma insieme ripensamento del proprio presente.
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La magia e i poteri dell' immaginazione di Guido Giglioni
Realtà e rappresentazione
Chi nel Rinascimento avesse voluto difendere la realtà delle trasformazio ni materiali indotte dall' immaginazione - nel proprio corpo, nel corpo di altri individui e nell 'ambiente ad essi circostante - non doveva necessaria mente richiamarsi a posizioni neoplatoniche e avicenniane. Aristotele po teva infatti fare altrettanto bene al caso. Nel De anima ( m , 3, 427a-429a ) , egli aveva fornito una delle analisi più lucide e dettagliate dei poteri e dei limiti dell' immaginazione. Ancor più autorevole e influente poteva consi derarsi un testo tratto dal De m otu animalium, che, spesso citato da diversi autori, si prestava ad essere utilizzato nei più svariati contesti: Immaginazioni, sensazioni e idee causano alterazioni nel corpo : le sensazioni sono già di per sé delle alterazioni, mentre l ' immaginazione e il pensiero conten� go no la forza delle cose [T�V Twv npay�itTwv exovO'L èluvctf'LV ]. Infatti, la forma con· cepita del caldo e del freddo, di ciò che dà piacere e di ciò che incute paura risulta in qualche modo essere come la cosa stessa. È per questa ragione che le persone tremano e si spaventano anche solo pensando. Tutti questi enti sono delle passioni e delle alterazioni. E quando le parti corporee si alterano, alcune diventano più grandi, altre più piccole (vn, 7orb).
L' ingrandirsi e restringersi degli organi veniva crucialmente ricondotto all'azione dello spirito (nvEiifta) e alla sua capacità di espandersi e contrarsi ( ivi, x , 703a ) . Ridotta all'osso, l 'argomentazione era la seguente : i pensieri racchiudono le specie delle cose, che la mente astrae dalle sensazioni; le sen sazioni sono delle affezioni corporee; le specie, veicolate dalle sensazioni, possono quindi alterare il corpo. Pomponazzi ( r462-1525 ) fece un uso assai spregiudicato di questa argomentazione nel De incantationibus, arrivando a render conto dei fenomeni più disparati, dalle stimmate di san Fran cesco alla miracolosa apparizione di san Celestino sul cielo sopra L'Aquila
I VINCOLI DELLA NATURA (Pomponazzi, De incantationibus, pp. 40, 91-3, 130; Garin, 1988; Giglioni, 201oa; Pennuto, wo8). Il Peretto poteva infatti spiegare le trasformazioni materiali indotte dali' immaginazione rifacendosi alla struttura stessa della "specie spirituale", in virtù della quale la cosa da essa rappresentata poteva realizzarsi nel caso in cui si fosse verificato il giusto equilibrio tra la forza del principio agente e la disposizione della materia'. Non basta. Le specie "sentite" dall'anima potevano anche "imprimersi" sui sottilissimi vapori ritenuti effondersi incessantemente dai corpi viventi e influenzare quindi la realtà circostante (Pomponazzi, De incantationibus, pp. 24, 30 ). Rimaneva l' importante precisazione secondo cui l' immaginazione ari stotelica era strettamente legata al materiale fornito dai sensi. « Non si può assolutamente negare >> , scriveva il medico e filosofo Andrea Cesalpino ( 1 524/2s- 1 6 0 3 ) in una delle sue Quaestiones peripateticae (1571), che «l' im maginazione sia un movimento messo in atto dai sensi >> . E si richiamava ad Aristotele nel sostenere l' impossibilità di immaginare delle qualità di cui non si avesse previa sensazione (un cieco non può immaginare i colori, così come un sordo non può immaginare i suoni ) . Tuttavia, continuava Cesalpi no, « riguardo a ciò di cui abbiamo sensazione >> è perfettamente legittimo, anche da un punto di vista aristotelico, « immaginare molte cose di cui non abbiamo mai avuto percezione sensibile >> . Dal materiale sensibile, l' imma ginazione è in grado di elaborare mondi immaginari: Non solo infatti traiamo dal nostro interno e - per così dire, alla maniera di pitto ri e poeti - poniamo di fronte ai nostri occhi, ogni volta che lo vogliamo, delle im magini (simulachra), anche di cose che non esistono, come i centauri e le chimere, ma nell'anima si formano in tutta spontaneità dei movimenti corrispondenti a immagini (simulachra), di cui non abbiamo avuto la percezione sensibile, come nei sogni e a volte in certi stati di veglia ( Cesalpino, Quaestiones, [ I>sv). 1. De incantationibus, p. 20: « nihil tamen prohiber, immo est necessarium quod ipsa spe cies spiritualis realiter producat rem, cuius est species, si agens fuerit potens et passum ipsum fueri t recte dispositum » . Cfr. ivi, pp. 3 1 -4, 43-4. Questo punto venne criticato con forza dal medico belga Thomas Feyens, latinizzato in Fienus (IS6?-I6JI), nella sua opera De viribus imaginationis, stampata a Lovanio nel z6o9: > ( ivi, f. 1 27r) . Cesalpino connette questa capacità dell' immagi nazione di "risentire" immediatamente della realtà senza la mediazione dei sensi - una forma di enorme libertà rappresentativa e una specie di
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spiraglio lasciato aperto ali ' alrrimenti soffocante presenza dei sensi - ai fenomeni della divinazione e della profezia: Sebbene la gran maggioranza delle immaginazioni traggano il loro principio di movimento dal nostro interno, vale a dire, dai sensi, o dal ricordo di qualcosa, se però ci saranno delle immaginazioni che traggono origine dalle stesse cose ester ne, esse saranno gli indizi di queste cose, e quindi conterranno la verità - sempre, o il più delle volte ( ivi, f n6v).
Che questa possibilità esista è dimostrato da Aristotele, il quale, secon do Cesalpino, connette nel De divinatione per somnum le immaginazioni dirette della realtà esterna ai sogni premonitori e veri, che accennano ad eventi prossimi ad accadere senza far riferimento ai sensi o ali' intelletto. In quanto forma di praesensio, l' immaginazione può cogliere degli aspetti della realtà che sono ancora in formazione e che essa presagisce in virtù di congetture e analogie. Questa percezione del!' immaginazione è rapidis sima e il più delle volte sfugge alla coscienza. Secondo Cesa!pino, i movi menti dell'anima che fanno capo all' immaginazione sono infatti assai nu merosi e veloci; spesso non ne abbiamo consapevolezza, altre volte, come in casi di malattia mentale (melanconia) o di estasi, ne siamo sopraffatti e crediamo che ciò che immaginiamo sia ciò che sentiamo (ivi, f. 1 2.7r). La questione principale diventa allora in che modo si possa produrre nell'anima un qualche movimento presente che però provenga da eventi futuri. Dal momento che si tratta di un presentimento (praesensio) del fu turo, il movimento dev 'essere nell ' immaginazione prima che nella realtà, il che è però impossibile se l ' immaginazione deve comunque venir mossa dalle cose. Ma non è forse assurdo che, come le cose che sono passate hanno lasciato qualche traccia di sé, allo stesso modo, prima che esse accadano, inviino dei segni, come avviene con le tempeste ? Bisogna allora ritenere non che un movimento possa derivare da eventi futuri che non sono ancora accaduti, ma piuttosto che quelli che sono gli inizi degli eventi futuri e che già esistono in atto producano quei movimenti nell' immaginazione (ibid. ). In questo senso l ' immaginazione può presentire eventi futuri perché in al cuni casi particolari, come i sogni o le estasi, non essendo distratta dalla realtà sensibile, essa coglie degli indizi di processi di là da venire, ma già in formazione, e da essi congettura il probabile risultato. Cesalpino precisa che l' immaginazione non percepisce qualunque aspetto della realrà esterna in modo diretto, senza la mediazione dei sensi, ma solo delle cose e delle persone sulle quali abbiamo investito particolare interesse e affetto.
LA MAGIA E I POTERI DELL' IMMAGINAZIONE Per ricapitolare, possiamo dire che sia proprio dell'immaginazione l'at to di risentire. Essa ri-sente in due modi: uno è quello della memoria, ed è un percepire di nuovo il già percepito con i sensi; l'altro è un risentire in quanto essere affetti direttamente dalla realtà o da suoi sviluppi in cor so di formazione. Considerata come immaginazione, l'anima "risente" e "presente". Memorie e presentimenti la rendono atta a "sentire" in qualche modo l' intelligibile, il "sempre esistente" e il "di là da venire". In questo sen so, l' immaginazione è la facoltà del divinare e della profezia. Nella sua di scussione sull' immaginazione, l' intento di Cesalpino sembra essere quello di dimostrare come, pur partendo da premesse aristoteliche, si possa render ragione di fenomeni preternaturali, quali la divinazione e le interferenze demoniche. In questo, il suo approccio è parallelo a quello di Pomponazzi, ma ad esso antitetico, nel senso che quest'ultimo aveva concentrato la sua attenzione sulla forza dell' immaginazione per restringere il più possibile il campo del preternaturale. Rimane tuttavia il fatto assai significativo che entrambi gli autori partono da un'analisi filosofica della struttura dell' im maginare e delle immagini per arrivare a delimitare gli ambiti antologici dell'attività rappresentativa umana. In ciò, essi tenevano indubbiamente conto dell ' influente e autorevole speculazione ficiniana, soprattutto della sua elaborata contestualizzazione cosmologica e astrologica (Allen, 1 9 8 9 ; Corrias, 2 0 1 2 ; Giglioni, wwe, wu; Klein, 1 970a, 1 9 7 o b ; Zambelli, 1991c).
Immagini e immaginazione
Nel celebre De vita coelitus comparanda (Come procurarsi vita dal cielo), libro I I I del De vita (1489 ), Ficino riconosce apertamente quanto possa essere complessa e delicata la questione delle immagini astrologiche, il funzionamento delle quali presuppone inevitabilmente una forma di de terminismo astrale, per non parlare dei possibili rischi di idolatria. Egli sgombra il campo da ogni possibile equivoco, chiarendo come l'efficacia di tali immagini risulti da rapporti empatetici di corrispondenza tra mondo sublunare e supralunare, e non da forme eterodosse di devozione religiosa: « noi in questo momento parliamo non di adorare le stelle, ma piutto sto di imitarle e, imitandole, di cercare di catturarle >> (Ficino, Sulla vita, p. 270 ). Sulla questione non manca di rifarsi alla posizione di Tommaso d'Aquino, il quale nella Summa contra genti/es ( m , 104-107) aveva ricon dotto il potere delle suddette immagini alla natura delle qualità materiali,
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e non alle particolari configurazioni dei pianeti. Se le immagini hanno un qualche potere che eccede il livello delle qualità materiali, aveva ipotizzato Tommaso, esso deriva dall' intervento dei demoni ( Ficino, Sulla vita, p. 258 ) . Una delle caratteristiche strategie ermeneutiche messe in atto da Fici no è quella di riferire, con dovizia di particolari, il contenuto delle pratiche più eterodosse, presentandole come opera di altri autori, e di dissociarsi da esse mentre espone i principali punti della dottrina: Riferirò ora brevemente di seguito gli argomenti che, tratti dal pensiero dei Magi e degli astrologi, possono essere riferiti, interpretando Plotino, a favore delle imma gini; ma prima ti voglio avvertire di non credere che io approvi l'uso delle immagi ni, bensì che lo espongo. Io infatti faccio uso di medicine convenientemente prepa rate tenendo conto del cielo, non di immagini (ivi, p. 243. Cfr. anche pp. 259, 265)'.
Ficino sdoppia quindi il suo ruolo di filosofo della natura in quello di esposi tore neutrale di dottrine sospette, da un lato, e severo censore della credenza nell'efficacia e liceità di alcune pratiche magiche, dall'altro. L'escamotage non sempre funziona. Ad esempio, Ficino ammette a volte che i rimedi pre parati e amministrati tenendo conto di specifiche configurazioni astrali sia no più efficaci di quelli approntati seguendo i principi elementari e materiali della natura ( ivi, p. r 8 6 ) . Altrove si richiama alla forza dei raggi astrali per giustificare l'attivazione delle immagini. Si tratta di raggi « vivi e sensibili>> , scrive, che trasmettono « doti meravigliose provenienti dalle immaginazioni e dalle menti dei corpi celesti>> ( ivi, p. 245 ) . Attribuisce poi all' « arte >> la capacità di alterare il materiale di determinati oggetti - tramite « frizione >> o « riscaldamento >> - in modo da attivare la forza che è già presente « in ger me >> , e, « riportando questa materia ad una figura simile alla figura celeste che le è appropriata, la espone finalmente alla sua idea, e, così esposta, il cielo la perfeziona in quella virtù >> . In un' immagine formata ad arte si instaura quindi un potente nesso tra la forma celeste e l' idea. Si tratta di amalgamare i poteri degli elementi contenuti nel materiale usato per costruire l' immagine con le forze occulte trasmesse dai raggi celesti e infine con la figura ( ivi, pp. 246-S ) . In altre parti ancora dell'opera, Ficino si richiama a Porfirio, il quale « nell'epistola ad Anebo afferma che le immagini sono efficaci, ed aggiunge 2. Cfr. Sulla vita, p. 2.57: « lo invero non affermo che si possano fare cose di questo genere. Gli astrologi invece ritengono che si possano fare e insegnano in quale modo, ma io non oso raccontarlo» . Nell'Apologia, ribadisce che « la magia e le immagini Marsilio non le approva, ma ne parla solamente, mentre espone il testo di Platino » ( ivi, p. 298).
LA MAGIA E I POTERI DELL' IMMAGINAZIONE che i demoni aerei sono soliti insinuarvisi per alcuni parricolari vapori che esalano da suffumigi appropriati >> (ivi, pp. 233, 258)1• Richiamandosi all'aurorirà di Plorino e al-Kindi, Ficino riconosce alle figure e immagini astrologiche la capacità di influire sulla realtà sublunare in virrù del potere che le forme matematiche esercitano su quelle fisiche. Connessi alle forme matematiche sono gli accordi musicali, i quali sono proporzioni matematiche che in ultima analisi si risolvono in figure geo metriche. Anch'esse dominano sui processi vitali e corporei della natura. Oltre alle influenze di natura fisica e matematica, i corpi celesti esercitano effetti di tipo empatetico - trami re i loro « volri >> e « facce >> - sulla realrà del mondo sublunare. Vi è infarti un' immaginazione astrale che produce sui corpi terreni gli stessi effetti che l' immaginazione dei genitori può im primere sul frutto del loto concepimento ( ivi, p. 250). L' immaginazione dei corpi celesti incontra poi quella degli esseri umani. Ficino distingue infarti rra forme astrali visibili e forme astrali immaginabili, ma non visibi li, risultanti da un' arrivirà immaginativa di tipo collettivo e rransculrurale, processo già notato « dagli Indi, dagli Egiziani e dai Caldei>> (ivi, p. 252). I poteri dell ' immaginazione derivano dall'esistenza di un parallelismo astrale rra corpi celesti e facolrà del!' anima: « attraverso le inclinazioni e i desideri dell 'animo e attraverso la qualità stessa dello spirito siamo esposti facilmente e immediatamente ai pianeti che rappresentano le medesime inclinazioni e desideri e una qualità del medesimo genere >> (ivi, p. 1 9 5 ) . Una volra inserire nel contesto p i ù ampio d i forze immaginative d i tipo cosmologico, anche l e immagini creare artificialmente dagli uomi ni possono agire come potentissimi conduttori di energia derivante dalle corrispettive immagini astrali: « La figura celeste [ ... ] perfeziona la figura artificiale>> (ivi, p. 2 5 1 ) . Come già chiarito supra, nel mio contributo alle pp. 29-45, è sopratturto lo spirito - sostanza materiale rra le più ambi gue nell'universo, capace di rendere immaginabili le operazioni alrrimenti inimmaginabili delle sostanze e funzioni incorporee - a fungere da trami re cosmologico e fisiologico tra influenze astrali e immaginazione : lo spirito, giacché giova al corpo per la vita, il movimento e la propagazione, è ri tenuto gioviale, venereo, solare. Poiché serve all'animo per la sensibilità e l' imma ginazione, è considerato solare e mercuriale, e, dovunque sia, si mostra mercuriale, dal momento che è così mobile, e muta ed acquista nuove forme tanto facilmente ( ivi, p. HJ). J. Cfr. Porfirio, Lettera ad Anebo, p. 40: Ficino, Opera omnia, Il, pp. 1 88>, 1890.
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Il transfert di energia dal cielo avviene attraverso un processo di immede simazione e assimilazione. Ficino ricorda come gli astrologi arabi avessero elaborato una tecnica per connettere l' immaginazione alle stelle : « in se guito a una certa applicazione del nostro spirito allo spirito del mondo, fatta per mezzo di un'arte che segue la natura e "per mezzo" dell'affetto, si trasferiscono alla nostra anima e al nostro corpo i beni celesti >> (ivi, p. 197 ). Chi sa come sollecitare il potere di concentrazione interiore attraverso la forza dell' immaginazione, può arrivare a connettere il proprio spirito allo spirito del mondo e alla potenza delle stelle. « [L]o spirito così influenza to, così pieno di doni>> , scrive Ficino accennando a temi già presenti nel Picatrix latinus (Picatrix, m , s, pp. 103-8), «può con maggiore intensità ed efficacia non solo agire sul proprio corpo, ma trasmettere una qualità simile anche a un corpo vicino, soprattutto se è conforme per natura, ma più debole >> (Ficino, Sulla vita, p. 2 6 6 ) . In ultima analisi, l' immagine più affidabile è quella che ognuno di noi può costruire ali' interno della pro pria mente in modo da assimilarsi alla vita del cosmo : Tu, invero, modellerai in te un' immagine più eccellente. Dunque, quando avrai capito che né nulla è più ordinaw del cielo, né alcuna cosa può essere pensata come più equilibrata (temperatius) di Giove, spererai di ottenere i benefici del cielo o di Giove, se renderai te stesso ordinatissimo ed equilibratissimo (tempe rantissimus) nei pensieri, negli affetti, nelle azioni, nel modo di vivere ( ivi, p. 262).
L'immaginazione è quindi la facoltà la cui intrinseca plasticità permette all 'anima e allo spirito di conformarsi alla vita e agli influssi delle stelle : « La nostra immaginazione può senz'altro, o per la qualità e il movimento dello spirito, o per una nostra scelta, o anche per entrambi questi fattori, disporsi, comporsi, conformarsi a Marte e al Sole, in modo che sia all ' i stante capace di ricevere gli influssi di Febo e di Marte >> (ivi, p. 27 s ) . La ragione è « gioviale >> , ed unisce l' individuo agli altri esseri umani, creando le migliori condizioni per la vita in società. La mente è « Saturnina >> , se para l'anima dai sensi, dalle immagini e dagli altri uomini, e, tramite vita contemplativa, connette l'anima alle altre intelligenze dell 'universo : così facendo, gli uomini possono diventare demoni o eroi. L' immaginazione è invece per natura « marziale >> . Essa unisce l'uomo, in quanto unione di spirito, anima e corpo, al cosmo e agli astri (ivi, pp. 276-7 ). L'analisi ficiniana di immagini e immaginazione in termini cosmologi ci esercitò una notevole influenza su successive teorizzazioni rinascimen tali. Agrippa descrisse in chiari toni ficiniani l' immaginazione come la fa-
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coltà capace di sanare le fratture e saturare i vuoti tra conoscenza e realtà, tra l' intelletto e i sensi, tra anima e anima: solo l'anima ha il potere di estendersi da una materia alle altre cose sulle quali agisce, come l'uomo il quale estende l ' intelletto a ciò che è intelligibile e l' imma ginazione a ciò che è immaginabile; e questo è quanto intendevano [Democrito, Orfeo, i pitagorici, Zoroastro e Sinesio] quando dicevano che l'anima di un ente esce da quell'ente ed entra in un altro e lo affascina e gli impedisce di agire (Agrip pa, De occulta philosophia, pp. 1 12-3).
Agrippa sembra meno preoccupato delle conseguenze teologiche risultan ti dalla tesi che vi siano in natura delle speciali corrispondenze tra confi gurazioni astrali e specie naturali. « Le cose in cui l' idea è meno immersa nella materia » , dichiara in forma di principio generale nell' Occulta philo sophia, « vale a dire, che hanno una maggiore somiglianza con le sostanze separare, recano in sé delle forze più potenti, simili all 'operazione dell' idea separata. Sappiamo infatti che il sito e la figura dei corpi celesti sono la causa di ogni nobile virtù contenuta nelle specie inferiori » . Il rapporto tra influssi celesti e specie naturali è altrettanto diretto e immediato quan to quello che lega l'anima al corpo dell'uomo. Come l 'anima muove con facilità il corpo attraverso l' immaginazione (e si ripresenta qui il già accen nato modello aristotelico di contrazioni ed espansioni pneumatiche ) , allo stesso modo le intelligenze celesti muovono le realtà del mondo sublunare « attraverso l' immaginazione dei movimenti superiori >> ( ivi, pp. ro8-9). Con la sua elaboratissima sintesi di elementi neoplatonici, ermetici ed astrologici, Ficino era riuscito a rendere filosoficamente plausibile e teolo gicamente accettabile l' ipotesi che le idee rivestitesi di corpi immaginabi li potessero produrre effetti diretti sulla realtà materiale. Anche in questo caso, toccò a Pomponazzi smantellare la tesi secondo la quale il mondo sublunare fosse esposto ali ' azione diretta di immaginazioni demoniche e planetarie, o che i corpi potessero fornire il docile materiale per ogni sorta di intervento della mente. La presunta corrispondenza tra immagini astrali e immagini sublunari era per Pomponazzi solo il risultato di riflessioni e rifrazioni di natura ottica tali per cui le cose terrene emanavano specie e im magini del loro stesso essere nell'atmosfera, l'aria se ne impregnava e a volte esse si rispecchiavano in cielo creando effetti mirabili, ma assolutamente naturali ( Pomponazzi, De incantationibus, p. 3 5 ) . Un modo per spiegare razionalmente i supposti potenziamenti deli ' immaginazione era quello di far intervenire l'atto del credere in ciò che si immagina. Più intensamente
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si crede nelle rappresentazioni della realtà, più forza ha l' immaginazione di alterare le cose. Per molti tuttavia, il passaggio dall 'immaginare al credere e al trasformare appariva chiaramente indebito. Ficino non vedeva alcun problema nel processo, perché nel suo caso l' idea ve i colata dall' immagine e fecondata dali' atto del!' immaginare era come un germe ricolmo di energia rappresentativa, pronto a trasformare il cedevole materiale dello spirito, e tramite questo il mondo dei corpi, al punto che il credere o meno in tale forza da parte dei soggetti coscienti era del tutto irrilevante. Per Pomponaz zi, invece, che aristotelicamente parlando rimaneva fermo alla distinzione tra l' immaginare e il credere, un passaggio dal mondo delle idee al mondo dei corpi appariva come una scorciatoia ingiustificata ( ivi, p. 1 27 ).
Credere e immaginare
Uno dei punti chiave dell'argomentazione aristotelica nel già citato passo del De anima è che l ' immaginare e il credere rappresentano due funzioni completamente distinte del!' anima, ed esse, per quanto si influenzino a vi cenda, non possono però identificarsi. Possiamo immaginare intensamen te quanto vogliamo una determinata realtà, ma, se non crediamo alla sua esistenza, non daremo per questo il nostro assenso alla rappresentazione e non innescheremo quindi il processo appetitivo che conduce a preci se reazioni fisiologiche. Per Aristotele questa era anche la ragione per la quale l' immaginazione garantiva un livello di libertà rappresentativa che non era ammissibile nel caso della percezione diretta dei sensi o del cre dere. Possiamo vedere illustrazioni di referti anatomici senza per questo inorridire, e provare invece un certo appagamento intellettuale perché il nostro desiderio di conoscenza ne viene stimolato. L'immaginazione ha libero campo mentre tiene in sospeso la capacità dell'anima di credere o non credere alla realtà dei fatti immaginati. La posizione aristotelica può quindi essere condensata nella seguente tesi: mentre tutto ciò che è credi bile è immaginabile, non tutto ciò che è immaginabile è credibile. Cesalpino, nella sua sottile analisi dell ' immaginazione e muovendo da premesse aristoteliche, attribuiva all' immaginazione il potere di rappre sentare eventi e oggetti senza per questo venirne affetti: Da tutto ciò [ passato, speranza, presente ecc.] siamo affeni, ma non dall ' imma ginazione, se la intendiamo come immagine, e non come una cosa di cui è l' im magine. Le immaginazioni sono infani come dei dipinti, mentre le sensazioni,
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i ricordi e l e speranze sono come l e realtà rappresentate dai dipinti. Per questo, non è l' immagine del nemico, ma il nemico in carne e ossa ad incutere paura, né sono le forme delle cose piacevoli che desideriamo, ma le cose stesse (Ce salpino, Quaestiones, f. 126r) .
La capacità di astrarre dalla realtà è talmente radicata nella facoltà dell' im maginazione che questa non deve nemmeno far riferimento a cose real mente esistenti. « Non è infarti necessario che ogni immagine sia l' im magine di qualcosa (aliquid) » (ibid. ). Abbiamo già visto, nel paragrafo iniziale, come il potere e la libertà dell' immaginazione risiedano proprio nella capacità di rappresentare il qualcosa (aliquid) tanto quanto il qual cos' altro (aliud). In questo senso, l' immaginazione è la facoltà della realtà alternativa, capace di rappresentare anche ciò che è "altro" rispetto alla realtà dei fatti. La libertà rappresentativa e contemplativa dell' immaginazione è tale che essa può perfino pensare realtà che sono false e contraddittorie senza alcun'ombra di dubbio. Tuttavia, non può credere ad esse, proprio perché una credenza da parte dell' immaginazione equivarrebbe ad una sua perdita di libertà rappresentativa, la capacità di sospendere l'atto di cre dere o non credere. In un contesto e periodo diverso, un'osservazione di Isaac Newton chiarisce questo punto molto bene. Sulla prima pagina del manoscritto Common Piace Book, Newton scrisse : «Un uomo può imma ginare cose che sono false, ma può solo comprendere cose che sono vere, dal momento che, se le cose sono false, la loro apprensione non è com prensione (understanding) » (Newton, Iheological Manuscripts, p. 1 27). Credere a delle realtà immaginate richiede intellezione, vale a dire un con frontarsi con la realtà e con il possibile contenuto di verità delle rappresen tazioni dei sensi. Il punto era già stato chiarito da Averroè commentando proprio il testo aristotelico in questione. Nel suo commento al De anima, Averroè aveva sostenuto che immaginare e credere appartenevano a due facoltà distinte e aveva quindi confermato la tesi aristotelica secondo cui ciò che immaginiamo non corrisponde necessariamente a quanto credia mo. Esaminando la differenza (alietas) tra le tre virtù del sentire, imaginari e consiliari, Averroè aveva definito l'atto di credere come non volontario (non possiamo credere a nostro piacimento) . Chi si forma un'opinione ( existimat) non può che credere ali'oggetto del proprio opinare, al punto che, proseguiva Averroè nella sua argomentazione, il soggetto in questione si trova in uno stato di autosufficienza cognitiva (omne credens sibi suffi cit) (Averroè, Commentarium magnum, p. 3 6 8 ) . Quando usiamo la facoltà "estimativa" (ovvero opiniamo, crediamo, riteniamo), pensiamo che qual-
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cosa è o non è in un cerco modo. Nozioni di verità e falsità intervengono nell'atto tramite cui ci formiamo un'opinione della situazione. > , compresa l' immaginazione (ivi, p. 467 ) . Nel lo stesso tempo, però, Campanella difende una visione più ampia del senso, inteso come una forza che pervade tutti gli aspetti della natura, una conce zione dello spirito come sostanza materiale capace di movimento e perce zione, e una nozione di natura come territorio facilmente esposto ad inter-
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ferenze demoniche. Nei Medicinalium libri ( 1 6 3 5 ) , Campanella fornisce le ragioni, per così dire, fisiologiche dell'umana credulità, ricorrendo anch'egli ad una nozione di spirito come sostanza estremamente ricettiva. Lo spirito può essere affetto in maniera patologica dalle rappresentazioni sensibili e intellettuali in due modi principali: o dagli affetti che le rappresentazioni si portano con sé (come quando una persona scorge qualcosa di terrifican te e le passioni scatenate dalla visione provocano reazioni fisiche morbose che possono addirittura condurre alla morte) o dall' intensità dell'esercizio conoscitivo, al punto che la conoscenza diventa in realtà una forma di deli rio. Per Campanella, l'atto di conoscenza è il risultato della collaborazione sinergica di varie facoltà, le quali procedono, per così dire, controllandosi a vicenda: se il senso agisce senza la memoria, la fede senza la ragione, ! ' imma ginazione senza il giudizio, il risultato è sempre una forma di delirio. Qua li sono allora le cure per perdite di controllo emotivo e accessi di delirio ? Campanella risponde che per il primo tipo di laesio « non si dà medicina, a parte la forza d'animo e la fede in Dio>> . La fede nell'aiuto divino, in par ticolare, grazie alla quale l'uomo « crede fermamente che non può essere sopraffatto da nulla >> , costituisce l'antidoto migliore, senza il quale tutti gli oggetti, buoni o cattivi che fossero, « si rivelerebbero, per così dire, dei vele ni>> , perché - Campanella ricorda al lettore - si può morire di crepacuore ma anche di troppa gioia. Il rimedio per forme di concentrazione maniaca le e deliri dovuti al prevalere di un'unica facoltà conoscitiva ad esclusione delle altre è la capacità di rivolgere l'attenzione a più di un singolo oggetto (applicatio ad alia obiecta) e ad oggetti che per la loro potenza distolgano dalla precedente fissazione (obiecta mira bilia). Ma i rimedi possono anche essere materiali e improntati al buon senso, come una nutrizione appro priata a base di carni di vitello o di castrato diluite con uova e farina, o vino allungato con acqua fredda (Campanella, Medicinalium libri, pp. 308-9; cfr. Giglioni, 2007, 20IOC, 2012 ) .
Conclusione
I teorici rinascimentali della magia, in modi diversi, concordarono nel considerare la magia come uno degli agenti di trasformazione più potenti in natura. In Ficino si percepiscono gli echi di concezioni stoiche e neopla toniche mediate dalla riscoperta della letteratura ermetica, riscoperta a cui egli stesso aveva contribuito in modo così importante. Ermete Trismegisto,
I VINCOLI DELLA NATURA in uno dei dialoghi del Corpus Henneticum ( x i , 18-19), si era profuso in un'esaltazione appassionata dei poteri della « facoltà incorporea di rap presentazione » : Ordina alla tua anima d i recarsi i n India, ed essa sarà là più rapida del tuo ordine; comandale ancora di passare nell' Oceano e di nuovo essa sarà là velocemente, non come se avesse viaggiato da un luogo ali'altro, ma come se fosse già là. Ordinale di volare su nel cielo ed essa non avrà bisogno di ali: n iente può opporle ostacoli, né la fiamma del sole, né l'etere, né la rivoluzione del cielo, né i corpi degli altri astri, ma, solcando tutti gli spazi, essa volerà fino all'ultimo dei corpi celesti. Se tu volessi ancora irrompere fuori dello stesso universo e contemplare ciò che vi è al di là (se vi è qualcosa), anche questo ti sarebbe possibile (Hermes Trismegistus, Discorsi, p. 78).
Campanella aveva senz'altro presente l'esaltazione ermetica dell' immagi nazione e dei poteri creativi della mente umana ( e la visione positivamente efficace di una certa devozione teurgico-religiosa ) quando nella sua Me taphysica ravvisava nella forza de li' immaginazione una prova della natura angelica de li' essere umano: Il rapporto (commercium) con gli angeli ci rivela che abbiamo una natura assai si� m ile a quella angelica, di certo nella forza dell'anima immaginante, come sostiene Avicenna. Non c 'è dubbio che un'anima che trasforma le nature con la sola imma ginazione ha qualcosa di divino, se non altro come strumento di Dio, tramite la magia divina. Quindi, dal momento che l'uomo spesso ottiene lo stesso risultato con le preghiere, egli è affine a Dio e partecipa delle intelligenze superiori (Cam panella, Universalis philosophia, m, p. I J lb).
Pomponazzi, per quanto avesse rigettato con decisione la tesi avicenniana di un'azione diretta dell' immaginazione e dell ' intelletto sul mondo mate riale, aveva però fatto dell' immaginazione la grande forza cosmica capace di render conto dei fenomeni ali' apparenza più mirabili e occulti. Ad azio ni a distanza, fondate semplicemente sul principio della corrispondenza tra idea e ideatum, aveva opposto meccanismi di trasmissione energetica basati sugli effetti di vapori ed efll uvi materiali. Anche in questo caso Pom ponazzi reinterpretava e moderava forme di estremismo avicennizzante e neoplatoneggiante. Per Pomponazzi lo spirito aveva un ruolo decisivo nel la spiegazione di un gran numero di effetti mirabili (spiritus sunt imme diata et proxima instrumenta naturae). Tuttavia, in linea con la tradizione
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medica, esso non poteva essere considerato una sostanza ontologicamente diversa dal corpo (Pomponazzi, De incantationibus, pp. 32.-3, 37-8 ) . Il fascino del modello esplicativo pomponazziano si sarebbe ancora facto sentire un secolo dopo la composizione del De incantationibus, nelle pagine finali della Sylva sylvarum ( I 6 2.6 ) di Francis Bacon ( I S 6 I - I 62.6 ) . Qui il filosofo inglese proponeva per l'appunto di indagare sperimentalmente gli effetti esercitati dai corpi immaginanti (imaginants) su corpi oggetto di concentrazione immaginativa, animati e inanimati. Ripetendo più di una volta la tesi che, qualora un fenomeno sembri eccedere i poteri della natura, esso « dev 'essere riportato all' immaginazione >> , Bacon conclude va le sue ricerche sui poteri rappresentativi della mente umana affermando che, « nel caso via sia una forza nell' immaginazione, è meno credibile che essa debba essere una virtù incorporea e immateriale, cale da agire a grandi distanze, attraverso ogni mezzo, o su tutti i corpi >> , e sia piuttosto da con siderarsi come un flusso di energia pneumatica (by working upon the spirit) (Bacon, Works, II, p. 6 5 7 ; Giglioni, 2.010b ) .
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Se gni, mirabilia e mostri. Joseph Griinpeck interprete di un mondo alla deriva del senso* dijennifèr Spinks
Introduzione
Nell' Europa tardo medievale e della prima modernità, l' immaginario col lettivo, a ogni livello sociale, veniva spesso colpito da sorprendenti - tal volta terrificanti - segni naturali, che potevano assumere una gran varietà di forme, dalle cosiddette nascite mostruose a improvvise tempeste carat terizzate da un'incredibile potenza distruttiva' . Tali segni non significava no tuttavia sempre la stessa cosa per ogni individuo, né venivano presenta ti allo stesso modo nei diversi trattati dell'epoca. Questo capitolo prende in esame i segni straordinari che erano riportati e discussi nel tardo Quat trocento, e affronta la questione di come essi potevano essere interpretati in diversi modi a seconda del pubblico cui venivano rivolti. Più specifica tamente, si analizzano i segni connessi a prodigi e disastri naturali, così come essi vengono presentati nell'opera di Joseph Gri.inpeck (m. 1 5 3 2), importante figura di umanista al servizio di Massimiliano I, imperatore del Sacro Romano Impero dal 1493 ai i S I 9. Gli umanisti che facevano capo a questa corte erano particolarmente attratti da idee profetiche, bibliche e astrologiche che potessero contribuire ad una migliore comprensione del significato di anomalie naturali, come le nascite mostruose, la caduta di meteore, l'apparizione di elaborate scene sulla volta del cielo, bizzarre condizioni climatiche, o ancora piogge di sangue e spaventose tempeste. Si trattava di intellettuali alla ricerca di un modo di leggere il mondo nel suo apparente stato di disordine e usare le loro interpretazioni come forme di sostegno politico a favore di Massimiliano 1. Traduzione di Guido Giglioni. 1. Su prodigi e meraviglie, cfr. Céard (1996), Daston, Park (1998). Desidero qui ringrazia re il Warburg Institute di Londra e l 'Australian Research Council per il conferimento di borse di studio che mi hanno consentito di condurre la ricerca di cui in questo contributo vengono pubblicati i risultati. •
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Ciò era del resto in linea con la tradizione già a suo tempo stabilita dal padre di Massimiliano, l' imperatore Federico III, il quale si era assunto il ruolo di "ultimo imperatore del mondo", vale a dire un monarca il cui regno sarebbe stato caratterizzato da segni drammatici che annunciavano l'arrivo dell'apocalisse e la fine dei tempi. Massimiliano riprese questa pre rogativa alla morte del padre. Anch'egli divenne infatti (alquanto parados salmente) l'ultimo imperatore del mondo. Nel 1497, ]oseph Griinpeck si unì alla corte di Massimiliano in funzione di segretario imperiale, astrolo go nei ritagli di tempo e biografo. Nominato poeta laureato da Massimilia no nel 1 498, poteva certamente dirsi tra i favoriti dell ' imperatore. Accanto all ' incarico ufficiale di segretario, Pau! Albert Russell ha sottolineato la varietà delle funzioni da lui ricoperte a corte, in qualità di oratore, storico, medico e prete (Russell, 1 9 9 1 ; cfr. anche Hayton, 2004; Kennel, 2001). Griinpeck venne profondamente influenzato da Johannes Lichtenber ger (1 440-IS03), noto umanista alla corte di Federico III, da cui riprese il già ricordato concetto di "ultimo imperatore del mondo" (Kurze, 1 9 s 8 ) . Quando nel ISOI Griinpeck contrasse l a sifilide, conosciuta all'epoca come "mal francese': dovette lasciare la corte e, per un certo periodo, fino al IS03, non fece parte del circolo ristretto dei collaboratori di Massimiliano'. I due rimasero comunque legati, anche se non in modo così stretto come era accaduto nel passato. La maggioranza degli studiosi ha preferito concentrarsi sugli aspetti astrologici e umanistici dell'opera di Griinpeck, lasciando nell'ombra la sua attività di uomo di Chiesa. Eppure Umanesimo e religione erano, ov viamente, connessi in modo inscindibile. E mentre Griinpeck è ricordato in quanto umanista, ed è assai probabile che, come scrive Russell, si fece prete per ragioni di sicurezza economica (Russell, 1991, p. 172), le dimen sioni religiose delle opere da lui composte sui miracoli naturali sono rima ste sorprendentemente poco studiate (Hammerstein, 1 9 8 6 , pp. 133- 6 ) . La visione biblica dei prodigi e delle calamità naturali rappresenta una com ponente essenziale della produzione di Griinpeck, e la sua voce di prete è chiaramente udibile negli scritti concernenti i prodigi. Questo capitolo prende in esame due dei suoi lavori più riusciti: un manoscritto del I SOI e un pamphlet del I S 0 8. In queste due opere si può ravvisare il passaggio da un interesse per le questioni più propriamente astrologiche, rivolte ad un Griinpeck aveva precedentemente scritto un trattaco su questa malarcia. Cfr. Hayton ( wos, pp. ror-J ) .
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SEGNI, MIRABILIA E MOSTRI
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pubblico più elevato, a un'attenzione per i temi caratteristici dell'Antico Testamento, da condividere con un pubblico più ampio, raggiungibile at traverso la stampa. Griinpeck iniziò a scrivere per l' imperatore Massimiliano in un mo mento in cui il suo regno era caratterizzato da incertezze finanziarie e mi nacce di vario genere, come le guerre con l' Italia e la paura dell' invasione turca, per non parlare delle ondate di epidemie, tra cui la già ricordata sifi lide. L'opera degli umanisti al servizio dell' imperatore era certamente ani mata da scopi intellettuali, ma non si possono ignorare anche necessità di natura polemica. Essi basavano la loro comprensione dei prodigi sul testo biblico e sui resoconti di segni naturali "innaturali" registrati dali ' antichi tà pagana, e si servirono di questo materiale per definire le loro discus sioni sugli eventi contemporanei, quali la nascita delle gemelle congiunte a Worms, nel 1495, o la meteora che colpì Ensisheim nel 1492. Dibattiti di questo tipo si intensificarono sull'onda della grande congiunzione del 1 484, quando Saturno e Giove si allinearono nel segno dello Scorpione - presagio di grandi sventure -, e condussero i contemporanei a cerca re possibili segni di questi effetti nel mondo naturale ad essi circostante (Hayton, 2004, p. 6 6 ) . Umanisti di lingua tedesca e teologi come Griinpeck operavano in un contesto in cui l'astrologia era ampiamente praticata, ma spesso anche sot toposta a discussione critica. In Italia, negli anni novanta del Quattrocento, Giovanni Pico della Mirandola (1463- 1 494) e Girolamo Savonarola (14521498) stavano dibattendo la natura dell'astrologia in un'atmosfera pervasa da profezie e speculazioni apocalittiche, in cui la fine del mondo sembrava angosciosamente assai vicina (Vanden Broecke, 2003). In questo contesto, Vienna - che dal 1490 era divenuta parte dei domini asburgici - si segnala va come un centro notevole di ricerche astronomiche e astrologiche, dove venivano stampati un gran numero di testi sull'argomento, di vario genere, da opere di una certa lunghezza e valore a brevi pronostici, almanacchi, manuali di istruzioni pratiche (.practica) e predizioni (judicia ), assieme ad una gran quantità di materiale astrologico di largo consumo, in tedesco e in latino (Hayton, 2004; Zinner, 1 9 64). Avendo al suo servizio umanisti con competenze astrologiche, Massimiliano sperava di ricavare interpre tazioni di segni naturali e prodigiosi che potessero essere "capitalizzati" in senso politico. Comunque l'astrologia non era l'unico strumento a dispo sizione di un umanista; ad essa si aggiungevano motivi divinatori, profetici ed escatologici. Il tardo Quattrocento si presenta infatti come un periodo
I YINCOLI DELLA NATURA particolarmente ricco per esaminare questi campi di attività, e l'occorren za e il significato di segni straordinari "innaturali", quali meteore, piogge di sangue, terremoti e nascite mostruose. A rigore, i segni naturali non rientravano nella categoria dei fenome ni magici. Essi erano parte, piuttosto, di una visione del mondo in cui si cercava di capire - e quindi dominare - delle qualità naturali, il cui potere d'azione sfuggiva spesso alla comprensione umana. Vi era ali' e poca una tendenza tra gli studiosi della natura a stabilire corrispondenze occulte tra processi naturali e a sviluppare forme astrologiche di magia. La divinazione e la profezia rientravano in questo tipo di attività intellet tuale (Bianchi, 1 9 8 7 ; Copenhaver, 1 9 8 8, Kieckhefer, 2.000, pp. 2.4, 9 0 ) . Marsilio Ficino, Giovanni Pico e Pietro Pomponazzi ( 1 4 6 2. - 1 5 2. 5 ) , per citare alcuni nomi di filosofi naturali particolarmente influenti all'epo ca, fornirono modelli interpretativi che divennero parte integrante del dibattito tra la fine del Quattrocento e i primi decenni del Cinquecento. Le indagini di tali pensatori erano chiaramente di un elevato livello intel lettuale. Nel contesto di questo scritto, è interessante notare come anche i fenomeni ricorrenti esaminati da Griinpeck e altri umanisti alla corte di Massimiliano - segni e visioni nel cielo, nascite mostruose ed eventi meteorologici disastrosi - riflettessero inquietudini che erano alla base di contemporanee reazioni legali e teologiche alla questione delle forme po polari di stregoneria e al crescente tentativo di estirpare tali pratiche. La corte di Massimiliano aveva il suo centro a lnnsbruck, che, a metà degli anni ottanta del Quattrocento, aveva assistito ad uno scandaloso proces so di stregoneria da parte del!' inquisitore domenicano Heinrich Kramer ( 1 430- I S O S ) , le cui tattiche aggressive avevano provocato una rivolta nella comunità (Broedel, 2.003, pp. 1-2., 15-8). Lasciando Innsbruck in disgra zia, Kramer immediatamente pubblicò il famigerato Malleus malefica rum (Il martello contro le streghe, 1 4 8 7 ), che divenne da subito il trattato più celebre ali ' interno di una vasta gamma di pubblicazioni rivolte prin cipalmente all'esame del complesso intreccio di motivi demonologici. Una volta identificate, di solito attraverso severe procedure inquisitoriali, le streghe erano accusate di nuocere a uomini e animali, attraverso forme di magia che assai spesso riguardavano il controllo del tempo e della fer tilità, in modo da provocare danni con l'aiuto del diavolo. Tutto ciò rien tra, di nuovo, in una atmosfera generalizzata di ansia per mostri e prodigi del mondo naturale, strettamente connessa all'evolvere delle condizioni climatiche e a questioni di fertilità dei campi (Behringer 2.008; cfr. infta,
SEGNI, MIRABILIA E MOSTRI i contributi di V. Lavenia, M. Duni, M. Valente e A. Meyer-Ludowisy, ri spettivamente alle pp. I 8 S-20I, 203-21, 239-51, 273-90 ) . Percezioni non dotte della magia riflettono dunque delle preoccupa zioni relative a drammatici eventi meteorologici e nascite mostruose, tutti fenomeni che all 'epoca erano esaminati dagli umanisti. Gli intellettuali che in questo periodo erano interessati alla magia naturale, alle proprie tà occulte degli enti naturali, ai cerimoniali magici e alla questione della misura in cui tali riti presupponevano l' intervento dei demoni, dovevano dar prova che i loro interessi erano diversi da quelli delle streghe, le quali stavano diventando oggetto di attenzione teologica e legale, e che sarebbe ro state al centro di violente persecuzioni in Europa durante i secoli XYI e XYI I (Zambelli, 2007, pp. 44-5 ) . Il dominio dei segni naturali studiati da Griinpeck presentava inevitabilmente alcune aree che si sovrapponevano ai domini della stregoneria e demonologia, cosa di cui Griinpeck era con sapevole, a giudicare dai riferimenti, nel suo primo manoscritto, al potere dei demoni e anche, brevemente, a quello delle streghe ( Griinpeck, Pro digia, ostenta et monstra, ff I 8v- 19r) . Tuttavia, i segni naturali esaminati da umanisti come Griinpeck appartenevano a un ampio sistema cosmo logico, e non alla cospirazione antisociale e diabolica di cui la stregoneria sembrava essere un prodotto. Le idee caratteristiche della magia naturale, con il loro forte accento sull'astrologia e il controllo delle forze naturali, idee che sarebbero state sottoposte ad analisi critica nel corso del XYI se colo, erano certamente presenti in questo periodo, ma venivano esaminate meno sistematicamente'. Griinpeck risulta interessante non tanto per la profondità del suo sa pere, o per lo sviluppo di nuove strutture concettuali ed approcci, quanto piuttosto per l'ampio respiro e adattabilità delle sue soluzioni. Egli non era il solo umanista di lingua tedesca ad essere affascinato dai campi tematica mente e concettualmente intersecantesi della storia naturale, dell'astrolo gia, dell ' interpretazione del mondo naturale, visto come il "libro della na tura" da leggere in chiave religiosa, e - sebbene ad un minore livello - della magia e dell'attività dei demoni. Il più conosciuto tra essi è certamente Sebastian Brant di Basilea ( I4S8-IS2I ) . Tra gli altri autori che hanno scritto sui miracoli nel periodo chiave degli anni novanta del Quattrocento e nei Soprattutto prima della circolazione del De occulta philosophia di Agrippa, in forma manoscritta dal 1 5 1 0 , e a stampa dal I S B · Cfr. supra, il contributo di V. Perrone Compagni, alle pp. 47-6l. 3·
I VINCOLI DELLA NATURA primi anni del Cinquecento, legati al milieu culturale gravitante intorno a Massimiliano I, si ricordano Jakob Locher (1471-152.8), lhomas Murner (1475-1537) e Jakob Mennel (m. 1 5 32.). Sebastian Brant compose una serie di manifesti illustrati su prodigi di vario genere, tra cui una meteora che colpì Ensisheim nel 1 492.; due ragazze gemelle con teste congiunte nate a Biirstadt, nei pressi di Worms, nel 1495; due oche, anch'esse nate congiunte, a Guggenheim nel 1 496, e una scrofa con otto zampe, nata a Landser nel 1496 (Spinks, 2.009, pp. 2.6-3 6). Le ragazze gemelle, in particolare, venivano messe in relazione con la Dieta di Worms del 1495 da Brant e altri autori, ed erano considerate un prodigio carico di presagi, dal momento che, a diffe renza di altre nascite mostruose, in genere dalla durata brevissima, le gemel le riuscirono a vivere fino all'età di quindici anni. Brant, autore anche del famoso Narrenschiff (La nave deifolli), pubblicato nel 1494 a Basilea, usò i manifesti in latino e tedesco per dar prova delle sue conoscenze umanisti che. In alcuni casi è tuttavia evidente che lo scopo era quello di contribuire al sostegno intellettuale e finanziario a favore di Massimiliano I nella sua politica contro la minaccia turca. Brant dedicò una certa attenzione alle interpretazioni astrologiche, ma il suo interesse non era rivolto a questioni di causalità astrale, quanto ai possibili significati dei segni celesti. Secondo Brant, le gemelle di Worms presagivano una tendenza all'unità e alla conci liazione nell' impero sotto il comando di Massimiliano. Negli anni a cavallo tra il Quattrocento e il Cinquecento, Brant smise tuttavia di occuparsi di tali eventi in pubblicazioni polemiche, e scrisse che le nascite mostruose gli sembravano « rappresentare il comune corso della natura nel nostro tem po>> 4• Tuttavia i temi continuavano ad appassionare altri umanisti dell'e poca, ispirati, in qualche misura, dall 'opera di Brant. Jakob Locher, ad esempio, che tradusse il Narrenschiff in latino, ave va studiato a Basilea con Brant. Come questi, Locher era un umanista di considerevole statura, il quale aveva scelto di occuparsi del manifestarsi di vari prodigi dell 'epoca (tra cui le già menzionate nascite mostruose) e del loro significato. Intorno al 1499 compose un lungo poema in latino sui gemelli congiunti nati a Rain in Baviera, pubblicato in forma di opuscolo a Ingolstadt nel 1499 e incentrato sui significati astrologici dell'evento'. La più lunga lnvectiua contra astro!ogos (1499) di lhomas Murner compren4· Locher, Monstrosa hominisforma, ci t. in Wuttke (1974. p. 284, nota >s). Cfr. Daston, Park (1998, p. 173). S · Su Locher, cfr. Hehle (1875-1912).
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d e u n esame del dibattutissimo caso delle gemelle d i Worms, m a respinge le interpretazioni astrologiche. Murner era un umanista francescano, il quale, dopo un iniziale imeresse per l'astrologia, rivolse sempre più la sua attenzione al contrasto tra il libero arbitrio dell'uomo cristiano e l' impo stazione deterministica dell 'astrologia. A dare occasione all'opuscolo fu il desiderio di Murner di condannare gli astrologi che avevano predetto la morte dell' imperatore Massimiliano nella guerra sveva, che in quegli anni imperversava nei territori della Svizzera, in Alsazia e presso il lago di Costanza e che, nemmeno a farlo apposta, vide la sconfitta di Massimilia no da parte della confederazione svizzera ( Sondheim, 1 9 3 8, pp. 90-126). Murner, da grande sostenitore dell' imperatore, rigettò queste predizioni e, insieme ad esse, la pratica dell'astrologia. Nell'esaminare la tipica que stione dei gemelli - i quali, nonostante siano nati nello stesso tempo e nello stesso luogo, possono avere personalità ed esperienze di vita molto diverse -, lo scritto si rifa ad Agostino. Si tratta di un'argomentazione che inrende dimostrare l' insostenibilità del determinismo astrale. I gemelli congiunti, dai destini inesrricabilmenre connessi e che spesso muoiono al momenro della nascita, potrebbero apparire come una prova dubbia, se non addirittura fallace, quando utilizzati per confutare la tesi del nesso causale deterministico ; eppure l ' illustrazione del frontespizio del testo di Murner conriene proprio le gemelle congiunte di Worms. L'uso che ne fa Murner ( o il suo editore ) sembra essere quello di rappresentare l ' idea della gemellanza nella sua fisicità più estrema, richiamandosi nello stesso tempo ad un evenro ben noto dell'epoca. Locher e Murner ritennero dunque opportuno richiamarsi al tema, molto attuale all'epoca, delle nascite mostruose. Ma altri umanisti - come Branr - dimostrarono un interesse più ampio per la cultura dei prodigi naturali nel suo insieme. Mennel e Griinpeck appartengono alla stessa ca tegoria: entrambi erano strettamente legati a Massimiliano ed entrambi composero testi volti ad esplorare il significato di segni e prodigi che si manifestavano sempre più frequenremenre in un mondo naturale in preda al disordine. Mennel sembra aver sostituito Griinpeck a corte tra il 1501 e il 1 5 0 3, quando questi era assenre perché malato di sifilide. Nel 1 5 0 3 com pose un manoscritto per Massimiliano intitolato De signis, portentis atque prodigiis ( Egg, 1 9 6 9, p. 1 6 9 ) . Il manoscritto inizia con il diluvio universale, e combina prodigi biblici, classici e altri più recenri, attimi dal periodo medievale e dallo stesso regno di Massimiliano. Mennel sembra essere particolarmente impressionato da inondazioni, piogge di sangue e segni
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nel cielo, comprese le comete miracolose che apparirono al tempo di Car lo Magno (Mennel, De signis, f. 9r). Nello scrivere il testo, l'autore trasse certamente ispirazione dal lavoro di Griinpeck, la cui opera passo ora ad esaminare.
I Prodigia, ostenta et monstra di Joseph Gri.inpeck
Per Griinpeck, i segni dei prodigi naturali rientravano in una visione generale dell 'universo, in cui meteore e nascite mostruose erano aspetti di una natura che sembrava continuamente scossa da episodi di peste e carestia. Prete e umanista, egli elaborò le sue riflessioni a proposito dei prodigi in modi piuttosto diversi, a seconda dei lettori cui si rivolgeva. Mentre gli studiosi si sono generalmente concentrati sulla sua opera astrologica, qui si esamineranno gli scritti di Griinpeck nel loro insieme, prestando particolare attenzione al modo in cui l'umanista si richiama ai modelli dell'Antico Testamento, rivolgendo appelli che si fanno via via più drammatici nella misura in cui il mondo sembra sprofondare nel caos. Negli anni novanta del Quattrocento, le pubblicazioni di Griinpeck comprendevano opere sulla sifilide e pro n ostici astrologici. A partire dal manoscritto del I S O I intitolato Prodigia, ostenta et monstra quae in saecu
lum Maximilianeum inciderunt (Prodigi, meraviglie e portenti verificatisi all'epoca di Massimiliano ), Griinpeck sembra essersi rivolto con maggior impegno ad esaminare la questione dei prodigi naturali, e in questo si ricollega chiaramente alle opere di Brant e di altri autori che circolava no all'epoca6• Come indicato dal tirolo, il testo era stato composto per Massimiliano e si incentrava su determinati fenomeni naturali manifesta tisi durante il suo regno. Il manoscritto veniva dedicato al collega Blasius Holzl (146o-Ip.6), importante personaggio a corte e segretario delle fi nanze di Massimiliano. Si ritiene che le due figure che compaiono nelle prime illustrazioni, circondate da un insieme di segni sconvolgenti nel cielo ( FIG. 1 ) , siano Griinpeck e Holzl (Hayton, 2004, p. 48). I brani introduttivi e conclusivi sono rivolti direttamente a Holzl in modi che vanno al di là dei tradizionali convenevoli formali e tradiscono piutto sto una certa familiarità e condivisione di interessi comuni (Griinpeck, Prodigia, ostenta et monstra, f. 4r) . Massimiliano è la figura più impor6. Sul manoscritto, cfr. Kennel (wo1), Hayton (wo4. pp. 48-s3).
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1. M. Reichlich (?), joseph Grunpeck in conversazione con Blasius Holzl (da Griinpeck, Prodigia, ostenta et momtra, frontespizio. Universitats- und Landesbibliothek fiir Tirol )
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tante, ma anche la più distante, rappresentato in un'altra delle molte il lustrazioni mentre dà udienza circondato da una serie di prodigi, tra cui le gemelle congiunte di Worms ( FIG. 2)7. I modi conversevoli e tuttavia rispettosi con cui Griinpeck si rivolge a un collega onorato e potente in questo manoscritto sono abbastanza diversi dai toni di ammonimento che nell' insieme caratterizzeranno le sue pubblicazioni a stampa per un pubblico più ampio, come vedremo più avanti. Nonostante il titolo, il manoscritto non si occupa semplicemente di eventi che sono avvenuti a partire dal 1493, anno in cui Massimiliano di ventò "Re dei Romani" e venne incoronato imperatore del Sacro Romano Impero alla morte del padre. In quanto umanista, Griinpeck colloca la sua discussione all ' interno di una più ampia visione dei prodigi del mondo classico. In questi brani riccamente illustrati, egli si presenta spesso pro fondamente interessato a meraviglie, segni miracolosi, miracoli e mostri. Nonostante il riferimento ai miracoli, Griinpeck segue altri umanisti, che all'epoca si interessavano di prodigi, nel non tener conto dell'opera dei santi, le cui attività miracolose sembrano rientrare in una categoria piut tosto diversa. Ciò non toglie, comunque, che Griinpeck menzioni, con una citazione biblica, la stella miracolosa che apparve sopra Betlemme ad annunciare la nascita di Cristo. Il riferimento diventa subito un'occa sione per narrare di comete nella Grecia antica e della meteora che cadde sulla terra in Ensisheim nella provincia di Sundau nel 1 492, poco prima della morte di Federico III e del regno di Massimiliano I ( ivi, f. 3r). In ef fetti tutti gli eventi contemporanei riportati nell'opera alterano l 'ordine naturale, in modo da incidere sulla capacità di Massimiliano di regnare. Tali eventi comprendono segni celesti, piogge di sangue e varie nascite mostruose, tra cui le gemelle di Worms, la scrofa di Landser e le oche di Guggenheim (ivi, f. 6v). Griinpeck contrappone questa serie di fenomeni ad un'estesa sezione sui segni meravigliosi che predissero la fine dell' im pero persiano. Questa parte contiene brani relativi a Serse, Alessandro, i Medi, gli Assiri, gli Egiziani e il Nilo. Vi è anche anche una figura di Cleopatra sul Nilo, che in modo un po' surreale è rappresentata come una qualunque nobildonna del luogo sullo sfondo di una vallata austria ca ( ivi, f. 13v). Una visione del mondo fondamentalmente cristiana è alla base dell 'opera di Griinpeck, com'è evidente nell 'ultima parte di questa sezione, dedicata ad eventi e segni che predicono la caduta dell' impero 7· Le illustrazioni sono state attribuite al poco noto Marx Reichlich. Cfr. Russe!! (1991, p. 195).
SEGNI, MIRABILIA E M O S T RI
l.
M. Reichlich
(da Griinpeck, und Landesbibliothek fur Tirol)
(?), L 'imperatorr Massimiliano circondato dai miracoli
Prodigia, ostenta et momtra, f. 6r. Universiriits-
I YINCOLI DELLA NATURA romano (ivi, f. 1 4v). Lo scopo di tale sezione è dimostrare storicamen te come, per riprendere le parole di Hayton, « eventi mostruosi avessero predetto il crollo di quasi ogni impero o regno di una certa importanza » (Hayton, 2004, p. 1 5 ) . Innanzitutto Griinpeck sostiene che è importante predire eventi fu turi; in secondo luogo, che è ancor più importante portare il popolo a conoscenza del verificarsi di tali eventi e cercare quindi di convincerlo a pentirsi e abbandonare il suo comportamento peccaminoso ; infine - ed è forse la cosa più importante di tutte - è fondamentale scoprire le origini o le cause di questi eventi ( Griinpeck, Prodigia, ostenta et monstra, f. 4v ). In ogni caso, peccando forse un po' di falsa modestia, Griinpeck confessa i propri limiti nel rendere como di fenomeni così complessi (i vi, ff. 4v s r). Egli è soprattutto interessato - cosa su cui ritorna spesso - al dibattuto problema relativo a quale possa essere il significato di tali segni, e se essi siano negativi o positivi. Per esempio, dopo aver descritto il caso di una donna della zona, che l'anno prima aveva dato alla luce undici bambini, scrive che non gli sembra facile trovare il significato di un tale fenomeno, perché, se è vero che segni meravigliosi e prodigi possono presagire lieti eventi, altri hanno certamente predetto infelicità (ivi, f. 8r). Per riassumere quanto fin qui detto, Griinpeck considera Dio la causa prima dell 'universo, e impiega la maggior parte dei suoi sforzi ad esami nare la questione assai più dibattuta delle cause fisiche secondarie, e so prattutto il movimento delle stelle (ivi, f. 17v). La sua visione del cosmo contempla la possibilità che si diano tutta una serie di deviazioni e aberra zioni. Le visioni nel cielo, come le scene di battaglie aeree, possono essere attribuite, sostiene, alla capacità limitata dell'occhio umano di scorgere accuratamente le comete, e le figure che esse sembrano assumere sono semplicemente delle illusioni ( ivi, f. 1 8 v). Griinpeck avanza poi l' ipote si che fenomeni naturali anomali, prodigi e segni meravigliosi possano anche essere l'opera di demoni, da lui caratterizzati come « meravigliosi artisti » nell' ingannare gli uomini. In quello che sembra essere un inciso diretto a Holzl, in modo da ricordargli i dibattiti correnti, l'umanista dice ai suoi lettori che, anche senza bisogno di far riferimento alla stregoneria, tali interventi demonici sono possibili. Aggiunge inoltre che l'azione de gli spiriti rappresenta il terzo livello causale nella produzione dei prodigi (dopo Dio e il movimento di stelle e pianeti), mentre condanna i pagani che hanno adorato tali spiriti, da lui esplicitamente denominati "demoni" ( ivi, ff. I 8 V-I 9Y). -
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Griinpeck considera l e nasci re mosrruose verificaresi nella zona, come il caso delle gemelle di Worms, segni mirabili, e ci riene a precisare che le crearure mosrruose nare in alrri paesi ( vale a dire, delle vere e proprie razze mosrruose) sono ripiche di quelle regioni e perciò non hanno alcun signi ficaro speciale ( ivi, ff. 1 5 v- 1 6r). I ripi più comuni di segni proferici sono i segni nel cielo, e quesri possono predire evenri ramo fausri quanro infausri ( ivi, f. 1 6r). Nella sua opera, l'aurore passa in rassegna una grande varierà di fenomeni ed evenri, da prodigi a disasrri - epidemie, caresrie, malarrie degli animali, piogge di sangue, lane, carne e pierre, così come mereore - e rurri vengono inrerprerari quali segni inquieranri. Nel 1507 Griinpeck rornò al rema dei segni mirabili nel suo Eine newe
au.flegung der seltzamen wunderzaichen und wunderpurden ( Un nuovo rapporto su segni strani e mirabili, e le nascite mostruose), in cui prendeva in considerazione molri degli sressi fenomeni e ripereva la resi secondo cui Massimiliano doveva essere sosrenuro dai suoi suddiri e specialmenre dai prìncipi dell' impero, i quali rendevano invece a formare fazioni rivali. L'o puscolo, relarivamenre breve, che ha rurra l'apparenza di essere sraro com posro in frena, apparve nell'ambiro della Diera di Cosranza del 1 507, quasi una risposra alle richiesre di usare ancora una volra il mondo narurale a sosregno di Massimiliano ( Hayron, 2004, pp. 54-7 ) . L'anno seguenre, nel 1 508, Griinpeck diede alle srampe un nuovo rrarraro, che sarebbe divenuro la sua pubblicazione più significariva, quesra volra con un accenro diverso posro sul complesso insieme di asrrologia, profezia e inrerprerazione di meraviglie e segni narurali.
Lo Spiegel del r s o 8
I l manoscrirro Prodigia, ostenta et monstra del 1501 rivelava u n Griinpeck alle prese con un' inrerprerazione di segni, prodigi e meraviglie che era chiaramenre direrra ad un pubblico selezionaro. Il rrarraro del 1 5 0 8 - il più noro e riperuramenre risramparo - era indirizzaro a un pubblico più ampio e sosriene una linea più dura e polemica. Ein spiegel der naturlichen
himlischen vndprophetischen sehungen ( Uno specchio dei segni naturali, ce lesti e projètici) fu pubblicaro in una edizione redesca a Norimberga nel 1508 e in versione larina appena un mese dopo (cfr. Griinpeck, Speculum). Il resro fu risramparo a più riprese e, nel 1522, Griinpeck ne fece uscire una nuova edizione, così come adarrò e riurilizzò una gran parre del mareriale nei
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Practica del 1533 ( Russell, 1991. p. 188). Le prime edizioni in tedesco e latino sono una chiara indicazione del desiderio dell'autore di rivolgersi tanto ad un ampio pubblico quanto ad un nucleo ristretto di lettori colti ( ivi, p. 176). In che modo, dunque, Griinpeck cercò in concreto di coinvolgere un pubblico più vasto ? Lo Spiegel è un opuscolo di una certa lunghezza, diviso in dodici capitoli più un' introduzione, che si diffonde sul concetto di pec cato umano, e ogni capitolo è illustrato da una xilografia di ampie propor zioni, con una sapiente organizzazione del materiale grafico in modo da poter coivolgere il lettore ad un livello anche visivo. Nell' insieme, l'opera è guidata dall ' interesse di Griinpeck per le congiunzioni astrologiche. Essa si occupa però anche dei mutamenti fisici che hanno luogo sulla terra e soprattutto della loro dimensione religiosa. Griinpeck si presenta all ' ini zio come un prete che non è degno del ruolo che riveste - ein vnwirdiger Priester ( non senza forse una certa ironia riguardo alla sua scarsa attività di prete ) (Spiegel, f. a i v ). Passa quindi a mettere in relazione eventi come ter remoti, tempeste, comete, segni nel cielo e nascite mostruose con gli ultimi giorni prima della fine del mondo, e più specificamente e persistentemente, con una percezione diffusa dell' ira divina e di una punizione imminente dell'umanità peccatrice ( ivi, f. a ij v ). L' intera gamma dei prodigi viene qui rappresentata con una certa insistenza sul tema dei disastri naturali. I riferi menti alla carestia e alla peste nei territori tedeschi, francesi e italiani sono frequenti, e non mancano accenni a minacce esterne, come la pressione del la potenza turca ai confini dell ' impero. Griinpeck unisce - o forse sarebbe meglio dire non vide alcuna ragione per tenerle separate - le preoccupazio ni per il comportamento religioso contemporaneo con la predicazione, la profezia dell'Amico Testamento e gli effetti delle congiunzioni planetarie. Nell'opera, Griinpeck pone l'accento sulle disastrose condizioni meteo rologiche, in un senso molto ampio, tale da comprendere eventi come i terremoti insieme a fenomeni più comuni quali temporali, tuoni, fulmi ni e piogge ( ivi, ff. a iv, a ij r) . Egli è inoltre profondamente preoccupato per il modo in cui il peccato dell 'uomo produce segni ed eventi terribili sulla terra, come la peste, la fame e la guerra ( ivi, f. a iij v ) . Se da un lato non rivolge la sua critica a singoli peccatori, è però assai severo nei con fronti della mondanizzazione e corruzione della Chiesa nel suo insieme ( ivi, f. a vr). Un capitolo successivo descrive la venuta di un nuovo predi catore e profeta, il quale rivelerà il senso di tali segni. Il capitolo è illustrato con la vivida immagine del predicatore circondato da segni nel cielo, ispi rato all' iconografia della passione di Cristo ( FIG. 3). In tal modo, l'opera
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J . Arcista sconosciuta, L a venuta di u n nuovo predicatore (da Griinpeck, Spiegel, f. a vr. © The British Library Board. Shelfmark 1 6 02/to8)
intende sottolineare il nesso tra prodigi e devozione religiosa. La xilogra fia rappresenta anche un interessante termine di paragone con la scena di Griinpeck e Holzl che apre il manoscrirro del I SO I, dove i due amici erano stati raffigurati come impegnati in una serena conversazione e circondari da segni analoghi nel cielo ( FIG. 1 ) . È interessante notare come l ' iconogra fia della passione richiamata in questa xilografia rappresenti il riferimento più importante al Nuovo Testamento che sia contenuto nell 'opera. No nostante il loro tenore apocalittico, che richiama alla mente appunto il li bro dell 'Apocalisse, la maggior parte degli esempi di Griinpeck sono tratti dall'Antico Testamento, con il ricorrente rema dell' ira divina. La sola illustrazione ad essere ripetuta nel trattato del 1 s o 8 è l' immagi ne del frontespizio, usata nel quinto capitolo, dedicato a questioni astro logiche e, in particolare, alle congiunzioni infauste nel segno del Cancro, che avevano recentemente riguardato la regione. La xilografia raffigura una chiesa mentre viene colpita e distrutta da una potente grandinata ( FIG. 4):
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4· Artista sconosciuto, La chiesa distrutta e la societa in preda al caos ( da Griinpeck, Spie· gel, frontespizio. © The Brirish Library Board. Shelfmark J6ol/ro8)
la chiesa è avvolta dalle fiamme, e intorno ad essa, persone di ogni classe ed età si aggrediscono con bastoni e coltelli. È l' immagine di una società a pezzi, proprio come la Chiesa. Gri.inpeck sottolinea come siano immi· nenti grandi cambiamenti, e il modo con cui narra eventi spaventosi come omicidi e tempeste di grandine chiarisce il facto che cali cambiamenti non saranno certo in meglio (f. a v iijv). Il capitolo successivo riguarda il problema della profezia, e un' atmo sfera biblica da Antico Testamento accompagna il monito costante che una società in preda al disordine morale è destinata a perire. In effetti, la seconda parte del l 'opera è in gran parte rivolta alla discussione della pro· fezia biblica di Isaia e soprattutto Ezechiele. Se da un lato Gri.inpeck si sofferma ad esaminare questioni come l'adorazione di falsi idoli e degli animali (Ez 8 ) , le sue analisi più estese si concentrano sulle personifica zioni dei territori biblici in forma femminile, presentate come analoghe
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agli Stati europei. Queste storie dell'Antico Testamento ruotano intor no al tema del peccato femminile, rappresentato come una metafora del le società dilaniate dal peccato e che vengono quindi punite in modo esemplare. La prima storia presentata da Griinpeck è quella di Oolà, una allegoria per Samaria, e Oolibà, una allegoria per Gerusalemme (Ez 23). L'umanista racconta come Oolà e Oolibà fornicarono ripetutamente con i loro vicini, gli Assiri, e, nel caso di Oolibà/Gerusalemme, anche con i Babilonesi, e si avvale di questa narrazione tratta dalla Bibbia per elaborare ulteriormente la sua visione della peccaminosità umana e di come essa conduca alla distruzione di nazioni e società. Nel caso di Eze chiele, il risultato è l'assedio di Gerusalemme, annunciato da segni na turali. Il prete umanista presenta una raffigurazione di un Dio adirato, che ad un tempo punisce e ammonisce un'umanità schiava del peccato. Il modo in cui rappresenta una società devastata dai suoi vicini è certa mente un ulteriore segno delle preoccupazioni relative ad una possibile invasione turca. Il capitolo successivo è anch'esso ispirato a Ezechiele e riconferma la chiara associazione tra Gerusalemme e Chiesa cristiana ( Griinpeck, Spie gel, f. b vv ). Si tratta della rappresentazione allegorica di Gerusalemme come una bambina appena nata, lasciata morire nella sua stessa sporcizia, ma poi fatta crescere fino a diventare la preferita di Dio, premiata con bei vestiti, gioielli e buon cibo (Ez 1 6 ). Eppure, Griinpeck avverte i suoi letto ri, Gerusalemme tradì la fiducia data e fornicò con i suoi vicini, inclusi gli Egiziani, gli Assiri e i Caldei. Questo è, di nuovo, un ammonimento con accenti spiccatamente sessuali. Gerusalemme è presentata esplicitamente come la Chiesa, e Griinpeck condanna le sue debolezze sia in quanto isti tuzione sia in quanto comunità dei credenti. Va detto che, al di là dei toni fortemente pessimisti, il trattato si sofferma anche sul tema del pentimen to e su come ristabilire un mondo in armonia con la natura e la vita sociale e religiosa degli uomini ( Griinpeck, Spiegel, ff. b vi rv ).
Conclusione
Lo Spiegel del 1 5 0 8 si differenzia dal manoscritto del 1 5 0 1 negli scopi pre fissi e nei toni argomentativi, ma in entrambe le opere i prodigi del mondo naturale e la loro interpretazione rappresentano il punto di partenza. Il nuovo scritto del 1 5 0 8 dovette certamente attirare l'attenzione di Massi-
I VINCOLI DELLA NATURA miliano I, il quale ne richiese una copia non appena apparve, solo per sco prire che la prima stampa si era già esaurita ( Hayton, 2004, p. 6o ). Dopo lo Spiegel, Gri.inpeck continuò la sua attività di scrittore componendo il biografico Historia Friderici III et Maximiliani I, tra il 1 5 0 8 e il 1 5 10. L'o pera venne completata e offerta a Massimiliano in forma di manoscritto nel I S I 6 8 . Nel manoscritto vi sono vari passi e immagini che riprendono i temi dei segni prodigiosi, del loro uso politico e dell ' interpretazione data ne dagli umanisti. Massimiliano era noto per la sua tendenza a correggere le immagini nei documenti illustrati che venivano preparati per lui. Nella Historia Friderici III et Maximiliani I, Massimiliano cancellò due delle im magini con rapidi tratti, che sembrano tradire una certa impazienza: esse mostrano dei segni nel cielo, prefiguranti la morte del padre e il suo avvento al potere ( Benesch, Auer, 1 9 57. pp. 25-7; 68-9). Tutto l ' interesse dimostra to in precedenza da Massimiliano per il mondo della magia sembra essersi affievolito, almeno dopo il I SO S, quando aveva inviato una serie di quesiti sulla stregoneria e problemi affini all'abate umanista Giovanni Tritemio ( Zambelli, 2001, p. 63). Massimiliano non era interessato a patrocinare uno studio coerente delle connessioni tra magia naturale, astrologia, segni mirabili e proprietà occulte e simpatetiche del mondo naturale, di cui si discuteva nel tardo xv secolo e che avrebbero ricevuto un trattamento più sistematico nel XYI secolo. Larry Silver ha giustamente osservato che le competenze di Gri.inpeck in materia astrologica e nell' interpretazione dei segni naturali apparivano sempre meno importanti all' imperatore, soprat tutto quando l'umanista completò la Historia Friderici III et Maximiliani I, come distinta dai primissimi anni del suo regno ( Silver, 2008, p. 2). È probabile che, in un'epoca di grandi cambiamenti, gli appelli profetici e i richiami ad una sincera devozione religiosa contenuti nello Spiegel del r s o 8 fossero in realtà più consoni ai gusti di Massimiliano. Ciononostante, Gri.inpeck offre un' importante chiave per comprende re come le idee riguardanti il tema assai popolare dei mirabili segni na turali potessero assumere le forme più diverse e mutevoli. I prodigi che tanto interessavano l'umanista e i suoi amici a corte sarebbero rimasti un argomento importante nella cultura a stampa del XVI secolo. All' inizio del Cinquecento, questi fenomeni erano generalmente riportati in manifesti e opuscoli. Dalla metà del secolo, compendi conosciuti come "libri di me8. Per il facsimile delle immagini, attribuite a Albrecht Altdorfer, e per uno studio impor tante della materia, cfr. Benesch, Auer (t957 ) .
SEGNI, MIRABILIA E MOSTRI
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raviglie" divennero sempre più popolari, e nell' Europa di lingua tedesca assunsero spesso toni esplicitamente escatologici, proponendo delle inter pretazioni che si rifanno spesso a Griinpeck ( Céard, 1 9 9 6 ; Spinks, 2009, pp. 81-104). La richiesta di pubblicazione di opere del genere crebbe in quegli anni, ed esse assunsero sempre maggiore rilevanza in virtù dei con flirti religiosi messi in moto dopo la Riforma del I S I ?. Come Griinpeck, anche questi autori si sentivano investiti di un compito delicato e cruciale allo stesso tempo, mentre cercavano di comprendere i piani divini rivelati da un pullulare di segni straordinari, indice di un mondo naturale in una condizione di disordine generalizzato.
Fonti di riferimento G RUNPECK JOSEPH, Prodigia, ostenta et monstra quae in saeculum Maximilianeum inciderunt (ISOI), Universicats· und Landesbibliothek fiir Tirol, Cod. 3 1 4 . ID., Eine newe aujllegung der seltzamen wunderzaichen und wunderpiirden, s.n.t., 1507.
ID., Ein Spiegel der naturlichen himlischen vnd prophetischen sehungen, Georg Stuchs, Norimbergae IS08.
ID., Speculum naturalis, coelestis et propheticae visionis, Georg Stuchs, Norimbergae IS08.
LOCHER JAKOB, Monstrosa hominisforma, s. t., Ingolstadii 1 499. M ENNEL JAKOB, De signis, portentis atque prodigiis ( 1503 ) , Oesterreichische Natio· nalbibliothek, Cod. Vindob. 4417•.
MURNER THOMAS, /nvectiua contra astrologos, Matthias Hiipfuff, Argentorati 1499.
Tra gli scaffali della biblioteca di don Ferrante. Segreti della natura, magia popolare e scienza di Laura Balbiani
Nel corso del Cinquecento la letteratura dei segreti diviene una moda dif fusissima in tutta Europa, tanto che Tomaso Garzoni ( IS49-IS89 ) , nella sua brulicante Piazza universale, un ritratto vivace ed enciclopedico di tutte le arti e mestieri praticati al tempo, considera l'attività dei suoi au tori, i cosiddetti «professori de ' secreti » , una professione vera e propria. Elencando gli esponenti più ragguardevoli di questa categoria, Garzoni nomina, accanto a Plinio, Alberto Magno e Ruggero Bacone, tutti i per sonaggi del suo secolo, autori delle più diffuse raccolte di segreti. Alessio Piemontese è il fortunato pseudonimo adottato da Girolamo Ruscelli ( m. 1 5 6 6 ) , celebre poligrafo del Cinquecento, per pubblicare una prima raccolta, alla quale farà seguito una seconda compilazione, altrettanto fortunata. Il « Fioravanti glorioso » era considerato una delle meraviglie della sua epoca, sia perché scrisse moltissime opere a carattere medico tra cui diverse raccolte di segreti, sia come cirurgico, in quanto esercitava una pratica medica molto energica e dichiaratamente anticonvenzionale. Si serviva infatti di salassi e purghe molto potenti e somministrava, in po lemica con la medicina tradizionale, i nuovissimi e rivoluzionari prepa rati della iatrochimica paracelsiana ( Fioravanti, Del compendio). Anche il medico e grande anatomista Gabriele Falloppio ( I S 23- I S 6 2 ) era molto conosciuto e ammirato, mentre la nobildonna veneziana Isabella Cortese raccolse numerose ricette « de l'arte profumaroria, appartenenti a ogni gran Signora » , con molte indicazioni riguardanti la cura della pelle, dei capelli e dei denti e utili per la preparazione di profumi e acque odorose ( Falloppio, Secreti diversi; Cortese, I secreti) . Giovan Battista Della Porta ( ca. I S 3 S- I 6 I s ) , i cui studi sul magnetismo anticipano quelli di William Gilbert, e che contemporaneamente a Galileo sperimentava con lenti e specchi costruendo un cannocchiale, era una personalità di calibro euro peo; nei suoi testi la fede nelle autorità e nelle conoscenze trasmesse dai libri inizia a essere sottoposta al vaglio della verifica empirica e i fenomeni
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naturali divengono oggetto di sperimentazione scientifica. La sua opera giovanile, la Magia naturalis ( 1 5 5 8 ) , in quattro libri, viene rapidamente tradotta in tutte le lingue e imitata, e Della Porta stesso, trentun anni dopo, nel 1 5 8 9 , ne pubblicherà una seconda edizione ampliata in venti libri, una summa della sua lunga attività di scienziato e appassionato dei miracoli della natura. La letteratura dei segreti fu un fenomeno di portata europea. Se ne contano infatti numerosissime testimonianze non soltanto in Italia, ma anche in Francia, in Inghilterra e soprattutto in Germania. Garzoni stes so nomina molti tedeschi, a cominciare da « quel profano dell 'Agrippa >> . Significativo è i l caso d i Johann Jakob Wecker ( 1 5 2 8- I s 8 6 ) , medico nella città di Colmar, in Alsazia, che tradusse prima in latino e poi in tedesco l'opera di Alessio Piemontese, e in seguito, notando il grande successo che questo genere di testo riscuoteva anche Oltralpe, scrisse una propria raccolta, intitolata naturalmente De secretis ( 1 582), che divenne famosa e diffusa in Germania quanto lo era quella di Alessio Piemontese a sud delle Alpi.
I libri dei segreti
Ad aprire la strada alla letteratura dei segreti è la pubblicazione dei Secre ti del reverendo donno Alessio Piemontese, pubblicati in prima edizione a Venezia nel iSSS · un testo divenuto subito leggendario, sia per lo pseudo nimo, che tutti si sforzavano di svelare, sia per l'enorme e immediato suc cesso dell'opera, come dimostrano le frequenti edizioni'. Ruscelli dà inizio dunque all' instancabile attività dei «professori de ' secreti >> , che dedica vano la loro vita e le loro sostanze alla ricerca di sempre nuovi secreti, > Garzoni richiedeva infatti « che versino attorno a cose degne di uomo nobile >> , ad esempio l'alchimia, la distillazione, la prepa razione di vini, olii, essenze, la tintura di tessuti, alcuni aspetti della lavo razione dei metalli e attività curiose quali fuochi artificiali, contraffazione di gemme e pietre preziose, pietanze sorprendenti e scherzi per occasioni conviviali. Se si considerano invece i manoscritti contenenti raccolte di segreti e ricette, destinati all'uso domestico di singoli individui, l'atten zione si sposta piuttosto verso situazioni e rimedi di carattere popolare. Questi manoscritti hanno un aspetto prevalentemente miscellaneo ed es senzialmente pratico ; talvolta partono da un interesse erudito, con brani tratti da opere appartenenti alla tradizione classica (spesso però corrotti in
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traduzioni grossolane o interpolati con altri testi ) e stralci di compilazioni medievali (enciclopedie, erbari, lapidari, raccolte di consilia, trattatelli di dietetica e di cosmetica ) , a cui si aggiungevano trascrizioni di testi trasmes si oralmente, pensati per un utilizzo immediato nei vari ambiti della vita quotidiana e per la cura delle malattie più frequenti di adulti e bambini. Le ricette venivano ad aggiungersi le une alle altre ogni volta che coincidenze o caso mettevano il compilatore nella condizione di trovare la soluzione a un problema, e si susseguivano di conseguenza in un ordine del tutto casuale. I rimedi in questi casi utilizzavano tecniche largamente diffuse nelle piccole botteghe, fra gli empirici e gli artigiani ambulanti; erano frut to di un sapere pratico e polivalente e presentavano conoscenze "segrete" utilizzabili da chiunque, che privilegiavano ingredienti di poco prezzo e facilmente reperibili.
Letteratura dei segreti fra magia e scienza
Le raccolte di segreti, con le loro indicazioni pratiche e operative, facevano ricorso in larga parte alla magia naturale. Leggevano il libro della natura in base alle analogie fra macrocosmo e microcosmo, in cui ogni cosa è re golata dalle stesse leggi, sia nel grande che nel piccolo ; cercavano di deci frare le virtù occulte di piante, animali e pietre per ricondurle a relazioni regolari di causa-effetto e insegnavano a padroneggiare la sfera del magico e dell' ignoto per mezzo di procedure tecniche più o meno complesse. In più, permettevano di conquistare distinzione sociale facendo appello ad un' idea di nobiltà non ereditaria, ma basata su meriti intellettuali, ambita soprattutto dal ceto medio urbano, in ascesa grazie al fiorire delle attività e dei commerci. Curiosità e utilità si combinano dunque in una nuova sintesi, e il na poletano Della Porta può essere considerato a questo riguardo una figura fra le più rappresentative, poiché nelle sue fortunatissime opere seppe dar voce nel modo migliore alle aspettative e alle necessità che caratterizzava no l'uomo del Cinquecento : la sete di mirabilia, la curiosità per il mondo circostante e per il suo funzionamento, la necessità di una spiegazione ra zionale dei fenomeni della natura e il desiderio di conoscenza. I suoi testi rappresentano inoltre una fonte preziosissima che documenta il lento e graduale passaggio all'età moderna. Troviamo infatti tracce delle prime verifiche sperimentali a cui venivano sottoposte le indicazioni tramandate
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dalle autorità classiche, i primi esperimenti condotti con l'attenzione e il rigore che ritroveremo più avanti nei protocolli di laboratorio, mescolati e intercalati a credenze popolari, alla superstizione, alla fede cieca nelle misteriose e occulte forze della natura. Così una malattia poteva essere curata con la preghiera, oppure con procedure che ricordavano molto da vicino la simbologia e la ritualità della magia, anche se a un livello elemen tare, oppure ancora mediante l'applicazione di decotti o sostanze tratte dal mondo naturale, le cui virtù curative sono spesso sfruttate ancora oggi, nelle farmacopee moderne. Alle soglie della prima età moderna, il secreto non è più semplicemente una ricetta, un rimedio pratico per le necessità e i bisogni della vita quoti diana, bensì una meraviglia della natura, un fenomeno dalle cause nascoste che va indagato e sperimentato empiricamente, per poterlo poi riprodurre a proprio piacimento. Emerge dai testi il piacere intellettuale della scoper ta e la soddisfazione del "virtuoso" che, grazie alla propria arte e alle pro prie conoscenze, è in grado di imitare la natura e di metterne a frutto le vir tù nascoste. Tuttavia, continua a mostrarsi anche un mondo dominato da molti bisogni di carattere pratico, da malattie e disagi che si cerca di curare o prevenire. Nella loro brevità e semplicità, i "segreti" presentano elementi di grande interesse dal punto di vista storico e socio-culturale, poiché do cumentano molto bene come, anche in una dimensione pratica, agiscano elementi caratteristici della cultura rinascimentale filosofico-scientifica: qualità naturali, capacità manipolatorie, abilità tecniche, operazioni ma giche, fede religiosa, conoscenze scientifiche, che creano intrecci originali e qualche volta inaspettati.
Gli incantesimi d'amore
Un tema trasversale, come può essere quello dell'amore da suscitare o da salvaguardare, permette di indagare sia le raccolte di segreti a carattere più strettamente medico, sia quelle orientate ai miracoli della natura; sia quel le di stampo domestico e legate alla quotidianità rurale, sia quelle compi late nell 'ambiente più raffinato delle corti. Il desiderio di assicurarsi per sempre la fedeltà della persona amata, di ridestare sentimenti di amore e affetto in chi si ama senza essere ricambiati, o magari persino il tentativo di costringere qualcuno ad amare contro la propria volontà, sono pulsioni comuni a tutte le epoche e a tutti i luoghi, che trovano ampia documenta-
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zione nei manoscritti e nei testi a stampa della prima età moderna. La Uni versitatsbibliothek di Heidelberg, ad esempio, conserva una delle raccolte di manoscritti medici, alchemici e astrologici più importanti d' Europa, i Codices Palatini gennanici, una fonte ricchissima di materiali, ancora poco esplorata, che copre tutta la prima età moderna•. Queste fonti manoscrit te, di provenienza ed estrazione molto eterogenea, sono particolarmente utili per documentare la commistione di elementi dotti ed elementi popo lari, scienza e magia, fede e superstizione, che si esprimono più liberamen te in documenti destinati a un uso privato. Di frequente viene toccato il tema dell'amore'. Ciò avviene in genere in testi di breve lunghezza (da poche righe fino a un massimo di circa cinquanta), redatti parte in latino, parte in volgare, come era consuetudine per la prosa specialistica del tempo secondo lo stile, già descritto, della ricetta (Altieri Biagi, 1 9 7 8 ; Telle, 1 9 8 2a). Sono sempre introdotti da titoli che enunciano il tema in modo generico ( « de amore >> , « ad amore m >> ), o indicano con maggior precisione lo scopo da ottenere ( « affinché due si amino >> ; « se vuoi spegnere l'amore >> ; « perché una donna ti ami >> ; « a far prova se una donna è casta >> ) . S e gli obiettivi sono sempre gli stessi, diversi sono, di volta in volta, i metodi proposti per raggiungerli; infatti « sono stati usati molti isperimenti, per farsi amare dalle persone innamorate, non solamente per via d'arte de moniaca, e con soperstitioni, ma anco per mezzo di cose naturali, le quali hanno questa virtù di inclinare assai, all'esser amato >> , scrive Della Porta (De i miracoli et maravigliosi ejfètti, p. 102). Le due vie maestre nomina te da Della Porta, quella della stregoneria e quella della magia naturale o magia bianca, non sono sempre chiaramente distinte, e anche al loro interno si percepisce una molteplicità di sfumature. Dalla lettura e dal confronto dei testi emerge infatti un universo molto articolato, in cui gli elementi si mescolano e sfumano in gradazioni sempre diverse. A seconda 4· Degli 848 codici della Bibliotheca Patatina, oltre un terzo ha contenuto medico. Il manoscritto più antico risale al 1311 (il prezioso Libro di medicina di Speyer), e si arriva fino a inizio Seicento. La parte più consistente della raccolta venne assemblata nel corso del Cinquecento dai principi del Palatinato, grandi appassionati di medicina. Cfr. Schu ba (1981), Werner (1986), Telle (19 85), Miller, Zimmermann (20o5/20o7). Le traduzioni delle ricette tratte da questi manoscritti sono dell'autrice. S· Mi concentro sulle ricette riguardanti il sentimento amoroso, e tralascio invece il va stissimo campo degli afrodisiaci e dei rimedi volti ad accrescere o a spegnere il desiderio sessuale, così diffusi da divenire oggetto di numerosi aneddoti e racconti satirici.
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delle procedure suggerite per ottenere lo scopo desiderato, i testi si rag gruppano intorno a ere nuclei: cesti in cui le principali componenti sono formule liturgiche, simboli cristiani e preghiere ; testi basaci sul potere evocativo della parola, che ruocano intorno a sequenze di termini incom prensibili, ma legati da assonanze e alliccerazione, e ad antichi rituali, che lasciano trasparire chiaramente il loro subscrato magico ; infine ricecce più marcacamence orientate alle teorie mediche dell'epoca, che fanno ricorso ai principi cerapeucici della magia naturale e della doccrina neoplatonica delle segnacure, spesso rivisitata in chiave popolare. Molti cesti sono an che segnati da un profondo sincretismo e, grazie alle loro scracificazioni, documentano con grande efficacia il passaggio da un universo magico alla dimensione cristiana, dalla superstizione a una concezione più razionale e "tecnica" del mondo, e mostrano come queste diverse, apparentemente antitetiche componenti possano coesistere e fondersi anche ali' interno di uno stesso cesto.
La fede
L' incantesimo d'amore era già molto diffuso nell'antichità, e con l'affer marsi del cristianesimo fu sostituito da preghiere specifiche e da formule liturgiche, come la benedizione o l ' invocazione dei santi, che non sempre riuscivano però a sovrapporsi completamente agli elementi più antichi. In molci cesti cardo-medievali prevale dunque l' impronta cristiana, che si af fida alla parola pronunciata nella liturgia, parola sacra e portatrice di cucco il potere del divino, e alla certezza nel risultato corroborata dalla fede. In primo piano ci sono dunque i santi e i simboli del mondo cristiano, che in quest 'ambito trovano un'applicazione esclusivamente positiva, volca a garantire e rafforzare il rapporto d'amore, in genere inceso come amore coniugale. Un cesto esemplare si crova nel cosiddetto Libro di medicina di Speyer ( Cod. Pal. germ. 2I4, f. ssr-v, il più antico del gruppo dei medicinalia). Una breve introduzione esorta a recitare una collecca, una tipica preghie ra liturgica, per custodire il legame fra i due sposi. Nel cesto, in latino, si invoca la benedizione divina sui due coniugi, affinché Dio li protegga da cucce le insidie del Maligno e conceda loro le ere virtù ceologali (jides, spes, caritas) che fondano e animano l'agire cristiano. Come esempio per una felice vita coniugale vengono richiamate famose coppie bibliche : « affin-
TRA GLI SCAFFALI DELLA BIBLIOTECA DI DON FERRANTE ché ci amiamo come Eva e Adamo, Sara e Abramo, Rebecca e !sacco, Ra chele e Giacobbe, Anna e Tobi, Elisaberra e Zaccaria; l'amore e l'affetto rafforza in noi >> . Oltre a Adamo ed Eva, la sequenza delle altre coppie è probabilmente ripresa da una preghiera più antica della Chiesa riguardan te la sterilità nel matrimonio, poiché vengono nominate molte donne che hanno concepito in tarda età come Sara o Elisaberra - matrimoni allietati dalla prole, ma non sempre esemplari dal punto di vista della fedeltà. La sequenza, una volta consolidata, viene evidentemente estrapolata dal suo contesto originario e applicata anche ad altre situazioni legate al matrimo nio, dove queste coppie benedette da Dio vengono invocate e chiamate a intercederé . Il testo presenta il tipico andamento della prosa liturgica: Dio viene apostrofato direttamente, il parlante è indicato con il "noi" della comunità che prega, e vengono riprese parti di altre preghiere molto diffu se, come ad esempio il Credo. Un altro testo inizia « In Nomine patris et filij et spiritus sancti >> (Cod. Pal. germ. 2I2, f. 75r-v), orientandosi così subito verso l'uso liturgico, ma in questo caso si tratta di una preghiera di cararrere più personale, più in tenso. Dalla formulazione è chiaro che il resto è scritto per un uomo che desidera legare a sé una donna: « non si innamori di nessun altro finché io avrò vira, e non si separi mai da me né con il corpo né con il pensiero, e mi conceda il suo amore, il suo bene e il suo onore >> . Il resto è contraddistinto da una marcata struttura anaforica, con frasi ad andamento parallelo in cui si inseriscono di volta in volta piccole variazioni; un segno a forma di croce le separa graficamente l'una dall'altra. Leggendo il resto, si accre sce la tensione emotiva arrraverso la continua ripetizione delle medesime sequenze di parole. La formula « ti supplico >> , con cui l'uomo si rivolge con insistenza all'amara, segna l' inizio di ogni frase, e a sostegno di cia scuna supplica vengono invocati elementi sacri. Oltre alla vergine Maria e a Giovanni il Barrisra, compaiono le cinque sacre ferire di Gesù, la Croce, i tre chiodi che hanno rrafirro le mani e i piedi di nostro Signore7• Altri
6. Le fonti riportano spesso sequenze identiche o molto simili a questa. Numerosi esempi sono raccolti in Handworterbuch desdeutschen Aberglaubens. Cfr. Bachcold-Staubli (192741, v, col. 1 279, con ulteriori rimandi bibliografici ) , e Kieckhefer (1991> pp. J0-51). 7· I tre chiodi, in particolare, sono una presenza ricorrente, non soltanto in ambito amo roso, ma anche nelle ricette contro la grandine e il maltempo, oppure nelle benedizioni volte a proteggere dai calci sferrati dai cavalli, un problema frequente durante la ferratura, quando si sbagliava a inchiodare, appunto, il ferro allo zoccolo. Cfr. Eis (1971, pp. 3 18-17 ), Bachtold-Staubli (1927-41, vm, col. u66: I X , col. 113· con esempi dal XIV al XIX secolo ) .
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elementi sono invece di origine molto più antica, come ad esempio il tema del tormento. L'uomo esprime il desiderio che l'amata sia presa da una passione d'amore forte quanto la sua, cosicché la donna non possa trovare più pace né riposo e debba pensare a lui in ogni istante. Si tratta di uno stato d'animo spesso evocato negli incantesimi dell'antichità (Bachtold Scaubli, 1 9 27-42, Y, col. 1 277 ) , che qui appare integrato con grande natura lezza in un contesto cristiano. L' incantesimo si chiude con l'esortazione a recitare cinque Padrenostro e cinque Avemaria. In altri casi si vede come la supplica e la benedizione possano assume re un carattere più pressante, quasi minaccioso, come accade ad esempio in un "segreto" contenuto nella raccolta domestica di Georg Prell, pri missario del duomo di Regensburg (Cod. Pal. germ . 1 9 6, ff. I O I V-I03r). Qui si è in presenza di un partner evidentemente ostile, che deve essere spinto (o costretto) a innamorarsi contro la sua volontà: « il santo san gue di Cristo mando nel tuo cuore come messaggero, affinché ponga nel tuo cuore amore e amicizia, benevolenza e misericordia nei confronti di me N. [ nome], e pieghi e trasformi la tua cattiva volontà >> . Vengono dunque inviati dei santi messaggeri alla persona che non corrisponde il sentimento amoroso, con il compito di produrre questo cambiamento. La parte principale del testo consiste in un elenco molto fitto e concitato di simboli e figure del mondo cristiano, che alla lettura non suona però affatto pio né devoto, quanto piuttosto vagamente inquietante e poco ortodosso ; il tono stesso non è quello della supplica o dell' invocazione, ma quello del comando. Ad esempio, i tre chiodi della croce devono tra figgere e inchiodare la persona recalcitrante così come hanno fissato Cri sto al legno - pungere con aghi figure di cera rappresentanti la persona amata era la punizione tipica per l' infedeltà nell ' incantesimo d'amore del mondo pagano. Anche il motivo del tormento, emerso già nel testo pre cedente, riappare in una forma più marcata : =
Che tu N. non abbia più pace, né quando mangi né quando bevi, né quando dor mi né quando sei sveglio/a. Che Dio tolga e neghi a te N. la pace e la tranquillità da oggi fino a quando tu N. non ti sarai riconciliato/a con me N. e avrai accettato in tutto e per tutto la mia volontà: te lo ordino nel nome del Padre e dello Spirito Santo. Amen ( ivi, f. w v).
Questa formula presuppone un'azione molto più profonda e potente, poi ché non si tratta soltanto di rafforzare un legame o un sentimento preesi stente, ma di vincere un'avversione e piegare una volontà, soggiogandola
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completamente. Ciò emerge in modo chiaro dalle indicazioni conclusive, che richiedono uno sforzo maggiore anche da parte del diretto interessa to : ai cinque Padrenostro e Avemaria, di cui si accontentavano i testi pre cedenti, si aggiunge la recita del Credo, e si devono inoltre far celebrare sei messe in alcune particolari festività che vengono elencate - sono neces sarie quindi anche costanza e pazienza. In questa ricetta la componente cristiana non sostituisce procedure ed elementi magici, di provenienza molto più antica, ma sembra invece utilizzata per rafforzarli ulteriormen te. Il confine fra la preghiera cristiana e l' incantesimo con un' impronta di carattere magico-coercitivo appare spesso molto sfumato.
La magia
Un secondo gruppo di testi si basa ugualmente sulla forza della parola, ma in modo completamente diverso. Caratteristica è in questo caso l' in terazione fra diversi fattori quali voce, azione e gesto, ma soprattutto è fondamentale il potere evocativo della parola, che si condensa nella for mula magica o nei nomi degli spiriti chiamati in soccorso. La parola non è più un segno linguistico portatore di un significato, ma un 'entità a sé che, a determinate condizioni, può evocare forze magiche e quindi modificare la realtà nella direzione desiderata. La fede nella forza della parola, scan dita da particolari sequenze di suoni, ripetuti e allitteranti, era retaggio dell'antichità precristiana e delle tradizioni orali più antiche, in partico lare quelle nordiche. Essa permane nelle culture popolari, ma si trasfor merà e verrà in parte assorbita dalla Chiesa, che la filtrerà cristallizzan dola nelle formule del linguaggio liturgico. Nella letteratura dei segreti e nei manoscritti ad uso domestico della prima età moderna, i testi magici in senso stretto non sono molto numerosi; sono brevi, spesso in latino, e la formula o la parola magica sono contornate e affiancate da procedure e da elementi di diverso carattere. Parte integrante ed essenziale rimane comunque sempre la scrittura o la pronuncia di alcuni termini magici: gippartgeregint, ad esempio, va scritto su un pezzetto di pergamena in tonsa e portato con sé come amuleto ( Cod. Pal. germ. 2. 1 2., f. s7v). Alcuni gesti sono particolarmente frequenti, anche per il loro evidente carattere simbolico ed evocativo : spesso si tratta di scrivere il proprio nome e quel lo della persona amata, insieme ad altre parole magiche, su un oggetto che va poi mangiato.
IlO
I VINCOLI DELLA NATURA Scrivi in una mela le parole Alpajdes Aspajdam crjspidus Aspidas e il tuo nome e il suo e dagliela da mangiare : si innamorerà di te ( Cod. Pal. germ. 1 9 6, f. IOJV).
Vari motivi confluiscono in questa ricetta: molto importante è l'atto del mangiare, che svolgeva un ruolo essenziale nell 'universo magico, poiché proprio ingerendo una sostanza ci si poteva appropriare delle sue qualità fisiche e spirituali. In questo modo si può "far mangiare l 'amore" a qual cuno e ammaliarlo, come riportano molte raccolte di segreti. Anche la mela è un motivo abituale, tipico dell' incantesimo d'amore ; si riallacciava ovviamente al frutto dell'Antico Testamento, era presente in moltissime credenze e si utilizzava in tanti ambiti, oltre a possedere un forte parere apotropaico nella medicina popolare. Una variante di questo segreto consiglia di scrivere su una pergamena nuova, che bisogna poi seppellire sotto il letto della persona amata: Prendi pergamena vergine e scrivi ci sopra Alorcha A!umtilia Vjra jgastia Majet e seppelliscila sotto il suo letto : farà tutto quello che vuoi (ibid. )8•
Se invece la relazione affettiva esiste già, ma si vuole assicurarne l' intensità e la durata, bisogna scrivere su materiali più duraturi, capaci di resistere all'usura del tempo, che vanno poi conservati in un luogo sicuro : Se hai un amore che non vuole durare, scrivi su un pezzo di piombo queste tre parole Angufo angulus angulat e seppelliscilo in un campo: ti amerà per sempre, è certo. Probatum ter ( Cod. Pal. germ. li l, f. 74r).
Parole incomprensibili e sequenze di simboli magici parevano però servire anche per evocare demoni. In quel caso le ricette erano redatte esclusiva mente in larino e si avvicinavano pericolosamente alla sfera del proibito, quella della magia nera. Si trattava in genere di scrivere sulla pergamena i nomi altisonanti e misteriosi di alcuni spiriti, che venivano chiamati in aiuto per raggiungere lo scopo : possono essere Astolt, Astati!, Vostal ( ivi, f. s 8r), oppure Guegas, Guriel, Iulig - i nomi uniti dalla ricorrenza degli stessi suoni manifestano rutto il loro carattere magico. Prendi sangue di pipistrello e scrivi su una carta intonsa questi nomi: Guegas Gu riel Iulig, e in un martedì con la quadratura del Sole, nell'ora in cui sorge, vai e 8. Tradizioni parallele sono raccolte in: Bachtold-Staubli (19l7-4l, v, col. I l87 ), Grimm (187s-78, III, p. 46l, § 809), Kieckhefer (1991, p. 38).
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sorrerrala a l centro d i u n incrocio, dicendo : chiamo voi, demoni, i cui nomi sono scritti in questa carta, uniti grazie al principe di turri i demoni, affinché consacria� re questa carta, e qualsiasi donna wccherò con essa mi amerà per sempre, più di ogni altro al mondo (Cod. Pal. germ. 196, f. 18sr) .
Da un punto di vista stilistico e linguistico, gli incantesimi presentano le stesse caratteristiche delle ricette e dei segreti. La struttura paratattica della sintassi, i verbi esortativi, il contesto sono simili, ma chi produce il testo non è più da identificare con il supplicante che parla in prima persona e prende direttamente parte all'azione, quanto piuttosto con un esperto che mette per iscritto le sue conoscenze e dà istruzioni a chi lo ha evi dentemente interpellato. Lo dimostra l' imperativo alla seconda persona singolare : « traccia questa figura sulla tua mano sinistra » , « scrivi queste parole in una mela >> , «prendi pergamena vergine e scrivici sopra i nomi >> , e così via. Alcuni testi mostrano una somiglianza ancora più evidente con le ricette medico-tecniche, di cui riprendono anche la tipica formula ini ziale recipe ( ''prendi" ) . Molte ricette sono però contraddistinte da una commistione di ele menti, come si è visto, e si basano non soltanto sulla forza magica della parola, ma anche sulle virtù attribuite a piante e animali o sulle analogie fra elementi del mondo naturale, che hanno il compito di rafforzare la for mula magica; oppure si fa appello alla fede, raccomandando di far bene dire in segreto determinati oggetti, di recitare alcune preghiere, o di rac cogliere tre fiori in una determinata ora del giorno, il primo nel nome del Padre, il secondo del Figlio, il terzo dello Spirito Santo ( Cod. Pal. germ. 212, ff. 69v-7or) . Anche in questo caso magia, religione ed empiria medica si compenetrano.
La ragione
Un terzo gruppo di testi si ispira all'antico principio curativo del similia similibus curantur, e si basa sull' impiego delle forze miracolose e nascoste di piante e animali. Era infatti opinione diffusa, fin dal Medioevo, che Dio, una volta create le malattie, avesse infuso nella creazione anche il potere di guarirle; si trattava solo di conoscere il rimedio adatto e di saperlo applicare in modo corretto. Nella magia naturale, dunque, la ricerca del rimedio cu rativo veniva effettuata per un verso sulla base della dottrina galenica degli umori e del loro equilibrio, per l'altro in base ai principi della teoria delle
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segnacure, dell'analogia fra macro e microcosmo e della simpatia fra gli es seri viventi'. Si cercavano cioè delle corrispondenze nella forma, nel colo re o in alcune caratteristiche specifiche, e ci si orientava di conseguenza: mangiare animali molto prolifici favoriva la fertilità; la polmonaria, le cui foglie macchiate di bianco ricordano la forma dei polmoni, era considerata un lenitivo per tosse e catarro, ed era usata per curare le infezioni delle vie respiratorie, e così di seguito (Miiller, 1982). In questi casi il secreto coincide con la ricetta vera e propria, che non richiede una lettura a voce alta, né una rirualità particolare ; semplicemente si eseguono le istruzioni, impartite in uno stile scarno e puramente denotativo. Formule magiche e parole miste riose sono sparite, sostituite ora da termini tecnici. Le forze che si mettono in campo e alle quali ci si affida per sortire l'effetto desiderato non sono più collocate in una dimensione soprannaturale, magica o divina che sia, ma ancorate alle conoscenze dell'uomo e alla sua abilità nel metterle a frutto. Parole-chiave sono ora i nomi degli "ingredienti" provenienti dal mondo naturale, e le indicazioni per la loro preparazione e somministrazione. Nel Cod. Pal. germ. 196, oltre a segreti che interessano la medicina, la cosmesi, la cucina e segreti burleschi, ci sono più di venti ricette ad amorem: Un altro modo [De amore] Prendi un cuore di colombo, di un maschio e di una femmina, e falli seccare al sole, poi riducili in polvere e dali i da mangiare a due sposi: non si separeranno mai (Cod. Pal. germ. 196, f. 10 4 r) .
Ecco comparire subito uno degli ingredienti prediletti in questo tipo di ri cette, e cioè il piccione. Fin dall 'antichità, in Occidente come anche nelle culture del vicino Oriente, i piccioni erano il simbolo dell'amore; per gli enciclopedisti medievali colomba e tortora erano il simbolo per eccellenza di castità e fedeltà, poiché non tradiscono il compagno e gli restano fedeli anche dopo la sua mortem. I piccioni sono di natura molto calda, e per que9· Queste corrispondenze e complementarità avevano trovato una elaborazione a livello erudico dapprima nella medicina galenica, poi nella neoplatonica teoria delle segnature, ma pervadevano anche la visione magica del mondo che permeava la cultura popolare europea. Vi si solferma Muchembled (1978). 10. Queste caratteristiche sono descritte nei bestiari e nelle enciclopedie naturali del Me dioevo, fin dai più antichi manoscritti del Physiologus. Cfr. dal Fisiologo latino, versio bis: « Il Fisiologo dice della tortora che la femmina ama maleo il suo compagno e vive casta mente con lui e a lui solo resta fedele, così che, se talora succede che il suo maschio sia
TRA GLI SCAFFALI DELLA BIBLI OTECA DI DON FERRANTE
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sto s i attribuiva loro u n potere afrodisiaco, m a erano soprattutto i n grado di stimolare e accrescere la fertilità, essendo essi stessi molto prolifici. Per acquisire queste caratteristiche era necessario mangiare il cuore del colom bo o essiccarlo e portarlo con sé, un rimedio già accreditato nel De mirabi libus mundi che per secoli fu attribuito ad Alberto Magno (A Book ofthe Marvels, p. 8 1 ) . Anche Della Porta consigliava a chi voleva essere amato e desiderato da una donna di utilizzare animali noti per essere molto focosi e fedeli, come passeri e piccioni (Magia naturalis, p. 104.) Altre sostanze impiegare di frequente, che trovavano vasta applicazione anche nelle farmacopee destinate all'uomo comune, erano le rondini e il cuore della donnola, la zampa di una gallina nera, ranocchie, pelle di vipera, sangue di pipistrello e grasso di caprone, che doveva essere ritenuto parti colarmente efficace, visto l'alto numero di ricette che lo raccomandavano". Dal mondo vegetale provenivano invece il sempervivum, la pianta grassa a forma di rosetta che già Hildegard von Bingen aveva descritto come po tente afrodisiaco, e la radice di betonica; raccolta in determinati giorni, era un rimedio efficace per difendersi dagli incantesimi d'amore". Sono tutte sostanze che non richiedevano preparazioni complesse, in genere era suf ficiente farle seccare e ridurle in polvere, come il cuore di colombo nella ricetta prima ricordata; altre volte bisognava bruciarle, qualche volta spre merne il succo, oppure mangiarne''· In genere era però già sufficiente por rade con sé per suscitare l'amore della persona che si incrociava: « Prendi un pipistrello e merrilo nella tua borsa, e passa vicino alla donna che ti piacatturato o da uno sparviero o da un uccellatore, lei non si unisce a un altro maschio, ma continua a desiderare lo stesso, e lo aspetta in ogni momento e persevera fino alla morte nel ricordo e nel desiderio di lui» (Bestiari medievali, p. 69). Passi simili sono nei bestiari di tutta Europa: Megenberg, Das Buch, pp. 179-Sz: Bestiario di Cambridge, pp. 171-z; Bestiaire de Gervaise, in Bestiari medievali, p. 3 47· 1 1 . Un esempio è la ricetta contenuta nel Cod. Pal. germ. 196, f. I SS T ( ), ma ci sono testi paralleli in molte raccolte. Tra gli altri, pseudo-Albertus Magnus, A Book ofthe Marvels, p. 87, e Thorndike (19Z3-58, II, p. 8oS). 12.. Come pianta medicamentosa, la betonica era già molto nota nell'antichità. Plinio la raccomanda per proteggere la casa da ogni calamità; per Oioscoride è un'efficace difesa contro i serpenti; in seguito compare spesso con funzioni apotropaiche, soprattutto in ambito amoroso. 1 3 · > significa « essere sag gio >> , e aggiunge che un essere umano sapiente si trasforma in demone dopo la morte, ma la sua natura demonica è già percepibile in vita (Plato ne, Cratilo, 398c). Socrate stesso quindi meriterebbe un simile appellativo. Per ciò che concerne gli eroi, il filosofo si stupisce che il suo interlocutore non ricordi come gli eroi siano semidei, nati dall'amore di una divinità per un essere umano (ivi, 398D). Nell'Epinomide, uno dei dialoghi pla tonici (di autenticità dubbia) citato da Ficino a proposito del "demone buono", e quindi trascritto nel libro di Belli, la distinzione tra demone ed eroe si fa ancor più problematica, poiché, nel porre cinque categorie di es seri spirituali o semispirituali (gli dèi, le stelle e le divinità in esse residenti, le creature dell 'etere, quelle dell'aria o demoni, infine quelle dell'acqua), Socrate mette in risalto la possibile creazione di società nate dall' intima interazione di tali creature con gli esseri umani (ivi, 985c). Ed è proprio
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da questo dialogo che Ficino, e quindi Belli, riprendono la citazione che il demone non sia esente dal provare dolore, come è naturale anche per gli eroi (ivi, 98ss ) . Essendo l'universo interamente composto di creature viventi, i demoni assolvono al compito di « interpreti » delle volontà degli dèi (esattamente come gli angeli), sono capaci di leggere i nostri pensieri (facoltà preclusa agli angeli o ai diavoli) e vengono in aiuto delle perso ne che, per la loro condotta morale, lo meritino. Sia i demoni, residenti dell 'aria, sia gli eroi o semidei, che provengono dall'acqua, hanno nel dia logo platonico una presenza visibile a intermittenza. Luminosi e traspa renti come l'acqua, gli eroi possono rendersi invisibili e !asciarci quindi «perplessi » , anche perché queste cinque categorie di esseri si mostrano attraverso sogni, oracoli ed apparizioni (ivi, 98ss-c ) . La possibilità di una trasmutazione » da demoni ad eroi ed infine ad esseri umani è, secondo il dialogo di Plutarco Il tramonto degli oracoli ( 4ISB ) , sostenuta per primo da Esiodo, ciò che condusse ulteriori pensatori, sempre a dire di Plmarco, a concludere che tale metamorfosi includa sia il corpo che l'anima, dato che, come l'acqua sembra derivare dalla terra, l'aria dall 'acqua e il fuoco dall'aria, così la sostanza delle creature che affollano il creato può ascen dere verso l'alto, dagli esseri umani agli eroi e su verso i demoni, e persino, per poche anime elette, anche verso gli dèi stessi (ivi, 4ISB-C; cfr. Ficino, Opera omnia, II, pp. 1874, 1879 ) . > , nel senso che era cresciuto sotto l' influenza dello zio Giovanni Pico (Peters, 2001, p. 239 ) . In opere quali l' Examen vanitatis
doctrinae gentium et veritatis disciplinae Christianae (Esame della vanitd del sapere deipagani e della verita della disciplina cristiana, 1 5 20 ) , Pico trac cia una storia della letteratura antica che egli interpreta come la scrittura "sacrà' ispirata dal demonio cristiano, prima che essa venisse sconfessata dal Vangelo. In tal modo, la "morte" dei demoni coinciderebbe con la loro sconfitta eterna. Gli dèi del focolare domestico, i cosiddetti Lares e Penates, incarnano più di ogni altro spirito demonico la contaminazione tra essere umano ed essere spirituale. Nel famoso Le imagini de gli dei degli antichi ( 1 5 5 6 ) , Vincenzo Cartari, citando dal De verborum significatu (Il significato delle parole) di Sesto Festa, grammatico romano vissuto nel I I secolo d.C., af ferma come per gli antichi i Lares e Penates, sebbene fossero in realtà spi riti deii' inferno, visitassero il mondo durante certe celebrazioni e fossero ritenuti le anime dei deceduti (Cartari, lmagini, pp. 394-5 ) '. Ritratti come giovani vestiti con pelli di cani, questi demoni avevano anche un cane ai loro piedi a indicare la loro fedeltà (cfr. Ovidio, Fasti, v, 1 29-1 30, 133-139 ) . Tertuiliano (ca. 1 5 0-222 ) sostiene neila sua Apologia che Saturno altro non fosse che un essere umano, deceduto come tutti gli altri, del quale si po teva ancora rintracciare la tomba, e aggiunge che, al pari di questo falso
S· Cfr. Sextus Pompeius Festus, De verborum signifìcatu, pp. 108, 2.73. Per una panoramica della demonologia rinascimentale, cfr. il trattato di Strozzi Cigogna, Ilpalagio de gl'in canti et delle gran meraviglie de gli spiriti e di tutta la natura loro (r6os). Per un esame di quest'opera, cfr. Maggi (wo6, pp. 66-103).
I YINCOLI DELLA NATURA dio, tutti gli spiriti del focolare non fossero altro che gli spiriti dei morti (Apologeticum, XII, p. 67 ) . È impossibile ignorare una certa affinità tra i demoni che consigliano e guidano - siano essi demoni platonici o angeli cristiani o ibridi spiri tuali - e questi spiriti di più modesta fatta, i quali, forse dopo aver vissuto come uomini e donne, ritornano nelle loro case a proteggere le famiglie che hanno lasciato dietro di sé, proprio come cani fedeli, perduti e poi ritrovati. Nel De praestigiis daemonum, et incantationibus, ac veneficiis (Le illusioni dei demoni, gli incantesimi e i venefici), un testo famoso per la sua cauta analisi delle attività delle streghe, Johann Wier ( I S I S- I S8 8 ) parla dei demoni familiari della propria infanzia, con un certo qual senso di nostalgia. Ricorda come questi « spiriti gentil i >> fossero particolarmente attivi durante la notte, simili a servi che si mettono all 'opera quando i loro padroni non sono presenti, risparmiando loro la cura di faccende che non richiedevano neppure un'attenzione urgente (De praestigiis dae monum, pp. 109-10). Ma se i demoni possono provenire dalle anime dei morti, non sarà assurdo pensare che anche gli spiriti, legati come sono alla nostra umanità, siano segnati dalla morte. È risaputo che il padre di Girolamo Cardano ( I S O I - I S7 6 ) aveva un demone privato, uno spirito fa miliare con cui si era intrattenuto a discutere di argomenti filosofici per più di trent 'anni, e che portava con sé altri demoni interessati a queste tematiche. Rivelando la propria mortalità, il demone spiegò a Fazio Car dano che la sua razza era fatta di « uomini quasi aerei >> e che poteva giun gere a vivere fino a circa 300 anni (Cardano, Opera omnia, m, p. 6 s 6 )6. Ma allora, si chiede Cardano in un passo del De varietate rerum, i demoni sono o non sono mortali ? E come si rapportano alle anime dei morti e, più in generale, all'anima umana ? (ivi, III, p. 3 I 9 ) . Le interpretazioni dei demoni si possono ridurre, secondo Cardano, a tre : I . i demoni sono im mortali e sempre malvagi, e questa è la visione cristiana ; 2. i demoni sono mortali e possono essere buoni o maligni, e questo è il tipo di demone con il quale s' intrattenne per anni Fazio Cardano ; tali demoni, sebbene siano molto potenti, temono la morte come tutti gli altri esseri creati; 3· i demoni sono immortali, secondo la dottrina dei platonici. Questi demo ni hanno grande potere e sono «a noi familiari, in parte buoni e in parte malvagi >> (ibid. ) . 6. Cardano, oltre che nel XIX libro del De rerum subtilitate qui citaco, fa una simile affer mazione nel De rerum varietate, XVI, 93 ( Opera omnia, III, p. JlO ).
ANGELI, DEMONI, DIAYOLI
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I misteri dei demoni, i misteri della natura ed i misteri della mente
Nel De vita propria Cardano si profonde in una sentita confessione riguar do al suo personale rapporto con i demoni ( « Spiritus » , cap. XLYII ) . Il filosofo sostiene che gli spiriti « assistenti >> (assidentes) erano chiamati solitamente « angel i >> dai greci e « spiriti >> dai latini (Cardano, Opera omnia, l , p. 44). Solo durante la composizione della sua autobiografia, al! 'età di serranraquarrro anni, Cardano si era pienamente reso conto della protezione afferragli dal suo demone grazie a costanti avvenimen ti. L'aurore ricorda come la culrura classica desse conto di una signifi cativa varierà di relazioni rra demoni, buoni e malvagi, ed esseri umani, di cui il demone "censore" di Socrare è solranro un esempio rra i rami. La demonologia cristiana è invece ben lontana dall 'offrire un quadro complero dell'antologia dei demoni. La più seria conseguenza di quesro approccio ridurrivo allo studio degli esseri spirituali non è ramo un qua dro teologico incompleto, quanto un grave limite nella comprensione scientifica dell 'operare della natura. Il rapporto rra la natura ed i demoni, spiega Cardano, è di reciproco sostegno, nel senso che la natura è il mez zo arrraverso il quale il demone esprime un messaggio di monito e preoc cupazione, ma è anche vero che il demone, in quanro parre essenziale della natura stessa, esiste nella misura in cui esprime la « verità >> della natura. « Turco quello che ho appreso >> , confessa Cardano, « l ' ho appre so arrraverso il demone >> ( ivi, p. 4 5 ) . Secondo Cardano, la conoscenza è di tre forme : 1 . l'apprendimento, che si orriene grazie ai sensi, ed è a quesro primo e più basso livello di conoscenza che si ferma la geme co mune ; 2. la dimostrazione, che consiste nell' inferire una cena causa dai suoi efferri. In questo secondo caso, l 'aiuto del demone è sraro imporran te per lui, anche se non sempre decisivo, poiché è serviro a chiarire punri in cui si era arenato l' inrellerro del filosofo ; 3· la « cognizione delle cose incorporee ed immortal i >> , una forma di illuminazione che necessita del demone, poiché spesso quello che sembra assurdo (in ogni campo della conoscenza umana, incluse le scienze) viene chiarito da un suggerimento demonico. Nel sesro capirolo del De arcanis aeternitatis (Gli arcani dell'eternita ), Cardano inserisce un' immagine che visualizza l'enorme presenza dei de moni nel cosmo (cfr. FIG. s ) . Nel suo schema, l' inrellerro celeste, posro nella parre superiore della volta celeste, risulta ramo elevato quanto di-
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I \'IN COLI DELLA NATURA
G. Cardano, De arcanis aeternitatis, in Opera omnia, x, p. 7
stante dalla natura umana, mentre i demoni occupano l ' intera metà supe riore del cerchio che rappresenta il cosmo (Opera ornnia, x, p. 7; cfr. Mag gi, 2001, pp. 199-200 ) . L'uomo è posto in uno spazio centrale ma inferiore, al di sopra delle varie specie animali e degli elementi, mentre i demoni da soli occupano uno spazio che è il più vasto in tutto il mondo visibile. Il punto focale di tutta l' immagine è « mente » (rnens), appena leggibile al centro. « Mente >> è infinita, sottolinea Cardano, ed è ciò che negli es seri umani sopravvive dopo la morte ( ivi, p. s). L' immagine che l'autore propone per visualizzare la composizione del cosmo ha una doppia con notazione, letterale e figurativa, nel senso che, da un punto di vista fisico, essa colloca i demoni nell'ampia sfera dell'aria che va da quella più densa e oscura in quanto più prossima all'acqua, come ben spiegato da Ficino nel Sopra lo amore, a quella più eterea ed elevata verso l' intelletto celeste. Tut tavia, questa rappresentazione visualizza anche l'agire della psiche umana, che vede al centro rnens, in basso le sue facoltà che nella tripartizione ari stotelica potrebbero corrispondere all'anima "vegetativa" e in alto l'ampia volta interamente dominata dai demoni. Mens, che non significa "mente" nel senso corrente del termine, è quella parte essenziale della psiche che non è soggetta all' instabilità del tempo, come Cardano spiega nel libro IY
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del 7heonoston (ivi, II, pp. 438b-439a)7• Mens s' identifica con la conoscen za che deriva da un atto di contemplazione, ma in essa vi è qualcosa di "straordinario': perché, sebbene a noi paia essere attiva in modo raro ed intermittente (come il sole appare e scompare dietro le nubi), essa è rutta via sempre in atto. Mens conosce, scrive Cardano, anche quando non ne siamo consapevoli, come l'anima, che, a quanto afferma nel De immorta litate animorum, presiede alle attività vitali del corpo e si trova in potenza nel seme umano, mantenendo attive le funzioni del corpo anche quando siamo addormentati (i vi, II, p. 46 9a). In che modo mens si relaziona alla sovrastante area appartenente ai demoni ? In Paralipomenon (ivi, m , 21), avente ad oggetto una complessa analisi della divinazione, Cardano ipotizza che la sapienza sia una per rutti e che le anime siano tutte colme di sapienza (ivi, x , p. 47ob). Ciò che rende tali coloro che vengono chiamati « sapienti » è la loro disposizio ne alla divinazione, come se avessero in loro due nature, umana e divina, e quest 'ultima fosse dovuta alla presenza di un genius, come si narra di Socrate. I platonici, ricorda Cardano, soprattutto Giamblico e Plotino, il cui pensiero è per lui determinante, concordano su questo punto (ivi, p. 47 1 a) . L'azione del genius o daemon nella mente è simile a ciò che rilu ce da uno specchio, metafora questa che egli usa spesso per indicare una riflessione "illuminante" che raggiunge la perfezione nell' immagine del proprio viso (ivi, p. 473b). Cardano pone otto forme di immaginazione, la maggior parre delle quali, escluse le prime concernenti le fantasie nei sogni e nelle estasi, riguardano il rapporto tra la vista interiore e quella esteriore (a seconda che le palpebre siano chiuse o aperte quando si forma l' immagine), e tra l' immagine e il pensiero che risiede o meno nella mente prima, durante o dopo l' immaginazione (ivi, p. 47sa). Per ciò che riguarda l'ottavo tipo, il più complesso, Cardano propone un'ulteriore suddivisio ne per renderlo più comprensibile : 1. immaginiamo qualcosa e vediamo o udiamo qualcosa di diverso ; 2. immaginiamo qualcosa, ed esso è confer mato dai sensi: questo tipo è detto spectrum; 3· non immaginiamo e non pensiamo nulla, ma vediamo qualcosa: questo evento è detto genius; 4· non immaginiamo nulla, ma siamo presi da un qualche pensiero e, mentre leggiamo o recitiamo un carme, percepiamo qualcosa. Quest'ultimo tipo si chiama daemon. Il demone è quindi una presenza paradossale, perché è percepita come esterna, attraverso le sue manifestazioni sensoriali (so7· Il rapporto tra mens e contemplazione è messo in risalto in Canziani (2.002., pp. 457-87 ).
I VINCOLI DELLA NATURA prattutto, ma non esclusivamenre, immagini o suoni), ma anche inrerna, perché quello che è visibile al di fuori è in realtà il prodorro di una facoltà che è a noi dara, sebbene nella sua essenza non sia umana. Nelle Enneadi ( m , 4) Plorino afferma appunro che il demone « non è inreramenre fuori di noi, nel senso che non dipende da noi » (Enneads, p. IS4). Secondo Il dio di Socrate di Apuleio, un rrattaro fondamenrale per la demonologia rinascimenrale, dal quale Cardano riprende anche i vari nomi degli esseri spiri mali, il demone risiede nei profondi re cessi della m eme (De deo Socra tis, XVI, p. 3 6)8• « i nomi dei demoni » , che è anche il tirolo di un successi vo breve capitolo in Paralipomenon ( m , 2.3), non indicano quindi diverse crearure, quanro piurrosro diverse modalità di conoscenza e di porsi nel cosmo (Cardano, Opera omnia, x , p. 476a). Insieme al lar, « ausilio do mestico » di cui abbiamo già derro, e al daemon, che significa « sapienre >> , Cardano fa menzione del lemur, che è « come la nostra figura riflessa in uno specchio>> . Quesro stesso ripo di crearura è, come ricorda sanr'Agosri no nel libro IX della Citta di Dio, nella sua diatriba conrro Il dio di Socrate, il demone in cui, secondo Apuleio, l'anima si trasforma dopo il decesso del corpo. Si n ori l' affascinanre coincidenza che Cardano pone rra la metafora dello specchio per indicare l' illuminazione provenienre dal demone che è parre dell'anima (o che, secondo Platino e Apuleio, potrebbe anche essere vero e proprio sinonimo di anima) e lo specchio del lemur come immagine di colui che è deceduro. Si dirà che il demone, nella sua più inrima ed irri petibile istanza, è la limpida rivelazione che della nostra idenrità concede la morre. Ma come si porrà concepire un complesso sistema filosofico profon damenre influenzato dalla presenza dei demoni senza prendere in consi derazione le persecuzioni, le possessioni, gli inganni che la demonologia cristiana insiste nell' indicare come le uniche attività proprie dei demoni, sopratturro in un'epoca come il Cinquecenro, dominata dall'orrore del le streghe e delle efferatezze dei loro persecurori religiosi e civili ? Nel De varietate rerum, Cardano si dimostra a conoscenza dei trattati teologici, e delle srorie in essi conrenuri. CiraJohannes Nider (138 o/8s-1438), l'aurore del Formicarius (143s-38), il primo imporranre trattato conrro le streghe dell'epoca moderna, e riporra la ben nora teoria secondo la quale il de mone « improbo >> forma un corpo aereo, menrre il demone benevolo si limita ad apparire (Opera omnia, m , pp. 32.0- 1 ) . Il demone malvagio è ar8. Sulla magia e filosofia naturale, cfr. Clark (w o>, pp. 145-69 ).
A N G E L I , D E M O N I , D I AYOLI
tratto dall'anima impura, dalla quale sollecita pensieri ed azioni veneree impure. Se i neoplatonici, sia i discepoli di Platone che i pensatori italia ni rinascimentali, sottolineano il ruolo gnoseologico del demone, quello inevitabilmente " buono", ed evitano di discutere delle operazioni nefaste del suo opposto, limitandosi ad alludere alla sua esistenza quale eco della visione cristiana, Cardano ne discute apertamente la presenza nel medesi mo capitolo, vasto e dettagliato, del De varietate rerum, nel quale si occupa di Platone, Proclo, Plotino e Giamblico. In un capitolo precedente ( cap. Lxxx ) , si occupa anche delle streghe, e le storie che riporta trasmigrano, in una trasfusione di narrazioni tipica di questi trattati di demonologia, nel Compendio di malefici di Francesco Maria Guazzo ( ivi, I I I , p. 293b; Guazzo, Compendium malejìcarum, I I I , 3, p. I S S ). Ma gli effetti nefasti dei demoni malvagi, la loro persecuzione degli esseri umani, nel particolare momento in cui Cardano si trovava a scrivere e fioriva la filosofia neopla tonica, sono oggetto di un'attenzione più preoccupata da parte di coloro che, per così dire, erano in trincea a combattere una guerra contro i demo ni deli' inferno, conflitto che poteva anche essere un segno della prossima fine dei tempi.
Un altro demone. Un 'altra medicina. Un 'altra presenza nella mente
Di un'altra forma di presenza nella mente si dovrà quindi parlare, di una diversa interazione tra l' intelletto e il demone malvagio, il quale, al con trario di ciò che i neoplatonici affermano a proposito del demone buono, non è parte dell' intelletto umano o addirittura suo sinonimo, ma piutto sto suo potenziale devastatore, con effetti nocivi che si dilatano dalla men te al corpo, con una potenza che i demoni buoni, sia cristiani, sia platonici, sono ben lontani dal manifestare. Sembrerà non corretto, a prima vista, porre a un livello inferiore i messaggeri del divino, ma è indubbio che il de mone a noi nemico è anche molto più simile e prossimo all'essere umano, condividendo con gli uomini la condizione di essere caduto. Il demone cristiano risiede in un'area ( l'aria densa intorno al globo terrestre ) lette ralmente confinante con quella umana. La possessione di cui si legge nel Simposio di Platone - e ancor più nel Sopra lo amore di Ficino, a proposito della profetessa Diotima, ma anche di Socrate che tarda ad unirsi al convi to perché ali' improvviso assorto in qualche pensiero dominante - mostra
I VINCOLI DELLA NATURA rispetto nei confronti dell 'essere umano che, proprio per far suo ciò che il demone ha dischiuso, deve distanziarsi da se stesso, deve "riflettere" su se stesso, come scrive Cardano, comprendersi, vedersi come in uno specchio. Secondo la pratica della scienza rinascimentale, come si evince anche nel libro YI del Sopra lo amore, che è un succinto manuale medico, gli "spi riti", particelle che « Si generano dal caldo del cuore della sottilissima parte del sangue >> (El libro dell'amore, p. 136 ) , regolano il rapporto tra l'esterno e l'organismo, ed anche tra i vari organi ed i quattro umori (bile nera, bile gialla, llegma e sangue) . Sempre nelle parole di Ficino, «la casa del pen siero humano è l'anima, la casa dell'anima è lo spirito, la casa dello spirito è il corpo >> (ivi, p. 139 ) . L'umore malinconico, che può derivare sia dal sangue bruciato che dalla bile nera, è l'esempio migliore per illustrare la porosità della natura demoniaca, da creatura benigna o neutra a una in trinsecamente malvagia. Più di ogni altro pensatore, Tommaso Campanel la ( r s 68-1639 ) affronta, ormai nell 'autunno del Rinascimento, l'ambigua e molteplice essenza del demone, e la sua visione della malinconia ne è un esempio cogente. Contro Ficino che vede la malinconia anche come condizione importante per la divinazione, nel Senso delle cose e della magia Campanella definisce questo umore « feccia nera di sangue arso >> e ritie ne che esso non sia « causa di sagacità e d'antivedere >> , ma possa divenire facilmente « sedia di spiriti maligni e del demonio >> (Senso delle cose, p. 143 ) 9• In base a questa definizione, esistono, quindi, due tipi di demoni: quelli maligni e più propriamente i demoni cristiani. Al contrario, conti nua Campanella, «li spiriti lucidi e puri sono spesso sedia degli angeli, che nell'anima operano e l'ammaestrano e illuminano>> , cioè i demoni buoni, anche detti angeli custodi (i vi, p. 144 ) . La medicina è per Campanella sinonimo di « magia>> , perché ambe due condividono lo sforzo di comprendere le leggi della natura, sebbene, aggiunge il filosofo di Stilo, oggigiorno "magia" è normalmente usata per indicare quelli che, 6. MENGHI GIROLAMO (a cura di), Thesaurus exorcismorum, Lazar Zetzner, Coloniae 1 6 0 8. NIDERJOHANNES, Formicarius, ]ohann Schott, Argencorati ISI7. PLOTINUS, Enneads, ed. by A. H. Armstrong, Harvard Universicy Press, Cambridge (MA) 1999· SEXTUS POMPEIUS FESTUS, De verborum signiftcatu, a cura di W. M. Lindsay, Teub ner, Leipzig 1913. SUAREZ FRANCISCO, Opera omnia, éd. par M. André, Ch. Berton, >S voli., Vivès, Paris 18s6-77. TERTULLIANO, Apologeticum, ed. by T. R. Glover, Harvard University Press, Cam bridge (MA) 1984. VITTORELLI ANDREA, Dei ministerii ed operazioni angeliche, in S. Ciliberci, G. ]ori, C. Osso la (a cura di), Gli angeli custodi: Storia efigure dell'"amico vero", Einaudi, Torino wo4, pp. 6 1 - 1 6>. WIER J OHANN, De praestigiis daemonum, ]ohannes Oporinus, Basileae 1 s 6 8.
Il simulacro illusorio del diavolo* di jean Céard
La potenza deli' illusione diabolica
Per la maggior parte dei demonologi del Rinascimento il diavolo, essendo una creatura, non può avere poteri diversi da quelli di cui dispone ogni agente naturale. lhomas Erascus ( I S 2.4-IS83) consacra una lunga discussio ne ai veri miracoli, siano essi artificiali o naturali. Soltanto Dio può com piere veri miracoli. Il diavolo non compie miracula, ma soltanto mira, pro digi, nel senso, ad esempio, che egli può fare, nella misura in cui Dio glielo consente, « tutro quello che si può fare in virtù del movimento locale » : E per questa ragione egli ha il potere di portare carni, bevande e altre cose simili da paesi lontani in tempi molto rapidi. Nei miracoli di questo genere, proprio come in quelli artificiali, non si verifica un cambiamento di essenza, e non c 'è alcuna sostanza che venga creata di nuovo, senza che esistesse in precedenza, ma si realizza una composizione diversa di quanto già esisteva, in modo che le cose sono combinate in modo diverso, e sono soltanto la quantità, la figura esterna, il piatto, il luogo etc. a risultare cambiati (Erastus, Deux dialogues, p. 48s).
Quanto ai miracoli naturali, il diavolo non è in grado di farne: poiché la natura è «la normale potenza conferita da Dio alle cose fin dalla creazio ne » , il diavolo non può produrre alcunché senza dei semi naturali. Egli può soltanto agire sulle cose come ogni altro agente naturale, che, per esempio, è in grado di modificare il sapore o la figura di una pianta o di un frutto. Ci troviamo di fronte a una specie di razionalizzazione o di nacuraliz zazione del diavolo, tale per cui esso viene sotroposro alle esigenze della filosofia naturale ? Si è portati a pensarlo quando si vede che, nel 1 6 1 6, For tunio Liceti, nel suo Tractatus de monstris dove viene scartata I' ipotesi -
"' Traduzione di Germana Ernst.
I YINCOLI DELLA NATURA che il mostro potrebbe essere un presagio e si afferma di esaminare il tema del trattato solo dal punto di vista del "filosofo naturale" -, dedica lun ghe pagine al diavolo, il quale rientra in tali competenze dal momento che in fondo agisce esattamente come ogni altro agente naturale. Il che non impedisce che si debba poi rendere conto delle strane opere attribuite al diavolo e che non sia possible metterle in dubbio in quanto vengono riferite da esperti in materia come stregoni e streghe. Pierre de Lancre, che esercita la propria attività di giudice in Labourd (una delle tre province dei Paesi Baschi francesi) all ' inizio del XYII secolo, si era convinto, ascoltan do queste relazioni, dell ' inesauribile novità delle invenzioni di Satana, al punto di giungere a rinunciare a ogni tentativo di spiegazione e di decidere di limitarsi ai fatti come vengono riferiti nelle ammissioni degli accusati e nelle deposizioni dei testimoni: Quanto al fatto di addentrarmi nei segreti della magia o sortilegio, e nelle questioni degli inganni del diavolo, o di ricercare in che modo i demon i entrino, possiedano ed escano dai corpi umani, e altre cose simili, non potrei dire se non quanto inse gnano i buoni libri a tutti coloro che si degnano di prendere la pena di leggerli [ ... ]. Per queste ragioni preferisco non affrontare tali questioni, ma !imitarmi alla sem plice narrazione delle deposizioni dei testimoni e delle confessioni degli accusati : le quali già in se stesse presentano tante stranezze che non mancheranno di accon tentare il lettore, benché io le riferisca senza alterarle (de Lancre, Tableau, f. eiiir-v) .
Pierre de Lancre decide dunque di elaborare una scienza dei fatti, senza andare oltre i limiti dell'esperienza. Egli si impedisce di dire come Satana proceda per pervenire ai « sinistri effetti >> così constatati: lo sono in grado di dire ciò che sessanta o ottanta insigni streghe e cinquecento testimoni marcati del carattere del diavolo (ciò che conferma mirabilmente la loro deposizione) ci hanno riferito che Satana gli ha fatto fare : ma per quali mezzi non sono in grado di dirlo, né di scoprirlo, dal momento che gli stregoni stessi non lo sanno (ibid.).
Ciò non impedisce a Pierre de Lancre di avanzare delle ipotesi. E quella che ritorna più frequentemente consiste nell'attribuire al diavolo un enor me potere d' illusione; tuttavia, non è dato sapere per quali vie il diavolo sia capace di realizzare tali illusioni. In questo modo de Lancre si aggrega alla numerosa coorte dei suoi confratelli, i quali la pensano allo stesso modo. lhomas Erastus conclude la discussione sui miracoli con la seguente ri flessione: «è dunque proprio del diavolo mettere delle apparenze illusorie
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davanti ai sensi degli uomini, ingannarli mediante cose contraffatte e pro porre, al posto delle cose stesse, parvenze e vane illusioni » (Erastus, Deux dialogues, p. 486). Se si volessero segnalare tutti i testi in cui si riconosce al diavolo il potere di creare delle illusioni, ci si imbarcherebbe in un' impresa senza fine. La conseguenza risulta evidente : il potere, che era stato negato al diavo lo quando le sue azioni erano ridotte a quelle di un agente naturale, gli vie ne restituito in misura cento volte maggiore, dal momento che egli risulta capace di realizzare un gigantesco simulacro della creazione. Soltanto Jean Bodin, che molto spesso fa parte a sé, protesta; egli ammette che possa capitare che « lo stregone, per illusione diabolica, faccia in modo che l'uo mo sembri diverso da quanto non sia » , come si vede nella storia di Simon Mago, ma egli rifiuta di generalizzare questa tesi: Poiché se si volesse, in base a un' illusione, concludere c h e nelle opere di Satana ogni cosa non è che illusione, bisognerebbe allora confessare che tutto ciò che fece a Giobbe - la perdita dei suoi beni, la rovina delle case, il massacro dei figli, la sua malattia estrema -, e che tutte le pestilenze, mortalità, carestie, sterilità, che sono le imprese dei diavoli, esecutori della vendetta di Dio, non sarebbero che illusioni; e la sacra Scrittura e tune le narrazioni di cose simili non sarebbero che delle deri� sioni ( Bodin, Démonomanie, f. II4r-v).
Protesta che rimane senza effetto, dal momento che gli altri demonologi sostengono senza esitare la potenza dell' illusione, come se I ' ammissione dell' impotenza a creare da parte del diavolo li autorizzasse a riconoscergli un'attitudine illimitata a ingannare.
Contraffazioni e simulacri della realtà
L'attitudine a ingannare, attribuita al diavolo, non è certo un' invenzione dei demonologi. È appena il caso di ricordare un testo spesso citato, il van gelo di Giovanni, 8, 44, che definisce il diavolo come mentitore e padre della menzogna (o del mentitore). Ma il modo in cui il discorso demono logico intende le menzogne di Satana è strettamente collegato al posto e al ruolo che viene assegnato al diavolo nell'economia del mondo. Il com pito di « esecutore della vendetta di Dio » che Bodin gli aveva attribuito non basta a Pierre de Lancre. « Ministri della giustizia divina e carnefici dei dannati >> , i diavoli, secondo lui, dovrebbero stare relegati nell ' inferno,
I YINCOLI DELLA NATURA « loro principale residenza » ; ma essi ne hanno orrore (dice proprio così) e preferiscono errare per il mondo, dove « godono di maggiore libertà per seminare le loro astuzie, stabilire accordi e patti abominevoli, organizzare assemblee illecite, e attrarre al loro laccio numerose persone, dal momen to che coloro che essi trovano all' inferno sono già tutti sotto il loro do minio » (de Lancre, Tab!eau, p. 20 ) In questa visione i diavoli sembrano conformarsi al disegno di Dio, che, secondo de Lancre, ha voluto, «per aumentare la sua gloria » , avere un avversario degno di sé. Ai suoi occhi, la storia della salvezza si configura come un conflitto fra Dio e il potente av versario che si è dato - avversario che, odiando Dio, si sforza di sostituirsi a lui. Egli non cerca soltanto di assicurarsi un impero in cui abbia la libertà di fare il male (se così fosse, gli basterebbe l ' inferno); egli vuole soppiantare Dio. Ancora più che come avversario di Dio, si comporta come suo anta gonista - e tutta la scoria del mondo lo sta a dimostrare. Che altro è quello che chiamiamo paganesimo, afferma Wier, se non la scoria degli sforzi dei diavoli nel loro tentativo di voler « essere considerati Dei e sovrintendere sui vari paesi» (Wier, I!!usions et impostures des diab!es, l, p. 1 6 ) ? Del resto, anche la Bibbia lo testimonia in quanto, secondo il Salmo 9 5 , 5, « [t]utti gli dèi dei pagani sono dei demoni » ( « Omnes dii Gentium daemonia>> ). Per conseguire il loro scopo, i diavoli non si sono accontentati d' inventare una religione, ma l' hanno modellata sull' immagine della vera religione, osserva Wier, che a questo proposito eredita delle posizioni dei Padri della Chiesa: l'oracolo di Giove Ammone significa Cam, figlio di Noè, «parola che, egli dice, gli Ebrei pronunciano con un'aspirazione molto accentua ta >> ; l'oracolo di Dodona si riferisce a « Dodanim, di cui Noè era nonno o zio, il quale occupò, coltivò e diede il proprio nome a Epira chiamata Dodone >> ecc. (ivi, I, p. 14). È che i diavoli, per "rapinare" « il dominio di questo mondo >> , hanno contraffatto molti riti e diversi oracoli contrari a quelli divini, ma costruiti a loro immagine (ivi, p. 1 6 ) . Allo stesso modo, «per abbellire di degni personaggi la tragedia che rappresentava nel teatro del mondo, e renderla perfetta in ogni sua parte, il diavolo ha fatto ricorso a degli entusiasti e degli indovini, a gara con il vero Dio, che ha parlato ai padri mediante i suoi profeti >> (ivi, p. 32). Non si finirebbe mai se ci si volesse soffermare a descrivere nei particolari queste contraffazioni diabo liche. Ma sono sufficienti simili esempi per comprendere lo scopo degli in ganni dei diavoli: essi cercano di costruire un simulacro della verità, un si mulacro che, assomigliando alla verità, si sforza di sostituirsi ad essa. Con abilità i diavoli mescolano, se necessario, la verità alla menzogna: « Questi .
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spiriti impuri e vagabondi, afferma Lattanzio citato da Wier [ Lattanzio, 11, 17, ci t. in Wier, I!!usions et impostures des diab!es, l , p. 3 8 ] , per turbare meglio ogni cosa e radicare i loro errori nei cuori degli uomini, sono soliti connettere e mescolare le cose vere con quelle false >> . Il diavolo fa ricorso alla verità per assopire lo stato d i vigilanza e i n tal modo insinuare più sicuramente il falso, e diminuire così la gloria di Dio. Pierre Le Loyer (I SS0-1 634) lo paragona a « coloro che, volendo ingannare i loro creditori, chiedono loro in prestito una piccola somma di denaro, che restituiscono conseguendone la fiducia, e poi ripetono la stessa cosa una, due, tre volte, e alla fine richiederanno una cospicua somma di denaro, con la quale quelli fanno bancarotta e loro riempiono le borse >> (Le Loyer, IIII livres des spectres, I I , p. 288 ). Nello stesso modo procedono i diavoli che, così facendo, poco a poco si sostituiscono a Dio. Pierre de Lancre l ' ha constatato nella regione del Labourd, dove la religione di Satana non viene semplicemente contrapposta a quella di Dio, ma prende come luoghi di culto le chiese di Dio e recluta i suoi pastori fra i membri del clero, al punto che non è più solo la notte ad appartenere al diavolo. Se è Dio che i preti celebrano a voce alta, « tutti gli atti segreti che essi compiono di giorno nella chiesa, come confessioni, preghiere sottovoce e mentali, e altre simili cose, le fanno sempre in onore e vantaggio del diavolo >> ( Tab!eau, p. 39).
De div. inst.,
I l diavolo scimmia di Dio
È corretto dunque definire il diavolo come un imitatore di Dio, o meglio ancora, secondo l'espressione di de Lancre, come un suo « emulatore >> ( Tab!eau, p. 3 6 9 ). Lo si potrebbe anche dire, secondo una diffusa formula, la sua scimmia. Si incontra qualche volta la parola negli scritti dei nostri demonologi. Per caratterizzare questi simulatori che sono i diavoli, Pietro Martire (1499-1S62) li chiama « queste scimmie di Dio, che lo vogliono seguire in ogni cosa >> (Céard, in Paré, Des monstres et prodiges, p. XLIII). Pierre de Boaistuau (ca. I S I ?- I S 6 6 ) , da parte sua, afferma che il diavolo è attento a « ingannare e abbindolare il popolo ignorante, che presta fede con leggerezza alle sue illusioni e inganni >> (Histoires prodigieuses, p. 402). Ed è sempre alla figura della scimmia che ricorre Bodin per sostenere che le azioni del diavolo possiedono una certa regolarità: « Le azioni del diavolo si narrano sempre in ogni paese, come una scimmia è sempre una scimmia, che sia rivestita di tela o di porpora >> (Bodin, Démonomanie, f. wsv ) . Si
I YINCOLI DELLA NATURA deve però rilevare che, fra le divese figure animali che il diavolo è capace di assumere, i demonologi non annoverano quella della scimmia. È forse perché il diavolo evira quella forma grazie alla quale rivelerebbe le proprie imposture ? In ogni caso, per poco che ci si soffermi sull' immaginario della scim mia nel XVI secolo, questo paragone aiuta a precisare ralune caratteristiche dell' imitazione diabolica. De Lancre, che apre la propria opera con una specie di inventario del bestiario diabolico, inizia, come è doveroso, dal ser pente, figura degli « attorcigliamenti, astuzie e pieghe della tentazione >> , dell' impostura, della "finezza'' con la quale si ingegna a sedurre gli uomini. Ma ciò non basta, e subito dopo aggiunge : « Là dove la finezza del serpente non può arrivare, ricorre alla forza del leone e alla destrezza della scimmia >> ( Tableau, p. 2 ) . Il diavolo, che non perde mai di vista il suo scopo, che è quello di soppiantare Dio, impiega la forza del leone; ma, per conseguire il proprio fine, è capace di adattarsi agli uomini e alle circostanze, con una disinvoltura nel cambiare che fa di lui la figura perfetta della mutevolezza: è questa capacità di adattamento, questa duttilità a far sì che venga parago nato alla scimmia. L' incostanza del diavolo è il tema dominante del libro di Pierre de Lancre, come del resto si vede già a partire dal tirolo. Il che non impedisce che le imitazioni della scimmia possano sembrare, a seconda dei casi, maldestre o parodisriche. Si tratta della goffaggine ri cordara da Ambroise Paré (IS IO-IS90 ): « La scimmia è un animale ridicolo, bello solo agli occhi dei bambini, e per loro è un passatempo per divertirsi, perché, sforzandosi di imitare tutti gli arri dell'uomo, non ne è capace, e perciò suscita la risata di coloro che la guardano >> ( Paré, Des monstres et prodiges, p. XLII I ) . Ma molti altri resti individuano in questa goffaggi ne anche una finzione che ha lo scopo di definire il carattere parodistico dell' imitazione della scimmia: la sua stessa duttilità assicura che, se l' imi razione della scimmia sembra maldestra, ciò non avviene se non per mo strare meglio che essa imita al fine di ridicolizzare. E infatti il diavolo non si accontenterebbe di essere un diligente imitatore che mira soltanto a sop piantare Dio. Egli vuole anche gettare discredito sull 'opera del Creatore ridicolizzandola. Il suo odio nei confronti di Dio ha bisogno di abbassare colui di cui egli è l'emulatore e il rivale. Come afferma Wier, « egli si ven dica con più enorme disprezzo della maestà di Dio >> moltiplicando quelle che il demonologo chiama « buffonerie >> ( Wier, Illusions et impostures des diables, l , p. 3 s ) . Scrittore riformato, Wier offre come esempi il battesimo e l'esorcismo delle campane, derisioni con cui il diavolo
IL SIMULACRO ILLUSORIO DEL DIAVOLO ha preso in giro la maggior parte degli uomini che pensano e si sono scioccamente convinti che il diavolo debba fare cadere dall'alto dei campanili le campane, che non hanno affatto un'anima e sono cose morte, se non sono stare precedenremen· te purificate dal sacro battesimo che è il lavacro di rigenerazione, che appartiene soltanto ai membri di Cristo, e se esse non sono esorcizzate ( ivi, p. 36).
Si tratta di una parodia che rivela meglio di ogni alcra azione il modo in cui il diavolo si comporta nei confronti della natura, opera e specchio di Dio. Egli centa, afferma ancora Wier, di « corrompere, cancellare o danneggiare l'o pera del mondo, costruito dalla sua stupefacente provvidenza » (ivi, p. 10 ) . Facciamo qualche esempio. Ecco il caso di Magdelaine di Conscance, una domestica che diceva a cucci di essere stata ingravidaca dal diavolo, esempio particolarmente diffuso, dal momento che, già presente nel medico Rueff, lo si ritrova nel demonologo Wier, nei narratori Boaistuau e Marconville, nel chirurgo Paré, e in altri ancora; mi riferisco qui al racconto di Paré, dove si ritrova l'espressione di Boaistuau già ricordata sopra: Giunta l'ora delle doglie, la ragazza sentì gli spasimi e i dolori consueti nelle donne che stanno per partorire ; e quando le matrone furono pronte per ricevere il frutto, mentre pensavano che l'utero si sarebbe dovuto schiudere, cominciarono a uscire dal corpo della ragazza chiodi di ferro, pezzetti di legno, di vetro, di osso, sassi e capelli, e molte altre cose fantastiche e strane ; tutte cose che erano state introdotte dal diavolo grazie ai suoi artifici, per ingannare e abbindolare il popolo ignorante, che presta fede con leggerezza alle sue illusioni e inganni (Paré, Des monstres et prodiges, p. 8 9 ) .
Questa è la versione di Rueff. Wier si rifiuta di condividerla, in quanto ritiene che il diavolo non avesse davvero introdotto nell'mero della came riera tutta quella paccottiglia (ciò che è fisicamente impossibile), ma che egli l'aveva fatto credere, vale a dire che aveva abbacinato così bene gli oc chi dei presenti al punto che essi credettero di vedere uscire quegli oggetti dalle parti interne della giovane donna. Non cerchiamo di sapere come il diavolo realizzi cali illusioni; la cosa richiederebbe un'analisi comple ta dell' immaginazione e della fantasia. L' importante è che questo parco, mentre insinua la persuasione che il diavolo possa cambiare la natura delle cose, al tempo stesso si configura anche come una terribile derisione di una delle realcà più nobili e sante : l'opera della generazione. Può capitare che il diavolo sia più sottile. Si tratta, ad esempio, del la scoria, narrata da Jean Fernel (I497-ISS8) e ripresa da Paré, del giovane
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uomo che i medici ritenevano soffrisse di « Una convulsione molto prossi ma all'epilessia >> ; non si trascurò nulla per guarirlo : ma in vano abbiamo fatto tutti i nostri sforzi, essendo lontani più di cento leghe dalla vera causa di questa malattia. Poiché, tre giorni dopo, si scoprì che aucore di questa malattia era un diavolo, il quale si rivelò da se stesso, parlando per bocca del malato copiosamente in greco e in latino, benché il malato non sapesse nulla di greco. Egli scopriva il segreto di coloro che erano presenti, e soprattutto dei medici, facendosi beffa di loro, perché li aveva presi in giro con grande danno e perché essi avevano quasi fatto morire il malato con delle medicine inutili ( Paré, Des monstres et prodiges, pp. 94-5, e nota 217; Wier, Illusions et impostures des dia bles, l, pp. 559-61).
In questo caso è la dignità della medicina, istituita da Dio, che viene irrisa dal diavolo. Per screditarla, egli dispone di molti altri mezzi. Gli capita, ad esempio, di fingere di guarire malattie naturali, ma usando soltanto quella che Paré chiama « Una cura falsa e palliativa >> ; in tale modo, ricorda, « ho visto guarire delle febbri mediante orazioni e determinate cerimonie, ma esse in seguito tornavano, e di gran lunga peggiori >> (Paré, Des monstres et prodiges, p. 96). I l motivo del riso del diavolo, destinato a u n a fortuna di lunga durata, affiora spesso in questi testi. Secondo Wier, quando i diavoli sono riusci ti a ispirare agli uomini l' idea dei sacrifici umani, « hanno mostrato con certe risatine la soddisfazione che provavano di farsi gioco in tal modo degli uomini. Perché chi altri mai avrebbe potuto essere l'autore del riso manifesto che gli storici dicono sia uscito dalla gola di una ragazza che Mitridate sacrificò alle Furie per ordine degli indovini, se non il diavolo ? >> (Wier, I!!usions et impostures des diab!es, I, p. 3 1 ; cfr. Obsequens, Prodigio rum !iber, C�'I ) . Il riso dei diavoli non sempre è questo crudele riso di trionfo. Essi si divertono anche a non sembrare altro che amabili buffoni; all'occasione assumono nomi ridicoli, come Pennacchio, Piedipiatti o Al bero di rose (Wier, I!!usions et impostures des diab!es, I, p. 133). Quelli che vengono chiamati Cobali « sono imitatori degli uomini, perché ridono come se provassero gioia, e sembra che facciano una gran quantità di lavo ro pesante, anche se in verità non ne fanno per niente >> (ivi, p. 126). Altri, chiamati nani delle montagne, disturbano gli operai nelle miniere e nelle cave, si agitano e si dimenano con gran frastuono senza tuttavia fare nulla. Altri ancora, di notte, nelle case, spostano i mobili e producono rumori di stoviglie infrante, senza che al mattino si trovi nulla che sia fuori posto
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o rotto. Attori consumati, i diavoli sanno interpretare diversi personaggi; la metafora del teatro del mondo torna spesso sotto la penna dei demono logi: essa designa il grande scenario dell'universo in cui i diavoli moltipli cano i ruoli, senza trascurare quelle azioni scherzose di " buoni diavoletti" che allentano la vigilanza degli uomini. È una tradizione che risale a sant 'Antonio quella di insegnare l'arte della "discrezione", del discernimento degli spiriti, vale a dire l'arte di di stinguere, per esempio, le apparizioni angeliche da quelle demoniche, arte alquanto necessaria perché si sa bene, secondo l'espressione di san Paolo (2 Cor 1 1 , 14), ripetuta costantemente, che spesso Satana si trasfigura, si traveste da angelo di luce. I nostri demonologi non mancano di affrontare questa tematica, ma è sorprendente vedere come alcuni giungano a dubi tare dell 'esistenza di criteri sicuri di discernimento degli spiriti. Martin del Rio (1SSI-16o8) e, dopo di lui, de Lancre sono portati a pensare che tale discernimento «dipenda completamente dalla rivelazione divina » ( Ta bleau, p. 379 ) , proprio a causa del! 'estensione dell'attitudine del diavolo ad assumere tutte le apparenze, a scimmiottare perfettamente il divino. A leggere de Lancre, in effetti, ci si convince che l' impero di Satana risulta tanto più insidiosamente incombente in quanto si fonda su un'arte consumata dell ' inganno, dell'artificio, del trucco. Senza dubbio « il diavo lo non può trasformare il corpo, né l'anima » ( i vi, p. 247 ) ; gli stregoni non possono trasformarsi in animali; la licantropia, o metamorfosi dell'uomo in lupo, non esiste. Ma, al tempo stesso, il diavolo è capace di dare l' illu sione di queste trasformazioni e in questo modo duplicare e ammantare la creazione di Dio di un simulacro e oscurarne così l'abbagliante chiarezza. Il sabba, per esempio, è uno scenario di illusioni. Non che il sabba stesso sia in sé un' illusione. De Lancre crede alla realtà del trasporto ; affermare, in effetti, che l'anima assisterebbe al sabba, mentre il corpo resterebbe al suo posto, è una cosa falsa, poiché l'anima, una volta separata dal proprio corpo, non potrebbe più ricongiungersi ad esso. Ma Satana è capace di sostituire il corpo reale con uno immaginario, in modo che la strega vada realmente al sabba, mentre la presenza del suo corpo immaginario fa cre dere che essa non ci sia andata realmente. Una strega l'ha testimoniato : trovandosi a letto con la madre, si era diretta come convitata al sabba e un corpo immaginario aveva preso il posto del suo corpo reale nel letto, in modo che « Se sua madre la toccava trovava questo corpo immaginario che rispondeva a tutto quel che la madre avrebbe potuto domandarle » ; la prova è data dal fatto che al suo ritorno la strega
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trovava ancora la propria immagine nello stesso posto accanto alla madre, imma gine che non si spostava mai di là fino a quando lei non rientrava nel letto, e non spariva di colpo, ma mentre ogni membro del suo corpo prendeva posto, la figura faceva posto soltanto a quel membro : ad esempio, se i piedi si posavano per primi, svanivano solo i piedi della figura, mentre la testa e tutto il resto del corpo perma nevano; e così via per ogni altro membro { ivi, p. 101).
A un essere così abile nel manipolare l' illusione, nel duplicare l'universo reale con un universo fantastico, risulta evidentemente possibile abbaglia re coloro che l'adorano con l' illusione della felicità. Secondo de Lancre, Satana fa vedere ai suoi sottoposti, in occasione dei sabba, una « così gran de pompa e magnificenza [ ... ] che la maggior parte degli stregoni che an davano a queste riunioni credevano di andare in un Paradiso terrestre » ( ivi, p. 37 ) . Del resto, il Labourd è un paese dedito alla cultura delle mele, e le sue abitatrici non mangiano che mele, non bevono che succo di mela, ciò che crea l'occasione che esse mordano volentieri questa mela della trasgressione, che fece andare oltre il comandamento di Dio, e oltrepassare il divieto al nostro primo padre. Sono delle Eve che seducono volentieri i figli di Adamo, e a capo scoperto, vivendo nelle montagne in piena libertà e ingenuità, come Eva nel Paradiso terrestre, esse ascoltano uomini e demoni, tendono l'orecchio a tutti i serpenti che le vogliono sedurre ( ivi, p. 43).
Utilizzando una disposizione del paese secondo la sua consueta duttilità, Satana si comporta come se la storia della caduta potesse essere cancellata, e il Paradiso creato di nuovo, mentre, al tempo stesso, egli si prepara a fare rinnovare a queste nuove Eve la trasgressione originaria. Il ruolo del demonologo consisterà dunque nell' impegnarsi a denun ciare questa illusione. Dal momento che Satana è un ingegnoso macchina to re, bisogna smontare i pezzi della macchina, smantellare le apparenze, strappare il sipario, anziché limitarsi a guardare la scena. De Lancre, per fornire un' immagine del sabba, non trova niente di meglio che segnalare una certa fontana, farra con artificio, portata in giro per tutta la Francia, che rap presentando una specie di movimento incessante, e attingendo una certa quantità d'acqua da un vaso, dove la si era messa come in un deposito, la restituiva e la ri portava sempre in quello stesso vaso, come alla sua sorgente, e, passando attraver so molteplici canali, mettendo in movimento una quantità di ruote e di pompe, faceva un' infinità di begli effetti ( ivi, p. 435).
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De Lancre descrive non senza stupore le danze, i banchetti e gli altri « be gli effetti >> che questa macchina faceva vedere ; poi aggiunge : « Ma tutte queste ruote, tutti questi movimenti, tutte queste danze e festini, veniva no disprezzati quando ci si accorgeva che l' intero meccanismo era messo in moto da un vecchio cane chiuso in una ruota di cuoio tutta lacerata e graffiata dalle sue zampe >> (ivi, pp. 435-6). Questo spettacolo, con il suo artificio bello e miserabile, è per de Lancre l'esatta immagine del sabba, e più generalmente delle opere illusorie di Satana.
Una reinterpretazione della nozione di cause occulte
Mai, a quanto sembra, l' immagine del diavolo illusionista ha avuto una forza così grande come verso la fine del Rinascimento, almeno se si consul tano questi scrittori dotti che sono i demonologi. Se ci si chiede la ragione di ciò, è forse possibile avanzare un' ipotesi, derivata dall'esame della crisi dell' idea di natura che investe la fine del Rinascimento. Essa riguarda l' importanza che assume, nella filosofia naturale, la ca tegoria dell'occulto (Céard, 1996, cap. XIY ) . L'esistenza dell'occulto era senz' altro stata ammessa da lungo tempo. Le opere occulte della natura sono quelle di cui non si può dare conto mediante l'esame del tempera mento della cosa, vale a dire della mescolanza elementare che la costitui sce e che determina le sue qualità cosiddette manifeste; alcune cose miste hanno degli effetti la cui causa non risiede nelle loro qualità elementari o manifeste, in modo che tali effetti non sono conosciuti dalla ragione e non possono essere che oggetti di esperienza. È in questo modo che la calamita attira il ferro e lo zaffiro arresta il sangue. Interessandosi della questione, san Tommaso, nel De occultis operibus naturae, aveva sottolineato soprattutto che la regolarità di questi effetti li distingue dai miracoli e che bisogna dunque riconoscerli come naturali a tutti gli effetti. Inoltre, le opere oc culte così analizzate consentivano di denunciare la magia: quando i maghi fanno ricorso a incantesimi o a caratteri, essi rivestono di queste imposture la semplice messa in opera delle qualità naturali occulte delle cose ; era que sta, ad esempio, la tesi di Ruggero Bacone (ca. 121 4- 1 294) nell'opuscolo dal significativo titolo Epistola de secretis operibus artis et naturae et de nul
litate magiae (Lettera sulle opere segrete dell'arte e della natura e sull'inesi-
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stenza della magia). Bacone aveva l'ambizione di promuovere una scienza sperimentale di questi fatti singolari, detti effetti speciali. Bisogna però riconoscere che un simile tentativo non prosegue affatto nel XVI secolo. Se si eccettua un piccolo gruppo, dal seguito assai ristretto, che tenta di far rivivere l'arte di Nicola di Oresme (1323-1382) della latitu dine delle forme, e che di conseguenza si sforza di ricondurre gli "effetti speciali" alle virtù comuni e alle cause generali, si assiste più diffusamente - e, a quanto pare, soprattutto sotto l ' influsso del neoplatonismo - a un ritorno consistente dell' idea di occulto. È noto il posto riservato a tale no zione da Agrippa nel libro 1 del De occulta philosophia. Ricordiamo anche il famoso De occu!tis naturae miraculis del medico Levinio Lemnio ( 1 sos1568), il quale spinge così avanti l' idea di occulto da credere che, in certe condizioni, gli uomini senza però essere posseduti dal diavolo : tali condizioni liberano l'anima dal fardello del corpo e le consentono l'ac cesso a un sapere nascosto. A sua volta, nella Magia naturale, opera che costituisce uno dei grandi successi editoriali dell'epoca, Giovan Battista Della Porta (ca. 153S- 1 6 1 5 ) si vanta di insegnare a operare in modo naturale ogni cosa, al puma da assicurare di poter realizzare anche > : per esempio, le particolari legature, dette noue ments d'aiguillette, mediante le quali si colpiscono gli uomini di impoten za genitale. Non c 'è quindi da stupirsi che i demonologi facciano la guerra a questi filosofi che essi cominciano a chiamare "naturalisti" (Le Loyer, !III livres des spectres, l, pp. 252 ss.). Secondo loro, l'abilità da parte dei diavoli consiste nell 'approfittare di questo occulto naturale per introdursi di na scosto e procedere mascherati; essi utilizzano la meraviglia prodotta dagli effetti speciali per sostituire le loro tenebre all'oscurità di cui si circonda la natura. Questa visione si adatta molto bene alla tesi secondo la quale il diavolo non dispone di alcun potere superiore a quelli di una creatura, dal momento che dà como delle opere diaboliche come illusioni fomentate da un agente naturale molto dotato che sa utilizzare a meraviglia le forze na scoste della natura. Ma, come si vede, se tale tesi giunge a evitare di trasfe rire al diavolo le prerogative di Dio, non può fare ciò se non considerando il diavolo come un supremo illusionista. È una rappresentazione, però, che non sembra essere senza rischi, e che i demonologi, da giudici professionisti, sanno calcolare perfettamente. La disputa fra Bodin e Wier lo mostra con estrema chiarezza. È stato detto
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che, fra tutti i demonologi, Bodin è colui che oppone una maggiore resi stenza aii' idea di illusione, a costo di riconoscere al diavolo dei poteri che vanno oltre quelli deiia natura. Ciò deriva dal fatto che egli teme che la tesi del!' iiiusione attenui in modo consistente la colpevolezza degli stregoni. Ed è questa, a suo parere, la tattica di Wier: Ha fatto ricorso a un'astuzia troppo volgare, per impedire che si mettano a morte gli stregoni, sostenendo che il diavolo seduce le streghe, e fa loro credere che esse fanno ciò che lui stesso fa. Così facendo, finge di essere del tutto contrario a Satana, e intanto salva gli stregoni, ciò che equivale a fare con Satana dei giochi di parole, e di fatto stabilire la sua grandezza e la sua potenza. Poiché egli sa che i magistrati non hanno giurisdizione, né dominio sui diavoli (Bodin, Démonomanie, f. 248r).
Assolvere gli stregoni, egli continua, equivale a invitare ad assolvere in fu turo tutti i criminali con il pretesto che « essi sono indotti dal nemico del genere umano a fare quello che fanno » . Ecco a quali eccessi può portare la tesi deii ' iiiusione. Essa minaccia, con l 'andar del tempo, di togliere al giudice il suo pane quotidiano ! Quei demonologi che sono più favorevoli nei confronti deiia tesi deii ' illusione si affrettano a stabilire che essa non diminuisce in nessun modo la colpevolezza degli stregoni. Henry Boguet sottolinea che, anche se gli stregoni fanno solo apparentemente queiio che credono di fare, tut tavia essi hanno, nel farlo, l ' intenzione di nuocere e la legge punisce la volontà (Discours, p. 1 8 0 ) . Altri si spingono ancora più in là, come Thomas Erastus, il quale non esita ad affermare che, senza gli stregoni, i diavoli avrebbero molto meno potere. «Usando » , egli dice, « strumenti che per loro natura propria non hanno la forza desiderata da simili operai, essi ne aspettano l'effetto dai diavoli stessi con i quali si aiieano » ; detto altrimen ti, sono gli stregoni che « incitano, spingono e infiammano i diavoli a fare il male » (Erastus, Deux dialogues, p. 417 ) , anche se è probabile che i dia voli facciano semplicemente finta di essere costretti dagli stregoni. Si vede a quale gioco di inganni si dedicano diavoli e stregoni: convinti dai diavoli che fanno realmente queiio che in verità non fanno, gli stregoni sono i trastuiii dei diavoli; ma è vero anche il contrario, ed è proprio perché essi sono i trastulli dei diavoli che costoro possono esercitare la loro malvagità. Ecco un'originale versione deiia dialettica servo-padrone ! Ed ecco i giudici giustificati del fatto di perseguitare gli stregoni. A questa considerazione, per così dire professionale, i demonologi ne ag giungevano un'altra più propriamente politica. Non dimentichiamo che
I YINCOLI DELLA NATURA in Francia le questioni di stregoneria sono di competenza dei giudici laici, che dipendono solo dali 'autorità regia. Nel momento in cui la monarchia, uscendo da una crisi che l'aveva violentemente scossa, si impegna per re staurare la propria autorità, i demonologi si impegnano per individuare nella stregoneria non più soltanto il rapporto del diavolo con un uomo o una donna, ma una consistente impresa di sovversione contro la quale bi sogna mobilitare mezzi eccezionali. Bodin insiste con forza sull 'esistenza di intere famiglie di stregoni, per trasmissione quasi ereditaria della strego neria: « Che se la madre è strega, lo è anche la figlia [ ... ] è una regola pres soché infallibile, secondo quanto si è appurato in innumerevoli processi >> (Bodin, Démonomanie, f. 2 1 1 r) . Ma le famiglie stregoniche sono delle cel lule dove viene insegnata la maggior parte dei delitti distruttori della socie tà: l'avvelenamento, l'assassinio dei bambini, il cannibalismo ecc. Quando de Lancre andrà a inquisire ed esercitare la professione in terra di Labourd per ordine del re, vi troverà a sua volta un forte indizio dell' impero del diavolo in quello che egli considererà come un allentarsi e una distruzione delle corrette relazioni che si devono instaurare fra i membri di una fami glia. Non soltanto individuerà nell 'usanza basca del matrimonio "in pro va" una conferma della perversione della santa istituzione del matrimonio cristiano, ma non si stupirà che la stregoneria sia così diffusa in un paese in cui l'assenza dei mariti, per circa una metà dell'anno imbarcati in mare, corrompe la famiglia. Non basta. De Lancre delineerà il ritratto di una società che ha la propria religione nel diavolo, i propri costumi e le proprie abitudini di ispirazione diabolica e che, per questi motivi, mina dall' inter no il corpo della società. Lottare contro il diavolo e i suoi accoliti equivale a impegnarsi a restaurare la sovranità del re contro una specie di ami-re che si sforza di sottrargliela. Le considerazioni religiose non sono certamente assenti dalle preoccu pazioni di de Lancre. Il bacio sul deretano del diavolo praticato al sabba gli sembra una parodia odiosa del bacio di pace che ci si scambia nel corso della messa ( Tableau, p. 77 ) . Ma non è possibile trascurare le intenzioni politiche che lo animano. Lo si vede bene quando racconta che, mentre gli abitanti del Labourd fuggivano in massa al suo arrivo dirigendosi verso la Spagna con il pretesto di pellegrinaggi o di partenze verso Terranova, gli inquisitori spagnoli erano accorsi alle frontiere per chiedere informazioni su questi "stregoni fuggitivi", con lo scopo di farli tornare da lui; ma la cosa non ebbe seguito. De Lancre ci racconta, non senza soddisfazione, di avere risposto « che li custodissero loro con cura e gli impedissero di tornare
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indietro, essendo più preoccupato, disse, di liberarcene che di accoglierli. Si tratta di un mobilio di qualità scadente di cui non è il caso di fare l' in ventario» (ivi, pp. 40-1 ) .
L a grande congiura diabolica
Nel formidabile scontro fra Dio e Satana, ecco contrapporsi le une contro le altre le forze del bene e del male, in un tempo vissuto dai nostri demono logi come quello di una delle più violente offensive del Maligno. De Lan cre ne propone una spiegazione storica: espulsi dall' Europa dall'avanzare del cristianesimo, i diavoli si erano rifugiati nel resto del mondo ; ma «poi ché la devozione e la buona istruzione di parecchi buoni religiosi avevano scacciato i demoni e gli angeli malvagi dai paesi delle Indie, dal Giappone e da altri luoghi, essi si erano rifugiati in massa entro la cristianità » ( ivi, p. 39). Semplice ipotesi ? Niente affatto. De Lancre ne ha le prove : «E in effetti numerosi Inglesi, Scozzesi e altri viaggiatori che venivano a cerca re del vino in questa città di Bordeaux ci hanno assicurato di avere visto nel corso del loro viaggio delle grandi truppe di demoni con l'aspetto di uomini spaventosi passare in Francia >> (ivi, pp. 39-40 ) ! Insomma, ormai privi di occupazione nelle terre scoperte di recente, questi diavoli sono dei vecchi lavoratori emigrati che ritornano nel paese d'origine con la speran za di ritrovarvi del lavoro e di potere esercitare di nuovo le loro capacità. Capacità che, come si è visto, sono quelle di un illusionista. In ciò che a prima vista si sarebbe tentati di interpretare come uno sforzo per limitare i poteri del diavolo, e come un primo passo, per quanto maldestro, verso la sua demitologizzazione, l'analisi scopre, al contrario, la costruzione di un gigantesco simulacro che, sulla scena del mondo, teatro di Dio, installa la fantasmagoria di un' imitazione ingannevole, opera di « un genio mal vagio non meno astuto e ingannevole che potente, il quale utilizza tutta la propria abilità per ingannarci >> .
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Spettri e possessioni di Paolo Lombardi
Spettri
Nel 1 5 6 8 ad Augsburg Ursula Fugger vide uno spettro che le rivelò che una parente indemoniata sarebbe guarita con un pellegrinaggio a Loreto. Nel New England del 1 6 83, Mary Hortado venne colpita da pugni e sassi scagliati da una mano invisibile. Nel 1 5 9 1 un calzolaio della Slesia si suicidò tagliandosi la gola; sei settimane dopo la sepoltura, il suo fantasma riap parve. Nel novembre I S 6 s Nicole Obry al cimitero di Vervins incontrò lo spettro del nonno relegato in Purgatorio e avido di suffragi. I quattro esempi mostrano come il commercio tra vivi e morti nei secoli XVI e X\'11 includesse ogni attività e cero sociale, dai banchieri imperiali all 'umile paesana di Vervins. Nel caso Fugger comparve uno spettro beni gno ad annunciare una guarigione; in Slesia ad apparire fu lo spirito di un morro di morte violenta. Mary Horrado fu vittima di un Po!tergeist più ostile che burlone. Lo spettro apparso a Nicole Obry non recava nulla, ma reclamava qualcosa dai vivi. Nessuno degli spiriti citati provava distacco e neutralità per i vivi; tutti mostravano un atteggiamento benevolo o, più spesso, violento e aggressivo, attestando la continuità tra vivi e morti. I morti persistevano a cercare i vivi, ne infestavano le case, ne predicevano il futuro. Non sembrava possibile separarsene del tutto. Molte storie di fantasmi appartenevano alla cultura popolare e parre della storiografia vi ha visto il residuo di antiche credenze sciamaniche ( P6cs, 1999); l'anima del veggente fuoriesce dal corpo e vaga finché vi ri torna. Il rapporto tra le presunte credenze originarie nei viaggi dell'anima fuori del corpo e le conseguenti storie di fantasmi e le opinioni dei secoli X\'1 e X\'11 sugli spettri resta però problematico, perché non è chiaro, al di là di certe analogie esteriori, come dalle prime si passi alle seconde. È invece cerro che il credere nel ritorno dei morti di morte violenta fosse legato a una tradizione antica. Ne trattarono Platone nel Fedone, Virgilio
I VINCOLI DELLA NATURA nell'Eneide, Lucano nella Farsaglia, Porfirio nel De abstinentia, Tertullia no nel De anima, Taziano nell' Oratio ad Graecos. Per costoro lo spirito dei morti di morte violenta, distaccatosi troppo in fretta dalla carne di cui ha un'atroce nostalgia, resta presso il cadavere fino al seppellimento. Un simi le morro, detto in greco biaiothanatos, poteva diventare una sorta di ven dicatore infernale: Taziano, l'apologeta cristiano del II secolo, riteneva, ad esempio, che esso attuasse una vendetta diabolica verso i suoi assassini. Tale tradizione fu conosciuta anche in età rinascimentale da Marsilio Fici no (1433-1499) e Cornelio Agrippa di Nettesheim (1486-1131), ispirando storie di nemesi demoniache come la novella di Nastagio degli Onesti in Boccaccio. Oltre al fantasma del morto ammazzato anche quello del suici da poteva tornare, come nella Slesia del 1591. I suicidi erano tra gli spettri più comuni; agitati dalle fosche passioni che li avevano condotti ali' auto distruzione, costituivano una presenza inquietante. La possibilità che un defunto ritornasse riguardava non solo le storie popolari ma anche la discussione filosofico-teologica. Ficino aveva spie gato che lo spirito incorporeo dei morti poteva apparire visibile ai vivi. Nel Timeo, in Plotino e negli Oracoli caldaici, il filosofo fiorentino aveva trovato l' idea che l'anima umana, di origine celeste, discende dai cieli fino a incorporarsi nella materia. La discesa si attua con un involucro detto vehiculum o currus (Ficino, P/atonie 1heology , XV I I I , 4), sorta di mezzo di trasporto costituito dapneuma, alito tenuissimo a metà tra il puro spirito e la materia. L' involucro pneumatico costituiva una specie di "corpo dell'a nima", e si rendeva visibile quando apparivano i morti. Le idee di Ficino diffuse da Jacques Lefevre d' Étaples (ca. 14SS- I S 3 6 ) e Symphorien Cham pier (1471- 1 5 3 8 ) erano ancora dibattute in Europa alla fine del Seicento. Gli spettri non comparivano solo per ottenere vendetta sui vivi; spesso annunciavano l'esistenza di tesori sepolti. Fu Simplicius Simplicissimus, eroe dell'omonimo romanzo seicentesco di Grimmelshausen ( 1 6 68), che, esplorando rovine infestate da un fantasma, trovò un tesoro. Non di rado i luoghi invasi dagli spiriti erano desolati e poco frequentati: deserti, paludi, rovine, miniere. Come notato dal gesuita Petrus Thyraeus ( I S 4 6 - 1 6 0 1 ) , gli spettri abitano luoghi diversi; in Europa centrale essi si stabiliscono nelle case; in Scozia nei castelli e nelle rocche ; in Sassonia infestano episcopati e monasteri; in Danimarca le isole (Thyraeus, Daemoniaci, p. 14). Vi era anche una tradizione riguardante il periodo più favorevole ali' apparizione di fantasmi, cui accennava Marcello nell'Amleto: le dodici notti tra il Na tale e l' Epifania.
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I morti continuavano dunque a cercare i vivi, con cui condividevano passioni ardenti non spente dalla tomba. Tuttavia potevano anche essere i vivi a cercare i morti. Nell 'antichità i morti godevano della capacità di vedere il futuro e perciò evocarli era necessario per divinare. Tale evoca zione, detta necromanzia, era già nella biblica scoria della strega di Endor, veggente che per volere di Saul evocò lo spirito del profeta Samuele; ed era praticata da Greci e Latini. In Odissea, X l , Ulisse evocò l' indovino morto Tiresia, offrendogli in sacrificio il sangue di una capra nera. Di riti necro mantici avevano parlato anche Orazio, Virgilio, Lucano. La divinazione magica tramite i morti era un fatto serio ; non a caso fu oggetto di discus sione filosofica. Per Porfirio vi è nell'essere umano un rapporto di affinità tra corpo e anima che fonda la forte attrazione del primo sulla seconda; essa fa sì che i morti di morte violenta, spiriti strappati troppo in fretta dal corpo, si aggirino nei pressi della salma. Perciò se le streghe possiedono quel corpo o parte di esso, possono porre lo spirito del morro sotto il pro prio potere ( Porfirio, De abstinentia, II, 47 ) . Vi era quindi una tradizione antica che riteneva possibile rievocare i morti per via magica e a fini divinatori, ed essa continuava a circolare nel Rinascimento. Il testo di Porfirio venne parafrasato da Ficino e letto da Agrippa di Nettesheim e Cyrano de Bergerac (I6I9-I6Ss). Se dunque i morti tornavano a tormentare i vivi, altrettanto facevano i vivi nei confron ti dei morti, dato che, secondo Agrippa, « le anime dei morti non possono venir evocate senza la presenza del sangue e della salma >> (Agrippa, Opera, I , p. 436). Il potere che si poteva esercitare sul fantasma del defunto grazie al possesso del suo corpo non era però la sola forma di necromanzia rinasci mentale. Esistevano libri di incantesimi, come il testo contenuto nel mano scritto Sloane 3884 della British Library, che insegnavano a evocare i morti tramite formule magiche. Vi era qui una distinzione, cui faceva ironico cenno un personaggio del Gargantua di Rabelais, herr Trippa ( parodia di Agrippa ) ; il potere magico di evocare il morro richiamandolo nel corpo era detto necromanzia in senso stretto ; mentre l'evocazione del solo spirito del morto, senza il corpo, veniva definita come sciomanzia, in quanto compa riva l'ombra del defunto. Il vantaggio di praticare la necromanzia era evi dente, poiché i morti conoscevano il futuro. Era però un'attività rischiosa: non di rado il potere magico di evocazione era riferito al diavolo e quindi ritenuto parte del crimine di stregoneria. Già nel 1303, Robert Manning di Brunne, canonico dell'abbazia di Broun nel Lincolnshire osservò che « se mai si è praticata la negromanzia e si è offerto un sacrificio al diavolo per via
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stregonesca [ ... ] si è commesso peccato » . Fu tramite un patto con il diavolo Mefistofele che Faust evocò, nella tragedia di Christopher Marlowe, Elena di Troia. Nel 1 5 8 6, la necromanzia era stata proibita, con le altre forme di divinazione, dalla bolla Coeli et terrae di Sisto v. Agrippa stesso aveva am messo che la necromanzia tramite la carne e il sangue aveva un rapporto con i demoni malvagi. Tale forma di divinazione era quindi sempre più at tratta nell'orbita della stregoneria e perciò ne subiva la condanna, anche se non mancavano forme di scetticismo : quando il mago Glendower nell' En rico IV di Shakespeare si vantò di poter chiamare gli spiriti dal vasto abisso, Hotspur ribatté che tutti gli uomini ne sono capaci; ma bisogna vedere se poi gli spiriti rispondono. Altri erano meno dubbiosi; Francesco Guaccio, nel Compendium malifìcarum ( 1 626), accusava le streghe di disseppelli re e rubare i cadaveri dei giustiziati per abietti fini magici ( Compendium malifìcarum, p. 149 ). Spesso i poteri necromantici della strega erano però dichiarati illusori. Come osservò il magistrato Pierre de Lancre nell'opera Tableau de l'inconstance des mauvais anges et demons (1 612), le streghe non possono evocare i morti; e dunque gli spettri che compaiono nelle loro evocazioni empie sono i diavoli che si fingono defunti' . L'evocazione a fini divinatori era uno solo dei modi in cui nei secoli XVI e XVI I i vivi e i morti interagivano, anche se il più importante nel delineare il rapporto tra fantasmi e stregoneria. Anzi, poiché le opinioni sugli spettri erano molto varie e anarchiche, i teologi del XVI secolo dovet tero darsi molto da fare per inquadrarle nella giusta prospettiva religiosa. Quest' impulso classificatorio risulta evidente in opere come le Disquisi tiones magicae (1599) del gesuita Martin del Rio (1551-1 6o8), che distinse diciotto modi di apparizione degli spettri ; e interessò sia i cattolici, come il già menzionato Thyraeus, che i protestanti, come mostra il De spectris ( 1 5 6 9 ) dello svizzero Ludwig Lavater (1527- 1 5 8 6 ) . Sia Thyraeus che Lavater intendevano inquadrare la questione in modo teologicamente corretto. È possibile che i morti ritornino ? Se ciò avviene, è per volontà divina, perché Dio solo può sospendere le leggi della natura e abolire la distinzione tra vivo e morto. Secondo Lavater, ciò si verificava con tale rarità da far pensare che i presunti fantasmi fossero non defunti, ma diavoli che si fingevano defunti. Più possibilista era Thyraeus, secondo il quale le anime dannate o in Purgatorio potevano tornare sulla terra se Dio lo voleva. La ricom parsa delle anime dannate era però un evento assai raro, mentre le anime 1.
Cfr. supra, il contributo di ). Céard, alle pp. IJs-so.
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del Purgatorio, non del tutto condannate, avevano maggiore probabilità di ripresentarsi ai vivi per chiedere suffragi. Le apparizioni dei morti era no sporadiche e avvenivano solo quando Dio intendeva castigare qualche peccato dei vivi; più frequenti erano invece le apparizioni di angeli e de moni. Lavater e lhyraeus si applicarono molto a confutare la tesi secondo cui il non piu vivente è capace di vedere il futuro. I morti, per lhyraeus, non potevano sapere ciò che non avevano saputo in vita; non era possibi le che con la morte essi acquistassero nuovi saperi. In tal modo lhyraeus voleva colpire le credenze superstiziose sui defunti: è inutile ricorrere a spiriti e fantasmi per aiuto, soccorso, sapienza; bisogna rivolgersi a Dio. Tanto più che, nei loro comportamenti, i morti sono quasi sempre ostili; essi provocano tumulti, molestano i viventi e lanciano pietre e oggetti vari. Nel corso del XYI secolo si registrò una forte tendenza a ricondurre le idee sui fantasmi ali' interno di un quadro teologicamente accettabile, ricorrendo alla categoria del demoniaco per ciò che era deviante rispetto alla dottrina teologica ortodossa. In particolare, si faceva riferimento alla possibilità della possessione da parte dello spirito di un defunto, tesi an cora accettata nel XYI secolo. Nel 1 5 6 5 Nicole Obry aveva visto lo spettro del nonno Joachim Willot; quando iniziò ad accusare gravi disturbi e ri velò di essere posseduta da tale spettro, si profilò un fatto teologicamente allarmante. Come scrisse il minorita Claude Prieur nel 1596, se l'anima di quell'essere umano è fatta per quel corpo, credere che essa possa abbando narlo ed entrare in un altro, significava abbandonare il cristianesimo per le antiche credenze pitagoriche e pagane. Ammettere, anche per ipotesi, che uno spirito potesse rivestire corpi diversi contrastava con l' intero apparato teologico fondato sul concetto di ordine naturale identificato con la volon ta divina. Per ciò che non era ammissibile entro quell 'apparato, si ricorreva alla categoria del demoniaco ; così Nicole Obry era stata posseduta non dallo spirito del nonno, ma dal diavolo che ha fimo di essere il defunto. Se il concetto di demoniaco fu il mezzo principale con cui la teologia affrontò nel XYI secolo la questione dei fantasmi, distinguendo tra le appa rizioni dei veri spettri e le finte apparizioni dei demoni, ciò non scosse del tutto la credenza negli spiriti. Vi sono anzi indizi del fatto che dal tardo XYI secolo iniziasse un periodo di forte attività fantasmatica. L' interes se per gli spettri restò dunque elevato, come mostrano le Storie prodigiose ( 1 s 6 o ) di Pierre de Boaistuau (ca. I S I?-66), il trattato di Pierre Le Loyer (ISS0-1 634) Des spectres ou apparitions et visions d'esprits ( 1 5 8 6 ) oppure Magica de spectris (1597) del libraio Henning Grosse (ISS3-I62I). Anche
I YINCOLI DELLA NATURA in tali opere, tuttavia, si continuava a far ricorso al demoniaco quale ca none esplicativo di ciò che non era accettabile. Grosse aveva osservato che il diavolo tentava di confondere gli ingenui introducendo ogni sorra di superstizione : falsi profeti, apparizioni, sogni, rivelazioni, prodigi e tutto il materiale presente nei testi sia antichi che moderni. E, per dimostrare l'adesione al concetto di demoniaco, Grosse aveva dedicato la sua raccolta al duca di Brunswick, energico cacciatore di streghe. Benché teologicamente depurato, il tema del fantasma era ancora po polare nel Seicento data la sua valenza apologetica. Mondata dai tratti più disordinati, l'apparizione dello spettro poteva infatti venir usata per difen dere la tesi dell' immorralità deli' anima. Si trattava di un tema scottante, dopo che nel Cinquecento filosofi come Pietro Pomponazzi (1462-152S) o Simone Porzio (1496-I 5S4) avevano posto in discussione la tesi dell' im morralità personale. Durante il Seicento, la questione era divenuta più complessa con l'avvento del carresianesimo, il cui corpuscolarismo aveva spinto alcuni, come disse il vescovo Samuel Parker ( I 6 so-I688), ai principi dell'empietà. Si diffondeva insomma quello che all'epoca veniva definito come "sadducismo", in riferimento ali' antica setta ebrea dei Sadducei, che non credevano all'esistenza di angeli e spiriti. Il materialismo di chi non ammetteva più l'esistenza degli spettri era rovinoso anche per la credibilità della stregoneria. Se infatti gli spiriti immateriali si ritenevano non esiste re, neppure era possibile avere commercio con essi. Ciò eliminava alla radi ce ogni forma di stregoneria intesa come attività risultante da un patto col demonio. Cadeva così quella categoria di demoniaco che aveva permesso di ricondurre all'ordine le anarchiche opinioni popolari. Non di rado, nel le opere dei Sadducei si trovavano accostate la negazione dell 'esistenza dei fantasmi e delle streghe, così come nel testo di John Wagstaffe ( 1 633-1 677 ) , The Question ofWitchcraft Debated ( 1 6 6 9 ) . Alla difesa dell 'esistenza degli spettri contro il sadducismo collaborarono due imporranti filosofi ingle si, Joseph Glanvill (1636-168o) e Henry More ( 1 6 1 4- I 6 8 ? ) . coautori del trattato Saducismus triumphatus ( 1 6 82), un'apologia della visione tradi zionale riguardante gli spettri. Glanvill, seguace della filosofia sperimenta le, ricercava nelle storie di spettri una prova empirica della loro esistenza, mentre More riteneva che fosse possibile, tramite una rigorosa definizione metafisica dell 'anima quale sostanza immateriale, capace però di influire direttamente sulla materia, fondare quell'azione a distanza dello spirito sulla materia su cui si basava la pratica della stregoneria. Come osservò il sadduceo John Webster in The Displaying ofSupposed Witchcraft ( 1 677 ) ,
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ciò che è immateriale non può agire su ciò che è materiale ; non può nep pure venir percepito, perché anche la sensazione implica un contarro cor poreo. Perciò uno sperrro, se è puro spirito, non può apparire ; se compare e viene veduto, allora ha qualcosa di corporeo e dunque non è puro spirito. Anche Thyraeus aveva ammesso che i fantasmi hanno in sé qualcosa di corporeo, altrimenti non porrebbero infestare i luoghi e le case ( Thyraeus, Daemoniaci, p. 1 6 )2• Ma tale ammissione diventava assai problematica quando veniva messa a confronto con le spiegazioni della nascente filo sofia corpuscolare. Marcando le contraddizioni all' interno di quella tra dizione di pensiero che, tramite il ricorso al concerto di demoniaco, aveva prodorro la stregoneria intesa come credenza nell 'esistenza di una serra di persone che si riunivano in segreto, di notte, per adorare il diavolo e allear si con lui contro gli altri esseri umani, i moderni Sadducei ne segnalavano la crisi. Persino il pio abate Augustin Calmet (1 672-1757 ) , nel Traité sur les
apparitions des esprits, et sur le vampires ou le revenans ( Trattato sulle appa rizioni degli spiriti, e sui vampiri e iJàntasmi, 1746), ammerreva che corpo e anima erano due sostanze tra loro incommensurabili e non era dato co noscere come la seconda agisse sul primo. Con ciò cadeva il presupposto stesso della stregoneria: l'azione a distanza sulla materia. La liquidazione della stregoneria, tuttavia, non portava con sé immediatamente anche la cessazione della credenza nei fantasmi, che continuò a esistere ma in forme diverse risperro a quelle difese da Glanvill e More. I giorni in cui la fede nell 'esistenza degli spettri coincideva con quella nelle streghe potevano dirsi definitivamente tramontati.
Possessi o n i
Per Calmet era giusto annoverare le possessioni diaboliche tra le appari zioni del diavolo, poiché in esse il diavolo era ritenuto comunque invadere il corpo di una persona. La possibilità che esseri umani fossero invasi dai demoni affondava le radici nel primo cristianesimo; nei Vangeli vi erano molti passi relativi a demoni che venivano scacciati. Proprio sul potere di scacciare i diavoli dagli indemoniati si giocò lo scontro narrato in Mt 9, 34: i farisei accusavano i cristiani di comandare i demoni grazie alla magia nera; i cristiani ribattevano che il potere di allontanare i demoni provava la 2..
Secondo il Mal!eus maleficarum, > , sottolinea Marsilio Ficino nel libro m del De vita riferendosi a Origene, Sinesio e al-Kindi (Sulla vita, p. 268). In tal modo, come rappresentante dell 'umanesimo cristiano, si richiama sia ai primi amori cristiani che agli autori arabi, ci tando l'antico Egitto e gli oracoli, in un'opera di sintesi a scopo medico. La magia e l'astrologia si alleano con il potere delle immagini, delle parole e della musica per giovare all'uomo malato (Boccadoro, w o o ; Burnett, 2000; Voss, 2002). Il mago medico, quando canta per curare il malato, manipola un ele mento sensibile permeato delle virtù naturali: la musica. Non si tratta di invocare gli angeli neri o i demoni per aiutare la persona, ma di atti rare altri elementi naturali, quali gli astri, che possono recare beneficio
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all'uomo ( Tomlinson, 1 9 9 3 ; Walker, 2002). Le parole, i canti e i suoni ben disposti e correttamente pronunciati hanno la facoltà di trasformare l ' individuo e insieme di attirare l ' influsso positivo degli elementi della natura ; ad esempio, quello proveniente dai pianeti. In questo modo, il mago rimane nel campo naturale, non proibito dalla Chiesa; nei pro cessi per magia o stregoneria, i processati ribadiscono di non aver mai fatto invocazioni demon iache, ma di essersi limitati ad invocare l'angelo bianco e usare erbe ed elementi naturali. Le presunte streghe dichiara no di aver fatto ricorso ali ' aiuto dell'angelo bianco e santo per ritrovare oggetti rubati, per avere qualche rivelazione sul luogo di un tesoro na scosto, per ritrovare un amore perso, per sanare una malattia del corpo o del cuore. Nel racconto delle loro varie medicazioni, i processati negano di aver invocato il diavolo sapendo che è proibito adorarlo e chiamarlo, come si legge ad esempio nel processo per sorrilegio e superstizione di Santa Ferrari in iziato nell'anno 1 6 o o e conservato nell'Archivio di Stato di Modena (busta 1 5 . 1 9 ) . L' Inquisizione definisce l a strega, l ' incantatore e i l mago i n modo pa rallelo (Di Simplicio, 2005; Romeo, 1 9 9 0 ) . Il mago medico e sapiente, che sa come manipolare gli elementi per giovare all 'uomo, diventa una figura da punire per l'uso errato delle formule cristiane. Uno dei maggiori teorici, il frate domenicano Eliseo Masini ( 1 5 84- 1 6 27), il quale collabora alla riforma del primo Seicento con lo scopo di regolare la caccia alle stre ghe e di proteggere le innocenti, nel Sacro arsenale overo pratica dell'Ojfi cio della Santa Inquisitione (stampato nel 1 621 a Genova e ristampato fino alla metà del Settecento), a parrire dall'edizione del 1 6 25 dedica una parre alla definizione di maghi, streghe e incantatori. Nel capitolo De ' Maghi, Streghe, Incantatori, e simili, vengono tutti definiti come coloro « ch' han no fatto parto o implicitamente, o esplicitamente, o per sé, o per alrri, col Demonio » : tengono costretti demoni in anelli, specchi, medaglie e am polle ; adorano il diavolo offrendogli sale, pane ; l' invocano « domandan dogli grazie e chiamandolo Angelo santo, Angelo bianco, Angelo nero » ; « fanno l' incanto, tengono, scrivono, o dicono o razioni non approvate, anzi riprovare dalla Santa Chiesa [ ... ] quelle che si recitano per farsi amare d'amore disonesto, quelle che si dicono per sapere cose future, o occulre [ .. ] quelle che contengono nomi incogniti, né si sa il loro significato, con caratteri, circoli, triangoli ecc. » (Sacro arsenale, pp. 9-10 ). Oltre al patto stabilito con il diavolo, la cui veridicità rimane da verificare raccogliendo ne le prove, ciò che sra in gioco è l'offerra, l'adorazione, l' incanto, l'ora.
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zione sbagliati, così come sono sbagliate le parole, le formule e le richieste da esse veicolate. Il linguaggio è in gioco tanto quanto il contenuto delle invocazioni e orazioni. Queste ultime, composte da segni indecifrabili e caratteri ignoti, mirano a cose illecite ; prime fra tutte la conoscenza di ciò che è inconoscibile e che deve rimanere ignoto all 'uomo : il futuro. La frontiera tra il lecito e l' illecito non è sempre facile da delimitare. Le maghe credono di poter invocare l'angelo bianco e non pensano di er rare, così come il medico mago e sapiente di tipo ficiniano non invoca l' influsso planetario con canti appropriati, in modo eretico. Eppure, la delimitazione tra l' invocazione, l'orazione o il canto permesso e quello proibito può essere ambigua. Tra i mezzi dell' incantesimo e del rito magico, oltre alle parole codifica te, parole che le donne si trasmettono di generazione in generazione, come ripetono spesso le donne processate, si trova la musica. Trovare la melodia confacente all 'elemento invocato è assicurarsi dell'eco che essa provocherà nell'elemento e quindi assicurarsi che risponderà, in eco, al suono della musica; perciò la musica deve imitare e corrispondere all'entità invocata, condividendo le sue proprietà in modo simpatetico. L' imitazione dell'en tità invocata mette in movimento l'azione della cosa. Come ricorda Fici no, la musica è il più potente imitatore di tutte le cose. Imita perfettamen te il carattere e le proprietà di ciascuno dei pianeti attirando sull'uomo gli effetti dell'astro ; in questo modo si usa il canto e la musica strumentale nei riti di magia astrologica quando si tratta di catturare l'effetto degli elemen ti naturali per diffonderli nell'anima, nello spirito e nel corpo dell'uomo (Sulla vita, pp. 268-79 ). In questo, gli antichi incantesimi si ricollegano ai canti di Davide. C 'è chi crede che il potere curativo provenga dalla musica davidica, chi invece pensa la musica come mezzo per l'azione, in definitiva, solamente divina. In entrambi i casi, l' importanza delle parole, del suono e della melodia appropriati sono al centro delle questioni e dell'efficacia del processo d'invocazione. I teorici rinascimentali recuperano la riflessio ne sul potere delle parole dagli antichi e dai primi cristiani. Già Origene ( I 8 S-2S4), discutendo dell'arbitrarietà o naturalità dei nomi conferiti alle cose, mostra questo interesse enciclopedico che spazia attraverso le cultu re, quelle stesse alle quali si riferiscono i teorici rinascimentali: la cultura greca viene citata a fianco di quella egiziana e indiana, Aristotele e gli stoi ci, i magi persiani e i bramani induisti (Origene, Contra Celsum, l , 24-2s ) . L e domande relative a l potere d e i nomi integrano l e riflessioni sulla magia (Burnett, 2009 ) . Il nome ha, di per sé, una forza, e la magia è la
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conoscenza - riservata ad un numero ristretto di persone - delle parole e dei loro poteri. Certi nomi non possono applicarsi alle cose banali, ma sono riservati a nominare realtà superiori, così come il nome delle cose superiori non va usato per quelle inferiori. La conoscenza dei nomi delle cose superiori fa parte della teologia segreta, detenuta da un pic colo numero di persone. Sia nella cultura ebrea che in quella persiana o egiziana, questi nomi possiedono una forza particolare, capace tra l'altro di allontanare i demoni o altri spiriti. Il nome è inoltre carico di forza e potenza, perciò è anche pericoloso cambiare il nome di Dio. Un occulto sistema dirige i vari nomi: ci sono persone che sono in grado di filosofare sui misteri dei nomi, quelli dei demoni, ma anche quelli degli angeli. Mi chele, Gabriele, Raffaele sono nomi appropriati ai compiti degli angeli, e in modo speculare a questo rapporto sostanziale, il loro nome produce un effetto se esso viene pronunciato nelle circostanze opportune. Questa filosofia dei misteri dei nomi si applica anche al nome di Cristo : il suo nome ha cacciato una miriade di spiriti cattivi dall 'anima e dal corpo degli uomini. Si oscilla sempre sul tenue filo della distinzione tra atti miracolosi e magici. Ed Origene suggerisce di proseguire, dopo gli an geli e il nome di Cristo, con gli incantesimi, i quali, pronunciati nella lingua d'origine, producono i loro effetti, operando a seconda di ciò che dicono, ma tradotti in lingue straniere diventano deboli o addirittura inefficaci. Questa è la prova, per Origene, che il potere non deriva dalla cosa significata ma dal suo nome, dalle qualità e particolarità delle pa role : il potere agente è racchiuso nel nome della cosa. Perciò, i cristiani combattono quelli che dicono Zeus al posto di Dio o che danno a Dio un altro nome. Il ragionamento vale anche per la musica: gli antichi si oppongono al cambiamento del numero delle corde negli strumenti musicali, e nel Rinascimento il rispetto della giusta melodia nei riti magici ne garan tisce l 'efficacia. Se si cambia un elemento dello strumento musicale o qualcosa nell 'ordine melodico o poetico, non si sa quale effetto negativo potrebbe risultare, e in tutti i casi la deformazione annullerebbe l'effetto positivo. Un tipico esempio rinascimentale si trova nel trattato De occul ta philosophia di Cornelio Agrippa (Zambelli, 2004), un'enciclopedia della filosofia ermetica nella quale l' « archimago » , ma anche storiografo di Carlo Y, medico personale di Luisa di Savoia e teologo, concilia le conoscenze magiche degli antichi con le teorie dei suoi contemporanei. Il capitolo 24 del libro I I sulla magia celeste tratta dell 'armonia musica-
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le, delle sue forze e poteri. Ricordando implicitamente Ficino, Agrippa stabilisce che la musica, come certe immagini dei talismani, è provvista dei doni stellari in quanto è la più potente imitatrice di tutte le cose. Poi ché le imita in modo potente, la musica è particolarmente atta a seguire i corpi celesti e a catturare i loro influssi per infonderli nell 'uomo. La musica trasforma l'uomo : i suoi affetti e intenti, i suoi gesti e movimenti, le azioni e disposizioni degli ascoltatori. Essa lo modella e lo dispone se condo le sue proprietà. Ciò che già constatava Platone nella Repubblica viene riaffermato da Agrippa all ' inizio del capitolo 24. Non a caso la musica fa parte della sezione sulla magia celeste, quella che viene dopo la magia naturale e prima della magia cerimoniale. La musica è l 'elemento che collega il cielo e la terra: se i canti e i suoni si accordano ai pianeti, imprimono nell 'uomo il carattere stellare, perché suscitano ciò che imi tano. Seguendo sempre la teoria che Ficino sviluppa nel capitolo 21 del libro m del De vita, Agrippa prosegue nel capitolo 26 del suo trattato di filosofia occulta descrivendo le musiche adatte a ogni pianeta in modo particolarmente raffinato : È indispensabile conoscere quali suoni sieno peculiari d'ogni astro. Saturno ha suoni (voces) tristi, rauchi, gravi, lenti e come raggruppati e concentrati; Marre ha suoni rudi, acuti, minacciosi, risoluti e come improntati all' ira ; la Luna ha suoni misti tra gli indicati. Questi tre pianeti hanno in comune la caratteristica di pos sedere delle voci o suoni, piuttosto che accordi. Gli accordi contraddistinguono invece Giove, il Sole, Venere e Mercurio. Giove ha accordi gravi, costanti, intensi, soavi, gai e piacevoli; il Sole accordi venerabili, forti, puri, dolci e graziosi; Venere accordi lascivi, lussuriosi, molli, voluttuosi, dissoluti e dilatati concentricamente; Mercurio accordi multipli, allegri, piacevoli per una certa vivacità (De occulta phi losophia, II, pp. 85-6).
In questo modo si comprende come la musica delle sfere non fosse una mera allegoria. Le musiche di ogni pianeta erano esposte con precisione, basandosi sui caratteri e le proprietà dei pianeti. Sacurno, il pianeta nero, grave, dai giri più lenti degli altri, responsabile della melanconia, emana una musica fatta di suoni tristi, rauchi e gravi. Se il mago medico vuole curare il male sacurnino deve suonare o cantare una musica dal caratte re opposto a quello di Sacurno, perciò userà suoni gioviali per attirare l' influsso di un pianeta benigno e per contrastare in tal modo gli effetti nefasti. La musica terrena, imitando l'ampia gamma dei suoni celesti, si modella sulla musica delle sfere e ne fa discendere sulla terra gli effetti.
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Tocca al musico terreno ritrovare questi suoni tristi, rauchi, gravi, len ti, rudi, acuti, minacciosi, risoluti, costanti, intensi, gai, piacevoli, lascivi, lussuriosi, molli, voluttuosi, dissoluti o allegri : le descrizioni nella loro raffinatezza circoscrivono le qualità del suono. In ciò la musica astro magica congiunge in sé la ricerca della qualità sonora e della quantità del numero risuonante in proporzione. C 'è un altro motivo che spiega perché la musica faccia parte della magia celeste. Esso va ricercato nelle prime frasi del libro sulla magia ce leste : « Le scienze matematiche sono così necessarie alla magia e hanno con essa tanti legami, che coloro che si occupano dell 'una trascurando le altre, perdono il loro tempo e non ne ricavano risultati apprezzabili, anzi non riescono a raggiungere mai gli scopi perseguiti » ( ivi, p. 7 ) . La musica viene ricompresa tra le scienze matematiche, insieme all'astronomia, alla geometria e all'aritmetica. Essa è la scienza del numero sonoro, che met te in movimento nel suono le proporzioni che definiscono gli intervalli musicali. Un'ottava, l' intervallo consonante e piacevole per eccellenza, è composta da una proporzione di due a uno. È una ratio matematica che si ritrova in cielo così come in terra. I cieli risuonano secondo queste pro porzioni matematico-musicali, come anche il corpo dell 'uomo : in questo si vede l'armonia universale, nella proporzione musicale di tutte le cose in rapporto le une con le altre. Tutto ciò che è soggetto al tempo e al mo vimento è composto di numeri, e avere conoscenza delle proporzioni è possedere la chiave d'accesso all' insieme delle cose conoscibili. Gli accordi di suoni e voci, essendo fatti anch'essi di numeri, costituiscono una delle vie per avvicinarsi al tutto. Detenere le regole matematiche e astrali della musica non sempre equivale a penetrare nei segreti dell'armonia universale e utilizzare le for ze naturali e astrali per le loro virtù; può anche voler dire ingannare chi non possiede le regole dell'arte. Colui che intende la musica è di per sé un mago in quanto possiede un'arte riservata, che altri non capiscono e che gli consente di fare cose che sembrano soprannaturali. La concezione della magia in questo caso si allontana dalla sua vocazione medica, legata all 'a strologia, per essere ciò che stupisce il volgo quanto l'uomo colto. Così, continua Agrippa, « quando un mago è versato nella filosofia naturale e nella matematica e conosce le scienze che ne derivano, l'aritmetica, la mu sica, la geometria, l'ottica, l'astronomia e quelle che si esercitano a mezzo di pesi, di misure, di proporzioni, di giunzioni, nonché la meccanica, che è la risultante di tutte queste discipline, può compiere cose meravigliose
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che stupiscono gli uomini più colti » (i vi, p. 8 ) . E queste cose che stupi scono sono gli artifici fatti con l'arte di manipolare gli specchi, facendosi gioco dei sensi e dell ' intelligenza dello spettatore e !asciandolo stupito. Il mago fa apparire dei campi di battaglia negli specchi o fa cantare le statue, stupisce con l'elevazione di una montagna artificiale nel mezzo del mare o della piramide di Giulio Cesare nei pressi del Vaticano: sono tutte cose che sembrano essere state fatte superando la natura. Perciò chi non ne co nosce la regola nascosta pensa che siano opere dei demoni, mentre in realtà sono l'opera delle scienze naturali e matematiche. I poteri del mago non appartengono a quelli demoniaci, ma superano la natura in quanto richie dono l'arte. E la musica, grazie alla sua astrazione matematica congiunta alla potenza dei suoni nell ' imitazione di quelli celesti, permette al mago di acquistare i poteri celesti: « [i] poteri naturali si acquistano mercé le cose naturali, così con le cose astratte matematiche e celesti noi conseguiamo i poteri celesti, ossia il moto, la vira, il senso, il discorso, i presagi e la divina zione stessa, cose tutte che non derivano dalla natura ma dali' arte >> (ivi, p. 9 ) . Si capisce dunque come il mago che pratica la magia celeste si muova sul crinale dell'eresia. Lo stesso fanno gli astrologi, sempre sul confine non sempre definito tra astrologia naturale e giudiziaria, e le streghe, oscillanti tra invocazioni angeliche e diaboliche.
Musica ed esorcismi
Tra l'elenco degli effetti della musica si trova come esempio culminante quello di espellere il diavolo. Questo potere è al centro di questioni teolo giche e mediche collocabili nei discorsi di filosofia naturale e di magia, in quelli di speculazioni musicali, ma anche di medicina, e più precisamente nei trattati di demonologia e nei manuali per gli esorcisti. I presupposti dell'uso della musica nei riti d'esorcismo sono due. Da un lato, la musica risana il corpo malato, ristabilendo la complessione del corpo e tempe rando gli elementi che compongono il corpo. se questi vengono a essere in eccesso o in difetto. Cura i morsi della tarantola, guarisce la sciatica, è un potente rimedio contro la sordità, e altrerrami casi medici che per corrono la teoria musicale come luoghi comuni. Dall'altro !aro, c 'è la na tura del diavolo, che è assoluta disarmonia, e quindi non può sopportare l'armonia. Il diavolo induce alla discordia, al dissenso e alla dissonanza. Per questa ragione, la musica, essendo concordia delle parti discordami e
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consonanza che unisce la diversità, non può che mettere in fuga il diavo lo. Gli spiriti malvagi vengono tenuti lontano dalle chiese dal suono delle campane benedette, vengono placati o scacciati dal corpo posseduto. Dal momento che il diavolo non può soffrire nessun vero accordo, esso fugge al suono della musica. È dunque logico pensare la musica come rimedio per espellere gli spiriti cattivi dai corpi posseduti e ristabilire l'armonia nello spirito e nel corpo afflitto. Nel canto dei salmi durante i riti d'esorcismo, il prete esorcista unisce il potere delle parole sante al potere del suono musicale, in modo che l'effet to raggiunga i massimi livelli di efficacia e la farmacopea risulti ottima. Va lerio Polidoro, ad esempio, nel suo trattato Practica exorcistarum ad dae mones et male.ficia de Christi-.fidelibus expellendum (Padova, IS8s) prescrive una doppia orazione, ai santi per la loro intercessione e a Dio attraverso il canto dei salmi. L'autore inoltre prescrive in modo specifico il canto del salmo 30: « > (De Coussemaker, 1 8 64-76, IY, pp. 1 9 1 -200; Walker, 1 9 8 5 , I, p. 4). C 'è quindi un fondo comune di credenze riguardo al rapporto tra la musica e il Maligno, riconducibile alla fonte biblica e alla storia di Davide, il quale, al suono del suo strumento musicale, libera Saul dallo spirito malvagio. Partendo dalla Scrittura, sia la letteratura demonologica che quella musicale ribadiscono il potere della musica sull'antico nemico, e ciò si ritrova ancora nella letteratura musicale seicentesca: «Musica est maximum Diaboli tormentum >> , dichiara il teo rico italiano Scipione Cerreto nel suo trattato Della prattica musica vocale et strumentale, pubblicato a Napoli nel 1 6 0 1 (p. 176). Quando i teorici musicali descrivono gli effetti medicinali della musica, concludono con la sua potenza massima: « la forza della musica fino de' Spiriti Infernali trionfa >> , dirà Domenico Scorpione nelle sue Riflessioni armoniche pub blicate a Napoli nel 1701 (p. 77 ). Siamo all'alba del Settecento, il mondo delle rappresentazioni e le rap presentazioni del mondo sono cambiati del tutto rispetto all'orizzonte medievale e rinascimentale, compreso il campo appunto delle scienze e della musica. Questa non è più considerata una scienza matematica, non fa più parte del quadrivio medievale a fianco dell'astronomia, della geome tria e dell 'aritmetica. Anche il campo medico è cambiato, e il gran periodo del mago medico musico, esplicitato e teorizzato dalla generazione di Fi cino, non è più d'attualità. Eppure rimangono tracce della credenza degli effetti dell' incantesimo musicale per cacciare via l'antico nemico.
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Stre goneria e Inquisizione di Vincenzo Lavenia
Il reato e i tribunali inquisitoriali : le origini medievali
Nel XYI secolo, dopo la frattura della Riforma, la Chiesa cattolica rivendi cò di essere la sola interprete della tradizione cristiana occidentale, in cui sin dalla tarda antichità la stregoneria era stata qualificata come eresia e apostasia, come rituale di adorazione del diavolo e come empia credenza nei suoi poteri soprannaturali, prima che come tecnica magico-malefica esercitata per ottenere effetti desiderati o un danno a beni materiali, ani mali o persone. In sostanza, la credenza nella stregoneria, presente in tutte le civiltà ( Behringer, 2004), era stata ereticalizzata, con tutto ciò che la visione teologica del fenomeno avrebbe comportato sul piano giudiziario con la nascita della procedura inquisitoriale. Inoltre, occorre ricordare che senza gli interventi pontifici, senza la Scolastica, senza il corpus dei canoni e delle norme conciliari, la credenza nella stregoneria non avrebbe potuto affermarsi e persistere. Furono dunque il cattolicesimo e i papi i responsa bili della caccia alle streghe in Occidente ( che conobbe l'acme proprio nel secolo del Rinascimento) ? Se si considera che la prima ondata di roghi si colloca alla fine del Medioevo, si chiude con la Riforma e vede protago nista l' Inquisizione, la risposta parrebbe scontata. Ma appena si allunghi lo sguardo oltre la metà del XYI secolo, quando la persecuzione riprese con intensità in tutta l' Europa, i giudizi non potranno essere netti, poiché durante la "seconda caccia alle streghe': quella che si innesca negli anni ses santa del Cinquecento e termina a metà Seicento, il mondo mediterraneo, in cui rimase attivo il Sant' Uffizio, registra un numero di condanne a mor te limitato, anche se non trascurabile, specie se si rapportano tali roghi con il numero di vittime (decine di migliaia) accertato in Francia e nell ' impero germanico, in terra cattolica o in aree protestanti, dove agivano i tribunali ecclesiastici ordinari, le magistrature feudali o quelle secolari. Si è parla-
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to perciò di una nuova e recente visione dei tribunali inquisitoriali, che avrebbe cancellato l' immagine neogotica e buia del Sant' Uffizio, frutto della tradizione protestante, libertina e illuminista. Questa lettura del processo storico è rozza e non priva di connotati apo logetici. Infatti, più che sostituire una "leggenda rosa" a quella "nerà' che ha caratterizzato la rappresentazione non cattolica degli inquisitori nel corso di quattro secoli, gli studiosi hanno tentato di capire come spiegare la relati va moderazione che le tre Inquisizioni centralizzate (quella spagnola, quella portoghese e quella pontificia, impiantata, soprattutto in Italia, con la costi tuzione apostolica Licet ab initio nel I S42) hanno applicato in età moderna in contrasto con il tardo Medioevo, in cui gli uffici inquisitoriali avevano operato in poche aree dell' Europa e in modo discontinuo. In passato la sto riografia, spinta dalle controversie, ha accusato Roma di avere legittimato una strage e di avere fornito i principali mezzi dottrinali e giuridici ai cac ciatori di streghe. Oggi gli interpreti più seri tendono a sfumare il giudizio, tanto più che in età moderna tutte le chiese cristiane e i poteri civili hanno continuato a perseguire la stregoneria senza sostanziali differenze. Non si tratta comunque di una "nuova visione': poiché alla fine dell' Ottocento un grande storico protestante aveva già notato come verso le streghe le Inquisi zioni moderne avessero agito con moderazione (Lea, 19S7 ). Sulla scia delle sue pionieristiche indagini, gli storici sono ormai consapevoli che alcune disposizioni emanate dai vertici delle Inquisizioni evitarono che nei paesi dell' Europa meridionale avvenisse una caccia alle streghe di dimensioni rile vanti: ricerche recenti (Henningsen, 1990; Paiva, 1997; Prosperi, 1996; Ro meo, 1990; Tedeschi, 1997) hanno confermato quell' ipotesi di lavoro, arric chendola con lo scandaglio di altre fonti. Mancavano le carte dell'Archivio centrale del Sant' Uffizio papale che, dopo l'apertura al pubblico voluta dal Vaticano (1998), costringono, sulla base di nuovi documenti, a sfumare un quadro che nel complesso resta valido: le Inquisizioni centralizzate furono sempre più scettiche e restie a ricorrere alla pena di morte per gli imputati di maleficio e di adorazione del demonio. Dopo la Riforma la Chiesa si im pegnò a catechizzare i comuni fedeli e ad estirpare la superstizione, come fecero le altre confessioni. E, se evitò un pronunciamento ufficiale contro la credenza nei poteri delle streghe, smise di dare seguito alle accuse per male ficio e sabba, e sentì invece l'urgenza di difendere, anche con il foro inqui sitoriale, sacramentali e riti quali l'esorcismo dalla "concorrenzà' di maghi, finti santi e guaritori popolari. Per la Chiesa il diavolo continuò a esistere, a soggiogare le anime e a impossessarsi dei corpi (lo si leggeva nel Vangelo);
STREGONERIA E INQUISIZIONE la superstizione rimase un peccato-reato grave, assimilato all'eresia; ma la figura del Maligno fu privata di parte del potere di agire sulla natura tramite i malefici. I processi inquisitoriali per sortilegio e superstitio non cessarono, ma le cause "multiple" (con diversi imputati ) sorte dal "panico da streghe" divennero rare, proprio quando, dalla fine del Cinquecento in poi, l' Europa centro-settentrionale conobbe una violenta fase repressiva. Perché ? Per comprendere meglio le cause del fenomeno occorre fare un passo in dietro. Sin dalle origini, la Chiesa sperimentò la paura del diavolo come ar tefice del male e adoperò gli esorcismi per contrastarne l'adorazione e i po teri. Sul piano civile la legislazione dei primi imperatori cristiani si premurò di dettare leggi per punire i delitti di magia. Le accuse di maleficio tuttavia non cessarono e assunsero nel tempo caratteri nuovi. Se i seguaci di Cristo (e gli ebrei ) erano stati accusati dai pagani di praticare riti incomprensibili e infanticidi, più tardi furono i cristiani a leggere nell'adorazione delle di vinità antiche una forma di culto demoniaco, additando gli eretici come responsabili della pratica degli stessi riti e degli stessi crimini di cui erano state sospettate le prime comunità di fedeli. Fu così che nacque la nozione di patto demoniaco e si sviluppò l' idea che praticare la magia equivalesse a compiere una rinuncia del battesimo ( apostasia ) . San Girolamo sostenne che i demoni potessero assumere sembianze fisiche ; Agostino precisò che il male commesso dai diavoli era autorizzato da Dio ma veniva compiuto con l'ausilio umano. Satana non aveva poteri illimitati e le sue arti erano spesso illusione, ma il maleficio esisteva. Due secoli più tardi cominciò a circolare la leggenda di Teofilo (YI secolo ) . Per vendetta e per ottenere un vescovato e i piaceri del mondo, egli avrebbe cercato l'alleanza con il diavolo che ne avrebbe preteso l'anima all 'atto di morire : rinunciando al battesimo, Teo filo aveva ottenuto poteri soprannaturali. Così, oscillando tra l' idea che la stregoneria fosse un' illusione e la tesi contraria, che attribuiva ai diavoli la facoltà di nuocere ( provocando l' impotenza virile, la malattia, le catastro fi ) , la gerarchia farà i conti con un complesso di credenze, diffuse in gran parte dell' Europa, che costituirono il nucleo originario del sabba.
Dal patto al sabba: demonologi e oppositori
La Chiesa è un' istituzione che si è dotata nei secoli di un corpo giuridico e di propri tribunali. Fondamento della sua legislazione è il diritto canoni co, che dopo l'anno Mille conobbe la prima sistemazione nel Decreturn di
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Graziano ( xn secolo), a cui seguirono le decretali papali. In quella raccol ta fu inserito un testo, noto come Canon Episcopi, risalente agli inizi del x secolo, nel quale era suggerito ai pastori di anime di combattere la super stizione, diffusa tra i fedeli, secondo cui esistevano uomini e donne che di notte volavano al seguito di una dea per raggiungere Satana in groppa ad animali. Per alcuni secoli quel testo impedì alla Chiesa di accettare come veri i racconti di ascendenza sciamanica che, in seguito, avrebbero favorito la nascita del mito del sabba ( Ostorero, Paravicini Bagliani, Utz Tre mp, Chène, 1 9 9 9 ; cfr. anche infa, nel contributo di M. Duni, le pp. 204-8 ) . Ma il modello di stregoneria cristiana si affermò comunque sulla base della nozione di patto e della credenza nella possibilità di rapporti anche ses suali tra gli uomini e i diavoli. Ne scrisse Tommaso d'Aquino nella Summa theologiae: i demoni assumevano un ruolo passivo (come succubi) o attivo (come incubi), accoppiandosi con gli uomini, e più spesso con le donne, e scambiando il seme per procreare. Tommaso non parlò del sabba, ma un punto di svolta fu la tesi per cui ogni tipo di sortilegio, divinazione, ma leficio, necromanzia, ogni forma di magia rituale, anche di carattere colto, sottintendesse un patto almeno implicito con il demonio. Con quel presup posto si fornì legittimità affinché l' Inquisizione potesse procedere contro superstizione, magia e stregoneria come varianti dell'eresia formale (Clark, 1997; Kieckhefer, 1976 ) . Qualche anno prima il Concilio Lacerano IY ( 1 2. 1 5 ) , che non si occupò di streghe, aveva reagito al pericolo dei catari, che cre devano nella lotta perenne tra il principio del bene e quello del male (il diavolo, manicheisticamente contrapposto a Dio). L' Inquisizione, sorta pochi anni dopo con le facoltà pontificie di delegare giudici che agissero al di fuori dell'ordinaria giustizia episcopale, prese a combattere il catarismo e le altre eresie sorte dopo l'anno Mille ; ma già con la nomina di Konrad von Marburg ( 1231 ) , la loro persecuzione si intrecciò con la lotta alle stre ghe. I processi aperti in Germania dal sanguinario giudice (che agì in base alla procedura romanistica o inquisitoria, la quale prevedeva un magistra to istruttore e giudicante, che apriva i fascicoli delle cause sulla base della Jàma o della notitia criminis, ed ex ojficio ricorreva alla tortura per ottenere la regina delle prove : la confessione dell 'accusato) fornirono la spinta per un pronunciamento papale che diede ulteriore legittimità alla credenza nei culti del demonio. Si trattava della littera di Gregorio IX nota come Vox in Rama ( 1 234 ) . Vi si parlava di adorazioni del demonio, di banchetti, di metamorfosi animali: ma la sua originalità risiede soprattutto nel fatto che vi si riprendono racconti estorti dall' Inquisizione dichiarandoli veri.
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Più tardi il contesto si aggravò enormemente: si diffuse infatti il timore di complotti contro la cristianità e il papato ; crebbe l ' intolleranza verso le minoranze ; lebbrosi, ebrei, valdesi, catari e templari vennero accusati di ogni sorta di misfatti diabolici, di avvelenamenti e di attentati contro la cittadella cristiana (Cohn, 1 9 94; Ginzburg, 1 9 8 9 ) . Con la bolla Super illius specula (1326), Giovanni X X I I ad Avignone aurorizzò gli inquisitori ad agire contro i malefici (Boureau, 2006), anche se per un secolo i pro cedimenti di stregoneria aperti da inquisitori (dove operavano) rimasero pochi rispetto a quelli di eresia. Ma, se da un lato crebbe l' intolleranza clericale nei confronti della magia colta e della necromanzia - lo registra il Directorium inquisitorum di Nicolau Eymerich (ca. 1 3 1 6-1399), stilato in torno al 1370 -, per altro verso tra il X I Y e il xv secolo si consolidò in tutti gli elementi il mito del sabba, che inasprì la caccia. A ciò contribuì l' in sistenza del nominalismo per i peccati contro il primo comandamento e Dio, padre e sovrano dell 'universo, poiché, come è stato osservato (Bossy, 1998), teologi quali Jean Gerson spostarono l'attenzione dei fedeli e dei giudici dai danni provocati dal maleficio al peccato di eresia commesso prestando culto al diavolo. Tuttavia, se si guarda al lungo periodo, la ridot ta attenzione al danno provocò dalla fine del Cinquecento non tanto un aumento di accuse, ma la loro diminuzione, poiché ritenere la stregoneria anzitutto un'eresia fece in modo che, nei tribunali inquisitoriali, si potesse castigarla nei limiti del diritto canonico, che prevedeva, in una causa "cor retta'', il perdono dei penti ti in cambio dell'abiura lieve o veemente alla pri ma imputazione (la morte era riservata agli osrinati e ai ricaduri: i relapsi). Quel che è certo è che dalla fine del Trecento la predicazione degli ordi ni mendicanti (i frati minori e i domenicani, a cui fu affidato dai pontefici l' ojficium inquisitionis) acuì le angosce nei riguardi di demoni e streghe. Frate minore fu san Bernardino da Siena (1380-1444), che invitò a cac ciare le lamiae dalle città italiane. Frate domenicano fu Johannes Nider (1 38o/8s-1438), che nel dialogo Formicarius (ca. 1435-38) scrisse che le streghe che si recavano al sabba non erano le stesse di cui parlava il Canon Episcopi. Domenicano fu anche l'aurore del Malleus maleficarum (Il mar tello contro le streghe, 1 4 8 6 ) : si trattava di Heintich Kramer (ca. 1 430-I SOS). che, per elaborare la sua misogina teoria della stregoneria (in cui non si parlava di sabba, ma soprattutto di malefici e di abusi femminili di pra tiche mediche e riti), si avvalse dell'aiuto del confratello Jacob Sprenger (Broedel, 2.003; cfr. anche supra, il contriburo di ]. Spinks, alle pp. 79-97, e, infra, quello di M. Duni, alle pp. 2.03-2.1 ). I due inquisitori, in anni in cui
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si costituì un network di inquisitori dal Nord al Sud dell' Europa (Herzig, w o 8 ) , aprirono molti processi e ispirarono la bolla Summis desiderantes affictibus con cui Innocenza V I I I nel 1 484 avallò l' idea che una nuova set ta di streghe (ignota ai tempi del Canon Episcopi) avesse invaso il mondo mettendo in pericolo i fedeli e meritando la pena dei roghi. Il sabba era la contro messa delle streghe, con tanto di riti, orge, dileggio di ostie, bacio dell'ano satanico, voli notturni, olii magici e metamorfosi. l processi per stregoneria e per sabba (che presero forma nella Fran cia del Sud, in Germania, in Svizzera, in Austria) conobbero da allora un aumento vertiginoso, anche per effetto della concorrenza tra tribunali ec clesiastici e civili. E continuò a fervere il dibattito teologico e giuridico tra quanti accettavano le nuove tesi (realtà del volo e del culto sabbatico) e quanti prendevano cautamente o nettamente le distanze dal panico sca tenato da alcuni giudici. Si trattò di umanisti come Erasmo ( 1 4 6 6 - I s 3 6 ) , di giuristi come Andrea Alciato (1492- I S S O ) e Giovan Francesco Ponzini bio (aurore, intorno al 1 5 20, di un Tractatus de lamiis et excellentia utrius
que iuris, Trattato sulle streghe e l'eccellenza del diritto civile e canonico); di filosofi come Cornelio Agrippa di Nettesheim. Ma non mancarono di dividersi neppure i teologi. I domenicani inquisitori Silvestro Mazzolini (1456/ s7- I S23), Bartolomeo Spina (1475- 1 S 4 6 ) , Bernardo Rategno (ca. I4SO- I 5 I O ) si schierarono sul fronte della realtà del volo. Il primo stilò i De strigimagarum demonumque mirandis libri tres ( Tre libri sui prodigi delle streghe e dei demoni, 1 5 2 1 ) ; il secondo la Quaestio de strigibus, 1 5 23, a cui fe cero seguito le Apologiae in Ponzinibium de lamiis; il terzo la Lucerna in quisitorum e un Tractatus de strigiis, di inizio Cinquecento. Tommaso De Vio ( il colto cardinale Gaetano), in polemica con i suoi confratelli, reagì sul piano dottrinale sulla base della Summa di Tommaso di cui commentò i passi. Il sabba creduto in imaginatione era spesso frutto di patologie e dell' illusione di donne anziane deboli di cervello ; e lo dimostrava l'espe rienza di giudici che avevano rinchiuso le inquisite che testimoniavano di voli mai avvenuti o evocati in sogno, forse per effetto di allucinogeni. Deo permittente, il volo poteva dunque verificarsi etiam corpora/iter, ma rarissime; e la Chiesa, più che perseguire la presenza al sabba, ipotetica o indimostrabile, doveva occuparsi di superstizione e sortilegi, che avevano risvolti ereticali anche in assenza del patto esplicito con i diavoli per la sua invocatio tacita. Accipe dieta theologice, si schermì il Gaetano : non intendo discutere di competenze dei tribunali (commenti alla Secunda secundae, q. 9 5 , 1' ed. 1 5 1 8 ) . Tuttavia a parlare era un influente generale dei domeni-
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cani, il cui commento divenne poi un testo "ufficiale" per l ' interpretazio ne dell'Aquinate. Ma furono anche la rinascita dell'averroismo e il naturalismo aristote lico rinascimentali ad assestare un colpo alla credenza in quello che è stato definito (Levack, 1993) il « concetto cumulativo di stregoneria» (malefi cio, eresia, riti del sabba). Mentre il partito protestante avrebbe attacca to la pretesa cattolica di vincere i sortilegi con l'efficacia degli esorcismi, bollati come vestigia di superstizione, nel De incantationibus ( 1 520), che ebbe grande circolazione manoscritta prima di essere stampato nel 1 5 5 6 (finì subito all' Indice), Pietro Pomponazzi pose l'accento s u l fatto che il sistema di spiriti cristiano era inconciliabile con la metafisica e con la fisica di Aristotele. Criticando la credenza nelle malattie diaboliche, egli interpretò convulsioni, morbi e miracoli detti soprannaturali ricorrendo all' ipotesi "fisica" per cui gli astri potevano condizionare la salute. La tesi suscitò vivaci reazioni perché metteva in dubbio la collaborazione uma na nei reati satanici e negava il potere terapeutico degli esorcisti, al punto che l'efficacia degli scongiuri, agli occhi degli avversari, divenne la prova della realtà delle opere demoniache, dell ' immortalità dell 'anima e della resurrezione dei corpi. Questo spiega perché nell' Italia del Cinque e del primo Seicento, sulla scia di Mazzolini, fiorì un'ampia letteratura per esor cisti, che assolse al compito, nel Nord Europa rivestito dalla produzione di trattati teologici e giuridici, di rinfocolare, dalla fine del XYI secolo in poi, la paura verso i demoni e le streghe, con effetti penali nefasti. Basti citarne uno: le sevizie che scaturivano dalla ricerca del marchio diabolico, che secondo alcuni demonologi veniva impresso dai diavoli sul corpo dei loro adepti.
I roghi italiani e le precoci scelte del! ' Inquisizione spagnola
La diffusione della demonologia nel Quattrocento e nei primi anni del secolo non era tuttavia rimasta senza effetto neppure in Italia. Val d'Aosta, Piemonte, Lombardia e gran parte dell'arco alpino videro accen dersi diversi roghi, anche collettivi, soprattutto tra il 1480 e il 1 5 20. Il ruolo giocato dall' Inquisizione non fu affatto marginale, anche se i suoi giudici agirono in conflitto o in collaborazione con i magistrati feudali, civili e diocesani (cfr. per esempio il caso di Riffredo e Gambasca, 1495, in Merlo, XYI
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2006). Il paradigma del sabba fece vittime anche al di sotto delle Alpi, e in particolare a Mirandola, dove il filosofo Gianfrancesco Pico (1469-1533), signore del luogo, incoraggiò Girolamo Armellini, inquisirore di Reggio e Parma, a dare inizio a una caccia contro più di sessanta sospetti ( 1 5 2225). Ne sortÌ l'esecuzione di sette srreghe e srregoni; rre donne fuggire di prigione furono giustiziare. Per rispondere alle cririche contro le violenze di Mirandola, Pico srilò il dialogo dal rirolo Strix, sive de ludifìcatione dae monum (La strega, o delle illusioni dei demoni, 1 5 23, rradorro in volgare dall' inquisitore di Bologna Leandro Alberti; cfr. Biondi, 2008). Ma quel caso non fu l'unico che vide una collaborazione rra l'élite polirica e culru rale della penisola e i giudici dell' Inquisizione. Sempre all' inizio del XYI secolo si verificò una delle più rragiche campagne contro le srreghe che la sroria iraliana regisrri: quella della Valcamonica, nella Serenissima ( 1 5 1 8 ) . I l vescovo di Brescia e u n viceinquisirore processarono 1 5 0 persone circa, mandandone al rogo una settantina (due rerzi erano donne) . Le condanne finirono per suscitare le reazioni del Consiglio dei Dieci di Venezia, che ordinò di bloccare i processi per far luce sul caso e non rollerò le inge renze dei rribunali ecclesiastici. Leone x intervenne a difesa dei giudici, ma la Repubblica reagì con fermezza. E quando anche i suoi magisrrari si dissero convinti della realrà delle imputazioni, chiuse d' imperio l'affare senza asperrare il parere di Roma (Del Col, 200 6 ) . Qualche rempo dopo, Modesro Scrofeo intraprese una spierara caccia a Sondrio, nella Valrellina. Nel 1 5 23, in un breve arco di rempo, il frare processò circa 35 persone, di cui almeno serre finirono al rogo (Giorgerra, 2007) (Scrofeo se ne arrribuì di più, ma si ha prova che i numeri di condanne di cui gli inquisitori si vantava no e che sono riportare nelle fonti più antiche sono al re rare). Tra la fine del Quarrrocento e gli inizi del Cinquecento, documenti arrendibili registrano roghi anche a Modena, a Como, in Val di Fiemme, in Piemonte e persino nel Lazio. Sono condanne che resero celebri (o famigerati) frari che vesrirono l'abiro di inquisirori, come Domenico da Gargnano, Biagio Berra, Loren zo Soleri (Tavuzzi, 2007, pp. 252-8). Seguì una fase di ripensamento in cui presero voce giurisri e reologi scettici riguardo al sabba. Una fase favorira dali'avvento della Riforma e dali' urgenza delle questioni religiose. Anche la penisola iberica rirenne più pericolose alrre caregorie di ere rici (vi ebbe scarso impatto la demonologia, che produsse pochi resri di rilievo). Si rrarrava degli ebrei battezzati a forza o spontaneamente passari al cristianesimo, che presero il nome di conversos. Di loro, come più rardi dei moriscos (gli arabi che erano rimasri sul suolo iberico dopo la reconqui-
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sta), s i prese a dubitare sostenendo che di nascosto praticassero l a fede dei loro padri apostatando. Le politiche di assimilazione sperimentate sulle minoranze religiose si voltarono, nel corso del Trecento e Quattrocento, nel brutale attacco a ogni forma di supposta o reale contaminazione del cristianesimo crociato iberico. Si trattava di risentimento sociale, di un an tico odio ami-giudaico di matrice religiosa, a cui si associò uno spiccato rifiuto "emico" verso chiunque non potesse dimostrare di derivare da una vecchia famiglia castigliana e cattolica con sangue puro (limpio ) Per que sto nel 1 47 8 i re di Castiglia e di Aragona, Isabella e Ferdinando, ottennero da Sisto IV la fondazione di un tribunale dell' Inquisizione alle dipendenze della monarchia che si organizzò verticisticameme, istituendo distretti sul suolo spagnolo e, più tardi, nel Nuovo Mondo. Nei primi quarant'anni di vita, la nuova macchina giudiziaria scatenò i propri effetti soprattutto con tro i conversos, ma più tardi si trattò di affrontare le derive mistiche degli alumbrados, l'eresia che veniva dal Nord, la superstizione e la stregoneria. Nel IS2S nella Navarra dei Pirenei fu intrapresa una campagna che co strinse l' Inquisizione a occuparsi di un'ondata di panico che individuò centinaia di bersagli. Nel 1 s 2 6 unajunta di teologi e giuristi, riunita a Gra nada, fu chiamata a pronunciarsi sulle carte giunte sul tavolo del Consiglio dell ' Inquisizione (la Suprema), ma il dibattito si orientò, pur con molte sfumature e contrasti, in direzione di una posizione scettica. Non si negò che il sabba potesse verificarsi, ma si ritenne che la pena di morte non fos se la soluzione adeguata per la superstizione e che i vertici dovessero dire l'ultima parola sulle sentenze locali dopo un resoconto. Inoltre, se un im putato dichiarava di aver visto qualcuno al sabba, la chiamata di correità doveva destare sospetto per la capacità del demonio di indurre al falso e di illudere i sensi. Si volle pertanto interrompere il meccanismo che portava a moltiplicare le accuse e si prescrisse di accertare che streghe e stregoni si fossero mossi realmente dai loro letti incontro al demonio, anche quando lo dicessero spontaneamente (Momer, 1 9 9 0, p. 261; cfr. infra, nel contri buto di M. Duni, le pp. 219-20 ) . Le istruzioni di Granada segnarono una svolta e una linea giudiziaria da cui i vertici del tribunale non si sarebbe ro discostati, nonostante l'apertura di altri processi. Un nuovo episodio di panico si ebbe nel IS49 in Catalogna, scatenato dall' inquisitore Diego Sarmiemo, che si rese responsabile di una serie di morti, a dispetto dei tentativi dei vertici del tribunale di interrompere le violenze. Nel 1 s76-77 il panico interessò ancora una volta la Navarra, dove agirono anche i tribu nali civili (furono cinque i morti in carcere). Le ricerche, allo stato attuale, .
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dimostrerebbero che in Castiglia il controllo della Suprema sui processi locali sia stato piuttosto efficace (i giudici combatterono soprattutto la superstizione e i sortilegi), mentre nei regni di Aragona la storia fu più complicata (Gari Lacruz, 1 9 9 1 ; Tausier Carlés, 2.ooo ) e non mancarono abusi e conflitti su come perseguire la stregoneria e il maleficio. Nel Nuovo Mondo la paura del diavolo si intrecciò sempre di più con la !orta all' idola tria e con la demonizzazione dei culti degli indios (Cervantes, 1997 ). Una traiettoria scettica prese anche l' Inquisizione portoghese dopo la definitiva fondazione (1 s47). Modellato in modo centralisrico e per di stretti come il gemello spagnolo, introdotto anche a Goa e operante negli insediamenti coloniali di Africa e Brasile, il tribunale ebbe per principale obiettivo gli ebrei convertiti e, come dimostrano le ricerche recenti, fece del Portogallo moderno un paese senza caccia alle streghe, anche se l'obiet tivo di educare i fedeli combattendo la superstizione porrò all'apertura di cause per sortilegio (Paiva, 1 9 9 7 ). Esempio rilevante della percezione del diabolismo in Portogallo è forse il trattato di Manuel de Vale de Moura, De incantationibus seu ensalrnis ( 1 6 2.0 ) . Ma non mancano adesso ricerche sul mondo coloniale che promettono di arricchire le narrazioni eurocen rriche (Souza de Mello, 1993).
L a svolta dell' Inquisizione romana e i suoi limiti
Occupata a contrastare la diffusione della Riforma in lralia e l'eresia val desiana che aveva "inferraro" i vertici della Chiesa, l' Inquisizione romana non ebbe né tempo, né intenzione di occuparsi di streghe e malefici fino agli anni settanta del Cinquecento. Il tribunale si era organizzato e conta va adesso su un vertice (la Congregazione dei cardinali del Sant' Uffizio) e su una rete di stabili uffici locali impiantati nella penisola, dove i giudici della fede dovevano contare sull 'ausilio del potere civile per rendere effet tivi i procedimenti grazie al "braccio secolare". Ma un processo aperto a Bologna dalla Curia diocesana nel I S S 9 (e conclusosi con quattro condan ne a morte, autorizzate dai cardinali, contro donne non relapse e per di più pentire) costrinse Roma a interrogarsi per la prima volta dopo il IS42. sui reati diabolici (Dall' Olio, 2.0 0 1 ) . In quell 'occasione prevalse la linea dura, ma Pietro Belo, un membro della Congregazione, stilò un consulto che, pur con molte ambiguità, testimonia il cauto scetticismo di una parre del senato del Sacro Tribunale circa la realtà del sabba: uno scetticismo che si
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fondava sulle pagine del Gaetano. A quella data l' Inquisizione spagnola aveva emanato i provvedimenti di Granada e forse i cardinali ne erano a conoscenza. Fu tra la fine degli anni Sessanta e gli anni Settanta che nei pochi manuali circolanti in Italia a uso degli inquisitori il tema cominciò a essere discusso (Romeo, 1990 ) . Camillo Campeggi (m. 1 5 6 9 ) , giudice della fede a Mantova, editando e chiosando un antico trattato, si richiamò anch'egli a De Vio. Scettico sul sabba, il frate suggerì che i colpevoli di sor tilegio fossero giudicati come eretici, e ciò comportava che non si potesse mandarli a morte primo lapsu e che per punire i malefici e la superstizione era competente il giudice ecclesiastico. La svolta vera e propria, tuttavia, maturò negli anni ottanta, quando le cause di sortilegio sostituirono quel le di eresia come principale attività del tribunale. Decisivo nel determinare i nuovi indirizzi fu il ruolo del cardinale di Santa Severina, Giulio Anto nio Santoro ( 1 5 3 2.- 1 6 0 2. ) , segretario della Congregazione. Intenzionato a sradicare le superstizioni senza cadere in eccessi e rafforzando il controllo centrale, Santoro fece approvare dal Sant' Uffizio un decreto che vietò di dare credito alla chiamata di correo nelle imputazioni per sabba ( 1 5 8 8 ) e notificò agli uffici che si esigeva il vaglio del corpus delicti nelle accuse per maleficio. Inoltre la pena di morte non poteva essere comminata senza che Roma ne fosse informata e la tortura andava applicata con estrema cautela (Tedeschi, 1997 ). Alla moderazione (favorita dal ricorso massiccio alla spontanea com parizione dei pentiti incoraggiati dai confessori; da alcune garanzie di di fesa prescritte dal tribunale ; dal divieto di confiscare i beni e di accertare la presenza del marchio diabolico, nonché di ricorrere durante gli inter rogatori a domande "suggestive") si accompagnò l'estensione delle com petenze. Nel 1 5 8 6, con la lettera apostolica Coeli et terrae, mirata a raffor zare la repressione dell'astrologia, della magia colta e della necromanzia (Ernst, 1 9 9 1 ) , Sisto v sancì la fine di ogni distinzione tra sortilegi ereticali e semplici e il passaggio sotto la competenza inquisitoriale di delitti prima riservati al foro vescovile (i sortilegi semplici) o a quello civile (i malefici senza "sapore" di eresia, con danni materiali). Tuttavia, se lo svuotamento di competenze dei tribunali diocesani in materia di streghe e superstizioni avvenne senza contrasti, altra traiettoria ebbe il rapporto con le diverse magistrature civili operanti nella penisola. La svolta romana del resto ma turò in un arco di tempo in cui la caccia alle streghe produsse morti (e non pochi) anche in Italia. Gli esorcisti (sulla scia di Girolamo Menghi ( 1 5 2.9-1609 ), autore di manuali per gli scongiuri destinati ad avere ampia e
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duratura fortuna in tutta Europa) istruivano i posseduti a indicare i respon sabili delle loro agitazioni; attribuivano le malattie inguaribili ai malefici; divulgavano la demonologia con l' intento di promuovere una vasta campa gna giudiziaria, con il favore di medici che, accantonando il consueto scet ticismo ippocratico-galenico verso i morbi "soprannaturali", si mostravano ben disposti ad affermare che il fallimento delle cure ufficiali era prova di maleficio - lo testimoniano gli scritti di Andrea Cesalpino (1S 24h.S- 1 6 o 3 ) e Giovanni Battista Codronchi (1S47-1628) a fine Cinquecento. L a conse guenza fu che i casi di possessione demoniaca collettiva si moltiplicarono, e come nel resto d' Europa portarono ad accuse di maleficio, specie all' inter no dei conventi femminili (Sluhovsky, 2002), dove però il panico fu scorag giato da paternalistici e severi interventi. Membri del clero e delle magistra ture civili, nonché alcuni giudici della fede, volevano procedere con mano dura contro i reati denunciati dai comuni fedeli o più spesso dai notabili e dagli esorcisti. E !ungi dal mancare i loro obiettivi, in alcune circostanze il clero e i magistrati più zelanti inflissero pene capitali o sevizie senza che Roma bloccasse gli abusi e ne punisse i responsabili. Ciò provocò una serie di episodi con esito cruento che interessarono soprattutto le aree del Centro-Nord. Uno dei casi più noti è quello di Trio ra, nella Repubblica di Genova: nel I S 8 7, una grave carestia fu attribuita al maleficio e due giudici individuarono come capro espiatorio duecento persone, facendo perdere la vita a una donna. La comunità decise allora di rivolgersi a Genova, che delegò un giudice, il quale si fece consegnare tredici donne e un uomo, e li carcerò. L' inchiesta si allargò ai borghi vicini a Triora, provocò la morte di un'altra donna e la condanna alla pena capi tale di cinque presunte infanticide. La Rota Criminale di Genova finì per confermare tre condanne, ne aggiunse una e fece proseguire la causa. Morì allora una terza donna, ma l' inquisitore locale pretese di gestire i processi ( 1 s 8 8 ) e inviò le carte della causa a Roma, dove i cardinali sconfessaro no le accuse, criticarono le procedure adottate e posero termine all'affare, che aveva provocato la morte di altre cinque donne. Santoro stigmatizzò i giudici civili per la crudeltà, ma fece proseguire le indagini per il reato di eresia ( Romeo, wo8a; Rosi, 1 8 9 8 ) . P i ù controverso fu i l caso dei processi aperti nella Val Mesolcina dal cardinale Carlo Borromeo, che esemplifica come lo zelo controriformisti co potesse volgersi in violenza. L'arcivescovo di Milano intese sradicare le superstizioni e combattere le streghe, ma incontrò l'ostilità di una parte del Sant' Uffizio. Durante una visita pastorale egli aprì un processo contro
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un gruppo di streghe e di stregoni che avrebbe potuto portare a una serie di roghi ( 1 S 6 9-70). Il governo milanese reagì e difese la propria giuris dizione in materia di malefici; Roma, sollecitata a pronunciarsi, scrisse che i danni materiali non erano provati. Borromeo, tuttavia, persistette nella volontà di giungere alla condanna a morte primo !apsu di cinque in quisite. La vicenda - che provocò due morti - non ebbe seguito, ma anni dopo il cardinale, sempre nella Mesolcina, fece processare 9 1 persone, delle quali 3 2 furono dichiarare colpevoli e sette furono mandare al rogo (1s83). Fu inoltre lo stesso Borromeo a delegare come giudice l'arciprete Gian Pietro Sroppani, che più tardi nelle valli comasche si rese responsa bile di un ampio numero di condanne a morte ( 1 S 8 9-97): se ne sarebbe vantato con il Sant'Uffizio e con la Curia milanese, chiedendo compensi. L'uomo, che appare, da quanto sappiamo, come il più cruento cacciatore di streghe dell' Italia moderna, sostenne di agire su mandato di Roma; e se i cardinali provarono a fermare le sue prodezze senza invesrirlo di incari chi ufficiali, non lo fecero né con fermezza né con convinzione, e non ne punirono gli abusi (Romeo, w o S a, pp. 324- 6 ) .
Un ' istruzione e l a controversia con i magistrati secolari
Negli anni novanta del Cinquecento si colloca un rerzo episodio di caccia alle streghe: quello di Bitonto, in Puglia. Lo scenario non è più il Nord e protagoniste furono le autorità diocesane (nel Vicereame di Napoli il Sant' Uffizio romano, per non irritare la Spagna, si serviva dei vescovi senza delegare giudici). Nel 1592 le convulsioni di alcune indemoniate furono sfruttate da un arcidiacono e poi dal vescovo per aprire una serie di proces si, con ranto di morti, in cui ebbe un peso rilevante l'opera di una schiera di esorcisri. lnformari degli abusi da un ecclesiastico, nel 1594 i cardinali in viarono a Bitonto Giulio Monterenzi, fiscale del Sant ' Uffizio. Questi fece arrestare gli arditori dell' inchiesta e impose che si presentassero a Roma. La Congregazione, non senza lacerazioni, si persuase che i responsabili avessero agiro al di fuori delle regole: la tortura era srara inflitta senza indi zi sufficienti, non erano stati garantiti né il diritto di appello, né la difesa, e si era creduto alle parole dei diavoli. Il vescovo e i suoi collaboratori furo no sospesi dai loro uffici, mentre le "streghe" vennero riabilitare (Decker, 2003; Romeo, w o 8a). In tale circostanza (tra il I S94 e il 1 6 o s ) fu stilata
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da Monterenzi una guida per i processi che, secondo un'ipotesi recente ( Decker, 2003 ) , corrisponde alla lnstructio pro jòrmandis processibus in
causis strigum, sortilegiorum et malifìciorum (Direttive per istruire pro cessi in casi di streghe, sortilegi e malifìzi) . Riformulato venti anni dopo da Desiderio Scaglia ( I S 67- 1 63 9 ) . a cui ne fu attribuita la paternità nel Seicento ( Tedeschi, 1 9 9 7 ) , il documento precederebbe un'analoga istru zione approvata dai vertici dell' Inquisizione spagnola dopo lo scoppio di un "panico da streghe" che nei Paesi Baschi provocò una serie di morti e rischiò di portare al rogo centinaia di stregoni e streghe prima che uno scettico emissario di Madrid, Alonso de Salazar Frias, chiudesse l'episodio ( 1 6 09-14; cfr. Henningsen, 1 9 9 0 ) . In ogni caso, come il vademecum spagnolo, l' lnstructio - scritta in la tino, circolata manoscritta in Italia e oltralpe, e poi edita parzialmente in volgare da Eliseo Masini nel 1 6 25, nel Sacro arsenale, e più tardi in latino come testo a sé o nel corpo di altre opere - suggeriva ai giudici cui era destinata - e cui fu spedita in occasione di casi eclatanti di stregoneria, senza sistematicità - la moderazione nell'applicare la tortura, e imponeva di evitare gli interrogatori suggestivi, di non prendere in considerazione la chiamata di correo nelle imputazioni per sabba, di non accanirsi nella ricerca di "strumenti maleficiali" e del marchio, di non credere alle parole di diavoli che parlavano per bocca degli ossessi indicando i colpevoli, di sorvegliare gli esorcisti e di accertare il corpus delicti del maleficio consul tando medici e periti. Difficile sottovalutarne il rilievo, anche se non si tratta di un testo proposto come linea "ufficiale" di Roma. Se la caccia non fu incoraggiata dalla sede apostolica negli anni in cui i roghi si moltiplica vano in Europa, il merito è anche di quei consigli che Roma fece fatica a rendere pubblici fuori d' Italia; e tale linea non mancò di essere criticata da chi voleva agire con mano ben più pesante. Dopo gli anni novanta del Cinquecento i conflitti si aprirono soprat tutto con le magistrature civili, che rivendicavano il diritto a punire i ma lefici e contestavano non solo la nuova "dottrinà: che dava al Sant'Uffizio l'esclusiva competenza sui crimini diabolici, ma la lentezza delle procedure del tribunale e la riluttanza di Roma ad autorizzare i roghi. L'impennata di episodi con esito cruento che si registra in Italia in quell'arco di tempo nel vivo di contrasti giurisdizionali si spiega anche come un atto di forza dei tribunali civili, che volevano costringere Roma a inasprire le pene per venire incontro a una presunta domanda di giustizia. Vi fu inoltre una battaglia di scritture sui termini della disposizione sistina. Il più netto
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oppositore della giurisdizione del Sant'Uffizio sui sortilegi e i malefici fu Paolo Sarpi ( 1552-1 623), che però prese le distanze da quanti invocavano i roghi. Vicino alle tesi scettiche di Johann Wier ( 1 5 1 5-1)88), nel discorso Sopra l'ojficio dell'Inquisizione ( 1 6 1 3 ) , distribuito ai magistrati di Vene zia, egli contestò l' « usurpazione» dei papi a danno del foro civile, ma suggerì cautela nell'elargire pene gravi per delitti forse compiuti da donne « deboli di cervello, che hanno più bisogno d'esser instruite ed insegnate dal confessore che castigate dal giudice » . Egli poi accennò al fatto che l'ansia di inasprire la giustizia era nel!' aria: il Senato veneziano riteneva de pene ecclesiatiche non [ ... ] sufficiente castigo » (Scritti giurisdizionali stici, pp. 1 24-5, 1 67-70; cfr. Martin, 1989). E di questo si discusse all ' inizio del Seicento: si poteva applicare subito la pena di morte per punire i ma lefici ? Si poteva ammettere un'eccezione ai canoni che imponevano per "misericordia" di perdonare la prima volta ? Nel 1 6 23 Roma rese pubblica la bolla Omnipotentis Dei che dichiarava lecita la condanna a morte delle streghe etiam primo lapsu. Arduo spiegare perché il papato abbia emanato un provvedimento che contraddiceva lo "stile" adottato dal Sant' Uffizio (Lavenia, 2010b; Romeo, 20o8a; Tedeschi, 1997). A non volere chiamare in causa contrasti tra i cardinali e il pontefice, forse Gregorio xv preferì mettere a tacere le proteste dei poteri civili contro l'accresciuta giurisdi zione inquisitoriale. Tuttavia la disposizione non prevedeva interferenze nei processi del Sant' Uffizio, sicché non intaccava la consuetudine instau ratasi, per non dire che la durezza fu più enunciata che realmente applica ta. All' Inquisizione spettava l'onere di accertare i reati; al braccio secolare competeva di eliminare i pochi imputati destinati al rogo. Eppure, al di là delle intenzioni, la bolla sortì l'effetto di un rialzo del la recrudescenza antistregonesca. E se per l' Inquisizione romana restò difficile il controllo degli apparati giudiziari nelle terre di frontiera delle Alpi, che videro nel Seicento decine di roghi per mano di vescovi e giudici secolari, alcune morti si registrano anche in Lombardia e nel Piemonte sabaudo, senza contare che tentativi di attivare persecuzioni si ebbero in Toscana (1 625) e nei ducati padani (nonché in terraferma veneta) . Nello Stato pontificio fu relativamente immune dalla paura delle streghe l'area delle attuali Marche ; altra storia si ebbe invece in Lazio, dove, complice una giustizia feudale dai metodi spicci, vi furono tentativi di attivare una caccia nella seconda metà del Cinquecento, con un grave caso a Velletri nel 1 5 8 9 (due roghi e uso del tormento dell'acqua, invece dei consueti squassi di corda). L'episodio suggerisce che la Congregazione, dove non aveva da
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temere ingerenze del potere civile, agiva con durezza, venendo incontro alla domanda di sicurezza, forse per compiacere i potenti che avevano pro tezione in Curia. Un caso a sé è quello dei benandanti friulani, portato alla luce grazie alle carte del! ' Inquisizione di Udine ( Ginzburg, 2002 ). Si trat tava di uomini e donne che, evocando miti sciamanici, in virtù del potere di comunicare con i morti e del fatto di essere nati avvolti nella placenta, pensavano di essere destinati a difendere i raccolti dagli spiriti maligni ingaggiando battaglie notturne con mazze di finocchio contro streghe e stregoni. I benandanti inoltre ritenevano di sapere curare le fatture e ri conoscere i colpevoli di maleficio. Il primo processo contro di loro si ebbe nel I S7S· l'ultimo alla metà del Seicento. Nel corso di una discontinua cam pagna giudiziaria, che non registra grandi violenze, il tribunale finì per assimilare le loro battaglie ctonie al volo sabbatico, e la loro missione a un mero reato demoniaco. Quanto al Sud Italia, il caso di Bitonto fu un'eccezione. I vescovi con tinuarono la lotta contro le superstizioni alle prese con un clero che ricor reva ai sortilegi e con laici che abusavano di res sacrae quasi senza aprire cause per stregoneria, grazie alla scarsa diffusione del mito del sabba ( Gen tilcore, 2003). Quel mito al contrario continuò a essere attestato in Sicilia, dipendente come la Sardegna dalla Suprema spagnola (con donne diJòra si indicavano le "streghe" in contatto con il regno dei morti che sapevano sconfiggere i mali; la loro persecuzione è attestata dal 1 5 8 8 ) . Fino all'abo lizione del tribunale siciliano (1782), le condanne a morte furono due per stregoneria e circa dieci per delitti di magia (Messana, 2007 ). Se la caccia alle streghe vera e propria rimase un'eccezione, in età mo derna il paesaggio italiano (come quello spagnolo e lusitano) fu popolato di accuse di maleficio sia in contesti urbani sia in ambito rurale (Bever, 2008; per Siena e il contado, cfr. Di Simplicio, 2005), nonché di rituali esorcistici che culminavano nella ricerca di prove del demonio davanti a malattie inguaribili, morti di bambini, difficoltà sessuali maschili, inna moramenti accecanti. Si cercavano gli strumenti maleficiali nei materassi, nelle cucine, sotto le porte ; si accusavano donne sole (vedove, guaritrici, balie, mendicanti) ; si cercava di attivare un tribunale riluttante a proce dere senza indizi certi e in assenza di un corpus delicti, che anche i medici dovevano accertare (ma i consulti, quando sopravvivono, dimostrano che i dotti credevano ai malefici non meno dei ceti subalterni). Tale riluttan za, negli anni trenta del Seicento, è testimoniata dalle Prattiche stilate da Desiderio e da Deodato Scaglia che suggerivano ai giudici e ai prelati di
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non credere al sabba, di distinguere i morbi diabolici dalle malattie me lancoliche, di essere cauti con quanto riferivano gli esorcisti : « si ricerca in giudicio la fede del medico, che quell' infermità non sia naturale, o almeno ne dubiti, e anca la fede d'un esperto essorcista, perché molti ve ne sono che ogn ' infermità giudicano per malefìtii >> ( ci t. in Tedeschi, 1 9 9 7 ) Vi era poi il versante del controllo delle cure "superstiziose": alla stregua dei pro tomedicati, l' Inquisizione punì il ricorso ai medici popolari, agli stregoni e alle medichesse ; e talvolta persino agli esorcisti che davano farmaci per bocca. In più nelle cause di sortilegio si ritenne grave l'abuso di res sacrae perché il monopolio del clero sui riti di rassicurazione non doveva avere concorrenti. Merita di essere sottolineata, infine, la volontà di non favorire la circolazione dei testi demonologici, che spiega la mancanza di edizioni italiane del Malleus nel XVI I secolo e gli interventi censori delle Congre gazioni papali ( Valente, 1 9 9 9 ) .
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Fonti di riferimento SARPI PAOLO,
Scritti giurisdizionalistici, a cura di G. Gambarin, Laterza, Bari 1958.
I dubbi sulle streghe di Matteo D uni
Utrum asserere malefìcos esse si t adeo catholicum, quod eius oppositum percinaciter defendere omnino sit hereticum ( « S i dimostra che affermare che gli stregoni esistono è una proposizione così carcolica, che sostenere ostinatamente il contrario è del tutto eretico>> ). Kramer, Sprenger, Ma!leus maleficarum, 2.006, I, p. 2.17
Il titolo della prima quaestio del più famoso manuale per cacciatori di streghe, Malleus maleficarum (Martello contro le streghe, 1 4 8 6 ) , mette in evidenza un fatto che solo le ricerche degli ulrimi vent 'anni hanno ri portato in piena luce: ossia che la teoria secondo la quale le streghe po tevano stringere un patto personale col diavolo, volare al sabba e unirsi sessualmente con i demoni, non si affermò rapidamente e senza sforzo, ma, al contrario, fu accolta da una resistenza ostinata e da tenaci obie zioni, che a loro volra suscitarono le repliche ostili di fautori della caccia alle streghe come Heinrich Kramer ( ca. 1 430- I S O S ) . l 'aurore del Malleus maleficarum ( Clark, 1 9 9 7 ; Duni, 2.oo6b, 2.008; Stephens, 2.002. ) . Il mio contributo metterà a fuoco i contorni di questo lungo dibattito nei suoi primi due secoli - dal 1400 al 1 6 o o - concentrandosi sul gruppo nume roso ed eterogeneo degli oppositori della caccia, definibili come scetti ci o increduli. Giuristi, medici, astrologi, letterati e filosofi si trovarono a fronteggiare teologi e inquisitori in una polemica che fu occasione di comunicazione e di scambio tra i vari campi del sapere rinascimentale e assunse una portata e una complessità notevolissime. Se è ben vero che ciò non bastò a far cessare processi e roghi, è però evidente che dal confronto quattrocentesco e cinquecentesco tra oppositori e sostenitori della cac cia alle streghe emersero gradualmente dapprima quelle norme di cautela che informarono l'atteggiamento di alcuni dei maggiori tribunali euro pei, come l' Inquisizione romana, fin dai decenni finali del XVI secolo, e poi quell ' interpretazione in chiave naturalistica della stregoneria, e la sua conseguente depenalizzazione, che si affermarono pienamente soltanto a partire dalla metà del Seicento.
I YINCOLI DELLA NATURA I caratteri originari dello scetticismo
La fonre originaria e principale di molti dubbi riguardanti la realtà del cri mine delle streghe fu il cosiddetto Canon Episcopi, un testo giuridico risa lente al x secolo, in cui si mettevano in guardia vescovi e clero dalle visioni di quelle donne del volgo (mulierculae) le quali, soggiogare dal diavolo per la loro mancanza di fede, credevano di cavalcare di notte su certe bestie per lunghi tratti al seguito della dea Diana e di essere al suo servizio (Ab biati, Lazzati, Agnoletto, 1 9 84, pp. 21-6; Osrorero, 2010; cfr. anche, supra, il contributo di V. Lavenia, alle pp. 1 8 5-20 1 ) . Si tratta in realtà soltanto di immagini illusorie, scrive l'aurore del Canon Episcopi, che il demonio ha il potere di suscitare nella mente di coloro che si sono a lui sottomessi. Inserito nel cosiddetto Decretum (ca. 1 1 40), diffusissima e autorevole compilazione di norme di diritto canonico, il Canon Episcopi divenne un riferimento indispensabile per quei teologi e inquisitori che, agli inizi del Quattrocento, cercavano di definire i contorni della nuova eresia stregonesca, ricomponendo in un quadro unitario una massa di informa zioni sparse tratte da processi, bolle papali, leggende popolari, raccolte di prediche e di testi penitenziali. In effetti le parole del canone, da un lato, permettevano l' interpretazione in chiave diabolica dei racconti di lunghe cavalcate aeree, di raduni in luoghi remoti, di ricchi banchetti e festini licenziosi, che emergevano dalle confessioni di eretici e fattuc chiere processati in quegli anni, ma, dall 'altro, imponevano di conside rare irreali tutte quelle esperienze in quanto frutto solo di visioni, sebbe ne certo indotte dal Maligno. L' influente teologo domenicano tedesco Johannes Nider ( 1 3 8 0/85-1438) rispecchia questo duplice atteggiamento descrivendo nel suo Formicarius (scritto verso il 1 4 3 5-38, pubblicato in torno al 1475) la credenza nel volo al seguito di Diana (o di Domina Venus) come esempio di sogno ingannatore tipico, suscitato dal diavolo per avviluppare nelle sue reti donne anziane e credule. D 'altro camo, egli ritiene che le streghe si radunino realmente e corporalmente insieme col diavolo, commettano misfatti orribili (dalla profanazione dei sacramen ti all ' infanricidio, al cannibalismo), e diventino così membri della setta diabolica. Insomma, Nider si mantiene in una posizione ambivalente, fornendo una delle prime descrizioni delle pratiche dei nuovi eretici e al tempo stesso mettendo in guardia dal pericolo di credere a tutto ciò che si dice di loro (Bailey, 2003; Osrorero, Paravicini Bagliani, Utz Tremp, Chène, 1 9 9 9 ) .
I DUBBI SULLE STREGHE
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Intorno alla metà del Quattrocento, tuttavia, cautele e distinguo ana loghi a quelli di Nider cominciano ad essere segnalati come frutto di leg gerezza e ignoranza, se non addirittura denunciati come connivenza con il demonio. L' inquisitore francese Nicolas Jacquier (m. 1472), anch'egli domenicano, fin dalle prime pagine del suo Flagellum haereticorumJàsci nariorum (Frusta per eretici incantatori, ca. 1458, pubblicato nel 1 5 8 1 ) at tacca non solo le streghe, ma soprattutto coloro che sostengono che i loro ritrovi con il diavolo siano soltanto immaginari. Vi sono molte persone (plerique), scrive, le quali sulla base del Canon Episcopi affermano che il sabba e tutto ciò che vi accadrebbe non sono reali, ma solo visioni e sogni. Argomentano altresì che è empio ed assurdo credere alla realtà dei malefici diabolici, in quanto ciò comporterebbe pensare che Dio abbia concesso al Maligno piena libertà di tormentare gli uomini, il che non può esse re. Infine, asseriscono che non si può prestar fede alle confessioni delle streghe, quando dicono di aver visto al sabba la tale o la tal altra persona, perché potrebbe essersi trattato di false immagini create dal diavolo per incolpare degli innocenti (Lea, 1 9 5 7, pp. 276-85; Ostorero, 2003). Nella lucida denuncia di Jacquier si delineano dunque tre ordini di obiezioni alla nuova demonologia: l ' interpretazione del volo e del sabba come espe rienza allucinatoria o onirica, a norma del Canon Episcopi; l'argomento teologico dell'amore di Dio verso l'umanità come prova dell' impossibili tà della stregoneria; le conseguenze giuridiche delle prime due obiezioni, ossia l' invalidità della testimonianza di una strega contro i suoi presunti complici, definita tecnicamente come "chiamata di correo".
Le prime polemiche: la fase quattrocentesca
Ma chi erano i nemici della caccia alle streghe ? Per quanto Jacquier sia molto vago e reticente a questo riguardo, non è difficile farsene un' idea se esaminiamo la Quaestio de lamiis seu strigibus (Qftestione sulle streghe, parte di un più ampio Tractatus de haeresi, ca. 1 4 6 8, pubblicato nel 1 5 8 I ) del giurista lodigiano Ambrogio Vignati, uno dei primissimi autori ita liani a scrivere di stregoneria (Duni, 2010d). Egli sostiene che le parole delle streghe ree confesse di partecipazione al sabba (societas sive cursus) sono totalmente inaffidabili, poiché costoro sono spesso preda di visioni e inganni diabolici. Nessun giudice, pertanto, può fondarsi solo sulle loro confessioni per decidere di interrogare sotto tortura quei complici che le
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streghe affermano di aver visto al sabba. Si trattava di un punto cruciale: la stregoneria era considerata crimen exceptum (cioè crimine di gravità ec cezionale) principalmente in quanto reato occulto, commesso mediante poteri invisibili, e quindi tale da poter essere provato solo sulla base del la confessione del reo o delle testimonianze dei suoi complici. Rigettare entrambe, come faceva Vignati, significava eliminare l'unica prova certa della realtà della stregoneria e soprattutto della sua natura di crimine col laborativo, organizzato e diretto dal diavolo in persona. Ne erano ben con sapevoli inquisitori come Jacquier, il quale non a caso aveva espressamente dedicato un capitolo del Flagellum a spiegare perché si dovesse credere alle accuse di una strega contro i suoi complici - una posizione diametralmen te opposta a quella di Vignati. Se dunque è possibile rintracciare un primo nucleo di antagonisti degli inquisitori nelle fila dei giuristi, non si può dire, tuttavia, che i due grup pi monopolizzassero il dibattito, né che il ventaglio dei problemi discussi si limitasse a questioni di diritto o di teologia. In effetti, le stesse opere favorevoli alla persecuzione delle streghe contengono riferimenti chiari ad obiezioni di tipo naturalistico : è questo il caso del primo libro sulla stregoneria stampato in terra italiana, Lamiarum sive striarum opusculum, del teologo domenicano Girolamo Visconti (m. 1 477 ca.), scritto entro la metà degli anni sessanta e pubblicato nel 1490 (Abbiati, Lazzati, Agnolet to, 1 9 84, pp. 8 6-99). L'aurore si prefigge di persuadere alcuni non vulga res homines dell'esistenza effettiva del sabba stregonesco (ludus): costoro sostengono invece che le esperienze delle donnette descritte dal Canon Episcopi non sarebbero altro che visioni mentali suscitate dall' "umore me lanconico': ossia dall'eccesso di bile nera che, secondo la domina medica ippocratico-galenica, era ritenuto causa di molti disturbi. Il domenicano milanese respinge quest'opinione come estremamente pericolosa perché, se così fosse, le streghe sarebbero da considerarsi incapaci d' intendere e di volere a causa delle loro rurbe mentali, e quindi non sarebbero punibili, qualsiasi crimine o peccato possano aver commesso. Ora, se si suppone che la stregoneria non sia altro che il sottoprodotto della melanconia, ar gomenta Visconti, non si capisce come possano prendervi parte ad esem pio uomini di complessione sanguigna, che non dovrebbero soffrire degli effetti di un tale squilibrio umorale. Inoltre, se solo di sogni si trattasse, essi dovrebbero essere diversi da persona a persona perché influenzati da molti fattori variabili (fisiologici, psicologici, astrologici ecc.); invece tutte le streghe di una medesima conventicola confessano sempre e in perfetto
I DUBBI SULLE STREGHE accordo di aver fatto le stesse identiche cose negli stessi giorni - il che ov viamente vuoi dire che il sabba e tutto ciò che vi avviene sono episodi ben reali. Le streghe sono dunque eretiche perché si sottomettono ai demoni, e meritano la pena di morte ; chi tenti di difenderle deve essere scomuni cato. L'opera di Visconti colpisce per il grado di raffinatezza con il quale un sostenitore della realtà della stregoneria scende sul terreno delle scienze mediche e naturali per rintuzzarne gli argomenti; ma essa è significativa anche perché attesta l 'esistenza, già alla metà del Quattrocento, dell' inter pretazione in chiave patologica dei racconti e delle confessioni delle stre ghe, ossia di uno degli argomenti che avrebbe assunto maggior peso nella fase cinquecentesca del dibattito. Sul finire del secolo, l'esplosione della prima ondata di caccia alle stre ghe in molte aree dell' Europa centro-occidentale - tra l ' Italia settentrio nale, la Svizzera, la Germania e l 'Austria - è all 'origine del De lamiis et pythonicis mulieribus (Sulle streghe e le pitonesse), scritto e pubblicato nel 1489 da Ulrich Molitor (ca. 1442-ca. 1507 ), un giureconsulto di Costan za (Abbiati, Lazzati, Agnoletto, 1 9 84, pp. 100-29; Duni, wwa; cfr. anche infa, il contributo di A. Meyer-Ludowisy, alle pp. 27 3-90). Testo in forma dialogica edito contemporaneamente in latino e in tedesco, e destinato a grande fortuna editoriale anche perché illustrato da diverse xilografie, il De lamiis era stato commissionato dall'arciduca d'Austria Sigismondo d'Asburgo, che Molitor serviva come membro del consiglio ducale. Il bersaglio polemico del De lamiis era il Malleus maleficarum (1486), libro nel quale l ' inquisitore domenicano Heinrich Kramer aveva argomenta to diffusamente ed aggressivamente l'esistenza e la pericolosità della setta diabolica, dopo che una caccia alle streghe da lui condotta con metodi illegittimi e brutali era stata bloccata in Tirolo, proprio nelle terre di Sigi smondo (Behringer, wo6; Di Simplicio, wwa; cfr. supra, i contributi di ]. Spinks e V. Lavenia, rispettivamente alle pp. 79-97, I 8 s-w1). Molitor, respingendo gli eccessi di Kramer, sosteneva con decisione che il sabba e il volo delle streghe erano solamente un' illusione diabolica, trattando si di cose impossibili in natura. Entrando senza esitazioni nel campo dei teologi, egli esaminava a fondo la questione squisitamente metafisica del permesso di Dio, che concedeva al diavolo - essere spirituale - di operare nel mondo fisico, e ne evidenziava i limiti invalicabili. Oltre a non poter controllare a suo piacimento gli elementi naturali, il diavolo era ritenuto incapace di imitare qualsiasi funzione fisiologica umana: in particolare, ra gionava Molitor, esso non poteva avere rapporti sessuali con le streghe né,
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soprattutto, fecondarle, adducendo argomenti tratti dalla letteratura medi ca. Si trattava chiaramente di un attacco a Kramer, che aveva visto in questi amplessi nefandi il veicolo principale di diffusione della stregoneria. Il libro si concludeva con l'affermazione per la quale le streghe - secondo il suo autore esclusivamente donne -, per quanto non avessero materialmente commesso alcun misfatto ( in quanto era stato il diavolo a compierli), era no comunque colpevoli di aver adorato il Nemico del genere umano, e do vevano quindi essere messe a morte per eresia. La contraddizione tra una conclusione del genere e l 'orientamento prevalentemente scettico dell 'au tore era più apparente che reale: secondo Molitor in effetti la colpa della strega risiedeva solo nella scelta pienamente intenzionale di abbandonare Dio per Satana, la quale era sufficiente a fare di lei un'apostata degna del rogo. Ma se l'apostasia era un atto concreto, non si poteva dire altrettan to delle gesta e dei poteri spaventosi che venivano attribuiti alle streghe, e che erano invece per lo più frutto di artifici diabolici. Insomma, il De lamiis et pythonicis mulieribus proponeva alle autorità civili un' interpreta zione equilibrata, guardando alla stregoneria con lo scetticismo moderato e selettivo che doveva essere tipico non solo di magistrati ed avvocati, ma anche di non pochi prìncipi: è significativo che nel dialogo Molitor affidi proprio all'arciduca Sigismondo il ruolo dell' incredulo, dubbioso di tutto quel che si dice delle streghe.
Il diritto e la teologia: il dibattito nel primo Cinquecento
La contrapposizione tra uomini di legge e inquisitori rimane a lungo uno degli assi portanti di un dibattito che, nell' Italia settentrionale dei primi decenni del Cinquecento, si fa a tratti molto aspro e trascende spesso in un aperto conflitto di competenze. Mentre le cacce si avviano a raggiungere il loro picco storico nella penisola, obiezioni e resistenze più o meno forti si manifestano quasi ogni volta che si accende un rogo, lasciando tracce in una serie di episodi e di pubblicazioni che punteggiano ininterrottamente i primi venticinque anni del secolo. Già intorno al ISOS una polemica di sapore fratesco aveva contrapposto il francescano Samuele Cassini al do menicano Vincenzo Dodo ( Valente, w o 6 ) . Il primo, nella Questione de le strie, si era pronunciato contro la caccia, unendo all'argomento teologi co della giustizia divina, che mai avrebbe concesso poteri straordinari per
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un fìne malvagio come la stregoneria, la notazione che le presunte streghe erano « vecchiette di bassa condizione, o persone ignoranti, sempliciot ti, rozzi contadin i >> (Hansen, 1 9 01, p. 270). Se ne concludeva che i loro racconti di imprese mirabolanti erano certo il risultato degli inganni di Satana. Diversi furono gli argomenti portati contro la caccia da Elia Ca priolo (m. 1 5 1 2/23), un umanista e storico bresciano la cui carriera - fu pretore e podestà - lo colloca a metà tra il mondo delle lettere e la profes sione legale. In una Dejènsio populi brixiani (Dijèsa del popolo bresciano), uscita forse nel 1 5 0 6 nell'ambito di un contrasto tra il consiglio cittadino e i domenicani di Brescia, Capriolo accusò gli inquisitori di aver costret to con la tortura le montanare abbrutite della Val Camonica a confessare di essere streghe, solo per gloriarsi del loro potere e confiscare i beni dei condannati (Bowd, 2008, pp. 146-7 ). La denuncia di Capriolo non rimase isolata: quando la caccia in Val Camonica toccò l'apice, negli anni 1 5 1 8-21, si manifestarono forti perplessità e reazioni negative da parte dei rettori veneziani e della Serenissima, cui appartenevano quei territori (Del Col, 2006, pp. 204-9 ). Il castellano di Breno, ad esempio, dopo aver descritto i festini licenziosi che il diavolo avrebbe organizzato per i suoi seguaci sul Monte Tonale, dichiarava che tutto ciò gli aveva suscitato « molti dubb i >> , e che i l Canon Episcopi lo faceva propendere per ritenerle solo illusioni dia boliche (Sanudo, I diarii, xxv, col!. 546-8). Un rapporto commissionato dal podestà di Brescia, Giovanni Badoer, denunciava gli abusi compiuti dal vicario dell ' Inquisizione Bernardino de Grossi, che a Pisogne aveva torturato orribilmente gli accusati per costringerli a confessare crimini così enormi, da lasciare stupefatti e increduli: « lta che a me pareno gran de cosse da dire, et son tutto admirativo e fuor di me, et lo credo et non lo credo >> (i vi, col. 588). A Venezia, Luca Tron, capo dell' influente Consiglio dei Dieci, bollava apertamente come « materìe >> i racconti di sabba e al tri misfatti, mentre il cronista Marino Sanudo registrava l'aumentare dei dubbi sull ' intera faccenda ( « Quelli meschini [cioè le presunte streghe] è morti martiri, e non zè nulla di Monte Tonai >> : ivi, xxx, col. 13), e infìne la Serenissima imponeva al vescovo di Brescia e alla curia romana la fìne dei processi nel 1521. La caccia si estese, intensa e continua, fìn nel cuore del! ' Italia padana, trasformando il dibattito in un'accesa controversia. L'avvocato piacentino Giovan Francesco Ponzinibio, rilevando il forte aumento della persecu zione nella sua città, intervenne con un'opera impegnativa, il Tractatus subtilis et elegans de lamiis et excellentia utriusque iuris (Trattato sottile ed
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elegante sulle streghe e l'eccellenza del diritto civile e canonico) pubblicato nel 1 5 1 1 ( Duni, 2010b, 201 1 ) . La prima parte del suo lavoro è dedicata a dimostrare l'eccellenza del diritto tra tutte le altre scienze, e a rivendicare su questa base ai giuristi la piena facoltà di intervenire in una materia come la stregoneria, ritenuta per lo più di competenza dei teologi. Le gesta e i poteri stupefacenti che costoro attribuiscono alle streghe contraddicono sia i principi del diritto che quelli della natura, argomenta Ponzinibio, e sono quindi da ritenere del tutto inverosimili. Il passo evangelico che rife risce come Satana trasportò Cristo fin sul pinnacolo del Tempio e poi su di un monte altissimo (Mt 4, s-8 ) , al quale si richiamavano i demonologi per comprovare la possibilità fisica del volo della strega, dimostra che questo è possibile solamente quando vi sia un permesso divino apposito. Ma ciò accade solo in circostanze del tutto eccezionali e irripetibili, come quel le descritte nel Vangelo - quando fu lo stesso dio-uomo a sottoporsi alle tentazioni diaboliche - che non costituiscono un precedente legalmente valido. La realtà del volo di Cristo, quindi, prova l' irrealtà del volo della strega, e questo capovolgimento paradossale della logica dei demonologi conduce Ponzinibio a formulare conclusioni altrettanto radicali. Anzitut to la stregoneria e i malefici sono ridotti al rango di illusione mentale di povere donne e contadini ignoranti o, al massimo, all'effetto di fenomeni naturali, come il malocchio. In secondo luogo, le confessioni delle streghe sono dichiarate inattendibili - come già sostenuto da Vignati - perché, controllando il diavolo le menti di costoro, è possibile che le loro parole accusino falsamente degli innocenti. Pertanto gli inquisitori dovrebbe ro perseguire non le presunte streghe, ma chi crede che il volo e il sabba avvengano realmente ; e nei processi di stregoneria dovrebbero costante mente ricorrere al! ' aiuto dei dottori in legge, la cui scienza può illuminare anche le questioni teologiche più complesse. La reazione di parte inquisitoriale, affidata alla penna virulenta dell' in quisitore di Modena, fra Bartolomeo Spina ( 1 47 5-1 5 4 6 ) , fu violentissima ( Duni, 201oc, 201 1 ; Zarri, 2006 ) . Nella Quaestio de strigibus ( scritta nel biennio I)I 8-20 ) , Spina aveva cercato di dimostrare la realtà della stregone ria diabolica. Venuto poi a conoscenza del De lamiis di Ponzinibio, decise di aggiungere alla Quaestio una doppia risposta al!' avvocato piacentino, ossia il trattatello De preminentia sacre theologie supra omnes alias scientias etprecipue humanarum legum (Della superiorità della teologia sacra su tutte le altre scienze, e soprattutto sulla scienza delle leggi umane) e le quattro In Ponzinibium de lamiis apologiae (Apologie contro Ponzinibio riguardo alle
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streghe), pubblicando il tutto nel 1525. Spina individua il pericolo mag giore nell'ambizione di Ponzinibio di fornire alle autorità secolari uno strumento di valutazione della stregoneria alternativo a quello degli in quisitori, perché basato sulla giurisprudenza e non sulla teologia; e chiama i colleghi alla mobilitazione affinché mandino al rogo insieme il libro e il suo autore, da lui citato sempre con l 'espressione Adversarius, uno degli epiteti del diavolo. La posizione di Ponzinibio, comunque, non era isolata. Affinità signi ficative sono rintracciabili nelle pagine che in quegli anni Andrea Alciato (1492-1550) dedicò alle streghe, pubblicandole molto più tardi nei Parerga iuris ( 1 544) (Abbiati, Lazzati, Agnoletto, 1 9 84, pp. 248-53; Duni, 20o6a). Intorno al 1 5 1 6, colui che sarebbe diventato il giurista più celebre d' Europa era stato chiamato come consulente in occasione di una grande caccia che aveva portato a decine di roghi in Valtellina. Pur approvando la condanna a morte delle streghe, che risultava avessero rinnegato Dio e ucciso bam bini con i loro malefici, Alciaco rigetta decisamente le accuse rivolte dalle stesse streghe contro altre donne che si sarebbero recate al sabba (ludus), sebbene i loro mariti giurassero che erano rimaste a casa tutta la notte. Se condo l ' inquisitore si era trattato di uno stratagemma del diavolo, che nel letto accanto ai mariti aveva messo demoni con le sembianze delle mogli, mentre queste ultime erano in effetti al sabba. Alciaco ironizza: Perché non presumere piuttosto che la donna fosse con suo marito, e il demone con i suoi demoni? Perché mai inventarsi un corpo vero in un sabba fi n to, e un corpo finto in un vero letto? Che bisogno c'è di ammettere eventi così strabilianti, e di parlare non più da teologi, ma da narratori di prodigi, scegliendo le pene più severe? (ci t. in Abbiari. Lazzati, Agnoletto, 1984, pp. liD-I).
È molto più sicuro affidarsi a quanto dispongono il diritto canonico - cioè il Canon Episcopi- e i suoi interpreti, che non ai recentiores theo!ogi, scrive sprezzante il giurista milanese. Il ritrovo delle streghe, con il suo contorno di demoni danzanti, è solamente un' illusione creata dalla malattia mentale (corrupta mens) delle povere donne che credono di parteciparvi, ma costo ro avrebbero cerco più bisogno di essere curate con l 'elleboro - un potente purgativo - che col fuoco del rogo, sottolinea Alciato con cupo sarcasmo. La sintonia tra Ponzinibio e Alciato, e l ' intervento lucidamente ag gressivo di Spina, illuminano diversi nodi nevralgici, tra i quali certamen te il conflitto di competenza sulla stregoneria, crimine di "giurisdizione mista'', tra magistrati laici e inquisitori. Ma vi era di più: rivendicando,
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in modo esplicito o implicito, la superiorità del diritto rispetto alle altre discipline, e in particolare alla teologia, i due giuristi avevano proposto una lettura della stregoneria che, dissolvendone almeno in parte i conno tati soprannaturali, la riduceva a fenomeno circoscritto. Frode diabolica o allucinazione, dovuta alla miseria materiale e morale di persone deboli e rozze (per lo più donne), essa perdeva quei risvolti terrificanti che gli inquisitori dipingevano nei loro trattati e cercavano nei loro processi. Il confronto tra favorevoli e contrari alla caccia andava assumendo dunque i contorni di una contrapposizione tra modelli diversi della conoscen za, centrati alternativamente sulla supremazia delle scienze umane o di quelle sacre, e sottendeva un conflitto complessivo sull 'egemonia che esse potevano avere sulla società e cultura degli Stati italiani. Un fatto rivela tore sia della posta in gioco, sia degli schieramenti in questo scontro, è che Spina era stato protagonista anche delle polemiche contro il filosofo mantovano Pietro Pomponazzi ( 1 462-1 S 2S ), il quale aveva osato mette re in dubbio i fondamenti della dottrina dell' immortalità dell'anima e, proprio intorno al I S 20, aveva fatto circolare clandestinamente il suo De incantationibus, ardita proposta di riduzione di tutti i fenomeni ritenuti soprannaturali ad effetti di cause puramente naturali (Bertolotti, 2010; Duni, 20 1 1 ; Zambelli, 1 9 9 1b). Per quanto il De incantationibus riservasse alle streghe solo un cenno fuggevole, l 'esclusione dei demoni dal mondo fisico teorizzata da Pompo nazzi comportava chiaramente l ' impossibilità della stregoneria. Il timore che opinioni del genere facessero breccia nelle élites intellettuali e politi che fu senza dubbio uno dei motivi principali che spinsero Gianfrancesco Pico (1469-1 S33). conte della Mirandola e filosofo di notevole caratura, a comporre il dialogo Strix, sive de ludificatione daemonum (Strega, o degli inganni dei demoni) (Burke, 1977; Herzig, 2010 ). Scritto e pubblicato a tempo di record nel I S 23, Strix era la risposta alle proteste suscitate dalla caccia sanguinosa che in quell 'anno aveva portato al rogo dieci streghe nel minuscolo principato, fermamente sostenuta e seguita con grande interes se dallo stesso conte. Uno dei personaggi del dialogo, Apistio, rappresenta fin nel nome ("l' incredulo") l'atteggiamento di chi dubitava della realtà del "gioco della Donna" - nome locale del sabba -, del volo delle streghe e del patto col diavolo. Ai dubbi di Apistio, Pico contrappone l 'erudizione biblica e legale di Dicaste (''il giudice"), ma anche la conoscenza vastissi ma delle lettere e della filosofia antiche di Fronimo (''il saggio"). Il sapere dei suoi interlocutori, e l' incontro con una strega rea confessa, finiscono
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col convincere lo scettico che la setta delle streghe rappresenta una nuova, nefanda manifestazione della presenza di Satana nel mondo, in piena con tinuità con le forme che essa aveva assunto nei poeti e pensatori antichi; e alla fine dell'opera Apistio è ribattezzato Pìstico (''colui che crede"). In Pico, dunque, la denuncia dei pericoli della stregoneria passa attraverso una rilettura dottissima - ma totalmente negativa - dell 'eredità culturale della classicità. Il libro si rivolgeva all' intellettualità medio-alta, come i membri dei ceti dominanti di molti Stati italiani, che erano evidentemente assai restii a credere alle ragioni dei persecutori. Per raggiungere più fa cilmente un pubblico non più limitato a coloro che s' interessavano alla questione per motivi professionali - come inquisitori, avvocati e magistra ti - l'opera fu immediatamente tradotta in volgare dal domenicano bo lognese Leandro Alberti ( 1 479-1552), diventando così il primo testo sulla stregoneria pubblicato in italiano1•
I medici e le streghe: il pieno Cinquecento
Nel corso del primo Cinquecento, dunque, sia nelle polemiche libresche che negli scontri processuali, il fronte degli scettici elaborò un insieme di obiezioni piuttosto coerente, che faceva perno sul Canon Episcopi e la tradizione canonistica per sostenere i caratteri unicamente illusori della stregoneria, l' inattendibilità delle confessioni degli adepti del diavolo e quindi l' inammissibilità della chiamata di correo. Sul piano religioso, gli scettici condannavano come empietà la credenza nei poteri illimitati delle streghe, in quanto la fede impone al cristiano di credere, al contrario, che la provvidenza divina impedisce o comunque frena decisamente le opere degli alleati di Satana. Tali premesse consentivano di articolare un' inter pretazione in chiave naturalistica della stregoneria come frutto di processi fisiologici che, appena abbozzata da critici come Alciato, fu pienamente sviluppata in un breve giro di anni da tre esponenti di primo piano della medicina e della filosofia naturale del Rinascimento : Girolamo Cardano (1501-1 576), Giovan Battista Della Porta (ca. 1 5 3 5- 1 6 1 5 ) e Johann Wier. Cardano s' interessa alla stregoneria in più luoghi della sua produzio ne sterminata, guidato da una curiosità inesauribile per tutti i fenomeni bizzarri o straordinari e i fatti apparentemente miracolosi (Ernst, 2oo6a, 1.
Cfr. Pico, La sorciere.
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20o6b; Spruit, 2010 ) Le imprese stregonesche rientrano senza dubbio in queste categorie, ma Cardano (nel De subtilitate, I S SO) si sforza di ricon durle nell'ambito dei fenomeni naturali, interpretandole anzitutto come frutto di sogni influenzati da cibi pesanti e di difficile digestione: .
i cavoli provocano sogni tristi, i fagioli agitati, l'aglio e la cipolla terribili. Da que ste cose è nata l'opinione delle streghe, che nutrendosi di sedano, castagne, fave, cipolle, cavoli e fagioli credono nel corso del sonno di essere trasportate in diver si paesi e lì di avere diverse esperienze, a seconda del temperamento di ognuna (Ernst, wo6a, pp. 404-5).
Il medico milanese smitizza persino il famigerato unguento delle streghe, che si diceva servisse per volare al sabba. In realtà i suoi componenti hanno la proprietà naturale di provocare allucinazioni, e a questo si riducono il volo, i festini e gli amplessi con i demoni. Nel De rerum varietate (I SS7 ), Cardano traccia con grande acume l' identikit fisico e sociale delle tipiche streghe: donnette mendicanti, povere, che vivono nelle valli nutrendosi di castagne e di or taggi selvatici, e se non bevessero talora un po' di latte non porrebbero mantenersi in vita. Per questi motivi sono macilente, brutte, con gli occhi sporgenti, pallide e dal colorito scuro, e anche a un primo sguardo mostrano i segni della bile nera e della melanconia (Ernst, wo 6a, p. 399 ) .
Il temperamento malinconico causato dall'alimentazione insufficiente porta le presunte streghe ad autoaccusarsi di cose assurde e crimini impos sibili. Sottoponendo alla sua critica corrosiva l'attività degli inquisitori, il medico milanese li accusa di aver spesso condannato per stregoneria degli innocenti solo per confiscarne i beni, come è comprovato dal fatto che in tempi recenti l' Inquisizione ha cominciato a perseguire non più le streghe, ma sopratturto i luterani, perché sono molto più ricchi, e quindi preda più lucrosa, di valligiane miserabili. In quello che può essere ritenuto il primo abbozzo di una storia della stregoneria, Cardano ipotizza che il sab ba abbia in realtà un'origine tutta umana, e discenda dagli antichi culti orgiastici dei pagani, praticati in segreto dopo l'avvento del cristianesimo e infine continuati nell ' immaginazione di donne invasate. La credenza che le streghe siano complici del diavolo ed abbiano poteri straordinari è nata quando i teologi hanno preteso di discettare di filosofia naturale, vedendo ovunque demoni e portenti e diffondendo nel volgo false opi-
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n ioni. Ribadendo la sua fede nell'unicità e onnipotenza di Dio, il medico milanese attua anche sul piano religioso quella marginalizzazione netta del ruolo e della figura del diavolo, che era suggerita e consentita dal suo approccio naturalistico. La portata del suo contributo al "disincanto" delle arti diaboliche si misura non solo nel ricorso agli strumenti interpretativi propri della medicina, ma anche nella capacità di storicizzare l'origine e la persecuzione della stregoneria, e di umanizzarne completamente i risvolti grazie ad una penetrante analisi socio logica e psicologica che rivela, dietro ogni apparente prodigio, le dinamiche delle passioni, dei desideri, dei vizi e dell' ignoranza degli uomini. Anche il napoletano Della Porta, singolare figura di filosofo, scienziato e poligrafo, sperimentatore infaticabile alla ricerca delle cause delle ope razioni della natura, cercò di confutare l'esistenza di un lato demoniaco nelle esperienze ed imprese delle streghe (Ernst, 1990; Valente, 2010; cfr. anche, supra, il contributo di L. Balbiani, alle pp. 99-n5). La sua Magia naturalis (1 558, seconda edizione molto accresciuta 1589), che si propone di liberare la magia da ogni connotazione demoniaca e di elevarla a scienza suprema della natura, spiega il volo delle streghe come un mero sogno, da attribuirsi a certi alimenti che stimolano gli umori melanconici. In pagine che rivelano una chiara dipendenza da Cardano, Della Porta descrive nei dettagli la composizione dell'unguento che le vecchie donne si strofinano sul corpo, e che le fa cadere in un sonno profondissimo. L'efficacia natura le dei suoi ingredienti, soprattutto erbe, ma anche il più sinistro « grasso di bambino » , causa allucinazioni, e le donnette - soggetti fortemente sugge stionabili - sono convinte di partecipare ai banchetti e alle orge del sabba, mentre in realtà non hanno mai lasciato le loro case. Le idee di Cardano e Della Porta, che si diffusero ampiamente grazie alla fortuna delle loro opere, ebbero senza dubbio una influenza notevole su Johann Wier (Valente, 2003). Originario di Grave, nel Brabante setten trionale (attualmente parte dei Paesi Bassi), medico del duca Guglielmo Y di Julich- Cleve, nel De praestigiis daemonum, et incantationibus, ac venefi ciis (Le illusioni dei demoni, gli incantesimi e i venefici, 1 5 63), egli affrontò il fenomeno magico-stregonesco con un approccio innovativo, basato su una strumentazione concettuale ricchissima, non limitata al robusto natu ralismo dei due italiani. Al contrario di loro, Wier dedica ampio spazio al diavolo e ai suoi poteri, che egli considera assai vasti, seppur limitati da Dio, e capaci di ingannare gli uomini attraverso le tentazioni fraudolente della magia. Applicando per primo il metodo filologico ai passi veterotestamen-
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tari che condannano le arti magiche, il medico brabantino conclude che nella Bibbia non si trova alcun anatema contro le streghe e che le punizioni durissime invocate nei libri del Deuteronomio e dell' Esodo sono in realtà da riferire ai maghi, ai venefici e agli indovini. Ora, costoro sono senza dub bio da condannare, in quanto scelgono liberamente di darsi alla magia e la praticano invocando l' intervento del diavolo ; le streghe, invece, sono gene ralmente povere vecchie, mentalmente instabili a causa della melanconia, vittime delle illusioni diaboliche e quindi non solo incapaci di nuocere, ma anche d' intendere e di volere. L' interpretazione patologica della stregone ria, con riferimenti anche a Cardano e Della Porta, sbocca in un'originale critica del concetto del patto diabolico che legherebbe il diavolo ai suoi adepti: qualsiasi accordo tra un essere incorporeo e un soggetto umano pri vato del raziocinio, argomenta Wier, è nullo e non vincolante a norma del diritto romano, e dunque non può motivare la condanna a morte delle pre sunte streghe. Imbevuto di uno spirito religioso improntato alla tolleranza e fondato su suggestioni erasmiane, Wier guarda con profonda pietà alla miseria di quelle donne sventurate che rinnegano la loro fede credendo di darsi al Maligno, e chiama i cristiani al compito non già di consegnarle al rogo, ma di aiutarle a tornare alla fede salvifica di Cristo. Il De praestigiis daemonum rappresenta per molti versi il frutto maturo dell'annosa polemica contro la caccia alle streghe, che unisce i diversi fili del dibattito collegandoli al grande tema della tolleranza religiosa. L' ap pello alla correzione fraterna come strumento per appianare i dissensi in materia di fede, e il rifiuto della repressione violenta, si allargano ad in cludere non più solo coloro che si erano allontanati dalla propria Chiesa (o da tutte), ma anche le anime dei più deboli, traviate dagli inganni del demonio. L'opera riflette, tuttavia, una visione complessa e non priva di contraddizioni del mondo naturale, in quanto Wier, pur sottolineando che le operazioni dei demoni sono per lo più ingannevoli, ammette che possano avere effetti materiali. La sua tesi principale rimaneva così espo sta alle critiche dei sostenitori della persecuzione, perché se si consentiva la possibilità della magia diabolica, diventava molto difficile negare che anche le streghe potessero farvi ricorso. Le incoerenze e la mole dell 'opera non frenarono la sua diffusione, agevolata dalle traduzioni in francese e te desco, ma attirarono gli strali di critici agguerriti come il medico svizzero Thomas Erastus (I S24-IS83) e soprattutto il grande giurista francese Jean Bodin (I S30-I S9 6 ) , la cui Démonomanie des sorciers (La demonomania de gli stregoni, 1 s 8o) contiene una confutazione puntigliosa e violenta dell'o-
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pera di Wier, accusato di difendere gli alleati del diavolo e di propagare l 'empietà ( Ernst, 1 9 9 1 ; Valente, 1 9 9 9, 2003; cfr. anche, in.fra, il contributo di A. Suggi, alle pp. 223-37 ) .
Verso il superamento della stregoneria
Le polemiche accesissime provocare dall'opera di Wier - e il diffondersi della caccia in una vasta parte dell' Europa occidentale - suscitarono in teresse per la stregoneria anche in paesi fino ad allora rimasti ai margini del dibattito, come l' Inghilterra, dove nel I S84 un oscuro gentiluomo del Kent, Reginald Scot (ca. I S38-I S99 ) , pubblicò The Discoverie of Witchcraft (Il disvelamento della stregoneria). Una profonda conoscenza della lettera tura demonologica unita ad un senso critico acutissimo e a un gusto dis sacratorio verso i pregiudizi, consentono a Scot di demolire i fondamenti filosofici, teologici e legali della credenza nella stregoneria ( Sharpe, 2006 ) . Rigettando la regola che ammetteva le testimonianze di persone infami e criminali nei processi di stregoneria, l'autore contesta che le presunte im prese delle streghe siano mai state provare in maniera assolutamente certa e ne denuncia l'assurdità e l' inverosimiglianza, come in questo memorabi le confronto, in forma di botta e risposta, tra le affermazioni dei creduli e le ragioni degli scettici: [Le streghe ] mangiano la carne e bevono il sangue di uomini e bambini. Risposta: Allora sono come gli antropofagi e i cannibali. Ma io non credo che si troverà mai un uomo onesto, in Francia o in Inghilterra, che affermi di aver visto una di queste persone, che si dice siano streghe, fare una cosa del genere; e se anche la facessero, ri tengo che ne sarebbero avvelenate. [Le streghe ] distruggono i raccolti con i malefici, e arrecano carestia e desolazione alle campagne; volano nel cielo, portano tempo rali, causano tempeste. Risposta: Allora le adorerò come divinità, perché quelle non sono opere da uomini e nemmeno da streghe ( cit. in Kors, Peters, wor, PP·l 96-7).
La lezione di Wier è ben presente nella Discoverie qf' Witchcraft, che ne adotta la resi della melanconia come causa delle confessioni deliranti del le streghe, il ricorso all'analisi filologica delle Scritture per confutare chi riteneva che esse condannassero la stregoneria, e l'argomento dell' impos sibilità del patto tra un essere umano e il diavolo. A differenza del medico brabantino, tuttavia, Scot esclude che esseri incorporei, come i demoni, ab biano alcun potere d' intervento nel mondo fisico : le sventure che il volgo
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attribuisce alle streghe rientrano nel piano della provvidenza, e chi vi vede il segno dell' intervento del diavolo fa torto all'onnipotenza di Dio. La ra dicalità di questa posizione che, mettendo in discussione l'esistenza stessa degli spiriti, eliminava la possibilità della stregoneria, trova pochi confronti al tempo, e il suo aurore fu attaccato come scettico pericoloso da numero si sostenitori della persecuzione; ma il richiamo al senso comune contro l'assurdità delle superstizioni popolari e insieme la critica beffarda al catto licesimo - temi che abbondano nellaDiscoverie o[ Witchcraft- erano pro babilmente più diffuse nelle élites inglesi di quanto le fonti documentino. A prima vista meno radicale di Scot, il più grande filosofo francese del secolo, Miche! de Montaigne ( 1 5 33-1592), dedicò alle streghe poche, ma dense pagine nell 'opera della sua vita, gli Essais ( 1 5 80 ). Montaigne muove da una posizione di fondamentale scetticismo, riassunta nel suo celebre motto, « Que sçay-je ?» ( « Che cosa so ? >> ), per sottolineare la natura sem pre limitata e imperfetta della conoscenza umana (Pearl, 2006). Ciò è tan to più vero quando si tratta di materie oscure e controverse come i fenome ni prodigiosi e impiegabili, per i quali sarebbe meglio chiedersi non tanto « Come può avvenire ? >> , quanto piuttosto « Ma avviene davvero ? >> . È dunque temerario chiunque pretenda di definire con esattezza quali siano i poteri delle streghe. Narrando di una sua conversazione con un gruppo di vecchie condannate per stregoneria, il filosofo conclude che « in tutta onestà avrei ordinato per loro non la cicuta, ma l'elleboro >> (Burke, 1 9 9 8, pp. 33-4). Se la battuta, memore del giudizio di Alciato, indica che Mon taigne vedeva le streghe come donne mentalmente disturbate, egli tuttavia non arriva mai a negare esplicitamente il volo, il sabba, o il patto. Con il suo modo caratteristico di argomentare, che evita accuratamente le affer mazioni perentorie, il filosofo si limita a ricordare che ogni sentenza capi tale deve essere fondata su prove certissime. Ma questo non è possibile nei processi delle streghe, nei quali sia le testimonianze sia le stesse confessioni contengono elementi incredibili, ed è molto più facile e logico considerar le frutto di errore o di falsità piuttosto che resoconti fededegni. Se anche gli stessi demonologi non sono sempre d'accordo su queste materie, come si può mandare al rogo un essere umano in base alle loro supposizioni ? « Dopo tutto, è dare un valore molto alto alle nostre congetture l'arrostire vivo qualcuno in forza di esse >> . Montaigne dunque non critica la caccia alle streghe nel merito, ma la rifiuta anzitutto per il metodo seguito da teo logi, giudici e inquisitori. Costoro infatti sono responsabili del grande er rore di aver impiantato la loro interpretazione della stregoneria sul dettato
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delle Scritture, senza tener conto che, mentre queste ultime rispecchiano l'onniscienza divina, essi non possono conoscere le vere cause e le dinami che precise dei fenomeni che pretendono di giudicare. Dunque la critica di Montaigne, a ben vedere, non è affatto moderata: egli riesce a minare l'edificio demonologico più efficacemente, ad esempio, del radicale Scot, perché il suo dubbio sistematico corrode alla radice la certezza dei pre supposti dei cacciatori di streghe senza metterne in discussione i principi teologici, come ad esempio l'esistenza, la natura e i poteri dei demoni. Lo spostamento del dibattito dal piano fisico e metafisica a quello gno seologico, attuato per primo da Montaigne, segnala certamente l' inizio di una graduale trasformazione del problema, che sarebbe arrivata a compi mento solo nella seconda metà del Seicento. Non si trattava più di stabilire che cosa le streghe potessero fare, e come, bensì di evidenziare l' inadegua tezza degli strumenti conoscitivi umani a indagare i fenomeni sopranna turali e, in ultima analisi, l' irrilevanza di questi ultimi sul piano scientifico. Le imprese stregonesche si avviavano dunque ad essere espunte dal mondo fisico, perdendo il loro connotato tradizionale di minaccia massima all'or dine sociale e religioso, ed assumendo invece quello di prodotto combina to dell' ignoranza del volgo e della presunzione di teologi ignari di scienze naturali ( Duni, 200 6b ).
I dubbi degli inquisitori
Uno degli aspetti più sorprendenti nella storia dei dubbi sulle streghe è che essi attecchirono abbastanza solidamente e precocemente proprio all' in terno del gruppo professionale che aveva inventato il crimine di stregone ria, cioè tra gli stessi inquisitori. Già nel 1526, ad esempio, l' Inquisizione spagnola emanò linee-guida - le cosiddette direttive di Granada - che invitavano gli inquisitori ad accertare di volta in volta se le presunte stre ghe si fossero fisicamente recate al sabba, e vietavano di procedere con tro di loro solo sulla base delle accuse dei complici ( Di Simplicio, 2010b; Homza, 2006, pp. 1 53-63; cfr. anche, supra, il contributo di V. Lavenia, alle pp. I 8 S-20I ) . È possibile che tali posizioni, che valsero a salvaguardare complessivamente la Spagna dagli eccessi della caccia, siano passate in Ita lia grazie alla mediazione di prelati spagnoli trasferitisi a Roma. Tra di loro vi fu Diego de Simancas ( m. 1 5 83), autore di un De catholicis institutionibus (Delle istituzioni cattoliche, I S? s), che giudica il sabba e il volo come espe-
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rienze per lo più illusorie. Ma già nel 1539 le domande che l ' inquisitore di Modena, Tommaso da Morbegno, rivolgeva alla rea confessa Orsolina la Rossa, dimostravano che la realtà del sabba e del volo non erano affatto date per scontate : Interrogata se [va al sabba ] sempre corporalmente aver in somno, respose che sono molti che solamente li vano in visione, et alcune altre volte corporalmente, et dice che lei è andata sempre corporalmente. Interrogata in che modo conoses se che li andasse corporalmente, respose che sempre li andava circha la 24 hore, avanti che andasse a dormire, in compagnia delle altre strige vestite como erano il giorno ( ci t. in Romanello, 1975, p. 128).
È certo comunque che posizioni di prudenza e di scetticismo molto mode rato nei confronti degli aspetti più controversi della stregoneria comincia rono ad emergere e ad ottenere approvazione crescente in seno alla neona ta Inquisizione romana - istituita nel 1 5 42 - a partire dalla fine degli anni cinquanta (Dall ' Olio, 2001; Lavenia, 200 1 ; Romeo, 1990). Non è difficile supporre che la mobilitazione contro il diffondersi delle dottrine prote stanti nella penisola, che assorbì largamente le energie del Sant ' Uffìzio nei decenni centrali del secolo, contribuisse a ridimensionare la stregoneria, da minaccia principale per la Chiesa cattolica a problema tutto sommato secondario. La stessa struttura fortemente centralizzata del tribunale, che prevedeva un vaglio accurato degli atti dei tribunali periferici da parte dei supremi inquisitori, favoriva complessivamente un approccio all' insegna della cautela, attento al rispetto delle procedure e incline al rinvio ripetuto delle decisioni finali, raffreddando così le spinte persecutorie operanti a livello locale e conducendo spesso a sentenze relativamente miti (Prosperi, 1996, pp. 3 6 8· 417 ) . U n ruolo chiave nell'affermazione dei nuovi orientamenti fu rivesti to dal canonista spagnolo Francisco Pena (ca. IS40· I 6 1 2), consultore del Sant' Uffìzio, che nei suoi commenti alle riedizioni di numerosi testi in quisitoriali - tra di essi il trecentesco Directorium inquisitorum di Nico lau Eymerich (ca. 1 3 1 6-1399), ripubblicato nel 1 s78, ma anche il Tractatus de haeresi di Vignati, edito nel 1 5 8 1 - lavorò assiduamente per trovare un punto d'equilibrio tra la riaffermazione pura e semplice dell'ortodossia de monologica e l ' incredulità esplicita nei confronti del crimine delle streghe (Duni, 201 2; Lavenia, 2010a). La strada individuata da Pena, e sostanzial mente seguita dai giudici romani nei decenni successivi, passava attraverso l'adozione sistematica di alcune misure legali: tra di esse il divieto di pro-
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cedere contro una strega sulla sola base delle accuse dei suoi complici ( già istituito in Spagna) , che disinnescava di fatto il meccanismo micidiale per cui le parole di un accusato potevano far processare decine di altre persone (Romeo, 1990). In tal modo il Sant ' Uffizio finiva per accogliere, anche se in modo del tutto coperto, principi che erano stati formulati decenni pri ma da scettici come Vignati, Ponzinibio e Alciato, e rendeva di fatto im possibili quelle spaventose cacce alle streghe, con decine o anche centinaia di roghi, che proprio sul finire del Cinquecento si stavano moltiplicando a nord delle Alpi. Risale probabilmente all 'ultimo decennio del secolo, o ai primi anni del successivo, una direttiva agli inquisitori locali, la Instructio pro for mandis processibus in causis strigum, sortilegiorum et maleficiorum (Diret tive per istruire processi in casi di streghe, sortilegi e malefizi), attribuita variamente al fiscale del Sant' Uffizio, Giulio Monterenzi, o al cardinale Desiderio Scaglia, che costituisce l 'espressione più completa dell'atteggia mento dell' Inquisizione romana nei confronti della stregoneria (Decker, w o 8 ; Romeo, w o 8 a ; Tedeschi, 1 9 9 1 ; cfr. anche, supra, il contributo di V. Lavenia, alle pp. r 8 s - w r ) . La Instructio non mette in discussione la real tà del crimine, ma invita gli inquisitori alla massima cautela e al rispetto scrupoloso delle normative, sottolineando che gli abusi sono frequentissi mi, e troppo spesso le donne sospettate vengono indotte a confessare con la tortura o l' inganno, inficiando completamente la validità e l 'accuratezza del processo. Oltre a ribadire il divieto di credere alle accuse delle streghe contro i presunti correi visti al sabba, il documento introduce il fonda mentale principio giuridico che non si possa avviare un processo se prima non è stato accertato il corpus delicti, ossia che effettivamente vi siano state le malattie e le morti delle quali le presunte streghe sono ritenute responsa bili. Nonostante la sua evidente importanza e l ' indicazione esplicita degli illeciti da correggere, l' Instructio ebbe una circolazione limitata e fu stam pata ufficialmente solo nel r 6 s7. molti anni dopo la sua composizione.
Fonti di riferimento PICO GIANFRANCESCO,
La sorcière. Dialogue en trois livres sur la tromperie des démons, éd. par A. Perifano, Brepols, Turnhout 1007. SANUDO MARINO, I diarii, a cura F. Stefani, G. Berchet, N. Barozzi, 58 voll., Visenti ni, Venezia r8?9-1903.
Stregoneria e politica nel Rinascimento. Il "caso" Jean Bodin di Andrea Suggi
Lo scomodo ruolo della Démonomanie nell'opera di Bodin
Nel 1 s 8o viene data alle stampe la prima edizione della Démonomanie des sorciers di Jean Bodin, opera che qualificò il suo autore, già tra i contem poranei, quale duro "cacciatore di streghe" e "attizzatore di roghi'; fiero sostenitore di una politica di repressione spietata e cruenta della stregone ria'. La Démonomanie ebbe ampia diffusione e fu velocemente tradotta: la prima edizione della versione italiana apparve nel 1 5 8 7 a Venezia con il titolo di Demonomania degli stregoni. Un'opera militante come laDemonomania ha destato in passato in più di un lettore non poche perplessità, a causa del senso di estraneità al suo aurore che suscita in chi vi si avvicini, pensando ali' immagine storiografica del Bodin: teorico del moderno Stato assoluto e difensore della tolleranza e della pace religiosa. La ricezione di Bodin è stata infatti a lungo legata alla sua opera maggiore e più nota, Les six livres de la République, pubbli cata nel 1576 ' . Bodin fu considerato già dai suoi contemporanei uno dei massimi pensatori politici del suo tempo, maestro nel definire la moderna nozione di sovranità, sostenitore della possibile e legittima convivenza tra fedeli di confessioni diverse all' interno di uno stesso Stato quando la Fran cia era dilaniata dalle guerre di religione. Agli occhi dei suoi primi lettori 1. La Démonomanie fu prontamente ristampata, nel 158I, 1587 e nel I59), lo stesso anno in cui veniva pubblicata un'edizione de nouveau revu et corrigé, mentre una traduzione latina dell'opera apparve già nel i581 a Basilea per Thomam Guarinum, anno nel quale ne fu pubblicata anche una prima traduzione tedesca. 2.. L'opera apparve in una nuova edizione francese nel 1583 e fu poi tradotta in latino nel is86 da Bodin stesso, ottenendo così ampia diffusione in tutto il condnente europeo. L'opera è interamente disponibile in traduzione italiana: l sei libri delio Stato, a cura di M. lsnardi Parente, D. Quaglioni.
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Bodin parve ora una sorta di "allievo" francese di Machiavelli, spregiudica to non meno del segretario fiorentino nel concepire la politica in termini di crudo realismo, ora come un cripto-giudaizzante, che nascondeva sotto formule di apparente natura filosofica la propria segreta adesione alla re ligione di Mosè, matrice quest'ultima sia di una larvata negazione della natura divina di Cristo e di uno strisciante antitrinitarismo, sia di una pre dilezione per l 'Antico Testamento a danno del Vangelo. Realismo politico ed avversione per il cristianesimo, cripto-giudaismo se non incredulità re ligiosa: queste, in estrema sintesi, le accuse che da più direzioni si levarono contro Bodin dalla prima comparsa delle sue opere. Né tali accuse rima sero senza seguito : i testi di Bodin furono prontamente sanzionati dalla censura ecclesiastica, almeno laddove l'azione dei teologi poteva sortire una certa efficacia, ed in Italia furono omnino proibiti, al termine di un lungo e complesso procedimento, nel 1596. La disamina dei poteri e delle caratteristiche degli "incantatori" con dotta nella Démonomanie e la definizione degli strumenti inquirenti e giudiziari necessari a scongiurare il preoccupante dilagare di streghe e stregoni non è però così alieno, né così in contraddizione con le linee fondamentali della sua produzione letteraria e della sua attività politi ca. È difficile liquidare la Démonomanie come una sorta di infortunio, un'eccezione premoderna, inopinatamente inserita in un corpus di opere di cui non dovrebbe far parte, frutto di un momentaneo sbandamento, di un repentino cedimento a superstizioni ancora insuperate, non fosse altro che per la data della sua pubblicazione: Bodin dette alle stampe la prima edizione della Démonomanie dopo aver composto la République e prima di tornare a lavorare su di essa per integrarla, ampliarla e quindi tradurla. Le ricerche più recenti hanno rimesso in questione lo schema secondo il quale in Bodin convivrebbero due uomini: l'uno sapiente, moderno nel definire la sua teoria dello Stato assoluto e nel pronunciarsi a favore della pacifica convivenza tra seguaci di religioni diverse; l'altro ingenuo, osses sionato dalle forze oscure dei demoni, premoderno nel raccomandare la massima durezza contro incantatori e sortilegi. Si è anzi progressivamente affermata una linea interpretati va secondo la quale i punti di contatto tra le due opere sono più numerosi di quanto fossero apparsi agli interpreti del passato : République e Démonomanie non sono tra loro in contraddizione, ma si presentano come il risultato di una riflessione unitaria e coerente, di un comune progetto culturale e politico.
STREGONERIA E POLITICA NEL RINASCIMENTO Bodin ha vissuto la maggior parte della sua vita nel periodo terribile delle guerre di religione di Francia, quando la stessa integrità della monar chia nazionale era messa in pericolo dai massacri alimentaci da una dura campagna ideologica condona sia dai caccolici che dagli ugonocci contro i nemici della "vera fede". Le date che delimitano la sua accivicà di leccera to coincidono pressoché con quelle che scandiscono la crisi vissuta dalla Francia nella seconda metà del XYI secolo. Ebbe formazione da giurista, fu dapprima avvocato al Parlamento di Parigi, quindi consigliere politico e cortigiano, vicino in un primo momento ad Enrico III, poi al suo giova ne fratello ed acceso erede, il duca Francesco d'Alençon, stroncato dalla tubercolosi prima di aver compiuto il trentesimo anno di vita. La rottura con Enrico III maturò proprio sul terreno della politica religiosa. Nel 1576, in qualità di deputato del Terzo Stato agli Stati Generali di Blois, capeggiò l'opposizione alla proposta del re di istituire una cassa pacrimoniale con la quale si sarebbe voluta finanziare una nuova guerra contro gli ugonoccil. Bodin riuscì nel suo intento sostenendo che la proprietà privata è sancita dalla "legge divina", che a sua volta coincide con la "legge naturale", e perciò è illeginimo cassarla. La sua posizione risulca coerente con l'obiettivo di superare gli scontri accraverso una strategia politica di ricomposizione de gli equilibri. Bodin era infacci considerato uno dei più autorevoli esponen ti di quella sorta di "terzo partito", i politiques, che, stretto nello scontro era caccolici ed ugonotti, cercava una soluzione politica del conflicco at traverso il rafforzamento del potere dello Stato ed il riconoscimento della centralità della corona e delle sue prerogative sovrane.
Conflitti di competenze tra potere politico ed ecclesiastico nella questione della stregoneria
Bodin introduce la Demonomania sottolineando che essa ha il fine di me c cere a disposizione i materiali necessari a riconoscere e debellare quello che ai suoi occhi appariva come un pericoloso ed assai diffuso fenomeno cri minale. Nel Prologo spiega di aver deciso di comporre cale opera dopo aver 3· Bodin stesso redasse un resoconto dell'accaduto. Cfr. Bodin, Commentarius de iis omnibus quae in tertii Ordinis convenctu acti sunt; Id., Recueil de tout ce qui s 'est negotié en la compagnie du Tiers Estat de France. Cfr. Meyer (éd.), Des États généraux et autres assemblées nationales.
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partecipato ad un processo conrro la strega Jeanne Harvillier, « nativa di Verbery appresso di Compiegne » , poi condannata per essersi confessata colpevole delle accuse. Bodin reputa urgente ribadire l'efficacia delle prati che stregonesche per acclararne una volta di più, e più fortemente contro quanti lo negano, il carattere criminale. A suo avviso, infatti, devono essere non solo respinte, ma duramente combattute le opinioni di quanti solle vavano dubbi sulla forza degli incantesimi attribuiti a streghe e stregoni. Sono questi, scrive Bodin, incantatori essi stessi o loro stretti alleati4• La convinzione che fosse necessario combattere con mezzi giuridici apposi tamente codificati la dilagante attività di streghe e srregoni era al tempo ampiamente diffusa. Poco meno di un secolo prima, l' impegno in tale lotta era stato ratificato dalla Chiesa di Roma con solenne pronunciamento: il 12 dicembre 1484 papa Innocenza VIII aveva infatti promulgato la bolla Summis desiderantes a.ffèctibus, la quale avallava la persecuzione della stre goneria. La bolla era stata sollecitata e preparata da Heinrich Kramer, che nel 1474 era già inquisitore nella Germania superiore e aveva giurisdizione sulle diocesi della parte occidentale della Svizzera e della Germania, figura tanto potente da essere chiamato, a partire dal 1496, con il titolo di inquisi tor Germaniae. Si tratta del Kramer tradizionalmente considerato, assieme a Jacob Sprenger, autore del Malleus maleficarum (Il martello contro le stre ghe), composto nel 1486, pubblicato nel 1487 e concepito come strumento di lotta per predicatori e confessori, al fine di estirpare la stregoneria dal la Renania. Il Malleus godette di grande fortuna, fu più volte ristampato e fornì un modello di riferimento ai successivi manuali redatti ad uso di magistrati ed inquisitori'. Il lascito di credenze, dicerie e tradizioni diffuse soprattutto nelle campagne dell' Europa centrale fu con esso inserito in un sistema dotrrinale coerente e sistematico, all' interno del quale la stregone ria viene definita come un crimine. Al patto costituito tra streghe e Satana venne conferito lo statuto peculiare di delitto contro Dio e contro la vera fede e perciò di competenza degli inquisitori. Nella prima metà del XVI secolo, coerentemente con questa impostazione, furono soprattutto le au4· Tra questi è compreso anche Johann Wier, con il quale Bodin polemizza nella Rejuta tion des opinions de]ean Wier che segue il testo della Démonomanie. Cfr. Wier, De praesti giis daemonum: Id . . De l'imposture et tromperie des diables; Id., De lamiis liber. 5· Il Mal!eus, che circolò solo in latino e si rivolgeva espressamente a chierici e giuristi, ebbe più di trenta edizioni: cfr. Houdard (199>. pp. >?-s6), Jerouschek (199>, pp. XLI-Lv ) . Cfr. anche supra, i contributi di V. Lavenia e M. Duni, rispettivamente alle pp. I 85-201, 203·21.
STREGONERIA E POLITICA NEL RINASC IM ENTO torità ecclesiastiche ad impegnarsi nella caccia alle streghe e a difendere e rivendicare il proprio potere giurisdizionale su un reato reputato di propria pertinenza. In tal modo era altresì possibile alla Chiesa di Roma esercitare il potere penale all' interno di territori politicamente indipendenti da essa. La concorrenza tra potere politico e potere ecclesiastico si ripropose anche dopo la diffusione della Riforma. Nel 1532 venne promulgata la Con stitutio criminalis Carolina, una costituzione imperiale che distingueva tra streghe "buone" e "cattive': secondo la quale le streghe potevano essere perseguite solo a causa dei reati commessi e non a causa della loro condi zione. Compilata da Johann Freiherr zu Schwarzenberg Hohenlandsberg, la Constitutio Carolina era esemplata sulla Constitutio Bambergensis del I S O?, da dove era tratto l'articolo sulle streghe, il 109. Esso faceva ancora riferimento a De maleficis et mathematicis del codice giustinianeo. I teolo gi lmerani, i quali ritenevano che tutte le streghe dovessero essere bruciate, si schierarono contro la Constitutio Carolina. Niels Hemmingsen, noto in latino come Hemmingius (I S I3-I6oo), allievo di Melantone ed iniziato re del movimento di persecuzione delle streghe in Danimarca, rigettò il documento nella sua Admonitio de superstitionibus magicis vitandis (Am monimento diretto ad evitare le superstizioni magiche), pubblicata a Cope naghen nel I S7S· I riformati, in modo analogo a quanto già avevano fatto i domenicani, diffusero tramite missioni di evangelizzazione la loro demo nologia e repressione della stregoneria in paesi che non ne avevano notizia. I lmerani introdussero la persecuzione nel Brandeburgo, nel Wtirtemberg, nel Baden, in Baviera e nel Meclemburgo. In Scozia lo fecero i calvinisti, i quali promulgarono nel 1563 la prima legge contro la stregoneria. Il primo trattato contro le streghe pubblicato in Inghilterra fu il De veneficis dialo gus (Dialogo sulle streghe) di Lambert Daneau (I S30-I S9 s ) , pastore ugonot to di Gien. L'opera fu pubblicata a Ginevra, dove Daneau si era rifugiato dopo la notte di San Bartolomeo (23/24 agosto 1 572), e venne tradotta in inglese da lhomas Twyne nel I S7S · I fenomeni bizzarri riportati nel Malleus maleficarum - spostamenti in volo, apparizioni su specchi magici di persone lontane nel tempo o nello spazio, metamorfosi di uomini in animali o levitazione di corpi - pote vano apparire plausibili ai lettori vissuti nell'età del Rinascimento perché coerenti con una precisa ed ampiamente condivisa concezione della natu ra, secondo la quale il creato è ordinato in modo gerarchico nel rispetto di una scala che ha alla sua sommità Dio, mentre angeli e demoni sono creature intermedie tra Dio e gli uomini, dotate, come gli esseri umani, di
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libero arbitrio6• Così come gli angeli assistono e soccorrono i meritevoli, i demoni inducono i cattivi e gli increduli ad agire seguendo le proprie perverse intenzioni. Ai demoni, nonostante la loro malvagità, Dio ha co munque attribuito una precisa funzione in un cosmo ordinato secondo il rigoroso rispetto della superiore equità divina, vale a dire quella di punire chi, rinnegando la vera fede e perseguendo i propri interessi particolari a danno del bene comune, perde di vista l'esistenza di un supremo principio di giustizia, il quale deve sempre essere rispettato. Le malie sono infatti efficaci proprio in quanto riconfermano l'alleanza di streghe e stregoni con i demoni, ai quali è permesso compiere atti impossibili agli uomini: volare velocemente da un posto all'altro, sollevare tempeste, scatenare pe stilenze, inaridire terreni, rendere impotenti gli uomini o sterili le don ne. Proprio tale alleanza definisce il carattere criminale della stregoneria, in quanto streghe e stregoni costituiscono una società occulta, agiscono dissimulando la propria condizione reale, legati da un vincolo di fedeltà reciproca, stretto al fine di arricchirsi e ottenere gloria o potere attraverso mezzi illegittimi, senza alcun merito proprio, a danno del bene comune, e trasgredendo la legge divina, secondo la quale devono essere premiati con onori e pubblici riconoscimenti coloro che si sono distinti per le proprie virtù e devono essere puniti i responsabili di misfatti. Stipulando un patto con i demoni e con il loro principe, Satana, streghe e stregoni rinnega no Dio, autore e garante della superiore giustizia dell'ordine della natura, della quale si dichiarano nemici. Identificarli, colpirli, smantellare la loro organizzazione significa difendere e ribadire un ordine sociale ed un equi librio istituzionale che su tale assetto "naturale" sono fondati. Il ricorso ai processi inquisitoriali, giustificato con l' idea che l'alleanza tra streghe e stregoni fosse estesa e capillare e che, qualora non adeguatamente com battuta, avrebbe potuto investire pressoché ogni livello sociale, ha fatto sì che quello che si configura come un sistema di autolegittimazione di un ordine politico estendesse le proprie prerogative e la propria azione. A differenza di quanto fino ad allora sostenuto nel rispetto del mo dello definito col Malleus maleficarum, nella Demonomania Bodin non attribuisce all ' Inquisizione ecclesiastica la giurisdizione sui reati di stre goneria. Ad occuparsene, coerentemente con la sua concezione politica e con la sua teoria dello Stato, devono essere piuttosto i tribunali civili. 6. Su angeli e demoni, cfr. supra, i contributi di A. Maggi e J. Céard, rispettivamente alle pp. ! 1 9-34· IJS·so.
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Bodin legittima la repressione della stregoneria sulla base della stessa inter pretazione della natura e della relazione tra crearore e crearure su cui fon da la sua definizione della nozione di sovranità. Nel primo capi rolo della Demonomania si afferma che « [i] ncantarore è colui, il quale per mezi diabolici scientemente si sforza di pervenire a qualche cosa » . L' imputabi lità dell' « incantarore >> è legittima perché il ricorso ai « mezi diabolici >> è condotto con piena consapevolezza: l'avverbio « scientemente >> rende chiaro che non possono sussistere dubbi sulle reali intenzioni di streghe e stregoni. L'efficacia dei malefici è resa possibile, infarti, in virtù del potere che Satana e i demoni hanno sulla natura. In una rigorosa distribuzione di competenze e di ruoli, Dio permette ai demoni di provocare lutti, tra colli economici o rovinare promettenti matrimoni (Demonomania, p. 3 1 ) . L ' « incantatore >> e l a « Sortilega >> agiscono secondo u n lucido disegno, il cui primo passo consiste nello stipulare il patto satanico. Solo l'alleanza degli « incantarori >> tra loro e con il demonio rende possibile l 'efficacia dei sortilegi: > . Si tratta di una > , sancita attraverso la rinuncia a Dio ed un "battesimo': compiuto sta volta in nome di Satana, con il quale i sortilegi assumono un nuovo nome che certifica la loro mutata identità7• Tale patro porta alla costituzione di una società occulta, i cui membri sono legati da vincoli di mutua solida rietà, rigorosa omertà e reciproco sostegno, rafforzati dal fatto che i sodali occupano talvolta ruoli di potere, ai quali hanno avuto accesso in alcuni casi proprio grazie alla loro condizione di incantarori. Streghe e stregoni non possono perciò essere trattati alla stregua di cri minali comuni. A distinguerli da avvelenarori di bestiame, assassini o adul teri, infatti, ci sono proprio quei > dei quali si avvalgono e la consapevole adesione alla società occulta che rende loro possibile farvi ricorso. È quesro a rendere il crimine di stregoneria diverso dagli altri e tanto più grave: aderendo al patro satanico, gli incantarori rinnegano la propria fede in Dio e prometrono fedeltà al demonio, poiché solo la fidu cia nei poteri di Satana può conferire efficacia alle loro malie, nel rispetto 7· Cfr. Bodin, Demonomania, p. 148: «Ancora è cosa più strana, che la maggior parte de gl 'incantatori non si contentano solo di rinontiare a Dio, che ancora si fanno battezzare in nome del diavolo, et nominare per un altro nome, che è la cagione, per cui i sortilegi hanno ordinariamente due nomi. Et è da notare, che non ci bisogna che un sortilego solo per farne cinque altri. Percioché per far cosa più grata al diavolo, et havere pace con esso lui quando altri se gli è dato, bisogna attirargli più soggetti » .
I YINCOLI DELLA NATURA di uno dei principi fondamentali di tutta la tradizione magica, secondo il quale dove manchi la fede nei poteri del mago e nella forza del!' incantesi mo, quest'ultimo sarà destinato al fallimento. Sovrano assoluto del creato è però Dio, e la sovranità, a giudizio di Bodin, è indivisibile e sciolta da ogni vincolo. È per questo che, a dispetto di ogni sforzo, le imprese degli incantatori non potranno mai sovvertire l'ordine del creato ; ove non siano adeguatamente contrastate, però, Dio interverrà direttamente per punire non solo i delitti manifesti, ma anche quelli custoditi dagli uomini nel più profondo del proprio intimo. Tale intervento diretto di Dio è inevitabile quando la giustizia penale perde di vista la propria ragion d'essere : vendi care le offese rivolte contro la suprema maestà divina, punendo i malvagi con pene proporzionali alla gravità delle colpe e premiando chi merita con analoga proporzione. L'oblio del senso della giustizia penale e la perdita degli equilibri civili, politici ed istituzionali sono la prima e vera causa del la crisi politica francese. Le guerre di religione sono l'effetto di tale smarri ta condivisione di un unico principio di giustizia, che implica la rottura di una comunicazione ed articolazione interna della vita civile ed istituziona le che le leggi e la religio hanno il compito di garantire e favorire.
La traduzione italiana della Démonomanie
Il concetto di religio presente nella Demonomania non coincide con i prin cipi del cattolicesimo. Di questo si rese conto l'abate Marcantonio Maffa, incaricato di redigere una censura della traduzione italiana dell'opera8• Per il modo in cui Bodin concepisce la religio è essenziale piuttosto la defini zione della relazione esistente tra Dio e natura. Al censore non è chiaro se ciò accada a causa di una sostanziale indifferenza religiosa di Bodin, di una sua concezione tutta politica della religione o di una segreta adesione all 'ebraismo : sono queste le ipotesi formulate per interpretare il testo e rivolte contro l'autore come capi d'accusa. La versione italiana dell 'opera 8. Sulla traduzione della Demonomania furono condocte, da parte dell'abate Marcanto nio Maffa, due censure, per !"edizione del 1587 e per la ristampa del 1589. A giudizio di Maffa, Bodin deve essere annoverato « fra quei politici, che più costo vivono con proprio giudicio che con quello delle leggi >> . Bodin inoltre « leva la religione » , aggiunge Maffa e, se la lettura delle sue altre opere lo aveva indotto a credere che Bodin seguisse « una religione arbitraria, et fabricata a suo modo » , si era poi persuaso del suo ebraismo. Cfr. Valente (1 999, pp. 4> ss. ) .
STREGONERIA E POLITICA NEL RINASC IMENTO era stata pubblicata in modo da apparire in piena consonanza con la po litica di repressione della stregoneria e di contrasto alla diffusione di testi magici e demonologici, politica seguita dalle gerarchie ecclesiastiche nel tardo Cinquecento•. Ciò non impedì che laDemonomania venisse dappri ma censurata e poi vietata. La prima ristampa dell 'opera, apparsa nel I S89, a soli due anni di distanza dalla pubblicazione della prima traduzione, pre senta non pochi interventi della censura e nuovi contributi si riscontrano nella seconda ristampa del IS92, la cui vendita fu sospesa in seguito alla decisione di considerare laDemonomania non emendabile. Nel I S 9 6 fu in fine pronunciata dalla Congregazione dell' Indice una definitiva condanna delle opere di Bodin fino a quel momento esaminate dalla censura: Demo nomania, République e Methodus adjàcilem historiarum cognitionem10• Il primo giudizio sfavorevole era stato emesso da Antonio Possevino, il quale aveva esaminato la Methodus e la République ( Possevino, judicium ) ; un ul teriore e più articolato esame di quest'ultima fu quindi condotto da Fabio Albergati". Gli argomenti con i quali Possevino e Albergati motivarono la propria avversione per le opere di Bodin toccavano da un lato le opinioni di quest 'ultimo in materia di fede, dall'altro le sue opinioni politiche, e si sostanziavano nel! ' accusa di aver sostenuto la legittimità della tolleranza religiosa, cui veniva contrapposta la tesi secondo la quale la dottrina poli tica non poteva prescindere dal riconoscimento dell'esclusività del cattoli cesimo, unica religione vera e fondamento morale della vita politica. Seb9· La Demonomania comprende una lettera dedicatoria al cardinale Agostino Valier ed una versione italiana della Determinazione, con la quale i teologi della Sorbona nel 1398 si erano pronunciati contro le pratiche magiche, oltre ad una riproduzione della bolla Coeli et terrae creator Dei, promulgata il s gennaio 1586, con cui Sisto V aveva condannato l'a strologia giudiziaria ed ogni genere di divinazione, ed ordinato di perseguire chi le prati casse. Agostino Valier, nato a Venezia nel 1531 e morto a Roma il 13 maggio del i6o6, fu vescovo di Verona a partire dal 156s, visitatore apostolico delle diocesi di !stria, Dalmazia, Venezia e Padova dal 1579, cardinale dal dicembre 1583. e ricoprì l' incarico di prefetto della Congregazione del!' Indice. 10. Sulle vicende che hanno condotto alla condanna delle opere di Bodin, cfr.: Fragnito (1997, pp. 173·98; wo1 ; wo>), Frajese (1986), Ricci (wo>, pp. 38o-4w; wo8, pp. >7>90 ), Tedeschi (1997, pp. 167 ss.). 1 1. A partire dall"aprile 1595. Albergati fu impegnato nella scrittura di un Antibodino, pubblicato nel 160> per i tipi di Luigi Zannetti in Roma col titolo di Discorsi politici, in cui la République era esaminata e criticata in modo più esaustivo di quanto non fosse av· venuto nello scritto di Possevino. Cfr. Albergati. De i discorsi politici libri cinque. L'opera fu pubblicata per i tipi di Giovan Battista Ciotti nel 1603, poi da Giacomo Dragondelli nel 1664.
I YINCOLI DELLA NATURA bene l'argomento discusso nella Demonomania appaia ben lontano dai temi affrontaci nelle due sue altre opere censurate, un esame delle emenda zioni cui sono state sottoposte le due ristampe dell'opera nella traduzione italiana può far luce sulle motivazioni della censura, e far intendere quanto stretti siano i nessi che legano Demonomania e République. Alcuni era gli interventi sul cesto interessano i particolari riguardanti le pratiche scregonesche : sono perciò espunti i nomi delle piante e degli animali, le formule ed i rituali magici che venivano utilizzati nella prepara zione degli incantesimi (Suggi, 2006, pp. YII-LYI I ; LXI X-CXXYII I ) . Sono modificati anche i passi dai quali risulta che a compiere malie siano stati sacerdoti o monache e soppresso il brano in cui vengono elencaci i papi che ebbero fama di "incantatori". Alcri emendamenti riguardano però la distinzione stabilita nell 'opera era religio e superstitio. Ogni religione sto rica, spiega Bodin, ha combattuto gli "incantatori"; a suo avviso, infatti, « non c 'è religione tanto supersciciosa, che in qualche modo non ritenga gli huomini ne' termini della natura >> ". Nel definire il concetto di vera religio Bodin non fa riferimento diretto a religioni storiche per cui cale vera religio non pare immediatamente riconducibile né al cattolicesimo posc-cridentino né ad alcuna forma di cristianesimo. L'opposizione era religio e superstitio si basa piuttosto sul modo in cui è definita la relazio ne era creatore e creature: mentre nella religio gli uomini venerano Dio creatore dell'universo, nella superstitio tributano la propria dedizione ad una creatura, Satana appunto. Questi si affanna nel cercare di distogliere lo sguardo degli uomini dal creatore per piegarli all'adorazione delle crea cure ; pertanto induce i suoi seguaci a tenersi lontano da ogni forma di devozione e a compiere atti blasfemi, così da assoggettarli completamente, facendo credere loro che ogni riconciliazione sia impossibile. La supersti tio è quindi una forma di perversione, di idolatria''· Bodin spiega come la forma di idolatria che caratterizza streghe e stregoni, i quali, consapevoli di aver stipulato un pacco con il demonio, hanno rinnegato Dio e ricorrono « scientemente >> a « mezi diabolici >> , sia più grave anche di quella pratica12.. Con l'espressione "ritenere" «ne' termini della legge della natura » , Bodin intende: « ubidire a' padri, e alle madri, et a' magistrati con un certo timore di fare male ad alcu no » . Cfr. Bodin, Demonomania, p. 146. 13. Bodin, Demonomania, p. 12.7: « lo chiamo idolatria con Santo Agostino, et con tutti gli antichi, et moderni Theologi il deviare dal creatore alla creatura. Eglino usano questo termine. Aversio a creatore ad creaturam. Et perciò si vede, che le parole non sortiscono mai effetto, se l'h uomo non vi mette la sua fede >> .
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ta dagli abitanti delle Indie Occidentali, idolatri perché adoratori del Sole e della Luna, tuttavia in buona fede. Ogni religione costituisce un argine alla diffusione della stregoneria perché difende la relazione tra creatore e creato, tra Dio e natura. Quale scarto separi la materialità delle creature dalla natura spirituale delle verità somme ed eterne era già stato intuito da Platone, Giamblico e Porfirio. L'opposizione tra religio e superstitio ha l'effetto di rendere di secondaria importanza le differenze esistenti tra il cattolicesimo e le altre religioni storiche. La corretta modalità di intende re la relazione tra creatore e creato fa sì che neppure il paganesimo degli antichi e i culti dei popoli delle Indie Occidentali possano essere condan nati senza appello. Adombrata nei culti idolatri, sotto la veste di cerimonie in cui sono venerati dèi antropomorfi, corpi celesti o forze della natura, Bodin non esclude che si nasconda la nascente consapevolezza che al divi no spetti un livello ulteriore dell'essere, immateriale ed increato, di cui le immagini sarebbero effigie sensibile ma non esaustiva. Tale definizione di religio non poteva evidentemente essere in alcun modo accettata da Roma. Essa minava la centralità del cattolicesimo e l 'esclusività del nesso tra po litica e cristianesimo romano, che i teorici della Controriforma in quello stesso periodo andavano definendo. Una volta stabilita la reciproca implicazione tra religio e buon ordine istituzionale, Bodin passava a definire le modalità con le quali si doveva combattere la superstitio. I magistrati ordinari non sono sufficienti alla re pressione della stregoneria. Il loro lavoro, spiegava Bodin, deve essere inte grato da quello di giudici che si dedichino alla lotta contro gli incantatori in modo esclusivo e con adeguata preparazione. Né questi giudici debbono temere ritorsioni o vendette da parte degli aderenti alle sette stregonesche; essi infatti godono della protezione di Dio, dato che agiscono con l ' inten to di ristabilire il supremo principio di giustizia. Anche le procedure assu mono un carattere peculiare. Lo strumento più utile contro la stregoneria è la delazione : solo chi abbia fatto parte della società occulta composta da streghe e stregoni può dare informazioni sicure riguardo alla milizia dia bolica che andava estendendosi e ramificandosi sul territorio francese. Ma per indurre il presunto "incantatore" a confessare e a denunciare i propri sadali è necessario fiaccare la sua volontà, isolandolo e tenendolo sotto continua sorveglianza, in modo da impedirgli ogni contatto con Satana ed evitare che possa ricevere rassicurazioni o incoraggiamenti. Le inchie ste potranno avere inizio anche sulla base di denunce anonime e non sarà necessario verificare se il denunciante - di cui si può peraltro tener segreto
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il nome per proteggerlo da eventuali ritorsioni - sia mosso da motivazioni personali. Nei processi per stregoneria saranno inoltre ammesse a testimo niare anche le donne, e sarà lecito ai figli pronunciarsi contro le proprie madri. Bodin delinea in tal modo una vera e propria "legislazione speciale", più restrittiva e dura di quella ordinaria, e in cui le già minime garanzie per gli accusati sono ulteriormente ridotte. Da tali misure d'eccezione neppu re i magistrati sono esclusi: per quelli che non applichino correttamente le pene previste contro la stregoneria Bodin raccomanda la pena di morte, poiché tali magistrati debbono essere considerati complici degli incanta tori o stregoni essi stessi. Ai prìncipi inoltre non è permesso graziare chi venga riconosciuto colpevole di stregoneria: se la lesa maestà è solitamente punita con la pena capitale, non c 'è alcun motivo per non giustiziare chi sia stato giudicato colpevole contro la maestà divina. Possono evitare la pena capitale solo coloro che, senza essere stati accusati di alcunché, ab bandonano la milizia satanica, confessano le proprie colpe e denudano il maggior numero possibile di "incantatori". Sono questi dei veri e pro pri pentiti e costituiscono in realtà l'arma più efficace nella lotta contro la stregoneria: le loro confessioni, proprio perché spontanee, saranno più ampie, dettagliate e precise di quelle estorte, magari sotto la minaccia della tortura, a chi sia già sotto processo. A tali duri metodi di repressione, che hanno impressionato più d'uno tra i lettori della Demonomania, sarà necessario far ricorso, spiega Bodin, allorché la persuasione, le buone leggi, il rispetto della parola di Dio, l'os sequio per la religione e l'autorità dei filosofi e dei teologi avranno perso la propria efficacia e non riusciranno più a contenere gli uomini entro i giusti limiti. Sono metodi "eccezionali' ; ma indispensabili, dal momento che è andato perduto il timore di Dio, che tiene gli uomini lontani da Satana e li induce a rispettare l'ordine della natura, l'ordine sul quale è costruito l'equilibrio istituzionale dello Stato, impedendo che la ricerca dei vantaggi particolari spinga fino alla negazione del principio fonda mentale del vivere civile. Bodin sta discutendo, ancora una volta, della ter ribile crisi francese, della quale la proliferazione delle sette stregonesche è immagine plastica e rappresentazione preoccupante : ogni solidarietà è spezzata, ogni principio di equità aggirato, la reale identità di ciascuno è dissimulata, e sotto una facciata di rispetto ed autorità può nascondersi un temibile incantatore. Il nesso tra mancata repressione della stregoneria e guerre di religione è stabilito da Bodin allorché deplora gli increduli che, irridendo i processi
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contro gli incantatori, sono riusciti ad indurre i giudici ad usare mino re severità rispetto al passato : « la toleranza d'alcuni giudici di non fare abbruciare gl' incantatori ( come ha fatto il Parlamento in ogni tempo, e tutti gli altri popoli ) è stata cagione delle grand'affiittioni, che Iddio ci ha mandato >> , laddove le « affiittioni >> che hanno colpito la Francia sono le guerre di religione. Non reprimere la stregoneria significa lasciare che un crimine rivolto « direttamente contra la maiestà di Dio >> rimanga impu nito. Punire i misfatti è però uno dei due modi « co i quali le Republiche si mantengono in stato e grandezza >> ; l'altro consiste nel premiare i buoni. Riprendendo temi codificati dalla tradizione demonologica di derivazio ne neoplatonica, Bodin ribadisce lo schema di una natura retta da Dio attraverso l'azione di angeli e demoni: ai primi è conferito il compito di guidare gli uomini verso la sapienza, la più alta tra le virtù, ai secondi il compito di indurii al male. Ma la malefica attività dei demoni non ha al cuna possibilità di sovvertire l 'ordine del creato. Piuttosto, Dio si serve di loro per punire chi cede alle lusinghe sataniche, rinnega la vera religio ne e si lascia sedurre dal demonio, fidando di ottenere in cambio quanto ambisce, salvo poi rovinare. Tutto ciò accade proprio a maggior gloria di Dio ed è a tal fine che i demoni profondono i propri sforzi, risultando così nient'altro che « birri di Dio >> , come avrà modo di definirli Tomma so Campanella con il suo linguaggio ispessito da termini di provenienza popolare. Ai demoni spetta perciò un compito analogo a quello che tocca ai magistrati del regno: punire i rei per conto di Dio, al fine di ristabilire la giustizia, garantendo in tal modo un armonico governo del creato. Nel libro IV della Demonomania, Bodin sintetizza così il senso e la fun zione del sistema distributivo della giustizia, articolato secondo un equo bilanciamento di premi e punizioni, il cui fine ultimo non consiste nel colpire chi abbia compiuto misfatti, bensì nel « mitigare l' ira di Dio >> , evitando i n tal modo che Dio proceda più duramente a farsi giustizia, ven dicando l 'offesa ricevuta ed ottenendo così « la benedittione di Dio so pra tutto un paese >> ( Bodin, Demonomania, p. 324). Il vero compito della giustizia penale consiste nel far rispettare la superiore giustizia armonica impressa da Dio al creato, in un quadro che vede in Dio il detentore della sovranità sulla natura ed il modello del monarca dello stato assoluto ( ivi, p. 323). In un parallelo sviluppato a più riprese, Bodin traccia un'analogia tra il sistema con il quale Dio governa il creato e l'articolazione istituzionale che dovrebbe essere rispettata ed applicata in uno stato "bene organizza to". Il nesso tra mancata repressione della stregoneria, sua conseguente dif-
I VINCOLI DELLA NATURA fusione e crisi della monarchia francese sfociata nelle guerre di religione consiste nella rottura della condivisione di un unico modello di giustizia. Tanto adorare Satana ed aderire alla "setta" stregonesca, quanto abbando nare la religione tradizionalmente praticata per abbracciarne una "nuova" hanno l'effetto di produrre divisioni all' interno del corpo sociale, difficil mente sanabili in quanto non viene più riconosciuto il medesimo princi pio di equità, la medesima fonte di sovranità, divina e politica. Colpire la stregoneria, rafforzare gli strumenti adatti a sradicarla completamente significa attaccare i nemici dichiarati e consapevoli del principio che fonda e legittima un buon ordinamento istituzionale. La sovrana maestà divina è il modello della sovranità regia. Rinnegandola, gli "incantatori" negano il fulcro del potere del re'+. La "caccia alle streghe" si configura dunque in Bodin come questione di massima rilevanza politica. Incantatori e sortilegi negano la propria lealtà all'unico principio che può garantire coesione istituzionale allo Sta to e che rende possibile un governo condotto secondo principi di equità e giustizia: proprio allo Stato spetta quindi il compito di perseguirli. Bo din rivendica la giurisdizione della magistratura francese su un crimine considerato di competenza dell' Inquisizione ecclesiastica perché in tal modo ribadisce l'esclusività dell'esercizio della giustizia penale, che vuole sia accentrata nelle mani dell 'unico soggetto detentore della sovranità. La Demonomania non costituisce perciò un "infortunio" inconciliabile con il resto della produzione di Bodin. Streghe e stregoni sono nemici dello Stato proprio perché nemici di Dio. Sono nemici dell'ordine armonico del vivere civile che le istituzioni politiche e la religio cercano di affermare e di difendere, avendo di mira l'equilibrato accordo delle differenze, l' in teresse generale da perseguire facendo corrispondere, secondo un equo sistema distributivo, meriti e premi, colpe e punizioni. Agli "incantato ri" preme invece l' interesse particolare proprio e dei propri sadali, ed essi cercano di attenerlo con l' inganno, dominando sapientemente le leggi di natura e dissimulando la propria condizione. La consapevolezza del loro agire, la lucidità con la quale rinnegano i fondamenti delle istituzioni reli giose e politiche li rende colpevoli di tradimento e meritevoli di una lotta senza quartiere. 14. lvi, p. z4: « il rivocare ciò in dubbio (come fanno gli Epicurei Atheisti) sarebbe un negare i principij di tutta la metaphisica, e l'essistenza di Dio, dimostrata da Aristotile et il moto de' corpi celesti, ch'egli attribuisce a gli spiriti, et all' intelligenze, conciosia che la parola spirito s'intende de gli angeli, et de i demoni » .
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Fonti di riferimento
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« Per uno stregone che si vede, se ne veggono dieci milla donne » . Caccia alle streghe e questioni di genere di Michaela Valente
Il recente dibattito storiografìco
Nonostante una continua e vivace produzione sroriografica abbia contri buiro negli ultimi decenni a smantellare molti degli stereo ripi più diffusi riguardo alla caccia alle streghe, quello relativo alla supposta equazione donna-strega sembra rurravia alquanto duro a morire. Tale srereoripo af fonda del resro le radici nell' idea, assai diffusa in Europa a p arri re dalla seconda metà del Quattrocento, secondo cui per ogni srregone vi erano almeno diecimila streghe. La strega, olrre ad essere una rappresenranre del "genere" femminile, veniva più specificamenre percepita come una donna anziana, priva di mezzi, sola (ralvolra vedova), spesso associata ad arrivi rà di guaritrice o levatrice e rirenura capace di provocare danni, carestie e morti (maleficium) (Behringer, 20o8a; Wiesner, 2003, pp. 264-87). Si rrarra di un' immagine vividamente confermata dalle coeve rappresenra zioni iconografiche di Hans Baldung Grien (1 484/85-1545) fino a quelle indimenricabili, rra le altre, di Francisco Goya (1746-1828), immagine ri presa persino dalle più recenti rappresenrazioni cinematografiche (Caret ti, Corsi, 2002). Cerro è che il rapporro era la percezione della prevalenza femminile rra le streghe e il farro che il maleficium fosse facilmenre ricon ducibile ad attività prevalenremente svolre da donne richiede arrenzione e caurela interprerariva (Cardini, 1 9 8 9 ; De Blécourt, 2000; Elsperh, 1 9 9 5 ; Maxwell-Sruarr, 2 0 0 5 ; Moscarda, 1 9 9 1 ; Muraro, 2oo 6 ; Murray, 1972; Opitz-Belakhal, 2009; Willis, 1995; cfr. anche in.fra, il contriburo di A. Meyer-Ludowisy, alle pp. 273-90 ) Alla luce del più recente dibarriro, intendo quindi sorroporre a veri fica il luogo comune sroriografico riguardante l' idenrificazione di donna e strega, provando ad allargare lo sguardo dal dato statistico (al quale, nonosranre le innumerevoli caurele con cui esso debba essere esaminaro, si riconosce comunque un cerro peso) per prendere in considerazione la .
I YINCOLI DELLA NATURA percezione coeva del fenomeno. Per quest 'ultimo punto, mi baserò so prattutto sulla letteratura demonologica, in cui si riversarono immagini della cultura "alta" e "bassa': al fine di indagare l ' ipotesi dell 'esistenza di una questione di genere. Allo stato attuale, è evidente che le donne furono giustiziate in misura maggiore per stregoneria che per ogni altro crimi ne. Il dato sembra mettere in stretta relazione genere e caccia alle streghe. Possiamo dunque affermare che tale caccia abbia rappresentato una fase in quella che è stata definita "la guerra dei sessi" ? L' interrogativo da porsi è, a mio avviso, diverso. Occorre chiedersi innanzi tutto quali siano stati i presupposti, quali le cause e quali gli effetti della caccia, fenomeno com plesso che si è sviluppato in tutta Europa e poi nelle colonie americane, presentando caratteristiche proprie in ogni realtà storico-geografica, pur mantenendo una base teorica comune. Prima di addentrarci nell'analisi, bisogna ricordare il contributo del la storiografia femminista nel riprendere e diffondere l' identificazione di donna e strega. Talvolta con toni decisamente esasperati, dietro l'accusa di stregoneria si è voluto leggere una condanna della cultura femminile e un tentativo di rimuoverla. Com'è noto, la strega, o meglio colei su cui convergevano sospetti e accuse, era spesso guaritrice, levatrice, erborista, esperta di filtri e magie d'amore, attitudini e mestieri che esponevano a notevoli rischi per gli insuccessi frequenti, oltre a essere fonte di timori e invidie. In base alla tesi sostenuta con forza da Barbara Ehrenreich, perse guendo la strega si intendeva dunque eliminare una medicina alternativa "femminile': in un momento storico in cui si andava affermando la medici na ufficiale "maschile" (Ehrenreich, English, 1975). Seguendo la medesima linea interpretativa, Anne Barstow, una delle studiose maggiormente cri tiche nei confronti della storiografia riguardante la caccia alle streghe, ha spiegato i picchi raggiunti dalla persecuzione come tentativi di controllare la vita sessuale e riproduttiva delle donne. Provocatoriamente ha quindi posto il quesito se lo scontro tra lo storico e la strega scaturisca da una de liberata rimozione della questione di genere, temi che hanno assunto negli ultimi anni un grande rilievo (Barstow, 1 9 8 8, p. 8). Seguendo le suggestive ipotesi della storiografia femminista, Marian ne Hester ha quindi sottolineato la proiezione delle relazioni sociali tra uomo e donna nella costruzione dell' immagine della strega (Hester, 1992). Sempre legata alla questione del genere è la spiegazione individuata dalla studiosa australiana Lyndal Roper, la quale ha confessato di non aver ri scontrato nella stregoneria, come si sarebbe aspettata, il culmine dell'anta-
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gonismo sessuale, ma di aver invece compreso come la motivazione prima ria fosse legata alla maternità. Attraverso l'esame di alcuni casi avvenuti ad Augusta negli anni sessanta del Seicento, ha infatti indicato come possibile origine di una fase della caccia la conflittualità tra madri, da un lato, e balie e ostetriche, dall'altro. Le dinamiche conflittuali, secondo la sua analisi, sarebbero derivate dalla sindrome postparto e dall' invidia per l ' incapaci tà riproduttiva. Esemplare è il caso di Anna Ebeler, balia accusata dalle donne presso le quali aveva lavorato di aver provocato la morte dei loro figli ( Roper, 1994). Recentemente anche Charles Zika ha sostenuto che la caccia alle streghe rientra nella strategia di controllo dei corpi e perciò, per verificare questa ipotesi, ha analizzato le rappresentazioni iconografiche come specchio delle convinzioni dell 'epoca ( Zika, 2003, p. 237; cfr. anche infa, il citato contributo di A. Meyer-Ludowisy ) . Accanto a riflessioni pertinenti e concrete, tuttavia, tali analisi con le loro conclusioni risultano spesso insoddisfacenti e parziali rispetto alla complessità del fenomeno. Con questo, però, non si vogliono minimizzare gli apporti originali che la storiografia di genere ha prodotto, richiamando l'attenzione su dinamiche che possono aver determinato episodi specifici della caccia alle streghe. È significativo che Brian Levack, promotore tra l'altro di importanti iniziative di riflessione storiografica, abbia tenuto nel giusto conto, mostrando una certa sensibilità, la produzione femminista sull'argomento ( Levack, 1992, 2002). Gli scossoni dati dalle provocato rie suggestioni della storiografia femminista e i risultati cui sono giunti gli studiosi sull'onda di quei dilemmi hanno quanto meno contribuito ad immettere nuova linfa nella discussione. Sebbene da più parti siano stati messi in rilievo i limiti di spiegazioni unilaterali che non considerano l' ap proccio policausale, il dibattito storiografico sulle streghe si è giovato delle innovazioni portate dallo sviluppo della storia delle donne e dei gender studies, recependo ne alcune sollecitazioni. Nel suo studio sulla Scozia, Christina Larner si è avvalsa intelligen temente di alcune ipotesi che provenivano dalla storiografia femminista ( senza però cadere nella rappresentazione quasi surreale della strega come di una proto-femminista ) per esaminare il peso delle scelte non confor miste o del retaggio patriarcale ( Larner, 1 9 84). Rifiuta l ' ipotesi di una congiura contro le donne anche Stuart Clark. A suo giudizio, le premesse ideologiche dell' identificazione donna-strega non sono affatto origina li e rientrano in una tradizione letteraria antichissima tanto consolidata
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da non richiedere alcuna ulteriore riflessione: la connessione tra streghe e donne era così ovvia per i demonologi, così radicata nelle loro credenze e comportamenti, che non avvertivano nessun bisogno di rielaborarla [ ... ] . La femminilità della strega può essere un interrogati· vo urgente per noi, ma al tempo della caccia alle streghe non era prioritario; era piuttosto un presupposto che un problema (Clark, 1991, p. 431).
Clark è poi tornato sulla questione nel suo volume Thinking with Demons. Il femminile della strega rientra, secondo lui, nella logica binaria polariz zata caratteristica dell 'età moderna, in un'ottica in cui al bene si contrap pone il male, al razionale l ' irrazionale, e dunque al maschile il femminile (Clark, 1 9 9 7> p. 33). D'accordo con Clark, possiamo considerare quindi il genere femminile delle streghe come un presupposto, non come una causa della caccia alle streghe: in questa prospettiva, si chiarisce la relazione spe cifica intercorsa tra misoginia e caccia. Pertanto, i roghi non si accesero a causa di un esacerbato sentimento misogino ; questo fattore è certamente ricorrente nella storia sociale europea, ma non fu né eliminato, né ridotto con la fine della caccia alle streghe. Inoltre, emerge anche un altro inter rogativo che inficia l' ipotesi della misoginia: in Stati dove certamente la misoginia era viva, come nell'area mediterranea, inquisitori e vescovi della Chiesa di Roma si comportarono diversamente dai loro colleghi europei. Romeo ha analizzato lo stile del tribunale inquisitoriale romano, ma ha anche messo in luce la strategia maschilista della Chiesa controriformista (Romeo, 1 9 9 0, pp. 266-7; 2oo8a; 2oo8b ). Si dovrebbe poi spiegare come un sentimento comune, diffuso e tra sversale come la misoginia potesse dar adito in alcune zone a eccessi di persecuzione e in altre a una sostanziale indifferenza nei confronti delle presunte streghe. Risulta quindi evidente che la misoginia può essere un fattore, ma non l'unica spiegazione di un fenomeno estremamente com plesso e variegato. La prevalenza femminile tra le streghe deriva non tan to dalla volontà di portare avanti una guerra contro le donne (non si è trattato di woman hunting, come sostenuto da una parte della storiografia femminista), quanto dalla considerazione che le streghe possono essere donne perché esse sono più facilmente inclini al potere demoniaco. Non si dimentichi che Terrulliano aveva parlato della donna come ianua dia boli, "porta" del diavolo. La strega doveva quindi essere perseguitata so prattutto per l'apostasia e per il rapporto con Satana; il genere svolgeva un ruolo perché predisponeva, rendeva più facile l'abbandono della retta via,
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o esponeva maggiormente per ignoranza alla sopravvivenza di riti e pra tiche che dovevano essere represse o soppiantate. Ma erano il diavolo e la convinzione che fossero in corso i preparativi per uno scontro apocalittico ad armare la mano dei teologi-demonologi nel preparare i trattati, e dei magistrati nel comminare le giuste pene contro chi osava ribellarsi a Dio. Più che la guerra alle donne, era l'ossequio rigoroso al monito scritturate di non lasciare vivere la strega (Ex 22, I8) a spingere alla caccia. Passando ai processi, e con necessarie (quanto brutali ) generalizzazio ni, non si può affatto trascurare il fatto che spesso le accuse di stregoneria provenissero da donne dello stesso livello sociale delle imputate. Ciò rende meno convincente l'argomentazione del conflitto fra i generi, mentre dà maggior credito all ' interpretazione derivante dal funzionalismo antropo logico, secondo cui la caccia alle streghe diede sfogo a tensioni interne ai villaggi ( cfr., in particolare, Macfarlane, I999; Thomas, 1 9 8 5 ) . Ma anche qui una spiegazione affascinante non può essere estesa a tutte le realtà: di certo essa può risultare maggiormente valida per il mondo anglosassone. Recentemente, concentrando la sua attenzione sui trattati demonologici, Walter Stephens ha voluto porre in evidenza l' importanza delle questioni sessuali nella costruzione dell' immagine della strega. Attraverso la prova della fisicità del rapporto con il demoniaco, i demonologi intendevano re spingere ogni forma di scetticismo. Proprio in questa cornice argomentati va, trova spazio la questione dell'equiparazione tra donna e strega, discussa e contestata da Stephens (wo2). Va detto che negli ultimi anni si è assistito a una sorta di inversione di tendenza da parte della storiografia anglosassone, che ha sottoposto a ve rifica lo stereotipo della donna-strega per rovesciarne l'assunto e mostrare invece i molti casi di prevalenza maschile tra le streghe. In un'opera re cente due sociologi, Lara Apps e Andrew Gow, hanno infatti evidenziato la maggioranza maschile nei processi per stregoneria svoltisi in Norman dia, Estonia e Islanda. Essi hanno quindi polemicamente posto l'accento sull'esclusione della strega-uomo dall'analisi storica, considerandola un'o missione altrettanto grave quanto quella delle donne dalla storia ( Apps, Gow, 2003). Su questa linea interpretativa si era già mosso Luciano Pari netto, autore di molti libri sul tema della stregoneria, per suggerire l' ipo tesi della caccia alle streghe come persecuzione del diverso. Egli rifiutava risolutamente la tesi, che definiva "paleo-femminista", della congiura mi sogina, mettendo in discussione anche il dato della prevalenza femminile ( Parinetto, 1 9 74, 1 9 9 1 ) .
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Per ricapitolare, l'uomo-strega va letto come danno collaterale o con seguenza del processo intentato alla donna, secondo quanto argomentato dalla relationship theory (Barstow, 1994; Quaife, 1 9 87; Wiesner, 20 0 6 ) , mentre Erik Midelfort ha evidenziato una maggior presenza di uomini strega nei processi di massa (mass-trial theory) (Midelfort, 1972 ) ; gli uo mini-strega non sono accusati degli stessi reati delle donne o hanno accuse di magia meno dannosa che non coinvolge il satanismo (dij/èrence theory) (P6cs, 2003 ) ; infine, Monter ha interpretato la maggior presenza di uo mini-strega nei processi in cui la stregoneria è associata all'eresia (heresy theory) (Monter, 1976 ) . Questa interpretazione, con attenzione ai risvol ti politici, è stata giustamente evidenziata da Lavenia ( 1 9 9 6 ) . Schulte, dal canto suo, propone un'originale teoria per cui, se si paragonano i processi per licantropia (di cui furono accusati quasi esclusivamente uomini) con quelli per stregoneria, si chiarisce e si risolve la questione del male witch. « Quanto più l' immagine del licantropo si avvicinava al paradigma del la strega >> , argomenta Schulte, « tanto meno quell' immagine recava una chiara somiglianza con specifici ruoli maschili o femminili>> (Schulte, 2009, p. 35 ) . Al di là degli importanti risultati raggiunti da questi studi, allo stato attuale delle stime possibili è però certo che nell' Europa dell'età moderna si accusavano, processavano e condannavano come streghe molte più donne che uomini, anche se in alcune aree, come ad esempio Islanda e Finlandia, la quasi totalità dei casi di stregoneria riguardava uomini (Toi vo, 2008 ) . Per tracciare un bilancio degli studi recenti, l' indiscuribile prevalenza femminile tra le presunte streghe è ormai un dato acquisito. Divergono ancora le spiegazioni, e si discute la rilevanza attribuita a questo fattore, mentre acquista sempre più spazio la questione di genere per gli uomini streghe (Rowlands, 2009 ). A questo punto, è possibile fare un passo in dietro per esaminare la trattatistica demonologica, dove si dava quasi per scontata, pur con poche esplicite affermazioni, la prevalenza femminile. Bisogna dunque cercare di capire per quale ragione si ritenesse che il peg gior crimine - l'apostasia - e il giuramento di fedeltà a Satana fossero così diffusi tra le donne. Da questo punto di vista, i trattati demonologici of frono un particolare angolo di visuale riguardo alla caccia alle streghe, nel senso che, pur conservando caratteri propri, ogni trattato si confronta con il medesimo patrimonio teorico di base e permette di valutare l'andamen to del dibattito dotto. Di fronte alla disarmante varietà delle fattispecie di casi e processi per stregoneria, la riflessione demonologica rende possibile
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addentrarsi in quell'universo di credenze con maggiore sicurezza. Vi si re spira un senso diffuso di angoscia e una ricerca di soluzioni prima teoriche e poi pratiche per vincere la terribile prova che Dio ha voluto assegnare all'umanità, quella di eliminare le streghe.
La natura femminile della strega nella letteratura demonologica della prima età moderna
Dalla metà del Quattrocento, la convinzione dell'approssimarsi della fine del mondo e dello scontro tra bene e male era avvertita a vari livelli, diffusa da profezie che traevano conferma dagli sconvolgenti avvenimenti che sta vano verificandosi all 'epoca. Si pensi solo alle conseguenze della conquista dell'America e all' impatto della Riforma protestante, senza dimenticare i sinistri presagi evocati dalla caduta di Costantinopoli per mano ottomana. Ebbene, le streghe, della cui esistenza si avevano testimonianze antichissi me, erano percepite come l'epifenomeno di quell ' imminente scontro, e per questo dovevano essere perseguitate. Attraverso la caccia alle streghe si intendeva infatti combattere in primo luogo il diavolo e il suo esercito di demoni, quali che fossero i suoi ausiliari, donne, uomini o bambini. Come si spiega, però, l'equivalenza tra donna e strega ? La diffusa idea di una maggior predisposizione delle donne alla stregoneria discendeva anche dalla convinzione dell' inferiorità femminile, idea che certamente affonda va le sue radici in alcuni luoghi scritturali, innanzi tutto nella Genesi, dove il peccato originale era interpretato come manifestazione della fragilità di Eva. Satana seduce e irretisce le donne a causa della loro maggior cedevo lezza nei confronti della lussuria. Si tratta di un' idea ricorrente che si trova anche nel principale manuale contro le streghe, il Malleus maleficarum (Il martello contro le streghe) scritto dai domenicani tedeschi Jacob Sprenger e Heinrich Kramer, e pubblicato nel 1486. Nel Malleus maleficarum si indi vidua anche la spiegazione della prevalenza femminile : sulla base dell'espe rienza, delle Scritture e della tradizione patristica, alcuni difetti considera ti tipicamente femminili (infedeltà, ambizione e, per l'appunto, lussuria) rendono le donne maggiormente soggette all'azione del diavolo (Kramer, Sprenger, Martello, l , 6, p. 95). I motivi sono principalmente che le donne rendono a essere più credule e siccome il diavolo cerca sopra tutto di corrompere la fede, le aggredisce di preferenza: [ ... ] le donne per natura a causa della pieghevo-
I VINCOLI DELLA NATURA lezza della loro complessione sono più facilmente impressionabili, [ ... ] hanno una lingua lubrica: quando sanno qualcosa per le loro male arti è difficile che riescano a nasconderlo alle amiche e, siccome sono deboli, cercano facilmente nelle strego nerie un mezzo per vendicarsi di nascosto ( ivi, p. 89 ) .
Ma l'argomentazione prosegue impietosamente fino a concludere che in effetti come conseguenza del loro primo difetto, quello dell'intelligenza, sono più portate a rinnegare la fede; come conseguenza del secondo, e cioè delle loro inclinazioni e passioni smodate, studiano, escogitano e infliggono varie vendette, sia attraverso stregonerie sia in qualunque altro modo. Non c 'è dunque da stupirsi se in questo sesso c 'è tanta abbondanza di streghe ( ivi, p. 9>).
La morbosa attenzione ad aspetti pruriginosi, come la complessa questio ne dei rapporti sessuali con i demoni (cardine del dibattito demonologico per l' intreccio di fisica e metafisica) o la possibilità di influire sulla potentia generandi (sono sette i metodi coi quali le streghe influenzano il coito e il concepimento), oltre alla insaziabile sessualità femminile, stigmatizzata anche dalla patristica, incorniciano la stregoneria nell'ambito sessuale, per quanto non possa, né debba essere ridotta soltanto a questo. Che la strego neria sia un delitto connesso con il sesso è fuor di dubbio. Basti pensare alla valenza simbolica del sabba, dove la cospirazione ai danni dell'umanità rap presenta un retaggio di riti antropofagici e orge sessuali (Ginzburg, 1 9 89 ; Jacques- Chaquin, Préaud, 1993 ) . L' idea della cospirazione contro l'umani tà ordita da Satana e dal suo esercito scaturisce, invece, da precise e speci fiche argomentazioni teologiche, di cui è costitutivo il problema del male. Alle definizioni teoriche del Malleus fa eco l'appello di Bernardo Rate gno (ca. 1 4SO-ISIO ), il quale nel De strigiis (Le streghe) annuncia preoccu pato che « [ u] n a setta abominevole di uomini e particolarmente di don ne, ormai da numerosi anni, per l'assidua cura di colui che è seminatore di tutti i mali, il diavolo, è aumentata in modo riprovevole nelle contrade d' Italia » (De strigiis, p- 200 ). Si noti il richiamo alla presenza femminile, per quanto essa non venga considerata come esclusiva. In seguito, nono stante il persistere di argomenti tradizionali, le ragioni della prevalenza femminile vennero spiegate diversamente da Johann Wier ( 1 S I S- I S 8 8 ) , medico brabantino, autore del trattato De praestigiis daemonum, et in cantationibus, ac venejìciis (Le illusioni dei demoni, gli incantesimi e i vene fici, pubblicato a Basilea da Oporinus nel 1 5 6 3 ) , in cui si sosteneva che le streghe non erano altro che inermi vecchiette, vittime dei demoni, i quali
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le convincevano, a causa della melanconia, di essere autrici di atti impos sibili perché contro narura; esse non dovevano quindi essere condannate a morte, ma rieducate e recuperare. Diversa valutazione - e conseguente mente diversa pena - meritavano, invece, i maghi. Mentre secondo Wier le streghe subivano l'azione demoniaca, i maghi cercavano in piena con sapevolezza di piegare i demoni ai loro voleri. Con Wier la strega diventa una donna anziana, affetta da melanconia: le streghe ricevono il loro impulso dall'esterno, giacché non hanno alcuna istru zione, né alcun precettore, né alcuno ne cercano: è il diavolo che si insinua nell'a nimo di quelle che ritiene di poter facilmente ingannare con i suoi strumenti di illusione (Wier, Le streghe, p. uS).
Comune a queste due immagini è il tema della debolezza femminile, il quale si fonda non solo su giustificazioni scritturistiche, ma anche su prove di carattere medico-scienrifico, come l' ipotesi della maggior predisposi zione del genere femminile alla melanconia e, tramite questa, all'azione del diavolo. Partendo da considerazioni e prospettive molto diverse, Jean Bodin (IS30-IS96), aurore della Démonomanie des sorciers (La demonomania de gli stregoni, 1 s 8 o ) , pur senza mancare di avvalorare l'equazione tra strega e donna, riservava spazio al caso dello stregone Trois-Eschelles, attivo alla corte di Carlo IX durame le guerre civili, confermando così come il motivo dell'uomo-strega si ripresentasse ogni qualvo!ta si affacciavano delle que stioni politiche. Bodin non lesinava sferzate al genere femminile, ripropo nendo alcuni degli stereotipi più comuni - « ardendo la natura impotente delle Donne d'un incredibile appetito di vendetta, né può contenere la lingua » (Demonomania, p. 317). Nel suo appello anristregonesco, Bodin non mancava di incitare i suoi battaglioni di cacciatori: Di più io tengo, che Iddio habbia voluto indebolire et invalidare Satanasso, dan doli possanza ordinariamente, et principalmente sopra le creature men degne, come sopra le serpi. le mosche, e altri animali et chiamati immondi dalla legge di Dio; et poi sopra l'altre bestie brute più tosto, che sopra il genere humano, et sopra le donne più tosto che sopra gli h uomini, et sopra gli huomini, che vivono da bestie, più tosto, che sopra gli altrij (ivi, p. 371).
Per Bodin, chiaramente la strega è donna anche se poi, sin dalla scelta del tirolo, non predilige la forma femminile.
I VINCOLI DELLA NATURA Mentre si sviluppa il dibattiro demonologico, riflessi dell'accusa di stre goneria contro le donne si riverberano anche nella querelle desjèmmes. Tra i difetti femminili, Giuseppe Passi (1569-1 620) trova l'ennesima prova in confutabile a sostegno della tesi della debolezza femminile. Dopo aver ri chiamaro aurorità di ogni tipo contro coloro che negavano l'esistenza reale delle streghe, affonda il so liro fendente contro le donne ritenute colpevoli di lussuria e credulità: «per naturale inclinazione sono assai più inclinate a queste scelleratezze che gli huomini» (Donneschi difètti, p. 142). La rispo sta di Lucrezia Marinella ( 1 5 7 1 - 1 6 1 3 ) volta a sostenere la maggiore propen sione degli uomini a imparare l'arte magica non avrebbe convinto molti, nonostante la letterata avesse tratro dalle Relationi universali di Giovanni Botero (ca. 1 5 44- 1 6 1 7 ) diverse informazioni sulla assoluta prevalenza di uomini maghi e incantatori rispetto alle donne: «percioché infiniti sono stati gli stregoni, i negro manti, et coloro che hanno dato fede ad ogni sorte de augurij come si può leggere in tutte l' historie» (Nobilta et l'eccellenza delle donne, p. 253). Sulla scia di Passi e con il medesimo intento, nella capillare analisi degli errori popolari contenuta nel suo Degli errori popolari d'Italia, Scipione Mercurio riporta una considerazione acquisita e consolidata: Ma veggiamo hormai perché quest 'arte de' malefitij, o stregarie sia piu esserci rara dalle donne che dagli huomin; posciaché per un stregone, o negromante, che si vede, se ne veggono dieci milla donne. Questa dimanda è molto curiosa, e perché la risposta non si può dar senza pregiuditio del sesso femminile, però è forza cavar la da autori gravissimi, acciò le donne non si lamentino di me, ma di quei scrittori che avanti che io scrivessi, ne ragionarono (Degli errori popolari, pp. J I I-2).
E per evitare ogni fraintendimento aggiunge : Le cause per le quali si ritrovino più donne streghe, e malefiche che h uomini, sono molte, delle quali la prima è l'asturia del diavolo, la seconda è la natura della donna Aussibilissima in ogni cosa, la terza la facilità del credere, la quarta la vanagloria, quinta, l'amore et odio, la sesta i peccati sfrenati (ibid.).
Propone dunque una soluzione per liberarsi definitivamente del proble ma: «Et io per me credo, che a chi volesse tagliar le braccia al diavolo, sarebbe necessario levar le donne dal mondo ; ché in vero egli quasi tutti i maggior peccati gli essercita per mezo della donna » (ivi, p. 313). Nella Cautio criminalis, pubblicata anonima nel 1 631, il gesuita Friedrich von
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Spee (IS9I-I63s), fautore di un maggiore rispetto delle procedure giudizia rie e sosperroso circa le vere cause del proliferare dei processi alle streghe, avrebbe notato come le imputate fossero quasi sempre donne « che vaneg giano, sull 'orlo della follia, superficiali, chiacchierone, volubili, ambigue, false e spergiure e, nel caso siano davvero colpevoli, istruite dal diavolo» (Processi contro le streghe, p. 54). Mentre in Inghilterra e in Francia vengono presi i primi provvedimenti giudiziari che avrebbero condono alla fine dei processi per stregoneria, il dibattito demonologico prosegue e si riapre a metà Serrecenro nella pe nisola italiana con conrriburi illustri come quello di Girolamo Tarrarorri (I ?06-I ?6I), per il quale le streghe sono « [ p]er lo più persone povere e di contado, e non ricche di città; [. . ] semplici e grossolane, deboli e leggiere di testa, e non acure farri e svegliate; piurrosto donne che uomini» (Con gresso notturno delle lamie, p. ws). L'appartenenza a un ceto popolare e il sesso femminile continuano quindi, ancora a metà Settecento, a essere elementi imporrami per identificare la strega. Tarrarotti dimostra però di recepire gli esiti del dibarrito nel prendere in considerazione anche la mi seria e la cattiva alimentazione, le quali, provocando debolezza, rendono propense queste persone a fanrasie e delirami allucinazioni: .
Le povere femminelle di contado non vivono quasi d'altro che di latte erbe casta· gne legumi ed altri cibi somiglianti, i quali generano sangue grosso e producono sogni orribili e spaventosi [ ... ]. Questa è per tanto la ragione a mio credere, per cui tra le streghe non si trovano quasi mai persone comode e benestanti delle città; ma per lo più povere donnicciole di villa. Quelle non si cibano in modo, che poi dormendo sembri loro sì facilmente di volare per aria, e di veder alzarsi temporali con fulmini, e tempeste : che le riempia d'atra bile e di melancolia; onde poi nasca· no pensieri torbidi, e idee stravaganrissime, si fissino in quelle, e pertinacemente le asseriscano davanti a' giudici, e col timore del gastigo; come avviene a quest'altre per l'opposta maniera di vivere, ed uso di cibi atti a produrre tali effetti (ibid.).
Si fa strada quindi una spiegazione più ampia e articolata. Rispetto alla questione di genere, Tarrarorri riprende la tradizione : le donne sono trasportate da gagliarde passioni, come ira, amore, invidia, che con molta difficoltà ralfrenano; onde poi con tutta facilità pigliano per cose vere e reali i puri moti di quelle. Sono avvezze a far poco uso della ragione, e molto della fantasia; da che nasce che le cose sensibili hanno sopra loro grandissima forza. Son timide, maliziose, instabili, curiose, pieghevoli, e credule, e in conseguenza facili ad essere ingannate [ ... ] . Quindi non bisogna meravigliarsi, se le donne son più soggette
I VINCOLI DELLA NATURA al mal d'opinione degli uomini; e se agli aguati e insidie del demonio assai più di quelli son esposte, talché laddove si troveranno cento streghe, sarà difficile lo scoprire dieci stregoni ( ivi, p. IO?).
A parere di Tarrarotti, la strega rappresenta un soggetto ai margini della società, totalmente escluso dal mondo civile e allo stesso tempo l'oggetto della proiezione di tutte le paure della stessa società: Ben è vero che un gentiluomo, o anche una gentildonna, per cagion d'esempio, giovane, d'umore allegro e d'ottimo temperamento, accoppiata con cavaliere pa rimente giovane, e provveduto di sostanze, che si diverta, e frequenti la conver sazione, e ciò in un paese colto ed in un'aria dolce, come in Italia, in Francia, o altro simile, la quale tuttavia sia strega, cioè si persuada d' intervenire al congresso notturno tra demoni, e streghe, l ' ho per un fatto impossibile, e mi contento di dar vinta la causa agli avversari, se un solo esempio me ne possono addurre (ivi, pp. ! IO-I).
Con Tarrarotti si può considerare pressoché esaurito il dibattito demono logico. Per concludere, mi sembra chiaro che lo scontro tra strega e storico non abbia dunque ragione di esistere in materia di storia e storiografia, pur riconoscendo l' importanza delle sollecitazioni provenienti dagli stu di di genere, le quali hanno aperro una prospettiva finora trascurata. Per quanto la complessità della questione non lasci spazio a risposte certe, si può tuttavia evidenziare come il retaggio della teologia cristiana abbia in fluito in modo che si possa dire che la questione sia connessa con il genere, ma non da esso determinata (gender related, though not gender specijic), come ribadito da Merry Wiesner nell'autorevole sede dellaEncyclopedia of Witchcraft ( Wiesner, 2006, II, pp. 407- 1 1 ) . La strega fu insomma la vittima designata di una battaglia rra il bene e il male. Il suo venir identificata con la donna tradiva sentimenti misogini, ma essi non erano la causa prima di una tale identificazione.
Fonti di riferimento
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CACCIA ALLE STREGH E E QUESTIONI DI GENERE MARINELLA LUCREZIA, La nobiltà et l'eccellenza delle donne, co' difètti e mancamenti de gli huomini, Giovan Battista Ciotti, Venezia 1 6oo. MERCURIO SCIPIONE, Degli errori popolari d'Italia, Francesco Rossi, Verona 164s. PASSI G IUSEPPE, I donneschi difètti, lacobo Antonio Somascho, Venezia IS99 · RATEGNO BERNARDO, De Strigiis, in Abbiati, Lazzati, Agnoletto (1984), pp. 200-17. TARTAROTTI GIROLAMO, Del congresso notturno delle lamie libri tre; s 'aggiungano due dissertazioni epistolari sopra l'arte magica all'illustrissimo signor Ottolino Ot tolini, Giambattista Pasquali, Rovereto 1749. SPEE FRIEDRICH VON, I processi contro le streghe, a cura di A. Foa, Salerno Editrice, Roma 2004 ( I' ed. 1986). WIER JOHANN, Le streghe, a cura di M. lsnardi Parente, Sellerio, Palermo 1991.
Parte terza Rappresentazioni di maghi e streghe
La magia in scena. Maghi, fate e streghe nel teatro inglese del Rinascimento* di Nicholas Holland
Introduzione
Con un occhio rivolro al clima culrurale dell'epoca, quesro saggio inten de soffermarsi su alcuni celebri esempi del teatro inglese in età moderna (approssimativamente dal 1 5 8 0 al 1 640), in cui maghi, streghe e fate ven gono usati a tutti gli effetti come materia di rappresentazione teatrale. Lo scopo di queste pagine è quello di evidenziare i rapporti tra alcune opere teatrali e varie correnti di pensiero filosofico e demonologico dell'epoca, sotrolineando come la rappresentazione drammatica di questo materiale contribuisse a comunicare il senso di incertezza che circondava il rapporto umano con l'occulro : !ungi dal comportarsi come ideologi in riferimento a particolari posizioni filosofiche o demonologiche, i drammaturghi ingle si preferirono mettere i loro spettarori faccia a faccia con le incertezze di un soggetro che era di per sé aperto a speculazioni e dissensi d'ogni genere. Per ragioni di brevità, farò in generale riferimento alla magia, stregoneria e racconti del mondo delle fate tra i secoli XY e XYI I come a "fenomeni oc culti". Una rassegna delle principali differenze d'opinione riguardo all'esi stenza e all'efficacia della magia, della stregoneria e del potere delle fate in quesro periodo è essenziale per quesro saggio, e verrà discusso più avanti'.
Fenomeni occulti nell' Europa della prima modernità
Qualunque sia il contesro della loro genesi e circolazione, tutte le storie ri guardanti i fenomeni occulti che circolavano nella prima età moderna de vono essere considerate come espressione di individui viventi all' interno Traduzione di Guido Giglio n i. 1. Sul mondo delle fate in Europa, ma con specifico riferimento alle opinioni divulgate nelle isole britanniche, cfr. Purkiss ( w o o ) e Briggs (1959 ) .
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I YINCOLI DELLA NATURA di comunità esposte a più generali influenze culturali e come una manife stazione della loro esperienza soggettiva. Ciò è vero tanto delle rappresen tazioni teatrali, le quali rientrano chiaramente nella sfera dell' invenzio ne artistica, quanto dei resoconti di interrogatori di persone sospette di stregoneria, processi e trattati di demonologia. Per meglio comprendere i primi, tuttavia, occorre cominciare col sottolineare alcune caratteristiche dei secondi. Gli ultimi cinquant 'anni hanno visto un considerevole progresso nel la conoscenza dei sistemi di pensiero sottesi a magia e stregoneria nella prima età moderna. Si è fatta maggior luce a proposito di temi quali le origini e la natura delle cacce alle streghe, le modalità del pensiero demo nologico, gli atteggiamenti verso la teoria e la pratica della magia ad ogni livello della società e dell'educazione, e i nessi tra le componenti più pro priamente cognitive delle questioni magico-demonologiche e lo sviluppo della scienza moderna. Grazie a questa serie di indagini si è compreso come il pensiero relativo alla magia e stregoneria della prima moderni tà non possa essere esaminato in base a semplici distinzioni, quali quella tra cultura "alta" e "bassa". Facendo riferimento a documenti concernenti casi di stregoneria nella Lorena, Robin Briggs ha ad esempio mostrato come le credenze nel patto demonico e il sabba delle streghe non fossero semplicemente un prodotto di teorizzazioni teologiche da parte di intel lettuali, ma come esse facessero in qualche modo parte integrante della comprensione popolare della stregoneria (Briggs, 1 9 9 7, pp. 31 -5 9 ). I con torni che separano le nozioni "elitarie" di magia e stregoneria da quelle "popolari" si fanno spesso sfocati quando esse vengono messe a confronto con i loro contesti storici, come ad esempio nel caso dei rapporti tra Ales sandro Achillini (ca. 1 4 6 1 - I S I 2.) e Bartolomeo della Rocca (detto Cocles, 1 467-1 S04), o di quelli tra John Dee ( 1 S 2.7- 1 6 o 8 ) e Edward Kelly (detto Talbot, I SSS-I S9 s ?) • . Le idee riguardanti i fenomeni occulti elaborate in età moderna fanno spesso leva su forme di sincretismo filosofico e teologico, le quali sem brano risolvere apparenti incongruenze e fondere materiali provenienti da fonti tra loro divergenti. Carlo Ginzburg ha mostrato, sia nei Benan danti (pubblicato originariamente nel 1 9 6 6 ) che nel Fonnaggio e i venni (prima edizione del 1 9 7 6 ) la particolare idiosincraticità delle opinioni 2. Su Cocles. cfr. Zambelli (1978. pp. 79-81; 1991a. pp. 287-8): su Dee e Talbot. cfr. Wool ley (2001, pp. 141-6, 300-1 ). Sulla questione dei fenomeni occulti cfr. supra, il contributo di ]. Céard, alle pp. IJ S·so.
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di singoli individui a proposito di questioni occulte e spirituali, e come essi potessero combinare in modi sorprendenti linee di pensiero apparen temente incompatibili (Ginzburg, 1 9 9 9. 2002 ) . Come è stato suggerito dalla storica inglese Diane Purkiss a proposito di resoconti di stregoneria in erà moderna, gli individui potevano svolgere ruoli tanto arrivi che pas sivi quando venivano coinvolti nelle tradizioni dei fenomeni occulti. Essi erano in grado di rielaborare i materiali culturali disponibili in modo da « riflettere i loro stessi interessi, inrenri e conflirri >> (Purkiss, 1 9 9 6 ) . Tut tavia, si danno anche casi in cui il pensiero riguardante i fenomeni occulti poteva essere minacciato da forme di instabilità interna causate dalla stes sa dimensione soggerriva del fenomeno. Nell'ampio studio, Thinkingwith Demons, lo storico Stuart Clark ha dimostrato come la demonologia della prima modernità, nel suo presentarsi quale un sistema di pensiero, facesse leva su presupposti intrinsecamente soggertivisrici, basati sulla nozione di « interna stabilirà linguistica >> . Tra i secoli XY e XYII, la questione della natura della magia divenne il soggerro di un' importante serie di dibarriri, cararrerizzari da una certa fluidità di pensiero, dibarriti che interessarono ramo la definizione della magia naturale, quanro i suoi rapporti con la magia demonica (Briggs, 2007, p. no; Clark, 1 9 9 7, pp. 146, 214-50; Zam belli, 2007, pp. 34 ss.). L'opera di Robin Briggs e altri studiosi mostra anche come le opinioni e le azioni di individui nei confronti di un soggetto così complesso quale la stregoneria potessero variare nel corso del tempo, e come le accuse for mali di stregoneria rra individui fossero solo un asperro di un più generale modello di comportamento (Briggs, 2007, p. 377; cfr. anche Briggs, 1 9 9 7, pp. 68, 104 ) . Gli studi che Linda Dégh e Andrew Vazsonyi, esperti di storia del folklore moderno, hanno dedicato all ' Ungheria del xx secolo, chiarificano le fluide dinamiche di comportamento che cararrerizzano il gioco di ruolo (role-playing) collettivo attraverso cui si formano e rra smerrono le leggende, e forse tali dinamiche possono aiutarci a com prendere meglio alcun i dei processi all 'opera. Questi studi sottolineano, in particolare, la complessità dei remi relativi alla veridicità delle leg gende e alla tendenza umana a credere ad esse : « si porrebbe dire che la questione del credere o non credere è un problema che si verifica in ogni comunità in cui vengono raccontare delle leggende >> (Dégh, Vazsonyi, 1 9 7 6 , pp. 1 0 8- 9 ) . Meccanismi analoghi devono aver giocato un ruolo notevole anche nella formazione dei resoconti di fenomeni occulti in età moderna.
I YINCOLI DELLA NATURA Il teatro e i temi deIl'occulto nei primi secoli dell'età moderna
L'opera dell'antropologo Vietar Turner fornisce un utile punto di parten za per esaminare i rapporti era il mondo del teatro e il suo più ampio con cesto culcurale. Turner considera lo speccacolo teatrale non solo un riflesso di una cultura che è percorsa al suo interno da una molceplicicà di forze, ma come una potenza creativa che, ricombinando materiali appartenen ti a cale cultura, la sonopone ad analisi suggerendo nel contempo nuove possibili direzioni di sviluppo (Turner, 1 9 82, p. 33). Il modo in cui Turner considera il fenomeno artistico in generale, e il teatro in particolare, è per noi prezioso poiché pone in discussione le tradizionali distinzioni era arce e vi ca, e - all ' interno delle opere teatrali - quelle era rappresentazioni viste come pure invenzioni e rappresentazioni che sono un'espressione imme diata della culcura che le ha prodotte. Tale approccio serve anche a ricor darci che lo speccacolo teatrale, così come le opere a scampa, riguarda tanto gli scrittori quanto il loro pubblico e i lettori. In Inghilcerra, lo straordinario livello raggiunto dalla produzione di William Shakespeare ( 1 5 6 4- 1 6 1 6 ) e i suoi contemporanei è di una gene razione successiva alla diffusione a Londra di teatri permanenti su base commerciale da parte di compagnie teatrali professionali. Negli ultimi decenni, si è cercato di stabilire in che misura questo tipo di teatro possa aver ricavato pro fini economici non solo venendo incontro alla passione del pubblico per lo speccacolo d' intraccenimento, ma anche offrendo l'op portunità di vedere rappresentate sul palcoscenico le scruccure ideologiche della cultura dell'epoca, e di assistere alla messa in scena (a volte anche cri tica) di forme di potere politico (o di altra natura) (Sinfield, 2005, p. 359). Anfiteatri all'aperto come il Globe potevano accogliere fino a 3.ooo spet tatori in una ciccà la cui popolazione complessiva nel 1 6o o raggiungeva i 2oo.ooo abitanti (Gurr, 2004, p. 21; Sharpe, 2003, p. 84). Opere teatrali come Doctor Faustus o La tempesta devono pertanto esser messe a con fronto in qualche modo con la situazione di mecenacismo nobiliare, che caratterizza invece la produzione del Negromante di Ludovico Ariosto, o con i contesti culturali in cui videro la luce Lo astrologo di Giovan Battista Della Porta (ca. I S 3 S- 1 6 1 5 ) e Il candelaio di Giordano Bruno (1548-16oo)3• 3· Cfr. Ariosto, Il negromante; Della Porta, Lo astrologo; Bruno, Candelaio. Gino Moliter no descrive il Candelaio come « una rappresentazione nella mente » (cfr. Bruno, Candle· bearer, p. r4). Su Della Porta, cfr. Ernst (1990), Plaisance ( w o o, pp. l?J-6).
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La drammaturgia del tardo Cinquecento inglese, sia in generale che in rapporto alla rappresentazione dei fenomeni occulti, si richiama alla ripre sa di interesse per la cultura classica caratteristica del Rinascimento e a tra dizioni nazionali di teatro e letteratura. Studi recenti hanno messo a nudo la complessità drammaturgica, tematica, morale e sociale delle preceden ti tradizioni teatrali inglesi, come i mystery plays (''teatro dei misteri") e i morality plays ("moralità"), da cui, ad esempio, derivano i diavoli teatrali del Doctor Faustus di Christopher Marlowe ( I s 64-1593) (Cox, 2000 ). Allo stesso modo, si è compreso come i generi del romanzo cavalleresco e del dramma romanzesco abbiano esercitato un notevole influsso sul modo in cui maghi e incantatori vengono rappresentati sulle scene inglesi al tempo di Shakespeare. Come è stato suggerito a proposito dell Orlando furioso, non si può sottovalutare la rilevanza di questo genere di rappresentazione per i più ampi dibattiti contemporanei relativi alla magia4• La commedia inglese all 'epoca di Shakespeare mostra anche di essere a conoscenza del la commedia erudita italiana e di quella latina1. Queste diverse influenze si vennero combinando variamente e fornirono un efficace "linguaggio" teatrale, capace di esprimere, di volta in volta, situazioni improntate a meraviglia, illusione o inganno. Il teatro richiede una certa complicità da parte del pubblico, ma un tale rapporto può essere volto a fini diversi dal drammaturgo6• Preoccupazioni che il potere della rappresentazione potes se ingannare lo spettatore e sviarlo da un punto di vista morale o religioso informarono non solo la propaganda antiteatrale, ma anche quella contro gli esorcismi praticati sia da cattolici che da puritani nell' Inghilterra di questo periodo. Esse sono una prova della diffusa consapevolezza all'epoca del potere e della pericolosa ambivalenza del teatro7• In questo saggio, mi soffermerò ad esaminare alcuni dei drammi com posti da Shakespeare e i suoi contemporanei. Si vedrà come, in ognuno dei casi presi in esame, il medium teatrale non può venir considerato alla stregua di un mero ricettacolo rispetto al tema rappresentato. È eviden te, piuttosto, come in ogni opera tale tema giochi un ruolo cruciale nella rappresentazione dei fenomeni occulti. Ognuna di queste opere getta luce '
4· Giannetti Ruggiero (wo1). Sulla magia nella "favola boschereccia" Cinzia (1627) di Filippo Finella, cfr. Castellaneta (2009 ). 5· Cfr. Salingar (1974, pp. 76-9, 175·91); cfr. anche Andrews (1991), Orr (1970 ). 6. Sulla nozione di "complicità", cfr. Greenblatt (1 988, p. ll9 ). 7· Cfr., ad esempio, Rankins, A Mirrour ofMonsters, ff. 21V·2JV; Harsnett, A Discovery of the Fraudulent Practises ofjohn Darre!; Id., A Declaration ofEgregious Popish Impostures.
I VINCOLI DELLA NATURA sulle mentalità del drammaturgo e del pubblico, sui pericoli, le attrazioni e, soprattutto, le difficoltà del tema.
Il negromante come eroe-truffatore: il Doctor Faustus di Marlowe
li Doctor Faustus esercitò una notevole influenza sul teatro inglese del perio do. Scritto tra il r s 8 8 e il r s93. il dramma venne rappresentato più volte fino alla chiusura dei teatri nel r 6 42. Due versioni chiaramente differenti dell'o pera furono pubblicate nel r 6 o 4 e nel r 6 r 6 (a cui ci si riferisce come testo A e testo B), con nove volumi in quarto pubblicati entro il r 6 3 1 8• Marlowe, l'aurore di Tamburlaine (ca. rs87) - la prima grande opera nell'età d'oro del teatro professionale inglese, prima dei successi di Shakespeare, Ben Jonson ( ? r s73-1637) e celebri drammaturghi dell'epoca - venne ucciso in misterio se circostanze nel r s93. in una taverna a Deptford, presso Londra. Il Doctor Faustus narra la vicenda di un eminente studioso, il quale de cide di abbandonare i suoi studi per dedicarsi alla magia, in modo da poter evocare demoni e godere dei vantaggi a lui derivanti dall 'aver stretto un patto con il diavolo Mefisrofele: FAUSTUS: Se solo avessi tante anime quante sono le stelle in cielo Le offrirei tutte a Mefi s cofele. Egli mi farà il grande imperatore del mondo'.
Prima di aver definitivamente consegnato l'anima ai diavoli dell ' inferno - « Osceno inferno, non spalancare la tua bocca ! Stai alla larga, Luci fero ! » '0 - Faustus si imbarca in una serie di avventure, tra cui il ricorso all' invisibilità per farsi beffe del papa e l'evocazione di spiriti sotto for ma di Alessandro e il suo "innamorato" per compiacere all ' imperatore. Il Doctor Faustus fonde vari elementi di grande efficacia scenica: la pre cedente tradizione della drammaturgia inglese (che, tra l'altro, fornisce 8. Doctor Faustus. A- and B-texts (nfo4, I6IIf) , ed. Bevington, Rasmussen, pp. 1-3. 48-51; Doctor Faustus, ed. Kastan, pp. IX·XI. Le citazioni fanno riferimento al B-text dell'edizio ne critica Norton. 9· Doctor Faustus, ed. Kastan (I.III.IOo-J), p. 66: « Had l as many souls as rhere be stars, / l'd give them ali for Mephistopheles. / By him l'Il be great emperor of che world » . ro. lvi (v. r1 .184), p. 111: «Ugly hell, gape not! Come not, Lucifer! » .
LA MAGIA IN SCENA a Marlowe l'occasione di mettere in scena le buffonerie dei diavoli); le leggende relative al libro del dottor Faust, con dei probabili debiti ad una variante inglese diffusa anteriormente alla prima edizione a stampa a noi nota; lo sviluppo, in larga misura dovuto allo stesso Marlowe, del metro decasillabo in versi sciolti (blank verse), il quale fornì alla letteratura in glese un modo d'espressione dai toni più epici e drammatici; e, infine, evidenti richiami a discussioni teologiche relative al problema del male e alla condanna della magia cerimoniale come stregoneria". Vari studiosi hanno anche messo in relazione il Doctor Faustus con quan to ci è noto della vita di Marlowe. Mentre i dettagli della questione riman gono poco chiari, è certo che il drammaturgo fosse in contatto con elementi eterodossi della vita culturale inglese e con spie del governo. In quanto ex studente dell'università di Cambridge, poteva godere di una certa mobilità sociale e aveva connessioni con il gruppo, importante da un punto vista in tellettuale, del conte di Northumberland. Quest'ultimo rapporto ha indotto Hilary Gatti a ipotizzare dei nessi tra il Doctor Faustus e talune idee che si ri trovano nell'opera di Giordano Bruno, il quale soggiornò in Inghilterra negli anni tra il 1583 e il IS8s. Il mondo di Marlowe era tale che in esso potevano trovar forma elaborate strategie di dissimulazione, mobilità sociale, pensiero radicale e azzardo morale, tutti temi che è dato trovare nel Doctor Faustus". Il significato generale del Doctor Faustus e le questioni relative a quale delle due versioni del testo rifletta meglio le intenzioni dell 'autore e quale sia il contributo di altri drammaturghi, continuano ad essere materia di ampio dibattito. Nei decenni passati, diversi studi autorevoli hanno forni to letture che si discostano da una semplice interpretazione del suo mes saggio morale. Piuttosto che essere la rappresentazione di un apostata cri stiano che viene giustamente punito, il dramma è stato reinterpretato come una velata promozione di modi di pensiero più liberi (questa è, ad esempio, l ' interpretazione di Gatti) o di una forma più "moderna" - perfino prato capitalista - di individualità. Vale la pena notare, tuttavia, come alcune delle opinioni diffuse all'epoca, opinioni che costituiscono una prova del successo del dramma, sottolineassero la sua pericolosità spirituale piutto sto che il potere del libero pensiero : in base alla leggenda formatasi fin da subito riguardo al Doctor Faustus, riferita sembra più di quarant'anni 11. Sul Faust Book inglese, cfr. Doctor Faustus, ed. Bevingron, Rasrnussen, pp. 2.·6; Jones (1 994). 12. Nicholl (199 z, pp. 43·7, 190·ZI5, 307-13), Gatti (1989). Cfr., inoltre, Camerlingo (zoo o, pp. z85-7), Cox (zoo o, pp. 107-zG).
I YINCOLI DELLA NATURA dopo l 'evento, un vero diavolo si unì agli attori sul palcoscenico durante una delle rappresentazioni (Orgel, 200 5 ) . Va inoltre detto che gli studiosi moderni tendono a sottolineare la difficoltà di adattare tutti gli aspetti comici e tragici del dramma all' interno di uno schema coerente' l. Gli studi più approfonditi del dramma riconoscono la componente evolutiva a partire dai precedenti teatrali inglesi. John D. Cox ha soste nuto che gli aspetti di commedia incentrati sui diavoli nel Doctor Faustus, connessi tanto ai trucchi di Faustus che a quelli del suo servitore Wagner e di altri in scene minori, segnano un passaggio decisivo rispetto agli antece denti della tradizione teatrale inglese: se in precedenza lo scopo ultimo di una tale commedia demonica era quello di rafforzare la coesione sociale, nel Doctor Faustus esso è diventato parte di una più secolare « fantasia di ascesa sociale del potere protestante >> (Cox, 2000, p. 1 1 4). A ciò va ag giunta la potenza poetica del blank verse di Faustus, che raggiunge il culmi ne non solo nel monologo fìnale del protagonista, pieno di disperazione, ma anche nei celebri versi dedicati alla fìgura di Elena di Troia, la quale era stata creata per lui da Mefìstofele nella scena precedente: Fu questo il volto che scatenò al!' attacco mille navi E incendiò le torri di Ilio, d' infinita altezza ? Dolce Elena, rendimi immortale con un bacio [ ... ] lo sarò Paride, e per l 'amor che ti porto Sarà Wirrenberg a venir saccheggiata, non Troia1-+.
Precedentemente, Faustus aveva espresso contro Mefìstofele una simile affermazione di umana individualità e potenza, il fulcro della rappresenta zione del male demonico ali ' interno del dramma: Perché tanta passione, grande Mefistofele, Nell'esser privato delle gioie del paradiso ? Impara dalla virilefortezza di Fausrus''·
13. Doctor Faustus, ed. Bevington, Rasmussen, p. 47· 14. Doctor Faustus. ed. Kastan (v.L9J·s. wo-1), p. ns: «Was this the face that launched a thousand ships l And burned che topless towers of Ilium ? l Sweet Helen, make me immortal with a kiss [ ... ] l l wil! be Paris. an d far lave of thee l lnstead ofTroy shall Wit tenberg be sacked » . 1 5 . lvi (i.III.8I·J), p . 66 : «What. i s great Mephistopheles, s o passionate l Far being de prived of che joys of heaven ? l Learn thou of Faustus manlyjòrtitude» (il corsivo è mio). Cfr. Cox ( w o o, p. ns).
LA MAGIA IN SCENA Che le vedute di Marlowe racchiudano una o entrambe le forme del riget to della religione cristiana, come venne riportato all'epoca da un contem poraneo, Richard Baines, e il panteismo promosso da Bruno durante il suo soggiorno in Inghilterra, non può che rimanere una congettura. Tuttavia, quanto più aperta ed efficace appare l' innovativa teatralità del Doctor Fau stus, tanto più essa afferma, nel modo comico o tragico, la forza dell' indi viduo umano, e tanto più ambiguo e potente si dimostra il trattamento delle questioni di ortodossia cristiana. I contemporanei di Marlowe, in particolare Robert Greene ( ? I s 6o IS92) nella sua divertente commedia magica dalle molte risonanze faustia ne, Friar Bacon and Friar Bungay (ca. 1 5 89-90), potevano avviare questo processo di secolarizzazione in una direzione più sicura, tramite un abile uso del lieto fine e venendo incontro alle aspettative del pubblico attraver so un più attento equilibrio degli aspetti di commedia e censura morale. Al contrario, il segreto del successo di lunga durata del Doctor Faustus ri siede forse proprio nella pericolosa combinazione da esso raggiunto tra autentico « terrore metafisica >> (per prendere in prestito l'espressione di Cox ) e accenni sovversivi a possibili punti di vista alternativi riguardo al suo soggetto. In questo modo, una parte dell'evidente irregolarità delle versioni superstiti può essere interpretata come una prova del potere che l'opera esercitò sul pubblico dell'epoca.
Il mago come drammaturgo nella Temp esta di Shakespeare
Mentre il Doctor Faustus, nel contesto della questione delle potenze oc culte, si incentra nel tema dell'affermazione sovversiva dell' individuo, in carnata nella figura di Faustus, La tempesta di Shakespeare ( 1 610- 1 1 ) con nette i pericoli del praticare la magia con i temi della rinuncia al potere e della riconciliazione sociale. Il dramma ruota intorno alla figura del mago Prospero, il quale, dopo essere stato deposto come duca di Milano da suo fratello Antonio, ha trovato rifugio in un' isola insieme alla figlia Miranda, ancora in tenera età. Una serie di eventi provvidenziali conducono sull ' i sola il fratello di Prospero e compagni. Il dramma si snoda attraverso una serie di scene nelle quali Prospero manipola le menti e i movimenti dei personaggi e li avvia verso una conclusione, in cui Miranda sposa il figlio
I VINCOLI DELLA NATURA del re di Napoli, a suo tempo complice nell'usurpazione, e Prospero rinun cia ai suoi poteri magici. In Cabala e occultismo nell'eta elisabettiana, Frances A. Yaces giunse alla conclusione che vi erano delle forti connessioni tra il Prospero di Shake speare e i principi della "cabala bianca': che autorevoli contemporanei, in particolare il dottorJohn Dee, avevano tratto dall'opera di Cornelio Agrip pa (r486-1535) e altri autori di magia naturale dell'epoca (Yaces, 1 979, pp. 201-7 ). Tuttavia, la gran parte della rappresentazione di Prospero deriva in realtà da fonti letterarie e teatrali, era cui il Friar Bacon di Greene e le Me tamorjòsi di Ovidio, che Shakespeare sembra conoscesse nella traduzione di Archur Golding del 1 567. Tuttavia, collocare Prospero nel contesto del caba lismo di Dee significa perdere di vista il punto principale di un dramma che, nel suo trattamento dell'occulto e del meraviglioso, è fondamentalmente opaco. Ariel, lo spirito servitore di Prospero, e Calibano, il mostruoso abi tante dell' isola, non sono ad esempio di facile collocazione nella demono logia o filosofia naturale dell'epoca. In base alle varie descrizioni fornite da diversi personaggi dell'opera, essi drammatizzano gli incontri dell'uomo con l' ignoro, nei suoi aspetti camo spirituali che corporei (The Tempest, pp. 31-6; 39-43). L' importanza della magia di Prospero e la sua rilevanza per il pubblico dell'epoca non dipendono dalla resa meticolosa della cronaca di quei tempi in ogni minimo dettaglio, ma dal modo in cui Prospero viene caratterizzato criticamente come figura di autorità politica, magica e artistica. Ha ragione Calibano nel suggerire che Prospero incarna la fusione era le figure del "tiran no" e dello "stregone" (m.II.40-4I ), o è piuttosto il fratello a cui è stato farro un gran corto, il "pover uomo': come egli si presenta a Miranda (uuo9 ) ? L'opera suggerisce come i l potere della magia possa compromettere alcuni aspetti dell'umanità di Prospero, da lui recuperaca in pieno solo at traverso il suo rinunciare alle arti magiche. È lo spirito di Ariel che porta quest'azione alle sue ultime conclusioni, riferendo a Prospero che, se egli potesse vedere gli effetti del suo "incantesimo" sui suoi nemici, i tuoi sentimenti si intenerirebbero. PROSPERO: È quanto pensi, spirito ? ARIEL: I miei lo diverrebbero, signore, se fossi umano. PROSPERO: I miei lo diverranno, allora'6. r6. The Tempest, ed. Orge! (V.I.!?-w ) , p. r88: « your affections l Would become tender » . PROSPERO : «Dose thou think so, spirit ? » l ARIEL: «Mine would, sir, were I human >-> . PROSPERO : «And mine shall » .
LA MAGIA IN SCENA Questo messaggio è rafforzato dalle analogie sviluppate tra magia e teatro nel corso del dramma. In linea con il ruolo dello stesso drammaturgo, la magia consente a Prospero di provocare una serie di interventi nelle av venture dei suoi nemici, compresa la tempesta illusoria con cui si apre la rappresentazione, il banchetto magico in III.III e il masque (spettacolo di corte) in onore di Miranda e Ferdinando. Se è vero che l'uso del masque dovrebbe rafforzare i messaggi di coesione sociale, la sua fine improvvisa e prematura suggerisce invece la natura inconsistente e illusoria di una tale rappresentazione, e la debolezza e transitorietà dell'uomo : PROSPERO: Siamo fatti Della materia dei sogni, e la nostra breve vita Si conclude con un sonno17•
Anche se, come si è a volte ipotizzato, la rinuncia di Prospero è in parte la rappresentazione drammatica del! ' addio alle scene londinesi da parte dello stesso Shakespeare, l 'ambivalenza con cui, attraverso la figura di Prospero, il poeta inglese ha rappresentato l ' interazione dell'uomo con l ' ignoto gioca un ruolo rilevante. Come il Doctor Faustus, La tempesta colloca l'esperienza dell' individuo umano al centro della questione della magia. Diversamente dal Doctor Faustus, La tempesta ha però un chia ro messaggio morale rispetto alla riaffermazione delle "affezioni" uma ne (aiJèctions) e a come esse possano essere minacciate dalla ricerca del potere, rappresentato in questo caso dalla magia pratica. Tuttavia, La tempesta non offre risposte assolute riguardo alla natura dell'occulto e dell ' interazione dell 'uomo con essa. Piuttosto, essa rafforza consistente mente il senso della fragilità dell 'uomo e i pericoli sottesi alla ricerca di un potere che non può essere compreso propriamente. Da questo punto di vista, il colpo di genio di Shakespeare è quello di connettere la situa zione di transitorietà - in cui il pubblico assiste complice alla rappre sentazione - alla situazione altrettanto transitoria con cui il mago del palcoscenico e l 'organizzatore di spettacoli da palcoscenico, Prospero, controlla la magia. Nell'opera teatrale, nella condizione in cui si trova il pubblico nel corso del dramma e nella vita in generale, vengono posti dei limiti alla comprensione umana, e la consapevolezza di questo fatto deve guidare le scelte dell' individuo. 17. lvi (IV.l.IS?-19 ), p. 181: «We are such stuff l As dreams are made on, and our li tele !ife l Is rounded with a sleep » .
I VINCOLI DELLA NATURA Le fate e le streghe nelle opere di Shakespeare
L'approccio di Shakespeare alla presentazione dei fenomeni occulti varia nella sua produzione drammatica. Tuttavia, è significativo che in altre due opere, e tra le più famose, Sogno d'una notte di mezz'estate e Macbeth, egli elabori di nuovo una complessa relazione tra la rappresentazione scenica e la natura dell'umana esperienza. La trama del Sogno d'una notte di mezz'estate (I595-96) intreccia i temi del sognare e della passione umana con il materiale del mondo delle fate derivato da tradizioni letterarie. Si può anche ipotizzare che Shakespeare fosse a conoscenza del trattamento scettico a cui Reginald Scot (ca. I5381 5 9 9 ) aveva sottoposto le fate in The Discoverie of Witchcraft'8• Stabilen do una sottile relazione tra desiderio umano e magia delle fate, relazione filtrata attraverso l'ambigua nozione di sogno (il quale sembra alludere alla verità senza mai fornirne la certezza) , il dramma avanza l' ipotesi che la soggettività dell'esperienza umana dipenda dall'oscurità dei desideri umani. In questa visione del mondo, c 'è perfino spazio - e si tratta di uno spazio fisico - per le fate, idea che probabilmente persisteva nelle credenze rurali, ma che un pubblico cittadino avrebbe considerato assai poco credibile. Sebbene sia chiaramente connesso alla questione della discendenza del re Giacomo I e ai suoi interessi demonologici, Macbeth (probabil mente composto nel 1 6 0 6 e rivisto negli anni ! 6 0 9 -1 0) sembra indi care che il senso della celebre rappresentazione delle streghe vada cer cato in una diversa direzione. Con degli sviluppi significativi rispetto all'originale, le Chronicles ofEng!and, Scot!and and Ire!and di Raphael Holinshed ( 2' ed. 1 5 8 7 ) , le streghe di Macbeth non sono dei simboli introdotti a rappresentare erudite teorie demonologiche relative alla stregoneria, del tipo che si possono trovare nel contemporaneo spetta colo di corte The Masque ofQueens ( 1 6 0 9 ) di Ben Jonson. Al contrario, le streghe di Shakespeare e le loro cruciali formule profetiche hanno la funzione di far convergere due temi più ampi all ' interno della tragedia: l ' uno riguarda la natura illusoria dell 'esperienza umana, l'altro l 'ambi zione e la volontà di potenza. Le streghe fanno sì che il dramma riveli in una luce tragica le insidie che si celano dietro l'attrazione umana per il potere. La tragedia mantiene un certo equilibrio tra la possibilità che le 18. Su fate e sogni, cfr. Midsummer Night 's Dream, ed. Holland, pp. 3-49; su The Discoverie ofWitchcra.ft, cfr. Midsummer Nights Dream, ed. Brooks, pp. 146-9.
LA MAGIA IN SCENA forze esterne ed occulte possano esercitare determinate influenze sulla psicologia dell' individuo e il fatto che l ' individuo debba render conto delle proprie azioni''. Nel Sogno d'una notte di mezz 'estate e nel Macbeth, così come nella Tempesta, il rapporto tra il contenuto rematico delle opere e la questio ne della rappresentazione teatrale è alla base del modo in cui Shakespeare mette in scena il tema dell'occulto. In ognuna delle opere, i remi della sog gettività dell'esperienza umana e i limiti della comprensione umana sono strettamente legati al modo in cui viene sviluppata la questione dell 'occul to, situazione che aggiunge una componente di opacirà e provvisorietà alle vedute del drammaturgo.
La questione dei limiti della magia teatrale:
L 'alchimista di Ben Jonson Il tema dei fenomeni occulti e della loro rappresentazione teatrale trova un'ulteriore forma di sviluppo sulle scene inglesi nell' Alchimista di Ben Jonson (I 6IO ) Come è stato notato da molti studiosi moderni, L 'alchimi sta rientra nella tendenza a portare sulla scena maghi, alchimisti e astrologi fraudolenti che è tipica di alcune celebri commedie italiane : La Ca/an dria di Bernardo Dovizi detto il Bibbiena (ca. 1 5 07 ), Il negromante (prima versione 1 5 20) di Ludovico Ariosto, Lo astrologo di Giovan Battista Della Porta (stampato nel 1 6 o 6 ) e Il candelaio di Giordano Bruno (pubblicato nel 1 5 82). Si è tentato di stabilire delle specifiche connessioni tra L 'alchi mista e Il candelaio, dato che sia Bruno che Jonson avevano delle relazioni con la famiglia Sidney. Tuttavia, l'esistenza di un legame forre e diretto rra queste commedie rimane una questione dibattuta (Garri, 2000 ). Dispo niamo però di un esempio in cui è evidente una diretta connessione tra le tradizioni italiane e inglesi. Si tratta dell' Albumazar di lhomas Tomkis, traduzione inglese dello Astrologo dellaportiano, pubblicato per la prima volta nel i 6 I s . Questa tradizione teatrale h a radici significative tanto nell 'estetica della commedia latina che nei racconti medievali di beffe e frodi, come .
19. Sul tema dell'illusione, cfr. Macbeth, ed. Brooke, pp. 1-6; Clark (wo7, pp. 136-sS); sulle scene con Ecate, cfr. Macbeth, ed. Brooke, pp. 64-6. Per fonti e questioni attinenti al re Giacomo l , cfr. Bate (1997, pp. 117-8), Greenblatt (wos. pp. JJ I -SS) .
I YINCOLI DELLA NATURA si può notare nelle opere di Giovanni Boccaccio e Geoffrey Chaucer. Vi sono anche esempi inglesi tipici di un genere letterario minore. Un reso conto di una storia "vera" di questo tipo di frode si trova in un pamphlet del I 5 9 5 · in cui un uomo «per così dire fantastico » (somewhatJàntasti cal), ovvero, dotato di un' immaginazione troppo sbrigliata, è tentato da promesse d'oro e argento e viene presentato alla "regina delle fate" come parte di un intrigo ordito da una faccendiera per derubare il malcapitato dei suoi beni - The Brideling, Sadling and Ryding, rf a rich Churle in Hampshire, by the subtill practise of one judeth Philips (Come una certa judith Philips sia riuscita a imbrigliare, sellare e cavalcare un ricco cafone dell'Hampshire attraverso le sue arti sottili), stampato a Londra nel I 59 5 (in Rosen, I99I, pp. 2I3-8). Come Il negromante e Lo astrologo, L 'alchimista identifica la creden za n eli' esistenza dei fenomeni occulti con le tendenze alla credulità e ali ' avidità di persone che possono facilmente essere raggirate da indi vidui di pochi scrupoli. I truffatori di Londra offrono tutta una serie di servizi per i loro clienti : preparazione di uno spirito familiare, pre sentazione alla "regina delle fate" (1.1 1 . 1 2 6 ) , preparazione di un talisma no (a thriving sign, I I .YI.7 ) per propiziare gli affari di un negozio, e la creazione della pietra filosofale capace tanto di guarire persone malate che di trasformare metalli vili in oro su richiesta di due clienti : un cava liere, Sir Epicure Mammon, e due anabattisti, Tribulation Wholesome e Ananias. Alla fine, le mene dei truffatori Subde, Face e Do! Common vengono smascherate, sebbene, in un ultimo colpo di scena, Face riesca a ristabilire le proprie fortune aiutando il suo padrone, Lovewit, a sposare la vedova Dame Pliant. La chiave teatrale dell' Alchimista è chiaramente quella demistificato ria. Il modo in cui i fenomeni occulti vengono presentati sulla scena pone il pubblico pagante nella condizione privilegiata di vedere con i propri occhi che i suddetti fenomeni altro non sono che trucchi messi in atto dai truffatori per ingannare i loro spettatori creduloni sulla scena. In più di un'occasione nelle sue commedie, Jonson critica le convenzioni teatrali usate dai suoi contemporanei, compresa la tradizione di rappresentare dia voli sul palcoscenico e, con un'allusione nemmeno tanto velata, la smania per gighe e danze nella Tempesta e nelle ultime opere di Shakespeare ' 0• 20.
Cfr., ad esempio, Bartholomew Fair {1614), in Jonson, Works, VI, pp. 1-141 ( The Induc tion on the Stage, 1 27 ); Volpone {I 6os). i vi, v, pp. 1-147 (Epistle, 79 ).
LA MAGIA IN SCENA L'alchimia è ridotta al linguaggio con cui Subde, l'alchimista fraudolento, descrive al suo complice Face il miglioramento da lui apportato alle loro sorti, chiedendo se ti ha sublimato, esaltato e fissato nella terza regione, chiamata il nostro stato di grazia".
La commedia di Jonson non è ambientata nell'antica Grecia, nella Scozia medievale o in un' isola misteriosa alla maniera di Shakespeare ; essa si svol ge nella Londra nota al suo pubblico. Questo è teatro che offre una visione disincantata dei suoi stessi meccanismi al pubblico, il quale, in tal modo, si trova nella condizione di poter ridere a spese della sua stessa credulità. Tuttavia, è da notare come L 'alchimista offra solo una prospettiva sul le vedute jonsoniane a proposito dei fenomeni occulti. L'autore scrisse anche il già citato Masque ofQueens, il quale, per un pubblico di corte, rappresenta il disordine della stregoneria nei termini di un rovesciamen to dell 'ordine reale, ed è significativo che, nella sua forma a stampa, il testo venne annotato con ampi riferimenti ai testi demonologici sulla stregoneria. Come è già stato notato nel caso delle opere teatrali di Della Porta e Bruno, si può stabilire una complessa relazione tra la rappresen tazione comica dei fenomeni occulti tramite personaggi di truffatori e le opinioni in materia di conoscenza tecnica sostenute dagli stessi scrittori in altri contesti". Parimenti, è ragionevole concludere che il pubblico che assisteva ali ' Alchimista di Jonson - opera allestita dalla stessa com pagnia che metteva in scena le opere di Shakespeare (anche se, con ogni probabilità, nel nuovo teatro all ' interno in Blackfriars) - poteva sovrap porsi in modo significativo con il pubblico che, l'anno seguente, avrebbe assistito alla Tempesta, anch'essa molto probabilmente rappresentata in Blackfriars • l. Se è vero che particolari compagnie e drammaturghi si ri volgevano a pubblici di gusti differenti, è ragionevole tuttavia ipotizzare che gli spettatori potessero sviluppare interessi per diversi tipi di spetta coli teatrali, i quali andavano mettendo in scena soggetti in modi assai diversi tra loro. 2. 1 . The Alchemist, ed. Cook (v.1.6 8·6 9): « Sublimed thee, and exalted thee, and fixed thee l l' the third region, called our state of grace ? » . 2.2.. Cfr. Plaisance (zoo o , p . 2.73 ) ; Bruno, Candlebearer, nota Il· 23. Shakespeare, The Tempest, p. 64.
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I VINCOLI DELLA NATURA
Conclusioni
Con questa breve rassegna di opere teatrali si è inteso indicare alcune delle modalità attraverso cui il teatro commerciale all 'epoca di Shakespeare fos se riuscito, tramite la rappresentazione dei fenomeni occulti, a divertire e provocare il suo pubblico. Nel Cinquecento e Seicento, il medium teatrale dimostrò di avere un potenziale non indifferente per la rappresentazione di temi occulti. Tanto la forma teatrale che il tema rappresentato sono in timamente connessi a complesse questioni di illusione e impersonificazio ne, e, più in generale, alla manifestazione di potere, sia orale che visiva. Si danno molti esempi di messa in scena di fenomeni occulti sui palcoscenici inglesi della prima età moderna, siano essi generici o altamente fantasti ci. Tuttavia, opere come Doctor Faustus e La tempesta fornirono ai loro spettatori un prodotto più sofisticato, capace di richiamare la complessità dell' "esperienza vissuta" propria del pubblico. Questi autori compresero molto bene la natura del nesso sottile che unisce la struttura aperta della rappresentazione teatrale alle reazioni del pubblico. A tal fine, essi attin sero a un ricco filone di tradizioni teatrali e a contemporanei dibattiti sul potere del teatro. Il modo in cui il genere del masque o le tradizioni di diavoli da palcoscenico vengono riutilizzati da Marlowe o Shakespeare, ad esempio, dimostra le loro capacità di assorbire generi eterodossi e combi narli in modi stimolanti e provocatori. È un tipico aspetto del teatro inglese il fatto che alcune delle più ce lebrare e complesse rappresentazioni drammatiche di fenomeni occulti rimangano provvisorie quanto alle conclusioni riguardanti il tema messo in scena. In certa misura, ciò dipende dalla delicatezza e pericolosità delle stesse situazioni rappresentate e dal farro che il teatro deve pur sempre in trattenere tanto quanto provocare il suo pubblico. A giudicare dal Doctor Faustus, possiamo congetturare che il pubblico della prima età moderna fosse in grado di abbracciare originali combinazioni di innovazione tea trale e audacia tematica. Nella Tempesta e altre opere teatrali, Shakespeare sottolinea come i fenomeni occulti eludano la comprensione umana. La rappresentazione della frode nell'Alchimista di Jonson offre una salutare prospettiva demistificatoria rispetto ai temi dell'occultismo. Per tali ragio ni, la messa in scena dei fenomeni occulti in Inghilterra nella prima età moderna costituisce un contesto importante attraverso il quale esaminare le reazioni di una particolare cultura e società rispetto ai temi della magia e della stregoneria.
LA MAGIA IN SCENA
2.7 I
Fonti di riferimento
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ID., Works, ed. by C. H . Herford, P. Simpson, 1 1 voll., Oxford University Press, Oxford 19>5-s>-
ID., The Alchemist, ed. by E. Cook, A&C Black, London 1991. MARLOWE CHRISTOPHER, Doctor Faustus: A- and B-texts (11fo 4, I6I6), ed. by D. Bevington, E. Rasmussen, Manchester University Press, Manchester-New York 1993ID., Doctor Faustus, ed. by D. S. Kastan, Norton, New York-London wos. RANKINS WILLIAM, A Mirrour ofMonsters, ]oh n Charlewood, London 1587. SHAKESPEARE WILLIAM, A Midsummer Nights Dream, ed. by H. F. Brooks, RoutJedge, London-New York 1990. ID., The Tempest, ed. by S. Orge!, Oxford University Press, Oxford 1994 · ID., Macbeth, ed. by N. Brooke, Oxford University Press, Oxford 1998. ID., A Midsummer Night s Dream, ed. by P. Holland, Oxford University Press, Oxford 1998.
TOMKIS THOMAS, Albumazar. A Comedy Presented bifore the Kings Maiestie at Cambridge, the Ninth oJMarch, I6I4, Nicholas Okes, London 1615.
« Ah, certo, lo so ! Ma non sono tutte delle streghe, dentro ? » . Iconografia della strega in età moderna* di Andrea Meyer-Ludowisy
La frase citata nel tirolo di questo saggio viene pronunciata dal celebre per sonaggio dei cartoni animati, Bugs Bunny, al termine dell'episodio Bunny stregato. Con questa battuta, senza volerlo il coniglio scatenò nel 1998 una polemica televisiva. La storia ebbe inizio quando il cartone del I9S4 venne mandato in onda dalla televisione canadese. Nella versione Loon ey Tunes della fiaba di Hansel e Gretel, Bugs Bunny salva i bambini dalla strega cattiva, chiamata strega Nocciòla, facendo esplodere una bomba di polvere magica e trasformando la strega in una dolce coniglietta, con la quale Bugs prende ad amoreggiare' . Nell' inquadratura finale, l' impavido e serafico coniglio si rivolge verso l'obiettivo della telecamera e pronuncia la frase divenuta mal famata: «Ah, certo, lo so ! Ma non sono tutte delle streghe, dentro ? >> . Fu questa battuta finale a causare l a controversia, venendo interpretata come un' insinuazione misogina - nemmeno tanto velata - che lasciava in tendere come all' interno di ogni donna si celasse in realtà una strega. Il caso arrivò fino alla Canadian Association of Broadcasters (CAB), che alla fine si espresse a favore del coniglio, dichiarando che le sue opinioni non erano state ' . Traduzione di Guido Giglioni. Il nome della strega si basa su un gioco di parole riguardante il nome della pianta noc ciòlo ( Corylus avellana) e il rimedio a base di erbe da essa derivaco. Il nocciòlo era un cespuglio sacro alle popolazioni celte, le quali credevano che le nocciòle contenessero un concentrato di saggezza. La pianta è circonfusa di miti e leggende. La bacchetta di nocciòlo, ad esempio, era ritenuca capace di propiziare trasformazioni di vario genere e, secondo la leggenda, san Patrizio usò una bacchetta di nocciòlo per scacciare i serpenti dall' Irlanda. l. La decisione del Canadian Broadcast Standards Council (CBSC) si può leggere nel si co del CBSC, sotco "Decision 97/98-0445": http://www.cbsc.ca/english/decisions!I998/ 980203a.php. Gli spettatori lamentarono che il cartone animato forniva «un' immagine distorta della donna a bambini facilmente impressionabili» e che faceva passare il messag� gio secondo cui « le donne so n tutte cattive al loro interno » . Undici mesi e tre giorni dopo •
1.
274
I VINCOLI DELLA NATURA
Nel cartone animato, l'asturo coniglio aveva messo nel sacco la pro pria nemesi, la strega Nocciòla, usando la sua stessa polvere magica, così da trasformare l'orrida megera in una coniglietta seducente e fatale, in compagnia della quale se ne saltellava via sul far del tramonto al termi ne del cartone animato. La questione interessante per il tema di questo saggio è che Nocciòla è riconosciura all ' istante come una brutta strega cattiva, il che dimostra l ' immediatezza visiva e il persistente potere della suddetta immagine, al punto da indurre ancor oggi gli spettatori a pro testare. Com'è nata questa rappresentazione della strega come potente personificazione del male, e com'è potura rimanere una costante visiva della cultura occidentale ? La risposta è che l' immagine della strega fem minile risultò da un graduale processo di sintesi di vari elementi culturali e sociali, i quali diedero un volto e un corpo alla composita nozione di stregoneria che si veniva formando nei decenni tra il xv e il XVI seco lo. In questo capitolo intendo esaminare come componenti tratte dalla letteratura teologica del xv secolo, demonologia, magia meteorologica e diabolica vennero a convergere in un'atmosfera apocalittica segnata da paura e ansia, favorevole all'emergere del nuovo stereotipo della strega femminile. Gli artisti diedero a questo miscuglio di paure e immagina zioni il volto e il corpo di una vecchia donna, e ridussero il gran nume ro di dettagli suggestivi e carichi di significati ad un insieme limitato di tratti e segni facilmente riconoscibili. Così facendo, gli artisti privarono la strega di ogni specifica individualità e fecero di ogni donna anziana una potenziale fattucchiera. Una volta identificata dalla gente comune in virtù della sua bruttezza, il processo di erosione del! ' individualità del la donna sarebbe stato quasi completo. Non solo queste donne vennero private della loro capacità di dar forma e vita alle proprie esistenze, ma le loro reputazioni sarebbero state cancellate insieme alle loro confessioni, le quali dovevano conformarsi ali ' idea preconcetta dei loro crimini. In questo senso, esse persero anche la battaglia per affermare il modo in cui erano viste e cosa si sarebbe detto di loro (Purkiss, 1 9 9 6, p. 1 4 5 ) . Questa nuova creatura femminile - nuova, ma al tempo stesso vecchia -, elabora ta a partire da aspetti della realtà noti a turti a causa del processo di invecaver ricevuto le proteste, il Council raggiunse la seguente conclusione: «Vi è nella battuta finale un' insinuazione [ ... ] che alcuni possono trovare offensiva. Tutcavia, il Council non ritiene si sia verificato alcuna violazione del codice etico, di cui è responsabile. In primo luogo, la battuta è un'osservazione casuale e non trova espressione, quanto alla sostanza, in nessun altro momento dell'episodio. In un certo senso, è un'osservazione inaspettata » .
ICONOGRAFIA DELLA STREGA IN ETÀ MODERNA
2.7 5
chiamento ( processo universale e necessario ) , veniva così a corrispondere ad un minaccioso stereotipo, che avrebbe fatto sì che la strega e i suoi presunti poteri apparissero assai più inquietanti agli occhi dei comuni cristiani di quanto non fosse qualunque sostenitore di eresie o errori dot trinali ( Kieckhefer, 2.00 8).
L a bellezza è ciò che è voluto d a Dio: lo stereotipo visivo della strega femminile
Il termine "stregoneria" ha tre accezioni principali: la pratica della ma gia, le credenze associate alla caccia alle streghe nel mondo occidentale tra i secoli XIV e xv m , e l' insieme di pratiche corrispondenti al moderno movimento wicca. I termini inglesi witchcraft e witch derivano dall' Old English wiccecraeft (da wicca, maschile, o wieee, femminile ) , e si riferisce ad una persona che pratica la stregoneria; e da craeft, denotante "tecnica" o "abilità". Parole più o meno corrispondenti in altre lingue, come sorcel lerie ( francese ) , Hexerei ( tedesco ) , stregoneria ( italiano ) e brujeria ( spa gnolo ) racchiudono ulteriori connotazioni, e nessuna di esse può dirsi corrispondere interamente alle altre3• Nonostante la diversità dei contesti storici, culturali e linguistici, a partire dal XYI secolo la stregoneria venne percepita come il risultato di macchinazioni messe in opera da gruppi di vegliarde, che si riteneva si incontrassero di notte, in gran segreto, per in dulgere in riti orgiastici e pratiche di magia nera. La strega definita in que sti termini esiste più nell' immaginazione che nella realtà dei fatti. Come già detto in apertura di saggio, il solidificarsi di una varietà di elementi culturali dalle origini più disparate avrebbe trasformato una generica rap presentazione in un potente stereotipo riconoscibile dai più. Da allora in avanti, questo stereotipo non si sarebbe mai allontanato dalla superficie della coscienza popolare e avrebbe trovato espressione in romanzi, film e spettacoli televisivi. La strega Nocciòla della serie Looney Tunes, a sua vol ta basata su un personaggio della Disney dallo stesso nome, è un esempio di tale processo di stereotipizzazione. Il personaggio in questione non fa che trasferire un' immagine vecchia di cinquecento anni sul grande scher3· Cfr. Oxford English Dictionary, s. v. "Witchcrafì:". Sulla caratterizzazione della strega in età moderna, cfr. supra, i contributi di V. Lavenia, M . Duni e M. Valente, rispectivamente alle pp. I8S-lOI, lOJ-ll, l39·SI.
I VINCOLI DELLA NATURA m o e, così facendo, ne assicura la longevità. La strega Nocciòla è al di là di ogni ideale di bellezza concepibile: ha la pelle verde e una figura cor pulenta sostenuta da due esili gambe che assomigliano a dei bastoni. Di solito indossa un cappellaccio nero spiegazzato dalle cui falde emergono dei capelli ispidi refrattari ad ogni tentativo di controllo da parte delle forcine, le quali infatti volteggiano nell 'aria ogni volca che essa vola con la sua scopa. Una risata ghignante completa l' immagine. Cinquecento anni dopo essere comparsa nelle illustrazioni dei primi libri a stampa, i caratteri salienti rimangono gli stessi. La nozione romantica di strega come una giovane, bella e sensuale, prigioniera di forze magiche, segnata da un fascino fatale, è un'eccezione alla regola secondo cui la strega è una vecchia megera, gobba, col naso curvo, poco curante della propria igiene personale. Vista come l ' incarnazione del peccato, della morte e di cala mità naturali, la strega è generalmente rappresentata con attributi assai poco lusinghieri. Si potrebbe forse ipotizzare che la bruttezza tramite cui le streghe vengono identificate sia una forma di rifiuto della possibilità di essere considerate un oggetto di desiderio. Tuttavia, la limitata capacità di azione attribuita alle streghe e il fatto che la loro immagine venne co munque creata da artisti e autori maschili rendono quest'ultima ipotesi alquanto fucile. È difficile vedere nella raffigurazione stereotipata della strega un simbolo dell'autodeterminazione femminile, quando il suo status è quello di essere uno strumento del diavolo, posseduto dal male, privo di ogni senso di responsabilità e incapace di scelta. Il potere delle streghe di dar forma alle loro vite, perfino alle loro confessioni, andò cer tamente perduto o cancellato nel momento in cui la loro immagine venne delineata da artisti maschili. Da un punto di vista storico, la raffigurazione della strega come nuovo soggetto di rappresentazione visiva emerse tra la fine del xv secolo e il XVI in Europa, come risulcato di una trasformazione dell' immaginario tradi zionale relativo alla magia e alla stregoneria. Il tema venne quindi svilup pato da artisti quali Albrecht Durer (1471-1528), Albrecht Alcdorfer (ca. 1480-1538) e specialmente Hans Baldung Grien (ca. 1 484- 1 5 4S), il quale avrebbe continuato a lavorare alla nuova iconografia della stregoneria nel corso della sua carriera (Zika, 2007 ) . La loro opera innovativa era il risul tato di un confronto con le credenze popolari sulla stregoneria. Localizzati prevalentemente nella Germania del Sud, questi artisti elaborarono una serie di codici visivi fondamentali per la rappresentazione della stregone ria. Le città della Germania meridionale si segnalavano all'epoca come
ICONOGRAFIA DELLA STREGA IN ETÀ MODERNA
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centri di produzione libraria, e le loro officine tipografiche erano ben av viate da tempo. Le tradizioni di collaborazione e mecenacismo artistico assicurarono inoltre la rapida diffusione della nuova immagine attraverso l'uso della xilografia, fosse essa impiegata come illustrazione per opusco li sulla stregoneria, per pamphlec teologici, o come immagini a sé stanti. Occorre infine ricordare che città come Scrasburgo, in cui Hans Baldung Grien fu attivo per gran parte della sua vita, erano non solo centri di pro duzione tipografica, ma anche un rifugio per non conformisti, riformatori e spiricualisci visionari (cfr. Thibodeau, I976, pp. 3s-so). Negli ultimi de cenni del Quattrocento, la tecnologia della riproduzione tipografica creò una serie di nuove opportunità culturali nei territori di lingua tedesca, era cui la rapida circolazione di grandi quantità di immagini in tempi relati vamente brevi•.
L'universo magico, la "tensione da pre-millennio" e l' inizio della fine nel Cinquecento
I primi decenni del XYI secolo videro il graduale affermarsi dello scereocipo relativo alla nozione di magia demoniaca, dannosa e nociva, i cui adepti, nell' immaginario collettivo, erano ritenuti in gran parte donne. Per com prendere come, nel volgere di pochi decenni, questa prerogativa fosse stata trasferita da uomini di un cerro sapere, se non addirittura colei (il mago o stregone maschile), a donne in gran parte analfabete, del cucco sradicate dal contesto sociale, dobbiamo far riferimento alle persecuzioni per stre goneria dell'epoca. Dal momento che ci riesce difficile comprendere di pri mo acchito la maggior parte delle complessità teologiche sedimentate nel linguaggio attraverso cui trovano espressione le credenze sulla stregoneria della prima età moderna, ci troviamo a dover esaminare una serie di spie gazioni era loro incompatibili, le quali spesso consistono nel sottoporre a prova empirica le credenze della demonologia moderna o opinioni erudite riguardo alla stregoneria, con il risultato che, come ha scritto Scuart Clark, ci volgiamo con sollievo a contemporanei scettici riguardo alla stregone ria, e riconduciamo le credenze relative e le loro motivazioni a neurosi, devianza e ansie maschili (Clark, 2008). Queste ansie sono certamente 4 · Secondo Keith Thomas, l ' importanza della stampa è evidente nel modo in cui essa democratizzò la letteratura sulla magia (Thomas, 198s, pp. Jl9·JO ) .
I VINCOLI DELLA NATURA ben documentate ; tuttavia in queste pagine intendo concentrarmi sulle paure connesse alla cosiddetta "tensione da pre-millennio" ( TrM ) . Parte di questo "mondo sregolato", a cui fa riferimento Clark, era la credenza che le streghe potessero mutare le loro apparenze e trasformarsi in animali o altre creature. Si riteneva che esse potessero, con l'aiuto del demonio, interferire con gli elementi e creare disordine. Essere stregati significava soffrire gli effetti del potere della strega, ef fetti che spesso coincidevano con malattie e sfortuna. Robin Briggs ha fatto notare come il concetto di sfortuna sia sempre stato un tema difficile da afferrare, tanto intellettualmente quanto emotivamente, dal momento che poche persone trovano soddisfacente l' idea che il fato e il caso gio chino un ruolo così importante nelle loro vite (Briggs, 2008). La nuova iconografia della stregoneria non fu un processo metodico o cronologica mente uniforme, ma emerse da una società la cui coesione sociale si stava frammentando e lo stato d'animo era caratterizzato da attese apocalitti che, speculazioni escatologiche e sogni millenaristici, tutti atteggiamenti che inevitabilmente mancavano del rigore tipico delle discussioni teo logiche di carattere demonologico. Fonti dell 'epoca parlano di un'ansia generalizzata nei confronti di una possibile fine del mondo, al punto che la venuta dell'anno 1 5 0 0 era percepita come carica di presagi catastrofici. Il decennio seguente vide un aumento delle predicazioni dai toni apoca littici, il cui messaggio ricorrente era l'arrivo imminente dell'Anticristo (Cunningham, Grell, 2000, p. 4). Secondo Andrew Cunningham e Ole Peter Grell, gli storici dell'epoca percepirono il periodo dal 1490 al 1 648 come un'età di profonda crisi, in cui il richiamo alla Bibbia, grazie alla sua maggiore diffusione tramite la stampa e traduzioni in volgare, fungeva da base della fede cristiana. Dal momento che queste traduzioni apparvero in quello che essi definiscono come « un'atmosfera apocalittica di paura e ansia » , la Bibbia veniva spesso letta «per avere la conferma che le tante crisi erano infatti i segni della fine del tempo e della venuta di Cristo >> ( iv i, pp. 2-4). La diffusa e crescente confusione riguardante l'autorità religiosa vide l'aggiungersi di innumerevoli difficoltà nel primo quarto del XYI secolo : il frequente ritornare della peste, l'emergere dell'epidemia di sifilide e i nu merosi conflitti militari su larga scala, fossero essi in risposta alla minaccia di invasione dei Turchi, le guerre tra Carlo Y e Francesco I o la rivolta dei contadini in Germania. A questi eventi si sommarono la penuria di cibo tra gli anni venti e trenta del Cinquecento, la quale condusse ad una
ICONOGRAFIA DELLA STREGA IN ETÀ MODERNA
2.79
diffusa condizione di malnutrizione nella popolazione dell 'epoca'. L'ap prossimarsi dell 'attacco finale del demonio veniva quindi percepito come un daro di farro. Più di ogni altra figura o evento, l 'Anticristo annunciava l' imminenza dell 'apocalisse. Da questo punto di vista, sembra si possa sta bilire una diretta correlazione tra la crescente disponibilità di resti biblici e un aumento delle paure di natura apocalittica.
Satana, i diavoli e la stregoneria
Il diavolo e la strega erano considerati all'epoca una realtà effettiva, tan to negli ambiti più elevati della cultura che in quelli popolari. Entrambi erano temuti come i maggiori nemici di Cristo, intenti a distruggere la società cristiana dalle fondamenta. Se la stregoneria esisteva, come la gen te riteneva che esistesse, si trattava allora di estirparla prima che arrivasse a rovinare il mondo. In questo senso, l' identificazione e la persecuzione delle streghe rientravano in un programma di difesa dei principi cristia ni ( Srephens, 2.00 2., p. 30 ) . Per quanto nel corso dell' Ottocento vi siano stati numerosi tentativi di connotare positivamente i concerti di "strega" e "stregoneria': facendo ad esempio riferimento alle nozioni di guarigione ed emancipazione, il concerto di stregoneria come pratica nociva rimane alrrerranto potente quanto l' immagine prevalente della strega come una brutta vecchia6• Se lo srereoripo della strega si cristallizzò ali' inizio del Cinquecento, l' immagine di Satana - padrone e insieme suo complice - rimase sempre fluida. Satana era altamente visibile e onnipresente nel repertorio di imma gini medievali e non aveva bisogno di un discorso particolare per mostrarsi. Poteva essere visto in molti luoghi, sui timpani delle cattedrali, in rappresen tazioni della tentazione di Cristo e del giudizio finale, o unirsi alla danza del la morte. Poteva assumere le sembianze di un caprone, un serpente, un lupo, un animale mostruoso, o scegliere di apparire in una delle tante altre forme s. Cfr. Waite (2.00J, p. 6o ). Già Giovan Battista Della Porta e Girolamo Cardano, seguiti poi daJohann Wier, avevano riconosciuto il nesso tra malnutrizione e fenomeni di strego neria. Cfr. Cardano, Opera omnia, lll, p. 2.92.a; Della Porta, Magiae naturalis libri viginti; Wier, Opera omnia, pp. 2.03, 2.2.2.·3. Cfr. anche Ernst (2.oo6). 6. Il più notevole fu il tentativo da parte di Jules Michelet, nel suo libro La sorcière (1862.), di presentare la stregoneria medievale come un tipo di ribellione, in forma di vera e pro pria religione segreta organizzata dalle donne.
I YINCOLI DELLA NATURA a lui possibili. I trattati teologici dell'epoca confermavano che il diavolo pos sedeva enormi poteri intellettuali e fisici, così come che egli aveva bisogno dell'attività umana per compiere i suoi misfatti (Clark, 1997, p. 1 6 1 ) . Le di scussioni teologiche si volsero presto ad esaminare la natura stessa della sua azione. Alain Boureau ha esaminato con attenzione come nel 1398 la facoltà di Teologia di Parigi gettasse le fondamenta per il trattamento inquisitoriale di coloro che invocavano demoni. Ciò avrebbe condotto nel 1430 alla prima coerente descrizione delle streghe (Boureau, 2006, pp. 1 2-3). I teologi pari gini stabilirono che attività di stregoneria condotte attraverso un patto con il diavolo comportavano apostasia della fede cristiana. Convinti della realtà degli incantesimi e dell'effettiva esistenza del sabba, essi ritenevano che il ri tuale satanico necessitasse dell'agente umano come di una forza operativa. Il potere del diavolo si concentrava in un atto di cui l'agente umano assicurava la riuscita e da cui questi sperava di ottenere un qualche profitto. Il patto ri chiedeva sempre l'assistenza di esseri umani e i suoi termini dovevano venir concordati da essi in piena volontà. Il concetto di un agente mosso da cattive intenzioni è evidente fin dalle prime rappresentazioni del diavolo. È presente nel libro della Genesi, nei Vangeli e nell 'episodio di Cristo nel deserto : invariabilmente, il diavolo è presentato come tentato re e seduttore. Il parallelo tra il rituale satanico e il sacramento divino è chiaro nella misura in cui in entrambi i casi il teo logo deve render conto del nesso causale sotteso ali' atto soprannaturale di trasformazione, al quale uomini e donne prestano il loro supporto, e la transazione tra le parti presuppone un atto di fede. L' idea del patto con il diavolo come una forma di contratto sociale appare straordinariamente moderna, ma, come Boureau fa notare, esso risale ali ' interpretazione della relazione feudale mediata dal diritto romano, e di lì venne applicata alla teologia sacramentale (ivi, p. 74). In quanto "angelo caduto", l'accesso del diavolo alle verità spirituali era venuto a cadere, ed era una verità univer salmente accettata che, « tagliato fuori dalla rivelazione divina, l' intelletto demonico poteva funzionare solo attraverso la luce della natura » ( Clark, 1997, p. 1 63). Per quanto il suo potere si fosse piegato alle leggi della natura, il diavolo continuava tuttavia a produrre effetti reali, servendosi delle sue abilità come ingannatore, o, più precisamente, mettendo a frutto un'am pia gamma di effetti illusionistici tramite cui incantava le facoltà dell ' in telletto umano (ivi, p. 1 6 6 ) . Mentre i trattati degli inizi del Quattrocento avevano fornito una pri ma sistemazione delle concezioni riguardanti la stregoneria diabolica e
ICONOGRAFIA DELLA STREGA IN ETÀ MODERNA cospirativa (Bailey, 2007 ), fu solo nei trattati del primo Cinquecento che essa sarebbe diventata un dominio prevalentemente femminile (Larner, 2008; cfr. anche supra, il contributo di M. Valente, alle pp. 239- 5 1 ) . Alla fine del XY secolo lo stereo tipo del mago erudito, di solito un uomo colto e pio, si era trasformato nell' immagine di una donna vendicativa, seguace del demonio, alla ricerca di quel potere sulla propria vita che altrimenti veniva ad essa negato in ogni modo. Questo passaggio dal praticante di arti occulte di genere maschile all ' incantratice, spesso analfabeta e a volte anche demente, in breve tempo venne fatto proprio dalle autorità secolari e, da quel momento in avanti, un gran numero di donne sarebbe stato asso ciato al crimine di stregoneria (Waite, 2003, p. so). Mentre prima del 1350 più del settanta per cento delle persone accusate di magia erano uomini, già agli inizi del Cinquecento più del sessanta per cento degli accusati era no divenuti donne (Davies, 2009, p. 43 ) . Per meglio comprendere le dina miche di questo processo, è necessario considerare l'universo economico, culturale, politico e teologico abitato dalle donne accusate di stregoneria.
Indignazione morale e mondo alla rovescia
Sottesi agli scontri teologici tra cattolici, protestanti e altri gruppi religiosi vi erano anche vivaci dibattitti relativi al rapporto tra esseri umani e po tenze soprannaturali, dibattiti che contribuivano a creare un'atmosfera in tellettuale dominata dalla retorica dell ' indignazione morale (Roper, 1 994, pp. 172 ss.). Ansie e timori diffusi trovarono espressione nella crescente do manda di libri e immagini stampate. I teologi - tanto cattolici che prote stanti - interpretarono l'apparire di creature dalle strane forme come segni divini - presagi dell'apocalisse, ma anche una conferma delle loro posizio ni (Spinks, 2009; cfr. anche supra, il suo contributo alle pp. 79-97 ) . Owen Davies descrive la situazione all ' inizio del Cinquecento come pervasa dai tipici sintomi della già menzionata "tensione da pre-millennio" (Davies, 2009, p. 44 ) . I libri di demonologia diffusero - verbalmente e visivamen te - la nozione di una congiura stregonesca di origine diabolica, mentre gli opuscoli a stampa narravano in dettaglio gli efferati crimini perpetuati dalle streghe, riuscendo a imprimere queste immagini nella coscienza della geme comune. Una tale proliferazione dell' immagine a stampa contribuì quindi a creare una nuova sintassi visiva, una retorica dell' immaginario in cui, possiamo dire, faceva brutta mostra di sé l' immagine della strega.
I VINCOLI DELLA NATURA Il cosmo della prima modernità era concepiro come un essere vivenre che si reggeva su corrispondenze di natura erica. In quesro universo, la magia giocava un ruolo imporranre (cfr. supra, il conrriburo di G. Giglioni, alle pp. 29-45). ll mondo era visro come pullulanre di enrirà spiriruali, il cui conrrol lo era conreso rra demoni e angeli. Secondo una credenza diffusa a vari livelli della società europea, nel Medioevo come nella prima modernità, Dio aveva crearo rre ripi di spiriti vivenri: il primo ( angeli e demoni ) era indipenden te dalla carne; il secondo ( gli esseri umani ) si trovava racchiuso nella carne senza ruttavia essere destinato a dissolversi con la morte del corpo ; il terzo ( gli animali) era racchiuso nella carne e sarebbe morto con il corrompersi del corpo. I dibattiti sulla narura di questa divisione triparrita e le qualità dei tre spiriti vivenri sollevarono domande di ampio respiro concernenri la re lazione tra essere e corpo, ed essere e spazio ( Barderr, 2008, p. 72). Essi con tribuirono anche ad intensificare la discussione riguardanre la narura squisi tamente "femminile" della stregoneria, la quale veniva associata alla narura cedevole della mente e del corpo delle donne ( Maclean, 1980, pp. 28-47 ). Le preoccupazioni delle aurorirà clericali e locali riguardo alla super stizione venivano ora sussunte nella nuova ossessione della stregoneria su base diabolica ( Bailey, 2009, p. 639 ). Di conseguenza, divenne partico larmente difficile distinguere tra religione e magia, sebbene le differenze tra la lirurgia ufficiale della Chiesa e i riti informali eseguiti dalla gente comune fossero ben chiare. In economie e società di ripo prevalentemente agrario, la magia rappresenta un aspetto centrale della cultura tradizionale e assume la forma di riruali rivolti a propiziare l'agricoltura e l 'allevamento ( Wilson, 2000, p. 62). Lo stesso accadeva in età moderna, dove un'ampia gamma di riti veniva impiegata per mantenere il bestiame in salure e ripro durtivo, tenere a bada animali selvaggi e per assicurare la ferrilirà umana. Prima del verificarsi della frattura protestante, il cristianesimo aveva inco raggiato questa particolare simbiosi con la magia. Ad esempio, le donne sterili erano state incoraggiate per secoli a visitare particolari santuari che si riteneva favorissero il concepimento. In Savoia, si pensava che sant 'Aga ta paresse aumentare la disponibilità di !arre materno durante il periodo dell'allattamento e proteggere i raccolti dalla grandine e dai fulmini ( ivi, p. u 6 ) . Il cosiddetto "programma statale mariano", che venne svilupparo in varie regioni cattoliche, presenrava l ' immagine della vergine Maria come contraltare a quella della strega, ponendo accanro al simbolo immacolato della ferrilirà quello della personificazione femminile della sterilità, la stre ga incapace di generare ( Behringer, 20o8b, p. 82).
ICONOGRAFIA DELLA STREGA IN ETÀ MODERNA Le prime uscite in volo della strega
Le crescenri preoccupazioni delle autorità clericali e secolari riguardo ad una presuma epidemia di stregoneria, insieme ad un'ansia da fine del mondo serpeggianre in ogni aspetto della vira quotidiana conrribuirono alla comparsa delle prime rappresenrazioni visive della stregoneria, fatte di streghe volanri, sabba e adorazioni di demoni. Tali rappresenrazioni si richiamavano ad un'affermata tradizione artistica di vivide raffigurazioni di virtù e vizi. Le variazioni medievali sul rema della lorra per il possesso dell'anima umana avevano spesso dato luogo a composizioni assai com plesse, che richiedevano una cerca conoscenza da parre dello spettatore. Specifiche strutture allegoriche erano stare usare per dar forma ad inrricari sistemi morali, in cui particolari animali corrispondevano a determinati vizi e virtù, in modo simile a come essi erano stati associati alle divinità della mitologia classica (Karzenellenbogen, I 9 8 9 ) . Alcuni animali, come il caprone, fungevano da diretta incarnazione di vizi, e non da rappresen tazione allegorica di particolari attributi, come ad esempio la capra, consi derata simbolo della lussuria (ivi, p. 6 I ) . Charles Zika ha esaminato come Palaesrra, Meroe, Panfila, Medea e soprarrurro Circe vennero usare a più riprese prima del XYI secolo quali modelli parricolarmenre flessibili da cui ricavare immagini per la rappresenrazione della strega, a cominciare dal Liber chronicarum (1493), il quale conreneva una rappresenrazione di Circe come la tipica incanrarrice dell'età classica (Zika, 2002 ) . Una delle prime raffigurazioni di strega in volo a cavallo di una scopa di cui si abbia notizia è un disegno a margine di una pagina del poema Le champion des dames ( 1 4 5 1 ) di Martin Le Frane, aurore vissuto nella prima metà del XY secolo (Bardett, 2008, p. 83; Dembowski, 1 9 8 9 ; Piager, 1 8 8 8 ) . Anche s e l a donna qui rappresenrara non mostra ancora turri i segni che ci aspetteremmo dalla raffigurazione emblematica della srrega, la figura ha comunque già stabilito la chiara connessione tra pensiero, immagine men tale e forma esteriore che sarà alla base del prototipo visivo della strega in età moderna. L'aspetto è quello di una donna comune, vestita nel modo consueto dell'epoca, con l'unica differenza che la si vede volare nell'aria a cavallo di una scopa ( FIG. 6 ). Nel poema allegorico Le champion des dames, in cui si narrano le imprese di un gran numero di donne nel corso della sto ria, viene attaccata la corruzione della nobiltà e di uomini di governo dell'e poca. Questa voluminosa composizione in versi venne dedicata a Filippo il Buono (1396-1467) e contribuì al dibattito contemporaneo riguardanre la
l VINCOLI DELLA NATURA
6. Una srrega a cavallo della sua scopa (da M. Le Frane, Le champion des dames, 1451, f. 1 osv, ms. Français 1 2.476, Bibliorhèque nationale de France, Paris)
natura delle donne. Nel caso di alcune delle illustrazioni, Peronet Lamy è stato identificato come il possibile autore ( Le Frane, Tria! ofWomankind). L' illustrazione a margine appare solo in uno dei nove manoscritti dell'opera sopravvissuti. Non si può quindi dire che abbia influito sulle successive generazioni di artisti. Tuttavia, essa può essere ugualmente con siderata come un' importante fonte iconografica, dal momento che attesta la capacità degli illustratori di avvertire un cambiamento nella percezione comune, cogliere un nuovo motivo e integrarlo nelle tecniche compositive della loro arte. Zika fa notare che gli altri manoscritti illustrati del Cham pion des dames e le due edizioni a stampa del 1485 e del 1530 contengo no immagini assai differenti. Lo studioso ipotizza inolrre che il dibattito dell'epoca intorno all 'eresia valdese abbia contribuito al nascere di questi disegni ai margini dei libri, dal momento che gli illustratori si riferiscono alle donne raffigurate come vaudoises, termine colloquiale per "valdese':
ICONOGRAFIA DELLA STREGA IN ETÀ MODERNA
7· D u e streghe preparano un incantesimo per la grandine, xilografia (da U. Molitor,
lanùs et phitoniàs mulieribus, 1489, f. C11')
De
I YINCOLI DELLA NATURA mentre il testo le definisce « Streghe » (Zika, 2007, pp. 63-4). In ogni caso, esse vengono generalmente considerate come la prima raffigurazione di streghe volanti. Mentre l' idea di donne dalle intenzioni malvagie che vo lano di notte a cavalcioni di animali per incontrare demoni o causare di sordine era assai antica e risaliva all'età classica, questa giovane strega sulla sua scopa può essere considerata come un punto di svolta n eli' iconografia della stregoneria. È vero che la strega raffigurata nel Champion des dames sembra avere ancora molto in comune con l' immagine della brava moglie e donna di casa, dal momento che non è vecchia, né brutta, ma giovane e spensierata. In realtà, non c 'è dubbio che sia una poco di buono : il fatto stesso di prendere il volo a cavallo di un utensile domestico è una prova di poteri soprannaturali. Affinché possa volare, la donna deve avvalersi di uno speciale unguento, un preparato descritto nel manoscritto di Johan nes Hardieb (ca. 1410- 1 4 6 8 ) della metà del XY secolo, dal titolo Das Puch al!er verpoten Kunst, Ungelaubens und der Zaubrey (!!libro di tutte le arti proibite, della miscredenza e della stregoneria), il quale, nel capitolo XXII, contiene la più antica ricetta di cui si abbia conoscenza per preparare l ' un guentum Pharelis, la pomata confezionata dalle streghe per volare nelle loro scorribande notturne (Hardieb, Das Puch). Le due opere, Le cham pion des dames e Das Puch aller verpoten Kunst, vennero composte nello stesso periodo di tempo, gli anni cinquanta del Quattrocento, e contribui rono a modificare la percezione ali 'epoca della figura della strega. In realtà, la presunta capacità di volare per lunghe distanze era una del le caratteristiche più comuni attribuite alle streghe sotto accusa. All'epoca della composizione del Champion des dames, negare che le streghe avessero il potere di viaggiare nel corpo e nello spirito si prestava ad accuse di eresia. Il disegno a margine, in cui la strega vola a cavallo della sua scopa, e la det tagliata descrizione di come preparare l'unguento per volare indicano che a metà del Quattrocento l' immagine della strega volante circolava già in varie parti d' Europa e si sarebbe poi cristallizzata nei decenni seguenti in forme che, ancor oggi, rappresentano la figura "ufficiale" della strega. La varietà dei possibili veicoli - capre, tinozze, gatti, trogoli, lupi, conocchie e calderoni venne ridotta alla scopa, mentre la direzione di volo cambiò, dal movimento all' indietro a quello in avanti. Anche per questa ragione l' immagine perse i possibili riferimenti con il carnevale che un certo immaginario sovversi vo ancora manteneva in quegli anni. Dopo secoli di creativa elaborazione di temi e forme, in cui un certo numero di interpretazioni morali veniva assegnato per tradizione a varie parti e qualità di esseri umani e animali,
ICONOGRAFIA DELLA STREGA IN ETÀ MODERNA
8.
Una strega colpisce un uomo in un piede con una freccia incantata ricavata da una bac
chetta di nocciòlo, xilografia (da U. Molimr, De lanùs etphitonicis mu!ù?·ibus,
1489, f. Amrv)
I VINCOLI DELLA NATURA cominciò quindi a definirsi una formula stereotipata da usare ogni volta che si fosse voluta fornire una descrizione visiva della strega. Nello spazio di tre decenni, l' immagine assunse le note fattezze sinistre. Le illustrazioni di streghe riportate nelle FIGG. 7, 8 e 9 fanno parte della prima edizione del famoso trattato di Ulrich Molitor, Tractatus de lamiis et pythonicis mulie ribus, commissionato dal duca Sigismondo del Tirolo e pubblicato a Ulm nel 1489 con il titolo di De laniis et phitonicis mulieribus. Al trattato seguì nello stesso anno una versione in tedesco dal titolo Von den Unholden oder Hexen. Entrambe le opere ebbero molte edizioni. Molitor (ca. 1 442-1507 ) , professore di legge all'università di Costanza, aveva pubblicato l'opera in risposta alle preoccupazioni del duca Sigismondo, il quale si era interessato alle attività di Jacob Sprenger e Heinrich Kramer, gli autori del celebre Mal leus malejìcarum, uscito dai torchi due anni prima. La struttura del trattato, in forma di discussione, con domande e risposte, permise a Molitor di espri mere la sua opinione su un gran numero di questioni. Le sei xilografie che illustrano le tante edizioni in latino e tedesco mostrano le streghe al lavoro, mentre preparano un intruglio capace di provocare una tempesta di grandi ne, trafficano in magia amatoria, o cavalcano scope nell'aria. Le xilografie che illustrano le varie edizioni dell 'opera differiscono nel loro messaggio dalle opinioni espresse dall'autore nel testo, ma le imma gini rimangono le stesse e vengono usate e riusate ogni volta di nuovo, nonostante la discrepanza di significato tra l' immagine e il testo, discre panza che non sfuggì al pubblico dell'epoca. Si prenda, ad esempio, il frontespizio ( FIG. 7) raffigurante le streghe mentre armeggiano intorno ad un calderone e scatenano una tempesta di grandine usando una quantità straordinaria di ingredienti per la loro "magia meteorologicà' ( Wetterzau ber). L' incisione divenne un' immagine particolarmente popolare ed em blematica. Essa sembra condensare la transizione da forme di stregoneria su piccola scala a magia dagli effetti devastanti con conseguenze d'ampia portata. L' incisione venne scelta per il frontespizio di almeno sette edi zioni, con l' immagine delle due streghe intente a scatenare una tempesta attraverso un brodo contenente, tra gli altri ingredienti, un galletto mor to e un serpente. Di certo l' immagine dev'essere apparsa allo stampatore come particolarmente appariscente. L'operazione si rivelò infatti un gran successo e, tra il 1490 e il I S IO, la serie delle sei xilografie apparve in più di venti edizioni illustrate della popolare opera di Molitor. Possiamo certamente dire che le immagini vennero incontro alle ri chieste del mercato. Per citare Zika, esse lasciarono un « segno indelebile
ICONOGRAFIA DELLA STREGA IN ETÀ MODERNA
9·
Streghe trasforma tesi in animali volano n eli' aria a cavallo d i un bastone, xilografìa (da
U. Moliro r, De laniis et phitonicis mulieribus,
1489, f. Avnr)
I YINCOLI DELLA NATURA nelle menti dei lettori » (Zika, 2. 007, pp. 17-8; cfr. Lorenzi, 2.005). È questo particolare marchio indelebile che ancor 'oggi informa l ' immagine della stregoneria. Quando le prime raffigurazioni apparvero ad illustrare trat tati popolari di stregoneria e magia, esse diedero forma alla nozione che « le donne potrebbero essere tutte delle streghe, dentro » . Una volta che la strega era diventata una donna molto ordinaria che aveva ottenuto dei po teri soprannaturali mettendosi in combutta con un potere ad essa esterno e superiore, la sua immagine cambiò fino ad includere ogni donna. Da quel momento in poi l'armeggiare intorno ad un calderone, il volare a cavallo di utensili domestici e animali, i capelli scarruffati e l'aspetto trasandato divennero gli indizi visivi usati più comunemente per identificare la strega. Con il passaggio dali' immagine della giovane contadina nel Champion des dames del 1451 all' inquietante figura di appena quarant'anni dopo, che Diane Purkiss ha appropriatamente chiamato l' « anti-casalinga » (Pur kiss, 1996, pp. 9 1 -4), il cambiamento non potrebbe dirsi maggiore. Cin quecento anni dopo, si può forse concordare con Bugs Bunny che, per quel che concerne l ' iconografia, in ogni donna alberghi ancora una strega.
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Gli autori
LAURA BALBIANI è professore all' Università della Valle d'Aosta, dove insegna lin gua tedesca, Ha pubblicato uno studio su Giovan Battista Della Porta e le traduzioni tedesche della sua opera maggiore, che nel 2001 ha ricevuto il premio "Luigi De Franco". Ha tradotto per Bompiani La morte di Empedocle di Holderlin, le lezioni di Kanc sull'Enciclopediafilosofica e la Vocazione dell'uomo di Spalding. JEAN CÉARD, professore emerito all'università di Paris- Ouest Nanterre-La Défense, è uno specialista di letteratura francese e della scoria culturale del Rinascimento. È auto re di La nature et !es prodiges {Genève 1996'). Ha curaro testi di Aldrovandi, Boaistuau, Du Barcas, Moncaigne, Nider, Paré, Rabelais, Ronsard, Tyard, dedicandosi in parti colare alla poesia e alla scoria delle scienze del Rinascimento.
MATTEO DUNI insegna alla Syracuse University in Florence. Tra le sue pubblicazioni: Tra religione e magia. Storia del prete modenese Guglielmo Campana (146o f-I54I) (Fi renze 1999); Under the Devil's Spell. Witches, Sorcerers and the Inquisition in Renaissance Italy (Firenze 2007 ) . Con D in ora Corsi ha curato "Non lasciar vivere la malefica': Le streghe nei trattati e neiprocessi {secoli xiV-XVII) (Firenze 2008); con Mario Biagioni e Lu cia Felici il volume Fratelli d'Italia. Riformatori italiani del Cinquecento (Torino 20n). GUIDO GIGLIONI insegna Scoria della filosofia rinascimencale presso il Warburg ln stitute di Londra, e ha scritto su Francis Glisson {Cambridge 1996), ]an Baptista van Helmont (Milano 2000) e Francis Bacon (Roma 20n). NICHOLAS HOLLAND ha studiato presso le Università di Oxford, Londra e Hull. I suoi interessi di ricerca si dividono tra filosofia della prima modernità e il teatro rina scimentale inglese e il suo contesto culturale. Un suo saggio su Agostino Nifo è di pros sima pubblicazione in un volume sull'averroismo in età moderna (Dordrecht z.oll).
VINCENZO LAVENIA insegna Scoria moderna all' Università di Macerata. È redattore di "Storica. Si occupa di Inquisizione e di storia della stregoneria e della medicina. In sieme ad Adriano Prosperi e John Tedeschi ha curaro il Dizionario storico dell'Inquisi zione (4 voli., Pisa 2010 ) . Ha pubblicato diversi saggi sui rapporti tra diritto, teologia e confessione. È autore de L'in.fomia e ilperdono (Bologna 2004). PAOLO LOMBARDI è aurore di numerosi saggi sulla stregoneria tra cui Ilfilosofo e la strega. La ragione e il mondo magico (Milano 1997, premio Castiglioncello 1998) e Il
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I VINCOLI DELLA NATURA
secolo del diavolo. Esorcismi, magia e lotta sociale in Francia (1565-1662) ( Roma wos). Ha curato il volume Osservazioni dalla casa deifolli. I saperi sulla follia. Il corpo e le passioni nel Settecento in Europa e nel Granducato di Toscana ( Firenze wo6). ARMANDO MAGGI è professore di Letteratura italiana presso il dipartimento di Lin gue e Letterature Romanze alla University ofChicago. Si occupa della cultura rinasci mentale e barocca. Tra le sue pubblicazioni: Satans Rhetoric: A Study ofRenaissance Demonology ( Chicago 2001); In the Company ojDemons ( Chicago wo6). Ha pub blicato edizioni di trattati d'amore e l'agiografia di Lucrezia Marinella De' gesti eroici e della vita maravigliosa della Sera.fica S. Caterina da Siena ( Ravenna wu). ANDREA MEYER-LUDOWISY è Research Librarian presso la biblioteca di Serrate House, University of London. Tra i suoi interessi di ricerca, lo studio della dimen sione visiva nella conoscenza scientifi c a del XVI secolo, con particolare riferimento alla relazione tra letteratura e arti visive in Germania tra Medioevo e Rinascimento.
VITTORIA PERRONE COMPAGNI è professore di Storia della fi l osofia del Rinascimen to presso l' Università di Firenze. Si interessa del pensiero di Pomponazzi, di cui ha curato l'edizione del De incantationibus e la traduzione del De immortalitate animae, dell'Apologia e del Defoto. Ha curato l'edizione del De occulta philosophia di Cornelio Agrippa. È Generai co-Editor del progetto scientifico internazionale Hermes latinus, pubblicato nella collana "Corpus Christianorum. Continuatio Mediaevalis". JENNIFER SPINKS ha condotto le sue ricerche sulla cultura visiva della prima mo· dernità presso la School of Historical and Philosophical Scudies dell' Università di Melbourne. A partire dal prossimo anno accademico, insegnerà presso l' Università di Manchester. È autrice del volume Monstrous Births and Visual Culture in Sixteenth Century Germany ( London lD09).
ANDREA SUGGI insegna presso l' Università Ca' Foscari di Venezia. È autore di Sovranità e armonia. La tolleranza religiosa nel "Colloquium Heptaplomeres" dijean Bodin ( Roma wos). Di Bodin ha curato l'anastatica della Demonomania degli stregoni ( Roma wo6) e la prima edizione moderna con traduzione del Paradosso sulla virtù ( Torino wo9 ). È autore di un Lessico etico-politico e religioso di Tommaso Campanella ( Roma lO IO ) e di una nuova traduzione del De ratione di Giambattista Vico ( Pisa w w ) . MICHAELA VALENTE insegna Storia moderna presso l' Università del Molise. Col labora con riviste scientifiche italiane e straniere. Ha pubblicato Bodin in Italia. La "Démonomanie des sorciers" e le vicende della sua traduzione ( Firenze 1999 ); johann 1-Vier. Agli albori della critica nazionale dell'occulto e del demoniaco ( Firenze wo3) e Contro l'Inquisizione. Il dibattito europeo (secc. XVI-XVIII) ( Torino lD09 ) . LAURENCE WUIDAR è dottore di ricerca in Musicologia. Si occupa di filosofia della musica. Tra le sue pubblicazioni: Musique et astrologie apres le concile de Trente ( Turn hout wo8); Canons, énigmes et hiéroglyphes musicaux dans l'Italie du 17' siede ( Bru xelles 2008); L'angelo e il girasole. Conversazioni filosofico-musicali ( Bologna w w ) ; Dalgaudio angelico all'uomo melanconico. Incontri di musica ( Imola wu).
Indice dei nomi
Abbiati S., 104, w6-7, m Abramo, patriarca, 107 Achillini Alessandro, 256 Adamo, 107, 144 Agata, santa, 2.82 Agostino d ' Ippona, 16, 21, 31, 47n, 48, 85, 130, 171, 1 87, 2320 Agrippa di Nettesheim Enrico Cornelio, 1 2, 15, 19, 22, 3 4-6, 42, 58-6o, 70-1, 83n, 100, 146, 152·4, 177·9, 190, 264 Alaimo G., 181 Alano di Lilla, 121 Albergati Fabio, 231 e n Alberti Leandro, 192, 213 Alberto Magno (Alberrus Magnus), 99, 113 e n Alciati (Alciaro) Andrea, 190, m, 213, 218, 221 Alessandro Magno, re di Macedonia, 88 Alessio Piemontese, cfr. Ruscelli Girolamo Alfonso x , detto il Saggio, re di Castiglia e di Le6n, 54n Allen M . J. B., 67 Alrdorfer Albrecht, 96n, 76 Alrieri Biagi M. L., 105 Andrews R., 259n Anebo, 68 Ankarloo B., 14 Anna, moglie di Tobi, 107 Antonio, santo, 143 Apps L., 243
Apuleio di Madaura, 47n, 130 Argentine Richard, 159 Ariosto Ludovico, 258 e n, 2.67 Aristotele, 17, 63-4, 66, 72, 74, 176, 191 Armellini Girolamo, 192 Auer E., 96 e n Averroè, 73-4 Avicenna, 37 e n, 76 Bacchelli F., 58 Bachrold-Sraubli H., 107n, 108, uon Bacon Francis, 17, 2.1, 37, 43, 44 e n, 77 Bacone Ruggero, 99, 145-6 Badoer Giovanni, 2.09 Bailey M. D., 104, 281-2 Baines Richard, 263 Balbiani L., 10m, 215 Baldung Grien Hans, 239, 276-7 Ballard John, 162 Barstow A., 140, 2.44 Bardett R., 282-3 Bare ]., 267n Behringer W., 82, 185, 107, 239, 282 Belli Luca, 1 1 9-24 Belloni G., wm Belo Pietro, 194 Benci Tommaso, 49 Benesch A., 96 e n Bergerac Cyrano de, 153 Bernardino da Siena, 189
312 Bernardo d a Como, cfr. Rategno Bernardo Berra Biagio, 192 Berta lotti M., 2.1 2. Bever E., 14, 2.00 Bianchi M. L, J4, s, Biondi A., 19, Blendec Charles, 16, Boaistuau Pierre de, 139, 141, 155 Boccaccio Giovanni, 152, 2.68 Boccadoro B., 174 Bodin Jean, 1 37, 139, 1 46-S, ,16, Hl e n, 2.24, 2.2.5 e n, 2.2.6 e n, 2.2.8, 2.2.9 e n, 2.30 e n, 2.31 e n, 232. e n, 2.33-6, 247 Boguet Henry, 147, 16, Boissonet Laurent, 161 Bossy ]., 1S9 Botero Giovanni, 2.48 Boureau A., 1S9, ,so Bowd S., w9 Brant Sebastian, S3-6 Briggs K. M., ,55n Briggs R., ,56-7, ,7S Brighe Timothy, 159 Broedel H. P., s,, 1S9 Brossier Marche, 163 Brugnoli Candido, 1 6 0 Bruno Giordano, 19, 31-4, 41-,, 61, , 5 S e n , , 6 1 , , 6 3 , ,67, , 6 9 e n Burke P., IO In, 2.12, 2.18 Burnett Ch., 174, 176 Calmet Augustin, 157 Cam, 13S Camerlingo R., ,6m Campanella Tommaso, 17, 19, 74-6, 13,, ,35 Campeggi Camillo, 195 Canart Jean, 161 Canziani G., 1 29 n Capriolo Elia, ,09
I YINCOLI DELLA NATURA Cardano Fazio, 1 ,6 Cardano Girolamo, 13, 17, 2.3, 12.6 e n, 1 2.73,, >13-6, ,79n Cardini F., ,39 Caretti L., ,39 Carlo v, imperatore del Sacro Romano Impero, 57, 177, ,7S Carlo IX di Valois, re di Francia, ,47 Carlo Borromeo, cardinale, 196 Carlo Magno, imperatore del Sacro Romano Impero, S6 Cartari Vincenzo, 1 2.5 Casaubon lsaac, 61 Cassini Samuele, 208 Castellaneta S., ,59 n Castelli P., ,4 Céard J., 79n, 97, 139, 145, 154n, nSn, ,56 n Celenza C. S., 16, 57 Celestino, santo, 63 Cerreto Scipione, 182 Cervantes F., 194 Cesalpino Andrea, 64-7, 7,-3, 196 Champier Symphorien, 15, Chaucer Geoffrey, ,6s Cicerone Marco Tullio, 47 Cigogna Strozzi, 12.50 Ciotti Giovan Battista, 2.310 Cirillo di Alessandria, 1 6 Clark S . , , I , , 4 , I J o n , 1 S S , WJ, ,41-,, ,57, ,67n, ,77-S, ,so Clarke]. R., 53 n Cleopatra, regina d ' Egitto, SS Codronchi Giovanni Battista, 2.3, 196 Cohn N., 1S9 Copenhaver B., 54, s, Corrias A., 67 Corsi D., ,39 Cortese Isabella, 99 Cosimo de' Medici, detto il Vecchio, 47, 57
INDICE DEI NOMI Cosimo I de ' Medici, duca di Firenze e granduca di Toscana, 57 Cox ]. D., 2.59, 2.61n, 2.62. e n, 2.63 Crespet Pierre, 160-I Cuniberto F., 2.2. Cunningham A., 2.78 Curran B., 15 Dall'Olio G., 194, 2.2.0 Daneau Lambert, 22.7 Daston L., 79n, 84n Davide, profeta, 171-3, 176, 182. Davies 0., 1 2., 18, 2.81 De Blécourt W., 2.39 Decker R., 1 97-8, 2.2.1 De Coussemaker C. E. H., 182. Dee John, 1 2., 2.56 e n, 2.64 Dégh L .. 2.57 de Lancre Pierre, 1 3 6-40, 143-5. 148-9, 154 Del Col A., 192., 2.09 Del Corno D., 55 Della Porta Giovan Battista, J7, 99-100, 102.·3, 105, 113, 146, 159, 213, 2.15·6, 2.58 e n, 2.67, 2.69, 2.79n Della Rocca Bartolomeo, detto Cocles, 2.56 e n del Rio Martin, 143, 154 Dembowski P. F., 2.83 Democrito, 71 De Pace A., 51 De Vio Tommaso, detco il cardinal Gaetano, 190, 195 Diana, 204 Dionigi Areopagita (pseudo), 52., 12.1-2. Dioscoride, 113n Diotima, II9n, I li, 131 Di Simplicio 0., 175, 2.00, 2.07, 2.19 Dodanim, 138 Dodo Vincenzo, 2.08 Domenico da Gargnano, 192
Dovizi Bernardo da Bibbiena, 2.67 Dragondelli Giacomo, 2.3 1 n Duni M . , 8 3 , 188-9, 193, 2. 0 3 , 2.05, 2.07, 2.10-2., 2.19·20, 2260, 275fl Diirer Albrecht, 2.76 Eamon W., IOOn, IO I n Ebeling F., 1 5 , 2.0 Egg E .. 8s Ehrenreich B., 2.40 Elena di Troia, 154, 2.62. Elisabetta, 107 Eliseo, profeta, 172.-3 Elspeth W., 2.39 English D., 2.40 Enrico III di Valois, re di Francia e di Polonia, 2.2.5 Erasmo da Rotterdam, 158, 190 Erastus Thomas, 1 3 5·7, 147, 2.16 Ermete Trismegisto (Hermes Trismegi stus), 15, J7, 19, 2.9, 32., 34. 47 e n, 48, so. 52.-4, s6-9. 75-6 Ernst G., 19, 1 3 2.n , 135n, 195, 2.13-5. 2.17, 2.58n, 2.79n Esiodo, 1 24 Eusebio, 1 6 Eva, 107, 1 4 4 . 2.45 Eymerich Nicolau, 189, 2.2.0 Eynatten Maximilien de, 1 6 0 Ezechiele, 94-5 Falloppio Gabriele, 99 Faustus, 2.60, 2.62 e n, 2.63 Federico III, imperatore del Sacro Roma no Impero, So, 88 Ferber S., 181 Ferdinando II, detto il Cattolico, re di Aragona, 193 Fernel Jean, 141 Ferrari Santa, 175
I YINCOLI DELLA NATURA Feste Sesto Pompeo, 1 25 Festugière A.-J., 2.0, 47n Ficino Marsilio, 13·6, lO, 23, 29·31, 34·42, 47-53, 54 e n, ss-6, 58 e n, 67-8, 6 9 e n, ?O·l, 74·5, 8!, I I 9n, 1 2.0-4, ! l8, 131 ·3, ISl-3, 159· 174- 1?6, 1?8, 18! Filippo III il Buono, duca di Borgogna, !83 Filone d 'Alessandria, 17> Finella Filippo, >s9n Fioravanti Leonardo, 99 Fowden G., 2.0 Fragnito G., 231n Frajese V., 231n Francesco I, re di Francia, 278 Francesco d 'Assisi, 63 Francesco Ercole di Valois, duca d 'A lençon, ns Freiherr zu Schwarzenberg Hohenlands berg Johann, H? Fugger Ursula, 151 Gabriele, 1 2.0, 177·1 Gaetano, cardinale, cfr. De Vio Tommaso Gale Thomas, 1 6 Galilei Galileo, 99 Gari Lacruz A., 194 Garin E., 4, 53 n, 57, 64 Garzoni Tomaso, 99·1oo, 102 Gatti H., 261 e n, 267 Gentilcore D., IO In, 200 Gentile S., 47, 49 Gerson Jean, 189 Gesù Cristo, >4, 44, 57·9, 88, 9>, 107-8, 141, 158, 161, 177, 187, li O, !16, H4, >78-8o Giacobbe, 107 Giacomo I Stuart, re d ' Inghilterra, >66, >67n Giamblico, 16, >9·30, 39, 41, Ili, n9, 131, '33 Giannetti Ruggiero L., >s9n
Giglioni G., >3, 64, 67, 75, n 79n, >ssn, l7Jn, !8! Gilbert William, 99 Gilly C., 2.0 Ginzburg C., 189, wo, >46, >s6-7 Giobbe, 137 Giorgetta G., 192 Giorgi Francesco, 1 5 Giovanni XXII (Jacques Duèse), papa, 189 Giovanni evangelista, 137, 158 Giovanni il Battista, 107 Giovanni "Mercurio" da Correggio, 57 Girolamo, 187 Glanvill Joseph, 156-7 Golding Arthur, >64 Gow A., >43 Goya Francisco, 239 Grafi:on A., 61 Grandier Urbain, 16> Graziano, giurista, 188 Greenblatt S., >s9n, >67n Greene Robert, >63-4 Gregorio IX (Ugolino di Anagni), papa, 188 Gregorio x v (Alessandro Ludovisi), papa, 199 Grell O. P., >78 Grimm J., uon Grimmelshausen Hans Jacob Christoffel, ISl Grosse Henning, ISS-6 Grossi Bernardino de, 209 Griinpeck Joseph, 79, So e n, 81-3, 85-97 Guazzo (Guaccio) Francesco Maria, 131, 154 Guglielmo v, duca di Jiilich-Cleve, liS Gurr A., >s8 Hammerstein H. R., 8o Hansen ]., 2.09 Harsnett Samuel, 259n Hartlieb Johannes, >86
INDICE DEI NOMI Harvillier Jeanne, u 6 Hayton D . , So e n, SI, S6 e n, 9 0 - 1 , 96 Hehle J., S4n Hemmingsen (Hemmingius) Niels, u7 Henningsen G., 14, 1S6, 19S Henry Percy, conte di Northumberland, 261 Hermes Trismegistus, cfr. Ermete Trismegisto Herzig T., 190, 212 Hester M., 240 Hickel E., II4 Hildegard von Bingen, II3 Holinshed Raphael, 266 Holzl Blasius, S6, 90, 93 Homza L. A., 219 Hortado Mary, ISI Houdard S., u6n Innocenzo v m (Giovanni Battista Cybo ), papa, 190, u6 Isabella I, regina di Castiglia, 193 !sacco, 107 Isaia, 94 Isnardi Parente M., 223n Jacobson Schutte A., 1S Jacques-Chaquin N., 246 Jacquier Nicolas, 205·6 Jeanne des Anges {Jeanne de Belcier), 159, !63 Jerouschek G., u6n Jones ]. H., 26m Jonson Ben, 260, 266-7, 26S e n, 269-70 Kaske C. V., s3n Katzenellenbogen A., 2S3 Kelly Edward (Edward Talbot), 256 e n Kennel P., So, S6n Kieckhefer R., S2, 107n, uon, 1SS, 275 al-Kindi, 69, 174
Klein R., 67 Konrad von Marburg, 1SS Kors A. C., 217 Kramer Heinrich (lnstitor), S2, 1S2, 1S9, 203, 207·S, u6, 245, 2SS Kristeller P. O., s3n Kurze D., So Lamy Peronet, 2S4 Larner C., 241, 2.81 Lattanzio Lucio Cecilia Firmiano, 47n, 48, 1 2.0n, 139 Lavater Ludwig, IS4-S Lavenia V., 83, 199. 204, 207, 219-21, 226n, 244, 27sn Lazzarelli Ludovico, S7·S Lea H. C., 1S6, 205 Lefèvre d ' ÉtaplesJacques, sSn, IS2 Le Frane Martin, 2S3-4 Le Loyer Pierre, 139. 146, ISS Lemnio Levinio, 146, 159 Lenzoni Carlo, S7 Leonardo da Pistoia, 47 Leone x (Giovanni de' Medici), papa, 192 le Roy Nicole, 163 Levack B. P., 191, 241 Liceti Fortunio, 135 Lichtenberger Johannes, So Locher Jakob, S4 e n, Ss Lorenzi L., 2.90 Lucano Marco Anneo, 152.-3 Lucentini P., 20, 47n, 4S Lucifero, 260 e n Luisa di Savoia, reggente di Francia e du chessa d'Alvernia, 177 Macfarlane A., 243 Machiavelli Niccolò, 224 Maclean 1., 2S2 Maffa Marcantonio, 230 e n
l
Maggi A., 2.4, 12.5n, 12.8, 133n, 2.2.8n al-Magri ti Maslama, 54n Maillat Louyse, 1 6 > Mandrou R . , 1 0 1 n Manning Robert, 1 5 3 Marconville Jean de, 1 4 1 Marescot Miche!, 1 6 3 Maria Vergine, 107, >8> Marinella Lucrezia, 2.48 Marlowe Christopher, � >, 154, >59-61, >63, >70 Martin R., 199 Masini Eliseo, 175, 198 Massimiliano l, imperatore del Sacro Romano Impero, 79-8>, 84-6, 88, 91, 96 Maxwell-Stuart P. G., >39 Mazzolini Silvestro (Prierias), >3, 1 9 0-1 Medea, >83 Melistofele, 154, >6o, >6> Megenberg K. von, 113n Melantone Filippo, 173, >>7 Menghi Girolamo, '3· 133, 159-60, 1 6>, 16s-6, 195 Menne! Jakob, 84-6 Mercurio Scipione, 2.48 Mercurio Trismegisto, cfr. Ermete Trisme� gisto Merlo G. G., 191 Messana M. S., >o o Meyer Charles-Joseph, nsn Meyer-Ludowisy A., 83, >07, >39, >41 Miche! Anneliese, 166 Michele, 177 Michelet J., >79n Midelfort E., >44 Miller M., 1osn Mitridate, 14> Moliterno Gino, >s8n Molitor Ulrich, >07·8, >8s, >87-9 Monraigne Miche! Eyquem de, 74, >18-9 Monrer W., 193, >44 Monterenzi Giulio, 197�8, 2.2.1
VINCOLI DELLA NATURA
More Henry, 156-7 Moreschini C., 2.0, 47�8, 57n Moscarda D., >39 Mosè, 15, 31, 47, 58, >>4 Motte Pierre Lambert de la, 158 Moura de Vale Manuel de, 194 Muchembled R., 10m, 1 1 >n Miiller l., l � > Muraro L., >39 Murner Thomas, 84-5 Murray M., >39 Newton Isaac, 73 Niccoli 0., 18 Nicholl C., >6m Nicola di Oresme, 146 Nider Johannes, 130, 133, 189, >04-5 Noè, 1 3 8 Northumberland, conte d i , cfr. Henry Percy, conte di Northumberland Obry Nicole, 151, 155. 158, 161 Obsequens Julius, 14> Olivieri Carlo, >3 Oolà, 95 Oolibà, 95 Opitz-Belakhal C., >39 Oporinus Johann, >46 Orazio Fiacco Quinto, 153 Orfeo, 71 Orge! S., >6>, >64n Origene, 174, 176-7 Orr D., •s9n Orsolina la Rossa, no Osding M., 14 Ostorero M., 188, >04·5 Ovidio Nasone Publio, � >s, >64 Paiva J. P., 186, 194 Pannonio Giano, 49
INDICE DEI NOMI Paolo v (Camillo Borghese), papa, 1 4 , 1 6 4 Paolo di Tarso, 1 4 3 Paracelso (Paracelsus), Filippo Aureolo Teofrasto Bombast von Hohenhein, detto, 34, 37 Paradin Claude, 173-4 Paré Ambroise, 1 3 9-41 Parinetto L., 243 Park K., 79n, 84n Parker Samuel, 116 Parri 1., w, 47n Passi Giuseppe, 148 Pear! J., 118 Pefla Francisco, 2.2.0 Pennuto C., 64 Pereira M., 51 Perrone Compagni V., 10, 47n, 48, 83n Peters E . 1 25, 217 Petrocchi M., 181 Peuckert W.-E., IO m Piaget A., 183 Pico della Mirandola Gianfrancesco, 111, 192, 212, 213 e n Pico della Mirandola Giovanni, 1 1-6, 10, 34, 41, 8!-l, I li Pietro Martire, 139 Pingree D., 1 3 Plaisance M . , 118n, 169n Platone, 11-7, ll, 47, 49, 11, 119 e n, I l0-3, 131, 111, 173, 178, llJ Plinio Secondo Gaio, detto il Vecchio, 99, 1130 Platino, 13, 19, 49, 11-3, 68 e n, 69, I li, I l93'· lll Plutarco, 12.4 P6cs É., 111, 144 Polidoro Valeria, 133, 1 6 0, 181 Pomponazzi Pietro, 1 2.-3, 17, 22, 34, 36, J7n, 41-3, 63, 64 e n, 67, 71-1, 76-7, 81, IS6, 191, 2.12. Pontet Catherine, 163 .
317 Ponzinibio Giovan Francesco, 1 9 0, 2.09-11, l li Porfirio, 16, 19, 39, 41, 68, 69n, 1 11-3, 133 Porzio Simone, 156 Possevino Antonio, 2.3 1 e n Poste! Guillaume, 1 5 Préaud M . , 146 Prell Georg, 108 Prieur Claude, 115 Proclo, 2.2., 29, 1 21, 1 3 1 Prosperi A . , 1 86, ll O Psello Michele, 1 6 Purkiss D . , 1 6 Purnell F. jr., 61 Qua ife G. R., 144 Quaglioni D., 113n Rabelais François, 153 Rachele, 107 Raffaele, 177 Rankins William, 159n Rategno Bernardo (Bernardo da Como), 190, l46 Rebecca, 107 Reichlich Marx, 87, 88n, 89 Reuchlin Johann, 15 Ricci S., 2.31n Riolan Jean (il Vecchio), 163 Rochefoucauld Alexandre de la, 164 Romanello M., llO Romeo G., 14, 175, 186, 195-7, 199, llO-I, l4l Roper L., 140-1, 181 Rosen B., 168 Rosi M., 196 Rossi P., 44n Rowlands A., 144 RueffJacob, 141
I YINCOLI DELLA NATURA Ruscelli Girolamo (Alessio Piemontese), 99�100, 102. Russell P. A., So, 88n, 92. Salazar Frias Alonso de, 198 Salingar L., 2.59n Samuel A., 1 6 2. Samuele, 1 5 3 Santoro Giulio Antonio, 195-6 Sanudo Marino, 2.09 Sara, 107 Sarmiento Diego, 193 Sarpi Paolo, 199 Satana, 11, 2.3, 1 3 6-7. 139. 143-s. 1 47. 149. 160, 1 87-8, 2.08-10, 2.13, 2.2.6, 2.2.8-9, 232.-4, 2.36. l4l, 144-6. l79 Saul. 153. 171, 182. Savonarola Girolamo, 81 Scaglia Deodato, 100 Scaglia Desiderio, 198, 2.00, 2.2.1 Schuba L., 105n Schulte R 144 Scorpione Domenico, 182. Scot Reginald, 117-9. 166 Scott W., 48 Scrofeo Modesto, 191 Secretain Françoise, 162. SeitzJ., 18 Serse I, re di Persia, 88 Shakespeare William, 154. 158-6o, 2.63-8. 2.69 e n, 270 Sharpe J. A., 117, 158 Sidney, famiglia, 167 Sigismondo d'Asburgo. arciduca d'Austria, 2.07-8, 2.88 Silver L., 96 Simancas Diego de, 119 Simon Mago, 137 Sinesio di Cirene, 13, 2.9, 71, 174 Sinfield A., 158
Singer S., 74 Siniossoglou N., 11 Sisto IV (Francesco della Rovere), papa. 193 Sisto v (Felice Peretti), papa, I 54. 195. 13m Sluhovsky M., IJJ, 196 Socrate, 1 190, uo-1, 1 23, 12.7, 1 2.9, 131 Sodano A. R., 1 6 Soleri Lorenzo, 192. Sondheim M., 85 Souza de Mello L., 194 Spee Friedrich von, 2.48-9 Spina Bartolomeo, 190, 2.10-2. Spinks J., 84, 97. 189, 2.07, 181 Sprenger Jacob, 1 81, 189, 2.03, 2.2.6, 145, 188 Spruit L., 2.14 Stephens W., 103, 143, 179 Stobeo Giovanni, 2.0 Stoppani Gian Pietro, 197 Suirez Francisco, uon Suggi A., 117, 131 Surin Jean-Joseph, 159
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Talbot, cfr. Kelly Edward Tanturli G., 49 Tartarotti Girolamo, 249-50 Tasso Torquaco, 120 e n Tausiet Carlés M., 194 Tavuzzi M., 192. Taziano il Siro, 152. Tedeschi ]., 186, 195. 198-9, 101, 2.2.1, 13m Telle J., IO In, 105 e n Teodoreto, 1 6 Teofilo, stregone, 187 Tertulliano Quinto Settimio Fiorente, us. ISl, xss. 161, 141 Thibodeau K. F., 177 Thomann J 54 n, Thomas K I l, 143. 177n Thorndike L., 113n .•
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INDICE DEI NOMI Thyraeus Petrus, 152, 154·5, 157, 164 Timotin A., 22 TinctorisJohannes, 182. Tiresia, 153 Tobi, 107 Toivo R. M., 244 Tomkis Thomas, 267 Tomlinson G., 175 Tommaso da Morbegno, 220 Tommaso d 'Aquino, 67-8, 145, 188, 190 Toussaint S., 49, 57 Tranquille de Saint-Rémi, cappuccino, 165 Trithemius Johannes, 2.2. Trois-Eschelles, stregone, 247 Tron Luca, 209 Turner V., 258 Twyne Thomas, 2.2.7 Valente M., 83, 201, 2.08, 115, 217, 130n, 275n, 281 Valier Agostino, 2.3 m Valori Filippo, 55 Vanden Broecke S., 81 Van Heertum C., 2.0 Varrone Marco Terenzio, 47 Vasoli C., 20, 49 Vazsonyi A., 257 Vieri Francesco de', 1 2.0n Vignati Ambrogio, 205-6, 210, 2.2.0-1 Virgilio Marone Publio, 151, 153 Virginia de' Medici (poi d ' Este), duches sa di Ferrara e Modena, 163 Visconti Girolamo, 2.06-7
Visconti Zacaria, 133, r6o Vittorelli Andrea, 1 20 Voss A., 174 Wagstatfe John, 156 Waite G. K., 23, 279n, 281 Walker o. P.. 53n. 175· t8I-2 Warburg A., 23 Webster John, 156 Wecker Johann Jakob, 100 Werner W., wsn Weston William, 162 Wier Johann, 1 2-3, 40, 1 26, 13 8-42, 146-7, 199. 213, 215·7, 226n, 246-7, 279n Wiesner M. E., 239, 244, 250 Willis O., 239 Willot Joachim, 155 Wilson S., 282 Woolley B., 256n Wuttke 0., 84n Yates F. A., 53n, 264 Zaccaria, 107 Zambelli P.. 18, 22, 67, 83, 96, 177, 212, 256n, 257 Zannetti Luigi, 2.3 1 n Zarri G., 2.10 Zika C., 241, 276, 283-4, 286, 288, 290 Zimmermann K., wsn Zinner E., 81 Zoroastro, 7 1