I classici nostri contemporanei. Nuovo esame di Stato. Per le Scuole superiori. Con e-book. Con espansione online: 4 (Italiano) [Vol.4] 8839536337, 9788839536334

Un manuale che, al rigore e all’affidabilità della linea “Baldi”, unisce una particolare attenzione a mostrare come i ca

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Italian Pages 524 Year 2019

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Table of contents :
L’ETÀ NAPOLEONICA
I luoghi della cultura
Il contesto. Società e cultura
1. Strutture politiche, sociali ed economiche
2. Le ideologie
3. Le istituzioni culturali: pubblicistica, teatro, scuola, editoria
4. Gli intellettuali
La voce dei testi - U. Foscolo, Non son chi fui; perì di noi gran parte
Il contesto. Storia della lingua e fenomeni letterari
1. La questione della lingua (filo rosso)
2. Forme e generi della letteratura in età napoleonica
Ripasso visivo
In sintesi
Capitolo 1 - Neoclassicismo e Preromanticismo in Europa e in Italia
Johann Joachim Winckelmann
T1 - J. J. Winckelmann, La statua di Apollo: il mondo antico come paradiso perduto
Jean-Jacques Rousseau
T2 - J.-J. Rousseau, L’anima sensibile, la società, la natura
Johann Wolfgang Goethe
T3 - J. W. Goethe, L’artista e il borghese
Microsaggio. Il romanzo epistolare
La voce del Novecento. “Diversità” dell’intellettuale, “normalità” del borghese…
Friedrich Schiller
T4 - F. Schiller, L’archetipo del grande ribelle
Thomas Gray
T5 - T. Gray, Elegia scritta in un cimitero campestre
James Macpherson
T6 - J. Macpherson, Daura e Arindal
Vincenzo Monti
Letteratura e Scienza. T7 - V. Monti, Al signor di Montgolfier
T8 - V. Monti, Il wertherismo di Monti
In sintesi
Capitolo 2 - Ugo Foscolo
1. La vita
2. La cultura e le idee
3. Le Ultime lettere di Jacopo Ortis
T1 - «Il sacrificio della patria nostra è consumato»
T2 - Il colloquio con Parini: la delusione storica
T3 - La lettera da Ventimiglia: la storia e la natura
Letteratura e Società. T4 - Il problema di una classe dirigente in Italia
T5 - La sepoltura lacrimata
T6 - Illusioni e mondo classico
Microsaggio. Il sistema dei personaggi nell’Ortis
La voce del Novecento. La ricerca di un “altrove” per l’eroe e l’antieroe…
4. Le Odi e i Sonetti
T7 - All’amica risanata
T8 - Alla sera
T9 - In morte del fratello Giovanni
T10 - A Zacinto
T11 - Che stai? già il secol l’orma ultima lascia (analisi attiva)
5. Incontro con l’Opera: Dei sepolcri
T12 - Dei sepolcri
Interpretazioni critiche. M. Cerruti, La novità dei Sepolcri
La voce del Novecento. La funzione del sepolcro per Lee Masters e Foscolo…
Microsaggio. L’Antologia Palatina
6. Le Grazie
T13 - Proemio
T14 - Il velo delle Grazie
L’arte incontra la letteratura. Le Tre Grazie di Foscolo e Canova
Interpretazioni critiche. V. Masiello, Evasione e politicità nelle Grazie
7. Altri scritti letterari
T15 - Didimo Chierico, l’anti-Ortis
8. Lo studioso e il critico
Che cosa ci dicono ancora oggi i classici. Foscolo
Dialoghi immaginari. Foscolo e Parini
Ripasso visivo
In sintesi
Bibliografia
Per il nuovo esame di Stato. Tipologia A
Per il nuovo esame di Stato. Tipologia B - Ambito storico
Per il nuovo esame di Stato. Tipologia C - Ambito filosofico e sociale
L’ETÀ DEL ROMANTICISMO
I luoghi della cultura
Il contesto. Società e cultura
1. Aspetti generali del Romanticismo europeo
Microsaggio. Origine del termine “Romanticismo”
La voce dei testi - Novalis, Poesia e irrazionale
2. L’Italia: strutture politiche, economiche e sociali dell’età risorgimentale
3. Le ideologie
4. Le istituzioni culturali
5. Gli intellettuali: fisionomia e ruolo sociale
6. Il pubblico
Il contesto. Storia della lingua e fenomeni letterari
1. Lingua letteraria e lingua dell’uso comune (filo rosso)
2. Autori e opere del Romanticismo europeo
3. Forme e generi letteri del Romanticismo italiano
Ripasso visivo
In sintesi
Capitolo 1 - Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti
1. La concezione dell’arte e della letteratura nel Romanticismo europeo
August Wilhelm Schlegel
T1 - A. W. Schlegel, La «melancolia» romantica e l’ansia d’assoluto
William Wordsworth
T2 - W. Wordsworth, La poesia, gli umili, il quotidiano
Victor Hugo
T3 - V. Hugo, Il «grottesco» come tratto distintivo dell’arte moderna
2. La poesia in Europa
Novalis
T4 - Primo Inno alla Notte
Friedrich Hölderlin
T5 - F. Hölderlin, Diotima
Johann Wolfgang Goethe
T6 - W. Goethe, La scommessa col diavolo
Samuel Taylor Coleridge
T7 - S. T. Coleridge, L’uccisione dell’albatro: colpa e maledizione
Percy Bysshe Shelley
T8 - P. B. Shelley, Ode al vento occidentale
John Keats
T9 - J. Keats, Ode su un’urna greca
La voce del Novecento. Il bassorilievo di Montale e l’urna greca di Keats
George Byron
T10 - G. Byron, L’eroe maledetto
Gérard de Nerval
T11 - G. de Nerval, El desdichado
T12 - V. Hugo, Booz addormentato
3. Il romanzo in Europa
Walter Scott
T13 - W. Scott, Un tópos del romanzo storico: il torneo
L’opera lirica. Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti
Stendhal
T14 - Stendhal, Compromesso e insofferenza: le contraddizioni…
Honoré de Balzac
Letteratura e Società. T15 - H. de Balzac, La mercificazione della letteratura
Microsaggio. Il romanzo di formazione
4. La narrativa negli Stati Uniti
Edgard Allan Poe
T16 - E. A. Poe, La rovina della casa degli Usher
Microsaggio. Il romanzo “nero”
Hermann Melville
T17 - H. Melville, «Il gran demonio vagante dei mari»
In sintesi
Per il nuovo esame di Stato. Tipologia B - Ambito artistico e sociale
Per il nuovo esame di Stato. Tipologia C - Ambito filosofico
Capitolo 2 - Il Romanticismo in Italia
1. Documenti teorici del Romanticismo italiano
Madame de Staël
T1 - Madame de Staël, Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni
Giovanni Berchet
T2 - G. Berchet, La poesia popolare
Pietro Borsieri
T3 - P. Borsieri, La letteratura, l’«arte di moltiplicare le ricchezze»…
2. La poesia in Italia
T4 - G. Berchet, Il giuramento di Pontida
La voce dei documenti - G. Mazzini, Il giuramento della Giovine Italia
Carlo Porta
T5 - C. Porta, Una vittima di inganni e soprusi
Giuseppe Gioacchino Belli
T6 - G. G. Belli, Le cappelle papale
T7 - G. G. Belli, Er giorno der giudizzio
3. Il romanzo in Italia
Ippolito Nievo
T8 - I. Nievo, Ritratto della Pisana
In sintesi
Capitolo 3 - Alessandro Manzoni
1. La vita
2. Prima della conversione: le opere classicistiche
Microsaggio. Il giansenismo
3. Dopo la conversione: la concezione della storia e della letteratura
T1 - La funzione della letteratura: render le cose «un po’ più come dovrebbono essere»
T2 - Il romanzesco e il reale
Microsaggio. Le unità aristoteliche
T3 - Storia e invenzione poetica
T4 - L’utile, il vero, l’interessante
4. Gli Inni sacri
T5 - La Pentecoste
5. La lirica patriottica e civile
T6 - Il cinque maggio
6. Le tragedie
T7 - Il dissidio romantico di Adelchi
T8 - Morte di Adelchi: la visione pessimistica della storia (analisi attiva)
T9 - Coro dell’Atto III
T10 - Morte di Ermengarda
7. Incontro con le Opere: Il Fermo e Lucia e I promessi sposi
Microsaggio. Mescolanza e separazione degli stili
La «Signora»
T11a - Libertinaggio e sacrilegio: la seduzione di Geltrude
T11b - «La sventurata rispose»
La voce del Novecento. Moravia rilegge Manzoni…
Letteratura e Economia. T12 - La carestia: Manzoni economista
T13 - La redenzione di Renzo e la funzione salvifica di Lucia
Il Conte del Sagrato e l’innominato
T14a - Il Conte del Sagrato: un documento di costume storico
T14b - L’innominato: dalla storia al mito
L’arte incontra la letteratura. I personaggi dei Promessi sposi tra pittura…
T15 - La conclusione del romanzo: paradiso domestico e promozione sociale
Microsaggio. Il narratore e i punti di vista dei personaggi
Interpretazioni critiche. P. Frare, Il rapporto autore/lettore nei Promessi sposi
Interpretazioni critiche. M. Sarni, Manzoni, Scott e la compassione
Letteratura e cinema. Un “kolossal” per I promessi sposi
8. Dopo I promessi sposi: il distacco dalla letteratura
T16 - La responsabilità umana e la possibilità di contrastare il male
Che cosa ci dicono ancora oggi i classici. Manzoni
Dialoghi immaginari. Manzoni e Scott
Ripasso visivo
In sintesi
Bibliografia
Per il nuovo esame di Stato. Tipologia A
Prova di competenza. Simulazione di esperienza reale
Il teatro per immagini
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I classici nostri contemporanei. Nuovo esame di Stato. Per le Scuole superiori. Con e-book. Con espansione online: 4 (Italiano) [Vol.4]
 8839536337, 9788839536334

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Guido Baldi

Silvia Giusso Mario Razetti

Giuseppe Zaccaria

I CLASSICI NOSTRI

CONTEMPORANEI 4

L’età napoleonica e il Romanticismo Il teatro per immagini a cura di Gigi Livio

Editor: Gigi Livio Coordinamento editoriale: Franca Crosetto Consulenza redazionale: Chiara Buffa Redazione: Cristina Billò, Gaia Collaro (Prove per il nuovo esame di Stato) Progetto grafico e copertina: Sunrise Advertising, Torino Coordinamento grafico: Massimo Alessio Ricerca iconografica: Maria Alessandra Montagnani, Paola Fino Cartografia: Andrea Mensio Impaginazione elettronica: Essegi, Torino Controllo qualità: Andrea Mensio Segreteria di redazione: Enza Menel L’opera è stata unitariamente concepita e discussa in ogni suo particolare da tutti gli autori con il coordinamento di Gigi Livio. Il presente volume è opera di Guido Baldi. I paragrafi dei Contesti relativi ai fenomeni letterari e le rubriche Dialoghi immaginari sono di Giuseppe Zaccaria. La revisione dei Contesti è a cura di Roberto Favatà. Alla stesura delle note ai testi di alcuni autori ha collaborato Silvia Sanseverino. Gli apparati Esercitare le competenze e la Simulazione di esperienza reale sono di Daniela Marro e di Francesca Maura. Le Analisi attive sono di Alessandra Terrile. Le prove di tipologia A in preparazione alla prima prova del nuovo esame di Stato sono di Daniela Paganelli; le prove di tipologia B sono di Federico Demarchi. Gli schemi (Visualizzare i concetti) sono di Lorenza Pasquariello e di Roberto Favatà, che ha curato anche i Ripassi visivi dei Contesti. Le schede In sintesi sono di Lorenza Pasquariello. I Luoghi della cultura e i Ripassi visivi relativi agli autori sono stati realizzati con il contributo di Donatella Castaldo. Le schede Facciamo il punto sono di Silvia Giusso e di Roberto Favatà. Le rubriche L’arte incontra la letteratura e le didascalie delle immagini commentate sono di Alessandra Ruffino. La scheda Letteratura e cinema è di Enrico Antonio Pili. La scheda L’Opera lirica è di Lucia Marino. Il teatro per immagini è stato ideato e scritto da Gigi Livio con alcuni apporti di Armando Petrini. La realizzazione grafica delle rubriche Che cosa ci dicono ancora oggi i classici è a cura di Elena Marengo. Si ringraziano per i preziosi suggerimenti: Ilaria Archilletti, Annarita Bisceglia, Mariacristina Colonna, Piera Comba, Laura Costa, Ilaria Domenici, Mimmo Genga, Aldo Intagliata, Manuela Lori, Daniela Marro, Francesca Maura, Isabella Molinari, Immacolata Sirianni. In copertina: Jacques Louis David, La consacrazione dell’Imperatore Napoleone I e l’incoronazione dell’imperatrice Joséphine nella Cattedrale di Notre Dame il 2 dicembre 1804, 1806-07, olio su tela, part., Parigi, Musée du Louvre © Leemage/Corbis Per le opere di Guttuso e Orozco © by SIAE 2016 © The Andy Warhol Foundation for the Visual Arts, by SIAE 2016

Tutti i diritti riservati © 2019, Pearson Italia, Milano - Torino

978 88 395 36334 A Per i passi antologici, per le citazioni, per le riproduzioni grafiche, cartografiche e fotografiche appartenenti alla proprietà di terzi, inseriti in quest’opera, l’editore è a disposizione degli aventi diritto non potuti reperire nonché per eventuali non volute omissioni e/o errori di attribuzione nei riferimenti. È vietata la riproduzione, anche parziale o ad uso interno didattico, con qualsiasi mezzo, non autorizzata. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941, n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org

Stampato per conto della casa editrice presso L.E.G.O. S.p.A., Lavis (TN), Italia Ristampa 0 1 2 3 4 5 6 7 8

Anno 19 20 21 22 23 24 25

Indice generale

T

DIGITALE INTEGRATIVO TUTOR

L’età napoleonica

2

I LUOGHI DELLA CULTURA

3

Il contesto Società e cultura 1. Strutture politiche, sociali ed economiche

4

Facciamo il punto

5

DIGITALE INTEGRATIVO PLUS

2. Le ideologie 3. Le istituzioni culturali: pubblicistica, teatro, scuola, editoria 4. Gli intellettuali

6

Arte David e la figura dell’eroe neoclassico

La voce dei testi Non son chi fui; perì di noi gran parte

9

Visione d’insieme Verifica interattiva

P

4

7 7

Ugo Foscolo | dai Sonetti

Facciamo il punto

10

Il contesto Storia della lingua e fenomeni letterari 1. La questione della lingua Filo rosso 2. Forme e generi della letteratura in età napoleonica

11

Facciamo il punto

13

Ripasso visivo In sintesi

14 15

11 12

Neoclassicismo e Preromanticismo in Europa e in Italia 16 CAPITOLO 1

Johann Joachim Winckelmann

20

T1 La statua di Apollo: il mondo antico come

paradiso perduto

20

da Storia dell’arte nell’antichità

Jean-Jacques Rousseau

T2 L’anima sensibile, la società, la natura

23 25

da Giulia, o la nuova Eloisa

Johann Wolfgang Goethe

T3 L’artista e il borghese

T

Verifica interattiva

Testi Goethe Natura, popolo, fanciullezza P e arte; Il primo incontro con Lotte; Werther respinto dal mondo aristocratico; Il pellegrinaggio sui luoghi dell’infanzia; Werther e Lotte: verso il suicidio da I dolori del giovane Werther Canto notturno del viandante dalle Poesie



27 29

da I dolori del giovane Werther MICROSAGGIO Il romanzo epistolare

VERIFICA INTERATTIVA

Arte Winckelmann e Mengs

32

III

INDICE GENERALE

La voce del Novecento “Diversità” dell’intellettuale, “normalità” del borghese: Mann riprende temi del Werther di Goethe 33 Friedrich Schiller

T4 L’archetipo del grande ribelle

38 39

da I masnadieri, atto I, scena II

Thomas Gray

T5 Elegia scritta in un cimitero campestre James Macpherson

T6 Daura e Arindal

42 42 47 47

dai Canti di Ossian, III, vv. 269-361

Vincenzo Monti

> Letteratura e Scienza T7 Al signor di Montgolfier T8 Il wertherismo di Monti

51 53 58

da Al principe Sigismondo Chigi, vv. 31-83

Facciamo il punto

In sintesi

CAPITOLO 2

62 63

Ugo Foscolo

1. La vita 2. La cultura e le idee 3. Le Ultime lettere di Jacopo Ortis T1 «Il sacrificio della patria nostra è consumato»

64

T2 Il colloquio con Parini: la delusione storica

Carta interattiva

70 73

Mappe interattive

75

T3 La lettera da Ventimiglia: la storia e la natura 81 dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis

> Letteratura e Società

T4 Il problema di una classe dirigente in Italia

88

dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis

T5 La sepoltura lacrimata

90

dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis

T6 Illusioni e mondo classico

93

dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis MICROSAGGIO Il sistema dei personaggi nell’Ortis

IV

Videolezioni

69

dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis

VIDEOLEZIONI

La biografia e le Ultime lettere di Jacopo Ortis

Mappa attiva Audio Alla sera; In morte del fratello Giovanni dai Sonetti Analisi interattive «Il sacrificio della patria nostra è consumato» dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis Alla sera; In morte del fratello Giovanni; A Zacinto dai Sonetti Dei sepolcri





Laboratori interattivi «Il sacrificio della patria nostra è consumato» dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis Alla sera; In morte del fratello Giovanni; A Zacinto dai Sonetti Dei sepolcri





Immagine interattiva

96

T

Videolezione d’autore

66

dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis VIDEOLEZIONE D’AUTORE

VERIFICA INTERATTIVA

La voce del Novecento La ricerca di un “altrove” per l’eroe e l’antieroe: l’esilio e il viaggio in Foscolo e Tondelli

4. Le Odi e i Sonetti T7 All’amica risanata

Ripasso interattivo Verifica interattiva

97

Competenze Analisi interattiva

102 103

dalle Odi

T8 Alla sera

109

dai Sonetti

T9 In morte del fratello Giovanni AUDIOLETTURE

I Sonetti

111

VIDEOLEZIONE

Le Odi e i Sonetti

dai Sonetti

T10 A Zacinto

114

T11 Che stai? già il secol l’orma

Incontro con l’Opera

La critica

119 121

Per la ricerca nel web Competenze Esposizione orale

Interpretazioni critiche

Marco Cerruti | La novità dei Sepolcri

139

La voce del Novecento La funzione del sepolcro per Lee Masters e Foscolo: visione eroica e visione antieroica 141



Echi nel tempo Ribellione giovanile e delusione storica nella letteratura contemporanea

dai Sonetti

5. Dei sepolcri T12 Dei sepolcri



Video da Napoléon di Gance

117

Analisi attiva

Testi La nascita delle Grazie; L’Atlantide dalle Grazie L’armonia da Principi di critica poetica Francesca da Rimini dal Discorso sul testo del poema di Dante Testo interattivo L’umanità primitiva, la naturale ferocia dell’uomo e l’effetto incivilitore delle Grazie dalle Grazie

dai Sonetti

ultima lascia

P

Linea del tempo

VIDEOLEZIONE

Dei sepolcri

143

MICROSAGGIO L’Antologia Palatina

6. Le Grazie T13 Proemio

144 146

dalle Grazie, Inno primo, vv. 1-27

T14 Il velo delle Grazie

148

dalle Grazie, Inno terzo, vv. 153-196

VIDEOLEZIONE

Le Grazie

L’ARTE INCONTRA LA LETTERATURA Le Tre Grazie

152

di Foscolo e Canova

Interpretazioni critiche

Vitilio Masiello | Evasione e politicità nelle Grazie

7. Altri scritti letterari T15 Didimo Chierico, l’anti-Ortis

153 154 155

dalla Notizia intorno a Didimo Chierico

8. Lo studioso e il critico

158

Facciamo il punto

159

CHE COSA CI DICONO ANCORA OGGI I CLASSICI

Foscolo

160

V

INDICE GENERALE

DIALOGHI IMMAGINARI

Foscolo e Parini

163

Ripasso visivo In sintesi

166 167

Bibliografia

Per il nuovo esame di Stato

168

VERIFICA INTERATTIVA

PRIMA PROVA

Tipologia A Analisi e interpretazione di un testo letterario italiano

T16 Il proprio ritratto

169

Tipologia B Analisi e produzione di un testo argomentativo Ambito storico Luigi Mascilli Migliorini Napoleone: tra storia e mito

171

Tipologia C Riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità Ambito filosofico e sociale Il concetto di patria nel mondo contemporaneo

173

Visione d’insieme Verifica interattiva

L’età del Romanticismo

174

I LUOGHI DELLA CULTURA

175

Il contesto Società e cultura 1. Aspetti generali del Romanticismo europeo

176

MICROSAGGIO Origine del termine “Romanticismo”

La voce dei testi Poesia e irrazionale

177 178 182

Novalis | dai Frammenti

VI

Facciamo il punto

185

2. L’Italia: strutture politiche, economiche e sociali dell’età risorgimentale 3. Le ideologie

185

Facciamo il punto

189

4. Le istituzioni culturali

189

Facciamo il punto

190

5. Gli intellettuali: fisionomia e ruolo sociale 6. Il pubblico

191 192

Facciamo il punto

194

Il contesto Storia della lingua e fenomeni letterari 1. Lingua letteraria e lingua dell’uso comune Filo rosso

195

Facciamo il punto

196

188

195

Testi Chateaubriand L’«ardore di desiderio» dell’eroe romantico da René Arte L’orientalismo

T P

2. Autori e opere del Romanticismo europeo

196

Facciamo il punto

199

3. Forme e generi letterari del Romanticismo italiano

200

Facciamo il punto

202

Ripasso visivo In sintesi

203 204

Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

207

1. La concezione dell’arte e della letteratura nel Romanticismo europeo

207

CAPITOLO 1

August Wilhelm Schlegel

208

dal Corso di letteratura drammatica

T2 La poesia, gli umili, il quotidiano

211 212

dalla Prefazione alle Ballate liriche

Victor Hugo

214

T3 Il «grottesco» come tratto distintivo

dell’arte moderna

T

Verifica interattiva

T1 La «melancolia» romantica e l’ansia d’assoluto 209 William Wordsworth

VERIFICA INTERATTIVA

Testi Hugo Il P «papa dei matti»: il trionfo del brutto da Notre-Dame de Paris Ovidio Il mito di Pigmalione da Le Metamorfosi Shelley La scienza trasgressiva che genera mostri da Frankenstein





Video da Ivanhoe di Thorpe Film Frankenstein di Whale Moby Dick di Huston



Arte Francisco Goya e il lato oscuro della mente

215

dalla Prefazione a Cromwell

2. La poesia in Europa Novalis

T4 Primo Inno alla Notte

217 220 220

dagli Inni alla Notte

Friedrich Hölderlin

T5 Diotima

222 223

Wolfgang Goethe

T6 La scommessa col diavolo

226

dal Faust

Samuel Taylor Coleridge

231

T7 L’uccisione dell’albatro: colpa e maledizione 232 da La ballata del vecchio marinaio, vv. 51-82; 107-142; 195-224

Percy Bysshe Shelley

T8 Ode al vento occidentale John Keats

238 239

T9 Ode su un’urna greca

244 245

La voce del Novecento Il bassorilievo di Montale e l’urna greca di Keats

249

George Byron

T10 L’eroe maledetto

252 253

da Il Corsaro, I, vv. 233-247; 263-370

VII

INDICE GENERALE

Gérard de Nerval

T11 El desdichado

258 258

da Le Chimere

Victor Hugo

T12 Booz addormentato

260

da La leggenda dei secoli

3. Il romanzo in Europa Walter Scott

T13 Un topos del romanzo storico: il torneo

264 267 269

da Ivanhoe, cap. XII L’OPERA LIRICA Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti

274

Stendhal

276

T14 Compromesso e insofferenza:

le contraddizioni di un giovane ambizioso

277

da Il rosso e il nero, libro I, cap. XXII

Honoré de Balzac

282

T15 La mercificazione della letteratura

284

> Letteratura e Società da Illusioni perdute

MICROSAGGIO Il romanzo di formazione

4. La narrativa negli Stati Uniti Edgar Allan Poe

T16 La rovina della casa degli Usher

291 293 293 294

da Grotteschi ed arabeschi MICROSAGGIO Il romanzo “nero”

306

Herman Melville

307 308

T17 «Il gran demonio vagante dei mari» da Moby Dick, cap. XLI

Facciamo Il punto

In sintesi

313 314

Per il nuovo esame di Stato PRIMA PROVA Tipologia B Analisi e produzione di un testo argomentativo Ambito artistico e sociale Arnold Hauser La libertà dell’artista romantico

317

Tipologia C Riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità Ambito filosofico L’attrazione per l’ignoto

VIII

320

VERIFICA INTERATTIVA

CAPITOLO 2

Il Romanticismo in Italia

1. Documenti teorici del Romanticismo italiano Madame de Staël

T1 Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni Giovanni Berchet

T2 La poesia popolare

321

Verifica interattiva

322 323

Testi Giordani “Un P italiano” risponde al discorso della de Staël dalla “Biblioteca italiana” Bürger Eleonora Tommaseo A una foglia; Le altezze Porta La preghiera Belli La vita dell’omo; Li morti de Roma; Chi cerca trova; Cosa fa er papa; Er deserto; Er miserere de la Sittimana Santa dai Sonetti Nievo Carlino tribuno del popolo da Le confessioni di un Italiano

324 325

• •

dalla Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliolo

Pietro Borsieri

329

T3 La letteratura, l’«arte di moltiplicare

le ricchezze» e la «reale natura delle cose»

330

dal Programma del “Conciliatore”

2. La poesia in Italia

T

Audio Belli Le cappelle papale dai Sonetti

321

• •



334

Giovanni Berchet

T4 Il giuramento di Pontida

337

dalle Fantasie

La voce dei documenti Il giuramento della Giovine Italia

340

Giuseppe Mazzini | Giuramento della Giovine Italia

Carlo Porta

T5 Una vittima di inganni e soprusi

342 343

dal Lament del Marchionn di gamb avert, vv. 353-472

Giuseppe Gioacchino Belli

T6 Le cappelle papale

348 349

dai Sonetti

T7 Er giorno der giudizzio AUDIOLETTURA

Le cappelle papale

351

dai Sonetti

3. Il romanzo in Italia Ippolito Nievo

T8 Ritratto della Pisana

352 355 356

da Le confessioni di un Italiano, cap. I

In sintesi

359

Facciamo il punto

CAPITOLO 3

Alessandro Manzoni

1. La vita 2. Prima della conversione: le opere classicistiche MICROSAGGIO Il giansenismo

VIDEOLEZIONE D’AUTORE

3. Dopo la conversione: la concezione della storia e della letteratura T1 La funzione della letteratura: render le cose «un po’ più come dovrebbono essere»

359

360

Videolezione d’autore

362

Videolezioni

365 366

Carta interattiva

366 369

dalla Lettre à M. Chauvet

370

T

Mappe interattive VIDEOLEZIONI

dall’Epistolario

T2 Il romanzesco e il reale

VERIFICA INTERATTIVA

La biografia e le prime opere

• •

Audio Il cinque maggio Coro dell’Atto III; Morte di Ermengarda dall’Adelchi «La sventurata rispose» da I promessi sposi

Analisi interattive L’utile, il vero, l’interessante dalla Lettera sul Romanticismo Il cinque maggio





IX

INDICE GENERALE

MICROSAGGIO Le unità aristoteliche

374

T3 Storia e invenzione poetica

375



dalla Lettre à M. Chauvet

T4 L’utile, il vero, l’interessante

376

dalla Lettera sul Romanticismo

4. Gli Inni sacri T5 La Pentecoste

VIDEOLEZIONE

379 380

Gli Inni sacri

dagli Inni sacri

AUDIOLETTURA

Il cinque maggio

5. La lirica patriottica e civile T6 Il cinque maggio 6. Le tragedie T7 Il dissidio romantico di Adelchi

386 387

dall’Adelchi, atto III, scena I

della storia

Analisi attiva dall’Adelchi, atto V, scene VIII-X

T9 Coro dell’Atto III

399

VIDEOLEZIONE

Le tragedie

405

dall’Adelchi, atto III

T10 Morte di Ermengarda AUDIOLETTURE

L’Adelchi

409

La «Signora» T11a Libertinaggio e sacrilegio: la seduzione

di Geltrude

«La sventurata rispose»

425

430

T11 La carestia: Manzoni economista

436

442

da I promessi sposi, cap. XVII

X



Echi nel tempo I promessi sposi e La chimera di Sebastiano Vassalli

447

La critica

451

da I promessi sposi, cap. XIX L’ARTE INCONTRA LA LETTERATURA I personaggi dei Promessi sposi tra pittura, teatralità e cinema

Video La parodia del Trio da I promessi sposi di Bolchi da I promessi sposi di Camerini

447

dal Fermo e Lucia, tomo II, cap. VII

T14b L’innominato: dalla storia al mito





T12 La redenzione di Renzo e la funzione

di costume storico





da I promessi sposi, cap. XII

Il Conte del Sagrato e l’innominato T14a Il Conte del Sagrato: un documento

Testi Il «giusto solitario» dal Carme in morte di Carlo Imbonati Religione e idee moderne; Religione, riforme e classi sociali dalle Osservazioni sulla morale cattolica L’«amor tremendo» di Ermengarda dall’Adelchi Il flagello di Dio e l’impotenza dell’uomo; Don Abbondio e l’innominato: il sublime e il comico; La vergine e il seduttore da I promessi sposi Un sopruso feudale dal Fermo e Lucia



433

salvifica di Lucia

P

Linea del tempo VIDEOLEZIONE

I promessi sposi

425

La voce del Novecento Moravia rilegge Manzoni: la corruzione di don Abbondio e di Gertrude

> Letteratura e Economia



Competenze Analisi interattiva

414 415

da I promessi sposi, cap. X

AUDIOLETTURA



Verifica interattiva

dal Fermo e Lucia, tomo II, cap. V

T11b «La sventurata rispose»



Ripasso interattivo

Incontro con le Opere MICROSAGGIO Mescolanza e separazione degli stili

Laboratori interattivi L’utile, il vero, l’interessante dalla Lettera sul Romanticismo Il cinque maggio Coro dell’Atto III dall’Adelchi «La sventurata rispose»; L’innominato: dalla storia al mito; La conclusione del romanzo: paradiso domestico e promozione sociale da I promessi sposi La responsabilità umana e la possibilità di contrastare il male dalla Storia della colonna infame Immagine interattiva Il ritratto dell’innominato

dall’Adelchi, coro dell’atto IV

7. Il Fermo e Lucia e I promessi sposi





393 396

T8 Morte di Adelchi: la visione pessimistica

Coro dell’Atto III; Morte di Ermengarda dall’Adelchi «La sventurata rispose»; L’innominato: dalla storia al mito; La conclusione del romanzo: paradiso domestico e promozione sociale da I promessi sposi La responsabilità umana e la possibilità di contrastare il male dalla Storia della colonna infame

456

Testi critici A. R. Pupino G. Getto C. Salinari



Per la ricerca nel web



T15 La conclusione del romanzo:

paradiso domestico e promozione sociale

458

da I promessi sposi, cap. XXXVIII MICROSAGGIO Il narratore e i punti di vista dei personaggi

463

Interpretazioni critiche

Pierantonio Frare | Il rapporto autore/lettore nei Promessi sposi

464

Interpretazioni critiche

Matteo Sarni | Manzoni, Scott e la compassione LETTERATURA E CINEMA Un “kolossal” per I promessi sposi

8. Dopo I promessi sposi: il distacco dalla letteratura T16 La responsabilità umana e la possibilità di contrastare il male

466 468 470

VIDEOLEZIONE

Il distacco dalla letteratura

471

dalla Storia della colonna infame CHE COSA CI DICONO ANCORA OGGI I CLASSICI DIALOGHI IMMAGINARI

Manzoni

Manzoni e Scott

474 478

Facciamo il punto

481

Ripasso visivo In sintesi

482 483

Bibliografia

VERIFICA INTERATTIVA

484

Per il nuovo esame di Stato PRIMA PROVA Tipologia A Analisi e interpretazione di un testo letterario italiano T17 Il palazzotto di don Rodrigo 485 da I promessi sposi, cap. V

PROVA DI COMPETENZA Simulazione di esperienza reale Umili, perseguitati ed esclusi del realismo romantico

487

Il teatro per immagini

493

Glossario Indice dei nomi Indice delle rubriche e delle schede Indice delle illustrazioni

502 508 511 513

XI

L’età napoleonica 1795-1815 LONDRA

LONDRA • Si diffonde la poesia cimiteriale per opera di Macpherson, Gray e Young. In Inghilterra prende avvio la Rivoluzione industriale. Foscolo trascorre gli ultimi anni in un sobborgo di Londra.

PARIGI

PARIGI • Fulcro della Rivoluzione francese, poi del Direttorio e dell’Impero napoleonico, vede rinascere la monarchia con Luigi XVIII. Si afferma l’arte neoclassica con David, che da pittore ufficiale della Rivoluzione diventa pittore ufficiale di Napoleone.

ROMA • Sorge la Repubblica romana. Winckelmann diviene sovrintendente alle antichità. Vi operano Monti, esaltatore del papato di Pio VI, poi cantore dei fasti del potere e infine della Restaurazione, e Canova, massimo esponente della scultura neoclassica.

I luoghI della cultura

BERLINO

MILANO • Conquistata dall’esercito napoleonico, diventa capitale della Repubblica cisalpina e poi del Regno d’Italia. Foscolo vi conosce Parini e Monti.

BERLINO • Già sede dello Sturm und Drang e centro da cui si diffonde la nuova sensibilità preromantica ben rappresentata da Goethe, vi viene fondata dai fratelli Schlegel la rivista “Athenaeum”. In Germania operano i filosofi Schelling, Hegel e Fichte, i poeti Hölderlin e Novalis e il drammaturgo Schiller.

VIENNA ZURIGO

TORINO

MILANO PAVIA

VENEZIA • Vi risiede il giovane Foscolo, che stringe amicizia con Pindemonte e poi abbandona la città dopo il Trattato di Campoformio.

VENEZIA BOLOGNA

FIRENZE

ROMA

NAPOLI

NAPOLI • Centro di studi economici, giuridici e storici (ad opera soprattutto di Cuoco, esponente di spicco della storiografia politica), è sede della Repubblica partenopea. La scoperta di Pompei ed Ercolano dà avvio all’interesse per l’arte classica.

Il contesto

Società e cultura

1

Strutture politiche, sociali ed economiche

Visione d’insieme

Le nuove strutture statali Le “repubbliche giacobine” e il dominio napoleonico

I cambiamenti nel corpo sociale

L’ingresso degli eserciti francesi nel 1796 segna in Italia una svolta storica di capitale importanza: crollano i vecchi Stati e si formano organismi politici nuovi, prima le cosiddette “repubbliche giacobine” (la Cispadana, la Traspadana, la Partenopea), poi strutture statali più vaste, come la Repubblica cisalpina, che diviene Repubblica italiana ed infine Regno d’Italia ( L’Italia giacobina e napoleonica, p. 6). Con l’affermarsi del regime napoleonico altri organismi secolari, come il Regno di Napoli, passano sotto il dominio dei congiunti di Napoleone; notevoli estensioni del territorio italiano sono annesse direttamente allo Stato francese (Piemonte, Toscana, Lazio). Queste strutture statali, ispirate al modello francese, hanno caratteri decisamente moderni nella pubblica amministrazione, nell’apparato giudiziario, nell’esercito, nella scuola (Napoleone istituisce ginnasi e licei statali per formare dei funzionari fedeli allo Stato, eliminando il monopolio ecclesiastico sull’istruzione). In tal modo nell’Italia napoleonica si forma un corpo di funzionari pubblici, di ufficiali, di insegnanti: è

Letteratura

Cultura

Goya dipinge Il sonno della ragione genera mostri (1799)

Goethe scrive Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister (1797)

Schelling scrive il Sistema dell’idealismo trascendentale. David dipinge Bonaparte che valica il Gran San Bernardo (1800)

I fratelli Schlegel fondano la rivista “Athenaeum” (1798)

Wordsworth e Coleridge pubblicano le Ballate liriche. Hölderlin scrive il romanzo epistolare Iperione (1797-98)

Scienza e Tecnica

Storia e Società

1795-1799

4

Novalis pubblica gli Inni alla notte (1800)

Napoleone conquista l’Italia settentrionale (1796-97) In Francia introduzione del sistema metrico decimale (1795)

Goya dipinge Canova inizia la La maja scultura Paolina desnuda Borghese come (1800-03 ca.) Venere Vincitrice (1804) Foscolo pubblica le Ultime lettere di Jacopo Ortis. Chateaubriand scrive Il genio del Cristianesimo (1802) Foscolo compone i sonetti Alla sera, A Zacinto, Alla Musa e In morte del fratello Giovanni (1802-03)

1800-1804

Proclamazione Proclamazione della Repubblica partenopea a Napoli. Trattato di Campoformio: di Napoleone a Colpo di Stato del 18 brumaio: Napoleone console (1799) Napoleone cede imperatore. Viene Venezia all’Austria promulgato il Codice (1797) Napoleone intraprende Sconfitta austriaca a civile napoleonico la campagna d’Egitto Marengo. Istituzione della (1798) Banca di Francia (1800) (1804) Jenner scopre il vaccino Fichte scrive contro la Dottrina della scienza il vaiolo (1797) (1796)

Volta inventa la pila (1799)

Gay-Lussac: legge sulla dilatazione Herschel scopre termica dei gas (1801-02) le radiazioni In Inghilterra Trevithick impiega una infrarosse locomotiva a vapore. Ritter scopre le radiazioni ultraviolette (1802) (1800 ca.)

Il contesto · Società e cultura

un fenomeno sociale nuovo e rilevante che contribuisce a dare una fisionomia più moderna ai ceti medi italiani, che, come era inevitabile in un paese estremamente arretrato, erano privi di coscienza sociale, di peso politico e culturale. Questi ceti avranno un ruolo determinante, nei decenni successivi, nelle vicende della rivoluzione nazionale.

L’economia Il rinnovamento delle strutture economiche

Il regime napoleonico contribuì anche a svecchiare le strutture economiche, proseguendo nell’opera già avviata dalle riforme settecentesche: furono aboliti privilegi e istituti feudali, fu ridato impulso alla libera circolazione della proprietà terriera con vendite di beni ecclesiastici, nonché con la privatizzazione di demani pubblici. Il commercio e l’industria furono avvantaggiati dalla soppressione di barriere doganali interne per una larga parte dell’Italia settentrionale, dalla creazione di strade, ponti e canali, dal riordino del sistema fiscale e finanziario. Queste spinte modernizzatrici furono però frenate dalla politica imperiale di Napoleone, che considerava gli Stati vassalli come zone di sfruttamento e subordinava la loro economia alle esigenze della Francia: i territori dell’Impero dovevano fornire materie prime alle industrie francesi e si riducevano a mercati riservati per i manufatti di quelle industrie. Di conseguenza le potenzialità di espansione produttiva e di sviluppo sociale furono ben lontane dal potersi attuare pienamente e rimasero un’esigenza che solo l’unificazione italiana riuscì più tardi a soddisfare.

Facciamo il punto 1. In che modo cambia l’assetto politico dell’Italia durante l’età napoleonica? 2. Quali sono le cause che portano alla formazione di un nuovo ceto medio? 3. Quali iniziative del regime napoleonico riescono a trasformare l’assetto economico dell’Italia?

David inizia a Hegel scrive la dipingere la Fenomenologia Consacrazione dello spirito di Napoleone (1807) (1805)

Fichte scrive i Discorsi alla nazione tedesca (1807-08)

Foscolo pubblica il carme Dei sepolcri (1807)

Friedrich dipinge Monaco in riva al mare (1808-09)

Goethe pubblica la prima parte del Faust (1808)

1805-1809

Canova inizia a lavorare alla scultura delle Tre Grazie. Appiani affresca il Palazzo reale di Milano (1812)

Ingres dipinge la Grande Odalisca. Goya dipinge il 3 maggio 1808 (1814)

Manzoni scrive gli Inni sacri (1812-15)

Jane Austen pubblica Orgoglio e pregiudizio (1813)

1810-1815

Napoleone incoronato re d’Italia a Milano. Battaglia di Trafalgar: Spagna e Francia sconfitte dalla flotta inglese. Austerliz: vittoria di Napoleone sull’esercito austro-russo (1805) Jena: sconfitta dei Prussiani. Blocco continentale nei confronti dell’Inghilterra (1806)

Dalton formula la teoria atomica della materia (1808 ca.)

Lipsia: sconfitta di Napoleone da parte della coalizione delle potenze europee (1813)

Battaglia di Waterloo: sconfitta di Napoleone e suo esilio Abidicazione di Napoleone che si ritira all’Elba; Luigi a Sant’Elena. Campagna di Russia XVIII diventa re (1814) Congresso di di Napoleone (1812) Vienna (1815)

Stephenson collauda la prima locomotiva a vapore (1814)

Lamarck inizia a scrivere la Storia naturale (1815)

5

L’età napoleonica

2 Democratici e moderati

L’estraneità delle masse popolari

La delusione storica del giacobinismo

Le ideologie La nascita del “patriottismo” Gli anni 1796-99 costituiscono il cosiddetto “triennio giacobino”: sono anni di grandi illusioni in un profondo rinnovamento politico. All’interno dello schieramento dei “patrioti” vanno però distinte due tendenze molto diverse: una decisamente democratica, che aspira ad un radicale cambiamento politico, sociale ed economico, in nome dei princìpi rivoluzionari dell’eguaglianza; l’altra, di orientamento moderato, mira a graduali riforme che salvaguardino il sacro principio della proprietà privata e l’egemonia dei ceti superiori, contenendo le spinte eversive dei ceti popolari. È questo l’indirizzo che poi prevarrà nel regime napoleonico. Le idee “patriottiche”, democratiche o moderate, circolavano soltanto tra i ceti colti, mentre le masse popolari, soprattutto quelle delle campagne, rimasero ad esse profondamente estranee, conservandosi fedeli alle tradizioni religiose e politiche del passato. Questa frattura profonda all’interno del corpo sociale, diviso tra ceti colti (patriottici e progressisti) e classi subalterne di proletari e contadini (estranei ed ostili alle idee innovatrici) sarà poi un dato costante durante tutto il processo risorgimentale. Ma il regime napoleonico, se da un lato trovò consensi in numerosi strati sociali, si alienò i sentimenti di molti rappresentanti dei ceti superiori, specie degli intellettuali. La componente politicamente più avanzata, quella “giacobina”, vide infatti nell’instaurarsi della dittatura napoleonica e nel dominio imperiale francese sull’Italia un tradimento delle istanze di libertà e di democrazia sorte nel momento del primo fervore rivoluzionario. Perciò al “triennio giacobino” subentrò un diffuso senso di delusione e di frustrazione: uno stato d’animo che ebbe importanti riflessi culturali, come si potrà vedere esaminando l’esperienza di Ugo Foscolo (1778-1827).

L’Italia giacobina e napoleonica Repubblica elvetica Impero d’Austria

Repubblica francese

Repubblica cisalpina

Ducato di Parma Repubblica ligure Repubblica Toscana di Lucca Corsica (Francia)

Impero ottomano

Repubblica romana Repubblica partenopea

Regno di Sardegna (Savoia)

Territori italiani annessi alla Francia MAR MEDITERRANEO (1799-1809) Territori confluiti nel Regno d’Italia (1805), sotto l’influenza francese

6

Regno di Sicilia

La carta mostra la situazione politica determinatasi in Italia all’indomani della campagna napoleonica del 1796. I francesi hanno promosso la creazione di repubbliche giacobine, ispirate a quella francese: nel 1797 vengono istituite la Repubblica cisalpina e quella ligure, mentre il Veneto è ceduto all’Austria in base al Trattato di Campoformio; nel 1798 sorge la Repubblica romana nel territorio dello Stato della Chiesa; nel 1799 il Regno di Napoli si trasforma nella Repubblica partenopea, mentre il Piemonte e la Toscana sono annesse alla Repubblica francese. Negli anni successivi l’assetto geopolitico dell’Italia muterà ancora: altri territori saranno annessi direttamente alla Francia; il Regno di Napoli, quello di Sicilia e il neonato Regno d’Italia diventeranno Stati “satelliti” dell’Impero napoleonico.

Il contesto · Società e cultura

3

Le istituzioni culturali: pubblicistica, teatro, scuola, editoria Il triennio giacobino

Incremento dell’attività giornalistica

Il teatro “patriottico”

La necessità di coinvolgere il maggior numero di cittadini nel processo di rinnovamento democratico e di favorire l’adesione alle nuove idee dà un impulso straordinario alla pubblicistica. L’attività giornalistica aveva già avuto rilievo nel secondo Settecento, attraverso gazzette e fogli letterari e culturali (come “Il Caffè” milanese), ma ora i giornali si moltiplicano ed assumono una spiccata impronta politica. Ai giornali si affiancano opuscoli, libelli polemici, proclami, manifesti, in cui si dibattono problemi d’attualità, si lanciano appelli al popolo in un linguaggio infiammato, fortemente influenzato dal frasario rivoluzionario francese. Questa azione di propaganda viene svolta anche attraverso il teatro, uno strumento capace di larga diffusione e di forte suggestione sui più diversi strati sociali. Si istituiscono teatri “nazionali” o “patriottici”, mettendo in scena quanto del repertorio del passato può essere utile a sostenere le idee libertarie (come le tragedie antitiranniche di Alfieri), ma anche testi nuovi.

La propaganda napoleonica Censura e promozione del consenso

Nuovi strumenti di propaganda

4 Il ruolo degli intellettuali nel triennio giacobino

Il regime napoleonico continua a dare impulso a queste forme di comunicazione, piegandole però a divenire strumenti di creazione del consenso al dominio personale del dittatore. Da espressione di entusiastico fervore democratico esse tendono perciò a diventare forme di propaganda di regime. Anche al teatro viene affidato un ruolo importante nel promuovere il consenso. Ciò significa però la soppressione di ogni libertà di dissenso: nel 1811 le rappresentazioni della tragedia Aiace di Foscolo, in cui si erano ravvisate allusioni critiche a Napoleone, vengono interrotte d’autorità. Un ruolo di propaganda svolgono anche le feste, le cerimonie pubbliche, le parate militari, organizzate con grande fasto scenografico e spettacolare per affascinare il grande pubblico. Si è già accennato al ruolo essenziale affidato da Napoleone alla scuola di Stato, ispirata a concezioni laiche, nella formazione del ceto dirigente, dei burocrati e degli ufficiali. Ma anche l’editoria riceve impulso, sebbene in questa età non esista ancora un mercato letterario in senso moderno, in cui la pubblicazione dei libri sia un’impresa economica su larga scala e l’intellettuale possa vivere del provento delle sue opere. Il libro resta un prodotto d’élite, per pochi. Per avere un mercato librario occorrerà attendere alcuni decenni.

Gli intellettuali Dalla partecipazione attiva al ruolo di funzionario Nel triennio giacobino si delineò un ruolo sociale nuovo per l’intellettuale, che andava oltre quello del philosophe, diffusore dei “lumi” e consigliere dei principi illuminati, quale si era affermato prima della Rivoluzione: l’intellettuale era ora colui che elaborava e diffondeva le ideologie della trasformazione democratica, che aveva il compito di creare il consenso di massa intorno a tali idee. Questo periodo di intensa partecipazione attiva alla vita politica fu vissuto dagli intellettuali con 7

L’età napoleonica

Il regime napoleonico: l’intellettuale cortigiano

Il rifiuto del ruolo di funzionario del regime

entusiasmo, quasi in una sorta di ebbrezza, come se l’intellettuale fosse l’artefice primario del processo di rigenerazione del mondo. Si è detto come questo entusiasmo fu spento dall’assestarsi del regime napoleonico, quando venne meno la nuova funzione civile dell’intellettuale che si era delineata nel corso del processo rivoluzionario e riprese vigore il vecchio ruolo del poeta cortigiano, celebratore dei fasti del potere: ruolo che fu incarnato esemplarmente da Vincenzo Monti (1754-1828), che poté passare senza scosse dall’esaltazione degli splendori del pontificato di Pio VI alla celebrazione delle glorie napoleoniche, nelle stesse forme e con lo stesso linguaggio. Oppure l’intellettuale dovette adattarsi al ruolo di fedele funzionario, nell’amministrazione, nella scuola, nel giornalismo ufficiale, con il compito subalterno di mediare il consenso nei confronti dello Stato. Chi aveva vissuto più intensamente la breve esperienza giacobina non seppe adattarsi a questi compiti. È esemplare in questo senso la figura di Foscolo ( La voce dei testi, p. 9). Egli ricercò inquietamente una sistemazione materiale nella burocrazia, nel giornalismo, nell’esercito, nell’università, ma non si identificò mai nella figura del funzionario di regime né tanto meno in quella di cantore dei suoi fasti: ebbe sempre l’atteggiamento del «liber’uomo» pronto a mettersi in disparte e a vivere poveramente pur di non piegarsi a servire.

Arte David e la figura dell’eroe neoclassico

David e la propaganda napoleonica Jacques-Louis David, Napoleone Bonaparte, primo console, attraversa le Alpi al valico del Gran San Bernardo, maggio 1800, 1803, olio su tela, Rueil-Malmaison (Francia), Château de Malmaison.

Dopo un soggiorno a Roma nel 1775-80, Jacques-Louis David (1748-1825) iniziò a studiare antichità grecolatina, dei cui popoli ammirava soprattutto le virtù morali e civili. Dopo la Rivoluzione, vide incarnato in Napoleone il suo ideale eroico e mise la pittura al servizio del futuro imperatore dei francesi. Diventato una vera icona, questo dipinto (come le sue quattro successive versioni) mostra una scena completamente idealizzata, giacché in realtà Napoleone valicò le Alpi a dorso di mulo, sotto il sole e scortato da una guida. Esortato da Bonaparte stesso, David rappresenta invece il generale a cavallo e in alta uniforme. Sintetizzando in un’immagine sola il console, il generale e l’Imperatore, il quadro unisce solennità monumentale e dinamismo, evocato attraverso la posa del cavallo, il mantello al vento e l’ampio gesto del protagonista che, guardando lo spettatore, indica la direzione da seguire. Il fatto che sulle rocce siano graffiti i nomi di Annibale e Carlo Magno, che a loro volta avevano passato le Alpi, iscrive Napoleone tra i più grandi condottieri di tutti i tempi, testimoniando ancor oggi quanto bene funzionasse la propaganda bonapartista.

8

Il contesto · Società e cultura

La voce dei testi | Autore: ugo Foscolo | operA: Sonetti

Non son chi fui; perì di noi gran parte Si suppone che la poesia sia stata composta fra gli ultimi mesi del 1799 e i primi del 1801. In essa si riflette la condizione del poeta in rapporto con la situazione storica del tempo: egli infatti militava nelle armate napoleoniche ed era coinvolto nelle guerre che allora insanguinavano l’Italia e l’europa.

> Metro: sonetto. rime: aBaB, aBaB, cdc, dcd.

Non son chi fui; perì di noi gran parte: questo che avanza è sol languore e pianto1. E secco è il mirto2, e son le foglie sparte 4 del lauro, speme al giovenil mio canto3; perché dal dì ch’empia licenza e Marte vestivan me del lor sanguineo manto, cieca è la mente e guasto il core, ed arte 8 l’umana strage, arte è in me fatta, e vanto4. Che se pur sorge di morir consiglio, a mia fiera ragion chiudon le porte 11 furor di gloria, e carità di figlio5. Tal di me schiavo, e d’altri, e della sorte, conosco il meglio ed al peggior mi appiglio6, 14 e so invocare, e non darmi la morte.

1. Non son … pianto: i due versi sono la traduzione quasi letterale di un distico delle Elegie di Massimiano, poeta latino del V-VI secolo d.C.: «Non sum qui fueram: periit pars maxima nostri; / hoc quoque quod superest languor et horror habent» (“Non sono chi ero stato: perì la massima parte di me; / anche ciò che sopravvive lo possiedono languore ed orrore”). 2. e secco … mirto: il mirto era la pianta sacra a Venere, quindi simboleggia l’amore. Il poeta lamenta che il sentimento si sia in lui inaridito. 3. e son … canto: e sono cadute (sparte) le foglie dell’alloro (lauro), speranza per la mia poesia giovanile. L’alloro era la pianta sacra ad Apollo, dio della poesia, quindi è citato come simbolo della poesia. Con l’alloro si incoronavano i poeti, per consacrare la loro gloria: l’espressione significa che anche l’ispirazione poetica, come l’amore, è inaridita, e il poeta vede sfumare la gloria che negli anni giovanili sperava di conquistare con i suoi versi. 4. perché … vanto: il poeta ora spiega le ragioni del suo inaridimento: dal giorno in cui la sovversione rivoluzionaria che distruggeva tutte le cose sacre (empia licenza) e la guerra (Marte) mi coinvolsero nelle loro sanguinose stragi (vestivan

me del lor sanguineo manto), la mia mente è divenuta cieca e il mio cuore si è guastato, e la strage di uomini è diventata il mio mestiere (arte) e fonte di gloria (vanto). Cioè l’abitudine a combattere e a uccidere ha ottenebrato la sua mente e lo ha reso incapace di provare sentimenti, e invece di trovare gloria nella sua poesia la trova solo nella guerra. Al verso 8 si ha una variante di rilievo: invece di «l’umana strage», in una redazione più antica si legge «la fame d’oro». 5. se pur … figlio: e se pure sorge in me il proposito (consiglio) di darmi la morte, ostacolano la mia feroce determinazione (a mia fiera ragion chiudon le porte) il desiderio fortissimo (furor) di gloria e l’amore (carità) di figlio (per mia madre). 6. tal … appiglio: così schiavo di me stesso, della volontà altrui e della sorte, vedo ciò che è meglio per me e mi appiglio a ciò che è peggio. Il verso 13 è di nuovo la traduzione di un poeta latino, Ovidio, vissuto sotto Augusto: «Video meliora proboque, deteriora sequor» (Metamorfosi, VII, v. 21; “Vedo ciò che è migliore e lo approvo, seguo ciò che è peggiore”). Il rapporto con Ovidio è però mediato attraverso Petrarca: «… e veggo ’l meglio ed al peggior m’appiglio» (Canzoniere, CCLXIV, v. 136).

9

L’età napoleonica

Guida alla lettura La crisi dell’intellettuale e la storia Il sonetto si concentra sulla crisi dell’intellettuale, coin-

volto nelle tumultuose vicende dell’età napoleonica: l’immersione nelle sanguinose operazioni belliche inaridisce in lui i sentimenti e l’ispirazione poetica; così egli vede svanire la prospettiva della gloria, che negli anni giovanili aveva affidato ai suoi versi. Ora il turbine della storia lo ha mutato profondamente: quello che egli era un tempo è morto per gran parte, e ciò che resta è solo inerzia e sofferenza. L’«arte» per lui non è più comporre poesie, ma combattere e compiere stragi: solo da ciò ormai può derivargli la gloria. Nella variante segnalata, l’«arte» era la fame di ricchezze, motivo ben più basso e ignobile, per cui la parola «vanto» in quel contesto sembra assumere un senso di amara ironia. Nella stampa successiva la correzione tende a conferire alla figura del poeta una fisionomia più nobile, rispetto a quella delineata dalla spietata confessione della redazione precedente. La crisi sfocia nel vagheggiamento del suicidio, tema tipico di questo periodo dell’opera foscoliana, che trova espressione anche nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis e nei sonetti (Alla sera, In morte del fratello Giovanni); ma a trattenere il giovane intervengono il «furor di gloria» e la volontà di non far soffrire la madre. Quindi il poeta resta in una condizione incerta, oscillante: non riesce ad assumere decisioni autonome, schiavo dei suoi tormenti interiori, delle vicende storiche esterne, della sorte. Si limita a vagheggiare la morte come unica forma di liberazione, ma non riesce a dare compimento al suo proposito. Il modello alfieriano e i classici Il sonetto risente molto del modello alfieriano, sia nella tematica del conflitto tra l’individuo eroico e i tempi iniqui, sia sul piano formale, nella serie di affermazioni lapidarie, nettamente scandite. Si vede in azione anche il culto della classicità proprio di Foscolo, nelle riprese testuali dei poeti latini (e di Petrarca).

Battaglia di Marengo, 14 giugno 1800, XIX secolo, incisione a colori, Parigi, Bibliothèque Nationale.

Facciamo il punto 1. Che cosa si intende per “triennio giacobino”? 2. Quali nuove ideologie si diffondono verso la fine del XVIII secolo? 3. Quali istituzioni culturali svolgono un ruolo decisivo nella diffusione delle idee democratiche e nella

creazione del consenso al regime napoleonico? 4. Come cambia il ruolo degli intellettuali nel corso dell’età napoleonica?

10

Il contesto

Storia della lingua e fenomeni letterari

1

La questione della lingua La lingua letteraria

La lingua letteraria continua una tradizione ormai secolare: poeti e prosatori si riFilo rosso fanno sempre ai modelli illustri e scrivono in una lingua aulica, lontanissima da Storia della lingua La lingua aulica ogni possibile uso parlato. Il lessico della poesia costituisce veramente una lingua della poesia a sé («alma» per «anima», «crini» per «capelli», «lumi» per «occhi», «brando» per «spada» ecc.), il linguaggio è costantemente impreziosito da perifrasi dotte e allusioni mitologiche, la sintassi è ampia e complessa, modellata sul periodare latino. Un pubblico Questo linguaggio conferma quanto si osservava riguardo al pubblico e alla circolaristretto ed elitario zione delle opere letterarie: la letteratura è un fatto d’élite, rivolta a una piccola cerchia di persone colte, che condivide con lo scrittore la cultura, i gusti, il linguaggio. Un pubblico di lettori comuni, non letterati, è ancora del tutto embrionale. Questo contesto andrà tenuto presente per comprendere nei suoi termini precisi la battaglia romantica, che inizierà nel 1816.

Il Purismo

I modelli linguistici bembiani

Il tradizionalismo classicistico è ben esemplificato dalla teoria linguistica del Purismo, che si afferma in questa età. La “questione della lingua” (intesa come lingua letteraria) era un dibattito ormai secolare, che risaliva al primo Cinquecento. Il Purismo, come reazione alla libertà linguistica per cui si erano battuti gli illuministi del “Caffè”, si rifaceva appunto alla teoria di Pietro Bembo e propugnava l’assoluta “purezza” della lingua, che doveva essere depurata da ogni forestierismo e da ogni neologismo. Il modello doveva essere cercato nella lingua degli scrittori toscani del Trecento, il cui lessico e i cui modi espressivi erano ritenuti perfettamente in grado di rispondere alle esigenze della cultura moderna.

Andrea Appiani, Ritratto di Vincenzo Monti, 1808 ca., olio su tela, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna.

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L’età napoleonica Cesari e Giordani

La posizione moderata di Monti

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Tra i puristi di più rigida osservanza si annovera il veronese Antonio Cesari (17601828), che curò la ristampa del vocabolario della Crusca. Posizioni più moderne e aperte assunse invece il piacentino Pietro Giordani (1774-1848), che fu legato a Leopardi da una fervida amicizia intellettuale. Il suo purismo non fu rigido come quello di Cesari: il suo ideale fu piuttosto quello di un dignitoso e sobrio classicismo formale, che si rifacesse alla limpidezza dello stile greco. Di orientamento laico, progressista e patriottico, egli affermò l’esigenza di una letteratura ispirata ad elevati sentimenti morali e all’idea della rinascita nazionale. In nome di questi princìpi patriottici si oppose poi al Romanticismo, che apriva la cultura italiana alle influenze straniere. Alla rigidezza pedantesca del Purismo reagì anche Monti, pur sempre dall’interno del gusto classicistico, sostenendo l’esigenza di una lingua letteraria nazionale che non si fermasse al Trecento, ma mettesse a frutto gli apporti di tutti i grandi scrittori, anche moderni come Parini e Alfieri, in nome di un equilibrio fra ossequio alla tradizione e libertà espressiva.

Forme e generi della letteratura in età napoleonica Il classicismo

Il fermento delle idee e il classicismo formale

In Italia la condizione di “rivoluzione bloccata”, propria dell’età napoleonica, si riflette anche in campo letterario. Pur essendo un’età di trasformazioni rapide e profonde, di intensi fermenti culturali, in cui si mescolano idee nuove, spesso in conflitto tra loro, non si assiste ad un radicale rinnovamento dei generi, delle forme, dei linguaggi espressivi. La fisionomia generale del periodo è data da un perdurante classicismo formale, che prosegue una linea ormai secolare della letteratura italiana. Persino i fermenti più vivi di quest’età si collocano dentro queste coordinate; anche là dove la visione del mondo è nuova e intensamente problematica, non si assiste alla sperimentazione di forme nuove: i codici culturali e stilistici a cui si fa riferimento sono quelli del classicismo (sia pur rivissuti con profonda originalità, come verificheremo in Foscolo).

La poesia Il culto dei modelli classici

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Il sistema dei generi letterari non presenta sostanziali modificazioni rispetto al Settecento. Si possono elencare: poesia lirica (odi, sonetti, canzonette: ne vedremo esempi in Monti e in Foscolo), poemi didascalici (si può citare Cesare Arici, 1782-1836, autore di poemetti sulla Coltivazione dei campi, 1805, sul Corallo, 1810, sulla Pastorizia, 1814, in versi di impeccabile eleganza e chiarezza), poemetti epici o descrittivi (ne offre esempi soprattutto la produzione montiana, di argomento mitologico o moderno), sermoni oraziani (ne scrisse anche Manzoni giovane, nel suo periodo neoclassico), epistole in versi (se si guarda all’aspetto formale, rientrano in questo genere i Sepolcri di Foscolo, cap. 2, pp. 119 e ss., così come la risposta di Ippolito Pindemonte, I sepolcri), tragedie (ne scrissero sia Monti sia Foscolo), traduzioni di classici (famose sono quelle dell’Iliade, ad opera di Monti, forse l’opera più rappresentativa del gusto neoclassico, e dell’Odissea, ad opera di Pindemonte). Un poema mitologico, carico di intenzioni allegoriche, sono le incompiute Grazie di Foscolo ( cap. 2, pp. 144 e ss.).

Il contesto · Storia della lingua e fenomeni letterari

La prosa La storiografia: Botta e Cuoco

I generi della tradizione

Nel campo della prosa, il genere classico per eccellenza è la storiografia. Si può ricordare il piemontese Carlo Botta (1766-1837), autore di una Storia dell’indipendenza degli Stati Uniti d’America (1809), di una Storia d’Italia dal 1789 al 1814, di una Storia d’Italia continuata da quella del Guicciardini fino al 1789. Botta scrive in uno stile sostenuto, di classica dignità, che si rifà ai canoni del Purismo, riproducendo i modelli aurei della prosa trecentesca. Una fisionomia ben diversa presenta il Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799 di Vincenzo Cuoco (17701823), un rigoroso esempio di storiografia politica, dove viene condotta una critica serrata all’astrattezza dottrinaria dei rivoluzionari napoletani, incapaci di coinvolgere le masse, che difatti si ribellarono alla repubblica seguendo la reazione borbonica e clericale. Sempre nella prosa, Pietro Giordani pratica generi illustri della tradizione classica, già ripresi a suo tempo dall’Umanesimo e dal Rinascimento, come l’orazione e il panegirico (componimento in lode di personaggi illustri), usando uno stile ispirato ai canoni puristici.

Il romanzo epistolare: l’Ortis

Elementi di novità e vincoli formali

Un primo passo verso il romanzo

Una vistosa eccezione sembra essere costituita dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis di Foscolo (1802, cap. 2, pp. 70 e ss.), un romanzo epistolare ( p. 32), che si ispira ad alcuni modelli europei di forte modernità, come la Nuova Eloisa di Rousseau (1761, cap. 1, T2, p. 25) e il Werther di Goethe (1774, cap. 1, T3, p. 29). In effetti Foscolo aveva bisogno di una forma nuova, non codificata, per esprimere tutto il fermento della sua esperienza personale e di un momento storico di grande conflittualità. E tuttavia anche il romanzo foscoliano non si libera dal peso costrittivo della tradizione. L’Ortis è lontano dai modi modernamente narrativi del Werther: è pervaso da una continua tensione oratoria ed è scritto in una prosa aulica che rientra pienamente nei canoni del classicismo; non è tanto un romanzo, quanto una lunga orazione, o una lunga lirica. Per cui l’Ortis, pur essendo un’opera di capitale importanza, pur impostando un problema attualissimo (il conflitto dell’intellettuale con la società), pur accogliendo le tematiche più innovative del Preromanticismo, non inaugura il genere del romanzo moderno in Italia: in esso si trovano le potenzialità, non le strutture formali in atto. Ad inaugurarlo sarà non a caso un romantico, Manzoni, con I promessi sposi.

Facciamo il punto 1. Che cosa si intende con il termine “Purismo”? 2. Quali generi letterari (in versi e in prosa) si adattano maggiormente al classicismo tradizionalista impe-

rante in età napoleonica? 3. Quali sono le caratteristiche fondamentali dell’Ortis di Foscolo?

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L’età napoleonica

Ripasso visivo

L’ETà NAPOLEONICA (1795-1815)

POLITICA, ECONOMIA E SOCIETà

• le truppe napoleoniche entrano in territorio italiano (1796) • in seguito ad un colpo di Stato Napoleone diventa imperatore (1804) • si formano nuovi organismi politici sul modello francese (prima di tipo repubblicano, poi di tipo monarchico) • le nuove scuole di Stato introdotte da Napoleone determinano la formazione di un nuovo ceto medio: – funzionari pubblici – ufficiali – insegnanti

• il regime napoleonico (1804–15) riesce a dare un forte impulso all’economia attraverso una serie di riforme: – abolizione dei privilegi feudali – vendita di beni ecclesiastici e demaniali – soppressione delle dogane – programma di opere pubbliche

• l’Italia è penalizzata nel suo processo di sviluppo dalla politica imperiale napoleonica

CULTURA E MENTALITà

• si diffonde l’illusione di un profondo rinnovamento

politico (“triennio giacobino” 1796-99): – patriottismo – uguaglianza – libertà e democrazia • le classi sociali inferiori rimangono estranee alle nuove ideologie • il pubblico è costituito da una minoranza di persone colte • le nuove idee politiche si diffondono attraverso l’attività giornalistica e il teatro

• durante gli anni del regime napoleonico si affermano

nuove forme di propaganda per la creazione del consenso: – cerimonie pubbliche – scuola di Stato – pubblicistica ed editoria • si riconoscono due modelli di intellettuali: – intellettuale “patriota” (che partecipa attivamente alla vita politica e si propone come guida per la rinascita nazionale e civile) – intellettuale “cortigiano” (che celebra i fasti del potere e svolge il ruolo di funzionario all’interno delle istituzioni imperiali)

LINGUA E LETTERATURA

• la letteratura è un’occupazione riservata a pochi • la lingua letteraria segue i princìpi della teoria del Purismo (classicismo trecentesco)

• i generi di maggior diffusione sono quelli della tradizione classica:

POESIA • lirica • poemi didascalici, epici, mitologici • sermoni oraziani • epistole in versi • traduzioni di classici greci e latini

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PROSA • storiografia • orazione • panegirico • romanzo epistolare (l’Ortis di Foscolo) TEATRO • teatro civile (“nazionale” o “patriottico”) • teatro di propaganda napoleonica • tragedie di ispirazione classica

In sintesi

L’età napoLeonica (1795-1815) Verifica interattiva

STRUTTURE POLITIChE, SOCIALI ED ECONOMIChE Il panorama politico italiano cambia radicalmente a partire dal 1796, quando gli eserciti napoleonici impongono la creazione di nuovi organismi statali ispirati al modello francese (le “repubbliche giacobine”). Il colpo di Stato di Napoleone (1799) e la nascita dell’Impero implicano però ben presto la trasformazione delle repubbliche italiane in forme di governo monarchiche (i regni d’Italia, di Napoli e di Sicilia). Il regime napoleonico contribuisce a migliorare le strutture economiche attraverso l’abolizione degli istituti feudali, la vendita di beni ecclesiastici e demaniali, il riordino del sistema fiscale e l’incremento delle opere pubbliche. tuttavia i vantaggi derivanti da queste profonde trasformazioni rimangono in gran parte inaccessibili alla popolazione, poiché l’Italia è considerata alla stregua di un dominio coloniale da sfruttare e deve rispettare le condizioni economiche imposte dall’Impero. In ogni caso, grazie alla modernizzazione della pubblica amministrazione e degli apparati giudiziario, militare e scolastico, si forma per la prima volta in Italia un’ampia classe media costituita da funzionari pubblici, ufficiali e insegnanti.

LE IDEOLOGIE gli anni compresi tra il 1796 e il 1799 sono conosciuti come “triennio giacobino”, poiché sono gli anni in cui si diffonde il progetto di un radicale rinnovamento politico. all’interno di questo movimento si distinguono due tendenze diverse: una democratica e rivoluzionaria, l’altra più moderata e di impostazione liberale. le idee patriottiche circolano soltanto tra i ceti colti, mentre le masse popolari rimangono escluse dal nuovo clima culturale: si crea in questo modo una frattura profonda all’interno del corpo sociale. Il breve periodo di entusiasmo egualitario si esaurisce con l’instaurazione del dominio imperiale sull’Italia e coloro che avevano partecipato attivamente al programma di rinnovamento politico vengono colti da un grande senso di delusione e di frustrazione.

LE ISTITUzIONI CULTURALI la necessità di far circolare le nuove idee libertarie stimola inizialmente un forte incremento dell’attività pubblicistica (giornali, opuscoli, proclami, manifesti politici), oltre che una nuova produzione teatrale (il cosiddetto teatro “nazionale” o “patriottico”). col tempo, però, queste forme di comunicazione diventano strumenti di propaganda del regime napoleonico, che comincia ad esercitare un pesante controllo sulla vita culturale al fine di promuovere il consenso e scoraggiare le critiche. un

ruolo essenziale di propaganda assumono anche le cerimonie pubbliche, la scuola di Stato (creata da Napoleone per la formazione dei nuovi funzionari imperiali) e l’editoria.

GLI INTELLETTUALI Nei primi anni del fervore rivoluzionario gli intellettuali sono investiti di un ruolo sociale determinante, poiché sono responsabili della diffusione delle nuove ideologie democratiche e libertarie e partecipano attivamente alla vita politica dei nuovi Stati italiani. Questa prestigiosa funzione civile viene meno con il consolidarsi del regime napoleonico e la maggior parte degli uomini di cultura si limitano a celebrare i fasti del potere o a svolgere l’incarico di funzionari nella burocrazia, nella scuola o nel giornalismo ufficiale.

LA qUESTIONE DELLA LINGUA Poiché la letteratura in età napoleonica resta un ambito riservato ad un’élite di persone colte, di conseguenza poeti e scrittori fanno uso di una lingua aulica del tutto estranea al parlato comune. Si afferma la teoria linguistica del Purismo, che riprende il modello di Pietro Bembo (1470-1547) basato sulla lingua usata dagli scrittori toscani del trecento (Petrarca e Boccaccio). la tendenza al classicismo linguistico si impone per tutta l’età napoleonica, pur differenziandosi per alcune posizioni più rigorose (antonio cesari) o più moderate (Pietro giordani e Vincenzo Monti).

FORME E GENERI DELLA LETTERATURA la letteratura italiana si caratterizza anche in età napoleonica per il suo perdurante classicismo formale, come dimostra la resistenza di alcuni generi e moduli espressivi ispirati agli autori greci e latini della tradizione. Nella produzione in versi continua ad avere un largo spazio la poesia lirica, alla quale si affiancano poemi e poemetti di tipo epico, mitologico e didascalico, oppure sermoni oraziani ed epistole in versi. anche la tragedia vive un momento di grande vitalità. Nel campo della prosa il genere di maggior rilievo è la storiografia, che raggiunge ottimi risultati con le opere di carlo Botta e di Vincenzo cuoco. alle esigenze della propaganda napoleonica si prestano invece alcuni generi come l’orazione e il panegirico. un’opera di importanza fondamentale può essere considerato l’Ortis di Foscolo, romanzo epistolare che appare molto innovativo dal punto di vista tematico, ma che rientra ancora in pieno nei canoni formali del classicismo.

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Capitolo 1

Neoclassicismo e Preromanticismo in Europa e in Italia Le premesse del Neoclassicismo

Un classicismo archeologico

La bellezza assoluta ed eterna secondo Winckelmann

Nel classicismo dominante in Italia durante l’età napoleonica, anche se il gusto e le forme espressive continuano una tradizione secolare, sono tuttavia ravvisabili elementi nuovi: per questo si è soliti designarlo come Neo-classicismo. Già negli ultimi decenni del Settecento le scoperte archeologiche di Pompei e di Ercolano (statue, affreschi, mosaici, pitture vascolari, monili, suppellettili decorate) avevano sollecitato la curiosità e l’ammirazione per le forme dell’arte classica. Un classicismo archeologico si era diffuso all’interno della letteratura tardo-arcadica, nella predilezione per argomenti mitologici, ma anche nel gusto per raffigurazioni linearmente nitide e armoniose, dal forte rilievo visivo, come nei cammei; ad esse si aggiungeva la morbidezza erotica aggraziata e manierata propria del gusto degli affreschi e dei mosaici antichi, che trovava rispondenza nella galanteria arcadica. Alle scoperte archeologiche si aggiunsero gli studi di arte classica, che suscitarono un vagheggiamento entusiastico della civiltà e della bellezza antiche. D’importanza fondamentale in tal senso furono le opere dell’archeologo tedesco Johann Joachim Winckelmann ( A1, p. 20), attivo anche in Italia. Egli sosteneva che l’arte greca aveva realizzato l’ideale del bello assoluto ed eterno, al di là di tutte le specificazioni contingenti. Essenza di questa bellezza espressa dall’arte classica erano una «nobile semplicità» ed una «calma grandezza» che nascevano dal dominio delle passioni e dall’armonia interiore. Le teorie di Winckelmann fornirono all’estetica neoclassica i princìpi fondamentali: l’arte e la letteratura devono mirare al bello ideale, cioè trasfigurare la realtà contingente in forme perfette, in cui non vi sia nulla di eccessivo, scomposto o grezzo, e in cui il calore delle passioni e dei sentimenti si sublimi in un’armonia pacata di linee, di forme, di suoni.

I vari aspetti del Neoclassicismo Il modello delle repubbliche e degli eroi antichi

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A questo modo di guardare all’antico si aggiunse poi il classicismo rivoluzionario. I protagonisti della Rivoluzione francese vedevano in Atene, Sparta, Roma un modello di vita repubblicana libera, virtuosa, sobria e forte, che volevano far rivivere nel presente; per cui s’identificavano negli eroi antichi e, assumendoli attraverso i ritratti ideali che ne aveva lasciato lo storico greco Plutarco, si atteggiavano e parlavano come essi. Una testimonianza eloquente di questo classicismo giacobino sono i quadri del pittore francese Jacques-Louis David (1748-1825), Il giuramento degli Orazi, Le Sabine arrestano il combattimento tra i Romani e i Sabini, in cui i personaggi sono atteggiati in pose solenni e maestose e in cui, al tempo stesso, la figura umana sembra assumere la durezza levigata e tornita della statua. È un classicismo austero ed eroico che, pur nella comune matrice di una riesumazione archeologica dell’antico, è lontanissimo dalla grazia leziosa del classicismo arcadico.

Capitolo 1· Neoclassicismo e Preromanticismo in Europa e in Italia

Dall’austerità rivoluzionaria alla grandiosità imperiale

Gli influssi neoclassici nell’opera foscoliana

La civiltà greca rivive nell’arte

Questo classicismo rivoluzionario nell’età napoleonica si trasforma in scenografia grandiosa, di parata. Non si celebrano più le virtù repubblicane e libertarie, ma si tende ad assimilare il regime napoleonico alle forme imperiali romane. Questo gusto si manifesta in egual modo nella pittura e nella scultura ufficiali, come nella letteratura intesa a celebrare i fasti del regime (esemplare la poesia del Monti “napoleonico”), e persino nelle arti decorative e nella moda (lo stile impero). Ma al di là del Neoclassicismo scenografico e celebrativo, vi è nell’età napoleonica un Neoclassicismo dalle motivazioni ben più profonde e nuove, che raccoglie quanto vi è di autentico nella lezione winckelmanniana. È il caso di Foscolo, in particolare nelle Grazie ( cap. 2, pp. 144 e ss.): qui l’antico è visto come un mondo di armonia, bellezza, luminosa vitalità e serenità, contrapposto ad un presente inerte, oscuro o peggio imbarbarito; un Eden vagheggiato nostalgicamente, in cui cercare rifugio dai traumi della storia, un’alternativa alle delusioni politiche, al dispotismo e alla ferocia disumana della guerra. Alla base di questo vagheggiamento dell’antico vi è dunque una disposizione d’animo schiettamente romantica. Come osserva giustamente Binni, «la grande poesia delle Grazie, mentre realizzava i principi della poetica neoclassica, li superava romanticamente». E tuttavia per Foscolo l’antico non è un paradiso interamente e definitivamente perduto, che possa essere oggetto solo di una nostalgia sterile e disperata. Per lui la grande civiltà italiana ha raccolto l’eredità di quella greca e ne ha continuato lo spirito e le forme; ed in lui, italiano e greco insieme, «pien del nativo aër sacro», resiste ancora la fiducia di poter far rivivere quelle forme perfette nell’«arcana armonïosa melodia pittrice» dei suoi versi, in modo che la sua poesia agisca con funzione purificatrice sulla feroce barbarie presente, ristabilendo modi di vita più nobili, sereni e umani. Data questa fiducia, la “nostalgia” di Foscolo è ancora in parte al di qua di quella romantica: non è una fuga in una sola direzione, lontano dal presente, ma un movimento complesso di fuga e ritorno (ma vedremo meglio ciò nella lettura delle Grazie, cap. 2, T13, p. 146).

Il Preromanticismo Una nuova sensibilità

Le influenze straniere sulla letteratura italiana

Negli ultimi decenni del Settecento e nei primi dell’Ottocento si riscontrano nella cultura italiana anche tendenze che esteriormente appaiono opposte a quelle neoclassiche. Se il gusto neoclassico, nella letteratura come nelle arti, è caratterizzato dalla compostezza e dalla calma, dalla serenità e dal dominio del mondo passionale, dalla contemplazione di un bello oggettivo, ideale, dall’armonia delle linee e dalla luminosità levigata e nitida delle forme, queste altre tendenze, che si possono riconoscere all’interno stesso delle opere di scrittori neoclassici come Vincenzo Monti ( A7, p. 51), Ippolito Pindemonte e Ugo Foscolo, si manifestano al contrario come esasperazione passionale e soggettiva, concentrazione gelosa sull’io, amore per il primitivo, il barbarico e l’esotico, per atmosfere malinconiche e lugubri, cupe e tenebrose, dominate dall’idea e dalla presenza ossessiva della morte, e, infine, come predilezione per una natura grandiosa e tempestosa, selvaggia e desolata. Simili tendenze penetrano in Italia già a fine Settecento, essenzialmente per suggestione di opere straniere che hanno larga diffusione in Europa e che vengono presto tradotte anche in italiano. Il gusto del sentimentale, quello che i francesi chiamano sensiblerie, cioè attenzione alla vita del cuore, predilezione per la commozione, per le situazioni affettuose e tenere, per il patetico e per le lacrime, è legato soprattutto alla diffusione delle opere di Jean-Jacques Rousseau (1712-78), in particolare del romanzo epistolare Giulia, o la nuova Eloisa ( T2, p. 25). Ma molta influenza ebbero anche i romanzi epistolari di Samuel Richardson (1689-1761), Pamela (1740-42) e Clarissa (1748). A questi si aggiunse il vasto successo del romanzo giovanile di Goethe, anch’esso in forma epistolare, I dolori del giovane Werther (1774, T3, p. 29), noto in Italia già negli anni Ottanta. 17

L’età napoleonica Lo Sturm und Drang e i suoi rappresentanti

Il modello shakespeariano

La poesia “cimiteriale”

I Canti di Ossian

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Il romanzo goethiano scaturisce da un movimento letterario attivo in Germania tra il 1770 e il 1785, lo Sturm und Drang, che costituisce un preannuncio del futuro Romanticismo. Si trattava di un cenacolo di giovani intellettuali inquieti e ribelli, quasi tutti amici del giovane Goethe. Questi è senza dubbio la personalità più significativa del gruppo, anche se in seguito intraprese vie del tutto diverse. Vicino agli Stürmer fu anche il giovane Friedrich Schiller ( A4, p. 38). Tra le opere più significative scaturite da quel clima culturale, oltre al Werther e alla prima redazione del Faust di Goethe, va annoverata infatti anche la tragedia di Schiller intitolata I masnadieri. Un altro rappresentante fu Friedrich Maximilian Klinger (17521831), autore del dramma Sturm und Drang (“Tempesta e impeto”, 1776), da cui trasse la sua denominazione il movimento. Questo era influenzato dal filosofo Johann Gottfried Herder (1744-1803) che, in polemica col razionalismo e con la letteratura del classicismo francese che ad esso s’ispirava, ritenuta arida e artificiosa, esaltava il primigenio spirito tedesco, il “genio” del popolo e la poesia popolare. Motivo dominante dello Sturm und Drang era la passionalità primitiva e selvaggia, un’ansia di libertà assoluta che infrangesse ogni limite segnato dalle leggi o dalle convenzioni sociali; di qui derivava anche il culto del «genio», delle grandi individualità, insofferenti di ogni costrizione. Sul piano letterario ne scaturiva il rifiuto di ogni classicismo, l’insofferenza di ogni regola, ritenuta mortificante, l’idea dell’arte come libera espressione senza freni della genialità individuale. Per questo, in contrapposizione al classicismo francese che aveva a lungo dominato il gusto europeo, dagli Stürmer veniva idolatrato Shakespeare, visto come una sorta di forza della natura che crea istintivamente (a lui guardavano Goethe con la tragedia Goetz von Berlichingen e Schiller con I masnadieri). Dall’Inghilterra si diffuse la moda della poesia “cimiteriale”. Gli esponenti più noti furono Edward Young (1683-1775), autore di Il lamento, o Pensieri notturni (1742-45), una serie di riflessioni in versi sulla morte, e Thomas Gray ( A5, p. 42), autore di una famosa Elegia scritta in un cimitero campestre, in cui si celebra il valore delle esistenze oscure degli umili sepolti in un cimitero di campagna ( T5, p. 42). Questo tipo di poesia ebbe diffusione in Italia: ne risentì Ippolito Pindemonte (1753-1828), che aveva avviato la composizione di un poemetto sui Cimiteri, in ottave, quando la lettura dei Sepolcri di Foscolo lo dissuase dal continuare; ed essendo il carme foscoliano diretto in forma di epistola in versi proprio a lui, riprese l’argomento come risposta ai versi dell’amico. Alla poesia cimiteriale si collegano, sia pur nei modi problematici che vedremo, i Sepolcri di Foscolo (cap. 2, T12, p. 121). Fama europea ebbero anche i Canti di Ossian: si tratta di poemetti in prosa lirica, pubblicati a partire dal 1761 dallo scozzese James Macpherson ( A6, p. 47), come traduzioni dei poemi dell’antico bardo celtico Ossian, del III secolo d.C.; in realtà si trattava di un abile falso che rielaborava motivi di antichi canti popolari, inserendoli in una struttura epica opera di Macpherson stesso ( T6, p. 47). Vi si mescolano l’esaltazione della virtù guerriera e cavalleresca, secondo il mito rousseauiano della bontà originaria dell’uomo primitivo, le storie degli amori appassionati e del destino infelice di alcune coppie di amanti, descrizioni di paesaggi cupi, desolati, di atmosfere tempestose, di visioni notturne e spettrali. L’opera incontrò un entusiastico successo e fu subito tradotta in Italia da Melchiorre Cesarotti nel 1763 (in edizione accresciuta nel 1771). Ossian fu equiparato ad Omero, un Omero nordico, cupo e tenebroso.

Capitolo 1· Neoclassicismo e Preromanticismo in Europa e in Italia

Problematicità del concetto di Preromanticismo

I sintomi di una nuova visione del mondo

Validità storiografica della nozione di Preromanticismo

Per tutte queste manifestazioni culturali che abbiamo elencato si suole parlare di Preromanticismo, poiché i loro aspetti salienti si ritroveranno poi, nei primi decenni dell’Ottocento, nella letteratura romantica. Il concetto e il termine sono stati contestati, in quanto impoverirebbero la nozione di Romanticismo, che possiede ben altra ricchezza e complessità; di conseguenza tali manifestazioni sono state viste come fenomeni ancora del tutto interni alla cultura dell’Illuminismo (Petronio). In realtà le tendenze esaminate non tollerano di essere ridotte entro quei confini: esse sono indubbiamente già i sintomi di una visione del mondo e di una sensibilità nuove; sono infatti, a fine Settecento, il riflesso delle inquietudini di un’età che avverte come sia ormai prossimo a crollare un ordine secolare, non solo nelle sue strutture politiche, sociali, economiche, ma anche in quelle culturali. Nella seconda metà del Settecento siamo sulla soglia di due grandi rivoluzioni, che sconvolgeranno dalle radici tutto l’assetto europeo: l’una politica, quella francese, l’altra economica, quella industriale, che dall’Inghilterra si diffonderà per tutta l’Europa nel corso dell’Ottocento. Il Romanticismo sarà appunto il frutto culturale maturo di questi sconvolgimenti rivoluzionari. La nozione di Preromanticismo ha dunque una sua validità storiografica, purché si dia rilievo caratterizzante al prefisso pre: le tendenze esaminate sono, cioè, indizi, sintomi, che pre-annunciano ciò che maturerà in seguito.

Le radici comuni

La complementarità dei due movimenti

La fuga dalla realtà

Neoclassicismo e Preromanticismo, nelle caratteristiche che li individuano, appaiono tendenze culturali tra loro antitetiche e a prima vista inconciliabili. Eppure esse si trovano compresenti negli stessi anni, entro la personalità di uno stesso scrittore, addirittura, a volte, all’interno della stessa opera. Lo si è già verificato, per la generazione di fine Settecento, in Alfieri; lo verificheremo ancora in Monti e soprattutto in Foscolo ( cap. 2, pp. 64 e ss.). Si pensi solo al fatto che Foscolo è autore di un romanzo “wertheriano”, l’Ortis, caratterizzato da un’esasperata veemenza passionale, dalla concentrazione sull’io, dalla presenza ossessiva della morte, ma è anche l’autore del capolavoro supremo del Neoclassicismo italiano, Le Grazie. In realtà, Neoclassicismo e Preromanticismo sono fenomeni diversi che scaturiscono da una stessa radice, manifestazioni complementari di una stessa crisi di fondo. Una crisi che si presenta in due fasi storiche: in una prima fase, durante gli anni Settanta-Ottanta del Settecento, la crisi dell’ancien régime, nonché del riformismo illuministico che era stato l’estremo tentativo di salvarlo, introducendo il nuovo per conservare le strutture dello Stato e della società dell’assolutismo; poi, negli anni napoleonici, quella delle illusioni rivoluzionarie, delle speranze in una rigenerazione totale del mondo. In entrambi questi momenti si riscontrano sul piano culturale contraccolpi omologhi, per cui scrittori dell’età napoleonica seguono percorsi spirituali già seguiti decenni prima da scrittori che avevano attraversato la crisi dell’Illuminismo: delusione, distacco dall’attivo impegno civile, rifiuto della storia, fuga in un altrove diverso dal presente e più autentico (Cerruti). E in entrambi questi momenti si affacciano insieme tendenze classicheggianti e tendenze preromantiche. Entrambe vanno allora viste come la ricerca di un’alternativa all’esistente che delude: per il Neoclassicismo (nelle sue tendenze più autentiche, non in quelle semplicemente retoriche, accademiche e decorative) l’alternativa è l’ideale della bellezza e dell’armonia, lontano dagli orrori e dagli scacchi della storia; per il Preromanticismo, sono le profondità dell’io, la natura sentita in termini di comunione con la vita del soggetto, il primitivo come sede di autenticità vitale. Non conta tanto, dunque, la diversa direzione della fuga, quanto il bisogno che ne sta alla base, comune alle due tendenze. 19

L’età napoleonica

A1

Johann Joachim Winckelmann

Il viaggio a Roma

Arte Winckelmann e Mengs

La Storia dell’arte nell’antichità

T1

La vita e le opere Nato a Stendal, in Prussia, nel 1717, morì a Trieste nel 1768. Di umili origini, seguì studi filosofici e letterari nelle Università di Halle e di Jena ed approfondì in seguito lo studio della letteratura e dell’arte classica. Nel 1755 pubblicò i Pensieri sull’imitazione delle opere greche nella pittura e nella scultura. Grazie alla protezione del nunzio apostolico a Dresda, nel 1755 poté recarsi a Roma per studiare direttamente quei capolavori dell’arte classica di cui era entusiasta e in cui vedeva realizzato il suo ideale di una bellezza assoluta ed eterna. A Roma strinse amicizia con il pittore boemo Anton Raphaël Mengs, che condivideva il suo amore per l’arte classica e che seguì le sue teorie nella pratica pittorica. Fu al servizio del cardinale Albani, mecenate e collezionista d’arte antica, e poté così studiare le grandi collezioni d’arte romane. Tra il 1757 e il 1758 visitò Ercolano e Pompei, di cui era iniziata da pochi anni la riscoperta archeologica, e si spinse fino a Paestum, dei cui monumenti sottolineò per primo l’importanza. Nel 1763 pubblicò la Storia dell’arte nell’antichità. Nel 1764 fu nominato sovrintendente alle antichità di Roma. Di ritorno da un viaggio in Germania e in Austria (dove era stato ricevuto con grandi onori dall’imperatrice Maria Teresa), fu assassinato in una locanda di Trieste, per oscuri motivi. Fu il massimo teorico del gusto neoclassico. Le sue teorie e le sue interpretazioni dell’arte classica ebbero vasta risonanza e grande influenza sulla cultura europea tra il Settecento e l’Ottocento.

Johann Joachim Winckelmann

La statua di Apollo: il mondo antico come paradiso perduto

Temi chiave

• la bellezza ideale • ammirazione e nostalgia nei confronti dell’arte classica

da Storia dell’arte nell’antichità Il passo è una descrizione della statua dell’Apollo del Belvedere, nei Musei Vaticani.

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La statua di Apollo1 rappresenta il più alto ideale artistico fra tutte le opere dell’antichità sfuggite alla distruzione. L’artista ha creato questa opera assolutamente secondo l’ideale, servendosi della materia solo per quel tanto che gli era necessario a realizzare e rendere visibile il suo proposito2. Questa statua di Apollo supera tutte le altre immagini del dio di tanto, di quanto l’Apollo di Omero3 si eleva al di sopra di quello descrittoci dai poeti venuti dopo di lui. Il suo corpo si eleva al di sopra di quello umano e la sua posa rivela la grandezza che lo pervade. Una primavera perenne, come nel beato Elisio4, riveste di amabile giovinezza la sua matura affascinante virilità e aleggia con grazia delicata sulla superba struttura delle sue membra. Penetra con il tuo spirito nel regno delle bellezze incorporee e cerca di farti creatore di una natura celeste, perché il tuo spirito possa inebriarsi di bellezze superiori alla natura umana: là, o lettore, nulla vi è che sia mortale o schiavo dei bisogni umani. Non una

1. La statua di Apollo: copia romana di un originale greco in bronzo forse del IV seco­ lo a.C. 2. secondo l’ideale … proposito: la statua

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rappresenta il bello ideale; il marmo è solo il supporto materiale che serve a rendere sen­ sibile tale bellezza. 3. Apollo di Omero: l’Apollo irato, di cui Ome­

ro parla nel canto I dell’Iliade. 4. Elisio: era la zona dell’aldilà pagano in cui stavano i beati.

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vena, non un nervo, eccitano ed agitano questo corpo, ma uno spirito celestiale che vi si riversa come un fiume tranquillo quasi ricolma tutta la superficie di questa figura. Egli ha inseguito Pitone5 contro il quale per primo ha teso l’arco ed ora con il suo passo potente l’ha raggiunto ed ucciso. Dall’alto del suo spirito soddisfatto il suo sguardo va al di là e al di sopra della sua vittoria, verso l’infinito: disprezzo v’è sulle sue labbra e l’ira che egli trattiene tende le sue narici e sale fino alla fronte altera. Ma qui, la pace che vi aleggia beata e quieta non ne viene turbata e il suo sguardo è colmo di dolcezza, come tra le Muse6 che si protendono per avvolgerlo nel loro abbraccio. In tutte le altre immagini del padre degli dèi7 che ci rimangono e che l’arte onora, egli non si accosta a quella grandezza con la quale si svelò alla mente del divino poeta8 e che riappare qui nel volto del figlio9, mentre i singoli attributi di bellezza degli altri dèi si fondono qui in armonia come in Pandora10. […] La sua morbida chioma, mossa da uno zeffiro11 delicato, come i tralci dell’uva nobile si attorcigliano delicati e flessibili, gioca attorno a questa testa divina e sembra cosparsa del balsamo degli dèi12 e legata sul capo dalle Grazie con amabile eleganza. Al cospetto di questa meravigliosa opera d’arte dimendimentico ogni altra cosa e mi elevo al di sopra di me stesso per contemplarla come le si conviene. Il mio petto sembra tendersi e sollevarsi di venerazione come quelquello che vedo tendersi ricolmo dello spirito di vaticinio13, e mi sento come trasportato a Delo e nei sacri boboschetti della Licia14, in quei luoghi che Apollo rendeva sacri con la sua presenza: ché questa mia immagine sembra ricevere vita e movimento come la bellezza di Pigmalione15, come è mai possibile ritrarla e descriverla? L’arte stessa dovrebbe darmi consiglio e guidarmi la mano per portare a compimento, di qui in poi, i primi tratti che ora ho abbozzato. L’idea che ho dato di questa immagine io la depongo ora ai suoi piedi, come le corone16 di coloro che non potevano raggiungere le teste degli dèi che vovolevano incoronare. J. J. Winckelmann, Storia dell’arte nell’antichità, trad. it. di M. L. Pampaloni, Boringhieri, Torino 1961

Apollo del Belvedere, copia romana in marmo del 130­140 d.C. di un originale greco in bronzo del 300 a.C. circa, attribuito allo scultore Leocare, Città del Vaticano, Musei Vaticani, Museo Pio Clementino.

5. Pitone: mostruoso serpente che, secon­ do il mito, infestava la Focide, finché fu ucci­ so da Apollo presso Delfi. 6. Muse: Apollo era anche il dio della poe­ sia; le Muse costituivano il suo seguito. 7. padre degli dèi: Giove. 8. divino poeta: Omero. 9. figlio: Apollo. 10. Pandora: nella mitologia greca era la

prima donna, inviata come punizione agli uomini, a cui Prometeo aveva donato il fuo­ co, sottraendolo a Giove. Tutti gli dèi la ador­ narono delle migliori qualità (donde il suo nome, che significa “ricca di doni”). 11. zeffiro: vento primaverile. 12. balsamo degli dèi: l’ambrosia. 13. vaticinio: Apollo era anche il dio degli oracoli e delle profezie.

14. Delo … Licia: l’isola di Delo e la Licia in Asia Minore, luoghi sacri ad Apollo. 15. Pigmalione: mitico re di Cipro. S’inna­ morò di una statua, da lui stesso scolpita, che raffigurava una donna; invocò allora Afrodite, che infuse la vita nella statua. 16. corone: corone votive date dai Greci in offerta agli dèi.

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L’età napoleonica

Analisi del testo

Il bello ideale

Le passioni Il culto dell’antico

In questo passo si possono individuare alcuni aspetti centrali delle teorie di Winckelmann e del suo modo di porsi di fronte al mondo antico (che sarà poi partecipato dalla cultura neoclassica). • La statua greca è una manifestazione sensibile del bello ideale: una bellezza assoluta, che è al di là di ogni determinazione materiale. La realtà umana vi è trasfigurata, liberata da tutti i suoi limiti contingenti. • La bellezza è nobiltà e grandezza, nelle forme e negli atteggiamenti, ma è anche grazia nitida di linee. • La bellezza ideale non esclude l’intensità delle passioni (la statua raffigura Apollo irato che ha appena ucciso il nemico), ma questa è trascesa in una superiore calma e compostezza. • L’atteggiamento di Winckelmann verso il mondo classico, rappresentato concretamente di fronte a lui dalla statua, è di religiosa adorazione, come dinanzi ad una manifestazione dell’assoluto, del divino: nella contemplazione l’individuo si sublima al di sopra di se stesso, si sottrae alla realtà contingente. È un atteggiamento che si potrebbe definire mistico: il rapporto con l’antico diviene una sorta di estasi. Al tempo stesso vi si coglie uno slancio di struggente nostalgia, che induce il contemplante a fuggire dal presente e ad immergersi in quel mondo lontano, sentito come un paradiso perduto. È una disposizione sentimentale che appartiene già, embrionalmente, alla sfera romantica.

Esercitare le competenze ComPreNdere

> 1. Per quale motivo l’autore cita Omero? > 2. Quali effetti provoca nell’animo dell’autore la contemplazione dell’opera? ANALIzzAre

> 3. Descrivi le caratteristiche del «regno delle bellezze incorporee» (r. 10). > 4. Stile Individua nel brano la figura dell’apostrofe: a chi è rivolta? > 5. Stile Dopo aver sottolineato nel brano le similitudini, spiegane la funzione. APProfoNdIre e INTerPreTAre

> 6.

Scrivere Prendendo spunto dal brano, svolgi un commento di circa 10 righe (500 caratteri) sul ruolo dell’arte e della poesia nella concezione neoclassica, spiegando in che modo esse possano rappresentare una via di fuga dal presente. PASSATo e PreSeNTe I classici oggi

> 7. Che cos’è oggi «classico»? Quale accezione di significato assume tale termine? Chi sono oggi i classici e che cosa rappresentano? Discutine in classe con l’insegnante e i compagni.

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Capitolo 1· Neoclassicismo e Preromanticismo in Europa e in Italia

A2

L’amicizia con gli enciclopedisti

Il Discorso sull’origine dell’ineguaglianza

La rottura con Diderot, Voltaire e d’Alembert

La nuova Eloisa

Emilio

Il contratto sociale

Jean-Jacques rousseau Jean-Jacques Rousseau nacque nel 1712 in una famiglia calvinista a Ginevra, figlio di un modesto artigiano. Questi, costretto a fuggire per una rissa, lo affidò a uno zio, da cui Rousseau si allontanò a sedici anni per recarsi in Savoia e poi a Torino, ospite di Madame de Warens, che, dopo averlo convinto a convertirsi al cattolicesimo, diventerà la sua amante. Abbandonata la sua protettrice, si trasferì a Lione e poi, nel 1742, a Parigi, dove esercitò diversi mestieri, tra cui quello di copista di testi musicali (un interesse da cui nacque nel 1743 una Dissertazione sulla musica moderna). Riconvertitosi al calvinismo, convisse con una cucitrice, Thérèse Lavasseur, da cui avrà cinque figli, che mise all’orfanotrofio. Nel 1748 conobbe Madame d’Epinay, che diventerà la sua nuova amante. Dopo aver stretto rapporti di amicizia con Diderot e Condillac, frequentò il gruppo dell’Enciclopedia, per la quale scrisse gli articoli sulla musica. Nel 1750 vinse un concorso bandito dall’accademia di Digione con il Discorso sulle scienze e sulle arti che suscitò polemiche, in quanto negava che le scienze e le arti fossero un fattore di civiltà e di progresso dei costumi. Nel 1755 pubblicò ancora sull’Enciclopedia l’articolo dedicato all’Economia politica e, in volume, una delle sue opere più significative, il Discorso sull’origine dell’ineguaglianza tra gli uomini, in cui si pronunciava contro la proprietà privata, alla base di quella civiltà che, secondo lui, ha corrotto gli uomini, destinati invece dalla natura a essere liberi. Intanto la rottura con Diderot e gli illuministi lo portò a polemizzare con Voltaire, a cui indirizzava la Lettera sulla provvidenza (1756), e con d’Alembert, a cui si rivolgeva con la Lettera sugli spettacoli (1758). In seguito si ritirò in campagna presso Montmorency, sino a quando, perseguitato per le sue opere, evitò l’arresto fuggendo in Inghilterra, dove venne ospitato dal filosofo Hume (1766). Incrinatosi ben presto anche questo rapporto, Rousseau tornò in Francia, continuando a scrivere e a copiare testi di musica per vivere (nel 1767 era uscito un suo Dizionario di musica). Per un’improvvisa malattia morì nel 1778.

La vita e le prime opere

Le ultime opere Agli ultimi vent’anni della sua vita è dedicata la stesura delle opere che, insieme con il già ricordato Discorso sull’origine dell’ineguaglianza, meglio rappresentano la sua attività di pensatore e di artista, divisa tra la fede illuministica nella ragione e una forte propensione per l’espressione dei sentimenti, che fa di lui uno dei precursori della imminente sensibilità romantica. A un gusto ormai preromantico si può infatti ricondurre il romanzo epistolare La nuova Eloisa (1760; più esattamente Giulia, o la nuova Eloisa), storia di una passione contrastata e infelice fra il precettore Saint-Preux e la sua allieva Julie d’Étange, costretta dal padre a sposare un uomo che non ama. Divenuta madre, Julie morirà dopo aver salvato uno dei due figli che era caduto nel lago, chiedendo a Saint-Preux di occuparsi della loro educazione. Questa tematica stava particolarmente a cuore a Rousseau, che le dedicherà un lungo trattato pedagogico in forma narrativa, Emilio, o dell’educazione (1762), che mira a favorire la libera maturazione dell’individuo all’interno della società; una società che, pur essendo destinata alla corruzione e lontana dalla vita felice della natura, deve tendere comunque a migliorare le proprie istituzioni, per rendere più vivibile la condizione dell’uomo. In questo senso, nel Contratto sociale, pubblicato nel medesimo anno dell’Emilio, Rousseau si schiererà a favore di una forma di governo democratico, rispettoso dei diritti dei cittadini.

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L’età napoleonica Le Confessioni

Elementi preromantici

Nel 1764 iniziava la stesura delle Confessioni, testo cardine della moderna autobiografia. L’essersi soffermato sui particolari all’apparenza più insignificanti della propria vita, che poté sembrare un limite dell’opera, servì a Rousseau per scandagliarne anche le componenti più scomode e oscure, in uno scavo profondo che, indagando le manifestazioni del sentimento, metteva a nudo, attraverso la memoria, le ragioni dell’io. Sono questi gli stati d’animo che Rousseau lascerà in eredità ai romantici, insieme con quell’amore per la natura che ispirerà il gusto paesaggistico delle Fantasticherie del viaggiatore solitario, divise in una serie di «passeggiate» (la decima rimarrà incompiuta per il sopraggiungere della morte) in cui si alternano la confessione e la riflessione. Non vanno dimenticati infine, per la propensione a guardare dentro di sé e a redigere il bilancio della propria esistenza, i dialoghi pubblicati con il titolo Rousseau giudice di Jean-Jacques. Tutte queste opere uscirono postume. Giulia, o la nuova Eloisa La Nuova Eloisa è un romanzo epistolare ( Il romanzo

Il contrasto tra convenzioni sociali e sentimento

epistolare, p. 32) cominciato da Rousseau nel 1756 e pubblicato nel 1761. Ebbe uno straordinario successo ed esercitò una vasta influenza in campo europeo. Tema centrale del romanzo è il conflitto tra l’artificiosità delle convenzioni sociali e la spontaneità del cuore e del sentimento, ma vi si concentrano molti altri motivi della riflessione di Rousseau ( T2, p. 25). Il titolo allude al fatto che le vicende narrate sono simili a quelle del filosofo medievale Abelardo, che aveva intrecciato una relazione con la sua allieva Eloisa, incontrando la dura opposizione del padre della fanciulla.

L’opera

Giulia, o la nuova eloisa di Jean­Jacques Rousseau Julie, unica figlia del barone d’Étange, si innamora, riamata, del suo precettore, Saint-Preux, borghese e non ricco. I due giovani obbediscono alla “natura”, alle inclinazioni del sentimento e del desiderio. Il padre però si oppone al matrimonio, per la diversità delle condizioni sociali. I due innamorati si separano. Julie accetta di sposare l’anziano signore di Wolmar, Saint-Preux viaggia a lungo in Francia e in paesi lontani. Il signore di Wolmar, saggio e distaccato, che conosce i sentimenti dei due giovani, ma confida che il tempo li abbia ormati sublimato, chiama Saint-Preux come precettore dei propri figli. Julie muore per aver salvato uno dei figlioletti caduti nel lago di Ginevra (sulle cui rive si svolge la vicenda). Prima di morire, confessa in una lettera a Saint-Preux di non aver mai cessato di amarlo e lo prega di occuparsi dell’educazione dei bambini. Nicolas­André Monsiau, Giulia e Saint-Preux, 1777, incisione di Jean­Michel Moreau e Nicolas de Launy da Giulia, o la nuova Eloisa di Jean­Jacques Rousseau, Parigi, Bibliothèque des Arts Décoratifs.

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Capitolo 1· Neoclassicismo e Preromanticismo in Europa e in Italia

T2

Jean-Jacques rousseau

L’anima sensibile, la società, la natura da Giulia, o la nuova Eloisa

Temi chiave

• la “sensibilità” come condanna all’infelicità

• il conflitto tra intellettuale e società • un amore impossibile • la corrispondenza tra l’io e la natura

Il passo che riportiamo si colloca all’inizio della vicenda. Spaventati alla prima rivelazione del loro amore, i due giovani si sono separati. Ma Saint-Preux si stabilisce sulla sponda opposta del lago, da dove può vedere il luogo in cui vive Julie.

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Come è cambiato il mio stato in pochi giorni! Quante amarezze si mescolano alla dolcezza di avvicinarmi a voi! Quante tristi riflessioni mi assediano! Quante traversie mi fanno temere i miei timori! O Giulia, che fatale dono del cielo è un’anima sensibile! Colui che l’ha ricevuto non deve aspettarsi che pene e dolori sulla terra. Vile trastullo dell’aria e delle stagioni, il sole o le nebbie, il cielo coperto o sereno regoleranno la sua sorte, e sarà lieto o triste secondo i venti. Vittima dei pregiudizi, troverà in massime assurde un invincibile ostacolo ai giusti voti1 del suo cuore. Gli uomini lo castigheranno perché ha rette opinioni su ogni cosa, e perché ne giudica secondo verità e non secondo convenzioni. Basterebbe da solo a fare la propria infelicità, abbandonandosi senza discrezione alle divine attrattive dell’onesto e del bello, mentre le pesanti catene della necessità lo legano all’ignobiltà. Cercherà la suprema felicità senza ricordarsi che è un uomo: il cuore e la ragione saranno eternamente in guerra in lui, desideri sterminati gli prepareranno eterne privazioni. Questa è la crudele situazione in cui mi tengono il destino che m’opprime, i sentimenti che mi innalzano, e tuo padre che mi disprezza, e tu che sei l’incanto e il tormento della mia vita. Senza di te, fatale bellezza! non avrei mai provato l’intollerabile contrasto di grandezza in fondo all’anima e di bassezza nella fortuna; sarei vissuto tranquillo e morto contento, senza degnarmi di notare il rango da me occupato sulla terra. Ma averti vista e non poterti possedere, adorarti e non essere che un uomo! essere amato e non poter essere felice! abitare i medesimi luoghi e non poter vivere insieme! O Giulia cui non posso rinunciare! O destino che non posso vincere! che orrende battaglie scatenate in me, senza mai poter superare i miei desideri e la mia impotenza! Strano e inconcepibile effetto! Da quando mi sono riavvicinato a voi, non volgo in me che pensieri funesti. Forse il soggiorno che abito contribuisce a tanta malinconia; è triste e orribile, ma così è tanto più conforme allo stato dell’anima mia, non potrei abitarne uno più piacevole con altrettanta pazienza. Una fila di sterili rocce cinge il pendio e la mia abitazione, resa anche più tremenda dall’inverno. Ah! Giulia, sento che se dovessi rinunciare a voi non ci sarebbe per me né altro soggiorno né altra stagione. Nei violenti trasporti che mi agitano non riesco a star fermo; corro, m’inerpico2 con ardore, mi slancio sugli scogli; percorro a grandi passi tutti i dintorni, e dappertutto trovo nelle cose l’orrore che regna dentro di me. Non c’è più traccia di verde, l’erba è gialla e inaridita, gli alberi spogli, i venti boreali3 accumulano neve e ghiacci, tutta la natura è morta ai miei occhi, come la speranza in fondo al mio cuore. Tra le rocce di questo pendio ho scoperto in un rifugio solitario una breve spianata da dove si scorge tutta la felice città che abitate. Figuratevi con che avidità portai gli occhi su quell’amato soggiorno. Il primo giorno feci mille sforzi per discernere la vostra casa;

1. voti: desideri, aspirazioni. 2. m’inerpico: mi arrampico faticosamente

aiutandomi con mani e piedi. 3. boreali: che provengono da Nord, quindi freddi.

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ma la grande distanza li rese vani, m’accorsi che l’immaginazione mia illudeva gli occhi affaticati. Corsi dal curato a farmi prestare un telescopio col quale vidi o mi parve di vedere la vostra casa, e da allora passo intere giornate in questo asilo4 contemplando i muri fortunati che racchiudono la sorgente della mia vita. Nonostante la stagione ci vengo già la mattina e non me ne vado che a notte. Con un fuocherello di foglie e di qualche ramo secco e con il moto riesco a proteggermi dal freddo eccessivo. Mi sono così innamorato di questo luogo selvaggio che ci porto persino penna e carta, ora sto scrivendo questa lettera su un macigno che il gelo ha staccato dalla rupe vicina. Qui, o Giulia, il tuo infelice amante gode gli estremi piaceri che forse potrà gustare al mondo. Di qui, attraverso l’aria e i muri, ardisce penetrare segretamente fino nella tua camera. J.-J. Rousseau, Giulia, o la nuova Eloisa, parte I, lettera XXVI, trad. it. di P. Bianconi, vol. I, Rizzoli, Milano 1964

4. asilo: rifugio.

Analisi del testo

> La “sensibilità”

La sensibilità come privilegio e condanna

Il conflitto intellettualesocietà

L’amore impossibile

L’io e la natura

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Saint-Preux afferma che chi ha l’«anima sensibile» non può aspettarsi che pene e dolori sulla terra. Deve scontrarsi con i pregiudizi e le convenzioni sociali, che oppongono ostacoli invincibili ai moti spontanei del suo «cuore», dettati dalla natura; ed è perseguitato dagli altri uomini, perché non segue le convenzioni dominanti. È un perfetto compendio della nozione rousseauiana di sensiblerie (sensibilità): l’essenza della superiorità delle anime elette è il «cuore», la capacità di sentire intensamente. Ma c’è anche altro: c’è l’idea che le anime più elevate, capaci di una vita interiore più ricca e profonda, siano di necessità infelici. Avere una sensibilità più acuta è da un lato un privilegio, dall’altro una condanna che isola dalla società e provoca sofferenza. È facile vedere come l’«anima sensibile» per eccellenza sia l’intellettuale, l’artista: e difatti Saint-Preux, che scrive queste parole, è appunto un giovane intellettuale. Vediamo così delinearsi, nella Nuova Eloisa, quel conflitto tra l’intellettuale e la società che sarà poi basilare nella cultura dell’Otto e Novecento, e che vedremo ben presto ripreso e sviluppato nel Werther e nell’Ortis. Nel romanzo rousseauiano il conflitto è ancora tra l’intellettuale di nascita borghese ed un mondo aristocratico chiuso nei suoi pregiudizi, e si manifesta come conflitto tra la “naturalità” del sentimento e le convenzioni della società nobiliare che la soffocano. Più avanti nel tempo (già nel Werther, p. 29) il conflitto sarà tra l’intellettuale e la classe borghese stessa, e sarà un conflitto tra spirito artistico, senso del bello disinteressato, passionalità spontanea da un lato, razionalità calcolatrice ed utilitaristica dall’altro.

> Insoddisfazione e tormento interiore

Il privilegio spirituale dell’anima sensibile si manifesta nel sentimento d’amore. Ma il raggiungimento dell’oggetto del desiderio è impossibile. In questa esclusione dalla soddisfazione del sentimento si proietta il senso di esclusione dell’intellettuale dalla società, il suo senso di impotenza, l’impossibilità di raggiungere quella collocazione che sente di meritare: la frustrazione sociale si traduce simbolicamente in frustrazione sentimentale. Anche questo motivo tornerà nel Werther e nell’Ortis. Emerge chiaramente una corrispondenza tra l’io e la natura: il paesaggio diviene la proiezione dello stato d’animo del soggetto. Inoltre l’inquietudine interiore si traduce nel movimento esteriore dell’eroe, che manifesta la sua violenta passionalità aggirandosi febbrile ed instancabile nella natura desolata. È un altro motivo che tornerà nel Werther e nell’Ortis.

Capitolo 1· Neoclassicismo e Preromanticismo in Europa e in Italia

Esercitare le competenze ComPreNdere

> 1. È possibile affermare che soprattutto la prima parte del brano (rr. 1-22) sia improntata a una certa tragicità? Motiva la tua risposta.

ANALIzzAre

> 2. Analizza la descrizione del paesaggio (rr. 23-47) e spiega in che modo gli elementi della natura rispecchiano lo stato d’animo del protagonista. > 3. Individua nel testo i riferimenti a categorie quali il divino, l’onesto, il bello. > 4. Stile Individua nel testo tutte le caratteristiche tipiche del romanzo epistolare. > 5. Stile Seppure in traduzione, il brano presenta elementi che rendono efficacemente il tono veemente e appassionato del discorso di Saint-Preux: quali? Motiva la tua risposta. APProfoNdIre e INTerPreTAre

> 6.

Testi a confronto: esporre oralmente Scriverà in pieno Romanticismo il celebre compositore e pianista polacco (naturalizzato francese) Fryderyk Chopin (1810-49):

In ogni opera mi tormento diabolicamente, ma la facilità di creare, dato che non la possiedo, non potrai darmela, né insegnarmela tu. All’artista accade con la creazione come a voi con il parto…[…]. Io partorisco molto dolorosamente. Mi pare di avere in mente l’idea bell’e pronta, ma quando scrivo vedo che ho lasciato molti buchi. E questa idea non è così, e quest’altra sulla carta appare diversa, tanto che mi assale la disperazione. Poi il ritornarvi su è un martirio. […] Infine tutto l’insieme si ricompone come un mosaico. Tu pensi che quella sia la meta fortunata? Macché! Prima di finirlo compiutamente, mi aspettano ancora una crudele perdita di tempo, un profondo turbamento, molte lacrime e notti insonni. F. Chopin, Due lettere a Delfina Potocka, trad. it. di C. Agosti Garosci, Rizzoli, Milano 1955

Quale concezione dell’arte emerge dal passo? E quali analogie con il brano analizzato presenta? Rispondi in non più di 5 minuti.

A3 Gli studi e la formazione intellettuale

Testi Goethe • Natura, popolo, fanciullezza e arte • Il primo incontro con Lotte • Werther respinto dal mondo aristocratico • Il pellegrinaggio sui luoghi dell’infanzia • Werther e Lotte: verso il suicidio da I dolori del giovane Werther

Incarichi ufficiali e iniziative culturali

Johann Wolfgang Goethe Nacque nella libera città di Francoforte nel 1749, da famiglia dell’alta borghesia. Compì studi giuridici a Lipsia e Strasburgo, ma si immerse anche in studi esoterici, alchemici e cabalistici e si interessò al panteismo di Giordano Bruno. Negli anni giovanili subì inoltre l’influenza del filosofo Herder, che suscitò in lui l’interesse per Shakespeare, Ossian, per l’arte gotica medievale, per la poesia popolare. Fu vicino al movimento dello Sturm und Drang e al suo individualismo titanico ( p. 18). Ne sono esempio la tragedia Goetz von Berlichingen (1771), dedicata ad una figura eccezionale, un condottiero dell’età della riforma, ed il romanzo epistolare I dolori del giovane Werther (1774), che esprime l’impossibilità, per un’anima elevata, d’inserirsi nella mediocrità del mondo borghese ( T3, p. 29). A quest’epoca giovanile, di inquieta ricerca, risale anche la prima stesura del Faust, ancora vicina allo spirito sturmeriano e destinata a subire lunghe e complesse elaborazioni negli anni successivi. Il giovanile periodo sturmeriano

Weimar e l’approdo al classicismo Nel 1775, a ventisei anni, fu chiamato nella cittadina di Weimar, capitale di un piccolo ducato, come precettore del giovane duca. Qui Goethe trascorrerà la sua vita, ricoprendo l’incarico di consigliere segreto del duca, e trasformerà la cittadina in una capitale della cultura, ospitandovi grandi personalità come Herder e Schiller, con il quale strinse una fraterna amicizia, cementata

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L’età napoleonica

Il viaggio in Italia

Dalla passionalità romantica all’equilibrato classicismo Il Wilhelm Meister e Le affinità elettive

Il compimento del Faust e Poesia e verità Gli studi scientifici

anche dalla comunanza di ideali artistici. Il primo periodo weimariano, sino al 1786, vede ancora il persistere della tensione romantica giovanile. Risale a quest’epoca la prima redazione del Meister, romanzo “di formazione” che verrà ripreso in seguito. Nel 1786 si verifica una svolta fondamentale nell’esperienza intellettuale di Goethe: compie quel viaggio in Italia che tanto aveva vagheggiato. L’Italia significa per lui la bellezza serena e solare del mondo classico. L’esperienza verrà narrata quarant’anni dopo nel Viaggio in Italia, sulla base di diari e lettere dell’epoca. Il viaggio in Italia segna il passaggio dal titanismo passionale del periodo giovanile ad un ideale di misura intellettuale e sentimentale, “olimpica” e classica. Ne è tipica espressione il dramma Ifigenia in Tauride (1787), in cui domina l’ideale dell’umanesimo, che s’incarna nella missione armonizzatrice e civilizzatrice che è chiamata a compiere la donna, simbolo della poesia. In questo periodo si collocano anche i grandi romanzi goethiani, Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister (1797), ripresa e rielaborazione dell’abbozzo giovanile, Le affinità elettive (1809) e Gli anni di pellegrinaggio di Wilhelm Meister (1829). Il Meister è il prototipo del romanzo “di formazione” del giovane che, attraverso le sue molteplici esperienze, giunge ad un maturo e consapevole inserimento nella società, ad un equilibrio tra le proprie esigenze individuali e quelle della collettività ( Il romanzo di formazione, p. 291). Paragonato coll’infelice e sradicato Werther, Wilhelm Meister dà la misura della svolta compiuta dalla visione goethiana del mondo. Nel 1808 Goethe pubblica la redazione definitiva della prima parte del Faust, e negli anni successivi continua a lavorare alla seconda parte, portandola a compimento nel 1831, a pochi mesi dalla morte. In questo periodo compone anche l’autobiografia Poesia e verità (1809-14 e poi 1830) e il già ricordato Viaggio in Italia. Oltre all’attività letteraria, coltiva gli studi scientifici, scrivendo una Teoria dei colori e una Morfologia, in cui espone la teoria che la molteplicità delle forme reali deriva da una forma originaria, attraverso una serie di metamorfosi. La poetica Nella sua lunga esistenza (morì, infatti, nel 1832 a Weimar, all’età di ot-

Un’eredità letteraria e di pensiero

Testi Goethe • Canto notturno del viandante dalle Poesie

tantatré anni) Goethe sperimentò tutti i generi, dalla lirica alla tragedia al romanzo, lasciando in ognuno di essi un’impronta incancellabile, ed attraversò tutte le esperienze spirituali di un periodo centrale della storia culturale moderna. Comprese la grande portata innovativa del Romanticismo, ma nei confronti di esso conservò un olimpico distacco. Egualmente comprese che la Rivoluzione francese avrebbe iniziato una fase nuova della storia, ma anche verso di essa ebbe un atteggiamento distaccato, a differenza della maggioranza degli scrittori del periodo, che assunsero posizioni appassionatamente favorevoli o contrarie. In questo, pur avendo vissuto la molteplicità di tensioni dello spirito moderno, Goethe si rivela un tipico esponente della società aristocratica del passato.

Johann Heinrich Wilhelm Tischbein, Goethe nella campagna romana, 1787, olio su tela, Francoforte sul Meno (Germania), Städelsches Kunstinstitut.

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Capitolo 1· Neoclassicismo e Preromanticismo in Europa e in Italia

T3

Johann Wolfgang Goethe

Temi chiave

L’artista e il borghese

• il suicidio come scelta eroica di libertà • la razionalità borghese contrapposta alla passione dell’artista

da I dolori del giovane Werther Werther ha chiesto in prestito all’amico Albert le sue pistole. Il giovane gli comunica che, per prudenza, le tiene sempre scariche.

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Egli1 è un uomo così scrupoloso! quando crede di aver detto qualche cosa di precipitato, di generico, di approssimativo, non cessa più di limitare, di modificare, di aggiungere, di levare, finché di tutto quello che ha detto non rimane più nulla. Ed anche durante il nostro discorso non finiva più di chiacchierare: io già non lo stavo più ad ascoltare, stavo dietro ai grilli che avevo per la testa e con un gesto impetuoso d’un tratto mi piantai la bocca della pistola sulla fronte, sopra l’occhio destro. – Ma no! – disse Alberto tirandomi giù la pistola, – che fai? – Se non è carica, – dissi io. – Non importa, perché fai così? – rispose spazientito. – Non riesco a capire come un uomo possa essere così insensato da uccidersi; il solo pensiero mi fa andare in bestia. – Chi sa perché voialtri uomini, – esclamai, – quando parlate di una cosa dovete subito dire: questo è insensato, questo è accorto, questo è bene, questo è male! Che vuol dire? Forse che con ciò avete penetrato gli intimi motivi di un’azione? Potete sviluppare con chiarezza le cause per cui è avvenuta; perché è dovuta avvenire? Se lo aveste fatto, non sareste così pronti a sputare le vostre sentenze. – Mi concederai, – rispose Alberto, – che certe azioni rimangono colpevoli qualunque sia il motivo per cui sono state compiute. Scossi le spalle dandogli ragione. – Eppure, mio caro, – continuai, – anche qui ci sono le eccezioni. È vero, il furto è un delitto; ma l’uomo che ruba per salvare se stesso ed i suoi da un’imminente morte di fame, merita d’essere punito o compatito? Chi osa scagliare la prima pietra contro il marito che in un momento giustificato di ira sacrifica la moglie infedele ed il suo indegno seduttore? Contro la fanciulla che in un’ora piena di ardore si perde nelle irresistibili gioie dell’amore? Persino la nostra legge, i più frigidi pedanti, si commuovono e perdonano. – Ma questo è un caso tutto diverso, – rispose Alberto, – perché un uomo che si lascia trasportare dalle sue passioni, perde ogni facoltà di giudizio e viene considerato come un ubriaco, come un pazzo.

1. Egli: Albert.

L’opera

I dolori del giovane Werther di Johann Wolfgang Goethe Il romanzo, attraverso le lettere indirizzate dal protagonista stesso ad un amico, narra l’amore impossibile e infelice di Werther per Lotte, già promessa ad un altro giovane, Albert. Werther si allontana, trovando impiego al servizio di un ministro in un’altra città. Ma è impossibile

per lui adattarsi a quell’ambiente e alle sue convenzioni, e ritorna presso Lotte. Leggendo con lei una sua traduzione da Ossian, capisce che Lotte, che ha ormai sposato Albert, lo ama. Disperato, poco dopo si uccide.

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– Oh gente ragionevole! – esclamai sorridendo. – Passione! Ebbrezza! Pazzia! State lì tutti tranquilli, indifferenti, voialtri uomini morali! Biasimate colui che beve, esecrate2 colui che ha perduto il senno, passate per la vostra strada come lo scriba e ringraziate Iddio come il fariseo che non vi ha fatti simili a costoro3. Sono stato ubriaco più di una volta, le mie passioni non sono mai state molto lontane dalla pazzia, eppure non me ne pento: poiché nel mio piccolo sono riuscito a comprendere che tutti gli uomini straordinari i quali hanno compiuto qualche cosa di grande, qualche cosa che varcava i limiti delle nostre normali possibilità, sono sempre stati diffamati come ubriachi e come pazzi. Ed anche nella vita quotidiana, è una cosa insopportabile sentir gridare dietro a chiunque abbia compiuto un’azione anche solo relativamente ardita, nobile ed inconsueta: quell’uomo è ubriaco, quell’uomo è pazzo! Vergognatevi, gente sobria! Vergognatevi, gente saggia! – Questi sono i tuoi soliti grilli, – disse Alberto, – tu esageri sempre, ed almeno qui mi sembra che tu abbia torto, poiché consideri il suicidio, che è l’argomento di cui si parlava, come una grande azione: mentre invece non lo si può giudicare niente altro che una debolezza. Senza dubbio è più facile morire che sopportare coraggiosamente una vita tormentata. Stavo per interrompere il discorso; giacché non c’è nulla che mi faccia perdere la calma come vedere venire avanti uno con un luogo comune insignificante, quando io parlo col cuore in mano. Tuttavia mi rimisi subito perché quella frase l’avevo già sentita spesso e spesso m’aveva fatto arrabbiare, e gli ribattei con una certa vivacità: – Tu lo chiami debolezza? Ti prego, non lasciarti ingannare dalle apparenze. Un popolo che languisce sotto il giogo insopportabile di un tiranno, merita d’essere chiamato debole se alla fine insorge e infrange le sue catene? Un uomo, che per lo spavento di vedere il fuoco distruggere la sua casa, sente tutte le proprie forze moltiplicarsi e con facilità trasporta pesi che in condizioni normali potrebbe appena sollevare; uno che per il furore d’essere stato offeso combatte contro sei nemici e li vince, può essere chiamato debole? E, mio caro, se un eccesso fisico viene considerato come una forza, perché non lo sarà anche l’eccesso dei sentimenti4? – Alberto mi guardò e disse: – Non te ne avere a male; ma gli esempi che hai citato mi pare che siano completamente fuori posto. – Può essere, – dissi. – Mi è già stato spesso rimproverato che le mie associazioni d’idee raggiungono talvolta il delirio. W. Goethe, I dolori del giovane Werther, trad. it. di A. Spaini, Einaudi, Torino 1963

2. esecrate: condannate. 3. ringraziate … costoro: allude alla para­ bola evangelica (Luca, 18, 9­14). 4. forza … sentimenti: Werther vuole af­

fermare che il sentimento non è sintomo di debolezza, ma di forza e di eroismo. È un atteggiamento eroico, perché con esso ci si ribella ad una condizione di infelicità e si

conquista la libertà. A questo alludono i pa­ ragoni, che possono sembrare incongrui e che Albert non capisce.

Analisi del testo

> ragione e sentimento

Si fronteggiano in questo episodio due personaggi antitetici, ciascuno emblematico di una certa collocazione sociale e ideologica. Albert è il borghese, l’uomo normale, solido, razionale, positivo, anche se limitato; Werther è l’artista, l’uomo eccezionale, il genio, tutto fantasia e cuore, insofferente delle convenzioni sociali, delle idee correnti, delle norme accettate. Emerge dunque in piena luce, in questo episodio, quel conflitto dell’artista borghese con la sua classe che già era possibile cogliere in potenza nei passi precedenti.

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Capitolo 1· Neoclassicismo e Preromanticismo in Europa e in Italia Inconciliabilità tra razionalità borghese ed ebbrezza artistica

La borghesia ha come valore supremo la razionalità e condanna come pazzia o ebbrezza tutto ciò che esce dalla norma. Nella forza irrazionale del sentimento vede qualcosa di eversivo, di pericoloso per l’assetto morale e sociale vigente. L’artista, al contrario, esalta la forza della passione e vi scorge una manifestazione di grandezza d’animo e di nobiltà spirituale, che si oppone al gretto buon senso borghese; e proprio dalla forza del sentimento ritiene che nasca l’arte, la poesia, che quindi gli appare incompatibile con il sistema dei valori borghesi.

> Il suicidio titanico

La morte come scelta eroica di libertà

L’oggetto della discussione è il suicidio. Si capisce di qui come il pensiero della morte nasca in Werther non appena si profila la figura di Albert fra lui e Lotte. Per Albert, che ragiona in obbedienza al senso comune, il suicidio è segno di debolezza, l’ammissione dell’incapacità di sopportare coraggiosamente una vita tormentata. La risposta di Werther a prima vista non sembra volta a confutare l’asserzione di Albert, e questi, sempre con la sua pacata razionalità, glielo fa osservare. In realtà un legame si può scorgere: per Werther il suicidio, lungi dall’essere manifestazione di debolezza, testimonia la forza dell’uomo oppresso dall’infelicità della vita, che uccidendosi trova l’unico modo per ribellarsi a quel giogo insopportabile, come il popolo che insorge contro il tiranno, o chi lotta contro il fuoco o contro numerosi nemici. Il presupposto è che la vita è male, oppressione, inevitabile scontro con forze ostili e schiaccianti. Per questo il suicidio, in quanto rifiuto e rivolta, è manifestazione di una grandezza d’animo titanica. L’esempio antitirannico rivela il legame del romanzo goethiano con il clima del contemporaneo Sturm und Drang (che ispira anche la ribellione alla società del protagonista dei Masnadieri di Schiller, T4, p. 39). Sono posizioni che negli stessi anni in Italia si possono riconoscere nel giovane Alfieri, autore del trattato Della tirannide (1777), e che in un sonetto del 1786 scriverà: «Uom, se’ tu grande o vil? Muori, e il saprai».

Esercitare le competenze ComPreNdere

> 1. Riassumi in circa 10 righe (500 caratteri) le due opposte posizioni assunte da Werther e Albert a proposito del suicidio.

ANALIzzAre

> 2. > 3.

Individua e spiega le similitudini presenti nel brano. Analizza il linguaggio usato dai due personaggi (presenza di interrogative retoriche, esclamazioni, iperboli ecc.), individua le differenze e infine spiega quali aspetti della personalità rivelano. Stile Stile

APProfoNdIre e INTerPreTAre

> 4.

esporre oralmente Analizza l’esempio alle righe 19-21 riferito al marito tradito e spiega perché oggi l’azione che vi è espressa è giustamente punita come un grave reato, diversamente dal passato (max 5 minuti). > 5. Scrivere Descrivi in circa 10 righe (500 caratteri) il ruolo dell’artista e dell’intellettuale verso la fine del Settecento, partendo dallaa distinzione tra gli «uomini straordinari» e gli «uomini morali» proposta da Goethe nel brano letto. PASSATo e PreSeNTe L’anticonformismo oggi

> 6. Come giudichi l’atteggiamento anticonformista e ribelle di Werther? Ritieni che al giorno d’oggi le critiche mosse da questi personaggi contro le convenzioni della società siano ancora valide? Motiva la tua risposta e confrontala con quella dei compagni in una discussione in classe.

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microsaggio

Il romanzo epistolare

La pluralità di punti di vista e la confessione intima

Il coinvolgimento del pubblico

Il romanzo epistolare e il sentimentalismo

Il romanzo epistolare è una forma narrativa che ha avuto larga diffusione nel Settecento, sopravvivendo ancora per parte dell’Ottocento. Viene definito “epistolare” perché la narrazione delle vicende si compone attraverso la raccolta di una serie di lettere dei protagonisti stessi. Talora vi può anche essere l’intervento esplicativo, o di raccordo narrativo, di colui che, nella finzione narrativa, ha raccolto il carteggio, o del destinatario delle lettere (così ad esempio avviene nella parte finale del Werther e dell’Ortis). Si possono distinguere due tipi di strutture del romanzo epistolare: 1. la narrazione si costruisce attraverso lo scambio di lettere di più personaggi. Così avviene nella Pamela (1740-42) e nella Clarissa (1748) di Richardson, nella Nuova Eloisa (1761) di Rousseau, nei Legami pericolosi (1782) di Laclos; 2. la narrazione risulta dalle lettere del solo protagonista. In questa forma si presentano il Werther e l’Ortis. Nel primo caso si ha una molteplicità di punti di vista: uno stesso fatto, una stessa persona possono essere descritti più volte da angolature differenti, a seconda del carattere o della disposizione psicologica di chi scrive la lettera. Nel secondo caso la lettera tende a diventare un diario intimo: il destinatario si riduce ad entità del tutto convenzionale e il testo non è che un monologo del protagonista che si esplora e parla solo a se stesso. Questa forma pertanto preannuncia già l’esaurimento del genere epistolare ed apre la strada al romanzo-confessione, in prima persona. Caratteristiche comuni a tutte le forme del romanzo epistolare sono: – i narratori sono i personaggi stessi. Non vi è la voce di un anonimo narratore onnisciente che presenti sistematicamente i fatti dall’esterno e dall’alto; – la narrazione è di fatto al presente. I personaggi raccontano le loro vicende o descrivono i propri sentimenti nel momento in cui li vivono (o comunque a brevissima distanza, “a caldo”). Il futuro è ancora sconosciuto, del tutto aperto. Da ciò scaturiscono conseguenze importanti. Il lettore vive l’azione nel momento in cui la vive il personaggio: non c’è quel “senno di poi”, quel distacco critico consentito dalla narrazione di eventi passati, già conclusi. Ciò dà maggior immediatezza drammatica e consente di seguire nel suo farsi l’oscillare dello stato d’animo del personaggio, la linea a volte tortuosa dei suoi processi interiori. Inoltre, poiché la lettera si suppone scritta sotto la spinta dell’emozione viva, come registrazione diretta ed immediata dei moti del cuore, il romanzo epistolare è la forma più adatta per poter esprimere il sentimentalismo, quella forma particolare di sensibilità che è propria della cultura settecentesca. Si assiste cioè, nel caso di Clarissa, della Nuova Eloisa, del Werther, ad una perfetta corrispondenza tra la materia e la forma narrativa. Il discorso vale anche per l’Ortis, in termini un po’ differenti: in questo caso la lettera è lo strumento più adatto per esprimere la passionalità veemente del protagonista, amorosa e politica, nel suo stato nascente. Sul romanzo epistolare raccomandiamo uno studio molto intelligente e chiaro: J. Rousset, Una forma letteraria: il romanzo epistolare, in Forma e significato, trad. it. di F. Giacone, Einaudi, Torino 1976.

Francis Hayman, Robert Lovelace si prepara a rapire Clarissa Harlowe, 1753, olio su tela, da Clarissa di Samuel Richardson, Southampton (Inghilterra), Southampton City Art Gallery.

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Capitolo 1· Neoclassicismo e Preromanticismo in Europa e in Italia

La voce del Novecento

“diversità” dell’intellettuale, “normalità” del borghese: mann riprende temi del Werther di Goethe Si è osservato nell’analisi del T3 ( p. 30) che il Werther coglie con straordinaria preveggenza un nodo problematico centrale in tutta l’esperienza culturale della modernità, il conflitto tra l’artista borghese e la sua classe di provenienza. Uno degli scrittori del Novecento in cui questo motivo assume maggior rilievo è Thomas Mann (1875-1955), non a caso tedesco come Goethe, a lui legato da profondi vincoli di devozione, testimoniati da saggi e romanzi dedicati alla sua figura, e, non ultimo fattore, artista proveniente anch’egli da una solida borghesia mercantile. L’opera in cui il motivo emerge forse con maggiore evidenza è il romanzo breve Tonio Kröger (1903), uno dei capolavori dello scrittore. Riportiamo un passo sull’amicizia infantile di Tonio Kröger per un compagno di scuola, Hans Hansen, e l’episodio, collocato al termine del romanzo, in cui il protagonista, in un albergo danese dove si ferma a soggiornare, durante una festa crede di riconoscere in due giovani del luogo Hans e Ingeborg, la fanciulla amata negli anni lontani, che ai suoi occhi sono l’emblema di una mediocrità normale e “sana”.

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A) Lo amava in primo luogo perché era bello; poi perché in tutto appariva il contrario e l’opposto di quel che era lui. Hans Hansen era uno scolaro eccellente e inoltre un giovane vivace che cavalcava, faceva ginnastica, nuotava come un campione e godeva della simpatia generale. Gli insegnanti lo vedevano di buon occhio, quasi con affetto, lo chiamavano per nome e lo favorivano in tutti i modi, i compagni miravano alle sue grazie e per la strada signori e signore lo fermavano e prendendolo per il ciuffo di capelli biondo-rafia, che spuntava da sotto il berretto danese alla marinara, gli dicevano: «Buon giorno a te, Hans Hansen, e al tuo grazioso ciuffo! Sei ancora il primo della classe? Saluta papà e mamma, ragazzo mio…» Così era Hans Hansen, e Tonio Kröger, da quando lo conosceva, provava struggimento, scorgendolo, uno struggimento invidioso, radicato in petto e ardente. Poter avere occhi tanto azzurri, pensava, e far una vita tanto ordinata e di felice comunione con tutti, come te! Sei sempre occupato in maniera onorata e in generale rispettata. Terminati i compiti, vai a scuola di equitazione o lavori con la sega da traforo1, e persino nelle vacanze, al mare, sei assorbito dalla voga2, dalla vela e dal nuoto, mentre io, ozioso e smarrito, me ne sto disteso sulla sabbia a fissare le espressioni misteriosamente cangianti che guizzano sulla faccia del mare. Ecco perché i tuoi occhi son tanto limpidi. Essere come te… Non ci provò a divenire come Hans Hanse, e forse tale desiderio non l’aveva mai neppure seriamente covato. Ma agognava d’essere amato da lui così com’era, cercando di ottenerne l’affetto a modo suo, un modo tardo e intimo, pieno d’abnegazione, sofferente e malinconico, ma d’una malinconia che può rodere più profonda e più struggente di qualsiasi slancio repentino ci si sarebbe potuti aspettare dal suo sembiante esotico3.

1. traforo: scatola di strumenti per la­ vori di piccola falegnameria, con cui si

divertivano i ragazzi. 2. voga: il remare in barca.

3. sembiante esotico: Tonio è bruno, ha ereditato i tratti della madre italiana.

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Ma non desiderò del tutto invano, in quanto Hans, il quale del resto stimava in lui una certa superiorità, una facilità di parola che rendeva Tonio capace d’esprimere cose difficili, percepì quel sentimento vivido, tanto forte e delicato, se ne dimostrò grato, procurandogli, con la sua condiscendenza, un po’ di felicità, ma pure qualche pena per gelosia, per delusione, per fatica sprecata a stabilire una comunanza spirituale. Perché la cosa strana era che Tonio, pur invidiando Hans Hansen per la sua maniera di vivere, s’adoperava continuamente d’attirarlo verso la propria4, riuscendovi al massimo per istanti, e pure in questo caso solo apparentemente… «Ho letto da poco qualcosa di stupendo, di grandioso…» disse lui. Camminando mangiavano, da un cartoccio, delle caramelle di frutta comprate per dieci pfennig5 dal bottegaio Iwersen nella Mühlenstrasse. «Lo devi leggere, Hans, si tratta del Don Carlos6 di Schiller… Te lo presto, se vuoi…» «Ma no,» disse Hans Hansen, «lascia correre, Tonio, non è roba per me. Io, sai, continuo a leggere i miei libri di cavalli. Delle gran belle illustrazioni ci son dentro, te lo dico io. Se vieni da me, una volta, te le mostro.» […] B) Sì, c’erano anche loro, i due che la mattina erano passati davanti a Tonio Kröger alla luce del sole, li rivide e rabbrividì di gioia scorgendoli quasi nello stesso momento. Vicinissimo a lui, subito alla porta, c’era Hans Hansen7; a gambe divaricate, piegato in avanti, stava mangiandosi, pian piano, una grossa fetta di torta, tenendo il cavo della mano sotto il mento per raccogliere le briciole. E là, alla parete, era seduta Ingeborg Holm, la bionda Inge, e l’avventizio8 stava appunto dimenandosi attorno a lei per invitarla, con un inchino manierato, eseguito ponendo una mano alla schiena e infilandosi graziosamente l’altra in petto; ma Inge scosse il capo facendo capire d’essere trafelata e di voler un po’ riposare, e l’avventizio allora le si sedette accanto.

4. la propria: cioè verso gli interessi letterari. 5. pfennig: sono i centesimi del marco, la moneta tedesca. 6. Don Carlos: la tragedia del dramma­ turgo e poeta tedesco Friedrich Schiller

(1759­1805, A4, p. 38), risalente al 1787, che tratta del conflitto fra il re di Spa­ gna Filippo II e il figlio Carlos, da lui infi­ ne mandato a morte. 7. Hans Hansen: in realtà è un giovane in cui a Tonio sembra di rivedere l’ami­

co d’infanzia, così come la fanciulla che l’accompagna gli ricorda l’amata Inge­ borg. 8. l’avventizio: un impiegato appena assunto alle poste.

L’opera

Tonio Kröger di Thomas Mann Il protagonista, Tonio, figlio di un ricco e rispettabile borghese di una città mercantile del Nord della Germania, sin dalla fanciullezza appare diverso dagli altri ragazzi del suo ambiente sociale: è un sognatore, suona il violino, scrive versi, è insomma un artista in germe, in un mondo tutto dedito ad attività pratiche, estraneo all’arte e pieno di diffidenza verso di essa, come verso qualcosa di ambiguo e disdicevole. Il fatto è, però, che in Tonio convivono due anime opposte. Egli stesso giudica «imprudente e in verità sconveniente scrivere versi» e dà ragione a tutti coloro che lo considerano «un’occupazione singolare». Per questo soffre intimamente del dissidio tra le due anime, è pieno di sensi di colpa per la propria diversità e di nostalgia per la normalità tranquilla e mediocre degli altri. Per tale motivo

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ama il compagno di scuola Hans Hansen, che è l’opposto di quanto è lui, fa ginnastica, nuota, cavalca, gode della simpatia generale, non scrive poesie e non legge se non libri di equitazione. Questa “normalità” borghese si compendia in una cifra fisica, i capelli biondi e gli occhi azzurri, per Tonio che invece è bruno come la madre italiana. Tonio, divenuto adulto, si allontana dalla città natale e si consacra alla letteratura. L’episodio centrale del romanzo è il dialogo di Tonio, ormai oltre la trentina, con l’amica pittrice russa Lisaveta, in cui l’eroe conduce una lucida e spietata analisi di se stesso, confessando il proprio rapporto problematico con la professione di scrittore. Tonio vede chiaramente come l’esercizio letterario, condotto con estremo rigore, lo impoverisca umanamente, chiudendolo

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Tonio Kröger li guardò, i due per i quali nel passato aveva sofferto l’amore… Hans e Ingeborg. Erano loro non tanto in virtù delle singole caratteristiche e della similitudine dell’abbigliamento, quanto invece in forza della somiglianza alla razza e alla specie, a quel tipo chiaro dagli occhi azzurro acciaio e dai capelli biondi che suscita un’idea di purezza, inalterabilità, serenità, e di ritrosaggine9 intangibile al tempo stesso orgogliosa e semplice… Li guardò, guardò Hans Hansen, ardito e ben formato come non mai, largo di spalle e snello ai fianchi, con il vestito alla marinara, guardò Ingeborg, in una certa maniera spavalda, gettare a lato, ridendo, la testa, portare, in una certa maniera, la mano alla nuca, una mano da ragazzina non particolarmente affusolata, non particolarmente graziosa, così che il velo bianco della manica le scivolò giù dal gomito, e di colpo la nostalgia gli scosse il petto con un tal dolore che involontariamente indietreggiò, perché non gli si vedesse la contrazione del volto. Vi avevo dimenticati? si domandò. No, mai! Né te, Hans, e neppure te, bionda Inge! Voi eravate coloro per cui ho lavorato, e quando sentivo un applauso, mi guardavo furtivamente attorno per vedere se anche voi c’eravate… Lo hai poi letto il Don Carlos Hans Hansen, come mi avevi promesso al cancello del vostro giardino? Non lo fare! Non lo esigo più da te. Che te ne importa del re che piange, perché è solo? Non render cupi e imbambolati i tuoi occhi chiari, ostinandoti in versi e malinconia… Essere come te! Ricominciare daccapo, crescere simile a te, leale, allegro e semplice, secondo norma e regola, d’accordo con Dio e il mondo, essere amato da innocenti e felici, prendere in moglie te, Ingeborg Holm, e avere un figlio come te, Hans Hansen… e libero dalla maledizione della conoscenza e del tormento creativo, vivere, amare e lodare in beata mediocrità!… Ricominciare un’altra volta? Ma non servirebbe a niente. […] Ora la musica taceva; c’era l’intervallo e vennero offerti i rinfreschi. L’avventizio correva in giro con un vassoio pieno d’insalata d’aringhe e serviva personalmente le signore: davanti a Ingeborg Holm si piegò persino su un ginocchio per porgerle la coppetta, e lei ne arrossì di gioia. Si stava cominciando, nella sala, a rivolger l’attenzione allo spettatore sotto la vetrata, cui pervenivano da visi graziosi e accaldati, sguardi estranei e scrutanti; ciò nonostante se ne restò al suo posto. Anche Ingeborg e Hans lo sfiorarono, quasi contemporaneamente, con gli occhi, con quella indifferenza totale che quasi sembra disprezzo. All’improvviso però si

9. ritrosaggine: carattere ritroso, riservato.

in un gelido estetismo. Per questo Tonio continua ad avvertire quel tremendo senso di colpa per essere un artista, che lo aveva tormentato sin dalla fanciullezza. L’amica pittrice obietta alle tesi di Tonio Kroger ricordandogli «l’effetto purificatore e santificante della letteratura, la distruzione delle passioni per mezzo di conoscenza e di parola», ma Tonio risponde sottolineando il «disgusto della conoscenza»: la conoscenza genera «l’apatia, l’indifferenza e la stanchezza ironica verso ogni verità». Qui avviene però una svolta nel discorso del personaggio, che proclama: «Io amo la vita»; e per lui la vita è «il normale»; in lui, come già avveniva nell’infanzia nei confronti dei compagni di scuola, vi è una struggente, malinconica nostalgia per per le «delizie della mediocrità», per quelli «dagli occhi azzurri […]

che non hanno bisogno dello spirito!…». Nei ricevimenti si sente «felice e grato di poter sparire per un po’ tra gente ingenua e normale come un lor pari». Come si vede, l’artista borghese, col suo senso di colpa per essere “diverso”, sente la letteratura come malattia e per questo guarda alla normalità e alla mediocrità borghesi, da cui proviene ma da cui si è staccato, come a una sorta di antidoto per guarire, per ritrovare salute e innocenza. Per ritrovare questa normalità e questa innocenza Tonio torna allora nella città natale, poi si spinge ancora più a Nord, in Danimarca, un paese che gli sembra concentrare in sé l’essenza di ciò che cerca. Per lui il Sud, l’Italia, rappresentano simbolicamente l’arte e la bellezza che corrompono, il Nord la “salute” borghese.

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rese conto che da qualche posto uno sguardo lo stava fissando… Volse il capo e i suoi occhi s’incontrarono subito con quelli di cui aveva sentito il contatto. Non lontano c’era una ragazza dal viso pallido, affilato e grazioso, che lui aveva notato già prima. Non aveva ballato molto, i cavalieri non s’erano occupati di lei in modo particolare, ed egli l’aveva vista star seduta alla parete, sola e con le labbra arcignamente serrate. Anche adesso era sola. Portava un abito chiaro e vaporoso, come le altre, ma sotto la stoffa diafana, trasparivano le spalle nude, appuntite e misere, e il collo era piantato così in basso tra quelle spalle meschine, che la ragazza pareva quasi un po’ deforme. Le mani ricoperte di mezzi guanti sottili, le teneva davanti al seno piatto, così che le punte delle dita si sfioravano. La testa piegata, guardava Tonio Kröger dal basso in alto con i suoi occhi scuri e offuscati. Lui si voltò… Hans e Ingeborg gli stavan seduti vicinissimo. Egli le si era messo accanto quasi fosse sua sorella, e circondati da altri ragazzi dalle guance rosse, mangiavano, bevevano, chiacchieravano, si divertivano e si prendevano in giro […]. Era inebriato dalla festa, pur non avendovi partecipato, e stanco per la gelosia. Come prima, tutto come prima! Con il volto accaldato se n’era stato in un angolo oscuro, addolorato per voi, voi biondi, felici, fortunati, andandosene poi solitario. Ma doveva ben venire qualcuno! Ingeborg doveva venire, doveva notare che lui era lontano, doveva seguirlo furtivamente, mettergli una mano sulla spalla e dirgli: vieni dentro da noi! Sii felice! Ti amo… Ma non venne affatto. Cose simili non accadono. Sì, era come allora, e come allora era felice. Perché il suo cuore viveva. Ma che accadde durante tutto quel tempo in cui stava diventando quanto adesso era?… Irrigidimento; desolazione; ghiaccio; e ingegno! E arte!… Si spogliò, si coricò e spense la luce. Due nomi mormorava nel cuscino, quel paio di sillabe caste e nordiche che gli rivelavano il suo vero e primo modo di amare, soffrire ed essere felice, la vita, il sentimento semplice e intimo, il paese nativo! Guardò indietro negli anni da allora fino a quel giorno. Pensò alle sfrenate avventure dei sensi, dei nervi e del pensiero da lui stesso vissute, si vide corroso da ironia e spirito, devastato e paralizzato dalla conoscenza, semiestenuato dalle febbri e dai brividi della creazione, gettato qua e là senza sostegno e in preda a crisi di coscienza tra estremi crassi10, tra santità e concupiscenza, smaliziato, impoverito, estenuato da esaltazioni frigide e acquisite artificialmente, smarrito, disfatto, torturato, malato… e singhiozzò di dolore e di nostalgia. Intorno c’era buio e silenzio. Ma da sotto risonava smorzato e cullante, su verso di lui, il dolce e grossolano valzer della vita. T. Mann, Tonio Kröger, trad. it. di S. T. Villari, Garzanti, Milano 1965

10. crassi: grossolani.

Analisi del testo Il conflitto artista-borghesia ai primi del Novecento

L’arte ha estinto la passione

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> L’artista decadente

Si può scorgere facilmente in queste pagine come il problema di fondo del romanzo manniano sia sempre quello intuito con geniale preveggenza da Goethe nel Werther, il conflitto tra l’artista e il mondo borghese. Ma ora, ai primi del Novecento, dopo che la civiltà borghese ha conosciuto sviluppi straordinari con l’avvento dell’industrialismo e della società di massa, che hanno acuito sempre più il disagio dell’intellettuale, il conflitto si è fatto estremamente più complesso. Goethe vedeva già chiaramente come l’artista fosse destinato ad essere sconfitto dal mondo borghese, ma lo celebrava ancora, in contrapposizione a quel mondo, come depositario del valore della passione e del sentimento contro la fredda razionalità calcolatrice, che paralizzava e immeschiniva la ricchezza della vita. Mann delinea invece la figura dell’artista decadente, in cui quegli slanci si sono estenuati, esauriti, e in cui l’esercizio sempre più raffinato dell’arte ha estinto la passione, spegnendo la capacità di provare sentimenti e generando solo un cerebrale, gelido estetismo.

Capitolo 1· Neoclassicismo e Preromanticismo in Europa e in Italia

> L’arte come malattia

Un bisogno di integrazione

Se per il Goethe del 1774 (l’anno del Werther), già romanticamente, era la razionalità borghese a paralizzare la vita, ora per Mann, nel 1903, è l’arte a raggelare i sentimenti: i rapporti si sono invertiti. Se per Werther l’arte offriva il riscatto dell’autenticità contro l’atmosfera soffocante della sua classe, rappresentata da Albert, per Tonio Kröger costituisce la malattia, la corruzione, l’impoverimento vitale. E proprio per questo mentre Werther, spinto dalla sua passionalità estrema, si contrapponeva frontalmente al mondo borghese, sino a distruggersi nello scontro, Tonio Kröger sente invece la nostalgia della mediocre normalità e un bisogno di integrazione, per quanto impossibile. Un bisogno che peraltro non era del tutto assente in Werther, benché prevalessero in lui le forze che lo spingevano al conflitto: il giovane artista era attratto da Lotte proprio perché rappresentava la confortante, idillica normalità borghese; per cui Hans e Ingeborg, nel romanzo di Mann, riprendono e sviluppano, in fondo, la funzione che era già di Albert e Lotte.

Esercitare le competenze ComPreNdere

> 1. Proponi una sintesi per ognuno dei blocchi narrativi di cui si compone il brano B. ANALIzzAre

> 2. Confronta i ritratti di Hans Hansen da ragazzo (brano A) e da adulto (brano B): quali tratti comuni presentano? > 3. Descrivi le figure femminili presenti nel brano B: qual è la loro funzione in rapporto a Tonio e all’episodio? > 4. Narratologia Definisci, in base ai due testi, la posizione della voce narrante. > 5. Lessico Analizza il passo «Pensò alle sfrenate avventure dei sensi, […] e singhiozzò di dolore e di nostalgia» (rr. 102-107) e commenta, in relazione al contenuto, tutte le definizioni attribuite a Tonio.

APProfoNdIre e INTerPreTAre

> 6.

Testi a confronto: esporre oralmente Il romanzo L’amico ritrovato di Fred Uhlman (1901-85), pubblicato nel 1971 e ispirato alla vita dell’autore, racconta l’amicizia tra un ragazzo ebreo, Hans Schwarz, la voce narrante, e il coetaneo tedesco Konradin von Hohenfels: a causa delle leggi antisemitiche – siamo nella Germania nazista – Hans fuggirà negli Stati Uniti e “ritroverà” l’amico soltanto a conclusione della Seconda guerra mondiale. Nel passo di seguito riportato, tratto dal primo capitolo, è descritto l’incontro fra i due, al liceo.

Entrò nella mia vita nel febbraio del 1932 per non uscirne più. Da allora è passato più di un quarto di secolo, più di novemila giorni tediosi e senza scopo, che l’assenza della speranza ha reso tutti ugualmente vuoti – giorni e anni, molti dei quali morti come le foglie secche su un albero inaridito. Ricordo il giorno e l’ora in cui il mio sguardo si posò per la prima volta sul ragazzo che doveva diventare la fonte della mia più grande felicità e della mia più totale disperazione. […] Lo fissammo come se fosse stato un fantasma. Più ancora del portamento pieno di sicurezza, dell’aria aristocratica, del sorriso appena accennato e vagamente altezzoso, ciò che mi colpì – con me anche gli altri – fu la sua eleganza. Per quanto riguardava l’abbigliamento, infatti, io e i miei compagni costituivamo una congrega ben squallida. […] Ma il ragazzo che ci stava davanti era diverso. I pantaloni lunghi che portava erano di ottimo taglio e perfettamente stirati, ben diversi dai nostri confezionati in serie. L’abito dall’aria costosa era ricavato in un tessuto grigio chiaro a spina di pesce, di sicura fabbricazione inglese. La camicia azzurra e la cravatta blu a pallini bianchi facevano apparire le nostre, per contrasto, sporche, unte e sdrucite. Anche se ogni tentativo di eleganza costituiva ai nostri occhi un segno di effeminatezza, non potemmo impedirci di provare invidia nei confronti di quella figura, che trasudava agio e distinzione. […] I nostri sguardi erano fissi sul nuovo venuto che se ne stava immobile e composto, senza mostrare alcun segno di nervosismo o di timidezza. In un certo senso sembrava più vecchio e più maturo di noi, tanto da farci dubitare che si trattasse solo di un futuro allievo. Non saremmo rimasti sorpresi se fosse sparito altrettanto in silenzio e misteriosamente di com’era arrivato. F. Uhlman, L’amico ritrovato, trad. it. di M. Castagnone, Feltrinelli, Milano 2004

Quali particolari della figura di Konradin affascinano Hans? Perché, a tuo parere, l’età dell’adolescenza, registra esperienze di amicizia così intense e determinanti per la vita di un individuo? Rispondi in non più di 5 minuti facendo riferimento anche alle riflessioni scaturite, riguardo alla tematica, dai brani di Mann analizzati.

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L’età napoleonica

A4 I masnadieri e la fase sturmeriana

Il classicismo

Le opere di estetica

Le tragedie

friedrich Schiller La vita e le opere Nato presso Stoccarda nel 1759 da un modesto ufficiale, frequentò l’Accademia militare del Württemberg, dove studiò Giurisprudenza e Medicina. Giunse alla fama giovanissimo con un dramma, I masnadieri (1781, T4, p. 39), che si colloca nel clima culturale dello Sturm und Drang ed è caratterizzato da un’ansia di libertà senza limiti, dal culto dell’individuo, da tensioni di rivolta totale. Per questo dramma dovette fuggire dalla sua città ed attraversò un periodo inquieto, tormentato anche da difficoltà economiche. Nel 1787 si stabilì a Weimar, la città in cui dominava la grande personalità di Goethe. L’incontro con Goethe fece maturare in lui una svolta verso il classicismo, percorso sempre, però, da tensioni romantiche. L’inno Gli dèi della Grecia (iniziato nel 1789), ad esempio, pur esaltando la visione classica della vita, è colmo di nostalgia per una stagione di pienezza gioiosa ed armoniosa della vita umana, ormai definitivamente perduta. Su influsso della Critica del giudizio di Kant si dedicò anche alla riflessione estetica. Scrisse le Lettere sull’educazione estetica dell’umanità (1795) e il saggio Sulla poesia ingenua e sentimentale (1800), in cui propone la distinzione tra la poesia degli antichi, espressione di un rapporto armonico col mondo naturale, e la poesia dei moderni, «sentimentale» perché esprime l’anelito impossibile a quell’armonia. Il concetto, ripreso da Schlegel ( L’età del Romanticismo, cap. 1, T1, p. 209), divenne uno dei cardini della visione romantica (in Italia il concetto, mediato attraverso Madame de Staël, fu rielaborato da Leopardi). La fama di Schiller fu però affidata principalmente alle sue opere drammatiche: la trilogia Il campo di Wallenstein (1795-99), Maria Stuarda (1800), La pulzella di Orléans (1800), Guglielmo Tell (1804). Tali drammi furono concepiti da Schiller come espressione di alte idealità, la libertà, la giustizia, il bello e il buono, con intenti educativi ed etico-politici. Morì a Weimar nel 1805. La borghesia tedesca dell’Ottocento vide l’opera di Schiller come veicolo per eccellenza dei propri valori e fece del poeta il “suo” autore, anche a livello scolastico. Oggi, inevitabilmente, la sua fortuna si è alquanto appannata.

L’opera

I masnadieri di Friedrich Schiller Il mito del grande ribelle Il dramma giovanile di Schiller presenta alcuni motivi e atteggiamenti che ricompariranno successivamente nella letteratura romantica europea, soprattutto la figura del grande ribelle, il cui fascino eroico deriva dal sovvertimento di tutte le leggi, umane e divine, e dalla scelta del male come mezzo per affermare la propria libertà e grandezza. Si tratta di una tragedia in cinque atti, in prosa, che nella struttura, specie nello sprezzo per le unità classiche, risente dell’ammirazione del poeta per Shakespeare (ammirazione comune anche al giovane Goethe). La trama Protagonista è Karl Moor, uno studente aristocratico che conduce vita dissipata e irregolare. Egli esprime

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al padre il suo pentimento, chiedendo perdono per la sua condotta, ma il perfido fratello Franz carpisce con l’inganno al padre l’autorizzazione a rispondergli e, invece del perdono, manda una lettera dai toni aspri, in cui Karl viene ripudiato e diseredato. L’ingiustizia subita scatena in Karl l’impulso di rivolta contro la società, che già si manifestava nella sua insofferenza per la tirannide e per la mediocrità borghese. Si mette quindi a capo degli studenti suoi compagni, trasformandosi in brigante generoso, con l’intento di riparare soprusi e ingiustizie. Ma ben presto misura la vanità del suo progetto e l’inevitabilità della sconfitta: si rende conto di essere stato folle a voler migliorare il mondo con

Capitolo 1· Neoclassicismo e Preromanticismo in Europa e in Italia

T4

friedrich Schiller

Temi chiave

L’archetipo del grande ribelle

• l’eroe ribelle • l’opposizione all’ordine sociale e ai valori borghesi

• l’aspirazione degli intellettuali al cambiamento

da I masnadieri, atto I, scena II

Il passo si colloca agli inizi della tragedia. Vi si coglie quello stato d’animo insofferente ed inquieto, da cui maturerà la rivolta di Karl Moor.

Un’osteria ai confini della Sassonia. Karl Moor immerso nella lettura. Spiegelberg beve seduto a una tavola. karl

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(deponendo il libro) Mi fa schifo questo secolo di scribacchini quando leggo nel mio Plutarco1 le gesta di grandi uomini. spiegelberg (gli mette davanti un bicchiere colmo, e beve) Leggi Giuseppe Flavio2!… karl La scintilla recata da Prometeo3 è spenta; è sostituita con la fiamma del licopodio4, fiamma da palcoscenico, che non è buona ad accendere una pipa. E tutti costoro saltellano come topi sulla clava di Ercole e si rompono il cervello per capire che cosa ci avesse costui nei testicoli! C’è un abate francese che insegna che Alessandro5 era un coniglio; e c’era un professore tisico che, tenendosi sotto il naso una boccetta di sali ammoniacali, svolse un corso sulla forza. Certi poveri diavoli, che svengono quando han fatto un figlio, criticano la tattica di Annibale; ragazzi coll’otite declamano sulla battaglia di Canne, e piagnucolano sulle vittorie di Scipione, se devono esporle… spiegelberg Pianto degno degli alessandrini6. karl Bel premio per ciò che sudaste in battaglia rivivere oggi nel liceo, e che gli studenti sbuffando si tirino dietro la vostra immortalità nella cartella! Bel compenso al sangue versato venir avvolto da un confettiere di Norimberga attorno a un pezzo di

1. Plutarco: scrittore e uomo politico greco (50­120 d.C.), ricordato in particolare per le Vite Parallele, biografie composte per di­ mostrare analogie e differenze tra eroi e grandi personaggi storici greci e romani. 2. Giuseppe Flavio: storico ebreo (37 ca.­ 100 d.C.), fatto prigioniero durante la guerra giudaica e liberato da Vespasiano. Per capire la battuta occorre tener presente che Spie­ gelberg è ebreo. 3. Prometeo: secondo il mito accolto da

Esiodo, Eschilo e Platone, Prometeo, un Tita­ no figlio di Giapeto e Climene, aveva sottrat­ to il fuoco agli dèi per farne dono agli uomini e favorirli; per questo suo gesto fu condan­ nato a scontare un’atroce pena. Il mito di Prometeo ebbe un grande successo presso i romantici, ispirando il Prometheus, fram­ mento drammatico di Goethe, ed il dramma lirico di Shelley Prometheus unbound (Pro­ meteo liberato). 4. licopodio: pianta dalle cui spighe si rica­

delitti e atrocità. La sua rivolta gli pesa come una maledizione che lo isola dagli uomini e dal creato intero, facendo di lui un reietto. Proprio la sconfitta, tuttavia, accresce la nobile grandezza della sua figura, che si carica del fascino di Lucifero, il primo grande ribelle, sconfitto nel suo smisurato disegno, ma «maestoso sia pur nella rovina», come si esprime Milton nel Paradiso perduto. Spinto dal bisogno di ritrovare l’innocenza perduta torna al castello paterno, sotto mentite spoglie. Franz nel frattempo ha cercato in ogni modo di vincere la fedeltà di Amalia, la fidanzata di Karl, senza però riuscirvi. Karl scopre in un bosco vicino al castello che il padre, creduto morto per il dolore, è invece tenuto prigioniero da Franz. Il fratello malvagio, terrorizzato

va una polvere, detta zolfo vegetale. 5. Alessandro: si tratta di Alessandro Ma­ gno, il re di Macedonia, passato alla storia per le sue doti di coraggio e lungimiranza politica. 6. degno degli alessandrini: gli esponenti della cultura alessandrina (cioè del periodo della storia greca posteriore alle conquiste di Alessandro Magno) vengono citati qui come esempio di individui affettati, dal comporta­ mento innaturale ed artificioso.

dal castigo eterno, sentendo avvicinarsi Karl e i suoi compagni desiderosi di far giustizia, si uccide. Ma anche il vecchio padre muore di dolore vedendo che Karl è divenuto un brigante. Karl, rendendosi conto che non può più riscattarsi e che è indegno di Amalia, la uccide e, per reintegrare l’ordine da lui sovvertito, si costituisce alla giustizia. Il finale pentimento di Karl, piuttosto convenzionale, sembra più che altro una concessione alla censura e al gusto moralistico del pubblico (come ha osservato Ladislao Mittner). Il significato vero della figura dell’eroe va piuttosto cercato nel gesto della ribellione suprema, da cui scaturisce quel fascino che ha fatto del Masnadiere un vero archetipo mitico della cultura dell’Ottocento.

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pan pepato7, o, nella miglior ipotesi, venir avvitato sui trampoli da un tragico francese8 e fatto muovere coi fili del burattinaio. Ah! ah! ah! spiegelberg Ti prego, leggi Giuseppe Flavio! karl Puah! puah! questo flaccido secolo di eunuchi, non buono ad altro che a ruminare il passato: a sezionare gli eroi dell’antichità coi suoi glossari e a sconciarli colle sue tragedie. La forza dei suoi lombi si è esaurita e ora ci vuole lievito di birra9 per aiutare l’uomo a propagarsi. spiegelberg Il tè, ci vuole, fratello, il tè! karl Essi sbarrano la via alla sana natura con le più smaccate convenzioni: non hanno il coraggio di vuotare un bicchiere perché devono bere alla salute di qualcuno, leccano il lustrascarpe, perché li rappresenti presso le loro Reali Altezze, e molestano il povero diavolo di cui non hanno paura. Si portano l’un l’altro alle stelle per un pranzo, poi per una coperta che sia stata loro portata via a un’asta pubblica sarebbero capaci di avvelenarsi. Condannano il sadduceo10 non abbastanza zelante nel frequentar la chiesa, e davanti all’altare calcolano mentalmente i loro interessi usurai; cadono in ginocchio per poter sfoggiare lo strascico, ma non ritraggono11 lo sguardo dal prete per vedere come sia arricciata la sua parrucca; svengono quando vedono svenare un’oca, ma battono le mani quando il loro concorrente se ne va dalla Borsa, fallito… Per quanto io abbia loro stretto la mano supplicando: «Un giorno di dilazione12!» tutto inutile… Cacciatelo in prigione quel cane!… Preghiere, giuramenti, lacrime!… (Pestando il piede a terra) Inferno e maledizione! spiegelberg E così per un paio di migliaia di pidocchiosi ducati… karl No, non voglio pensarci. Dovrei stringere il mio corpo in un busto e vincolare la mia volontà tra le leggi. La legge ha fatto scadere a incesso13 di lumaca ciò che sarebbe stato volo di aquila. La legalità non ha mai prodotto un grand’uomo, ma la libertà cova e fa schiudere i colossi e i grandi eventi. I vigliacchi si trincerano nella pancia di un tiranno, fan la corte ai capricci del suo stomaco e si lasciano sballottare dalle sue flatulenze. Ah, se il genio di Arminio14 ardesse ancora tra le ceneri… Immagina un esercito di ragazzi in gamba come me, e la Germania diventerebbe una repubblica in confronto alla quale Sparta e Roma sarebbero conventi di monacelle. (Butta la spada sul tavolo e si alza). F. Schiller, Teatro, trad. it. di B. Allason e M. D. Ponti, Einaudi, Torino 1969

7. confettiere … pan pepato: la carta dei libri, in cui sono narrate le imprese degli eroi antichi, è usata dal pasticciere per avvolgere i dolci che vende. 8. trampoli … francese: gli eroi antichi di­ ventano personaggi del teatro tragico fran­ cese, contraddistinto da solennità magnilo­ quente. La letteratura classicistica francese era un bersaglio polemico prediletto dallo Sturm und Drang. 9. lievito di birra: come stimolo all’energia sessuale. 10. sadduceo: i sadducei erano un antico partito religioso ebraico, espressione dell’a­ ristocrazia sacerdotale; si opponevano ai fa­

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risei, accaniti difensori dell’ortodossia, che praticavano una minuziosa osservanza del­ la legge religiosa. 11. ritraggono: distolgono. 12. supplicando … dilazione: si scaglia con­ tro gli usurai che non gli concedono dilazio­ ni nel pagamento dei debiti. 13. incesso: incedere. 14. Arminio: capo dell’antica popolazione germanica dei Cherusci, sotto l’impero di Augusto sconfisse le legioni romane nella selva di Teutoburgo; col ridestarsi della co­ scienza nazionale in Germania, ai primi dell’Ottocento, ebbe larghissimo culto nel­ la poesia.

Johann Heinrich Ramberg, Nella selva boema Karl Moor e i masnadieri combattono contro i soldati, incisione di H. Schmidt per I masnadieri di Friedrich Schiller, Atto secondo, scena terza, Lipsia 1816.

Capitolo 1· Neoclassicismo e Preromanticismo in Europa e in Italia

Analisi del testo

> La dimensione mitica

La ribellione all’ordine sociale

Ciò che caratterizza Karl, come si vede da questo dialogo, è un’ansia di libertà assoluta, senza limiti, e al tempo stesso un’ansia di grandezza, intesa come infinito potenziamento di una personalità d’eccezione. Nell’ordine sociale l’eroe individua un limite a tale libertà e a tale grandezza: perciò ritiene di potersi affermare solo infrangendo l’ordine, calpestando la legge. Il suo sogno superomistico si può realizzare solo nel male. La sua rivolta contro la legge umana si allarga poi ad una sfida metafisica all’autorità stessa di Dio. La ribellione assume così una fisionomia mitica: sul Masnadiere si sovrappone l’immagine del primo grande ribelle, Lucifero, che è insorto contro l’ordine divino, spinto da uno smisurato orgoglio. Ed è questa dimensione mitica che eserciterà poi tanto fascino nella letteratura romantica.

> La fisionomia storica e sociale

La rivolta intellettuale

Nella scena sono rappresentate con precisione anche le cause sociali e storiche da cui scaturisce questo impeto di rivolta: l’insofferenza per l’assolutismo, il disprezzo per la grettezza interessata e la passività servile della borghesia nei confronti del potere. Il vagheggiamento del gesto eroico, che sprezza ogni norma e ogni valore costituito, si colora poi di velleità politiche rivoluzionarie, di vaga ispirazione repubblicana. In Karl Moor si esprime perfettamente la rabbia e il ribellismo esasperato dei giovani intellettuali tedeschi alla fine del Settecento. Questo gruppo sociale aveva assorbito dal clima culturale europeo, pervaso dal moto di idee che in Francia costituirà la molla della Rivoluzione, l’esigenza di profondi cambiamenti politici e sociali; tale esigenza si scontrava però con la realtà immobile della Germania contemporanea, dominata dall’assolutismo principesco e caratterizzata da una notevole arretratezza, da un’aristocrazia ormai svuotata di ogni funzione, da una borghesia asservita al potere assoluto, immatura per un ruolo dirigente: tutti fattori che escludevano ogni possibilità di azione e di mutamento. La rabbia impotente e la frustrazione dei giovani intellettuali trovavano quindi uno sfogo e una compensazione fantastica in nebulose aspirazioni cosmiche, in sogni di potenza e libertà senza limiti, o nel vagheggiamento di rivolte totali e grandi rifiuti di ogni valore costituito. Questa pagina dei Masnadieri è un eloquente esempio di come certi atteggiamenti e certi miti propri del Romanticismo abbiano le loro radici nella posizione degli intellettuali in un momento storico in cui i cambiamenti allora in gestazione generavano forti tensioni sociali.

Esercitare le competenze ComPreNdere

> 1. Riassumi il testo in circa 8 righe (400 caratteri). > 2. Quale misera fine hanno fatto i classici, secondo il protagonista, all’interno della società del suo tempo? Costituiscono ancora dei modelli?

> 3. Qual è l’opinione di Karl sui comportamenti e la mentalità della borghesia? E riguardo alla legge? ANALIzzAre

> 4.

Stile Karl Moor fa ampio uso di similitudini e metafore nelle sue affermazioni: individua alcuni esempi significativi e spiega quali aspetti della sua personalità rivelano.

APProfoNdIre e INTerPreTAre

> 5.

esporre oralmente Analizza l’atteggiamento e le parole del Masnadiere e riconosci gli aspetti che possono essere ricondotti al gusto preromantico (max 5 minuti). > 6. Contesto: storia Con l’aiuto dell’insegnante di storia ricostruisci le condizioni storico-politiche della Germania tra fine Settecento e inizio Ottocento.

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L’età napoleonica

A5 L’Elegia

T5

Thomas Gray La vita e le opere Nacque a Londra nel 1716, da famiglia borghese. Condusse vita appartata e dedita allo studio, a Londra e soprattutto a Cambridge. Fu filologo e studioso dei classici latini e italiani, ma anche dell’antica poesia celtica e scandinava. A queste letterature si ispirò nelle odi Il bardo (1757) e La discesa di Odino (1761). La sua opera più famosa è l’Elegia scritta in un cimitero campestre (1750, T5). In lui si mescolano l’amore per l’antichità classica e l’interesse romantico per il primitivo, per le remote età barbariche. La mescolanza è caratteristica del gusto della sua età. Il clima romantico è anticipato parimenti dalla meditazione sulla morte, pervasa da una profonda malinconia. L’Elegia ebbe un’immensa risonanza, esercitò un’influenza sul Foscolo dei Sepolcri ( cap. 2, p. 119), richiamò l’attenzione sull’oscuro eroismo degli umili, aprendo la strada a Wordsworth, a Manzoni, a Tolstoj. Il poeta morì nel 1771. Thomas Gray

elegia scritta in un cimitero campestre

Temi chiave

• un’atmosfera cupa e malinconica • l’esaltazione della vita degli umili

Riportiamo la prima parte dell’Elegia, dedicata alle tombe degli umili in un cimitero campestre. Nella seconda parte l’autore rappresenta se stesso solitario ed errabondo per la campagna, in preda alle sue inquietudini e alle sue malinconie, e vagheggia la propria sepoltura, componendo il suo stesso epitaffio.

> metro: L’originale consta di quartine in versi giambici (decasillabi con gli accenti ritmici sulle sedi pari), a rime alternate (ABAB). Nella traduzione sono rese con versi liberi non rimati.

I rintocchi della campana salutano il giorno che muore, l’armento si disperde muggendo per i pascoli, il contadino volge i passi affaticati verso casa, e lascia il mondo alle tenebre e a me. 5

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Ora impallidisce la luce fioca del paesaggio, e una quiete solenne regna nell’aria. Si ode solo il ronzio di uno scarabeo che vola intorno e tintinnii1 sonnolenti che cullano gli ovili lontani. Dalla torre ammantata d’edera, laggiù, il mesto gufo si lamenta, con la luna, di coloro che, vagando presso la sua segreta dimora, disturbano il suo antico regno solitario.

1. tintinnii: le campanelle delle pecore rinchiuse a sera negli ovili.

elegy written in a country churchyard The curfew tolls, the knell of parting day, / the lowing herd winds slowly o’er the lea, / the ploughman homewards plods his weary way, / and leaves the world to darkness and to me. // Now fades the glimm’ring landscape on the sight, / and all the air a solemn stillness holds, / save where the beetle wheels his drony flight, / and drowsy tinklings lull the distant folds; // save that, from yonder ivy-mantled tow’r, / the moping owl does to the moon complain / of such as, wand’ring near her secret bow’r, / molest her ancient solitary reign. //

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Capitolo 1· Neoclassicismo e Preromanticismo in Europa e in Italia

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Sotto quegli olmi dalla ruvida scorza e all’ombra dei tassi dove la zolla si gonfia in tumuli polverosi, steso, ciascuno, per sempre, nella sua angusta cella, dormono i rudi antenati del villaggio2. Mai più li desterà dal loro umile giaciglio il profumo della brezza mattutina, il cinguettio della rondine dalla capanna di strame3, il canto acuto del gallo o il corno echeggiante dei cacciatori. Non brucerà più per loro la fiamma del focolare, e la massaia non accudirà più alle faccende serali: né i bimbi correranno ad annunziare balbettando il ritorno del padre, né più si arrampicheranno sulle sue ginocchia per contendersi il bacio.

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Spesso la messe si arrese alla loro falce spesso il loro aratro infranse le dure zolle: con quanta gaiezza spinsero i buoi aggiogati sui campi! Come si piegarono i tronchi sotto i loro colpi vigorosi! Non lasciate che l’Ambizione disprezzi la loro umile fatica4, le loro gioie semplici5 e il loro destino oscuro; né lasciate che la Grandezza6 ascolti con sorriso altezzoso i brevi e semplici annali7 dei poveri. Un’ora inevitabile attende egualmente la gloria del blasone, la pompa del potere, e quanto mai abbiano donato la bellezza e la ricchezza: i sentieri della gloria non conducono che alla tomba8. Né voi, Orgogliosi, imputate a loro la colpa se il Ricordo non eresse alcun trofeo sulla loro tomba, là dove, attraverso lunghe navate e volte scolpite, l’eco dei canti rende più intense le note di lode9.

2. zolla … villaggio: sono le tombe del ci­ mitero di campagna. 3. di strame: dal tetto di paglia. 4. umile fatica: nell’originale «useful», utile. 5. gioie semplici: nell’originale «homely joys», gioie domestiche.

6. Ambizione … Grandezza: sono perso­ nificazioni. Alludono all’atteggiamento al­ tezzoso degli aristocratici verso gli umili. 7. annali: la storia, le vicende. 8. Un’ora … tomba: tutte le differenze so­ ciali si annullano dinanzi alla morte. È un

concetto evidentemente ripreso dalle odi di Orazio, dove torna più volte. Blasone è sino­ nimo di nobile. 9. trofeo … lode: nelle chiese, dove sorge­ vano i monumenti sepolcrali delle famiglie nobili.

Beneath those rugged elms, that yew-tree’s shade / where heaves the turf in many a mould’ring heap, / each in his narrow cell for ever laid, / the rude forefathers of the hamlet sleep. // The breezy call of incense-breathing morn, / the swallow twitt’ring from the straw-built shed, / the cock’s shrill clarion, or the echoing horn, / no more shall rouse them from their lowly bed. // For them no more the blazing hearth shall burn, / or busy housewife ply her evening care: / or children run to lisp their sire’s return, / or climb his knees the envied kiss to share, // oft did the harvest to their sickle yield; / their furrow oft the stubborn glebe has broke; / how jocund did they drive their teams afield! / how bow’d the woods beneath their sturdy stroke! // Let not ambition mock their useful toil, / their homely joys, and destiny obscure: / nor grandeur hear with a disdainful smile / the short and simple annals of the poor. // The boast of heraldry, the pomp of pow’r, / and all that beauty, all that wealth e’er gave, / await alike th’inevitable hour; / the path of glory leads but to the grave. // Nor you, ye proud, impute to them the fault, / if mem’ry o’er their tomb no trophies raise, / where thro’ the long-drawn aisle and fretted vault, / the pealing anthem swells the note of praise. //

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L’età napoleonica

Possono un’urna istoriata o un busto animato10 richiamare alla sua dimora11 il respiro che fugge? Può la voce dell’Onore richiamare in vita la polvere silenziosa? o la lusinga blandire le deboli, fredde orecchie della morte?12 45

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Forse in questo luogo abbandonato giace qualche cuore una volta ardente di fuoco celeste, mani che avrebbero potuto impugnare lo scettro del comando, o destare l’estasi con la lira vibrante di vita13. Ma il Sapere non svolse mai ai loro occhi il suo grande volume ricco delle spoglie del tempo14. Il freddo della povertà represse il loro nobile ardore e ne gelò in fondo all’anima le vocazioni. Le scure, inesplorate cavità dell’oceano contengono gran quantità di gemme di purissima luce serena: molti fiori nascono per imporporarsi mai visti e sciupare la loro dolcezza nell’aria deserta15. […] Il destino impedì loro di comandare l’applauso di docili senati, di disprezzare minacce di pene e di tormenti, di spargere l’abbondanza su una terra ridente e di legger la propria storia negli occhi di un popolo16.

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Non solo fu impedito il rigoglio delle loro virtù ma anche le loro colpe furono limitate17; il destino non concesse loro di aprirsi un varco verso il trono con il sangue, di chiudere le porte della misericordia sul genere umano,

10. busto animato: un busto del defunto così somigliante da sembrare vivo. 11. dimora: il corpo. 12. lusinga … morte?: la lusinga non può blandire la morte, in modo che conceda al defunto di tornare in vita. La morte non sente, ha orecchie deboli e insensibili (fredde). 13. qualche cuore … vita: nel cimitero campestre giace qualche oscuro contadino

che avrebbe invece avuto le doti per diveni­ re grande uomo politico o grande poeta. 14. il Sapere … tempo: i poveri non ebbe­ ro la possibilità di accostarsi alla cultura, in cui è tesaurizzata la tradizione del passato. 15. Le scure … deserta: è una similitudine implicita: le qualità dei poveri non sono potute venire alla luce, come le gemme se­ polte al fondo dell’oceano e i fiori che cre­ scono non visti.

16. Il destino … popolo: il destino ha im­ pedito agli umili contadini di conoscere la gloria dei grandi governanti di popoli. Ne­ gli sguardi di ammirazione del popolo il grande vede riflessa la propria storia glo­ riosa. 17. Non solo … limitate: la vita oscura ha impedito che brillassero le virtù degli umili, ma li ha anche preservati dalle colpe inevi­ tabili di chi fa la storia.

Can storied urn, or animated bust, / back to its mansion call the fleeting breath? / Can honour’s voice provoke the silent dust, / or flatt’ry sooth the dull cold ear of death? // Perhaps in this neglected spot is laid / some heart once pregnant with celestial fire: / hands, that the rod of empire might have sway’d, / or wak’d to ecstacy the living lyre. // But knowledge to their eyes her ample page, / rich with the spoils of time, did ne’er unroll; / chill penury repress’d their noble rage, / and froze the genial curent of the soul. // Full many a gem, of purest ray serene, / the dark unfathom’d caves of ocean bear: / full many a flow’r is born to blush unseen, / and waste its fragrance on the desert air. // […] // Th’applause of list’ning senates to command, / the threats of pain and ruin to despise, / to scatter plenty o’er a smiling land, / and read their hist’ry in a nation’s eyes, // their lot forbade: nor circumscrib’d alone / their growing virtues, but their crimes confin’d; / forbade to wade through slaughter to a throne, / and shut the gates of mercy on mankind; //

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di celare a se stessi il rimorso di una taciuta verità, di spegnere i rossori di un ingenuo pudore, di offrire all’altare del Fasto e dell’Orgoglio incenso acceso alla fiamma di Muse venali18. Lontani dall’ignobile lotta di una folla impazzita, non corruppero mai le loro modeste aspirazioni; lungo la valle appartata della vita mantennero il ritmo sommesso del loro cammino. Tuttavia qualche fragile monumento adorno di rozze rime e di sculture informi, eretto per proteggere anche quelle ossa dalla profanazione, implora dal passante il tributo di un sospiro. Il loro nome, i loro anni, sillabati da una musa illetterata, occupano il posto della fama e dell’elegia e la Musa ricorre ai testi sacri che preparano alla morte l’onesto popolano19.

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Chi mai, in preda al silenzioso Oblio, ha rinunziato al proprio caro trepido essere, e ha lasciato i caldi confini ridenti della vita senza un lungo sguardo di brama e di rimpianto? L’anima che se ne va, si affida a qualche petto affettuoso e gli occhi che si spengono chiedono qualche pia lacrima20. Anche dalla tomba grida la voce della Natura. Anche nelle nostre ceneri vivono le loro consuete fiamme21. […] T. Gray, Elegia scritta in un cimitero campestre, trad. it. di D. Caminita, in S. Guglielmino, Civiltà letterarie straniere, vol. I, Zanichelli, Bologna 1976

18. offrire … venali: di vendere la propria ispirazione poetica per celebrare i potenti. 19. Il loro nome … popolano: al posto di epigrafi celebrative (fama) o di componimenti poetici che piangano il defunto illustre (elegia), vi sono semplici iscrizioni tracciate da mano illetterata, col nome, l’età del defunto e con citazioni della Bibbia, che hanno preparato al-

la morte il pio contadino. 20. Chi mai … lacrima: nessuno morendo si rassegna a sprofondare completamente nel­ la dimenticanza; tutti restano attaccati alla vita e, per sopravvivere in qualche modo, si affidano al ricordo affettuoso dei vivi, alle loro lacrime. 21. Anche dalla tomba … fiamme: dalla

tomba sembra di udir provenire un grido, in cui si esprime il desiderio naturale del de­ funto di continuare a vivere nel ricordo dei suoi. Di questi versi si ricorderà Foscolo nell’Ortis («Geme la Natura perfin nella tom­ ba…»: lettera del 25 maggio) e nei Sepolcri («il sospiro / che dal tumulo a noi manda Natura»: vv. 49­50, cap. 2, T12, p. 123).

the struggling pangs of conscious truth to hide, / to quench the blushes of ingenuous shame, / or heap the shrine of luxury and pride / with incense kindled at the muse’s flame. // Far from the madding crowd’s ignoble strife, / their sober wishes never learn’d to stray; / along the cool sequester’d vale of life / they kept the noiseless tenor of their way. // Yet even these bones from insult to protect, / some frail memorial still erected nigh, / with uncouth rhymes and shapeless sculpture deck’d / implores the passing tribute of a sigh. // Their name, their years, spelt by the unletter’d muse, / the place of fame and elegy supply: / and many a holy text around she strews, / that teach the rustic moralist to die: // for who, to dub forgetfulness a prey, / this pleasing, anxious being e’er resign’d, / left the warm precincts of the cheerful day; / nor cast one longing, ling’ring look behind? // On some fond breast the parting soul relies; / some pious drops the closing eye requires: / even from the tomb the voice of nature cries, / e’en in our ashes live their wonted fires. […]

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L’età napoleonica

Analisi del testo Il gusto preromantico

L’esaltazione degli umili

L’inizio dell’Elegia (strofe 1-3) è di tipico gusto preromantico. Elementi caratteristici sono: il morire del giorno, le tenebre che avvolgono le cose, creando un’atmosfera malinconica che predispone alla meditazione sulla morte, il triste lamento del gufo dall’antica torre ammantata di edera, la solitudine della notte. Sulle stesse note è anche impostato il finale, qui non riportato, in cui il poeta evoca la propria figura malinconica e solitaria. La parte centrale del componimento è invece un’esaltazione della vita oscura degli umili. In polemica con la concezione classica ed eroica, che ritiene degno di ricordo solo ciò che è grande ed eccezionale, Gray rivendica il valore di ciò che è umile, semplice, comune. Nei poveri contadini che giacciono nel cimitero campestre c’erano forse potenzialmente le doti di grandi uomini politici, condottieri, poeti. Solo la povertà ha impedito che queste doti venissero alla luce. Questa esaltazione della vita umile ed oscura ha un significato storico importante. Riflette il formarsi di una concezione borghese, nutrita di ispirazione cristiana, che si contrappone alla tradizionale concezione aristocratca del classicismo, sprezzante di ciò che è umile, e anticipa tendenze che saranno ricorrenti nella successiva letteratura inglese, soprattutto nell’età vittoriana, quando si tenderà ad escludere l’eroico e a fissare l’attenzione su ciò che è quotidiano e comune. William Blake, Elegia scritta in un cimitero campestre, tavola 112, 1797­98, acquerello con penna e inchiostro su carta, da Poems of Mr. Gray di William Blake, New Haven (Connecticut, usa), Yale Center for British Art, Paul Mellon Collection.

Esercitare le competenze ComPreNdere

> 1. Riassumi in circa 8 righe (400 caratteri) il contenuto dei versi 1-56. > 2. Quali sono state le colpe proprie di chi fa la storia da cui il destino ha preservato gli umili (vv. 67-72)? ANALIzzAre

> 3. Analizza la descrizione del paesaggio contenuta ai versi 1-20 e distingui i particolari presenti in base alla

sfera sensoriale di appartenenza (vista, udito, olfatto, gusto, tatto). Infine indica quale tipo di percezione è privilegiata dal poeta. > 4. Stile Quale metafora accompagna la descrizione del Sapere? > 5. Stile Quale figura rintracci nell’espressione «i brevi e semplici annali dei poveri» (v. 32)? APProfoNdIre e INTerPreTAre

> 6.

Scrivere Esponi, in un testo di circa 10 righe (500 caratteri), le implicazioni letterarie, sociali e culturali del confronto tra le «Muse venali» (v. 72) che adulano i potenti e la «musa illetterata» (v. 81) che si mostra pietosa con i poveri e gli umili.

Per IL reCuPero

> 7. Individua nel testo le frasi interrogative e spiega a chi sono rivolte e quale funzione svolgono.

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Capitolo 1· Neoclassicismo e Preromanticismo in Europa e in Italia

A6 I Canti di Ossian

T6

James macpherson Nato ad Inverness, nelle Highlands scozzesi, nel 1736 e morto nel 1796, maestro di scuola e precettore, nel 1760 pubblicò un volume anonimo, in cui raccolse alcuni frammenti di antichi canti gaelici da lui tradotti, attribuendoli ad un leggendario guerriero e bardo (cantore), Ossian, vissuto nel III secolo d.C. Il successo di questi canti indusse Macpherson a pubblicare altri volumi negli anni successivi, sino a dare nel 1773 il testo definitivo di ventidue poemi. È oggi assodato che Macpherson utilizzò frammenti di canti della tradizione popolare, dandone libere versioni ed inserendovi passi di sua invenzione. Si tratta di poemetti in prosa lirica, divisi in paragrafi simili a strofe. Narrano storie intricate, dove si mescolano la materia epica e quella sentimentale ( T6). Alla generazione romantica piacquero proprio per il senso di una maestosa semplicità primitiva, per la rievocazione di un suggestivo passato barbarico. Costante fu il paragone con Omero e con la Bibbia. La vita e le opere

James macpherson

Temi chiave

daura e Arindal dai Canti di Ossian, III, vv. 269-361

• amore e morte • la natura selvaggia e tempestosa • il culto del primitivo

Riportiamo il canto nella traduzione di Melchiorre Cesarotti. Lo stesso Cesarotti così ne riassume l’argomento: «Nel terzo [canto] s’introduce Armino, signor di Gorma, a raccontar la morte di Daura e d’Arindallo, suoi figli. Egli aveva promessa Daura in isposa ad Armiro, guerriero illustre. Erath, nemico d’Armiro, travestito venne sopra un legno a Daura, fingendo d’esser mandato dal suo sposo per condurla al luogo ov’egli stava ad attenderla sopra una rupe cinta dal mare. Condotta Daura colà, e trovandosi tradita, quando già cominciava a insorgere una burrasca, diessi ad alta voce a chiamar soccorso. Arindallo, suo fratello, accorse alle sue grida. Ma giunto nel punto stesso da un’altra parte lo sposo Armiro, e volendo scoccar l’arco contro Erath, colpì inavvedutamente Arindallo. Poscia, salito sul legno per salvar la sua Daura, restò miseramente affogato nella tempesta: e Daura, spettatrice d’una sì atroce tragedia, morì di dolore». Cesarotti traduce la prosa lirica dell’originale in endecasillabi sciolti. La versione fu al tempo molto ammirata e ritenuta persino superiore all’originale. Nei poeti successivi, anche in Foscolo e Leopardi, si coglie l’eco di certe soluzioni stilistiche cesarottiane.

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Oh sorgete, soffiate impetuosi, venti d’autunno, su la negra vetta; nembi, o nembi, affollatevi, crollate l’annose querce1; tu, torrente, muggi per la montagna, e tu passeggia, o luna, pel torbid’aere, e fuor tra nube e nube mostra pallido raggio, e rinnovella alla mia mente la memoria amara di quell’amara notte, in cui perdei i figli miei diletti, in cui cadéro il possente Arindàl, l’amabil Daura. O Daura, o figlia, eri tu bella, bella come la luna sul colle di Fura, bianca di neve e più che auretta dolce.

1. crollate … querce: scuotete le antiche querce.

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Forte, Arindallo, era il tuo arco, e l’asta2 veloce in campo; era a vapor sull’onda simil l’irato sguardo3, e negra nube parea lo scudo in procelloso nembo4. Sen venne Armiro il bellicoso, e chiese l’amor di Daura, né restò sospeso lungo tempo il suo voto5, e degli amici bella e gioconda rifioria la speme6. Fremette Erasto, ché il fratello ucciso aveagli Armiro7, e meditò vendetta. Cangiò sembianze, e ci comparve innanzi come un figlio dell’onda: era a vedersi bello il suo schifo8; la sua chioma antica gli cadea su le spalle in bianca lista9; avea grave il parlar, placido il ciglio10. «O più vezzosa tra le donne», ei disse «bella figlia d’Armin, di qua non lunge sporge rupe nel mar, che sopra il dorso porta arbuscel di rosseggianti frutta. Ivi t’attende Armiro; ed io men venni per condurgli il suo amor sul mare ondoso». Credé Daura, ed andò: chiama, non sente che il figlio della rupe11: «Armir, mia vita, amor mio, dove sei? perché mi struggi di tema12 il core? O d’Adanarto figlio, odi, Daura ti chiama». A queste voci, fugginne a terra il traditore Erasto con ghigno amaro. Essa la voce inalza, chiama il fratello, chiama il padre: «Armino padre, Arindallo, alcun non m’ode? alcuno non porge aita13 all’infelice Daura?» Passò il mar la sua voce; odela il figlio14. Scende dal colle frettoloso, e rozzo in cacciatrici spoglie15; appesi al fianco strepitavano i dardi, in mano ha l’arco, e cinque cani ne seguian la traccia.

2. asta: lancia. 3. era … sguardo: lo sguardo irato del guerriero era cupo e minaccioso come nebbia sulle onde. 4. e negra … nembo: lo scudo sembrava nera nube nella tempesta. La traduzio­ ne di Cesarotti è di regola alquanto libe­ ra. Nell’originale si ha qui «red cloud», rossa nube, con effetto molto diverso: evoca qualcosa di sanguigno e sinistro. 5. voto: desiderio (di Armiro). 6. speme: speranza. 7. il fratello … Armiro: Erath odia Ar­ mir, perché questi gli ha ucciso il fratello. 8. schifo: barca.

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9. lista: lunga ciocca (è una reminiscen­ za dantesca, Purgatorio, I, v. 36; l’origina­ le ha semplicemente «white his lock of age», bianche le sue ciocche per l’età. Più che una traduzione, quella di Cesa­ rotti è una libera amplificazione). 10. ciglio: lo sguardo, l’espressione del volto. 11. il figlio della rupe: l’eco. 12. tema: paura. 13. aita: aiuto. 14. odela il figlio: la ode Arindal. 15. cacciatrici spoglie: abito da cacciatore.

Jean­Auguste Ingres, Il sogno di Ossian, 1813, olio su tela, Montauban (Francia), Musée Ingres.

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Trova Erasto sul lido, a lui s’avventa e l’annoda a una quercia; ei fende invano l’aria di strida. Sovra il mar sul legno balza Arindallo, e vola a Daura. Armiro giunge in quel punto furibondo, e l’arco scocca; fischia lo strale, e nel tuo core, figlio Arindallo, nel tuo cor s’infigge. Tu moristi, infelice, e di tua morte ne fu cagion lo scellerato Erasto. S’arresta a mezzo il remo; ei su lo scoglio cade rovescio, si dibatte, e spira. Qual fu, Daura, il tuo duol16, quando mirasti sparso a’ tuoi piedi del fratello il sangue per la man dello sposo? Il flutto incalza, spezzasi il legno; Armiro in mar si scaglia per salvar Daura, o per morir; ma un nembo17 spicca dal monte rovinoso, e sbalza18 sul mar; volvesi Armir, piomba19, e non sorge. Sola dal mar su la percossa rupe senza soccorso stava Daura, ed io ne sentia le querele20; alte e frequenti eran sue strida; l’infelice padre non potea darle aita. Io tutta notte stetti sul lido, e la scorgeva a un fioco raggio di luna; tutta notte intesi i suoi lamenti: strepitava il vento, cadea a scrosci la pioggia. In sul mattino infiochì la sua voce, e a poco a poco s’andò spegnendo, come sol21 tra l’erbe talor del monte la notturna auretta. Alfin, già vinta da stanchezza e duolo, cadde spirando, e te, misero Armino22, lasciò perduto; ahi, tra le donne è spenta la mia baldanza e la mia possa23 in guerra. Quando il settentrion24 l’onde solleva, quando sul monte la tempesta mugge, vado a seder sopra la spiaggia, e guardo la fatal roccia: spaziar li miro25 mezzo nascosti tra le nubi, insieme dolce parlando26. «Una parola, o figli, pietà, figli, pietà!» Passan, né ’l padre degnan d’un guardo. Sì, Cramòr, son mesto, né leve27 è la cagion del mio cordoglio.

16. duol: dolore. 17. nembo: vento tempestoso. 18. sbalza: piomba. 19. volvesi … piomba: è afferrato da un vortice e si inabissa. 20. querele: lamenti. 21. sol: suole.

22. misero Armino: Armin, il padre di Dau­ ra, si rivolge a se stesso. 23. possa: forza. 24. settentrion: il vento del nord. 25. li miro: li vedo. Il padre vede gli spettri di Daura e di Arindal. L’originale è più esplicito: «I see the ghosts of my children», vedo gli

spettri dei miei figli. 26. dolce parlando: l’originale ha: «They walk in mournful conference together», camminano in funebre colloquio tra di loro. Cesarotti attenua il carattere lugubre e spet­ trale della conclusione. 27. leve: lieve.

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L’età napoleonica

Analisi del testo I temi ossianici

Il culto del primitivo

Werther e Ossian

Il passo esemplifica perfettamente il carattere dei poemi ossianici. Notiamo: • si tratta di una cupa leggenda di amore e di morte, ma vi è anche qualche motivo di epicità guerriera (il valore di Arindal); • la natura è selvaggia, cupa e tempestosa; • vi sono apparizioni spettrali che accentuano il carattere patetico della vicenda (anche se, come si è notato, gli aspetti lugubri sono attenuati dalla traduzione di Cesarotti). Il successo dell’operazione di Macpherson testimonia come si diffondesse in Europa il gusto del primitivo, in opposizione al culto della classicità che era stato proprio della tradizione. Ne era un sintomo affine il culto rousseauiano per la “natura”, per tutto ciò che è spontaneo ed originario. Anche Omero veniva letto in questa luce, come esempio di forza e spontaneità primitiva (e vi si associava, nella stessa direzione, la Bibbia). Per questo Ossian era ritenuto l’«Omero del Nord». Può essere interessante ricordare che Werther, un eroe romanzesco in cui si compendiano le più importanti tendenze europee di gusto e di sensibilità alla fine del Settecento, inizialmente, nella cornice serena della natura campestre, legge Omero, ma, quando cade in preda dei tormenti del suo amore infelice, si entusiasma per Ossian e lo sostituisce nelle sue letture al poeta greco. Ed è proprio leggendo l’episodio ossianesco qui riportato che Werther e Lotte, al termine del romanzo, dopo aver pianto lacrime di intensa commozione, si abbandonano al loro trasporto amoroso. La fanciulla ha il presentimento del proposito suicida del giovane: e difatti la sera stessa Werther si uccide.

Esercitare le competenze ComPreNdere

> 1. Proponi un riassunto del passo per ciascuno dei blocchi narrativi di cui si compone, secondo l’esempio proposto.

Blocco narrativo (versi)

riassunto

vv. 269-279

La voce narrante, rivolgendo un’invocazione agli elementi della natura, chiede ........................................................................................................................................................................................................................................................................... loro di ricordare la notte in cui morirono i suoi figli. ...........................................................................................................................................................................................................................................................................

vv.

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vv.

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vv.

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ANALIzzAre

> 2. Individua nel brano tutte le componenti magiche e fantastiche che richiamano l’idea di una poesia primitiva e barbarica. > 3. Stile La traduzione di Cesarotti, esemplare sul piano stilistico, presenta diverse figure retoriche: individua nel testo quelle di suono, spiegandone la funzione. > 4. Stile Quali caratteristiche presenta la voce narrante? APProfoNdIre e INTerPreTAre

> 5.

esporre oralmente La natura, che riveste un ruolo fondamentale nell’opera di Macpherson, offre uno sfondo suggestivo e coerente con le vicende narrate: nell’analizzare il paesaggio descritto dal poeta e la sua corrispondenza con il contenuto dei versi, spiega se alcuni elementi naturali risultano ricorrenti (max 5 minuti).

Per IL reCuPero

> 6. Analizza dal punto di vista stilistico e lessicale la descrizione di Daura ai versi 280-282: quali figure retoriche vi compaiono? Quali vocaboli risultano ricorrenti? Osservi riprese lessicali dalla poesia di autori del passato (ad esempio Petrarca)? Motiva le tue risposte.

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Capitolo 1· Neoclassicismo e Preromanticismo in Europa e in Italia Per IL PoTeNzIAmeNTo

> 7. Contestualizza il passo di seguito riportato avvalendoti anche di quanto appreso dall’Analisi del testo di Macpherson.

Dovrebbero a mio avviso gli italiani tradurre diligentemente assai delle recenti poesie inglesi e tedesche; onde mostrare qualche novità a’ loro cittadini, i quali per lo più lo stanno contenti dell’antica mitologia: né pensano che quelle favole sono da un pezzo anticate, anzi il resto d’Europa le ha già abbandonate e dimentiche. Perciò gli intelletti della bella Italia, se amano di non giacere oziosi, rivolgano spesso di là delle Alpi, non dico per vestire le fogge straniere, ma per conoscerle; non per diventare imitatori, ma per uscire di quelle usanze viete, le quali durano nelle letterature come nelle compagnie i complimenti, a pregiudizio della naturale schiettezza. Che se le lettere si arricchiscono colle traduzioni de’ poemi, traducendo i drammi si conseguirebbe una molto maggiore utilità; poiché il teatro è come il magistrato della letteratura. M.me de Staël, Sulla maniera e sull’utilità delle traduzioni, in AA.VV., Manifesti romantici e altri scrittori della polemica classica-romantica, a cura di G. Calcaterra, utet, Torino 1979

A7 La prosopopea di Pericle La bellezza dell’universo

Al principe Sigismondo Chigi e i Pensieri d’amore Al signor di Montgolfier

Le tragedie

La Bassvilliana

Vincenzo monti Il periodo romano Nato nel 1754 ad Alfonsine di Romagna, studiò in seminario e

poi all’Università di Ferrara. L’esercizio letterario gli attirò subito la fama e gli valse la protezione di potenti personaggi. Grazie all’appoggio del legato pontificio in Romagna, ottenne una sistemazione a Roma. L’ambiente culturale romano era impregnato di un neoclassicismo conservatore. Monti, subito ricevuto nell’Accademia dell’Arcadia, verseggiò in modi arcadici. Accolse la moda neoclassica nell’ode La prosopopea di Pericle (1779), in cui esaltò le scoperte archeologiche contemporanee e lo splendore del pontificato di papa Pio VI Braschi. Nel 1781 scrisse l’epitalamio La bellezza dell’universo per le nozze di Luigi Braschi, nipote del pontefice: si tratta di un poemetto descrittivo in cui confluiscono suggestioni di vari poeti, il Tasso del Mondo creato e il Milton del Paradiso perduto, il Klopstock della Messiade e l’Ovidio delle Metamorfosi, oltre alla Bibbia. Si vede già qui la facilità con cui Monti sa cogliere e amalgamare gli spunti più diversi in una poesia ricca di colore. Il successo dell’opera gli consentì di divenire segretario di Luigi Braschi e di entrare nelle grazie di Pio VI. Monti fu però anche attento alle mode culturali straniere del momento. Nel 1783, letto il Werther, scrisse gli endecasillabi sciolti Al principe Sigismondo Chigi ( T8, p. 58) e i Pensieri d’amore, dove riprese motivi e atteggiamenti del romanzo goethiano, sia pure in forme arcadiche e classicheggianti. La sua prontezza a cogliere le novità anche cronachistiche è testimoniata dall’ode Al signor di Montgolfier (1784, T7, p. 53), ispirata ad un esperimento di volo con il pallone aerostatico, in cui si esprime un entusiasmo illuministico per le conquiste della scienza e del progresso umano, ma sempre in auliche forme classicheggianti e mitologiche. Negli stessi anni sperimentò anche il teatro tragico, componendo l’Aristodemo (1787) e iniziando a lavorare al Caio Gracco (1788-1800). Scoppiata la Rivoluzione francese, espresse gli orientamenti ferocemente antirivoluzionari del suo ambiente nella Bassvilliana (1793), un poemetto in cui sono descritti gli orrori rivoluzionari in Francia, in modi che riecheggiano Dante e l’Arcadia lugubre, insieme con un certo gusto cupo e orrido di ascendenza preromantica. Ma l’avanzata degli eserciti napoleonici fece comprendere a Monti la necessità di lasciare i vecchi protettori e di cercarne dei nuovi. Nel 1797 fuggì da Roma rifugiandosi a Milano. Qui, come era stato cantore del pontificato di Pio VI, divenne cantore della Rivoluzione ed in seguito del cesarismo napoleonico. 51

L’età napoleonica Il Prometeo

L’esaltazione di Napoleone

La traduzione dell’Iliade

Il periodo napoleonico Del 1797 è il Prometeo, in cui Napoleone è celebrato come

nuovo Prometeo, l’eroe dell’incivilimento. Caduta la Repubblica cisalpina per l’avanzata degli eserciti austro-russi, il poeta si rifugia a Parigi. Tornato in Italia dopo la vittoria napoleonica di Marengo, nel 1800, riceve la cattedra di Eloquenza a Pavia e diviene poeta ufficiale del Regno italico, ottenendo cariche, onori e potere. La produzione di questo periodo (La spada di Federico II, Il Bardo della Selva Nera, La Ierogamia di Creta) è tutta intesa ad esaltare Napoleone. Sono opere ispirate ad un intento celebrativo, spesso di un classicismo scenografico ed artificioso. In questi anni si colloca anche la traduzione dell’Iliade: è una traduzione lontana dallo spirito del poema antico (che viene trascritto nelle forme di un neoclassicismo aulico e sonoro), tanto da poter essere quasi considerata un’opera a sé. Ma, entro questi limiti, ha una sua coerenza di stile, che ne fa l’opera forse più tipica del gusto neoclassico “medio” italiano.

Il ritorno degli Austriaci priva il poeta di molti onori, anche se il governo, che mira a legare a sé gli intellettuali, gli offre nel 1816 la direzione della rivista “La biblioteca italiana” (rifiutata l’anno precedente da Foscolo, che aveva scelto l’esilio). Monti si adatta anche ai nuovi dominatori, cercando di ottenerne i favori con una serie di componimenti celebrativi (Il mistico omaggio, 1815; Il ritorno d’Astrea, 1816; L’invito a Pallade, 1818). Nel 1816 si era aperta la polemica tra classicisti e romantici. Monti prese posizione a fianco dei classicisti contro i romantici, anche se nella polemica intervenne assai più tardi, col Sermone sulla mitologia (1825), dove respinse la ricerca romantica del «vero» ed il gusto tetro della scuola nordica, esaltando «i sogni e le fole» della mitologia antica, la «meraviglia» di cui è ricca la tradizione classica, della quale la poesia italiana è l’erede diretta. Partecipò anche alle polemiche linguistiche, discutendo da posizioni più aperte e moderne le teorie intransigenti dei puristi (Proposta di alcune correzioni e aggiunte al vocabolario della Crusca, a cui lavorò dal 1817 al 1826). Morì a Milano nel 1828.

La restaurazione

La celebrazione dei nuovi dominatori

La polemica antiromantica

La discussione con i puristi

Il documento del gusto di un’epoca Ai suoi tempi Monti ebbe notevole fama ed

Il tipo del vecchio letterato italiano

L’estraneità alle tendenze attuali

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autorità letteraria e fu ritenuto un grande poeta (sia pure con voci discordi). Di cospicua considerazione godette anche per vari decenni dell’Ottocento: basti pensare che Cesare Cantù, nella sua Storia della letteratura italiana (1865-66), dedicò trenta pagine a Monti e cinque a Foscolo. Oggi la sua opera è ancora considerata per il suo valore documentario, come testimonianza del gusto e delle tendenze di un’epoca; ma testimonianza superficiale, che non riesce a cogliere le ragioni profonde delle trasformazioni e delle contraddizioni contemporanee (il confronto con Foscolo è schiacciante). Monti rappresenta ancora il tipo del vecchio letterato italiano, sia come figura sociale, in quanto poeta cortigiano, pronto a mettersi al servizio di qualunque potere pur di ricavarne protezione e onori, sia come produttore di cultura: un tipo di intellettuale ormai sorpassato dalla storia, prossimo ad estinguersi. A differenza di Foscolo, che fu tutto proteso a ricercare un nuovo ruolo intellettuale, Monti non ebbe coscienza di questo trapasso epocale, e non ne subì le inquietudini e le angosce. Fu curioso di molte tendenze di gusto contemporanee, anche straniere (l’Illuminismo, Werther, Ossian), ma trascrisse ogni sollecitazione, anche la più avanzata, nelle forme del classicismo tradizionale, restando sostanzialmente estraneo alle ragioni profonde di quelle tendenze, che esprimevano le lacerazioni di un momento di forte crisi della cultura occidentale. La sua poesia, decorativa e sonora, rivela un’eccezionale bravura formale, nell’uso del verso, dei ritmi, dei suoni, delle immagini, ma appare oggi vuota e pressoché priva di interesse (se non come fonte di molti spunti per altri poeti ben più grandi di lui, come Foscolo e Leopardi).

Capitolo 1· Neoclassicismo e Preromanticismo in Europa e in Italia

Letteratura e Scienza

T7

Vincenzo monti

Al signor di montgolfier L’ode, composta nel febbraio del 1784, trae spunto da una delle prime ascensioni con palloni aerostatici, quella dei francesi Charles e Robert, compiuta il primo dicembre del 1783. L’esperimento sviluppava i princìpi della “mongolfiera”, inventata dai fratelli Montgolfier.

Testo e realtà Nell’ode i richiami mitologici e le immagini classiche si piegano ad un’ottimistica esaltazione della scienza e del progresso, in grado di strappare alla natura i suoi segreti e di metterli al servizio dell’uomo.

> metro: quartine di settenari, alternatamente sdruccioli e piani; i versi piani sono rimati (schema: abcb).

Quando Giason dal Pelio spinse nel mar gli abeti, e primo corse a fendere co’ remi il seno a Teti1, 5

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su l’alta poppa intrepido col fior del sangue acheo vide la Grecia ascendere il giovinetto Orfeo2. Stendea le dita eburnee3 sulla materna4 lira; e al tracio5 suon chetavasi de’ venti il fischio e l’ira6. Meravigliando accorsero di Doride le figlie7; Nettuno ai verdi alipedi lasciò cader le briglie8. Cantava il Vate odrisio9 d’Argo la gloria intanto, e dolce errar sentivasi sull’alme10 greche il canto. O della Senna ascoltami novello Tifi invitto: vinse i portenti argolici l’aereo tuo tragitto11.

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Tentar del mare i vortici forse è sì gran pensiero, come occupar de’ fulmini l’inviolato impero?12

1. Quando … Teti: quando Giasone (per an­ dare a conquistare il vello d’oro nella Colchi­ de) spinse nel mare la prima nave, Argo, costruita col legname del monte Pelio, e primo fra gli uomini corse a fendere il mare coi remi.

Teti era una divinità marina della mitologia classica: qui sta per “mare” (è una metoni­ mia, come abeti per “nave”). 2. su l’alta … Orfeo: i Greci (adunatisi per assistere alla partenza della nave) videro sali-

re intrepido sull’alta poppa il giovinetto Orfeo, insieme con il meglio della stirpe greca. Orfeo è il mitico poeta, figlio di Apollo e della Musa Calliope, che col canto ammansiva le belve e muoveva le pietre. 3. eburnee: bianche come l’avorio (latino ebur). 4. materna: dono della madre, Calliope. 5. tracio: Orfeo era originario della Tracia, una regione della Grecia nord­orientale. 6. chetavasi … ira: la poesia ha il potere di placare e di rasserenare. È uno dei princìpi centrali della poetica neoclassica. 7. di Doride le figlie: le Nereidi, figlie di Ne­ reo e di Doride, erano divinità marine. 8. Nettuno … briglie: il dio del mare Nettuno (per la meraviglia dinanzi al portento del­ la prima nave) lasciò andare le briglie dei cavalli che tiravano il suo cocchio, che avevano ali ai piedi (alipedi) ed erano del colore del mare. 9. Vate odrisio: Orfeo, designato con un al­ tro nome della Tracia (Odrisia). Si noti il gu­ sto delle denominazioni dotte e rare, tipico del classicismo sin dalla poesia latina. 10. alme: anime. 11. O della Senna … tragitto: ascoltami, o nuovo insuperato Tifi della Senna: il tuo volo ha vinto il portento della prima navigazione della nave Argo. Tifi era il pilota degli Argo­ nauti. Monti paragona a lui il signor di Mont­ golfier (in realtà si trattava di due fratelli, Mi­ chel ed Etienne de Montgolfier). 12. Tentar … impero?: affrontare i vortici del mare è forse un’impresa grande come quella di occupare il regno inviolato dei fulmini (il cielo)? Con queste interrogazioni retori­ che Monti sviluppa il motivo celebrativo della superiorità dell’impresa moderna su quella antica.

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Deh! perché al nostro secolo non diè propizio il Fato d’un altro Orfeo la cetera, se Montgolfier n’ha dato?13 Maggior del prode Esonide14 surse di Gallia il figlio15. Applaudi, Europa attonita, al volator naviglio16. Non mai Natura, all’ordine delle sue leggi intesa, dalla potenza chimica sortì più bella offesa17. Mirabil arte18, ond’alzasi di Sthallio e Black19 la fama, pera lo stolto Cinico che frenesia ti chiama20.

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De’ corpi entro le viscere tu l’acre21 sguardo avventi, e invan celarsi tentano gl’indocili22 elementi. Dalle tenaci tenebre la verità traesti, e delle rauche ipotesi tregua al furor ponesti23. Brillò Sofia più fulgida del tuo splendor vestita, e le sorgenti apparvero, onde il creato ha vita24.

13. Deh! … dato?: perché il Fato propizio non ha dato al nostro secolo la cetra di un altro Orfeo, dal momento che ci ha dato Montgolfier? Monti auspica un poeta moderno che canti la grandezza dell’impresa (è un’af­ fettazione retorica di modestia). 14. Esonide: Giasone, figlio di Esone. 15. di Gallia il figlio: Montgolfier, francese. In epoca antica la Francia era chiamata Gallia. 16. volator naviglio: la mongolfiera. 17. Non mai … offesa: mai la natura, tesa a conservare l’ordine delle sue leggi, ha subito una più bella infrazione di tali leggi ad opera della potenza della chimica. Grazie a reazioni chimiche si è potuto ottenere l’idrogeno che, riempiendo il pallone, lo solleva nell’a­ ria infrangendo la legge di gravità. 18. Mirabil arte: allude alla chimica. Il Sette­ cento è in effetti il secolo in cui si afferma la chimica come scienza moderna ed in cui vengono fatte scoperte fondamentali. 19. Sthallio … Black: il tedesco Georg Stahl e lo scozzese Joseph Black, due tra i maggio­ ri chimici del Settecento. 20. pera … chiama: perisca lo sciocco incredulo (Cinico) che ritiene follia la nuova scienza. 21. acre: acuto (latinismo). 22. indocili: perché oppongono resistenza all’opera della scienza che mira a svelarli. 23. Dalle tenaci … ponesti: la scienza chi­ mica ha estratto la verità dalle ostinate te­ nebre dell’ignoranza (è un’immagine tipica della cultura dell’età dei Lumi) ed ha posto fine alle dispute furibonde (che fanno di­ ventar rauchi), fondate solo su ipotesi non dimostrate. È una polemica di sapore illumi­ nistico contro il sapere metafisico del passa­ to ed un’esaltazione del sapere scientifico sperimentale. 24. Brillò … vita: la sapienza (Sofia) brillò più fulgida, vestita dello splendore della nuova scienza, e si svelarono gli elementi di cui sono composti tutti i corpi del creato. Il volo della mongolfiera di Jacques Charles e Nicolas Robert dai giardini delle Tuileries, primo dicembre 1783, XVIII secolo, incisione colorata, Parigi, Musée Carnavalet.

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Capitolo 1· Neoclassicismo e Preromanticismo in Europa e in Italia

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L’igneo terribil aere25, che dentro il suol profondo pasce i tremuoti, e i cardini fa vacillar del mondo26, reso innocente or vedilo da’ marzii corpi uscire27, e già domato ed utile al domator28 servire.

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Per lui del pondo immemore, mirabil cosa! in alto va la materia29, e insolito porta alle nubi assalto. Il gran prodigio immobili i riguardanti lassa30, e di terrore un palpito in ogni cor trapassa. Tace la terra, e suonano del ciel le vie deserte: stan mille volti pallidi, e mille bocche aperte31. Sorge il diletto e l’estasi in mezzo allo spavento, e i piè mal fermi agognano ir dietro al guardo attento32. Pace e silenzio, o turbini: deh! non vi prenda sdegno se umane salme varcano delle tempeste il regno33.

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Rattien la neve, o Borea, che giù dal crin ti cola34; l’etra35 sereno e libero cedi a Robert36 che vola. Non egli vien d’Orizia a insidiar le voglie37: costa rimorsi e lagrime tentar d’un Dio la moglie. Mise Teséo nei talami dell’atro Dite il piede: punillo il Fato, e in Erebo fra ceppi eterni or siede38.

25. L’igneo … aere: l’idrogeno, detto allora “aria infiammabile”. 26. che dentro … mondo: si credeva che l’idrogeno, chiuso nelle viscere della terra, fosse causa dei terremoti (tremuoti), che

fanno vacillare le fondamenta del mondo. 27. reso … uscire: vedilo ora uscire innocuo dai minerali di ferro (marzii corpi: il ferro ser­ ve per forgiare le armi, e si ricordi che Marte è il dio della guerra). Si tentava di ricavare

l’idrogeno trattando sali di ferro con acido solforico. 28. domator: lo scienziato e, più in generale, l’uomo. 29. Per lui … materia: grazie all’idrogeno, la materia si leva in alto, violando la gravità (pondo, peso). 30. lassa: lascia. 31. stan … aperte: la folla segue attonita e silenziosa il prodigio del volo. 32. i piè … attento: gli spettatori sentono il desiderio di innalzarsi in volo anch’essi. 33. Pace … regno: i turbini dell’aria devono stare quieti e silenziosi, non devono sdegnarsi se corpi umani (umane salme) entrano nel regno delle tempeste (gli strati più alti dell’at­ mosfera). 34. Borea … cola: il vento del Nord (Borea) è raffigurato miticamente come un vecchio canuto, con la neve che gli cade dai capelli (crin). 35. etra: cielo (dal greco aithér). 36. Robert: è uno dei due aeronauti, dal cui esperimento trae occasione l’ode. 37. Non egli … voglie: non viene per cercare di sedurre Orizia (la moglie di Borea). 38. Mise … siede: Teseo scese agli Inferi per rapire Proserpina, la sposa di Plutone; il Fato lo punì, ed ora sta eternamente in catene negli Inferi (Erebo). Dite è un altro nome di Pluto­ ne, detto atro, oscuro, perché dio del regno tenebroso dei morti; il talamo è il letto nu­ ziale.

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L’età napoleonica

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Ma già di Francia il Dedalo39 nel mar dell’aure è lunge: lieve lo porta Zeffiro40, e l’occhio appena il giunge41. Fosco di là profondasi il suol fuggente ai lumi42, e come larve43 appaiono città, foreste e fiumi.

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Certo la vista orribile l’alme agghiacciar dovria; ma di Robert nell’anima chiusa è al terror la via44. E già l’audace esempio i più ritrosi acquista45; già cento globi46 ascendono del Cielo alla conquista. Umano ardir, pacifica filosofia sicura, qual forza mai, qual limite il tuo poter misura?47 Rapisti al ciel le folgori48, che debellate innante con tronche ali ti caddero, e ti lambîr le piante49. Frenò guidato il calcolo dal tuo pensiero ardito degli astri il moto e l’orbite, l’Olimpo e l’infinito50.

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Svelaro il volto incognito le più rimote stelle, ed appressar le timide lor vergini fiammelle51. Del Sole i rai dividere52, pesar quest’aria53 osasti: la terra, il foco, il pelago54, le fere e l’uom domasti. Oggi a calcar le nuvole giunse la tua virtute, e di natura stettero le leggi inerti e mute55.

39. il Dedalo: Robert, paragonato al mitico artefice Dedalo, il primo uomo che, secondo il mito, costruendosi delle ali con penne e cera, si alzò in volo per fuggire dal labirinto di Cnosso.

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40. Zeffiro: vento lieve. 41. giunge: lo raggiunge, riesce a seguirlo. 42. Fosco … lumi: visto di lassù, il suolo che si allontana sprofonda oscuro, non si riesce più a distinguere (lumi, occhi).

43. come larve: come fantasmi (cioè indistinti, evanescenti). 44. Certo … via: certo la vista orribile dovrebbe raggelare di spavento le anime; ma la via al terrore è sbarrata nell’anima di Robert. 45. i più ritrosi acquista: conquista i più paurosi. 46. cento globi: cento palloni aerostatici (è un’immagine iperbolica). 47. Umano … misura?: la strofa concentra in sé i motivi fondamentali dell’opinione co­ mune illuministica: il nuovo sapere scientifi­ co è una filosofia sicura, che non si basa più su ipotesi indimostrabili, come la metafisica, ma su prove sperimentali, ed è pacifica per­ ché mira al progresso umano, non a fini ag­ gressivi; ma è anche ardita, perché ricerca il vero, sfidando pregiudizi secolari e non si arresta dinanzi ad alcun divieto od ostacolo (misura, limita). 48. Rapisti … folgori: allude all’invenzione del parafulmine ad opera di Benjamin Fran­ klin nel 1752. Il soggetto di Rapisti è Umano ardir della strofa precedente. 49. con tronche … piante: i fulmini che si scaricano a terra inoffensivi sono personifi­ cati come mostri a cui sono troncate le ali, che cadono dinanzi ai vincitori, lambendo loro i piedi. 50. Frenò … infinito: il calcolo guidato dal tuo pensiero ardito misurò (soggetto è sem­ pre l’Umano ardir del v. 113) il movimento degli astri e le loro orbite, il cielo e l’infinito. Al­ lude alle teorie di Newton sulla gravitazione universale. L’Olimpo e l’infinito sono imma­ gini iperboliche. 51. Svelaro … fiammelle: le stelle più lontane (avvicinate dal telescopio) svelarono il loro volto prima ignoto, ed avvicinarono le loro fiammelle mai viste prima da occhio umano (vergini). Nel 1781 l’astronomo Herschel aveva scoperto il pianeta Urano. 52. Del Sole … dividere: allude alla scom­ posizione dello spettro solare ad opera di Newton. 53. pesar … aria: col barometro, inventato da Torricelli, che misura la pressione eserci­ tata dall’atmosfera. 54. pelago: mare. 55. di natura … mute: si costruisca: le leggi di natura stettero inerti e mute. Ripete un concetto, già espresso ai versi 65­68, secon­ do cui il volo umano infrange la legge di gravità.

Capitolo 1· Neoclassicismo e Preromanticismo in Europa e in Italia

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Che più ti resta? Infrangere anche alla Morte il telo56, e della vita il nettare libar con Giove in cielo57.

56. Infrangere … telo: spezzare il dardo della morte; cioè, all’uomo, domatore di tutto il creato grazie alla scienza, non resta che vincere la morte. 57. e della vita … cielo: bere con Giove in cielo il nettare (la bevanda) che rende immortali gli dèi.

Analisi del testo

> Le influenze del “secolo dei Lumi”

L’entusiasmo per la scienza

La poesia d’occasione

I richiami alla mitologia classica

Il linguaggio aulico

L’ode è il documento tipico di una mentalità: testimonia come i capisaldi del pensiero illuministico fossero divenuti opinione corrente, luogo comune, partecipabile anche da chi non era philosophe di professione. L’entusiasmo per le conquiste della scienza, per il progresso che sfida i limiti naturali e gli ostacoli dell’ignoranza, assicurando all’uomo il dominio sulla natura, la pace e la felicità, è un motivo che sarà poi ricorrente nella cultura borghese durante tutto l’Ottocento (e sarà interessante seguirne gli sviluppi). Sul piano letterario l’ode è un documento esemplare della poesia celebrativa e d’occasione settecentesca. Quella di Monti è in generale poesia d’occasione, che affronta i fatti salienti del momento, una scoperta scientifica o archeologica, un evento politico o mondano della corte papalina o napoleonica. Scrivere poesie d’occasione è conseguenza necessaria del ruolo di poeta cortigiano.

> Il gusto neoclassico

Al tempo stesso l’ode è un documento del gusto neoclassico. La realtà è assunta nella poesia attraverso una sistematica trasfigurazione mitologica (si vedano i continui riferimenti ad Argo, Orfeo, Tifi, Dedalo, Borea, Nettuno, Plutone, Teseo). Le figure mitiche sono stilizzate in atteggiamenti composti, secondo linee armoniose, come le figure di dei ed eroi della scultura o della pittura del tempo (si veda Orfeo che tocca la lira con le «dita eburnee»). Il linguaggio aulico, altamente intonato, ha una funzione analoga a quella delle figure mitiche: rendere “poetici”, e quindi praticabili letterariamente, argomenti od oggetti che di per sé, secondo il gusto classico, sarebbero prosaici ed impoetici, come fatti di cronaca, dottrine scientifiche, strumenti, composti chimici (un solo esempio: «marzii corpi» per “sali di ferro”). Monti segue in tal modo la linea della poesia illuministica di Parini (si faccia attenzione alle date: l’ode montiana è del 1784; degli anni Ottanta sono alcune delle più significative odi pariniane, tra cui, del 1785, La caduta).

Esercitare le competenze ComPreNdere

> 1. Individua i principali temi trattati nelle tre parti in cui si può dividere l’ode (vv. 1-36; 37-108; 109-140). > 2. Come viene descritta la scienza chimica (vv. 45-48)? Perché viene esaltata? ANALIzzAre

> 3.

Stile Individua la presenza di iperboli e spiega la loro funzione espressiva in rapporto al contenuto del componimento. > 4. Lessico Esamina il lessico e riconosci tutti i termini e le perifrasi che hanno lo scopo di conferire dignità poetica ad argomenti e oggetti di ambito scientifico.

APProfoNdIre e INTerPreTAre

> 5.

Scrivere Svolgi un commento in circa 10 righe (500 caratteri) sull’atteggiamento che il poeta mostra nei confronti della natura, ponendolo in relazione con altri autori settecenteschi a te noti. > 6. esporre oralmente In un’esposizione orale che non superi i 3 minuti rifletti sul reale interesse di Monti per la scienza e i suoi riflessi sociali.

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L’età napoleonica

T8

Vincenzo monti

Temi chiave

Il wertherismo di monti

• la comunione con la natura • la solitudine

da Al principe Sigismondo Chigi, vv. 31-83 Il componimento, del 1783, trae spunto da un amore infelice del poeta per Carlotta Stewart. Ne riportiamo solo una parte.

> metro: endecasillabi sciolti.

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1. d’Oriente … compariva: compariva sul confine dell’orizzonte (balzo) ad oriente. È una reminiscenza dantesca, Purgatorio, IX, v. 2: «La concubina di Titone antico / già s’im­ biancava al balzo d’oriente». 2. la sera: è soggetto di rapiti. È un ricordo di Virgilio, Eneide, VI, v. 272: «Rebus nox ab­ stulit atra colorem», l’oscura notte toglie il colore alle cose. 3. dall’umile mio letto: il particolare rivela come il componimento si collochi ancora entro la convenzione della poesia arcadi­ co­pastorale: il poeta infatti si finge pastore.

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Allorché il Sole (io lo rammento spesso) d’Oriente sul balzo compariva1 a risvegliar dal suo silenzio il mondo, e agli oggetti rendea più vivi e freschi i color che rapiti avea la sera2, dall’umile mio letto3 anch’io sorgendo a salutarlo m’affrettava, e fiso tenea l’occhio a mirar come nascoso di là dal colle ancora ei fea da lunge degli alti gioghi biondeggiar le cime4; poi come lenta in giù scorrea la luce il dosso5 imporporando e i fianchi alpestri, e dilatata6 a me venia d’incontro che a’ piedi l’attendea della montagna. Dall’umido suo sen la terra allora su le penne dell’aure mattutine grata innalzava di profumi un nembo7 e altero di sé stesso, e sorridente su i benefizi suoi8 l’aureo pianeta9 nel vapor, che odoroso ergeasi in alto, gìa rinfrescando le divine chiome10, e fra il concento degli augelli e il plauso delle create cose, egli sublime per l’azzurro del ciel spingea le rote11. Allor sul fresco margine d’un rivo m’adagiava tranquillo in su l’erbetta, che lunga e folta mi sorgea dintorno, e tutto quasi mi copriva; ed ora supino mi giacea, fosche mirando

4. fiso … cime: e tenevo l’occhio fisso a contemplare come, ancora nascosto al di là del colle, (il sole) faceva da lontano biondeggiare le cime degli alti gioghi montani. 5. il dosso: la schiena del monte. 6. dilatata: la luce del sole nascente s’allar­ ga gradatamente e inonda la natura. 7. Dall’umido … nembo: la terra, toccata dalla luce del sole, innalzava grata dal suo seno umido di rugiada notturna una nuvola di profumi, diffusi dalle brezze del mattino (le aure mattutine sono immaginate alate). 8. benefizi suoi: lo spargere sulla natura la

luce e il calore, fonti di vita. Il sole, personifi­ cato mitologicamente come un dio, si ralle­ gra dei doni che fa alla terra. 9. l’aureo pianeta: il sole (è il soggetto della frase). 10. nel vapor … chiome: il sole rinfrescava i suoi raggi (divine chiome) nella nube di profumi che al suo apparire si sprigionava dalla terra (gìa, andava). 11. e fra il concento … rote: il sole spingeva in alto (sublime) per l’azzurro del cielo le ruote del suo carro, tra il canto (concento) degli uccelli e il plauso di tutte le cose create.

Capitolo 1· Neoclassicismo e Preromanticismo in Europa e in Italia

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12. fosche … balza: guardando le selve pendere oscure dal pendio di fronte a me (è un’im­ magine ricavata da Virgilio, Eneide I, v. 169: «atrum nemus imminet umbra», oscuro il bosco incombe con la sua ombra). 13. tremolando … onda: si vedevano le nubi riflesse passare tremolando nel puro spec-

pender le selve dall’opposta balza12, e fumar le colline, e tutta in faccia di sparsi armenti biancheggiar la rupe: or rivolto col fianco al ruscelletto io mi fermava a riguardar le nubi, che tremolando si vedean riflesse nel puro trapassar specchio dell’onda13: poi del gentil spettacolo già sazio, tra i cespi14, che mi fean corona e letto, si fissava il mio sguardo, e attento e cheto il picciol mondo a contemplar poneami, che tra gli steli brulica dell’erbe15, e il vago e vario degl’insetti ammanto16, e l’indole diversa e la natura. Altri a torma e fuggenti in lunga fila vengono e van per via carchi di preda, altri sta solitario, altri17 l’amico in suo cammino arresta, e con lui sembra gran cose conferir: questi18 d’un fiore l’ambrosia sugge e la rugiada; e quello al suo rival ne disputa l’impero19, e venir tosto a lite, ed azzuffarsi, e avviticchiati insieme ambo repente20 giù dalla foglia sdrucciolar li vedi. chio dell’acqua del ruscello (Monti usa inver­ sioni di parole tipiche della costruzione latina: è una caratteristica dello stile classi­ cheggiante). 14. cespi: ciuffi d’erba. 15. il picciol … erbe: mi ponevo a contemplare il piccolo mondo di insetti che brulica tra

le erbe. 16. ammanto: l’aspetto esteriore. 17. Altri … altri: le formiche. 18. questi: un’ape. 19. l’impero: il possesso. 20. ambo repente: ambedue all’improvviso.

Gustave Courbet, La siesta, 1841­42, olio su tela, Collezione privata.

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L’età napoleonica

Analisi del testo I motivi wertheriani

I motivi “romantici” e la scenografia classicistica

> Le influenze preromantiche

Il componimento testimonia la presenza di aspetti preromantici nel classicismo montiano: riprende infatti motivi e atteggiamenti wertheriani, la passeggiata solitaria, il contatto vivificante con la natura. Si veda a riscontro la fonte: «Quando la bella valle effonde intorno a me i suoi vapori ed il sole alto investe l’impenetrabile tenebra di questo bosco e solo qua e là qualche raggio riesce a penetrare nell’interno del sacrario, ed io mi stendo nell’erba alta lungo il ruscello scrosciante e, così vicino alla terra, mille strane erbette mi si mostrano nella loro realtà: quando sento vicino al mio cuore il brulichio del piccolo mondo in mezzo agli steli [...]» (Werther, lettera del 10 maggio). Come si vede, Monti dilata la sobria descrizione goethiana, compiendo essenzialmente un esercizio di amplificazione retorica (si noti in particolare l’indugio minutamente descrittivo sugli insetti, che amplia il rapido cenno del Werther).

> La tradizione classicista

I motivi “romantici” (la solitudine, la chiusura nell’intimità dell’io, la comunione con la natura) sono dunque orecchiamenti esteriori. Tant’è vero che possono trasformarsi agevolmente, senza stridori, in scenografia classicisticamente mitologica e decorativa: si veda l’ampio squarcio sul sorgere del sole, personificato come un dio della mitologia antica. Il senso romantico della natura trapassa poi in un vagheggiamento della bella natura idillica, che è un tema tradizionale del classicismo italiano sin dal Petrarca. E tuttavia da questo Monti ricaveranno movenze stilistiche e immagini alcuni tra i maggiori poeti del periodo successivo (vedremo lo sviluppo di questi temi negli idilli di Leopardi).

Esercitare le competenze ComPreNdere

> 1. Riassumi il contenuto del passo. ANALIzzAre

> 2.

Stile La scena può essere divisa in tre sequenze (vv. 31-54; vv. 55-66; vv. 67-83): quali particolari descrittivi caratterizzano ciascuna di esse? > 3. Lessico Individua e analizza ai versi 45-73 i termini che rimandano a un lessico petrarchesco: quali caratteristiche della poetica dell’autore mettono in evidenza?

APProfoNdIre e INTerPreTAre

> 4. Testi a confronto: esporre oralmente Come evidenziato nell’Analisi del testo, il poeta “amplifica” la descrizione goethiana riportata in traduzione: confronta i due passi e spiega puntualmente le caratteristiche di tale esercizio retorico (max 3 minuti). > 5. Competenze digitali Riepiloga in una mappa concettuale elaborata al computer i tratti fondamentali – riguardo a temi, stile, lessico, lingua – del Neoclassicismo e del Preromanticismo.

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Capitolo 1· Neoclassicismo e Preromanticismo in Europa e in Italia

Visualizzare i concetti

Neoclassicismo e Preromanticismo: i generi e le opere AreA GeoGrAfICA dI ProVeNIeNzA / LINGuA GeNere

Romanzo epistolare

PoeTICA dI rIferImeNTo

Preromanticismo

Inglese o scozzese

Francese

Pamela e Clarissa di Richardson

Giulia, o la nuova Eloisa di Rousseau

Neoclassicismo

Preromanticismo

Prosa lirica / poesia d’ambientazione nordica e barbarica

Poesia cimiteriale

I dolori del giovane Werther di Goethe

Ultime lettere di Jacopo Ortis di Foscolo

Studi sull’arte di Winckelmann

Sermone sulla mitologia di Monti

• Poesie di Monti; • Grazie di Foscolo

Neoclassicismo

Preromanticismo

• Canti di Ossian di Macpherson; • Il bardo e La discesa di Odino di Gray

Preromanticismo

• Il lamento, o Pensieri notturni di Young; • Elegia scritta in un cimitero campestre di Gray

Preromanticismo Dramma

Neoclassicismo

Italiana

Lettere sull’educazione estetica dell’umanità e sulla poesia ingenua e sentimentale di Schiller

Prosa di riflessione estetica

Poesia d’ispirazione classica

Tedesca

• I cimiteri di Pindemonte; • Dei sepolcri di Foscolo

• Sturm und Drang di Klinger; • I masnadieri e altri drammi di Schiller; • Goetz von Berlichingen e Urfaust di Goethe Aristodemo e Caio Gracco di Monti

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L’età napoleonica

facciamo il punto 1. Utilizzando i testi antologizzati di Winckelmann ( T1, p. 20) e di Monti ( T7, p. 53 e T8, p. 58) compila la seguente tabella: Autori

Genere

Lessico

Apparato retorico

Temi trattati

rimandi mitologici

Winckelmann

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Monti

Quali sono i tratti salienti del gusto neoclassico? 2. Utilizzando i testi di Rousseau ( T2, p. 25), di Goethe ( T3, p. 29), di Schiller ( T4, p. 39), di Gray ( T5, p. 42) e di Macpherson ( T6, p. 47) compila la seguente tabella: Autori

Genere

Temi trattati

Caratteristiche psicologiche e sociali dei personaggi

Caratteristiche della rappresentazione della natura

Rousseau

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Goethe

Schiller

Gray

Macpherson

Quali sono i tratti salienti del gusto preromantico? 3. Verifica se e in quale misura i princìpi teorici enunciati da Winckelmann si sono realizzati nei testi degli

autori neoclassici esaminati. 4. Nella seconda metà del Settecento in Italia e in Francia si verifica una sorta di confluenza tra i princìpi dell’Illuminismo e quelli del Neoclassicismo? Come si manifesta? 5. Quali tendenze estetiche si contrappongono al gusto neoclassico? 6. Qual è l’atteggiamento che lo scrittore neoclassico, ad esempio Monti, e lo scrittore preromantico, ad esempio Goethe, hanno nei confronti della natura? 7. Che cosa rappresenta il mondo classico per gli scrittori neoclassici?

62

In sintesi

NeoCLASSICISmo e PreromANTICISmo IN euroPA e IN ITALIA ALIA Verifica interattiva

IL NeoCLASSICISmo Il classicismo, che affonda le proprie radici in una tradizione secolare, assume una fisionomia specifica tra Settecento e Ottocento, in concomitanza con alcuni grandi rivolgimenti storici, quali la Rivoluzione francese e quella industriale, che producono una nuova sensibilità culturale. A rinnovare l’interesse per il mondo classico sono innanzitutto le scoperte di Pompei ed Ercolano, che diffondono il gusto per raffigurazioni nitide e armoniose, dal forte rilievo visivo. Nei suoi studi sull’arte antica, Johann Joachim Winckelmann (1717-68) vede nelle opere classiche esempi di una bellezza ideale, intesa come dominio sulle passioni e trasfigurazione della realtà in forme armoniche e composte: è la teoria del bello che informa il gusto “neo-classico”, caratterizzato da una nostalgica ammirazione dell’antico, concepito come una sorta di paradiso perduto. All’affermazione del classicismo concorre la Rivoluzione francese, che propone Atene, Sparta e Roma come modelli di libertà repubblicana e come manifestazioni storiche di quegli ideali civili ed eroici che s’intende far rivivere nel presente. Il regime napoleonico sfrutta poi questa tendenza culturale in chiave scenografica e celebrativa, richiamandosi ai fasti dell’età imperiale romana anziché alle virtù repubblicane. Le istanze più autentiche e innovative del Neoclassicismo d’ispirazione winckelmanniana si colgono piuttosto nella poesia di Ugo Foscolo, nella quale il mondo classico si configura come “altrove” ideale, da vagheggiare e ricreare contro la barbarie del presente.

IL PreromANTICISmo Contemporaneamente al Neoclassicismo compaiono manifestazioni culturali che preludono al Romanticismo e sono perciò definite “preromantiche”. Esse esprimono in modo diverso la medesima crisi di fondo e la medesima ansia di fuga dalla storia che sono alla base del Neoclassicismo, esasperando la dimensione passionale e soggettiva, esaltando il primitivo, il barbarico e l’esotico, prediligendo atmosfere lugubri e selvagge. In Francia si diffonde un gusto sentimentale grazie soprattutto al romanzo epistolare Giulia, o la nuova Eloisa (1761) di Jean-Jacques Rousseau, che con-

trappone la spontaneità dell’amore all’artificiosità delle convenzioni sociali. In Germania il movimento dello Sturm und Drang esalta la passionalità e concepisce l’arte come espressione del genio individuale, libero da ogni regola; oltre al primo Goethe, la poetica sturmeriana è rappresentata principalmente da Friedrich Schiller, autore di opere, come il dramma I masnadieri (1781), pervase da un’ansia di libertà senza limiti, dal culto dell’individuo, dall’insofferenza per la mediocrità borghese. In Inghilterra la sensibilità romantica, intrisa di malinconia, è anticipata, intorno alla metà del Settecento, dalla poesia cimiteriale di Edward Young e di Thomas Gray. La rievocazione di un suggestivo passato barbarico è al centro dei Canti di Ossian (1761), che lo scozzese James Macpherson compone mescolando canti della tradizione popolare con parti di propria invenzione. La raccolta, attribuita al leggendario guerriero e bardo del III secolo d.C. Ossian, ebbe straordinario successo e circolò anche in Italia nella traduzione di Melchiorre Cesarotti.

VINCeNzo moNTI In Italia le diverse tendenze culturali che caratterizzano il periodo compreso tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento trovano espressione, oltre che nell’opera di Foscolo, in quella di Vincenzo Monti (1754-1828). Nella sua prima produzione prevale il gusto arcadico e classicheggiante, anche laddove il poeta riprende tematiche preromantiche (Al principe Sigismondo Chigi e i Pensieri d’amore, composti nel 1783 e ispirati al Werther) o esalta con entusiasmo illuministico le conquiste della scienza (Al signor di Montgolfier, 1784). Una certa propensione per i toni cupi e per l’orrido, di ascendenza preromantica, affiora invece nella Bassvilliana (1793), un poemetto che descrive gli orrori rivoluzionari in Francia. Negli anni successivi alla Rivoluzione, Monti non esita a correggere le proprie posizioni politiche a seconda della situazione, facendosi cantore del cesarismo napoleonico, con opere che si collocano nel filone del classicismo scenografico e celebrativo, e collaborando con i nuovi dominatori austriaci dopo la Restaurazione.

63

Capitolo 2

Ugo Foscolo Tra Settecento illuministico e Romanticismo Foscolo si colloca al confine di due epoche, il Settecento, contrassegnato da classicismo, razionalismo illuministico e materialismo, e il primo Ottocento romantico, caratterizzato dalla crisi della ragione e dall’imporsi delle illusioni e dei sentimenti, dall’affermazione prepotente della soggettività in tragico conflitto con la realtà oggettiva, da un senso di esilio da un paradiso perduto di autenticità e pienezza vitale, dal fascino della morte. Nel poeta si trovano compresenti ambedue le tendenze.

La delusione storica L’esperienza di Foscolo è segnata dalla delusione degli ideali della Rivoluzione francese e dallo scontro con la realtà del dominio napoleo64

nico in Italia, che di quegli ideali è la negazione. Di qui nasce in lui un senso di sradicamento, che si traduce nel tema dell’esilio e nella costruzione di un’immagine di sé come senza patria. L’impossibilità di trovare alternative al negativo della storia entro il corso della storia stessa induce il poeta a vagheggiare la morte come unico scampo e come porto di quiete, ma il suo ideale eroico e il suo rifiuto di ogni atteggiamento passivamente rinunciatario non gli consentono di adagiarsi in questa soluzione nichilistica e lo spingono a lottare comunque per trovare soluzioni positive.

che stai? Breve è la vita, e lunga è l’arte; a chi altamente oprar non è concesso fama tentino almen libere carte. (A se stesso, vv. 12-14)

Videolezione d’autore

rificarlo dalle passioni e dagli affanni, nonché di liberare l’uomo dalla barbarie ferina che permane in lui e di renderlo civile, inducendolo al rispetto degli altri e alla compassione.

La ricerca di risposte ai problemi vivi nella coscienza Le memorie delle gesta del passato, la bellezza rasserenatrice, i miti classici non sono dunque nella sua poesia triti motivi retorici (come potevano essere per altri mediocri letterati del tempo), ma tentativi di dare risposte a problemi vivi nella coscienza contemporanea, in un momento storico particolarmente travagliato. Per questo l’esperienza poetica foscoliana, come esempio di combattiva non rassegnazione alle delusioni della storia, può essere ancora stimolante oggi.

Una parte degli uomini opera senza pensare, una parte pensa senza operare, pochi operano dopo aver pensato. La crisi del materialismo settecentesco Insieme alla delusione storica e politica Foscolo patisce anche la crisi del materialismo settecentesco. In lui vi è il bisogno di altre certezze, che offrano un riparo all’angosciosa percezione della precarietà dell’esistenza umana e dell’opera distruttiva del tempo. A entrambi i vicoli ciechi, quello politico e quello filosofico, Foscolo risponde affermando il potere delle illusioni: la sepoltura lacrimata, che dà l’illusione di vivere ancora dopo la morte e permette di superare l’idea paralizzante del «nulla eterno»; la memoria storica dei grandi del passato, che spinge a compiere imprese gloriose; la bellezza e l’arte che, in contrapposizione al caos della storia, hanno il compito di rasserenare l’animo umano e di pu-

(Sull’origine e i limiti della giustizia)

La lingua Foscolo scrive nella lingua letteraria della tradizione, ardua ed elitaria: ma dietro a questo linguaggio, che per il lettore di oggi può risultare ostico, si riconoscono un’esperienza umana di altissima statura, vissuta senza compromissioni, una straordinaria profondità di pensiero, un vigore espressivo nutrito di potenza immaginativa e capace di dar vita alle più varie modulazioni musicali del verso.

L’arte non consiste nel rappresentare cose nuove, bensì nel rappresentare con novità. (Epistolario) 65

L’età napoleonica

1 La giovinezza

Gli entusiasmi rivoluzionari

La vita Videolezione

Gli anni giovanili e la delusione napoleonica

Niccolò Foscolo (Ugo fu un nome assunto più tardi dal poeta) nacque nel 1778 a Zante, una delle isole Ionie, possedimento della Repubblica veneta. Il padre, Andrea, era medico, la madre, Diamantina Spathis, era greca. L’essere nato in terra greca e da madre greca rivestì molta importanza per il poeta, che si sentì per tali origini profondamente legato alla civiltà classica e suo ideale erede. L’isola natia rimase sempre nella sua memoria come simbolo di serenità luminosa, bellezza, gioia vitale, fecondità, e fu cantata più volte nella sua poesia. Trasferitasi la famiglia a Spalato, in Dalmazia, frequentò i primi studi presso il locale seminario. Alla morte del padre (1788) la famiglia conobbe gravi difficoltà economiche. La madre nel 1789 si stabilì a Venezia per cercare appoggio presso parenti ed amici, e lì Niccolò la raggiunse nel 1793, a quindici anni. Conoscendo poco la lingua italiana, si gettò negli studi, creandosi rapidamente una notevole cultura, sia classica sia contemporanea; al tempo stesso cominciò a scrivere i primi versi e nonostante la sua povertà acquistò fama nella società veneziana. Della sua povertà il giovane Foscolo era fierissimo, al punto da ostentarla con orgoglio. Politicamente era entusiasta dei princìpi della Rivoluzione francese ed assunse posizioni fortemente libertarie ed egualitarie. Ebbe pertanto noie con il governo oligarchico e conservatore della Repubblica di Venezia e, nel 1796, per sfuggire ai sospetti del governo, lasciò la città rifugiandosi per qualche tempo sui colli Euganei. Nel gennaio del 1797 fece rappresentare la tragedia Tieste, di impronta alfieriana. Nel frattempo le armate napoleoniche avanzavano nell’Italia del Nord. Foscolo fuggì a Bologna, arruolandosi nelle truppe della Repubblica cispadana e pubblicando l’ode Bonaparte liberatore, in cui esaltava il generale francese come portatore di libertà. Formatosi a Venezia un governo democratico, vi fece ritorno, impegnandosi attivamente nella vita politica; ma nel novembre, dopo che Napoleone aveva ceduto la Repubblica

Foscolo e il suo tempo

Nasce a Zante da padre veneto e madre greca

Muore il padre; la madre si trasferisce a Venezia

Linea del tempo

Si rifugia sui colli Euganei per sfuggire alle persecuzioni antigiacobine

Raggiunge la madre a Venezia e simpatizza per i princìpi rivoluzionari

Studia presso il seminario di Spalato

Poesie (odi e sonetti)

Tieste Passa a Bologna, poi torna a Venezia; dopo il Trattato di Campoformio fugge a Milano

Ultime lettere di Jacopo Ortis Conosce Parini e Monti. Si arruola nell’esercito repubblicano

Periodo giovanile

1778

1788-89 Rivoluzione francese

1793

1796

1797

Conquiste di Napoleone in Italia Trattato di Campoformio: i francesi cedono il Veneto agli Austriaci

66

1799 Colpo di Stato di Napoleone

1803

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

Il trauma di Campoformio

veneta all’Austria con il Trattato di Campoformio, lasciò di nuovo Venezia e si rifugiò a Milano. Il “tradimento” di Napoleone fu un trauma che segnò profondamente l’esperienza di Foscolo, cancellando tutte le sue speranze politiche. Tuttavia, pur disilluso e pur mantenendo un atteggiamento critico verso Napoleone, egli continuò sempre a operare all’interno del sistema napoleonico, nella consapevolezza che esso era un punto obbligato di passaggio per la creazione di un’Italia moderna.

L’età napoleonica Le relazioni intellettuali Le esperienze militari e amorose

La cattedra pavese

L’Aiace

Gli anni fiorentini e Le Grazie

A Milano Foscolo conobbe Parini (che costituiva per lui un modello di figura intellettuale) e strinse amicizia con Monti. In questi anni Foscolo cercò anche una collocazione sociale che gli consentisse di svolgere il suo lavoro intellettuale. Nel 1798 a Bologna era stato aiutante cancelliere al Tribunale militare; con l’avanzata degli Austriaci l’anno successivo tornò ad arruolarsi e partecipò a vari scontri, restando poi assediato a Genova col generale Massena. Dopo la vittoria di Marengo, con cui Napoleone riconquistò l’Italia, fu arruolato come capitano aggiunto nell’esercito della Repubblica italiana. Questi furono anche anni di intense passioni amorose, per Isabella Roncioni a Firenze, per Antonietta Fagnani Arese a Milano. Nel 1808, grazie all’interessamento di Monti, ottenne la cattedra di Eloquenza all’Università di Pavia. Sembrava la sistemazione tanto sperata, ma la cattedra fu presto soppressa dal governo. Intanto le posizioni poco ossequenti verso il regime napoleonico ed il carattere fiero ed insofferente gli attirarono le inimicizie di molti nell’ambiente letterario milanese, tra cui quella di Monti stesso, provocando acri polemiche. Nel 1811 fece rappresentare la tragedia Aiace dove, nella figura del tiranno Agamennone, furono ravvisate allusioni a Napoleone. Le repliche della tragedia furono soppresse e il poeta fu sollevato dall’incarico di revisore degli spettacoli. Si recò allora a Firenze, dove soggiornò fino al novembre 1813. Fu un periodo sereno, allietato dall’ambiente amichevole della città, da amori felici e dal fervore creativo. Nella villa di Bellosguardo, sui colli fiorentini, si dedicò intensamente alla composizione delle Grazie, di cui abbozzò un nucleo consistente (1812-13).

Aiace

Dei sepolcri

Discorso sul testo della «Commedia» di Dante

Notizia intorno a Didimo Chierico Le Grazie

Ricopre per un breve periodo la cattedra di Eloquenza a Pavia

Si trasferisce a Firenze

Torna a Milano, ma rifiuta di collaborare con gli Austriaci

A causa della povertà e dei debiti, vive nei sobborghi più poveri della città

Lascia l’Italia: è accolto in Svizzera

Si trasferisce a Londra e collabora con varie riviste

Muore nel villaggio di Turnham Green

Periodo napoleonico

1807 1808

L’esilio

1811 1812 1813 La battaglia di Lipsia: sconfitta di Napoleone

1815 Napoleone abdica. Gli Austriaci occupano Milano

Congresso di Vienna e definitiva sconfitta di Napoleone a Waterloo

1821

1827

Napoleone muore a Sant’Elena

67

L’età napoleonica

L’esilio Il ritorno a Milano

L’esilio a Londra

Gli ultimi anni

Dopo la sconfitta di Napoleone a Lipsia Foscolo tornò a Milano, riprendendo il suo posto nell’esercito. Dopo la sconfitta definitiva di Waterloo e il rientro a Milano degli Austriaci, il generale Bellegarde gli offrì la direzione di una rivista culturale, la “Biblioteca italiana”, con cui il nuovo regime cercava di conquistare il consenso degli intellettuali. Ma Foscolo, dopo alcune esitazioni (aveva già steso una bozza del programma), rifiutò per coerenza con il suo passato e con le sue idee. Fuggì da Milano e andò in esilio prima in Svizzera, poi a Londra. Qui fu accolto con onori e simpatia, ma sorsero presto attriti ed incomprensioni, persino con gli esuli italiani, che lo ammiravano come modello poetico e politico. Le sue condizioni economiche si fecero sempre più gravi, anche a causa della vita follemente dispendiosa che conduceva. Per alleviare tali difficoltà, cercò collaborazioni con riviste inglesi, pubblicando saggi sulla letteratura italiana del passato e del presente, dove tra l’altro prese posizione contro la nuova scuola romantica che si stava affermando a Milano. Negli ultimi tempi, ammalato e in miseria, fu costretto a nascondersi dai creditori andando a vivere nei sobborghi più poveri di Londra. Qui, come scrive in una lettera del 1826, «tra il trambusto di uomini in rissa, di donne in litigio, di fanciulli sbraitanti, di esecutori pignoranti», trovò conforto continuando la traduzione dell’Iliade. Morì nel villaggio di Turnham Green nel 1827, a 49 anni. Nel 1871 i suoi resti furono portati in Italia e sepolti in Santa Croce, vicino alle tombe dei grandi uomini da lui cantati nei Sepolcri.

Carta interattiva

I luoghi e la vita di Foscolo 7 LONDRA

LONDRA 1 ZANTE

Nasce nel 1778; la madre è greca.

2 SPALATO La famiglia si trasferisce a Spalato; alla morte del padre (1788) conosce gravi difficoltà economiche.

7

Dopo la sconfitta napoleonica di Waterloo (1815), fugge da Milano e va in esilio prima in Svizzera e poi a Londra; muore in povertà nel villaggio di Turnham Green (1827).

6 FIRENZE

Soggiorna a Firenze (1812-13), dove compone le Grazie. MILANO PAVIA

VENEZIA

4 5

3

6

FIRENZE ROMA

SPALATO

2

5 PAVIA Nel 1808, grazie all’interessamento di Monti, ottiene la cattedra di Eloquenza all’Università di Pavia.

3 VENEZIA

Nel 1793 raggiunge la madre a Venezia, dove scrive i primi versi.

4 MILANO

Dopo il Trattato di Campoformio (1797) e il “tradimento” di Napoleone, si rifugia a Milano, dove conosce Parini e Monti.

68

1

ZANTE

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

2 Un’articolata formazione culturale

Il pensiero politico e la concezione della società umana

La cultura e le idee Le componenti classiche, preromantiche e illuministiche Nella formazione di Foscolo convergono le componenti tipiche della cultura del suo tempo: la tradizione classica, le più moderne sollecitazioni preromantiche, l’Illuminismo settecentesco. La formazione letteraria del giovane poeta avviene nel solco del gusto arcadico; però poi, a questa letteratura frivola ed evasiva, dalla perfezione solo formale e retorica, si aggiunge il modello dei grandi classici latini e greci, oltre a quelli italiani, in particolare Dante e Petrarca. Tra i moderni, Foscolo guarda con ammirazione al rigore morale e civile di Parini e alla fiera indipendenza, all’ansia di libertà di Alfieri. Al tempo stesso subisce le suggestioni del sentimentalismo di Rousseau e del Werther di Goethe, della grandiosa cupezza barbarica di Ossian, in Italia mediata dalla fortunatissima traduzione di Melchiorre Cesarotti (che il giovane conobbe personalmente a Padova). I poeti “cimiteriali” inglesi sono da lui interpretati in chiave laica, civile e patriottica. Per quanto riguarda le idee, tra gli illuministi subì in un primo tempo l’influenza di Rousseau, che gli suggerì concezioni democratiche ed egualitarie e lo spinse negli anni giovanili ad abbracciare posizioni giacobine. Sempre da Rousseau derivò al giovane Foscolo il culto della natura come fonte di tutto ciò che è autentico e positivo, nonché il culto della passionalità intensa. La visione rousseauiana della società si fondava sul presupposto dell’originaria, naturale bontà dell’uomo, che era stata poi corrotta dallo sviluppo della civiltà. Più tardi Foscolo si staccò da questi princìpi, abbracciando le concezioni più aspramente pessimistiche di Machiavelli e del filosofo inglese Thomas Hobbes (1588-1679), che lo inducevano, al contrario, a credere nell’originaria malvagità dell’uomo, in perenne, feroce conflitto con gli altri uomini per sopraffarli e imporre il suo dominio. La società gli apparve allora come una guerra di tutti contro tutti, in cui trionfa solo la legge del più forte.

Il materialismo L’influenza dei classici greci e latini

La negazione del trascendente

La concezione eroica della vita

A questo pessimismo contribuisce un’altra componente filosofica, il materialismo, che gli proviene sempre dalla cultura illuministica del Settecento, con l’apporto però anche di pensatori e poeti classici, come i greci Democrito ed Epicuro e il latino Lucrezio, autore di un poema sulla natura in cui espone le teorie epicuree. Il materialismo è la posizione di chi ritiene che tutta la realtà sia materia, ed esclude quindi lo spirito, se non come prodotto della materia stessa. Ne deriva la negazione del trascendente e della sopravvivenza dell’anima dopo la morte. Tutto il reale non è che un perpetuo moto di aggregazione di elementi materiali, che poi si disgregano per andare a formare altri corpi. Il mondo quindi non è retto da una superiore intelligenza, ma da una cieca forza meccanica. La morte segna l’annullamento totale dell’individuo. A Foscolo è ben presente il rischio insito in simili posizioni, vale a dire la negazione di ogni valore superiore, ideale; non solo, ma il pessimismo che ne scaturisce può facilmente generare indifferenza, fatalismo, passività. La visione generosamente attiva ed eroica della vita che è propria di Foscolo induce in lui insoddisfazione per queste posizioni e lo spinge a cercare alternative, a ricuperare la dimensione ideale dell’esistenza, anche se egli non arriva mai a superare teoreticamente le concezioni materialistiche e meccanicistiche.

La funzione della letteratura e delle arti Il valore della bellezza Il compito civilizzatore dell’arte

Un fondamentale valore alternativo che Foscolo propone è la bellezza, di cui sono depositarie la letteratura e le arti. Ad esse è assegnato da Foscolo il compito di depurare l’animo dell’uomo dalle passioni che nascono dai conflitti della vita associata, di consolarlo dalle sofferenze e dalle angosce del vivere. Ma, accanto a questo compito, alla letteratura e alle arti è assegnato un fine più alto: rasserenando e purificando l’animo dell’uomo lo rendono più umano, lo allontanano dalla condizione feroce che conti69

L’età napoleonica

La funzione patriottica

3 La redazione interrotta e le tre successive

Ortis e Werther

Il conflitto tra l’intellettuale e la società

nua a permanere in lui dai tempi primitivi e che lo spinge alla violenza e alla guerra fratricida, gli insegnano il rispetto per gli altri uomini e la compassione per i deboli e i sofferenti. La letteratura e le arti hanno quindi per Foscolo un’inestimabile funzione civilizzatrice. Ad essa contribuisce anche il compito di tramandare le memorie, in cui consiste l’anima di un popolo, ciò che ne garantisce la coesione e fa di esso non un’accozzaglia casuale di individui ma una nazione. Nel caso dell’Italia, ciò si collega con la funzione patriottica, necessaria per trasformare un popolo diviso e arretrato a causa di secoli di decadenza e servitù in una nazione civile e moderna.

Le Ultime lettere di Jacopo Ortis Videolezione

Il modello del Werther

La prima opera importante di Foscolo fu un romanzo, Ultime lettere di Jacopo Ortis. Un accenno ad un progetto di romanzo, Laura. Lettere si trovava già in un Piano di studi del 1796, ma dell’opera non è rimasta traccia. Una prima redazione dell’Ortis fu parzialmente stampata dal giovane Foscolo a Bologna, nel 1798, ma restò interrotta per le vicende belliche, che spinsero lo scrittore a combattere contro gli Austro-Russi. Lo stampatore, per poter vendere il libro, lo fece concludere da un certo Angelo Sassoli (che tenne però presenti materiali di Foscolo stesso). Il romanzo fu ripreso da Foscolo e pubblicato a Milano, con profondi mutamenti, nel 1802. Su di esso lo scrittore ritornò ancora, durante l’esilio, ristampandolo nel 1816 a Zurigo e nel 1817 a Londra, con ritocchi ed aggiunte. L’Ortis è dunque un’opera giovanile, ma anche un’opera che Foscolo sentì come centrale nella sua esperienza, se vi ritornò a più riprese a distanza di parecchi anni. Si tratta di un romanzo epistolare, una forma di narrativa che aveva goduto di larga fortuna nel Settecento europeo ( cap. 1, p. 32): il racconto si costruisce attraverso una serie di lettere che il protagonista scrive all’amico Lorenzo Alderani (con alcuni interventi narrativi dell’amico stesso). Il modello a cui Foscolo guarda è soprattutto I dolori del giovane Werther di Goethe (1774, cap. 1, p. 29), anche se non è da trascurare l’influsso della Nuova Eloisa di Rousseau ( cap. 1, p. 24). Chiaramente ispirato al Werther è il nodo fondamentale dell’intreccio, un giovane che si suicida per amore di una donna già destinata come sposa ad un altro. Ma vicino a Goethe è anche il nucleo tematico profondo: la figura di un giovane intellettuale in conflitto con un contesto sociale in cui non può inserirsi. Goethe per primo aveva colto questa situazione di conflitto tra intellettuale e società, intuendo con grande anticipo un motivo che sarà poi centrale nella cultura moderna (come avremo modo di vedere ampiamente); ed aveva avuto la geniale intuizione di rappresentare il conflitto attraverso una vicenda privata e psicologica, sul terreno dei rapporti amorosi,

L’opera

Ultime lettere di Jacopo Ortis di Ugo Foscolo Jacopo è un giovane patriota che, dopo la cessione di Venezia all’Austria col Trattato di Campoformio, si rifugia sui colli Euganei per sfuggire alle persecuzioni. Qui s’innamora di Teresa, ma il suo è un amore impossibile, perché la giovane è già promessa ad Odoardo, che è l’esatta antitesi di Jacopo, uomo gretto e prosaico, freddo e razionale, tanto quanto l’eroe è impetuoso e appassionato. La disperazione amo-

70

rosa e politica spinge Jacopo ad un pellegrinaggio per l’Italia (a Firenze, dove visita le tombe di Santa Croce, a Milano, dove ha un incontro col Parini, ai confini con la Francia, a Ventimiglia, dove medita sulla storia come trionfo perpetuo della natura ferina dell’uomo). La notizia del matrimonio di Teresa lo riporta nel Veneto: rivede ancora una volta la fanciulla amata, si reca a visitare la madre, poi si uccide.

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

nell’impossibilità, da parte del giovane protagonista, di avere una relazione con la donna amata e di concluderla con il matrimonio (che nella cultura borghese di quest’età è il segno per eccellenza dell’avvenuta maturazione del giovane, del suo equilibrato inserimento nella società). Foscolo riprende questo nucleo tematico, sviluppandolo in relazione alle particolari caratteristiche del contesto italiano dei suoi anni.

La delusione storica Il conflitto di Werther con la società

La mancanza di una patria

La morte come unica via d’uscita dalla crisi storica La ricerca dei valori positivi

Come si vede, il conflitto sociale, che nel Werther si misura essenzialmente sul piano privato dei rapporti personali, qui si trasferisce anche su un piano politico. Ma sono i caratteri stessi del conflitto che si trasformano. Il dramma di Werther è quello di non potersi identificare con la sua classe di provenienza: lo slancio del cuore, la passionalità veemente, la superiore sensibilità del giovane artista sono respinti dal mondo borghese, che si fonda sulla razionalità, sul calcolo, sul culto dell’ordine; dall’altro lato, l’artista borghese è respinto anche dall’aristocrazia, che è ancora la classe dominante, chiusa ottusamente a difesa dei suoi privilegi di casta. Diverso è il dramma di Jacopo: non tanto l’urto contro un assetto sociale ferreo che lo respinge, quanto il senso angoscioso di una mancanza, il non avere una patria, un tessuto sociale e politico degno di questo nome entro cui inserirsi. Il fatto essenziale è che il Werther fu scritto prima della Rivoluzione, l’Ortis dopo; dietro il giovane Werther c’è la Germania dell’assolutismo principesco, caratterizzata dal dominio sociale dell’aristocrazia e da una borghesia vile e reazionaria; dietro il giovane Ortis c’è invece l’Italia dell’età napoleonica, con i suoi tumultuosi rivolgimenti ed il delinearsi del nuovo regime oppressivo del “tiranno” straniero. In Werther c’è la disperazione che nasce dal sentire il bisogno di un mondo diverso, senza però intravedere alcuna possibilità concreta di una trasformazione profonda; in Jacopo c’è invece la disperazione che nasce dalla delusione rivoluzionaria, dal vedere tradite tutte le speranze patriottiche e democratiche, dal vedere la libertà finire in tirannide, dal rendersi conto che lo strumento rivoluzionario è ormai impraticabile ( T1, p. 73 e T2, p. 75). Non essendovi alternative possibili sul piano della storia, l’unica via che si offre ad Ortis per uscire da una situazione negativa, al tempo stesso insostenibile e immodificabile, è la morte. Però, pur nascendo da una situazione così disperata e pur approdando ad una conclusione così negativa (il suicidio dell’eroe), l’Ortis non è solo un’opera nichilistica. Al suo interno si trova già una ricerca di valori positivi, che possano permettere di superare il vicolo cieco della storia: la famiglia, gli affetti, la tradizione culturale italiana, l’eredità classica, la poesia. Questi motivi saranno sviluppati nelle opere successive, soprattutto nella grande sintesi dei Sepolcri. Il nichilismo è dunque solo uno dei poli di una dialettica, presente e attiva in questo momento dell’esperienza foscoliana, e destinata ad avere in futuro diverse soluzioni.

L’Ortis e il romanzo moderno

La mancanza di un interesse narrativo

Con l’Ortis Foscolo, come riesce a cogliere acutamente i problemi che si pongono alle generazioni italiane post-rivoluzionarie ( T4, p. 88), così, sul piano delle forme letterarie, ha l’intuizione geniale di trasferire in Italia un modello di romanzo moderno, largamente diffuso in ambito europeo. E tuttavia, come si è già osservato, l’Ortis non inaugura propriamente il genere del romanzo in Italia. A differenza che nella Nuova Eloisa e nel Werther, non vi è in esso un autentico interesse narrativo a costruire un intreccio di eventi, ad evocare ambienti sociali, a dipingere personaggi e psicologie autonome: prevale decisamente in Foscolo la spinta lirica, o saggistica, od oratoria. Più che un racconto l’opera appare come un lungo monologo, in cui l’eroe si confessa con veemente pathos e al tempo stesso si abbandona ad una lunga serie di meditazioni filosofiche e politiche ( T3, p. 81; T5, p. 90; T6, p. 93) o ad appassionate orazioni. 71

L’età napoleonica Lo stile

Il Sesto tomo dell’io

Ciò si riflette sullo stile: l’opera è scritta in una prosa aulica, pervasa da una continua tensione al sublime; la sintassi è complessa, sul modello classico, la linea del pensiero è caratterizzata da studiate antitesi o simmetrie, da trapassi improvvisi, da continue ellissi; spesso, poi, l’enfasi retorica ha il sopravvento, oppure si avverte il peso delle reminiscenze libresche. Parallelo all’Ortis è però un altro progetto narrativo di carattere molto diverso, che risale probabilmente al 1801: il Sesto tomo dell’io (rimasto allo stato di semplice abbozzo frammentario). Avrebbe dovuto essere anch’esso un’opera autobiografica, in prima persona, ma, a differenza dell’Ortis, l’atteggiamento di Foscolo è umoristico, fatto di distacco ironico e di saggezza contemplativa. Vi si può cogliere già la suggestione della lettura di Laurence Sterne, che frutterà più tardi la traduzione del Viaggio sentimentale e la creazione della “maschera” di Didimo Chierico, l’antitesi di Jacopo Ortis ( Altri scritti letterari, p. 154).

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I l We r t h e r e l ’ O r t i s a c o n f r o n t o I DOLORI DEL GIOVANE WERTHER

Romanzo epistolare: la narrazione è svolta attraverso le lettere del protagonista, con rari interventi di un narratore esterno (l’editore fittizio delle lettere)

Il genere

Ambientazione

La narrazione Antefatto

Intreccio

Rapporto intellettualesocietà I temi principali

Amore e morte

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ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS

La Germania dell’assolutismo prerivoluzionario, dominata dall’aristocrazia e da una borghesia reazionaria

L’Italia napoleonica, con i suoi tumultuosi rivolgimenti e il delinearsi del nuovo regime oppressivo del “tiranno” straniero

Il protagonista si rifugia in campagna in seguito a una dolorosa vicenda sentimentale

In seguito al Trattato di Campoformio, il protagonista si rifugia sui colli Euganei per sfuggire alle persecuzioni contro i patrioti giacobini

Un giovane che si suicida per amore di una donna già destinata come sposa ad un altro Werther non può identificarsi né con l’aristocrazia, che lo respinge in quanto borghese, né con la borghesia, perché i suoi valori di artista si scontrano con il freddo pragmatismo che caratterizza questa classe sociale

Il dramma di Jacopo è politico piuttosto che sociale: egli avverte la mancanza di una patria entro cui inserirsi dopo il fallimento storico dei sogni patriottici e rivoluzionari

Il suicidio per un amore impossibile è il modo in cui si manifesta l’impossibilità da parte del protagonista di inserirsi nel contesto della società

L’amore è una forza positiva, è l’estrema illusione che trattiene il protagonista dal suicidio dopo la delusione storica: svanita anche questa illusione, Jacopo si uccide

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

T1

Analisi interattiva

«Il sacrificio della patria nostra è consumato» dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis

Temi chiave

• la morte come unica soluzione e come forma di sopravvivenza nel ricordo

• nichilismo e illusione

È la lettera di apertura del romanzo. Il giovane Jacopo, profilandosi la cessione di Venezia all’Austria da parte di Napoleone, nell’ottobre 1797, si è rifugiato sui colli Euganei per evitare le persecuzioni contro i patrioti giacobini.

Da’ colli Euganei, 11 ottobre 1797.

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Il sacrificio della patria nostra è consumato1: tutto è perduto; e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e la nostra infamia. Il mio nome è nella lista di proscrizione2, lo so: ma vuoi tu ch’io per salvarmi da chi m’opprime mi commetta a chi mi ha tradito?3 Consola mia madre: vinto dalle sue lagrime le ho ubbidito, e ho lasciato Venezia per evitare le prime persecuzioni, e le più feroci. Or dovrò io abbandonare anche questa mia solitudine antica4, dove, senza perdere dagli occhi il mio sciagurato paese, posso ancora sperare qualche giorno di pace? Tu mi fai raccapricciare, Lorenzo; quanti sono dunque gli sventurati5? E noi, pur troppo, noi stessi italiani6 ci laviamo le mani nel sangue degl’italiani. Per me segua che può7. Poiché ho disperato e della mia patria e di me, aspetto tranquillamente la prigione e la morte. Il mio cadavere

1. Il sacrificio … consumato: la cessione di Venezia all’Austria fu sancita col Trattato di Campoformio, il 17 ottobre 1797; ma proprio l’11 ottobre, data della lettera di Jacopo, Napoleone si incontrò con gli Austriaci a Udine per iniziare le trattative. 2. lista di proscrizione: la lista dei cittadini

sospetti politicamente. 3. salvarmi … tradito?: vuoi che per salvarmi dagli Austriaci mi affidi a Napoleone? Commetta è un latinismo. 4. questa … antica: i colli Euganei, dove Jacopo si è rifugiato. 5. gli sventurati: le vittime delle persecuzioni.

6. noi … italiani: sono gli italiani stessi che si prestano a divenire esecutori delle persecuzioni. 7. segua che può: succeda quello che può succedere.

Pesare le parole Raccapricciare (r. 7)

> Il verbo deriva da capriccio, con i prefissi re- e a-, e signi-

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fica “provare orrore”; raccapriccio infatti è un forte turbamento provocato da orrore o paura per qualcosa (es. ho provato raccapriccio alla notizia della strage causata dall’ubriaco al volante). L’etimologia di capriccio è incerta, forse da capo riccio, in base al pregiudizio primitivo che chi ha la testa ricciuta sia bizzarro e stravagante (pregiudizio affine a quello secondo cui chi ha i capelli rossi è cattivo: si pensi a Rosso Malpelo di Verga). Infatti capriccio vuol dire “desiderio o azione improvvisi e bizzarri” (es. gli è venuto il capriccio di fare un viaggio in quella regione desertica e pericolosa). Sinonimi: ghiribizzo, dall’antico tedesco Krebiz, “gambero”, quindi qualcosa che come i gamberi procede al contrario di ciò che ci si aspetta (es. gli è venuto il ghiribizzo di mollare un lavoro ben pagato e partire per l’India); bizzarria, comportamento di chi non segue gli schemi comuni e usuali, forse da bizza, “accesso momentaneo di collera, capriccio”, di etimologia incerta (es. la bizzarria del suo vestire suscita sempre la sorpresa di tutti); stramberia, “atto o discorso strano, stravagante”, dal latino stràmbum, “strabico, storto” (es. rinunciare a quel premio è stato da parte sua un’incomprensibile stramberia). Un altro senso di capriccio è “infatuazione amorosa super-

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ficiale e passeggera” (es. non è veramente innamorato, è un capriccio che gli passerà presto), da cui il verbo incapricciarsi (es. quell’uomo maturo si è incapricciato di una ragazzina). In campo musicale capriccio è una composizione strumentale a struttura libera ed estrosa; nelle arti figurative è una stampa o un dipinto che presenta figure, scene o vedute fantastiche, bizzarre (famosi sono i Capricci del pittore spagnolo Francisco Goya, 1746-1828). Il tempo è detto capriccioso quando è instabile e mutevole. Estroso, a sua volta, deriva da estro, dal greco óistros, insetto parassita degli animali, che pungendoli li infastidisce e li rende inquieti; poi, per estensione, è venuto a significare il periodo della maturazione degli ovuli nelle femmine dei mammiferi, che quindi provano lo stimolo a cercare l’inseminazione da parte dei maschi; di qui il senso figurato di “capriccio, ghiribizzo” (es. mi è venuto l’estro di dedicarmi alla pittura), oppure, in campo artistico, di “ispirazione, spinta irresistibile a creare” (es. ha composto quel brano musicale seguendo l’estro momentaneo). Estroso quindi può voler dire sia “bizzarro, capriccioso” (es. il suo carattere estroso lo induce a gesti strani, che ci sorprendono) sia, in campo artistico, “originale” (es. il giornalista ha scritto un articolo molto estroso sulle tendenze attuali della moda).

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L’età napoleonica

almeno non cadrà fra braccia straniere; il mio nome sarà sommessamente compianto da’ pochi uomini buoni, compagni delle nostre miserie; e le mie ossa poseranno su la terra de’ miei padri8. 8. ossa … padri: preferisce morire in patria piuttosto che andare in esilio.

Analisi del testo La morte come unica alternativa

L’impostazione narrativa

La ricerca della sublimità tragica

> Nichilismo e illusione

Sin dalla pagina iniziale la morte appare l’unica alternativa che si offre all’eroe di fronte ad una situazione politica senza via d’uscita. Ma, oltre che in negativo, la morte è vista anche in positivo, come una forma di sopravvivenza, sia pur illusoria: l’eroe sarà compianto dai «pochi uomini buoni». La morte è sopravvivenza nella memoria, il valore dell’individuo non va del tutto perduto; inoltre la morte, attraverso il conforto di un ricongiungimento con la terra dei padri, è anche l’unico modo per trovare un terreno sicuro nell’incertezza angosciosa di una condizione precaria, quella del “senza patria”, di chi è privo della patria come organismo politico. In questa pagina d’apertura è già in germe la duplice direzione in cui muoverà il resto del romanzo: da un lato il nichilismo disperato, dall’altro il ricupero di valori positivi attraverso l’illusione.

> Forma e stile

La forma epistolare fa sì che il protagonista sia anche il narratore della vicenda. Inoltre fa sì che l’atto del narrare coincida cronologicamente con lo svolgersi dell’azione (oppure la segua di poco). In questo modo la narrazione è sempre tutta pervasa dai sentimenti e dalle passioni che hanno dominato l’evento narrato. Per questo, più che una narrazione, il racconto sembra il monologo di un eroe tragico, di tipo alfieriano. Ciò rende ragione dello stile del passo, che sarà poi caratteristico di tutta l’opera, uno stile tendente alla sublimità tragica, dalla forte enfasi oratoria. Si noti la secchezza delle frasi molto brevi, la ricerca di sentenze dalla concisione lapidaria, quali si possono trovare sulle labbra degli eroi della storia romana o delle tragedie alfieriane (ad esempio: «Poiché ho disperato e della mia patria e di me, aspetto tranquillamente la prigione e la morte»). Si noti anche l’incalzare delle interrogazioni retoriche, a cui si aggiungono le studiate antitesi («per salvarmi da chi m’opprime mi commetta a chi mi ha tradito?»).

Esercitare le competenze

Laboratorio interattivo

COmPReNdeRe

> 1. Quale consiglio del destinatario della lettera non intende seguire Jacopo? E quale compito idealmente gli affida? > 2. Con quali motivazioni Jacopo giustifica la scelta di restare sui colli Euganei? ANALIzzARe

> 3. > 4.

Quali elementi del testo ne rivelano l’appartenenza allo stile epistolare? Il brano, collocato in apertura del romanzo, presenta parole chiave allusive ai temi che verranno successivamente trattati: la patria, la madre, la morte, la sepoltura. Individua e raggruppa vocaboli e/o espressioni che si riferiscono a ciascun tema. Stile

Lessico

APPROFONdIRe e INTeRPReTARe

> 5.

Scrivere Spiega in circa 5 righe (250 caratteri), anche in base al contesto di riferimento, il significato dell’affermazione «E noi […] sangue degl’italiani» (rr. 8-9).

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Capitolo 2 · Ugo Foscolo

> 6.

Altri linguaggi: cinema Il film Napoléon, diretto nel 1927 da Abel Gance, è un capolavoro del cinema muto francese, caratterizzato da soluzioni tecniche e linguistiche innovative: la figura dell’imperatore-tiranno vi compare anche attraverso raffigurazioni, potenti sul piano simbolico e metaforico, che ne rendono la forza impetuosa e Video da Napoléon l’autoritarismo. Dopo aver preso visione dello spezzone, rispondi alle domande. a) Quali immagini fanno riferimento alle abilità di strategia del personaggio, ancora giovane ufficiale? b) Descrivi l’espressione del volto dell’attore che interpreta Napoleone, spiegandone l’efficacia della resa visiva del suo “mito”. c) Come definiresti il montaggio proposto dallo spezzone?

Fotogramma dal film Napoléon.

PeR IL POTeNzIAmeNTO

> 7. Quali autori, nel corso dei secoli, hanno “cantato” le sorti, spesso drammatiche o controverse, di un’Italia che ancora

non esisteva nella sua unità politica e istituzionale? Rispondi alla domanda facendo riferimento agli studi effettuati.

T2

Il colloquio con Parini: la delusione storica

Temi chiave

• la degenerazione della libertà rivoluzionaria • la mancanza di valori • l’abbandono dello spirito eroico • il pessimismo sulla possibilità di agire

dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis Jacopo, nel suo peregrinare per l’Italia, è giunto a Milano, capitale della Repubblica cisalpina. Qui incontra il vecchio poeta Parini.

politicamente

• la morte come unica alternativa

4 dicembre. […] Ier sera dunque io passeggiava con quel vecchio venerando nel sobborgo orientale della città sotto un boschetto di tigli. Egli si sosteneva da una parte sul mio braccio, dall’altra sul suo bastone: e talora guardava gli storpi suoi piedi, e poi senza dire parola volgevasi a me,

Pesare le parole Venerando (r. 1)

> Deriva dal gerundivo del verbo latino veneràre, “adorare

>

gli dèi” (da Venus-Veneris, Venere), quindi significa “che è degno di essere venerato”, cioè fatto segno di grande riverenza, rispetto, ammirazione; spesso però è usato come formula stereotipata in riferimento alla vecchiaia (es. è arrivato alla veneranda età di novant’anni). La venerazione è quella che è dovuta ai santi (es. i napoletani hanno una venerazione particolare per san Gennaro); in senso generico è l’atteggiamento adorante e insieme rispettoso verso qualcuno o qualcosa (es. la nipotina ha una vera e propria venerazione per suo nonno). Riverenza (anche nella forma reverenza) proviene dal verbo latino verèri, “temere”, più re- rafforzativo: quindi ha in sé l’idea del timore, della soggezione che accompagna il rispetto per qualcuno o qualcosa (es. è cattolico osservante e pieno di riverenza per le gerarchie ecclesia-

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stiche; provo riverenza verso i grandi capolavori dell’arte del passato); indica anche un gesto fisico, l’inchino o la genuflessione (es. le signore fecero la riverenza dinanzi alla regina). Sinonimi: deferenza, dal latino defèrre, “portare giù”, è il conformarsi per rispetto all’autorità di qualcuno collocato in posizione di superiorità (es. i collaboratori si comportano con deferenza verso il ministro); ossequio, dal latino òbsequi, “accondiscendere” (sèqui, “seguire”), è il rispetto verso persone o istituzioni considerate di grande dignità (es. le autorità cittadine hanno manifestato il loro ossequio al Capo dello Stato). È usato anche in formule stereotipate di cortesia (es. ossequi alla sua signora). Nella formula in ossequio a… vale “in obbedienza” (es. in ossequio alle norme vigenti non si può fumare nei locali pubblici).

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quasi si dolesse di quella sua infermità, e mi ringraziasse della pazienza con la quale io lo accompagnava. S’assise sopra uno di que’ sedili ed io con lui: il suo servo ci stava poco discosto. Il Parini è il personaggio più dignitoso e più eloquente ch’io m’abbia mai conosciuto; e d’altronde un profondo, generoso, meditato dolore a chi non dà somma eloquenza? Mi parlò a lungo della sua patria, e fremeva e per le antiche tirannidi1 e per la nuova licenza2. Le lettere prostituite3; tutte le passioni languenti e degenerate in una indolente vilissima corruzione; non più la sacra ospitalità, non la benevolenza, non più l’amore figliale – e poi mi tesseva gli annali recenti4, e i delitti di tanti uomiciattoli ch’io degnerei di nominare, se le loro scelleraggini mostrassero il vigore d’animo, non dirò di Silla e di Catilina5, ma di quegli animosi masnadieri che affrontano il misfatto quantunque e’ si vedano presso il patibolo – ma ladroncelli, tremanti, saccenti – più onesto6 insomma è tacerne. – A quelle parole io m’infiammava di un sovrumano furore, e sorgeva gridando: Ché non si tenta? morremo? ma frutterà dal nostro sangue il vendicatore7. – Egli mi guardò attonito: gli occhi miei in quel dubbio chiarore scintillavano spaventosi, e il mio dimesso e pallido aspetto si rialzò con aria minaccevole – io taceva, ma si sentiva ancora un fremito rumoreggiare cupamente dentro il mio petto. E ripresi: Non avremo salute8 mai? ah se gli uomini si conducessero sempre al fianco la morte, non servirebbero sì vilmente9. – Il Parini non apria bocca; ma stringendomi il braccio, mi guardava ogni ora più fisso. Poi mi trasse, come accennandomi perch’io tornassi a sedermi: E pensi tu, proruppe, che s’io discernessi un barlume di libertà, mi perderei ad onta della mia inferma vecchiaia, in questi vani lamenti? o giovine degno di patria più grata! se non puoi spegnere quel tuo ardore fatale, ché non lo volgi ad altre passioni?

1. antiche tirannidi: il dominio spagnolo su Milano nel Cinque e Seicento, poi quello austriaco nel Settecento. 2. nuova licenza: l’attuale dominio francese, fondato sull’arbitrio e la violazione di ogni diritto. La licenza è la degenerazione della libertà. 3. lettere prostituite: i letterati si vendono al potere, esaltando il nuovo regime. 4. mi tesseva … recenti: mi raccontava le vicende recenti. 5. Silla … Catilina: Silla (138-78 a.C.) fu uno

dei protagonisti delle guerre civili a Roma, di parte aristocratica. Dopo la vittoria sulla fazione democratica impose la propria dittatura, scatenando feroci persecuzioni contro gli avversari sconfitti. Catilina nel 63 a.C. ordì una congiura contro l’oligarchia senatoria, che fu sventata da Cicerone. Fuggito da Roma, fu sconfitto in battaglia e ucciso a Pistoia nel 62 a.C. Entrambi i personaggi sono stati presentati dagli storici antichi come scellerati e crudeli, ma dotati di grandezza d’animo. 6. onesto: onorevole.

Pesare le parole Prostituite (r. 9) >

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Prostituire deriva dal latino prostitùere, composto da pro-, davanti, e statùere, “porre”. Il senso più comune è “costringere qualcuno a prestazioni sessuali a pagamento” (es. ha prostituito la propria fidanzata per bisogno di soldi); nella forma riflessiva, prostituirsi, è “avere rapporti sessuali in cambio di denaro” (es. è stata costretta a prostituirsi con la violenza da un’organizzazione criminale). Sinonimo di prostituta, nel linguaggio colto, è meretrice, dal latino merère, “guadagnare, farsi pagare”; nel linguaggio volgare, puttana (ma il termine è stato consacrato da Dante, Inferno, XVIII, v. 133: «Taïde è, la puttana […]»), che viene dall’antico francese putaine, da pute, femminile di put, “puzzolente, sporco” (latino pùtidum); oggi si è diffuso il termine inglese escort, che è propriamente un eufemismo, poiché significa “accompagnatrice”, ma sta perdendo l’originario valore eufemistico. In senso figurato prostituirsi è vendere ciò che non dovrebbe avere prezzo, piegare se stessi e il proprio inge-

7. frutterà … vendicatore: è una citazione da Virgilio, Eneide, IV, v. 625: «Sorgerà un qualche vendicatore dalle nostre ossa», invoca Didone contro Enea che l’ha abbandonata. La reminiscenza è indizio dell’impianto retorico del linguaggio di Jacopo. 8. salute: salvezza. 9. se gli uomini … vilmente: se gli uomini fossero sempre pronti a morire, non si piegherebbero a servire i dominatori per paura.

gno, la propria dignità al volere altrui per ottenere vantaggi materiali (es. quell’intellettuale si è prostituito al potere pur di avere successo).

Discernessi

>

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(r. 22)

Il verbo discernere deriva dal latino cèrnere, “scegliere”, con il prefisso dis- che indica separazione. Il senso originario è rimasto nell’accezione “distinguere” (es. non è in grado di discernere il bene dal male). Il termine è usato anche in altri sensi: “vedere” (es. una fioca luce permetteva di discernere i mobili nella stanza buia); “riconoscere, ravvisare” (es. nella foto è impossibile discernere il suo volto fra tanti). Distinguere deriva dal latino stingùere, “pungere”, composto con dis-, “da ogni parte”, quindi “separare con punti”; ravvisare proviene dal latino vìsere, “vedere”, più re-, che indica ripetizione e ad- rafforzativo. Dalla stessa radice viene revisionare, “rivedere attentamente, sottoponendo a modifiche” (es. occorre revisionare il motore).

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Allora io guardai nel passato – allora io mi voltava avidamente al futuro, ma io errava sempre nel vano e le mie braccia tornavano deluse senza pur mai stringere nulla10; e conobbi tutta tutta la disperazione del mio stato. Narrai a quel generoso Italiano la storia delle mie passioni, e gli dipinsi Teresa come uno di que’ geni celesti i quali par che discendano a illuminare la stanza11 tenebrosa di questa vita. E alle mie parole e al mio pianto, il vecchio pietoso più volte sospirò dal cuore profondo. – No, io gli dissi, non veggo più che il sepolcro: sono figlio di madre affettuosa e benefica; spesse volte mi sembrò di vederla calcare tremando le mie pedate e seguirmi fino a sommo il monte, donde io stava per diruparmi12, e mentre era quasi con tutto il corpo abbandonato nell’aria – essa afferravami per la falda delle vesti, e mi ritraeva, ed io volgendomi non udiva più che il suo pianto. Pure – s’ella spiasse tutti gli occulti miei guai, implorerebbe ella stessa dal Cielo il termine degli ansiosi miei giorni. Ma l’unica fiamma vitale che anima ancora questo travagliato mio corpo, è la speranza di tentare la libertà della patria. – Egli sorrise mestamente; e poiché s’accorse che la mia voce infiochiva, e i miei sguardi si abbassavano immoti sul suolo, ricominciò: Forse questo tuo furore di gloria potrebbe trarti a difficili imprese; ma – credimi; la fama degli eroi spetta un quarto alla loro audacia; due quarti alla sorte; e l’altro quarto a’ loro delitti. Pur se ti reputi bastevolmente fortunato e crudele per aspirare a questa gloria, pensi tu che i tempi te ne porgano i mezzi? I gemiti di tutte le età, e questo giogo13 della nostra patria non ti hanno per anco14 insegnato che non si dee aspettare libertà dallo straniero? Chiunque s’intrica nelle faccende di un paese conquistato non ritrae che il pubblico danno, e la propria infamia. Quando e doveri e diritti stanno su la punta della spada, il forte scrive le leggi col sangue e pretende il sacrificio della virtù15. E allora? avrai tu la fama e

10. le mie braccia … nulla: è un’altra reminiscenza classica, del passo in cui Enea negli Inferi cerca invano di abbracciare il padre Anchise, che è ormai solo un’ombra (Eneide, VI, vv. 700-701). Il senso è che le speranze sono solo vani fantasmi. 11. stanza: sede (vale a dire la terra). 12. diruparmi: precipitarmi da una rupe. 13. I gemiti … giogo: le sofferenze del po-

polo italiano in tutte le età passate e l’attuale dominazione francese. 14. per anco: ancora. 15. Quando … virtù: quando un conquistatore sostituisce la forza al diritto, impone la legge della violenza, chi vuole agire politicamente deve rinunciare alla virtù ed è costretto ad adeguarsi ai metodi infami che dominano in quel contesto.

Pesare le parole Occulti (r. 35)

> Occulto viene dal latino occùltum, participio passato del

verbo occùlere, “nascondere”. È voce del linguaggio colto e vuol dire appunto “nascosto” (es. occorre cercare le cause occulte del comportamento della massa); per estensione significa “arcano, inconoscibile” (es. la natura è mossa da forze occulte). L’occultismo è lo studio di fenomeni che si ritengono non spiegabili scientificamente ma dominabili da chi sappia penetrare il loro significato misterioso; rientrano in tale campo la magia,

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Andrea Appiani, La Fama incorona Parini e respinge la Morte, penna e acquerello grigio su carta bianca, 1802 ca., Collezione privata.

lo spiritismo, il satanismo, e in generale tutte le forme di attenzione per fenomeni paranormali. Affine e spesso coincidente è l’esoterismo (dal greco esóteros, “più interno”, comparativo di éso, “dentro”), carattere proprio ad alcune sette o movimenti segreti, che comunicano le proprie dottrine solo agli iniziati. Occultare è un termine più colto per “nascondere”, quindi è usato in linguaggi specialistici come quello giudiziario (es. ha occultato le prove del suo delitto). Sinonimo, sempre della lingua colta, è celare, dal latino celàre (es. si discute se celare la verità al malato).

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il valore di Annibale che profugo cercava per l’universo un nemico al popolo Romano? 16 – Né ti sarà dato di essere giusto impunemente. Un giovine dritto e bollente di cuore, ma povero di ricchezze, ed incauto d’ingegno quale sei tu, sarà sempre o l’ordigno del fazioso, o la vittima del potente 17. E dove 18 tu nelle pubbliche cose 19 possa preservarti incontaminato dalla comune bruttura, oh! tu sarai altamente laudato; ma spento poscia dal pugnale notturno della calunnia20; la tua prigione sarà abbandonata da’ tuoi amici, e il tuo sepolcro degnato appena di un secreto sospiro. – Ma poniamo che tu superando e la prepotenza degli stranieri e la malignità de’ tuoi concittadini e la corruzione de’ tempi, potessi aspirare al tuo intento; di’? spargerai tutto il sangue col quale conviene nutrire una nascente repubblica21? arderai le tue case con le faci della guerra civile?22 unirai col terrore i partiti?23 spegnerai con la morte le opinioni?24 adeguerai con le stragi le fortune?25 ma se tu cadi tra via, vediti esecrato dagli uni come demagogo, dagli altri come tiranno. Gli amori della moltitudine sono brevi ed infausti; giudica, più che dall’intento, dalla fortuna; chiama virtù il delitto utile, e scelleraggine l’onestà che le pare dannosa; e per avere i suoi plausi conviene o atterrirla, o ingrassarla, e ingannarla

16. Annibale … Romano?: il discorso è molto denso e salta numerosi passaggi logici intermedi. Se è impossibile agire politicamente in un paese come l’Italia, perché comporta l’usare la violenza e calpestare il diritto, si può cercare di combattere il dominio straniero dall’esterno; ma ciò è molto difficile, come dimostra l’esempio di Annibale, che, sconfitto ed esule, cercava un popolo con cui allearsi per la rivincita contro Roma, senza riuscire a trovarlo, pur essendo un condottiero famoso e valoroso. 17. Né ti sarà … potente: né ti sarà concesso di comportarti secondo giustizia senza pagare un duro prezzo. Un giovane retto

e ardente di cuore, ma povero di ricchezze e di indole (ingegno) imprudente quale sei tu sarà sempre o lo strumento inconsapevole di un politico intrigante o vittima di un potente. 18. dove: anche se. 19. nelle pubbliche cose: nella vita politica. 20. spento … calunnia: è una metafora: i calunniatori sono paragonati ai sicari che uccidono nelle tenebre. 21. spargerai … repubblica: fondare una repubblica implica una rivoluzione, e quindi spargimento di sangue, come dimostra l’esempio recente della Rivoluzione francese. 22. arderai … civile?: la rivoluzione scate-

na la guerra civile, che porta alla distruzione dei beni materiali (faci, fiaccole). 23. unirai … partiti?: tra i passaggi di una rivoluzione c’è anche la dittatura, che cancella i vari partiti politici (il termine terrore allude chiaramente al Terrore giacobino del 1793-94). 24. spegnerai … opinioni?: la dittatura rivoluzionaria annulla anche le libertà di opinione e di espressione, con il terrore delle esecuzioni dei dissidenti. 25. adeguerai … fortune?: imporrai l’eguaglianza sociale ed economica facendo strage dei privilegiati? (fortune, patrimoni).

Pesare le parole

Ordigno

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Esecrato

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viene dal latino detestàri, “respingere una testimonianza” (testàri, “testimoniare”), quindi per estensione “avere in odio” (es. detesto sentirmi dire che cosa devo fare); ha un senso meno forte di aborrire e di esecrare.

(r. 57)

Viene dal latino parlato ordìnium, da òrdinem, “ordine”. Indica un arnese o un congegno complesso (es. non riesco a capire come funziona questo ordigno); più raro è il senso di “utensile” (es. gli ordigni del fabbro). In questo passo foscoliano è usato metaforicamente nel senso di “strumento”. Ordigni è termine che designa anche le bombe (es. è un paese che ha nel suo arsenale ordigni atomici; i terroristi hanno usato ordigni al plastico).

Fomentata

>

(r. 66)

Esecrare viene dal latino sàcrum, “sacro”, più ex-, che indica l’atto di togliere: quindi alla lettera significa “togliere il carattere sacro”. Il senso corrente è “odiare, aborrire, detestare” (es. le azioni del dittatore che ha fatto sparare sul suo popolo sono esecrate da tutti). Aborrire viene dal latino ab-, “via da”, e horrère, “provare orrore” (propriamente “avere capelli e peli dritti”), quindi il senso originario è “tenersi lontani da ciò che provoca orrore” (es. è un mite che aborre la violenza). Detestare

>

(r. 71)

Fomentare deriva dal latino fomèntum, “medicamento caldo e umido che, applicato sulla parte malata, ha la funzione di mitigare il dolore” (fovère in latino è “riscaldare”). Significa “incitare, istigare” (es. certe dichiarazioni dei politici fomentano solo la discordia fra i partiti). Fomento è ciò che costituisce l’alimento e lo stimolo a qualcosa (es. il vento ha dato maggior fomento all’incendio). Incitare viene dal latino in- e citàre, forma frequentativa di cière, “chiamare”, e significa “indurre qualcuno a fare qualcosa con parole o gesti” (es. alcuni provocatori nel corteo incitarono i manifestanti a compiere violenze). Istigare viene dal latino instigàre, “pungere”, e vuol dire spingere qualcuno a qualcosa di riprovevole” (es. le cattive compagnie lo hanno istigato a compiere furti e rapi-

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sempre26. E ciò sia. Potrai tu allora inorgoglito dalla sterminata fortuna reprimere in te la libidine del supremo potere che ti sarà fomentata e dal sentimento della tua superiorità, e dalla conoscenza del comune avvilimento27? I mortali sono naturalmente schiavi, naturalmente tiranni, naturalmente ciechi28. Intento tu allora a puntellare il tuo trono, di filosofo saresti fatto tiranno29; e per pochi anni di possanza e di tremore30, avresti perduta la tua pace, e confuso il tuo nome fra la immensa turba dei despoti. – Ti avanza ancora un seggio fra’ capitani31; il quale si afferra per mezzo di un ardire feroce, di una avidità che rapisce per profondere32, e spesso di una viltà per cui si lambe la mano che t’aita a salire33. Ma – o figliuolo! l’umanità geme al nascere di un conquistatore; e non ha per conforto se non la speranza di sorridere su la sua bara. Tacque – ed io dopo lunghissimo silenzio esclamai: O Cocceo Nerva34! tu almeno sapevi morire incontaminato. – Il vecchio mi guardò: – Se tu né speri, né temi fuori di questo mondo – e mi stringeva la mano – ma io! – Alzò gli occhi al Cielo, e quella severa sua fisonomia si raddolciva di soave conforto come s’ei lassù contemplasse tutte le sue speranze35. – Intesi un calpestio che s’avanzava verso di noi; e poi travidi gente fra’ tigli: ci rizzammo, e l’accompagnai sino alle sue stanze.

26. per avere … sempre: per avere l’appoggio delle masse popolari in una rivoluzione occorre usare il terrore o le elargizioni, e sempre l’inganno. 27. E ciò sia … avvilimento: se a prezzo di tutto quanto enumerato in precedenza il giovane riuscirà ad instaurare una repubblica, inorgoglito dal successo, sarà tentato di imporre il proprio dominio personale. Anche qui vi è il riferimento agli sviluppi della Rivoluzione francese, passata dalla repubblica democratica alla dittatura di Robespierre. 28. I mortali … ciechi: l’impulso a dominare, da parte degli individui superiori, ed a servire, da parte delle masse, è presentato da Foscolo come una legge di natura. Gli uomini perciò sono trascinati al dominio e

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ne). Istigazione a delinquere è il reato che consiste nell’indurre altri a violare le leggi (es. per le sue frasi inneggianti alla violenza è stato incriminato per istigazione a delinquere). Dalla stessa radice (stig) deriva stimolo, dal latino stìmulum, “cosa appuntita, che punge” e quindi “pungolo per i buoi”: lo stimolo infatti è ciò che spinge a fare qualche cosa (es. con lo stimolo dell’emulazione gli atleti raggiungono migliori risultati). Ma dalla stessa radice proviene anche istinto, “disposizione naturale a compiere certe azioni in vista di determinati fini” (es. gli animali carnivori sono spinti dall’istinto della caccia; nella decisione ha seguito il suo istinto).

Profondere

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alla servitù indipendentemente dalla loro volontà. Qui, ispirandosi al pessimismo di Hobbes (1588-1679), Foscolo polemizza con Rousseau, che riteneva l’uomo buono per natura. 29. filosofo … tiranno: le teorie politiche democratiche della Rivoluzione francese si ispiravano ai filosofi illuministi (Rousseau in particolare). Il rivoluzionario si presenta come “filosofo”, colui che opera secondo i “lumi” per il bene dell’umanità; ma, senza rendersene conto, diventa un dittatore. È chiara l’allusione a Robespierre, fervente seguace delle idee di Rousseau. 30. di possanza e di tremore: di potere e di paura (da parte dei dominati, oppure, meglio, del tiranno stesso, che teme continuamente

(r. 77)

Viene dal latino fùndere, “versare”, con il prefisso pro-, “avanti”. Vuol dire “spargere in abbondanza” (es. ha profuso le sue sostanze in speculazioni sbagliate). Nella forma riflessiva, profondersi, significa “esprimersi con grande calore e ricchezza di parole” (es. si profuse in mille ringraziamenti per l’aiuto ricevuto). Profusione è una

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congiure, attentati o sollevazioni contro di lui). 31. capitani: allude a Napoleone. 32. avidità … profondere: i condottieri rapinano ricchezze e le elargiscono ai propri soldati. 33. viltà … salire: l’ambizioso deve leccare la mano di chi lo aiuta a salire. 34. Cocceo Nerva: giureconsulto romano vissuto sotto l’imperatore Tiberio, nel I secolo d.C.; si suicidò per non sottomettersi alla tirannide imperiale (è un riferimento a Tacito, Annali, VI, 26). Il senso è: l’unico modo per sottrarsi alla contaminazione inevitabile dell’agire politico è la morte. 35. né speri … speranze: Jacopo (come Foscolo) è ateo; Parini invece è prete e credente, e trova conforto nelle speranze ultraterrene.

larga abbondanza (es. ci ha sommersi con una profusione di elogi). Da fùndere derivano in italiano altri verbi molto usati. Diffondere è composto con dis-, “da una parte e dall’altra”, quindi significa “spargere tutto intorno” (es. ha diffuso notizie false); c’è anche la forma riflessiva, diffondersi (es. il profumo del pane appena cotto si diffondeva per tutta la via). Sinonimo di diffondere è propagare, dal latino propagàre, termine agricolo, “riprodurre una pianta per propagginazione”, cioè curvando i rami sino a infiggerli nel terreno, in modo che mettano radici e diano origine a nuove piante (es. il suono si propaga in tutte le direzioni). Confondere è composto invece con cum-, e vuol dire “mescolare senza distinzione e senza ordine” (es. ha confuso insieme le pagine della relazione e non riesce più a riordinarle), oppure “scambiare una cosa per un’altra” (es. ha confuso il mio nome con quello di un mio amico), oppure ancora “turbare al punto da togliere chiarezza al pensiero” (es. la massa di indicazioni contrastanti mi ha confuso e ho perso la strada). Nella forma riflessiva, confondersi, può voler dire “mescolarsi” (es. lo scippatore fuggendo si confuse nella folla e sparì).

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L’età napoleonica

Analisi del testo

> La situazione negativa dell’Italia napoleonica

Rivolta appassionata e lucida consapevolezza

L’analisi dell’Italia napoleonica

È un episodio chiave del romanzo, dove si può cogliere con chiarezza il nucleo centrale della sua problematica politica e di tutto il dramma del protagonista. Punto di partenza del dialogo è la situazione negativa dell’Italia napoleonica. I due interlocutori, il giovane Jacopo e il vecchio poeta, rappresentano due atteggiamenti possibili dinanzi ad essa: la rivolta generosa ma astratta, pronta a tentare il tutto per tutto pur di contrastare una situazione intollerabile, e l’analisi lucida e puntuale, ma realisticamente consapevole dell’impossibilità di ogni alternativa. Parini apre il colloquio con un esame delle condizioni dell’Italia presente. Le componenti del quadro sono: 1. la «licenza», la degenerazione della libertà rivoluzionaria in arbitrio; 2. il fatto che gli uomini di cultura vendano la loro opera pur di ottenere favori dal potere; 3. lo spegnersi dello spirito eroico, il diffondersi della passività e della corruzione; 4. la scomparsa di valori basilari come la benevolenza, l’ospitalità, l’amore filiale.

> Smania d’azione e pessimismo L’impossibilità dell’azione politica

La “delusione storica” della rivoluzione

L’alternativa della morte La distanza tra Foscolo e Jacopo

Echi nel tempo Ribellione giovanile e delusione storica nella letteratura contemporanea

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Dinanzi a questo quadro, Jacopo reagisce con un’eroica smania d’azione, da intendersi come azione rivoluzionaria contro il dominio francese. Ma il vecchio Parini disillude gli eroici furori del giovane: l’eroe, agendo in quel contesto degradato, non può evitare di subirne la contaminazione. Ma anche se, per assurdo, potesse superare questo ostacolo, il prezzo di un’azione rivoluzionaria sarebbe pur sempre troppo alto: violenza, lotte civili, stragi, soffocamento dei partiti e della libertà di opinione, attentati alla proprietà privata; e lo sbocco fatale sarebbe la dittatura. Sono tutti gli aspetti del processo rivoluzionario attraversato dalla Francia negli anni precedenti. Attraverso il pessimismo di Parini, Foscolo esprime il proprio pessimismo sulla possibilità dell’agire politico in questo momento, specie in una prospettiva rivoluzionaria: un’azione rivoluzionaria contro la dittatura napoleonica non risolverebbe nulla, poiché riprodurrebbe come in un ciclo fatale gli stessi orrori della Rivoluzione francese e sfocerebbe inevitabilmente in un’altra dittatura («di filosofo saresti fatto tiranno»). Si scorge in queste posizioni il peso della delusione storica patita dalle adolescenziali aspirazioni “giacobine” del poeta.

> Le alternative fuori e dentro la storia

Se alla situazione presente non si possono dare alternative sul piano della storia, non resta che un’unica via d’uscita: la morte («non veggo più che il sepolcro»). E il suicidio finale di Jacopo è coerente con questa conclusione. Ma bisogna stare attenti a non identificare totalmente la prospettiva di Foscolo con quella di Jacopo. Come ha osservato Binni, la vicenda reale dello scrittore segue un’altra strada rispetto a quella del suo eroe, quella di una «partecipazione critica alla storia del proprio tempo»: Foscolo non si uccide come Ortis, ma, sia pur criticamente, continua ad operare all’interno del regime napoleonico. Il nichilismo di Jacopo, dunque, non è che uno dei momenti di una dialettica aperta all’interno della visione foscoliana: anzi lo sforzo dello scrittore, in questi anni, è proprio quello di ritrovare le basi per la partecipazione alla storia, nonostante l’approdo nichilistico a cui la delusione rivoluzionaria lo induce. Questo sforzo si sviluppa nella restante produzione di Foscolo, ma, come verificheremo, è già da cercare dentro l’Ortis. Rappresentare la disperazione senza via d’uscita del suo eroe è dunque per Foscolo un modo di obiettivare tendenze negative della sua personalità che potrebbero bloccare questa ricerca e un modo di prendere criticamente le distanze da esse. In questa luce il suicidio finale di Jacopo appare quasi come un gesto sacrificale, con cui lo scrittore si libera di quelle tendenze, per proseguire su un’altra strada (con questo, però, l’Ortis rimarrà una tappa fondamentale, tant’è vero che Foscolo vi ritornerà ancora più volte a distanza di molti anni).

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

Esercitare le competenze COmPReNdeRe

> 1. Sottolinea la descrizione dell’uomo Parini che Jacopo-Foscolo fornisce a inizio brano. > 2. Verso quali bersagli si appunta la critica di natura etico-politica che Parini rivolge all’Italia dei suoi tempi

(rr. 7-14)? > 3. Quali altre passioni e pensieri “infiammano” Jacopo, oltre all’ardore politico? ANALIzzARe

> 4. > 5.

Ricerca nel testo i termini che appartengono al campo semantico delle emozioni e degli stati d’animo. Quale tipo di proposizione ricorre nella parte finale del brano, in cui Parini si sofferma a commentare gli eccessi della Rivoluzione francese e della politica napoleonica (rr. 63-79)? Lessico Lingua

APPROFONdIRe e INTeRPReTARe

> 6.

esporre oralmente In un’esposizione orale che non superi i 3 minuti, confronta la figura di Parini con quella di Ortis: quali analogie e quali differenze si possono osservare nella caratterizzazione dei due personaggi? Ritieni che i due interlocutori possano essere considerati due diverse e complementari proiezioni del pensiero di Foscolo? > 7. Contesto: storia Rievoca, a partire dall’amara disamina condotta da Parini, i fatti storici che hanno interessato l’Italia e l’Europa dalla Rivoluzione francese alla parabola politica di Napoleone.

T3

La lettera da Ventimiglia: la storia e la natura dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis Nelle sue peregrinazioni per l’Italia Jacopo è giunto sino al confine occidentale di Ventimiglia. Proprio la vista dei confini gli suggerisce una serie di considerazioni pessimistiche sulla storia e sulla natura.

Temi chiave

• la natura ostile e indifferente all’uomo • la schiavitù dell’Italia e il ricordo delle glorie passate • la necessità di imporre la giustizia attraverso la forza

• la compassione verso gli uomini sventurati • la triste condizione dell’esule e la liberazione nella morte

Ventimiglia, 19 e 20 febbraro.

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[…] Alfine eccomi in pace! – Che pace? stanchezza, sopore di sepoltura. Ho vagato per queste montagne. Non v’è albero, non tugurio, non erba. Tutto è bronchi1; aspri e lividi macigni; e qua e là molte croci che segnano il sito2 de’ viandanti assassinati. – Là giù è il Roia, un torrente che quando si disfanno i ghiacci precipita dalle viscere delle Alpi, e per gran tratto ha spaccato in due questa immensa montagna. V’è un ponte presso alla marina che ricongiunge il sentiero. Mi sono fermato su quel ponte, e ho spinto gli occhi sin dove può giungere la vista; e percorrendo due argini di altissime rupi e di burroni cavernosi, appena si vedono imposte su le cervici dell’Alpi altre Alpi di neve3 che s’immergono nel Cielo, e tutto biancheggia e si confonde – da quelle spalancate Alpi cala e passeggia ondeggiando la tramontana, e per quelle fauci invade il Mediterraneo. La Natura siede qui solitaria e minacciosa, e caccia da questo suo regno tutti i viventi.

1. bronchi: cespugli spinosi. 2. sito: luogo dove sono sepolti.

3. si vedono … neve: dietro i valichi delle montagne si vedono altre montagne coperte

di neve.

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I tuoi confini, o Italia, son questi! ma sono tutto dì sormontati4 d’ogni parte dalla pertinace avarizia5 delle nazioni. Ove sono dunque i tuoi figli6? Nulla ti manca se non la forza della concordia. Allora io spenderei gloriosamente la mia vita infelice per te: ma che può fare il solo mio braccio e la nuda mia voce? – Ov’è l’antico terrore della tua gloria7? Miseri! noi andiamo ogni dì memorando la libertà e la gloria degli avi, le quali quanto più splendono tanto più scoprono la nostra abbietta schiavitù. Mentre invochiamo quelle ombre magnanime, i nostri nemici calpestano i loro sepolcri. E verrà forse giorno che noi perdendo e le sostanze, e l’intelletto, e la voce, sarem fatti simili agli schiavi domestici degli antichi, o trafficati8 come i miseri Negri, e vedremo i nostri padroni schiudere le tombe e disseppellire, e disperdere al vento le ceneri di que’ Grandi per annientarne le ignude memorie: poiché oggi i nostri fasti ci sono cagione di superbia, ma non eccitamento dall’antico letargo9. Così grido quand’io mi sento insuperbire nel petto il nome Italiano, e rivolgendomi intorno io cerco, né trovo più la mia patria. – Ma poi dico: Pare che gli uomini sieno fabbri10 delle proprie sciagure; ma le sciagure derivano dall’ordine universale, e il genere umano serve orgogliosamente e ciecamente a’ destini11. Noi argomentiamo su gli eventi di pochi secoli: che sono eglino12 nell’immenso spazio del tempo? Pari alle stagioni della nostra vita mortale, paiono talvolta gravi di straordinarie vicende, le quali pur sono comuni e necessari effetti del tutto. L’universo si controbilancia13. Le nazioni si divorano perché una non potrebbe sussistere senza i cadaveri dell’altra. Io guardando da queste Alpi l’Italia piango e fremo, e invoco contro agl’invasori vendetta; ma la mia voce si perde tra il fremito ancora vivo di tanti popoli trapassati, quando i Romani rapivano14 il mondo, cercavano oltre a’ mari e a’ deserti nuovi imperi da devastare, manomettevano gl’Iddii de’ vinti, incatenavano principi

4. sormontati: varcati. 5. pertinace avarizia: ostinata avidità (che induce le altre nazioni ad invadere l’Italia per saccheggiarla). 6. Ove … figli: sottinteso: che dovrebbero difenderti. 7. l’antico … gloria: il terrore che nell’antichità la gloria italiana ispirava ai nemici, tenendoli lontani.

8. trafficati: resi oggetto di commercio. 9. oggi … letargo: oggi il nostro glorioso passato ci suscita superbia, ma non vale a svegliarci dall’inerzia che ci domina ormai da molto tempo. 10. fabbri: artefici. Riecheggia una famosa sentenza di Appio Claudio Cieco, «Ciascuno è artefice della propria sorte». 11. il genere … destini: non sono quindi

gli uomini i veri artefici della loro sorte: essi non fanno che obbedire senza saperlo, orgogliosi della loro pretesa forza, ad un destino che li sovrasta. 12. eglino: essi. 13. L’universo si controbilancia: anticipa le riflessioni che seguono: una nazione diventa grande grazie al fatto che un’altra va in rovina. 14. rapivano: rapinavano.

Pesare le parole

Sormontati

> Sormontare

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(r. 12)

viene dal latino super- (sor-) e mòntem, “monte”, quindi letteralmente “valicare un monte”. Correntemente significa “montare al di sopra” (es. le acque del fiume in piena hanno sormontato gli argini); in senso figurato, “superare, vincere” (es. è riuscito a sormontare gli ostacoli frapposti alla sua impresa dai nemici). Valicare ha la stessa etimologia di varcare, dal latino varicàre, “allargare le gambe”, da vàrum, “che ha le gambe storte all’infuori”: difatti per oltrepassare un ostacolo occorre appunto allargare le gambe (es. ha valicato mari e monti per raggiungere la donna amata). Varco è un passaggio (es. non ha trovato un varco tra la folla che si assiepava davanti all’entrata). Valico è comunemente un punto in una catena montuosa che consente il passaggio (es. siamo passati in Francia dal valico del Moncenisio).

Pertinace

(r. 13)

> Viene dal latino tenàcem più per rafforzativo, e significa

>

“molto tenace e costante” (es. mostra una volontà pertinace nel migliorarsi). È voce del linguaggio colto, come il sostantivo pertinacia, “grande fermezza e costanza nei propositi, nelle idee, nelle azioni” (es. sa difendere con pertinacia le proprie idee). Sinonimi: pervicacia, da per- e vìncere, “vincere completamente”, si intende le difficoltà, gli ostacoli (es. si applica con pervicacia al suo compito); ostinazione, da ob- e stàre, “stare contro”, quindi stare fermi, opporsi, saper affrontare le difficoltà; il termine però può avere anche una sfumatura negativa, poiché si può essere ostinati nell’errore, mentre pertinacia indica comunemente una qualità positiva (es. la sua ostinazione a negare le proprie responsabilità è irritante); caparbietà, forse da capo (è comune infatti la metafora

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e popoli liberissimi, finché non trovando più dove insanguinare i lor ferri15, li ritorceano contro le proprie viscere. Così gli Israeliti trucidavano i pacifici abitatori di Canaan16, e i Babilonesi poi strascinarono nella schiavitù i sacerdoti, le madri, e i figliuoli del popolo di Giuda. Così Alessandro rovesciò l’impero di Babilonia, e dopo avere passando arsa gran parte della terra, si corrucciava che non vi fosse un altro universo17. Così gli Spartani tre volte smantellarono Messene18 e tre volte cacciarono dalla Grecia i Messeni che pur Greci erano e della stessa religione e nipoti de’ medesimi antenati. Così sbranavansi gli antichi Italiani finché furono ingoiati dalla fortuna di Roma. Ma in pochissimi secoli la regina del mondo divenne preda de’ Cesari, de’ Neroni, de’ Costantini, de’ Vandali, e de’ Papi. Oh quanto fumo di umani roghi ingombrò il Cielo della America, oh quanto sangue d’innumerabili popoli19 che né timore né invidia recavano agli Europei, fu dall’Oceano portato a contaminare d’infamia le nostre spiagge! ma quel sangue sarà un dì vendicato e si rovescierà su i figli degli Europei! Tutte le nazioni hanno le loro età. Oggi sono tiranne, per maturare la propria schiavitù di domani20: e quei che pagavano dianzi vilmente il tributo, lo imporranno un giorno col ferro e col fuoco. La Terra è una foresta di belve21. La fame, i diluvi, e la peste sono ne’ provvedimenti della Natura come la sterilità di un campo che prepara l’abbondanza per l’anno vegnente: e chi sa? fors’anche le sciagure di questo globo apparecchiano22 la prosperità di un altro.

15. ferri: armi. 16. Canaan: territorio vicino a quello degli Ebrei. 17. si corrucciava … universo: si rammaricava che non esistesse un altro universo da conquistare. 18. Messene: città del Peloponneso. 19. innumerabili popoli: i popoli delle Americhe, sterminati dai conquistatori europei. 20. Oggi … domani: le nazioni che oggi dominano stanno preparando la loro schiavitù di domani. 21. La Terra … belve: Foscolo si ispira alle concezioni del filosofo Hobbes, che sosteneva che la condizione naturale degli uomini è una guerra di tutti contro tutti, in cui ciascuno si comporta come una belva nei confronti degli altri. 22. apparecchiano: preparano. Veduta di Ventimiglia, aprile 1859, matita e acquerello su cartoncino.

testa dura): anche questo termine ha una sfumatura negativa, poiché indica chi agisce di testa propria, senza tener conto di consigli, critiche, difficoltà (es. la sua caparbietà lo induce a non accorgersi dei suoi errori); testardaggine ha un senso affine, così come analoga è l’immagine soggiacente, quella della testa: è l’atteggiamento di chi non ascolta i pareri altrui e non si lascia persuadere, più per scarsa agilità mentale e ostinazione che per convinzione della giustezza delle proprie idee (es. ha mostrato la testardaggine di un mulo nel rifiutare il nostro aiuto); cocciutaggine viene da coccia, voce popolare per testa, fondandosi quindi sempre sulla stessa immagine: il senso è lo stesso (es. la sua cocciutaggine nel rifiuto di smettere di fumare gli provocherà guai di salute).

Abbietta

(r. 17)

> È più comune oggi la forma abietto, con una b sola.

>

Viene dal latino abièctum, participio passato di abìcere, “buttare via”: letteralmente “buttato via”, quindi “spregevole, ignobile” (es. appropriarsi dei fondi destinati alla beneficenza è stato un comportamento abietto). Spregevole deriva dal latino ex- negativo e prètium, “prezzo”, da cui provengono in italiano pregio, “valore”, e disprezzo (o dispregio), “il non ritenere degno di stima”: quindi spregevole vale “privo di valore, meritevole di disprezzo” (es. è un uomo spregevole, che non ha alcun rispetto per le regole della convivenza civile). Ignobile, da in- negativo e nòbilem, alla lettera vuol dire “sconosciuto” (nòscere, “conoscere”); di lì poi è passato a significare “indegno, meschino, volgare e turpe” (es. approfittare della sua buona fede per sottrargli denaro è stato un atto ignobile).

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Frattanto noi chiamiamo pomposamente virtù tutte quelle azioni che giovano alla sicurezza di chi comanda, e alla paura di chi serve. I governi impongono giustizia: ma potrebbero eglino imporla se per regnare non l’avessero prima violata? Chi ha derubato per ambizione le intere province, manda solennemente alle forche chi per fame invola23 del pane. Onde quando la forza ha rotti tutti gli altrui diritti, per serbarli poscia a sé stessa inganna i mortali con le apparenze del giusto24, finché un’altra forza non la distrugga. Eccoti il mondo, e gli uomini. Sorgono frattanto d’ora in ora alcuni più arditi mortali; prima derisi come frenetici25, e sovente come malfattori, decapitati: che se poi vengono patrocinati26 dalla fortuna ch’essi credono lor propria, ma che in somma non è che il moto prepotente delle cose, allora sono obbediti e temuti, e dopo morte deificati. Questa è la razza degli eroi, de’ capi-sette, e de’ fondatori delle nazioni i quali dal loro orgoglio e dalla stupidità de’ volghi si stimano27 saliti tant’alto per proprio valore; e sono cieche ruote dell’oriuolo28. Quando una rivoluzione nel globo è matura, necessariamente vi sono gli uomini che la incominciano, e che fanno de’ loro teschi sgabello al trono di chi la compie. E perché l’umana schiatta non trova né felicità né giustizia sopra la terra, crea gli Dei protettori della debolezza e cerca premi futuri del pianto presente. Ma gli Dei si vestirono in tutti i secoli delle armi de’ conquistatori; e opprimono le genti con le passioni, i furori, e le astuzie di chi vuole regnare29. Lorenzo, sai tu dove vive ancora la vera virtù? in noi pochi deboli o sventurati; in noi, che dopo avere esperimentati tutti gli errori, e sentiti tutti i guai della vita, sappiamo compiangerli e soccorrerli. Tu, o Compassione, sei la sola virtù! tutte le altre sono virtù usuraie30. Ma mentre io guardo dall’alto le follie e le fatali sciagure della umanità, non mi sento forse tutte le passioni, e la debolezza ed il pianto, soli elementi dell’uomo? Non sospiro ogni dì la mia patria? Non dico a me lagrimando: Tu hai una madre e un amico – tu ami – te aspetta una turba di miseri, a cui tu se’ caro, e che forse sperano in te – dove fuggi? anche nelle terre straniere ti perseguiranno la perfidia degli uomini e i dolori e la morte: qui cadrai forse, e niuno avrà compassione di te; e tu senti pure nel tuo misero petto il piacere di essere com-

23. invola: ruba. 24. quando … giusto: la giustizia è quindi un’apparenza che maschera l’uso della pura forza. 25. frenetici: pazzi. 26. patrocinati: sostenuti.

27. si stimano: ha valore passivo, sono stimati. 28. cieche … oriuolo: ingranaggi inconsapevoli di un orologio (vedi nota 11: ripete lo stesso concetto). 29. gli Dei … regnare: la religione è quindi

per Foscolo solo l’espressione della forza di chi detiene il potere, e chi domina usa la religione come strumento per opprimere i popoli. 30. usuraie: non disinteressate, che chiedono qualcosa in cambio.

Pesare le parole Pomposamente (r. 53)

> È l’avverbio di pomposo, che viene da pompa, dal greco

pompé, “parata, processione”. Pompa vuol dire “manifestazione di magnificenza e grandiosità in occasione di avvenimenti pubblici o privati importanti” (es. la cerimonia di premiazione si svolse con grande pompa): quindi il termine non ha nulla a che fare con pompa nel senso di “macchina che aspira liquidi e gas”, che viene dall’olandese pompe. In pompa magna è un’espressione scherzosa a indicare eleganza e lusso eccessivi e vistosi, magari sproporzionati all’occasione (es. si è presentato al matrimonio dell’amico con la moglie in pompa magna). Pomposo vuol dire dunque “fastoso, solenne, sfarzoso, sontuoso, appariscente” (es. la festa per il matrimonio del principe ereditario è stata pomposa). Può assumere una sfumatura negativa, “vana-

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>

glorioso e ostentatamente, eccessivamente solenne” (es. parla sempre con un tono pomposo, come se fosse chissachì). Fastoso viene dal latino fàstum, “altezza, alterigia”: il fasto è ostentazione di lusso e ricchezza (es. quell’arricchito ha dato un ricevimento fastoso nella sua villa principesca). Per quanto riguarda sfarzoso, anche lo sfarzo è grande sfoggio di ricchezza e lusso. La parola viene dal napoletano sfarzo, “vanto bugiardo”, dallo spagnolo desfrazar, “travestire, truccare” (es. i palazzi dei signori rinascimentali erano addobbati in modo sfarzoso). Sontuoso viene dal latino sùmptum, “spesa”, quindi indica ciò per cui si spende molto (es. ha imbandito un banchetto sontuoso per i suoi ospiti, con cibi rari e vini costosissimi).

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pianto. Abbandonato da tutti, non chiedi tu aiuto dal Cielo? non t’ascolta; eppure nelle tue afflizioni il tuo cuore torna involontario a lui: – va, prostrati; ma all’are31 domestiche. O Natura! hai tu forse bisogno di noi sciagurati, e ci consideri come i vermi e gl’insetti che vediamo brulicare e moltiplicarsi senza sapere a che32 vivano? Ma se tu ci hai dotati del funesto istinto della vita sì che il mortale non cada sotto la soma33 delle sue infermità ed ubbidisca irrepugnabilmente34 a tutte le tue leggi, perché poi darci questo dono ancor più funesto della ragione? Noi tocchiamo con mano tutte le nostre calamità ignorando sempre il modo di ristorarle35. Perché dunque io fuggo? e in quali lontane contrade io vado a perdermi? dove mai troverò gli uomini diversi dagli uomini? O non presento io forse i disastri, le infermità, e la indigenza che fuori della mia patria mi aspettano? – Ah no! Io tornerò a voi, o sacre terre, che prime udiste i miei vagiti, dove tante volte ho riposato queste mie membra affaticate, dove ho trovato nella oscurità e nella pace i miei pochi diletti, dove nel dolore ho confidato i miei pianti. Poiché tutto è vestito di tristezza per me, se null’altro posso ancora sperare che il sonno eterno della morte – voi sole, o mie selve, udirete il mio ultimo lamento, e voi sole coprirete con le vostre ombre pacifiche il mio freddo cadavere. Mi piangeranno quegli infelici che sono compagni delle mie disgrazie – e se le passioni vivono dopo il sepolcro, il mio spirito doloroso sarà confortato da’ sospiri di quella celeste fanciulla ch’io credeva nata per me, ma che gl’interessi degli uomini e il mio destino feroce mi hanno strappata dal petto.

31. are: altari. 32. a che: per quale fine.

33. soma: peso. 34. irrepugnabilmente: senza combattere.

35. ristorarle: porvi rimedio.

Pesare le parole Indigenza (rr. 87-88)

> Deriva dal latino indigère, “essere privo” e vuol dire “po>

vertà, mancanza assoluta di mezzi per vivere” (es. il crollo in Borsa lo ha ridotto all’indigenza, tanto che non ha da mangiare). Vediamo alcuni sinonimi. Miseria, dal latino misèriam (es. la miseria lo ha spinto a rubare); la parola può anche conservare, nel linguaggio poetico, il significato latino di “infelicità” (es. Dante, Inferno, V, vv. 121-123: «Nessun

maggior dolore / che ricordarsi del tempo felice / ne la miseria»); altri sensi: “quantità minima, inferiore al giusto, specie di denaro” (es. dalla vendita della casa ho ricavato una miseria; lo stipendio degli insegnanti è una miseria), oppure “meschinità, bruttura morale” (es. per fuggire le miserie del mondo si è rifugiata in convento). Penuria, “mancanza, scarsezza”, deriva dal latino penùriam, da paene, “quasi” (es. la penuria di denaro amareggia la vita).

Analisi del testo

> Il paesaggio

Il paesaggio antiidillico e preromantico

La natura ostile all’uomo

È un testo molto importante, che contiene i temi fondamentali della riflessione foscoliana. La lettera si apre con una visione paesaggistica. Si tratta di un paesaggio molto diverso da quello arcadico e idillico caro alla letteratura settecentesca, fatto di particolari ameni, verdi boschi piacevolmente ombrosi, prati fioriti, limpidi ruscelli mormoranti, tiepide brezze: al contrario qui troviamo un paesaggio imponente e aspro, composto di monti nevosi che si accavallano, terre brulle e senz’alberi, grigi macigni, burroni cavernosi, torrenti che precipitano violentemente spaccando in due la montagna, il tutto spazzato dal vento freddo del nord. Vi si può riconoscere l’influsso del gusto preromantico, soprattutto dei Canti di Ossian, oltre che del gusto alfieriano (si ricordino i paesaggi nordici descritti nella Vita). Ne scaturisce l’immagine di una natura non benigna e accogliente, ma minacciosa e ostile all’uomo (che sembra precorrere la visione leopardiana: e in effetti Leopardi subirà profondamente l’influenza di Foscolo). 85

L’età napoleonica

La schiavitù dell’Italia e l’impotenza del singolo Le memorie della grandezza passata L’impossibilità di un riscatto futuro

Gli uomini dominati dal destino La legge della forza regola la storia

Gli istinti bestiali primitivi

La natura incurante del bene dei singoli

Per la creazione dello Stato occorre la forza

> I temi politici

Il discorso affronta poi i temi politici. Si propone subito l’immagine della schiavitù dell’Italia, oppressa dal dominio straniero (dell’Austria e della Francia napoleonica). Ne nasce in Jacopo uno slancio eroico di rivolta, bloccato però dalla consapevolezza che l’azione di un uomo solo è impotente a mutare le cose. Si affaccia allora il ricordo della libertà e delle glorie passate dell’Italia, ma esse agli occhi del giovane fanno risaltare ancor maggiormente la presente abiezione. La memoria di un grande passato non basta a risvegliare gli italiani dal loro letargo, ma è solo fonte di vano orgoglio. Non si prospetta pertanto alcuna possibilità di riscatto futuro: anzi, forse la condizione del paese peggiorerà e gli italiani diverranno come gli schiavi degli antichi o come gli africani venduti al pari di una merce.

> Il fatalismo

Le riflessioni che ne derivano sfociano nel fatalismo: non si possono incolpare gli uomini delle loro sciagure, perché non sono artefici della loro sorte, ma obbediscono senza saperlo a un destino che li domina. La storia è regolata da una legge feroce, quella della forza, che spinge le nazioni a lottare le une contro le altre per divorarsi, e le une non possono sopravvivere e prosperare se le altre non soccombono. Così le nazioni che oggi sono tiranne domani diverranno schiave.

> La concezione pessimistica dell’uomo

Dietro a questa visione della storia si scorge una concezione pessimistica dell’uomo: gli uomini sono indotti a lottare fra di loro e a sopraffarsi a vicenda perché in essi sopravvivono gli istinti bestiali e feroci della loro condizione primitiva. È un punto centrale, questo, della visione foscoliana, che proviene dal filosofo Hobbes e che ispira molti punti della sua opera (nei Sepolcri ad esempio si parlerà di «umane belve»). Cataclismi come carestie, diluvi, pestilenze servono alla natura per preparare l’abbondanza futura: ma ciò implica che essa nei suoi meccanismi non tenga alcun conto del bene dei singoli e li travolga senza pietà (è di nuovo un concetto che tornerà in Leopardi).

> Lo Stato e la giustizia

La riflessione politica di Ortis tocca poi il problema della giustizia. Lo Stato ha il compito di garantirla, ma per formarsi e rafforzarsi deve prima violarla: per creare lo Stato occorre dunque la forza, che della giustizia è la negazione (è un’idea che proviene da Machiavelli). I fondatori delle nazioni, gli eroi, sono solo arditi malfattori, sorretti dalla fortuna, che non è altro se non il movimento prepotente delle cose. Non divengono quindi potenti per il loro valore, ma perché sono ciechi ingranaggi di tale meccanismo.

> Le illusioni della religione La religione espressione del potere

Il soccorso agli uomini sventurati

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Gli uomini, vittime di questo meccanismo crudele che domina la loro vita, non trovando felicità e giustizia sulla terra si rifugiano nella religione, illudendosi sulla presenza di divinità benevolmente protettive e su un premio futuro che compenserà le sofferenze presenti. Ma in realtà la religione è solo espressione del potere ed è lo strumento con cui esso opprime i popoli: la visione desolata di Ortis nega dunque le consolazioni di tipo religioso.

> La compassione

Al dominio della forza viene contrapposta, laicamente, la virtù della compassione, che induce a compiangere e a soccorrere gli uomini sventurati. È un altro punto fondamentale delle concezioni foscoliane, che si ritroverà nelle sue opere successive (ed anche questa idea dell’aiuto reciproco che gli uomini si devono dare nelle sventure inflitte dalla natura sarà ripresa da Leopardi nella Ginestra). Si delinea qui l’immagine di Ortis stesso. È l’immagine dell’esule, del senza patria, lontano dalle persone che ama e in perpetua

Capitolo 2 · Ugo Foscolo L’esule e il conforto della religione

La natura indifferente all’uomo L’insofferenza per il razionalismo settecentesco

fuga, perseguitato dalla perfidia degli uomini. Allora, nonostante le idee espresse poco prima sulla religione, il suo cuore spontaneamente torna ad essa, in cerca di conforto.

> La riflessione sulla natura

Le riflessioni successive sulla natura esplicitano l’idea che era implicita nella descrizione iniziale del paesaggio. È una natura indifferente all’uomo, che considera al pari degli insetti e dei vermi (ancora un concetto che tornerà nella Ginestra). Ma il dono più funesto della natura all’uomo è la ragione, che gli fa vedere con spaventosa chiarezza la sua sventura, senza che egli sia capace di porvi rimedio. Si coglie qui l’insofferenza di Foscolo per il razionalismo settecentesco, in cui pure egli si è formato, e l’esigenza di superarlo, che troverà uno sbocco nella sua opera più matura, i Sepolcri.

> La liberazione nella morte

La sepoltura lacrimata

L’unica liberazione possibile dal male di vivere e dall’angoscia dell’esilio è individuata da Ortis nella morte, cioè nell’annullamento totale, date le sue concezioni materialistiche che non ammettono la sopravvivenza dell’anima; tuttavia egli trova conforto nell’idea di essere sepolto nella sua terra e compianto dalle persone care, che condividono le sue sventure, soprattutto dalla celeste fanciulla che gli è stata strappata. È il tema della sepoltura lacrimata, che torna nei sonetti coevi al romanzo e troverà la sua sistemazione concettuale più profonda nei Sepolcri.

Esercitare le competenze COmPReNdeRe

> 1. Individua le sette sequenze in cui si articola il brano e assegna loro un titolo, secondo l’esempio proposto. Sequenza

Titolo

I (rr. 1-11)

Il.................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................. paesaggio naturale

II

..................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

III

..................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

IV

..................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

V

..................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

VI

..................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

VII

..................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

ANALIzzARe

> 2.

Stile Svolgi l’analisi retorica del passo «O Natura […] ristorarle» (rr. 81-85), individuando similitudini, metafore, personificazioni, ripetizioni, antitesi, ossimori. A quale idea danno risalto? > 3. Stile Quali procedimenti espressivi conferiscono al testo un’accentuata enfasi oratoria?

APPROFONdIRe e INTeRPReTARe

> 4. > 5.

Esponi in circa 10 righe (500 caratteri) la concezione della storia propria di Jacopo. In un’esposizione orale che non superi i 5 minuti, spiega quale visione della realtà emerge in questo brano. In quali aspetti essa può essere considerata frutto dell’Illuminismo? Quali atteggiamenti di Ortis, invece, possono essere considerati preromantici? Scrivere

esporre oralmente

PASSATO e PReSeNTe Qual è il tuo concetto di patria?

> 6. Alle righe 12-23 Jacopo rivolge una vera e propria apostrofe all’Italia oppressa dalle truppe ostili e stranie-

re dell’Austria e della Francia napoleonica, un’Italia sentita come patria del cuore, come un’entità geografica, etnica e culturale, ma non ancora politica, status che il nostro paese ha conquistato solo con il Risorgimento. A più di due secoli di distanza, che cosa vuol dire per te essere italiano? Che cosa rappresenta per te la patria? Discutine in classe con i compagni e con l’insegnante.

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L’età napoleonica

Letteratura e Società

T4

Il problema di una classe dirigente in Italia dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis La lettera fu aggiunta nell’edizione zurighese del 1816. Essa tocca vari temi politici, tra cui un giudizio duramente negativo su Napoleone. Riportiamo la parte in cui Foscolo affronta il problema di una classe dirigente italiana.

Testo e realtà Esulando dal motivo della tirannide, Foscolo evidenzia – attraverso le posizioni dell’eroe romantico – la condizione drammatica di vuoto e di assenza di un tessuto civile.

17 marzo.

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[…] Alcuni altri de’ nostri, veggendo le piaghe d’Italia, vanno pur predicando doversi sanarle co’ rimedi estremi1 necessari alla libertà. Ben è vero, l’Italia ha preti e frati; non già sacerdoti: perché dove la religione non è inviscerata2 nelle leggi e ne’ costumi d’un popolo, l’amministrazione del culto è bottega3. L’Italia ha de’ titolati quanti ne vuoi; ma non ha propriamente patrizi: da che i patrizi difendono con una mano la repubblica in guerra, e con l’altra la governano in pace; e in Italia sommo fasto de’ nobili è il non fare e il non sapere mai nulla4. Finalmente abbiamo plebe; non già cittadini5; o pochissimi. I medici, gli avvocati, i professori d’università, i letterati, i ricchi mercatanti, l’innumerabile schiera degl’impiegati fanno arti gentili, essi dicono, e cittadinesche6; non però hanno nerbo e diritto cittadinesco. Chiunque si guadagna sia pane, sia gemme con l’industria7 sua personale, e non è padrone di terre, non è se non parte di plebe8; meno misera, non già meno serva. Terra senza abitatori può stare; popolo senza terra, non mai: quindi i pochi signori delle terre in Italia, saranno pur sempre dominatori invisibili ed arbitri della nazione. Or di preti e frati facciamo de’ sacerdoti; convertiamo i titolati in patrizi; i popolani tutti, o molti almeno, in cittadini abbienti, e possessori di terre – ma badiamo! senza carneficine; senza riforme sacrileghe di religione; senza fazioni; senza proscrizioni né esilii; senza aiuto e sangue e depredazioni d’armi straniere; senza divisione di terre; né leggi agrarie; né rapine di proprietà famigliari – da che se mai (a quanto intesi ed intendo) se mai questi rimedi necessitassero a liberarne9 dal nostro infame perpetuo servaggio, io per me non so cosa mi piglierei – né infamia, né servitù: ma neppur essere esecutore di sì crudeli e spesso inefficaci rimedi – se non che all’individuo restano molte vie di salute10; non fosse altro il sepolcro: – ma una nazione non si può sotterrar tuttaquanta. E però, se scrivessi11, esorterei l’Italia a pigliarsi in pace il suo stato presente, e a lasciare alla Francia la obbrobriosa sciagura di avere svenato tante vittime umane alla Libertà […].

1. co’ rimedi estremi: con i mezzi rivoluzionari. 2. inviscerata: profondamente radicata. 3. l’amministrazione … bottega: mira solo al lucro. 4. sommo fasto … nulla: riprende le critiche alla nobiltà mosse da Parini nel Giorno. 5. cittadini: borghesi; ma il termine risente sia del citoyen della Rivoluzione francese, sia

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del civis romano, l’individuo pienamente partecipe della vita politica. 6. fanno arti … cittadinesche: svolgono attività degne del cittadino. Sono le attività di maggior prestigio sociale, distinte dalle attività manuali che sono proprie della «plebe». 7. industria: attività. 8. Chiunque … plebe: per Foscolo i borghesi, se non sono proprietari di terre, non

hanno vera dignità di cittadini, ma sono al livello della plebe. 9. liberarne: liberarci. 10. salute: salvezza. 11. se scrivessi: se potessi esporre le mie idee in opere pubblicate (non si dimentichi che Jacopo scrive lettere private ad un amico, non destinate alla pubblicazione).

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

Analisi del testo L’assenza di una classe dirigente in Italia

Il rifiuto della violenza rivoluzionaria

L’alternativa della morte

Il passo riprende temi del precedente, ma attraverso un’analisi politica e sociale più diretta ed esplicita. Foscolo esamina innanzitutto la situazione sociale dell’Italia. Essa è caratterizzata dalla mancanza di una classe dirigente degna di una vera nazione: il clero mira solo al lucro, i nobili sono oziosi ed ignoranti e non svolgono la loro funzione militare e politica, i borghesi non hanno dignità di «cittadini». Più che sul motivo della tirannide che opprime, Foscolo qui insiste su questa condizione, forse peggiore, di vuoto e di assenza: qui è la causa dello sradicamento del suo eroe, l’impossibilità di trovare un tessuto sociale in cui inserirsi con una funzione attiva. Per superare questa situazione negativa, secondo lo scrittore occorre ridare la sua funzione a ciascuna delle tre classi. In particolare, per dare dignità civile alla boghesia, occorre trasformarla in una classe di proprietari. Il Foscolo del 1816, in una prospettiva politica ormai moderata, auspica un ceto medio di proprietari terrieri come connettivo del tessuto sociale italiano. Si pone però il problema dei mezzi mediante i quali fondare questo tipo di società moderna in Italia. Come nel colloquio col Parini, vengono anche qui rifiutati i mezzi violenti che sono propri delle rivoluzioni: carneficine, riforme sacrileghe di religione, persecuzioni ed esili, attentati alla proprietà privata. Si riflette ancora una volta in queste righe il trauma della Rivoluzione francese. Ma rifutando la rivoluzione per risolvere i problemi dell’Italia, Jacopo si trova come sempre in un vicolo cieco: da un lato l’impossibilità di sopportare l’«infame perpetuo servaggio», dall’altra l’impossibilità di pagare il prezzo terribile imposto dalle leggi della politica e della storia. L’alternativa è come sempre fuori dal piano della storia: è la morte, la scelta nichilistica. Foscolo però si rende conto che tale soluzione può essere solo dell’individuo eccezionale, eroico e isolato («una nazione non si può sotterrar tuttaquanta»); sul piano della politica reale non vi può essere che rassegnazione fatalistica («esorterei l’Italia a pigliarsi in pace il suo stato presente»). È chiaro che Foscolo non può fermarsi a questa conclusione: e difatti la sua ricerca già nell’Ortis stesso è indirizzata a trovare le basi per l’azione e la partecipazione, al di là di ogni delusione storica e di ogni approdo nichilistico.

Giuseppe Bossi, Autoritratto con Felice Bellotti, Gaetano Cattaneo e Carlo Porta, 1809, olio su tela, Milano, Pinacoteca di Brera.

Esercitare le competenze COmPReNdeRe

> 1. Quali sono le classi che Jacopo individua nella società italiana? Quali caratteristiche hanno? Quali critiche l’eroe rivolge a ciascuna di esse? > 2. Quali mezzi per fondare una società moderna vengono rifiutati in Italia? Per quali motivi? > 3. Quale particolare funzione attribuisce Jacopo – interpretando il pensiero dell’ateo Foscolo – ai sacerdoti?

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L’età napoleonica

ANALIzzARe

> 4.

Stile Individua nel testo le figure di ripetizione e spiegane la funzione sul piano espressivo e in relazione al contenuto. > 5. Lingua Quali modi e tempi verbali esprimono efficacemente l’esortazione che Jacopo rivolge agli italiani?

APPROFONdIRe e INTeRPReTARe

> 6.

Scrivere «Terra senza abitatori può stare; popolo senza terra, non mai: quindi i pochi signori delle terre in Italia, saranno pur sempre dominatori invisibili ed arbitri della nazione» (rr. 12-14): a quali eventi che lo hanno profondamente coinvolto fa riferimento Foscolo nella prima parte del passo? A quale questione si riferisce invece la seconda? Rispondi in circa 15 righe (750 caratteri). PASSATO e PReSeNTe Popoli senza terra

> 7. Attraverso la geopolitica, ovvero lo studio del rapporto tra spazio geografico e potere politico, sappiamo che

le dinamiche storiche spesso rimandano non soltanto a una geografia fisica, ma anche a questioni di identità (etnica, linguistica, religiosa) e a problematiche inerenti le risorse del pianeta. Nel più recente quadro novecentesco delle questioni di territori occupati o contesi, che hanno violato il senso di appartenenza dei popoli e generato conflitti destinati ad avere ripercussioni nel corso del tempo, individua almeno un caso significativo, e sviluppane la trattazione in classe in un confronto con l’insegnante e i compagni.

T5

La sepoltura lacrimata

Temi chiave

dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis Accostiamo qui due passi che affrontano un tema affine, il significato della sepoltura.

• il tema del ricordo • le illusioni

12 novembre.

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Ieri giorno di festa abbiamo con solennità trapiantato i pini delle vicine collinette sul monte rimpetto la chiesa. Mio padre pure tentava di fecondare quello sterile monticello; ma i cipressi ch’esso vi pose non hanno mai potuto allignare, e i pini sono ancor giovinetti. Assistito io da parecchi lavoratori ho coronato la vetta, onde casca l’acqua, di cinque pioppi, ombreggiando la costa orientale di un folto boschetto che sarà il primo salutato dal Sole quando splendidamente comparirà dalle cime de’ monti. E ieri appunto il Sole più sereno del solito riscaldava l’aria irrigidita dalla nebbia del morente autunno. Le villanelle vennero sul mezzodì co’ loro grembiuli di festa intrecciando i giuochi e le danze di canzonette e di brindisi. Tale di esse era la sposa novella, tale la figliuola, e tal’altra la innamorata di alcuno de’ lavoratori; e tu sai che i nostri contadini sogliono, allorché si trapianta, convertire la fatica in piacere, credendo per antica tradizione de’ loro avi e bisavi, che senza il giolito1 de’ bicchieri gli alberi non possano mettere salda radice nella terra straniera. – Frattanto io mi vagheggiava2 nel lontano avve-

1. giolito: allegria.

2. mi vagheggiava: mi immaginavo.

Pesare le parole Allignare (r. 3) > Deriva

dal latino lìgnum, “legno”, più ad-, alla lettera “mettere le radici”. Il senso più comune è “essere presente, trovarsi, esistere” (es. la generosità è un sentimento

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che alligna nei cuori nobili). Può assumere una sfumatura negativa (es. nel giardino abbandonato alligna una moltitudine di erbacce).

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

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nire un pari giorno di verno3 quando canuto mi trarrò passo passo sul mio bastoncello a confortarmi a’ raggi del Sole, sì caro a’ vecchi; salutando, mentre usciranno dalla chiesa, i curvi villani già miei compagni ne’ dì che la gioventù rinvigoriva le nostre membra; e compiacendomi delle frutta che, benché tarde, avranno prodotto gli alberi piantati dal padre mio. Conterò allora con fioca voce le nostre umili storie a’ miei e a’ tuoi nepotini, o a quei di Teresa che mi scherzeranno dattorno. E quando le ossa mie fredde dormiranno sotto quel boschetto alloramai4 ricco ed ombroso, forse nelle sere d’estate al patetico5 sussurrar delle fronde si uniranno i sospiri degli antichi padri della villa6, i quali al suono della campana de’ morti pregheranno pace allo spirito dell’uomo dabbene, e raccomanderanno la sua memoria ai lor figli. E se talvolta lo stanco mietitore verrà a ristorarsi della arsura di giugno, esclamerà guardando la mia fossa: Egli innalzò queste fresche ombre ospitali! – O illusioni! e chi non ha patria, come può dire: lascerò qua o là le mie ceneri? […] 25 maggio.

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[…] Eppur mi conforto nella speranza di essere compianto. Su l’aurora della vita io cercherò forse invano il resto della mia età che mi verrà rapito dalle mie passioni e dalle mie sventure7; ma la mia sepoltura sarà bagnata dalle tue lagrime, dalle lagrime di quella fanciulla celeste8. E chi mai cede a una eterna obblivione questa cara e travagliata esistenza?9 Chi mai vide per l’ultima volta i raggi del Sole, chi salutò la Natura per sempre, chi abbandonò i suoi diletti, le sue speranze, i suoi inganni, i suoi stessi dolori senza lasciar dietro a sé un desiderio, un sospiro, uno sguardo? Le persone a noi care che ci sopravvivono, sono parte di noi. I nostri occhi morenti chiedono altrui qualche stilla di pianto, e il nostro cuore ama che il recente cadavere sia sostenuto da braccia amorose, e cerca un petto dove trasfondere l’ultimo nostro respiro. Geme la Natura perfin nella tomba e il suo gemito vince il silenzio e l’oscurità della morte10. M’affaccio al balcone ora che la immensa luce del Sole si va spegnendo, e le tenebre rapiscono all’universo que’ raggi languidi che balenano su l’orizzonte; e nella opacità del mondo malinconico e taciturno contemplo la immagine della Distruzione divoratrice di tutte le cose11. Poi giro gli occhi sulle macchie de’ pini piantati dal padre mio su quel colle presso la porta della parrocchia, e travedo biancheggiare fra le frondi agitate da’ venti la pietra della mia fossa. E mi par di vederti venir con mia madre, a benedire, o perdonar non foss’altro alle ceneri dell’infelice figliuolo. E predìco a me, consolandomi: Forse Teresa verrà solitaria su l’alba a rattristarsi dolcemente su le mie antiche memorie, e a dirmi un altro addio. No! la morte non è dolorosa. Che se taluno metterà le mani nella mia sepoltura e scompiglierà il mio scheletro per trarre dalla notte in cui giaceranno, le mie ardenti passioni, le mie opinioni, i miei delitti12 – forse; non mi difendere, Lorenzo; rispondi soltanto: Era uomo, e infelice.

3. verno: inverno. 4. alloramai: forse allora. 5. patetico: che desta commozione. 6. antichi … villa: gli anziani del villaggio. 7. il resto … sventure: non potrà vivere il resto della vita, perché le passioni e le sventure lo condurranno alla morte. 8. fanciulla celeste: Teresa, la fanciulla amata da Jacopo. 9. E chi mai … esistenza?: nessuno è disposto a rassegnarsi al fatto che la vita, sep-

pur travagliata, debba trapassare nell’eterna dimenticanza della morte. 10. Geme … morte: dalla tomba sembra provenire un gemito, in cui il defunto esprime quel desiderio di sopravvivenza che è connaturato nell’uomo. La sopravvivenza è possibile nel ricordo dei vivi. L’immagine proviene dall’Elegia di Thomas Gray, vv. 9192 ( cap. 1, T5, p. 45); sarà ripresa anche nei Sepolcri, vv. 49-50: «il sospiro / che dal tumulo a noi manda Natura» ( T12, p. 122).

11. contemplo … cose: nelle tenebre silenziose e malinconiche della sera, che portano via la luce del giorno, il poeta vede l’immagine del perire continuo delle cose. L’immagine è sviluppata nel sonetto Alla sera ( T8, p. 109). 12. se taluno … delitti: da intendere in senso metaforico: se qualcuno, quando sarò morto, vorrà indagare su di me, traendo dalla dimenticanza le mie passioni ecc.

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L’età napoleonica

Analisi del testo La ricerca di valori positivi

L’illusione

La sepoltura lacrimata

> L’illusione della sopravvivenza nel ricordo dei vivi

I due passi offrono un esempio di quella ricerca di valori positivi che, al di là del nichilismo disperato, è già presente nell’Ortis. La morte non è più vista come annullamento totale, come risposta puramente negativa ad una situazione storica senza via d’uscita: essa consente la sopravvivenza, un legame con il mondo dei vivi, attraverso il ricordo affettuoso e il compianto delle persone care; inoltre l’esule, lo sradicato, il senza patria, può trovare, riposando nella «terra de’ padri», un approdo sicuro, un terreno solido e confortante: la terra è come un «grembo materno» (l’espressione comparirà nei Sepolcri) che lo accoglie, risarcendolo dell’impossibilità di un inserimento in un nucleo familiare e in un tessuto sociale. Tutto ciò è solo un’illusione, e Jacopo ne è consapevole: ma proprio l’illusione può consentire di vivere ed operare. Se sul piano della storia è impossibile superare l’ostacolo di una situazione bloccata che spinge alla disperazione nichilistica, esso può essere aggirato regredendo sul piano delle illusioni e dei miti. La sepoltura lacrimata è il primo di questi miti elaborati da Foscolo come risposta attiva alla delusione storica, che potrebbe portarlo all’inerzia, alla rassegnazione passiva e persino all’impotenza creativa. È una strada che nell’Ortis rimane interrotta, solo potenziale, poiché il nichilismo ha il sopravvento, ma troverà ampi sviluppi nei sonetti e soprattutto nei Sepolcri.

> L’insoddisfazione nei confronti del materialismo

È importante fare ancora un’osservazione: l’idea della morte come annullamento totale, come «Distruzione divoratrice di tutte le cose», a cui si contrappone l’illusione della sopravvivenza, è un’eredità del materialismo settecentesco, che è la cultura in cui Foscolo si è formato. La scelta dell’illusione esprime un’insoddisfazione nei confronti di quella cultura, il bisogno di altre certezze che plachino il senso di inquietudine e smarrimento dinanzi alla precarietà dell’esistenza umana. Anche questo motivo sarà ripreso nei Sepolcri.

Esercitare le competenze COmPReNdeRe

> 1. Sintetizza il contenuto del primo passo. > 2. A livello di contenuto, quale elemento collega il secondo passo al primo? ANALIzzARe

> 3.

Stile A partire dall’analisi di questo e degli altri testi dell’Ortis che conosci, chiarisci i limiti entro i quali l’opera può essere considerata un “romanzo epistolare” in senso moderno ( Il romanzo epistolare, p. 32). > 4. Lessico Trova nella lettera del 25 maggio tutti i vocaboli appartenenti al campo semantico del compianto e le eventuali figure retoriche che danno loro risalto. Che significato assume questo tema nella riflessione di Foscolo sulla morte? A quale tema, sviluppato nella stessa lettera, si contrappone? > 5. Lingua Nella rappresentazione dell’ambiente rurale della lettera del 12 novembre i frequenti diminutivi e vezzeggiativi hanno la funzione di renderla realistica o idealizzata? Motiva la tua risposta in base al testo.

APPROFONdIRe e INTeRPReTARe

> 6.

Scrivere Il passo conclusivo della seconda lettera (rr. 39-50) presenta motivi cari alla poesia “cimiteriale” di tradizione preromantica ( Il Preromanticismo, pp. 17-18): quali? Rispondi in circa 10 righe (500 caratteri). > 7. Testi a confronto: esporre oralmente L’immagine di Teresa che si reca sul luogo della sepoltura di Ortis (rr. 45-47) sembra richiamare il celebre passo petrarchesco di Chiare, fresche e dolci acque (versi 27-39):

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Tempo verrà ancor forse ch’a l’usato soggiorno torni la fera bella e mansueta, e là ’v’ella mi scorse nel benedetto giorno, volga la vista disiosa e lieta, cercandomi: e, o pieta!,

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già terra infra le pietre vedendo, Amor l’inspiri in guisa che sospiri sì dolcemente che mercé m’impetre, e faccia forza al cielo, asciugandosi gli occhi col bel velo. F. Petrarca, Canzoniere

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

Quali evidenti affinità testuali autorizzano il confronto? Rispondi in non più di 5 minuti. > 8. Altri linguaggi: arte Il bozzetto di Canova che vedi qui a fianco presenta l’immagine di una tomba monumentale destinata a un membro di un’illustre casa regnante. Osservalo con attenzione, poi rispondi alle domande. a) Il bozzetto esprime il medesimo concetto di «sepoltura lacrimata» esplicitato da Foscolo nel brano analizzato? Motiva la tua risposta. b) Osserva attentamente le figure (sulla sinistra e al centro) rappresentate nell’atto di entrare nel sepolcro: perché l’artista ha fatto precedere l’uomo anziano (quello curvo sul bastone) dai due bambini? Quale idea di morte suggerisce tale composizione?

Antonio Canova, Monumento funebre a Maria Cristina d’Austria, 1798-1805, bozzetto, part., Possagno, Museo Canova.

T6

Illusioni e mondo classico dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis

Temi chiave

• l’amore come forza positiva contrapposta alla morte

• la riflessione sulle illusioni attive • il mondo classico come paradiso di serenità

La lettera descrive lo stato d’animo di Jacopo dopo che ha baciato Teresa.

15 maggio.

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Dopo quel bacio io son fatto divino. Le mie idee sono più alte e ridenti, il mio aspetto più gaio, il mio cuore più compassionevole1. Mi pare che tutto s’abbellisca a’ miei sguardi; il lamentar degli augelli, e il bisbiglio de’ zefiri2 fra le frondi son oggi più soavi che mai; le piante si fecondano, e i fiori si colorano sotto a’ miei piedi; non fuggo più gli uomini, e tutta la Natura mi sembra mia. Il mio ingegno è tutto bellezza e armonia. Se dovessi scolpire o dipingere la Beltà, io sdegnando ogni modello terreno, la troverei nella mia immaginazione. O amore! le arti belle sono tue figlie; tu primo hai guidato su la terra la sacra poesia, solo alimento degli animi generosi che tramandano dalla solitudine i loro canti sovrumani sino alle più tarde generazioni, spronandole con le voci e co’ pensieri spirati dal cielo ad altissime imprese3: tu raccendi ne’ nostri petti la sola vera virtù utile a’ mortali, la Pietà4, per cui sorride talvolta il labbro dell’infelice condannato ai sospiri: e per te rivive sempre il piacere fecondatore degli esseri, senza del quale tutto sarebbe caos e morte5. Se tu fuggissi, la Terra diverrebbe ingrata6; gli anima-

1. compassionevole: bisogna tener presente che per Foscolo la compassione è una delle virtù più alte, in contrapposizione agli istinti feroci ed aggressivi che sono insiti nell’uomo. La felicità amorosa lo innalza

quindi al di sopra di se stesso. 2. zefiri: venti di primavera. 3. animi generosi … imprese: per Foscolo compito dei poeti è spronare ad imprese eroiche.

4. Pietà: vedi nota 1. 5. il piacere … morte: grazie all’amore vi è l’impulso alla propagazione della vita. 6. ingrata: intollerabile, inabitabile.

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L’età napoleonica

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li, nemici fra loro; il Sole, foco malefico; e il Mondo, pianto, terrore e distruzione universale7. Adesso che l’anima mia risplende di un tuo raggio, io dimentico le mie sventure; io rido delle minacce della fortuna, e rinunzio alle lusinghe dell’avvenire. – O Lorenzo! sto spesso sdraiato su la riva del lago de’ cinque fonti: mi sento vezzeggiare la faccia e le chiome dai venticelli che alitando sommovono l’erba, e allegrano i fiori, e increspano le limpide acque del lago. Lo credi tu? io delirando deliziosamente mi veggo dinanzi le Ninfe8 ignude, saltanti9, inghirlandate di rose, e invoco in lor compagnia le Muse e l’Amore; e fuor dei rivi che cascano sonanti e spumosi, vedo uscir sino al petto con le chiome stillanti sparse su le spalle rugiadose, e con gli occhi ridenti, le Naiadi10, amabili custodi delle fontane. Illusioni! grida il filosofo11. – Or non è tutto illusione? tutto! Beati gli antichi che si credeano degni de’ baci delle immortali dive del cielo12; che sacrificavano13 alla Bellezza e alle Grazie; che diffondeano lo splendore della divinità su le imperfezioni dell’uomo14 e che trovavano il bello ed il vero accarezzando gli idoli della lor fantasia15! Illusioni! ma intanto senza di esse io non sentirei la vita che nel dolore, o (che mi spaventa ancor più) nella rigida e noiosa indolenza: e se questo cuore non vorrà più sentire, io me lo strapperò dal petto con le mie mani, e lo caccerò come un servo infedele.

7. Mondo … universale: senza l’amore, che genera la pietà, si scatenerebbero gli istinti feroci dell’uomo. 8. Ninfe: le divinità greche dei boschi. 9. saltanti: danzanti (latinismo). 10. Naiadi: divinità delle fonti e delle acque. 11. filosofo: nel senso settecentesco di philosophe, il filosofo illuminista che mediante

la ragione dissolve tutte le creazioni fantastiche della mente umana. 12. baci … cielo: numerosi miti greci parlano di relazioni amorose tra uomini e dee: ad esempio dall’amore tra Anchise e Venere nacque Enea. 13. sacrificavano: tributavano un culto religioso. Il mondo classico è idealizzato come il

regno della bellezza. 14. diffondeano … uomo: idealizzavano l’uomo, sino a renderlo simile ad un dio (probabilmente pensa alla statuaria greca). 15. trovavano … fantasia: i miti e la poesia, pur essendo creazioni fantastiche (idoli), sotto il velo della bellezza celavano profonde verità.

Pesare le parole Indolenza (r. 28)

> Proviene dal latino dolère, “provare dolore”, con in- ne-

>

gativo, quindi letteralmente significa “insensibilità al dolore”. Più comunemente indica l’atteggiamento di chi è incurante nell’agire, apatico verso il mondo esterno (es. la sua indolenza nello studio lo porterà alla bocciatura). I sinonimi sono numerosi. Pigrizia, dal latino pigrìtiam, “atteggiamento di chi non ha voglia di agire” (es. la sua pigrizia lo induce a dormire gran parte del giorno). Apatia, dal greco páthos, “passione”, con la a- negativa: è uno stato di insensibilità verso la vita, il non provare sentimenti e desideri (es. la disgrazia lo ha piombato in uno stato di apatia, da cui è difficile scuoterlo). Neghittosità, dall’aggettivo latino neglèctum, “trascurato”, con il suffisso -oso e in più -ità, che indica i sostantivi astratti (es. la sua neghittosità gli ha fatto perdere numerosi impieghi). Infingardaggine, dal latino in- rafforzativo e

fìngere (es. la sua infingardaggine ci è dannosa, perché non rispetta mai i tempi di consegna del lavoro); ormai disusato è il senso di infingardo come “finto, menzognero”. Poltroneria, la cui etimologia è curiosa: da poltro, “animale da trasporto, che sorregge”, poi passato a “letto”; quindi “poltrone” alla lettera è chi sta sempre a letto, cioè predilige l’ozio e la vita comoda (es. la sua poltroneria gli impedisce persino di uscire di casa a fare la spesa); ne deriva anche poltrona, e il nesso è evidente. Svogliatezza, da voglia con s- negativo: è la condizione di chi non ha voglia di fare qualche cosa (es. è stato rimproverato dal professore per la sua svogliatezza nello studio). L’abbondanza di sinonimi a indicare un certo concetto è sempre un indizio significativo: in questo caso ci dice che la realtà designata è colpita comunemente da un giudizio particolarmente negativo.

Analisi del testo L’amore e l’impulso alla vita

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> L’amore come forza positiva

Come ha sottolineato Binni, nella prima parte dell’Ortis l’amore è un motivo che si contrappone al tema negativo della morte, frenando l’impulso suicida di Jacopo che scaturisce dalla delusione storica. Solo alla notizia del matrimonio di Teresa con Odoardo l’amore convergerà con il tema politico nel determinare la catastrofe. A conferma,

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

si veda come questa lettera sia tutta animata dal senso di ottimistica vitalità che nasce dalla passione amorosa. L’amore è teorizzato dall’eroe come forza positiva, da cui scaturiscono la bellezza e l’arte, il rispetto reciproco e la pietà fra gli uomini, le forze fecondatrici che si oppongono alla distruzione e alla morte.

> Le «illusioni» e la filosofia Il mondo antico

La negatività del «filosofo»

Le illusioni attive

Da questo stato d’animo si origina, nella seconda parte della lettera, la riflessione sulle «illusioni», destinata ad assumere un ruolo fondamentale nell’opera foscoliana. Lo scenario è quello idillico, caro ad una lunga tradizione che risale ai poeti antichi. Per questo la fantasia di Jacopo evoca in quel paesaggio immagini mitologiche classiche, le Ninfe e le Naiadi. Il mondo classico è concepito come un paradiso di serenità, gioia ed armonia, grazie alla facoltà, propria degli antichi, di crearsi delle illusioni. In questo l’antichità è per Foscolo un modello da seguire ancor oggi. Le «illusioni» sono da lui contrapposte alla filosofia, vale a dire all’arido razionalismo proprio del pensiero moderno. Il «filosofo», nel linguaggio del tempo, è per eccellenza il philosophe illuminista, che con la sua critica rigorosa dissolve ogni costruzione infondata della mente. Tale razionalismo ha per Foscolo due conseguenze fortemente negative: dando un’immagine esatta della realtà, ci fa percepire in tutta la sua crudezza il dolore che domina la vita umana; ma, quel che più importa, spegnendo le illusioni genera un atteggiamento di rassegnazione, di noia e di inerzia di fronte alla realtà. Poiché Foscolo ha una concezione della vita energica ed attiva, ciò che soprattutto gli fa orrore è la passività, l’inattività. Solo le illusioni secondo lui possono strappare all’inerzia e spingere all’azione. Le illusioni non sono dunque evasione dalla realtà, ma l’unico modo per avere un rapporto attivo con essa. Vediamo di nuovo esprimersi un senso di insoddisfazione di Foscolo per la cultura settecentesca in cui si è formato, ed un’ansia di soluzioni nuove.

> I germi di un superamento della crisi

L’amore, la bellezza e l’arte

Questa esaltazione delle illusioni prosegue quel percorso che, come si è visto nei due passi precedenti, Foscolo intraprende per aggirare l’ostacolo paralizzante della delusione storica e del suo sbocco nichilistico. All’illusione della tomba “lacrimata”, mito elaborato da Foscolo (che percorre l’intera sua opera, ma soprattutto i Sepolcri), come garanzia di sopravvivenza dopo la morte attraverso il ricordo affettuoso e il compianto delle persone care ( T12, p. 121), si affiancano le illusioni dell’amore, della bellezza, dell’arte, che si compendiano nella civiltà classica e nei suoi miti. Sono tutti temi che avranno ampi sviluppi nelle altre opere. Si conferma come l’Ortis non sia solo il documento di una crisi, ma contenga già in sé i germi del suo superamento.

Esercitare le competenze COmPReNdeRe

> 1. Quali effetti provoca il bacio in Jacopo? > 2. In quale parte della lettera compare un’allusione al suicidio? Quale condizione spingerebbe Ortis a uccidersi? ANALIzzARe

> 3. In quali passi viene rappresentata la natura? È possibile, nel complesso, parlare di locus amoenus in senso

tradizionale? Motiva la tua risposta. > 4. Stile Individua le personificazioni presenti nella lettera spiegandone la funzione in rapporto al contenuto. > 5. Stile Classifica le figure retoriche presenti alle righe 19 («delirando deliziosamente») e 29-30 («e lo caccerò come un servo infedele»). > 6. Lessico Analizza la prima parte della lettera (rr. 1-7): quali vocaboli di ascendenza petrarchesca vi compaiono? Con quale funzione? > 7. Lingua Analizza il livello sintattico del testo: che cosa osservi? È possibile affermare che la sintassi rispecchi lo stato d’animo del personaggio? Motiva la tua risposta.

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L’età napoleonica

APPROFONdIRe e INTeRPReTARe

> 8.

esporre oralmente Illustra le suggestioni neoclassiche e preromantiche che affiorano in questa lettera, mettendole a confronto (max 5 minuti). > 9. Altri linguaggi: arte Osserva l’immagine proposta qui a lato, quindi rispondi alle domande. a) Descrivi il paesaggio che fa da sfondo alla scena: presenta tratti comuni con quello che compare nel brano analizzato? Motiva la tua risposta. b) Nel descrivere le due figure, spiega, motivando la risposta, se esse presentano caratteristiche dell’arte neoclassica.

PeR IL ReCUPeRO

> 10. Individua nel brano tutti gli aggettivi che hanno una connotazio-

ne positiva e concorrono a delineare lo stato d’animo euforico di Jacopo Ortis.

SCRITTURA CReATIVA

> 11. Elabora un testo dal titolo Dopo quel bacio in cui sei invitato a

raccontare la tua prima esperienza sentimentale. La narrazione – che potrà anche essere frutto della fantasia (sogno, immaginazione, speranza) – dovrà focalizzare l’attenzione sulla mutata visione del mondo o meno scaturita dalla rivelazione dell’amore, provato e ricambiato, per un’altra persona, e sulla forza o meno che la passione mostra nei confronti delle avversità dell’esistenza. Non superare le 50 righe (2500 caratteri).

François Gérard, Amore e Psiche, 1798, olio su tela, Parigi, Musée du Louvre.

microsaggio

Il sistema dei personaggi nell’Ortis Piano privato e piano pubblico

Il sistema dei “ruoli” rivestiti dai personaggi dell’Ortis si distribuisce su due piani, quello privato, sentimentale, e quello pubblico, politico (che sono appunto i due piani su cui si articola la vicenda). 1) Piano privato: i ruoli fondamentali sono: l’Eroe (Jacopo); l’Oggetto del desiderio (Teresa); l’Antagonista (il ruolo è ricoperto da due “attori”: il padre di Teresa ed Odoardo), che impedisce all’Eroe di avere la donna amata. 2) Piano pubblico: l’Eroe; l’Oggetto del desiderio (la patria); l’Antagonista (Napoleone, il tiranno), che impedisce la creazione di una vera patria (e vende la piccola patria dell’Eroe, Venezia, all’Austria). Si possono visualizzare i due sistemi in uno schema: Antagonista

Eroe Omologia tra i due piani

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PRIVATO

Antagonista

Donna

Eroe

PUBBLICO

Patria

Come si vede, i due sistemi si corrispondono: i tre ruoli che rispettivamente li compongono e i rapporti che tra essi si instaurano sono esattamente omologhi. L’omologia può offrire lo spunto a molte riflessioni. Ne proponiamo una, sotto forma di problema: il conflitto sul piano privato è semplicemente la metafora di quello che si svolge al livello più alto, quello politico? Oppure i due conflitti hanno una radice reale in comune? Propendiamo per la seconda ipotesi. Jacopo non può avere la donna che desidera perché non ha una patria. Tra i due livelli intercorre un rapporto di causa ed effetto. Il matrimonio con la donna amata sarebbe la forma perfetta di integrazione nella società (secondo la concezione borghese settecentesca per cui il giovane si realizza nel matrimonio, che segna la sua maturità ed il suo inserimento equilibrato ed attivo nel mondo adulto, produttivo). Ma per Jacopo l’integrazione nella società non è possibile, perché non vi è una “patria” degna di questo nome, non esiste un organismo politico e sociale in cui il giovane possa trovare il proprio ruolo.

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

La voce del Novecento

La ricerca di un “altrove” per l’eroe e l’antieroe: l’esilio e il viaggio in Foscolo e Tondelli Altri libertini (1980) di Pier Vittorio Tondelli (1955-91) consta di una serie di ritratti di giovani di varie condizioni sociali, accomunati da irrequietudine, sradicamento, rifiuto totale della società contemporanea, che induce a tentare esperienze estreme e trasgressive nel campo del sesso e della droga, sino all’autodistruzione. Il presupposto di tali atteggiamenti è una “delusione storica”, il contraccolpo psicologico seguito all’ultima ventata della rivolta giovanile dopo il Sessantotto, quella verificatasi nel 1977 (a cui più volte si fa esplicito riferimento nel libro). Significativo in tale direzione è soprattutto l’ultimo testo, Autobahn (“autostrada”, in tedesco), che funge da epilogo dell’opera e insieme da dichiarazione di poetica.

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Lacrime lacrime non ce n’è mai abbastanza quando vien su la scoglionatura, inutile dire cuore mio spaccati a mezzo come un uovo e manda via il vischioso male, quando ti prende lei la bestia1 non c’è da fare proprio nulla solo stare ad aspettare un giorno appresso all’altro. E quando viene comincia ad attaccarti la bassa pancia, quindi sale su allo stomaco e lo agita in tremolio di frullatore e dopo diventa ansia che è come un sospiro trattenuto che dice vengo su eppoi non viene mai. […] E l’Angelo, anche ciò mi rammento e ve lo passo, questa scoglionatura che dà sul neuroduro2 la chiama Scoramenti, al plurale perché quando arriva non vien mai in solitudine. Si porta appresso nevralgie d’ossa, brufoletti sulle labbra o nel fondoschiena ma poi i più gravi mali, quelli della vocina; cioè chi sei? cosa fai? dove vai? qual è il tuo posto nel Gran Trojajo? cheffarai? eppoi ancora quelli più deleteri, i mali del non so giammai né perché venni al mondo né cosa sia il mondo né cosa io stesso mi sia […] Insomma saputo quel che vi era dovuto lettori amici miei, vi passo a fare il menastorie di una sera come tante con su le belve degli scoramenti che a rimanere fermo non ci riesco trenta secondi d’orologio, mi sento un passerotto che ha perduto il nido, faccio un bar didietro all’altro e un beveraggio appresso all’altro perché il vino è farmaco dei mali e credete a me, questa è l’unica risposta che al mondo c’è. In tale stato di coscienza bevute dunque sette vodke a credito dall’Armando, lavati dieci tavoli e consegnati cappuccini al ragioniere d’ufficio sopra il bar come baratto, ingoiati poi due Pinot triveneto, due Albana in compagnia del Simposio dell’Osteria3 e sbausciate4 infine due birrette da trecento lire dall’Aroldo, cioè entra entra vino santo strapazza il dolore, produci calore, sciogli l’uovo del mio cuore, fammi infine vomitare e cacciar lontano il mio gran male. Dopo messo in cinquecento che dico così di certo passerà. Però di soldi mica ne tenevo tanti nel portafoglio, fortuna era che ci stava la benzina almeno per scorrazzare un paio d’ore cioè la lancettina diceva due quarti e tra-

1. la bestia: la depressione. 2. neuroduro: nevrosi grave.

3. Simposio dell’Osteria: gli avventori che bevono all’osteria. Simposio è termi-

ne letterario, qui usato ironicamente. 4. sbausciate: ingoiate.

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ballava ballerina più verso il quattro quarti che la barretta opposta. Da questo capito il fatto, tutt’intero. […] Bestemmiata la malattia, ostia se la bestemmio sulla mia cinquecento bianca come il latte e scappottata ora che è primavera, o almeno sembra, cioè una bella aria fresca di marzo pazzerello che gira come un fringuelletto tra le mie gambe e petto ed esce poi da dove è entrata, cioè il tettuccio. Così metto una marcia più forte dell’altra e pesto l’acceleratore come la tavoletta della batteria e infatti ci canto sopra un bel reggae, di quelli sdiavolati e vado forte sulla strada, scanso i gatti e i topi della campagna, le ranocchie dei fossati, sempre forte bella guida, neanche paura. E scalare, che goduria! Sembra di stare a dar cazzotti al motore, ai pistoni, alle biellette e anco agli stronzi porci che m’incrociano con gli abbaglianti sparati sui miei denti, gli si secchino le palle, accidenti! Poi d’un tratto fiutato nel marzo pazzerello un buon odore, allargati i polmoni, litri e litri di buon odore dentro, che gioia l’ho ritrovato il buon profumo selvatico e libero, non lo farò scappare. Accidenti a te respiro mio che non ti riesce di trattenerlo dentro un po’ di più questo odorino, ma fatti forza allarga il naso, sì l’hai ritrovato, esulta e impreca, all’inseguimento, e via! […] Al tempo degli scoramenti io abitavo in Correggio, Reggio Emilia ma non è detto che ora che abito in altro loco non abbia più gli scoramenti, ma in quel tempo erano davvero frequenti, fulmini a ciel sereno, ho detto. E lo ripeto qui. Correggio sta a cinque chilometri dall’inizio dell’autobrennero di Carpi, Modena che è l’autobahn più meravigliosa che c’è perché se ti metti lissù e hai soldi e tempo in una giornata intera e anche meno esci sul Mare del Nord, diciamo Amsterdam, tutto senza fare una sola curva, entri a Carpi ed esci lassù. Io ci sono affezionato a questo rullo di asfalto perché quando vedo le luci del casello d’ingresso, luci proprio da granteatro, colorate e montate sul proscenio di ferri luccicanti, con tutte le cabine ordinate e pulite che ti fan sentir bene anche solo a spiarle dalla provinciale, insomma quando le guardo mi succede una gran bella cosa, cioè non mi sento prigioniero di casa mia italiana, che odio, sì odio alla follia tanto che quando avrò tempo e soldi me ne andrò in America, da tutt’altra parte s’intende, però è sempre andar via. Ma ci son notti o pomeriggi o albe e anco tramonti, anche questo dovete imparare, che succede il Gran Miracolo, cioè arriva su quel rullo l’odore del Mare del Nord che spazza le strade e la campagna e quando arriva senti proprio dentro la salsedine delle burrasche e dell’oceano e persino il rauco gridolino dei gabbiani e lo sferragliare dei docks5 e dei cantieri e anche il puzzo sottile delle alghe che la marea ha gettato sugli scogli, insomma t’arriva difilato lungo questo corridoio l’odore del gran mare, dei viaggi, l’odore che sento adesso come un prodigio e che sto inseguendo sulla mia ronzinante6 cinquecento con su gli scoramenti e dentro tanto vino e in bocca tanta voglia di gridare. Sono sulla strada amico, son partito, ho il mio odore a litri nei polmoni, ho fra i denti la salsedine aaghhh e in testa libertà. Sono partito, al massimo lancio il motore, avanti avanti attraversare il Po, dentro ai tunnel tra le montagne di Verona, avanti sfila Trento sulla destra e poi Bolzano e poi al Brennero niente frontiere per carità, non mi fermo non mi fermo, verso Innsbruck forte forte poi a Ulm, poi via Stuttgart e Karlsruhe e Mannheim, una collina dietro l’altra, da un su e giù all’altro, spicca il volo macchina mia, vola vola, Frankfurt, Köln, forza eddai ronzino mio, ormai ci siamo, fuori Arnhem, fuori Utrecht, ci siamo ci siamo ostia se ci siamo senti il mare? Amsterdam Amsterdam! Son partito chi mi fermerà più? [In un bar sull’autostrada il protagonista incontra una ragazza giovanissima e graziosa, ma resiste alla tentazione che potrebbe fermarlo nella sua fuga. Su un’altra piazzola presso Verona incontra poi un giovane autostoppista con una macchina da presa.]

5. docks: termine inglese che indica il complesso di bacini, scali, moli, magazzini e uffici di un grande porto com-

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merciale, ma anche cantiere navale. 6. ronzinante: l’utilitaria è equiparata ad un ronzino, un cavallo vecchio e

sfiancato. Ronzinante è il nome del cavallo di don Chisciotte.

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Dice faccio un film, dico ho capito, ma così al buio? Filmava le luci dell’autostrada più bella che c’è, questo ho capito poi più tardi nel bettolone dove mi ha offerto un cappuccino perché io non ci ho soldi. Così parliamo e cicaliamo. Lui dice che questo è il primo film, ma poi ne farà degli altri, tutti film di viaggio alla miseria l’italietta7 e la commedia, qui caromio nessuno sa più un cazzo, bisogna registrare le autostrade e i movimenti, ok? Ah, che due maroni8 questa Italia, io ci ho fame amico mio una gran fame di contrade e sentieroni, di ferrate, di binari, di laghetti, di frontiere e di autostrade, ok? Senti amico mio bisogna gettarsi nelle strade senza tante scene o riflettori, bisogna cercare soltanto una frontiera e un limite da scavalcare, bisogna gettare le nostalgie e i retrò, anco riflussi9 e regressioni, via gli interni i teatri e gli stabilimenti. Si dovranno invece ricercare periferie, ghetti e marciapiedi, viali lampioni e cantinette, anco però sottoscale soffitte e sottotetti, ok? A morte, a morte! Alla forca! alla ghigliottina! al patibolo! al supplizio! alla gogna e alla garrota10, all’esecuzione! alla fucilazione! all’impiccagione! alla defenestrazione i mafiosi i teoreti i politologhi, i corsivisti11, le penne d’oro, le grandifirme, gli speculatori del grassetto e del filmetto, a morte! a morte! i mistificatori, le conventicole, i salotti, i milieu12, i gruppi e i sottogruppi, le compagnie, le quadriglie e le famiglien, al rogo, al rogo, ok? Ma il cineocchio mio amerà, oooohhh se amerà la fauna di questi scassati e tribolati anni miei, certo che l’amerà. L’occhiocaldo mio s’innamorerà di tutti, dei freak13 dei beatnik14 e degli hippy15, delle lesbiche e dei sadomaso, degli autonomi, dei cani sciolti16, dei froci, delle superchecche e dei filosofi, dei pubblicitari ed eroinomani e poi marchette trojette ruffiani e spacciatori, precari assistenti e supplenti, suicidi anco ed eterosessuali, cantautori et beoni, imbriachi sballati scannati bucati e forati. E femministe, autocoscienti17, nuova psichiatria, antipsichiatria, mito e astrologia, istintivi della morte e della conoscenza, psicoanalisi e semiotica, lacaniani junghiani18 e profondi. […] Me mi vien voglia di dirgli all’amico stoppista cinematografaro del drunk-cinema19, vè se ti manca uno scorato ecco ce l’hai qui davanti a te e magari incominci da me se tu ci metti la benzina si potrebbe andare in giro insieme a visionare tutti questi amici tuoi, un po’ come allo zoo safari, insomma dopo glielo dico quando quasi viene giorno perché l’abbiamo menata in lungo e in largo, come ci avete senz’altro capito. Però io penso che con questo qui c’è proprio dell’affinità elettiva ed è un segno del destino che l’abbia incontrato così posso proseguire il viaggio mio verso… Aaaghhh! il mio odore! Chi m’ha rubato l’odore? Non lo sento mica più, aiuto aiuto ai ladri ai rapinatori, ahimè son tornati i correggesi, a rubarmi il mio odore?

7. l’italietta: diminutivo sprezzante, in uso dall’epoca successiva all’Unità. 8. maroni: marroni, castagne, espressione dialettale emiliana con significato allusivo. 9. riflussi: sul finire degli anni Settanta si parlava molto di “riflusso”, ad indicare la fine dei movimenti nati con il 1968 e del clima da essi generato. 10. garrota: la pena capitale che veniva praticata in Spagna, per cui il condannato moriva strozzato. 11. corsivisti: gli autori di “corsivi”, gli articoli di fondo dei giornali, contenenti i commenti politici o di costume. Così poco dopo grassetto indica il carattere dei titoli.

12. milieu: ambienti, termine francese (qui sinonimo di conventicole e gruppi). 13. freak: alla lettera, stravagante, bizzarro; con il termine si indica chi vive una vita irregolare, fuori dalle norme correnti. 14. beatnik: sono i rappresentanti di un movimento americano degli anni Cinquanta che esaltava la vita vagabonda, l’alcol, le droghe, il sesso promiscuo come affermazioni di libertà contro i modi di vita standardizzati della classe media. Gli intellettuali beat più noti furono Jack Kerouac, Allen Ginsberg e William Burroughs. 15. hippy: movimento di contestazio-

ne non violenta nato in California negli anni Sessanta, che rifiutava la società industriale e consumistica. 16. cani sciolti: così erano chiamati coloro che, pur di sinistra, non militavano in alcun partito o gruppo. 17. autocoscienti: le sedute di autocoscienza erano un momento fondamentale del movimento femminista. 18. lacaniani junghiani: seguaci di Jacques Lacan, psicoanalista francese (1901-81), e di Carl Gustav Jung (18751961), uno dei padri della psicoanalisi, poi entrato in conflitto con Freud. 19. drunk-cinema: cinema ubriaco (così il giovane autostoppista definisce il proprio cinema).

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Odore, odorino mio di Mar del Nord, di libertà e gioventù, evvieni ancora nella mia pancia, eddai non far così, vieni, sniff e sniff odorino mio ci stai ancora? Dimmi che ci sei! Me ne giro col naso all’aria nella piazza di sosta Adige e cerco il buon odorino che se non lo trovo al più presto m’infogno in questa puzza d’italietta e muoio, cioè perdo la rotta e allora che diverrà mai di me perduto con i porci scoramenti addosso? Dopo che giro per un po’ in questo stato il mio amico dice sono ubriaco io che non posso mica girare così col naso all’aria e fare sniffe e sniffe come ci piovesse polverina. [Vomitando, il narratore si libera degli «scoramenti» e torna a sentirsi bene.]

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L’amico mio viene lì vicino a me che guardo il bel mattino che alza il culo e dice caromio io me ne parto vuoi che andiamo? Magari magari amichetto mio tutto biondo e lentigginoso come sei, magari ci tenessimo i soldi per fare il pieno al ronzinante, alla faccia dei petrolieri speculatori di questo porco mondo. Non ho grano, che fare? Dice lui, non preoccuparti, andiamo in autostop. Che? Lasciare la cinquecento cavalli, lasciarla lì a srugginarsi tutta sola quando io lo so bene che anche lei ci piacerebbe mangiar asfalto e polveroni dietro al mio odorino, no, no io di qui non mi movo senza lei. E allora? Salutato amichetto tutto biondo imbarcato su un altro grandalbero di Natale20 verso Trento, salutato col magone nella voce e gorgoglio di pancia, era pur sempre un compagno di strada, ciao biondo cinematografaro, salute a te che te ne vai per le città ciaociao vero compagno di quelli veri che ci han capito tutto della nostra historia quotidiana, davvero ciao con lacrimuccia e fazzoletto e colpettino di clacson del ronzinante, non ci rivedremo mai più ah questo lo so, ma terrò pur sempre in giro per le strade un amico in più, vai vai, è stato bello, ognuno c’ha il percorso suo. Così di nuovo mi ritrovo in solitudine con l’odorino sempre vivo che se lo perdo il racconto finisce a questa riga qui. Ma il problema è trovare grano, magari un portafoglio pien di deca. [Effettivamente ha la fortuna di trovare a terra un portafoglio con ventimila lire.]

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Niente male, recuperate venticarte. Faccio il pieno, ronzinante mio si riparte, corriamo dietro al nostro odore avanti. Proprio fortuna sfacciata ma quando uno ci sente che l’odore che serra in pancia è proprio il suo arriva anche la fortuna. Solo questo vi voglio dire credete a me lettori cari. Bando a isterismi, depressioni scoglionature e smaronamenti. Cercatevi il vostro odore eppoi ci saran fortune e buoni fulmini sulla strada. Non ha importanza alcuna se sarà di sabbia del deserto o di montagne rocciose, fossanche quello dell’incenso giù nell’India o quello un po’ più forte, tibetano o nepalese. No, sarà pure l’odore dell’arcobaleno e del pentolino pieno d’ori21, degli aquiloni bimbi miei, degli uccelletti, dei boschi verdi con in mezzo ruscelletti gai e cinguettanti, delle giungle, sarà l’odore delle paludi, dei canneti, dei venti sui ghiacciai, saranno gli odori delle bettole di Marrakesh o delle fumerie di Istanbul, ah buoni davvero buoni odori in verità, ma saran pur sempre i vostri odori e allora via, alla faccia di tutti avanti! Col naso in aria fiutate il vento, strapazzate le nubi all’orizzonte, forza, è ora di partire, forza tutti insieme incontro all’avventuraaaaa! P. V. Tondelli, Altri libertini, Feltrinelli, Milano 1980

20. grandalbero di Natale: così il narratore chiama i grossi camion, per la

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serie di luci colorate. 21. pentolino … ori: secondo una leg-

genda, al termine dell’arcobaleno si trova una pentola d’oro.

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

Analisi del testo La rivolta intellettuale di Jacopo

Delusione e soluzioni autodistruttive

L’insofferenza per il “riflusso”

La fuga verso un “altrove”

La sindrome di Jacopo Ortis Lo stile magmatico

> La delusione storica nell’Ortis e dopo il Sessantotto

Si è visto come l’Ortis foscoliano esprima la rivolta di un giovane intellettuale, insofferente nei confronti delle sopravvivenze di un ordine del passato e pieno di illusioni e speranze, alimentate dall’età di radicali trasformazioni seguite alla Rivoluzione francese; si è indicato anche come l’eroe, sperimentata una cocente delusione storica, attraversi fasi di frustrazione, di ripiegamento, di disperazione, sino a giungere al nichilismo e alla volontà di autodistruzione. Sono fenomeni che si sono presentati altre volte nella storia, sia pur, come è ovvio, in circostanze oggettive mutate. L’accostamento che più immediatamente si offre, e che ci fa sentire singolarmente vicino il personaggio di Jacopo Ortis, è con la rivolta giovanile degli anni 1968-77, con la sua tensione astratta e con i contraccolpi di delusione e frustrazione, che hanno dato luogo a fughe nell’irrazionale o a soluzioni autodistruttive. Sono motivi che la letteratura degli anni Ottanta del Novecento ha affrontato, soprattutto ad opera di giovani scrittori che avevano attraversato quelle esperienze o comunque erano vissuti in quel clima.

> Rivolta e ricerca della morte

È il caso di Tondelli. In questo passo il soggetto monologante, un giovane intellettuale “alternativo”, a quanto si può intuire dal testo ha partecipato al movimento del ’77 ed ora, negli anni del cosiddetto “riflusso”, in cui lo slancio che aveva caratterizzato un decennio di rivolte giovanili si è esaurito, patisce un senso di soffocamento, di depressione mista a insofferenza rabbiosa. Sono infatti anni caratterizzati dal conformismo perbenistico, dal consumismo sfrenato, dal carrierismo, dalla ricerca del successo e della ricchezza con ogni mezzo. Il rifiuto del giovane si manifesta in un moto di fuga verso un “altrove” mitico e utopico, attraverso una folle corsa in auto nella notte verso il Nord (il titolo significa appunto “autostrada”, in tedesco), in cerca di libertà, autenticità, pienezza vitale. Ma in quella corsa non è difficile intuire anche un segreto impulso autodistruttivo, cioè un’oscura volontà di cercare la liberazione dalle tensioni conflittuali nella morte: con il che le componenti della sindrome romantica ribellione-delusione-morte, “alla Jacopo Ortis”, sono tutte presenti. Lo stile del passo è commisurato al ribollire passionale che spinge il protagonista alla sua corsa verso la morte: lo scrittore rovescia nelle sue pagine tutta la visceralità immediata del vissuto, con un linguaggio magmatico che risente non solo del parlato giovanile ma dei ritmi della musica rock.

Esercitare le competenze COmPReNdeRe

> 1. Formula un titolo e un sottotitolo esplicativo per ognuno dei tre passi del racconto. ANALIzzARe

> 2. Quali temi fondamentali, riconducibili anche a un immaginario attuale, emergono dal testo? > 3. Narratologia Quale immagine del protagonista risulta dalle sue parole e dai suoi atteggiamenti? Quali tratti

della sua personalità sono messi in evidenza dall’autore? In che cosa è affine ai personaggi che incontra? Narratologia In quale parte del testo, e con quale funzione, prevale il monologo interiore? Lessico Analizza il testo dal punto di vista lessicale e indica i vocaboli e le espressioni che appartengono al registro basso e alla cultura giovanile. Sono presenti anche termini raffinati o appartenenti alla cultura elevata? > 6. Lingua Ricerca nel testo le esclamazioni e i tic linguistici (espressioni verbali che si ripetono insistentemente, come ad esempio la congiunzione «cioè» o la formula di raddoppiamento lessicale «lacrime lacrime», «avanti avanti» ecc.).

> 4. > 5.

APPROFONdIRe e INTeRPReTARe

> 7. Contesto: storia In quali punti del brano è possibile cogliere delle allusioni alle motivazioni storiche dell’inquietudine e del desiderio di fuga dei giovani? Da quale personaggio provengono? Quale visione del mondo forniscono al lettore?

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L’età napoleonica

4 Le poesie giovanili

Le Odi e i Sonetti Videolezione

Foscolo cominciò a scrivere sin da ragazzo odi, sonetti, canzoni e altre composizioni di vario metro: sono esercizi letterari, testimonianze di un apprendistato poetico che rivelano l’influsso delle tendenze di gusto e delle tematiche correnti del tempo, dalla galanteria arcadica alla severità neoclassica, dall’ossianismo alla poesia sepolcrale, all’impegno politico e civile. Il poeta stesso fece una scelta rigorosa di tutta questa produzione, pubblicando nel 1803 le Poesie, che comprendevano solo due odi e dodici sonetti.

Le Odi

Le tendenze neoclassiche

La bellezza ideale

Le due odi, A Luigia Pallavicini caduta da cavallo e All’amica risanata, risalgono al periodo della scrittura dell’Ortis, ma rappresentano tendenze opposte: se l’Ortis, con la sua passionalità ed il suo soggettivismo esasperati, con la figura dell’eroe sventurato ed esule, con il ricorrere ossessivo del tema della morte e le tonalità cupe che questa evoca, rimanda a tematiche di tipo preromantico, le Odi rappresentano le tendenze più squisitamente neoclassiche della poesia foscoliana. Al centro di entrambe vi è il vagheggiamento della bellezza femminile, trasfigurata attraverso la sovrapposizione delle immagini di divinità greche; vi sono rappresentazioni intensamente visive e plastiche, dalle linee ferme ed armoniose, in cui il poeta sembra voler riprodurre i canoni della contemporanea pittura o scultura neoclassica; ricorrono continui rimandi mitologici, evocati con raffinata erudizione; il lessico è quanto mai aulico e sublime e la struttura sintattica riproduce le architetture del periodare classico. Ma mentre l’ode A Luigia Pallavicini conserva maggiormente un carattere di omaggio galante e settecentesco alla bella donna, All’amica risanata ha più alte ambizioni e vuol proporsi come un discorso filosofico sulla bellezza ideale, sul suo effetto di purificare le passioni e di rasserenare l’animo inquieto degli uomini, ed anche sulla funzione eternatrice della poesia che canta la bellezza. Il neoclassicismo di Foscolo si rivela dunque ben diverso da quello arcadico e montiano, esteriore e puramente esornativo: il culto foscoliano della bellezza esprime un’esigenza autentica e profonda, che nasce da un rapporto problematico con un momento storico tormentato e violento e dal bisogno di contrapporre ad esso valori superiori, sottratti al divenire, di cui la letteratura si deve fare portatrice.

I Sonetti L’autobiografismo

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I sonetti sono più vicini alla materia autobiografica e alla passionalità dell’Ortis. La maggior parte è infatti caratterizzata da un forte impulso soggettivo, che rivela la matrice della lirica alfieriana; fitte però sono le reminiscenze di altri poeti, soprattutto di Petrarca e dei poeti latini. Tra questi sonetti spiccano tre

François-Xavier Fabre, Ritratto di Ugo Foscolo, 1813, olio su tela, Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale.

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

La ripresa dei temi dell’Ortis

T7

autentici vertici poetici, Alla sera, A Zacinto, In morte del fratello Giovanni. In essi la classica forma del sonetto è reinventata in modi fortemente originali, nella struttura sintattica e metrica, nella tessitura delle immagini, nel gioco timbrico, ritmico e melodico del verso (lo verificheremo nella lettura). Ma vi sono anche ripresi, in un discorso di estrema densità lirica, i temi centrali dell’Ortis: la proiezione del poeta in una figura eroica sventurata e tormentata, il conflitto con il «reo tempo» presente, il «nulla eterno» come unica alternativa, l’esilio come condizione politica ed esistenziale insieme, l’impossibilità di trovare un terreno stabile su cui poggiare, che si traduce nell’impossibilità di trovare un rifugio consolante nella famiglia; l’illusione della sepoltura “lacrimata”, il rapporto con la terra «materna» e con il mito antico, il valore eternatore della poesia. Ricompare dunque sia il motivo nichilistico dell’Ortis, sia quella ricerca di valori positivi, al fine di un superamento dell’approdo nichilistico, che era già in atto entro il romanzo; si conferma e chiarisce, cioè, quella linea di meditazione poetica che troverà il suo culmine, pochi anni dopo, nei Sepolcri.

All’amica risanata dalle Odi L’ode, del 1802, è dedicata alla donna amata, Antonietta Fagnani Arese, che è guarita da una malattia e si appresta a rientrare in società.

> metro: strofe di cinque settenari, alternatamente piani e sdruc-

Temi chiave

• la valenza rasserenatrice della bellezza • la funzione della poesia: rendere eterna la bellezza

• far rivivere la grecità nelle forme moderne

• la bellezza come rimedio alla forza distruttrice del tempo

cioli, a cui segue un endecasillabo in rima col settenario precedente; schema delle rime: abacdD.

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versi 1-12 Come l’astro più caro alla dea Venere appare emergendo dalle profondità marine con i suoi raggi simili a chiome stillanti d’acqua (rugiadosi crini) tra le tenebre che fuggono all’alba, e adorna il suo percorso nel cielo con la luce del sole (eterno raggio), così le tue membra divine sorgono dal letto dove giacesti malata (egro

Qual dagli antri marini l’astro più caro a Venere co’ rugiadosi crini fra le fuggenti tenebre appare, e il suo vïaggio orna col lume dell’eterno raggio; sorgon così tue dive membra dall’egro talamo1, e in te beltà rivive, l’aurea beltate ond’ebbero ristoro unico a’ mali le nate a vaneggiar menti mortali.

talamo), e in te rivive la bellezza, la splendida bellezza dalla quale le menti dei mortali, inclini per natura a perdersi in vane follie (nate a vaneggiar), ebbero l’unico conforto ai loro mali. 1. Qual … talamo: l’aggettivo egro, malato, latinismo, per ipallage è spostato dal termine proprio, la donna, ad un termine con-

tiguo, il letto. Il poeta, con un’immagine mitologica ispirata ai poeti classici, personifica l’astro, il pianeta Venere appunto, in una figura femminile emergente dalle acque (come la dea Venere, che era nata dal mare).

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L’età napoleonica

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Fiorir sul caro viso veggo la rosa2, tornano i grandi occhi al sorriso insidïando; e vegliano per te in novelli pianti trepide madri, e sospettose amanti. Le Ore3 che dianzi4 meste ministre eran de’ farmachi, oggi l’indica5 veste e i monili cui gemmano effigïati Dei6 inclito studio di scalpelli achei, e i candidi coturni7 e gli amuleti recano, onde a’ cori8 notturni te, Dea, mirando obliano i garzoni le danze, te principio d’affanni e di speranze: o quando l’arpa adorni e co’ novelli numeri e co’ molli contorni delle forme che facile bisso9 seconda, e intanto fra il basso sospirar vola il tuo canto più periglioso10; o quando balli disegni, e l’agile corpo all’aure fidando, ignoti vezzi sfuggono dai manti, e dal negletto velo scomposto sul sommosso petto. All’agitarti, lente cascan le trecce, nitide per ambrosia recente, mal fide all’aureo pettine e alla rosea ghirlanda che or con l’alma salute April ti manda. Così ancelle d’Amore a te d’intorno volano invidïate11 l’Ore.

versi 13-18 Vedo il tuo viso riprendere il colorito roseo della salute, e i (tuoi) occhi riprendono a sorridere (tornano … sorriso) esercitando il loro fascino sugli uomini (insidïando); perciò (e) le madri trepidano per i loro figli a causa tua (per te), mentre (e) le donne (ridiventano) gelose (sospettose) dei loro amanti, restando di nuovo sveglie a

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piangere (in novelli pianti). 2. Fiorir … rosa: è una reminiscenza dall’Educazione di Parini («Torna a fiorir la rosa / che pur dianzi languia», vv. 1-2). versi 19-30 Le ore della giornata che prima ti somministravano tristi le medicine, oggi ti recano la veste di seta (indica), i monili adorni di cammei su cui sono effigiate

(gemmano) divinità classiche, opera preziosa di artisti greci (scalpelli achei); le bianche scarpette da ballo (coturni) e altri ornamenti (amuleti) per cui nelle feste (cori) notturne i giovani, contemplando te, causa del loro affanno e delle loro speranze d’amore, dimenticano le danze: 3. Le Ore: sono personificate classicamente come dee. 4. dianzi: durante la malattia. 5. indica: da India, perché la seta proveniva dall’Oriente. 6. Dei: è soggetto di gemmano. 7. coturni: calzari greci. 8. cori: danze. versi 31-42 sia quando abbellisci (adorni) l’arpa con nuove armonie (numeri) e con il morbido contorno delle tue forme che il bisso asseconda aderente, e intanto il tuo canto vola più pericoloso tra il sommesso sospirare dei giovani presenti; sia quando danzando disegni figure (con le tue membra) e, abbandonando all’aria (all’aure fidando) l’agile corpo, ignote bellezze (vezzi) sfuggono dalla veste e dal velo scomposto (negletto) sul petto, reso affannoso dai movimenti (sommosso). 9. bisso: tessuto sottile. 10. o quando … periglioso: vengono indicate due situazioni tipiche in cui, durante le feste, la donna esercita il suo fascino: quando canta accompagnandosi con l’arpa (in questa strofa) e quando danza (nella successiva). versi 43-51 Nei movimenti della danza (All’agitarti), cadono allentate (lente) le trecce, lucenti (nitide) per gli unguenti profumati (ambrosia) sparsivi di recente, male assicurate (fide) dal pettine dorato e dalla ghirlanda di rose, che ora aprile ti manda insieme con la salute datrice di vita (alma). In questo modo le Ore, che servono (ancelle) Amore, ti volano intorno suscitando invidia. 11. invidïate: invidiate dai giovani innamorati, perché possono stare sempre con la donna divina.

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

Meste le Grazie mirino chi la beltà fugace ti membra, e il giorno dell’eterna pace12. 55

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Mortale guidatrice d’oceanine vergini, la parrasia13 pendice tenea la casta Artemide, e fea terror di cervi lungi fischiar d’arco cidonio14 i nervi. Lei predicò la fama Olimpia prole; pavido Diva il mondo la chiama, e le sacrò l’elisio soglio, ed il certo telo, e i monti, e il carro della luna in cielo15. Are così a Bellona, un tempo invitta amazzone16, die’ il vocale Elicona17; ella il cimiero e l’egida18 or contro l’Anglia avara e le cavalle ed il furor prepara19.

versi 52-60 Le Grazie non concedano il loro favore a chi ti ricorda (ti membra) che la bellezza è fugace e che un giorno dovrai morire (giorno … pace). La casta Artemide, una donna mortale guidatrice di ninfe (vergini) oceanine, abitava le pendici del monte Parrasio (la parrasia … tenea) e terrorizzava i cervi facendo fischiare da lontano le cor-

de del suo arco cidonio. 12. Meste … pace: con questa deprecazione, è il poeta stesso che richiama la fugacità della bellezza corporea, destinata inevitabilmente ad essere cancellata dalla morte. Nella seconda parte dell’ode, che inizia dalla strofa seguente, il poeta dimostra invece che la bellezza può superare la morte se cantata dai

versi dei poeti, che la rendono immortale; come esempio cita Artemide, Bellona e Venere, che erano donne mortali ma furono trasformate in dee dalla poesia. Il nuovo discorso è affrontato con un improvviso trapasso che lascia nell’implicito il legame logico. 13. parrasia: del monte Parrasio in Arcadia. 14. cidonio: Cidone era una città dell’isola di Creta, famosa appunto per la fabbricazione degli archi. versi 61-72 La fama (creata dai poeti) la proclamò figlia di Giove (Olimpia prole); gli uomini, pieni di timore religioso nei suoi confronti, la chiamano Dea e le hanno consacrato il trono degli Inferi (elisio soglio), le frecce infallibili (certo telo), i monti e la luna. Così il canto dei poeti (vocale Elicona) consacrò altari a Bellona, un tempo amazzone invincibile (invitta); ora ella (come dea della guerra) prepara contro l’avida Inghilterra l’elmo, lo scudo (egida), i cavalli ed il furore guerriero (dei soldati). 15. l’elisio … cielo: allude al culto di Artemide come Ecate, regina dell’oltretomba, come dea della caccia e come dea della luna. 16. invitta amazzone: cioè anch’essa donna mortale. 17. Are … Elicona: cioè la trasformò in dea: il vocale Elicona è soggetto, are è oggetto; il monte Elicona in Beozia era la sede delle Muse. 18. egida: era la pelle invulnerabile di capra che copriva lo scudo di Giove. 19. le cavalle … prepara: allude alla spedizione militare contro l’Inghilterra che Napoleone andava progettando in quegli anni; l’Inghilterra è detta avara perché paese mercantile.

Un documento dello stile Impero Jacques-Louis David, Ritratto di Henriette Delacroix, Madame de Verninac, 1798-99, olio su tela, Parigi, Musée du Louvre.

La sorella del pittore Eugène Delacroix è qui ritratta in una posa che ricorda quella della statua di Elena seduta conservata ai Musei Capitolini di Roma, città in cui David (1748-1825), grande cantore dell’epopea napoleonica ( p. 8), soggiornò negli anni 1775-80. Il dipinto è un perfetto documento dello stile Impero, ovvero del gusto neoclassico che si affermò nel periodo napoleonico, caratterizzandosi – nella moda e nell’arredamento – per le sobrie forme antichizzanti, impreziosite dal lusso di materiali ricercati. Come Antonietta Fagnani Arese, l’Amica risanata di Foscolo alla quale una veste di «facile bisso» assecondava le forme quando suonava l’arpa, anche Madame de Verninac è abbigliata e acconciata à l’antique. Secondo l’alta moda del tempo, l’abito lascia scoperte le braccia, è in stoffe leggere e ha taglio morbido e lineare con vita alta sotto il seno e scollatura bassa. Ispirandosi alla statuaria greca, abiti di tal foggia intendevano esaltare la giovinezza e bellezza della donna.

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L’età napoleonica

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E quella a cui di sacro mirto20 te veggo cingere devota il simolacro, che presiede marmoreo agli arcani tuoi lari21 ove a me sol sacerdotessa appari22, regina fu, Citera e Cipro23 ove perpetua odora primavera regnò beata, e l’isole che col selvoso dorso rompono agli Euri e al grande Ionio il corso. Ebbi in quel mar la culla24, ivi erra ignudo spirito di Faon la fanciulla, e se il notturno zeffiro blando sui flutti spira, suonano i liti un lamentar di lira25: ond’io, pien del nativo aër sacro, su l’itala grave cetra derivo per te le corde eolie, e avrai divina i voti fra gl’inni miei delle insubri nepoti26.

versi 73-84 E colei (Venere) a cui ti vedo cingere devota di sacro mirto la statua, che domina marmorea le tue stanze più interne (arcani tuoi lari), dove a me sola appari sacerdotessa della dea, fu una regina e regnò felice su Citera e su Cipro, dove profuma eternamente la primavera, e sulle isole Ionie, che con le loro dorsali montuose coperte di selve (selvoso dorso) rompono il corso ai venti (Euri) e alle onde del mare Ionio. 20. mirto: era la pianta sacra a Venere. 21. arcani tuoi lari: la camera da letto.

22. ove … appari: cioè dove a me solo concedi il tuo amore: Venere era la dea dell’amore. 23. regina … Cipro: cioè donna mortale anch’essa; Citera e Cipro sono le isole sacre alla dea, nata dal mar Ionio. versi 85-96 Nacqui a Zacinto, in quelle stesse isole Ionie, in quel mare (ivi) erra Saffo (di Faon la fanciulla), ormai puro spirito; e se il vento (zeffiro) notturno soffia (spira) dolcemente sui flutti, le rive (liti) risuonano del lamento della sua lira: ispirato dall’aria (aër) della terra natale, sacra (per il ricordo

che essa conserva della civiltà greca), per celebrarti trasferisco la musicale poesia eolica (corde eolie) nei metri più gravi della poesia italiana (itala grave cetra), per cui, divinizzata dalla mia poesia, sarai venerata e invocata (avrai … voti) col canto dei miei inni dalle fanciulle lombarde (insubri) dei secoli futuri (nepoti). 24. Ebbi … culla: il legame logico con il discorso precedente è questo: Foscolo, grazie alla sua nascita greca, si colloca a buon diritto accanto ai poeti antichi che trasformarono in dee Artemide, Bellona e Venere; anch’egli, seguendo il loro esempio, divinizzerà col canto la sua donna, rendendo eterna la sua bellezza. 25. ivi … lira: secondo la leggenda la poetessa greca Saffo si uccise per il suo amore senza speranza per Faone, gettandosi dal promontorio di Leucade; il poeta immagina che il suo spirito vaghi ancora in quei luoghi e che essi risuonino del suo canto; per Foscolo, cioè, la terra greca è ancora impregnata dello spirito della poesia antica. 26. ond’io … nepoti: la poesia in dialetto eolico, di cui Saffo, con Alceo, fu la maggiore rappresentante, è particolarmente delicata e musicale, mentre la poesia italiana ha forme più severe e solenni. Le fanciulle lombarde sono dette insubri dai Galli Insubri che abitavano anticamente quella regione.

Pesare le parole Derivo (v. 93) > Derivare

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proviene da de- e rivare, letteralmente “far defluire le acque” (latino rìvus, “ruscello”); ha poi assunto il senso figurato di “trasferire, far provenire”, che possiede qui nell’ode foscoliana (es. da così pochi elementi non puoi derivare un giudizio sicuro). Nella forma intransitiva significa “scaturire, prendere origine” (es. dalle tue scelte sbagliate non possono che derivare conseguenze negative). La deriva, nel linguaggio nautico, è il trascinamento di un’imbarcazione a causa della corrente di un fiume o delle correnti marine (es. la barca con il timone rotto

andava alla deriva con il suo carico di migranti). In senso figurato andare alla deriva significa “farsi trascinare dagli eventi senza riuscire a padroneggiarli, non saper dare un ordine e un fine alla propria vita, subire passivamente le avversità, la sfortuna” (es. dopo il fallimento del matrimonio la sua vita è andata alla deriva). Un derivato (participio passato divenuto sostantivo) è una sostanza derivata da qualche altra (es. le materie plastiche sono dei derivati del petrolio). Nel campo finanziario il termine indica un tipo di titolo d’investimento.

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

Analisi del testo Gli elementi arcadici Gli elementi neoclassici

> Tra Arcadia e Neoclassicismo

L’ode si colloca nel solco della lirica arcadica: ad essa rimandano sia il carattere di poesia d’occasione, fondata sull’omaggio galante alla bella donna, sia le strofe di versi brevi ed agili. Tuttavia, al di là di questi legami, Foscolo non sceglie la via della facile cantabilità e della limpidezza arcadica, ma piuttosto quella di un Neoclassicismo sostenuto ed aulico. La poesia sembra voler rivaleggiare con la scultura e la pittura, delineando immagini intensamente visive e plastiche, caratterizzate da un’armonia composta di linee e di volumi. Neoclassico è anche lo sforzo costante di nobilitare ogni aspetto della realtà quotidiana attraverso un lessico estremamente elevato («egro talamo», «inclito studio», «novelli numeri» ecc.) ed un largo impiego di figure retoriche, oppure attraverso il travestimento grecizzante (i monili sono opera di «scalpelli achei», le scarpette da ballo sono «candidi coturni», la stanza da letto «arcani lari»).

> Il discorso filosofico L’efficacia rasserenatrice della bellezza

La bellezza eternatrice

La funzione della poesia

La poesia fa rivivere il mondo antico

La forza distruttrice del tempo

La funzione della bellezza

In realtà l’ode aspira ad essere ben più che un componimento galante d’occasione: Foscolo, attraverso l’uso di quelle forme, vuole condurre un ambizioso discorso filosofico sul significato e sul valore della bellezza. Un indizio in questo senso si ha già ai versi 9-12, in cui si insiste sull’efficacia rasserenatrice della bellezza sugli animi degli uomini portati a «vaneggiare»: con questo siamo subito avvertiti che la bellezza fisica non è che una manifestazione della Bellezza ideale. Essa evoca un mondo di superiore armonia contro il caos di passioni e di conflitti che caratterizza la realtà umana, e per questo possiede un’efficacia purificatrice. La riflessione si sviluppa poi pienamente nella seconda parte, dove si insiste sulla funzione eternatrice della bellezza. Foscolo fonda il suo discorso su una lettura razionalistica del mito greco: Artemide, Bellona, Venere non erano che donne mortali, ma la fama le ha consacrate come dee immortali. L’eternità della bellezza è quindi, da questo punto di vista, un’illusione; ma Foscolo pone l’accento proprio sull’illusione contro la conoscenza razionale: ciò che conta, per lui, è che la bellezza abbia consacrato nella memoria quelle donne famose, vincendo i limiti mortali. Ciò che consente alla bellezza l’eternità nella fama è il canto dei poeti; così, nelle ultime due strofe, il discorso sulla funzione della bellezza si prolunga nel discorso sulla funzione della poesia. Altrove Foscolo attribuirà al poeta un compito civile e politico, quello di conservare le grandi memorie del passato e di stimolare le virtù patriottiche. Qui la dimensione civile è lasciata in secondo piano: il compito del poeta è assicurare l’eternità alla bellezza; solo attraverso il suo canto la bellezza può esercitare la sua facoltà di rendere eterne le cose contingenti.

> La grecità non è un paradiso perduto

Foscolo propone se stesso come esempio di tale compito del poeta: egli è colui che può far rivivere nella presente cultura italiana lo spirito dell’antica poesia greca, perché è greco di nascita ed è ispirato dall’«aër sacro» della sua terra. Foscolo quindi ritiene che la grecità non sia un paradiso di bellezza ed armonia definitivamente perduto: esso può ancora esser fatto rivivere in forme attuali. Con i suoi «inni» egli potrà trasfigurare la bella donna in una dea, come i poeti greci hanno trasfigurato in dee Artemide, Bellona e Venere. Come si vede, quella che potrebbe apparire un’iperbole galante, rispondente alle convenzioni della poesia d’occasione, si rivela invece il veicolo di una riflessione di ben più vasta portata. Foscolo sente fortemente il motivo della precarietà delle cose umane, del tempo che le trasforma incessantemente, della distruzione che sempre incombe su di esse. È un motivo che scaturisce dalla sua cultura materialistica settecentesca, che concepisce la realtà come un ciclo di distruzione e trasformazione perenne della materia. Ma, come si è constatato nell’Ortis, Foscolo è insoddisfatto di questo orizzonte culturale e sente il bisogno di individuare valori assoluti che diano saldi fondamenti all’esistenza. A questa esigenza risponde appunto il mito della bellezza: essa ha la funzione di vincere il tempo e le forze distruttrici che operano nel mondo umano, il compito di assicurare eternità alle cose. 107

L’età napoleonica

Esercitare le competenze COmPReNdeRe

> 1. Assegna un titolo a ciascuna parte in cui è stata divisa l’ode, completando la tabella, secondo l’esempio proposto. Versi

Titolo della sequenza

vv. 1-18

La donna, bella come Venere, rifiorisce dopo la malattia ..................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

vv. 19-26

..................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

vv. 27-48

Alle feste notturne ella seduce tutti con il canto e la danza ..................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

vv. 49-54

..................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

vv. 55-66

Artemide divinizzata dalla poesia ..................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

vv. 67-72

..................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

vv. 73-84

..................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

vv. 85-96

..................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

ANALIzzARe

> 2.

Stile Analizza lo stile dei versi 19-42: a) a livello metrico: la posizione degli accenti nei settenari è fissa o variabile? La struttura sintattica coincide in genere con la misura del verso? b) a livello retorico: individua le figure foniche e di ripetizione, che conferiscono musicalità al discorso poetico e ne innalzano lo stile. > 3. Lessico Analizza la prima parte della poesia (vv. 1-48) sotto l’aspetto lessicale e individua i termini aulici e preziosi. > 4. Lingua Esamina il componimento dal punto di vista sintattico: la sintassi è semplice o complessa? Quali inversioni nell’ordine delle parole si possono osservare?

APPROFONdIRe e INTeRPReTARe

> 5.

Scrivere Chiarisci in circa 10 righe (500 caratteri) la relazione istituita nell’ode tra la bellezza, la poesia, il mondo classico, la donna e il poeta stesso. > 6. esporre oralmente A partire da questa lirica, descrivi la particolarità dello stile neoclassico di Foscolo rispetto a quello arcadico e montiano (max 5 minuti). > 7. Altri linguaggi: arte Nell’Analisi del testo si rileva la tendenza, propria di quest’ode e riconducibile al Neoclassicismo, a delineare immagini intensamente visive e plastiche: individua nel testo una descrizione significativa a questo riguardo, svolgendo eventuali confronti con opere artistiche neoclassiche a te note.

Pierre Narcisse Guérin, Saffo sulla rupe di Leucade, inizio XIX secolo, olio su tela, San Pietroburgo, Museo statale Ermitage.

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Capitolo 2 · Ugo Foscolo

Analisi interattiva

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Alla sera

Temi chiave

dai Sonetti Composto probabilmente tra l’agosto 1802 e l’aprile 1803, il sonetto fu collocato da Foscolo in apertura della raccolta delle sue Poesie nel 1803.

• la sera come immagine della morte • la morte intesa come annullamento totale

• lo scontro dell’eroe con una realtà storica negativa

> metro: sonetto; schema delle rime: ABAB, ABAB, CDC, DCD.

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Forse perché della fatal quïete tu sei l’immago a me sì cara vieni o sera1! E quando ti corteggian liete le nubi estive e i zeffiri sereni,

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e quando dal nevoso aere inquïete tenebre e lunghe all’universo meni2 sempre scendi invocata, e le secrete vie del mio cor soavemente tieni.

Audio

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Vagar mi fai co’ miei pensier su l’orme che vanno al nulla eterno3; e intanto4 fugge questo reo tempo5, e van con lui le torme

14

delle cure onde meco egli si strugge6; e mentre io guardo la tua pace, dorme quello spirto guerrier ch’entro mi rugge7.

versi 1-8 O sera, forse giungi a me così cara perché sei l’immagine della pace eterna (fatal quïete)! Scendi sempre da me invocata e sai raggiungere dolcemente le zone più segrete del mio cuore, sia quando ti accompagnano liete le nubi estive ed i venti tiepidi che rasserenano il cielo (sereni), sia quando dall’aria nevosa protendi all’universo tenebre lunghe ed inquiete.

1. Forse … sera: la sera è vista come immagine della morte. 2. e quando … meni: il calare della sera invernale minaccia neve; ma l’aggettivo inquïete, oltre ad indicare la minaccia di bufera che grava nell’aria, allude anche all’inquietudine vaga che prende l’animo di chi osserva scendere la cupa e lunga notte invernale. versi 9-14 Mi fai vagare con i pensieri sulle

tracce (orme) che conducono al nulla eterno; e intanto questo tempo malvagio (reo) passa, e porta con sé la folla degli affanni (torme delle cure), per cui ci consumiamo sia io sia l’età presente; nella contemplazione della pace della sera trova pace (dorme) anche il mio animo (spirto … rugge). 3. Vagar … eterno: aggirandosi intorno all’immagine della fine del giorno, i pensieri giungono all’idea della morte, intesa materialisticamente come annullamento totale e definitivo della vita. 4. intanto: mentre si abbandona al pensiero della morte. 5. reo tempo: il tempo presente è reo sia sul piano personale, in quanto portatore di delusioni e sofferenze, sia sul piano storico, in quanto epoca negativa. 6. e van … strugge: l’idea del nulla eterno induce a guardare da una distanza infinita e quindi a disprezzare le preoccupazioni che affannano nel presente. Il pensiero della morte ha un’efficacia liberatrice. 7. e mentre … rugge: lo spirto guerrier è l’animo appassionato, ribelle, insofferente delle miserie e delle costrizioni dell’età presente, in continuo conflitto con esse.

Analisi del testo

> Il «nulla eterno»

Il nucleo centrale del sonetto

Il sonetto è diviso nettamente in due parti, che corrispondono rispettivamente alle due quartine e alle due terzine. La prima parte descrive lo stato d’animo dell’io lirico dinanzi alla sera, colta in due momenti diversi ma equivalenti nelle risonanze affettive, l’imbrunire di una bella giornata estiva ed il calare delle tenebre in una fosca sera invernale, che sanno entrambi suscitare un senso di dolcezza nelle zone più segrete del suo cuore. La seconda parte è più dinamica, poiché rappresenta alcuni processi di trasformazione. Qui si colloca, infatti, il nucleo centrale del componimento, da cui si sprigiona tutto il suo movimento lirico: il «nulla eterno». Vi si chiarisce perché la sera, in quanto immagine della morte, è cara al poeta: la morte ha un’efficacia liberatoria, perché rappresenta l’annullamento totale, in cui si cancellano conflitti e sofferenze. La struttura di questa parte si organizza in una duplice opposizione: nulla eterno vs reo tempo pace della sera vs spirto guerrier 109

L’età napoleonica Il «reo tempo» e lo «spirto guerrier»

Il parallelismo

in cui i primi termini sono positivi, i secondi negativi. La dinamicità della struttura è data dal fatto che il primo membro dell’opposizione annulla il secondo: il «reo tempo» si dilegua dinanzi all’immagine del «nulla eterno», lo «spirto guerrier» si placa dinanzi alla «pace» della sera. Leggendo verticalmente lo schema, risalta inoltre l’omologia tra «reo tempo» e «spirto guerrier»: appare chiaro che l’irrequietudine ribelle e tormentata dell’eroe è legata ad un momento storico negativo. Il centro dinamico della trasformazione è costituito da due verbi, «dorme» e «fugge». La loro funzione è messa fortemente in rilievo dalla collocazione nel verso: entrambi sono posti alla fine, ed un netto enjambement li separa dal loro soggetto, che è posposto («fugge / questo reo tempo», «dorme / quello spirto guerrier»). Il parallelismo dei due momenti, il dissolversi del momento storico negativo e il placarsi dell’inquietudine, è espresso attraverso rigorose simmetrie sintattiche: elemento positivo: nulla eterno pace verbo di trasformazione:

fugge

dorme

elemento negativo annullato:

reo tempo

spirto guerrier

> Il sonetto e l’Ortis Il conflitto titanico

A ben vedere, in questa struttura così rigorosa si traduce la tematica centrale del Foscolo di questo periodo, quella ampiamente presente nell’Ortis: lo scontro dell’eroe generoso ed appassionato con una realtà storica fortemente negativa, che genera sradicamento, infelicità, irrequietudine, rivolta; ed anche qui l’unica soluzione che si offre ad una situazione intollerabile è la morte, intesa materialisticamente come annullamento totale. Nella poesia lirica, Foscolo costruisce di sé un’immagine eroica del tutto analoga a quella proposta nel romanzo (anche se il romanzo epistolare induce ad un più immediato sfogo passionale, mentre il genere lirico impone un maggior controllo ed un maggior distacco contemplativo).

Esercitare le competenze

Laboratorio interattivo

COmPReNdeRe

> 1. Elabora una sintesi per ognuna delle due parti in cui risulta diviso il sonetto. Parte

Sintesi

I parte

.............................................................................................................................................................................................................:................................................................................................................................ .............................................................................................................................................................................................................:................................................................................................................................ .............................................................................................................................................................................................................:................................................................................................................................

II parte

.............................................................................................................................................................................................................:................................................................................................................................ .............................................................................................................................................................................................................:................................................................................................................................ .............................................................................................................................................................................................................:................................................................................................................................

ANALIzzARe

> 2. > 3. > 4.

Quali figure di suono si possono osservare nel componimento? Quale funzione espressiva hanno? Individua nel testo gli enjambements e spiegane la funzione in rapporto al contenuto del sonetto. Stile Analizza le parole finali di verso: osservi rime ricche e/o inclusive? In quali casi si possono notare affinità o contrapposizioni di significato tra le parole con la medesima rima? A quali temi chiave si ricollegano? > 5. Lessico Com’è rappresentata la morte? Rispondi dopo aver rintracciato tutti i termini appartenenti a questo campo semantico e aver riflettuto sul loro significato letterale. > 6. Lingua Analizza l’incipit del sonetto: quale effetto produce, sul piano espressivo, il fatto che l’invocazione alla sera compaia soltanto al verso 3? > 7. Lingua Individua nei versi i pronomi personali e gli aggettivi possessivi indicando a chi o a che cosa si riferiscono, e spiegandone la funzione.

110

Stile Stile

Capitolo 2 · Ugo Foscolo APPROFONdIRe e INTeRPReTARe

> 8.

Testi a confronto: esporre oralmente Metti a confronto il componimento analizzato con il sonetto di Giovanni Della Casa (1503-56) O sonno, o de la queta, umida, ombrosa individuando analogie e differenze (max 5 minuti).

4

O sonno, o de la queta, umida, ombrosa notte placido figlio; o de’ mortali egri conforto, oblio dolce de’ mali sì gravi ond’è la vita aspra e noiosa;

8

soccorri al core omai, che langue e posa non have, e queste membra stanche e frali solleva: a me ten vola, o sonno, e l’ali tue brune sovra me distendi e posa.

11

Ov’è ’l silenzio che ’l dì fugge e ’l lume? E i lievi sogni, che con non secure vestigia di seguirti han per costume?

14

Lasso, che ’nvan te chiamo, e queste oscure e gelide ombre invan lusingo. O piume d’asprezza colme! o notti acerbe e dure! G. Della Casa, Rime e prose, LIV

PeR IL ReCUPeRO

> 9. Analizza i versi sotto l’aspetto lessicale e individua i termini colti e ricercati. Per ciascuno di essi proponi uno o più sinonimi appartenenti al registro medio.

Analisi interattiva

T9

In morte del fratello Giovanni

• l’esilio come condizione di sradicamento • l’identificazione della tomba con l’immagine

dai Sonetti

• il ricongiungimento con il nucleo familiare

Il sonetto fu scritto nel 1802. Il fratello Giovanni Dionigi, tenente nell’esercito cisalpino, si era ucciso per debiti di gioco, all’età di vent’anni, l’8 dicembre 1801.

• il legame affettivo tra i vivi e i morti

Temi chiave

della famiglia e della madre lontana dopo la morte

> metro: sonetto; schema delle rime: ABAB, ABAB, CDC, DCD.

4

Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo di gente in gente, mi vedrai seduto su la tua pietra, o fratel mio, gemendo il fior de’ tuoi gentili anni caduto1.

8

La madre or sol, suo dì tardo traendo, parla di me col tuo cenere muto2: ma io deluse a voi le palme tendo3; e se da lunge i miei tetti saluto,

Audio

11

sento gli avversi Numi4, e le secrete cure che al viver tuo furon tempesta5, e prego anch’io nel tuo porto quïete.

14

Questo di tanta speme oggi mi resta!6 Straniere genti, l’ossa mia rendete allora al petto della madre mesta7.

versi 1-7. Un giorno, se non sarò più costretto a fuggire di popolo in popolo, mi vedrai seduto sulla tua tomba (pietra), o fratello mio, piangendo (gemendo) la tua gentile giovinezza troncata dalla morte (caduto) nel suo fiorire. Solo la madre, ora, trascinando la sua vecchiaia (suo dì tardo), parla di me con le tue spoglie (tuo cenere muto): ma io tendo a voi le mie mani (palme) deluse.

1. Un dì … caduto: riecheggia l’inizio del carme CI di Catullo: «Dopo aver viaggiato tra molte genti e per molti mari, vengo a recarti queste tristi offerte funebri, o fratello». 2. cenere muto: altra eco dello stesso carme di Catullo: «per parlare invano con la tua cenere muta». 3. ma … tendo: il desiderio di riabbracciare i suoi famigliari si traduce metaforicamente nel gesto di protendere le braccia.

versi 8-14. e se già saluto da lontano la mia casa (tetti), sento gli dèi (Numi) nemici che mi respingono indietro, e i tormenti interiori (secrete cure) che sconvolsero la tua vita (al viver … tempesta), e invoco anch’io la pace della morte. Di tanta speranza mi resta (soltanto) questo! O popoli stranieri, alla mia morte (allora) restituite le mie ossa al petto della madre addolorata (mesta). 4. e se da lunge ... Numi: l’edizione del 1803 riporta: «ma io deluse a voi le palme tendo / e sol da lunge i miei tetti saluto. // Sento gli avversi numi». Preferiamo adottare la lezione offerta da una redazione del 1816, in quanto rispecchia la volontà definitiva dell’autore. È un’eco omerica, di Odisseo costretto a peregrinare senza poter tornare alla casa di cui ha struggente nostalgia, perché è perseguitato dall’ira di Poseidone. Erano immagini familiari a Foscolo, per l’assidua frequentazione dei poemi omerici. Odisseo come immagine per eccellenza dell’eroe esule compare anche in A Zacinto ( T10, p. 114). 5. al viver ... tempesta: il fratello morì suicida. 6. Questo ... resta!: essendo state deluse tutte le sue speranze, gli resta solo quella di poter trovare rifugio nella morte. 7. petto ... mesta: è una forma metaforica di ritorno tra le braccia della madre.

111

L’età napoleonica

Analisi del testo

> L’opposizione esilio-tomba

Il tema dell’esilio

La tomba e la figura materna

Il sonetto è interamente giocato sull’opposizione di due motivi fondamentali: da un lato l’esilio, dall’altro la tomba, come centro intorno a cui si raccoglie il nucleo familiare. Il tema dell’esilio si carica di valori simbolici, che vanno al di là del significato letterale della condizione biografica del poeta lontano da Venezia: sta a rappresentare una condizione di sradicamento, di precarietà, che è storica ed esistenziale insieme. Esso richiama la figura eroica che Foscolo ama costruire di sé, quella dell’eroe infelice e sventurato a cui il momento storico negativo non consente di avere una patria, un tessuto politico e sociale in cui inserirsi, e neppure un nucleo familiare in cui trovare sicurezza e conforto. La situazione storica si proietta nell’immagine mitologica degli «avversi Numi» che perseguitano l’eroe: si presenta cioè simbolicamente come un potere arcano, contro cui è vano lottare, e dinanzi a cui l’eroe, nonostante i suoi slanci generosi, è necessariamente sconfitto. In opposizione a questa condizione di sradicamento si colloca il motivo della tomba, che si identifica con l’immagine del nucleo familiare e soprattutto della madre: sulla tomba il poeta spera di poter ricongiungere il legame affettivo con il fratello, con la cenere del figlio morto la madre parla del figlio lontano. Nella condizione precaria dell’esule, del senza patria, il ricongiungimento con la madre e con la terra natale è l’unico punto fermo, l’unica certezza confortante che può vincere l’inquietudine angosciosa. Ma è un approdo che risulta impossibile. Il polo degli affetti familiari non riesce ad avere il sopravvento su quello dell’esilio.

> L’illusione della sopravvivenza La struttura circolare

Il rifugio nella morte

Il ricongiungimento con il nucleo familiare

112

È importante a questo punto osservare in quale struttura si organizzino i due motivi fondamentali in opposizione. Nelle prime tre strofe si presentano in una struttura chiusa, circolare, che si può riassumere in questo schema: A: esilio (vv. 1-2) B: tomba del fratello (vv. 3-4) B: la madre (vv. 5-6) A: esilio (vv. 7-10) Il motivo negativo dell’esilio, collocandosi all’inizio e alla fine della sequenza poetica, chiude al suo interno il motivo del ricongiungimento col nucleo familiare, annullandolo. Giunto alla terza strofa, il sonetto presenta una situazione bloccata, di sconfitta, che pare definitiva ed insuperabile. Perciò l’unica alternativa possibile è il rifugio nella morte («e prego anch’io nel tuo porto quïete»). Sembrerebbe la stessa conclusione del sonetto Alla sera ( T8, p. 109): il motivo della morte come unico approdo di pace, in quanto negazione totale della vita e delle sue “tempeste”; in effetti il concetto è espresso con lo stesso termine chiave, «quïete», per di più collocato in posizione di estremo rilievo, alla fine del verso e lontano dal verbo. Ma la soluzione è in realtà profondamente diversa. Rompendo la struttura chiusa, circolare, delle prime tre strofe, l’ultima ripropone quel ricongiungimento col nucleo familiare che sembrava impossibile e definitivamente negato. Ed è proprio la morte a riaffermarlo: la morte non è annullamento totale, «nulla eterno», ma, nel momento in cui il morto è compianto dai vivi, consente un legame con la vita. Il ritorno, impossibile nella vita, cioè nella realtà, si attua nella morte, cioè nell’illusione, perché la restituzione delle ossa consente l’illusione di un ritorno al petto della madre. Il sonetto ripropone dunque quell’immagine positiva della morte, come illusione di sopravvivenza, che era già presente nell’Ortis e che tornerà al centro dei Sepolcri, insieme con l’identificazione mitica della tomba, della terra materna e della figura della madre.

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

Esercitare le competenze

Laboratorio interattivo

COmPReNdeRe

> 1. Riassumi in circa 10 righe (500 caratteri) il contenuto del sonetto. > 2. In quali atti è rappresentata la figura materna? ANALIzzARe

> 3.

Stile Tra i procedimenti espressivi che concorrono a innalzare lo stile vi sono gli iperbati, le metonimie e le sineddochi: individuane le ricorrenze. > 4. Stile Individua e spiega le metafore presenti nel componimento. > 5. Stile Quale figura rilevi nell’espressione «ma io deluse a voi le palme tendo» (v. 7)? > 6. Stile Dopo aver individuato gli enjambements presenti nel sonetto, rifletti sui nuclei tematici cui danno risalto.

APPROFONdIRe e INTeRPReTARe

> 7.

Scrivere Dopo aver ricordato i principali nuclei tematici della lirica, soffermati in circa 10 righe (500 caratteri) a considerare la centralità che assume, al loro interno, l’io lirico. > 8. Testi a confronto Svolgi un confronto tra il sonetto e il carme, qui di seguito riportato, del poeta latino Catullo (I secolo a.C.), individuando l’apporto originale di Foscolo.

Venuto fra tante distese di genti e di acque, giungo, o fratello, alle tue spoglie sventurate, per rendere l’omaggio supremo dovuto alla morte e dire vane parole al tuo cenere muto, poiché la fortuna mi tolse la tua umana presenza, povero fratello a me ingiustamente rapito. Ma l’offerta, secondo l’antico costume dei padri, come l’ultimo triste saluto rivolto alla tomba, accoglila aspersa di molto pianto fraterno, e ancora, o fratello, salute in eterno e addio. Catullo, Poesie, trad. it. di L. Canali, Giunti, Firenze 1997 PASSATO e PReSeNTe Gli affetti familiari

> 9. Nel sonetto di Foscolo uno dei temi centrali è costituito dagli affetti familiari. Quale importanza rivestono al giorno d’oggi, secondo la tua opinione, i legami di parentela? È possibile che l’ambiente familiare possa rappresentare una fonte di sofferenza e di disagio, anziché un luogo di condivisione positiva? Discutine in classe con i compagni e l’insegnante.

Philippe-Jacques de Loutherbourg, Visitatore di un cimitero al chiaro di luna, 1790, olio su tela, part., New Haven (Connecticut, usa), Yale Center for British Art, Paul Mellon Collection.

113

L’età napoleonica

Analisi interattiva

T10

A zacinto

Temi chiave

• la contrapposizione tra eroe classico e romantico • il viaggio come condizione esistenziale di

dai Sonetti

smarrimento dell’eroe romantico

Il sonetto fu composto tra l’agosto del 1802 e l’aprile del 1803 ed è dedicato all’isola dove il poeta nacque, Zante, nel mar Ionio (chiamata qui con il nome greco antico, Zacinto).

• il bisogno di regressione alla ricerca di sicurezza • il ritorno all’isola per la sepoltura come ritorno al grembo materno

• l’immagine dell’acqua dispensatrice di vita

> metro: sonetto; schema delle rime: ABAB, ABAB, CDE, CED.

4

Né più mai1 toccherò le sacre sponde2 ove il mio corpo fanciulletto giacque3, Zacinto mia, che te specchi nell’onde del greco mar da cui vergine nacque

8

Venere, e fea quelle isole feconde col suo primo sorriso4, onde5 non tacque le tue limpide nubi6 e le tue fronde7 l’inclito verso8 di colui che l’acque

11

cantò fatali, ed il diverso9 esiglio per cui bello di fama e di sventura baciò la sua petrosa Itaca Ulisse10.

14

Tu non altro che il canto avrai del figlio11, o materna mia terra; a noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura12.

versi 1-11 Non (Né) tornerò più alle (tue) sacre rive (sponde) dove il mio corpo di bambino (fanciulletto) riposò (giacque), o mia Zacinto, che ti specchi nel mare greco da cui nacque la vergine Venere, e rese (fea) le isole Ionie fertili (feconde) con il suo primo sorriso, di cui celebrò (non tacque) le tue nuvole bianche e la tua vegetazione (fronde) l’insigne poesia (inclito verso) di colui che cantò le peregrinazioni per mare (di Ulisse), volute dal fato (l’acque … fatali), e il suo esilio errabondo (diverso) per cui, reso bello dalla fama e dalla sventura, baciò (infine) la sua Itaca rocciosa (petrosa). 1. Né più mai: Foscolo ama iniziare i sonetti con espressioni vaghe e indefinite ( i due prima analizzati: «Forse…», «Un dì», T8, p. 109

e T9, p. 111). Qui è come se il discorso poetico fosse la prosecuzione di un discorso precedente, formulato dal poeta fra sé e rimasto inespresso. «Né continua la rassegna tacita delle avversità che affliggono il poeta» (Russo). 2. toccherò … sponde: le rive sono dette sacre per il ricordo della civiltà e del mito greci (dal mar Ionio era nata Venere), ma anche per la memoria privata, che rende come sacri i luoghi dell’infanzia. 3. giacque: vi è la probabile reminiscenza di un passo lucreziano: «Il bambino […] giace nudo a terra […] non appena la natura lo ha spinto fuori con fatica dal grembo della madre verso le rive della vita» (De rerum natura, V, vv. 222-225). Il bimbo ap-

pena nato giace sulla terra, come se fosse stato generato da essa: la terra si identifica simbolicamente con la madre. 4. e fea … sorriso: Venere, dea dell’amore, è sentita come forza fecondatrice della natura. Agisce qui il ricordo del proemio del De rerum natura di Lucrezio. 5. onde: per il fatto che quelle isole erano state rese ricche di vegetazione dal sorriso della dea. 6. limpide nubi: che non turbano il sereno con minaccia di tempesta. 7. fronde: nel libro IX dell’Odissea Zacinto è menzionata con l’epiteto di «selvosa». 8. inclito verso: è soggetto. 9. diverso: è usato nel senso latino, “che va in diverse direzioni”. 10. bello … Ulisse: l’eroe torna alla sua isola carico di fama, ma anche circondato dal fascino che deriva dalle sue sventure. versi 12-14 A te (al contrario), o mia terra natale (materna), non resterà altro che la poesia (canto) del (tuo) figlio; a noi il fato preservò una sepoltura senza il compianto dei cari (illacrimata). 11. Tu … figlio: a differenza dell’eroe greco, che è giunto a baciare la sua terra, il poeta non potrà tornare nell’isola natale, sicché essa potrà avere solo il suo canto. 12. a noi … sepoltura: esclude anche di potervi essere sepolto: il destino gli ha imposto la sepoltura in terra straniera, dove nessuno potrà piangere sulla sua tomba.

Pesare le parole Prescrisse (v. 13)

> Prescrivere viene dal latino praescrìbere, composto

di prae-, “davanti”, e scrìbere, “scrivere”, e significa “imporre, ordinare” (es. la legge prescrive l’obbligo di fare la dichiarazione dei redditi). Prescrizione è innanzitutto una norma, una regola (es. il cattolico è tenuto a seguire le prescrizioni della Chiesa); nel linguaggio medico indica le disposizioni che il dottore dà al paziente ai fini della terapia (es. se vuoi guarire devi seguire scrupolosamente le prescrizioni medi-

114

che); in campo giuridico penale si riferisce al tempo entro il quale deve essere pronunciata la sentenza definitiva, scaduto il quale il reato non è più punibile (es. i tempi lunghi dei processi in Italia fanno cadere in prescrizione molti reati, lasciando impuniti delinquenti pericolosi); in materia civile è l’estinzione di un diritto, se chi lo detiene non lo esercita nel tempo stabilito dalla legge.

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

Analisi del testo

> La sintassi

Struttura sintattica e struttura strofica

Un fluire ininterrotto e tortuoso

Di questo sonetto è rimasta esemplare la lettura fornita da Marcello Pagnini in un saggio del 1974, che qui riproponiamo per linee essenziali. Ciò che innanzitutto colpisce, osserva Pagnini, è la non coincidenza tra struttura sintattica e struttura strofica: vi è un unico blocco sintattico di ben undici versi che comprende le due quartine e la prima terzina, a cui segue un enunciato che occupa solo l’ultima terzina. La divisione fra le varie strofe è anche scavalcata da una serie di enjambements («nacque // Venere», «l’acque // cantò»). Lo schema ritmico vìola in tal modo lo schema tradizionale del sonetto, che vorrebbe la coincidenza di periodi sintattici e strofe. Il poeta mira a costruire un discorso lirico che si modelli sull’andamento inquieto della passione soggettiva, non sui canoni della forma metrica imposti dalla tradizione. Grazie ai continui enjambements e alla catena di congiungimenti sintattici («ove», «che», «e», «onde», «di colui che», «per cui»), il discorso si presenta come flusso appassionato e ininterrotto. Non solo, ma la sintassi così tortuosa del lungo periodo sembra voler riprodurre l’errare dei due eroi, Foscolo e Ulisse.

> L’eroe classico e l’eroe romantico

A questo punto però si profila una contrapposizione tra il poeta e l’eroe omerico, denunciata dal rapporto di contrasto tra i versi 1 e 11, il primo e l’ultimo del blocco sintattico iniziale: Foscolo non toccherà mai più le rive di Zante – Ulisse baciò la sua petrosa Itaca. Le loro peregrinazioni sono volute dal fato, ma con esito diverso: ad Ulisse gli dèi concessero il ritorno, a Foscolo lo negano. Si può leggere così il sonetto secondo un doppio codice, “classico” e “romantico”: codice classico: l’eroe classico, positivo, conclude felicemente le proprie peregrinazioni; codice romantico: l’eroe romantico, negativo, non può concludere felicemente le proprie peregrinazioni. Sono due concezioni dell’eroe profondamente diverse, l’una propria dell’antichità classiL’eroe esule ca, l’altra propria dell’età moderna. È un tema tipicamente romantico quello di un errare ed errante senza approdo che si conclude con la morte in terre lontane e sconosciute. Questi viaggi errabondi degli eroi letterari sono la proiezione simbolica di una condizione di smarrimento, di incertezza, di mancata identificazione con un dato sistema sociale e con i suoi valori. È la condizione propria della crisi del ceto intellettuale nella fase di passaggio dalla civiltà aristocratica del passato alla civiltà borghese ottocentesca (complicata, nel caso di Foscolo, dalla particolare situazione italiana, come si osservava a proposito del tema dell’esilio nel sonetto In morte del fratello Giovanni, T9, p. 111): l’eroe romantico, sentendosi sradicato da una società in cui non si riconosce, ama rappresentarsi miticamente come un esule, un estraneo nel mondo, condannato a un perenne vagabondare, segnato da un’arcana maledizione che lo isola dagli uoEdward Lear, Zante, 1848, acquerello su carta, Newport (Galles, Regno Unito), mini e lo condanna alla sconfitta, Newport Museum & Art Gallery. alla solitudine, all’infelicità.

Codice classico e codice romantico

115

L’età napoleonica

> Il ritorno alla madre Zacinto, Venere, la figura materna

L’immagine delle acque

La frustrazione della sconfitta inevitabile genera un bisogno di regressione, alla ricerca di una compensazione e di una sicurezza. Di qui scaturisce il tema dell’isola. Vi è una segreta relazione tra Zacinto e Venere, sottolineata dalla collocazione dei due nomi all’inizio di verso (v. 3 e v. 5), dall’enjambement e dal fatto che sia l’isola sia la dea emergono dalle stesse acque. Si crea poi una rete più sotterranea di collegamenti. Venere implica l’idea di fecondità; ma anche Zacinto evoca l’idea di maternità («ove il mio corpo fanciulletto giacque», «o materna mia terra»). La dea Venere, la terra natale e la madre si fondono così in un’unica immagine, quella della Grande Madre. Il ritorno sognato all’isola natia per esservi sepolto sarebbe un ritorno al grembo materno, alla beatitudine e alla sicurezza originaria. Il «giacque» iniziale richiama così l’altro “giacere” nella terra della sepoltura. Ma poiché la terra madre è la terra greca, il paradiso perduto dell’infanzia è anche il paradiso perduto del mito e della poesia classici. Foscolo era orgoglioso di aver avuto la «culla» in quel «mar» e di essere pieno del «nativo aër sacro» della Grecia (All’amica risanata, vv. 85 e 91-92, T7, p. 106); la sua infanzia personale si confonde con le origini mitiche della civiltà. Ma poiché Zacinto e Venere sorgono dalle acque, connessa intimamente con l’immagine materna è l’immagine dell’acqua. L’acqua miticamente è datrice di vita e si identifica quindi naturalmente con l’immagine materna. Inversamente, l’assenza totale di vita, la morte lontano dalla terra materna, è privazione di acqua («illacrimata sepoltura»). Per questo l’idea dell’acqua è centrale nel sonetto. Compare direttamente in vari termini («onde», «mar», «acque», «illacrimata»), ma anche attraverso termini che hanno con essa un rapporto di vicinanza («sponde», «Zacinto», «Venere», «Itaca»); più sotterraneamente, all’acqua allude tutto il sistema delle rime: sponde-onde-feconde-fronde, giacque-nacque-tacque-acque. Come si vede, in tutte le rime dei primi otto versi compaiono i suoni che compongono le parole «onde» e «acque».

Esercitare le competenze

Laboratorio interattivo

COmPReNdeRe

> 1. Elabora un sintetico sommario che funga da sottotitolo al componimento. > 2. Osserva le ricorrenze dei termini «fatali» (v. 9) e «fato» (v. 14): a quali situazioni e personaggi fanno riferimento? ANALIzzARe

> 3.

Stile Nel sonetto compaiono due apostrofi a Zacinto: quale ripresa lessicale le accomuna? Quale figura di suono si può osservare nella seconda? A quale concetto dà risalto? > 4. Lingua Esamina la sintassi della seconda terzina: quali differenze presenta rispetto a quella della prima parte del sonetto (vv. 1-11)? Che tono conferisce all’enunciato questo tipo di sintassi?

APPROFONdIRe e INTeRPReTARe

> 5.

Testi a confronto: scrivere Confronta il sonetto analizzato con il brano La sepoltura lacrimata ( T5, p. 90) dalle Ultime lettere di Jacopo Ortis: quali affinità presentano i due testi? Rispondi in circa 15 righe (750 caratteri). > 6. esporre oralmente Il culto della Grecia che ispira il sonetto, dalle chiare implicazioni autobiografiche, risente del contesto storico-culturale? Nel rispondere (max 5 minuti), considera i soggetti prediletti dalle arti figurative del periodo. > 7. Competenze digitali Realizza un ipertesto che presenti il sonetto con le spiegazioni lessicali evidenziate nell’Analisi del testo: a ogni vocabolo e/o espressione chiave dovrà corrispondere l’interpretazione critica e l’immagine a cui si riferisce. In quest’ultimo caso, puoi avvalerti delle risorse iconografiche della rete.

116

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

T11

Che stai? già il secol l’orma ultima lascia

Temi chiave

• la forza distruttrice del tempo • un bilancio esistenziale negativo • un autoritratto del poeta fortemente

dai Sonetti

romantico

• il desiderio di una letteratura libera

È il sonetto che chiude la raccolta delle Poesie, anche se probabilmente fu composto nel 1800.

anche sotto la tirannide

> metro: sonetto; schema delle rime: ABBA, ABBA, CDC, EDE.

4

Che stai? già il secol l’orma ultima lascia; dove del tempo son le leggi rotte1 precipita, portando entro la notte quattro tuoi lustri, e obblìo freddo li fascia2.

8

Che se vita è l’error, l’ira, e l’ambascia, troppo hai del viver tuo l’ore prodotte3; or meglio vivi, e con fatiche dotte a chi diratti antico4 esempi lascia.

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2. Che stai? … fascia: si può cogliere l’eco di un sonetto petrarchesco: «Che fai? che pensi? che pur dietro guardi / nel tempo, che tornar non pote omai?» (Canzoniere, CCLXXIII, vv. 1-2). 3. prodotte: è un latinismo e significa “portate avanti”. 4. chi … antico: è una citazione dantesca: «temo di perder vita tra coloro / che questo tempo chiameranno antico» (Paradiso, canto XVII, vv. 119-120).

Figlio infelice5 e disperato amante, e senza patria, a tutti aspro e a te stesso, giovine d’anni e rugoso in sembiante, 6

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che stai? Breve è la vita e lunga è l’arte ; a chi altamente oprar non è concesso fama tentino almen libere carte.

versi 1-8 Perché indugi? già il secolo si conclude (l’orma … lascia); precipita dove sono infrante le leggi del tempo, portando nelle tenebre della dimenticanza (entro la notte) venti anni della tua vita (quattro tuoi lustri), e un freddo oblio li avvolge (li fascia). Che se la vita è (solo) errore, ira, ango-

scia (ambascia), hai vissuto già troppo (troppo … prodotte); ora intraprendi una vita migliore, e lascia esempi ai posteri (chi diratti antico) con opere erudite (fatiche dotte). 1. dove … rotte: nell’eternità, dove il tempo si annulla.

versi 9-14 Figlio infelice, amante senza speranza, privo di una patria, aspro con tutti e anche con te stesso, giovane d’età e vecchio nell’aspetto (sembiante), perché indugi? La vita è breve, mentre occorre molto tempo per impadronirsi dei mezzi espressivi dell’arte; colui al quale non è concesso compiere azioni eroiche (altamente oprar), tenti almeno di conquistare la fama con opere che esprimano un animo libero (libere carte). 5. Figlio infelice: perché orfano di padre e separato dalla madre. 6. Breve … arte: riprende un celebre aforisma di Ippocrate, medico e filosofo greco del V secolo a.C.: «la vita è breve, l’arte è lunga».

Competenze attivate

Analisi attiva COmPReNdeRe

> Un bilancio esistenziale negativo e la necessità di reagire

Il sonetto assume la forma del bilancio esistenziale, tracciato quando il poeta ha da poco varcato i venti anni. Non è un bilancio positivo, nonostante la giovane età: la sua vita fino a quel momento è stata segnata solo da errori, ire e angosce, quindi rischia di risultare vana, di non meritare un proseguimento. Il bilancio negativo stimola a formulare il progetto di una nuova vita, più equilibrata e produttiva, dedicata a studi severi e rigorosi, in modo da poter lasciare ai posteri un buon esempio, con opere di erudizione.

• Leggere, comprendere e interpretare

testi letterari: poesia • Dimostrare consapevolezza della

storicità della letteratura

> 1. Nei versi 1-6 e nella prima terzina sono indicate le ragioni per cui il poeta ritiene indispensabile un cambiamento nella propria vita. Elencale.

> 2. La svolta che il poeta intende dare alla propria vita riguarda le sue relazioni con gli altri? Rispondi con riferimento al testo.

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L’età napoleonica

ANALIzzARe

> Una struttura parallela

La negatività del bilancio esistenziale è sottolineata dal parallelismo strutturale del sonetto, cioè dalla ripresa e dalla conferma, nelle terzine, del contenuto già espresso nelle quartine. La vita del giovane è stata funestata da sventure e angustie familiari (la perdita precoce del padre, la povertà, la lontananza dalla madre), da amori infelici, dalla mancanza di una patria, tutti fattori che hanno inasprito il suo carattere, verso gli altri come verso se stesso, e lo hanno reso vecchio precocemente. Per questo il poeta ribadisce in conclusione l’incitamento iniziale («che stai?»): il cammino che ha di fronte, se vuole raggiungere l’eccellenza nell’arte, è lungo, e una vita intera è breve in confronto, per cui il tempo non deve più essere sprecato.

> L’immagine dell’eroe tragico

Il ritratto che qui Foscolo traccia di se stesso è affine a quello che emerge dall’Ortis e dagli altri sonetti, che sono presumibilmente posteriori a questo: il ritratto di un infelice, privo di una patria, dal carattere aspro e ribelle (lo «spirto guerrier» di Alla sera, v. 14, T8, p. 109). È un’immagine eroicamente tragica, che riprende il modello proposto da Alfieri: difatti il sonetto ha la concitazione del monologo di un eroe alfieriano, in particolare per il rapporto che si delinea fra letteratura e azione politica. Il «reo tempo» in cui vive non consente al giovane generosamente ribelle di agire nel modo nobile a cui aspira, quindi, se l’azione è preclusa, non resta che ripiegare sulla letteratura, cercando lì la gloria che altrove è impossibile. L’ansia di libertà che non può tradursi in gesto politico, per colpa della tirannide, si esprimerà almeno in scritti liberi, in una letteratura non servilmente sottomessa al potere (è l’aspirazione che sarà ancora ribadita nei Sepolcri, «di liberal carme l’esempio», v. 150, T12, p. 126).

> 3. Nei due versi conclusivi della seconda quartina (vv. 7-8), così come negli ultimi due versi della seconda terzina (vv. 1314), il poeta delinea la strada che deve percorrere per imprimere una svolta alla propria vita. Le due coppie di versi dicono esattamente la stessa cosa? > 4. Quale figura retorica di posizione puoi riconoscere al verso 9 («Figlio infelice e disperato amante»)? Quali parole appaiono in particolare rilievo in conseguenza di questa scelta retorica del poeta? Considera anche il polisindeto («e… e… e…») ai versi 9-11: quale effetto produce sul ritmo?

> 5. La prima e l’ultima strofa si aprono allo stesso modo, con la domanda «Che stai»? Si tratta, più che di una vera e propria domanda, di un incitamento. Come la potresti scrivere in una forma non interrogativa?

> 6. Al verso 13 il poeta afferma che nel suo tempo l’agire per nobili fini civili «non è concesso». Che cosa intende dire? A quali situazioni ed eventi si riferisce?

APPROFONdIRe e INTeRPReTARe

La concezione del tempo Il sonetto, oltre che per questi motivi, è significativo per la concezione del tempo che propone nella prima quartina, e che anticipa quella che sarà espressa nei sonetti maggiori e nei Sepolcri: il tempo distruttore, che con il suo corso precipitoso travolge e cancella ogni cosa, inabissandosi nel «nulla eterno», concepito in chiave rigorosamente materialistica. Anche la metafora della notte come immagine del nulla anticipa Alla sera, e quella del «freddo» associato all’«obblìo» richiama il tempo che nei Sepolcri «con sue fredde ale» (v. 231) spazza via persino le rovine del passato, annullando la memoria ( T12, p. 130).

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> 7. Al verso 14 il poeta auspica che i suoi versi scritti gli assicurino la fama. Nella sua visione materialistica, la fama, il ricordo lasciato di sé, è l’unico modo per vivere oltre la morte. Questa idea verrà sviluppata ampiamente nel carme Dei sepolcri: spiega in che modo attuando un confronto tra i due testi.

Incontro con l’Opera

5 La genesi del carme

Il superamento del nichilismo

La possibilità dell’azione politica

Dei sepolcri L’argomento

Videolezione

I Sepolcri sono un poemetto (il termine con cui Foscolo lo definisce è «carme») in endecasillabi sciolti, sotto forma di epistola poetica indirizzata all’amico Ippolito Pindemonte. L’occasione fu appunto una discussione avvenuta con questi a Venezia nell’aprile del 1806, originata dall’editto napoleonico di Saint-Cloud (1804), con cui si imponevano le sepolture fuori dei confini delle città e si regolamentavano le iscrizioni sulle lapidi. L’editto aveva già suscitato in Francia un’ampia discussione sul significato delle tombe ed il loro valore nella civiltà. Pindemonte, da un punto di vista cristiano, sosteneva il valore della sepoltura, mentre Foscolo, da un punto di vista materialistico, aveva negato l’importanza delle tombe, poiché la morte produce la totale dissoluzione dell’essere. Nel carme, steso nel settembre dello stesso anno, rielaborato nei mesi successivi e pubblicato nell’aprile del 1807, Foscolo riprese appunto quella discussione, ribadendo inizialmente le tesi materialistiche sulla morte, ma superandole poi con altre considerazioni che rivalutavano il significato delle tombe. Questa occasione però, ovviamente, fu solo lo stimolo esterno per concludere una meditazione che era stata centrale nell’esperienza dello scrittore, nell’Ortis come nei maggiori sonetti. Nei Sepolcri, infatti, si può scorgere il punto terminale della ricerca di un superamento del nichilismo a cui avevano portato la delusione storica e il crollo delle speranze rivoluzionarie di fronte alla realtà dell’Italia napoleonica. Anche il carme ha al centro il motivo della morte: ma è superata l’idea, derivante dal materialismo settecentesco, che essa sia semplicemente un «nulla eterno». Anche se Foscolo, sul piano filosofico, non vede alternative a quell’idea, le contrappone l’illusione di una sopravvivenza dopo la morte. Questa sopravvivenza è garantita dalla tomba, che conserva il ricordo del defunto presso i vivi. La tomba assume quindi per Foscolo un valore fondamentale nella civiltà umana: è il centro degli affetti familiari e la garanzia della loro durata dopo la morte, è il centro dei valori civili, conservando le tradizioni di un popolo e stimolandolo a mantenersi fedele ad esse, tramanda la memoria dei grandi uomini e delle azioni eroiche spingendo alla loro imitazione. S’inserisce così, nel discorso filosofico sulla morte e la sopravvivenza, il motivo politico. L’Ortis si chiudeva col suicidio del protagonista, che escludeva ogni possibilità d’intervento in una situazione bloccata, senza vie d’uscita sul piano della storia. Ora invece, attraverso l’illusione, Foscolo arriva a riproporre quella possibilità dell’azione politica nella storia che l’analisi razionale del contesto portava ad escludere, ed introduce la prospettiva di un riscatto dell’Italia dalla miseria presente proprio grazie alla funzione esercitata dalle memorie di un passato di grandezza, tenute vive dal culto delle tombe. L’esaltazione foscoliana della tradizione e dei grandi del passato non è dunque un trito motivo retorico, come in tanta letteratura classicheggiante dell’epoca, ma il tentativo di dare una risposta a problemi vivi nella coscienza collettiva in un momento cruciale e travagliato della società e della cultura italiane. 119

L’età napoleonica

Le caratteristiche del discorso poetico I Sepolcri e la poesia cimiteriale

I concetti e le immagini

La struttura del carme

La prospettiva spazio-temporale

Il linguaggio

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Data la presenza di queste tematiche, i Sepolcri, pur avendo alle spalle il genere della poesia cimiteriale, che aveva goduto di vasta fortuna sul finire del Settecento, non possono essere ridotti entro tale ambito: come Foscolo stesso si preoccupa di precisare, in risposta ad un critico francese, Aimé Guillon, il suo carme, a differenza della poesia sepolcrale inglese di Young e Gray ( cap. 1, A5, p. 42), è essenzialmente poesia civile e vuole «animare l’emulazione politica degli Italiani». Il carme si presenta dunque come una densa meditazione filosofica e politica: essa però non è esposta in forma argomentativa, bensì attraverso una serie di figurazioni e di miti. Foscolo stesso ci avverte, nelle note al carme, di voler offrire i suoi contenuti «non al sillogismo [ragionamento logico] de’ lettori, ma alla fantasia e al cuore». Perciò i concetti prendono costantemente corpo in figurazioni di ampio respiro. Inizialmente, l’illusione che sofferma il defunto al di qua della soglia della morte suggerisce l’immagine del corpo accolto nel «grembo materno» della terra che «lo raccolse infante e lo nutriva»; la tesi che le tombe sono indizio di civiltà si traduce nella rievocazione di diversi tipi di civiltà nel corso della storia: il mondo classico e il Medioevo, l’Inghilterra e il «bello italo regno» di oggi; l’idea secondo cui le tombe dei grandi spingono il «forte animo» a grandi imprese è l’avvio all’inno a Firenze e alle tombe di Santa Croce; l’affermazione che la poesia raccoglie l’eredità delle tombe nel conservare la memoria sino ai tempi più lontani richiama il mito della fondazione di Troia, della sua fine, del poeta Omero che si ispira alle tombe dei padri della città per cantare gli eroi greci vincitori e l’eroe sconfitto, Ettore. Il discorso del carme ha una struttura rigorosa ed armonica; ma proprio perché il poeta non vuole parlare al «sillogismo» del lettore, i trapassi da un concetto all’altro, da una figurazione all’altra, avvengono in forma fortemente ellittica, lasciando nell’implicito molti passaggi intermedi. Ciò dà al carme un grande afflato lirico, ma ne rende ardua la lettura (il contemporaneo letterato classicista Pietro Giordani lo definì «fumoso enigma»), tanto che il poeta stesso ne ha tracciato una sintesi schematica nella lettera citata a Guillon. Il poemetto è anche costruito su una sapiente orchestrazione di toni diversi, che vanno dall’inizio problematico, segnato da continue interrogazioni, alla polemica veemente, alla pacata argomentazione, alla celebrazione appassionata dell’inno, alla grandiosità epica e tragica della rievocazione del mondo mitico di Troia e della poesia di Omero. Estremamente mossa è parimenti la prospettiva spazio-temporale, che contribuisce a dare al breve carme una suggestione di estrema vastità: si passa dallo spazio ristretto ed appartato della tomba («All’ombra de’ cipressi») alla prospettiva immensa della terra e del mare in cui la morte semina le «infinite ossa» degli uomini, si succedono spazi aperti e spazi chiusi, il desolato cimitero comune di Parini, le chiese ammorbate dal fetore dei cadaveri, i cimiteri simili a giardini della civiltà classica e dell’Inghilterra, le convalli di Firenze vestite della luce della luna, l’interno di Santa Croce, la piana di Maratona e il mare, «regno ampio de’ venti», la «Troade inseminata» e gli «antri secreti» delle tombe di Troia; si passa dal mondo terrestre all’aldilà, dall’età contemporanea al Medioevo, al mondo classico, alle età primitive che appena si affacciano alla civiltà (Getto). Il linguaggio è estremamente elevato ed aulico; il lessico rimanda alla tradizione della poesia classicheggiante ed in particolare al modello di Parini e di Alfieri, però la parola è sempre densa di echi e di suggestioni, piegata a significazioni personalissime; la sintassi può variare dalla sentenza concisa e lapidaria al periodare ampio e complesso, ricco di subordinate e di inversioni. L’endecasillabo sciolto, metro classico per eccellenza, è trattato con estrema duttilità, piegato a tutti i toni, attraverso il ritmo degli accenti, le pause interne, gli enjambements, il timbro delle vocali e delle consonanti.

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

Analisi interattiva

T12

dei sepolcri

Temi chiave

• il valore affettivo delle tombe: la comunanza con i vivi • il valore civile delle tombe: il culto funerario come

> metro: endecasillabi sciolti.

espressione di civiltà

• il valore storico delle tombe: l’esempio dei grandi come stimolo all’azione eroica

• la funzione della poesia: mantenere vivo il ricordo e combattere la forza distruttrice del tempo

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deorum manium iura sancta sunto . xii tab.

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All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne confortate di pianto è forse il sonno della morte men duro?2 Ove più il Sole per me alla terra non fecondi questa bella d’erbe famiglia e d’animali, e quando vaghe di lusinghe innanzi a me non danzeran l’ore future3, né da te, dolce amico4, udrò più il verso e la mesta armonia5 che lo governa, né più nel cor mi parlerà lo spirto delle vergini Muse6 e dell’amore, unico spirto a mia vita raminga, qual fia ristoro a’ dì perduti un sasso che distingua le mie dalle infinite ossa che in terra e in mar semina morte?7 Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme, ultima Dea, fugge i sepolcri8; e involve tutte cose l’obblio nella sua notte9; e una forza operosa le affatica di moto in moto10; e l’uomo e le sue tombe e l’estreme sembianze e le reliquie della terra e del ciel traveste il tempo11. Ma perché pria del tempo a sé il mortale invidierà l’illusïon che spento pur lo sofferma al limitar di Dite?12

versi 1-15 Il sonno della morte è forse meno profondo se la tomba è ombreggiata da cipressi e se il sepolcro è confortato dal pianto dei cari rimasti in vita? Quando (Ove) per me (che sarò morto e non sentirò più nulla) il sole non feconderà più la terra, facendole generare questa bella famiglia di esseri vegetali e animali, e quando le ore future non danzeranno dinanzi a me, attraenti per le promesse lusinghiere che esse recano con sé (vaghe di lusinghe), e non udirò più da te, dolce amico, i tuoi versi regolati da una mesta armonia, e non parleranno più al mio cuore la poesia (vergini Muse) e l’amore, unico stimolo di vita spirituale (spirto) alla mia vita di esule,

come potrà compensarmi (fia ristoro) dei giorni che non vivrò (dì perduti) una pietra tombale (sasso) che distingua le mie ossa dalle infinite altre che la morte dissemina per terra e per mare? 1. deorum … sunto: i diritti degli dèi Mani siano sacri. Nella religione romana i Mani sono i defunti. La legge delle XII tavole dispone che ad essi siano tributati rispetto e culto. 2. All’ombra … duro?: la domanda retorica equivale ad una negazione: la cura della tomba ed il pianto dei vivi non servono al defunto, perché non possono evitare che la morte sia totale annullamento. 3. a me … future: cioè non si offriranno all’aspettativa del poeta.

4. dolce amico: Pindemonte, a cui il carme è indirizzato. 5. mesta armonia: Pindemonte era un poeta di ispirazione malinconica. 6. vergini Muse: l’aggettivo indica l’elevatezza dell’ispirazione e il valore purificatore della poesia. 7. Ove … morte?: in sintesi: il fatto di avere una tomba non compensa i beni della vita che l’uomo perde morendo. versi 16-29 È proprio vero, Pindemonte! Anche la speranza, ultima dea, abbandona le tombe; e la dimenticanza (obblio) avvolge (involve) tutte le cose nelle sue tenebre; e la forza sempre all’opera della natura le trasforma con un continuo travaglio (le affatica … in moto); e il tempo muta e rende irriconoscibili (traveste) l’uomo, le tombe, i resti mortali dell’uomo ed i vari aspetti della terra e del cielo. Ma perché l’uomo, prima che sia il momento di morire, dovrà privarsi (invidierà) dell’illusione (di poter sopravvivere), che lo trattiene al di qua della soglia della morte (Dite)? Non continua a vivere anche sotto terra, quando la bellezza del mondo dei vivi (giorno) non potrà più parlargli, se può suscitare l’illusione di essere ancora vivo nella mente dei suoi attraverso un’affettuosa partecipazione (soavi cure)? 8. la Speme … sepolcri: non vi è cioè alcuna speranza di sopravvivenza dopo la morte. 9. e involve … notte: cancella cioè ogni traccia degli esseri esistenti. 10. forza … moto: intendi: distruggendo le forme assunte provvisoriamente dalla materia e ricreando da esse forme diverse. 11. e l’uomo … tempo: gli elementi elencati sono i residui di una catena di trasformazioni precedenti. Il tema del tempo è messo in rilievo dalla collocazione del sostantivo al termine della frase e del verso. 12. Ma perché … Dite?: anche se la ragione dimostra inconfutabilmente che la morte è la fine di tutto, l’uomo deve mantenere l’illusione di una sopravvivenza dopo di essa. Dite è il regno dei morti nella mitologia classica.

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Non vive ei forse anche sotterra, quando gli sarà muta l’armonia del giorno13, se può destarla con soavi cure nella mente de’ suoi?14 Celeste è questa corrispondenza d’amorosi sensi, celeste dote è negli umani15; e spesso per lei si vive con l’amico estinto, e l’estinto con noi, se pia la terra che lo raccolse infante e lo nutriva, nel suo grembo materno ultimo asilo porgendo, sacre le reliquie renda dall’insultar de’ nembi e dal profano piede del vulgo, e serbi un sasso il nome, e di fiori odorata arbore16 amica le ceneri di molli ombre consoli17. Sol chi non lascia eredità d’affetti poca gioia ha dell’urna18; e se pur mira dopo l’esequie19, errar vede il suo spirto fra ’l compianto de’ templi acherontei20, o ricovrarsi sotto le grandi ale del perdono d’Iddio21; ma la sua polve lascia alle ortiche di deserta gleba ove né donna innamorata preghi, né passeggier solingo oda il sospiro che dal tumulo a noi manda Natura22. Pur nuova legge impone oggi i sepolcri fuor de’ guardi pietosi, e il nome a’ morti contende23. E senza tomba giace il tuo sacerdote, o Talia, che a te cantando nel suo povero tetto educò un lauro con lungo amore; e t’appendea corone24; e tu gli ornavi del tuo riso i canti che il lombardo pungean Sardanapalo,

13. giorno: il mondo della luce. 14. Non vive … suoi?: cioè l’uomo si illude di non morire del tutto se rimane nel ricordo dei suoi; per questo però è necessaria la tomba che tenga desta la memoria. versi 29-40 Questa corrispondenza affettiva (d’amorosi sensi) (tra il morto e i viventi) è una dote divina per gli uomini; e spesso grazie a tale corrispondenza (per lei) si vive con l’amico defunto, e questi vive con noi, a patto che la terra, che appena nato lo accolse e lo nutrì, offrendogli pietosamente (pia) l’ultimo rifugio (asilo) nel suo grembo materno (con la sepoltura), renda sacri i suoi resti, preservandoli dall’azione distruttrice delle tempeste (insultar de’ nembi) e dal piede profanatore del volgo, e (a patto che) una pietra tombale (sasso) conservi il suo nome, ed un albero (arbore) amico, profumato (odorata) di fiori, consoli le ceneri con le sue gradevoli

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(molli) ombre. 15. Celeste … umani: questa corrispondenza affettiva dà cioè agli uomini una forma d’immortalità che li accomuna agli dèi. 16. arbore: femminile, è latinismo. 17. se pia … consoli: Foscolo rovescia le affermazioni dei versi 1-3 e 13-15, ricorrendo alle stesse immagini: non è inutile che la tomba sia protetta da ombre e un sasso serbi la memoria del nome. Si noti anche come la terra sia raffigurata in sembianze materne: morire è come rientrare nel grembo che ci ha generati. versi 41-50 Solo chi non lascia tra i vivi nessuno che lo ami non ricava nessun conforto dal pensiero di avere una tomba; e se anche spinge lo sguardo dopo le esequie, vede la sua anima errare tra i lamenti dei dannati nelle regioni infernali (templi acherontei), o rifugiarsi sotto le ali del perdono di

Dio, ma lascia i suoi resti alle ortiche di un angolo di terra (gleba) deserto, dove non viene a pregare una donna che lo ami, né il passante solitario può sentire il sospiro che la natura ci manda dalla tomba. 18. Sol … urna: cioè la persona arida e malvagia non potrà sperare di sopravvivere nel ricordo. 19. e se pur … esequie: se cioè cerca di immaginare ciò che sarà di lui dopo la morte. 20. templi acherontei: è un’eco degli «Acherusia templa» di Lucrezio, De rerum natura, III, v. 86; templi conserva il senso arcaico del termine latino, la porzione sacra di terreno delimitata dalla bacchetta dell’augure: quindi vale luoghi, zone. 21. fra ’l compianto … d’Iddio: cioè può pensare di essere dannato o salvato. 22. né passeggier … Natura: cioè dalla tomba sembra di udir uscire il sospiro del defunto, che esprime il desiderio di sopravvivere connaturato con l’uomo; è un concetto che proviene dall’Elegia di Thomas Gray: «even from the tomb the voice of nature cries», anche dalla tomba grida la voce della natura, v. 91 ( cap. 1, T5, p. 45); questo tema era già presente nell’Ortis. versi 51-61 Ciononostante (Pur) oggi una nuova legge impone di seppellire i morti in cimiteri comuni fuori delle città (fuor … pietosi) e sottrae (contende) ad essi la possibilità di avere una lapide col loro nome. E (così) giace senza sepoltura il tuo sacerdote, o Talia, che, cantando in tuo onore (a te), coltivò (educò) con costante amore nella sua povera casa un alloro; e ti appendeva corone in segno di devozione; e tu (o Musa), gli ispiravi l’ironia (ornavi … riso) dei canti che colpivano (pungean) il lombardo Sardanapalo, a cui sta a cuore solo il muggito dei buoi che dalle stalle del lodigiano (antri abdüani) e dal Ticino lo rendono beato, procurandogli ozio e cibi pregiati. 23. Pur … contende: l’avverbio iniziale sottintende: nonostante questo alto significato delle tombe (che il poeta ha sin qui illustrato). I versi 51-53 si riferiscono non solo all’editto di Saint-Cloud, ma anche a disposizioni analoghe, di ispirazione illuministica, che erano state adottate in precedenza dal governo austriaco. Difatti Parini (la cui sorte poco dopo Foscolo depreca), morto nel 1799, era già stato sepolto secondo tali norme. 24. E senza tomba … corone: Parini è sacerdote di Talia in quanto poeta satirico: Talia era infatti la Musa della commedia. Il lauro è pianta sacra ad Apollo, dio della poesia. L’immagine metaforica significa che Parini aveva un culto per la poesia, che praticava disinteressatamente, con totale dedizione, anche a prezzo della povertà.

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

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cui solo è dolce il muggito de’ buoi che dagli antri abdüani e dal Ticino lo fan d’ozi beato e di vivande25. O bella Musa, ove sei tu? Non sento spirar l’ambrosia, indizio del tuo Nume, fra queste piante ov’io siedo e sospiro il mio tetto materno26. E tu venivi e sorridevi a lui sotto quel tiglio ch’or con dimesse frondi va fremendo perché non copre, o Dea, l’urna del vecchio cui già di calma era cortese e d’ombre27. Forse tu fra plebei tumuli guardi vagolando, ove dorma il sacro capo del tuo Parini?28 A lui non ombre pose tra le sue mura la città, lasciva d’evirati cantori29 allettatrice, non pietra, non parola; e forse l’ossa col mozzo capo gl’insanguina il ladro che lasciò sul patibolo i delitti30. Senti raspar fra le macerie e i bronchi la derelitta cagna ramingando su le fosse, e famelica ululando; e uscir del teschio, ove fuggia la Luna, l’ùpupa31, e svolazzar su per le croci sparse per la funerea campagna, e l’immonda accusar col luttüoso singulto i rai di che son pie le stelle alle obblïate sepolture32. Indarno sul tuo poeta, o Dea, preghi rugiade dalla squallida notte33. Ahi! su gli estinti non sorge fiore, ove non sia d’umane lodi onorato e d’amoroso pianto34.

25. e tu … vivande: la Musa ispirava l’ironia dei canti (il Giorno) con cui Parini colpiva i nobili lombardi oziosi e corrotti. Sardanapalo era un re assiro, noto proverbialmente per il suo lusso e la sua corruzione. Abdüani da Abdua, nome latino di Lodi (però può intendersi anche come stalle situate nel territorio in cui scorre l’Adda). Qui Foscolo riproduce lo stile di Parini nel Giorno, l’uso di termini aulici ed immagini ricercate per esprimere realtà prosaiche, a fini ironici. versi 62-72 O bella Musa, dove sei? Tra questi tigli, dove io siedo sospirando la mia patria (tetto materno), non sento diffondersi nell’aria il profumo di ambrosia, indizio della presenza divina della Musa (tuo Nume). E tu, o Musa (Dea), venivi e sorridevi a Parini (in segno della tua benevolenza) sotto quel tiglio che ora, come intristito (con dimesse frondi) freme perché non copre il sepolcro del vecchio, a cui aveva già offerto

generosamente (era cortese di) (quand’era in vita) tranquillità e ombra. Forse tu, Musa, vaghi tra le tombe plebee dei cimiteri suburbani, cercando la tomba del tuo Parini? 26. Non sento … materno: le piante sono i tigli di porta Orientale. Accanto a Parini (che aveva incontrato in questo boschetto di tigli: vedi l’episodio narrato nell’Ortis, lettera del 4 dicembre, T2, p. 75) sembrava al poeta di sentire la presenza divina della poesia; ora non la sente più, perché il vecchio poeta è scomparso. L’ambrosia era l’unguento degli dèi. 27. E tu venivi … ombre: ritorna l’immagine del sepolcro confortato dall’ombra degli alberi (vedi i vv. 1 e 39), ma in negativo: Parini non è sepolto sotto il tiglio. 28. Forse … Parini?: spicca la contrapposizione tra il capo sacro del poeta e i tumuli plebei: il corpo dell’uomo insigne è profanato dalla mescolanza coi corpi di persone ignobili.

versi 72-77 La corrotta città di Parini (Milano) che attira e compensa con fama e successo i cantanti evirati, non ha dedicato al grande poeta una tomba (pietra), dei cipressi che la ombreggiassero (ombre), un’epigrafe (parola) che lo ricordasse; e forse ora il capo mozzato del ladro che morì sul patibolo per i delitti (commessi) insanguina le ossa (di Parini). 29. evirati cantori: nel Settecento i cantanti lirici evirati da fanciulli, in modo che conservassero la voce bianca per le parti femminili, erano dei veri e propri divi che godevano di enorme successo. Contro questo costume Parini si era scagliato nell’ode La musica. 30. e forse … delitti: Parini, in obbedienza alle norme vigenti, fu sepolto nel campo comune del cimitero di Porta Comasina, in cui venivano gettati anche i cadaveri dei giustiziati. Perciò Foscolo, usando un’iperbole, formula l’ipotesi, deliberatamente provocatoria nella crudezza dell’immagine, che un ladro, la cui carriera delittuosa si è conclusa sul patibolo, insanguini le ossa del poeta col suo capo mozzato. Foscolo vuol mettere in evidenza come le norme sulle sepolture sconvolgano tutti i valori più sacri e impediscano che le tombe di uomini insigni esercitino la loro funzione di esempio. versi 78-90 Tra le macerie di tombe in rovina e gli sterpi (bronchi) che crescono fra di esse senti raspare la cagna randagia (derelitta) che vaga tra le fosse e ulula famelica; e (vedi) un’upupa uscire dal teschio, dove si era rifugiata per sfuggire (fuggia) alla luce lunare, e svolazzare tra le croci sparse per il campo del cimitero, e (senti) l’immondo uccello lanciare il suo lugubre verso (luttüoso singulto), con cui sembra rimproverare le stelle perché illuminano con il loro raggio (rai) pietoso le sepolture dimenticate (obblïate). Invano (Indarno) invochi, o Musa, dalla notte arida delle rugiade sulla tomba del poeta. Ahi! sui morti purtroppo non spuntano fiori, se l’estinto non riceve le cure dei vivi che lo onorano con le loro lodi e con le lacrime, segno del loro amore (amoroso). 31. ùpupa: nella tradizione, era erroneamente creduta un uccello notturno e luttuoso. 32. Senti … sepolture: la descrizione riproduce il gusto lugubre della poesia preromantica (Ossian, i poeti cimiteriali, ma anche lo stesso Parini della Notte ed il Monti della Bassvilliana). 33. Indarno … notte: la rugiada è vista simbolicamente come un pianto che conforta la sepoltura (come al v. 2). 34. Ahi … pianto: onorato va riferito ad un “estinto” sottinteso, che si ricava dal precedente estinti. Il poeta vuol dire che la natura è impietosa, compie meccanicamente la sua opera distruttrice; la pietas verso i defunti è dovere della civiltà umana.

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Dal dì che nozze e tribunali ed are35 diero alle umane belve esser pietose di sé stesse e d’altrui, toglieano i vivi36 all’etere maligno ed alle fere i miserandi avanzi che Natura con veci eterne a sensi altri destina37. Testimonianza a’ fasti eran le tombe, ed are a’ figli38; e uscian quindi i responsi de’ domestici Lari, e fu temuto su la polve degli avi il giuramento39: religïon che con diversi riti le virtù patrie e la pietà congiunta tradussero per lungo ordine d’anni40. Non sempre i sassi sepolcrali a’ templi fean pavimento41; né agl’incensi avvolto de’ cadaveri il lezzo i supplicanti contaminò; né le città fur meste d’effigïati scheletri42: le madri balzan ne’ sonni esterrefatte, e tendono nude le braccia su l’amato capo del lor caro lattante onde nol desti il gemer lungo di persona morta chiedente la venal prece agli eredi dal santuario43. Ma cipressi e cedri di puri effluvi44 i zefiri impregnando perenne verde protendean su l’urne per memoria perenne, e prezïosi vasi accogliean le lacrime votive45.

versi 91-103 Da quando le istituzioni della famiglia (nozze), della giustizia (tribunali) e della religione (are) consentirono agli uomini, che allo stato primitivo erano come belve feroci, di aver pietà e rispetto di se stessi e dei propri simili, i vivi sottraevano all’azione distruttrice dell’aria (etere maligno) e alle belve i miseri resti che la natura, con un ciclo di continua trasformazione della materia (veci eterne) destina ad assumere altre forme (sensi altri). Le tombe erano testimonianza delle glorie del passato (fasti) e altari per i figli; (dalle tombe) venivano (uscian) i responsi dei (defunti, divenuti) Lari, divinità domestiche, e il giuramento pronunciato sulle ceneri (polve) degli antenati (avi) era considerato sacro (fu temuto): le virtù tradizionali, congiunte con la pietà, tramandarono per una lunga serie (tradussero … ordine) di anni questo culto religioso dei morti, in diverse forme (con diversi riti). 35. are: altari. 36. i vivi: soggetto. 37. Dal dì … destina: il rispetto dei morti secondo Foscolo è un segno di incivilimento, insieme alle altre istituzioni fondamentali della civiltà. È un concetto ripreso dalla Scienza

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nuova di Vico. 38. are a’ figli: i defunti venivano venerati come dèi. 39. Testimonianza … giuramento: Foscolo elenca alcuni esempi significativi della funzione civile delle tombe nelle società del mondo antico. 40. religïon … anni: intorno al culto dei morti, insomma, si concentrano tutti i valori di una civiltà, poiché le tombe serbano il ricordo del passato. versi 104-114 Non sempre le lapidi (sassi) facevano da pavimento alle chiese (templi), né il puzzo dei cadaveri, mescolato al profumo dell’incenso, contaminò i fedeli che pregavano; né le città erano rattristate (meste) dalle raffigurazioni (effigïati) di scheletri: le madri balzano terrorizzate (esterrefatte) dal sonno, e protendono le braccia nude a proteggere il figlio lattante, affinché non lo destino i lunghi gemiti di un defunto che chiede agli eredi di far celebrare a pagamento delle messe (venal prece) in chiesa (santuario) (a suffragio della sua anima). 41. Non sempre … pavimento: il nesso logico col discorso precedente resta sottinteso: questo culto dei morti non necessariamente origina usi macabri e contrari all’igiene; non

sono dunque necessarie le rigide norme imposte dall’editto napoleonico; infatti non sempre i defunti erano sepolti nelle chiese, come avveniva durante il Medioevo. 42. effigïati scheletri: pitture e sculture di scheletri erano molto diffuse nel Medioevo, per ricordare che l’uomo è creatura mortale e deve distaccarsi dai beni del mondo. 43. le madri … santuario: Foscolo esamina gli effetti psicologici di questa presenza ossessiva dell’idea della morte nella civiltà cristiana del Medioevo. L’aggettivo venal traduce l’atteggiamento sprezzante di Foscolo contro i preti che si fanno pagare per recitar preghiere per i defunti. Nell’Ortis è presente una polemica contro il clero che della religione fa «bottega». Ma una polemica contro il sordido interesse che si mescola alla religione è implicita anche nell’allusione agli eredi: il famigliare ha lasciato un’eredità, ma esige in cambio, con quel denaro, delle messe, e terrorizza gli eredi per averle. Si associa anche la polemica illuministica contro le superstizioni irrazionali. versi 114-123 Ma cipressi e cedri, impregnando l’aria primaverile (zefiri) di puri profumi protendevano sulle tombe i loro rami dal verde perenne, simbolo del perenne ricordo, e preziosi vasi raccoglievano le lacrime votive. Gli amici sottraevano (Rapian) una favilla al sole per illuminare l’oscurità delle tombe, perché l’uomo morendo cerca la luce (Sole), e tutti mandano un sospiro di rimpianto alla luce che li abbandona. 44. puri effluvi: in contrapposizione con il lezzo dei cadaveri nelle chiese. Alle costumanze cristiane del Medioevo, che ritiene barbariche, Foscolo contrappone come più civili quelle pagane dell’età classica. 45. prezïosi … votive: si credeva che i vasi lacrimali trovati nelle tombe pagane servissero a raccogliere le lacrime versate dai familiari; in realtà contenevano profumi.

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Rapian gli amici una favilla al Sole a illuminar la sotterranea notte, perché gli occhi dell’uom cercan morendo il Sole; e tutti l’ultimo sospiro mandano i petti alla fuggente luce46. Le fontane versando acque lustrali, amaranti47 educavano e vïole su la funebre zolla; e chi sedea a libar latte48 e a raccontar sue pene ai cari estinti, una fragranza intorno sentìa qual d’aura de’ beati Elisi49. Pietosa insania, che fa cari gli orti de’ suburbani avelli alle britanne vergini dove le conduce amore della perduta madre, ove clementi pregaro i Geni del ritorno al prode che tronca fe’ la trïonfata nave del maggior pino, e si scavò la bara50.

46. Rapian … luce: era uso degli antichi porre nelle tombe sotterranee delle lampade votive, simbolo di vita. Per Foscolo l’idea della morte nel mondo classico è collegata con la luce: la vita (vedi armonia del giorno, v. 27) vince sulla morte. versi 124-136 Le fontane, versando acque purificatrici (lustrali), facevano crescere (educavano) gli amaranti e le viole sulla terra di sepoltura (funebre zolla); e

chi sedeva presso il sepolcro a spargervi latte o a raccontare le sue pene ai cari defunti, sentiva intorno un profumo (di fiori, di unguenti), come se si trovasse nei Campi Elisi. (Un’analoga) pietosa illusione (Pietosa insania) rende cari alle fanciulle inglesi i giardini (orti) dei cimiteri (avelli) suburbani, dove le spinge l’amore per la madre perduta, ma dove pregarono anche i Geni (protettori della patria) affinché concedessero clementi il ritorno all’eroe

nazionale (prode), che fece tagliare l’albero maestro (maggior pino) alla nave vinta (trïonfata), e se ne fece una bara. 47. amaranti: piante con infiorescenze di colore rosso scuro e di forma simile a una spiga. 48. chi sedea … latte: secondo l’uso rituale antico. 49. beati Elisi: i Campi Elisi nella mitologia classica erano la dimora dei beati. Torna il motivo della corrispondenza d’amorosi sensi tra vivi e morti (v. 30). La sepoltura pagana, nella sua cornice serena e luminosa, associa alla morte l’idea di un rapporto affettuoso con i vivi e l’idea della pace e della felicità; mentre la sepoltura cristiana evoca l’idea paurosa di atroci sofferenze (gemer lungo, v. 112). 50. Pietosa … bara: questa sensazione di trovarsi insieme con i cari defunti, grazie alla cornice serena e ridente della sepoltura, è una follia, un’illusione (insania) che nasce dall’amore e dalla pietà per essi; il prode è l’ammiraglio Nelson, impegnato nella guerra contro Napoleone; la trïonfata nave è la nave ammiraglia francese sconfitta nella battaglia di Abukir, 1798.

Pesare le parole Educavano (v. 125)

> Viene dal latino educàre, dalla stessa radice di dùcere,

“condurre”, con il prefisso rafforzativo ex-. Qui significa “coltivare, far crescere”, un senso oggi raro e disusato; quello più comune è “formare qualcuno, specie i giovani, sviluppandone le qualità intellettuali e morali in base a determinati princìpi” (es. è stato educato in modo molto libero e moderno, senza imposizioni autoritarie); un senso un po’ diverso è “abituare con l’esercizio e con la pratica” (es. bisogna educare il corpo a sopportare le fatiche). Sinonimo in questo senso è allenare: deriva da ad- e lena, a sua volta da (a)lena(re), per anelare, latino anhelàre, “respirare affannosamente”: infatti originariamente lena significava “fiato”, poi figuratamente “vigore del corpo e dello spirito” (quando si compie uno sforzo si ansima); allenare vuol dire “abituare il corpo o la mente alla fatica e all’applicazione con esercizi appropriati” (es. il nuotatore si deve allenare percorrendo ogni giorno chilometri in piscina; i giovani devono essere allenati allo

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studio). La rieducazione è il processo con cui, mediante appositi esercizi, si abitua di nuovo una parte del corpo colpita da una frattura o da un ictus a compiere gli abituali movimenti. Educato ha il senso di “compìto, cortese, gentile” (es. è un giovane educato, che saluta sempre per primo); maleducato è il contrario (es. quell’impiegato è un maleducato perché tratta male il pubblico). Educazione infatti significa anche “modo di comportarsi corretto e gentile, buona creanza” (es. non interrompere l’interlocutore mentre parla è un fatto di buona educazione); creanza viene dallo spagnolo criar, “allevare bene”; screanzato è sinonimo di maleducato (es. quello screanzato è passato davanti a tutti nella coda). Educanda è una giovane che viene educata in collegio (es. quello non è un libro per educande, poiché contiene pagine scabrose: l’espressione si basa sul fatto che l’educazione in collegio tutelava gelosamente la pudicizia delle fanciulle).

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Ma ove dorme il furor d’inclite geste e sien ministri al vivere civile l’opulenza e il tremore, inutil pompa e inaugurate immagini dell’Orco51 sorgon cippi e marmorei monumenti52. Già il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo, decoro e mente al bello italo regno, nelle adulate reggie ha sepoltura già vivo, e i stemmi unica laude53. A noi morte apparecchi riposato albergo, ove una volta la fortuna cessi dalle vendette, e l’amistà54 raccolga non di tesori eredità, ma caldi sensi e di liberal carme l’esempio55. A egregie cose il forte animo accendono l’urne de’ forti, o Pindemonte; e bella e santa fanno al peregrin la terra che le ricetta56. Io quando il monumento

versi 137-150 Ma in quei paesi (come l’Italia) in cui è spento l’ardore di gesta eroiche (inclite) e la vita civile è dominata solo dalla smania di arricchirsi (opulenza) e dalla paura servile dinanzi al potere (tremore), colonne funebri (cippi) e tombe di marmo sono solo inutile sfoggio (pompa) e malaugurate (inaugurate) immagini di morte. I ceti dirigenti, onore e intelligenza (decoro e mente) del bel Regno d’Italia, sono già sepolti, pur essendo ancora vivi, nelle regge dove costantemente si piegano ad adulare i dominatori, e come unico motivo d’onore (laude) hanno i titoli nobiliari (i stemmi). Per me invece la morte prepari un rifugio di pace (riposato albergo), dove finalmente la sorte cessi di perseguitarmi (dalle vendette), e gli amici (amistà) raccolgano come mia eredità non ricchezze, ma appassionati senti-

menti e l’esempio di una poesia che conservi il senso della libertà (liberal carme) e della dignità umana. 51. inaugurate … Orco: inaugurate: in è prefisso negativo; Orco è l’aldilà pagano. 52. Ma ove … monumenti: vale a dire che le tombe non sono esempi di virtù civile e stimolo all’azione. 53. Già … laude: i titoli nobiliari erano ereditati da antica data, o concessi di recente da Napoleone. Gli intellettuali, i ricchi commercianti e i nobili (il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo) erano i tre collegi elettorali del Regno italico. Sono definiti spregiativamente vulgo perché per Foscolo non hanno la dignità di una vera classe dirigente. Così è sarcastica la definizione di decoro e mente, come l’epiteto bello attribuito al Regno napoleonico d’Italia.

54. amistà: letteralmente amicizia. 55. A noi … l’esempio: alla viltà servile dei suoi compatrioti Foscolo contrappone la propria figura di uomo libero. Il passaggio logico rispetto a ciò che precede è: i ceti dirigenti italiani sono già morti quando sono ancora vivi. Per il motivo della morte come rifugio di pace, si vedano i sonetti Alla sera e In morte del fratello Giovanni ( T8, p. 109 e T9, p. 111). Se le tombe dei suoi compatrioti sono inutili, dalla sua tomba deve scaturire un esempio civile: l’affermazione offre al poeta lo spunto per passare a trattare, nei versi successivi, della funzione di esempio che possiedono le tombe dei grandi uomini. versi 151-164 Le tombe dei grandi uomini infiammano gli animi nobili a compiere grandi azioni (egregie cose), o Pindemonte, e rendono bella e sacra allo straniero (peregrin) la terra che le accoglie (le ricetta). Quando vidi la tomba dove riposa Machiavelli, quel grande che, insegnando (nel Principe) ai regnanti l’arte di governare (temprando lo scettro), ne toglie gli allori, e rivela ai popoli come il potere si fondi sulle sofferenze imposte ai sudditi (lagrime) e sui delitti (sangue); ed il sepolcro di Michelangelo (colui) che innalzò a Roma la cupola di San Pietro (nuovo Olimpo … a’ Celesti); e la tomba di Galileo, che (mediante il telescopio) vide più pianeti ruotare nella volta celeste (etereo padiglion) e il Sole illuminarli immobile (irradïarli immoto), aprendo così per primo le vie della ricerca astronomica (sgombrò … firmamento) all’inglese Newton (Anglo), che vi fece straordinari progressi (tanta ala vi stese); 56. A egregie … ricetta: come esempio di questa massima, Foscolo propone subito dopo le tombe di Santa Croce a Firenze.

Pesare le parole Ricetta (v. 154)

> Ricettare deriva dal latino receptàre, verbo intensivo di

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recìpere, “accogliere, ricevere” (re- e càpere, “prendere”); difatti da recìpere deriva ricevere, oltre che ricuperare, ennesimo caso di radice latina che dà origine a più parole italiane, con forme diverse. In questo luogo dei Sepolcri ricettare ha appunto il senso, ora raro e letterario, di “dare ricetto”, cioè “dare ricovero, accogliere”. Il senso corrente è invece “rendersi colpevole di ricettazione”, il reato di chi acquista oggetti rubati a fine di profitto, il ricettatore. Dalla stessa radice proviene ricetta (in origine participio passato di recìpere, poi divenuto sostantivo), l’indicazione scritta dei farmaci che il medico prescrive al paziente (es. certi farmaci sono acquistabili solo su ricetta medi-

ca); in senso figurato vale “rimedio” (es. il governo deve trovare la ricetta per rilanciare l’economia). Ricettacolo è il luogo in cui si raccoglie qualcosa (es. quel bar è un ricettacolo di delinquenti). Ricettivo è chi è atto a ricevere sensazioni, impressioni, nozioni (es. è un giovane ricettivo, che impara facilmente). La ricezione in senso generale è l’atto o l’effetto di ricevere; più specificamente è il processo per cui viene captata la radio o la televisione (es. in quella regione la ricezione dei canali televisivi è pessima). Nel linguaggio della critica letteraria indica il modo in cui è accolta dal pubblico un’opera (es. è importante ricostruire la ricezione delle opere letterarie lungo i secoli, per vedere le diverse interpretazioni a cui sono state soggette).

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vidi57 ove posa il corpo di quel grande, che temprando lo scettro a’ regnatori, gli allor ne sfronda58, ed alle genti svela di che lagrime grondi e di che sangue59; e l’arca di colui che nuovo Olimpo alzò in Roma a’ Celesti60; e di chi vide sotto l’etereo padiglion rotarsi più mondi, e il Sole irradïarli immoto, onde all’Anglo che tanta ala vi stese sgombrò primo le vie del firmamento61; te beata, gridai62, per le felici aure pregne di vita, e pe’ lavacri che da’ suoi gioghi a te versa Apennino! Lieta dell’äer tuo veste la Luna di luce limpidissima i tuoi colli per vendemmia festanti, e le convalli popolate di case e d’oliveti mille di fiori al ciel mandano incensi: e tu prima, Firenze, udivi il carme che allegrò l’ira al Ghibellin fuggiasco63, e tu i cari parenti e l’idïoma desti a quel dolce di Calliope labbro64 che Amore in Grecia nudo e nudo in Roma d’un velo candidissimo adornando, rendea nel grembo a Venere Celeste65.

57. Io quando … vidi: comincia di qui un ampio inno a Firenze che si estende sino al verso 185. Ricostruiamo la linea generale del discorso: io, quando vidi le tombe di Santa Croce (vv. 154-164), gridai: beata te, Firenze, sia per la bellezza del tuo paesaggio (vv. 165-172), sia per le tue glorie letterarie (vv. 173-179), ma soprattutto perché accogli in quel tempio le glorie italiane, le uniche rimaste da quando cominciò il declino politico dell’Italia e la dominazione straniera (vv. 180-185). 58. gli allor ne sfronda: cioè priva il potere regale delle apparenze di gloria che lo circondano. 59. Io quando … sangue: Foscolo riprende qui l’interpretazione “obliqua” del Principe, già comparsa nel Sei e Settecento, secondo cui Machiavelli, con il pretesto di dar consigli ai principi, avrebbe avuto l’intenzione di svelarne la crudeltà. 60. e l’arca … Celesti: è sempre retto da vidi: la cupola di San Pietro, per la sua mole immensa, è paragonata al monte Olimpo, sede degli dèi greci. Si osservi il classicismo laico di Foscolo, che designa in termini pagani il massimo tempio della cristianità. 61. e di chi … firmamento: Galileo con i suoi studi confermò le teorie copernicane sul moto dei pianeti intorno al Sole; Newton, proseguendo sulla strada da lui tracciata, formulò le leggi della gravitazione universale.

versi 165-179 felice te (Firenze) gridai, per la tua aria salubre e vivificatrice, e per le acque pure dei fiumi e dei ruscelli (lavacri) che l’Appennino versa a te dai suoi gioghi! Lieta del tuo cielo terso (äer), la luna riveste (veste) di luce splendente le tue colline in festa per la vendemmia, e le valli che le attraversano, popolate di case e di uliveti, mandano al cielo mille profumi (incensi) di fiori: e tu per prima, Firenze, udisti il poema che alleviò lo sdegno (allegrò l’ira) a Dante esule (Ghibellin fuggiasco), e tu (Firenze) desti i genitori e la lingua (cari … idïoma) a Petrarca, attraverso la cui bocca sembrava parlare la dolce voce (labbro) della Musa Calliope, che, dopo avere spiritualizzato (d’un velo … adornando) Amore, che era sensuale (nudo) nella lirica classica (in Grecia … in Roma), lo restituì (rendea) in tal modo alla dea Venere. 62. gridai: è il verbo principale. 63. e tu … fuggiasco: dopo le bellezze naturali, il poeta torna a cantare le glorie culturali di Firenze. Foscolo accoglie la tradizione secondo cui Dante avrebbe cominciato la Commedia a Firenze, prima di andare in esilio. Dante è definito Ghibellin, perché sostenne l’indipendenza dell’imperatore dal papa e fu fautore della restaurazione del potere imperiale in Italia; in realtà, nella sua attività politica in Firenze, Dante fu vicino ai Guelfi bianchi. Foscolo immagina che nella poesia Dante abbia trovato sollievo all’ama-

Giovanni Bandini, Valerio Cioli, Battista Lorenzi, Giovan Battista Naldini e Giorgio Vasari, Monumento funebre a Michelangelo Buonarroti, 1573-78, Firenze, Basilica di Santa Croce.

rezza dell’esilio e allo sdegno per la corruzione della sua città e dell’Italia. 64. e tu … labbro: Petrarca nacque ad Arezzo da genitori fiorentini ed usò la lingua fiorentina per il suo Canzoniere. Calliope è propriamente la Musa dell’epica, ma qui sta ad indicare la poesia in genere. 65. che Amore … Celeste: Foscolo stesso spiega che gli antichi distinguevano una Venere celeste, dea degli amori casti e spirituali, ed una Venere terrestre, dea degli amori sensuali.

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Ma più beata ché in un tempio accolte serbi l’itale glorie66, uniche forse da che le mal vietate Alpi e l’alterna onnipotenza delle umane sorti armi e sostanze t’invadeano ed are e patria e, tranne la memoria, tutto. Che ove speme di gloria agli animosi intelletti rifulga ed all’Italia, quindi trarrem gli auspici67. E a questi marmi venne spesso Vittorio68 ad ispirarsi. Irato69 a’ patrii Numi, errava muto ove Arno è più deserto, i campi e il cielo desïoso mirando; e poi che nullo vivente aspetto gli molcea la cura qui posava l’austero; e avea sul volto il pallor della morte e la speranza70. Con questi grandi abita eterno, e l’ossa fremono amor di patria. Ah sì! da quella religïosa pace un Nume parla: e nutrìa contro a’ Persi in Maratona ove Atene sacrò tombe a’ suoi prodi, la virtù greca e l’ira71. Il navigante che veleggiò quel mar sotto l’Eubèa72, vedea per l’ampia oscurità scintille balenar d’elmi e di cozzanti brandi, fumar le pire igneo vapor, corrusche d’armi ferree vedea larve guerriere cercar la pugna; e all’orror de’ notturni

versi 180-189 Ma soprattutto sei beata perché conservi in una chiesa (Santa Croce) le glorie italiane, le uniche rimaste all’Italia da quando i confini delle Alpi mal difesi e la legge ineluttabile delle sorti umane, che ora innalza i popoli ora li fa decadere (alterna), hanno fatto sì che gli stranieri la spogliassero delle armi, della ricchezza, della sua religione (are), della libertà nazionale (patria), e, tranne le memorie del passato, di tutto. Se un giorno (Che ove) tornerà a risplendere una speranza di gloria per gli animi generosi (animosi intelletti) e per l’Italia, di qui (quindi) verremo a trarre ispirazione ad agire (trarrem gli auspici). E alle tombe di Santa Croce (marmi) venne spesso Vittorio Alfieri a trarre ispirazione. 66. itale glorie: le tombe dei grandi sopra menzionate. 67. Che ove … auspici: la speranza di gloria allude evidentemente alla lotta per la rinascita dell’Italia. Foscolo riprende qui la massima generale enunciata all’inizio di questa sezione: «A egregie cose il forte animo accendono / l’urne de’ forti», conferendole un preciso valore politico in riferimento

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ad una situazione particolare. 68. Vittorio: Alfieri. L’uso del nome proprio sottolinea come in Alfieri Foscolo veda un’anima fraterna, con i suoi stessi sentimenti. versi 190-201 Irato contro gli dèi protettori della patria (patrii Numi), errava in silenzio nei luoghi più deserti in riva all’Arno, guardando i campi e il cielo, desideroso di trovarvi un conforto alle proprie delusioni politiche; e poiché nessun aspetto del mondo dei vivi alleviava la sua pena (gli molcea la cura), quell’uomo austero veniva a fermarsi qui (tra le tombe dei morti a Santa Croce); ed aveva sul volto il pallore della morte vicina e la speranza. (Alfieri) è sepolto (abita eterno) con questi grandi, e dalle (sue) ossa sembra ancora provenire il fremito patriottico (che lo animava in vita). Ah sì! dalla pace di Santa Croce spira un senso religioso di amor di patria; questo stesso spirito alimentò il valore (virtù) e l’ira dei Greci contro i Persiani a Maratona, dove Atene consacrò le tombe dei suoi guerrieri (prodi). 69. Irato: Alfieri era irato perché gli dèi sono indifferenti dinanzi alla degradazione dell’Italia. 70. speranza: di una rinascita futura dell’Ita-

lia. La speranza di Alfieri è suscitata dalla vista delle tombe dei grandi uomini. 71. Ah sì … l’ira: con trapasso improvviso, Foscolo collega le tombe di Santa Croce alle tombe di Maratona. Nella battaglia di Maratona (490 a.C.) i Greci fermarono i Persiani che avevano invaso la Grecia. Si noti che la “religione” che spira dalla chiesa di Santa Croce per Foscolo non è lo spirito religioso cristiano, ma la religione dell’amor di patria: è una delle numerose manifestazioni di spirito fortemente laico presenti nel carme. versi 201-212 Il navigante che percorse il mare sotto l’isola di Eubea, vedeva per l’ampia e buia pianura brillare gli elmi e le spade (brandi) che si scontravano (cozzanti), i roghi dei cadaveri (pire) emanare fumo misto a bagliori di fiamme (igneo vapor), vedeva fantasmi (larve) di guerrieri luccicanti (corrusche) d’armi ferree cercare la battaglia (pugna); e nel pauroso silenzio della notte risuonavano nelle campagne il fragore delle schiere armate (falangi) (che si scontravano) e il suono delle trombe (tube), e l’incalzare dei cavalli che correndo calpestavano gli elmi dei moribondi, il pianto dei vinti e gli inni dei vincitori. 72. Il navigante … Eubèa: a partire da questo punto viene rievocata la battaglia di Maratona. Lo spunto è preso dallo scrittore greco Pausania, che afferma che i naviganti, passando di notte lungo l’isola di Eubea (che è di fronte alla pianura di Maratona) vedevano ombre di guerrieri rinnovare la battaglia. Questo scontro notturno di fantasmi però risponde ad un gusto lugubre, ossianesco e preromantico.

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silenzi si spandea lungo ne’ campi di falangi un tumulto e un suon di tube, e un incalzar di cavalli accorrenti scalpitanti su gli elmi a’ moribondi, e pianto, ed inni, e delle Parche il canto73. Felice te che il regno ampio de’ venti, Ippolito, a’ tuoi verdi anni correvi!74 E se il piloto ti drizzò l’antenna75 oltre l’isole egèe, d’antichi fatti certo udisti suonar dell’Ellesponto i liti76, e la marea mugghiar portando alle prode retèe77 l’armi d’Achille sovra l’ossa d’Aiace78: a’ generosi giusta di glorie dispensiera è morte79; né senno astuto80, né favor di regi81 all’Itaco le spoglie ardue82 serbava, ché alla poppa raminga le ritolse l’onda incitata dagl’inferni Dei.

73. delle Parche il canto: le Parche erano le dee che filavano il filo della vita umana; come annota Foscolo stesso, col loro canto vaticinavano le sorti degli uomini nascenti e dei morenti. versi 213-225 Beato te, Ippolito, che in gioventù (a’ tuoi verdi anni), navigavi (correvi) per mare (regno … venti)! E se il timoniere indirizzò la nave (antenna) oltre alle isole Egee, certo udisti le rive dell’Ellesponto risuonare delle antiche gesta, e (udisti) muggire la marea che riportò le armi d’Achille sulle ossa d’Aiace, giacenti sul promontorio reteo: la morte distribuisce equamente (giusta … dispensiera) la gloria agli animi generosi; né l’astuzia né il favore dei re consentirono a Ulis-

se (all’Itaco) di conservare le spoglie di Achille, difficili da ottenere (ardue), poiché il mare, sconvolto dagli dèi infernali, le tolse alla nave (poppa) di Ulisse che vagava durante il ritorno in patria (raminga). 74. Felice te … correvi!: il passaggio logico implicito è il seguente: come i luoghi della battaglia di Maratona serbano ancora la memoria degli antichi fatti gloriosi, così la serbano i luoghi dell’Asia minore dove si svolse la guerra di Troia. Per questo Pindemonte è stato fortunato per aver potuto visitare quei luoghi nei suoi viaggi giovanili e per aver sentito riecheggiare in essi le imprese degli eroi omerici. Il regno ampio de’ venti è il mare (è immagine omerica).

75. antenna: è l’albero che regge le vele. 76. udisti … i liti: un’immagine simile si trova nell’ode All’amica risanata, vv. 88-90, T7, p. 106. L’Ellesponto è lo stretto dei Dardanelli, presso cui sorgeva Troia. 77. prode retèe: vicino a Troia. 78. armi … Aiace: alla morte di Achille, le sue armi sarebbero dovute toccare al più forte dopo di lui, Aiace; ma Ulisse, con astuti raggiri, riuscì a farle assegnare ingiustamente a sé. Aiace, per il dolore, impazzì e tornato in sé si uccise. Ma mentre Ulisse tornava in patria, una tempesta lo fece naufragare, riportando le armi sul sepolcro di Aiace. 79. a’ generosi … morte: la tomba, conservando il ricordo dell’uomo, garantisce il riconoscimento dei meriti ed il trionfo della giustizia, anche se la grandezza era stata misconosciuta in vita. Infatti Aiace, col suo suicidio, ottenne il giusto riconoscimento del proprio valore, sia pure nella memoria dei posteri. 80. senno astuto: l’astuzia con cui Ulisse si era fatto assegnare le armi. 81. regi: Agamennone e Menelao. 82. spoglie ardue: perché per ottenerle occorreva essere guerrieri valorosi.

Pesare le parole Dispensiera (v. 221)

> Dispensiere è chi dispensa, cioè distribuisce, elargisce

>

(es. per attirare voti il candidato ha dispensato favori a destra e a manca). Dispensare deriva dal latino dis- e pèndere, “pesare” (peso da pènsum), quindi letteralmente vorrebbe dire “distribuire pesando accuratamente”. Il sinonimo distribuire proviene dal latino dis- e tribùere, “attribuire, assegnare” (es. i premi sono stati distribuiti ingiustamente); elargire viene dal latino largìri più ex-, “distribuire con larghezza” (es. è solito elargire somme notevoli in beneficenza; gli piace elargire consigli a tutti). Altro senso di dispensare è “concedere a qualcuno di non fare qualche cosa a cui sarebbe tenuto” (es. è stato

dispensato dal seguire le lezioni di educazione fisica a causa delle sue condizioni di salute). Sinonimi in questo senso: esentare, da exèmptum, participio passato di exìmere, “mettere da parte” (es. sono esentati dal presentare la dichiarazione coloro che non superano un certo reddito); esimere, che deriva dalla stessa radice (es. la tua scorrettezza mi esime dall’obbligo di risponderti); esonerare, che viene dal latino oneràre, “caricare di un peso”, con ex- negativo, alla lettera quindi “liberare da un peso”, e per estensione “rendere libero da un obbligo, da un incarico” (es. dati i pessimi risultati raggiunti nelle vendite è stato esonerato dall’incarico di direttore commerciale).

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E me che i tempi83 ed il desio d’onore fan per diversa gente ir fuggitivo, me ad evocar gli eroi chiamin le Muse del mortale pensiero animatrici84. Siedon custodi de’ sepolcri e quando il tempo con sue fredde ale vi spazza fin le rovine, le Pimplèe fan lieti di lor canto i deserti, e l’armonia vince di mille secoli il silenzio85. Ed oggi nella Tròade inseminata86 eterno splende a’ peregrini un loco eterno per la Ninfa a cui fu sposo Giove, ed a Giove diè Dàrdano figlio onde fur Troia e Assàraco87 e i cinquanta talami88 e il regno della Giulia gente89. Però che quando Elettra udì la Parca90 che lei dalle vitali aure del giorno chiamava a’ cori dell’Eliso, a Giove mandò il voto supremo: E se, diceva, a te fur care le mie chiome e il viso e le dolci vigilie, e non mi assente premio miglior la volontà de’ fati91, la morta amica almen guarda dal cielo onde d’Elettra tua resti la fama. Così orando moriva. E ne gemea l’Olimpio; e l’immortal capo accennando piovea dai crini ambrosia92 su la Ninfa, e fe’ sacro quel corpo e la sua tomba.

versi 226-234 Le Muse, animatrici della vita spirituale degli uomini, chiamino me a celebrare gli antichi eroi, me che i tempi ed il desiderio di gloria fanno vagare esule (fan … ir fuggitivo) tra diversi popoli (gente). Siedono custodi delle tombe e quando il tempo le distrugge e ne cancella persino le rovine, le Muse (Pimplèe) ereditano la loro funzione di conservare la memoria e ridanno vita al deserto con il loro canto che vince la dimenticanza per mille secoli. 83. tempi: sfavorevoli agli animi generosi e amanti della libertà. 84. E me … animatrici: il passaggio logico implicito è: gli eroi antichi, come Aiace, hanno ricevuto la giusta gloria dopo la morte grazie al canto dei poeti: anch’io desidero esser chiamato dalle Muse a cantare gli eroi. Il poeta intende cioè continuare l’opera dei poeti del passato, come Omero. Il compito di celebrare l’eroismo, per Foscolo, deve toccare ad un poeta come lui che rifiuta la viltà dominante nella cultura della sua epoca ed è animato da spirito eroico, e paga per questo il prezzo dell’esilio. 85. Siedon … silenzio: le Muse sono dette Pimplèe dal monte Pimpla in Tessaglia, do-

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ve era una fonte ad esse sacra. Le ali del tempo sono fredde perché suscitano un vento freddo: fuor di metafora, il tempo distrugge la vita. I deserti sono metafora dell’abbandono e della dimenticanza in cui cadono le cose quando il tempo cancella le tracce della vita di un popolo e della sua civiltà. Lieti vale fertili, ricchi di vegetazione, secondo l’uso latino (ad esempio «pabula laeta», pascoli rigogliosi, in Lucrezio, Sulla natura, I, v. 14). versi 235-244 E oggi, nella regione di Troia deserta (inseminata), risplende perenne alla vista dei visitatori stranieri (peregrini) un luogo (divenuto) eterno grazie alla ninfa Elettra, che diede a Giove un figlio, Dardano, da cui ebbe origine la stirpe troiana, Assaraco, i cinquanta figli (talami) (di Priamo) e l’Impero romano. (Quel luogo risplende eterno) perché quando Elettra sentì la Parca che la chiamava dall’aria e dalla luce del mondo dei vivi (vitali aure del giorno) ai cori dei beati nei Campi Elisi, innalzò a Giove un’ultima preghiera (voto supremo): 86. Tròade inseminata: la regione di Troia, oggi divenuta un deserto. La rievocazione mitologica che ha inizio da questo punto, ed

occupa tutta l’ultima parte del carme, vuol essere un esempio del principio appena enunciato: la poesia subentra alle tombe nel compito di salvare le memorie del passato. Dove un tempo sorgeva Troia, ora è il deserto. Ma il luogo resterà famoso in eterno, perché cantato da Omero; ed il poeta ha raccolto nel canto le memorie della civiltà scomparsa che erano affidate alle tombe dei suoi padri. 87. Assàraco: padre di Anchise, a sua volta padre di Enea. 88. talami: letteralmente letti matrimoniali. 89. il regno … gente: l’Impero romano, fondato da Cesare, della gente Giulia, che si vantava di discendere da Iulo, figlio di Enea. 90. Parca: Atropo, che tronca il filo della vita. versi 244-253 Se, diceva, ti furono cari i miei capelli (chiome), il mio volto e le dolci notti d’amore (vigilie), e la volontà del fato non mi consente (assente) sorte (premio) migliore, almeno guarda dal cielo la tua amica defunta, affinché (onde) duri in terra la fama della tua Elettra. Così, pregando (orando), moriva. E per questo Giove (l’Olimpio) piangeva di dolore (ne gemea); e annuendo (accennando) con il capo immortale faceva cadere dai capelli (crini) ambrosia sulla ninfa, e ne rese (fe’) sacro il corpo e la tomba. 91 e non mi assente … fati: non le consente, cioè, l’immortalità. 92. ambrosia: l’unguento degli dèi che preserva i corpi dalla corruzione. Con questo Giove consacra il corpo e la tomba di Elettra, rendendone eterna la memoria, come la ninfa aveva chiesto.

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Ivi posò Erittonio93, e dorme il giusto cenere d’Ilo94; ivi l’iliache95 donne sciogliean le chiome, indarno96 ahi! deprecando da’ lor mariti l’imminente fato; ivi Cassandra97, allor che il Nume in petto le fea parlar di Troia il dì mortale, venne, e all’ombre cantò carme amoroso, e guidava i nepoti, e l’amoroso apprendeva lamento ai giovinetti98. E dicea sospirando: Oh, se mai d’Argo99, ove al Tidide e di Laerte al figlio pascerete i cavalli100, a voi permetta ritorno il cielo, invan la patria vostra cercherete! Le mura opra di Febo sotto le lor reliquie fumeranno. Ma i Penati di Troia avranno stanza in queste tombe; ché de’ Numi è dono serbar nelle miserie altero nome. E voi, palme e cipressi che le nuore piantan di Priamo, e crescerete ahi presto! di vedovili lagrime innaffiati, proteggete101 i miei padri: e chi la scure asterrà pio dalle devote frondi men si dorrà di consanguinei lutti e santamente toccherà l’altare102. Proteggete i miei padri. Un dì vedrete mendico un cieco103 errar sotto le vostre antichissime ombre104, e brancolando penetrar negli avelli, e abbracciar l’urne105, e interrogarle. Gemeranno gli antri

versi 254-262 Lì fu sepolto (posò) Erittonio, e riposano le ceneri del giusto Ilo; sulla tomba di Elettra venivano le donne troiane (iliache) a piangere e a pregare per allontanare dai loro mariti la morte che incombeva su di essi, ma invano (indarno)!; lì Cassandra, quando la forza profetica del dio Apollo (Nume) le faceva predire (in petto … parlar) la caduta di Troia, venne (alle tombe dei progenitori) e cantò alle ombre dei sepolti un inno colmo di pietà e di affetto (carme amoroso) e vi conduceva una schiera di nipoti, insegnando il mesto inno pietoso (amoroso … lamento) ai giovinetti. 93. Erittonio: figlio di Dardano. 94. Ilo: figlio di Erittonio. Sono i progenitori della stirpe troiana. 95. iliache: da Ilio, la rocca di Troia. 96. indarno: perché ben presto Troia sarebbe caduta. 97. Cassandra: figlia di Priamo; aveva respinto l’amore di Apollo, che la punì dandole la facoltà profetica, ma con la condanna di non essere mai creduta.

98. allor … giovinetti: Cassandra vuol consolare gli spiriti dei progenitori dalla sventura che si abbatterà sulla città: per questo profetizza che Troia riceverà fama eterna dal canto di Omero; al tempo stesso vuole educare i giovinetti, costretti alla schiavitù nella lontana Grecia, alla memoria della loro civiltà, in modo che conservino dignità anche nella schiavitù. versi 263-271 E diceva sospirando: Oh, se mai il cielo vi consentirà di tornare a Troia dalla Grecia (Argo), dove come schiavi porterete al pascolo i cavalli di Diomede (figlio di Tideo) e di Ulisse figlio di Laerte, cercherete invano la vostra patria! Le mura di Troia, costruite da Apollo (Febo), fumeranno ancora sotto le loro rovine. Ma resteranno (avranno stanza) qui nelle loro tombe gli antichi progenitori (Penati); perché è privilegio degli dèi conservare il loro onore (altero nome) anche nelle sventure (miserie). 99. Argo: la Grecia è indicata con la città di Agamennone.

100. pascerete i cavalli: era uso nel mondo antico rendere schiavi i vinti. versi 272-278 E voi, palme e cipressi che le nuore di Priamo piantano, e crescerete ahimè presto! bagnati dalle lacrime delle vedove. Proteggete i miei padri: e chi (fra i Greci vincitori) si asterrà pietosamente dall’abbattere (la scure asterrà) questi alberi sacri (devote frondi) sarà risparmiato da lutti domestici e potrà accostarsi agli altari degli dèi. 101. proteggete: torna il motivo delle ombre degli alberi che proteggono le tombe e delle lacrime che le bagnano. 102. e chi … altare: avrà il privilegio della benevolenza degli dèi non essendo contaminato da un sacrilegio; mentre chi non rispetterà le piante sacre sarà punito e considerato impuro. versi 279-288 Proteggete i miei padri. Un giorno vedrete un cieco mendicante, vagabondare sotto le vostre ombre antichissime e, brancolando, (lo vedrete) inoltrarsi tra i sepolcri (avelli), e abbracciare le urne, e interrogarle. Le cavità più interne dei sepolcri (antri secreti) risuoneranno del lamento dei Penati, e le ombre dei padri (tutta la tomba) narreranno la storia di Troia, rasa al suolo due volte e risorta due volte più splendida dalle rovine deserte, ma solo per rendere più bella la vittoria dei Greci, che per volontà del Fato (fatati) la distruggeranno definitivamente. 103. mendico un cieco: è il poeta Omero, che secondo la tradizione era cieco. Foscolo immagina che il poeta venga ad interrogare le tombe dei progenitori di Troia per trarre ispirazione al suo canto. Il motivo del poeta che si ispira alle ombre dei defunti deriva dai poemi di Ossian (non si dimentichi che nella cultura del tempo Ossian era paragonato ad Omero): col classicismo grecizzante si fondono spunti preromantici. 104. antichissime ombre: Omero verrà in quei luoghi dopo lungo tempo, quando gli alberi saranno ormai antichi; ciò sottolinea come le tombe preservino le memorie del passato dal trascorrere del tempo. 105. urne: i vasi contenenti le ceneri dei progenitori.

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secreti106, e tutta narrerà la tomba Ilio raso due volte107 e due risorto splendidamente su le mute vie per far più bello l’ultimo trofeo ai fatati Pelidi108. Il sacro vate109, placando quelle afflitte110 alme col canto, i prenci argivi eternerà per quante abbraccia terre il gran padre Oceàno111. E tu onore di pianti, Ettore, avrai ove fia santo e lagrimato il sangue per la patria versato, e finché il Sole risplenderà su le sciagure umane112.

Ho desunto questo modo di poesia da’ Greci i quali dalle antiche tradizioni traevano sentenze morali e politiche, presentandole non al sillogismo de’ lettori, ma alla fantasia ed al cuore. Lasciando agl’intendenti di giudicare sulla ragione poetica e morale di questo tentativo, scriverò le seguenti note onde rischiarare le allusioni alle cose contemporanee, ed indicare da quali fonti ho ricavato le tradizioni antiche.

106. antri secreti: si tratta di tombe sotterranee. 107. due volte: da Ercole e dalle Amazzoni. 108 Pelidi: Achille, figlio di Peleo, e suo figlio Pirro.

versi 288-295 Omero (sacro vate) placherà il dolore delle ombre dei padri, che sono afflitte, e al tempo stesso renderà eterna la fama dei principi greci (argivi) per tutte le terre circondate dall’Oceano. E anche tu sarai

onorato e pianto, Ettore, in tutti i luoghi in cui il sangue versato per la patria sia sacro e compianto, e per tutti i tempi, finché dureranno sulla terra la vita e la sofferenza degli uomini. 109. sacro vate: Omero. Per Foscolo la funzione del poeta è sacra. Anche Parini era definito sacerdote della Musa (v. 54). 110. afflitte: per la rovina della loro città; la poesia ha la funzione di consolare il dolore. 111. Oceàno: il grande fiume che secondo la mitologia greca circondava la terra (la poesia ha la funzione di eternare la gloria). 112. E tu … umane: il poeta eternerà non solo la gloria dei vincitori, ma anche quella degli sconfitti: funzione della poesia è anche ispirare la pietà per le sofferenze.

Analisi del testo La lettera a Guillon

Le tesi materialistiche

L’insoddisfazione del poeta

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> La prima parte (vv. 1-90): il valore affettivo delle tombe

Foscolo stesso, nella risposta alle critiche rivoltegli dall’abate francese Aimé Guillon sul “Giornale italiano” di Milano il 22 giugno 1807, ricostruisce lo schema del suo discorso, dividendo il carme in quattro parti. La prima, versi 1-90, dimostra come «i monumenti inutili a’ morti giovano a’ vivi perché destano affetti virtuosi lasciati in eredità dalle persone dabbene: solo i malvagi, che non si sentono meritevoli di memoria, non la curano; a torto dunque la legge accomuna le sepolture de’ tristi e dei buoni, degl’illustri e degl’infami». Dal verso 1 al verso 22 il poeta ribadisce le tesi materialistiche dalle quali dovrebbe discendere l’inutilità delle tombe e l’indifferenza per il modo di seppellire i defunti. La morte non è che un momento di un ciclo naturale di perpetua trasformazione, in cui la materia di un essere, disgregandosi, va a formare altri esseri; essa quindi è distruzione totale dell’individuo e non lascia possibilità di sopravvivenza. Per questo il morto, che non sente più nulla, non può trarre alcun conforto dalla tomba. La continua trasformazione della materia impedisce anche la sopravvivenza nel ricordo, perché il corso del tempo cancella ogni traccia dell’esistenza. Queste posizioni, che escludono ogni idea religiosa di una vita dopo la morte, sono ribadite da Foscolo con assoluta convinzione: sono le idee in cui si è formato, e costituiscono la base di tutta la sua visione della realtà. Però esse non lo soddisfano più interamente. Le sostiene non con lo slancio fiducioso e polemico che aveva nutrito il pensiero settecentesco, ma con l’atteggiamento disilluso di chi deve rassegnarsi dinanzi ad una verità amara quanto ineluttabile («Vero è ben, Pindemonte!»). Pur non essendo in grado di proporre

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

Il superamento del materialismo nelle illusioni

La funzione affettiva delle tombe

Parini poeta civile

Le tombe segno di civiltà

Il Medioevo

La civiltà classica

alternative, egli sente che quelle idee hanno esaurito la funzione che avevano avuto nell’età illuministica: una funzione propulsiva, critica, liberatoria nei confronti di tutta una cultura autoritaria, fondata sul dogma e sulla metafisica. Esse sono state il lievito della rivoluzione, ma hanno anche portato ad un vicolo cieco, la tirannide napoleonica. Per lottare nella situazione presente, secondo Foscolo, quelle idee non bastano più: esse ormai possono solo generare sfiducia, scetticismo, inerzia, passività. L’uscita da quel vicolo cieco, nell’Ortis, nelle odi, nei sonetti, era trovata non sul piano della razionalità, ma sul piano delle illusioni, come si è constatato. Da questa soluzione prendono le mosse anche i Sepolcri. Se il materialismo settecentesco non viene superato da Foscolo sul piano teoretico, con la proposizione di nuovi princìpi filosofici, viene superato sul piano pratico, con le illusioni. La sopravvivenza dopo la morte, indispensabile come stimolo alla partecipazione attiva ed energica alla storia, se è impossibile secondo la ragione, diviene possibile grazie all’illusione. Questa affermazione dell’illusione contro i risultati della filosofia settecentesca segna una svolta culturale di grande importanza ed apre la strada alla visione del mondo romantica. L’illusione della sopravvivenza è affidata alle tombe: l’uomo può illudersi di continuare a vivere anche dopo la morte, poiché la tomba mantiene vivo il ricordo ed istituisce un rapporto affettivo con i famigliari e gli amici. La possibilità di un rapporto affettivo tra morti e vivi strappa l’uomo alla sua condizione effimera e gli conferisce quasi l’immortalità che è propria degli dèi. La prima parte del carme si incentra dunque sull’utilità delle tombe sul piano privato ed affettivo: ma ne scaturiscono già conseguenze filosofiche fondamentali. I versi 51-90, che concludono questa prima parte del carme, costituiscono un esempio in negativo della tesi prima dimostrata: l’errore, anzi la colpa di non attribuire il giusto valore al sepolcro, privando così l’estinto del ricordo. L’esempio s’incentra sulla figura del poeta Parini, nei cui confronti la città natale è stata ingrata, non concedendogli una degna sepoltura. In questa parte polemica il discorso si estende già dal valore privato ed affettivo delle tombe ad un ambito più vasto: Parini non è un semplice individuo privato, ma un poeta di alta dignità civile, che coi suoi versi ha colpito gli aspetti negativi della società del suo tempo. Il ricordo che la tomba dovrebbe serbare non è solo limitato alla sfera privata, ma contiene un messaggio civile per la società. Questi versi fungono quindi da passaggio alla seconda parte del carme, dedicata alla funzione civile delle tombe. Il passaggio è chiaramente indicato dai versi conclusivi, 89-90: all’«amoroso pianto», che richiama la «corrispondenza d’amorosi sensi», si affianca l’onore delle «umane lodi».

> La seconda parte (vv. 91-150): la funzione civile delle tombe

Le tombe e la pietà per i defunti sono uno dei fondamentali segni distintivi della civiltà, insieme con l’istituto della famiglia, della giustizia, della religione. Il sorgere di questi istituti ha segnato il passaggio dell’uomo dalla ferocia belluina dell’età primitiva al rispetto reciproco delle età civili. Intorno alle tombe si raccolgono inoltre i valori fondamentali di un popolo: esse sono dunque un metro per misurare il grado di civiltà di una data società. Foscolo propone quattro esempi di tale funzione civile delle tombe. Il primo esempio, negativo, è il Medioevo. Con spirito ancora illuministico, Foscolo condanna il Medioevo come età di barbarie, che è denunciata dalla mancanza di igiene (il lezzo dei cadaveri che contamina i fedeli nelle chiese), dalla superstizione (il terrore dei fantasmi), ma soprattutto da una visione della vita tetra e macabra, ossessionata dal terrore della morte, vista come qualcosa di ripugnante e spaventoso (le città «meste d’effigiati scheletri»). Questa barbarie si perpetua per il poeta nell’uso cattolico di seppellire i morti nelle chiese, che viene associato pertanto nella condanna. In contrapposizione, un esempio positivo è costituito dalla civiltà classica. Essa aveva una visione serena della morte, testimoniata dallo scenario gioioso e luminoso, spirante vitalità e bellezza, che circondava le sepolture (le piante sempreverdi che proteggevano le tombe, le acque limpide che sgorgavano dalle fontane, i fiori che con i loro profumi evocavano 133

L’età napoleonica

L’Inghilterra

Il «bello italo regno»

L’immagine eroica del poeta

La dimensione storica

Le tombe dei grandi

Dalle memorie il riscatto

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l’atmosfera beata dei Campi Elisi). Questa visione serena della morte è prova, per il poeta, di una visione parimenti serena ed armonica della vita, cioè di un altissimo livello di civiltà. Si esprime in questi versi il culto foscoliano dell’età classica, vista come paradiso di armonia, bellezza, serenità, forza, gioia vitale. Il profumo dei fiori che circondano le tombe antiche richiama a Foscolo, con rapido trapasso analogico, un esempio nel mondo attuale: i giardini dei cimiteri suburbani inglesi. È questo un secondo esempio positivo del valore delle tombe. Nell’Inghilterra moderna le sepolture non sono solo indizi di pietà verso i propri cari, in una dimensione privata ed affettiva, ma anche della presenza di valori civili profondamente radicati, che uniscono lo spirito del popolo intorno alle glorie e agli eroi nazionali: le fanciulle britanniche non si limitano a pregare sulla tomba dell’amata madre, ma invocano anche la vittoria su Napoleone dell’ammiraglio Nelson. L’Inghilterra viene così assunta ad esempio di società permeata di virtù civili e di amor di patria, in cui è vivo in tutti il senso eroico ed il culto delle glorie nazionali. A contrasto, viene evocata la mancanza di spirito eroico e di valori civili nell’Italia napoleonica. In paesi come l’Italia, in cui la vita civile è dominata dalla smania di arricchirsi e dal timore servile verso il potere, in cui i ceti dirigenti sono indegni della loro posizione («il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo»), le tombe non possono avere alcuna funzione e si riducono ad inutile sfoggio di lusso o a lugubri immagini di morte. È un giudizio sull’Italia napoleonica che riprende il quadro già fornito nell’Ortis. A questa viltà dominante si contrappone la figura eroica del poeta stesso che, perseguitato dalla sorte avversa, auspica nella morte un approdo di pace. Anche questa immagine eroica richiama quella da Foscolo proposta nell’Ortis e nei sonetti: l’eroe generoso, sconfitto inevitabilmente nello scontro con un «reo tempo». Ma la morte non è solo rifugio di pace, in negativo: la tomba del poeta assume una funzione civile, proponendo un esempio di generosità, di sentimenti appassionati e soprattutto di un’attività intellettuale libera, non servile. La figura di Foscolo si colloca così idealmente a fianco di quella di Parini, evocata nella sezione precedente. Per la seconda volta alla funzione della tomba, come preservatrice del ricordo, si affianca quella della poesia. È già annunciato qui un motivo che sarà poi al centro dell’ultima parte del carme: la funzione ed il significato della poesia.

> La terza parte (vv. 151-212): il valore storico delle tombe

Nella terza parte dei Sepolcri la considerazione del valore civile delle tombe si allarga alla dimensione storica: la tomba cioè viene vista non solo più come centro dei valori di un dato momento della civiltà, ma come messaggio che travalica la successione del tempo. Per questo il poeta passa dalle tombe in genere alle tombe degli uomini grandi, il cui ricordo dura nei secoli. Inoltre emerge in primo piano la dimensione più propriamente politica del discorso, legata al problema nazionale italiano. Domina in questa parte il motivo delle tombe di Santa Croce. Già Jacopo Ortis (lettera del 27 agosto 1798) si era fermato a venerare quel tempio delle «itale glorie», ma le riflessioni che esse gli suscitavano erano negative: la «povertà» e le «carceri» patite da quei «divini intelletti», le «persecuzioni a’ vivi e gli onori a’ morti», il fallimento delle proprie illusioni di gloria. Qui il tema dei grandi di Santa Croce è riproposto invece in positivo (e già questo deve far riflettere sulla distanza che separa il carme dal romanzo, pubblicato solo cinque anni prima): le tombe dei grandi uomini stimolano gli animi generosi a compiere grandi azioni e rendono sacra la terra che le accoglie. Queste glorie del passato sono le uniche rimaste all’Italia, nella decadenza e nell’asservimento presenti. Ma proprio dalle memorie può venire lo stimolo al riscatto. Il giorno in cui si presenterà di nuovo una speranza di gloria alle anime grandi, dalle tombe dei grandi del passato si trarranno le energie per l’azione. È questo un passo chiave del carme e dell’intero svolgimento dell’esperienza foscoliana. Per coglierne la portata è opportuno metterlo a confronto con il colloquio tra Ortis e Parini (lettera del 4 dicembre, T2, p. 75): nel romanzo, lo slancio eroico del giovane

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

Il superamento del nichilismo e la possibilità di partecipazione attiva alla storia

I Sepolcri e la poesia cimiteriale

Alfieri, poeta politico e profetico

si infrangeva contro la lucida argomentazione del vecchio, che dimostrava come non ci fosse possibilità d’azione per un riscatto dell’Italia dalla sua miseria civile e politica; e alla situazione senza via d’uscita si offriva come unica soluzione l’annullamento dell’eroe nella morte. Qui l’azione sul terreno politico non è più esclusa, ma è data come possibile, sia pure in un ipotetico futuro. Foscolo, grazie all’elaborazione della teoria delle illusioni, ha superato il vicolo cieco della delusione rivoluzionaria giovanile ed ha ristabilito le basi per una partecipazione attiva alla storia. La letteratura perciò non è più solo la lucida analisi di una situazione di sconfitta, ma assume una funzione positiva, di ammaestramento etico, di stimolo civile e politico. Questa funzione della sua poesia è affermata da Foscolo con grande chiarezza e vigore nella lettera a Guillon: «L’autore considera i sepolcri politicamente; ed ha per iscopo di animare l’emulazione politica degli Italiani con gli esempi delle nazioni che onorano la memoria e i sepolcri degli uomini grandi». Con questa affermazione, Foscolo segna anche nettamente la distanza che separa la sua poesia da quella dei poeti “cimiteriali” inglesi, a cui, da una considerazione superficiale, potrebbe essere assimilata: «Young ed Hervey meditarono sui sepolcri da cristiani: i loro libri hanno per iscopo la rassegnazione alla morte e il conforto d’un’altra vita […]. Gray scrisse da filosofo: la sua elegia ha per iscopo di persuadere l’oscurità della vita e la tranquillità della morte». La funzione politica assegnata alla poesia da Foscolo presuppone anche una visione diametralmente opposta della realtà umana: Gray ( cap. 1, A5, p. 42) canta le tombe di gente semplice e ignota, affermando il valore insito anche nelle esistenze più oscure; Foscolo canta le tombe dei grandi uomini, che devono stimolare all’agire eroico. Il poeta inglese propone una rivalutazione di ciò che è umile e quotidiano, ispirata ad una concezione della vita cristiana e borghese, che si contrappone polemicamente alla concezione classica, aristocratica ed eroica; il poeta italiano ribadisce invece proprio quella tradizione, riproponendo una concezione eroica in chiave moderna. In questa terza parte del carme si offre un’altra figura esemplare di poeta, dopo quella di Parini: Alfieri. Ed è una figura complementare a quella del poeta del Giorno, ad indicare un altro aspetto della funzione della poesia. Parini era poeta civile: colui che criticava i costumi della sua società, colpendone gli aspetti più aberranti con proposito di correggerli; Alfieri è poeta politico e profetico. Se il messaggio lanciato dalla poesia di Parini è l’auspicio di un consorzio civile ben ordinato, attivo ed operoso, ispirato a saldi valori etici, quello lanciato dalla poesia di Alfieri è la profezia di un futuro riscatto politico della nazione: quella di Alfieri è dunque l’immagine esemplare del poeta che esige questa parte del carme, che è appunto politica e profetica.

> La quarta parte (vv. 213-295): la funzione della poesia

La poesia e il tempo distruttore

La crisi del ruolo tradizionale del poeta

La quarta parte del carme propone un tema nuovo: alla funzione delle tombe, nel serbare la memoria e nel perpetuare i valori della civiltà, si affianca quella della poesia. L’accostamento della poesia alle tombe era già comparso implicitamente nell’evocazione di Parini, nell’esempio del «liberal carme» di Foscolo stesso, di Alfieri. Qui il discorso si fa esplicito. Se le tombe hanno il compito di vincere l’opera distruttrice della natura e del tempo, che tutto trasforma e cancella, anch’esse, in quanto oggetti materiali, sono sottoposte a quest’opera di distruzione. La loro funzione è quindi limitata nel tempo. Ma quando esse saranno scomparse, tale funzione sarà raccolta dalla poesia: la parola poetica non è sottoposta alle leggi materiali, quindi la sua armonia può sfidare i secoli, vincere il silenzio a cui sono destinate le opere umane, conservando in eterno il ricordo. La funzione della poesia è un motivo intorno a cui continuamente si esercita la riflessione di Foscolo. In effetti egli vive in un’epoca in cui è entrato in crisi, in seguito ai grandi rivolgimenti che l’Italia ha subito nell’età rivoluzionaria e napoleonica, il ruolo tradizionale del poeta fissato nella civiltà del Rinascimento: il ruolo del poeta cortigiano che si rivolge ad un’élite aristocratica; né ancora, in questa età di trapasso, si è delineato in Italia il nuovo 135

L’età napoleonica

La funzione profetica della poesia e la memoria

Le civiltà che scompaiono

La poesia e il ricordo degli sconfitti

Omero

La prima parte

La seconda parte

La terza parte

136

committente, la borghesia, e il nuovo ruolo intellettuale, quello di esprimerne i valori (oppure di rifiutarli: vedremo l’atteggiamento di rivolta di molta letteratura ottocentesca). Foscolo non scrive più per il vecchio pubblico, ma non ha ancora ben delineato dinanzi a sé il nuovo, borghese e nazionale. Per questo assegna alla poesia una funzione profetica, come si è visto, ed insiste sulla sua azione nel lungo corso dei secoli futuri: non potendo rivolgersi ad un pubblico presente e ben definito, il poeta parla alle generazioni a venire, per stimolare la coscienza nazionale e spingere all’azione generosa. A tal fine deve anche collegarsi al passato, alla grande tradizione in cui solo vi sono le radici della dignità nazionale, e cercare di mantenerne viva la memoria. La meditazione sulle tombe e sulla poesia nei Sepolcri non è quindi la ripetizione di luoghi comuni retorici, ma è lo strumento per mettere a fuoco problemi vivi in un’età travagliata e difficile. I versi 235-295, che concludono il carme, sono una vasta esemplificazione del motivo della poesia che raccoglie l’eredità delle tombe nel perpetuare la memoria. Vi si delinea l’immagine delle grandi civiltà che cadono in rovina e scompaiono per l’azione del tempo che tutto trasforma. L’esempio è ancora tratto dalla storia di Troia, come nei versi 213-225, in cui si rievocano gli «antichi fatti» di Aiace, delle armi di Achille, di Ulisse. Cassandra, conducendo i giovinetti a venerare i sepolcri degli antenati, profetizza la prossima rovina della città; ma un poeta, Omero, si ispirerà alle tombe dei padri di Troia, tramandando il ricordo di quella civiltà scomparsa. La funzione della poesia così si specifica ulteriormente. Omero canta non solo gli eroi greci vincitori, ma anche i Troiani sconfitti, e perpetua il ricordo di chi è morto per la patria: la poesia non ha solo il compito di conservare la memoria delle azioni gloriose, ma deve serbare anche il ricordo degli sconfitti, delle sofferenze, delle sventure, del sangue versato; non deve solo stimolare all’azione eroica attraverso l’emulazione, ma anche destare sentimenti più miti, la compassione e la solidarietà per le sventure e le sofferenze. Anche questa è una funzione civile per Foscolo, perché questi valori sono essenziali per la costruzione della civiltà, in opposizione agli istinti feroci e belluini che sono propri della natura umana. È un tema molto caro a Foscolo e su di esso si chiude il carme. Anche in questa quarta parte spicca la figura di un poeta, come era avvenuto nella prima con Parini, nella seconda con Foscolo stesso, nella terza con Alfieri; e, come in precedenza, si tratta di una figura emblematica, che si armonizza con il tema trattato: se Parini e Foscolo costituivano esempi di poesia civile, Alfieri di poesia profetica e politica, Omero è il poeta nei cui versi si raccoglie e si tramanda tutta la tradizione di un popolo, che può sopravvivere così nel tempo.

> La costruzione stilistica del carme

Si può osservare come nella prima parte la sintassi assecondi il movimento logico e passionale. La serie di coordinate su cui poggiano le interrogative ai versi 3-15 crea un ritmo incalzante, come a sottolineare l’urgenza di verità a cui il poeta non può sfuggire nel suo elenco di tutti gli aspetti della vita negati dalla morte: bellezza, poesia, amore. Nella parte affermativa, versi 16-22, seguono invece frasi brevi e spezzate, che rendono il senso di desolazione amara dinanzi a una realtà ineluttabile. Viceversa l’interrogazione dei versi 26-29 è sintatticamente scorrevole e i versi 29-40 ripropongono di nuovo un ritmo incalzante di coordinate, ma questa volta in funzione contraria, tesa ad accumulare motivi di consolazione, la ricerca dell’alternativa nell’illusione. La seconda parte del carme è tutta argomentativa, tenuta su un tono solennemente uniforme. Da sottolineare è la ricerca di effetti fonici. Nel passo dedicato al Medioevo, per rendere un clima cupo di terrore, ricorrono le vocali dal suono cupo, /o/, /u/, o la vibrante /r/. Viceversa nel passo sul mondo classico, a rendere un clima di serenità luminosa, spicca il suono aperto della vocale /a/. Nella terza parte si avvia un vasto movimento lirico, oratorio ed epico, ricco di variazioni tonali: si passa dalla solennità della proposizione iniziale del tema all’ampio periodo dedicato a Santa Croce, che converge nell’apostrofe a Firenze; seguono i versi descrittivi

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

La quarta parte

sulle bellezze di Firenze, estremamente scorrevoli e musicali, riprende poi il movimento con un’ampia enumerazione dal ritmo incalzante, e il discorso si conclude con la sequenza dedicata ad Alfieri e alla battaglia di Maratona, che punta su versi fortemente ritmati, su suoni aspri e stridenti, su vocali cupe. Nella quarta parte, tutta collocata nell’antichità classica, subentra un taglio narrativo ed epico: è evidente la volontà di riprodurre il modello di Omero, mirando a un tono sublime. Mappa attiva

Visualizzare i concetti

La struttura e i contenuti dei Sepolcri

VALORe AFFeTTIVO deLLe TOmbe (VV. 1-90)

VALORe CIVILe deLLe TOmbe (VV. 91-150)

VALORe STORICO deLLe TOmbe (VV. 151-212)

FUNzIONe deLLA POeSIA (VV. 213-295)

1-22

Tesi materialistica: negazione del valore delle tombe

23-40

Tesi opposta, fondata sull’“illusione”: le tombe garantiscono la sopravvivenza dei defunti nella memoria dei vivi

41-50

Eccezione: la tomba non ha valore solo per chi non lascia alcun buon ricordo di sé

51-90

Effetti negativi dell’editto di Saint-Cloud: l’esempio di Parini

91-103

Tesi di fondo: il culto funerario è tra le prime espressioni di civiltà

104-114

Esempio negativo: il Medioevo

114-129

Esempio positivo: l’antichità classica

130-136

Esempio positivo: i cimiteri nell’Inghilterra contemporanea

137-145

Esempio negativo: nelle società corrotte (come nell’Italia napoleonica) le tombe non possono avere alcuna funzione positiva

145-150

Conclusione: il poeta spera di lasciare dietro di sé un’eredità d’affetti e un esempio di impegno civile

151-154

Tesi di fondo: le tombe dei “forti” sono di esempio per i vivi e danno gloria alla terra che le conserva

154-197

Esempio: le tombe di Santa Croce (Machiavelli, Michelangelo, Galileo); la gloria che ne deriva a Firenze; la speranza che esse rappresentano per il riscatto dell’Italia; la tomba di Vittorio Alfieri

197-212

Esempio: le tombe dei caduti di Maratona; rievocazione della battaglia

213-225

Rievocazione degli eroi della guerra di Troia

226-234

Tesi di fondo: la poesia perpetua il ricordo delle gesta eroiche come e più delle tombe, che il tempo disperde

235-295

Rievocazione del mito di Troia: le tombe dei progenitori di Troia; discorso di Cassandra; la premonizione della caduta di Troia e la funzione eternatrice della poesia di Omero

137

L’età napoleonica

Esercitare le competenze

Laboratorio interattivo

COmPReNdeRe

> 1. Spiega in che cosa consiste e come si realizza secondo il poeta quella “sosta” alle soglie del regno dei morti, ultima illusione dei mortali.

> 2. Quali aspetti della figura e della vita di Parini sono rievocati? > 3. Insieme con quali altre istituzioni è sorto l’uso di dar sepoltura ai defunti? > 4. Spiega i versi 145-150. Quale eredità Foscolo desidera lasciare ai posteri? Quale fine assegna alla sua poesia? A questo proposito rileggi anche i versi 226-229.

> 5. Descrivi il personaggio di Alfieri così com’è presentato nel componimento. > 6. Riassumi in circa 10 righe (500 caratteri) il discorso di Cassandra. ANALIzzARe

> 7. Completa la tabella, secondo l’esempio proposto, indicando per ogni personaggio sepolto in Santa Croce i meriti che Foscolo gli attribuisce. Personaggio

Versi

Caratteristiche delle azioni

Machiavelli

vv. 155-158

Insegnando l’arte di governare nel Principe, ne rivela i limiti ...........................................................................................................................................................................................................................................................................

Michelangelo

...........................................................................................................................................................................................................................................................................

Galileo

...........................................................................................................................................................................................................................................................................

Dante

...........................................................................................................................................................................................................................................................................

Petrarca

...........................................................................................................................................................................................................................................................................

> 8. Soffermati a riflettere sulla figura di Ettore: quale significato simbolico assume tale personaggio, tanto da essere assunto ad exemplum per l’intera umanità? Perché è ricordato, pur appartenendo ai vinti? E Omero? Che cosa rappresenta? > 9. Stile Per quale caratteristica si definiscono «sciolti» gli endecasillabi del carme? > 10. Stile Quali elementi formali permettono di ascrivere il testo al genere dell’epistola in versi? > 11. Stile Individua le apostrofi e le domande, spesso retoriche, presenti nel componimento. A chi sono indirizzate? Chi sono gli interlocutori cui il poeta si rivolge? APPROFONdIRe e INTeRPReTARe

> 12.

Scrivere Al centro dei Sepolcri vi è una riflessione sul tema della memoria, privata (il ricordo che i defunti lasciano ai propri cari) e collettiva (la memoria che una comunità conserva del proprio passato). Soffermati su quest’ultimo aspetto, mettendone in luce le implicazioni politiche e culturali: perché, secondo Foscolo, il momento della memoria è così importante per il destino dell’Italia? Quali battaglie civili può ispirare il ricordo del passato? Che rapporto intercorre tra memoria storica e tradizione culturale? Rispondi in circa 10 righe (500 caratteri). > 13. esporre oralmente Chiarisci il legame logico per cui Foscolo associa Santa Croce e le sue tombe con i fatti di Maratona (vv. 199-201) e quelli della «Tròade inseminata» del verso 235 (max 5 minuti). > 14. Competenze digitali Ricostruisci in una presentazione multimediale la struttura argomentativa del carme, avvalendoti dello schema a p. 137: a ciascuna diapositiva assegnerai un titolo tra quelli indicati. Il lavoro creativo e di ricerca sarà eseguito a partire dalle immagini, che, rappresentative dei contenuti, dovranno essere selezionate tra i capolavori artistici di ogni epoca, tra i dipinti e le sculture di cui indicherai autore, anno di esecuzione, contenuti e caratteristiche generali. Potrai soffermarti a raccontare miti o su rievocazioni storiche o sugli usi e costumi dei popoli antichi, su personaggi e vicende. PASSATO e PReSeNTe L’attualità del messaggio di Foscolo nei Sepolcri

> 15. Secondo te, i concetti espressi nei Sepolcri sono ancora validi nella nostra epoca, oppure la distanza

temporale che ci separa dall’autore li ha resi del tutto estranei alla sensibilità contemporanea? Discuti in classe con l’insegnante e i compagni, confrontando le vostre opinioni in merito.

138

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

Interpretazioni critiche

marco Cerruti La novità dei Sepolcri Il critico mette in risalto la novità del carme foscoliano in relazione al clima culturale e politico del tempo: il saltare tutta la tradizione moderna per collegarsi direttamente alla poesia greca. Al di là di questo tentativo neoclassico, si rileva il gusto per il “sublime”, la tensione emotiva e la concitazione ispirata della scrittura, che erano in linea con il Romanticismo europeo. Eccezionale è poi la scelta di non celebrare Napoleone. Notevoli ancora sono l’affermazione del materialismo, la celebrazione di una tradizione italiana di alta dignità letteraria e civile. Centrale nell’opera è l’idea che, nella mutevole vicenda delle sorti umane, la memoria dell’agire virtuoso possa servire d’esempio, specie se la memoria è conservata dalla poesia.

Marco Cerruti, uno dei più autorevoli studiosi della letteratura del Settecento e del Neoclassicismo, dedica a Foscolo una monografia in cui viene ricostruito il percorso della sua opera complessiva, in relazione alla cultura del suo tempo e ai problemi della società e della politica dell’età napoleonica.

Era nuova anzitutto, ed estremamente notevole, in quegli anni di maturo neoclassicismo, […] l’idea, la scelta di saltare in certo modo a piè pari la tradizione moderna, cui restavano ancora legati i sonetti e le odi precedenti, per «desumere», come spiega la prima nota che correda il testo, «questo modo di poesia da’ Greci»: 5

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Ho desunto questo modo di poesia da’ Greci i quali dalle antiche tradizioni traevano sentenze morali e politiche presentandole non al sillogismo de’ lettori, ma alla fantasia ed al cuore […]

Di qui il tono alto, solenne, vaticinante1, impetuoso e a tratti visionario (basti pensare ai versi, 201 sgg., […] evocanti la battaglia di Maratona) che caratterizza i Sepolcri, nel quale, al di là del tentativo neoclassico di richiamarsi a certa antica poesia greca, coagulava, conviene aggiungere, quel gusto […] molto forte e diffuso nella sensibilità collettiva del tempo, per il «sublime», che già Foscolo aveva manifestato ed esperito, in termini di scrittura, nell’Ortis, o massimamente nell’Ortis: «sublime» comportante […] innata grandezza d’animo in chi scrive, tensione emozionale (pathos), alta e ispirata concitazione della scrittura, scotimento profondo del lettore o uditore. E in questa opzione per il «sublime» di nuovo, dopo l’Ortis, questo Foscolo dei primissimi anni dell’Ottocento mostra di muoversi nettamente in linea con il grande Romanticismo europeo. Non propriamente nuova poi, ma di certo eccezionale, nel quadro della letteratura e della poesia praticate allora nel Regno d’Italia, era la scelta di non celebrare assolutamente, neanche fra le righe o per incidens2, lo stato presente e il suo supremo reggitore3 […] ma all’opposto di introdurre, nell’ampio (295 versi) e articolato contesto del carme, punte polemiche contro la Francia («l’Itale glorie, uniche forse / da che le mal vietate Alpi e l’alterna / onnipotenza delle umane sorti / armi e sostanze t’invadeano ed are / e patria e, tranne la memoria, tutto»), contro il nuovo Establishment4 che si era venuto costituendo («il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo, / decoro e mente al bello italo regno»), contro la stessa Milano, «lasciva / d’evirati cantori allettatrice»; inoltre, richiami al valore civile e militare degli inglesi, l’esaltazione mitizzante dell’Alfieri fiorentino, mancato da poco e di cui da poco era apparsa, postuma, la Vita. Notevole, ancora, in questa prospettiva di coraggioso anticonformismo, l’iniziale affermazione, in un momento che segue di poco il Concordato di Napo-

1. vaticinante: profetico. 2. per incidens: incidentalmente.

3. supremo reggitore: Napoleone. 4. il nuovo Establishment: la nuova situazio-

ne sociale.

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L’età napoleonica

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35

40

leone con Roma, di laico materialismo atomistico5, e la celebrazione di una tradizione italiana di alta dignità insieme letteraria e politico-civile: Alfieri appunto, ma anche Parini, Galilei, Machiavelli, Petrarca, Dante. Centrale infine, più in profondo, era nel carme l’idea che oltre il continuo trasformarsi della realtà delle cose e degli uomini, e in particolare nella mutevole vicenda delle «umane sorti» possa intravedersi come una costante, nel senso che se l’agire giusto, ben orientato di un popolo si può risolvere in una sconfitta, la memoria di quell’agire, e in specie di chi bene e virtuosamente ha agito, avrà il potere di indurre, in un qualche futuro, ad imprese, ad esperienze ugualmente buone e virtuose: «A egregie cose il forte animo accendono / l’urne de’ forti» era l’affermazione saliente, a questo livello di «sentenze morali e politiche» del carme. E a questo motivo si legava in modo strettissimo quello che emerge nella sezione conclusiva, che forte, potente ausilio6 a questo incontrarsi memoriale di diverse esperienze e generazioni sia la poesia e massimamente, come nel caso di Omero, una poesia che sappia «abbracciar l’urne, / e interrogarle», cioè in sostanza una poesia nuova, e rinnovata rispetto alla pratica contemporanea degli innumerevoli celebratori delle imprese napoleoniche. M. Cerruti, Introduzione a Foscolo, Laterza, Roma-Bari 1990

5. materialismo atomistico: Foscolo si rifà all’antica filosofia materialistica greca, da

Democrito a Epicuro, che considerava tutto l’esistente composto di particelle materiali

indivisibili, gli atomi. 6. ausilio: aiuto.

Esercitare le competenze COmPReNdeRe

> 1. A quale proposito Cerruti cita l’Ortis alla riga 12? > 2. Come si manifesta, secondo il critico, il «coraggioso anticonformismo» (rr. 27-28) di Foscolo rispetto al contesto di riferimento dei Sepolcri? > 3. Perché, secondo Cerruti, Foscolo pone la memoria a fondamento della coscienza civile collettiva? ANALIzzARe

> 4.

Lessico

Analizza il significato dell’aggettivo «visionario» (r. 7) riferito dal critico ai versi 201 e seguenti dei

Sepolcri.

APPROFONdIRe e INTeRPReTARe

> 5.

Scrivere Descrivi in circa 20 righe (1000 caratteri) la figura di Napoleone nell’opera foscoliana, delineandone i tratti in base ai testi in antologia. > 6. esporre oralmente Quando il critico parla di «sublime» in riferimento al «grande Romanticismo europeo» (rr. 14-16) a quale contesto allude? Motiva la tua risposta in non più di 3 minuti.

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Capitolo 2 · Ugo Foscolo

La voce del Novecento

La funzione del sepolcro per Lee masters asters e Foscolo: visione eroica e visione antieroica Le poesie che compongono l’Antologia di Spoon River, pubblicata nel 1915 dallo scrittore nordamericano Edgar Lee Masters (1869-1950), sono costituite dalle iscrizioni sulle lapidi del cimitero di una piccola città di provincia. Attraverso di esse ogni defunto che giace sulla collina racconta in forma sintetica la propria vicenda. Viene così a comporsi la storia complessiva di questa comunità, con le tante vite dei suoi abitanti, ciascuna chiusa nel suo dramma ma anche legata alle altre. Riportiamo la poesia che apre la raccolta e funge da proemio ad essa.testo

La collina Dove sono Elmer, Herman, Bert, Tom e Charley, l’abulico, l’atletico, il buffone, l’ubriacone, il rissoso? Tutti, tutti, dormono sulla collina. 5

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Uno trapassò in una febbre, uno fu arso nella miniera, uno fu ucciso in una rissa, uno morì in prigione, uno cadde da un ponte lavorando per i suoi cari – tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina. Dove sono Ella, Kate, Mag, Edith e Lizzie, la tenera, la semplice, la vociona, l’orgogliosa, la felice? Tutte, tutte, dormono sulla collina. Una morì di un parto illecito1, una di amore contrastato, una sotto le mani di un bruto in un bordello, una di orgoglio spezzato, mentre anelava al suo ideale, una inseguendo la vita, lontano, in Londra e Parigi, ma fu riportata nel piccolo spazio con Ella, con Kate, con Mag – tutte, tutte dormono, dormono, dormono sulla collina. Dove sono zio Isaac e la zia Emily, e il vecchio Towny Kincaid e Sevigne Houghton,

1. parto illecito: di un figlio concepito fuori dal matrimonio.

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L’età napoleonica

e il maggiore Walker che aveva conosciuto uomini venerabili della Rivoluzione2? Tutti, tutti, dormono sulla collina. 25

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Li riportarono, figlioli morti, dalla guerra3, e figlie infrante dalla vita, e i loro bimbi orfani, piangenti – tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina. Dov’è quel vecchio suonatore Jones che giocò con la vita per tutti i novant’anni, fronteggiando il nevischio a petto nudo, bevendo, facendo chiasso, non pensando né a moglie né a parenti, né al denaro, né all’amore, né al cielo? Eccolo! Ciancia delle fritture di tanti anni fa, delle corse di tanti anni fa nel Boschetto di Clary, di ciò che Abe Lincoln4 disse una volta a Springfield5. E. L. Masters, Antologia di Spoon River, trad. it. di F. Pivano, Einaudi, Torino 1966

2. Rivoluzione: la rivoluzione che nel 1776, sotto la guida di George Washington, liberò le colonie americane dal dominio dell’Inghilterra. 3. dalla guerra: si può intendere la Guerra di secessione (1861-65), che contrappose gli Stati del Sud, agricoli e caratterizzati dallo schiavismo, e quelli

del Nord, a prevalenza industriale. 4. Abe Lincoln: Abraham Lincoln (1809-65), il presidente che guidò l’Unione nordista nella Guerra di secessione e fece approvare l’emancipazione degli schiavi provenienti dall’Africa, poi fu assassinato subito dopo la guerra. 5. ciò che … Springfield: a Spring-

field nell’Illinois Lincoln visse e iniziò la sua carriera politica. Qui, in occasione della convenzione repubblicana che lo scelse come candidato per il Senato, il 16 giugno 1858 pronunciò un discorso, esaltando l’unità e la concordia nazionale.

Analisi del testo

> La struttura della lirica

I vari destini

Mentre nel resto della raccolta a parlare sono i singoli defunti, attraverso le lapidi delle loro tombe, in questa lirica proemiale la voce è quella dell’autore stesso, che passa in rassegna varie figure destinate a sfilare nei testi seguenti. Ai puri nomi si associano una caratterizzazione psicologica e una brevissima rievocazione del destino che ha condotto quelle persone alla morte, quasi sempre un destino tragico e violento. Nelle vicende private si inseriscono di scorcio tre accenni a eventi che hanno segnato la storia degli Stati Uniti, la rivoluzione che ha dato origine alla nazione indipendente dall’impero coloniale inglese, la Guerra di secessione e un discorso di Lincoln. Le varie strofe sono intercalate da una sorta di ritornello, «Tutti, tutti dormono sulla collina», che fa sentire come il tumulto violento della vita si sia placato nella pace della morte.

> Il tema delle tombe Grandi uomini e persone comuni

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Anche qui, come nei Sepolcri, al centro dell’attenzione poetica si collocano le tombe. Ma è facile scorgere la distanza che separa il poeta neoclassico dell’Ottocento dal poeta americano del Novecento. Foscolo pone in primo piano il significato civile delle sepolture, che consiste nel tramandare e conservare i valori della civiltà, poi si concentra soprattutto sulle tombe dei grandi personaggi, per l’esempio che possono dare agli uomini del presente e l’incitamento a compiere imprese gloriose. Edgar Lee Masters invece si sofferma solo

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

Il legame con l’Elegia di Gray

sulle tombe di persone comuni, umili, e ricostruisce i drammi che hanno segnato le loro esistenze senza storia. Mentre Foscolo si collega alla visione eroica della civiltà classica, che ritiene degno di ricordo solo ciò che è grande ed eccezionale, il poeta americano si rifà piuttosto alla poesia cimiteriale inglese e in particolare all’Elegia di Thomas Gray ( cap. 1, T5, p. 42), che esalta appunto ciò che è semplice e comune, le esistenze di persone qualunque sepolte in un cimitero di campagna, «la loro umile fatica, le loro gioie semplici e il loro destino oscuro». È una visione antieroica che aveva caratterizzato la letteratura inglese dell’Ottocento, e che dà ancora frutti nella letteratura nordamericana del Novecento. La rievocazione del piccolo mondo del villaggio non resta però chiusa nella sfera del privato: non mancano nella raccolta riferimenti alla storia contemporanea e a problemi politici e sociali.

Esercitare le competenze COmPReNdeRe

> 1. Delinea sinteticamente i profili di coloro che sono sepolti sulla collina. ANALIzzARe

> 2. Quali riferimenti ai problemi politici e sociali compaiono nel componimento? Individuali e commentali. > 3. Stile Individua le anafore presenti nel testo, qui in traduzione, e spiegane l’efficacia sul piano espressivo anche in relazione al contesto del discorso. > 4. Lingua Osserva la presenza nel testo, qui in traduzione, delle proposizioni interrogative, e spiegane la funzione in relazione al contenuto. APPROFONdIRe e INTeRPReTARe

> 5.

Scrivere Perché, a tuo parere, il componimento analizzato apre la raccolta fungendo da proemio? Motiva la tua risposta in circa 10 righe (500 caratteri). > 6. esporre oralmente Nel rileggere i Sepolcri di Foscolo ( T12, p. 121) alla luce delle considerazioni scaturite dall’analisi del componimento di Edgar Lee Masters, osservi che il carme ottocentesco presenta, seppure non direttamente, riferimenti a persone comuni e umili oltre a quelli che riguardano le tombe dei grandi? Motiva la tua risposta in non più di 5 minuti.

PeR IL POTeNzIAmeNTO

> 7. Come si configura, nella Commedia di Dante e in particolare nel Purgatorio, il complesso tema del colloquio

fra vivi e morti? Riscontri, nelle modalità con cui esso viene trattato nel poema medievale, eventuali analogie con il discorso poetico dell’autore novecentesco analizzato? Argomenta la tua risposta anche attraverso esempi significativi tratti dalla seconda cantica.

microsaggio

L’Antologia Palatina Il modello dell’Antologia di Spoon River, come indica anche il suo titolo, è l’Antologia Palatina, una raccolta di ben 3700 epigrammi greci di vari poeti dal IV secolo a.C. alla tarda età bizantina, messa insieme nel X secolo. L’epigramma era in origine un componimento che fingeva di essere un’iscrizione, spesso funeraria. Il nome Palatina deriva dal fatto che la raccolta fu scoperta nel 1607 in un codice dell’XI secolo nella Biblioteca Palatina di Heidelberg.

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L’età napoleonica

6 Un progetto travagliato e incompiuto

La funzione purificatrice della bellezza e delle arti

I contenuti

Testi nascita delle Grazie • L’umanità primitiva, la naturale ferocia dell’uomo e l’effetto incivilitore delle Grazie • L’Atlantide dalle Grazie • La

La ripresa tematica e stilistica delle odi

La «melodia pittrice»

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Le Grazie La genesi dell’opera e il suo disegno concettuale

Videolezione

Al progetto poetico delle Grazie Foscolo lavorò a più riprese, per un lungo arco di anni, senza mai portarlo a compimento. Sin dal 1803 aveva inserito in un dotto commento filologico alla traduzione latina, opera di Catullo, della Chioma di Berenice di Callimaco alcuni frammenti del suo poema, che fingeva di aver tradotto da un inno alle Grazie di un antico poeta greco. In una lettera a Monti del 1809 annunciava, insieme ad altri inni, il progetto di un inno alle Grazie in cui dovevano essere idoleggiate «tutte le idee metafisiche sul bello». Il progetto cominciò a prender forma durante il soggiorno nella villa di Bellosguardo, a Firenze, nel 1812-13, un periodo particolarmente felice per Foscolo. Il poeta ritornò ancora sull’opera negli anni successivi, lavorandovi fino alla morte, riscrivendo, limando passi già scritti, elaborando una complessa struttura concettuale. Alcuni brani comparvero in una Dissertazione di un antico inno alle Grazie, pubblicata a Londra nel 1822, ma l’opera rimase incompiuta e si offre solo come una serie di frammenti, con innumerevoli varianti, che rendono arduo il compito di apprestarne un’edizione. Foscolo stesso ci fornisce un disegno delle Grazie nella citata Dissertazione londinese. Il progetto originario di un inno unico viene ad articolarsi in tre inni, dedicati rispettivamente a Venere, dea della «bella natura», a Vesta, «custode del fuoco eterno che anima i cuori gentili» e a Pallade, «dea delle arti consolatrici della vita e maestra degli ingegni». Le Grazie sono dee intermedie tra il cielo e la terra, che hanno avuto il compito di suscitare negli uomini i sentimenti più puri ed elevati attraverso il senso della bellezza, inducendoli a superare la feroce bestialità che è nella loro natura originaria e portandoli alla civiltà. Questa idea che la bellezza e le arti abbiano la funzione di purificare e ingentilire le passioni e di promuovere l’incivilimento è un tema caro alla cultura neoclassica (compare anche nella Musogonia di Monti, 1793, e nell’Urania del giovane Manzoni, 1809). Il primo inno narra la nascita di Venere e delle Grazie dal mar Ionio ( T13, p. 146). Gli uomini, che vivono ancora allo stato bestiale, subiscono l’incanto della bellezza e percepiscono per la prima volta l’armonia dell’universo, disponendosi a coltivare le arti civili. Nel secondo inno la scena è collocata sui colli di Bellosguardo, in cui il poeta immagina un rito in onore delle Grazie celebrato da tre donne gentili, Eleonora Nencini, Cornelia Martinetti, Maddalena Bignami, che rappresentano rispettivamente la musica, la poesia e la danza. Il terzo inno è collocato nella mitica isola di Atlantide, inaccessibile agli uomini, dove Pallade cerca rifugio quando le loro passioni ferine scatenano la guerra. Atlantide rappresenta un mondo ideale di suprema armonia, lontano dai conflitti della storia umana. Qui Pallade fa tessere ad una schiera di dee minori un velo che difenda le Grazie dalle passioni degli uomini, in modo che possano tornare tra di essi a compiere la loro opera civilizzatrice. Sul velo sono effigiati i sentimenti più miti ed elevati ( T14, p. 148). I mutamenti di scena fra i tre inni rappresentano il passaggio delle Grazie dalla Grecia, dove nacque la prima forma di civiltà, all’Italia, che raccoglie l’eredità della cultura classica; il paesaggio metafisico del terzo inno rappresenta il «potere delle arti sulle umane passioni». Nel poema, come si vede, Foscolo intende calare un complesso disegno concettuale, incentrato intorno all’idea della bellezza serena e dell’armonia. L’opera riprende quindi la linea già inaugurata nelle odi («l’aurea beltate ond’ebbero / ristoro unico a’ mali / le nate a vaneggiar menti mortali»), sviluppandola e portandola alle estreme conseguenze. Anche dal punto di vista stilistico e figurativo le Grazie si collegano ai presupposti delle odi. Nel verso, come indica Foscolo nel proemio, vi è la ricerca

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

L’allegoria

dell’«arcana / armonïosa melodia pittrice» della bellezza: la ricerca cioè di un’estrema armoniosità musicale, ben diversa dalle intonazioni dei Sepolcri che variano dall’oratoria appassionata alla vibrante tensione dell’inno fino alla solennità dell’epica. Al tempo stesso, alla musicalità del verso Foscolo vuole unire una grande forza di suggestione visiva («melodia pittrice»): la poesia tende ad evocare immagini vivide, intensamente plastiche e colorite, dalle linee ferme ed armoniche, che sembrano rivaleggiare con le arti figurative (è significativo che l’opera sia dedicata allo scultore Antonio Canova, il massimo esponente dell’arte neoclassica in Italia, che stava in quegli anni lavorando al gruppo marmoreo delle Grazie). In queste figurazioni devono prendere corpo i concetti: Foscolo mira cioè intenzionalmente ad una poesia allegorica. Come egli stesso afferma nella Dissertazione, le verità della poesia lascerebbero «freddo» il cuore e «dormiente» la fantasia, se non prendessero vita attraverso le figurazioni. Rivaluta perciò l’allegoria che, personificando in figure le idee astratte, fa sì che queste agiscano più facilmente e fortemente «sui sensi e sull’immaginazione». Non è un caso, tuttavia, che l’architettura concettuale del poema sia rimasta incompiuta: l’epoca, che vede una profonda crisi di valori e di parametri interpretativi della realtà, non consentiva più le grandiose costruzioni concettuali, unitarie ed armoniche, che erano state prodotte in altre epoche della storia, come ad esempio la Commedia di Dante.

La poesia civile delle Grazie

L’impegno civile

Neoclassicismo e Romanticismo foscoliani

Il vagheggiamento della bellezza, la ricerca di immagini squisite e di versi melodiosi non devono però far pensare che le Grazie rappresentino, rispetto all’opera precedente di Foscolo, un’involuzione puramente contemplativa ed evasiva, la fuga in un sogno di bellezza e di armonia remoto dalla realtà e dalla storia. Sia pur in forme diverse, Foscolo non abbandona il suo ideale di poesia civile. Costantemente affiorano nel poema rimandi alla realtà attuale, allo scatenarsi delle passioni feroci e degli istinti aggressivi dell’uomo, in concomitanza con le guerre imperialistiche di Napoleone (la campagna di Russia). L’idoleggiamento della bellezza assume senso solo in riferimento a quel terreno storico, come critica implicita a quel presente, come affermazione dell’esigenza di un ordine più umano, libero da tendenze feroci e aggressive, dominato da sentimenti più miti, di pietà, di compassione, di pace ( Interpretazioni critiche, p. 153). E tutto ciò non resta su un piano di pura contemplazione, di affermazione semplicemente consolatoria: Foscolo è convinto della funzione civilizzatrice della poesia e delle arti, della loro possibilità di agire sul mondo sociale e di renderlo veramente più umano. Come si legge nella Dissertazione, nel suo poema vorrebbe riporre «una sapienza sollecita del miglioramento e del perfezionamento della vita sociale». Si può affrontare a questo punto il problema del rapporto che sussiste tra le tendenze romantiche e le tendenze neoclassiche che a prima vista sembrano contrapporsi così nettamente all’interno dell’opera foscoliana. In realtà le due tendenze non sono contraddittorie, ma scaturiscono da una stessa radice e si pongono in posizione complementare. Questa radice comune è il rapporto traumatico con il «reo tempo», la situazione storica convulsa e conflittuale dell’Italia napoleonica: le tendenze romantiche sono l’espressione diretta della delusione storica, dei traumi, delle lacerazioni, dei conflitti tra il soggetto e la realtà esterna e all’interno del soggetto stesso; le tendenze neoclassiche sono il tentativo di opporre a tutto ciò un mondo alternativo di equilibrio, armonia e bellezza. Anche le tendenze neoclassiche scaturiscono dunque da una matrice romantica, e recano al loro interno una polarità dinamica che le rende ben diverse dal decorativismo freddo e accademico del Neoclassicismo di maniera. 145

L’età napoleonica

T13

Proemio

Temi chiave

dalle Grazie, Inno primo, vv. 1-27

• la funzione rasserenatrice della bellezza • il rapporto tra poesia e bellezza • il rapporto con il mondo classico

Nel proemio al primo inno Foscolo invoca le Grazie perché ispirino i versi che devono cantare la loro bellezza. Invita quindi lo scultore Canova a partecipare al rito in onore delle Grazie sui poggi di Bellosguardo.

> metro: endecasillabi sciolti.

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Cantando, o Grazie, degli eterei1 pregi di che il cielo v’adorna, e della gioia che vereconde voi date alla terra, belle vergini2! a voi chieggo l’arcana armonïosa melodia pittrice della vostra beltà3; sì che all’Italia afflitta di regali ire straniere voli improvviso a rallegrarla il carme4. Nella convalle fra gli aerei poggi di Bellosguardo5, ov’io cinta d’un fonte limpido fra le quete ombre di mille giovinetti cipressi alle tre Dive l’ara innalzo6, e un fatidico laureto7 in cui men verde serpeggia la vite la protegge di tempio8, al vago rito vieni, o Canova9, e agl’inni. Al cor men fece dono la bella Dea che in riva d’Arno sacrasti alle tranquille arti custode10; ed ella d’immortal lume e d’ambrosia11 la santa immago sua tutta precinse12. Forse (o ch’io spero!) artefice di Numi, nuovo meco darai spirto alle Grazie ch’or di tua man sorgon dal marmo13. Anch’io

versi 1-8 Cantando, o Grazie, le doti divine (eterei pregi) con cui il cielo vi abbellisce (adorna), e la gioia che, caste (vereconde), date al mondo, belle vergini! a voi chiedo (d’ispirare ai miei versi) la misteriosa (arcana) e armoniosa musicalità atta a dipingere la vostra bellezza (pittrice … beltà); affinché questo carme giunga presto a rasserenare l’Italia, afflitta dalle ire di potenze (regali) straniere. 1. eterei: dal greco aithér, “cielo”. 2. gioia … vergini: le Grazie danno gioia agli uomini perché rappresentano l’armonia che è «necessaria a ristorare le fatiche e i dolori» dell’esistenza umana, come scrive Foscolo nei Princìpi di critica poetica. Sono dette vereconde e vergini ad indicare come l’armonia sublimi e purifichi le passioni umane; grazie ad esse gli uomini raggiungono una misura ideale di moderazione e di equilibrio. 3. a voi … beltà: la melodia è detta arcana perché secondo Foscolo non può nascere da accorgimenti retorici, ma scaturisce misteriosamente come un dono.

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4. all’Italia … carme: il carme fu concepito nel 1812-13, quando Napoleone aveva coinvolto il Regno d’Italia nella disastrosa campagna di Russia. versi 9-20 Nella valle fra i poggi di Bellosguardo che si levano nell’aria (aerei), dove io innalzo alle tre dee (Dive) un altare (ara) cinto da una limpida fonte fra le tranquille (quete) ombre di mille cipressi da poco piantati (giovinetti), e (dove) un boschetto di allori, in cui si mescolano viti dal tronco serpeggiante e dal verde meno intenso, protegge l’altare delle Grazie come un recinto sacro, unisciti al bel rito e agli inni, o Canova. Ispirò (men fece dono) questi inni al mio cuore la bella dea Venere, che tu a Firenze (in riva d’Arno) consacrasti come custode delle arti pacifiche (tranquille); e la dea (ella) avvolse di luce immortale e d’ambrosia la sua sacra immagine (scolpita da Canova). 5. Bellosguardo: il poggio fiorentino dove Foscolo soggiornò tra il 1812 e il 1813 ed in cui compose il nucleo centrale del carme. 6. ov’io … innalzo: il rito pagano allude

simbolicamente alla composizione dell’inno. Si noti il ricorrere dei due simboli dell’acqua e dell’ombra ristoratrice, di cui si è sottolineata l’importanza nei Sepolcri. 7. fatidico laureto: perché l’alloro era la pianta sacra ad Apollo, dio non solo della poesia, ma anche del vaticinio. Ciò rivela che Foscolo assimila il poeta al vate, colui che rivela profonde verità, che ha una funzione profetica (nei Sepolcri, v. 288, Omero è definito «sacro vate»). 8. tempio: recinto sacro, tale era l’originale senso latino del termine. 9. Canova: Antonio Canova (1757-1822) è il più rappresentativo scultore neoclassico italiano. Foscolo gli dedica il poema in quanto stava lavorando al gruppo marmoreo delle Tre Grazie: anch’egli, quindi, con altro linguaggio artistico, esprimeva lo stesso concetto di armonia che il poeta intendeva affidare ai suoi inni. 10. Al cor … custode: Canova aveva scolpito una statua di Venere che era stata collocata nella Galleria degli Uffizi al posto della famosa statua ellenistica della Venere dei Medici, trasportata al Louvre di Parigi. Venere ha ispirato il poeta perché madre delle Grazie: è il simbolo della bellezza e dell’armonia dell’universo che genera la poesia e le belle arti. Canova l’ha appunto consacrata alle tranquille arti, che sono le arti belle, in contrapposizione alle arti della guerra che in quegli anni si scatenavano in Europa. 11. ambrosia: il nettare degli dèi. 12. ed ella … precinse: cioè la statua è talmente bella che rende tutto il fascino divino della dea e ne fa sentire la presenza. versi 21-27 Forse (o come lo spero!) tu (Canova), artefice di statue di dèi (Numi), darai insieme con me (meco) nuova vita (spirto) alle Grazie, che ora per opera tua sorgono dal marmo. Anch’io dipingo immagini con la poesia, ed infondo (spiro) una vita eterna alle creazioni della fantasia (fantasmi): sdegno il verso dalla musicalità puramente esteriore, che non ha la forza di creare immagini vive; perché Apollo (Febo) mi disse: io ho guidato col mio canto (lira) Fidia e Apelle. 13. Forse … marmo: Foscolo si augura che lo scultore, raffigurando le Grazie, lo aiuti nel diffondere i valori di cui esse sono simbolo, quali la bellezza, l’armonia, la misura, la gentilezza di sentimenti, la pietà.

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

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pingo e spiro a’ fantasmi anima eterna: sdegno il verso che suona e che non crea; perché Febo mi disse: Io Fidia, primo, ed Apelle guidai con la mia lira14.

14. Anch’io … lira: Foscolo è convinto cioè che la poesia debba creare immagini nitida-

mente visive e plastiche, dotate di intensa vita, e che possa pertanto ispirare le arti fi-

gurative. Fidia e Apelle furono rispettivamente il più grande scultore ed il più grande pittore dell’antichità greca.

Analisi del testo I motivi centrali del poema

Il mondo classico non è un paradiso perduto

Il proemio presenta subito alcuni motivi che saranno centrali nel poema: • la bellezza ha una funzione rasserenatrice e catartica ed interviene a purificare la disumanità barbarica della storia (il carme deve «rallegrare» l’Italia, «afflitta di regali ire straniere»); • la bellezza, l’armonia segreta del cosmo, di cui le Grazie sono il simbolo, è rivelata dalla poesia; il verso poetico fonde in sé in modo misterioso e miracoloso le prerogative delle altre arti, la musica e la pittura («l’arcana / armonïosa melodia pittrice»): è il nucleo centrale della poetica neoclassica di Foscolo; • la composizione del poema si traduce simbolicamente in un rituale paganeggiante, di tipico gusto neoclassico (l’altare innalzato alle Grazie); se ne deduce un idoleggiamento dell’antico come mondo di suprema perfezione ed armonia, che il poeta si studia di far rivivere nel presente con la sua opera; • il carattere neoclassico dell’ispirazione è confermato dal richiamo allo scultore Canova, che stava in quel tempo lavorando al marmo delle Tre Grazie e al quale Foscolo si proclama affratellato da un comune indirizzo artistico. Il mondo classico sembra rivivere nelle statue di Canova, da cui emana il senso sacro delle divinità antiche (Venere cinge la sua statua di «immortal lume e d’ambrosia»). Si può verificare direttamente in questi versi quanto si era affermato in precedenza, che per Foscolo il mondo classico non è un paradiso perduto, irrecuperabile: la bellezza antica può rinascere anche nel presente. In questo, Foscolo si distacca dallo struggimento nostalgico con cui i romantici guardano all’antico, come mondo di perfezione ormai irraggiungibile.

Esercitare le competenze COmPReNdeRe

> 1. Riassumi il contenuto del testo in circa 10 righe (500 caratteri). ANALIzzARe

> 2. Quali caratteristiche presenta il luogo in cui il poeta compone la sua opera? Che rapporto si può cogliere tra

questo luogo e il tema del poema? Lessico Individua nel testo i vocaboli e/o le espressioni attraverso cui il poeta definisce le Grazie: quale ritratto di esse ne emerge? > 4. Lessico Quali vocaboli e/o espressioni alludono, seppure non direttamente, alle arti figurative? Con quale funzione? > 5. Lingua Spiega la funzione della proposizione esclamativa posta fra parentesi al verso 21.

> 3.

APPROFONdIRe e INTeRPReTARe

> 6.

Contesto Il tema del “paradiso perduto” è presente nell’Antico Testamento: Adamo ed Eva, progenitori dell’umanità, vennero cacciati dal giardino dell’Eden a causa del peccato. In un percorso di ricerca e documentazione, e con l’aiuto dell’insegnante, confronta questa concezione con visioni analoghe di mondi perfetti e armonici posti alle origini della storia dell’uomo, presenti sia in altre religioni sia in altre culture come quella classica cui Foscolo attinge.

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L’età napoleonica

T14

Il velo delle Grazie dalle Grazie, Inno terzo, vv. 153-196

Temi chiave

• il velo come simbolo dell’ideale dell’armonia

• il distacco sereno dalle passioni Nel regno di Atlantide, Pallade affida alle dee minori sue • un ideale di equilibrata saggezza alunne il compito di tessere un velo alle Grazie; un velo attinta dalla cultura greca così trasparente, chiarisce Foscolo nella Dissertazione, «che non pur non asconde, ma neanche adombra le bellissime forme; e a guisa di amuleto invisibile le difende dal fuoco delle passioni divoratrici». Sul velo spicca un ricamo, «fatto di gruppi, che rappresentano la gioventù, l’amor coniugale, l’ospitalità, la pietà filiale e la tenerezza materna». I fili dell’ordito sono tratti dai raggi del sole e adattati al telaio dalle Ore; Psiche tesse, Iride dà i colori «e Flora li moltiplica in mille varietà di tinte e figure, di che eseguire il ricamo, che Erato le detta cantando». > metro: endecasillabi sciolti.

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versi 153-163 Intreccia fili rosei, o dea profumata, affinché al centro del velo la Giovinezza balli fiduciosa (ardita) fra il coro delle sue speranze: il Tempo percuote con frequenti colpi la sua antica cetra (plettro); e la danzatrice (la Giovinezza) scende una collina (clivo) da cui nessuno può risalire. Le Grazie fanno sorgere (destano) ai piedi della Giovinezza fiori con cui essa intreccerà ghirlande per adornarsi: e quando i tuoi biondi capelli diventeranno grigi (il biondo … t’abbandoni), e non potrai più chiamarti con il tuo nome, i fiori continueranno a vivere, o Giovinezza, ed emaneranno (spireranno) il loro profumo intorno all’urna funeraria. 1. Mesci … fila: a parlare è Erato, la Musa del bel canto, che detta a Flora, dea dei fiori, le figure del ricamo. I fili sono di colore rosa perché è rappresentata la giovinezza.

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Mesci, odorosa Dea, rosee le fila1; e nel mezzo del velo ardita2 balli, canti fra ’l coro delle sue speranze Giovinezza: percote a spessi tocchi antico un plettro3 il Tempo4; e la danzante discende un clivo onde nessun risale5. Le Grazie a’ piedi suoi destano fiori6, a fiorir sue ghirlande: e quando il biondo crin t’abbandoni e perderai ’l tuo nome, vivran que’ fiori, o Giovinezza, e intorno l’urna funerea spireranno odore7. Or mesci, amabil Dea, nivee le fila8; e ad un lato del velo Espero9 sorga dal lavor di tue dita; escono errando fra l’ombre e i raggi fuor d’un mìrteo bosco due tortorelle mormorando ai baci; mirale occulto un rosignuol, e ascolta silenzïoso, e poi canta imenei10: fuggono quelle vereconde al bosco11. 2. ardita: la giovinezza balla con sicurezza, fiduciosa nel futuro. 3. plettro: è propriamente lo strumento con cui si toccano le corde della cetra; è una sineddoche, la parte per il tutto. 4. percote … il Tempo: il tempo inesorabile segna il passare delle ore nella vita degli uomini. 5. la danzante … risale: la collina rappresenta la vita che non può essere rivissuta. 6. fiori: alludono alle gioie dell’età giovanile. 7. quando … odore: i fiori rappresentano il ricordo delle gioie giovanili, che conforterà la vecchiaia; al tempo stesso il ricordo mantiene in vita il defunto nella memoria dei suoi cari ( Dei sepolcri, vv. 29-40, 124-129, T12, p. 121). versi 164-171 Ora intreccia fili bianchi (nivee), o Dea; e ricamato dalle tue dita, da

un lato del velo si delinei (sorga) Espero; due tortorelle escono da un bosco di mirti errando fra le ombre notturne e fra i raggi della luna, tubando (mormorando) mentre si baciano (ai baci); nascosto le guarda (mirale) un usignolo e ascolta in silenzio, e poi canta inni nuziali (imenei); quelle pudiche (vereconde) fuggono a rifugiarsi nel bosco. 8. Or mesci … fila: Erato si rivolge sempre a Flora. Il colore niveo dei fili si addice alla purezza dell’amor coniugale, qui raffigurato nel ricamo. 9. Espero: la stella della sera. 10. escono … imenei: le tortorelle simboleggiano gli sposi; i mirti sono le piante sacre a Venere, dea dell’amore; l’usignolo è il simbolo del poeta. 11. fuggono … bosco: l’amore coniugale deve essere casto e riservato.

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

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Mesci, madre dei fior12, lauri13 alle fila; e sul contrario lato erri co’ specchi14 dell’alba il sogno15; e mandi a le pupille sopite del guerrier miseri i volti de la madre e del padre allor che all’are recan lagrime e voti; e quei si desta, e i prigionieri suoi guarda e sospira16. Mesci, o Flora gentile, oro17 alle fila; e il destro lembo istorïato esulti d’un festante convito: il Genio18 in volta prime coroni agli esuli le tazze19. Or libera è la gioia, ilare il biasmo, e candida è la lode. A parte siede bello il Silenzio arguto in viso e accenna che non volino i detti oltre le soglie20. Mesci cerulee21, Dea, mesci le fila; e pinta il lembo estremo abbia una donna che con l’ombre e i silenzi unica veglia; nutre una lampa su la culla, e teme non22 i vagiti del suo primo infante sien presagi di morte; e in quell’errore non manda a tutto il cielo altro che pianti. Beata! ancor non sa quanto agl’infanti provido è il sonno eterno23, e que’ vagiti presagi son di dolorosa vita24.

versi 172-182 Intreccia ai fili lauri, o madre dei fiori; e sull’altro lato del velo sia raffigurato un sogno fatto all’alba (dell’alba il sogno) che vaga recando specchi; e (il sogno) susciti (mandi) agli occhi assopiti del guerriero i volti angosciati (miseri) dei genitori quando si recano a piangere e a pregare sugli altari (per la vita del figlio in guerra); e questi si sveglia, e guarda i suoi prigionieri e sospira (pietoso). Intreccia oro ai fili, o gentile Flora; e sul lato destro del velo sia raffigurato (istorïato) un festoso convito: il Genio, girando fra i convitati (in volta), incoroni per prime le tazze degli esuli. 12. madre dei fior: Flora. 13. lauri: l’alloro rappresenta la gloria; qui si addice al guerriero vittorioso. 14. specchi: che riflettono nella mente del dormiente vere immagini delle cose. Gli antichi ritenevano veritieri i sogni fatti all’alba. 15. dell’alba il sogno: il complemento di specificazione è anteposto, alla latina. 16. i prigionieri … sospira: l’immagine dei genitori che temono per la sua vita rende il guerriero vittorioso più pietoso verso i suoi prigionieri, al pensiero che anch’essi hanno genitori lontani in ansia per loro. 17. oro: simboleggia la ricchezza e la festosità del convito. 18. il Genio: la divinità che protegge l’ospitalità.

19. coroni … tazze: durante i conviti era uso presso i Greci incoronare di fiori le tazze degli ospiti in segno di buon augurio. versi 183-196 (Nel banchetto) la gioia si manifesta liberamente, il biasimo è espresso in modo amabile e scherzoso, la lode è sincera (candida). In disparte siede leggiadro il Silenzio, arguto in viso, e controlla che le conversazioni non escano dalla sala. Intreccia fili di colore azzurro chiaro (cerulee), o Dea; e il lembo estremo del velo rechi raffigurata (pinta … abbia) una donna che veglia sola nell’ombra e nel silenzio della notte (sulla culla del figlio); alimenta una lampada sopra la culla e teme che i vagiti del suo primo bambino siano preannuncio di morte; e in quel timore infondato (errore) continua a innalzare al cielo i suoi lamenti. (O madre) beata! Non sa ancora che la morte (sonno eterno) è provvida per i neonati, e i vagiti del bambino sono presagi delle sofferenze che dovrà patire in futuro (dolorosa vita). 20. A parte … soglie: la personificazione del silenzio indica la discrezione che deve regnare nelle conversazioni conviviali, per cui quanto si dice non esce dalla sala. Ciò crea confidenza tra i convitati. 21. cerulee: è un colore mesto, intonato alla scena raffigurata. 22. teme non: latinismo, teme che. 23. non sa … eterno: la morte è definita

Edward John Poynter, Erato, musa della poesia, 1870, acquerello su carta, Collezione privata.

provvida perché li preserva dai dolori della vita. Qui Foscolo riprende un tema caro al pessimismo greco, ripetuto più volte dagli antichi poeti lirici e tragici: è meglio per gli uomini non essere mai nati, o appena nati morire al più presto. 24. que’vagiti … vita: è una reminiscenza da Lucrezio, altro poeta dal cupo pessimismo (Sulla natura, V, vv. 226-227: «[il neonato] riempie i luoghi di lugubri vagiti, come è giusto, per chi dovrà patire nella vita tanti mali»).

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L’età napoleonica

Analisi del testo

> Le simbologie del velo e i significati del poema

L’armonia

La temperanza di gioia e dolore

Il messaggio che Foscolo affida alle simbologie del velo delle Grazie è complesso e contiene in sé l’insieme dei significati del poema. Il velo rappresenta l’ideale dell’armonia. Essa consiste innanzitutto in quel distacco sereno che mitiga la forza delle passioni troppo brutali e le purifica (il velo, dice Foscolo, deve difendere le Grazie «dal fuoco delle passioni divoratrici»). Ma essa è anche quel superiore equilibrio che sa temperare l’eccessiva gioia e l’eccessivo dolore che si presentano nella vita dell’uomo. «Smodata gaiezza e dolore profondo sono ignoti alle Grazie»: queste ricordano all’uomo che è stato affidato «alle alterne cure del piacere e del dolore» (Dissertazione di un antico inno alle Grazie); ed ancora, nell’inno secondo, il poeta afferma che le armonie della musica ricordano «come il ciel l’uomo concesse / alle gioie e agli affanni […] / e come alla virtù guidi il dolore / e il sorriso e il sospiro erri sul labbro / delle Grazie». L’armonia è dunque non solo concetto estetico, ma anche etico. Questa ideale temperanza di gioia e dolore è espressa dall’alternarsi delle varie figurazioni del velo: a zone dove prevalgono temi lieti (le due tortorelle innamorate, il convito festante) succedono zone dove dominano temi cupi e dolorosi (il sogno del guerriero, la madre che veglia il fanciullo malato). Ma questa alternanza si presenta anche all’interno delle scene stesse: alle speranze della giovinezza si mescola la consapevolezza del suo sfiorire; col trionfo del vincitore si fondono sia l’immagine della sconfitta e della schiavitù sia la coscienza del precario limite che divide la vita dalla morte; la festosità del convito è temperata dalla presenza degli esuli; la tenerezza materna evoca l’immagine pessimistica del destino inevitabilmente doloroso che attende l’uomo.

> Un ideale di equilibrata saggezza

I sentimenti gentili

Il livello ritmico

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Ne emerge un ideale di equilibrata saggezza, che Foscolo attinge soprattutto dalla cultura greca: un saper godere serenamente le gioie della vita, senza dimenticare la sua fugacità e i dolori di cui è intessuta e l’approdo finale della morte. Proprio questo equilibrio sereno è la negazione di quella passionalità feroce e violenta che è insita nella natura ferina dell’uomo. All’equilibrio che purifica da quegli istinti guida appunto la civiltà. Le raffigurazioni del velo sono anche la celebrazione dei sentimenti gentili e delicati che della civiltà devono essere il fondamento e che offrono la garanzia di una vita più umana: la purezza dell’amore, l’affetto filiale e la pietà per i vinti, l’ospitalità, la fiducia reciproca tra gli uomini, la tenerezza materna.

> La struttura del discorso poetico

L’ideale dell’armonia si riflette nella struttura ritmica e sintattica del discorso poetico. Si può osservare come campione la prima scena (vv. 153-163): sono versi dal ritmo estremamente sciolto e scorrevole, poiché sono rare le pause e le cesure interne: sei versi su undici ne sono del tutto privi (vv. 154, 155, 158, 159, 161, 163); e, si badi, la scorrevolezza del ritmo non scompare neanche quando vengono introdotte le note meste del declinare della giovinezza e della morte («discende un clivo onde nessun risale»): è il segno stilistico di quella temperanza di gioia e mestizia di cui si diceva. Vi è bensì un forte enjambement («Giovinezza» all’inizio del v. 156), ma esso non ha la funzione di spezzare il ritmo, bensì solo di segnare un culmine del movimento lirico-musicale, mettendo in pieno rilievo ritmico-sintattico la parola chiave; lo stesso vale per «la danzante» al termine del verso 157. (Unica eccezione è l’enjambement dei versi 160-161, «biondo / crin», che sembra sottolineare la separazione del colore biondo della giovinezza da quello dei capelli). Inoltre la successione degli accenti ritmici è quanto mai varia e modulata, contribuendo ad accrescere il senso di armonica musicalità.

Capitolo 2 · Ugo Foscolo Il livello sintattico

A livello sintattico sono riconoscibili calibratissime simmetrie. Si noti la costruzione perfettamente simmetrica, complemento di luogo + verbo al verso 154, verbo + complemento di luogo al verso 155 («nel mezzo del velo» / «balli», «canti» / «fra ’l coro»); ai versi 156157 il soggetto, «Giovinezza», è collocato al termine del periodo e all’inizio di verso; il corrispettivo soggetto del periodo seguente, «la danzante», è all’inizio di periodo e a fine verso; il verso 158 è aperto e chiuso da due verbi di senso opposto («discende», «risale»).

Esercitare le competenze COmPReNdeRe

> 1. Proponi una breve sintesi per ogni microsequenza in cui il passo può essere suddiviso, secondo l’esempio proposto.

Sequenza

Sintesi

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vv. 153-158

Erato indica a Flora, come figura del ricamo da porre al ....................................................................................................................................................................................................

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centro del velo, la Giovinezza danzante piena di speranza, ...................................................................................................................................................................................................

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mentre il tempo fugge e la vita non può essere rivissuta. ...................................................................................................................................................................................................

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ANALIzzARe

> 2. Quali dettagli coloristici contraddistinguono le microsequenze individuate nell’esercizio 1? > 3. Stile Quali antitesi si possono osservare nella prima strofa (vv. 153-163)? Quali realtà contrappongono? > 4. Stile Individua le simmetrie sintattiche presenti ai versi 169-170, 174-176, 183-184, 195-196, distinguendo parallelismi e chiasmi. > 5. Lessico Quali riprese lessicali scandiscono l’avvicendarsi dei “quadri”? APPROFONdIRe e INTeRPReTARe

> 6.

esporre oralmente Rintraccia in questo passo i motivi ricorrenti nelle altre opere di Foscolo a te note. In che misura il velo delle Grazie rappresenta il rovesciamento di quella dolorosa realtà storica e autobiografica da cui traggono ispirazione, ad esempio, l’Ortis, i Sonetti e Dei sepolcri? (max 8 minuti) PASSATO e PReSeNTe La bellezza salvifica

> 7.

«La bellezza salverà il mondo. La frase di Dostoevskij non è mai stata così attuale. Perché è proprio quando così tante cose intorno a noi vanno male che bisogna parlare della bellezza del pianeta e dell’uomo che lo abita»1. Bisogna intendersi: la parola “bellezza” assume qui un significato ampio, che non sempre corrisponde all’uso comune. Non è questione di trascorrere la vita ad ammirare i tramonti o la luna piena, tantomeno di dedicarsi ad arricchirla con oggetti futili acquistati in qualche negozio. Piuttosto è il tentativo di ordinare la vita armoniosamente secondo la coscienza di ciascuno, affinché le sue diverse declinazioni, sociale, professionale, intima, materiale, formino un tutto comprensibile. Non si tratta necessariamente di una vita sacrificata a un bell’ideale, né una vita vissuta in conformità a valori giudicati superiori; spesso una vita bella non necessita di fondamenti politici o morali. Ciascuno, qui, determina i criteri della propria riuscita, anche se per questo deve ricorrere a ciò che gli offre la società in cui vive. Torniamo così al punto da cui siamo partiti, l’esperienza di compimento interiore e di pienezza dell’essere. T. Todorov, La bellezza salverà il mondo, trad. it. di E. Lana, Garzanti, Milano 2010

1. «La bellezza … abita»: editoriale della rivista “Canopée”, 1, 2003.

Considerando anche le tesi foscoliane in proposito, commenta l’affermazione del filosofo e saggista bulgaro Tzvetan Todorov esprimendo il tuo parere personale sul concetto di bellezza e confrontandolo in classe con quello dei compagni.

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L’ARTe INCONTRA LA LeTTeRATURA

Immagine interattiva

Le Tre Grazie di Foscolo e Canova Tra l’incompiuto poema Le Grazie di Foscolo e il gruppo scultoreo delle Tre Grazie di Canova si celebra uno dei più esemplari connubi tra arte e letteratura. Entrambi gli artisti mirano infatti al raggiungimento, attraverso le arti, di un’armonia capace di riflettersi sull’universo e di nobilitare l’uomo. Com’è noto, nel 1812-13 Foscolo dedica a Canova, allora intento a scolpire le Tre Grazie, un poema (Proemio, Inno I) nel quale il poeta compendia i termini della propria riflessione morale, civile e filosofica sul tema della bellezza. Se per Foscolo il gusto neoclassico implica in più l’elemento autobiografico del ritorno alle proprie origini, diventando una sorta di cura contro le delusioni dei tempi presenti, per Canova esso rappresenta un puro ideale estetico e formale, sulla scia delle teorizzazioni di Winckelmann.

Antonio Canova, Le Tre Grazie, 1814-17, marmo, Londra, Victoria and Albert Museum.

Protagonista europeo del Neoclassicismo, che ebbe però qualche autorevolissimo detrattore (Roberto Longhi, ad esempio, detestava la gelida perfezione di Canova, «lo scultore nato morto il cui cuore è ai Frari, la cui mano è all’Accademia e il resto non so dove»), tra 1812 e 1814 Antonio Canova (1757-1822) realizza le Tre Grazie per Giuseppina Beauharnais, moglie di Napoleone, lavorando la massa e la superficie del marmo con straordinario virtuosismo. Una copia della scultura, eseguita dal maestro stesso per il duca di Bedford, fu forse vista a Woburn Abbey, presso Londra, da Foscolo. La scultura raffigura Aglaia, Eufrosine e Talia, tre figlie di Zeus che rappresentano castità, bellezza e amore. Allacciate in un leggiadro abbraccio e come accennando appena un passo di danza, le fanciulle rendono visibile e tangibile la virtù dell’armonia capace di vincere le passioni. Nella magistrale esecuzione di Canova, le tre divinità, che paiono sorelle delle sacerdotesse descritte da Foscolo rappresentanti musica, poesia e danza, evocano la atemporalità della bellezza classica e con i loro volti inespressivi, imperturbati e imperturbabili, traducono ad arte il principio del bello ideale.

Esercitare le competenze STAbILIRe NeSSI TRA LeTTeRATURA e ARTI VISIVe

> 1. In relazione a quali aspetti il gruppo marmoreo rimanda al concetto di armonia? > 2. In che cosa consiste, a tuo parere, la bellezza delle tre figure? > 3. Ritieni che lo stile di Canova sia freddo e impersonale, come osservò Longhi, o vivo e coinvol-

gente per lo spettatore? Dopo aver motivato la tua risposta, spiega se la tua riflessione può essere riferita anche ai versi foscoliani analizzati in T14 ( p. 148).

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Capitolo 2 · Ugo Foscolo

Interpretazioni critiche

Vitilio masiello Evasione e politicità nelle Grazie Il critico rifiuta le interpretazioni novecentesche, che insistono sulla «liricità pura» delle Grazie, non compromessa da interessi etici e politici. Riconosce bensì una volontà «evasiva», la volontà di rifugiarsi in un ideale oltremondo di bellezza ed armonia; ma proprio questa volontà si oppone ad un’esperienza Il saggio di Vitilio Masiello ha segnato storica e politica, quella delle guerre aggressive di Napoleone, una tappa importante nell’interpretazione ed assume pertanto il valore di un giudizio critico, di una condelle Grazie, poiché ha messo in luce in testazione del presente e di un’ideale alternativa ad esso. Nel modo molto persuasivo un aspetto che vagheggiamento di un Eden mitico di bellezza Foscolo espriera stato abitualmente trascurato dalla me il suo rifiuto di una società violenta ed oppressiva, in cui si critica, il significato politico del poema. scatenano gli impulsi feroci che sono al fondo della natura dell’uomo, e l’aspirazione ad un ordine più umano che superi quegli impulsi in un vivere più pacifico e razionale. Quindi le Grazie possiedono un oggettivo significato politico. Come si vede, il discorso del critico collega il configurarsi dei temi della poesia foscoliana, nelle loro specifiche forme espressive, con i grandi temi ideologici della riflessione dello scrittore e con la dinamica delle forze in gioco nel momento storico.

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Quella «sapienza sollecita del miglioramento e del perfezionamento della vita sociale», che alimenta sotterraneamente la ragione poetica del carme, non può identificarsi – date le premesse – in un messaggio politico “positivo”, ma fa tutt’uno con una prassi mitopoietica1 che nell’“idoleggiamento” e nella strutturazione di un mitico Eden di bellezza, di perfezione e di armonia trascrive il suo giudizio sul presente, il rifiuto di una società oppressiva e violenta, e correlativamente l’aspirazione ad un più umano ordine del mondo, cui presiedano le arti della pace e le virtù della compassione e del pudore. Il poema non è, nella sua essenza e nel suo significato ultimo, che una celebrazione dei valori della “civiltà” intesa come perenne superamento degli istinti belluini e guerrieri dell’uomo, come assidua ricerca di un’“armonia” la quale si pone come metafora e simbolo di dominio delle passioni egoistiche ed antisociali e fondamento di una più «mite» e razionale, pacata e umana dimensione del vivere, una celebrazione cui la coscienza sempre presente della attuale precarietà di quei valori conferisce intonazione di aspirazione dolente, trasformando l’inno in elegia. […] Lo sfondo, infatti, e il presupposto strutturale su cui si regge l’alta stilizzazione mitografica delle Grazie è costituito dalla angosciata coscienza della naturale ferocia degli uomini, «nati alle prede […] ed alla guerra, e dopo brevi dì sacri alla morte», dalla tragedia dei «figli della terra / duellanti a predarsi». Si tratta di una pessimistica valutazione della condizione umana, a cui l’articolarsi in termini vichiani o comunque antirousseauiani2, e cioè il proiettarsi nella preistoria mitica come nativo e naturale modo d’essere della realtà umana, lungi dal togliere incidenza d’attualità, conferisce la consistenza di un dato assoluto e permanente proprio perché “naturale” e “istituzionale”. […] Così il passato mitico si salda al presente3 nel segno di una ineliminabile eredità di violenza e di sangue che pare presiedere, oggi non meno di ieri, all’organizzazione della società umana e al rapporto fra i popoli.

1. prassi mitopoietica: procedimento di creazione di miti. 2. vichiani … antirousseauiani: Vico nella Scienza nuova aveva rappresentato l’uma-

nità primitiva nella sua ferocia bestiale; Rousseau asseriva invece la bontà dell’uomo allo stato di natura. 3. passato … presente: allude ai versi 102-

150, in cui la rievocazione degli uomini primitivi e della loro ferocia richiama a Foscolo le guerre presenti.

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L’età napoleonica

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E su questo assillo-orrore del presente violento, così denso di umori storici e di risentimenti politici, ritorna assiduamente il Foscolo, costellandone il poema quasi a sottolineare un riferimento costante all’attualità, rispetto alla quale la contemplazione dell’universo liberato e redento delle Grazie si pone come termine di misura, strumento di “oggettiva” contestazione e ad un tempo come rifugio e evasione. V. Masiello, Il mito e la storia. Analisi delle strutture dialettiche delle «Grazie» foscoliane, in “Angelus Novus”, nn. 12-13, 1969 (ora col titolo Il mito e la storia, in I miti e la storia. Saggi su Foscolo e Verga, Liguori, Napoli 1984)

Esercitare le competenze COmPReNdeRe

> 1. Che cosa intende Masiello per trasformazione di «inno in elegia» (r. 14)? > 2. Perché il critico a proposito della «pessimistica valutazione della condizione umana» (r. 19) fa riferimento a posizioni vichiane e antirousseauiane? Nel rispondere, considera la nota 2.

ANALIzzARe

> 3.

Lessico Analizza e spiega, anche con l’ausilio del dizionario, l’espressione «stilizzazione mitografica» (rr. 15-16). > 4. Lessico Analizza la definizione «strumento di “oggettiva” contestazione» (rr. 30-31) riferita alle Grazie: qual è il significato dell’aggettivo in questo contesto?

APPROFONdIRe e INTeRPReTARe

> 5.

Contesto: storia Delinea il contesto storico sotteso alla composizione delle Grazie, motivando la tesi espressa da Masiello nel brano.

7 Didimo Chierico

Le tragedie

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Altri scritti letterari Un anello essenziale per comprendere il passaggio dalla passionalità incandescente del Foscolo dell’Ortis alla pacatezza del Foscolo delle Grazie, cultore dell’armonia rasserenatrice, è costituito dalla traduzione del Viaggio sentimentale di Laurence Sterne, e soprattutto dalla Notizia intorno a Didimo Chierico che l’accompagna. L’opera di Sterne aveva affascinato Foscolo sin dagli anni giovanili (se ne scorge l’influsso nel progettato romanzo Il sesto tomo dell’io). Ad una traduzione lo scrittore lavorò tra primavera ed estate del 1805, trovandosi nella Francia del Nord al seguito della tentata spedizione napoleonica contro l’Inghilterra; la riprese nel 1812 a Firenze (è il periodo in cui lavora anche alle Grazie) e la stampò nel 1813. La traduzione è attribuita da Foscolo ad un personaggio fittizio, Didimo Chierico, di cui nella Notizia viene tracciato il ritratto. Evidentemente, Didimo non è che l’alter ego di Foscolo stesso, come lo era stato Jacopo Ortis negli anni giovanili. Ma Didimo è un anti-Ortis: quanto Jacopo è appassionato e disperato, tanto Didimo è distaccato dalle passioni, ironico e disincantato. Si esprime in questa figura un bisogno di dominare il mondo passionale, di filtrare una realtà troppo tumultuosa attraverso una più distaccata serenità: è una disposizione d’animo che è strettamente collegata a quella che dà vita alle Grazie, che nascono non a caso nello stesso periodo. La tematica di fondo delle Grazie è anticipata anche dalla più significativa delle tragedie foscoliane, l’Aiace (1810-11): da un lato si colloca il mondo feroce della politica, caratterizzato dall’ambizione di dominio e dalla violenza; dall’altro, attraverso la voce

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

L’Ipercalisse

Il Gazzettino del bel mondo

della moglie di Aiace, Tecmessa, si esprime l’aspirazione ad una società liberata dall’odio e dalla violenza, «educata alla gentilezza, alla pietà, all’amore» (Binni). Foscolo è autore anche di altre due tragedie: già nel 1797 aveva fatto rappresentare a Venezia un Tieste, d’ispirazione alfieriana, in cui però compariva la tematica ossessiva della morte e dell’esilio che caratterizzerà poi l’Ortis; tra il 1811 e il 1813 scrisse ancora la Ricciarda, di ambiente medievale. Nel 1815 la Notizia fu ripubblicata insieme con l’Ipercalisse (il titolo competo è: Didimi Clerici prophetae minimi Hypercalypseos liber singularis, ovvero Il libro singolare dell’Ipercalisse di Didimo Chierico profeta minimo); sempre sotto la maschera di Didimo Chierico, Foscolo scaglia una satira violenta contro i letterati milanesi, con cui era entrato in urto dal 1810. L’opera è scritta in un latino biblico, modellato su quello dell’Apocalisse, a cui si riferisce anche il titolo, che allude al carattere oscuro e cifrato delle allusioni (dal greco kalýpto, “nascondo”). In Inghilterra, nel 1817, Foscolo si dedicò poi al Gazzettino del bel mondo: sotto forma di lettere, doveva trattare dei costumi, delle istituzioni, della letteratura inglese ed italiana, ma rimase incompiuto.

Mr Yorick e Maria, XIX secolo, olio su tela dall’incisione di Thomas Stothard per Il viaggio sentimentale di Laurence Sterne, Bradford-on-Avon (Inghilterra, Regno Unito), Westwood Manor.

T15

didimo Chierico, l’anti-Ortis dalla Notizia intorno a Didimo Chierico

Temi chiave

• il poeta che tenta di vedersi con distacco • la difficoltà di raggiungere la saggezza • l’atteggiamento scettico e privo di slancio • il culto della gentilezza e della grazia

Didimo era il nome di un grammatico dell’età ellenistica, con cui Foscolo sembra alludere ironicamente alla propria erudizione filologica; «chierico» deriva dal fatto che il personaggio era stato avviato da fanciullo al sacerdozio, senza poi però assumere gli ordini sacri, ed allude forse alla sacralità della figura del letterato, «sacerdote» della poesia.

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XII. Ora dirò de’ suoi costumi esteriori. Vestiva da prete; non però assunse gli ordini sacri, e si faceva chiamare Didimo di nome, e chierico di cognome; ma gli rincresceva sentirsi dar dell’abate. Richiestone, mi rispose: La fortuna m’avviò da fanciullo al chiericato; poi la natura mi ha deviato dal sacerdozio1: mi sarebbe rimorso l’andare innanzi, e vergogna il tornarmene addietro: e perché io tanto quanto disprezzo chi muta istituto di vita, mi porto in pace la mia tonsura e questo mio abito nero: così posso o ammogliarmi,

1. La fortuna … sacerdozio: l’avvio alla carriera ecclesiastica proveniva da spinte ester-

ne, non da vocazione; la sua natura lo aveva poi allontanato dal sacerdozio.

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o aspirare ad un vescovato. Gli chiesi a quale de’ due partiti2 s’appiglierebbe. Rispose: Non ci ho pensato; a chi non ha patria non istà bene l’essere sacerdote, né padre. Fuor dell’uso 3 de’ preti, compiacevasi della compagnia degli uomini militari. Viaggiando perpetuamente, desinava a tavola rotonda con persone di varie nazioni; e se taluno (com’oggi s’usa) professavasi cosmopolita, egli si rizzava 4 senz’altro. S’addomesticava alle prime 5; benché con gli uomini cerimoniosi parlasse asciutto; ed a’ ricchi pareva altero: evitava le sette e le confraternite6; e seppi che rifiutò due patenti7 accademiche. Usava 8 per lo più ne’ crocchi delle donne, però ch’ei le reputava più liberamente dotate dalla natura di compassione e di pudore; due forze pacifiche le quali, diceva Didimo, temprano sole tutte le altre forze guerriere 9 del genere umano. […] XIII. Dissi che teneva chiuse le sue passioni; e quel poco che ne traspariva, pareva calore di fiamma lontana. A chi gli offeriva amicizia, lasciava intendere che la colla cordiale, per cui l’uno si attacca all’altro, l’aveva già data a que’ pochi ch’erano giunti innanzi 10. Rammentava volentieri la sua vita passata, ma non m’accorsi mai ch’egli avesse fiducia ne’ giorni avvenire o che ne temesse. Chiamavasi molto obbligato a un Don Iacopo Annoni curato, a cui Didimo aveva altre volte servito da chierico nella parrocchia d’Inverigo11: e stando fuori di patria, carteggiava12 unicamente con esso. Mostravasi gioviale e compassionevole, e benché fosse alloramai intorno a’ trent’anni, aveva aspetto assai giovanile; e forse per queste ragioni Didimo tuttoché13 forestiero, non era guardato dal popolo di mal occhio, e le donne passando gli sorridevano, e le vecchie si soffermavano accanto a una porticciuola a discorrere seco, e molti fantolini, de’ quali egli si compiaceva, gli correvano lietissimi attorno. Ammirava assai; ma più con gli occhiali, diceva egli, che col telescopio14: e disprezzava con taciturnità sì sdegnosa da far giusto e irreconciliabile15 il risentimento degli uomini dotti. Aveva per altro il compenso di non patire d’invidia, la quale in chi ammira e disprezza non trova mai luogo. E’ diceva: La rabbia e il disprezzo sono due gradi estremi dell’ira: le anime deboli arrabbiano; le forti disprezzano: ma tristo e beato chi non s’adira 16!

2. due partiti: ammogliarsi o aspirare al vescovato. 3. Fuor dell’uso: contrariamente alle abitudini. 4. si rizzava: si alzava dal tavolo allontanandosi. Indica l’avversione agli atteggiamenti cosmopoliti e l’attaccamento alla patria. 5. S’addomesticava alle prime: era facilmente disponibile a far conoscenze. 6. sette … confraternite: le consorterie chiuse, specie quelle in cui amano riunirsi i letterati. 7. patenti: titoli. 8. Usava: frequentava.

9. guerriere: aggressive, violente. 10. la colla … innanzi: vale a dire che Didimo ha pochi veri amici e di antica data. 11. Don Iacopo Annoni … Inverigo: sacerdote amico di Foscolo. Inverigo è un paese della Brianza, non lontano da Milano. 12. carteggiava: teneva un rapporto epistolare (carteggio). 13. tuttoché: benché. 14. più con gli occhiali … telescopio: era più interessato alle cose vicine, comuni, che non a quelle lontane, rare ed eccezionali.

15. da far … irreconciliabile: da attirarsi a ragione e in modo non conciliabile il risentimento dei letterati. Vi è probabilmente un’eco delle recenti polemiche con l’ambiente letterario milanese, contro cui scrisse l’Hypercalypsis. 16. ma tristo … s’adira: la massima è molto densa ed oscura. Forse il senso è: chi non si adira è felice, perché non turba la sua serenità, ma anche miserabile, perché non prova sdegno magnanimo contro ciò che è vile e indegno.

Pesare le parole S’appiglierebbe (r. 7)

> Appigliarsi significa “afferrarsi, attaccarsi”, in senso sia ma- > L’appiglio è un punto d’appoggio e di sostegno (es. l’alteriale (es. mi sono appigliato al suo braccio per non cadere dalle scale), sia figurato (es. l’avvocato si appigliò ai cavilli più sottili per cercare di salvare l’imputato; si appiglia a tutti i pretesti per non andare a scuola). Deriva da ad- e pigliare, che a sua volta viene dal latino volgare piliàre, derivato da una voce del latino tardo, pilàre, “rubare”.

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pinista non trovò gli appigli per arrampicarsi sulla parete di roccia), o, in senso figurato, un pretesto (es. cerca tutti gli appigli per giustificare il suo operato). Piglio vuol dire “espressione, atteggiamento” (es. il preside rimproverò gli allievi con un piglio severo).

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

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XIV. Insomma pareva uomo che essendosi in gioventù lasciato governare dall’indole sua naturale17, s’accomodasse, ma senza fidarsene, alla prudenza mondana18. E forse aveva più amore che stima per gli uomini; però non era orgoglioso né umile. Parea verecondo19, perché non era né ricco né povero. Forse non era avido né ambizioso, perciò parea libero. Quanto all’ingegno, non credo che la natura l’avesse moltissimo prediletto, né poco. Ma l’aveva temprato in guisa da non potersi imbevere degli altrui insegnamenti; e quel tanto che produceva da sé, aveva certa novità che allettava, e la primitiva ruvidezza che offende. Quindi derivava in esso per avventura20 quell’esprimere in modo tutto suo le cose comuni; e la propensione di censurare21 i metodi delle nostre scuole. Inoltre sembravami ch’egli sentisse non so qual dissonanza nell’armonia delle cose del mondo: non però lo diceva. Dalla sua operetta greca22 si desume quanto meritamente si vergognasse della sua giovanile intolleranza. Ma pareva, quando io lo vidi, più disingannato che rinsavito; e che senza dar noia agli altri, se ne andasse quietissimo e sicuro di sé medesimo per la sua strada, e sostandosi spesso, quasi avesse più a cuore di non deviare che di toccare la meta. Queste a ogni modo sono tutte mie congetture.

17. governare … naturale: guidare dalla propria indole naturale, abbandonandosi alle passioni spontanee.

18. prudenza mondana: la cautela richiesta dai rapporti sociali. 19. verecondo: misurato. 20. per avventura: forse.

21. censurare: criticare, condannare. 22. operetta greca: Foscolo finge di aver ricevuto da Didimo delle memorie manoscritte in greco.

Analisi del testo

> Ortis e didimo

Didimo, nuovo alter ego di Foscolo

Un lucido distacco

Con Didimo Chierico Foscolo propone di se stesso una nuova maschera, dopo quella di Jacopo Ortis. Ma, come ha notato Fubini, con Jacopo Foscolo parlava in prima persona, si confessava direttamente, con Didimo invece parla in terza persona, come se si riferisse ad un estraneo: il nuovo personaggio non è più strumento di una confessione immediata, ma di un tentativo di vedersi con distacco, da una prospettiva estraniata. Ciò si confà alla nuova condizione intellettuale di Foscolo. Ortis era un personaggio estremo, che toccava il fondo della passionalità e della disperazione nichilistica; perciò, come si è visto, la sua morte era come un sacrificio liberatorio che consentiva allo scrittore di proseguire per altre vie. A quella passionalità subentra un più lucido distacco, un più sicuro dominio. A dire il vero, Didimo conserva gli ideali dell’eroe giovanile: l’amor di patria (si allontana sdegnato se qualcuno si proclama cosmopolita e soffre la condizione di esule che lo esclude dalla normalità della vita), il senso fiero della propria indipendenza e libertà, il disdegno per la viltà e la bassezza d’animo. Ma tende a dominare le passioni; quel poco che ne traspare sembra «calore di fiamma lontana». Si vergogna della «giovanile intolleranza» e non si abbandona più alla forza della sua indole naturale, ma si adatta alle esigenze della «prudenza mondana». Non si può dire tuttavia che sia approdato ad un’olimpica saggezza: è «più disingannato che rinsavito», non ha fiducia nell’avvenire, anche se non ne ha paura; si adatta sì alla prudenza mondana, ma «senza fidarsene». Sente ancora, come Ortis, una «dissonanza nell’armonia delle cose del mondo», ma invece di contrapporsi ad essa con atteggiamento eroicamente combattivo, si limita a tacere. Non ha una meta sicura verso cui indirizzarsi e si limita a «non deviare» dalla linea che si è assunta.

> Le virtù pacifiche e moderatrici La «compassione» e il «pudore»

Il distacco, più che da serena saggezza, sembra dunque derivare da disinganno e da scetticismo, da una perdita di slancio e di fiducia operativa. Unico risarcimento a questa disillusione sono le virtù consolatrici della «compassione» e del «pudore», le sole «forze paci157

L’età napoleonica

La consonanza con le Grazie

fiche» che moderano «tutte le altre forze guerriere del genere umano». Perciò egli stesso pratica studiatamente tali virtù: è «gioviale e compassionevole» e, pur non stimando gli uomini, ha amore per essi e per la loro infelicità; per questo ama frequentare le donne e i bambini, le creature più lontane dalla ferocia aggressiva che è propria del genere umano. In questo culto dei sentimenti miti e gentili, in contrapposizione agli istinti “guerrieri” dell’uomo, si può cogliere una perfetta consonanza con i princìpi ispiratori delle Grazie. Anche lo stile è ben diverso da quello dell’Ortis: non più l’eloquenza appassionata ed irruente, ma massime concise, allusive, pervase di umorismo.

Esercitare le competenze COmPReNdeRe

> 1. Quali notizie vengono fornite sulla formazione di Didimo, sulle sue frequentazioni e amicizie, sul suo rapporto con il passato e con il futuro, sul suo atteggiamento intellettuale e sulla sua indole?

ANALIzzARe

> 2.

Stile In quali punti del testo la voce narrante sottolinea che le osservazioni su Didimo sono frutto di congetture e di impressioni personali? Quale effetto produce questa impostazione del discorso?

APPROFONdIRe e INTeRPReTARe

> 3.

Scrivere

Didimo è l’anti-Ortis, o per meglio dire l’Ortis sopravvissuto, divenuto letterato, traduttore, commentatore, meglio disposto alla indulgenza verso di sé e verso gli altri, ma con nell’animo gli ideali e i sentimenti di un giorno: un Ortis, che, scrutato a fondo, si rivela, a dire del suo autore, “più disingannato che rinsavito”. M. Fubini, Ortis e Didimo, Feltrinelli, Milano 1963

A partire dal giudizio critico, rileva la distanza che separa Ortis da Didimo a livello caratteriale, sentimentale, ideologico, nell’approccio con la vita e con i propri simili in un testo di circa 10 righe (500 caratteri). > 4. esporre oralmente «Sembravami ch’egli sentisse non so qual dissonanza nell’armonia delle cose del mondo» (rr. 45-46): rifletti sulla modernità di questa affermazione, che segna il tramonto dell’Illuminismo (da cui trae peraltro le sue premesse ideologiche) e l’affiorare di una nuova sensibilità. PASSATO e PReSeNTe Quale modello?

> 5. Quali aspetti del carattere e della personalità di Didimo Chierico ti sembrano apprezzabili? Quali non con-

dividi? Come giudichi il suo atteggiamento nei confronti dei rapporti e delle convenzioni sociali? Ti rispecchi maggiormente nel temperamento di Didimo o in quello di Jacopo Ortis? Discutine in classe con i compagni e l’insegnante.

8 Le lezioni pavesi

158

Lo studioso e il critico All’attività di poeta Foscolo alternò sempre quella dello studioso, del filologo, del critico. Si è già citato il vasto corpus filologico dedicato nel 1803 alla Chioma di Berenice di Callimaco tradotta in latino da Catullo, che presenta un imponente apparato dottrinale. Al gennaio-giugno del 1809 risalgono le lezioni tenute per la cattedra di Eloquenza a Pavia: l’orazione inaugurale, Dell’origine e dell’ufficio della letteratura, due lezioni Su la letteratura e la lingua, tre Della morale letteraria ed infine l’orazione Sull’origine e i limiti della giustizia. Sono le espressioni più alte della riflessione letteraria di Foscolo: centrale è in esse l’idea della funzione etica, civile e politica del letterato.

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

Foscolo critico

Testi • L’armonia

da Principi di critica poetica • Francesca da Rimini dal Discorso sul testo del poema di Dante

Nell’Orazione inaugurale vi è la famosa esortazione «alle storie», alla riscoperta delle memorie nazionali per il costituirsi della coscienza civile e patriottica degli Italiani. L’attività di critico letterario di Foscolo si colloca prevalentemente durante l’esilio londinese. Lo scrittore vi si dedicò per ragioni di sopravvivenza, pubblicando dietro compenso, su riviste inglesi, saggi dedicati alla letteratura italiana. Ricordiamo il Discorso sul testo del poema di Dante, i Saggi sul Petrarca, le Epoche della lingua italiana, il Discorso storico sul testo del Decamerone. Oltre che dei classici, Foscolo si occupò anche della letteratura contemporanea: nel saggio Della nuova scuola drammatica in Italia (1826) prese posizione polemica contro la scuola romantica, condannando le tragedie di Manzoni in nome di un rifiuto della poetica del “vero” e di una poesia che trasfiguri la piatta realtà attraverso la finzione e l’immaginazione. La critica foscoliana è di grande importanza storica, perché segna il distacco da un tipo di critica erudita, retorica e precettistica che dominava nel Settecento e l’inizio di una considerazione storicistica dei fatti letterari, che vengono visti come espressione di una personalità e di un’epoca storica.

Facciamo il punto L’eSPeRIeNzA dI VITA

1. Verifica in quale modo l’esperienza autobiografica è presente all’interno della produzione foscoliana. 2. Descrivi le principali vicende biografiche che caratterizzano da una parte l’impegno civile e politico di

Foscolo, dall’altro la sua esperienza “accademica”. 3. Quale fu l’atteggiamento prevalente di Foscolo nei confronti del potere napoleonico? 4. Quale rilievo ebbe l’esperienza dell’esilio nella biografia del poeta? 5. Il ritratto che Foscolo ha lasciato di sé nelle proprie opere corrisponde al Foscolo reale? Quali sono le eventuali differenze? LA FORmAzIONe

6. Individua dall’esame delle opere di Foscolo gli autori (sia antichi, sia cronologicamente più vicini)

che costituiscono un suo modello sia per quanto riguarda l’espressione letteraria sia per la figura d’intellettuale. 7. Il materialismo e il sensismo settecentesco, nonché il classicismo, costituiscono le matrici culturali di Foscolo: verifica come queste concezioni influenzino la produzione dell’autore. IL mOdeLLO d’INTeLLeTTUALe

8. Qual è il ruolo che secondo Foscolo compete all’intellettuale? Le OPeRe

9. Rifletti sui vari generi letterari praticati da Foscolo (romanzo epistolare, sonetti, odi ecc.) e cerca l’even-

tuale corrispondenza tra queste scelte formali, i temi trattati e le occasioni di scrittura. 10. Individua gli elementi illuministici, classicisti e romantici presenti nell’opera di Foscolo. 11. Segui all’interno della produzione di Foscolo l’evoluzione dei concetti di morte e di sepolcro. 12. Verifica come all’interno delle varie opere Foscolo rappresenti aspetti diversi della natura. 13. In quasi tutti i testi di Foscolo si parla del ruolo del poeta e della poesia: verifica, testo per testo, come questi temi vengano affrontati e quale poetica ne emerga. 14. Rintraccia nell’Ortis, nelle Odi e nelle Grazie quali valori il poeta attribuisca alla bellezza femminile celebrata attraverso ricercate immagini mitologiche. 15. La concezione della storia in Foscolo. Rifletti in particolare sull’influenza esercitata da Vico, Hobbes, Rousseau.

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Che COSA CI dICONO ANCORA OGGI I CLASSICI

Foscolo LA SOPRAVVIVeNzA deLLA bARbARIe PRImITIVA Il ripresentarsi dei problemi nella storia I temi toccati da Foscolo, come la memoria delle glorie del passato o la bellezza eternatrice, agli occhi di un ragazzo di oggi possono sembrare lontani ed estranei, confinati in un’epoca remota e puramente retorici. In realtà quei temi letterari e filosofici nascono da un confronto diretto e appassionato del poeta con i problemi della sua epoca, quindi non hanno nulla di retorico e di libresco, anzi risultano estremamente vivi, in quanto frutto di un’esperienza intensamente vissuta; non solo, ma presentano cospicue analogie con temi che scaturiscono dalla realtà odierna, perché certi nodi problematici, sia pure in forme diverse, si ripresentano nel corso della storia. La follia della guerra Un tema centrale della meditazione e della poesia foscoliane è certamente attuale: il persistere nell’uomo di una barbarie ferina primitiva, che lo induce a comportamenti aggressivi e sopraffattori verso i propri simili e soprattutto lo spinge alla follia della guerra, che è sempre guerra fratricida. Il valore di questa visione foscoliana è immediatamente percepibile oggi, quando il mondo è lacerato da continue e diffuse guerre locali, in cui si manifestano le tendenze più feroci e disumane, con bombardamenti indiscriminati e stragi di civili, compresi i bambini, città rase al suolo, popolazioni costrette a lasciare le loro terre, decapitazioni, uomini arsi vivi, donne ridotte in schiavitù, opere d’arte plurimillenarie distrutte.

I FATTORI dI INCIVILImeNTO Contro questi impulsi belluini Foscolo invoca i fattori che hanno portato all’incivilimento, e che dovrebbero ancora aver la forza di allontanare l’uomo moderno da quella barbarie primordiale. Tali fattori per lui sono innanzitutto le istituzioni basilari della società, la famiglia, la giustizia e la religione («nozze», «tribunali» e «are», che un tempo consentirono alle «umane belve» di divenire civili, come affermano i Sepolcri). Il patrimonio del passato Alle istituzioni si aggiunge il patrimonio del passato trasmesso grazie alla memoria e l’azione della letteratura e delle arti, che possiedono

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un’insostituibile efficacia civilizzatrice nel domare le passioni più feroci, nell’inculcare il senso della pietà, il rispetto umano e la solidarietà verso gli altri, la comprensione, la gentilezza, i sentimenti più miti. L’educazione alla pace Sono strumenti che attraverso l’istruzione dovrebbero sempre educare l’umanità a tutelare un bene supremo come la pace, senza la quale è inevitabile la regressione verso il buio primordiale, ma che dovrebbero anche contribuire a combattere gli impulsi al predominio e alla sopraffazione che affliggono le nostre società, lacerate da duri conflitti economici e sociali anche quando non vi è in atto alcuna guerra combattuta con le armi.

POSTmOdeRNITà e SeNSO deLLA STORIA L’appiattimento sul presente L’insistere sull’importanza delle memorie del passato, che percorre i Sepolcri, può avere un particolare valore nell’epoca in cui viviamo, la postmodernità, che inclina ad azzerare la storia, ad appiattire il suo corso in un eterno, fasullo presente. Un appiattimento di cui sono vittime soprattutto i giovani, che spesso non hanno la nozione della profondità storica, il senso del divenire, e perciò possono essere indotti a credere che la realtà che vivono sia l’unica realtà possibile, vanificando così ogni occasione di cambiamento. Di conseguenza l’azzeramento della storia priva i giovani non solo del passato e della sua lezione vitale, ma anche del futuro e delle sue potenzialità. La possibilità del cambiamento La trasmissione delle memorie serve proprio per offrire concretamente la percezione di questo divenire incessante, per ridare il senso della possibilità di un cambiamento. In effetti il discorso condotto nel carme foscoliano, se esalta la funzione delle memorie del passato, è poi soprattutto un messaggio rivolto al futuro, una vigorosa profezia del riscatto necessario del paese dalla sua decadenza e dalla sua abiezione presenti.

IL VALORe ATTUALe deLLA CLASSICITà Anche il culto della classicità che contrassegna la visione foscoliana è particolarmente importante oggi, quando vediamo che spesso quel patrimonio classico viene considerato con sprezzante sufficienza dall’opinione corrente e ritenuto qualcosa di superato, non più attuale, inutile, in nome dei dominanti miti tecnologici e produttivistici. Si è arrivati a processare

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

il tipo di scuola, il liceo classico, che in Italia è il principale detentore di quel patrimonio, condannandolo perché oggi si esigerebbero ben altre competenze, soprattutto scientifiche e tecniche. La funzione formativa della cultura classica Si ignora così proprio il valore delle memorie del passato, nel senso precisato prima, ma anche l’insostituibile funzione formativa delle lingue e delle letterature classiche nel fornire lo spirito critico e gli strumenti logici e analitici, che possono poi essere impiegati in qualunque altro campo (nonché proprio in una lettura critica dei miti dominanti dell’epoca).

LA deLUSIONe STORICA Un altro tema centrale dell’opera foscoliana è la delusione storica patita dal poeta nel passaggio dall’età rivoluzionaria al dispotismo napoleonico, che ha negato i suoi ideali di un rinnovamento profondo delle istituzioni politiche e sociali, del costume, della mentalità, della cultura. Altre delusioni storiche Una delusione analoga hanno subìto coloro che hanno vissuto le stagioni dell’antifascismo e della Resistenza e hanno confidato in una

Italia totalmente nuova, vedendo poi smentite le loro speranze dalla situazione politica e sociale instauratasi nel dopoguerra. E ancora una delusione ha conosciuto la generazione successiva, quella che nel Sessantotto ha di nuovo sperato in un altro radicale rinnovamento. Una terza delusione, se si vuole, è stata quella seguita alla crisi della cosiddetta «Prima Repubblica», in conseguenza del venire alla luce, nel 1992, di una profonda e sistematica corruzione del sistema politico, per cui si confidava in una pulizia generale che desse inizio a una vita civile più corretta e più degna (e sappiamo tutti come è andata a finire, con gli scandali che si susseguono oggi con impressionante frequenza e svelano una corruzione ancora diffusa e persistente). Nichilismo e rivolta oggi Tutta una serie di aspetti della realtà presente può far sentire vicina la delusione storica foscoliana, anche se maturata in tutt’altra situazione, e far comprendere il senso di sconfitta del poeta, persino il nichilismo disperato e autodistruttivo di un eroe come Jacopo Ortis, insieme con i suoi appassionati quanto sterili empiti di rivolta: ci riferiamo, oltre al trionfare apparentemente inarrestabile della corruzione, al fatto che le distanze sociali anziché diminuire si acuiscoFranklin McMahon, Giovani manifestanti contro la guerra, XX secolo, illustrazione.

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L’età napoleonica

no, all’ampliarsi della fascia di popolazione che vive sotto la soglia della povertà, al persistere di un’angosciosa disoccupazione, alla penetrazione sempre più capillare delle varie mafie nel tessuto economico e politico, al diffondersi del qualunquismo e dell’indifferenza, che rischiano di compromettere la compagine democratica. L’esilio oggi Così possiamo capire più intimamente il tema dell’esilio in Foscolo, il suo sentirsi esule in patria, a causa della mancanza di un tessuto sociale degno di questo nome in cui inserirsi. È un sentimento di esilio che è simile a quello di tanti giovani che, pur dotati di talento e di titoli di studio, oggi non trovano l’occasione di inserirsi nel mercato del lavoro e vengono relegati ai margini della società, nella disoccupazione o in lavori precari, mal pagati e non confacenti alle loro competenze; o che patiscono realmente una forma di “esilio”, essendo costretti a emigrare in altri paesi che offrano possibilità di impiego adeguate alla loro preparazione, spesso eccellente.

UNA LezIONe IN POSITIVO L’impegno a cambiare Ma da Foscolo viene anche un’altra lezione, in positivo: una visione della vita energica, attiva, che spinge a combattere la rassegnazione, fonte solo di inerzia, di passività, di indolenza. Nel suo percorso il poeta superò la fase nichilistica di Jacopo Ortis, arrivando nei Sepolcri a prospettare la possibilità di un’azione positiva nella storia, che la delusione storica della rivoluzione lo aveva indotto a negare. Ed è un messaggio ancora valido, uno stimolo a non ripiegarci anche noi nella rassegnazione dinanzi ai tanti aspetti deprimenti della realtà odierna, a non lasciarci sopraffare dalla tentazione del disinteresse e della non partecipazione, a lottare per cercare di cambiare lo stato di cose presente: sia con l’apporto magari minimo che può dare l’individuo sia partecipando a momenti collettivi di socialità, tra cui il voto (che, si ricordi, secondo il dettato costituzionale non è solo un diritto ma anche un dovere del cittadino). La critica alla società A tal fine il poeta ci offre l’esempio di una lucida critica dei mali della società a lui contemporanea. Basti pensare al quadro dell’Italia napoleonica tracciato nell’Ortis dal personaggio di Parini, nella lettera del 4 dicembre: «una indolente vilissima corruzione», «i delitti di tanti uomiciattoli […] ladroncelli, tremanti, saccenti», «le lettere prostituite»; e nei Sepolcri si ricordi la polemica contro la smania di arricchimento, contro il pavido servilismo verso il potere («e sien mi-

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nistri al vivere civile / l’opulenza e il tremore»), contro l’inadeguatezza della classe dirigente («il dotto e il ricco ed il patrizio vulgo»), che non è in grado di esercitare la propria funzione. Anche oggi ogni tentativo di reagire alla crisi e alla decadenza deve partire da un’analisi puntuale e rigorosa delle cause e dei responsabili, deve elaborare un progetto alternativo realistico e praticabile, non limitarsi a generiche deprecazioni e a condanne indiscriminate che fanno di ogni erba un fascio, se non si vuole restare confinati in una protesta puramente negativa e sterile.

LA dImeNSIONe eSISTeNzIALe Il messaggio foscoliano si colloca principalmente in questa dimensione civile, ma non vi manca la dimensione soggettiva, esistenziale. Precarietà della vita e ricerca di stabilità Il poeta ha fortissimo il senso della precarietà e della labilità delle cose umane, della fuga inesorabile del tempo che trasforma tutto, cancella e distrugge senza lasciare traccia. Per questo è alla ricerca di valori che forniscano un punto d’appoggio, una garanzia di stabilità alla vita dell’individuo: tra questi rientrano certo i valori civili prima esaminati, ma anche la letteratura, le arti, la bellezza eternatrice, gli affetti familiari, l’amicizia, il legame con la propria terra «materna», che può confortarci con la prospettiva di accoglierci nel suo «grembo». Anche la memoria, se è importante sul piano pubblico, collettivo e storico, è essenziale per il singolo, perché gli dà l’illusione di sopravvivere dopo la morte nel ricordo delle persone care (ove non abbia la fede in una vita ultraterrena). L’armonia interiore Se l’Ortis, i Sonetti, i Sepolcri contengono l’esempio di un impegno attivo e combattivo con la realtà, nelle Grazie possiamo trovare un altro tipo di messaggio: l’idea di un equilibrio interiore, che nasce sia dalla capacità di dominare le passioni troppo violente, trasferendole in una superiore armonia, sia dalla capacità di temperare fra loro gioie e dolori, senza abbandonarsi eccessivamente alle une o agli altri. La serenità dell’animo Tutto ciò vale a garantire la serenità dell’animo, il riuscire a godere le gioie della vita senza peraltro dimenticare la sua fugacità, i mali sempre in agguato e la morte. È un ideale di saggezza e di equilibrio che proviene dalla lezione dei classici antichi, che per Foscolo possono essere di fecondo esempio anche nella sfera della vita soggettiva, esistenziale, oltre che in quella civile e culturale.

dialoghi immaginari

Foscolo e Parini moderatore Le vostre opere non sono cronologicamente lontane, eppure esprimono speranze e delusioni diverse. (A Parini) Lei, ad esempio, è stato partecipe della grande speranza illuministica di poter cambiare la società, introducendo un programma di graduali riforme.

Parini Io ho creduto che anche la poesia dovesse impegnarsi su problemi concreti, che riguardano direttamente le condizioni di vita degli uomini. Prendete una delle mie odi più conosciute, La salubrità dell’aria. In essa denuncio i pericoli che corre l’ambiente, quando non si rispettano le misure necessarie alla sua difesa; esprimo l’esigenza di bonificare le zone paludose e malsane, allontanandole dalla città, dove la concentrazione degli individui, insieme con la carenza delle misure igieniche, mette in pericolo la salute dei cittadini. Io credo che la poesia, oltre alla piacevolezza della forma, debba proporsi di essere “utile”, di svolgere cioè una funzione sociale a beneficio del prossimo. moderatore In che misura lei, nato da umili origini ma precettore presso cospicue famiglie della Milano che conta, ha preso le distanze dal mondo dell’aristocrazia?

Parini Non ho voluto fare di ogni erba un fascio. Esiste anche un’aristocrazia aperta, favorevole ai cambiamenti e ai miglioramenti sociali; basti pensare, per rimanere all’ambiente milanese, a figure come quelle di Cesare Beccaria, o dei fratelli Verri. È il gruppo di intellettuali che si riuniva nell’Accademia dei Pugni e attorno alla rivista “Il Caffè”; a loro va soprattutto il merito di essersi battuti per tutta una serie di riforme civili, in particolare per una

riforma della giustizia che, nella cosiddetta «età dei lumi» e della ragione, nega ancora i diritti fondamentali dell’uomo, tenendo in piedi sistemi barbari e non più accettabili; mi riferisco ai processi segreti, alla pratica della tortura, alla pena di morte. Io mi sono anche preoccupato dei problemi economici e sociali; ho preso di mira un’aristocrazia in piena decadenza, divenuta oramai una classe improduttiva e parassitaria, non più in grado di comprendere i cambiamenti che stanno avvenendo nella società ma capace solo di ostacolare ogni forma di progresso. Ne ho fatto oggetto di rappresentazione satirica in un mio poemetto, Il giorno, dove fingo di essere il precettore di un «giovin signore» che conduce una vita scioperata e inconcludente, completamente inutile e vuota. moderatore (a Foscolo) In che cosa lei, invece, aveva fiducia?

Foscolo Io ho creduto che il vento di libertà promesso da Napoleone, dopo la Rivoluzione francese, portasse alla liberazione dell’Italia. Invece questi valori sono stati traditi quando Venezia è stata venduta all’Austria con il trattato di Campoformio. Di qui è nato il mio romanzo, Ultime lettere di Jacopo Ortis, che racconta di una duplice delusione, quella amorosa (a questo proposito ho preso spunto da un romanzo di Goethe, I dolori del giovane Werther) e quella politica. moderatore Come si manifestano le reazioni del protagonista?

Foscolo Jacopo vive delle forti passioni e le soffre sulla sua pelle. Prova dei sentimenti purissimi e nobilissimi, ma gli impediscono di esprimerli. Privato della patria e della donna che ama, è costretto all’esilio. Vorrebbe agire, ma è costretto all’impotenza, nella paralisi della volontà e del desiderio. Allora decide di farla finita. 163

L’età napoleonica

moderatore Anche lei, Parini, ha visto disattese e frustrate le sue aspettative?

Parini Beh, sì. Già la Rivoluzione francese aveva spezzato il filo delle nostre speranze in riforme pacifiche e graduali; Napoleone poi, come ha appena detto Foscolo, ha tradito le speranze di quei tanti che avevano creduto in lui. Anch’io, a un certo punto, mi sono tirato indietro: tramontato il progetto “illuminista”, non aveva più senso stigmatizzare i costumi dell’aristocrazia perché si rinnovasse, né proporre rimedi per la cura dei mali sociali. L’Europa viveva ben altre situazioni politiche, le cose erano completamente cambiate. Non sono più riuscito a credere in una letteratura che guardasse all’“utile”, che si facesse espressione di un’idea riformatrice. moderatore Facciamo un gioco. Supponiamo per un momento che lei, Parini, avesse incontrato Jacopo. Che cosa gli avrebbe consigliato, tenendo conto di tutte le esperienze da lei maturate?

Parini Che si rassegnasse, che i tempi erano mutati, che non si poteva più fare nulla. Il mondo in cui viviamo è corrotto, trionfano i malvagi e i buoni devono nascondersi. Non c’è neppure più il coraggio di compiere il male, ma i malvagi sono vili, meschini, si nascondono dietro la loro vigliaccheria. È evidente che la grandezza d’animo di Jacopo non poteva adattarsi a questa situazione, né poteva essere capita. Jacopo tende al sublime, vorrebbe essere un eroe tragico, alfieriano; ma, non potendo compiere il tirannicidio per salvare la patria, volge il pugnale contro di sé e si uccide. moderatore (a Foscolo) Che cosa pensa di questa interpretazione? E quanto ha contato per lei Alfieri?

Foscolo Non posso che essere d’accordo con un vero “maestro” di vita come Parini. Per il resto, Alfieri è stato per me l’esempio più alto di 164

una ricerca della libertà insofferente di vincoli e di costrizioni. C’è in lui l’orgoglio e la rivendicazione di una indipendenza che lo portano a rifiutare ogni forma di servilismo, una magnanimità e nobiltà di sentire che lo spingono a disprezzare i meschini compromessi della gente comune. E poi, insieme con quell’irrequietezza che lo spinge a viaggiare, come se cercasse continuamente qualcosa che non trova, ha avuto un senso profondo dell’italianità, ha difeso la dignità e le gloriose tradizioni del suo paese. Per questo, nei miei Sepolcri, l’ho indicato come l’ultimo dei personaggi gloriosi sepolti in Santa Croce, per ammonire i contemporanei e incitarli a lottare per il loro riscatto. moderatore Qualcuno ha notato, nella vostra opera, che talora si avverte una contraddizione fra gli argomenti trattati, le tematiche affrontate, e la loro forma.

Parini Ho sentito anch’io qualche rimprovero. A proposito delle mie poesie, hanno parlato della modernità dei contenuti, dicendo però che a questa loro originalità, ben radicata nelle problematiche del presente, corrispondeva una forma troppo leggera, cantabile, che si rifaceva ai modi delle canzonette, tipiche della poesia arcadica. Non posso negare la fondatezza di questa osservazione; ma c’è da dire che ero troppo preoccupato di individuare i mali del nostro tempo per cercare anche di rinnovare la forma poetica. Questo per quanto riguarda le Odi; per Il giorno c’è da fare un discorso diverso, e qui, anche da un punto di vista formale, rivendico la consapevolezza e la validità delle mie scelte. Ho rappresentato la giornata del «giovin signore» usando uno stile epico perché l’epica era il genere letterario più gradito al pubblico aristocratico, quello che, con il suo linguaggio altisonante, celebrava le imprese degli eroi; ma io ho applicato questo schema in chiave parodica, per ridicolizzare l’inutilità e il vuoto dei costumi e delle abitudini di vita della nobiltà.

Capitolo 2 · Ugo Foscolo

Ho voluto creare, cioè, un’enorme sproporzione fra la sostenutezza dello stile e la banalità delle azioni che descrive. Un solo esempio, quando dico che la grande potenza spagnola armò la sua flotta e mandò i conquistadores (colpevoli tra l’altro di aver massacrato gli indigeni come se fossero degli animali), solo perché il «giovin signore» potesse gustare, quando si sveglia al mattino, una buona tazza di caffè! moderatore (a Foscolo) Nel suo caso si è notato che l’ideale classicista convive spesso con l’espressione di una sensibilità nuova, che si comincia a definire “romantica”. Non vede in questo una qualche incongruenza?

Foscolo Quello che si potrebbe chiamare il mio “romanticismo” (per usare appunto un termine che sta venendo di moda), riguarda gli aspetti di una passione che non trova modo di essere appagata, che vive nel rimpianto per l’amore impossibile e per una patria che si sente come perduta, che non si potrà mai più raggiungere. È lo stato d’animo che, come dicevo, ho cercato di rappresentare nelle Ultime lettere di Jacopo Ortis, in cui la scelta stessa del romanzo epistolare intende anche sottolineare la forte individualità del protagonista, che, fremendo per le ingiustizie, vorrebbe diventare un eroe come quelli classici (tra i libri che chiede c’è il Plutarco delle Vite parallele), appartenenti a un passato glorioso che non può

far rivivere. Di qui quel senso dell’“esilio” che ho cantato anche nei sonetti, dove tocco gli accenti più alti della mia ispirazione lirica; insieme con questo si avverte il dolore di una perdita irrimediabile, la mancanza di punti di riferimento, l’idea stessa della morte che, secondo la mia concezione materialistica, sarebbe la fine di tutto, se il ricordo delle imprese gloriose non tramandasse alle generazioni future il nome di coloro che hanno lasciato un segno profondo nella storia. È la tematica che ho sviluppato nel lungo “carme” dei Sepolcri, dove – come ho già detto – il culto delle tombe può servire a tenere vive le speranze di un possibile riscatto del nostro paese, sull’esempio dei “grandi” che in esso hanno vissuto e operato. Il mio “classicismo”, voglio concludere, non è un recupero archeologico, non ha nulla a che vedere con quello di un mio collega, ahimè!, che si chiama Vincenzo Monti, un brutto personaggio che non sono mai riuscito a sopportare… Il mio amore per la classicità è strettamente legato a un’idea di modernità, proprio perché nasce dall’insoddisfazione per il presente; ne lamenta le mancanze, ne denuncia la crisi; per questo trova la sola soluzione possibile nel rifugiarsi in un passato insieme semplice e grande, fermo nelle sue linee chiare e sicure. Proprio per fuggire dalle brutture del presente, ho voluto celebrare nelle Grazie (un poemetto che devo ancora concludere) il mito antico della bellezza, limpida e pura, eterna e immutabile.

165

L’età napoleonica

Ripasso visivo

UGO FOSCOLO (1778-1827) Mappe interattive

Ripasso interattivo

eLemeNTI bIOGRAFICI

• Nato nel 1778 a Zante da famiglia greco-

veneziana, si trasferisce prima a Spalato, poi, dopo la morte del padre, a Venezia, dove avviene la sua formazione letteraria e quella politica giacobina • Si rifugia sui colli Euganei per sfuggire alla polizia di Venezia; all’arrivo di Napoleone in Italia, lo accoglie come un liberatore. Poi si reca a Bologna, arruolandosi nelle truppe della Repubblica cispadana

• Tornato a Venezia, deluso dal Trattato di Campoformio, si trasferisce a Milano. Ottiene la cattedra di eloquenza a Pavia • Si trasferisce a Firenze e poi a Milano, dove rifiuta una collaborazione con una rivista filo-austriaca • Va in esilio in Svizzera e a Londra, dove muore in miseria a Turnham Green nel 1827

POeTICA e PeNSIeRO

• I modelli della sua formazione sono i classici latini e

greci, quelli della tradizione italiana (Dante e Petrarca) e i moderni a lui contemporanei (Alfieri e Parini) • Subisce l’influenza del pensiero illuministico e della nuova atmosfera preromantica (Rousseau, Goethe, Macpherson) • Nutre alta considerazione per la letteratura e le arti, che esprimono bellezza (in funzione consolatoria e civilizzatrice)

• Ritiene che la poesia abbia una funzione civile • Avverte la delusione per il tradimento dei suoi ideali operato dal regime napoleonico

• Ha una visione materialistica della realtà e una concezione eroica dell’esistenza

• L’esilio diviene condizione politica ed esistenziale

OPeRe PROSA e SCRITTI CRITICI • Ultime lettere di Jacopo Ortis – modello: Goethe, I dolori del giovane Werther – romanzo epistolare sul rapporto intellettuale-società – prosa aulica ed enfasi oratoria • Notizia intorno a Didimo Chierico – introduzione alla traduzione del Viaggio sentimentale di Sterne – Didimo come alter ego dell’autore, ma anti-Ortis: è distaccato dalle passioni, ironico e disincantato • Lezioni universitarie e testi di critica letteraria – Foscolo si occupa dei classici (Dante e Petrarca), ma anche della letteratura contemporanea (Manzoni)

OPeRe POeTIChe • Odi: 2 componimenti di gusto neoclassico (culto della bellezza ideale e della poesia) • Sonetti: 12 componimenti di sensibilità preromantica su temi autobiografici (esilio, amore, poesia consolatrice, morte)

• Dei sepolcri

• Le Grazie: 3 inni mitologici (a Venere, Vesta e Pallade)

su temi neoclassici: la funzione civilizzatrice della poesia

OPeRe TeATRALI • Tieste: esilio e morte, sul modello di Alfieri • Aiace: scontro tra politica e aspirazioni del singolo • Ricciarda: ambientazione medievale

DEI SEPOLCRI

GeNeRe

• Epistola in versi

(endecasillabi sciolti)

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TemI PRINCIPALI

• Il valore della memoria: la tomba, garanzia

del ricordo dopo la morte, diviene il centro degli affetti familiari e dei valori civili • La funzione della poesia, che sfida l’opera distruttrice del tempo, perpetuando il ricordo degli uomini e delle loro azioni

LINGUA e STILe

• Attenzione agli aspetti ritmici e fonici • Linguaggio elevato e aulico • Varietà di toni: argomentativo, polemico,

descrittivo, lirico, celebrativo, epico, tragico

• Varietà della sintassi, che si adatta alle diverse finalità espressive

In sintesi

UGO FOSCOLO (1778-1827) Verifica interattiva

Carattere fiero, insofferente e passionale, Foscolo incarna le tendenze tipiche della cultura del suo tempo: l’egualitarismo e il materialismo illuministici, le più moderne sollecitazioni del Preromanticismo, il Neoclassicismo. Anche nella sua vicenda biografica, segnata dalla delusione per il fallimento degli ideali rivoluzionari e dall’esilio, si rispecchia la crisi di un’epoca che vide le speranze patriottiche italiane “tradite” dal regime napoleonico e poi soffocate dalla Restaurazione.

LA CULTURA e Le Idee Foscolo si forma nel solco del gusto arcadico, ma presto i suoi orizzonti culturali si fanno più ampi, accogliendo suggestioni dai classici greci, latini, italiani e dai moderni Parini, Alfieri, Rousseau, Goethe, Macpherson. Dall’Illuminismo egli trae non solo l’egualitarismo, ma anche il materialismo, che lo porta a negare ogni forma di trascendenza. L’iniziale ottimismo sulla naturale bontà dell’uomo, derivato da Rousseau, cede presto il posto a una visione più disincantata, influenzata dalle concezioni di Machiavelli e di Hobbes. Il pessimismo sulla natura dell’uomo è tuttavia mitigato dalla fiducia nel valore supremo della bellezza, che attraverso l’arte e la poesia svolge una fondamentale funzione civilizzatrice.

Le ULTIME LETTERE DI JACOPO ORTIS Si tratta della prima opera importante di Foscolo, ispirata ai Dolori del giovane Werther di Goethe, di cui riprende le linee essenziali dell’intreccio, ossia la vicenda di un giovane che si suicida per amore. Come nel modello, la narrazione è svolta attraverso una serie di lettere che il protagonista invia a un amico, cui si aggiungono alcuni interventi dell’amico stesso. Il tema centrale del conflitto tra intellettuale e società, già presente nel Werther, si trasferisce nell’Ortis sul piano politico; lo sradicamento di Jacopo scaturisce infatti dalla mancanza di una patria, dopo il fallimento degli ideali rivoluzionari nell’Italia napoleonica. Il pessimismo di fondo del romanzo è attenuato dalla ricerca di valori positivi, come gli affetti, il culto delle lettere, l’amore per la patria. L’opera ha il merito di aver introdotto nel contesto italiano il modello del romanzo moderno, anche se lo slancio lirico, l’enfasi oratoria e il taglio saggistico prevalgono rispetto alla cura per la costruzione narrativa vera e propria. Tale impostazione condiziona lo stile, caratterizzato dalla tendenza all’aulico e al sublime, dall’uso intenso di procedimenti retorici, dalla sintassi complessa.

ODI e SONETTI Il percorso della poetica foscoliana dall’Arcadia al Preromanticismo e al Neoclassicismo si riflette nella raccolta

delle poesie. Il gusto neoclassico emerge nelle due Odi, pervase dal culto per la bellezza di cui viene esaltata la funzione purificatrice e rasserenante. Più vicini alla sensibilità preromantica sono i dodici Sonetti, che svolgono alcuni temi autobiografici già toccati nell’Ortis, quali l’esilio, emblema di una condizione politica ed esistenziale di sradicamento, la funzione consolatrice della poesia, l’illusione della sepoltura «lacrimata».

I SEPOLCRI È un poemetto in endecasillabi sciolti sotto forma di epistola poetica indirizzata a Ippolito Pindemonte. L’opera riprende una discussione avuta con il destinatario a proposito dell’editto di Saint-Cloud, che aveva imposto di seppellire i morti al di fuori delle mura cittadine e regolamentato le iscrizioni sulle lapidi. L’editto offre al poeta l’occasione per svolgere una densa meditazione filosofica sulla morte e sul significato dell’agire umano: se dal punto di vista razionale è indiscutibile che la morte determini la totale dissoluzione dell’essere, ad essa si può contrapporre l’“illusione” di una sopravvivenza del defunto nel ricordo dei vivi. Il sepolcro è dunque l’emblema della memoria, garantita anche e soprattutto dalla poesia. L’uno e l’altra svolgono infatti un’importante funzione civile e politica, in quanto permettono ai popoli di conservare le proprie tradizioni e tramandare l’esempio dei grandi uomini del passato. Anche se il discorso del carme ha una struttura logica rigorosa, la materia non è esposta in forma argomentativa ma lirica, attraverso immagini e miti e con un linguaggio estremamente elevato ed aulico.

Le GRAzIE Foscolo lavorò a più riprese al progetto di un inno alle Grazie, che prese successivamente la forma di tre inni dedicati rispettivamente a Venere, Vesta e Pallade. L’opera, rimasta incompiuta, si collega ai presupposti neoclassici delle Odi sia nel disegno concettuale, incentrato sull’idea della bellezza di cui le Grazie sono simbolo, sia nello stile armonioso e capace di evocare immagini vivide. Anche in quest’opera, caratterizzata da un impianto allegorico, non mancano i rimandi alla realtà attuale e le implicazioni civili, in quanto alla bellezza viene riconosciuta l’importante funzione di promuovere l’incivilimento dell’umanità e il miglioramento della vita sociale.

Le ALTRe OPeRe Al periodo londinese risale la Notizia intorno a Didimo Chierico che accompagna la versione italiana del Viaggio sentimentale di Laurence Sterne, tracciando un ritratto del traduttore fittizio: Didimo esprime, con la sua indole disin-

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L’età napoleonica

cantata e ironica, quel bisogno di dominare le passioni attraverso una più distaccata serenità che caratterizza anche le Grazie. Tale atteggiamento è già anticipato dalla tragedia Aiace, nella quale affiora l’aspirazione ad una società liberata dall’odio e dalla violenza. Una serie di scritti sono infine riconducibili all’attività di Foscolo come filologo

e critico letterario: questa produzione mostra una posizione critica nei confronti della nascente scuola romantica ma nello stesso tempo segna l’inizio di una considerazione storicistica dei fatti letterari, visti come espressione di una personalità e di un’epoca storica, che sarà tipica del Romanticismo.

bibliografia La critica

` EDIZIONI DELLE OPERE Per la ricerca nel web

È in corso di pubblicazione l’Edizione Nazionale delle opere presso l’editore Le Monnier. Tra le antologie: Opere, a cura di E. Bottasso, utEt, Torino 1948-1950 • Opere, a cura di G. Bezzola, Rizzoli, Milano 1956 • Opere, a cura di L. Baldacci, Laterza, Bari 1962 • Opere, a cura di M. Puppo, Mursia, Milano 1966 • Opere, a cura di F. Gavazzeni, Ricciardi, Milano-Napoli 1974.

` STORIE DELLA cRITIcA

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` STuDI cRITIcI

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PALESTRA DI ALLENAMENTO

PRIMA PROVA TIPOLOGIA A Analisi e interpretazione di un testo letterario italiano

Competenze Analisi interattiva

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Il proprio ritratto Foscolo compose questo sonetto nel 1801, pubblicandolo poi nel 1802, ma lo rimaneggiò successivamente più volte, fino a pochi mesi prima della morte (1827), introducendovi varianti anche significative. Il poeta vi propone un autoritratto, delineando dapprima le proprie caratteristiche fisiche per poi soffermarsi su quelle psicologiche e caratteriali.

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Solcata1 ho fronte, occhi incavati intenti2; crin fulvo3, emunte4 guance, ardito aspetto5; labbro tumido acceso6, e tersi denti; capo chino, bel collo, e largo petto;

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giuste7 membra; vestir semplice eletto8; ratti9 i passi, i pensier, gli atti, gli accenti10; sobrio, umano, leal, prodigo, schietto; avverso al mondo, avversi a me gli eventi;

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talor di lingua, e spesso di man prode11; mesto i più giorni e solo, ognor pensoso; pronto, iracondo, inquieto, tenace;

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di vizi ricco e di virtù, do lode alla ragion, ma corro ove al cor piace: morte sol mi darà fama e riposo.

1. Solcata: rugosa. 2. intenti: attenti. 3. crin fulvo: capelli rossi. 4. emunte: smunte, magre e pallide. 5. aspetto: sguardo. 6. labbro tumido acceso: labbra carnose e rosse. 7. giuste: ben proporzionate. 8. eletto: ricercato, raffinato. 9. ratti: veloci. 10. gli accenti: le parole. 11. talor ... prode: talvolta coraggioso nel parlare, e spesso nell’agire.

COMPRENSIONE E ANALISI

> 1. Aiutandoti con le note fornite, svolgi la parafrasi del componimento. > 2. Come si può giustificare il particolare della fronte «Solcata» (v. 1), considerando che il sonetto fu composto quando il poeta aveva solo ventitré anni?

> 3. Quale verso funge da separazione e contemporaneamente da cerniera tra la descrizione fisica e quella psicologica? Perché?

> 4. Individua nei versi 5-11 la ricchissima serie di aggettivi attraverso i quali il poeta descrive il proprio carattere e chiarisci quale risulta essere la sua componente di fondo.

Puoi rispondere punto per punto oppure costruire un unico discorso che comprenda in modo organico le risposte agli spunti proposti.

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L’età napoleonica

GUIDA ALL’INTERPRETAZIONE Partendo dal sonetto Solcata ho fronte di Foscolo, scrivi un commento che non superi le cinque colonne di foglio protocollo (circa 3500 caratteri): prendi in considerazione tutti gli elementi del testo che ti sembrino significativi ed elabora un discorso coerente e organizzato. Puoi condurre la tua riflessione analizzando alcuni tra i seguenti aspetti: – il modello di eroe proposto dal sonetto, che oscilla tra la concezione classica e quella romantica; – le numerose figure retoriche di posizione (chiasmi, parallelismi, anastrofi, iperbati) presenti nel componimento, che pongono in rilievo precisi termini; – analogie e differenze tra l’autoritratto di Foscolo e quello di Vittorio Alfieri, composto probabilmente nello stesso anno e modello di riferimento per Solcata ho fronte:

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Sublime specchio di veraci detti, mostrami in corpo e in anima qual sono: capelli, or radi in fronte, e rossi pretti; lunga statura, e capo a terra prono;

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sottil persona in su due stinchi schietti; bianca pelle, occhi azzurri, aspetto buono; giusto naso, bel labro, e denti eletti; pallido in volto, più che un re sul trono:

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or duro, acerbo, ora pieghevol, mite; irato sempre, e non maligno mai; la mente e il cor meco in perpetua lite:

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per lo più mesto, e talor lieto assai, or stimandomi Achille, ed or Tersite: uom, se’ tu grande, o vil? Muori, e il saprai.

Sostieni le tue affermazioni con esempi tratti dal testo. Mantenendo il collegamento con il testo che hai analizzato e in riferimento alle tue conoscenze ed esperienze, prosegui il tuo commento scegliendo tra i seguenti spunti: – il rapporto tra poesia, morte e fama nel pensiero e nella produzione foscoliana, anche considerando i seguenti versi dell’autore: «che stai? breve è la vita, e lunga è l’arte; / a chi altamente oprar non è concesso / fama tentino almen libere carte» (Che stai? già il secol l’orma ultima lascia, 1802); «Che se pur sorge di morir consiglio, / a mia fiera ragion chiudon le porte / furor di gloria, e carità di figlio» (Non son chi fui: perì di noi gran parte, 1802); «[…] A noi / morte apparecchi riposato albergo, / ove una volta la fortuna cessi / dalle vendette, e l’amistà raccolga / non di tesori eredità, ma caldi / sensi e di liberal carme l’esempio» (Dei sepolcri, 1807); – l’autoritratto e l’autobiografia come strumenti per la costruzione del proprio personaggio, nella letteratura e nell’arte; – l’autorappresentazione di sé attraverso fotografie e “profili” costituisce un fenomeno dilagante e pervasivo nell’attuale società dell’immagine e delle comunicazioni di massa. Ma, paradossalmente, proprio questo compulsivo rivolgersi a un “pubblico”, spesso indifferenziato e anonimo, denuncia un profondo individualismo e una sostanziale solitudine. Approfondisci il tema facendo eventualmente riferimento ad alcuni esempi.

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PALESTRA DI ALLENAMENTO

PRIMA PROVA TIPOLOGIA B Analisi e produzione di un testo argomentativo

Ambito storico Luigi Mascilli Migliorini

Napoleone: tra storia e mito Luigi Mascilli Migliorini (1952) è professore ordinario di Storia moderna presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale” ed è esperto del periodo napoleonico. Il testo che segue è tratto da un volume dedicato al mito dell’eroe nell’età della Restaurazione.

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Napoleone si presenta […] già agli occhi dei suoi contemporanei come mito piuttosto che come leggenda. “Egli apparteneva – scrive nelle sue Memorie Charles de Rémusat1 – a quella speciale categoria di grandi uomini che perderebbe molto ad essere discussi, che la ragione ridurrebbe alla loro giusta misura, ma che ad essa sfuggirebbero rifugiandosi di buon ora nel dominio dell’immaginazione. La poesia li tiene al riparo dalla storia. Questa metamorfosi in semi-dio mitologico si è realizzata per Bonaparte con una facilità sorprendente in un secolo di critica e di analisi”. […] Scrivendo una Vita di Napoleone Bonaparte fieramente ostile all’Imperatore decaduto Walter Scott mostrava di condividere, dall’altro lato della Manica, l’ispirazione profonda di quelle affermazioni. […] Charles de Rémusat e Walter Scott dividono, dunque, il medesimo stupore: Napoleone è stato, senza dubbio, un fenomeno che non appartiene al proprio tempo, un fenomeno anzi, a voler essere più precisi, nel senso stesso della parola perché egli appare imprevisto e straordinario al di là di ogni possibile orizzonte di attesa. Non con la Rivoluzione, ma piuttosto con Napoleone si può, quindi, affermare che si installi alle origini del mondo contemporaneo un mito di fondazione in grado di superare la successione temporale e di creare un corto-circuito tra antico e moderno. Ciò è, peraltro, reso possibile dal fatto che questo mito trova immediatamente il suo eroe, colui il quale, cioè, si incarica – “si carica” anzi con tutta la pesantezza simbolica assunta da questa espressione – di rendere visibile e comprensibile nei suoi significati molteplici l’evento fondativo. È da notare, infatti […] che l’aspetto più autentico del carattere eroico della figura di Napoleone non sta – come tutti ci attenderemmo – nelle sue eccezionali imprese militari o nella sua azione legislativa, là dove si scoprirebbe, forse, piuttosto un grande uomo che un eroe, ma – come gli Antichi immaginavano fosse compito dell’eroe – in una mediazione simbolica tra cielo e terra, tra le attese palingenetiche2 dell’anno-zero3 della rivoluzione e la realtà della storia. (L. Mascilli Migliorini, Il mito dell’eroe: Italia e Francia nell’età della Restaurazione, Guida Editori, Napoli 2003)

1. Charles de Rémusat: politico e storico francese (1797-1875).

2. attese palingenetiche: ansia di profondo rinnovamento.

3. anno-zero: locuzione usata per indicare l’inizio di un’epoca.

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L’età napoleonica

COMPRENSIONE E ANALISI > 1. Scrivi la sintesi del testo in circa 80 parole.

> 2. Qual è la tesi di fondo sostenuta da Migliorini nel testo? > 3. Quali sono gli elementi che contribuiscono a rendere Napoleone un “eroe”? > 4. Per sostenere la propria argomentazione, l’autore fa riferimento alle Memorie di Charles de

Rémusat. Che cosa intende il politico e storico francese con l’espressione «La poesia li tiene al riparo dalla storia» (rr. 5-6) a proposito della figura di Napoleone?

PRODUZIONE A partire dalle tue riflessioni intorno al passo che hai letto, scrivi un testo argomentativo che non superi le tre colonne di metà di foglio protocollo (circa 2500 caratteri). A tuo giudizio, figure come quella di Napoleone dovrebbero essere studiate privilegiando soltanto gli aspetti storici oppure è giusto che si approfondisca soprattutto la loro ricezione culturale e la loro trasfigurazione mitica, a prescindere dagli eventi reali? Argomenta in modo tale da organizzare il tuo elaborato in un testo coerente e coeso che potrai, se lo ritieni utile, suddividere in paragrafi. Puoi riferirti ad esempi della storia e della realtà attuale, avvalendoti delle tue conoscenze ed esperienze.

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PALESTRA DI ALLENAMENTO

PRIMA PROVA TIPOLOGIA C Riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità Ambito filosofico e sociale argomento

Il concetto di patria nel mondo contemporaneo

L’unica fiamma vitale che anima ancora questo travagliato mio corpo, è la speranza di tentare la libertà della patria. (U. Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis, Milano, 4 dicembre)

Nel romanzo di Foscolo, Jacopo Ortis rivolge queste parole a Giuseppe Parini, incontrato nei giardini di Porta Orientale a Milano. L’amore per la patria è per lui un sentimento acceso e vibrante, in nome del quale sarebbe disposto a sacrificare finanche se stesso. Pensi che questo attaccamento eroico alla propria terra e al proprio popolo sia vivo ancora oggi? Il concetto di patria è rimasto invariato nel tempo oppure ha assunto contorni più ampi e sfumati, coincidendo con realtà sovranazionali come ad esempio l’Europa? Puoi articolare la struttura della tua riflessione in paragrafi opportunamente titolati e presentare la trattazione con un titolo complessivo che ne esprima in una sintesi coerente il contenuto.

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L’età del Romanticismo 1816 -1860 STATI UNITI

STATI UNITI • Nasce a cavallo tra i due secoli la letteratura americana con narratori che mutuano i generi europei: romanzo storico (Cooper), narrativa sentimentale, d’avventura e “nera” (Poe, Melville, Hawthorne). PARIGI • Il manifesto del Romanticismo francese è la prefazione di Hugo alla tragedia storica Cromwell. Significativa la produzione poetica, ma vengono trattati numerosi generi (tragedia, romanzo autobiografico, d’appendice, sociale, sentimentale). Nasce il romanzo realistico moderno con Stendhal e Balzac. Del 1857 è la pubblicazione dei Fiori del male di Baudelaire, spartiacque tra cultura romantica e decadente.

I luoghI della cultura INGHILTERRA • Il manifesto del Romanticismo inglese è la prefazione di Wordsworth alle Ballate liriche: la prima generazione romantica, i “poeti dei laghi”, tratta di persone comuni, la seconda invece (Byron, Shelley e Keats) il conflitto poeta-società ed esplora le esperienze interiori. Si sviluppa il romanzo storico (Scott) che tende al realismo quotidiano.

RUSSIA

GERMANIA • Nasce con la rivista «Athenaeum» il Romanticismo, con il suo recupero delle tradizioni nazionali e popolari, cui si aggiunge il gusto per il fantastico. Grande sviluppo della filosofia (Hegel, Schopenhauer, Marx, che pubblica il Manifesto del Partito Comunista nel 1848).

INGHILTERRA GERMANIA

PARIGI

TORINO • I Savoia sono promotori dell’unificazione nazionale e Torino è la prima capitale d’Italia. D’Azeglio scrive, oltre a un’opera di memorialistica, un romanzo storico, emulando Manzoni.

TORINO

MILANO

MILANO • Nasce il Romanticismo lombardo (il cui manifesto è la Lettera semiseria di Berchet) che si esprime nel «Conciliatore», portavoce delle nuove idee. Da qui si diffonde un’ideologia democratica (Cattaneo), e una, più influente, moderata (Manzoni). In questa città Manzoni scrive le sue opere e Porta pubblica poesia dialettale.

VENEZIA

FIRENZE

ROMA

FIRENZE • Diventa seconda capitale d’Italia. È sede del Gabinetto Vieusseux, importante istituzione culturale. A Firenze sono attivi Giusti, esponente della poesia satirica con tematiche politiche, e Tommaseo, linguista e autore di un romanzo storico.

NAPOLI

PALERMO

ROMA • Viene conquistata e annessa al Regno d’Italia nel 1870. Belli scrive poesie dialettali.

Il contesto

Società e cultura Una distinzione preliminare

Visione d’insieme

Letteratura

Cultura

Il Romanticismo come categoria storica e come movimento

In Italia il movimento romantico si affaccia nel 1816, ma le tendenze romantiche erano in atto in Europa sin dagli ultimi decenni del Settecento, e nell’Italia stessa certi fenomeni culturali che possono rientrare nell’ambito romantico erano presenti prima di quella data, come abbiamo potuto rilevare nei capitoli dedicati all’età napoleonica e a Foscolo. Occorre dunque fissare una distinzione preliminare, indispensabile per evitare molti equivoci: il termine “Romanticismo” ( Origine del temine “Romanticismo”, p. 178) può essere usato come categoria storica, ad indicare un intero periodo nelle sue varie manifestazioni; oppure può essere usato in un’accezione più ristretta, a designare un determinato movimento, che si concreta in scuole o gruppi intellettuali legati da princìpi comuni ed ispirati da una precisa poetica. Se si ha chiara tale distinzione, determinati scrittori, che non fecero parte di movimenti romantici o addirittura li avversarono, come Leopardi, possono egualmente essere considerati “romantici” nell’accezione più larga del termine, in quanto parteciparono della visione del mondo e delle tendenze di gusto di quel determinato periodo storico. Il Romanticismo, inteso nella prima accezione, investe tutti gli aspetti della civiltà occidentale dalla fine del Settecento alla metà circa dell’Ottocento, condizionando e inglobando in sé anche quelle tendenze che vi si oppongono, come i vari classicismi; coinvolge inoltre non solo la letteratura, ma le arti figurative, la musica, la filosofia e la mentalità generale.

Hegel, Enciclopedia Champollion decifra la stele di Rosetta. Delacroix dipinge La libertà delle scienze Hayez dipinge I vespri siciliani (1822) guida il popolo (1830) Schopenhauer, Il mondo come filosofiche in Schlegel, Lezioni sulla filosofia della vita volontà e rappresentazione compendio e Lezioni sulla filosofia della storia (1828-29) (1819) (1817) A Milano viene pubblicato “Il Conciliatore” (1818-19) Scott pubblica Ivanhoe (1819)

Scienza e Tecnica

Storia e Società

1816-1820

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Primi moti rivoluzionari in Lombardia, Piemonte e nel Regno delle Due Sicilie (1820)

Manzoni inizia a scrivere il Fermo e Lucia (1821)

Leopardi scrive Stendhal buona parte delle scrive Il rosso Operette morali e il nero (1824) (1830)

Manzoni termina La Pentecoste e l’Adelchi (1822)

1821-1825 Napoleone muore a Sant’Elena (1821)

Leopardi pubblica i Canti (1831)

Manzoni pubblica la versione definitiva dei Promessi sposi e la Storia della colonna infame (1840)

Manzoni pubblica la seconda edizione del Stendhal pubblica romanzo con il titolo I promessi sposi (1827) La Certosa di Parma (1839)

1826-1830 A Parigi sale al trono Luigi Filippo (1830) Faraday scopre il fenomeno dell’induzione magnetica (1831)

1831-1835 I moti rivoluzionari di Bologna, Modena, Parma e Reggio vengono soffocati dagli austriaci. A Marsiglia Mazzini fonda la Giovine Italia (1831) Morse inventa la telegrafia elettrica. Daguerre inventa la dagherrotipia (1837)

1836-1840 Carta del popolo dell’Associazione dei Lavoratori a Londra (1838) Inaugurazione della prima linea ferroviaria italiana (1839)

Il contesto · Società e cultura L’impossibilità di una definizione sintetica

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Darne una definizione sintetica è perciò impossibile e persino scorretto, perché un intero periodo storico, nelle sue infinite manifestazioni (talora fra loro divergenti o contraddittorie) non sopporta di essere chiuso in una formula, che schematizzerebbe e irrigidirebbe la mobile ricchezza del reale. Cercheremo tuttavia, per esigenze didattiche, di indicare alcune costanti da assumere come denominatori comuni di quella pluralità di manifestazioni culturali, di personalità artistiche, di tendenze, in modo da fornire delle coordinate di orientamento.

Aspetti generali del Romanticismo europeo Le tematiche “negative”

Il dolore, l’inquietudine, il male

Ciò che colpisce immediatamente chi osserva nel suo complesso la cultura romantica, è il trionfo delle tematiche negative: il dolore, la malinconia, la noia, l’inquietudine, l’angoscia, la paura, l’infelicità, la delusione, il disgusto, il rifiuto della realtà, il vagheggiamento della morte, il fascino del male, dell’orrore, del mistero. Si tratta di motivi che erano sempre comparsi nelle letterature di tutte le epoche, ma mai avevano dominato così totalmente il panorama della cultura.

Le grandi trasformazioni storiche Il crollo delle monarchie assolute

Il periodo in questione è segnato da grandiose e rapide trasformazioni, che sconvolgono assetti secolari, nelle istituzioni politiche, nell’organizzazione economica e sociale, nelle idee. Vi è innanzitutto la rivoluzione politica, che dalla Francia si irradia a coinvolgere l’Europa intera (senza dimenticare l’antefatto della Rivoluzione americana). Crolla la monarchia assoluta e si afferma il principio che la fonte della sovranità è il popolo; alle idee di autorità e gerarchia si contrappongono le idee di libertà e di eguaglianza.

Kierkegaard, Il diario di un seduttore (1843) Feuerbach, L’essenza del cristianesimo (1841) Prima esecuzione del Nabucco di Verdi alla Scala a Milano (1842) Balzac inizia a pubblicare la Commedia umana (1842)

Marx ed Engels, Manifesto del partito comunista (1848)

Dickens figlio scrive David Copperfield; Hawthorne La lettera scarlatta (1850)

Darwin, Sull’origine della specie (1851) Flaubert pubblica Madame Bovary; Baudelaire I fiori del male (1857)

Melville pubblica Moby Dick (1851)

Dumas figlio scrive La signora delle camelie (1848)

1841-1845 In Calabria fallisce il tentativo insurrezionale guidato dai fratelli Bandiera (1844)

1846-1850

Crisi finanziaria in Europa (1847)

In Italia scoppia la Prima guerra d’indipendenza. Sconfitta dell’esercito sabaudo a Custoza e Novara (1848)

Foucault con l’esperimento del pendolo dimostra la rotazione terrestre (1851)

1851-1855 Napoleone III restaura l’Impero (1852) Guerra di Crimea (1853)

1856-1860 Spedizione dei Mille di Garibaldi in Sicilia (1860) Inizia la Seconda guerra d’indipendenza italiana (1859)

In Germania ritrovamento delle ossa di un uomo primitivo (Uomo di Neanderthal, 1856) Giffard costruisce un dirigibile a vapore (1852)

Maxwell formula la teoria cinetica dei gas (1860 ca.)

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L’età del Romanticismo La rivoluzione industriale

Le trasformazioni dei modi di vita

Un altro cambiamento rilevante, ma forse meno direttamente evidente alla coscienza collettiva, è la rivoluzione economica determinata dall’industrializzazione. Originatasi già a metà Settecento in Inghilterra, essa si estende progressivamente, nel corso dell’Ottocento, agli altri paesi europei, determinando un dinamismo dirompente nella società. I nuovi ceti, prima disprezzati e tenuti in condizioni subalterne, si affacciano ora sulla scena sociale e lottano per affermare la loro egemonia. Si trasforma profondamente la vita quotidiana: una quantità di merci prima impensabile invade il mercato, grazie all’uso delle macchine che moltiplicano la produzione. Cambia il rapporto città-campagna e sorgono nuove città industriali, dove si concentrano masse di operai. Entra in crisi il lavoro artigiano e muta la forma stessa del lavoro, che diviene sempre più spersonalizzato, parcellizzato, alienato. I trasporti, grazie alla macchina a vapore, si fanno infinitamente più rapidi e con essi i rapporti tra i vari paesi, gli scambi di merci e di idee.

Le contraddizioni reali e le tensioni della coscienza collettiva Le crisi cicliche del mercato

Una forza antagonista: il proletariato operaio

I mutamenti creano forti contraddizioni, che non possono non generare tensione e paura nella coscienza collettiva. Il sistema industriale esige infatti la continua espansione, pena il crollo. Ma il mercato non può assorbire illimitatamente le merci prodotte: ciò determina delle crisi cicliche, dagli effetti rovinosi sull’economia e sulla vita quotidiana delle popolazioni. Sul mercato i prezzi delle merci, o delle azioni (la Borsa), sembrano mossi verso l’alto o verso il basso non dalla volontà umana, ma da forze irrazionali e misteriose. Da tutto ciò nasce insicurezza, paura, senso di impotenza. La massa degli operai sfruttati si contrappone poi al sistema sociale in molti modi: con la rivolta, talora violenta (il luddismo ad esempio, un movimento diffuso tra gli operai inglesi che si accanisce contro le macchine, responsabili di togliere lavoro all’uomo), con lo sciopero, ma anche con modi di vita opposti a quelli borghesi, ripugnanti alla coscienza comune della classe egemone (immoralità, promiscuità, alcolismo, delinquenza).

Microsaggio

Origine del termine “Romanticismo” la parola romantic compare per la prima volta in Inghilterra verso la metà del Seicento e, coerentemente con il clima razionalistico, viene usata in senso spregiativo ad indicare ciò che vi era di fantastico, assurdo e falso negli antichi romanzi cavallereschi e pastorali. Nel Settecento, quando si tende a riconoscere l’importanza della fantasia nell’arte, il termine comincia a perdere l’accezione peggiorativa e passa a significare semplicemente «ciò che è atto a dilettare l’immaginazione». Viene anche usato per definire paesaggi simili a quelli che si trovano negli antichi romanzi, cioè aspetti selvaggi, solitari e malinconici della natura. a fine Settecento viene poi a designare non solo la scena oggettiva, ma anche l’emozione soggettiva suscitata in chi la contempla. Nella Nuova Eloisa rousseau con il termine romantique definisce qualche cosa di vago e indefinito, «un non so che di magico, di sovrannaturale, che rapisce lo spirito e i sensi» ( L’età napoleonica, cap. 1, T2, p. 25).

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Il termine fu poi usato dagli scrittori e filosofi tedeschi che a fine Settecento si raccoglievano intorno alla rivista “athenaeum” per definire la letteratura moderna, nata dalla sensibilità formatasi nel Medioevo, in contrapposizione alla letteratura classica: per questi romantici la visione classica era contrassegnata dall’armonia e dalla pienezza, l’anima moderna da una lacerazione, da un senso doloroso di mancanza. tale stato d’animo è il prodotto del cristianesimo, che ha introdotto il senso del distacco da una totalità originaria, dell’umano dal divino, del finito dall’infinito (Schlegel, cap. 1, A1, p. 208), per cui il termine “romantico” viene usato a designare uno stato d’animo di nostalgia per ciò che è lontano, indefinito, sconosciuto (Sehnsucht), di tensione verso l’infinito. In Italia, nei “manifesti” dei romantici milanesi, la parola designa la poesia moderna, la poesia «dei vivi» in contrapposizione alla poesia «dei morti» e all’imitazione pedantesca dei classici.

Il contesto · Società e cultura La contaminazione della natura

Anche la Natura risulta sconvolta dal nuovo assetto economico e sociale: l’industria muta il volto al paesaggio naturale e lo contamina con i suoi veleni. Così, nella coscienza collettiva, al senso di colpa per aver abbattuto gli istituti politici e sociali tradizionali, si associa il senso di colpa oscuro, spesso non ben consapevole ma inquietante, di aver violato la sacralità della natura.

Il romanticismo come espressione della grande trasformazione moderna Il Preromanticismo e la delusione storica

Le radici profonde del Romanticismo

È opinione diffusa e costantemente ripetuta che il Romanticismo abbia le sue radici storiche nella delusione del razionalismo illuministico e delle speranze della Rivoluzione francese. Ma in realtà alcune tendenze romantiche erano già in atto prima della Rivoluzione: lo Sturm und Drang, il wertherismo, Rousseau, l’ossianismo, la letteratura “gotica”, tutto il cosiddetto Preromanticismo, che non è che una prima fase del Romanticismo, in cui si esprime la percezione inquieta del crollo imminente del vecchio mondo e delle grandiose trasformazioni che si preparavano ( L’età napoleonica, cap. 1, p. 17). Si può dunque formulare l’ipotesi che il Romanticismo, nel suo vasto processo complessivo, sia l’espressione non soltanto della delusione storica dell’Illuminismo e della Rivoluzione, ma di tutto il grande moto di trasformazione di quella età.

Il mutato ruolo sociale dell’intellettuale e dell’artista

L’emarginazione sociale dell’intellettuale

Nei sistemi sociali del passato, l’intellettuale o faceva parte dei ceti egemoni (nobiltà, clero), o era da essi cooptato, come cortigiano o protetto. La sua funzione era quella di elaborare l’ideologia dei gruppi dominanti e di mediare il consenso verso il potere. Ora, con l’avvento del nuovo sistema borghese, l’intellettuale perde in genere la sua posizione privilegiata e deve trovare un’occupazione per vivere (il caso dello scrittore che vive dei proventi del suo lavoro intellettuale è ancora raro nel primo Ottocento), e sono spesso occupazioni poco remunerate, di scarso prestigio sociale (l’insegnante, il precettore privato, l’impiegato, il bibliotecario, il giornalista).

Carl Spitzweg, Il povero poeta, 1839, olio su tela, Monaco di Baviera (Germania), Neue Pinakothek.

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L’età del Romanticismo

Un punto di vista interno, estraniato e critico

La figura dell’artista

Il conflitto con la società

La ribellione e il senso di colpa

L’intellettuale si sente perciò un declassato, posto ai margini del corpo sociale. Ciò di norma genera in lui frustrazione, rabbia, risentimento verso la società. Il suo punto di vista non è più quello della classe dominante, ma un punto di vista estraniato. Questa nuova collocazione sociale, che lo costringe a vivere sempre immerso nella realtà e non più in una dimensione separata, gli consente però un atteggiamento più critico e lo porta a cogliere più acutamente le tensioni e le contraddizioni del suo tempo. Una figura particolare di intellettuale, poi, è quella costituita dall’artista che mostra solitamente una straordinaria sensibilità nell’indagare la realtà che lo circonda e si propone come strenuo sostenitore del valore della bellezza disinteressata. In altri sistemi sociali questo valore poteva trovare un riscontro nello stile di vita della classe dominante, ad esempio nella raffinatezza propria del ceto aristocratico. Ora invece dominano nella società valori opposti, come l’utile, il calcolo razionale, la produttività, che sono la negazione del bello disinteressato. L’artista è visto di conseguenza come un individuo improduttivo, inutile, o peggio ancora come colui che ha solo il compito di intrattenere e divertire. Egli si sente così incompreso, umiliato. Accumula perciò altro risentimento, altri motivi di conflitto con la società. La lacerazione è aggravata dal fatto che in genere egli proviene proprio dalla classe sociale borghese, per cui si sente respinto dalla matrice stessa dalla quale è uscito. Ciò lo induce sovente ad atteggiamenti di rivolta, di anticonformismo esasperato, di rifiuto dei valori correnti. Ma questo conflitto con la classe cui appartiene accresce in lui il senso di colpa dell’essere “diverso” e, in una sorta di circolo perverso, accentua ancora i suoi atteggiamenti di rivolta.

Arte e mercato La mercificazione dell’opera d’arte

Soluzioni di compromesso

Un elemento costante: il rifiuto

Un altro motivo di conflitto è originato dall’instaurarsi del mercato dei prodotti intellettuali. L’opera d’arte diviene una merce di scambio a cui viene assegnato un valore materiale e un prezzo in base alle regole del mercato. Questo fatto è percepito dall’artista come una contaminazione, quasi un sacrilegio nei confronti della sua genialità creativa. Non solo, ma se vuole vendere, l’artista deve assecondare proprio i gusti di quel pubblico borghese di cui disprezza la grettezza e l’insensibilità al bello. Alcuni artisti si adattano a questo nuovo ruolo all’interno della società, accettano il meccanismo del mercato e seguono i gusti del pubblico, facendosi portatori dei valori correnti. Questo atteggiamento di compromesso non esclude però che l’artista covi un segreto rancore verso la società, un oscuro impulso di rivolta che si manifesta magari in forme simboliche attenuate, come l’evasione nel sogno o nell’esotico. Nonostante le diverse posizioni degli intellettuali, è possibile dunque riconoscere un denominatore comune nelle diversissime manifestazioni del Romanticismo europeo: ed è l’inquietudine, il rifiuto, la fuga, la rivolta dinanzi ad una realtà sentita come negativa.

I temi del Romanticismo europeo: il rifiuto della ragione e l’irrazionale L’interesse per gli aspetti irrazionali della realtà

L’attenzione per i sentimenti e le passioni

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Poiché la realtà moderna è caratterizzata dalla razionalità organizzatrice e produttiva, il rifiuto romantico si indirizza in primo luogo contro la ragione. Il Romanticismo si presenta pertanto come esplorazione dell’irrazionale, di quella parte ignota della realtà che prima d’allora era stata appena intuita da scrittori ed artisti e spesso addirittura evitata con paura. Questa indagine su tutto ciò che sfugge alla ragione si manifesta in un’attenzione per la vita dei sentimenti e per la passionalità, ma soprattutto per gli stati della psiche che escono dalla normalità razionale:

Il contesto · Società e cultura Il sogno e la follia

Il soggettivismo

La tensione verso l’infinito

Un ritorno alla dimensione spirituale e religiosa

Il fascino del male e il Romanticismo “nero”

il sogno, la fantasticheria, l’ebbrezza, il delirio, l’allucinazione, la follia. La stessa creazione artistica è vissuta come una sorta di furor, di delirio, di follia, in cui si fanno strada forze profonde che la razionalità comprime. Per questo l’esasperazione passionale, il sogno, la follia sono stati di grazia per il poeta e per l’artista. Questa esplorazione dell’irrazionale dà origine ad un soggettivismo esasperato: il romantico tende a sprofondare negli abissi dell’interiorità, concepita come unica realtà esistente. Il mondo esterno non esiste, è solo una proiezione o creazione dell’io. Su questo atteggiamento agisce la suggestione della filosofia idealistica, che riduce la realtà a puro soggetto e considera il mondo esterno solo come negazione dell’io. Il soggettivismo, il rifiuto della realtà esterna e della razionalità si traducono in una tensione inesausta verso l’infinito, in un’insofferenza per ogni limite e costrizione, nell’ansia mistica di superare le barriere del reale per attingere ad una realtà più vera che è al di là di esse, in cui l’io si identifica con la totalità. Questo indistinto misticismo si può concretare a volte nelle forme della religione positiva. Di contro al materialismo, all’ateismo o al deismo illuministici, il Romanticismo segna infatti un netto ritorno alla spiritualità e alla religiosità ( La voce dei testi, p. 182), che si manifesta in vere e proprie conversioni alla religione tradizionale (Chateaubriand, Manzoni), ma più spesso si volge ad indagare un’altra dimensione del sovrannaturale, facendo ricorso alle scienze occulte, all’esoterismo ( Pesare le parole, p. 77), alla magia, all’alchimia. Anche il male però esercita un fascino prepotente sull’anima romantica. Nelle pagine di tanti scrittori compare con frequenza l’immagine di Satana, oltre a sfrenate fantasie di sangue, crudeltà, lussuria e morte che turbano per decenni l’orizzonte della letteratura europea. Vi è un filone del Romanticismo, eloquentemente definito “nero”, che ama creare atmosfere orrorose e allucinate, popolate di arcane apparizioni, di spettri, di demoni, di visioni macabre, percorse da brividi di arcano terrore ( cap. 1, pp. 293 e ss.).

Inquietudine e fuga dalla realtà presente La Sehnsucht, un desiderio struggente

L’esotismo

Arte L’orientalismo

Il rifiuto e la fuga

Il misticismo romantico spesso non trova una meta precisa e si risolve in una continua inquietudine, in un senso perpetuo di inappagamento, in un desiderio struggente di non si sa bene cosa. È lo stato d’animo che i romantici tedeschi definiscono Sehnsucht, termine intraducibile, che è stato però reso come “desiderio del desiderio”, o “male del desiderio”. Questa inquietudine spinge l’anima a protendersi sempre al di là del luogo e del momento presenti, sentiti come limiti angusti e soffocanti. Oltre alla fuga negli abissi dell’interiorità e nella dimensione del sovrannaturale, si ha così anche una fuga nel tempo e nello spazio, attraverso l’immaginazione e la fantasticheria. Questa tendenza tipica del Romanticismo prende il nome di “esotismo” e va inteso in un’accezione più ampia di quella corrente: si possono avere un esotismo spaziale, che consiste nel vagheggiare luoghi lontani e ignoti, resi affascinanti proprio dalla lontananza e dalla diversità, e un esotismo temporale, che consiste nel trasferirsi idealmente in altre epoche, come il Medioevo cavalleresco e mistico, oppure la Grecia antica, vista come paradiso perduto di serenità, armonia, bellezza e pienezza vitale. Alla base dell’esotismo, in qualunque forma si manifesti, troviamo perciò il movimento della fuga e il rifiuto della realtà presente, nella sua grigia piattezza o nelle sue tensioni laceranti. L’“altrove” vagheggiato non corrisponde mai a coordinate reali, ma è sempre un luogo o un tempo immaginario, mitico. Ed è contrapposto al presente come luogo/tempo immune dallo squallore o dall’atrocità, in cui la vita è più innocente, o più autentica, o più ricca, o esteticamente più raffinata. 181

L’età del Romanticismo

La voce dei testi | Autore: Novalis | operA: Frammenti

Poesia e irrazionale È quella di Novalis ( cap. 1, A4, p. 220) una delle più chiare definizioni del carattere irrazionalistico e mistico che i romantici tedeschi attribuivano alla poesia.

Il sentimento1 per la poesia ha molto in comune col senso mistico. È il senso per ciò che è proprio, personale, ignoto, misterioso, da rivelare, necessario-casuale2. Esso rappresenta l’irrappresentabile, vede l’invisibile, sente il non-sensibile, ecc. La critica della poesia è un assurdo. È già difficile distinguere (eppure è la sola distinzione possibile) se qualcosa sia 5 poesia o no. Il poeta è veramente rapito fuori dei sensi; in compenso tutto accade dentro di lui. Egli rappresenta in senso vero e proprio il soggetto-oggetto, anima e mondo. Di qui l’infinità di una buona poesia. Il sentimento per la poesia ha una vicina affinità3 col senso della profezia e col sentimento religioso, col sentimento dell’infinito in genere. Il poeta ordina, unisce, sceglie, inventa ed è incomprensibile a lui stesso perché accada proprio così e 10 non altrimenti. Poeta e sacerdote erano in principio una cosa sola, e soltanto più tardi li hanno distinti. Ma il vero poeta è sempre rimasto sacerdote, così come il vero sacerdote è sempre rimasto poeta. E non dovrebbe l’avvenire ricondurre l’antico stato di cose? Novalis, Frammenti, a cura di G. Prezzolini, Carabba, Lanciano 1928

1. il sentimento: il termine va inteso nella stessa accezione del successivo senso. 2. necessario-casuale: accomunare senso poetico e senso mistico significa assegnare poeta e sacerdote alla sfera di un

procedimento non razionale, che tende a mescolare e fondere in un’unità gli opposti. 3. ha ... affinità: è molto affine.

Guida alla lettura Il carattere irrazionalistico della poesia romantica La poesia vede l’invisibile, rappresenta il non rappresentabile, l’ineffabile. Il poeta è un veggente, un profeta, quando scrive è come in estasi, rapito fuori dai sensi. La poesia è assoluta soggettività, perché nel poeta soggetto e oggetto, anima e mondo esterno si identificano. Il poeta opera non spinto da consapevolezza razionale di ciò che fa, ma come da una forza che lo trascende («è incomprensibile a lui stesso»). Il poeta sacerdote Novalis ha nostalgia delle epoche antiche, in cui il poeta e il sacerdote si identificavano, in cui il poeta aveva un carattere sacrale. Contro la secolarizzazione e la laicizzazione della poesia, prodotte dalla civiltà moderna, razionalistica e illuministica, auspica il ritorno dell’antico stato di cose. Da ciò emerge la visione reazionaria propria di Novalis, che esalta nostalgicamente il passato, in particolare la civiltà mistica del Medioevo.

L’infanzia, l’età primitiva e il popolo Il mito dell’infanzia

Il primitivo

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Anche il mondo infantile è visto come un paradiso perduto di innocenza e di gioia, una stagione privilegiata in cui il rapporto con le cose è fresco e immediato e in cui il sogno e l’immaginazione sostituiscono allo squallore esistente una realtà più bella. L’infanzia può essere quella individuale, ma anche quella collettiva dell’umanità: affine al mito dell’infanzia è, infatti, quello del primitivo, vagheggiato come depositario di una spontaneità e autenticità perdute dalla civiltà moderna (un mito che si affaccia già nel Settecento, con Rousseau).

Il contesto · Società e cultura Il popolo e le tradizioni popolari

In una luce simile è visto il popolo, fanciullesco e ingenuo, dotato di una fantasia naturalmente poetica, depositario dell’anima originaria e spontanea della nazione. Di qui nascono l’interesse a raccogliere le tradizioni, le leggende, le fiabe e i canti popolari e il gusto di riprodurre le forme popolari da parte della letteratura colta. Ma del patrimonio tradizionale e popolare fanno parte anche le leggende fosche e macabre, brulicanti di creature sovrannaturali, demoni, spettri, streghe, mostri, oppure le credenze in un mondo fantastico e fiabesco, popolato di gnomi, folletti, fate: l’interesse per quel patrimonio si collega quindi, per molti versi, con il gusto per il “nero” e per il fantastico proprio dell’irrazionalismo romantico.

Il Romanticismo “positivo” Il valore della “malattia” romantica

Gli ideali civili e patriottici Il concetto di nazione

La presenza dominante di tutte queste tematiche negative è stata sottoposta in passato a un duro giudizio di condanna moralistica da parte della storiografia risorgimentale e della critica idealistica, sintetizzato attraverso la definizione di “malattia” romantica. In realtà quella “malattia” rappresenta una manifestazione di coscienza critica, che sa andare a fondo nel cogliere l’essenza della realtà, le grandi trasformazioni del mondo moderno, e gli sconvolgimenti che queste provocano nella vita materiale e spirituale degli uomini. Alla tematica negativa e “malata” è stato contrapposto un Romanticismo “positivo”, quello teso ai grandi ideali, all’impegno civile e patriottico, quello che riscopre la positività della storia e delle tradizioni nazionali e popolari. Il Romanticismo sente in effetti con grande intensità il senso della nazione, anzi, si può dire che il concetto moderno di nazione, intesa non solo in senso geografico e politico, ma anche spirituale e culturale, nasca solo con il Romanticismo. Ogni nazione è come una grande individualità, con un’anima che contraddistingue la sua peculiare identità, lo “spirito del popolo”. Il “popolare”, nella concezione romantica, viene a identificarsi con il “nazionale”.

visualizzare i concetti

Le principali radici storiche e culturali del Romanticismo RIvoLUzIone fRAnCeSe

RIvoLUzIone IndUSTRIALe

Trasformazioni politiche

Trasformazioni sociali

Tramonto della monarchia assoluta e del privilegio aristocratico

Formazione del proletariato urbano e ascesa della borghesia

Declino della figura dell’intellettuale cortigiano o protetto dalle classi privilegiate

Trasformazioni culturali

Tramonto degli antichi valori patriarcali ed aristocratici

Trasformazione del prodotto intellettuale in merce

Affermazione dei valori borghesi dell’utile e del profitto

Trasformazioni economiche

Meccanizzazione del lavoro e nascita di un sistema economico complesso, che appare difficile da controllare

Inquietudine esistenziale

Conflitto artista-società Romanticismo

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L’età del Romanticismo Il senso della storia

Il Romanticismo “positivo” e il rifiuto del presente

Quest’anima si è formata attraverso le vicende storiche vissute da un determinato popolo. Per questo il passato storico è un patrimonio prezioso, che deve essere conosciuto e posseduto a fondo, perché una nazione abbia piena e forte coscienza della propria identità. È questo il senso della storia romantico, che si contrappone all’antistoricismo razionalistico. L’Illuminismo svaluta il passato come cumulo di aberrazioni, in nome della ragione, che è un dato eterno e immutabile; il Romanticismo, al contrario, ricupera il passato come fase di un processo in cui ogni momento è stato indispensabile, e perciò stesso positivo, da studiare senza preconcetti. Ma, a ben vedere, anche questo Romanticismo “positivo” può essere assunto entro la categoria del “rifiuto” che abbiamo proposto come denominatore comune delle varie manifestazioni del periodo storico. L’aspirazione all’ideale è pur sempre il rifiuto, la negazione del gretto utilitarismo proprio della società moderna. L’interesse per la storia nasce da una contrapposizione all’angustia e alla viltà del presente, tanto che spesso mal si può distinguere dal vagheggiamento nostalgico ed esotizzante del passato. Anche l’impegno civile del poeta, la battaglia contro l’ingiustizia e l’oppressione in nome della libertà e dell’umanità, presuppone una scontentezza nei confronti della realtà così com’è, una conflittualità con essa. La cifra dell’inquietudine e del rifiuto, insomma, si può pur sempre riconoscere anche dietro le manifestazioni “in positivo” del Romanticismo.

Turner: soggetto storico e maestosità del paesaggio

Joseph Mallord William Turner, tempesta di neve: Annibale attraversa le Alpi, 1812, olio su tela, Londra, Tate Gallery.

Nello stile di Joseph M. William Turner (1775-1851), uno dei massimi paesisti dell’Ottocento, colori e forme tendono a dissolversi in una fantasmagoria che traduce la corrispondenza romantica tra natura e sentimento. Per Turner, come per il suo collega e conterraneo Constable, «paesaggio non è altro che una parola per dire sentimento» (Francesco Arcangeli). La tela con Annibale che attraversa le Alpi (da porre a confronto con il Napoleone che attraversa le Alpi dipinto nove anni prima da J. L. David, L’età napoleonica, Il contesto, p. 8) presenta due caratteri tipici della sensibilità romantica: interesse per i soggetti storici e passione per i paesaggi tormentati. Soprattutto questi ultimi stimolavano la fantasia di Turner, consentendogli di meditare sul potere distruttivo della natura e di esaltare la sua abilità nella resa di particolari effetti atmosferici. Una turbinosa onda di neve sembra qui sul punto di travolgere Annibale e la sua truppa. Le luci cangianti e l’avvicendarsi di sole e intemperie evocano gli stati mutevoli dell’animo umano e il senso di vulnerabilità e piccolezza provato dall’uomo di fronte allo scatenarsi delle forze naturali.

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Il contesto · Società e cultura

Gli orientamenti politici Romanticismo reazionario Romanticismo progressista

Sul piano degli orientamenti politici, il rifiuto romantico del presente può andare in direzioni diametralmente opposte. Può assumere posizioni reazionarie e regressive, vagheggiando come modello politico il Medioevo feudale e imperiale e le sue forme sociali rigidamente gerarchizzate (ciò avviene soprattutto in Germania e in Francia). Ma può anche assumere posizioni liberali o democratiche, favorevoli alla rivoluzione, all’abbattimento del dispotismo politico e religioso, alla libertà, all’eguaglianza, al progresso, al riscatto delle nazioni oppresse (così il Romanticismo inglese e italiano); oppure può ancora esprimersi come fuga totale dalla società e dalla politica, rifiuto della storia e comunione mistica con la natura, chiusura gelosa nell’io e nel mondo dell’arte, elevata a valore assoluto.

facciamo il punto 1. Quali trasformazioni si verificano dal punto di vista politico, economico e sociale nel corso del XIX secolo? 2. Quali elementi di continuità e di rottura si possono individuare tra il Romanticismo e l’Illuminismo? 3. Come cambia il ruolo degli artisti e degli intellettuali nel corso dell’Ottocento? 4. Quali atteggiamenti mostrano gli intellettuali di età romantica nei confronti della società, della religione

e della storia? 5. Quali sono le caratteristiche fondamentali della mentalità romantica? 6. Che cosa rappresenta il concetto di “popolo” nella concezione romantica? 7. Perché la storiografia e la critica di età risorgimentale parlano di una “malattia romantica”?

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L’Italia: strutture politiche, economiche e sociali dell’età risorgimentale Il Risorgimento e le guerre d’indipendenza

L’attività cospirativa dei gruppi borghesi e intellettuali

Il ’48 in Europa e la Prima guerra d’indipendenza

La svolta monarchica e moderata I successi politici e militari di Cavour

Nel corso dell’Ottocento si verificarono le condizioni per il compimento dell’unificazione politica della penisola. Durante l’età napoleonica aveva cominciato a formarsi uno spirito nazionale, tra le élites aristocratiche e borghesi più colte e aperte. Nei primi decenni del secolo erano nate società segrete di orientamento liberale, come la Carboneria, che cospiravano contro i regimi assolutisti restaurati dopo la caduta di Napoleone. I moti da esse organizzati nel 1820-21 e nel 1830 però fallirono, per la durezza della repressione e per la mancanza di sostegno popolare. Anche la Giovine Italia, l’organizzazione di ispirazione democratica fondata da Giuseppe Mazzini, fallì nel tentare varie insurrezioni, per le medesime ragioni. Nel 1848 la ventata rivoluzionaria che sconvolse l’Europa investì anche l’Italia, dove scoppiarono moti in varie zone (a Milano, a Venezia, in Toscana, a Roma, in Sicilia). Il re piemontese Carlo Alberto, che già il 4 marzo di quell’anno aveva concesso una costituzione, imprimendo alla politica dello Stato sabaudo una tendenza liberale, mosse guerra all’Austria, che occupava Lombardia e Veneto ed era il baluardo della reazione (Prima guerra d’indipendenza), ma venne sconfitto due volte e dovette abdicare. Tuttavia da quel momento la monarchia sabauda mantenne un ruolo di guida del processo risorgimentale, togliendolo alle società segrete. Il successore di Carlo Alberto, Vittorio Emanuele II, dietro l’abile direzione del suo primo ministro, il liberale Camillo Benso di Cavour, che resse il governo del Regno di Sardegna dal 1852 al 1861, avviò una serie di riforme interne e una politica di alleanze, in particolare con la Francia, in vista della ripresa della guerra contro l’Austria. Si arrivò così nel 1859, a fianco della Francia di Napoleone III, alla Seconda guerra d’indipendenza, 185

L’età del Romanticismo

Il raggiungimento dell’unità nazionale

La Terza guerra d’indipendenza

che si concluse con l’annessione della Lombardia. Una serie di plebisciti portò poi all’annessione anche della Toscana, dell’Emilia-Romagna, delle Marche, dell’Umbria. Le forze democratiche, nel frattempo, continuavano a esprimere l’esigenza di inserire le energie popolari nel processo di costruzione della nuova nazione. Giuseppe Garibaldi, a capo di un piccolo esercito di volontari, i Mille, nel 1860 conquistò la Sicilia, con l’appoggio delle popolazioni locali, poi risalì la penisola sino alla Campania, puntando verso Roma: il programma democratico sembrò per un istante prevalere su quello monarchico. Lo Stato della Chiesa era però protetto dal sistema delle potenze europee, e Vittorio Emanuele II, al fine di evitare complicazioni internazionali e di riprendere in pugno l’unificazione, scese per la penisola con un esercito per fermare Garibaldi. I due eserciti si incontrarono al confine tra Campania e Lazio, e Garibaldi salutò nel re piemontese il nuovo re d’Italia, riconoscendo realisticamente l’egemonia dell’iniziativa monarchica. Il 17 marzo 1861 nacque così il Regno d’Italia: il raggiungimento dell’unità nazionale si realizzò all’insegna monarchica e sabauda, a cui le forze democratiche, che miravano a uno Stato repubblicano, dovettero sottomettersi. I ceti popolari urbani e le masse contadine, che costituivano la grande maggioranza della popolazione, erano rimaste sostanzialmente estranee al processo di unificazione. La componente liberale moderata del movimento nazionale, la cosiddetta Destra storica, assunse subito il governo del paese e lo resse sino al 1876, quando subentrò al potere la Sinistra. Il modo in cui si era formata l’unità generò una profonda delusione in quelli che non condividevano le posizioni monarchiche e moderate, e questa delusione incise nella vita del nuovo Stato, a livello politico, sociale ma anche culturale. Restavano escluse dal nuovo regno il Veneto e Roma. Nel 1866, con la Terza guerra d’indipendenza, grazie all’alleanza con la Prussia in conflitto con l’Austria, nonostante due dure sconfitte dell’esercito e della flotta il Veneto entrava a far parte dell’Italia unita. Dissoltosi nel 1870, dopo la sconfitta subita da parte della Prussia, l’impero di Napoleone III, il garante del Papato, l’Italia poteva conquistare anche Roma, dando così compimento all’unificazione.

divisione politica e arretratezza economica Il quadro politico

Una situazione di arretratezza

Tra il 1815 e il 1861 la mancanza di unità e la frammentazione in una serie di Stati di estensione territoriale limitata allontanava l’Italia dall’Europa, dove da secoli si erano stabiliti i grandi Stati nazionali. La divisione politica era un fattore di arretratezza civile, economica, culturale. Leggi protezionistiche bloccavano la libera circolazione delle merci, impedendo la formazione di un vasto mercato di ampiezza nazionale. I regimi dispotici e polizieschi o paternalistici impedivano ogni forma di partecipazione attiva e critica alla vita civile, ostacolando la formazione del “cittadino” moderno e di una vera opinione pubblica. Le barriere tra gli Stati impedivano i rapporti, gli scambi di conoscenze, la circolazione di libri e giornali. La censura soffocava il fermentare delle idee ed il loro diffondersi. L’Italia si presentava perciò nettamente in ritardo sul piano economico e sociale rispetto agli altri paesi europei, rimanendo un paese eminentemente agricolo. L’industria in senso moderno quasi non esisteva. Si potevano contare solo manifatture di trasformazione di prodotti agricoli (tessili, alimentari), con scarso impiego di macchine e soprattutto con una manodopera in prevalenza di tipo stagionale.

La formazione della classe borghese

L’inizio dello sviluppo

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Questa arretratezza economica si rifletteva inevitabilmente nell’arretratezza sociale: non esisteva in Italia, nel primo Ottocento, una classe borghese moderna, paragonabile a quella dei paesi europei più avanzati. Ciononostante, un certo qual processo di sviluppo e ammodernamento era iniziato in Italia, in misura più sensibile nelle regioni più avanzate (Lombardia, Piemonte e Toscana). A questo sviluppo partecipava l’ala progressista e liberale dell’aristo-

Il contesto · Società e cultura

L’alleanza tra l’aristocrazia e il ceto medio Gli interessi della nuova classe borghese

I valori culturali

crazia, che non viveva solo più di rendite passive, come nell’antica tradizione nobiliare, ma si interessava attivamente ai progressi dell’attività economica, diventando di fatto lo strato superiore della borghesia. A poco a poco si venne a creare un’alleanza economica e politica tra aristocrazia progressista e ceti medi produttivi (imprenditori e commercianti), cui si aggiunsero in seguito anche i rappresentanti delle professioni liberali (medici, notai, avvocati, alti funzionari dello Stato, insegnanti, ufficiali). A cementare quest’insieme di ceti e a conferire loro, per lo meno in prospettiva, la fisionomia di una vera classe sociale, erano in primo luogo interessi e bisogni oggettivi: innanzitutto l’interesse ad eliminare quei vincoli che l’assolutismo e la divisione politica imponevano allo sviluppo di una vita economica e civile moderna, all’espansione delle attività produttive e delle ricchezze. Tutti questi ceti avrebbero avuto da guadagnare, o economicamente o in promozione sociale, dalla formazione di uno Stato unitario nazionale. Ma agivano potentemente anche valori culturali: questi ceti si identificavano con le idee di “libertà”, di “progresso”, di “civiltà” che provenivano dall’Europa più avanzata. Vi era poi il fattore determinante delle idee patriottiche, il sentimento di far parte di un’entità nazionale che era violata dalla frammentazione politica e dalla dominazione straniera. Per questo il culto del passato glorioso dell’Italia e delle grandi memorie letterarie e artistiche era l’elemento ideologico unificante dei vari strati che costituivano questa “borghesia” italiana, al di là dei vari orientamenti politici. Questo spiega anche il peso delle idee patriottiche nella letteratura e nella cultura in genere espresse da questa classe sociale nella prima metà dell’Ottocento.

I ceti popolari

Il “quarto stato”

La povertà e l’analfabetismo

L’estraneità delle masse al sentimento risorgimentale

Da questa idea nazionale erano però sostanzialmente esclusi i ceti popolari. Essendo l’Italia ancora ben lontana da una rivoluzione industriale (che si verificherà solo un secolo dopo, ai primi del Novecento), non esisteva una classe operaia nel senso attuale del termine. Il “quarto stato” era composto prevalentemente da contadini; vi entravano poi a far parte artigiani, lavoranti, il ristretto numero degli operai delle manifatture, lo stuolo dei domestici delle casate nobiliari e delle famiglie borghesi più agiate. Queste masse, specie nelle campagne, vivevano in condizioni di estrema miseria, vittime dello sfruttamento, della fatica, della fame, delle malattie; ma soprattutto, a causa dell’analfabetismo generalizzato (all’atto dell’Unità gli analfabeti erano il 78%, il 90% nelle isole), erano escluse dalla circolazione della cultura contemporanea. Le masse contadine vivevano come fuori della storia, chiuse nel patrimonio di una cultura tradizionale, immobile da secoli. Dagli strati superiori filtrava ad esse quasi esclusivamente la cultura della Chiesa, che era ufficialmente schierata contro il moto risorgimentale. Pertanto anche l’idea di patria era ad esse estranea, rimanendo patrimonio esclusivo dei ceti più elevati e della piccola borghesia. Ciò spiega come il Risorgimento non sia stato (salvo limitate eccezioni) un fenomeno popolare, ma esclusivamente borghese, e perché le masse contadine siano state spesso strumento inconsapevole della reazione. Silvestro Lega, La visita alla balia, 1870-73, olio su tela, Firenze, Galleria d’arte moderna.

187

L’età del Romanticismo

3 Il controllo dall’alto sul processo di unificazione Un’ipotesi federalista ed elitaria

I liberali cattolici

La visione laica di Cavour

Le ideologie I liberali Il liberalismo moderato era caratterizzato innanzitutto dal rifiuto della Rivoluzione francese e del giacobinismo, che aveva portato alla sovversione violenta, allo sradicamento della tradizione religiosa, all’egualitarismo estremistico e infine al Terrore. Il suo progetto politico escludeva pertanto rotture rivoluzionarie e moti insurrezionali. La soluzione del problema nazionale doveva giungere attraverso l’iniziativa dei sovrani, grazie a graduali riforme che riprendessero la tradizione settecentesca dell’assolutismo illuminato e non sconvolgessero l’assetto vigente. Sul piano politico, si proponeva in genere una federazione degli Stati italiani esistenti, con forme di unione doganale, liberalizzazione dei commerci, potenziamento delle comunicazioni. Per quanto riguarda la partecipazione alla vita politica e il diritto di voto, si riteneva che soltanto un’élite di nobili e alto-borghesi potesse avere la competenza, la lungimiranza, la saggezza, l’equilibrio per gestire la cosa pubblica ed elaborare le leggi, avendo come fine il bene comune e salvaguardando i rapporti di proprietà e di potere esistenti. A questi orientamenti liberali moderati si accostarono molti cattolici non allineati con l’indirizzo dominante del cattolicesimo della Restaurazione, il quale riteneva che i valori religiosi non potessero in alcun modo concordare con i princìpi moderni di libertà e di progresso civile, nonché di riscatto nazionale. Su posizioni moderate fu Alessandro Manzoni, che di quelle idee nutrì il suo capolavoro, I promessi sposi (egli fu anche convinto assertore dell’idea unitaria, contro ogni ipotesi federalistica). Decisamente laica fu invece la visione dello statista piemontese Camillo Benso di Cavour (1810-61), che auspicava una netta divisione tra Chiesa e Stato («Libera Chiesa in libero Stato»), un riformismo illuminato e un’economia fondata sul liberismo. Cavour, come è noto, nel Risorgimento fu il massimo artefice dell’iniziativa sabauda e di un controllo dall’alto del processo di unificazione, in opposizione, spesso molto decisa, alle tendenze insurrezionali mazziniane e garibaldine.

I democratici Mazzini e l’unificazione su iniziativa popolare

Cattaneo e la repubblica federativa

La questione sociale

Paternalismo e populismo

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Le tendenze democratiche, che in Italia facevano capo essenzialmente a Giuseppe Mazzini (1805-72), puntavano, al contrario dei moderati, proprio sull’iniziativa popolare e sui movimenti insurrezionali che nell’appoggio del popolo avessero la loro base. Proponevano anche radicali cambiamenti di regime politico, attraverso assemblee costituenti che decidessero l’assetto istituzionale dell’Italia. La forma propugnata era quella repubblicana ed unitaria, contro le idee di federazione fra gli Stati monarchici esistenti, proprie dei moderati. Un’altra corrente di democrazia radicale, che faceva capo a Carlo Cattaneo (1801-69), era invece contraria all’unità accentratrice e proponeva un assetto repubblicano federativo, che avesse come modello la Confederazione elvetica e gli Stati Uniti d’America e salvaguardasse le autonomie delle varie regioni italiane, diverse per storia, tradizioni, costumi, economie. Al suffragio censitario e al dominio politico delle élites aristocratiche e alto-borghesi, la corrente democratica mazziniana contrapponeva il suffragio universale. Dinanzi alla questione sociale e alle condizioni miserevoli delle masse popolari, le posizioni liberali e democratiche, così lontane tra loro in campo politico, si avvicinavano notevolmente. Comune ad entrambe era l’idea di una progressiva elevazione dei ceti popolari che fosse non solo materiale, ma soprattutto spirituale, attraverso un’educazione intellettuale e morale guidata da una concezione solidaristica e associativa dei vari ceti che escludesse l’idea del conflitto fra le classi. Su questa base, il liberalismo moderato inclinava piuttosto ad un paternalismo illuminato nei confronti delle plebi, che segnasse più fortemente le distanze sociali, mentre la corrente democratica assumeva atteggiamenti di tipo populistico, tesi ad esaltare le “virtù” popolari e il principio astratto di eguaglianza.

Il contesto · Società e cultura

Correnti ideologiche e letterarie Il prevalere degli intellettuali moderati

Gli orientamenti letterari dei moderati

Queste correnti ideologiche si riprodussero in campo letterario, poiché gli intellettuali italiani del primo Ottocento sentivano tutti vivamente l’impegno nazionale e patriottico. Occorre però osservare che il polo moderato ebbe una forza di attrazione e di aggregazione di gran lunga maggiore rispetto a quello democratico. Ciò soprattutto grazie alla statura di un intellettuale come Manzoni che, sia pur con le sue posizioni schive ed appartate, divenne un vero e proprio caposcuola, generando una serie di ammiratori e imitatori. La corrente democratica non ebbe nessuno scrittore che potesse essergli contrapposto; anzi, anche romanzieri di orientamento democratico, come Ippolito Nievo (1831-61), sul piano letterario subirono l’influenza del modello manzoniano. Gli scrittori italiani furono in prevalenza moderati non solo ideologicamente, ma anche nelle scelte tematiche, evitando sia quegli argomenti estremi ed inquietanti propri del Romanticismo, sia soluzioni formali eversive, d’urto. Tra scrittori e pubblico non si crearono pertanto situazioni di conflitto, di rifiuto sprezzante o di provocazione, ma un’armonica consonanza di valori, di gusti letterari e di linguaggio.

facciamo il punto 1. Quali sono le condizioni dell’Italia nel corso dell’Ottocento sotto l’aspetto politico ed economico? 2. Quali sono le principali differenze tra lo schieramento dei liberali e quello dei democratici?

4 L’editore, imprenditore e operatore culturale Milano e il Sud d’Italia

I fattori di sviluppo dell’economia

Le istituzioni culturali L’editoria Col passare dei decenni l’attività editoriale assume sempre più la fisionomia dell’impresa capitalistica. Al centro si pone una figura nuova di imprenditore, l’editore, che investe capitali nella produzione di libri, al fine di ricavarne dei profitti da investire ulteriormente. L’editore è anche un operatore culturale, perché decide quali libri stampare, dando vita cioè a una politica culturale. Fu soprattutto Milano la città in cui fu più sensibile questa trasformazione, mentre il Sud resta sensibilmente arretrato, anche a causa dell’ottusa politica dei Borboni che isola culturalmente il Regno delle Due Sicilie dal resto dell’Italia, impedendo la circolazione di libri e riviste dagli altri Stati della penisola. L’avvento dell’editoria come impresa capitalistica moderna è reso possibile dai processi di trasformazione borghese della società e dalla maggior diffusione dell’istruzione, che creano un pubblico nuovo di lettori. Ma un ruolo decisivo gioca anche l’evoluzione tecnologica: per la stampa non si usano più torchi a mano, ma a vapore, che consentono di stampare un maggior numero di copie più rapidamente e con minori costi. Ciò permette minori prezzi di vendita e più larga diffusione del libro che, promuovendo a sua volta istruzione e interesse culturale, genera maggiore domanda, stimolando ulteriormente la produzione.

Le difficoltà dello sviluppo editoriale Il diritto d’autore

Gravi ostacoli si oppongono però all’espansione dell’industria editoriale e alla diffusione del libro; primo fra tutti la mancanza di protezione del diritto d’autore. Esistevano privilegi di stampa attribuiti dai governi agli stampatori (cioè solo un determinato editore poteva stampare quella determinata opera), ma valevano solo per lo Stato in cui avveniva la pubblicazione. Chiunque poteva stampare il libro negli altri 189

L’età del Romanticismo

La tutela della proprietà letteraria

Stati senza corrispondere alcun diritto all’autore e all’editore. Ciò limitava i profitti degli editori e privava gli autori di gran parte dei proventi delle vendite, ritardando la comparsa dello scrittore moderno, che vive della sua professione intellettuale. La consapevolezza di questi problemi si diffuse gradualmente tra scrittori ed editori, creando un movimento d’opinione che premeva per una regolamentazione legale del diritto d’autore. Già prima del 1848 si venne a un accordo in materia tra vari Stati italiani, escluso il Regno delle Due Sicilie. L’unità diede poi definitiva sanzione al principio della proprietà letteraria su tutto il territorio nazionale.

Il giornalismo

“Il Conciliatore”

“Il Politecnico” L’“Antologia”

I giornali quotidiani e i romanzi a puntate

Parallelamente all’editoria libraria si sviluppò nel primo Ottocento un’altra tipica istituzione culturale moderna, il giornalismo. In Italia esistevano già nel Settecento periodici di cultura (si ricordi il “Caffè”) e gazzette di notizie e curiosità. L’iniziativa di fogli letterari e scientifici divenne sempre più ricca nell’Ottocento. Un ruolo fondamentale, fra il 1818 e il 1819, rivestì “Il Conciliatore”, che fu l’espressione del gruppo romantico lombardo e ne diffuse le teorie letterarie innovatrici, in polemica con il conservatorismo classicista, ma condusse anche una battaglia per uno sviluppo civile ed economico moderno. Al “Conciliatore” negli anni successivi si aggiunse, sempre a Milano, “Il Politecnico” di Carlo Cattaneo. A Firenze un ruolo importante assunse negli anni Venti l’“Antologia”, intorno alla quale si raccoglievano i liberali moderati toscani. Fondatore fu Gian Pietro Vieusseux, un imprenditore e organizzatore culturale di origine ginevrina, al quale si deve un’altra rilevante iniziativa, l’apertura al pubblico di un “Gabinetto di lettura”, una stanza privata con una biblioteca dove si poteva accedere per leggere giornali e libri (il “Gabinetto Vieusseux” esiste ancora oggi, a Firenze). Si diffusero inoltre i giornali quotidiani, gazzette con notizie di politica e di cronaca, dove erano inserite anche “appendici” dedicate ad argomenti culturali, recensioni di libri, spettacoli teatrali, esposizioni d’arte. Ben presto su questi quotidiani furono pubblicati i romanzi a puntate, sul modello del feuilleton (romanzo avventuroso e/o patetico) francese, di cui il pubblico, soprattutto borghese e in modo specifico femminile, era grande consumatore. Il fenomeno assumerà poi proporzioni vistose nel secondo Ottocento. Il giornale diventa così anche in Italia un elemento fondamentale della società, poiché ha un peso determinante nella formazione dell’opinione pubblica: suggerisce gli orientamenti politici, influenza i gusti letterari, musicali, artistici, diffonde princìpi e valori che costituiscono l’elemento coesivo della società civile.

Antologia, gennaio, febbraio, marzo 1821, facsimile del frontespizio.

facciamo il punto 1. Come si trasforma l’attività editoriale nell’Italia ottocentesca? 2. Quale ruolo svolge il giornalismo nella vita culturale italiana del primo Ottocento?

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Il contesto · Società e cultura

5 Scrittori aristocratici e alto borghesi

La prevalenza di scrittori laici e borghesi

Il lavoro intellettuale come professione

L’indipendenza dal potere Il condizionamento del mercato

Gli intellettuali: fisionomia e ruolo sociale La fisionomia sociale Nell’età della Restaurazione e del Risorgimento compaiono ancora figure di scrittori di estrazione aristocratica che vivono delle loro rendite, ma la loro presenza, in percentuale, diventa particolarmente bassa. Spesso inoltre questi intellettuali aristocratici acquistano una fisionomia prettamente borghese: Manzoni ad esempio è conte, ma rifiuta di essere chiamato col titolo nobiliare; inoltre cura personalmente le sue proprietà agricole e può anche dedicarsi, come si è visto, ad imprese editoriali, investendovi grosse somme: di fatto quindi è ormai un alto borghese. Leopardi, anche lui conte, ha una visione ancora molto aristocratica ma, provenendo da una nobiltà economicamente dissestata, per un certo periodo deve prestare la sua opera intellettuale per un editore, al fine di poter vivere lontano da casa, nei centri più vivi della cultura; vive cioè, sia pur con grandi difficoltà, della sua professione intellettuale. Crolla anche la percentuale dei chierici: la Chiesa cessa di essere fonte di un’occupazione stabile per i letterati. La maggioranza degli scrittori italiani dell’Ottocento è dunque laica e borghese, proviene sia dall’alta sia dalla media e piccola borghesia. Pochissimi tra gli scrittori italiani riescono in questo periodo a trarre interamente il loro sostentamento dal lavoro intellettuale. Se si escludono quelli che vivono di rendita, molti devono affiancare al lavoro intellettuale le libere professioni (sono avvocati, notai, medici); altri occupano impieghi pubblici o privati; una parte rilevante, in crescita nel corso del secolo, si dedica all’insegnamento. Tuttavia il lavoro intellettuale comincia ad assumere la fisionomia di un’autentica professione: gli scrittori dedicano parte rilevante del loro tempo ad attività come traduzioni, consulenze editoriali, collaborazioni a riviste e giornali, sviluppando specifiche competenze e abilità professionali. Tutti scrivono per il mercato, poiché le opere sono diffuse dalla nascente industria editoriale. Lo scrittore entra così a far parte di un apparato produttivo che è di tipo moderno, anche se solo agli inizi. Il letterato ottocentesco, dunque, deve dedicarsi ad un lavoro (spesso sentito come noioso e mortificante) per poter vivere, ma, in compenso, è più indipendente rispetto al condizionamento ideologico del potere di quanto non fossero i letterati cortigiani, che dipendevano direttamente dai favori del signore. Man mano che si sviluppa il mercato letterario, lo scrittore subisce però un altro condizionamento, forse ancora più pesante: quello dei gusti del pubblico che deve acquistare le sue opere ( Il pubblico, pp. 192-194).

Il ruolo sociale e politico

L’assenza del conflitto tra intellettuale e società

L’impegno degli intellettuali nel processo di unificazione nazionale

Le condizioni particolari dell’Italia, che nella prima metà del secolo vive il processo della rivoluzione nazionale, condizionano il ruolo degli intellettuali nella società. Nei paesi in cui quei processi si sono già svolti, o sono molto più avanzati, si profila un conflitto tra l’intellettuale e la società: l’intellettuale si sente privo di un ruolo, misconosciuto e messo ai margini nel sistema della razionalizzazione produttiva. In Italia questi fenomeni sono inesistenti, o infinitamente più attenuati, poiché l’intellettuale italiano ha, nella rivoluzione nazionale, ancora un ruolo preciso. Nell’azione innanzitutto: molti intellettuali del primo Ottocento sono impegnati direttamente nell’azione politica, cospirano nelle società segrete, partecipano alle insurrezioni, combattono nelle guerre di indipendenza. Ma hanno anche un preciso ruolo culturale: elaborano e diffondono i valori che sono alla base del moto nazionale, persuadono, incitano all’azione, celebrano le glorie e le vittorie. Sono la guida culturale, politica, morale della nazione che si va formando. Perciò soggettivamente non avvertono i motivi di conflitto con la società e non assumono quegli atteggiamenti di delusione, di insofferenza violenta, di rivolta che caratterizzano tanti scrittori europei. 191

L’età del Romanticismo

Romanticismo italiano e Romanticismo europeo Intellettuali e borghesia

I valori del Romanticismo italiano

L’influenza del Risorgimento

Nei paesi stranieri lo scrittore romantico è essenzialmente antiborghese, spesso in modo esasperato, e si rivolta contro la stessa matrice da cui proviene. In Italia lo scrittore romantico è invece il portavoce e il propugnatore dei valori di un assetto borghese in formazione. Ciò può spiegare le profonde differenze di temi e forme espressive tra il Romanticismo italiano e quello europeo, soprattutto l’assenza di quegli aspetti esasperatamente irrazionalistici, fantastici, mistici, satanici, “neri”, che in altri paesi erano l’espressione del conflitto fra l’intellettuale e il contesto sociale. Al contrario, in coerenza con la funzione positiva ancora esercitata dagli intellettuali italiani, l’orientamento dominante del nostro Romanticismo del primo Ottocento è l’aderenza al «vero» e ai princìpi della ragione, l’impegno per il progresso civile, sociale, economico, l’intento di rivolgersi proprio al pubblico delle classi medie con forme letterarie “popolari”, per interpretarne i gusti e i valori. Lungi dall’essere espressione di una lacerazione interna della coscienza collettiva, il nostro Romanticismo è semmai espressione di un momento costruttivo, di crescita della società italiana, perché coincide di fatto con il Risorgimento. Significativamente, le tematiche esasperatamente irrazionalistiche si diffonderanno in Italia, non appena il processo risorgimentale si sarà compiuto.

Romanticismo italiano e Illuminismo Continuità tra Illuminismo e Romanticismo

Una nuova visione della storia Il pubblico “popolare”

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Un pubblico di lettori comuni

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Le caratteristiche sottolineate spiegano anche perché non vi sia rottura ma continuità tra il Romanticismo italiano e l’Illuminismo. Il programma del “Conciliatore” non solo ricorda in più punti quello del “Caffè”, ma vi fa esplicito riferimento ed usa persino la stessa terminologia, come ad esempio la formula chiave «diffondere i lumi» ( cap. 2, T3, p. 330). Tuttavia il Romanticismo lombardo non è semplicemente una “seconda fase” dell’Illuminismo del “Caffè”: il movimento ha caratteri nuovi, che lo collocano a buon diritto nel clima romantico. In primo luogo gli uomini del “Conciliatore”, a differenza dei loro predecessori, possiedono un nuovo senso della storia, lontano dall’astrattezza del razionalismo, e hanno una precisa visione della nazione come prodotto storico e unità spirituale; in secondo luogo si rivolgono a un pubblico “popolare”, cioè borghese, non più soltanto a un’élite aristocratica; infine sono ormai liberi dall’illusione di una possibilità di collaborare con i governi assoluti illuminati per promuovere riforme dall’alto, ma sono fiduciosi nell’azione autonoma della nazione, che deve portare ad una profonda trasformazione dell’assetto politico.

Il pubblico La nascita di un nuovo pubblico La crescita dei ceti borghesi, sia in senso quantitativo sia nell’importanza sociale, il parallelo incremento dell’istruzione, i processi politici in atto, che stimolano il bisogno di sapere, capire, partecipare, sono tutti fattori che determinano la formazione di un nuovo pubblico. Nella società dell’ancien régime il pubblico della letteratura era estremamente ristretto: lo scrittore si rivolgeva ad una cerchia chiusa, per gran parte composta di altri letterati come lui. Ora per la prima volta si può cominciare a parlare di un pubblico “di massa”, non nel senso che sia composto da masse sterminate di persone, ma perché è costituito da persone che non fanno professione di letteratura e che si accostano al libro, nel tempo libero, per svago o per accrescere le proprie cognizioni e raffinare i propri gusti.

Il contesto · Società e cultura La Lettera semiseria di Berchet

Il mercato letterario

Le diverse scelte degli intellettuali

Nella Lettera semiseria (1816) di Giovanni Berchet ( cap. 2, T2, p. 325), uno dei principali manifesti romantici italiani, questo pubblico borghese viene chiamato «popolo» ed è identificato con la stessa nazione. Ne sono esclusi i pochi aristocratici cosmopoliti e la gran massa del quarto stato, per lo più analfabeta, che restava segregata in forme di cultura arcaica e folklorica, trasmessa oralmente (canti, fiabe, leggende, proverbi ecc.). La presenza di questo nuovo pubblico si identifica con il mercato: è esso, infatti, che compra i libri e i giornali, che determina il successo o l’insuccesso di un romanzo, di un libro di poesie, di una commedia ecc. Diviene noto e circola solo ciò che piace, che è vendibile. Il resto è condannato alla dimenticanza o alla marginalità. Si può capire come il pubblico cominci ad esercitare un potente condizionamento sull’attività dello scrittore. Se vuole popolarità e guadagni, il romanziere, il drammaturgo o il poeta deve compiacerlo, assecondandone le esigenze. Può anche ritrarsene disgustato, sprezzante verso i suoi gusti grossolani, e scegliere di scrivere per pochi privilegiati. Questo secondo atteggiamento è ancora molto raro in questo periodo, data la funzione dell’intellettuale nel processo della formazione nazionale. Diverrà poi tipico del secondo Ottocento, a partire dalla Scapigliatura.

Pubblico e produzione letteraria »

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Il condizionamento del pubblico agisce su ogni aspetto della produzione letteraria: sulla formazione e la diffusione dei generi: entrano in crisi i generi classici (tragedie, poemi epici e didascalici, canzoni, odi), estranei all’orizzonte culturale, agli interessi e ai gusti del nuovo pubblico e si afferma il romanzo, che, grazie ai suoi meccanismi narrativi, è in grado di avvincere l’interesse dei lettori; per lo stesso motivo grande successo hanno forme di poesia narrativa come la novella in versi e la ballata; oppure piace la poesia che fa leva sul sentimentalismo o sulle passioni patriottiche; sulla scelta degli argomenti: la letteratura minore di questo periodo divulga tutta una serie di miti ricavati dalla letteratura romantica di livello “alto”, che sono richiesti dal pubblico perché rispondono evidentemente ad aspettative profonde, spesso inconsapevoli (donne angelo e pure fanciulle perseguitate, insidiose donne fatali e angeli della casa, generosi fuorilegge, eroi tenebrosi, mistioni di amore e morte); il romanzo storico e la novella in versi accontentano spesso un facile gusto esotico per il passato, trasportando il lettore in un “altrove” più affascinante della grigia realtà di tutti i giorni, un Medioevo avventuroso e cavalleresco, un Rinascimento fosco di intrighi, di passioni e di delitti; sulle soluzioni formali dei testi, sulla struttura dell’intreccio e sui procedimenti narrativi: vicende complicate e ricche di sospensione, tali da poter incatenare l’attenzione, scene ad effetto, rivelazioni clamorose e inaspettate, scioglimenti a sorpresa; la letteratura “popolare” vagheggiata dai romantici presenta già caratteristiche simili a quelle che saScipione Vannutelli, Ritratto di Margherita di Francia, ranno proprie della narrativa “d’appen1862, Milano, Villa Reale, Galleria d’arte moderna. dice” e della letteratura “di consumo”; 193

L’età del Romanticismo

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L’influenza dello scrittore sul pubblico

sul linguaggio: non può più essere usato quello della tradizione classica, ma si impone un linguaggio più vicino alla lingua d’uso, che possa essere compreso immediatamente dal pubblico; l’assenza di una vera lingua italiana comunemente parlata da tutti determina l’elaborazione di soluzioni ibride, che mescolano costrutti aulici con forme prosaiche, con risultati spesso di ineffabile goffaggine; fa eccezione solo la soluzione manzoniana, come vedremo ( cap. 3, Il problema della lingua, p. 423).

Se il pubblico condiziona lo scrittore, è vero però anche l’inverso. Proprio la destinazione relativamente “di massa” della letteratura consente allo scrittore di diffondere largamente idee, valori, modelli culturali, formando la mentalità e i gusti di strati piuttosto vasti della popolazione. Si pensi all’enorme influenza che I promessi sposi, un vero best-seller per i tempi, hanno esercitato sulla società italiana: il romanzo manzoniano si impose al lettore dell’Ottocento come modello di un’intera concezione della vita e dei rapporti umani, sociali, religiosi, diventando una sorta di guida morale.

visualizzare i concetti

Il sistema della comunicazione culturale nell’Italia risorgimentale ISTITUzIonI CULTURALI

Declino della corte e dell’accademia come luoghi di elaborazione e diffusione della cultura; incremento dell’editoria e del giornalismo, favoriti dalle innovazioni tecnologiche e dall’aumento dei lettori

Fisionomia

Diminuzione dei chierici e degli intellettuali di estrazione aristocratica che vivono di rendita; aumento degli scrittori laici e borghesi, che devono affiancare il lavoro intellettuale con altre professioni

Ruolo sociale

La temperie risorgimentale favorisce l’impegno patriottico e civile degli intellettuali a livello sia politico (partecipazione diretta alle azioni insurrezionali ecc.) sia culturale (diffusione dei valori risorgimentali)

InTeLLeTTUALI

PUbbLICo

GeneRI LeTTeRARI

LInGUA

La crescita della borghesia favorisce l’ampliamento del pubblico, che non coincide più con una ristretta élite di intellettuali, pur continuando a rappresentare una minoranza dell’intera popolazione Crisi dei generi classici (poesia epica e didascalica, tragedia, odi e canzoni); successo dei generi narrativi (romanzo, novella in versi, melodramma) e della poesia che fa leva sul sentimentalismo o sulle passioni patriottiche Linguaggio più vicino alla lingua d’uso di quello tradizionale, che possa essere compreso immediatamente dal pubblico borghese

facciamo il punto 1. Qual è la fisionomia sociale prevalente dell’intellettuale italiano ottocentesco? 2. Quale atteggiamento mostrano gli intellettuali italiani nei confronti del processo risorgimentale? 3. Che cosa distingue gli intellettuali italiani dalla maggior parte degli intellettuali europei di età roman-

tica?

4. Quale tipo di condizionamento esercita il pubblico sull’attività degli scrittori?

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Il contesto

Storia della lingua e fenomeni letterari

1 Filo rosso Storia della lingua L’assenza di una lingua d’uso unica e comune

Le cause del ritardo dell’unificazione linguistica

L’impulso in epoca risorgimentale

Lingua letteraria e lingua dell’uso comune L’esigenza di una lingua nazionale Ai primi dell’Ottocento mancava ancora in Italia, a differenza degli altri paesi europei, una lingua comune, che fosse usata: a) in tutte le regioni; b) da tutti gli strati sociali; c) in tutte le occasioni della vita associata. La lingua “italiana” era la lingua letteraria consacrata da una lunga tradizione, che aveva le sue origini nel fiorentino trecentesco usato dai grandi scrittori come Dante, Petrarca, Boccaccio ed era utilizzata solo da un’élite colta molto ristretta, e quasi esclusivamente per usi scritti. La lingua d’uso, nella comunicazione orale quotidiana, era il dialetto locale, che era parlato non solo dagli analfabeti, ma anche dalle persone colte. Le cause di questo ritardo dell’unità linguistica italiana erano essenzialmente: 1. la divisione politica della penisola, con le difficoltà di comunicazione e di scambio che determinava; 2. la scarsa diffusione dell’istruzione e l’alto livello di analfabetismo, conseguenza, come si è visto, dell’arretratezza economica e sociale. Negli anni della Restaurazione e del Risorgimento il formarsi di una coscienza nazionale e di un’esigenza di unificazione politica della penisola propone anche l’urgenza di un unico codice linguistico che accomuni tutti gli italiani. I dialetti raccolgono in sé tutto un prezioso patrimonio di cultura locale e spesso sono lingue letterarie di alta dignità culturale, che hanno prodotto capolavori (vedi Porta e Belli, cap. 2, A4, p. 342 e A5, p. 348), ma una nazione moderna non può fare a meno di una lingua nazionale.

La “questione della lingua”

La lingua come strumento di comunicazione sociale

L’intervento dei romantici lombardi

Già nei secoli passati si era posta più volte una “questione della lingua”: nel Trecento con il De vulgari eloquentia di Dante, nel Cinquecento con le discussioni tra Bembo e Trissino, nel Settecento con l’Illuminismo lombardo, nell’età napoleonica con il Purismo. In tutti questi casi però si poneva esclusivamente il problema della lingua letteraria, non della lingua dell’uso comune, da impiegare in tutte le occasioni della vita di relazione. Solo con l’affacciarsi del movimento nazionale si verifica un radicale ribaltamento di prospettive, e la questione della lingua si pone non solo in senso letterario, ma come comunicazione sociale. Non è un caso che il problema sia impostato in questi termini proprio da quel gruppo di intellettuali che rappresenta l’avanguardia del movimento nazionale, i romantici lombardi. Ed è ancora l’intellettuale più acuto ed avanzato del gruppo, Manzoni, a porre in forma più lucida la questione e a suggerire la soluzione teorica più radicale, destinata ad esercitare grande influenza. 195

L’età del Romanticismo

La soluzione manzoniana Un problema concreto: la lingua del romanzo

La proposta del fiorentino della conversazione colta

Il tentativo di diffondere il nuovo modello linguistico e il suo fallimento

L’unificazione linguistica cento anni più tardi

Il problema si pone a Manzoni nel momento in cui si accinge a scrivere un romanzo, destinato al vasto pubblico; ma di qui la riflessione manzoniana si allarga poi ad abbracciare il problema della lingua come strumento di comunicazione generale del popolo italiano. Lo scrittore si rende conto di come l’italiano sia una lingua “povera” e “incerta”: non possiede infatti tutti i termini e i costrutti che servono per l’uso quotidiano, ed il suo codice non è fissato stabilmente, per cui chi scrive o chi parla non ha mai la certezza di essere inteso appieno dal destinatario. La soluzione proposta da Manzoni, attraverso una serie di scritti teorici e concretamente con la revisione del suo romanzo, è di individuare il modello di una lingua comune nel fiorentino dell’uso vivo, attuale. Tale “codice” linguistico è raccomandabile per due motivi: 1. essendo una lingua viva, realmente parlata, è un “codice” completo e certo, che offre tutti i termini e i costrutti per ogni tipo di comunicazione; 2. è strettamente affine alla lingua letteraria tradizionale, che per secoli aveva seguito il modello degli scrittori fiorentini trecenteschi. La soluzione manzoniana fu accolta favorevolmente dalla classe dirigente del nuovo Stato unitario, che condusse la sua politica di diffusione dell’istruzione ispirandosi proprio alle tesi di Manzoni e alla lingua usata nell’edizione definitiva dei Promessi sposi (1848). Per molti decenni le masse popolari, specie quelle contadine, rimasero comunque segregate nel loro universo dialettale, escluse dalla comunicazione in lingua. Ciò contribuisce a spiegare la lontananza degli intellettuali dai ceti subalterni, e, inversamente, l’estraneità delle masse popolari alla vita politica e culturale della nazione: in primo luogo, persone colte e popolo non parlavano la stessa lingua. L’unificazione linguistica fu un processo lungo, che arrivò a compimento si può dire solo negli anni Sessanta del Novecento, con la diffusione dell’istruzione di base, dei mezzi di comunicazione di massa come la televisione e con le grandi emigrazioni interne; e seguì vie ben diverse da quelle indicate da Manzoni, approdando a soluzioni che nulla avevano a che vedere con la fiorentinità propugnata dallo scrittore, come vedremo a suo luogo.

facciamo il punto 1. Quale situazione caratterizza l’Italia ottocentesca dal punto di vista linguistico? 2. In che cosa consiste la soluzione linguistica manzoniana?

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Autori e opere del Romanticismo europeo La Germania

La prima scuola romantica e la rivista “Athenaeum”

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È il primo paese europeo in cui si affaccia una “scuola” romantica, un gruppo di intellettuali accomunati da tendenze affini, espresse in manifesti, opere teoriche e opere creative. Già nel corso del Settecento si erano delineate tendenze precorritrici della nuova sensibilità, come lo Sturm und Drang; ma l’atto di nascita del Romanticismo vero e proprio in Germania è la fondazione della rivista “Athenaeum”, pubblicata a Berlino dal 1798 al 1800 e animata soprattutto dai fratelli August Wilhelm e Friedrich Schlegel ( cap. 1, A1, p. 208). Vi collaborarono anche poeti come Novalis ( cap. 1, A4, p. 220) e Tieck, e filosofi come Schleiermacher e Schelling.

Il contesto · Storia della lingua e fenomeni letterari Idealismo filosofico e spiritualità cristiana

Le tendenze del Romanticismo tedesco

Il Biedermeier e il ritorno alla dimensione quotidiana

La base filosofica del Romanticismo tedesco sono l’idealismo di Fichte, che identifica il reale con l’io e vede il mondo esterno come sua negazione (non-io), e quello di Schelling, che propone una visione mistica della natura. Per quanto riguarda le posizioni teoriche sulla letteratura, concetto basilare è che la nuova spiritualità romantica ha le sue radici nella spiritualità cristiana che si afferma nel Medioevo. Caratteristico del Romanticismo tedesco fu il recupero delle tradizioni nazionali e popolari, collegato al nazionalismo, che nasceva dalla contrapposizione all’oppressione napoleonica e si manifestava come esaltazione dello spirito germanico originario. Il culto del Medioevo e delle tradizioni nazionali germaniche conferisce al Romanticismo tedesco un’impronta regressiva e reazionaria. Espressioni del ricupero delle tradizioni nazionali furono, ad esempio, le Fiabe antiche germaniche raccolte dai fratelli Grimm (1811-12), che ebbero grande diffusione, anche all’estero. Insieme al gusto del fiabesco e del leggendario, pervaso d’ingenuità popolare, si unisce il gusto per situazioni fantastiche, irreali, di sogno, per atmosfere magiche e per evocazioni spettrali e sinistre. L’ultima fase è caratterizzata invece da un ripiegamento verso il quotidiano e il familiare. Un documento significativo di questa tendenza sono le Poesie scelte di Gottlob Biedermeier, maestro elementare svevo, pubblicate nel 1855 da Ludwig Eichrodt e Adolf Kussmaul. Biedermeier è una figura inventata, ma rappresenta il tipico piccolo borghese, chiuso nel suo mondo familiare e soddisfatto del suo limitato orizzonte. Tale figura divenne emblematica del gusto di un’epoca, che si suole definire appunto Biedermeier, caratterizzata da un compromesso con la realtà comune e borghese dopo gli slanci mistici e irrazionalistici del primo Romanticismo. È un gusto analogo a quello che in Inghilterra caratterizza l’età vittoriana, come vedremo a suo luogo.

L’Inghilterra La prima generazione romantica inglese

Il manifesto del Romanticismo inglese può essere considerato la prefazione che William Wordsworth ( cap. 1, A2, p. 211) aggiunse nel 1800 alla seconda edizione delle Ballate liriche, a cui aveva partecipato con alcuni testi anche l’amico Samuel Taylor

John Doyle, Colazione da Samuel rogers (con Sheridan, Moore, Wordsworth, Southey, Coleridge, Byron, Kemble, Flaxman, Mackintosh, Lansdowne, Smith, Irving e Jeffrey), 1823 ca., incisione di Charles Mottram.

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L’età del Romanticismo

Byron, Shelley, Keats e il culto della bellezza

Romanzo storico e romanzo realistico

Coleridge (la prima edizione uscì nel 1798, cap. 1, A6, p. 231). Il programma si articola sostanzialmente in due punti: 1. il poeta deve usare un linguaggio semplice, vicino a quello della gente comune, che erediti quello della tradizione poetica popolare; 2. la poesia deve trattare cose e persone reali, quotidiane, umili. Dal secondo decennio del secolo, la scena letteraria fu dominata da una “seconda generazione” romantica, i cui maggiori rappresentanti si rivelarono George Byron ( cap. 1, A9, p. 252), Percy Bysshe Shelley ( cap. 1, A7, p. 238), John Keats ( cap. 1, A8 , p. 244). Questi ebbero fra loro in comune l’ansia di libertà e il conflitto con la società inglese, con il suo rigido moralismo e con le sue convenzioni soffocanti, la fuga verso gli orizzonti sereni del Mediterraneo (l’Italia, la Grecia), il culto della bellezza. Dalla trattazione di realtà quotidiane passarono ad esplorare l’esperienza intima, soggettiva, in opposizione alla massificazione della Rivoluzione industriale, che aveva cancellato l’individualità e l’interiorità. Alla realtà contrapposero mondi alternativi, creati attraverso l’immaginazione. In questa esplorazione, il loro linguaggio si fece più complesso, prezioso, ricco di immagini, spesso denso sino all’oscurità. Il Romanticismo inglese si espresse soprattutto nelle forme liriche, mentre nella narrativa spiccano la rievocazione del fascino di epoche passate o di costumi primitivi ed esotici, come nei romanzi storici di Walter Scott ( cap. 1, A11, p. 267), oppure il realismo quotidiano e la rappresentazione della vita della borghesia di provincia, come nelle opere di Jane Austen (1775-1817): Orgoglio e pregiudizio (1813), Mansfield Park (1814), Emma (1816). È un aspetto che caratterizzerà la ricca produzione narrativa della successiva età vittoriana, che sarà vicina allo spirito Biedermeier tedesco: la rappresentazione della realtà di ogni giorno, della gente comune e senza storia (di cui già Wordsworth era stato, d’altronde, un precursore).

La francia Chateaubriand e la nuova sensibilità romantica

Testi Chateaubriand • L’«ardore di desiderio» dell’eroe romantico da René

La prefazione al Cromwell di Hugo

I massimi esponenti della produzione lirica

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In Francia un movimento romantico si sviluppò più tardi che in Germania e in Inghilterra, cioè solo nel terzo decennio del secolo. Ma già nell’età napoleonica vi furono personalità che manifestarono appieno la nuova sensibilità. La figura più significativa di questa fase preliminare è quella di François-René de Chateaubriand (1768-1848): nel Genio del Cristianesimo (1802) vi è un’esaltazione della religione cattolica, anche come fonte di ispirazione poetica e artistica, che si oppone al laicismo e al razionalismo del secolo precedente; René (1805) traccia il ritratto di uno dei più tipici eroi romantici, inquieto, infelice e “maledetto”. Sul piano teorico, un’importanza enorme ha La Germania di Madame de Staël (1766-1817), pubblicata a Londra nel 1813, che diffonde in Francia e in Europa la conoscenza della cultura tedesca contemporanea, della letteratura romantica e della filosofia idealistica. Il manifesto del movimento romantico fu la prefazione premessa da Victor Hugo ( cap. 1, A3, p. 214) alla sua tragedia storica Cromwell (1827). Lo scrittore vi sostiene che nell’arte devono convivere bello e brutto, sublime e grottesco, tragico e comico; regole e convenzioni dei generi devono essere abolite perché si oppongono alla libera rappresentazione della natura; così è da respingere l’imitazione dei modelli, che soffoca l’originalità del genio. Il Romanticismo francese si espresse soprattutto nella poesia lirica, le cui caratteristiche furono il sentimentalismo delicato e musicale di Alphonse de Lamartine (17901869), la grandiosità di Victor Hugo, ricca di colore ma spesso gonfia e retorica, la lirica filosofica e simbolica di Alfred de Vigny (1797-1863) che affronta il problema del male con severo pessimismo, la passionalità estrema di Alfred de Musset (1810-57), la tendenza visionaria e allucinata di Gérard de Nerval ( cap. 1, A10, p. 258), in cui si esprimono le profondità dell’inconscio.

Il contesto · Storia della lingua e fenomeni letterari

Il grande successo del romanzo

Nella narrativa si hanno romanzi autobiografici come Le confessioni di un figlio del secolo di Musset, romanzi storici come Notre Dame de Paris di Hugo (1831), che ricostruisce un Medioevo tenebroso e pittoresco, racconti di passioni ardenti in ambienti esotici come quelli di Prosper Mérimée (Colomba, 1840, Carmen, 1845), romanzi sentimentali e idillico-rusticali come quelli di George Sand (pseudonimo di Aurore Dupin, 1804-76), romanzi sociali e umanitari, a forti coloriture romanzesche e popolari come I miserabili di Hugo (1867), romanzi d’appendice, come quelli fortunatissimi di Eugène Sue (1804-57), I misteri di Parigi (1842-43), e di Alexandre Dumas padre (1803-70), I tre moschettieri (1844), Il conte di Montecristo (1845). Ma la narrativa francese offre soprattutto i vertici del romanzo realistico moderno con i romanzi di Stendhal (Henri Beyle, cap. 1, A12, p. 276), Il rosso e il nero (1831) e La Certosa di Parma (1839) e la Commedia umana di Honoré de Balzac ( cap. 1, A13, p. 282).

La Russia Una realtà arretrata

Le posizioni polemiche di Puškin e Lermontov

L’eroe positivo e l’angelo del male

La letteratura romantica russa del primo Ottocento fu caratterizzata da posizioni liberali e progressiste, critiche verso l’autocrazia zarista e le condizioni per certi aspetti ancora feudali della società. Gli intellettuali romantici furono spesso perseguitati per le loro posizioni con il carcere e l’esilio. Così Aleksandr Puškin (1799-1837), che per le sue idee fu allontanato da Mosca e confinato nella tenuta paterna; così Michail Lermontov (1814-41), che subì l’esilio nel Caucaso per una composizione, In morte di Puškin, in cui accusava gli ambienti aristocratici reazionari dell’ostilità verso il poeta. In entrambi agisce fortemente il modello byroniano. Un tipico eroe romantico è il protagonista del capolavoro di Puškin, Evgenij Onegin (1831), che guarda il mondo dall’alto di una superiorità spirituale che non riesce a realizzarsi nei fatti; così Il demone di Lermontov è un angelo del male esule sulla terra, sdegnoso della mediocrità e teso al sublime, senza però riuscire a realizzarlo nella pratica. Ma Puškin mira ad uno stile essenziale e cristallino, mentre Lermontov accentua i caratteri ribelli e anticonformistici.

Gli Stati Uniti I romanzi storici di Cooper Poe, Hawthorne, Melville e il romanzo “nero”

La letteratura americana nasce tra Sette e Ottocento, dopo la conquista dell’indipendenza, ereditando i generi della cultura europea quali il romanzo sentimentale, il romanzo nero, il romanzo storico-avventuroso. I romanzi di James Fenimore Cooper (1789-1851), dedicati allo scontro tra i bianchi conquistatori e il mondo selvaggio delle praterie e delle foreste (L’ultimo dei Mohicani, 1826, La prateria, 1827, L’uccisore di cervi, 1841), sono in fondo la prosecuzione del romanzo storico di Walter Scott. Ma i maggiori narratori americani dell’Ottocento ricalcano soprattutto le vie del “nero”: ciò è più evidente nei racconti di Edgar Allan Poe ( cap. 1, A14, p. 293), incentrati sul mistero, l’orrore, il brivido dell’arcano, ma si può cogliere anche nei capolavori di Nathaniel Hawthorne (1804-64), La lettera scarlatta (1850) e di Herman Melville ( cap. 1, A15, p. 307), Moby Dick (1851).

facciamo il punto 1. Quali sono i caratteri fondamentali del Romanticismo tedesco? 2. Quali sono i maggiori esponenti della letteratura romantica inglese? 3. Quali sono i generi letterari di maggior successo nella Francia dell’Ottocento? 4. Quali elementi tipici del Romanticismo europeo si possono individuare nella produzione russa e statu-

nitense del XIX secolo?

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L’età del Romanticismo

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Forme e generi letterari del Romanticismo italiano La poesia

La distanza dalle esperienze europee

Tematiche civili e linguaggio popolare

La poesia sentimentale

La forza espressiva del dialetto di Porta e Belli

Se in campo europeo il Romanticismo segna una vera e propria rivoluzione poetica, introducendo un linguaggio lirico radicalmente nuovo, immaginoso e simbolico, la produzione poetica minore del nostro Romanticismo (esclusi quindi i vertici di Manzoni e Leopardi) appare invece molto lontana dalle novità europee, nei temi e ancor più nel linguaggio. La poesia romantica italiana è in primo luogo poesia patriottica, colma di passioni risorgimentali, intesa a fini pratici: incitare alla lotta, celebrare le glorie del passato, deprecare il dispotismo e l’oppressione straniera, diffondere valori quali l’amor di patria, la fratellanza nazionale, la libertà. Dato il suo intento di far presa immediata sui lettori, questa poesia punta anche a un linguaggio di popolare facilità, mirando così a realizzare il principio romantico della popolarità della letteratura. Queste caratteristiche si trovano nell’esponente più rilevante di questo genere di poesia, Giovanni Berchet ( cap. 2, A2, p. 324), autore di Romanze (1824) e di Fantasie (1829). Altro filone caratteristico della poesia minore romantica è quello sentimentale, che si manifesta in due generi molto popolari, la novella in versi e la ballata. La novella in versi è un componimento poetico di tipo narrativo che predilige amori infelici con fine tragica (collocati spesso in un Medioevo cupo e pittoresco, come nell’Ildegonda di Tommaso Grossi, 1820), con intensi contrasti passionali e scene lacrimevoli, tese a suscitare la commozione dei lettori. Ad un gusto affine si ispira la ballata, tipo di componimento anch’esso narrativo ma con più forti caratteristiche liriche. Vi trionfa il gusto romantico del pittoresco e del sentimentale, del leggendario e del fantastico, oppure dell’orrido e del macabro. Ottenne a suo tempo vasta notorietà in questo campo Luigi Carrer (1801-50). Se la poesia romantica italiana non riesce a compiere un rinnovamento autentico del linguaggio e dei temi, una rivoluzione profonda è introdotta dalla poesia dialettale, che conta due poeti oggi riconosciuti di altissimo livello, Carlo Porta ( cap. 2, A4, p. 342), che scrive in dialetto milanese, e Giuseppe Gioacchino Belli ( cap. 2, A5, p. 348), che usa il dialetto romanesco. La poesia di Porta e Belli è rivoluzionaria non solo perché affronta zone della realtà tradizionalmente escluse dalla letteratura, quali la miseria materiale e morale dei ceti popolari, ma perché adotta un’ottica dal basso, quella dei popolani stessi, con effetti sconvolgenti e stranianti nella rappresentazione del reale. In questa luce il dialetto non è solo un espediente usato per conferire il colore locale alla rappresentazione, ma appare l’unica forma possibile per esprimere quella particolare visione. Si tratta perciò di un linguaggio poetico vivo, di eccezionale forza espressiva.

Il romanzo Una novità contrastata

Manzoni e il romanzo storico

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Nell’età romantica si afferma in Italia un genere, il romanzo, che conquista presto il pubblico, divenendo quello più diffuso e più letto. La sua affermazione viene contrastata dalla cultura più tradizionalista, ma i romantici, il cui programma culturale prevedeva un rinnovamento letterario, civile ed economico, se ne fanno banditori, in quanto il romanzo risponde perfettamente alle loro esigenze di una letteratura popolare attenta alla realtà, al «vero». Il più grande scrittore romantico italiano, Manzoni ( cap. 3, pp. 360 e ss.) consacra il romanzo quale genere degno di stare accanto a quelli più tradizionali, e i suoi Promessi sposi sono destinati ben presto a diventare un vero e proprio best seller. Seguendo il modello fornito dallo scozzese Walter Scott, in Italia si afferma soprattutto il romanzo storico, che si propone di offrire un quadro di una determinata epoca del passato, illustrando la vita privata, i costumi, la mentalità, i modi di vita della gente comune, sullo sfondo dei grandi avvenimenti storici.

Il contesto · Storia della lingua e fenomeni letterari

Il romanzo di ambiente contemporaneo

Nievo e la svolta psicologica

Nel 1827 escono I promessi sposi, insieme con numerosi altri romanzi di scrittori minori, che si rifanno più strettamente al modello scottiano. Negli anni successivi i romanzi storici invasero il mercato, confermando il fatto che rispondevano a richieste profonde del pubblico. Si affermò soprattutto una nutrita schiera di imitatori manzoniani, che tentavano di riprodurre figure e modi narrativi del maestro (basti ricordare Massimo d’Azeglio, 1798-1866, autore di un fortunatissimo Ettore Fieramosca, 1833, ispirato alla disfida di Barletta e pieno di slanci patriottici, senza trascurare l’elemento sentimentale e quello comico). Se prevalente, almeno sino alla metà dell’Ottocento, è il romanzo storico, rari sono gli esempi di romanzi ambientati nel presente. Un posto importante tra questi occupa Fede e bellezza (1840) di Niccolò Tommaseo (1802-74), che tratta complessi problemi psicologici, in cui si aggrovigliano ambiguamente sensualità e fede religiosa. Una svolta, dopo la metà del secolo, è segnata da due romanzi che, partendo dal Settecento per arrivare sino quasi al presente, segnano il passaggio dal romanzo storico a quello di ambiente contemporaneo, destinato ad affermarsi nel secondo Ottocento: i Cento anni (1859-64) di Giuseppe Rovani (1818-74) e Le confessioni di un italiano (1857-58, pubblicato postumo nel 1867) di Ippolito Nievo ( cap. 2, A6, p. 355). Il romanzo di Nievo segna la fine del romanzo storico di origine scottiana o manzoniana e inaugura una nuova maniera di narrare, descrivendo le vicende psicologiche individuali sullo sfondo dei grandi processi politici e sociali.

La memorialistica L’esigenza di ricordare e di educare

Pellico e d’Azeglio

La letteratura italiana dell’Ottocento è ricca di opere di carattere memorialistico, autobiografie, memorie, diari, testimonianze. La storia di questo periodo, caratterizzata da eventi di portata eccezionale induce infatti coloro che ne sono stati partecipi o testimoni a tramandarne il ricordo. Inoltre, secondo la tendenza educativa che è propria del Romanticismo italiano, la narrazione delle esperienze di lotte, carcerazioni, esìli serve da esempio e da stimolo alla formazione dello spirito patriottico o, dopo l’unificazione, alla costruzione della nuova società e dei nuovi cittadini. Vi sono opere legate al periodo delle lotte risorgimentali e altre scritte ormai dopo la loro conclusione. Alla prima categoria appartengono Le mie prigioni (1832) in cui Silvio Pellico, implicato nell’attività carbonara, narra l’arresto da lui subito nel 1820, il processo e la lunga carcerazione nella fortezza dello Spielberg. Il libro però non è una testimonianza di fervore politico, bensì di una trasformazione spirituale e di un ritorno alla fede. Alla seconda categoria appartengono invece I miei ricordi di Massimo d’Azeglio, importante uomo politico oltre che scrittore, usciti postumi nel 1867. Narrando le proprie vicende giovanili l’autore, in obbedienza al principio che, «fatta l’Italia», occorreva «fare gli italiani», mira a formare «alti e forti caratteri», in contrapposizione all’inerzia e alla corruzione che a suo dire dominavano nell’Italia postunitaria.

Francesco Hayez, I vespri siciliani, 1846, olio su tela, Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea.

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L’età del Romanticismo

La letteratura drammatica Il dramma di argomento storico

Il dramma borghese e il melodramma

Il Romanticismo italiano elabora una nuova forma di tragedia, lontana dal modulo classico consacrato da Alfieri e Foscolo: la tragedia “storica”, che rievoca il passato rispettando il vero storico, ma completando la storia in ciò che essa non dice, i sentimenti, le passioni, i processi interiori dei suoi protagonisti. Tale tipo di tragedia è spesso animato da spirito nazionale e riempie la ricostruzione del passato di riferimenti alla situazione presente e alle aspirazioni patriottiche del popolo italiano. Dal punto di vista formale si libera dei vincoli delle unità classiche di tempo e di luogo e prende a modello i drammi elisabettiani di Shakespeare e le derivazioni recenti di Schiller e del giovane Goethe. La realizzazione più compiuta, sul piano letterario, di questo genere drammatico è offerta dalle tragedie manzoniane, Il Conte di Carmagnola (1820) e Adelchi (1822); per il resto, il panorama della produzione tragica è piuttosto mediocre. Nella seconda parte del secolo si affaccerà poi un genere nuovo, il dramma borghese, che affronta la realtà quotidiana in chiave seria. Il genere drammatico veramente fecondo, diffusissimo e molto amato dal pubblico, è il melodramma. Esso però è un fatto squisitamente musicale e spettacolare, più che letterario. I “libretti” sono subordinati alla musica, e spesso letterariamente alquanto mediocri e goffi. Non mancano anche gli spunti patriottici, di cui sono ricche le opere di Verdi.

La critica e la storiografia letteraria Una nuova concezione di critica letteraria

La riflessione storica sulla civiltà letteraria

La Storia della letteratura italiana di De Sanctis

Nelle età precedenti la critica letteraria era esercitata dagli scrittori, che giudicavano le opere di altri autori, oppure si risolveva in un esercizio accademico, inteso a dare precetti retorici sullo scrivere. Nell’età romantica nasce invece la critica letteraria in senso moderno e il critico svolge un’opera di mediazione tra gli scrittori e il nuovo pubblico: informa sui libri che vengono pubblicati, spiega, commenta, orienta il gusto, contribuisce al successo o all’insuccesso dell’opera. Per questo la critica abbandona l’esercizio pedantesco del classicismo, inteso solo a verificare se l’opera esaminata risponda alle regole e ai modelli, e tende piuttosto a saggiare se l’opera è originale, se nasce da autentica ispirazione, se l’espressione è sincera o artificiosa. Inoltre si tratta di una critica civilmente impegnata, intesa a promuovere una letteratura che esprima lo spirito nazionale e interpreti i valori più radicati di un popolo. Un discorso a parte esige la storiografia letteraria. Nel Settecento essa si limitava a raccolte di dati eruditi, ispirate a una concezione retorica della letteratura. Nell’età romantica invece, affermandosi l’idea di sviluppo storico, l’indagine sui fatti letterari non consiste più in una rassegna di scrittori e di opere allineati nella loro successione cronologica, ma si basa sulla ricostruzione di un disegno generale, di una linea unitaria dietro i singoli dati, e lo sviluppo della civiltà letteraria è analizzata in connessione con lo sviluppo generale della cultura, delle idee, delle vicende politiche e sociali. La storia letteraria diviene così un momento di riflessione su tutto lo svolgimento della storia nazionale, civile e culturale al tempo stesso. L’opera che più compiutamente realizza questo modello è la Storia della letteratura italiana (1870-71) di Francesco De Sanctis che, attraverso lo svolgersi della letteratura nazionale, dà anche la ricostruzione della storia civile e sociale dell’Italia dal Medioevo all’età romantica. Ma con essa siamo ormai nell’età postunitaria.

facciamo il punto 1. Quali sono i generi poetici di maggior diffusione nell’Italia ottocentesca? 2. In che modo si riesce ad affermare in Italia il genere del romanzo? 3. Quali sono le principali caratteristiche della produzione drammatica italiana in età romantica?

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Ripasso visivo

eTÀ deL RoMAnTICISMo (1816-60) PoLITICA, eConoMIA e SoCIeTÀ

In eURoPA • crolla l’assolutismo e si afferma il principio della sovranità popolare • si verifica la rivoluzione economica determinata dall’industrializzazione • il mercato non è pronto per assorbire la produzione industriale e ciò provoca crisi economiche cicliche • cresce il peso sociale e politico della borghesia In ITALIA • frammentazione politica e dominazione straniera • arretratezza dal punto di vista civile, economico e sociale

• si mette in moto un lento processo di sviluppo e ammodernamento grazie alla presenza di una ristretta classe borghese • nel dibattito politico si distinguono due grandi schieramenti: – liberali moderati (cattolici o laici) – democratici • si avvia un ampio movimento insurrezionale che porta alle guerre per l’indipendenza • si affermano le forze moderate, guidate dalla monarchia sabauda • si realizza l’unificazione nazionale

CULTURA e MenTALITÀ In eURoPA • le nuove condizioni socio-economiche provocano inquietudine, insicurezza, paura e senso di impotenza • cambia il ruolo sociale dell’intellettuale e dell’artista: – perdono la loro posizione privilegiata e si sentono esclusi dalla società – assumono atteggiamenti di rivolta e di anticonformismo • la delusione nei confronti del razionalismo illuministico porta all’esplorazione dell’irrazionale • si afferma la tendenza al rifiuto della realtà presente e alla fuga in un tempo o in un luogo immaginario (esotismo)

• nascono nuovi miti che esaltano gli aspetti sponta-

nei e autentici della realtà: – il mondo dell’infanzia – il popolo • nasce il concetto di “nazione” come fatto spirituale e culturale e cresce l’interesse per la storia e per le tradizioni del passato In ITALIA • le idee patriottiche si diffondono nelle classi sociali più alte • si sviluppano l’attività editoriale e il giornalismo e aumenta gradualmente il pubblico dei lettori • si consolida il ruolo sociale e politico degli intellettuali

LInGUA e LeTTeRATURA In eURoPA • la produzione presenta caratteristiche diverse nei vari paesi: • Germania: – recupero delle tradizioni nazionali e popolari – generi fondamentali: poesia lirica e racconti popolari • Inghilterra: – temi umili e quotidiani con linguaggio semplice – esperienze intime e soggettive; conflitto societàartista – generi fondamentali: poesia narrativa, lirica, romanzo storico e realistico • Francia: – generi fondamentali: poesia lirica, romanzo, tragedia storica • Russia: – critica nei confronti del regime zarista e dell’arretratezza sociale – genere fondamentale: romanzo

• Stati Uniti: – imitazione dei modelli culturali e letterari europei – generi fondamentali: romanzo In ITALIA • si apre la “questione della lingua”, che riguarda soprattutto la comunicazione orale quotidiana • soluzione manzoniana: il modello è il fiorentino colto contemporaneo • i generi letterari di maggior diffusione sono: PoeSIA • di argomento civile e patriottico • novella in versi e ballata • dialettale PRoSA • romanzo (storico e di ambientazione contemporanea) • memorialistica (autobiografie, diari, testimonianze ecc.) TeATRo • tragedia storica • melodramma

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L’età del Romanticismo

In sintesi

L’eTÀ deL RoMAnTICISMo (1816-60) Verifica interattiva

ASPeTTI GeneRALI deL RoMAnTICISMo eURoPeo Il XIX secolo è segnato da profonde trasformazioni dal punto di vista politico: in seguito alle rivoluzioni settecentesche (quella americana e quella francese), crolla la monarchia assoluta in quasi tutta l’europa e si afferma il principio della sovranità popolare, sostenuta da ideali di libertà e di uguaglianza. Sotto il profilo economico in molti paesi europei si assiste al fenomeno dell’industrializzazione, che porta rapidamente alla formazione di una nuova borghesia e alla sua imposizione sul piano sociale. la coscienza collettiva viene scossa dalle crisi cicliche di un mercato che si rivela ancora inadeguato per assorbire la produzione massiccia dei prodotti industriali e dalle rivolte della classe operaia che rivendica una maggior tutela del lavoro. la mentalità romantica risulta pertanto influenzata dal senso di insicurezza, inquietudine e impotenza che nasce dalle trasformazioni politiche, economiche e sociali. la figura dell’intellettuale cambia notevolmente: perde la posizione privilegiata che occupava nel periodo illuministico e deve trovare un’occupazione per mantenersi economicamente. Poeti, scrittori e artisti, quasi sempre provenienti dalla classe borghese, assumono spesso atteggiamenti di rivolta e di anticonformismo nei confronti dei valori che si diffondono nella società e analizzano la realtà in modo critico. Poiché l’opera d’arte o d’ingegno diventa una merce sottoposta alle regole del mercato, intellettuali ed artisti sono obbligati a scegliere se assecondare i gusti del pubblico per riscuotere successo, oppure se sottrarsi ai meccanismi dell’editoria di massa e seguire l’ispirazione personale. la maggior parte della produzione artistica e letteraria dell’età romantica è caratterizzata da alcuni tratti comuni: l’inquietudine, il rifiuto, la fuga o la rivolta dinanzi ad una realtà sentita come negativa. Questo atteggiamento di ribellione porta all’esplorazione di tutti gli aspetti irrazionali della realtà e all’adozione di un punto di vista sempre più soggettivo. l’esasperazione passionale, il sogno e la follia sono condizioni ideali per il poeta e per l’artista, che avverte un senso perpetuo di inappagamento per l’impossibilità di superare i limiti della materialità. Questa tensione verso l’infinito, l’assoluto e la verità si traduce in un deciso ritorno alla spiritualità e alla religiosità, ma anche alle scienze occulte, all’esoterismo e alla magia. l’anima romantica subisce infatti prepotentemente il fascino del male e delle atmosfere orrorose e allucinate. Il rifiuto della realtà presente determina inoltre la diffusione del fenomeno dell’esotismo, che consiste nella fuga in un luogo o in un tempo immaginario, dove è possibile realizzare il sogno di serenità, armonia, bellezza

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e pienezza vitale che caratterizza la mentalità comune. Il desiderio di un ritorno all’innocenza originaria e all’autenticità spinge artisti e scrittori a rivalutare l’infanzia e il popolo come le uniche dimensioni in cui risiedono i valori negati dalla civiltà moderna. Nella concezione romantica il concetto di “popolo” si fonde poi con quello di “nazione”, dando vita a un nuovo culto della storia e delle tradizioni culturali come fondamento dell’identità collettiva e dell’impegno civile e patriottico.

L’ITALIA: STRUTTURe PoLITIChe, eConoMIChe e SoCIALI deLL’eTÀ RISoRGIMenTALe la divisione politica che caratterizza l’Italia fino alla seconda metà dell’ottocento determina una condizione di arretratezza dal punto di vista civile, economico e culturale. un primo passo verso lo sviluppo e l’ammodernamento viene compiuto grazie all’alleanza economica e politica tra l’aristocrazia progressista e i ceti medi produttivi, che decidono di opporsi alla frammentazione politica e alla dominazione straniera per favorire l’espansione delle attività produttive. I valori patriottici e le idee di libertà, progresso e civiltà cominciano a circolare negli strati sociali alti, che vengono indicati con il termine di “borghesia”. In questi ambienti si formano le società segrete che promuovono i moti rivoluzionari del 1820-21 e del 1830. Il processo di unificazione nazionale si realizza tra il 1848 e il 1870 attraverso tre guerre condotte dalla monarchia sabauda e dalla classe dirigente di orientamenti moderati, che grazie all’appoggio della Francia e dell’Inghilterra riescono a liberare l’Italia dalla dominazione degli asburgo e dei Borboni, e ad evitare che si rafforzino le istanze democratiche dei repubblicani. le masse contadine, che vivono in condizioni di estrema miseria, rimangono estranee alle idee risorgimentali e non partecipano attivamente al processo di unificazione nazionale, mostrando in seguito un atteggiamento non sempre favorevole nei confronti del nuovo Stato.

Le IdeoLoGIe le ideologie dominanti nella cultura risorgimentale si possono schematicamente suddividere in due grandi schieramenti: quello liberale moderato (nella variante laica e in quella cattolica) e quello democratico. I liberali erano favorevoli a un processo di unificazione guidato da un’élite di nobili e alto-borghesi attraverso una serie di graduali riforme che avrebbe dovuto portare, secondo alcuni, a una federazione degli Stati italiani. tra di loro spiccano le figure di alessandro Manzoni e di camillo Benso di cavour. I democratici puntavano invece sui movimenti insurrezionali e sull’iniziativa popolare e auspicavano la creazione di una repubblica unitaria,

aperta alla partecipazione di tutti grazie all’introduzione del suffragio universale. Questa visione radicale e progressista era sostenuta, tra gli altri, da giuseppe Mazzini e da carlo cattaneo. la maggior parte degli intellettuali e degli scrittori dell’età risorgimentale condivide i princìpi e i valori della corrente liberale moderata, soprattutto a causa dell’influenza esercitata da Manzoni.

Le ISTITUzIonI CULTURALI Nel corso dell’ottocento l’attività editoriale assume sempre più la fisionomia dell’impresa capitalistica. grazie al graduale aumento del numero di lettori e all’introduzione di macchine a vapore per la stampa viene prodotta una quantità di libri molto maggiore e anche le riviste, i periodici, le gazzette e i quotidiani si diffondono ampiamente. riviste come “Il conciliatore”, “Il Politecnico” e “antologia” esercitano un ruolo fondamentale nella formazione della nuova cultura e dei nuovi orientamenti politici.

GLI InTeLLeTTUALI: fISIonoMIA e RUoLo SoCIALe la maggioranza degli scrittori italiani dell’ottocento proviene dalla borghesia e si mantiene in parte con i proventi dell’attività intellettuale, in parte esercitando altre professioni (spesso si tratta di avvocati, notai, medici, funzionari, insegnanti ecc.). Il fatto di non essere più stipendiati da sovrani o grandi signori li rende più indipendenti rispetto al condizionamento ideologico del potere. Il ruolo degli intellettuali risulta determinato dalle particolari condizioni storiche: molti sono infatti impegnati direttamente nell’azione politica, altri si preoccupano di elaborare e diffondere i valori che sono alla base della rivoluzione nazionale. Poiché rappresentano una guida culturale, politica e morale, non avvertono quei motivi di conflitto con la società che determinano il senso di delusione ed emarginazione di tanti scrittori europei contemporanei.

IL PUbbLICo la crescita dei ceti borghesi e l’incremento del livello d’istruzione determinano la formazione di un nuovo pubblico che, attraverso l’acquisto delle opere disponibili sul mercato, determina il successo o l’insuccesso dei vari autori. In questo modo i gusti del pubblico cominciano a condizionare in modo evidente l’attività degli scrittori e tutti gli aspetti della produzione letteraria (generi, tematiche, struttura dell’intreccio, procedimenti narrativi, linguaggio ecc.). Si nota però anche il fenomeno inverso: gli intellettuali, attraverso i libri e i giornali, sono in grado di influenzare profondamente l’opinione

pubblica e di diffondere largamente idee, valori e modelli culturali.

LInGUA LeTTeRARIA e LInGUA deLL’USo CoMUne a causa della frammentazione politica e della scarsa diffusione dell’istruzione per tutto l’ottocento continua a mancare in Italia una lingua comune. Nella comunicazione orale quotidiana continua a essere usato il dialetto locale. Il progetto risorgimentale di unificazione politica considera però importante, ai fini della formazione di una solida coscienza nazionale, l’adozione di un unico codice linguistico che accomuni tutti gli italiani. Si apre perciò nuovamente la “questione della lingua”, all’interno della quale si distingue la proposta di alessandro Manzoni. egli individua come modello di una lingua nazionale unica il fiorentino della conversazione colta, e ne dimostra le qualità adottandola anche come lingua letteraria nell’ultima edizione dei Promessi sposi (1848). la soluzione manzoniana viene accolta favorevolmente dalla classe dirigente del nuovo Stato unitario, che la pone come fondamento della sua politica di diffusione dell’istruzione. l’unificazione linguistica fu però un processo lungo, che arrivò a compimento solo negli anni Sessanta del Novecento.

AUToRI e oPeRe deL RoMAnTICISMo eURoPeo la prima scuola romantica nasce in germania intorno alla rivista “athenaeum” fondata dai fratelli Schlegel. Il movimento tedesco è caratterizzato dal recupero delle tradizioni nazionali e popolari, oltre che dal gusto per le atmosfere magiche e per le situazioni irreali e fantastiche. dal punto di vista filosofico riprende l’idealismo di Fichte e di Schelling e promuove una forte spiritualità cristiana. Nella seconda metà dell’ottocento gli slanci mistici e irrazionalistici si ricompongono in un ripiegamento verso il quotidiano e il familiare (questa fase prende il nome di Biedermeier). la prima generazione di poeti romantici in Inghilterra segue il programma proposto da Wordsworth e coleridge, che rivolgono l’attenzione agli aspetti più umili e quotidiani e si servono di un linguaggio semplice e popolare. la seconda generazione (Byron, Shelley, Keats) si concentra maggiormente sul contrasto tra l’intellettuale e la società e propone una scrittura più intima e soggettiva. Nella narrativa si affermano invece soprattutto il romanzo storico di Walter Scott e il romanzo realista borghese di Jane austen. la nuova sensibilità romantica i afferma soltanto dopo la pubblicazione del saggio di Madame de Staël sulla

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L’età del Romanticismo

cultura tedesca contemporanea (La Germania, 1813). Il romanticismo francese si esprime soprattutto attraverso la poesia lirica di lamartine, Vigny, Musset e Nerval, ma anche nella narrativa si registrano risultati importanti grazie alla produzione di hugo, Mérimée, Sue, dumas padre, Stendhal e Balzac. In russia la produzione romantica, influenzata soprattutto dal modello di Byron, si caratterizza per la forte carica aggressiva nei confronti dell’assolutismo zarista e per la polemica verso l’assetto feudale della società. gli scrittori più importanti di questo periodo sono Puškin e lermontov. Negli Stati uniti il modello scottiano del romanzo storico influenza la produzione di cooper, ma il genere di maggior successo è senza dubbio il romanzo “nero”, che ha i suoi massimi rappresentanti in Poe, hawthorne e Melville.

foRMe e GeneRI LeTTeRARI deL RoMAnTICISMo ITALIAno Il genere letterario più frequentato in Italia nel corso dell’ottocento è la poesia di argomento civile e patriottico, che si propone di trasmettere i valori risorgimentali attraverso un linguaggio popolare. l’autore che meglio rappresenta questo tipo di produzione è Berchet. un altro filone di successo è costituito dalla poesia sentimentale, che si esprime attraverso due generi dall’andamento narrativo e dal tono tragico: la novella in versi (molto usata da grossi) e la ballata (prediletta da carrer). la vera innovazione dal punto di vista del linguaggio e

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dei temi è però introdotta dalla poesia dialettale di Porta (che scrive in vernacolo milanese) e di Belli (che compone in romanesco). In seguito alla pubblicazione dei Promessi sposi di Manzoni il genere del romanzo, che era sempre stato disprezzato dalla tradizione classicista dominante, si afferma anche in Italia. Per tutta la prima metà dell’ottocento si impone il romanzo di tipo storico, ma in seguito si fanno strada anche il romanzo di ambientazione contemporanea (rovani) e di approfondimento psicologico (tommaseo e Nievo). la necessità di raccontare la propria esperienza diretta e di stimolare la formazione dello spirito patriottico spiega l’abbondanza di opere di tipo memorialistico in età risorgimentale. alcune tra le testimonianze più interessanti sono quelle di Silvio Pellico e di Massimo d’azeglio. In ambito teatrale il rinnovamento proposto dalle teorie romantiche tedesche si realizza compiutamente nelle tragedie di argomento storico di Manzoni, ma per il resto la produzione italiana si rivela piuttosto deludente. In questo periodo la scena teatrale è dominata infatti dal melodramma, un genere caratterizzato dalla prevalenza dell’elemento musicale rispetto a quello poetico. In età romantica si registra infine in Italia la nascita della critica letteraria in senso moderno e il rinnovamento della storiografia letteraria, che smette di considerare i fenomeni legati alla letteratura soltanto da un punto di vista retorico e li analizza in connessione con lo sviluppo generale della cultura, delle idee, delle vicende politiche e sociali.

Capitolo 1

Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

1

La concezione dell’arte e della letteratura nel Romanticismo europeo La poetica classicistica

Il principio di imitazione

Armonia, equilibrio, compostezza e levigatezza formale

Idealizzazione, selezione e separazione degli stili

Le poetiche romantiche europee si contrappongono nettamente alla concezione della letteratura che aveva dominato precedentemente in Europa, a partire dal Rinascimento italiano e dal “Gran Secolo” francese, e che era ispirata a princìpi classicistici. La poetica classicistica si fondava essenzialmente sul principio d’“imitazione della natura”, desunto dagli antichi. Siccome la natura è immutabile, parimenti immutabile è anche l’arte. Esistono pertanto canoni eterni e universali del bello. Una volta raggiunto il culmine della perfezione, non resta che cercare di riprodurlo. Deriva di qui il principio dell’imitazione letteraria: comporre significa sostanzialmente imitare dei modelli consacrati. Il poeta deve sì avere un’ispirazione personale, che scaturisce dalla fantasia, ma essa deve disciplinarsi in un esercizio per così dire artigianale, che si fonda sul possesso di certi strumenti tecnici (le figure retoriche, la metrica) e sul rispetto di precise regole, rigidamente codificate, all’interno di un sistema di generi consacrati dalla tradizione. La composizione letteraria è quindi un’attività controllata dalla ragione. Il prodotto deve essere poi accuratamente, lungamente rifinito con il “lavoro di lima”, sino ad essere portato alla perfezione formale. Nulla deve rimanere approssimativo, scomposto. Il gusto classico è perciò dominato da un’idea di armonia, equilibrio, compostezza, levigatezza formale, che corrisponde sul piano dei contenuti a un sereno dominio delle passioni. È un ideale artistico supremamente aristocratico. Gli altri suoi criteri fondamentali sono infatti l’idealizzazione (al molteplice e al multiforme della realtà concreta vanno sostituite forme perfette, tipi ideali, astrazioni) e la selezione (è rigorosamente escluso dalla letteratura “alta” ciò che non risponde ai canoni del bello, ciò che non è degno e nobile). Si ha cioè una netta separazione degli stili: tragico e comico, sublime e quotidiano non devono mai essere mescolati nella stessa opera; il comico, poi, deve essere confinato in generi appositi, minori, come la commedia.

La poetica romantica Il rifiuto delle regole e l’ispirazione

La poetica romantica rifiuta decisamente regole, modelli, generi. La poesia non è esercizio razionale e artigianale, ma libera ispirazione individuale, assoluta soggettività, una voce che proviene dal profondo dell’essere (come teorizza ad esempio Novalis). Il concetto di “ispirazione” allude ad uno “spirito”, ad una sorta di divinità che parla per bocca del poeta. Ricompaiono nel Romanticismo concezioni già presenti nel mondo antico ed estranee al classicismo (in Platone ad esempio), che vedono la poesia come “follia divina”, una sorta di invasamento di una forza interiore più potente, di cui la voce del poeta è il veicolo. 207

L’età del Romanticismo

L’originalità e la spontaneità

L’indefinito e il musicale

La mutevolezza storica del gusto

Il “brutto” e il quotidiano

A1

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Di conseguenza l’arte non è imitazione, ma espressione della soggettività libera e irripetibile dell’individuo. Da qui deriva l’esaltazione del genio, una dote spirituale innata, primigenia, che non si può acquisire e che ha la forza creatrice della natura stessa. Di qui, contro il “principio di imitazione”, il culto dell’originalità: il poeta deve dire ciò che non è ancora mai stato detto e deve trasfondere nell’opera il suo inconfondibile carattere individuale; di qui ancora il culto della spontaneità e dell’autenticità: il sentimento del poeta deve trovare espressione immediata, sincera, senza filtri artificiosi; la pagina deve conservare tutta la carica passionale dell’anima che l’ha generata. Per questo, alla compostezza armonica del classicismo, si preferiscono l’eccesso, la disarmonia, la dissonanza, alla perfezione formale una forma magari disordinata, irregolare, approssimativa, frammentaria (anche se ciò è spesso solo apparente ed è frutto di artifici non meno raffinati di quelli della poetica classica, e di un’analoga cura compositiva). Questa disarmonia formale è l’espressione di un’intima lacerazione che è propria dell’anima romantica e che, come indica August Wilhelm Schlegel ( A1), deriva dal cristianesimo: la visione cristiana infatti, proponendo l’idea del peccato originale, ha dato all’uomo il senso di una perdita della totalità originaria e una nostalgia di infinito. Se pertanto l’arte classica tende alle immagini nitide e plasticamente definite, che gareggiano con le arti figurative, l’arte romantica tende al vago, all’indeterminato, al musicale, che meglio possono esprimere la disposizione sentimentale del soggetto. Dal culto dello spontaneo nasce poi la predilezione per la poesia dei popoli primitivi, in cui più urgente si esprime la forza immaginosa e fantastica; oppure, per gli stessi motivi, per la poesia popolare, ritenuta creazione immediata del popolo ingenuo e incolto (ciò è evidente nel Romanticismo inglese, specie in William Wordsworth, A2, p. 211, e Samuel Taylor Coleridge, A6, p. 231, che si rifanno alle antiche ballate). Legata a questa idea dell’arte come espressione della spontaneità individuale è quella della molteplicità dei gusti a seconda delle condizioni storiche, sociali e culturali, che nega il concetto classico di canoni eterni e immutabili del bello. L’arte muta nel tempo ed esprime i gusti e i valori di determinate epoche, di determinati ambienti. Di qui l’idea che la poesia debba essere moderna, debba cioè rispondere a ciò che è vivo nella coscienza e nei sentimenti di un popolo in un determinato momento della storia. Ma ne deriva anche un allargamento dei confini del “poetico”: in esso può aver diritto di cittadinanza anche ciò che secondo i canoni classicistici era considerato “brutto” o “impoetico”, anche ciò che è basso e quotidiano (come afferma Victor Hugo, A3, p. 214). Crolla così il principio della “separazione degli stili”: nell’opera d’arte, come nella vita, tragico e comico, sublime e volgare devono stare fianco a fianco; ciò che è comune e quotidiano ha diritto di essere rappresentato, ed in forma non solo “comica”, ma seria e sublime.

August Wilhelm Schlegel Nato ad Hannover nel 1767, pubblicò a Berlino dal 1798, con la collaborazione del fratello Friedrich e di altri pensatori e poeti come Schelling, Tieck, Novalis , la rivista “Athenaeum”, che fu portavoce della prima fase del Romanticismo tedesco, quello del “gruppo di Jena” (dalla città che ne era il centro). In seguito insegnò Storia dell’arte e della letteratura a Bonn, dove morì nel 1845. Tra le sue opere spicca soprattutto il Corso di letteratura drammatica (1809-11), che ebbe vasta diffusione in Europa e costituì un punto di riferimento teorico per i vari movimenti romantici (dalla lettura di esso fu influenzato Manzoni nell’elaborare la sua critica alla tragedia classica).

La vita e le opere

Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

T1

August Wilhelm Schlegel

La «melancolia» romantica e l’ansia d’assoluto

Temi chiave

• l’opposizione tra visione del mondo classica e moderna

• la tensione verso l’infinito

dal Corso di letteratura drammatica Riportiamo il passo nella traduzione di Giovanni Gherardini, del 1817, che fu il testo letto dai romantici italiani.

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Alcuni filosofi, i quali però s’accordano con noi nella nostra maniera di riguardare il genio1 particolare de’ Moderni, hanno creduto che il carattere distintivo della poesia del Nord fosse la melancolia2; la quale opinione, dove sia chi bene la intenda3, non s’allontana dalla nostra. Appo4 i Greci, la natura umana bastava a se stessa, non presentiva alcun vòto5, e si contentava d’aspirare al genere di perfezione che le sue proprie forze possono realmente farle conseguire. Ma quanto a noi, una più alta dottrina6 c’insegna che il genere umano, avendo perduto per un gran fallo7 il posto che gli era stato originariamente destinato, non ha sulla terra altro fine che di ricuperarlo; al che tuttavia non può giugnere, s’egli resta abbandonato alle sue proprie forze. La religione sensuale de’ Greci non prometteva che beni esteriori e temporali. L’immortalità, se pur vi credevano, non era da essi che appena appena scorta in lontananza, come un’ombra, come un leggier sogno che altro non presentava se non una languida immagine della vita, e spariva dinanzi alla sua luce sfolgoreggiante. Sotto il punto di vista cristiano, tutto è precisamente l’opposito; la contemplazione dell’infinito ha rivelato il nulla di tutto ciò che ha de’ limiti; la vita presente si è sepolta nella notte, ed oltre alla tomba soltanto brilla l’interminabile giorno dell’esistenza reale. Una simile religione risveglia tutti i presentimenti che riposano nel fondo dell’anime sensitive8, e li mette in palese9; ella conferma quella voce segreta la qual ne10 dice che noi aspiriamo ad una felicità cui non si può aggiugnere11 in questo mondo, che nessun oggetto caduco12 può mai riempire il vòto del nostro cuore, che ogni piacere non è quaggiù ch’una fugace illusione. Allorché dunque, simile agli schiavi Ebrei, i quali prostesi13 sotto i salci di Babilonia facevano risonare dei loro lamentevoli canti le rive straniere14, la nostr’anima esiliata sulPaolo Fagnani, Donna seduta su uno scoglio o La malinconia, 1850, olio su la terra sospira la sua patria, quali possono mai tela, Pavia, Musei Civici. essere i suoi accenti, se non quelli della melancolia?

1. di riguardare il genio: di considerare lo spirito. 2. melancolia: malinconia. 3. dove … intenda: se intesa a fondo. 4. Appo: presso (latinismo). 5. non presentiva … vòto: non aveva consapevolezza di alcun vuoto (nel senso di mancanza, limitazione).

6. più alta dottrina: quella cristiana. 7. gran fallo: il peccato originale. 8. sensitive: sensibili. 9. in palese: in evidenza. 10. ne: ci. 11. cui … aggiugnere: che non si può raggiungere. 12. caduco: destinato a finire.

13. prostesi: distesi. 14. simile … straniere: il riferimento è all’episodio storico noto come “cattività babilonese”, quando gli Ebrei, schiavi appunto dei Babilonesi, intonavano canti pieni di nostalgia per la patria e di dolore per la prigionia.

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L’età del Romanticismo

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E però15 la poesia degli Antichi era quella del godimento, la nostra è quella del desiderio; l’una si stabiliva nel presente, l’altra si libra16 fra la ricordanza del passato e il presentimento dell’avvenire. Nondimeno non bisogna credere che la melancolia si vada al continuo esalando in monotone querimonie17, né ch’ella si esprima sempre distintamente. Nella stessa maniera che la tragedia fu sovente appresso de’ Greci energica e terribile ad onta18 dell’aspetto sereno sotto cui essi riguardavano la vita, anche la poesia romantica, come l’abbiamo pur anzi dipinta, può passare per tutti i tuoni19, da quello della tristezza infino a quello della gioia; ma sempre trovasi in essa un certo che d’indefinibile che dinota l’origine sua; il sentimento è in essa più intimo, l’immaginazione meno sensuale, il pensiero più contemplativo. Contuttociò in realtà i limiti si confondono alcuna volta20, e gli oggetti non si mostrano mai interamente distaccati gli uni dagli altri, e quali siamo costretti di rappresentarceli per averne un’idea distinta. I Greci vedevano l’ideale della natura umana nella felice proporzione delle facoltà e nel loro armonico accordo. I Moderni all’incontro21 hanno il profondo sentimento d’una interna disunione, d’una doppia natura nell’uomo che rende questo ideale impossibile ad effettuarsi: la loro poesia aspira di continuo a conciliare, ad unire intimamente i due mondi, fra’ quali ci sentiamo divisi, quello de’ sensi e quello dell’anima: ella si compiace tanto di santificare le impressioni sensuali coll’idea del misterioso vincolo che le congiugne a’ sentimenti più elevati, quanto di manifestare a’ sensi i movimenti più inesplicabili del nostro cuore e le sue più vaghe percezioni. In una parola, essa dà anima alle sensazioni, corpo al pensiero. Non è dunque maraviglia che i Greci ne abbiano lasciato, in tutti i generi, de’ modelli più finiti. Essi miravano ad una perfezione determinata, e trovarono la soluzione del problema che s’avevano proposto: i Moderni a riscontro, il cui pensiero si slancia verso l’infinito non possono mai compiutamente soddisfare se stessi, e rimane alle loro opere più sublimi un non so che d’imperfetto, che l’espone al pericolo d’esser male apprezzate.

15. E però: per questo. 16. si libra: resta sospesa. 17. querimonie: lamenti insistenti.

18. ad onta: malgrado. 19. tuoni: toni. 20. alcuna volta: talvolta.

21. all’incontro: al contrario.

Analisi del testo

> Visione classica e visione romantica

Armonia e pienezza classiche Il cristianesimo e la lacerazione dell’anima moderna

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È una pagina fondamentale per definire la visione romantica del mondo, ed è tipica anche dell’impostazione mistica e metafisica propria del Romanticismo tedesco. Il discorso è costruito su un’opposizione tra visione classica, rappresentata essenzialmente dal mondo greco, e visione moderna, romantica. La visione greca era caratterizzata dall’armonia e dalla pienezza; ciò derivava però da un limite, la sensualità della religione pagana, che prometteva solo beni temporali ed in cui l’idea di immortalità era vaga, passando in secondo piano rispetto alla vita terrena. In confronto a questa pienezza, l’anima moderna è caratterizzata da una lacerazione, da un senso doloroso di mancanza. Tale intima frattura è un prodotto del cristianesimo, che ha introdotto il senso del peccato, del distacco irrimediabile da una totalità originaria, dell’opposizione tra umano e divino, corpo e anima, effimero ed eterno, finito ed infinito.

Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

> Poesia romantica e cristianesimo L’ansia di infinito

La poesia moderna, romantica, nasce dunque per Schlegel dallo spirito del cristianesimo, ed è caratterizzata dalla nostalgia della pienezza perduta dall’uomo col suo distacco dal Creatore, da una tensione verso l’assoluto e la totalità. È qui perfettamente indicata la fisionomia fondamentale del Romanticismo tedesco, la sua intima inquietudine, la sua ansia d’infinito. Da questa tensione mai appagata vengono fatti discendere da Schlegel anche gli aspetti formali della poesia moderna: il suo carattere di perpetua incompiutezza, di imperfezione, lontana dall’armonica perfezione formale dell’arte classica.

Esercitare le competenze ComPrendere

> 1. Sintetizza in una tabella, secondo l’esempio proposto, le caratteristiche che l’autore attribuisce rispettivamente ai classici, i Greci, e ai moderni, i romantici. Caratteristiche dei classici

Caratteristiche dei moderni

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> 2. Definisci il concetto di «melancolia» romantica. AnALizzAre

> 3. Il brano presenta un passo in cui il discorso assume una connotazione anche politica: individualo e spiegane la funzione. Stile «Allorché … della melancolia?» (rr. 28-33): quale figura retorica, e con quale funzione, riconosci nel passo? > 5. Lessico Rintraccia nel brano vocaboli e/o espressioni appartenenti ai campi semantici dei sensi e dell’anima.

> 4.

APProfondire e inTerPreTAre

> 6.

esporre oralmente Le tesi espresse da Schlegel in merito alla visione classica del mondo trovano riscontro negli autori e nei testi precedentemente trattati in antologia? Fornisci qualche esempio significativo (max 5 minuti).

A2 Le Ballate liriche e Il preludio

William Wordsworth La vita e le opere È il poeta più rappresentativo della prima generazione roman-

tica inglese. Nato nel 1770 e morto nel 1850, subì l’influenza del comunismo anarchico del filosofo William Godwin e simpatizzò per la Rivoluzione francese. Soggiornò anche in Francia nel 1792, ma il degenerare della Rivoluzione verso il Terrore provocò in lui una forte delusione ed un distacco dalle idee rivoluzionarie, che lo spinsero a poco a poco verso posizioni conservatrici. Dall’amicizia con Samuel Taylor Coleridge ( A6, p. 231) nacquero, tra il 1797 e il 1798, le Ballate liriche, che costituiscono il manifesto della poesia romantica inglese. Altra opera importante è Il preludio (1805, pubblicato postumo nel 1850), ampio poema autobiografico che descrive la sua evoluzione spirituale e poetica. La poesia di Wordsworth, in polemica con quella del Settecento, predilige ambienti e personaggi umili ed usa un linguaggio semplice e immediato. 211

L’età del Romanticismo

T2

William Wordsworth

Temi chiave

La poesia, gli umili, il quotidiano

• l’attenzione per gli avvenimenti quotidiani • la rappresentazione della vita rurale, spontanea e diretta

dalla Prefazione alle Ballate liriche Alla seconda edizione delle Ballate liriche, nel 1800, Wordsworth premise una Prefazione che è il più importante documento di poetica del Romanticismo inglese.

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Lo scopo principale che ho avuto scrivendo queste poesie è stato quello di rendere interessanti gli avvenimenti di tutti i giorni, rintracciando in essi, fedelmente ma non forzatamente, le leggi fondamentali della nostra natura, specialmente per quanto riguarda il modo in cui noi associamo le idee in uno stato di eccitazione. La vita umile e rurale è stata scelta generalmente perché, in questa condizione, le passioni essenziali del cuore trovano un terreno più adatto alla loro maturazione, sono soggette a minori costrizioni, e parlano un linguaggio più semplice ed enfatico1; perché in questa condizione i nostri sentimenti elementari esistono in uno stato di maggiore semplicità e di conseguenza possono essere contemplati più accuratamente e comunicati con più forza; perché il comportamento della vita rurale nasce da questi sentimenti elementari, e, dato il carattere di necessità delle attività rurali, è più facilmente compreso ed è più durevole; e, finalmente2, perché in questa condizione le passioni degli uomini fanno tutt’uno con le forme stupende e imperiture della natura. Si è pure adottato il linguaggio di questi uomini (certo purificato da quelle che appaiono le sue reali improprietà e da tutte le permanenti e ragionevoli cause di avversione o di disgusto), perché proprio essi comunicano continuamente con le cose migliori, dalle quali proviene originariamente la parte migliore della lingua, e anche perché, a causa della loro posizione sociale e della uniformità e ristrettezza dei loro rapporti interpersonali, soggiacendo in minor misura all’azione della vanità sociale, essi comunicano i loro sentimenti e le loro idee con espressioni semplici e non elaborate. Un simile linguaggio, che scaturisce da ripetute esperienze e da regolari sensazioni, è dunque un linguaggio più stabile e ben più filosofico di quello che i poeti di solito sostituiscono ad esso, pensando di attirare tanti più onori a se stessi e alla loro arte, quanto più si alienano le simpatie degli uomini e indulgono in arbitrarie e capricciose abitudini linguistiche per ammannire cibi adatti a palati volubili e volubili appetiti3 che esistono solo nella loro immaginazione. W. Wordsworth, Ballate liriche, trad. it. di A. Marucci, Mondadori, Milano 1979

1. enfatico: fatto di gesti, espressioni vivaci ed appariscenti. 2. finalmente: infine. 3. per ammannire … appetiti: Wordsworth, dopo aver esposto le ragioni della preferenza accordata ad uno stile e ad ambienti semplici ed autentici, conclude con questa immagine polemica nei confronti del modo di concepire la poesia da parte degli autori del Settecento, che avevano elaborato prodotti sofisticati destinati ad un pubblico che non corrispondeva a quello reale.

John Constable, Un campo di grano, 1796-1837, olio su tela, Galles (Regno Unito), Amgueddfa Cymru-National Museum Wales.

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Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

Analisi del testo L’attenzione per il quotidiano

Gli umili vicino alla natura

Il linguaggio semplice

È il passo centrale della Prefazione, dove vengono enunciate le tesi di fondo. Si possono individuare tre punti. 1. L’intento di rendere interessanti gli avvenimenti quotidiani mettendo in rilievo in essi le leggi fondamentali della natura umana. Questa attenzione per il quotidiano, il rifiuto dell’eccezionale e dell’eroico, la rivendicazione della dignità di ciò che è comune e umile sono aspetti caratteristici della cultura inglese moderna. Erano già presenti nell’Elegia di Gray ( L’età napoleonica, cap. 1, T5, p. 42) e saranno poi un motivo dominante della letteratura della successiva età vittoriana (in questo, Wordsworth è vicino alle scelte che Manzoni compie nel suo romanzo, dove i protagonisti sono personaggi umili, cap. 3, p. 414). 2. La rappresentazione della vita rurale; perché in essa i sentimenti essenziali si manifestano in modo più spontaneo e diretto, possono essere osservati più accuratamente e resi con maggior forza. È un principio di chiara derivazione rousseauiana: gli umili sono più vicini alla natura. Questa simpatia per gli umili in quanto portatori, come i primitivi e i fanciulli, di una spontaneità originaria e naturale, che nelle altre classi è soffocata dagli artifici della civiltà, è un aspetto tipico del Romanticismo e godrà di larga fortuna nel corso dell’Ottocento. 3. La riproduzione del linguaggio semplice dei personaggi umili, considerato come il modo più immediato e spontaneo per esprimere i sentimenti. Wordsworth polemizza quindi con il linguaggio elaborato e artificioso della letteratura classicistica precedente.

Esercitare le competenze ComPrendere

> 1. Quali sono le quattro motivazioni esplicitamente addotte dall’autore per giustificare la scelta dell’ambientazione umile e rurale?

AnALizzAre

> 2. Individua nelle tesi espresse dall’autore l’opposizione fra natura e società. > 3. Lessico Spiega il significato degli aggettivi «stabile» e «filosofico» (rr. 21-22) attribuiti al linguaggio degli umili: che cosa intende dire l’autore?

APProfondire e inTerPreTAre

> 4.

esporre oralmente Il manifesto poetico di Wordsworth si occupa di problemi letterari ed estetici, ma può avere anche risvolti sociali e politici. Quale rilievo assumono questi due elementi nella produzione degli intellettuali europei nel particolare contesto storico dell’epoca? (max 3 minuti) PASSATo e PreSenTe Verso un nuovo umanesimo

> 5. A proposito della ricerca di una spontaneità originaria che caratterizza i nostri giorni, leggi in classe il seguente passo e discutine le affermazioni in un confronto con l’insegnante e i compagni.

Il nuovo umanesimo planetario non può che nascere da un universalismo concreto, reso tale dalla comunità di destino irreversibile che lega ormai tutti gli individui e tutti i popoli dell’umanità, e l’umanità intera all’ecosistema globale, alla Terra. Questo universalismo concreto non oppone la diversità all’unità, il singolare al generale. Si fonda sul riconoscimento dell’unità delle diversità umane e delle diversità nell’unità umana, reso necessario dal fatto che qualunque sfida oggi ha una portata planetaria e ha bisogno dell’impegno di tutti, ognuno nella singolarità delle proprie rispettive visioni e nella relazione e nell’apertura agli “altri”. M. Ceruti - E. Morin, Un nuovo umanesimo planetario, in “Nuova Secondaria”, n. 4, 2012

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L’età del Romanticismo

A3 Il caposcuola del Romanticismo francese

L’impegno civile

Le liriche

Le tragedie storiche

Notre-Dame de Paris

Testi Hugo «papa dei matti»: il trionfo del brutto

• Il

da Notre-Dame de Paris

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Victor Hugo La vita Nacque a Besançon nel 1802; il padre era un ufficiale, che divenne genera-

le e conte sotto Napoleone. A soli venticinque anni, nel 1827, Hugo si affermò come il caposcuola del Romanticismo francese con la Prefazione al dramma storico Cromwell ( T3, p. 215). Fu al centro di un cenacolo letterario che raccoglieva tutti i più noti scrittori romantici, Vigny, Musset, Sainte-Beuve, Gautier, Nerval, ed anche artisti come Delacroix. Hugo non appartiene al tipo del poeta romantico che si compiace della sua solitudine ed eccezionalità, erigendosi a sfidare titanicamente la società o ripiegandosi vittimisticamente a contemplare il proprio io, ma rappresenta piuttosto il tipo del poeta impegnato nella battaglia culturale e civile, il propugnatore di idealità democratiche e umanitarie, che si pone nei confronti dei contemporanei come guida e come vate. Nominato nel 1845 Pari di Francia (carica onorifica che consentiva di partecipare alle sedute della suprema corte di giustizia a Parigi), si fece protagonista di generose battaglie contro la pena di morte e per il miglioramento delle condizioni di vita del popolo. Durante la rivoluzione del ’48 assunse dapprima posizioni moderate, poi si oppose alle tendenze restauratrici, e soprattutto alla scalata al potere di Luigi Napoleone. Dopo il colpo di Stato con cui questi instaurò una dittatura personale, andò in esilio in Inghilterra, su un’isola della Manica, dove restò per vent’anni (1851-70), usando la poesia come strumento di lotta contro il dispotismo, in nome dei princìpi repubblicani e democratici. Dopo il crollo del Secondo Impero tornò a Parigi, circondato dalla venerazione generale e considerato come un maestro. Non partecipò direttamente ai fatti della Comune (1871), ma ne sentì la grandiosità. Morì nel 1885.

Le opere La sua produzione è sterminata e tocca una gran varietà di generi: la lirica, la tragedia, la satira, l’epica, il romanzo. Le prime raccolte di liriche si collocano nel solco dell’esotismo romantico, già inaugurato da Chateaubriand e da Byron (Le Orientali, 1829), o riprendono i toni intimistici, delicati e malinconici proposti con tanto successo da Alphonse de Lamartine (Foglie d’autunno, 1831). In questa prima fase della sua attività predominano però le tragedie di argomento storico, che danno vita al teatro romantico, libero dalle regole classicistiche, caratterizzato dal gusto per forti conflitti tra grandi personalità: Cromwell (1827), Hernani (1830), la cui rappresentazione scatenò una clamorosa battaglia tra classicisti e romantici, Il re si diverte (1832), Ruy Blas (1838). In questa fase si colloca anche un romanzo storico, Notre-Dame de Paris (1831), dominato dal gusto per la ricostruzione pittoresca del passato e per l’intreccio a forti tinte. Durante l’esilio, con I castighi (1853) Hugo diventa poeta civile e satirico, scagliandosi contro il dispotismo di Napoleone III. Nelle Contemplazioni (1856) riprende i temi sogÉmile Bayard, Cosette spazza a piedi nudi, gettivi e intimi (soprattutto il ricordo della fiXIX secolo, disegno per I miserabili di Victor glia Léopoldine, morta in un naufragio, un trauHugo, Parigi, Maison de Victor Hugo. ma che segnò profondamente la vita del poeta).

Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

I miserabili

Gli altri romanzi

T3

Nella Leggenda dei secoli (1859-83, T12, p. 260) Hugo tenta l’epopea: è una storia dell’umanità attraverso quadri poetici delle varie epoche, dai tempi biblici al XIX secolo, ispirata alla fede nel progressivo incivilimento dell’uomo. È in questa opera che Hugo si afferma soprattutto come poeta vate, cantore delle più alte idealità. Una grande popolarità gli venne anche dai romanzi. Nel 1862 pubblicò I miserabili, dedicato ai poveri e agli oppressi, in cui lo scrittore si fa predicatore umanitario e punta a commuovere il lettore e a sollecitare la sua partecipazione morale, ma che offre anche una serie di quadri della società francese su un vasto arco di tempo, attraverso figure emblematiche, semplicisticamente tratteggiate ma di intenso spicco e di forte presa, tanto da divenire quasi proverbiali. Il romanzo ebbe enorme fortuna e commosse generazioni di lettori in tutto il mondo. È l’esempio più tipico del romanzo popolare ottocentesco di ambizioni sociali e umanitarie. Seguirono altri romanzi, sempre di ispirazione sociale, come I lavoratori del mare (1866), L’uomo che ride (1869), o di impianto storico, come Novantatré (1874). L’attività di Hugo si prolunga ben addentro al secondo Ottocento, un periodo caratterizzato da tendenze contrastanti con quelle romantiche, la disillusione, l’investigazione disincantata e scientifica del reale. Però la sua produzione resta sempre caratterizzata da un forte impianto romantico, dal culto degli ideali, delle passioni, dei grandi valori. Hugo appare comunque una figura importante della letteratura europea, anche se oggi molta parte della sua opera risulta irrimediabilmente invecchiata e persino fastidiosa per l’enfasi, la magniloquenza predicatoria, l’esasperazione schematica dei contrasti, lo scoperto intento di commuovere. Victor Hugo

il «grottesco» come tratto distintivo dell’arte moderna

Temi chiave

• la polemica contro il classicismo • l’aspetto multiforme della realtà

dalla Prefazione a Cromwell L’ampia Prefazione premessa dal giovane Hugo al suo dramma storico Cromwell nel 1827 costituisce il manifesto del Romanticismo francese. Riprendendo una tesi del Corso di letteratura drammatica di Schlegel ( T1, p. 209), Hugo individua nel cristianesimo la discriminante tra mondo classico e civiltà moderna.

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Ecco dunque una religione nuova, una società nuova: su questa duplice base, vedremo svilupparsi una poesia nuova. Fino allora (e chiediamo venia d’esporre una conclusione che il lettore avrà già ricavata da quanto precedentemente detto), fino allora la musa puramente epica degli antichi, comportandosi in ciò come il politeismo e la filosofia antica, non aveva studiato la natura che sotto un unico aspetto, escludendo senza pietà dall’arte pressoché tutto quello che, nel mondo sottoposto alla sua imitazione, non si accordava con un tipo determinato di bello. Tipo sulle prime magnifico, ma, come sempre accade di quanto è sistematico, fattosi negli ultimi tempi falso, meschino e convenzionale. Il cristianesimo conduce la poesia alla verità. Con esso la musa moderna vedrà le cose sotto un aspetto più elevato e più ampio. Sentirà che tutto nella creazione non è umanamente bello, che il brutto vi esiste accanto al bello, il deforme accanto al grazioso, il grottesco sul rovescio del sublime, il male col bene, l’ombra con la luce; si chiederà se la ragione limitata e relativa dell’artista debba averla vinta sulla ragione infinita, assoluta del creatore; se è dell’uomo il correggere Dio; se una natura mutilata diverrà per questo più bella; se l’arte ha il diritto di scindere, per così dire, l’uomo, la vita, la creazione; se ogni cosa camminerà meglio quando sia stata privata dei suoi muscoli e della sua carica vitale; se finalmente sia il vero mezzo di essere armoniosi l’essere incompleti.

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L’età del Romanticismo

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È allora che, fisso l’occhio su avvenimenti tutt’assieme ridicoli e formidabili, e sotto l’influsso di quello spirito di malinconia cristiana e di critica filosofica cui accennavamo or ora, la poesia compirà un grande passo, un passo decisivo, un passo che, pari allo scossone di un terremoto, muterà tutta la faccia del mondo intellettuale. Si metterà a fare come la natura, a mischiare cioè nelle sue creazioni, senza tuttavia confonderle, ombra e luce, grottesco e sublime: in altri termini, corpo ed anima, bestia e intelletto: perché il punto di partenza della religione è sempre anche il punto di partenza della poesia. Tutte le cose si tengono per mano. Ecco dunque un principio estraneo all’antichità, un tipo nuovo introdotto nella poesia; e, come nell’individuo una condizione di più modifica l’essere tutto quanto, ecco una forma nuova che si sviluppa nell’arte. Questo tipo è il grottesco. Questa forma è la commedia. E qui ci sia consentito d’insistere: giacché abbiamo indicato il tratto caratteristico, la differenza fondamentale che separa, secondo noi, l’arte moderna dall’antica, la forma d’oggi dalla forma morta, o – per servirci di parole più vaghe ma più accreditate – la letteratura romantica da quella classica. […] Nel pensiero dei moderni, al contrario, il grottesco ha una parte immensa. È dovunque: da un lato crea il deforme e l’orribile; dall’altro il comico e il buffonesco. Conferisce alla religione mille superstizioni originali, alla poesia mille immaginazioni pittoresche. È esso che semina a piene mani nell’aria, nell’acqua, nella terra, nel fuoco, quelle miriadi di esseri intermedii che ritroviamo ben vitali nelle tradizioni popolari del medioevo; è esso che fa ruotare nell’ombra lo spaventevole carosello del sabba1; è esso ancora che dà a Satana le corna, gli zoccoli di caprone, le ali di pipistrello. È esso, sempre esso, che ora getta nell’inferno cristiano le repellenti figure di cui Dante e Milton2, col loro aspro genio, diverranno gli evocatori; ora lo popola di quelle forme ridicole in mezzo alle quali – Michelangelo da burla – scherzerà Callot3. Se poi dal mondo ideale passa al mondo reale, vi suscita parodie innumerevoli dell’umanità. Nascono dalla sua fantasia gli Scaramuccia, i Crispini, gli Arlecchini4, sogghignanti immagini dell’uomo, tipi del tutto sconosciuti alla gravità degli antichi, e tuttavia usciti dalla classica Italia. È esso infine che, dando di volta in volta a un medesimo dramma i colori dell’immaginazione meridionale e quelli dell’immaginazione nordica, fa sgambettare Sganarello intorno a don Giovanni e strisciare Mefistofele intorno a Faust5. V. Hugo, Cromwell, trad. it. di C. Pavolini, Rizzoli, Milano 1962

1. sabba: nelle leggende medievali, convegno di streghe e spiriti del male durante la notte di sabato. 2. Milton: il poeta inglese John Milton (160874) è ricordato soprattutto per il Paradiso perduto, in cui viene evocata la figura di Satana.

3. Callot: Jacques Callot (1593-1635), famoso ed ammirato incisore francese, cominciò il suo apprendistato riproducendo con incisioni le opere di grandi pittori e amò rappresentare figure grottesche e bizzarre. 4. Scaramuccia … Arlecchini: sono tutte

maschere della Commedia dell’Arte. 5. Sganarello … Faust: Sganarello è il servo di don Giovanni nell’omonima commedia di Molière. Mefistofele e Faust rimandano al Faust di Goethe ( L’età napoleonica, cap. 1, A3, p. 27).

Analisi del testo

> il rifiuto del classicismo

Hugo rifiuta polemicamente i princìpi basilari del classicismo: l’identificazione dell’arte con il bello, definito da canoni precisi, eterni ed immutabili; la separazione degli stili, che vieta di mescolare tragico e comico, sublime e prosaico; il principio di selezione, che esclude rigorosamente dall’arte ciò che non è abbastanza nobile e degno. Al contrario, l’età moderna vuole ammettere anche il brutto e il deforme al regno dell’arte, per dare una

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Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti Bello e brutto, tragedia e commedia

rappresentazione non manchevole della realtà. Bello e brutto, tragedia e commedia, sublime e prosaico hanno il diritto di coesistere nella stessa opera: è questo il grottesco, visto da Hugo come il tratto distintivo dell’arte moderna.

> il grottesco

Il carattere multiforme della realtà

La trattazione di Hugo non va intesa però come semplice affermazione di esigenze realistiche, di una rappresentazione integrale della realtà contro le tendenze idealizzanti del classicismo. Vi sono in germe potenzialità ben più interessanti per l’arte a venire. La rivendicazione del grottesco è l’affermazione del carattere multiforme, a più facce, della realtà. La presenza del comico accanto al tragico, del prosaico accanto al sublime, impedisce che l’opera d’arte si cristallizzi in un’unica prospettiva. Il comico introduce prospettive inedite, “strania” l’univocità del serio e del sublime, inducendo a considerarli da un altro angolo visuale: vedi Sganarello che sgambetta intorno a don Giovanni nella commedia di Molière, Mefistofele che striscia intorno a Faust nel dramma di Goethe.

Esercitare le competenze ComPrendere

> 1. Perché, secondo l’autore, «Il cristianesimo conduce la poesia alla verità» (r. 9)? > 2. A quale proposito Hugo cita il Medioevo? AnALizzAre

> 3. In quale passo del brano l’autore allude a una sorta di commistione delle varie arti? > 4. Stile Individua nel brano similitudini ed espressioni figurate, spiegandone la funzione. APProfondire e inTerPreTAre

> 5.

Scrivere Commenta in circa 15 righe (750 caratteri) il passo «Nascono dalla sua fantasia … Mefistofele intorno a Faust» (rr. 44-49), evidenziando il pensiero dell’autore riguardo alla cultura italiana dell’epoca.

2 L’espressione della soggettività Un nuovo linguaggio lirico

La poesia in Europa La soggettività e il linguaggio simbolico In campo europeo il Romanticismo segna una vera rivoluzione poetica, introducendo un modo profondamente nuovo di intendere la stessa nozione di poesia, non più come adeguazione a modelli e regole fissati da una tradizione ma come voce del profondo, espressione dell’intimo e della soggettività, che si crea i propri mezzi espressivi in assoluta libertà e originalità. Tutto ciò dà luogo ad un’esplosione di tematiche nuove e ad un’esplorazione ardita di zone inedite del reale, in particolare della psiche o del mistero che circonda l’uomo; parallelamente, nasce anche un linguaggio lirico radicalmente nuovo, analogico e immaginoso, in cui la parola muta funzione, caricandosi di intensi valori suggestivi ed evocativi, che si collocano al di là della strutturazione logica del linguaggio della comunicazione abituale, e introducendo straordinarie innovazioni sul piano fonico, ritmico, metrico, sintattico, lessicale, nell’uso delle immagini e dei traslati (che però purtroppo si possono cogliere appieno solo leggendo i testi nella lingua originale). 217

L’età del Romanticismo Hölderlin

Shelley

Keats

Nerval

Anche un poeta animato da una profonda ammirazione per il mondo classico come Hölderlin ( A5, p. 222) non concepisce la poesia come esercizio retorico, ma al contrario come profezia, voce dell’assoluto, e quindi i suoi testi sono percorsi da un potente afflato lirico, che si esprime nel gioco delle immagini. Ancor maggiormente l’Ode al vento occidentale di Shelley ( A7 e T8, p. 238) appare pervasa dall’onda incontenibile di un’immaginazione sfrenata, sovreccitata, che origina un accumulo inesauribile di immagini, capaci di acquistare vita a sé, costruendo un discorso autonomo, denso di richiami interni, al di là dell’immediata lettera della poesia. Le immagini dell’Ode su un’urna greca di Keats ( A8 e T9, p. 244), nonostante la ricerca di un incantesimo della parola preziosa, appaiono invece più composte, nitide e armoniche, in obbedienza al vagheggiamento delle forme antiche di classica perfezione. Il sonetto di Nerval ( A10 e T11, p. 258), a sua volta, gioca su una trama di oscure simbologie, difficilmente decifrabili, su cui si proietta l’ombra inquietante della follia del poeta.

il lato oscuro della realtà

Il riemergere dell’irrazionale

L’irrazionale nella letteratura La notte

Coleridge

Hugo

I grandi rivolgimenti storici di questa età producono una profonda crisi al livello delle coscienze e delle visioni della realtà ( Il contesto, pp. 174 e ss.). Ne risulta messo in forse il dominio della ragione, a cui la civiltà si era ancorata da secoli, tra Rinascimento e Illuminismo. Può così venire alla luce ciò che la ragione aveva sempre compresso, regolato o rimosso; non solo l’emotività e il sentimento, che con la ragione avevano potuto coesistere nel Settecento, ma altri livelli inesplorati del reale: da un lato il mistero intorno all’uomo, le forze ignote della natura, l’invisibile, l’ineffabile, il fantastico, il magico, il sovrannaturale, il demoniaco, dall’altro, all’interno dell’uomo, il fondo oscuro della psiche, con i suoi impulsi segreti, magari inaccettabili alla coscienza e respinti. Tutto ciò viene acquisito al campo della letteratura, da cui era rimasto tradizionalmente escluso a causa del predominio esercitato da poetiche ispirate al principio di razionalità. La poesia, ma anche la narrativa e l’arte drammatica, osano affrontare temi nuovi e perturbanti, prima ignorati. Affiora nelle pagine degli scrittori il vasto continente dell’irrazionale, che assume infinite forme. Se emblema della visione razionalistica della realtà erano i “lumi”, metafora archetipica di questa inquietante zona della realtà è la notte, a cui il poeta romantico tedesco Novalis leva i suoi inni ( T4, p. 220) proprio nell’anno che inizia il nuovo secolo, il 1800 (a volte le date possiedono una straordinaria forza simbolica). Sono queste varie forme dell’irrazionale, lo slancio verso il mistero e l’ineffabile, gli oscuri terrori e gli incubi, i “mostri” del profondo, che cercheremo di passare in rassegna attraverso la scelta antologica che segue. La Ballata del vecchio marinaio di Coleridge ( A6 e T7, p. 231) evoca atmosfere allucinate, di sogno, anzi d’incubo, su cui grava un senso di mistero, anch’esso denso di significati simbolici. La poesia assume un carattere allusivo e inquietante, che rimanda al rapporto dell’uomo con il sovrannaturale. Nel Booz addormentato di Hugo ( T12, p. 260) domina invece un’atmosfera di miracolo pervasa da un senso di arcana sospensione, soprattutto nella descrizione della natura, in cui passa il soffio del sovrannaturale, reso con una musicalità indefinita.

Titanismo e vittimismo

Il ribelle e la vittima

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Il rifiuto ed il conflitto, che sono i motivi di fondo del Romanticismo europeo, vengono a tematizzarsi quasi direttamente in particolari figure eroiche che tornano costantemente nella letteratura di questa età. Nella sua fuga nello spazio e nel tempo, nel sovrannaturale o negli abissi dell’anima, il romantico si trova sempre ad urtare contro i limiti imposti dalla società umana. Nasce di qui un duplice ideale eroico: l’eroe romantico può essere il ribelle solitario che, orgoglioso della sua superiorità spirituale e della sua forza, sprezzante della mediocrità, si erge a sfidare ogni autorità, ogni legge, ogni convenzione, ogni limite, per affermare la sua libertà e la sua individualità d’eccezione (atteggiamento che viene definito titanismo); oppure può essere la vittima, colui che proprio in virtù della sua superiorità

Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

Gli archetipi letterari

è diverso dall’umanità comune, e per questo è incompreso ed escluso, ma non esprime il suo disdegno in gesti clamorosi di rivolta, bensì isterilisce la sua vita nei sogni, senza mai riuscire a tradurli in azione, ed esprime il rifiuto con la solitudine, la malinconia, la contemplazione angosciata della propria impotenza e della propria sconfitta, il vagheggiamento della morte, sino all’estremo gesto autodistruttivo del suicidio (vittimismo). Come si è già avuto modo di indicare, gli archetipi di queste due figure si possono trovare subito all’affacciarsi di una sensibilità romantica nella letteratura europea: il primo nel personaggio del Masnadiere di Schiller (1781, L’età napoleonica, cap. 1, T4, p. 39), il secondo nel Werther di Goethe (1774, L’età napoleonica, cap. 1, T3, p. 29).

L’eroe faustiano L’aspirazione alla totalità del Faust goethiano

Affine al titanismo è l’atteggiamento dell’eroe concepito da Goethe nel Faust ( T6, p. 226). In lui c’è infatti un’aspirazione alla totalità, a raggiungere l’infinito, vivendo tutte le esperienze, autosuperandosi continuamente, allargando il suo io sino all’estremo limite. È una tensione che resta sempre inappagata, perché Faust non riesce mai, come vorrebbe, a dire all’attimo che sta vivendo: «Arrestati! sei bello!».

il fuorilegge

L’angelo ribelle

Byron

Dai due atteggiamenti di base nasce una serie di figure mitiche, particolarmente care al gusto romantico. In primo luogo il nobile fuorilegge che, spinto dalla sua sete di infinita libertà e grandezza, calpesta le leggi umane e si erge a sfidare Dio stesso, compiendo terribili delitti, e per questo è destinato ad essere gravato dal peso di un’oscura maledizione. Su questa figura viene a sovrapporsi quella del primo grande ribelle, Lucifero, il più bello degli angeli, che aveva osato sfidare Dio in un folle peccato di orgoglio. Dietro il nobile fuorilegge romantico s’intravede perciò la figura dell’angelo caduto, avvolta spesso da un alone sinistro e satanico. È questo il caso estremo, ben esemplificato dai Masnadieri di Schiller citati in precedenza, nonché dal Corsaro di Byron ( A9, p. 252). Ma le pagine della letteratura romantica europea sono popolate da figure di fuorilegge, di irrequieti ribelli, il cui fascino scaturisce proprio dal rifiuto, dall’insofferenza della normalità.

Lo sradicato La figura dell’esule e dello straniero

ll poeta romantico

ll senso di mancanza e la nostalgia di un assoluto

Sul versante opposto, quello del vittimismo, si colloca la figura dell’esule, dell’uomo senza radici, che un destino avverso o la malvagità degli uomini o un’inquietudine senza nome spingono a vagare senza sosta, lontano dalla patria; una variante può essere la figura dello straniero, di cui sono ignoti il luogo di provenienza e il passato (che però si intuisce tempestoso), e il cui fascino nasce dal mistero che lo avvolge. L’eroe può anche essere “straniero” in senso metaforico, perché la sua nobiltà spirituale lo isola dagli uomini comuni. In queste figure si proietta in forme traslate l’inquietudine dello scrittore, il suo rapporto conflittuale con la realtà, il suo senso di esclusione. Ma il conflitto arriva a rappresentarsi direttamente: anche il poeta è infatti una delle figure mitiche predilette dalla letteratura romantica. Egli è il genio, un’anima privilegiata, dotata di sensibilità e intelligenza superiori; attraverso la sua bocca parla la divinità stessa: proprio per questo non può essere compreso dalla massa degli uomini mediocri e resta escluso dalla società, disprezzato, deriso, perseguitato (è significativo che Nerval nel sonetto che riportiamo si definisca il «diseredato», T11, p. 258). In questa luce, eroica e vittimistica insieme, la figura dell’intellettuale comparirà a lungo, in varie forme, nella letteratura europea dell’Ottocento, perdurando ancora in pieno Novecento. In tutti i testi che riportiamo si può riconoscere un tema di fondo comune, sia pur declinato in varie forme: il senso di una mancanza e la nostalgia di un assoluto. Esemplificano quindi perfettamente quell’inquietudine, quel rifiuto della realtà contingente e quel protendersi verso un “altrove” che abbiamo indicato come cifra caratterizzante il Romanticismo europeo. 219

L’età del Romanticismo

A4

novalis Friedrich von Hardenberg (Novalis fu il suo nome d’arte) nacque nel 1772 e studiò a Jena con Fichte e Schiller, venendo a contatto con il gruppo romantico dei fratelli Schlegel, di Tieck e Wackenroder. Di tale gruppo fu il poeta più rappresentativo. A ventidue anni conobbe una giovane di quattordici anni, Sophie Kühn, destinata a morire di tisi tre anni dopo. Da questa esperienza della morte nacquero gli Inni alla Notte ( T4), in prosa ritmica mista a versi, pubblicati nel 1800 sull’“Athenaeum”. Tra il 1798 e il 1801 scrisse anche il romanzo Heinrich von Ofterdingen, ispirato alle corti del XIII secolo, dove era diffuso l’amor cortese. Del Medioevo cristiano e imperiale Novalis fu entusiasta celebratore, esprimendo perfettamente le tendenze reazionarie e regressive proprie del Romanticismo germanico. Morì anch’egli di tisi, giovanissimo, nel 1801. Nella sua breve vita si può vedere simbolizzato il destino del poeta romantico, proteso verso la morte. La sua poesia subisce l’influenza della filosofia idealistica, che egli sviluppa in senso misticheggiante. Nella sua visione, in ogni essere fisico della natura vive lo Spirito assoluto; ogni essere finito è magicamente in rapporto col Tutto; Vita e Morte si confondono in una misteriosa infinità. Per questo negli Inni alla Notte la morte è sentita come mistico sprofondare e confluire in un’unità ineffabile. Come si vede, la poesia di Novalis rappresenta le tendenze estreme dell’irrazionalismo romantico.

La vita e le opere

La visione mistica

T4

novalis

Temi chiave

Primo inno alla notte dagli Inni alla Notte

• l’antitesi tra la luce e la notte • il giorno come simbolo delle apparenze • la notte come simbolo della vera conoscenza

Gli Inni alla Notte sono scritti in una prosa lirica alternata a versi.

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Quale vivente, dotato di senso1, fra tutte le magiche parvenze dello spazio che si dilata intorno a lui, non ama la più gioiosa, la luce – con i suoi colori, i suoi raggi e onde; la sua mite onnipresenza di giorno che risveglia2. Come l’anima più intima della vita la respira il mondo immane delle costellazioni senza quiete3, e nuota danzando nel suo flutto azzurro – la respira la pietra scintillante, in eterno riposo, la pianta sensitiva che sugge, e il multiforme animale istintivo4 – ma sopra tutti lo splendido intruso5 con gli occhi colmi di sensi, il passo leggero, le labbra dolcemente socchiuse, ricche di suoni. Come un sovrano della natura terrena, essa6 chiama ogni forza a metamorfosi innumeri, annoda e scioglie alleanze infinite, avvolge la sua immagine celeste intorno a ogni creatura terrestre. La sua sola presenza rivela l’incanto dei reami del mondo. In plaghe remote7 mi volgo alla sacra, ineffabile, arcana notte8. Lontano giace il mondo – sepolto nel baratro di una tomba9 – squallida e solitaria la sua dimora. Nelle corde del petto spira profonda malinconia. In gocce di rugiada voglio inabissarmi e mescolarmi alla cenere. Lontananze della memoria, desideri della giovinezza, sogni dell’infanzia, brevi gioie e vane speranze dell’intera e lunga esistenza vengono in grige vesti, come nebbie vespertine dopo il tramonto del sole10. In altri spazi11 la luce ha piantato le sue tende gioiose.

1. senso: senno. 2. mite … risveglia: la luce si diffonde ovunque, risvegliando gli uomini e la natura. 3. l’anima … quiete: le immense costellazioni del cielo, che ruotano senza mai fermarsi, respirano la luce come un principio vitale. 4. istintivo: dotato di istinto. 5. splendido intruso: l’uomo; intruso sulla

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terra, perché la sua vera patria è il cielo. 6. essa: sempre la luce. 7. In plaghe remote: lontano dalla luce. 8. ineffabile, arcana notte: la notte è misteriosa ed ha qualcosa di divino, che non si può esprimere (ineffabile). 9. Lontano … tomba: il mondo (avvolto nelle tenebre della notte) appare lontano,

immerso come in una tomba. 10. Lontananze … sole: il calore della notte evoca memorie e sogni della giovinezza avvolti in un sentimento di malinconia. 11. In altri spazi: nella parte dell’emisfero dove è giorno.

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Non tornerà mai dai suoi figli, che l’attendono in ansia con la fede degli innocenti? Che cosa d’improvviso12 sgorga così carico di presagi sotto il cuore, e inghiotte l’aura tenue della malinconia? Anche tu trovi piacere in noi, oscura notte? Che cosa tieni sotto il tuo manto, che con forza invisibile mi tocca l’anima? Delizioso balsamo stilla dalla tua mano, dal fascio di papaveri13. Le ali grevi dell’animo tu innalzi. Ci sentiamo pervasi da una forza oscura, ineffabile – un volto severo vedo con lieto spavento, che si piega su di me devoto e soave, e sotto i riccioli che senza fine s’intrecciano, mostra la cara giovinezza della madre14. Come misera e puerile mi sembra ora la luce – come grato e benedetto il commiato del giorno – Solo per questo quindi15, perché la notte discosta da te i fedeli, tu seminasti per l’immensità dello spazio le sfere splendenti per annunciare la tua onnipotenza – il tuo ritorno – nei tempi della tua assenza. Più celesti di quelle stelle scintillanti ci sembrano gli occhi infiniti che la notte dischiude in noi16. Così lontano non vedono le più pallide di quelle schiere innumerevoli – senza bisogno di luce penetrano con lo sguardo gli abissi di un’anima amante – il che colma uno spazio più alto di voluttà indicibile. Premio della regina del mondo, della eccelsa annunciatrice di mondi sacri, custode di amore beato – a me lei ti manda – amata soave – caro sole della notte, – ora veglio – perché sono Tuo e Mio17 – tu mi hai rivelato che la notte è vita – mi hai fatto uomo – consuma con ardore spettrale il mio corpo, così che io mi congiunga etereo più intimamente con te e la notte nuziale duri in eterno. Novalis, Inni alla Notte, trad. it. di R. Fertonani, Mondadori, Milano 1982

12. Che cosa d’improvviso: comincia la scoperta seducente ed irresistibile della notte e della soddisfazione che essa può donare. 13. papaveri: simboleggiano il sonno. 14. un volto … madre: la notte assume il volto di una giovane donna che si china sul poeta; è forse il volto della fidanzata, morta giovanissima, o quello della giovane madre che si chinava su di lui nella culla; può anche

Henri Fantin-Latour, La regina della notte, 1896, olio su tela, Collezione privata.

essere che in realtà le due immagini femminili si confondano. 15. Solo per questo quindi: la notte, come una rivale vittoriosa, attrae irresistibilmente i seguaci della luce, ma questa, attraverso le stelle (sfere splendenti) tenta, a sua volta, di non far scordare il suo potere di seduzione. 16. Più celesti … noi: la notte mette nell’uomo facoltà di conoscenza più profonde di

quelle razionali. 17. regina del mondo … Mio: la notte, regina del mondo, manda come premio al poeta la donna amata, attraverso la quale può raggiungere una più profonda conoscenza, comprendere l’invisibile e l’ineffabile; grazie alla fusione fra la notte e l’amata ritrova se stesso (sono Tuo e Mio).

Analisi del testo La luce e la notte

L’inno è costruito sull’antitesi tra la luce e la notte. La luce è simbolo di un rapporto razionale col mondo, un rapporto che non dà la vera conoscenza, perché il giorno non è il mondo reale, ma solo quello delle apparenze che si trasformano incessantemente. Per questo la luce appare «misera e puerile» di fronte alla notte, che dà invece la vera conoscenza perché mette in contatto con un mondo arcano, sacro, invisibile, ed innalza l’uomo con una forza oscura, ineffabile. Essere avvolti dalla notte è come sprofondare in un abisso immemoriale, ricongiungersi con la Madre primigenia. Nella notte amore e morte si fondono in una mistica unione, che dissolve l’io individuale nell’infinito e gli dà la suprema conoscenza. 221

L’età del Romanticismo

Esercitare le competenze ComPrendere

> 1. Spiega l’espressione riferita alla luce «chiama ogni forza a metamorfosi innumeri» (rr. 8-9). > 2. Che cosa dice il poeta a proposito delle stelle? AnALizzAre

> 3. > 4.

Stile Stile

Individua le metafore usate per descrivere la notte e indica a quale campo semantico appartengono. Quale figura retorica rilevi nell’espressione «caro sole della notte» (r. 38)?

APProfondire e inTerPreTAre

> 5.

Scrivere Prendendo spunto dalle parole suggestive contenute nel brano, spiega in circa 10 righe (500 caratteri) quale atteggiamento mostra l’autore nei confronti delle forze ignote della natura e del fondo oscuro della psiche umana. > 6. esporre oralmente Ricerca nel testo tutti i particolari che rimandano alla presenza di una figura femminile e spiega quale atteggiamento assume il poeta di fronte ad essa (max 3 minuti).

A5

La follia

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friedrich Hölderlin Non fece parte della scuola romantica vera e propria, ma fu uno dei massimi poeti romantici per il sentimento cosmico che infuse nelle poesie, «per la sua capacità di fondere come in un sogno armonioso gli opposti che dilaniavano la sua anima» (Mittner). Nato nel 1770, studiò nel celebre collegio teologico Stift di Tubinga, dove ebbe come compagni Schelling e Hegel, i due futuri filosofi dell’idealismo. Fu abilitato all’ufficio di pastore, ma per tutta la vita si rifiutò di svolgerlo, per insofferenza del formalismo teologico e per motivi politici. Con alcuni amici aveva infatti fondato un club giacobino e attendeva che la rivoluzione scoppiasse anche in Germania. Ma era troppo portato al sogno e alla contemplazione per immergersi nell’azione. Nel 1796 fu precettore a Francoforte in casa di un ricco banchiere, Gontard, e si innamorò della moglie di lui, Suzette, che cantò col nome di Diotima. Ma infranse il legame, convinto di essere obbligato a sacrificare la felicità amorosa per restare fedele alla missione di poeta. La sua vita successiva fu tormentata: appariva inadatto a qualunque vincolo esterno di lavoro e dovette abbandonare diversi incarichi. Si manifestarono ben presto in lui sintomi di follia. Dal 1806 fu rinchiuso in una clinica, poi fu affidato in custodia ad un falegname che lo alloggiò in una torre sulle rive del Neckar. Franz Karl Hiemer, Ritratto di Friedrich Qui trascorse i successivi trentasette anni della Hölderlin, 1792, pastello, Marbach (Germania), sua vita, in una condizione di mite demenza, Schiller-Nationalemuseum. scrivendo ancora strani versi.

La vita

Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

La poetica e le opere Amico di Schelling ed Hegel, fu vicino alla filosofia dell’i-

L’armonia

Iperione L’arcipelago

T5

dealismo; ma mentre per Hegel la poesia si riduce a puro veicolo del concetto ed è subordinata ad esso, per Hölderlin la poesia è la voce stessa dell’essere, dell’assoluto, per cui la filosofia è assorbita nella poesia. Il poeta è un vate che deve indicare la via di una rigenerazione radicale dell’umanità, attraverso una rinnovata armonia tra uomo e natura, tra il singolo e il Tutto, tra l’individuale e l’universale. Il cielo, il sole, la terra, le acque sono dèi, emanazioni della presenza divina nel mondo. Gli antichi Greci vivevano in comunità immediata con gli dèi, avevano cioè il senso dell’armonia divina della natura. Il mondo moderno ha perso quest’armonia; il poeta ha proprio il compito di «far rinascere in mezzo all’“empia” umanità moderna […] il culto degli dèi, cioè il senso della divina armonia che è diffusa nell’universo» (Mittner). Il ritorno degli dèi darà inizio ad una nuova età dell’oro dell’umanità. Su questo contrasto tra antichità ed età moderna si impernia il romanzo Iperione (1797-99). Il vagheggiamento della Grecia antica è oggetto di numerose liriche, come l’ampia elegia L’arcipelago. La poesia di Hölderlin ha uno spirito di misura e di armonia che si può definire classico, anche se l’impeto lirico può giungere alla rottura della forma, quasi alla sua completa distruzione.

friedrich Hölderlin

diotima La poesia risale agli anni 1797-99. Il discorso del poeta è rivolto a Diotima, figura femminile che si carica di profondi valori simbolici.

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Temi chiave

• la grecità mitica • la nostalgia di un’armonia perduta

Vieni e placami questo Caos del tempo1, come una volta, delizia della celeste musa, gli elementi hai conciliato!2 Ordina la convulsa lotta coi tranquilli accordi del cielo, finché nel petto mortale ciò ch’è diviso si unisca, finché l’antica natura dell’uomo, la placida, grande, fuor dal fermento del tempo, possente e serena si levi3. Torna nei miseri cuori del popolo, bellezza vivente, torna all’ospite mensa, nei templi ritorna! Ché Diotima vive come i teneri bocci d’inverno, ricca del proprio spirito, pure ella cerca il sole. Ma il sole dello spirito, il mondo felice è perito e in glaciale notte s’azzuffano gli uragani4. F. Hölderlin, Poesie, trad. it. di G. Vigolo, Einaudi, Torino 1963

1. Caos del tempo: il disordine del mondo storico che ha perduto l’armonia del mondo classico. 2. delizia … conciliato!: Diotima, la donna a cui è dedicata la lirica, è identificata con l’armonia che originariamente aveva conciliato gli elementi del mondo in lotta fra loro. 3. Ordina … si levi: l’armonia deve tornare a conciliare i conflitti dell’uomo moderno, in modo da far rivivere la tranquilla e serena

natura dell’uomo antico, non soggetta alle turbolenze del mondo storico. 4. il mondo … uragani: il mondo antico, armonico e felice, è perito; mentre quello moderno è percorso da conflitti (uragani) e privo della serenità e della gioia vitale degli antichi (in glaciale notte: il gelo e il buio si contrappongono all’idea di luce e di calore che contraddistingue la classicità).

Komm und besänftige mir, die du einst Elemente versöhntest, / Wonne der himmlischen Muse, das Chaos der Zeit, / Ordne den tobenden Kampf mit Friedenstönen des Himmels, / Bis in der sterblichen Brust sich das Entzweite vereint, / Bis der Menschen alte Natur, die ruhige, große, / Aus der gärenden Zeit mächtig und heiter sich hebt. / Kehr’ in die dürftigen Herzen des Volks, lebendige Schönheit! / Kehr’ an den gastlichen Tisch, kehr’ in die Tempel zurück! / Denn Diotima lebt, wie die zarten Blüten im Winter, / Reich an eigenem Geist sucht sie die Sonne doch auch. / Aber die Sonne des Geists, die schönere Welt ist hinunter / Und in frostiger Nacht zanken Orkane sich nur.

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L’età del Romanticismo

Analisi del testo La nostalgia di un’armonia perduta

La poesia esprime la nostalgia struggente di un’armonia perduta, proiettata in una mitica grecità, che conciliava gli elementi conflittuali del cosmo e gli impulsi contrastanti negli animi degli uomini. Ad essa si contrappone il mondo presente, il mondo della storia, che è caos, «glaciale notte» in cui «s’azzuffano gli uragani». Nel poeta vi è però una tensione inesausta a riportare in vita quell’armonia, a far rinascere un’umanità magnanima, forte e serena. Come l’Ode su un’urna greca di Keats ( T9, p. 245) il breve componimento esemplifica perfettamente un modo tutto romantico di guardare all’antichità classica.

Esercitare le competenze ComPrendere

> 1. Perché l’autore definisce «miseri» i «cuori del popolo» (v. 7)? AnALizzAre

> 2.

Stile Perché, come evidenziato nell’introduzione al componimento, la figura femminile a cui si rivolge il poeta si carica di valori simbolici? Rispondi in base al testo. > 3. Stile Individua nel componimento similitudini, metafore e antitesi. > 4. Lessico La contrapposizione tra passato e presente è ravvisabile in tutta la poesia. Individua tutte le espressioni che si riferiscono a questi due momenti.

APProfondire e inTerPreTAre

> 5.

Scrivere Svolgi un confronto di circa 15 righe (750 caratteri) tra la visione del mondo greco che emerge dal componimento e quella che caratterizza la produzione di Foscolo.

Wolfgang goethe

L’età napoleonica, cap. 1, a3, p. 27

Nel 1808 Goethe pubblicò la redazione definitiva della prima parte del Faust. A quest’opera il poeta lavorò per tutta la vita, dalla prima redazione del 1775, l’Urfaust (che restò inedito e di cui fu ritrovata copia solo nel 1886), al compimento della seconda parte, avvenuto nel 1831, a pochi mesi dalla morte. Il Faust si ispira ad una leggenda apparsa per la prima volta in un libro popolare del 1587, a sua volta ispirato ad un personaggio storico, Georg Faust, oscura figura di mago vissuto nella Germania del primo Cinquecento. Nel Libro popolare Faust stringe un patto col diavolo per aver accesso ai segreti della natura, ed è visto negativamente, in una prospettiva luterana ortodossa, come esempio della superbia peccaminosa dell’uomo che non sa stare entro i limiti della conoscenza segnati da Dio. Il libro ebbe largo successo e numerose ristampe, subendo in seguito vari rifacimenti, sino al Settecento. La figura ispirò anche il drammaturgo elisabettiano Christopher Marlowe (1564-93), che nel 1592 compose la Tragica storia della vita e della morte del dottor Faustus: in essa Faust stringe un patto col diavolo per raggiungere una conoscenza illimitata del mondo, che ne garantisca anche il possesso assoluto; risalta così nella tragedia la grandezza dell’uomo, anche se deviata verso il male. Nel Settecento, Faust è ripreso dal razionalista Lessing che volge in positivo, illuministicamente, la sete illimitata di sapere del personaggio, e ne prospetta la salvazione finale. La figura di Faust suscitò in

iL Faust La prima parte

Gli antecedenti letterari

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Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

La forma drammatica

La trama

Lo Streben

La struttura e la trama

La tensione inappagata

seguito anche l’interesse degli Stürmer, di Friedrich Müller e Maximilian Klinger, per i quali Faust diviene l’individuo d’eccezione che vuole realizzarsi contemporaneamente su tutti i piani e che per questo va necessariamente incontro alla sconfitta. La leggenda di Faust entrò persino nel repertorio del teatro dei burattini, grazie al quale, a quanto pare, fu conosciuta originariamente da Goethe. Anche il Faust del giovane Goethe avrebbe dovuto essere dannato, ma poi, nella lunga elaborazione subita dal progetto iniziale, la figura si trasformò, arricchendosi straordinariamente di significati. L’opera ha forma drammatica (Goethe stesso la indica come «Tragedia») e vi è premesso un Prologo in teatro, tra il Direttore, il Poeta teatrale e il Comico, poi un Prologo in Cielo, in cui Dio consente a Mefistofele di tentare Faust, sicuro che egli si salverà comunque. La prima parte si apre nello studio del dottor Faust, che esprime la sua stanchezza e il suo disprezzo per la vuota scienza medievale di cui ha nutrito tutta la sua vita. Vorrebbe un rapporto immediato con la natura, un accesso diretto ai suoi segreti. Evoca allora lo Spirito della Terra, ma questi lo respinge. La sconfitta induce Faust al pensiero del suicidio, ma il suono delle campane e i canti del mattino di Pasqua lo distolgono dal proposito, riconciliandolo con la vita. Esce per ritrovare il contatto con il mondo, ma al rientro nello studio viene seguito da un cane nero che in seguito si trasforma in un cavaliere dal piede equino: è il diavolo Mefistofele. Con lui Faust fa una scommessa: Mefistofele gli farà attraversare tutte le esperienze della vita ed egli gli concederà l’anima se mai arriverà ad appagarsi anche solo di un istante di godimento. Il viaggio con Mefistofele percorre vari ambienti, quello goliardico di una cantina, tra studenti beoni, la cucina di una strega dove Faust viene magicamente ringiovanito, il sabba delle streghe nella notte di Valpurga. Faust conosce una fanciulla ingenua e di umile condizione, Gretchen, e la seduce, uccidendone anche il fratello in un duello. La donna viene condannata a morte per aver soppresso il figlio della sua colpa, ma, in chiusura della prima parte, una voce dal cielo annuncia la sua salvezza, prefigurando la finale salvazione di Faust. La tragedia rappresenta in questa prima parte l’impossibilità, per Faust, di conciliare l’amore con la sua irrequieta tensione, che lo induce a non appagarsi mai, ad autosuperarsi continuamente (è questo lo Streben, il concetto chiave dell’opera). La seconda parte La seconda parte è molto ampia ed è divisa in cinque atti, a differenza della prima, costituita da una successione di quadri staccati, senza immediata connessione logica tra di loro; è anche gravata da innumerevoli simboli e significati concettuali, che la rendono assai ardua. Faust, dopo essersi immerso nella natura, che lo purifica dal rimorso, fa l’esperienza del «gran mondo», alla corte dell’Imperatore. Nel II atto discende alle Madri, le forme primigenie e ideali delle cose. Nel III atto si svolge la notte di Valpurga «classica»; qui Faust incontra Elena di Troia e si unisce a lei: è il simbolo della fusione tra spirito classico e spirito germanico. Ne nasce Euforione, simbolo della poesia romantica. Nel IV atto Faust, grazie alla sua vittoria contro un anti-imperatore, ottiene dall’Imperatore una terra sterile, che cerca di strappare al mare con un sistema di dighe. Ma, insoddisfatto, vuole anche la terra dei due vecchi, Filemone e Bauci, suoi vicini; ricorre a Mefistofele, ma i due vecchi periscono in un incendio. Senza volerlo, Faust porta su di sé il peso della colpa. Viene l’ora della morte di Faust. Mefistofele e i diavoli, che vogliono la sua anima, vengono sconfitti dagli angeli. L’anima viene portata nelle sfere celesti, dove è accolta da Gretchen, che è al seguito della Vergine. Gli angeli cantano: «Colui che sempre si è nella ricerca affaticato, noi lo possiamo redimere!». Il nucleo dell’opera è proprio in questo Streben, il perpetuo tendere ad una meta, in un’ansia di azione che supera ogni tentazione ad appagarsi di un obiettivo già raggiunto.

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L’età del Romanticismo

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Wolfgang Goethe

Temi chiave

La scommessa col diavolo dal Faust

• l’aspirazione all’infinito • la tensione inappagata • la visione negativa della scienza

Dall’inizio della prima parte, riportiamo la scena famosa della scommessa con Mefistofele.

STUDIO Faust, Mefistofele faUST

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Bussano? Avanti! Chi sarà mai questo nuovo seccatore? mefISTOfele Son io. faUST Avanti! mefISTOfele Devi dirlo tre volte. faUST E dunque: avanti! mefISTOfele Così mi piaci. Spero che c’intenderemo. Per scacciare le tue paturne1 eccomi qui vestito da nobile cavaliero: abito rosso orlato d’oro, mantelletto di raso pesante, sul berretto piuma di gallo, al fianco lunga spada affilata; e tu spicciati a vestirti allo stesso modo; dopo di che libero e senza impicci saprai finalmente che cosa sia vivere. faUST Sotto qualunque veste sentirò la pena della mia angusta esistenza. Troppo vecchio per trastullarmi, troppo giovane per saper vivere senza desideri, che mai può darmi il mondo? Rinunciare devi, rinunciare! ecco l’eterno ritornello che suona all’orecchio d’ogni uomo, che ogni ora, durante tutta la vita, ci ricanta con rauca voce. Di sgomento è pieno ogni mio risveglio e mi vien da piangere al sorgere d’ogni nuovo giorno che nel suo corso non appagherà uno solo dei miei desideri, non uno! anzi con l’assidua critica turberà l’attesa d’ogni gioia e con le mille smorfie della vita sociale incepperà l’opera dell’ardente mio cuore. Quando poi cala la notte, trepido mi stendo sul giaciglio, ché anche lì non trovo riposo: selvaggi incubi mi cacceranno dal sonno. Il Demone che abita nel mio petto può bensì scatenarmi in seno il tumulto, ma, padrone delle mie forze, è poi incapace di volgerle all’azione. E così la vita m’è di peso, desiderata la morte e odiosa l’esistenza. mefISTOfele Eppure la morte non è mai ospite del tutto gradita. faUST Beato colui cui essa cinge di lauri le tempie sanguinanti nel fulgore della vittoria, colui, che dopo una danza turbinosa, essa coglie tra le braccia della sua fanciulla. Oh, fossi anch’io nell’estasi piombato al suolo esanime dinnanzi alla forza di quello spirito sovrano2! mefISTOfele Eppure c’è qualcuno che una notte non vuotò la coppa di certo bruno liquore. faUST A quanto sembra, stare a spiare non ti dispiace. mefISTOfele Onnisciente non sono, ma molte cose so. faUST Poiché un dolce suono familiare mi strappò a quel terribile vortice3, e col ricordo dei tempi sereni illuse ciò che in me restava dei miei sentimenti puerili, io maledico a tutto ciò che chiude l’anima in una rete di seduzioni e di miraggi, e a forza di illusioni e lusinghe la trattiene in questa tragica spelonca4! Maledetta anzitutto l’alta opinione in cui l’anima esalta se stessa! maledetto l’abbaglio dell’apparenza che s’impone ai nostri sensi! maledetto tutto ciò che nei sogni mendaci ci finge la gloria e l’immortalità! male-

1. paturne: stato d’animo contrassegnato da malinconia, stizza, irritazione. 2. spirito sovrano: lo Spirito della Terra, che in precedenza Faust aveva cercato di evoca-

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re, senza riuscirvi. Lo Spirito della Terra rappresenta l’anima che pervade il mondo terreno e gli dà vita. 3. quel terribile vortice: determinato al suici-

dio, Faust è stato strappato da questa intenzione dal suono delle campane di Pasqua. 4. tragica spelonca: la vita, paragonata ad un’orrida caverna.

Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

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detto ciò che ci tenta come possesso: la donna, i figli, i servi, le terre! maledetto Mammona5, sia che coi suoi tesori ci sproni ad azioni ardite, sia che ci prepari le molli piume per i neghittosi6 piaceri! Maledetto il succo balsamico dell’uva, come il supremo dono dell’amore! maledetta la speranza, maledetta la fede, e, anzitutto, maledetta la sopportazione! cOrO DI SpIrITI InvISIbIle Ahimè, ahimè! con un pugno poderoso hai distrutto il mondo bello; precipita, va in frantumi! un semidio l’ha infranto! Portiamo nel nulla i relitti, e piangiamo sulla bellezza perduta. O tu, il più potente dei figli della terra, ricostruiscilo più splendido, riedificalo nel petto tuo! Con chiaro senso torna ad iniziare un’era nuova e nuovi canti le si accompagnino7! mefISTOfele Sono i miei spiritelli più giovani. Odili come con saggezza di vecchi signori incitano a godere ed agire! Verso il vasto mondo, via da questa solitudine, dove sensi e umori ristagnano, vogliono allettarti. Finiscila di trastullarti colla tua malinconia; come un avvoltoio ti rode alle fonti della vita; mentre anche la più modesta compagnia ti farà sentire d’essere uomo tra gli uomini. Però, bada, non intendo affatto cacciarti fra la canaglia. Non sono un personaggio illustre; ma se vorrai avviarti attraverso la vita sotto la mia scorta, m’impegno a mettermi tosto a tuo servizio. Son tuo compagno, e, se ti va, son tuo servo e schiavo umilissimo. faUST E in cambio che ti debbo dare? mefISTOfele Eh, per questo c’è tempo. faUST No no! il diavolo è un egoista, e non è facile che compia ciò che giova altrui per amor di Dio. Di’ chiaro e tondo le tue condizioni. Un servo della tua risma è un pericolo per la casa. mefISTOfele Io quaggiù m’impegno a servirti, a obbedire a ogni tuo cenno, senza requie né indugio; quando ci ritroveremo lassù mi renderai la pariglia. faUST Di lassù poco m’importa. Quando avrai mandato il mondo in frantumi, venga pure il mondo nuovo. Da questa terra zampillano le mie gioie, e questo è il sole che rischiara le mie pene; se un dì avverrà ch’io me ne sciolga, ebbene, avvenga ciò che vuole e può. Non voglio saperne se in un’altra vita ancor si odî e si ami, se in quelle remote sfere ci sia un disopra e un disotto. mefISTOfele Se la pensi così l’affare è senza rischi. Impégnati; tosto sperimenterai con gioia le mie arti. Ti darò ciò che un uomo non vide mai. faUST E che cosa vuoi tu darmi, povero diavolo? Lo spirito d’un uomo nella sua sublime ricerca poté mai essere compreso da un par tuo? Hai tu i cibi che mai non saziano, hai tu l’oro rosso che fugge tra le dita come l’argento vivo, hai il giuoco a cui non si vince mai, la fanciulla che, tra le braccia dell’amante, già occhieggia con l’amante nuovo; hai, suprema gioia degli Dei, la fama che come meteora passa e sparisce? Mostrami il frutto che imputridisce prima d’esser colto, l’albero che ogni giorno rinverdisce8! mefISTOfele Una tal richiesta non mi sgomenta, e questi tesori li tengo a tua disposizione. Ma verrà pure il tempo, mio caro, in cui si vuol godere in pace i propri beni. faUST Se mai verrà il momento in cui io, appagato, mi adagi sul letto del riposo, la sia tosto finita per me9! Se lusingandomi potrai mai così illudermi che io mi compiaccia di me stesso, se coi godimenti potrai così ingannarmi – sia quello il mio ultimo giorno! Ecco la scommessa che t’offro.

5. Mammona: la ricchezza, resa quasi divinità e oggetto di culto. 6. neghittosi: indolenti. 7. Ahimè … accompagnino: secondo alcuni interpreti, gli spiriti che intonano il coro sono spiriti buoni che intendono salvare Faust dalla resa a Mefistofele; per altri si

tratterebbe di spiriti infernali determinati a trascinare Faust con allettamenti ed inganni; altri ancora considerano questo coro un commento da parte dell’autore della maledizione di Faust. 8. Mostrami … rinverdisce: Faust desidera continuamente cose che non appa-

gano mai. (Il passo è molto oscuro e discusso). 9. Se mai … per me: Faust gioca Mefistofele perché aspira ad una felicità che non può mai compiersi e che quindi non potrà mai essere soddisfatta dal diavolo.

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Accettata! faUST Ecco la mano. Se mai dirò all’attimo fuggente: Arrestati! sei bello! tu potrai mettermi in ceppi: sarò disposto a perire; e allora la campana suoni pure a morto, sarai esentato dal tuo servizio, si fermerà il pendolo, cadrà la lancetta, il tempo sarà conchiuso per me. mefISTOfele Pensaci bene! non ce ne scorderemo più. faUST È nel tuo pieno diritto; ma non è temeraria irriflessione la mia. Finché persevero in questo stato sono schiavo. Che importa dunque se tuo o d’un altro. mefISTOfele Oggi stesso al banchetto accademico10 compirò il mio ufficio quale vostro servo… Alt! una piccola cosa: siam tutti mortali; quindi non vi spiaccia sottoscrivere due righe. faUST Anche una scrittura pretendi, pedante? Non sai dunque ancora che sia un uomo, la parola d’un uomo? Non ti basta che, con una parola, io abbia vincolato i miei giorni per l’eternità? Corre via il mondo per mille impetuose correnti, e una promessa mi dovrebbe legare? Eppure questa follia è ben ancorata nei nostri cuori, e nessun galantuomo vorrebbe affrancarsene. Fortunato colui che serba pura in cuore la fedeltà; nessun sacrificio gli parrà troppo grave. Ma una pergamena con scritta e suggello è spettro che tutti sgomenta: la parola muore nella penna, signori del mondo sono cuoio e cera. Che vuoi da me, spirito malvagio? bronzo, marmo, pergamena, carta? e ch’io scriva con lo stilo, il bulino11, la penna d’oca? Scegli a piacer tuo. mefISTOfele Perché tante parole, tante esagerazioni e riscaldarsi così? Un qualunque frustolo di carta mi basta, e firmerai con una goccia di sangue. faUST Se ti basta, facciamola pure questa commedia. mefISTOfele Eh, il sangue è un succo specialissimo. faUST Non hai davvero da temere ch’io rompa il patto! Tender tutte le mie forze è proprio ciò a cui m’impegno… Mi ero creduto molto più che non fossi, lo riconosco: io son della tua famiglia. Il Grande Spirito12 mi ha respinto, la Natura mi è rimasta sbarrata. Spezzato si è il filo del pensiero e da un pezzo la scienza mi nausea. Negli abissi del senso si saziino le nostre ardenti passioni! Sotto gl’impenetrati veli della magia prodigi si apprestino! precipitiamoci nello strepito del tempo, nel vortice degli eventi! Si alternino pure gioia e dolore, fortune e insuccessi; solo attraverso l’attività l’uomo si afferma. mefISTOfele Non vi si fissa misura né meta. Se vorrete assaggiare un po’ di tutto, cogliere il diletto volando di fiore in fiore, buon pro vi faccia. Solo arditezza, e niente scrupoli! faUST Ti ho già detto che non si tratta per me del piacere. Io mi voto alla vertigine, al godimento che confina col dolore, all’amore-odio, al dissidio che alla fine è ristoro. Questa mia anima, guarita dalla smania di sapere, non deve mai più chiudersi a nessuna sofferenza; voglio accogliere in me le gioie destinate all’intera umanità; voglio abbracciare col mio spirito le sue vette ed i suoi abissi; ammucchiar nel mio petto tutto il suo bene e tutto il suo male, e così dilatare il mio io sino ai confini del suo io, per poi, com’essa, alla fine, naufragare13. mefISTOfele Credi a me che da qualche millennio mi sto masticando questo duro boccone: nel tempo che corre dalla culla alla tomba non c’è uomo che riesca a digerire la vecchia pasta lievitata! Credimi, il Tutto è buono solo per un Dio! Eccolo infatti nel suo eterno fulgore, mentre noi fummo ricacciati nelle tenebre, e a voi conviene alternare il giorno e la notte.

10. banchetto accademico: l’opera, nel progetto dell’autore, doveva contenere una “scena della disputa” (mai stesa, ma solo frammentariamente abbozzata), un dibattito accademico in cui Faust e Mefistofele do-

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vevano discutere e sostenere le proprie divergenti opinioni. 11. bulino: strumento per incidere metalli teneri. 12. Il Grande Spirito: lo Spirito della Terra.

13. non si tratta … naufragare: Faust non ricerca godimenti limitati di cui appagarsi, ma aspira all’infinito in cui si fondono tutti i contrari.

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Ma io voglio! mefISTOfele E sta bene! ma c’è una cosa che mi preoccupa; l’arte è lunga, la vita breve, perciò vi consiglio di prender qualche lezione. Associatevi con un poeta: lasciate che il galantuomo si abbandoni al suo estro e accumuli sul vostro capo tutte le più eccelse doti: il coraggio del leone, la velocità del cervo, il sangue ardente dell’italiano, e la tenacia del nordico; fate che v’insegni il segreto di accoppiare generosità ed astuzia, e di innamorarvi con impeto giovanile, ma secondo un piano. Io stesso vorrei conoscere un tal uomo: lo chiamerei il signor Microcosmo. faUST Ma che cosa son io se non riesco ad attingere le vette dell’umanità a cui tutti i miei sensi tendono? mefISTOfele Tu sei… quel che sei. Mettiti in testa una parrucca con milioni di riccioli, calza un coturno14 alto alcuni palmi… rimani pur sempre ciò che sei. faUST Lo sento: invano immagazzinai per anni i tesori dello spirito umano; ora che mi pongo a sedere nessuna nuova forza zampilla in me: non mi sono innalzato d’un capello; non mi sono accostato d’un passo all’Infinito. mefISTOfele Mio buon signore, voi vedete le cose come si vedon da tutti; ma dobbiam farci furbi prima che ci sfuggano le gioie della vita. E che diavolo! mani e piedi, testa e deretano son tuoi: ma non sono altrettanto nostre le cose di cui godiamo? Se posso comperarmi sei cavalli non è forse mia la loro forza? Galoppo, ed è tal quale fossi un campione con ventiquattro gambe. Animo, dunque, piantala con gli almanaccamenti, e via con me per il mondo! Te l’ho già detto: l’uomo che almanacca è come una bestia che uno spirito maligno fa girare in tondo su una landa brulla, mentre tutt’intorno ci sono bei pascoli verdi. faUST Be’, come si comincia? mefISTOfele Coll’andarcene. Mi domando che camera di supplizi è mai questa! Come si fa a passar la vita seccandoci e seccando quei poveri ragazzi! Lascia questo mestiere a quel pancione del tuo famulo15. È proprio come un trebbiapaglia vuoto. Tanto quel che sai di meglio non puoi dirlo ai tuoi alunni. To’, ne sento uno che vien pel corridoio. faUST Non sono assolutamente in grado di riceverlo. mefISTOfele Quel poverino aspetta da un pezzo, non bisogna che se ne vada senza un contentino. Vien qui, dammi la tua zimarra16 e il berretto. (Si traveste) Questo costume deve starmi d’incanto. E adesso affidati al mio buonumore! Un quarto d’ora mi basta. Intanto preparati al nostro bel viaggio! (Faust esce. Mefistofele travestito colla zimarra di Faust) Disprezza pure la ragioEugène Delacroix, Faust e Mefistofele, 1827-28, ne e la scienza, le supreme forze dell’uoolio su tela, Londra, Wallace Collection. mo; lascia che attraverso l’abbaglio delle

14. coturno: calzatura dalla suola molto spessa, in uso nell’antica Grecia, a foggia di sandalo; era calzato dagli attori tragici sulla scena per

assumere una statura più imponente. Mefistofele deride l’aspirazione all’infinito di Faust. Per contro lo invita a godere le gioie della vita.

15. famulo: servo. 16. zimarra: soprabito lungo usato nel Medioevo dalle persone di riguardo.

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L’età del Romanticismo

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arti magiche lo spirito della menzogna si impossessi di te, ed eccoti senza scampo in poter mio. Il destino gli ha dato uno spirito che tende a gettarsi innanzi libero da ogni freno; lo slancio immoderato di esso lo ha portato a saltare al di là delle gioie terrene. Io lo trascinerò attraverso una vita bestiale, fra piatte idiozie. Egli sgambetterà, s’irrigidirà, resterà appiccicato; e mentre cibo e bevanda offerti alla sua insaziabilità rimarranno sospesi a mezz’aria davanti alle sue aride labbra, invano supplicherà ristoro. Così anche se non si fosse venduto al diavolo, dovrebbe ugualmente dannarsi! W. Goethe, Faust, trad. it. di B. Allason, Einaudi, Torino 1965

Analisi del testo

> La tensione inappagata alla totalità

L’aspirazione all’infinito

Faust esprime la sua insoddisfazione della vita: è pieno di desideri, ma è impotente a realizzarli nell’azione. Mefistofele gli promette di guidarlo attraverso la vita, nel vasto mondo, fuori dalla solitudine sterile dello studio. Faust sa di voler l’impossibile e che Mefistofele, «povero diavolo», non glielo può offrire. Per questo accetta di scommettere la propria anima, perché sa che non sarà mai appagato nella sua ricerca, che non riuscirà mai a dire all’attimo fuggente: «Arrestati! sei bello!». Come si vede in questa scena, in Faust c’è un’aspirazione alla totalità, a congiungersi con l’infinito, vivendo tutte le esperienze, bene e male, godimento e dolore, e dilatando il suo io sino ai confini dell’umanità. È una tensione sempre inappagata, ma «solo attraverso l’attività l’uomo si afferma».

> La leggenda originaria: il timore della scienza La natura sovversiva della scienza

La scienza che genera mostri

L’attivismo faustiano

Il motivo antico del “patto col diavolo” assume dunque in Goethe un senso profondamente nuovo. Nella leggenda originaria di Faust, che vende l’anima al diavolo per conoscere i segreti della natura, si esprimeva il timore della scienza, che veniva sentita, da una prospettiva arcaica, ancora medievale, come negativa e demoniaca, perché distruggeva il sistema concettuale del vecchio mondo, e con questo anche il suo assetto materiale. Uno stato d’animo analogo viene a prodursi nella cultura romantica del primo Ottocento: anche dinanzi alle grandiose e travolgenti trasformazioni dell’industrialismo la scienza viene vista con paura, come qualcosa di demoniaco. Un esempio significativo è la figura dello scienziato Frankenstein di Mary Shelley (1797-1851), che con la sua ricerca scientifica supera i limiti consentiti all’uomo e dà vita ad un mostro distruttore. Frankenstein è quindi un personaggio “faustiano” nel senso arcaico, originario.

> Goethe: l’esaltazione dello spirito moderno

Il Faust di Goethe veicola tutt’altra visione: è la celebrazione dell’attivismo incessante, che non si ferma mai su nessun risultato raggiunto. Lungi dall’esprimere gli oscuri timori suscitati dall’affermarsi dello spirito moderno e dalla sua forza trasgressiva e trasformatrice, ne costituisce l’esaltazione: non si dimentichi che, nel suo attivismo, Faust tenta anche imprese colonizzatrici e industriali.

Esercitare le competenze ComPrendere

> 1. Che cosa accade nella prima parte del brano (rr. 1-105)? Come vengono introdotti i due protagonisti? > 2. Confronta le affermazioni di Faust (rr. 106-112) con quelle di Mefistofele (rr. 162-180) e spiega quale opinione hanno i due personaggi a proposito della scienza e della magia.

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Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti AnALizzAre

> 3. > 4.

Quale funzione assume nel testo drammatico il Coro di spiriti invisibile? Analizza il linguaggio e il tono delle affermazioni di Mefistofele e in base a questi elementi deduci l’atteggiamento che assume nei confronti di Faust. Stile Stile

APProfondire e inTerPreTAre

> 5.

Scrivere In quali punti del testo compaiono affermazioni sull’arte? Dopo averle individuate, illustrale e commentale in circa 15 righe (750 caratteri). > 6. esporre oralmente Dopo aver riepilogato gli antecedenti letterari dell’opera ( Il Faust, p. 224), spiega in quali aspetti la lunghissima gestazione del capolavoro di Goethe risentì del clima culturale del Romanticismo (max 3 minuti).

A6 Gli ideali rivoluzionari

L’amicizia con Wordsworth

La personalità

I poemetti

Samuel Taylor Coleridge Nato nel 1772 da un pastore protestante, Coleridge studiò per un periodo a Cambridge, ma, spinto dai debiti, ne fuggì per arruolarsi nei dragoni. Con l’amico Robert Southey progettò una società ideale, basata sull’eguaglianza, da fondarsi in America, ma il progetto fallì. Tentò quindi di guadagnarsi la vita tenendo conferenze e dirigendo una rivista politica (ammirava infatti entusiasticamente le idee della Rivoluzione francese). Deluso da questa esperienza, cercò sollievo dalla depressione nell’oppio. Nel 1797 strinse amicizia con William Wordsworth ( A2, p. 211) e progettò con lui le Ballate liriche (1798), da cui prese avvio il Romanticismo inglese. Fu poi in Germania, dove conobbe la filosofia dell’idealismo. Al suo ritorno in Inghilterra, privo di mezzi e in rotta con la famiglia, passò anni tristi, sprofondando nell’abuso dell’oppio. Se ne riscattò nel 1816, dopo essersi sottoposto a rigidi controlli medici; poté così riprendere l’attività intellettuale. Trascorse gli ultimi anni in un sobborgo di Londra, ripiegando su posizioni conservatrici dopo i giovanili entusiasmi rivoluzionari. Morì a Londra nel 1834. Fu un carattere dispersivo e passivo, fervido di sogni e di progetti ma incapace di tradurli nella realtà. La tragedia della sua vita fu una «tragedia della volontà» (Praz): è questo uno dei tratti più caratteristici del poeta romantico, che ricorre in varie forme lungo il secolo. Le opere poetiche più importanti furono scritte da Coleridge fra il 1796 e il 1802: la Ballata del vecchio marinaio ( T7, p. 232), che compare nelle Ballate liriche; Christabel, che rientra nelle convenzioni del racconto “gotico” e tratta del rapporto misterioso dell’uomo con il trascendente e con il male; Kubla Khan, sorta di visione in sogno di un magico palazzo orientale. La sua poesia, caratterizzata da atmosfere sovrannaturali rese con allucinata evidenza, o da un clima di sogno, è una delle più tipiche espressioni del Romanticismo. La vita e le opere

L’opera

La ballata del vecchio marinaio di Samuel Taylor Coleridge Il poemetto apriva la raccolta delle Ballate liriche del 1798. Adotta la forma della ballata popolare, diffusa nella tradizione inglese. È il racconto di un viaggio simbolico. Si apre con una festa di nozze, interrotta dall’arrivo di un vecchio marinaio. Con il suo sguardo scintillante e ipnotico questi persuade uno degli ospiti ad ascoltare la sua storia. Egli descrive un viaggio per mare, sino alle monta-

gne di ghiaccio del Polo Sud. Un albatro guida la nave nelle tempeste: ma il marinaio lo uccide con una freccia. È un gesto immotivato e misterioso, che condanna la ciurma alla morte. Solo il vecchio marinaio sopravvive, e dopo un viaggio allucinato riesce a ritornare in patria. Per espiare la sua colpa è condannato a ripetere la sua storia a tutti coloro che incontra.

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L’età del Romanticismo

T7

Samuel Taylor Coleridge

L’uccisione dell’albatro: colpa e maledizione

Temi chiave

• un’atmosfera simbolica avvolta di mistero • il rapporto dell’uomo con il sovrannaturale

da La ballata del vecchio marinaio, vv. 51-82; 107-142; 195-224 Riportiamo del lungo racconto il momento culminante, l’uccisione dell’albatro da parte del marinaio, gesto gravido di profondi significati.

PARTE SECONDA … «E poi ci venne nebbia e neve insieme, faceva freddo straordinariamente: e montagne di ghiaccio, quanto gli alberi alte, ci flottavano1 accanto, verdi smeraldo.

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La terra del ghiaccio e degli spaventevoli fragori, sulla quale non si scorgeva cosa vivente. Tra il turbinare le rocce innevate facevano un lugubrissimo vedere: non avvistavi forma d’uomo o bestia – il ghiaccio era dovunque. Ghiaccio qui, ghiaccio là, era dovunque, il ghiaccio: e crosciava2, ringhiava, ruggiva ed ululava, i rumori che intendi da svenuto! Finché un grande uccello marino, un Albatro3, apparì di tra la bruma4 nevosa e venne accolto con gioia ed ospitalità grandi.

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Alla fine incrociammo un Albatro, sbucò di tra la bruma; lo salutammo in nome del Signore, quasi che fosse un’anima cristiana. Mangiò del cibo che mai aveva assaggiato, e ci volava intorno di continuo.

1. flottavano: galleggiavano. 2. crosciava: scrosciava; è il rumore dell’ac-

qua quando scende abbondantemente. 3. un Albatro: grande uccello marino; qui si

carica di misteriosi valori simbolici. 4. bruma: foschia.

The rime of the ancient mariner Part II «And now there came both mist and snow, / And it grew wondrous cold: / And ice, mast-high, came floating by, / As green as emerald. // [The land of ice, and of fearful sounds where no living thing was to be seen.] And through the drifts the snowy clifts / Did send a dismal sheen: / Nor shapes of men nor beasts we ken – / The ice was all between. // The ice was here, the ice was there, / The ice was all around: / It cracked and growled, and roared and howled, / Like noises in a swound! // [Till a great sea-bird, called the Albatross came through the snow-fog, and was received with great joy and hospitality.] At length did cross an Albatross, / Thorough the fog it came; / As if it had been a Christian soul, / We hailed it in God’s name. // It ate the food it ne’er had eat, / And round and round it flew. /

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Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

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Il ghiaccio si fendé5 scoppiando in tuono: il timoniere ci passò nel bel mezzo! Ed ecco che l’Albatro si rivela uccello di buon augurio e segue la nave nel suo ritorno a nord, tra foschia e banchi di ghiaccio galleggianti. Ci nacque a poppa un vento benigno6; l’Albatro ci teneva compagnia, ed ogni giorno, per cibo o per gioco, compariva al richiamo di noi.

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Facesse nebbia o nuvolo, sull’albero o su sartia, si stette appollaiato nove sere; mentre di notte la bruma bianca baluginava la luce della luna». Il vecchio Marinaio slealmente uccise il pio uccello di buon augurio.

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«Dio ti scampi, mio vecchio Marinaio, dai diavoli che ti torturano così! Perché fai quella faccia?» Con la balestra io abbattei7 quell’Albatro. […] La nave entra subitamente in bonaccia.

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Cadde la brezza, caddero le vele: più triste di così era impossibile; noi si parlava solamente per rompere il silenzio del mare! In un cielo rovente, di rame8, il sanguigno Sole, a mezzodì, stava a piombo sul maestro9, non più grosso della Luna.

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5. si fendé: si spaccò. 6. benigno: favorevole.

Un giorno e un altro, un giorno dopo l’altro stemmo, senza un alito, una scossa; fermi come una nave dipinta sopra un oceano dipinto. 7. abbattei: il gesto rappresenta una colpa molto grave, carica di funeste conseguenze.

8. di rame: di color rame. 9. maestro: l’albero maestro.

The ice did split with a thunder-fit; / The helmsman steered us through! // [And lo! the Albatross proveth a bird of good omen, and followeth the ship as it returned northward through fog and floating ice.] And a good south wind sprung up behind; / The Albatross did follow, / And every day, for food or play, / Came to the mariners’s hollo! // In mist or cloud, on mast or shroud, / It perched for vespers nine; / Whiles all the night, through fog-smoke white, / Glimmered the white moon-shine». // [The ancient Mariner inhospitably killeth the pious bird of good omen.] «God save thee, ancient Mariner! / From the fiends, that plague thee thus! – / Why look’st thou so?» – With my cross-bow / I shot the albatross. // […] [The ship hath been suddenly becalmed.] Down dropt the breeze, the sails dropt down, / Twas sad as sad could be; / And we did speak only to break / The silence of the sea! // All in a hot and copper sky, / The bloody Sun, at noon, / Right up above the mast did stand, / No bigger than the Moon. // Day after day, day after day, / We stuck, nor breath nor motion; / As idle as a painted ship / Upon a painted ocean. //

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L’età del Romanticismo

E si inizia la vendicazione dell’Albatro. 120

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Acqua, acqua in ogni dove, ed il fasciame10 s’imbarcava11 tutto; acqua, e soltanto acqua, e neanche una goccia da bere. Marciva perfin l’abisso. O Cristo! Che dovesse succederci questa! Cose vischiose strisciavano, con mille piedi, sul vischioso mare. Intorno a noi, a sciami vorticanti, fuochi di morte12 ballavano a notte; e l’acqua, come gli olî delle streghe, ardeva verde, azzurra e bianca. Uno Spirito li aveva seguiti: uno degli invisibili abitatori di questo pianeta, non anime dipartite né angeli; riguardo ai quali si può consultare il dotto ebreo Giuseppe e Michele Psello, Platonico Costantinopolitano13. Sono numerosissimi e non v’è clima od elemento che non ne conti uno o più. Certuni in sogno presero coscienza dello Spirito che così ci tribolava14: ci aveva seguiti, nove braccia sotto, dalla terra della bruma e della neve.

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Ed ogni lingua, per la sete estrema, s’era seccata alla radice; non cacciavamo fuori la parola, peggio che fossimo ingozzati di fuliggine.

10. il fasciame: il rivestimento in legno dell’imbarcazione. 11. s’imbarcava: si deformava, si arcuava. 12. fuochi di morte: i fuochi di Sant’Elmo, o fuochi fatui. Secondo le superstizioni dei marinai, sono anime dei defunti. 13. Giuseppe … Costantinopolitano: Giu-

seppe Flavio, dotto ebreo del I-II secolo d.C.; Michele Psello fu un erudito e filosofo bizantino (1018-78), autore di un’opera Sull’attività dei demoni. È detto Platonico perché si rifà all’antico filosofo greco. 14. ci tribolava: ci tormentava.

[And the Albatross begins to be avenged.] Water, water, every where, / And all the boards did shrink; / Water, water, every where / Nor any drop to drink. // The very deep did rot: O Christ! / That ever this should be! / Yea, slimy things did crawl with legs / Upon the slimy sea. // About, about in reel and rout / The death-fires danced at night; / The water, like a witch’s oils, / Burnt green, and blue and white. // [A Spirit had followed them; one of the invisible inhabitants of this planet, neither departed souls nor angels; concerning whom the learned Jew, Josephus, and the Platonic Constantinopolitan, Michael Psellus, may be consulted. They are very numerous, and there is no climate or element without one or more.] And some in dreams assured were / Of the Spirit that plagued us so; / Nine fathom deep he had followed us / From the land of mist and snow. // And every tongue, through utter drought, / Was withered at the root; / We could not speak, no more than if / We had been choked with soot. //

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Gustave Doré, L’albatros guida la nave oltre i mari ghiacciati dell’Antartide, incisione da La ballata del vecchio marinaio di Samuel Taylor Coleridge, New York 1876.

Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

I compagni, nella loro ambascia, non esitano a gettar l’intera colpa sul vecchio Marinaio; in segno di che, gli appendono al collo l’uccello morto. 140

Povero me! Che truci sguardate mi toccarono da giovani e vecchi! Al collo, al posto della croce, mi venne appeso l’Albatro. PARTE TERzA

[Il vecchio marinaio scorge da lontano la sagoma di una nave; all’immediata gioia per un aiuto ormai insperato, segue l’orrore della scoperta che si tratta di un’imbarcazione fantasma. L’equipaggio è costituito da due sole inquietanti figure: la Morte e la vita nella Morte.]

La Morte e la Vita nella Morte si son giocata ai dadi la ciurma della nave, e la seconda vince il vecchio Marinaio. 195

Ci abbordò quel bastimento nudo, e le due stavan buttando i dadi; «La partita è finita! Ho vinto, ho vinto!» Gridò, e dà tre fischi. Non c’è crepuscolo dentro le corti del Sole.

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S’immerge il Sole: le stelle erompono; d’un passo solo sopravviene il buio; con un sibilo udito di lontano, saettò via il vascello spettrale. Al sorgere della Luna,

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Ascoltammo e guardammo in su di sbieco! Al mio cuor la paura, come a una coppa, sembrava sorseggiarmi tutto il sangue! Le stelle smorte, densa era la notte, bianco, sotto la sua lanterna, balenava il volto del timoniere; la rugiada gocciolava dalle vele – finché ascese da levante

[The shipmates, in their sore distress, would fain throw the whole guilt on the ancient Mariner: in sign whereof they hang the dead sea-bird round his neck.] Ah! well a-day! what evil looks / Had I from old and young! / Instead of the cross, the Albatross / About my neck was hung. // Part III […] [Death and Life-in-Death have diced for the ship’s crew, and she (the latter) winneth the ancient Mariner.] The naked hulk alongside came, / And the twain were casting dice; / «The game is done! I’ve won! I’ve won» / Quoth she, and whistles thrice. // [No twilight within the courts of the Sun.] The Sun’s rim dips; the stars rush out: / At one stride comes the dark; / With far-heard whisper, o’er the sea, / Off shot the spectre-bark. // [At the rising of the Moon,] We listened and looked sideways up! / Fear at my heart, as at a cup, / My life-blood seemed to sip! / The stars were dim, and thick the night, / The steersman’s face by his lamp gleamed white; / From the sails the dew did drip – / Till clomb above the eastern bar /

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L’età del Romanticismo

la Luna cornuta15, con una stella brillante16 ancorata alla sua punta bassa. un dopo l’altro

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Un dopo l’altro, sotto la Luna e la stella sua scorta, senza tempo per rantolo o sospiro, ognun voltò la faccia in uno spasimo atroce e con gli occhi mi maledì. i suoi compagni cadono morti.

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Quattro volte cinquanta uomini vivi, (e non intesi rantolo o sospiro) con tonfo greve, come ciocchi secchi, l’un dopo l’altro, caddero. Ma la Vita nella Morte dà inizio all’opera sua sul vecchio Marinaio. L’anime si dipartirono dai corpi, – volando a beatitudine o a tormento! E ciascun’anima accanto mi passò come il frullo della mia balestra! S. T. Coleridge, La ballata del vecchio marinaio, trad. it. di B. Fenoglio, Einaudi, Torino 1964

15. la Luna cornuta: cioè la falce di luna. 16. stella brillante: è il pianeta Venere, il primo astro che compare all’imbrunire.

The hornéd Moon, with one bright star / Within the nether tip. // [One after another,] One after one, by the star-dogged Moon, / Too quick for groan or sigh, / Each turned his face with a ghastly pang, / And cursed me with his eye. // [His shipmates drop down dead.] Four times fifty living men, / (And I heard nor sigh nor groan) / With heavy thump, a lifeless lump, / They dropped down one by one. // [But Life-in-Death begins her work on the ancient Mariner.] The souls did from their bodies fly, – / They fled to bliss or woe! / And every soul, it passed me by, / Like the whizz of my cross-bow!

Analisi del testo La densità simbolica

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> il senso di mistero

Le vicende narrate dal vecchio marinaio sono immerse in un clima allucinato, di sogno, o meglio d’incubo. Si tratta di eventi che si incidono con estrema evidenza, ma su cui grava un arcano senso di mistero, denso di significati simbolici. Lo stesso Coleridge afferma nella sua Biografia letteraria (1817): «Un’idea, nel senso più alto del termine, non può essere espressa se non attraverso un simbolo». Ma di un simbolo non si può dare un preciso equivalente logico, come per l’allegoria: il simbolo evoca una realtà profonda, in modo allusivo e ambiguo. Per questo esso possiede sempre una pluralità di significati e può sollecitare una molteplicità di letture. Non ci avventureremo perciò a indicare le varie interpretazioni che sono state date di questo testo, in particolare della natura della colpa commessa dal marinaio e della sua maledizione, perché ogni singola interpretazione pare delimitare troppo e quindi immiserire la carica suggestiva della poesia. È da notare solo come con il Romanticismo la poesia acquisti un carattere allusivo, polivalente, inquietante.

Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

Il rapporto dell’uomo con il sovrannaturale

La maledizione

> Un viaggio nell’irrazionale

Limitandoci a indicazioni molto “letterali”, il tema centrale appare il rapporto dell’uomo con il sovrannaturale, con la dimensione misteriosa di un mondo invisibile che lo circonda. In una citazione di uno scrittore del Seicento, premessa da Coleridge all’edizione del 1817, si legge appunto che esistono «più cose invisibili di quelle visibili nell’universo». Il vecchio marinaio non si era mai curato di quella realtà sovrannaturale e irrazionale. Il suo atto colpevole lo fa uscire dal mondo abituale, dalle coordinate note e riconoscibili, e lo fa entrare in un altro mondo, arcano, inquietante e imprevedibile (Gorlier): il viaggio simbolico del racconto è un viaggio nell’irrazionale. Per entrare nell’universo della poesia occorre dunque, come per il vecchio marinaio, una «willing suspension of disbelief», una volontaria sospensione dell’incredulità, per usare una formula, diventata famosa, di Coleridge stesso.

> La colpa misteriosa

Si può ancora osservare, sempre restando ad un livello generale, che la conoscenza dell’arcano è collegata ad una colpa misteriosa (l’uccisione dell’albatro), da cui deriva al marinaio una maledizione che lo isola dalla socialità e lo condanna alla ripetizione eterna del suo errare e del suo racconto, con cui torna a comunicare al mondo sociale e razionale la sua esperienza. La condizione del marinaio è di «Vita in Morte», perennemente al confine tra i due mondi del reale e dell’ignoto, di mediatore fra essi con il suo racconto eternamente ripetuto. Una lettura affascinante della Ballata è quella offerta da A. Serpieri, La «Ballata» di Coleridge: il senso circolare, in Retorica e immaginario, Pratiche, Parma 1986.

Esercitare le competenze ComPrendere

> 1. Quali cambiamenti subisce il paesaggio nel corso della narrazione? AnALizzAre

> 2. In quali punti del testo compaiono riferimenti espliciti alla dimensione del sacro e/o del soprannaturale? Motiva la tua risposta.

> 3. Descrivi in base al testo i comportamenti del marinaio e della ciurma. > 4. Lingua Considera i versi 123-142 e indica la funzione espressiva svolta dalle frequenti esclamazioni, domande e imprecazioni da parte del vecchio marinaio.

APProfondire e inTerPreTAre

> 5.

esporre oralmente Contestualizza il passo analizzato nell’ambito del Romanticismo inglese, facendo anche riferimento ad altri autori e opere presenti in antologia (max 5 minuti). > 6. Altri linguaggi: arte Dopo aver osservato attentamente l’immagine di Doré ( p. 234), rispondi alle domande seguenti. a) Descrivi in modo particolareggiato la scena: quali elementi del paesaggio vi compaiono? b) Quali caratteristiche della rappresentazione, a tuo parere, rendono con efficacia la dimensione simbolica e sovrannaturale della ballata di Coleridge? > 7. Competenze digitali Come immaginare nel terzo millennio il viaggio avventuroso per mare e come raccontarlo attraverso le nuove tecnologie? Scegli una narrazione esemplare in tal senso fra i classici della letteratura da te conosciuti nel corso degli anni di studio, e “visualizzala” attraverso una mappa o un percorso digitale avvalendoti di idonee applicazioni.

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L’età del Romanticismo

A7

Percy Bysshe Shelley La vita Nato nel 1792 da famiglia nobile, studiò in scuole prestigiose come Eton e

Oxford, da dove però fu espulso a diciannove anni per un opuscolo sulla Necessità dell’ateismo. Per questo, e per il matrimonio con una fanciulla sedicenne, Harriet Westbrook, ruppe con la famiglia, e cominciò una vita irregolare e vagabonda. Nutriva idee rivoluzionarie ed entrò per questo in rapporto con il filosofo William Godwin, le cui posizioni oscillavano fra anarchismo individualistico, socialismo e utopismo. Innamoratosi della figlia di questi, Mary (che sarà l’autrice del famoso romanzo “nero” Frankenstein, 1817), lasciò moglie e figli per vivere con lei, e la sposò dopo che la prima moglie si tolse la vita. Per la sua condotta e le sue idee si attirò l’esecrazione della società inglese benpensante. Si trasferì quindi in Italia, allora meta vagheggiata dai poeti romantici inglesi. Qui scrisse le sue opere più importanti. Morì giovanissimo, nel 1822, inghiottito da una tempesta durante una gita in barca nel golfo della Spezia.

Una poesia-rivelazione

La poesia I suoi comportamenti anticonformistici e ribelli, l’idealismo utopistico e visionario, i suoi atteggiamenti languidi ed estatici di sognatore assetato di infinito, la curiosità per l’irrazionale, la magia, l’occultismo, l’alchimia, il misticismo platonico, ne fanno una figura esemplare del Romanticismo. Oltre a odi famose, come Al vento occidentale e A un’allodola, ha lasciato poemetti come La sensitiva, Epipsychidion, dedicato ad un amore platonico, Adonais, in morte dell’amico poeta John Keats ( A8, p. 244), la tragedia I Cenci (1819), ispirata ad una fosca vicenda rinascimentale di incesto tra padre e figlia, il dramma lirico Prometeo liberato (1820). Coerentemente con le sue idee politiche (Marx lo ritenne un precursore del socialismo), Shelley intende la poesia come messaggio all’umanità, al fine di rendere il mondo più libero e più giusto. Ma rifiuta la poesia didattica: per lui la poesia deve agire in maniera diversa dal comune discorso logico, risvegliando e allargando la mente e rendendola ricettacolo di mille inaudite combinazioni di pensieri. «La poesia alza il velo dalla nascosta bellezza del mondo»: è quindi una poesia-rivelazione, visionaria e profetica, che si vale di un vertiginoso, incandescente accumulo di immagini.

George Spencer Watson, Prometeo consolato dagli spiriti della Terra, 1900, olio su tela, dal Prometeo liberato di Percy Bysshe Shelley, Collezione privata.

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Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

T8

Percy Bysshe Shelley

Temi chiave

ode al vento occidentale

• l’invocazione al vento, simbolo

Come ha indicato Shelley stesso, l’ode fu scritta in un bosco sulle rive dell’Arno, vicino a Firenze, il 25 ottobre 1819, in un giorno di vento tempestoso. Fu pubblicata nel 1820.

• il richiamo alla situazione politica

di distruzione e di rinascita

I. Oh tu Vento selvaggio occidentale, àlito1 della vita d’Autunno, oh presenza invisibile da cui le foglie morte sono trascinate, come spettri in fuga 5

da un mago incantatore, gialle e nere, pallide e del rossore della febbre, moltitudini che il contagio ha colpito2: oh tu che guidi i semi alati ai loro letti oscuri dell’inverno3 in cui giacciono freddi e profondi come una spoglia sepolta nella tomba,

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finché la tua azzurra sorella della Primavera4 non farà udire la squilla sulla terra in sogno5 e colmerà di profumi e di colori vividi il colle e la pianura, nell’aria i lievi bocci6 conducendo simili a greggi al pascolo; oh Spirito selvaggio, tu che dovunque t’agiti, e distruggi e proteggi7: ascolta, ascolta! II. Tu nella cui corrente, nel tumulto del cielo a precipizio, le nuvole disperse sono spinte qua e là come foglie appassite

1. àlito: respiro. 2. moltitudini … colpito: le foglie morte che cadono sono paragonate a una moltitudine colpita da un’epidemia. 3. i semi … inverno: il vento guida i semi (alati perché volano nell’aria) al letto oscuro dove dovranno giacere tutto l’inverno, la terra. 4. azzurra … Primavera: Zefiro è conside-

rato sorella primaverile del vento occidentale d’autunno perché, pur provenendo dal medesimo settore, spira meno impetuoso; questa è la ragione per cui il poeta lo ha «personificato al femminile» (Izzo-Meo). 5. squilla … sogno: le campane che risvegliano la terra addormentata. Nell’originale invece il vento soffia nella sua tromba («shall blow her clarion»: immagine molto più bella

e intensa). Zefiro è il vento tiepido primaverile che fa spuntare i fiori, le erbe, le gemme degli alberi. 6. bocci: boccioli, i fiori che devono ancora spuntare. 7. distruggi e proteggi: il vento distrugge ciò che è morto, le spoglie della natura autunnale, ma protegge ciò che dovrà dare la vita, i semi.

ode to the west wind I. O wild West Wind, thou breath of Autumn’s being, / Thou, from whose unseen presence the leaves dead / Are driven, like ghosts from an enchanter fleeing, // Yellow, and black, and pale, and hectic red, / Pestilence-stricken multitudes: O thou, / Who chariotest to their dark wintry bed // The wingèd seeds, where they lie cold and low, / Each like a corpse within its grave, until / Thine azure sister of the Spring shall blow // Her clarion o’er the dreaming earth, and fill / (Driving sweet buds like flocks to feed in air) / With living hues and odours plain and hill: // Wild Spirit, which art moving everywhere; / Destroyer and preserver; hear, oh, hear! // II. Thou on whose stream, ’mid the steep sky’s commotion, / Loose clouds like earth’s decaying leaves are shed, /

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scosse dai rami intricati del Cielo e dell’Oceano8, angeli della pioggia e del fulmine, e si spargono là sull’azzurra superficie delle tue onde d’aria come la fulgida chioma che s’innalza sopra la testa d’una fiera Menade9, dal limite fioco10 dell’orizzonte fino alle altezze estreme dello zenit,

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capigliatura della tempesta11 imminente. Canto funebre tu dell’anno che muore, al quale questa notte che si chiude sarà la cupola del suo sepolcro12 immenso, sostenuta a volta da tutta la potenza riunita dei vapori dalla cui densa atmosfera esploderà una pioggia nera con fuoco e grandine: oh, ascolta! III. Tu che svegliasti dai loro sogni estivi le acque azzurre del Mediterraneo13, dove si giaceva cullato dal moto dei flutti cristallini

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accanto a un’isola tutta di pomice del golfo di Baia14 e vide in sonno gli antichi palazzi e le torri tremolanti nel giorno più intenso dell’onda15, sommersi da muschi azzurri e da fiori dolcissimi al punto che nel descriverli il senso viene meno! Tu per il cui sentiero16 la possente

8. Tu … Oceano: nella corrente del vento, che sconvolge il cielo, le nuvole disperse sono come foglie appassite, scosse via dal Cielo e dall’Oceano, che sono paragonati ad alberi che intrecciano i loro rami. 9. angeli … Menade: le nuvole sono come gli angeli che fanno cadere la pioggia e il fulmine, e si spargono sull’azzurro del cielo percorso dalle onde del vento come la chioma splendente di una Menade. Le Menadi o Baccanti erano le sacerdotesse di Dioniso, che nell’ebbrezza della danza scioglievano

le lunghe chiome scarmigliate. 10. limite fioco: il limite indistinto. 11. capigliatura … tempesta: nel gioco metaforico, la tempesta diviene come una Menade, e le nuvole sono la sua capigliatura. 12. cupola … sepolcro: la notte è paragonata alla volta che funge da copertura ad un ampio sepolcro, monumento funebre dell’anno che sta per concludersi (siamo infatti in autunno). 13. Tu … Mediterraneo: il vento, scatenan-

do le tempeste, ha svegliato il mare dal suo sonno estivo, cioè dalla calma delle bonacce. 14. di Baia: il golfo di Baia, in Campania, sta ad indicare il Mediterraneo. 15. vide … dell’onda: il Mediterraneo nel sonno della calma estiva vedeva gli antichi palazzi e le torri che sorgono sulla sua riva specchiarsi tremolando nelle onde intensamente luminose. 16. sentiero: passaggio, il solco creato dal vento nell’acqua.

Shook from the tangled boughs of Heaven and Ocean, // Angels of rain and lightning: there are spread / On the blue surface of thine aëry surge, / Like the bright hair uplifted from the head // Of some fierce Maenad, even from the dim verge / Of the horizon to the zenith’s height, / The locks of the approaching storm. Thou dirge // Of the dying year, to which this closing night / Will be the dome of a vast sepulchre, / Vaulted with all thy congregated might / Of vapours, from whose solid atmosphere / Black rain, and fire, and hail will burst: oh, hear! // III. Thou who didst waken from his summer dreams / The blue Mediterranean, where he lay, / Lulled by the coil of his crystalline streams, // Beside a pumice isle in Baiae’s bay, / And saw in sleep old palaces and towers / Quivering within the wave’s intenser day, // All overgrown with azure moss and flowers / So sweet, the sense faints picturing them! Thou / For whose path the Atlantic’s level powers //

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superficie d’Atlantico si squarcia e svela abissi profondi dove i fiori del mare e i boschi fradici di fango, che indossano le foglie senza linfa dell’oceano, conoscono la tua voce e si fanno all’improvviso grigi per la paura e tremano e si spogliano17: oh, ascolta! IV. Fossi una foglia appassita che tu potessi portare18; fossi una rapida nuvola per inseguire il tuo volo; un’onda palpitante alla tua forza, e potessi

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condividere tutto l’impulso della tua potenza, soltanto meno libero di te, oh tu che sei incontrollabile! Potessi essere almeno com’ero nell’infanzia, compagno dei tuoi vagabondaggi alti nei cieli, come quando superare il tuo rapido passo celeste sembrava appena un sogno19; non mi rivolgerei

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a te con questa preghiera nella mia dolente necessità. Ti prego, levami come un’onda, come una foglia o una nuvola. Cado sopra le spine della vita20 e sanguino! Un grave peso di ore ha incatenato, incurvato uno a te troppo simile21: indomito, veloce ed orgoglioso.

17. dove i fiori … si spogliano: il poeta giunge ad immaginare che anche la vegetazione sottomarina, che ha foglie senza linfa, avverta il sopraggiungere dell’autunno e si spogli. 18. Fossi … portare: il poeta si augura di essere una foglia per poter essere trasporta-

to dal vento e soddisfare così la sua ansia di libertà e di superamento del limite. 19. come quando … sogno: alla visione immaginaria del fanciullo sembrava quasi possibile superare la rapidità del vento. 20. spine della vita: sono i dolori, le miserie

Cleave themselves into chasms, while far below / The sea-blooms and the oozy woods which wear / The sapless foliage of the ocean, know // Thy voice, and suddenly grow gray with fear, / And tremble and despoil themselves: oh, hear! // IV. If I were a dead leaf thou mightest bear; / If I were a swift cloud to fly with thee; / A wave to pant beneath thy power, and share // The impulse of thy strength, only less free / Than thou, O uncontrollable! If even / I were as in my boyhood, and could be // The comrade of thy wanderings over Heaven, / As then, when to outstrip thy skiey speed / Scarce seemed a vision; I would ne’er have striven // As thus with thee in prayer in my sore need. / Oh, lift me as a wave, a leaf, a cloud! / I fall upon the thorns of life! I bleed! // A heavy weight of hours has chained and bowed / One too like thee: tameless, and swift, and proud. //

della vita, da cui il poeta vorrebbe essere liberato grazie al soffio del vento. 21. Un grave … simile: il trascorrere del tempo della vita comune ha incatenato, piegato un essere per sua natura a te molto simile.

Jean-Baptiste Camille Corot, Raffica di vento, 1865, olio su tela, Milano, Galleria d’Arte Moderna.

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V. Fa’ di me la tua cetra, com’è della foresta22; che cosa importa se le mie foglie cadono come le sue! Il tumulto 65

delle tue forti armonie23 leverà a entrambi24 un canto profondo ed autunnale, e dolcemente triste. Che tu sia dunque il mio spirito, o Spirito fiero! Spirito impetuoso, che tu sia me stesso! Guida i miei morti pensieri per tutto l’universo come foglie appassite per darmi una nascita nuova!

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E con l’incanto di questi miei versi disperdi, come da un focolare non ancora spento, le faville e le ceneri, le mie parole fra gli uomini! E alla terra che dorme25, attraverso il mio labbro, tu sia la tromba d’una profezia26! Oh, Vento, se viene l’Inverno, potrà la Primavera esser lontana?27 P. B. Shelley, Poesie, a cura di R. Sanesi, Einaudi, Torino 1983

22. Fa’ di me … foresta: l’aspirazione finale del poeta è essere una cetra, le cui corde il vento fa vibrare traendone una musica, come fa risuonare la foresta scuotendola. È una concezione della poesia ricorrente nel Romanticismo inglese (compare anche in Coleridge, L’arpa eolia). Il senso simbolico è che una forza misteriosa, divina, parla per

bocca del poeta, ed egli è solo lo strumento che vibra al suo soffio. 23. Il tumulto … armonie: il passaggio tumultuoso del vento è avvertito come un’armoniosa melodia. 24. a entrambi: alla foresta ed a me, reso una cetra. 25. E alla terra che dorme: per l’umanità

assopita in una vergognosa inerzia. 26. tromba d’una profezia: il poeta, oltrepassata la sua fisicità, mescolatosi col tutto, diviene strumento (tromba) della profezia di una rigenerazione che riscatterà gli uomini. 27. potrà la Primavera esser lontana?: dal torpore letargico dell’inverno. La primavera è un’altra metafora della rinascita dell’umanità.

V. Make me thy lyre, even as the forest is: / What if my leaves are falling like its own! / The tumult of thy mighty harmonies // Will take from both a deep, autumnal tone, / Sweet though in sadness. Be thou, Spirit fierce, / My spirit! Be thou me, impetuous one! // Drive my dead thoughts over the universe / Like withered leaves to quicken a new birth! / And, by the incantation of this verse, // Scatter, as from an unextinguished hearth / Ashes and sparks, my works among mankind! / Be through my lips to unawakened earth // The trumpet of a prophecy! O, Wind, / If Winter comes, can Spring be far behind?

Analisi del testo

> i due momenti della poesia

Il vento distrugge e prepara la vita

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L’ode appare divisa in due parti. I. Nelle prime tre strofe vi è l’invocazione al vento, in un ascendere vertiginoso di immagini. Esso trascina via le foglie morte, ma trasporta anche i semi, da cui scaturirà la rinascita della natura a primavera: il vento, cioè, da un lato porta la morte della natura, dall’altro prepara la vita, “distruttore e protettore” («Destroyer and preserver»). Il vento è immagine di un’energia impetuosa, irresistibile (le nubi paragonate alla chioma di una Menade evocano i riti orgiastici di Dioniso, in cui si sfrenavano le forze occulte della psiche), sveglia il Mediterraneo dalla calma trasognata dell’estate, fende l’Oceano mostrando le selve sottomarine.

Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti Il risveglio vitale del poeta

II. Nella seconda parte (le ultime due strofe) si leva l’appassionata preghiera del poeta: condividere la forza e la libertà del vento. Egli si sente simile ad esso, indomito, veloce, orgoglioso. L’energia trascinante può liberarlo da una vita spenta, inerte, che pesa su di lui, incatenandolo, facendolo soffrire. Ma il risveglio dell’energia vitale coincide con il canto: il vento è anche la forza dell’ispirazione poetica.

> La profezia di un risveglio dell’uomo

Una profezia politica

Distruzione e rinascita

L’aspetto formale dell’ode

Non si tratta però solo di un riscatto individuale, nell’identificazione con la forza vitale primigenia della natura e nel canto che ne sgorga. Negli ultimi versi il poeta vuole che il vento sparga le parole del suo canto tra gli uomini come faville di un focolare non ancora spento: la poesia deve essere «la tromba di una profezia» che risvegli la terra addormentata e preannunci per essa una primavera non lontana. Coerentemente con le idee rivoluzionarie del poeta, l’ode può essere letta perciò anche in chiave politica e civile. Non a caso essa è scritta nel 1819, che è il momento più buio della Restaurazione, quando un clima inerte e soffocante avvolge l’Europa, ma è anche l’anno che precede la prima ventata rivoluzionaria destinata a sconvolgere quel clima. Un altro poeta romanticamente titanico, Leopardi, pochi mesi dopo, nella canzone Ad Angelo Mai del gennaio 1820, auspicherà anch’egli una ventata di energia, che scuota un «secol morto, al quale incombe / tanta nebbia di tedio». Il vento impetuoso dell’autunno è quindi per Shelley l’immagine della distruzione apocalittica («una pioggia / nera con fuoco e grandine», II, vv. 29-30) di un mondo ormai morto (si noti l’immagine delle foglie secche paragonate a moltitudini colpite dalla pestilenza) e il preannuncio di una vicina rinascita a nuova vita. E si noti come l’immagine finale della primavera riprenda circolarmente quella che già chiudeva la prima strofa, e ne arricchisca il senso simbolico.

> Un’immaginazione sfrenata

La metafora del vento selvaggio che fa vibrare il poeta è anche una definizione formale della poesia stessa: essa è infatti pervasa dall’energia incontenibile di un’immaginazione sfrenata, sovreccitata, che si esprime in un accumulo inesauribile di immagini. Tali immagini finiscono per acquistare una vita a sé, costruendo un discorso autonomo, di secondo livello, al di là dell’immediata comunicazione della poesia. Si crea infatti una rete di richiami interni tra le immagini: ad esempio la terra che sogna (I, v. 11), i sogni estivi del mare (III, v. 31) e la terra che dorme (V, v. 73); le foglie morte (I, v. 3), le nuvole trascinate dal vento «come foglie appassite» (II, v. 18) e i morti pensieri del poeta sparsi per l’universo «come foglie appassite» (V, vv. 68-69).

Esercitare le competenze ComPrendere

> 1. Qual è la richiesta che il poeta rivolge al vento? AnALizzAre

> 2. Stile Individua le similitudini presenti nel componimento e spiega a quali elementi della descrizione si riferiscono. > 3. Stile Individua nelle prime due strofe della lirica le metafore. > 4. Stile Rileva nel componimento le anafore, le esclamazioni e la figura dell’apostrofe, spiegando la loro funzione. APProfondire e inTerPreTAre

> 5.

Scrivere Svolgi in circa 10 righe (500 caratteri) un commento dell’ode evidenziando i temi e i motivi caratteristici del Romanticismo. > 6. esporre oralmente Quali sensazioni ti suggeriscono i versi di Shelley? Il tono prevalente ti sembra triste e malinconico o vigoroso e appassionato? Esponi le tue considerazioni personali sul messaggio contenuto nella poesia (max 3 minuti).

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L’età del Romanticismo

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Un classicismo romantico

Bellezza e verità

John Keats La vita e le opere A differenza degli altri due grandi poeti della seconda generazione romantica inglese, George Byron ( A9, p. 252) e Shelley ( A7, p. 238), Keats, nato a Londra nel 1795, era di famiglia modesta e non studiò in scuole prestigiose, ma fu posto come apprendista presso un chirurgo (che allora non era una professione prestigiosa come adesso, ma era ritenuto un mestiere manuale). Abbandonò però questa attività per la poesia, pubblicando un volume di versi a ventidue anni, nel 1817, e, nel 1818, il poema Endimione. Tra il 1818 e il 1819 si colloca il periodo più fervido della sua creazione: compone le famose odi Ad un usignolo, Su un’urna greca ( T9, p. 245), All’autunno, Alla Malinconia, A Psiche, ed il poema mitologico Iperione, che rimane incompiuto. La sua breve vita fu segnata dalla malattia del fratello, da lui amorosamente curato, e da un amore tormentato. Nel 1820 si manifestò anche in lui la malattia, la tisi. Partì quindi per l’Italia, alla ricerca di un clima più mite, e si stabilì a Roma. Qui morì nel 1821. Shelley ne pianse la morte nel poemetto Adonais. Il suo romanticismo è orientato nel senso di un esotismo classicheggiante, su cui esercita forte influenza l’entusiasmo per le sculture del Partenone, che proprio nel 1816 erano state collocate nel British Museum. Il mondo classico è per lui la realizzazione suprema della bellezza, intesa come armonia sottratta al tempo, che si contrappone agli affanni in cui si strugge la vita effimera dell’uomo. Keats si può vedere come un precursore dell’estetismo, la corrente che nel secondo Ottocento individuerà nel Bello il valore supremo a cui sottomettere tutti gli altri valori; ma non si può ancora considerare un esteta in senso stretto: per lui la bellezza ha ancora un valore etico, coincide con il bene e con il vero, come sostiene la chiusa famosa dell’ode Su un’urna greca, mentre per gli esteti di fine secolo il bello è svincolato dalla morale. Caratteristico infine della poesia di Keats è un linguaggio estremamente prezioso, ricco di parole inusuali, che mira a creare un incantesimo sul lettore, con le immagini che quelle parole evocano e con la musica che esse creano.

Ritratto di John Keats, XIX secolo, incisione a colori da un dipinto a olio di Joseph Severn.

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Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

T9

John Keats

Temi chiave

ode su un’urna greca

• la contrapposizione tra bellezza eterna e realtà umana

Scritta nel maggio 1819, fu pubblicata nel 1820. Il poeta si • la contemplazione nostalgica del mondo greco rivolge ad un’antica urna greca, su cui sono scolpite nel marmo due scene: un giovane che tenta di baciare una fanciulla, in uno scenario pastorale, ed un sacerdote che si accinge a compiere un sacrificio.

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I. Tu1 della quiete ancora inviolata sposa, alunna del silenzio e del tempo tardivo2, narratrice silvestre3 che un racconto fiorito puoi così più che la nostra rima dolcemente dire4, quale leggenda adorna d’aeree fronde5 si posa intorno alla tua forma? Di deità, di mortali o pur d’entrambi6, in Tempe7 o nelle valli d’Arcadia8? Quali uomini son questi o quali dèi, quali ritrose vergini, qual folle inseguimento, qual paura, quali zampogne e timpani, quale selvaggia estasi?9 II. Dolci le udite melodie: più dolci le non udite10. Dunque voi seguite, tenere cornamuse, il vostro canto, non al facile senso, ma, più cari, silenziosi concenti date all’intimo cuore11. Giovine bello, alla fresca ombra mai può il tuo canto languire, né a quei rami venir meno la fronda. Audace amante e vittorioso, mai mai tu potrai baciare, pur prossimo alla meta, e tuttavia non darti affanno: ella non può sfiorire e, pur mai pago, quella per sempre tu amerai, bella per sempre12.

1. Tu: il poeta si rivolge all’urna greca. 2. della quiete … tardivo: l’urna antica è rimasta per lunghi secoli senza essere toccata (inviolata), nel lento scorrere del tempo, immersa nella quiete e nel silenzio dell’oblio. 3. narratrice silvestre: attraverso il fregio che l’adorna, l’urna racconta favole antiche. Vi è infatti effigiata una scena pastorale; per questo ricorre l’aggettivo silvestre. 4. racconto … dire: attraverso le immagini l’urna racconta più dolcemente che le rime del poeta.

5. leggenda … fronde: la scena mitico-pastorale è incorniciata da un fregio di foglie. 6. Di deità … d’entrambi: sottinteso “leggenda”. 7. Tempe: località della Tessaglia. 8. Arcadia: regione della Grecia antica che nella letteratura rappresenta un luogo ideale di armonia e serenità. 9. Quali … estasi?: sull’urna sono effigiati uomini o dèi che inseguono ritrose vergini impaurite e scene di riti orgiastici dionisiaci. Essi erano accompagnati dal suono di tam-

ode on a Grecian urn I. Thou still unravished bride of quietness, / Thou foster-child of silence and slow time, / Silvan historian, who canst thus express / A flowery tale more sweetly than our rhyme! / What leaf-fringed legend haunts about thy shape / Of deities or mortals, or of both, / In Tempe or the dales of Arcady? / What men or gods are these? What maidens loth? / What mad pursuit? What struggle to escape? / What pipes and timbrels? What wild ecstasy? // II. Heard melodies are sweet, but those unheard / Are sweeter; therefore, ye soft pipes, play on; / Not to the sensual ear, but, more endeared, / Pipe to the spirit ditties of no tone. / Fair youth beneath the trees, thou canst not leave / Thy song, nor ever can those trees be bare; / Bold lover, never, never canst thou kiss, / Though winning near the goal-yet do not grieve: / She cannot fade, though thou hast not thy bliss, / For ever wilt thou love, and she be fair! //

burelli (timpani) e i danzatori cadevano in una sfrenata ebbrezza (selvaggia estasi). 10. Dolci … udite: le melodie solo immaginate sono più dolci di quelle effettivamente percepite con i sensi. È il concetto tipicamente romantico secondo cui il mondo immaginario è preferibile a quello reale. 11. Dunque … cuore: il poeta invita pertanto le zampogne della scena pastorale a continuare il loro canto, che non è percepibile dai sensi (facile senso; nell’originale «sensual ear», orecchio sensuale) ma solo dal cuore (nell’originale «spirit»). 12. Audace … sempre: nella scena effigiata un giovane sta per baciare una fanciulla. Non potrà mai compiere l’atto, perché i gesti sono fissati per sempre nel marmo, tuttavia l’immagine artistica conserverà in eterno la bellezza della fanciulla, che non potrà sfiorire come nella realtà della vita.

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III. O fortunate piante cui non tocca perder le belle foglie, né, meste, dire addio alla primavera; te felice, cantore non mai stanco di sempre ritrovare canti per sempre nuovi; ma, più felice Amore! più felice, felice Amore! fervido e sempre da godere, e giovane e anelante sempre13, tu che di tanto eccedi ogni vivente passione umana, che in cuore un solitario dolore lascia, e sdegno: amara febbre14. IV. Chi son questi venienti al sacrificio?15 E, misterioso sacerdote, a quale verde altare conduci questa, che mugghia ai cieli, mite giovenca di ghirlande adorna i bei fianchi di seta? Qual piccola città, presso del fiume o in riva al mare costruita, o sopra il monte, fra le sue placide mura, si è vuotata di questa folla festante, in questo pio mattino16? Tu, piccola città, quelle tue strade sempre saranno silenziose e mai non un’anima tornerà che dica perché sei desolata.

III. Ah, happy, happy boughs, that cannot shed / Your leaves, nor ever bid the spring adieu; / And, happy melodist, unwearied, / For ever piping songs for ever new! / More happy love, more happy, happy love! / For ever warm and still to be enjoyed, / For ever panting, and for ever young – / All breathing human passion far above, / That leaves a heart high-sorrowful and cloyed, / A burning forehead, and a parching tongue. // IV. Who are these coming to the sacrifice? / To what green altar, O mysterious priest, / Lead’st thou that heifer lowing at the skies, / And all her silken flanks with garlands dressed? / What little town by river or sea shore, / Or mountain-built with peaceful citadel, / Is emptied of this folk, this pious morn? / And, little town, thy streets for evermore /Will silent be; and not a soul to tell / Why thou art desolate can e’er return. // V. O Attic shape! Fair attitude! With brede / Of marble men and maidens overwrought, / With forest branches and the trodden weed – / Thou, silent form, dost tease us out of thought /

V. O pura attica forma ! Leggiadro atteggiamento, cui d’uomini e fanciulle e rami ed erbe calpestate intorno fregio di marmo chiude, invano invano il pensier nostro ardendo fino a te si consuma, 17

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13. O fortunate … sempre: sviluppa il concetto dei versi precedenti: fissate nella forma eterna dell’arte, le figure effigiate non subiranno le trasformazioni prodotte dal tempo. Le piante non perderanno le foglie, il cantore non sarà mai stanco di ritrovare canti nuovi, l’amore sarà sempre giovane, caldo e anelante di desiderio. 14. eccedi … febbre: l’amore effigiato è infinitamente superiore ad ogni passione vissu-

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ta nella realtà, perché questa lascia sempre un residuo di dolore, tormento e amarezza (letteralmente nell’originale: «lascia un cuore pieno di profondo dolore e sazio, una fronte bruciante di febbre e una lingua secca»). 15. Chi … sacrificio?: la seconda scena del fregio rappresenta un sacrificio. Un sacerdote conduce all’altare una giovenca inghirlandata di fiori, che deve essere sacrificata agli dèi.

16. pio mattino: il mattino è pio perché dedicato al sacrificio, ossia ad una manifestazione di pietas, di devozione religiosa. 17. forma: si tratta dell’urna, purissima forma greca (attica). L’Attica era la regione di Atene, il massimo centro della civiltà greca. Nella scultura il gusto attico era caratterizzato da armonia di linee e purezza di forme.

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pari all’eternità18, fredda, silente, imperturbata effige19. Quando, dal tempo devastata e vinta, questa or viva progenie anche cadrà, fra diverso dolore, amica all’uomo, rimarrai tu sola20, «Bellezza è Verità» dicendo ancora: «Verità è Bellezza21». Questo a voi, sopra la terra, di sapere è dato: questo, non altro, a voi, sopra la terra, è bastante sapere22. J. Keats, Poesie, trad. it. di M. Roffi, Einaudi, Torino 1983

18. invano … eternità: la traduzione è qui, come avviene spesso, molto libera e più oscura dell’originale; il testo ha: «Tu, forma silente, ci turbi fino a farci uscire dal nostro pensiero, come fa l’eternità», cioè la visione della pura forma artistica strappa il pensiero umano ai suoi limiti e lo fa aspirare all’eternità.

19. fredda … effige: l’urna (effige) è fred­ da, silenziosa ed imperturbata perché di marmo. Anche qui la traduzione amplia il testo, che ha solo «cold pastoral», fredda pastorale. 20. rimarrai tu sola: trascorsa la generazione a cui anche il poeta appartiene, cancellata dal trascorrere del tempo, l’urna continuerà a

As doth eternity. Cold pastoral! / When old age shall this generation waste, / Thou shalt remain, in midst of other woe / Than ours, a friend to man, to whom thou say’st, / «Beauty is truth, truth beauty» – that is all / Ye know on earth, and all ye need to know.

trasmettere i valori e gli ideali perenni, di cui è l’espressione, alle generazioni seguenti, afflitte da altri, diversi dolori. Anche qui il testo originale è molto più lineare: «Quando la vecchiaia distruggerà questa generazione, tu rimarrai, tra dolori diversi dai nostri, amica dell’uomo». 21. Bellezza … Bellezza: il significato della vita (la Verità) sta nella contemplazione della Bellezza ideale, fissata dalla scultura attica in forme eterne, assolute, non corruttibili dall’azione del tempo. 22. Questo … sapere: l’urna trasmette le verità fondamentali che l’arte, la cultura, il mito classico hanno saputo cogliere ed esprimere in forme essenziali.

Analisi del testo

> La bellezza ideale ed eterna

La realtà umana opposta alla bellezza

Il motivo centrale delle prime quattro strofe è la bellezza ideale, che si manifesta in forme tangibili nel fregio marmoreo dell’urna. La bellezza è fissata dall’arte in forme eterne, immodificabili, sottratte all’azione del tempo: il canto della zampogna non cesserà mai, l’amore durerà per sempre, la bellezza della fanciulla non appassirà mai, la primavera sarà eterna. La bellezza si unisce dunque ad un senso di vitalità giovanile piena e gioiosa. A queste forme eterne si contrappone la vita reale dell’uomo segnata dal dolore, dalla febbre del desiderio irrealizzabile, dalla delusione (conclusione della terza strofa). Dinanzi a queste forme di perfezione greca il pensiero dell’uomo è come spinto al di là dei suoi stessi limiti, si protende a vagheggiare con struggimento quell’eternità che è per lui irraggiungibile. Nell’ultima strofa si approfondisce il motivo già accennato al termine della terza: alla bellezza eterna e incorruttibile dell’arte, che si compendia nell’urna greca, si contrappone la realtà umana, sottoposta all’azione del tempo, soggetta alla decadenza e alla vecchiezza. Ma nel succedersi delle generazioni umane, sempre dominate dall’affanno, l’urna continuerà a diffondere il suo messaggio: «la Bellezza è Verità […] la Verità è Bellezza». Nella contemplazione del valore della bellezza si compendia il senso che gli uomini possono dare alla loro vita.

> L’atteggiamento romantico La nostalgia dell’antico

A differenza della poesia di Shelley, visionaria, lussureggiante di immagini che sembrano scaturire inesauribili da una fantasia eccitata, la poesia di Keats si compiace di immagini nitide e armoniche, di classica compostezza. Ma questo classicismo è colmo di spirito romantico: romantico è difatti l’atteggiamento di struggente nostalgia con cui è contemplato il mondo greco, che appare come un paradiso perduto di bellezza ed 247

L’età del Romanticismo

armonia. Non è quindi l’oggetto (il mondo classico) che connota culturalmente la poesia, ma l’atteggiamento del poeta verso di esso. È un classicismo romantico affine a quello che abbiamo già individuato nel Foscolo delle Grazie (a cui non a caso il poeta lavora proprio negli anni in cui Keats compone la sua ode, L’età napoleonica, cap. 2, pp. 144 e ss.) e in Hölderlin ( A5, p. 222).

Esercitare le competenze ComPrendere

> 1. Formula un titolo esplicativo per ogni strofa del componimento, secondo l’esempio proposto. Strofa

Titolo

I

I...................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................... fregi dell’urna greca raccontano con spirito poetico le favole antiche

II

.....................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

III

.....................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

IV

.....................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

V

.....................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

AnALizzAre

> 2. Individua nel testo i riferimenti al mondo classico: a quali ambiti danno risalto? > 3. Stile Ricerca nella poesia tutte le metafore riferite all’urna e spiega il significato di ciascuna. Quali caratteristiche dell’urna sono celebrate dal poeta? > 4. Lingua Nel testo sono frequenti le frasi interrogative ed esclamative: dove si concentrano maggiormente? Quale funzione hanno? APProfondire e inTerPreTAre

> 5.

esporre oralmente Svolgi un confronto tra la poesia di Keats e il brano di J. J. Winckelmann tratto dalla Storia dell’arte nell’antichità ( L’età napoleonica, cap. 1, T1, p. 20) e indica analogie e differenze nella descrizione delle opere d’arte e negli effetti che la contemplazione estetica produce sugli scrittori (max 3 minuti). > 6. Altri linguaggi: arte La scena, che rappresenta una festa orgiastica tipica del culto del dio Bacco, offre una delle possibili interpretazioni in chiave romantica della classicità. Dopo aver osservato attentamente l’immagine, rispondi alle domande. a) La rappresentazione rimanda a un concetto di vitalità giovanile piena e gioiosa espresso attraverso la compostezza, l’armonia e il nitore? Dopo averne descritto gli elementi, anche nei vari particolari, motiva la tua risposta. b) Ritieni che la scena evidenzi analogie con la visione del mondo classico espressa dal componimento di Keats? Motiva la tua risposta.

Théodore Géricault, Baccanale, 1817, penna con inchiostro e acquerello bruno su carta, Parigi, Bibliothèque de l’École nationale supérieure des Beaux-Arts.

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Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

La voce del Novecento

il bassorilievo di montale e l’urna greca di Keats La poesia Dove se ne vanno le ricciute donzelle, del 1923, fa parte degli Ossi di seppia (1925), la prima raccolta di Eugenio Montale (1896-1981), il maggior poeta italiano del Novecento, insignito del premio Nobel nel 1975. È compresa nella sezione Sarcofaghi, dove questa e altre tre liriche traggono spunto da bassorilievi di sarcofaghi antichi o da tombe.

> metro: versi di varia lunghezza, con prevalenza di endecasillabi (12) e di settenari (6). Ricorrono spesso rime e assonanze, ma senza schema regolare.

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Dove se ne vanno le ricciute donzelle1 che recano le colme anfore su le spalle ed hanno il fermo passo2 sì leggero; e in fondo uno sbocco di valle invano attende le belle3 cui adombra una pergola di vigna4 e i grappoli5 ne pendono oscillando. Il sole che va in alto6, le intraviste pendici7 non han tinte8: nel blando minuto la natura fulminata atteggia le felici sue creature, madre non matrigna, in levità di forme9.

1. ricciute donzelle: le figure femminili scolpite nel bassorilievo del sarcofago, che sono raffigurate mentre avanzano recando anfore sulle spalle. 2. fermo passo: fermo può significare sicuro, ma può anche voler dire immobile. La scultura rappresenta un movimento, che però resta immobilizzato nella pietra. 3. invano … belle: perché le belle fanciulle, fissate dalla scultura, non arriveranno mai allo sbocco della valle.

4. cui … vigna: a cui fa ombra una pergola di vite. Cui però, riferito a le belle, è complemento oggetto di adombra, il soggetto è una pergola. 5. i grappoli: dell’uva. 6. va in alto: sta salendo nel cielo. 7. le intraviste pendici: le pendici delle colline che si intravedono nel bassorilievo. 8. non han tinte: non hanno colore, perché raffigurate nella pietra.

9. nel blando … forme: la natura, fermata (fulminata) nel momento tranquillo (nel blando minuto), atteggia le sue creature felici (le fanciulle) in forme lievi, leggiadre, quindi è madre, non matrigna. È evidente il riferimento a Leopardi e alla sua concezione della natura «madre di parto e di voler matrigna» (La ginestra, v. 125), che qui viene rovesciata solo perché la scultura blocca la scena in un momento quieto e sereno.

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L’età del Romanticismo

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Mondo che dorme o mondo che si gloria d’immutata esistenza, chi può dire?10, uomo che passi, e tu dagli il meglio ramicello del tuo orto11. Poi segui: in questa valle non è vicenda di buio e di luce12. Lungi di qui la tua via ti conduce, non c’è asilo per te, sei troppo morto: seguita il giro delle tue stelle13. E dunque14 addio, infanti ricciutelle15, portate le colme anfore su le spalle. E. Montale, L’opera in versi, a cura di R. Bettarini e G. Contini, Einaudi, Torino 1980

10. Mondo … dire?: chi può dire se quello effigiato nel bassorilievo è un mondo che dorme o un mondo che può vantarsi di un’esistenza destinata a non mutare mai? È incerto se con dorme il poeta voglia alludere all’immobilità della morte. 11. il meglio … orto: il miglior ramoscello del tuo giardino (orto è un latinismo). L’invito al passante è un topos ricorrente nella poesia sepolcrale antica, che si rifà all’uso delle epigrafi poste sulle tombe; tema ripreso nella modernità dalla Antologia di Spoon River (1915) del poeta statunitense Edgar Lee Masters (1869-1950). 12. Poi … luce: poi prosegui la tua strada: nella valle raffigurata nel bassorilievo

non c’è l’avvicendamento della notte e del giorno, cioè non vi è lo scorrere del tempo in cui si collocano gli uomini vivi. 13. Lungi … stelle: il tuo cammino ti conduce lontano da qui (cioè dal sarcofago), non c’è possibilità di rifugio per te, sei troppo morto: prosegui dunque il viaggio, seguendo il tuo destino (il giro delle tue stelle). La scultura rappresenta un mondo sereno e felice, immobilizzato nella perfezione dell’arte, fuori dal tempo. Non vi può trovare posto l’uomo, che invece è sottoposto a un destino di morte (sei troppo morto); oppure si può intendere che l’uomo, che pur è vivo e si muove, paradossalmente è più morto delle figure scolpite: morto interiormente, perché incapace

di sentimenti vivi, per l’inaridimento che connota la condizione umana secondo la visione di Montale. 14. E dunque: il dunque indica che viene tratta una conclusione dal concetto espresso nei versi precedenti: il poeta sottolinea come il passante debba dire addio alle figure scolpite, perché all’uomo non sono concesse la serenità e l’immobilità fuori del tempo a loro garantite dalla raffigurazione artistica, deve vivere la vita vera, con il suo desolato impoverimento vitale e il suo destino di morte. 15. infanti ricciutelle: riprende variandola la formula del primo verso, ricciu­ te donzelle. Infanti, nel senso di fanciulle, è un calco del francese enfant.

Analisi del testo

> montale e Keats

La bellezza sottratta al tempo e la vita reale L’uomo escluso dalla serenità dell’arte

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Nello scrivere questa poesia Montale deve aver sicuramente tenuta presente la famosa Ode su un’urna greca di Keats ( T9, p. 245). Comune a entrambi i testi è l’ispirazione tratta dalle figure effigiate su un bassorilievo antico, e il tema toccato dal poeta italiano presenta qualche analogia con quello posto al centro della lirica del poeta inglese. Keats, come si è visto, insiste sulla bellezza delle figure fissata dall’arte in forme eterne, sottratte all’azione distruttiva del tempo. A queste forme eterne si contrappone la vita reale dell’uomo, segnata da sofferenze e angosce, sottoposta al tempo, alla decadenza e alla vecchiaia. Anche in Montale la scultura fissa un momento di serenità lieta, immobilizzandola fuori del tempo e del divenire; mentre questa serenità è impossibile per l’uomo, che è «troppo morto», inaridito e privato di vitalità, destinato alla morte. Però il testo del poeta romantico si conclude con un’immagine positiva: l’urna greca, al di là del trascorrere del tempo che travolge e cancella le generazioni umane, continuerà a trasmettere il suo messaggio di bellezza, che si identifica con la verità. Il testo novecen-

Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

tesco invece si chiude con un’immagine più pessimistica, l’esclusione dell’uomo dalla perfezione serena del mondo raffigurato dall’arte, la necessità che egli segua il suo desolato destino.

> montale e Leopardi

Il dilemma della morte

La scultura, la bellezza, la morte

La riflessione su un bassorilievo sepolcrale compare anche in una canzone leopardiana, Sopra un basso rilievo antico sepolcrale, dove una giovane morta è rappresentata in atto di partire, accommiatandosi dai suoi, scritta fra il 1831 e il 1835. All’attacco di questo testo («Dove vai?») rimanda evidentemente quello della poesia montaliana («Dove se ne vanno…»), e al verso 3 ricorre il termine «donzella», che deve aver suggerito il «donzelle» di Montale. Ma i temi della poesia leopardiana sono diversi: la morte prematura della giovane, che riprende A Silvia, e il dilemma fra la morte come liberazione dal male di vivere e al tempo stesso come causa di strazio per la perdita delle persone care.

> il tema della scultura in Pirandello

Il motivo della scultura che garantisce l’eternità alla bellezza sarà ripreso pochi anni dopo Montale da Pirandello, nel dramma Diana e la Tuda del 1926. Però nel testo pirandelliano si confrontano problematicamente due visioni contrastanti, quella di un giovane scultore, che esalta appunto la capacità dell’arte di sollevare la vita in una sfera superiore sottratta al tempo, e quella di un vecchio artista che vede invece nelle statue l’irrigidimento della vita nella morte.

Esercitare le competenze ComPrendere

> 1. Riassumi il contenuto del componimento, formulando anche un titolo alternativo a quello montaliano. AnALizzAre

> 2. > 3. > 4.

Individua nel testo rime, assonanze e consonanze. Individua nel testo esempi di allitterazione, spiegandone l’efficacia sul piano espressivo. Stile Quale figura retorica, e con quale funzione, è presente nell’affermazione «ed hanno il fermo passo sì leggero» (v. 3)? > 5. Lessico Riepiloga in una tabella, secondo l’esempio proposto, vocaboli e/o espressioni attribuiti nel testo alle «donzelle»: quale idea di esse vuole rendere il poeta? Stile Stile

Vocaboli/espressioni attibuiti alle donzelle

ricciute .................................................................................................................................................................................................................................................................................................................. .................................................................................................................................................................................................................................................................................................................. ..................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

APProfondire e inTerPreTAre

> 6.

Testi Ovidio • Il mito di Pigmalione da Le Metamorfosi

esporre oralmente Il componimento analizzato, seppure attraverso una prospettiva novecentesca, dimostra quanto la poesia sepolcrale offra spunti di riflessione in merito alla pienezza della vita (individuale e collettiva), al suo significato più profondo e allo scorrere inesorabile del tempo: a quali altri autori e/o opere, oltre a Keats, potresti riferire tale osservazione? Rispondi in non più di 5 minuti. > 7. Contesto: latino Nel X libro delle Metamorfosi Ovidio narra il mito di Pigmalione, lo scultore di Cipro che riproduce nell’avorio le fattezze di una donna dalla bellezza ideale, di cui si innamora perdutamente: la dea Venere, esaudendo il suo desiderio di poterne amare una simile in carne e ossa, trasforma la statua in creatura umana. Rifletti sul tema senza tempo della bellezza e confrontalo, nella versione del poeta latino, con quella proposta dal Neoclassicismo e dal Romanticismo.

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L’età del Romanticismo

A9 I viaggi

Il soggiorno in Italia

Il viaggio in Grecia e la morte Il mito byroniano

George Byron George Gordon nacque nel 1788 da famiglia nobile, ma di un ramo minore, decaduto e impoverito. A dieci anni ereditò il titolo di Lord Byron; nel 1808 prese possesso del maniero degli avi e nel 1809 occupò il seggio che gli spettava per nascita alla Camera dei Lords. Ciononostante assunse atteggiamenti radicali, difendendo ad esempio il movimento dei luddisti, operai che distruggevano le macchine perché vi vedevano la causa della disoccupazione. Come era indispensabile ad ogni giovane aristocratico del tempo, partì per il suo grand tour, il viaggio di istruzione sul continente. Visitò la penisola Iberica, la Grecia, il Levante, tutte mete che rivelano un romantico gusto per l’esotico. Il viaggio gli ispirò i primi due libri del Pellegrinaggio del cavaliere Harold (1812), che incontrarono un enorme successo. La figura di Harold, tipico eroe romantico, solitario, malinconico, come gravato da una maledizione, tormentato dal peso misterioso del passato, creò una vera e propria moda e fu imitato da schiere di giovani. Sposatosi nel 1815, si separò dalla moglie dopo un anno, suscitando vasto scandalo (incrementato anche dalla voce che la separazione fosse causata da un rapporto incestuoso di Byron con la sorella, voce probabilmente diffusa dal poeta stesso, che amava creare intorno a sé un alone maledetto). In conseguenza dello scandalo, il poeta lasciò l’Inghilterra nel 1816, recandosi in Italia (meta prediletta dei romantici inglesi, esuli dal proprio paese perché insofferenti del suo clima sociale conformistico: in Italia si recarono negli stessi anni anche gli altri due grandi poeti romantici, Shelley e Keats, A7, p. 238 e A8, p. 244). In Italia Byron condusse vita sregolata, con molti amori, circondato dal suo mito che gli procurava entusiastica ammirazione. Spinto dalle sue idee libertarie, prese parte ad una cospirazione carbonara a Ravenna. Nel 1823 accettò con entusiasmo la nomina del comitato per l’indipendenza della Grecia, che si era allora sollevata contro il dominio turco. Si recò in Grecia, ma morì nel 1824 a Missolungi di febbri. Nell’Europa del tempo Byron incarnò un vero e proprio mito: il dandy aristocratico, sprezzante delle convenzioni e delle norme morali comuni; l’uomo fatale, dal fascino tenebroso e maledetto; il ribelle, insofferente di ogni costrizione, il simbolo della lotta per la libertà contro l’oppressione e la tirannide. Questo mito biografico esercitò, insieme alle opere poetiche, una notevole influenza sulla letteratura, riscontrabile anche in Italia. La vita

Arthur Willmore o James Tibbetts Willmore, Lord George Byron contempla il Colosseo a Roma, XIX secolo, incisione colorata, Parigi, Bibliothèque des Arts décoratifs.

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Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

Le opere Dopo il Pellegrinaggio del cavaliere Harold (a cui si aggiunsero altri due canti nel 1817 e nel 1818, ispirati ai soggiorni in Svizzera e in Italia), il successo di Byron fu accresciuto da una serie di novelle in versi (Il Giaurro, La sposa di Abido, Il Corsaro, Lara), in cui si combinava il fascino dell’esotico con intrecci passionali e melodrammatici e veniva riproposto il tipo dell’eroe maledetto e fatale. Tale figura si ripresenta anche nella tragedia Manfred (1817), in cui è adombrata la passione incestuosa per la sorella. Altre tragedie successive furono Caino, Marin Faliero, I due Foscari. Una svolta radicale è segnata dalle ultime opere, soprattutto dal poema incompiuto Don Juan (iniziato nel 1819), ironico e burlesco, che tratta delle avventure di un antieroe, narrate in forma colloquiale, ricca di divagazioni e di humour.

T10

George Byron

Temi chiave

L’eroe maledetto

• la figura dell’eroe • il tema del mistero e quello

da Il Corsaro, I, vv. 233-247; 263-370

• il mito dell’angelo caduto • la ribellione

La novella in versi fu pubblicata nel 1814. Il protagonista, Conrad, è un pirata che vive nel suo nido d’aquila in un’isola dell’Egeo.

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Quest’uom che nel mistero e ne la solitudine s’avvolge, di cui raro è il sospir, più raro ancora il sorriso, di cui pur solo il nome qual è più saldo di que’ cor sgomenta1 e fa imbiancar quelle abbronzate guance, volge a suo senno di lor alme il freno con quella guisa d’imperar che il vulgo maneggia, abbaglia, istupidisce, annulla2. Che è questa malìa3 che una sfrenata orda così, di tutte leggi ignara, confessa, invidia, e pur contrasta indarno4? Che può così d’un solo al fato il fato legar di tanti?5 È l’opinion, l’impero che su i molti operanti ha l’un6 che pensa; […]

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Dissomigliante da gli antichi eroi ch’eran démoni a l’opre7, angeli al volto, poco il sembiante8 di Corrado avea che notevol paresse, ancor che l’arco de le sue nere sopracciglia un guardo adombrasse di foco. Era robusta, ma non erculea la sua tempra e, lungi

1. di cui … sgomenta: basta solo il suo nome a sgomentare il più saldo fra i cuori della sua ciurma. 2. volge … annulla: ha in pugno le anime altrui e le volge a suo piacimento (freno: briglie), con quel modo di comandare (imperar)

che esercita un’ascendente tale sul popolo da dominarlo, da abbagliarlo, da istupidirlo, da annullarne la volontà. 3. malìa: forte potere di suggestione. 4. indarno: invano. 5. Che può … tanti?: che cosa può legare il

della solitudine

The Corsair That man of loneliness and mystery, / Scarce seen to smile, and seldom heard to sigh; / Whose name appals the fiercest of his crew, / And tints each swarthy cheek with sallower hue; / Still sways their souls with that commanding art / That dazzles, leads, yet chills the vulgar heart. / What is that spell, that thus his lawless train / Confess and envy, yet oppose in vain? / What should it be, that thus their faith can bind? / The power of Thought – he magic of the Mind! […] // Unlike the heroes of each ancient race, / Demons in act, but Gods at least in face, / In Conrad’s form seems little to admire, / Though his dark eyebrow shades a glance of fire / Robust but not Herculean – to the sight /

destino di tanti uomini al destino di uno solo? 6. l’un: il singolo che pensa esercita il dominio sui molti che si limitano ad agire. 7. a l’opre: nei fatti. 8. il sembiante: l’aspetto.

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d’esser gigante, non più che vulgare9 la sua statura; nondimen dal tutto di sua persona, lui fisando, cosa spirar parea più che vulgar10. Miravi, e ad ammirar ti confessavi astretto11, né il perché dir sapevi. Arsa dal sole avea la guancia, alta la fronte e pallida, e su la fronte brune ciocche incolte profusamente ricadenti. Il labbro sporgea sovente, involontario indizio d’occulti sì, ma non coperti al tutto ardui pensier12. Dolce quantunque e umana la voce avesse e tutta insiem tranquilla l’aria del volto, eravi cosa affatto pur non tranquilla e ch’ei cercar parea che non fosse notata: i solchi ond’era la sua fronte scolpita e il suo frequente trascolorar13 chiamavan l’occhio e a un tempo il confondeano; e ti parea che andassero per le latebre14 del suo spirto idee terribili, quantunque indefinite. E ben esser potea; ma d’accertarlo cui15 fu dato giammai? Chi nei recessi mai varcò16 di quel cor? Strale a l’audace stato fôra un suo sguardo17. Eran ben pochi che di quel ciglio scrutator bastanti fosser lo scontro a sostener18. Se l’occhio drizzargli al volto per passargli al core ardìa taluno, a lui drizzava il suo con pari intento e star fealo in riguardo sovra se stesso, di timor che il proprio non pria svelasse che il di lui segreto19. Ridean sue labbra disdegnose il ghigno d’un demonio, che l’ira e la paura svegliava a un tempo; e là dov’ei calava l’adirato cipiglio, impallidita si fuggìa la speranza, e sospirando congedarsi il perdon parea per sempre. Lievi son l’orme che nel volto imprime del malvagio il pensier20: nel cor, nel centro ei lavora del cor. Di se medesmo e ad ogni istante traditor l’amore: l’odio, la frode, l’ambizion non mai21.

9. non … vulgare: non fuori dall’ordinario. 10. dal tutto … vulgar: dal complesso della sua persona, se lo si fissava, sembrava emanare qualcosa fuori dal normale. 11. astretto: costretto. 12. d’occulti … pensier: di tormentosi pensieri, segreti sì, ma non del tutto nascosti.

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13. trascolorar: impallidire. 14. le latebre: le zone più profonde (letteralmente i nascondigli) dell’animo. 15. cui: a chi. 16. varcò: penetrò. 17. Strale … sguardo: il suo sguardo sarebbe stato come una freccia pronta a colpire l’ar-

No giant frame sets forth his common height; / Yet, in the whole, who paused to look again, / Saw more than marks the crowd of vulgar men, / They gaze and marvel how – and still confess / That thus it is, but why they cannot guess. / Sunburnt his cheek, his forehead high and pale / The sable curls in wild profusion veil: / And oft perforce his rising lip reveals / The haughtier thought it curbs, but scarce conceals. / Though smooth his voice, and calm his general mien’, / Still seems there something he would not have seen: / His features’ deepening lines and varying hue / At times attracted, yet perplex’d the view, / As if within that murkiness of mind / Work’d feelings fearful, and yet undefined; / Such might it be – that none could truly tell – / Too close enquiry his stern glance would quell. / There breathe but few whose aspect might defy / The full encounter of his searching eye: / He had the skill, when Cunning’s gaze would seek / To probe his heart and watch his changing cheek, / At once the observer’s purpose to espy, / And on himself roll back his scrutiny, / Lest he to Conrad rather should betray / Some secret thought, than drag that chief’s to day. / There was a laughing Devil in his sneer, / That raised emotions both of rage and fear; / And where his frown of hatred darkly fell, / Hope withering fled – and Mercy sigh’d farewell! // Slight are the outward signs of evil thought, / Within – within – ’twas there the spirit wrought! / Love shows all changes – Hate, Ambition, Guile, / dito che avesse osato varcare i recessi del suo cuore. 18. che … sostener: coloro i quali fossero in grado di sostenere lo scontro del suo sguardo scrutatore. 19. star … segreto: gli imponeva (star fea­ lo: lo faceva stare) un atteggiamento più riservato e di maggior rispetto, temendo di svelare prima il proprio segreto che quello di lui. 20. Lievi … pensier: leggere sono le tracce che il pensiero imprime nel volto del malvagio. 21. Di se … non mai: mentre l’amore tradisce ad ogni istante la propria presenza attraverso l’espressione del volto, l’odio, la frode, l’ambizione non si tradiscono mai esteriormente.

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Un riso amaro, un increspar leggiero di labbra, un velo di pallor sul sempre domato aspetto, altro veder non lice22 de’ cupi affetti. Uopo è23 mirar non visto per mirarne l’imago24. Allora al passo precipite25, al levar de gli occhi al cielo, a l’intrecciar di man con mano, al tendere de l’orecchio e in silenzio d’agonia origliar trepidando se di furto nessun sorvenga esplorator de’ fieri segreti istanti26, al furiar27 di tutta la tempesta de l’anima in sul volto, al doppiar, non scemarsi, de l’ambascia prorompendo28, a lo sforzo, a le convulse scosse, a la smania, al brivido, al sudore de la fronte ed al vampo29 de la guancia, allor, stranier qual che tu sia, se il puoi senza tremar, vieni a mirar Corrado e la calma che in sorte hanno i suoi pari; a mirar come coce e come rode quel solitario isterilito core il pensier30 di trascorsi anni esacrati31; a mirar… Ma chi vide e potrà mai d’un cor simile al suo veder lo sfogo? Non però nato era Corrado i figli de la colpa a guidar, di colpa ei stesso istrumento maggior: prima cangiata era l’anima sua ch’ei co’ suoi fatti l’uom guerreggiasse32 e ripudiasse il ciel. Erudito da gli uomini a la scola del disinganno33, tutto senno in detti e tutto inettitudine nell’opre, troppo fermo per ceder, troppo altero per arrestar, côlto dai tristi al laccio di sue stesse virtù34, le sue virtudi maledisse, recando i proprii mali a lor cagion, non di color che trarne solean materia per tradirlo sempre35. Né pensò che, deposto in cor più grati, il ben ch’ei fea lasciato avriagli a gioia del fatto e mezzi di ben far pur anco36.

22. non lice: non è lecito. 23. Uopo è: bisogna. 24. imago: immagine. 25. precipite: rapido. 26. se di furto … istanti: se qualcuno sopravvenga di nascosto a indagare i terribili momenti segreti. 27. al furiar: all’infuriare. 28. al doppiar … prorompendo: al rad-

doppiarsi, non al diminuire dell’angoscia che prorompe. 29. al vampo: all’avvampare. 30. pensier: è soggetto di coce e rode; oggetto, quel solitario isterilito core. 31. esacrati: detestati. 32. prima … guerreggiasse: la sua anima era cambiata prima che egli con le sue azioni facesse guerra contro gli uomini.

Betray no further than the bitter smile; / The lip’s least curl, the lightest paleness thrown / Along the govern’d aspect, speak alone / Of deeper passions; and to judge their mien, / He, who would see, must be himself unseen. / Then – with the hurried tread, the upward eye, / The clenched hand, the pause of agony, / That listens, starting, lest the step too near / Approach intrusive on that mood of fear: / Then – with each feature working from the heart, / With feelings loosed to strengthen – not depart: / That rise – convulse – contend – that freeze or glow, / Flush in the cheek, or damp upon the brow; / Then – Stranger! if thou canst, and tremblest not, /Behold his soul – the rest that soothes his lot! / Mark – how that lone and blighted bosom sears / The scathing thought of execrated years! / Behold – but who hath seen, or e’er shall see, / Man as himself – the secret spirit free? // Yet was not Conrad thus by Nature sent / To lead the guilty – guilt’s worst instrument – / His soul was changed, before his deeds had driven / Him forth to war with man and forfeit heaven. / Warp’d by the world in Disappointment’s school, / In words too wise, in conduct there a fool; / Too firm to yield, and far too proud to stoop, / Doom’d by his very virtues for a dupe, / He cursed those virtues as the cause of ill, / And not the traitors who betray’d him still; / Nor deem’d that gifts bestow’d on better men / Had left him joy, and means to give again. /

33. Erudito … disinganno: istruito dagli uomini alla scuola della disillusione. 34. côlto … virtù: preso dai malvagi al laccio delle sue stesse virtù: cioè i malvagi approfittano del fatto che è virtuoso per ingannarlo. 35. recando … sempre: attribuendo la causa dei propri mali alle proprie virtù, non a coloro che ne approfittavano per tradirlo. 36. Né pensò … anco: né pensò che quel bene, dispensato a uomini migliori, gli avrebbe procurato gioia e mezzi per dispensarne ancora.

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Cansato, inviso, calunniato, in fiore vigea tuttor sua gioventù; ch’ei troppo già odiava l’uom per più capir rimorso37. Prese la voce del suo mal talento per chiamata di ciel che il destinasse d’alcun le ingiurie a vendicar su tutta l’umanità38. Reo39 si sapea: ma gli altri non credeva miglior; sprezzava i buoni come ipocriti, e avea ch’essi ne l’ombre fosser ciò che l’uom franco è in pien meriggio40. Vedeasi odiato, ma vedea che innanzi curvo e tremante l’odiator gli stava. Strano41, selvaggio, solitario, esente42 vivea d’amore e di disprezzo a un tempo. Era il suo nome di spavento obbietto43, e i suoi fatti d’orror; ma chi ’l temeva nol disprezzava.

Fear’d – shunn’d – belied – ere youth had lost her force, / He hated man too much to feel remorse, / And thought the voice of wrath a sacred call, / To pay the injuries of some on all. / He knew himself a villain – but he deem’d / The rest no better than the thing he seem’d; / And scorn’d the best as hypocrites who hid / Those deeds the bolder spirit plainly did. / He knew himself detested, but he knew / The hearts that loath’d him, crouch’d and dreaded too. / Lone, wild, and strange, he stood alike exempt / From all affection and from all contempt: / His name could sadden, and his acts surprise; / But they that fear’d him dared not to despise.

G. Byron, Opere complete, vol. II, trad. it. di G. Nicolini, UTeT, Torino 1917

37. Cansato … rimorso: evitato, odiato, calunniato, era ancora nel pieno della sua gioventù quando già odiava troppo gli uomini per poter provare rimorso (delle proprie scelleratezze). 38. mal talento … umanità: scambiò la vo-

ce della sua cattiva disposizione d’animo per volontà del cielo che lo destinasse a vendicare su tutta l’umanità il male fatto da alcuni. 39. Reo: colpevole. 40. avea ch’essi … meriggio: riteneva (avea) che essi di nascosto fossero (malvagi),

come l’uomo franco lo è apertamente, in piena luce. 41. Strano: estraneo. 42. esente: privo. 43. obbietto: oggetto, motivo.

Analisi del testo L’eroe satanico

L’aspetto fisico

256

> il ritratto dell’eroe byroniano

Ricorrono in questo ritratto del Corsaro tutti gli elementi che contraddistinguono il tipo dell’eroe satanico byroniano, destinato a godere di lunga fortuna, suscitando infinite riprese e imitazioni durante tutto l’Ottocento, dalla letteratura “alta” a quella di consumo. Ma ciò che è rilevante è che qui, a differenza che in altri personaggi byroniani come Harold, Lara o Manfred, questa figura si associa con un’altra immagine mitica molto cara al Romanticismo, il generoso fuorilegge, il ribelle che si pone al di fuori della società e contro di essa. Il protagonista vive nel suo nido d’aquila, circondato da un’atmosfera di mistero e di solitudine. Il suo nome è famoso in ogni luogo e semina ovunque il terrore, anche fra i suoi stessi seguaci. Da lui emana un fascino magnetico, un senso di superiorità dominatrice, che soggioga chi gli sta di fronte e che lo pone al di sopra dell’umanità comune. Anche dal suo aspetto fisico spira il magnetismo del dominatore. Il suo ritratto fissa una serie di tratti fisionomici che saranno la cifra ricorrente di tanti eroi “maledetti” della produzione letteraria successiva: lo «sguardo di fuoco», le guance bruciate dal sole, indizio di vita avventurosa e selvaggia, la fronte alta e pallida, le nere chiome, le labbra che s’increspano, tradendo involontariamente occulti, orgogliosi pensieri. Nel suo sogghigno si sente il riso di un demonio, dove cade il suo sguardo corrucciato fuggono la speranza e il perdono.

Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti Mistero e maledizione

L’angelo caduto

Il mito della ribellione

Il suo aspetto è esternamente calmo, ma tradisce un segreto che egli vorrebbe celare. Il volto solcato e il frequente impallidire sono il segno che in lui si agitano pensieri terribili e indefiniti, ma nessuno oserebbe spingere lo sguardo nel segreto di quell’anima. Solo nella più completa solitudine affiora il tormento occulto che lo rode, il ricordo di antiche, misteriose colpe, che pesano su di lui come una maledizione. Il suo passato è richiamato solo per brevi cenni allusivi, intesi ad accrescere il fascino maledetto che lo circonda: è giunto a detestare le sue stesse virtù per colpa della meschinità traditrice degli uomini; odiato da tutti, odia a sua volta gli uomini che lo circondano e considera la sua ira contro di essi come una sacra chiamata, che lo spinge a far pagare a tutti le colpe di pochi.

> il mito di Lucifero

È facile riconoscere in questa figura il mito dell’angelo caduto. La colpa che lo segna, come quella del primo grande ribelle, Lucifero, è uno smisurato peccato d’orgoglio, che lo induce a sfidare ogni legge e autorità. Ma nonostante ciò, proprio come Satana (qual è stato raffigurato da Milton nel Paradiso perduto, «maestoso pur nella rovina»), serba tutta la sua nobiltà, apparendo grande pure nel male. Il mito byroniano fu una moda di grande successo, sino a divenire un vero e proprio stereotipo del costume. Ma sarebbe sbagliato oggi sbarazzarsene con ironico fastidio: come ogni mito di larga diffusione nella società di mercato, esso dà espressione ad un nucleo profondo e serio dell’immaginario collettivo, collegato a problemi essenziali della realtà sociale. Esso incarna in una figura esemplare, dotata di grande fascino, uno degli aspetti centrali del Romanticismo, la ribellione; esprime cioè quell’atteggiamento di rifiuto e di rivolta contro la società e le sue norme codificate, che è proprio dell’artista romantico, insieme al senso di colpa che ne deriva e che lo fa sentire come un reietto e un maledetto, messo ai margini della vita sociale. E non può essere un caso che il mito nasca in Inghilterra, il paese europeo in cui più avanzati erano i processi di trasformazione della società, che tendevano a svalutare e isolare il poeta come superato rappresentante del bello disinteressato.

Esercitare le competenze ComPrendere

> 1. Per quale motivo il Corsaro «le sue virtudi / maledisse» (vv. 347-348)? AnALizzAre

> 2.

Stile Individua gli interventi del narratore e spiega quali caratteristiche presentano: a chi sono rivolti? Qual è il tono prevalente? Quale atteggiamento rivelano nei confronti del protagonista? > 3. Stile Quale figura, al verso 241, contribuisce a enfatizzare l’immagine dell’eroe?

APProfondire e inTerPreTAre

> 4.

Scrivere Dopo aver descritto le caratteristiche psicologiche dell’eroe “satanico” byroniano, come emergono dal brano, confrontalo in circa 20 righe (1000 caratteri) con altre figure di ribelli e fuorilegge, tipici della mitologia romantica. > 5. esporre oralmente Spiega qual è il rapporto che lega Corrado agli altri uomini. Qual è il suo giudizio su di loro e come viene giudicato a sua volta? (max 3 minuti)

257

L’età del Romanticismo

A10

Gérard de nerval Gérard de Nerval (pseudonimo di Gérard Labrunie), nato a Parigi nel 1808, partecipa nel 1830 alla battaglia romantica scatenatasi intorno all’Ernani di Hugo. Nel 1836 l’amore infelice per un’attrice, Jenny Colon (che canterà con il nome di Aurélia) sconvolge la sua vita e la sua mente. Negli intervalli di lucidità dalla follia compone le sue opere. La morte di Jenny nel 1842 lo spinge al misticismo. Durante un viaggio in Marocco si appassiona ai culti esoterici e alla metempsicosi. Nel gennaio del 1855 viene trovato impiccato in una via parigina: l’ipotesi più probabile è quella del suicidio.

La vita

Le sue opere principali sono: il Viaggio in Oriente (1851), che non è solo un resoconto di viaggio ma una ricerca interiore; Le figlie del fuoco (1853-54), una raccolta di racconti di cui il più famoso è Sylvie, dove si fondono suggestivamente la dimensione del sogno e quella reale; Le Chimere (1853, T11), raccolta di dodici sonetti densi ed oscuri; Aurélia (1854-55), dove sono descritti i suoi sogni e le sue allucinazioni. Tre elementi dominano la vita e l’opera di Nerval: il ricordo, il sogno e il viaggio. Il ricordo infrange le barriere del tempo, il viaggio oltrepassa quelle dello spazio, permettendogli di calarsi in un mondo fantastico, il sogno si confonde con la realtà, è «una seconda vita» che apre le porte che ci separano dal «mondo invisibile». La malattia mentale è per il poeta una potente fonte di ispirazione, che gli consente di esplorare la dimensione profonda e affascinante dell’inconscio. Le sue poesie, che nella loro oscurità si liberano dei vincoli del senso logico, preannunciano le ricerche di Rimbaud e Mallarmé, sino all’Ermetismo moderno. Per altri aspetti il suo oscillare tra realtà e allucinazione e l’importanza da lui assegnata al sogno anticipano il Surrealismo novecentesco.

Le opere

I temi ricorrenti

T11

Gérard de nerval

Temi chiave

el desdichado

• l’eroe romantico • misticismo ed esoterismo

da Le Chimere Il titolo è un termine spagnolo che significa “il diseredato”. È tratto dall’episodio dell’Ivanhoe di Scott, in cui il cavaliere ignoto porta sullo scudo quel nome ( T13, p. 269).

4

Io sono il tenebroso, – vedovo1, – sconsolato, il prence d’Aquitania la cui torre svania2: l’astro mio solo è morto3, e il leuto stellato4 ha impresso il sole nero della Melanconia5. Nel buio del sepolcro, tu che m’hai consolato6, rendimi tu Posillipo7 e il mar d’Italia mia,

1. vedovo: per la morte di Jenny; ma il termine si carica di echi più vasti, allusivi ad una solitudine esistenziale e metafisica. 2. il prence … svania: il poeta, il cui vero nome era Labrunie, era convinto di discendere da una famiglia nobile del Périgord (la regione chiamata dai Romani Aquitania), che aveva nel suo stemma tre torri. La torre svanita («abolie» nell’originale) allude alla condizione degradata del poeta nell’età moderna, decaduto dalla sua condizione privilegiata del passato. È il concetto a cui allude anche il titolo.

258

3. l’astro … morto: la donna amata è morta. 4. il leuto stellato: il liuto è simbolo della poesia. È stellato perché la poesia, secondo le teorie mistiche, ha un valore “stellare”, cioè redentore. Per il pitagorismo il viaggio mistico dell’anima salvata si compie negli spazi stellari. La Torre abolita e la Stella sono anche due arcani dei tarocchi. 5. ha … Melanconia: la poesia reca l’impronta della cupa depressione del poeta. Il sole nero è la negazione della luce, simboleggia la disperazione senza fine e senza possibilità di riscatto. La Melanconia allude

Je suis le ténébreux, – le veuf, – l’inconsolé, / Le prince d’Aquitaine à la tour abolie: / Ma seule étoile est morte, – et mon luth constellé / Porte le soleil noir de la Mélancolie. // Dans la nuit du tombeau, toi qui m’as consolé, / Rends-moi le Pausilippe et la mer d’Italie, /

ad una famosa incisione allegorica del pittore tedesco Albrecht Dürer (1471-1528), un’immagine che ossessionava il poeta. 6. tu … consolato: un giorno in cui aveva deciso di uccidersi, il pensiero della donna lo aveva salvato. La donna si ammanta di una luce mistica, diviene fonte di redenzione. 7. Posillipo: a Napoli. Nerval era stato affascinato da un viaggio in Italia nel 1834. L’Italia nella visione romantica rappresenta la luminosità solare, la gioia vitale pagana come antidoto alle cupe melanconie nordiche.

Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

8

il fior8 che tanto amava il mio cuor desolato, la pergola ove il tralcio alla rosa s’unia.

11

Son io Febo9 o l’Amore?… Biron o Lusignano10? La mia fronte è ancor rossa di quel bacio sovrano11; e sognai nella grotta che la sirena incanta12!…

14

Dal varcato Acheronte due volte ebbi trofeo13, modulando a vicenda sulla lira d’Orfeo14 il grido della fata e il sospir della santa15.

La fleur qui plaisait tant à mon cœur désolé. / Et la treille où le pampre à la rose s’allie. // Suis-je Amour ou Phébus? … Lusignan ou Biron? / Mon front est rouge encor du baiser de la reine; / J’ai rêvé dans la grotte où nage la sirène… // Et j’ai deux fois vainqueur traversé l’Achéron: / Modulant tour à tour sur la lyre d’Orphée / Les soupirs de la sainte et les cris de la fée.

M. Praz - E. Lo Gatto, Antologia delle letterature straniere, trad. it. di M. Praz, vol. II, Sansoni, Firenze 1955

8. il fior: la rosa, che assume anch’essa un significato mistico, come emanazione del Fuoco interiore. 9. Febo: il dio Apollo. 10. Biron o Lusignano: Carlo di Gontaut duca di Biron (1562-1602), nobile francese, fu giustiziato da Enrico IV per tradimento. I Lusignano erano un’antica famiglia nobile francese. Antenata della casata, secondo la leggenda, era la fata Melusina, la donna che poteva tramutarsi in serpente. Consentì a sposare Raimondo di Poitiers a patto che non cercasse di vederla il sabato, quando

avveniva la trasformazione. Il marito ruppe il patto ed essa fuggì. Si credeva che da allora le sue grida avvertissero ogni volta che una sventura minacciava i Lusignano, di cui divenne lo spirito tutelare. 11. bacio sovrano: nell’originale «bacio della regina». È la regina di Saba, uno degli archetipi della donna-mito di Nerval. Nel progetto di un’opera, La regina di Saba, Jenny si tramutava appunto nella regina. 12. nella grotta … incanta: è la grotta della Sirena a Capri. 13. Dal varcato … trofeo: per due volte il

poeta è tornato dal mondo della follia, che è assimilato al mondo dei morti. L’Acheronte infatti era il fiume che segnava il confine infernale. 14. lira d’Orfeo: il mitico poeta Orfeo scese agl’Inferi per riportare in vita la moglie Euridice. Gli fu concesso a patto che non si voltasse a guardarla, ma poiché non obbedì, Euridice ripiombò nel regno dei morti. 15. fata … santa: la fata e la santa sono i due aspetti della donna.

Analisi del testo Il poeta, eroe romantico

> il diseredato

Nel sonetto è possibile cogliere un tipico aspetto dell’eroe romantico: il poeta si proietta nella figura del diseredato, del reietto, oppresso da una cupa melanconia senza luce e senza via d’uscita (compendiata in un’immagine di straordinaria potenza, il «sole nero»), che diviene la fonte primaria del canto poetico. È un’immagine che risponde perfettamente alla tipologia dell’intellettuale in questa età e rimanda a Werther o a Ortis. Da questa condizione esistenziale desolata il poeta si protende verso un sogno di vita piena e autentica, rappresentata dal ricordo luminoso dell’Italia.

> La discesa agl’inferi L’impossibilità della salvezza

Misticismo ed esoterismo

Altro mito a cui s’aggrappa è quello della donna, che è santa e sirena, la mistica salvatrice e la maga che incanta. Ma quella figura salvifica è perduta per sempre. Il poeta, come il mitico Orfeo, è sceso negl’Inferi della follia ed è riuscito a riemergerne, ma come Orfeo non è riuscito a portare con sé l’immagine femminile che è la stella che lo guida. Per questo la sua condizione di diseredato è senza riscatto. L’immagine del poeta che due volte varca l’Acheronte per esplorare il buio regno dei morti e poi riesce a tornare alla luce è un’affascinante metafora dell’artista romantico, che osa sprofondare in una zona oscura e inesplorata, l’inconscio, per attingervi materia e ispirazione al suo canto, affrontando tutti i rischi di questo viaggio, che può essere senza ritorno. E difatti dal terzo “viaggio” Nerval non ritornò. La poesia, oscura e densa di simbologie non facilmente decifrabili, può esemplificare un aspetto fondamentale della letteratura romantica, affascinata dalle teorie mistiche ed esoteriche. Nel testo si riconoscono allusioni ai misteri dei tarocchi, al pitagorismo, alla 259

L’età del Romanticismo

Il linguaggio

simbologia mistica del Fuoco universale, alle leggende medievali (la fata Melusina), al mito della regina di Saba, a quello delle Sirene, a quello di Orfeo. Sul piano del linguaggio poetico, si può verificare quanto si osservava nel profilo del poeta, e cioè il fatto che la parola si libera del senso logico, divenendo allusiva e suggestiva, e anticipa così soluzioni della poesia che verrà, il Simbolismo, l’Ermetismo, il Surrealismo.

Esercitare le competenze ComPrendere

> 1. Di quale «sepolcro» parla il poeta al verso 5? > 2. Che cosa rappresenta «la pergola ove il tralcio alla rosa s’unia» (v. 8)? AnALizzAre

> 3. Ricerca nel testo le immagini positive e spiega per quale motivo procurano consolazione al poeta. > 4. Stile Quale figura individui nell’espressione «sole nero» (v. 4)? > 5. Lessico Sottolinea nel testo i termini che alludono allo stato d’animo del poeta e ai suoi sentimenti: a quale campo semantico rinviano?

APProfondire e inTerPreTAre

> 6.

Scrivere Esponi, in un testo di circa 10 righe (500 caratteri), in che cosa consiste la condizione di «diseredato» del poeta: si tratta di una situazione contingente o rappresenta piuttosto una condizione esistenziale? > 7. esporre oralmente Svolgi un commento sul ruolo dell’immaginazione e del sogno nel sonetto di Nerval e nel contesto della letteratura romantica, facendo riferimento alle opere di altri poeti e scrittori a te noti (max 3 minuti).

Victor hugo

T12

a3, p. 214

Victor Hugo

Temi chiave

Booz addormentato

• la rievocazione di un passato

da La leggenda dei secoli

• il senso del miracolo e

lontano

del sovrannaturale

• la natura notturna La poesia è tratta dalla Leggenda dei secoli e risale al 1859. La diamo nella traduzione di d’Annunzio, pubblicata sulla «Cronaca bizantina» nel 1885, con l’epigrafe «Imitazione da V. H.» (si tratta infatti di una traduzione libera). D’Annunzio rende la metrica francese (quartine di alessandrini, rime ABBA) con analoghe quartine di versi martelliani, cioè settenari doppi. Il componimento è ispirato ad un episodio biblico del Libro di Ruth (capitoli 3 e 4), in cui Booz, vecchio e ricco possidente, è conquistato dalla dedizione di Ruth, una parente povera, e la sposa. Dall’unione discenderà la stirpe di David a cui appartiene Gesù. I. Ora Booz giaceva, stanco le braccia e il petto, però che faticato avea molto sull’aia. Ed or giaceva alfine Booz, presso le staia1 ricolme di fromento, nel consueto letto.

1. staia: recipienti di legno cilindrici per misurare quantità di grano o cereali.

260

I. Booz s’était couché de fatigue accablé; / Il avait tout le jour travaillé dans son aire, / Puis avait fait son lit à sa place ordinaire; / Booz dormait auprès des boisseaux pleins de blé. //

Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

5

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20

Possedea grandi il vecchio campi d’orzo e di grano al sole; e prosperavano i suoi campi in dovizia. Se ben dovizioso2, era mite ed umano il vecchio; e incline avea l’animo a la giustizia. Quando a sera tornavano da le agresti fatiche carichi di manipoli3 i mietitori a torme, ei, vedendo una femmina china cercar ne l’orme4, dicea: – Lasciate, o uomini probi, cader le spighe. Così, candidamente, lungi da oblique5 strade, di probità vestito e di lino, incedeva6. Parean pubbliche fonti le sue sacca di biada, però che7 vi attingeano quanti la fame urgeva. D’argento era la barba, come rivo d’aprile8. Le femmine guardavano, più che l’esili e blande forme9 di un uomo giovine, quella forma10 senile; però che l’uomo giovine bello è, ma il vecchio è grande. Il vecchio, risaliente le origini prime, entra negli anni eterni, esce dai dì malcerti11. Al giovane una fiamma brilla ne li occhi aperti, ma ne li occhi de ’l vecchio, è una luce sublime12. II.

25

30

Ora Booz dormiva ne la notte tra i suoi. Presso le mole13 simili ne l’ombra a monumenti, i mietitori stavano distesi, come armenti stanchi. E questo era in tempi lontanissimi a noi. Le tribù di Israello14 avean per capo un saggio. La terra, esercitata da una gente errabonda che ignote orme giganti scopria ne ’l suo passaggio15, tutta era molle ed umida pe ’l diluvio e feconda. III. Come Jacob e Judith16, con le palpebre chiuse Booz giacea ne ’l grave sonno patriarcale.

2. Se ben dovizioso: sebbene fosse ricco, (dovizia: ricchezza, latinismo). 3. manipoli: fasci di spighe di grano. 4. cercar ne l’orme: spigolare, ossia cercare, seguendo il percorso dei mietitori, le spighe da loro perdute lungo il tragitto. 5. oblique: non rette, non oneste. 6. di probità … incedeva: viveva con onestà e temperanza. Il biancore delle vesti di lino è come il simbolo esteriore della sua onestà. 7. però che: dal momento che.

8. rivo d’aprile: ruscello ricco di acque. 9. blande forme: dolci tratti. 10. forma: bellezza (latinismo). 11. Il vecchio … malcerti: il vecchio è vicino alla morte, che lo ricongiungerà con Dio che l’ha creato; quindi si stacca dalle incertezze della vita terrena e si avvicina all’eterno. 12. Al giovane … sublime: la fiamma del giovane è il desiderio di vita, la luce del vecchio è la visione dell’eternità. 13. mole: macine. 14. Israello: Israele.

Ce vieillard possédait des champs de blés et d’orge; / Il était, quoique riche, à la justice enclin; / Il n’avait pas de fange en l’eau de son moulin, / Il n’avait pas d’enfer dans le feu de sa forge. // Sa barbe était d’argent comme un ruisseau d’avril. / Sa gerbe n’était point avare ni haineuse; / Quand il voyait passer quelque pauvre glaneuse: / – Laissez tomber exprès des épis, disait-il. // Cet homme marchait pur loin des sentiers obliques, / Vêtu de probité candide et de lin blanc; / Et, toujours du côté des pauvres ruisselant, / Ses sacs de grains semblaient des fontaines publiques. // Booz était bon maître et fidèle parent; / Il était généreaux, quoiqu’il fût économe; / Les femmes regardaient Booz plus qu’un jeune homme, / Car le jeune homme est beau, mais le vieillard est grand. // Le vieillard, qui revient vers la source première, / Entre aux jours éternels et sort des jours changeants; / Et l’on voit de la flamme aux yeux des jeunes gens, / Mais dans l’œil du vieillard on voit de la lumière. // II. Donc, Booz dans la nuit

dormait parmi les siens; / Près des meules, qu’on eût prises pour des décombres, / Les moissonneurs couchés faisaient des groupes sombres; / Et ceci se passait dans des temps très anciens. // Les tribus d’Israël avaient pour chef un juge; / La terre, où l’homme errait sous la tente, inquiet / Des empreintes de pieds de géant qu’il voyait, / Était encore mouillée et molle du déluge. // III. Comme dormait Jacob, comme dormait Judith, / Booz, les yeux fermés, gisait sous la feuillée; /

15. esercitata … passaggio: coltivata da una popolazione seminomade che scopriva ancora le orme dei mostri preistorici. 16. Jacob e Judith: Giacobbe e Giuditta, entrambi personaggi biblici. Giacobbe, patriarca del popolo di Israele, si addormenta vicino al figlio Giuseppe avendolo ritrovato dopo tanti anni, ed il suo corpo imbalsamato sarà riportato in Palestina, come supremo segno di fedeltà. Giuditta è considerata l’eroina della nazione di Israele; salvò Betulia dall’assedio di Oloferne.

261

L’età del Romanticismo

35

40

Or la porta de ’l cielo su ’l suo capo si schiuse e ne discese un sogno. Ed il sogno fu tale: Booz vide una quercia fuor de ’l suo ventre in piena vita sorgere e lenta giugner l’ultimo lume17. Una stirpe di umani vi s’ergea, qual catena: un re cantava a ’l piede18, moriva in alto un lume19. E mormorava Booz, sotto le verdi foglie: – Come può mai, Signore, questo dunque accadere? Su ’l mio capo fiorirono ottanta primavere: ed io non ho figliuoli, ed io non ho più moglie.

45

50

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60

Da gran tempo colei che meco ebbi giacente ha lasciato il mio letto pe ’l tuo letto, Signore20; e siam l’una dell’altro ancor misti21 d’amore, ella pur semiviva22 ed io quasi morente. Una progenie nuova da me sorgere a gloria? Or come posso io dunque aver prole, o Signore? La prima giovinezza ha trionfanti aurore: esce il dì da la notte come da una vittoria; ma la vecchiezza è tremula, quale ai venti alberello. Io son vedovo, solo, ne ’l vespero, su ’l monte; come un bove assetato piega all’acque la fronte, io l’anima reclino, mio Dio, verso l’avello23. – Così Booz parlava, ne la misteriosa notte, e a Dio volgea l’occhio inerte; però che24 l’alto cedro non sente a ’l suo piede una rosa, e25 non sentiva Booz una donna al suo piè. IV. Mentre Booz dormiva, Ruth, una moabita26, s’era distesa ai piedi de ’l vecchio, nuda il seno, sperando un qualche ignoto raggio o ignoto baleno se venia co ’l risveglio la luce de la vita27.

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Ora Booz inconscio28 dormiva sotto i cieli; Ruth inconscia29 attendea, con pia serenità.

17. vide … lume: nel sogno profetico di Booz, la quercia sta a rappresentare il destino vittorioso per il popolo d’Israele, la catena umana, il succedersi delle generazioni: Booz, malgrado l’età avanzata, avrà un discendente e la sua stirpe continuerà. 18. un re … piede: Davide, re d’Israele, secondo la tradizione autore dei Salmi (per questo cantava). 19. moriva … lume: Gesù, figlio di Dio, morto per redimere l’umanità. Sia David sia Gesù discenderanno dalla stirpe di Booz.

262

20. colei … Signore: la moglie di Booz è morta da tempo. 21. misti: uniti. 22. semiviva: ancora viva nel ricordo. 23. l’avello: la tomba. 24. però che: come. 25. e: così. 26. moabita: abitante della regione del Moab. 27. sperando … vita: l’originale ha semplicemente: «Sperando non si sa quale raggio ignoto, quando sarebbe venuta l’improvvisa luce del risveglio». Anche Ruth presente

Or, la porte du ciel s’étant entre-bâillée / Au-dessus de sa tête, un songe en descendit. // Et ce songe était tel, que Booz vit un chêne / Qui, sorti de son ventre, allait jusqu’au ciel bleu; / Une race y montait comme une longue chaîne; / Un roi chantait en bas, en haut mourait un dieu. // Et Booz murmurait avec la voix de l’âme: / «Comment se pourrait-il que de moi ceci vînt? / Le chiffre de mes ans a passé quatrevingt, / Et je n’ai pas de fils, et je n’ai plus de femme. // Voilà longtemps que celle avec qui j’ai dormi, / O Seigneur! a quitté ma couche pour la vôtre; / Et nous sommes encore tout mêlés l’un à l’autre, / Elle à demi vivante et moi mort à demi. // «Une race naîtrait de moi! Comment le croire? / Comment se pourrait-il que j’eusse des enfants? / Quand on est jeune, on a des matins triomphants, / Le jour sort de la nuit comme d’une victoire; // Mais, vieux, on tremble ainsi qu’à l’hiver le bouleau. / Je suis veuf, je suis seul, et sur moi le soir tombe, / Et je courbe, ô mon Dieu! mon âme vers la tombe, / Comme un bœuf ayant soif penche son front vers l’eau». // Ainsi parlait Booz dans le rêve et l’extase, / Tournant vers Dieu ses yeux par le sommeil noyés; / Le cèdre ne sent pas une rose à sa base, / Et lui ne sentait pas une femme à ses pieds. // IV. Pendant qu’il sommeillait, Ruth, une moabite, / S’était couchée aux pieds de Booz, le sein nu, / Espérant on ne sait quel rayon inconnu, / Quand viendrait du réveil la lumière subite. // Booz ne savait point qu’une femme était là, / Et Ruth ne savait point ce que Dieu voulait d’elle, /

oscuramente qualche portento divino. La traduzione di d’Annunzio specifica che Ruth attende la vita che dovrà sorgere da lei. 28. inconscio: senza sapere ciò che lo attendeva. 29. inconscia: la ripetizione dell’aggettivo serve a sottolineare l’atmosfera misteriosa e sovrannaturale in cui si compie il destino di Booz e Ruth e a cui partecipano natura e animali. (Si legga, a questo proposito, il punto III dell’analisi del testo).

Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

Una fresca fragranza salia da li asfodeli, e i soffi de la notte languian su Galgalà30. 70

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Era l’ombra solenne, augusta e nuziale. Volavan forse, innanzi a li occhi stupefatti de li umani, erranti angeli; però che in alto a tratti apparivano azzurri lembi simili ad ale. Il largo respirare di Booz dormiente mesceasi de’ ruscelli a ’l romor roco e grave. Era nel tempo quando la natura è soave: i colli aveano gigli su la cima fiorente. Ruth pensava; dormiva Booz. L’erbe alte e nere ondeggiavano; in pace respiravan li armenti: una immensa dolcezza scendea da i firmamenti. Era l’ora in cui placidi vanno i leoni a bere. Ogni cosa taceva in Ur e in Jerimàde31. Li astri riscintillavano su pe ’l cielo profondo; il mite arco lunare, tra il giardino giocondo de’ fiori de la luce32 risplendea su le biade33;

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e Ruth, immota, li occhi socchiudendo tra i veli, chiedea: – Quale mietitore dio de l’eterna estate, poi che34 le sue stellanti ariste35 ebbe tagliate, gittò la falce d’oro ne ’l gran campo dei cieli?36. Trad. it. di G. d’Annunzio, in Versi d’amore e di gloria, vol. I, Mondadori, Milano 1982

30. Galgalà: Galgal o Galgala era il campo donde gli Israeliti muovevano per le loro varie spedizioni e quindi ebbe importanza speciale nella storia del popolo di Israele, che in questo luogo costruì un santuario venerato per secoli. La sua origine è narrata in Giosuè, 5, 9: «E il Signore disse a Giosuè: “Oggi ho levato

da voi l’onta d’Egitto”. E fu dato a quel luogo il nome di Galgala fino al presente». 31. Ur … Jerimàde: sono due città. 32. giardino … luce: il firmamento è paragonato ad un giardino, di cui le stelle sono i fiori, fatti di luce. 33. biade: messi.

Un frais parfum sortait des touffes d’asphodèle; / Les souffles de la nuit flottaient sur Galgala. // L’ombre était nuptiale, auguste et solennelle; / Les anges y volaient sans doute obscurément, / Car on voyait passer dans la nuit, par moment, / Quelque chose de bleu qui paraissait une aile. // La respiration de Booz qui dormait, / Se mêlait au bruit sourd des ruisseaux sur la mousse. / On était dans le mois où la nature est douce, / Les collines ayant des lys sur leur sommet. // Ruth songeait et Booz dormait; l’herbe était noire; / Les grelots des troupeaux palpitaient vaguement; / Une immense bonté tombait du firmament; / C’était l’heure tranquille où les lions vont boire. // Tout reposait dans Ur et dans Jérimadeth; / Les astres émaillaient le ciel profond et sombre; / Le croissant fin et clair parmi ces fleurs de l’ombre / Brillait à l’occident, et Ruth se demandait, // Immobile, ouvrant l’oeil à moitié sous ses voiles, / Quel dieu, quel moissonneur de l’éternel été / Avait, en s’en allant, négligemment jeté / Cette faucille d’or dans le champ des étoiles.

34. poi che: dopo che. 35. ariste: spighe. 36. Quale … cieli?: per Ruth la luna è la falce di cui il dio mietitore si serve per falciare le stelle in cielo.

Analisi del testo

> i tre momenti della poesia

Il vecchio patriarca

Il senso del miracolo

Il senso del mistero

Si possono individuare nella poesia tre momenti. 1. Il ritratto di Booz. Coerentemente con l’assunto generale della Leggenda dei secoli, viene esaltato un ideale di uomo dalla grandezza al tempo stesso semplice e sublime. Tale ideale si incarna nel vecchio patriarca, nella sua operosità e nella sua generosità caritatevole. In questa parte si avverte anche il gusto per la rievocazione di un remoto tempo mitico, ai primordi dell’umanità (le ignote orme giganti, la terra ancora umida del diluvio). 2. Il sogno profetico di Booz: vale a introdurre nella poesia il senso del miracolo e del sovrannaturale, che dominerà poi nella terza parte. 3. L’attesa notturna di Ruth. Tutta l’attesa è immersa in un’atmosfera di portento, di arcana sospensione, e al tempo stesso di dolcezza, di pace, di abbandono (che la traduzione di d’Annunzio rende molto fedelmente, nonostante le libertà prese in vari punti). Il mistero che si celebrerà è l’unione nuziale tra il vecchio e la giovane, da cui per volontà divina 263

L’età del Romanticismo

nascerà la stirpe di David. Ma il senso di mistero sovrannaturale è accresciuto proprio dal fatto che Booz e Ruth sono ignari del loro destino, e dal fatto che il poeta stesso ne tace, limitandosi ad un cenno allusivo («Era l’ombra solenne, augusta e nuziale»).

> La natura Il soffio del sovrannaturale

La modulazione musicale

A creare il senso di sospensione e di attesa miracolosa contribuisce anche la descrizione della natura, in cui passa il soffio del sovrannaturale (gli «azzurri lembi» simili ad ali che passano in alto; l’originale punta più sull’indefinito: «Quelque chose de bleu qui paraissait une aile», «Qualcosa di azzurro che pareva un’ala»). È la natura notturna soprattutto che crea un senso di dolcezza e di pace; la natura fornisce l’atmosfera propizia al rito nuziale: il profumo degli asfodeli, i soffi della notte che languono (qui d’Annunzio accentua in chiave decadente il senso di languore: l’originale ha solo «flottaient», passavano a ondate), il «tempo quando la natura è soave», i gigli sulla cima dei colli, gli armenti che respirano in pace (nell’originale c’è «il vago rumore dei sonagli»), l’immensa dolcezza (nell’originale «bonté») che scende dai firmamenti, i leoni che vanno placidi a bere. La modulazione musicale del verso, ben resa nella traduzione, asseconda il senso di abbandono: «Les souffles de la nuit flottaient sur Galgala», dove acquista soprattutto rilievo il suono dolce del nome esotico. Nel finale il senso misterioso della presenza di Dio si attenua e sfuma in una dimensione di favola, nella visione di Ruth che paragona la luna ad una falce d’oro lasciata nel campo dei cieli.

Esercitare le competenze ComPrendere

> 1. Descrivi le caratteristiche fisiche e morali del ricco possidente Booz. > 2. Riassumi in circa 5 righe (250 caratteri) il sogno del protagonista. > 3. Qual è il comportamento di Ruth? Che cosa fa la donna? AnALizzAre

> 4.

Stile

Sottolinea nel testo le similitudini e le metafore e spiegane il senso.

APProfondire e inTerPreTAre

> 5.

Scrivere Descrivi in circa10 righe (500 caratteri) lo scenario naturale che fa da sfondo alla vicenda, in particolare durante il sonno di Booz. > 6. esporre oralmente Qual è, a tuo avviso, il fascino che emana dalla figura di Booz ormai avanti negli anni? Da che cosa scaturisce? (max 2 minuti)

3 La “storia” della gente comune

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Il romanzo in Europa il romanzo storico In età romantica, ai primi dell’Ottocento, si afferma in campo europeo una nuova forma di romanzo, dopo quelle già emerse nel Settecento, il romanzo storico. Esso fu introdotto dallo scozzese Walter Scott ( A11, p. 267), i cui racconti storici a partire dal 1814 ebbero un enorme successo e imposero una vera e propria moda in tutta Europa. Il romanzo storico si proponeva di offrire un quadro di una determinata epoca del passato, prossimo o remoto, illustrando non solo i grandi avvenimenti politici e militari, quelli che abitualmente sono ritenuti “storici”, degni di memoria, ma anche i loro effetti nel campo della vita privata: i costumi, la mentalità, i modi di vita della gente

Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti La drammatizzazione

L’interesse romantico per il passato

La fuga in un mondo diverso

comune. Tale quadro doveva essere diverso da quello che poteva fornire la storiografia, perché veniva “drammatizzato”, proposto attraverso una rappresentazione «animata, in atto» (per usare le parole di Manzoni), cioè attraverso il racconto delle vicende dei protagonisti. I grandi avvenimenti e i personaggi storici erano perciò lasciati sullo sfondo ed al centro della narrazione erano poste le vicende di personaggi immaginari e oscuri, più adatti a restituire nei minimi particolari le condizioni quotidiane di vita di una data società che la storiografia non era solita considerare. Il grande successo europeo del romanzo storico si può spiegare con l’interesse per il passato proprio dell’età romantica, caratterizzata dal senso della storia in opposizione al razionalismo antistoricistico degli illuministi. Al senso della storia si collegava poi strettamente l’affermarsi, in tutta Europa, del sentimento nazionale, che spingeva a cercare nel passato le radici dell’identità di un popolo (e questo è ben visibile nei romanzi scottiani, specie nel famoso Ivanhoe, T13, p. 269). Ma il romanzo storico era anche un genere di intrattenimento, “di consumo” diremmo oggi, che veniva incontro al gusto dell’esotico proprio del tempo, fornendo al pubblico borghese l’occasione di una fuga verso un mondo diverso dal grigiore presente, più pittoresco e affascinante.

il romanzo realistico di ambiente contemporaneo Il romanzo realistico

La rappresentazione seria del quotidiano La connessione tra individuo e ambiente storicosociale

Esauritasi questa tendenza, a partire all’incirca dal terzo decennio del secolo si delinea un’altra forma, quella del romanzo che rappresenta vicende e costumi contemporanei. La realizzazione più alta di questo tipo di romanzo realistico moderno sono le opere di Stendhal ( A12, p. 276) e di Honoré de Balzac ( A13, p. 282). Le loro caratteristiche comuni possono essere così sintetizzate. 1. La vita quotidiana di persone dalla mediocre condizione sociale è rappresentata in forma seria, tragica. 2. Il romanzo realistico non colloca più i personaggi su uno sfondo generico, fuori di un tempo e di uno spazio precisi, ma stabilisce una connessione organica, indissolubile, tra l’individuo, le sue caratteristiche psicologiche, il suo comportamento e le caratteristiche di un particolare ambiente sociale in un particolare momento storico, perfettamente individuato. Erich Auerbach in Mimesis osserva a proposito di una scena della vita di Julien Sorel, il protagonista del Rosso e il nero di Stendhal: «Essa sarebbe press’a poco incomprensibile senza l’esattissima e particolarissima conoscenza delle condizioni politiche, sociali ed economiche d’un ben determinato momento storico, cioè a dire della Francia poco prima della rivoluzione di luglio», ed aggiunge poco dopo: «In nessun romanzo precedente, e anzi in nessun’opera letteraria […] le condizioni politiche e sociali del tempo sono conteste [intrecciate] con l’azione in modo così Francesco Hayez, Il bacio, 1859, olio su tela, Milano, Pinacoteca di Brera.

265

L’età del Romanticismo

Il presente come storia

La rappresentazione totale della società

Tipicità e individualità

La visione critica

Il narratore onnisciente esterno

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preciso e reale». Il collegamento organico tra l’individuo e il momento storico era stato proposto già dal romanzo storico, in Scott e, a livelli di ben maggiore approfondimento, in Manzoni. Ma Stendhal e Balzac fanno un passo avanti, stabilendo quel legame anche per la realtà contemporanea. Essi trattano cioè il presente come storia, indicando con precisione anche per la vita contemporanea le forze e i processi storici da cui scaturiscono caratteri, azioni, atmosfere psicologiche, aspetti della società. In tal modo la realtà contemporanea non è solo vista in superficie come aneddoto di costume, nei suoi aspetti esteriori, ma nella sua essenza profonda: dietro ogni particolare, anche quello più marginale, si scorgono le grandi forze economiche, sociali, ideologiche che muovono gli eventi. 3. Della società contemporanea non vengono dati singoli quadri parziali, ma è offerta una rappresentazione totale. Tutti i meccanismi che muovono i vari livelli della vita sociale sono visti nella loro connessione organica. Balzac, con il progetto della Commedia umana, mira addirittura ad una ricostruzione enciclopedica, esaustiva, a cui nessun particolare del quadro sociale sfugga; ma anche Stendhal coglie organicamente i rapporti tra le varie classi sociali, i vari ambienti, la borghesia provinciale, il mondo ecclesiastico, la nobiltà parigina. 4. L’individuo, così inserito in questa totalità organica, ha sempre un carattere “tipico”; rappresenta cioè le caratteristiche di un determinato tipo sociale, il giovane piccolo borghese di provincia che aspira al successo, il finanziere audace e privo di scrupoli, il commerciante, il contadino, l’ecclesiastico ecc. Però questi personaggi tipici non si riducono ad astrazioni generiche, a pure personificazioni di un modo di pensare e di comportarsi; al contrario conservano, pur nella loro tipicità che esemplifica le caratteristiche generali di una categoria, anche un’individualità concreta, inconfondibile. Questo intendeva Balzac quando affermava di voler «far concorrenza allo Stato civile»: creare individui che avessero la mobile complessità e la fisionomia irripetibile degli individui reali. 5. Questa rappresentazione così precisa ed approfondita della realtà sociale diviene necessariamente anche critica. Il romanzo realistico non dà una rappresentazione “fotograficamente” neutra della realtà sociale, ma porta alla luce in modo critico le tendenze di fondo: ad esempio l’esaurimento interiore e il vuoto della vecchia classe aristocratica, la forza della borghesia emergente, che si accompagna però a cinismo, violenza, sopraffazione. 6. Sul piano dei procedimenti narrativi, il romanzo realistico di Stendhal e Balzac adotta il modulo dominante della narrativa del primo Ottocento: il racconto condotto da una voce narrante esterna ai fatti narrati, onnisciente, che domina dall’alto il quadro della vicenda. Questo tipo di narratore fornisce al lettore tutte le informazioni e le spiegazioni necessarie, introducendo digressioni esplicative e descrittive di avvenimenti, ambienti, oggetti; si introduce nella coscienza di tutti i personaggi, fornendo le motivazioni dei loro atti e analizzando i loro processi psicologici; commenta e giudica pensieri e azioni, traendo anche da essi massime di carattere generale; si rivolge spesso al lettore dialogando con esso. Questo modulo narrativo, fondato sulla visione dall’alto di un narratore onnisciente, appare il più adatto alla rappresentazione di vasti quadri sociali, nella complessità organica dei loro rapporti interni. Infatti solo il narratore onnisciente esterno può dominare questa pluralità di legami e fornirne una ricostruzione completa. Ciò rivela una fiducia nella possibilità di dominare intellettualmente la complessità del reale. Vedremo invece che il romanzo del secondo Ottocento, in cui questa visione organica e totale entrerà in crisi, ricorrerà a soluzioni diverse, adottando di preferenza un punto di vista narrativo ristretto e parziale, che coincide con la coscienza di un personaggio, oppure soluzioni molto particolari, che, come avviene in Verga, mettono in crisi il ruolo del narratore onnisciente e perfettamente attendibile, controfigura dell’autore stesso.

Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

A11 I poemi romantici

Il romanzo storico

Ivanhoe

Lo scrittore come produttore di merci

La forza realistica

Le trame stereotipate

Walter Scott Nato nel 1771 ad Edimburgo, in Scozia, da un agiato procuratore legale, esercitò anch’egli per qualche tempo l’avvocatura. Nel 1802-1803 pubblicò una raccolta di poesie popolari da lui curata, La poesia dei menestrelli della frontiera scozzese. Tradusse anche ballate dei romantici tedeschi, e ne compose lui stesso. Un suo lungo poema, Il lamento dell’ultimo menestrello (1805) ebbe uno strepitoso successo, e lo convinse a dedicarsi alla letteratura come unica professione. Da un lato Scott appare quindi immerso nel gusto romantico dell’epoca, inteso soprattutto a rievocare il clima della letteratura popolare del passato, fatta di ballate e leggende; dall’altro però offre la fisionomia del solido uomo d’affari. Infatti il successo letterario lo indusse a divenire socio dei suoi editori: così l’esercizio letterario si trasformò in una sorta di impresa. I cospicui proventi dei suoi poemi romantici (nel 1810 si aggiunse La signora del lago) furono investiti nel sogno di divenire proprietario terriero e signorotto feudale: si costruì un vero e proprio castello, Abbotsford, nella zona della Scozia da lui amata, e lo riempì di romantiche antichità. Tuttavia i poemi narrativi di Byron cominciarono a soppiantare nelle vendite i suoi poemi, e i proventi decrebbero rapidamente. Scott, con notevole fiuto commerciale, si volse allora al romanzo: nel 1814 pubblicò Waverley, ambientato nella Scozia del primo Settecento, che rappresenta lo scontro del mondo dei clan scozzesi ancora feudali con il mondo commerciale e industriale che andava sorgendo in Inghilterra. Il romanzo ottenne un enorme successo. Negli anni seguenti Scott, su quel modello, ne sfornò una serie impressionante: Guy Mannering (1815), L’Antiquario (1816), Old Mortality e Rob Roy (1817), Il cuore di Midlothian (1818), La sposa di Lammermoor (1819), La leggenda di Montrose (1819). Sono romanzi che si svolgono prevalentemente nella Scozia del Sei e Settecento e rievocano un passato vicino, affascinando il pubblico con la descrizione di un mondo in certo modo “esotico” come quello delle montagne scozzesi e dei suoi arcaici costumi. Nel 1819, invece, Scott pubblicò Ivanhoe, una ricostruzione dell’Inghilterra del XII secolo, all’epoca di Riccardo Cuor di Leone; era dunque un romanzo che rispondeva al gusto medievaleggiante dell’epoca, e per questo motivo gli assicurò una vasta fama nei paesi europei, dando origine ad una vera e propria moda del romanzo storico. Tutti questi romanzi furono scritti a ritmo incalzante, sotto l’assillo di guadagnare tanto da soddisfare le cambiali in scadenza dell’impresa editoriale di cui era socio. Scott appare dunque come il perfetto rappresentante di una nuova figura di intellettuale: lo scrittore come produttore di merci da vendere sul mercato, in vista dell’accumulo di un profitto. La scrittura letteraria diviene un’impresa industriale in piena regola ( Il contesto, p. 191), adattandosi alle leggi dell’economia capitalistica. Nel 1826, Scott fu però coinvolto nella rovina della casa editrice, e per evitare la bancarotta dovette incrementare in modo parossistico il ritmo della sua produzione. Morì nel 1832, stroncato dall’eccesso di lavoro, lasciando ben 29 romanzi, senza contare le opere di varia natura. I romanzi di Scott, specie quelli che riguardano la più recente storia scozzese, hanno un’indubbia forza nel ricostruire grandi processi sociali, ed anche i personaggi recano l’impronta precisa di un’epoca e di una classe; per certi aspetti, perciò, si possono considerare l’inizio del moderno romanzo realistico (non si dimentichi che da Scott prese le mosse Balzac, A13, p. 282); però per altri aspetti presentano le caratteristiche tipiche della letteratura di consumo: trame che ricalcano sempre lo stesso schema, personaggi stereotipati, peripezie convenzionali, basate su espedienti triti come l’“agnizione” (la scoperta di un’ignorata parentela tramite qualche segno, un anello, un plico sigillato), scene ad effetto spettacolare e vicende sentimentali (ad esempio l’amore impossibile della fanciulla ebrea Rebecca per il cavaliere Ivanhoe). La vita e le opere

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L’età del Romanticismo Un romanticismo “borghese”

Il romanticismo di Scott soddisfa soprattutto il gusto del pittoresco e dell’esotico. È un romanticismo attenuato e moderato, che rifugge dalle tematiche estreme, il “nero”, il sovrannaturale, l’orrido, il tenebroso, e dà luogo ad un compromesso tra il fantastico-avventuroso ed il reale, costruendo saporosi quadretti di vita quotidiana, pervasi spesso da un bonario umorismo. Questo “imborghesimento” del Romanticismo preannuncia il clima che sarà proprio della successiva età vittoriana. Ivanhoe La vicenda Il romanzo, del 1819, è ambientato nell’Inghilterra del XII secolo. Lo sfondo storico è costituito dai conflitti tra i conquistatori Normanni e la popolazione sassone sconfitta. Riccardo Cuor di Leone, dopo il fallimento della crociata, rientra segretamente in Inghilterra, dove nel frattempo il fratello, il principe Giovanni, ha usurpato il trono; per riconquistarlo, Riccardo si avvale dell’aiuto dei Sassoni, avviando così la fusione dei due popoli, che darà vita alla nazione inglese. Wilfred Ivanhoe, cavaliere sassone al servizio del re normanno Riccardo, diviene il simbolo di questa fusione. Nell’antefatto il sassone sir Cedric mette al bando il figlio Ivanhoe perché ama la sua pupilla Rowena, mentre egli vuole darla in sposa al nobile Athelstane. Ivanhoe parte allora per la crociata con il re Riccardo. La vicenda ha inizio con il grande torneo di Ashby: qui un misterioso cavaliere, il Diseredato, risulta vincitore sul perfido normanno Brian de Bois Guilbert, grazie all’aiuto di un altrettanto misterioso Cavaliere Nero. Il Diseredato, nel ricevere il trofeo dalle mani di Rowena, rivela la sua identità: è Ivanhoe. Ferito, è curato da una fanciulla ebrea, Rebecca, figlia di Isacco di York, che si innamora di lui. Tornando dal torneo, Cedric, Rowena, Rebecca, Ivanhoe sono rapiti dal normanno Front de Boeuf. Il Cavaliere Nero li salva con l’aiuto di Robin Hood e dei suoi fuorilegge della foresta. Front de Boeuf, recando prigioniera Rebecca, si rifugia nel castello dei Templari, dove il fanatico Gran Maestro accusa la fanciulla ebrea di stregoneria. Rebecca ottiene che un campione si batta con Bois Guilbert per provare la sua innocenza. Ivanhoe si presenta come suo campione. Nello scontro Bois Guilbert è stroncato dalla forza stessa delle sue passioni quando sta per avere la meglio su Ivanhoe, e muore. Il Cavaliere Nero rivela la sua identità: è re Riccardo che impone il suo dominio sui Normanni ribelli che avevano seguito l’usurpatore Giovanni, ed ottiene anche la sottomissione dei Sassoni. Ivanhoe e Rowena si sposano, e Rebecca lascia l’Inghilterra col padre.

Ivanhoe mescola personaggi storici, come re Riccardo, a personaggi inventati, che consentono all’autore di ricostruire il costume sociale del tempo. Vi sono molte figure minori, come il porcaio Gurth, il buffone Wamba, il frate Tuck, a cui è affidata la componente comica, ma che risultano anche figure tipiche di un ambiente e di una classe sociale. Vi è un gusto documentario, inteso a ricostruire scenari d’epoca, con indugi minuziosi a descrivere arredi, suppellettili, abiti, armi. Ricorrono nel romanzo i luoghi caratteristici del Medioevo romantico, soprattutto il castello e la foresta, dove s’annida una figura cara all’immaginario del tempo, il brigante gentiluomo; compaiono anche certe situazioni topiche, come il torneo, l’assedio, il giudizio di Dio. Sono tutti motivi che poi torneranno costantemente nei romanzi storici successivi, anche in quelli italiani. Alle vicende avventurose si intreccia il motivo sentimentale: l’eroe è diviso tra la bionda cristiana Rowena e la bruna ebrea Rebecca. Si presenta così una tipologia femminile, basata sulla contrapposizione tra la donna bionda e la donna bruna, destinata anch’essa a larga fortuna nella letteratura ottocentesca. In genere la bionda rappresenterà la soave donna-angelo, la bruna invece l’inquietante donna-demonio, che insidia e minaccia di perdere l’eroe. Qui però Scott, come gli impone il suo moderatismo, non percorre fino in fondo questa strada: la bruna Rebecca non ha tratti inquietanti, ma è soprattutto portatrice del motivo patetico della “perseguitata” (altro tópos molto caro al romanzo ottocentesco, ma presente già nel romanzo “nero”) e del motivo sentimentale dell’amore impossibile. Come si vede, Ivanhoe è una specie di raccolta di luoghi comuni romanzeschi. Aspetti e motivi del romanzo

I temi caratteristici del Medioevo romantico

Il motivo amoroso

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Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

T13

Walter Scott

Temi chiave

Un topos del romanzo storico: il torneo

• il gusto documentario e pittoresco • i meccanismi romanzeschi elementari

da Ivanhoe, cap. XII Riportiamo le pagine conclusive dell’episodio del grande torneo di Ashby.

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Era un colpo d’occhio festoso ed impressionante insieme, questo di tanti prodi campioni, ben montati e riccamente armati, pronti per uno scontro così formidabile, saldi sulle loro selle da battaglia come tanti pilastri di ferro, mentre aspettavano il segnale d’attacco con lo stesso ardore dei loro focosi destrieri, che nitrivano e scalpitavano d’impazienza. I cavalieri tenevano dritte le loro lunghe lance, le cui punte brillavano al sole, mentre le banderuole che le adornavano sventolavano sopra le piume degli elmi. Così rimasero finché i marescialli del campo non finirono di controllare scrupolosamente i ranghi, per verificare che nessuna delle due parti avesse più o meno uomini del numero fissato. Il conto risultò esatto. Allora i marescialli si ritirarono dalla lizza, e Guglielmo de Wyvil, con voce tonante, diede il segnale: «Laissez aller!1». Subito suonarono le trombe; i campioni misero le lance in resta2; gli sproni punsero i fianchi dei cavalli; e le prime file delle due schiere partirono l’una contro l’altra a gran galoppo e si scontrarono nel mezzo della lizza3 con un urto così forte che il fragore fu sentito ad un miglio di distanza. La retroguardia delle due parti venne avanti a passo più moderato, per aiutare quelli che erano stati battuti, ed accrescere il successo dei vincitori nel proprio schieramento. I risultati dello scontro non si poterono vedere subito, perché il polverone sollevato dal calpestio di tanti cavalli oscurava l’aria; e ci volle un minuto, prima che gli ansiosi spettatori potessero capire la piega che aveva preso la lotta. Quando si poté distinguere qualcosa, metà dei cavalieri di ogni partito erano stati sbalzati a terra, alcuni dall’abilità dei loro avversari nel maneggio della lancia; altri, dal maggior peso e forza del rivale che aveva travolto cavallo e cavaliere; altri giacevano a terra come se non dovessero più rialzarsi; altri si erano già rimessi in piedi, e lottavano corpo a corpo con i nemici nelle stesse condizioni; altri, infine, avendo subìto delle ferite che li mettevano fuori combattimento, si tamponavano il sangue con le loro sciarpe, e cercavano di uscire dalla mischia. I cavalieri ancora in sella, le cui lance erano quasi tutte volate in pezzi nella furia dello scontro, erano impegnati nei duelli con le spade, e lanciavano i loro gridi di guerra scambiandosi botte, come se l’onore e la vita dipendessero dall’esito del combattimento. Il tumulto s’accresceva adesso con l’intervento della seconda linea di ogni schiera, che, fungendo da riserva, accorreva in aiuto dei compagni. I partigiani di Brian de Bois-Guilbert gridavano: – Ah! Beau-séant! Beau-séant 4! Per il Tempio! Per il Tempio! – Gli altri gridavano in risposta – Desdichado! Desdichado5! – grido di guerra che avevano preso dalla parola che figurava sullo scudo del loro capo. Scontrandosi così i campioni, con tanta furia e con alterno successo, la marea della battaglia sembrava ondeggiare ora verso il lato sud, ora verso il lato nord della lizza, a seconda che uno

1. Laissez aller!: letteralmente “lasciate andare!”. 2. misero le lance in resta: disposero le lance per incominciare l’azione. La resta era un ferro applicato al lato destro della corazza, per ap-

poggiarvi le armi durante il combattimento. 3. lizza: spazio fissato per il torneo. 4. Beau-séant: così si chiamava la bandiera dei cavalieri appartenenti all’ordine dei Templari.

5. Desdichado: Diseredato. È il nome del misterioso cavaliere che si rivelerà poi Ivanhoe.

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o l’altro partito prendeva il sopravvento. Intanto il rumore dei colpi e le grida dei combattenti, uniti agli squilli delle trombe, coprivano i gemiti di quelli che cadevano, rotolando inermi sotto gli zoccoli dei cavalli. Le splendide armature dei combattenti, ora sfigurate dalla polvere e dal sangue, cedevano ad ogni colpo di spada e di ascia. Le belle piume, strappate dai cimieri, volteggiavano in aria come fiocchi di neve. Tutto ciò che era bello ed elegante nell’assetto guerriero, era scomparso; e quel che ora si vedeva destava solo terrore o compassione. Eppure, tanta è la forza dell’abitudine, che non solo gli spettatori volgari, naturalmente attratti dagli spettacoli brutali, ma anche le nobili dame che gremivano le tribune, seguivano il conflitto con interesse palpitante, certo, ma senza desiderio di distogliere gli occhi da uno spettacolo così crudele. Ogni tanto, è vero, si vedeva impallidire un bel viso, o si udiva un debole grido, quando un innamorato, un fratello, o uno sposo cadeva da cavallo. Ma, in generale, le dame incitavano i combattenti non soltanto battendo le mani e sventolando sciarpe e fazzoletti, ma anche esclamando: – Brava lancia! Buona spada! – quando vedevano qualche bel colpo. Tale essendo l’interesse che il bel sesso prendeva a questo gioco sanguinoso, tanto più facile sarà capire quale fosse quello degli uomini. Esso si manifestava con esclamazioni ad ogni mutar della fortuna, mentre gli occhi erano così fissi alla lizza che pareva che a dare e a ricevere i colpi così generosamente distribuiti, fossero gli stessi spettatori. E, durante ogni tregua, si sentiva la voce degli araldi, che incitavano: – Lottate, prodi cavalieri! L’uomo muore, ma la gloria è immortale! Combattete; è meglio la morte della sconfitta! Combattete, valorosi cavalieri! i begli occhi delle donne mirano le vostre gesta! Tra le varie fortune della lotta, gli sguardi di tutti cercavano di scorgere i capi delle due schiere, che, cacciandosi nel fitto della mischia, incoraggiavano i compagni con la voce e con l’esempio. L’uno e l’altro si distinguevano dando prove di coraggio; e né Bois-Guilbert, né il cavaliere Diseredato, trovarono nel partito avverso un campione che potesse considerarsi indiscutibilmente pari a loro. Entrambi cercarono ripetutamente di venire a singolar tenzone6, spinti da reciproca animosità, e consapevoli che la caduta di uno dei due capi sarebbe stata ritenuta decisiva agli effetti della vittoria. Ma tale era la calca e la confusione che, durante la prima parte del conflitto, i loro sforzi per incontrarsi rimasero vani, e furono più volte separati dall’irruenza dei loro seguaci, ansiosi di guadagnarsi onore misurando la propria forza contro il capo del partito avversario. Ma quando il campo si diradò per i vuoti lasciati in ambo le parti da tutti coloro che si erano dati per vinti, o erano stati respinti all’estremità della lizza, o comunque resi incapaci di continuare la lotta, il Templare e il cavaliere Diseredato s’incontrarono infine corpo a corpo, con tutto il furore che un odio mortale, unito alla rivalità d’onore, poteva ispirare. L’abilità di ognuno a parare e colpire era tale, che gli spettatori ruppero in un grido spontaneo ed unanime che esprimeva il loro entusiasmo e la loro ammirazione. Ma in quel momento il partito del cavaliere Diseredato ebbe la peggio; il gigantesco braccio di Front-de-Boeuf da un lato, e la poderosa forza di Athelstane dall’altro, abbattevano e disperdevano tutti quelli che erano esposti ai loro colpi. Trovandosi liberi dai loro avversari diretti, sembrò che ai due cavalieri venisse contemporaneamente l’idea che avrebbero recato un vantaggio decisivo al loro partito, aiutando il Templare nel suo duello col rivale. Voltando perciò i loro cavalli nel medesimo istante, da una parte il Normanno spronò il suo contro il cavaliere Diseredato, mentre il Sassone faceva lo stesso dall’altra. Sarebbe stato assolutamente impossibile sostenere un assalto così impari ed inatteso, se il grido generale di tutti gli spettatori, che non potevano non interessarsi a chi era esposto a un simile svantaggio, non avesse avvertito il cavaliere.

6. singolar tenzone: duello singolo, cioè che coinvolgesse soltanto loro due.

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– Bada! Bada! Sire Diseredato! – gridarono tutti, così che il cavaliere si rese conto del pericolo; e vibrando un colpo in pieno al Templare, fece indietreggiare nello stesso istante il proprio cavallo, in modo di evitare la carica di Athelstane e Front-de-Boeuf. Questi cavalieri, perciò, essendo loro sfuggito il bersaglio, piombarono da parti opposte tra l’oggetto del loro assalto e il Templare, quasi cozzando i loro cavalli prima di riuscire a frenarli. Dominandoli, infine, e facendoli voltare, tutti e tre perseguirono il loro proposito comune di abbattere il cavaliere Diseredato. Nulla avrebbe potuto salvarlo, senza l’eccezionale forza e la prontezza del nobile cavallo che, il giorno precedente, aveva avuto in premio. Esso gli fu di grande aiuto siccome il cavallo di Bois-Guilbert era ferito, e quelli di Front-de-Boeuf e di Athelstane erano entrambi stanchi per il peso dei loro giganteschi padroni armati dalla testa ai piedi, e per le fatiche già sopportate. La maestria equestre del cavaliere Diseredato, e la prontezza del nobile cavallo che montava, lo misero in grado, per qualche minuto, di tenere a bada in punta di spada i suoi tre antagonisti, volgendosi e roteando con l’agilità di un falco in volo, e mantenere i suoi avversari più separati che poteva, slanciandosi ora su l’uno ora su l’altro menando colpi violenti con la spada, senza aspettare quelli che gli erano destinati di rimando. Ma sebbene la lizza risuonasse d’applausi alla sua bravura, era evidente che alla fine dovesse soccombere; e i nobili che circondavano il principe Giovanni lo supplicavano tutti ad una voce di abbassare il suo bastone di comando, e salvare un cavaliere così coraggioso dalla disgrazia di essere vinto dal numero. – Non io, in nome del Cielo! – il Prince rispose. – Questo giovanotto che occulta il proprio nome e sprezza la nostra ospitalità, ha già vinto un premio, e adesso deve rassegnarsi che gli altri abbiano il loro turno. – Mentre pronunciava queste parole, un incidente inatteso mutò le sorti della giornata. Tra i ranghi del Diseredato era un campione con un’armatura nera, montato su un cavallo nero, robusto e alto, che sembrava vigoroso e forte come il cavaliere che portava. Questo ca-

Frank William Warwick Topham, La regina del torneo, 1885, olio su tela dall’Ivanhoe di Walter Scott, Collezione privata.

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valiere, che non aveva nessuna impresa7 sullo scudo, finora aveva mostrato pochissimo interesse allo svolgimento della lotta, respingendo con apparente facilità quegli avversari che lo assalivano, ma senza approfittare dei suoi successi, né cercare, a sua volta, di assalire nessuno. In breve, la sua parte era stata di spettatore più che di partecipante al torneo; atteggiamento che, tra il pubblico, gli aveva valso l’appellativo di Le Noir Fainéant, ossia il Nero Indolente. Quando vide il capo della propria schiera così a mal partito, questo cavaliere parve scuotersi improvvisamente dalla sua apatia; poiché, dando di sprone al cavallo che era fresco, accorse in suo aiuto come un fulmine, esclamando con una voce che pareva uno squillo di tromba: – Desdichado, alla riscossa! – Ed era tempo; poiché, mentre il cavaliere Diseredato premeva sul Templare, Front-de-Boeuf gli era già sopra con la spada alzata; ma, prima che riuscisse ad abbassarla, il Cavaliere Nero gli vibrò un colpo sulla testa, che, scivolando sul lucido elmo, andò ad abbattersi con violenza appena attenuata sul frontale del cavallo facendolo rotolare a terra, e con esso Front-de-Boeuf, entrambi travolti dalla violenza del colpo. Dopo di che, il Nero Indolente voltò il corsiero contro Athelstane di Coningsburgh; e poiché aveva spezzata la propria spada nello scontro con Front-de-Boeuf, strappò dalla mano del corpulento Sassone l’ascia che brandiva, e, come uno cui l’arma fosse familiare, gli assestò un colpo tale sulla cresta dell’elmo, che Athelstane andò anch’egli a giacere sul campo, privo di sensi. Compiuta questa duplice azione, che gli procurò tanti più applausi in quanto nessuno se l’aspettava da lui, il cavaliere parve ricadere nella sua apatia, e se ne ritornò tranquillamente verso l’estremità nord della lizza, lasciando che il suo capo se la cavasse meglio che poteva con Brian de Bois-Guilbert. Ciò non era più così difficile come prima. Il cavallo del Templare aveva perso molto sangue, e cedé all’urto della carica del cavaliere Diseredato. Brian de Bois-Guilbert rotolò a terra, impigliato in una staffa dalla quale non riusciva a liberare il piede. Il suo avversario, balzato da cavallo, gli agitò sulla testa la spada fatale, ordinandogli di arrendersi; ma il principe Giovanni, più commosso dalla pericolosa situazione del Templare che non fosse prima stato da quella del suo rivale, lo salvò dall’umiliazione di darsi per vinto, gettando il suo bastone, e ponendo così fine al conflitto. W. Scott, Waverley e Ivanhoe, trad. it. di M. S. Ferrari, Casini, Roma 1964

7. impresa: stemma nobiliare seguito dal motto.

Analisi del testo Il gusto documentario e pittoresco

I meccanismi romanzeschi

I ruoli La forma narrativa

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Sottolineiamo alcune caratteristiche di questo passo: • il gusto documentario, che mira a ricostruire il costume e l’atmosfera dell’epoca passata; • il gusto del pittoresco storico: il narratore si compiace evidentemente allo spettacolo delle armi scintillanti, dei pennacchi, delle banderuole che si agitano al vento, così come si compiace nel rappresentare le gesta di prodezza guerriera; • i meccanismi romanzeschi elementari: l’identità dell’eroe, a cui è indirizzata la simpatia del narratore e del lettore, è ignota, per accrescere la sospensione e avvincere l’attenzione del pubblico; un Aiutante altrettanto misterioso interviene a soccorrerlo, ed è romanticamente vestito di nero; • i ruoli sono schematicamente definiti: un odio mortale divide l’Eroe dall’Avversario, che naturalmente è il Malvagio per eccellenza. Non vi sono personaggi problematici; • la forma narrativa usata da Scott è il racconto in terza persona, condotto da un narratore esterno al piano del narrato, onnisciente, che interviene con spiegazioni, commenti e giudizi. È un modulo già usato da Fielding nel Settecento e che godrà di larga fortuna, tanto da imporsi come il canone tipico del romanzo del primo Ottocento. Anche Manzoni, Balzac, Stendhal vi faranno ricorso.

Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

Esercitare le competenze ComPrendere

> 1. Riassumi il contenuto del brano in circa 10 righe (500 caratteri). > 2. Qual è il comportamento del pubblico che assiste al torneo? Quale, in particolare, quello delle nobili dame? > 3. Quale ruolo ha il Nero Indolente nel racconto? AnALizzAre

> 4. > 5.

Rintraccia nel testo i commenti e i giudizi che permettono di individuare il narratore onnisciente. Analizza i personaggi principali (il Templare, il cavaliere Diseredato e il Nero Indolente) e indica quali sono le loro caratteristiche. narratologia narratologia

APProfondire e inTerPreTAre

> 6.

Video da Ivanhoe

Scrivere Descrivi in circa 15 righe (750 caratteri) le caratteristiche del romanzo storico di Walter Scott, evidenziandone le novità e i limiti. > 7. Altri linguaggi: cinema Osserva il fotogramma e prendi visione dello spezzone proposto on line, tratto dal film Ivanhoe (1952) del regista Richard Thorpe; quindi, facendo riferimento a quanto letto nel brano, riconosci: a) gli elementi tipici del torneo medievale; b) la tipologia degli spettatori; c) l’identità dei due cavalieri che si fronteggiano.

Fotogramma dal film Ivanhoe.

Visualizzare i concetti

Il romanzo storico e il Romanticismo romAnTiCiSmo

romAnzo SToriCo

Situazioni narrative ricorrenti, scene ad effetto Pubblico borghese

Linguaggio semplice e colloquiale

Irrazionalismo

Sentimentalismo

Nazionalismo

Interesse per la storia nazionale

Storicismo

Rapporto tra individuo e contesto storico

Esotismo

Interesse per il passato, colto anche nella sua dimensione quotidiana

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L’oPerA LiriCA

Lucia di Lammermoor di Gaetano Donizetti

L’anello che congiunge il brio e la vivacità della musica di Rossini al futuro melodramma verdiano è rappresentato da Gaetano Donizetti (1797-1848): il compositore, attivo in tutt’Italia e all’estero, scrive in ventisei anni di attività (dal 1818 al 1844) più di settanta opere, spaziando dal genere serio a quello comico con risultati, in entrambi i generi, di alto livello. La Lucia di Lammermoor, considerata il capolavoro del compositore, viene rappresentata per la prima volta al Teatro San Carlo di Napoli il 26 settembre 1835 con notevole successo. Il soggetto è tratto dalla Sposa di Lamermoor, romanzo che Walter Scott pubblicò nel 1819: la trama ha come sfondo la Scozia del tardo Seicento e le lotte tra i seguaci di Guglielmo III d’Orange e i fedeli del detronizzato Giacomo II; il librettista Salvatore Cammarano (1801-52), adattando il testo alla musica, ne rispettò l’azione e le caratteristiche scegliendo però di retrodatare la vicenda alla fine del Cinquecento.

donizetti e la Lucia di Lammermoor

Caricatura di Gaetano Donizetti allo scrittoio, pubblicata nel 1840 dalla rivista francese “Le Charivari”. In Francia il compositore trascorse l’ultimo periodo della sua vita prima di venire internato nel manicomio di Ivry e di morire in stato di demenza nel 1848.

L’opera è organizzata in due parti: la prima, dal titolo La partenza, mostra la rivalità tra gli Ashton, signori di Lammermoor, e i Ravenswood e presenta l’amore sfortunato tra i due giovani appartenenti alle famiglie rivali. Lucia, nonostante i divieti, incontra Edgardo di nascosto e gli promette fedeltà, prima che lui parta per la Francia. La seconda parte (che comprende gli ultimi due atti) s’intitola Il contratto nuziale: il fratello di Lucia ha organizzato per lei un matrimonio d’interesse e la ragazza, sconvolta e fragile, viene convinta ad accettare. Edgardo comprenderà troppo tardi che Lucia non aveva mai smesso di amarlo: la giovane è ormai in preda alla pazzia che presto la ucciderà. I rintocchi della campana annunciano la morte di Lucia: Edgardo, trafiggendosi con un pugnale, si uccide. La struttura dell’opera e la vicenda

Donizetti era famoso per la rapidità e la fecondità con cui componeva e veniva per questo accusato a volte di faciloneria e superficialità (il compositore Saverio Mercadante lo chiamò ironicamente «Dozinetti» proprio per sottolineare la sua prolificità): nella stesura della Lucia fu come sempre velocissimo, avendo iniziato la composizione a fine maggio del 1835 per finirla il 6 giugno dello stesso anno. Già con due opere precedenti il compositore aveva ottenuto i favori del pubblico (Anna Bolena del 1830 e Lucrezia Borgia del 1833), ma con la Lucia di Lammermoor presentò un alto esempio di opera romantica: la musica donizettiana «sa schiudersi nell’arguzia e nella limpidezza, non però col mordente rossiniano, ma con una gentilezza e una grazia velate di malin-

La fecondità dell’autore e il suo romanticismo

Scena di Tancredi Liverani (metà dell’Ottocento) per una esecuzione della Lucia di Lammermoor al Teatro alla Scala di Milano. È qui ben evidente l’atmosfera cupa, tipicamente romantica, dell’opera.

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conia, […] sa accendersi e sfavillare nell’ardore della passione, esprimere con intensità di commozione e di shakespeariana pietà – come mai si fece né prima né dopo nel linguaggio dei suoni – il tragico e allucinato delirio della follia» (Capri). Nonostante il brio caratteristico di Rossini incontrasse ancora i gusti del pubblico, il Romanticismo esigeva dei cambiamenti anche nel linguaggio musicale: nella Lucia di Lammermoor il virtuosismo vocale non è più fine a se stesso, ma viene usato per sottolineare la drammaticità delle situazioni sceniche; il canto è meno fiorito, si sviluppa in modo più semplice e lineare e accresce l’incisività, la tenerezza e la melanconia della triste sorte dei due innamorati. Le atmosfere romantiche dell’opera e i recitativi A caratterizzare l’opera e l’ambiente in cui la vicenda si svolge sono i preludi orchestrali che guidano l’ascoltatore attraverso le atmosfere sinistre e le scene notturne, cariche di presagi. La natura è evocata attraverso una strumentazione accurata e gli strumenti interagiscono con il canto in modo estremamente drammatico: Lucia, quando compare per la prima volta nell’atmosfera notturna del parco, viene preceduta e annunciata dal suono cristallino e sognante dell’arpa; sarà poi l’oboe a dipingere il dolore per l’assenza di Edgardo, quando il fratello la convoca annunciandole il futuro matrimonio combinato. La voce scarna e filiforme del flauto accompagnerà invece tutta la grande scena della pazzia del secondo atto. Di particolare importanza nella Lucia di Lammermoor sono i recitativi, di grande respiro e varietà. Ora, infatti, la composizione di un’opera non si organizza più rigidamente in pezzi in se stessi conclusi, ma i musicisti cercano di legare sempre di più il recitativo all’aria; si crea così una linearità che interessa non solo la musica ma anche il dramma: in questo modo i recitativi non sono più solo contenitori musicalmente scarni in cui si svolge l’azione prima della grande aria dei personaggi, ma hanno una personalità drammaIl Teatro San Carlo di Napoli nel 1816-17: tica e musicale, diventano un ulteriore mezzo d’ela sala e il palcoscenico visti dal palco reale. spressione connesso al momento musicale successivo. Donizetti mantiene sempre serrato il ritmo della narrazione spaziando dal recitativo “monofonico” (imitazione del parlato che articola la voce sulla stessa nota), al “parlante misto” dove il recitativo assomiglia al canto e il compositore affida il motivo conduttore all’orchestra; utilizza il declamato e l’“arioso” (cioè un recitativo quasi melodico) come nella grande e drammatica scena della pazzia della protagonista: il virtuosismo affidato alla voce di soprano di Lucia ha in questo caso il compito di esprimere orrore, paura, sfinimento. «Lucia è in succinta e bianca veste: ha le chiome scarmigliate, ed il suo volto, coperto da uno squallore di morte, la rende simile ad uno spettro, anziché ad una creatura vivente. Il di lei sguardo impietrito, i moti convulsi, e fino un sorriso malaugurato manifestano non solo una spaventevole demenza, ma ben anco i segni di una vita, che già volge al suo termine»: è la didascalia, così squisitamente romantica, che introduce nel libretto la scena finale del dramma.

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L’età del Romanticismo

A12 Stendhal, Napoleone, l’Italia

Il “beylismo”

Il rosso e il nero e La Certosa di Parma

Le opere minori

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Stendhal La vita Henri Beyle (Stendhal è uno pseudonimo letterario) nacque a Grenoble nel 1783, da famiglia borghese. Caratteristiche della sua esperienza biografica furono l’aspirazione ad una vita energica e intensa e lo scontro con una realtà mediocre e grigia. Un’occasione per la realizzazione delle sue aspirazioni fu l’epopea napoleonica. Tra il 1800 e il 1802 fu sottotenente dei dragoni in Italia, e fu affascinato dal gusto per la vita proprio degli italiani. Sino al 1814 ricoprì vari incarichi civili e partecipò alla campagna di Russia. Dopo la caduta di Napoleone visse ancora a Milano, la città prediletta (volle che si scrivesse sulla sua tomba: «Arrigo Beyle, milanese»), partecipando intensamente alla vita culturale e mondana. Ma nel 1821, nel clima di repressione seguito ai moti, il governo austriaco lo espulse. Tornato a Parigi, attraversò difficoltà economiche. Solo nel 1830 riuscì ad ottenere un impiego come console a Civitavecchia. Era una sistemazione mediocre e tediosa, nella piccola città di provincia, e lo scrittore cercò di evaderne con frequenti viaggi. Morì a Parigi nel 1842.

Presupposto della sua opera è una concezione particolare della vita, che è stata definita “beylismo”. È un ideale di vita intensa, tesa alla ricerca del piacere e della felicità. Questa sorta di epicureismo si associa con l’individualismo e giunge sino all’“egotismo” (come lo definisce Stendhal stesso). Ma è un culto dell’io diverso da quello melanconico dei romantici: è entusiastico, gioioso, vitale. Stendhal ama i temperamenti energici, appassionati, coraggiosi. Per questo predilige l’Italia, dove vede sopravvivere certe caratteristiche della vita rinascimentale, la gioia di vivere, il senso estetico, la forza delle passioni, la “virtù” nel senso machiavelliano del termine; e sempre per questo egli si contrappone al grigiore opprimente dell’età della Restaurazione (è un’insofferenza che ritroviamo in un altro scrittore dalla visione della vita eroica e intensa, il giovane Leopardi). Questo ideale di vita si trasferisce soprattutto negli eroi dei capolavori stendhaliani. Nel romanzo Il rosso e il nero (1830) il protagonista Julien Sorel è entusiasta ammiratore di Napoleone, ma deve adattarsi al clima della Restaurazione. Anche nella Certosa di Parma (1839), ambientato nell’Italia del 1830, Fabrizio del Dongo ha il culto di Napoleone, tanto da seguirlo sino sul campo di battaglia di Waterloo. Ma nella società della Restaurazione l’unica via di affermazione è la carriera ecclesiastica. In entrambi i casi, questi giovani eroi energici si scontrano con la realtà dei tempi e sono destinati ad una fine tragica. La restante produzione di Stendhal è vasta e multiforme. Nel 1823 partecipa alla polemica romantica con un saggio su Racine e Shakespeare, dove esprime la sua preferenza per il drammaturgo inglese, proprio per la ricchezza delle passioni e la forza nel rappresentarle. Scrive saggi ricchi di osservazioni acutissime (Sull’amore, 1822; Ricordi di egotismo, 1832). Dedica vari libri all’Italia da lui amata, Roma Napoli Firenze (1817), Cronache italiane (1853, postume), Passeggiate romane (1829). Nel 1834 inizia un romanzo sulla società al tempo di Luigi Filippo, Lucien Leuwen, rimasto incompiuto. Parimenti incompiuta è l’autobiografia Vita di Henri Brulard, interrotta nel 1836. L’ideale di vita di Stendhal e i personaggi in cui si incarna sono per molti aspetti tipici del Romanticismo: il culto della passione intensa, l’individualismo, lo scontro tra aspirazioni e realtà. Ma in lui, erede per altri aspetti dello spirito dell’Illuminismo, non vi è mai abbandono sentimentale: al contrario, si nota sempre un lucido spirito analitico, che frena con l’ironia la tentazione di abbandonarsi alla sentimentalità. Il rifiuto di ogni lirismo sentimentale si trasferisce anche nello stile, che tende ad essere oggettivo, secco, diretto. Lo scrittore stesso proclamava che il suo modello stilistico era la prosa del Codice civile.

L’opera

Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

T14

Stendhal

Temi chiave

Compromesso e insofferenza: le contraddizioni di un giovane ambizioso

• un eroe intimamente problematico • l’ipocrisia dei nobili • la rinuncia ai propri ideali in nome dell’ambizione

da Il rosso e il nero, libro I, cap. XXII Julien, precettore dei figli di Monsieur de Rênal, ottiene grande fama nella cittadina di provincia per le sue doti di latinista. Monsieur Valenod, direttore dell’ospizio locale, vorrebbe averlo come precettore presso di lui, per ragioni di prestigio. Julien lo disprezza per la sua volgarità e disonestà, e lo odia perché ha inviato lettere anonime che hanno insinuato in Monsieur de Rênal il sospetto di una sua relazione con la moglie.

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Spedita la lettera1, Giuliano, contento come un cacciatore che, alle sei del mattino, in un bel giorno d’autunno, sbocchi in una pianura ricca di selvaggina, uscì per andare a chieder consiglio al signor Chélan. Ma, prima di arrivare dal buon curato, il cielo, che non voleva risparmiargli gioie, gli gettò fra i piedi il signor Valenod, al quale non nascose affatto che il suo cuore era straziato; un povero ragazzo come lui doveva darsi tutto alla vocazione che il cielo gli aveva messo nel cuore, ma la vocazione non è tutto in questo basso mondo. Per lavorare degnamente nella vigna del Signore, e non essere del tutto indegno di tanti sapienti compagni di lavoro, era necessaria l’istruzione; bisognava trascorrere al seminario di Besançon due anni molto costosi; ed era dunque indispensabile

1. la lettera: a Monsieur de Rênal, per informarlo delle proposte di Valenod.

L’opera

il rosso e il nero di Stendhal È il primo dei grandi romanzi di Stendhal, composto tra il 1829 e il 1830 ed ispirato ad un fatto di cronaca. Protagonista è un giovane provinciale, Julien Sorel, nato da modesta famiglia (il padre, di origini contadine, è proprietario di una segheria). Julien è dominato dall’ambizione ed aspira ad affermarsi al di là della sua condizione sociale. Ha una concezione della vita eroica ed energica, e per questo ammira ardentemente Napoleone. Se fosse nato prima, avrebbe voluto trovare la gloria nelle imprese militari; ma si rende conto che nel clima della Restaurazione l’unica via di affermazione è la carriera ecclesiastica (a questo probabilmente allude il titolo: il «rosso» è la gloria militare, il «nero» è la vita ecclesiastica, fatta di calcoli astuti, cinismo e compromessi). Per ottenere il suo fine sceglie dunque l’ipocrisia. Ma Julien non è un gretto calcolatore: è un’anima generosa e appassionata, con un forte senso della sua dignità. Piegarsi a servire gli appare dunque intollerabile, e ciò lo induce da un lato a farsi spesso violenza, dall’altro a compiere azioni avventate che lo mettono in pericolo, sino a condurlo alla rovina. Entrato nella casa del sindaco della sua cittadina, Monsieur de Rênal, come precettore dei suoi figli, ne seduce la moglie. Per lo scandalo suscitato deve lasciare la città

ed entra nel seminario di Besançon. Preso a benvolere dal direttore, l’abate Pirard, per sua intercessione viene assunto come segretario del marchese de la Mole e si trasferisce a Parigi. Suscita l’interesse della figlia del marchese, Matilde, e ne diviene l’amante. La giovane, che attende un figlio da Julien, riesce ad ottenere dal padre il consenso alle nozze; ma il marchese ha chiesto a Madame de Rênal informazioni su Julien, e la donna, indotta dal confessore, lo denuncia come cinico arrivista. Julien, spinto da uno dei consueti impulsi irriflessi, torna a Verrières e spara all’antica amante durante una funzione in chiesa. Nonostante l’abbia solo ferita, viene condannato a morte. Dinanzi ai giudici afferma tutto l’orgoglio dell’uomo di basse origini che si è ribellato alla sua condizione, e denuncia nella sua condanna la volontà di punire chi ha osato tentare di salire nella scala sociale. Madame de Rênal lo conforta negli ultimi giorni di vita, e rinasce in Julien l’amore per lei. Infine, l’eroe affronta la ghigliottina con coraggio. Dopo l’esecuzione, Julien viene seppellito per sua volontà in una grotta sulle montagne del Giura; Matilde seppellisce con le sue stesse mani la testa dell’amante, imitando così l’eroina di un episodio storico del Cinquecento, da lei ammirata per il suo eroismo. Madame de Rênal muore dopo tre giorni.

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fare economie, cosa assai più facile con uno stipendio di ottocento franchi pagati per trimestre che con seicento consumati di mese in mese. D’altro lato, il cielo, mettendolo vicino ai piccoli de Rênal e soprattutto ispirandogli per loro un particolare affetto, non sembrava forse indicargli che non era giusto abbandonare quell’insegnamento per un altro?… Giuliano raggiunse un tal grado di perfezione in quel genere di eloquenza che ha sostituito la rapidità d’azione dell’Impero2, che finì con l’annoiarsi lui stesso del suono delle proprie parole. Nel rincasare, trovò un domestico del signor Valenod, in alta livrea3, che lo aveva cercato per tutta la città con un biglietto d’invito a pranzo per quel giorno stesso. Giuliano non era mai andato a casa di quell’uomo; solo alcuni giorni prima non pensava che al modo di dargli un carico di legnate senza avere a che fare con la polizia correzionale. Benché il pranzo fosse fissato per l’una, Giuliano credette più rispettoso presentarsi nell’ufficio del signor direttore dell’ospizio a mezzogiorno e mezzo. Lo trovò che sfoggiava la sua importanza in mezzo a una farragine4 di pratiche. Le sue grosse fedine5 nere, la sua enorme quantità di capelli, il suo berretto greco messo di traverso in cima alla testa, la pipa immensa, le pantofole ricamate, le grosse catene d’oro incrociate sul petto in tutti i sensi, tutto quell’apparato da finanziere di provincia che si crede uomo col vento in poppa, non facevano alcuna impressione a Giuliano. Pensava più che mai alle legnate che gli doveva. Domandò l’onore di essere presentato alla signora Valenod; ma ella stava vestendosi e non poteva ricevere. In compenso ebbe il privilegio di assistere all’abbigliamento del signor direttore dell’ospizio. Passarono poi negli appartamenti della signora Valenod, che gli presentò i suoi figli con le lacrime agli occhi. Questa dama, una delle più rispettabili di Verrières, aveva una grossa faccia maschile imbellettata in occasione di questa grande cerimonia, in cui sfoggiò tutto il pathos6 materno. Giuliano pensava alla signora de Rênal. La sua diffidenza gli permetteva solo quel genere di ricordi che sono evocati per contrasto, ma allora ne era preso fino alla commozione. Questa disposizione fu accresciuta dall’aspetto della casa del direttore dell’ospizio, che gli si fece visitare. Tutto era nuovo e magnifico, e di ogni mobile gli dicevano il prezzo;

2. in quel genere ... Impero: l’eloquenza ipocrita e pretesca, che negli anni della Restaurazione ha sostituito la rapidità d’azione propria degli anni napoleonici. Si ricordi che il contrasto tra le due età è il tema di fondo del romanzo. 3. livrea: veste con lo stemma che i nobili, o i sovrani, regalavano ai familiari, alle persone del loro seguito o ai loro protetti. 4. farragine: guazzabuglio, confusione. 5. fedine: basette lunghe fino all’altezza del mento. 6. pathos: sentimento di viva tensione interna che suscita commozione.

Henri-Joseph Dubouchet, Julien e i suoi allievi, 1884, incisione da Il rosso e il nero di Stendhal, Parigi, Bibliothèque Nationale de France.

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ma Giuliano vi sentiva qualche cosa di ignobile, che sapeva di denaro rubato. Tutti, lì dentro, compresi i domestici, avevano l’aria di darsi un contegno contro il disprezzo. Arrivarono con le loro mogli il ricevitore delle imposte, l’addetto alle imposte indirette, il comandante della gendarmeria e altri due o tre pubblici funzionari; e furono seguiti da qualche ricco liberale. Si annunciò il pranzo. A Giuliano, già assai mal disposto, venne in mente che, oltre la parete della sala da pranzo, c’erano dei disgraziati detenuti sulla cui porzione di carne si era forse grattato7 per procacciarsi tutto quel lusso di cattivo gusto con cui volevano stordirlo. Pensò: «Forse in questo momento hanno fame»; gli si serrò la gola e gli fu impossibile mangiare e, quasi, parlare. Un quarto d’ora dopo, fu assai peggio; si udiva ogni tanto qualche parola di una canzone popolare e, diciamolo pure, alquanto indegna, cantata da un detenuto. Il signor Valenod diede un’occhiata a uno dei suoi uomini in alta livrea, questi scomparve, e subito dopo il canto tacque. In quello stesso momento, un cameriere offriva a Giuliano del vino del Reno in un bicchiere verde, e la signora Valenod si dava la pena di fargli sapere che quel vino costava nove franchi la bottiglia, comprato sul posto. Giuliano, tenendo tra le dita il bicchiere verde, disse al signor Valenod: – Non cantano più quella sconcia canzone. – Perbacco! lo credo bene, – rispose trionfante il direttore, – ho fatto imporre silenzio a quegli straccioni. La parola fu troppo forte per Giuliano, che aveva i modi, ma non ancora il cuore del suo nuovo stato. Con tutta la sua ipocrisia tante volte esercitata, sentì una grossa lacrima scivolargli lungo la gota. Cercò di nasconderla dietro il bicchiere verde, ma gli fu assolutamente impossibile fare onore al vino del Reno. «Impedir loro di cantare!», pensava. «Oh, mio Dio, e tu lo sopporti?». Per fortuna nessuno notò la sua commozione fuori tono. Il ricevitore delle imposte aveva intonato una canzone realista8, e, nel fracasso del ritornello cantato in coro: «Ecco dunque», meditava la coscienza di Giuliano, «la sudicia prosperità a cui giungerai, e non potrai goderne che a queste condizioni e in tale compagnia! Avrai forse un posto da ventimila franchi, ma bisognerà che, mentre ti rimpinzi di carne, impedisca di cantare a un disgraziato prigioniero; offrirai pranzi col denaro rubato sul suo miserabile cibo, e durante il tuo pranzo egli sarà ancor più sciagurato! O Napoleone! come era dolce al tuo tempo elevarsi alla fortuna attraverso i rischi di una battaglia! Ma aumentare vilmente il dolore del povero…!». Confesso che la debolezza di cui Giuliano fa prova in questo monologo mi dà una meschina opinione di lui. Potremmo metterlo degnamente insieme con quei cospiratori in guanti gialli che pretendono cambiare tutta la vita di un grande paese senza rimproverarsi la minima sgraffiatura. Giuliano fu bruscamente richiamato alla sua parte. Non lo avevano invitato a pranzare in così buona compagnia solo per sognare e tacere. Un fabbricante di tele stampate, in ritiro, membro corrispondente dell’accademia di Besançon e di quella di Uzès, gli rivolse la parola da un capo all’altro della tavola per domandargli se era vero quello che generalmente si diceva dei suoi stupefacenti progressi nello studio del Nuovo Testamento. Vi fu a un tratto profondo silenzio; un Nuovo Testamento latino apparve come per incanto tra le mani del sapiente membro di due accademie. Alla risposta di Giuliano, fu letta a caso una mezza frase latina; lui recitò: la memoria gli fu fedele e tale prodigio fu ammirato con tutta la calorosa energia di una fine di pranzo. Giuliano guardava il vol-

7. grattato: rubato. 8. realista: a sostegno della monarchia.

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to acceso delle signore; alcune non eran brutte. Aveva notato in particolare la moglie del ricevitore canterino. – Davvero mi vergogno di parlare così a lungo in latino davanti a queste signore, – disse guardandola. – Se il signor Rubigneau, – era il membro delle due accademie, – ha la bontà di leggermi a caso una frase latina, invece di continuare il testo latino cercherò di tradurlo all’improvviso9. Questa seconda prova portò al culmine la sua gloria. V’erano là parecchi liberali ricchi, ma padri felici di ragazzi che potevano ottenere borse di studio e perciò improvvisamente convertiti dopo l’ultimo quaresimale10. Nonostante questo gesto di fine politica, il signor de Rênal non aveva mai voluto riceverli in casa sua. Queste brave persone, che conoscevano Giuliano solo di fama e per averlo visto a cavallo il giorno dell’ingresso del re di ***, erano i suoi più fervidi ammiratori. «Quando si stancheranno, questi scemi, di ascoltare uno stile biblico di cui non capiscono nulla?», pensava Giuliano. Ma, al contrario, quello stile li divertiva per la sua stranezza, ed essi ne ridevano. Ma Giuliano si stancò. Quando suonarono le sei, si alzò gravemente e parlò di un capitolo della nuova teologia di Ligorio, che doveva imparare per ripeterlo il giorno dopo al signor Chélan. – Perché il mio mestiere, – aggiunse piacevolmente, – è di far recitare lezioni e di recitarne io stesso. Si rise e si ammirò molto; è questo lo spirito che usa a Verrières. Giuliano era già in piedi, e tutti si alzarono facendo uno strappo al proprio decoro11: tale è l’impero del genio. La signora Valenod lo trattenne ancora un quarto d’ora; era pur necessario che ascoltasse i ragazzi recitare il catechismo. Essi fecero le più goffe confusioni, di cui lui solo si accorse guardandosi bene dal farle notare. «Quale ignoranza dei primi principi della religione!», pensava. Infine salutò, credendo di potere svignarsela; ma bisognò sorbirsi una favola di La Fontaine12. – Questo autore è molto immorale, – disse Giuliano alla signora Valenod. – Una certa favola su messer Jean Chouart osa spargere il ridicolo su quel che vi è di più sacro. È vivamente biasimato dai migliori commentatori. Prima di uscire, ricevette quattro o cinque inviti a pranzo. – Questo giovanotto fa onore al dipartimento, – esclamavano tutti insieme i convitati molto allegri. Giunsero fino a parlare di una pensione da prelevarsi sui fondi comunali per metterlo in condizione di continuare i suoi studi a Parigi. Mentre questa idea imprudente faceva rintronare la sala da pranzo, Giuliano usciva di corsa dal portone. – Ah! canaglie! canaglie! – esclamò tre o quattro volte di seguito, a bassa voce, respirando con piacere l’aria fresca. In quel momento si scopriva profondamente aristocratico, lui che per tanto tempo era stato così offeso dal sorriso sdegnoso e dall’altezzosa superiorità che sentiva in fondo a tutte le cortesie usategli in casa del signor de Rênal. E non poté fare a meno di riconoscere l’enorme differenza. «Dimentichiamo pure», pensava andandosene, «che si tratta di denaro rubato ai poveri prigionieri, dimentichiamo che si impedisce loro di cantare! Mai però il signor de Rênal si è sognato di dire ai suoi ospiti il prezzo di ogni bottiglia di vino che offre. E questo signor Valenod, nell’ossessionante enumerazione delle sue proprietà, non può parlare della sua casa, dei suoi possessi e via di seguito, se sua moglie è presente, senza dire la tua casa, i tuoi possessi». Questa signora, così manifestamente sensibile al piacere della proprietà, durante il pranzo aveva fatto una scenata vergognosa a un domestico che aveva spezzato un bic-

9. all’improvviso: improvvisando. 10. quaresimale: predica. 11. uno strappo ... decoro: lo status di Giuliano non imponeva ai presenti un gesto di

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deferenza qual era quello di alzarsi al suo commiato, tuttavia il grande rispetto per l’erudizione di Giuliano detta ai commensali tale comportamento.

12. La Fontaine: famoso autore francese di favole (1621-95). Lo studio a memoria dei suoi testi era d’obbligo per gli scolari.

Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

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chiere a calice e sparigliato una delle sue dozzine; e questo domestico aveva risposto con un’insolenza indegna. «Che gente!», pensava Giuliano. «Anche se mi dessero la metà di quel che rubano, non vorrei vivere con loro. Un giorno o l’altro finirei col tradirmi; non potrei dissimulare il disprezzo che mi ispirano». Stendhal, Il rosso e il nero, trad. it. di U. Déttore, Rizzoli, Milano 1950

Analisi del testo La rinuncia agli ideali e l’ipocrisia

La focalizzazione sul protagonista

> il conflitto dell’eroe

L’episodio presenta con chiarezza i termini della problematicità del personaggio di Julien. Il giovane ha dovuto mettere da parte i suoi ideali e adattarsi alla realtà della Restaurazione, per arrivare al successo. Qui, pur essendo giacobino, ammiratore di Napoleone e miscredente, recita perfettamente la sua parte dinanzi alla società di provincia, esibendo la sua devozione e la sua erudizione religiosa, ma è pieno in cuor suo di indignazione nei confronti della volgarità pretenziosa, dell’ignoranza, della cinica disonestà di quella gente. Vede anche lucidamente a che prezzo potrà raggiungere il successo a cui aspira. Di qui il moto di rimpianto per i tempi napoleonici, quando si otteneva la fortuna affrontando il pericolo sui campi di battaglia. La tragedia di Julien è quella di essere nato troppo tardi, di essere in totale dissonanza con la sua epoca; ed in questo è già inscritta sin dall’inizio la soluzione tragica della sua vicenda.

> La tecnica narrativa

Per quanto concerne la tecnica narrativa, si noti come l’episodio sia quasi interamente focalizzato su Julien: la scena del pranzo e i vari personaggi sono visti attraverso il filtro della sua ottica. A tal fine lo strumento prediletto dallo scrittore è il discorso interiore in forma diretta. Anche i ritratti di Valenod e della moglie sono presentati attraverso la prospettiva di Julien, e risentono del suo sdegno e della sua esecrazione.

Esercitare le competenze ComPrendere

> 1. Dividi il brano in sequenze e assegna loro un titolo, secondo l’esempio proposto. Sequenza

Titolo

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L’incontro con il signor Valenod ...........................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

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rr.

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> 2. Quale episodio provoca la commozione del protagonista? AnALizzAre

> 3. Tutto il brano è caratterizzato dal contrasto tra i comportamenti esteriori di Giuliano e i suoi reali pensieri. Indica

alcuni passi in cui il narratore mette in evidenza questa opposizione e spiega da quali sentimenti è originata. > 4. narratologia Individua i punti del brano in cui il racconto è condotto dal narratore onnisciente e quelli in cui la prospettiva appartiene al protagonista. Quale punto di vista è prevalente? Sono presenti passi in cui il narratore onnisciente esprime giudizi sul protagonista? > 5. Stile Analizza e individua le metafore che descrivono le impressioni del protagonista sull’ambiente della casa e i suoi abitanti. APProfondire e inTerPreTAre

> 6.

Scrivere Partendo dall’analisi del personaggio di Giuliano, specifica le caratteristiche “particolari” del Romanticismo di Stendhal (ca. 15 righe o 750 caratteri). > 7. esporre oralmente Esponi in non più di 2 minuti la concezione della vita dell’autore, definita «beylismo».

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L’età del Romanticismo

A13 La personalità

La Commedia umana

L’ambiente sociale e l’individuo

Honoré de Balzac La vita e le opere Nato da una famiglia borghese di provincia nel 1799, si trasferì a Parigi per cercare il successo. Oltre che alla letteratura e al giornalismo, si dedicò ad imprese commerciali in campo editoriale, ma con esito disastroso. Egli rappresenta emblematicamente, come già Scott in Inghilterra, la figura nuova dello scrittore inserito nell’industria culturale: collabora a giornali e periodici, accetta di scrivere mediocri testi “di consumo”, legandosi agli editori con contratti capestro, e, copertosi di debiti con le sue speculazioni sbagliate, per poter guadagnare si getta freneticamente nel lavoro di romanziere, producendo opere a ritmo impressionante. La mole di lavoro ne mina però il fisico: muore nel 1850 di un colpo apoplettico, a soli 51 anni. Nel 1842 Balzac organizzò i romanzi già scritti e quelli che progettava di scrivere in un piano organico, a cui impose il titolo di Commedia umana. In questa serie di romanzi (ne pubblicò 90 dei 120 previsti) intendeva dare un quadro completo della società del suo tempo, in tutta la molteplicità dei suoi aspetti e dei suoi ambienti. Una prima sezione comprende gli Studi di costume del secolo XIX, divisi in: «Scene della vita privata» (Papà Goriot, 1835), «Scene della vita di provincia» (Eugénie Grandet, 1830; Illusioni perdute, 1837-43), «Scene della vita parigina» (La cugina Betta, 1846; Il cugino Pons, 1847), «Scene della vita politica», «della vita militare», «della vita di campagna» (Il curato del villaggio, 1841). Una seconda sezione comprende gli Studi filosofici (La pelle di zigrino, 1831; La ricerca dell’assoluto, 1834), una terza gli Studi analitici (Fisiologia del matrimonio, 1830). La ricostruzione della società contemporanea Nella prefazione alla Commedia umana, rifacendosi alle teorie di un naturalista, Geoffroy Saint-Hilaire, Balzac traccia una similitudine tra la società umana e il regno animale: «La società non fa dell’uomo, secondo gli ambienti dove si svolge la sua azione, tanti uomini diversi quante sono le varietà in zoologia? Le differenze tra un soldato, un operaio, un avvocato, un marinaio, un povero ecc. sono altrettanto notevoli che quelle tra il

L’opera

illusioni perdute di Honoré de Balzac Sotto il titolo Illusioni perdute sono raccolti tre romanzi, I due poeti (1837), Un grand’uomo di provincia a Parigi (1839) e Le sofferenze di un inventore (1843), che vengono però a comporre un racconto organico e unitario. Nel piano della Commedia umana prendono posto all’interno delle «Scene della vita di provincia». La prima parte si svolge nella cittadina di Angoulême. I «due poeti» sono David Séchard, che nonostante le sue aspirazioni letterarie si rassegna a condurre la tipografia del padre, e Lucien Chardon, figlio di un farmacista, giovane pieno di ambizioni. Grazie alla sua bellezza e alle sue doti letterarie, conquista Madame de Bargeton, nobildonna con pretese intellettuali, ottenendo così l’accesso nell’alta società della

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cittadina. Ma, in conseguenza dello scandalo suscitato dalla relazione, Madame de Bargeton si rifugia a Parigi, presso una nobile parente, e Lucien la segue. Il giovane aspira ardentemente al successo letterario e mondano nella capitale. Adotta perciò il nome della madre, de Rubempré, dal suono più aristocratico. Ma Madame de Bargeton, vergognandosi dinanzi alla nobiltà parigina di avere per amante il figlio di un farmacista, lo respinge. Lucien non ha miglior fortuna nel tentativo di far pubblicare le sue poesie ed un romanzo storico. Un amico lo introduce nel giornalismo e, grazie ad una recensione compiacente di uno spettacolo teatrale, raggiunge subitaneamente il successo, la fama, la ricchezza.

Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

Un ritratto puntuale della società

Un mondo parallelo a quello ideale

Le passioni e gli intrecci

lupo, il leone, il corvo». Egli vuole quindi studiare le varietà delle specie sociali come sono determinate dagli “ambienti”. In questo lavoro intende dare una ricostruzione esaustiva ed enciclopedica della società. Scrive in una lettera famosa a Madame Hanska, la donna da lui amata: «Gli Studi di costume rappresenteranno tutti gli effetti sociali senza dimenticare né una situazione della vita, né una fisionomia, né un carattere di uomo o di donna, né una maniera di vivere, né una professione, né una zona sociale, né un paese della Francia, né una qualunque cosa dell’infanzia, della vecchiaia, dell’età matura, della politica, della giustizia, della guerra». Nei suoi romanzi compaiono così l’aristocrazia e il bel mondo parigino, la ricca borghesia, i bottegai, il popolo, la nobiltà di provincia, i contadini, gli impiegati, i giornalisti, gli scrittori, gli artisti, il clero. Balzac descrive con minuzia quasi maniacale l’aspetto fisico, il carattere, ma anche l’ambiente materiale, gli oggetti tra cui vivono i personaggi, sottolineando le strette corrispondenze tra quei caratteri e quegli ambienti. I romanzi della Commedia umana sono popolati da una moltitudine di personaggi, ciascuno rappresentato nella sua individualità concreta e inconfondibile: in essi vi è tutto un mondo, equivalente e parallelo rispetto a quello reale, tanto che, afferma Balzac stesso, può «far concorrenza allo stato civile». Per dare un senso di completezza organica a questo mondo, Balzac usa un geniale espediente, destinato poi a larga fortuna in altri romanzieri: i personaggi ritornano da un romanzo all’altro, un personaggio che in un romanzo ha un ruolo marginale, in un altro successivo diviene protagonista, o viceversa. Questi personaggi sono mossi in genere da grandi passioni, spesso totalizzanti e monomaniache, raffigurate da Balzac in modo elementare ma potente: l’ambizione di Rastignac, la smania di successo di Lucien de Rubempré, l’amore paterno di Goriot, l’avarizia di Grandet, la lussuria del generale Hulot. Balzac ama gli intrecci complicati, le scene a forti tinte, a volte persino gli intrighi misteriosi e tenebrosi, che fanno pensare al romanzo d’appendice. Spesso poi lo scrittore usa toni enfatici e melodrammatici, esibisce teorie filosofiche e sociologiche cervellotiche. Ma, nonostante questo, la Commedia umana offre un quadro realistico di estrema precisione e ricchezza della società francese del primo Ottocento. Per questo Balzac è considerato il più tipico rappresentante di quella forma letteraria che è il romanzo realistico, dominante nel XIX secolo.

Attraverso l’ascesa di Lucien il romanzo descrive gli ambienti del giornalismo, dell’editoria, del teatro, e mette in evidenza con grande acutezza come i prodotti dell’ingegno si siano ormai trasformati in merce e come per affermarsi sul mercato occorra una lotta spietata e priva di scrupoli. Lucien si adegua a queste leggi, ma cade vittima di loschi intrighi ed è ben presto ridotto nuovamente alla miseria. Per di più Coralie, la giovane attrice a cui si è legato e che lo ama appassionatamente, muore. Lucien decide allora di tornare a casa, in provincia. Qui David, che ha sposato la sorella di Lucien, Ève, ha inventato un nuovo procedimento per la fabbricazione della carta, che potrebbe fare la sua fortuna, ma è sopraffatto dagli intrighi locali, manovrati da una più grossa azienda

concorrente. Perseguitato dai creditori, è costretto a nascondersi. Per l’imprudenza di Lucien, che rivela il suo nascondiglio, viene arrestato. Lucien, sentendosi responsabile della rovina della famiglia, è pieno di rimorsi e vorrebbe uccidersi, ma ne è distolto da un falso prete (in realtà è l’ex forzato Vautrin, personaggio ricorrente nella Commedia umana), che lo riporta a Parigi, promettendogli la fortuna se seguirà i suoi cinici consigli. Nel frattempo David è stato defraudato dei frutti della sua invenzione dai concorrenti, ma, grazie all’eredità paterna, conquista l’agiatezza e vive in campagna una vita tranquilla. Lucien ricomparirà in un romanzo successivo, molto macchinoso e di gran lunga meno felice, Splendori e miserie delle cortigiane (1839-47), dove la sua storia si concluderà con il fallimento e il suicidio.

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L’età del romanticismo

L e t t e r a t u r a e Società

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Honoré de Balzac

La mercificazione della letteratura da Illusioni perdute

Testo e realtà Agli albori della società capitalistica, la coscienza critica dello scrittore mette a nudo le dinamiche del mercato della cultura e l’asservimento al denaro dell’intelligenza e dell’arte.

Lucien conduce da tempo a Parigi una vita povera e solitaria, cercando la gloria attraverso la letteratura. Fa però amicizia casualmente con un giovane giornalista, Étienne Lousteau, che lo introduce nel mondo letterario, gli fa conoscere, nell’arco di una sola sera, l’ambiente dell’editoria, del commercio librario, del giornalismo, del teatro e gli svela i meccanismi sordidi che regolano tutti questi ambienti.

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Étienne e Lucien entrarono in un palco di proscenio, in prima fila, dove trovarono il direttore del teatro e Finot1. Di fronte, nel palco opposto, era seduto Matifat con un amico, Camusot, un negoziante di seterie che proteggeva Coralie, accompagnato da un bravo vecchietto, suo suocero. I tre borghesi pulivano le lenti del binocolo guardando gli spettatori, inquieti per l’agitazione del pubblico. Nei palchi sedeva la solita bizzarra accozzaglia delle prime: giornalisti con le loro amichette, mantenute con gli amanti al fianco, qualche vecchio assiduo che per nulla al mondo avrebbe rinunciato ad una prima, personaggi dell’alta società appassionati per quel genere di emozioni. In un palco di prima fila c’era il direttore generale con la famiglia, quello stesso che aveva sistemato du Bruel in una amministrazione finanziaria dove l’autore di vaudevilles2 percepiva lo stipendio di una sinecura3. Lucien passava di stupore in stupore. La vita artistica, che per due mesi gli era apparsa così povera e piena di privazioni, così orribile nella camera di Lousteau, così umile e insolente insieme alle Galériesde-Bois4, gli si mostrava ora strana e splendida, sotto un aspetto del tutto nuovo. Quel miscuglio di elevato e di sordido, di compromessi con la coscienza, di supremazie e di viltà, di tradimenti e di piaceri, di grandezza e di schiavitù, lo inebetiva come chi assista ad uno spettacolo inaudito. – Credete che il lavoro di du Bruel vi frutterà? – chiese Finot al direttore. – È una commedia d’intrigo: du Bruel ha voluto imitare Beaumarchais5. Il pubblico dei boulevards6 non ama questo genere di teatro, vuole essere rimpinzato di emozioni. Lo spirito, qui, non ha troppi amatori. Stasera tutto dipende da Florine e da Coralie, due creature piene di grazia e di bellezza. Portano gonne cortissime, ballano una danza spagnola e possono far delirare il pubblico. Insomma, questo spettacolo è come un gioco d’azzardo. Se i giornali scriveranno qualche articolo spiritoso, in caso di successo posso guadagnare centomila scudi. – Evvia, sarà un semplice successo di stima, – disse Finot. – I tre teatri vicini hanno montato un complotto; la commedia sarà fischiata in ogni caso.

1. Finot: il direttore del giornale per cui lavora Lucien. 2. l’autore di vaudevilles: autore di commedie brillanti e leggere. 3. sinecura: incarico che non comporta nes-

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suna fatica e responsabilità. 4. Galéries-de-Bois: galleria dove sorgono numerose botteghe di librai, luogo di incontro di editori e scrittori. 5. Beaumarchais: Pierre-Augustin Caron de

Beaumarchais (1732-99), autore del Matrimonio di Figaro (1783), che ottenne un enorme successo. 6. pubblico dei boulevards: pubblico popolare.

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Comunque, non sono in grado di sventare le loro mene7. Ho pagato quelli della claque8 che dovrebbero fischiare il lavoro, in modo che lo facciano molto moderatamente. Ecco tre negozianti che, per procurare il successo a Coralie e a Florine, hanno preso cento biglietti ognuno e li hanno distribuiti ad amici capaci di far fallire le manovre dei teatri concorrenti. La claque, pagata due volte, si lascerà mettere a tacere, il che dispone sempre bene il pubblico. – Duecento biglietti! che gente preziosa! – esclamò Finot. – Sì, con altre due attrici mantenute riccamente come Florine e Coralie, sarei a posto. Da due ore, alle orecchie di Lucien, tutto si risolveva in quella magica parola: il denaro. In teatro come nell’industria libraria, come nel giornalismo, non si parlava mai né di arte né di gloria. I ripetuti colpi del grande torchio del Denaro gli martellavano il cervello e il cuore. Mentre l’orchestra eseguiva l’ouverture9, non poté fare a meno di confrontare gli applausi e i fischi della platea in subbuglio con i momenti di tranquilla e pura poesia che aveva gustato nella stamperia di David, quando entrambi sognavano ad occhi aperti le meraviglie dell’arte, i nobili trionfi del genio, la gloria dalle ali candide. Ricordando le serate del cenacolo una lacrima brillò negli occhi del poeta. – Che avete? – gli chiese Étienne Lousteau. – Vedo la poesia gettata nel fango, – rispose. – Eh, mio caro, vi fate ancora troppe illusioni! – Ma dunque bisogna proprio strisciare e subire questi grossi Matifat e Camusot, come le attrici subiscono i giornalisti, come noi subiamo gli editori? – Amico mio, – gli disse all’orecchio Étienne indicandogli Finot, – vedete quel ragazzo? È brutto, manca di spirito e di talento, ma è avido, vuol far fortuna ad ogni costo, è abile negli affari. Ricordate? Nella bottega di Dauriat10 mi ha spillato il quaranta per cento con l’aria di farmi un gran favore… Ebbene, ci sono delle lettere nelle quali diversi geni in erba si mettono in ginocchio davanti a lui per cento franchi. Una contrazione causata dalla nausea strinse il cuore di Lucien, che ricordò le parole: «Finot, e i miei cento franchi?» e il disegno lasciato sul tappeto verde della redazione. – Meglio morire, – disse. – Meglio vivere, – ribatté Étienne. Mentre il sipario si stava levando, il direttore si alzò e andò tra le quinte per impartire degli ordini. – Mio caro, – disse allora Finot ad Étienne, – ho la parola di Dauriat: un terzo del periodico è mio. Ho concluso per trentamila franchi in contanti, a condizione di essere nominato redattore capo e direttore. È un affare eccellente. Blondet11 mi ha detto che si stanno preparando leggi restrittive per la stampa e che solo i giornali già esistenti saranno conservati. Da qui a sei mesi ci vorrà un milione per fondare un nuovo giornale. Quindi ho concluso senz’altro, anche se non ho più di diecimila franchi di mio. Ascolta, se puoi far acquistare la metà della mia quota, un sesto, a Matifar per trentamila franchi, ti darò il posto di redattore capo al mio giornale, con duecentocinquanta franchi al mese. Sarai il mio prestanome. Voglio poter dirigere la redazione, serbarvi tutti i miei interessi senza darlo a vedere. Ogni articolo ti sarà pagato cento soldi a colonna, potrai guadagnare quindici franchi al giorno pagandoli solo tre franchi e approfittando della redazione gratuita. Sono altri quattrocentocinquanta franchi al mese. Ma voglio essere libero di far attaccare o difendere a mio piaci-

7. mene: intrallazzi. 8. claque: spettatori che applaudono o fischiano, dietro compenso.

9. ouverture: brano musicale che può essere eseguito come introduzione a uno spettacolo.

10. Dauriat: un editore. 11. Blondet: un giornalista e critico.

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mento sul giornale gli uomini e gli affari: naturalmente ti lascerò aiutare i tuoi amici o prendertela con gli avversari, purché questo non disturbi la mia politica. Forse sarò governativo o ultra12, non so ancora: ma sottobanco voglio conservare le mie relazioni con i liberali. Ti dico ogni cosa, perché sei un buon figliolo. Forse ti farò avere sul giornale dove lavoro la cronaca parlamentare che adesso curo io; non potrò certo conservarla. Usa Florine come intermediaria e dille di spremere bene il droghiere: se non riesce a trovare i soldi ho solo quarantotto ore di tempo per disdire l’impegno. Dauriat ha venduto l’altro terzo al suo tipografo e al suo cartaio per trentamila franchi. Quanto a lui ha il suo terzo gratis e ci guadagna diecimila franchi, visto che tutta l’operazione non gliene costa che cinquantamila. Ma da qui a un anno la collezione del giornale potrà essere venduta alla corte a duecentomila franchi se, come si dice, si avrà il buon senso di dare un giro di vite13 ai giornali. – Sei fortunato, – esclamò Lousteau. – Se tu avessi passato i giorni di miseria che ho conosciuto io, non lo diresti. Ma di questi tempi, vedi, soffro di una disgrazia senza rimedio. Sono figlio di un cappellaio che vende tuttora dei cappelli in rue du Coq. Solo una rivoluzione potrebbe mettermi a posto; in mancanza di un rivolgimento sociale, debbo avere dei milioni. Non so se tra queste due cose la rivoluzione non sia la più facile. Se portassi il nome del tuo amico14 sarei a posto. Silenzio, ecco il direttore. Addio, – fece Finot alzandosi. – Vado all’Opéra, domani forse dovrò battermi in duello; scrivo e firmo con una F un articolo fulminante contro due ballerine che hanno per amanti dei generali. Attacco a fondo l’Opéra. – Bah! – disse il direttore. – Sì, tutti lesinano15 con me, – rispose Finot. – Chi mi diminuisce il numero dei palchi; chi mi rifiuta cinquanta abbonamenti. Ho dato il mio ultimatum all’Opéra, adesso voglio cento abbonamenti e quattro palchi al mese. Se accettano, il mio giornale avrà ottocento abbonamenti omaggio e mille a pagamento. So come fare per avere altri duecento abbonamenti; a gennaio saremo a mille e due… – Finirete per rovinarci, – disse il direttore. – Andrete in malora coi vostri dieci abbonamenti! Vi ho fatto fare due buoni articoli sul Constitutionnel. – Oh! non è di voi che mi lagno, – esclamò il direttore. – A domani sera, Lousteau, – disse Finot. – Mi darai la risposta al Français dove c’è una prima; e siccome non potrò scrivere l’articolo prenderai il mio palco. Ti do la preferenza; hai sgobbato per me, ti sono riconoscente. Félicien Vernou mi offre di darmi lo stipendio per un anno e mi propone ventimila franchi per un terzo della proprietà del giornale, ma voglio restarne il padrone assoluto. Addio. – Non per nulla si chiama Finot16, – disse Lucien a Lousteau. – Oh! è un volpone che farà strada, – rispose Étienne senza preoccuparsi di farsi sentire da Finot che stava chiudendo l’uscio del palco. – Lui?… – disse il direttore, – sarà milionario, godrà della considerazione generale e forse avrà anche degli amici. – Dio buono! – fece Lucien, – che ginepraio17! E contate di far condurre un simile affare da quella deliziosa ragazza? – disse indicando Florine che lanciava loro delle occhiate.

12. ultra: il partito dei reazionari che volevano il ritorno alla monarchia assoluta. 13. dare un giro di vite: limitare la libertà, ridurre le condizioni di favore economico.

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14. Se portassi ... amico: Lucien ha assunto il cognome aristocratico della madre, de Rubempré. 15. lesinano: limitano al massimo le spese.

16. Non per nulla ... Finot: il nome richiama l’idea di finezza, astuzia. 17. ginepraio: situazione complicata e di difficile soluzione.

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– E ci riuscirò. Non avete idea dell’abilità e della devozione di queste care creature, – rispose Lousteau. – Riscattano tutti i loro difetti, cancellano ogni loro colpa, con la profondità, l’immensità del loro amore, quando amano, – disse il direttore continuando. – La passione di un’attrice è una cosa tanto più bella per il contrasto violento che presenta con l’ambiente che la circonda. – È come trovare nel fango un diamante degno di ornare la più superba corona, – rispose Lousteau. – Ma, – riprese il direttore, – Coralie è distratta. Il vostro amico ha fatto colpo su Coralie senza saperlo, e le farà mancare tutti gli effetti; non ricorda più le battute: è già la seconda volta che non sente il suggeritore. Monsieur, vi prego, mettetevi in quell’angolo, – disse a Lucien. – Se Coralie si è innamorata di voi, vado a dirle che siete uscito. – Eh! no, – esclamò Lousteau, – ditele che monsieur è a cena con noi, che farà di lui quel che vorrà, e vedrete che reciterà come mademoiselle Mars. Il direttore uscì. – Amico, – disse Lucien a Étienne, – ma come! non vi fate scrupolo di far chiedere a mademoiselle Florine trentamila franchi a quel droghiere per la metà di una cosa che Finot ha comprato a quel prezzo? Lousteau non gli diede il tempo di finire il suo ragionamento. – Ma da quale paese venite, mio caro ragazzo? Quel droghiere non è un uomo, è una cassaforte offerta dall’amore. – Ma la vostra coscienza? – La coscienza, mio caro, è uno dei bastoni che ognuno impugna per bastonare il vicino e di cui non si serve mai per se stesso. Ma, insomma, con chi ce l’avete? Il caso fa per voi in un giorno solo un miracolo che io ho aspettato due anni e vi divertite a discuterne i mezzi? Ma come! Voi che mi sembrate un uomo di spirito, che possedete quell’ampiezza di vedute che, nel mondo in cui viviamo, dev’essere patrimonio degli avventurieri intellettuali, sguazzate negli scrupoli come una bigotta che si rimprovera d’aver mangiato con concupiscenza il suo uovo?… Se Florine sfonda, io divento redattore capo, guadagno duecentocinquanta franchi fissi, ho libero accesso nei grandi teatri, lascio a Vernou quelli del vaudeville, e voi partite in quarta prendendo il mio posto in tutti i teatri dei boulevards. In questo caso, avrete tre franchi a colonna e ne scriverete una al giorno, trenta al mese, che vi frutteranno novanta franchi; potrete vendere sessanta franchi di libri a Barbet18 e chiedere mensilmente ai vostri teatri dieci biglietti, in tutto quaranta biglietti, che venderete per quaranta franchi al Barbet dei teatri; penserò io a presentarvelo. In questo modo, guadagnerete duecento franchi al mese. Se saprete rendervi utile a Finot, potreste piazzare un articolo da cento franchi nel suo nuovo settimanale, sempre che diate prova di possedere un talento eccezionale: sul giornale di Finot si firma, sapete, e non si può scrivere a briglia sciolta come in un piccolo giornale. Ed eccovi cento scudi al mese. Mio caro, ci sono degli uomini di talento – pensate a quel povero d’Arthez19 che mangia tutti i giorni da Flicoteaux – che ci mettono dieci anni prima di guadagnare cento scudi. Con la vostra penna ricaverete quattromila franchi l’anno, senza contare le entrate dell’editoria, se scriverete anche per essa. Se pensate che un sottoprefetto ha solo mille scudi di stipendio e nel suo distretto si diverte soltanto a sbadigliare… Non vi parlo del piacere di andare a teatro senza

18. Barbet: libraio che commercia i libri inviati ai giornalisti per recensione.

19. d’Arthez: amico di Lucien, rappresenta l’intellettuale rigoroso che non cede al mercato.

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pagare, perché a lungo andare questo piacere diventerà una fatica; pensate però che potrete entrare liberamente dietro le quinte di ben quattro teatri. Mostratevi duro e sarcastico per uno o due mesi, e vedrete che le attrici vi sommergeranno d’inviti, sarete corteggiato dai loro amanti e pranzerete da Flicoteaux solo quando non avrete trenta soldi in tasca o un invito a pranzo. Alle cinque, al Luxembourg, non sapevate dove sbattere la testa: ora state per divenire uno dei cento personaggi privilegiati che impongono alla Francia le loro idee. Tra tre giorni, se riusciremo, potrete, con poche parole ben dette e stampate, far maledire la vita ad un uomo; potrete crearvi delle rendite di piacere presso tutte le attrici dei vostri teatri, potrete far cadere un buon lavoro e far accorrere tutta Parigi ad una commedia scadente. Se Dauriat si rifiuterà di stampare le Margherite20 e di pagarvele un soldo bucato, potrete farlo correre umile e sottomesso a casa vostra per comprarle a duemila franchi. Fatevi furbo e piazzate su tre diversi giornali tre articoli che minaccino di mandare a fondo qualcuna delle speculazioni di Dauriat o un libro sul quale fa affidamento: lo vedrete arrampicarsi ansimando fino alla vostra mansarda e restarvi aggrappato come una clematide21. Quanto al vostro romanzo, gli editori, che in questo momento vi metterebbero tutti più o meno cortesemente alla porta, faranno la coda per averlo e il manoscritto che papà Doguereau22 vi stimerebbe quattrocento franchi ne varrà almeno quattromila! Ecco i benefici del mestiere del giornalista. Per questo impediamo l’ingresso nei giornali a tutti i nuovi arrivati; non solo ci vuole un talento eccezionale, ma occorre anche una buona dose di fortuna, per entrarci. E voi cavillate23 sulla vostra!… Avete visto? se oggi non ci fossimo incontrati da Flicoteaux, avreste potuto far anticamera ancora per tre anni o morire di fame, come d’Arthez, in una soffitta. Quando d’Arthez sarà finalmente diventato colto come Rousseau, noi avremo già fatto fortuna, e saremo padroni della sua prosperità e della sua gloria. Finot sarà deputato, padrone di un grande giornale e noi diverremo tutto quel che vorremo: pari di Francia oppure detenuti a Sainte-Pélagie, per debiti. – E Finot venderà il suo grande giornale ai ministri che lo pagheranno di più, allo stesso modo che vende le sue lodi a madame Bastienne denigrando mademoiselle Virginie e provando che i cappelli della prima sono superiori a quelli che il giornale vantava poco prima! – esclamò Lucien ricordando la scena della quale era stato testimone. – Siete un grande ingenuo, mio caro, – rispose Lousteau seccamente. – Finot, tre anni fa, camminava in punta di piedi, mangiava da Tabar con diciotto soldi, scriveva un prospetto per dieci franchi e i vestiti gli stavano addosso per un mistero impenetrabile quanto quello dell’immacolata concezione: adesso Finot ha un suo giornale valutato centomila franchi; con gli abbonamenti pagati e non serviti, con gli abbonamenti reali e i contributi indiretti riscossi dal suo zio, guadagna ventimila franchi l’anno; ogni giorno è invitato a sontuosi banchetti nel bel mondo; da un mese ha la sua carrozza: e domani sarà a capo di un settimanale, ne sarà il padrone per un sesto – senza metterci un soldo di tasca sua, – con cinquecento franchi al mese di stipendio ai quali aggiungerà mille franchi di redazione ottenuta gratis ma che farà pagare ai suoi soci. Voi per primo, se Finot accetterà di pagarvi cinquanta franchi il foglio, sarete felicissimo di scrivergli tre articoli gratis. Solo quando sarete in una posizione analoga alla sua potrete giudicare Finot: si può essere giudicati solo dai propri pari. L’avvenire, un grandissimo avvenire, sarà tutto vostro se obbedirete ciecamente agli odi

20. Margherite: la raccolta di poesie di Lucien. 21. clematide: pianta rampicante.

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22. Doguereau: un libraio editore. 23. cavillate: cercate di interpretare in modo

contorto e complesso.

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di parte, se attaccherete quando Finot vi dirà: attacca!, se loderete quando lui vi dirà: loda! Quando vorrete vendicarvi di qualcuno, potrete cucinare come vorrete il vostro amico, o nemico, con una frase inserita ogni mattina sul nostro giornale. Basterà che mi diciate: Lousteau, facciamolo a pezzi! E potrete assassinare di bel nuovo la vostra vittima con un lungo articolo scritto sul settimanale. Insomma, se per voi si tratterà di una faccenda di vitale importanza, Finot, al quale intanto vi sarete reso necessario, vi lascerà infliggere un ultimo colpo di mazza su un grande giornale che conterà dieci o dodicimila abbonati. – Allora, credete davvero che Florine riuscirà a convincere il suo droghiere a concludere il baratto? – disse Lucien sbalordito. – Se lo credo! Ecco l’intervallo, vado subito a parlargliene, la faccenda si concluderà stanotte. Una volta imbeccata24, Florine userà tutta la mia furbizia e la sua. – E quell’onesto negoziante che se ne sta lì a bocca aperta, ammirando Florine, senza nemmeno sospettare che stanno per spillargli trentamila franchi!!… – Ecco un altro sproposito! come se volessimo derubarlo! – esclamò Lousteau. – Ma, mio caro, se il ministero compra il giornale, tra sei mesi il droghiere vedrà i suoi trentamila franchi salire a cinquantamila. E poi, Matifat non guarderà il giornale, ma gli interessi di Florine. Quando si saprà che Matifat e Camusot (che saranno soci nell’affare) sono proprietari di una rivista, tutti i giornali pubblicheranno lodi sperticate su Florine e Coralie. Florine diventerà celebre, forse avrà una scrittura per dodicimila franchi in un altro teatro. Tutto sommato, Matifat risparmierà i mille franchi al mese che gli costavano i regali e i pranzi ai giornalisti. Mio caro ragazzo, non conoscete né gli uomini, né gli affari. – Pover’uomo! – disse Lucien, – lui che spera di passare una bella notte… – E sarà messo in croce da mille ragionamenti, – riprese Lousteau, – sino a che non avrà provato a Florine di aver comperato il suo sesto da Finot. E domani io sarò redattore capo, e guadagnerò mille franchi al mese. Tutte le mie pene stanno per finire! – esclamò l’amante di Florine. Lousteau uscì lasciando Lucien intontito, sperduto in un abisso di pensieri sul mondo quale realmente è. Dopo aver visto alle Galeries-de-Bois gli artefici dell’industria libraria e gli intrighi della gloria, dopo aver vagabondato dietro le quinte del teatro, il poeta intravvedeva il rovescio delle coscienze, il complicato congegno della vita parigina, il meccanismo di tutto. Aveva invidiato la fortuna di Lousteau ammirando Florine sulla scena. Da qualche minuto aveva già dimenticato Matifat. Rimase al suo posto per un tempo incalcolabile, quasi cinque minuti. Fu un’eternità. Pensieri ardenti gli infiammavano l’anima, allo stesso modo che i suoi sensi erano accesi dallo spettacolo di quelle attrici dagli occhi lascivi resi più ammalianti dal trucco, dai seni abbaglianti, vestite di voluttuose gonnelline che ricadevano in pieghe silenziose e che, corte com’erano, facevano vedere le gambe rivestite di calze rosse a righe verdi, calzate in modo da mandare il pubblico in visibilio25. Due tipi di corruzione procedevano per sentieri paralleli, come due specchi d’acqua che vogliano congiungersi durante un’inondazione; e divoravano il poeta lì in un angolo del palco, mentre col braccio posato sul velluto scarlatto del parapetto, la mano penzoloni, teneva gli occhi fissi sul sipario ed era tanto più sensibile all’incantesimo di quella vita fatta di luci e d’ombre in quanto essa splendeva come un fuoco d’artificio dopo la notte profonda della sua vita laboriosa, monotona, oscura. H. de Balzac, Illusioni perdute, trad. it. di A. D’Amato, Editori Riuniti, Roma 1965

24. imbeccata: istruita.

25. in visibilio: in estasi.

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L’età del Romanticismo

Analisi del testo Lucien e Julien Sorel

> La ricerca del successo

Anche Lucien, come il Julien Sorel stendhaliano ( T14, p. 277), è un giovane pieno di ideali, oltre che di ambizioni; ma mentre Julien è un carattere energico ed eroico, che non riesce mai ad accettare fino in fondo il compromesso con la realtà, e che proprio per questo si perde, Lucien è un carattere debole, facilmente suggestionabile e malleabile, pronto ad adattarsi a qualunque cosa pur di avere il successo. A tutta prima prova ripugnanza dinanzi al mondo totalmente mercificato del giornalismo, dell’editoria, del teatro, che è la negazione dei suoi ideali («Vedo la poesia gettata nel fango», r. 46). Ma più forte della ripugnanza è il bisogno di successo, di ricchezza, di piaceri, che lo riscattino dalle umiliazioni della sua nascita. Per questo resta irresistibilmente affascinato dallo splendore apparente di quel mondo e giunge facilmente a tacitare la sua coscienza. Lucien non è un eroe intimamente problematico come Julien. Questo episodio non è che un frammento di una lunghissima sequenza narrativa che si svolge sull’arco di poche ore, dalle cinque del pomeriggio alla notte inoltrata. Sono le ore decisive dell’esistenza di Lucien, ed anche il nucleo centrale del romanzo. In questo breve arco di tempo, guidato dal nuovo amico Lousteau, egli fa il suo ingresso in quel mondo culturale che aveva solo visto dall’esterno e da lontano.

> L’inferno della mercificazione

Lousteau come Mefistofele

Un eroe passivo

È una sorta di discesa agl’Inferi, in cui l’eroe esplora tutta la negatività della vita culturale parigina. È l’inferno della mercificazione dell’intelligenza e dell’arte, dove tutto è regolato dal denaro («Da due ore, alle orecchie di Lucien, tutto si risolveva in quella magica parola: il denaro», rr. 37-38). Il denaro è la fosca divinità a cui tutto si sacrifica, coscienza, dignità, sentimenti. Lousteau è il Virgilio di questa discesa, che però non ha come fine la redenzione, bensì la corruzione dell’eroe; o meglio, assume il ruolo che ha Mefistofele nei confronti di Faust: alletta Lucien con la promessa di beni per avere la sua anima. L’atteggiamento di Balzac verso il suo eroe è critico. Non c’è in lui l’ammirazione di Stendhal per l’energia eroica di Julien Sorel. Julien è comunque artefice del suo destino e della sua rovina attraverso le sue azioni. Lucien è invece “agito” dal meccanismo sociale: la società parigina, secondo le leggi del mercato che ormai dominano anche la cultura nella società capitalistica, consacra in un attimo la sua gloria, ma in un attimo la distrugge.

Pierre CarrierBelleuse, Nel vagone ferroviario, 1879, olio su tela, Collezione privata.

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Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

Esercitare le competenze ComPrendere

> 1. Sintetizza, anche con uno schema, i fatti (non i discorsi) riportati nel brano. > 2. Riporta l’opinione di Étienne Lousteau a proposito della coscienza umana, dei rapporti sociali e del giornalismo, indicando i punti del testo in cui sono affrontati questi argomenti.

> 3. Quale ritratto della figura femminile emerge dal brano? Rispondi attraverso puntuali riferimenti al testo. AnALizzAre

> 4. > 5.

Definisci, in base al testo, la posizione del narratore. Nel brano compaiono affermazioni dal tono sentenzioso: individuane qualche esempio significativo, indicando da chi sono pronunciate e spiegandone la funzione. narratologia Stile

APProfondire e inTerPreTAre

> 6.

esporre oralmente Svolgi un commento sul ruolo assegnato al denaro nell’episodio antologizzato e poi estendi la tua riflessione al rapporto fra l’intellettuale e il nascente mercato della cultura durante l’età romantica (max 5 minuti).

SCriTTUrA CreATiVA

> 7. Prendendo spunto dal brano analizzato, e attualizzando la vicenda, elabora una versione in chiave contem-

poranea della pagina di Balzac, riflettendo in particolar modo sulle analogie che il contesto delineato dall’autore ottocentesco presenta in riferimento all’odierno ambiente del giornalismo, dell’editoria e dello spettacolo, popolato sia da validi professionisti sia da individui ambiziosi e senza scrupoli. Scegli un titolo per il tuo scritto e non superare le 80 righe (4000 caratteri).

microsaggio

Il romanzo di formazione

Il giovane e il romanzo moderno La modernità come mobilità

La gioventù simbolo della modernità Il Wilhelm Meister

Gli eroi stendhaliani

modernità e giovinezza L’esame dei due romanzi di Stendhal e di Balzac rende necessario introdurre il concetto di romanzo di formazione. È uno dei filoni narrativi più importanti all’interno della tradizione del romanzo moderno. Al centro di esso vi è la figura del giovane che, attraverso le sue esperienze, si “forma”, diviene maturo. Ma perché il romanzo moderno ha prediletto come argomento proprio la figura del giovane? Tra Sette e Ottocento, attraverso le due grandi rivoluzioni, quella politica (in Francia) e quella economica (industriale), l’Europa piomba nella modernità. Una modernità che si presenta innanzitutto come mobilità, dinamismo, trasformazione continua, rapida, radicale, quale non si era mai conosciuta prima. Una mobilità che genera irrequietudine, insoddisfazione, un tendere sempre oltre ciò che si è e si ha. Ebbene, sono questi, appunto, gli attributi tipici del giovane, che si affaccia curioso, avido ed irrequieto ad esplorare il mondo. Nella gioventù si manifestano le caratteristiche essenziali di questa età, tutta protesa verso il futuro. Perciò la gioventù viene assunta dalla letteratura come “forma simbolica” della modernità, immagine che raccoglie in sé il senso essenziale della nuova epoca. Goethe, Stendhal, Balzac Il capostipite del romanzo di formazione può essere considerato Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister di Goethe (1797). La formazione che il giovane protagonista vive è una sintesi armonica di autonoma realizzazione della propria individualità e di integrazione nella società, con l’accettazione serena delle norme della collettività. Lo schema della formazione di un giovane nel contatto con la realtà sociale del suo tempo ritorna poi in alcuni dei più grandi romanzi dell’Ottocento, come Il rosso e il nero e La Certosa di Parma di Stendhal, Illusioni perdute di Balzac, L’educazione sentimentale di Flaubert, senza dimenticare I promessi sposi di Manzoni. La vicenda del romanzo di Goethe si collocava prima della Rivoluzione: il conflitto era ancora di là da venire. Nel caso degli eroi stendhaliani esso invece è già trascorso. Julien e Fabrizio, che hanno il culto di Napoleone, si trovano di fronte il mondo della Restaurazione, e devono in qualche modo accettarlo. Ma gli ideali che conservano nel loro segreto li rendono insofferenti ai compromessi con l’assetto esistente. Gli interessi

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L’età del Romanticismo

Le Illusioni perdute

reali, il desiderio di felicità, il bisogno di affermazione, entrano in contrasto con gli ideali prefissati. Ne nasce un eroe problematico, intimamente contraddittorio. A differenza che nel Meister, l’autonoma realizzazione individuale e l’integrazione nella società non sono più armonizzabili, ma appaiono incompatibili. Questi eroi non diventeranno mai “maturi”, ma saranno sempre in conflitto col loro mondo. Nelle Illusioni perdute non c’è più il conflitto tra gli ideali e la realtà storica che li nega. L’eroe, Lucien, ha una totale capacità di adattamento. Non vi sono più in lui lotte interiori, né un’opposizione allo spirito del tempo, ma solo il desiderio d’integrarsi in ciò che esiste. Il suo obiettivo è il successo, non più come premio di azioni eroiche, come per Julien Sorel, ma come fine a se stesso; ed il successo è soggetto alle leggi della moda: Lucien scrive un articolo, ha un successo fulmineo, trionfa sul mercato, ma altrettanto rapidamente si logora e viene gettato via. L’educazione sentimentale di flaubert L’eroe dell’Educazione sentimentale, Frédéric Moreau, anziché affrontare la lotta col mondo esterno tende alla passività. Nella sua vita non accade mai nulla di risolutivo, o, quando si presenta una grande svolta, l’eroe tende a frenarla, impedirla, accontentandosi di fantasticare, anziché vivere nella realtà. Insomma, Frédéric tende a protrarre indefinitamente la gioventù, come pura potenzialità di mille vite future, campo infinito di possibilità. Anziché preparare a qualcos’altro, la maturità, la gioventù diviene valore in sé. Ma se la gioventù aspira ad essere solo se stessa, non ad essere addestramento per la maturità, è segno che il romanzo di formazione è finito: L’educazione sentimentale pone termine ad esso.

La svalutazione della gioventù: David Copperfield

La lontananza dell’Italia dal sentire moderno

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il romanzo inglese Un caso a parte è costituito dal romanzo inglese. La gioventù diviene forma simbolica in una società in trasformazione: la figura del giovane eroe in esplorazione delle possibilità del mondo concentra in sé, come si è visto, le incertezze e le tensioni di tutta la società. Ma la società inglese dell’Ottocento è la più assestata d’Europa, con una gerarchia di valori molto stabile. È un mondo compatto, che salda insieme tradizione e progresso; perciò non vuole specchiarsi nell’avventurosità della gioventù che sperimenta il mondo. Di conseguenza nel romanzo di formazione inglese si assiste alla svalutazione della gioventù: essa è solo passibile di sbagliare, e le esperienze più significative non sono quelle che modificano le scelte compiute nell’infanzia, ma quelle che le confermano. Il caso di David Copperfield è esemplare. L’unico personaggio importante che incontra dopo l’infanzia è Dora, la moglie bambola; ed il suo è un matrimonio sbagliato, che rischierebbe di bloccare tutte le sue possibilità, se Dora non morisse. Mentre David trova la realizzazione di sé sposando la fanciulla che conosce fin dall’infanzia, Agnes Wickfield (per tutto il discorso sin qui condotto abbiamo tenuto presente lo studio fondamentale di F. Moretti, Il romanzo di formazione, Garzanti, Milano 1986). I promessi sposi Ancora diverso è il caso italiano. I promessi sposi, oltre che un romanzo storico, un romanzo realistico e un romanzo saggio, si possono considerare anche un romanzo di formazione. Ma il giovane eroe manzoniano, Renzo, non è un borghese, un rappresentante della classe emergente come Julien Sorel, Lucien de Rubempré, Frédéric Moreau, bensì un proletario, operaio-contadino; e la sua vicenda si svolge in un tempo storico lontano dalla modernità, che è, anzi, l’antitesi della modernità, come lo scrittore stesso sottolinea con insistenza. Anche in Renzo vi sono ideali di giustizia sociale che sono smentiti dalla realtà, ed a cui l’eroe deve rinunciare, accettando la realtà così com’è. Ma nella visione manzoniana l’accettazione rassegnata dell’esistente non è una sconfitta, come per Julien e Lucien, bensì una vittoria e una piena realizzazione per l’eroe appartenente allo strato sociale degli “umili”. Renzo, alla fine del romanzo, abbandonandosi alla Provvidenza e rinunciando ad ogni velleità di lotta individuale contro le ingiustizie del mondo, ottiene la serenità dell’anima, oltre ad una discreta promozione sociale. Il romanzo storico manzoniano, presentando la formazione di un popolano di un’epoca arretrata, che accetta l’ordine esistente, testimonia quanto l’Italia fosse ancora lontana dalle tematiche tipiche della modernità, in quanto stava appena affacciandosi allo sviluppo moderno in campo economico e sociale. Se l’avventurosa esplorazione del giovane eroe è impossibile sul piano politico, riesce però in qualche misura nel campo sociale. L’intraprendenza di Renzo che investe nell’attività industriale (il filatoio) è già un preannuncio embrionale dello spirito della modernità. Alla categoria del romanzo di formazione si può assegnare anche Le confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo.

Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

4 Il romanzo “nero”

Poe Melville

A14

La narrativa negli Stati Uniti In età romantica, accanto alla narrativa realistica, che rappresenta o la vita degli uomini nel passato, come nel romanzo storico, o costumi contemporanei, si sviluppa un filone antitetico, che ama indagare il mistero, il sovrannaturale, e creare atmosfere di orrore e di incubo, esplorare cioè non il lato in piena luce della realtà, ma il lato oscuro, in ombra. Di questo filone letterario è rappresentativo il romanzo “nero”, nato già nel Settecento ( Il romanzo “nero”, p. 306). A questa categoria appartiene una buona parte della narrativa americana nel primo Ottocento. Ne è un tipico rappresentante Poe ( A14 e T16, p. 294), con i suoi racconti del mistero e dell’orrore. Ma vi si può ascrivere per molti aspetti anche il romanzo Moby Dick di Melville ( A15, p. 307 e T17, p. 308), in cui il mostro, la balena bianca, è l’incarnazione della zona buia e inquietante della realtà, in cui si annida il Male, proiezione delle forze malvagie che si celano nel profondo dell’uomo.

edgar Allan Poe La vita Nacque a Boston nel 1809, da attori girovaghi. Il padre era alcolizzato e trasmise al figlio il vizio dell’etilismo. Rimasto orfano, fu adottato da un ricco mercante, J. Allan (da cui il secondo nome), ma con il patrigno ebbe sempre rapporti difficili. La sua giovinezza fu tormentata ed inquieta; fu giocatore, bevitore, vagabondo, ma già nel 1827 pubblicò la prima raccolta di versi, Tamerlano e altre poesie. A scrivere era spinto anche dal bisogno: i suoi racconti, pubblicati su periodici, avevano successo, ed egli fu spronato a praticare quel genere letterario. Fu direttore di varie riviste, e passò dall’una all’altra sempre più inquieto e insoddisfatto. Nel 1847 gli morì la giovane moglie; fu per lui un trauma terribile, che lasciò traccia in alcuni dei suoi racconti più allucinati. Nel 1849, a Baltimora, per strada, mentre usciva da una taverna, fu colto da un attacco di delirium tremens (conseguenza dell’alcolismo), che lo portò alla morte. Le opere e la poetica Tra le sue opere si possono ancora ricordare le Poesie (1831), il

L’artista maledetto

I caratteri dell’arte di Poe

romanzo avventuroso e fantastico Gordon Pym (1837) e i racconti di Grotteschi ed arabeschi (1840). Ha lasciato anche scritti critici di grande acutezza (Filosofia della composizione, 1846), in cui sono anticipati princìpi che saranno propri del Decadentismo. Con la sua vita disordinata e inquieta ed i suoi atteggiamenti ribelli, Poe incarna la tipica figura dell’artista romantico ed anticipa già la figura del “poeta maledetto”, che sarà propria del secondo Ottocento. Per questo fu ammirato da un altro grandissimo artista “maledetto”, Charles Baudelaire, che gli assicurò fama in Europa traducendo i suoi Racconti straordinari. Attraverso Baudelaire, Poe ebbe larga influenza sugli scrittori scapigliati del secondo Ottocento. L’arte di Poe, specie nei suoi racconti, è una delle espressioni più profonde di un’essenziale tendenza romantica: l’esplorazione della zona buia della psiche, dove si annidano i “mostri”, i terrori, le angosce, gli impulsi inconfessabili. È questa la caratteristica di quel filone della letteratura romantica che viene definito “nero”. I racconti di Poe sono dominati da atmosfere allucinate, stravolte, dense di mistero, talvolta ottenute con grande economia di mezzi, talvolta invece puntando sul macabro e l’orroroso. Poe fu anche il creatore di un genere destinato ad immensa fortuna, il racconto poliziesco, fondato su un misterioso delitto e sulla ricerca dell’assassino da parte di un acuto investigatore (I delitti della via Morgue, L’assassinio di Marie Roget). 293

L’età del Romanticismo

T16

edgar Allan Poe

La rovina della casa degli Usher

Temi chiave

• un mistero che si svela lentamente • l’opposizione tra vita e morte e tra ragione e irrazionale

da Grotteschi ed arabeschi Il racconto risale al 1839 e fu pubblicato nel 1840.

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Per tutta una fosca giornata, oscura e sorda, d’autunno, col cielo greve e basso di nuvole, avevo cavalcato da solo traverso a una campagna singolarmente lugubre fino a che mi trovai, mentre già cadeva l’ombra della sera, in vista della malinconica casa degli Usher. Non so come, ma appena l’ebbi guardata una sensazione d’insopportabile tristezza mi prese l’anima. Insopportabile, dico, già che non le si univa il sentimento poetico e perciò quasi piacevole che accompagna in genere le immagini naturali anche quando siano le più cupe della desolazione e del terrore. Guardavo la scena che mi stava davanti: e lo spettacolo della casa e del paesaggio all’intorno, le fredde mura, le finestre come vuote orbite, i radi filari di giunchi e alcuni bianchi tronchi risecchiti, mi davano un avvilimento così estremo che potrei paragonarlo soltanto allo stato del mangiatore d’oppio durante l’amaro ritorno alla realtà quotidiana, l’orribile momento in cui il velo dilegua. Era un gelo nel cuore; e una oppressione, un malessere, e nella mente un invincibile orrore, che la rendeva inerte ad ogni stimolo della fantasia. Che cosa, dunque, mi soffermai a pensare, rendeva tanto penosa la contemplazione della casa degli Usher? Ma rimaneva un mistero insolubile; né io riuscivo ad aver ragione delle ubbie1 tenebrose che mi si affollavano dentro mentre riflettevo. E fui costretto a ritrarmi sulla conclusione poco soddisfacente che esistono combinazioni di oggetti naturali e semplicissimi che hanno potere di rattristarci fino a un tal punto, ancorché l’analisi di questo potere dipenda da considerazioni troppo profonde rispetto a noi. Pensavo che forse una qualsiasi differenza nella disposizione degli elementi della scena, dei particolari del quadro, sarebbe bastata a modificare o persino forse a distruggere tanta forza di dolorosa impressione; spinto da questo pensiero, condussi il cavallo sulla riva scoscesa d’un lugubre stagno d’acque morte che si stendeva, nel suo nero luccicore, presso la dimora; e guardai, ma ne ebbi un tremito ancora più profondo; guardai, riflesse, capovolte, le immagini dei giunchi di cenere, dei tronchi sinistri e delle finestre simili ad occhi vuoti. Era in questo soggiorno di malinconia, che io mi disponevo nondimeno a vivere per qualche tempo. Il proprietario, Roderick Usher, era stato fra i più cari compagni della mia infanzia, sebbene parecchi anni fossero trascorsi dall’ultimo nostro incontro. E tuttavia, una lettera mi aveva ultimamente raggiunto in una lontana regione del paese, una lettera di lui, il disperato tono della quale non ammetteva altra risposta che la mia presenza. La calligrafia palesava una agitazione nervosa. Ed Usher mi parlava di una acuta malattia fisica, d’uno squilibrio mentale che l’opprimeva, e d’un ardente desiderio di vedermi, chiamandomi il suo migliore ed anzi unico amico; nella gioia della mia presenza, sperava trovare qualche sollievo al suo male. Fu il tono di queste parole e di molte altre ancora, fu la profusione di cuore che accompagnava questa preghiera, a non concedermi modo di esitare; e senz’altro obbedii, pur meravigliandomene, come d’un ordine singolare. Nonostante l’intimità che ci aveva uniti da ragazzi io sapevo ben poco del mio amico. Egli aveva mantenuto, d’abitudine, un eccessivo riserbo. Mi era noto tuttavia che la sua

1. ubbie: timori infondati.

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famiglia antichissima si era distinta da tempo immemorabile, per il temperamento d’una speciale sensibilità dispiegato2, attraverso i secoli, in opere d’arte elevata, e, da ultimo, in ripetuti atti d’una generosa quanto discreta carità, come nella vocazione appassionata per i labirinti della scienza musicale (più, forse, che per le sue ortodosse e facilmente riconoscibili bellezze). Avevo appreso anche che dal tronco tanto glorioso dell’antica razza degli Usher non erano sorti mai durevoli rami; che, in altre parole, a parte qualche effimera eccezione, l’intera famiglia si era perpetuata nella pura sua discendenza diretta. Era stata questa mancanza, pensavo, e intanto fantasticavo sul perfetto combaciare del carattere del luogo con quello ben noto della razza, e riflettevo sull’influenza che in tanti secoli l’uno poteva aver esercitato sull’altro; era stata forse questa mancanza di deviazione collaterale e la conseguente trasmissione continua di padre in figlio dell’eredità del patrimonio e del nome, a identificarli l’uno nell’altro fino a trasformare il titolo originario della proprietà nell’equivoco e strano appellativo di “casa degli Usher”, l’appellativo che, per la rustica gente del luogo, sembrava comprendere insieme la famiglia e la sua dimora. Ho detto che il mio atto abbastanza infantile, di guardare giù nello stagno, aveva avuto per sola conseguenza d’approfondire la prima, singolare impressione. E certo la coscienza del rapido intensificarsi della mia superstizione – perché la chiamerei altrimenti? – ne era stato in qualche modo l’agente principale. Questa, lo sapevo da tempo, è la regola paradossale di tutti i sentimenti che hanno alla loro base il terrore. E forse soltanto per questo, quando sollevai di nuovo lo sguardo dal riflesso nello stagno verso la casa, subii una bizzarra immaginazione, così ridicola, davvero, che ne parlo soltanto per mostrar l’impeto delle sensazioni che m’opprimevano. La mia fantasia era così eccitata che credetti di notare intorno alla proprietà un’atmosfera particolare, “sua” e degli immediati dintorni, un’atmosfera diversa da quella del cielo, ma che esalavano gli alberi intristiti, e la muraglia grigia e la silenziosa palude, una vaporosità pestilenziale e mistica, appena visibile ma fosca, inerte e color di piombo. Respingendo da me quel che doveva essere stato un sogno, cercai d’esaminar meglio l’aspetto reale dell’edificio. Carattere principale ne pareva un’eccessiva antichità. I secoli l’avevano profondamente scolorito, e minute fungosità ricoprivano la facciata, fino al tetto, come un delicato intreccio di tessuto. Ma tutto questo non aveva provocato deperimenti straordinari; la fabbrica3 era intatta, e c’era una contraddizione violenta fra il consistere ancora perfetto delle sue parti e il deperimento delle

2. dispiegato: manifestato. 3. fabbrica: costruzione.

Arthur Rackham, Il narratore arriva alla casa del suo amico Roderick Usher, XIX secolo, illustrazione da La rovina della casa degli Usher di Edgar Allan Poe.

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singole pietre, che mi faceva pensare all’integrità speciosa4 di qualche vecchia tavola di legno rimasta lungamente a marcire in una cantina dimenticata, lontano dall’aria esterna. Ma, a parte questa corrosione di tutta la superficie, la casa pareva ancora abbastanza salda; forse l’occhio d’un puntuale osservatore avrebbe scoperto una quasi impercettibile fessura, che, partendo dall’alto della facciata, percorreva il muro a zig-zag perdendosi infine nelle acque malsane della palude. Sempre osservando queste cose, avevo cavalcato lungo il rialzo che portava alla casa. Qui il guardiano mi prese il cavallo; e passai sotto l’arco gotico dell’androne. Un servo dal passo furtivo mi guidò allora, in silenzio, per corridoi bui e intricati verso lo studio del padrone. Molto di quel che incontravo per via valeva, non so come, a rafforzare le oscure impressioni di prima; sebbene le cose fra cui passavo – i foschi arazzi alle pareti, i pavimenti color d’ebano, e gli intarsi dei soffitti, e i trofei fantasmagorici5 le cui armature rumoreggiavano dietro i miei passi – fossero ancora quelle, o simili a quelle cui io ero abituato dall’infanzia; sebbene non esitassi a riconoscerle per tali, esse destavano in me immagini che non mi erano affatto familiari, e io me ne stupivo. Lungo una scala, incontrai il medico di casa; mi parve che la sua fisionomia esprimesse un misto di bassa malignità e di timore. M’incrociò con evidente trepidazione, e passò oltre; il domestico, in quel punto, aprì una porta e mi introdusse. Mi trovai in una stanza dall’alto soffitto e ampissima. Le lunghe finestre gotiche erano così alte, sul nero pavimento di quercia, da divenir assolutamente inaccessibili. E la debole luce cremisi che traversava i vetri ingraticciati bastava appena a lasciar distinguere gli oggetti principali; gli occhi si sarebbero sforzati invano di raggiungere i lontani angoli della stanza, o i recessi della volta intagliata. Oscuri arazzi ricoprivano le pareti; c’era una profusione di mobilio, antico, ingombrante, logoro e sparsi ovunque libri e strumenti musicali che non riuscivano ad animare la scena. Mi accorgevo di respirare un’aria di pena: un’aria di buia malinconia, profonda e irredimibile6 che sovrastava, e pervadeva tutto. Usher, al mio ingresso, lasciò il sofà sul quale era sdraiato, e mi venne incontro con una calda vivacità che mi parve, al primo momento, fatta d’enfasi esagerata con qualche sforzo, per adempiere i noiosi doveri d’un uomo di mondo. Ma bastò che guardassi il suo volto, per convincermi della sua completa sincerità. Ci sedemmo; e, per qualche istante, siccome egli taceva, lo contemplai con un senso di spavento e di pietà. Certo, in un periodo tanto breve, nessun uomo aveva subito mai cambiamento terribile come questo di Roderick Usher! Potevo a stento persuadermi dell’identità di questo spettro che stava davanti a me, con il compagno della mia infanzia; pure, il suo viso aveva sempre avuto caratteristiche singolari. Il pallore eccezionale, gli occhi ampi e liquidi, pieni di luce, le labbra esangui e piuttosto sottili, ma meravigliosamente disegnate; il naso affilato e lievemente ricurvo, dalle narici stranamente larghe per la sua forma; il mento modellato con delicatezza, e che tradiva, con la sua scarsa prominenza, un difetto di volontà; i capelli morbidi e fini, tutto questo, cui si aggiungeva l’enorme ampiezza della fronte, formava una fisionomia che non era facile dimenticare. Ma, ora, un cambiamento così intenso vi era stato portato dall’accentuarsi eccessivo di quelle caratteristiche, che io non sapevo quasi a quale persona parlassi. Ora, la pallidezza da fantasma del volto, e il sorprendente splendore dello sguardo mi colpivano in modo speciale; e mi mettevano paura. Inoltre egli aveva lasciato che i suoi capelli sottili crescessero a piacer loro; vedendoli spumeggiare intorno al suo viso in mille fili sel-

4. speciosa: apparente. 5. fantasmagorici: costituiti in modo tale

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che, accostati senza un ordine preciso, suggerivano immagini fantastiche.

6. irredimibile: che non può essere mutata, riscattata.

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vaggi io non potevo, nonostante ogni sforzo, riferire questa strana immagine d’arabesco7 a una qualunque idea di semplice umanità. Avvertii subito nel contegno del mio amico qualche cosa d’incoerente, ossia d’inconsistente e mi accorsi presto come provenisse dal continuo tentativo, debole e senza speranza, di sormontare un’abituale trepidazione, un eccesso di agitazione nervosa. Mi ci aveva del resto preparato, non solo la sua lettera, ma anche il ricordo di certi momenti della sua infanzia; e tutto quanto si poteva dedurre dalla sua peculiare conformazione fisica e dal temperamento. Nel contegno di Usher si erano sempre alternate vivacità e debolezza; la voce che si perdeva sovente in un tremito d’indecisione (e, allora, pareva che gli spiriti vitali fossero del tutto scomparsi), saliva rapidamente a un tono di concisione energica, a una pronuncia acuta e dura, compatta e insieme vuota, a quell’articolazione gutturale ma perfettamente modulata, che si osserva nei più disperati bevitori e negli oppiomani incorreggibili durante i loro più intensi periodi d’eccitazione. Fu dunque così che egli m’intrattenne intorno alle ragioni della mia visita, il desiderio ardente che aveva di vedermi, e il conforto che sperava di trovare in me. Abbastanza a lungo, parlò di quel che costituiva secondo lui la natura del suo male. Si trattava, secondo le sue parole, d’una ancestrale8 irrimediabile malattia; no, d’una semplice affezione nervosa, egli aggiunse immediatamente; che sarebbe certo scomparsa tra poco. Essa si manifestava con una moltitudine di sensazioni anormali; mentre me le citava, più d’una riuscì a interessarmi e a turbarmi; ma forse c’entrò molto il tono delle parole. Lo tormentava una morbosa acutezza dei sensi. Soltanto i cibi privi quasi di sapore gli riusciva di tollerare; soltanto di certe stoffe si poteva vestire; il profumo dei fiori lo soffocava; gli occhi si sentiva torturati dalla più debole luce; ed ogni musica, salvo certi suoni degli strumenti a corda, gli dava orrore. Capii che era lo schiavo impotente d’una strana forma di terrore. «Finirò per morire», mi disse «io devo morire, di questa maledetta pazzia. Finirò così, così e non altrimenti. Se ho paura di quel che sta per venire, non è altro che per i suoi effetti su di me. Mi dà i brividi pensare alle conseguenze che un qualsiasi incidente, anche il più banale, può avere su questa agitazione tremenda della mia anima. Davvero, non provo orrore del pericolo che per la sua conseguenza sicura: il terrore. Sento che in questo mio triste stato, in questo stato d’impotenza, vado incontro presto o tardi al momento che la vita e la ragione mi abbandoneranno allo stesso tempo, nel mentre si dibattono contro il sinistro spettro, la PAURA!». Appresi anche, per intervalli, e traverso confidenze rotte ed ambigue, un altro strano aspetto della sua situazione morale. Si sentiva incatenato a impressioni superstiziose – riguardanti la sua dimora, dalla quale non osava uscire da molti anni – riguardanti un influsso della cui presunta potenza egli parlò con parole troppo tenebrose perché io le possa riportare qui; un influsso ch’erano riusciti ad ottenere su di lui, per via di lunghe sofferenze, talune caratteristiche della forma e della materia stessa della dimora avita9; un influsso esercitato a poco a poco, sulla sua esistenza morale, dal fisico delle torri e dei muri grigi e della nera palude che li rifletteva. Esitando, egli ammetteva tuttavia che gran parte della sua singolare tristezza proveniva da un’origine più naturale e molto più semplice; dalla malattia lunga ed aspra, anzi, dall’evidente avvicinarsi della morte di una sorella adorata, sua sola compagna per molti anni, sua sola parente ormai sulla terra. «La morte di lei» egli proseguì con un’amarezza che non dimenticherò più «mi farà l’ultimo dell’antica razza degli Usher: resterò solo

7. immagine d’arabesco: l’arabesco è una decorazione tipica dell’arte islamica, costi-

tuita da bizzarri intrecci di linee. 8. ancestrale: atavica, che proviene dagli

antenati. 9. avita: ereditata dagli avi.

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io, così fragile e disperato!» Mentre parlava, lady Madeline (poiché questo era il suo nome) lentamente passò per il fondo della stanza e sparì senza darmi segno d’essersi accorta di me. Mi suscitò uno stupore estremo, e paura: non riuscii però nemmeno a rendermi conto di queste sensazioni. Un’atmosfera di sbalordimento m’opprimeva intanto che i suoi passi si allontanavano. Allorché, infine, una porta si fu richiusa dietro di lei, il mio sguardo cercò con ansia istintiva lo sguardo del fratello; ma egli aveva seppellito il viso tra le mani, e potei soltanto vedere che una bianchezza anormale gli aveva preso le dita smagrite ed umide di lagrime. La malattia di lady Madeline si faceva gioco da tempo della scienza dei medici. Le strane sue caratteristiche consistevano nell’ostinata apatia, nel progressivo sfinimento del fisico, rotti da crisi rapide e frequenti di semicatalessi. Fino allora ella aveva portato il suo peso con fermezza, e neppur si era rassegnata a restare a letto; ma, sulla fine della mia prima serata nella casa, bisognò che cedesse (così m’informò durante la notte e con immensa agitazione il fratello) alla potenza del male; seppi che probabilmente non sarebbe più apparsa al mio sguardo, che, almeno vivente, non l’avrei più riveduta. Né Usher né io per alcuni giorni pronunciammo il suo nome; in questo periodo non risparmiai sforzi per confortare il mio amico; e leggevamo o dipingevamo, e ascoltavo talvolta, come dentro un sogno, le sfrenate e suggestive sue improvvisazioni colla chitarra. Meglio la nostra crescente intimità mi permetteva d’entrare nel fondo della sua anima, e meglio potevo comprendere quanto amaramente inutili fossero tutti gli sforzi per risanare uno spirito dal quale il buio, come una qualità sua particolare e positiva, si riversava in un’incessante irradiazione luttuosa sopra tutti gli oggetti dell’universo. Peserà sempre su di me il ricordo delle molte ore gravi che trascorsi così, io solo, col padrone della casa degli Usher. Ma tenterei invano di riferire con esattezza il carattere degli studi ed occupazioni nei quali egli mi implicava. Una spiritualità morbosa illuminava le cose col suo splendore di zolfo. Le lunghe nenie che Usher improvvisava risuoneranno eternamente nella mia mente; e rammento, in modo speciale, una perversa e sconcertante deformazione dell’ultimo valzer, del selvaggio ultimo valzer di Weber10. Quanto alla pittura che gli nasceva dal calore della tormentata immaginazione, e che io vedevo concretarsi, pennellata per pennellata, in misteriose forme che più non riuscivo a comprendere e più mi facevano rabbrividire; quanto alla sua pittura, benché ne abbia tuttora l’immagine viva davanti agli occhi, non saprei ridurne che una parte minima dentro al compasso della parola scritta. Il pittore afferrava, teneva stretta l’attenzione attraverso un’estrema semplicità e quasi nudità di mezzi. Se riuscì mai, un mortale, a dipingere un’idea, questo mortale fu Usher. Certo, per me – nelle circostanze in cui mi trovavo – dalle astrazioni che il mio malinconico compagno s’infervorava a dipingere sorgeva una irresistibile impressione di terrore; impressione che non ho nemmeno per ombra provato a contemplare le pur incandescenti ma troppo concrete fantasmagorie di Fuseli11. Forse una tra queste rappresentazioni fantasmagoriche del mio amico, perché meno rigidamente astratta, può venir lievemente adombrata dalle parole. Si trattava di una piccola tela con un interno di cantina o di sotterraneo rettangolare, immensamente lungo, dalle pareti basse; bianco, liscio, senza interruzione né ornamento. Alcuni particolari del disegno servivano a lasciar comprendere come ci si trovasse ad una enorme profondità sotto la superficie della terra. Nell’ampia distesa del sotterraneo non si scorgevano uscite, e non si scorgevano torce né altre sorgenti di luce, ma un incomprensibile fiume di raggi lo riempiva d’uno splendore intenso, squallido e solitario…

10. Weber: Carl Maria von Weber (17861826), musicista tedesco.

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11. fantasmagorie di Fuseli: forma inglese del nome del pittore e scrittore d’arte sviz-

zero Füssli (1741-1825), che dipinse figure allucinate, d’incubo.

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Ho accennato come il nervo acustico dell’infelice non tollerasse nessuna musica all’infuori che certi suoni degli strumenti a corda. Era stata forse la ristrettezza dei limiti dentro i quali, per questa affezione morbosa, egli era costretto a suonare la chitarra, che aveva in gran parte provocato la bizzarria delle sue composizioni. Ma non si poteva pensare così della fremente facilità dei suoi impromptus12. Sia le note sia le parole delle sue sfrenate fantasie (egli accompagnava spesso la propria musica con dei versi) dovevano essere, ed erano infatti, il risultato di quell’intensa concentrazione di forze spirituali che, come ho detto più sopra, si produce in momenti specialissimi della più acuta eccitazione artificiale. Ho potuto ricostruire facilmente nella mia memoria le parole d’una delle rapsodie. M’impressionarono forse più del giusto, quando le conobbi; perché, nel loro profondo, o, diciamo, più mistico significato credetti per la prima volta di scoprire una piena coscienza, da parte di Usher, che la ragione gli si oscurava. Questi versi s’intitolavano Il palazzo maledetto e se non precisamente, almeno press’a poco, sonavano così: 4 1 Scintillava di perle e rubini Nella nostra più verde vallata, la porta del bel palazzo abitata dagli angeli, e ne usciva a torrenti, a torrenti un palazzo grandioso, una volta, una folla smagliante di Echi; innalzava la fronte raggiante; la cui dolce funzione era solo nel dominio del re Pensiero, di cantare cantare cantare, la sua fronte si ergeva laggiù! con le voci più belle del mondo, Mai spiegò, serafino13, le ali su dimora splendente così. la sapienza sottile del re… 2 Sulla cima, ondeggiavano al vento vittoriose bandiere dorate (è lontan, tutto questo, nel tempo, è lontano, di tanto tempo fa); in quei giorni felici d’allora a ogni fragile fiato di vento lungo i chiari bastioni, fra l’erba, passava un profumo leggero.

5 Ma genii del male, vestiti a lutto assalirono la casa del monarca (ah piangiamo, piangiamo, ché mai l’indomani avrà alba per lui!), sì che intorno alla casa, la gloria risplendente una volta di porpora si è mutata in oscura memoria degli anni travolti laggiù.

3 Il viandante, guardando il castello, due finestre lucenti scorgeva; e là dietro, movimenti armoniosi di fantasmi obbedienti ad un liuto; tutt’intorno ad un trono; seduto (porfirogénito14!) il re, il signore di tutto il regno, era, nella sua gloria, veduto.

6 Chi percorre, ancora, la valle, dietro quelle vetrate rossastre scorge forme in un moto confuso, ode musiche senza ritmo; mentre esce una folla di mostri attraverso la porta oscura, come un fiume lugubre in piena; ride ma non sorride più.

Ricordo, con esattezza, che abbandonandoci alla corrente di sensazioni e di idee destate da questa ballata, giungemmo a un punto dove si rese manifesta un’opinione di Usher che desidero citare non per la sua assoluta novità (poiché altri* hanno affermato la stessa cosa)

* Watson, il dottor Percival, Spallanzani, e soprattutto il vescovo di Landaff. Vedi Chemical Essays, vol. V. [nota dell’autore] 12. impromptus: composizioni musicali a schema libero.

13. serafino: i serafini sono gli angeli più vicini a Dio.

14. porfirogénito: nato nella porpora; era appellativo degli imperatori bizantini.

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ma per l’energia ostinata con la quale egli la sosteneva. Quest’opinione, in complesso, riguardava la sensibilità del mondo vegetale, sensibilità che Usher affermava con forza. Ma nella sua mente eccitata essa aveva preso un carattere più audace, e, sotto certe speciali condizioni, abbracciava l’intero mondo inorganico. Mi mancano parole per esprimere la pienezza, l’accanita certezza di questa sua convinzione. Essa si riattaccava in ogni modo, come ho accennato, alla realtà singola della vecchia dimora, delle sue pietre grigie. Le condizioni necessarie per la “sensibilità” erano state osservate qui, egli pensava, nel metodo seguito per collocare ogni pietra, nell’ordine che si era loro dato e nell’ordine naturale in cui le fungosità che le ricoprivano erano cresciute, in cui gli alberi intristiti le circondavano, soprattutto nella lunga immutabilità della scena, e in quel suo riflettersi dentro le acque immobili dello stagno. L’evidenza, l’evidenza di questo loro sentire si manifestava, secondo Usher (e, qui, le sue parole mi fecero trasalire), nel concentrarsi lento ma costante di un’atmosfera particolare intorno ai muri, alle acque. Ed egli aggiunse che se ne potevano vedere i risultati nell’influenza silenziosa, ma crudele, che aveva come modellato, attraverso i secoli, il destino della famiglia, e che aveva reso lui quale adesso lo vedevo, quale adesso era. Opinioni simili non si possono commentare. I nostri libri – i libri che per anni avevano formato non piccola parte della vita spirituale dell’infermo – erano, e lo si può immaginare, in relazione stretta col suo carattere di visionario. […] Ma la sua delizia era un in-quarto15 gotico eccezionalmente curioso – il manuale d’una chiesa dimenticata – le Vigiliae Mortuorum secundum Chorum Ecclesiae Maguntinae16. Non potei fare a meno di ricordare le strane ritualità contenute in questo volume, quando, una sera, dopo avermi bruscamente informato della morte di lady Madeline, egli mi comunicò la sua intenzione di conservare il corpo di lei per una quindicina di giorni (in attesa del definitivo seppellimento) in uno dei molti sotterranei scavati dentro le mura maestre dell’edificio. Egli attribuiva al suo disegno, però, una ragione più umana, tanto che non mi parve lecito discuterlo. Mi disse che lo guidava il pensiero della stranezza della malattia che gli aveva rapito la sorella, e della importuna e violenta curiosità scientifica dei suoi medici, che avrebbero potuto approfittare per questo della situazione remota ed indifesa della tomba di famiglia. Non nascondo che rammentando il contegno, e la fisionomia sinistra dell’uomo incontrato la prima sera sulle scale, mi parve di non dovermi opporre in alcun modo a tale precauzione: in ogni caso, assolutamente innocua, e niente affatto innaturale. Dietro preghiera di Usher, lo aiutai nei preparativi per la sepoltura provvisoria. Disposto il corpo nella bara, lo portammo, noi soli, verso il suo primo riposo. Il sotterraneo dove lo deponemmo non veniva aperto da tempo infinito, e le nostre torce, soffocate dall’atmosfera opprimente, davano scarsissima luce. Esso appariva piccolo, umido, senza comunicazione col chiarore del giorno. Era situato a una grande profondità, proprio al disotto dell’ala dell’edificio dove si trovava anche il mio appartamento; negli antichi secoli del feudalesimo doveva esser stato usato come segreta per i casi peggiori, più tardi come deposito di polvere o d’altre sostanze combustibili e il suolo, così come tutto il lungo passaggio a volta che precedeva, era accuratamente foderato di rame. E così la porta che era di ferro massiccio. Il suo peso enorme diede un suono singolarmente acuto e stridente, quando la si fece girare sui cardini. Deponemmo dunque il nostro lugubre fardello in questo luogo d’orrore, su dei cavalletti; spostammo leggermente il coperchio della bara, non ancora inchiodato; e tenemmo un momento gli occhi fissi sul volto del cadavere. Mi colpì immediatamente l’intensa

15. in-quarto: nella terminologia tipografica l’in­quarto è il formato di un libro che si ottiene piegando in quattro un foglio di stampa.

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16. Vigiliae ... Maguntinae: Le veglie dei morti secondo il Coro della chiesa di Magonza.

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rassomiglianza col fratello; e Usher, come indovinando il mio pensiero, mormorò che lui e la defunta erano gemelli, e che inesplicabili affinità li avevano uniti. I nostri sguardi, tuttavia, non restarono su di lei a lungo; ci era impossibile contemplarla senza terrore. Il male che aveva vinto lady Madeline nella piena giovinezza, aveva lasciato l’ironia d’un leggero colore roseo – come succede di solito nelle malattie a stretto carattere catalettico17 – sul collo e sul volto, e le labbra conservavano un sorriso: il sorriso stanco ed ambiguo che è tanto pauroso nella morte. Rimettemmo al suo posto e fissammo con le viti il coperchio; chiusa bene la porta di ferro, riprendemmo con pena il cammino, verso gli appartamenti superiori che ci davano scarsa promessa di conforto. Dopo alcuni giorni di dolore, il disordine spirituale del mio amico subì una evidente trasformazione. Egli non si comportava più come prima, trascurava o dimenticava le sue occupazioni abituali. Errava di stanza in stanza senza scopo, a passi ineguali e precipitosi; e la sua pallidezza si era fatta, se possibile, ancor più spettrale; ma gli occhi avevano perduto ogni luce. Non tornavano più, nella voce, quegli accenti d’incisività rauca; adesso, egli parlava sempre con un tremito come d’estremo terrore. C’erano davvero momenti che io sospettavo nella sua mente il tormento d’un chiuso segreto, per la cui rivelazione gli mancasse il coraggio; altre volte, dovevo vedere in tutto questo soltanto il segno della pazzia poiché mi accadeva di trovare Usher a guardare nel vuoto – e così restava per lunghe ore – nell’attitudine di chi ascolti, con attenzione profonda, qualche immaginario rumore. Ci si può meravigliare che il suo stato mi opprimesse e che, anzi, provocasse in me una specie di contagio? Sentivo arrampicarsi sulla mia anima, con un progresso lento e incessante, il contagio delle folli superstizioni. Fu specialmente verso la settima o ottava notte dopo il trasporto di lady Madeline nel sotterraneo, che, stando a letto, provai la tremenda intensità di queste sensazioni. Il sonno non aveva voluto avvicinarsi al mio guanciale; le ore colavano, colavano lentamente. Avevo tentato, alla fine, di dominare ragionando i miei nervi; volli persuadermi che se non proprio tutto, almeno una gran parte di quel che provavo mi veniva dalla sconcertante influenza delle cose della stanza; forse dalle buie tappezzerie di stoffa che, vecchie e lacerate in più punti, tormentate dal soffio dell’uragano che saliva, si agitavano a tratti sulle pareti, e circondavano il letto del loro inquieto sussurro. Ma i miei sforzi furono vani. Non potevo sormontare il terrore che m’invadeva e si trasformava ormai in angoscia, in un irragionevole incubo che mi opprimeva il cuore. Con uno sforzo più violento riuscii a sollevarmi sul capezzale; appuntando lo sguardo dentro l’oscurità profonda della stanza, stetti ad ascoltare – non so perché, se non per un avvertimento istintivo – e colsi suoni bassi e misteriosi di cui non comprendevo la provenienza; mi giungevano, a lunghi intervalli, attraverso la tempesta. Fui invaso da un intollerabile orrore. Mi vestii in fretta (sicuro che per il resto della notte non avrei egualmente chiuso occhio), e cercai di ritrovare la calma col percorrere su e giù, a grandi passi, la stanza. Avevo fatto soltanto alcuni giri, a questa maniera, quando un passo leggero su per la scala vicina mi fece star di nuovo in ascolto. E riconobbi il passo di Usher. Un attimo dopo, egli bussava piano piano alla porta; ed entrò, reggendo una lampada. La sua fisionomia era sempre d’un pallore spettrale – ma, adesso, negli occhi era anche una sorta d’ilarità insensata – e tutto, in lui, rivelava un contenuto isterismo. Il suo aspetto era spaventoso, ma niente poteva valere, in questo senso, la solitudine che mi era pesata addosso così a lungo, e il suo ingresso mi fu di sollievo. «E voi non avete veduto?» egli esclamò di colpo, dopo qualche istante di silenzio. «Dunque non avete veduto? Ma, aspettate! Dovrete pur vedere!» Così dicendo, dopo aver riparato con cura la lampada, corse precipitosamente verso una delle finestre e la spalancò sulla tempesta.

17. malattie ... catalettico: in queste forme patologiche il malato si immobilizza come in uno stato di morte apparente.

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Il furioso impeto del vento ci strappò quasi dal suolo. Era una terribile notte d’uragano ma solennemente bella, unica nel terrore della sua bellezza. Un turbine si produceva, evidentemente, vicino a noi; perché il vento mutava continuamente di direzione, e la densità eccezionale delle nuvole, così basse che sembrava schiacciassero i bastioni del castello, non ci impediva di distinguere la velocità con la quale, quasi avessero vita, accorrevano da tutte le parti dell’orizzonte l’una addosso all’altra senza distendersi per lo spazio. Ho detto che la loro enorme densità non ci impediva di distinguer questo fenomeno; eppure non c’era luna, non c’erano stelle, non c’era alcun riflesso di lumi. Ma la parte inferiore di queste immense nubi agitate, così come tutti gli oggetti dei nostri immediati dintorni, lucevano del sovrannaturale chiarore d’una esalazione gasosa, che pareva sempre languente e restava tuttavia visibilissima, avvolgendo la casa nel suo sudario. «Voi non dovete, voi non potete vedere questo!» gridai, con un fremito, a Usher, e con dolce violenza lo allontanai dalla finestra, lo costrinsi a sedere. «Queste visioni che vi esaltano», proseguii «sono semplici fenomeni elettrici e abbastanza comuni; o, forse, prendono la loro sinistra origine dai miasmi pestiferi dello stagno. Chiudiamo la finestra; quest’aria gelida non vi può che far male. Ecco uno dei vostri romanzi preferiti. Io leggerò, voi ascolterete, e questa terribile notte, così, la passeremo insieme». Il vecchio libro che avevo preso era Mad Trist, di Launcelot Canning18; ma soltanto per modo di dire gli avevo attribuito la qualità di libro preferito, perché, invero, nella sua scialba e goffa prolissità c’era poco che potesse soddisfare la spiritualità altissima del mio amico. Eppure – come era il solo che avessi a portata di mano – mi abbandonavo alla vaga speranza che l’agitazione cui Usher continuava ad essere in preda trovasse qualche sollievo (la storia delle malattie mentali è piena di simili anomalie) appunto nell’estrema assurdità di quanto stavo per leggere. A giudicare dall’attenzione tesa con la quale venni subito ascoltato, o mi parve venissi ascoltato, avrei potuto rallegrarmi per il successo del mio espediente. Arrivai a quel conosciutissimo punto del racconto in cui Ethelred, l’eroe di Mad Trist, dopo i vani tentativi per entrare pacificamente nella dimora dell’eremita, si dispone ad usare bravamente19 la forza; qui dove, com’è noto, le parole del libro sono queste: «Ed Ethelred, che era stato sempre valoroso e adesso era anche forte, grazie all’efficacia del vino bevuto, non si rassegnò a parlamentare ancora a lungo coll’eremita (il quale, decisamente, aveva la testa dura e maliziosa20); ma sentendo la pioggia sulle sue spalle e temendo che si mutasse presto in tempesta, alzò bene la mazza, e in tre o quattro colpi si aprì un passaggio tra le assi della porta, per la sua mano inguantata di ferro; tirando poi a gran forza con la quale, schiantò e strappò tutto a pezzi, così che il fracasso del legno secco risuonò e gettò l’allarme da un punto all’altro della foresta». Avevo terminato appena questo periodo, che trasalii, arrestandomi un momento; m’era sembrato (ma subito pensai a un gioco dell’immaginazione) udire in una parte remota della casa come un’eco esattamente analoga (benché soffocata e sorda) al rumore di legno schiantato e strappato a pezzi che era stato con tanta proprietà descritto da sir Launcelot. Doveva avermi impressionato, senza dubbio, una pura coincidenza, giacché fra i gemiti dei telai delle finestre e tutti gli altri rumori dell’uragano sempre più intenso, quella sensazione, in se stessa, non aveva niente di preoccupante. E proseguii la lettura: «Ma Ethelred, il campione, entrato finalmente per quella porta, si meravigliò e s’infuriò grandemente di non trovar traccia del malizioso eremita; al suo posto stava un drago mostruoso scintillante di scaglie, e con la lingua di fuoco, che sorvegliava l’ingresso

18. Mad Trist ... Canning: sia l’autore sia l’opera sono immaginari.

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19. bravamente: coraggiosamente. 20. maliziosa: malvagia.

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d’un grande palazzo d’oro, con l’impiantito21 d’argento; dal muro del palazzo pendeva un luminoso scudo di bronzo, che portava scritto: Chi è entrato qui ha mostrato di essere un conquistatore. Ammazzi il drago e avrà vinto lo scudo.

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Ed Ethelred sollevò di nuovo la mazza e la calò potentemente sulla testa del drago; il quale cadde ai suoi piedi, e rese l’anima pestifera con un urlo così orrido ed aspro, e insieme così penetrante, che Ethelred dovette sbarrarsi le orecchie con le mani per non udirne il suono spaventoso, il peggiore che avesse mai udito». Qui, ancora, dovetti fermarmi, e stavolta con smarrimento: non c’era dubbio adesso che, io, non avessi udito (ma non avrei saputo dire in che direzione) un suono basso e apparentemente lontano, ma lungo, aspro, e stranamente stridente; in analogia perfetta con quel che avevo immaginato dell’urlo soprannaturale del drago. Questa nuova e straordinaria coincidenza mi destò una folla di pensieri contraddittorii, dentro a un senso di sbalordimento e di terrore, ma conservai almeno la presenza di spirito per non risvegliare con nessun richiamo la sensibilità morbosa del mio compagno. Non ero sicuro che avesse udito; benché, da qualche minuto, egli avesse stranamente mutato posizione, spostando a poco a poco la poltrona, che prima era dirimpetto alla mia, fino a guardare verso la porta della stanza. Del suo viso scorgevo a malapena il tremito delle labbra, che parevano mormorare parole inafferrabili. La testa gli pendeva sul petto; eppure mi accorgevo che non dormiva dagli occhi che gli vedevo, di profilo, spalancati e rigidi. Anche il movimento del suo corpo, d’altronde, escludeva il sonno, poiché andava in un dolce dondolio uniforme da sinistra a destra, da destra a sinistra. Ma appena notato tutto questo ripresi la lettura. «E adesso, il campione, scampato appena dalla ferocia tremenda del drago, rammentandosi dello scudo di bronzo e che l’incantesimo era spezzato, rimosse il cadavere del mostro, e pose piede sull’impiantito d’argento che circondava il castello, dirigendosi verso lo scudo. Ma in verità, questo non attese la sua venuta; e da solo gli cadde ai piedi con uno strepito metallico, vasto e potente…». A questo punto, come se davvero uno scudo di bronzo fosse caduto pesantemente, sopra un impiantito d’argento, avvertii con precisione un rumore metallico, profondo, sonoro, ma come soffocato. Coi nervi stravolti, balzai in piedi; il movimento del corpo di Usher continuava ininterrotto, uniforme. Mi slanciai verso la sua poltrona: gli occhi di lui rimanevano fissi verso la porta, e tutto il viso era d’una rigidezza di pietra. Ma, quando gli toccai la spalla con la mano, un brusco fremito lo percorse da capo a piedi; un sorriso malato tremolò sulle sue labbra, e vidi che come noncurante della mia presenza egli mormorava parole precipitose, inarticolate. Piegandomi su di lui, riuscii finalmente a comprendere il loro tremendo significato. «Non sentite?… Io sento, sì… e ho già sentito… A lungo…, a lungo…, a lungo… per tanti minuti…, per tante ore…, per tanti giorni…; ho sentito, ma non osavo… oh, pietà di me… sciagurato che sono!… non osavo, non osavo parlare! Noi l’abbiamo chiusa ancora viva nella tomba! Non ve l’ho detto, che ho dei sensi acuti?… E ora vi dico che ho avvertito i primi suoi deboli movimenti dentro la bara. Li ho avvertiti da molti, da molti giorni; ma non osavo, non osavo parlare! E adesso… stanotte… Ethelred… ah, ah!… la porta dell’eremita che va in pezzi, e il tremendo rantolare del drago, e lo strepito dello scudo! Dite, piuttosto, lo squarciarsi della bara, e lo stridore dei cardini di ferro, e la marcia disperata lungo il corridoio foderato di rame! Oh! dove posso fuggire? Forse che lei non giungerà subito?

21. impiantito: pavimento.

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L’età del Romanticismo

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Non si precipiterà forse a rimproverarmi la mia fretta? Non ho già avvertito i suoi passi, su per la scala? Non distinguo forse il battito pesante, terribile del suo cuore? Insensato!». Qui egli si alzò di scatto, e gridò, sillaba per sillaba come se questo sforzo gli strappasse la vita: «Insensato! Vi dico che ora essa è dietro la porta!». Come se l’energia superumana della sua esaltazione si fosse mutata in potenza d’incantesimo, i grandi battenti d’antico ebano che Usher indicava spalancarono con lentezza, in quell’istante, le pesanti mascelle. Fu conseguenza d’una furibonda ventata; ma dietro la porta stava, nel suo sudario, l’alta figura di lady Madeline Usher. C’era sangue sulle sue vesti bianche, e tracce d’un combattimento atroce in ogni punto della persona. Per un attimo essa rimase, tremando e vacillando, sulla soglia; poi, con un lamento profondo, cadde pesantemente in avanti addosso al fratello, e nella definitiva agonia si trascinò insieme il corpo di lui, che il terrore aveva fulminato. Fuggii inorridito dalla stanza, dalla casa. L’uragano sfogava ancora tutta la sua ira, quando mi trovai sul terrapieno. All’improvviso una luce livida riempì la strada, e mi voltai per veder da che luogo potesse provenire, col suo splendore così strano: giacché soltanto la vasta ombra del castello stava dietro di me. Ma la luna piena, color di sangue, splendeva ora attraverso la fessura (una volta visibile appena) che ho detto come percorresse la facciata a zig-zag dal tetto alle fondamenta. Mentre guardavo, la spaccatura s’ingrandì rapidamente; sopravvenne un furioso turbine di vento; subito l’intero disco della luna si presentò ai miei occhi e il cervello mi venne meno al vedere che le possenti muraglie crollavano; si produsse un fracasso immenso e tumultuoso come la voce di mille cateratte, poi la palude buia ai miei piedi si richiuse in tetro silenzio sulle macerie della casa degli Usher. E. A. Poe, Opere scelte, trad. it. di E. Vittorini, Mondadori, Milano 1971

Analisi del testo

> L’ottica narrativa

Il narratoretestimone

È un racconto molto denso e complesso. Un punto di partenza per la lettura può essere l’esame della costruzione narrativa e delle tecniche impiegate. La storia è narrata da un narratore-testimone, che è egli stesso un personaggio della vicenda, ma non il protagonista bensì solo uno spettatore. Il suo è un punto di osservazione esterno e parziale, a cui la realtà della casa e dei suoi abitatori appare misteriosa. Solo a poco a poco il mistero gli si svela; il lettore quindi è messo a parte di esso solo man mano che il narratore scopre le cose. Ciò determina un’altissima sospensione narrativa, che l’adozione del classico narratore onnisciente (quello di Scott, di Manzoni, di Balzac) non avrebbe consentito.

> il sistema dei personaggi

Roderick e Madeline: un’unica persona

Vita e Morte

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Se si esclude il narratore, che è un puro osservatore, il racconto gioca su due personaggi: il nevrotico, ipersensibile Roderick, artista singolarmente dotato, ultimo discendente di una casata in sfacelo, ossessionato da oscuri terrori, e la sorella Madeline, malata e prossima alla morte, che fa inizialmente una rapida apparizione, quasi fosse un fantasma, e ricompare nel finale allucinato e catastrofico. Un particolare essenziale è che i due sono gemelli, legati da una misteriosa affinità, tanto che Roderick si consuma al veder perire la sorella. Ed alla fine Madeline salirà dalla cripta per portare con sé il fratello nella morte. I due sono quindi le due facce di un’unica persona, che ritrova nella morte la sua unità.

> il sistema delle opposizioni

Madeline è una chiara immagine della morte. L’opposizione di significati tra fratello e sorella è dunque un’opposizione Vita/Morte. Ma la Vita è precaria, debole, continuamente insi-

Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti Ragione e Irrazionale

Alto e Basso

diata dalla Morte, minata dalla paura di essere inghiottita dall’abisso. Roderick è un intellettuale: rappresenta la Ragione che tenta di escludere l’irrazionale, la Paura, che prende corpo nella sorella morente e che è parte ineliminabile di lui stesso (si tenga presente la loro somiglianza). La rimozione dell’irrazionale si concreta nella chiusura del corpo della sorella nel sotterraneo. Ma è una rimozione inutile: il rimosso torna prepotentemente, sino a inghiottire la coscienza, abbattendo i fragili baluardi opposti dalla Ragione (il significato del racconto è prefigurato dai versi composti da Roderick: il Palazzo del Pensiero, cioè la Ragione, è assalito da creature malvagie, ed una folla ripugnante si riversa per la sua porta).

> Lo spazio

L’opposizione Vita/Morte, Ragione/Irrazionale si traduce in un’opposizione spaziale, Alto/ Basso. L’Alto è rappresentato dallo studio di Roderick (il luogo dove si esercita il pensiero): è il luogo della Vita e della Ragione. Il Basso è la cripta dove è rinchiuso il corpo della sorella: è il luogo dell’irrazionale, del rimosso, delle potenze oscure che assediano la coscienza. Nel racconto “nero”, del terrore, i sotterranei hanno sempre questa profonda valenza simbolica e rappresentano il fondo buio della psiche da cui emergono i “mostri”, che minacciano di inghiottire la coscienza. È significativo allora che Roderick sia anche un artista: è una rappresentazione simbolica dell’artista romantico, che è ossessionato dall’oscura presenza dell’irrazionale e che tenta di respingerlo, ma ne è alla fine sopraffatto. Su questo racconto si può vedere la classica interpretazione di M. Bonaparte, E. A. Poe. Studio psicanalitico, trad. it. di A. Ciocca - S. De Risio, Newton Compton, Roma 1976 (lo studio è del 1933); studi più recenti, molto acuti, sono: G. Livio, Poe e Butti: paura romantica e consolazione liberty, in AA.VV., E. A. Poe dal gotico alla fantascienza, Mursia, Milano 1978; M. Pagnini, E. A. Poe: il demoniaco e «The Fall of the House of Usher», in Semiosi. Teoria ed ermeneutica del testo letterario, Il Mulino, Bologna 1988.

Esercitare le competenze ComPrendere

> 1. Riassumi il testo in circa 15 righe (1500 caratteri). > 2. Descrivi brevemente (ca. 5 righe o 250 caratteri) la malattia di Usher. > 3. Da che cosa proviene «gran parte della sua singolare tristezza» (r. 174)? AnALizzAre

> 4. Analizza le sensazioni del narratore alla vista di Usher (rr. 114-134) e della sorella di lui, lady Madeline

(rr. 179-186): da che cosa appare turbato? Lessico Sottolinea gli aggettivi e i sostantivi alle righe 1-25: a quale campo semantico rinviano? Quale atmosfera contribuiscono a creare? > 6. Lessico Alla vista della casa il protagonista prova una «sensazione d’insopportabile tristezza», che via via si precisa sempre più, alle righe 7-13, in un crescendo: individua e sottolinea i termini chiave che la descrivono.

> 5.

APProfondire e inTerPreTAre

> 7.

esporre oralmente Secondo Tzvetan Todorov, studioso del genere, nel racconto di Poe il fantastico trapassa irrimediabilmente verso lo strano, per cui:

avvenimenti che sembrano soprannaturali nel corso della storia, ricevono alla fine una spiegazione razionale […]. Così, mentre potrebbero apparire soprannaturali la resurrezione della sorella e il crollo della casa dopo la morte dei suoi abitanti, Poe non ha rinunciato a spiegare razionalmente l’una e l’altra […]. La spiegazione soprannaturale è quindi soltanto suggerita e non è necessario accettarla. T. Todorov, La letteratura fantastica, trad. it. di E. Klersy Imberciadori, Garzanti, Milano 1983

Individua ed esponi le “spiegazioni razionali” fornite dall’autore come soluzione ai due misteri, rileggendo la descrizione della casa alle righe 74-92 e quella della malattia della sorella alle righe 187-189 (max 3 minuti).

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L’età del Romanticismo

microsaggio

Il romanzo “nero” i caratteri del genere È un genere di romanzo diffusosi in Inghilterra a partire dalla seconda metà del Settecento. Il termine usato nella letteratura inglese è propriamente “romanzo gotico”, ad indicare un gusto antitetico a quello luminoso e armonico del classicismo, un gusto per l’orrido e il tenebroso quale si può La teoria riscontrare nel Medioevo “gotico”, appunto. L’amore per il misterioso ed il tenebroso, per l’orrore ed il terrodel “sublime” re si collega con la teoria del “sublime” di Edmund Burke (1729-97), espressa nelle Indagini filosofiche di Burke sulle idee del sublime e del bello (1756). Burke individua un particolare “sublime” del terrore, che scaturisce da soggetti cupi e terrificanti e che, proprio attraverso il terrore, può dare una forma di piacere. il retroterra storico-culturale Ma questo gusto per il “nero” ha evidentemente radici molto profonde L’Inghilterra nel clima di un dato momento storico. È un sintomo eloquente di ciò che si agitava nell’anima europea, di fine Settecento specie in Inghilterra, in un’età di grandiose trasformazioni e di terribili tensioni, quale la seconda metà

L’esplorazione dell’inconscio e la ricerca del Male

Arte Francisco Goya e il lato oscuro della mente

Testi Shelley scienza trasgressiva che genera mostri da Frankenstein • La

Film

• Frankenstein • Moby Dick

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del Settecento. Gli sconvolgimenti delle grandi rivoluzioni, quella politica e quella industriale, che distruggevano un assetto secolare, nella vita materiale come in quella spirituale ( Il contesto, pp. 174 e ss.), non potevano non generare smarrimento e angoscia. La paura proiettata nelle vicende romanzesche “gotiche” esprimeva questa paura più profonda e inconscia e al tempo stesso, attraverso il piacere estetico, la esorcizzava. Ma l’insistenza sull’orrore può essere vista anche da un’altra angolatura: la crisi vissuta dall’anima europea induceva ad abbandonare le grandi impalcature della ragione che sino ad allora avevano sistemato nella loro struttura rassicurante tutte le manifestazioni della realtà, e di conseguenza apriva la strada ad un’esplorazione delle zone oscure della coscienza, dove si agitano gli impulsi più inquietanti. È questa, come si è visto, una delle principali direttrici del Romanticismo. Il romanzo “nero” è appunto una delle prime manifestazioni di questa ricerca, anche se talora la traduce in forme rozze, intese più che altro ad ottenere il successo suscitando nel pubblico forti emozioni. Ma il “nero”, inteso come affascinata esplorazione della dimensione del Male che è al fondo della nostra anima, è destinato a percorrere tutta la letteratura moderna, in forme ben più sottili ed inquietanti, sino ai giorni nostri. La letteratura “nera” straniera L’iniziatore del genere può essere ritenuto Horace Walpole (1717-97), con Il castello di Otranto (1764): compare già in questo romanzo la caratteristica ambientazione italiana (nell’immaginario inglese l’Italia era un paese esotico, di foschi intrighi e di crudeli delitti), nonché lo scenario del castello in cui si verificano sovrannaturali apparizioni. La rappresentante più tipica è Ann Radcliffe (1764-1823), con i suoi romanzi fondati sulla persecuzione di soavi fanciulle da parte di tenebrosi malvagi. Famoso è anche Il monaco (1796) di Matthew Gregory Lewis (1775-1818), in cui un monaco, su istigazione del demonio che ha assunto seducenti forme femminili, perseguita la pura eroina. Se nella Radcliffe permaneva lo scrupolo illuministico di cercare spiegazioni razionali dei fenomeni misteriosi, Lewis si immerge invece fino in fondo nel sovrannaturale, accumulando a piene mani atrocità, orrore, sacrilegi, erotismo perverso. Con il Frankenstein di Mary Shelley (1817) il genere si solleva di livello, dando una densa rappresentazione simbolica dei terrori profondi dell’età. Nel 1820 esce ancora Melmoth l’errante di Charles Robert Maturin (1782-1824) che ha al centro un altro tenebroso eroe del male, condannato ad errare perpetuamente sulla terra. Il genere “nero”, incentrato sul mistero, l’orrore e il terrore sarà portato ai massimi livelli da Edgar Allan Poe ( A14, p. 293 e T16, p. 294), ma elementi “neri” si trovano anche negli altri grandi narratori americani dell’Ottocento, come il Melville di Moby Dick (1851; T17, p. 308). A fine secolo il genere offrirà ancora un interessante campione con Dracula (1897) di Bram Stoker (18471912), che propone il tema del vampiro, altro motivo che, come quello del “mostro”, ossessiona l’immaginario collettivo, come testimonia la sua ripresa costante nel cinema. Singolare analogia con il romanzo “nero” presentano i romanzi di Sade (1740-1814), Justine, o le sventure della virtù (1791) e Juliette, o la prosperità del vizio (1797), incentrati anch’essi sulla persecuzione di una casta eroina da parte di infernali malvagi, che si chiudono in inaccessibili castelli o monasteri per compiere le loro nefandezze. Ma in Sade il racconto è piegato alla dimostrazione di tesi filosofiche, secondo le quali compiere il male significa agire conformemente alle leggi di natura.

Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

I promessi sposi

La perseguitata

Gli elementi comuni con il genere “nero”

A15 Il viaggio e le prime opere

Moby Dick e altri scritti

La letteratura “nera” in italia In Italia il genere “nero” non trova posto nella prima fase del Romanticismo: comparirà solo più tardi, nel secondo Ottocento, con la Scapigliatura, soprattutto dietro suggestione dei racconti di Poe. Ma elementi di “nero”, sia pure attraverso il filtro moderato proprio del nostro Romanticismo, si possono riscontrare nella narrativa del primo Ottocento. Un esempio suggestivo è fornito proprio dai Promessi sposi. A quanto testimonia il figliastro Stefano Stampa nelle sue memorie, Manzoni in gioventù aveva letto questo genere di romanzi e aveva meditato di scrivere anch’egli un «romanzo fantastico». Le tracce di questo romanzo non scritto si possono riconoscere nella filigrana del capolavoro manzoniano. Lo schema delle peripezie di Lucia, l’innocente fanciulla che, insidiata da un nobile dissoluto e arrogante, crede di trovare rifugio sicuro in un monastero e invece cade nelle mani di una monaca corrotta e assassina, con la cui complicità viene rapita da brutali sgherri e tenuta prigioniera nel castello di un «terribile uomo», circondato da una fama infernale di delitti e da un’atmosfera di mistero, ricorda lo schema dei romanzi “neri” di Lewis e della Radcliffe: l’innocenza perseguitata di Lucia si colloca a buon diritto accanto a quella dell’Antonia del Monaco, che subisce la violenza del perverso monaco Ambrosio, della Emily dei Misteri di Udolpho, rinchiusa dal crudele Montoni nel sinistro castello di Udolpho, della Ellen dell’Italiano, vittima delle trame del satanico Schedoni, rapita da sicari, trasportata in carrozza in un solitario convento sui monti degli Abruzzi e tenuta prigioniera dalla badessa. Parimenti gli sfondi su cui l’eroina manzoniana si muove, il monastero pieno di misteri dove cova il delitto, il castello sinistro e inaccessibile del grande fuorilegge, hanno un’inconfondibile aria di famiglia con i monasteri ed i castelli in cui quelle infelici eroine subiscono le loro traversie. Anche i malvagi che perseguitano Lucia, l’innominato e Gertrude, hanno aspetti che li accomunano alla lontana con i malvagi dei romanzi “neri”: il mistero e il terrore che circonda l’innominato, «un uomo o un diavolo», come lo vede don Rodrigo, il peso dei terribili quanto misteriosi delitti che grava sulla monaca di Monza. Persino il ritratto fisico di Gertrude ha alcuni tratti che richiamano quello di Schedoni, oltre a quello dell’eroe byroniano che da Schedoni deriva (si veda al riguardo G. Getto, I capitoli «francesi» dei Promessi sposi, in Manzoni europeo, Mursia, Milano 1971). Sul romanzo “nero” si è scritto molto, anche recentemente; suggeriamo solo alcuni titoli particolarmente significativi: M. Praz, La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica, Sansoni, Firenze 1948; L. Fiedler, Amore e morte nel romanzo americano, trad. it. di V. Poggi, Longanesi, Milano 1963; R. Runcini, La paura e l’immaginario sociale nella letteratura. Il Gothic Romance, Liguori, Napoli 1984; F. Moretti, Dialettica della paura, in Segni e stili del moderno, Einaudi, Torino 1987.

Herman melville Nacque a New York nel 1819 da famiglia alto borghese, ma la rovina economica del padre e la sua morte lo costrinsero alla ricerca affannosa quanto vana di un impiego. Nel 1841 partì con una baleniera per un viaggio nel Pacifico che durò quattro anni, con avventurose peripezie. L’esperienza offrì lo spunto al primo racconto, Typee (1846), che ebbe molto successo, tanto da indurre Melville a scrivere un seguito (Omoo, 1847). Seguì Mardi (1849), complesso romanzo satirico e filosofico, bizzarro e farraginoso, che sconcertò il pubblico ed andò incontro ad un pesante insuccesso. Ciò indusse lo scrittore a riprendere i modi più tradizionali del racconto marinaro (Redburn, 1849, e Giubba bianca, 1850). Nel 1850 strinse amicizia con un altro grande scrittore, Nathaniel Hawthorne. Nel 1851 uscì il suo capolavoro, Moby Dick, ma il romanzo fu di nuovo aspramente respinto dal pubblico, e presto dimenticato. Nello stesso anno iniziò Pierre o delle ambiguità: voleva essere un idillio, atto a piacere al pubblico, ma si trasformò in un’opera cupa, densa di simbolismi astratti. L’insuccesso indusse lo scrittore a ritirarsi nell’isolamento. Continuò a scrivere, ma quasi nell’anonimato. Nel 1856 pubblicò I racconti della veranda, tra cui Bartleby e Benito Cereno, incentrati su esseri frustrati e inerti di fronte alla realtà. L’uomo di fiducia (1857) fu l’ultimo romanzo che apparve durante la sua vita; in seguito scrisse poesie, saggi e un poema, Clarel (1876). La vita e le opere

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L’età del Romanticismo

Billy Budd

Il “Rinascimento americano”

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Nel frattempo, dal 1860, aveva finalmente trovato una sistemazione economica, grazie ad un impiego alla dogana di New York. Poco prima della sua morte scrisse ancora un capolavoro, Billy Budd, rimasto inedito e pubblicato solo nel 1924, che narra la storia di un giovane marinaio condannato ingiustamente, che accetta con serenità la sua morte. Melville si spense nel 1891. Fece parte di quel gruppo di scrittori (Hawthorne, Emerson, Thoreau, Whitman) che, a metà secolo, diede vita ad un movimento letterario profondamente innovatore nella cultura degli Stati Uniti, tanto da essere definito “Rinascimento americano”. Quando morì era però quasi del tutto sconosciuto: solo nel Novecento la sua grandezza fu pienamente apprezzata.

Herman melville

Temi chiave

«il gran demonio vagante dei mari»

• l’esplorazione del rimosso • il valore simbolico della balena

da Moby Dick, cap. XLI In questo passo, il narratore spiega il significato che la caccia alla balena bianca assume per il capitano Achab.

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Nessuna meraviglia dunque che – sempre maggiormente prendendo corpo nella semplice traversata delle più selvagge plaghe oceaniche – le sparse voci sulla Balena Bianca finissero per incorporarsi ogni specie di accenni morbosi e abortive mezze suggestioni di moventi soprannaturali, che in ultima analisi rivestivano Moby Dick di nuovi terrori, tolti a prestito da nulla di ciò che è visibile su questa terra. Cosicché, in molti casi, Moby Dick finiva per produrre un tale panico che pochi di quelli che, per quelle voci almeno, avevano sentito della Balena Bianca, pochi di quei cacciatori avevano voglia di affrontare i pericoli della sua mascella. […] Una delle stravaganti congetture cui si è alluso, come quelle che avevano finito per connettersi con la Balena Bianca nella mente dei superstiziosi, era l’idea soprannaturale che Moby Dick avesse il dono dell’ubiquità, che fosse stato davvero incontrato nel

L’opera

moby dick di Herman Melville È il racconto di una caccia alla balena, ma dietro al motivo avventuroso si celano densi significati simbolici. La vicenda è narrata da un narratore-testimone, Ishmael, che, con il polinesiano Queequeg, si imbarca a Nantucket sulla baleniera Pequod. La nave è comandata dal vecchio capitano Achab, su cui circolano voci misteriose, ma che solo più tardi comparirà in scena, come è proprio dei grandi eroi tragici. Achab si rivolge all’equipaggio per rivelare il vero fine del viaggio, l’uccisione di una mostruosa balena bianca, chiamata Moby Dick. In un viaggio precedente il mostro aveva tranciato una gamba al capitano, che ora perciò è mosso da una maniaca volontà di vendetta.

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Ma la balena si carica di complessi valori simbolici: è l’incarnazione del Male, e la caccia diviene così una ricerca iniziatica, una lotta col Mostro. Achab, nella sua volontà di uccidere la balena, anche a costo di dannarsi, assume la dimensione di un eroe faustiano. Egli rappresenta l’impulso alla conoscenza che non si arresta dinanzi a nulla, neanche al mistero e al male. È uno di quegli eroi della trasgressione, della sfida all’ignoto, che sono caratteristici della letteratura romantica ottocentesca. Il capolavoro melvilliano, per questa sfida trasgressiva al male, per questa esplorazione delle forze oscure ed inquietanti che prendono corpo in un “mostro”, può essere ascritto alla categoria del “nero” (si veda a proposito l’interpretazione di L. Fiedler,

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medesimo istante a latitudini opposte. […] Sapendo che, dopo ripetuti e intrepidi attacchi, la Balena Bianca era scampata viva, non dobbiamo stupirci se certi balenieri andavano ancor oltre nelle loro superstizioni e affermavano che Moby Dick non soltanto possedeva l’ubiquità ma era immortale (poiché l’immortalità è soltanto l’ubiquità nel tempo): che, sebbene selve di lance gli venissero piantate nei fianchi, lui si sarebbe sempre allontanato incolume, e che se davvero fosse mai stato ridotto a sfiatare sangue denso, un tale spettacolo sarebbe stato soltanto una spettrale illusione, poiché di nuovo in flutti incruenti, migliaia di leghe lontano, si sarebbe pur sempre intravisto il suo spruzzo immacolato. Ma, anche spogliandolo di queste escogitazioni soprannaturali, c’era abbastanza nella struttura terrena e nel carattere innegabile del mostro da colpire l’immaginazione con un’insolita potenza. Poiché non era tanto il suo non comune volume che così lo distingueva da tutti gli altri capodogli, quanto, com’è stato rivelato altrove, una particolare fronte rugosa, bianca come la neve, e un’alta, piramidale gobba bianca. Questi erano i suoi tratti preminenti, i connotati coi quali persino nei mari sconfinati e sconosciuti esso rivelava a grande distanza la sua identità a coloro che lo conoscevano. Il rimanente del suo corpo era così striato, maculato e marezzato1 dello stesso colore di sudario che, alla fine, s’era guadagnato il titolo distintivo di Balena Bianca, un nome invero letteralmente giustificato dal suo vivido aspetto, quando lo si vedeva a scivolare in pieno meriggio per un mare azzurro cupo, lasciandosi dietro una scia galattica di schiuma lattiginosa, tutta cosparsa di pagliuzze d’oro. Ma non erano né la grandezza insolita né lo straordinario colore e nemmeno la mandibola deforme, che investivano così il capodoglio di terrore naturale, quanto la malvagità intelligente e senz’esempio, di cui secondo racconti particolareggiati esso aveva replicatamente dato prova nei suoi combattimenti. Soprattutto i suoi perfidi voltafaccia sgomentavano forse più di qualunque altra cosa. Poiché, nell’atto di scappare con ogni visibile sintomo di paura davanti ai suoi inseguitori esultanti, diverse volte Moby Dick si era voltato d’improvviso e, piombando addosso ai cacciatori, aveva mandate le lance in frantumi o ricacciati verso la nave gli equipaggi costernati.

1. marezzato: variegato, cangiante.

Amore e morte nel romanzo americano, cit., cap. XIV, Moby Dick, Il romanzo “nero”, p. 306). L’equipaggio, affascinato dall’eloquenza di Achab, giura di seguirlo nella folle impresa; solo Starbuck, il primo ufficiale, che, di contro alla tensione titanica e faustiana di Achab, rappresenta la visione razionale e i valori comuni, dissente. Nella baleniera sono presenti anche cinque Parsi, orientali adoratori del fuoco, tra cui Fedallah, che rappresenta l’aspetto demoniaco dell’animo di Achab, in opposizione a Starbuck. Della ciurma fanno parte ancora il pellerossa Tashtego, ramponiere, il negro selvaggio Degu ed il giovane negro Pip, impazzito durante un naufragio. Anche la composizione della ciurma è simbolica: rappresenta il selvaggio, l’irrazionale.

Avvistata la balena, comincia la caccia, che dura tre giorni. Alla fine, Moby Dick affonda la nave, ed Achab è inghiottito dalle acque. Solo Ishmael si salva, aggrappato ad una bara, ed è destinato a serbare memoria della storia. Il romanzo ha una struttura singolare, che lo distacca dai canoni del romanzo ottocentesco. Non è narrato da un narratore onnisciente, ma da un narratore-testimone, che costella il racconto delle sue riflessioni e digressioni. Talora il romanzo assume una forma drammatica, quasi shakespeariana; in altri momenti si trasforma in una sorta di trattato sulle balene, nell’arte e nella storia, nell’anatomia e nella fisiologia, tra l’erudito e l’ironico; talora fornisce informazioni di tipo documentario sulla caccia alla balena e sulla sua utilizzazione.

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Già parecchi disastri avevano accompagnato questa caccia. Ma quantunque simili sventure, sebbene poco se ne parlasse a terra, non fossero in nessun modo insolite nella baleneria, pure, nella maggior parte dei casi, pareva tanto infernale la premeditazione di ferocia da parte della Balena Bianca, che ogni mutilazione o morte ch’essa causava non veniva interamente considerata come inflitta da un agente irrazionale2. Pensate quindi, a quali estremi di acceso e forsennato furore fossero spinte le menti dei più disperati cacciatori, quando, tra i frantumi delle lance stritolate e le membra affondanti dei compagni squarciati, essi uscivano nuotando dai bianchi ribollimenti dell’ira terribile della balena, nel sole sereno ed esasperante che continuava a sorridere come a una nascita o a uno sponsale. Le sue tre lance sfondate, intorno, e uomini e remi turbinanti nei gorghi, un capitano, afferrando dalla prora spaccata il coltello della lenza, s’era lanciato sulla balena, come un duellista dell’Arkansas sull’avversario, ciecamente tentando, con una lama di sei pollici, di raggiungere la vitalità3, profonda una tesa4, del mostro. Quel capitano era Achab. E fu allora che, passandogli sotto di colpo la sua mandibola falcata, Moby Dick gli aveva falciato la gamba, come un mietitore fa di uno stelo d’erba in un campo. Nessun turco dal turbante, nessun prezzolato veneziano o malese, avrebbe potuto colpirlo con più apparente malvagità. Poco c’era quindi da dubitare che sempre, fin dal giorno di quell’incontro quasi fatale, Achab avesse nutrito un feroce desiderio di vendetta, tanto più accanito dacché nella sua insensata morbosità era infine giunto a identificare con Moby Dick non solo tutti i suoi mali fisici, ma ogni sua esasperazione intellettuale e spirituale. La Balena Bianca gli nuotava davanti come la monomaniaca5 incarnazione di tutte quelle forze malvage da cui certi uomini profondi si sentono rodere nell’intimo, finché si riducono a vivere con mezzo cuore e con mezzo polmone. Quell’intangibile malvagità che è stata al principio delle cose; al cui impero persino i moderni Cristiani ascrivono metà dei mondi; che gli antichi Ofiti6 dell’Oriente veneravano nel loro demonio scolpito; questa malvagità Achab non cadeva in ginocchio ad adorarla come quelli, ma trasportandone freneticamente l’idea nell’aborrita Balena Bianca, le si lanciava contro, così mutilato com’era. Tutto ciò che più sconvolge e tormenta la ragione, tutto ciò che rimescola la feccia delle cose, ogni verità che contiene malizia, ogni cosa che schianta i tendini e rapprende il cervello, tutto il sottile demonismo della vita e del pensiero, ogni male, per l’insensato Achab, era visibilmente personificato e fatto praticamente raggiungibile in Moby Dick. Egli accumulava sulla gobba bianca della balena la somma di tutta l’ira e di tutto l’odio provati

2. da un agente irrazionale: da un animale privo di ragione. 3. la vitalità: il centro vitale. 4. una tesa: antica unità di misura usata in Italia ed in Francia prima dell’introduzione del sistema metrico decimale; corrispondeva all’incirca all’apertura delle braccia. 5. monomaniaca: frutto di una fissazione maniacale.

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6. Ofiti: erano così designati gli gnostici, nel cui sistema mitologico-cosmogonico ha particolare rilievo il serpente (greco óphis) del racconto della Genesi: il serpente rappresenta il principio della conoscenza del bene e del male, in opposizione a Dio, creatore del giudaismo, che avrebbe voluto tenere nascosta agli uomini questa conoscenza.

Rockwell Kent, Moby Dick, 1930, illustrazione per Moby Dick di Herman Melville, capitolo XLI.

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dall’intera sua razza dal tempo di Adamo, e poi, come se il suo petto fosse un mortaio, le sparava addosso la bomba del suo cuore bruciante. […] Roso dentro, e bruciato di fuori, dalle zanne infisse e spietate di una qualche idea incurabile: uno simile, se si potesse trovarlo, apparirebbe proprio l’uomo da scagliare il rampone e levare la lancia contro il più spaventoso dei bruti. E, se per qualunque ragione lo si giudicasse fisicamente inabilitato a ciò, pure un uomo simile apparirebbe magnificamente adatto a incitare e a urlare7 i subalterni alla lotta. Ma sia come si sia, è certo che, col folle segreto della sua furia mai sfogata inchiavistellato e serrato nell’anima, Achab s’era di proposito messo nel viaggio attuale con l’unico esclusivo scopo di dare la caccia alla Balena Bianca. Se qualunque delle sue vecchie conoscenze di terra avesse soltanto a metà immaginato quel che allora gli covava in petto, come subito le loro anime atterrite e diritte avrebbero strappato la nave a un uomo tanto satanico! Essi si attendevano crociere lucrose, del lucro che si conta in dollari di zecca. Egli era fisso a una temeraria, inflessibile, oltreterrena vendetta. Ecco dunque, questo vecchio empio e grigio, inseguire per il mondo con maledizioni una balena degna di Giob8, alla testa di un equipaggio fatto principalmente di fuggiaschi sanguemisti, di reietti e di cannibali, e inoltre moralmente indebolito dall’insufficienza della semplice inerme virtù o rettitudine di Starbuck, dall’invulnerabile spensieratezza e leggerezza indifferente di Stubb, e dalla mediocrità generale di Flask. Un simile equipaggio, così comandato, pareva scelto apposta da una fatalità infernale per aiutare Achab nella sua monomaniaca vendetta. Come mai essi rispondessero tanto all’ira del vecchio, da quale malvagio incantesimo le loro anime fossero possedute, che alle volte il suo odio pareva quasi il loro e la Balena Bianca altrettanto insopportabile avversaria loro che sua: come accadesse tutto questo, che cosa fosse per essi la Balena Bianca, o come insomma al loro spirito inconscio essa avesse potuto in qualche modo misterioso e insospettato apparire il gran demonio vagante dei mari della vita – spiegare tutto ciò, sarebbe tuffarsi più a fondo che non possa scendere Ismaele9. Quel minatore sotterraneo10 che lavora in tutti noi, come si può mai dire dove volga il suo pozzo11, al rumore sempre cangiante e soffocato che fa il suo piccone? Chi non sente il braccio irresistibile trascinarlo? Quale battello rimorchiato da un settantaquattro12 può restarsene fermo? Io, intanto, cedetti all’abbandono delle circostanze e del luogo, ma mentre ero tuttora smanioso di affrontare la balena, non potevo veder altro in quel bruto che il male più mortale. H. Melville, Moby Dick, trad. it. di C. Pavese, Frassinelli, Torino 1932

7. urlare: spronare con urla. 8. degna di Giob: Giobbe, personaggio dell’omonimo libro dell’Antico Testamento; è menzionato come esempio di virtù e

pazienza. 9. Ismaele: si ricordi che Ismaele (Ishmael, nel testo originale) è colui che racconta la storia. 10. minatore sotterraneo: l’inconscio.

11. pozzo: la galleria scavata dal minatore. 12. rimorchiato da un settantaquattro: rimorchiato da una nave da guerra dotata di settantaquattro cannoni.

Analisi del testo La balena incarnazione del Male

> il valore simbolico

In questo passo emerge in piena evidenza il valore simbolico della balena, come incarnazione del Male, come proiezione di tutte le forze malvagie che si agitano nel profondo dell’uomo. È proprio del filone “nero” del Romanticismo far affiorare questo strato profondo della realtà, costantemente ignorato nelle epoche precedenti, obiettivandolo in esseri simbolici, spesso mostruosi. Il “mostro” è la personificazione di questa zona buia e inquietante, che urge e non può essere rimossa. Achab è «empio» e «satanico» perché si avventura alla ricerca di questo “mostro”, non si arresta ai limiti dell’ignoto e del proibito, ma vuole varcarli per conoscere e dominare la zona oscura del reale. 311

L’età del Romanticismo

Il “ritorno del rimosso”

L’aver ammesso questo territorio della realtà al campo letterario è la conquista straordinaria della letteratura romantica. Essa si configura come un grande “ritorno del rimosso”, l’esplorazione coraggiosa della zona buia della realtà, che i miti della “Ragione felice” settecentesca tendevano ad occultare, e segna la grande “irruzione” del profondo (come la definisce il critico americano Leslie Fiedler prima citato, autore di uno dei libri più acuti sulla letteratura romantica americana ed europea).

> il punto di vista narrativo

Si noti però come il mostro e l’eroe siano presentati attraverso un’ottica particolare: quella di Ismaele, scettico e disincantato di fronte a leggende e superstizioni, critico nei confronti della follia «monomaniaca» e dell’empietà del capitano Achab. Il punto di osservazione del grande dramma simbolico della ricerca del “mostro” è cioè straniato e critico.

Esercitare le competenze ComPrendere

> 1. Quale descrizione della balena emerge dal passo? Che cosa la distingue dagli altri capodogli? AnALizzAre

> 2. Individua nel brano i passi che fanno riferimento alla sfera dell’irrazionale. > 3. Analizza la descrizione del capitano Achab e del singolare rapporto che lo lega a Moby Dick. Quali aspetti vengono evidenziati dal narratore?

APProfondire e inTerPreTAre

> 4.

Scrivere A quali esperienze di vita dell’autore potrebbe fare riferimento l’argomento del romanzo? Rispondi in circa 5 righe (250 caratteri). > 5. esporre oralmente Spiega (max 3 minuti) come il brano costituisca un esempio significativo della struttura singolare del romanzo ( L’opera. Moby Dick, p. 308).

Per iL PoTenziAmenTo

> 6. Lo scrittore statunitense Ernest Hemingway (1899-1961) pubblicò nel 1952 il romanzo Il vecchio e il mare,

divenuto un classico della letteratura mondiale: è la storia di un vecchio pescatore cubano, Santiago, che con la complicità del giovane Manolin dà la caccia ad un grosso pesce, in mare aperto. Anche se l’esito della pesca sarà deludente (gli squali divoreranno la preda trascinata a riva dall’imbarcazione), le pagine di quest’opera presentano, oltre a diverse tematiche quali la dignità dell’individuo e l’amicizia, il rapporto dell’uomo con la natura e la sua fauna. Nell’oscurità il vecchio sentì giungere il mattino e mentre remava udì il suono tremolante dei pesci volanti che uscivano dall’acqua e il sibilo fatto dalle rigide ali tese mentre si allontanavano librate nel buio. I pesci volanti gli piacevano molto ed erano i suoi migliori amici, sull’oceano. Pensò con dolore agli uccelli, specialmente alle piccole, delicate sterne nere, che volavano sempre in cerca di qualcosa senza quasi mai trovar nulla e pensò: “La vita degli uccelli è più dura della nostra, tranne per gli uccelli da preda, pesanti e forti. Perché sono stati creati uccelli delicati e fini come queste rondini di mare se l’oceano può essere tanto crudele? Ha molta dolcezza e molta bellezza. Ma può diventare tanto crudele e avviene così d’improvviso e questi uccelli che volano, tuffandosi per la caccia, con quelle vocette tristi, sono troppo delicati per il mare”. Pensava sempre al mare come a la mar, come lo chiamano in spagnolo quando lo amano. A volte coloro che l’amano ne parlano male, ma sempre come se parlassero di una donna. Alcuni fra i pescatori più giovani, di quelli che usavano gavitelli come galleggianti per le lenze e avevano le barche a motore, comprate quando il fegato di pescecane rendeva molto, ne parlavano come di el mar al maschile. Ne parlavano come di un rivale o di un luogo o perfino di un nemico. Ma il vecchio lo pensava sempre al femminile e come qualcosa che concedeva o rifiutava grandi favori e se faceva cose strane o malvagie era perché non poteva evitarle. La luna lo fa reagire come una donna, pensò. E. Hemingway, Il vecchio e il mare, trad. it. di F. Pivano, Mondadori, Milano 2000

Delinea un confronto fra la visione del mare emersa dal brano di Melville e quella evidenziata da Hemingway.

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Capitolo 1 · Il Romanticismo in Europa e negli Stati Uniti

facciamo il punto 1. Completa la seguente tabella, individuando le differenze e le analogie tra le poetiche degli autori considerati:

Caratteristiche della poesia classica

Schlegel

Wordsworth

Hugo

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Caratteristiche della poesia moderna romantica

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Caratteristiche del poeta

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Oggetto della poesia

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Linguaggio della poesia

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Elementi caratterizzanti la specifica poetica

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2. Completa la seguente tabella:

Hölderlin Shelley Keats Nerval

rappresentazione della natura

rappresentazione del mondo classico

rappresentazione del presente

funzione della poesia e/o del poeta

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3. Quali tratti presentano gli “eroi” di questo capitolo? 4. Perché la solitudine è la cifra caratterizzante dell’eroe romantico? 5. Compila la seguente tabella, utile per delineare e confrontare tra loro le caratteristiche principali del

romanzo pubblicato nell’età romantica: Autore

Titolo

Anno di pubblicazione

Caratteristiche del narratore

Temi trattati

Scott

Ivanhoe

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Stendhal

Il rosso e il nero

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Balzac

Le illusioni perdute

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Classi sociali rappresentate

Luoghi di ambientazione

Scott

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Stendhal

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Balzac

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Autore

6. Perché il romanzo ebbe tanta fortuna nell’Europa dell’Ottocento? 7. Nei personaggi dei romanzi esaminati è possibile individuare un percorso di formazione? 8. Tra le vicende vissute dai personaggi e l’ambiente storico sociale in cui le vicende sono rappresentate si

stabilisce un legame? 9. Quali caratteristiche presentano i personaggi di questi romanzi? Esse sono tipiche e individuali o astratte e generiche? 10. La società viene rappresentata in modo critico? Emerge cioè un giudizio su di essa? 11. Quali espedienti usano gli autori statunitensi per creare atmosfere inquietanti e misteriose? 12. Nelle opere degli autori statunitensi analizzate quale rapporto emerge tra il personaggio e l’ambiente in cui si trova?

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L’età del Romanticismo

In sintesi

iL romAnTiCiSmo in eUroPA e neGLi STATi UniTi Verifica interattiva

dAL CLASSiCiSmo AL romAnTiCiSmo Le poetiche romantiche si contrappongono nettamente al classicismo settecentesco, che aveva riaffermato la concezione rinascimentale dell’arte come attività razionale basata sul rispetto di precise regole codificate dalla tradizione. Per i classicisti comporre significa sostanzialmente imitare i modelli del passato, che hanno già raggiunto la perfezione, attenendosi a criteri quali l’idealizzazione e la selezione della materia poetabile. Da ciò deriva il principio della separazione degli stili, secondo cui realtà basse e quotidiane non devono essere incluse in un’opera “seria”. Al contrario, i romantici vedono l’arte come espressione della soggettività libera e irripetibile dell’individuo. Di qui l’esaltazione del genio, dote spirituale innata e irrazionale, e la predilezione per il sentimento, l’originalità, la disarmonia formale. I confini del “poetico” si allargano a includere anche ciò che è basso e quotidiano, sovvertendo il principio della separazione degli stili. Dal culto dello spontaneo nasce poi l’interesse per la poesia primitiva e popolare e, di conseguenza, il senso della relatività dei gusti contro il concetto classico del bello ideale ed assoluto: l’arte muta nel tempo e la poesia deve corrispondere ai sentimenti di un popolo in un determinato momento della storia.

i TeoriCi deL romAnTiCiSmo eUroPeo Nell’ambito tedesco la teorizzazione e la realizzazione dei princìpi della poetica romantica si deve a un gruppo di intellettuali attivi principalmente a Jena (il “gruppo di Jena”). Il punto di riferimento teorico è costituito dal Corso di letteratura drammatica di August Wilhelm Schlegel (1809-11): il Romanticismo è visto come espressione della sensibilità moderna, nata dal cristianesimo e pervasa da un senso doloroso di lacerazione, di perdita di una pienezza originaria. Le tendenze più estreme dell’irrazionalismo sono invece rappresentate da Novalis, che negli Inni alla notte (1800) sviluppa in chiave misticheggiante gli spunti della filosofia idealistica, sottolineando il rapporto magico che lega ogni essere con il Tutto. In ambito inglese, le istanze del nascente Romanticismo sono espresse principalmente da William Wordsworth (Ballate liriche, 1797-98), che in polemica con la poesia settecentesca predilige ambienti e personaggi umili ed usa un linguaggio semplice e immediato. In Francia la stagione romantica è inaugurata dalla prefazione al dramma storico Cromwell (1827) di Victor Hugo, autore di numerose opere di generi diversi e tipico intellettuale impegnato nella battaglia culturale e civile. Egli rifiuta l’identificazione dell’arte con il “bello”, contestando i princìpi di selezione e separazio-

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ne degli stili in nome di un realismo avvertito come esigenza prioritaria dell’uomo moderno.

LA PoeSiA in eUroPA La lirica romantica europea si caratterizza sia per la comparsa di tematiche nuove, come quelle legate all’esplorazione della psiche e degli aspetti più misteriosi della realtà, sia per l’elaborazione di un nuovo linguaggio poetico, analogico, immaginoso e musicale. Motivi di fondo che accomunano la produzione d’oltralpe sono il senso di una mancanza, la nostalgia per una pienezza perduta e il protendersi verso un assoluto inafferrabile.

HöLderLin Il poeta più rappresentativo della lirica romantica tedesca, oltre a Novalis, è Friedrich Hölderlin (1770-1843), la cui esistenza è segnata dall’inquietudine e dalla malattia mentale. Vicino alla filosofia dell’idealismo, che concepisce la realtà come emanazione dell’assoluto, Hölderlin intende la poesia come voce dell’Essere e il poeta come vate chiamato a indicare all’umanità la via per ritrovare l’armonia perduta con la natura: di qui il vagheggiamento della Grecia antica, vista come “luogo” della pienezza, dell’armonia tra uomo e realtà.

SHeLLey, KeATS e nerVAL Il Romanticismo inglese ha tra i suoi principali poeti Percy Bysshe Shelley (1792-1822) e John Keats (17951821). Personalità anticonformista e ribelle, nutrita di idee rivoluzionarie, Shelley interpreta la poesia come messaggio visionario e profetico, che mira a sollevare «il velo della nascosta bellezza del mondo» e che si avvale a questo scopo di un accumulo inesauribile di immagini. Il Romanticismo di Keats è invece orientato nel senso di un esotismo classicheggiante: il mondo classico è la realizzazione suprema della Bellezza, intesa come armonia sottratta al tempo. La struggente nostalgia per il mondo greco si esprime in immagini di classica compostezza e con un linguaggio ricco di parole inusuali e di musicalità. Nel contesto francese si colloca Gérard de Nerval (1808-55), che morì forse suicida dopo una vita segnata dall’irrequietezza. Il suo linguaggio, oscuro e allusivo, che tende a liberarsi dal senso logico, anticipa soluzioni espressive che si affermeranno in seguito.

L’irrAzionALe I grandi rivolgimenti storici che si verificano tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento producono una profonda crisi nella visione della realtà, mettendo in dubbio il principio di razionalità che aveva caratterizzato la cultura europea a partire dal Rinascimento. L’irrazionale ir-

rompe nella letteratura, che inizia ad affrontare temi nuovi e perturbanti legati al fantastico, al sovrannaturale e al fondo oscuro della psiche. Metafora di questa zona misteriosa della realtà e dell’uomo è la notte, a cui il poeta Novalis dedica nel 1800 degli inni (Inni alla Notte) che segnano emblematicamente l’inizio di una nuova stagione culturale.

SAmUeL TAyLor CoLeridGe Atmosfere oniriche e sovrannaturali ricorrono anche nella poesia di Coleridge (1772-1834), che fu insieme con Wordsworth l’iniziatore del Romanticismo inglese. Personalità inquieta e dispersiva, il poeta fu per anni schiavo dell’oppio, incarnando il tipo dell’artista romantico incapace di affrontare la realtà. Il suo capolavoro è La ballata del vecchio marinaio, posta in apertura delle Ballate liriche (1798): essa racconta il viaggio allucinato e solitario di un marinaio, che si è macchiato di un’oscura colpa uccidendo un albatro e con questo gesto ha provocato la morte di tutti i compagni di navigazione. Gli avvenimenti acquistano un valore simbolico e ambiguo, alludendo al viaggio, trasgressivo e maledetto, nell’ignoto e nell’irrazionale.

GLi eroi romAnTiCi Nel Romanticismo europeo tornano insistentemente alcune figure che rispecchiano il conflitto tra l’artista e la società, i cui archetipi letterari sono costituiti da personaggi preromantici, quali il protagonista dei Masnadieri di Schiller e il Werther di Goethe. Scontrandosi con la mediocrità che lo circonda, l’eroe romantico si presenta ora come ribelle solitario, che sfida titanicamente ogni limite per affermare la propria individualità, ora come vittima incompresa ed esclusa proprio in virtù della sua eccezionalità. Dal tipo del ribelle nasce il personaggio del fuorilegge, eroe maledetto che calpesta le leggi umane e si erge a sfidare Dio come un novello Lucifero. Sul versante del vittimismo si colloca invece la figura dell’esule, dello sradicato spinto dalla malvagità altrui o dalla propria inquietudine a vagare perennemente di luogo in luogo. Caratteri affini all’esule mostra il tipo dello straniero, il cui fascino risiede nel mistero che lo avvolge. L’inquietudine dell’artista romantico e il suo senso di esclusione dalla società si esprime talvolta in modo diretto nella figura del poeta, disprezzato e reietto perché dotato di un genio e di una sensibilità superiori, incomprensibili ai più.

iL Faust di GoeTHe La tragedia, a cui Goethe lavorò per tutta la vita, si ispira alla leggenda – già oggetto di altri scritti – del mago

Faust, che stringe un patto col diavolo per aver accesso ai segreti della natura. L’opera si compone di due parti, risalenti rispettivamente agli anni della maturità e a quelli della vecchiaia dell’autore: la prima ha come motivo dominante l’impossibilità, da parte di Faust, di conciliare l’amore con l’irrequieta tensione verso nuove esperienze; la seconda si conclude con la morte del protagonista, la cui anima può salire al cielo grazie all’intervento degli angeli, che ingaggiano una lotta vittoriosa con i demoni. Il riscatto finale del protagonista – una novità rispetto alla leggenda – fa della vicenda di Faust un’esaltazione dello spirito moderno, di quell’ansia di azione e di conoscenza che non si appaga mai di un obiettivo già raggiunto.

GeorGe Byron Esponente della nobiltà inglese, Byron (1788-1824) conduce una vita sregolata ed errabonda, partecipando a movimenti insurrezionali in Italia e in Grecia. Egli incarna il tipo del dandy aristocratico, sprezzante delle convenzioni e della morale comune, ma pronto a lottare per la libertà contro l’oppressore. Autore di novelle in versi, tragedie e di un poema ironico incompiuto, il Don Juan, Byron propone spesso eroi “satanici” e fatali. Personaggio esemplare può essere considerato il protagonista della novella Il corsaro, fuorilegge affascinante e solitario, sprezzante della mediocrità e intimamente tormentato dalle sue colpe.

eL desdIchado di GérArd de nerVAL Il tipo romantico del poeta reietto e sradicato è ben rappresentato dal sonetto El desdichado di Nerval. L’autore si proietta nella figura del “diseredato”, proteso verso un irraggiungibile sogno di pienezza vitale e oppresso da una cupa malinconia, che diviene la fonte primaria dell’ispirazione poetica.

iL romAnzo in eUroPA Nell’età romantica si affermano in Europa alcune forme di romanzo innovative rispetto a quelle apparse nel Settecento: il romanzo storico, inaugurato nel 1814 da Walter Scott, e quello realistico, diffusosi a partire dagli anni Trenta e legato principalmente alle figure di Stendhal e Balzac. Il romanzo storico riflette l’interesse tipicamente romantico nei confronti della storia, proponendosi di ricostruire una determinata epoca del passato attraverso la mescolanza di realtà e invenzione. Il romanzo realistico ha invece per oggetto la società contemporanea, di cui s’intende fornire una rappresentazione organica e critica; i personaggi, trattati in modo “serio” anche quando si tratta di umili, sono la tipica espressione del loro

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L’età del Romanticismo

ambiente, ma nello stesso tempo hanno la fisionomia irripetibile degli individui reali. In entrambi i generi la narrazione è affidata a una voce esterna e onnisciente, la più adatta a delineare un quadro completo della realtà.

WALTer SCoTT Lo scozzese Walter Scott (1771-1832) approda al romanzo storico dopo essersi cimentato in opere poetiche ispirate alla letteratura popolare. Al primo romanzo, Waverley, ne fanno seguito altri, scritti a ritmo incalzante per evitare il fallimento della casa editrice di cui l’autore è socio. Nell’Inghilterra del XII secolo è ambientato Ivanhoe, che riscuote un enorme successo e stimola la diffusione di questo genere in tutta Europa. I romanzi di Scott hanno una notevole efficacia nella ricostruzione delle epoche storiche (spesso la Scozia dei secoli XVII e XVIII), ma presentano anche i caratteri propri della letteratura “di consumo”: meccanismi romanzeschi ripetitivi, ruoli definiti schematicamente, scene ad effetto spettacolare, accentuazione dell’elemento sentimentale.

senta una nuova figura d’intellettuale inserito nell’industria culturale, costretto a scrivere freneticamente per saldare i debiti contratti con la propria impresa editoriale. Egli s’impegna nella realizzazione di una serie di romanzi, la Commedia umana, che intendono ritrarre la società contemporanea in tutta la molteplicità dei suoi aspetti. La minuziosa descrizione degli ambienti e la caratterizzazione dettagliata dei personaggi fanno dell’opera di Balzac il massimo esempio del realismo ottocentesco.

edGAr ALLAn Poe La zona oscura della psiche, popolata da “mostri”, angosce, impulsi irrazionali è al centro dei racconti di Poe (1809-49), scrittore statunitense la cui vita “maledetta” fu segnata dal trauma della morte della giovane moglie e dall’alcolismo. Allo scrittore, maestro della suspense, si deve anche l’invenzione del genere “poliziesco”, destinato a riscuotere un enorme successo nei decenni successivi.

STendHAL e BALzAC

HermAn meLViLLe

L’esperienza di Stendhal (pseudonimo di Henri Beyle; 1783-1842) è segnata dall’aspirazione ad una vita intensa e dallo scontro con una realtà mediocre, sancita dalla Restaurazione. Tale dissidio tra individuo e società è incarnato dai protagonisti delle sue opere principali, Il rosso e il nero e la Certosa di Parma, entrambi protesi verso un’affermazione individuale contrastata dalle condizioni storiche. Anche se le sue tematiche sono tipicamente romantiche, Stendhal si ricollega allo spirito dell’Illuminismo per la prosa asciutta e ironica, il rifiuto del sentimentalismo, lo spirito analitico. Come Scott, così il francese Honoré de Balzac (1799-1850) rappre-

Nato a New York, Melville (1819-91) fu costretto, in seguito alla rovina economica del padre, a imbarcarsi come marinaio, un’esperienza che trasfuse nei suoi racconti e romanzi. Il più significativo di questi ultimi è Moby Dick, storia di una caccia alla balena che cela densi significati simbolici dietro il motivo avventuroso. La balena incarna infatti le forze oscure e misteriose che pervadono la realtà: la caccia diviene così una ricerca iniziatica e il comandante Achab, nella sua brama ossessiva di uccidere la balena, assume la dimensione di un eroe faustiano disposto a dannarsi per penetrare l’ignoto.

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PALESTRA DI ALLENAMENTO

PRIMA PROVA TIPOLOGIA B Analisi e produzione di un testo argomentativo

Ambito artistico e sociale Arnold Hauser

La libertà dell’artista romantico Arnold Hauser (1892-1978) è stato uno storico dell’arte ungherese attivo soprattutto in Gran Bretagna. Il testo è tratto da un saggio dell’autore sul rapporto tra il Romanticismo e la Rivoluzione francese.

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Il Romanticismo che fiorisce dopo la Rivoluzione rispecchia un nuovo senso del mondo e della vita, e matura anzitutto una nuova interpretazione della libertà artistica. Questa non è più un privilegio del genio, ma il diritto innato di ogni artista e di ogni individuo d’ingegno. I preromantici riconoscevano solo al genio il diritto di scostarsi dalla regola; i romantici negano in generale la validità delle regole. Ogni espressione individuale è unica, insostituibile e ha in sé le sue leggi e la sua misura: questa è nell’arte la grande conquista della Rivoluzione. Il Romanticismo diventa così lotta per la libertà, condotta non solo contro le Accademie, le Chiese, le corti, i mecenati, gli amatori, i critici, i maestri, ma contro il principio stesso della tradizione, dell’autorità e della regola. Questa lotta non è concepibile senza l’atmosfera spirituale creata dalla Rivoluzione da cui essa ebbe inizio ed efficacia. Tutta l’arte moderna, in certa misura, risulta da questo movimento romantico di Eugène Delacroix, La Libertà che guida il popolo, liberazione. Per quanto ancora si particolare, 1830, olio su tela, Museo del Louvre, Parigi.

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parli di immortali norme estetiche, di valori artistici eternamente umani, della necessità di criteri obiettivi e di convenzioni vincolanti, l’emancipazione dell’individuo, il rifiuto di ogni autorità estranea, l’insofferenza di ogni barriera, di ogni divieto sono e rimangono i princìpi vitali dell’arte moderna. L’artista del nostro tempo, per quanto possa aderire con entusiasmo a scuole, gruppi, movimenti, partecipando alla loro lotta o al loro destino, appena dipinge, compone musica o poesia, è solo e conscio della sua solitudine. L’arte moderna è l’espressione dell’uomo solitario, dell’individuo che si sente diverso dagli altri come un essere tragico o benedetto. La Rivoluzione e il Romanticismo significano la fine di un’epoca in cui l’artista si volgeva ancora a una “società”, a un gruppo più o meno vasto ma in complesso omogeneo, a un pubblico di cui egli riconosceva per principio l’autorità assoluta. L’arte non ha più quel carattere sociale per cui il giudizio si conforma a criteri obiettivi e convenzionali, è ormai un’espressione che trae da se stessa la misura secondo la quale vuol esser giudicata; insomma, essa diventa il mezzo che permette al singolo di parlare ai singoli. Fino all’età romantica non ebbe mai grande importanza se e in qual misura il pubblico si componesse di veri intenditori; artisti e poeti cercavano comunque di soddisfare i suoi desideri; invece romantici e postromantici non si sottomettono più al gusto e alle richieste di alcun gruppo, sempre pronti ad appellarsi contro il giudizio di un foro a un altro foro. C’è continua tensione, un’eterna polemica fra il pubblico e l’opera loro; si costituiscono sempre nuovi gruppi di esperti e di amatori, ma sempre instabili, sì che rimane distrutta ogni continuità di rapporti fra il pubblico e l’arte. (A. Hauser, La Rivoluzione e il Romanticismo, in Storia sociale dell’arte, vol. III, Einaudi, Torino 2001)

COMPRENSIONE E ANALISI > 1. Scrivi la sintesi del testo in circa 100 parole.

> 2. Qual è la tesi di fondo sostenuta nel testo? > 3. Qual è, secondo Arnold Hauser, il legame tra il Romanticismo e la Rivoluzione? > 4. Che cosa intende l’autore con la seguente affermazione: «L’arte moderna è l’espressione dell’uomo solitario» (rr. 32-33)?

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Nuovo esame di Stato

PRODUZIONE A partire dalle tue riflessioni intorno al passo che hai letto, scrivi un testo argomentativo che non superi le tre colonne di metà di foglio protocollo (circa 2500 caratteri). Sei d’accordo con l’idea che ogni artista (come all’epoca del Romanticismo) debba difendere la propria libertà artistica oppure pensi che l’arte si debba necessariamente piegare al gusto della società? Approfondisci l’argomento e porta elementi a favore della tua posizione. Puoi riferirti ad esempi della storia e della realtà attuale, avvalendoti delle tue conoscenze ed esperienze.

Joseph Mallord Wiliam Turner, Incendio al grande magazzino della Torre di Londra, 1841, acquerello, Londra, Tate Britain.

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PALESTRA DI ALLENAMENTO

PRIMA PROVA TIPOLOGIA C Riflessione critica di carattere espositivo-argomentativo su tematiche di attualità Ambito filosofico argomento

L’attrazione per l’ignoto

L’emozione più vecchia e più forte del genere umano è la paura, e la paura più vecchia e più forte è la paura dell’ignoto. (H.P. Lovecraft, L’orrore soprannaturale nella letteratura, trad. it. di A. Carrer, Sugarco, Gallarate 1994)

L’ignoto, come rileva lo scrittore statunitense H.P. Lovecraft, è fonte di un terrore intenso e ancestrale per l’uomo. Tuttavia esso esercita spesso anche una forma di attrazione su di noi, tanto che è dilagante la produzione di opere narrative e cinematografiche appartenenti al genere horror. Qual è, secondo te, la ragione di questo fascino? Quali aspetti della realtà sono oggi circondati da un alone di mistero? Sviluppa l’argomento basandoti sulle tue conoscenze ed esperienze e assegna un titolo generale al tuo elaborato. Se lo ritieni opportuno, puoi organizzare il tuo discorso in paragrafi, preceduti da titoli specifici.

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Capitolo 2

Il Romanticismo in Italia

1

Documenti teorici del Romanticismo italiano La polemica coi classicisti

L’articolo di Madame de Staël

Le reazioni dei classicisti

Testi Giordani • “Un italiano” risponde al discorso della de Staël dalla “Biblioteca italiana”

I manifesti romantici

“Il Conciliatore”

In confronto alle tendenze che sono emerse dai testi precedenti, il Romanticismo italiano assume una fisionomia particolare. L’occasione che diede impulso al formarsi di un movimento romantico in Italia fu la pubblicazione di un articolo di Madame de Staël sulla “Biblioteca italiana” nel gennaio del 1816, dal titolo Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni ( A1 e T1, p. 322). L’autorevole scrittrice deprecava la decadenza della cultura italiana contemporanea ed invitava gli italiani a uscire dal loro culto del passato, aprendosi alle correnti più vive della letteratura europea moderna. L’articolo suscitò subito violente reazioni da parte dei classicisti, che insorsero in difesa delle glorie nazionali e dei princìpi sacri dell’arte classica. Nel coro si distinsero le voci di intellettuali come Pietro Giordani, Carlo Londonio, Carlo Botta, che impostarono la discussione in termini più meditati e approfonditi, anche se non furono meno fermi nel respingere le tesi della de Staël. Oltre a ribadire il carattere immutabile ed eterno dei princìpi artistici e la qualità di modelli perfetti propria degli antichi, degni di perenne imitazione, questi classicisti erano mossi anche da sinceri intenti patriottici e si erigevano a difesa delle tradizioni culturali italiane, che temevano potessero essere snaturate dall’assunzione di temi e forme delle letterature straniere. Il genio italiano, sostenevano, è figlio diretto di quello latino: le tematiche tenebrose e il gusto dell’orrido propri del Romanticismo nordico sono estranei alla sua visione serena e luminosa della vita, al suo senso del bello come armonia e proporzione. Alcuni intellettuali più aperti alle innovazioni, definitisi “romantici”, intervennero a difesa dell’articolo della de Staël, controbattendo le accuse dei classicisti. Nel corso di quello stesso 1816 uscirono numerosi saggi ed opuscoli, oggi considerati come “manifesti” del Romanticismo italiano: Intorno all’ingiustizia di alcuni giudizi letterari italiani di Ludovico di Breme, le Avventure letterarie di un giorno di Pietro Borsieri ( A3, p. 329), la Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliolo di Giovanni Berchet ( A2 e T2, p. 324); più tardi si aggiunsero le Considerazioni sul “Giaurro” di Byron del di Breme e le Idee elementari sulla poesia romantica di Ermes Visconti. Nel 1818 il gruppo degli intellettuali romantici, Pellico, Borsieri, di Breme, Visconti, diede vita ad un giornale, “Il Conciliatore”, che doveva diventare il portavoce delle nuove idee letterarie, ma si proponeva anche finalità di progresso civile, diffondendo cognizioni scientifiche utili allo sviluppo economico della Lombardia. Per queste sue tendenze progressiste e liberali ebbe vita difficile con la censura austriaca, finché cessò le pubblicazioni nel 1819.

La poetica dei romantici italiani Una letteratura “popolare”

In opposizione all’attaccamento dei classicisti alla tradizione, i romantici affermavano l’esigenza di una cultura rinnovata e moderna, che non si rivolgesse solo alla cerchia 321

L’età del Romanticismo

Il rifiuto dell’irrazionalismo

Il «vero» e l’utile

Il Romanticismo italiano, avanguardia della borghesia progressiva

A1 La personalità

chiusa dei letterati, ma ad un pubblico più vasto, al “popolo” (che nel linguaggio del tempo indicava i ceti medi), interpretandone gli orientamenti e le aspirazioni. Per questo occorreva mettere da parte la mitologia classica, che era ormai solo patrimonio di un’élite, e affrontare argomenti vivi nella coscienza contemporanea, capaci di suscitare l’interesse di quel pubblico “popolare”. Ma occorrevano anche forme letterarie nuove ed un linguaggio che fosse in grado di comunicare i nuovi argomenti al pubblico. Era dunque necessario abbandonare il linguaggio aulico, proprio della tradizione letteraria italiana, che era praticamente una lingua morta, incomprensibile ai più, e liberarsi dall’impaccio delle regole e dei generi, che ostacolavano o addirittura inaridivano l’ispirazione del poeta. Se respingevano le posizioni dei classicisti, i romantici italiani erano però lontani anche dalle soluzioni estreme del Romanticismo europeo e ne rifiutavano sia le tematiche irrazionalistiche e tenebrose sia gli eccessi di anarchia formale. Le loro posizioni erano molto moderate: essi affermavano, infatti, che «le finzioni della fantasia se non posano sulla reale natura delle cose e degli uomini, sono anzi [più] un abuso che uno sfogo della mente». Il loro obiettivo era una letteratura che si ispirasse al «vero» e fosse equidistante dai vuoti formalismi dei classicisti come dalle evasioni fantastiche e sfrenate dei romantici nordici. Lungi dall’essere evasione nella pura forma o nel fantastico, la letteratura doveva per essi ancorarsi alla rappresentazione della realtà e proporsi fini di utilità civile e morale, diffondendo idee, cognizioni, princìpi e contribuendo al progresso della società. Queste posizioni fanno comprendere come il movimento romantico lombardo sia stato l’espressione in campo culturale di un movimento della società che tendeva ad un rinnovamento profondo, capace di portare l’Italia, divisa politicamente e arretrata economicamente e civilmente, al livello delle altre nazioni europee più avanzate. In Italia una classe borghese in senso moderno, attiva, intraprendente sul piano economico e politico, cosciente dei propri diritti, dei propri valori e dei propri obiettivi, non esisteva ancora. Ma nei primi anni della Restaurazione il processo di formazione di questa nuova classe dirigente era ormai avviato, e fece le sue prime prove con i moti del ’20’21. Il Romanticismo lombardo fu l’avanguardia intellettuale di questo processo, stimolandolo attraverso il dibattito e la diffusione delle idee. Non è un caso che gli intellettuali del “Conciliatore” abbiano preso parte alle cospirazioni politiche e siano stati colpiti duramente dalla repressione che seguì i moti, subendo il carcere e l’esilio.

Madame de Staël Nata a Parigi nel 1766 dal banchiere ginevrino Necker, ministro di Luigi XVI, Anne-Louise-Germaine Necker, poi moglie del barone de Staël-Holstein, fu donna di grande vivacità intellettuale, di formazione illuministica e di orientamenti liberali. Nella Parigi di fine Settecento tenne un celebre salotto politico-letterario. Per le sue posizioni antinapoleoniche, nel 1800 dovette lasciare la Francia e si stabilì nel castello di Coppet presso Ginevra, che fu punto d’incontro della migliore intellettualità liberale europea. Morì nel 1817.

La vita

François Gérard, Ritratto di Madame de Staël, 1810 ca., olio su tela, Coppet (Svizzera), Château de Coppet.

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Capitolo 2 · Il Romanticismo in Italia

Le opere Le sue opere ebbero vasta risonanza: Della letteratura considerata nei suoi rapporti con le istituzioni sociali (1800), che è uno dei primi tentativi di sociologia della letteratura; il romanzo Corinne, o l’Italia (1807), dove una storia d’amore serve come collegamento a descrizioni del paesaggio naturale e artistico della penisola, visto con sensibilità romantica; ma soprattutto La Germania (1810), che ebbe un’importanza fondamentale nel far conoscere il Romanticismo tedesco e la filosofia idealistica nell’Europa meridionale.

T1

Madame de Staël

Temi chiave

Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni

• la critica alla cultura italiana • l’invito a tradurre opere straniere

Riportiamo alcuni passi del celebre articolo pubblicato (nella traduzione di Pietro Giordani) sul primo numero della “Biblioteca italiana” nel gennaio 1816, che diede l’avvio alla polemica classico-romantica in Italia.

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Quando i letterati d’un paese si vedono cader tutti e sovente nella ripetizione delle stesse imagini, degli stessi concetti, de’ modi medesimi1; segno è manifesto che le fantasie impoveriscono, le lettere isteriliscono, a rifornire non ci è migliore compenso2 che tradurre da poeti di altre nazioni. […]. Dovrebbero a mio avviso gl’italiani tradurre diligentemente assai delle recenti poesie inglesi e tedesche; onde mostrare qualche novità a’ loro cittadini, i quali per lo più stanno contenti all’antica mitologia, né pensano che quelle favole sono da un pezzo anticate3, anzi il resto d’Europa le ha già abbandonate e dimentiche4. Perciò gl’intelletti della bella Italia, se amano di non giacere oziosi, rivolgano spesso l’attenzione al di là dall’Alpi, non dico per vestire le fogge straniere5, ma per conoscerle; non per diventare imitatori, ma per uscire di quelle usanze viete6, le quali durano nella letteratura come nelle compagnie i complimenti, a pregiudizio della naturale schiettezza7. Che se le lettere si arricchiscono colle traduzioni de’ poemi, traducendo i drammi si conseguirebbe una molto maggiore utilità; poiché il teatro è come il magistrato8 della letteratura. Skakespeare, tradotto con vivissima rassomiglianza dallo Schlegel9, fu rappresentato ne’ teatri di Germania, come se Shakespeare e Schiller fossero divenuti concittadini. E facilmente in Italia si avrebbe un eguale effetto; poiché i drammatici francesi tanto si accostano all’italiano quanto Shakespeare al tedesco. […] Havvi10 oggidì nella letteratura italiana una classe di eruditi che vanno continuamente razzolando le antiche ceneri11, per trovarvi forse qualche granello d’oro: ed un’altra di scrittori senz’altro capitale12 che molta fiducia nella lor lingua armoniosa, donde raccozzano suoni vôti d’ogni pensiero13, esclamazioni, declamazioni, invocazioni, che stordiscono gli orecchi, e trovan sordi i cuori altrui, perché non esalarono14 dal cuore dello scrittore. Non sarà egli dunque possibile che una emulazione operosa, un vivo desiderio d’esser applaudito ne’ teatri, conduca gl’ingegni italiani a quella meditazione che fa essere inventori15, e a quella verità di concetti e di frasi nello stile16, senza cui non ci è buona letteratura e neppure alcuno elemento di essa?

1. de’ modi medesimi: degli stessi modi espressivi. 2. a rifornire … compenso: per ridare vigore (alla letteratura) non vi è migliore rimedio. 3. anticate: divenute antiquate. 4. dimentiche: dimenticate. 5. vestire … straniere: imitare pedissequamente le mode delle letterature straniere. 6. viete: inattuali. 7. nelle compagnie … schiettezza: in so-

cietà le formalità e le cerimonie vanno a danno della spontaneità. 8. il magistrato: il giudice, l’autorità indiscussa. 9. Schlegel: August Wilhelm Schlegel, autore del Corso di letteratura drammatica ( cap. 1, T1, p. 209). 10. Havvi: esistono. 11. razzolando le antiche ceneri: rovistando fra quanto rimane della tradizione classica,

ormai morta. 12. capitale: fonte di ispirazione. 13. donde … pensiero: dalla quale raccolgono sommariamente espressioni prive di contenuto. 14. esalarono: provennero. 15. inventori: creatori originali. 16. verità … stile: stretta connessione di verità e originalità formale.

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L’età del Romanticismo

Analisi del testo La critica alla cultura italiana

L’apertura alla cultura europea

Gli anni stagnanti della Restaurazione

Nell’invitare i letterati italiani a tradurre gli scrittori stranieri, Madame de Staël traccia un quadro fortemente critico della cultura italiana del tempo: nella ripetizione delle stesse immagini, nel rifarsi continuamente alla mitologia antica, ormai morta, le fantasie si impoveriscono, le lettere si isteriliscono. Oggi i letterati o “razzolano” nelle «ceneri» della cultura classica, per trovarvi ancora qualche «granello d’oro» di cui appropriarsi, o scrivono poesie sonore e vuote, incapaci di muovere i cuori perché non nate da ispirazione autenticamente sentita. Per ridare vita alla cultura italiana, per la de Staël, non resta che aprirsi alla circolazione viva con la cultura europea: non per trovare nuovi modelli da imitare, ma per arricchire le conoscenze e stimolare la creazione con nuovi temi e nuove forme. Anche se dura, la critica nasceva da un sincero amore per la letteratura italiana e da un desiderio di vederla risorgere. In realtà la cultura italiana dell’età napoleonica era stata ricca di fermenti, aperta alle letterature straniere (si pensi solo a Foscolo che riprende il Werther e traduce Sterne). Però quella stagione era finita, e negli anni stagnanti della Restaurazione la ripetizione degli schemi classici era ormai irrimediabilmente superata. L’intervento della de Staël, suscitando accese discussioni, ebbe il merito di far venire alla luce energie e idee nuove.

Esercitare le competenze CoMprendere

> 1. Quale funzione viene attribuita al teatro? AnALizzAre

> 2.

Stile

Individua le metafore presenti alle righe 19-24.

Approfondire e inTerpreTAre

> 3.

Scrivere Nel brano è possibile individuare tre parole chiave su cui si svolge l’argomentazione dell’autrice: «novità» (r. 6), «utilità» (r. 14) e «verità» (r. 26). Spiega in circa 10 righe (500 caratteri) per quale motivo questi concetti sono importanti nel testo e nel contesto culturale romantico. pASSATo e preSenTe La polemica classico-romantica in classe

> 4. Dividete la classe in due gruppi: alcuni compagni sostengano le posizioni di Madame de Staël e dei roman-

tici, gli altri invece difendano la tradizione classicistica e l’autonomia della cultura italiana rispetto ai modelli europei. Al termine del confronto in classe, ciascuno decida a quale dei due gruppi unirsi e ne dia una motivazione

A2 Testi Bürger • Eleonora

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Giovanni Berchet Nacque a Milano nel 1783. Nel 1816 fu autore del più famoso manifesto del Romanticismo italiano, Sul «Cacciatore feroce» e sulla «Eleonora» di G. A. Bürger. Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliolo. Nel 1818 fece parte del gruppo che fondò il “Conciliatore”, il foglio portavoce delle posizioni romantiche. Nel 1820 si iscrisse alla Carboneria. Fu vittima della repressione seguita ai moti del 1821, e, per sfuggire all’arresto, andò esule a Parigi, a Londra ed in Belgio. A questo periodo risale la sua produzione poetica: il poemetto I profughi di Parga (1821), le Romanze (1822-24) e il poemetto le Fantasie (1829). Tornato in Italia nel 1845, partecipò alle Cinque Giornate milanesi del 1848. Dopo il ritorno degli Austriaci, fu costretto a riparare in Piemonte. Fu eletto deputato al Parlamento subalpino, dove si schierò con la Destra. Morì a Torino nel 1851. La vita e le opere

Capitolo 2 · Il Romanticismo in Italia

T2

Giovanni Berchet

Temi chiave

La poesia popolare dalla Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliolo

• la nozione romantica di letteratura • la poesia come espressione dello spirito nazionale

• il pubblico della classe media

L’autore, che si cela dietro lo pseudonimo di Grisostomo (“bocca d’oro” in greco), finge di scrivere al proprio figlio in collegio dandogli una serie di consigli letterari. Il che è occasione per un’esaltazione della nuova letteratura romantica, di cui Berchet riporta come esempio la traduzione di due ballate del poeta tedesco Gottfried August Bürger, Il cacciatore feroce e Eleonora, ispirate a leggende popolari germaniche. Poi, alla fine, finge di aver scherzato, ed esorta il figlio a seguire fedelmente le regole classicistiche, che espone facendone la parodia. Per questa ironica ritrattazione finale la lettera è definita nel titolo «semiseria».

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Tutti gli uomini, da Adamo in giù fino al calzolaio che ci fa i begli stivali, hanno nel fondo dell’anima una tendenza alla poesia1. Questa tendenza, che in pochissimi è attiva, negli altri non è che passiva2; non è che una corda che risponde con simpatiche3 oscillazioni al tocco della prima. […] Il poeta, dunque, sbalza fuori dalle mani della natura4 in ogni tempo, in ogni luogo. Ma per quanto esimio5 egli sia, non arriverà mai a scuotere fortemente l’animo de’ lettori suoi, né mai potrà ritrarne6 alto e sentito applauso, se questi non sono ricchi anch’essi della tendenza poetica passiva. Ora siffatta disposizione degli animi umani, quantunque universale, non è in tutti gli uomini egualmente squisita7. Lo stupido Ottentoto8, sdrajato sulla soglia della sua capanna, guarda i campi di sabbia che la circondano, e s’addormenta. Esce de’ suoi sonni, guarda in alto, vede un cielo uniforme stenderseli9 sopra del capo, e s’addormenta. Avvolto perpetuamente tra il fumo del suo tugurio e il fetore delle sue capre, egli non ha altri oggetti, dei quali domandare alla propria memoria l’immagine, pe’ quali il cuore gli batta di desiderio. Però10 alla inerzia della fantasia e del cuore11 in lui tiene dietro di necessità quella della tendenza poetica12. Per lo contrario un Parigino13 agiato ed ingentilito da tutto il lusso di quella gran capitale, onde pervenire a tanta civilizzazione, è passato attraverso una folta14 immensa di oggetti, attraverso mille e mille combinazioni di accidenti. Quindi la fantasia di lui è stracca, il cuore allentato15 per troppo esercizio. Le apparenze esterne delle cose non lo lusingano (per così dire); gli effetti di esse non lo commuovono più, perché ripetuti le tante volte. E per togliersi di dosso la noja, bisogna a lui investigare le cagioni, giovandosi della mente16. Questa sua mente inquisitiva17 cresce di necessità in vigoria, da che l’anima a pro di lei18 spende anche gran parte di quelle forze che in altri destina alla fantasia ed al cuore, cresce in arguzie19 per gli sforzi frequenti a’ quali la meditazione la

1. Tutti gli uomini … poesia: si tratta di una delle idee-guida del Romanticismo. 2. in pochissimi … passiva: in tutti la tendenza alla poesia è innata, con questa distinzione: i più la intendono, pochi sono anche in grado di produrla. 3. simpatiche: in accordo. 4. Il poeta … natura: è il principio romantico per cui l’ispirazione poetica è un dono spontaneo della natura, non prodotto di artificio. 5. esimio: valente, capace. 6. ritrarne: ottenerne. 7. squisita: elevata. 8. Ottentoto: degli Ottentotti, popolazione

sudafricana, parlarono per primi gli olandesi, che li presentarono come uomini particolarmente rozzi e primitivi, e tale fu il significato attribuito al sostantivo per antonomasia già in un ragionamento del “Caffè”: Un Pedante e un Ottentoto nel Caffè. 9. stenderseli: che gli si stende. 10. Però: perciò. 11. della fantasia … cuore: fantasia e cuore sono per i romantici le fonti della poesia. 12. in lui … poetica: fa seguito l’inattività della tendenza poetica. 13. Parigino: agli antipodi dell’Ottentotto sta il Parigino, citato come esempio per antonomasia dell’eccesso di civilizzazione; in

lui la facoltà raziocinante ha inaridito sentimento e fantasia indebolendo il senso della poesia. 14. folta: folla. 15. il cuore allentato: la capacità di sentire è indebolita. 16. giovandosi della mente: facendo ricorso alla ragione. Il Parigino non apprende attraverso sentimento e intuizione, ma solo attraverso la ragione. 17. inquisitiva: investigativa. 18. a pro di lei: a suo vantaggio. 19. arguzie: sottigliezze.

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costringe. E il Parigino di cui io parlo, anche senza avvedersene, viene assuefacendosi a perpetui raziocinj, o per dirla a modo del Vico, diventa filosofo20. Se la stupidità dell’Ottentoto è nemica alla poesia, non è certo favorevole molto a lei la somma civilizzazione del Parigino. Nel primo la tendenza poetica è sopita; nel secondo è sciupata in gran parte. I canti del poeta non penetrano nell’anima del primo, perché non trovano la via d’entrarvi. Nell’anima del secondo appena appena discendono accompagnati da paragoni e da raziocinj21: la fantasia ed il cuore non rispondono loro che come a reminiscenze lontane. E siffatti canti, che sono l’espressione arditissima di tutto ciò che v’ha di più fervido nell’umano pensiero, potranno essi trovar fortuna fra tanto gelo? E che meraviglia se presso del Parigino ingentilito quel poeta sarà più bene accolto che più penderà all’epigrammatico22? Ma la stupidità dell’Ottentoto è separata dalla leziosaggine del Parigino fin ora descritto per mezzo di gradi moltissimi di civilizzazione che più o meno dispongono l’uomo alla poesia. E s’io dovessi indicare uomini che più si trovino oggidì in questa disposizione poetica, parmi23 che andrei a cercarli in una parte della Germania. A consolazione, non pertanto, de’ poeti, in ogni terra, ovunque è coltura intellettuale, vi hanno24 uomini capaci di sentire poesia. Ve n’ha bensì in copia ora maggiore ora minore, ma tuttavia sufficiente sempre. Ma fa d’uopo25 conoscerli e ravvisarli ben bene, e tenerne conto. Ma il poeta non si accorgerà mai della loro esistenza, se per rinvenirli visita le ultime casipole della plebe affamata, e di là salta a dirittura nelle botteghe da caffè, ne’ gabinetti delle Aspasie, nelle corti dei Principi, e nulla più26. Ad ogni tratto egli rischierà di cogliere in iscambio27 la sua patria, ora credendola il Capo di Buona Speranza28, ora il Cortile del Palais-Royal29. E dell’indole dei suoi concittadini egli non saprà mai un ette30. Che s’egli considera che la sua nazione non la compongono que’ dugento che gli stanno intorno nelle veglie o ne’ conviti; se egli ha mente a questo, che mille e mille famiglie pensano, leggono, scrivono, piangono, fremono, e sentono le passioni tutte, senza pure avere un nome ne’ teatri31, può essere che a lui si schiarisca innanzi un altro orizzonte; può essere che egli venga accostandosi ad altri pensieri ed a più vaste intenzioni. L’annoverare qui gli accidenti fisici32 propizj o avversi alla tendenza poetica; il dire minutamente come questa, del pari che la virtù morale, possa essere aumentata o ristretta in una nazione dalla natura delle instituzioni civili, delle leggi religiose e di altre circostanze politiche, non fa all’intendimento mio33. Te ne discorreranno, o carissimo, a tempo opportuno, i libri ch’io ti presterò. Basti a te per ora il sapere che tutte le presenti nazioni d’Europa (l’italiana anch’essa, né più né meno) sono formate da tre classi d’individui: l’una di Ottentoti; l’una di Parigini; e l’una, per ultimo, che comprende tutti gli altri individui leggenti ed ascoltanti, non eccettuati quelli che, avendo anche

20. E il Parigino … diventa filosofo: il Parigino di cui parlo, senza rendersene conto, non riesce a fare a meno della capacità raziocinante e finisce per diventare filosofo, per usare un termine di Vico. Berchet si richiama al pensiero di Vico secondo cui un abuso di raziocinio può causare un inaridimento di sentimento e fantasia e quindi affievolire l’ispirazione poetica; il filosofo di Vico, tuttavia, non può essere paragonato all’insensibile Parigino. 21. discendono … raziocinj: poiché il Parigino, incapace di abbandonarsi al sentimento, si impegna in confronti e ragionamenti. 22. E che … all’epigrammatico: per questo motivo non ci sarà da stupirsi se il Parigi-

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no accorderà le sue preferenze ad un genere di poesia, come l’epigramma, in cui prevalgono le sottili e argute astrazioni intellettuali. 23. parmi: mi sembra. 24. vi hanno: esistono. 25. fa d’uopo: è necessario. 26. Ma il poeta … e nulla più: il poeta non troverà il suo pubblico se lo cercherà nei tuguri della plebe affamata o, all’opposto, nei caffè (ritrovo di intellettuali), nei salotti delle cortigiane o nelle corti dei principi. Aspasia era una colta cortigiana dei tempi di Pericle, nell’Atene del V secolo a.C. 27. cogliere in iscambio: scambiare. 28. Capo di Buona Speranza: ossia un luo-

go primitivo e selvaggio: l’Africa australe, dove vivono gli Ottentotti. 29. il Cortile del Palais-Royal: ossia un centro di ritrovo aristocratico parigino. 30. un ette: niente. 31. senza … teatri: senza avere un palco riservato a loro nome nei teatri (che era privilegio dell’aristocrazia). 32. gli accidenti fisici: le circostanze materiali. 33. L’annoverare … all’intendimento mio: Berchet elenca le questioni oggetto di dibattito teorico nella letteratura europea di quegli anni e per brevità le esclude dal suo discorso.

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studiato ed esperimentato quant’altri, pur tuttavia ritengono34 attitudine alle emozioni. A questi tutti io do nome di popolo35. Della prima classe, che è quella dei balordi calzati e scalzi36, non occorre far parole. La seconda, che racchiude in sé quei pochi, i quali escono della comune37 in modo da perdere ogni impronta nazionale, vuole38 bensì essere rispettata dal poeta, ma non idolatrata, ma non temuta. Il giudizio che i membri di questa classe fanno delle moderne opere poetiche, non suole derivare dal suffragio39 immediato delle sensazioni, ma da’ confronti40. Negli anni del fervore41 eglino42 hanno trovato il bello presso tale e tal altro poeta; e ciò che non somiglia al bello sentito un tempo, pare loro di doverlo ora ricusare. Le opinioni scolastiche, i precetti bevuti pigramente un tempo come infallibili, reggono tuttavia43 il loro intelletto, che non li mise mai ad esame44, perché d’altro curante. Però45 l’orgoglio umano, a cui è duro il dover discendere a discredere ciò che per molti anni s’è creduto, il più delle volte li fa tenaci delle massime inveterate46. E il più delle volte eglino combattono per esse come per l’antemurale47 della loro riputazione. Allora ogni arme, ogni scudo giova. E perché48 una serie di secoli non si brigò più che tanto49 di discutere l’importanza di quelle massime, eccoti in campo un bell’argomento di difesa nel silenzio delle generazioni50. Chi tace non parla, diciamo noi. Ma chi tace approva, dicono essi; e il sopore dei secoli lo vanno predicando come consenso assoluto di tutta quanta la ragione umana alla necessità di certe regole chiamate, Dio sa perché, di buon gusto51; e però via via d’ugual passo sgozzano ad esse ogni tratto qualche vittima illustre. La lode che al poeta viene da questa minima parte della sua nazione non può davvero farlo andare superbo; quindi anche il biasimo ch’ella sentenzia, non ha a mettergli grande spavento. La gente ch’egli cerca, i suoi veri lettori stanno a milioni nella terza classe52. E questa, cred’io, deve il poeta moderno aver di mira, da questa deve farsi intendere, a questa deve studiar di piacere, s’egli bada al proprio interesse ed all’interesse vero dell’arte. Ed ecco come la sola vera poesia sia la popolare: salve le eccezioni sempre, come ho già detto; e salva sempre la discrezione ragionevole con cui questa regola vuole essere interpretata.

Horace Vernet, La ballata di Eleonora o Eleonora, 1839, olio su tela, Nantes (Francia), Musée des Beaux-Arts de Nantes.

34. ritengono: mantengono. 35. A questi … nome di popolo: la classe media, costituita da individui di media cultura, ma a cui possono appartenere gli intellettuali, a meno che non abbiano smarrito l’attitudine alle emozioni. 36. balordi … scalzi: stolti ricchi e poveri. 37. della comune: dalla sensibilità comune. 38. vuole: deve. 39. dal suffragio: dall’approvazione. 40. da’ confronti: dal senso critico. 41. Negli anni del fervore: nella gioventù, l’età

nella quale più frequenti sono gli entusiasmi. 42. eglino: essi. 43. reggono tuttavia: continuano a governare. 44. che … ad esame: che non li sottopose mai a verifica critica. 45. Però: perciò. 46. massime inveterate: princìpi invecchiati. La polemica di Berchet è contro la mentalità classicistica. 47. l’antemurale: il baluardo. 48. perché: per il fatto che.

49. non … tanto: non si preoccupò minimamente. 50. eccoti … generazioni: il silenzio delle precedenti generazioni, che non ha messo in discussione i princìpi classicistici, viene usato come argomento di difesa. 51. buon gusto: con questa espressione l’estetica settecentesca comprendeva un insieme di valori quali la naturalezza, l’equilibrio, l’armonia. 52. nella terza classe: nel popolo, cioè nelle classi medie.

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L’età del Romanticismo

Analisi del testo

> La concezione romantica della poesia

«Fantasia» e «cuore» Poesia e nazione

Il passo presenta alcuni punti essenziali della nuova nozione romantica di letteratura, nonché del programma culturale del movimento romantico lombardo. La poesia deve scaturire dalla «fantasia» e dal «cuore»: non è solo l’esercizio di un’abilità tecnica e retorica, come per il classicismo accademico; deve dar voce a qualcosa di intimo e profondo, di autenticamente sentito: solo così potrà interessare e commuovere i lettori. La poesia deve esprimere lo spirito nazionale, la fisionomia caratteristica della cultura di un popolo. Per questo Berchet offre come esempio la traduzione delle ballate di Bürger, che si collegano alla tradizione popolare germanica. Si coglie qui la polemica: a) contro il cosmopolitismo tipico della cultura illuministica, che trascurava le caratteristiche storiche della cultura nazionale; b) contro il classicismo, che si ispirava solo alla cultura classica, cioè ad un patrimonio inaridito dall’imitazione pedantesca, e per questo ormai estraneo alla coscienza moderna.

> il nuovo pubblico

Le classi medie

Viene individuato il nuovo pubblico a cui è rivolta questa nuova letteratura: essa non deve più indirizzarsi alla casta chiusa e ristretta dei letterati, come la letteratura classicistica, ma ad un pubblico più vasto, il «popolo». Per «popolo» Berchet non intende la plebe (gli «Ottentoti»), misera e ignorante, e per questo incapace di cogliere il messaggio poetico; da escludere è anche l’aristocrazia (i «Parigini»), inaridita dall’eccessivo esercizio dell’intelligenza e troppo cosmopolita. Il nuovo pubblico sarà allora da identificare con le classi medie, le sole che hanno «fantasia» e «cuore», indispensabili per intendere la poesia, e spirito nazionale. Il discorso di Berchet indica con grande chiarezza come la letteratura romantica debba rivolgersi alla borghesia, la nuova classe che si va formando in Italia, attraverso il processo risorgimentale e il moderno sviluppo economico, e debba interpretarne gli interessi, i gusti, le aspirazioni.

Esercitare le competenze CoMprendere

> 1. Che cos’è la tendenza poetica «attiva» (rr. 2-3)? E quella «passiva» (r. 3)? > 2. Completa la seguente tabella indicando le caratteristiche fondamentali delle «tre classi d’individui» descritte da Berchet e il loro atteggiamento verso la poesia, secondo l’esempio proposto. Categoria sociale

Caratteristiche

Ottentoti

.............................................................................................................................................................,

.............................................................................................................................................................,

Parigini

.............................................................................................................................................................,

.............................................................................................................................................................,

................................................................

.............................................................................................................................................................,

.............................................................................................................................................................,

AnALizzAre

> 3. > 4.

Quale figura retorica rintracci alle righe 49-53? Quale concezione dell’arte e della letteratura sottolinea? Ricerca nel brano termini e/o espressioni che fanno riferimento al campo semantico del sentimento e dell’emozione e spiega a quale altro campo semantico si oppongono. Stile

Lessico

Approfondire e inTerpreTAre

> 5. Scrivere Partendo dalle affermazioni di Berchet, svolgi un commento in circa 10 righe (500 caratteri) sul ruolo dell’intellettuale e sul suo rapporto con il pubblico nel contesto della letteratura romantica europea e italiana. > 6. esporre oralmente Riassumi le motivazioni addotte da Berchet alle righe 67-82 contro la mentalità dei classicisti (max 3 minuti).

328

Capitolo 2 · Il Romanticismo in Italia

A3

pietro Borsieri La vita Nato a Milano nel 1788, fu autore di uno dei manifesti romantici del 1816, Avventure letterarie di un giorno; dopo i moti del 1821 fu processato e incarcerato in Moravia nella fortezza dello Spielberg (la stessa dove fu recluso e di cui narrerà Silvio Pellico nelle Mie prigioni); ebbe poi la pena commutata nell’esilio e visse due anni in America. Tornato in Italia, partecipò alle Cinque giornate; dopo la sconfitta di Custoza riparò in Piemonte, dove condusse vita misera, fino alla morte (1852).

Il “Conciliatore” fu un periodico bisettimanale, pubblicato a Milano dal 3 settembre 1818 al 2 ottobre 1819. Fu il portavoce del movimento romantico lombardo. Il nome proveniva dall’intento di conciliare idee e programmi, sia letterari sia politici, di diversi gruppi liberali e romantici milanesi. Vi confluirono infatti il gruppo composto da di Breme, Pellico, Borsieri, che già aveva pensato ad un giornale intitolato “Il Bersagliere”, ed il gruppo di Berchet ( A2, p. 324), Visconti, Torti, che faceva capo a Manzoni. Accanto ai letterati, si collocarono anche economisti come Giuseppe Pecchio e giuristi come Giandomenico Romagnosi. Manzoni non collaborò direttamente, ma sostenne l’iniziativa con la sua approvazione. Il giornale fu finanziato dal conte Porro Lambertenghi e dal conte Confalonieri, esponenti di quell’aristocrazia lombarda illuminata e liberale, che fu l’avanguardia del rinnovamento borghese. Perseguitato dalla censura austriaca per i suoi orientamenti liberali, il giornale fu costretto a chiudere dopo un solo anno di vita. L’estensore del programma, a nome dell’intera redazione, fu Pietro Borsieri. il “Conciliatore”

Le cinque giornate di Milano, XIX secolo, dipinto, Milano, Civiche Raccolte Storiche, Palazzo Morando.

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L’età del Romanticismo

T3

pietro Borsieri

Temi chiave

La letteratura, l’«arte di moltiplicare le ricchezze» e la «reale natura delle cose»

• il rifiuto della cultura classicistica e del formalismo

• l’idea di una cultura “utile” • il rapporto tra i romantici italiani e la borghesia

• un’arte realistica

dal Programma del “Conciliatore” Dall’ampio programma scegliamo un brano che esemplifica i princìpi fondamentali del gruppo romantico.

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Già tempo1 il vero sapere era proprietà riservata ad alcuni pochi i quali di tanto in tanto degnavano farne parte ai meno dotti di loro. Più spesso la minuziosa erudizione e la grave pedanteria occupavano il campo della vera filologia e della letteratura filosofica2. I dotti e i letterati di professione, sparsi nei chiostri e nei licei3, applaudivano fra loro alle opere dei loro colleghi o le biasimavano; ed al Pubblico non curante ne giungeva appena una debole voce. Insomma non v’era trent’anni addietro in Italia tale e tanto numero di esperti lettori che bastasse a costituire un pubblico giudicante; vogliamo dire, indipendente dalle opinioni di scuola, o da quelle divulgate dalle sette letterarie4 e dalle accademie. Quella non curanza5 che era nata in noi dal lungo sonno della pace6, e dalla poca comunicazione delle varie genti d’Italia, è ora sparita per opera delle contrarie cagioni. Tanti solenni avvenimenti della nostra età, tante lezioni della sventura7, hanno svegliato gli uomini colle punte del dolore; e riscosso una volta il sentimento, hanno essi per necessaria conseguenza imparato a pensare. Le gare arcadiche8, le dispute meramente grammaticali9, infine la letteratura delle nude parole sembra pur una volta venuta a noia, anche ai più pazienti; cresciuto è il numero di coloro, che non professando gli studi, cercano però nella coltura dell’animo una urbanità, una eleganza veramente degna dell’uomo, e l’obblivione a un tempo di molti affanni di questa sfuggevole vita10. […] L’utilità generale deve essere senza dubbio il primo scopo di chiunque vuole in qualsiasi modo dedicare i suoi pensieri al servizio del pubblico. […] Partendo da questo principio parve agli Estensori del Conciliatore che due cose fossero da osservarsi nella scelta delle materie. Preferire in prima quelle le quali sono immediatamente riconosciute utili11 dal maggior numero; ed unirle ad altre12 che, oltre all’essere dilettevoli di lor natura, avvezzano altresì gli uomini a rivolgere la propria attenzione sopra sé stes-

1. Già tempo: nel passato. 2. la minuziosa … filosofica: l’autore contrappone alla cultura del passato (appesantita dalla pedanteria e dall’erudizione) la cultura del presente, attenta alla filologia e alla filosofia, discipline che le attribuiscono dinamismo e vivacità. 3. nei chiostri e nei licei: nei monasteri e nelle accademie (i luoghi che tradizionalmente accoglievano gli intellettuali). 4. sette letterarie: scuole letterarie. Le considerazioni riguardano la trasformazione del pubblico che esercita nel presente un ruolo positivo: autonomo nel giudizio rispetto alle scuole, alle mode di pensiero, in grado di esprimere delle critiche che si rivelano im-

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portanti nella vita culturale della società. 5. non curanza: indifferenza. 6. sonno della pace: il lungo periodo di pace attraversato dall’Italia nella seconda metà del Settecento sotto l’egemonia austriaca. 7. solenni … sventura: allude al periodo tormentato della Rivoluzione francese e dell’età napoleonica. 8. Le gare arcadiche: le vuote, leziose competizioni poetiche tra i letterati membri dell’Accademia dell’Arcadia. 9. dispute … grammaticali: le vane, puntigliose polemiche sull’applicazione delle norme grammaticali. 10. la letteratura … vita: è definitivamen-

te tramontato quel modo di intendere la letteratura come puro formalismo privo di contenuti intimamente sentiti, vana chiacchiera o disputa pedantesca (letteratura delle nude parole); il pubblico di non specialisti è aumentato e rivela esigenze precise: educazione alla sensibilità (urbanità), eleganza autentica (non solamente formale) e l’occasione di dimenticare (obblivione) le angosce di cui è tessuta la breve vita dell’uomo. 11. quelle … utili: quelle elencate poco sotto, riguardanti i metodi dell’agricoltura, le nuove macchine ecc. 12. altre: quelle letterarie.

Capitolo 2 · Il Romanticismo in Italia

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si e possono quando che sia recar loro una utilità egualmente reale, quantunque non egualmente sentita13. L’Italia e la Lombardia in particolare, è un paese agricolo e commerciale. Le proprietà sono molto divise fra i cittadini, o tendono ad esserlo; e la ricchezza circola equabilmente14 per dir così in tutte le vene dello Stato. Reso accorto da questa verità di fatto, il Conciliatore15 ha sentito che non potrebbe senza colpa dispensarsi dal parlare dei buoni metodi di agricoltura, dell’invenzione di nuove macchine, della divisione del lavoro, delle arti, insomma, di moltiplicare le ricchezze; arte che torna in profitto dello Stato e che in gran parte è abbandonata di sua natura all’ingegno e all’attività dei privati16 […]. Se non che la severità di questi oggetti renderebbe troppo grave il nostro Giornale, ove non ci avvisassimo di temperarla17 perpetuamente coi ridenti studi della letteratura. Parleremo di versi, parleremo di prose, di opere forestiere, di opere nazionali, di belle arti, di poetiche, di precetti, di tutto che ecciti l’attenzione del bel mondo senza stancarla. Ma in tanta diversità di cose, troviamo necessario indicare in qualche guisa18 i princìpi direttivi del nostro lavoro. Noi intendiamo per vera critica quella che dall’intima conoscenza dell’umano cuore, e delle nostre varie facoltà intellettuali, desume le leggi ed il metodo con che procedere sia nel comporre le varie opere d’ingegno sia nel giudicarle19. Le finzioni della fantasia se non posano20 sulla reale natura delle cose e degli uomini, sono anzi21 un abuso che uno sfogo della mente. L’ufficio dunque della critica è di ben definire e di ben segnare i confini, più larghi assai che comunemente non si crede, dentro i quali la natura continua ad essere sostanzialmente la stessa, quantunque si manifesti sotto differentissimi aspetti22. L’ufficio del buon gusto è di accorgersi immediatamente o di quella angustia d’ingegno che non osa scostarsi dalle forme più note della natura, o di quella audacia pericolosa che la trapassi anche di una sola linea. Andrebbe dunque errato chi credesse da noi riposta la critica in un continuo scoppiettar di epigrammi o di censure maligne23, e s’ingannerebbe del pari chi sospettasse che noi vogliamo farne una vecchia matrona, ispida di precetti, e ognora24 divisa fra le divisioni della metafisica25 e i cavilli e le autorità della scuola. Il solido buon senso e la squisita sensibilità sono la vera essenza di lei; il sorriso delle grazie, la leggiadria delle vesti e del portamento debbono essere la sua forma esteriore, che alletti a guardarla e a riceverla ospitalmente.

13. egualmente sentita: l’utilità delle discipline umanistiche non è immediatamente né unanimemente riconosciuta dall’opinione comune come quella delle discipline tecniche e pratiche. 14. equabilmente: in modo uniforme. 15. Conciliatore: il periodico viene fatto parlare con l’artificio retorico della personificazione (non è una novità nell’ambito della stampa periodica settecentesca). 16. arte … privati: è un’affermazione che presuppone l’accettazione delle tesi del liberismo in campo economico. 17. ci avvisassimo di temperarla: ci preoccupassimo di mescolarla.

18. in qualche guisa: in qualche modo. 19. vera critica … giudicarle: i criteri che regolano la composizione delle opere e il giudizio su di esse devono scaturire dall’intima conoscenza dell’animo umano, non da princìpi astratti e dogmatici, come per i classicisti. 20. se non posano: se non si fondano. Vi è una presa di distanza dagli eccessi del Romanticismo nordico, che punta troppo sul sovrannaturale, sullo strano e l’abnorme, e si allontana dalla natura e dal «vero», che la letteratura non deve mai perdere di vista, secondo i romantici italiani. 21. anzi: più. 22. L’ufficio … aspetti: viene qui integrata

l’affermazione precedente: la letteratura non deve uscire dai confini della natura, ma questi confini sono molto più ampi di quanto credano i classicisti. Quindi il campo delle materie che possono essere trattate è molto più vasto di quello che essi pretendono di limitare, ed è compito (ufficio) della critica tracciarlo. La polemica è contro il principio di selezione che domina la poetica classicistica. 23. censure maligne: critiche dettate da malevolenza piuttosto che da fondate motivazioni. 24. ognora: sempre. 25. divisioni della metafisica: regole astratte.

331

L’età del Romanticismo

Analisi del testo

> il programma dei romantici

Il nuovo pubblico

Il rifiuto del formalismo Una cultura “utile”

La pagina presenta con chiarezza alcuni punti fondamentali del programma culturale dei romantici. 1. Rifiuto della cultura classicistica, in quanto monopolio di una casta chiusa di letterati di professione, che è separata dal corpo della società e scrive solo per altri letterati; esigenza di una cultura viva, in un rapporto di circolazione diretta con il corpo sociale; individuazione, quindi, di un pubblico più largo, di lettori comuni (è l’esigenza espressa anche da Berchet nella Lettera semiseria, T2, p. 325). Borsieri coglie giustamente come questi bisogni siano nati dai rivolgimenti dell’età rivoluzionaria e napoleonica, che hanno trasformato profondamente l’assetto dell’Italia. 2. Rifiuto della «letteratura delle nude parole», cioè del formalismo pedantesco del classicismo, che è attento solo all’espressione elegante, ma non alla sostanza di ciò che si scrive. 3. Idea di una cultura “utile”, che contribuisca a promuovere in Italia uno sviluppo civile ed economico moderno. Per questo il “Conciliatore” non intende limitarsi solo alla letteratura, ma vuole affrontare anche discipline pratiche, le scienze economiche, sociali, giuridiche, statistiche; in questa prospettiva il gruppo dei romantici lombardi appare come l’erede degli illuministi del “Caffè” (che, nel Programma, vengono richiamati esplicitamente).

> Un rinnovamento in senso borghese e moderno

Un’avanguardia della borghesia

L’orientamento liberale

L’equidistanza dal classicismo e dal Romanticismo nordico

Il «vero»

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L’intento di diffondere le «arti di moltiplicare le ricchezze», cioè di promuovere lo sviluppo economico, rivela come i romantici si muovano nella prospettiva di un rinnovamento dell’Italia in senso borghese. Si è già precisato che una borghesia moderna, all’altezza dei compiti di una classe dirigente, in Italia in quel momento non esisteva ancora, neppure in Lombardia, che era la regione più avanzata. Perciò i romantici, più che portavoce della borghesia italiana, sono da vedere come l’avanguardia intellettuale che apre la strada alla formazione di quella borghesia, guardando al modello delle esperienze straniere più avanzate (ad esempio è da essi molto ammirata l’Inghilterra). Il loro orientamento è chiaramente liberale: l’«arte di moltiplicare le ricchezze» è «abbandonata di sua natura all’ingegno e all’attività dei privati», ma «torna in profitto» dell’intera collettività, cioè il singolo che persegue il suo interesse coopera al bene di tutti: è il principio basilare del liberismo economico, enunciato nel Settecento dall’economista Adam Smith.

> Le posizioni letterarie moderate

Sul piano strettamente letterario i romantici hanno una posizione moderata, equidistante dagli estremi rappresentati dalla pedanteria precettistica del classicismo e dalla libertà irrazionalistica del Romanticismo nordico. Essi affermano la necessità della libertà creativa, concepiscono l’arte come espressione della spontaneità, non come ossequio a regole rigide; le leggi della composizione non devono essere desunte da modelli arbitrariamente fissati, ma dall’«intima conoscenza dell’umano cuore»; però subito precisano che le «finzioni della fantasia» che non si posano sulla «reale natura delle cose» sono un «abuso» della mente: il Romanticismo lombardo propugna cioè un’arte non sfrenatamente fantastica, ma realistica, aderente al «vero». Per capire immediatamente il senso di un’affermazione del genere, si paragonino I promessi sposi ( cap. 3, pp. 360 e ss.), che sono la realizzazione più alta del Romanticismo lombardo, con la Ballata del vecchio marinaio di Coleridge ( cap. 1, T7, p. 232), con gli Inni alla notte di Novalis ( cap. 1, T4, p. 220), con i racconti fantastici di Hoffmann e di Poe ( cap. 1, T16, p. 294).

Capitolo 2 · Il Romanticismo in Italia

Esercitare le competenze CoMprendere

> 1. A chi era riservato nel passato il sapere? > 2. A chi si riferisce l’autore con l’espressione «pubblico giudicante» (r. 7)? > 3. Quale scopo deve perseguire la cultura secondo il programma del “Conciliatore”? AnALizzAre

> 4.

Stile Individua le figure retoriche presenti nel periodo «Tanti […] pensare» (rr. 11-14) e chiarisci a quali concetti danno risalto. > 5. Lessico Analizza il brano dal punto di vista lessicale: sono presenti termini tecnici e ricercati? Quale registro prevale? La scelta dell’autore è coerente con il pubblico a cui è destinato il testo?

Approfondire e inTerpreTAre

> 6.

Testi a confronto Svolgi un confronto con il discorso Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni di Madame de Staël ( T1, p. 323) a proposito dei tre concetti fondamentali di novità, utilità e verità e del principio di imitazione, indicando quali sono gli aspetti comuni e le differenze nelle affermazioni dei due autori.

per iL reCUpero

> 7. Analizza il periodo compreso tra le righe 52-55 dal punto di vista sintattico, indicando la frase principale e riconoscendo eventuali proposizioni coordinate o subordinate.

Visualizzare i concetti

I principali manifesti del Romanticismo GerMAniA

inGhiLTerrA

frAnCiA

iTALiA

Schlegel Corso di letteratura drammatica

Wordsworth Prefazione alle Ballate liriche

Hugo Prefazione a Cromwell

Berchet Sul «Cacciatore feroce» e sulla «Eleonora» di G. A. Bürger. Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliolo

Poesia romantica caratterizzata dalla nostalgia della pienezza perduta dall’uomo con il suo distacco dal Creatore

Interesse per gli umili in quanto portatori di una spontaneità originaria e naturale; linguaggio semplice e immediato

Dignità lettararia del «grottesco» (il brutto e il comico) contro le tendenze idealizzanti del classicismo

Tensione verso l’assoluto e la totalità

Poesia come espressione della «fantasia» e dello spirito nazionale; pubblico borghese

Imperfezione formale come espressione dell’intima lacerazione

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L’età del Romanticismo

2 Il conservatorismo dei poeti italiani

La poesia in Italia Le soluzioni rivoluzionarie della lirica europea riflettono una profonda trasformazione della visione del reale. Su questo sfondo risalta la timidezza conservatrice della produzione poetica minore del nostro Romanticismo, che da quella rivoluzione appare ben lontana, nei temi ma ancor più nel linguaggio. In ciò non solo si rivela il mediocre valore di questa produzione, ma si conferma quel carattere moderato che il Romanticismo italiano presenta, come si è visto ( p. 322), sul piano delle poetiche e dei programmi letterari. A ben altri livelli si colloca, naturalmente, la poesia di Manzoni e Leopardi, che esamineremo a parte nei capitoli ad essi dedicati. Tuttavia anche i nostri due grandi poeti seguono vie che si discostano da quelle percorse dalla lirica romantica europea.

La poesia patriottica L’impegno civile

Il tentativo di un linguaggio popolare

Giovanni Berchet

La poesia romantica italiana è in primo luogo poesia patriottica, colma di passioni risorgimentali, intesa a fini pratici: incitare alla lotta, esaltare le glorie del passato, deprecare il dispotismo e l’oppressione straniera, diffondere i valori fondamentali, come l’amore di patria, la fratellanza nazionale, la libertà. Ha perciò un carattere fortemente oratorio. Ciò spiega l’uso costante di metri rapidi, martellanti, come il decasillabo, l’ottonario e il settenario, che danno l’impressione dell’inno di battaglia, ed il frequente ricorrere di esclamazioni e interrogazioni, o di figure retoriche molto enfatiche come metafore e personificazioni. Data la sua destinazione e il suo intento di far presa immediata sui lettori, questa poesia punta anche ad un linguaggio di popolare facilità, mirando così a realizzare il principio romantico della “popolarità” della letteratura; ma in realtà non riesce a portare a compimento una vera rivoluzione del linguaggio poetico, avvicinandolo al linguaggio quotidiano. Restano infatti vistosi residui del linguaggio poetico tradizionale e classicheggiante, sia nel lessico aulico («speme», «crini», «brando», «augello» e simili) sia nella sintassi. È questa una caratteristica propria di gran parte della poesia romantica italiana, e non solo di quella patriottica (avremo modo di verificarla persino nella poesia manzoniana). L’esponente più significativo di questo genere di poesia è Giovanni Berchet ( A2, p. 324), autore di Romanze (1822-24) e di Fantasie (1829), in cui trae ispirazione dalla situazione politica presente, ma volgendosi spesso al passato, a rievocare episodi di grandezza da proporre come esempio e incitamento, come Il giuramento di Pontida ( T4, p. 337).

La poesia satirica e i generi narrativi

La satira: Giusti La novella in versi

La ballata

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Accanto alla poesia patriottica si può collocare quella satirica, di cui l’esponente più ragguardevole è il toscano Giuseppe Giusti (1809-50): i suoi Scherzi possono avere obiettivi politici e patriottici, ma spesso sono satira di costume, che fissa tipi e macchiette della società contemporanea con la vivacità saporosa del toscano parlato. Due generi poetici molto diffusi e popolari nell’età romantica furono la novella in versi e la ballata. La novella in versi è un componimento di tipo narrativo che predilige motivi sentimentali (soprattutto amori infelici con fine tragica), con intensi contrasti passionali e scene lacrimevoli, tesi a suscitare la commozione del pubblico. La vicenda può essere ambientata nell’età contemporanea, come nella Fuggitiva (1816) di Tommaso Grossi (1790-1853) e nell’Edmenegarda (1841) di Giovanni Prati (181484); ma più spesso viene prediletto un Medioevo di maniera, cupo o pittoresco, tipico di un gusto romantico deteriore, come nell’Ildegonda (1820) dello stesso Grossi. Ad un gusto affine si ispira la ballata. Nasce dall’imitazione delle ballate popolari nordiche, tedesche e inglesi, di cui Berchet aveva dato un saggio traducendo nella Lettera se-

Capitolo 2 · Il Romanticismo in Italia

miseria ( T2, p. 325) l’Eleonora e Il cacciatore feroce di Bürger, proponendole come esempi di poesia “popolare”. Si tratta di un tipo di componimento anch’esso narrativo, ma con forti coloriture liriche, che presenta avvenimenti avvolti in un alone leggendario e fantastico. Vi trionfa il gusto romantico del pittoresco e del sentimentale, oppure dell’orrido e del macabro. Talora vi compare l’elemento storico, ispirato ad un esotismo di maniera. Rappresentante più significativo del genere è Luigi Carrer (1801-50), autore di ballate che ottennero vasta notorietà (La sposa dell’Adriatico, Il cavallo d’Estremadura). Entrambi questi generi, novella in versi e ballata, furono molto amati dal pubblico, che vi trovava soddisfazione al suo bisogno di evasione e di facile commozione.

Tommaseo e la seconda generazione romantica La poesia religiosa: Tommaseo

Testi Tommaseo • A una foglia • Le altezze

La seconda generazione romantica: Prati e Aleardi

Un posto a sé nel panorama poetico del Romanticismo italiano occupa la produzione di Niccolò Tommaseo (1802-74), intellettuale di grande rilievo per la ricchezza dei suoi interessi (poesia, narrativa, critica, lessicografia). È una poesia di impronta eminentemente religiosa, ispirata ad una concezione mistica, quasi panteistica. Per la profondità del pensiero, l’originalità dei motivi e la densità del linguaggio spicca singolarmente in un panorama mediocre come quello della poesia minore di questo periodo. Si suole poi distinguere una seconda generazione romantica, di poeti attivi intorno alla seconda metà del secolo, tra cui si segnalano Giovanni Prati e Aleardo Aleardi (1812-78). È una poesia che accentua l’effusione sentimentale già presente nei decenni precedenti, puntando ora all’enfasi ora all’estenuata languidezza, con un linguaggio poetico facilmente cantabile, che può far pensare ad un’“Arcadia” romantica.

La poesia dialettale

La “rivoluzione copernicana” di Porta e Belli

L’ottica “alta”

Il punto di vista dal basso

Se la poesia romantica non riesce a compiere un rinnovamento autentico del linguaggio e dei temi poetici (esclusi sempre i vertici, Manzoni e Leopardi), una rivoluzione di profonda portata è introdotta dalla poesia dialettale, che conta due poeti oggi riconosciuti di altissimo livello, Carlo Porta ( A4, p. 342), che scrive in dialetto milanese, e Giuseppe Gioacchino Belli ( A5, p. 348), che scrive in dialetto romanesco. Essi giungono ad una vera “rivoluzione copernicana” nella poesia (sia pur anch’essi in direzione diametralmente opposta rispetto al Romanticismo straniero): non solo perché affrontano zone della realtà tradizionalmente escluse dalla letteratura e ritenute impoetiche, quali la vita dei ceti popolari, nella sua miseria materiale e nella sua degradazione morale, ma per il punto di vista da cui quella realtà è guardata. La realtà plebea, infatti, era sempre stata presentata esclusivamente dall’ottica “alta” dello scrittore aristocratico e borghese che, per quanto si chinasse con simpatia e comprensione verso di essa, tendeva a subordinarla alla sua visione del mondo, al significato che egli voleva trarre dai fatti rappresentati. Tale è anche l’esito della pur innovativa operazione di Manzoni, che assume sì come protagonisti del suo romanzo personaggi popolari, ma in funzione della sua visione problematicamente cristiana del mondo e del suo progressismo liberale, presentandoli come depositari di una serie di virtù positive in contrapposizione alle classi elevate, dove sembra concentrarsi tutto il male scaturito dalla caduta originaria dell’uomo. Porta e Belli compiono invece la scelta rivoluzionaria di adottare un’ottica dal basso, quella degli stessi popolani, con effetti sconvolgenti nella rappresentazione del reale, che viene visto da una prospettiva radicalmente “altra” rispetto a quella abituale e quindi fortemente straniante. Ne deriva una possibilità di lettura critica del reale di eccezionale acutezza e penetrazione. Ne fanno le spese i ceti privilegiati, la nobiltà milanese chiusa nella sua superbia sprezzante, il ceto ecclesiastico romano, monsignori, cardinali, il papa, che appaiono come un mondo morto e mummificato nella routine dell’esercizio di un potere autoritario e oppressivo. 335

L’età del Romanticismo

Una visione pessimistica

Il dialetto

Gli ambienti: Milano e Roma

Ma anche del popolo stesso viene data una visione che, provenendo dall’interno, non è più idealizzata ed esemplare, subordinata alla visione dello scrittore: emerge così la sua sanguigna vitalità, ma anche la sua degradazione. L’ottica dal basso comporta la negazione di tutta una serie di miti che sono costruzioni della cultura “alta”: il mito del progresso, dell’incivilimento, dell’indefinita perfettibilità dell’uomo, mentre viene proposta una visione desolata, acremente pessimistica, che ha un alto potenziale demistificante e critico. In questa luce la lingua dialettale non risulta solo un espediente di maniera, inteso a conferire il colore locale alla rappresentazione, ma appare l’unica forma possibile per esprimere quella visione, capace di modellarsi con straordinaria duttilità su di essa. Si tratta perciò di un linguaggio poetico vivo, di eccezionale forza espressiva, che si adatta a tutte le sfumature: lontanissimo, quindi, dall’artificiosità stereotipata della contemporanea poesia in lingua. Gli esiti dei due poeti sono affini, ma diverse si rivelano le loro personalità, così come gli ambienti culturali in cui si formano e agiscono. Porta vive nella Milano napoleonica e poi della Restaurazione, ed è vicino al gruppo romantico, condividendone i princìpi di poetica, la battaglia per la nuova letteratura, nonché l’impegno civile progressivo di ascendenza illuministica. Belli vive invece nella Roma papale, forse lo Stato politicamente e culturalmente più chiuso e retrivo d’Italia, che non offre nessuna prospettiva di una trasformazione dello stato di cose esistente. Di qui la carica polemica della satira portiana, e il cupo fatalismo della poesia di Belli.

Visualizzare i concetti

I principali filoni della poesia romantica italiana fiLone

prinCipALi eSponenTi

Si propone finalità pratiche di edificazione civile e morale; è caratterizzata dall’enfasi retorica e da metri rapidi e martellanti (decasillabi, ottonari, settenari); il linguaggio, pur mirando a una “popolare” facilità, conserva ancora residui tradizionali

Giovanni Berchet Alessandro Manzoni

Satira politica, con finalità patriottiche, e satira di costume

Giuseppe Giusti

Novella in versi

Motivi sentimentali (soprattutto amori infelici), con intensi contrasti passionali e scene commoventi

Tommaso Grossi Giovanni Prati

Ballata

Vicende avvolte in un alone leggendario e fantastico, con implicazioni sentimentali oppure orride, e con accentuata coloritura lirica

Luigi Carrer

Poesia religiosa

Riflessione religiosa, legata allo spiritualismo tipico del Romanticismo

Niccolò Tommaseo Alessandro Manzoni

Poesia dialettale

Materia “bassa” e realistica, rappresentata dal punto di vista e con il linguaggio propri dei ceti plebei

Carlo Porta Giuseppe Gioacchino Belli

Accentuata effusione sentimentale, con toni enfatici o languidi; linguaggio poetico facilmente cantabile

Poeti della “seconda generazione romantica”: Giovanni Prati e Aleardo Aleardi

Poesia civile e patriottica

Poesia satirica

Poesia narrativa

sentimentale Poesia lirica soggettiva

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CArATTeri

Temi autobiografici e motivi legati alla personale visione della realtà

Giacomo Leopardi

Capitolo 2 · Il Romanticismo in Italia

Giovanni Berchet

T4

a2, p. 324

Giovanni Berchet

Temi chiave

il giuramento di pontida

• la storia comunale italiana • la rievocazione del Medioevo come

dalle Fantasie

• temi politici e patriottici

esempio di virtù

Fa parte del poemetto in metri vari Fantasie (1829), che descrive i sogni di un esule: tre rievocano episodi gloriosi della storia comunale italiana (Il giuramento di Pontida, La battaglia di Legnano, La pace di Costanza); ad essi si alternano due visioni dell’Italia presente, oppressa dallo straniero. Nel Giuramento di Pontida (di cui qui presentiamo una parte, dal verso 49 alla fine) l’episodio medievale della Lega lombarda che sconfisse l’imperatore Federico Barbarossa è letto in chiave patriottica e diviene spunto per un incitamento agli Italiani a combattere contro gli Austriaci che dominano nel Lombardo-Veneto.

> Metro: strofe di otto decasillabi, di cui il quarto e l’ottavo tronchi; schema delle rime: ABBCDEEC.

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– L’han giurato. Gli ho visti in Pontida1, convenuti dal monte, dal piano. L’han giurato; e si strinser la mano cittadini di venti città. Oh, spettacol di gioia! I lombardi son concordi, serrati a una lega2. Lo straniero al pennon ch’ella spiega col suo sangue la tinta darà3. Più sul cener dell’arso abituro4 la lombarda scorata5 non siede. Ella è sorta6. Una patria ella chiede ai fratelli, al marito guerrier. L’han giurato. – Voi, donne frugali, rispettate, contente7 agli sposi, voi che i figli non guardan dubbiosi8, voi ne’ forti spiraste il voler9. Perché ignoti che qui non han padri qui staran come in proprio retaggio?10 Una terra, un costume, un linguaggio Dio lor anco non diede a fruir?11 La sua parte a ciascun fu divisa; è tal dono che basta per lui12. Maledetto chi usurpa l’altrui, chi ’l suo dono si lascia rapir!

1. Pontida: località vicina a Bergamo dove i Comuni lombardi si confederarono in una Lega contro l’imperatore Federico Barbarossa; era il 7 aprile 1167; nel 1176, a Legnano, l’esercito della Lega ottenne una clamorosa vittoria sulle truppe imperiali. 2. serrati a una lega: alleati.

3. Lo straniero … darà: i Tedeschi tingeranno con il loro sangue la bandiera della Lega. 4. arso abituro: la povera abitazione a cui i Tedeschi hanno appiccato il fuoco. 5. scorata: scoraggiata. 6. sorta: insorta.

7. contente: orgogliose. 8. dubbiosi: incerti. 9. spiraste il voler: ispiraste la volontà, la determinazione. 10. Perché … retaggio?: perché uomini sconosciuti (gli stranieri) che qui non hanno antenati staranno qui come su una terra ereditata di diritto (in proprio retaggio)? 11. Una terra … a fruir?: Dio non ha concesso anche a loro, affinché ne godessero, una terra, un costume, una lingua? 12. è tal dono … lui: è un dono tale che per lui basta. Cioè la terra assegnata da Dio a ogni popolo è per esso sufficiente.

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Su, lombardi! Ogni vostro comune ha una torre; ogni torre una squilla13: suoni a stormo. Chi ha in feudo una villa co’ suoi venga al comun ch’ei giurò14. Ora il dado è gettato. Se alcuno di dubbiezze ancor parla prudente, se in cor suo la vittoria non sente, in suo core a tradirvi pensò. Federigo? Egli è un uom come voi; come il vostro è di ferro il suo brando15. Questi scesi con esso predando, come voi veston carne mortal16. – Ma son mille! più mila! – Che monta?17 Forse madri qui tante non sono? Forse il braccio onde ai figli fêr dono18, quanto il braccio di questi non val? Su! nell’irto, increscioso Allemanno19, su! lombardi, puntate la spada: fate vostra la vostra contrada20, questa bella che il ciel vi sortì21. Vaghe figlie dal fervido amore22, chi nell’ora dei rischi è codardo più da voi non isperi uno sguardo, senza nozze consumi i suoi dì. Presto, all’armi! Chi ha un ferro23, l’affili; chi un sopruso patì sel24 ricordi. Via da noi questo branco d’ingordi! Giù l’orgoglio del fulvo25 lor sir!

13. squilla: campana. 14. Chi … giurò: chi ha ricevuto in beneficio feudale un borgo venga con i suoi al comune che giurò di difendere. 15. brando: spada. 16. Questi … mortal: costoro (i Tedeschi) scesi (in Italia) con Federico Barbarossa facendo razzie sono uomini mortali come voi (quindi non dovete averne paura). 17. Che monta?: che importa? 18. onde … dono: di cui ai figli fecero dono. 19. irto, increscioso Allemanno: selvaggio, odioso tedesco. Nella retorica patriottica i Tedeschi sono rappresentati come ancora barbari, quindi con capelli e barbe cespugliosi. 20. fate … contrada: riappropriatevi della terra che è vostra. 21. vi sortì: vi diede in sorte. 22. Vaghe … amore: belle giovani ardentemente innamorate. 23. ferro: spada. 24. sel: se lo. 25. fulvo: a causa della barba rossiccia.

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Giuseppe Diotti, Il giuramento di Pontida, 1837, olio su tela, Milano, Galleria d’Arte Moderna.

Capitolo 2 · Il Romanticismo in Italia

Libertà non fallisce ai volenti, ma il sentier de’ perigli ell’addita26; ma promessa a chi ponvi la vita, non è premio d’inerte desir27. 105

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26. Libertà … ell’addita: la libertà non viene meno a coloro che la vogliono con determinazione, ma ella indica la via che conduce ad affrontare i pericoli. 27. ma promessa … desir: ma, promessa a quanti rischiano per essa la vita, (la libertà)

Gusti anch’ei la sventura, e sospiri l’Allemanno i paterni suoi fochi28; ma sia invan che il ritorno egli invochi; ma qui sconti dolor per dolor29. Questa terra ch’ei calca insolente, questa terra ei la morda caduto30; a lei volga l’estremo saluto, e sia il lagno31 dell’uomo che muor. non si concede in premio a chi l’ha desiderata fiaccamente. 28. Gusti … fochi: anche il tedesco assapori la sventura (della sconfitta) e rimpianga il focolare domestico (la sua patria lontana). 29. ma qui … dolor: ma sconti qui con il suo

dolore il dolore inflitto agli Italiani (con il suo dominio). 30. caduto: una volta caduto in battaglia. 31. lagno: lamento.

Analisi del testo Il gusto per la storia

Un Medioevo comunale

Una poesia “popolare”

La poesia presenta alcuni aspetti tipici del Romanticismo italiano. Innanzitutto il gusto per la storia, per la rievocazione del passato, più in particolare per il Medioevo. Tale motivo non risponde però ad un gusto “esotico”, alla nostalgia per un altrove temporale diverso dal presente (come nel Romanticismo straniero), ma ad un intento politico e patriottico. Per questo è scelto un episodio della vita comunale, un momento della difesa della libertà contro l’Impero germanico, non il Medioevo tenebroso, mistico o cavalleresco, caro al Romanticismo nordico. Il Medioevo dai romantici italiani è spesso assunto come esempio di virtù patrie, civili e guerriere. Ciò risponde alle tendenze liberali del nostro Romanticismo, che è lontano dalle nostalgie reazionarie del Romanticismo tedesco. La poesia infine è un inno di battaglia, un incitamento all’azione. Di qui il ritmo cadenzato e marziale dei decasillabi. È un discorso poetico che vuole fare facile presa emotiva sui lettori, sollecitando il loro sentimento di patria. Sia nei temi, sia nella forma, è quindi un esempio di poesia “popolare”, nel senso che i romantici lombardi davano al termine.

Esercitare le competenze CoMprendere

> 1. Riassumi in circa 10 righe (500 caratteri) il contenuto del brano. AnALizzAre

> 2. > 3.

Sottolinea gli enjambements, le anafore e le inversioni. Quale effetto producono? Ricerca i termini e le espressioni riferiti agli invasori stranieri e spiega quale immagine viene fornita dal poeta. > 4. Lingua Dopo aver rilevato la presenza di interiezioni, esclamazioni e interrogative retoriche, spiegane la funzione a livello stilistico. Stile

Lessico

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L’età del Romanticismo

Approfondire e inTerpreTAre

> 5.

Scrivere Svolgi un commento in circa 15 righe (750 caratteri) sul ruolo del popolo nella poesia di Berchet, facendo riferimento al contesto storico e culturale italiano. > 6. esporre oralmente Nel brano è presente l’idea della vendetta? Si invoca un principio di giustizia? Motiva la tua risposta con opportune citazioni (max 3 minuti).

La voce dei documenti | AUTORE: Giuseppe Mazzini | OPERA: Giuramento della Giovine Italia

il giuramento della Giovine italia La Giovine Italia era un’associazione politica di orientamento repubblicano e democratico, fondata da Giuseppe Mazzini a Marsiglia, dove era esule, nel 1831. A differenza di società segrete come la Carboneria, il suo programma e i suoi obiettivi non erano coperti dal segreto, anche se era costretta ad operare nella clandestinità per le persecuzioni poliziesche degli Stati assoluti, che miravano a stroncare la sua attività rivoluzionaria. Riportiamo la formula, elaborata da Mazzini stesso, del giuramento che gli adepti dovevano pronunciare al momento dell’affiliazione.

Nel nome di Dio e dell’Italia. Nel nome di tutti i martiri della santa causa italiana, caduti sotto i colpi della tirannide, straniera e domestica. Pei doveri che mi legano alla terra ove Dio m’ha posto e ai fratelli che Dio m’ha dati – per l’amore, innato in ogni uomo, ai luoghi ove nacque mia madre e dove vivranno i miei figli 5 – per l’odio innato in ogni uomo, al male, all’ingiustizia, all’usurpazione1, all’arbitrio – pel rossore ch’io sento in faccia ai cittadini dell’altre nazioni, del non aver nome né diritti di cittadino, né bandiera di nazione, né patria – pel fremito dell’anima mia creata alla libertà, impotente ad esercitarla, creata all’attività nel bene e impotente a farlo nel silenzio e nell’isolamento della servitù – per la memoria dell’antica potenza – per la coscienza della presen10 te abbiezione – per le lagrime delle madri italiane – pei figli morti sul palco2, nelle prigioni, in esilio – per la miseria dei milioni. Io N.N. Credente nella missione commessa3 da Dio all’Italia, e nel dovere che ogni uomo nato Italiano ha di contribuire al suo adempimento, 15

Convinto che dove Dio ha voluto che fosse Nazione, esistono le forze necessarie a crearla – che il Popolo è depositario di quelle forze; – che nel dirigerle pel Popolo e col Popolo sta il segreto della vittoria; Convinto che la Virtù sta nell’azione e nel sacrificio – che la potenza sta nell’unione e nella coscienza della volontà;

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Do il mio nome alla Giovine Italia, associazione d’uomini credenti nella stessa fede, e giuro:

1. usurpazione: il presupposto è che ogni regime dispotico usurpa un potere illegittimo, mentre il potere può solo scaturire dalla volontà popolare.

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2. sul palco: sul patibolo. 3. commessa: affidata.

Capitolo 2 · Il Romanticismo in Italia

Di consacrarmi tutto e per sempre a costituire con essi l’Italia in Nazione, Una, Indipendente, Libera, Repubblicana; Di promuovere con tutti i mezzi, di parola, di scritto, d’azione, l’educazione de’ miei fratelli all’intento della Giovine Italia, all’associazione che solo può rendere la conquista durevole; 25 Di non appartenere da questo giorno in poi ad altre associazioni;

Di uniformarmi alle istruzioni che mi verranno trasmesse, nello spirito della Giovine Italia, da chi rappresenta con me l’unione de’ miei fratelli, e di conservarne, anche a prezzo della vita, inviolati i segreti; Di soccorrere coll’opera e col consiglio a’ miei fratelli nell’associazione. ORA E SEMPRE.

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Così giuro, invocando sulla mia testa l’ira di Dio, l’abbominio degli uomini e l’infamia dello spergiuro, s’io tradissi in tutto o in parte il mio giuramento.

Guida alla lettura L’impostazione religiosa Risalta subito dall’apertura l’impostazione religiosa del giuramento. Esso è pronunciato in primo luogo in nome di Dio, e solo dopo dell’Italia. E i richiami a Dio si susseguono frequenti nel resto della formula: è Dio che ha posto chi giura nella sua terra e che gli ha dato i fratelli, che ha assegnato all’Italia una missione, a cui ogni italiano ha il dovere di contribuire; Dio ha voluto che vi fosse la nazione e ha disposto le forze necessarie a crearla. Questo afflato religioso si coglie anche nel linguaggio e nelle immagini usate: gli aderenti all’associazione sono designati con espressioni che ricalcano quelle di una religione, sono «credenti nella stessa fede», e le vittime delle tirannidi, coloro che sono morti sul patibolo, nelle prigioni, nell’esilio, sono chiamati «martiri», come i cristiani vittime delle persecuzioni. La religione laica della patria Infatti alla devozione a Dio si affianca una religiosità laica, che si incentra su due princìpi fondamentali, la libertà e il popolo, riassunti nell’idea di patria. L’anima dell’uomo è creata per la libertà e freme se è impotente ad esercitarla a causa della servitù a cui è soggetta; donde l’odio per l’ingiustizia, l’arbitrio, l’usurpazione del potere da parte di tutti i regimi assoluti, dispotici e tirannici; di qui anche la vergogna dinanzi ai cittadini delle altre nazioni per il fatto di non avere una patria né diritti di cittadino, soprattutto se si confronta la presente abiezione, la «miseria dei milioni» (in senso morale e politico Mazzini (in primo piano a sinistra) comunica a un più che economico) con la grandezza dell’I- Giuseppe gruppo di Carbonari il suo proposito di creare la Giovine Italia, talia nel passato. Marsiglia 1831, 1890-1900, incisione colorata.

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L’età del Romanticismo

D’altro lato il popolo è il depositario delle forze necessarie a creare la nazione. Il compito dell’avanguardia politica costituita dalla Giovine Italia è dirigere quelle forze, cementarle in una salda unione verso la vittoria, ma non autoritariamente, bensì in modo democratico, «pel Popolo e col Popolo». A tal fine è necessario che l’associazione promuova un’opera di educazione del popolo con tutti i mezzi, la parola, lo scritto, l’azione diretta ed esemplare. L’italia «Una, indipendente, Libera, repubblicana» L’obiettivo finale da raggiungere è compendiato in una formula sintetica: l’Italia deve essere una nazione «Una, Indipendente, Libera, Repubblicana». La prospettiva mazziniana era fortemente unitaria, cioè escludeva confederazioni di Stati che conservassero le loro istituzioni politiche e le loro legislazioni (come prospetteranno invece, in seguito, altre proposte politiche, come quella di Vincenzo Gioberti), e anche forme federali, dove i vecchi Stati regionali dovevano ottenere forti autonomie rispetto al potere centrale (come quella vagheggiata da un altro democratico, Carlo Cattaneo). Inoltre la nazione doveva essere indipendente da dominazioni straniere: infatti nel 1831 l’Austria, oltre a dominare direttamente Lombardia, Veneto, Trentino, Friuli e Venezia Giulia, esercitava di fatto un’egemonia politica e un controllo militare sul resto della penisola (se si eccettua il Regno sabaudo), era come si diceva il “gendarme” dell’assolutismo e della controrivoluzione. L’Italia doveva avere istituzioni libere, cioè non regimi assolutistici e dispotici che negassero le fondamentali libertà del cittadino, di pensiero, di espressione, di associazione, di orientamento politico, di eleggere i suoi rappresentanti col voto. Ma soprattutto l’Italia doveva essere repubblicana. Per noi oggi, che viviamo in una repubblica, potrebbe parere scontato, ma bisogna porsi dalla prospettiva del tempo, quando in Europa, a parte la Confederazione Elvetica, vi erano solo monarchie, in prevalenza assolute, e il ricordo della repubblica francese nata nel 1792 dalla rivoluzione, con le stragi provocate dal Terrore, suscitava ancora raccapriccio. L’affermazione mazziniana quindi aveva un sapore rivoluzionario: non a caso Mazzini era ricercato dalle polizie di tutti gli Stati italiani ed era costretto all’esilio. L’Italia unita nel 1861 non fu una repubblica, come sognavano Mazzini e con lui tanti repubblicani: fu una monarchia costituzionale, grazie allo Statuto concesso da Carlo Alberto re di Sardegna nel 1848, ed esteso a tutta la nazione all’atto dell’unificazione. Bisognerà aspettare il referendum del 2 giugno del 1946, quando la maggioranza degli italiani si espresse in favore della repubblica.

A4 La formazione illuministica

Testi Porta • La preghiera

L’adesione al Romanticismo

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Carlo porta Nacque a Milano nel 1775 e vi morì nel 1821. Fu un oscuro impiegato della pubblica amministrazione, ma fu amico dei maggiori intellettuali del tempo, Foscolo, Manzoni, Grossi, Berchet, Visconti. La sua vita coincise con gli anni più densi della storia italiana, le campagne napoleoniche, la Repubblica cisalpina, il Regno italico, la restaurazione austriaca, la polemica classico-romantica. La sua formazione fu essenzialmente illuministica e d’ispirazione civile, pariniana; egli indirizzò la sua satira contro la società contemporanea, soprattutto contro la nobiltà boriosa, retriva e ipocrita, attaccata ai suoi privilegi e incurante dei mutamenti epocali in atto (La preghiera, La nomina del cappellan); ma nella sua poesia spiccano anche i monologhi messi in bocca a personaggi del popolo (La Ninetta del Verzee, Desgrazzi de Giovannin Bongee, Lament del Marchionn di gamb avert), in cui viene data voce ai ceti più bassi. Porta fu vicino al gruppo dei romantici e li sostenne nella loro polemica con varie poesie. Il rifiuto del classicismo era in lui strettamente legato al rifiuto del vecchio mondo aristocratico e clericale. Nel classicismo e nella sua poesia aulica vedeva lo spirito retrivo dell’ancien régime; nel Romanticismo individuava invece il rinnovamento culturale e civile nazionale, una letteratura nuova più aderente alla verità. La vita e le opere

Capitolo 2 · Il Romanticismo in Italia

T5

Carlo porta

Una vittima di inganni e soprusi dal Lament del Marchionn di gamb avert, vv. 353-472

Temi chiave

• il mondo degli oppressi visto dall’interno

• la negazione del mito del progresso • una poesia demistificatrice dei valori dell’età romantica

Il protagonista, il ciabattino storpio Melchiorre (Marchionn di gamb avert) narra la propria storia dolorosa, dinanzi ad un uditorio di compagni di sventura, al modo dei bosin, i cantastorie popolari milanesi. Innamoratosi di una procace ragazza, la Tetton, subisce pazientemente da lei gli inganni più spudorati. Alla fine la sposa, ma la Tetton, dopo averlo tiranneggiato e sfruttato, fugge con l’amante, svaligiandogli completamente la casa e portandosi con sé il bambino nato dal matrimonio (che è chiaramente frutto dell’adulterio, anche se Marchionn non se ne rende conto).

> Metro: ottave di endecasillabi e settenari; schema delle rime: ABbAcDdC.

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Dopo ona nocc in largh e in longh goduda tra la pisorgna e tra el dormì in ombria1, cont in coeur quella stria semper fissa inciodada e rebattuda, sont soltaa sù al primm segn2, e dopo avè sgrossaa in pee in pee ona messa3, sont cors a gamb in pressa al Malcanton sù per quij scar de legn. Ciamann cunt4, vess a l’uss, l’è staa on moment, e, mesurand el sò dal mè piasè, tiri in pee l’alzapè5, e tragh! butti in là l’uss e voo de dent, e denter che sont staa, cribbi e boffitt6, fuss puttost mort in strada! la bella improvvisada hin staa i dò donn7 in mezz a trii soldaa. Vun negher e pelos comè on cavron el se fava la barba a on tocch de specc; e vun de fianch del lecc l’eva adree a lazzà el bust a la Tetton; e el sur sargent in gippa8 el se scoldava i ciapp voltaa al camin, intant che la mammin l’eva scrusciada a nedrugagh la pippa.

1. dormì in ombria: un dormire leggero, di chi si appisola all’aperto, all’ombra. 2. al primm segn: al primo rintocco che annuncia la messa del mattino. 3. sgrossaa … messa: sbrigata una messa in piedi, in fretta. 4. Ciamann cunt: chiedere informazioni (su dove abita la Tetton). 5. alzapè: maniglia della porta. 6. cribbi e boffitt: cribbi (crivelli) è una esclamazione eufemistica per “cristo”, che trascina con sé l’aggiunta boffit (soffietti), poiché cribbi e boffitt era l’antico grido dei venditori ambulanti di quegli oggetti. 7. dò donn: la Tetton e la madre. 8. in gippa: in panciotto, cioè senza la giubba.

Dopo una notte goduta in lungo e in largo tra l’appisolarmi e tra il dormire in ombra, con in cuore quella strega sempre fissa, inchiodata e ribattuta, sono balzato su al primo rintocco e dopo aver sentito una messa lesto lesto, sono corso a gambe levate al Malcantone sù per quelle scale di legno. / Chiederne conto, essere alla porta è stato un momento, e, misurando il suo dal mio piacere, tiro in sù il saliscendi e trach! sospingo l’uscio e vado dentro, e dentro che son stato, cribbio santissimo, fossi piuttosto morto in strada! la bell’improvvisata sono state le due donne in mezzo a tre soldati. / Uno, nero e peloso come un caprone, si faceva la barba a un pezzo di specchio; e uno, di fianco al letto, stava allacciando il busto alla Tetton; e il signor sergente in maniche di camicia si scaldava le chiappe, con la schiena al camino, intanto che la mammina era accosciata a nettargli la pipa. /

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A sto colp tutt a on bott hoo sentuu in sen on voltiament come a s’cioppamm la fel, e gh’è staa calaa on pel (tant seva irato9) che nassess on pien; ma on luzzid intravall el te m’ha daa on parer de cristian: s’cioppee, razza de can! e dittum fattum10 vòltegh tant de spall. E giò a ses, sett, a vott basij per voeulta, segond vegneven, per quij scar infamm, a ris’c de spettasciamm i scinivij in d’ona girivoeulta; e lor anch lor i donn adree a la gamba a salt come livree me tendeven adree sbraggiand, Sur Marchionn, sur Marchionn! Dess vegn! scarpev el goss! Ma giust in quell che seva lì per infirà la straa, pondi i pee in su on bagnaa, e ponf in terra come on fass de squell11. Inlora la Tetton la gh’ha vuu el contrattemp de possemm giong, de francamm in di ong, de tornamm a trà al coll el cavezzon.

9. irato: è voce italiana. Osserva Isella che Porta ricorre a voci italiane inserite nel dialet-

to «ogni qual volta il personaggio dialettale, che subisce un sopruso o un’ingiustizia, vi si

A questo colpo, tutt’a un tratto ho sentito in seno un rivolgimento come se mi si spandesse il fiele, ed è calato un pelo (tanto ero irato) che non nascesse un pandemonio; ma un lucido intervallo mi ti ha dato un parere da cristiano: scoppiate, razze di cani! e dictum factum vòltagli tanto di spalle. / E giù a sei, sette, a otto gradini per volta, come venivano, per quelle scale infami a rischio di spiaccicarmi le cervella in qualche giravolta; e loro, anche loro, le donne, dietro svelte a salti come levrieri, mi tenevano dietro gridando «Signor Marchionn, signor Marchionn!». / «Mo’ vengo! spellatevi il gozzo!». Ma giusto in quella che ero lì per infilare la strada, poso i piedi su un che di bagnato e punf in terra come una pila di scodelle. Allora la Tetton ha avuto il tempo di potermi raggiungere, di serrarmi tra le unghie, di tornare a buttarmi al collo la cavezza. /

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ribella, uscendo dal suo ruolo abituale di remissiva sopportazione». 10. dittum fattum: storpiatura dialettale del latino dictum factum (detto fatto). 11. come … squell: modo di dire per indicare chi cade di colpo, senza cercare di evitare la caduta.

La bell’improvvisata sono state le due donne in mezzo a tre soldati…, 1816, illustrazione per il Lament del Marchionn di gamb avert di Carlo Porta.

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La fu… l’è staa… l’è on sart… l’è on mè cusin… El staa l’è che a vedella in sorioeura, mezza sbarlada foeura, a piang, a sospirà, a strusamm vesin, tutt la bila e el spuell hin fornii in quell freguj de fora fora e in del tornà de sora umel e mansuett come on agnell. Fada la pas, tornada la legria, andaa per i fatt soeu quij duu soldaa, per on pezz on gh’è staa olter guaj che di voeult quaj poo d’ombria, però de quij nebbijtt che, se sa, nè se ponn de condemen tra gent che se voeur ben, salsettinn brusch che guzzen el petitt. Domà ch’anch sti nebbijtt e sta salsetta han comenzaa anca lor de lì on des dì a spessiss e a vegnì scigher12 folt e senavra malarbetta, ch’hoo savuu del sicur che quell can d’on soldaa, quell porch d’on sart13 el gh’andava in la part de nascondon de mì, in tra el ciar e el scur14. E con tutt che tant mader che fioeura in quanto sia giurà, negà e sconfond fussen, primm e segond, dò canonegonn vecc de bona scoeura, impunemanch però, sott a on Marchionn gh’è staa nagott de noeuv, i hoo cattaa suj oeuv, e pussee d’ona voeulta e pù de dò.

12. scigher: nebbia densa, che impedisce di vedere (latino caecaria). 13. on sart: è il soldato sorpreso ad allaccia-

re il busto alla Tetton, da lei spacciato appunto per un sarto, suo cugino (v. 401). 14. in tra … scur: all’imbrunire, per non far-

si notare.

«Fu… è stato… è un sarto… è un mio cugino…». Il “fu” è che a vederla discinta, col petto mezzo fuori, piangere, sospirare, strofinarmisi vicino, tutta la bile e il putiferio sono finiti in quel briciolo di corri corri e nel tornare di sopra umile e mansueto come un agnello. / Fatta la pace, tornata l’allegria, andati per i fatti loro quei due soldati, per un pezzo non c’è stato altro screzio che alle volte qualche poco d’ombra, di quelle nebbioline però che, si sa, non possono non esserci tra gente che si vuol bene, salsettine brusche che aguzzano l’appetito. / Solo che queste nebbioline e questa salsetta hanno cominciato anch’esse da lì a un dieci giorni a ispessirsi e a divenire nebbioni densi e senape dannata, perché ho saputo di sicuro che quel cane di un soldato, quel porco di un sarto le andavano per casa di nascosto da me, tra il chiaro e lo scuro. / E con tutto che tanto madre che figlia, quanto sia a giurare, negare, confondere, fossero, prima e seconda, due gran canonichesse vecchie di buona scuola, tuttavia però a un Marchionn non è mai sfuggito niente, le ho colte sul fatto e più di una volta e più di due. /

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L’età del Romanticismo

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Ma poeù ona sira infin di facc che sera negher, dannato15 malarbettament, che l’hoo vist mì a corr dent in del comed in fond de la linghera16, me sont pientaa in del mezz (dur come on ciod) de la linghera anmì, e hoo ditt: Se te set lì, stagh almanca, birbon, per on bell pezz! E lì intrattant che i donn me rebuttaven de tutt i part per tiramm dent in cà, e che mì saldo là me stinava de pù con pù bajaven, torna indree quell canaja ch’el me ven col muson fin sul muson a domandamm reson de quell rebuttament, de quella guaja. E poeù infin desmostrand se l’eva lì de vessegh per parlà al sargent maggior, e d’avenn nanch mì e lor per el boeucc de la cassa del tartì17, el te me dà del mona18, del can, del marmotton19, de l’impiccaa, del pilatt inciodaa20, e via el va sbroffand ch’el par che trona. I donn allora, ch’han capii el latin21, dighi nagott che plajt22, che trebuleri! M’han ditt giò vetuperi de fà corr in su l’uss tucc i vesin, e s’hin scoldaa talment ch’hoo vuu paria denanz cavann costrutt, che lor… pascenza tutt, ma in l’onor dininguarda a strusagh dent23.

15. dannato: vedi nota 9. 16. comed … linghera: nelle case popolari il cesso era in comune, posto in fondo alla ringhiera.

17. cassa del tartì: tartì è voce gergale per “andare di corpo”; cassa del tartì sta dunque per deretano. L’intera espressione vale non tenere in alcun conto.

18. mona: scemo (ma è voce veneta, più che milanese). 19. marmotton: alterazione di “marmotta”, stupidone. 20. pilatt inciodaa: bisticcio tra il nome di Pilato ed il significato di “sozzo”, “sporco”. Nelle sacre rappresentazioni Pilato era insozzato dai lanci degli spettatori, indignati per il suo operato. 21. el latin: dal comportamento sbruffone del soldato le due donne hanno capito anch’esse come si devono comportare; trattando in malo modo il povero Marchionn. 22. plajt: lite, processo (dal latino placitum). 23. pascenza … dent: riporta le parole stesse delle donne.

Ma una sera poi alla fin fine ch’ero nero, arrabbiato maledettamente, perché l’ho visto io correr dentro al cesso in fondo al ballatoio, mi sono piantato (duro come un chiodo) nel mezzo del ballatoio anch’io e ho detto: «Se ci sei, stacci almeno, birbone, per un pezzo!». / E lì, intanto che le donne mi spintonavano da tutte le parti per tirarmi dentro in casa, e che io fermo al posto mi ostinavo di più con più loro vociavano, torna indietro quella canaglia che mi viene col muso fin sul muso a domandarmi ragione di quel tafferuglio, di quello schiamazzo. / E poi infine dimostrando che, se era lì, c’era per parlare col sergente maggiore e che non ci aveva, né me né loro, neanche nel buco di quel tal sito, mi ti dà del mona, del cane, del marmottone, dell’impiccato, del porco maledetto, e via che va sbruffando che pare che tuoni. / Le donne allora, che hanno capito il latino, non sto a dire che lite, che baccano! Mi hanno rovesciato addosso vituperi da far correre sull’uscio tutti i vicini, e si sono scaldate talmente che ho avuto pena avanti di cavarne costrutto, perché loro… pazienza il resto, ma l’onore, guai a sfiorarle in quello. /

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Capitolo 2 · Il Romanticismo in Italia

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Inscì con tutt el mè stà de sguajton e con tutt el deffà de avej squajaa, sont restaa lì sgognaa24, pien de vergogna e locch come on tappon; e tutt quell mè sussor l’è fornii anch lu compagn de l’olter guaj, anzi cont el pregaj a dì nagotta al sur sargent maggior. C. Porta, Poesie, a cura di D. Isella, Mondadori, Milano 1975

24. sgognaa: sbeffeggiato (italiano “svergognare”).

Così con tutto il mio stare sul chi va là e con tutto il mio daffare per averle colte in fragrante sono rimasto lì scornato, pieno di vergogna e inebetito come un minchione; e tutto quel mio strepito è finito anch’esso compagno dell’altro incidente, anzi col pregarle di non dire niente al signor sergente maggiore.

Analisi del testo

> il mondo degli oppressi visto dall’interno

La negazione della mitologia progressista

Il valore demistificatore della poesia portiana

Il poeta dà interamente la parola al personaggio, senza mai intervenire: lascia insomma che il mondo subalterno si racconti da sé. In tal modo il mondo delle vittime, degli oppressi, disarmati di fronte ad ogni forma di prepotenza e di sopruso, viene visto dall’interno. Ma se la realtà viene vista da dentro il mondo degli oppressi, la visione illuministico-romantica della storia si rovescia: non si ha progresso ed incivilimento, ma «una immobilità senza speranze, una sofferenza divenuta abitudine, un’indifferente passività, un’accettata oppressione», una protesta destinata a restare sfogo velleitario e inutile (Asor Rosa). Dare la parola al mondo subalterno significa negare ogni mitologia progressista, ogni convinzione dell’indefinita perfettibilità del sistema sociale. Porta poteva avere soggettivamente fiducia nel progresso, ma la rappresentazione oggettiva, che scaturisce dalla sua scelta di lasciare la parola agli oppressi, assume tutt’altro significato. Per questo aspetto, la poesia di Porta (come poi quella di Belli) acquista un forte valore negativo, demistificatore delle mitologie dominanti in quell’età. È una funzione omologa (sia pure con le grandi differenze nelle fisionomie specifiche dei linguaggi poetici) a quella rivestita da Leopardi, ed anticipa la forza negativa e critica della narrazione verghiana.

> L’assenza di populismo Il popolo non è portatore di valori

Come non vi è mitologia progressista, così non vi è nella poesia portiana mitologia populista: il popolo non è indicato a modello di sanità e integrità morale, non è portatore di valori, né di quelli laici e democratici, né di quelli cristiani. Esso, grazie al fatto che prende la parola direttamente, senza mediazione, ha vita integralmente autonoma. Il popolo non è assunto dallo scrittore borghese in funzione del suo modo di vedere il mondo, ad esemplificare la sua morale, la sua ideologia politico-sociale, come avviene in altri scrittori romantici, non escluso Manzoni, che, pur con la sua cristiana simpatia per gli umili, non lascia loro integralmente la parola, ma nel romanzo li subordina al suo discorso. Anche per questo aspetto il dialetto, in mano ad un poeta come Porta, si rivela non solo un duttile mezzo espressivo, ma anche un formidabile strumento critico. 347

L’età del Romanticismo

Esercitare le competenze CoMprendere

> 1. Avvalendoti della traduzione in italiano, proponi un titolo esplicativo per ogni strofa del passo, secondo l’esempio proposto. Strofa

Titolo

I

Una notte insonne per amore ............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................... ............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................... ............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................... ............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................... ............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................... ............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................... ............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................... ............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................... ............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................... ............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................... ............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................... ............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................... ...............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

AnALizzAre

> 2.

Stile Individua i punti del racconto in cui il protagonista narratore inserisce commenti personali sulle vicende. Quale visione del mondo suggerisce? > 3. Stile Indica attraverso quali procedimenti il poeta ottiene effetti comici.

Approfondire e inTerpreTAre

> 4.

esporre oralmente Quali autori e opere trattati nel corso dell’anno scolastico, in ambito italiano ed europeo, hanno fornito una visione del popolo o una riflessione su di esso? In quali contesti? (max 5 minuti) > 5. Testi a confronto: scrivere A proposito dei motivi della penetrazione dei dialetti nella lingua letteraria scrive il linguista Salvatore C. Trovato:

[…] Il corrispettivo parlato della lingua letteraria scritta è stato costituito dai dialetti. E con questi gli scrittori d’Italia hanno da sempre dovuto fare i conti per escluderli (istanza puristica) o per accoglierli (istanza antipuristica). L’italiano di base toscana è stato dovunque la lingua appresa sui classici, linguisticamente insufficienti ad esprimere tutta la realtà. I dialetti, viceversa, non hanno mai difettato degli strumenti, sia pure all’interno di determinati limiti, per comunicare la realtà. S. C. Trovato, Italiano regionale, letteratura, traduzione. Pirandello, D’Arrigo, Consolo, Occhiato, Euno Edizioni, Leonforte (en) 2011

Dopo aver letto il passo, spiega se le osservazioni dello studioso possono essere riferite anche all’opera di Porta, motivando la tua risposta.

A5 I viaggi

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Giuseppe Gioacchino Belli Nacque a Roma nel 1791. Ebbe un’adolescenza difficile, segnata prima dalla morte del padre (1802) poi da quella della madre, e di conseguenza dalla miseria. Condusse per anni vita stentata, con impieghi precari, sinché nel 1813 ottenne la carica di segretario dell’Accademia dei Tiberini, grazie ai suoi scritti in lingua italiana, di impianto classicistico e montiano. Nel 1816 il matrimonio con una ricca vedova gli consentì una vita agiata. Viaggiò allora per varie città italiane, entrando in contatto con gli ambienti culturali milanesi e fiorentini, i più vivi d’Italia.

La vita e le opere

Capitolo 2 · Il Romanticismo in Italia I sonetti romaneschi

Le posizioni reazionarie

Il conformismo e la ribellione dissacratoria

Testi Belli • La vita dell’omo • Li morti de Roma • Chi cercca trova • Cosa fa er papa • Er deserto • Er miserere de la Sittimana Santa dai Sonetti

T6

A Milano conobbe le poesie di Porta, che gli diedero l’impulso alla composizione dei suoi sonetti romaneschi. Vi lavorò intensamente, soprattutto tra il 1830 e il 1837, ma non li pubblicò mai, diffondendoli solo oralmente tra gli amici; morendo, anzi, diede i manoscritti ad un amico con l’incarico di bruciarli. Nel 1837 la morte della moglie riaprì per lui le difficoltà economiche. Nel 1848 la rivoluzione lo spinse su posizioni reazionarie, ostili a Mazzini e a Garibaldi. Caduta la Repubblica romana e tornato il papa, rivestì la carica di censore, e la esercitò con rigidezza: proibì ad esempio il Rigoletto e il Macbeth di Verdi, il Mosè di Rossini, e opere di Shakespeare. Morì a Roma nel 1863. Il tratto più caratteristico di Belli è la sua personalità che appare come sdoppiata: da un lato il conservatorismo accademico della produzione poetica in lingua, l’atteggiamento reazionario in politica ed il conformismo verso il potere, rappresentato a Roma dal papa e dalla Chiesa; dall’altro la massa dei sonetti dialettali (2269 componimenti), plebei, sanguigni, beffardi, irriverenti, spesso sboccati e osceni, che rivelano una carica di ribellione anarchica e dissacratoria. Belli vuol limitarsi a dar voce alla plebe, con assoluta oggettività: «Io ho deliberato di lasciare un monumento di quello che oggi è la plebe di Roma […]. Non casta, non pia talvolta, sebbene devota e superstiziosa apparirà la materia e la forma: ma il popolo è questo; e io lo ricopio, non per proporre un modello, ma sì per dare un’immagine fedele di cosa già esistente, e, più, abbandonata senza miglioramento». Ricostruisce dunque semplicemente, con puntiglioso rigore, un modo di vedere il mondo che non è il suo; a questo punto di vista è lasciata la responsabilità della carica dissacratoria e anarchica. Ma si può far l’ipotesi che quella scelta sia l’occasione che consente l’emergere dell’altra faccia della personalità di Belli, forse ignota a lui stesso, e comunque soffocata dalla censura interiore.

Giuseppe Gioacchino Belli

Temi chiave

Le cappelle papale

• la realtà colta attraverso l’ottica

dai Sonetti

• l’immobilità del potere

irriverente della plebe

Il sonetto fa parte della lunga serie dedicata alla satira della Curia pontificia.

> Metro: sonetto; schema delle rime: ABAB, BAAB, CDC, EDE.

4

La cappella papale ch’è successa domenica passata a la Sistina1, per tutta la quaresima è l’istessa com’è stata domenic’ a matina.

8

Sempre er Papa viè fora in portantina: sempre quarche Eminenza canta messa; e quello che più a tutti j’interessa c’è sempre la su’ predica latina2.

Audio

11

Li Cardinali ce stanno ariccorti cor barbozzo inchiodato sur breviario, come tanti cadaveri de morti3.

14

E nun ve danno più segno de vita sin che nun je s’accosta er caudatario4 a dije: “Eminentissimo, è finita”. 14 aprile 1835

1. La … Sistina: la funzione religiosa che è stata celebrata domenica scorsa alla presenza del papa nella cappella Sistina. 2. che più … latina: quello che maggiormente interessa i presenti è la predica in latino; è da intendere in senso ironico, visto il quadro che segue; l’aggettivo possessivo su’ accresce il senso della consuetudine dopo i tre avverbi sempre posti in apertura dei versi 5, 6, 8. 3. Li Cardinali … morti: i cardinali vi stanno raccolti con il mento saldamente appoggiato sul breviario, come tanti morti. Cadaveri de morti è un’espressione pleonastica: morti non aggiunge nulla a cadaveri ma contribuisce a rendere più efficacemente l’immagine di fissità, di mummificazione di questa assemblea. 4. sin che … caudatario: fino a quando non si avvicina loro il cerimoniere (che ha la mansione di reggere lo strascico della veste).

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L’età del Romanticismo

Analisi del testo

> La realtà vista dal basso

Disincanto e irriverenza

Come Porta, anche Belli lascia la parola alla plebe, con l’effetto che la realtà è colta attraverso un’ottica dal basso. Ma quella del plebeo romano è un’ottica disincantata, irriverente, per la quale nulla è sacro, tanto meno le figure del sovrano-pontefice e dei suoi cardinali, che quindi risultano corrosivamente straniate.

> Un mondo irrigidito dalla morte La ripetitività meccanica del rito

La fine di un mondo decrepito

Il potere viene visto dal basso in una situazione determinata, rituale, come la funzione celebrata nella cappella Sistina alla presenza del papa per la Quaresima. Lo sguardo acuto, smaliziato e scettico del popolano coglie innanzitutto la ripetitività meccanica e ormai vuota del rito («è l’istessa», «sempre […] sempre […] sempre»). Ne esce l’impressione di un mondo chiuso e immobile, come irrigidito nella morte (i cardinali col mento sul breviario, «come tanti cadaveri de morti»). In questa luce, la clausola finale («è finita») acquista un’ambiguità allusiva: alla lettera è solo l’annuncio che è finita la funzione, ma si direbbe l’annuncio della fine di quel mondo decrepito, che si spegne come in sordina, per interna estenuazione.

Jean-August-Dominique Ingres, Papa Pio VII nella cappella Sistina, 1820, olio su tela, Parigi, Musée du Louvre.

Esercitare le competenze CoMprendere

> 1. Sintetizza il contenuto del componimento. AnALizzAre

> 2.

Stile Individua nel sonetto le figure retoriche di ripetizione e spiegane la funzione in rapporto al significato del testo. > 3. Lessico Rintraccia nel testo termini e/o espressioni settoriali riferite all’ambito ecclesiastico, e valutane la funzione attraverso l’accostamento con un lessico basso e quotidiano.

Approfondire e inTerpreTAre

> 4.

esporre oralmente La critica nei confronti delle alte gerarchie ecclesiastiche investe il problema della distanza e dell’incomunicabilità tra i sudditi e l’autorità. Come si delinea questo rapporto nella Roma papalina del primo Ottocento (max 3 minuti)? > 5. Competenze digitali Effettua delle registrazioni audio (da archiviare in podcast) di brani di poesia popolare – non necessariamente con valore letterario o recitati da professionisti – nella lingua originale del tuo territorio, in base all’ascolto delle quali ti confronterai in classe, con l’insegnante e i compagni, sull’efficacia espressiva del dialetto.

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Capitolo 2 · Il Romanticismo in Italia

T7

Giuseppe Gioacchino Belli

Temi chiave

er giorno der giudizzio dai Sonetti

• la morte • le immagini popolari • la vanità della vita umana

Il sonetto esemplifica un altro filone della poesia belliana, percorso da fantasie mortuarie.

> Metro: sonetto; schema delle rime: ABBA, ABBA, CDC, DCD.

4

Cuattro angioloni1 co le tromme2 in bocca se metteranno uno pe ccantone3 a ssonà4: poi co ttanto de voscione5 cominceranno a ddi6: «Fora a cchi ttocca7».

8

Allora vierà ssù una filastrocca de schertri da la terra a ppecorone8, pe rripijjà9 figura de perzone, come purcini attorno de la bbiocca10.

11

E sta bbiocca sarà Ddio bbenedetto, che ne farà du’ parte11, bbianca e nera: una pe annà in cantina, una sur tetto12.

14

All’ultimo usscirà ’na sonajjera13 d’angioli, e, ccome si s’annassi14 a lletto, smorzeranno15 li lumi, e bbona sera. 25 novembre 1831

1. angioloni: grandi angeli. 2. tromme: trombe. 3. ccantone: angolo.

4. a ssonà: l’immagine rimanda da un lato all’Apocalisse di Giovanni, di cui Belli volgarizza il passo in VII, 1: «E dopo queste cose

vidi quattro angeli sopra i quattro angoli della terra», dall’altro alla pittura barocca di tante chiese romane. 5. ttanto de voscione: con tanto di gran voce. 6. a ddi: a dire. 7. Fora a cchi ttocca: sotto a chi tocca. 8. filastrocca … ppecorone: teoria, fila di scheletri che procederanno a quattro zampe come pecore. 9. pe rripijjà: per riprendere. 10. attorno de la bbiocca: attorno alla chioccia. 11. du’ parte: due schiere, i dannati e i salvati. 12. una … tetto: una (parte) per andare all’inferno, una in paradiso. 13. ’na sonajjera: gruppo di angeli tumultuante. 14. si s’annassi: se si andasse. 15. smorzeranno: spegneranno.

Analisi del testo Il tema della morte e la Roma papalina Immagini popolari

> Una fantasia mortuaria

È una fantasia mortuaria, un motivo che ricorre di frequente nella poesia di Belli: si direbbe che c’è un legame diretto tra la presenza insistente della morte e il mondo della Roma papalina che lo circonda, così decrepito e immobile da ispirare appunto un senso di morte (si veda Le cappelle papale, T6, p. 349). L’evento biblico è tutto tradotto in immagini popolari: gli «angioloni» con le trombe in bocca (che provengono evidentemente dall’arte barocca delle chiese romane, vista con gli occhi del plebeo), gli scheletri che escono «a ppecorone» dalla terra, i morti come pulcini intorno alla chioccia che è Dio, la «cantina» e «il tetto» per «inferno» e «paradiso», gli angeli che spengono le luci come all’ora di andare a letto.

> Una grottesca apocalisse La vanità della vita umana

Le immagini popolaresche sono riduttive, dovrebbero conferire alla scena qualcosa di bonario e di familiare, smorzandone la drammaticità. In realtà, con un gioco sapiente, ne fanno risaltare la solennità apocalittica e danno in chiave grottesca il senso della vanità della vita umana. Soprattutto l’immagine conclusiva dello spegnersi delle luci, pur nel suo carattere bonariamente quotidiano, esprime l’angoscia dello spegnersi della vita universale. 351

L’età del Romanticismo

Esercitare le competenze CoMprendere

> 1. Proponi la parafrasi del sonetto. AnALizzAre

> 2.

Stile Ricerca e commenta tutte le metafore e le similitudini che contribuiscono ad abbassare il tono sacro della scena rappresentata. > 3. Lingua Individua nel testo gli accrescitivi e spiegane l’efficacia sul piano espressivo e in rapporto al contenuto.

Approfondire e inTerpreTAre

> 4.

Scrivere Svolgi un commento in circa 10 righe (500 caratteri) sull’immagine della religione che emerge dalla lettura del sonetto ed estendi la tua riflessione alla carica satirica e parodistica della poesia dialettale di Belli.

SCriTTUrA CreATiVA

> 5. Traduci il sonetto analizzato nel dialetto del tuo territorio anche avvalendoti della collaborazione di persone

esperte esterne alla scuola. Per rendere più agevole il lavoro, non dovrai necessariamente rispettare lo schema metrico del componimento e sarai eventualmente libero di effettuare una rielaborazione del contenuto.

per iL poTenziAMenTo

> 6. Quando, nel corso della storia letteraria, i dialetti hanno costituito un’inesauribile risorsa per la letteratura

italiana? Rispondi in base agli studi da te effettuati oppure documentati su altri autori e/o testi, ricostruendo un ideale percorso attraverso i secoli.

3 Il disprezzo per il romanzo

L’arretratezza culturale italiana

L’espressione letteraria della borghesia

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Il romanzo in Italia La polemica sul romanzo Anche in Italia nell’età romantica si affermò il genere nuovo del romanzo, che conquistò presto il pubblico, divenendo il più diffuso e più letto. La sua affermazione non fu però inizialmente senza contrasti. Infatti gli ambienti letterari tradizionalisti e classicisti guardavano al romanzo con profondo disprezzo, ritenendolo un genere inferiore, adatto tutt’al più per i lettori ignoranti e sprovveduti, ma indegno di essere accolto nel campo della letteratura vera e propria. Si manifestava così il fastidio di una cultura aristocratica per l’abbassamento della letteratura al livello dei non letterati e dei loro gusti. Tale disprezzo nasceva in primo luogo da pregiudizi retorici: il romanzo era un genere “nuovo”, “anfibio”, non rispondente a nessuno dei generi narrativi tradizionali, ritenuti sacri e intangibili dalla mentalità classicistica (poema epico, prosa storica, novella…); ma pesavano su di esso anche pregiudizi moralistici, per la presunta “pericolosità” morale di una rappresentazione troppo viva della realtà vissuta e delle passioni. Tutti questi pregiudizi erano dovuti al clima stagnante della cultura italiana, nel complesso ancora attaccata alla tradizione gloriosa del passato e chiusa entro una mentalità retorica e pedantesca, diffidente verso le esperienze letterarie dell’Europa contemporanea. E tale arretratezza culturale non era che la conseguenza della più generale arretratezza dell’Italia nel campo politico, sociale, economico, su cui si è già insistito. Il romanzo era stato, in Europa, l’espressione letteraria più tipica della visione del mondo, dei gusti e degli interessi della borghesia, già divenuta o prossima a divenire classe dominante. Il romanzo moderno (cioè il romanzo che rappresenta la vita reale, non quello cavalleresco, avventuroso, fantastico, galante, come il romanzo medievale e barocco, destinato ad un pubblico di corte) si era infatti affermato per la prima volta, con Defoe, Richardson e Fielding, in un paese come l’Inghilterra, dove già nel Settecento la borghesia era avanzata e forte (si veda il fondamentale volume di I. Watt, Le origini del romanzo borghese, trad. it., Bompiani, Milano 1976). Perciò, se in Italia mancava ai primi dell’Ottocento una tradizione romanzesca paragonabile a quella europea, era perché mancava la base sociale su cui essa potesse poggiare.

Capitolo 2 · Il Romanticismo in Italia I romantici e la difesa del romanzo

Manzoni e il romanzo

Era naturale allora che l’esigenza del romanzo si presentasse in Italia nel momento in cui la borghesia cominciava a formarsi con le lotte risorgimentali come classe dirigente, e che il compito di riscattare il romanzo dal disprezzo in cui era tenuto fosse assunto dal movimento che rappresentava l’avanguardia intellettuale di tale borghesia, il Romanticismo lombardo, il cui progetto culturale prevedeva un rinnovamento letterario collegato con il rinnovamento civile ed economico. Infatti la difesa del romanzo, accanto al rifiuto delle regole e della mitologia e accanto all’affermazione del carattere “popolare” della nuova letteratura, è uno dei punti principali della battaglia romantica sviluppatasi a partire dal 1816. I romantici, che sono moderati e alieni da atteggiamenti di rottura, riconoscono che al momento attuale il romanzo è effettivamente un genere inferiore, ma sono anche convinti che uno scrittore di valore possa «impadronirsene e nobilitarlo», come si esprime Silvio Pellico sul “Conciliatore” nel 1819. Ma è l’intellettuale più acuto e lungimirante del gruppo romantico, Manzoni, a capire più a fondo l’importanza dello strumento romanzesco. Sin dalla prima introduzione al Fermo e Lucia, scritta nella primavera del 1821, contemporaneamente ai primi capitoli, Manzoni, irridendo con la sua consueta ironia i pregiudizi classicistici, si dimostra convinto del fatto che il romanzo abbia dignità pari a tutti gli altri generi e che sia indispensabile introdurlo in Italia per colmare una lacuna culturale e per avviare un processo di svecchiamento della letteratura nazionale. E difatti Manzoni usa proprio il romanzo come strumento espressivo per eccellenza della sua visione del mondo e per realizzare il suo ideale di letteratura.

il romanzo storico La fioritura del 1827

Il romanzo e il nuovo pubblico

Una letteratura di consumo

Il romanzo si afferma in Italia, nell’età romantica, essenzialmente come romanzo storico. La sua fioritura si ha nel 1827, quando escono I promessi sposi di Manzoni, La battaglia di Benevento di Guerrazzi, Il castello di Trezzo di Bazzoni, La Sibilla Odaleta di Varese, il Cabrino Fondulo di Lancetti. La comparsa quasi simultanea di un così gran numero di romanzi è oltremodo significativa: sta a indicare che un lungo processo sotterraneo di gestazione si è concluso, e i frutti vengono alla luce. Nella società italiana contemporanea c’erano esigenze profonde che invocavano il romanzo, e la produzione romanzesca non fa che soddisfarle. Il pubblico italiano che si andava formando, non più composto da letterati ma da lettori comuni, aveva evidentemente fame di romanzi, del nuovo genere “popolare” per eccellenza, che rispondeva ai suoi gusti e ai suoi interessi ( Il contesto, pp. 192 e ss.). Tale pubblico era conquistato dalla forma narrativa in prosa che faceva leva proprio su una serie di espedienti per incatenare l’attenzione (anche I promessi sposi, benché a Manzoni ripugni il “romanzesco”, erano un racconto che avvinceva; si pensi, per fare un esempio, a Renzo che cerca Lucia nel lazzaretto: il lettore ingenuo spasimava nell’attesa di sapere se l’eroe sarebbe riuscito a ritrovare la donna amata); si immedesimava nei personaggi, viveva con essi casi straordinari, si divertiva nelle scene comiche e si commuoveva in quelle lacrimevoli e sentimentali, si nutriva dei miti che il romanzo veicolava, ricavava dalla lettura nozioni storiche, era proiettato in epoche affascinanti come il Medioevo o il Rinascimento, trovava alimento alle proprie aspirazioni patriottiche, ma soprattutto poteva leggere una prosa comprensibile, lontana da quella accademica e aulica della tradizione. Nei decenni successivi, a conferma del fatto che rispondevano a richieste profonde, i romanzi storici invasero il mercato, ottenendo quello che, in rapporto ai tempi, si può definire un successo “di massa”. Per questo, come avveniva per un altro genere di successo come la novella in versi, assunsero decisamente caratteristiche proprie della letteratura di consumo, come l’uso di procedimenti tesi scopertamente a conseguire certi facili effetti di sospensione, di commozione, di evasione, o come la ripetizione “seriale” di stereotipi, personaggi, situazioni, ambienti, intrecci. 353

L’età del Romanticismo

Le diverse “scuole” Gli “scottiani”

La scuola manzoniana

Guerrazzi: la corrente anticlericale e “nera”

All’interno del genere si manifestano però diverse “scuole”, che sono già delineate chiaramente nella prima fioritura del 1827. Vi sono innanzitutto gli “scottiani” di stretta osservanza, Giovan Battista Bazzoni (1803-50) e Carlo Varese (1792-1866), che ricalcano da vicino la formula del loro maestro, facendola però scadere nel pittoresco di maniera e negli intrighi puramente avventurosi. Si delinea poi una nutrita schiera di imitatori manzoniani, tra cui si può ricordare Massimo d’Azeglio (1798-1866) con l’Ettore Fieramosca (1833), ispirato alla disfida di Barletta e quindi pieno di slanci patriottici, senza però trascurare l’elemento comico e quello patetico, con l’amore infelice dell’eroe e la sua morte. Questi imitatori manzoniani si ispirano a episodi e figure del capolavoro del maestro, ma soprattutto cercano di riprodurre il tono affabilmente ironico della narrazione, restando però ovviamente molto lontani dal modello. Francesco Domenico Guerrazzi (1804-73) rappresenta invece una corrente antitetica a quella manzoniana moderata e cattolica: lo scrittore era infatti democratico e accesamente anticlericale, nonché ammiratore di Byron (17881824) e del suo eroismo attivistico. I suoi romanzi (oltre alla citata Battaglia di Benevento, L’assedio di Firenze, 1836) rivelano un gusto per il tenebroso, l’orrido, il macabro che richiama un certo gusto “nero” del Romanticismo straniero e un’eloquenza enfatica e ridondante.

il romanzo “sociale” e il romanzo psicologico L’interesse per la società contemporanea

Ranieri

Fede e bellezza di Tommaseo

Se il romanzo storico domina la scena, si riscontra anche qualche esempio di romanzo di ambientazione contemporanea, inteso a rappresentare le condizioni della società attuale. Su questo terreno il romanzo europeo, nei primi decenni dell’Ottocento, stava offrendo i suoi massimi capolavori con Stendhal e Balzac in Francia, la Austen, Thackeray e Dickens in Inghilterra. In Italia invece il romanzo contemporaneo, o “sociale”, ha poca diffusione: evidentemente lo studio realistico della società presente esigeva una maturità di strumenti concettuali e narrativi che la cultura italiana era lontana dal possedere, sempre in conseguenza del ritardo politico e sociale del paese. Solo una società ormai matura può infatti analizzare se stessa con la profondità dimostrata dai grandi narratori europei. Si può ricordare che nel 1839 Antonio Ranieri (1806-88), il fraterno amico di Leopardi, pubblica Ginevra, l’orfana della Nunziata, incentrato sulle peripezie di una fanciulla napoletana, appartenente alla classe popolare, vittima delle angherie più terribili. È un romanzo che ha forti intenti di denuncia sociale, ma sconfina negli effettacci orripilanti del romanzo d’appendice. In questo panorama, un posto decisamente a parte occupa Fede e bellezza (1840) di Niccolò Tommaseo (1802-74). È un romanzo che tratta complessi problemi psicologici, in cui si aggrovigliano ambiguamente sensualità e fede religiosa e che è lontano dal clima culturale italiano, affondando piuttosto le sue radici nel terreno francese.

Verso il romanzo contemporaneo Le Confessioni di Nievo

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Una svolta, poco dopo la metà del secolo, è rappresentata dal capolavoro di Ippolito Nievo ( A6, p. 355), Le confessioni di un Italiano (1857-58, pubblicato postumo nel 1867), in cui, attraverso le memorie del protagonista, si rievocano le vicende di ottant’anni di storia italiana, dalla società ancora feudale alla vigilia della Rivoluzione francese fino al 1848. Il romanzo di Nievo segna veramente la fine dello schema del romanzo storico di origine scottiana, inaugurando una nuova maniera di narrare dove le vicende psicologiche individuali si collegano ai grandi processi politici e sociali. Le Confessioni rompono con la tradizione del romanzo storico anche nell’impianto narrativo: non ricorrono infatti al modulo del narratore eterodiegetico onnisciente, ma usano il racconto in prima persona, in cui è il protagonista stesso a narrare la propria storia.

Capitolo 2 · Il Romanticismo in Italia

A6 La partecipazione al Risorgimento italiano

Le poesie, i romanzi e i racconti

I saggi politici

Le confessioni di un Italiano

ippolito nievo Nacque a Padova nel 1831, da famiglia borghese. Il padre, avvocato, voleva avviarlo alla carriera forense, ma Nievo, ottenuta la laurea all’Università di Padova nel 1855, non volle esercitare la professione per non fare atto di sottomissione al governo austriaco: aderiva infatti alle idee mazziniane. Partecipò alla Seconda guerra di indipendenza, arruolandosi nei cacciatori a cavallo di Garibaldi. Nel 1860 partì con la spedizione dei Mille, raggiungendo il grado di tenente colonnello. Imbarcatosi per ragioni di servizio dalla Sicilia verso Napoli su un vecchio vapore, morì nel naufragio della nave, nella notte fra il 5 e il 6 marzo 1861. La sua produzione letteraria fu vasta, nonostante la breve vita. Scrisse versi (Le lucciole, 1855-57; Amori garibaldini, 1860), romanzi (Angelo di bontà, 1855; Il conte pecoraio, 1857; Il Varmo, 185556), racconti (Novelliere campagnolo, 1855-56). Queste opere testimoniano un’idea di letteratura tipicamente risorgimentale, cioè come strumento di educazione civile e morale. Dopo l’esperienza nella Guerra d’indipendenza scrisse anche due saggi politici, Venezia e la libertà d’Italia e il Frammento sulla rivoluzione nazionale; interessante è soprattutto il secondo, in cui Nievo si rivela lucidamente consapevole di un problema centrale del Risorgimento, che era restato estraneo ai moderati: la necessità di rendere partecipi del movimento nazionale anche le masse popolari contadine, elevandole economicamente e legandole agli interessi della borghesia progressiva. Il capolavoro di Nievo è però il romanzo Le confessioni di un Italiano. Scritto tra il dicembre del 1857 e l’agosto del 1858 non ebbe da parte dell’autore una revisione definitiva. Fu pubblicato postumo nel 1867 e suscitò scarsa atRitratto di Ippolito Nievo in divisa tenzione; solo nel Novecento fu apprezzato come da garibaldino, 1860, fotografia a colori. meritava.

La vita e le opere

È sostanzialmente un romanzo storico, ma di impianto molto diverso rispetto a quelli della prima metà del secolo. Il protagonista, Carlo Altoviti, narra in prima persona la sua lunga vita, dal 1775 al 1859. Alle sue vicende biografiche si intrecciano tutti gli eventi principali della storia italiana. La prima parte del racconto rievoca il mondo feudale e patriarcale del Friuli prima della Rivoluzione francese, attraverso il quadro della vita nel castello di Fratta. In questa parte ha rilievo soprattutto l’amore di Carlino per la cuginetta Pisana; amore che durerà tutta la vita, sia pur tra un’alternanza di abbandoni, tradimenti, rappacificazioni. Seguono poi l’irruzione delle armate napoleoniche in Italia, che sconvolge quel mondo immobile e fuori della storia, il “tradimento” di Campoformio, la tragedia della Repubblica partenopea, la Restaurazione, i moti del ’20-’21. Carlino, che vi ha partecipato, è condannato a Napoli ai lavori forzati; perde la vista, e la pena gli è commutata nell’esilio. A Londra, cieco e povero, sopravvive grazie alla Pisana, che giunge a chiedere l’elemosina per lui. Carlino riacquista la vista grazie ad un’operazione, ma la cugina muore a causa delle privazioni subite per assisterlo. L’eroe torna in Italia e trascorre gli ultimi anni tra le memorie del passato, mentre amici e figli sono coinvolti nelle lotte d’indipendenza.

Le confessioni di un itaLiano La vicenda Testi Nievo • Carlino tribuno del popolo da Le confessioni di un Italiano

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L’età del Romanticismo

Il destino individuale e la storia

I tempi e gli spazi della narrazione

I Cento anni di Rovani

T8

destini individuali e storia La prima parte, che si svolge nel castello di Fratta, si presenta come romanzo di confessioni e memorie autobiografiche (sul modulo delle Confessioni di Rousseau, riecheggiate anche nel titolo), ed è soprattutto una rievocazione intenerita del mondo dell’infanzia. Qui spicca il ritratto della Pisana, una delle figure femminili più vive della nostra letteratura, tenera, capricciosa, istintiva, appassionata, volubile apparentemente, ma in fondo fedele nel suo amore per il protagonista. Tuttavia anche in questa parte il destino individuale si intreccia con la storia pubblica, evocando vividamente il trapasso tra il mondo dell’ancien régime e la nuova epoca rivoluzionaria. Il quadro storico ha il sopravvento sulle vicende intime nella seconda parte del romanzo, che è anche quella più avventurosa, dove l’intreccio si fa più complicato e romanzesco. L’impianto narrativo Dalla prima alla seconda parte muta l’impianto narrativo. Nella prima lo spazio è ristretto (il castello e le zone circostanti), il tempo narrativo è molto lento, con scene particolareggiate e indugi nell’analisi intima delle psicologie; nella seconda lo spazio si fa infinitamente più ampio e variato ed il tempo narrativo diviene molto più rapido, con vicende intricatissime spesso scorciate in sommari riassuntivi. Muta anche la focalizzazione del racconto: mentre nella prima parte è ristretta a quella del protagonista fanciullo (sia pur con interventi dell’io narrante adulto), nella seconda parte la prima persona diviene poco più che una convenzione e si ha talora l’impressione di un racconto condotto da un narratore onnisciente. Verso il romanzo contemporaneo Nell’evoluzione del genere romanzesco nell’Ottocento le Confessioni di un Italiano occupano un posto importante, poiché segnano il passaggio dal romanzo storico, dominante nel primo Ottocento, al romanzo di ambiente contemporaneo, caratteristico del secondo Ottocento: la narrazione infatti, pur partendo dal secolo precedente, arriva sino agli eventi contemporanei alla scrittura del romanzo. In questa svolta, l’opera di Nievo è accompagnata da quella di Giuseppe Rovani, i Cento anni, scritti all’incirca nello stesso periodo (anzi, si può far l’ipotesi che Nievo abbia tratto spunto per l’impianto della sua opera proprio dalla lettura delle prime puntate del romanzo rovaniano che uscivano, nel 1857, sulla “Gazzetta di Milano”). ippolito nievo

Temi chiave

ritratto della pisana da Le confessioni di un Italiano, cap. I

• la rievocazione dell’infanzia • la variazione del punto di vista

Il protagonista, Carlino, è figlio naturale della sorella della contessa di Fratta ed è stato accolto al castello per carità. Pisana è la sua cuginetta, figlia della contessa.

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La Pisana era una bimba vispa, irrequieta, permalosetta, dai begli occhioni castani e dai lunghissimi capelli, che a tre anni conosceva già certe sue arti da donnetta per invaghire di sé1, e avrebbe dato ragione a coloro che sostengono le donne non esser mai bambine, ma nascer donne belle e fatte, col germe in corpo di tutti i vezzi e di tutte le malizie possibili. Non era sera che prima di coricarmi io non mi curvassi sulla culla della fanciulletta per contemplarla lunga pezza2; ed ella stava là coi suoi occhioni chiusi e con un braccino sporgente dalle coltri e l’altro arrotondato sopra la fronte come un bel angelino addormentato. Ma mentre io mi deliziava di vederla bella a quel modo, ecco ch’ella socchiudeva gli occhi e balzava a sedere sul letto dandomi dei grandi scappellotti e godendo avermi corbellato3 col far le viste4 di dormire. Queste cose avvenivano quando la Faustina5 voltava l’occhio, o si dimenticava del

1. per invaghire di sé: per fare innamorare di sé.

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2. lunga pezza: a lungo. 3. corbellato: ingannato.

4. col far le viste: fingendo. 5. Faustina: la domestica.

Capitolo 2 · Il Romanticismo in Italia

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precetto avuto; poiché del resto la Contessa le aveva raccomandato di tenermi alla debita distanza dalla sua puttina6, e di non lasciarmi prendere con lei eccessiva confidenza. Per me c’erano i figliuoli di Fulgenzio7, i quali mi erano abbominevoli più ancora del padre loro, e non tralasciava mai occasione di far loro dispetti; massime8 perché essi si affaccendavano di spifferare al fattore che mi aveano veduto dar un bacio alla contessina Pisana, o portarmela in braccio dalla greppia delle pecore fino alla riva della peschiera9. Peraltro la fanciulletta non si curava al pari di me delle altrui osservazioni, e seguitava a volermi bene, e cercava farsi servire da me nelle sue piccole occorrenze piuttostoché dalla Faustina o dalla Rosa, che era l’altra cameriera, o la donna di chiave che or si direbbe guardarobiera. Io era felice e superbo di trovar finalmente una creatura cui poteva credermi utile; e prendeva un certo piglio d’importanza quando diceva a Martino: «Dammi un bel pezzo di spago che debbo portarlo alla Pisana!» Così la chiamava con lui; perché con tutti gli altri non osava nominarla se non chiamandola la Contessina. Queste contentezze peraltro non erano senza tormento poiché pur troppo si verifica così nell’infanzia come nell’altre età il proverbio, che non fiorisce rosa senza spine. Quando capitavano al castello signori del vicinato coi loro ragazzini ben vestiti e azzimati10, e con collaretti stoccati11 e berrettini colla piuma, la Pisana lasciava da un canto me per far con essi la vezzosa; e io prendeva un broncio da non dire a vederla far passettini e torcer il collo come la gru, e incantarli colla sua chiaccolina12 dolce e disinvolta. Correva allora allo specchio della Faustina a farmi bello anch’io; ma ahimé che pur troppo m’accorgeva di non potervi riescire. Aveva la pelle nera e affumicata come quella delle aringhe, le spalle mal composte, il naso pieno di graffiature e di macchie, i capelli scapigliati e irti intorno alle tempie come le spine d’un istrice e la coda scapigliata come quella d’un merlo scappato dalle vischiate13. Indarno14 mi martorizzava il cranio col pettine sporgendo anche la lingua per lo sforzo e lo studio grandissimo che ci metteva; quei capelli petulanti si raddrizzavano tantosto15 più ruvidi che mai. Una volta mi saltò il ticchio di ungerli come vedeva fare alla Faustina; ma la fatalità volle che sbagliassi boccetta e invece di olio mi versai sul capo un vasetto d’ammoniaca ch’essa teneva per le convulsioni, e che mi lasciò intorno per tutta la settimana un profumo di letamaio da rivoltar lo stomaco. Insomma nelle mie prime vanità fui ben disgraziato e anziché rendermi aggradevole16 alla piccina, e stoglierla17 dal civettare coi nuovi ospiti, porgeva a lei e a costoro materia di riso, ed a me nuovo argomento di arrabbiare e anche quasi d’avvilirmi. Gli è vero che partiti i forestieri la Pisana tornava a compiacersi di farmi da padroncina, ma il malumore di cotali infedeltà tardava a dissiparsi, e senza sapermene liberare, trovava troppo varii i suoi capricci, e un po’ anche dura la sua tirannia. Ella non ci badava, la cattivetta. Avea forse odorato la pasta di cui era fatto, e raddoppiava le angherie ed io la sommissione e l’affetto; poiché in alcuni esseri la devozione a chi li tormenta è anco maggiore della gratitudine per chi li rende felici. Io non so se sian buoni o cattivi, sapienti o minchioni cotali esseri; so che io ne sono un esemplare; e che la mia sorte tal quale è l’ho dovuta trascinare per tutti questi lunghi anni di vita. La mia coscienza non è malcontenta né del modo né degli effetti; e contenta lei contenti tutti; almeno a casa mia. – Devo peraltro confessare a onor del vero che per quanto volubile, civettuola e crudele si mostrasse la Pisana fin dai tenerissimi anni, ella non mancò mai d’una certa generosità; qual sarebbe d’una regina che dopo aver schiaffeggiato e avvilito per bene un troppo ardito vagheggino18, intercedesse in suo favore presso il re suo marito. A volte mi baciuzzava come il suo cagnolino, ed entrava con me nelle maggiori confidenze; poco dopo mi metteva a far da cavallo percotendo con un vincastro19 senza riguardo giù per la nuca e traverso alle guan-

6. puttina: bambina piccola. 7. Fulgenzio: il sacrestano del castello, persona ipocrita e viscida. 8. massime: soprattutto. 9. peschiera: il laghetto dove si pesca. 10. azzimati: ben vestiti, agghindati.

11. stoccati: inamidati. 12. chiaccolina: chiacchiera. È termine veneto. 13. scappato dalle vischiate: sfuggito dalle trappole di vischio. 14. Indarno: invano.

15. tantosto: subito. 16. aggradevole: gradito. 17. stoglierla: distoglierla. 18. vagheggino: individuo fatuo che fa il galante con le donne. 19. vincastro: bacchetta di vimini.

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cie; ma quando sopraggiungeva la Rosa od il fattore ad interrompere i nostri comuni trastulli che erano, come dissi, contro la volontà della Contessa, ella strepitava, pestava i piedi, gridava che voleva bene a me solo più che a tutti gli altri, che voleva stare con me e via via; finché dimenandosi e strillando fra le braccia di chi la portava, i suoi gridari si ammutivano dinanzi al tavolino della mamma. Quelle smanie, lo confesso, erano il solo premio della mia abnegazione, benché dappoi spesse volte ho pensato che l’era più orgoglio ed ostinazione che amore per me. Ma non mescoliamo i giudizi temerari dell’età provetta20 colle illusioni purissime dell’infanzia. Il fatto sta che io non sentiva le busse21 che mi toccavano sovente per quella mia arroganza di volermi accomunar nei giochi alla Contessina, e che contento e beato mi riduceva nella mia cucina a guardar Martino22 che grattava formaggio.

20. età provetta: età adulta. 21. busse: botte.

22. Martino: un servitore.

Analisi del testo Il vagheggiamento dell’infanzia

Gli intenti patriottici e civili

La pagina evoca quello che Baudelaire ha definito «il verde paradiso degli amori infantili» (nella lirica dei Fiori del male dal titolo Moesta et errabunda). Non si dimentichi che il vagheggiamento del mondo innocente e favoloso dell’infanzia è uno dei grandi temi romantici. Si noti però il gioco dei punti di vista nel passo: vi è il punto di vista dell’io-personaggio, Carlino fanciullo, con la sua fresca ingenuità infantile; ma ad esso si sovrappone il punto di vista dell’io-narratore, Carlino adulto, anzi vecchio, che commenta i fatti del passato dall’alto della sua saggezza. La rievocazione dell’infanzia, di conseguenza, non è puro abbandono lirico, regressione stupita in un mondo magico, ma è sempre collegata a intenti moraleggianti. Nievo, con la vita di Carlo Altoviti, vuole scrivere la storia di un’educazione, il passaggio dalla beata irresponsabilità infantile all’età adulta, con le sue responsabilità e i suoi doveri morali e civili. Il romanzo non è quindi opera di memorialistica lirica, ma ha intenti patriottici e civili. Lo dichiarano apertamente proprio le prime righe della narrazione: «Io nacqui veneziano ai 18 ottobre del 1775 […] e morrò per la grazia di Dio italiano».

Esercitare le competenze CoMprendere

> 1. Riassumi in circa 10 righe (500 caratteri) il contenuto del brano. AnALizzAre

> 2.

narratologia Indica i passi del testo in cui si ritrovano: a) il punto di vista dell’io-personaggio (Carlino fanciullo); b) il punto di vista dell’io-narratore (Carlino adulto); c) i proverbi e le convinzioni popolari. Spiega quale effetto produce questo gioco dei punti di vista. > 3. Lessico Cataloga termini/espressioni usati per descrivere la Pisana: quale profilo del personaggio delineano?

Approfondire e inTerpreTAre

> 4. esporre oralmente Quale rilievo viene dato all’estrazione sociale nella descrizione dei rapporti tra i personaggi e sull’importanza di questo elemento nella narrazione delle vicende dell’infanzia? (max 3 minuti) > 5. Contesto A partire dall’incipit del romanzo, dalle parole del protagonista ormai ottuagenario («Io nacqui Veneziano ai 18 ottobre del 1775 […] e morrò per la grazia di Dio italiano»), con l’aiuto dell’insegnante di storia, ripercorri le principali vicende storiche dell’Italia tra la fine del XVII secolo e i primi moti risorgimentali. per iL reCUpero

> 6. Fornisci per ciascuna delle seguenti espressioni una nota esplicativa, considerando il contesto in cui viene utilizzata: a) «si affaccendavano di spifferare al fattore» (rr. 14-15); b) «prendeva un certo piglio d’importanza» (rr. 20-21); c) «per far con essi la vezzosa» (r. 27); d) «Una volta mi saltò il ticchio di ungerli» (r. 35); e) «il malumore di cotali infedeltà tardava a dissiparsi» (r. 42); f) «e via via» (r. 58); g) «i suoi gridari si ammutivano» (r. 59).

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In sintesi

iL roMAnTiCiSMo in iTALiA Verifica interattiva

doCUMenTi TeoriCi deL roMAnTiCiSMo iTALiAno In Italia la formazione del movimento romantico è stimolata da un articolo di Madame de Staël (Sulla maniera e l’utilità delle traduzioni, 1816), in cui si invitavano gli italiani ad aprirsi alle correnti più vive della letteratura europea. L’articolo suscita reazioni negative anche da parte dei classicisti più avanzati, tra cui Pietro Giordani («Un italiano» risponde al discorso della de Staël, 1816), che si ergono a difesa della specificità culturale italiana. Altri intellettuali, come Giovanni Berchet, Pietro Borsieri, Silvio Pellico, accolgono con favore le tesi dell’articolo e nel 1818 danno vita a un giornale, “Il Conciliatore”, che si propone di diffondere le nuove idee letterarie e di stimolare il progresso civile dell’Italia. Dal programma del giornale, steso da Borsieri, e dalla Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliolo (1816) di Berchet, principale manifesto del Romanticismo italiano, emerge l’esigenza di una cultura moderna, che si rivolga ai ceti medi (il «popolo») utilizzando una lingua più semplice e colloquiale di quella tradizionale e che concorra al progresso civile e morale concentrandosi sul “vero”.

LA poeSiA in iTALiA La lirica italiana, fatta eccezione per le grandi personalità di Manzoni e Leopardi, è generalmente lontana dallo spirito d’innovazione del Romanticismo europeo. Un filone importante è costituito dalla poesia patriottica, il cui esponente più significativo è Giovanni Berchet (17831851): essa utilizza metri rapidi, martellanti, e si esprime in un linguaggio oratorio ed enfatico, di sicura presa sul «popolo», ma ancora in parte legato alla tradizione. Il motivo politico-patriottico e la critica dei costumi sociali improntano la poesia satirica, rappresentata principalmente dal toscano Giuseppe Giusti (1809-50). Un notevole successo ha poi la poesia narrativa (nelle forme della novella in versi e della ballata), nella quale predominano i temi sentimentali, talvolta inquadrati in una cornice sto-

rica. Un posto a sé in questo panorama occupa la produzione d’impronta mistico-religiosa di Niccolò Tommaseo (1802-74). L’effusione sentimentale si accentua nei poeti della cosiddetta “seconda generazione romantica”, come Giovanni Prati (1814-84) e Aleardo Aleardi (181278). L’unico filone della lirica italiana che introduce profonde innovazioni tematiche e formali è la poesia dialettale, interpretata con esiti di eccezionale forza espressiva dal milanese Carlo Porta (1775-1821) e dal romano Giuseppe Gioacchino Belli (1791-1863). La loro “rivoluzione” consiste nell’aver posto al centro della poesia la realtà plebea, osservata da un punto di vista “basso” e rappresentata con il linguaggio che le è proprio. Ne deriva una visione insolita e straniante della società, fortemente critica nei confronti dei ceti privilegiati.

iL roMAnzo in iTALiA Il romanzo si afferma tardivamente in Italia sia per la persistenza di una tradizione letteraria che guarda con disprezzo ai generi non consacrati dalla tradizione, sia per la lentezza con cui la borghesia si impone come soggetto sociale e culturale. Difeso dai romantici, il romanzo si diffonde nella variante storica a partire dal 1827, l’anno di pubblicazione della prima edizione dei Promessi sposi e di altre opere appartenenti allo stesso genere. Nei decenni successivi il romanzo storico invade il mercato, assumendo le caratteristiche proprie della letteratura di consumo e riscuotendo un successo senza precedenti. Stentano invece ad imporsi altre forme di romanzo, come quello realistico d’ambientazione contemporanea, praticato da Antonio Ranieri con intento di denuncia sociale. Il superamento del romanzo storico si ha poco dopo la metà dell’Ottocento con Le confessioni di un Italiano di Ippolito Nievo (1831-61), che inaugurano un nuovo tipo di romanzo nel quale le vicende, raccontate dal protagonista stesso, si collegano ai grandi processi politici e sociali e giungono fino all’età contemporanea.

facciamo il punto 1. I testi esaminati presentano diverse posizioni riguardo a classicismo e Romanticismo; individua: a. le diverse motivazioni che adducono gli scrittori per appoggiare l’una o l’altra corrente; b. quali accuse vengono rivolte alla cultura italiana dai romantici; c. quali rimedi vengono proposti dai romantici per superare la condizione di decadenza della cultura italiana; d. a quale pubblico fanno riferimento i vari scrittori. 2. Il giuramento di Pontida di Berchet ( T4, p. 337) risponde ai criteri di letteratura romantica enunciati

nel manifesto teorico pubblicato sul “Conciliatore” ( T3, p. 330)? 3. Perché l’esperienza della poesia dialettale (Porta e Belli) e quella della poesia patriottica sono un unicum nel panorama letterario europeo del tempo? 4. Perché l’uso del dialetto da parte di Porta e Belli è una scelta tipica del movimento romantico? 5. L’uso del dialetto da parte di Belli risponde alle stesse esigenze di Porta? 6. Per quali aspetti il romanzo di Nievo si differenzia dal tradizionale romanzo storico, ad esempio di Scott e di Manzoni?

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Capitolo 3

Alessandro Manzoni

tragedia conquista una maggiore libertà espressiva, rifiutando regole paralizzanti come le unità Manzoni nel campo della poesia lirica, della tragedia, della narrativa compie un’opera di radi- aristoteliche e radicando profondamente i dramcale rinnovamento letterario rispetto alla tradi- mi dei personaggi nella storia. zione classicistica dominante da secoli nella culLa portata rivoluzionaria del romanzo tura italiana, realizzando nel modo più compiuto Ma l’innovazione più rivoluzionaria è costituita i princìpi della corrente romantica. Il rinnovamento risponde alle trasformazioni sociali che si dalla scelta del romanzo, un genere che era distavano verificando in Italia nel primo Ottocento sprezzato e misconosciuto dalla cultura classicie facevano nascere un pubblico nuovo, più vasto, stica: Manzoni ha il merito grandissimo di aver non composto soltanto da letterati come era nel dato origine in Italia, con I promessi sposi, alla passato, portatore di nuovi gusti e nuovi interessi. tradizione del romanzo, il genere destinato a dominare la scena letteraria sino ai giorni nostri. Il Le liriche e le tragedie suo romanzo è un vasto affresco storico, pervaso Nella lirica, trattando una materia religiosa op- da un atteggiamento lucidamente critico nei conpure civile, Manzoni affronta tematiche più vive fronti delle aberrazioni di una società ancora feue più vicine agli interessi del pubblico, abbando- dale, come quella della Lombardia spagnola del nando i repertori mitologici ereditati dall’antichi- Seicento. Ma la ricostruzione manzoniana veicola tà, ormai lontani dalla sensibilità moderna. Nella anche un’idea di società per le forze liberali e

Un radicale rinnovamento letterario

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Videolezione d’autore

sunzione di due popolani a protagonisti, nell’aver elevato ad alta dignità e a serietà tragica una materia umile e quotidiana, che la tradizione classica avrebbe relegato a un livello minore e comico. In questa scelta agisce la visione cristiana di Manzoni, che lo porta a rivendicare il valore degli ultimi, degli umili.

Un messaggio religioso problematico

progressive che si avviavano al Risorgimento, al riscatto dell’Italia dalla sua secolare arretratezza. La sua è quindi un’opera di forte impegno politico e civile, portatrice di un messaggio che ebbe un’influenza determinante nella formazione della coscienza nazionale italiana.

Al tempo stesso il romanzo propone un messaggio religioso problematico, per nulla conformistico, fondato su una visione tragica della condizione umana scaturita dal peccato originale e dominata dalla violenza e dall’ingiustizia. Da un lato Manzoni legge il negativo di tale condizione come sventura provvidenziale, nel senso che può far maturare nell’uomo una più profonda consapevolezza del male e un’apertura caritatevole verso il prossimo, dall’altro però non propone un’idea di passiva rassegnazione ma delinea la possibilità di un miglioramento della vita umana già su questa terra, grazie al messaggio del Vangelo, che può condurre a un alleviamento del caos della società e della storia. Nella sua concezione si fondono quindi un liberalismo di matrice illuministica e un cristianesimo aperto alla modernità.

Si dovrebbe pensare più a far bene, che a star bene: e così si finirebbe anche a star meglio. (I promessi sposi, cap. XXXVIII)

Il principio […] mi sembra poter essere questo: che la poesia e la letteratura in genere debba proporsi l’utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo. (Lettera sul Romanticismo, 1823)

La dignità tragica del quotidiano Letterariamente, la forza rivoluzionaria del romanzo manzoniano consiste, attraverso l’as-

L’innovazione linguistica La portata innovatrice del romanzo manzoniano si misura infine nella lingua: per rivolgersi al pubblico nuovo e più vasto la scrittura abbandona la lingua letteraria aulica ancora largamente dominante all’epoca, comprensibile solo da un’élite, e impiega un linguaggio vivo, perfettamente rispondente alle innovazioni della materia, mediante l’assunzione a modello di una lingua effettivamente parlata, il fiorentino usato dalle persone colte. 361

L’età del Romanticismo

1 I primi anni

A Parigi

L’amicizia con Fauriel

La vita Videolezione

Gli anni giovanili

Alessandro Manzoni nacque a Milano nel 1785, dal conte Pietro e da Giulia Beccaria, figlia di Cesare Beccaria, uno dei più illustri rappresentanti dell’Illuminismo lombar­ do. Separatisi ben presto i genitori, trascorse la fanciullezza e la prima adolescenza, sino al 1801, in collegi retti da padri somaschi e barnabiti, dove ricevette la tradizionale educazione classica, ma concepì anche una profonda avversione per i metodi pedagogici e l’arido formalismo religioso di quegli ambienti. Uscito dal collegio a sedici anni, nutrito di idee razionalistiche e libertarie, si inserì nell’ambiente culturale milanese del periodo napoleonico e frequentò poeti già famosi come Monti e Foscolo. Condusse vita gaudente, tra il gioco e le avventure galanti, ma si dedicò anche intensamente al lavoro intellettuale, scrivendo parecchie opere poetiche nel gusto classicistico dell’epoca. Nel 1805 lasciò la casa paterna e raggiunse la madre a Parigi, dopo la morte di Carlo Imbonati, l’uomo con cui ella aveva vissuto in seguito alla separazione dal marito. Tra il figlio e la madre, che si conoscevano ben poco, nacque un rapporto affettivo molto intenso, destinato a segnare profondamente la vita successiva dello scrittore. A Parigi, il giovane Manzoni entrò in contatto con gli “ideologi” (de Tracy, Cabanis, Thierry, Fauriel), un gruppo di intellettuali che erano gli eredi del patrimonio illuministico. Le loro posizioni liberali ed il loro rigore morale esercitarono un influsso determinante nella formazione delle idee filosofiche, politiche, morali e letterarie di Manzoni. Fauriel strinse con lui anche una profonda amicizia e, specie attraverso un fitto scambio di lettere durato diversi anni, divenne un importante punto di riferimento per Manzoni nel periodo più fecondo della sua attività di scrittore. A Parigi, il contatto con ecclesiastici di orientamento giansenista ( Il giansenismo, p. 366), vicini agli ideologi, incise anche sulla sua conversione religiosa.

Manzoni e il suo tempo

Linea del tempo Carme in morte di Carlo Imbonati

Nasce a Milano. È nipote di Cesare Beccaria

Raggiunge la madre a Parigi I genitori si separano

Studia presso collegi religiosi

Inni sacri

Frequenta “ideologi” e giansenisti; sposa Enrichetta Blondel Si converte al cristianesimo; ritorna a Milano

Periodo giovanile

1785

1789 Rivoluzione francese

362

1799 1805 Colpo di Stato di Napoleone

Il Conte di Carmagnola

È vicino al movimento romantico milanese

Periodo

1810

1813

Battaglia di Lipsia: sconfitta di Napoleone

1815 Congresso di Vienna e definitiva sconfitta di Napoleone a Waterloo

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

La conversione e il ritorno in Italia La conversione

Il ritorno in Italia Gli Inni sacri

Manzoni e il Romanticismo lombardo

Gli anni creativi

Sul suo ritorno alla fede cattolica Manzoni mantenne sempre uno stretto riserbo (lo stesso, d’altronde, con cui circondò abitualmente la sua persona, i suoi sentimenti, la sua vita privata). Pertanto è quasi impossibile ricostruirne le fasi interiori. Dovette essere determinante l’influsso della giovane moglie Enrichetta Blondel, che proprio a Parigi si convertì dal calvinismo al cattolicesimo. La conversione si accompagnò in Manzoni al primo manifestarsi di quelle gravissime crisi nervose che lo angustiarono per tutta la vita. Comunque, quando nel 1810 lasciò Parigi ritornando definitivamente a Milano, un profondo rinnovamento si era compiuto nella sua visione della realtà, che era ormai integralmente ispirata al cattolicesimo. Il rinnovamento coinvolse anche l’attività intellettuale e letteraria: Manzoni abbandonò la poesia classicheggiante, lasciando incompiuti vari progetti, e si dedicò alla stesura di una serie di Inni sacri (181215), che aprivano la strada ad una successiva serie di opere di orientamento romantico, nutrite di interessi storici oltre che religiosi. Dopo il ritorno in Italia, Manzoni condusse l’esistenza appartata del possidente, dividendosi tra la sua casa milanese e la villa di Brusuglio. La sua vita era dedicata allo studio, alla scrittura, alle intense pratiche religiose, alla famiglia, che cresceva numerosa. Fu vicino al movimento romantico milanese e ne seguì attentamente gli sviluppi (un gruppo di intellettuali si riuniva a discutere in casa sua), ma non partecipò direttamente alle polemiche con i classicisti e declinò l’invito a collaborare al “Conciliatore”. Un atteggiamento analogo assunse nei confronti della politica: di sinceri sentimenti patriottici ed unitari, seguì con entusiasmo gli avvenimenti del 1820-21, ma non vi partecipò attivamente, e non fu toccato dalla dura repressione austriaca che ne seguì. Sono questi gli anni di più intenso fervore creativo, in cui nascono le odi civili, la Pentecoste, le tragedie, le prime due stesure del romanzo, oltre alle Osservazioni sulla morale cattolica, al Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia, ai saggi di teoria letteraria sulle unità drammatiche e sul Romanticismo.

Adelchi Pentecoste Fermo e Lucia Marzo 1821 Il cinque maggio Segue con interesse i moti costituzionali, ma non vi partecipa

Seconda redazione dei Promessi sposi

Redazione definitiva dei Promessi sposi Storia della colonna infame Amicizia con Antonio Rosmini, morte di Enrichetta Blondel Abbandona la letteratura d’invenzione

Segue con entusiasmo gli avvenimenti politici, senza parteciparvi

“letterario”

1821

È nominato senatore

La rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del 1859

È favorevole all’annessione di Roma al Regno d’Italia

Accetta la cittadinanza onoraria di Roma

Muore a Milano

Periodo della maturità

1827

1830

Moti insurrezionali in Europa e in Italia

1848 Moti rivoluzionari in Europa. Cinque giornate di Milano

1859-61 Guerra d’Indipendenza; spedizione dei Mille; nascita del Regno d’Italia

1870

1872

1873

L’esercito italiano occupa Roma (breccia di porta Pia), che è proclamata capitale del Regno

363

L’età del Romanticismo

Il distacco dalla letteratura

Gli interessi storici, filosofici, linguistici

Manzoni e il Risorgimento

Con la pubblicazione dei Promessi sposi, nel 1827, si può dire concluso il periodo creativo di Manzoni. Lo scrittore assunse un atteggiamento di distacco verso la formula stessa del romanzo storico, che gli aveva consentito di scrivere il suo capolavoro. Successivi tentativi lirici, come un inno sacro sull’Ognissanti, rimasero incompiuti. Manzoni tendeva sempre più a rifiutare la poesia, considerandola falsità di contro al vero storico e morale. Conseguentemente, approfondì gli interessi storici, filosofici e linguistici. Lavorò per anni, fino al 1840, alla terza redazione del romanzo, ma con intenti ormai prevalentemente linguistici, secondo la tesi, elaborata nel frattempo, della fiorentinità della lingua italiana. L’amicizia con Fauriel fu sostituita dall’amicizia con il filosofo cattolico Antonio Rosmini, che divenne la sua guida intellettuale. In questi anni della maturità e della vecchiaia la sua vita fu anche funestata da una serie interminabile di lutti (la morte della moglie, della madre, di parecchi dei figli) e da dissapori familiari (la condotta dei figli maschi). La sua figura di intellettuale era sempre più circondata di ammirazione, dopo il grandissimo successo del romanzo, che veniva ristampato continuamente in tutta Italia (in edizioni per lo più “pirata”, non essendovi ancora tra i vari Stati italiani una convenzione sui diritti d’autore). Manzoni era ormai una figura “pubblica”, nonostante il suo atteggiamento sempre schivo e appartato. Durante le Cinque giornate di Milano, nel 1848, seguì con entusiasmo gli eventi politici, pur senza parteciparvi direttamente, e diede alle stampe l’ode patriottica Marzo 1821, tenuta per anni nascosta.

Carta interattiva

I luoghi e la vita di Manzoni 2 PARIGI

PARIGI

Nel 1805 raggiunge la madre a Parigi, dove entra in contatto con un gruppo di intellettuali illuministi, tra cui Fauriel, di cui diventa amico. Qui Enrichetta Blondel, sposata nel 1808, si converte al cattolicesimo e Manzoni intraprende un cammino spirituale che lo porterà alla conversione.

1 MILANO

Nasce a Milano nel 1785.

MILANO 3 MILANO Torna a Milano nel 1810 e qui rimarrà fino alla morte, nel 1873.

364

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

L’esemplarità della figura manzoniana

2 Il Trionfo della libertà

L’Adda e i Sermoni

Il Carme in morte di Carlo Imbonati

Testi Il «giusto solitario» dal Carme in morte di Carlo Imbonati

Urania

A Parteneide

Il distacco dal classicismo

Nel 1860 fu nominato senatore del Regno di Sardegna e poi del Regno d’Italia, costituitosi nel 1861. Pur essendo profondamente cattolico, era contrario al potere temporale della Chiesa, e favorevole a Roma capitale: nel 1864 votò a favore del trasferimento della capitale da Torino a Firenze, come tappa intermedia verso Roma: nel 1872, dopo la conquista della città da parte delle truppe italiane, ne accettò la cittadinanza onoraria, con scandalo degli ambienti cattolici più retrivi. Negli anni della sua lunga vecchiaia Manzoni fu circon­ dato dalla venerazione della borghesia italiana, che vedeva in lui non solo il grande scrittore, ma anche un maestro, una guida intellettuale, morale, politica. Soprattutto il suo romanzo fu assunto nella scuola con tale funzione. Morì a Milano nel 1873, a ottantotto anni; gli furono tributati solenni funerali, alla presenza del principe ereditario Umberto, e fu sepolto nel cimitero monumentale.

Prima della conversione: le opere classicistiche

Videolezione

Tra il 1801 e il 1810, cioè tra i sedici e i venticinque anni, Manzoni compone opere perfettamente allineate con il gusto classicistico allora dominante. Si tratta di opere scritte nel linguaggio aulico e con l’ornamentazione retorica della tradizione, fitte di rimandi mitologici e dotti, nello stile della poesia montiana e foscoliana che conosciamo. Già nel 1801 scrive una “visione” allegorica in terzine, il Trionfo della libertà, che si richiama ad un genere consacrato da Monti, poeta in quel momento al massimo della fama. Anche nella materia il poemetto risente del clima del tempo: colmo di spiriti libertari, inneggia alla Rivoluzione francese e si scaglia contro la tirannide poli­ tica e religiosa, ma già rivela disillusione e amarezza dinanzi al fallimento degli ideali rivoluzionari traditi da Napoleone. Seguono l’Adda, poemetto idillico, indirizzato a Monti, e quattro Sermoni, in cui, prendendo a modello Parini, il giovane poeta polemizza con aspro moralismo contro aspetti del costume contemporaneo. Del 1805 è il Carme in morte di Carlo Imbonati. Riprendendo un modulo classico molto ripetuto, Manzoni immagina che Imbonati, che egli ammirava come un padre, gli appaia in sogno dandogli nobili ammaestramenti di vita e di poesia. In questo componimento, dalla delusione storica del giovane Manzoni si può veder nascere l’idea­ le del «giusto solitario», che si ritrae dinanzi al caos della storia contemporanea e si rifugia aristocraticamente nella propria virtù e nella propria sdegnosa solitudine, dedicandosi al culto delle lettere: un atteggiamento che risente fortemente di Alfieri e di Foscolo. Ma vi si può già cogliere un presentimento del Manzoni futuro, nella convinta affermazione della sincerità e del rigore morale che deve ispirare la scrittura letteraria («Sentir […] e meditar»; «il santo Vero mai non tradir»). Nel 1809 compone ancora un poemetto, Urania, che tratta un tema caro alla cultura neoclassica – il valore incivilitore della bellezza e delle arti – già trattato da Monti nella Musogonia (e che ben presto sarà affrontato da Foscolo nelle Grazie, L’età napoleonica, cap. 2, T14, p. 148). A Parteneide è invece una risposta al poeta danese Baggesen, con cui Manzoni si scusa di non poter tradurre il suo idillio borghese Parthenais. Appena pubblicate queste ultime opere, tuttavia, Manzoni manifesta subito il suo scontento. Scrivendo a Fauriel, definisce A Parteneide «balivernes» (“sciocchezzuole”), e afferma che in futuro comporrà forse versi peggiori, ma mai più simili a quelli, a causa della loro «mancanza assoluta d’interesse». È il sintomo di un distacco dal gusto e dalla cultura classicistici; Manzoni ne avverte ormai l’esaurimento e sente il bisogno di una letteratura nuova, negli interessi come nel linguaggio. Abbandona quindi il progetto di un poema idillico sulla «vaccina» (cioè sull’innesto del vaiolo), poi per tre anni non scrive nulla. E quando riprende a comporre, scrive gli Inni sacri, un genere di poesia radicalmente diverso. 365

L’età del Romanticismo

Microsaggio

Il giansenismo I contenuti dottrinali È la dottrina esposta nell’opera Augustinus dal teologo olandese Cornelis Jansen (1585-1638, usualmente italianizzato in Cornelio Giansenio), professore all’Università di Lovanio e poi vescovo di Ypres. Si tratta di un tentativo di riforma religiosa attraverso il recupero delle tesi di sant’Agostino intorno alla Grazia: secondo Giansenio il peccato originale ha privato l’uomo della libera volontà e lo ha inclinato inevitabilmente al male, rendendolo incapace del bene. Di conseguenza l’uomo non può raggiungere la salvezza con le sue sole forze: solo Dio, nei suoi imperscrutabili disegni, può concedere la Grazia ad alcuni eletti. La polemica Le tesi di Giansenio si contrapponevano alla morale ecclesiastica, soprattutto quella predicata dai Gesuiti, seconcon i Gesuiti do i quali la salvezza è sempre possibile all’uomo, se vive in seno alla Chiesa ed è sorretto dalla buona volontà. I Gesuiti anzi proponevano una morale lassista, cioè pronta a sminuire la gravità dei peccati in base a considerazioni particolarmente cavillose, pur di mantenere all’interno della Chiesa il maggior numero di persone. Diffusione e condanna del giansenismo Dalla pubblicazione in Francia dell’opera di Giansenio prese le mosse una corrente religiosa, con connessioni anche politiche, che si diffuse nel mondo cattolico dalla metà del Seicento sino ai primi anni dell’Ottocento. Nel 1653 papa Innocenzo X condannava come eretiche Pascal cinque tesi nelle quali la Facoltà teologica di Parigi aveva compendiato la dottrina di Giansenio. A sua difesa e Port-Royal si schierò un gruppo di intellettuali, tra cui il grande filosofo e matematico Blaise Pascal, che fecero riferimento all’abbazia di Port-Royal. I giansenisti furono oggetto di lunghe polemiche, finché nel 1709 Luigi XIV impose la chiusura e la distruzione di Port-Royal. Manzoni e il giansenismo Si è molto discusso se Manzoni fosse giansenista o no, dato che ebbe rapporti con religiosi di quell’orientamento, a Parigi e in Italia. La risposta più attendibile è che non fu propriamente Il rigore morale e un giansenista, ma subì l’influenza di alcuni orientamenti di quella corrente religiosa: nel rigorismo morale, il senso nel profondo senso del peccato originale, che ha contaminato irreparabilmente la storia umana, dominata del peccato costantemente dal male, dalla violenza e dall’ingiustizia e ha reso l’uomo incline al peccato. Però, a differenza dei giansenisti, Manzoni era convinto della responsabilità dell’uomo, cioè del fatto che egli si può riscattare dal male con un libero atto della volontà (come provano le conversioni di fra Cristoforo e dell’Innominato, e la vicenda stessa di Gertrude, che avrebbe potuto evitare la colpa, se lo avesse fermamente voluto).

3 Le Osservazioni sulla morale cattolica

Testi • Religione e idee moderne

• Religione, riforme e classi sociali

dalle Osservazioni sulla morale cattolica

La conversione e la concezione della storia

366

Dopo la conversione: la concezione della storia e della letteratura La conversione fu per Manzoni un fatto totalizzante, che investì a fondo tutti gli aspetti della sua personalità. Ne sono una prova eloquente le Osservazioni sulla morale cattolica (1819), scritte per controbattere le tesi esposte dallo storico ginevrino Simonde de Sismondi nella Storia delle repubbliche italiane nel Medioevo, e cioè che la morale cattolica era stata la radice della corruzione del costume italiano. Dalle argomentazioni di Manzoni traspare una fiducia assoluta nella religione come fonte di tutto ciò che è buono e vero, come punto di riferimento per ogni tipo di scelta, nel campo morale, politico, intellettuale. È inevitabile perciò che la svolta interiore segnata dalla conversione giochi un ruolo determinante nella svolta letteraria di Manzoni. L’approdo al cristianesimo è lo sbocco di un processo che aveva messo in crisi non solo scelte esistenziali, ma anche orienta-

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

La concezione della letteratura

menti ideologici e culturali. In primo luogo ciò può essere verificato nella concezione della storia. Una lunga tradizione di classicismo aveva visto nel mondo romano l’antecedente diretto della cultura moderna e vi aveva scorto un modello supremo di civiltà in tutti i campi, quello politico e civile, quello letterario, quello artistico. L’adozione di una prospettiva cristiana induce invece Manzoni ad un atteggiamento risolutamen­ te anticlassico: i Romani, egli sostiene, lungi dall’essere modelli di virtù, furono un popolo violento, feroce e oppressore, animato da superbia e disprezzo per il resto del genere umano. Per contro, nasce in lui un nuovo interesse per il Medioevo cristia­ no, visto come la vera matrice della civiltà moderna. Da questo ripudio della visione classica scaturisce anche, in Manzoni, un rifiuto della concezione eroica ed aristocratica che celebra solo i grandi, i potenti, i vincitori, ed un interesse per i vinti, gli umili, le masse ignorate dalla storia ufficiale. La nuova ottica cristiana influenza profondamente anche la concezione manzoniana della letteratura. Diviene centrale per Manzoni il problema della caduta, del male radicato nella storia, della miseria dell’uomo incline inevitabilmente al peccato. Si forma in lui una visione tragica del reale che non tollera più l’idillica serenità classica, il suo elegante distacco, il mondo fittizio delle belle favole mitologiche. Nasce il bisogno di una letteratura che guardi al «vero» della condizione storica dell’uomo, al di là di ogni finzione evasiva e di ogni convenzione artificiosa ( T1, p. 369, T2, p. 371 e T3, p. 375).

Francesco Hayez, Pietro Rossi prigioniero degli Scaligeri, 1818-20, olio su tela, Milano Pinacoteca di Brera.

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L’età del Romanticismo

L’«utile», il «vero», l’«interessante»

Ne deriva il rifiuto del formalismo retorico, dell’arte come esercizio ornamentale, come gioco fine a se stesso, il bisogno di un’arte che scaturisca da esigenze profondamente sentite, che affronti contenuti vivi nella coscienza e si prefigga come fine non un ozioso diletto, ma l’«utile», nel campo morale come in quello civile. Scrive Manzoni nel Fermo e Lucia: «Se le lettere dovessero aver per fine di divertire quella classe d’uomini che non fa quasi altro che divertirsi, sarebbero la più frivola, la più servile, l’ultima delle professioni». Erano motivi che andavano maturando in quegli anni nel gruppo di intellettuali milanesi che daranno ben presto vita alla scuola romantica. Proprio Manzoni, tracciando qualche anno più tardi un bilancio della battaglia romantica nella lettera a Cesare d’Azeglio (1823), fisserà in una formula sintetica i princìpi che muovono la ricerca letteraria sua e degli altri intellettuali: «L’utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo» ( T4, p. 376). In effetti con la sua opera nel campo della poesia lirica, della poesia tragica e della narrativa romanzesca, Manzoni realizza nel modo più compiuto le esigenze di rinnovamento letterario che erano proprie del gruppo romantico, e, sia teoricamente sia nel concreto della sua produzione artistica, elabora al più alto grado di consapevolezza una nuova concezione della letteratura. Tutta la produzione manzoniana, nei tre generi fondamentali – lirico, drammatico e narrativo – si presenta con un aspetto fortemente innovatore rispetto alla fisionomia della letteratura italiana del periodo neoclassico.

Visualizzare i concetti

Poetica manzoniana e Neoclassicismo a confronto neocLassIcIsMo

ManzonI

Il mondo romano è visto come modello di civiltà

Il Medioevo è visto come radice della cultura moderna

Concezione della storia

Interesse per le grandi personalità della storia

Interesse per i vinti, per gli umili, per le masse

Concezione della letteratura

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Forme ricercate, auliche, elaborate dal punto di vista retorico

Stile

Rifiuto del formalismo retorico

Letteraria e classicheggiante

Lingua

Vicina alla lingua realmente parlata dai ceti colti

Pubblico ristretto di persone colte

Destinatari

La «moltitudine» di coloro che sanno leggere

Il piacere estetico dei destinatari, principalmente

Finalità

L’«utile»: il progresso morale e civile dei lettori

Preferenza per contenuti classici e mitologici

Contenuti

Il «vero», inteso in senso storico, religioso e civile

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

T1

La funzione della letteratura: render le cose «un po’ più come dovrebbono essere»

Temi chiave

• letteratura e realtà • il compito educativo dello scrittore • utile e vero

dall’Epistolario La lettera, del 9 febbraio 1806, inaugura un carteggio con Claude Fauriel che si protrarrà negli anni. Fauriel, conosciuto da Manzoni durante il suo soggiorno parigino, era uno studioso di letteratura, di filologia e di storia. Manzoni strinse con lui un’affettuosa amicizia, e nelle lettere indirizzategli affidò riflessioni sul suo lavoro letterario, che sono per noi preziosissime.

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Io credo che la meditazione di ciò che è, e di ciò che dovrebb’essere, e l’acerbo sentimento che nasce da questo contrasto, io credo che questo meditare e questo sentire sieno le sorgenti delle migliori opere sì in verso che in prosa dei nostri tempi: e questi erano gli elementi di quel sommo uomo1. Per nostra sventura, lo stato dell’Italia divisa in frammenti, la pigrizia e l’ignoranza quasi generale hanno posta tanta distanza tra la lingua parlata e la scritta, che questa può dirsi quasi lingua morta. Ed è per ciò che gli scrittori non possono produrre l’effetto che eglino2 (m’intendo i buoni3) si propongono, d’erudire cioè la moltitudine, di farla invaghire del bello e dell’utile, e di rendere in questo modo le cose un po’ più come dovrebbono essere. Quindi è che i bei versi del Giorno non hanno corretti nell’universale4 i nostri torti5 costumi più di quello che i bei versi della Georgica di Virgilio6 migliorino la nostra agricoltura. Vi confesso ch’io veggo con un piacere misto d’invidia il popolo di Parigi intendere ed applaudire alle commedie di Molière7. Ma dovendo gli scrittori italiani assolutamente disperare di un effetto immediato, il Parini non ha fatto che perfezionare di più l’intelletto e il gusto di quei pochi che lo leggono e l’intendono; fra i quali non v’è alcuno di quelli ch’egli s’è proposto di correggere; ha trovato delle belle immagini, ha detto delle verità: ed io son persuaso che una qualunque verità pubblicata contribuisce sempre ad illuminare e riordinare un tal poco il caos delle nozioni dell’universale8, che sono il principio delle azioni dell’universale.

1. di quel sommo uomo: Giuseppe Parini (1729-99). Vissuto a contatto con gli illuministi milanesi, fu autore di Odi, che per la maggior parte affrontano argomenti civili, e del poemetto satirico Il giorno, che critica la vita oziosa dell’aristocrazia contemporanea. 2. eglino: essi. 3. m’intendo i buoni: intendo dire i buoni

scrittori. 4. nell’universale: in generale. 5. torti: corrotti. 6. Georgica di Virgilio: le Georgiche di Virgilio (70-19 a.C.) sono appunto un poema didascalico che dà insegnamenti sui lavori dei campi. 7. Molière: Jean-Baptiste Poquelin, detto Mo-

lière (1622-73) fu il più grande poeta comico del Seicento francese, autore dell’Avaro, del Misantropo, di Tartufo, del Borghese gentiluomo ecc. Il popolo parigino capisce Molière perché la lingua letteraria francese non è completamente diversa da quella parlata come quella italiana. 8. dell’universale: della collettività.

Analisi del testo

Il pubblico

Letteratura e realtà

La lettera, scritta da un Manzoni solo ventunenne, delinea già quella concezione della letteratura a cui lo scrittore poi si ispirerà nella grande stagione creativa delle liriche, delle tragedie, del romanzo. I buoni scrittori non devono solo rivolgersi all’élite dei letterati, ma alla «moltitudine»: in questo Manzoni, anni prima della sua conversione letteraria al Romanticismo, prende le distanze dal contemporaneo classicismo e dalle sue tendenze aristocratiche ed elitarie. Gli scrittori devono avere un atteggiamento critico nei confronti della realtà esistente e devono assumere un compito educativo, diffondendo tra la moltitudine il «bello» e l’«utile»: in tal modo possono contribuire a mutare le cose, rendendole un po’ più come dovreb369

L’età del Romanticismo

La diffusione del «vero»

La situazione italiana

Il problema della lingua

bero essere. La letteratura per Manzoni deve dunque esser utile, agire sulla realtà e trasformarla: è questa una concezione che si collega chiaramente a quella dell’Illuminismo lombardo; e difatti, non a caso, il modello di scrittore proposto è Parini. Illuministica è anche l’idea che, per riformare la società, occorra prima di tutto «illuminare» le menti degli uomini, diffondendo le idee «vere», perché sono le «nozioni» a guidare le «azioni» degli uomini. Questa idea della funzione riformatrice della letteratura si colloca nel quadro concreto della situazione italiana, della cui arretratezza sociale e culturale Manzoni traccia una diagnosi precisa. Dovendo operare in una situazione così difficile, lo scrittore è costretto a rivolgersi a pochi, perché i più non sono in grado di intenderlo. Ma anche così la sua azione può essere efficace: mettere in circolo delle idee «vere» dà comunque inizio ad un processo che può portare a riformare la società. Manzoni si rende conto del fatto che il carattere elitario della letteratura, nelle condizioni presenti dell’Italia, deriva anche da fattori linguistici: non vi è comunicazione tra lo scrittore e la moltitudine perché la lingua italiana è pressoché una lingua morta, compresa e usata solo da una ristretta minoranza. Si delinea così quell’esigenza di una letteratura che usi un linguaggio comprensibile a vasti strati della popolazione, che sarà uno dei motivi centrali dell’attività manzoniana.

Esercitare le competenze coMprenDere

> 1. Quali fattori, in Italia, hanno determinato la «distanza tra la lingua parlata e la scritta» (rr. 5-6)? > 2. Perché Manzoni afferma di guardare «con un piacere misto d’invidia» al popolo parigino in grado di «intendere ed applaudire alle commedie di Molière» (rr. 11-12)?

anaLIzzare

> 3.

stile Individua nel testo, spiegandone l’efficacia sul piano espressivo e in rapporto al contenuto, l’anafora alle righe 1-2. > 4. Lessico Individua nel testo le parole chiave che concorrono a delineare la visione manzoniana della letteratura (ad esempio «meditare» e «sentire»), chiarendo se si riferiscono alla fonte d’ispirazione, alla finalità, ai destinatari o alla materia delle opere.

approfonDIre e InTerpreTare

> 5.

scrivere Quale ritratto di Parini emerge dal brano analizzato? Ritieni che sia rispondente a quanto appreso riguardo allo scrittore e al suo rapporto con il contesto dell’Illuminismo lombardo? Rispondi in circa 10 righe (500 caratteri).

T2

Il romanzesco e il reale dalla Lettre à M. Chauvet

Temi chiave

• la concezione della letteratura • l’esigenza di ispirarsi al vero • la polemica contro il classicismo

Joseph-Joachim-Victor Chauvet nel 1820 aveva pubblicato sul “Lycée français” un articolo in cui criticava i princìpi romantici a cui Manzoni si era ispirato nella tragedia Il Conte di Carmagnola, in particolare la violazione delle unità drammatiche ( Le unità aristoteliche, p. 374). Manzoni risponde alle critiche con questa lettera (in realtà si tratta di un ampio saggio), pubblicata a Parigi insieme alle sue due tragedie tradotte da Fauriel. Nell’originale la lettera è scritta in francese.

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Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

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Spiegare ciò che gli uomini hanno sentito, voluto e sofferto, mediante ciò che essi hanno fatto, ecco la poesia drammatica: creare dei fatti per adattarvi dei sentimenti, è il grande compito dei romanzi, da mademoiselle Scudéri1 sino ai giorni nostri. Io non pretendo per questo che tale genere di componimenti sia essenzialmente falso; vi sono certamente dei romanzi che meritano d’essere guardati come modelli di verità poetica; sono quelli i cui autori, dopo aver concepito, in una maniera precisa e sicura, dei caratteri e dei costumi, hanno inventato azioni e situazioni conformi a quelle che hanno luogo nella vita reale, per sviluppare tali caratteri e tali costumi: dico solamente che, come ogni genere ha il suo scoglio particolare, quello del genere romanzesco è il falso. Il pensiero degli uomini si manifesta più o meno chiaramente attraverso le loro azioni e i loro discorsi; ma, anche quando si parte da questa larga e solida base, è ancora ben raro raggiungere la verità nell’espressione dei sentimenti umani. A fianco di un’idea chiara, semplice e vera, se ne presentano cento che sono oscure, forzate o false; ed è la difficoltà di isolare nettamente la prima che rende così piccolo il numero dei buoni poeti. Tuttavia anche i più mediocri sono spesso sulla via della verità: ne hanno sempre qualche indizio più o meno vago; solo che questi indizi sono difficili da seguire: ma che accadrà se li si trascura, se li si disdegna? È proprio questo l’errore che hanno commesso la maggior parte dei romanzieri inventando i fatti; e ne è derivato ciò che doveva derivare, che la verità è loro sfuggita più spesso che a coloro che si sono tenuti più vicini alla realtà; ne è derivato che si sono presi poca cura della verosimiglianza, tanto nei fatti che hanno immaginato quanto nei caratteri da cui hanno fatto uscire questi fatti; e che a forza d’inventare storie, situazioni nuove, pericoli inattesi, conflitti singolari di passioni e d’interessi, hanno finito per creare una natura umana che non somiglia per nulla a quella che avevano sotto gli occhi, o, per meglio dire, a quella che non hanno saputo vedere. E tutto ciò è talmente vero che l’epiteto di romanzesco è stato consacrato per designare generalmente, a proposito di sentimenti e costumi, quel genere particolare di falsità, quel tono artificioso, quei tratti convenzionali che distinguono i personaggi dei romanzi. [Questo gusto romanzesco ha invaso il teatro, ed anche i più grandi poeti2 non sempre se ne sono guardati. Buona parte di colpa spetta alla regola delle due unità.]

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In primo luogo essa costringe l’artista, come voi dite, Signore, a diventare creatore3. Ho già detto qualche parola su ciò che mi sembra essere questo genere di creazione; permettetemi di ritornare su questo punto importante: vorrei svilupparlo un po’ di più. Più si considera, più si studia un’azione storica suscettibile d’essere resa drammaticamente, e più si scoprono legami tra le sue diverse parti, più si coglie nel suo insieme una ragione semplice e profonda. Vi si distingue infine un carattere particolare, direi quasi individuale, qualche cosa di esclusivo e di proprio, che la rende quale essa è. Si sente sempre più che occorrevano tali costumi, tali istituzioni, tali circostanze per condurre ad un tale risultato, e tali caratteri per produrre tali atti; che occorreva che le passioni che vediamo in gioco, e le imprese in cui le vediamo impegnate, si succedessero nell’ordine e nei limiti che ci sono dati come l’ordine e i limiti di quelle stesse imprese. Donde viene l’attrazione che noi proviamo a considerare una tale azione? perché la

1. mademoiselle Scudéri: Madeleine de Scudéri (1608-1701) fu autrice di romanzi imperniati su intrighi inverosimili e passioni portate all’estremo, che rispondevano al gusto dell’avventuroso, dello stravagante e delle vicende amorose cortesi e galanti proprio dei salotti aristocratici nel periodo pre-

cedente il regno di Luigi XIV, che segnò invece l’avvento del gusto classico, fondato sull’armonia e l’equilibrio. 2. i più grandi poeti: Manzoni allude soprattutto ai grandi poeti tragici del Seicento francese, Corneille e Racine, di cui parla diffusamente più avanti.

3. In primo luogo … creatore: Chauvet aveva scritto che dovendo chiudere l’azione entro i limiti di spazio e tempo prescritti dalla regola delle unità, il poeta non poteva riprodurre semplicemente la realtà, ma era costretto a modificarla con l’immaginazione.

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troviamo non soltanto verisimile, ma interessante? Il fatto è che noi ne scorgiamo le cause reali; il fatto è che noi seguiamo, allo stesso passo, il cammino dello spirito umano e quello degli avvenimenti particolari presenti alla nostra immaginazione. Noi scopriamo, in una serie data di fatti, una parte della nostra natura e del nostro destino: finiamo per dire dentro di noi: In tali circostanze, mediante simili mezzi, con simili uomini, le cose dovevano accadere così. La creazione imposta dalla regola delle due unità consiste nell’alterare tutto ciò, e nel dare all’effetto principale che si è conservato e che si rappresenta un’altra serie di cause necessariamente differenti e che devono tuttavia essere egualmente verisimili e interessanti; nel determinare per congettura ciò che, nel corso della natura, è stato inutile, nel far meglio di essa infine. Ora come si è potuto cercare il mezzo per raggiungere questo inconcepibile scopo? Abbiamo visto Corneille4 chiedere il permesso di far camminare gli avvenimenti più in fretta di quanto la verosimiglianza permetta, vale a dire più in fretta che nella realtà. Ora questi avvenimenti che la tragedia rappresenta sono il risultato di che cosa? della volontà di certi uomini mossi da certe passioni. È stato dunque necessario far nascere più in fretta questa volontà esagerando le passioni, snaturandole. Perché un personaggio giunga in ventiquattr’ore5 a una risoluzione decisiva, occorre assolutamente un grado di passione diverso da quello contro cui si è dibattuto per un mese. Così a quella gradazione così interessante attraverso la quale l’anima giunge all’estremo, per così dire, dei suoi sentimenti, è stato necessario rinunciare in parte; ogni pittura di quelle passioni che prendono un po’ di tempo per manifestarsi, è stato necessario trascurarla; quelle sfumature di carattere che non si lasciano cogliere che attraverso la successione di circostanze sempre diverse e sempre legate tra loro, è stato necessario sopprimerle o confonderle. È stato indispensabile ricorrere a delle passioni eccessive, a delle passioni abbastanza forti per produrre bruscamente le decisioni più violente. I poeti tragici sono stati, in qualche modo, ridotti a non dipingere che quel piccolo numero di passioni grossolane e dominanti, che figurano nelle classificazioni ideali dei pedanti di morale6. Tutte le anomalie di queste passioni, le loro varietà infinite, le loro combinazioni singolari che, nella realtà delle cose umane, costituiscono i caratteri individuali, si sono trovate escluse a forza da una scena dove occorreva picchiare bruscamente e a caso dei gran colpi. Quel fondo generale della natura umana, sul quale si disegnano, per così dire, gli individui umani, non si è avuto né il tempo né il luogo di spiegarlo; e il teatro si è riempito di personaggi fittizi, che vi hanno figurato come tipi astratti di certe passioni, piuttosto che come esseri appassionati. Così si sono avute delle allegorie dell’amore o dell’ambizione,

4. Corneille: Pierre Corneille (1606-84) autore del Cid, di Cinna, di Poliuto ecc., fu l’iniziatore della tragedia classica francese del Seicento, rivolta alla società aristocratica e di corte. Seguì scrupolosamente le regole drammatiche, in particolare quella delle unità. 5. Perché … ventiquattr’ore: la regola delle unità prescriveva che l’azione della tragedia non superasse le ventiquattro ore. 6. dei pedanti di morale: gli autori dei trattati di morale che danno delle classificazioni generali e astratte delle passioni umane. La letteratura moralistica fu molto diffusa nel Seicento classico francese; rispondeva al gusto dell’epoca, che rifuggiva dal reale quotidiano e dal concreto particolare e ricercava l’aspetto assoluto ed eterno dei fenomeni, dei caratteri e dei sentimenti umani.

Charles-Antoine Coypel, Cleopatra, immaginaria regina di Siria, mentre inghiotte il veleno,1749, olio su tela, da Rodogune di Pierre Corneille, Atto I, ultima scena, Parigi, Musée du Louvre.

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per esempio, piuttosto che degli amanti e degli ambiziosi7. Di qui quell’esagerazione, quel tono convenzionale, quell’uniformità dei caratteri tragici, che costituiscono propriamente il romanzesco. Perciò capita spesso, quando si assiste alle rappresentazioni tragiche, e si paragona ciò che si ha sotto gli occhi, ciò che si sente, con ciò che si conosce degli uomini e dell’uomo, di essere sorpresi al vedere un’altra generosità, un’altra pietà, un’altra politica, un’altra collera, diverse da quelle di cui si ha l’idea o l’esperienza. Si sentono fare, e fare sul serio, ragionamenti che, nella vita reale, non si potrebbe non trovare molto strani; e si vedono gravi personaggi regolarsi, nelle loro determinazioni, su massime e opinioni che non sono mai passate per la testa a nessuno. [Manzoni prosegue poi osservando come questo tipo di teatro abbia influenzato il costume, e come gli uomini abbiano finito per applicare alla vita reale le massime e i sentimenti falsi uditi sulla scena, ad esempio la necessità del suicidio per salvare l’onore. In tal modo il teatro ha esercitato un’influenza morale negativa.] Traduzione nostra

7. Così … ambiziosi: personaggi che non hanno un carattere individuale, unico e irripetibile, ma stanno solo a rappresentare sentimenti generali e astratti, l’amore, l’ambizione ecc.

Analisi del testo

> Il «vero» e il «romanzesco»

La forza drammatica del «vero»

Il falso Il rifiuto del classicismo aristocratico

La polemica contro il romanzesco chiarisce alcuni punti fondamentali della nozione manzoniana di letteratura. • In primo luogo l’esigenza che la letteratura si ispiri al «vero». Il «vero» è per Manzoni essenzialmente «ciò che è stato», la storia. I fatti realmente accaduti hanno in sé una forza drammatica che non può essere eguagliata da alcuna invenzione. • L’unità di tempo, costringendo a concentrare l’azione nel breve arco di una giornata, costringe anche ad esagerare le passioni che hanno condotto a quelle azioni, snaturandole, sopprimendo gradazioni e sfumature. Ciò ha indotto a cancellare i «caratteri individuali», nella «varietà infinita» delle loro passioni, nelle loro «combinazioni singolari». Ai caratteri individuali e inconfondibili si sono sostituiti tipi astratti, pure allegorie di certi concetti o sentimenti. Di qui nasce il «romanzesco» nella tragedia, che è il falso, l’artificioso, il convenzionale, l’uniforme, che soffoca l’individualità. • Questa polemica caratterizza storicamente l’idea manzoniana di letteratura. Il bersaglio polemico è l’arte classicistica, aristocratica e di corte, quella espressa dal Rinascimento e ancor più dalla letteratura francese dell’epoca del re Sole.

> La polemica contro il classicismo Il tipico astratto

L’individuale concreto

Tale letteratura, in nome di un ideale classico di decoro e di dignità, tendeva ad una rappresentazione idealizzata. Per preservarsi da un contatto troppo diretto con la realtà, che avrebbe compromesso quella dignità, rifuggiva da ciò che era concreto, individuale, legato ad un particolare tempo e ad un particolare luogo, e rappresentava solo ciò che era universale, tipico, compiendo un processo di astrazione delle qualità concrete degli uomini e delle cose. Al contrario l’arte che è espressione della borghesia moderna, e che si affaccia tra fine Settecento e primi dell’Ottocento, in opposizione all’idealizzazione della letteratura aristocratica e classicheggiante, punta il suo interesse proprio su ciò che è individuale e concreto: i personaggi non sono più proiettati su uno sfondo fuori del tempo e dello spazio reali, ma rappresentati in un legame organico, inscindibile, con un particolare momento della storia e con un particolare ambiente, in modo che nessun gesto o parola o sentimento si possa comprendere se non riferito a quel preciso terreno storico e immerso in quell’atmosfera. A questo gusto realistico moderno si rifà evidentemente la nozione manzoniana di letteratura che traspare dalle pagine della Lettre. Ed è una nozione che, più che nella tragedia, ancora legata come genere alla tradizione classica, si affermerà soprattutto nel romanzo. 373

L’età del Romanticismo

Esercitare le competenze coMprenDere

> 1. Qual è, secondo Manzoni, lo «scoglio» del genere romanzesco? > 2. Che cosa rende «interessanti» le opere letterarie? Può risultare «interessante» un’opera che presenta azioni o passioni inverosimili? > 3. Quali tre conseguenze negative comporta il rispetto della regola delle unità di tempo e di luogo nella rappresentazione delle «passioni dei personaggi»? anaLIzzare

> 4.

stile Spiega la seguente metafora: «una scena dove occorreva picchiare bruscamente e a caso dei gran colpi» (r. 70). A che cosa si riferisce l’autore? > 5. Lessico Come definisce lo scrittore l’«epiteto di romanzesco», quel particolare gusto che ha invaso il teatro (rr. 25-28)?

approfonDIre e InTerpreTare

> 6.

scrivere Prendendo come esempio una tragedia alfieriana a te nota, verifica la fondatezza delle critiche mosse da Manzoni al dramma d’impostazione tradizionale. Rispondi in circa 10 righe (500 caratteri).

Microsaggio

Le unità aristoteliche Il modello classico La tradizione classicistica prescriveva che l’azione della tragedia fosse unica, non suIl classicismo perasse la durata di ventiquattro ore e si svolgesse tutta nello stesso luogo, senza cambiamenti di scena. La rinascimentale regola delle unità era nata dal gusto classicistico del Rinascimento italiano e dal principio di imitazione dei

classici che ne era il canone fondamentale. Secondo tale principio, ogni genere letterario doveva seguire precise regole ed imitare un modello antico. E poiché i grandi tragici greci usavano abitualmente impostare le loro opere su un unico intreccio, concentrare l’azione nell’arco di un giorno e mantenere fissa la scena, tali caratteristiche furono assunte come regole vincolanti assolute, valide per ogni tempo ed ogni luogo. A convalidare le regole fu proposta l’autorità di Aristotele, interpretando però in modo arbitrario le intenzioni del filosofo greco. In effetti Aristotele nella sua Poetica sottolineava con favore il rispetto delle unità nelle tragedie di Eschilo e Sofocle, ma si limitava semplicemente a constatare un fatto, una caratteristica storica e particolare del teatro greco, senza pretendere di dettare delle leggi valide in assoluto. L’obbligo delle regole fu poi rigidamente codificato dai trattatisti letterari del Cinquecento (specie nel clima di classicismo ad olIl classicismo tranza che è proprio della seconda metà del secolo) e seguito scrupolosamente dai poeti. Il principio delle francese unità fu consacrato definitivamente dal teatro tragico francese del Seicento ed imposto come intangibile dai capolavori di Corneille e di Racine. I romantici Da aristotele a shakespeare Furono i romantici tedeschi, tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocen-

to, a rifiutare la regola, opponendo ai classici il modello della tragedia di Shakespeare, che ignora completamente le unità. Il rifiuto dei romantici nasceva dal principio che il genio poetico deve creare liberamente, senza costrizione alcuna, come una forza della natura. La teorizzazione più compiuta del rifiuto fu data dal critico tedesco August Wilhelm Schlegel (1767-1845, cap. 1, A1, p. 208) nel suo Corso di letteratura drammatica (1809), che ebbe risonanza europea.

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Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

T3

storia e invenzione poetica dalla Lettre à M. Chauvet Il passo si concentra sul problema fondamentale della Lettre, il rapporto fra poesia e storia.

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Temi chiave

• la distinzione tra poesia e storia • il dominio della storia: i fatti e gli avvenimenti • il dominio della poesia: i sentimenti e i pensieri degli uomini

Ma, si potrà forse dire, se si toglie al poeta ciò che lo distingue dallo storico, il diritto di inventare i fatti, che cosa gli resta? Che cosa gli resta? la poesia; sì, la poesia. Perché, in definitiva, che cosa ci dà la storia? degli avvenimenti, che, per così dire, non sono noti che dall’esterno; ciò che gli uomini hanno compiuto: ma ciò che essi hanno pensato, i sentimenti che hanno accompagnato le loro deliberazioni e i loro progetti, i loro successi e i loro infortuni; i discorsi con cui hanno fatto o cercato di far prevalere le loro passioni e le loro volontà su altre passioni e su altre volontà, con i quali hanno espresso la loro collera, riversato la loro tristezza, con i quali, in una parola, hanno rivelato la loro individualità: tutto ciò è quasi totalmente passato sotto silenzio dalla storia; e tutto ciò è il dominio della poesia. Ah! sarebbe vano temere che essa manchi di occasioni di creare, nel senso più serio, e forse il solo serio di tale parola! Ogni segreto dell’animo umano si svela, tutto ciò che fa i grandi avvenimenti, tutto ciò che caratterizza i grandi destini, si scopre alle immaginazioni dotate d’una forza di simpatia sufficiente. Tutto ciò che la volontà umana ha di forte o di misterioso, tutto ciò che la sventura ha di religioso e di profondo, il poeta lo può indovinare; o, per meglio dire, coglierlo, afferrarlo e renderlo. Traduzione nostra

Analisi del testo Poesia e storia

L’invenzione

La poetica del «vero» induce Manzoni a privilegiare i soggetti tratti dalla storia e a riprodurre fedelmente i caratteri drammatici che sono insiti negli eventi storici stessi. Ma ciò facendo lo scrittore si trova costretto a individuare ciò che distingue la poesia dalla storia. La distinzione è indicata molto chiaramente in questo passo. Il poeta non inventa la dinamica dei fatti: questa gli è offerta dalla storia ed egli la deve rispettare, proprio per non sprecare quelle potenzialità drammatiche che sono presenti nei fatti realmente accaduti. Ma gli resta egualmente un’ampia sfera di creazione: il poeta, con l’invenzione che gli è propria, ricostruisce i moventi psicologici dei fatti, i pensieri, i sentimenti che li hanno accompagnati negli animi dei protagonisti, e di cui la storia non ha conservato documenti. Questo è il terreno proprio della poesia.

Esercitare le competenze coMprenDere

> 1. Che cosa distingue il poeta dallo storico? Quali aspetti rappresentano una sua prerogativa? > 2. Qual è il solo senso «serio» della parola «creare» (r. 11)? anaLIzzare

> 3. Quali caratteristiche specifiche Manzoni attribuisce al poeta? Rispondi dopo aver esaminato il significato della parola chiave «simpatia» (r. 14). stile Quale procedimento retorico utilizza Manzoni per introdurre la propria tesi sul ruolo della poesia e del poeta?

> 4.

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L’età del Romanticismo

approfonDIre e InTerpreTare

> 5.

scrivere Illustra in un breve commento (ca. 10 righe o 500 caratteri) la concezione della letteratura e della poesia di Manzoni, soffermandoti in particolar modo sulla questione dei contenuti. > 6. esporre oralmente Il brano è parte della lettera di risposta alle critiche del francese Chauvet rivolte al Conte di Carmagnola, soprattutto sulle unità di tempo, luogo e azione della tragedia. Riassumi brevemente (max 3 minuti), anche schematicamente, le principali obiezioni del critico e le risposte dell’autore.

per IL poTenzIaMenTo

> 7. Dopo aver passato in rassegna le tematiche e i contenuti del teatro del Seicento e del Settecento, da Shakespeare a Corneille e Racine, fino all’Ottocento di Schiller e Goethe, rifletti sulla concezione della tragedia nel XIX secolo e sulla particolare posizione di Manzoni.

Analisi interattiva

T4

L’utile, il vero, l’interessante dalla Lettera sul Romanticismo

• la critica alla letteratura classicistica • l’affermazione dei princìpi

del Romanticismo italiano Il passo è tratto dalla lettera a Cesare d’Azeglio (nobile piemon• la concezione utilitaria ed educativa tese, padre di Massimo d’Azeglio, che era a sua volta genero di della letteratura Manzoni) in cui lo scrittore traccia un bilancio del Romantici• la verità storica e morale come soggetto poetico smo. Il passo riportato è tratto dalla redazione originaria del • l’adesione della letteratura 1823, legata più direttamente al clima della battaglia romantiagli interessi di un pubblico non elitario ca, e quindi storicamente più significativa. Tale redazione non fu mai pubblicata da Manzoni. Quella stampata nell’edizione del 1871 delle Opere varie è notevolmente diversa. Il quadro del Romanticismo tracciato da Manzoni si articola in due momenti: nel primo viene esposta la parte negativa, cioè le critiche rivolte dai romantici ai princìpi della letteratura classicistica, in particolare all’uso della mitologia e alle regole; nel secondo si tratta del «positivo romantico», cioè della parte propositiva, i princìpi di poetica professati dai romantici e i loro programmi letterari.

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Ommettendo quindi i precetti o i consigli positivi proposti pei casi particolari e con applicazione immediata; precetti e consigli, alcuni dei quali certamente potranno divenire soggetto da quistione1, e che tutti insieme formano, a quel che me ne pare, un saggio molto pregevole, ma un saggio di ciò che può farsi col tempo; mi limiterò ad esporle quello che a me sembra il principio generale a cui si possano ridurre tutti i sentimenti particolari sul positivo romantico. Il principio, di necessità tanto più indeterminato quanto più esteso mi sembra poter essere questo: che la poesia e la letteratura in genere debba proporsi l’utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo. Debba per conseguenza scegliere gli argomenti pei quali la massa dei lettori ha o avrà, a misura che diverrà più colta, una disposizione di curiosità e di affezione, nata da rapporti reali2, a preferenza degli argomenti, pei quali una classe sola3 di lettori ha una affezione nata da abitudini scolastiche, e la moltitudine una riverenza non sentita né ragionata, ma ricevuta ciecamente4. E che in ogni argomento debba cercare di scoprire e di esprimere il vero storico e il vero morale, non solo come fine, ma come più ampia e perpetua sorgente del bello5: giacché e nell’uno e nell’altro ordine di cose, il falso può bensì dilettare, ma questo diletto, questo interesse è distrutto dalla cognizione del vero; è quindi temporario6 e accidentale. Il diletto mentale

1. soggetto da quistione: argomento di discussione. 2. una disposizione … reali: un atteggiamento di curiosità ed interesse nato dalla realtà vissuta, cioè presente, non dalla lettura dei libri del passato (nel testo del 1871: «dalle memo-

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Temi chiave

rie e dalle impressioni giornaliere della vita»). 3. una classe sola: la classe dei letterati. 4. una riverenza … ciecamente: la massa prova riverenza per i classici solo per sentito dire, senza conoscerli e senza poter dare un giudizio ragionato.

5. il vero storico … bello: la conoscenza della verità, nel caso dei fatti storici come in quello dei princìpi morali, non è solo il fine a cui devono giungere le opere letterarie, ma anche ciò da cui nasce la loro bellezza. 6. temporario: temporaneo.

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

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non è prodotto che dall’assentimento ad una idea7, l’interesse, dalla speranza di trovare in quella idea, contemplandola, altri punti di assentimento e di riposo: ora quando un nuovo e vivo lume ci fa scoprire in quella idea il falso e quindi l’impossibilità che la mente vi riposi e vi si compiaccia, vi faccia scoperte, il diletto e l’interesse spariscono. Ma il vero storico e il vero morale generano pure un diletto, e questo diletto è tanto più vivo e tanto più stabile, quanto più la mente che lo gusta è avanzata nella cognizione del vero: questo diletto adunque debbe la poesia e la letteratura proporsi di far nascere. [Questo è l’ultimo risultato delle opinioni sul positivo romantico. Da principio ci si era arrestati più indietro: si rifiutava bensì la mitologia classica, perché non vera e per di più neppure creduta da quelli che la usavano in poesia, ma si ammettevano certe forme di meraviglioso e di fantastico credute vere dal popolo, e per questo solo fatto ritenute capaci di destare interesse. Ora tale dottrina è abbandonata dai romantici, in nome di un’aderenza totale al vero.]

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Non dissimulo, né a Lei, che sarebbe un povero ed inutile artificio, né a me stesso, perché non desidero ingannarmi, quanto indeterminato, incerto e vacillante nell’applicazione sia il senso dei vocaboli: utile, vero, interessante. E per non parlare che d’uno di essi, Ella sa meglio di me che il vero tanto lodato e tanto raccomandato nelle opere d’immaginazione, non ha mai avuto un significato preciso. Il suo ovvio e comune8 non può essere applicato a queste, perché di consenso universale9 vi debbe essere dell’inventato, cioè del falso. Il vero che debbe trovarvisi dappertutto, et même dans la fable10, è dunque qualche cosa di diverso da ciò che si vuole esprimere ordinariamente con quella parola, o per dir meglio, è qualche cosa di non ancor definito; né il definirlo mi pare impresa molto agevole, quando pure ella sia possibile. Comunque sia, una tale incertezza non è particolare al principio che ho tentato di esporle; è comune a tutti gli altri, è antica; il sistema romantico ne ritiene meno11 di qualunque altro sistema letterario, perché la parte negativa, specificando il falso, l’inutile o il dannoso, il freddo che vuole escludere, indica e circoscrive nelle idee contrarie qualche cosa di più preciso, un senso più lucido di quello che abbiano avuto finora12. Del resto, in un principio così recente, non si vuol tanto guardare agli svolgimenti che possa aver già ricevuti, quanto a quelli di cui è capace. La formola che esprime quel principio è così generale, le parole di essa hanno, se non altro, un suono, un presentimento d’idee così bello e così savio, il materiale dei fatti che debbono servire agli esperimenti13 è così abbondante, che è da credersi che un tal principio sia per ricevere di mano in mano svolgimenti, spiegazioni e conferme, di cui ora non è possibile prevedere in concreto né il numero, né l’importanza. Tale almeno è l’opinione ch’io ho fitta nella mente, e nella quale io mi rallegro perché questo sistema non solo in alcune parti, come ho accennato più sopra, ma nel suo complesso mi sembra avere una tendenza religiosa.

7. Il diletto … idea: il piacere mentale è prodotto dal consenso che si dà ad un’idea. 8. comune: sottinteso “significato”. 9. di consenso universale: per consenso generale. 10. et même dans la fable: anche nella favo-

la, nei componimenti basati sull’invenzione. 11. ne ritiene meno: ha meno punti incerti. 12. la parte negativa … finora: il senso del «vero» perseguito dai romantici risalta meglio dal contrasto con ciò che esso rifiuta, il falso, l’inutile, ciò che non suscita interesse

(il freddo): cioè i romantici hanno chiaro ciò che vogliono evitare, e questo rende più facile definire ciò che intendono raggiungere. 13. agli esperimenti: agli esperimenti di una nuova letteratura ispirata al «vero», all’«utile» e all’«interessante».

Analisi del testo L’«utile»

Il passo fissa in forma sintetica i princìpi fondamentali a cui si ispira il Romanticismo italiano. • «L’utile per iscopo»: i romantici ereditano la concezione utilitaria ed educativa della letteratura che era già propria della generazione illuministica del “Caffè”, a cui esplicitamente si collegano. Alla letteratura sono assegnati fini di diffusione dei “lumi”, di educazione morale, di sollecitazione civile e politica. Non si dimentichi che il gruppo romantico lombardo è impegnato politicamente in direzione risorgimentale. 377

L’età del Romanticismo Il «vero»

L’«interessante»

• «Il vero per soggetto»: Manzoni stesso riconosce che il concetto di «vero» non è agevolmente definibile. Si definisce più che altro in negativo, come rifiuto dei contenuti e delle forme della letteratura del passato, sentita come falsa, artificiosa, vuota e fredda. Il principio del «vero» è un’indicazione generale di tendenza, l’espressione di un bisogno. Toccherà alla letteratura del futuro concretare tale esigenza, dandole corpo in opere specifiche. • «L’interessante per mezzo»: anche questo principio suona polemico nei confronti della letteratura del passato. Se vuole essere «utile», la letteratura deve rivolgersi non solo ai pochi, ma alla maggioranza delle persone. Per far questo non può più adottare gli argomenti cari al classicismo, in specie la mitologia, che fa parte del patrimonio culturale e degli interessi di un’élite ristrettissima, ma deve rivolgersi ad argomenti più attuali, che siano vivi nella coscienza contemporanea e più vicini all’esperienza quotidiana. Un esempio può essere costituito dalla materia religiosa, profondamente sentita dalla maggioranza dei moderni, a differenza della mitologia antica. Inoltre la letteratura non può più usare solo le forme tradizionali, ma deve individuare forme più aderenti agli interessi reali del pubblico, più agevolmente accessibili. Manzoni stesso si era già adoperato per attuare questi princìpi nelle liriche e nelle tragedie, composte negli anni precedenti; ma la loro più compiuta attuazione si avrà nel romanzo (a cui lo scrittore stava appunto lavorando).

Esercitare le competenze

Laboratorio interattivo

coMprenDere

> 1. Che cosa intende Manzoni per «vero storico» e «vero morale» (rr. 20-21)? Che cosa generano? > 2. Quali sono le «opere d’immaginazione»? Perché a queste opere «non può essere applicato» (r. 28) il senso «ovvio e comune» di vero?

> 3. Quali requisiti presenta, secondo l’autore, il «sistema romantico» (r. 34) rispetto ad altri sistemi letterari? anaLIzzare

> 4. Quale rapporto con il destinatario della lettera emerge dal brano? Motiva la tua risposta attraverso precisi riferimenti al testo. stile Come definisci lo stile della prosa adottato da Manzoni? Ritieni che sia espositivo o argomentativo? Motiva la tua risposta.

> 5.

approfonDIre e InTerpreTare

> 6.

esporre oralmente Confronta queste osservazioni con quelle espresse da Berchet nella Lettera semiseria ( cap. 2, T2, p. 325), individuando gli aspetti nei quali i due “manifesti” del Romanticismo italiano convergono e chiarendo l’influenza esercitata su entrambi dalla situazione sociale della Lombardia (max 5 minuti).

per IL recUpero

> 7. Fornisci per ciascuna delle seguenti espressioni una nota esplicativa:

a) riga 9: «a misura che diverrà più colta»; b) riga 11: «una affezione nata da abitudini scolastiche»; c) riga 24: «sarebbe un povero ed inutile artificio»; d) righe 33-34: «una tale incertezza non è particolare al principio che ho tentato di esporle». passaTo e presenTe L’utile, il vero, l’interessante nella letteratura di oggi

> 8. Nell’elaborare la poetica del Romanticismo, Manzoni sembra istituire una relazione molto stretta fra teoria

e prassi, talvolta anticipando con i suoi princìpi una sorta di strategia della comunicazione che sembrerebbe trovare spazio anche nel contesto contemporaneo: molti scrittori di oggi, infatti, propongono una letteratura fatta di cose e non di parole, destinandola talvolta alla denuncia o più semplicemente al racconto di una realtà che si esprime in forme e linguaggi non più distanti dal pubblico dei lettori. Dopo esserti opportunamente documentato in proposito, ricorrendo anche alle risorse della rete, confronta i risultati della tua ricerca con quelli dei tuoi compagni in una discussione in classe coordinata dal docente.

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Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

4 La novità degli Inni

Il rifiuto della mitologia

Il carattere corale

I metri

I caratteri degli Inni

Gli Inni sacri Videolezione

La prima opera scritta dopo la conversione, gli Inni sacri, nati fra il 1812 e il 1815, fornisce subito l’esempio concreto di una poesia nuova, prima ancora che scoppi la polemica tra innovatori romantici e conservatori classicisti (1816). Per capire il valore di rottura di questi inni, basta pensare a qual era, in quegli anni, il modello poetico dominante: quello consacrato da Monti e da Foscolo, fondato sul culto del mondo antico, delle sue forme e del suo linguaggio, e sull’adozione della mitologia classica come argomento per eccellenza. Manzoni rifiuta tutto questo, sentendo la materia mitologica e classica come repertorio ormai morto di temi ed espedienti formali, come qualche cosa di «falso», e decide di cantare temi che siano vivi nella coscienza contemporanea, aderenti cioè al «vero». Ne deriva una poesia che non si rivolge più alla cerchia iniziatica dei letterati, ma vuole avere un orizzonte «popolare», trattare ciò che è sentito da una larga massa di persone. Per questo il poeta rinuncia all’aristocratico egocentrismo della poesia precedente (si pensi alla preminenza dell’io eroicamente atteggiato nella poesia alfieriana e foscoliana), e si propone quale semplice interprete corale della coscienza cristia­ na, si annulla nella comunità anonima dei fedeli che celebrano l’evento liturgico. Ciò si traduce nella particolare configurazione della forma poetica: Manzoni ricorre a metri dal ritmo agile e popolareggiante (settenari, ottonari, decasillabi), versi dal ritmo incalzante, che rendono il senso di fervore e di tripudio delle masse dei fedeli e appaiono lontanissimi sia dalla solennità dell’endecasillabo classico, sia dalla leziosa grazia arcadica. Anche il linguaggio si libera dalle forme auliche del classicismo, senza tuttavia abbassarsi ad una dizione prosastica. Manzoni aveva progettato dodici inni, che cantassero le principali festività dell’anno liturgico, ma ne scrisse solo quattro, pubblicati nel 1815: La Resurrezione, Il Natale, La Passione, Il nome di Maria. Un quinto inno, La Pentecoste ( T5, p. 380), ebbe una gestazione più travagliata e fu condotto a termine solo nel 1822, passando attraverso varie stesure tra loro differenti. Il modello per gli Inni era offerto al poeta dall’an­ tica innografia cristiana, il materiale da un’ampia tradizione, che andava dai Vangeli agli scritti dei Padri della Chiesa, agli oratori sacri del Seicento francese (Bossuet, Massillon, Bourdaloue), da Manzoni molto letti ed amati. I primi quattro inni, i più antichi, sono costruiti su uno schema fisso: enunciazione del tema, rievocazione dell’episodio centrale, commento che affronta le conseguenze dottrinali e morali dell’evento. La Pentecoste, invece, nella redazione definitiva, rompe lo schema, mettendo da parte i motivi teologici e l’episodio, e insiste sul rivolgimento portato dallo Spirito nella sua discesa nel mondo, culminando in un’invocazione affinché esso scenda ancora sull’umanità. William Blake, Resurrezione, 1805, acquerello, matita e inchiostro nero, Cambridge (Massachusetts, usa), Fogg Art Museum.

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La pentecoste

Temi chiave

• la visione ideale della Chiesa • il messaggio di liberazione del cristianesimo • lo scollamento tra mondo divino e mondo terreno • la religione come forma di riscatto dall’ingiustizia sociale • il rifiuto della poesia classicistica

dagli Inni sacri

L’ultimo degli Inni sacri è dedicato alla Pentecoste, la festa liturgica che celebra la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli il cinquantesimo giorno dopo la risurrezione di Cristo (in greco pentecostós significa appunto cinquantesimo), per conferire loro la facoltà di predicare a tutti i popoli e di essere intesi nonostante la diversità delle lingue.

> Metro: diciotto strofe di otto settenari (il primo, il terzo e il quinto sono sdruccioli, gli altri piani, l’ultimo tronco); schema delle rime: abcbdeef.

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Madre de’ Santi1; immagine della città superna; del Sangue incorruttibile conservatrice eterna2; tu che, da tanti secoli, soffri, combatti e preghi; che le tue tende spieghi dall’uno all’altro mar3; campo di quei che sperano, chiesa del Dio vivente4; dov’eri mai? qual angolo ti raccogliea nascente, quando il tuo Re, dai perfidi tratto a morir sul colle, imporporò le zolle del suo sublime altar?5 E allor che dalle tenebre la diva spoglia uscita, mise il potente anelito della seconda vita; e quando, in man recandosi il prezzo del perdono6, da questa polve al trono del Genitor salì; compagna del suo gemito, conscia de’ suoi misteri, tu, della sua vittoria

versi 1-8 (O Chiesa), madre dei Santi; immagine (sulla terra) della città di Dio; custode eterna del Sangue divino (e perciò non soggetto alla corruzione delle cose mortali) di Cristo, tu, che da tanti secoli, soffri, combatti e preghi; che estendi la tua azione da un oceano all’altro; 1. Madre de’ Santi: solo in seno alla Chiesa, secondo la dottrina cattolica, possono na-

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sto, il tuo Re, trascinato dai malvagi a morire sul Golgota (colle), arrossò la terra (imporporò le zolle) del colle, che è come l’altare bagnato dal sangue del suo sublime sacrificio? 4. vivente: perennemente vivo, presente e operante in mezzo agli uomini. È un appellativo biblico di Dio. 5. qual angolo … altar?: allude al fatto che durante la crocifissione gli apostoli stavano nascosti e timorosi.

scere i santi. 2. conservatrice eterna: mediante l’Eucaristia. 3. che le tue … mar: la Chiesa è come un esercito che conquista tutto il mondo.

versi 17-24 E quando (allor che) il corpo divino (diva spoglia) di Cristo risorto dalle tenebre della morte emise (mise) il potente respiro della sua vita immortale (seconda); e quando offrendo se stesso come prezzo del perdono, da questa terra (polve) salì al regno del Padre; 6. e quando … perdono: il sacrificio di Cristo è il prezzo del riscatto dell’umanità.

versi 9-16 campo in cui militano quelli che sperano (nella salvezza), chiesa del Dio vivente; dov’eri? quale angolo ti nascondeva (raccogliea) al tuo nascere, quando Cri-

versi 25-36 (Chiesa), compagna delle sue (di Cristo) sofferenze (gemito), consapevole del mistero (della sua natura divina e umana), tu, nata dalla vittoria di Cristo (sul peccato) e

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destinata ad essere immortale, dov’eri? Vigile solo per paura di essere perseguitata (in tuo terror), sicura solo se dimenticata da tutti (nell’obblio), stavi nascosta entro mura ap-

figlia immortal, dov’eri? In tuo terror sol vigile, sol nell’obblio secura, stavi in riposte mura, fino a quel sacro dì, quando su te lo Spirito rinnovator discese, e l’inconsunta fiaccola nella tua destra accese; quando, segnal de’ popoli, ti collocò sul monte, e ne’ tuoi labbri il fonte della parola aprì. Come la luce rapida piove di cosa in cosa, e i color vari suscita dovunque si riposa; tal risonò moltiplice7 la voce dello Spiro: l’Arabo, il Parto, il Siro in suo sermon l’udì8.

partate (riposte), fino a quel giorno sacro, in cui lo Spirito Santo discese su di te a rinnovarti, e accese nella tua mano la fiaccola (della fede) che non si consuma mai (inconsunta);

versi 37-48 quando ti collocò sul monte, perché fossi guida (segnal) a tutti i popoli e aprì nelle tue labbra la fonte della predicazione (della dottrina cristiana). Come la luce si diffonde rapida su tutte le cose e dovunque si posi suscita i diversi colori, così la voce dello Spirito Santo risuonò in molteplici forme: ognuno, Arabo, Persiano (Parto), Siriano la intese nella propria lingua. 7. moltiplice: alle orecchie degli uomini di diversi popoli. 8. tal … udì: allude al miracolo narrato negli Atti degli apostoli, secondo cui gli apostoli, pur predicando in aramaico, riuscirono a farsi capire da uomini di lingue diverse.

Gustave Doré, La Pentecoste. Lo Spirito Santo scende sulla Vergine Maria e sugli Apostoli, 1866, incisione colorata dall’edizione illustrata della Bibbia, Collezione privata.

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Adorator degl’idoli, sparso per ogni lido, volgi lo sguardo a Solima, odi quel santo grido9: stanca del vile ossequio10, la terra a lui ritorni: e voi che aprite i giorni di più felice età11, spose che desta il subito balzar del pondo ascoso12; voi già vicine a sciogliere il grembo doloroso; alla bugiarda pronuba13 non sollevate il canto: cresce serbato al Santo quel che nel sen vi sta. Perché baciando i pargoli, la schiava ancor sospira? E il sen che nutre i liberi invidiando mira? Non sa che al regno i miseri seco il Signor solleva? Che a tutti i figli d’Eva nel suo dolor pensò?14 Nova franchigia annunziano i cieli, e genti nove; nove conquiste, e gloria vinta in più belle prove; nova, ai terrori immobile e alle lusinghe infide, pace15, che il mondo irride, ma che rapir non può. O Spirto! supplichevoli a’ tuoi solenni altari; soli per selve inospite; vaghi in deserti mari; dall’Ande algenti al Libano, d’Erina all’irta Haiti,

versi 49-64 O adoratori degli idoli, sparsi per ogni terra (lido), rivolgete lo sguardo a Gerusalemme (Solima), ascoltate il grido santo: stanca del culto (ossequio) che la degrada (vile) la terra ritorni a Cristo (lui): e voi che date inizio a un’età (aprite i giorni) più felice, spose che siete destate all’improvviso dal primo movimento (subito balzar) del bambino che portate in voi (pondo ascoso); (o) voi che siete già pros-

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sime alle doglie del parto (sciogliere … doloroso), non invocate più la dea Giunone, falsa protettrice delle partorienti (bugiarda pronuba): il bambino che sta nel vostro grembo cresce destinato (serbato) al Dio cristiano. 9. santo grido: la predicazione degli apostoli. 10. ossequio: il culto dei falsi dèi pagani. 11. più felice età: quella portata dal cristianesimo.

12. pondo ascoso: letteralmente peso nascosto. 13. bugiarda pronuba: perché Giunone è una divinità della religione pagana. versi 65-72 Perché la schiava ancora sospira baciando i suoi bambini? E guarda (mira) invidiando le madri che nutrono figli liberi? Non sa che il Signore solleva con sé i miseri nel suo regno? Che nel suo sacrificio sulla croce (nel suo dolor) pensò a (riscattare) tutta l’umanità (tutti … Eva)? 14. Perché … pensò?: cioè la schiava non deve più temere per i suoi figli un avvenire di schiavitù perché il cristianesimo annuncia una nuova libertà spirituale (e in prospettiva porterà una civiltà nuova, che abolirà anche la schiavitù materiale). versi 73-80 I cieli annunziano una nuova libertà (franchigia) e uomini nuovi; nuove conquiste, e una gloria vinta in prove più nobili; una nuova pace (interiore), che non può essere turbata da paure e lusinghe insidiose (ai terrori … infide), che il mondo deride (irride), ma non può togliere (rapir). 15. Nova … pace: cioè la salvezza eterna, conquistata nella lotta contro il male, è una gloria più alta di quella guadagnata con le vittorie terrene. versi 81-96 O Spirito Santo! supplicanti ai tuoi solenni altari, soli per selve inospitali (inospite), vaganti (vaghi) per mari deserti; dalle Ande coperte di ghiacci (algenti) al Libano, dall’Irlanda (Erina) alla selvosa (irta)

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sparsi per tutti i liti, uni per Te di cor, 90

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noi T’imploriam!16 Placabile Spirto discendi ancora, a’ tuoi cultor propizio, propizio a chi T’ignora; scendi e ricrea: rianima i cor nel dubbio estinti; e sia divina ai vinti mercede il vincitor17. Discendi Amor; negli animi l’ire superbe attuta: dona i pensier che il memore ultimo dì non muta: i doni tuoi benefica nutra la tua virtude18; siccome il sol che schiude dal pigro19 germe il fior; che lento poi sull’umili erbe morrà non colto, né sorgerà coi fulgidi color del lembo sciolto, se fuso a lui nell’etere20 non tornerà quel mite lume, dator di vite, e infaticato altor21.

Haiti, sparsi per tutti i luoghi della terra (liti), spiritualmente (di cor) uniti per opera Tua, noi Ti imploriamo! Spirito facile al perdono (Placabile) discendi ancora, propizio ai tuoi fedeli (cultor), propizio a chi Ti ignora; scendi e ridacci forza (ricrea): rianima i cuori che il dubbio condanna alla morte eterna (estinti) e il vincitore sia il divino premio (mercede) per i vinti.

16. O Spirto! … noi T’imploriam!: l’invocazione allo Spirito Santo proviene da uomini sparsi per tutta la terra. 17. rianima … vincitor: cioè lo Spirito Santo conquista i cuori, ma poi si concede come premio ai conquistati perché dà loro la fede. versi 97-112 Discendi (su di noi) Amore;

pesare le parole Attuta (v. 98) >

Attutare è forma letteraria, oggi in disuso; la forma corrente è attutire, “smorzare, attenuare, rendere meno intenso” (es. i doppi vetri alla finestra attutiscono i rumori del traffico; occorre attutire il dolore con sedativi). Viene dal latino ad- e tutàri, “difendere, proteggere” (tùtus, “sicuro”). Smorzare deriva dal latino mòrtem, “morte”, più s- rafforzativo, da ex- (es. per favore smorza la luce, perché mi ferisce gli occhi).

Altor

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attutisci (attuta) negli animi le ire che nascono dalla superbia, dona i pensieri virtuosi, tali che nel giorno della morte l’uomo (ripercorrendo con la memoria la sua vita passata) non debba rinnegarli (non muta); la tua benefica potenza (virtude) alimenti i tuoi doni; come il sole che fa schiudere il fiore dal seme (pigro); (il fiore) che poi ripiegato (lento) sulle basse (umili) erbe morrà senza essere colto, né sorgerà con gli splendenti (fulgidi) colori della corolla aperta (lembo sciolto), se il tiepido raggio del sole, che dà vita alle creature e infaticabile le alimenta (altor), non tornerà a diffondersi su di esso attraverso l’atmosfera (etere). 18. Discendi … virtude: secondo la teologia, la terza persona della trinità, cioè lo Spirito Santo, è l’Amore. Virtude è soggetto di nutra, doni è oggetto. 19. pigro: perché senza il calore del sole indugia a schiudersi. 20. etere: letteralmente cielo. 21. altor: letteralmente alimentatore.

(v. 112)

Proviene dal latino àlere, “nutrire”, e significa appunto “che nutre”; è una voce poetica, non di uso comune: dalla stessa radice derivano però termini correnti come alimento ed alimentare. I due termini possono essere usati in senso figurato (es. la lettura è un alimento per lo spirito; il vento alimentava le fiamme; il governo non deve alimentare la rabbia popolare con provvedimenti sbagliati). Gli alimenti sono anche genericamente i mezzi necessari per vivere, oltre al semplice cibo (es. il giudice ha imposto al marito divorziato di pagare gli alimenti alla ex moglie).

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Noi T’imploriam! Ne’ languidi pensier dell’infelice scendi piacevol alito, aura consolatrice: scendi bufera ai tumidi pensier del violento22; vi spira uno sgomento che insegni la pietà. Per Te sollevi il povero al ciel, ch’è suo, le ciglia, volga i lamenti in giubilo, pensando a cui somiglia23: cui fu donato in copia, doni con volto amico con quel tacer pudico, che accetto il don ti fa24. Spira de’ nostri bamboli nell’ineffabil riso; spargi la casta porpora alle donzelle in viso; manda alle ascose vergini le pure gioie ascose25; consacra26 delle spose il verecondo amor. Tempra de’ baldi giovani il confidente ingegno; reggi il viril proposito ad infallibil segno; adorna la canizie di liete voglie sante; brilla nel guardo errante di chi sperando muor.

versi 113-128 Noi Ti imploriamo! Scendi come piacevole soffio (alito), come brezza ristoratrice (aura consolatrice) negli sconfortati pensieri dell’infelice: scendi come una bufera nei pensieri gonfi d’ira (tumidi) del violento; ispira in lui uno sgomento che

insegni la pietà. Grazie a (Per) Te il povero alzi lo sguardo (le ciglia) al cielo, che gli è destinato (è suo), trasformi i suoi lamenti in gioia (giubilo), pensando che è fatto a somiglianza di Dio: il ricco, a cui la Provvidenza ha donato con più abbondanza (in copia) i

mezzi per vivere, doni al povero il superfluo, con atteggiamento amichevole e con quel riserbo che rende gradito il dono. 22. Ne’ languidi … violento: alito e aura sono predicativi del soggetto. Le due metafore si spiegano con il significato etimologico di “spirito”, che è appunto “soffio”. 23. Per Te … somiglia: a cui somiglia può anche voler dire che somiglia a Cristo, vissuto in povertà. Cioè il povero potrà avere un riscatto dalla sua condizione nella beatitudine eterna. È un rimando al Vangelo: «Beati voi, poveri, perché vostro è il regno di Dio» (Luca, VI, 20). 24. che accetto … ti fa: cioè che non offende. versi 129-144 Rivelati (Spira) nel riso dei bambini (bamboli), indescrivibile nella sua purezza (ineffabil); spargi il casto rossore (porpora) sul viso delle fanciulle; manda alle monache (ascose vergini) le pure e segrete gioie interiori; rendi sacro il pudico (verecondo) amore delle spose. Modera (Tempra) il carattere (ingegno) dei giovani, troppo fiduciosi in sé (confidente); guida i propositi degli uomini maturi (viril) a fini che non ingannino (infallibil); adorna i capelli bianchi (canizie) degli anziani di desideri lieti e santi; brilla (o Spirito Santo) nello sguardo che non si fissa più su alcun oggetto definito (errante) di chi muore sperando (nella salvezza eterna). 25. gioie ascose: le gioie che chi vive nel mondo non conosce. 26. consacra: sottinteso “col sacramento del matrimonio”.

Analisi del testo Si possono distinguere nell’inno tre parti: I. versi 1-48: la discesa dello Spirito sulla Chiesa, smarrita e timorosa dopo la morte di Cristo, per darle la forza di compiere la sua opera nel mondo; II. versi 49-80: gli effetti della diffusione del nuovo messaggio cristiano nel mondo; III. versi 81-144: invocazione allo Spirito Santo perché discenda ancora tra gli uomini. 384

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

Chiesa passiva e Chiesa attiva

Il messaggio di liberazione del cristianesimo Il mondo terreno e l’ordine divino

Pessimismo cristiano e lotta contro il male storico

L’ideale di società umana

> Le tre parti dell’inno

Nella prima parte si delineano due immagini antitetiche della Chiesa: dapprima appare paurosa e inerte, poi attiva nel suo impegno nel mondo; attraverso tali immagini Manzoni afferma la propria visione ideale della funzione della Chiesa (le due immagini contrapposte prenderanno corpo nei Promessi sposi, rispettivamente nella timorosa passività di don Abbondio e nell’attivismo eroico di fra Cristoforo e del cardinal Federigo). Nella seconda parte si insiste sul messaggio di liberazione portato dal cristianesimo a tutti gli uomini, soprattutto agli oppressi. Compare cioè un motivo molto caro a Manzoni, l’ingiustizia e l’oppressione che angustiano la realtà umana, a cui solo il messaggio cristiano può offrire un’alternativa. Nella terza parte si propone l’auspicio che il mondo terreno, che la caduta ha di tanto allontanato dal disegno divino, possa tornare a coincidere con esso. Se il mondo della storia è il trionfo del male, dell’ingiustizia, della violenza, dell’oppressione, l’alternativa vera è nell’altra vita; ma anche nel mondo umano Manzoni ritiene che sia doveroso contrastare il male. Per questo fine è necessario l’impegno attivo della Chiesa, sia direttamente nell’alleviare sofferenze, sia nell’indurre gli uomini a tale opera con la predicazione e l’esempio. Il cristianesimo di Manzoni ha una fondamentale fisionomia pessimistica, ma non si risolve in rassegnazione inerte di fronte al male della storia, bensì dà luogo ad un atteggiamento attivo ed energico, animato dalla fiducia nella possibilità di un relativo superamento dell’ingiustizia. È un atteggiamento ben diverso da quel rifiuto aristocratico e astratto della realtà negativa che si poteva osservare nel suo giovanile classicismo ( Prima della conversione: le opere classicistiche, p. 365).

> Un quadro della realtà umana

L’ultima parte dell’inno propone poi i vari elementi di un quadro della realtà umana, riscattata dalla forza del messaggio cristiano e dall’intervento dello Spirito Santo. In primo piano è il problema della giustizia sociale. Torna un motivo caro a Manzoni: la religione contribuisce a sanare l’ingiustizia inducendo i privilegiati a dare generosamente a chi non ha, e dando ai poveri il conforto di un sicuro riscatto (vv. 121128). È il principio già teorizzato nella seconda parte della Morale cattolica, e che sarà anche alla base dell’ideale di società espresso nei Promessi sposi. Nelle strofe finali compare anche una serie di altri valori, che sono il fondamento della visione manzoniana, e che costituiranno l’intelaiatura del romanzo: la «casta porpora» delle fanciulle (si pensi ai rossori pudichi di Lucia), le «pure gioie ascose» delle monache (ne offrirà un esempio negativo Gertrude), il «verecondo amor» delle spose (Lucia nella conclusione della vicenda), il «confidente ingegno» dei «baldi giovani» che deve essere «temprato» (si ricordi la baldanza eccessiva di Renzo), lo sgomento che lo Spirito deve ispirare ai «tumidi pensier del violento» (don Rodrigo), la canizie adorna «di liete voglie sante» (Federigo, Cristoforo).

> Gli aspetti formali Una lirica corale

I versi rapidi

Dal punto di vista formale appare evidente la distanza che separa l’inno dalla poesia classicistica. Non vi è più l’io privilegiato ed eroico in primo piano: si tratta di lirica corale, che esprime il sentimento dell’universalità dei fedeli («Noi T’imploriam»). Non troviamo più il solenne e ampio endecasillabo, ma svelti e concitati settenari, dal ritmo incalzante. I versi rapidi e fortemente ritmati (settenario, ottonario, decasillabo) sono prediletti dalla poesia romantica, che vuole incitare, commuovere, persuadere. Il linguaggio manzoniano non è più aulico e classicheggiante, tuttavia non appare prosaico: vi sono ancora numerose forme elette. Il Romanticismo non porta fino in fondo una rivoluzione del linguaggio poetico nei confronti del classicismo (una vera rivoluzione linguistica sarà invece introdotta dal romanzo manzoniano). 385

L’età del Romanticismo

Esercitare le competenze coMprenDere

> 1. Quale evento segna la fine dell’«obblio» (v. 30) della Chiesa? > 2. Nella tabella indica in una colonna i doni dello Spirito e nell’altra i “destinatari” (vv. 129-144), secondo l’esempio proposto.

Doni dello spirito santo

Destinatari

Casta porpora

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anaLIzzare

> 3.

stile Quale figura retorica compare all’inizio del componimento? Individua, sempre nella prima parte, la figura della personificazione, le metafore e la similitudine. > 4. stile Individua la similitudine presente nella terza parte dell’inno (vv. 81-144). > 5. stile Quali figure retoriche di ordine sintattico rilevi nel testo? Analizzane a scelta una parte e individua anastrofi, iperbati, chiasmi, anafore, enjambements. > 6. Lessico Rintraccia tutti i vocaboli appartenenti all’ambito militare («combatti», v. 6; «tende», v. 7 ecc.): a quale “combattimento” alludono? Quale concezione della Chiesa propongono? > 7. Lingua Sottolinea nella prima parte del testo (vv. 1-48) le proposizioni interrogative e specificane la natura e la funzione: che cosa rievocano?

approfonDIre e InTerpreTare

> 8.

scrivere Con quali modalità questo inno interpreta in concreto il principio che Manzoni dichiarerà un anno dopo nella Lettera sul Romanticismo, «che la poesia e la letteratura in genere debba proporsi l’utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo» ( T4, p. 376). Rispondi in circa 5 righe (250 caratteri). > 9. Testi a confronto Confronta l’ideale religioso espresso nell’inno con quello tutto laico precedente la «conversione», presente nel carme In morte di Carlo Imbonati in cui, secondo alcuni critici, è presente in nuce il Manzoni delle opere maggiori.

Sentir, riprese, e meditar: di poco Esser contento: da la meta mai Non torcer gli occhi: conservar la mano Pura e la mente: de le umane cose Tanto sperimentar, quanto ti basti

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Marzo 1821 e Il cinque maggio

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Per non curarle: non ti far mai servo: Non far tregua coi vili: il santo Vero Mai non tradir: né proferir mai verbo, Che plauda al vizio, o la virtù derida. A. Manzoni, In morte di Carlo Imbonati, vv. 207-215

La lirica patriottica e civile Come gli Inni sacri anche la lirica patriottica e civile possiede un’analoga forza di rottura. Dopo due tentativi infelici di canzoni, Aprile 1814 e Il proclama di Rimini, lasciate interrotte, nel 1821 Manzoni compone l’ode Marzo 1821, dedicata ai moti di quell’anno e alla speranza che l’esercito piemontese si riunisse agli insorti lombardi, e Il cinque maggio, ispirato alla morte di Napoleone. Anche qui non resta più nulla del repertorio di immagini mitologiche, di riferimenti storici antichi, di figure retoriche della poesia civile classicheggiante. Viceversa, i fatti contemporanei sono visti nella pro­ spettiva religiosa. In Marzo 1821 Dio stesso soccorre la causa dei popoli che lottano per la loro indipendenza, perché opprimere un altro popolo è contrario alle sue leggi; nel Cinque maggio ( T6, p. 387), l’alternanza di glorie e sconfitte della vicenda napoleonica è valutata dalla prospettiva dell’eterno, «dov’è silenzio e tenebre / la gloria che passò».

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni I cori delle tragedie

Analisi interattiva

T6

Anche i cori inseriti nelle due tragedie (esamineremo a suo luogo la funzione attribuita ad essi da Manzoni, Le tragedie, p. 393) rientrano nella poesia lirica e ne presentano le caratteristiche innovatrici. Vicino alle forme di Marzo 1821 è il coro del Carmagnola, che è una deprecazione delle lotte fratricide che dividevano il popolo italiano nel Quattrocento: la storia passata è vista da una prospettiva politica, riferita al presente. Il primo coro dell’Adelchi è un esempio di poesia della storia: la ricostruzione delle vicende di quelle masse che la storia ha sempre ignorato, i Latini dell’VIII secolo, divisi tra due dominatori, Longobardi e Franchi. Manzoni va verso il passato con un au­ tentico senso della storia, sollecitato dal bisogno di ricostruire la fisionomia inconfondibile di epoche lontane. Ma il passato è visto anche con l’occhio del presente, è affrontato per discutere i problemi politici dell’oggi (che sarà poi anche la soluzione del romanzo): il coro contiene infatti un ammonimento agli italiani, affinché non facciano affidamento su forze straniere per la loro liberazione nazionale. A parte si colloca il secondo coro, dedicato alla morte di Ermengarda ( T10, p. 409): è la ricostruzione dei tormenti interiori dell’infelice eroina, ripudiata dal marito Carlo Magno, che cerca di soffocare la passione amorosa, ma è inesorabilmente sopraffatta dalla sua forza devastante e trova una via di liberazione solo nella prospettiva dell’eterno. Compare anche qui la poesia della storia, nella rievocazione di due scene tipiche della vita medievale, la caccia e il ritorno del re dal campo di battaglia; ma è soprattutto poesia drammatica e psicologica, che presenta già in atto le doti del grande narratore.

Il cinque maggio L’ode è ispirata alla morte di Napoleone, avvenuta il 5 maggio 1821 nell’esilio di Sant’Elena.

> Metro: diciotto strofe composte di sei settenari (il primo, il terzo e il quinto sono sdruccioli, il secondo e il quarto piani, il sesto tronco); schema delle rime: abcbde.

Audio

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versi 1-12 Napoleone (Ei) è morto (fu). Come la salma (spoglia) ormai immemore, reso (dato) l’ultimo respiro, stette immobile, priva (orba) di una tanto grande anima (spiro), così la terra sta percossa e stupefatta alla notizia

Temi chiave

• la riflessione sull’azione dei grandi uomini nella storia

• il destino di solitudine e di morte dell’eroe • il soccorso della fede e il perdono divino • il rifiuto della concezione classicistica dell’eroe

Ei fu. Siccome1 immobile, dato il mortal sospiro, stette la spoglia immemore orba di tanto spiro, così percossa, attonita la terra al nunzio sta, muta pensando all’ultima ora dell’uom fatale; né sa quando una simile orma di piè mortale la sua cruenta polvere a calpestar verrà.

(nunzio) (della morte di Napoleone), pensando muta all’ultima ora di vita dell’uomo che aveva racchiuso in sé il destino di un’epoca (fatale); né sa quando un’orma umana (di piè mortale) altrettanto grande (simile) tornerà a

calpestare la sua terra (polvere) insanguinata dalle guerre (cruenta). 1. Siccome: da collegare al così del verso 5.

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versi 13-24 La mia ispirazione poetica (genio) lo vide in trono (solio) nel fulgore della sua gloria, e non lo esaltò (tacque); quando, con un avvicendarsi incalzante (vece assidua) fu sconfitto (cadde), si risollevò (risorse) e fu definitivamente sconfitto (giacque), non ha mescolato (mista … non ha) la sua voce al suono (sonito) di altre mille voci: immune (vergin) da encomi servili e da vili oltraggi, ora (il mio genio) si leva commosso all’improvviso (subito) sparire di una luce così gloriosa (tanto raggio) e dedica (scioglie) alla tomba un canto forse destinato a restare. 2. Lui … non ha: Lui è oggetto di vide (v. 14); cadde si riferisce alla sconfitta di Lipsia nel 1813, dopo di che Napoleone abdicò e fu esiliato all’Elba; risorse dopo la fuga dall’Elba e la riconquista del potere, nel marzo-giugno 1815; giacque è riferito alla capitolazione di Waterloo, nel giugno 1815; di mille voci, sottinteso: che esaltavano o vituperavano Napoleone. 3. servo … oltraggio: servo encomio, quello tributato dai più quando Napoleone era potente; codardo oltraggio, quello di cui fu oggetto dopo la sconfitta. versi 25-36 Dalle Alpi alle Piramidi, dal Manzanares al Reno, la realizzazione dell’impresa (il fulmine) teneva immediatamente dietro al suo concepimento (al baleno), in quell’uomo che non conosceva esitazioni (quel securo);

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Lui folgorante in solio vide il mio genio e tacque; quando, con vece assidua, cadde, risorse e giacque, di mille voci al sonito mista la sua non ha2: vergin di servo encomio e di codardo oltraggio3, sorge or commosso al subito sparir di tanto raggio; e scioglie all’urna un cantico che forse non morrà. Dall’Alpi alle Piramidi, dal Manzanarre al Reno4, di quel securo il fulmine tenea dietro al baleno; scoppiò da Scilla al Tanai5, dall’uno all’altro mar. Fu vera gloria? Ai posteri l’ardua sentenza: nui chiniam la fronte al Massimo Fattor, che volle in lui del creator suo spirito più vasta orma stampar.

(le sue imprese) andarono dalla punta meridionale della penisola italiana (Scilla) alla Russia (Tanai), dal Mediterraneo all’oceano Atlantico (dall’uno … mar). (La sua) fu gloria autentica? Ai posteri (spetta) la difficile risposta: noi (nui) pieghiamo la fronte dinanzi a Dio (Massimo Fattor) che volle in Napoleone imprimere (stampar) un’orma più vasta del suo

spirito creatore. 4. Dall’Alpi … Reno: enumera le campagne di Napoleone mediante i luoghi in cui si svolsero: in Italia (1796-1800), in Egitto (1798-99), in Spagna (1808; il Manzanares è un piccolo fiume presso Madrid), in Germania (1806-07). 5. Tanai: è il Don, fiume della Russia.

François Joseph Sandmann, Napoleone a Sant’Elena, 1820, acquerello, Rueil-Malmaison (Francia), Musée National du Chateau de Malmaison.

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versi 37-48 Tutto egli provò: la tempestosa (procellosa) e trepidante gioia data dal concepimento di un grande disegno, l’ansia di un cuore che si piega indocile a servire, pensando di conquistare un regno, e lo raggiunge e ottiene un premio che era follia sperare; la gloria (della vittoria che è) maggiore (se giunge) dopo il pericolo (periglio), la fuga e la vittoria, il potere (reggia) e l’umiliante (tristo) esilio; due volte caduto nella polvere e due volte sul trono. 6. pensando … regno: allude al periodo in cui Napoleone era un semplice ufficiale delle armate rivoluzionarie francesi, ma già aveva in mente il suo disegno di scalata al potere. 7. era … sperar: per un semplice borghese

La procellosa e trepida gioia d’un gran disegno, l’ansia d’un cor che indocile serve, pensando al regno6; e il giunge, e tiene un premio ch’era follia sperar7; tutto ei provò: la gloria maggior dopo il periglio, la fuga e la vittoria, la reggia e il tristo esiglio: due volte nella polvere, due volte sull’altar8. Ei si nomò: due secoli, l’un contro l’altro armato9, sommessi a lui si volsero, come aspettando il fato10; ei fe’ silenzio, ed arbitro11 s’assise in mezzo a lor. E sparve, e i dì nell’ozio chiuse in sì breve sponda12, segno d’immensa invidia e di pietà profonda, d’inestinguibil odio e d’indomato amor.

era folle aspirare a diventare imperatore dei francesi. 8. due … altar: la polvere è quella delle sconfitte di Lipsia e di Waterloo; l’altar è il potere prima della sconfitta di Lipsia e dopo il ritorno dall’Elba; altar perché Napoleone era oggetto di una vera e propria venerazione. versi 49-60 Egli pronunciò il suo nome (si nomò): due secoli dalle tendenze fra loro opposte (l’un contro l’altro armato) si rivolsero sottomessi (sommessi) a lui, come aspettando la decisione sul loro destino storico; egli fece silenzio, e si sedette come arbitro fra di loro. E scomparve (sparve), e terminò i suoi giorni nell’ozio di un’isola così piccola (breve), fatto segno (da parte di ammiratori

o di nemici) di grande invidia o di profondo rispetto (pietà), di odio inestinguibile e di amore invincibile (indomato). 9. l’un contro l’altro armato: vale a dire il secolo della Rivoluzione, il XVIII, e quello della Restaurazione monarchica, il XIX. 10. come … fato: cioè se avrebbe prevalso la rivoluzione o la reazione. 11. arbitro: Napoleone fu il mediatore tra la Rivoluzione e la Restaurazione: con l’Impero ricompose l’ordine distrutto dalla Rivoluzione, ma era un ordine che assicurava il potere alla nuova classe borghese ed eliminava i residui del vecchio sistema feudale. 12. sì breve sponda: l’isola di Sant’Elena, dove fu esiliato dopo la sconfitta definitiva.

pesare le parole Sommessi (v. 51) > Viene

dal latino submìssum, participio passato di submìttere, “mettere sotto, abbassare”: qui è appunto usato nel senso di “sottomesso, umile”. Più correntemente oggi l’aggettivo è riferito al suono e vuol dire “basso” (es. è abituato a parlare con voce sommessa, appena udibile). Nel senso di “assoggettato, soggiogato” è più comune la forma sottomesso (es. i popoli sottomessi

dalle potenze coloniali erano sfruttati e impoveriti).

> Assoggettare deriva dal latino ad- e subièctum, participio passato di subìcere, “mettere sotto”, da sub- e iàcere, “gettare” (es. vuole assoggettare tutti alla sua volontà). Soggiogare invece proviene da sub- e iùgum, “giogo”, cioè “mettere sotto il giogo” (es. i Romani soggiogarono l’intero mondo allora conosciuto).

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Come sul capo al naufrago l’onda s’avvolve e pesa, l’onda su cui del misero, alta pur dianzi e tesa, scorrea la vista a scernere prode remote invan; tal su quell’alma il cumulo delle memorie scese! oh quante volte ai posteri narrar sé stesso imprese, e sull’eterne pagine13 cadde la stanca man! Oh quante volte, al tacito morir d’un giorno inerte, chinati i rai fulminei, le braccia al sen conserte, stette, e dei dì che furono l’assalse il sovvenir! E ripensò le mobili tende, e i percossi valli, e il lampo de’ manipoli, e l’onda dei cavalli, e il concitato imperio, e il celere ubbidir14. Ahi! forse a tanto strazio cadde lo spirto anelo, e disperò; ma valida venne una man dal cielo15 e in più spirabil aere pietosa il trasportò16; e l’avviò, pei floridi17 sentier della speranza, ai campi eterni, al premio che i desidéri avanza18, dov’è silenzio e tenebre la gloria che passò.

versi 61-72 Come incombe vorticosa (s’avvolve e pesa) l’onda su cui lo sguardo del naufrago (misero) poco prima scorreva alto e proteso (tesa) ad avvistare lontani approdi (prode remote), ma invano; così il peso (cumulo) dei ricordi calò (scese) su quell’anima! Oh quante volte cominciò a scrivere (narrar … imprese) le sue memorie per i posteri, e sulle pagine interminabili a scriversi (eterne) cadde la sua mano stanca! 13. eterne pagine: l’interpretazione è incerta: interminabili a scriversi, per il peso dei ricordi e per l’umiliazione dello stato presente, oppure destinate ad eternare le sue gesta.

silenzioso (tacito) di un giorno ozioso (inerte), chinati gli occhi lampeggianti (rai fulminei), le braccia conserte sul petto (sen), rimase immobile (stette), e lo assalì il ricordo del passato (dei dì che furono)! E la sua memoria tornò agli accampamenti continuamente spostati (mobili tende), le trincee battute dall’artiglieria (percossi valli), il lampeggiare delle armi (manipoli), la cavalleria all’assalto (l’onda dei cavalli), gli ordini (imperio) concitati e la rapida esecuzione. 14. le mobili … ubbidir: sono i momenti più tipici della vita di Napoleone.

versi 73-84 Oh, quante volte, sul finire

versi 85-96 Ahi! Forse l’animo spossato

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(spirto anelo) cadde di fronte a ricordi tanto strazianti, e si disperò: ma venne dal cielo una mano forte e pietosa che lo trasportò in un’aria più respirabile (spirabil aere); e lo avviò, per i sentieri della speranza, fonti di vita eterna (floridi), ai campi eterni (del paradiso), al premio che supera (avanza) tutti i desideri umani, dove la gloria terrena non conta più nulla, è dimenticata (è silenzio e tenebre). 15. man dal cielo: la mano di Dio. 16. in più … trasportò: cioè lo portò al distacco dalle cose terrene e alla fede. 17. floridi: letteralmente fecondi. 18. premio … avanza: la beatitudine eterna.

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versi 97-108 O fede caritatevole (benefica), bella e immortale, abituata a vincere! Narra ancora di questo (trionfo), rallegrati (di ciò); perché nessun uomo più grande di Napoleone si è mai chinato ad adorare la croce (disonor del Golgota). Tu (o fede) dai resti mortali di Napoleone, che ha condotto una vita travagliata (per questo le sue ceneri sono stanche) disperdi ogni parola di

Bella Immortal! benefica fede ai trionfi avvezza! Scrivi ancor questo19, allegrati; ché più superba altezza al disonor20 del Golgota giammai non si chinò. Tu dalle stanche ceneri sperdi ogni ria parola21: il Dio che atterra e suscita, che affanna e che consola sulla deserta coltrice accanto a lui posò.

rancore; il Dio che può abbattere a terra o sollevare (atterra e suscita), che può mandare sofferenze (affanna) ma anche consolare, è venuto a posarsi sul letto di morte (coltrice) di Napoleone, abbandonato dagli uomini (deserta). 19. questo: cioè il ritorno di Napoleone alla fede. 20. disonor: perché la crocifissione era rite-

nuta pena infamante dagli antichi. Manzoni gioca sul contrasto tra la grandezza terrena dell’eroe, che è in realtà effimera, e la pena infamante subita da Cristo, che in realtà segna il trionfo sul peccato e il riscatto dell’umanità. 21. ogni ria parola: o dei nemici, o di chi Napoleone aveva fatto soffrire, portando la guerra in tutta Europa.

Analisi del testo

> La struttura e i temi della lirica

I tre momenti

Le opposizioni fondamentali

Spazio e tempo

Vediamo innanzitutto come si distribuisce la materia del discorso poetico nella sua successione. Si individuano tre momenti: I, preambolo: la morte di Napoleone, l’atteggiamento del poeta di fronte all’evento (strofe 1-4); II, rievocazione della vicenda di Napoleone; a sua volta essa è divisa in due parti: a) le imprese vittoriose (strofe 5-9); b) la sconfitta e l’esilio, la disperazione dell’eroe (strofe 10-14); III, conclusione: il soccorso della fede, il trionfo dell’eterno sulla gloria terrena (strofe 15-18). Vediamo ora i temi dell’ode, che si organizzano in una serie di opposizioni.

> Il preambolo

I. Nelle quattro strofe del preambolo emergono subito due opposizioni fondamentali: 1. immobilità / rapidità. L’immobilità della salma (v. 1) si oppone alla «vece assidua» delle azioni del grande uomo, alla rapida successione di caduta, rivincita e sconfitta definitiva («cadde, risorse e giacque»); 2. la grandezza e la gloria si oppongono alla negatività dell’azione: «tanto spiro», «folgorante», «tanto raggio», ma anche «cruenta polvere»: il grande uomo ha seminato con le sue guerre distruzione, sofferenze e morte. Le due opposizioni saranno riprese e sviluppate successivamente.

> La parte centrale

II. La parte centrale dell’ode, in cui viene rievocata per scorci la vicenda dell’eroe, si articola innanzitutto su un’opposizione spaziale: lo spazio geografico amplissimo in cui si manifesta il genio militare di Napoleone («Dall’Alpi alle Piramidi») contro la «breve sponda» dell’isola in cui finisce esule; poi su un’opposizione temporale: il passato glorioso contro il presente misero dell’esilio. 391

L’età del Romanticismo Rapidità / immobilità

L’eterno

Luce e rumore / silenzio e tenebre

L’azione dei grandi nella storia

Manzoni e Foscolo dinanzi all’eroico

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L’opposizione passato / presente ripropone al suo interno, sviluppandola al massimo, l’opposizione che già si offriva nella prima parte, rapidità dinamica / immobilità. Tutta la rievocazione delle imprese di Napoleone insiste infatti sulla rapidità fulminea degli spostamenti («fulmine», «baleno», «scoppiò»), sulla dinamicità delle azioni e sulla rapidità delle trasformazioni (il «gran disegno», il servire «pensando al regno», il raggiungere la meta che era «follia» sperare, il pericolo e poi la gloria, la fuga e la vittoria, la reggia e l’esilio, la polvere e l’altare); ancor più sulla rapidità insiste la memoria dell’eroe stesso alla strofa 13 («mobili», «lampo», «onda», «concitato», «celere»). L’esilio a Sant’Elena ripropone invece il tema dell’immobilità («ozio», «cadde la stanca man», «tacito morir d’un giorno inerte»).

> L’ultima parte

III. Nell’ultima parte il contrasto passato / presente, vastità spaziale / breve sponda, dinamismo / immobilità, che nell’animo dell’eroe diviene insostenibile («a tanto strazio / cadde lo spirto anelo»), viene superato attraverso l’ingresso di una nuova dimensione, fuori del tempo e dello spazio: l’eternità («più spirabil aere», «campi eterni»). In questa prospettiva viene ripresa e sviluppata l’altra grande opposizione, che era proposta sin dalle prime strofe: gloria / negatività dell’azione. La gloria per tutta l’ode era presentata sistematicamente attraverso le metafore della luce e del rumore: «folgorante», «raggio», «fulmine», «rai fulminei», «lampo de’ manipoli», «di mille voci al sonito», il «concitato imperio»; ora la gloria si annulla nel silenzio e nelle tenebre; il «premio ch’era follia sperar» è annullato dal «premio» eterno, che supera ogni desiderio umano. I versi conclusivi ripropongono ancora una volta l’opposizione dinamismo / immobilità («il Dio che atterra e suscita […] accanto a lui posò»). Ma, nella nuova dimensione dell’eterno, l’immobilità non è più sconfitta e tormento: si rovescia di senso e diviene conquista della pace nel perdono divino.

> Il tema di fondo della lirica

Nelle opposizioni che reggono la struttura dell’ode, dinamismo / immobilità, luce e rumore / silenzio e tenebra, si può scorgere tradotto in immagini il tema di fondo, la meditazione sull’azione dei grandi uomini nella storia. La vita di Napoleone fu intensa e tumultuosa, soggetta a rapide trasformazioni e a sua volta causa di grandi e rapidi sconvolgimenti (tema del dinamismo); ma fu positiva? La prospettiva di Manzoni è pessimistica: agire nella storia, alla ricerca della grandezza, vuol dire provocare distruzioni, sofferenze, morte; vuol dire raccogliere odii e oltraggi, per poi finire nell’inazione, nel tormentoso confronto tra passato glorioso e presente oscuro, nella solitudine, nella morte (tema dell’immobilità). L’azione degli eroi nella storia è svalutata nella prospettiva dell’eterno: la morte mette di fronte al vero significato dell’esistenza. Questa svalutazione dell’azione dei grandi che si riscontra nell’ode è vicina al pessimismo di Adelchi morente («Gran segreto è la vita, e nol comprende / che l’ora estrema»; «godi che re non sei, godi che chiusa / all’oprar t’è ogni via», T8, p. 399). Si può misurare qui la distanza tra la prospettiva cristiana di Manzoni e la prospettiva classica e paganeggiante di Foscolo, il suo culto degli eroi, l’affermazione dell’eternità della fama. Ciò non vuol dire che Manzoni neghi la possibilità di agire nella storia e l’eroismo di individui eccezionali: lo dimostrano, nel romanzo, personaggi come Cristoforo, Federigo, l’innominato convertito. Però si tratta di figure eroiche del tutto diverse. Secondo la nozione manzoniana dell’eroico, gli individui eccezionali devono legittimare la loro superiorità ponendola al servizio degli altri uomini, alleviando miserie e afflizioni e combattendo ingiustizie e soprusi.

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

Esercitare le competenze

Laboratorio interattivo

coMprenDere

> 1. Proponi una sintesi del contenuto dell’ode suddividendola nei tre momenti proposti dall’Analisi del testo. anaLIzzare

> 2. In quale punto del componimento Manzoni parla di sé come poeta? Quale immagine ne scaturisce in rela-

zione al contenuto dell’ode e all’epoca di composizione? stile Individua nel testo tutte le espressioni con cui l’autore indica Dio e la fede cristiana: è possibile parlare di antonomasia? Motiva la tua risposta operando una distinzione fra un caso e l’altro. > 4. Lessico Nell’ode acquista importanza e risalto la coppia oppositiva alto-basso: dopo aver individuato i verbi riconducibili all’ascesa e alla discesa, spiega il significato religioso che questo “ritmo” delle vicende umane acquista alla luce della strofa finale. > 5. Lessico Individua nel testo vocaboli e/o espressioni riconducibili all’ambito militare e spiegane la funzione sul piano espressivo. > 6. Lingua Quale efficacia espressiva rivelano il pronome «Ei» e il verbo «fu» (v. 1) collocati nel brevissimo periodo che funge da incipit dell’ode e riferiti a Napoleone? In quali altri punti del testo individui i medesimi elementi linguistici con la stessa efficacia?

> 3.

approfonDIre e InTerpreTare

> 7.

scrivere Esamina la personalità di Napoleone delineata da Manzoni: si possono cogliere in lui tratti tipici dell’eroe romantico? Rispondi in circa 5 righe (250 caratteri). > 8. competenze digitali I puntuali riferimenti storici e geografici presenti nell’ode si prestano a una visualizzazione in formato digitale, ad esempio come mappa, della straordinaria avventura di Napoleone. Realizza un lavoro multimediale in cui possano essere utilizzati passi tratti dal componimento analizzato (o da altri testi: ad esempio, dall’Ortis di Foscolo), immagini (dipinti, statue, disegni, fotogrammi di film ecc.), eventualmente musiche opportunamente scelte, per delineare con efficacia il percorso militare e politico del celebre personaggio storico.

per IL recUpero

> 9. Analizza il componimento dal punto di vista lessicale e riconosci i termini colti e ricercati: si tratta di una presenza rilevante? > 10. Individua tutti i vocaboli che appartengono al campo semantico dei sentimenti e degli stati d’animo. A chi sono riferiti?

6 La tragedia storica

La Lettre à M. Chauvet

Le tragedie La novità della tragedia manzoniana

Videolezione

Come la lirica, anche la tragedia di Manzoni si colloca in posizione di rottura rispetto alla tradizione del genere. La novità si manifesta in due direzioni: la scelta della tragedia storica e il rifiuto delle unità aristoteliche ( Le unità aristoteliche, p. 374). La tragedia classicheggiante (Racine, Alfieri), anche quando metteva in scena personaggi ed eventi storici, isolava l’azione in un mondo assoluto, fuori della storia, sottratto a ogni legame con un tempo e uno spazio concreti; osservava inoltre rigorosamente l’unità di tempo, di luogo e di azione: i fatti si svolgevano nell’arco di una giornata, non vi erano mutamenti di scena, non si intrecciavano fra loro più azioni diverse. Manzoni invece, col suo teatro tragico, vuole collocare i conflitti dei suoi personaggi in un determinato contesto storico, rico­ struito con fedeltà. I princìpi che lo guidano sono esposti nella forma più chiara e sistematica in un ampio saggio, la Lettera al Signor Chauvet sull’unità di tempo e di luogo nella tragedia (Lettre à M. Chauvet sur l’unité de temps et de lieu dans la tragédie, T2, p. 370 e T3, p. 375). In obbedienza al suo culto del «vero», Manzoni vi afferma di non voler «inventare dei fatti per adattarvi dei sentimenti», ma di voler «spiegare ciò che gli uomini hanno sentito, voluto e sofferto, mediante ciò che essi hanno fatto». Non c’è bisogno di inventare fatti, perché nella storia, in ciò che gli uo393

L’età del Romanticismo

Il «vero» e l’invenzione

Il rifiuto delle unità aristoteliche

mini hanno effettivamente compiuto, vi è, per Manzoni, il più ricco ed affascinante repertorio di soggetti drammatici. Per creare la poesia drammatica basta ricostruire un fatto storico nella dinamica interna delle sue cause e dei suoi svolgimenti. Per questo il poeta deve essere fedele al «vero» storico, senza bisogno di prendersi arbitrii inutili. Ciò che lo distingue dallo storico, è che egli “completa” i fatti tramandati, investigando con l’invenzione poetica i pensieri e i sentimenti di chi è stato protagonista di quegli avvenimenti. La convinzione dell’eccellenza dei soggetti tratti dalla storia era stata radicata in Manzoni dalla lettura dei drammi storici di Shakespeare, un autore che ripugnava al gusto classicistico e che era stato esaltato dalla cultura romantica europea. A confermare le convinzioni manzoniane contribuì anche la lettura delle tragedie storiche di Schiller e di Goethe, che risentivano dell’ammirazione per Shakespeare, nonché la lettura di opere teoriche del Romanticismo come il Corso di letteratura drammatica di Schlegel ( cap. 1, A1, p. 208, T1, p. 209). Proprio questo culto manzoniano del «vero» storico esclude l’osservanza delle unità classiche. Chiudere lo sviluppo di un’azione in stretti limiti di tempo e di luogo, secondo Manzoni, costringe il poeta a esagerare le passioni, per far sì che i personaggi giungano in ventiquattr’ore alla risoluzione decisiva. Da questo nasce il «falso» della tragedia classicistica, ciò che Manzoni chiama il «romanzesco»: quella forzatura artificiosa dei caratteri e delle passioni che non corrisponde alla «maniera d’agire» degli uomini nella realtà. Solo la libertà da regole artificiose per Manzoni consente di riprodurre il vero, di costruire caratteri autentici, individuali, nella gamma infinita delle loro sfumature. La falsità della tragedia, ritiene Manzoni, ha anche deleteri effetti morali, poiché gli uomini finiscono per applicare nella vita reale i princìpi e i sentimenti falsi visti sulla scena. Lo scrittore, in obbedienza alla sua rigida coscienza morale e alla sua concezione di una letteratura utile, che renda le cose «un po’ più come dovrebbono essere» ( T1, p. 369), è preoccupato dell’influenza che il teatro può esercitare. Solo un teatro che si ispiri al «vero» può per lui avere influssi positivi sul pubblico.

Il Conte di Carmagnola

La vicenda

Il conflitto tra l’eroe puro e la ragion di Stato

Su questi temi Manzoni aveva meditato a lungo sin da quando aveva deciso di affrontare il teatro tragico, nel 1816. E le sue riflessioni avevano già trovato espressione in una serie di appunti, i Materiali estetici, lasciati inediti, e nella prefazione alla prima tragedia, Il Conte di Carmagnola. Scritta tra il 1816 ed il 1820, questa tragedia si incentra sulla figura di un capitano di ventura del Quattrocento, Francesco Bussone: al servizio del duca di Milano ottiene molte vittorie e giunge a sposarne la figlia; passa poi al servizio di Venezia, assicurandole una clamorosa vittoria su Milano nella battaglia di Maclodio. Ma, sospettato di tradimento dai Veneziani per la sua clemenza verso i prigionieri, viene attirato a Venezia con un falso pretesto, incarcerato e condannato a morte. Manzoni era convinto dell’innocenza del Conte (tesi oggi confutata). La tragedia si regge sul conflitto tra l’uomo d’animo elevato, generoso e puro, e la ragion di Stato, con i bassi intrighi Cittadini bresciani ricevuti in udienza dal doge e dal senato veneziano, XV secolo, miniatura dal Libro dei previlegi, Brescia, Biblioteca Queriniana.

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Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

machiavellici a cui dà origine. Affronta dunque un tema centrale della visione manzoniana, la storia umana come trionfo del male, a cui si contrappongono invano esseri incontaminati, destinati inevitabilmente alla sconfitta.

L’Adelchi

Il Discorso

La trama

Testi L’«amor tremendo» di Ermengarda dall’Adelchi

I personaggi

Personaggi politici e ideali

Lo stesso conflitto è al centro anche della seconda tragedia, Adelchi (1822). La tragedia mette in scena il crollo del regno longobardo in Italia nell’VIII secolo, sotto l’urto dei Franchi di Carlo Magno. Manzoni era stato affascinato da quel remoto periodo storico, e soprattutto dalla sorte del popolo latino, oppresso dai Longobardi prima e dai Franchi poi. Le ricerche storiche da lui compiute in materia avevano dato luogo ad un vero e proprio saggio storico, il Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia, in cui Manzoni subiva l’influenza degli storici liberali francesi, soprattutto di Augustin Thierry, che aveva studiato non i popoli vincitori e dominatori, come era tradizione della storiografia, ma i vinti, gli oppressi. Ermengarda, figlia di Desiderio re dei Longobardi, è stata ripudiata dal marito Carlo Magno, e torna dal padre. Questi vuol vendicarsi costringendo il papa Adriano a incoronare re dei Franchi i figli di Carlo Magno rifugiatisi presso di lui. Giunge a Desiderio un messo di Carlo Magno che gli intima di restituire le terre sottratte al papa. Desiderio rifiuta e la guerra è dichiarata. Tuttavia i duchi longobardi sono disposti a tradire. Carlo è bloccato alle Chiuse di Susa, ma il diacono Martino gli rivela un passaggio ignorato, che gli permette di aggirare le postazioni longobarde. Vani sono i tentativi di Adelchi di opporsi ai Franchi: i duchi traditori passano dalla parte di Carlo, e l’esercito longobardo è in rotta. Ermengarda si è nel frattempo ritirata nel convento di Brescia, per dimenticare l’«amor tremendo» per il marito; alla notizia delle nuove nozze di Carlo è assalita dal delirio e muore. Un soldato ambizioso e traditore, Svarto, fa entrare le truppe dei Franchi in Pavia, capitale del regno longobardo. Adelchi resiste ancora a Verona. Desiderio è preso prigioniero. Giunge la notizia che Verona è caduta. Adelchi è portato in scena ferito e morente. Con le sue ultime parole, chiede al vincitore di essere pietoso verso il vecchio padre, e muore cristianamente. La tragedia si incentra su quattro personaggi: Desiderio, animato dalla volontà di vendicarsi di Carlo e di riparare il torto fatto al suo onore, e al tempo stesso avido di potere e di conquiste; Adelchi, suo figlio, che sogna la gloria in nobili imprese e non riesce a realizzarle, in un mondo dominato solo dalla forza e dall’ingiustizia; Ermengarda, che vorrebbe distaccarsi dalle passioni del mondo, ma muore devastata dal suo «amor tremendo» per il marito; Carlo, che ha ripudiato Ermengarda e riesce a tacitare ogni rimorso in nome della ragion di Stato, presentandosi come «campione di Dio» nella difesa del papa aggredito dai Longobardi. Si fa qui più evidente e più ricca di forza tragica la contrapposizione tra i personag­ gi “politici”, Desiderio e Carlo, animati solo dall’interesse della ragion di Stato e dalla passione di dominio, e i personaggi ideali, Adelchi ed Ermengarda, che, nella loro purezza, sono inadatti a vivere nel mondo e sono destinati alla sconfitta, a trovare solo in un’altra vita la soluzione dei loro tormenti.

I cori La presa di distanza dal modello classico

Il «cantuccio» dell’autore

Nelle sue tragedie Manzoni introduce il coro, una novità nel teatro tragico moderno. Manzoni stesso, però, nella prefazione al Carmagnola, precisa che esso non vuole avere la funzione posseduta dal coro nella tragedia greca: nelle tragedie antiche il coro era la personificazione dei pensieri e dei sentimenti che l’azione doveva ispirare; era cioè una sorta di spettatore ideale, che filtrava e idealizzava liricamente le passioni provate dal pubblico reale. Il coro manzoniano, invece, vuole costituire un «cantuccio» dove l’autore «possa parlare in persona propria», un momento lirico in cui lo scrittore possa esprimere la propria visione e le proprie reazioni soggettive di fronte ai fatti tragici ( T9 , p. 405). In tal modo, pensava Manzoni, il poeta era sottratto alla tentazione di introdursi nell’azione e di prestare ai personaggi i propri sentimenti. Per Manzoni, cioè, la tragedia non deve essere effusione soggettiva, ma rappresentazione di caratteri e conflitti oggettivati, in nome sempre del «vero». 395

L’età del Romanticismo

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Il dissidio romantico di adelchi dall’Adelchi, atto III, scena I

Temi chiave

• il conflitto romantico fra ideale e reale • la sconfitta dell’eroe e la condanna all’infelicità • la visione pessimistica della storia umana • il vittimismo dell’eroe manzoniano • la morte come unico riscatto dalle ingiustizie

Lo scudiero Anfrido annuncia ad Adelchi che i Franchi della vita terrena paiono in procinto di togliere il campo e di allontanarsi. Adelchi lamenta di non poter affrontare in campo aperto il nemico della sua casa e l’offensore della sorella, perché sarebbe abbandonato dai duchi traditori. Anfrido tenta di consolare Adelchi, ricordandogli che a lui tocca la gloria di aver respinto i Franchi.

> Metro: endecasillabi sciolti. adelchi

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La gloria? il mio destino è d’agognarla, e di morire senza averla gustata. Ah no! codesta non è ancor gloria, Anfrido. Il mio nemico parte impunito; a nuove imprese ei corre; vinto in un lato, ei di vittoria altrove andar può in cerca1; ei che su un popol regna d’un sol voler, saldo, gittato in uno, siccome il ferro del suo brando2; e in pugno come il brando lo tiensi. Ed io sull’empio che m’offese nel cor3, che per ammenda il mio regno assalì, compier non posso la mia vendetta! Un’altra impresa4, Anfrido, che sempre increbbe al mio pensier, né giusta né gloriosa, si presenta: e questa certa ed agevol fia5. anfrido

Torna agli antichi disegni il re? adelchi

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Dubbiar6 ne puoi? Securo dalle minacce d’esti7 Franchi, incontro l’apostolico sire8 il campo tosto ei moverà: noi guiderem sul Tebro9 tutta Longobardia, pronta, concorde contro gl’inermi, e fida10 allor che a certa e facil preda la conduci. Anfrido, qual guerra! e qual nemico! Ancor ruine11 sopra ruine ammucchierem: l’antica nostr’arte è questa: ne’ palagi il foco porremo e ne’ tuguri: uccisi i primi, i signori del suolo, e quanti a caso nell’asce nostre ad inciampar verranno, fia servo il resto12 e tra di noi diviso; e ai più sleali e più temuti, il meglio toccherà della preda. – Oh! mi parea,

1. vinto … cerca: vinto in Italia, può andare a cercare vittorie su altri popoli. 2. gittato … brando: fuso come in un solo metallo, come il ferro della sua spada. 3. nel cor: nei sentimenti fraterni verso Ermengarda. 4. Un’altra impresa: assalire le terre del papa. 5. fia: sarà. 6. Dubbiar: dubitare. 7. esti: questi. 8. l’apostolico sire: il papa. 9. Tebro: Tevere. 10. fida: fedele. 11. ruine: rovine. 12. uccisi … il resto: uccisi i signori del territorio, e quanti a caso verranno a cadere sotto le nostre armi, il resto della popolazione sarà reso schiavo.

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

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pur mi parea che ad altro io fossi nato, che ad esser capo di ladron; che il cielo su questa terra altro da far mi desse che, senza rischio e senza onor, guastarla13. – O mio diletto! O de’ miei giorni primi14, de’ giochi miei, dell’armi poi, de’ rischi solo compagno e de’ piacer; fratello della mia scelta15, innanzi a te soltanto tutto vola sui labbri il mio pensiero. Il mio cor m’ange16, Anfrido: ei mi comanda alte e nobili cose; e la fortuna mi condanna ad inique17, e strascinato vo per la via ch’io non mi scelsi, oscura, senza scopo; e il mio cor s’inaridisce, come il germe caduto in rio18 terreno, e balzato19 dal vento. anfrido

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Alto20 infelice! reale amico! il tuo fedel t’ammira, e ti compiange. Toglierti la tua splendida cura21 non poss’io, ma posso teco sentirla almeno. Al cor d’Adelchi dir che d’omaggi, di potenza e d’oro sia contento, il poss’io?22 dargli la pace de’ vili23, il posso? e lo vorrei, potendo? – Soffri e sii grande: il tuo destino è questo, finor: soffri, ma spera: il tuo gran corso24 comincia appena; e chi sa dir, quai tempi, quali opre il cielo ti prepara? il cielo che re ti fece, ed un tal cor ti diede.

13. guastarla: devastare la terra. 14. de’ miei giorni primi: d’infanzia. 15. fratello … scelta: fratello non di sangue, ma per mia scelta. 16. m’ange: mi angoscia, mi tormenta. 17. ad inique: a compiere azioni inique. 18. rio: infecondo. 19. balzato: trascinato via. 20. Alto: nobile. 21. splendida cura: nobile tormento. 22. Al cor … poss’io?: a un’anima nobile come quella di Adelchi, posso dire che si accontenti di omaggi, potenza e ricchezza? 23. la pace de’ vili: la tranquillità di una vita oscura, di cui si accontenterebbero i vili. 24. il tuo gran corso: il cammino della tua vita gloriosa.

Ignazio Danti, Carte del Ducato di Milano. La resa di Desiderio a Carlo Magno durante l’assedio di Pavia del 774, seconda metà del XVI secolo, affresco, Città del Vaticano, Galleria delle carte geografiche.

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L’età del Romanticismo

Analisi del testo L’anima eletta e la politica

> Il pessimismo cristiano

Dal colloquio con lo scudiero emerge il dissidio interiore che caratterizza il personaggio di Adelchi. Egli aspira alla gloria conquistata in imprese magnanime, ed è costretto invece dai disegni politici del padre ad assalire gli indifesi territori della Chiesa, trasformandosi in un ladrone. Il contrasto, come già nel Carmagnola, si apre tra un’anima privilegiata, nobile e pura, e la realtà della politica, in cui domina solo l’interesse e la legge della forza. Questo contrasto esprime il pessimismo cristiano della visione di Manzoni, che vede la storia umana, in conseguenza della caduta, condannata ad una degradazione non riscattabile. In essa gli individui che si ispirano ai valori più alti non possono trovar posto e ne sono irrimediabilmente espulsi.

> adelchi eroe romantico L’eroe negativo

Il vittimismo

Questo conflitto tra aspirazioni ideali e realtà colloca il personaggio di Adelchi in un clima decisamente romantico. Romantico è anche il fascino che circonda l’inevitabile sconfitta dell’eroe, condannato alla sofferenza e all’infelicità proprio dal suo privilegio spirituale. Si tratta di un tipo di eroe negativo che ha le sue radici negli eroi tragici alfieriani, in Werther ( L’età napoleonica, cap. 1, pp. 29 e ss.), in Jacopo Ortis ( L’età napoleonica, cap. 2, pp. 70 e ss.). Ma a differenza di tanti altri eroi romantici, Adelchi non è un ribelle. Non si erge a sfidare il potere tirannico del padre (come farebbe un “eroe di libertà” alfieriano), non si oppone attivamente alla realtà degradata della politica e della ragion di Stato con gesti clamorosi di rivolta, con slancio generoso e titanico, eroico proprio per la consapevolezza dell’ineluttabile fallimento del suo gesto. Il suo rifiuto del negativo si isterilisce nel chiuso dell’interiorità, nella pura contemplazione della propria sconfitta e della degradazione delle proprie aspirazioni, della propria vita che si trascina oscura, senza scopo, senza possibilità di scelta, del proprio animo che progressivamente si inaridisce. Il senso della sua vita sprecata si compendia nell’immagine del seme che, caduto in un terreno sterile, non può sviluppare la sua potenziale fecondità ed è portato via dal vento. Piuttosto che alla categoria degli eroi ribelli, Adelchi appartiene dunque a quella degli eroi vittime (si ricordi che titanismo e vittimismo sono le due facce possibili dell’eroe romantico).

> Il riscatto cristiano nella morte Il superamento cristiano del conflitto

A questo tipo di eroi non si prospetta altra alternativa che la morte. E così è anche per Adelchi, ma in una variante cristiana, ben diversa da quella di Werther e Jacopo Ortis: la morte è il riscatto in un’altra dimensione, immune dalla degradazione dell’esistenza storica. Il conflitto romantico ideale-reale, nella prospettiva religiosa di Manzoni, si risolve sul piano dell’eterno. Se l’eroe non è fatto per la brutalità del reale, può trovare la sua vera patria nell’altra vita.

Esercitare le competenze coMprenDere

> 1. Qual è l’impresa che Adelchi considera degna di gloria (vv. 43-55)? > 2. Quale impresa è costretto, suo malgrado, a compiere (vv. 59-65)? > 3. Per quali imprese il giovane principe sente di essere nato (vv. 74-85)? > 4. Esegui la parafrasi dei versi 98-102, in cui Anfrido rivolge parole di conforto al suo signore. anaLIzzare

> 5. > 6.

Svolgi l’analisi retorica dei versi 84-90, chiarendo la funzione espressiva delle figure che vi compaiono. La scelta dell’endecasillabo sciolto come metro delle scene è originale o convenzionale (pensa ad esempio alla metrica delle tragedie alfieriane)? Che rapporto vi è tra l’impostazione discorsiva propria delle scene e questo tipo di metrica?

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stile stile

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni approfonDIre e InTerpreTare

> 7.

scrivere Elabora un breve testo (ca. 10 righe o 500 caratteri) in cui analizzi la vicenda terrena di Adelchi, eroe vittima della storia, che nella prospettiva religiosa manzoniana troverà il riscatto in un’altra dimensione. > 8. esporre oralmente In quale punto del testo emerge chiaramente la condanna della violenza insita nella storia? Ne sono vittime alcune classi sociali in particolare oppure l’intera società? (max 3 minuti) > 9. contesto: storia Svolgi una ricerca sugli eventi storici riferiti nella tragedia e in questo brano in particolare. Soffermati sui seguenti aspetti: l’estensione del Regno longobardo prima del suo crollo; i rapporti politici tra papato, Regno dei Franchi e Regno longobardo; le cause, l’evoluzione e l’esito del conflitto tra Franchi e Longobardi. > 10. altri linguaggi: cinema La sofferenza di Adelchi nasce dall’impossibilità di realizzare le proprie aspirazioni personali, di affermare i propri ideali, a causa degli obblighi familiari e del ruolo sociale. Rintraccia e proponi un film in cui il protagonista, personaggio storico, letterario o comune, si trovi in una condizione simile a quella del principe longobardo.

Fotogramma dal film Marie Antoinette, di Sofia Coppola, con Kirsten Dunst e Jason Schwartzman, usa, Giappone, Francia 2006.

T8

Morte di adelchi: la visione pessimistica della storia

• l’ineluttabilità del destino • l’impossibilità di porre rimedio al male

dall’Adelchi, atto V, scene VIII-X

• la morte come raggiungimento

Temi chiave

del mondo

della pace eterna

Adelchi, alla notizia della resa di Pavia, la capitale del Regno • la concezione negativa del potere longobardo, e della prigionia del padre, pensa per un momento al suicidio; poi si risolve a fuggire presso l’imperatore d’Oriente, per riorganizzare la riscossa, ma è sorpreso dai Franchi. Mentre Desiderio implora Carlo di concedere la salvezza al figlio, viene condotto Adelchi, ferito a morte.

> Metro: endecasillabi sciolti.

Scena Viii adelchi

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Cessa i lamenti, cessa, o padre, per Dio! Non era questo il tempo di morir? Ma tu, che preso vivrai, vissuto nella reggia1, ascolta. Gran segreto è la vita, e nol comprende che l’ora estrema2. Ti fu tolto un regno: deh! nol pianger; mel credi3. Allor che a questa

1. tu, che … reggia: tu che vivrai prigioniero, dopo aver vissuto in una reggia.

2. e nol … estrema: e non lo si comprende che nell’ora della morte.

3. mel credi: credimi.

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L’età del Romanticismo

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ora tu stesso appresserai, giocondi si schiereranno al tuo pensier dinanzi gli anni in cui re non sarai stato, in cui né una lagrima pur notata in cielo fia contra te, né il nome tuo saravvi con l’imprecar de’ tribolati asceso4. Godi che re non sei, godi che chiusa all’oprar t’è ogni via5: loco a gentile, ad innocente opra non v’è; non resta che far torto, o patirlo6. Una feroce forza il mondo possiede, e fa nomarsi dritto7: la man degli avi insanguinata seminò l’ingiustizia; i padri l’hanno coltivata col sangue; e omai la terra altra messe non dà8. Reggere iniqui dolce non è; tu l’hai provato: e fosse; non dee finir così?9 Questo felice, cui la mia morte fa più fermo il soglio10, cui tutto arride, tutto plaude e serve, questo è un uom che morrà. deSiderio

Ma ch’io ti perdo, 365

figlio, di ciò chi mi consola? adelchi

Il Dio che di tutto consola. (si volge a Carlo) E tu, superbo nemico mio… 4. Allor … asceso: Quando tu stesso ti avvicinerai alla morte, ti scorreranno lieti dinanzi al pensiero gli anni in cui non sarai stato re, in cui in cielo non potrà esserti imputata neppure una lacrima fatta versare da te, né il tuo nome vi sarà salito con le imprecazioni della gente da te fatta soffrire. 5. chiusa … via: ti è preclusa ogni possibilità d’azione.

6. loco … patirlo: non vi è posto per un’azione nobile o innocente, esente da colpa; non resta che far torto o subirlo. 7. Una … dritto: Una forza feroce (la legge del più forte) domina il mondo, e si fa passare per diritto. 8. altra … dà: non dà altro frutto che l’ingiustizia. 9. Reggere … così?: Governare ricorrendo

all’ingiustizia (iniqui) non è dolce; tu l’hai provato: e anche se fosse dolce, non deve finire tutto nella morte? 10. Questo … soglio: Quest’uomo fortunato (Carlo Magno) a cui la mia morte rende più sicuro il trono.

pesare le parole Tribolati (v. 350)

> Viene dal greco tríbolos, “spino”. Tribolare dunque vuol dire “tormentare, far soffrire”, come quando si piantano delle spine nella carne. È usato anche in senso intransiti-

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vo, “soffrire, patire” (es. ha tribolato tutta la vita lottando contro la povertà).

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni carlo

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Con questo nome, Adelchi, più non chiamarmi; il fui: ma con le tombe empia e villana è nimistà11; né tale, credilo, in cor cape di Carlo12. adelchi

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E amico il mio parlar sarà, supplice, e schivo d’ogni ricordo ad ambo amaro13, e a questo14 per cui ti prego, e la morente mano ripongo nella tua. Che tanta preda15 tu lasci in libertà… questo io non chiedo… Ché vano, il veggo, il mio pregar saria, vano il pregar d’ogni mortale. Immoto è il senno tuo16; né a questo segno arriva il tuo perdon. Quel che negar non puoi senza esser crudo17, io ti domando. Mite, quant’esser può, scevra d’insulto sia la prigionia di questo antico, e quale la imploreresti al padre tuo, se il cielo al dolor di lasciarlo in forza altrui ti destinava18. Il venerabil capo d’ogni oltraggio difendi: i forti contro i caduti, son molti; e la crudele vista ei non deve sopportar d’alcuno che vassallo19 il tradì. carlo

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Porta all’avello20 questa lieta certezza: Adelchi, il cielo testimonio mi sia; la tua preghiera è parola di Carlo. adelchi

Il tuo nemico prega per te, morendo.

SCENA IX Arvino, Carlo, Desiderio, Adelchi

11. nimistà: ostilità, guerra. 12. né tale … Carlo: non vi è nel cuore di Carlo, credilo, tale ostilità. 13. schivo … amaro: tale da evitare ogni ricordo amaro per entrambi, come il ripudio di Ermengarda.

14. a questo: Desiderio. 15. tanta preda: un prigioniero così importante, re Desiderio. 16. Immoto … tuo: Irremovibile è la tua volontà. 17. crudo: crudele.

18. e quale … destinava: e quale la imploreresti per tuo padre, se il cielo ti avesse destinato a lasciarlo in balìa di un altro. 19. vassallo: pur essendo suo vassallo. 20. avello: tomba.

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L’età del Romanticismo

arVino

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Impazienti, invitto re, chiedon guerrieri e duchi d’essere ammessi. adelchi

Carlo! carlo

Alcun non osi avvicinarsi a questa tenda. Adelchi è signor qui. Solo d’Adelchi il padre, e il pio ministro del perdon divino21 han qui l’accesso. (parte con Arvino)

SCENA X Desiderio, Adelchi deSiderio

Ahi, mio diletto! adelchi

O padre, 400

fugge la luce da quest’occhi. deSiderio

Adelchi, no, non lasciarmi! adelchi

O Re de’ re tradito da un tuo Fedel, dagli altri abbandonato22!… Vengo alla pace tua: l’anima stanca accogli. deSiderio

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Ei t’ode: oh ciel! tu manchi! ed io… in servitude a piangerti rimango.

21. il pio … divino: il sacerdote. 22. O Re … abbandonato: invoca Cristo,

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tradito da uno dei suoi apostoli e abbandonato dagli altri.

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

competenze attivate

Analisi attiva coMprenDere

> Il congedo di adelchi

• Leggere, comprendere e interpretare testi letterari: teatro • Produrre testi di vario tipo in relazione ai differenti scopi

comunicativi • Dimostrare consapevolezza della storicità della letteratura

Ferito a morte, Adelchi consola il padre Desiderio della perdita del regno: sulla terra non è possibile agire senza compiere o subire ingiustizie; è dunque preferibile la condizione di chi non ha potere ed è al riparo dalle iniquità. Riconciliatosi con il nemico Carlo, che gli promette rispetto per il vecchio padre, Adelchi muore rasserenato: il tormento dell’aristocratica “anima bella” in conflitto con la realtà trova uno sbocco nella fuga dal mondo verso la pace consolatrice di Dio.

> 1. Riassumi il contenuto delle scene in non più di 10 righe (500 caratteri) complessive.

> 2. Svolgi la parafrasi dei versi 370-389. > 3. Chi sono i «guerrieri e duchi» del verso

394? Perché chiedono di essere ammessi al cospetto di Carlo? Perché Carlo li respinge?

anaLIzzare

> La concezione pessimistica della storia

Adelchi muore enunciando una visione della realtà radicalmente pessimistica. La storia è per lui dominata dalla violenza e dall’ingiustizia, che si perpetuano nelle generazioni in una catena ininterrotta. Non esiste nel mondo il diritto, ma solo una forza feroce che si fa passare per diritto. Non vi è spazio per azioni magnanime: agire in un simile contesto significa inevitabilmente compiere del male. E non vi è modo di porvi rimedio: chi agisce per contrastare il male è costretto a compiere altro male; perciò «non resta / che far torto, o patirlo». La condizione del potente, colui che ha la responsabilità di fare la storia, è totalmente negativa: il meccanismo brutale della realtà lo costringe a seminare ingiustizie e sofferenze, e rende cupa e infelice la sua vita, circondandolo di odio e di esecrazione. Non bisogna perciò farsi coinvolgere dall’ambizione del potere: solo l’ora della morte fa comprendere questo grande segreto. Nelle parole di Adelchi morente si delinea dunque una svalutazione totale della sfera politica. Il male del mondo è irrimediabile. L’unica alternativa al suo meccanismo feroce è la dimensione dell’eterno («Vengo alla pace tua: l’anima stanca / accogli»).

> Desiderio e carlo

In queste scene finali il personaggio di Desiderio, che per tutta la tragedia vive esclusivamente nella dimensione della politica e della ragion di Stato, acquista una fisionomia più umana. Non è più il sovrano superbo e tirannico, teso solo ad ampliare il proprio potere, ma esclusivamente il padre, prostrato dal dolore inconsolabile di perdere il figlio. Anche Carlo, personaggio in precedenza egualmente tutto “politico”, mostra una faccia più magnanima, nel rispetto cavalleresco per il nemico morente e nella promessa di trattare mitemente il vecchio Desiderio prigioniero.

> 4. Che cosa intende dire Adelchi quando, indicando il vincitore Carlo, afferma «questo è un uom che morrà» (v. 364)? Quale valutazione delle vicende terrene deriva dalla consapevolezza di dover morire? > 5. Quale atteggiamento mostra Adelchi di fronte alla morte? Esprime paura, rimpianto, rassegnazione, consolazione o altri sentimenti?

> 6. Qual è secondo Adelchi la ragione per cui nel mondo prevale la legge della violenza? A chi deve essere attribuita la responsabilità del dominio della forza nella storia?

> 7. Qual è il sentimento prevalente di Desiderio di fronte all’imminente morte di Adelchi? Condivide la sua stessa valutazione della morte? > 8. Quale ragione spinge Carlo a manifestare rispetto e accondiscendenza nei confronti di Adelchi?

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L’età del Romanticismo

> La sintassi spezzata

> 9. Individua e commenta gli enjambements più significativi dei versi 351-360. > 10. Nei versi 351-354 quali frasi esprimono un’esortazione, quali invece un’affermazione? Quali tra questi versi esprimono la causa e quali l’effetto? Con quale congiunzione potrebbero essere sostituiti i due punti del verso 352?

> altri aspetti formali

> 11. Individua e commenta nel discorso di Adelchi altre significative antitesi. > 12. Osserva la struttura dei versi 380385. La sintassi è ampia e fluida o secca e spezzata? Prevale la coordinazione o la subordinazione? Come potresti definire il tono con cui Adelchi si rivolge a Carlo? Riporta dal testo un altro esempio di costruzione sintattica simile.

All’intensità drammatica della scena dà il suo apporto la struttura sintattica dei discorsi di Adelchi. Nel punto culminante in cui l’eroe enuncia la sua visione pessimistica della storia (vv. 342-344, vv. 351-360) essa è composta da frasi brevi, secche e solenni, atte a rendere il carattere definitivo, senza possibilità di alternative, delle sue sentenze. La brevità delle frasi conferisce al discorso anche un ritmo spezzato, che fa sentire l’angosciosa tensione del momento. Vi contribuisce l’uso frequente dell’enjambement, che ha l’effetto di spezzare analogamente la fluidità del dettato. La parola tronca che conclude la prima parte («questo è un uom che morrà») conferisce solennità alla chiusa e dà il senso di un destino ineluttabile che attende l’uomo, dinanzi a cui si vanificano tutte le cose del mondo. Il discorso è nudo ed essenziale, povero di artifici retorici, soprattutto di traslati, e per questo spicca particolarmente una metafora, quella della semina e della messe (vv. 356-359), che gioca anche su un’antitesi: la messe evoca idee positive di fecondità e di pace, mentre si tratta di una messe di ingiustizie, seminata e coltivata col sangue. La sintassi si fa più fluida quando la tensione drammatica si attenua, nell’apostrofe a Carlo perché usi clemenza verso il re Desiderio prigioniero, con un appello a sentimenti miti come il rispetto per la vecchiaia, che richiama la figura paterna. La sintassi spezzata, fatta di brevi frasi, ritorna nella conclusione della scena X, nell’ultimo scambio di battute fra il figlio morente e il padre, altro culmine drammatico.

approfonDIre e InTerpreTare > Il pessimismo di adelchi e i Promessi sposi

È stata sottolineata una differenza tra la visione del mondo espressa da Adelchi e la concezione che domina nei Promessi sposi, dove il pessimismo sulla storia appare temperato dalla fiducia nella possibilità, da parte dell’uomo, di intervenire a sanare almeno parzialmente mali e ingiustizie (si pensi all’azione di fra Cristoforo, del cardinal Federigo, dell’innominato dopo la conversione). Ma in realtà la distanza fra la tragedia e il romanzo non è così grande. È importante in questo senso la figura di Carlo Magno. Il re dei Franchi è certo il rappresentante tipico dei personaggi “politici”, che mirano solo a fini di potenza, incuranti delle sofferenze e delle ingiustizie che provocano. Però il suo intervento in Italia ha il risultato di salvare il papa dalle scorrerie dei Longobardi e di garantire ai Latini schiavizzati da essi, se non la libertà, almeno un «principio di riposo», come Manzoni scrive nel Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia, che accompagna la tragedia. Quindi anche nell’Adelchi si prospetta una possibilità di agire positivamente nella storia, attenuando il male connesso con la condizione terrena, contrariamente a quanto afferma Adelchi morente. L’azione politica, anche se non obbedisce a ragioni ideali ma a puro realismo, viene in certo modo riscattata all’interno del disegno provvidenziale, perché ne possono scaturire effetti positivi nel corso della storia.

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> 13. Quali somiglianze si possono osservare tra il comportamento di Carlo in queste scene e quello dell’innominato dopo la conversione nei Promessi sposi? > 14. Quale ruolo assegna Manzoni alla Provvidenza divina nella storia? Rispondi facendo riferimento alle opere a te note.

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

Analisi interattiva

T9

coro dell’atto III

Temi chiave

• l’attenzione rivolta ai popoli ignorati dalla

dall’Adelchi, atto III

storia

Il coro si inserisce nell’azione drammatica della tragedia nel momento in cui i Franchi, rotte le difese longobarde, invadono la pianura, e ricostruisce le reazioni dei Latini all’annuncio della sconfitta dei loro oppressori.

• l’interesse cattolico per gli umili e i vinti • il rifiuto della concezione eroica classicistica • un poesia storica, politica e “popolare”

> Metro: undici strofe di sei dodecasillabi ciascuna. Il verso

dodecasillabo risulta dalla fusione di due senari, separati da una cesura. Rime: AABCCB. I versi 3 e 6 sono tronchi.

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Dagli atrii muscosi1, dai Fori cadenti2, dai boschi, dall’arse fucine stridenti3, dai solchi bagnati di servo sudor4, un volgo disperso repente si desta; intende l’orecchio, solleva la testa percosso da novo crescente romor5. Dai guardi dubbiosi, dai pavidi volti, qual raggio di sole da nuvoli folti, traluce de’ padri la fiera virtù6: ne’ guardi, ne’ volti confuso ed incerto si mesce e discorda lo spregio sofferto col misero orgoglio d’un tempo che fu7. S’aduna voglioso8, si sperde tremante, per torti9 sentieri, con passo vagante, fra tema e desire10, s’avanza e ristà; e adocchia e rimira11 scorata e confusa de’ crudi signori la turba diffusa12, che fugge dai brandi13, che sosta non ha. Ansanti li vede, quai trepide fere14, irsuti per tema le fulve criniere15, le note latebre16 del covo cercar; e quivi, deposta l’usata minaccia17, le donne superbe, con pallida faccia, i figli pensosi pensose guatar18. E sopra i fuggenti, con avido brando, quai cani disciolti19, correndo, frugando, da ritta, da manca20, guerrieri venir: li vede, e rapito d’ignoto contento21, con l’agile speme precorre l’evento, e sogna la fine del duro servir22.

1. atrii muscosi: gli atrii degli antichi palazzi romani, ormai abbandonati e ricoperti di muschio. 2. Fori cadenti: il Foro era il centro della vita civile dei Romani, dove sorgevano gli edifici più splendidi, che ora sono in rovina.

3. dall’arse … stridenti: dalle officine dei fabbri, riarse dai fuochi che servono a forgiare i metalli e stridenti per il rumore dei metalli lavorati. 4. solchi … sudor: i campi coltivati dal lavoro degli schiavi. 5. un volgo … romor: al rumore della bat-

taglia tra Franchi e Longobardi, il popolo latino si sveglia all’improvviso dal torpore della schiavitù. Il Manzoni lo definisce volgo, perché privo di unità e di coscienza nazionale, oltre che della libertà. 6. de’ padri … virtù: il valore degli antichi Romani. 7. ne’ guardi … che fu: negli sguardi e nei volti l’umiliazione della schiavitù si mescola e contrasta con le tracce dell’antico orgoglio, ormai vano. 8. voglioso: animato da un confuso desiderio di libertà. 9. torti: tortuosi, fuori mano. 10. fra … desire: incerto fra il timore degli antichi padroni, i Longobardi, e il desiderio di vederli sconfitti. 11. e adocchia e rimira: prima sogguarda con paura, poi osa fissare lo sguardo. 12. de’ crudi … diffusa: la folla dispersa dei crudeli signori, scoraggiati e smarriti. 13. dai brandi: dalle spade dei Franchi. 14. quai trepide fere: come fiere braccate e tremanti. 15. irsuti … criniere: con le chiome rossastre irte per la paura. 16. le note latebre: nascondigli. 17. l’usata minaccia: il consueto atteggiamento minaccioso. 18. i figli … guatar: guardare i figli preoccupate del loro destino. Guatar, come il cercar del verso 21 e il venir del verso 27, è retto da li vede, verso 19. 19. quai cani disciolti: i guerrieri franchi sono come cani sguinzagliati alla caccia dei Longobardi, già paragonati a fiere al verso 19. 20. da ritta, da manca: da destra e da sinistra. 21. ignoto contento: contentezza finora ignota. 22. con l’agile … servir: con la speranza anticipa gli eventi futuri e sogna la fine della sua schiavitù.

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Udite! Quei forti che tengono il campo23, che ai vostri tiranni precludon lo scampo24, son giunti da lunge25, per aspri sentier: sospeser le gioie dei prandi26 festosi, assursero in fretta dai blandi riposi27, chiamati repente da squillo guerrier28. Lasciar29 nelle sale del tetto natio le donne accorate, tornanti all’addio30, a preghi e consigli che il pianto troncò: han carca la fronte de’ pesti cimieri31, han poste le selle sui bruni corsieri, volaron sul ponte che cupo sonò32. A torme, di terra passaron in terra, cantando giulive canzoni di guerra, ma i dolci castelli pensando nel cor: per valli petrose, per balzi dirotti33, vegliaron nell’arme le gelide notti, membrando i fidati colloqui d’amor34. Gli oscuri perigli di stanze incresciose, per greppi senz’orma le corse affannose, il rigido impero, le fami durar35; si vider le lance calate sui petti, a canto agli scudi, rasente agli elmetti, udiron le frecce fischiando volar. E il premio sperato, promesso a quei forti, sarebbe, o delusi, rivolger le sorti, d’un volgo straniero por fine al dolor?36 Tornate alle vostre superbe ruine37, all’opere imbelli38 dell’arse officine, ai solchi bagnati di servo sudor. Il forte si mesce39 col vinto nemico, col nuovo signore rimane l’antico; l’un popolo e l’altro sul collo vi sta. Dividono i servi, dividon gli armenti; si posano insieme sui campi cruenti40 d’un volgo disperso che nome non ha.

23. Quei … campo: I Franchi, rimasti padroni del campo di battaglia. 24. precludon lo scampo: impediscono la fuga. 25. lunge: lontano. 26. prandi: pranzi. 27. assursero … riposi: si alzarono in fretta dai dolci riposi. 28. chiamati … guerrier: chiamati all’im-

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provviso dalle trombe guerriere. 29. Lasciar: Lasciarono. 30. tornanti all’addio: che ripetutamente davano loro l’addio, che non riuscivano a staccarsi. 31. han … cimieri: hanno caricata la fronte degli elmi che recano i segni delle passate battaglie. 32. ponte … sonò: il ponte levatoio del castello.

33. dirotti: dirupati. 34. membrando … d’amor: ricordando l’abbandono fiducioso dei colloqui d’amore, in contrasto con la tensione della veglia d’armi. 35. Gli oscuri … durar: Sopportarono gli oscuri pericoli di soste forzate, le corse affannose sul ciglio di burroni dove mai uomo aveva posto piede, la rigida disciplina militare, la fame. 36. d’un volgo … dolor?: mutare le condizioni di un popolo straniero, liberarlo? 37. superbe ruine: rovine che testimoniano un passato di grandezza. 38. opere imbelli: le attività pacifiche, che hanno tolto ai Latini le virtù guerriere necessarie per liberarsi dal dominio dei barbari. 39. si mesce: si mescola, formando un popolo solo. 40. cruenti: bagnati dal sangue sia dei popoli che hanno invaso la penisola, sia dei Latini uccisi durante le invasioni.

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

Analisi del testo

> Le masse ignorate dalla storia

La sorte del popolo latino ignorato dalla storia

L’influenza dello storico Thierry

L’interesse cattolico per gli “umili” Il rifiuto della concezione eroica

Il coro affronta un motivo storico che a Manzoni sta molto a cuore, ma che nello sviluppo drammatico della tragedia rimane solo sullo sfondo: la sorte del popolo latino sotto il dominio longobardo, le condizioni di vita di quella massa di uomini comuni che non hanno una funzione attiva nel determinare il corso storico e che la storia ufficiale ignora (come Manzoni si esprime nel Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica: «un’immensa moltitudine d’uomini, una serie di generazioni, che passa sulla sua terra, inosservata, senza lasciarci traccia»). Le convenzioni del genere tragico impongono allo scrittore di trattare solo le vicende dei grandi della storia, re, principi, duchi. Ma nel coro egli si riserva un «cantuccio» anche per trattare delle masse anonime e dimenticate. Questo interesse è sollecitato in Manzoni dall’influenza di uno storico liberale francese, Augustin Thierry, che aveva indagato i rapporti che nel Medioevo esistevano tra popoli germanici invasori e popoli latini sottomessi e aveva indicato l’origine dei conflitti di classe nei conflitti di razza tra conquistatori e conquistati, esprimendo la propria simpatia per gli oppressi. Tuttavia, al di là di questa influenza storiografica, la concezione manzoniana ha dietro di sé un più vasto retroterra culturale e ideologico: in primo luogo il cattolicesimo, che spinge Manzoni, in obbedienza allo spirito evangelico, a concentrare il suo interesse sulla sorte degli “umili”; in secondo luogo la visione della realtà che era propria di tutta la borghesia moderna europea, che rivendicava il pieno diritto della gente comune a suscitare l’interesse della letteratura e rifiutava quella concezione eroica, propria della società aristocratica e della visione classicistica, che giudicava degne di interesse solo le gesta dei grandi personaggi. Quello che qui è relegato nel «cantuccio» del coro verrà in primo piano nel romanzo.

> La poesia storica e politica

La ricostruzione dei sentimenti dei popoli

Il messaggio politico Le tre scene

Il coro è un perfetto esempio di poesia storica, nel senso definito da Manzoni nella Lettre à M. Chauvet: il poeta completa la storia tramandata dai documenti, ricostruendo, dai fatti compiuti dagli uomini, ciò che essi hanno pensato e sentito nel compierli: qui le speranze dei Latini al vedere sconfitti i loro crudeli oppressori, l’umiliazione e lo sgomento dei Longobardi, che sentono incombere su di loro un oscuro destino, lo stato d’animo dei conquistatori Franchi, la nostalgia della patria e delle loro donne, le speranze di conquista e di bottino. La differenza rispetto alle teorizzazioni della Lettre è che qui non sono ricostruiti i sentimenti di personaggi individuali, ma di popoli interi, di grandi collettività. Ma il coro è anche un esempio di poesia politica. La ricostruzione del passato è analisi del presente, un messaggio per chi in esso vive. Il messaggio politico inviato da Manzoni agli italiani contemporanei è di non contare su forze straniere per la liberazione nazionale. L’invito non è espresso in forme oratorie e predicatorie, ma è risolto in rappresentazione, in scene drammaticamente animate. Sono tre le scene che si succedono: il risveglio del «volgo disperso» ed il suo vagare incerto, in preda a timore e desiderio; la fuga dei Longobardi, che assumono qualcosa di animalesco nella loro paura («trepide fere», «fulve criniere», «covo»); infine il sopraggiungere incalzante dei vincitori. Quest’ultima scena dà luogo ad un flashback, che rievoca varie scene precedenti: la partenza dei Franchi dai loro castelli, le marce, le battaglie; scene che rivelano il gusto storico dello scrittore, la volontà di restituire l’atmosfera della vita di un lontano passato. Il coro si chiude con l’apostrofe ai Latini (e agli italiani del presente). Compare qui l’unica mossa oratoria della lirica, costituita da un’interrogazione retorica e da un imperativo. Ma poi la dura lezione ricavabile dalla storia, nella strofa conclusiva, è espressa attraverso una serie di frasi brevi, secche e oggettive.

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L’età del Romanticismo

La forte cadenza del dodecasillabo

La paratassi

Il confronto con la sintassi foscoliana

Una poesia popolare Il lessico mantiene in parte l’aulicità

> Gli aspetti formali

Osserviamo gli aspetti formali della lirica. Il dodecasillabo, al pari del decasillabo, molto amato dalla poesia risorgimentale, è un verso fortemente cadenzato, poiché gli accenti ritmici ricorrono costantemente nelle stesse sedi (seconda e quinta, ottava e undicesima), quindi anch’esso possiede qualche cosa di marziale e incalzante. Però, essendo più ampio e più solenne del decasillabo, si presta non tanto a una veemente oratoria, quanto alla rievocazione storica ed epica. Il ritmo della poesia è dato anche dalla struttura sintattica ricorrente. È una struttura preminentemente paratattica: i complementi e le proposizioni si susseguono e si accumulano in serie parallele, per asindeto (senza congiunzioni). Si veda come campione la prima strofa: nei primi tre versi vi è l’anafora reiterata, martellante, dei cinque complementi di moto da luogo («dagli atrii», «dai Fori», «dai boschi», «dall’arse fucine», «dai solchi»), separati da virgole; negli altri versi, la successione delle tre brevi proposizioni coordinate per asindeto («si desta», «intende l’orecchio», «solleva la testa»). Questi segmenti sintattici prevalentemente coincidono con la misura del verso, o addirittura dell’emistichio, per cui la pausa della virgola è potenziata dalla cesura che separa i due senari («Dagli atrii muscosi, // dai Fori cadenti», «intende l’orecchio, // solleva la testa»). L’analisi può facilmente estendersi al resto del componimento. Può essere istruttivo paragonare questa sintassi, fatta di proposizioni brevi, in cadenzata successione, chiuse entro la misura dei brevi senari ritmati, con le clausole ampie della sintassi del Foscolo, con la ricchezza di modulazioni del suo endecasillabo, con la frequenza degli enjambements con cui la sintassi scavalca la misura del verso: si ha la percezione di come Manzoni mirasse a una poesia “popolare”, di forte intensità drammatica e di immediata presa sul lettore, in opposizione all’aulicità aristocratica della poesia classicheggiante. Solo nel lessico la poesia manzoniana conserva una patina di aulicità («téma», «desire», «crudi», «brandi», «fere», «latebre», «guatar», «speme», «prandi», «dirotti», «membrando», «impero», «volgo», «perigli», «durar», «ruine»), anche se l’aulicità è meno preziosa che nel discorso poetico foscoliano e può andare unita a termini più comuni.

Esercitare le competenze

Laboratorio interattivo

coMprenDere

> 1. Quale rappresentazione emerge dal coro dei Latini, dei Longobardi e dei Franchi, i popoli protagonisti della scena? anaLIzzare

> 2. stile Identifica le figure retoriche presenti nelle espressioni che seguono, spiegandone l’efficacia sul piano espressivo: a) «misero orgoglio» (v. 12); b) «i figli pensosi pensose guatar» (v. 24); c) «quai cani disciolti» (v. 26); d) «del tetto natio» (v. 37); e) «col nuovo signore rimane l’antico» (v. 62). > 3. Lessico Individua nel testo, spiegando a quali temi si ricollegano, vocaboli e/o espressioni riferiti a: a) storia antica; b) lavoro degli uomini; c) politica; d) azioni militari; e) sentimenti dei popoli. > 4. Lingua Individua nel testo le parole tronche spiegandone la funzione. approfonDIre e InTerpreTare

> 5.

contesto: storia L’ammonimento rivolto da Manzoni al popolo latino può intendersi come riferito agli italiani a lui contemporanei: indica quali dominatori stranieri si celano dietro ai Longobardi e ai Franchi e spiega quali costanti si possono rintracciare nella storia dell’Italia a distanza di più di mille anni. passaTo e presenTe L’identità di un popolo

> 6. Dopo aver riflettuto sul fatto che per ben due volte Manzoni chiama i Latini «volgo disperso» (vv. 4 e 66),

confrontati con l’insegnante e i compagni in un dibattito in classe sul nome che oggi il popolo italiano riconosce a se stesso: qual è la “carta d’identità” che mostra al mondo? Può essere considerato unito e coeso? Si può considerare ormai trascorsa la fase storica cui ha dato voce lo scrittore ottocentesco?

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Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

Analisi interattiva

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Morte di ermengarda dall’Adelchi, coro dell’atto IV La parte lirica costituita dal coro si presenta come immediato sviluppo della scena drammatica precedente e prende le mosse dall’immagine di Ermengarda ormai sul letto di morte.

> Metro: venti strofe di settenari, alternatamente sdruccioli e

Temi chiave

• il conflitto romantico fra ideale e reale • l’incarnazione della donna angelo nella figura di Ermengarda

• il carattere epico e drammatico della poesia • la morte come liberazione dalle sofferenze terrene

• il valore provvidenziale e purificatore della sventura

piani, con un verso tronco in chiusura; schema delle rime: abcbde.

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Sparsa le trecce morbide sull’affannoso petto, lenta le palme, e rorida1 di morte il bianco aspetto, giace la pia, col tremolo sguardo cercando il ciel. Cessa il compianto2: unanime s’innalza una preghiera: calata in su la gelida fronte, una man leggiera3 sulla pupilla cerula stende l’estremo vel. Sgombra, o gentil, dall’ansia mente i terrestri ardori4, leva all’Eterno un candido pensier d’offerta, e muori: fuor della vita5 è il termine del lungo tuo martir. Tal della mesta, immobile era quaggiuso il fato: sempre un obblio di chiedere che le saria negato; e al Dio de’ santi ascendere, santa del suo patir. Ahi! nelle insonni tenebre, pei claustri solitari6, tra il canto delle vergini, ai supplicati altari, sempre al pensier tornavano gl’irrevocati dì;

versi 1-12 Con le morbide trecce sparse sul petto affannoso, le mani abbandonate (lenta le palme) e il volto (aspetto) pallido imperlato (rorida) dal sudore della morte, Ermengarda (la pia) giace cercando il cielo con lo sguardo tremante. Il compianto si in-

terrompe: una preghiera si innalza all’unisono: una mano leggera abbassandosi sulla fronte gelida, sulla pupilla azzurra (cerula) stende l’estremo velo (della morte). 1. Sparsa … lenta … rorida: si tratta di tre complementi di relazione.

2. Cessa il compianto: delle suore che stanno intorno al letto della morente. 3. una man leggiera: è immagine indeterminata e metaforica: probabilmente la mano di Dio. versi 13-24 (O) nobile creatura (gentil), sgombra dall’animo angosciato (ansia mente) le passioni terrene (l’amore per Carlo), innalza al Signore un puro pensiero devoto (d’offerta), e muori: la meta che può dare un significato al tuo lungo martirio (e riscattarlo) è fuori della vita. Questo era il destino immodificabile dell’infelice sulla terra (quaggiuso): di chiedere sempre un oblio, che le sarebbe stato (saria) negato; e salire al Dio dei santi, resa santa dalle sue sofferenze (suo patir). 4. terresti ardori: l’amore per Carlo. 5. fuor della vita: cioè nella vita eterna. versi 25-36 Ahi! nelle notti (tenebre) insonni, per i chiostri (claustri) solitari, tra il canto delle monache (vergini), (dinanzi) agli altari a cui si rivolgeva supplice (supplicati), sempre nel pensiero tornava il ricordo del passato, anche se Ermengarda non voleva rievocarlo (irrevocati dì); quando, ancor amata (da Carlo), non prevedendo (improvida) che l’avvenire avrebbe deluso le promesse di felicità del presente (mal fido), ebbra di gioia respirò l’aria vivificatrice della terra di Francia (Franco lido) e uscì invidiata tra le altre spose franche. 6. claustri solitari: del convento dove Ermengarda era rinchiusa.

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quando ancor cara, improvida d’un avvenir mal fido, ebbra spirò le vivide aure del Franco lido, e tra le nuore Saliche7 invidiata uscì: quando da un poggio aereo, il biondo crin gemmata, vedea nel pian discorrere la caccia affaccendata, e sulle sciolte redini chino il chiomato sir; e dietro a lui la furia de’ corridor fumanti, e lo sbandarsi, e il rapido redir dei veltri ansanti; e dai tentati triboli l’irto cinghiale uscir; e la battuta polvere rigar di sangue, colto dal regio stral: la tenera alle donzelle il volto volgea repente, pallida d’amabile terror. Oh Mosa errante! oh tepidi lavacri d’Aquisgrano!8 ove, deposta l’orrida maglia, il guerrier sovrano scendea del campo a tergere il nobile sudor!

7. nuore Saliche: i Salii erano Franchi del basso Reno. versi 37-54 quando da un alto colle (poggio aereo), con i biondi capelli (crin) adorni di gemme (gemmata), vedeva nella pianura correre (discorrere) uomini e cani affaccendati nella caccia, e il re dalle lunghe chiome (chiomato) chino sulle briglie sciolte; e dietro di lui la furia dei cavalli fumanti di sudore (corridor fumanti), e lo sbandarsi, e il rapido ritornare (redir) dei cani (veltri) ansanti; e l’irsuto cinghiale uscire dai cespugli frugati dai battitori (tentati triboli); e rigare di sangue la polvere calpestata (battuta), colto dalla freccia (stral) del re: Ermengarda (la tenera) distoglieva subito (volgea repente) il volto verso le ancelle, pallida di paura e per questo ancora più bella e amabile. versi 55-72 O Mosa dal corso tortuoso! oh tiepidi bagni di Aquisgrana! dove il re guerriero, deposta la maglia irta di scaglie di ferro (orrida), scendeva a lavare il glorioso sudore del campo di battaglia! Come la rugiada che si posa sul cespo (cespite) d’erba inaridita, fa rifluire fresca la vita negli steli (calami) riarsi, che risorgono ancora verdi alla temperatura mite dell’alba (temperato albor); così sul pensiero (di Ermengarda), che è sconvolto dalla violenza senza pietà (empia / virtù) dell’amore, scende il refrigerio di una parola amica e distoglie (diverte) il cuore (dall’amore terreno) indirizzandolo a quell’amore divino (altro amor), che dà una tranquilla gioia (placidi / gaudii). 8. Oh Mosa … Aquisgrano!: la Mosa era il fiume presso cui sorgeva Aquisgrana, dove Carlo aveva posto la sua reggia. Nella località sgorgano fonti termali calde.

Giuseppe Bezzuoli, Lo svenimento di Ermengarda, 1837, disegno a matita nera e bianca su carta bianca, Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto Disegni e Stampe.

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Come rugiada al cespite dell’erba inaridita, fresca negli arsi calami fa rifluir la vita, che verdi ancor risorgono nel temperato albor; tale al pensier, cui l’empia virtù d’amor9 fatica, discende il refrigerio d’una parola amica10, e il cor diverte ai placidi gaudii d’un altro amor. Ma come il sol che reduce l’erta infocata ascende, e con la vampa assidua l’immobil aura11 incende, risorti appena i gracili steli riarde al suol; ratto così dal tenue obblio torna immortale l’amor sopito, e l’anima impaurita assale, e le sviate immagini richiama al noto duol. Sgombra, o gentil, dall’ansia mente i terrestri ardori; leva all’Eterno un candido pensier d’offerta, e muori: nel suol che dee la tenera tua spoglia ricoprir, altre infelici dormono, che il duol consunse; orbate spose dal brando12, e vergini indarno fidanzate13; madri che i nati videro trafitti impallidir14. Te dalla rea progenie degli oppressor discesa, cui fu prodezza il numero, cui fu ragion l’offesa, e dritto il sangue, e gloria il non aver pietà,

9. virtù d’amor: non è empia perché la passione sia peccaminosa; anzi è amore coniugale, quindi casto e lecito, in teoria: vedi La Pentecoste (vv. 135-136, T5, p. 384): «consacra delle spose / il verecondo amor», e l’«Addio, monti» al cap. VIII dei Promessi sposi: «il sospiro segreto del cuore doveva essere solennemente bene-

detto, e l’amore venir comandato, e chiamarsi santo». In questo caso però la potenza dell’amore è empia perché, con il suo peso terrestre, sconvolge la fragile purezza di una creatura che non è fatta per questa terra. 10. parola amica: da parte della sorella Ansberga e delle altre monache.

versi 73-84 Ma come il sole che, risorgendo, sale (ascende) nella sua infuocata parabola nel cielo e con la sua vampa continua (assidua) incendia l’aria immobile, riarde abbattendoli al suolo i gracili steli appena risollevatisi; così l’amore immortale solo momentaneamente sopito torna rapido (ratto) dopo il leggero oblio e assale l’anima impaurita, e richiama al noto dolore le immagini mentali che temporaneamente se ne erano distolte (sviate). 11. immobil aura: non mitigata cioè da alcun soffio di vento. versi 85-96 (O) nobile creatura, sgombra dall’animo angosciato (ansia mente) le passioni terrene (l’amore per Carlo), innalza al Signore un puro pensiero devoto (d’offerta), e muori: nella terra che deve ricoprire la tua giovane spoglia, dormono altre infelici, che il dolore condusse alla morte (consunse); spose private dei mariti dalla spada (brando), vergini fidanzate invano (indarno), madri che videro i propri figli (nati) trafitti impallidire. 12. brando: dei conquistatori longobardi. 13. indarno fidanzate: perché gli uomini amati furono uccisi prima delle nozze. 14. impallidir: del pallore della morte. versi 97-108 La sventura provvidenziale collocò fra gli oppressi te, che eri nata dalla stirpe (progenie) colpevole degli oppressori Longobardi, prodi solo perché erano numerosi, che non conoscevano altra forma di diritto se non la legge del più forte e la violenza sanguinaria, ai quali fu motivo di gloria non avere pietà: muori compianta

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te collocò la provida sventura in fra gli oppressi15: muori compianta e placida; scendi a dormir con essi. Alle incolpate ceneri nessuno insulterà. Muori; e la faccia esanime si ricomponga in pace; com’era allor che improvida d’un avvenir fallace16 lievi pensier virginei solo pingea. Così dalle squarciate nuvole si svolge il sol cadente, e, dietro il monte, imporpora il trepido occidente: al pio colono augurio di più sereno dì17.

e tranquilla, scendi a dormire con gli altri oppressi (i Latini). Nessuno recherà oltraggio alle tue ceneri prive di colpe.

15. Te dalla rea … oppressi: il te del verso 97, ripreso al verso 103, è oggetto di collocò, verso 103. Le sventure di Ermengarda sono

state provvidenziali perché l’hanno collocata fra gli oppressi, impedendole di macchiarsi delle colpe degli oppressori e consentendole di non divenire oggetto di odio da parte delle vittime. versi 109-120 Muori; e il tuo volto esanime si ricomponga in pace; come era quando non prevedeva (improvida) che l’avvenire avrebbe deluso le promesse di felicità del presente (avvenir fallace), (e) rifletteva solo i suoi pensieri sereni di vergine. Così dalle nuvole squarciate si libera il sole al tramonto, e dietro le montagne colora di porpora l’occidente, dove l’aria umida per la pioggia tremola (trepido): augurio di un giorno più sereno per il pio contadino (colono). 16. d’un … fallace: ripete la formula dei versi 31 e seguenti. 17. Così … dì: la similitudine è tra il giorno più sereno promesso dal sole che al tramonto esce dalle nuvole e la felicità nell’altra vita di cui è augurio la serena espressione del volto di Ermengarda.

Analisi del testo

> Il personaggio di ermengarda

Il conflitto tra l’anima elevata e il mondo

L’«empia virtù d’amor»

Il superamento del conflitto nell’eterno

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Ermengarda, nel sistema dei personaggi della tragedia, è il “doppio” femminile di Adelchi. Anch’essa è un’anima pura ed elevata, che è estranea ad una realtà retta dalla legge della forza e dell’interesse e si scontra inevitabilmente con la brutalità del mondo (è infatti ripudiata in nome della «ragion di regno»). Ma se Adelchi esprime il rifiuto della realtà nel campo pubblico e politico, Ermengarda lo esprime esclusivamente nel campo privato dei rapporti amorosi. Anch’essa rivela chiaramente una matrice romantica: riproduce la tipica figura della donna angelo, che, nella sua eterea purezza, non è fatta per reggere l’urto delle passioni terrene, e soprattutto della passione amorosa. Il suo è un amore coniugale, quindi lecito e castissimo, eppure la potenza dell’amore (un «amor tremendo») è egualmente «empia» per lei, nel senso che non ha pietà della sua fragilità, e con i suoi «terrestri ardori» la sconvolge e la devasta (si notino le forti metafore insistentemente ripetute: «ardori», «arsi», «infocata», «vampa assidua», «incende», «riarde»). Non per nulla nella memoria di Ermengarda chiusa nel monastero le immagini del marito sono sempre collegate con immagini di violenza e di sangue: la caccia, il cinghiale trafitto dalla freccia del «chiomato sir» (le lunghe chiome nella società barbarica erano segno di forza guerriera), che riga la polvere con il suo sangue, mentre la sposa torce il volto «pallida d’amabile terror», l’«orrida maglia» di ferro che Carlo depone al ritorno dal campo di battaglia. Ermengarda è fatta per i «placidi gaudii» di un altro amore, quello celeste. Per questo rifugge dal contatto col mondo e si protende verso la sua vera patria che è il cielo. Anche per lei, come per Adelchi, la morte è l’unica soluzione al suo conflitto irriducibile con la realtà. E muore come il fratello ( T8, p. 399), guardando al cielo, ansiosa di trovarvi la pace e la liberazione dai suoi tormenti. Nella morte, oltre alla pace, riacquista anche quella ideale verginità interiore che l’urto con la passione terrena aveva contaminato («Muori; e la faccia esanime / si ricomponga in pace; / com’era allor che improvida / d’un avvenir fallace / lievi pensier virginei / solo pingea»).

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

Una poesia epicodrammatica

I flashback

I tre motivi centrali

In questo coro si può misurare appieno la portata dell’innovazione introdotta dalla poesia lirica di Manzoni rispetto alla tradizione dominante da secoli in Italia, quella derivante dal modello petrarchesco, la poesia come esposizione di moti soggettivi, come analisi dell’io del poeta. La poesia manzoniana è invece epica e drammatica: ha un taglio eminentemente narrativo, si fonda sulla costruzione di personaggi, sull’analisi di moti interiori non soggettivi, ma di individualità oggettivate, mette in scena conflitti drammatici. È una lirica in cui è presente già un grande narratore.

> I piani temporali

La poesia è impostata su un complesso gioco di piani temporali e di simmetrie. Si parte dal presente, che vede Ermengarda sul letto di morte (strofe 1-4); poi con un flashback si risale al recente passato, ai tormenti dell’eroina chiusa nel convento, che cerca di soffocare il suo amore mentre il ricordo affiora irresistibilmente nella memoria (strofa 5); attraverso il ricordo di Ermengarda nel passato recente si inserisce, con un secondo flashback incastonato nel precedente, il passato più lontano dei giorni felici trascorsi con Carlo, che prendono corpo nelle due vivide scene della caccia e del ritorno del re dalla guerra (strofe 6-10). Si ritorna poi al passato recente e ai tormenti di Ermengarda con la similitudine dell’erba inaridita (strofe 11-14), e infine si ripresenta la situazione iniziale, al livello temporale del presente, con l’agonia di Ermengarda (strofe 15-20). Ai tre livelli temporali si collegano rispettivamente tre motivi: con il presente il valore purificatore e provvidenziale della sventura («al Dio de’ santi ascendere, / santa del suo patir»; «te collocò la provida / sventura in fra gli oppressi») e la pace ultraterrena; con il passato recente l’«empia virtù d’amor» che fa soffrire Ermengarda; con il passato remoto la felice vita coniugale.

Esercitare le competenze coMprenDere

> 1. Assegna un titolo a ciascuna delle sequenze individuate nell’Analisi del testo, secondo l’esempio proposto. sequenza

Titolo

vv. 1-24

Ermengarda sul letto di morte .............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................. .............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................. .............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................. ..............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

> 2. A quale momento sereno della vita di Ermengarda è paragonata la condizione di pace donatale dalla morte? anaLIzzare

> 3.

stile Manzoni parla dei cori come «cantucci» nei quali l’autore «possa parlare in persona propria» ( I cori, p. 395 e T9, p. 405): verifica questa caratteristica del testo e spiega quale atteggiamento assume il poeta di fronte alla materia rappresentata. > 4. stile Quale funzione svolge la ripetizione ai versi 13-16 e 85-88? > 5. stile Analizza le similitudini del testo: quali analogie presentano? A quali differenti condizioni alludono? Che cosa rappresenta l’immagine del sole?

approfonDIre e InTerpreTare

> 6.

scrivere Spiega in circa 5 righe (250 caratteri) e commenta l’espressione riferita ad Ermengarda «te collocò la provida / sventura in fra gli oppressi» (vv. 103-104). Che cosa comporta tale condizione? > 7. esporre oralmente Istituisci un confronto tra la morte di Ermengarda, quella di Adelchi e quella di Napoleone (max 5 minuti). > 8. Testi a confronto Confronta questo coro con l’ode Il cinque maggio ( T6, p. 387) e rileva le analogie formali (la metrica, l’impostazione del discorso, l’alternanza dei referenti temporali ecc.) e tematiche. Quale concezione della morte emerge in questi testi?

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Incontro con le Opere Il Fermo e Lucia e I promessi sposi

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Il romanzo, una scelta innovatrice

Il romanzo realizza i princìpi romantici

Il «vero» e l’«interessante»

L’«utile»

La libertà dalle regole La “separazione degli stili”

La rappresentazione seria del quotidiano

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Manzoni e il problema del romanzo

Videolezione

Più che nelle liriche e nelle tragedie, la più compiuta realizzazione della nuova concezione della letteratura si può trovare nel romanzo manzoniano: I promessi sposi sono l’opera che possiede la più forte carica innovatrice nei confronti della tradizio­ ne letteraria italiana. Già di per sé scegliere il genere “romanzo” come strumento di espressione letteraria è, nell’Italia del 1821, una decisione coraggiosa, di rottura, dati i pregiudizi retorici e moralistici che gravano sul genere, dalla mentalità classicistica ritenuto “inferiore”, indegno di entrare nel campo della letteratura. Inoltre, Manzoni trova nel romanzo lo strumento ideale per tradurre in atto i princìpi che ispiravano la battaglia romantica per un rinnovamento della cultura italiana in senso moderno, borghese ed europeo. In primo luogo il romanzo risponde perfettamente alla poetica del «vero», dell’«in­ teressante» e dell’«utile» ( T4, p. 376), in cui Manzoni sintetizza l’essenza dei princìpi romantici: consente di rappresentare la realtà senza le astrazioni e gli artifici convenzionali propri della letteratura classicistica, aristocratica e di corte; si rivolge non solo alla casta chiusa dei letterati, ma a un più vasto pubblico, perché, attraverso la forma narrativa e un linguaggio accessibile, suscita facilmente l’interesse del lettore comune, in genere respinto da tragedie, odi e poemi epici, che trattano argomenti lontani dalla sua esperienza e sono scritti in una lingua ardua e inaccessibile; è anche facile introdurre nella narrazione l’esposizione di idee, precetti, cognizioni varie. In tal modo, data anche la sua relativamente vasta diffusione, il romanzo risponde alle esi­ genze dell’impegno civile dello scrittore e fornisce il mezzo per comunicare al lettore notizie storiche, ideali politici, princìpi morali, secondo quella concezione educa­ tiva e utilitaria della letteratura che i romantici lombardi ereditano dalla precedente generazione illuministica. In secondo luogo il romanzo, essendo un genere nuovo, ignoto o quasi alla tradizione classica, permette allo scrittore di esprimersi con piena libertà, senza lottare con regole arbitrarie imposte dall’esterno. La principale di queste norme che Manzoni può dissolvere col suo romanzo è la classica “separazione degli stili”, secondo cui solo ciò che è nobile ed elevato può essere rappresentato in forme serie e sublimi. Nelle tragedie Manzoni non aveva potuto evitare di seguire tale norma, per il peso della tradizione che esigeva che personaggi della tragedia fossero re o principi. Nel romanzo, invece, egli sceglie di rappresentare una realtà umile, ignorata dalla letteratura classica, o vista solo in una luce comica: violando convenzioni letterarie profondamente radicate, sceglie come protagonisti due semplici popolani della campagna lombarda e rappresenta le loro vicende in tutta la loro profonda serietà e tragicità. La rappresentazione seria della realtà quotidiana è il tratto che meglio caratterizza il moderno realismo europeo (come ha indicato Erich Auerbach in Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, trad. it. di A. Romagnoli, H. Hinterhäuser, Einaudi, Torino 1956, Microsaggio, p. 415). Ma la raffigurazione seria e problematica del quo-

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni Il rapporto con la storia

L’individuale concreto

Il rifiuto dell’idealizzazione

tidiano è possibile perché i personaggi sono immersi nella storia ed acquistano profondità dalla tragicità che in essa è insita. Il personaggio non è più posto su uno sfondo astratto, fuori del tempo e dello spazio reali, come nella tradizione classica, ma rappresentato in rapporto organico con un dato ambiente e un dato momento, in modo che nessun suo pensiero, sentimento o gesto si possa comprendere se non riferito a quel preciso terreno storico. Ciò porta con sé un’altra conseguenza: in opposizione alla tendenza classica a trasformare i personaggi in tipi generali, pure personificazioni di un tratto psicologico, di un concetto, di una passione, Manzoni rappresenta individui dalla personalità unica, inconfondibile e irripetibile, estremamente complessa e mobile, rivelando quella tendenza all’individuale e al concreto che è propria della cultura borghese moderna. Ne deriva ancora un corollario: il rifiuto di quella idealizzazione del personaggio, che è propria del gusto classico; specie i due protagonisti, pur essendo i portatori delle virtù considerate da Manzoni più alte, non cessano di essere due contadini, e della loro condizione conservano la mentalità, il linguaggio, i comportamenti. Il compenetrarsi di tutti questi elementi nei Promessi sposi fa sì che Manzoni, nella nostra letteratura del primo Ottocento, assuma una funzione di incalcolabile portata, quella di iniziatore della moderna tradizione del romanzo realistico in un paese culturalmente arretrato, chiuso nel culto di una grande tradizione ormai esaurita.

Microsaggio

Mescolanza e separazione degli stili La separazione I generi letterari della letteratura classica La concezione della letteratura nel mondo classico si fondadegli stili va sul principio della separazione degli stili: gli argomenti seri ed elevati dovevano essere affrontati solo in

uno stile sublime; gli argomenti dimessi e quotidiani, invece, potevano essere trattati solo in stile comico. Il principio si collegava strettamente con quello dei generi letterari: gli argomenti seri erano prerogativa dei generi più alti, l’epica e la tragedia; gli argomenti più umili, invece, potevano essere trattati solo nei generi minori, come la commedia. Nella coscienza letteraria dei Greci e dei Romani sarebbe stata impensabile una mescolanza degli stili: trattare in forma tragica argomenti umili, o viceversa, oppure mescolare comico e tragico, argomenti sublimi ad argomenti quotidiani nella stessa opera.

La mescolanza degli stili nel Medioevo cristiano

Il mutamento operato dal cristianesimo Il principio è infranto e dissolto dalla nuova visione introdotta dal cristianesimo: per essa, l’argomento più sublime è un umile falegname morto sulla croce (il supplizio infamante che i Romani infliggevano agli schiavi). La cultura del Medioevo cristiano pratica perciò la mescolanza degli stili. L’esempio più insigne è la Commedia di Dante, in cui si uniscono «cielo e terra», in cui si mescolano le realtà più turpi e quelle più elevate e si fondono i più diversi linguaggi, da quelli gergali e plebei dell’Inferno a quello arduo e vertiginosamente sublime del Paradiso. Il principio della separazione degli stili ritorna in auge nelle epoche di classicismo: ad esempio il Rinascimento italiano e il secolo del re Sole in Francia, che si rifanno a ideali letterari desunti dal mondo antico. La separazione degli stili è nuovamente eclissata con il comparire di una letteratura borghese, nel Settecento e nell’Ottocento.

La letteratura borghese La borghesia, che nella sua ascesa ha come antagonisti e ostacoli i ceti nobiliari, contro il loro gusto aristocratico e classico rivendica il diritto della realtà umile ad essere trattata seriamente La rappresen- in letteratura. Uno dei tratti caratterizzanti la letteratura borghese di fine Settecento e del primo Ottocento è tazione seria pertanto la rappresentazione seria, problematica, di figure, ambienti, fatti quotidiani, di cui viene rivendicato del quotidiano l’alto valore. In questa tendenza si inscrive la scelta manzoniana di porre al centro del suo romanzo due popolani, e di rappresentare in chiave seria, in tutta la loro tragicità, le loro peripezie. La letteratura classica avrebbe invece fatto di Renzo e Lucia due personaggi da commedia. Su questi problemi, si rimanda ad uno dei massimi capolavori della critica novecentesca: E. Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, cit.

415

L’età del Romanticismo

I promessi sposi e il romanzo storico Il modello del romanzo storico

Echi nel tempo I promessi sposi e La chimera di Sebastiano Vassalli

Lo scrupolo del «vero» storico

Per la sua opera narrativa, Manzoni sceglie la forma del romanzo storico, una forma che in quel momento gode di larga fortuna presso il pubblico europeo, a causa del successo dei romanzi storici dello scozzese Walter Scott ( cap. 1, A11, p. 267). Con I promessi sposi si propone di offrire un quadro di un’epoca del passato, ricostruendo tutti gli aspetti della società, il costume, la mentalità, le condizioni di vita, i rapporti sociali ed economici. Secondo il modello scottiano, protagonisti non sono le grandi personalità storiche, ma personaggi inventati, di oscura condizione, quelli di cui abitualmente la storiografia non si occupa. I grandi avvenimenti e gli uomini famosi costituiscono lo sfondo delle vicende vissute da questi personaggi e compaiono in quanto vengono a incidere sulla loro vita. La storia viene in tal modo vista dal basso, come si riflette sull’esperienza quotidiana della gente comune. Per tracciare il suo quadro, Manzoni si documenta con lo scrupolo di un autentico storico, leggendo, oltre alle opere storiografiche sull’argomento, cronache del tem­ po, biografie, testi letterari e religiosi, memorie, raccolte di leggi. Ciò spiega perché Manzoni, pur rifacendosi al modello di Scott, sia critico verso il romanziere scozzese: gli rimprovera infatti l’eccessiva disinvoltura con cui tratta la storia, romanzandola attraverso l’invenzione. Per Manzoni invece personaggi e fatti storici devono essere affrontati nel modo più rigoroso. Non solo, ma lo scrupolo del «vero» lo induce a rendere anche le vicende e i personaggi d’invenzione «così simili alla realtà che li si possa credere appartenenti ad una storia vera appena scoperta» (come afferma in una lettera a Fauriel del novembre 1821). Lo stesso scrupolo del «vero» lo induce altresì, nella costruzione dell’intreccio, a re­ spingere il «romanzesco», cioè a «considerare nella realtà la maniera d’agire degli uomini», ad evitare di «stabilire dei rapporti interessanti ed inattesi tra i vari personaggi» e di «trovare degli avvenimenti che influiscano contemporaneamente sul destino di tutti», cioè di costruire quella «unità artificiosa che non si trova affatto nella vita reale» (lettera a Fauriel, 29 maggio 1822).

Il quadro polemico del seicento La società lombarda del Seicento

Il riferimento al presente

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La società di cui Manzoni vuol fornire un quadro nel suo romanzo è quella lombarda del Seicento sotto la dominazione spagnola. È un quadro fortemente polemico, come risulta già dallo schema fornito in una lettera a Fauriel del novembre 1822: «Il governo più arbitrario combinato con l’anarchia feudale e l’anarchia popolare; una legislazione stupefacente per ciò che prescrive e per ciò che fa indovinare, o racconta; un’ignoranza profonda, feroce, pretenziosa; delle classi con interessi e princìpi opposti […]; infine una peste che ha dato modo di manifestarsi alla scelleratezza più consumata e svergognata, ai pregiudizi più assurdi e alle virtù più commoventi». Manzoni si colloca nei confronti del passato con l’atteggiamento dell’illuminista, acutissimo nel cogliere irrazionalità, aberrazioni, pregiudizi, ingiustizie. Il Seicento lombardo ai suoi occhi segna il trionfo dell’ingiustizia, dell’arbitrio e della pre­ potenza, da parte del governo, nella sua condotta politica e nei provvedimenti economici, da parte dell’aristocrazia e delle masse popolari; è il trionfo dell’irrazionalità nella cultura, nell’opinione comune, nel costume. Ma questa ricostruzione critica del passato ha anche precise valenze politiche rife­ rite alla situazione presente, come già si verificava nei cori delle tragedie (e nella prima stesura dell’Adelchi). La data di inizio della composizione del romanzo offre a questo proposito indicazioni illuminanti. Nel marzo 1821 si verificano i moti liberali, che Manzoni segue con fervore e speranza, come testimonia l’ode Marzo 1821. Falliti i moti, il 24 aprile Manzoni inizia la stesura del suo romanzo storico. Nel momento in cui la borghesia progressista comincia la propria rivoluzione nazionale, e subisce una scon-

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

fitta e una momentanea battuta d’arresto nella lotta, Manzoni risale al passato per cercare le radici dell’arretratezza in cui si trova l’Italia presente, e in tal modo, attraverso la critica della società del Seicento, offre alle nascenti forze borghesi il mo­ dello di una società futura da costruire.

L’ideale manzoniano di società Lo Stato, le leggi, la politica economica

Il rinnovamento sociale

Testo critico C. Salinari

L’aristocrazia

Il popolo

I ceti medi

Le linee fondamentali di questo modello di società si possono ricavare guardando in controluce, come il negativo di una fotografia, il quadro polemico della Lombardia spagnola tracciato nel romanzo. Data per scontata la condizione preliminare dell’indipen­ denza nazionale, le esigenze essenziali sono: un saldo potere statale che si opponga alle spinte degli interessi privati e sappia contrastare arbitrii e prevaricazioni, restando immune da connivenze interessate coi gruppi sociali più potenti; una legisla­ zione razionale ed equa ed un apparato della giustizia che sappia farla osservare, tutelando l’individuo da ogni arbitrio; una politica economica oculata, che sappia rispettare le leggi del mercato e, con opportuni provvedimenti, sia in grado di stimolare l’iniziativa dei singoli ( T12, p. 436), nel campo dell’agricoltura come dell’industria (si tenga presente che alla fine della vicenda Renzo investe il suo gruzzolo nell’acquisto di un filatoio); un’organizzazione sociale giusta, ma senza i conflitti che nascono dalla lotta fra le classi, in cui l’aristocrazia ponga ricchezze e potenza al servizio della collettività e, in obbedienza ai precetti cristiani, dia spontaneamente a chi non ha ciò che essa possiede in abbondanza, in modo da distribuire più equamente i beni della vita; in cui le classi inferiori, pie e laboriose, si rassegnino cristianamente alle loro inevitabili miserie e rinuncino a rivendicare i propri diritti con la forza, attendendo il premio nell’altra vita e l’aiuto su questa terra degli aristocratici illuminati e benefici; in cui i ceti medi non siano chiusi nel loro gretto egoismo e non siano gli strumenti del sopruso e dell’ingiustizia, ma dell’attività benefica dei potenti, fungendo da mediatori tra essi e il popolo. Nel sistema dei personaggi del romanzo, don Rodrigo e Gertrude rappresentano la funzione negativa dell’aristocrazia, che viene meno alle sue responsabilità ed usa il suo privilegio in modo oppressivo; il cardinal Federigo, con la sua attività benefica instancabile e lungimirante, costituisce, invece, il modello positivo, e l’innominato, con la sua conversione, dedicandosi a proteggere i deboli oppressi e a beneficare gli umili, indica il passaggio esemplare della nobiltà dalla funzione negativa a quella positiva. Per quanto riguarda i ceti popolari, l’esempio negativo è fornito dalla folla sediziosa e violenta di Milano, il positivo dalla rassegnazione cristiana di Lucia; Renzo, invece, come l’innominato nei ceti superiori, rappresenta il passaggio dal negativo al positivo, da un atteggiamento ribelle e intemperante ad un fiducioso abbandono alla volontà di Dio, analogo a quello di Lucia. Per i ceti medi, esempi negativi sono don Abbondio e l’Azzeccagarbugli, esempio positivo fra Cristoforo (che prima di diventare frate cappuccino era un ricco borghese).

Liberalismo e cristianesimo La religione, forza riformatrice

Questo ideale di società si nutre dei princìpi della nascente borghesia liberale; però con la componente laica si fonde indissolubilmente anche la componente reli­ giosa. Il modello di una società giusta ma senza i conflitti fra le classi, in cui i privilegiati diano volontariamente a chi non ha e i diseredati sopportino pazientemente le loro miserie, secondo Manzoni è proposto dal Vangelo stesso (è quanto egli afferma in alcuni fondamentali capitoli della seconda parte della Morale cattolica, rimasta incompiuta e inedita); e nella sua prospettiva, la predicazione della Chiesa può avere un’efficacia immensa nel condurre alla realizzazione di quell’ideale di società, persuadendo le classi contrapposte a seguire i princìpi sociali del Vangelo. 417

L’età del Romanticismo

L’azione nella storia

Si è visto che la visione religiosa porta Manzoni ad avere una concezione tragica e pessimistica della storia umana scaturita dal peccato originale. Lo scrittore è convinto che una ricostituzione della felicità originaria sia preclusa alle forze umane su questa terra; però non per questo ritiene che occorra assumere un atteggiamento di fatalistica rassegnazione di fronte al male sociale: esiste secondo lui un margine per intervenire almeno ad attenuare il male, per cui diviene un dovere per l’uomo agire per contrastare il negativo della società e della storia (lo comprovano figure eroiche come quelle di fra Cristoforo, di Federigo, dell’innominato convertito). Per questo il cattolicesimo manzoniano, pur coi suoi presupposti pessimistici, può arrivare a fondersi con un progressi­ smo moderato di impronta laica e liberale, distaccandosi nettamente dagli orientamenti reazionari della Chiesa nell’età della Restaurazione. La società che Manzoni vagheggia, agli albori delle lotte risorgimentali, dovrà ispirarsi sia al liberalismo borghese sia ai princìpi religiosi del cattolicesimo: solo così potrà evitare le degenerazioni giacobine, autoritarie e violente, già sperimentate durante la Rivoluzione francese.

L’intreccio del romanzo e la formazione di renzo e Lucia

L’esplorazione del negativo della storia

La vicenda prende le mosse da una situazione iniziale di quiete e di serenità: i due sposi promessi, nel loro villaggio sulle rive del lago, vagheggiano un avvenire di tranquilla felicità, segnata dalle gioie domestiche, dalle pratiche religiose e dal lavoro. In realtà questa situazione iniziale di idillio è solo apparente: la condizione dei due giovani è già insidiata dal male della storia, rappresentato dal sopruso nobiliare di don Rodrigo. Renzo e Lucia sono quindi inevitabilmente strappati alla loro vita quieta e appartata e immersi traumaticamente nel flusso turbolento della storia. La loro vicenda si configura come un’esplorazione del negativo della realtà stori­ ca: Renzo sperimenta il male nel campo sociale e politico (la sommossa di San Martino, il disfacimento sociale della Milano appestata), Lucia soprattutto nel campo morale (l’«infame capriccio» del signorotto dissoluto e prepotente, la corruzione della monaca aristocratica, la violenza prevaricatrice del gran signore divenuto «tiranno»). Ma attraverso questa esperienza del negativo si compie anche la loro maturazione. Le vicende dei due giovani, entro il quadro complessivo dell’opera, disegnano una sorta di “romanzo di formazione”, rimandando implicitamente ad un genere fondamentale nella tradizione romanzesca moderna ( cap. 1, pp. 291-292).

L’incontro con i bravi, XIX secolo, olio su tela, Milano, Museo Manzoniano.

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Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

La formazione di Renzo

La rassegnazione a Dio

La formazione di Lucia

Il superamento della visione idillica

I percorsi di formazione dei due protagonisti sono però diversi, come diversi sono i loro caratteri e le loro funzioni nel racconto. Renzo ha tutte le virtù che per Manzoni sono proprie del popolo contadino; però c’è in lui una componente ribelle, un’insofferenza per ogni forma di sopruso, la convinzione che l’oppresso possa farsi giustizia da sé, l’illusione che l’azione energica degli umili possa ristabilire la giustizia violata. Ciò costituisce un pericolo per l’eroe, perché potrebbe portarlo a commettere atti di violenza, che gli alienerebbero la benevolenza divina e lo estrometterebbero dalla compagine sociale. Il suo percorso di formazione consiste perciò nel giungere ad abbandonare ogni velleità d’azione e a rassegnarsi totalmente alla volontà di Dio. La formazione si attua attraverso le due esperienze della sommossa e della Milano sconvolta dalla peste: attraverso di esse Renzo arriva a comprendere la vanità delle pretese umane di reintegrare perfettamente la giustizia con l’azione. I due momenti fondamentali di tali esperienze sono la notte passata presso l’Adda, in cui Renzo fa il bilancio degli errori commessi durante la sommossa ( T13, p. 442), ed il perdono concesso a don Rodrigo morente nel lazzaretto. Al contrario di Renzo, Lucia sembra possedere sin dall’inizio per dono divino quella consapevolezza della vanità dell’azione che Renzo conquista dopo dure prove solo al termine delle sue peripezie. In lei c’è uno spontaneo rifiuto della violenza, un abbandono fiducioso, totale alla volontà di Dio. Per questo Lucia è vista di solito come un personaggio statico, che non subisce trasformazioni nel corso della vicenda, perché non ha bisogno di imparare nulla. In realtà anche Lucia attraversa un suo percorso di formazione. Anche lei ha inizialmente dei limiti, che deve superare grazie all’esperienza. Lucia, all’aprirsi del racconto, appare prigioniera di una visione ingenuamente idil­ lica della vita, che riposa sul vagheggiamento di un avvenire di gioia e serenità entro i confini ristretti e protettivi della casa e del villaggio, dei monti e del lago, sulla convinzione che una vita «innocente» e «senza colpa» basti a tenere lontani i «guai», che la Provvidenza pensi sempre a preservare i giusti dalla sventura, a guidare infallibilmente la loro esistenza a felici soluzioni. A Lucia manca quella consapevolezza del male che è necessaria per capire la vera natura della realtà umana nata dalla caduta, per cogliere il senso religioso stesso della presenza del negativo nel mondo. Attraverso le sue peripezie e le sue sofferenze, arriva alla fine a comprendere che non può esistere l’Eden in terra, che le sventure si abbattono anche su chi è «senza colpa», e che la vita più «cauta» e più «innocente» non basta ad evitarle.

Il «sugo» della storia e il rifiuto dell’idillio Il «sugo» della storia

Testo critico A. R. Pupino

La positività provvidenziale del male

Anche Renzo, oltre al suo particolare percorso che si è già visto, matura un’analoga consapevolezza, insieme a Lucia. La consapevolezza si manifesta nel «sugo» che i due giovani, alla fine del romanzo, traggono dalla meditazione sulle loro vicende: «Conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore» ( T15, p. 458). Lucia, insieme con Renzo, ha preso coscienza della reale tragicità del vivere in un mondo segnato dalla caduta, dall’incombere costante del male sulla realtà umana. La conquista spirituale è avvenuta grazie alle sventure patite. E attraverso di esse Lucia e Renzo prendono coscienza anche della positività provvidenziale del male. Compare così al termine del romanzo, a raccoglierne il significato ultimo, il concetto della «provida sventura», tanto caro a Manzoni ( T10, p. 409). È stato messo in dubbio che le riflessioni dei due protagonisti racchiudano davvero il «sugo» di tutta la storia e si è supposto un gioco ironico da parte di Manzoni nell’indicare come tale le loro modeste banalità. In realtà Manzoni, con un gioco sottile spesso praticato nel romanzo, dissimula nella dizione dimessa dei suoi umili personaggi verità che egli ritiene fondamentali. 419

L’età del Romanticismo

Il rifiuto dell’idillio

La consapevolezza del male

Nella conclusione trovata dai due umili protagonisti sono infatti presenti, anche se espressi in forma elementare, i cardini stessi della visione manzoniana. Innanzitutto il rifiuto dell’idillio, inteso come vagheggiamento di un «riposo morale», come rappresentazione di una vita quieta e senza scosse, nell’ambito ristretto della sfera domestica, lontana dai tumulti della storia, ignara del male che in essa è inevitabilmente presente. Si è già insistito sul fatto che Manzoni ha del reale una visione tragica, che scaturisce dal suo pessimismo religioso. Ma se la vita, in conseguenza della caduta dell’uomo, è inquinata dal male e dal dolore, ogni rappresentazione idillica della realtà, che raffiguri uno stato di quiete e di serenità perfette, è assolutamente difforme dalla verità; e sappiamo quale fosse il culto manzoniano del «vero». Si può capire allora perché egli respinga recisamente ogni forma di rappresentazione idillica. Si può obiettare che al termine del romanzo a Renzo e a Lucia tocca una vita tranquilla, prospera e serena: però, a ben vedere, non si tratta affatto di un idillio. Anche se la vita dei due sposi è sostanzialmente felice, non è immemore della realtà esterna all’ambito domestico: proprio grazie all’esperienza del male da essi compiuta, la loro esistenza è problematizzata dalla consapevolezza della tragicità del vivere, dell’in­ combere costante del male, che può colpire anche i più innocenti (i «guai» che vengono anche «senza colpa»). Per questo la loro vita non è finalizzata a «star bene», come esigerebbe un’aspirazione idillica, ma a «far bene», ad avere una posizione attiva verso il male e la sofferenza. Proprio nel «sugo» trovato alla fine dai due protagonisti si può trovare dunque l’espressione più chiara del rifiuto manzoniano dell’idillio.

La concezione manzoniana della provvidenza Il «romanzo della Provvidenza»

Virtù e felicità coincidono nella prospettiva dell’eterno

La presa di coscienza dei personaggi

Testi Il flagello di Dio e l’impotenza dell’uomo da I promessi sposi

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Si chiarisce, in quel «sugo», anche la concezione manzoniana della Provvidenza. La formula corrente, che definisce I promessi sposi «romanzo della Provvidenza», può prestarsi ad equivoci. È stato infatti osservato dalla critica più recente che l’interpretazione provvidenziale della realtà, nel romanzo, non è enunciata in prima persona dal narratore, ma è affidata sistematicamente ai soli personaggi. Ciò non significa ovviamente che Manzoni non creda ad una presenza provvidenziale nel mondo. Semplicemente, la sua concezione è diversa da quella dei suoi umili protagonisti, è estremamente più problematica e complessa. Renzo e Lucia hanno una concezione elementare e ingenua della Provvidenza, che identifica virtù e felicità: per loro Dio interviene infallibilmente a difendere e a premiare i buoni e a garantire il trionfo della giustizia. Nella superiore visione teologica di Manzoni, al contrario, virtù e felicità possono coincidere solo nella prospettiva dell’eterno: solo in un’altra vita vi è la certezza che i buoni saranno premiati ed i malvagi puniti. Nella sfera terrena la volontà divina, nel suo mistero imperscrutabile, può anche infliggere sventure e sofferenze ai giusti, senza garantire il loro risarcimento. Per Manzoni la provvidenzialità dell’ordine divino del mondo non consiste nell’assicurare la felicità ai buoni, ma nel fatto che proprio la sventura fa maturare in essi più alte virtù e più profonda consapevolezza. Come si vede, ritorna il concetto centrale della «provida sventura». Solo alla fine Renzo e Lucia giungono a maturare questa più profonda visione della Provvidenza, rendendosi conto che la sventura può colpire anche le persone più innocenti e che la «fiducia in Dio» la rende utile «per una vita migliore». Sino a questa finale presa di coscienza, vi è dunque una sfasatura tra la concezione della Provvidenza che è propria di Manzoni e quella dei suoi umili personaggi. Per questo egli lascia solo alla loro prospettiva l’enunciazione del concetto ingenuo di Provvidenza, quasi a segnare la sua distanza. Ciò non implica che Manzoni consideri negativamente la fede elementare dei suoi eroi: al contrario, la guarda con superiore benevolenza, come manifestazione della loro preziosa innocenza di “umili”. Però sente il bisogno di portarli ad una maggiore consapevolezza, attraverso il loro percorso di maturazione.

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

L’ironia verso la narrazione e i lettori

L’autoironia

La svalutazione della letteratura

L’ironia verso il pubblico

La narrazione dei Promessi sposi ha usualmente un andamento piano, di conversazione affabile e bonaria con un ideale uditorio, a cui spesso la voce narrante si rivolge direttamente. Questa dominante tonalità conversevole è spesso pervasa di sottile ironia, che è uno degli aspetti più felici e accattivanti del romanzo, ma che, essendo impalpabile e sfuggente, è anche difficile da definire. L’ironia, in generale, implica un atteggiamento di distacco da ciò di cui si tratta, ma può rivestire varie funzioni, tra loro molto diverse. Nel romanzo manzoniano vi può essere ad esempio autoironia, cioè momenti in cui il narratore guarda con distacco se stesso e la propria operazione di scrittura. Così avviene nell’Introduzione, dove, rinunciando a esplicitare i criteri del rifacimento del manoscritto secentesco, che verrebbero a comporre un intero libro, Manzoni afferma: «Di libri basta uno per volta, quando non è d’avanzo», e mette così ironicamente in dubbio l’utilità stessa della propria opera; in un altro punto del racconto allude ai «venticinque lettori» del romanzo, usando un’iperbole a rovescio a indicare lo scarso numero di coloro che suppone lo leggeranno. Dietro a queste mosse ironiche si può scorgere la sottile presa di distanza dello scrittore dalla letteratura, sentita come qualcosa che, se pur mira al «vero», rischia di essere oziosa e inutile, in confronto alla ricostruzione storica o alla riflessione filosofica, o addirittura all’attività pratica (atteggiamento che porterà lo scrittore, negli anni della maturità, a rinunciare alla letteratura). A volte l’ironia è rivolta agli ipotetici lettori. Così avviene nelle pagine conclusive del romanzo, dove il narratore si astiene dal raccontare la vita tranquilla e felice dei due sposi perché «seccherebbe a morte» il lettore: qui si può riconoscere l’ironia verso i gusti correnti del pubblico, che si aspetta da un romanzo la narrazione di eventi straordinari, emozionanti, che facciano trattenere il fiato, mentre Manzoni ripudia il romanzesco deteriore e affida alla scrittura narrativa compiti ben più elevati.

L’ironia verso i personaggi L’ironia bonaria verso il popolo

Renzo

L’ironia, poi, può investire i personaggi del romanzo. Nei confronti dei personaggi del popolo si tratta di un’ironia che segna la distanza del colto narratore dalla gente umile e sprovveduta, dai loro discorsi e dai loro comportamenti (comari un po’ pettegole come Perpetua e Agnese, il sarto che si ritiene un gran letterato perché ha letto qualche romanzo cavalleresco); ma si tratta sempre di un’ironia affettuosa, si po­ trebbe dire “paterna”, che ha alla base la convinzione che nei personaggi semplici, nonostante i loro difetti, vi sia comunque un tesoro di umanità che non può trovarsi nelle classi elevate. L’ironia può colpire lo stesso protagonista, Renzo (mai Lucia, però, che è un personaggio troppo sublime, agli occhi dello scrittore), a sottolineare i suoi errori e le sue ingenuità di ragazzo fondamentalmente buono ma impetuoso e imprudente. Talora l’ironia nei suoi confronti è affidata a commenti espliciti della voce narrante, come quando Renzo proclama: «A questo mondo c’è giustizia, finalmente!», e il narratore lo rimbecca: «Tant’è vero che un uomo sopraffatto dal dolore non sa più quel che si dica». Qui l’ironia è affettuosa verso il personaggio che sbaglia, ma dietro di essa si coglie un fondo amaro, che nasce dalla visione pessimistica dell’autore sulla storia dominata dalla violenza e dall’ingiustizia. In altri casi, invece, il narratore tace e l’ironia scaturisce oggettivamente dal contrasto che si crea fra le parole di Renzo e la realtà effettuale degli eventi, ben nota al lettore: come quando, eccitato dall’aiuto prestato a Ferrer venuto a salvare il vicario di provvisione, Renzo si pone a «predicare in piazza», manifestando grande fiducia nell’azione popolare e nell’intervento dei governanti solleciti della giustizia, mentre invece la sollevazione ha causato solo disastri e si sta attirando una crudele repressione da parte del potere. 421

L’età del Romanticismo Don Abbondio

Testi Don Abbondio e l’innominato: il sublime e il comico da I promessi sposi

Il sarcasmo verso le classi elevate

Per nulla bonaria e indulgente è l’ironia verso don Abbondio, la sua pavidità che assume coloriture quasi ossessive, il suo egoismo. Però proprio questa mediocrità è usata da Manzoni per temperare l’eccessiva idealità di figure sublimi come l’innominato e il cardinal Federigo, in ossequio all’esigenza di calare sempre l’ideale nel reale. Lo si può verificare nell’episodio in cui il curato accompagna l’innominato appena convertito a liberare Lucia prigioniera nel suo castello, oppure nel colloquio con il cardinale. Se nei confronti degli umili l’ironia è bonaria e paterna, nei confronti dei potenti essa si trasforma in sarcasmo impietoso. Esemplare è il caso di Ferrer che, pur a fin di bene, per salvare il vicario, inscena con la folla tumultuante un’ignobile commedia, fatta di false promesse. L’effetto sarcastico scaturisce soprattutto dall’uso del doppio linguaggio, l’italiano per le promesse ad alta voce al popolo, lo spagnolo negli a parte a bassa voce in cui Ferrer le smentisce e le rovescia. Abbiamo dato solo pochi campioni di un procedimento estremamente vario, sottile, complesso, in cui risiede buona parte del gusto che può dare la lettura dei Promessi sposi. Solo un’analisi capillare del romanzo potrebbe darne conto in modo soddisfacente. Speriamo tuttavia di aver fornito qualche stimolo e qualche indicazione per una lettura personale da parte degli studenti.

Il Fermo e Lucia: un altro romanzo? Le tre redazioni del romanzo

L’intreccio

I personaggi

L’impostazione del racconto

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Del suo romanzo Manzoni ci ha lasciato tre redazioni: la prima inedita (1821­23), pubblicata solo un secolo dopo dagli studiosi con il titolo Gli sposi promessi, poi, con maggior fedeltà agli intenti originari dell’autore, Fermo e Lucia; la seconda pubblicata dall’autore nel 1827, già con il titolo definitivo I promessi sposi; la terza nel 1840­42, che è quella che abitualmente oggi leggiamo. Tra le due edizioni pubblicate dall’autore (1827 e 1840) vi sono essenzialmente differenze linguistiche (vocaboli, costrutti), in obbedienza a quell’idea della fiorentinità della lingua che Manzoni elaborò dopo il 1827, mentre la prima redazione, il Fermo e Lucia, presenta differenze profonde, tali che hanno fatto parlare, da parte di molti, di un “altro romanzo”, di un’opera autonoma rispetto ai Promessi sposi. Vi sono innanzitutto differenze nella distribuzione delle sequenze narrative sull’arco dell’intreccio: mentre nei Promessi sposi, dopo la fuga dal paese, si hanno successivamente la storia di Gertrude, le vicende di Renzo nei tumulti milanesi e la fuga oltre confine, le vicende del rapimento di Lucia da parte dell’innominato, nel Fermo si ha prima tutto il blocco delle peripezie di Lucia, poi quelle di Fermo. Nel Fermo inoltre vi sono personaggi che hanno una fisionomia completamente diversa da quella della redazione definitiva: il Conte del Sagrato ( T14a, p. 447), che corrisponde funzionalmente all’innominato, non è un personaggio di grande statura spirituale, ma un tipico “tiranno” secentesco, quasi un brigante, rozzo, avido e violento. Anche Lucia è sensibilmente diversa, più realistica, più legata ad una determinata condizione sociale e ad un costume storico, una tipica campagnola lombarda del Seicento, nei modi, nella mentalità, nel linguaggio. Vi sono anche interi episodi impostati in modo diverso: ad esempio, la storia della Signora di Monza è molto più ampia e indugia su una serie di particolari (la relazione con Egidio, l’uccisione della conversa che ha scoperto la tresca, T11a, p. 425) e di passaggi psicologici, che nei Promessi sposi saranno passati sotto silenzio. Ma, più in generale, proprio l’impostazione del racconto muta profondamente dalla prima redazione alle successive. Nel Fermo Manzoni ricorre in più larga misura al documento storico e realistico: con l’intento di fornire un preciso quadro di costume, introduce ampie digressioni di carattere saggistico su problemi storici, economici, culturali, lascia spazio a lunghe discussioni. Tutto questo materiale non narrativo è fortemente ridotto nei Promessi sposi: qui vi è la tendenza a risolvere in rappresentazio-

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

Testi Un sopruso feudale dal Fermo e Lucia • La vergine e il seduttore da I promessi sposi •

L’ideale e il reale

ne drammatica tutto ciò che nel Fermo è offerto in forma saggistica; inoltre certe tesi che nel Fermo sono enunciate esplicitamente, nei Promessi sposi sono affidate ad una sottile trama simbolica che soggiace alla narrazione ( T11a, p. 425 e T11b, p. 430). Infine nel Fermo vi sono posizioni critiche e polemiche più aspre e secche, mentre nei Promessi sposi le posizioni dell’autore sono più sfumate e talora dissimulate sotto il velo dell’ironia. Ciò perché nel Fermo vi è una più netta contrapposi­ zione tra bene e male, positivo e negativo, ideale e reale: il negativo è portato alle estreme conseguenze, e ad esso è contrapposto un positivo simmetricamente estremizzato (De Castris). Nei Promessi sposi, invece, positivo e negativo sono più vicini, l’«ideale», per usare una famosa formula desanctisiana, è «calato nel reale». Di questi diversi procedimenti avremo modo di vedere degli esempi nelle analisi dei passi riportati.

Il problema della lingua

L’inadeguatezza della lingua letteraria

Un linguaggio composito

La soluzione fiorentina

La revisione del romanzo

L’operazione compiuta da Manzoni col suo romanzo ha una portata incalcolabile anche nel campo linguistico: con la redazione definitiva dei Promessi sposi Manzoni fornisce alla letteratura italiana moderna un nuovo modello di lingua lette­ raria, libero dall’antico «cancro della retorica» (come si espresse Ascoli, un grande linguista dell’Ottocento): su un piano più vasto, non più letterario ma civile, offre l’indicazione di una possibile lingua dell’uso nella società della futura Italia unita. Per un tipo di opera come quella che Manzoni concepiva, indirizzata ad un pubblico vasto e destinata a trattare problemi vivi nella coscienza contemporanea, non poteva più essere usata la lingua della tradizione letteraria, aulica e difficile, comprensibile solo a chi fosse fornito di alta cultura. Manzoni dimostra di esserne consapevole nel momento stesso in cui inizia la composizione del romanzo. In una lettera a Fauriel del novembre 1821 lamenta le difficoltà che oppone la lingua italiana alla scrittura di un romanzo, difficoltà che scaturiscono dalla sua povertà di costrutti e dalla mancanza di un “codice” comune tra chi scrive e chi legge, che dia la certezza di usare uno strumento comunicativo egualmente conosciuto da entrambi. Alla soluzione del problema di individuare questo “codice” Manzoni arriverà per gradi. In un primo momento, iniziando il Fermo, egli si orienta verso una lingua di compro­ messo, formata da un fondo di toscano letterario, ma arricchita da apporti della parlata viva, attraverso la conversazione con le persone colte, oltre che da termini provenienti dal francese, che possano essere mescolati a quelli italiani senza creare dissonanze. Ma già dopo il 1824, nel rivedere il testo per la pubblicazione, rinuncia a questa lingua composita e si orienta decisamente verso il toscano, quale poteva apprendere dai libri: e scopre con sorpresa molte concordanze tra i modi toscani e quelli degli altri dialetti, in particolare il milanese. Pubblicato il romanzo, il suo viaggio a Firenze nel 1827 «fu come una rivelazione: quella lingua tanto faticosamente cercata nei libri, eccola viva, agile, reale, nei Fiorentini colti con cui veniva a contatto» (Migliorini). Giunge così alla soluzione per lui definitiva del problema della lingua: la lingua italiana unitaria, quella da usare nella letteratura come nella vita sociale, deve essere il fiorentino delle persone colte; non la lingua morta dei libri del Trecento e del Cinquecento, come volevano i puristi, ma la lingua viva, parlata, attuale ( L’età napoleonica, Il contesto, p. 11). In base a questi princìpi lo scrittore conduce la revisione del romanzo, che lo occupa per lunghi anni, sino al 1840. Manzoni lavora con estremo scrupolo, secondo il suo costume, sottoponendo continuamente l’opera a Fiorentini colti per averne suggerimenti sulla proprietà di vocaboli e costrutti. Il romanzo, nella sua redazione definitiva, si offre così come esempio di lingua viva, agile, duttile, non irrigidita dal peso retorico, aprendo anche per questo aspetto una nuova via alla letteratura italiana. 423

L’età del Romanticismo Gli scritti linguistici

Manzoni si preoccupò in seguito di esporre le sue tesi con opere teoriche. Nel 1847 scrive la lettera a Giacinto Carena Sulla lingua italiana; nel 1856, con Gino Capponi, avvia il Saggio di vocabolario italiano secondo l’uso di Firenze. Lavora anche a lungo ad un trattato Della lingua italiana, che tra il 1830 e il 1859 subisce ben cinque redazioni, ma resta manoscritto. Le tesi manzoniane incontrano il favore della classe politica dello Stato unitario. Il ministro della Pubblica Istruzione Broglio aveva affidato a Manzoni la presidenza della sezione milanese di una commissione, che aveva il compito di proporre i mezzi per diffondere nel popolo la buona lingua. Manzoni nel 1868 presentò la sua relazione, arricchita l’anno successivo di un’Appendice: la sua proposta era quella di diffondere la lingua fiorentina con un vocabolario, che costituisse un punto di riferimento sicuro, e con l’impiego di maestri fiorentini nelle scuole ele­ mentari. La proposta manzoniana fu seguita dallo Stato nella sua politica scolastica, ma la lingua dell’Italia unita, quella che oggi parliamo, si formò attraverso processi più lunghi e complessi e assunse una forma ben diversa dal fiorentino, come avremo modo di vedere a suo luogo. Mappe interattive

Visualizzare i concetti

Le principali differenze tra le diverse redazioni del romanzo Fermo e LucIA

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I PromessI sPosI, eDIzIone DeL 1827

I PromessI sPosI, eDIzIone DeL 1840

Distribuzione delle sequenze nell’intreccio

Dopo la separazione dei protagonisti sono trattate tutte le peripezie di Lucia e poi tutte quelle di Fermo

Le peripezie di Renzo, dopo l’allontanamento dal paese, sono incastonate all’interno della narrazione delle vicende di Lucia

Storia

La storia della Signora di Monza è trattata molto ampiamente, indugiando sui dettagli

Alcuni particolari della vicenda di Gertrude, come la relazione con Egidio e l’uccisione della conversa, sono passati sotto silenzio

Caratterizzazione dei personaggi

Lucia pensa e si esprime come una campagnola; il Conte del Sagrato è il tipico “tiranno” dell’epoca

Il personaggio di Lucia è trattato in modo meno realistico e l’innominato ha una personalità più complessa e problematica

Digressioni

Ampie e impostate in modo saggistico

Meno ampie e più strettamente legate alla fabula

Narratore

Interviene con espliciti giudizi critici e polemici

Interviene spesso ma con giudizi meno netti e velati dall’ironia

Lingua

La base è un toscano letterario arricchito da francesismi e da apporti dialettali

Potenziamento della base toscana rispetto agli altri apporti

Fiorentino realmente parlato dalle persone colte dell’Ottocento

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

La «signora» Riportiamo a confronto i passi dedicati nelle due redazioni alla seduzione di Gertrude (Geltrude nel Fermo) da parte di Egidio. Lucia ha lasciato il paese per sfuggire alla persecuzione di don Rodrigo e si è rifugiata presso un monastero di Monza, su consiglio di fra Cristoforo. Manzoni interrompe il racconto delle sue vicende per narrare la storia della «Signora» che l’ha presa sotto la sua protezione nel convento. Gertrude, nata da una famiglia aristocratica, è stata costretta dal padre, attraverso una serie di pressioni e di ricatti psicologici iniziata sin dalla prima infanzia, a diventare monaca, al fine di preservare l’integrità del patrimonio familiare. Dopo aver preso i voti, trascorre il tempo nel monastero tra il rimpianto dei piaceri del mondo, l’orrore per la vita claustrale, la noia e il desiderio di qualcosa di indefinito che venga a cambiare la sua esistenza.

T 11a

Libertinaggio e sacrilegio: la seduzione di Geltrude dal Fermo e Lucia, tomo II, cap. V

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Temi chiave

• il romanzo nel romanzo • la presenza insistita della voce narrante • una visione estremamente negativa della realtà storica

Il padrone della casa contigua al quartiere delle educande, era dunque un giovane scellerato: e si chiamava il signor Egidio: perché di cognomi, come abbiam detto, l’autor nostro è molto sparagnatore1. Suo padre, uomo dovizioso bastantemente2 non aveva avuta altra mira nell’educarlo, che di renderlo somigliante a se stesso: ora egli era un solenne attaccabrighe: Egidio non aveva quindi sentito dall’infanzia a parlar d’altro che di soddisfazioni e di fare stare3, non aveva veduto quasi altro che schioppi e pugnali; e dalle braccia della nutrice era passato in quelle degli scherani4. La madre, ch’era di un carattere mansueto e pio, avrebbe potuto forse temperare in parte questa educazione ma ella era morta lasciando Egidio nella infanzia, dopo una lenta malattia cagionata dai continui spaventi. Il padre fu ucciso dopo una brevissima quistione da un suo emolo5 membro di una famiglia emola della sua da generazioni; ed Egidio restò solo e padrone6 nella giovinezza. La prima sua impresa fu di risarcire l’onore della famiglia, con una schioppettata nelle spalle dell’uccisore di suo padre. Questa impresa però lo pose da quel momento in un continuo pericolo; e per assicurarsi, egli dovette crescere il numero de’ suoi bravi, e non camminar mai che in mezzo ad un drappello. Suo padre aveva non solo nel paese, ma altrove amici assai, e conformi a lui di massime e di condotta: Egidio gli7 ereditò tutti, e gli coltivò, tanto più che aveva bisogno della loro assistenza. Ma i garbugli e il macello8 non piacevano a lui, come al padre, per se medesimi: l’educazione lo aveva addestrato a non temerli, e a corrervi anzi ogni volta che un qualche fine ve lo spingesse: ma non erano un fine, un divertimento, un bisogno per lui. La sua passione predominante era l’amoreggiare; a questa si abbandonava con quelle precauzioni però che esigeva lo stato di guerra in cui egli si trovava, e per questa egli veniva ai garbugli ed al macello, quando non si poteva fare altrimenti.

1. sparagnatore: avaro. 2. dovizioso bastantemente: sufficientemente ricco. 3. soddisfazioni … stare: riparazioni alle

offese ricevute e segni di omaggio e sottomissione. 4. scherani: i bravi, la milizia privata dei signori feudali del Seicento.

5. emolo: rivale. 6. padrone: di tutti i beni della famiglia. 7. gli: li. 8. Ma … macello: gli intrighi e gli assassinii.

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L’abbaino che guardava nel cortiletto del chiostro non era frequentato da nessuno tanto che visse il padre, il quale non si curava di spiare i fatti delle educande. Soltanto egli vi aveva condotto una volta Egidio adolescente, per fargli osservare che quello era un dominio sul chiostro; e quivi stendendo la mano sui tetti sotto posti, come Amilcare sull’ara9, aveva fatto promettere a quel picciolo Annibale10 che mai in nessun tempo egli non avrebbe sofferto11 che le monache si togliessero quella servitù12. Egidio divenuto padrone, si risovvenne dell’abbaino, e gli parve un dominio assai più importante che suo padre non lo aveva creduto. Un consorzio di donzellette, le quali non eran tutte bambine, parve a colui uno spettacolo da non trasandarsi13 quando lo aveva così a portata; e la santità del luogo, il riserbo con cui eran tenute, l’innocenza loro, tutto ciò che avrebbe dovuto essere freno, fu incentivo alla sua sfacciata curiosità, la quale non aveva disegni già determinati, ma era pronta a cogliere e a far nascere tutte le occasioni. Si affacciava egli dunque all’abbaino con quella frequenza e con quella libertà, che non bastasse a farlo scoprire da chi non avrebbe voluto. Nelle ore in cui Geltrude non faceva guardia alle educande, e queste ore tornavano sovente, gettò egli gli occhi sopra una delle più adulte, e trovato il terreno dolce, si diede a chiaccherellare con essa: ma pochi giorni trascorsero, che quella, fidanzata dai suoi parenti ad un tale, fu tolta dal monastero, e così la tresca finì, senza che nessuno l’avesse avvertita. Egidio animato da quel primo successo, ed allettato più che atterrito dalla empietà del secondo pensiero, ardì di rivolgere e di fermare gli occhi e i disegni sopra la Signora; e si diede ad agguatarla14. Un giorno mentre le educande erano tutte congregate nella stanza del lavoro con le due suore addette ai servigi della Signora, passeggiava essa sola innanzi e indietro nel cortiletto lontana le mille miglia da ogni sospetto d’insidie, come il pettirosso sbadato saltella di ramo in ramo senza pure immaginarsi che in quella macchia15 vi sia dei panioni16, e nascosto dietro a quella il cacciatore che gli ha disposti. Tutt’ad un tratto sentì ella venire dai tetti come un romore di voce non articolata la quale voleva farsi e non farsi intendere, e macchinalmente levò la faccia verso quella parte; e mentre andava errando con l’occhio per quegli alti

9. ara: altare. 10. come … Annibale: Amilcare, padre di Annibale, aveva fatto giurare al figlio odio eterno ai Romani.

11. sofferto: tollerato. 12. servitù: vincolo di dipendenza. 13. trasandarsi: trascurarsi. 14. agguatarla: stare in agguato, sorveglian-

pesare le parole Trasandarsi (r. 33) >

>

Trasandare deriva da trans-, “al di là”, e andare, quindi significa alla lettera “lasciar perdere”. È un verbo di uso raro, mentre è molto più comune trascurare, sempre da trans- e curare, quindi “non curare”. In uso invece è il participio passato trasandato, “poco curato” (es. veste in modo trasandato, con abiti spiegazzati e poco puliti; scrive in fretta, con uno stile trasandato). Sinonimo è sciatto, dal latino àptum, “adatto, conveniente”, più ex- negativo: quindi “non in ordine, che non fa le cose come andrebbero fatte” (es. è sciatto nell’eseguire il proprio lavoro).

Agguatarla

(r. 44)

> Agguatare, nel senso di “tendere agguati”, è un verbo

oggi non più in uso, così come guatare, “guardare a lungo, insistentemente”. Resta invece nell’uso agguato,

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>

dola di nascosto. 15. macchia: cespuglio. 16. panioni: verghe ricoperte di una sostanza vischiosa, per catturare gli uccelli.

in senso proprio, in campo militare, “insidia che si tende a un nemico per coglierlo alla sprovvista” (es. la pattuglia andata in avanscoperta cadde in un agguato e fu sterminata); può essere usato anche figuratamente (es. i fans tesero un agguato alla rockstar alla fine del concerto e riuscirono a strappargli un autografo; l’opposizione in Parlamento tese un agguato al governo e riuscì a metterlo in minoranza). La parola deriva dall’antico francese aguait, dal francone waht, “guardare”. Un sinonimo è imboscata, da in- e bosco, quindi propriamente il nascondersi in un bosco per assalire il nemico all’improvviso. Imboscarsi, vuol dire “sottrarsi agli obblighi militari con espedienti” (es. durante la guerra i combattenti disprezzavano gli imboscati nelle retrovie). Metaforicamente, all’infuori del linguaggio militare, significa “insediarsi in un impiego tranquillo, da parte di chi non vuole faticare” (es. si è imboscato in quell’ufficio dove non c’è mai nulla da fare).

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e bassi17, quasi cercando il punto preciso donde il romore era partito, un secondo romore simile al primo, che manifestamente le apparve una chiamata misteriosa e cauta, le colpì l’orecchio, e la fece avvertire il punto ch’ella cercava. Guardò ella allora più fissamente per conoscere che fosse; e i cenni che vide non le lasciarono dubbio sulla intenzione di quella chiamata. Bisogna qui render giustizia a quella infelice: qual che fosse fin’allora stata la licenza dei suoi pensieri, il sentimento ch’ella provò in quel punto fu un terrore schietto e forte: chinò tosto lo sguardo, fece un cipiglio severo e sprezzante, e corse come a rifuggirsi sotto quel lato del porticato che toccava la casa del vicino, e dove per conseguenza ella era riparata dall’occhio temerario di quello, quivi tirando lunghesso il muro18, rannicchiata e ristretta come se fosse inseguita, si avviò all’angolo dov’era una scaletta che conduceva alle sue stanze, vi salse, e vi si chiuse, quasi per porsi in sicuro. Posta a sedere tutta ansante, fu assalita da una folla di pensieri: cominciò prima di tutto a ripensare se mai ella avesse dato ansa in alcun modo alla arditezza di colui, e trovatasi innocente, si rallegrò: quindi detestando ancora sinceramente ciò che aveva veduto, se lo andava raffigurando e rimettendo nella immaginazione per venire più chiaramente a comprendere come, perché ciò fosse avvenuto. Forse era equivoco? forse l’aveva egli presa in iscambio19? Forse aveva voluto accennare qualche cosa d’indifferente? Ma più ella esaminava, più le pareva di non avere errato alla prima20, e questo esame aumentando la sua certezza, la andava famigliarizzando con quella immagine, e diminuiva quel primo orrore e quella prima sorpresa. Cosa strana e trista! Il sentimento stesso della sua innocenza le dava una certa sicurtà a tornare su quelle immagini: ella compiaceva liberamente ad una curiosità di cui non conosceva ancora tutta l’estensione, e guardava senza rimorso e senza precauzione una colpa che non era la sua. Finalmente dopo lunga pezza ella si levò come stanca di tanti pensieri che finivano in uno, e desiderò di trovarsi con le sue educande, con le suore, di non esser sola. Esitò alquanto su la strada che doveva fare: ripassando pel cortiletto, ella avrebbe potuto lanciare uno sguardo alla sfuggita dietro le spalle su quei tetti per vedere se colui era tanto ardito da trattenervisi, e così saper meglio come regolarsi…, ma s’accorse tosto ella stessa che questo era un sofisma della curiosità, o di qualche cosa di peggio, e senza più esitare, s’avviò pel dormitorio alla stanza dove erano le educande: qui, o fosse caso o un resto di quella esitazione ella si affacciò ad una finestra che aveva dirimpetto appunto quei tetti, vi guardò, vide il temerario che non si era mosso, partì tosto dalla finestra, la chiuse, e uscì da quella stanza dicendo in fretta alle educande con voce commossa21: «lavorate da brave»; e se ne andò difilato a passeggiare nel giardino del chiostro. L’atto repentino, e la commozione della voce non diedero nulla da pensare né alle educande né alle suore, avvezze le une e le altre agli sbalzi frequenti dell’umore della Signora. Ma ella stava peggio nel giardino che già non fosse nelle sue stanze. Le venne un pensiero, che avrebbe dovuto avvertire dell’accaduto chi poteva opporsi a tanta temerarità22. – Ma; e se mi fossi ingannata? – Questo dubbio non le veniva che allor quando la manifestazione23 di ciò che aveva veduto le si presentava alla mente come un dovere. – Prima di parlare – diceva fra sé – voglio esser certa; troverò il modo di farlo con prudenza. E finalmente – concluse fra sé in un accesso di passioni diverse, – finalmente che colpa ci ho io? questo monastero non l’ho piantato io qui vicino a questa casa. Così non foss’egli stato piantato in nessun angolo della terra! Dovevano pensarvi quelle che sono venute a chiudervisi di loro voglia. Vada come sa andare. Io non voglio pensarci. –

17. per … bassi: i tetti di altezza irregolare. 18. tirando … muro: passando rasente al muro.

19. presa in iscambio: scambiata per un’altra. 20. di non … prima: la sua prima interpretazione dell’invito rivoltole da Egidio era giusta.

21. commossa: turbata. 22. chi … temerarità: i superiori. 23. la manifestazione: la denuncia ai superiori.

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Queste parole volevano dire, forse senza che Geltrude stessa lo scorgesse ben chiaro, che d’allora in poi ella non avrebbe pensato ad altro. Il nostro manoscritto segue qui con lunghi particolari il progresso dei falli di Geltrude; noi saltiamo tutti questi particolari, e diremo soltanto ciò che è necessario a fare intendere in che abisso ella fosse caduta, e a motivare gli orribili eccessi d’un altro genere, ai quali la strascinò la sua caduta. L’assedio dello scellerato Egidio non si rallentò, e Geltrude cominciò a mettersi sovente nella occasione di mostrargli ch’ella disapprovava le sue istanze, quindi passando gradatamente dalle dimostrazioni della disapprovazione a quelle della non curanza, da questa alla tolleranza, finalmente dopo un doloroso combattimento si diede per vinta in cuor suo, e con quei mezzi che lo scellerato aveva saputi trovare e additarle lo fece certo della sua infame vittoria. Cessato il combattimento, la sventurata provò per un istante una falsa gioja. Alla noja, alla svogliatezza, al rancore continuo, succedeva tutt’ad un tratto nel suo animo una occupazione forte, gradita, continua, una vita potente si trasfondeva nel vuoto dei suoi affetti; Geltrude ne fu come inebbriata; ma era la coppa ristorante che la crudeltà ingegnosa degli antichi porgeva al condannato per invigorirlo a sostenere il martirio. L’avvenire gli apparì come pieno e delizioso. Alcuni momenti della giornata spesi a quel modo, e il resto impiegato a pensare a quelli, ad aspettarli, a prepararli gli sembrò una esistenza beata, che non lascerebbe né cure24, né desiderj; ma le consolazioni della mala coscienza, dice il manoscritto, profittano altrui come al figliuolo di famiglia le somme ch’egli tocca dall’usurajo25. L’accecamento di Geltrude e le insidie di Egidio s’avanzavano di pari passo, e giunsero al punto che il muro divisorio non lo fu più che di nome. Già prima di arrivare a questo estremo, nel carattere di Geltrude era accaduto un gran cangiamento, tutte le inclinazioni viziose che vi erano come addormentate si risvegliarono più forti e più adulte, e a tutte queste si aggiunse l’ipocrisia. Cominciò ella nei primi momenti a divenire più attenta nell’esteriore, più regolare, più tranquilla; cessò dagli scherni, e dal rammarichio; di modo che le suore si congratulavano a vicenda della mutazione felice. Ma quando all’effetto naturale del fallo si aggiunse la scuola viva e diretta dello scellerato giovane, ognuno può immaginarsi quali diventassero le idee di Geltrude. Tutto ciò che era dovere, pietà, morigeratezza era già da gran tempo associato nella sua mente alla violenza ed alla perfidia, ed aveva un lato odioso e sospetto: i ragionamenti che tendevano a mostrare che tutto ciò era una invenzione dell’astuzia, un’arte per godere a spese altrui, accolti dal cuore e presentati all’intelletto, furono ricevuti in esso come amici savj e sinceri. Vi ha nelle teorie del vizio qualche cosa di più pensato, di più profondo, di più verosimile che non appaja nelle massime del dovere espresse in un modo volgare e talvolta inesatto: di modo che il pervertimento può parere facilmente un progresso di ragione. Ben è vero che al di là di quelle teorie ve n’ha una più profonda e vera26 che mostra la loro fallacia; ma questa non è dato tro-

24. cure: preoccupazioni. 25. come … usurajo: un giovane che non

possa ancora disporre del patrimonio di famiglia, e che faccia debiti presso un usuraio,

prepara la propria rovina. 26. una … vera: la religione cristiana.

pesare le parole Morigeratezza (r. 127) >È

la qualità di chi è morigerato, cioè di chi vive con moderatezza e sobrietà, senza eccessi di alcun genere (es. conduce una vita molto morigerata: non beve, non fuma, non gioca, non frequenta prostitute, va sempre a letto presto). È propriamente il participio passato del verbo morigerare, che viene dal latino mòrem,

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“costume (da cui morale) e gèrere, “portare”, quindi alla lettera “portare (buoni) costumi”. Nel senso corrente significa “correggere moderando gli eccessi, educare ai buoni comportamenti” (es. fu mandato in collegio perché l’educazione morigerasse i suoi impulsi trasgressivi).

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varla se non ad una meditazione potente, o ad un sentimento retto; ma Geltrude non aveva né l’uno né l’altro di questi ajuti. Ella fu dunque una docile e cieca discepola, e conobbe e ricevé tutte quelle idee generali di perversità a cui l’ignoranza e la irriflessione di quei tempi permetteva di arrivare. Ma non andò molto che il maestro ebbe a domandarle, o ad imporle nuovi passi nella carriera ch’ella aveva intrapresa. Geltrude aveva a poco a poco trasandate quelle cure di apparente regolarità che si era prescritte; la licenza a cui si era abbandonata le rendeva più insopportabile ogni contegno; e così si rilasciò tanto che negli atti e nei discorsi divenne più libera e più irregolare di prima. Insieme a quelle cure cominciò senza avvedersene a trascurare anche le precauzioni che aveva da prima messe in opera per nascondere quello che tanto le importava di nascondere; e le trascurò tanto che ella s’accorse chiaramente un giorno che le due damigelle, che le stavano più vicine avevano qualche sospetto. Tutta atterrita ella comunicò la sua scoperta a colui che era il suo solo consigliere. Questi ne fu pure atterrito, ma a mille miglia meno di Geltrude, e per la diversità delle circostanze, e perché tanto era minore il suo pericolo che non quello della donna, e per la diversità dell’animo: perché quello di Egidio era duro e grossolano; e in Geltrude il timore della vergogna era una passione furiosa come si è veduto dalla sua condotta anteriore. Pensò egli quindi più freddamente al modo di scansare il pericolo, e ne trovò uno che era per lui una nuova occasione di soddisfare alle sue passioni. Per riuscirvi, egli coltivò il terrore di quella poveretta, le fece tanta paura del male, che nessun rimedio le paresse troppo doloroso: e finalmente propose l’infame rimedio che fu di render partecipi del segreto e di associare alla colpa le due che la sospettavano. Lo scellerato pose in opera tutta la sua astuzia, si valse di tutto il predominio che aveva sull’animo di Geltrude, adoperò tutte le dottrine che le aveva insegnate e ch’ella aveva ricevute. L’albero della scienza aveva maturato un frutto amaro e schifoso, ma Geltrude aveva la passione nell’animo e il serpente al fianco27, e lo colse. Con la direzione del serpente, ella trasfuse prudentemente a gradi a gradi nelle menti delle due suore il pervertimento che era necessario per renderle sue complici, e consumò il proprio avvilimento nella loro colpa28. Venuta in questo fondo, la sventurata perdette con ogni dignità ogni ritegno, e agguerrita contra ogni pudore si trovò disposta ad agguerrirsi ad ogni attentato; e l’occasione non tardò a presentarsi. [Una delle due damigelle assegnate a Geltrude fa qualche confidenza sulla relazione della Signora ad un’altra suora sua amica. Un giorno costei, maltrattata oltre misura da Geltrude, si lascia sfuggire che sa qualcosa. Geltrude, le sue damigelle ed Egidio si consultano sul modo di farla tacere. Egidio propone di ucciderla. Geltrude oppone resistenza, ma alla fine acconsente, a patto di non dover partecipare materialmente al delitto. Segue la minuta descrizione dell’uccisione della suora da parte delle damigelle di Geltrude. Egidio occulta il cadavere nel sotterraneo della sua casa, nottetempo, e per sviare i sospetti e far credere che la suora sia fuggita, apre un buco nel muro di cinta del monastero.]

27. L’albero … fianco: allude al mito biblico dell’albero dell’Eden, di Eva e del serpente tentatore: il serpente è Egidio, la scienza sono le teorie del vizio che il libertino ha insegnato a Geltrude. 28. consumò … colpa: toccò il fondo della sua degradazione corrompendo le due suore.

Federico Faruffini, Gli scolari dell’Alciato, 1864, olio su tela, Collezione privata.

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Analisi interattiva

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«La sventurata rispose» da I promessi sposi, cap. X

• la funzione dell’ellissi narrativa • la presenza più dissimulata del narratore • una visione meno negativa della realtà

Tra l’altre distinzioni e privilegi che le erano stati concessi, per compensarla di non poter esser badessa1, c’era anche quello di stare in un quartiere a parte. Quel lato del monastero era contiguo a una casa abitata da un giovine, scellerato di professione, uno de’ tanti, che, in que’ tempi, e co’ loro sgherri, e con l’alleanze d’altri scellerati, potevano, fino a un certo segno, ridersi della forza pubblica e delle leggi. Il nostro manoscritto lo nomina Egidio, senza parlar del casato. Costui, da una sua finestrina che dominava un cortiletto di quel quartiere, avendo veduta Gertrude qualche volta passare o girandolar lì, per ozio, allettato anzi che atterrito dai pericoli e dall’empietà dell’impresa, un giorno osò rivolgerle il discorso. La sventurata rispose. In que’ primi momenti, provò una contentezza, non schietta al certo, ma viva. Nel vòto2 uggioso dell’animo suo s’era venuta a infondere un’occupazione forte, continua e, direi quasi, una vita potente; ma quella contentezza era simile alla bevanda ristorativa che la crudeltà ingegnosa degli antichi mesceva al condannato, per dargli forza a sostenere i tormenti. Si videro, nello stesso tempo, di gran novità in tutta la sua condotta: divenne, tutt’a un tratto, più regolare, più tranquilla, smesse gli scherni e il brontolìo, si mostrò anzi carezzevole e manierosa, dimodoché le suore si rallegravano a vicenda del cambiamento felice; lontane com’erano dall’immaginarne il vero motivo, e dal comprendere che quella nuova virtù non era altro che ipocrisia aggiunta all’antiche magagne. Quell’apparenza però, quella, per dir così, imbiancatura esteriore, non durò gran tempo, almeno con quella continuità e uguaglianza: ben presto tornarono in campo i soliti dispetti e i soliti capricci, tornarono a farsi sentire l’imprecazioni e gli scherni contro la prigione claustrale, e talvolta espressi in un linguaggio insolito in quel luogo, e anche in quella bocca. Però, ad ognuna di queste scappate veniva dietro un pentimento, una gran cura di farle dimenticare, a forza di moine e buone parole. Le suore sopportavano alla meglio tutti questi alt’e bassi, e gli attribuivano all’indole bisbetica e leggiera della signora. Per qualche tempo, non parve che nessuna pensasse più in là; ma un giorno che la signora, venuta a parole con una conversa, per non so che pettegolezzo, si lasciò andare a maltrattarla fuor di modo, e non la finiva più, la conversa, dopo aver sofferto3 ed essersi morse le labbra un pezzo, scappatale finalmente la pazienza, buttò là una parola, che lei sapeva qualche cosa, e che, a tempo e luogo, avrebbe parlato. Da quel momento in poi, la signora non ebbe più pace. Non passò però molto tempo, che la conversa fu

1. di non … badessa: Gertrude era troppo giovane per poter diventare badessa del

monastero. 2. vòto: vuoto.

pesare le parole Magagne (r. 18)

> L’origine è il verbo provenzale (di provenienza germanica) maganhar, “ridurre malconcio, guastare”. Magagna è un’imperfezione o un difetto, specialmente nascosto, di un oggetto o di un materiale (es. solo dopo averla acquistata ho scoperto le magagne di quell’auto usata). In senso più esteso significa “vizio” (es. non so se le magagne del suo carattere sono compensate da altre doti).

Bisbetica

(r. 25)

> Deriva dal greco amphisbetikós, da amphí-, “dall’una e dall’altra parte”, e dalla radice del verbo báinein, “anda-

430

Temi chiave

3. sofferto: sopportato.

re”, quindi alla lettera “che cammina da due parti”, poi “abile nel contendere” e infine “doppiamente litigioso”. Indica chi ha un carattere difficile, incontentabile, pronto alla lite. Sinonimo: lunatico, da luna, perché si credeva che i mutamenti della luna influissero sulla volubilità e sulla bizzarria del carattere, rendendolo intrattabile (es. è un tipo lunatico, a volte è gentile, a volte ti tratta male). Volubilità viene dal latino vòlvere, “volgere”, quindi è la caratteristica di chi muta facilmente. Bizzarria è il non seguire i comportamenti considerati normali e abituali; viene da bizza (di etimologia incerta), “accesso momentaneo di collera, capriccio” (es. il non voler usare il telefono cellulare oggi è visto come una bizzarria).

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

35

aspettata in vano, una mattina, a’ suoi ufizi4 consueti: si va a veder nella sua cella, e non si trova: è chiamata ad alta voce; non risponde: cerca di qua, cerca di là, gira e rigira, dalla cima al fondo; non c’è in nessun luogo. E chi sa quali congetture si sarebber fatte, se, appunto nel cercare, non si fosse scoperto una buca nel muro dell’orto; la qual cosa fece pensare a tutte, che fosse sfrattata5 di là. Si fecero gran ricerche in Monza e ne’ contorni, e principalmente a Meda, di dov’era quella conversa; si scrisse in varie parti: non se n’ebbe mai la più piccola notizia. Forse se ne sarebbe potuto saper di più, se, in vece di cercar lontano, si fosse scavato vicino6.

4. ufizi: compiti.

5. sfrattata: fuggita. 6. Forse … vicino: nel Fermo viene descrit-

to il seppellimento del cadavere nel sotterraneo della casa di Egidio.

pesare le parole Sfrattata (r. 36)

> Sfrattare proviene da fratta, “cespuglio”, con ex-, “via da”, quindi alla lettera significa “uscire fuori dal cespuglio” (in cui si è appiattati). Nel passo manzoniano sfrattata è usato intransitivamente ed equivale a “uscita, fuggita di nascosto

Analisi dei testi Il racconto dettagliato del Fermo

I promessi sposi: l’ellissi narrativa

con rapidità”. Nel senso corrente sfrattare, usato transitivamente, significa obbligare, da parte dell’autorità giudiziaria, l’inquilino di un immobile ad abbandonarlo (es. ha sfrattato gli inquilini perché vuole andare a vivere lui nell’alloggio).

Laboratorio interattivo

> Le diverse impostazioni

Nel Fermo Manzoni narra ampiamente e dettagliatamente il cedimento di Geltrude alla seduzione, la relazione con Egidio, la sua degradazione; anche il delitto è descritto nei suoi particolari più atroci, compreso l’occultamento del cadavere della suora nei sotterranei della casa di Egidio. È una materia cupa, sgradevole. Manzoni stesso, al termine dell’episodio, sentirà il bisogno di giustificarne la presenza nel romanzo («Siamo stati più volte in dubbio se non convenisse stralciare dalla nostra storia queste turpi ed atroci avventure; ma […] ci è sembrato che la cognizione del male quando ne produce l’orrore sia non solo innocua ma utile»). Nei Promessi sposi tutta questa materia scompare. Manzoni si arresta al momento determinante, con una frase gravida di sottintesi, «La sventurata rispose», e tace sugli sviluppi successivi, con una fortissima ellissi narrativa. A compiere questa scelta, nella riscrittura del romanzo, possono averlo indotto varie ragioni: • di carattere morale: la preoccupazione di inserire in un romanzo destinato ad un vasto pubblico una materia così scabrosa; • di equilibrio compositivo: la vicenda di Geltrude nel Fermo acquista dimensioni abnormi nell’economia della narrazione, divenendo un vero e proprio romanzo a sé, che interrompe troppo a lungo il filo centrale della vicenda; • di tipo ideologico e artistico insieme: si può verificare qui quanto si è già indicato, che nel Fermo Manzoni tende a conferire caratteri estremi al negativo della realtà storica, mettendolo in conflitto radicale con il positivo, l’ideale; nei Promessi sposi invece tende a sfumare gli estremi, ad avvicinarli ed a rendere meno violento il loro urto (De Castris). Per questo attenua o sopprime del tutto la cupa vicenda di corruzione, di sacrilegio e di sangue.

> I procedimenti narrativi La presenza del narratore nel Fermo Il giudizio dissimulato nei Promessi sposi

L’urgenza polemica del Fermo nei confronti del negativo si riflette nei procedimenti narrativi. Nel Fermo è più insistita la presenza del narratore, che interviene esplicitamente in vari punti a commentare e a dare giudizi su ciò che racconta. Tutto ciò testimonia in Manzoni un bisogno prepotente di correggere la negatività del reale. Anche nei Promessi sposi il narratore interviene con i suoi giudizi, ma la sua presenza è più dissimulata. Si noti la famosa frase, «La sventurata rispose»: nell’aggettivo è presente un netto giudizio sul personaggio, però il giudizio non è dato in forma esplicita, con un intervento che interrompa il racconto; esso fa corpo con la narrazione, si mimetizza nel suo fluire, come se non provenisse dall’esterno, ma scaturisse dall’oggettività delle cose stesse. 431

L’età del Romanticismo

Esercitare le competenze coMprenDere

> 1. Completa la tabella, assegnando un titolo a ciascuna sequenza del T11a, secondo l’esempio proposto. righe

Titolo sequenza

1-44

..............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

44-97

La nascita di una passione scellerata ..............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

98-119

..............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

120-139

Il.............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................. cambiamento nel carattere di Geltrude

140-166

..............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

> 2. In quali luoghi si svolge l’azione narrativa nel brano T11b? Motiva la tua risposta in base al testo. anaLIzzare

> 3. Analizza la prima parte del T11a (rr. 1-23) e rispondi ai seguenti quesiti. a) La figura dell’anonimo compare già nel Fermo e Lucia? b) Il narratore ricorre all’ironia? Argomenta la tua risposta. c) Quali analogie si possono notare tra Egidio e don Rodrigo? > 4. Individua nel T11a gli elementi narrativi tipici del romanzo nero e gotico, nei confronti dei quali Manzoni nel Fermo e Lucia sembra talvolta indulgere. > 5. In quale passo del T11b emergono con forza le caratteristiche del romanzo storico inteso come narrazione di eventi puntualmente documentati? Motiva la tua risposta. > 6. narratologia Individua nel testo dei Promessi sposi (T11b) tutte le ellissi narrative. > 7. stile Nel T11a Geltrude è paragonata a un pettirosso (rr. 47-49): quale funzione ha questa similitudine? approfonDIre e InTerpreTare

> 8.

scrivere Chiarisci i problemi relativi alla lingua da utilizzare nel romanzo che si pongono a Manzoni sin dal Fermo e Lucia (ca. 10 righe o 500 caratteri). > 9. scrivere Nel T11b quali riflessioni esprime Manzoni, seppure indirettamente, sul tema della giustizia nel Seicento? Rispondi in circa 10 righe (500 caratteri). > 10. Testi a confronto Quali giudizi e atteggiamenti traspaiono nei confronti di Geltrude da parte della voce narrante nel Fermo e Lucia (T11a)? E nei Promessi sposi (T11b)? > 11. Testi a confronto: esporre oralmente Commenta (max 8 minuti) la vicenda di Gertrude alla luce della riflessione con cui il narratore dei Promessi sposi introduce il racconto della vita del personaggio dopo la vestizione (cap. X):

È una delle facoltà singolari e incomunicabili della religione cristiana, il poter indirizzare e consolare chiunque, in qualsivoglia congiuntura, a qualsivoglia termine, ricorra ad essa. Se al passato c’è rimedio, essa lo prescrive, lo somministra, dà lume e vigore per metterlo in opera, a qualunque costo; se non c’è, essa dà il modo di far realmente e in effetto, ciò che si dice in proverbio, di necessità virtù. Insegna a continuare con sapienza ciò ch’è stato intrapreso per leggerezza; piega l’animo ad abbracciar con propensione ciò che è stato imposto dalla prepotenza, e dà a una scelta che fu temeraria, ma che è irrevocabile, tutta la santità, tutta la saviezza, diciamolo pur francamente, tutte le gioie della vocazione. È una strada così fatta che, da qualunque laberinto, da qualunque precipizio, l’uomo capiti ad essa, e vi faccia un passo, può d’allora in poi camminare con sicurezza e di buona voglia, e arrivar lietamente a un lieto fine. Con questo mezzo, Gertrude avrebbe potuto essere una monaca santa e contenta, comunque lo fosse divenuta. Ma l’infelice si dibatteva in vece sotto il giogo, e così ne sentiva più forte il peso e le scosse. per IL recUpero

> 12. Svolgi un confronto tra i seguenti passi e metti in risalto analogie e differenze dal punto di vista lessicale:

a) T11a: «era la coppa ristorante che la crudeltà ingegnosa degli antichi porgeva al condannato per invigorirlo a sostenere il martirio» (rr. 111-113); b) T11b: «quella contentezza era simile alla bevanda ristorativa che la crudeltà ingegnosa degli antichi mesceva al condannato, per dargli forza a sostenere i tormenti» (rr. 12-14). scrITTUra creaTIVa

> 13. In base alle informazioni fornite dal T11b (e, se vuoi, da quello precedente tratto dal Fermo e Lucia, T11a),

ricostruisci il primo colloquio fra Egidio e Gertrude elaborando un testo sotto forma di dialogo da cui possa emergere il carattere dei due personaggi. Non superare le 80 righe (4000 caratteri).

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Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

La voce del Novecento

Moravia rilegge Manzoni: la corruzione di don abbondio e di Gertrude Nel 1960 uscì presso l’editore Einaudi un’edizione dei Promessi sposi con la prefazione di Alberto Moravia (1907-90), raccolta poi nel 1963 nel volume L’uomo come fine. La lettura del romanzo che vi veniva proposta suscitò scalpore e discussioni accese, perché lo scrittore non si poneva di fronte ad esso con la riverenza abituale nei critici, che tradizionalmente lo guardavano come un capolavoro di inarrivabile perfezione, anzi lo veneravano quasi come un libro sacro. Moravia, con impavida baldanza argomentativa, osava segnare nettamente quelli che egli riteneva i limiti dell’opera, per contrapporli agli autentici pregi poetici. La tesi più scandalosa era già contenuta nel titolo della prefazione, Alessandro Manzoni o l’ipotesi di un realismo cattolico. Moravia vedeva nei Promessi sposi un’anticipazione del cosiddetto “realismo socialista”, cioè del tipo di letteratura che era stata praticata nel Novecento nell’Unione Sovietica, in obbedienza alle direttive culturali del partito-Stato: una letteratura propagandistica, basata sulla contrapposizione netta fra eroi positivi e personaggi negativi, che proponeva del reale una visione non mobile e pluriprospettica, come è prerogativa dell’arte autentica, ma un’immagine ideologica univoca e rigida. Per Moravia, un secolo prima e in condizioni storiche diverse, Manzoni aveva perseguito un tentativo analogo: proporre un’opera che, rappresentando la totalità della realtà italiana, costringesse tale realtà nel quadro ideologico del cattolicesimo. Per questo Moravia usa la formula «realismo cattolico», modellandola appunto sul «realismo socialista». Per lui anche nel romanzo di Manzoni la realtà nella sua multiforme varietà viene costretta negli schemi fissi di un’ideologia totalizzante. Secondo lui le parti meno riuscite sono quelle che contrappongono personaggi negativi e positivi, don Rodrigo e l’innominato da un lato, fra Cristoforo e il cardinal Federigo dall’altro. Invece le parti più valide sono quelle in cui vengono rappresentati personaggi corrotti, don Abbondio e Gertrude, e la corruzione pubblica, della società. Le tesi di Moravia oggi non appaiono più condivisibili, ma restano un documento interessante del clima di quegli anni, in cui c’era un fermento di innovazione culturale che portava al bisogno di rovesciare princìpi consolidati e comunemente accettati.

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Don Abbondio, è giunto il momento di dirlo, è il personaggio perfetto di un particolare genere di corruzione italiana che, in mancanza di un termine più preciso, chiameremo storica. Accade continuamente, in Italia, di imbattersi in uomini di ogni classe, categoria, professione, condizione, potenti e non potenti, illustri e oscuri, intelligenti e stupidi, vecchi e giovani, ricchi e poveri, i quali tutti mostrano di aver paura di parlare, di dispiacere a qualche autorità, di scoprirsi, di compromettersi, di lasciarsi andare a dire quello che pensano su qualsivoglia problema. Sulle prime vien fatto di attribuire questo contegno a un interesse preciso che potrebbe, se non scusarlo, per lo meno spiegarlo. Ma il più delle volte questo interesse non c’è; c’è soltanto la paura, senza cause vicine e apparenti; e insieme con la paura, altrettanto forte, l’amore del quieto vivere. Allora, vedendo che non ci sono cause immediate, si è quasi costretti a risalire a quelle lontane, indirette, ataviche, storiche insomma, e si pensa: “Sarà colpa della Controriforma, dei governi stranieri, delle tirannidi nazionali, lo sa il diavolo di chi è la colpa se quest’uomo, nelle vene, invece di sangue ha acqua.” Don Abbondio è personaggio così vivo e immortale appunto perché è l’incarnazione di questa corruzione nazionale tanto antica da apparire ormai come una seconda natura.

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Don Abbondio è corrotto dalla paura che gli fanno i bravi di Don Rodrigo; Gertrude, invece, è corrotta dalla soggezione che le incute il padre e, in genere, la società alla quale appartiene. La storia della Monaca di Monza fu sempre giustamente lodata come una delle parti più belle de I Promessi Sposi; aggiungiamo che, non a caso, è la storia di una lunga e tortuosa corruzione, ossia della trasformazione di un personaggio innocente in malvagio, seguita passo passo, con una mirabile capacità realistica e inventiva che si cercherebbe invano nelle descrizioni delle conversioni ossia delle trasformazioni dei personaggi malvagi in buoni. Dell’infanzia dell’Innominato, tanto per fare un solo esempio, non sappiamo niente; Gertrude invece ci viene presentata quando, addirittura, sta “ancora nascosta nel ventre di sua madre”. La progressiva metamorfosi dell’innocente bambina prima in disperata bugiarda, poi in monaca fedifraga1, quindi in adultera2 e infine in criminale, è quanto di più forte sia stato scritto sull’argomento della corruzione. Si confronti la storia di Gertrude con quella analoga della Réligieuse3 di Diderot e si avrà l’impressione di paragonare un pozzo profondo di acqua nera e immobile a un limpido e veloce ruscello. E questo perché mentre Diderot conosce le cause delle corruzione e ce le addita, Manzoni, come nel caso di Don Abbondio, preferisce tacerle. Per Diderot la catarsi4 è fuori del romanzo, di fatto nella Rivoluzione imminente che lo scrittore pare annunziare in ogni riga; per il Manzoni, conservatore e cattolico, non c’è catarsi se non estetica5. A. Moravia, Alessandro Manzoni o l’ipotesi di un realismo cattolico, in L’uomo come fine e altri saggi, Bompiani, Milano 1963

1. fedifraga: alla lettera, che rompe i patti, tradisce gli impegni, cioè in questo caso i voti monacali. 2. adultera: nel senso che ha una relazione carnale con Egidio, pur essendo sposa di Cristo. 3. Réligieuse: il romanzo La monaca di Denis Diderot (1713-84), filosofo illuminista e scrittore, uno dei compilatori

dell’Encyclopédie, uscì postumo nel 1796, e narra in chiave polemica la storia di una monacazione forzata. 4. catarsi: dal greco, significa alla lettera purificazione. Secondo la teoria esposta da Aristotele nella Poetica è il rasserenamento delle passioni prodotto dalla poesia, in particolare dalla tragedia. Ma qui Moravia usa il termine

nel senso di un riscatto da certe condizioni negative della società, quali quelle rappresentate nel romanzo di Diderot. 5. se non estetica: cioè è impossibile un riscatto dal negativo sul piano reale della storia e della società, si può dare solo nella bellezza estetica dell’opera che tratta quei problemi.

Analisi del testo

> Don abbondio e il costume italiano

Le cause del vizio nazionale

L’attualizzazione del personaggio di don Abbondio

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Moravia definisce don Abbondio come il rappresentante di un aspetto storico del costume italiano, caratterizzato dalla paura di esporsi, di manifestare le proprie idee, di compromettersi, di urtare qualche autorità, un comportamento che nasce dalla volontà di difendere il quieto vivere. E lo scrittore accenna a quelle che possono essere le cause di questo vizio nazionale: la Controriforma, col suo dominio autoritario sulle coscienze che ha impedito nell’italiano il formarsi di una personalità individuale autonoma, le dominazioni straniere e i regimi tirannici nazionali che hanno ridotto quelli che dovevano essere cittadini a sudditi sottomessi e passivi. La tesi moraviana è che don Abbondio è un personaggio così straordinariamente vivo perché è l’incarnazione di questa corruzione nazionale: è evidente l’intenzione di attualizzare il capolavoro manzoniano, inserendolo nelle problematiche del momento e utilizzandolo per una polemica di costume.

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

> Le cause della corruzione

Il costume feudale I tratti nativi del carattere di Gertrude

La catarsi storica e politica

Per Moravia anche la storia di Gertrude è la storia di una corruzione, del passaggio dall’innocenza infantile alla malvagità. La paragona a un’altra vicenda di monacazione forzata, quella narrata da Diderot nella Réligieuse, e sostiene che a differenza di quel romanzo Manzoni preferisce tacere le cause della corruzione del suo personaggio: il che non è esatto, in quanto lo scrittore, al contrario, indaga in profondità le cause del pervertimento di Gertrude. A leggere bene l’episodio, risulta evidente come Manzoni insista sul fatto che a corromperla è un preciso costume sociale e storico, quello ancora feudale della Lombardia seicentesca, che condanna la fanciulla al convento senza vocazione in nome delle sue regole ferree, cioè in nome della difesa del patrimonio familiare che deve restare indiviso. A ciò si aggiungono i tratti nativi del suo carattere: una debolezza della volontà che le impedisce di opporsi alle violenze di cui è vittima e di scegliere autonomamente la sua strada, una inclinazione alla sensualità e al piacere che le rende impossibile respingere le tentazioni. Discutibile è anche l’affermazione che per Manzoni, a differenza che per Diderot, che preannuncia la Rivoluzione francese, non ci sia catarsi se non estetica: al contrario la critica alla società seicentesca è condotta in nome dei princìpi moderni della società, che Manzoni è convinto si possano affermare e a cui dà un contributo proprio con il suo romanzo. Non va dimenticata l’adesione dello scrittore al processo risorgimentale, che mirava appunto a creare l’Italia moderna, liberandola dalle pesanti eredità del passato, da regimi assolutistici, sopravvivenze feudali, oscurantismi.

Esercitare le competenze coMprenDere

> 1. Che cosa accomuna e che cosa distingue don Abbondio e Gertrude, secondo Moravia? Rispondi facendo riferimenti puntuali al testo.

anaLIzzare

> 2. In quali punti del testo l’autore interviene direttamente esplicitando la propria posizione? In quali, invece,

sembra esprimere un pensiero comune e ampiamente condiviso? stile Individua e spiega la figura retorica presente nel passo «Si confronti la storia di Gertrude […] a un limpido e veloce ruscello» (rr. 29-31).

> 3.

approfonDIre e InTerpreTare

> 4.

Video La parodia del Trio

esporre oralmente Moravia, proponendo un confronto con Diderot, suggerisce una riflessione più ampia incentrata sui rapporti fra Manzoni e l’Illuminismo: delinea un quadro generale di riferimento relativo alle origini familiari dell’autore, al suo pensiero e alla sua opera (max 3 minuti). > 5. competenze digitali I promessi sposi, come molti classici della letteratura, nel corso del tempo sono divenuti oggetto di parodia: sono numerose, infatti, le versioni in chiave dissacrante, comica, o sotto forma di rivisitazione popolare, che hanno coinvolto diverse espressioni d’arte anche non letteraria: fumetto, teatro, cinema, televisione ecc. Realizza un lavoro multimediale in cui ti avvarrai dei numerosi e interessantissimi materiali presenti in rete, fornendo una galleria di personaggi e situazioni liberamente tratti dalle immortali pagine manzoniane.

scrITTUra creaTIVa

> 6. Immagina, in base allo spunto offerto dalla lettura del brano, le ragioni di un don Abbondio dei nostri

tempi: le sue paure, sebbene deprecabili, potrebbero essere diretta espressione anche dell’uomo comune di oggi, spesso consapevole della propria limitatezza rispetto a situazioni pericolose; oppure, potrebbero essere il risultato di un cinico egoismo portato alle estreme conseguenze e finalizzato alla salvaguardia di se stesso. Elabora uno scritto di circa 60 righe (3000 caratteri) in cui un «curato» confessi a se stesso e spieghi la propria posizione.

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L’età del romanticismo

L e t t e r a t u r a e Economia

T12

La carestia: Manzoni economista da I promessi sposi, cap. XII

Testo e realtà La pagina del romanzo, puntualmente documentata, evidenzia come lo stretto legame fra cattiva politica e questioni economiche incida negativamente sulla società, soprattutto nei periodi di crisi.

Renzo, in fuga dal suo paese per la persecuzione di don Rodrigo, che vuole impedire il suo matrimonio con Lucia, è arrivato a Milano, dove dovrebbe trovare rifugio in un convento di cappuccini. Invece, spinto dalla curiosità, si fa attrarre dal «vortice» del tumulto popolare che è scoppiato in città per la carestia e l’aumento del prezzo del pane. Il narratore apre una digressione storica per spiegare le cause della sommossa.

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Era quello il second’anno di raccolta scarsa. Nell’antecedente, le provvisioni1 rimaste degli anni addietro avevan supplito, fino a un certo segno, al difetto2; e la popolazione era giunta, non satolla3 né affamata, ma, certo, affatto sprovveduta4, alla messe del 1628, nel quale siamo con la nostra storia. Ora, questa messe tanto desiderata riuscì ancor più misera della precedente, in parte per maggior contrarietà delle stagioni (e questo non solo nel milanese, ma in un buon tratto di paese circonvicino); in parte per colpa degli uomini. Il guasto e lo sperperìo5 della guerra, di quella bella guerra di cui abbiam fatto menzione di sopra6, era tale, che, nella parte dello stato più vicina ad essa, molti poderi più dell’ordinario rimanevano incolti e abbandonati da’ contadini, i quali, in vece di procacciar col lavoro pane per sé e per gli altri, eran costretti d’andare ad accattarlo7 per carità. Ho detto: più dell’ordinario; perché le insopportabili gravezze8, imposte con una cupidigia e con un’insensatezza del pari sterminate, la condotta abituale, anche in piena pace, delle truppe alloggiate ne’ paesi, condotta che i dolorosi documenti di que’ tempi uguagliano a quella d’un nemico invasore, altre cagioni che non è qui il luogo di mentovare9, andavano già da qualche tempo operando lentamente quel tristo effetto in tutto il milanese: le circostanze particolari di cui ora parliamo, erano come una repentina esacerbazione10 d’un mal cronico. E quella qualunque raccolta non era ancor finita di riporre, che le provvisioni11 per l’esercito, e lo sciupinìo12 che sempre le accompagna, ci fecero dentro un tal vôto13, che la penuria si fece subito sentire, e con la penuria quel suo doloroso, ma salutevole14 come inevitabile effetto, il rincaro. Ma quando questo arriva a un certo segno15, nasce sempre (o almeno è sempre nata finora; e se ancora, dopo tanti scritti di valentuomini16, pensate in quel tempo!), nasce un’opinione ne’ molti, che non ne sia cagione la scarsezza. Si dimentica d’averla temuta, predetta; si suppone tutt’a un tratto che ci sia grano abbastanza, e che il male venga dal non vendersene abbastanza per il consumo: supposizioni che non stanno né in cielo, né in terra; ma che lusingano a un tempo la collera e la speranza17. Gl’incettatori di

1. provvisioni: provviste. 2. difetto: mancanza. 3. satolla: sazia. 4. affatto sprovveduta: del tutto sprovvista di riserve. 5. il guasto e lo sperperìo: le devastazioni e lo spreco. 6. bella guerra … sopra: la guerra per la successione del ducato di Mantova e del Monferrato, in cui si affrontavano la Spagna

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e l’Impero asburgico da un lato e la Francia dall’altro. È un episodio della Guerra dei Trent’anni. 7. accattarlo: procurarselo mediante l’accattonaggio. 8. gravezze: il peso delle tasse. 9. mentovare: menzionare. 10. esacerbazione: aggravamento. 11. provvisioni: approvvigionamento di viveri.

12. sciupinìo: spreco. 13. vôto: vuoto. 14. salutevole: salutare. 15. segno: punto, livello. 16. scritti di valentuomini: studi di insigni economisti. 17. la collera … speranza: la collera contro i supposti accaparratori, la speranza in un ritorno dell’abbondanza.

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grano, reali o immaginari, i possessori di terre, che non lo vendevano tutto in un giorno, i fornai che ne compravano, tutti coloro in somma che ne avessero o poco o assai, o che avessero il nome18 d’averne, a questi si dava la colpa della penuria e del rincaro, questi erano il bersaglio del lamento universale, l’abbominio della moltitudine male e ben vestita19. Si diceva di sicuro dov’erano i magazzini, i granai, colmi, traboccanti, appuntellati20; s’indicava il numero de’ sacchi, spropositato; si parlava con certezza dell’immensa quantità di granaglie che veniva spedita segretamente in altri paesi; ne’ quali probabilmente si gridava, con altrettanta sicurezza e con fremito uguale, che le granaglie di là venivano a Milano. S’imploravan da’ magistrati21 que’ provvedimenti, che alla moltitudine paion sempre, o almeno sono sempre parsi finora, così giusti, così semplici, così atti a far saltar fuori il grano, nascosto, murato, sepolto, come dicevano, e a far ritornar l’abbondanza. I magistrati qualche cosa facevano: come di stabilire il prezzo massimo d’alcune derrate22, d’intimar pene a chi ricusasse di vendere, e altri editti di quel genere. Siccome però tutti i provvedimenti di questo mondo, per quanto siano gagliardi, non hanno virtù di diminuire il bisogno del cibo, né di far venire23 derrate fuor di stagione; e siccome questi in ispecie non avevan certamente quella d’attirarne da dove ce ne potesse essere di soprabbondanti; così il male durava e cresceva. La moltitudine attribuiva un tale effetto alla scarsezza e alla debolezza de’ rimedi24, e ne sollecitava ad alte grida de’ più generosi e decisivi. E per sua sventura, trovò l’uomo secondo il suo cuore. Nell’assenza del governatore don Gonzalo Fernandez de Cordova, che comandava l’assedio di Casale del Monferrato, faceva le sue veci in Milano il gran cancelliere Antonio Ferrer25, pure spagnolo. Costui vide, e chi non l’avrebbe veduto? che l’essere il pane a un prezzo giusto, è per sé una cosa molto desiderabile; e pensò, e qui fu lo sbaglio, che un suo ordine potesse bastare a produrla. Fissò la meta26 (così chiamano qui la tariffa in materia di commestibili), fissò la meta del pane al prezzo che sarebbe stato il giusto, se il grano si fosse comunemente venduto trentatre lire il moggio27: e si vendeva fino a ottanta. Fece come una donna stata giovine, che pensasse di ringiovinire, alterando la sua fede di battesimo28. Ordini meno insensati e meno iniqui eran, più d’una volta, per la resistenza delle cose stesse, rimasti ineseguiti; ma all’esecuzione di questo vegliava la moltitudine, che, vedendo finalmente convertito in legge il suo desiderio, non avrebbe sofferto che fosse per celia29. Accorse subito ai forni, a chieder pane al prezzo tassato30; e lo chiese con quel fare di risolutezza e di minaccia, che danno la passione, la forza e la legge riunite insieme. Se i fornai strillassero, non lo domandate. Intridere, dimenare31, infornare e sfornare senza posa; perché il popolo, sentendo in confuso che l’era una cosa violenta32, assediava i forni di continuo, per goder quella cuccagna fin che durava; affacchinarsi33, dico, e scalmanarsi più del solito, per iscapitarci34, ognun vede che bel piacere dovesse essere. Ma, da una parte i magistrati che intimavan pene, dall’altra il popolo che voleva esser servito, e, punto punto che35 qualche fornaio indugiasse, pressava e

18. il nome: la fama. 19. moltitudine … vestita: di tutte le classi sociali. 20. appuntellati: puntellati (per impedire che crollino sotto il peso). 21. magistrati: governanti. 22. derrate: prodotti agricoli. 23. far venire: far crescere. 24. rimedi: i provvedimenti adottati dal potere politico per porre rimedio alla carestia. 25. Antonio Ferrer: gran cancelliere a Mila-

no dal 1619 al 1632. 26. la meta: il prezzo controllato delle provviste alimentari. 27. moggio: misura corrispondente a circa un ettolitro e mezzo. 28. fede di battesimo: certificato di battesimo, cioè la data di nascita. Secondo la teoria economica liberista il prezzo fissato d’autorità fa violenza alle leggi del mercato, in base alle quali i prezzi devono essere determinati solo dalla domanda e dall’offerta.

29. non avrebbe … celia: non avrebbe tollerato che fosse per scherzo. 30. tassato: fissato. 31. Intridere, dimenare: bagnare la farina e impastarla. 32. cosa violenta: un provvedimento che fa violenza ai meccanismi economici. 33. affacchinarsi: sfacchinare, faticare come facchini. 34. iscapitarci: rimetterci, perderci. 35. punto punto che: appena che.

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brontolava, con quel suo vocione, e minacciava una di quelle sue giustizie, che sono delle peggio che si facciano in questo mondo36; non c’era redenzione37, bisognava rimenare, infornare, sfornare e vendere. Però, a farli continuare in quell’impresa, non bastava che fosse lor comandato, né che avessero molta paura; bisognava potere: e un po’ più che la cosa fosse durata, non avrebbero più potuto38. Facevan vedere ai magistrati l’iniquità e l’insopportabilità del carico imposto loro, protestavano di voler gettar la pala39 nel forno, e andarsene; e intanto tiravano avanti come potevano, sperando, sperando che, una volta o l’altra, il gran cancelliere avrebbe inteso la ragione. Ma Antonio Ferrer, il quale era quel che ora si direbbe un uomo di carattere40, rispondeva che i fornai s’erano avvantaggiati molto e poi molto nel passato, che s’avvantaggerebbero molto e poi molto col ritornar dell’abbondanza; che anche si vedrebbe, si penserebbe forse a dar loro qualche risarcimento; e che intanto tirassero ancora avanti. O fosse veramente persuaso lui di queste ragioni che allegava agli altri, o che, anche conoscendo dagli effetti l’impossibilità di mantener quel suo editto, volesse lasciare agli altri l’odiosità di rivocarlo41; giacché, chi può ora entrar nel cervello d’Antonio Ferrer? il fatto sta che rimase fermo su ciò che aveva stabilito. Finalmente i decurioni (un magistrato42 municipale composto di nobili, che durò fino al novantasei del secolo scorso) informaron per lettera il governatore, dello stato in cui eran le cose: trovasse lui qualche ripiego, che le facesse andare. Don Gonzalo, ingolfato fin sopra i capelli nelle faccende della guerra, fece ciò che il lettore s’immagina certamente: nominò una giunta43, alla quale conferì l’autorità di stabilire al pane un prezzo che potesse correre; una cosa da poterci campar tanto una parte che l’altra. I deputati44 si radunarono, o come qui si diceva spagnolescamente nel gergo segretariesco d’allora, si giuntarono; e dopo mille riverenze, complimenti, preamboli, sospiri, sospensioni, proposizioni in aria, tergiversazioni, strascinati tutti verso una deliberazione da una necessità sentita da tutti, sapendo bene che giocavano una gran carta, ma convinti che non c’era da far altro, conclusero di rincarare il pane. I fornai respirarono; ma il popolo imbestialì45.

36. giustizie … mondo: la massa in tal caso non fa vera giustizia, opera una violenza assurda. 37. redenzione: scampo. 38. non … potuto: per mancanza di farina. 39. la pala: la pala che serve a introdurre la pasta del pane nel forno. 40. uomo di carattere: ostinato, cocciuto (è

un’antifrasi ironica). 41. rivocarlo: revocarlo. 42. magistrato: magistratura. Un consiglio municipale formato da sessanta nobili. Fu abolito nel 1796, quando le truppe napoleoniche entrarono in Milano. 43. giunta: commissione (spagnolismo, come più avanti si giuntarono, “si riunirono”:

Manzoni rifà ironicamente il verso al linguaggio politico e burocratico del tempo, quando Milano era sotto il dominio spagnolo). 44. deputati: i membri scelti per la commissione. 45. imbestialì: difatti il rincaro del pane è la scintilla che fa scoppiare la rivolta popolare.

Analisi del testo

> I disastri della guerra e le tasse

La condanna della guerra

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Queste pagine esprimono esemplarmente la visione economica di Manzoni. Lo scrittore osserva che la carestia ha cause naturali ma anche umane: ed è contro queste che indirizza il suo discorso polemico, in particolare contro «quella bella guerra» per la successione del ducato di Mantova. Manzoni è contro la guerra, in assoluto, in primo luogo in nome dei princìpi cristiani, per la violenza che scatena e per il costo di vite umane che implica; ma anche in nome di princìpi laici, illuministici e liberali, per ragioni economiche e sociali, perché impedisce le coltivazioni disertando i campi, provoca guasti, devastazioni e rapine,

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni Una politica fiscale insensata

Le posizioni liberiste di Manzoni

oltre allo spreco di risorse per nutrire gli eserciti. A ciò si aggiunge il peso insopportabile delle tasse (spesso imposte proprio per finanziare le guerre), che sono frutto di una politica fiscale insensata, irrazionale, capace solo di impoverire le popolazioni, determinando anch’essa lo spopolamento delle campagne. Si chiarisce allora l’impostazione non solo liberale, ma liberista in economia, che è propria di Manzoni: l’obiettivo polemico principale delle teorie liberiste è proprio il gravare eccessivo delle tasse, che ostacolano la libera iniziativa economica impedendo lo sviluppo della ricchezza. È un principio che vediamo spesso affermato anche oggi, poiché il liberismo economico, nato nel Settecento, non ha perso vigore neppure col capitalismo avanzato, anzi vi ha trovato nuove e robuste motivazioni.

> Le leggi del mercato Il rincaro doloroso

Il rincaro salutare Le motivazioni del Fermo

L’ottica liberista si riconosce parimenti nell’osservazione che la penuria provoca subito un effetto necessario, il rincaro. Manzoni si rifà alle leggi del mercato, basate sul gioco della domanda e dell’offerta: se l’offerta di certi beni scarseggia, i loro prezzi inevitabilmente salgono. Lo scrittore riconosce che l’effetto è doloroso, si intende per i più poveri, quindi non si pone come celebratore acritico delle leggi del mercato, al pari di certi sostenitori del liberismo più integrale: ciò in obbedienza alla componente cristiana della sua visione, particolarmente sensibile alla sofferenza umana, soprattutto degli “umili”; ma è importante notare che aggiunge subito che il rincaro è “salutare”. Qui dà per scontate le ragioni, mentre nel passo corrispondente del Fermo e Lucia si diffondeva ampiamente a spiegarle: il rialzo dei prezzi obbliga a ridurre i consumi e ad evitare gli sprechi, impedendo quindi che il grano che scarseggia venga presto ad esaurirsi totalmente; inoltre i prezzi alti attirano quantità di quel bene da altre zone meno colpite dalla carestia, ponendo in qualche modo rimedio alla penuria. Nel Fermo indicava anche dei correttivi indispensabili a limitare quegli effetti dolorosi sui meno abbienti, come sussidi, distribuzioni gratuite, aumento dei salari. Qui tutta questa parte del discorso è omessa. La ragione è probabilmente da cercare nel principio che regola la riscrittura della prima redazione del romanzo, cioè nella tendenza a ridurre l’eccessiva lunghezza delle parti storiche e saggistiche, dando più rilievo alle parti narrative e drammatiche.

> Le false opinioni della massa La polemica contro il Seicento

Irrazionalità nel passato e nel presente

Illuminismo e pessimismo manzoniani

Dopo i guasti della guerra si presenta un nuovo obiettivo polemico, cioè le false opinioni della massa, convinta che la scarsezza derivi dagli accaparratori, che nascondono il grano per poi speculare sul rialzo dei prezzi. La polemica è anche contro «quel tempo», il Seicento, e dà per scontato che le opinioni aberranti potevano essere allora più radicate e diffuse per colpa della barbarie dell’epoca, in cui l’ignoranza e il clima culturale ancora impregnato di superstizioni costituivano un terreno fertile per l’imporsi di pregiudizi assurdi e irrazionali. È la consueta polemica contro il secolo che percorre tutto il romanzo. La critica è condotta in nome della razionalità, della scienza economica, del progresso delle idee che è stato introdotto dall’avanzamento della civiltà moderna. Però, se Manzoni segna una distanza fra il presente e quei tempi di barbarie, grazie al lucido realismo che connota la sua visione riconosce che l’irrazionalità non è affatto scomparsa, benché valenti studiosi abbiano diffuso le idee “giuste” con i loro scritti economici: tant’è vero che opinioni analoghe si sono viste affiorare anche in tempi molto recenti (lo scrittore pensa certamente al periodo del Terrore durante la Rivoluzione francese, quando ci furono furibonde persecuzioni popolari contro i supposti incettatori di derrate alimentari e si imposero leggi contro di essi). L’illuminismo di Manzoni, che lo induce ad apprezzare i progressi della ragione, trova sempre un correttivo nel suo pessimismo, saldamente radicato nella realtà storica, che gli impedisce di nutrire e proporre ingannevoli illusioni sulla società umana. 439

L’età del Romanticismo

> L’irrazionalità dei provvedimenti politici Demagogia e viltà dei politici Contro il calmiere

La farsa dei politici

Le conseguenze tragiche

Manzoni saggista

I pregiudizi sugli incettatori contagiano non solo il popolo ignorante, ma anche le classi superiori, e nemmeno il ceto politico ne va immune. La critica manzoniana, quindi, si appunta anche sui provvedimenti dei governanti, che invece di obbedire alle leggi razionali dell’economia assecondano i pregiudizi della massa, per opportunismo e demagogia, per ottenere il favore popolare, o per viltà, per timore di disordini. Il giudizio manzoniano è estremamente negativo sull’introduzione del calmiere, cioè sul fissare d’autorità un prezzo massimo per il pane: provvedimento non solo inutile ma dannoso, perché, sempre secondo le leggi del mercato, ha solo l’effetto di fare scomparire le merci dalla circolazione, cioè proprio quell’effetto che si voleva combattere. La stessa irrazionalità coinvolge la massa popolare e l’élite dei governanti, e Manzoni li accomuna tutti nel suo quadro critico sprezzante. Alla fine i politici si devono arrendere all’ineluttabilità delle leggi del mercato, aumentando il prezzo del pane. Ma la satira manzoniana è sferzante contro i vacui rituali spagnoleschi della commissione a ciò preposta, contro «riverenze, complimenti, preamboli, sospiri, sospensioni, proposizioni in aria, tergiversazioni» dei politici, indecisi e restii ad assumersi la responsabilità di una decisione estremamente impopolare, trasformando così la riunione in una ridicola farsa: che però ha conseguenze tragiche, perché la popolazione, prima blandita nelle sue convinzioni dall’imposizione di un prezzo politico del pane, vedendolo ora aumentato da quella stessa classe dirigente è spinta a scatenare la sua furia distruttiva in modo ancora più irrazionale, devastando e saccheggiando i forni, per poi cercare di linciare il supposto responsabile, il magistrato preposto all’approvvigionamento. La digressione storica, con tutte le sue punte polemiche, rivela il Manzoni saggista, oltre al creatore di personaggi e trame narrative: un saggista dal lucido rigore intellettuale, dalla sottile e corrosiva ironia, che stimola anche l’intelligenza del lettore.

Francesco Gonin, L’assalto al forno delle grucce, un episodio della rivolta del pane a Milano, 1840, incisione per l’edizione illustrata de I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni.

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Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

Esercitare le competenze coMprenDere

> 1. Proponi un breve riassunto per ognuno dei cinque blocchi (contrassegnati dai capoversi) in cui è suddiviso il brano, secondo l’esempio proposto. Blocco

riassunto

rr. 1-20

Nel 1628, dopo due anni di carestia, il raccolto ancora scarso nel Milanese e le conseguenze della .............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................. guerra resero la situazione insopportabile. ..............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

rr. 21-46

.............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................. ..............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

rr. 47-55

.............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................. ..............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

rr. 56-85

.............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................. ..............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

rr. 86-94

.............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................. ..............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

anaLIzzare

> 2. Quali dati proposti dalla narrazione ritieni che derivino dalla puntuale documentazione storica da parte

dell’autore? > 3. stile Quali figure retoriche, e con quale funzione, rendono efficaci sul piano espressivo e in relazione al contenuto i passi «Intridere, dimenare, infornare e sfornare senza posa» (rr. 61-62) e «non c’era redenzione, bisognava rimenare, infornare, sfornare e vendere» (rr. 68-69)? > 4. stile Analizza il passo «I deputati si radunarono […] conclusero di rincarare il pane» (rr. 89-93): quali elementi retorico-stilistici lo rendono particolarmente incisivo? Può essere ritenuto ironico? Se sì, con quale bersaglio polemico da parte di Manzoni? > 5. narratologia Sono presenti nel brano interventi diretti del narratore? Se sì, con quale funzione? > 6. Lessico A quali termini e/o espressioni settoriali, tipici dell’ambito economico, ricorre Manzoni nel brano? approfonDIre e InTerpreTare

> 7.

esporre oralmente Ricollega quanto emerso nel passo in materia storica ed economica ai caratteri del movimento romantico lombardo (max 5 minuti). passaTo e presenTe princìpi cristiani ai tempi della crisi

> 8. A proposito della visione cristiana attraverso cui Manzoni guarda alle questioni economiche,

esamina in classe con l’insegnante e i compagni le parole pronunciate da papa Francesco sulla solidarietà, con particolare

riferimento alle tragedie dell’immigrazione: Oggi nessuno si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parla Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo “poverino”, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci sentiamo a posto. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro! Ritorna la figura dell’Innominato di Manzoni. La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza volto. omelia del Santo Padre Francesco in occasione della visita a Lampedusa, 8 luglio 2013, in https://w2.vatican.va/content/vatican/it.html

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La redenzione di renzo e la funzione salvifica di Lucia da I promessi sposi, cap. XVII

Temi chiave

• la riflessione sugli errori commessi durante i tumulti di Milano

• la disillusione e l’abbandono alla volontà divina • la costruzione simbolica • fra Cristoforo e il richiamo all’autorità paterna • Lucia e l’incarnazione della donna salvifica

Renzo, in fuga dal suo paese a causa del sopruso di don Rodrigo, giunge a Milano proprio il giorno in cui il popolo, infuriato per il rialzo del prezzo del pane, si è sollevato. Il giovane, inorridito dai propositi omicidi della folla contro il magistrato preposto agli approvvigionamenti, aiuta il vice governatore Ferrer a portarlo in salvo, perché è convinto che sia responsabile della mancanza di pane e che verrà condotto in prigione. Si illude così che l’azione popolare possa dare un contributo determinante al ristabilimento della giustizia; pertanto si lascia trascinare a dire la sua tra un crocchio di persone. Continua poi i suoi discorsi all’osteria, dove, nell’euforia del momento, finisce per ubriacarsi. Ma uno sbirro travestito, che lo ha accompagnato, riesce a sapere il suo nome. L’indomani Renzo è arrestato come pericoloso sovversivo. Con l’aiuto della folla riesce a fuggire ed esce di Milano, dirigendosi verso il confine veneto, allora segnato dall’Adda, per espatriare.

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A poco a poco, si trovò tra macchie più alte, di pruni, di quercioli, di marruche1. Seguitando a andare avanti, e allungando il passo, con più impazienza che voglia, cominciò a veder tra le macchie qualche albero sparso; e andando ancora, sempre per lo stesso sentiero, s’accorse d’entrare in un bosco. Provava un certo ribrezzo a inoltrarvisi; ma lo vinse, e contro voglia andò avanti; ma più che s’inoltrava, più il ribrezzo cresceva, più ogni cosa gli dava fastidio. Gli alberi che vedeva in lontananza, gli rappresentavan figure strane, deformi, mostruose; l’annoiava2 l’ombra delle cime leggermente agitate, che tremolava sul sentiero illuminato qua e là dalla luna; lo stesso scrosciar delle foglie secche che calpestava o moveva camminando, aveva per il suo orecchio un non so che d’odioso. Le gambe provavano come una smania, un impulso di corsa, e nello stesso tempo pareva che durassero fatica a regger la persona. Sentiva la brezza notturna batter più rigida e maligna sulla fronte e sulle gote; se la sentiva scorrer tra i panni e le carni, e raggrinzarle, e penetrar più acuta nelle ossa rotte dalla stanchezza, e spegnervi quest’ultimo rimasuglio di vigore. A un certo punto, quell’uggia, quell’orrore indefinito con cui l’animo combatteva da qualche tempo, parve che a un tratto lo soverchiasse. Era per perdersi affatto3; ma atterrito, più che d’ogni altra cosa, del suo terrore, richiamò al cuore gli antichi spiriti, e gli comandò che reggesse. Così rinfrancato un momento, si fermò su due piedi a deliberare; e risolveva d’uscir subito di lì per la strada già fatta, d’andar diritto all’ultimo paese per cui era passato, di tornar tra gli uomini, e di cercare un ricovero, anche all’osteria4. E stando così fermo, sospeso il fruscìo de’ piedi nel fogliame, tutto tacendo d’intorno a lui, cominciò a sentire un rumore, un mormorìo, un mormorìo d’acqua corrente. Sta in orecchi; n’è certo; esclama: «è l’Adda!». Fu il ritrovamento d’un amico, d’un fratello, d’un salvatore. La stanchezza quasi scomparve, gli tornò il polso, sentì il sangue scorrer libero e tepido per tutte le vene, sentì crescer la fiducia de’ pensieri, e svanire in gran parte quell’incertezza e gravità delle cose; e non esitò a internarsi sempre più nel bosco, dietro all’amico rumore.

1. marruche: arbusti spinosi. 2. l’annoiava: gli dava paura e sgomento. 3. per perdersi affatto: perdersi d’animo,

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crollare. 4. e risolveva … all’osteria: in base alle brutte esperienze di Milano, Renzo si era

proposto di evitare le osterie.

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

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Arrivò in pochi momenti all’estremità del piano, sull’orlo d’una riva profonda; e guardando in giù tra le macchie che tutta la rivestivano, vide l’acqua luccicare e correre. Alzando poi lo sguardo, vide il vasto piano dell’altra riva, sparso di paesi, e al di là i colli, e sur uno di quelli una gran macchia biancastra, che gli parve dover essere una città, Bergamo sicuramente. Scese un po’ sul pendìo, e, separando e diramando5, con le mani e con le braccia, il prunaio, guardò giù, se qualche barchetta si movesse nel fiume, ascoltò se sentisse batter de’ remi; ma non vide né sentì nulla. Se fosse stato qualcosa di meno dell’Adda, Renzo scendeva subito, per tentarne il guado; ma sapeva bene che l’Adda non era fiume da trattarsi così in confidenza. Perciò si mise a consultar tra sé, molto a sangue freddo, sul partito da prendere. Arrampicarsi sur una pianta, e star lì a aspettar l’aurora, per forse sei ore che poteva ancora indugiare, con quella brezza, con quella brina, vestito così6, c’era più che non bisognasse per intirizzir davvero. Passeggiare innanzi e indietro, tutto quel tempo, oltre che sarebbe stato poco efficace aiuto contro il rigore del sereno7, era un richieder troppo da quelle povere gambe, che già avevano fatto più del loro dovere. Gli venne in mente d’aver veduto, in uno de’ campi più vicini alla sodaglia8 una di quelle capanne coperte di paglia, costrutte di tronchi e di rami, intonacati poi con la mota9, dove i contadini del milanese usan, l’estate, depositar la raccolta, e ripararsi la notte a guardarla: nell’altre stagioni, rimangono abbandonate. La disegnò subito per suo albergo; si rimise sul sentiero, ripassò il bosco, le macchie, la sodaglia; e andò verso la capanna. Un usciaccio intarlato e sconnesso, era rabbattuto10, senza chiave né catenaccio; Renzo l’aprì, entrò; vide sospeso per aria, e sostenuto da ritorte di rami, un graticcio, a foggia d’hamac11; ma non si curò di salirvi. Vide in terra un po’ di paglia; e pensò che, anche lì, una dormitina sarebbe ben saporita. Prima però di sdraiarsi su quel letto che la Provvidenza gli aveva preparato, vi s’inginocchiò, a ringraziarla di quel benefizio, e di tutta l’assistenza che aveva avuta da essa, in quella terribile giornata. Disse poi le sue solite divozioni; e per di più, chiese perdono a Domeneddio di non averle dette la sera avanti; anzi, per dir le sue parole, d’essere andato a dormire come un cane12, e peggio. – E per questo, – soggiunse poi tra sé; appoggiando le mani sulla paglia, e d’inginocchioni mettendosi a giacere: – per questo, m’è toccata, la mattina, quella bella svegliata13. – Raccolse poi tutta la paglia che rimaneva all’intorno, e se l’accomodò addosso, facendosene, alla meglio, una specie di coperta, per temperare il freddo, che anche là dentro si faceva sentir molto bene; e vi si rannicchiò sotto, con l’intenzione di dormire un bel sonno, parendogli d’averlo comprato anche più caro del dovere14.

5. separando e diramando: separando e strappando i rami. 6. vestito così: non aveva mantello. 7. il rigore del sereno: il freddo della notte (passata all’addiaccio).

8. sodaglia: terreno incolto. 9. mota: fango. 10. rabbattuto: semplicemente accostato. 11. hamac: amaca. 12. d’essere … cane: perché era ubriaco.

13. quella bella svegliata: gli sbirri erano venuti ad arrestarlo in camera. 14. del dovere: del dovuto.

pesare le parole Intirizzir (r. 39)

> Intirizzire è una voce onomatopeica, che rende il tremi-

to di chi ha molto freddo. Ha un riferimento a interito, termine toscano popolare per “irrigidito”, a sua volta

collegato a intero. Intirizzire significa “perdere momentaneamente movimento e sensibilità, irrigidirsi per il freddo” (es. mi si sono intirizzite le mani per il gelo).

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Ma appena ebbe chiusi gli occhi, cominciò nella sua memoria o nella sua fantasia (il luogo preciso non ve lo saprei dire), cominciò, dico, un andare e venire di gente, così affollato, così incessante, che addio sonno. Il mercante15, il notaio16, i birri, lo spadaio17, l’oste18, Ferrer, il vicario, la brigata dell’osteria, tutta quella turba delle strade, poi don Abbondio, poi don Rodrigo: tutta gente con cui Renzo aveva che dire. Tre sole immagini gli si presentavano non accompagnate da alcuna memoria amara, nette d’ogni sospetto, amabili in tutto; e due principalmente, molto differenti al certo, ma strettamente legate nel cuore del giovine: una treccia nera e una barba bianca. Ma anche la consolazione che provava nel fermare sopra di esse il pensiero, era tutt’altro che pretta19 e tranquilla. Pensando al buon frate, sentiva più vivamente la vergogna delle proprie scappate, della turpe intemperanza, del bel caso che aveva fatto de’ paterni consigli di lui; e contemplando l’immagine di Lucia! non ci proveremo a dire ciò che sentisse: il lettore conosce le circostanze; se lo figuri. E quella povera Agnese, come l’avrebbe potuta dimenticare? Quell’Agnese, che l’aveva scelto, che l’aveva già considerato come una cosa sola con la sua unica figlia, e prima di ricever da lui il titolo di madre, n’aveva preso il linguaggio e il cuore, e dimostrata co’ fatti la premura. Ma era un dolore di più, e non il meno pungente, quel pensiero, che, in grazia appunto di così amorevoli intenzioni, di tanto bene che voleva a lui, la povera donna si

15. Il mercante: il mercante di Gorgonzola da cui aveva saputo di essere stato bandito: Renzo ha da dire con lui perché nel suo racconto lo aveva descritto come un diabolico sovversivo.

16. il notaio: il notaio criminale che l’aveva arrestato. 17. lo spadaio: lo sbirro travestito che l’aveva accompagnato all’osteria, spacciandosi per uno spadaio.

18. l’oste: Renzo era venuto a diverbio con l’oste perché voleva registrare il suo nome. 19. pretta: pura.

Eliseo Sala, Lucia Mondella, 1843, olio su tela, Milano, Collezione privata.

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trovava ora snidata20, quasi raminga, incerta dell’avvenire, e raccoglieva guai e travagli da quelle cose appunto da cui aveva sperato il riposo e la giocondità degli ultimi suoi anni. Che notte, povero Renzo! Quella che doveva esser la quinta delle sue nozze! Che stanza! Che letto matrimoniale! E dopo qual giornata! E per arrivare a qual domani, a qual serie di giorni! – Quel che Dio vuole, – rispondeva ai pensieri che gli davan più noia: – quel che Dio vuole. Lui sa quel che fa: c’è anche per noi21. Vada tutto in isconto de’ miei peccati. Lucia è tanto buona! non vorrà poi farla patire un pezzo, un pezzo, un pezzo! –.

20. snidata: cacciata dal nido. 21. Lui sa … noi: nel pensiero di Renzo riecheggiano le parole che Lucia, al capitolo III,

gli aveva rivolto quando, scoperto il nome del prepotente che impediva il matrimonio, intendeva farsi giustizia da sé con la violen-

za: «Il Signore c’è anche per i poveri; e come volete che ci aiuti, se facciam del male?».

Analisi del testo

> La notte di renzo

La redenzione

La notte presso l’Adda segna un momento fondamentale del processo di formazione attraversato dall’eroe nel corso della sua vicenda. Nel suo generoso slancio giovanile, Renzo era stato animato da un’insofferenza per ogni sopruso, dalla convinzione avventata che l’oppresso abbia diritto a farsi giustizia e dall’illusione che l’azione degli umili possa modificare la realtà esistente. Questo l’aveva indotto a compiere gravi errori durante il tumulto, pericolosi non solo per la sua integrità fisica, ma anche per quella morale. Ora, ripensando alla sua esperienza, ripudia tutto il suo modo precedente di pensare e di comportarsi e approda a un abbandono totale alla volontà divina, alla fiducia che solo Dio possa aiutare gli umili.

> La rete simbolica La foresta selvaggia

L’acqua e la purificazione

Testo critico G. Getto

L’immagine paterna e la donna salvifica

Il processo che porta a questa redenzione di Renzo è costruito attraverso una sottile rete simbolica. La fuga di Renzo è avvolta in un clima favoloso: l’eroe si trova smarrito in una foresta selvaggia, lontana da ogni presenza umana, e questo paesaggio sembra l’obiettivazione simbolica della sua colpa, dell’asocialità di cui si è macchiato durante il tumulto, del disordine in cui è sprofondato con l’ubriachezza. La foresta immersa nelle tenebre della notte ha qualcosa di sinistro e cupo: attraverso questa sorta di “discesa agl’inferi”, attraverso la solitudine, la sofferenza fisica e l’angoscia, Renzo ritrova però la salvezza. Essa è annunciata dalla voce dell’Adda: l’acqua è un tradizionale simbolo di purificazione e di rigenerazione. Ma quella dell’Adda è un’acqua che viene dai suoi monti: la salvezza per Renzo consiste anche nel ristabilire idealmente i contatti col “paradiso perduto” della casa e del villaggio, in cui era vissuto sereno sino allo scontro con la realtà storica, rappresentata dal sopruso di don Rodrigo. Ora, dopo tanto errare lontano da quell’ambiente protettivo e confortante, ritrova finalmente un’immagine sostitutiva della “casa”, l’umile rifugio della capanna in mezzo alla campagna. Proprio qui avviene la sua redenzione, durante la notte trascorsa insonne. La redenzione è suggellata da due immagini, che sempre l’avevano guidato e sorretto nelle sue peripezie: quelle di fra Cristoforo e di Lucia. Sono anch’esse dense di valori simbolici. Fra Cristoforo è chiaramente un’immagine paterna (si noti il particolare della «barba bianca»), che rappresenta l’autorità severa, che lo rimprovera per i suoi errori. Lucia invece incarna la figura della donna salvifica, che, grazie alla sua purezza ed innocenza, funge da mediatrice tra l’uomo colpevole e Dio. La sua figura è avvolta da un alone di ineffabilità («E contemplan445

L’età del Romanticismo

do l’immagine di Lucia! non ci proveremo a dire ciò che sentisse»), ed evoca intorno a sé la presenza della casa, tempio dell’amore nuziale e delle gioie familiari. Proprio dietro la sollecitazione di questa immagine salvifica di Lucia Renzo approda al suo fiducioso abbandono a Dio («Quel che Dio vuole, […] quel che Dio vuole. […] Lucia è tanto buona! non vorrà poi farla patire un pezzo, un pezzo, un pezzo!»).

> La tecnica narrativa L’imporsi della visione del personaggio

Il percorso attraverso cui Renzo giunge alla sua redenzione è reso anche mediante studiati accorgimenti di tecnica narrativa. Il processo psicologico è dato soprattutto dall’interno, attraverso una focalizzazione sulla prospettiva di Renzo stesso. Anzi, man mano che si avvicina la presa di coscienza conclusiva, la visione soggettiva del personaggio si impone sempre più nettamente. Si possono individuare tre fasi: 1) il momento in cui Renzo, evocando la severa figura paterna di fra Cristoforo, si vergogna dei propri errori: qui i suoi pensieri sono ancora esposti in forma indiretta, attraverso una descrizione fatta dall’esterno dalla voce del narratore; 2) l’affiorare del pensiero di Lucia è preparato attraverso il ricordo della casa e di Agnese: è un momento di transizione, e al discorso del narratore sul pensiero di Renzo si sostituisce la manifestazione del pensiero di Renzo, attraverso il discorso indiretto libero; 3) l’affacciarsi, nella mente di Renzo, dell’immagine di Lucia in tutta la sua efficacia salvifica è affidato invece al discorso diretto («Quel che Dio vuole…»): il massimo livello di consapevolezza dell’eroe coincide, sul piano dei procedimenti narrativi, con la massima affermazione della sua visione soggettiva.

Esercitare le competenze coMprenDere

> 1. Descrivi lo stato d’animo di Renzo nel bosco e poi quello provato nell’udire il mormorio dell’acqua prodotto

dall’Adda. > 2. Che cosa fa quando si rende conto che, essendo buio e non scorgendo alcuna barca, non può attraversare il fiume? > 3. In quali punti del testo Renzo rivela una chiara consapevolezza della propria colpa? Di quali comportamenti sbagliati si ritiene colpevole? anaLIzzare

> 4. > 5.

stile

Quale figura rintracci alle righe 64-66? Quale effetto produce? Svolgi l’analisi del periodo delle righe 82-87: quali proposizioni prevalgono? Spiega la loro funzione?

Lingua

approfonDIre e InTerpreTare

> 6.

esporre oralmente Rifletti sulla funzione svolta rispettivamente da Lucia, Agnese e padre Cristoforo nel percorso di “redenzione” di Renzo, nella presa di coscienza delle esperienze passate e delle responsabilità future. > 7. contesto A partire dall’analisi di questo brano (i temi principali, il modo in cui è rappresentato l’ambiente naturale, la figura di Renzo) analizza gli aspetti che riconducono i Promessi sposi nell’ambito del Romanticismo.

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Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

Il conte del sagrato e l’innominato Diamo anche qui a confronto i passi corrispondenti nelle due redazioni. Don Rodrigo ha appreso che Lucia è sotto la protezione della «Signora». L’impresa di rapirla da un monastero, per di più dominato da un personaggio così altolocato, è superiore alle sue forze. Decide allora di ricorrere all’aiuto di un uomo potente e senza scrupoli.

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Il conte del sagrato: un documento di costume storico dal Fermo e Lucia, tomo II, cap. VII

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Temi chiave

• la dissoluzione dell’alone mitico • il ritratto esteriore dell’eroe • la rappresentazione del tipico signore feudale del Seicento

• una scena fortemente drammatizzata

Don Rodrigo si determinò in un pensiero, che gli era passato più volte per la mente, che non aveva mai abbandonato, il pensiero di raccomandare i suoi affari al Conte del Sagrato. Le ricerche che abbiamo fatte per trovare il vero nome di costui1 giacché quello che abbiamo trascritto era un soprannome, sono state infruttuose. Al prudentissimo nostro autore è sembrato di avere ecceduto in libertà e in coraggio col solo indicare con un soprannome quest’uomo. Due scrittori contemporanei degnissimi di fede, il Rivola e il Ripamonti, biografi entrambi del Cardinale Federigo Borromeo, fanno menzione di quel personaggio misterioso, ma lo dipingono succintamente come uno dei più sicuri e imperturbabili scellerati che la terra abbia portato, ma non ne danno il nome, e né meno il soprannome che noi abbiamo ricavato dal nostro manoscritto insieme con la narrazione del fatto che glielo fece acquistare, e che basterà a dare una idea del carattere di quest’uomo. Abitava egli in un castello posto al confine degli stati veneti, sur un monte; e quivi menava una vita sciolta da ogni riguardo di legge, comandando a tutti gli abitatori del contorno, non riconoscendo superiore a sé2, arbitro violento dei negozj3 altrui come di quelli nei quali era parte, raccettatore di tutti i banditi4, di tutti i fuggitivi per delitti quando fossero abili a commetterne di nuovi, appaltatore di delitti per professione. «La sua casa» per servirci della descrizione che ne fa il Ripamonti «era come una officina di commessioni d’ammazzamento5: servi condannati nella testa, e troncatori di teste6: né cuoco né guattero dispensati dall’omicidio; le mani dei valletti insanguinate». E la confidenza7 di costui, nutrita dal sentimento della forza e da una lunga esperienza d’impunità era venuta a tanto, che dovendo egli un giorno passar vicino a Milano, vi entrò senza rispetto, benché capitalmente bandito8, cavalcò per la città coi suoi cani, e a suon di tromba, passò sulla porta del palazzo ove abitava il governatore, e lasciò alle guardie una imbasciata di villanie da essergli riferita in suo nome.

1. Le ricerche … costui: la figura del Conte del Sagrato, che nei Promessi sposi diverrà l’innominato, è ispirata a Francesco Bernardino Visconti, feudatario di Brignano nella Ghiara d’Adda, che nel 1603 il governatore di Milano mise al bando come capo di briganti. Manzoni aveva trovato le notizie riguardanti questo personaggio, e soprattutto la sua conversione, in cui ebbe parte essenziale il cardinal Federigo Borromeo,

nella Storia patria dello storico milanese Giuseppe Ripamonti (1573-1643), e nella Vita di Federigo Borromeo scritta da Francesco Rivola e pubblicata nel 1656. 2. non … sé: non riconoscendo nessuno superiore a sé. 3. negozj: affari. 4. raccettatore … banditi: accoglieva nel suo castello tutti i banditi. 5. commessioni d’ammazzamento: omici-

di su ordinazione (vedi sopra appaltatore di delitti per professione). 6. condannati … teste: con una taglia sulla testa, e che a loro volta davano la caccia alle taglie. 7. la confidenza: fiducia in sé, sicurezza spavalda. 8. capitalmente bandito: bandito e condannato a morte.

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Avvenne un giorno che a costui come a protettore noto di tutte le cause spallate9 si presentò un debitore svogliato di pagare, e si richiamò a lui della molestia che gli era recata dal suo creditore, raccontando il negozio a modo suo, e protestando ch’egli non doveva nulla, e che non aveva al mondo altra speranza che nella protezione onnipotente del signor Conte. Il creditore, un benestante d’un paese vicino, non era sul calendario10 del Conte, perché senza provocarlo giammai, né usargli il menomo atto di disprezzo, pure mostrava di non volere stare come gli altri alla suggezione di lui11, come chi vive pei fatti suoi e non ha bisogno né timore di prepotenti. Al Conte fu molto gradita l’opportunità di dare una scuola12 a questo signore: trovò irrepugnabili13 le ragioni del debitore, lo prese nella sua protezione, chiamò un servo, e gli disse: «Accompagnerai questo pover uomo dal signor tale, a cui dirai in mio nome che non gli rechi più molestia alcuna per quel debito preteso, perché io ho riconosciuto che costui non gli deve nulla; ascolterai la sua risposta: non replicherai nulla quale ch’ella sia, e quale ch’ella sia, tornerai tosto a riferirmela». Il lupo e la volpe14 s’avviarono tosto dal creditore, al quale il lupo espose l’imbasciata, mentre la volpe stava tutta modesta a sentire. Il creditore avrebbe volentieri fatto senza un tale intromettitore15, ma punto dalla insolenza di quel procedere, animato dal sentimento della sua buona ragione, e atterrito dalla idea di comparire allora allora un vigliacco, e di perdere per sempre ogni credito; rispose ch’egli non riconosceva il signor Conte per suo giudice. Il lupo e la volpe partirono senza nulla replicare, e la risposta fu tosto riferita al Conte, il quale udendola disse: «benissimo». Il primo giorno di festa la chiesa del paese dove abitava il creditore era ancora tutta piena di popolo che assisteva agli uficj16 divini, che il Conte si trovava sul sagrato17 alla testa di una troppa18 di bravi. Terminati gli uficj, i più vicini alla porta uscendo i primi e guardando macchinalmente sul sagrato videro quell’esercito e quel generale, e ognun d’essi spaventato, senza ben sapere che cagione di timore potesse avere si rivolsero tutti dalla parte opposta, studiando il passo quanto si poteva senza darla a gambe. Il Conte, al primo apparire di persone sulla porta si era tolto dalla spalla l’archibugio, e lo teneva con le due mani in apparecchio di spianarlo19. Al muro esteriore della chiesa stavano appoggiati in fila molti archibugj secondo l’uso di quei tempi

9. spallate: balorde, ingiuste. 10. non … calendario: non godeva del favore. 11. di non … lui: non era sottomesso. 12. scuola: lezione.

13. irrepugnabili: incontestabili. 14. Il lupo e la volpe: il servo del Conte e l’astuto debitore. 15. intromettitore: intermediario. 16. uficj: funzioni.

17. sagrato: lo spazio antistante la chiesa. Dal latino sacratum, “consacrato”. 18. troppa: truppa. 19. in apparecchio di spianarlo: pronto a spianarlo.

pesare le parole Irrepugnabili (r. 33)

> Deriva dal latino pugnàre, “combattere”, con i prefissi

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re- e in- negativo (la /n/ diventa /r/ dinanzi alla /r/ successiva, per assimilazione) e il suffisso -bile indicante possibilità: alla lettera quindi significa “contro cui non si può combattere”, cioè “a cui non ci si può opporre”. È più comune oggi la forma inoppugnabile, composto con ob- anziché con re- (es. l’avvocato della difesa ha dimostrato le sue tesi con prove inoppugnabili). Sinonimi: incontrastabile, dal latino còntra- e stàre, “stare contro”, sempre con in- negativo, quindi “che non si può impedire”, oppure “discutere” (es. è incontrastabile che tu non sei in grado di risolvere quel problema); indiscutibile, da in- e discutere (latino dis- e quàtere, “scuotere”), “che non ha bisogno di discussione”, perché è chiaro, sicuro, evidente (es. ha una competenza indiscu-

tibile in campo letterario); inconfutabile, “che non è possibile dimostrare falso o sbagliato”, da in- e confutàre, composto di cum- e futàre, “battere”, presente anche in rifiutare (es. la sua dimostrazione del teorema è inconfutabile); incontrovertibile, “che non può essere oggetto di controversia, è impossibile discutere o negare”, da contra-, “contro”, e vèrtere, “volgere”, perciò alla lettera “contro cui non ci si può volgere” (es. che chi commette un reato debba essere punito è un principio incontrovertibile); incontestabile, “che non può essere contestato”, dal latino cum- e testàri, “aprire un processo contro qualcuno producendo testimoni”, quindi in senso estensivo “contrastare, mettere in discussione, sottoporre a critica radicale” (es. è incontestabile che tu abbia commesso un errore a non accettare quel lavoro).

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nei quali gli uomini camminavano per lo più armati, ma non osavano entrar con armi nella chiesa, e le deponevano al di fuori senza custodia per ripigliarle all’uscita. Tanta era la fede publica in quella antica semplicità20. Ma i primi che uscirono non si curarono di pigliare le armi loro in presenza di quel drappello: anche i più risoluti svignavano dritto dritto dinanzi a un pericolo oscuro, impreveduto, e che non avrebbe dato tempo a ripararsi e a porsi in difesa. I sopravvegnenti giungevano sbadatamente sulla soglia, e si rivolgevano ciascuno al lato che gli era più comodo per uscire, ma alla vista di quell’apparato tutti si volgevano dalla parte opposta e la folla usciva come acqua da un vaso che altri tenga inclinato a sbieco, che manda un filo solo da un canto dell’apertura. Si affacciò finalmente alla porta con gli altri il creditore aspettato, e il Conte al vederlo gli spianò lo schioppo addosso, accennando nello stesso punto col movimento del capo agli altri di far largo. Lo sventurato colpito dallo spavento, si pose a fuggire dall’altro lato, e la folla non meno, ma l’archibugio del Conte lo seguiva, cercando di coglierlo separato. Quegli che gli erano più lontani s’avvidero che quell’infelice era il segno21, e il suo nome fu proferito in un punto da cento bocche. Allora nacque al momento una gara fra quel misero, e la turba tutta compresa da quell’amore della vita, da quell’orrore di un pericolo impensato che occupando alla sprovveduta22 gli animi non lascia luogo ad alcun altro più degno pensiero. Cercava egli di ficcarsi e di perdersi nella folla, e la folla lo sfuggiva pur troppo s’allontanava da lui per ogni parte, tanto ch’egli scorazzava solo di qua di là, in un picciolo spazio vuoto, cercando il nascondiglio il più vicino. Il Conte lo prese di mira in questo spazio, lo colse, e lo stese a terra. Tutto questo fu l’affare di un momento. La folla continuò a sbandarsi, nessuno si fermò, e il Conte senza scomporsi, ritornò per la sua via, col suo accompagnamento. Se quel fatto crescesse23 in tutto il contorno il terrore che già ognuno aveva del Conte, non è da domandare; e l’impressione comune di stupore, e di sgomento fu tale che nessuno poteva pensare al Conte senza che il fatto non gli ricorresse al pensiero; e così fu associata al nome quella idea, che tutti avevano associata alla persona. Il Conte sapeva che lo

20. la fede … semplicità: la fiducia negli altri in quella semplicità di vita dei tempi antichi (è ironico). 21. segno: bersaglio.

22. alla sprovveduta: all’improvviso, in modo imprevisto. 23. crescesse: aumentasse.

Andrea Gastaldi, L’innominato, 1860, olio su tela, Torino, Civica Galleria d’Arte Moderna.

pesare le parole Alla sprovveduta (rr. 70-71)

> Deriva dal latino ex- negativo e providère, “prevedere”

(pro-, prima”, vidère, “vedere”), quindi significa “in modo imprevisto, alla sprovvista, inaspettatamente”. È un’accezione non più in uso: oggi sprovveduto è chi non è provvisto della capacità di affrontare certe situazioni, certe difficoltà (es. il governo è apparso sprovveduto dinanzi all’aggravarsi della crisi economica), e per

estensione chi ha scarse doti intellettuali e culturali (es. il pubblico più sprovveduto non è in grado di capire certi articoli di giornale). Il senso corrente deriva dunque non da prevedere ma da provvedere, “disporre quanto occorre per ottenere un determinato fine, fornire, procurare”, dove il pro- non vuol dire “prima” ma “a favore di”.

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disegnavano24 con questo soprannome, ma lo sofferiva25 tranquillamente non gli spiacendo che ognuno, avendo a parlare di lui si ricordasse di quello ch’egli sapeva fare; o forse che avendo in qualche romanzo di quei tempi26 veduta qualche menzione di Scipione l’Africano, o di Metello il Numidico27, amasse di aver com’essi il nome dal luogo illustrato da una grande impresa. Teneva egli dispersi o appostati assai bravi nello Stato milanese e nel veneto, e dal suo castello posto a cavaliere28 ai due confini dirigeva gli uni e gli altri, facendo ajutare o perseguitare quegli che si rifuggivano da uno Stato nell’altro, secondo l’occorrenza, tramutandone29 alcuno talvolta, quando qualche operazione lo domandasse, o anche quando alcuno avesse in uno stato commessa qualche iniquità tanto clamorosa che la giustizia per averlo nelle mani facesse sforzi straordinarj, che esigessero sforzi straordinarj per difenderlo. Allora la fuga del reo era una buona scusa ai ministri della giustizia del non far nulla contra di lui, e la cosa finiva quietamente, tanto che dopo qualche tempo non se ne parlava più, né meno30 sommessamente, e il reo ricompariva con faccia più tosta che mai. Questo maneggio serviva non poco ad agevolare tutte le operazioni del Conte, perché le si compivano tutte senza molto impaccio dei ministri della giustizia, i quali potevano sempre allegare31 l’impossibilità di porvi un riparo. Quanto alle operazioni che il Conte eseguiva di propria mano, la giustizia non se ne mostrava accorta32, ed era regola ricevuta di prudenza, che erano di quelle cose in cui ogni dimostrazione avrebbe prodotti più inconvenienti che non il dissimularle. Le sue corrispondenze erano varie, estese, sempre crescenti. Pochi erano i tiranni33 della città, e di una gran parte dello stato che non avessero qualche volta fatto capo a lui per condurre a termine qualche vendetta o qualche soperchieria rematica34, massimamente se la persona da colpirsi, o il fatto da eseguirsi era nelle sue vicinanze. E non basta, fino ad alcuni principi stranieri tenevano comunicazione con lui, e a lui avevano ricorso tal volta per qualche uccisione d’importanza, e quando il caso lo richiedesse gli mandavano rinforzi: fatto attestato dal Ripamonti, e strano certamente per chi misura la probabilità degli avvenimenti e dei costumi dalla sola esperienza dei suoi tempi; ma fatto che cammina benissimo con tutto l’andamento di quel secolo. Nella sua professione d’intraprenditore di scelleratezze, era egli pieno di affabilità nel contrattare, e nell’eseguire metteva, ed esigeva una somma puntualità. Accoglieva con molta riserva certamente per non incorrere nel pericolo al quale era sempre esposto, ma con molta piacevolezza, quelli che venivano a domandare l’opera sua, deponeva con essi il sopracciglio35, stipulava con parole spicce, ma pacate, non andava in furia contra chi non avesse voluto stare alle sue condizioni, ma rompeva pacificamente il trattato36, non

24. disegnavano: designavano. 25. sofferiva: sopportava. 26. in qualche … tempi: nell’età barocca erano di moda romanzi avventurosi e galanti, dal linguaggio magniloquente. 27. Scipione … Numidico: personaggi della storia romana: Scipione assunse il nome di Africano per avere sconfitto i Cartaginesi

a Zama; Quinto Cecilio Metello prese l’appellativo di Numidico per aver condotto la campagna contro Giugurta re di Numidia. 28. a cavaliere: a cavallo. 29. tramutandone: trasferendone. 30. né meno: nemmeno. 31. allegare: addurre come giustificazione. 32. non se … accorta: mostrava di non ac-

corgersene. 33. i tiranni: signori feudali che esercitavano soprusi e prepotenze, non curandosi della legge. 34. rematica: difficile, di problematica attuazione. 35. sopracciglio: contegno altezzoso. 36. il trattato: le trattative.

pesare le parole Allegare (r. 105)

> Viene dal latino ad- e ligàre, “legare”, e significa “unire

qualcosa a un messaggio, a una lettera” (es. all’e-mail ho allegato la copia del documento). Sinonimo: accludere,

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da ad- e clàudere, “chiudere”, cioè “chiudere qualcosa insieme a un’altra contenuta in un involucro” (es. alla lettera ho accluso un assegno).

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Analisi interattiva

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volendo né disgustare alcuno senza utilità, né atterrire coloro, i quali avevano per la scelleraggine più inclinazione nella volontà, che determinazione di coraggio. Ma stretti i patti, colui che non gli avesse ben fedelmente serbati con lui, doveva essere bene in alto per tenersi sicuro dalla sua vendetta.

L’innominato: dalla storia al mito da I promessi sposi, cap. XIX

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Temi chiave

• la figura dell’eroe “maledetto” • l’indeterminatezza del mito • il ritratto interiore • una narrazione riassuntiva

Abbiamo detto che don Rodrigo, intestato1 più che mai di venire a fine della sua bella impresa, s’era risoluto di cercare il soccorso d’un terribile uomo. Di costui non possiam dare né il nome, né il cognome, né un titolo, e nemmeno una congettura sopra nulla di tutto ciò: cosa tanto più strana, che del personaggio troviamo memoria in più d’un libro (libri stampati, dico2) di quel tempo. Che il personaggio sia quel medesimo, l’identità de’ fatti non lascia luogo a dubitarne; ma per tutto un grande studio a scansarne il nome, quasi avesse dovuto bruciar la penna, la mano dello scrittore. Francesco Rivola3, nella vita del cardinal Federigo Borromeo, dovendo parlar di quell’uomo, lo chiama «un signore altrettanto potente per ricchezze, quanto nobile per nascita» e fermi lì. Giuseppe Ripamonti4, che, nel quinto libro della quinta decade della sua Storia Patria, ne fa più distesa menzione, lo nomina uno, costui, colui, quest’uomo, quel personaggio. «Riferirò», dice, nel suo bel latino, da cui traduciamo come ci riesce, «il caso d’un tale che, essendo de’ primi tra i grandi della città, aveva stabilita la sua dimora in una campagna, situata sul confine; e lì, assicurandosi5 a forza di delitti, teneva per niente i giudizi, i giudici, ogni magistratura, la sovranità; menava una vita affatto indipendente; ricettatore di forusciti6, foruscito un tempo anche lui; poi tornato, come se niente fosse…». Da questo scrittore prenderemo qualche altro passo, che ci venga in taglio per confermare e per dilucidare il racconto del nostro anonimo; col quale tiriamo avanti. Fare ciò ch’era vietato dalle leggi, o impedito da una forza qualunque; esser arbitro, padrone negli affari altrui, senz’altro interesse che il gusto di comandare; esser temuto da tutti, aver la mano7 da coloro ch’erano soliti averla dagli altri; tali erano state in ogni tempo le passioni principali di costui. Fino dall’adolescenza, allo spettacolo e al rumore di tante prepotenze, di tante gare, alla vista di tanti tiranni, provava un misto sentimento di sdegno e d’invidia impaziente. Giovine, e vivendo in città, non tralasciava occasione, anzi n’andava in cerca, d’aver che dire co’ più famosi di quella professione8, d’attraversarli9, per provarsi con loro, e farli stare a dovere, o tirarli a cercare la sua amicizia. Superiore di ricchezze e di seguito alla più parte, e forse a tutti d’ardire e di costanza, ne ridusse molti a ritirarsi da ogni rivalità, molti ne conciò male, molti n’ebbe amici; non già amici del pari, ma, come soltanto potevan piacere a lui, amici subordinati, che si riconoscessero suoi inferiori, che gli stessero alla sinistra10. Nel fatto però, veniva anche lui a essere il faccendiere, lo strumento di tutti coloro: essi non mancavano

1. intestato: intestardito. 2. libri … dico: cioè non solo nel manoscritto anonimo da cui finge di trarre la storia. 3. Francesco Rivola: T14a, nota 1. 4. Giuseppe Ripamonti: T14a, nota 1.

5. assicurandosi: rendendosi sicuro. 6. forusciti: delinquenti messi al bando e fuggiti fuori del paese 7. la mano: la destra, la precedenza (come riconoscimento di inferiorità); più in generale è da intendere come segno di sottomis-

sione e omaggio feudale. 8. quella professione: di tiranni ( T14a, nota 33). 9. d’attraversarli: contrastarli. 10. gli … sinistra: era segno di inferiorità ( nota 7).

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di richiedere ne’ loro impegni l’opera d’un tanto ausiliario; per lui, tirarsene indietro sarebbe stato decadere dalla sua riputazione, mancare al suo assunto. Di maniera che, per conto suo, e per conto d’altri, tante ne fece che, non bastando né il nome, né il parentado, né gli amici, né la sua audacia a sostenerlo contro i bandi pubblici, e contro tante animosità potenti, dovette dar luogo, e uscir dallo stato. Credo che a questa circostanza si riferisca un tratto notabile raccontato dal Ripamonti. «Una volta che costui ebbe a sgomberare il paese, la segretezza che usò, il rispetto, la timidezza, furon tali: attraversò la città a cavallo, con un seguito di cani, a suon di tromba; e passando davanti al palazzo di corte, lasciò alla guardia un’imbasciata d’impertinenze per il governatore». Nell’assenza, non ruppe le pratiche, né tralasciò le corrispondenze con que’ suoi tali amici, i quali rimasero uniti con lui, per tradurre letteralmente dal Ripamonti, «in lega occulta di consigli11 atroci, e di cose funeste». Pare anzi che allora contraesse con più alte persone, certe nuove terribili pratiche, delle quali lo storico summentovato12 parla con una brevità misteriosa. «Anche alcuni principi esteri,» dice, «si valsero più volte dell’opera sua, per qualche importante omicidio, e spesso gli ebbero a mandar da lontano rinforzi di gente che servisse sotto i suoi ordini». Finalmente (non si sa dopo quanto tempo), o fosse levato il bando, per qualche potente intercessione, o l’audacia di quell’uomo gli tenesse luogo d’immunità, si risolvette di tornare a casa, e vi tornò difatti; non però in Milano, ma in un castello confinante col territorio bergamasco, che allora era, come ognun sa, stato veneto. «Quella casa,» cito ancora il Ripamonti, «era come un’officina di mandati sanguinosi: servitori, la cui testa era messa a taglia, e che avevan per mestiere di troncar teste: né cuoco, né sguattero dispensati dall’omicidio: le mani de’ ragazzi insanguinate». Oltre questa bella famiglia domestica13, n’aveva, come afferma lo stesso storico, un’altra di soggetti simili, dispersi e posti come a quartiere14 in vari luoghi de’ due stati15 sul lembo de’ quali viveva, e pronti sempre a’ suoi ordini. Tutti i tiranni, per un bel tratto di paese all’intorno, avevan dovuto, chi in un’occasione e chi in un’altra, scegliere tra l’amicizia e l’inimicizia di quel tiranno straordinario. Ma ai primi che avevano voluto provar di resistergli, la gli era andata così male, che nessuno si sentiva più di mettersi a quella prova. E neppur col badare a’ fatti suoi, con lo stare a sé, uno non poteva rimanere indipendente da lui. Capitava un suo messo a intimargli che abbandonasse la tale impresa, che cessasse di molestare il tal debitore, o cose simili: bisognava rispondere sì o no. Quando una parte, con un omaggio vassallesco, era andata a rimettere in lui un affare qualunque, l’altra parte si trovava a quella dura scelta, o di stare alla sua sentenza, o di dichiararsi suo nemico; il che equivaleva a esser, come si diceva altre volte, tisico in terzo grado16. Molti, avendo il torto, ricorreva-

11. consigli: disegni. 12. summentovato: sopra menzionato. 13. famiglia domestica: servitù.

14. posti … quartiere: alloggiati come i soldati. 15. due stati: lo Stato di Milano e lo Stato

veneto. 16. tisico … grado: tisico all’ultimo stadio, già spacciato.

pesare le parole Ausiliario (r. 32) > Proviene

dal latino auxìlium, “aiuto”. Come aggettivo (anche nella forma ausiliare) vuol dire “che aiuta, è di supporto” (es. l’imbarcazione possiede un motore ausiliario, da impiegare in caso di emergenza); come sostantivo significa “aiutante, collaboratore” (es. nella scuola oltre agli insegnanti hanno una funzione essen-

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ziale gli amministrativi, i tecnici e gli ausiliari, definiti con la sigla ata). Le ausiliarie erano le donne impiegate a seguito dell’esercito con funzioni assistenziali o amministrative. Dalla stessa radice proviene Ausiliatrice, attributo della Madonna, che viene in soccorso ai fedeli.

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no a lui per aver ragione in effetto; molti anche, avendo ragione, per preoccupare17 un così gran patrocinio, e chiuderne l’adito all’avversario; gli uni e gli altri divenivano più specialmente suoi dipendenti. Accadde qualche volta che un debole oppresso, vessato da un prepotente, si rivolse a lui; e lui, prendendo le parti del debole, forzò il prepotente a finirla, a riparare il mal fatto, a chiedere scusa; o, se stava duro, gli mosse tal guerra, da costringerlo a sfrattar dai luoghi che aveva tiranneggiati, o gli fece anche pagare un più pronto e più terribile fio18. E in quei casi, quel nome tanto temuto e abborrito era stato benedetto un momento: perché, non dirò quella giustizia, ma quel rimedio, quel compenso qualunque, non si sarebbe potuto, in que’ tempi, aspettarlo da nessun’altra forza né privata, né pubblica. Più spesso, anzi per l’ordinario, la sua era stata ed era ministra19 di voleri iniqui, di soddisfazioni atroci, di capricci superbi. Ma gli usi così diversi di quella forza producevan sempre l’effetto medesimo, d’imprimere negli animi una grand’idea di quanto egli potesse volere e eseguire in onta dell’equità20 e dell’iniquità21, quelle due cose che metton tanti ostacoli alla volontà degli uomini, e li fanno così spesso tornare indietro22. La fama de’ tiranni ordinari rimaneva per lo più ristretta in quel piccolo tratto di paese dov’erano i più ricchi e i più forti: ogni distretto aveva i suoi; e si rassomigliavan tanto, che non c’era ragione che la gente s’occupasse di quelli che non aveva a ridosso. Ma la fama di questo nostro era già da gran tempo diffusa in ogni parte del milanese: per tutto, la sua vita era un soggetto di racconti popolari; e il suo nome significava qualcosa d’irresistibile, di strano, di favoloso. Il sospetto che per tutto s’aveva de’ suoi collegati e de’ suoi sicari, contribuiva anch’esso a tener viva per tutto la memoria di lui. Non eran più che sospetti; giacché chi avrebbe confessata apertamente una tale dipendenza? ma ogni tiranno poteva essere un suo collegato, ogni malandrino, uno de’ suoi; e l’incertezza stessa rendeva più vasta l’opinione, e più cupo il terrore della cosa. E ogni volta che in qualche parte si vedessero comparire figure di bravi sconosciute e più brutte dell’ordinario, a ogni fatto enorme di cui non si sapesse alla prima indicare o indovinar l’autore, si proferiva, si mormorava il nome di colui che noi, grazie a quella benedetta, per non dir altro, circospezione de’ nostri autori23, saremo costretti a chiamare l’innominato.

17. preoccupare: accaparrarsi in anticipo. 18. un più … fio: con la morte. 19. ministra: strumento. 20. in onta dell’equità: commettendo soprusi. 21. dell’iniquità: proteggendo un debole

da una prepotenza altrui. 22. quelle … indietro: l’equità spesso distoglie gli uomini dal commettere il male, l’iniquità dal compiere il bene. Cioè la giustizia non impedisce all’innominato di com-

mettere il male, come la malvagità altrui non gli impedisce di fare il bene. Il passo però è oscuro e di discussa interpretazione. 23. nostri autori: Ripamonti, Rivola ed il manoscritto fittizio.

Analisi dei testi Il Conte del Sagrato del Fermo è profondamente diverso dall’innominato dei Promessi sposi, tanto che questi, più che lo sviluppo di un personaggio di una precedente redazione, appare come un personaggio del tutto nuovo. L’eroe “maledetto”

> L’innominato: la dimensione mitica

Con l’innominato Manzoni vuole costruire un personaggio eroico, di eccezionale superiorità spirituale, e per di più avvolto in un alone suggestivo di mito. Per questo si richiama al mito del nobile fuorilegge, dell’eroe “maledetto”, che era stato proposto da famose figure della letteratura romantica europea, in particolare dai Masnadieri di Schiller (1781, L’età napoleonica, cap. 1, T4, p. 39) e dal Corsaro di Byron (1814, cap. 1, T10, p. 253). 453

L’età del Romanticismo La grandezza del male

A questo clima rimandano vari aspetti dell’innominato: l’insofferenza di ogni limite e autorità, la volontà di affermare la propria individualità d’eccezione al di là delle leggi; il mistero che il narratore crea intorno a lui, tacendo il suo nome e lasciando nell’indeterminato i suoi delitti, coll’effetto di farli apparire ancora più terribili e favolosi; il terrore che sparge intorno a sé, la superiorità che lo distacca dall’umanità comune e ne fa un dominatore, dinanzi a cui non ci si può che sottomettere; il clima di sinistra leggenda che lo circonda («per tutto, la sua vita era un soggetto di racconti popolari; e il suo nome significava qualcosa d’irresistibile, di strano, di favoloso»).

> Il conte del sagrato: un documento di costume Un fatto di cronaca

La scena e il riassunto

Nulla di tutto ciò compare nel Fermo. Innanzitutto il personaggio non è “innominato”, ma reca un soprannome, ricavato dalla più famosa delle sue imprese delittuose. Non si ha dunque l’indeterminatezza del mito, ma il particolare caratteristico, che individua subito un preciso costume storico, non diversamente dai pittoreschi soprannomi dei bravi. In secondo luogo, al posto del ritratto interiore, da cui traspare la superiorità spirituale dell’innominato, vi è il racconto di un fatto esteriore, il delitto del sagrato. Se nei Promessi sposi l’indeterminatezza in cui vengono lasciati i delitti dell’innominato è un elemento essenziale alla costruzione di un’atmosfera mitica, nel Fermo il racconto particolareggiato di un fatto di cronaca nera dissolve ogni alone di mistero e di leggenda e fornisce semplicemente un documento di costume, finalizzato alla dura polemica contro un’età di barbarie e di violenza (si notino i vari interventi ironici del narratore). Il Conte, in definitiva, sembra rispondere esclusivamente all’intento di proporre un preciso documento storico del costume di un’età: è difatti il tipico signore feudale del Seicento lombardo, un «tiranno» che esercita soprusi e violenze senza curarsi della legge, una sorta di brigante rozzo, brutale e avido, privo di complessità interiore e di statura eroica.

> I procedimenti narrativi

Anche i procedimenti narrativi sono profondamente diversi. Nel Fermo il racconto del delitto dà luogo ad una scena distesamente drammatizzata, i cui particolari assumono una forte efficacia visiva (il Conte che spiana l’archibugio, ritto di fronte alla chiesa, il movimento ondeggiante della folla all’uscita). La narrazione dei Promessi sposi è invece riassuntiva, quindi molto più indeterminata. La scena è più funzionale ad un intento documentario; la narrazione riassuntiva, condotta a grandi linee, è più adatta a creare un clima favoloso.

Esercitare le competenze

Laboratorio interattivo

coMprenDere

> 1. Riassumi l’episodio che è all’origine del soprannome «Conte del Sagrato» attribuito al personaggio al centro

della narrazione ( T14a). > 2. Dove si trova il castello dell’innominato ( T14b)? Qual è l’estrazione sociale e la condizione economica del signorotto? > 3. Perché Manzoni non fa il nome dell’innominato ( T14b)? anaLIzzare

> 4. In quali punti del T14a Manzoni cita le sue fonti? Perché? > 5. narratologia Quali fatti e aspetti della personalità del fuorilegge vengono menzionati, nei Promessi sposi

( T14b), come informazioni di seconda mano o che rispecchiano un punto di vista distinto da quello del narratore onnisciente? Che funzione ha questa scelta narrativa? > 6. narratologia Individua i luoghi della narrazione ( T14a e T14b) in cui il narratore utilizza l’ironia, indicando quali sono i bersagli polemici di tali interventi, e spiegane la funzione. > 7. stile Quale figura rintracci alle righe 19-22 ( T14b), nella presentazione del personaggio?

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Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

> 8. Lessico Analizza dal punto di vista lessicale la descrizione della «casa» del Conte del Sagrato ( T14a, rr. 17-19): che cosa osservi rispetto ad alcune caratteristiche del Fermo e Lucia già evidenziate? > 9. Lingua Quali forme linguistiche utilizzate dall’autore nel T14a non sono corrispondenti, anche sul piano della grafia, a quelle dell’italiano corrente? A che cosa attribuisci tali scelte? approfonDIre e InTerpreTare

> 10.

Video

scrivere Spiega in un testo di circa 10 righe (500 caratteri) in che modo l’innominato diviene un “eroe” maledetto, un personaggio comunque leggendario ( T14b). > 11. esporre oralmente Qual è, a tuo avviso, il giudizio di Manzoni sul personaggio nel T14b? Ne ha una visione negativa o finisce per subirne in parte il fascino? (max 3 minuti) > 12. altri linguaggi: televisione La versione televisiva dei Promessi sposi diretta nel 1967 da Sandro Bolchi (che curò la sceneggiatura insieme allo scrittore Riccardo Bacchelli) riscosse un notevole successo di pubblico anche grazie all’interpretazione di valenti attori quali Salvo Randone, qui nel non facile ruolo dell’innominato. Dopo aver preso visione dello spezzone, rispondi alle domande. a) Come definiresti l’interpretazione dell’attore rispetto all’idea che del personaggio hai maturato attraverso la pagina letteraria? Esprimi un parere personale. b) In quale punto del suo monologo l’innominato cambia radicalmente il tono della voce? Perché? Motiva la tua risposta.

Fotogramma dai Promessi sposi di S. Bolchi.

per IL poTenzIaMenTo

> 13. Claudio Povolo ha messo in evidenza interessantissime affinità fra gli atti di un processo istruito, nei primi anni del Seicento, dalla Corte Pretoria di Padova contro un uomo accusato di violenze e stupri, e la vicenda centrale dei Promessi sposi, ipotizzando il fatto che Manzoni potrebbe aver conosciuto gli atti giudiziari relativi al caso: Laddove la vicenda manzoniana era essenzialmente costruita sui personaggi di Renzo, Lucia ed Agnese, nel processo un folto gruppo di vittime animava il mondo contadino dominato dalle violenze di Paolo Orgiano, del cugino e dello zio. Accanto a Fiore Bertola e alla madre, compaiono infatti molte altre ragazze che sono state oggetto delle attenzioni di Paolo Orgiano: un vero e proprio florilegio di vittime, raccontato sia alla luce delle circostanze e della biografia di ciascuna di esse, che del loro profilo sociale. Alcune, minacciate, si erano allontanate dal paese sfuggendo quasi miracolosamente alla prevedibile e inevitabile violenza; altre ancora, subitala, ne avevano interiorizzato le conseguenze senza ricorrere alla giustizia. E infine, il ricorso a quest’ultima era stato voluto con molta pervicacia da fra Ludovico Oddi, che era riuscito a convincere i suoi due protetti, Fiore Bertola e il marito, a testimoniare di fronte ai giudici, indicando chiaramente gli autori dello stupro commesso nei confronti della giovane. Ed era ancora il frate a ospitare i due sposi nella propria casa, insieme alla madre di Fiore. E se nei Promessi sposi quella «notte degli imbrogli e dei sotterfugi» vedrà i due giovani protagonisti sfuggire miracolosamente ai bravi di don Rodrigo, nel processo Orgiano un’analoga, e non meno densa, notte degli avvenimenti segnerà il rapimento di Fiore, condotta con la forza nel palazzo di Paolo Orgiano dai bravi che egli, d’accordo con il cugino, aveva inviato sino alla casa in cui la giovane viveva con il marito da poco tempo, subito dopo il matrimonio. C. Povolo, Il romanziere e l’archivista. Da un processo veneziano del ’600 all’anonimo manoscritto dei Promessi sposi, Cierre Edizioni, Verona 2004

Dopo aver letto il passo, spiega quali sono gli elementi che sembrano avvalorare la tesi dello studioso.

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L’arTe InconTra La LeTTeraTUra

I personaggi dei Promessi sposi tra pittura, teatralità e cinema

Immagine interattiva Il ritratto dell’innominato

Nella Milano di metà Ottocento, città attiva nel processo di rinnovamento risorgimentale, i personaggi dei Promessi sposi attirano l’interesse di numerosi pittori e illustratori. Che la potenza drammatica dei ritratti delineati da Alessandro Manzoni fosse alta, è dimostrato dal fatto che diversi

Francesco Hayez, Ritratto dell’innominato, 1845, olio su tela, Collezione privata.

Il veneziano Francesco Hayez (1791-1882), milanese di adozione, da considerarsi forse il massimo esponente del Romanticismo storico in pittura, si cimentò più volte su soggetti manzoniani, eseguendo anche due dipinti ispirati al Conte di Carmagnola. In questo Ritratto dell’innominato, il pittore si basa liberamente sulla descrizione manzoniana (i capelli, ad esempio, non sono bianchi come narra il romanzo) e dipinge un personaggio che si staglia su un fondo scuro con un piglio fiero e uno sguardo profondo e torvo, nel quale l’arroganza originaria non pare del tutto spenta. L’impaginazione pittorica del dipinto si imposta su una inquadratura lievemente dal basso, che accentua la grandiosità drammatica della figura, statica nella sua monumentalità, conferendo all’innominato una statura eroica. Con una pittura descrittiva Hayez infonde a questo ritratto un carattere aristocratico e melodrammatico, tipico del suo stile che si richiamava all’antica tradizione fiamminga e veneta. 456

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

artisti abbiano scelto di mettersi a confronto con i personaggi dei Promessi sposi, specie con quelli dalle personalità più complesse quali l’innominato o Gertrude. Contribuendo alla popolarità del romanzo, prima i pittori, poi il cinema e la televisione (si pensi al film realizzato da Mario Camerini nel 1941, p. 468, e alle successive serie televisive) confermano l’importanza di un’opera che sarà centrale anche nella formazione dell’identità culturale e linguistica dell’Italia unita. Il confronto tra due maestri di spicco sulla scena artistica milanese del tempo, fedeli – benché in modi divergenti – alle tendenze realistiche di tanta pittura ottocentesca, dà qualche utile indicazione sulla lunga fortuna iconografica dei Promessi sposi.

Giuseppe Molteni, La monaca di Monza, 1847, olio su tela, Pavia, Pinacoteca Malaspina.

A contendere ad Hayez il favore della committenza milanese c’era in quegli anni Giuseppe Molteni (1800-67). Impiegando egualmente un linguaggio realistico, Molteni opta tuttavia per una pittura più attenta ai fatti e alle cose della vita quotidiana, cercando di dar loro dignità d’arte e seguendo in tal senso più da vicino la lezione dei Promessi sposi, che per la prima volta avevano raccontato un Seicento non aulico, ma un Seicento anche dei semplici. La descrittività – comune a tanta pittura della prima metà dell’Ottocento – si ritrova anche nella Monaca di Monza, dove però Molteni sottolinea la solitudine tragica di Gertrude per mezzo di forti chiaroscuri. Se il fondo uniforme del ritratto hayeziano dell’innominato poneva l’eroe fuori dal tempo, Molteni colloca la monaca in una cella, le cui suppellettili contribuiscono a dare parvenza realistica alla scena. Il dipinto è caratterizzato da quel taglio di luce diagonale che, come già avveniva due secoli prima nella pittura lombarda di Caravaggio, fa emergere la realtà nei suoi tratti più autentici. Lo sguardo basso di Gertrude e le sue mani strette in grembo denotano la tensione e il tormento interiore della monaca in chiave antieroica, nonché – come si è anticipato – una più stretta adesione di Molteni allo spirito del secolo evocato da Manzoni.

Esercitare le competenze sTaBILIre nessI Tra LeTTeraTUra e arTI VIsIVe

> 1. Quali altri particolari degni di nota, oltre a quelli menzionati nella

scheda, rilevi nella rappresentazione dell’innominato? Osserva, ad esempio, la posizione della braccia e delle mani o gli oggetti presenti nella scena. > 2. Ci sono elementi della rappresentazione di Gertrude che ne rivelano il lato passionale? Osserva con attenzione i dettagli del suo volto e lo sfondo del ritratto.

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L’età del Romanticismo

Analisi interattiva

T15

La conclusione del romanzo: paradiso domestico e promozione sociale

Temi chiave

• la funzione positiva delle classi privilegiate • la visione liberale illuminata di Manzoni • la fiducia di Renzo nella “virtù” umana • la funzione redentrice di Lucia • la concezione tragica e pessimistica dell’esistenza • il ruolo provvidenziale della sventura

da I promessi sposi, cap. XXXVIII Ritrovata Lucia nel lazzaretto, Renzo torna al paese. Dopo qualche tempo anche Lucia lo raggiunge. Per sposarsi, i due giovani devono ancora vincere le resistenze di don Abbondio, che non si è liberato delle antiche paure causategli da don Rodrigo. Ma don Abbondio cede quando apprende che il signorotto è morto e conosce il suo erede, che è un bravo signore. Costui, per compiere un gesto benefico e per riparare in qualche modo ai soprusi del suo predecessore, acquista ad un prezzo altissimo le proprietà dei due promessi, che intendono trasferirsi nel Bergamasco, e li invita a pranzo nel suo palazzo il giorno dopo le nozze.

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Venne la dispensa1, venne l’assolutoria2, venne quel benedetto giorno: i due promessi andarono, con sicurezza trionfale, proprio a quella chiesa, dove, proprio per bocca di don Abbondio, furono sposi. Un altro trionfo, e ben più singolare, fu l’andare a quel palazzotto3; e vi lascio pensare che cose dovessero passar loro per la mente, in far quella salita, all’entrare in quella porta; e che discorsi dovessero fare, ognuno secondo il suo naturale4. Accennerò soltanto che, in mezzo all’allegria, ora l’uno, ora l’altro motivò più d’una volta, che, per compir la festa, ci mancava il povero padre Cristoforo. «Ma per lui,» dicevan poi, «sta meglio di noi sicuramente». Il marchese fece loro una gran festa, li condusse in un bel tinello5, mise a tavola gli sposi, con Agnese e con la mercantessa6; e prima di ritirarsi a pranzare altrove con don Abbondio, volle star lì un poco a far compagnia agl’invitati, e aiutò anzi a servirli. A nessuno verrà, spero, in testa di dire che sarebbe stata cosa più semplice fare addirittura una tavola sola. Ve l’ho dato per un brav’uomo, ma non per un originale, come si direbbe ora; v’ho detto ch’era umile, non già che fosse un portento d’umiltà. N’aveva quanta ne bisognava per mettersi al di sotto di quella buona gente, ma non per istar loro in pari. […] Nel ritorno non ci fu altro inconveniente, se non che Renzo era un po’ incomodato dal peso de’ quattrini che portava via7. Ma l’uomo, come sapete, aveva fatto ben altre vite. Non parlo del lavoro della mente, che non era piccolo, a pensare alla miglior maniera di farli fruttare. A vedere i progetti che passavan per quella mente, le riflessioni, l’immaginazioni; a sentire i pro e i contro, per l’agricoltura e per l’industria, era come se ci si fossero incontrate due accademie del secolo passato8. E per lui l’impiccio era ben più reale; perché, essendo un uomo solo, non gli si poteva dire: che bisogno c’è di scegliere? l’uno e l’altro, alla buon’ora; ché i mezzi, in sostanza, sono i medesimi; e son due cose come le gambe, che due vanno meglio d’una sola. Non si pensò più che a fare i fagotti, e a mettersi in viaggio: casa Tramaglino per la nuova patria, e la vedova per Milano. Le lacrime, i ringraziamenti, le promesse d’andarsi a trovare furon molte.

1.Venne la dispensa: il matrimonio doveva essere reso pubblico in chiesa per tre domeniche successive. Don Abbondio aveva chiesto la dispensa dalla seconda e terza denuncia. 2. l’assolutoria: l’erede di don Rodrigo si era incaricato di far togliere il bando a Renzo. 3. quel palazzotto: di don Rodrigo. L’erede

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li aveva invitati a pranzo. 4. il suo naturale: il suo carattere. 5. tinello: nelle case signorili, era una stanza da pranzo più modesta, destinata alla servitù. 6. la mercantessa: la vedova conosciuta da Lucia al lazzaretto. 7. Renzo … via: per la vendita della sua

casa e di quella di Lucia all’erede di don Rodrigo. 8. a sentire … passato: nel Settecento furono vive le discussioni sulla preminenza dell’agricoltura o dell’industria nell’economia di un paese, e il problema divenne anche oggetto di conversazione salottiera.

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni [La famiglia lascia il paese, la cui immagine è rattristata da tanti amari ricordi, e si trasferisce nel Bergamasco. Qui la serenità di Renzo è turbata da piccole angustie: conoscendo le traversie di Lucia, tutti l’immaginavano bellissima, e al vederla restano delusi. Renzo si amareggia per i pettegolezzi e diventa sgarbato con tutti, rendendosi la vita impossibile.]

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Ma si direbbe che la peste avesse preso l’impegno di raccomodar tutte le malefatte di costui. Aveva essa portato via il padrone d’un altro filatoio, situato quasi sulle porte di Bergamo; e l’erede, giovine scapestrato, che in tutto quell’edifizio non trovava che ci fosse nulla di divertente, era deliberato, anzi smanioso, di vendere, anche a mezzo prezzo; ma voleva i danari l’uno sopra l’altro, per poterli impiegar subito in consumazioni improduttive9. Venuta la cosa agli orecchi di Bortolo10, corse a vedere; trattò: patti più grassi non si sarebbero potuti sperare; ma quella condizione de’ pronti contanti guastava tutto, perché quelli che aveva messi da parte, a poco a poco, a forza di risparmi, erano ancor lontani da arrivare alla somma. Tenne l’amico in mezza parola, tornò indietro in fretta, comunicò l’affare al cugino, e gli propose di farlo a mezzo. Una così bella proposta troncò i dubbi economici di Renzo, che si risolvette subito per l’industria, e disse di sì. Andarono insieme, e si strinse il contratto. Quando poi i nuovi padroni vennero a stare sul loro, Lucia, che lì non era aspettata per nulla, non solo non andò soggetta a critiche, ma si può dire che non dispiacque; e Renzo venne a risapere che s’era detto da più d’uno: «avete veduto quella bella baggiana11 che c’è venuta?» L’epiteto faceva passare il sostantivo12. [Anche lì non mancano piccoli fastidi; però…]

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Dolori e imbrogli della qualità e della forza di quelli che abbiam raccontati, non ce ne furon più per la nostra buona gente: fu, da quel punto in poi, una vita delle più tranquille, delle più felici, delle più invidiabili; di maniera che, se ve l’avessi a raccontare, vi seccherebbe a morte. Gli affari andavan d’incanto: sul principio ci fu un po’ d’incaglio per la scarsezza de’ lavoranti e per lo sviamento e le pretensioni de’ pochi ch’eran rimasti13. Furon pubblicati editti che limitavano le paghe degli operai14; malgrado quest’aiuto15, le cose si rincamminarono, perché alla fine bisogna che si rincamminino16. Arrivò da Venezia un altro editto,

9. consumazioni improduttive: consumi voluttuari, che non producono nuova ricchezza. 10. Bortolo: il cugino presso cui Renzo si era rifugiato fuggendo da Milano. 11. baggiana: è l’epiteto con cui i bergamaschi designavano i milanesi: significa sciocco, semplicione. 12. L’epiteto … sostantivo: l’aggettivo (bella) faceva tollerare il sostantivo (baggiana).

13. per lo sviamento … rimasti: gli operai lavoravano meno o peggio, e pretendevano maggiori salari. 14. Furon … operai: alle richieste degli operai, lo Stato risponde imponendo una limitazione delle paghe. 15. malgrado quest’aiuto: è la consueta ironia nei confronti dei provvedimenti economici insensati: mancando mano d’opera,

la limitazione delle paghe non incentiva di certo la produzione. Occorreva invece aumentarle, per incoraggiare gli operai a rimanere e a produrre di più. 16. rincamminino: la realtà economica è concepita come realtà naturale: l’economia si riprende naturalmente dopo una crisi, come un organismo dopo una malattia.

pesare le parole Incaglio (r. 48)

> Incagliarsi nel linguaggio marinaresco significa per un’im-

>

barcazione “urtare in una secca e restare immobilizzata”; in senso figurato, il senso è “fermarsi per un ostacolo o una difficoltà” (es. la pratica si è incagliata prima di arrivare alla firma del direttore; le trattative per il nuovo contratto di lavoro si sono incagliate). La parola deriva dallo spagnolo encallar, “porsi in un passaggio stretto” (latino càllem, “sentiero”). L’incaglio è quindi un ostacolo che arresta, un intoppo, una difficoltà, una complicazione. Intoppo, “ostacolo, impedimento”, viene da in- e top-

po, la parte dell’albero che rimane nel terreno dopo il taglio, contro cui quindi è facile inciampare (da in- e ciampa, variante di zampa; es. il nostro viaggio in America è stato pieno di intoppi di ogni genere). Complicazione deriva dal latino cum- e plicàre, “piegare, avvolgere”, perciò indica ciò che è avvolto su se stesso, difficile da aprire e distendere (es. la faccenda è stata bloccata da infinite complicazioni). Dalla stessa radice proviene spiegare, alla lettera “distendere ciò che è avvolto”.

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un po’ più ragionevole: esenzione, per dieci anni, da ogni carico reale e personale17 ai forestieri che venissero a abitare in quello stato. Per i nostri fu una nuova cuccagna. Prima che finisse l’anno del matrimonio, venne alla luce una bella creatura; e, come se fosse fatto apposta per dar subito opportunità a Renzo d’adempiere quella sua magnanima promessa18, fu una bambina; e potete credere che le fu messo nome Maria. Ne vennero poi col tempo non so quant’altri, dell’uno e dell’altro sesso: e Agnese affaccendata a portarli in qua e in là, l’uno dopo l’altro, chiamandoli cattivacci, e stampando loro in viso de’ bacioni, che ci lasciavano il bianco per qualche tempo. E furon tutti ben inclinati; e Renzo volle che imparassero tutti a leggere e scrivere, dicendo che, giacché la c’era questa birberia, dovevano almeno profittarne anche loro. Il bello era a sentirlo raccontare le sue avventure: e finiva sempre col dire le gran cose che ci aveva imparate, per governarsi meglio in avvenire. «Ho imparato,» diceva, «a non mettermi ne’ tumulti: ho imparato a non predicare in piazza: ho imparato a guardare con chi parlo19: ho imparato a non alzar troppo il gomito: ho imparato a non tenere in mano il martello delle porte, quando c’è lì d’intorno gente che ha la testa calda20: ho imparato a non attaccarmi un campanello al piede21, prima d’aver pensato quel che possa nascere». E cent’altre cose. Lucia però, non che trovasse la dottrina falsa in sé, ma non n’era soddisfatta; le pareva, così in confuso, che ci mancasse qualcosa. A forza di sentir ripetere la stessa canzone, e di pensarci sopra ogni volta, «e io,» disse un giorno al suo moralista, «cosa volete che abbia imparato? Io non sono andata a cercare i guai: son loro che sono venuti a cercar me. Quando non voleste dire,» aggiunse, soavemente sorridendo, «che il mio sproposito sia stato quello di volervi bene, e di promettermi a voi». Renzo, alla prima, rimase impicciato. Dopo un lungo dibattere e cercare insieme, conclusero che i guai vengono bensì spesso, perché ci si è dato cagione; ma che la condotta più cauta e più innocente non basta a tenerli lontani; e che quando vengono, o per colpa o senza colpa, la fiducia in Dio li raddolcisce, e li rende utili per una vita migliore. Questa conclusione, benché trovata da povera gente, c’è parsa così giusta, che abbiam pensato di metterla qui, come il sugo di tutta la storia. La quale, se non v’è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l’ha scritta22, e anche un pochino a chi l’ha raccomodata23. Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta.

17. carico … personale: ogni tassa sui beni immobili (carico reale) e sul reddito che deriva dalle attività delle persone (personale). 18. magnanima promessa: nel lazzaretto, Renzo aveva promesso alla Madonna che avrebbe posto nome Maria alla prima figlia, in sostituzione del voto di Lucia. 19. ho imparato … parlo: pensa allo sbirro

travestito a cui aveva incautamente rivelato il suo nome all’osteria. 20. ho imparato … calda: cercando Lucia in Milano, Renzo aveva bussato alla porta della casa dove sperava di trovarla, e per quel gesto era stato scambiato per un untore dalla folla inferocita. 21. ho imparato … piede: nel lazzaretto

Renzo, per poter girare liberamente, si era attaccato al piede il campanello dei monatti; in realtà il campanello gli aveva causato degli impicci. 22. a chi l’ha scritta: l’anonimo. 23. a chi l’ha raccomodata: Manzoni.

Analisi del testo

> Le concezioni sociali ed economiche di Manzoni

Si conclude la travagliata vicenda dei due promessi

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La conclusione è uno dei punti nodali del romanzo, in cui convergono le sue linee tematiche fondamentali. Giunge innanzitutto al termine la travagliata vicenda dei due promessi, con la celebrazione del matrimonio che era stato impedito all’inizio. In luogo del nobile persecutore, don Rodrigo, compare un nobile benefattore (anche se non esente da limiti, visto che non si siede a tavola con gli umili sposi), il marchese erede, che compie il gesto generoso di comprare a un prezzo altissimo le povere proprietà di Renzo e Lucia:

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni Il marchese, il lato positivo delle classi privilegiate L’industria

Gli orientamenti liberali di Manzoni

La conclusione del percorso formativo di Renzo

Il ruolo “redentivo” di Lucia

L’utilità delle sventure

Il rifiuto manzoniano dell’idillio

è un esempio di quella funzione positiva delle classi privilegiate nella società, che è centrale nella concezione manzoniana. Così Renzo, grazie anche alle elargizioni dell’innominato, si trova a disporre di un notevole capitale e deve risolvere il problema di come investirlo. La scelta dell’industria, con l’acquisto del filatoio, è significativa, perché testimonia in Manzoni una notevole modernità di vedute: ancora ai suoi tempi l’Italia era arretratissima nello sviluppo industriale rispetto alle altre nazioni europee, e Manzoni si rivela allineato con l’intellettualità più avanzata, che si adoperava per promuovere l’industrializzazione della Lombardia. Si colgono anche gli orientamenti liberali dello scrittore, che facendo scegliere l’industria celebra lo spirito di iniziativa del suo personaggio: infatti Renzo, grazie alla sua laboriosità, alla sua lungimiranza e al suo coraggio negli investimenti, ottiene una promozione sociale, passando da operaio salariato a imprenditore e ottenendo una relativa agiatezza. Così come di ispirazione liberista è l’approvazione tributata ai provvedimenti fiscali della Repubblica di Venezia, che, alleggerendo il carico delle tasse, attira imprenditori e mano d’opera da altri Stati e incrementa lo sviluppo economico. La visione liberale illuminata di Manzoni si manifesta ancora nella scelta, operata da Renzo, di assicurare ai figli un’istruzione, che è uno strumento imprescindibile di promozione sociale e di sviluppo, mentre l’ignoranza condanna i ceti inferiori alla subalternità e la società intera all’arretratezza.

> La fiducia di renzo nella “virtù” umana

Però il percorso di formazione di Renzo non è ancora terminato, come testimonia la sua convinzione di potersi valere delle cose imparate per «governarsi meglio in avvenire», cioè per evitare guai simili a quelli patiti: anche se, grazie alle sue due brutte esperienze milanesi, ha capito di non essere in grado con la sua azione di porre rimedio a ingiustizie e miserie, come si era illuso all’inizio, e si è abbandonato alla volontà della Provvidenza, conserva ancora un residuo laico di fiducia nella “virtù” dell’uomo, nella possibilità di controllare il reale con sapiente calcolo razionale e di porre riparo ai colpi della “fortuna” (per usare la terminologia di Machiavelli). È per Manzoni una fiducia vana: per lui nessun calcolo prudente può mettere l’uomo al sicuro da accidenti dolorosi.

> La «provida sventura»

Il compito di redimere Renzo dall’errore tocca come sempre a Lucia, che nella sua innocenza e nella sua naturale religiosità è più vicina alla verità. Fa così osservare che i «guai» l’hanno colpita anche se, a differenza di Renzo, non è andata a cercarseli. La conclusione a cui arrivano i due giovani è che i «guai» possono venire anche «senza colpa» e che la vita «più cauta e più innocente» non basta a tenerli lontani. Può sembrare una conclusione banale, ma in realtà vi si racchiude tutto il «sugo» del romanzo, come il narratore sottolinea. I due protagonisti acquisiscono una visione più profonda e matura della Provvidenza. Essi prima pensavano in modo ingenuo che essa intervenisse infallibilmente a premiare i buoni e a punire i malvagi: ora invece arrivano a capire che anche le sventure possono essere provvidenziali, se affrontate con fiducia in Dio, e possono essere utili «per una vita migliore», cioè non chiusa nell’egoismo ma aperta agli altri, nutrita della consapevolezza che la condizione terrena è uno stato doloroso, su cui il male incombe costantemente. Manzoni, con un gioco sottile che a lui è caro, affida alla dizione elementare e dimessa dei due popolani l’enunciazione di uno dei cardini concettuali dell’opera: la «provida sventura», come l’aveva definita nel coro di Ermengarda, nell’Adelchi ( T10, p. 409). Per questa consapevolezza della presenza del male nella storia la vita di Renzo e Lucia, anche se dopo il matrimonio è «delle più tranquille, delle più felici», non si compone nelle linee del semplice idillio: Manzoni lo rifiuta perché, data la sua concezione tragica della condizione umana, considera falsa ogni rappresentazione idillica della realtà, che ne escluda artificiosamente il negativo, il male e il dolore. 461

L’età del Romanticismo

Esercitare le competenze

Laboratorio interattivo

coMprenDere

> 1. Quale evento fortuito risolve il dilemma di Renzo, incerto se investire il proprio capitale nell’agricoltura o nell’industria?

> 2. Qual è il «sugo di tutta la storia» (r. 80)? anaLIzzare

> 3. In alcuni punti del testo, talvolta alludendo alle possibili reazioni dei destinatari del romanzo, l’autore fa rife-

rimento all’azione del raccontare: individuali e commentali. > 4. stile Benché la narrazione sia tendenzialmente riassuntiva, nel testo compaiono alcuni discorsi diretti: individuali e spiega le ragioni di questa scelta dell’autore. > 5. Lessico In quale punto del testo il narratore riflette sull’uso della lingua attraverso la citazione di un’espressione dialettale? In che modo tale osservazione si ricollega alla lunga “gestazione” del romanzo? approfonDIre e InTerpreTare

> 6.

esporre oralmente Analizza il passo in cui viene descritta la figura del marchese: quale posizione ideologica rivela da parte dell’autore? Quali aspetti del contesto storico cui fa riferimento la narrazione? Rispondi in non più di 5 minuti. > 7. competenze digitali Il riferimento alla delusione dei Bergamaschi riguardo alla “bellezza” di Lucia suggerisce lo spunto – divertito quanto la sorridente ironia manzoniana – per la realizzazione di un lavoro in PowerPoint incentrato sulle immagini che ritraggono il personaggio femminile più popolare del romanzo ottocentesco. Proponi una presentazione utilizzando il vasto materiale presente in rete, considerando non solo le arti figurative tradizionali, ma anche il teatro, il cinema, la televisione e altre forme di espressione visiva.

per IL recUpero

> 8.

Lessico Nella seguente tabella sono indicati alcuni passi del brano in cui compare la parola «cosa/e»: analizza ciascuno di essi e proponi uno o più termini specifici che possano sostituirli nelle varie frasi, secondo l’esempio proposto.

riga

Termini specifici

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pensieri, riflessioni, idee… ..............................................................................................................................................................................................................................................................................................................................................

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per IL ponTenzIaMenTo

> 9. Confronta il brano analizzato con La carestia: Manzoni economista ( T12, p. 436): ti sembra che in entrambi i casi l’autore abbia adottato una prospettiva, oltre che sociale, anche economica? Motiva la tua risposta.

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Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

Microsaggio

Il narratore e i punti di vista dei personaggi Il narratore I promessi sposi rispondono al modello più diffuso della narrativa europea del primo Ottocento: le vicende sono raccontate da un narratore esterno al piano del narrato, da una voce per così dire “fuori Il narratore campo”. Questo narratore è onnisciente: conosce passato, presente e futuro, è informato di avvenimenti onnisciente che si svolgono contemporaneamente in luoghi diversi o inaccessibili allo sguardo di testimoni, sa quello e palese che pensano e sentono nell’intimo tutti i personaggi (solo per ottenere particolari effetti Manzoni limita talora l’onniscienza del suo narratore: è il caso dell’episodio dell’innominato, in cui la voce narrante si dichiara impossibilitata a dire il nome del personaggio, trincerandosi dietro la reticenza dell’anonimo). È anche un narratore palese: interviene infatti continuamente ad illustrare antefatti e vicende anteriori dei personaggi (Ludovico, Gertrude…), a dipingere il loro aspetto fisico e il loro carattere, a descrivere particolareggiatamente gli scenari dell’azione, a informare sulle circostanze storiche e sui costumi dell’epoca, a spiegare gli stati d’animo dei personaggi e le motivazioni dei loro atti (vedremo poi che, nel romanzo di fine Ottocento, tutte queste prerogative muteranno profondamente). Il giudizio esplicito Ma la caratteristica forse più vistosa del narratore dei Promessi sposi è che interviene sistematicamente a del narratore commentare e a giudicare. Spesso i commenti sono espliciti: ad esempio, quando Renzo si rallegra di trovare a Milano una sollevazione popolare, propone subito il suo giudizio: «Non essendo punto un uomo superiore al suo secolo, viveva anche lui in quell’opinione o in quella passione comune, che la scarsezza del pane fosse cagionata dagl’incettatori e da’ fornai». Il giudizio implicito Più spesso i giudizi del narratore sono impliciti, dissimulati nell’uso di una metafora, di un paragone, di un aggettivo, di un sostantivo o di un verbo. Ad esempio: «La sventurata rispose», «l’infame capriccio» di don Rodrigo, «il nostro povero montanaro», la «santa fretta» di Ferrer, «il vortice attrasse lo spettatore», «il fondaccio del tumulto», il «sogghigno di compiacenza diabolica» del vecchio mal vissuto. Tutti i termini che abbiamo sottolineato non sono neutri, descrittivi, ma veicolano evidentemente un giudizio sull’oggetto designato. Attraverso questi giudizi, espliciti o impliciti, il narratore orienta le reazioni del lettore: i fatti gli vengono offerti già giudicati in una precisa direzione, in riferimento a precisi metri di giudizio morali, religiosi, politici. Tutta la materia narrata del romanzo si trova così racchiusa entro le maglie ferree di un’interpretazione, che non lascia margini per ambiguità ed equivoci. La focalizzazione I punti di vista dei personaggi Però vi sono anche tratti più o meno ampi in cui viene adottato il punto sui personaggi di vista particolare di un personaggio, per cui vediamo tutto attraverso i suoi occhi, le sue reazioni soggettive,

le sue impressioni e i suoi giudizi (focalizzazione interna). Possiamo citare due esempi significativi: l’ingresso di Renzo in Milano al capitolo XI, in cui la città in preda alla sommossa è vista con gli occhi dell’ingenuo montanaro, che non capisce ciò che sta succedendo, tanto da scambiare i pani sparsi a terra per ciottoli e la farina per neve; oppure il viaggio di don Abbondio al castello dell’innominato, ai capitoli XXIII-XXIV, in cui il neo-convertito è visto attraverso gli occhi dell’uomo mediocre, pauroso e diffidente, che non è in grado di comprendere il dramma spirituale del grande personaggio. Dalla varietà di punti di vista diversi dei personaggi non scaturisce però un relativismo prospettico, cioè l’idea che sulla realtà si possano dare interpretazioni diverse Il punto di vista tutte egualmente valide, senza gerarchie: su tutti i punti di vista particolari si impone il superiore punto di vista centrale del narratore, che si offre come fonte dell’interpretazione corretta delle cose, come depositario della verità ogdel narratore gettiva. Anche in questo modo la varietà e la particolarità delle presenze reali è riportata ad una totalità organica. costruzione narrativa e visione del reale La costruzione narrativa del romanzo è dunque il prodotto di Le certezze una visione del reale salda e sicura, in cui trovano sistemazione e senso definitivi tutti i particolari. Questa salda della fede visione del mondo è fornita a Manzoni dalle certezze della fede, da lui abbracciata con totale dedizione. Ma e l’ideologia liberale

quella fede, come sappiamo, ha riassorbito in sé anche le componenti laiche e liberali della formazione manzoniana; quindi si accompagna alla fiducia di poter attenuare la negatività della realtà umana, conformando la La funzione società all’ideale di giustizia che è proprio della religione. Ne consegue che quei procedimenti narrativi che si della letteratura sono sottolineati sono perfettamente rispondenti all’idea di letteratura che è propria di Manzoni, che, attraverso il romanzo, vuole compiere opera civilmente impegnata e utile, vuole trasmettere valori civili e morali, agendo sulla coscienza del lettore e, attraverso di essa, sulla realtà. In conclusione, il narratore dei Promessi sposi interviene costantemente a giudicare e a correggere l’immagine del reale perché Manzoni crede nella possibilità di dare un’alternativa alla situazione data, ha fiducia nella possibilità, da parte della letteratura, di incidere sulla realtà e di modificarla.

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L’età del Romanticismo

Interpretazioni critiche

pierantonio frare Il rapporto autore/lettore nei Promessi sposi Il critico osserva che mentre il racconto si avvia alla conclusione si infittiscono gli appelli dell’autore al lettore. Da un lato il narratore dà al suo racconto la forma di una risposta alle virtuali domande del lettore; dall’altro sempre più spesso rinuncia a narrare certi episodi e chiede che il lettore subentri con la sua immaginazione. Il compito del lettore si fa sempre più difficile, ma egli è ormai fornito degli strumenti per cavarsela da solo. Il lettore interagisce con l’autore sullo stesso piano, sino a farsi in un certo senso co-autore dell’opera. Così il lettore è chiamato a cogliere le implicazioni profonde del «sugo» della storia proposto da Renzo e Lucia, che a prima vista può apparire troppo elementare.

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Dopo lo scioglimento del voto da parte di padre Cristoforo, la fabula1 si avvia lietamente e sveltamente alla conclusione; e gli appelli al lettore, già abbastanza frequenti nel romanzo, e non senza motivo, si infittiscono. Da un lato, il narratore modula il suo racconto come una risposta […] alle domande e alle esigenze del lettore: «Direte forse: come andava col bando? L’andava benone» (PS, XXXVII); «Chi volesse anche sapere come Renzo se la passasse con don Abbondio, in quel tempo d’aspetto, dirò che stavano alla larga l’uno dall’altro» (ivi); «con tutta la volontà che abbiamo di secondar la fretta del lettore, ci son tre cose appartenenti a quell’intervallo di tempo che non vorremmo passar sotto silenzio» (ivi); «Chi volesse conoscere un po’ più in particolare questa triste storia, la troverà nel libro e al luogo che abbiam citato altrove» (ivi); «A nessuno verrà, spero, in testa di dire che sarebbe stata cosa più semplice fare addirittura una tavola sola» (PS, XXXVIII); «Chi domandasse se non ci fu anche del dolore in distaccarsi da quel paese nativo, da quelle montagne; ce ne fu sicuro» (ivi); «Cosa direte ora, sentendo che, appena arrivati e accomodati nel nuovo paese, Renzo ci trovò de’ disgusti bell’e preparati?» (ivi). Dall’altro lato, sempre più spesso il narratore rinuncia al racconto e chiede che il lettore subentri in sua vece, con la sua immaginazione e con le sue parole: «Ma d’averla sulla carta tutta quella conversazione [tra Renzo e Agnese], con parole mute, fatte d’inchiostro, e senza trovarci un solo fatto nuovo, son di parere che non se ne curi molto, e che gli piaccia più d’indovinarla da sé» (PS, XXXVII); «L’accoglienze vicendevoli [tra Agnese e Lucia] se le immagini il lettore» (PS, XXXVIII); «Un altro trionfo, e ben più singolare, fu l’andare a quel palazzotto; e vi lascio pensare che cose dovessero passar loro per la mente, in far quella salita, all’entrare in quella porta; e che discorsi dovessero fare, ognuno secondo il suo naturale» (ivi). Di pagina in pagina, il compito assegnato al lettore si rivela più arduo: la ricostruzione, sia nella veste linguistica, sia nei contenuti, del colloquio tra Renzo e Agnese e dell’incontro tra Agnese e Lucia gli può essere facile, perché il narratore gliene ha forniti i modelli nel romanzo; non ci sono, invece, quelli atti a immaginare i pensieri e i discorsi di Renzo, di Lucia, di Agnese ospiti di un signore, in quel palazzotto. Situazione inedita, per i perso-

1. la fabula: la vicenda.

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Pierantonio Frare assume come tesi centrale del suo volume l’idea che il pensare e lo scrivere manzoniani partano spesso da un’impostazione dualistica, che pone in antitesi due termini: ad esempio sentire e meditare, passione e ragione, giudizio severo e complicità, reale e ideale, autore e lettore. Nel passo riportato viene esaminata quest’ultima contrapposizione.

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

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naggi e per il lettore, entrambi, ormai, dopo tante vicende e tante parole, forniti degli strumenti necessari per fare da soli e per esercitare il proprio libero arbitrio. […] Le vicende del narratore e quelle del lettore ormai si divaricano: forse il secondo si aspetterebbe un maggior indugio sulla felicità di Renzo e Lucia, ma il primo, una volta di più, ne delude le attese (ma, si badi, delegando scelta e spiegazione all’anonimo: «Per altro, prosegue [l’anonimo], dolori e imbrogli della qualità e della forza di quelli che abbiam raccontati, non ce ne furon più per la nostra buona gente: fu, da quel punto in poi, una vita delle più tranquille, delle più felici, delle più invidiabili; di maniera che, se l’avessi a raccontare, vi seccherebbe a morte»: PS, XXXVIII). Anche in queste ultime pagine, retorica del giudizio2 e atteggiamento ironico cooperano a costruire un lettore capace di interagire con l’autore sullo stesso piano, fino a farsi in un certo senso coautore dell’opera, grazie all’orizzonte d’attesa che il narratore non ha mancato di introiettare3 nel romanzo. Il narratore può dunque legittimamente stendere una conclusione apparentemente minore, dominata dalla dissimulazione e percorsa da quell’altra figura tipicamente ironica che è la litote4: spetterà al lettore leggere tra le righe e riempire i vuoti, per restituire al «sugo di tutta la storia» la pienezza di una morale che vale per tutta la Storia, quella evocata all’inizio dall’anonimo. P. Frare, La scrittura dell’inquietudine. Saggio su Alessandro Manzoni, Olschki, Firenze 2006

2. retorica del giudizio: gli interventi giudicanti del narratore, che nei Promessi sposi sono fitti. 3. introiettare: inserire. 4. litote: figura retorica che consiste nel-

l’attenuare un’affermazione (ad esempio «non bello» per «brutto»). Si riferisce alla conclusione ricavata da Renzo e Lucia che riflettono sul senso delle loro vicende. Dietro al linguaggio elementare dei due popo-

lani Manzoni dissimula il nucleo fondamentale del proprio pensiero sul rapporto fra la storia, i mali che la funestano e la Provvidenza: l’idea della «provida sventura» ( T15, Analisi del testo, p. 461).

Esercitare le competenze coMprenDere

> 1. Che cosa accade, a conclusione del romanzo, all’interno del rapporto tra autore e lettore, secondo quanto

osserva il critico? Gli appelli al lettore si infittiscono o diminuiscono? > 2. In che senso il narratore da ultimo rinuncia al racconto? Che cosa chiede al lettore? > 3. Quali sono i pensieri e i discorsi che il lettore, partecipe, riesce a immaginare con più facilità? Quali con più difficoltà? anaLIzzare

> 4. Analizza e spiega l’espressione «orizzonte d’attesa» (r. 40). > 5. stile Individua ed elenca gli “strumenti retorici” che il critico riconosce come tipici del narratore dei Promessi sposi.

approfonDIre e InTerpreTare

> 6.

scrivere A partire dalla conclusione del romanzo, dalle riflessioni “minori” di Renzo e Lucia sulle proprie vicende personali, enuclea la concezione manzoniana della Provvidenza.

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L’età del Romanticismo

Interpretazioni critiche

Matteo sarni Manzoni, Scott e la compassione In questo capitolo il critico riflette sulle diverse forme di compassione che punteggiano i romanzi scottiani e i Promessi sposi, individuando nella compassione autentica e solidale uno dei fulcri della visione del mondo di Scott e Manzoni. In particolare, per Manzoni la compassione rappresenta il cuore della dignità umana, di quell’umanità che spesso viene trascurata e calpestata in ossequio al «vangelo di superbia e d’odio» del «mondo» (Promessi sposi, cap. XXV).

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Nei Promessi Sposi la compassione è argomento di dibattito fra l’innominato e il Nibbio. […] Il rapporto sul rapimento di Lucia inizia con un linguaggio secco, “professionale”, incentrato su un efficace susseguirsi di frasi nominali; a un certo punto, però, erompe una considerazione di carattere soggettivo: il Nibbio non si trattiene dal confessare al capo lo strano sentimento che si è impadronito di lui durante il tragitto con la prigioniera. Come un paziente di fronte allo psicanalista, egli cerca di chiarire a se stesso l’esperienza provata, ricorrendo ovviamente alla tastiera di emozioni a lui note. La compassione viene quindi assimilata alla paura, giacché entrambe conducono il soggetto a perdere la propria “umanità”. Nell’ottica distorta del criminale, essere veri uomini significa infatti non avere pietà dell’altro, mostrarsi sempre spavaldi e implacabili, considerare il prossimo uno strumento e mai un fine. Tale prospettiva egolatrica1 e antisociale ben si attaglia all’«anarchie féodale»2 del Seicento […]. Esattamente antinomico3 a quello per cui dovrebbe essere pronunciata è il senso della parola “compassione” in bocca al Nibbio. Se si vuole pervenire al credo manzoniano, le frasi dell’eslege4 vanno rovesciate: la mercy5 non si apparenta al timore ma al coraggio, non porta a perdere ma a conquistare l’autentica essenza umana. Non a caso, nel capitolo XXXVI il narratore tesse esplicitamente le lodi della compassione, innalzandola a sentimento divino par excellence6:

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Quando fu appiè della cappella, [Renzo] andò a inginocchiarsi sull’ultimo scalino; e lì fece a Dio una preghiera, o, per dir meglio, una confusione di parole arruffate, di frasi interrotte, d’esclamazioni, d’istanze, di lamenti, di promesse: uno di que’ discorsi che non si fanno agli uomini, perché non hanno abbastanza penetrazione per intenderli, né pazienza per ascoltarli; non son grandi abbastanza per sentirne compassione senza disprezzo.

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Al pari di Scott, Manzoni lega la forma suprema di compassione unicamente a Dio, a causa della sua infinita capacità di penetrazione e di amore. La caustica battuta finale non va comunque intesa come una dichiarazione di resa, un riconoscimento della natura irrimediabilmente egoistica degli esseri umani. Se così fosse, Manzoni […] si limiterebbe a predicare la necessità dell’homo homini lupus7. Non bisogna dimenticare che l’uomo […] reca in sé, pur nella radicale alterità, un’indelebile analogia con Dio. […]

1. egolatrica: relativa al culto del proprio io. 2. anarchie féodale: anarchia feudale. L’espressione compare nella lettera a Claude Fauriel nel 29 maggio 1822. Manzoni scrive

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Matteo Sarni affronta nel suo volume una questione molto dibattuta come il rapporto fra Manzoni e Scott da una prospettiva inedita e originale: attraverso una serie di riscontri puntuali, si preoccupa di inscrivere gli echi scottiani presenti nei Promessi sposi in un discorso organico, che renda conto delle affinità profonde che intercorrono tra i due scrittori, non solo nel genere trattato, il romanzo storico, ma nelle loro visioni della realtà e nello stesso stile.

all’amico in francese. 3. antinomico: in contrasto, in antitesi. 4. eslege: fuorilegge. 5. mercy: compassione.

6. par excellence: per eccellenza. 7. homo … lupus: l’uomo è un lupo per l’altro uomo.

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D’altra parte, nei Promessi Sposi non mancano manifestazioni disinteressate di compassione altruistica: dalla famiglia del sarto che accoglie Lucia nella sua dimora all’eroismo dei cappuccini del lazzeretto, desiderosi di consacrare la propria intera esistenza al servizio dei sofferenti, dal barcaiolo che traghetta i promessi sposi senza richiedere alcun obolo alla «carità inesausta» dimostrata dal cardinal Federigo Borromeo. […] Il caso della monacazione forzata impedita dalla longanimità di Federigo è paradigmatico8: probabilmente, qualora il cardinale non fosse intervenuto, la giovane avrebbe preso il velo di contraggenio9, tradendo il proprio diritto all’autodeterminazione e rischiando così di trasformarsi in una novella Gertrude. Federigo è stato capace di immedesimarsi con i pensieri e le aspirazioni della ragazza […]. Infatti, […] amare vuol dire vedere il mondo con gli occhi dell’altro; provare compassione per qualcuno significa proprio sforzarsi – per quanto possibile – di guardare la realtà attraverso i suoi occhi: l’esatto contrario della prassi seguita dal padre di Gertrude. Tiranno spietato che decide la sorte dei figli prima ancora che vengano alla luce, predestinandoli a posizioni da lui prescelte […] Il principe padre non concepisce altra volontà al di fuori della propria, e non si perita10 di sacrificare la serenità della figlia all’altare degli interessi socioeconomici. M. Sarni, Il segno e la cornice. I Promessi Sposi alla luce dei romanzi di Walter Scott, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2013

8. paradigmatico: esemplare. 9. di contraggenio: contro la propria volontà.

10. non si perita: non si fa scrupoli, non esita.

Esercitare le competenze coMprenDere

> 1. Sintetizza la tesi esposta da Sarni. anaLIzzare

> 2. Su quali episodi e personaggi del romanzo il critico focalizza la sua attenzione? Perché? > 3. Lessico Analizza, anche avvalendoti del dizionario, l’etimologia del sostantivo «compassione»: risulta conforme all’accezione che, secondo Sarni, scaturisce dall’opera di Manzoni?

approfonDIre e InTerpreTare

> 4.

scrivere Quali altri episodi dei Promessi sposi sarebbero adatti a illustrare l’esempio del «paziente di fronte allo psicanalista» (r. 9) qui riferito al dibattito fra l’innominato e il Nibbio? Motiva la tua risposta in circa 20 righe (1000 caratteri). > 5. esporre oralmente Riepiloga i rapporti fra l’opera di Manzoni e quella di Walter Scott (max 3 minuti). passaTo e presenTe nel nome del padre

> 6. Considera l’assenza di compassione (intesa come incapacità di amare) osservata dal critico a proposito del tirannico padre di Gertrude, e rifletti sul singolare caso di Matilde Manzoni, ultima dei nove figli di Alessandro ed Enrichetta Blondel. Rimasta orfana di madre e ospite in Toscana della sorella Vittoria e del marito di lei, si spegnerà per tisi nel 1856, a soli ventisei anni, dopo aver testimoniato, nel diario che tenne per i primi mesi del 1851, la consapevolezza di un abbandono: quello del proprio padre, figura assai desiderata ma lontana e assente. Così scrive al letterato all’inizio della sua esperienza di redazione del Journal, condotta in lingua francese e italiana: Mio caro Papà noi ci nutriamo di speranze!… Che cosa sarebbe per noi se tu potessi venire a Pisa! So che Vittorina ha scritto a te e alla Mamma su questo soggetto, ma siccome vedo che tutte le cose troppo belle non sono per questo povero mondo, temo di farmi delle illusioni! Caro Pappà se sento la tua mancanza tutti i giorni e tutti i momenti, ci sono però delle epoche nelle quali questa mi sembra ancora più amara! Nei giorni scorsi, per esempio, vedendo tutte le famiglie riunirsi per passare insieme il Natale e per cominciare l’anno, non ti posso dire quante volte sono ritornata su di me con amarezza! M. Manzoni, Journal, a cura di C. Garboli, Adelphi, Milano 1992

Dopo aver letto e commentato il passo, discuti in classe con l’insegnante e i compagni sulla presunta attualità o inattualità delle parole di Matilde in relazione al rapporto che sussiste oggi fra padri e figli, soffermandoti, in particolar modo, su esempi di narrativa contemporanea che pongono al centro tale tematica.

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L’età del Romanticismo

LeTTeraTUra e cIneMa Video

Un “kolossal” per I promessi sposi Una produzione grandiosa Nel 1941 il regista Mario Camerini gira l’adattamento

del romanzo di Alessandro Manzoni. Il suo progetto è grandioso: da una parte coinvolge dei grandissimi divi del teatro e del cinema, come Ruggero Ruggeri, Carlo Ninchi, l’attor comico Armando Falconi, Gino Cervi ed Enrico Musy; dall’altra adopera centinaia di comparse e scenografie gigantesche, costruite a Cinecittà con grande dispendio di mezzi, come quella che riproduce la facciata secentesca del Duomo di Milano. Per quanto invece riguarda i costumi e gli ambienti, il film attinge soprattutto alle illustrazioni di Francesco Gonin, apparse nell’edizione del romanzo pubblicata tra il 1840 e il 1842.

La struttura del film La sceneggiatura seleziona alcuni episodi particolarmente cele-

bri, incastrandoli tra loro come le sequenze di un film d’azione: ne deriva un ritmo vorticoso, che trasmette la sensazione dell’incessante girovagare dei due innamorati e che acuisce gli aspetti drammatici della vicenda. Si veda ad esempio la sequenza del “tentato matrimonio” tra Renzo e Lucia nella casa di don Abbondio: i giochi di luci e ombre, combinati con un montaggio incalzante, creano una tensione che coinvolge emotivamente lo spettatore.

La peste a Milano L’episodio che più di ogni altro mira a muovere il pubblico in sala è

però quello dedicato alla peste di Milano. Qui la ricostruzione dell’evento accentua i dettagli più macabri della descrizione manzoniana, soffermandosi sui morti e sulle sofferenze degli appestati, allo scopo di creare una climax patetica che raggiunge il suo apice con l’incontro di Renzo e Lucia nel lazzaretto: in questo luogo i due promessi sposi rinnovano i loro voti di fronte al fidato fra Cristoforo e la vicenda può finalmente sciogliersi e avviarsi a una rapida conclusione. Questa struttura permette all’episodio di fare da cassa di risonanza per la morale dell’intera vicenda: come già suggeriva Manzoni, la sventura può colpire anche gli innocenti e solo la fiducia in Dio fa sì che quella possa essere utile alla costruzione di una «vita migliore», segnata dall’amore verso il prossimo e dalla consapevolezza che la vita terrena è fatta di sofferenza. Il film ripropone pertanto, seppure in una maniera semplificata che lascia poco spazio alla crescita psicologica dei personaggi, il concetto di «provida sventura» ( p. 461).

Qui possiamo vedere all’opera quella che il critico cinematografico Mario Gromo ha definita la «ieratica dolcezza» di Ruggeri. Le peculiarità della recitazione dell’attore ben si adattano infatti al personaggio del cardinale Borromeo: la sua voce, pacata e avvolgente, così come il suo sguardo, tenero e amorevole, definiscono efficacemente la figura dell’ascetico uomo di Chiesa, libero dalle passioni terrene e pieno d’amore per gli umili e i peccatori.

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Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

Il rapporto del film con il fascismo Il film però sembra celare anche un messaggio po-

litico: in un mondo dominato dalla violenza e dall’arbitrio dei potenti, l’unica autorità a cui l’uomo può affidarsi è quella ecclesiastica, custode in terra delle virtù evangeliche. Considerata da questo punto di vista, l’opera appare allora come una timida critica del totalitarismo fascista, che non va tanto combattuto, ma piuttosto sopportato grazie alla forza della fede, a testa bassa e in attesa di tempi migliori. Armando Falconi, grazie alla sua mimica facciale e alla sua voce modulata su toni tremolanti, incarna in maniera efficace un don Abbondio vile e pauroso. Nelle sequenze da lui interpretate l’attore esprime al meglio la sua vena comica, anche grazie al contrasto stridente con i personaggi “sublimi” della vicenda, come il cardinale Borromeo.

Esercitare le competenze sTaBILIre nessI Tra LeTTeraTUra e cIneMa

> Rispondi alle seguenti domande.

a) Ritieni che l’interpretazione di don Abbondio da parte di un attore comico sia rispondente al personaggio dell’opera letteraria, o dipenda dalla scelta arbitraria di Camerini rispetto al suo ruolo nel romanzo? b) Quali parti del romanzo di Manzoni, oltre a quelle citate nella scheda, sembrerebbero richiedere a tuo parere una versione cinematografica fastosa e dispendiosa come quella realizzata da Camerini? c) Rifletti sull’osservazione conclusiva della scheda: perché il film indurrebbe a «sopportare», e non a contrastare, il fascismo? Nel rispondere, presta particolare attenzione alla data di uscita del film, documentandoti eventualmente sul periodo storico.

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L’età del Romanticismo

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Il discorso Del romanzo storico

La separazione tra storia e letteratura

La Colonna infame

La rivoluzione francese

Dell’invenzione e Della lingua italiana

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Dopo I promessi sposi: il distacco dalla letteratura

Videolezione

La pubblicazione dei Promessi sposi nel 1827 segnò praticamente la fine della sta­ gione creativa di Manzoni. La revisione del romanzo, protratta per anni sino al 1840, obbedì prevalentemente ad interessi linguistici, come applicazione del modello fiorentino di cui Manzoni era assertore: nei confronti del romanzo troviamo anzi, nelle lettere di questi anni, atteggiamenti di sufficienza quasi sprezzante (viene definito «cantafavola»). Questo atteggiamento è chiarito teoricamente nel discorso Del romanzo storico e, in genere, de’ componimenti misti di storia e d’invenzione, già meditato poco dopo la pubblicazione dei Promessi sposi nel 1827, ma edito tra le Opere varie nel 1850. In esso viene condannata la struttura stessa del romanzo storico, basato sulla mescolanza di storia e d’invenzione, in cui l’invenzione deve completare la storia. Manzoni giunge alla conclusione che la mescolanza è illegittima, poiché l’invenzione introduce un elemento di falsità, che compromette quell’assenso che il lettore deve dare all’opera. Manzoni auspica quindi una netta separazione tra opere di invenzione e opere storiche. Ma in realtà il suo culto del «vero» si fa sempre più rigido, tanto da indurlo ad una svalutazione della letteratura, in confronto alla storia e alla fi­ losofia. Per questo, oltre che per un inaridirsi della vena creativa, non scrive più opere poetiche o narrative. Due tentativi di lirica religiosa, gli inni Ognissanti e Natale 1833 (che prende spunto dalla morte della moglie Enrichetta Blondel, che fu per lo scrittore un trauma terribile) restano incompiuti. Nel lunghissimo arco di tempo che va dal 1827 alla morte, nel 1873, cioè dai 42 agli 88 anni, Manzoni attese quasi esclusivamente a lavori di carattere storico, filosofico o linguistico. Come appendice ai Promessi sposi del 1840 compone la Storia della colonna infame, dove viene ricostruito il processo agli untori, durante la peste narrata nel romanzo. L’opera è una lucida, implacabile analisi delle responsabilità di quei giudici che condannarono degli innocenti. Vi compare il migliore Manzoni “illuminista”, all’altezza di tante pagine di critica delle aberrazioni del passato che si trovano nel romanzo; ma vi è anche la rivendicazione ferma della responsabilità dell’uomo, al di là dei condizionamenti del momento storico ( T16, p. 471): le colpe dei giudici, per Manzoni, non possono essere ascritte alla barbarie dei tempi, poiché anche con gli strumenti giuridici e culturali del Seicento essi avrebbero potuto riconoscere l’innocenza degli accusati; e se non la videro, fu perché non la vollero vedere. Un’altra opera storica, più tarda, è il saggio comparativo su La rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del 1859, iniziato nel 1862-64 e rimasto incompiuto. In esso Manzoni vuol dimostrare che la distruzione del regno di Luigi XVI non era necessaria per i miglioramenti che la Francia voleva nel suo ordinamento, e che quella distruzione provocò due disastrosi effetti, «l’oppressione del paese sotto nome di libertà» e l’impossibilità di sostituire il governo abbattuto con un governo stabile. Nell’opera si esprime quel liberalismo moderato, ostile dinanzi alle forme radicali di iniziativa popolare, che si era già espresso nei Promessi sposi. Un forte influsso sul Manzoni maturo esercitò il pensiero del filosofo cattolico Antonio Rosmini, a cui lo scrittore si ispirò nel dialogo Dell’invenzione (1850). Per molti anni poi Manzoni meditò sul problema della lingua, lavorando come s’è visto ( Il problema della lingua, p. 423) ad un’opera, Della lingua italiana, senza mai portarla a compimento.

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

Analisi interattiva

T16

La responsabilità umana e la possibilità di contrastare il male dalla Storia della colonna infame

Temi chiave

• il peccato originale e il problema del libero arbitrio

• la visione pessimistica della storia • la salvezza nella vita eterna • la possibilità di attenuare il male connaturato all’uomo

• la relativa fiducia nel progresso della società

Il passo è tratto dall’introduzione. Manzoni vi sintetizza le tesi di fondo della sua opera.

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Ma dalla storia, per quanto possa esser succinta, d’un avvenimento complicato, d’un gran male fatto senza ragione da uomini a uomini1, devono necessariamente potersi ricavare osservazioni più generali, e d’un’utilità, se non così immediata, non meno reale. Anzi, a contentarsi di quelle sole che potevan principalmente servire a quell’intento speciale, c’è pericolo di formarsi una nozione del fatto, non solo dimezzata, ma falsa, prendendo per cagioni di esso l’ignoranza de’ tempi e la barbarie della giurisprudenza, e riguardandolo quasi come un avvenimento fatale e necessario2; che sarebbe cavare un errore dannoso da dove si può avere un utile insegnamento. L’ignoranza in fisica può produrre degl’inconvenienti, ma non delle iniquità; e una cattiva istituzione non s’applica da sé3. Certo, non era un effetto necessario del credere all’efficacia dell’unzioni pestifere, il credere che Guglielmo Piazza e Giangiacomo Mora4 le avessero messe in opera; come dell’esser la tortura in vigore non era effetto necessario che fosse fatta soffrire5 a tutti gli accusati, né che tutti quelli a cui si faceva soffrire, fossero sentenziati colpevoli. Verità che può parere sciocca per troppa evidenza; ma non di rado le verità troppo evidenti, e che dovrebbero esser sottintese, sono in vece dimenticate; e dal non dimenticar questa dipende il giudicar rettamente quell’atroce giudizio. Noi abbiam cercato di metterla in luce, di far vedere che que’ giudici condannaron degl’innocenti, che essi, con la più ferma persuasione dell’efficacia dell’unzioni, e con una legislazione che ammetteva la tortura, potevano riconoscere innocenti; e che anzi, per trovarli colpevoli, per respingere il vero che ricompariva ogni momento, in mille forme, e da mille parti, con caratteri chiari allora com’ora, come sempre, dovettero fare continui sforzi d’ingegno, e ricorrere a espedienti, de’ quali non potevano ignorar l’ingiustizia. Non vogliamo certamente (e sarebbe un tristo assunto) togliere all’ignoranza e alla tortura la parte loro in quell’orribile fatto: ne furono, la prima un’occasion deplorabile, l’altra un mezzo crudele e attivo, quantunque non l’unico certamente, né il principale. Ma crediamo che importi il distinguerne le vere ed efficienti cagioni, che furono atti iniqui, prodotti da che, se non da passioni perverse?6

1. un gran male … uomini: si riferisce al processo intentato ai presunti untori, che furono condannati a morte dopo atroci supplizi, benché fossero innocenti. 2. a contentarsi … necessario: allude all’opuscolo Osservazioni sulla tortura di Pietro Verri, in cui l’illuminista milanese ricava dai supplizi inflitti ai presunti untori argomenti contro la tortura. Per Manzoni, se ci si limita a desumere dal fatto solo osservazioni di quel tipo, c’è il pericolo di formarsi di esso un’idea non solo parziale ma falsa: cioè che quelle ingiuste condanne fossero causate

solo dall’ignoranza propria dei tempi e dallo stadio ancora barbarico della giurisprudenza, che non garantiva i diritti degli imputati. Di qui poteva scaturire la pericolosa convinzione che quelle condanne fossero un avvenimento fatale, inevitabile. Manzoni invece vuole dimostrare che esse furono il frutto di una precisa responsabilità individuale dei giudici e che essi, anche con quelle norme del diritto allora vigenti, avrebbero potuto riconoscere l’innocenza degli accusati. 3. una cattiva … sé: anche se il diritto era

pessimo, i giudici avrebbero potuto applicarlo in modo intelligente e umano. 4. Guglielmo Piazza e Giangiacomo Mora: i due imputati nel processo per le unzioni, che furono condannati a morte. 5. soffrire: subire. 6. Ma crediamo … perverse?: a Manzoni importa distinguere le vere ed effettive cause del fatto, che furono azioni ingiuste compiute dai giudici, spinti da passioni perverse, come la smania di trovare colpevoli ad ogni costo, disprezzando l’evidenza della verità.

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[…] Noi, proponendo a lettori pazienti di fissar di nuovo lo sguardo sopra orrori già conosciuti, crediamo che non sarà senza un nuovo e non ignobile frutto, se lo sdegno e il ribrezzo che non si può non provarne ogni volta, si rivolgeranno anche, e principalmente, contro passioni che non si posson bandire, come falsi sistemi, né abolire, come cattive istituzioni, ma render meno potenti e meno funeste, col riconoscerle ne’ loro effetti, e detestarle7. E non temiamo d’aggiungere che potrà anche esser cosa, in mezzo ai più dolorosi sentimenti, consolante. Se, in un complesso di fatti atroci dell’uomo contro l’uomo, crediam di vedere un effetto de’ tempi e delle circostanze, proviamo, insieme con l’orrore e con la compassion medesima, uno scoraggimento, una specie di disperazione. Ci par di vedere la natura umana spinta invincibilmente al male da cagioni indipendenti dal suo arbitrio, e come legata in un sogno perverso e affannoso, da cui non ha mezzo di riscotersi, di cui non può nemmeno accorgersi. Ci pare irragionevole l’indegnazione8 che nasce in noi spontanea contro gli autori di que’ fatti, e che pur nello stesso tempo ci par nobile e santa: rimane l’orrore, e scompare la colpa9; e, cercando un colpevole contro cui sdegnarsi a ragione, il pensiero si trova con raccapriccio condotto a esitare tra due bestemmie, che son due deliri: negar la Provvidenza, o accusarla10. Ma quando, nel guardar più attentamente a que’ fatti, ci si scopre un’ingiustizia che poteva esser veduta da quelli stessi che la commettevano, un trasgredir le regole ammesse anche da loro, dell’azioni opposte ai lumi che non solo c’erano al loro tempo, ma che essi medesimi, in circostanze simili, mostraron d’avere, è un sollievo il pensare che, se non seppero quello che facevano, fu per non volerlo sapere, fu per quell’ignoranza che l’uomo assume e perde a suo piacere, e non è una scusa, ma una colpa; e che di tali fatti si può bensì esser forzatamente vittime, ma non autori11.

7. contro passioni … detestarle: lo sdegno e il ribrezzo suscitati dalle ingiuste condanne dei presunti untori serviranno di lezione contro il ripresentarsi di passioni analoghe; esse purtroppo non si possono eliminare, come i falsi sistemi di pensiero, né abolire, come le cattive istituzioni giuridiche, ma, quando si conoscano e si dete-

stino i loro effetti perversi, possono essere rese meno potenti e meno dannose. 8. indegnazione: indignazione. 9. rimane … colpa: resta l’orrore suscitato dai fatti atroci, però, se essi non furono effetto di una libera scelta, non si può attribuire alcuna colpa a chi li ha commessi. 10. negar … accusarla: dinanzi a delitti

così atroci, si può essere indotti a negare l’esistenza della Provvidenza divina, oppure, se la si afferma, ad attribuire ad essa la responsabilità di averli provocati. 11. di tali … autori: i giudici, cioè, non possono essere giustificati per avere condannato degli innocenti, poiché avevano tutti i mezzi per riconoscere la verità.

Alessandro Magnasco, Scene di interrogatori in carcere, 1710, olio su tela, Vienna, Kunsthistorisches Museum.

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Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

Analisi del testo

> Il rifiuto del giustificazionismo storico

La responsabilità dell’azione umana

Per Manzoni non è lecito scusare certi comportamenti attribuendone la responsabilità all’ignoranza dei tempi e alla barbarie dei costumi, considerandoli come effetti fatali ed inevitabili. Manzoni crede nel libero arbitrio dell’uomo, e quindi nella sua responsabilità. I giudici che condannarono a morte i presunti untori potevano rendersi conto dell’ingiustizia che commettevano, anche in base ai princìpi allora vigenti. E se non seppero farlo, fu perché non vollero. Furono quindi pienamente responsabili di quell’atrocità.

> La possibilità di modificare la società

La visione manzoniana del male

L’attenuazione del male

Da questa fiducia nella responsabilità umana scaturisce anche uno spiraglio di fiducia nella possibilità di intervenire per migliorare le condizioni della società umana. Vedere certe realtà atroci come effetto inevitabile dei meccanismi della società genera fatalismo e scoraggiamento, come sottolinea Manzoni stesso. Se invece quelle atrocità sono effetto di responsabilità umane, si ha la speranza di porvi rimedio, intervenendo su chi ne è responsabile. In Manzoni, come si è visto più volte, vi è un pessimismo profondo riguardo alla realtà storica. Però egli non crede che il male sia immodificabile. È vero che il male è radicato nell’uomo con il peccato originale, e non può mai essere eliminato del tutto nella società umana; perciò una vera alternativa alle ingiustizie della storia si può avere solo nella dimensione dell’eterno. Ma, come leggiamo in questa pagina, le inclinazioni perverse dell’uomo possono essere rese «meno potenti e meno funeste». Il male insito nella società non sarà eliminato, ma può almeno essere attenuato. Il passo conferma che in Manzoni al pessimismo metafisico si accompagna una relativa fiducia nelle possibilità di progresso nella società umana.

Esercitare le competenze

Laboratorio interattivo

coMprenDere

> 1. Qual è la responsabilità dei giudici nella condanna dei due imputati? anaLIzzare

> 2. Quale concezione della storia Manzoni propone in questo brano? Quale parola chiave ne indica la finalità? > 3. stile Analizza lo stile dell’ultima parte del brano (rr. 34-51): quali mezzi espressivi e retorici conferiscono enfasi al discorso? Come si può spiegare tale tensione espressiva alla luce del contenuto del passo e della sua collocazione all’interno dell’opera?

approfonDIre e InTerpreTare

> 4.

esporre oralmente Individua ed enuclea i temi di matrice illuministica dell’opera, facendo riferimento a opere e autori del Settecento che hanno trattato i medesimi argomenti (max 2 minuti). > 5. Testi a confronto Svolgi un confronto tra la concezione del male che emerge in questo brano ( Analisi del testo) e quella proposta nei Promessi sposi: si può notare un’evoluzione oppure le vicende di Renzo e Lucia rispecchiano la stessa visione di fondo? passaTo e presenTe Giustizia ieri e oggi

> 6. Qual è la tua opinione sul sistema giudiziario dei nostri tempi? Ritieni che sia adeguatamente garantista o che si perda nelle lungaggini e nei meandri dei rinvii e della burocrazia? Confrontati in una discussione in

classe con i compagni e con l’insegnante.

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che cosa cI DIcono ancora oGGI I cLassIcI

Manzoni Una socIeTà DoMInaTa DaLL’InGIUsTIzIa Nei Promessi sposi Manzoni rappresenta una società dominata dall’ingiustizia e dalla sopraffazione: il potere statale, che avrebbe il compito di far rispettare le leggi e di tutelare la giustizia, è asservito a pochi privilegiati, che esercitano un potere arbitrario e compiono impunemente soprusi e prepotenze di ogni genere; a tal fine essi si fanno forza di una sorta di milizia privata, i «bravi», pronti a minacciare i cittadini e a commettere continue violenze, che il diluvio di leggi del tutto inefficaci non è in grado di contrastare. Un sistema regolato dalla paura È un sistema regolato dalla paura, in cui chi riceve un torto sa di non poter avere giustizia se non appoggiandosi a qualcuno più potente di colui che glielo ha inflitto, e in cui chi osa opporre resistenza ai soprusi sa di rischiare anche la vita. Manzoni nelle sue lettere usa una formula precisa per designare questo tipo di società, «anarchia feudale». Le zone controllate dalle mafie Ebbene, questo ritratto ha per noi qualcosa di familiare, ricorda realtà che ci sono ben presenti: le zone del territorio italiano che di fatto sfuggono per buona parte al controllo dello Stato e sono dominate dalle mafie, capaci di costituire un vero e proprio contropotere, per così dire “privato”. Certo, sappiamo bene che sono profonde le differenze tra la società secentesca e le mafie odierne, poiché queste sono soprattutto poteri economici che muovono miliardi, sono ramificati internazionalmente e sono capillarmente inseriti nel tessuto economico “legale”, oltre che in quello politico. Però il modo in cui la criminalità organizzata esercita il potere, con l’intimidazione, la paura e l’assassinio di chi si oppone, è tutto sommato ancora quello. Le radici feudali Anche il tipo di rapporti sociali imposto dalle mafie, l’onnipotenza dei “padrini”, la protezione da essi assicurata a chi si sottomette ad essi, ricordano il sistema feudale. E d’altronde le origini remote delle mafie, della loro mentalità e dei loro metodi, si possono riconoscere nel corso dell’Ottocento in sopravvivenze feudali nelle zone più arretrate del paese. Il quadro che Manzoni traccia con severa indignazio-

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ne civile vale per tutte le società nelle quali non vigono le garanzie della legge e che sono regolate dall’arbitrio incontrollato di altri poteri, quindi ha un forte valore di monito anche per noi. L’alternativa Così come ha valore di monito l’alternativa che lo scrittore propone implicitamente tracciando quel quadro: un potere statale che sappia neutralizzare arbitrii e prevaricazioni, restando immune da connivenze con poteri privati magari criminali, una legislazione razionale, equa ed efficace e un apparato della giustizia che sappia farla osservare, tutelando i cittadini da ogni sopruso, ma anche un corpo di cittadini che non si lasci intimidire e abbia il coraggio e la forza di difendere i propri diritti e quelli di tutti gli altri. Un esempio positivo è costituito nel romanzo dalle figure di fra Cristoforo e del cardinal Federigo, l’esempio negativo della pavidità e dell’acquiescenza al sopruso è fornito invece da don Abbondio. Anche Renzo avrebbe il coraggio di reagire, ma secondo Manzoni in modo sbagliato, perché vorrebbe affrontare il sopraffattore con le armi, cioè opponendo illegalità a illegalità, violenza a violenza.

La crITIca aLL’IrrazIonaLe Pregiudizi e idee false Un altro aspetto dell’opera manzoniana che possiamo sentire particolarmente vicino è la razionale lucidità con cui essa rappresenta pregiudizi, superstizioni, idee false accettate dalla collettività senza alcun vaglio critico, cedendo solo alle passioni e alle suggestioni più irrazionali. È l’eredità illuministica che agisce nello scrittore, esaltata al massimo del suo valore dalla potenza e dalla profondità della visione che nutre la sua scrittura. L’implacabile analisi con cui Manzoni porta alla luce e dissolve criticamente le manifestazioni dell’irrazionalità si rivela in primo luogo nelle pagine dedicate alla carestia e alla sommossa milanese per il pane. Le credenze della massa sulla carestia La critica manzoniana colpisce in primo luogo le credenze aberranti della massa, che attribuisce la mancanza di pane solo all’azione di accaparratori, ignorando assurdamente un dato noto a tutti, la scarsità dei raccolti dovuta alla siccità e alla guerra.

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

Le colpe dei governanti Poi si indirizza sulle colpe dei governanti, che invece di rispettare le ferree leggi economiche impongono un prezzo arbitrario per il pane, inducendo a sprechi spropositati e folli in un periodo di penuria, e spingendo in tal modo a consumare in breve tempo il poco grano esistente. Tant’è vero che poi il governo si vede costretto ad aumentare di nuovo il prezzo, scatenando così la furia popolare. Idee false oggi Le farneticazioni della folla milanese del Seicento possono ricordarci tante altre idee false che trovano oggi facile accoglienza nelle credenze di massa: ad esempio quelle intorno all’euro, a cui da molti viene attribuita la colpa della difficile situazione economica attuale, mentre le cause di essa, come

tutti dovrebbero sapere, sono state le speculazioni finanziarie internazionali che nel 2008 hanno innescato una crisi economica mai vista dopo la Grande Depressione del ’29, e semmai l’euro, pur con i suoi limiti, è stato un baluardo che ci ha difeso da ripercussioni più devastanti. Il triste è che l’animosità contro l’euro come responsabile della crisi non si riscontra solo nelle masse ignare di economia e mosse da una comprensibile insoffererenza per le difficoltà patite, ma anche in persone che dovrebbero disporre di maggiori mezzi culturali e di più lucido discernimento. Le suggestioni irrazionali sugli untori Più implacabile ancora è la polemica manzoniana contro la follia collettiva innescata dall’epidemia di peste: che prima viene negata dall’opinione comune, con una cecità irrazionale spiegabile solo col terrore suscitato dalla malattia, poi dinanzi all’evidenza viene riconosciuta ma attribuita all’azione di subdoli e malvagi untori. Idee fasulle e Internet Anche in questo caso le pagine manzoniane devono essere tenute presenti con molta attenzione; e non solo per moderni “untori” quali possono essere visti i malati di Aids o di Ebola (per cui il semplice fatto di provenire da un paese africano generava sospetto e paura), ma dinanzi a fenomeni di suggestione irrazionale che ancora nelle nostre società così avanzate contagiano le masse, e che oggi trovano un veicolo potente di diffusione in Internet e nei social networks: proprio sulla rete circola una miriade di “bufale”, a cui molte persone prestano cieca fede, senza alcun controllo o vaglio critico; e non solo persone sprovvedute, ma anche dotate di istruzione superiore o addirittura investite di responsabilità politiche. È un curioso paradosso che il massimo di modernità tecnologica, quale è la rete, divenga veicolo di arcaiche manifestazioni irrazionali.

José Clemente Orozco (1883-1949), Monaco francescano, murale, Città del Messico, Escuela Nacional Preparatoria San Ildefonso.

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L’età del Romanticismo

Ad esempio intorno al tragico caso del pilota tedesco suicida col suo aereo, che nel 2015 ha causato centocinquanta morti, si è subito scatenata una ridda di farneticazioni su presunti complotti; così come, a suo tempo, avvenne intorno a un altro fatto terribile, l’attentato alle Torri Gemelle di Manhattan nel 2001. O si pensi ancora alle credenze intorno ai cosiddetti «ufo», e non parliamo dei vari maghi, santoni o guru che speculano sulla credulità della gente per ricavarne lauti profitti. La lucida razionalità manzoniana andrebbe sempre tenuta presente come antidoto contro questi cedimenti collettivi all’irrazionale.

abbiamo visto e vediamo ogni giorno gli orrori delle tante guerre combattute nel mondo, dall’ex Jugoslavia all’Afghanistan all’Iraq, dalla Siria alla Libia all’Ucraina, per non parlare delle guerre endemiche nel Centroafrica, non possiamo che consentire con il rifiuto manzoniano della guerra (altro discorso andrebbe fatto per le guerre di difesa da un’aggressione o per le guerre di liberazione: si pensi solo alla Resistenza, che ha liberato l’Italia dal nazifascismo; e difatti Manzoni guardò con favore alle guerre del Risorgimento).

Condizionamenti e responsabilità individuale E si badi che Manzoni non cade nella facile tentazione di giustificare errori, aberrazioni e pregiudizi attribuendone la responsabilità al condizionamento dei tempi, a causa del quale risulterebbero fatali e inevitabili. Il motivo è che lo scrittore crede fermamente nella responsabilità dell’individuo, che va riconosciuta al di là di ogni possibile condizionamento esterno. Lo dimostra il giudizio severo pronunciato nella Colonna infame contro i giudici milanesi del processo contro gli untori, che condannarono a morte due innocenti. Manzoni afferma con forza che proprio in base alle leggi dell’epoca quei giudici potevano benissimo rendersi conto dell’ingiustizia che stavano commettendo, e se non lo fecero non fu perché non potevano, condizionati dai tempi, ma perché non vollero farlo. Anche questo è un monito da tenere sempre ben presente, dinanzi a ogni forma di giustificazionismo di errori, aberrazioni o addirittura delitti, che proponga come scusante un condizionamento dell’ambiente o dell’epoca o di qualunque forza esterna: un monito a cercare sempre anche una responsabilità personale.

Manzoni non è solo l’erede della civiltà illuministica e del suo laico razionalismo, è anche uomo dalla salda fede cristiana. Ai suoi tempi la Chiesa era schierata con la reazione e la monarchia assoluta, contro tutti i princìpi del mondo moderno, la libertà di pensiero e di espressione, le libertà politiche.

La reLIGIone

Un modello di religiosità aperta Manzoni invece ebbe il coraggio di professare una religione che mirava ad armonizzarsi con le idee moderne più avanzate, con il liberalismo politico e la questione sociale. È quindi un modello, valido ancora oggi, di una religiosità non retriva e oscurantista, ma aperta a confrontarsi con i problemi attuali. Una religiosità problematica Ed è una religiosità non rigidamente dottrinaria, e men che mai formale ed esteriore, ma anzi intimamente vissuta e problematica, nutrita da un’appassionata meditazione intorno ai grandi problemi che coinvolgono l’esistenza umana: la presenza del male nel mondo e il suo significato, l’incidenza della dimensione sovrannaturale sulla storia degli uomini e sulle loro azioni, la coerenza della vita con i princìpi professati, la colpa, l’espiazione e il perdono, la solidarietà con le sofferenze degli altri.

La GUerra Le devastazioni della guerra Un’altra irrazionalità contro cui Manzoni combatte è quella della guerra, soprattutto la guerra causata dalla ricerca di predominio da parte delle potenze: si pensi al sarcasmo indirizzato contro la «bella guerra» che coinvolge lo Stato di Milano al tempo di Renzo e Lucia e che provoca solo devastazioni, distruzioni di città, patimenti delle popolazioni coinvolte, lutti, saccheggi, sprechi colossali e carestie, e infine la diffusione della peste. Noi cittadini di un paese che è uscito distrutto dalla Seconda guerra mondiale, dove eravamo entrati a causa della smania di dominio di una dittatura succube di un’altra dittatura ancora più aggressiva, e che

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La LInGUa Le teorie linguistiche di Manzoni ebbero un’influenza sull’insegnamento nei primi anni dopo l’unità, ma poi la lingua dell’Italia moderna si formò seguendo altre vie, diverse dal modello strettamente fiorentino da lui proposto. Manzoni e la lingua unitaria Tuttavia su un punto la sua visione appare ancora valida, la necessità di una lingua nazionale unitaria, da impiegare per tutti i tipi di comunicazione, letteraria, politica, burocratica, scientifica, parlata e quotidiana. Una lingua unitaria, conosciuta bene e usata da tutti i cittadini, è indispensabile per la crescita civile e lo sviluppo economico di

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

un paese moderno, mentre la frammentazione linguistica è un gravissimo ostacolo per tutte le attività, culturali, politiche ed economiche. Al suo formarsi l’Italia unita pativa di questa frammentazione, perché a conoscere e a essere in grado di impiegare correntemente la lingua nazionale era una minoranza molto esigua, e per il resto le lingue usate erano i dialetti locali. Il dominio della lingua italiana Grazie alla diffusione della scolarità e dei media la lingua nazionale è oggi conosciuta dalla grande maggioranza dei cittadini, ma un autentico dominio dell’italiano da parte della totalità della popolazione non è un obiettivo che si possa dire pienamente raggiunto: molti, pur essendo in grado di parlare l’italiano, usano una lingua povera, approssimativa, scorretta, spesso intrisa di elementi dialettali nel lessico, nella sintassi, nella pronuncia, tanto che a volte, quando si incontrano fra loro persone di regioni diverse, può ancora sorgere qualche difficoltà di comprensione. Che accanto alla lingua nazionale sopravvivano i dialetti è giusto, anzi

essi sono un patrimonio culturale prezioso, da tutelare e da preservare. Ma questo è scontato: il problema è che dovrebbe essere perfezionata ed arricchita la conoscenza dell’italiano. È un compito che spetta non solo alla scuola, ma ormai anche ai vari media, quelli tradizionali come giornali e televisione e ora anche la rete. La passione con cui Manzoni meditò e scrisse intorno a questo problema ha ancora molto da suggerirci.

Renato Guttuso, Il trionfo della guerra

(«Omaggio al trionfo della morte di Palazzo Sclafani a Palermo, Honoré Daumier, Franz Marc, Picasso e al bambino ebreo di Varsavia»), 1966, olio su tela, Collezione privata.

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DIaLoGhI IMMaGInarI

Manzoni e Scott Moderatore Walter Scott è tra gli scrittori che hanno dato impulso a un nuovo genere letterario, il romanzo. Come spiega, in generale, il successo che il romanzo ha avuto?

Scott Dall’Illuminismo al Romanticismo, se vogliamo partire da queste categorie letterarie, si è avvertita fortissima l’esigenza di un cambiamento. Una nuova classe sociale, la borghesia, ha sostituito la vecchia aristocrazia, avanzando delle richieste capaci di soddisfare le sue esigenze culturali. Le vecchie forme della letteratura aristocratica, ancorate a un classicismo ormai superato, non interessavano più, stavano addirittura diventando incomprensibili… e insopportabili. Nel romanzo, un genere aperto, non sottoposto a nessuna codificazione, si è trovata la forma più adatta a rappresentare i “miti” della classe borghese, i suoi valori e le sue aspirazioni, i suoi interessi economici, le sue convinzioni religiose e morali. Manzoni L’analisi del collega inglese è molto corretta. La confermo punto per punto, anche perché sono stato io, in Italia, a dare il maggiore contributo al successo di quella che si può chiamare la rivoluzione romantica. Proprio perché sentivo esaurita la stagione della cultura aristocratica, ho cercato di fondare la letteratura moderna su nuove forme e su nuovi valori. E non è stato un compito facile, proprio perché, da noi, erano più forti che altrove le resistenze del classicismo. La gente non credeva più nelle favole della mitologia, ma era piuttosto interessata ai grandi temi della religione e della fede cristiana; alle festività del calendario liturgico ho dedicato i miei Inni sacri. Anche dell’attualità politica mi sono occupato, scrivendo le odi Marzo 1821 e Il cinque maggio. Ho combattuto, per il teatro, le unità aristoteliche, che, costringendo la vicenda in limiti ristrettissimi di tempo e di spazio, la rendevano “falsa” e innaturale. A questo punto 478

non poteva mancare il romanzo; così mi sono messo a scrivere I promessi sposi. Moderatore Il romanzo è nato in Inghilterra e si è poi diffuso in Europa molto prima che in Italia. Quali possono essere le ragioni?

Scott Prima che altrove in Inghilterra sono cadute le monarchie assolute e si è costituito un parlamento democratico; la libertà di stampa ha favorito la nascita del giornalismo e il formarsi di una pubblica opinione, sempre più attenta e consapevole. L’affermarsi della rivoluzione industriale, in anticipo rispetto agli altri paesi europei, ha creato una classe borghese intraprendente e dinamica, che ha decretato la fortuna del nuovo genere letterario. Manzoni Anche questo è vero. L’Italia è divisa in tanti Stati, dove le libertà democratiche non si sono ancora affermate, e anche la cultura risente di questa situazione politica, che impedisce la creazione di una nazione forte e indipendente, capace di competere con le altre nazioni europee. C’è una situazione di arretratezza economica e anche lo sviluppo industriale si riesce appena a intravedere. Bisogna poi aggiungere che la tradizione accademica e retorica ha visto nel romanzo un nemico pericoloso, che metteva in discussione tutti i princìpi delle patrie lettere; ne so qualcosa io, se penso a tutte le critiche che i classicisti hanno rivolto ai miei Promessi sposi! Soprattutto non sembrava accettabile che degli umili popolani diventassero protagonisti, mentre i grandi erano relegati sullo sfondo, come delle semplici comparse. Moderatore (rivolto a Scott). Qualcuno ha detto che Manzoni ha preso spunto da uno dei suoi romanzi, ad esempio Lucia di Lammermoor. Lo pensa anche lei?

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

Scott No, nel caso specifico non lo penso. Se però si tiene conto che io ho introdotto il genere del “romanzo storico”, beh… tutti gli autori che in tutto il mondo si sono poi cimentati in questo genere mi sono almeno in qualche misura debitori. Manzoni Non penso che sia possibile stabilire, nella sostanza, un confronto fra I promessi sposi e i romanzi di Scott. Ci divide un’idea troppo diversa sul modo di concepire la storia e le narrazioni che ad essa si ispirano, quelli che io amo chiamare i «componimenti misti di storia e di invenzione». Moderatore Il discorso si fa interessante. (A Scott) Perché ha pensato che i lettori fossero particolarmente interessati a dei romanzi ambientati in un passato più o meno remoto, fino a raggiungere quello medievale delle lotte fra i Sassoni e i Normanni (sto pensando, in questo momento, al suo romanzo più famoso, Ivanhoe)?

della storia una visione ben più pessimistica; in essa dominano le ingiustizie e le sopraffazioni, i più forti hanno sempre oppresso i più deboli. La storia è piena di soprusi e di errori, ed è da questa constatazione che bisogna partire. Saper riconoscere le sue contraddizioni e la propensione a compiere il male che hanno molti uomini non vuol dire però rassegnarsi ad accettare passivamente questa realtà. Bisogna lottare contro le ingiustizie sociali e richiamare le persone al loro dovere e alle loro responsabilità. La religione cristiana può essere uno strumento molto efficace per migliorare questa situazione; ma anche la letteratura ha dei compiti precisi. Ho scritto in un mio intervento che essa deve proporsi «l’utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo». Ma il «vero» bisogna conoscerlo, e per conoscerlo bisogna analizzarlo, studiare a fondo la storia, studiarla sui documenti e sulle fonti, per farne emergere anche gli aspetti sconosciuti o dimenticati. Moderatore Lei parla come se fosse uno storico di professione.

Scott Le ragioni possono essere diverse. Intanto il pubblico che legge i miei romanzi si sente oramai partecipe di quella storia che, attraverso le lotte dei secoli passati, ha portato alle conquiste del presente. Per questo ama ripercorrere con la fantasia le varie fasi di quel passato da cui è nata la società attuale, guarda con intensa partecipazione alle lotte e ai contrasti che sono stati via via superati, con il piacere e la soddisfazione di chi, vivendo oramai in una situazione di pace e di benessere, di sicurezza conquistata, si sente quasi l’erede privilegiato di coloro che nei secoli l’hanno preceduto. Il lettore desidera conoscere le vicende della storia nazionale perché in essa riconosce se stesso e si sente, per così dire, appagato, gratificato.

Manzoni In un certo senso lo sono, dal momento che ho condotto delle vere e proprie ricerche originali. Questi studi mi sono poi serviti anche come preparazione indispensabile per la composizione delle mie opere letterarie. Non a caso ho pubblicato il saggio sulla dominazione dei Longobardi con la tragedia Adelchi, perché i lettori comprendessero meglio lo sviluppo della vicenda; dopo essermi documentato a lungo sulle fonti prima di scrivere I promessi sposi, ho approfondito il processo contro gli untori, durante la peste del Seicento, nella Storia della colonna infame. Ma non mi sono interessato della storia dei grandi condottieri, delle battaglie e dei trattati diplomatici; ho cercato di ricostruire le storie della povera gente, per capire le condizioni in cui ha vissuto e sofferto, senza lasciare traccia di sé. Mi sono occupato del «volgo disperso che nome non ha», schierandomi dalla parte degli «oppressi» contro gli oppressori.

Manzoni Non è questa l’idea che io mi sono fatta della storia, e non solo perché, a differenza di Scott, vivo in una società diversa, dove tutte queste conquiste non sono ancora state realizzate. Io ho

Moderatore Un’idea complessa, questa, della storia. Lei, Scott, la condivide?

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L’età del Romanticismo

Scott Io, lo confesso, non sono stato così scrupoloso. Ripercorrendo la storia del mio paese, ho pensato che ai miei lettori interessasse soprattutto conoscere i costumi del passato, i modi di vivere che sono così diversi dal nostro e in cui tuttavia possiamo riconoscerci, perché ci appartengono. Guardando al passato dalle condizioni di benessere e di pace a cui siamo arrivati, volevo soprattutto stimolare la curiosità dei miei lettori, quasi proiettandoli nell’universo fantastico di un mondo esotico che può facilmente divenire familiare, perché si richiama alle nostre origini, racconta le nostre tradizioni. Moderatore E su queste basi ha costruito i suoi tanti romanzi. Quali sono le loro caratteristiche?

Scott Io ho dato ampio spazio alle avventure dei miei eroi, li ho fatti lottare contro le trame dei nemici, i loro raggiri, gli inganni e le congiure dei malvagi. Prima di farli trionfare alla fine, li ho rappresentati nelle loro cavalcate, nei tornei, nella loro vita nei boschi: la vittoria sugli ostacoli, gli agguati, le fughe, gli inseguimenti… i travestimenti, i riconoscimenti improvvisi… Tutti elementi che creano la suspense, cioè che tengono i lettori col fiato sospeso… Non solo, ma mentre li incuriosivo rappresentando – quasi fossi un antiquario – i costumi inconsueti dei nostri avi, li facevo evadere con la fantasia in quella natura incontaminata che la nostra società industriale sta via via modificando. Moderatore Se non ho capito male, lei ha concepito i suoi romanzi come una sorta di evasione, gradita a lettori che vivono ormai chiusi nella più soffocante atmosfera cittadina. Sentiamo se anche Manzoni la pensa nello stesso modo.

Manzoni Io non ho scelto, per ambientare il mio romanzo, un Medioevo di cartapesta, falso e di maniera; ho scelto un secolo, il Seicento, sconvolto, oltre che dai soprusi del potere e dalle violenze private, dai flagelli della guerra, della carestia e della peste. Ho detto prima che il romanzo deve 480

essere «interessante» ma non solo, nel senso che non può essere unicamente uno strumento di evasione o di consolazione, ma deve indurre a pensare, far conoscere i problemi perché si possano trovare le soluzioni più giuste. Moderatore Non è solo, mi par di capire, una questione ideologica, ma anche una distinzione strutturale, formale.

Manzoni Di Scott e di tanti altri scrittori io rifiuto nettamente il “romanzesco”, ossia l’abitudine di creare quelle situazioni false basate su trame artificiali, sui colpi di scena, sugli incontri casuali e imprevisti, sui capovolgimenti improvvisi, su tutti quegli ingredienti che si propongono esclusivamente di tenere desta l’attenzione dei lettori, distogliendola dai problemi più seri. Non mi riferisco solo alla trama, ma anche alla qualità del discorso: non si può rappresentare un paesaggio sempre con gli stessi elementi convenzionali e generici, che si riducono a meccanici stereotipi. Anche il paesaggio deve essere raffigurato dal vero; leggete, per rendervene conto, l’inizio dei miei Promessi sposi. Concludo dicendo che, per fare una cosa seria, il romanzo non deve rappresentare lo spirito romanzesco ma lo spirito del tempo, del momento storico. Solo il verisimile garantisce la credibilità dell’opera e, perché questa sia “verisimile”, è necessario inserire i personaggi che appartengono all’“invenzione” sullo sfondo rigorosamente ricostruito della “storia”. Moderatore Le differenze sono molto chiare. Ma queste confermano la vitalità del romanzo, che – opera aperta e in divenire – ammette scelte diverse, oltre che forme e soluzioni molteplici. Proprio per questa sua duttilità, per la capacità di adattarsi a esigenze e gusti molteplici, sono convinto che il romanzo avrà anche nel futuro una grande e ininterrotta fortuna, risultando il genere letterario più diffuso e più amato dai lettori.

Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

facciamo il punto L’esperIenza DI VITa

1. Il soggiorno parigino (1805-10) in quale modo influì sulla crescita umana e culturale del giovane

Manzoni? 2. Quali elementi risultarono determinanti per la conversione di Manzoni nel 1810? La forMazIone

3. Rifletti sulle esperienze culturali che influenzarono la formazione intellettuale di Manzoni (ad esempio

rapporto con la cultura classica; varie esperienze religiose; contatto con gli idéologues…). 4. Delinea in quale modo si sviluppò il rapporto con il gruppo del “Conciliatore” ed in quale misura la produzione di Manzoni si adegua alle richieste romantiche. 5. Il valore dell’uguaglianza, molto sentito da Manzoni, da quali esperienze culturali gli deriva? IL MoDeLLo D’InTeLLeTTUaLe

6. Come si colloca l’intellettuale Manzoni rispetto ai princìpi del cattolicesimo, dell’Illuminismo e del libe-

ralismo? 7. Per quali aspetti Manzoni può essere definito un intellettuale romantico? Le opere

8. Dagli scritti teorici di Manzoni (Lettre à M. Chauvet, Lettera sul Romanticismo) e da certi passi delle

opere ricava gli elementi tipici della poetica manzoniana. 9. Manzoni sperimentò molti generi letterari (odi, inni sacri, tragedie, romanzo): esiste una corrispondenza tra queste scelte formali, i temi trattati, le occasioni di scrittura? 10. I valori di libertà e di uguaglianza di cui Manzoni parla negli Inni sacri (in particolare La Pentecoste), ma anche nel romanzo, sono gli stessi affermati dall’Illuminismo? Se no, in che cosa differiscono? 11. Il problema del “vero storico” all’interno della produzione manzoniana. 12. Verifica, all’interno delle varie opere, quale spazio venga dato alla rappresentazione dei “grandi personaggi” e a quella del “popolo”. 13. La rappresentazione del mondo della storia nelle tragedie e nel romanzo. 14. Considera le varie scelte linguistiche seguite da Manzoni nelle diverse opere. 15. Rifletti sulle ragioni che portarono Manzoni alla scelta del romanzo. 16. Esponi le ragioni che portarono progressivamente Manzoni al rifiuto dell’invenzione a favore di un assoluto rispetto della realtà.

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L’età del Romanticismo

Ripasso visivo

aLessanDro ManzonI (1785-1873) Mappe interattive

Ripasso interattivo

eLeMenTI BIoGrafIcI

• Nato nel 1785 a Milano, viene educato in collegi

religiosi, frequenta gli ambienti illuministici milanesi e scrive opere di gusto classicista • Raggiunta la madre a Parigi, entra in contatto con gli idéologues, intellettuali illuministi e liberali • Dopo il matrimonio con Enrichetta Blondel, calvinista convertita al cattolicesimo, vive anch’egli la

conversione; da quel momento scrive opere di orientamento religioso e romantico • Segue, da posizioni di moderato liberalismo, gli eventi politici e patriottici; esaurito il periodo più creativo, si dedica alla saggistica • Nominato senatore del Regno d’Italia, vota per il trasferimento della capitale a Firenze. Muore a Milano nel 1873

poeTIca e pensIero

• La sua formazione, che si riflette nelle prime opere,

è quella tipica del tardo Settecento: idee egualitarie e rivoluzionarie (con forte tensione morale) e gusto neoclassico • Rifiuta il formalismo classicista, ritenendo che la letteratura debba avere una funzione educativa • La religione cattolica diviene centrale sia nella concezione della storia sia negli orientamenti ideologici e letterari • Propone un cattolicesimo progressista e rivela, nell’ottica tipicamente romantica, sentimenti patriottici e unitari

prIncIpaLI opere In VersI opere classicistiche e d’occasione • Carme in morte di Carlo Imbonati opere religiose • Inni sacri opere patriottiche e civili • Aprile 1814, Marzo 1821, Il cinque maggio Tragedie storiche • Il Conte di Carmagnola, Adelchi

• Inaugura il romanzo storico realistico, di cui sono

protagoniste le masse degli umili, ponendosi il problema della lingua unitaria e di quella letteraria • Assimila i princìpi fondamentali della cultura romantica e li sintetizza nella poetica del «vero», dell’«interessante» e dell’«utile» • Supera i vincoli della tradizione letteraria (separazione degli stili e unità aristoteliche) • Rivolgendosi a un pubblico vasto, conduce un’approfondita riflessione su problematiche sociali, culturali e relative all’unità linguistica del paese

prIncIpaLI opere In prosa saGGIsTIca filosofico-morale • Osservazioni sulla morale cattolica poetica • Lettre à Monsieur Chauvet, Lettera sul Romanticismo storica • Storia della colonna infame, Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia,

La rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del 1859 Linguistica • Della lingua italiana narraTIVa romanzo storico • Fermo e Lucia • I promessi sposi

I PromessI sPosI fasI coMposITIVe

• La prima stesura del romanzo

(1821-23) prende il nome dai protagonisti, Fermo e Lucia • La seconda redazione è pubblicata nel 1827 (“ventisettana”) già con il titolo definitivo, I promessi sposi • La terza e ultima edizione fu pubblicata tra il 1840 e il 1842 (“quarantana”)

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soGGeTTo e TeMI

• Romanzo storico ambientato nel

Seicento, basato su una puntuale ricognizione storica • Rappresentazione realistica di eventi e personaggi appartenenti anche ai ceti sociali più umili • Riferimenti impliciti alla situazione contemporanea • Proposta di un modello sociale incentrato sui princìpi del cattolicesimo

LInGUa e sTILe

• Il passaggio tra le varie redazioni è

il frutto di una continua revisione linguistica: dal toscano letterario più variegato del Fermo e Lucia (con apporti francesi e dialettali) si passa a un modello strettamente fiorentino nella “ventisettana” per giungere a una lingua vicina al parlato colto nell’edizione definitiva

In sintesi

aLessanDro ManzonI (1785-1873) Verifica interattiva

Formatosi nell’ambiente del riformismo milanese, Manzoni si fa interprete delle più profonde istanze dell’Illuminismo – i princìpi egualitari e libertari, la concezione utilitaria ed educativa della letteratura, il rifiuto del formalismo retorico –, combinandole con le nuove sollecitazioni del Romanticismo: lo storicismo, il patriottismo, l’afflato religioso.

Le TraGeDIe

DaL cLassIcIsMo aL roManTIcIsMo

I PromessI sPosI

Le primissime opere di Manzoni appaiono ancora allineate al gusto classicista dell’epoca ed esprimono una concezione atea e nutrita di spirito libertario e democratico. La delusione per gli esiti del processo rivoluzionario è già evidente nel Carme in morte di Carlo Imbonati (1805), dedicato al compagno della madre: egli incarna l’ideale del «giusto solitario», che si ritrae dal caos della storia e si isola nella propria virtù. Il trasferimento a Parigi segna il distacco di Manzoni dal classicismo, avvenuto in concomitanza con la conversione religiosa: contro l’esaltazione dell’età classica rivaluta il Medioevo cristiano, visto come la vera matrice della civiltà moderna; alla concezione eroica ed aristocratica della storia, che si concentra sulle grandi personalità, contrappone l’interesse per gli umili e per le masse; rifiuta la concezione dell’arte come esercizio formale destinato al diletto di pochi in nome di una letteratura attenta alla realtà, rivolta al vasto pubblico e finalizzata al progresso morale e civile della società. Tale concezione rispecchia i princìpi ispiratori del Romanticismo italiano, che Manzoni sintetizza nella Lettera sul Romanticismo del 1823, affermando che la letteratura deve proporsi «l’utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo».

Manzoni trova nel romanzo storico lo strumento ideale per tradurre in atto i princìpi che ispirano la sua poetica. Questo genere gli consente infatti di rivolgersi a un pubblico molto vasto e di introdurre nella narrazione riflessioni e cognizioni a fine educativo. Manzoni sceglie come protagonisti due semplici popolani e rappresenta le loro vicissitudini con serietà e drammaticità. La vicenda è ambientata nella Lombardia del Seicento, sotto la dominazione spagnola; il quadro storico, delineato con rigore storiografico, fa emergere una realtà dominata dall’ingiustizia, dall’ignoranza, dall’arbitrio. Tale ricostruzione indica per antitesi quale sia l’ideale di società proposto dall’autore: egli è convinto che l’uomo possa, ispirandosi ai valori evangelici, costruire una società più equa e giusta in cui i ceti privilegiati si adoperino spontaneamente a sostegno degli umili e questi ultimi sopportino con pazienza le proprie miserie. La condizione perché ciò possa avvenire è che l’Italia sia libera dalla dominazione straniera e sotto la guida di un potere statale forte, capace di una politica economica oculata e liberale. L’opera ebbe tre diverse redazioni: la prima, Fermo e Lucia (1821-23), pubblicata solo dopo la morte dell’autore, presenta differenze profonde rispetto alle successive; tra la seconda, che reca già il titolo I promessi sposi, uscita nel 1827, e quella definitiva, pubblicata nel 1840-42, vi sono differenze essenzialmente linguistiche. Proprio alla questione della lingua Manzoni dedicò un’attenzione particolare, consapevole della necessità di elaborare un idioma moderno, in grado di far circolare l’opera presso il vasto pubblico: tale idioma fu individuato nel fiorentino vivo ed attuale, realmente parlato delle persone colte.

GLI InnI sAcrI e Le oDI I cinque Inni sacri, composti nel 1812-15 (eccetto La Pentecoste, scritta nel 1822), forniscono il primo esempio della poetica maturata dopo la conversione. Manzoni rifiuta infatti i contenuti classici per aderire al «vero» religioso della materia liturgica a fini di edificazione morale. Si tratta di una poesia corale, che rinuncia al soggettivismo lirico per dar voce ai sentimenti religiosi di un vasto pubblico, adottando un linguaggio dai toni sostenuti, ma non aulici, e una metrica dal ritmo popolare. Un’analoga forza di rottura possiedono le odi civili e patriottiche: mentre la tradizione aveva privilegiato gli argomenti tratti dal mito o dalla storia antica, Manzoni pone al centro delle sue odi fatti contemporanei (i moti costituzionali nel Marzo 1821, la figura di Napoleone nel Cinque maggio), visti in prospettiva politica e religiosa.

Manzoni si cimenta anche nel genere tragico con lo stesso spirito d’innovazione che anima le opere precedenti. Le sue due tragedie, Il Conte di Carmagnola (1820) e l’Adelchi (1822), hanno per oggetto il «vero» storico. L’adesione al «vero» motiva il rifiuto delle unità aristoteliche, che imponevano una concentrazione forzata della vicenda.

Le opere pIù TarDe A partire dal 1827 Manzoni porta alle estreme conseguenze la poetica del «vero» abbandonando la letteratura d’invenzione per privilegiare l’indagine storica, filosofica e linguistica. Tra le opere storiche si ricorda la Storia della colonna infame, apposta in appendice all’edizione definitiva dei Promessi sposi, e il saggio incompiuto La rivoluzione francese del 1789 e la rivoluzione italiana del 1859, nel quale contesta le forme radicali d’iniziativa popolare in campo politico.

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L’età del Romanticismo

Bibliografia La critica

` EdIzIONI dELLE OPERE Per la ricerca nel web

L’edizione attualmente più attendibile dell’opera omnia è quella di Tutte le opere, a cura di A. Chiari e F. Ghisalberti, per i «Classici Mondadori», purtroppo non ancora completa. Sono usciti sinora: I promessi sposi, a cura di A. Chiari - F. Ghisalberti, Mondadori, Milano 1954, 3 voll. (comprende anche il Fermo e Lucia e la redazione del 1827) • Poesie e tragedie, a cura di A. Chiari - F. Ghisalberti, Mondadori, Milano 1957 • Opere morali e filosofiche, a cura di F. Ghisalberti, Mondadori, Milano 1963 • Saggi storici e politici, a cura di F. Ghisalberti, Mondadori, Milano 1963 • Lettere, a cura di C. Arieti, Mondadori, Milano 1973 • Scritti linguistici e letterari, tomo I, a cura di L. Poma - A. Stella, Mondadori, Milano 1974; tomo II, a cura di A. Stella e L. Danzi, ivi 1990; tomo III, a cura di C. Riccardi e B. Travi, ivi 1991. Per le tre redazioni del romanzo è oggi fondamentale I romanzi, a cura di S. S. Nigro, Mondadori, Milano 2002, 2 voll. (nella collezione «I Meridiani»). Si possono vedere inoltre: • I promessi sposi, a cura di A. Stella - C. Repossi, Einaudi-Gallimard, Torino 1995. Fermo e Lucia, a cura di C. F. Goffis, Marzorati, Milano 1970 • I promessi sposi, a cura di L. Caretti, Einaudi, Torino 1971 (contiene le redazioni del 1827 e del 1840 raffrontate interlinearmente e il Fermo e Lucia) • Fermo e Lucia, a cura di B. Colli, P. Italia, G. Raboni, Casa del Manzoni, Milano 2006.

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• G. BalDi, «I promessi sposi». Progetto di società e mito, Mursia, Milano 1985 • G. BàrBeri Squarotti, Manzoni: la delusione della letteratura, Marra, Cosenza 1988 • AA.VV., Leggere «I promessi sposi», a cura di G. Manetti, Bompiani, Milano 1989 • e. raiMonDi, La dissimulazione romanzesca. Antropologia manzoniana, Il Mulino, Bologna 1990 (nuova ed. accresciuta, ivi 1997) • M. BarenGhi, Ragionare alla carlona. Studi sui «Promessi sposi», Marcos y Marcos, Milano 1994 • a. MarcheSe, L’enigma Manzoni. La spiritualità e l’arte di uno scrittore “negativo”, Bulzoni, Roma 1994 • S. niGro, «I promessi sposi» di A. Manzoni, in Letteratura italiana. Le opere, diretta da A. Asor Rosa, vol. III, Dall’Ottocento al Novecento, Einaudi, Torino 1995, pp. 429-495 • iD., La tabacchiera di don Lisander. Saggio sui «Promessi sposi», Einaudi, Torino 1996 • G. BalDi, L’Eden e la storia. Lettura dei «Promessi sposi», Mursia, Milano 2004 • D. BroGi, Il genere proscritto. Manzoni e la scelta del romanzo, Giardini, Pisa 2005 • a. r. PuPino, Manzoni. Religione e romanzo, Salerno, Roma 2005 • P. Frare, La scrittura dell’inquietudine. Saggio su Alessandro Manzoni, Olschki, Firenze 2006 • P. FaSano, L’imbroglio romanzesco. Una teoria della comunicazione nei «Promessi sposi», Le Monnier, Firenze 2007 • Manzoni e il realismo europeo, a cura di G. Oliva, Bruno Mondadori, Milano 2007 • G. tellini, Manzoni, Salerno editrice, Roma 2007 • G. Bonelli, La parola sbagliata. Saggio sulla falsità espressiva dei «Promessi sposi», Celid, Torino 2007 • L’antimanzonismo, a cura di G. Oliva, Bruno Mondadori, Milano 2009 • r. zaMa, Pensare con le parole. Saggio su A. Manzoni poeta e filosofo, Centro Naz. Studi manzoniani, Milano 2013 • a. BoSco, Il romanzo indiscreto. Epistemologia del privato nei Promessi sposi, Quodlibet, Macerata 2013 • M. Sarni, Il segno e la cornice. I Promessi Sposi alla luce dei romanzi di Walter Scott, Edizioni dell’Orso, Alessandria 2013 • e. Gioanola, Manzoni. La prosa del mondo, Jaca Book, Milano 2015.

PALESTRA DI ALLENAMENTO

PRIMA PROVA TIPOLOGIA A Analisi e interpretazione di un testo letterario italiano

Competenze Analisi interattiva

T17

Il palazzotto di don Rodrigo da I promessi sposi, cap. V Nel capitolo V dei Promessi sposi, fra Cristoforo, dopo aver rincuorato Renzo e Lucia, si incammina verso il palazzotto di don Rodrigo, dove spera di ottenere un colloquio con lui.

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Il palazzotto di don Rodrigo sorgeva isolato, a somiglianza d’una bicocca1, sulla cima d’uno de’ poggi ond’è sparsa e rilevata quella costiera. A questa indicazione l’anonimo2 aggiunge che il luogo (avrebbe fatto meglio a scriverne alla buona il nome) era più in su del paesello degli sposi, discosto da questo forse tre miglia, e quattro dal convento. Appiè3 del poggio, dalla parte che guarda a mezzogiorno, e verso il lago, giaceva un mucchietto di casupole, abitate da contadini di don Rodrigo; ed era come la piccola capitale del suo piccol regno. Bastava passarvi, per esser chiarito della condizione e de’ costumi del paese. Dando un’occhiata nelle stanze terrene, dove qualche uscio fosse aperto, si vedevano attaccati al muro schioppi4, tromboni5, zappe, rastrelli, cappelli di paglia, reticelle6 e fiaschetti da polvere7, alla rinfusa. La gente che vi s’incontrava erano omacci tarchiati e arcigni, con un gran ciuffo arrovesciato sul capo, e chiuso in una reticella; vecchi che, perdute le zanne8, parevan sempre pronti, chi nulla nulla gli aizzasse9, a digrignar le gengive; donne con certe facce maschie, e con certe braccia nerborute, buone da venire in aiuto della lingua, quando questa non bastasse: ne’ sembianti e nelle mosse de’ fanciulli stessi, che giocavan per la strada, si vedeva un non so che di petulante e di provocativo. Fra Cristoforo attraversò il villaggio, salì per una viuzza a chiocciola, e pervenne sur una piccola spianata, davanti al palazzotto. La porta era chiusa, segno che il padrone stava desinando, e non voleva esser frastornato10. Le rade e piccole finestre che davan sulla strada, chiuse da imposte sconnesse e consunte dagli anni, eran però difese da grosse inferriate, e quelle del pian terreno tant’alte che appena vi sarebbe arrivato un uomo sulle spalle d’un altro. Regnava quivi un gran silenzio; e un passeggiero avrebbe potuto credere che fosse una casa abbandonata, se quattro creature, due vive e due morte, collocate in simmetria, di fuori, non avesser dato un indizio d’abitanti. Due grand’avoltoi, con l’ali spalancate, e co’ teschi penzoloni, l’uno spennacchiato e mezzo roso dal tempo, l’altro ancor saldo e pennuto, erano inchiodati, ciascuno sur un battente del portone; e due bravi, sdraiati, ciascuno sur una delle panche poste a destra e a sinistra, facevan la guardia, aspettando d’esser chiamati a goder gli avanzi della tavola del signore.

1. bicocca: piccola rocca militare collocata in cima a un monte. 2. l’anonimo: il narratore anonimo del manoscritto dal quale Manzoni finge di trarre la vicenda narrata nel romanzo. 3. Appiè: ai piedi. 4. schioppi: antiche armi da fuoco a canna lunga.

5. tromboni: antiche armi da fuoco dalla canna larga a forma di tromba. 6. reticelle: i bravi portavano sulla fronte un ciuffo di capelli chiuso in una reticella che, quando occorreva, calavano sul volto al fine di non essere riconosciuti. 7. fiaschetti da polvere: contenitori per la polvere da sparo.

8. zanne: metaforicamente, denti. 9. chi … aizzasse: se appena appena qualcuno li provocava. 10. frastornato: disturbato.

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L’età del Romanticismo

COMPRENSIONE E ANALISI > 1. Riassumi il passo in max. 7 righe.

> 2. Il villaggio dei contadini di don Rodrigo è definito «come la piccola capitale del suo piccol regno» (rr. 6-7). Spiega la similitudine: come può riferirsi la parola «capitale» a un villaggio costituito da «un mucchietto di casupole»? A quale «regno» si fa riferimento?

> 3. Come vengono caratterizzati fisicamente uomini, donne e fanciulli del villaggio di don Rodri-

go? Quali sono le caratteristiche che li accomunano e per quali aspetti si può affermare che essi portino su di sé l’impronta del signorotto?

> 4. In che cosa consiste la «simmetria», non solo spaziale, tra le «quattro creature, due vive e due morte» (rr. 22-23) collocate fuori dalla casa di don Rodrigo?

Puoi rispondere punto per punto oppure costruire un unico discorso che comprenda in modo organico le risposte agli spunti proposti. GUIDA ALL’INTERPRETAZIONE Partendo dal passo tratto da I promessi sposi di Manzoni, scrivi un commento che non superi le cinque colonne di foglio protocollo (circa 3500 caratteri): prendi in considerazione tutti gli elementi del testo che ti sembrino significativi ed elabora un discorso coerente e organizzato. Puoi condurre la tua riflessione analizzando alcuni tra i seguenti aspetti: – gli elementi simbolici presenti nella descrizione del palazzotto, che rispecchiano il carattere e la condizione del signorotto che vi abita; – la differenza tra la descrizione realistica, quasi grottesca, del «mucchietto di casupole» (r. 6) e dei contadini che vi abitano e quella sobria, appena accennata, del «paesello» dove vivono Renzo e Lucia; – i frequenti nomi e aggettivi alterati presenti nel testo, attraverso i quali l’autore orienta il giudizio del lettore su ambienti e personaggi. Sostieni le tue affermazioni con esempi tratti dal testo. Mantenendo il collegamento con il testo che hai analizzato e in riferimento alle tue conoscenze ed esperienze, prosegui il tuo commento scegliendo tra i seguenti spunti: – i modelli, le funzioni e gli effetti dell’artificio dell’«anonimo» nel romanzo manzoniano; – il topos del castello nella narrativa romantica europea; – degrado ambientale e degrado umano coesistono spesso, anche oggi, in quelle terre dove regnano l’abuso, la violenza, il crimine. Quali sono gli interventi possibili per ristabilire la legalità e il diritto, e per restituire dignità al territorio e ai cittadini?

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Competenze attivate

Prova di competenza

• Imparare a imparare attraverso

SimUlazione di eSPerienza reale

metodi e strategie riferiti a contesti nuovi e reali • Collaborare e partecipare per un progetto comune e un risultato finale • Consolidare le competenze digitali per l’apprendimento e la comunicazione di saperi • Consolidare le competenze di cittadinanza

Area tematica > Umili, perseguitati ed esclusi del realismo romantico

Risultato atteso > Progettazione e/o realizzazione di un allestimento teatrale e/o di una sceneggiatura cinematografica Fasi di lavoro Lo scopo della simulazione è quello di realizzare, a partire da documenti dati e da attività di ricerca volte alla raccolta, alla selezione e alla predisposizione di eventuali altri materiali (scritti, iconografici, musicali, filmici ecc.), un allestimento teatrale e/o una sceneggiatura cinematografica relativi all’area tematica proposta, centrale nel contesto storico-letterario della cultura dell’Ottocento. Dai documenti predisposti e dagli eventuali materiali ad essi collegati che i gruppi di lavoro reperiranno sotto forma di apporti personali nel lavoro di ricerca, emergerà il quadro generale di una letteratura volta a rappresentare, con modalità, generi e stili differenti, la drammaticità – talvolta la dimensione tragicomica – della condizione delle classi subalterne, cogliendo sia la specificità dei singoli individui sia la dimensione universale che li rende “partecipi”, a distanza di quasi due secoli, delle sorti degli “ultimi” di oggi. Auspicabile, in tale contesto progettuale, l’utilizzo delle nuove tecnologie in termini di strumentazione (pc, tablet, lim, smartphone ecc., con periferiche e programmi applicativi). Prima fase La classe è invitata dal docente, in un confronto-dibattito iniziale, ad effettuare una preliminare e sommaria ricognizione sulle figure che la letteratura del Sette-Ottocento ha proposto in merito all’area tematica, a partire proprio dalla lettura e dall’analisi di brani in prosa e componimenti poetici collocati in antologia. Tale ricognizione vedrà la classe in un primo momento impegnata a costituire un ideale percorso attraverso il libro di testo ( Wordsworth, cap. 1, T2, p. 212; Hugo, cap. 1, T3, p. 215; Berchet, cap. 2, T2, p. 325; Porta, cap. 2, T5, p. 343; Belli, cap. 2, T6, p. 349 e T7, p. 351; Manzoni, Adelchi, cap. 3, T9, p. 405), in un secondo momento a riflettere e a discutere sulla complessa questione del realismo ottocentesco attraverso la lettura preliminare, sempre guidata dal docente, di un documento tratto da uno studio fondamentale: Stendhal e Balzac, facendo oggetto di rappresentazione seria, problematica, o addirittura tragica, persone comuni della vita quotidiana, condizionate dal tempo in cui vivevano, infransero la regola classica della separazione dei livelli stilistici, secondo la quale la realtà quotidiana e pratica doveva avere il suo posto nella letteratura soltanto entro la cornice d’uno stile umile o medio, vale a dire sotto forma grottesca e comica oppure di divertimento leggero, variopinto ed elegante. Con ciò essi […] portarono a termine un’evoluzione che si preparava da lungo tempo (fin dal romanzo di costumi e dalla commedia lacrimosa del Settecento1 e, in modo ancor più evidente, dallo Sturm und Drang e dal preromanticismo), e aprirono la via al realismo moderno, che da allora si è svolto in forme sempre più ricche, corrispondenti alla realtà del nostro vivere in continua trasformazione ed espansione. E. Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, trad. it. di A. Romagnoli e H. Hinterhäuser, vol. II, Einaudi, Torino 2000

1. commedia lacrimosa del Settecento: il riferimento è a quel genere di commedia “sentimentale” che, sviluppatasi soprattutto in Francia e Inghilterra, rispondeva ai gusti della classe media mettendo in scena azioni fortemente patetiche e personaggi dalla perfetta moralità.

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L’età del Romanticismo

Seconda fase In seguito alla precedente fase di avvio delle attività, il docente chiederà agli studenti di suddividersi in piccoli gruppi di lavoro (3-4 persone al massimo), affidando a ciascuno di essi la disamina di un solo tema (e dei relativi documenti) e la successiva esperienza di scrittura creativa e di attualizzazione da impostare nel modo seguente:

• lettura e comprensione del testo; • rielaborazione degli elementi e dei dati forniti dal testo in uno scritto nuovo e originale – preferibilmente un monologo – finalizzato all’“autopresentazione” di uno o più personaggi;

• introduzione di uno o più personaggi di analoga condizione – appartenente/i però al contesto contemporaneo – che possa creare una sorta di “seconda voce” rispetto alla figura letteraria ottocentesca.

Ogni gruppo dovrà elaborare una proposta di collocazione del proprio contributo in relazione al piano generale di lavoro, sempre a cura del docente. Terza fase Esposizione dei lavori di gruppo, coordinata dal docente, che provvederà ad orientare le operazioni in direzione di una pianificazione della progettazione (visibile e condivisibile, preferibilmente su supporto digitale: ad es. la “bacheca” Padlet1), guidando le proposte interpretative e creative scaturite da ciascuna esposizione dei vari gruppi. Il docente effettuerà in ultimo un riepilogo ipotizzando la “scaletta” degli interventi previsti, invitando i gruppi ad intervenire per eventuali correzioni, integrazioni o ulteriori contributi. 1. Padlet: si tratta di un’applicazione (app) per pc, tablet e smartphone che consente di appuntare, assemblare, collaborare e condividere attraverso una bacheca (o block notes) virtuale sulla quale apporre post-it virtuali che possono contenere testi ma anche link, immagini, video, mappe e documenti di vario genere.

Quarta fase (nel caso in cui il risultato atteso fosse un allestimento teatrale) Progettazione dello spettacolo. Il docente provvederà a formulare nuove consegne per i gruppi di lavoro, che dovranno, in seguito a discussione e confronto al loro interno:

• individuare uno o più interpreti per ciascun monologo; • ipotizzare uno o più stili di lettura/recitazione; • coordinarsi con gli altri gruppi. Quinta fase (nel caso in cui il risultato atteso fosse un allestimento teatrale) In seguito ad intese comuni riguardo alla scelta di stili comunicativi, alla realizzazione collettiva e condivisa della scenografia e dei costumi, alla supervisione del lavoro e messa in scena (regia, luci ecc.).

Temi e documenti >

> 1. La distanza e il disprezzo: il punto di vista dei nobili

vol. 3: G. Parini, La vergine cuccia, da Il Giorno; C. Porta, La preghiera (on line)

> 2. La fame dei poveri e la carestia

A. Manzoni, I promessi sposi, dai capp. VI e XI Tonio – che deve restituire un prestito in denaro a don Abbondio – è la persona a cui Renzo si rivolge quando è alla ricerca di testimoni per il matrimonio clandestino. L’uomo vive con la sua famiglia in condizioni assai modeste, ai limiti dell’indigenza, come dimostra il passo riportato di seguito.

Le tribolazioni aguzzano il cervello: e Renzo il quale, nel sentiero retto e piano di vita percorso da lui fin allora, non s’era mai trovato nell’occasione d’assottigliar molto il suo, ne aveva, in questo caso, immaginata una, da far onore a un giureconsulto. Andò addirittura, secondo che aveva disegnato, alla casetta d’un certo Tonio, ch’era lì poco distante; e lo trovò in cucina, che, con un ginocchio sullo scalino del focolare, e tenendo, con una mano, l’orlo d’un paiolo, messo sulle ceneri calde, dimenava, col matterello ricurvo, una piccola polenta bigia, di gran saraceno. La madre, un fratello, la moglie di Tonio, erano a tavola; e tre o quattro ragazzetti, ritti accanto al babbo, stavano aspettando, con gli occhi fissi al paiolo, che venisse il momento di scodellare. Ma non c’era quell’allegria che la vista del desinare suol pur dare a chi se l’è meritato con la fatica. La mole della polenta era in ragion dell’annata, e non del numero e della buona voglia de’ commensali: e ognun d’essi, fissando, con uno sguardo bieco d’amor rabbioso, la vivanda comune, pareva pensare alla porzione d’appetito che le doveva sopravvivere. Mentre Renzo barattava i saluti con la famiglia, Tonio scodellò la polenta sulla tafferìa1 di faggio, che stava apparecchiata a riceverla: e parve una piccola luna, in un gran cerchio di vapori. Nondimeno le donne dissero cortesemente a Renzo: «volete restar servito?», complimento che il contadino di Lom1. tafferìa: piatto di legno provvisto di manico sul quale viene versata la polenta.

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Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

bardia, e chi sa di quant’altri paesi! non lascia mai di fare a chi lo trovi a mangiare, quand’anche questo fosse un ricco epulone2 alzatosi allora da tavola, e lui fosse all’ultimo boccone. «Vi ringrazio,» rispose Renzo: «venivo solamente per dire una parolina a Tonio; e, se vuoi, Tonio, per non disturbar le tue donne, possiamo andar a desinare all’osteria, e lì parleremo.» La proposta fu per Tonio tanto più gradita, quanto meno aspettata; e le donne, e anche i bimbi (giacché, su questa materia, principian presto a ragionare) non videro mal volentieri che si sottraesse alla polenta un concorrente, e il più formidabile. L’invitato non istette a domandar altro, e andò con Renzo. A. Manzoni, I promessi sposi, a cura di A. Perissinotto, Paravia, Torino 2003

2. epulone: persona amante del buon cibo. Epuloni erano, nell’antica Roma, i magistrati incaricati di preparare i banchetti sacri.

Renzo, giunto in una Milano sconvolta dalle rivolte popolari, ma ignaro di tutto, assiste per strada al ritorno a casa di una famigliola reduce dall’assalto ai forni. Erano un uomo, una donna e, qualche passo indietro, un ragazzotto; tutt’e tre con un carico addosso, che pareva superiore alle loro forze, e tutt’e tre in una figura strana. I vestiti o gli stracci infarinati; infarinati i visi, e di più stravolti e accesi; e andavano, non solo curvi, per il peso, ma sopra doglia1, come se gli fossero state peste l’ossa. L’uomo reggeva a stento sulle spalle un gran sacco di farina, il quale, bucato qua e là, ne seminava un poco, a ogni intoppo, a ogni mossa disequilibrata. Ma più sconcia era la figura della donna: un pancione smisurato, che pareva tenuto a fatica da due braccia piegate: come una pentolaccia a due manichi; e di sotto a quel pancione uscivan due gambe, nude fin sopra il ginocchio, che venivano innanzi barcollando. Renzo guardò più attentamente, e vide che quel gran corpo era la sottana che la donna teneva per il lembo, con dentro farina quanta ce ne poteva stare, e un po’ di più; dimodoché, quasi ad ogni passo, ne volava via una ventata. Il ragazzotto teneva con tutt’e due le mani sul capo una paniera colma di pani; ma, per aver le gambe più corte de’ suoi genitori, rimaneva a poco a poco indietro, e, allungando poi il passo ogni tanto, per raggiungerli, la paniera perdeva l’equilibrio, e qualche pane cadeva. «Buttane via ancor un altro, buono a niente che sei,» disse la madre, digrignando i denti verso il ragazzo. «Io non li butto via; cascan da sé: com’ho a fare?» rispose quello. «Ih! buon per te, che ho le mani impicciate,» riprese la donna, dimenando i pugni, come se desse una buona scossa al povero ragazzo; e, con quel movimento, fece volar via più farina, di quel che ci sarebbe voluto per farne i due pani lasciati cadere allora dal ragazzo. «Via, via,» disse l’uomo: «torneremo indietro a raccoglierli, o qualcheduno li raccoglierà. Si stenta da tanto tempo: ora che viene un po’ d’abbondanza, godiamola in santa pace.» In tanto arrivava altra gente dalla porta; e uno di questi, accostatosi alla donna, le domandò: «dove si va a prendere il pane?» «Più avanti,» rispose quella; e quando furon lontani dieci passi, soggiunse borbottando: «questi contadini birboni verranno a spazzar tutti i forni e tutti i magazzini, e non resterà più niente per noi.» «Un po’ per uno, tormento che sei,» disse il marito: «abbondanza, abbondanza.» A. Manzoni, I promessi sposi, cit.

1. sopra doglia: doloranti.

> 3. Degrado morale e sfruttamento: la condizione della donna

C. Porta, La Ninetta del Verzee, vv. 257-292 Il componimento (del 1814), in 43 ottave, è incentrato sulla storia di Ninetta, prima pescivendola nel mercato popolare milanese del Verziere, poi prostituta: il racconto è infatti la confessione della donna ad un cliente. Allevata da una zia perché orfana e divenuta amante di Peppo il parrucchiere, di cui è innamorata fin dall’adolescenza, dopo una serie di peripezie rifiuta varie proposte di matrimonio che potrebbero forse sollevarla dalla miseria, e cede ai ricatti di Peppo, che la sfrutterà fino a indurla ad esercitare il «mestiere». Di seguito l’amaro bilancio esistenziale di Ninetta. Eppur: coss’el?… l’eva inscì tant vergnon, tant marcadett e tanto fin d’ingegn, che hoo avuu de grazia a fagh la remission;

Eppure: cos’è?… era tanto vezzoso, tanto maledetto e tanto fine d’ingegno, che ho dovuto finire per fargli remissione;

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L’età del Romanticismo

260 anzi l’ha tiraa i coss finna a quel segn de pacciamm (direv squas) anca i mincion, perché a furia de vend e de fa pegn el m’ha sbiottada e el m’ha redutt in pocch come on oss spuvaa foeura d’on pitocch. 265 No gh’aveva olter pù che el lecc, i scagn, la cros de perla e quatter strasciarij, inscì tra robba dora e quij pocch pagn, quand besognos de vendem anca quij on dì el m’è vegnuu in cà, torber compagn 270 de quand el s’è vorsuu tajà i cannij, e piovend giò daj oeucc acqua a monton press a pocch el me parla de sto ton. Sent Ninetta, el me dis, i creditor m’hin taccaa al cuu come tanc can mastin; 275 se no i paghi in sti pocch vintiquattr’or gh’è già in pront la fameja e i manezzin; donca on fioeu par mè! on fioeu d’onor l’avarà da reduss a fà sta fin ?... Ah nò Ninetta!… innanz de famm granì 280 già l’è on moment… faroo quell che soo mì. Mì dolza come l’uga, appenna senti dove va a fornì sti ultem paroll, deventi smorta, tremi, me spaventi, e poeù al solet ghe metti i brasc al coll; 285 infin voo al cantarà: lì me resenti della cross, di peritt, del tornacoll, e ghe dighi, piangend, Ciappa antecrist, deggià ch’eet mangiaa el rest, mangia anca quist. Redutta che son stada ona pitocca 290 senza credet, né robba, né danee, s’hoo avuu de pagà el ficc, de mett in bocca, hoo proppi dovuu mettem al mestee1. C. Porta, Poesie, a cura di D. Isella, Mondadori, Milano 2000

anzi, ho teso le cose fino al punto di mangiarmi (direi quasi) anche i minchioni, perché a furia di vendere e di far pegni mi ha denudata e mi ha ridotta in poco tempo come un osso sputato da un pitocco. Non avevo più che il letto, le sedie, la croce di perle e quattro straccetti, tra roba d’oro e pochi panni; quando, bisognoso di vendermi anche quelli, un giorno m’è venuto in casa, torvo come quando voleva tagliarsi la gola, e facendo piovere giù dagli occhi acqua a catinelle, press’a poco mi parla in questo tono: “Senti Ninetta” – mi dice – “i creditori mi sono attaccati al culo come tanti cani mastini; se non li pago in queste poche ventiquattro ore, c’è già pronta la famiglia degli sbirri e le manette; dunque, un figlio pari mio! un figlio onorato, dovrà ridursi a fare questa fine?… Ah no, Ninetta!… prima di farmi acchiappare, già è un attimo… farò quel che so io”. Io dolce come l’uva, appena sento dove vanno a finire queste ultime parole, divento pallida, tremo, mi spavento, e poi, al solito, gli butto le braccia al collo; infine, vado al canterano [mobile a cassetti, cassettone]: lì mi risciacquo della croce, degli orecchini, della collana, e gli dico piangendo: “Prendi, anticristo, dal momento che hai mangiato il resto, mangia anche questi”. Una volta che son stata ridotta una pitocca, senza credito, né roba, né denari, per avere di che pagare l’affitto e mangiare, ho proprio dovuto mettermi a fare il mestiere. C. Porta, Poesie, trad. it. di G. Barbarisi e G. Bezzola, Garzanti, Milano 1977

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Capitolo 3 · Alessandro Manzoni

> 4. L’esperienza inconsapevole del male

A. Manzoni, I promessi sposi, dal cap. XX La vecchia che accoglie Lucia nel castello dell’innominato, in seguito al rapimento, è una donna abituata da sempre a frequentare e a servire persone malvagie: conosce soltanto il senso del dovere nei confronti del suo padrone. Era costei nata in quello stesso castello, da un antico custode di esso, e aveva passata lì tutta la sua vita. Ciò che aveva veduto e sentito fin dalle fasce, le aveva impresso nella mente un concetto magnifico e terribile del potere de’ suoi padroni; e la massima principale che aveva attinta dall’istruzioni e dagli esempi, era che bisognava ubbidirli in ogni cosa, perché potevano far del gran male e del gran bene. L’idea del dovere, deposta come un germe nel cuore di tutti gli uomini, svolgendosi nel suo, insieme co’ sentimenti d’un rispetto, d’un terrore, d’una cupidigia servile, s’era associata e adattata a quelli. Quando l’innominato, divenuto padrone, cominciò a far quell’uso spaventevole della sua forza, costei ne provò da principio un certo ribrezzo insieme e un sentimento più profondo di sommissione. Col tempo, s’era avvezzata a ciò che aveva tutto il giorno davanti agli occhi e negli orecchi: la volontà potente e sfrenata d’un così gran signore, era per lei come una specie di giustizia fatale. Ragazza già fatta, aveva sposato un servitor di casa, il quale, poco dopo, essendo andato a una spedizione rischiosa, lasciò l’ossa sur una strada, e lei vedova nel castello. La vendetta che il signore ne fece subito, le diede una consolazione feroce, e le accrebbe l’orgoglio di trovarsi sotto una tal protezione. D’allora in poi, non mise piede fuor del castello, che molto di rado; e a poco a poco non le rimase del vivere umano quasi altre idee salvo quelle che ne riceveva in quel luogo. Non era addetta ad alcun servizio particolare, ma, in quella masnada di sgherri, ora l’uno ora l’altro, le davan da fare ogni poco; ch’era il suo rodimento. Ora aveva cenci da rattoppare, ora da preparare in fretta da mangiare a chi tornasse da una spedizione, ora feriti da medicare. I comandi poi di coloro, i rimproveri, i ringraziamenti, eran conditi di beffe e d’improperi: vecchia, era il suo appellativo usuale; gli aggiunti, che qualcheduno sempre ci se n’attaccava, variavano secondo le circostanze e l’umore dell’amico. E colei, disturbata nella pigrizia, e provocata nella stizza, ch’erano due delle sue passioni predominanti, contraccambiava alle volte que’ complimenti con parole, in cui Satana avrebbe riconosciuto più del suo ingegno, che in quelle de’ provocatori. A. Manzoni, I promessi sposi, cit.

> 5. La giustizia: i due imputati nel processo per le unzioni, condannati a morte, Guglielmo Piazza e Giangiacomo Mora A. Manzoni, Storia della colonna infame ( cap. 3, Dopo I promessi sposi: il distacco dalla letteratura, p. 470; T16, p. 471)

> 6. La speranza e il riscatto nella solidarietà fra classi sociali

A. Manzoni, I promessi sposi, dai capp. XXIV e XXXVI In seguito alla conversione dell’innominato e all’incontro di questi con il cardinale Federigo Borromeo, Lucia, liberata dalla prigionia, viene ospitata provvisoriamente nella casa, modesta ma dignitosa, del sarto del paese, provocando la curiosità della sua famiglia e i “buoni propositi” di lui.

Tutt’a un tratto, si sente uno scalpiccìo, e un chiasso di voci allegre. Era la famigliola che tornava di chiesa. Due bambinette e un fanciullo entran saltando; si fermano un momento a dare un’occhiata curiosa a Lucia, poi corrono alla mamma, e le s’aggruppano intorno: chi domanda il nome dell’ospite sconosciuta, e il come e il perché; chi vuol raccontare le maraviglie vedute: la buona donna risponde a tutto e a tutti con un «zitti, zitti». Entra poi, con un passo più quieto, ma con una premura cordiale dipinta in viso, il padrone di casa. Era, se non l’abbiamo ancor detto, il sarto del villaggio, e de’ contorni; un uomo che sapeva leggere, che aveva letto in fatti più d’una volta il Leggendario de’ Santi, il Guerrin meschino e i Reali di Francia1, e passava, in quelle parti, per un uomo di talento e di scienza: lode però che rifiutava modestamente, dicendo soltanto che aveva sbagliato la vocazione; e che se fosse andato agli studi, in vece di tant’altri...! Con questo, la miglior pasta del mondo. Essendosi trovato presente quando sua moglie era stata pregata dal curato d’intraprendere quel viaggio caritatevole, non solo ci aveva data la sua approvazione, ma le avrebbe fatto coraggio, se ce ne fosse stato bisogno. E ora che la funzione, la pompa, il concorso2, e soprattutto la predica del cardinale avevano, come si dice, esaltati tutti i suoi buoni sentimenti, tornava a casa con un’aspettativa, con un desiderio ansioso di sapere come la cosa fosse riuscita, e di trovare la povera innocente salvata. A. Manzoni, I promessi sposi, cit.

1. Leggendario de’ Santi … Reali di Francia: si tratta di tre letture “popolari”. La prima è una raccolta di aneddoti edificanti intorno alla vita dei santi; la secon-

da e la terza sono invece opere di tema cavalleresco, nate in ambito francese e volgarizzate in italiano da Andrea da Barberino. Da notare come il sarto abbia

letto questi volumi «più d’una volta». 2. la pompa, il concorso: il fasto di una cerimonia solenne, l’affluenza delle persone.

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L’età del Romanticismo

Quasi a conclusione del romanzo, una borghese, privata della famiglia dall’epidemia di peste, decide di prendere sotto la propria tutela Lucia, che ha incontrato nel lazzaretto. Era un’agiata mercantessa, di forse trent’anni. Nello spazio di pochi giorni, s’era visto morire in casa il marito e tutti i figliuoli: di lì a poco, venutale la peste anche a lei, era stata trasportata al lazzeretto, e messa in quella capannuccia, nel tempo che Lucia, dopo aver superata, senza avvedersene, la furia del male, e cambiate, ugualmente senza avvedersene, più compagne, cominciava a riaversi, e a tornare in sé; ché, fin dal principio della malattia, trovandosi ancora in casa di don Ferrante, era rimasta come insensata1. La capanna non poteva contenere che due persone: e tra queste due, afflitte, derelitte, sbigottite, sole in tanta moltitudine, era presto nata un’intrinsichezza, un’affezione, che appena sarebbe potuta venire da un lungo vivere insieme. In poco tempo, Lucia era stata in grado di potere aiutar l’altra, che s’era trovata aggravatissima. Ora che questa pure era fuori di pericolo, si facevano compagnia e coraggio e guardia a vicenda; s’eran promesse di non uscir dal lazzeretto, se non insieme; e avevan presi altri concerti2 per non separarsi neppur dopo. La mercantessa che, avendo lasciata in custodia d’un suo fratello commissario della Sanità, la casa e il fondaco3 e la cassa, tutto ben fornito, era per trovarsi sola e trista padrona di molto più di quel che le bisognasse per viver comodamente, voleva tener Lucia con sé, come una figliuola o una sorella. A. Manzoni, I promessi sposi, cit.

1. insensata: stordita, priva di senno.

2. concerti: accordi.

3. fondaco: negozio, magazzino.

GUIDa aLL’UTILIzzo DeI DocUMenTI per ciascun documento, ogni gruppo potrà impostare il lavoro sviluppando i seguenti punti. a) A quale epoca, contesto geografico e categoria sociale appartiene il personaggio presentato nel documento? b) Quali elementi della sua condizione vengono messi in evidenza? In rapporto a quale background o antefatto va considerata? c) Si tratta di una resa letteraria intesa in senso realistico, o piuttosto idealizzata? Nella trattazione del punto, è opportuno considerare anche la lingua utilizzata dall’autore del testo (italiano o dialetto). d) Quali aspetti riferibili all’attualità possono essere rilevati nella presentazione del personaggio? e) Quale figura del contesto contemporaneo potrebbe corrispondere a quella letteraria?

William Kidd, Il banco del pesce, 1827-31, olio su tela, part., Londra, Museum of London.

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Il teatro per immagini

Gli esiti della riforma nel teatro del primo Ottocento Malgrado una certa persistenza della Commedia dell’Arte, di cui diremo più avanti (figure 19 e 20), tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento le riforme precedenti conoscono il loro esito nell’affermazione definitiva del teatro del personaggio, di un personaggio come lo volevano sia Riccoboni che Goldoni e cioè dotato di una propria psicologia, appartenente a un certo ceto sociale e quindi ben identificabile da parte del pubblico. In Italia però l’attore si cimenta soprattutto in parti tragiche pur non tralasciando le commedie, soprattutto quelle di Goldoni, ma la vera pietra di paragone per il valore di un attore è costituita dalla recitazione della tragedia in versi: per questo noi qui ci occuperemo prevalentemente di tragedie. Il momento del dramma, scritto in prosa, già fiorente in Francia in questo periodo, verrà dopo per gli attori italiani, nella seconda metà del secolo. Per ciò che riguarda il luogo scenico, l’Ottocento non conosce innovazioni particolari in confronto al secolo precedente dove abbiamo visto l’affermarsi del tipico teatro “all’italiana” con i vari ordini di palchi, la platea e il loggione.

La LunGa strada versO iL teatrO deL persOnaGGiO 1. Tra gli scrittori di tragedie, tra la fine del Settecento e l’inizio del secolo seguente, spicca Vincenzo Monti (17541828) tanto che il suo Caio Gracco – rappresentato la prima volta al Teatro patriottico di Milano nel 1802 – venne considerato il capolavoro di quel teatro, denominato in Italia “patriottico” o “giacobino” che fiorì sull’onda degli ideali diffusi dalla Rivoluzione francese nel periodo in cui, sulla scorta dell’impresa napoleonica in Italia, si costituirono diverse repubbliche. L’incisione che qui si vede, tratta dal Teatro tragico italiano, è del 1832 e non a caso, poiché i tempi sono cambiati, l’incisore privilegia un momento meno eroicamente politico e più sentimentale della tragedia.

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Frontespizio delle Tragedie di Vincenzo Monti, con scena del Caio Gracco (atto I, scena III: incontro notturno di Caio con la moglie Licinia, il figlioletto e la madre Cornelia), incisione di C. Ferreri su disegno di F. Nenci, in Teatro tragico italiano, Passigli Borghi, Firenze 1832.

Il teatro per immagini

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Illustrazioni di Guido Gonin per l’edizione delle Tragedie di Vittorio Alfieri (Oreste, atto III, scena V e atto V, scena ultima), Sonzogno, Milano 1870.

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2/3. Ma il passaggio al personaggio a tutto tondo è graduale. Ecco due illustrazioni dell’Oreste di Alfieri da cui risulta in modo chiaro ed evidente il fatto che gli attori qui presenti mantengono gesti ampollosi e retorici come è ben illustrato dalla figura di sinistra in cui Clitennestra implora Egisto: questi la allontana con un braccio teso, il volto fermo e irato contemporaneamente, mentre nell’illustrazione di destra vediamo Oreste, che ha appena ucciso la madre, che si nasconde dietro il mantello a significare che non ha più luogo in cui nascondersi: anche qui il gesto è ampio ed esteriore, lontano ancora da un’introspezione psicologica che sarà propria invece dell’epoca futura.

L’arte deLLa recitazione

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4/5/6/7. Lo stile recitativo di cui stiamo parlando, che va verso il personaggio ma che non lo possiede ancora fino in fondo, è chiaramente espresso nelle tavole con cui Antonio Morrocchesi (17681838), il più grande attore tragico del suo tempo, ha illustrato le sue Lezioni di declamazione e d’arte teatrale, pubblicate nel 1832. L’attore, celebre e assai apprezzato, nel 1811 era stato chiamato a tenere l’insegnamento di “declamazione” – e cioè di recitazione dei versi – all’Accademia di belle arti di Firenze. Qui abbiamo quattro momenti, tratti dalla seconda scena del quarto atto dell’Oreste di Alfieri, in cui Pilade, soggetto di queste tavole, fa il racconto della falsa morte di Oreste per ingannare Egisto. Anche qui i gesti risultano, come nelle illustrazioni precedenti, ampollosi ed “esteriori”; ma bisogna tenere conto che siamo soltanto all’inizio del processo che porterà al teatro del personaggio e che la preoccupazione di Morrocchesi era quella di dare una dignità stilistica all’arte della recitazione, fino a quel punto lasciata all’improvvisazione di ciascun attore.

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Antonio Morrocchesi, Lezioni di declamazione, litografie di Salucci su disegno di F. Boggi, Tipografia All’insegna di Dante, Firenze 1832.

Le cOmpaGnie priviLeGiate 8. Nel primo quarto del secolo assistiamo a un altro fenomeno di notevole importanza per la storia del teatro italiano: la nascita delle compagnie privilegiate. La prima sorge a Milano, sede del Regno d’Italia napoleonico, sull’esempio della Comédie française fondata a Parigi da Luigi XIV nel 1680, e dura dal 1808 al 1814. Dopo la Restaurazione (1815) altre vengono istituite a Napoli, a Modena e a Parma. La più importante, per rilievo e durata nel tempo, è però la Compagnia reale sarda, fondata da Vittorio Emanuele I nel 1820 e che avrà vita fino al 1855. Il montaggio grafico dell’epoca, ritrae i principali attori della compagnia nella prima e più brillante fase della sua attività: quella più in alto di tutti è Carlotta Marchionni, mentre al centro vediamo Luigi Vestri. Di questi parleremo nella didascalia seguente; della Marchionni diciamo semplicemente che fu attrice che interpretò fino in fondo l’intento di nobilitare i costumi proprio di questa compagnia; la stessa fotografia, infatti, ci mostra una donna assai pudica e riservata, come fu e come i re sovvenzionatori volevano che fosse.

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Gli artisti della Compagnia reale sarda, 1826, litografia.

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Ritratto dell’attore Giuseppe De Marini.

Ritratto dell’attore Luigi Vestri.

9/10. Le compagnie privilegiate, e cioè sovvenzionate, avevano oltre a uno scopo politico, come abbiamo brevemente messo in luce per la Reale sarda, anche un intendimento artistico nel sottrarre gli attori alla tirannia del dover guadagnare a tutti i costi e, dunque, di dover compiacere il pubblico in ogni modo. È proprio grazie a questa situazione più favorevole che alcuni attori possono sperimentare cose nuove nella loro professione. Non è quindi un caso che due di loro, importanti esempi del passaggio al teatro del personaggio, abbiano recitato quasi sempre all’interno delle compagnie privilegiate. Il primo (fig. 9) è Giuseppe De Marini (1772-1829), il secondo (fig. 10) Luigi Vestri (1781-1841). Come si può notare osservando i due ritratti, si tratta di personalità diverse. Il primo ha lo sguardo, l’atteggiamento e il costume dell’attore tragico ed era noto per la capacità di immedesimarsi nella parte da recitare. Il secondo è invece colui che impose il ruolo del “promiscuo”: Vestri era, infatti, estremamente versatile e grazie alla sua capacità gestuale e mimica fu in grado di recitare qualsiasi parte.

La scrittura drammatica e La scena 11. Gli attori italiani, come abbiamo visto, impostano in profondità il discorso del teatro del personaggio; non altrettanto succede per la scrittura drammatica che da noi è scarsa di opere di rilievo, dopo quelle di Goldoni e di Alfieri, se si eccettuano, almeno in parte, le tragedie di Vincenzo Monti (fig. 1) e le commedie di Giovanni Giraud (1776-1834) tra cui spicca L’aio nell’imbarazzo, tipica commedia di intrigo. È soprattutto in Francia che si scatena la battaglia per il Romanticismo in teatro, con episodi clamorosi: ecco, nella litografia qui accanto, la famosa e molto turbolenta serata della prima, nel 1830, di Ernani di Victor Hugo (1802-85) quando il pubblico borghese fu indignato dalle vicende del proscritto Ernani e della bellissima Doña Sol mentre i giovani sostenitori del Romanticismo giunsero ad azzuffarsi con i primi per sostenere le loro idee artistiche e lo scrittore che meglio li rappresentava.

Zuffa tra “romantici” e “classicisti” alla prima rappresentazione dell’Ernani di Victor Hugo, 1830, litografia, Parigi, Musée Victor Hugo.

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12. L’illustrazione qui a fianco mostra un momento della scena finale del Re si diverte di Hugo rappresentato a Parigi nel 1837. La figura in piedi è quella del buffone di corte Triboulet – Rigoletto nell’opera omonima di Verdi – che si dispera sul cadavere della figlia Bianca uccisa da uno dei sicari mandati da lui ad assassinare il re di cui Bianca è innamorata e al quale si è sostituita per salvargli la vita. Vediamo qui messa in opera la poetica, tipicamente romantica, che prevede la commistione tra il «sublime» e il «grottesco» di cui Hugo parla nella prefazione a un altro suo dramma del 1827, Cromwell: «La poesia del nostro tempo è il dramma; il carattere del dramma è la realtà; la realtà scaturisce dalla combinazione assolutamente naturale di due tipi, il sublime e il grottesco, che si incrociano nel dramma così come s’incrociano nella vita». Illustrazione di Tony Johannot per il frontespizio dell’edizione originale del Re si diverte di Victor Hugo, Eugène Renduel, Parigi 1832.

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Honoré Daumier (1808-79), A teatro, 1860, olio su tela, Monaco, Neue Pinakothek.

13. Nel quadro di Honoré Daumier vediamo una rappresentazione popolare in un teatro parigino, altrettanto popolare, nel periodo romantico. Il dramma che si recita, con un morto in terra e una donna che sta per essere assassinata, è certamente a forti tinte melodrammatiche; altrettanto melodrammatica è la recitazione degli attori, come ben si vede, che incatena però l’attenzione degli spettatori, evidenziata dai volti in primo piano. Qualcosa del genere avveniva anche in Italia. Infatti, oltre agli attori di spicco di cui abbiamo detto, c’era anche una schiera di attori di secondo e terz’ordine che affidavano la propria espressività all’enfasi melodrammatica. È anche questo, però, un modo per giungere al teatro del personaggio: la psicologia del personaggio viene qui mostrata in modo ampolloso ed eccessivamente esplicito, ma comunque mostrata e interpretata; e ciò testimonia l’allinearsi, anche di questo tipo di attore, al mutamento del teatro che avviene nella prima metà dell’Ottocento.

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Il teatro per immagini

14. Francesca da Rimini di Silvio Pellico è certamente la “tragedia” – questa è la definizione che appare sul frontespizio – più amata dal pubblico dell’epoca. In effetti si tratta di un dramma a forti tinte che si ispira al canto quinto dell’Inferno dantesco. Nell’illustrazione vediamo proprio il tipo di interpretazione che, di solito, veniva offerto in teatro: Paolo e Francesca si baciano (“la bocca mi basciò tutto tremante”, v. 136), lei ha in mano il libro galeotto (“Galeotto fu ’l libro e chi lo scrisse”, v. 137) mentre, dietro la tenda, con gli occhi iniettati di sangue c’è il marito di Francesca, Lanciotto, che si prepara a ucciderli. Anche la scenografia, se pure immaginaria, richiama le scene romantiche; in questo caso quella del “talamo”, la stanza da letto di una dimora signorile. Illustrazione per la Francesca da Rimini di Silvio Pellico, incisione, Venezia, Civico Museo Correr.

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15. Anche componimenti più letterariamente elaborati, come le “tragedie” in versi di Giovan Battista Niccolini (17821861), subiscono in teatro la stessa sorte. Qui abbiamo una scena dell’Antonio Foscarini, rappresentata nel 1827, che si incentra, ancora una volta, su un amore contrastato. È molto evidente l’enfatizzazione melodrammatica dei sentimenti: Antonio Foscarini ha un incontro segreto con Teresa Navageno che, mentre egli era impegnato in una ambasceria, è stata costretta a sposare un suo nemico. È degno di nota osservare come l’immagine renda la disperazione di Antonio e come Teresa, a sua volta, si disperi della sua disperazione. L’ancella, in secondo piano, aggiunge tensione alla scena mostrando chiaramente la sua preoccupazione che i due amanti vengano scoperti.

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Frontespizio delle Tragedie di Giovan Battista Niccolini, Firenze 1832.

16 Francesco Hayez, studio preparatorio per il dipinto Il Conte di Carmagnola mentre sta per essere condotto al supplizio ispirato all’ultima scena della tragedia di Manzoni, 1820, acquerello, Milano, Biblioteca Braidense.

16/17/18. Le tragedie, questa volta senza virgolette, di Manzoni, Il Conte di Carmagnola e l’Adelchi, rispettivamente del 1820 e del 1822, certo non sono accostabili, dal punto di vista artistico, a quelle di Pellico e di Niccolini e rappresentano l’esito letterario più alto della scrittura drammatica italiana della prima metà dell’Ottocento. Ma se il risultato letterario è fuori di discussione bisogna anche notare che tutt’altra cosa successe per ciò che riguarda il teatro recitato che rifiutò quelle opere così nobili e, proprio per questo, troppo difficili per il gusto del pubblico dell’epoca. Le illustrazioni – non riferite quindi a un preciso spettacolo ma a uno soltanto immaginato – tendono come si vede, a mettere in rilievo il lato patetico di queste composizioni: nella prima abbiamo il finale del Conte di Carmagnola, con il protagonista che attende la morte confortato dalla moglie e dalla figlia cui il pittore, per rendere più patetica la scena, ha aggiunto un’altra bambina. Nella seconda vediamo la morte di Ermengarda e nella terza quella di Adelchi assistito, a sinistra, dal re Carlo, con il braccio alzato in segno di comando, e alla destra dal padre Desiderio, disperato per la morte del figlio e per la sua prossima prigionia.

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Illustrazione di Roberto Focosi per l’Adelchi (atto V, morte di Adelchi), in A. Manzoni, Opere varie (edizione riveduta dall’Autore), Milano1845.

Frontespizio delle Tragedie di Alessandro Manzoni con scena dell’Adelchi, Firenze 1830.

La persistenza deLLa cOmmedia deLL’arte 19/20. Nell’introduzione di questa sezione abbiamo accennato a una certa persistenza della Commedia dell’Arte nell’Ottocento. Le due fotografie ritraggono il più famoso Pulcinella dell’epoca, Antonio Petito (1822-76) che, avendo come spalla il fratello Davide (18201911), si esibisce in maschera nella parodia di un balletto (fig. 19). È la risposta beffarda e grottesca alle sdolcinature di cui stiamo parlando: la posizione della “ballerina”, nella prima fotografia, è volutamente goffa e instabile, con le braccia che vorrebbero essere aggraziate nel movimento e che invece risultano incerte e protese malamente. Antonio Petito è il più grande anche se non il solo, soprattutto in area napoletana, a portare avanti personaggi – in modo particolare Pulcinella – e moduli recitativi della Commedia dell’Arte che godrà ancora, fino oltre la metà dell’Ottocento, dei favori del pubblico.

19 Antonio e Davide Petito nella parodia del ballo flik-flok, 1871, fotografia colorata a pastello, Napoli, Museo di San Martino (foto G. Bondi).

Antonio Petito in costume di Pulcinella con altri attori della compagnia del teatro S. Carlino, Napoli, 1850 ca, fotografia colorata a pastello, Napoli, Museo di San Martino (foto G. Bondi).

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Il teatro per immagini

GustavO mOdena 21. Ma un modo diverso di intendere il teatro era alle porte e verrà realizzato da Gustavo Modena (1803-61), l’attore/ capocomico che sarà considerato, per più di mezzo secolo, la pietra di paragone cui confrontare gli altri attori per giudicare del loro valore. Egli ebbe ben chiara l’idea che per arrivare a un tipo di recitazione autenticamente “moderna” sarebbe stato necessario compiere un passo avanti in confronto a quelli fatti da De Marini e da Vestri e cioè saper unire le doti del primo attore con quelle del caratterista e così riuscire a realizzare sul palcoscenico quell’impostazione grottesca portata avanti dalla drammaturgia più vivace dell’epoca, quella francese, Victor Hugo in testa (vedi fig. 12). Per fare questo però sarebbe stato necessario un altro passo e cioè quello di intendere il testo come uno spartito su cui l’attore fosse in grado di creare la propria opera. Modena infatti, recitando, interponeva sempre fra sé e le parole dell’autore come un filtro in modo da non immedesimarsi mai totalmente con il personaggio e così mostrare sempre un atteggiamento ironicamente distaccato. In questo ritratto dell’attore giovane possiamo già vedere come sia atteggiato in modo diverso dai suoi predecessori: intensissimo lo sguardo, egli, attore moderno, si rivela però molto più umano e meno paludato. Ritratto dell’attore Gustavo Modena.

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22. Questa immagine ci mostra Modena in scena, nella parte di Saul nella tragedia omonima di Alfieri. Dalla posizione del corpo e dalla mimica facciale si può evincere il tipo di interpretazione che Modena imprimeva al personaggio: sconvolto dalla furia e contemporaneamente non esente da una venatura di ridicolo. Con questa impostazione recitativa Modena si oppone non solo alla recitazione aulica e accademica, residuo dello stile tardo-settecentesco, che abbiamo visto esemplificato nelle tavole di Morrocchesi, ma anche a quella più nuova, e non certo sgradita al pubblico, del basso romanticismo che abbiamo potuto osservare nelle incisioni 14, 15, 16, 17, 18. Ma il magnifico esperimento, e quello che avrebbe dovuto essere il fruttuoso insegnamento di Modena, furono traditi da coloro che lo seguirono; al contrario si apre ora la stagione prima del “grande attore” e poi del “mattatore” che, in opposizione a ciò che faceva Modena, reciteranno sempre terribilmente sul serio, escludendo dalle loro esibizioni sul palcoscenico qualsiasi forma di ironia e di presa di distanza dal personaggio. Questo mutamento avverrà nella seconda parte dell’Ottocento.

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Gustavo Modena mentre declama il verso del Saul di Alfieri: «Ma chi da tergo, oh, chi pel crin m’afferra?» (Saul, atto V, scena III) in un disegno caricaturale di Casimiro Teja.

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Glossario N.B. Il presente glossario si riferisce esclusivamente a termini che compaiono nel volume; non pretende in nessun modo di essere un dizionario di retorica, metrica, linguistica, narratologia ecc.

Allitterazione Figura retorica che consiste nella ripetizione degli stessi fonemi (v.) in due o più parole vicine. Es.: «... ascoltando il canto / della rana rimota alla campagna» (Leopardi, Le ricordanze, vv. 12-13). Anacronia (dal greco aná, indietro, di nuovo, e khrónos, tempo). Nel racconto, la rottura della successione cronologica dei fatti, per cui vengono raccontati dopo eventi avvenuti prima di altri, o viceversa. Es.: nell’Eneide la caduta di Troia è raccontata da Enea a Didone, quando giunge a Cartagine; il Piacere inizia con il ricongiungimento di Andrea Sperelli ed Elena Muti dopo una lunga separazione; solo in seguito viene raccontato l’inizio del loro amore. Anafora (dal greco aná, di nuovo, e phéro, porto). Ripresa della stessa parola, o di un gruppo di parole, all’inizio di più versi o membri del periodo consecutivi. Es.: «Dagli atrii muscosi, dai Fori cadenti, / dai boschi, dall’arse fucine stridenti, / dai solchi bagnati di servo sudor» (Manzoni, Adelchi, Coro atto III, vv. 1-3). Analessi (dal greco análepsis, ripresa). In narratologia, l’inserimento nel racconto di avvenimenti del passato. Es.: nei Promessi sposi, la storia di fra Cristoforo e di Gertrude. L’inserimento dà origine a un’anacronia (v.). Anastrofe (dal greco anastrophé, inversione). Inversione dell’ordine normale delle parole in una frase. Es.: «Sempre al pensier tornavano / gl’irrevocati dì» (Manzoni, Adelchi, coro dell’atto IV, vv. 29-30), dove il soggetto «irrevocati dì» è posposto al predicato «tornavano». Anticlimax (dal greco antí, contro, e klímax, gradazione). Una serie di parole disposte secondo un ordine di intensità decrescente, o per quanto riguarda il significato, o per quanto riguarda aspetti formali. È l’inverso di climax (v.). Antonomasia (dal greco antí, contro, e ónoma, nome: mettere un nome al posto di un altro). Figura retorica che consiste nel sostituire un nome comune con un nome proprio, capace di rappresentare tutta una categoria. Es.: “Perpetua” per “domestica (di un sacerdote)”. Viceversa si può designare un nome proprio con un nome comune, quando l’oggetto del riferimento è tanto famoso da essere immediatamente identificabile. Es.: “il Filosofo” per Aristotele.

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Apostrofe (dal greco apostrophé, “mutamento” [di tono]). Figura retorica che consiste nel rivolgere la parola, in tono vibrante e concitato, ad una persona o a una cosa personificata. Es.: «Italia mia, benché ’l parlar sia indarno» (Petrarca, Canzoniere, CXXVIII, v. 1). Archetipo (dal greco arché, origine, e týpos, modello). In senso generico, il modello originario da cui derivano molteplici manifestazioni della realtà. Nella psicologia analitica di Carl Gustav Jung «archetipi» sono le forme originarie dell’esperienza psicologica depositate nell’inconscio collettivo di ognuno. Es.: gli archetipi del Padre e della Madre. Asindeto (dal greco a, prefisso di negazione, sýn, insieme, e déo, lego). Coordinazione dei membri della proposizione o del periodo senza l’uso di congiunzioni. Es.: «Qui passo gli anni, abbandonato, occulto, / senz’amor, senza vita» (Leopardi, Le ricordanze, vv. 38-39). Asse sintagmatico-Asse paradigmatico Concetti fondamentali della linguistica. I rapporti tra le unità costitutive della lingua, fonemi (v.), lessemi (v.), sintagmi (v.) ecc., sono di due tipi. Nel discorso le unità si dispongono insieme con le altre in una successione lineare, in cui ognuna di esse entra in un rapporto di contiguità con quella che precede e con quella che segue: è questo l’asse sintagmatico del linguaggio (o asse della combinazione). Ad esempio nella frase: «Oggi è una bella giornata» l’asse sintagmatico è costituito dalla serie delle varie parole collocate una dopo l’altra, con implicazioni sintattiche tra di loro (soggetto, predicato). Ma ognuna di queste parole ha rapporti al di fuori di quella singola frase, con gli altri termini del sistema linguistico generale. Ad es. «oggi» con «ieri» o «domani», «bella» con «bellezza», o «brutta», o «bruttezza». Non sono rapporti in atto, come quelli sintagmatici, ma virtuali; possono essere istituiti solo dalla memoria del parlante, che richiama per similarità od opposizione altri elementi del sistema linguistico. È questo l’asse paradigmatico (o della sostituzione). Ognuno di noi, parlando o scrivendo, seleziona termini e costrutti nel sistema globale della lingua (lungo l’asse paradigmatico), poi li combina nel discorso a formare frasi e periodi (lungo l’asse sintagmatico). Le stesse operazioni possono valere per la costruzione o la lettura di un testo letterario. Ad es. un testo narrativo si può esaminare nella successione lineare dei vari elementi

che costituiscono l’intreccio, rilevando i rapporti di contiguità che li uniscono; oppure ogni elemento può essere visto in relazione con altri elementi non contigui, a cui rimanda nel sistema globale del testo, oppure in relazione con il sistema dell’opera generale dell’autore, o addirittura con il sistema letterario del momento storico in cui si colloca il testo (motivi, procedimenti narrativi, retorici, stilistici ecc.). Attante Secondo il semiologo Algirdas Greimas i ruoli diversi che possono essere ricoperti da un’infinita serie di personaggi in miti, favole, testi narrativi di tutte le culture, possono essere ridotti a sei ruoli fondamentali: Soggetto, Oggetto, Destinatore, Destinatario, Aiutante, Oppositore. Questi ruoli sono chiamati «attanti». Il sistema che li collega è il MODELLO ATTANZIALE: DESTINATORE  OGGETTO  DESTINATARIO



a

AIUTANTE  SOGGETTO  OPPOSITORE Si tratta di un modello valido per qualunque testo narrativo, esistente o possibile; è il prodotto di un processo di estrema astrazione delle caratteristiche particolari dei vari personaggi di tali testi. Il modello attanziale si colloca sull’asse paradigmatico (v.) del testo, mentre il modello narrativo (v.) si colloca su quello sintagmatico (v.). Non bisogna confondere attante con personaggio: l’attante è un ruolo, e come tale può essere ricoperto anche da più personaggi diversi. Ad esempio nei Promessi sposi l’attante Aiutante è rappresentato dagli attori fra Cristoforo, cardinal Federigo, innominato convertito. Viceversa un singolo personaggio può rispondere a diversi ruoli attanziali: l’innominato è prima Oppositore, poi Aiutante. Nella Coscienza di Zeno, Malfenti, il padre di Augusta, è al tempo stesso Destinatore dell’Oggetto (la donna) e Oppositore del Soggetto (Zeno). Autodiegetico Narratore (dal greco autós, medesimo, e diégesis, narrazione). Termine della narratologia (v.) proposto da Gérard Genette: è il narratore che è protagonista della storia da lui stesso raccontata. È una forma particolare del Narratore omodiegetico (v.). Es.: Le confessioni di un italiano di Nievo, in cui chi racconta è il protagonista stesso, Carlo Altoviti.

Glossario

c Catafora (dal greco katá, giù, e phéro, porto). In senso sintattico, si ha quando un termine ne anticipa altri seguenti. Es.: «Questo io conosco e sento, / che degli eterni giri, / che dell’esser mio frale, / qualche bene o contento / avrà fors’altri; a me la vita è male» (Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, vv. 100-104). In senso retorico, si ha quando una parola (di norma il soggetto) è posta al fondo della frase. Es.: «baciò la sua petrosa Itaca Ulisse» (Foscolo, A Zacinto, v. 11). Catarsi (dal greco kátharsis, purificazione). Nella Poetica di Aristotele, l’effetto di purificazione che la tragedia produce negli spettatori, inducendo in essi «pietà» e «terrore». In senso generico vale «purificazione». Cesura (dal latino caedo, taglio). Pausa che divide il verso in due membri, detti emistichi (v.). Es.: «ove per poco / il cor non si spaura. // E come il vento / odo stormir...» (Leopardi, L’infinito, vv. 7-9), dove la pausa è segnata dal punto fermo dopo «spaura». Chiasmo Disposizione incrociata dei membri di una proposizione o di un periodo (dalla lettera greca X, che si legge “chi”). a

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b

a

Es.: «Odi greggi belar, muggire armenti» (Leopardi, Il passero solitario, v. 8); unendo i quattro membri indicati con a, b, b, a mediante due lineette, si ha appunto il segno X: a b b

a

Climax (dal greco klímax, gradazione). Una serie di parole disposte secondo un ordine di intensità crescente, o per quanto riguarda il significato o per quanto riguarda aspetti formali. Es.: nell’Infinito ai vv. 4-6 si ha una climax tra parole bisillabe («sedendo», «mirando»), quadrisillabe («sovrumani») e di cinque sillabe («profondissima»). Codice Insieme di norme che rendono possibile la comunicazione di un messaggio. Per esempio nella comunicazione verbale il codice è la lingua: se diciamo “sole” ci comprendiamo se facciamo tutti riferimento al codice “lingua italiana”; chi farà riferimento al codice “lingua inglese” non potrà comprendere. Anche per la letteratura esistono codici che rendono possibile la

1. significante

comprensione dei messaggi (i testi): certe convenzioni formali, certi motivi ricorrenti in un dato momento culturale. Ad es. per noi moderni, che non possediamo più il codice allegorico, risulta difficile comprendere le allegorie di Dante, mentre per i contemporanei era agevole. Connotazione Concetto della linguistica: indica un valore supplementare che un segno assume, oltre a quello di designare un determinato oggetto, che è invece il compito della denotazione (v.). Es. «nido», in senso denotativo, si riferisce alla tana che gli uccelli costruiscono per deporre e covare le uova; in senso connotativo può riferirsi alla casa con tutte le implicazioni affettive e i valori morali e sociali che ad essa vanno uniti. Es.: nei Malavoglia padron ’Ntoni, alludendo alla casa ed al paese a cui è attaccato, cita il proverbio «Ad ogni uccello suo nido è bello»: qui sono chiaramente presenti sia il valore denotativo sia quello connotativo del termine «nido». In termini linguistici, nel processo di connotazione un segno (significante + significato: v.) preso globalmente diventa a sua volta il significante di un significato più complesso. Si veda lo schema riportato a fondo pagina, dove la linea continua e le minuscole indicano il processo di denotazione, la linea tratteggiata e le maiuscole indicano quello di connotazione. Su questa base torniamo all’esempio citato: i fonemi (v.) /n/, /i/, /d/, /o/ compongono il significante della parola «nido» che rimanda al significato «tana degli uccelli»: questa è la denotazione; ma a sua volta il segno «nido» diviene il significante di un nuovo significato più ampio che implica calore affettivo, sostegno reciproco, onestà, laboriosità ecc.: questa è la connotazione.

d Demiurgo (dal greco demiurgós, artefice). Termine usato da Platone ad indicare l’artefice divino che, plasmando una materia caotica preesistente, dà forma al mondo, prendendo a modello le idee, che sono le forme assolute ed eterne degli oggetti della realtà sensibile. In senso metaforico, designa chi ha eccezionali doti di creatore e sa dar forma alla realtà che lo circonda imprimendovi il sigillo della sua personalità.

2. significato

3. segno I. SIGNIFICANTE

II. SIGNIFICATO

III. SEGNO

Denotazione Processo di comunicazione che ha la semplice funzione di designare un oggetto (referente, v.), senza altri sensi supplementari (v. connotazione). Determinismo Concezione presente nella filosofia e nella scienza sin dall’antichità, e tornata in auge in età moderna. Consiste nel vedere la realtà regolata da rapporti di causa ed effetto necessari e inevitabili, senza possibilità di scarto o libertà di scelta: data una certa causa, non può che scaturire un certo effetto. Tale concezione va unita in genere allo scientismo (v.), al meccanicismo (v.) e al materialismo (v.). Tale concezione domina ad esempio nell’Assommoir di Zola: posti dei personaggi ad agire nell’ambiente «appestato» dei sobborghi parigini, non ne può scaturire che la loro degradazione, per un processo meccanico in cui la libera scelta personale non ha luogo. Diacronia (dal greco diá, attraverso, e khrónos, tempo). Termine della linguistica: indica lo studio dei fatti linguistici nelle trasformazioni che subiscono lungo il corso del tempo. In senso più largo, può indicare lo studio di qualunque altro fenomeno nel suo svolgersi nel tempo (v. sincronia). Discorso In narratologia (v.) sta a indicare il “come” viene raccontata la storia (v.), cioè le forme dell’espressione di un racconto.

e Ellissi (dal greco élleipsis, omissione). In retorica, indica l’eliminazione di qualche elemento della proposizione, che viene sottinteso; es.: «Io leggo libri, tu fumetti (sottinteso leggi)». In narratologia (v.) indica l’omissione dal discorso narrativo di un qualche segmento della storia (v.). Ad esempio, nel III canto dell’Inferno, non viene raccontato come Dante passa l’Acheronte, il fiume che segna il confine della regione infernale. Emistichio (dal greco hémi, mezzo, e stíchos, verso). Una delle due parti in cui una cesura (v.) divide un verso. L’endecasillabo può dividersi in: quinario più senario piani («e questa siepe // che da tanta parte»; L’infinito, v. 2); quaternario tronco più settenario piano («odo stormir // tra queste piante, io quello»; ivi, v. 8); settenario più quinario piani («il cor non si spaura. // E come il vento»; ivi, v. 7); quinario più settenario piani («Mirando il cielo, // ed ascoltando il canto» (Le ricordanze, v. 12). In questi ultimi due casi vi è sinalefe (v.) tra la vocale finale del primo emistichio e quella iniziale del secondo: per questo metricamente settenario e quinario danno undici sillabe. Enjambement (dal francese enjamber, “scavalcare”). Si ha quando la fine del verso non coincide con la fine del membro sintattico, per cui l’enunciato “scavalca” il verso e continua in quello seguente. Es.: «... arcani mondi arcana / felicità fingendo al viver mio» (Leopardi, Le ricordanze, vv. 23-24),

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dove la fine del verso spezza in due il sintagma (v.) aggettivo-sostantivo, «arcana felicità». Enumerazione Procedimento retorico che consiste nell’elencazione di parole o sintagmi mediante congiunzioni coordinanti o per asindeto. Es.: «[...] onde nel cerchio secondo s’annida / ipocresia, lusinghe e chi affattura, / falsità, ladroneccio e simonia, / ruffian, baratti e simile lordura» (Dante, Inferno, XI, vv. 57-61); «[...] in un batter d’occhio, cavalieri, fornai, avventori, pani, banco, panche, madie, casse, sacchi, frulloni, crusca, farina, pasta, tutto sottosopra» (Manzoni, I promessi sposi, cap. XVI). Epifora (dal greco epiphorá, aggiunta). È l’opposto di anafora (v.): quando due o più membri sintattici terminano con la stessa parola o lo stesso gruppo di parole. Es.: «Tutto è presente. Il passato è presente. Il futuro è presente» (d’Annunzio, Notturno). In poesia coincide con la rima univoca, che si ha quando in rima viene ripetuta la stessa parola. Eterodiegetico, Narratore (dal greco héteros, altro, diverso, e diégesis, narrazione). Termine della narratologia (v.) proposto da Gérard Genette. Narratore che non è presente come personaggio nel racconto. Es.: il Narratore dei Promessi sposi. È l’opposto di omodiegetico (v.).

f Fabula Termine della narratologia (v.): indica gli avvenimenti dell’intreccio (v.) ricostruiti nella loro successione cronologica (che nell’intreccio può essere sovvertita). Flashback (v. analessi). Focalizzazione Procedimento per cui i fatti di un racconto sono presentati da un particolare punto di vista, in modo che l’informazione narrativa reca l’impronta della soggettività di chi “vede”. Vi può essere focalizzazione sul Narratore (v.), quando il racconto è presentato attraverso l’ottica del Narratore, focalizzazione sul personaggio quando i dati sono visti attraverso la prospettiva del personaggio. La focalizzazione sul Narratore può anche essere esterna, quando non penetra nell’interiorità del personaggio a cogliere le motivazioni psicologiche dei suoi atti, ma si limita a descrivere dall’esterno i suoi comportamenti. Genette dà una sistemazione diversa dalla nostra: parla di focalizzazione zero quando vi è il Narratore onnisciente e il canale dell’informazione non subisce restrizioni soggettive, focalizzazione interna quando il punto di vista coincide con quello del personaggio, focalizzazione esterna quando la narrazione vede il personaggio solo attraverso i suoi comportamenti, senza aver accesso alla psicologia. Fonema (dal greco phoné, suono). È la più piccola unità di linguaggio. In linguistica

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si indica con le lettere dell’alfabeto tra due barrette, /a/, /e/, /p/, /t/ ecc. Mentre i suoni che l’apparato fonatorio dell’uomo può emettere sono infiniti, i fonemi, le unità dotate di senso, sono in numero limitato. Questo perché il fonema è un’astrazione da una molteplicità di suoni concreti, un modello ideale. Ad esempio i parlanti A, B, C... Z emettono ciascuno un suono “a” diverso. Ma tutti questi suoni si possono riferire al modello astratto /a/, e ciò permette la comprensione reciproca. I fonemi, combinandosi fra loro, danno origine ai monemi, unità fornite di senso grammaticale e morfologico (in termini semplici, le parole). Fonosimbolismo In poesia (ma anche nella prosa, artistica e non), i suoni che compongono le parole possono assumere significati autonomi, evocativi ed allusivi. Il caso più comune di fonosimbolismo è l’onomatopea, in cui il suono della parola imita il suono dell’oggetto designato. Es.: «Volaron sul ponte che cupo sonò» (Manzoni, I coro dell’Adelchi), dove i suoni cupi della /o/ e della /u/ rendono il rimbombo degli zoccoli dei cavalli sulle tavole del ponte. Ma talora i suoni hanno un potere evocativo più vasto, meno determinato. Es.: «ed ascoltando il canto / della rana rimota alla campagna» (Leopardi, Le ricordanze, vv. 13-14), dove il susseguirsi di /a/, spesso accentate, crea una suggestione di vastità spaziale indefinita. Funzione Termine proposto da V. J. Propp, studioso russo della fiaba popolare, nella Morfologia della fiaba (1928). Indica le unità minime che compongono il racconto della fiaba, costituite dalle azioni depurate delle determinazioni particolari ad ogni testo, cioè degli attributi specifici dei personaggi che le compongono. Le stesse funzioni ricorrono in tutto il corpo delle “fiabe di magia” russe studiate da Propp, ed in successione costante, individuando così un modello narrativo (v.) comune a tutte le fiabe.

i Idealismo In generale, concezione che sostiene che la realtà è costituita da idee, pensieri. Ad essa si oppongono il realismo, secondo cui le cose hanno un’esistenza autonoma rispetto al pensiero (la cosa “albero” esiste indipendentemente dall’idea di “albero”), ed il materialismo (v.), che ritiene che tutta la realtà sia costituita da materia. Nell’età moderna l’idealismo si è affermato soprattutto in Germania ai primi dell’Ottocento, con pensatori come Fichte, Schelling, Hegel. In Italia è stato ripreso nel Novecento da Croce e da Gentile. Interrogativa retorica Interrogativa che contiene già implicitamente la risposta, e quindi equivale ad un’affermazione o ad una negazione. Es.: «Non è questo ‘l terren ch’i’ toccai pria?» (Petrarca, Canzoniere, CXXVIII, v. 81); «E il premio sperato, promesso a quei forti, / sarebbe, o delusi, rivol-

ger le sorti, / d’un volgo straniero por fine al dolor?» (Manzoni, Adelchi, coro dell’atto III, vv. 55-57). Intreccio In narratologia (v.) la successione degli elementi costitutivi della storia (v.), nella forma in cui si presentano concretamente nel discorso (v.): i rapporti temporali possono essere rovesciati da anacronie (v.); personaggi e azioni conservano i loro attributi specifici, a differenza che nel modello narrativo (v.), che si colloca invece ad un livello massimo di astrazione. Ipallage (dal greco hypallagé, mutamento, scambio). È uno scambio di rapporti tra gli elementi di una frase. Il caso più frequente consiste nel riferire un aggettivo ad un sostantivo diverso da quello a cui logicamente dovrebbe attribuirsi. Es.: «Sorgon le dive / membra da l’egro talamo» (Foscolo, All’amica risanata, vv. 7-8), dove «egro» (malato) logicamente dovrebbe riferirsi a «membra», non a «talamo». Iperbato (dal greco hypérbaton, inversione). È la separazione di due termini, che dovrebbero essere uniti sintatticamente, mediante l’inserzione di altri termini. Es.: «Oh dilettose e care, / mentre ignote mi fur l’erinni e il fato, / sembianze agli occhi miei» (Leopardi, Ultimo canto di Saffo, vv. 4-6). È procedimento stilistico caro alla poesia classicheggiante, che cerca con esso di riprodurre le inversioni tipiche della lingua latina. Iperbole (dal greco hyperbolé, esagerazione). È l’esagerazione di un concetto o di un’immagine. Es.: «Già cento globi ascendono» (Monti, Al signor di Montgolfier, v. 111). Iperuranio (dal greco hypér, oltre, e ouranós, cielo). Nella filosofia platonica, la zona oltre il cielo in cui hanno sede le idee, i modelli perfetti ed eterni delle cose. Ipotassi (dal greco hypótaxis, subordinazione). Rapporto di subordinazione di una o più proposizioni rispetto alla principale del periodo. Si contrappone alla paratassi (v.), che consiste nell’allineare le proposizioni sullo stesso piano, mediante la coordinazione. Iterativa, Narrazione. Nella terminologia narratologica introdotta da Genette, consiste nel raccontare una sola volta ciò che accade n volte.

l Lessema Unità del linguaggio composta dalla combinazione dei fonemi (v.). È il minimo elemento linguistico provvisto di significato.

m Maledettismo Atteggiamento che consiste nell’ostentare disprezzo per i valori e le convenzioni sociali comuni, nel condurre

Glossario vita irregolare e immorale, compiacendosi del vizio e della dissolutezza. Compare già in età romantica, esprimendo il fondamentale conflitto tra l’artista e la società; si afferma poi pienamente in età decadente. Il termine trae origine dalla serie dei Poeti maledetti pubblicati da Paul Verlaine nel 1883 sul periodico “Lutèce”. Si trattava di versi di Tristan Corbière, Arthur Rimbaud e Stéphane Mallarmé. Materialismo La concezione che sostiene che tutta la realtà è materia, negando l’esistenza di sostanze spirituali. Si contrappone a idealismo (v.) e a spiritualismo (v.); si unisce di norma a determinismo (v.) e a meccanicismo (v.). Meccanicismo Dottrina filosofica affermatasi soprattutto con il sorgere della scienza moderna e con il materialismo (v.) degli illuministi. Essa nega il finalismo, cioè quella concezione secondo cui ogni aspetto della natura è ordinato ad un fine secondo un piano provvidenziale, e sostiene che la natura è come una grande macchina, regolata da un determinismo (v.) rigoroso, cioè da un ferreo meccanismo di cause ed effetti che esclude l’intenzionalità e la libera scelta. Metafora (dal greco metaphérein, trasferire). Figura retorica che consiste nel sostituire un termine proprio con un altro, il cui significato ha con il primo un rapporto di somiglianza. Es.: «Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte / che spandi di parlar sì largo fiume?» (Dante, Inferno, I, vv. 79-80); «Gemendo / il fior de’ tuoi gentili anni caduto» (Foscolo, In morte del fratello Giovanni, vv. 3-4). Metonimia (dal greco metá+ónoma, spostamento di nome). Figura retorica che consiste nella sostituzione di un termine proprio con un altro, che ha con il primo un rapporto di contiguità (logica o materiale). Es. lo scambio di causa ed effetto: «Talor lasciando le sudate carte» (Leopardi, A Silvia, v. 16), cioè lo studio faticoso, che fa sudare sui libri; la materia per l’oggetto: «Che tronca fe’ la trionfata nave / del maggior pino» (Foscolo, Dei sepolcri, vv. 135-136); il contenente per il contenuto: «Cittadino Mastai, bevi un bicchier» (Carducci, Il canto dell’amore, v. 120); l’astratto per il concreto, o viceversa: «Or di riposo / paghi viviamo, e scorti / da mediocrità» (Leopardi, Ad Angelo Mai, vv. 171-173), dove «mediocrità» vale per «uomini mediocri»; l’autore per l’opera: «Leggere Dante».

n

p

Narratario Nella terminologia narratologica, è il destinatario del racconto del Narratore (v.). È anch’esso una funzione del testo, e fa parte della finzione narrativa, quindi non è da confondere con il lettore reale, in carne ed ossa, che legge il testo. Es.: Lorenzo Alderani, l’amico a cui Jacopo Ortis indirizza le sue lettere. Spesso è un destinatario solo virtuale, non è un personaggio vero e proprio che compaia nella storia (così i «venticinque lettori» a cui ironicamente si rivolge il Narratore dei Promessi sposi).

Paratassi (dal greco pará, vicino, e táxis, disposizione). Rapporto di coordinazione tra varie proposizioni di un periodo. Si contrappone ad ipotassi (v.). Paronomàsia (dal greco pará, vicino, e onomasía, denominazione). Accostamento di parole con somiglianze foniche, ma di significato diverso. Es.: «Le tue limpide nubi e le tue fronde / l’inclito verso...» (Foscolo, A Zacinto, vv. 6-7), dove «limpide» e «l’inclito» hanno diversi fonemi in comune. Rientra in questa categoria anche l’anagramma, che deriva da parole composte dagli stessi fonemi, ma diversamente ordinati. Es.: «Silvia»/«salivi» in A Silvia, v. 1 e v. 5. Pausa In narratologia (v.), quando il tempo della storia (v.) è = 0. Il racconto non procede, e in suo luogo vi sono divagazioni, descrizioni, spiegazioni. Es. la spiegazione delle origini della carestia nel capitolo XII dei Promessi sposi. Personificazione Figura retorica che consiste nel conferire esistenza concreta a un’entità astratta, attribuendole comportamenti e/o discorsi. Es.: «Francesco e Povertà per questi amanti / prendi oramai nel mio parlar diffuso» (Dante, Paradiso, XI, vv. 7475). Poetica Nella tradizione classica indica i trattati che fissano le norme dello scrivere poetico (la Poetica di Aristotele, l’Arte poetica di Orazio). Oggi il termine è comunemente usato a indicare il complesso delle concezioni di un autore o di un movimento intorno all’arte, ed anche il programma artistico che essi si prefiggono. Polisemìa (dal greco polýs, molto, e séma, significato). Indica il carattere proprio della poesia (e del testo letterario e artistico in generale) che esprime più significati, interpretabili in più modi. Polisindeto (dal greco polýs, molto, e syndéo, lego insieme). Coordinazione tra più membri sintattici o proposizioni mediante ripetute congiunzioni. Es.: «E mi sovvien l’eterno / e le morte stagioni, e la presente / e viva, e il suon di lei» (Leopardi, L’infinito, vv. 11-13). È l’opposto di asindeto (v.). Populismo In senso storico, fu un movimento politico sviluppatosi in Russia a metà dell’Ottocento. In senso generico, il termine indica ogni atteggiamento che mitizzi il popolo come portatore di virtù e di valori positivi.

Narratologia Disciplina che studia il testo narrativo. Narratore Nella terminologia narratologica indica la “voce” che racconta. Può essere un personaggio della storia stessa, come Jacopo Ortis o Mattia Pascal (narratore omodiegetico, v.), oppure può essere ad essa estraneo, pura voce fuori campo come il Narratore dei Promessi sposi o di Il rosso e il nero di Stendhal (Narratore eterodiegetico, v.); in questo secondo caso va distinto dall’autore reale, in carne ed ossa, in quanto il Narratore è una funzione del testo e fa parte dell’universo della finzione. Nuclei Nella terminologia narratologica, sono i nodi essenziali dell’intreccio (v.), che non si possono eliminare senza cambiare la logica dell’intreccio stesso.

o Omodiegetico, Narratore (dal greco homós, uguale, e diégesis, narrazione). È il Narratore (v.) presente tra i personaggi stessi della storia raccontata. Es. Adso di Melk, il giovane monaco che racconta la vicenda nel Nome della rosa di Eco.

Mitopoiesi (dal greco mythos, mito, e poiéo, creo). È il processo di creazione dei miti.

Opposizione Termine della linguistica. In un sistema linguistico, ogni elemento si definisce ed acquista significato in quanto si oppone ad altri. Es.: cane e pane si distinguono perché il fonema /c/ si oppone al fonema /p/. Il meccanismo per cui il significato di un elemento si definisce in modo differenziale per opposizione ad altri elementi vale per ogni tipo di sistema, anche per il testo letterario. Ad es. in un sistema di personaggi, il significato di un personaggio si definisce per opposizione rispetto a quello di un altro: come Lucia e Gertrude, cioè purezza vs corruzione. L’opposizione si indica convenzionalmente con il segno vs che è l’abbreviazione di versus (v.).

Modello narrativo Si ricava attraverso la comparazione di più testi narrativi, individuandone le azioni fondamentali (funzioni, v.), prescindendo dai soggetti che le compiono e dai loro attributi specifici in ogni testo particolare. Si colloca sull’asse sintagmatico (v.) del testo.

Ossimòro (dal greco oxýs, acuto, e morós, insensato). È un’apparente insensatezza, che in realtà è acuta; consiste nella combinazione di due termini tra loro in contraddizione, che sembrano escludersi l’un l’altro. Es.: «provvida sventura» (Manzoni, Il coro dell’Adelchi).

r

Referente Termine della linguistica: è l’oggetto designato dal segno (v.) linguistico. Ad esempio il referente della parola «albero» è l’albero di cui noi parliamo, che si può vedere fuori della finestra. Il referente può essere anche un concetto astratto: la

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virtù, la felicità. Referenziale è il linguaggio che intende semplicemente designare dei referenti, senza sovrasensi ulteriori. Si svolge quindi al livello della denotazione (v.), escludendo ogni forma di connotazione (v.). Rimozione Nel linguaggio della psicoanalisi indica l’esclusione dalla coscienza di contenuti sentiti come pericolosi dall’io, che si difende relegandoli nell’inconscio. I contenuti rimossi tornano però al livello cosciente in forma mascherata, come sintomi nevrotici (fobie, ossessioni...), lapsus verbali, atti mancati, sogni. È questo il ritorno del rimosso. Anche certi temi letterari possono essere visti come ritorno del rimosso, individuale o sociale. Ad esempio i mostri che popolano la letteratura romantica. Ripetitivo, racconto. Nella terminologia narratologica di Genette, consiste nel raccontare n volte ciò che è avvenuto una volta sola. Romanzo d’appendice Si definiscono romanzi d’appendice quei romanzi che verso la metà dell’Ottocento compaiono a puntate sui giornali.

s Satelliti Nella terminologia narratologica di Seymour Chatman, sono gli elementi dell’intreccio che completano, sviluppano, spiegano i nuclei (v.). Eliminandoli, la logica dell’intreccio non ne risulterebbe sconvolta. Scena Nella terminologia narratologica, si ha quando tempo della storia (v.) e tempo del discorso (v.) coincidono. Scientismo Concezione che vede la scienza moderna come fonte suprema di conoscenza, capace di comprendere integralmente il reale e di dominarlo, e che esige che tutte le altre discipline si conformino al modello della scienza. È la concezione che trionfa nell’età del Positivismo. Segno Nella terminologia linguistica, ciò che vale a designare un certo concetto (significato, v.) attraverso un’espressione fonica (significante, v.). Il segno è dato quindi dall’unione di significante e significato. Vi sono però anche segni non linguistici (una vignetta, un cartello stradale, un modo di vestire ecc.). Sema (dal greco séma, segno). Unità minima di significato. Semantica (dal verbo greco semáino, significo). La parte della linguistica che studia i significati. Semiologia (dal greco séma, segno, e lógos, scienza). La scienza che studia i segni, linguistici e non linguistici. Fu postulata dal fondatore della linguistica strutturale Ferdinand de Saussure (1857-1913), ed ha recentemente avuto grandi sviluppi (oggi si preferisce usare il termine semiotica). In particolare la semiotica letteraria studia, con

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i metodi semiotici, quel peculiare segno che è il testo letterario. Significante In linguistica, l’espressione fonica che rimanda ad un concetto (significato, v. ). Es. nella parola «sole» il significante è la serie dei fonemi /s/, /o/, /l/, /e/, combinati in quella successione. In un segno non linguistico, come un certo abbigliamento, il significante è la linea dell’abito, l’accostamento di colore ecc. Ad esempio jeans più giubbotto nero con borchie, oppure blazer blu doppio petto con cravatta regimental: è chiaro che questi due significanti rimandano a significati ben diversi, come «teppista di periferia» o «manager di industria». Significato In linguistica, il concetto a cui rimanda l’espressione fonica, il significante (v.). Similitudine Figura retorica che consiste nel confrontare due termini facendo uso di avverbi o espressioni di paragone (“come”, “simile a”, “sembra”, “pare”). Es.: «Come d’autunno si levan le foglie / l’una appresso de l’altra, fin che ‘l ramo / vede a la terra tutte le sue spoglie, / similemente il mal seme d’Adamo / gittansi di quel lito ad una ad una, / per cenni come augel per suo richiamo» (Dante, Inferno, III, vv. 112-117). Sinalefe (dal greco sy´n, insieme, e aleípho, unisco). In metrica, la fusione della vocale finale di una parola con quella iniziale della parola successiva nel verso. Le due vocali si pronunciano distinte, ma metricamente contano come una sillaba sola. Es.: «Dolce e chiara è la notte e senza vento» (Leopardi, La sera del dì di festa, v. 1), dove la sinalefe ricorre ben tre volte. Sincronia (dal greco sy´n, insieme, e khrónos, tempo). Termine della linguistica. Una descrizione sincronica di una lingua esamina i rapporti funzionali che si istituiscono fra i vari elementi del sistema linguistico (fonemi, lessemi...) in un dato momento del suo sviluppo, prescindendo dagli stati precedenti e successivi. Si oppone all’analisi diacronica (v. diacronia), che studia invece le trasformazioni del sistema linguistico nel corso del tempo. Oltre ai sistemi linguistici, anche altri sistemi si possono studiare sincronicamente o diacronicamente: ad esempio il sistema letterario. Si può studiare la letteratura vedendo lo sviluppo di temi, generi, forme, stili ecc. in senso diacronico; ma si può operare una sezione trasversale della letteratura, studiando i rapporti tra tutti questi elementi in un dato momento della storia, in contemporanea. Ad esempio, i rapporti tra il linguaggio aulico del classicismo e il linguaggio più popolare dei romantici negli anni 1815-20 (studio sincronico del sistema letterario), oppure l’evoluzione della lingua poetica da Petrarca al Novecento (studio diacronico). Sineddoche (dal greco synekdoché, l’accogliere in sé). È la figura retorica che si ha indicando la parte per il tutto (o viceversa). Es.: «Alla poppa raminga le ritolse / l’onda incitata

dagl’inferni Dei» (Foscolo, Dei sepolcri, vv. 224225), «poppa» sta al posto di «nave». Sinestesia (dal greco sy´n, insieme, e aísthesis, sensazione). Fusione delle sensazioni; consiste nello scambiare tra loro sensazioni di carattere visivo, fonico, tattile, olfattivo; ad esempio una sensazione fonica può evocare immagini visive, una sensazione olfattiva può evocare una sensazione tattile ecc.: «Vi sono profumi freschi come carni di bimbo / dolci come oboi, verdi come praterie» (Baudelaire, Corrispondenze, vv. 9-10). Singolativa, narrazione. Nella terminologia narratologica di Genette consiste nel raccontare una volta ciò che è avvenuto una volta. Sintagma (dal greco sy´n, insieme, e tásso, ordino, dispongo). Gruppo di parole collegate fra loro da legami sintattici. Può essere un’unità anche inferiore alla proposizione. Es.: «Quei monti azzurri» (Leopardi, Le ricordanze, v. 21), «O dell’arida vita unico fiore» (Leopardi, Le ricordanze, v. 49), «All’ombra de’ cipressi» (Foscolo, Dei sepolcri, v. 1). Gli elementi di un sintagma si combinano lungo l’asse sintagmatico (v.), cioè in sequenza lineare, uno dopo l’altro. Sistema Un insieme di elementi, ciascuno dei quali ha una funzione precisa in rapporto a tutti gli altri, di modo che, se viene modificato, si determina una modificazione di tutto l’insieme. Secondo la linguistica strutturale la lingua è un sistema; anzi, ognuno dei suoi livelli (fonologico, morfologico, lessicale, sintattico, semantico) costituisce un sistema. Ad es.: si prenda il sistema vocalico del latino: a e˘ o˘ e¯ o¯ i u In alcuni dialetti settentrionali la / u / è diventata / ü / (come in francese), per cui la / o¯ / è passata al posto della / u /: a e˘ o˘ e¯ i

o¯  ü  u

Anche il testo letterario è un sistema. Ad esempio in un testo narrativo i personaggi compongono un sistema di personaggi, in cui ciascuno di essi ha significato non in sé, ma in relazione a tutti gli altri.

Renzo (Eroe) Gertrude innominato I Don Abbondio (Oppositori)

I Lucia (Eroina)

I Don Rodrigo (Avversario)

Fra Cristoforo Federigo innominato II (Aiutanti)

Sommario Nella terminologia narratologica, la narrazione in cui il tempo del discorso (v.) è minore del tempo della storia (v.): TD < TS.

Glossario Spiritualismo Tendenza filosofica che afferma la preminenza, nella realtà, della vita spirituale, in opposizione al materialismo (v.), che afferma che tutto è materia. Storia Nella terminologia narratologica, il “che cosa” viene raccontato dal discorso (v.) narrativo. Non esiste in sé, separata dal discorso che la veicola, ma solo in quanto prende forma in tale discorso: la si può ricavare dalle forme concrete del discorso solo mediante un processo di astrazione. Si può articolare, a livelli crescenti di astrazione, in intreccio (v.), fabula (v.), modello narrativo (v.). Straniamento È un procedimento artistico che consiste nel presentare una realtà nota da un punto di vista inconsueto, in modo da farla apparire “strana”, o addirittura irriconoscibile, incomprensibile. Ad esempio nel capitolo XII dei Promessi sposi il pane e la farina sparsi a terra durante la sommossa risultano irriconoscibili al campagnolo Renzo, che non sa nulla di ciò che è avvenuto. Vi può essere anche il procedimento inverso, presentare una realtà “stra-

na”, abnorme, da un punto di vista interno ad essa, che la fa apparire normale. Così ad esempio l’avarizia disumana di Mazzarò nella Roba di Verga, vista con gli occhi di un narratore interno a quel mondo contadino, appare normale, addirittura degna di ammirazione. Super io Nella terminologia freudiana è l’istanza psicologica che si fa portatrice delle norme morali e sociali, e si impone all’io come autorità. Essa si costituisce attraverso l’introiezione nella psiche delle figure dei genitori, in particolare del padre.

t Tempo della storia / tempo del discorso Il tempo della storia è il tempo in cui si svolgono i fatti narrati dalla storia. Ad esempio la prima avventura milanese di Renzo e la sua fuga verso l’Adda occupano due giorni; Renzo passa il confine alla mattina del terzo. Il tempo del discorso è il tempo im-

piegato dal discorso per narrare la storia. Mentre il tempo della storia è precisamente misurabile in ore, giorni, anni, se il testo fornisce le necessarie indicazioni, il tempo del discorso è un’entità convenzionale, non quantificabile in misura precisa. Thánatos (in greco, morte). Nella terminologia freudiana indica l’istinto di morte, in opposizione all’eros. Si manifesta con spinte aggressive, sia contro la realtà esterna sia contro il soggetto stesso, sino all’autodistruzione. Topos (in greco luogo, luogo comune). Tema, immagine letteraria ricorrente, stereotipata.

v Vs È l’abbreviazione del termine inglese (di origine latina) versus, contro. È il segno convenzionale ad indicare l’opposizione (v.).

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Indice dei nomi A Abelardo, P., 24 Agostino (sant’), 366 Alceo, 106 Aleardi, A., 335, 336, 359 Alfieri, V., 7, 12, 19, 31, 69, 118, 121, 128, 135, 136, 137, 138, 139, 140, 164, 166, 167, 202, 365, 393, 495, 496, 497, 501 Andrea da Barberino, 491 Apelle, 146, 147 Arici, C., 12 Aristotele, 374, 434 Ascoli, G., 423 Asor Rosa, A., 347 Auerbach, E., 265, 414, 415, 487 Austen, J., 198, 205, 354

B Bacchelli, R., 455 Balzac, H. de, 174, 177, 199, 206, 265, 266, 267, 272, 282-291, 304, 313, 315, 316 Baudelaire, Ch., 293, 358 Bazzoni, G. B., 353, 354 Beaumarchais, P.-A. Caron de, 284 Beccaria, C., 362 Belli, G. G., 175, 195, 200, 206, 335, 336, 347, 348-352, 359 Bembo, P., 11, 15, 195 Berchet, G., 175, 193, 200, 206, 321, 324328, 329, 332, 333, 334, 336, 337-340, 342, 359, 378 Binni, W., 17, 80, 94, 155 Black, J., 54 Blake, W., 319, 320 Boccaccio, G., 15, 195 Bolchi, S., 455 Borsieri, P., 321, 329-333, 359 Bossuet, J.-B., 379 Botta, C., 13, 15, 321 Bourdaloue, L., 379 Bruno, G., 27 Buonarroti, M., 120, 126, 127, 137, 138 Bürger, G. A., 324, 325, 328, 333, 335 Burke, E., 306, 318, 320 Burroughs, W., 99

508

Byron, G., 175, 197, 198, 205, 206, 214, 219, 244, 252-257, 267, 315, 321, 354, 453

C Cabanis, P.-J.-G., 362 Callimaco, 144, 158 Callot, J., 216 Calvino, I., 318-319 Camerini, M., 457, 468-469 Cammarano, S., 274 Canova, A., 93, 145, 146, 147, 152, 171 Cantù, C., 52 Capponi, G., 424 Caravaggio, 457 Carena, G., 424 Carrer, L., 200, 206, 335, 336 Cattaneo, C., 175, 188, 190, 205, 342 Catullo, 111, 113, 144, 145, 158 Cerruti, M., 19, 139-140 Cesari, A., 12, 15 Cesarotti, M., 18, 47, 48, 49, 50, 63, 69 Chateaubriand, F.-R. de, 181, 198, 214 Chauvet, J.-J.-V., 370, 371, 375, 376, 393, 407, 481 Chopin, F., 27 Cicerone, 76 Claudio Cieco, A., 82 Coleridge, S. T., 197, 198, 205, 208, 211, 218, 231-237, 242, 315, 317, 320, 332 Condillac, É. Bonnot de, 23 Constable, J., 184 Cooper, J. F., 174, 199, 206 Corneille, P., 371, 372, 374, 376 Cuoco, V., 3, 13, 15

D d’Alembert, J.-B., 23 Dante, 51, 69, 76, 85, 127, 138, 140, 143, 145, 159, 166, 195, 415 Daumier, H., 498 David, J.-L., 8, 16, 105 d’Azeglio, M., 201, 206, 354, 376 Defoe, D., 352 Delacroix, E., 105, 214

Della Casa, G., 111 De Marini, G., 497, 501 Democrito, 69, 140 De Sanctis, F., 202 Destutt de Tracy, A.-L.-C., 362 di Breme, L., 321, 329 Dickens, Ch., 354 Diderot, D., 23, 434, 435 Donizetti, G., 274-275 Doré, G., 234, 237 Dumas, A., padre, 199, 206 Dürer, A., 258

E Eichrodt, L., 197 Emerson, R. W., 308 Epicuro, 69, 140 Eschilo, 39, 374 Esiodo, 39

F Fauriel, C., 362, 364, 365, 369, 370, 416, 423 Fichte, J. G., 197, 205, 220 Fidia, 146, 147 Fiedler, L., 307, 308, 312 Fielding, H., 272, 352 Flaubert, G., 291, 292 Foscolo, U., 2, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9-10, 12, 13, 14, 15, 17, 18, 19, 42, 45, 47, 52, 61, 63, 64-173, 176, 202, 224, 248, 324, 342, 362, 365, 379, 392, 393, 408 Franklin, B., 56 Frare, P., 464-465 Freud, S., 99 Fubini, M., 157, 158 Füssli, H., 298

G Galilei, G., 126, 127, 137, 138 Gance, A., 75 Gautier, Th., 214 Getto, G., 120, 307

Indice dei nomi

Giansenio, C., 366 Ginsberg, A., 99 Gioberti, V., 342 Giordani, P., 12, 13, 15, 120, 321, 323, 359 Giraud, G., 497 Giuseppe Flavio, 39, 234 Giusti, G., 334, 336, 359 Godwin, W., 211, 238 Goethe, J. W., 3, 4, 5, 13, 17, 18, 27-31, 33, 36, 37, 38, 39, 61, 62, 63, 69, 163, 166, 167, 172, 173, 202, 216, 217, 219, 224231, 291, 315 Goldoni, C., 494, 497 Gonin, F., 468 Gorlier, C., 237 Goya, F., 73 Gray, Th., 18, 42-46, 61, 62, 63, 91, 120, 122, 135, 143, 213 Grimm, J. e W., 197 Gromo, M., 468 Grossi, T., 200, 206, 334, 336, 342 Guerrazzi, D., 353, 354 Guillon, A., 120, 132, 135

H Hawthorne, N., 174, 177, 199, 206, 307, 308 Hayez, F., 367, 456-457, 499 Hegel, G. W. F., 222, 223 Hemingway, E., 312 Herder, J. G., 18, 27 Hervey, J., 135 Hobbes, Th., 69, 79, 83, 86, 159, 167 Hoffmann, E. Th. A., 318, 332 Hölderlin, F., 218, 222-224, 248, 314 Hugo, V., 174, 198, 199, 206, 208, 214-217, 218, 258, 260-264, 313, 314, 333, 497, 498, 501 Hume, D., 23

I Isella, D., 344

J Jansen, C., 366 Jung, C. G., 99

K Kant, I., 38 Keats, J., 175, 198, 205, 218, 224, 238, 244248, 249, 250, 251, 252, 314, 317 Kerouac, J., 99

Klinger, F. M., 18, 61, 225 Klopstock, F. G., 51 Kussmaul, A., 197

L Lacan, J., 99 Laclos, P.-A.-F. Choderlos de, 32 La Fontaine, J. de, 280 Lamartine, A. de, 198, 206, 214 Lancetti, V., 353 Leocare, 21 Leopardi, G., 12, 38, 47, 52, 60, 85, 86, 176, 191, 200, 243, 249, 251, 276, 334, 335, 336, 347, 354, 359 Lermontov, M., 199, 206 Lessing, G. E., 224 Lewis, M. G., 306, 307 Londonio, C., 321 Longhi, R., 152 Lucrezio, 69, 114, 122, 130, 149

M Machiavelli, N., 69, 86, 126, 127, 137, 138, 140, 167, 461 Macpherson, J., 18, 47-51, 61, 62, 63, 166, 167 Mallarmé, S., 258 Mann, Th., 33-37 Manzoni, A., 5, 12, 13, 42, 144, 159, 166, 170, 175, 176, 181, 188, 189, 191, 195, 196, 200, 204, 205, 206, 208, 213, 265, 266, 272, 291, 304, 307, 329, 334, 335, 336, 342, 347, 353, 359, 360-492, 499 Manzoni, M., 467 Marchionni, C., 496 Marlowe, Ch., 224 Marx, K., 238 Masiello, V., 153-154 Massillon, J.-B., 379 Massimiano, 9 Masters, E. L., 141-143, 250 Maturin, Ch. R., 306 Mazzini, G., 176, 185, 188, 205, 340-342 Melville, H., 174, 177, 199, 206, 293, 306, 307-312, 316, 317, 320 Mengs, A. R., 20 Mercadante, S., 274 Mérimée, P., 199, 206 Migliorini, B., 423 Milton, J., 39, 51, 216, 257 Mittner, L., 39, 222, 223 Modena, G., 496, 501 Molière, 216, 217, 369, 370 Molteni, G., 457 Montale, E., 249-251

Monti, V., 2, 3, 8, 12, 15, 17, 19, 51-60, 61, 62, 63, 66, 67, 68, 123, 144, 165, 362, 365, 379, 494, 497 Moravia, A., 433-435 Moretti, F., 292, 307 Morrocchesi, A., 496, 501 Müller, F., 225 Musset, A. de, 198, 199, 206, 214

N Nerval, G. de, 198, 206, 214, 218, 219, 258260, 313, 314, 315 Newton, I., 56, 126, 127 Niccolini, G. B., 499 Nievo, I., 189, 201, 206, 292, 354, 355-358, 359 Novalis, 182, 196, 207, 208, 218, 220-222, 314, 315, 317, 320, 332

O Omero, 18, 20, 21, 22, 47, 50, 120, 130, 131, 132, 136, 137, 138, 140, 146 Orazio, 43 Ossian, 18, 27, 29, 47, 50, 52, 63, 69, 85, 123, 131 Ovidio, 9, 51, 251

P Pagnini, M., 115 Parini, G., 2, 12, 57, 66, 67, 68, 69, 70, 75, 79, 80, 81, 88, 89, 104, 120, 122, 123, 132, 133, 134, 135, 136, 137, 138, 140, 163-165, 166, 167, 170, 365, 369 Pascal, B., 366 Pausania, 128 Pellico, S., 201, 206, 321, 329, 353, 359, 499 Petito, A., 500 Petito, D., 500 Petrarca, F., 9, 10, 15, 50, 60, 69, 92, 102, 127, 138, 140, 159, 166, 195 Petronio, G., 19 Pindemonte, I., 3, 12, 17, 18, 61, 119, 121, 122, 127, 129, 132, 167 Platone, 39, 207 Plutarco, 16, 39 Poe, E. A., 174, 199, 206, 293-305, 306, 307, 316, 317, 320 Porta, C., 175, 195, 200, 206, 335, 336, 342-348, 349, 350, 359, 489-490 Povolo, C., 455 Prati, G., 334, 335, 336, 359 Praz, M., 231, 307, 318

509

Indice dei nomi

Psello, M., 234 Puškin, A., 199, 206

R Racine, J., 371, 374, 376, 393 Radcliffe, A., 306, 307 Ranieri, A., 354, 359 Riccoboni, L., 494 Richardson, S., 17, 32, 61, 352 Rimbaud, A., 258 Ripamonti, G., 447, 450, 451, 452, 453 Rivola, F., 447, 451, 453 Rosmini, A., 364, 470 Rossini, G., 274, 275, 349 Rousseau, J.-J., 13, 17, 23-27, 32, 61, 62, 63, 69, 70, 79, 153, 159, 166, 167, 178, 179, 182, 356 Rovani, G., 201, 206, 356 Russo, L., 114

S Sade, D.-A.-F. de, 306 Saffo, 106 Sainte-Beuve, Ch. A. de, 214 Sand, G., 199 Sarni, M., 466-467 Sassoli, A., 70 Schelling, F. W. J., 196, 197, 205, 208, 222, 223 Schiller, F., 18, 27, 31, 34, 38-41, 61, 62, 63, 202, 219, 220, 222, 315, 376, 453 Schlegel, A. W., 38, 176, 178, 196, 205, 208-211, 215, 220, 313, 314, 323, 333, 374, 394 Schlegel, F., 196, 208 Schleiermacher, F. D. E., 196 Scott, W., 175, 176, 198, 199, 200, 205, 258, 264, 266, 267-273, 274, 282, 304, 313, 315, 316, 359, 416, 466, 467,

510

478-480 Scudéri, M. de, 371 Serpieri, A., 237 Shakespeare, W., 18, 27, 38, 202, 323, 349, 374, 376, 394 Shelley, M., 230, 306, 319, 320 Shelley, P. B., 39, 175, 198, 205, 218, 238243, 244, 247, 252, 306, 313, 314 Sismondi, S. de, 366 Smith, A., 332 Sofocle, 374 Staël, Madame de, 38, 51, 198, 205, 321, 322-324, 333, 359 Stahl, G., 54 Stampa, S., 307 Stendhal, 176, 199, 206, 171, 174, 265, 266, 272, 276-281, 290, 291, 313, 315, 316 Sterne, L., 72, 154, 155, 166, 167, 324 Stoker, B., 306, 320 Sue, E., 199, 206

T Tacito, 79 Tasso, T., 51 Thackeray, W. M., 354 Thierry, A., 362, 395, 407 Thoreau, H. D., 308 Thorpe, R., 273 Tieck, L.,196, 208, 220 Todorov, T., 151, 305, 318, 320 Tolstoj, L., 42 Tommaseo, N., 175, 201, 206, 335, 336, 354, 359 Tondelli, P. V., 97-101 Torti, G., 329 Trissino, G. G., 195 Trovato, S. C., 348 Turner, J. M. W., 184

U Uhlman, F., 37

V Varese, C., 353, 354 Vela, V., 173 Verdi, G., 177, 202, 349, 498 Verga, G., 266 Verri, P., 471 Vestri, L., 496, 497, 501 Vico, G., 124, 153, 159, 326 Vieusseux, G. P., 175, 190 Vigny, A. de, 198, 206, 214 Virgilio, 58, 59, 76, 369 Visconti, E., 321, 329, 342 Voltaire, 23

W Wackenroder, W. H., 220 Walpole, H., 306 Weber, C. M. von, 298 Whitman, W., 308 Winckelmann, J. J., 16, 20-22, 61, 62, 63 Wordsworth, W., 42, 175, 197, 198, 205, 208, 211-213, 231, 313, 314, 315, 333

Y Young, E., 18, 61, 63, 120, 135

Indice delle rubriche e delle schede ChE COSA CI DICONO ANCORA OggI I CLASSICI Foscolo, 160 Manzoni, 474

LETTERATuRA E... Economia, 436 Scienza, 53 Società, 88, 284

LA vOCE DEL NOvECENTO “Diversità” dell’intellettuale, “normalità” del borghese: Mann riprende temi del Werther di Goethe, 33 La ricerca di un “altrove” per l’eroe e l’antieroe: l’esilio e il viaggio in Foscolo e Tondelli, 97 La funzione del sepolcro per Lee Masters e Foscolo: visione eroica e visione antieroica, 141 Il bassorilievo di Montale e l’urna greca di Keats, 249 Moravia rilegge Manzoni: la corruzione di don Abbondio e di Gertrude, 433

L’ARTE INCONTRA LA LETTERATuRA Le Tre Grazie di Foscolo e Canova, 152 I personaggi dei Promessi sposi tra pittura, teatralità e cinema, 456

LETTERATuRA E CINEMA Un “kolossal” per I promessi sposi, 468

MICROSAggI Il romanzo epistolare, 32 Il sistema dei personaggi nell’Ortis, 96 L’Antologia Palatina, 143 Origine del termine “Romanticismo”, 178 Il romanzo di formazione, 291 Il romanzo “nero”, 306 Il giansenismo, 366 Le unità aristoteliche, 374 Mescolanza e separazione degli stili, 415 Il narratore e i punti di vista dei personaggi, 463

511

Indice delle schede

DIALOghI IMMAgINARI Foscolo e Parini, 163 Manzoni e Scott, 478

PESARE LE PAROLE Abbietta (Foscolo), 83 Agguatarla (Manzoni), 426 Alla sprovveduta (Manzoni), 449 Allegare (Manzoni), 450 Allignare (Foscolo), 90 Altor (Manzoni), 383 Attuta (Manzoni), 383 Ausiliario (Manzoni), 452 Bisbetica (Manzoni), 430 Derivo (Foscolo), 106 Discernessi (Foscolo), 76 Dispensiera (Foscolo), 129 Educavano (Foscolo), 125

512

Esecrato (Foscolo), 78 Fomentata (Foscolo), 78 Incaglio (Manzoni), 459 Indigenza (Foscolo), 85 Indolenza (Foscolo), 94 Intirizzir (Manzoni), 443 Irrepugnabili (Manzoni), 448 Magagne (Manzoni), 430 Morigeratezza (Manzoni), 428 Occulti (Foscolo), 77 Ordigno (Foscolo), 78 Pertinace (Foscolo), 82 Pomposamente (Foscolo), 84

Prescrisse (Foscolo), 114 Profondere (Foscolo), 79 Prostituite (Foscolo), 76 Raccapricciare (Foscolo), 73 Ricetta (Foscolo), 127 S’appiglierebbe (Foscolo), 156 Sfrattata (Manzoni), 431 Sommessi (Manzoni), 389 Sormontati (Foscolo), 82 Trasandarsi (Manzoni), 426 Tribolati (Manzoni), 400 Venerando (Foscolo), 75

Indice delle illustrazioni » pp. 2-3 Antoine-Jean Gros, Napoleone Bonaparte arringa l’esercito prima della battaglia delle piramidi, 21 luglio 1798, 1810, olio su tela, Versailles (Francia), Château (elaborazione grafica). » p. 16 Hippolyte Flandrin, Giovane nudo seduto in riva al mare, 1836, olio su tela, part., Parigi, Musée du Louvre. » p. 33

Ritratto di Thomas Mann, XX secolo, fotografia.

» pp. 64-65 Jacques Sablet, Elegia romana o Doppio ritratto nel cimitero protestante di Roma, 1791, olio su tela, part., Brest (Francia), Musée des Beaux Arts. » p. 66 Andrea Appiani, Ritratto di Ugo Foscolo, 1801-02, olio su tela, part., Milano, Pinacoteca di Brera. » p. 68 John Schranz, La città e il porto di Zante, 1820 ca., Collezione privata (elaborazione grafica). » p. 97 Alberto Roveri, Pier Vittorio Tondelli posa vicino a una statua, 1980 ca., fotografia. » p. 119 (a sinistra) François-Xavier Fabre, Ritratto di don Luigi Grimaldi della Pietra appoggiato alla tomba della sua fidanzata, la marchesa Fanny Grimaldi, 1804, olio su tela, part., Collezione privata. » p. 119 (al centro) Spinazzi Innocenzo, Monumento funebre a Niccolò Machiavelli, 1787, part., Firenze, Basilica di Santa Croce. » p. 119 (a destra) Jean-Baptiste Auguste Leloir, Omero, 1841, olio su tela, pat., Parigi, Musée du Louvre. » p. 139 Vincent van Gogh, Natura morta con libri, 1887, olio su tela, part., Amsterdam, Van Gogh Museum. » p. 141 Edgar Lee Masters in Egitto, 1921, fotografia. » p. 163 Martin Knoller, Ritratto di Giuseppe Parini, 177580, olio su tela, part., Milano, Pinacoteca di Brera.

» pp. 174-75 Francesco Hayez, La sete dei crociati sotto Gerusalemme, 1838-50, olio su tela, Torino, Palazzo Reale (elaborazione grafica). » p. 207 Caspar David Friedrich, Viandante sul mare di nebbia, 1817 ca., olio su tela, part., Amburgo (Germania), Kunstalle. » p. 249 Ferdinando Scianna, Ritratto di Eugenio Montale, XX secolo, fotografia. » p. 321 Angelo Inganni, La facciata del Teatro alla Scala, 1852, olio su tela, part., Milano, Museo Teatrale alla Scala. » pp. 360-61 Francesco Coghetti, Una scena de I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni. Il cardinal Borromeo visita Lucia in casa del sarto, XIX secolo, olio su tela, part., Bergamo, Accademia Carrara. » pp. 362, 478 Francesco Hayez, Ritratto di Alessandro Manzoni, 1840-41, olio su tela, part., Milano, Pinacoteca di Brera. » p. 364 Veduta di Milano dalla barriera di porta Venezia, XIX secolo, incisione, Brescia, Museo Civico del Risorgimento (elaborazione grafica). » p. 414 (s.) Gerolamo Induno, Pescarenico, 1862, olio su tela, Collezione privata. » p. 414 (c.) Alessandro Guardassoni, La conversione dell’Innominato, 1856, part., olio su tela, Milano, Pinacoteca Ambrosiana. » p. 414 (d.) Nicola Cianfanelli, Episodi de I Promessi Sposi: L’incontro di Lucia con don Rodrigo, metà del XIX secolo, affresco, part., Firenze, Palazzina della Meridiana. » p. 433 Alberto Moravia a Parigi, 1989, fotografia. » p. 478 (d.) Edwin Henry Landseer, Sir Walter Scott, XIX secolo, part., olio su tela. » p. 493

Platea vista dal palcoscenico, fotografia.

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Referenze fotografiche p. 2: Leemage/Corbis; p. 8: Leemage/Corbis; p. 10: Heritage/Agf; p. 11: Foto Scala, Firenze – su concessione Ministero Beni e Attività Culturali; p. 24: Gianni Dagli Orti/Corbis; p. 28: Corbis; p. 32: Bridgeman Images/Archivi Alinari; p. 33: Corbis; p. 40: Mondadori Portfolio/Akg Images; p. 46: Bridgeman Images/Archivi Alinari; p. 54: Bridgeman Images/Archivi Alinari; p. 59: Christie’s Images, London/Scala, Firenze: p. 64: Leemage/Corbis; p. 83: De Agostini Picture Library/Scala, Firenze; p. 89: Mondadori Portfolio/Getty Images; p. 93: Lessing Archive/Contrasto; p. 97: Mondadori/Alberto Roveri; p. 105: RMN-Grand Palais (Musée du Louvre)/Gérard Blot; p. 108: Fine Art Images/Heritage Images/Getty Images; p. 113: Liszt Collection/TopFoto/ Archivi Alinari; p. 115: Newport Museum and Art Gallery/Bridgeman Images/Archivi Alinari; p. 119 (a sinistra): Christie’s Images/ Corbis; p. 119 (al centro): Maria Alessandra Montagnani; p. 119 (a destra): Leemage/Corbis; p. 120: Leemage/Corbis; p. 139: Corbis; p. 141: Bettmann/Corbis; p. 149: The Maas Gallery, London/Bridgeman Images/Archivi Alinari; p. 152: Araldo De Luca/ Corbis; p. 155: National Trust Photographic Library/Bridgeman Images/Archivi Alinari; p. 161: Franklin McMahon/Corbis; p. 173: Mondadori Portfolio; p. 174: DeAgostini/Getty Images; p. 179: Leemage/Corbis; p. 184: Tate, London/Foto Scala, Firenze; p. 187: Lessing Archive/Contrasto; p. 190: Fototeca Gilardi; p. 193: DeAgostini/Getty Images; p. 197: Mondadori Portfolio/ The Art Archive; p. 209: DeAgostini/Getty Images; p. 212: Heritage Images/Corbis; p. 214: Leemage/Corbis; p. 221: Christie’s Images/Corbis; p. 222: Rue Des Archives/Agf; p. 229: Per gentile concessione dei Trustees della Wallace Collection, Londra/ Scala, Firenze; p. 234: Corbis; p. 238: Christie’s Images/Corbis; p. 241: Alfredo Dagli Orti/The Art Archive/Corbis; p. 244: Heritage/ Agf; p. 248: Bridgeman Images/Archivi Alinari; p. 249: Ferdinando Scianna/Magnum Photo/Contrasto; p. 252: Gianni Dagli Orti/ Corbis; p. 265: Alfredo Dagli Orti/The Art Archive/Corbis; p. 271: Christie’s Images/Corbis; p. 278: Rue Des Archives/Agf; p. 290: Christie’s Images/Corbis; p. 295: Lebrecht/Contrasto; p. 310: Lebrecht/Contrasto; p. 319 (s.): Heritage Images/Corbis; p. 319 (d.): Christie’s Images/Corbis; p. 319 (in basso): Lessing Images/Contrasto; p. 321: Leemage/Corbis; p. 322: Lessing Images/Contrasto; p. 327: DeAgostini/Getty Images; p. 329: Leemage/Corbis; p. 341: Leemage/Corbis; p. 344: De Agostini/Getty Images; p. 350: Leemage/Corbis; p. 355: White Images/Scala, Firenze; p. 360: Gianni Dagli Orti/The Art Archive/Mondadori Portfolio; p. 364: A. De Gregorio/ De Agostini/ Contrasto; p. 372: Photo Josse/Scala, Firenze; p. 381: White Images /Scala, Firenze; p. 388: RMN-Grand Palais (Musée des Châteaux de Malmaison et de Bois-Préau) / Yann Martin/ Alinari; p. 394: A. Dagli Orti/ De Agostini/Contrasto; p. 397: Foto Scala, Firenze; p. 414 (s.) : De Agostini Picture Library/Contrasto; p. 414 (c.): Veneranda Biblioteca Ambrosiana / De Agostini Picture Library/Scala, Firenze; p. 418: De Agostini Picture Library/Contrasto; p. 433: Sophie Bassouls/Sygma/Corbis; p. 457: De Agostini Picture Library/Scala, Firenze; p. 468: Webphoto; p. 469: Webphoto; p. 472: Ali Meyer/Corbis; p. 475: Foto Art Resource/Bob Schalkwijk/Scala, Firenze; p. 477: Foto Scala, Firenze/bpk, Bildagentur fuer Kunst, Kultur und Geschichte, Berlin; p. 478: The Print Collector/Corbis; p. 492: Heritage Images/Corbis; p. 493: Moodboard/Corbis

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