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MARIALUCE BONGIOVANNI
Costituzione Cittadinanza Comunità GUIDA ALL’EDUCAZIONE CIVICA CON PROVE PER L’ESAME DI STATO
EDITORI LATERZA
MARIALUCE BONGIOVANNI
Costituzione Cittadinanza Comunità GUIDA ALL’EDUCAZIONE CIVICA CON PROVE PER L’ESAME DI STATO
EDITORI LATERZA
© 2020, Gius. Laterza & Figli, Bari-Roma Prima edizione 2020
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Copertina e progetto grafico a cura di Silvia Placidi/Grafica Punto Print srl.
Questo libro è stampato su carta amica delle foreste. Finito di stampare nel gennaio 2020 da Sedit 4.zero srl - Bari (Italy) per conto della Gius. Laterza & Figli Spa ISBN 978-88-421-1743-8 Editori Laterza Piazza Umberto I, 54 70121 Bari e-mail: [email protected] http://www.laterza.it
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PREFAZIONE
Le profonde modificazioni economiche, sociali e culturali degli ultimi anni, solidalmente alla crescente necessità di sostenere i giovani nell’acquisizione di pratiche indispensabili ad assicurare loro resilienza e capacità di adattamento, sono la base della Raccomandazione UE 2018 volta a promuovere nuove competenze chiave. Nel rimarcare la necessità di costruire una forte interrelazione tra forme di apprendimento formale, non formale e informale, le 8 competenze chiave UE evidenziano anche la necessità che le istituzioni scolastiche, in armonia con le famiglie, promuovano, nei giovani, stili di vita sostenibili e consapevolezza dei diritti umani, della parità di genere, della solidarietà e dell’inclusione, della cultura non violenta, della diversità culturale, della cittadinanza globale. In questo quadro assumono rilievo i comportamenti – individuali e collettivi – improntati a una cittadinanza consapevole non solo dei diritti, dei doveri e delle regole di convivenza di una comunità, ma anche delle sfide del presente e dell’immediato futuro; la competenza di cittadinanza si riferisce proprio «alla capacità di agire da cittadini responsabili e di partecipare pienamente alla vita civica e sociale, in base alla comprensione delle strutture e dei concetti sociali, economici, giuridici e politici oltre che dell’evoluzione a livello globale e della sostenibilità». Inoltre, a seguito della legge n. 92 del 2019, che reintroduce l’insegnamento dell’educazione civica in tutti gli ordini di scuola, la conoscenza della Carta costituzionale nei suoi princìpi e contenuti è prioritaria per acquisire consapevolezza delle principali norme che governano la quotidiana convivenza, dei diritti e dei doveri delle persone e dei cittadini, delle organizzazioni sociali e delle istituzioni, in quanto consente di «sviluppare competenze ispirate ai valori della responsabilità, della legalità, della partecipazione e della solidarietà». Finalità generale di Costituzione Cittadinanza Comunità è fornire un contributo alla programmazione didattica delle attività volte a realizzare la missione tradizionale della scuola, quella della formazione globale del cittadino. Alla base, anche nel rispetto della legge n. 92 del 2019, vi è l’educazione della persona e del cittadino autonomo e responsabile che – a partire dal paradigma proprio dell’inclusione – raccolga le sfide del terzo millennio: cittadinanza digitale, lavoro, sviluppo sostenibile.
PREFAZIONE
III
Il testo è strutturato in: • Lezioni tematiche per lo sviluppo della conoscenza e della comprensione delle strutture e dei profili sociali, economici, giuridici, civici e ambientali della società; • Guide allo studio che, poste alla fine di ogni Lezione – attraverso domande mirate –, hanno il fine di far riflettere gli studenti sui nodi essenziali della tematica; • Verso l’Esame di Stato, sezioni poste alla fine di ogni Parte e ideate per la preparazione all’Esame di Stato attraverso simulazioni di prove scritte e colloquio. In Appendice, il testo della Costituzione della Repubblica italiana è lo strumento di riferimento principale per consentire agli studenti anche l’utilizzo di fonti dirette da cui discendono le principali norme del nostro vivere civile. Marialuce Bongiovanni
IV
PREFAZIONE
INDICE DEL VOLUME PARTE 1 I VALORI DELLA DEMOCRAZIA LEZIONE 1 IL VALORE DELLA LEGALITÀ
2
LEZIONE 3 UGUAGLIANZA E LIBERTÀ
22
1 Una tutela per tutti
2
1 Uguaglianza formale e uguaglianza sostanziale
22
4
2 Libertà negativa e libertà positiva GUIDAALLOSTUDIO
27
LEZIONE 4 LA CITTADINANZA
28
1 Essere cittadini
28
2 Acquisizione della cittadinanza GUIDAALLOSTUDIO
32
2 Regole sottoposte a sanzione: i caratteri della norma giuridica 3 L’evoluzione delle norme giuridiche nel tempo GUIDAALLOSTUDIO
11
LEZIONE 2 DEMOCRAZIA, DIRITTI, DOVERI
12
1 Che cosa è la democrazia
12
2 Democrazia e riconoscimento dei diritti
13
3 Democrazia e assolvimento dei doveri GUIDAALLOSTUDIO
19
8
25
29
33
VERSOL’ESAMEDISTATO
21
PARTE 2 STATO E COSTITUZIONE LEZIONE 1 LO STATO MODERNO: CARATTERISTICHE ED ELEMENTI
36
LEZIONE 3 LA COSTITUZIONE E I POTERI DELLO STATO DEMOCRATICO
46
1 Il concetto di Stato è tipicamente moderno GUIDAALLOSTUDIO
36
1 La Costituzione
46
40
2 I poteri e le funzioni dello Stato GUIDAALLOSTUDIO
50
LEZIONE 2 FORME DI STATO E FORME DI GOVERNO
41
1 Le forme dello Stato
41
2 Le forme di governo GUIDAALLOSTUDIO
45
47
51
VERSOL’ESAMEDISTATO
44
PARTE 3 LA COSTITUZIONE ITALIANA: PRINCÌPI, DIRITTI E DOVERI LEZIONE 1 STORIA DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
56
LEZIONE 2 I PRINCÌPI FONDAMENTALI DELLO STATO ITALIANO
62
1 L’Unità d’Italia e la monarchia costituzionale
56
1 L’Italia è una repubblica democratica (art. 1)
63
2 Il periodo fascista
57
3 Dalla Monarchia alla Repubblica
58
2 La centralità della persona e delle formazioni sociali (art. 2)
65
4 I caratteri e i fondamenti della Costituzione italiana GUIDAALLOSTUDIO
59
3 L’Italia è uno Stato egualitario (art. 3)
66
4 La centralità del lavoro (art. 4)
68
61
INDICE DEL VOLUME
V
5 Il decentramento territoriale (art. 5)
70
LEZIONE 3 DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI
82
6 La tutela delle minoranze linguistiche (art. 6)
71
1 I diritti civili
82
7 Lo Stato, la Chiesa cattolica e le altre confessioni (artt. 7-8)
73
2 I diritti etico-sociali. Famiglia, salute, scuola
86
8 La tutela del patrimonio culturale e ambientale (art. 9)
3 I diritti economici
88
75
4 I diritti politici
90
9 La comunità internazionale e i diritti degli stranieri (artt. 10-11)
76
5 I doveri dei cittadini GUIDAALLOSTUDIO
95
10 La bandiera e l’inno nazionale (art. 12) GUIDAALLOSTUDIO
81
78
VERSOL’ESAMEDISTATO
93
96
PARTE 4 L’ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA ITALIANA LEZIONE 1 GLI ORGANI COSTITUZIONALI
100
1 Il Parlamento: struttura, organizzazione, funzioni
100
2 Il Parlamento: funzione legislativa
105
3 La Presidenza della Repubblica
107
4 Il Governo
110
5 La Magistratura
113
6 Organi di rilievo costituzionale GUIDAALLOSTUDIO
119
LEZIONE 2 L’ORDINAMENTO AMMINISTRATIVO
120
1 La pubblica amministrazione
120
2 Gli enti pubblici territoriali GUIDAALLOSTUDIO
129
VERSOL’ESAMEDISTATO
123
130
117
PARTE 5 LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE LEZIONE 1 L’UNIONE EUROPEA
134
4 Il sistema ONU
156
1 Il processo di integrazione europea
134
2 Le istituzioni dell’Unione europea
137
5 La protezione dei diritti dell’uomo GUIDAALLOSTUDIO
160
3 Il mercato unico europeo
140
4 L’unione economica e monetaria
142
5 La cittadinanza europea: i nuovi diritti
144
LEZIONE 3 LE ALTRE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI GOVERNATIVE E LE ONG
161
6 Il diritto d’asilo
147
1 La NATO
161
2 Fondo monetario internazionale (FMI)
162
3 La Banca mondiale (BM)
162
4 OCSE
163
5 Organizzazioni internazionali non governative GUIDAALLOSTUDIO
165
GUIDAALLOSTUDIO
VI
149
LEZIONE 2 L’ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE
150
1 Il sistema delle organizzazioni nazionali
150
2 L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU)
151
3 Gli organi delle Nazioni Unite
153
INDICE DEL VOLUME
VERSOL’ESAMEDISTATO
157
164
166
PARTE 6 CITTADINI E LAVORO OGGI LEZIONE 1 IL LAVORO E LE SUE TUTELE
170
LEZIONE 2 IL MERCATO DEL LAVORO OGGI
184
1 Il lavoro nella Costituzione
170
1 Domanda e offerta di lavoro
184
2 Forme e rapporti di lavoro
172
2 Teorie economiche sul mercato del lavoro GUIDAALLOSTUDIO
195
3 Diritti e doveri dei lavoratori subordinati
175
4 L’ordinamento del lavoro
180
5 Le riforme del diritto del lavoro GUIDAALLOSTUDIO
183
192
196
VERSOL’ESAMEDISTATO
182
PARTE 7 CITTADINI E AMBIENTE LEZIONE 1 «TRASFORMARE IL NOSTRO MONDO.» L’AGENDA PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE
LEZIONE 2 LA TUTELA GIURIDICA DELL’AMBIENTE 200
217
1 Gli obiettivi dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile
1 La tutela dell’ambiente e del paesaggio nell’ordinamento italiano
217
200
2 La politica ambientale dell’Unione europea
221
2 Sviluppo tradizionale e sviluppo sostenibile
202
3 L’ambiente come risorsa
205
3 La tutela internazionale dell’ambiente GUIDAALLOSTUDIO
226
4 Il consumo responsabile
208
5 L’economia circolare
211
6 Lo smaltimento dei rifiuti e la raccolta differenziata GUIDAALLOSTUDIO
216
223
227
VERSOL’ESAMEDISTATO
213
PARTE 8 CITTADINI E MONDO DIGITALE LEZIONE 1 LE COMPETENZE CHIAVE NELLA SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA E DELL’INFORMAZIONE
230
1 Società della conoscenza e dell’informazione
230
2 Nuovi saperi e nuove competenze GUIDAALLOSTUDIO
232
3 I doveri del cittadino digitale GUIDAALLOSTUDIO
243
LEZIONE 3 L’IDENTITÀ DIGITALE
244
1 Proteggere i propri dati personali
244
234
2 Proteggersi dalle insidie della Rete
248
LEZIONE 2 LA COMPETENZA DIGITALE
235
3 Gestire le informazioni reperibili in Rete GUIDAALLOSTUDIO
255
1 Globalizzazione e divario digitale
235
2 I diritti del cittadino digitale
238
APPENDICE COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
259
241
253
256
VERSOL’ESAMEDISTATO
INDICE DEL VOLUME
VII
Il valore della legalità Lezione 2. Democrazia, diritti, doveri Lezione 3. Uguaglianza e libertà Lezione 4. La cittadinanza Lezione 1.
Verso l’Esame di Stato
1
PARTE
I VALORI DELLA DEMOCRAZIA
LEZIONE 1 IL VALORE DELLA LEGALITÀ
Aristotele, famoso filosofo greco del IV secolo a.C., diceva che l’uomo è un «animale politico» e in quanto tale è portato per natura a unirsi ai propri simili per formare delle comunità. La convivenza è dunque molto importante per tutti gli uomini, i quali per vivere in armonia hanno bisogno di regole. Le regole, infatti, sono una forma di tutela per tutti. Le regole consentono una vita sociale ordinata e pacifica, tutelano gli interessi dei cittadini e, nello stesso tempo, impediscono che si verifichino violenze e sopraffazioni. Quando queste regole sono imposte dallo Stato sono anche obbligatorie, tanto che sono previste delle sanzioni per chi non le rispetta. È sempre di Aristotele l’affermazione che «ogni Stato è una comunità e ogni comunità si costituisce in vista di un bene».
1
Una tutela per tutti La società in cui viviamo è frutto di scelte complesse e di rapporti tra gli individui: in essa un insieme di regole di comportamento garantisce che la vita scorra pacificamente. Tutti gli individui, seppur con ruoli differenti, ne sono parte attiva e contribuiscono, con il loro comportamento, a determinarne il funzionamento. Ognuno, infatti, quotidianamente compie atti che ricadono sulla società e sui suoi membri; ognuno, inoltre, ha obiettivi e interessi diversi che potrebbero entrare in conflitto con quelli di altri. Per tale ragione è importante che si agisca nel rispetto delle regole. Il rispetto delle regole conviene in quanto serve sia ad evitare effetti dannosi per sé e per gli altri, sia a causare effetti positivi: solo seguendo le regole si può vivere serenamente insieme. Le regole sono dunque una forma di tutela per tutti; di fronte alle regole tutti sono uguali e l’esistenza può procedere tranquilla sui binari della pacifica convivenza sociale. Un paese senza regole, infatti, sarebbe abbandonato alla violenza e alla sopraffazione. La funzione sociale delle regole è quindi soddisfare un importante bisogno umano, quello della sicurezza, garantendo ai membri della società dei diritti quali, per esempio, la tran-
2
PARTE 1_I valori della democrazia
quillità e la certezza della propria persona e del proprio patrimonio; in cambio, essi hanno contratto degli obblighi, cioè dei doveri, e limitato in parte la loro libertà. I diritti sono l’insieme delle esigenze che ogni membro della società chiede a essa di soddisfare per la piena espressione della propria persona e della propria sicurezza. I doveri sono l’insieme delle prestazioni che ogni membro della società liberamente accetta di fornire alla stessa in cambio del riconoscimento di alcuni diritti. I diritti e i doveri rappresentano una condizione fondamentale della società e sono conseguenza di alcune regole di comportamento che gli associati devono osservare. Quando tali regole sono predisposte da un’autorità riconosciuta e dotata del potere e dei mezzi per imporla e farla rispettare, cioè lo Stato, esse vengono definite norme giuridiche►. Giuridico L’aggettivo “giuridico” è adoperato al posto del sostantivo “diritto”; con esso quindi s’intende dire “del diritto”. La norma giuridica, pertanto, equivale a “norma del diritto” e nasce da una legge.
Le norme giuridiche sono regole che discendono da una legge; il diritto di uno Stato è quindi costituito dall’insieme delle norme giuridiche. Conoscere i concetti basilari su cui si fonda la legge e osservare le norme giuridiche garantisce il rispetto della propria persona e dei propri beni e permette di agire correttamente e responsabilmente; infatti ognuno di noi deve essere in grado di realizzare le proprie aspirazioni senza danneggiare gli altri e conciliare la propria libertà con quella altrui.
VITA QUOTIDIANA
Nella giungla l’aggressione di una gazzella da parte di un leone è un atto naturale; nonostante un’istintiva pietà per la gazzella, non si può certo biasimare il leone o accusarlo di aver commesso un crimine e comminargli una punizione. Nella nostra società – differentemente dalla giungla – esistono regole che limitano l’uso della forza e fanno vivere tutti più sicuri. È il diritto, inteso come insieme di norme, che – riconoscendo ad ognuno dei diritti e gli strumenti per farli valere – di fatto fornisce a tutti i membri della società gli strumenti adeguati di protezione e tutela. Per comprendere la concretezza di tale ragionamento, basta pensare ad una delle tante regole che osserviamo quotidianamente quando circoliamo per la strada con un qualunque
mezzo; tutti sappiamo che esiste la regola, secondo la quale ad un incrocio con semaforo bisogna passare solo con il verde; se infrangiamo la regola, passando con il rosso, rischiamo un incidente con la possibile conseguenza di fare del male a noi stessi e alle altre persone o cose coinvolte. Così, se sfortunatamente una persona si trova coinvolta in un incidente stradale, avrà una norma giuridica di riferimento che stabilirà i torti e le ragioni. Vivere oggi senza regole sarebbe, quindi, impensabile, a meno di vivere in un totale disordine e con conseguenze molto gravi: si finirebbe, infatti, per vivere in una situazione in cui la mancanza di regole certe e uguali per tutti farebbe emergere la prepotenza e l’arroganza di alcuni.
Lezione 1 Il valore della legalità
3
2
Regole sottoposte a sanzione: i caratteri della norma giuridica Le regole di comportamento sono indicazioni che spesso contengono comandi o divieti, ma non tutte sono norme giuridiche. Bisogna infatti distinguere tra norme giuridiche e norme sociali. Si definiscono norme sociali le regole di comportamento, indispensabili per mantenere rapporti umani civili e corretti tra i membri della società, ma che non sono obbligatorie: se inosservate, infatti, non sono condannate e punite dalle autorità. La principale differenza tra ciò che si definisce norma sociale e quella che abbiamo definito norma giuridica sta dunque nella non obbligatorietà e non punibilità da parte delle autorità della prima. In altre parole, molte tra le regole che si applicano nei rapporti umani sono norme di lealtà e correttezza (tenere fede a un patto), di buona educazione (salutare chi si conosce), di solidarietà (far sedere gli anziani in autobus), morali (non tradire la fiducia di un amico). La loro osservanza è legata, essenzialmente, alla coscienza di ciascuno e al proprio modo di entrare in rapporto con gli altri. Le norme sociali, quindi, sono regole che non si trovano scritte in alcuna legge, ma che costituiscono forme di educazione indispensabili nella società; le cosiddette “buone maniere”, non sono, infatti, regole superate quanto, piuttosto, regole generali di comportamento che riconoscono valore all’altro, alle sue idee, ai suoi sentimenti, alle sue condizioni. Al contrario di ciò che accade per le norme sociali, chi non osserva una norma giuridica è punibile con una sanzione stabilita dallo Stato. Regole senza sanzione, da sole, non potrebbero garantire l’ordine sociale, che è il fine delle norme giuridiche. FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Il garante per l’infanzia e l’adolescenza Nell’ottica di tutelare e promuovere i diritti delle persone di minore età, proclamati a livello internazionale dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, l’Italia ha istituito nel 2011 l’Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza le cui competenze sono: ascolto e partecipazione, promozione e sensibilizzazione, collaborazione, elaborazione di proposte, pareri e raccomandazioni. L’Autorità agisce innanzitutto per promuovere l’attuazione della Convenzione e degli altri strumenti internazionali in materia. Numerosi progetti sono volti, in particolare, ad assicurare la conoscenza da parte dei bambini e dei ragazzi dei propri diritti e
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PARTE 1_I valori della democrazia
la consapevolezza di esserne pienamente titolari. In un’ottica di collaborazione, l’Autorità segnala al Governo, alle Regioni o agli enti interessati, negli ambiti di rispettiva competenza, le iniziative opportune per assicurare la piena promozione e tutela dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. L’Autorità assicura inoltre forme idonee di consultazione, comprese quelle delle persone di minore età e quelle delle associazioni familiari, mettendo a disposizione le proprie competenze e la propria professionalità. In un simile contesto, l’Autorità presenta in Parlamento, annualmente, una relazione sull’attività svolta.
La sanzione è una misura predisposta dallo Stato per rafforzare l’osservanza delle norme giuridiche e per prevenire ogni possibile violazione delle stesse; rappresenta una risposta dell’organizzazione sociale ad un comportamento non rispettoso della norma. In generale, consiste nella limitazione di diritti o nell’imposizione di obblighi. La sanzione è imposta al soggetto responsabile di un illecito concretamente accertato, dall’autorità che ne ha il potere che è, come vedremo, un giudice o un organo della pubblica amministrazione come, ad esempio, un sindaco. Nell’ordinamento italiano la sanzione può avere funzioni differenti: ► funzione punitiva, se finalizzata a punire il comportamento di coloro che violano le norme giuridiche; ► funzione preventiva, se mira a scoraggiare la violazione delle norme giuridiche. La certezza o, almeno, un’adeguata probabilità della sua applicazione ha l’effetto di indurre la maggior parte dei soggetti cui è destinata a evitarla, astenendosi dal comportamento illecito; ► funzione riparatrice, se obbliga colui che ha violato una norma a ripararne le conseguenze. Nell’ordinamento italiano, l’art. 2043 del Codice civile (il complesso delle norme che concernono il diritto civile, la parte del diritto che ha per oggetto lo stato delle persone e i loro beni) individua, quale sanzione risarcitoria, l’obbligo di risarcire il danno ingiusto causato per colpa (quando il danno è causato da comportamenti di negligenza, imperizia, ecc.) o dolo (quando il danno è stato causato volutamente attraverso comportamenti illeciti). Le sanzioni possono essere penali (hanno una funzione prevalentemente punitiva come la restrizione della libertà personale per un periodo di tempo più o meno lungo, o il pagamento di una multa o di un’ammenda), civili (consistono, generalmente, nella riparazione del danno causato: hanno quindi una funzione riparatoria come obbligare chi non salda un debito a paVITA QUOTIDIANA
Un sindaco è l’organo responsabile dell’amministrazione di un Comune che, al fine di prevenire ed eliminare pericoli in grado di minacciare l’incolumità dei cittadini, può emanare provvedimenti – detti “ordinanze” – per imporre comportamenti in osservanza di norme giuridiche; in essi solitamente viene indicata anche la sanzione corrispondente. È il caso, ad esempio, di un’ordinanza emanata per tutelare l’igiene pubblica e contrastare il degrado urbano come quella di seguito nella quale il sindaco: «[...] Valutato di garantire una maggiore igiene dell’area urbana ed una più sicura circolazione per i cittadini; [...] Ritenuto opportuno prevedere che i proprietari dei cani o le persone incaricate della loro conduzione
siano muniti di apposite palette, sacchetti di plastica o qualsiasi altro strumento idoneo alla raccolta delle deiezioni canine, onde poter rimuovere gli escrementi; [...] ORDINA ai proprietari dei cani o di altri animali: di evitare che gli animali sporchino le strade, i marciapiedi, i percorsi pedonali in genere e le aree attrezzate a verde. Qualora ciò avvenisse gli stessi devono raccogliere le deiezioni con apposite attrezzature al fine della tutela della salute ed igiene pubblica; [...] INCARICA di fare rispettare la presente ordinanza, infliggendo la relativa sanzione, il Comando di Polizia Locale, e le altre forze di Polizia all’uopo incaricate [...]».
Lezione 1 Il valore della legalità
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gare anche mediante la vendita forzata dei propri beni e a risarcire il danno causato) e amministrative (riservate agli aspetti della vita sociale su cui vi è il controllo della pubblica amministrazione, come nel caso del licenziamento per il pubblico dipendente che commette gravi mancanze o il ritiro della licenza commerciale per il ristoratore che non rispetti le norme sull’igiene). Definito il concetto di sanzione, è possibile completare la definizione di norma giuridica indicandone anche gli elementi che la contraddistinguono. La norma giuridica è una regola di comportamento imposta dallo Stato al fine di disciplinare l’organizzazione della vita della collettività. Essa è: ► generale perché si rivolge a tutti e non a un singolo individuo; ► astratta perché ipotizza un caso possibile e non uno concreto; ► obbligatoria perché tutti sono tenuti a osservarla, pena la sanzione;
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Legalità e lotta alle mafie La cultura della legalità si fonda sulla coscienza di due princìpi essenziali, quello del “diritto” e quello del “dovere”, nel nome di un interesse superiore: la collettività. Buona parte dei problemi che minacciano la convivenza pacifica, infatti, sono attribuibili non solo a fattori economici, naturali, storici, ma anche a decisioni nella sfera pubblica che trascurano l’interesse della collettività per privilegiare interessi particolari. Il principio di legalità in democrazia rappresenta un mezzo di prevenzione a questi rischi. Avere il senso della legalità facilita la partecipazione responsabile alla vita sociale, consente l’elaborazione del diritto come espressione del patto sociale, potenzia la percezione del valore dell’interesse comune. Conoscere la natura e la funzione delle regole nella vita sociale, i valori della democrazia, l’esercizio dei diritti di cittadinanza consente lo sviluppo della cultura dei valori civili. L’acquisizione di una nozione più profonda dei diritti di cittadinanza, partendo dalla consapevolezza della reciprocità fra soggetti dotati della stessa dignità, aiuta anche a comprendere come l’organizzazione della vita personale e sociale si fondi su un sistema di relazioni giuridiche basato su valori quali libertà, solidarietà, sicurezza; valori che – una volta conquistati – devono essere protetti. Il rispetto della legalità, oltre che costituire una premessa culturale indispensabile, si pone come un sostegno operativo quotidiano, perché
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PARTE 1_I valori della democrazia
solo un’azione di lotta radicata saldamente nelle coscienze e nella cultura di tutti, può rappresentare una valida risposta all’incalzare del fenomeno criminale. Il rispetto delle regole rappresenta la base della democrazia; al contrario, laddove prosperano criminalità e corruzione soccombono meritocrazia e prospettive di realizzazione. La percezione di una minaccia al sistema democratico, conseguente alle stragi di mafia di Capaci e via D’Amelio, che nel 1992 causarono la morte dei giudici Falcone e Borsellino, indusse a un nuovo impulso nella promozione della cultura democratica come mezzo di contrasto al fenomeno mafioso, permeato della cultura della prevaricazione e della violenza, tendenzialmente totalitaria. L’educazione alla legalità prende corpo anche nelle scuole a partire dalla conoscenza del fenomeno mafioso: «La lotta alla mafia rappresenta, oltre che un’occasione specifica di traduzione in termini concreti dell’educazione alla legalità, anche una verifica operativa di un processo formativo che è destinato a creare, in tutti i cittadini, una forte cultura civile e ad inserire nel circuito democratico persone sempre più coscienti dell’importanza che, per la vita del Paese, rivestono la correttezza dei rapporti giuridici, la salvaguardia dei diritti individuali, il rifiuto di qualsiasi forma di contiguità tra società del diritto e società della sopraffazione» (circ. MIUR 302/1993).
► bilaterale perché, da un lato, impone un comportamento e, dall’altro, tutela un interesse. Facciamo un esempio per comprendere meglio i caratteri di una norma giuridica: in base all’art. 624 del Codice penale: «Chiunque si impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da centocinquantaquattro euro a cinquecentosedici euro. Agli effetti della legge penale, si considera cosa mobile anche l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore economico [...]». Dall’analisi di questo articolo comprendiamo che la norma giuridica è: ► generale (Chiunque...); ► astratta (parla di cosa mobile senza alcuna specificazione, consen-
Per rispondere al carattere organizzato della criminalità occorre un impegno assunto da tutti e su tutti i fronti con decisione e responsabilità. In Italia, la principale organizzazione è Libera, Associazioni, nomi e numeri contro le mafie, una rete di soggetti diversi (associazioni, cooperative sociali, movimenti e gruppi, scuole, sindacati, diocesi e parrocchie, gruppi scout) coinvolti in un impegno contro le mafie, la corruzione, i fenomeni di criminalità e chi li alimenta, ma anche per la giustizia sociale, la ricerca di verità, la tutela dei diritti, una politica trasparente, una legalità democratica fondata sull’uguaglianza, una memoria viva e condivisa, una cittadinanza all’altezza dello spirito e delle speranze della Costituzione. Per Libera è importante mantenere vivo il ricordo e la memoria delle vittime innocenti delle mafie grazie alla testimonianza dei loro familiari impegnati, ogni 21 marzo, primo giorno di primavera, nella Giornata della Memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Libera ha promosso anche il riutilizzo sociale dei beni confiscati alle mafie. Grazie alla legge 109/96, che rende la società civile protagonista della lotta alle
mafie, attraverso la possibilità di riappropriarsi di spazi e crearne di nuovi, Libera ha dato vita a una rete per moltiplicare le occasioni di interazione tra soggetti pubblici (Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, Regioni, nuclei di supporto presso le Prefetture e gli enti locali destinatari dei beni) e organizzazioni del terzo settore (associazioni, cooperative sociali e consorzi di cooperative, fondazioni) al fine di promuovere interventi utili a gestire i beni confiscati alla criminalità organizzata e innescare processi di sviluppo locale e di coesione sociale. I principali beneficiari delle attività progettuali sono le organizzazioni di volontariato o della cooperazione, che gestiscono o intendono gestire beni confiscati, nonché i soggetti pubblici direttamente o indirettamente coinvolti nel processo di destinazione e assegnazione, e i cittadini che possono attivare processi di monitoraggio civico e di progettazione partecipata.
Lezione 1 Il valore della legalità
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tendo di comprendere tutti i beni, dalla pelliccia all’automobile, ai gioielli, all’energia elettrica, ecc.); ► obbligatoria (è punito con...); ► bilaterale, perché da un lato impone un comportamento (quello di non appropriarsi di ciò che appartiene ad altri) e, dall’altro, tutela un interesse (quello di chi, avendo subìto un furto, può appellarsi alla norma per chiedere che venga punito il comportamento di chi ha violato tale norma). È importante non confondere il concetto di norma con quello di legge, che è un atto formato da un insieme di norme giuridiche: l’insieme di regole che assicurano l’ordine in una società, rappresentandone il diritto.
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L’evoluzione delle norme giuridiche nel tempo Il cammino per giungere all’attuale concetto di norma giuridica è stato lungo. Nelle prime società umane, le regole erano trasmesse per tradizione orale e trovavano origine nel comportamento di un gruppo sociale che, ripetuto nel tempo, diventava obbligatorio (norme consuetudinarie). È con
I RAMI DEL DIRITTO DIRITTO ECCLESIASTICO
norme che regolano i rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose
DIRITTO AMMINISTRATIVO
norme che regolano l’attività amministrativa dello Stato
DIRITTO PUBBLICO complesso delle norme che regolano l’organizzazione, il funzionamento e l’esercizio dei poteri dello Stato DIRITTO PENALE
norme che regolano la definizione, la prevenzione e la punizione dei reati
DIRITTO COSTITUZIONALE
norme che regolano l’ordinamento e la forma di Stato, i diritti e i doveri del cittadino e dello Stato
DIRITTO PROCESSUALE PENALE E CIVILE
norme che regolano il processo penale e il processo civile nei diversi gradi
DIRITTO PRIVATO complesso delle norme che regolano i rapporti tra i cittadini e tra questi e lo Stato quando si comporta come un privato DIRITTO CIVILE
norme che regolano i rapporti tra gli uomini all’interno della famiglia e della società, come privati cittadini
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PARTE 1_I valori della democrazia
DIRITTO COMMERCIALE
DIRITTO DELLA NAVIGAZIONE
norme che regolano i rapporti sociali in materia di imprese, società, titoli di credito
norme che regolano i rapporti che sorgono dai traffici e dai viaggi per mare e per aria
l’avvento delle società più complesse che nasce l’esigenza di regole sociali, in grado di garantire l’uniformità dei comportamenti e il mantenimento dell’equilibrio sociale. Le tappe storiche che segnano l’evoluzione delle norme riguardano due aspetti: ► il passaggio dalle norme consuetudinarie a quelle scritte che sancisce il principio della certezza delle norme, cioè la sicurezza che i comportamenti saranno giudicati secondo quanto è scritto nelle leggi; ► il processo di codificazione, avviatosi a partire dalla seconda metà del XVII secolo, attraverso cui si giunse all’elaborazione di norme basate sul riconoscimento dei princìpi dell’uguaglianza formale, della libera iniziativa privata e della proprietà privata; progressivamente la legge diventa uguale per tutti e le norme vengono raccolte in codici , sistemi di leggi completi e organici, volti a disciplinare in maniera razionale un determinato ramo del diritto. La codificazione affonda le proprie radici nella tradizione del diritto romano ed è in uso soprattutto nei paesi dell’Europa continentale e dell’America latina. Questo sistema, nel quale un apposito organo legislativo delibera norme che i giudici dovranno poi applicare ai casi concreti, è detto Civil Law► [ LE FONTI DEL DIRITTO ITALIANO, p. 10]. Concludiamo il discorso generale sulle norme giuridiche con una riflessione importante. Non esiste un rapporto universale tra il diritto, inteso come insieme di norme giuridiche, e il concetto di giustizia. Popoli diversi, infatti, hanno convinzioni diverse su ciò che debba ritenersi giusto e ciò che non deve; non solo, anche uno stesso popolo può modificare opinione con Law Il termine inglese il trascorrere del tempo. In generale, con il tempo e con la cultura, tende a law corrisponde al mutare nella gente il sentimento del giusto. E nel produrre le leggi, il legitermine italiano ‘diritto’ e, pertanto, indica il sistema slatore accorto deve adeguarsi a questo mutamento. Il diritto effettivamencomplessivo delle norme te in vigore in un dato ordinamento e in un dato contesto storico viene defigiuridiche; per indicare nito diritto positivo (dal latino positivus, ‘che viene posto’). Se il legislatore la legge scritta si usano, rimane indietro o si spinge troppo avanti, fatalmente ci sarà una parte della invece, i termini bill, statute, act. società che valuterà le leggi ingiuste o perché troppo conservatrici o perché
VITA QUOTIDIANA
In molte società la pena di morte è ancora vissuta come una giusta punizione per i crimini più gravi e la legge che la contempla viene ritenuta giusta. In realtà, è molto probabile che in quelle stesse società ci siano probabilmente molte persone che la pensano in modo diverso. Se queste, con il loro impegno, riusciranno a modificare il sentimento del giusto dominante nella loro società, la legge comincerà a
essere vissuta come ingiusta da un numero sempre crescente di soggetti e il legislatore, prima o poi, dovrà modificarla. In Italia, la pena di morte per i reati commessi in tempo di pace è stata eliminata con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, il 1° gennaio 1948. Successivamente, con la legge costituzionale 2/2007, è stata eliminata anche dal codice militare di guerra.
Lezione 1 Il valore della legalità
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troppo avanzate. In ogni Stato le regole di diritto tendono a riflettere, con maggiore o minore ritardo, ciò che la maggioranza dei cittadini ritiene giusto e corretto in un dato momento storico. Nei paesi anglosassoni, la tradizione della codificazione non ha mai del tutto attecchito. Il sistema giuridico di questi paesi, infatti, è basato sul cosiddetto Common Law, in cui le leggi sono in numero inferiore che negli altri paesi e il diritto si crea in base alla giurisprudenza , cioè grazie alle interpretazioni dei giudici (sentenze) di fronte alle situazioni
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Le fonti del diritto italiano Nel nostro paese ci sono diversi organi cui è affidato il compito di produrre norme giuridiche (Parlamento, Consigli regionali, Governo, ecc.), cosicché le norme assumono nomi diversi (legge, legge regionale, regolamento) in funzione della fonte da cui provengono. Le fonti del diritto sono i modi e i mezzi attraverso i quali le norme giuridiche si formano (fonti di produzione) o si conoscono (fonti di cognizione). Le fonti sono ordinate secondo una scala gerarchica per effetto della quale nessuna norma proveniente da una fonte di grado inferiore può validamente porsi in contrasto con una norma proveniente da una fonte di grado superiore. Per l’ordinamento italiano sono le seguenti. Fonti di produzione: ► la Costituzione è la legge fondamentale dello Stato; è al primo posto nella scala gerarchica, e perciò le norme costituzionali prevalgono sempre, in caso di contrasto, su qualsiasi altro tipo di norma; ► le leggi costituzionali, le uniche in grado di modificare la Costituzione; ► i trattati e i regolamenti comunitari sono norme emanate direttamente dall’Unione europea, obbligatorie in tutti gli Stati membri; nelle materie a esse riservate, prevalgono sulle leggi ordinarie; ► le leggi ordinarie, emanate dal Parlamento; ► i decreti-legge e i decreti legislativi sono atti aventi forza di legge emanati dal Governo, sotto il controllo del Parlamento;
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PARTE 1_I valori della democrazia
► le leggi regionali, emanate dalle Regioni nelle materie di loro competenza; ► i regolamenti adottati dal Governo, o dai singoli ministri, in attuazione di una legge; da organi regionali e comunali o da altri organi della pubblica amministrazione; ► gli usi e le consuetudini, cioè comportamenti collettivi cui lo Stato riconosce valore giuridico. Essi nascono dalla ripetizione costante e generale di atti compiuti nella convinzione di adempiere a un dovere giuridico. In passato erano importanti fonti di diritto, oggi – invece – hanno valore vincolante solo se disciplinano questioni non regolate da una norma scritta oppure se da queste espressamente richiamate (es.: una disposizione del Codice civile consente di tagliare le radici degli alberi che dal fondo vicino si insinuano nel nostro giardino. A meno che, precisa la norma, le consuetudini o gli usi locali non dispongano diversamente). Fonti di cognizione: ► i Codici, raccolte di tutte le norme fondamentali relative ad un ramo del diritto (penale, civile, ecc.); ► la «Gazzetta Ufficiale», giornale in cui si pubblicano le leggi, i decreti, i regolamenti; ► i «Bollettini Ufficiali» regionali che pubblicano le leggi regionali; ► la «Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee», che pubblica i regolamenti comunitari.
concrete. Le principali sentenze pronunciate da queste corti vengono riunite in raccolte chiamate report; esse costituiscono un precedente su cui altri giudici dovranno fondare le proprie sentenze adeguandole alla particolarità del caso specifico che si trovano a giudicare. In tal modo, il diritto viene continuamente aggiornato senza dover attendere che sia il legislatore a farlo.
GUIDAALLOSTUDIO Rispondi oralmente o per iscritto alle domande o individua e sottolinea nel testo la risposta: ► Qual è l’importanza delle regole nella società? ► Quali sarebbero i rischi se non vi fossero regole di comportamento? ► Cosa sono i diritti? E i doveri? ► Cos’è una norma giuridica? Quali sono i suoi caratteri? ► Cos’è la sanzione? Che funzione svolge? ► Qual è stata l’evoluzione delle norme giuridiche? ► Qual è la differenza tra Civil Law e Common Law?
Lezione 1 Il valore della legalità
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LEZIONE 2 DEMOCRAZIA, DIRITTI, DOVERI
Il concetto di democrazia trova la propria manifestazione storica nella ricerca di una modalità capace di dare al popolo la potestà effettiva di governare. Oggi gli Stati democratici sono caratterizzati da Governi riconducibili alla volontà dei cittadini e dall’insieme dei diritti e dei doveri che l’ordinamento riconosce a tutti gli individui quale conseguenza dei princìpi di libertà, uguaglianza e solidarietà. L’istituzione che esprime al massimo grado la volontà dei cittadini è il Parlamento: è lì che nascono le leggi, che dettano regole vincolanti per tutti. Questo modello, frutto di un cammino durato secoli, assegna quindi un ruolo primario al diritto, espressione del confronto democratico tra le forze politiche.
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Che cosa è la democrazia Il termine “democrazia” proviene dal greco demokratìa, composto da dè mos e da kratìa. Dèmos aveva il valore di ‘popolo’, in opposizione al re e alla nobiltà, ovvero – nelle antiche città-Stato come Atene – indicava i cittadini liberi che formavano l’assemblea del popolo. Kratìa deriva da kràtos, che indicava ‘forza, potenza’ e, nell’ambito della politica, il “potere”. Il concetto assume diverse sfumature a seconda di cosa si intenda per “governo popolare”. Nell’accezione più ampia, è sufficiente che il popolo abbia il diritto di eleggere i propri rappresentanti e che questi possano governare realmente il paese. Il concetto di democrazia ha tuttavia vissuto una continua evoluzione, subendo importanti modificazioni nel corso della storia. Le prime definizioni di democrazia risalgono all’antica Grecia. Ad Atene fu sperimentato nel V secolo a.C. il primo governo democratico; su questa base Aristotele, un secolo dopo, attuò la prima grande teorizzazione politica, distinguendo tra la monarchia – il governo di uno solo –, l’aristocrazia – il governo dei migliori, non necessariamente della nobiltà – e la democrazia, intesa come governo di tutti i cittadini. Sulla concezione moderna di democrazia hanno avuto invece grande influenza la Rivoluzione francese (1789) e i valori di libertà, uguaglianza,
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PARTE 1_I valori della democrazia
Liberté, egalité, fraternité ou la mort Calendario rivoluzionario, anno II della repubblica francese (1794).
fratellanza da essa propugnati; la liberté era «il potere di fare ciò che non nuoce ai diritti altrui»; l’égalité affermò che la legge era uguale per tutti e che le differenze per nascita o condizione sociale venivano abolite; la fraternité era: «Non fate agli altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi; fate costantemente agli altri il bene che vorreste ricevere». Principio caratterizzante delle moderne democrazie è che il governo sia espressione della volontà dei cittadini (sovranità popolare), che possono prendere decisioni o direttamente (democrazia diretta) o indirettamente delegando l’esercizio della sovranità a rappresentanti (democrazia indiretta o rappresentativa) scelti attraverso libere elezioni. Le moderne democrazie garantiscono i diritti civili , cioè quelli propri di ogni persona (libertà di autodeterminazione, di parola, di culto, di stampa e informazione, di espressione, di associazione, ecc.), e i diritti politici , cioè i diritti che lo Stato riconosce ai propri cittadini perché essi possano partecipare alle scelte politiche che li riguardano (diritto di elezione, diritto di associazione partitica, ecc.). Tali diritti sono garantiti a tutti, così da tutelare anzitutto le cosiddette “minoranze”, cioè quei gruppi sociali non maggioritari in termini di etnia, lingua, religione, genere, ecc. In altri termini, con la democrazia si pongono norme e regole alla dittatoriale libertà della maggioranza fornendo garanzie alle minoranze, il che determina il passaggio storico dalla più antica forma di democrazia (quella ateniese, in cui i cittadini liberi che costituivano l’assemblea popolare erano essi stessi una minoranza) a quella odierna in cui i diritti sono estesi a tutti. Nel momento in cui lo Stato riconosce diritti a tutti, il concetto di cit tadino , cioè colui che gode della pienezza dei diritti politici e civili di uno Stato, sostituisce quello di suddito, cioè di colui che, subordinato a uno Stato organizzato in monarchia, risulta privo di diritti politici [ LEZIONE 4, p. 28]. La stragrande maggioranza degli Stati mondiali oggi si definisce “democratica”. Fra gli Stati democratici, però, si possono distinguere differenti gradi di democrazia, e non è sempre semplice riconoscere la democraticità di uno Stato.
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Democrazia e riconoscimento dei diritti Abbiamo detto che nelle società democratiche i diritti di cittadinanza si distinguono in diritti civili e diritti politici. Vediamo meglio in cosa consistono: ► i diritti civili sanciscono le libertà individuali quali la libertà personale, di movimento, di associazione, di riunione, di coscienza e di religione, l’uguaglianza di fronte alla legge, il diritto alla cittadinanza e così via; ► i diritti politici sono quei diritti che uno Stato riconosce ai propri cittadini affinché possano partecipare attivamente alla vita politica e alla forma-
Lezione 2 Democrazia, diritti, doveri
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zione delle decisioni pubbliche sia direttamente (attraverso il referendum o la petizione, ecc.) sia indirettamente, eleggendo i propri rappresentanti (elettorato attivo) e candidandosi alle relative elezioni (elettorato passivo). Art. 2 La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale.
Costituzioni Le Costituzioni attuali disciplinano diritti e doveri dei cittadini, distribuzione dei poteri dello Stato e forme del loro esercizio. Le prime Carte costituzionali regolavano quasi esclusivamente l’organizzazione dei poteri tra gli organi dello Stato; solo in seguito si dedicarono anche a disciplinare le libertà dei cittadini, recependo il contenuto di documenti come la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. In tali Carte sono stati nel tempo affermati i diritti umani come il diritto alla vita, all’integrità fisica, alla libertà, ecc., che sono innati e universali e sono riconosciuti a tutti gli uomini.
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I diritti civili assorbono i cosiddetti diritti naturali (o fondamentali), quelli cioè appartenenti all’uomo in quanto tale. Essi sono oggi sanciti da numerose Dichiarazioni delle Nazioni Unite e dalle Costituzioni di molte democrazie. Sono definiti diritti naturali (o fondamentali) quelli appartenenti all’uomo in quanto tale e, pertanto, inviolabili (cioè che non possono essere violati, messi in discussione o negati) anche dallo stesso Stato. Si tratta di diritti dell’uomo poiché la natura di questi diritti va oltre la dimensione politica della cittadinanza: un individuo, per esempio, pur non essendo cittadino, ha diritto alla protezione. Poiché sono diritti inerenti alla natura umana ed essenziali alla sua dignità, lo Stato non può negarli o disconoscerli. Un’altra caratteristica dei diritti inviolabili è l’imprescrittibilità, ossia l’impossibilità che tali diritti si estinguano pur non essendo esercitati per lungo tempo. Diritto naturale, quindi, è una locuzione che fa riferimento ad un diritto universale ed eterno composto di regole che la natura infonde nell’uomo; la corrente di pensiero che ne sostiene l’esistenza prende il nome di giusnaturalismo (ius in latino significa ‘diritto’). Tra i vari diritti naturali si possono menzionare: ► il diritto alla libertà personale, cioè l’insieme delle libertà proprie e inalienabili di ogni persona come, per esempio, la libertà di opinione, di espressione, di circolazione, di religione, ecc.; ► il diritto alla vita e all’integrità fisica, che protegge le persone dai crimini come assassini, torture, rapimenti. L’inviolabilità fisica trova ampia tutela: dalla punizione per chi cagiona la morte di una persona o ne limita l’integrità, al divieto di disporre del proprio corpo quando ciò comporta una diminuzione permanente della stessa integrità; ► il diritto al benessere, che prevede la tutela in caso di situazioni di grave disagio o povertà; ► il diritto a un giusto processo, che protegge contro abusi da parte del sistema giudiziario quali incarcerazione senza processo, o con eccesso di punizione; ► il diritto all’uguaglianza, che garantisce uguaglianza di fronte alla legge e abolizione delle discriminazioni; ► il diritto all’autodeterminazione, ossia il riconoscimento della capacità di scelta autonoma e indipendente. Il tema dei diritti naturali, nel tempo, ha subìto numerosi e dolorosi attacchi (basti pensare all’esperienza della Shoah perpetrata dai nazisti), ma – dopo la seconda guerra mondiale – i diritti naturali si sono riproposti con forza per essere definiti anche diritti umani, cioè appunto diritti che spettano a tutti gli uomini. Oggi i diritti inviolabili e inderogabili sono garantiti da tutte le Costituzioni democratiche, nonché dai trattati europei (e dalla Carta europea dei diritti dell’uomo). La Costituzione► italiana fa un esplicito richiamo al riconoscimento di tali diritti e precisamente all’art. 2, dove riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo.
PARTE 1_I valori della democrazia
Tra i diritti attinenti alla protezione rientrano i cosiddetti diritti della personalità. La persona, dal punto di vista giuridico, è l’insieme di tutte le caratteristiche del singolo individuo, e quindi, oltre a quelle fisiche tangibili, sono considerate tali anche le caratteristiche etiche, comportamentali, morali e spirituali, e in generale tutto quanto riguarda l’identità di una persona. I diritti della personalità sono i diritti il cui fine è salvaguardare l’inviolabilità morale di ogni individuo; essi valgono per tutti gli uomini (diritti soggettivi assoluti) e spettano all’individuo sin dalla nascita. In Italia, la tutela dei diritti della personalità si è realizzata per la prima volta con la legge sul diritto d’autore del 1941 e con il Codice del 1942, che hanno disciplinato il diritto al nome (il Codice dispone che ognuno ha diritto all’uso esclusivo del proprio nome, cognome, pseudonimo e nome d’arte) e il diritto al ritratto, come articolazioni del cosiddetto “diritto all’autodeterminazione”. Tra i diritti della personalità, di grande attualità è il diritto alla propria identità personale, che permette di proteggere la rappresentazione della propria personalità agli altri, senza alterazioni o travisamenti. Oggetto di questo diritto sono tutte le componenti dell’identità personale: da quelle fisico-corporali e psichico-caratteriali a quelle affettivo-comportamentali, dalle situazioni materiali alle relazioni interpersonali. Tale tutela è pertanto riferibile all’immagine della persona, al domicilio, alla corrispondenza, ma anche alla protezione dei propri dati personali e della propria intimità e di quella dei propri familiari da ingerenze di qualunque tipo. In Italia, il riconoscimento di tale diritto ha una
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
La privacy La privacy, tradizionalmente, è intesa come diritto alla riservatezza, cioè come il diritto della persona di controllare le informazioni che la riguardano. A questo si aggiunge il diritto alla protezione dei dati personali. In Italia, i fondamenti costituzionali del diritto alla riservatezza sono ravvisabili negli artt. 14, 15 e 21, rispettivamente riguardanti il domicilio, la corrispondenza e la libertà di manifestazione del pensiero. Il diritto alla riservatezza ha un’accezione più che altro negativa: non essendo un diritto a sé stante, si pone come limite alla libertà di espressione e al diritto all’informazione. In questo senso, è il diritto a far sì che la stampa, o qualunque altro mass media, non diffonda informazioni personali senza aver ricevuto preliminarmente il consenso dalla persona interessata (a meno che la notizia ad essa riferita sia di pubblico interesse); esso rappresenta uno ius excludendi alios (“facoltà di opporsi ad ogni ingerenza degli estranei”)
dalla propria vita privata ed è volto a non far rilevare informazioni sul proprio conto. Il diritto alla protezione dei dati personali, espandendo il concetto di privacy e basandosi sulla dignità di ogni persona, indica il diritto ad esercitare il controllo sui propri dati personali (data protection); esso si estende oltre la sfera della vita privata per abbracciare, in particolare, le relazioni sociali, comprese quelle che nascono attraverso i cosiddetti “social”. I social network sono “piazze virtuali”, cioè luoghi d’incontro e scambio (fotografie, filmati, pensieri, indirizzi di amici, ecc.) degli utenti della Rete; pur rappresentando uno straordinario strumento di condivisione e comunicazione, non sono privi di rischi per la sfera personale degli individui. Il diritto alla protezione dei dati personali garantisce pertanto la libertà personale, intesa non solo come libertà fisica ma anche come libertà da ogni controllo e intromissione altrui.
Lezione 2 Democrazia, diritti, doveri
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base costituzionale in quanto insito nello stesso primato della persona sancito dall’art. 2 della Costituzione, anche se c’è voluto molto tempo prima che esso venisse riconosciuto come un diritto inviolabile. Tra i diritti alla identità personale ha assunto una grande rilevanza quello alla privacy. È possibile aggredire l’identità personale con affermazioni false, anche se non necessariamente offensive, e con forme di manipolazione realizzate o in via privata (con mezzi idonei a diffondere la notizia a strette cerchie di soggetti) o in via pubblica (con mezzi come stampa o tv). Nel caso in cui essa risulta lesa da giornalisti che pubblicano notizie false o lesive della dignità di una persona, gli stessi hanno il dovere di rettifica; la violazione di tale obbligo comportava originariamente la reclusione, mentre oggi comporta una sanzione amministrativa.
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Il diritto di cronaca Per diritto di cronaca si intende il diritto a pubblicare tutto ciò che è collegato a fatti e avvenimenti di interesse pubblico. Il fondamento del diritto di cronaca è nell’art. 21 della Costituzione, che sancisce la libertà di stampa. La funzione della cronaca è di raccogliere le informazioni per diffonderle alla collettività. Il rapporto fra diritto di cronaca e privacy è molto complesso ed è regolato da una serie di norme che, con il passare degli anni, stanno tentando di stabilire un corretto compromesso fra i diversi interessi messi in Art. 21 Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
campo. Ci sono norme, volte a proteggere la privacy dei cittadini, alle quali i giornalisti devono attenersi durante l’adempimento del proprio lavoro (ad esempio l’“essenzialità dell’informazione” chiarisce che una notizia può essere divulgata solo se è indispensabile in ragione dell’originalità del fatto, della relativa descrizione dei modi particolari in cui è avvenuto, nonché della qualificazione dei protagonisti). La linea di demarcazione che separa il diritto di ognuno a manifestare il proprio pensiero e il reato di diffamazione (se si comunica a più persone qualcosa riguardante un’altra persona, a prescindere dalla verità del fatto raccontato; art. 595 C.P.) o l’ingiuria è sottile ed è stata soggetta nel tempo a numerose interpretazioni. Da una parte, il regime di circolazione “controllata” dei dati personali non deve costituire un ostacolo alla garanzia della libertà di stampa; dall’altra, la libertà di manifestazione del pensiero non deve risolversi in libertà di diffamazione.
Tra i diritti della personalità consideriamo anche il diritto alla salute e quello all’identità sessuale. Diritto alla salute Il concetto di “salute” inizialmente era inteso solo come assenza di malattie o di infermità, fisiche e psichiche. Nel tempo, si è giunti a una nozione molto più ampia di salute, come “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale”, quindi con riferimento al benessere del soggetto nell’ambiente salubre, alla fruibilità dei servizi minimi sufficienti per l’integrità fisica e sociale dell’ambiente, ecc. Il danno alla salute si distingue, pertanto, per ampiezza e portata, dal danno all’integrità fisica (contemplato, come abbiamo visto, nei diritti naturali), nonché al danno
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PARTE 1_I valori della democrazia
Art. 32 La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto per la persona umana.
alla integrità della vita di relazione (relativo a qualunque lesione che renda impossibile al soggetto di essere se stesso nei rapporti con gli altri). La Repubblica Italiana, attraverso il Servizio sanitario nazionale (SSN), tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività. Si tratta di un sistema di strutture e servizi che hanno lo scopo di garantire a tutti i cittadini, in condizioni di uguaglianza, l’accesso equo alle prestazioni sanitarie, in attuazione dell’art. 32 della Costituzione. La salute, infatti, è intesa come risorsa della comunità e i cittadini devono poter accedere alle prestazioni del SSN senza nessuna distinzione di condizioni individuali, sociali ed economiche. Ai cittadini che non appartengono a categorie esenti è richiesto il pagamento di un ticket. L’organizzazione del SSN si basa sul principio della “centralità della persona” che consente – da un lato – l’esercizio di una serie di diritti esercitabili da parte dei singoli cittadini come la libertà di scelta del luogo di cura, il diritto a essere informato sulla malattia e sulla terapia, opponendosi o dando il proprio consenso. Nessuno infatti può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. L’intervento dello Stato deve avvenire in funzione della persona attraverso strutture sanitarie idoneamente organizzate che si rivolgano all’universalità dei destinatari con uguaglianza di trattamento nel rispetto della libertà e dignità della persona.
VITA QUOTIDIANA
In Italia, l’argomento vaccini è quanto mai complesso e non riguarda solo aspetti medici ma anche giuridici. Riguardo quest’ultimo profilo, viene invocato da molti un potere discrezionale in capo ai genitori che non dovrebbero essere obbligati a vaccinare i propri figli ma essere completamente liberi di scegliere se far vaccinare o meno la prole. C’è anche chi ritiene che rendere un vaccino obbligatorio per legge sia addirittura incostituzionale. In realtà, l’art. 32 del dettato costituzionale statuisce che in presenza di disposizioni di legge che tutelino la salute dei cittadini non può invocarsi esclusivamente un diritto alla libertà di scelta
dell’individuo. Una fondamentale pronuncia in materia è la sentenza 307/1990 della Corte costituzionale che, a proposito di obbligo del vaccino antipoliomielite, nel ribadire che la salute è un fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, sottopone i detti trattamenti alla legge, fatti salvi i limiti imposti dal rispetto della persona umana, e riconosce alla legge impositiva di un trattamento sanitario la non incompatibilità con l’art. 32 della Costituzione «se il trattamento sia diretto non solo a migliorare o a preservare lo stato di salute di chi vi è assoggettato, ma anche a preservare lo stato di salute degli altri».
Il diritto all’identità della persona è in continuo sviluppo ed evoluzione all’interno della società moderna, arricchendosi di volta in volta di aspetti rilevanti; connesso ad esso, tra gli altri, vi è il diritto all’identità sessuale , ossia il diritto al riconoscimento della propria caratterizzazione sessuale. Questo aspetto è progressivamente diventato particolarmente rilevante tanto da trovare, nel tempo, accoglienza anche in norme specifiche con le quali si è riconosciuta dignità alla dissociazione tra la struttura biologica
Lezione 2 Democrazia, diritti, doveri
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di una persona e la sua identità sessuale, intesa come consapevolezza di appartenenza a un sesso diverso da quello anatomico. Il diritto alla salute e quello all’identità sessuale rientrano anche nei cosiddetti diritti sociali che determinano il diritto a ricevere prestazioni da parte dello Stato.
VITA QUOTIDIANA
Originariamente, la possibilità di modificare l’identità sessuale a seguito di interventi chirurgici non era contemplata dall’ordinamento giuridico italiano, in virtù del principio della immodificabilità dell’atto di nascita. Tale pregiudizio della nostra giurisprudenza risultò essere lesivo del diritto all’identità personale e, per questo, ritenuto incostituzionale. Nel 1982, la legge n. 164, ha riconosciuto la possibilità che un Tribunale possa
autorizzare, con apposita sentenza, i trattamenti medico-chirurgici indispensabili per il cambio di sesso e, una volta accertato l’avvenuto mutamento del sesso, autorizzare la rettificazione degli atti dello stato civile. La legge 164/1982, che disciplina (unitamente al D.Lgs. 150/2011), per le persone transessuali, le modalità per il cambio di sesso, e quindi del nome, rappresenta un modello di grande civiltà giuridica e di riguardo dei diritti civili.
Sono definiti diritti sociali quelli che derivano dal complesso delle tutele e dei servizi erogati dallo Stato e dai pubblici poteri al fine di garantire una rete di protezione sociale contro la malattia, la vecchiaia, la disoccupazione, ecc., il diritto alla salute, il diritto al lavoro, il diritto all’istruzione e così via. I diritti sociali – che fanno il loro ingresso solo nel XX secolo con la realizzazione del cosiddetto “Stato sociale” – dipendono dal grado di sviluppo culturale e dalle risorse della società di appartenenza; oltre che riconoscere e tutelare i tradizionali diritti civili e politici del cittadino, con lo Stato sociale (Welfare State) si realizza il principio della redistribuzione della ricchezza socialmente prodotta [ LEZIONE 2.3, p. 19]. La Costituzione italiana si caratterizza per avere esplicitato i diritti sociali sia nelle disposizioni di carattere generale (artt. 2, 3 e 4) nelle quali gli stessi trovano primario fondamento, sia nelle norme espressamente dedicate al lavoro (artt. 4, 35 e ss.), alla salute (art. 32), all’assistenza (art. 38), all’istruzione (artt. 33 e 34) e alla tutela della famiglia (artt. 29 e ss.).
VITA QUOTIDIANA
Il diritto allo studio, previsto da quasi tutte le società, si realizza appieno solo in quelle società capaci di assicurare alcune condizioni. Un esempio del diverso grado di realizzazione di questo diritto è quello che può derivare dal confronto tra le società povere e quelle ricche. Nelle prime, infatti, lo stato di
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PARTE 1_I valori della democrazia
povertà e arretratezza economica fa sì che il diritto allo studio si realizzi essenzialmente come diritto all’alfabetizzazione, mentre in società ricche ed evolute lo Stato può sostenere il mantenimento degli studenti (con modi differenti secondo i casi) sino alla laurea.
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Democrazia e assolvimento dei doveri In ogni società democratica, laddove esistono dei diritti, esistono anche i doveri corrispondenti, cioè degli obblighi giuridici definiti dalle leggi. In Italia, la prima categoria di doveri discende direttamente dalle norme della Costituzione: sono i cosiddetti doveri inderogabili che si configurano come «prestazioni di solidarietà», funzionali cioè alla realizzazione di una migliore convivenza sociale. L’assolvimento dei doveri è il presupposto per la costruzione delle relazioni civiche all’interno di una collettività. Alla generale richiesta di adempimento dei doveri di “solidarietà economica e sociale” espressa nell’art. 2, fanno seguito specifici doveri come il dovere di contribuire, in rapporto alla propria ricchezza (capacità contributiva), alle spese dello Stato o l’obbligo di difendere la patria. Per fornire ai cittadini i servizi pubblici, gratuitamente o a costi ridotti, lo Stato impiega delle risorse (spesa pubblica) che ha necessità di reperire attraverso diversi strumenti (entrate). Tutte le entrate e le spese dello Stato sono registrate in un importante documento contabile: il bilancio pubblico. Di particolare importanza negli equilibri economici generali sono i saldi tra entrate e uscite dello Stato. Generalmente l’impegno pubblico è tale che difficilmente le pur ingenti entrate riescono a coprire tutte le spese. Il bilancio dello Stato si trova così in deficit; l’ammontare complessivo dei deficit registrati ogni anno definisce il concetto di debito pubblico. Il debito pubblico è dato dall’accumularsi dei deficit di bilancio nel tempo e consiste nella somma dei prestiti fatti allo Stato e agli altri enti statali da altri operatori economici, prevalentemente i cittadini dello stesso Stato. Il peso del debito pubblico di uno Stato non si misura in valori
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
L’intervento dello Stato in economia Il sistema economico presente nell’Unione europea, e dunque anche in Italia, è un sistema economico misto basato sull’iniziativa dei privati cittadini e sul contemporaneo intervento dello Stato. Un sistema di economia mista è caratterizzato dalla presenza dell’intervento statale volto a favorire la crescita economica e sociale del paese, aiutare lo sviluppo economico, tutelare il lavoro, salvaguardare l’ambiente, favorire l’istruzione, garantire a tutti assistenza sanitaria, e così via. Le modalità con cui tale intervento statale si realizza sono diverse da
Art. 41 L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata con fini sociali.
paese a paese. Il sistema economico italiano è un sistema ad economia mista come stabilito dall’art. 41 della Costituzione.
Lezione 2 Democrazia, diritti, doveri
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assoluti, ma in rapporto al suo Prodotto interno lordo che quantifica il valore dei beni e servizi prodotti in un determinato periodo. Questo rapporto misura la possibilità che ha uno Stato di ripagare il proprio debito poiché ci dice quanto il debito del paese pesi sulle finanze dello stesso [ L’INTERVENTO DELLO STATO IN ECONOMIA, p. 19]. Art. 53 Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.
Il dovere di contribuire alle spese dello Stato in base alla propria ricchezza nasce dall’esigenza di distribuire tra tutti gli appartenenti alla collettività il peso della spesa che lo Stato affronta per garantire l’interesse comune (tra le voci di spesa per la collettività, quella per l’istruzione e per la sanità sono tra le più significative, ma si pensi anche alla manutenzione dei sistemi stradali, ai trasporti pubblici, ai parchi pubblici, ecc.). Chi guadagna di più è chiamato a contribuire in misura maggiore di chi ha di meno [art. 53].
VITA QUOTIDIANA
In Italia è molto diffusa l’evasione fiscale, cioè il comportamento dei cittadini che, violando la legge, si sottraggono all’obbligo di pagare i tributi. Chi ha molto e dichiara di avere poco dichiara il falso ed evade le tasse così come chi guadagna denaro senza emettere lo scontrino fiscale, la ricevuta o la fattura. L’evasione fiscale costituisce un danno perché concorre ad aumentare il deficit; è inoltre ingiusta dal punto di vista sociale, perché sui contribuenti onesti vengono a gravare le spese di tutta la collettività. L’evasione fiscale è indice di una scarsa coscienza civica: chi evade le tasse, si sente “furbo”, ma in realtà danneggia l’intera società e dunque
anche se stesso. Trovare gli evasori è compito della Guardia di Finanza; coloro che vengono scoperti sono puniti con delle sanzioni e, a volte, anche penalmente. Secondo uno studio condotto nel 2019 dalla società inglese Tax Research LLP emerge che l’Italia è il primo paese per evasione fiscale in Europa, con circa 190 miliardi di euro di tasse evase. Il rapporto tra fisco evaso ed entrate fiscali dello Stato si attesta al 23,28%. Ciò significa che per ogni euro riscosso dal fisco italiano, si perdono circa 23 centesimi in evasione fiscale. L’evasione fiscale costituisce, nel nostro paese, una pesantissima zavorra per le possibilità di sviluppo.
Per quanto riguarda il dovere di essere fedele alle leggi dello Stato , in generale, occorre dire che ogni persona ha innanzitutto l’obbligo di osservanza delle norme. Non è sufficiente, infatti, ritenere alcune leggi ingiuste o superate o, anche, sbagliate per avere la tentazione di disobbedire. Infatti, anche se per alcuni casi specifici vale il diritto all’obiezione di coscienza, cioè il rifiuto di assolvere a un dovere imposto da una legge perché ritenuto contrario alle proprie convinzioni ideologiche, morali o religiose, per il resto fintanto che una legge esiste va sempre rispettata: solo così si tiene fermo il principio della certezza delle norme, secondo cui, a fronte di una violazione di una norma deve seguire l’applicazione della sanzione che la norma stessa ha stabilito per la sua violazione [ L’OBIEZIONE DI COSCIENZA, p. 21].
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PARTE 1_I valori della democrazia
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
L’obiezione di coscienza Si definisce obiezione di coscienza il rifiuto di assolvere a un dovere imposto da una legge perché ritenuto contrario alle proprie convinzioni ideologiche, morali o religiose. In Italia, prima che venisse definitivamente sospesa, nel 2006, la leva obbligatoria, era comunque riconosciuto (legge Marcora del 1972) il diritto all’obiezione di coscienza ai cittadini che si rifiutavano di svolgere il servizio militare armato, in sostituzione del quale erano tenuti a svolgere il servizio civile. Attualmente, hanno diritto di obiezione di coscienza: ► i medici (ginecologi) contrari alla pratica della interruzione di gravidanza (IVG) introdotta in Italia dalla legge 22 maggio 1978, n. 194. Lo status di obiettore non esonera il professionista sanitario dall’assistenza medica (soccorso in caso di pericolo di vita di una donna), mentre il SSN è tenuto ad assicurare che l’IVG si possa svolgere nelle varie strutture ospedaliere; ► i medici contrari alle disposizioni anticipate di
trattamento (DAT) previste dalla cosiddetta “legge sul biotestamento”. È infatti previsto che un medico, qualora ritenga che tali diposizioni anticipate di trattamento siano contrarie a norme di legge, alla deontologia professionale o alle buone pratiche clinicoassistenziali possa rifiutarsi di rispettare la volontà espressa dal paziente; tuttavia ogni azienda sanitaria pubblica o privata deve garantire la piena e corretta attuazione dei princìpi della legge sul biotestamento; ► i medici, i biologi, i ricercatori e persino gli studenti contrari alle sperimentazioni sugli animali possono dichiarare la propria obiezione rifiutandosi di prendere parte a tali attività senza che la scelta ne penalizzi la carriera lavorativa o universitaria. L’Italia, infatti, è il primo paese al mondo ad aver riconosciuto per legge (legge 413/1993) il diritto all’obiezione di coscienza alla sperimentazione animale.
GUIDAALLOSTUDIO Rispondi oralmente o per iscritto alle domande o individua e sottolinea nel testo la risposta: ► Da dove deriva il termine “democrazia”? ► Cosa si intende per libertà, uguaglianza e fratellanza? ► Cos’è la sovranità popolare? Come può esercitarsi? ► Quando si parla di democrazia diretta? Quando di democrazia indiretta? ► Cosa si intende per diritti civili? E cosa per diritti politici? ► Cosa si intende per diritti naturali? Perché sono inviolabili? ► Quali sono i diritti della personalità? ► Cosa si intende per privacy? ► In cosa consistono i diritti sociali? ► Perché i doveri costituzionali si configurano come “prestazioni di solidarietà”? ► Cosa significa che i doveri sono inderogabili? ► In cosa consiste il dovere di contribuire alle spese dello Stato secondo la propria capacità contributiva? ► Cos’è l’obiezione di coscienza?
Lezione 2 Democrazia, diritti, doveri
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LEZIONE 3 UGUAGLIANZA E LIBERTÀ
Da sempre i pensatori politici considerano la libertà e l’eguaglianza i due valori paralleli di una società moderna. Il giurista e filosofo liberale Alexis de Tocqueville (1805-1859), nel sottolineare come nella democrazia vi sia «un punto estremo in cui eguaglianza e libertà si toccano e si confondono», afferma anche che essa corrisponde a un processo storico che permette la realizzazione dell’eguaglianza delle condizioni; ciò accade quando tutti i cittadini hanno l’eguale libertà di concorrere al governo della cosa pubblica, e di parteciparvi in maniera effettiva. L’uguaglianza delle condizioni, tuttavia, non implica la scomparsa di fatto delle diverse forme di disuguaglianze di natura economica o sociali. Secondo Tocqueville, il principio democratico comporta negli individui «un tipo d’uguaglianza immaginaria nonostante la disuguaglianza reale della loro condizione».
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Uguaglianza formale e uguaglianza sostanziale Come abbiamo visto, tra i cosiddetti “diritti naturali” o umani, c’è il riconoscimento della dignità umana senza alcuna distinzione di sesso, razza, lingua o classe sociale: un diritto fondamentale dell’uomo, alla base di tutti gli Stati democratici. In altri termini, si tratta della proposizione del principio dell’uguaglianza di tutti gli uomini di fronte alla legge che pone ogni persona rispetto ai propri simili in condizioni di parità, almeno di fronte agli obblighi discendenti dalle leggi. Si parla in questo caso di uguaglianza formale. Per uguaglianza formale si intende l’uguaglianza di tutti di fronte alla legge: vuol dire che tutti gli uomini sono titolari dei medesimi diritti e doveri, in quanto tutti sono uguali davanti alla legge e tutti devono essere, in egual misura, a essa sottoposti.
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PARTE 1_I valori della democrazia
In Italia è l’art. 3 della Costituzione che sancisce il principio di uguaglianza e assegna allo Stato anche il compito di creare azioni positive per rimuovere le barriere di ordine naturale, sociale ed economico che non consentirebbero a ciascuno di noi di realizzare pienamente la propria personalità. Concretamente, lo Stato ha l’obbligo della tutela di coloro che, per ragioni economiche o per altro, non possono godere di una reale uguaglianza, realizzando così l’uguaglianza sostanziale.
Art. 3 Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali di fronte alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Per uguaglianza sostanziale si intende la effettiva uguaglianza nella realtà. Affermare il principio della uguaglianza sostanziale vuol dire affermare che le differenze di fatto o le posizioni di svantaggio vanno rimosse anche con trattamenti di favore che altrimenti sarebbero discriminatori. Attraverso l’uguaglianza sostanziale, lo Stato e le sue istituzioni si assumono il compito di rimuovere gli ostacoli che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini e di agire concretamente per metter tutti nelle stesse condizioni di partenza, dotando ognuno di pari opportunità per sviluppare e realizzare pienamente e liberamente la propria personalità.
Uguaglianza
Equità
VITA QUOTIDIANA
In Italia milioni di persone sono ancora discriminate per molti motivi: orientamento sessuale, razza, religione, condizioni fisiche e sociali. La discriminazione può assumere diverse forme: insulti, maltrattamenti, negazione dell’accesso ai servizi essenziali, esclusione sociale, violenza. Tra le tante, la violenza di genere è una piaga che non conosce confini sociali né economici e colpisce donne di ogni provenienza ed estrazione. La violenza sulle donne costituisce una grave violazione
dei diritti umani che affonda le sue radici nella disuguaglianza di genere che pervade la società e provoca conseguenze di natura fisica, psicologica, sociale ed economica a breve e a lungo termine. Di questo tipo di violenza possono macchiarsi i singoli, sotto forma di stupro, violenza domestica, molestie sessuali, mobbing, ma anche gli Stati, attraverso lo stupro di guerra, la sterilizzazione obbligatoria, l’aborto forzato, la lapidazione.
Lezione 3 Uguaglianza e Libertà
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VITA QUOTIDIANA
Per realizzare un’uguaglianza in senso sostanziale tra i cittadini, in Italia sono state emanate norme a favore dei “soggetti deboli”, di coloro, cioè, che vedono ostacolata per ragioni economiche e sociali la possibilità di un esercizio effettivo dei diritti. In questa direzione vanno le norme che consentono
agli studenti provenienti da famiglie con reddito basso di pagare tasse universitarie meno alte degli altri o quelle che prevedono, nelle assunzioni al lavoro, delle quote di riserva in favore dei portatori di handicap.
Il riconoscimento del principio dell’uguaglianza sostanziale sancisce il riconoscimento dei diritti sociali [ LEZIONE 2.2, p. 13] e segna il passaggio a ciò che si definisce “Stato sociale”. Lo Stato sociale è uno Stato che si fonda sul principio di uguaglianza sostanziale, da cui deriva la finalità di ridurre le diseguaglianze sociali. In altre parole, esso è un sistema di norme con il quale lo Stato cerca di eliminare le diseguaglianze sociali ed economiche tra i cittadini, aiutando in particolar modo i ceti meno benestanti. In senso ampio, per Stato sociale si indica anche il sistema con il quale lo Stato traduce in atti concreti tale finalità; nello specifico si parla di Welfare State (‘Stato del benessere’, detto anche “Stato assistenziale”) quando uno Stato interviene economicamente, modificando la distribuzione dei redditi con un complesso di politiche pubbliche dirette a: ► assicurare un tenore di vita minimo a tutti i cittadini; ► dare sicurezza agli individui e alle famiglie in presenza di eventi naturali ed economici sfavorevoli di vario genere; ► consentire a tutti i cittadini di usufruire di alcuni servizi fondamentali, quali l’istruzione e la sanità. Se la base di uno Stato è la giustizia sociale, i principali destinatari di questi provvedimenti sono, in particolare, i cittadini che si trovano involontariamente in situazione di debolezza economica quale la malattia, la disoccupazione, la vecchiaia. Gli strumenti tipici dello Stato sociale sono: ► pagamenti in denaro nelle fasi non occupazionali del ciclo vitale (vecchiaia, maternità, ecc.) e nelle situazioni di impossibilità lavorativa (malattia, invalidità, disoccupazione, ecc.); ► erogazione di servizi in natura (istruzione, assistenza sanitaria, abitazione, ecc.); ► concessione di benefici fiscali (per carichi familiari, l’acquisto di abitazione, ecc.); ► regolamentazione di alcuni aspetti dell’attività economica (quali la locazione di abitazioni a famiglie a basso reddito e l’assunzione di persone invalide).
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PARTE 1_I valori della democrazia
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Lo Stato sociale in Italia Alla fine della seconda guerra mondiale incomincia a delinearsi in Italia, come molti altri paesi dell’Europa occidentale, una nuova forma di Stato, in aperto ripudio degli Stati autoritari e totalitari: lo Stato sociale, detto anche Welfare State. Oltre che riconoscere e tutelare i tradizionali diritti civili e politici del cittadino, il Welfare State ha il proprio principio di legittimazione nel fatto di garantire i diritti sociali fondamentali, come ad esempio il diritto al lavoro. Da un punto di vista costituzionale il modello di welfare italiano può essere definito: ► solidarista (art. 2: p. 14); ► lavorista [artt. 1, 4]; ► occupazionale [art. 38]. La solidarietà politica, economica e sociale è “dovere inderogabile” della Repubblica e lo Stato si impegna a «rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale», che impediscono lo sviluppo della persona e la sua partecipazione alla vita sociale (art. 2 e art. 3). Il lavoro è un diritto fondamentale (art. 4) cosi come lo è la tutela della salute (art. 32) e del lavoro femminile e minorile (art. 37); viene sancito anche il diritto al sostentamento qualora si sia inabili al lavoro o sprovvisti dei mezzi per vivere (art. 38). L’istruzione è sia un diritto sia un dovere (art. 34). In alcuni articoli, il sociale è declinato indicando concretamente alcune sue forme, la famiglia, l’assistenza, la cooperazione, e trova spazio anche quando si parla di proprietà privata (artt. 41, 42 e 46).
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Art. 1 L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Art. 4 La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Art. 38 Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L’assistenza privata è libera.
Libertà negativa e libertà positiva Uguaglianza e libertà degli individui rappresentano due facce della stessa medaglia: non garantire la prima si traduce automaticamente nella negazione della seconda. Con il termine libertà si intende la possibilità per ognuno di disporre di se stesso, fisicamente e spiritualmente, nella realtà sociale di cui fa parte. La libertà, infatti, è il primo dei diritti dell’uomo; da esso discendono, per conseguenza, tutti gli altri.
Lezione 3 Uguaglianza e Libertà
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Eugène Delacroix, La Libertà guida il popolo,1830 [Musée du Louvre, Parigi] Nell’opera, Eugène Delacroix raffigura tutte le classi sociali in lotta contro l’oppressore. Alla guida Marianne, personificazione della Francia e simbolo della Libertà, nell’attimo in cui avanza sulla barricata, sventolando il Tricolore francese.
La libertà, ovviamente, può trovare espressioni e forme diverse; concretamente, però, si realizza in una serie di libertà di essere e di fare, considerate esigenze fondamentali dell’individuo. Tuttavia, la libertà non deve intenderMagna Charta si come il fare ciò che si vuole anche a danno degli altri e della loro sicurezza. Libertatum Nel 1215 i feudatari inglesi Infatti, proprio per la sicurezza di tutti e per garantire a tutti il medesimo riuscirono a imporre al trattamento, la libertà personale di ogni individuo può incontrare dei limiti. loro re, Giovanni Senza Siccome i limiti alle nostre azioni nella società sono posti generalmenTerra, uno statuto che riconosceva ad ogni uomo te da norme, si può anche dire che la libertà consiste nel fare (o non fare) il diritto di non essere tutto ciò che le leggi permettono, ovvero non proibiscono (e in quanto arrestato, imprigionato, tali permettono di non fare). spossessato, messo fuori I due significati rilevanti del termine “libertà” si riferiscono a quelle due legge, esiliato o giudicato arbitrariamente, ma solo forme di libertà che si sogliono chiamare libertà negativa e libertà positiva. a seguito di un giudizio emesso da un suo pari nel rispetto della legge. Questo principio, ancora in Inghilterra nel 1628, fu ripreso e perfezionato nella Petizione dei diritti con cui si affermò definitivamente che nessuno poteva essere privato della propria libertà senza la precedente emanazione di un mandato che ne chiarisse le ragioni.
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Libertà negativa è la situazione in cui un soggetto ha la possibilità di agire senza essere impedito, o di non agire senza essere costretto, da altri soggetti. La libertà negativa si suole chiamare anche “libertà come assenza d’impedimento”. Si considera che goda di una situazione di libertà tanto colui che può esprimere le proprie opinioni senza censura, quanto colui che è esentato dal prestare un servizio contrario alle proprie opinioni (per esempio, dal servizio militare, là dove l’obiezione di coscienza è legalmente riconosciuta: LEZIONE 2.3, p. 19 e L’OBIEZIONE DI COSCIENZA, p. 21): il primo può agire perché non vi è nessuna norma che vieti l’azione che egli ritiene desiderabile, il secondo può non agire perché non vi è nessuna norma che imponga l’azione che egli ritiene non desiderabile.
PARTE 1_I valori della democrazia
Libertà positiva è la situazione in cui un soggetto ha la possibilità di orientare il proprio volere verso uno scopo, di prendere delle decisioni, senza essere determinato dal volere altrui. Questa forma di libertà si chiama anche “autodeterminazione” o, ancor più appropriatamente, “autonomia”. FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Il diritto all’autodeterminazione Il diritto all’autodeterminazione è il riconoscimento della capacità di scelta autonoma e indipendente di ogni individuo. In particolare distinguiamo alcune forme: ► Il diritto all’autodeterminazione dei popoli. L’espressione è riferita al riconoscimento della capacità di scelta autonoma ed indipendente dei popoli poco rappresentati, detti “minoranze”. Tale diritto, che tutela la gestione autonoma della loro esistenza e salvaguarda la loro sopravvivenza, consente che un popolo sottoposto a dominazione straniera possa determinare il proprio destino per ottenere l’indipendenza o scegliere autonomamente il proprio regime politico. Ai sensi del diritto internazionale, il soggetto titolare del diritto all’autodeterminazione è il popolo come soggetto distinto dallo Stato. ► Il diritto all’autodeterminazione delle donne. Nel campo dei diritti civili e sociali delle donne, l’espressione apparve per la prima volta durante gli anni delle lotte femministe per affermare il diritto e la libertà delle donne di scegliere e decidere autonomamente sulle questioni della sessualità e della riproduzione. Tutte le rivendicazioni di quel periodo, seppur partendo dal reclamare la totale autonomia della gestione del proprio corpo, fu in realtà una rivoluzione culturale che portò a denunciare le mille
forme di violenza, coercizione e discriminazione subite dal genere femminile, per le errate norme di diritto del tempo e le dinamiche familiari soggette ad una struttura sociale di tipo patriarcale. ► Il diritto all’autodeterminazione sanitario. Tale diritto, come abbiamo visto, si sostanzia nella possibilità concessa all’individuo di scegliere liberamente in ordine ad atti che coinvolgono il proprio corpo e le proprie aspettative di salute e di vita. Esso consente, qualora ce ne siano i presupposti, la libertà di rifiutare un trattamento sanitario [art. 32]. Un forte limite a tale diritto si ha, ad esempio, quando l’intervento sanitario sia dalla legge previsto come obbligatorio, sempre nell’ottica di tutelare la persona con apposite procedure e garanzie o salvo particolari casi di emergenza. Art. 32
Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto per la persona umana.
L’importanza dei diritti di libertà è sancita da tutte le Costituzioni democratiche. Il primo esempio di riconoscimento della libertà personale si ebbe, in Inghilterra, nel 1215 con la Magna Charta Libertatum►.
GUIDAALLOSTUDIO Rispondi oralmente o per iscritto alle domande o individua e sottolinea nel testo la risposta: ► Qual è la differenza tra libertà formale e libertà sostanziale? ► Su quale principio si fonda lo Stato sociale e in cosa consiste? ► Cosa si intende per libertà? E che limiti incontra? ► Che cosa si intende per libertà negativa? E per libertà positiva?
Lezione 3 Uguaglianza e Libertà
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LEZIONE 4 LA CITTADINANZA
La cittadinanza è il presupposto giuridico che accomuna chi appartiene al popolo di un certo Stato. Secondo l’idea tradizionale, e ora superata, di cittadinanza, è lo Stato che stabilisce i requisiti per possedere o acquisire la cittadinanza. Tale idea di cittadinanza si afferma nel corso dell’Ottocento insieme con l’ideale di “nazione” che definisce cittadini le persone nate nello stesso territorio, con la stessa origine etnica, la stessa lingua, le stesse tradizioni, la stessa religione. Gli Stati-nazione ottocenteschi ammettevano la cittadinanza solo per coloro che appartenevano, per nascita, alla nazione. Nella visione ottocentesca, la nazione era più importante dei singoli individui che la componevano pur riconoscendo loro l’uguaglianza di fronte alla legge. Questo riconoscimento era tuttavia circoscritto ad aspetti formali in quanto, nella pratica, il suffragio, cioè la possibilità di votare alle elezioni, era concesso solo a una minoranza di individui (i benestanti e gli alfabetizzati), mentre la massa era esclusa dalla partecipazione alla vita politica. Tale visione poco democratica è stata messa in discussione da criteri sviluppatesi nelle società occidentali nel XX secolo.
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Essere cittadini In uno Stato abitano molti individui, per motivi di studio, lavoro, familiari, ecc., ma non ne sono cittadini. La cittadinanza è la condizione giuridica (o status) della persona alla quale lo Stato riconosce la pienezza dei diritti civili e politici. Il possesso della cittadinanza determina la condizione di “cittadino”. Le persone che non hanno la cittadinanza di uno Stato sono “stranieri” se hanno quella di un altro Stato; sono “apolidi”, invece, se non hanno alcuna cittadinanza. L’insieme dei cittadini di uno Stato costituisce il suo popolo . È detta invece popolazione l’insieme delle persone che risiedono sul territorio di uno Stato (i suoi abitanti), a prescindere dal fatto che siano suoi cittadini.
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PARTE 1_I valori della democrazia
La divergenza tra popolo e popolazione è accentuata negli Stati interessati da un forte flusso migratorio, in entrata o in uscita. La popolazione di uno Stato comprende, infatti, anche gli stranieri e gli apolidi che risiedono sul territorio dello Stato, mentre non comprende i cittadini residenti all’estero. Negli Stati odierni i diritti civili, sulla base di impegni internazionali, multilaterali (quelli che derivano dall’appartenenza all’Unione europea) o bilaterali (quelli a seguito di trattati che prevedono un reciproco trattamento di favore per i cittadini di uno Stato da parte dell’altro), sono spesso riconosciuti anche ai non cittadini, e tale riconoscimento è di solito sancito a livello costituzionale, mentre i diritti sociali e soprattutto quelli politici tendono ancora ad essere legati alla cittadinanza. In alcuni paesi la scelta di estendere i diritti civili anche ai non cittadini avviene nell’ambito delle politiche d’integrazione degli immigrati presenti sul territorio nazionale. Accanto ai diritti, la cittadinanza può comportare doveri sebbene, di solito, gli ordinamenti, se tendono a riservare i diritti ai cittadini, estendendoli eventualmente ai non cittadini, tendono invece a imporre i doveri a tutti coloro che sono presenti sui loro territori, a prescindere dalla cittadinanza.
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Acquisizione della cittadinanza Le modalità con cui si diventa cittadini sono definite da ogni Stato. Infatti il rapporto di cittadinanza si acquista con il possesso di alcuni requisiti. Ogni ordinamento stabilisce le regole per l’acquisizione e la perdita della cittadinanza. In generale, la cittadinanza si può acquisire: ► in virtù del diritto di sangue (dal latino ius sanguinis), cioè per il fatto che un genitore sia in possesso della cittadinanza (per alcuni ordinamenti deve trattarsi del padre, salvo sia sconosciuto); ► in virtù del diritto di territorio (ius soli), cioè per il fatto di essere nato sul territorio dello Stato; ► per il fatto di aver contratto matrimonio con un cittadino (in certi ordinamenti la cittadinanza può essere acquisita dalla moglie di un cittadino ma non dal marito di una cittadina); ► per naturalizzazione, cioè a seguito di un provvedimento della pubblica autorità, quando sussistono determinate condizioni (come, per esempio, potrebbero essere la residenza per un lungo periodo di tempo sul territorio nazionale, l’assenza di precedenti penali, la rinuncia alla cittadinanza d’origine, ecc.) o per meriti particolari. In molti ordinamenti, come in Italia, a sottolinearne la solennità, il provvedimento di concessione della cittadinanza è adottato, almeno formalmente, dal Capo dello Stato.
Lezione 4 La cittadinanza
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La scelta fondamentale che si trovano a fare gli ordinamenti è quella tra diritto di sangue e diritto di territorio; le altre due modalità hanno, infatti, una funzione puramente integrativa. Attualmente la maggior parte degli Stati europei adotta il diritto di sangue, a eccezione della Francia in cui dal 1515 vige il diritto di territorio condizionato in base al quale il soggetto nato in territorio francese da genitori stranieri può ottenere la
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Cittadinanza: come si acquisisce in Italia In Italia l’ultima legge sulla cittadinanza, introdotta nel 1992, prevede un’unica modalità di acquisizione chiamata ius sanguinis: un bambino è italiano se almeno uno dei genitori è italiano. Un bambino nato da genitori stranieri, anche se partorito sul territorio italiano, può chiedere la cittadinanza solo dopo aver compiuto 18 anni e se fino a quel momento abbia risieduto in Italia “legalmente e ininterrottamente”. Questa legge è da tempo considerata carente, soprattutto alla luce dei profondi cambiamenti che coinvolgono la società moderna; il processo di globalizzazione sta infatti trasformando il concetto di cittadinanza e la realtà di singoli individui, i cosiddetti cittadini o migranti transnazionali. Le modalità di acquisizione attuali della cittadinanza italiana tendono ad escludere, ad esempio, decine di migliaia di bambini nati e cresciuti in Italia, e lega la loro condizione a quella dei genitori (il cui permesso di soggiorno nel frattempo può scadere, e costringere tutta la famiglia a lasciare il paese). L’applicazione dello ius soli in Italia in sostituzione dello ius sanguinis è stata oggetto di un disegno di legge presentato nel 2015, che proponeva il cambiamento delle modalità di acquisizione della cittadinanza italiana. Dopo numerosi dibattiti, ogni proposta di modifica sembra oggi ferma, continuando a valere la regola generale che, fatte salve le eccezioni indicate di seguito, è oggi cittadino italiano chi ha almeno un genitore italiano. In Italia si applica lo ius soli, in via eccezionale: ► in caso di nascita sul territorio italiano da genitori ignoti; ► in caso di nascita sul territorio italiano da genitori apolidi;
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PARTE 1_I valori della democrazia
► in caso di nascita sul territorio italiano da genitori stranieri che, secondo la legge dello Stato di provenienza, non possono trasmettere al figlio la propria cittadinanza. A parte i casi eccezionali, la cittadinanza italiana si può acquisire: ► automaticamente – per nascita: se si è figli di almeno un cittadino italiano; se si nasce in territorio italiano da genitori ignoti, o apolidi, o stranieri appartenenti a Stati la cui legislazione non preveda la trasmissione della cittadinanza dei genitori al figlio nato all’estero; – per riconoscimento o dichiarazione giudiziale di filiazione: per riconoscimento di paternità o maternità o a seguito di dichiarazione giudiziaria di filiazione durante la minore età del soggetto; – per adozione: diviene cittadino italiano il minore straniero adottato da un cittadino italiano. ► a domanda – per acquisto volontario: se discendenti da cittadino italiano per nascita, fino al secondo grado, che abbia perso la cittadinanza, in presenza di determinati requisiti (svolgendo servizio militare nelle forze armate e dichiarando preventivamente di voler acquistare la cittadinanza italiana; oppure assumendo pubblico impiego alle dipendenze dello Stato, anche all’estero, e dichiarando di voler acquistare la cittadinanza italiana; oppure risiedendo legalmente in Italia due anni al raggiungimento della maggiore età e dichiarando, entro un anno dal raggiungimento della maggiore età, di voler acquistare la cittadinanza italiana); – per discendenza: se si discende da un soggetto, originariamente cittadino italiano, emigrato in un
cittadinanza al compimento dei 18 anni, se ne fa richiesta e se risiede in Francia o vi ha risieduto per almeno cinque anni dopo il compimento degli 11 anni di età. Lo ius soli puro, che prevede che chi nasce nel territorio di un certo Stato ottenga automaticamente la cittadinanza, ad oggi è valido negli Stati Uniti, ma non è previsto in nessuno Stato dell’Unione europea.
paese in cui vige lo ius soli. In tal caso è necessario dimostrare di discendere dal soggetto originariamente cittadino italiano (senza limiti di generazioni) e che non vi sono interruzioni nella trasmissione della cittadinanza (come potrebbe avvenire, ad esempio, in caso di naturalizzazione straniera dell’ascendente); – per matrimonio: dopo 2 anni di convivenza e residenza legale in Italia successivi al matrimonio (3 per i residenti all’estero e ridotti alla metà in presenza di figli); – per naturalizzazione (residenza): se si risiede legalmente in Italia da 10 anni; ai cittadini dell’Unione europea, invece, bastano 4 anni, mentre agli stranieri maggiorenni adottati e a coloro ai quali sia stato riconosciuto lo status di apolide o rifugiato politico servono 5 anni; – per chi è nato in territorio italiano da genitori stranieri: lo straniero nato in Italia e che ha risieduto nel nostro paese legalmente e ininterrottamente dalla nascita fino al compimento dei 18 anni diviene cittadino italiano di diritto se dichiara, entro i 19 anni, di voler acquisire la cittadinanza; – per meriti speciali: è concessa agli stranieri che hanno reso servizi eminenti all’Italia o quando vi sia un interesse eccezionale dello Stato. La concessione è fatta con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato e previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del ministro dell’Interno di concerto con il ministro degli Affari esteri. Sono competenti a emanare i decreti di concessione della cittadinanza il Prefetto (per le domande presentate dallo straniero che risiede in Italia) e il capo del dipartimento per le libertà civili e l’immigrazione (se lo straniero risiede all’estero). Se sussistono
ragioni inerenti alla sicurezza della Repubblica, infine, la competenza è in ogni caso del ministro dell’Interno. Decreto legge 4 ottobre 2018, n. 113. Il cosiddetto “decreto sicurezza”, convertito dalla legge 132/2018 in vigore dal 4 dicembre 2018, la normativa in materia di acquisizione e revoca della cittadinanza italiana ha subìto alcune rilevanti modifiche. In particolare, la nuova legge estende da 24 a 48 mesi il termine per la conclusione dei procedimenti per il riconoscimento della cittadinanza (per matrimonio e naturalizzazione). Il termine si applica anche ai procedimenti in corso. Ai fini dell’acquisto della cittadinanza per matrimonio è richiesto il possesso di un’adeguata conoscenza della lingua italiana (da parte dell’interessato), salvo per i titolari di permesso di soggiorno UE per soggiornanti di lungo periodo. Infine, la nuova legge introduce ipotesi di revoca della cittadinanza in caso di condanna definitiva «per i reati previsti dall’articolo 407, comma 2, lettera a), n. 4), del codice di procedura penale, nonché per i reati di cui agli articoli 270-ter e 270-quinquies.2, del codice penale». Doppia cittadinanza. La legge sulla cittadinanza italiana ammette il possesso di una doppia e persino tripla cittadinanza, in base al principio generale del diritto internazionale denominato “principio di rispetto della sovranità degli Stati”. Il trattato sull’UE del 1992 (Trattato di Maastricht) ha introdotto l’istituto della cittadinanza dell’Unione europea che si affianca a quella nazionale e la integra ma non la sostituisce. Essa riguarda una serie di diritti che spettano al cittadino europeo, come la libera circolazione nei paesi dell’UE, il diritto dell’elettorato nelle elezioni europee e il diritto di rivolgersi direttamente alle istituzioni dell’Unione.
Lezione 4 La cittadinanza
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VITA QUOTIDIANA
Il diritto di territorio ha rilevanti conseguenze negli Stati interessati da forte immigrazione (l’ingresso di persone provenienti da altri Stati o territori) e per tale ragione è stato adottato da paesi quali Stati Uniti, Argentina, Brasile e Canada, il cui territorio molto esteso consente anche una buona capacità di accoglienza. Diversamente, il diritto di sangue,
che tutela i diritti dei discendenti degli emigrati, è spesso adottato dai paesi interessati da una forte emigrazione (lo spostamento cioè dal proprio luogo d’origine verso un altro Stato o territorio) anche storica o da ridelimitazioni dei propri confini (tra i primi Italia, Germania, Grecia, Turchia; tra i secondi Croazia, Serbia, Ucraina, Ungheria).
Può accadere che una persona acquisisca la cittadinanza dello Stato di origine dei genitori, dove vige il diritto di sangue, e nel contempo quella dello Stato sul cui territorio è nata, dove invece vige il diritto di territorio. Queste situazioni di doppia cittadinanza possono causare inconvenienti (si pensi al caso di chi è obbligato a prestare servizio militare in entrambi gli Stati di cui è cittadino), sicché gli Stati tendono ad adottare norme per prevenirla, anche sulla base di trattati internazionali.
GUIDAALLOSTUDIO Rispondi oralmente o per iscritto alle domande o individua e sottolinea nel testo la risposta: ► Cos’è la cittadinanza? Cosa comporta? ► Cosa identifica il concetto di popolo? E quello di popolazione? ► Chi sono gli stranieri? E gli apolidi? ► Come si acquisisce in genere la cittadinanza? ► Quali modalità sono previste in Italia? ► Quale differenza esiste tra il diritto di sangue e il diritto di territorio?
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PARTE 1_I valori della democrazia
VERSOL’ESAMEDISTATO
Analisi e produzione di un testo argomentativo (tipologia B) Massimo Cacciari è un filosofo e politico italiano.
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In modo molto apodittico il concetto stesso di popolo è reazionario. Non c’è il popolo, perché la società è un tessuto fatto di infiniti fili, di infiniti colori e dentro questo tessuto devi riprendere parte. Occorre esprimere un punto di vista: non c’è la massa, non c’è il grumo, che sono ideologie di chi vuole pretendere – a nome di una parte – di rappresentare il tutto. Nella società ci sono le parti in conflitto tra di loro, e questo conflitto, se è democratico, deve partire dal riconoscimento dell’altro, dal tentativo di dialogare con l’altro senza volerlo sopprimere, senza volerlo eliminare. Questo è il punto fondamentale: populismo, questo deleterio -ismo che dobbiamo cancellare dal nostro vocabolario. Gli ismi, in tutti i campi, sono una desinenza nefasta; bisogna determinare, discernere, distinguere: «io sono questa parte e voglio rappresentare questa parte». Nessuno di noi può rappresentare tutto, solo Dio può rappresentare tutti. Nessuno può rappresentare tutti in politica, nessuno rappresenta tutti in filosofia, nessuno rappresenta tutti in economia, nessuno rappresenta tutti nell’umano. Populismo è tutto ciò che vuole dire: «io rappresento il popolo»; questo è il populismo, da qualunque parte venga. Bisogna reagire a questo andazzo, che è nella sua essenza anti-democratico perché porta all’idea di uno spirito del popolo, di una sorta di Volksgeist. È deleterio, è una mentalità intrinsecamente fascista, a prescindere da chi la dice e da come la dice. Allora noi dobbiamo dire che questa è una società con i suoi conflitti, con le sue distinzioni e noi rappresentiamo questo, perché crediamo che questo sia il punto di vista che permette maggiore benessere, maggiore felicità. Ma lo permette nella dialettica con l’altro, non lo permette da solo eliminando l’altro. Il populismo è tecnicamente questo: ritenere il popolo un tutto, mentre il popolo è un ente di ragione, non è niente di reale. La società è un tessuto diverso, molteplice e di questo dobbiamo avere cura perché può rendere abitabile e felice anche la nostra convivenza. Oggi siamo in una situazione molto pericolosa perché da più parti emerge questa nefasta ideologia: se c’era qualcosa di buono, nel passato, era proprio l’estraneità a questa ideologia. Ognuno di noi sapeva di esprimere, e voleva esprimere, un punto di vista; poi il difetto morale della mia generazione è stato il fatto di voler portare avanti una “posizione giusta” in modo assolutamente settario. Il punto di vista che escludeva gli altri, in conclusione, era esattamente quello del populista. Perché se si esprime una “posizione giusta” in termini settari, non dialogici, non dialettici, in termini che escludono il rapporto con l’altro e il riconoscimento dell’altro, l’effetto è esattamente lo stesso del populismo. [Testo tratto da un’intervista a Massimo Cacciari del 2 luglio 2018, in https://www.globalproject.info/it/ produzioni/crisi-della-democrazia-e-populismo-il-report-del-dibattito/21536]
► COMPRENSIONE E ANALISI
1. Cosa si afferma nel testo a proposito di populismo? Quali argomenti vengono addotti per sostenere la tesi principale? 2. Nel corso della trattazione, l’autore sostiene la necessità di reagire all’idea «di uno spirito del popolo» (riga 15). Perché? Qual è il rischio che intravede? 3. Nella società democratica, il conflitto deve partire dal riconoscimento dell’altro: diversamente in cosa degenera? 4. Nel testo si afferma che la situazione attuale è pericolosa. Che tipo di responsabilità Cacciari imputa alla sua generazione?
VERSO L’ESAME DI STATO
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► PRODUZIONE
Condividi le considerazioni del filosofo Massimo Cacciari relativamente all’interpretazione del concetto di popolo come concetto reazionario? Alla luce delle tue conoscenze e delle tue esperienze dirette, ritieni effettivamente che nessuno possa e debba dire «io rappresento il popolo» in quanto esso non esiste come massa, ma piuttosto come società? ► Argomenta i tuoi giudizi con riferimenti alla tua esperienza e alle tue conoscenze e scrivi un testo in cui tesi e
argomenti siano organizzati in un discorso coerente e coeso.
Simulazione di colloquio Finalità specifica del colloquio dell’Esame di Stato è consentire alla Commissione di verificare l’acquisizione dei contenuti e dei metodi delle discipline, nonché la capacità, critica e personale, di argomentare del candidato. È importante curare la capacità di esposizione e la coerenza delle argomentazioni esposte. L’esercizio da fare è, quindi, costruire una mappa concettuale, preferibilmente interdisciplinare, che consenta di fare collegamenti coerenti con il tema proposto. ► ESEMPIO
Per avviare il colloquio, il materiale scelto dalla Commissione è l’opera La Libertà guida il popolo (1830) di Eugène Delacroix. L’analisi dell’opera evidenzia come il suo autore abbia inteso raffigurare tutte le classi sociali in lotta contro l’oppressore con – alla guida – la Marianne, personificazione della Francia e simbolo della libertà, nell’attimo in cui avanza sulla barricata, sventolando il Tricolore francese. Il documento scelto dalla Commissione rappresenta, pertanto, uno spunto per consentire al candidato di esporre le conoscenze sul tema della libertà, laddove possibile in chiave interdisciplinare. Di seguito la scaletta dei contenuti, trattati nel corso della lezione 4, cui fare riferimento per affrontare il tema della libertà: ► L’influenza della Rivoluzione francese (1789) e dei valori di libertà, uguaglianza e fratellanza da essa propugnati,
sulla concezione moderna di democrazia. ► Le diverse declinazioni del concetto di libertà alla base dei diritti civili e politici delle democrazie moderne. ► L’affermazione del diritto alla libertà personale come diritto naturale propria del giusnaturalismo. ► Il significato giuridico del termine “libertà” e il suo rapporto con il riconoscimento dell’eguaglianza. ► Forme ed espressioni diverse che può assumere concretamente il riconoscimento della libertà agli individui
(libertà di essere e libertà di fare).
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PARTE 1_I valori della democrazia
Lo Stato moderno: caratteristiche ed elementi Lezione 2. Forme di Stato e forme di governo Lezione 3. La Costituzione e i poteri dello Stato democratico Lezione 1.
Verso l’Esame di Stato
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PARTE
STATO E COSTITUZIONE
LEZIONE 1 LO STATO MODERNO: CARATTERISTICHE ED ELEMENTI
Il concetto e il termine di Stato fanno riferimento a una particolare organizzazione del potere politico riferibile a un’esperienza storica che si forma e si evolve in tempi abbastanza recenti; non è possibile, infatti, ravvisare in epoche precedenti il XV secolo nulla di veramente paragonabile a ciò che definiamo comunemente come Stato. Gli Stati del mondo oggi sono 206, di cui 196 sono riconosciuti sovrani, dotati cioè di un’organizzazione con una propria potestà di imperio originaria, quindi non delegata da altra istituzione ad essa superiore, efficiente nei propri comandi rispetto alla società e al territorio ad essa sottoposti.
Il mondo oggi
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Il concetto di Stato è tipicamente moderno Nell’antica Grecia non esisteva lo Stato inteso come organizzazione del potere politico e la polis era da intendersi piuttosto come organizzazione della vita di relazione; anche nella civitas del mondo romano non sono
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PARTE 2_stato e costituzione
rintracciabili gli elementi del concetto di Stato come lo si intende oggi, in quanto con essa non si fa riferimento al vivere politico, bensì al vivere sociale secondo legami giuridici. È solo la modernità, lungo un periodo che va dal Medioevo e giunge a compimento nel Novecento, a conoscere in senso pieno lo Stato. Per comprendere il complesso processo di istituzionalizzazione del potere, dobbiamo pertanto capire preventivamente la formazione degli Stati moderni. Secondo il sociologo ed economista tedesco Max Weber (1864-1920), lo Stato oggi è «quella comunità umana che nell’ambito di
EDUCAZIONE CIVICA E LETTERATURA
Il Principe di Machiavelli L’invenzione del termine “Stato”, distinto da status come ceto, è riconducibile alle riflessioni di Niccolò Machiavelli che, nella sua opera Il Principe, un trattato che ne delinea la dimensione politica e la strutturazione gerarchica separata dalla sfera della religione e dell’etica. La figura del principe tratteggiata da Machiavelli, funzionario fiorentino del periodo del Rinascimento (fine XV secolo), è la metafora delle grandi monarchie accentratrici basate sulla forza di chi esercita il potere e sulla separazione della politica dall’etica e dalla religione. Per Machiavelli, infatti, l’essenza della storia umana è il trionfo del più forte e i principali fondamenti di uno Stato devono essere le buone leggi e le buone armi, dove le prime sono conseguenza delle seconde e non viceversa. Per buone armi Machiavelli intende la milizia cittadina e non quella mercenaria: esse sono essenziali perché in caso di guerra ogni mezzo è lecito. Anche per la fondazione dello Stato tutto è lecito, come forza, astuzia e crudeltà: «E molti si sono immaginati repubbliche e principati che non si sono mai visti né conosciuti essere in vero; [...] perché uno uomo che voglia fare in tutte le parte professione di buono, conviene rovini infra tanti che non sono buoni. Onde è necessario a uno principe, volendosi mantenere, imparare a potere essere non buono, et usarlo e non usare secondo la necessità. [...] Et etiam non si curi di incorrere nella infamia di quelli vizii sanza quali possa difficilmente salvare lo stato; perché, se si considerrà bene tutto, si troverrà qualche cosa che parrà virtù, e seguendola sarebbe
la ruina sua; e qualcuna altra che parrà vizio, e seguendola ne riesce la securtà et il bene essere suo» (Il Principe, cap. XV).
Ma una volta che lo Stato c’è, allora bisogna governarlo con spirito repubblicano (la Repubblica romana è il modello di riferimento), ossia con assoluto rispetto delle leggi, della libertà, della sicurezza dei cittadini. La legge è maestra dei cittadini. La crudeltà deve essere usata a fin di bene, e per il bene dello Stato. È meglio che un principe sia temuto (ma non odiato) piuttosto che amato. Per non farsi odiare basta fare il bene del popolo e del principato. Gli uomini seguono il principe quando fa i loro interessi: quando smette di farlo lo abbandonano; tuttavia, se hanno timore di lui, ciò non accadrà. Il cittadino virtuoso è il cittadino leale, capace di rinunciare al proprio utile privato per il bene comune; egli, pur non partecipando al governo dello Stato (l’arte di governare non è per tutti), gode della sicurezza. L’essenza del machiavellismo sta nella ragion di Stato che, separando la politica dall’etica, giustifica il principe (il potere) che sa agire sia da uomo (combattendo attraverso le leggi, regolarmente, con lealtà e fedeltà) sia da bestia (guerreggiando con la forza e l’inganno). In particolare, i modelli di animale da seguire sono la volpe (es.: non mantenere la parola quando ciò gli causerebbe un danno) e il leone. Machiavelli ritiene che l’apparire, il “far credere” e l’ipocrisia siano fondamentali per il principe, e sostiene l’onnipotenza del risultato. Convenzionalmente si fa risalire a Machiavelli la nascita della Scienza della Politica.
Lezione 1 Lo Stato moderno: caratteristiche ed elementi
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Accentramento o centralizzazione L’accentramento o centralizzazione è la tendenza alla concentrazione del potere e delle funzioni. Uno Stato accentrato o centralizzato è, come quello moderno, uno Stato in cui le funzioni di governo fondamentali (militari, giudiziarie, amministrative, fiscali) sono controllate dallo Stato attraverso i suoi organi rappresentativi. Il processo opposto, il trasferimento di funzioni dallo Stato a enti territoriali minori, è detto decentramento.
un determinato territorio, detiene il monopolio legittimo della forza»; l’esame del potere politico e delle modalità attraverso le quali esso si esplica è dunque indispensabile per comprendere le funzioni e le finalità dello Stato. Lo Stato moderno , in base a quanto detto, rappresenta in epoca moderna l’organizzazione politica di un gruppo sociale, su un dato territorio ove esercita il proprio potere. I fini dello Stato sono generalmente contenuti in un documento solenne, chiamato Costituzione, nel quale sono fissati anche i princìpi fondamentali, frutto dei valori cui lo Stato stesso si ispira. Per perseguire i propri fini, lo Stato si avvale di un’organizzazione di poteri cui spettano i compiti di: formare le leggi (funzione legislativa), applicarle (funzione esecutiva), farle rispettare mediante sanzioni (funzione giudiziaria) [ LEZIONE 3.2, p. 47]. L’unicità del potere statale è ciò che differenzia lo Stato moderno dalle precedenti forme di organizzazione politica. Punto di arrivo di un lungo processo storico, lo Stato moderno accentra► in sé il potere e supera la frammentazione territoriale e politica propria del periodo feudale. Le funzioni che lo Stato moderno assume sono:
► militari, con la creazione di veri eserciti professionali in sostituzione dei vecchi eserciti composti da nobili e contadini; Territorio Il territorio ► giudiziarie, con la nascita di tribunali centrali e giudici nominati diretdello Stato è costituito tamente dal sovrano in sostituzione della miriade di poteri giurisdizionali dalla terraferma, così come risulta dai confini del Medioevo; definiti attraverso accordi ► amministrative, con la realizzazione di una rete di funzionari preposti con gli altri Stati. In base all’attivazione di servizi pubblici e coordinati dallo Stato stesso; al diritto internazionale, il territorio di uno ► fiscali, con la creazione di un sistema di imposizione e riscossione Stato è composto anche di tributi necessario a sostenere l’organizzazione politica della collettidalle acque territoriali vità. (entro le 12 miglia dalla costa); dal sottosuolo corrispondente alla terraferma (per tale ragione è diritto esclusivo dello Stato sfruttare le risorse minerarie estraibili dal sottosuolo); dallo spazio atmosferico che si estende al di sopra della terraferma (per tale ragione è diritto di ogni Stato consentire o impedire il passaggio aereo). Sono considerati spazi extra-territoriali (e per questo non appartenenti ad alcuno Stato): il mare aperto oltre le acque territoriali; lo spazio cosmico oltre lo spazio atmosferico; l’Antartide.
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Tali funzioni, seppure con forme e modalità diverse a seconda dei tempi, caratterizzano ancora oggi lo Stato, diventato ormai una realtà consolidata con la quale ci si rapporta per tutti gli aspetti del vivere sociale; esso è, infatti, l’entità che fornisce i servizi essenziali (scuola, sanità, giustizia, ecc.), che richiede il pagamento di imposte e tasse (tributi) proprio per assicurare quei servizi, che fa le leggi, le applica e le amministra. Tutto questo consente di identificare lo Stato come l’organizzazione della vita collettiva di un gruppo sociale, su di un territorio►, secondo propri fini, per raggiungere i quali si serve dell’esclusività del potere. Tale organizzazione si avvale di un proprio complesso di regole (norme) e di strumenti per farle rispettare (potere sovrano). In quanto frutto di una volontà consapevole, lo Stato è diverso dalla società, che nasce, invece, sulla base di interessi spontanei e convergenti tra i cittadini. Gli elementi costitutivi di un’organizzazione statale sono:
PARTE 2_stato e costituzione
► l’esistenza di un gruppo sociale (popolo) su un dato territorio;
► l’insieme delle norme giuridiche che regolano la vita collettiva e disciplinano l’organizzazione del potere statale (ordinamento giuridico); ► l’esercizio del potere che consente di mantenere l’ordine interno ed esterno (sovranità); ► il raggiungimento di determinati fini (interessi generali). In altre parole, la vita dei cittadini (popolo) che vivono su un dato territorio è organizzata sulla base dell’osservanza di un ordinamento giuridico (leggi e organi) per il raggiungimento di fini generali (interessi della società). Le leggi, dunque, pongono gli interessi della società in una posizione di superiorità rispetto all’interesse di un singolo cittadino; esse sono frutto e conseguenza della sovranità, potere originario che non ammette nulla al di sopra di sé. La sovranità consente di esercitare il potere politico sulla società civile grazie alla possibilità, propria solo dello Stato, di far ricorso all’uso della forza e della coercizione per far valere i propri comandi; a carico dei cittadini, invece, vi è il cosiddetto obbligo politico, ovvero il dovere assoluto di obbedire ai suoi comandi. Qualora il popolo non rispetti le regole, lo Stato può intervenire, esercitando il suo potere di coercizione, attraverso le sanzioni; queste possono essere applicate solo dallo Stato, che è l’unico soggetto a detenere legittimamente il cosiddetto monopolio della forza. In tutti gli ordinamenti democratici la sovranità oggi spetta allo stesso popolo che la esercita attraverso i propri rappresentanti. Lo Stato, dunque, governa in modo legittimo perché espressione della volontà popolare e fondato sul consenso. Questo criterio di legittimità è fondamentale per rendere accettabile l’uso della forza da parte del potere politico. Inoltre, la stessa sovranità che consente allo Stato, all’interno del proprio territorio, di esercitare il potere politico sui propri cittadini allo scopo di raggiungere fini di interesse collettivo, all’esterno consente anche l’indipendenza da ogni altro Stato. Infatti, se ogni Stato è sovrano e non riconosce alcun potere sopra di sé, è evidente che tutti gli Stati sono indipendenti e hanno, quindi, il diritto di impedire qualunque intervento nel proprio territorio da parte di altri Stati. Il concetto di Stato, inteso come organizzazione politica che esercita la propria sovranità su un dato territorio, non va confuso con il concetto di nazione, che fa riferimento all’insieme degli individui che, per cultura, tradizioni e lingua, appartengono alla stessa etnia. L’etnia identifica un gruppo
VITA QUOTIDIANA
L’Italia, pur non essendo Stato multinazionale, tutela i gruppi etnici non italiani (tedesco, ladino, sloveno e franco-provenzale) presenti sul territorio attraverso il riconoscimento di una speciale autonomia alle Regioni ove tali etnie sono presenti. Attualmente, a causa
delle forti tendenze migratorie in atto, si assiste a una progressiva trasformazione di tutti gli Stati europei impegnati a sviluppare modelli di organizzazione politica rispettosi di tutte le etnie presenti sul proprio territorio.
Lezione 1 Lo Stato moderno: caratteristiche ed elementi
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di persone basato sulla comunità di caratteri somatici, culturali e linguistici. Si possono, quindi, avere Stati multinazionali, se in essi convivono più etnie, e Stati nazionali, quando è presente una sola etnia. Nel primo caso, sia le etnie di maggioranza che quelle di minoranza sono, generalmente, tutelate allo stesso modo.
GUIDAALLOSTUDIO
Rispondi oralmente o per iscritto alle domande o individua e sottolinea nel testo la risposta: ► Quali elementi caratterizzano lo Stato moderno? ► Cos’è la sovranità? Da dove ha origine? ► Cosa comprende il territorio di uno Stato? ► Cosa significa che lo Stato ha il monopolio della forza? ► Perché i cittadini hanno il cosiddetto “obbligo politico”? ► Qual è la differenza tra Stato e nazione?
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PARTE 2_stato e costituzione
LEZIONE 2 FORME DI STATO E FORME DI GOVERNO
Lo Stato moderno, convenzionalmente, ha origine nel XV secolo (con la nascita delle grandi monarchie europee). Da allora, però, gli Stati si sono molto differenziati tra loro realizzando diversamente il rapporto tra governati e governanti. L’analisi delle forme di Stato e delle forme di governo che si sono succedute nel tempo permette di comprendere meglio la funzione degli ordinamenti statali attuali: senza la loro organizzazione, molto più alti sarebbero i rischi di disordine e ingiustizia.
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Le forme dello Stato Per forma di Stato, oggi, si intende il rapporto che intercorre tra gli elementi costitutivi di uno Stato (popolo, territorio, potere sovrano). In base a tale rapporto, gli Stati vengono classificati in modi diversi.
FORME DI STATO STATO ASSOLUTO
STATO LIBERALE
• predominio degli interessi della classe borghese • nessun intervento statale in economia • esistenza di una Costituzione
• concentrazione del potere nelle mani del re • prevalenza degli interessi della nobiltà • assenza di controllo sull’operato del re
STATO SOCIALISTA
• eguaglianza economico-sociale • proprietà statale dei mezzi di produzione • partito unico
STATO DEMOCRATICO
• sovranità popolare • compromesso tra le diverse classi sociali • suffragio universale • pluralismo delle organizzazioni tra cittadini • assistenzialismo sociale
STATO FASCISTA
• concentrazione del potere nelle mani del Capo del Governo • partito unico • nessuna libertà civile e politica • nazionalismo
LEZIONE 2 FORME DI STATO E FORME DI GOVERNO
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Stato assoluto Con la fine del feudalesimo, in Europa nascono le grandi monarchie e con esse, tra il XVI e il XVIII secolo, si afferma la forma dello Stato assoluto (dal latino absolutus, cioè ‘sciolto da vincoli’): i re, al di sopra di qualunque legge, avevano un potere assoluto, concentrato completamente nelle loro mani e sciolto da qualunque vincolo e controllo. Francia e Spagna rappresentarono i principali modelli di Stato assoluto, mentre il fenomeno fu meno accentuato in Inghilterra. Nelle monarchie assolute di Russia e Austria, invece, nella prima metà del XVIII secolo, si affermò una forma di Stato più illuminata in cui il potere non era più esercitato nell’esclusivo interesse del sovrano, ma anche al fine di promuovere il benessere dei sudditi (dispotismo illuminato). Stato liberale Tra la metà del Seicento e la fine del Settecento, le rivoluzioni scoppiate in Inghilterra (1642-89), in America (1776-83) e in Francia (1789) posero fine all’assolutismo e determinarono la nascita dello Stato liberale. Esso si caratterizza per essere subordinato a una Costituzione in cui trovano affermazione tanto i diritti e i doveri dei cittadini quanto quelli dello Stato (Stato costituzionale). La concezione politica di riferimento è indicata con il termine liberalismo, i cui princìpi sono il valore supremo dell’individuo e della sua libertà e la tutela di quest’ultima da parte dello Stato. I compiti dello Stato liberale erano rivolti a garantire solo l’ordine e la sicurezza dei cittadini; tutte le attività economiche erano nelle mani dei privati, e lo Stato non si preoccupava di correggere le situazioni di diseguaglianza e debolezza presenti tra i cittadini. Nell’Ottocento, con la crescita della grande industria, si sviluppò la crisi dello Stato liberale, a causa delle rivendicazioni della classe operaia che, costretta a vivere ai limiti della sopravvivenza per le pesanti condizioni di lavoro e bassi salari, chiedeva migliori condizioni di vita. Alle proteste seguirono atteggiamenti opposti da parte degli Stati: alcuni fecero delle concessioni, altri intervennero con la repressione. Questa situazione fece emergere tre nuove forme di Stato: lo Stato socialista, lo Stato fascista e lo Stato democratico.
Regime totalitario Forma di governo in cui il potere si concentra nelle mani di un capo o di un ristretto gruppo dominante, che assume il controllo di tutti gli aspetti della vita dello Stato imponendo la propria esclusiva ideologia.
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Stato socialista Questa forma di Stato, basata sull’idea dell’eguaglianza economico-sociale, si oppose alla società liberale e borghese, ritenuta causa di diseguaglianze. Contrariamente allo Stato liberale, tale organizzazione statale estese al massimo il proprio intervento in campo economico, col fine di abolire qualunque privilegio di classe. La realizzazione di questo modello di Stato ha comportato nella pratica, negli anni Trenta-Quaranta del Novecento, l’affermarsi di un regime totalitario►, in cui il potere era in mano a un unico partito, quello comunista. Questo modello è stato in Europa oggi superato e gli Stati in cui si era realizzato si sono adoperati per la costruzione di uno Stato democratico. Stato fascista Tra la prima e la seconda guerra mondiale, in alcuni paesi europei (Italia, Germania, Portogallo e Spagna) il processo di democratizzazione venne bloccato e si realizzarono forme di Stato dittatoriali. In questi paesi furono abolite tutte le libertà politiche e civili e, in parallelo, venne
PARTE 2_stato e costituzione
Nazionalismo Tendenza politica sorta a cavallo del XIX e XX secolo che porta avanti il concetto di nazione come collettività depositaria del patrimonio culturale e spirituale di un popolo/ etnia. Per i nazionalisti gli interessi della nazione devono essere posti al di sopra di quelli individuali e di ogni altro valore politico, morale e religioso. La dottrina nazionalista promuove azioni volte a rendere pienamente indipendente la nazione da condizionamenti esterni, sia politici che economici, e ad aumentarne la potenza e l’influenza sul piano internazionale, attraverso una politica fondata sull’uso della guerra come strumento di affermazione ed espansione della nazione.
rafforzato il potere autoritario dello Stato. Attraverso la concentrazione dei poteri nelle mani di un dittatore, il ricorso alla forza divenne il metodo per combattere tutti gli avversari politici. Come nello Stato socialista, anche in questa forma organizzativa si realizzò un regime a partito unico di tipo totalitario, che aveva lo scopo di ottenere il consenso della popolazione. I caratteri ideologici dominanti erano quelli del patriottismo e del nazionalismo►. Stato democratico La realizzazione dello Stato democratico, risultato delle conquiste politiche e sociali ottenute nel periodo liberale, è stata graduale e non priva di conflitti. Esso si fonda su un compromesso tra le classi sociali, grazie al quale la partecipazione alla vita politica e al godimento dei diritti appartiene a tutti. La Costituzione, in questo tipo di Stato, è un patto tra forze politiche e sociali diverse. Tra i tanti aspetti, nello Stato democratico si realizzano: il suffragio universale (il diritto di voto a tutti), il pluralismo delle organizzazioni dei cittadini (partiti politici, sindacati), il metodo democratico (le decisioni sono prese a maggioranza). Lo Stato democratico, oltre che Stato costituzionale, è anche Stato di diritto che risponde delle proprie azioni di fronte al popolo e sottomette la sua stessa autorità alla legge, in quanto assume nei confronti dei cittadini non solo diritti ma anche doveri. In esso, inoltre, si assiste a un progressivo aumento dell’intervento statale in campo economico e sociale al fine di correggere le diseguaglianze e gli squilibri che si erano creati o mantenuti nelle forme di Stato precedenti. Accanto alle forme di Stato descritte, un’altra classificazione è possibile in base al rapporto che in queste si realizza tra la sovranità, da un lato, e il popolo e il territorio dall’altro. Questa classificazione distingue lo Stato unitario dallo Stato composto. Stato unitario Esso è formato da un unico territorio nazionale e da un unico ordinamento nazionale. All’interno di tale tipologia è possibile che il potere sia accentrato completamente nelle mani degli organi che determinano la politica nazionale (Stato unitario centralizzato) oppure che si realizzino forme di decentramento verso organi autonomi locali, quali le Regioni (Stato unitario regionale). L’Italia è un esempio di Stato unitario regionale, mentre la Francia è uno Stato unitario centralizzato.
INDICATORI DI DEMOCRAZIA
PLURALISMO
SEPARAZIONE DEI POTERI
METODO DEMOCRATICO
STATO DI DIRITTO
COSTITUZIONE
SUFFRAGIO UNIVERSALE
STATO SOCIALE
DIRITTI E LIBERTÀ
Lezione 2 Forme di Stato e forme di governo
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Stato composto o Stato federale Questa classificazione considera lo Stato formato dall’unione di più Stati che hanno loro propri ordinamenti, ma che, su importanti materie (ordine pubblico, politica estera, difesa, ecc.), rinunciano alla propria sovranità e sono rappresentati da un unico Governo federale con un proprio ordinamento e proprie competenze. Sono esempi di Stati federali la Svizzera dal 1948 e gli Stati Uniti.
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Le forme di governo Una seconda classificazione degli Stati è quella operata in base alla forma di governo prescelta. Con l’espressione forma di governo si intendono i rapporti che s’instaurano tra i vari organi dello Stato (Parlamento, Governo, Capo dello Stato) e i modi in cui essi si ripartiscono ruoli e poteri. Tutti i regimi democratici, infatti, presentano al vertice dello Stato non più un solo organo, bensì una pluralità di organi cui competono funzioni diverse. Tradizionalmente le forme di governo sono il regime (o governo) parlamentare e il regime (o governo) presidenziale. ► Nel regime parlamentare, come accade in Italia (che è una Repubblica parlamentare), il Parlamento ha un ruolo centrale e il Capo dello Stato è figura garante del rispetto della Costituzione; il Governo formula un indirizzo politico che si impegna a seguire e di cui è responsabile di fronte al Parlamento, che può revocarlo togliendogli la fiducia. ► Nel regime presidenziale, invece, il ruolo principale è svolto proprio dallo stesso Capo dello Stato (eletto direttamente dal popolo in elezioni non collegate a quelle del Parlamento) che è contemporaneamente anche Capo del Governo; un esempio è quello degli Stati Uniti d’America. ► Nel regime semipresidenziale, tipica forma di governo francese, il potere esecutivo è nelle mani del Presidente della Repubblica, eletto ogni 5 anni (dal 2002) direttamente dai cittadini e non responsabile di fronte al Parlamento; tuttavia, tra i due poteri esiste una certa interdipendenza in quanto il Capo dello Stato nomina un Governo che deve avere la fiducia del Parlamento. Quest’ultimo, pertanto, può costringere il Governo a dimettersi, ma il Presidente della Repubblica (che è anche Capo di Governo) ha la possibilità di sciogliere il Parlamento. Al concetto di forma di governo si lega la distinzione tra monarchia (dal greco mònos, ‘solo’, e archèin, ‘governare’), nella quale l’autorità sovrana è esercitata dal re, e repubblica (dal latino res, ‘cosa’, e publica, ‘pubblica’; identifica l’“interesse comune”), che si realizza quando la sovranità spetta al popolo che la esercita attraverso propri rappresentanti: a capo della repubblica vi è un presidente.
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PARTE 2_stato e costituzione
La distinzione tra monarchia e repubblica ha, oggi, un valore solo formale. Infatti, nei paesi europei che conservano la forma monarchica si sono instaurati regimi parlamentari, in cui il re ha gli stessi poteri di un presidente della repubblica, cioè “regna, ma non governa”: dalla monarchia assoluta, quindi, si è passati alla monarchia costituzionale. Questa è caratterizzata sempre dall’esercizio dell’autorità sovrana da parte del re, ma nel nome del popolo e nel rispetto dei limiti posti all’interno della Costituzione adottata nel paese. Sono oggi monarchie costituzionali la Spagna, il Belgio, la Danimarca, la Norvegia, la Svezia e la Gran Bretagna.
GUIDAALLOSTUDIO Rispondi oralmente o per iscritto alle domande o individua e sottolinea nel testo la risposta: ► Quale elemento differenzia le forme di Stato? ► In cosa si concretizza il potere assoluto del re? ► Quali eventi fecero nascere lo Stato liberale? E quali lo misero in crisi? ► Quale idea è alla base dello Stato socialista? Perché è uno Stato totalitario? ► Quando si affermò il modello di Stato fascista? Con quali caratteri? ► Su cosa si fonda lo Stato democratico? Perché è anche costituzionale? ► Che differenza c’è tra Stato unitario e Stato composto? ► Cosa si intende per forma di governo? ► Quali sono le differenze fra regime parlamentare, regime presidenziale e semipresidenziale? ► Quali sono le differenze fra monarchia e repubblica? ► Cos’è la monarchia costituzionale?
Lezione 2 Forme di Stato e forme di governo
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LEZIONE 3 LA COSTITUZIONE E I POTERI DELLO STATO DEMOCRATICO
Gli Stati democratici attuali si riconoscono in una legge fondamentale: la Costituzione, così denominata in quanto “costituisce” l’ordinamento statale; essa rappresenta un “patto-programma” tra il potere dello Stato e i cittadini. Con l’affermazione dello Stato democratico diventa centrale anche il tema della legittimazione del potere. In particolare, assume fondamentale importanza il riconoscimento della pluralità di compiti a carico dei pubblici poteri. In sostituzione del principio di concentrazione di tutto il potere statale nelle mani del monarca, si afferma quello della divisione dei poteri (esecutivo, legislativo e giudiziario); il popolo è chiamato a partecipare alla vita politica e l’attività dei governanti deve essere sottoposta alla legge. Scopo primario è la garanzia delle libertà dell’individuo, ponendo lo Stato in condizione di non poterle violare.
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La Costituzione Il costituzionalismo è l’insieme delle dottrine politico-giuridiche che riflettono sul tema del potere politico e dei suoi limiti. Il costituzionalismo moderno è fortemente legato all’adozione di Costituzioni scritte, quali documenti solenni che legittimano e, allo stesso tempo, limitano il potere politico, con l’eccezione dell’esperienza giuridica britannica che, diversamente, non sfocia nella redazione di un testo costituzionale scritto. La Costituzione è l’insieme dei princìpi fondamentali che stanno alla base dell’ordinamento giuridico di uno Stato, a cui tutte le leggi devono ispirarsi. Generalmente redatta sotto forma di documento scritto e solenne, anche se sintetico, la Costituzione fissa le regole cui lo Stato deve attenersi nell’esercizio del potere politico; esistono, tuttavia, anche esempi di Costituzioni, come quella britannica, formate da atti separati e norme consuetudinarie e tramandate nel corso dei secoli. Il primo documento fondamentale per il riconoscimento universale dei diritti dei cittadini si fa risalire alla Magna Charta Libertatum, concessa nel 1215 dal re Giovanni Senza Terra, in Inghilterra. Essa, pur essendo un atto feudale, conteneva aspetti rivoluzionari, quali quello di limitare i poteri del
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PARTE 2_stato e costituzione
Statuto Albertino Lo Statuto Albertino fu concesso da Carlo Alberto di Savoia, re del Regno di Piemonte e di Sardegna, il 4 marzo 1848. Nel preambolo è definito la «Legge fondamentale perpetua ed irrevocabile della Monarchia sabauda», ma il 17 marzo 1861, con la fondazione del Regno d’Italia, divenne la Carta fondamentale della nuova Italia unita, rimanendo tale fino al biennio 194446, quando fu adottato un regime costituzionale transitorio che rimase valido fino al 1° gennaio 1948, data in cui entrò in vigore la Costituzione della Repubblica Italiana.
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re e di teorizzare la libertà del suddito sia nei confronti dei propri simili sia rispetto allo Stato (riconoscendo alcuni diritti della persona, come per esempio il diritto di non essere arrestato, imprigionato, giudicato arbitrariamente, ecc.). Da allora, i passi fatti in tale direzione sono stati notevoli, soprattutto a seguito delle rivoluzioni borghesi del Seicento e del Settecento, il cui scopo è stato, tra gli altri, quello di far proclamare solennemente nelle Costituzioni i diritti inviolabili dei cittadini quali limiti assoluti anche per i poteri dello Stato. A differenza delle attuali Costituzioni, quelle del passato erano caratterizzate dalla brevità del testo e dalla flessibilità del contenuto, ed erano concesse dal potere sovrano. Solo nel corso del Novecento si è sviluppata la tendenza ad ampliare il contenuto delle disposizioni costituzionali, a causa del crescente intervento dello Stato nella vita pubblica. Così, dalle brevi disposizioni di carattere generale delle prime Costituzioni si è passati a testi più lunghi, volti a disciplinare minuziosamente le garanzie dei cittadini e l’organizzazione dello Stato. Inoltre, per evitare che le Costituzioni possano essere modificate solo per volontà di temporanee maggioranze parlamentari, gli attuali testi costituzionali non sono più flessibili, presentano cioè il carattere della rigidità: per modificare il contenuto di un principio costituzionale non è sufficiente il ricorso al procedimento normalmente previsto per l’emanazione di una legge, ma occorre un metodo più complesso. Tale procedura ha lo scopo di assicurare che ogni modifica sia veramente voluta dalla maggioranza del popolo. In Italia, la scelta di una Costituzione rigida è stata anche conseguenza dell’esperienza fascista. Durante il ventennio fascista, infatti, grazie a semplici leggi, il Capo del Governo, Mussolini, modificò lo Statuto Albertino►, in modo da costituire un regime adatto alla sua idea di Stato. Per questo nell’attuale ordinamento italiano si è adottato il sistema delle “leggi costituzionali” come unico strumento per modificare la Costituzione, che è posta, inoltre, in posizione gerarchica superiore rispetto a tutte le altre fonti del diritto. Infine, mentre le Costituzioni del passato erano concessioni che il monarca elargiva al proprio popolo, oggi le Costituzioni sono votate, perché volute dal popolo e votate dai suoi rappresentanti.
I poteri e le funzioni dello Stato Il potere politico, nello Stato democratico, è la capacità di assicurare l’osservanza di tutti gli obblighi che servono a garantire l’interesse generale. Le funzioni che lo Stato svolge attraverso l’esercizio del potere politico sono, oltre quella di emanare regole, anche quella di produrre servizi utili alla collettività. Le regole o norme giuridiche servono a risolvere i conflitti tra gli individui, promuovendo comportamenti vantaggiosi per la società o rimuovendo quelli considerati dannosi. Questo obiettivo è perseguito mediante la funzione legislativa.
Lezione 3 La Costituzione e i poteri dello Stato democratico
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Principio della separazione dei poteri Il principio della separazione dei poteri è formalizzato dal filosofo illuminista Montesquieu (1689-1755) nell’opera L’Esprit des lois (Lo spirito delle leggi) del 1748. Per Montesquieu ogni funzione pubblica deve essere attribuita a un potere distinto per evitare che la concentrazione di funzioni possa spianare la strada a forme di governo autoritarie e che ciascuno dei tre poteri prevarichi o interferisca con l’altro. In Italia il Presidente della Repubblica ha come compito principale quello di garantire gli equilibri fra i diversi poteri.
La produzione da parte dello Stato di servizi pubblici utili alla collettività definisce, invece, il contenuto della funzione esecutiva (o amministrativa). Tra i servizi che lo Stato ritiene utili per la collettività, vi è quello dell’amministrazione della giustizia: si tratta della funzione giurisdizionale. A ciascuna funzione corrisponde un potere, esercitato da specifici o rgani: ► il potere legislativo è affidato al Parlamento; ► il potere amministrativo o esecutivo è affidato al Governo; ► il potere giudiziario è affidato alla Magistratura. Ognuno di questi poteri è indipendente, cioè svolge una attività specifica, diversa da quella attribuita ad un altro, secondo il principio della separazione dei poteri►. Mentre nello Stato assoluto il re era contemporaneamente legislatore, amministratore e giudice, nello Stato di diritto la separazione dei poteri impedisce che tutti i poteri e tutte le funzioni possano concentrarsi nelle mani di un unico soggetto o di un unico organo con il rischio di essere esercitate in modo non democratico.
CONCENTRAZIONE E SEPARAZIONE DEI POTERI CONCENTRAZIONE DEI POTERI
FUNZIONE ESECUTIVA
Re Giudice supremo
SEPARAZIONE DEI POTERI
Governo e/o Capo dello Stato Fonte delle leggi FUNZIONE LEGISLATIVA
Capo civile e militare supremo
Parlamento
FUNZIONE GIUDIZIARIA
Magistratura
VITA QUOTIDIANA
Quando lo Stato emana una legge con cui, ad esempio, istituisce tributi, esso esercita una funzione legislativa; quando istituisce ospedali, scuole, ecc. svolge una funzione amministrativa. Quando un cittadino non osserva una norma giuridica, ad esempio quella di non contribuire alle spese dello Stato, commette
un’ingiustizia verso la società e verso i singoli; in questo caso lo Stato ha il dovere di riequilibrare i rapporti e lo fa affidando ai giudici il compito di valutare la gravità dell’infrazione e stabilire la relativa sanzione, esercitando dunque la sua funzione giudiziaria.
Nonostante la si associ all’epoca moderna, l’idea della separazione dei poteri affonda le radici nella Grecia classica: nella riflessione filosofica dei tempi, il cosiddetto “governo misto” era visto come antidoto alla possi-
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PARTE 2_stato e costituzione
bile degenerazione delle forme di governo “pure”, nelle quali tutto il potere è concentrato in un unico soggetto. Aristotele, nella Politica, delineò una forma di governo misto, definita politìa (fatta propria poi anche da Tommaso d’Aquino), nella quale confluivano i caratteri delle tre forme EDUCAZIONE CIVICA E FILOSOFIA
Lo spirito delle leggi di Montesquieu Nell’opera Lo spirito delle leggi (1748) trova piena espressione il principio della separazione dei poteri dello Stato. Il suo autore, Montesquieu, tratta anche delle leggi che formano la libertà politica nel suo rapporto con la Costituzione. La libertà è il diritto di fare tutto ciò che le leggi permettono. Per Montesquieu la libertà politica è quella tranquillità di spirito che la coscienza della propria sicurezza dà a ciascun cittadino; condizione di tale libertà è un governo organizzato in modo che nessun cittadino possa temere un altro e l’esistenza di una Costituzione grazie alla quale «nessuno sia costretto a fare le cose alle quali la legge non lo obbliga, e a non fare quello che la legge permette». Questa libertà non si trova sempre nei Governi moderati perché spesso vi è abuso di potere: l’unica possibilità di evitare gli abusi del potere è che il potere arresti il potere; è necessario separare e distribuire i poteri (cioè le funzioni principali che lo Stato deve assicurare al popolo) facendo sì che vengano affidati ad organi distinti (principio della separazione e/o dell’equilibrio dei poteri dello Stato. «Il potere corrompe, il potere assoluto corrompe assolutamente»: partendo da questa considerazione Montesquieu traccia la teoria della separazione dei poteri, analizzando in particolare il modello costituzionale inglese. Tale teoria divenne una delle pietre miliari di tutte le Costituzioni degli Stati sorti dopo il 1789. A differenza di Locke, Montesquieu vede, oltre al potere legislativo, anche il potere giudiziario distinto da quello esecutivo. Al legislativo sono garantite sessioni periodiche: ha la facoltà di deliberare ed ha la facoltà di esaminare in quale maniera le leggi stabilite vengono eseguite (si allude alla regola inglese dell’impeachment). L’esecutivo convoca il legislativo, che non deve essere sempre riunito in assemblea né deve avere la
diretta facoltà di riunirsi autonomamente, altrimenti invaderebbe il campo del potere esecutivo. Il monarca partecipa al legislativo non in virtù della sua facoltà di statuire bensì di quella di impedire, allo scopo di potersi difendere. Il monarca è inviolabile e sacro. «Tutto sarebbe perduto se lo stesso uomo, o lo stesso corpo di maggiorenti, o di nobili, o di popolo, esercitasse questi tre poteri: quello di fare le leggi, quello di eseguire le decisioni pubbliche, e quello di giudicare i delitti o le controversie dei privati». Montesquieu riflette sui rappresentanti del popolo: «Poiché, in uno Stato libero, qualunque individuo che si presume abbia lo spirito libero deve governarsi da sé medesimo, bisognerebbe che il corpo del popolo avesse il potere legislativo. Ma siccome ciò è impossibile nei grandi Stati, e soggetto a molti inconvenienti nei piccoli, bisogna che il popolo faccia per mezzo dei suoi rappresentanti tutto quello che non può fare da sé».
Conviene quindi che gli abitanti si scelgano un rappresentante, capace di discutere gli affari, che possa dare voce al popolo nell’ambito del potere legislativo. La nazione è quindi espressa dai suoi rappresentanti, cittadini maggiormente interessati alla cosa pubblica, che devono informare sui bisogni dello Stato, sugli abusi che si riscontrano e sui possibili rimedi. Sicuramente sarebbe molto più democratico dare la parola ad ogni cittadino, ma si incapperebbe in lungaggini e tutta la forza della nazione rischierebbe di essere arrestata per il capriccio di un singolo. Inoltre è necessario che i rappresentanti siano eletti periodicamente e che ogni cittadino nei vari distretti abbia il diritto di esprimere il suo voto per eleggere il deputato. Montesquieu, però, prefigura una limitazione del diritto di voto: lo nega a chi non è proprietario o dotato di averi, quindi si basa su una marcata differenziazione fondata sulla stratificazione sociale.
Lezione 3 La Costituzione e i poteri dello Stato democratico
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semplici da lui teorizzate (monarchia, aristocrazia, democrazia); distinse, inoltre, tre momenti nell’attività dello Stato: deliberativo, esecutivo e giudiziario. Grazie all’opera di Locke il principio di separazione dei poteri divenne sempre più simile a quello che oggi conosciamo e che attribuiamo principalmente al filosofo Montesquieu (1689-1755), uno dei massimi interpreti dell’opposizione all’assolutismo e del relativismo culturale tipici della mentalità illuminista [ LO SPIRITO DELLE LEGGI DI MONTSQUIEU, p. 49].
GUIDAALLOSTUDIO Rispondi oralmente o per iscritto alle domande o individua e sottolinea nel testo la risposta: ► Cos’è la Costituzione e quali sono i suoi scopi? ► Quali sono le differenze principali tra le Costituzioni di ieri e quelle di oggi? ► Cosa si intende per rigidità della Costituzione? ► Cos’è il potere politico dello Stato? ► Attraverso chi lo esercita? ► Quali funzioni svolge lo Stato attraverso il potere politico? ► Cosa garantisce il principio della separazione dei poteri?
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PARTE 2_stato e costituzione
VERSOL’ESAMEDISTATO
Analisi e produzione di un testo argomentativo (tipologia B) Michele Salvati è un economista e politico italiano.
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I libri e gli articoli dedicati all’attuale crisi della democrazia riempirebbero molti scaffali di biblioteca [...] I due più importanti mutamenti strutturali riguardano, il primo, la situazione internazionale nella quale una singola democrazia nazionale è immersa; il secondo riguarda le trasformazioni (sociali, economiche, tecnologiche) che tutte le democrazie nazionali hanno attraversato negli ultimi decenni e influiscono profondamente sulle modalità di rappresentanza e, in particolare, sui partiti. Una democrazia rappresentativa può operare solo all’interno di uno Stato sovrano: i suoi cittadini, mediante il voto, scelgono i governi, le cui azioni verranno giudicate dagli stessi cittadini in successive elezioni. Ma il benessere dei cittadini non dipende solo, e neppure principalmente, dall’azione dei governi o dalla qualità delle istituzioni dello Stato. Dipende sempre di più dalle relazioni economiche e politiche che lo Stato intrattiene con l’insieme di Paesi che formano la comunità internazionale: una comunità certamente non democratica, attraversata da rapporti di egemonia e dipendenza e da regole sempre più fitte che li disciplinano. [...] Dopo le turbolenze degli anni Settanta del secolo scorso si è però entrati in tutt’altra fase internazionale, una fase di minore sviluppo e di crescenti ristrettezze economiche, alle quali, sul piano nazionale, si cerca di reagire mediante impopolari riforme volte a migliorare la competitività dell’economia e l’efficienza delle istituzioni pubbliche. Di nuovo, non si va lontani dal vero se si ritiene che una parte del discredito per la nostra democrazia sia oggi dovuta a queste difficili condizioni esterne, più che un drastico peggioramento della sua qualità. Ad aggravare la situazione – comune a tutti i Paesi che si devono adattare alla globalizzazione, al regime neoliberale imposto dagli Stati Uniti e dal capitalismo internazionale – si è aggiunta per alcuni Paesi europei, tra cui il nostro, la decisione di aderire all’Unione monetaria europea, una decisione che si è rivelata infausta per i Paesi più deboli e foriera di un problema serio di democrazia. [...] Il secondo grande mutamento strutturale è avvenuto lentamente, producendo risultati ormai irreversibili: è il mutamento che ha condotto dai grandi partiti ideologici di massa ancora dominanti sino a metà del secondo dopoguerra al partito attrezzato a operare nella «democrazia del pubblico», come la chiama Bernard Manin. Il partito che i più vecchi tra noi hanno conosciuto, il partito ideologico di massa, guidato da un’oligarchia formalmente legittimata da un processo di democrazia associativa (in realtà assai poco democratica, come aveva già notato Roberto Michels più di un secolo fa), non è e non può più essere il contesto nel quale si formano le opinioni della grande massa delle persone e si definiscono le intenzioni di voto di gran parte degli elettori. Si oppongono a questa persistenza trasformazioni sociali, economiche, culturali e tecnologiche difficilmente resistibili: l’indebolimento dei legami e delle distinzioni territoriali, religiose, culturali che, a partire dall’Ottocento, avevano dato origine ai partiti; un profondo mutamento nella struttura di classe e la scarsa credibilità delle narrazioni ideologiche che su di essa facevano perno; un forte aumento nei livelli di istruzione (non necessariamente accompagnato da un miglioramento nella qualità della stessa); una crescente individualizzazione e frammentazione della società, sia sotto il profilo degli interessi che degli orientamenti valoriali; il travolgente sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa: prima la radio, poi, e tuttora dominante, la televisione, ora anche internet e social media. Tutte cause che inducono, anche nei partiti più tradizionali, il passaggio dall’oligarchia prodotta dalla democrazia associativa a una forte personalizzazione della leadership: gli elettori stanno a casa, sono diventati un “pubblico” atomizzato di fronte al quale i leader dei partiti (se ancora ci sono: più in generale, gli imprenditori politici) sciorinano in televisione la loro mercanzia sperando di carpirne il voto, di indurli a comprarla. Che questo produca rischi di plebiscitarismo e populismo è fuori dubbio. Ma è altrettanto certo che non si può tornare alle oligarchie (assai poco democratiche, lo ripeto)
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delle vecchie “ditte”, dei partiti ideologici di massa. Queste sono le due principali sfide che la de mocrazia odierna deve affrontare, una sfida esterna e una interna. La prima non è affrontabile con gli strumenti della democrazia, perché i rapporti internazionali non sono democratici. Qui, oggi, è giocoforza affidarsi alla saggezza e alla qualità dei ceti dirigenti dei diversi Stati, alla loro capacità di azione comune, perché le costrizioni che la globalizzazione e l’Unione Europea impongono alla possibilità dei governi di soddisfare le domande dei cittadini, anche le più ragionevoli, minacciano seriamente la qualità della democrazia in molti Paesi. La sfida interna è invece affrontabile con gli strumenti della democrazia e del costituzionalismo, purché i mutamenti sociali ed economici che hanno condotto alla democrazia del pubblico vengano riconosciuti nella loro forza, non si pretenda di spingere indietro l’orologio della storia e non si cominci a paventare plebiscitarismo e cesarismo ogni volta che appare sulla scena un leader dotato di capacità di iniziativa e decisione. Gli strumenti costituzionali per sventare derive cesaristiche esistono e possono essere rafforzati: ma, dai tempi di Max Weber, sappiamo che ciò di cui la democrazia maggiormente soffre è la mancanza di leadership individuale, di decisione e di iniziativa, non di un suo eccesso. [Testo tratto da La democrazia è in crisi. Niente di nuovo di Michele Salvati, in «Corriere della Sera», http://lettura.corriere.it/debates/la-democrazia-e-in-crisi-niente-di-nuovo/]
► COMPRENSIONE E ANALISI
1. Cosa si afferma nel testo circa i mutamenti che possono essere considerati le cause della crisi della democrazia? Quali argomenti vengono addotti per sostenere la tesi principale? 2. Nel corso della trattazione, l’autore sostiene che «il benessere dei cittadini non dipende solo, e neppure principalmente, dall’azione dei governi o dalla qualità delle istituzioni dello Stato» (righe 8-9). Perché? Quali dipendenze intravede? 3. Nella società democratica attuale, il mutamento che ha condotto dai grandi partiti ideologici di massa guidati da un’oligarchia formalmente legittimata da un processo di democrazia associativa non è e non può più essere il contesto nel quale si formano le opinioni della grande massa delle persone e si definiscono le intenzioni di voto di gran parte degli elettori. Quali sono state, secondo l’autore, le cause? 4. Nel testo si afferma che il passaggio dall’oligarchia prodotta dalla democrazia associativa a una forte personalizzazione della leadership rischia di produrre populismo. Quali sono gli strumenti a cui far ricorso, secondo l’autore, per fronteggiare ciò che chiama “sfida interna” alla democrazia? ► PRODUZIONE
Condividi le considerazioni di Michele Salvati circa le responsabilità della comunità internazionale, attraversata da rapporti di egemonia e dipendenza, sulla crisi attuale delle democrazie occidentali? ► Argomenta i tuoi giudizi con riferimenti alla tua esperienza e alle tue conoscenze e scrivi un testo in cui tesi e
argomenti siano organizzati in un discorso coerente e coeso.
Simulazione di colloquio Finalità specifica del colloquio dell’Esame di Stato è consentire alla Commissione di verificare l’acquisizione dei contenuti e dei metodi delle discipline, nonché la capacità, critica e personale, di argomentare del candidato. È importante curare la capacità di esposizione e la coerenza delle argomentazioni esposte. L’esercizio da fare è, quindi, costruire una mappa concettuale, preferibilmente interdisciplinare, che consenta di fare collegamenti coerenti con il tema proposto.
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PARTE 2_stato e costituzione
► PROPOSTA A
Per avviare il colloquio, il materiale scelto dalla Commissione è l’immagine dello Statuto Albertino, testo costituzionale tipico dell’Ottocento con cui Carlo Alberto concesse i primi diritti ai propri sudditi. Lo spunto offerto dalla Commissione consente di esporre le conoscenze sulla forma di Stato liberale come Stato costituzionale, laddove possibile in chiave interdisciplinare.
Di seguito la scaletta dei contenuti, trattati nel corso della Parte, cui fare riferimento per affrontare il tema della libertà: ► La concezione politica del liberalismo e il valore supremo dell’individuo, della sua libertà e la tutela da parte dello
Stato. ► I compiti dello Stato liberale. ► Le cause della crisi dello Stato liberale e le forme di Stato emergenti. ► Il costituzionalismo del Novecento. ► Differenze tra le Costituzioni liberali e Costituzioni democratiche.
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► PROPOSTA B
Per avviare il colloquio, il materiale scelto dalla Commissione è l’immagine del filosofo illuminista Montesquieu e della sua teoria della separazione dei poteri. Lo spunto offerto dalla Commissione consente di esporre le conoscenze sul processo storico che porta all’affermazione dei valori illuministi, diventati poi base dell’affermazione delle Costituzioni dell’Ottocento, laddove possibile in chiave interdisciplinare.
CONCENTRAZIONE DEI POTERI
SEPARAZIONE DEI POTERI
Re Giudice supremo
Fonte delle leggi
FUNZIONE ESECUTIVA
Governo e/o Capo dello Stato
Capo civile e militare supremo FUNZIONE LEGISLATIVA
Parlamento
FUNZIONE GIUDIZIARIA
Magistratura
Di seguito la scaletta dei contenuti, trattati nel corso della lezione, cui fare riferimento per affrontare il tema del potere politico e delle sue funzioni: ► Le funzioni che lo Stato svolge attraverso l’esercizio del potere politico. ► L’obiettivo della funzione legislativa nel definire regole e norme giuridiche. ► Il contenuto della funzione esecutiva (o amministrativa). ► La finalità della funzione giurisdizionale. ► Gli organi che esercitano le funzioni dello Stato e differenze tra le diverse forme di Stato. ► Il principio della separazione dei poteri nell’antichità e in epoca moderna.
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Storia della Costituzione italiana Lezione 2. I princìpi fondamentali dello Stato italiano Lezione 3. Diritti e doveri dei cittadini Lezione 1.
Verso l’Esame di Stato
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PARTE
LA COSTITUZIONE ITALIANA: PRINCÌPI, DIRITTI E DOVERI
LEZIONE 1 STORIA DELLA COSTITUZIONE ITALIANA
La Repubblica italiana fonda se stessa su un sistema di valori, frutto di un lungo processo storico e di un positivo compromesso tra le differenti idee dei rappresentanti del popolo che hanno materialmente contribuito a scrivere l’attuale Carta costituzionale. Lo Stato italiano, in quanto democratico, oggi si fonda su una Costituzione ispirata da princìpi di progresso e sviluppo con i quali guida la propria azione politica e sociale; quale organismo laico garantisce la salvaguardia dei valori fondanti della società e lo sviluppo delle possibilità individuali, limitando il corpo delle leggi che ne regolano il funzionamento a quegli ambiti di intervento propri di tutela e salvaguardia degli interessi della collettività e dei diritti della persona. È importante conoscere la storia che ha condotto all’approvazione dell’attuale Carta costituzionale italiana in quanto – lungi dall’essere mera espressione del diritto – essa si è sviluppata piuttosto lungo la frontiera in cui il diritto si incontra con la storia, la filosofia, l’etica. «In questa Costituzione c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre gioie. Sono tutti sfociati qui in questi articoli; e, a sapere intendere, dietro questi articoli ci si sentono delle voci lontane. [...] Grandi voci lontane, grandi nomi lontani. Ma ci sono anche umili nomi, voci recenti! Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione! Dietro ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, cha hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte in questa Carta». Piero Calamandrei, 26 gennaio 1955
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L’Unità d’Italia e la monarchia costituzionale Le vicende costituzionali italiane prendono avvio nel Risorgimento► e precisamente nel 1848, quando, a seguito dei moti insurrezionali che stavano scuotendo la penisola – come gran parte dell’Europa –, in Italia molti principi concessero le prime Costituzioni, le quali, per la prima volta nel nostro paese, affermarono il principio che ogni potere, per essere legittimo, doveva
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PARTE 3_LA Costituzione italiana: princìpi, diritti e doveri
Risorgimento Si indica con il termine “Risorgimento” quel processo di rinascita culturale e politica e di attività insurrezionale italiana che attraversò molta parte dell’Ottocento fino a culminare nella realizzazione dell’Unità d’Italia (1861).
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provenire dal popolo. Queste Costituzioni ebbero vita brevissima: nel 1849 la repressione austriaca ne causò la generale abolizione, con l’eccezione dello Statuto Albertino, mantenuto in vigore da Vittorio Emanuele II di Savoia, re di Sardegna e futuro re d’Italia (1861-78), e concesso dal padre Carlo Alberto nel 1848, quale «legge fondamentale, perpetua ed irrevocabile della Monarchia». La forma di governo delineata dallo Statuto Albertino era quella della monarchia costituzionale, incentrata sulle prerogative del sovrano e sull’organizzazione condivisa del potere legislativo tra il sovrano medesimo, il Senato e la Camera dei deputati. Solo quest’ultima era “elettiva”, mentre i senatori, scelti tra persone appartenenti a categorie elitarie (vescovi, ambasciatori, ministri, deputati di lungo corso, alti magistrati, grandi contribuenti, ecc.), erano nominati dal re. Il monarca – «Capo Supremo dello Stato» – deteneva inoltre in via esclusiva il potere esecutivo. Lo Statuto Albertino, all’indomani dell’Unità d’Italia, fu esteso a tutto il territorio italiano; la centralità del monarca fu oscurata da una prassi costituzionale basata sul parlamentarismo, che spostò l’esercizio del potere esecutivo dal re a un Governo collegiale, presieduto da un premier dotato di credito presso la maggioranza dei deputati. Riducendo la funzione del re e riconoscendo maggiori poteri al Parlamento, di fatto si realizzò uno Stato liberal-parlamentare. La fase liberal-democratica del Regno d’Italia (190022), caratterizzata da un forte sviluppo economico, coincise anche con l’avvio del processo di democratizzazione del paese (si affermarono i partiti politici e i sindacati; si allargò il numero degli elettori). Questo processo fu tuttavia bloccato dall’avvento del fascismo.
Il periodo fascista Nel ventennio fascista (1922-43), la vita democratica fu seriamente compromessa e lo Statuto Albertino, essendo una Carta costituzionale flessibile fu facilmente modificato e svuotato di ogni contenuto e garanzia di libertà. Negli anni dell’edificazione del regime fascista, infatti, l’organizzazione dei poteri dello Stato cambiò in senso autoritario e antiparlamentare: fu sostanzialmente abolita la rappresentanza politica mentre aumentarono le prerogative del «capo del governo», venne demolita ogni garanzia istituzionale della divisione dei poteri e anche le libertà civili riconosciute dallo Statuto Albertino furono a poco a poco rovesciate dalla legislazione fascista, che finì anche per annullare l’uguaglianza giuridica con le discriminazioni razziste a danno degli ebrei. Dallo Stato liberale si passò, dunque, a uno Stato autoritario. Fra i molteplici interventi che Mussolini realizzò in senso antidemocratico vi furono misure limitative delle libertà come la censura, il sequestro e la soppressione della stampa non gradita al fascismo. Furono, inoltre, aboliti il diritto di sciopero, la libertà di associazione e ogni pluralismo politico, costituendo così uno Stato totalitario. La politica nazionalista di Mussolini e la sua attrazione verso il regime nazista di Hitler fece sì che
Lezione 1 storia della Costituzione italiana
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il 10 giugno 1940 l’Italia fascista entrò in guerra accanto alla Germania. Lo svuotamento del significato normativo dello Statuto Albertino fu possibile a causa di una sua fragilità intrinseca: era una Costituzione sprovvista di garanzie. La mancanza di un procedimento speciale di revisione costituzionale e di un organo di controllo giurisdizionale sulla costituzionalità delle leggi consentì al potere politico di legiferare con assoluta discrezionalità. Annientato dal fascismo, lo Statuto Albertino accompagnò, tra il 1944 e il 1946, il destino della monarchia.
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Dalla Monarchia alla Repubblica
In seguito agli eventi bellici sfavorevoli, in Italia sorse una forte opposizione al regime non solo tra la popolazione, ma anche all’interno dello stesso partito fascista. Nel luglio del 1943 Mussolini fu deposto dal re e arrestato, mentre il Governo venne affidato al generale Badoglio con il compito ufficiale di continuare la guerra a fianco dei tedeschi, ma con il compito reale di cercare una pace separata con gli anglo-americani. La resa militare venne firmata il 3 settembre 1943 e ufficialmente comunicata l’8 settembre. L’intenzione era quella di ripristinare il vecchio regime liberal-parlamentare, ma la reazione dei tedeschi, che occuparono l’Italia centro-settentrionale, fece precipitare gli eventi: nell’Italia occupata, uomini e donne, civili ed ex soldati, formarono gruppi partigiani che organizzarono la Resistenza armata all’occupazione sino ad ottenere la liberazione dell’Italia (25 aprile 1945). Finita la guerra, iniziò per l’Italia la fase della ricostruzione. Il 2 giugno del 1946 il popolo italiano (a suffragio universale) fu chiamato a scegliere, con referendum istituzionale, fra monarchia e repubblica e ad eleggere Assemblea Costituente i membri dell’Assemblea Costituente►. Il referendum decretò la vittoria L’Assemblea Costituente della repubblica. L’Assemblea Costituente eletta risultò composta dalle è un organo collegiale, eterogenee forze politiche che, riunite nel CNL (il Comitato di liberazione rappresentativo, che ha il potere di determinare nazionale), avevano insieme guidato l’Italia alla liberazione dal fascismo: l’assetto fondamentale Democrazia cristiana (DC), Partito comunista (PCI) e Partito socialista dello Stato, formulando (PSIUP) erano i tre partiti maggioritari entro l’assemblea. L’Assemblea l’insieme delle norme Costituente nominò immediatamente un capo provvisorio dello Stato, che sono alla base della Costituzione. nella persona di Enrico De Nicola, e iniziò i lavori che dovevano portare L’esperienza italiana alla stesura della nuova Costituzione attraverso una Commissione comè limitata a due casi: posta da 75 membri. I lavori della Commissione durarono sei mesi e nel l’Assemblea Costituente della Repubblica romana gennaio del 1947 fu presentato il progetto all’Assemblea, che lo discus(1849) e l’Assemblea se articolo per articolo approvandolo definitivamente nel dicembre dello Costituente della stesso anno. Repubblica italiana i cui membri vennero eletti Il 1° gennaio 1948 la Costituzione repubblicana entrò in vigore; il 31 dal popolo italiano in gennaio l’Assemblea si sciolse e furono indette nuove elezioni. Il 18 aprile occasione del referendum istituzionale del 2 giugno del 1948 si votò per il nuovo Parlamento, che successivamente elesse il pri1946. mo Presidente della Repubblica italiana, Luigi Einaudi.
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PARTE 3_LA Costituzione italiana: princìpi, diritti e doveri
La Costituzione, pertanto, è la trasposizione nell’ordinamento giuridico del messaggio ereditato dalla Resistenza, quello di una società umana nuova, in grado di evitare alle generazioni future le sofferenze indicibili subite dalle generazioni passate nel corso delle due guerre mondiali, l’olocausto e l’asfissia di una società senza libertà. La Costituzione è quindi un testo con cui i padri costituenti hanno inteso donare alle generazioni future un patrimonio di beni pubblici repubblicani, in primis il bene della libertà. Essa, oltre alla dimensione precettiva, contiene anche una dimensione programmatica con la quale si è inteso orientare la politica verso uno scenario in grado di realizzare l’eguaglianza, la giustizia sociale, la pace, il rispetto della dignità umana.
I caratteri e i fondamenti della Costituzione italiana
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La Costituzione italiana è la legge fondamentale della Repubblica italiana e sancisce i princìpi fondamentali dello Stato, i diritti e i doveri dei cittadini e l’ordinamento dello Stato.
SCHEMA DELLA COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
Principi fondamentali [ARTT. 1-12]
Rappresentano i valori guida in cui si identifica lo Stato italiano; tra gli altri quello democratico, di uguaglianza, di pluralismo istituzionale, di decentramento, di pacifismo e di cooperazione internazionale. • RAPPORTI CIVILI [ARTT. 13-28]: Tutela delle libertà: personale, di riunione, di associazione, di stampa, di religione
PARTE PRIMA
Diritti e doveri dei cittadini [ARTT. 13-54]
• RAPPORTI ETICO-SOCIALI [ARTT. 29-34]: Tutela della famiglia, della salute, dell’arte, della scienza, del diritto allo studio • RAPPORTE ECONOMICI [ARTT. 35-47]: Tutela del diritto al lavoro, all’assistenza, dei diritti sindacali, dell’iniziativa economica, della proprietà • RAPPORTI POLITICI [ARTT. 48-54]: Tutela del diritto di voto, del diritto di associazione in partiti, di petizione, dovere di difendere la Patria, dovere di contribuire alle spese dello Stato
Ordinamento della Repubblica [ARTT. 55-139]
PARTE SECONDA
• COMPETENZE DEGLI ORGANI COSTITUZIONALI DELLO STATO ITALIANO: Parlamento, Governo, Presidente della Repubblica, Magistratura, Corte costituzionale
Disposizioni transitorie e finali [ARTT. I-XVIII]
Disposizioni aventi lo scopo di consentire il graduale passaggio dal vecchio ordinamento al nuovo
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Titoli In un testo legislativo si dicono “Titoli” le ripartizioni contrassegnate da un numero romano.
È composta da 139 articoli (scanditi in commi, cioè paragrafi segnalati dall’a capo) divisi in tre sezioni (Principi fondamentali; Parte prima. Diritti e doveri dei cittadini e Parte seconda. Ordinamento della Repubblica, a loro volta articolate in Titoli►), più 18 Disposizioni transitorie e finali, aventi lo scopo di consentire il passaggio dal vecchio al nuovo ordinamento. Come tutte le Costituzioni emanate nel Novecento, la Costituzione italiana è scritta in quanto contenuta in un documento; lunga in quanto non si limita a stabilire i princìpi essenziali, ma precisa in un contesto organico i diritti e doveri dei cittadini e l’organizzazione dello Stato; aperta perché non pretende di individuare il punto di equilibrio fra i diversi interessi del paese, ma si limita a elencarli, lasciando alla legislazione successiva il compito di individuare il punto di bilanciamento; rigida in quanto non può essere modificata con semplici leggi ordinarie, ma solo con leggi costituzionali► [ STATUTO ALBERTINO E COSTITUZIONE REPUBBLICANA A CONFRONTO].
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Statuto Albertino e Costituzione repubblicana a confronto Carta ottriata vs Carta votata ► La Costituzione sabauda appartiene alle Carte costituzionali pre-risorgimentali ottriate, cioè concesse dal sovrano durante le ribellioni che infiammarono l’Europa nel 1848. ► La Costituzione repubblicana, al contrario, è votata e approvata dal Parlamento. Le elezioni del 1946, insieme alla scelta della forma di governo, elessero i deputati all’Assemblea Costituente, coloro che scrissero e, 17 mesi dopo, approvarono la Carta costituzionale. Carta corta vs Carta lunga ► Lo Statuto Albertino era una Costituzione breve, composta da appena 81 articoli, e regolava solo i diritti e i doveri civili fondamentali. ► La Costituzione repubblicana è, invece, composta da 139 articoli e, oltre ai princìpi fondamentali propri della forma di Stato democratico, contiene una lunga disciplina di diritti e di doveri. Carta confessionale vs Carta laica ► La Costituzione di Carlo Alberto, all’art. 1, indicava la religione cattolica come la religione di Stato all’interno del Regno di Sardegna e di conseguenza, dopo il 1861, di tutto il Regno d’Italia. Per questo motivo è definita Carta confessionale.
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► La Costituzione repubblicana, invece, com’è noto è laica. L’art. 7, lungamente dibattuto nell’Assemblea Costituente, regola i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica attraverso l’inserimento dei Patti Lateranensi nella Carta. L’art. 8 stabilisce, invece, il principio di uguaglianza di tutte le confessioni religiose davanti alla legge. Carta flessibile vs Carta rigida ► Lo Statuto era una Costituzione flessibile, modificabile con una legge ordinaria; pur riconoscendola, nel preambolo, «Legge fondamentale, perpetua ed irrevocabile», ciò era emendabile con una semplice legge dello Stato. ► La Costituzione del 1948 è invece rigida, posta al vertice della gerarchia delle leggi in Italia e non modificabile, integrabile o abrogabile se non attraverso una legge costituzionale per la cui approvazione è richiesta una procedura diversa da quella prevista per la legge ordinaria. Questa procedura è detta “aggravata” perché rende necessario un doppio voto con maggioranza qualificata delle due Camere del Parlamento, nonché un intervallo non inferiore a due mesi tra le due deliberazioni; inoltre, in caso di maggioranza assoluta e non qualificata, la modifica costituzionale può essere sottoposta a referendum confermativo.
Leggi costituzionali La legge costituzionale è lo strumento previsto dall’art. 138 della Costituzione per modificare o integrare la Costituzione. La procedura di approvazione è molto più complessa di quella di una legge ordinaria: sono richieste due successive deliberazioni da parte di ciascuna Camera con un intervallo di 3 mesi l’una dall’altra; è necessaria la maggioranza qualificata (i due terzi dei votanti) per la prima votazione e quella assoluta (50% + 1) nella seconda. Entro tre mesi dalla approvazione può essere sottoposta a referendum popolare confermativo, a meno che non sia stata approvata nella seconda votazione da entrambe le Camere con la maggioranza dei due terzi, nel qual caso diventa direttamente legge.
La nostra Costituzione è considerata tra le più adeguate a far fronte alle complesse esigenze delle società moderne. Essa non contiene la soluzione ai problemi politici e sociali dell’Italia, ma la direzione da seguire per affrontarli. I suoi fondamenti e i valori che essa prefigura costituiscono il centro focale della cultura istituzionale italiana. I fondamenti storici della Costituzione italiana sono rappresentati dalla seconda guerra mondiale, dalla Resistenza, dalla fine del regime fascista e dall’avvento della Repubblica. Una volontà di rinnovamento della società italiana accomunava tutte le forze politiche democratiche e antifasciste che si erano battute per la liberazione dell’Italia e avevano partecipato ai lavori della Assemblea Costituente e che puntavano al consolidamento dei diritti civili e politici dell’individuo, alla pace e alla solidarietà internazionale. Il fondamento politico della nostra Costituzione è rappresentato dal rifiuto del fascismo, dalla affermazione del metodo democratico come metodo di lotta politica con un deciso ripudio della violenza, dal riconoscimento delle libertà politiche e civili e dalla volontà politica di costituire uno Stato moderno di diritto e sociale. Il fondamento istituzionale è rappresentato dalla scelta di un sistema parlamentare basato su una netta tripartizione dei poteri intesa come distinzione coordinata ed equilibrata delle rispettive funzioni. I valori su cui si basa il testo costituzionale sono quelli cattolici (solidarietà, ruolo sociale della famiglia, valore della persona), quelli liberali (libertà individuale, libertà d’iniziativa economica) e quelli socialisti e comunisti (uguaglianza, importanza del lavoro e dei lavoratori, controllo statale sull’economia), cui si erano ispirate le diverse forze politiche che avevano dato vita alla guerra di liberazione nazionale; essi sono riaffermati nei Principi fondamentali della Costituzione (articoli da 1 a 12).
GUIDAALLOSTUDIO Rispondi oralmente o per iscritto alle domande o individua e sottolinea nel testo la risposta: ► Quando fu emanato lo Statuto Albertino, e fino a quando rimase in vigore? ► Come si affermò il regime fascista? ► Quali riforme e quali limitazioni alla vita democratica furono realizzate nel periodo fascista? ► Cosa si decise il 2 giugno del 1946? ► Che cosa è l’Assemblea Costituente? ► Quali sono i caratteri della Costituzione italiana? ► Quali sono i valori alla base della Costituzione italiana? ► In che modo si può modificare la Costituzione italiana?
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LEZIONE 2 I PRINCÌPI FONDAMENTALI DELLO STATO ITALIANO
In diritto, il termine principio fa riferimento ai presupposti, espressi in termini di idee, riflessioni e valori, che danno origine a nozioni di validità generale da cui far discendere, in modo coerente, un sistema di regole fondamentali; in diritto, è considerato un principio qualcosa di eticamente corretto. I princìpi fondamentali della Costituzione italiana – contenuti nei primi 12 articoli della nostra Carta fondamentale – sono una sorta di “prologo” nel quale sono delineate le linee portanti dell’ordinamento repubblicano. Per scelta dei costituenti, i princìpi sono inseriti direttamente nel testo della Costituzione (e non in un preambolo a parte, come accade per le Carte costituzionali di altri paesi) in quanto rappresentano non solo criteri guida, ma anche norme vincolanti per il legislatore: essi stabiliscono che l’Italia è uno Stato repubblicano, democratico, personalistico, fondato sul lavoro, attivo nei processi economici, decentrato, non confessionale, aperto alla comunità internazionale. Questi princìpi rappresentano i presupposti della nostra società e gli obiettivi verso i quali essa deve tendere.
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PARTE 3_LA Costituzione italiana: princìpi, diritti e doveri
◄ Scheda elettorale del referendum del giugno 1946
► Prima pagina del «Corriere della Sera», 6 giugno 1946 Il 6 febbraio 1947 Meuccio Ruini, Presidente della Commissione per la Costituzione, presentò all’Assemblea Costituente una Relazione che accompagnava il progetto di Costituzione della Repubblica italiana: «Preliminare ad ogni altra esigenza è il rispetto della personalità umana; qui è la radice delle libertà, anzi della libertà, cui fanno capo tutti i diritti che ne prendono il nome. Libertà vuol dire responsabilità. Né i diritti di libertà si possono scompagnare dai doveri di solidarietà di cui sono l’altro ed inscindibile aspetto. Dopo che si è scatenata nel mondo tanta efferatezza e bestialità, si sente veramente il bisogno di riaffermare che i rapporti fra gli uomini devono essere umani. [...] Col giusto risalto dato alla personalità dell’uomo non vengono meno i compiti dello Stato. Se le prime enunciazioni dei diritti dell’uomo erano avvolte da un’aureola d’individualismo, si è poi sviluppato, attraverso le stesse lotte sociali, il senso della solidarietà umana. Le dichiarazioni dei doveri si accompagnano mazzinianamente a quelle dei diritti. Contro la concezione tedesca che riduceva a semplici riflessi i diritti individuali, diritti e doveri avvincono reciprocamente la Repubblica ed i cittadini. Caduta la deformazione totalitaria del “tutto dallo Stato, tutto allo Stato, tutto per lo Stato”, rimane pur sempre allo Stato, nel rispetto delle libertà individuali, la suprema potestà regolatrice della vita in comune. “Lo Stato – diceva Mazzini – non è arbitrio di tutti, ma libertà operante per tutti, in un mondo il quale, checché da altri si dica, ha sete di autorità”. Spetta ai cittadini di partecipare attivamente alla gestione della cosa pubblica, rendendo effettiva e piena la sovranità popolare. Spetta alla Repubblica di stabilire e difendere, con l’autorità e con la forza che costituzionalmente le sono riconosciute, le condizioni di ordine e di sicurezza necessarie perché gli uomini siano liberati dal timore e le libertà di tutti coesistano nel comune progresso».
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L’Italia è una repubblica democratica (art. 1) L’art. 1 della Costituzione sancisce che l’Italia è uno Stato repubblicano e democratico. La Repubblica nasce per scelta dei cittadini Art. 1 italiani che, domenica 2 e lunedì 3 giugno 1946, mediante apposito referendum istituzionale, voL’Italia è una Repubblica tarono – con suffragio universale – la nuova forma democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, di Stato ed elessero i componenti dell’Assemblea che la esercita nelle forme e nei Costituente cui affidare il compito di redigere la limiti della Costituzione. nuova Carta costituzionale. I voti validi in favo-
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re della soluzione repubblicana furono circa due milioni più di quelli per la monarchia: l’Italia diventa così Repubblica democratica. L’art. 1, oltre che dare riconoscimento agli esiti del referendum istituzionale: ► definisce la struttura essenziale dello Stato, dai punti di vista economico-politico e della forma di governo; ► afferma il principio del lavoro a fondamento dell’idea e dell’architettura costituzionale repubblicana che lo individua come mezzo per garantire l’uguaglianza dei cittadini e permetterne lo sviluppo personale. L’art. 1 è quindi anche il riconoscimento del sistema liberal-democratico proiettato alla tutela del lavoro a cui corrisponde il diritto al lavoro previsto nell’art. 4. La Repubblica Italiana fonda le proprie basi sul consenso dei governati, i quali, in condizioni di perfetta parità, possono concorrere alla vita politica del paese. I cittadini sono quindi gli esclusivi detentori del potere politico anche se la sovranità viene di fatto esercitata secondo le modalità della democrazia indiretta (o rappresentativa). La sovranità (intesa come potere supremo di governo, originario, cioè non derivante da organi superiori, e indipendente all’esterno da ogni altro potere) appartiene così al popolo, non allo Stato o alla Nazione. I caratteri che la distinguono sono l’elettività e la temporaneità delle cariche pubbliche. L’accesso a esse non avviene, infatti, per ereditarietà e per appartenenza dinastica, ma per elezione, mentre la durata in carica è limitata a un tempo fissato dalla legge. Lo Stato, infatti, non è un patrimonio familiare e dinastico che si possa trasmettere ereditariamente come un bene, ma è una res publica, appunto una “cosa di tutti”. Coloro che sono temporaneamente chiamati a svolgervi un importante ruolo di direzione politica non ne sono i proprietari, ma i servitori. E, per converso, il popolo non è fatto da sudditi, ma da cittadini che esercitano la loro sovranità. Nella Costituzione tutte le funzioni pubbliche sono esercitate «in nome del popolo». Per questo anche la Magistratura può essere considerata espressione della volontà popolare: essa, infatti, pronuncia le proprie sentenze «in nome del popolo». Lo Stato repubblicano è dunque fondato esclusivamente sul consenso popolare, privando di qualsiasi importanza sia il censo che i privilegi di nascita, propri dei regimi monarchici. Con questo articolo l’ordinamento italiano respinge ogni impronta classista e dichiara il proprio fondamento sociale e democratico.
VITA QUOTIDIANA
In occasione delle elezioni – sia a livello centrale (Parlamento) sia a livello locale (Comune e Regione) – il popolo esercita la propria sovranità indirettamente, scegliendo i propri rappresentanti; quando invece esprime la propria posizione attraverso il referendum popolare esercita la propria sovranità direttamente.
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PARTE 3_LA Costituzione italiana: princìpi, diritti e doveri
Corollario di quanto sopra è il dovere della maggioranza di non impedire che la minoranza possa esprimere le proprie convinzioni politiche in Parlamento ed al corpo elettorale e, di conseguenza, essere in grado di divenire a sua maggioranza. L’alternanza delle forze politiche è un principio fondamentale di un regime democratico.
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La centralità della persona e delle formazioni sociali (art. 2)
L’art. 2 della Costituzione stabilisce che l’Italia è uno Stato centrato sulla persona. Il valore assoluto e universale della persona umana è affermato nell’art. 2, che riconosce il primato della persona sullo Stato. I diritti inviolabili, riconosciuti e garantiti dallo Stato, non possono essere messi in discussione da nessuno, nemmeno dallo Art. 2 Stato stesso, perché considerati naturali, cioè preLa Repubblica riconosce e esistenti alla nascita di qualunque organizzaziogarantisce i diritti inviolabili ne sociale e politica. In questo senso, ogni Stato dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove non li concede, bensì li riconosce. I diritti inviosi svolge la sua personalità, labili sono dunque imprescindibili, ed ogni moe richiede l’adempimento difica atta a limitarli non rappresenterebbe una dei doveri inderogabili di solidarietà politica, semplice revisione costituzionale, bensì un vero e economica e sociale. proprio sovvertimento dello Stato repubblicano. I diritti inviolabili sono riconosciuti ad ogni uomo ed estesi alle formazioni sociali , cioè ogni tipo di organizzazione o di comunità che si inserisca tra l’individuo e lo Stato come la famiglia, la scuola, le confessioni religiose, le comunità del lavoro, i partiti politici, le comunità delle minoranze linguistiche cui le singole persone partecipano per realizzare i propri interessi. Molte, infatti, sono le norme costituzionali che si riferiscono a specifiche formazioni sociali, come le minoranze linguistiche (art. 6), le confessioni religiose (artt. 8, 19 e 20), le associazioni (art. 18), la famiglia (artt. 29-31), la scuola (artt. 33-34), i sindacati (art. 39), le comunità di lavoratori e utenti (art. 43), le cooperative (art. 45), i partiti politici (art. 49). «Uno Stato veramente democratico riconosce e garantisce non soltanto i diritti dell’uomo isolato, che sarebbe in realtà una astrazione, ma i diritti dell’uomo associato secondo una libera vocazione sociale poiché l’uomo va guardato nella molteplicità delle sue espressioni, l’uomo che non è soltanto singolo, che non è soltanto individuo, ma che è società nelle sue varie forme, società che non si esaurisce nello Stato. La libertà dell’uomo è pienamente garantita, se l’uomo è libero di formare degli aggregati sociali e di svilupparsi in essi». Aldo Moro, Assemblea Costituente
Il riconoscimento delle formazioni sociali in Costituzione è stato conseguenza di un orientamento politico-sociale teso ad attuare un sistema imperniato sulla solidarietà umana; si riteneva, infatti, che i diritti della persona non fossero integralmente tutelati se non fossero stati tutelati anche i diritti delle comunità nelle quali la persona umana si espande: la famiglia, anzitutto, e poi le altre comunità in cui si organizza il corpo sociale. Proprio perché l’uomo è un essere sociale, tra i valori fondanti della Repubblica italiana vi è la solidarietà, considerata base della convivenza sociale, cui tutti (quindi anche gli apolidi e gli stranieri, oltre che i cittadini) devono attenersi. È importante sottolineare l’indissolubilità dei diritti e dei
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doveri: se i diritti sono prestazioni che il cittadino è tenuto a pretendere dallo Stato, altrettanto lo Stato è tenuto a pretendere dal cittadino l’adempimento di alcuni obblighi. I diritti senza i doveri sono odiosi privilegi. I doveri senza i diritti sono un’inaccettabile forma di schiavitù. VITA QUOTIDIANA
Quando i cittadini italiani esercitano il loro diritto di voto in occasione delle elezioni, partecipano alle scelte comuni il cui fine è realizzare l’interesse della collettività; per questa ragione, esso è anche un dovere politico. Allo
stesso modo, il dovere di contribuire alle spese dello Stato in relazione alla capacità contributiva del cittadino è un dovere sociale e di solidarietà indispensabile per garantire, ancora una volta, il bene comune.
L’art. 2 è una vera e propria norma di apertura, che consente di attribuire i connotati di diritto fondamentale anche ad altre libertà e valori personali non espressamente tutelati dalla Costituzione che, per i mutati costumi sociali, richiedono un riconoscimento pari a quello dei diritti espressamente delineati.
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L’Italia è uno Stato egualitario (art. 3)
L’art. 3 della Costituzione sancisce che l’Italia è uno Stato egualitario. L’art. 3, nell’affermare che la legge è eguale Art. 3 per tutti, si ispira ai valori illuministi, richiaTutti i cittadini hanno pari mando un concetto introdotto per la prima volta dignità sociale e sono eguali nelle Costituzioni ottocentesche: quello di uguadavanti alla legge, senza glianza formale e quello di uguaglianza sostandistinzione di sesso, di razza, di ziale. lingua, di religione, di opinioni Il primo comma dell’art. 3 sancisce l’uguapolitiche, di condizioni personali e sociali. glianza dei cittadini di fronte alla legge, specifiÈ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di cando distintamente le caratteristiche che erano ordine economico e sociale, che, limitando di fatto e sono tuttora alla base della maggior parte delle la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono discriminazioni (sesso, razza, lingua, religione, il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva opinioni politiche, condizioni personali e sociapartecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione li), purtroppo non complete [ LA PARITÀ DI GEpolitica, economica e sociale del paese. NERE IN ITALIA, p. 67]. L’interpretazione costituzionale, però, è concorde nel ritenere che l’articolo non escluda la possibilità di discipline differenziate della legge: si pensi agli stessi articoli della Costituzione che proteggono le minoranze linguistiche. In questo senso i trattamenti differenziati sono permessi solo quando servono a evitare situazioni penalizzanti per certe categorie di cittadini. Si possono insomma applicare trattamenti differenziati quando sarebbe la loro non applicazione a determinare delle discriminazioni. Il passaggio riguardo alla dignità sociale stabilisce, invece, che non possono esserci distinzioni che abbiano una rilevanza sociale se non quelle basate sulla capacità e sul merito dell’individuo.
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PARTE 3_LA Costituzione italiana: princìpi, diritti e doveri
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
La parità di genere in Italia C’è voluto del tempo per adeguare tutte le leggi italiane al principio di eguaglianza. Basti pensare alla diversità di genere – cioè relativa al genere sessuale, l’essere donna o uomo – che, solo in tempi relativamente recenti, ha portato all’abrogazione delle norme che riconoscevano al maschio una presunta posizione di superiorità all’interno della società e della famiglia italiana. Fino al 1968, il Codice penale puniva l’adulterio solo della moglie; fino al 1975, il marito era considerato superiore alla moglie ed esistevano la potestà maritale, ossia l’autorità del marito sulla moglie, e la patria potestà. Ancora più recenti, invece, sono le norme relative all’attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per
quanto riguarda l’accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionale e le condizioni di lavoro. È del 2005 il D.Lgs. n. 145 che, in esecuzione di una direttiva europea, modifica parzialmente la normativa italiana a tutela delle lavoratrici e dei lavoratori nei confronti delle discriminazioni di genere della fine degli anni Settanta. Ad oggi, tuttavia, la situazione – su questa tematica – non è ancora confortante, nonostante gli interventi normativi; il Report sull’indice di uguaglianza di genere pubblicato nel 2018 da EIGE (European Istitute of Gender Equality) dice che l’Italia, nonostante i progressi fatti, è ancora in quattordicesima posizione. Certamente un buon segnale, ma la strada da percorrere è ancora lunga.
L’uguaglianza contempla, accanto al divieto di discriminazione, il dovere di imparzialità della legge. Come già anticipato, il divieto di discriminazione va interpretato in un duplice significato: ► le leggi, anche quando riferite a gruppi determinati, non possono avere carattere personale o singolare, a meno che non esistano giustificate ragioni; ► il principio di uguaglianza non vieta in assoluto trattamenti differenziati, ma impone discriminazioni irrazionali o irragionevoli. Esiste, infatti, un naturale corollario del principio di uguaglianza, quello del principio di ragionevolezza che esige che le norme dell’ordinamento, in tutte le loro forme, siano adeguate al fine perseguito. VITA QUOTIDIANA
Le discriminazioni razziali contro gli ebrei o il trattamento degli avversari politici nel regime fascista sono la testimonianza storica di quanto sia importante garantire che le diversità non possano essere base di differenziazioni fra i cittadini. In epoca di democrazia, tuttavia, il rischio di comportamenti discriminatori può assumere aspetti differenti da quelli legati alla “razza”, non sempre facilmente identificabili. Il caso di seguito riportato evidenzia come discriminatori i limiti di altezza, previsti in un bando di selezione, che non prevedano alcuna differenziazione tra uomini e donne. In occasione di una procedura selettiva indetta da Trenitalia per l’assunzione di personale da destinare
alla posizione di Caposervizio treno, una aspirante lavoratrice ha chiesto al Tribunale di Roma di esprimersi sul carattere discriminatorio dei limiti di altezza previsti nel bando di selezione. La donna, infatti, era stata esclusa dalla procedura selettiva per il mancato raggiungimento del requisito dell’altezza, stabilito in misura uguale per uomini e donne. A fronte di una serie di vicende giudiziali che avevano portato inizialmente al rigetto della richiesta, la Corte di Cassazione ha invece ritenuto legittimo il ricorso dell’interessata in quanto la procedura di Trenitalia violava gli artt. 3, 4 e 37 della Costituzione, nonché la disciplina antidiscriminatoria di cui al D.Lgs. 198/2006 (Codice delle pari opportunità).
Lezione 2 I princìpi fondamentali dello Stato italiano
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La Costituzione italiana riconosce l’astrattezza dell’affermazione formale dell’uguaglianza e assegna alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli all’effettivo sviluppo della persona. Al fine di contrastare le diseguaglianze, il secondo comma dell’art. 3 impone di fatto allo Stato di assumere tutte le iniziative necessarie per assicurare l’effettiva parità dei cittadini. Per questa ragione, e per il valore riconosciuto alla solidarietà, lo Stato interviene direttamente nel settore economico con azioni positive volte a garantire lo sviluppo della persona e rimuovere le barriere di ordine naturale, sociale ed economico che non consentirebbero a ciascuno di noi di realizzare pienamente la propria personalità. Sono in questo modo poste le premesse costituzionali per lo Stato sociale [ LEZIONE 3.1, p. 22]. VITA QUOTIDIANA
L’uguaglianza sostanziale, implica che lo Stato si adoperi effettivamente ed efficacemente per assicurare la parità dei diritti. Il legislatore è dunque tenuto ad azioni positive per impedire che il sesso, la razza, la lingua, la religione, le opinioni politiche e le condizioni personali e sociali diventino causa di una discriminazione di fatto. Un esempio, in tal senso, proviene dalla legge 68/99 con la quale si stabilisce che i datori di lavoro privati e
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Art. 4 La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
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pubblici con più di 15 dipendenti siano tenuti ad avere alle proprie dipendenze lavoratori appartenenti alle categorie protette (disabili, invalidi, non vedenti, invalidi di guerra) iscritti in appositi elenchi gestiti dall’Agenzia del lavoro della provincia di riferimento. Il fine della legge è far sì che tali categorie di persone “svantaggiate” possano essere considerate veri e propri lavoratori attivi e produttivi e non più persone da assumere con ottica di tipo assistenziale.
La centralità del lavoro (art. 4) L’art. 4 della Costituzione sancisce che l’Italia è uno Stato fondato sul lavoro. Il lavoro è uno dei princìpi ispiratori della Costituzione, un diritto inviolabile posto a fondamento dello Stato (art. 1) e, per questo, non ha valore solo per i singoli, ma anche per le istituzioni. Su di esso è basato il patto sociale che lega i cittadini tra loro e con lo Stato. Al lavoro è attribuita rilevanza costituzionale, rappresenta cioè un valore-base dell’ordinamento e nessun criterio di differenziazione tra i cittadini è ammesso se non quello dei meriti che ciascuno acquista con il proprio lavoro. Il lavoro costituisce uno degli aspetti più importanti nella vita di un uomo in quanto consente di guadagnare quanto serve per vivere e rappresenta anche un modo per realizzare qualcosa di utile per sé e per gli altri. Data l’importanza che il lavoro assume per lo sviluppo della persona e del paese, la Costituzione italiana detta i princìpi che lo regolamentano e quelli per la sua tutela. Se l’art. 1 dichiara che il fondamento della Repubblica democratica italiana è il lavoro, l’art. 4 stabilisce il diritto al lavoro per tutti i cittadini unitamente al dovere di lavorare, cioè di svolgere una «attività o funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società». Per questo, lo Stato ha l’onere di creare tutte le condizioni affinché tale diritto/dovere si
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realizzi concretamente, proteggendo le classi economicamente più deboli, al fine di realizzare la libertà e l’uguaglianza tra i cittadini. L’affermazione costituzionale di tale diritto, pertanto, non deve far nascere l’equivoco che lo Stato debba fornire direttamente il lavoro ad ogni cittadino che ne sia privo; se così fosse, lo Stato si trasformerebbe in un’organizzazione assistenziale improduttiva. Le affermazioni della Costituzione devono piuttosto essere intese come: ► divieto di emanare leggi o provvedimenti per limitare, impedire o ostacolare l’esercizio del diritto al lavoro; ► dovere da parte dello Stato di organizzare l’economia del paese in modo da consolidare e coordinare tutte le iniziative private, indirizzandole a fini di interesse generale. VITA QUOTIDIANA
Il riconoscimento del diritto al lavoro comporta che lo Stato promuova, ad esempio, interventi a favore dell’occupazione. Vanno in questa direzione le norme sul collocamento, l’assunzione obbligatoria di invalidi, i finanziamenti alle imprese nonché tutti i provvedimenti
Contratti collettivi di lavoro Secondo la Costituzione, la regolamentazione del rapporto di lavoro è affidata ai contratti collettivi di lavoro, stipulati tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e quelle dei datori di lavoro. I contratti collettivi regolano aspetti importanti come la retribuzione, l’orario di lavoro, il periodo di ferie, le norme di sicurezza; una volta stipulati, valgono per l’intera categoria di lavoratori cui sono riferiti.
di politica economica che tendono ad ampliare l’occupazione e a restringere la disoccupazione (contributi alle aziende, agevolazioni creditizie e fiscali, cassa integrazione e così via).
Il lavoro si configura quindi come diritto di libertà (ovvero la libertà di scegliere quale attività svolgere) e come diritto civico (in quanto il cittadino ha diritto ad esigere dallo Stato la promozione delle condizioni che lo rendano effettivo). L’indirizzo politico è il principale strumento attraverso cui lo Stato deve attuare l’articolo in esame; il diritto al lavoro, infatti, subisce il mutare delle condizioni economiche, per cui oltre alla regolamentazione risulterà necessaria la politica attiva dell’agevolazione e protezione del lavoro, la tutela delle cosiddette fasce deboli, del collocamento obbligatorio e delle varie forme di licenziamento, individuale e collettivo. Il lavoro è inoltre considerato come dovere di solidarietà, cui ciascun cittadino è tenuto ad adempiere onde contribuire al progresso economico e sociale dello Stato e della collettività. È questo lo spirito della Costituzione, che proclama la dignità del lavoro e l’esigenza di tutelarlo e valorizzarlo. Il diritto del lavoro è il complesso delle norme giuridiche (quelle costituzionali unitamente a quelle contenute in altre leggi e nei contratti collettivi►) il cui scopo è proteggere e tutelare il lavoratore sia rispetto al datore di lavoro sia nel perseguimento dei suoi interessi. In questa direzione il nostro ordinamento prevede un complesso di norme (legislazione sociale) che mirano alla tutela pubblica degli interessi dei lavoratori e alla loro sicurezza sociale. Il lavoro, infatti, viene regolamentato su alcuni princìpi fondamentali (diritto di sciopero, diritto di organizzazione sindacale, previdenza e assistenza sociale, pari opportunità, tutela del lavoro e durata massima della giornata lavorativa, ecc.) negli artt. 35-40 della Costituzione. Le norme poste a tutela del lavoro rappresentano storicamente una conquista democratica.
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Gli artt. 2, 3 e 4 della Costituzione definiscono l’Italia come uno Stato attivo nei processi economici. Dagli artt. 2, 3 e 4 discende anche l’obbligo per lo Stato di conciliare gli interessi tradizionali della proprietà privata e della libertà di iniziativa economica con la necessità di raggiungere il bene comune. Pertanto, lo Stato si riserva il compito di intervenire nelle attività economiche al fine di coordinarle nel quadro di un’economia in cui, attraverso le leggi, si riesca a conciliare l’interesse del potere economico dei privati con quello dei lavoratori e della collettività in genere. In questa direzione, ad esempio, è da intendere il controllo dello Stato sui prezzi dei beni ritenuti indispensabili, come l’energia elettrica o i trasporti. Il ruolo attivo dello Stato nei processi economici è indispensabile per stabilire la priorità degli interessi collettivi sui singoli interessi individuali o di gruppo ed è un essenziale fattore di sviluppo e di crescita. VITA QUOTIDIANA
L’intervento dello Stato in economia si dirige anche alle imprese private che, nei periodi di crisi economica, possono beneficiare di finanziamenti e sostegni statali o, anche, alle nuove imprese che necessitano di forti investimenti iniziali. Aprire un’impresa può avere, ad esempio, un costo piuttosto elevato e non sempre chi vuole farlo ha risparmiato abbastanza per far fronte all’investimento iniziale. Ecco perché solitamente si chiede un prestito o un mutuo, facendosi carico di una rata mensile che si va ad aggiungere ai costi dell’affitto di un eventuale
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locale e a quelli di gestione dell’attività. Per limitare i costi iniziali è possibile accedere a bandi pubblici che erogano dei finanziamenti volti a sviluppare l’imprenditorialità, soprattutto giovanile e femminile. Così, ad esempio, esiste l’incentivo “Nuove imprese a tasso zero” dedicato ai giovani e alle donne (tra i 18 e i 35 anni d’età) che vogliono diventare imprenditori. Le agevolazioni sono valide in tutta Italia e prevedono il finanziamento a tasso zero di progetti d’impresa con spese fino a 1,5 milioni di euro che può coprire fino al 75% delle spese totali ammissibili.
Il decentramento territoriale (art. 5) L’art. 5 della Costituzione sancisce che l’Italia è uno Stato decentrato. L’Italia non è uno Stato federale, ma unitario e indivisibile; con l’art. 5, tuttavia, si realizza, al pari di tutte le moderne Costituzioni democratiche, un’organizzazione decentrata dello Stato: compiti in passato svolti dallo Stato esclusivamente a livello centrale sono affidati, oggi, a organi periferici. In base al principio del pluralismo Art. 5 amministrativo – che riconosce centri di potere autonomi, più vicini ai bisogni del La Repubblica, una e indivisibile, riconosce cittadino – l’amministrazione del territorio e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più non è funzione esclusiva dello Stato ma ampio decentramento amministrativo; viene praticata anche da altri enti pubblici adegua i princìpi ed i metodi della sua ai quali è riconosciuta la qualità di soggetti legislazione alle esigenze dell’autonomia e di pubblica amministrazione. Il decentradel decentramento. mento ha quindi il fine di consentire auto-
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nomia decisionale e di gestione agli enti locali (Comuni, Regioni) per rispondere meglio agli interessi e alle esigenze del territorio locale. Per tale ragione, essi hanno organi elettivi (costituiti da rappresentanti locali della popolazione) cui spettano, in alcune materie indicate dalla Costituzione, compiti politici, legislativi e amministrativi (principio di autogoverno). L’autonomia è molto più accentuata nelle cosiddette “Regioni a statuto speciale”, Regioni che per la loro posizione geografica (Sicilia e Sardegna), o per la presenza di minoranze linguistiche (Valle d’Aosta, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia) hanno interessi particolari da tutelare. Dal 2001, con la riforma costituzionale, si sono introdotti diversi livelli di governo del territorio, tra cui spiccano le Città metropolitane, in aggiunta a quelli previsti sin dal 1948. Si indica con principio di sussidiarietà quel principio che stabilisce che le attività amministrative vengono svolte dall’entità territoriale amministrativa più vicina ai cittadini (i Comuni), ma esse possono essere esercitate dai livelli amministrativi territoriali superiori (Regioni, Province, Città metropolitane, Stato) solo come sussidio (dal latino subsidium = ‘aiuto’) se questi possono rendere il servizio in maniera più efficace ed efficiente. In altri termini, se un ente inferiore è capace di svolgere bene un compito, l’ente superiore non deve intervenire, ma può eventualmente sostenerne l’azione. Il principio di sussidiarietà fa riferimento alla concezione che colloca la libertà e l’uguaglianza degli individui alla base della società, mentre assegna all’autorità un compito integrativo e di sostegno. VITA QUOTIDIANA
Valutare se esistono o meno le ragioni che giustifichino l’attribuzione ad un livello superiore di una determinata funzione amministrativa è questione delicata in quanto richiama possibili conflitti di attribuzione tra Stato e Regioni. A chiarire a chi spettano le competenze su una certa materia è la Corte costituzionale. Tra i diversi esempi, merita essere ricordata la decisione – in materia di condono edilizio degli immobili abusivi – con la quale la Corte:
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► ha stabilito che lo Stato debba riconoscere alle Regione il potere delle Regioni di legiferare; ► ha escluso che, anche a fronte dell’inerzia di molti Comuni nel procedere alle demolizioni di strutture edilizie considerate abusive, si possa affidare tale competenza al Prefetto, organo alle dipendenze del ministro dell’Interno e che rappresenta il Governo sul territorio, sottraendola ai Comuni stessi.
La tutela delle minoranze linguistiche (art. 6) Art. 6 La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.
L’art. 6 della Costituzione tutela le minoranze linguistiche. Una minoranza linguistica è una comunità, storicamente presente su un territorio, che parla una lingua diversa da quella ufficiale. Le comunità presenti nel territorio italiano sono di lingua: ► tedesca e ladina in Sud-Tirolo/Alto Adige;
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► francese e patois franco-provenzale in Valle d’Aosta; ► friulana e slovena in Friuli-Venezia Giulia; ► sarda in Sardegna; ► ladina nelle valli delle Dolomiti tra Veneto e le Province autonome di Trento e Bolzano; ► cimbra negli altipiani trentini di Luserna e Lavarone e quello veneto di Asiago. La tutela costituzionale delle minoranze linguistiche, oltre ad impedire qualsiasi forma di discriminazione basata sull’appartenenza a minoranze linguistiche, dispone anche una tutela positiva allo scopo di conservare il patrimonio linguistico e culturale di tali minoranze. Questa disposizione – che rappresenta un superamento delle concezioni dello Stato nazionale chiuso dell’Ottocento e un rovesciamento di grande portata politica e culturale, rispetto all’atteggiamento nazionalistico manifestato dal regime fa-
Minoranze linguistiche in Italia
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scista (che aveva, al contrario, adottato una politica repressiva sino al punto di “italianizzare” cognomi e nomi di origine straniera, soprattutto in Alto Adige) – ha trovato la prima piena attuazione solo nel 1999, quando è stata approvata la legge n. 482 “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”.
VITA QUOTIDIANA
Non tutte le lingue minoritarie riconosciute dalla legge n. 482 contenente “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche”, godono in realtà della stessa considerazione. Così, ad esempio, la minoranza francese della Val d’Aosta e quella tedesca della provincia di Bolzano usufruiscono di reali
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benefici rispetto alle altre minoranze. È il caso delle trasmissioni televisive e radiofoniche prodotte dalla RAI nelle lingue solo di queste minoranze, grazie ad accordi/trattati internazionali sottoscritti dall’Italia con gli Stati confinanti.
Lo Stato, la Chiesa cattolica e le altre confessioni (artt. 7-8)
Gli artt. 7 e 8 della Costituzione definiscono l’Italia una Repubblica laica e aconfessionale. Mentre lo Statuto Albertino riconosceva solo la religione cattolica come “unica religione di Stato” (delineando così i contorni del cosiddetto Stato confessionale), l’art. 7 della Costituzione rende lo Stato italiano privo di una religione ufficiale; esso, inoltre, definisce i rapporti tra Stato e Chiesa cattolica, riconoscendo in prima battuta «ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani»). I rapporti tra l’ordinamento statale e clericale sono regolati dai Patti Lateranensi, stipulati l’11 febbraio del 1929. I Patti consistono essenzialmente di un Trattato e di un Concordato e danno vita allo Stato della Città del Vaticano, così come oggi lo conosciamo. Il Concordato, che regola i rapporti tra la Chiesa e lo Stato, assicura alla Chiesa la libertà nell’esercizio del potere spirituale in nome del quale viene garantito anche l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole statali. La conciliazione tra la Chiesa e lo Stato è accolta anche dalla Costituzione repubblicaArt. 7 na che all’art. 7 dichiara: «Le modificazioni dei Lo Stato e la Chiesa cattolica Patti accettate dalle due parti, non richiedono sono, ciascuno nel proprio ordine, procedimento di revisione costituzionale». indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Grazie a questo comma, nel 1984 viene siglaPatti Lateranensi. to un accordo per la revisione di alcuni aspetti Le modificazioni dei Patti del Concordato (non del Trattato); tra questi, accettate dalle due parti, non l’ora di religione nelle scuole, che da quel morichiedono procedimento di revisione costituzionale. mento passa da obbligatoria a facoltativa.
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Art. 8 Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.
Con l’art. 8, la Costituzione, nel riconoscere pari dignità a tutte le religioni, disciplina i rapporti tra lo Stato e le altre confessioni religiose, sancendone innanzitutto l’uguaglianza di fronte alla legge. Il nostro ordinamento, ispirandosi a un atteggiamento di neutralità nei confronti dei diversi culti, permette dunque il pluralismo delle confessioni religiose, offrendo loro pari tutela. I rapporti tra lo Stato italiano e le confessioni religiose diverse da quella cattolica sono, invece, regolati dalla legge sulla base di intese, le quali, una volta raggiunte, non possono essere unilateralmente modificate dallo Stato, occorrendo piuttosto una nuova intesa. La scelta ordinamentale di regolare in tal modo i rapporti ha determinato una situazione privilegiata della Chiesa cattolica rispetto alle altre confessioni, dato che per essa vigono i Patti Lateranensi.
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
I rapporti tra Stato e Chiesa cattolica Secondo l’art. 7 della Costituzione i rapporti tra Stato e Chiesa sono regolati dai Patti Lateranensi (1929). Con essi si stabilì: ► la sovranità e l’indipendenza della Chiesa e del papa in un proprio Stato (Città del Vaticano); ► la disciplina dei rapporti fra Chiesa cattolica e istituzioni statali, nel territorio dello Stato italiano. Notevoli concessioni sono state fatte alla Chiesa: l’insegnamento della religione cattolica nelle scuole italiane, la validità civile dei matrimoni religiosi, l’esenzione dei sacerdoti dal servizio militare, ecc. Nel 1984, dopo anni di trattative, si è giunti alla firma di
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un nuovo Concordato che ha stabilito tra Stato e Chiesa: ► rapporti di reciproca collaborazione per la promozione del bene dell’uomo e del paese; ► esenzioni fiscali per gli enti ecclesiastici limitatamente a quelli che perseguono finalità di culto, beneficenza e istruzione; nuova disciplina del sostentamento del clero; ► conferma della validità civile dei matrimoni religiosi; mentre le sentenze di annullamento di matrimonio stabilite dai tribunali ecclesiastici hanno effetti civili solo dopo la verifica da parte di un giudice italiano, allo scopo di valutarne il rispetto delle norme di diritto italiano; ► insegnamento della religione cattolica facoltativo e non più obbligatorio.
Lo Stato italiano è dunque uno Stato laico nel senso che riconosce l’eguale libertà di tutte le confessioni religiose davanti alla legge e non opera discriminazioni fra i suoi cittadini in base alla religione da essi professata. VITA QUOTIDIANA
In base al principio di laicità e di aconfessionalità della scuola pubblica, nel 2017 gli insegnanti e genitori di una scuola in cui il consiglio d’Istituto aveva concesso l’apertura in orario extra-scolastico dei locali scolastici per lo svolgimento delle benedizioni pasquali richieste dai parroci del territorio, ricorrono contro il provvedimento. Il Consiglio di Stato, organo competente nella giurisdizione amministrativa, respinge il ricorso riconoscendo – invece – la possibilità di procedere alla benedizione nelle scuole, purché il rito
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sia effettuato alla sola presenza di chi vi acconsente. Secondo il Consiglio la benedizione pasquale è un rito religioso, il cui fine «per chi ne condivide l’intimo significato e ne accetta la pratica, è anche quello di ricordare la presenza di Dio nei luoghi dove si vive o si lavora»; per tutto ciò, esso «non può ledere, neppure indirettamente, il pensiero o il sentimento, religioso o no, di chiunque altro che non condivida quel medesimo pensiero e che dunque, non partecipando all’evento», non può in alcun modo «sentirsi leso da esso».
La tutela del patrimonio culturale e ambientale (art. 9) L’art. 9 della Costituzione sancisce il principio culturale e ambientalista cui lo Stato deve tendere. L’articolo in esame costituisce il riconoscimento della libertà della cultura e della ricerca scientifica e tecnica, in tutte le forme in cui si esprime, nonché l’autonomia delle strutture che si deArt. 9 dicano alla loro promozione. Alla base dell’art. 9 vi è la volontà d’indirizLa Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca zare l’intervento dei pubblici poteri, salvaguarscientifica e tecnica. dando la libertà di chi fa cultura o ricerca quale Tutela il paesaggio e il patrimonio garanzia per il progresso spirituale del paese storico e artistico della Nazione. verso la promozione dell’uomo.
VITA QUOTIDIANA
La nozione di ricerca scientifica fa riferimento alle varie attività miranti al progresso mediante il metodo scientifico. Nei primi decenni della vita repubblicana vennero infatti creati diversi enti di ricerca pubblici e nazionali nei principali settori di sviluppo delle conoscenze e il sistema dell’università pubblica, rendendo l’Italia un paese industrializzato
(il cosiddetto “boom economico”); le recenti fasi di recessione hanno paralizzato tale missione. Tra gli enti pubblici di ricerca (“enti scientifici di ricerca e sperimentazione”) ricordiamo: il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), l’Istituto nazionale di fisica nucleare (INFN), l’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), l’Istituto superiore della sanità (ISS).
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L’articolo è anche la sede in cui alcuni beni e valori costituzionalmente rilevanti per il rapporto fra uomo e natura trovano la loro tutela. Tale tutela – da esercitarsi attraverso un controllo cosciente degli interventi – deve contemplare la scelta fra i diversi interessi e le diverse possibilità di uso e di destinazione, non solo al fine della sola prevenzione, ma anche allo scopo della loro valorizzazione. La norma, infatti, contempla la tutela del paesaggio e dei beni culturali e ambientali: ► il paesaggio è il cosiddetto ambiente visibile, vale a dire il territorio in cui sono evidenti gli aspetti del rapporto fra uomo e natura; ► il patrimonio storico e artistico nazionale è costituito da tutti quei beni mobili e immobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico, e altri beni aventi valore di civiltà; ► l’ambiente è da intendersi come bene primario e valore assoluto cui si ricollegano interessi non solo naturalistici e sanitari, ma anche culturali, educativi e ricreativi [ PARTE 7].
VITA QUOTIDIANA
La nozione costituzionale di ambiente consente interventi pubblici per la gestione dei rifiuti, la tutela delle acque dall’inquinamento, la gestione delle risorse idriche, la difesa del suolo, la tutela dell’aria
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La comunità internazionale e i diritti degli stranieri (artt. 10-11) Art. 10 L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei
trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammessa l’estradizione dello straniero per reati politici. Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge.
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e la riduzione delle emissioni in atmosfera. Anche gli strumenti rivolti alla tutela degli equilibri ecologici quali la valutazione di impatto ambientale o il risarcimento del danno ambientale rientrano in tale definizione.
PARTE 3_LA Costituzione italiana: princìpi, diritti e doveri
Gli artt. 10 e 11 della Costituzione fanno dell’Italia uno Stato aperto alla comunità internazionale. Gli artt. 10 e 11 sanciscono la massima apertura dello Stato italiano verso la comunità internazionale e il ripudio della guerra. Alla base dei due articoli, vi è l’esigenza di garantire, anche su un piano internazionale, i valori della libertà e della democrazia proclamati nella vita interna dello Stato. Nel primo comma dell’art. 10 è ribadito il valore del diritto internazionale, mentre negli altri commi il riferimento è alla condizione dello straniero, che gode dei diritti inviolabili. La Repubblica italiana garantisce a tutti i
cittadini stranieri, ai quali siano stati negati i diritti e le libertà democratiche nei loro paesi, di poter esercitare tali diritti nel territorio dello Stato italiano, grazie al diritto di asilo [ IL SISTEMA DI GARANZIA E TUTELA DEI RIFUGIATI]. Nei confronti dello straniero presente alla frontiera o nel territorio italiano, quindi anche se entrato clandestinamente, deve essere garantito il rispetto dei diritti fondamentali della persona umana previsti da norme interne o da consuetudini e convenzioni internazionali; tra questi il diritto alla vita (da cui il divieto di estradizione verso Stati in cui vige la pena di morte), il diritto a professare la propria religione, il diritto alla difesa, il diritto alla famiglia. Si ritiene infatti che le garanzie costituzionali devono valere per tutti, cittadini e stranieri, non in quanto partecipi di una determinata comunità politica, ma in quanto esseri umani. Nell’ordinamento giuridico italiano la condizione giuridica dello straniero è sì prevista dalla Costituzione, ma è disciplinata dalla legislazione ordinaria. In virtù di tale
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Il sistema di garanzia e tutela dei rifugiati Sul piano internazionale, è indispensabile richiamare la Convenzione sullo status dei rifugiati, siglata a Ginevra il 28 luglio 1951, e il Protocollo relativo allo status di rifugiati, adottato a New York il 31 gennaio 1967. La partecipazione dell’Italia a entrambi gli atti la rende destinataria del sistema di garanzia e tutela dei rifugiati in essi contenuto. Sia la Convenzione che il Protocollo sono richiamati nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, a conferma dell’importanza che il diritto di asilo riveste a livello nazionale, comunitario e internazionale. Secondo le definizioni internazionali: ► è rifugiato politico chi vive nel fondato timore di venir perseguitato per motivi di razza, religione, cittadinanza, appartenenza a un determinato gruppo; ► è richiedente asilo la persona che non chiede solamente il soggiorno, bensì anche la protezione, per essersi sottratto agli organi di giustizia del paese d’origine; ► è profugo chi è fuggito per motivi legati alla guerra, alla persecuzione o a calamità naturali. Il trattamento giuridico dello straniero residente in Italia può essere fissato soltanto dalla legge e non può essere meno favorevole di quanto previsto nelle norme di diritto internazionale.
Attualmente esistono nel nostro ordinamento due categorie di stranieri: ► i cittadini dell’Unione europea, che godono di una tutela particolarmente qualificata in base al Trattato di Lisbona, secondo cui: «ogni cittadino dell’Unione europea ha il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, fatte salve le condizioni e le limitazioni prevista dai trattati e dalle disposizioni adottati in applicazione degli stessi»; ► i cittadini non appartenenti all’Unione europea (cosiddetti “extracomunitari”), che possono, invece, essere soggetti a restrizioni relativamente al loro diritto d’ingresso, di soggiorno e di permanenza nel nostro territorio. Chi entra in Italia deve essere in possesso di passaporto o documento equipollente e di visto d’ingresso. Trascorsi cinque anni, se sussistono i requisiti d’integrazione, si può ottenere il permesso di soggiorno CE per soggiornanti di lungo periodo (che costituisce in pratica un documento valido a tempo indeterminato). Da rimarcare inoltre le condizioni più stringenti presenti nel cosiddetto decreto sicurezza 840/2018 contenente nuove disposizioni in materia della concessione dell’asilo tra cui l’abrogazione della protezione per motivi umanitari. Il decreto ha anche introdotto nuove regole per il soccorso in mare volte all’inasprimento della lotta contro l’immigrazione irregolare.
Lezione 2 I princìpi fondamentali dello Stato italiano
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rapporto è indispensabile un bilanciamento tra l’osservanza del provvedimento dell’autoL’Italia ripudia la guerra come rità, in materia di controllo dell’immigrazione strumento di offesa alla libertà illegale, e l’insopprimibile tutela della persona degli altri popoli e come mezzo umana. di risoluzione delle controversie L’art. 11 è la base giuridico-costituzionale internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie per l’adesione italiana alle organizzazioni inad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia ternazionali. In esso si afferma – in ossequio tra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni al principio di giustizia universale – il ripudio internazionali rivolte a tale scopo. della guerra come strumento di aggressione. L’unico ricorso alla forza armata ammesso dalla Costituzione è quello per la difesa del proprio territorio e dei propri cittadini (art. 52). Resta un’ambiguità per quanto riguarda l’impiego della forza armata in tutti quei casi in cui la violenza non assuma i contorni di una vera e propria guerra, come accade con le numerose missioni all’estero, rispetto alle quali l’intervento del Parlamento è necessario per legittimare l’invio delle forze armate all’estero deciso dal Governo. L’articolo in esame dispone, inoltre, che l’Italia accetti limitazioni di sovranità se necessarie al perseguimento della pace e della giustizia tra le Nazioni, tramite accordi con le stesse. Art. 11
VITA QUOTIDIANA
In virtù dell’art. 11 è stato indispensabile il coinvolgimento parlamentare per far sì che l’Italia potesse partecipare alle operazioni militari che hanno avuto luogo nel quadro delle organizzazioni internazionali di cui fa parte. L’Italia infatti ha svolto, soprattutto nell’ultimo ventennio, un ruolo importante
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La bandiera e l’inno nazionale (art. 12) Art. 12 La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.
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nel mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Dall’Africa ai Balcani, dal Medio Oriente all’Asia, le forze armate italiane sono attualmente impegnate in operazioni di supporto alla pace in tutte le principali aree di crisi del mondo, in contesti strategici diversi e con compiti ampiamente diversificati.
L’art. 12 della Costituzione italiana riconosce il tricolore italiano quale bandiera della Repubblica. La collocazione della disposizione sulla bandiera nazionale all’interno dei princìpi fondamentali va vista come particolarmente significativa, in quanto si è inteso dotare l’emblema della riserva costituzionale.
PARTE 3_LA Costituzione italiana: princìpi, diritti e doveri
Fu verso la fine del Settecento che si diffusero, anche in Italia, le prime bandiere tricolori a strisce verticali, sulla scia della Rivoluzione francese che per prima l’aveva adottata a simboleggiare la libertà, la fratellanza e l’uguaglianza. Da allora, l’uso del tricolore ha simboleggiato l’impegno degli italiani al servizio degli ideali di libertà, indipendenza e unità del paese. In particolare, l’uso del tricolore divenne simbolo dei circoli liberali e democratici del Risorgimento e dell’aspirazione all’Unità d’Italia e accompagnò tutti i moti rivoluzionari antecedenti la prima guerra d’indipendenza (1848-49). Lo stesso Carlo Alberto riconobbe il tricolore (con lo stemma sabaudo in centro) come bandiera del Regno di Sardegna. Con la scelta della Repubblica nel 1946, tolto lo stemma sabaudo, il tricolore diventa definitivamente la bandiera della Repubblica italiana, di tale valore simbolico che una norma del Codice penale considera reato il vilipendio, cioè l’offesa, della stessa. Nel periodo fascista la bandiera costituiva il simbolo della sovranità dello Stato quale unico depositario dei valori nazionali, tant’è che era vietato esporre bandiere di altri Stati senza apposita autorizzazione (legge 24 giugno 1929, n. 1085). Con la nascita della Repubblica essa diventa simbolo di uno Stato che si inserisce in un ordinamento internazionale del quale abbraccia e promuove i valori. Il tricolore si ispira alla bandiera francese e la stessa divisione in tre bande è espressione dei princìpi democratici di libertà, uguaglianza e solidarietà. Come per il tricolore, anche Fratelli d’Italia, oggi inno della Repubblica italiana, nasce nel pieno fervore politico che preludeva alla guerra contro l’Austria. L’inno – scritto nel 1847 da un giovane studente di Genova, Goffredo Mameli, e musicato da Michele Novaro – divenne presto un simbolo degli ideali risorgimentali e adoperato per incitare la popolazione all’insurrezione. Seppur inizialmente vietato dalle autorità perché considerato eversivo per via dell’ispirazione repubblicana e anti-monarchica del suo autore, dopo la dichiarazione di guerra all’Austria l’inno si diffuse ovunque, tanto che persino le bande militari lo suonavano senza posa. A fronte di tutto questo, il re Carlo Alberto, oltre che abrogare l’articolo dello Statuto Albertino secondo cui l’unica bandiera del Regno doveva essere la coccarda azzurra, rinunciò anche a reprimere l’uso del tricolore e ad ogni tentativo di censura attuato sino a quel momento sul testo. Anche in seguito, quando Mameli era già morto, le parole di Fratelli d’Italia, che invocava un’Italia unita, accompagnarono le imprese di Garibaldi nella riunificazione nazionale. Tuttavia, considerato troppo connotato per diventare l’inno del nascente Regno d’Italia, nel 1861 venne accantonato e al suo posto fu preferita la Marcia Reale, brano ufficiale di Casa Savoia. Fu solo nel 1946, dopo la nascita della Repubblica italiana, che, seppur in forma provvisoria, divenne l’inno nazionale; ed è stata la legge n. 181 del 2017 a riconoscere al Canto degli Italiani lo status di inno nazionale.
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EDUCAZIONE CIVICA E LETTERATURA
Fratelli d’Italia di Goffredo Mameli Fratelli d’Italia L’Italia s’è desta, Dell’elmo di Scipio S’è cinta la testa. Dov’è la Vittoria? Le porga la chioma, Ché schiava di Roma Iddio la creò. Stringiamci a coorte, Siam pronti alla morte, Italia chiamò.
Gli italiani sono ora fratelli, l’Italia si è risvegliata è pronta alla guerra e indossa l’elmo di Scipione l’Africano. La vittoria è di Roma perché Dio ha voluto così.
Noi siamo da secoli Calpesti, derisi, Perché non siam popolo, Perché siam divisi. Raccolgaci un’unica Bandiera una speme, Di fonderci insieme Già l’ora suonò. Stringiamci a coorte, Siam pronti alla morte, Italia chiamò.
Noi siamo da secoli sottomessi e presi in giro perché non siamo un popolo unito perché siamo divisi in tanti Stati. Ci dobbiamo raccogliere sotto un’unica bandiera e un’unica speranza. È arrivato il momento di unirci.
Uniamoci, amiamoci: L’unione e l’amore Rivelano ai popoli Le vie del Signore. Giuriamo far Libero Il suolo natio; Uniti, per Dio, Chi vincer ci può? Stringiamci a coorte, Siam pronti alla morte, Italia chiamò.
Uniamoci, amiamoci, l’unione e l’amore rivelano ai Popoli le vie del Signore. Giuriamo di liberare la patria dove siamo nati. Se siamo uniti da Dio, chi ci può sconfiggere?
Dall’Alpi a Sicilia, Dovunque è Legnano, Ogn’uom di Ferruccio Ha il core, ha la mano. I bimbi d’Italia Si chiaman Balilla,
Dalle Alpi alla Sicilia, dovunque si vuole lottare contro l’oppressore come nella battaglia di Legnano, ogni uomo è coraggioso come lo fu il Ferrucci. I bimbi d’Italia li chiamano Balilla1.
Uniamoci in battaglia siamo pronti a morire per l’Italia.
Uniamoci in battaglia siamo pronti a morire per l’Italia.
Uniamoci in battaglia siamo pronti a morire per l’Italia.
Soprannome di Giovan Battista Perasso, che nel Settecento iniziò a Genova la rivolta contro gli austriaci.
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PARTE 3_LA Costituzione italiana: princìpi, diritti e doveri
Il suon d’ogni squilla I Vespri suonò. Stringiamci a coorte, Siam pronti alla morte, Italia chiamò.
Il suono di ogni campana ha suonato la rivolta come nei Vespri siciliani. Uniamoci in battaglia siamo pronti a morire per l’Italia.
Son giunchi che piegano Le spade vendute; Già l’Aquila d’Austria Le penne ha perdute. Il sangue d’Italia, Il sangue polacco Bevé col Cosacco Ma il sen le bruciò. Stringiamci a coorte, siam pronti alla morte, Italia chiamò. Sì.
Le spade dei mercenari (austriaci) sono come canne che si piegano l’aquila dell’Austria ha già perso le penne. L’Austria ha sparso il sangue dell’Italia e, con l’aiuto della Russia, anche il sangue della Polonia ma (presto) morirà. Uniamoci in battaglia siamo pronti a morire per l’Italia. Sì.
GUIDAALLOSTUDIO Rispondi oralmente o per iscritto alle domande o individua e sottolinea nel testo la risposta: ► Come si realizza la sovranità popolare? ► Perché il lavoro è posto a fondamento della Repubblica? ► In che modo si assicura il primato della persona? ► Quali sono i compiti riservati allo Stato per garantire l’eguaglianza dei cittadini? ► Perché lo Stato ha il dovere di intervenire nei processi economici? ► Cos’è il decentramento? In che modo si realizza? Qual è il suo fine? ► Quali sono le Regioni in cui è maggiore l’autonomia dal potere centrale? Perché? ► Perché lo Stato italiano è “non confessionale”? ► In che modo lo Stato italiano è aperto alla comunità internazionale?
Lezione 2 I princìpi fondamentali dello Stato italiano
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LEZIONE 3 DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI
Nella Parte prima (Diritti e doveri dei cittadini), la Costituzione italiana riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo e, attraverso ulteriori norme, precisa l’ambito di tali diritti e il loro contenuto. In particolare: ► i diritti civili (libertà individuali e libertà collettive); ► i diritti etico-sociali (famiglia, salute, arte e cultura, scuola); ► i diritti economici (lavoro e sua organizzazione); ► i diritti politici (elezioni, partiti, tasse) che definiscono il rapporto tra Stato e cittadini.
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I diritti civili I diritti civili sono l’insieme delle libertà e prerogative garantite ai cittadini, espressi negli articoli dal 13 al 28 della Carta costituzionale (che compongono la sezione Titolo I. Rapporti civili). Alla base dei diritti civili i costituenti hanno inteso, dopo l’esperienza fascista, porre dei limiti a una eventuale azione arbitraria del nuovo Stato. Accanto alle libertà positive, intese come pretesa di un comportamento attivo da parte dello Stato, come nel caso dei diritti sociali ed economici, si collocano le libertà negative, intese come la pretesa di non interferenza dello Stato sulle azioni individuali. Tra le principali libertà negative: la libertà personale, di domicilio, di riunione, di associazione e la libertà religiosa. Sono diritti civili: ► La libertà personale , ovvero la libertà dalle costrizioni fisiche: costituisce il presupposto per poter godere dell’autonomia ed indipendenza necessarie per esercitare gli altri diritti fondamentali. Con tale garanzia – che rappresenta una tutela contro gli abusi dell’autorità – nelle società democratiche contemporanee ogni individuo è libero da costrizioni, a condizione che il suo comportamento non leda l’integrità fisica e morale degli altri.
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PARTE 3_LA Costituzione italiana: princìpi, diritti e doveri
In base all’art. 13 della Costituzione italiana, sono vietate la detenzione, l’ispezione, la perquisizione e qualsiasi altra forma di restrizione della libertà. La libertà personale è inviolabile e fortemente Art. 13 garantita: può essere limitata solo nei casi previsti dalla legge o per una disposizione motivata dell’autorità La libertà personale è inviolabile. Non giudiziaria; l’autorità di pubblica sicurezza, pertanto, è ammessa forma non può arrestare, perquisire o ispezionare una persoalcuna di detenzione, na senza essere preventivamente autorizzata dalla Madi ispezione o gistratura mediante un’ordinanza motivata. In casi di perquisizione personale, urgenza si possono adottare provvedimenti restrittivi né qualsiasi altra a carattere provvisorio che devono essere comunicati restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli entro 48 ore all’autorità giudiziaria e convalidati nelle casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali successive [ IL FERMO DI INDIZIATI E LE MISURE DI CUdi necessità ed urgenza, indicati tassativamente STODIA CAUTELARE]. dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può L’art. 13 si completa con la proposizione di imporadottare provvedimenti provvisori, che devono tanti princìpi a difesa della dignità umana dei detenuti essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida quali il divieto di violenza fisica e morale sulle persone nelle successive quarantotto ore, si intendono sottoposte a restrizione della libertà e il divieto di pene revocati e restano privi di ogni effetto. contrarie al senso di umanità (art. 27, c. 3). La restrizioÈ punita ogni violenza fisica e morale sulle ne della libertà, infatti, deve mirare alla rieducazione persone comunque sottoposte a restrizioni di del condannato (art. 27, c. 3). A questo obiettivo si ricollibertà. lega anche l’ultima disposizione dell’art. 13, che sanciLa legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva. sce il divieto della pena di morte.
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Il fermo di indiziati e le misure di custodia cautelare La limitazione della libertà personale è subordinata a un atto motivato dell’autorità giudiziaria. I provvedimenti dell’autorità di polizia, senza la preventiva autorizzazione dell’autorità giudiziaria, sono possibili solo in situazioni eccezionali nelle quali è necessario agire tempestivamente. Tali situazioni sono comunque da sottoporre a convalida dell’autorità entro il termine di 96 ore, scandite in 48 ore per informare l’autorità stessa ed altre 48 ore per ottenere l’eventuale convalida. ► Un primo caso è il fermo di indiziati (persone gravemente sospettate). Poiché è necessario garantire la sicurezza della collettività e mettere l’individuo nelle condizioni o di non nuocere o di non sfuggire, la polizia può fermare provvisoriamente un indiziato. In caso di mancata convalida entro i termini stabiliti, la persona fermata deve essere rilasciata. ► Un secondo caso è l’arresto in caso di flagranza di reato (cioè mentre si sta commettendo l’azione
delittuosa). Entro 48 ore, tuttavia, deve essere emanato dal giudice l’atto di convalida dell’arresto. In base al dettato costituzionale, è compito della legge fissare i limiti della carcerazione preventiva (artt. 13 e 23) – ridenominata custodia cautelare –, una misura che costringe un imputato di reato alla detenzione in carcere mentre se ne sta accertando la colpevolezza mediante un processo. Tale restrizione della libertà si giustifica solo se il magistrato ritenga esistono comprovati rischi di fuga dell’imputato o di inquinamento delle prove da parte dello stesso. Poiché nessuno può essere giudicato colpevole prima della condanna definitiva (art. 27), la carcerazione preventiva non può superare il limite di 4 anni. Trascorso tale periodo, anche se il processo non si è svolto, l’imputato è rimesso in libertà. In alternativa alla custodia in carcere, l’imputato può essere sottoposto ad altre misure cautelari quali il divieto di espatrio, l’obbligo di dimora, gli arresti domiciliari, ecc.
Lezione 3 Diritti e doveri dei cittadini
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VITA QUOTIDIANA
Negli Stati Uniti, al momento di un fermo gli agenti di polizia leggono la seguente dichiarazione: «Lei ha il diritto di rimanere in silenzio. Qualsiasi cosa dirà potrà e sarà usata contro di lei in tribunale. Ha diritto a un avvocato durante l’interrogatorio. Se non può permettersi un avvocato, gliene sarà assegnato uno d’ufficio». L’intento della dichiarazione è chiaro: anche il peggiore tra i criminali deve essere messo a conoscenza dei suoi diritti, affinché possa farli valere.
La mancata conoscenza dei propri diritti – e di quelli degli altri –, infatti, può essere lesiva al momento del fermo/arresto, così come in molti altri aspetti della nostra vita. In Italia, ogni anno, circa 1 milione di persone incappano in fermi o arresti da parte delle forze di polizia: è importante conoscere i diritti di cui si è titolari davanti alle forze di polizia e durante lo stato di fermo o di arresto.
► La libertà di domicilio , la libertà di corrispondenza , la libertà di movimento (artt. 14-16): la vita privata di ciascuno è inviolabile; non sono ammesse quindi né intrusioni nell’abitazione (ispezioni, perquisizioni, sequestri), né limitazioni alla libertà di comunicazione, sia epistolare sia telefonica (per esempio, le cosiddette “intercettazioni telefoniche”, vietate in via generale, e ammesse solo su autorizzazione della Magistratura). Il concetto di domicilio va inteso non solo come abitazione, ma anche luogo in cui una persona svolge la propria attività lavorativa, una dimora occasionale e persino la propria automobile; in altre parole, il domicilio va inteso come il luogo in cui si ha il potere e la possibilità di escludere la presenza di terzi, al fine di difendere i propri interessi affettivi, spirituali, culturali o sociali. L’inviolabilità indica, in generale, il diritto di ciascuno ad una sfera privata e delimitata al riparo da ingerenze da parte di terzi. Nel concetto di forme di corrispondenza rientrano sia la comunicazione epistolare che telegrafica o telefonica. Si tratta chiaramente di una clausola aperta, destinata a trovare applicazione nei confronti di tutte le innovazioni tecnologiche che permettano l’interazione tra due o più soggetti. La libertà di movimento, in base alla Costituzione, consente ad ogni cittadino di circolare e stabilirsi in qualunque parte del territorio nazionale, ma anche di uscirne (espatriare) e di rientrarvi. A livello europeo, la libertà di circolazione è riconosciuta a tutti i cittadini dell’Unione e anche ai cittadini di paesi extraeuropei che si trovino legalmente nel territorio comunitario. Un individuo può essere limitato nella sua libertà solo se previsto dalla legge e per motivi di sanità o sicurezza. ► La libertà di riunione e di associazione : diversamente da quanto accadeva in epoca fascista, queste libertà, garantite da tutte le Costituzioni democratiche, sono annoverate tra i diritti fondamentali. La libertà di riunione – che fa riferimento a situazioni diverse quali assembramenti (riunioni occasionali dovute a circostanze impreviste), dimostrazioni (cioè riunioni che danno luogo a manifestazioni per motivi
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politici o civili), cortei (cioè riunioni in movimento) – garantisce il diritto di radunarsi pacificamente e senza uso di armi (art. 17). Qualora gli incontri avvengano in luogo pubblico, come nel caso di un comizio in una piazza, il loro svolgimento deve essere preventivamente comunicato all’autorità di polizia, che generalmente accoglie la richiesta a meno che non sussista il rischio di disordini che compromettano l’ordine o l’incolumità pubblica. La libertà di associazione (art. 18) consiste nella facoltà di ogni individuo di collegarsi ad altri individui per perseguire fini sociali comuni, purché legittimi. Dall’esercizio di questo diritto nascono importanti organizzazioni quali partiti politici e sindacati. La libertà di associazione è molto ampia; gli unici divieti, infatti, sono per le associazioni a delinquere, per quelle che perseguono fini politici con un’organizzazione militare e per le associazioni segrete, proibite poiché il nostro ordinamento non permette l’associazione per attività illegali: la segretezza, invece, presuppone un fine illecito. In tali casi, le associazioni vengono dichiarate illegali e sciolte. Per quanto riguarda le associazioni a carattere militare che perseguano anche indirettamente scopi politici, il divieto scaturisce dalla considerazione che in un regime democratico i fini politici vanno necessariamente perseguiti attraverso il libero, pacifico e civile dibattito. ► La libertà religiosa : la Costituzione repubblicana riconosce a tutti il diritto di professare la propria fede liberamente (art. 19) e celebrare i riti del proprio culto, purché non contrari alle leggi dello Stato italiano. La norma in esame, insieme al successivo art. 20, afferma, indirettamente, il principio di laicità secondo il quale tutti, cittadini e stranieri, sono liberi di professare la propria fede, qualunque essa sia, senza che una religione sia privilegiata rispetto alle altre come accadeva, invece, sotto il regime fascista, quando lo Stato era dichiaratamente cattolico (e quindi confessionale).
Lezione 3 Diritti e doveri dei cittadini
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Art. 21 Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro si intende revocato e privo d’ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni.
La libertà religiosa, considerata come applicazione della libertà di pensiero, comporta anche la possibilità di non aderire ad alcuna religione; è il caso degli atei e dei non credenti che possono esprimere liberamente la propria convinzione.
► La libertà di pensiero e di espressione : il riconoscimento della libertà di pensiero e di espressione [art. 21] deriva dall’importanza attribuita alla libera circolazione delle idee (il pluralismo ideologico). Posta a fondamento di ogni democrazia, laddove essa è, invece, negata e censurata, anche con violenza, in tutti i regimi dittatoriali (repressione del dissenso). La libertà di pensiero è anche libertà di stampa. La stampa, come la televisione, infatti, costituisce un importante strumento di manifestazione delle opinioni e di informazione dei cittadini; è esclusa, pertanto, ogni forma di autorizzazione preventiva unitamente a qualunque censura. La libertà di manifestare il pensiero, come la libertà di stampa, trova un limite nel rispetto della dignità, dell’onore e della privacy della persona; pertanto, sono vietate la calunnia (se si incolpa qualcuno per aver commesso un reato, sapendo che è innocente) e la diffamazione (se si offende l’altrui reputazione in assenza della persona offesa), considerate reati. Un secondo limite alla libertà di stampa riguarda il divieto di pubblicazioni (o spettacoli) contrari al buon costume, cioè al comune senso morale. Si tratta, però, di un concetto vago, poiché variabile nel tempo con l’evolversi dei costumi sociali e della mentalità dominante. Sarà il giudice a valutare, volta per volta, se un atto può ritenersi «contrario al buon costume». La libertà di manifestare il proprio pensiero non giustifica l’apologia di reato. La glorificazione e l’esaltazione di figure di reato può infatti rappresentare un pericolo per l’ordine pubblico.
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I diritti etico-sociali. Famiglia, salute, scuola È considerato un diritto sociale l’interesse/opportunità che lo Stato assicuri una certa prestazione a una determinata categoria di cittadini, facendosi carico dei costi necessari. Si tratta di diritti strettamente collegati al principio di uguaglianza sostanziale, e che, nella nostra Carta, concernono gli ambiti della famiglia, della salute e dell’istruzione disciplinati dagli artt. 29-34 (Titolo II. Rapporti etico-sociali). Sono riconosciuti come tali:
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► Il diritto alla famiglia : la famiglia ha un ruolo fondamentale per la nostra Costituzione, che la riconosce come società naturale, ordinata sull’uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, cui spetta il diritto e il dovere di provvedere al mantenimento e all’educazione dei figli, anche se nati fuori del matrimonio. Lo Stato si fa carico di aiutare economicamente la famiglia nell’adempimento dei suoi compiti e tutela la maternità, l’infanzia e la gioventù (artt. 29-31). La famiglia a cui fa riferimento la Costituzione è quella che deriva dal matrimonio, religioso o civile, ma l’ordinamento riconosce anche la famiglia di fatto, tutelata alla stregua di formazione sociale; dal 2016, inoltre, hanno trovato tutela anche le unioni civili, forme di convivenza di coppia, basata su vincoli affettivi ed economici. Nell’ordinamento italiano il riconoscimento giuridico della coppia formata da persone dello stesso sesso è finalizzato a stabilirne diritti e doveri reciproci. ► Il diritto alla salute : lo Stato tutela la salute in quanto la considera un diritto fondamentale dell’individuo e un interesse della collettività (art. 32), indispensabile per il pieno sviluppo della persona umana; in tal senso, è compreso in tale diritto anche quello di vivere in un ambiente salubre che non metta a rischio la salute di ognuno. ll diritto in esame si sostanzia nel diritto all’integrità fisica e psichica [ LEZIONE 2.2, p. 13], sia nel senso di poter avere trattamenti medici di prevenzione e cura sia nel senso di poter godere di un ambiente di vita e lavoro salubre. Tuttavia, da esso non deriva il diritto a cure gratuite per tutti, essendo garantite solo per gli indigenti. Al fine di garantire le cure ai cittadini, dal 1978 lo Stato ha istituito il SSN (Servizio sanitario nazionale), cui possono accedere tutti, finanziato attraverso il sistema tributario. Il secondo comma dell’art. 32 sancisce la libera autodeterminazione del malato in merito al trattamento sanitario che non può quindi essere imposto se non nei casi espressamente previsti dalla legge (trattamento sanitario obbligatorio). La Costituzione sancisce, in altri termini, il diritto di rifiutare le terapie. ► Il diritto all’istruzione : l’istruzione è un diritto che spetta a tutti, ma è anche un dovere: la nostra Costituzione prevede infatti un periodo di obbligatorietà (fissato inizialmente a otto anni e innalzato, con successive leggi a dieci, generalmente corrispondente ai 16 anni d’età) e la gratuità per quello stesso periodo. Successivamente, per i capaci e meritevoli il proseguimento negli studi è garantito con borse di studio, con assegni alle famiglie o con altre forme di aiuto, attribuite per concorso. Lo Stato si riserva il diritto di emanare le norme generali sull’organizzazione scolastica, ma l’istituzione delle scuole di ogni ordine e grado è facoltà anche dei privati (pluralismo delle istituzioni scolastiche). In Italia, le scuole private hanno totale libertà circa materie e insegnanti; gli studenti – tuttavia – non possono ricevere titoli di studio, ma dovranno recarsi nelle scuole pubbliche per sostenere gli esami necessari. Un’apposita legge, nel 2000, ha istituito il Servizio nazionale di istruzione cui appartengono sia le scuole pubbliche statali che le scuole pubbliche paritarie; queste non devono essere confuse con quelle private:
Lezione 3 Diritti e doveri dei cittadini
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– le scuole statali sono gestite dallo Stato sotto ogni punto di vista, garantendo l’accesso e il diritto allo studio anche a chi non può permetterselo, promuovendo un’istruzione gratuita e laica. – le scuole paritarie non sono gestite dallo Stato e hanno piena autonomia dal punto di vista dell’orientamento culturale e didattico, ma, al contrario di quanto avviene nelle scuole private, possono rilasciare titoli equivalenti a quelli delle scuole statali. Le scuole paritarie non sono gratuite e possono essere gestite sia da enti laici che religiosi e non hanno l’obbligo della laicità, come avviene nelle scuole pubbliche. ► La libertà di insegnamento : lo Stato, dettate le norme generali sull’istruzione, ritiene di non dover interferire nell’insegnamento, che è libero nei metodi e nella scelta dei contenuti. L’art. 33, ribadendo che la scuola è aperta a tutti, inclusi gli stranieri, sancisce che l’insegnamento dell’arte e della scienza è libero, come libero ne è l’esercizio. È questa una conseguenza della generale libertà di pensiero di cui all’art. 21, e comporta che ciascuno può esprimerla secondo la propria scelta e ispirazione, senza che lo Stato possa imporre una certa forma di manifestazione. La libertà d’insegnamento significa che il docente ha il diritto di scegliere il mezzo con cui manifestare il proprio pensiero, le teorie che intende professare e, soprattutto, il metodo di insegnamento, nel rispetto della libertà di opinione dei singoli alunni.
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I diritti economici I rapporti economici sono disciplinati dagli artt. 35-47 (Titolo III. Rapporti economici). Sul piano economico, il compromesso tra le diverse forze presenti nell’Assemblea Costituente ha indicato per l’Italia un sistema a economia mista in grado di coniugare iniziativa economica privata e iniziativa economica pubblica, caratterizzato da un ruolo attivo dello Stato nella vita economica del paese sia attraverso una gestione diretta di alcune attività economiche (con la presenza di imprese pubbliche), sia attraverso un sistema di norme emanate in nome della giustizia sociale; tale sistema obbliga lo Stato a conciliare gli interessi tradizionali della proprietà privata e della libertà di iniziativa economica con la necessità di raggiungere il bene comune. Il ruolo attivo dello Stato nei processi economici è quindi ritenuto indispensabile, come testimoniano anche gli artt. 2, 3 e 4 dei princìpi fondamentali, per stabilire la priorità degli interessi collettivi sui singoli interessi individuali o di gruppo, ed è un essenziale fattore di sviluppo e di crescita. In questo quadro generale, la Costituzione disciplina aspetti economici quali: l’iniziativa economica privata (art. 41), la proprietà privata (art. 42), l’iniziativa economica pubblica (art. 43), la proprietà fondiaria (art. 44), il movimento cooperativo (art. 45), la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa (art. 46), la tutela del risparmio (art. 47).
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Art. 41 L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali.
L’ iniziativa economica privata : l’art. 41, coniugando i princìpi di libertà e solidarietà formulati dall’art. 2, da un lato afferma che «l’iniziativa economica privata è libera» (cioè riconosce che l’economia italiana sia fondata sui meccanismi della libera iniziativa dei singoli operatori); dall’altro lato, tuttavia, specifica che essa non può andare contro l’utilità sociale, né può procurare danni «alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». Per questo, lo Stato deve intervenire con un’attività di regolamentazione in tutti quei casi in cui il mercato, lasciato a se stesso, conduca a risultati non accettabili dal punto di vista sociale (governo dell’economia). Dunque, secondo la Costituzione, lo Stato non solo può, ma addirittura deve intervenire con un’attività di regolamentazione. La libertà di iniziativa economica, quindi, se da un lato garantisce a chiunque di far nascere imprese, assumere lavoratori, produrre e vendere per ottenere un profitto, dall’altro lo obbliga comunque al rispetto dei vincoli posti dalle norme statali a tutela del benessere comune quali, ad esempio, quelle che rendono obbligatorio dotarsi di sistemi contro gli infortuni o di depuratori, per limitare l’inquinamento dell’aria e dell’acqua. La proprietà privata : l’art. 42 riconosce la legittimità del diritto di proprietà privata, che è uno dei princìpi cardine delle Costituzioni economiche moderne. Tuttavia, anche in questo caso, il principio generale trova importanti limitazioni in relazione alla funzione sociale che, secondo la Costituzione, deve essere in ogni modo garantita. Lo Stato, dunque, deve vigilare che l’esercizio della proprietà non sia in contrasto con altri e più importanti interessi pubblici. Con la Costituzione si è scelto di porre la proprietà tra i diritti economici, e non più tra quelli fondamentali del singolo (come previsti dallo Statuto Albertino), stabilendo che essa deve avere funzione sociale, allo scopo di riconoscerle una dimensione non più individuale ma, al contrario, globale e strettamente economica. L’ iniziativa economica pubblica : l’art. 43 della Costituzione prevede la presenza di imprese pubbliche per quelle attività economiche che abbiano «carattere di preminente interesse generale», siano, cioè, secondo la valutazione del Governo, economicamente strategiche. In passato, tale orientamento ha avuto una forte applicazione attraverso la gestione statale di attività economiche come le ferrovie, la produzione e la distribuzione del
VITA QUOTIDIANA
Tutti i proprietari di terreni devono osservare i vincoli urbanistici stabiliti dai piani strutturali comunali che pianificano l’utilizzo delle aree di un Comune, stabilendo le aree edificabili, i vincoli urbanistici, ecc., al fine di tutelare il paesaggio. Quando si realizzano, ad esempio, interventi edilizi in assenza di Permesso di costruire o Denuncia di inizio attività si commette un abuso edilizio.
Inoltre, se una proprietà è più utile alla collettività, lo Stato può appropriarsene con un atto di autorità, risarcendo, però, il proprietario con un equo indennizzo (esproprio) che non sia distante dal prezzo cui egli avrebbe potuto venderlo. Comune è il caso di esproprio di proprietà privata terriera quando si deve costruire una strada, un ospedale, una scuola, ecc.
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Nazionalizzazione La nazionalizzazione è un intervento con cui lo Stato, mediante un provvedimento legislativo, acquisisce la proprietà, piena o parziale, o almeno il controllo, di determinate industrie private, o l’esercizio di alcune attività di preminente interesse generale. Il termine è spesso usato come sinonimo di statalizzazione. Scopo generale della nazionalizzazione è il controllo statale di specifici settori produttivi, rivolto primariamente al perseguimento di finalità sociali e non al perseguimento del profitto (fondamentale invece per le imprese private).
gas, dell’acqua e della elettricità, il sistema autostradale, ecc. (nazionalizzazione►). Tale scelta fu consequenziale alla valutazione che tali servizi, dovendo essere garantiti a tutti, dovevano essere sottratti alla logica della totale privatizzazione dal momento che le aziende private tendono, di regola, solo alla realizzazione del profitto, cioè del guadagno. La proprietà fondiaria : l’art. 44 è la manifestazione della volontà dei costituenti di risolvere la questione agricola, sottolineando l’importanza di uno speciale controllo sociale sulla proprietà terriera. In esso sono indicati i problemi più urgenti, come la trasformazione del latifondo (grande estensione di terreno, talvolta incolto) per fini di giustizia sociale e la realizzazione delle bonifiche per uno sfruttamento più razionale del territorio. In particolare, la Costituzione impone allo Stato il compito di eliminare il latifondo, che ancora era caratteristico delle campagne italiane, specie nel Sud, al termine della seconda guerra mondiale. Alla fine del secondo conflitto mondiale, infatti, la situazione agraria del paese era oltremodo precaria sia per l’assetto del territorio (latifondo, bonifiche) sia per i rapporti contrattuali tra i proprietari e gli affittuari o i mezzadri e, nel 1947, mentre erano in atto i lavori per la stesura della Costituzione, i braccianti del Meridione, esasperati, avevano occupato le terre incolte. A seguito di tale norma costituzionale, nel 1950 è stata attuata la riforma agraria e successivamente si è provveduto alla bonifica e all’eliminazione del latifondo, attraverso il frazionamento della proprietà e l’assegnazione delle terre ai contadini. Il movimento cooperativo : l’art. 45 favorisce la costituzione di una forma di organizzazione economica, la società cooperativa, che ha come scopo principale non il profitto (come qualsiasi altra società) ma la mutualità, cioè un vantaggio per i soci. In altri termini, chi partecipa a una cooperativa non si propone di ottenere il massimo guadagno da un investimento, ma crede in una mutua (cioè reciproca) collaborazione con altri soggetti che hanno gli stessi bisogni. Considerandola caposaldo della democrazia economica, i costituenti hanno valorizzato la cooperativa con l’intento di applicare il principio di solidarietà proprio dell’art. 2. La tutela del risparmio : l’art. 47 affida allo Stato il compito di tutelare ogni forma di risparmio: quello depositato in banca, investito in immobili (in particolare nelle case d’abitazione) o fatto confluire direttamente alle imprese grazie al mercato borsistico. Il risparmio è, infatti, un fattore di estrema importanza nell’economia di un paese, in quanto consente alle imprese – attraverso l’intermediazione del sistema bancario – di avere le risorse per i nuovi investimenti.
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I diritti politici Gli artt. 48-54 riguardano i cosiddetti rapporti politici (Titolo IV. Rapporti politici) e concludono la prima parte della Costituzione dedicata alla tutela dei diritti del cittadino. I diritti politici riguardano i rapporti politici del singo-
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Art. 48 Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico. La legge stabilisce requisiti e modalità per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all’estero e ne assicura l’effettività. A tale fine è istituita una circoscrizione Estero per l’elezione delle Camere, alla quale sono assegnati seggi nel numero stabilito da norma costituzionale e secondo criteri determinati dalla legge. Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge.
lo in quanto membro dello Stato. Come i diritti civili mirano a garantire la dignità dell’uomo, così i diritti politici mirano a tutelare la dignità del cittadino. Sono diritti politici:
► Il diritto elettorale [art. 48]: costituisce il diritto politico per eccellenza, in quanto consente al cittadino di esercitare la sovranità che la Costituzione riserva al popolo. Attraverso il voto ognuno manifesta la propria volontà e partecipa alla vita politica del paese. Il voto è quindi strumento indispensabile per ogni democrazia rappresentativa, ossia quella in cui il popolo non governa direttamente, bensì attraverso i rappresentanti che, periodicamente, sceglie. In Italia, dal referendum istituzionale del 1946, si è realizzato il suffragio universale, cioè l’estensione del diritto di voto a tutti i cittadini (uomini e donne) con capacità di agire. A partire dal 1975, possono esercitare il diritto elettorale coloro che hanno raggiunto i 18 anni (in precedenza 21 anni). Il voto è personale, eguale, libero e segreto: non può né essere delegato ad altra persona, né avere valore differente secondo chi l’esprime, né, ancora, essere condizionato o determinato da pressioni; pertanto ne è garantita la segretezza. Il voto esprime anche un dovere civico; quindi, deve essere esercitato in quanto fondamento della vita democratica dello Stato.
Art. 49 Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.
► Il diritto di associazione politica [art. 49]: insieme con il diritto di voto, il diritto di associarsi in partiti garantisce la partecipazione del cittadino alla vita politica. La formazione dei partiti è dunque libera e tutti i partiti politici hanno eguale diritto di essere presenti e di svolgere la loro attività nel territorio italiano (pluralismo dei partiti). La Costituzione ha voluto in questo modo escludere il rischio di un regime a partito unico. I partiti sono associazioni che hanno come fine la conquista e la gestione del potere politico; in tutti gli Stati democratici sono il principale canale di collegamento tra la società e le istituzioni. Le funzioni dei partiti politici sono: – organizzare le idee e gli interessi di strati della popolazione con l’importante compito di rappresentarli all’interno delle istituzioni; – formulare programmi politici (misure, leggi, provvedimenti che intendono sostenere) sulla cui base si realizza la scelta del cittadino attraverso le elezioni. I partiti inoltre presentano le liste elettorali, designando i candidati alla rappresentanza negli organi elettivi; costituiscono il canale di reclutamento dei dirigenti politici; formano, nel caso di vittoria elettorale, il Governo; determinano l’orientamento e le scelte politiche dello Stato. La libertà di associazione politica presenta un’unica eccezione, quella
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per il partito fascista, cui la Costituzione riserva il divieto di ricostituirsi (Disposizioni transitorie, art. XII), seppure in altre forme e con altri nomi. ► Il diritto ad accedere ai pubblici uffici e alle cariche elettive [art. 51]: ciascuno ha il diritto di accedere all’apparato della pubblica amministrazione (pubblici uffici) mediante concorso pubblico e a partecipare all’organizzazione politica del paese (cariche pubbliche elettive: consiglieri comunali, assessori, deputati, ecc.). La legge stabilisce i requisiti necessari, in relazione al buon esercizio delle funzioni (ad esempio, il titolo di studio) e, per questa ragione, non esistono ostacoli o posizioni privilegiate di partenza. L’ideale di uguaglianza è alla base della possibilità che anche gli stranieri possano esercitare cariche elettive o essere ammessi a pubblici uffici. Inoltre, chi è chiamato a svolgere funzioni pubbliche elettive ha, secondo la Costituzione, il diritto di conservare il proprio posto di lavoro. ► Il diritto di petizione [art. 50]: consente a un singolo cittadino o a un gruppo di rivolgersi al Parlamento per chiedere l’approvazione di una legge, mediante la raccolta di firme di sottoscrizione. Si tratta di una forma di democrazia diretta che permette al popolo di esercitare direttamente il proprio potere di sovranità. La nostra Carta costituzionale prevede anche altri istituti di democrazia diretta, quali: – l’iniziativa popolare per le leggi (art. 71), che prevede che almeno 50.000 elettori possano sottoscrivere una proposta di legge, redatta in articoli, da sottoporre all’esame del Parlamento; – il referendum, che consiste in una votazione con cui il popolo decide (attraverso l’assenso o il dissenso) su una data scelta normativa. Esso può essere richiesto da 500.000 elettori o da 5 Consigli regionali. Rappresenta una forma di controllo popolare sull’operato del Governo. La Costituzione prevede tre tipi di referendum: referendum diretto all’abrogazione di una legge esistente (art. 75); referendum diretto all’approvazione di una legge costituzionale (art. 138); referendum diretto all’adozione di leggi per le modifiche territoriali di Regioni, Province e Comuni (art. 123). Il primo referendum in Italia si è avuto nel 1946, quando il popolo ha scelto la forma istituzionale repubblicana per lo Stato italiano. In realtà, solo nel Art. 51 1970 è stata emanata la legge che ha istituito il referendum in base a quanto stabilito dalla Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono Costituzione.
accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini. La legge può, per l’ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica. Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro.
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PARTE 3_LA Costituzione italiana: princìpi, diritti e doveri
Art. 50 Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità.
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I doveri dei cittadini In generale, i doveri costituzionali sono obblighi previsti in attuazione del principio di solidarietà politica, economica e sociale (art. 2). Ogni individuo vive in una condizione di interdipendenza con gli altri membri della società; ogni sua azione incide, in qualche modo, sull’azione altrui. Pertanto, la Costituzione sancisce:
Art. 53 Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività.
► Il dovere di istruirsi almeno entro i limiti dell’obbligo scolastico (art. 34); l’istruzione, oltre che un diritto, rappresenta un dovere. Ad oggi l’istruzione è obbligatoria per almeno 10 anni nel periodo tra i 6 ed i 16 anni di età ed è volta a far ottenere al soggetto un titolo di scuola secondaria superiore o una qualifica professionale di durata almeno triennale entro i 18 anni di età. ► Il dovere di svolgere una qualunque attività (art. 4), in base alle proprie possibilità e scelte, che consenta di contribuire al progresso materiale e spirituale della società. ► Il dovere di votare (art. 48), per concorrere a realizzare la rappresentanza degli interessi popolari e, quindi, la democrazia. ► Il dovere di difendere la Patria (art. 52), per salvaguardare i valori nazionali non solo in caso di guerra, ma anche in caso di pace (soccorso alla popolazione in caso di calamità). La difesa della patria è stata disciplinata dal costituente come dovere di solidarietà politica; esso può quindi essere adempiuto anche con forme diverse dalla partecipazione alle forze armate dello Stato.
► Il dovere di concorrere alla spesa pubblica dello Stato [art. 53], in ragione della propria capacità contributiva, in cambio dei servizi che esso fornisce ai cittadini. Questo dovere è di grande importanza sul piano economico in quanto afferma che: – tutti i cittadini hanno il dovere di concorrere alle spese dello Stato pagando le imposte, cioè contributi obbligatori necessari per assicurare un’entrata economica al bilancio dello Stato e una copertura finanziaria dei servizi pubblici; – le imposte devono essere commisurate alla capacità contributiva dei Aliquota L’aliquota è, contribuenti, cioè al loro reddito e ricchezza. La Costituzione, per questa ranel linguaggio fiscale, la gione, stabilisce che il sistema tributario (o fiscale), cioè l’insieme delle norpercentuale di reddito me e degli strumenti organizzativi che regolano la riscossione delle entrate imponibile (la quota di reddito e patrimonio, cioè dello Stato, tenga conto della capacità contributiva e sia informato al criterio beni, sui quali si calcola il di progressività, in base al quale chi ha un reddito più alto paga in misura prelievo fiscale) prelevata maggiore nel rispetto dei doveri inderogabili di solidarietà politica, econocome imposta. Nel sistema progressivo la mica e sociale. Ciò si realizza con il sistema di aliquote► progressive delle percentuale aumenta con imposte. I tributi sono dovuti solo in base alla legge (principio di legalità). l’aumentare del reddito Il dovere di concorrere a sostenere la spesa statale è espressione del geimponibile complessivo del contribuente. nerale dovere di solidarietà; il fine è contribuire ad assicurare eguaglianza
Lezione 3 Diritti e doveri dei cittadini
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attraverso un sistema in grado di prevedere dei servizi per tutti, anche i meno abbienti. Tale previsione ribadisce come la Costituzione preveda per lo Stato un ruolo attivo, in questo caso per ottenere una più equa distribuzione del reddito. Il dovere di contribuire alle spese dello Stato in base alla propria ricchezza nasce, infatti, dall’esigenza di distribuire tra tutti i cittadini il peso della spesa che lo Stato affronta per garantire l’interesse comune; chi guadagna di più è chiamato a contribuire in misura maggiore [ CONTRIBUIRE ALLE SPESE DELLO STATO].
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Contribuire alle spese dello Stato La contribuzione, cioè la ricchezza privata prelevata dagli enti pubblici per sovvenzionare i servizi che erogano, comprende le imposte, le tasse e i contributi. Le imposte sono prestazioni obbligatorie di denaro dovute dai contribuenti (famiglie e imprese) allo Stato o altri enti pubblici territoriali sulla base della capacità contributiva di ognuno. Tali somme vengono utilizzate dallo Stato per finanziare spese pubbliche. Le imposte sono indivisibili perché il loro prelievo non fornisce prestazioni indirizzate direttamente a dei singoli, ma concorre all’erogazione di servizi rivolti alla totalità dei cittadini. Le imposte possono quindi finanziare i costi di opere di pubblica utilità come l’istruzione, la sicurezza, l’amministrazione pubblica. Le imposte si classificano in dirette e indirette: ► Le imposte dirette vengono calcolate sul denaro che una persona produce in un dato momento, in termini di possedimenti o di reddito. Alcuni esempi di questa imposta sono: – l’IRPEF, ossia l’imposta sui redditi prodotti all’interno dei confini italiani da ogni cittadino o, per generalizzare, da tutte le persone fisiche, sia che siano residenti o meno; – l’IRAP, ossia l’imposta regionale su qualsiasi tipo di attività che produca ricchezza; – l’IMU, ossia l’imposta municipale sugli immobili. ► Le imposte indirette sono tutte quelle imposte che non colpiscono i guadagni prodotti sul momento da una persona, ma le somme di denaro spese, cioè i consumi. Un esempio di questa imposta è: – l’IVA, ossia un’imposta che viene applicata su ogni oggetto o servizio offerto all’interno dello Stato italiano. Il valore di questa imposta cambia in base al tipo di
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PARTE 3_LA Costituzione italiana: princìpi, diritti e doveri
bene o di servizio; così, ad esempio, i beni detti “di prima necessità” (pane, acqua, servizi di assistenza alla persona) avranno l’Iva al 4%, diversamente da oggetti, come ad esempio un computer, che avranno l’Iva al 22%. Il pagamento di un’imposta non implica un “corrispettivo”, ad esempio la prestazione di un servizio, diversamente di ciò che accade quando si paga una tassa. Le tasse sono somme di denaro dovute dai privati cittadini allo Stato come corrispettivo per la prestazione a suo favore di un servizio pubblico. Sono quindi tasse: – la TARI (per la raccolta dei rifiuti), la Tassa sull’occupazione di suolo pubblico, la Tassa di registro sul contratto di locazione, la Tassa scolastica. In ognuno di questi casi, infatti, si può con certezza determinare per quale tipo di servizio fornito è stato prelevato denaro. Differenza tra tassa e imposta: se con le tasse si finanzia un servizio chiaramente identificabile (come la tassa per il finanziamento del servizio di raccolta rifiuti), le imposte servono per finanziare servizi generali che sono a carico dello Stato (come ad esempio, la sanità pubblica). I contributi sono prelievi coattivi (come le imposte) effettuati per finanziare un’opera o un servizio pubblico specifico (come nel caso delle tasse). Il suo importo è in relazione con il costo del servizio. A differenza della tassa, che si applica quando si richiede un servizio, il contributo può essere richiesto direttamente dall’ente pubblico nei confronti di chi ricade nell’ambito della prestazione di un determinato servizio. È il caso dei contributi di bonifica che i consorzi di bonifica applicano a tutti i proprietari di immobili nel territorio bonificato.
► Il dovere di fedeltà alla Repubblica, alla Costituzione e alle leggi dello Stato (art. 54), affinché si realizzi l’interesse generale della collettività e lo si faccia prevalere rispetto ai tanti interessi particolari. Il dovere di fedeltà alla Repubblica ha l’obiettivo di tutelare la forma istituzionale repubblicana. Un cittadino dà dimostrazione della sua fedeltà alla Repubblica rispettando i princìpi democratici, tenendo comportamenti conformi alla Costituzione e alle leggi e non danneggiando lo Stato italiano nelle relazioni con gli altri paesi. Ai cittadini che ricoprono cariche pubbliche e ai lavoratori pubblici, lo Stato richiede un giuramento di fedeltà da cui deriva un «vincolo di ordine morale che si aggiunge a doveri giuridici già esistenti».
GUIDAALLOSTUDIO Rispondi oralmente o per iscritto alle domande o individua e sottolinea nel testo la risposta: ► Quando si può limitare la libertà personale? ► Cosa sono le misure cautelari? ► In che modo si esprime la libertà di riunione? E quella di associazione? ► Qual è l’importanza della libertà di pensiero e di espressione? Che limiti incontra? ► Cosa si intende per libertà religiosa? ► Qual è la funzione dei diritti etico-sociali? ► Qual è l’importanza della famiglia e dei diritti a essa collegati? ► In cosa consiste il diritto alla salute? ► Cosa prevede il diritto all’istruzione? ► Cosa dice la Costituzione italiana a proposito del diritto di proprietà? ► Cosa sono le cooperative di lavoro? ► In che modo lo Stato tutela il risparmio? ► A quale principio è ispirato il sistema tributario italiano? ► Quale garanzia sta alla base dei diritti politici? ► Come si esprime il diritto di voto? ► Perché sono importanti i partiti politici? ► Qual è l’unico partito vietato dalla Costituzione? ► Quali sono gli strumenti di democrazia diretta? ► Perché il cittadino ha dei doveri? ► Quali sono i doveri previsti dalla Carta costituzionale?
Lezione 3 Diritti e doveri dei cittadini
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VERSOL’ESAMEDISTATO
Analisi e produzione di un testo argomentativo (tipologia B) Raffaele Mauro è avvocato e docente in percorsi di formazione su temi costituzionali.
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Il sospetto è che in tempi di crisi, come quello attuale, si miri a realizzare degli interventi che solo formalmente sembrano non incidere sulla Costituzione ma che invece finiscono per far mutare, a poco a poco, l’approccio costituzionalmente orientato dell’agire riformatore. La presunta inutilità (e/o inattualità) della Carta Costituzionale rappresenta la continua quanto sterile obiezione sollevata dai detrattori dell’ultima ora. Costoro, presi come sono dall’inutile ricerca di “altri” valori supremi, si spingono al punto da mettere in dubbio la portata normativa-prescrittiva della Carta del ’48. La società post-moderna – per dirla alla Bauman – oltre che a percepire la Costituzione come un ammasso di norme inutili e stantie, ha finanche smarrito il senso della sua portata di valori. [...] Oggi è evidente che qualsiasi testo legislativo che non abbia ad oggetto momentanei ed impellenti bisogni è percepito come lontano, inutile, e vessatorio. [...] Il cittadino comune percepisce la veemenza e l’idolatria con cui l’economia e la finanza sovrastano qualsiasi posizione politica. Oggi il denaro, i profitti e le banche hanno totalmente annientato l’importanza che dovrebbe avere la persona umana. È certamente errato negare l’urgenza di alcuni interventi necessari per arginare la deriva dei conti pubblici, la razionalizzazione della spesa e il taglio agli sprechi. Per far ciò però occorre operare oculatamente evitando di invertire l’annoso rapporto tra Costituzione ed economia; evitando cioè di minare lo spirito e l’intendimento delle norme Costituzionali per le quali l’essere umano precede di gran lunga l’economia. La Costituzione, i suoi valori, il suo spirito, i suoi articoli, il suo modo di organizzare l’architettura istituzionale dell’Italia esprimono una sacralità tale da non poter essere profanata nemmeno da quella tanto acclamata importanza dei mercati. [...] Nessuno immagina o pensa alla Costituzione come un testo immobile o immutabile. Ciò sarebbe, senz’altro, anacronistico. La migliore interpretazione dei costituzionalisti discorre della Costituzione quale «prodotto della storia, non già un reperto della storia» (R. Bin, Storia e Costituzione: quale realtà?, in www.forumcostituzionale.it). Ammettere l’importanza della Costituzione, non significa sottrarre la stessa da un confronto con i mutamenti avvenuti nella società. Tuttavia, la Costituzione, pur con la sua veneranda età, è l’elemento che precede ogni nuova vicenda sociale; sia essa economica, politica o culturale. Spesso le norme della Costituzione sono con estremo vigore reclamate solo in particolari circostanze di tensioni sociali, salvo poi uniformarsi alle mode imposte da tendenze culturali circa il modo di pensare e giudicare la vita, fino ad accogliere, come vincolanti, mode effimere e sprezzanti valori individualistici. Ulteriore appunto, ma che apre scenari ben più preoccupanti, può farsi con riferimento alla scarsa efficacia con cui l’italiano medio si rivolge al testo costituzionale. Se il diritto è un modo di risoluzione dei problemi non si capisce perché il diritto che promana dalla Carta costituzionale debba essere ritenuto un diritto minore o un non diritto. Spesso l’uso strumentale della politica, intesa come l’insieme dei soggetti chiamati a rappresentare il popolo, ha contribuito a tale nefandezza. Parlare della Costituzione come un vessillo da agitare in battaglie di parte è pericoloso perché finisce per trasformare un tale testo fondamentale in un qualsiasi documento lasciato alla disponibilità di variabili politiche. [Testo tratto da Un equilibrio necessario: norme, principi e valori costituzionali di Raffaele Marzo del 4 aprile 2013, in https://www.diritto.it/un-equilibrio-necessario-norme-principi-e-valori-costituzionali/]
► COMPRENSIONE E ANALISI
1. Cosa si afferma nel testo a proposito dell’attuale processo di dissoluzione della Costituzione e dei suoi valori? Quali argomenti vengono addotti per sostenere la tesi principale?
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PARTE 3_LA Costituzione italiana: princìpi, diritti e doveri
2. Nel corso della trattazione, l’autore denuncia i rischi insiti nel «percepire la Costituzione come un ammasso di norme inutili e stantie» (righe 7-8). Perché? Qual è il rischio che intravede? 3. Che rapporto c’è tra la difesa del valore attuale della Costituzione e i mutamenti sociali in essere? 4. Nell’articolo si afferma che oggi qualsiasi testo legislativo che non abbia ad oggetto momentanei ed impellenti bisogni è percepito come lontano e inutile al contrario dell’economia e della finanza sovrastanti su qualsiasi posizione politica. Qual è l’accusa mossa dall’autore? ► PRODUZIONE
Condividi le considerazioni dell’autore relativamente alla sacralità dei valori e dello spirito della Costituzione? Alla luce delle tue conoscenze e delle tue esperienze dirette, ritieni che l’architettura istituzionale dell’Italia disegnata dai padri costituenti debba essere ritenuta superiore a qualunque logica economica e di profitto che oggi tende a condizionare le scelte politiche? ► Argomenta i tuoi giudizi con riferimenti alla tua esperienza e alle tue conoscenze e scrivi un testo in cui tesi e
argomenti siano organizzati in un discorso coerente e coeso.
Simulazione di colloquio Finalità specifica del colloquio dell’Esame di Stato è consentire alla Commissione di verificare l’acquisizione dei contenuti e dei metodi delle discipline, nonché la capacità, critica e personale, di argomentare del candidato. È importante curare la capacità di esposizione e la coerenza delle argomentazioni esposte. L’esercizio da fare è, quindi, costruire una mappa concettuale, preferibilmente interdisciplinare, che consenta di fare collegamenti coerenti con il tema proposto. ► PROPOSTA A
Il materiale scelto dalla Commissione quale avvio del colloquio è un’illustrazione della differenza tra i concetti di eguaglianza ed equità. Lo spunto rappresenta per il candidato l’occasione per esporre le proprie conoscenze sul tema dell’eguaglianza formale e dell’eguaglianza sostanziale, laddove possibile in chiave interdisciplinare.
Uguaglianza
Equità
A pagina seguente la scaletta dei contenuti, trattati nel corso della Parte, cui fare riferimento per affrontare il tema:
VERSO L’ESAME DI STATO
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► L’influenza dei valori illuministi nelle costituzioni ottocentesche e nella formulazione dell’art. 3 della Costituzione
italiana. ► La differenza concettuale tra eguaglianza formale ed eguaglianza sostanziale. ► La possibilità di discipline legislative differenziate per realizzare la giustizia sociale. ► Il ruolo dello Stato italiano nel contrastare le diseguaglianze e il valore della solidarietà. ► Le azioni positive dello Stato al fine di garantire lo sviluppo della persona e rimuovere le barriere di ordine natu-
rale, sociale ed economico. ► Le premesse costituzionali per realizzare lo “Stato sociale”. ► PROPOSTA B
Il materiale scelto dalla Commissione quale avvio del colloquio consiste nei simboli dello Stato italiano e dello Stato del Vaticano. Lo spunto rappresenta per il candidato l’occasione per esporre le proprie conoscenze sul tema dei rapporti tra Stato italiano e Chiesa cattolica, laddove possibile in chiave interdisciplinare.
Di seguito la scaletta dei contenuti, trattati nel corso della lezione 2, cui fare riferimento per affrontare il tema: ► Lo Stato confessionale delineato dallo Statuto Albertino e differenze con l’art. 7 della Costituzione italiana. ► Conseguenze dei Patti Lateranensi nei rapporti tra Stato e Chiesa cattolica. ► Le assicurazioni alla Chiesa cattolica contenute nel Concordato e modifiche a seguito della sua revisione del
1984. ► Il riconoscimento della pari dignità a tutte le religioni identificato dall’art.8 della Costituzione italiana e l’atteg-
giamento di neutralità dello Stato italiano. ► I rapporti tra lo Stato e le confessioni religiose diverse da quella cattolica.
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PARTE 3_LA Costituzione italiana: princìpi, diritti e doveri
Gli organi costituzionali Lezione 2. L’ordinamento amministrativo Lezione 1.
Verso l’Esame di Stato
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PARTE
L’ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA ITALIANA
LEZIONE 1 GLI ORGANI COSTITUZIONALI
Ogni ordinamento giuridico moderno e democratico è fondato sulle leggi e sulle istituzioni che le emanano, le eseguono e le fanno rispettare. L’organo cui spetta il compito di formulare le leggi è il Parlamento (potere legislativo); il Governo le esegue (potere esecutivo); la Magistratura (potere giudiziario) giudica chi non le rispetta. Infine, con funzioni differenti in base alla forma di governo, vi è il Presidente della Repubblica, che è il Capo dello Stato. Sono questi, nel loro complesso, gli organi costituzionali della Repubblica italiana, ovvero gli organi cui sono affidate le funzioni dello Stato. Gli organi costituzionali agiscono in posizione di reciproca parità, in base al principio della separazione e dell’indipendenza dei poteri. La definizione dei compiti e delle funzioni degli organi costituzionali è oggetto della Parte seconda della nostra Costituzione dedicata all’Ordinamento della Repubblica.
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Il Parlamento: struttura, organizzazione, funzioni Attualmente il sistema politico dell’Italia è quello di una democrazia rappresentativa in cui la volontà popolare viene affidata, tramite elezioni politiche, al Parlamento cui spetta un ruolo centrale; sono i parlamentari, infatti, che eleggono il Presidente della Repubblica e decidono se dare la propria fiducia o meno a un Governo. La forma di governo italiana è quindi quella della repubblica parlamentare, in cui il Presidente della Repubblica ha il ruolo di garante della Costituzione senza, tuttavia, essere titolare di alcun potere specifico, diversamente da ciò che capita nelle repubbliche presidenziali, dove il Capo dello Stato, che è direttamente eletto dal popolo, è anche capo dell’esecutivo (funzione detenuta in Italia dal Presidente del Consiglio). Il Parlamento è l’istituto rappresentativo del popolo, nel nome di cui agisce, interpretandone aspirazioni e bisogni. È titolare del potere legislativo, e in quanto tale abilitato a fare le leggi in nome e nell’interesse del popolo. In base all’art. 53 della Costituzione, il Parlamento italiano è composto da due Camere (sistema bicamerale): la Camera dei deputati che ha sede a
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PARTE 4_L’ordinamento della Repubblica italiana
Palazzo Montecitorio [Fig. 1] e il Senato della Repubblica che ha sede a Palazzo Madama [Fig. 2]. Il nostro sistema parlamentare, tramite il presente articolo, esprime il cosiddetto bicameralismo perfetto, in base al quale ciascuna Camera ha le stesse funzioni e competenze ed i medesimi poteri; ciò che cambia è il numero dei componenti e i diversi criteri richiesti sia per eleggere i rappresentanti (elettorato attivo) sia per essere eletti (elettorato passivo). La Camera dei deputati è eletta su base circoscrizionale, nel senso che la ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni si effettua dividendo il numero
Fig. 1. Palazzo Montecitorio, esterno
Fig. 2. Palazzo Madama, esterno
DIFFERENZE TRA CAMERA E SENATO Camera dei deputati
Senato della Repubblica
membri elettivi (*)
630
315
membri non elettivi
–
fino a 5 senatori a vita, tutti gli ex Presidenti della Repubblica
età per l’elettorato attivo
18 anni
25 anni
età per l’elettorato passivo
25 anni
40 anni
(*) Nell’ottobre 2019, la Camera dei deputati ha approvato la proposta di legge costituzionale, già approvata dal Senato, per la riduzione del numero dei parlamentari. In base a quanto previsto dall’art. 138 della Costituzione, non essendo stata approvata a
maggioranza dei 2/3 dei componenti le Camere, è possibile – se richiesto – procedere a referendum popolare. Nel caso tale riforma venisse confermata, il numero dei membri della Camera passerebbe a 400, mentre quello del Senato sarà di 200.
Lezione 1 Gli organi costituzionali
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degli abitanti della Repubblica – quale risultante dall’ultimo censimento generale della popolazione – per 618 e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ciascuna circoscrizione (art. 56). I restanti 12 seggi sono riservati alla Circoscrizione Estero. Il Senato , invece, è eletto su base regionale: 309 seggi elettivi sono quindi ripartiti fra le Regioni in proporzione alla loro popolazione. 6 seggi sono assegnati dalla Costituzione alla Circoscrizione Estero (art. 57). La Costituzione ha scelto di non disciplinare il sistema elettorale e ciò perché i mutamenti storici e sociali ne avrebbero richiesto un’agevole modifica mediante legge ordinaria [ I SISTEMI ELETTORALI].
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
I sistemi elettorali I sistemi elettorali costituiscono le regole in base alle quali i voti espressi dagli elettori si traducono in seggi: cioè nel numero di parlamentari assegnati a ogni partito o coalizione politica. Gli elettori sono suddivisi su base territoriale in collegi elettorali uninominali o plurinominali. Nel collegio uninominale ogni collegio elegge un rappresentante; nel collegio plurinominale ne elegge più di uno. Un sistema elettorale è composto da due elementi fondamentali: ► il sistema di votazione; ► il metodo per l’attribuzione dei seggi. Quest’ultimo richiede l’applicazione di una formula matematica predefinita, che viene detta “formula elettorale”. Tradizionalmente, la formula elettorale era classificabile in due grandi categorie: – formule maggioritarie, che hanno come scopo quello
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PARTE 4_L’ordinamento della Repubblica italiana
di garantire che vi sia un effettivo vincitore e perciò esprimono regole abbastanza semplici. Il principio del sistema è che chi prende anche solo un voto in più ottiene l’elezione. Sono le più antiche e tendono a premiare i candidati o partiti vincitori in collegi uninominali o plurinominali; – formule proporzionali, che vogliono assicurare che tutte le posizioni politiche siano rappresentate e, quindi, dettano regole che difficilmente assicurano vittorie di larga misura. Elaborate a partire dalla seconda metà dell’Ottocento tendono a stabilire un rapporto proporzionale tra i voti ottenuti da un partito e i seggi a esso assegnati. Verso la fine del XX secolo si è affermata la categoria dei sistemi misti. Le formule appartenenti a questa categoria combinano elementi maggioritari ed elementi proporzionali, talvolta relazionati tra di loro.
IL PARLAMENTO Banco della Presidenza
Presidente
Banco del Governo
Ministri Sottosegretari
Banco dei relatori
Ban chi dei parl ame ntar i
Banchi dei parlamentari
RA DEST
dei chi Ban
ri enta m a l par
SINIS TRA
Tavolino degli stenografi
CENTRO
Basata su precise regole, l’organizzazione del Parlamento prevede che ogni Camera, presieduta e rappresentata da un presidente cui spetta il compito di provvedere al buon funzionamento dei lavori, si riunisca in sedute pubbliche e deliberi, generalmente, separatamente. Per alcune situazioni, però, la Costituzione prevede che le Camere funzionino in seduta comune (presso gli uffici della Camera dei deputati a Palazzo Montecitorio) come nel caso di elezione del Presidente della Repubblica [ SEDUTA COMUNE DEL PARLAMENTO, p. 104]. Le deliberazioni (decisioni) sono adottate mediante votazioni. Queste, per essere valide, devono essere prese da ogni Camera alla presenza della maggioranza dei componenti (numero legale), generalmente con maggioranza semplice (la metà più uno dei presenti al momento della votazione). Per deliberazioni particolarmente importanti, come l’approvazione di una legge costituzionale o l’elezione del Presidente della Repubblica, è richiesta la maggioranza assoluta (la metà più uno dei membri della Camera, indipendentemente dai presenti) o addirittura la maggioranza dei due terzi (maggioranza qualificata).
Lezione 1 Gli organi costituzionali
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FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Seduta comune del Parlamento Il bicameralismo è stato storicamente indice del passaggio dalla monarchia allo Stato liberale, presentando originariamente una Camera elettiva e una non elettiva; nella Costituzione si è invece inteso sottolineare come si trattasse di un istituto unitario, suscettibile di riunirsi in seduta comune per discutere le questioni più rilevanti. Il Parlamento lavora in seduta comune, presieduto dal Presidente della Camera dei deputati, per esercitare alcune specifiche funzioni; precisamente: ► l’elezione del Presidente della Repubblica, alla quale partecipano anche i delegati regionali, secondo quanto Legislatura La legislatura è la durata del mandato di un’assemblea legislativa, cioè il periodo che intercorre tra le elezioni e lo scioglimento delle Camere. In Italia, il periodo di durata effettiva del mandato parlamentare è di 5 anni per ciascuna Camera, salvo scioglimento anticipato (art. 88). Immunità parlamentare L’immunità parlamentare prevede che in caso di arresto o di altre forme di limitazione della libertà personale, il giudice, prima di procedere deve avere l’autorizzazione da parte della Camera di appartenenza (art. 68). Sino al 1993, l’autorizzazione della Camera di appartenenza era necessaria anche per sottoporre un parlamentare a giudizio penale (fatta eccezione per i casi di flagranza di reato). L’istituto dell’immunità parlamentare è poi stato riformato in modo da consentire alla Magistratura di poter avviare indagini e processi penali senza dover attendere l’autorizzazione a procedere da parte dell’organo parlamentare competente.
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stabilito dall’art. 83 della Costituzione; ► la messa in stato d’accusa dello stesso Presidente per i reati di alto tradimento o di attentato alla Costituzione (art. 90); ► la ricezione del giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione da parte del Capo dello Stato, condizione indispensabile affinché questi possa assumere le sue funzioni (art. 91); ► l’elezione di un terzo dei giudici costituzionali (art. 135), nonché di un terzo dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura (art. 104).
In genere, ogni parlamentare esprime il proprio voto pubblicamente (scrutinio palese); in alcuni casi delicati, come le votazioni sulle persone, è obbligatorio lo scrutinio segreto. Al fine di portare a conoscenza dell’elettorato tutte le dinamiche con le quali i rappresentanti del popolo prendono le loro decisioni (principio della pubblicità), le sedute sono, per la maggior parte, aperte al pubblico e ai mezzi di comunicazione. L’attività parlamentare di ogni Camera è organizzata per commissioni, organi specializzati in determinate materie che svolgono attività legislativa, di controllo e conoscitiva. Accanto a queste, ci sono anche delle commissioni bicamerali (cioè composte da membri di entrambe le Camere) con funzioni di controllo nell’ambito di specifiche attività amministrative e politiche. È possibile, inoltre, l’istituzione di commissioni di inchiesta parlamentare per acquisire elementi di conoscenza, in ordine ad una materia di pubblico interesse, da inviare al Parlamento mediante una relazione illustrativa che verrà discussa e approvata. All’interno di ogni Camera, inoltre, si formano i gruppi parlamentari, organismi che rappresentano in Parlamento i partiti. I gruppi possono anche essere misti, cioè composti da forze politiche affini. Il Senato e la Camera, eletti a suffragio universale, diretto e segreto, durano in carica cinque anni (legislatura►). Vi può essere, però, uno scioglimento anticipato, nei casi in cui il Parlamento non riesca a garantire una maggioranza che appoggi il Governo. Lo scioglimento anticipato spetta al Presidente della Repubblica, previo parere dei Presidenti delle due Camere. La durata limitata della legislatura intende garantire l’alternanza tra le forze politiche, propria di una repubblica democratica. I parlamentari godono della tutela dell’immunità parlamentare► e, per lo svolgimento dei loro compiti, ricevono un’indennità economica, stabilita per legge. Il trattamento economico dei parlamentari è concepito come condizione dell’esercizio indipendente di una fondamentale funzione costituzionale e, al tempo stesso, come garanzia che tutti i cittadini, senza riguardo al patrimonio o al reddito, possano realmente concorrere alla elezione delle Camere.
PARTE 4_L’ordinamento della Repubblica italiana
2 Leggi formali La legge formale è un atto normativo prodotto dalla deliberazione delle Camere e promulgato dal Presidente della Repubblica. La “forma” della legge è quindi data dal particolare procedimento prescritto dalla Costituzione per la sua formazione. Con questo procedimento sono formate sia le leggi ordinarie sia le leggi costituzionali. Infatti il procedimento di formazione delle leggi costituzionali non è che una variante aggravata del procedimento legislativo ordinario. Le leggi ordinarie sono gli atti deliberati dal Parlamento secondo il procedimento disciplinato dall’art. 70 e dai regolamenti parlamentari.
Il Parlamento: funzione legislativa Le principali funzioni del Parlamento sono: legislativa, di indirizzo politico e di controllo nei confronti del Governo. ► Funzione legislativa: tramite la funzione legislativa il Parlamento partecipa all’organizzazione e all’esercizio della sovranità; è l’unico organo abilitato ad approvare leggi formali► (ordinarie o costituzionali). Altri organi con potere normativo non emanano leggi bensì atti aventi forza di legge, cioè atti normativi che non hanno la “forma” della legge (cioè non sono prodotti dalla deliberazione delle Camere e promulgati dal Presidente della Repubblica), ma sono equiparati alla legge formale ordinaria (perché il Parlamento partecipa alla loro formazione): è il caso, per esempio, del Governo, quando emana decreti-legge (provvedimenti con effetto immediato ma provvisorio, a meno che il Parlamento stesso non li trasformi entro 60
ITER DI FORMAZIONE DELLA LEGGE (PROCEDIMENTO ORDINARIO IN SEDE REFERENTE) • parlamentari • Governo • Consigli regionali • CNEL • popolo
LA PROPOSTA È CESTINATA PROPOSTA DI LEGGE
COMMISSIONE PARLAMENTARE
se respinta… ESAME PRIMA CAMERA
LA PROPOSTA È CESTINATA
se approvata
se respinge le modifiche rinvio prima Camera parlamentare
se respinta se emendata
ESAME SECONDA CAMERA
COMMISSIONE
se approvata
se accetta le modifiche PROMULGAZIONE PRESIDENZIALE PUBBLICAZIONE NELLA «GAZZETTA UFFICIALE» ENTRATA IN VIGORE DELLA LEGGE
Lezione 1 Gli organi costituzionali
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giorni in legge) e decreti legislativi, detti anche decreti delegati (atti adottati per delega espressa e formale del Parlamento). È legge, quindi, solo quella adottata dal Parlamento mediante un particolare procedimento, in base agli artt. 71-74 della Costituzione. Il procedimento legislativo si compone di diverse fasi: iniziativa, discussione, approvazione e votazione, e infine promulgazione. ► Funzione di indirizzo politico: il Parlamento svolge l’importante funzione di co-determinare, attraverso la collaborazione con altri organi costituzionali, l’indirizzo politico del paese; essa consiste nel definire la politica dello Stato, cioè gli obiettivi della sua azione nei diversi campi in cui opera, indicando le linee lungo le quali deve realizzarsi l’intervento pubblico in un determinato momento storico. La scelta degli obiettivi e delle linee generali su cui lo Stato intende muoversi è evidentemente una funzione che precede le altre: l’emanazione di leggi (funzione legislativa) e l’adozione di concrete misure amministrative (funzione esecutiva) rappresentano la concretizzazione delle scelte più generali di tipo politico adottate dalla maggioranza parlamentare e dal Governo. La funzione di indirizzo politico si estrinseca attraverso atti formali (leggi, regolamenti, ecc.) che sono espressione simultaneamente di più funzioni. ► Funzione di controllo sull’attività del Governo: il Governo per poter operare deve essere legato al Parlamento da un rapporto di fiducia; le Camere, dunque, devono poter conoscere e sindacare sull’attività del Governo. Obiettivo finale, infatti, è quello di valutare, attraverso l’utilizzo di strumenti di controllo, la corrispondenza tra l’azione dell’esecutivo e l’indirizzo da questi concordato con il Parlamento.
CONTROLLO DEL PARLAMENTO SUL GOVERNO
CONTROLLO DEI SINGOLI PARLAMENTARI avviene mediante LE INTERROGAZIONI
LE INTERPELLANZE
sono domande rivolte al Governo o ad un ministro per sapere se un fatto si è verificato
sono domande scritte e motivate poste al Governo per conoscere la sua politica e la sua posizione rispetto a un certo evento; danno luogo a discussione in aula
CONTROLLO DELLE CAMERE avviene mediante IL CONTROLLO FINANZIARIO
LA MOZIONE
il Parlamento si esprime in relazione all’attività del Governo in determinati settori, dando luogo ad un dibattito che termina con una votazione
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LA RISOLUZIONE
è un orientamento che vincola il Governo ad una certa linea di condotta
PARTE 4_L’ordinamento della Repubblica italiana
approvazione di leggi di bilancio annuale e pluriennale, legge finanziaria, rendiconto
► Funzione di revisione costituzionale: al Parlamento spetta, attraverso la promulgazione di una legge costituzioLe leggi di revisione nale, sia il compito di apportare modifiche alla Costituziodella Costituzione ne, sia quello di integrarla [art. 138]. Vista la collocazione e le altre leggi della Costituzione nella gerarchia delle fonti del diritto costituzionali LE FONTI DEL DIRITTO ITALIANO, p. 10] (la Costituzione è [ sono adottate da ciascuna Camera al vertice), il procedimento previsto per l’approvazione di con due successive una legge costituzionale è dotato di un maggior numero deliberazioni ad intervallo non minore di di garanzie, e quindi più complesso. Tutti gli articoli della tre mesi, e sono approvate a maggioranza Costituzione possono essere modificati ad eccezione: delassoluta dei componenti di ciascuna Camera la forma di governo repubblicana (art. 139); del principio nella seconda votazione. democratico (art. 1); dei diritti della persona umana, dichiarati «inviolabili» dall’art. 2. Inoltre, per una eventuale modifica degli altri princìpi fondamentali è opinione comune che ciò avvenga solo attraverso l’elezione di una nuova Assemblea Costituente. Art. 138
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La Presidenza della Repubblica Il Presidente della Repubblica è il garante della Costituzione, il rappresentante dell’unità nazionale e il soggetto che facilita i collegamenti tra tutti i soggetti rilevanti nella vita dello Stato (organi costituzionali, cittadini, autonomie locali, ecc.) (art. 87). Sebbene i suoi poteri siano limitati, la sua azione è fondamentale in quanto deve assicurare il rispetto delle regole costituzionali da parte dei poteri dello Stato e l’equilibrio politico tra essi: i suoi compiti rispondono all’esigenza di risolvere le eventuali situazioni di crisi tra le forze politiche. Il Presidente della Repubblica rappresenta, infatti, l’unità nazionale, ed è organo individuale, cioè indipendente dai partiti politici. Può diventare Presidente della Repubblica qualsiasi cittadino che abbia compiuto i 50 anni e sia in possesso dei diritti civili e politici. Diversamente da altri paesi in cui l’elezione è direttamente determinata dal popolo, in Italia il Capo dello Stato è eletto dal Parlamento in seduta comune, unitamente ad un certo numero di delegati regionali. Questo sistema è da mettere in relazione al ruolo che la Costituzione ha assegnato a tale organo: quello di fungere da elemento equilibratore fra i poteri dello Stato. La maggioranza richiesta per la votazione, che avviene a scrutinio segreto, è di due terzi; se non è raggiunta entro le prime tre votazioni, diventa sufficiente la maggioranza assoluta (art. 83), cioè la metà più uno dei membri dell’assemblea. Dopo l’elezione, il Presidente deve prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza alla Costituzione, davanti al Parlamento in seduta comune (art. 91). Il Presidente della Repubblica resta in carica 7 anni. In caso di temporaneo impedimento del Presidente della Repubblica a esercitare le proprie funzioni (per malattia
Lezione 1 Gli organi costituzionali
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Atti dovuti Si dicono atti dovuti quegli atti presidenziali il cui esercizio è sostanzialmente obbligato. Per fare qualche esempio al riguardo, l’art. 74 dispone che se le Camere approvano nuovamente una legge già rinviata dal Capo dello Stato, questa deve essere promulgata. O, ancora, si ricorda che spetta al Presidente indire le elezioni delle nuove Camere e fissarne la prima riunione, in una data compresa tra i settanta giorni dalla fine della legislatura precedente e i venti giorni successivi alla relativa consultazione elettorale.
o viaggio all’estero) è prevista la supplenza da parte del Presidente del Senato (art. 86). Al termine dei 7 anni del suo mandato, se non viene rieletto, diventa senatore a vita. Tra i poteri del Presidente della Repubblica, alcuni sono atti dovuti► (come la nomina del Presidente del Consiglio o lo scioglimento anticipato delle Camere e l’indizione delle elezioni politiche), altri rientrano nelle funzioni più tradizionali di ogni Capo di Stato (accredito dei rappresentanti diplomatici); altri sono puramente poteri formali, come quello di ratifica di decisioni che, nella sostanza, sono prese dal Governo, perché nessun atto presidenziale ha valore se non è controfirmato dal ministro proponente, che assume su di sé la responsabilità dell’atto (art. 89) [ POTERI DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, p. 109].
Il Capo dello Stato, infatti, in ragione del suo particolare ruolo di garante dell’ordine costituzionale del paese, non è responsabile di alcun atto compiuto nell’esercizio delle sue funzioni (art. 90); ciò significa che non può ricevere alcun atto di sfiducia che lo possa costringere alle dimissioni da parte del Parlamento o del Governo, né essere messo sotto processo. La mancanza di responsabilità ha una eccezione legata proprio al ruolo del Presidente della Repubblica, in quanto egli può essere messo in stato d’accusa dal Parlamento, in Art. 90 seduta comune e a maggioranza assoluta dei suoi Il Presidente della Repubblica membri, solo per alto tradimento e attentato alla non è responsabile degli atti Costituzione [art. 90] ed essere giudicato dalcompiuti nell’esercizio delle la Corte costituzionale. In tal modo, i costituensue funzioni, tranne che per ti – pur riconoscendo molta libertà al Presidente alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi della Repubblica nell’esercizio della sua funzione è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta – hanno ritenuto che essa incontri un limite negli comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri. illeciti che mettono in pericolo la stessa Costitu-
I PRESIDENTI DELLA REPUBBLICA
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N. VOTAZIONI
ANNO
N. VOTAZIONI
ANNO
Luigi Einaudi
4
1948
Francesco Cossiga
1
1985
Giovanni Gronchi
4
1955
Oscar Luigi Scalfaro
16
1992
Antonio Segni
9
1962
Carlo Azeglio Ciampi
1
1999
Giuseppe Saragat
21
1964
Giorgio Napolitano
4
2006
Giovanni Leone
23
1971
Giorgio Napolitano
6
2013
Sandro Pertini
16
1978
Sergio Mattarella
4
2015
PARTE 4_L’ordinamento della Repubblica italiana
zione o la vita democratica del paese, essendo questi i valori alla cui tutela è preposta la figura. Al di fuori di questo caso (mai verificatosi in Italia), nessun organo costituzionale può chiedere le dimissioni del Capo dello Stato. La grazia è un atto di clemenza individuale, adottato dal Capo dello Stato, con il quale condona – in tutto o in parte – una pena, oppure la commuta in altra stabilita dalla legge. La grazia non cancella il reato e risponde a finalità umanitarie; con tale atto, il Presidente garantisce il rispetto del senso di umanità della pena, quando ritiene che l’applicazione rigorosa della legge contrasti con la giustizia sostanziale. La grazia differisce dall’amnistia (provvedimento di clemenza generale che annulla il reato e la condanna) e dall’indulto (provvedimento di clemenza generale che, non annullando il reato ma solo la pena, fa rimanere le conseguenze del reato stesso), di competenza del Parlamento (art. 79).
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Poteri del Presidente della Repubblica Secondo quando definito dalla Costituzione, il Presidente della Repubblica ha i seguenti poteri. ► Verso l’esterno: – ratifica i trattati internazionali; – accredita e riceve i rappresentanti diplomatici; – ha il comando delle forze armate; – presiede il Consiglio supremo di difesa, organo di rilievo costituzionale, il cui compito è governare i problemi generali politici e tecnici attinenti alla difesa nazionale; – dichiara lo stato di guerra deliberato dal Parlamento; – conferisce le onorificenze della Repubblica; – conferisce la cittadinanza. ► Quale garante della Costituzione: – promulga le leggi; – può rinviare le leggi al Parlamento, per un riesame per una sola volta; se le Camere ignorano il veto, la legge deve essere promulgata (art. 74); – scioglie, nei casi indicati dalla legge, i Consigli regionali, provinciali e comunali; – emana i decreti-legge, i decreti legislativi e i regolamenti; – autorizza il Governo a presentare i disegni di legge in Parlamento; – nomina 5 giudici della Corte costituzionale; – indice i referendum popolari.
► Rispetto al Parlamento: – indice le elezioni delle Camere e ne fissa la prima data di convocazione; – può inviare messaggi motivati alle Camere, con cui sottopone una questione ritenuta di interesse nazionale (ad esempio, la situazione carceraria o quella della giustizia). – può convocare le Camere in via straordinaria, scioglierle salvo che negli ultimi sei mesi di mandato (semestre bianco), a meno che non coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi di legislatura; – nomina 5 senatori a vita. ► Rispetto al Governo: – autorizza la presentazione dei disegni di legge del Governo innanzi alle Camere per un controllo preliminare di legittimità costituzionale; – nomina i Presidenti del Consiglio; – nomina, su proposta del Presidente del Consiglio, i ministri; – nomina i funzionari dello Stato. ► Rispetto alla Magistratura: – presiede il Consiglio Superiore della Magistratura; – può concedere la grazia (condono o riduzione della condanna a qualcuno) e commutare le pene.
Lezione 1 Gli organi costituzionali
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4
Il Governo Il Governo costituisce l’organo costituzionale che dà immediata applicazione alla Costituzione, dato che esercita sia un potere di indirizzo politico, che una funzione amministrativa, attività – quest’ultima – attraverso cui vengono rese operative le previsioni legislative astratte. Per l’attuazione vera e propria delle sue direttive, il governo si avvale della struttura della pubblica amministrazione (PA) e di tutte le sue articolazioni, di cui il Governo è al vertice. Il Governo è espressione del partito o della coalizione di partiti che hanno ottenuto con le elezioni la maggioranza in Parlamento. In Italia nessun partito ha mai ottenuto una maggioranza assoluta e per governare si è sino ad ora fatto ricorso a coalizioni tra forze politiche diverse. Il Governo è composto dal Presidente del Consiglio (o capo del Governo) e dai ministri che, insieme, formano il Consiglio dei ministri (art. 92). Il Presidente del Consiglio , nominato dal Presidente della Repubblica, forma il Governo, proponendo i ministri, e ne dirige la politica generale. I ministri sono posti a capo dei ministeri (o dicasteri), importanti organi amministrativi dello Stato, ognuno dei quali si occupa di un settore specifico della vita pubblica (sanità, istruzione, economia, giustizia, ecc.). Il numero dei ministeri è variabile. Vi possono essere anche ministri senza portafoglio, che svolgono incarichi particolari senza avere un ramo dell’amministrazione pubblica da dirigere. I ministri, inoltre, in base alla funzione che svolgono nel Governo, fanno parte dei Comitati di ministri, organi con il potere di pronunciarsi su particolari materie stabilite dalla legge, per esempio la programmazione economica. Il Consiglio dei ministri è un organo collegiale di cui fanno parte i ministri e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio; è presieduto dal Presidente del Consiglio. Oltre ai soggetti elencati dalla disposizione costituzionale, sono presenti altre figure: uno o più vicepresidenti del Consiglio, con compiti politici e con funzione di supplenza del Capo del Governo; i viceministri; i sottosegretari di Stato, che operano in base alle deleghe dell’esecutivo; i sottosegretari alla Presidenza del Consiglio; i Commissari straordinari del Governo. L’iter di costituzione del Governo procede attraverso una serie di fasi. Quando ha inizio una nuova legislatura – o quando un Governo si dimette in seguito a una crisi politica che non consente più di ottenere l’appoggio e la fiducia della maggioranza parlamentare – il Presidente della Repubblica avvia la procedura per la costituzione di un nuovo Governo, attraverso consultazioni con tutti gli esponenti politici con lo scopo di individuare una persona (capace di raccogliere il consenso della maggioranza parlamentare) alla quale affidare prima un mandato esplorativo, quindi l’incarico di formare il nuovo organo esecutivo. Il Presidente del Consiglio “incaricato”, se non ci sono condizioni favorevoli ad ottene-
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PARTE 4_L’ordinamento della Repubblica italiana
re la maggioranza, rifiuta l’incarico e la procedura ha nuovamente inizio; altrimenti accetta di formare il Governo e sceglie i ministri. Questi sono formalmente nominati dal Capo dello Stato, davanti al quale devono prestare giuramento. Il giuramento è previsto allo scopo di garantire una espressa dichiarazione di osservanza della Costituzione da parte dei membri del Governo e viene reso dinnanzi il Capo dello Stato. Da questo momento, il Governo è in carica, ma per operare nella pienezza dei suoi poteri deve presentare al Parlamento, entro 10 giorni dalla sua costituzione, il programma politico e ottenere la fiducia parlamentare [ LA FIDUCIA PARLAMENTARE IN ITALIA, p. 112]. In caso contrario, il Presidente della Repubblica può ritentare un nuovo avvio delle consultazioni. In casi di crisi prolungata (quando manca una maggioranza che sostenga il Governo) il Presidente della Repubblica può, dopo vari tentativi, sciogliere le Camere e indire elezioni anticipate. Tradizionalmente titolare del potere esecutivo, al Governo competono: ► la funzione di indirizzo politico, attraverso cui elabora la politica generale dello Stato intesa come attività di determinazione dei fini fondamentali dell’azione degli organi costituzionali, selezionati nell’ambito dei fini espressi dalla Costituzione. Nella nostra forma di Governo l’art. 95 della Costituzione attribuisce al Consiglio dei ministri la competenza a determinare i contenuti della politica generale; nonché l’indirizzo generale della azione amministrativa, chiamandolo a deliberare su ogni questione relativa all’indirizzo politico fissato dal rapporto fiduciario con le Camere;
PROCEDURA DI FORMAZIONE DEL GOVERNO NUOVE ELEZIONI POLITICHE
CONSULTAZIONI DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA
VOTO DI SFIDUCIA, DIMISSIONI DEL GOVERNO, CRISI GOVERNATIVE
• scioglimento anticipato delle Camere • indizione di elezioni politiche anticipate
impossibilità di realizzare un nuovo Governo per assenza di coalizioni di appoggio
affidamento dell’incarico al Presidente del Consiglio provvisorio che ha il consenso della maggioranza del Parlamento
rinuncia
accetta
non ottiene la fiducia
• scioglie la riserva • nomina i ministri, che
giurano nelle mani del Presidente della Repubblica • redige il programma • si presenta al Parlamento per la fiducia ottiene la fiducia
IL GOVERNO ENTRA IN CARICA CON PIENI POTERI
Lezione 1 Gli organi costituzionali
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Decreti legislativi Il Governo può emanare atti normativi quando ne riceve delega dallo stesso Parlamento, mediante una legge-delega. L’atto governativo che ne consegue è denominato decreto legislativo e ha lo scopo di disciplinare nel dettaglio materie tecnicamente complesse, per le quali si richiedono competenze specifiche (es.: classificazione di sostanze chimiche o stupefacenti). Il decreto legislativo, essendo conseguenza del potere conferito al Governo dal Parlamento, ha forza di legge e, pertanto, non necessita di successive convalide.
► la funzione amministrativa, in quanto è posto al vertice della pubblica amministrazione e, nel rispetto della legge, ne determina l’orientamento. Viene esplicata dagli organi centrali (ministeri) e dagli organi locali. Accanto a questa funzione, denominata amministrativa in senso stretto, è necessario ricordare quella cosiddetta “di alta amministrazione” che è costituita dall’emanazione di particolari atti che fungono da raccordo fra la funzione politica e quella amministrativa. Ne costituisce un esempio il conferimento delle cariche più elevate della gerarchia statale, degli enti pubblici e delle amministrazioni speciali; ► la funzione normativa, in quanto può emanare – in via eccezionale, nei casi, nei modi ed entro i limiti stabiliti dalla Costituzione – atti aventi forza di legge, i decreti legislativi► (art. 76) e i decreti-legge► (art. 77). Nel rispetto del principio della divisione dei poteri che attribuisce la funzione legislativa al Parlamento, la Costituzione stabilisce, infatti, particolari cautele circa la possibilità di delegare la stessa al Governo. Il Governo può inoltre emanare regolamenti (governativi, ministeriali o interministeriali), atti normativi secondari che però non hanno forza di legge. Nell’esercizio delle proprie funzioni, il Governo ha responsabilità politiche nei confronti del Parlamento (e conseguentemente del corpo elettorale) in quanto deve ottenere e mantenere la fiducia di entrambe le Camere. La sanzione è quella dell’obbligo delle dimissioni (dell’intero Governo se si tratta del Presidente del Consiglio, del singolo ministro se riguarda solo la sua persona).
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
La fiducia parlamentare in Italia La fiducia consente al Parlamento di assolvere ad uno dei compiti cui è tenuto: vigilare sull’operato del Governo. Quest’ultimo, infatti, non può operare se non con il consenso del primo. Oltre che al momento della sua nascita, il Governo deve avere la fiducia delle Camere durante tutta la sua esistenza. Lo strumento con cui si mette in luce la concessione della fiducia o la sua revoca è la mozione (di fiducia o sfiducia). ► Con la mozione di fiducia il Parlamento approva il programma del Governo. Per entrare in carica il Governo ha bisogno della fiducia della maggioranza del Parlamento. La votazione avviene a scrutinio palese e, in genere, l’esito è noto già prima; infatti, il Presidente del Consiglio, prima di accettare l’incarico, verifica la possibilità concreta di ottenere la fiducia della maggioranza parlamentare che lo sostiene. La fiducia del Parlamento dà pieni poteri al Governo.
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PARTE 4_L’ordinamento della Repubblica italiana
► In qualsiasi momento nel corso della legislatura può essere richiesta la verifica della fiducia parlamentare al Governo in carica. A richiederla può essere sia lo stesso Governo (questione di fiducia) sia il Parlamento, nella misura di almeno un decimo di ciascuna Camera (mozione di sfiducia). In genere ciò avviene quando è in corso, alle Camere, la discussione su un provvedimento emesso dal Governo cruciale per la realizzazione del programma politico del Governo e contrastato dall’opposizione, se non anche da una parte della maggioranza di Governo. Nel caso la fiducia non venga accordata il Governo deve dimettersi. Si tratta dunque di un atto politico; concretamente, con questo meccanismo, il Governo pone il Parlamento di fronte a un bivio: o accettare la sua volontà approvando il provvedimento o provocare una crisi politica.
Decreti-legge Il Governo, per disciplinare casi eccezionalmente urgenti, può emanare i cosiddetti decreti-legge che, tuttavia, devono essere convertiti entro 60 giorni in legge dello Stato; se ciò non si verifica, il decreto decade e cessa di produrre gli effetti per cui era stato emanato.
I componenti del Governo (Presidente del Consiglio e ministri) hanno anche una responsabilità giuridica che può essere civile (impone l’obbligo di risarcire il danno causato ingiustamente ad altri nell’esercizio delle funzioni di governo), amministrativa (quando i componenti del Governo causano un danno patrimoniale allo Stato, al quale devono essere pagati i danni) e penale (concerne i reati ministeriali compiuti nell’esercizio delle funzioni di governo). Sono considerati generalmente reati ministeriali: – il reato di peculato, cioè l’appropriazione di denaro o beni dello Stato che si possiedono; – il reato di corruzione, cioè l’accettazione di denaro per compiere o meno atti d’ufficio; – il reato di abuso d’ufficio, cioè il vantaggio ingiusto determinato da un uso illegittimo del proprio potere. In tutti questi casi i ministri vengono giudicati dalla Magistratura ordinaria dopo l’autorizzazione della Camera di appartenenza, qualora siano parlamentari. Nel caso in cui i ministri inquisiti non siano parlamentari, sarà il Senato a dover concedere l’autorizzazione. Il privilegio di essere giudicati da un’apposita commissione inquirente del Parlamento è stato, infatti, recentemente abolito. Il collegio giudicante si chiama Tribunale dei Ministri ed è composto da tre giudici estratti a sorte tra quelli in servizio presso il tribunale competente.
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Funzioni giurisdizionali La giurisdizione è la funzione attribuita al potere giudiziario consistente nell’applicazione della norma giuridica in casi di controversie tra due o più parti e nella erogazione delle sanzioni previste per gli illeciti. Il termine “giurisdizione” è quindi sinonimo di potere giudiziario.
La Magistratura La Magistratura è l’organo che giudica sui comportamenti contrari alle leggi e definisce le sanzioni corrispondenti; in altre parole la Magistratura è l’organo dello Stato titolare del potere giudiziario. Il principio della divisione dei poteri comporta l’attribuzione delle funzioni giurisdizionali► a un complesso di organi indipendenti e separati da quelli titolari delle funzioni di decisione politica, costituenti il potere legislativo e quello esecutivo. Ai sensi dell’art. 101 della Costituzione, «I giudici sono soggetti soltanto alla legge»: questo vuol dire che il giudice agisce in completa indipendenza sia dagli altri giudici sia da chiunque altro e si pronuncia soltanto in base alle risultanze acquisite nel processo condotto secondo le norme di legge. Oltre a questa, un complesso di norme costituzionali garantisce l’indipendenza e l’imparzialità del giudice. Innanzitutto, l’indipendenza del potere giudiziario è garantita dal Consiglio Superiore della Magistratura , che è l’organo di governo dei giudici, competente in tutte le materie che riguardano la Magistratura (assunzioni, incarichi, sedi, provvedimenti disciplinari) indipendente dagli altri poteri dello Stato.
Lezione 1 Gli organi costituzionali
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Sempre a garanzia dell’indipendenza e dell’imparzialità del giudice, il loro reclutamento è affidato a un concorso volto ad accertare la loro preparazione tecnica e professionale (giudici di carriera). La giurisdizione ordinaria è composta da: ► giurisdizione civile, consistente nella tutela giurisdizionale dei diritti dei soggetti privati; ► giurisdizione penale, competente a giudicare sulle violazioni di norme penali [ IL PROCESSO CIVILE E PENALE]; ► Magistratura speciale cui sono affidate particolari tipi di controversie.
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Il processo civile e penale ► Nel processo civile si risolvono le controversie sorte fra cittadini relative ai cosiddetti “diritti soggettivi”, cioè gli interessi riconosciuti e protetti dall’ordinamento legislativo. Nei processi civili, ad esempio, si decide in merito alle questioni sui diritti di proprietà, sui contratti, ecc. Il processo inizia perché una parte ritiene di essere stata danneggiata dall’altra e vuole che il giudice le renda giustizia. Questo tipo di procedimento inizia con l’attore (colui che prende l’iniziativa) che chiama in giudizio (citazione) il convenuto (soggetto chiamato in causa). L’avvocato dell’attore dovrà dimostrare che i diritti del suo cliente sono stati violati, portando davanti al giudice delle prove. ► Il processo penale ha lo scopo di reprimere comportamenti considerati dalla legge illegali (reati) e accertare se la persona accusata del reato (imputato) ha commesso il reato per il quale è sottoposta a processo. I processi penali si occupano di reati come gli omicidi, i furti, i sequestri di persona e simili. Poiché in questo giudizio non si tutela solo l’interesse privato della vittima del reato, ma l’interesse di tutta la collettività (la quale subisce un danno dal reato e va preservata dal pericolo che il reato sia ricommesso) a rappresentare l’accusa è un funzionario pubblico, il pubblico ministero. Per lo stesso motivo, il processo ha luogo anche se la vittima non intende chiedere il giudizio nei confronti del presunto colpevole del reato. Infatti la Costituzione stabilisce che il procedimento a
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PARTE 4_L’ordinamento della Repubblica italiana
carico degli indiziati di reato è obbligatorio e quindi deve essere aperto d’ufficio, sempre dal pubblico ministero che, in nome della collettività, ha il compito di chiedere lo svolgimento di un processo penale. Nei reati per i quali il PM non procede d’ufficio, l’azione penale inizia su denuncia (querela) della parte offesa. Il processo penale inizia quando giunge al pubblico ministero la notizia del reato: il PM, coadiuvato dalla polizia giudiziaria, dà inizio alle indagini preliminari; quando queste sono concluse, l’esito viene trasmesso al giudice per le indagini preliminari (GIP). Se il GIP deduce dagli atti presentati elementi sufficienti per l’inizio di un processo può: – instaurare, successivamente a un’udienza preliminare, un giudizio abbreviato, volto a dimostrare l’innocenza o la colpevolezza dell’imputato senza passare per il dibattimento in aula. Ciò si verifica o quando il GIP ritiene di avere sufficienti elementi per dichiarare l’innocenza dell’imputato o quando le parti chiedono subito l’applicazione della pena concordata fra loro e ridotta, cioè fanno un patteggiamento davanti al giudice competente; – evitare l’udienza preliminare utilizzando il giudizio direttissimo o il giudizio immediato, quando necessario, in modo da mandare subito la causa al dibattimento; –emettere un decreto di rinvio a giudizio e con questo avviare il processo: la causa viene trasferita nella sede competente e spetterà al giudice penale stabilire se l’imputato è innocente o colpevole.
Giudice di pace Il giudice di pace è un magistrato non di carriera a cui è affidato il compito di risolvere in maniera celere le controversie di minor valore, al fine di snellire il carico di lavoro della Magistratura ordinaria. Egli è scelto tra i cittadini di età compresa tra i 40 e i 73 anni, laureati in giurisprudenza, con esperienza forense, giudiziaria, notarile o di insegnamento. Giudici popolari Sono giudici popolari i cittadini facenti parte delle giurie popolari, che affiancano i magistrati nei processi penali che si svolgono in Corte d’Assise (organo competente per reati molto gravi, come l’omicidio). Vengono sorteggiati da elenchi appositamente predisposti, nei quali hanno diritto di iscriversi tutti i cittadini provvisti dei requisiti richiesti (età, licenza media, ecc.).
Accanto ai magistrati ordinari, la Costituzione ha previsto la figura dei giudici onorari, che svolgono attività giudicanti in modo non stabile. È il caso dei giudici di pace► e dei giudici popolari►. La giurisdizione speciale comprende: ► la giurisdizione amministrativa, affidata ai Tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato, che si occupano dei ricorsi presentati dai cittadini che si ritengono lesi da atti amministrativi emanati dalla pubblica amministrazione; ► la giurisdizione contabile, affidata alla Corte dei conti, competente per le controversie relative all’utilizzo del denaro pubblico e l’operato degli amministratori pubblici [ LEZIONE 1.6, p. 117]; ► la giurisdizione militare, composta dai Tribunali militari competenti a giudicare i membri delle forze armate, in materia di reati previsti dai Codici penali militari di guerra e di pace; ► la giurisdizione tributaria, affidata alle Commissioni tributarie provinciali e distrettuali, competente su tutte le controversie aventi a oggetto i tributi di ogni genere e specie. Appartengono alla Magistratura anche i pubblici ministeri (PM), che non esercitano la funzione giurisdizionale (non sono dunque giudici) ma sostengono l’accusa nei processi penali. I loro uffici sono le procure. Tutti i cittadini che ritengono di aver subìto una violazione dei propri diritti possono rivolgersi ai giudici [ IL DIRITTO ALLA GIUSTIZIA, p. 116]. Al fine di garantire i cittadini la massima correttezza possibile del processo e tutelarli da eventuali errori giudiziari, l’organizzazione della giurisdizione prevede tre diversi gradi di giudizio. Una controversia, quindi, può essere decisa da più giudici in tempi diversi in quanto se una o più parti non sono soddisfatte della decisione di primo grado possono rivolgersi a un altro giudice.
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Corte di Cassazione La Corte di Cassazione giudica in terzo grado solo quando una delle parti sostiene che nel giudizio precedente vi sia stata una violazione di legge. Il giudizio della Cassazione è quindi un giudizio sulla legittimità: essa, infatti, non tiene conto di come si sono svolti i fatti (o il reato) che hanno dato occasione al processo, ma controlla che nel giudicare sia stato rispettato il diritto, cioè le norme.
Nel giudizio di primo grado, la questione viene esaminata per la prima volta e viene emessa una sentenza o un altro provvedimento da parte del giudice competente. Nel giudizio di secondo grado, detto di appello, la questione viene riesaminata da un giudice diverso, che emetterà a sua volta una sentenza o un altro provvedimento; questo secondo giudizio può annullare gli effetti del primo, modificandoli, oppure può confermarli. Il giudizio di terzo grado ha lo scopo di riesaminare la sentenza di appello. Il ricorso in Cassazione è ammesso soltanto contro gli errori di diritto contenuti nella sentenza. Il giudizio di Cassazione è il più elevato e l’ultimo dei gradi del processo. Organo competente nei giudizi di terzo grado è la Corte di Cassazione►, unico giudice sia per i processi di giurisdizione ordinaria sia per quelli di giurisdizione speciale.
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Il diritto alla giustizia Gli artt. 24, 25 e 27 della Costituzione enunciano i princìpi fondamentali in materia processuale e penale e mirano a garantire i diritti di libertà e uguaglianza precedentemente sanciti dalla stessa Costituzione. Nell’art. 24 si stabilisce che: ► tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi; ► la difesa, in quanto diritto inviolabile, deve essere assicurata ai non abbienti, con appositi istituti (gratuito patrocinio); ► la legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari. Tutti (e per tutti si intende cittadini, immigrati, residenti e persino clandestini e apolidi) possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e dei propri interessi legittimi (art. 24). Il diritto di difesa è uno dei principali diritti riconosciuti a un imputato dal diritto processuale, soprattutto penale; ciò a tutela di un interesse pubblico, in cui, tra l’altro, è coinvolto un diritto fondamentale, quale quello della libertà personale; la difesa dell’imputato non può dunque assolutamente mancare:
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è una figura, oltre che una attività e un diritto, garantita e protetta dalla Costituzione. Infatti, solo consentendo il diritto di accesso alla giustizia a tutti e la possibilità di difesa in ogni stato e grado del procedimento (anche ai non abbienti attraverso l’istituto del gratuito patrocinio), si garantiscono concretamente i diritti inviolabili dell’uomo (art. 2) e l’uguaglianza (art. 3). Inoltre, se i magistrati (che devono agire sempre nel rispetto della legge) incorrono in errori, sono considerati responsabili civilmente e lo Stato è tenuto a risarcire i danni morali e materiali. In base all’art. 25: ► nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge; ► nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso; ► nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalle leggi. La Costituzione ha innanzi tutto affermato il principio del giudice naturale, per il quale il giudice competente
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Organi di rilievo costituzionale Gli organi di rilievo costituzionale contribuiscono a determinare l’ordinamento democratico e per questo sono anche detti organi ausiliari. Tra gli organi indicati direttamente dalla Costituzione, la Corte costituzionale vigila sul rispetto della Costituzione, mentre la Corte dei conti controlla la gestione delle risorse pubbliche. La Corte costituzionale In uno Stato democratico come il nostro tutti gli organi posti al vertice dell’ordinamento devono svolgere le loro attività rispettando i princìpi dettati dalla Costituzione e dalle leggi. Il rispetto di tali princìpi è vigilato dalla Corte costituzionale, organo costituzionale con il compito di giudicare sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni; sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni; sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica, a norma della Costituzione (art. 134). Tale funzione è conseguenza della rigidità della Costituzione italiana, che impone che tutti gli altri atti normativi
a giudicare deve essere individuato in forza di regole generali. Con l’art. 25, inoltre, si introduce il principio di legalità sia delle pene sia delle misure di sicurezza. Nell’art. 27, infine, si afferma che: ► la responsabilità penale è personale; ► l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva; ► le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato; ► non è ammessa la pena di morte, se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra. I costituenti hanno inteso attribuire alla pena una funzione rieducativa, ripudiando la pena di morte e ogni trattamento contrario al senso d’umanità. In questa direzione, infatti, vanno alcune leggi del nostro Stato come la legge 354/1975 (riforma dell’ordinamento penitenziario) che ha introdotto alcuni aspetti di umanizzazione del trattamento penitenziario (permessi, licenze ed altre agevolazioni) e la legge 589/1994 con cui è stata abrogata la pena di morte anche nelle residue ipotesi contemplate nei Codici penali militari di guerra.
Importante, inoltre, è la garanzia che nessuno paghi per un fatto commesso da altri (principio della personalità della pena) nonché quella di non essere giudicato colpevole sino alla condanna definitiva. A tale proposito, significativa è anche la differenza fra i termini indagato e imputato. Si definisce indagato la persona su cui si svolgono indagini per accertarne eventuali responsabilità; all’indagato il pubblico ministero invia un avviso di garanzia al fine di consentirgli di tutelare i propri interessi. Si definisce imputato chi risulta formalmente accusato di un reato: nei confronti dell’imputato viene avanzata una richiesta di giudizio. A ulteriore garanzia dell’imputato, la legge costituzionale n. 2 del 1999 ha modificato l’art. 111 della Costituzione introducendo i princìpi del cosiddetto giusto processo. In base a tali modifiche, una persona accusata di un reato può richiedere che il giudice interroghi coloro che lo accusano; se dinanzi al giudice le dichiarazioni d’accusa rese al pubblico ministero non saranno confermate, non saranno ritenute valide ai fini del procedimento giudiziario. La legge, inoltre, riafferma la necessità di assicurare la ragionevole durata di un processo.
Lezione 1 Gli organi costituzionali
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(leggi e atti aventi forza di legge) siano conformi alle norme costituzionali. Alla Corte costituzionale è assegnato dunque il compito di giudicare ed eliminare ogni atto legislativo contrario al dettato costituzionale. Le sentenze della Corte costituzionale sono definitive, inappellabili nonché obbligatorie. Data la delicata funzione della Corte, l’Assemblea Costituente, per assicurare una pluralità di interessi e competenze, ha stabilito che i 15 giudici costituzionali: ► siano scelti tra alti magistrati, professori universitari e avvocati con più di 20 anni di attività forense; ► restino in carica 9 anni e non siano più rieleggibili; ogni 3 anni nominano al proprio interno un presidente; ► siano nominati da diversi poteri dello Stato (per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature). Nei giudizi di accusa contro il Presidente della Repubblica, la composizione ordinaria della Corte viene integrata con l’aggiunta di altri 16 membri, i giudici aggregati (art. 135). I membri della Corte costituzionale hanno le stesse garanzie di cui godono i parlamentari. Per assicurare la continuità della funzione costituzionale, i giudici della Corte non sono rinnovati contemporaneamente, ma sostituiti man mano che il loro mandato scade [ LE FUNZIONI DELLA CORTE COSTITUZIONALE].
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Le funzioni della Corte costituzionale ► Giudizio sulla costituzionalità delle leggi: tutte le leggi del Parlamento, gli atti aventi forza di legge e le leggi regionali possono essere sottoposti al giudizio della Corte. Il giudizio della Corte termina con una sentenza, che può essere di accoglimento (se annulla la disposizione di legge ritenuta incostituzionale) o di rigetto (se dichiara che non vi è l’incostituzionalità presunta e la legge rimane in vigore). ► Giudizio sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, tra Stato e Regioni e tra Regioni: la presenza di più organi e poteri all’interno dello Stato può creare conflitti di competenza tra questi. La Corte ha il compito di risolvere tali controversie. ► Giudizio sulle accuse contro il Presidente della Repubblica: quando il Parlamento pone in stato d’accusa il Presidente della Repubblica per alto tradimento o attentato alla Costituzione, la Corte ha il compito di giudicare. In questo caso, la composizione
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PARTE 4_L’ordinamento della Repubblica italiana
originaria viene integrata con 16 cittadini estratti a sorte da una lista (stilata dal Parlamento) di 45 cittadini in possesso dei requisiti per l’eleggibilità a senatore (art. 135). ► Giudizio sull’ammissibilità del referendum: la Corte ha il compito di dichiarare se è ammissibile il referendum abrogativo richiesto su una legge (o su una sua parte), in quanto strumento previsto solo per alcune materie. La non ammissibilità del referendum si ha quando il referendum è richiesto per leggi di amnistia e di indulto, tributarie e di bilancio, di autorizzazione alla ratifica di trattati internazionali. Il giudizio di inammissibilità può essere pronunciato dalla Corte costituzionale anche quando essa ritiene che il referendum possa causare un vuoto legislativo e, quindi, bloccare il funzionamento di un organo costituzionale; oppure quando il quesito referendario è formulato in modo confuso e possa, pertanto, generare errori negli elettori.
La Corte dei conti In tutti gli ordinamenti democratici, la gestione delle risorse collettive è sottoposta a un controllo che ha lo scopo di «perseguire l’utilizzo appropriato ed efficace dei fondi pubblici, la ricerca di una gestione finanziaria rigorosa, la regolarità dell’azione amministrativa e l’informazione dei poteri pubblici e della popolazione tramite la pubblicazione di relazioni obiettive». Nell’ordinamento italiano questa funzione importantissima è assegnata alla Corte dei conti, organo posto sia a garanzia della legalità e del buon andamento dell’azione amministrativa e di tutela degli equilibri di finanza pubblica (art. 100), ma anche organo giurisdizionale in materia di contabilità pubblica (art. 103). La Corte dei conti è organo neutrale, autonomo e indipendente sia rispetto al Governo che al Parlamento e, nell’esercizio delle funzioni giurisdizionali, fa parte a tutti gli effetti dell’ordine giudiziario.
GUIDAALLOSTUDIO Rispondi oralmente o per iscritto alle domande o individua e sottolinea nel testo la risposta: ► A cosa è dedicata la seconda parte della Costituzione? ► Cos’è un organo costituzionale? ► Qual è il sistema politico italiano delineato dalla Costituzione? ► Quali differenze ci sono tra le Camere del Parlamento italiano? ► Cos’è l’immunità parlamentare? ► Quali sono i casi in cui il Parlamento lavora in seduta comune? ► Quali sono i casi di voto con maggioranza diversa da quella semplice? ► Cos’è lo scrutinio segreto? ► Quali sono le funzioni del Parlamento? ► Quali sono le fasi del procedimento legislativo? ► In che senso il Presidente della Repubblica è garante della Costituzione? ► Chi sceglie il Capo dello Stato, e con quale maggioranza? ► Che tipo di responsabilità ricade sul Capo dello Stato? ► In caso di “messa in stato d’accusa”, chi giudica il Presidente? ► Da chi è composto il Governo? ► Quando si afferma il governo parlamentare? ► Cos’è la fiducia? ► Qual è la procedura di formazione del Governo? ► Da cosa è causato lo scioglimento anticipato delle Camere e l’indizione di nuove elezioni? ► Che tipo di responsabilità hanno i membri del Governo? ► Chi può rivolgersi alla Magistratura e perché? ► Da cosa è garantita l’indipendenza e l’autonomia dei giudici? ► Quali sono le giurisdizioni speciali? ► Quanti e quali sono i possibili gradi di un processo? ► Perché è necessario un organo che svolga la funzione di garante costituzionale? ► Quali sono le funzioni della Corte costituzionale? ► Come vengono scelti i giudici costituzionali?
Lezione 1 Gli organi costituzionali
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LEZIONE 2 L’ORDINAMENTO AMMINISTRATIVO
La funzione amministrativa è l’attività che lo Stato è tenuto a esercitare per dare concreta attuazione alle norme giuridiche. L’attività amministrativa è svolta dallo Stato sia direttamente, attraverso propri organi, sia indirettamente, per mezzo di enti pubblici appositamente istituiti. In quanto diretta alla cura di interessi pubblici, la funzione amministrativa non è un’attività libera nel fine; solitamente infatti, il legislatore stabilisce l’interesse pubblico da perseguire, lasciando all’organo amministrativo un margine più o meno ampio di scelta sul modo per farlo.
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La pubblica amministrazione Come descritto in precedenza, il Parlamento e il Governo, nell’ambito delle loro specifiche competenze, definiscono l’indirizzo politico del paese attraverso leggi o atti aventi forza di legge; successivamente, gli obiettivi individuati in sede politica e legislativa vengono affidati e poi realizzati mediante l’attività amministrativa svolta dalla pubblica amministrazione (PA) il cui fine è l’attuazione concreta degli interessi della collettività. Con il termine pubblica amministrazione si indica: ► la funzione pubblica (definita funzione amministrativa), consistente nell’attività esercitata dallo Stato volta a dare concreta attuazione alle norme giuridiche in nome degli interessi della collettività (gli interessi pubblici);
VITA QUOTIDIANA
Il Parlamento e il Governo definiscono la politica scolastica che, per essere realizzata, necessita di un’organizzazione in grado di svolgere diverse attività: dalla costruzione degli edifici scolastici, al reclutamento del personale, al funzionamento
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quotidiano delle singole scuole, ecc. Tale attività è svolta da uffici ed enti della pubblica amministrazione predisposti allo scopo, quali il Ministero dell’Istruzione, le Direzioni scolastiche regionali, il singolo istituto scolastico, ecc.
Principio di legalità La Costituzione richiama il principio di legalità in vari punti: all’art. 23, stabilendo che «Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge»; all’art. 42, comma 3, dicendo che «La proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale»; all’art. 97, comma 2, dove stabilisce che «I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione».
► l’insieme dei soggetti che esercitano tale funzione (dirigenti, funzionari e impiegati pubblici). Tutti coloro che lavorano nella pubblica amministrazione costituiscono l’apparato amministrativo o burocratico (o semplicemente la burocrazia) dello Stato. La pubblica amministrazione è dunque un insieme di organi ed enti preposti all’attività amministrativa; i suoi dipendenti (funzionari, impiegati pubblici) sono scelti mediante concorso pubblico sulla base di competenze tecniche e professionali. A capo della pubblica amministrazione vi è il Governo; in quanto organo titolare della funzione amministrativa, esso fornisce le direttive necessarie a orientarne l’operato e risponde di fronte al Parlamento delle attività compiute dagli apparati pubblici. I princìpi a cui si deve conformare l’attività amministrativa, sono innanzitutto quelli stabiliti dalla Costituzione, e poi quelli stabiliti dalle leggi ordinarie dello Stato: ► il principio di legalità►, che obbliga la pubblica amministrazione a trovare nella legge i fini della propria azione e a non esercitare alcun potere al di fuori di quelli che la legge le attribuisce; ► il principio della buona amministrazione, che stabilisce che l’attività della pubblica amministrazione, volta alla realizzazione dell’interesse pubblico, si conformi ai criteri dell’efficacia (che mira a ottenere risultati effettivamente rispondenti agli obiettivi determinati in sede politica) e dell’efficienza (che consente alla pubblica amministrazione di non sprecare risorse finanziarie pubbliche e di agire in modo rapido ed efficace) (art. 97); ► il principio di imparzialità, che impone alla pubblica amministrazione di svolgere la propria attività nel pieno rispetto della giustizia affinché tutti i cittadini siano trattati allo stesso modo senza avvantaggiare ingiustificatamente nessuno (art. 97); ciò vale anche per il reclutamento degli impiegati, che avviene unicamente per concorso pubblico, al fine di selezionare con imparzialità il personale più competente e preparato; ► il principio di trasparenza e il principio del pubblico accesso sono stati introdotti, come corollario del principio di imparzialità, dalla legge 241/1990 con la quale si è stabilito che il procedimento e le relative informazioni devono essere facilmente accessibili da parte di chi ve ne abbia legittimo interesse. L’organizzazione è strutturata secondo il principio del decentramento amministrativo (art. 5), che prevede il trasferimento di funzioni e responsabilità delle funzioni pubbliche dal Governo centrale ad organi periferici nell’ambito del rispetto del principio di sussidiarietà, introdotto a seguito della riforma costituzionale dell’art. 118 nel 2001. In base a tale principio, le attività amministrative devono essere svolte dall’ente pubblico territoriale più vicino ai cittadini (i Comuni), ma possono essere esercitate dai livelli amministrativi territoriali superiori (Regioni, Province, Città metropolitane, Stato) nel caso in cui questi possano rendere il servizio in maniera più efficace ed efficiente [ L’ORGANIZZAZIONE DELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE, p. 122].
Lezione 2 L’ordinamento amministrativo
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FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
L’organizzazione della pubblica amministrazione In base al principio del decentramento amministrativo, sancito dall’art. 5 della Costituzione, l’attività amministrativa non dipende solo dallo Stato, ma è affidata a enti territoriali autonomi e a organi periferici dell’amministrazione statale. L’attività amministrativa si dice diretta quando è svolta da organi statali e indiretta quando è affidata a enti appositamente istituiti. ► L’amministrazione diretta dello Stato è formata: a livello centrale, dagli organi costituzionali con sede a Roma e con competenza su tutto il territorio nazionale (i ministeri, la Corte dei conti, il Consiglio di Stato); a livello periferico, da organi distaccati
dell’amministrazione centrale cui sono attribuite determinate funzioni, come per esempio le Prefetture, che sono gli Uffici territoriali del Governo, o gli Uffici scolastici regionali, che dipendono dal Ministero dell’Istruzione, o le Sovrintendenze, che dipendono dal Ministero dei Beni culturali, ecc. ► L’amministrazione indiretta avviene attraverso enti pubblici territoriali (Regioni, Province, Comuni); oppure attraverso enti pubblici istituzionali come gli enti previdenziali (INPS, INAIL, ecc.), culturali (la Biennale di Venezia, gli enti lirici, ecc.), sportivi (CONI, CAI, ecc.) o turistici, di ricerca scientifica e sperimentazione (CNR), di controllo, indirizzo e promozione economica (Banca d’Italia).
La pubblica amministrazione può agire sia come un normale cittadino privato, sia come soggetto pubblico. Nel caso in cui le sue azioni siano parificabili a quelle di un privato (quando, per esempio, stipula contratti come compravendita, locazione, mutuo, ecc.), la sua attività è regolata dalle norme di diritto privato, con l’obbligo, tuttavia, di compiere una serie di atti preparatori secondo la logica delle norme di diritto pubblico, volte a garantire l’imparzialità dei comportamenti e il perseguimento di finalità di carattere pubblico.
VITA QUOTIDIANA
Una scuola, qualora decida di effettuare un grossa spesa per acquistare dei computer, deve, innanzitutto, formalizzare tale decisione mediante delibera del Consiglio di Istituto; quindi, indire una gara tra tutti i possibili fornitori. Questi, invitati
dalla scuola a partecipare alla gara, dovranno inviare le proprie offerte in busta chiusa e anonima. In questo modo l’amministrazione potrà scegliere l’offerta migliore per prezzo e qualità.
La pubblica amministrazione, però, può anche far valere, in quanto soggetto pubblico, la propria autorità; in tal caso agisce mediante atti amministrativi, detti provvedimenti. I provvedimenti amministrativi sono atti unilaterali (non occorre il consenso dei soggetti privati) con lo scopo di incidere d’autorità sui diritti dei privati (restringendoli o ampliandoli). Tutti i provvedimenti sono emanati in forza di una legge (principio di legalità) e hanno l’obbligo di perseguire finalità pubbliche.
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Gli enti pubblici territoriali Secondo il dettato dell’art. 5 della Costituzione, l’Italia è uno Stato unitario e indivisibile che «riconosce e promuove le autonomie locali» e attua «il più ampio decentramento amministrativo»: si realizza così un modello di Stato decentrato in cui, accanto al potere centrale, altri enti pubblici operano a livello territoriale al fine di rispondere efficientemente alle esigenze del loro territorio. Sono enti pubblici territoriali (detti anche semplicemente enti locali o autonomie locali) le Regioni, le Province, le Città metropolitane e i Comuni. Tali enti sono dotati di autonomia, in quanto hanno il potere di decidere le finalità della propria azione politica al fine di tutelare direttamente gli interessi delle comunità da loro rappresentate: essi hanno, cioè, nel quadro fissato dalla Costituzione e dalle leggi statali, una propria sfera di libertà rispetto allo Stato in una serie di ambiti, e precisamente hanno:
Gli enti pubblici territoriali
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► autonomia politica: ogni ente esprime un proprio indirizzo politico che può anche non essere coincidente con quello centrale; ► autonomia normativa: ogni ente, in particolare la Regione, può emanare norme che vincolano i cittadini del territorio; ► autonomia statutaria: ogni ente ha la libertà di darsi una propria organizzazione interna sotto forma di statuto; ► autonomia amministrativa: ogni ente può compiere tutti gli atti ammiRegioni a statuto speciale Province nistrativi necessari a realizzare i proProvince autonome TN Città metropolitane pri orientamenti; ► autonomia finanziaria: ogni ente VE TS può stabilire tributi propri, così da finanziare le funzioni pubbliche. BO FI AN PG
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L’intenzione dei Costituenti – sin dall’inizio – è stata quella di delineare un sistema basato sull’autonomia degli enti locali, successivamente ampliata con la legge costituzionale 3/2001. Tra gli aspetti più importanti della riforma del Titolo V della Costituzione va ricordata la riscrittura dell’art. 114 che: ► ha inserito la Città metropolitana, già istituita nel 1990, tra gli enti territoriali in cui risulta articolato lo Stato; ► ha ribaltato l’elencazione degli enti territoriali evidenziando la profonda radice territoriale del Comune, l’ente locale più vicino al cittadino. Dopo i Comuni, sono elencate le Province, le Città metropolitane, le Regioni e lo Stato;
Lezione 2 L’ordinamento amministrativo
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► ha istituito Roma Capitale, ente territoriale dotato di una particolare autonomia nella gestione del territorio comunale della città, in virtù del suo ruolo di capitale d’Italia e sede delle rappresentanze diplomatiche. Con la citata riforma del Titolo V della Costituzione del 2001, l’art. 114 ripartisce ora le funzioni amministrative partendo dai Comuni , enti amministrativi considerati più vicini al cittadino (principio di sussidiarietà). Il Comune è diventato così il primo livello di governo di una comunità, mentre gli altri livelli entrano in campo quando è necessario garantire interessi di ambiti territoriali più estesi o decisioni che interessano il territorio nazionale. L’organizzazione dei Comuni prevede sia organi politici [
ORGANI POLITI-
CI DEL COMUNE], la cui investitura deriva dal popolo che li elegge, sia organi
burocratici, ai quali è affidato il compito di svolgere le funzioni amministrative. Questi ultimi, grazie all’autonomia di cui godono i Comuni, hanno dimensioni diverse in relazione alla loro estensione territoriale. I Comuni italiani erano un tempo posti sotto uno stretto controllo da parte dello Stato attraverso i Prefetti, i funzionari statali posti a capo delle Prefetture. Con gli anni, tali controlli si sono attenuati e oggi sono limitati a casi circoscritti come quello relativo al potere dello Stato di sciogliere i Consigli comunali quando compiono atti contrari alla legge o quando risultano infiltrati dalla criminalità organizzata; in questi casi il Comune viene commissariato, cioè gestito da un commissario governativo il cui compito è anche quello di preparare nuove elezioni.
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Organi politici del Comune In Italia i Comuni sono dotati di un sindaco, una Giunta e un Consiglio. Il numero dei membri della Giunta e del Consiglio sono variabili in funzione della popolazione del Comune. ► Sindaco: eletto direttamente dai cittadini, è sia il capo dell’amministrazione comunale sia ufficiale del Governo: convoca e presiede sia il Consiglio sia la Giunta, sovrintende al funzionamento dei servizi comunali. Nella sua qualità di ufficiale del Governo è anche organo di pubblica sicurezza che può emanare ordinanze in campo sanitario, edile, e di ordine pubblico. ► Giunta comunale: è l’organo esecutivo: esegue le decisioni del Consiglio comunale e, attraverso gli assessorati, cura i servizi pubblici. È composto dal sindaco e dagli assessori. Questi vengono scelti dal sindaco sulla base delle loro competenze e dal sindaco possono essere revocati.
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► Consiglio comunale: è l’organo di indirizzo politicoamministrativo, quello che delibera gli atti più importanti: approva lo statuto del Comune, il bilancio annuale, i programmi d’intervento in opere pubbliche, i bilanci e le imposte comunali. Inoltre, controlla l’operato del sindaco e della Giunta attraverso il meccanismo della fiducia. In base alle dimensioni, il Comune è formato da un numero variabile di consiglieri, eletti ogni 4 anni dal corpo elettorale. ► Consigli di quartiere o di Circoscrizione: sono previsti per i Comuni con più di 100.000 abitanti; hanno lo scopo di favorire la partecipazione dei cittadini alle scelte dell’istituzione pubblica attraverso pareri e proposte al Consiglio comunale sui problemi che riguardano la propria zona o il proprio quartiere (es.: realizzazione di servizi pubblici, destinazione d’uso delle aree secondo i piani urbanistici, ecc.).
Piani territoriali I piani territoriali sono lo strumento di pianificazione con il quale i Comuni definiscono le scelte strategiche per il governo del territorio nel medio e lungo termine. Mirano a preservare e tutelare le risorse, il paesaggio urbano e rurale, l’identità culturale, ma hanno anche il compito di individuare attraverso scelte sostenibili le opportunità di sviluppo economico e sociale, la realizzazione e gestione coordinata dei servizi pubblici, le politiche per la casa e per le attività economiche.
I Comuni, dotati di autonomia amministrativa statutaria, normativa, e organizzativa, per meglio rispondere agli interessi della popolazione locale svolgono numerose funzioni: ► funzioni proprie: essendo enti con competenza generale, esercitano tutte le funzioni inerenti alla popolazione e il territorio comunale nei settori dei servizi sociali (assistenza sanitaria, scolastica e sociale), dell’assetto e utilizzazione del territorio (predisposizione di piani territoriali►, rilascio di concessioni edilizie, espropri, edilizia scolastica, ecc.), dello sviluppo economico (commercio, mercati, fiere, rilascio di licenze per esercizi commerciali, ecc.); ► funzioni delegate: rientrano in tale ambito le funzioni che ogni Regione, in modo autonomo, assegna ai Comuni (es.: servizi per la leva militare, servizi per la formazione e la revisione delle liste elettorali, servizio di anagrafe, ecc.). Nell’ambito delle loro funzioni, i Comuni erogano importanti servizi alla collettività. Tra gli altri, quello dei trasporti urbani, della distribuzione dell’acqua, della raccolta dei rifiuti, ecc. Per finanziare le spese, la legge attribuisce ai Comuni autonomia impositiva e finanziaria che consente loro di godere, accanto ai finanziamenti statali, anche di entrate proprie quali, ad esempio, quelle provenienti dai tributi sulla raccolta dei rifiuti, sugli immobili, sulla pubblicità.
VITA QUOTIDIANA
Ogni Comune impone la cosiddetta TARI, una tassa relativa alla gestione dei rifiuti, destinata a finanziare i costi del servizio di raccolta e smaltimento, a carico di chiunque possieda o detenga locali o aree scoperte, suscettibili di produrre rifiuti urbani. L’IMU, invece, è la tassa sulla casa; essa serve a finanziare i Comuni nelle spese dei servizi. La TASI, ovvero
la tassa sui servizi indivisibili, serve – infine – per sostenere le spese relative alla manutenzione pubblica e ai servizi di cui usufruiscono tutti i residenti del Comune. La caratteristica comune di queste tre imposte è l’ampio margine di autonomia che ha il Comune per determinarne gli importi e le modalità di pagamento.
Nel 2014 è stato modificato l’assetto degli enti locali intermedi, ridimensionando il ruolo delle Province e istituendo le Città metropolitane (legge 56/2014, Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni). La Provincia è un ente locale territoriale il cui territorio comprende quello di più Comuni. Lo Stato italiano, fin dalla sua nascita, è stato sempre suddiviso in Province: enti locali intermedi, formati da più Comuni, che si occupavano di problemi che riguardavano l’insieme del loro territorio (come le strade provinciali, gli edifici delle scuole superiori, ecc.). Negli ultimi anni, al fine di semplificare la struttura delle autonomie territoriali e diminuire la spesa pubblica, si è fatta strada l’idea di abolire le Province; tuttavia, essendo queste espressamente previste dalla Costituzione, per abolirle è necessaria una legge costituzionale che ne modifichi il testo. Attualmente, in attesa che una legge costituzionale venga approvata, le Province restano in vita ma in modo ridimensionato:
Lezione 2 L’ordinamento amministrativo
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► gli organi della Provincia non sono più eletti direttamente dai cittadini; il Presidente della Provincia – che ha funzioni di rappresentanza e presiede il Consiglio – è il sindaco di uno dei Comuni della Provincia; viene eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali della Provincia stessa; ► il Consiglio provinciale è l’organo deliberativo, formato da un numero molto ristretto di membri (da 10 a 16 secondo la dimensione della Provincia) che ricoprono l’incarico di sindaco o di consigliere comunale in uno dei Comuni della Provincia e che sono eletti dall’insieme dei sindaci e dei consiglieri comunali; ► la Giunta provinciale è stata soppressa; ► è stata inoltre introdotta l’Assemblea dei sindaci che riunisce i sindaci di tutti i Comuni della Provincia. La Provincia è investita comunque di importanti competenze grazie all’affermarsi del principio di sussidiarietà (art. 118) che ha valorizzato le istituzioni più vicine al cittadino; essa, pertanto, svolge importanti funzioni di programmazione e coordinamento nei settori: dell’ambiente, territorio e infrastrutture (difesa del suolo, tutela e valorizzazione dell’ambiente, tutela e valorizzazione delle risorse idriche ed energetiche, prevenzione delle calamità, viabilità, trasporti, organizzazione dello smaltimento dei rifiuti, rilevamento, disciplina e controllo degli scarichi delle acque, delle emissioni atmosferiche e sonore, caccia, pesca nelle acque interne, agricoltura); dei servizi alla persona e alla comunità (tutela e valorizzazione dei beni culturali, compiti connessi all’istruzione secondaria, compresi l’edilizia scolastica, la formazione professionale, i servizi all’impiego). La Costituzione, con la riforma del 2001, ha indicato la Città metropolitana come uno degli enti che costituiscono la Repubblica (art. 114). In seguito a questa riforma, dal 2014 esistono in Italia 10 Città metropolitane: Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Reggio Calabria. Una Città metropolitana comprende quindi una grande città e i Comuni che ad essa sono strettamente legati per questioni economiche, sociali e di servizio, nonché culturali e territoriali. Essa conserva le stesse funzioni delle Province. Gli organi delle Città metropolitane, come quelli delle Province, sono eletti dai sindaci e dai consiglieri comunali dei Comuni che le compongono. Essi sono: ► il sindaco metropolitano, che dirige la Città metropolitana; tale carica è ricoperta automaticamente dal sindaco del Comune capoluogo; ► il Consiglio metropolitano, che ha poteri di indirizzo e controllo; è formato, in base alla dimensioni della Città metropolitana, da un numero di consiglieri – compreso tra 14 e 28 – eletti tra i sindaci e i consiglieri comunali dell’area metropolitana; ► la conferenza metropolitana, che approva lo statuto e formula proposte o pareri; è formata dai sindaci dei Comuni che fanno parte della Città metropolitana. Le Regioni sono, assieme ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e allo Stato centrale, uno dei cinque elementi costitutivi della Repubblica italiana. Le Regioni, secondo quanto indicato dall’art. 131 della Costituzio-
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ne, sono 20. Esse trovano la loro disciplina nella Costituzione, che ha previsto Regioni a statuto ordinario e Regioni a statuto speciale (art. 116). Sono Regioni a statuto speciale le Regioni che, per motivi storici, culturali e geografici, godono di una maggiore autonomia. Le Regioni a statuto speciale sono 5: la Sicilia, la Sardegna (isole in cui le differenze culturali e politiche con il resto d’Italia erano state causa di tendenze separatiste), il Friuli-Venezia Giulia, la Valle d’Aosta e il Trentino-Alto Adige (zone di confine, in cui è notevole la presenza di etnie non italiane). Il Trentino-Alto Adige, a sua volta, è diviso nelle due Province autonome di Trento (la cui popolazione è prevalentemente di lingua italiana) e Bolzano (la cui popolazione è per buona parte di lingua tedesca e ladina). L’organizzazione e il funzionamento di queste 5 Regioni non sono disciplinati dalla Costituzione, ma da appositi statuti speciali, approvati con legge costituzionale. La maggiore autonomia regionale consiste essenzialmente in una competenza legislativa, in alcuni casi esclusiva, su un numero di materie più ampio rispetto a quello concesso dalla Costituzione alle Regioni a statuto ordinario. Sono Regioni a statuto ordinario le rimanenti 15 Regioni italiane. A seguito della riforma costituzionale operata dalla legge costituzionale 1/99, gli statuti di tali Regioni oggi sono approvati e modificati direttamente dal Consiglio regionale senza passare dal Parlamento. Nel rispetto dei loro statuti, le Regioni presentano un’organizzazione simile a quella dello Stato centrale, basata su apparati politici (espressione della sovranità popolare in quanto eletti dal popolo) e apparati burocratici cui è affidato il compito di svolgere le funzioni amministrative dando attuazione alle decisioni politiche della Regione [ ORGANI POLITICI DELLE REGIONI]. FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Organi politici delle Regioni Consiglio regionale: ► È composto da 30-80 consiglieri (in base al numero della popolazione regionale), eletti dai cittadini residenti nella Regione, che abbiano compiuto il 18° anno d’età; resta in carica 5 anni, a meno di scioglimento anticipato (a opera del Governo centrale con decreto del Presidente della Repubblica) quando ne è impossibile il funzionamento. ► È organizzato in gruppi consiliari (secondo il partito d’appartenenza) e in commissioni consiliari (cui è affidata la preparazione delle leggi che il Consiglio voterà). Con gli stessi criteri dei consiglieri è eletto dal popolo il Presidente, che ha il compito di dirigere i lavori. ► Ha le seguenti funzioni: determina l’indirizzo politico-amministrativo della Regione; emana le leggi; delibera atti, provvedimenti, intese; controlla l’attività
amministrativa della Giunta; formula proposte e pareri agli organi dello Stato. Giunta regionale: ► È composta da 8 a 12 assessori, preposti alla guida di assessorati, organismi dediti alla funzione amministrativa per settori. ► Ha la funzione di organo esecutivo, quindi svolge attività di promozione e ha iniziativa amministrativa. Presidente della Giunta (o della Regione): ► Ha le seguenti funzioni: rappresenta la Regione; promulga leggi; emana regolamenti; convoca e presiede la Giunta; dirige le funzioni amministrative; indice i referendum regionali. A seguito di riforma costituzionale è eletto direttamente dai cittadini della Regione.
Lezione 2 L’ordinamento amministrativo
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Le competenze delle Regioni sono sia legislative sia amministrative. La competenza legislativa: la riforma del Titolo V della Costituzione (legge costituzionale 3/2001) ha ampliato notevolmente il potere delle Regioni di emanare leggi, autonomamente dal Parlamento. Ribaltando la precedente logica di suddivisione delle competenze legislative tra Stato e Regioni (che indicava tassativamente le materie di competenza di quest’ultima), l’art. 117 riconosce alle Regioni il potere di emanare atti avente forza di legge in tutte quelle materie che non risultano espressamente riservate alla competenza dello Stato. La riformulazione dell’art. 117 ha inteso, da un lato, definire precisamente le competenze dello Stato e, dall’altro, riconoscere il ruolo di Governo locale delle Regioni che, nelle materie in cui hanno piena autonomia, possono intervenire con leggi regionali senza aspettare indicazioni da parte dell’autorità statale. In particolare, il nuovo testo individua:
Leggi-quadro Le leggiquadro sono norme con cui il Parlamento fissa i criteri secondo i quali dovranno essere emanate altre leggi. Esse contengono i princìpi fondamentali che devono regolare una singola materia e ai quali i soggetti cui è conferito il potere di regolare quella stessa materia devono attenersi. La legge-quadro è molto utilizzata nell’ambito delle competenze legislative concorrenti tra Stato e Regioni a statuto ordinario.
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► una competenza esclusiva dello Stato per tutte quelle materie, tassativamente indicate, nelle quali si rende necessaria una regolamentazione uniforme con legge dello Stato. Tali ambiti sono circoscritti ai settori tradizionalmente collegati all’esercizio della sovranità (difesa, ordine pubblico, giustizia, ecc.); ► una competenza legislativa concorrente in molte delle materie relative ai più importanti ambiti della vita sociale: dalla salute all’istruzione, ai trasporti, ecc. La competenza concorrente comporta, di fatto, l’intervento dello Stato attraverso leggi-quadro►; alle Regioni, invece, è attribuito il compito di intervenire con leggi proprie che, nel rispetto dei princìpi generali fissati dallo Stato, realizzano propri orientamenti politici nel rispetto delle esigenze locali; ► una competenza legislativa esclusiva delle Regioni in tutte quelle materie che non sono espressamente riservate allo Stato o alla competenza concorrente. In tutti questi ambiti, pertanto, le Regioni possono avere regimi di governo molto diversi non essendo tenute al rispetto di alcun principio generale fissato da leggi dello Stato. Un’altra importante novità riguarda l’entrata in vigore della leggi regionali; oggi, infatti, è sufficiente che, trascorsi dieci giorni dall’approvazione da parte del Consiglio regionale, la legge venga promulgata dal Presidente della Regione e pubblicata nel Bollettino Ufficiale, pubblicazione periodica nella quale vengono inseriti gli atti normativi della Regione. È stato pertanto abolito il cosiddetto “controllo preventivo” che – secondo le disposizioni costituzionali originarie – doveva essere svolto da un commissario di governo su tutti gli atti e organi della Regione. In casi di conflitti di competenza tra Stato e Regione è possibile ricorrere al giudizio della Corte costituzionale. La competenza amministrativa: l’art. 118 della Costituzione, modificato dalla legge costituzionale del 2001, riafferma il principio di sussidiarietà in base al quale le funzioni amministrative vengono esercitate dall’ente locale più vicino alla popolazione. Solo qualora il Comune dovesse risultare ina-
PARTE 4_L’ordinamento della Repubblica italiana
deguato interviene un livello di governo superiore (Provincia, Regione, Stato). In concreto, tale principio stabilisce che i compiti amministrativi dello Stato e delle Regioni sono essenzialmente di programmazione e coordinamento, lasciando agli altri enti locali il compito di realizzare concretamente le linee programmate. Il primo soggetto con il quale le Regioni devono costantemente confrontarsi è comunque lo Stato. Sono infatti previsti organismi di coordinamento (le conferenze permanenti) in cui Stato e autonomie minori si incontrano per coordinare le linee politiche amministrative e le relative scelte.
GUIDAALLOSTUDIO Rispondi oralmente o per iscritto alle domande o individua e sottolinea nel testo la risposta: ► Qual è la funzione dell’attività amministrativa e chi la svolge? ► In che modo è organizzata la pubblica amministrazione? ► Quali sono le autonomie locali cui fa riferimento la Costituzione? ► Qual è il ruolo degli enti pubblici territoriali? ► Perché si definiscono enti pubblici territoriali autonomi? ► In quali ambiti si manifesta l’autonomia degli enti pubblici territoriali? ► Quali sono gli organi del Comune? E quali le funzioni? ► Chi elegge il sindaco? ► Come si autofinanziano i Comuni? ► In che modo la riforma del Titolo V della Costituzione ha ridisegnato il ruolo del Comune? ► Qual è il ruolo della Provincia nell’amministrazione locale del territorio? ► Quali sono le Città metropolitane? ► Quali sono i criteri per essere Provincia? ► Perché esistono 5 Regioni con maggiori poteri di autonomia? ► In cosa si concretizza la maggiore autonomia delle Regioni a statuto speciale? ► Cosa stabilisce lo statuto di una Regione? ► Quali modifiche al Titolo V hanno inciso sulle competenze delle Regioni? ► Quali sono gli ambiti di competenza legislativa esclusiva dello Stato? E quali quelle delle Regioni?
Lezione 2 L’ordinamento amministrativo
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VERSOL’ESAMEDISTATO
Analisi e produzione di un testo argomentativo (tipologia B)
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La concessione di maggiore autonomia alle regioni, a certe condizioni, è prevista dalla Costituzione. Il terzo comma dell’articolo 116 stabilisce infatti che le regioni con i bilanci in ordine possano chiedere di vedersi assegnate maggiori competenze rispetto a quelle previste normalmente per le regioni a statuto ordinario (quelle a statuto speciale – Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige – godono già di particolari autonomie). La scuola, per esempio, è una competenza statale che le regioni virtuose potrebbero chiedere di gestire direttamente (naturalmente entro leggi e criteri regolati dallo Stato). L’elenco delle competenze è molto lungo ma esclude una serie di temi, come la tutela dell’ordine pubblico, che rimangono in ogni caso esclusiva competenza dello Stato. Il terzo comma fu introdotto con la riforma della Costituzione del 2001 e riguarda il famoso Titolo V. Dal punto di vista delle procedure, la concessione dell’autonomia deve essere approvata da una “legge rinforzata” (una legge che presenta cioè un procedimento più complesso per la sua approvazione) e che deve essere votata dalle Camere a maggioranza assoluta. [...] L’articolo 116 è stato invocato per la prima volta nel 2017. I governi di Lombardia e Veneto avevano organizzato un referendum consultivo, e in entrambe le regioni il “sì” aveva ricevuto la maggioranza dei voti. Essendo consultivi, i referendum non avevano avuto esiti vincolanti né per le regioni né per il governo: quelle votazioni non erano necessarie per poter presentare la richiesta di maggiore autonomia, ma servivano a dare maggiore forza politica alla richiesta. [...] Il 28 febbraio del 2017, sul finire della precedente legislatura, il governo aveva sottoscritto con Veneto, Emilia-Romagna e Lombardia tre distinti accordi preliminari, che individuavano i principi generali, i metodi e un primo elenco delle materie oggetto. [...] Non è ancora chiaro se l’approvazione dell’autonomia differenziata sarà più vantaggiosa per alcune regioni e molto meno per altre. Dipenderà infatti da come verranno assegnate le risorse che corrisponderanno alle nuove competenze delle regioni autonome. Ma anche in questo caso, non è semplice prevedere come andrà. In generale, ci potrebbero essere due criteri da utilizzare per l’assegnazione delle risorse alle regioni autonome: il costo storico e il costo medio nazionale. Il costo storico indica la spesa pro-capite che una regione effettua in media per una determinata competenza (per esempio la sanità) mentre il costo medio nazionale indica il costo medio pro-capite di quella competenza a livello nazionale. Per esempio: attualmente in Lombardia lo Stato spende 459 euro pro capite per l’istruzione scolastica, mentre ne spende 477 euro in Veneto. Il costo medio nazionale è invece più alto (537 euro). Se l’assegnazione delle risorse alla regione sarà fatta con il criterio del costo storico la Lombardia potrà trattenere una cifra pro-capite pari a 459 euro, se l’assegnazione terrà conto invece del criterio medio la Lombardia potrà trattenere nuove risorse pari a una spesa pro-capite di 537 euro. Il primo criterio sarebbe a saldo zero e senza cambiamenti sul bilancio statale o delle altre regioni, il secondo criterio comporterebbe invece risorse aggiuntive. Secondo intese preliminari tra ministero, Lombardia, Veneto e Emilia-Romagna, queste regioni otterranno inizialmente risorse in base al costo storico, quindi in base a quanto già spendevano per una determinata competenza (calcolato nell’anno di approvazione definitiva della richiesta). Sempre secondo l’intesa, però, entro un anno dall’accordo definitivo si dovrebbero definire i fabbisogni standard, ovvero dei parametri a cui legare le spese fondamentali per assicurare un graduale e definitivo superamento del criterio della spesa storica. Una volta definiti i fabbisogni standard, il criterio di assegnazione delle risorse diventerebbe, appunto, quello del costo standard che potrebbe essere più elevato rispetto al costo storico corrente, ma su cui è difficile fare ora delle previsioni per capire se sarebbe svantaggioso per alcune regioni. La definizione di questi parametri sarebbe affidata a un comitato a cui parteciperebbero tutte le regioni e che potrebbe essere fatta, a sua volta, seguendo diversi criteri. La regione Veneto insiste nel dire che i fabbisogni standard dovrebbero essere legati alla capacità fiscale dei territori, ma questo rischia
PARTE 4_L’ordinamento della Repubblica italiana
di far sì che le regioni più ricche abbiano maggiori trasferimenti [di denaro da parte dello Stato] a scapito di quelle più povere. [Testo tratto da L’autonomia regionale spiegata bene, in «ilpost.it», 2 marzo 2019]
► COMPRENSIONE E ANALISI
1. Cosa si afferma nel testo circa la possibilità che alcune Regioni possano avere una maggiore autonomia? Quali disposizioni costituzionali vengono addotte per sostenere la tesi principale? In cosa consistono? 2. Nel corso dell’articolo si sostiene che l’autonomia differenziata potrebbe essere «più vantaggiosa per alcune regioni e molto meno per altre» (righe 21-22). Perché? Qual è il rischio che intravede? 3. Quali sono i due criteri che potrebbero essere utilizzati per l’assegnazione delle risorse alle Regioni che chiedono maggiore autonomia? 4. Nel testo si fa riferimento alle intese preliminari, avvenute tra Stato e Regioni richiedenti l’autonomia, circa le modalità di assegnazione delle risorse. Quali sono i limiti che alcuni intravedono nel parametro dei “fabbisogni standard”? ► PRODUZIONE
Condividi le considerazioni, presenti nell’articolo, relativamente al rischio che il riconoscimento di un’autonomia maggiore ad alcune Regioni possa costituire un rischio per le altre? Alla luce delle tue conoscenze e delle tue esperienze dirette, ritieni effettivamente più giusto che le Regioni “più virtuose” perché con i bilanci in ordine debbano avere maggiore autonomia? ► Argomenta i tuoi giudizi con riferimenti alle tue conoscenze e scrivi un testo in cui tesi e argomenti siano orga-
nizzati in un discorso coerente e coeso.
Simulazione di colloquio Finalità specifica del colloquio dell’Esame di Stato è consentire alla Commissione di verificare l’acquisizione dei contenuti e dei metodi delle discipline, nonché la capacità, critica e personale, di argomentare del candidato. È importante curare la capacità di esposizione e la coerenza delle argomentazioni esposte. L’esercizio da fare è, quindi, costruire una mappa concettuale, preferibilmente interdisciplinare, che consenta di fare collegamenti coerenti con il tema proposto. ► PROPOSTA A
Per avviare il colloquio, il materiale scelto dalla Commissione è la rappresentazione grafica dell’emiciclo parlamentare (cfr. pagina seguente), struttura a ferro di cavallo tipica delle assemblee parlamentari non anglosassoni. In Italia la forma dell’aula parlamentare si è sviluppata in ordine allo spazio fisico in cui si svolgeva l’attività, in quanto «l’architettura modella la cultura politica e le differenze tra i suoi attori». Il documento scelto dalla Commissione rappresenta, pertanto, uno spunto per consentire al candidato di esporre le conoscenze sul tema del potere legislativo, laddove possibile in chiave interdisciplinare.
VERSO L’ESAME DI STATO
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Di seguito la scaletta dei contenuti, trattati nel corso della lezione 1, cui fare riferimento per affrontare il tema:
IL PARLAMENTO Banco della Presidenza Presidente
► Il principio ispiratore della
separazione dei poteri (Montesquieu).
Ministri Sottosegretari
► La forma di governo italiana: tari men parla i e d chi Ban
► L’organizzazione del Parla-
mento e le modalità di svolgimento delle sedute. ► Le funzioni del Parlamento,
in particolare la funzione legislativa.
Banco dei relatori
Ban chi dei parla men tari
Banchi dei parlamentari
RA DEST
le differenze tra Camera dei deputati e Senato della Repubblica.
CENTRO
► PROPOSTA B
Per avviare il colloquio, il materiale scelto dalla Commissione è una vignetta di Elle Kappa, pseudonimo di Laura Pellegrini, i cui personaggi solitamente affrontano temi di attualità, dalla politica al costume nazionale, con l’intento umoristico di smascherare i luoghi comuni, le idee preconcette, i facili slogan, e più in generale le peggiori abitudini della società italiana. Nello specifico della scelta della Commissione, la vignetta è uno spunto per consentire al candidato di esporre le conoscenze sul tema dei sistemi elettorali, laddove possibile in chiave interdisciplinare. Di seguito la scaletta dei contenuti, affrontati nel corso della lezione 1, cui fare riferimento per affrontare il tema: ► Definizione di sistema elettorale. ► Collegi elettorali uninominali e plurinominali. ► Formula maggioritaria e formula proporzionale. ► I sistemi misti. ► Il sistema attuale italiano: la ripartizione dei seggi su base circoscrizionale e quella su base regionale.
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PARTE 4_L’ordinamento della Repubblica italiana
SINIS TRA
Tavolino degli stenografi
la Repubblica parlamentare. ► Il bicameralismo perfetto e
Banco del Governo
L’Unione europea Lezione 2. L’Organizzazione delle Nazioni Unite Lezione 3. Le altre organizzazioni internazionali governative e le ONG Lezione 1.
Verso l’Esame di Stato
5
PARTE
LA COMUNITÀ INTERNAZIONALE
LEZIONE 1 L’UNIONE EUROPEA
La corona di 12 stelle dorate della bandiera europea, simbolo dell’unità e dell’identità dell’Europa in generale, rappresenta la solidarietà e l’armonia tra i popoli d’Europa. Le stelle sono 12 in quanto il numero è tradizionalmente simbolo di perfezione, completezza e unità.
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L’Unione europea (UE, Trattato di Maastricht, 1992) è un’entità politica di carattere sovranazionale che comprende, ad oggi, 28 paesi membri indipendenti e democratici; questo numero è destinato a ridursi a 27 quando verrà perfezionata l’uscita della Gran Bretagna per effetto degli esiti del referendum svoltosi nel 2016 (la cosiddetta Brexit, termine coniato dall’unione delle parole British ed exit). Le competenze dell’UE spaziano ora dagli affari esteri alla difesa, alle politiche economiche, all’agricoltura, al commercio e alla protezione ambientale. Il territorio della Unione, inoltre, coincide con una zona di libero mercato, detto mercato comune, caratterizzata da un’unione doganale (libertà di circolazione delle merci), cui si aggiunge, grazie agli accordi di Schengen (1985-95) la libertà per i cittadini UE di movimento, lavoro e investimento all’interno degli Stati membri, e, per 19 dei 28 paesi aderenti, l’utilizzo di una moneta unica (2002), l’euro.
Il processo di integrazione europea Per tanti, l’Europa è oggi un’entità ben delineata non solo dal punto di vista geografico, ma anche politico, economico e sociale; in realtà, sebbene molto cammino sia stato fatto, tanto è ancora da fare per rendere effettiva l’idea di una Europa unita, in cui la dimensione della cittadinanza europea superi gli interessi nazionali per diventare portatrice di veri vantaggi per tutti. Attualmente, infatti, l’Unione europea è sotto i riflettori proprio per non essere sempre capace di realizzare l’integrazione totale tra i paesi aderenti, così come l’avevano intesa i padri fondatori. È dopo la fine della seconda guerra mondiale che muove i primi passi verso il processo d’integrazione europea vero e proprio. L’ultimo conflitto mondiale, infatti, aveva lasciato l’Europa lacerata e indebolita creando le condizioni per un lungo periodo di subordinazione agli USA e all’URSS. Nel febbraio del 1945, i capi dei Governi inglese, americano e russo (Churchill, Roosevelt e Stalin) si incontrarono a Yalta per definire l’assetto dell’Europa dopo la guerra e i piani di aiuto da fornire ai paesi europei durante la fase di ricostruzione postbellica; il risultato fu una vera e propria spartizione dei
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PARTE 5_La comunità Internazionale
paesi europei per aree d’influenza e la divisione della Germania in Repubblica federale tedesca (d’influenza americana) e Repubblica democratica tedesca (d’influenza sovietica). Tra le due realtà si innalzava il Muro di Berlino, simbolo della divisione fra i due blocchi. In questo scenario prende corpo, grazie a ideali quali la pace, l’unità e la prosperità in Europa portati avanti da alcuni leader politici, la creazione dell’Unione europea in cui viviamo oggi; senza la visione dei padri fondatori dell’UE non potremmo vivere nella zona di pace e stabilità che oggi diamo per scontata. L’idea iniziale di un’Europa occidentale, economicamente autonoma dai meccanismi imposti dallo scenario mondiale, ha dato vita – a partire dagli anni del dopoguerra, a un graduale processo di integrazione e cooperazione tra i paesi. Vediamo le principali tappe: ► I primi trenta anni della cooperazione europea (1951-1979). Nel 1951, Belgio, Francia, Lussemburgo, Italia, Repubblica federale tedesca e Paesi Bassi (Europa dei Sei) firmano il Trattato di Parigi che dà vita alla Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA), prima organizzazione sovranazionale il cui compito è coordinare le politiche relative alla produzione di due importanti materie industriali, il carbone e l’acciaio; successivamente, nel 1957, gli stessi sei paesi firmano a Roma altri due trattati, quello della Comunità economica europea (CEE), cui spetta il compito di creare un mercato comune, e quello dell’Euratom (Comunità europea dell’energia atomica), cui si affida il compito di coordinare l’utilizzo comune dell’energia nucleare a scopi pacifici. La CEE, inoltre, si dota di organi di rappresentanza politica con l’istituzione del Parlamento europeo, composto da 142 deputati, designati dai rispettivi parlamenti nazionali. Nel 1965 con il Trattato di fusione tra CECA, CEE ed Euratom nascono la Comunità europea (CE) e le prime istituzioni comuni (Commissione, Consiglio dei Ministri, Parlamento europeo, Corte di Giustizia). Nel 1973 sono ammessi a far parte delle comunità europee anche la Gran Bretagna, la Danimarca e l’Irlanda (Europa dei Nove). Nel 1979 alcuni paesi della Comunità europea
PADRI FONDATORI DELL’UNIONE EUROPEA ► ITALIA: Alcide De Gasperi e Altiero Spinelli ► FRANCIA: Jean Monnet e Robert Schuman ► LUSSEMBURGO: Joseph Bech ► GERMANIA: Konrad Adenauer ► BELGIO: Paul-Henri Spaak ► GRAN BRETAGNA: Winston Churchill
Lezione 1 L’Unione europea
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realizzano il Sistema monetario europeo (SME), con la finalità di garantire la stabilità nei rapporti di cambio tra leESTONIA monete dei paesi membri. ► Meno frontiere, più espansione (1980-2000). Il processo di integrazioLETTONIA ne europea decenni in continua evoluzione: nel 1981 entra a far DANIMARCA GRAN è in questi LITUANIA BRETAGNA PA parte della Comunità anche la Grecia e nel 1986 la Spagna e il Portogallo. BA ESI SS È l’Europa dei Dodici, rappresentata da ben 518 deputati nel Parlamento. BE I LG I O vigore Nel 1987 entra in l’AttoPOLONIA unico europeo (AUE) che fissa entro il 1992 GERMANIA LU SS la piena realizzazione delREPUBBLICA mercato unico. L’Atto modifica, inoltre, le regole EM BU CECA RG delle istituzioni europee di funzionamento e amplia le competenze comuCCHIA SLOVA FRANCIA O nitarie, in particolare nel settore della ricerca e sviluppo, dell’ambiente e AUSTRIA UNGHERIA SLOVENIA della politica estera comune. Nel 1989, in seguito all’unificazione tedesca ROMANIA CROAZIA successiva alla caduta del Muro di Berlino anche i cittadini dell’ex RepubMAR NERO ITALIA blica democratica tedesca entrano nella Comunità. Nel 1992 i dodici paesi BULGARIA SPAGNA membri della CEE firmano nella cittadina olandese di Maastricht il trattato di Unione che porta alla costituzione dell’Unione europea (UE). Il trattato, MAR ME GRECIA DITE R Ril 1° novembre 1993, prevede l’armonizzazione delle poche entra in vigore AN E litiche degli Stati membri in materia di agricoltura, ambiente, forze armate, giustizia, e la realizzazioneMALTA di una moneta unica eCIPRO di una Banca centrale europea. L’allargamento procede e nel 1995 Austria, Finlandia e Svezia aderiscono all’UE (Europa dei Quindici), mentre in Norvegia e Svizzera i cittadini respingono con un referendum popolare l’ipotesi di partecipazione.
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paesi aderenti all’UE dal 1993 paesi aderenti all’UE dal 1995 paesi aderenti all’UE dal 2004 paesi aderenti all’UE dal 2007 paesi aderenti all’UE dal 2013 paesi dell’area euro
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O MALTA L’Unione europea oggi
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PARTE 5_La comunità Internazionale
CIPRO
► La moneta unica (2001-2009). Nei primi anni del XXI secolo l’euro diventa la nuova moneta per molti europei. A seguito della caduta dei regimi comunisti dell’Europa dell’Est, buona parte dell’Europa centro- orientale entra nella UE sanando le divisioni politiche tra Europa orientale e occidentale: nel 2004 entrano nella UE ben 10 nuovi paesi (Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia, Ungheria, Malta e Cipro) e, nel 2007, aderiscono all’UE la Bulgaria e la Romania; il Trattato sull’Unione europea viene modificato nel 2009 al fine di renderla più efficiente e trasparente, in grado di far fronte alle sfide globali quali il cambiamento climatico, la sicurezza e lo sviluppo sostenibile; con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona si concretizza anche la possibilità di recesso di uno Stato membro dell’UE. ► Gli anni in corso, a causa delle conseguenze della crisi economica globale che colpisce dxuramente l’Europa, sono difficili. L’estremismo religioso è in aumento e l’UE diventa l’obiettivo di diversi attacchi terroristici; in parallelo, le guerre provocano instabilità e la fuga di tanti che cercano rifugio in Europa. Nel 2013 la Croazia diventa il 28º Stato membro dell’UE, ma nel 2016 la maggioranza dell’elettorato britannico vota, con un referendum, il recesso del Regno Unito dall’UE, ad oggi non ancora ratificato tanto che, nel 2019, il Regno Unito partecipa alle elezioni dei deputati del Parlamento europeo.
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Le istituzioni dell’Unione europea Come abbiamo visto, è nel 1992 che a Maastricht viene firmato il trattato che porta alla Costituzione dell’Unione europea. L’ Unione europea (UE) è un organismo sovranazionale► con potere normativo. Essa si fonda su un sistema istituzionale in cui ogni Stato opera una delega di sovranità a favore di istituzioni indipendenti che rappresentano, al tempo stesso, l’interesse comunitario, gli interessi nazionali e quelli dei cittadini.
Sovranazionale Si utilizza in riferimento alla sovranità degli Stati che, aderendo a un’organizzazione internazionale, ammettono una limitata ingerenza di altre strutture su specifiche questioni nazionali e internazionali, con modalità definite da appositi trattati internazionali.
Le principali istituzioni dell’UE, che rappresentano, al tempo stesso, l’interesse comunitario, gli interessi nazionali e quelli dei cittadini, sono: il Consiglio europeo : definisce le priorità politiche generali dell’UE e rappresenta il livello più elevato di cooperazione politica tra i paesi dell’UE; il Consiglio riunisce i leader politici a livello nazionale ed europeo (Capi di Stato o di Governo, ministri degli Esteri, Presidente della Commissione europea), si riunisce due volte l’anno nei cosiddetti “vertici europei” e ha sede a Lussemburgo; la Commissione europea : promuove gli interessi globali dell’UE attraverso la guida politica di 28 commissari (uno per ciascun paese dell’UE) sotto la direzione del Presidente della Commissione. I suoi membri sono
Lezione 1 L’Unione europea
137
nominati dai Governi nazionali e ha sede a Bruxelles. La Commissione è il braccio esecutivo politicamente indipendente dell’UE, unico organo cui compete redigere le proposte di nuovi atti legislativi europei; inoltre, attua le decisioni del Parlamento europeo e del Consiglio dell’UE, e vigila sulla corretta applicazione dei trattati europei e delle decisioni adottate in base a essi; il Consiglio dell’Unione europea : è l’organismo in seno al quale i Governi difendono i rispettivi interessi nazionali. Composto dai rappresentanti degli Stati membri (di solito ministri competenti per la materia in discussione), ha sede a Bruxelles. È il principale organo legislativo (insieme al Parlamento europeo) la cui presidenza è affidata a rotazione a uno degli Stati membri e ha la durata di sei mesi. L’attività del Consiglio, che adotta gli atti normativi dell’UE e ne coordina le politiche, si esplica su tre ambiti. Il primo è quello delle politiche comunitarie in materia di agricoltura, trasporti, energia, ambiente, ricerca e sviluppo; il secondo comprende la politica estera e la sicurezza; il terzo la giustizia e gli affari interni. Su queste materie il Consiglio ha potere di decisione e di iniziativa. Le politiche economiche, invece, sono di competenza dell’Eurogruppo, organo informale composto dai ministri economici e delle finanze dei paesi dell’area dell’euro;
Il Parlamento europeo: 2019-2024, sessione costitutiva
Renew Europe 108 Verdi/ALE
PPE 182
74 62
S&D
ECR
154 ID
73
GUE/NGL
41
751
57
Seggi
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Gruppi politici nel Parlamento europeo
Numero di seggi
PPE - Gruppo del Partito popolare europeo (Democratici cristiani)
182
24,23
S&D - Gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo
154
20,51
Renew Europe - Renew Europe group
108
14,38
Verdi/ALE - Gruppo dei Verdi/Alleanza libera europea
74
9,85
ID - Identity and Democracy
73
9,72
ECR - Gruppo dei Conservatori e Riformisti europei
62
8,26
GUE/NGL - Gruppo confederale della Sinistra unitaria europea/Sinistra verde nordica
41
5,46
NI - Non iscritti
57
7,59
PARTE 5_La comunità Internazionale
% di seggi
NI
il Parlamento europeo è composto da 751 deputati europei eletti a suffragio universale dai cittadini dei diversi Stati membri ogni cinque anni. Oltre ad avere competenze di vigilanza in materia di bilancio e di controllo dell’esecutivo, il Parlamento ha anche competenze legislative e condivide con il Consiglio dei ministri il potere di decisione su diverse materie. Ha tre sedi: Strasburgo, Lussemburgo e Bruxelles. La struttura istituzionale dell’UE è unica nel suo genere; una delle importanti modifiche introdotte dal Trattato di Lisbona è che la procedura di codecisione► è diventata la “procedura legislativa ordinaria”. Si tratta di una novità assoluta in campo legislativo in quanto pone per la prima volta il Parlamento europeo e il Consiglio sullo stesso piano; si basa sul principio della parità e comporta che nessuna delle due istituzioni (Parlamento europeo e
Procedura di codecisione La Commissione europea trasmette la sua proposta al Parlamento e al Consiglio, che la esaminano e ne discutono due volte di seguito. Se dopo la seconda lettura non riescono a trovare un accordo, la proposta viene deferita a un comitato di conciliazione, composto da un egual numero di rappresentanti del Consiglio e del Parlamento. Una volta che il comitato giunge a un accordo, il testo approvato è trasmesso al Parlamento e al Consiglio per essere sottoposto a una terza lettura, affinché possano adottarlo come testo legislativo. Affinché il testo possa essere adottato, è indispensabile l’accordo finale di entrambe le istituzioni.
Consiglio) può adottare una legislazione senza il parere conforme [ SETTORI D’AZIONE DELL’UE]. La maggior parte degli atti dell’Unione europea è emanata mediante il meccanismo della maggioranza; tuttavia, in casi delicati e importanti, è richiesta l’unanimità. Diversamente da quanto avviene in altre organizzazioni internazionali, i singoli Stati non dispongono di un singolo voto, bensì di un voto proporzionale alle loro dimensioni. Gli atti dell’Unione europea sono di diverso tipo: i regolamenti sono atti normativi (cioè vere e proprie norme giuridiche) direttamente e immediatamente vincolanti per gli Stati membri, senza, cioè, che sia necessario un intervento delle autorità statali per applicarle. Hanno, infatti, la stessa valenza delle leggi nazionali e, anzi, nelle materie di competenza dell’UE, in caso di contrasto, questi atti prevalgono sulle leggi dei singoli Stati che disciplinano la stessa materia; le direttive sono invece atti normativi con cui l’UE impone agli Stati di modificare, entro un certo termine, il proprio ordinamento giuridico nel senso indicato dalle stesse direttive; esse, però, fissano i risultati, lasciando agli Stati la scelta delle forme e dei mezzi da adottare per poter essere convertite in leggi nazionali; le decisioni sono atti non normativi indirizzati a un singolo soggetto (Governo, impresa, cittadino) per imporgli il rispetto di una norma comunitaria;
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Settori d’azione dell’UE L’Unione europea può agire solo nei settori in cui è autorizzata a farlo dai paesi membri, mediante i trattati dell’UE. I trattati specificano chi può adottare leggi e in quali settori: l’UE, i Governi nazionali o entrambi. ► Settori in cui l’UE ha “competenze esclusive” mentre gli Stati membri si limitano ad applicare la legge (a meno che l’UE non autorizzi gli Stati ad adottare direttamente certe leggi): unione doganale; regole della concorrenza per il mercato unico; politica monetaria per i paesi dell’area dell’euro; commercio e accordi internazionali; flora e fauna marine. ► Settori in cui l’UE ha “competenze concorrenti” con gli Stati membri (i paesi membri però possono legiferare solo se l’UE non ha ancora proposto leggi
o se ha deciso di non proporne): mercato unico, occupazione e affari sociali; agricoltura, ambiente, trasporti, protezione consumatori; energia; sicurezza, cooperazione allo sviluppo; aiuti umanitari. ► Settori in cui l’UE ha “competenze di sostegno” in base alle quali può solo assistere, coordinare e integrare l’azione dei paesi membri: salute pubblica; cultura; turismo; istruzione; formazione; sport; protezione civile. ► Settori in cui l’UE ha “competenze speciali” che le consentono di svolgere un ruolo particolare o vanno al di là di quanto normalmente consentito dai trattati: coordinamento delle politiche economiche e occupazionali; definizione e attuazione della politica estera e della sicurezza comune.
Lezione 1 L’Unione europea
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le raccomandazioni rappresentano indicazioni, consigli circa determinati comportamenti da adottare per perseguire obiettivi UE, ma non rappresentano un vincolo giuridico e, per questo, hanno soprattutto un valore politico; le sentenze sono atti con i quali la Corte di Giustizia dell’Unione risolve le controversie che le sono sottoposte.
VITA QUOTIDIANA
Nel maggio 2019, sulla base della legislazione dell’UE in materia di rifiuti, il Consiglio ha adottato una direttiva sulla plastica monouso, stabilendo norme più severe per i prodotti inquinanti. Le nuove norme vietano l’utilizzo di prodotti in plastica usa e getta per i quali esistono alternative: i piatti, le posate, le cannucce, le aste per palloncini e i bastoncini cotonati in plastica monouso saranno vietati entro il 2021. Gli Stati membri, inoltre, hanno deciso di raggiungere, entro il 2029, l’obiettivo di raccolta delle bottiglie di plastica del 90%; poi, le bottiglie di plastica dovranno avere un contenuto riciclato di almeno il 25% entro
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il 2025 e di almeno il 30% entro il 2030. L’adozione formale della direttiva da parte del Consiglio nel maggio 2019 ha rappresentato l’ultimo stadio legislativo che, secondo la procedura di codecisione, è stata preceduta dalle seguenti fasi: la Commissione ha presentato la proposta di direttiva nel maggio 2018; il Consiglio ha raggiunto la sua posizione il 31 ottobre 2018; i negoziati con il Parlamento europeo sono iniziati il 6 novembre 2018 e si sono conclusi il 19 dicembre 2018 con un accordo provvisorio, confermato il 18 gennaio 2019 dagli ambasciatori degli Stati membri presso l’UE.
Il mercato unico europeo La creazione di un mercato unico in cui far circolare liberamente le merci e i fattori produttivi (lavoro e capitale), è tra le ragioni alla base del processo di integrazione tra gli Stati membri della Comunità europea tanto che, per incoraggiare le importazioni di merci, fin dal Trattato del 1957 che istituiva la CEE, vennero aboliti i dazi doganali, tributi imposti sulle merci di importazione. Definito inizialmente con l’Atto unico europeo del 1986 ma diventato operativo il 1° gennaio 1993, il mercato unico ha comportato libertà fondamentali di circolazione per merci, servizi, persone e capitali. Per la sua realizzazione è stata necessaria l’attuazione di politiche comuni volte all’armonizzazione delle normative nazionali; accanto all’abolizione delle frontiere si sono anche dovute abbattere le barriere delle caratteristiche tecniche dei prodotti ed eliminare le barriere fiscali, derivanti da normative talora molto differenti. Il mercato unico europeo – creato per offrire ai consumatori dell’UE l’accesso a una più ampia scelta di beni e di servizi – tratta tutti gli Stati membri come un unico mercato interno privo di barriere, senza dogane, frontiere o altri ostacoli.
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PARTE 5_La comunità Internazionale
Concorrenza La concorrenza è quella condizione nella quale più soggetti competono sul medesimo mercato, inteso nella teorizzazione economica come l’incontro tra chi produce i medesimi beni o servizi (offerta) che soddisfano una pluralità di acquirenti (domanda); in concorrenza, nessuno degli operatori è in grado di influenzare l’andamento delle contrattazioni con le proprie decisioni.
I vantaggi del mercato unico europeo sono misurabili, in primo luogo, dagli effetti positivi che l’apertura delle frontiere ha per le imprese, i consumatori e i lavoratori, come conseguenza della maggiore concorrenza►. Da quando si è realizzato, esso ha contribuito a un importante processo di sviluppo economico e sociale. Secondo i dati del Parlamento europeo, infatti, il mercato unico europeo – alla data del 2018 – ha già creato 2,77 milioni di posti di lavoro e generato 233 miliardi di euro di commercio in più ogni anno, permettendo – inoltre – accesso a quanto di meglio gli Stati membri dell’UE hanno da offrire. In termini concreti, il mercato unico europeo, detto anche mercato in terno, determina la possibilità per tutte le imprese di produrre e vendere in qualunque Stato membro dell’Unione nel modo più semplice e meno oneroso possibile; l’allargamento del mercato è conveniente anche ai consumatori, i quali hanno maggiori possibilità di scelta, beneficiando di possibili riduzioni dei prezzi a causa del meccanismo concorrenziale nonché di un più alto livello di tutele e di protezioni; la complessiva crescita economica è positiva anche per i lavoratori, che possono avere maggiori occasioni di occupazione se disposti a spostarsi tra i paesi e superare le difficoltà dovute alla conoscenza della lingua: oltre 15 milioni sono infatti le persone che oggi lavorano in uno Stato europeo diverso dal proprio di provenienza. Al fine di supportare i diversi sistemi di istruzione che non sempre preparano i giovani ad essere “lavoratori europei”, la Commissione europea concentra molti sforzi, sia politici sia finanziari, in programmi che consentano di acquisire esperienze nel campo lavorativo e della formazione in paesi diversi da quello di residenza; in tal senso, promuove anche il multilinguismo in Europa, sostenendo l’insegnamento e l’apprendimento delle lingue, incoraggiando la mobilità degli studenti, dei tirocinanti, degli insegnanti e dei giovani e favorendo lo scambio di informazioni e di esperienze. Gli effetti positivi della concorrenza dipendono, però, anche dalla omogeneizzazione dei sistemi economici e fiscali, dalle infrastrutture, dai modi in cui gli Stati intervengono nell’economia, cioè dalla mancanza di differenze di trattamento giuridico e fiscale tra i soggetti economici. Questo importante aspetto, tuttavia, ad oggi non si è ancora pienamente realizzato. Infatti, se il mercato unico è un lungo elenco di successi indu-
VITA QUOTIDIANA
Il programma europeo Erasmus+ è molto noto tra i giovani perché, grazie all’erogazione di contributi, offre l’opportunità di studiare, formarsi, effettuare esperienze di tirocinio o di volontariato all’estero; di realizzare attività di cooperazione tra istituzioni dell’istruzione e della formazione in tutta Europa e di intensificare la collaborazione con il mondo del lavoro.
Erasmus+ funziona attraverso una rete di Agenzie nazionali in ciascuno dei paesi partecipanti, alle quali spetta erogare i contributi, selezionare i progetti e gestire finanziamenti, controlli e rendicontazioni. Al termine di ogni progetto viene riconosciuta ai partecipanti una certificazione delle competenze acquisite.
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bitabili, il suo carattere dinamico e in costante evoluzione non consente di poter ritenere l’obiettivo del tutto raggiunto. Una prospettiva, questa, perfettamente in linea con il pensiero di uno dei padri fondatori, Robert Schuman, che nella sua dichiarazione del 9 maggio 1950 disse: «L’Europa non si edificherà in un solo colpo né in una costruzione d’insieme: essa si farà attraverso realizzazioni concrete che creino innanzi tutto una solidarietà di fatto».
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L’unione economica e monetaria
Tra le novità sancite dal Trattato sull’Unione europea del 1992, quella che ha inciso più profondamente, sia sulla politica degli Stati aderenti che sulla vita dei cittadini europei, è stata la decisione di introdurre un’unica moneta (l’euro) in sostituzione delle esistenti monete nazionali. L’euro, entrato in vigore il 1° gennaio 2002 in 11 paesi, compresa l’Italia, attualmente è la Pareggio/deficit di bilancio Il bilancio statale valuta ufficiale di 19 dei 28 paesi membri dell’UE (Eurozona). La Banca è un documento contabile centrale europea e la Commissione sono le istituzioni incaricate di mandi previsione indicante tenere il valore e la stabilità della valuta e fissare i criteri richiesti ai paesi le entrate (imposizione fiscale) e le uscite che desiderino entrare nell’area euro; di tutti i paesi dell’UE, alcuni non dell’amministrazione soddisfano ancora i criteri necessari per aderire alla zona euro, mentre altri statale (spesa pubblica) relative a un determinato (Danimarca e Regno Unito) hanno deciso di non parteciparvi. Sulla scena periodo di tempo, mondiale, l’euro rafforza il peso dell’UE, in quanto seconda valuta per imovvero i cosiddetti “conti portanza internazionale dopo il dollaro americano. pubblici”. Il pareggio di Per raggiungere l’obiettivo della moneta unica, il Trattato aveva prebilancio è la condizione contabile che si verifica visto una serie di tappe che hanno condizionato le politiche economiche quando, nel corso nazionali. I paesi che hanno deciso di adottare l’euro, quindi, hanno accetdi un anno, le uscite tato di coordinare le proprie politiche fiscali e monetarie secondo i criteri finanziarie sostenute eguagliano le entrate di convergenza il cui scopo è garantire che lo sviluppo economico risulti conseguite, evitando equilibrato, senza provocare tensioni. Infatti, per realizzare appieno i vansituazioni di deficit (la taggi della moneta unica, le economie degli Stati membri della zona euro differenza negativa devono essere gestite, dai rispettivi Governi, in modo da coordinare le loro tra i costi sostenuti dall’amministrazione politiche economiche al fine di conseguire gli obiettivi comuni di stabilità, statale e le entrate provenienti dalle imposte, crescita e occupazione. sia dirette che indirette) e conseguente ricorso all’indebitamento.
Prodotto interno lordo (PIL) Per prodotto interno lordo s’intende il valore totale dei beni e servizi finali prodotti da un paese in un anno, tenendo conto dei fattori produttivi utilizzati nello stesso periodo all’interno di quel paese.
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In particolare, per mantenere invariati i requisiti di adesione all’unione economica e monetaria europea, gli Stati UE sono impegnati in un patto di stabilità e di crescita per il controllo dei rispettivi bilanci e delle politiche economiche e monetarie connesse. Regole concordate per le politiche di bilancio, come i limiti del disavanzo e del debito nazionale, impongono agli Stati aderenti di presentare periodicamente dei programmi di stabilità finalizzati a garantire che le uscite finanziarie sostenute eguaglino le entrate conseguite (pareggio di bilancio►) evitando situazioni di deficit e conseguente ricorso all’indebitamento. In particolare il rapporto deficit/Pil (Prodotto interno lordo►), il cui valore è utile per operare adeguati confron-
PARTE 5_La comunità Internazionale
ti internazionali, deve mantenersi per i paesi aderenti all’Unione monetaria al di sotto del 3%, così come stabilito dal Trattato di Maastricht. Per coordinare le proprie politiche economiche e monitorare le proprie politiche finanziarie e di bilancio i ministri dell’Economia e delle Finanze degli Stati membri della zona euro si incontrano periodicamente nel cosiddetto Eurogruppo. Tutti gli Stati membri dell’UE devono rispettare i limiti imposti dal patto di stabilità, ma soltanto i paesi della zona euro sono soggetti a sanzioni finanziarie o di altro tipo nel caso in cui si dovesse presentare un deficit di bilancio► eccessivo. L’istituzione responsabile della politica monetaria dell’UE è la Banca centrale europea (BCE) il cui principale obiettivo è mantenere la stabilità dei prezzi, cioè preservare il valore del denaro nel tempo; a questo fine, essa fissa anche i tassi d’interesse di riferimento per l’area dell’euro; in questo nuovo contesto, anche il ruolo delle banche centrali nazionali si è modificato. Oggi, in ogni Stato membro, le banche centrali attuano le decisioni di politica monetaria prese nell’ambito del Sistema europeo delle banche centrali (SEBC) di cui fa parte il cosiddetto Eurosistema (composto dalla BCE e dalle sole banche centrali nazionali degli Stati membri dell’UE che hanno adottato l’euro).
LA BANCA CENTRALE EUROPEA La BANCA CENTRALE EUROPEA (BCE) ha iniziato la sua attività il 1° luglio 1998 e ha sostituito l’ISTITUTO MONETARIO (IME)
Ha sede nello stesso ufficio dell’IME, l’Eurotower, il grattacielo di 36 piani nel centro di Francoforte
ORGANI DECISIONALI DELLA BCE CONSIGLIO DIRETTIVO È il principale organo decisionale della BCE, composto da tutti i membri del Comitato esecutivo e dai governatori
delle banche centarli nazionali degli Stati membri dell’Unione europea che hanno adottato l’euro
COMITATO ESECUTIVO È composto dal Presidente e dal vicepresidente della BCE insieme ad altri quattro membri nominati dai Capi di
Stato o di Governo degli Stati membri dell’Unione europea che hanno adottato l’euro
CONSIGLIO GENERALE È composto dal Presidente e dal vicepresidente della BCE, nonché dai governatori delle banche centrali nazionali di
tutti gli Stati membri dell’Unione europea
vigilare sulla stabilità dei prezzi in Europa
La Banca centrale europea e il Consiglio generale formano il SISTEMA EUROPEO DI BANCHE CENTRALI (SEBC) che deve:
definire la politica monetaria, impartendo alle singole banche centrali gli ordini sui quantitativi di banconote e monete richieste garantire le operazioni sui cambi, gestendo le riserve in divise estere (fuori dall’area UEM): dollaro, yen, franco svizzero, ecc. garantire la copertura dei sistemi di pagamento (carte di credito, bancomat, assegni)
Lezione 1 L’Unione europea
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VITA QUOTIDIANA
Nel 2018 il debito italiano è aumentato di 0,8 punti percentuali (passando dal 131,4% al 132,2%), e – secondo alcune previsioni – nel 2019 si attesterà attorno al 133,7%; anche lo stato del deficit è preoccupante in quanto l’Italia non è riuscita migliorare il rapporto tra quanto spende e quanto incassa. Alla luce di questi dati, nella primavera del 2019, per la prima volta nella storia dell’UE, l’Italia ha corso il rischio della procedura di infrazione per debito
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eccessivo, provvedimento previsto nel caso in cui un paese membro registri un deficit di bilancio pubblico superiore al 3% (cioè le uscite di uno Stato non devono superare gli incassi di oltre 3 punti percentuali) e un debito superiore al 60% del PIL. Il rischio di essere sottoposti alla procedura di infrazione è poi rientrato grazie alla strategia correttiva sul disavanzo progettata dall’Italia che ha convinto la Commissione a non procedere con le sanzioni (circa 9 miliardi).
La cittadinanza europea: i nuovi diritti
Trattato sull’Unione europea
Art. 17 È istituita una cittadinanza dell’Unione. È cittadino dell’Unione chiunque abbia la cittadinanza di uno Stato membro. La cittadinanza dell’Unione costituisce un complemento della cittadinanza nazionale e non sostituisce quest’ultima.
Il percorso che ha portato all’attribuzione della cittadinanza europea è stato graduale, oltre che strettamente connesso all’evoluzione non solo economica ma anche e, soprattutto, politica, dell’Unione. Sebbene già il trattato istitutivo della CEE del 1957 negasse ogni discriminazione basata sulla nazionalità, prevedendo – al contempo – il diritto di circolazione nel suo territorio per i lavoratori, è solo con l’Atto unico europeo del 1986 che si realizza pienamente la circolazione senza visti per tutti i cittadini degli Stati membri all’interno del territorio europeo; ma è il Trattato istitutivo dell’Unione europea del 1992 che riconosce solennemente l’esistenza della cittadinanza europea come cittadinanza “complementare”. La cittadinanza europea, infatti, non sostituisce ma integra la cittadinanza nazionale, come recita l’art. 17: i cittadini di uno Stato membro dell’UE sono automaticamente anche cittadini dell’UE. Essere cittadino europeo dà alcuni importanti diritti, quali il diritto di circolare liberamente, lavorare e risiedere ovunque nell’Unione. Secondo il Trattato, i diritti attribuiti al cittadino europeo comprendono: la libertà di circolare e soggiornare nel territorio di ciascuno degli Stati membri dell’Unione europea. In questa direzione va anche il cosiddetto accordo di Schengen relativo all’abolizione dei controlli alle frontiere e alla libera circolazione dei cittadini comunitari.
VITA QUOTIDIANA
Un giovane che ha completato un corso universitario della durata di almeno tre anni, vedrà le sue qualifiche riconosciute in tutti i paesi dell’UE, giacché gli Stati membri hanno fiducia nella qualità dei reciproci sistemi
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PARTE 5_La comunità Internazionale
di insegnamento e formazione. I cittadini europei possono lavorare nel settore sanitario, dell’istruzione e in altri servizi pubblici (con l’eccezione della polizia, delle forze armate, ecc.) di ogni paese dell’Unione europea.
Il cittadino dell’Unione europea non è soltanto un lavoratore o consumatore, ma può godere di specifici diritti politici: ogni cittadino dell’Unione, indipendentemente dalla sua nazionalità, ha il diritto di voto e il diritto di candidarsi alle elezioni comunali dello Stato membro in cui risiede e alle elezioni del Parlamento europeo. Dal dicembre 2009 (quando è entrato in vigore il Trattato di Lisbona) il cittadino ha altresì diritto di presentare una petizione alla Commissione per avanzare una proposta legislativa, purché abbia raccolto un milione di firme di persone provenienti da un numero significativo di Stati membri. VITA QUOTIDIANA
La cittadinanza europea consente anche il diritto di voto nell’elezione dei Comuni ove si è residenti. Così, un cittadino tedesco residente a Milano può votare per
elezione del Consiglio comunale del capoluogo lombardo, ma può anche essere eletto nello stesso Consiglio.
In base al Trattato, qualsiasi cittadino dell’Unione europea può presentare una petizione al Parlamento europeo, individualmente o in associazione con altri, su una materia che rientra nel campo d’attività dell’Unione europea e che lo concerne direttamente. Il Parlamento europeo ha quindi il compito di trasmettere la petizione alla Commissione europea, la quale può a sua volta investire della questione la Corte di Giustizia per sanzionare lo Stato membro che viola il diritto comunitario. VITA QUOTIDIANA
Un cittadino ha il diritto di presentare una petizione al Parlamento europeo su aspetti legati all’attività comunitaria e che lo toccano direttamente. La petizione può essere una richiesta che discende da un’esigenza generale (la difesa del patrimonio); un reclamo
individuale (riconoscimento dei diritti alla sicurezza sociale, alla pensione, agli assegni familiari, ecc.); una domanda al Parlamento affinché prenda posizione su un settore di interesse pubblico (difesa dei diritti dell’uomo, protezione dell’ambiente, ecc.).
Lo stesso articolo ha inoltre istituito la figura del Mediatore europeo la cui attività mira a garantire la protezione dei diritti dei cittadini in caso di cattiva amministrazione nell’azione delle istituzioni e degli organismi dell’Unione. VITA QUOTIDIANA
Se un cittadino europeo ritiene di essere stato discriminato dalle istituzioni dell’Unione europea o di aver subito un abuso di potere o che alcune procedure siano state irregolari, può denunciare il caso al Mediatore europeo. Sulla base di questo presupposto, recentemente, su denuncia delle
associazioni di apicoltori austriaci, il Mediatore ha aperto un’istruttoria volta a verificare se la Commissione europea abbia intrapreso tutte le misure legislative per fronteggiare la moria delle api potenzialmente correlata all’utilizzo di certi insetticidi (i neonicotinoidi).
Lezione 1 L’Unione europea
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Rifugiati Secondo l’Articolo 1 della Convenzione di Ginevra del 1951, il rifugiato è colui che «temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese; oppure che, non avendo cittadinanza e trovandosi fuori del Paese in cui aveva residenza abituale a seguito di tali avvenimenti, non può o non vuole tornarvi per il timore di cui sopra».
Secondo quanto stabilito dallo stesso Trattato, i diritti sopra elencati non costituiscono un numero chiuso, ma sono sempre suscettibili di essere integrati. Lo status di cittadino europeo ha oggi un contenuto effettivo grazie al riconoscimento dei diritti espresso con chiarezza a Nizza nel dicembre 2000, quando il Consiglio europeo ha solennemente proclamato la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Sotto sei rubriche (Dignità, Libertà, Uguaglianza, Solidarietà, Cittadinanza, Giustizia), i 54 articoli della Carta definiscono i valori fondamentali dell’Unione europea e i diritti civili, politici, economici e sociali dei suoi cittadini. I primi articoli riguardano la dignità umana, il diritto alla vita e all’integrità della persona, la libertà di espressione e di coscienza. Il capitolo sulla solidarietà incorpora diritti economici e sociali come: il diritto di sciopero, il diritto dei lavoratori all’informazione e alla consultazione, il diritto di conciliare vita familiare e vita professionale, il diritto all’assistenza sanitaria, alle prestazioni di sicurezza sociale e all’assistenza sociale in tutta l’Unione. La Carta promuove l’uguaglianza fra uomini e donne e introduce diritti come la protezione dei dati, il divieto delle pratiche eugenetiche e della clonazione riproduttiva degli esseri umani, la tutela dell’ambiente, i diritti del bambino e degli anziani, il diritto a una buona amministrazione. Il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1°
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Carta dei diritti fondamentali dell’UE In occasione del Consiglio europeo di Colonia (4 giugno 1999) si è dato avvio al processo di elaborazione della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, la cui stesura è stata affidata ad un organismo costituente composto da 64 membri di tutti i paesi. La Carta, la cui finalità generale risiede nel dare legittimazione all’Unione europea, prefigura il riconoscimento di importanti diritti per tutti i cittadini,
da quelli sociali per i lavoratori a quelli di informazione, di difesa dell’ambiente e di libera ricerca scientifica, in un’ottica di indivisibilità degli stessi. L’importanza della Carta è da intendersi anche nella direzione della costruzione di una scala di valori comuni, base della possibile futura Costituzione europea. Composta da 54 articoli, la Carta è stata discussa e approvata a Nizza il 7 dicembre 2000.
PREAMBOLO Individua i valori comuni (di dignità umana, di libertà, di eguaglianza e di solidarietà) in cui si riconoscono tutti gli Stati membri dell’Unione europea. Tali valori, indivisibili e universali, pongono la persona al centro della UE e riconoscono come fondamento il rispetto della diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli europei.
CAPO I: DIGNITÀ [ARTT. 1-5]
CAPO II: LIBERTÀ [ARTT. 6-19]
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• Inviolabilità della dignità umana • Diritto alla vita • Rifiuto della tortura e di ogni altra pena disumana • Divieto della schiavitù e del lavoro forzato • Diritto alla libertà personale e alla sicurezza • Diritto alla privacy, alla libertà di espressione e informazione • Diritto alla libertà di coscienza religiosa • Diritto alla libertà di riunione e associazione • Diritto alla libertà delle arti, delle scienze e dell’istruzione • Diritto alla libertà di lavoro e alla proprietà
PARTE 5_La comunità Internazionale
dicembre 2009, dà alla Carta la stessa forza giuridica dei trattati. In questo modo può essere usata come base per portare un caso dinanzi alla Corte di Giustizia dell’UE [ CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UE].
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Il diritto d’asilo L’accordo di Schengen fissa anche le regole per l’accesso negli Stati membri dei cittadini non UE, i limiti alla loro libertà di circolazione e al loro soggiorno e le richieste di asilo. Qualunque persona fugga da persecuzioni o danni gravi nel proprio paese d’origine ha il diritto di chiedere protezione internazionale. L’asilo è un diritto fondamentale, riconosciuto alle persone che soddisfano i criteri stabiliti dalla Convenzione di Ginevra del 1951 relativamente allo status dei rifugiati►. Si tratta di un obbligo internazionale per gli Stati aderenti, tra cui figurano gli Stati membri dell’UE. Il diritto di asilo è garantito dall’art. 18 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE. La Convenzione di Schengen e la Convenzione di Dublino si sono occupate di protezione dei rifugiati, definendo e regolamentando le
CAPO III: UGUAGLIANZA [ARTT. 20-26]
CAPO IV: SOLIDARIETÀ [ARTT. 27-38]
CAPO V: CITTADINANZA [ARTT. 39-46]
CAPO VI: GIUSTIZIA [ARTT. 47-50]
CAPO VII: DISPOSIZIONI GENERALI [ARTT. 51-54]
• Uguaglianza davanti alla legge • Rifiuto di ogni forma di discriminazione • Rispetto delle diversità culturali, religiose, linguistiche • Parità uomo/donna • Diritti dei bambini, degli anziani e dei disabili • Diritto alla libertà di lavoro e alla proprietà • Diritto dei lavoratori all’informazione, alla consultazione, alla negoziazione, alle azioni collettive, alla tutela contro i licenziamenti ingiustificati, a condizioni di lavoro giuste ed eque, alla protezione della vita professionale e familiare, alla sicurezza sociale e all’assistenza • Divieto del lavoro minorile • Tutela dell’ambiente • Protezione dei consumatori • Diritto di voto e di eleggibilità • Diritto ad una buona amministrazione • Diritto di accesso ai documenti • Diritto di petizione • Diritto alla libertà di circolazione e soggiorno • Tutela diplomatica e di soggiorno • Diritto al ricorso e ad una giustizia imparziale • Diritto alla difesa e alla presunzione di innocenza • Principio della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene • Diritto a non essere giudicato e punito due volte per lo stesso reato • Individuano l’ambito di applicazione della Carta (organi e istituzioni della UE nel rispetto del principio di sussidarietà) • Stabiliscono la portata e i limiti della protezione dei diritti garantiti • Stabiliscono il divieto dell’abuso di tali diritti
Lezione 1 L’Unione europea
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FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Il sistema di asilo europeo Dal 2015 l’UE sta ricevendo il più grande flusso di rifugiati e migranti mai registrato in Europa dalla seconda guerra mondiale. La crisi dei rifugiati ha messo in grande difficoltà il sistema di asilo europeo e da più parti si richiede una riforma per renderlo più equo ed efficace. Ad essere ritenuta inadeguata è la Convenzione di Dublino del 1990 che, per come era stata pensata, è risultata iniqua nella distribuzione delle richieste d’asilo tra gli Stati membri. Il problema principale nasce dal fatto che il “sistema Dublino” non era stato progettato per distribuire le domande di asilo fra i paesi membri; così, quando il numero dei rifugiati in arrivo è aumentato vertiginosamente, i paesi di frontiera come Italia e Grecia hanno cominciato a non farcela più ad accogliere tutti i richiedenti. Nel Trattato sull’Unione europea del 1992, la materia dell’asilo è perseguita attraverso la cooperazione intergovernativa, in forma di azioni comuni oppure di risoluzioni del Consiglio d’Europa. Negli anni, numerose risoluzioni sono state emesse allo scopo di limitare progressivamente il diritto di asilo ai soli richiedenti che arrivano direttamente dal loro paese di origine, e a stabilire quali paesi possano essere considerati “sicuri”, nel senso che vi si possano escludere circostanze tali da giustificare una richiesta di asilo. Il regolamento di Dublino è l’elemento centrale del sistema di asilo europeo e stabilisce quale sia lo Stato membro responsabile per l’elaborazione delle richieste di protezione internazionale. Il principio generale è che qualsiasi domanda di protezione internazionale ricade in primo luogo sullo Stato che ha espletato il ruolo maggiore relativamente all’ingresso e al soggiorno del richiedente nel territorio degli Stati membri; in altre parole, la richiesta di asilo per un migrante proveniente da un paese terzo deve essere fatta nel primo paese dell’Unione in cui mette piede. Al fine di stabilire in quale Stato membro sia avvenuto il primo ingresso in Europa di una persona richiedente asilo, è di fondamentale importanza la fase dell’identificazione dei richiedenti. A tale fine è stata creata l’Eurodac, una banca dati centrale destinata a registrare i dati e le impronte di chiunque attraversi irregolarmente le frontiere di uno Stato membro o presenti richiesta di protezione internazionale. Nel caso in cui l’identificazione non avvenga, come spesso accade, qualunque elemento (un biglietto del treno o uno scontrino) sia in grado di testimoniare il passaggio dal
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PARTE 5_La comunità Internazionale
territorio di uno Stato europeo è sufficiente a determinare la competenza ad accogliere la domanda di protezione internazionale dello Stato membro; se in base al racconto del richiedente o ad altri elementi, come le impronte, emergono dubbi sulla competenza si apre una fase di accertamento, in base al quale le autorità, individuato il paese dove il richiedente asilo è già stato segnalato, chiederanno alle relative autorità di prendersi carico della domanda e, se la risposta sarà positiva, verrà emesso un provvedimento di trasferimento verso quel paese con il conseguente trasferimento effettivo del richiedente. Lo Stato membro competente è obbligato a prendere in carico il richiedente che ha presentato richiesta di protezione in un altro Stato. Ad esempio, un cittadino straniero che è entrato in maniera irregolare in Italia e che poi si è recato in Germania dove ha presentato richiesta di asilo dovrebbe, in teoria, essere trasferito in Italia. Allo stato attuale delle cose una persona a cui sia riconosciuta la protezione internazionale da uno Stato membro europeo deve vivere in quel paese, in quanto può circolare per tre mesi all’interno dell’Unione, ma non si può trasferire legalmente in nessun altro Stato per lavorare, studiare o vivere stabilmente. Questo significa che, salvo eccezioni, lo Stato individuato dal regolamento di Dublino come competente a esaminare la domanda sarà poi anche lo Stato in cui la persona dovrà restare una volta ottenuta la protezione, per cui un cittadino eritreo riconosciuto come rifugiato dall’Italia non ha la libertà di stabilirsi entro i confini europei, per esempio in Svezia, avvalendosi dei diritti garantiti dal suo status. Questo perché, nell’ordinamento dell’Unione non esiste il principio del mutuo riconoscimento della protezione e ai beneficiari della protezione internazionale non è stata riconosciuta la libertà di soggiorno in altri Stati membri. A fronte delle evidenti criticità, sia per i richiedenti, sia per i paesi di prima accoglienza, l’Unione europea e il Parlamento europeo stanno lavorando per migliorare il Sistema europeo comune di asilo per rispondere all’attuale crisi dei migranti. Al centro della possibile riforma, la proposta della Commissione europea basata sul cosiddetto “meccanismo correttivo di assegnazione” grazie al quale gli Stati membri possono condividere la responsabilità dei rifugiati in base alle risorse e alla popolazione del paese.
competenze e responsabilità degli Stati membri in ordine all’ammissione alla procedura d’asilo dei diversi richiedenti. Gli Stati membri dell’UE hanno così concordato una politica comune in materia di asilo in modo che esso sia frutto di procedure eque ed efficaci in tutto il territorio dell’Unione. In base al sistema europeo comune di asilo (CEAS) per la regolamentazione delle persone provenienti da paesi terzi si deve innanzitutto fare riferimento al regolamento di Dublino, entrato in vigore il 1° gennaio 2014, che definisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l’esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide, e per le condizioni di accoglienza, per i richiedenti asilo, che garantiscano loro l’accesso a un alloggio, al vitto, a un lavoro e all’assistenza sanitaria. La qualifica di rifugiato prevede una serie di diritti per i beneficiari quali permessi di soggiorno, documenti di viaggio, accesso al lavoro e all’istruzione, previdenza sociale e assistenza sanitaria [ IL SISTEMA DI ASILO EUROPEO, p. 148].
GUIDAALLOSTUDIO Rispondi oralmente o per iscritto alle domande o individua e sottolinea nel testo la risposta: ► Qual è la struttura istituzionale dell’UE? ► Quali sono gli ambiti di intervento delle politiche comunitarie? ► In che cosa consiste la politica di codecisione? ► Quali sono gli atti normativi dell’UE? ► Cosa si intende per mercato unico europeo? ► Perché imprese, consumatori e lavoratori hanno un vantaggio dal mercato unico? ► Quali sono le funzioni della BCE? ► Quale trattato riconosce la cittadinanza europea? ► Cosa definisce la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea? ► Cosa stabilisce l’accordo di Schengen?
Lezione 1 L’Unione europea
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LEZIONE 2 L’ORGANIZZAZIONE DELLE NAZIONI UNITE
L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU o Nazioni Unite) è nata nel 1945 dopo la fine della seconda guerra mondiale con lo scopo di assicurare il mantenimento della pace tra gli Stati, favorire la cooperazione internazionale per lo sviluppo economico e sociale e sostenere i diritti dell’uomo. All’interno del sistema delle relazioni internazionali l’ONU e la più importante organizzazione governativa.
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Il sistema delle organizzazioni nazionali Oggi gli Stati intrattengono tra loro una serie di rapporti, diplomatici ed economici, al fine di garantire la cooperazione e la pace. Le relazioni internazionali costituiscono il fondamento della comunità internazionale rappresentata dall’insieme degli Stati e delle altre organizzazioni e istituzioni che costruiscono relazioni reciproche. Gli Stati (sovrani e indipendenti) sono posti, almeno formalmente, su un piano di parità: ogni Stato, qualunque sia la sua forza economica e militare, è infatti considerato giuridicamente uguale agli altri. In questo contesto si colloca il sistema delle organizzazioni internazionali, un complesso di istituzioni grazie alle quali gli Stati realizzano forme di cooperazione idonee a soddisfare esigenze e interessi comuni. Nate dalla necessità delle nazioni e dei Governi di avere un contesto neutrale dove dibattere e prendere in considerazione interessi reciproci, nel corso degli anni, fattori quali la consapevolezza dell’interdipendenza delle singole economie nazionali, la coscienza di dover fronteggiare i comuni pericoli, i progressi della scienza e della tecnica, la certezza della indivisibilità della pace e del benessere umano ne hanno determinato un forte sviluppo. Le organizzazioni internazionali si distinguono in: ► organizzazioni governative (OG) , gestite direttamente da autorità statuali come le Nazioni Unite o l’Unione europea, sono regolate dal diritto pubblico internazionale, che quindi ne determina la capacità di azione relativa al loro specifico settore; ► organizzazioni non governative (ONG) , affidate al volontariato dei
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privati, fanno capo al diritto internazionale privato in quanto non necessitano di un riconoscimento formale, dato che nascono nella società civile e si occupano di varie forme di solidarietà e sviluppo sociale come Amnesty International, Medici Senza Frontiere, Greenpeace, e altre. Sostenute dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), dall’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (OSCE) e dall’opinione pubblica internazionale, esse operano senza coinvolgimento ufficiale degli Stati, conquistando un ruolo sempre più importante nelle relazioni internazionali. In base allo scopo, le organizzazioni – se aperte a tutti gli Stati o a tutti i cittadini del mondo con il fine della cooperazione e della promozione della pace – sono definite universalistiche (è il caso dell’ONU); se concentrate su una specifica tematica, si definiscono, invece, specialistiche (è il caso degli istituti specializzati dell’ONU: Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura; Organizzazione mondiale della sanità; Fondo per l’alimentazione e l’agricoltura; Organizzazione internazionale del lavoro, e così via).
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L’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU)
Società delle Nazioni La Società delle Nazioni fu la prima organizzazione internazionale, voluta dalle potenze vincitrici della prima guerra mondiale. Fu istituita con un trattato entrato in vigore nel gennaio 1920. Il suo principale scopo era il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. Tra le cause del suo fallimento, la mancanza di un sistema di sanzioni per gli Stati che violavano gli accordi.
Fondata il 24 giugno 1945, all’indomani della fine della seconda guerra mondiale dalle 5 potenze vincitrici (USA, URSS, Gran Bretagna, Francia e Cina) con lo scopo di favorire la cooperazione tra gli Stati ed evitare nuovi scontri militari, l’ONU è l’organizzazione intergovernativa più importante ed estesa al mondo. Nota anche come Nazioni Unite, ha sede a New York; riunisce attualmente ben 193 Stati del mondo ed ha uffici di rappresentanza nelle principali città del pianeta. L’ONU nasce per gestire il nuovo ordine internazionale sorto dopo la seconda guerra mondiale, quello dell’egemonia USA e URSS e la conseguente divisione del mondo in blocchi o zone d’influenza, la cosiddetta guerra fredda; sostituisce la Società delle Nazioni►, organizzazione intergovernativa la cui attività diplomatica per la prevenzione delle guerre e per il controllo degli armamenti si era dimostrata fallimentare. Attiva nella tutela dello sviluppo della cooperazione internazionale in tema di giurisprudenza, sicurezza, sviluppo economico, progresso sociale, difesa dei diritti umani e della pace, l’ONU è un’organizzazione con competenza generale e a vocazione universale; i suoi obiettivi, enumerati all’art. 1 della Carta (o Statuto), sono: mantenere la pace e la sicurezza internazionale; sviluppare relazioni amichevoli fra le nazioni, sulla base del rispetto dell’eguaglianza dei diritti e dell’autodeterminazione dei popoli; promuovere la cooperazione internazionale in materia economica, sociale e culturale; sostenere il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Nel perseguire tali scopi, l’unico limite è costituito dal divieto d’ingerenza (o principio del non intervento) nei rapporti o negli affari interni degli Stati; in base alle norme internazionali vigenti, gli Stati,
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Caschi blu
infatti, devono astenersi dall’intervenire in tutte quelle materie rientranti nei cosiddetti affari interni ed esterni di ogni altro Stato; in questi ambiti ogni Stato riafferma la propria sovranità (è il principio del riservato dominio). Tra le attività che contraddistinguono le Nazioni Unite, un ruolo rilevante hanno assunto le peacekeeping operations, ovvero le operazioni per il mantenimento della pace. Effettuate in Stati che per la gravità della situazione interna possono minacciare la pace e la sicurezza internazionale, queste operazioni vengono condotte dai cosiddetti Caschi blu, dal colore del copricapo, con cui sono meglio conosciute le forze di pace dell’ONU. Tali forze, composte da militari messi a disposizione dai paesi membri, ma operanti sotto le insegne dell’ONU, possono avere compiti di semplice osservazione e controllo, oppure essere incaricati di attuare «ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale» (art. 42 della Carta dell’ONU). Inviati, previo il consenso di tutte le parti belligeranti, nei paesi dove vi sono conflitti interni in atto, i Caschi blu, a differenza degli osservatori militari, sono dotati di armamenti leggeri da usare solo per autodifesa o nel caso in cui persone armate cerchino di impedire lo svolgimento dei loro compiti; inoltre, possono fare ricorso alle armi solo in circostanze eccezionali per cui sono autorizzati, ma non possono essere mai i primi a far uso della forza. Nel 1988, per la loro opera – che si è dimostrata efficace nel creare le condizioni necessarie per risolvere pacificamente controversie e nel monitorare l’attuazione di accordi di pace tra le parti – i Caschi blu hanno ricevuto il premio Nobel per la pace.
Il Palazzo di Vetro, sede dell’ONU a New York, disegnato dall’architetto Oscar Niemeyer
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La prima operazione delle Nazioni Unite, attiva ancora oggi, venne realizzata nel 1948 in Medio Oriente; da allora ad oggi ne sono seguite più di 50, di cui una decina tuttora in corso.
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Gli organi delle Nazioni Unite Data l’ampiezza e varietà dei compiti, l’ONU è dotata di una struttura articolata – finanziata attraverso le sottoscrizioni effettuate dagli stessi Stati membri – che, sulla base dell’art. 7 dello Statuto, distingue tra organi principali, stabiliti direttamente dallo Statuto che ne regola la composizione e le funzioni quali organi permanenti, e organi sussidiari, istituiti dai primi per lo svolgimento di funzioni specifiche. Tra gli organi sussidiari più rilevanti figura l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (United Nations High Commissioner for Refugees). Gli organi principali sono: ► l’ Assemblea generale , che è formata dai rappresentanti di tutti gli Stati aderenti e che si occupa di questioni inerenti alle dispute internazionali e alla sospensione o espulsione di membri;
ORGANI DELLE NAZIONI UNITE CONSIGLIO DI SICUREZZA
• È composto da 15 Stati membri di cui 5 (USA, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna) sono membri permanenti con diritto di veto e 10 sono eletti ogni 2 anni dall’Assemblea generale • Promuove la soluzione pacifica delle controversie internazionali • Interviene in caso di violazione della pace impiegando misure coercitive tra cui contingenti militari ASSEMBLEA GENERALE
• Composta da tutti gli Stati membri, ciascuno con diritto di voto • Delibera su tutte le questioni relative alla pace e alla sicurezza • Ha carattere sovranazionale: anche gli Stati dissenzienti sono vincolati dalle decisioni prese dalla maggioranza CORTE INTERNAZIONALE DI GIUSTIZIA
CONSIGLIO ECONOMICO SOCIALE
SEGRETARIATO GENERALE
Sede L’Aia Giudica le controversie tra Stati in base al diritto internazionale
Sede New York Promuove lo sviluppo economico, sociale, culturale e sanitario tra gli Stati aderenti
Sede New York Ha compiti sia politici che esecutivi. È eletto ogni 5 anni dall’Assemblea
ASSEMBLEA GENERALE 1 rappresentante per ogni Stato ELEGGE I membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza
I membri della Corte internazionale di giustizia
Il Segretario generale
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Embargo economico Secondo il Dizionario di Diritto internazionale dell’ONU, si intende per embargo «l’atto di potere di uno Stato che restringe, interrompe o dà per terminate le sue relazioni economiche e finanziarie con un altro paese. L’embargo totale o parziale sulle importazioni e/o esportazioni di tutte o alcune merci, armi o valute, il trasferimento di informazioni tecnicoscientifiche, diritti d’autore o di altra indole, determinati tipi di attività commerciali ed economiche; si applica nelle relazioni internazionali contemporanee come strumento di pressione economica o finanziaria, di coercizione e rappresaglia».
► il Segretariato delle Nazioni Unite , che è organizzato in un insieme di uffici e dipartimenti che guidano la gestione amministrativa dell’ONU; ► la Corte internazionale di Giustizia , che è il principale organo giudiziario dell’organizzazione e che ha la funzione di dirimere le dispute internazionali sorte tra gli Stati aderenti; ► il Consiglio economico e sociale , che è composto da 54 membri, nominati ogni tre anni, e che ha la funzione di coordinare le attività economiche e di politica sociale attuate sotto l’egida dell’ONU (tra le quali quelle portate avanti dalla FAO e dall’UNICEF); ► il Consiglio di Sicurezza , che ha la responsabilità del mantenimento della pace e ha anche il compito di decidere sanzioni o azioni contro i paesi che si macchiano di atti di aggressione militare o di minaccia della pace. È costituito da 15 membri, 10 dei quali sono eletti ogni due anni, mentre i restanti 5 sono “permanenti” (Cina, Russia, Regno Unito, Stati Uniti e Francia, ovvero i paesi che hanno vinto la guerra contro la Germania nazista) e hanno diritto di veto, ossia di bloccare qualsiasi decisione ritengano sgradita. Il Consiglio di Sicurezza è tenuto a incoraggiare la soluzione delle controversie attraverso negoziati, mediazioni, conciliazioni, arbitrati o con il ricorso al giudizio della Corte internazionale di Giustizia. Ciò nonostante, qualora esistano serie minacce alla pace, gli artt. 39-51 autorizzano il Consiglio ad attuare misure coercitive non militari (ad esempio, l’uso di sanzioni economiche o diplomatiche), e prevedono anche l’uso della forza contro i paesi che non si attengano alle misure prescritte. Tali misure, dette risoluzioni, possono consistere: – nell’embargo economico►: interruzione parziale o totale degli scambi economici con il paese responsabile della violazione; – nell’interruzione di tutte le comunicazioni: ferroviarie, marittime, postali, ecc.; – nell’interruzione dei rapporti diplomatici; – in operazioni militari, per garantire la pace attraverso l’impiego di contingenti messi a disposizione dagli Stati membri, i già citati Caschi blu.
VITA QUOTIDIANA
Il Consiglio di Sicurezza economica dell’ONU ha deciso, negli anni, una serie di sanzioni per evitare conflitti armati; non sempre, però, ci è riuscito. In particolare, meritano di essere ricordati: nel 1997, l’embargo nei confronti della Sierra Leone contro l’esportazione di diamanti, i cosiddetti “diamanti insanguinati”, estratti in zone di guerra e venduti clandestinamente per finanziare insurrezioni o invasioni e sostenere le attività dei signori della guerra; a partire dal 2006, una serie di risoluzioni nei confronti dell’Iran per far cessare
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l’arricchimento dell’uranio a fini di proliferazione nucleare. Tali risoluzioni sono state progressivamente accompagnate da misure restrittive allo scopo di convincere l’Iran ad ottemperare alle richieste; più recentemente, nel 2017, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha votato l’embargo contro la Corea del Nord in seguito all’attuazione di un test nucleare da parte del regime di Kim Jong-Un. Tale embargo proibisce la vendita e il commercio nel paese di armi missilistiche, carri armati e beni di lusso.
L’ONU, in ogni caso, non costituisce un Governo sovranazionale mondiale, bensì uno strumento di collaborazione e coordinamento tra gli Stati membri e, nel tempo, si è assistito ad un importante cambiamento di ruolo delle Nazioni Unite che si sono trasformate sempre più in un forum mondiale di dibattito. In questo ruolo, le Nazioni Unite hanno: ► contribuito notevolmente ad attutire gli attriti fra le superpotenze, favorendo il processo di disarmo e di controllo delle armi atomiche e biologiche; ► garantito lo spazio necessario affinché gli Stati di nuova indipendenza potessero entrare a pieno titolo negli affari internazionali, superando l’isolamento geografico e politico a cui li aveva costretti il regime coloniale; ► dato vita a conferenze mondiali di grande importanza come la Conferenza sull’ambiente (1972), la Conferenza sulla popolazione mondiale (1974), la Conferenza mondiale per l’anno della donna (1975), la Conferenza per gli insediamenti umani (1976), la Conferenza sulla desertificazione (1977), l’Assemblea mondiale sull’invecchiamento (1982) e il Forum mondiale per l’infanzia (1990). Nel 1992 più di cento Capi di Stato si sono radunati a Rio de Janeiro per la Conferenza sull’ambiente e lo sviluppo. ► istituito – dopo decenni di discussioni – la figura dell’Alto commissariato per i diritti umani (1993). La missione dell’Ufficio è lavorare per la protezione dei diritti umani per tutti; dare alle persone il potere di attuare i propri diritti e assistere coloro che ne sono responsabili a far sì che vengano messi in atto. I compiti delle Nazioni Unite sono delicati in quanto incidono sulla sovranità di ogni singolo Stato; per questo, per approvare una risoluzione è necessaria una maggioranza qualificata (almeno 9 voti favorevoli). Tuttavia, i rapporti tra gli Stati che fanno parte del Consiglio di Sicurezza non si svolgono su un piano di parità: il ricorso all’azione militare è regolato, come già detto, dal diritto di veto attribuito ai 5 membri permanenti del Consiglio. Il diritto di veto consiste nella possibilità che il voto contrario di uno di questi 5 Stati impedisca l’esecuzione delle risoluzioni.
VITA QUOTIDIANA
Il diritto di veto, dal 1945, è stato adoperato 280 volte ostacolando molte azioni di pace che l’ONU avrebbe dovuto effettuare. Gli Stati con potere di veto, spesso, hanno votato contro le risoluzioni quando nei conflitti erano in gioco i loro stessi interessi. Durante il periodo della guerra fredda, ad esempio, il ricorso al veto è
stato molto frequente da parte dell’URSS, mentre dopo la decolonizzazione c’è stato un aumento dei veti occidentali, soprattutto da parte degli Stati Uniti. Attualmente la prassi usata è quella del consensus, ovvero il portare avanti dei negoziati diretti ad evitare il voto.
Lezione 2 L’organizzazione delle nazioni unite
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Nel corso degli anni, a fronte di una situazione geopolitica globale radicalmente mutata, sempre più ci si interroga sull’effettività dei poteri delle Nazioni Unite e sulla concreta possibilità di agire per fronteggiare la crisi strutturale della società moderna; accusate di soffrire di un “deficit di democraticità e rappresentatività”, le Nazioni Unite sono anche imputate di essere in grado di funzionare solo a traino di singoli paesi e potenze. Ad essere sotto i riflettori è, innanzitutto, il meccanismo decisionale che attribuisce al Consiglio di Sicurezza – la cui composizione ristretta impedisce una adeguata valutazione degli interessi globali – la competenza ad adottare provvedimenti vincolanti sulle materie più importanti, mentre, al contrario, all’Assemblea generale – organo a composizione plenaria – è riservata l’adozione di risoluzioni che, di fatto, si risolvono in semplici esortazioni. Nonostante le critiche e alcuni fallimenti, è innegabile l’importanza del delicato ruolo che l’ONU svolge. Tuttavia, affinché l’azione di intervento dell’ONU sia resa più incisiva occorrono sostanziali modifiche organizzative. Gli attuali assetti e gli equilibri internazionali non si riflettono più, da tempo, nella composizione del Consiglio di Sicurezza. Per questo, si ritiene giunto il momento di procedere a una generale revisione dello Statuto dell’ONU e, in particolare, all’abolizione del diritto di veto e a una revisione della distribuzione della rappresentanza degli Stati nel Consiglio di Sicurezza. Solo così l’ONU potrà superare i limiti dimostrati nell’affrontare i conflitti e le crisi in atto nel mondo.
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Il sistema ONU Le azioni dell’ONU mirano anche alla cooperazione internazionale per lo sviluppo economico e sociale di tutti i paesi. La stabilità e il benessere sono considerati condizioni basilari per garantire la pace e presupposti per l’equilibrio tra tutti gli Stati. Oltre agli organismi previsti nello Statuto dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, è stato progressivamente istituito un ampio numero di agenzie, programmi e fondi specializzati nei diversi settori di interesse e di attività dell’Organizzazione. Alcuni dei fondi umanitari popolari sono l’UNICEF, l’UNHCR, l’UNDP e il WFP; accanto, una serie di agenzie specializzate associate all’ONU come FAO, FMI, ILO, ITU, UNESCO [ LEZIONE 2.1, p. 217], UNIDO, OMS e gruppo della Banca mondiale. Le diverse organizzazioni che compongono la grande famiglia delle Nazioni Unite si occupano di questioni molto diverse tra loro: dalla protezione del lavoro ai servizi postali, dalla scienza, la cultura e l’educazione alle telecomunicazioni e al turismo. Si tratta di organizzazioni autonome che lavorano con l’ONU, e collaborano vicendevolmente, coordinandosi attraverso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (ECOSOC).
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IL SISTEMA ONU FAO Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura FMI Fondo monetario internazionale
Ha il compito d’incrementare i livelli nutrizionali e le condizioni di vita delle popolazioni rurali, contribuendo all’eliminazione della fame nel mondo
Unitamente alla Banca Mondiale, quest’organismo costituisce l’istituzione finanziaria delle Nazioni Unite
ILO Organizzazione internazionale del lavoro
Ha lo scopo di raccomandare norme e redigere convenzioni internazionali riguardanti il campo del lavoro
BIRS Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo
Organismo che, tra i suoi scopi, ha il generale compito di favorire il miglioramento delle risorse economiche, della capacità produttiva e delle condizioni di vita dei paesi in via di sviluppo
UNESCO Organizzazione mondiale per l’educazione, la scienza e la cultura
Ha il compito di diffondere l’istruzione, di conservare le identità culturali nazionali e promuovere gli scambi culturali tra gli Stati
UNIDO Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale
Ha il compito di promuovere il progresso industriale nei paesi in via di sviluppo
OMS Organizzazione mondiale per la sanità
Ha il compito di promuovere la cooperazione internazionale per il miglioramento e la protezione della salute dei popoli
UNICEF Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia
Sorto per aiutare i bambini e gli adolescenti vittime della seconda guerra mondiale, oggi l’UNICEF aiuta i Governi a istituire servizi di base in campo sanitario, alimentare, igienico ed educativo
UNHCR Agenzia per i rifugiati
Creata dall’Assemblea Generale nel 1950, è da sempre l’organizzazione che aiuta i Governi a trovare soluzioni permanenti per i rifugiati, persone costrette a fuggire dai loro paesi
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La protezione dei diritti dell’uomo I diritti umani sono diritti fondamentali riconosciuti ad ogni persona e indispensabili alla dignità di ognuno; rappresentano il riconoscimento di aspirazioni irrinunciabili dell’uomo e per questo considerati diritti naturali, cioè propri dell’uomo e inviolabili. Se i diritti umani godono, nell’epoca attuale, di protezione è anche grazie
Lezione 2 L’organizzazione delle nazioni unite
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L’Africa rompe i ceppi della colonizzazione
alla solennità con cui l’ONU ha proclamato questi diritti, attraverso la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 che, per la prima volta nella storia dell’umanità, riconosce la responsabilità della comunità internazionale nella difesa dei diritti dell’uomo, attribuendo alle Nazioni Unite l’obbligo permanente della difesa dei diritti umani, in ogni angolo del mondo. I 30 articoli della Dichiarazione hanno condotto all’affermazione dell’inviolabilità della dignità dell’uomo quale principio etico e radice di tutti i diritti. L’importanza della Dichiarazione, pur se priva di effetti obbligatori (avendo il carattere di raccomandazione internazionale), è testimoniata dall’influenza che ha avuto su leggi e Costituzioni del dopoguerra. I diritti umani proclamati nel 1948, infatti, sono stati inseriti dapprima in una serie di garanzie internazionali e progressivamente attuati grazie a un sistema di leggi vincolanti, frutto di patti che l’ONU ha stipulato con i vari Stati. Nel 1966 furono predisposti due patti, quello sui diritti civili e politici e quello sui diritti economici, sociali e culturali, che, però, entrarono in vigore molti anni dopo. Entrambe le tipologie, pur essendo trattate separatamente, sono considerate interdipendenti e indivisibili. ► Con il Patto sui diritti civili e politici, ogni paese s’impegna a far sì che i suoi abitanti siano protetti per legge contro ogni trattamento crudele, inumano o degradante. Il Patto riconosce il diritto di ogni essere umano alla vita, alla libertà, alla sicurezza della sua persona e al rispetto della sua vita privata. Inoltre vieta la schiavitù, garantisce il diritto ad un processo equo e protegge gli individui contro ogni arresto o detenzione arbitraria. Riconosce la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, la libertà di opinione, di espressione e di associazione, il diritto di riunione pacifica e di emigrazione. ► Con il Patto sui diritti economici, sociali e culturali ogni paese ha il dovere di favorire il miglioramento delle condizioni di vita dei suoi abitanti. Il Patto riconosce il diritto di ogni persona al lavoro, a un equo salario, alla sicurezza sociale, a un livello di vita adeguato – mettendolo in particolare al riparo dalla fame – nonché alla salute e all’istruzione.
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VITA QUOTIDIANA
I diritti dell’uomo sono oggi riconosciuti in Patti internazionali e Convenzioni, nonché inseriti in tutte le Costituzioni degli Stati contemporanei, ma il rischio della violazione della dignità dell’uomo è sempre presente come dimostrano gli abusi, le violenze e le discriminazioni che affliggono individui e intere comunità. È il caso, ad esempio, delle nuove forme di schiavitù che, ai giorni nostri, hanno il nome di “mercato illegale del lavoro”, anche minorile, senza tutela e senza diritti, oppure di “mercato della pedofilia”, o anche di “mercato del sesso”, che vede coinvolte soprattutto donne, indotte alla prostituzione perché costrette dalla povertà dei paesi d’origine e ingannate con la promessa di un lavoro. Lo
sfruttamento degli individui provoca molte violazioni dei diritti umani: la schiavitù di fatto viola diritti inalienabili come il diritto alla vita, quello alla dignità e alla sicurezza, il diritto alla salute e all’eguaglianza. Il fenomeno del traffico degli esseri umani è in costante aumento; le sue vittime sono quasi sempre giovani donne e minori, destinati ad alimentare il business dello sfruttamento sessuale. Lo schiavismo moderno ha tante facce e, soprattutto, non conosce frontiere e non conosce età. Nel 2018 – secondo l’Organizzazione internazionale del lavoro (ILO) e la Walk Free Foundation – 40,3 milioni di persone nel mondo sono state vittime di “schiavitù moderna”, includendo in questo dato anche i matrimoni forzati e il lavoro forzato.
Tra i princìpi proclamati dalla Dichiarazione, importante è quello dell’ autodeterminazione dei popoli , che sancisce il diritto di un popolo sottoposto a dominazione straniera a ottenere l’indipendenza, associarsi a un altro Stato o comunque a poter scegliere autonomamente il proprio regime politico. Il principio di autodeterminazione dei popoli si è sviluppato compiutamente a partire dalla seconda metà del secolo scorso alla fine della seconda guerra mondiale. Grazie all’ONU, che ne ha promosso lo sviluppo all’interno della comunità degli Stati, ha favorito il processo di decolonizzazione attraverso il quale diversi territori sottoposti a regime coloniale hanno acquistato l’indipendenza politica, economica e tecnologica dal pae se ex-colonizzatore. Al momento della sua approvazione, gli Stati che sottoscrissero la Dichiarazione non furono tutti quelli che aderivano all’ONU: dei 58 Stati membri molti votarono contro o si astennero. Oggi, invece, la Dichiarazione ha l’approvazione di tutti gli Stati del mondo che, almeno idealmente, vi aderiscono.
VITA QUOTIDIANA
La decolonizzazione politica ebbe inizio nel secondo dopoguerra, con l’indipendenza dell’India, nel 1947, e si concluse nel 1997, con la restituzione di Hong Kong alla Cina. Dopo la seconda guerra mondiale le potenze europee che avevano costituito i loro imperi coloniali in Africa e Asia non furono più in grado di mantenerne il controllo perché indeboliti; inoltre la nascita dei primi movimenti nazionalisti aumentò la diffusione del
sentimento nazionale e del desiderio di indipendenza stimolato dalla lotta al nazifascismo in difesa della democrazia. ll processo di decolonizzazione durò circa quarant’anni e in alcuni casi l’indipendenza fu raggiunta per via pacifica con trattative tra la madrepatria e i gruppi dirigenti locali (Gran Bretagna). In altri casi avvenne per via violenta con una guerra di liberazione (Francia e Portogallo opposero dura resistenza).
Lezione 2 L’organizzazione delle nazioni unite
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GUIDAALLOSTUDIO Rispondi oralmente o per iscritto alle domande o individua e sottolinea nel testo la risposta: ► Cosa si intende per comunità internazionale? ► Perché alcuni Stati hanno capacità di controllo su altri? ► Cos’è stata la Società delle Nazioni? ► Quale ragione spinse gli Stati a creare l’ONU? ► Quali sono i fini dell’ONU? ► Quale limite generale incontra l’azione dell’ONU? ► Chi sono i Caschi blu? ► Quale organo dell’ONU promuove lo sviluppo degli Stati aderenti? ► Da quali Stati è composta l’Assemblea generale dell’ONU? Quali compiti ha? ► A quale organo dell’ONU è affidata la promozione della pace? ► Cosa sono le risoluzioni dell’ONU? ► Quali sono le principali critiche alle azioni dell’ONU? ► In cosa consiste il diritto di veto? A quali Stati è concesso? ► Cosa rappresenta la Dichiarazione universale dei diritti umani? ► Quali furono i due Patti internazionali adottati dall’Onu nel 1966? Cosa determinarono? ► Quali sono i crimini contro l’umanità secondo l’ONU? ► Quale funzione svolgono le organizzazioni a difesa dei diritti umani? ► Quali sono oggi alcuni casi di violazione dei diritti dell’uomo? ► Quali rischi si possono presentare per i diritti umani nel futuro?
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LEZIONE 3 LE ALTRE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI GOVERNATIVE E LE ONG Le organizzazioni internazionali governative – che sono circa 150 – si occupano di una vasta gamma di materie che spaziano dalle questioni politico-militari a quelle economico-finanziarie, dallo sviluppo sociale al settore umanitario, per arrivare infine al settore ambientale e a quello scientifico e tecnico. Regolate dal diritto pubblico internazionale, che quindi ne determina la capacità di azione, alcune – per effetto di precisi accordi – sono legate all’Organizzazione delle Nazioni Unite, seppure da questa giuridicamente, organizzativamente e finanziariamente autonome; le organizzazioni non governative (ONG) hanno una natura privata, senza fini di lucro, e operano in maniera indipendente sia dagli Stati, sia dalle organizzazioni governative internazionali. Diversi sono gli ambiti in cui operano. Le più note sono quelle che si occupano di temi ambientali e di diritti umani.
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La NATO Conosciuta anche come “Patto Atlantico”, è un’organizzazione internazionale intergovernativa che si occupa della difesa militare a favore di quei paesi in situazione di crisi e delle implementazioni delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU; istituita con il Trattato Nord-Atlantico del 4 aprile 1949, da 12 Stati (l’Italia è uno dei 12 paesi fondatori), oggi conta 29 Stati membri per i quali rappresenta uno strumento di dife-
Il principio di difesa collettiva Caposaldo dell’Alleanza, il principio di difesa collettiva è sancito dall’art. 5 del Trattato di Washington, in virtù del quale: «Le parti convengono che un attacco armato contro una o più di esse in Europa o nell’America settentrionale sarà considerato come un attacco diretto contro tutte le parti, e di conseguenza convengono che se un tale attacco si producesse, ciascuna di esse, nell’esercizio del diritto di legittima
difesa, individuale o collettiva, riconosciuto dall’art. 51 dello Statuto delle Nazioni Unite, assisterà la parte o le parti attaccate, intraprendendo immediatamente, individualmente e di concerto con le altre parti, l’azione che giudicherà necessaria, compreso l’uso delle forze armate, per ristabilire e mantenere la sicurezza nella regione dell’Atlantico settentrionale. Ogni attacco armato di questo genere e tutte le misure prese in conseguenza di esso saranno immediatamente portate a conoscenza del Consiglio di Sicurezza. Queste misure termineranno allorché il Consiglio di Sicurezza avrà preso le misure necessarie per ristabilire e mantenere la pace e la sicurezza internazionali».
Lezione 3 Le altre organizzazioni internazionali governative e le ong
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sa collettiva e di cooperazione militare reciproca, nonché luogo di dialogo politico. L’organo di vertice dell’Alleanza – che ha sede a Bruxelles, in Belgio – è il Consiglio Atlantico (NAC), presieduto dal Segretario Generale dell’organizzazione. Ad oggi, l’unico caso di attivazione dell’art. 5 da parte del Consiglio Atlantico si è realizzato dopo l’attacco terroristico dell’11 settembre 2001 alle Torri Gemelle. A seguito delle trasformazioni che hanno interessato il panorama internazionale dopo la fine della guerra fredda, l’Alleanza ha intrapreso un percorso di adattamento che individua tre funzioni principali (core tasks): deterrenza e difesa, gestione delle crisi e sicurezza cooperativa.
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Fondo monetario internazionale (FMI) Il Fondo monetario internazionale ha il compito di fornire ai Governi assistenza tecnica e consigli in ambito finanziario. Istituito, insieme alla Banca mondiale, a seguito degli accordi presi a Bretton Woods nel 1944, ha come obiettivo primario la promozione della stabilizzazione delle relazioni monetarie e finanziarie internazionali. Attualmente svolge attività di sorveglianza, esercitata sia nei riguardi dei singoli paesi sia nei riguardi del sistema economico globale, mettendone di volta in volta in luce i possibili fattori di vulnerabilità; fornisce anche attività di assistenza finanziaria dei paesi membri al fine di attenuare gli squilibri. Con l’esplosione della crisi debitoria nei primi anni Ottanta del Novecento, il FMI è diventato di fatto il gestore delle crisi finanziarie a livello globale. In questo ruolo è continuo il lavoro di osservazione e misurazione delle prestazioni economiche dei suoi 187 Stati membri. Assieme alla Banca mondiale, il Fondo monetario internazionale si propone oggi come il vero potere che si occupa delle grandi questioni mondiali (economia, ambiente, occupazione, pace) indirizzando le attività dell’ONU a compiti umanitari (aiuti d’emergenza, soccorso a rifugiati, interventi umanitari).
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La Banca mondiale (BM) Istituita nel 1945, col nome di Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo (BIRS), inizialmente per sostenere la ricostruzione dei paesi usciti devastati dal conflitto mondiale, è oggi tra le principali organizzazioni internazionali per il sostegno allo sviluppo e la riduzione della povertà; attualmente ne fanno parte 181 paesi. Una volta completata la ricostruzione delle economie dei paesi europei e del Giappone, la BM ha diretto la propria azione verso i paesi in via di sviluppo (PVS); tra le sue funzioni, infatti, c’è quella di gestire il prestito di danaro ai paesi, in genere apparte-
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nenti al Sud del mondo, e pianificare il saldo del debito. Nel tempo, l’azione della BM si è gradualmente focalizzata intorno a tematiche quali lo sviluppo del capitale sociale e del capitale umano, la crescita del settore privato, il miglioramento della capacità di governo e l’alleggerimento del debito. La BM è formalmente un’Agenzia specializzata delle Nazioni Unite, ma – a differenza del sistema ONU – il voto in seno alla BM è ponderato sulla base delle quote di capitale dei suoi membri. Diversamente da altri donatori internazionali, la BM concede assistenza in minima parte sotto forma di dono, preferendo elargire crediti o direttamente ai Governi dei paesi membri o a favore di progetti da questi sostenuti. La BM incentiva comunque i Governi a collaborare attivamente con la società civile e con il settore privato, al fine di favorire la diretta partecipazione delle popolazioni ai progetti sostenuti. Il principale organo decisionale della BM è il Consiglio dei Governatori nominati da ogni paese membro, per un periodo di 5 anni (l’Italia è rappresentata dal Governatore della Banca d’Italia), mentre l’organo che gestisce l’amministrazione è il Consiglio esecutivo composto da 24 Direttori eletti dai paesi membri. Le decisioni sono prese a maggioranza e il potere di voto è proporzionale alle quote.
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OCSE L’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) è un’organizzazione di studi economici per i paesi membri aventi in comune un sistema di governo democratico e un’economia di mercato. Essa svolge prevalentemente il ruolo di un’assemblea consultiva e di confronto delle esperienze politiche, per la risoluzione dei problemi comuni, l’identificazione di pratiche commerciali e il coordinamento delle politiche locali e internazionali dei paesi membri. La missione dell’OCSE è quindi la promozione, a livello globale, di politiche che migliorino il benessere economico e sociale dei cittadini attraverso alti livelli di crescita economica e di occupazione sostenibile, favorendo gli investimenti e la competitività e mantenendo al contempo la stabilità finanziaria. L’OCSE è stata istituita il 14 dicembre 1960 in sostituzione dell’OECE che, nel 1948, venne creata per amministrare il cosiddetto “Piano Marshall” per la ricostruzione postbellica dell’economia europea; dai 20 paesi iniziali, tra cui l’Italia, oggi conta su 36 paesi membri.
Lezione 3 Le altre organizzazioni internazionali governative e le ong
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Organizzazioni internazionali non governative Accanto all’ONU, altre organizzazioni nel mondo hanno l’obiettivo di garantire l’osservanza dei diritti umani, portando avanti istanze politico-sociali, spesso trascurate dai Governi. Sono tali le organizzazioni non governative (ONG) la cui forte spinta ideale è solitamente finalizzata all’obiettivo di contribuire allo sviluppo globale dei paesi socialmente ed economicamente più arretrati. La Banca mondiale le ha divise, indipendentemente dall’area di intervento, in due macro-categorie: ► le ONG operative lavorano direttamente sul campo per perseguire progetti e attività in linea con la propria mission. È il caso, ad esempio, della ONG che, per alleviare la povertà, fornisce aiuti alimentari ai bisognosi preoccupata di alleviare la povertà; ► le ONG di settore , portavoce di cause precise, agiscono principalmente come gruppi di pressione politica e contrapposizione critica dei Governi. Generalmente indipendenti sia dagli Stati che dalle altre organizzazioni sovranazionali, alcune di queste organizzazioni documentano le violazioni dei diritti umani e richiedono azioni riparatrici, sia a livello governativo che a livello popolare; il sostegno e la condanna pubblica verso gli abusi sono importanti per il successo delle loro azioni. Tutte sono impegnate anche a denunciare i crimini contro l’umanità che, secondo l’accezione data dall’ONU, sono compiuti quando si commettono in modo sistematico i seguenti atti: «la sofferenza, lo sterminio, la tortura, la riduzione in schiavitù, le persecuzioni per motivi politici, razziali, religiosi o etnici, la discriminazione istituzionale per motivi razziali etnici o religiosi che comportano la violazione delle libertà e dei diritti fondamentali dell’essere umano e che hanno come risultato di sfavorire gravemente una parte della popolazione, la deportazione forzata di popolazioni, la carcerazione arbitraria, il sequestro di persona, violenze, l’induzione alla prostituzione e tutte le altre forme di violenza sessuale, gli altri atti disumani che portino gravi danni all’integrità fisica e mentale, alla salute o alla dignità umana, come le mutilazioni o le sevizie gravi» (Rapporto ONU per la creazione di una Corte criminale internazionale permanente, 1988). Una caratteristica delle ONG, soprattutto se piccole, è che sono generalmente senza scopo di lucro (perché gestite da volontari); le grandi ONG internazionali, invece, sono formate da personale retribuito poiché necessitano di competenze specifiche per portare avanti il loro lavoro in maniera efficace ed efficiente. Ottengono almeno una parte significativa dei loro introiti da fonti private, per lo più donazioni di privati (fund raising, campagne, sostenitori, 5×1000, ecc.) oppure attraverso fondi pubblici provenienti perlopiù dall’UE, dal Ministero degli Affari esteri e dalla cooperazione decentrata (Regioni, Province, Comuni). Le ONG internazionali presenti e più conosciute in Italia sono, fra le altre, ActionAid, Medici Senza Frontiere, Amnesty International, WWF Italia, Save the Children Italia. In Italia le ONG vengono inquadrate come particolari onlus operanti nel settore della cooperazione allo sviluppo, sono riconosciute dal Ministe-
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PARTE 5_La comunità Internazionale
ro degli Esteri e inserite in un’apposita lista; la più antica è la Comunità di Sant’Egidio, altre famose sono la Caritas, Emergency, Legambiente e Nessuno tocchi Caino. L’obiettivo delle ONG, come per le Nazioni Unite, è quello di tutelare i diritti, che siano diritti umani o la protezione e la salvaguardia del nostro pianeta.
VITA QUOTIDIANA
A partire dal 2015 molte ONG si occupano di soccorrere i migranti nel tratto di mare che separa la Libia dall’Italia in base alla Convenzione di Amburgo del 1979 che prevede che gli sbarchi di persone soccorse in mare debbano avvenire nel primo “porto sicuro”; stazionando al largo della Libia – non appena ricevono notizia di un barcone strapieno di persone o, nei casi peggiori, di un naufragio – si coordinano con il Centro della Guardia Costiera italiana che gestisce gli interventi di soccorso in mare assumendosi formalmente il controllo delle operazioni. A meno di imprevisti – come l’intervento della Guardia Costiera libica, che “soccorre” i migranti per portarli in centri di detenzione, dove raramente si rispettano i diritti
umani – le persone soccorse vengono stipate a bordo di un barcone, fornite di cibo e vestiti e visitate sbrigativamente per valutare le loro condizioni. L’equipaggio di queste navi è formato da figure diverse, fra cui soccorritori, interpreti e personale medico (oltre che un buon numero di volontari). Le ONG (es.: Sea Watch e Proactiva Open Arms) coinvolte nei soccorsi nel Mediterraneo si sostengono grazie a piccole e grandi donazioni; alcune hanno alle spalle organizzazioni enormi come Save the Children e Medici Senza Frontiere, altre, più piccole, hanno bisogno di migliaia di donatori (Sos Méditerranée ha dichiarato di aver ricevuto, nel 2016, contributi da 13.800 donatori privati)
GUIDAALLOSTUDIO Rispondi oralmente o per iscritto alle domande o individua e sottolinea nel testo la risposta: ► Di cosa si occupano le organizzazioni internazionali governative? E quelle non governative? ► Qual è la finalità del Patto Atlantico? ► Quali sono le organizzazioni internazionali governative che hanno carattere economico-finanziario? Che differenze ci sono? ► Quali sono le istanze tipiche delle ONG?
Lezione 3 Le altre organizzazioni internazionali governative e le ong
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VERSOL’ESAMEDISTATO
Analisi e produzione di un testo argomentativo (tipologia B) Matteo Truffelli è presidente nazionale dell’Azione cattolica italiana.
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Tocca innanzitutto a noi, ai cittadini, rilanciare il progetto europeo, riscoprendo le ragioni del nostro stare insieme: quelle storiche, che sono ragioni di pace, di affermazione dei diritti, di arricchimento culturale, e non solo di benessere economico, e quelle che derivano dalle tante nuove sfide che abbiamo davanti. Tocca a noi credere fino in fondo all’importanza di continuare a camminare insieme per affrontare i nuovi tornanti che la storia ci pone davanti. Senza arretrare, senza rinunciare a fare del nostro continente uno spazio di promozione dei diritti, della libertà, della giustizia sociale. Non solo per noi, ma anche per gli altri continenti, a partire da quelli che si affacciano sul Mediterraneo. [...] «L’Europa non si farà in un giorno, né senza urti. Nulla di duraturo si realizza con facilità. Tuttavia essa è già in cammino». Sono parole scritte oltre mezzo secolo fa da Robert Schuman, uno dei “padri fondatori” dell’Unione europea. Non si nascondeva le asperità che si paravano innanzi a un progetto politico ambizioso e complesso, chiamato ad attraversare difficili tornanti della storia. Ma questa consapevolezza non lo faceva arretrare, anzi, alimentava in lui la convinzione che proprio dentro quelle difficoltà si sarebbero date le condizioni per un percorso in cui popoli e Stati avrebbero potuto lavorare alla costruzione di una “casa comune”, fondata sul desiderio condiviso di pace, libertà, democrazia e benessere. L’Europa è un cammino, ci ricorda Schuman, e ogni cammino è fatto anche di fatica, di ricerca della strada migliore, di qualche passo falso. [...] È proprio la complessità del tempo presente, in cui la cosiddetta globalizzazione ci porta fin sulla soglia di casa sfide mondiali, a dimostrarci ogni giorno che nessun Paese, oggi, può permettersi di procedere in solitudine. Per esistere e resistere in un mondo grande e complesso, oggi più che mai abbiamo bisogno di un’Europa unita. Negli anni recenti l’Ue ha mostrato tutti i suoi limiti di fronte alla crisi economica, alle pressioni migratorie, alle minacce del terrorismo. E ciò è avvenuto anche perché i governi degli Stati membri non hanno assegnato alle istituzioni comunitarie poteri e competenze adeguate per agire. Da qui il bisogno di cambiamenti, che vadano nella direzione di un’Europa più coesa, più efficace, più giusta. [...] Abbiamo bisogno che l’Europa torni ad essere “attrattiva”, capace di coinvolgere e appassionare i cittadini, le parti sociali, i territori che la compongono. Si avverte la necessità che l’europeismo torni a sgorgare dal basso, dalla condivisione di un sogno. Ben venga allora la promozione di una simbologia europea, la ricerca di volti, emblemi, progetti che consentano ai cittadini europei di identificarsi con la loro patria comune. Ma è ancora più necessario che le istituzioni europee riguadagnino credibilità agli occhi dei propri cittadini facendoli sentire rappresentati, raccogliendone ed esprimendone le istanze, i bisogni, le aspirazioni e le capacità. Abbiamo bisogno di istituzioni che siano più vicine alla gente e non solo ai governi, alle burocrazie o ai poteri economici. Abbiamo anche bisogno, però, di cittadini più vicini all’Europa. Per rilanciare il “cantiere Europa” occorre [...] più partecipazione, più senso di responsabilità, più coinvolgimento, razionale ed emotivo, da parte dei cittadini europei. Tocca innanzitutto a noi, ai cittadini, rilanciare il progetto europeo, riscoprendo le ragioni del nostro stare insieme: quelle storiche, che sono ragioni di pace, di affermazione dei diritti, di arricchimento culturale, e non solo di benessere economico, e quelle che derivano dalle tante nuove sfide che abbiamo davanti. Tocca a noi credere fino in fondo all’importanza di continuare a camminare insieme per affrontare i nuovi tornanti che la storia ci pone davanti. Senza arretrare, senza rinunciare a fare del nostro continente uno spazio di promozione dei diritti, della libertà, della giustizia sociale. Non solo per noi, ma anche per gli altri continenti, a partire da quelli che si affacciano sul Mediterraneo. [Testo tratto da Abbiamo bisogno di cittadini più vicini all’Europa, di Matteo Truffelli, in «AGENSIR.EU», del 28 febbraio 2019, in https://www.agensir.it/europa/2019/02/28/abbiamo-bisogno-di-cittadini-piu-vicini-alleuropa/]
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PARTE 5_La comunità Internazionale
► COMPRENSIONE E ANALISI
1. Cosa si afferma nel testo a proposito della difficoltà di costruire una casa comune europea? Quali argomenti vengono addotti per sostenere la tesi principale? 2. Nel corso della trattazione, l’autore sostiene che la «globalizzazione ci porta fin sulla soglia di casa sfide mondiali, a dimostrarci ogni giorno che nessun Paese, oggi, può permettersi di procedere in solitudine» (righe 17-19). Perché? Qual è il rischio che intravede? 3. Negli ultimi anni, l’Unione europea ha mostrato di avere dei limiti nell’affrontare le sfide economiche, migratorie e politiche. Quali le responsabilità? 4. Nel testo si afferma che per far crescere l’Europa c’è bisogno di cittadini più vicini all’Europa. Qual è l’atteggiamento che l’autore, Matteo Truffelli, esorta nei cittadini europei? ► PRODUZIONE
Condividi le considerazioni del presidente nazionale dell’Azione cattolica italiana, Matteo Truffelli, relativamente alla necessità di rilanciare il “cantiere Europa”? Alla luce delle tue conoscenze e delle tue esperienze dirette, ritieni effettivamente che tocchi ad ognuno di noi «continuare a camminare insieme per affrontare i nuovi tornanti che la storia ci pone davanti» e promuovere diritti per tutti? ► Argomenta i tuoi giudizi con riferimenti alla tua esperienza e alle tue conoscenze e scrivi un testo in cui tesi e
argomenti siano organizzati in un discorso coerente e coeso.
Simulazione di colloquio Finalità specifica del colloquio dell’Esame di Stato è consentire alla Commissione di verificare l’acquisizione dei contenuti e dei metodi delle discipline, nonché la capacità, critica e personale, di argomentare del candidato. È importante curare la capacità di esposizione e la coerenza delle argomentazioni esposte. L’esercizio da fare è, quindi, costruire una mappa concettuale, preferibilmente interdisciplinare, che consenta di fare collegamenti coerenti con il tema proposto. ► PROPOSTA A
Per avviare il colloquio, il materiale scelto dalla Commissione è una bandiera che, tra le altre – a partire dalla seconda metà del XX secolo –, è stata adoperata per simboleggiare la pace. Nello specifico, la bandiera con base l’arcobaleno era un simbolo di pace presso molte civiltà antiche e, per questo, spesso utilizzata da intellettuali e pacifisti in varie manifestazioni contro la guerra. Il simbolo della pace, scelto come spunto dalla Commissione, consente al candidato di esporre le proprie conoscenze, laddove possibile in chiave interdisciplinare, sul tema del rifiuto della guerra e sulle organizzazioni a difesa della pace.
VERSO L’ESAME DI STATO
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Di seguito la scaletta dei contenuti, trattati nel corso delle lezioni 2 e 3, cui fare riferimento per affrontare il tema: ► L’importanza delle relazioni internazionali nella comunità internazionale per la costruzione di relazioni fondate sul
piano della parità. ► Il sistema delle organizzazioni internazionali. ► Origine dell’Organizzazione delle Nazioni Unite e funzionamento. ► La protezione dei diritti dell’uomo e le peacekeeping operations delle Nazioni Unite. ► Il ruolo delle Organizzazioni non governative (ONG) nella tutela dei diritti umani. ► PROPOSTA B
Par avviare il colloquio, il materiale scelto dalla Commissione è un’immagine che simboleggia l’abbattimento dei controlli alle frontiere. La foto scelta dalla Commissione è quindi uno spunto che consente al candidato di esporre le proprie conoscenze, laddove possibile in chiave interdisciplinare, sul tema della cittadinanza europea.
Di seguito la scaletta dei contenuti, trattati nel corso della lezione 1, cui fare riferimento per affrontare il tema: ► La cittadinanza europea come cittadinanza “complementare”. ► La Carta dei diritti fondamentali dei cittadino europeo. ► La libertà di circolare e soggiornare nel territorio di ciascuno degli Stati membri dell’Unione europea stabilito
dall’art. 18 del Trattato di Maastricht. ► L’accordo di Schengen e l’abolizione dei controlli alle frontiere e per la libera circolazione dei cittadini comunitari. ► Schengen e le regole per l’accesso negli Stati membri dei cittadini non UE.
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PARTE 5_La comunità Internazionale
Il lavoro e le sue tutele Lezione 2. Il mercato del lavoro oggi Lezione 1.
Verso l’Esame di Stato
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PARTE
CITTADINI E LAVORO OGGI
LEZIONE 1 IL LAVORO E LE SUE TUTELE
Nel mondo moderno, il lavoro è considerato un fattore produttivo che – insieme ad altri fattori come le risorse materiali (impianti, fondi finanziari, ecc.) e le risorse naturali (terra, materie prime, energia naturale) – interviene nel processo di produzione di beni e servizi atti a soddisfare bisogni privati e pubblici. Il lavoro costituisce uno degli aspetti più importanti nella vita di un uomo in quanto consente di guadagnare quanto serve per vivere e rappresenta anche un modo per realizzare qualcosa di utile per sé e per gli altri. Così come oggi lo conosciamo, il lavoro è essenzialmente un’ideazione dell’età moderna, sebbene le attività di trasformazione della natura siano antiche quanto l’uomo. È, infatti, solo in epoca illuminista che – in Occidente – assume un valore sociale, mentre è nella seconda metà del XIX secolo che diventa fonte principale di reddito per chi lo esercita. Oggi la possibilità di estendere a tutti l’opportunità di lavorare, unitamente all’innalzamento qualitativo delle condizioni in cui si lavora, è tra le preoccupazioni maggiori di tutti i regimi democratici.
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Il lavoro nella Costituzione Il lavoro è considerato elemento indispensabile per lo sviluppo della persona e del paese. In quanto pilastro fondamentale, la Costituzione italiana detta i princìpi che lo regolamentano e indica gli ambiti della sua tutela. Considerato fondamento della Repubblica democratica italiana [art. 1], il lavoro è un diritto per tutti i cittadini che insieme hanno anche il dovere di lavorare, cioè il dovere di svolgere una «attività o una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società» [art. 4]. A tal fine, lo Stato ha l’onere di creare tutte le condizioni affinché tale diritto/dovere si realizzi concretamente, proteggendo le classi economicamente più deboli, e di realizzare la libertà e l’uguaglianza tra i cittadini. L’affermazione costituzionale di tale diritto, tuttavia, non deve far nascere l’equivoco che lo Stato debba fornire direttamente il lavoro ad ogni cittadino che ne sia privo; se così fosse, lo Stato si trasformerebbe in un’organiz-
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PARTE 6_CITTADINI E LAVORO OGGI
zazione assistenziale improduttiva. Essa, piuttosto, deve essere intesa come un dovere da parte dello Stato di: ► organizzare l’economia del paese in modo da coordinare le iniziative pubbliche e private nell’interesse generale; ► emanare leggi o provvedimenti idonei a promuovere l’esercizio del diritto al lavoro. È questo lo spirito della Costituzione, che proclama la dignità del lavoro e l’esigenza di tutelarlo e valorizzarlo.
Il lavoro nella Costituzione italiana Art. 1 L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Art. 4 La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, una attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società.
Art. 35 La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale, e tutela il lavoro italiano all’estero.
condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale e adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione.
Art. 38 Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L’assistenza privata è libera.
Art. 39
Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi.
L’organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge. È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce.
Art. 37
Art. 40
La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le
Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano.
Art. 36
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Il Lavoro nella Dichiarazione universale dei diritti umani dell’ONU, 10 Dicembre 1948 Art. 23 1. Ogni individuo ha diritto al lavoro, alla libera scelta dell’impiego, a giuste e soddisfacenti condizioni di lavoro ed alla protezione contro la disoccupazione. 2. Ogni individuo, senza discriminazione, ha diritto ad eguale retribuzione per eguale lavoro. 3. Ogni individuo che lavora ha diritto ad una remunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia un’esistenza conforme alla dignità umana ed integrata, se necessario, ad altri mezzi di protezione sociale. 4. Ogni individuo ha il diritto di fondare dei sindacati e di aderirvi per la difesa dei propri interessi.
Art. 24 Ogni individuo ha il diritto al riposo ed allo svago, comprendendo in ciò una ragionevole limitazione delle ore di lavoro e ferie periodiche retribuite.
Art. 25 1. Ogni individuo ha il diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiario, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari, ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in ogni altro caso di perdita dei mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà. 2. La maternità e l’infanzia hanno diritto a speciali cure ed assistenza. Tutti i bambini, nati nel matrimonio o fuori di esso, devono godere della stessa protezione sociale.
Il diritto del lavoro è il complesso di norme giuridiche emanate a protezione del lavoratore sia rispetto al datore di lavoro sia nel perseguimento dei suoi interessi. La tutela del lavoro rappresenta storicamente una conquista democratica in seguito alla quale il nostro ordinamento ha previsto un complesso di norme (legislazione sociale) volte alla tutela pubblica degli interessi dei lavoratori e alla loro sicurezza sociale.
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Forme e rapporti di lavoro La disciplina fondamentale del lavoro è contenuta nel Codice civile italiano, un corpo organico di disposizioni che regola i rapporti tra i privati. Tra le varie forme di lavoro che caratterizzano la moderna organizzazione economica, quelle più consuete sono il lavoro autonomo e il lavoro subordinato. Quale che sia il rapporto di lavoro, a dettare le norme generali è il diritto privato, in particolare il diritto commerciale e il diritto del lavoro.
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PARTE 6_CITTADINI E LAVORO oggi
È lavoro autonomo quello di chi svolge per proprio conto, in cambio di un compenso (o corrispettivo), un’opera o un servizio, organizzando il proprio lavoro in base alla propria esperienza tecnica. In tal senso, sono lavoratori autonomi: gli artigiani (idraulici, meccanici, ecc.), i liberi professionisti (medici, avvocati, commercialisti, ecc.), gli imprenditori. Il lavoro autonomo viene svolto prevalentemente senza vincoli di subordinazione e il lavoratore può operare con piena discrezionalità per quanto riguarda tempo, luogo e modalità. Per quanto riguarda, nello specifico, il lavoro imprenditoriale, la Costituzione lo riconosce come una libertà di tutti (art. 41), anche se «Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». È lavoro subordinato , come descritto dall’art. 2094 del Codice civile, quello del lavoratore che mette a disposizione di un datore di lavoro le proprie capacità fisiche e intellettuali in cambio di una giusta retribuzione. Il datore di lavoro è in genere un imprenditore, cioè colui che esercita un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio dei beni o dei servizi (anche lo Stato può essere imprenditore e, in quanto tale, datore di lavoro); in questo caso, il lavoratore esegue la propria prestazione lavorativa sotto la direzione dello stesso datore di lavoro che si assume anche il rischio in merito al risultato. Il lavoro subordinato è anche qualificato con il termine “impiego”, concetto di solito riservato ai lavoratori dediti a lavori d’ufficio (amministrazione, contabilità, fatturazione, ecc.), in contrapposizione al concetto di operaio, con cui si indica il lavoratore manuale. Accanto agli impiegati si trovano altre categorie di lavoratori, distinti in base a gerarchia, responsabilità e retribuzione come, ad esempio, i quadri e i dirigenti. Nella moderna terminologia aziendale, i lavoratori sono definiti anche risorse umane. L’elemento che differenzia il lavoro subordinato da quello autonomo è essenzialmente il vincolo di subordinazione. Il lavoratore subordinato si differenzia da quello autonomo per essere assoggettato anche alla continuità della prestazione; allo svolgimento dell’attività lavorativa in uno specifico luogo di lavoro; all’obbligo di un determinato orario di lavoro anche se flessibile, ma determinato; ad una retribuzione anch’essa fissa e determinata, con assenza di rischio. Il rapporto di lavoro che si costituisce tra un lavoratore e un datore di lavoro avviene mediante un contratto di lavoro individuale , accordo con il quale il lavoratore si obbliga a prestare la propria attività lavorativa, manuale o intellettuale, al datore di lavoro in cambio di un corrispettivo economico. Il contratto di lavoro individuale non può contravvenire – salvo nei casi consentiti dalla legge stessa – alle disposizioni di legge o allo specifico contratto collettivo di lavoro stipulato tra le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro. Il contratto a tempo indeterminato è la forma più comune di rapporto di lavoro subordinato. È un contratto con cui un lavoratore si impegna, senza vincolo di durata e dietro versamento di una retribuzione, a prestare la propria attività lavorativa sottoponendosi al potere direttivo, organizzativo e disciplinare del proprio datore di lavoro.
Lezione 1 Il lavoro e le sue tutele
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Nel tempo, in Italia sono sorti nuovi modelli contrattuali, diversi rispetto ai normali contratti di lavoro dipendente a tempo pieno e al lavoro autonomo, che hanno introdotto meccanismi di flessibilità relativamente all’orario di lavoro, alla durata del contratto e alle modalità di svolgimento, dando vita a forme di lavoro atipiche. I sostenitori della flessibilità lavorativa ritengono che essa – andando incontro alle esigenze degli imprenditori – produca un aumento del tasso di occupazione, diversamente dai suoi oppositori che invece la ritengono responsabile della riduzione di diritti e tutele. Tra i contratti atipici ad oggi presenti nel nostro ordinamento si ricordano: ► il contratto a tempo determinato: è un contratto di lavoro subordinato, nel quale è prevista una durata predeterminata, attraverso l’indicazione di un termine. I contratti a termine sono uno strumento di flessibilità che va incontro alle necessità del datore di lavoro e del lavoratore, ma il loro utilizzo prevede dei limiti di durata ben precisi, fatte salve diverse previsioni dei contratti collettivi nazionali; ► il contratto di apprendistato: è un contratto di lavoro finalizzato alla formazione e all’occupazione dei giovani che, oltre a rappresentare uno strumento di promozione dell’occupazione giovanile, è anche un mezzo per l’integrazione tra i sistemi scuola, lavoro e formazione. L’elemento caratterizzante dell’apprendistato è rappresentato dall’obbligo per il datore di lavoro di fornire, come corrispettivo della presentazione di lavoro, non solo la retribuzione, ma pure la formazione necessaria all’acquisizione delle competenze professionali o alla riqualificazione di una professionalità. Il contratto di apprendistato può essere stipulato con soggetti dai 15 fino ai 29 anni di età e può essere volto al conseguimento di una qualifica o di un diploma professionale; ► il contratto di somministrazione di lavoro: è un rapporto di lavoro che prevede il coinvolgimento di tre soggetti, ovvero il somministratore, cioè l’Agenzia di lavoro autorizzata che stipula un contratto con un lavoratore, l’utilizzatore, cioè l’azienda (pubblica o privata) che necessita di una certa figura professionale, e il lavoratore. La somministrazione di lavoro può essere a tempo determinato o indeterminato; ► il contratto di lavoro intermittente (a chiamata): è un contratto che prevede la possibilità per l’impresa di chiamare un lavoratore e usufruire della sua prestazione quando ne ha bisogno per ragioni produttive non prevedibili. Si tratta quindi di un lavoro discontinuo o intermittente, con periodi di “riposo” durante i quali il lavoratore percepisce una indennità. In Italia ne possono usufruire i giovani con meno di 25 anni e i lavoratori con più di 55 anni disoccupati; ► il tempo parziale (part-time): più che una tipologia contrattuale è un particolare regime dell’orario di lavoro, che può consentire al lavoratore un orario inferiore rispetto a quello previsto dalla contrattazione collettiva; ► le prestazioni occasionali: quando l’attività lavorativa è occasionale, saltuaria o di ridotta entità, si parla di prestazioni occasionali. Le prestazioni occasionali si caratterizzano per un limite economico ben preciso; infatti, nel periodo che va dal 1° gennaio al 31 dicembre di ogni anno, i contratti attivabili per ogni singolo utilizzatore non possono superare il valore complessivo di 5.000 euro netti.
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PARTE 6_CITTADINI E LAVORO oggi
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Diritti e doveri dei lavoratori subordinati Nel complesso, la legislazione del lavoro ha come obiettivo principale la tutela del lavoratore che, data la sua posizione subordinata, è considerato la parte più debole nei rapporti di lavoro. I diritti dei lavoratori sono previsti dalla Costituzione, dal Codice civile e dallo Statuto dei lavoratori. Tra le tutele costituzionali ricordiamo: ► la retribuzione, che deve essere giusta, cioè proporzionata alla quantità e qualità del lavoro svolto, sufficiente ad assicurare «a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa» (art. 36) e conforme a quanto la legge e il contratto hanno stabilito; ► la tutela del lavoro femminile, che presuppone l’assenza di discriminazioni sulla base del sesso (art. 37). La Costituzione, nel proteggere il lavoro subordinato, indica altri oneri a carico dello Stato, come quello di promuovere «gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro» (art. 35): è in questa direzione che lo Stato italiano ha ratificato, con proprie leggi, numerose convenzioni internazionali relative ad aspetti importanti quali l’eguaglianza della retribuzione tra lavoro maschile e femminile, la protezione della maternità, la sicurezza e l’igiene dei posti di lavoro, la formazione professionale dei lavoratori, ecc.; ► l’assistenza che il lavoratore ha diritto di ricevere in caso di malattia e infortunio e la previdenza nei casi di disoccupazione involontaria, invalidità e pensionamento al termine della propria attività lavorativa. Assistenza e previdenza, secondo l’art. 38 della Costituzione, sono a carico delle istituzioni pubbliche predisposte; ► il diritto di sciopero, riconosciuto ai lavoratori quale strumento di autotutela, consiste nell’astensione collettiva e organizzata dal lavoro per sostenere determinate rivendicazioni o interessi di carattere politico o sindacale. Lo sciopero rappresenta l’arma tipica dell’organizzazione dei lavoratori nei confronti del datore di lavoro, in quanto provoca un danno economico e costituisce una forma di pressione. La Costituzione riconosce l’esercizio del diritto di sciopero a tutti i lavoratori subordinati, pubblici e privati, che possono sospendere, senza retribuzione, la propria attività lavorativa in qualunque momento; il suo esercizio è regolamentato dalla legge (art. 40). Titolare del diritto di sciopero è il singolo lavoratore, ma l’indizione dello sciopero spetta all’associazione sindacale o all’assemblea dei lavoratori nell’ambito dell’azienda o ad altro comitato sorto spontaneamente. La Costituzione garantisce VITA QUOTIDIANA
In Italia, la protezione e il sostegno della maternità e paternità (D.Lgs. 151/2001) prevedono varie forme di tutela che vanno dal divieto, in via generale, di licenziamento della lavoratrice madre dall’inizio della gestazione fino al compimento di un anno del bambino (e, in certi casi, del padre lavoratore) alla garanzia di un periodo di astensione
obbligatoria dal lavoro, di uno facoltativo a discrezione della lavoratrice, di una serie di permessi retribuiti e/o non retribuiti per l’assistenza e la cura del bambino (con particolare attenzione ai figli portatori di handicap). Una protezione analoga a quella prevista per la maternità naturale viene sancita in caso di adozione e di affidamento.
Lezione 1 Il lavoro e le sue tutele
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anche la libertà sindacale in base alla quale il lavoratore ha diritto di aderire ad associazioni sindacali, di manifestare il proprio pensiero e di svolgere attività sindacale (art. 39). Lo sciopero ha rappresentato, nel mondo moderno, oltre che una forma di autotutela dei lavoratori, anche quella più efficace: la vicenda delle riforme del lavoro, attuate tanto attraverso leggi ordinarie quanto per mezzo dei contratti collettivi, è contrassegnata, ieri come oggi, da questa forma di risposta dei lavoratori a quella che è considerata la posizione di preminenza economica, organizzativa, disciplinare dell’imprenditore nell’azienda. Il datore di lavoro può contrapporsi allo sciopero con un’azione equivalente, la cosiddetta serrata, che gli permette di chiudere la fabbrica e gli impianti come rappresaglia nei confronti dei lavoratori. La Costituzione non riconosce, tuttavia, il diritto di serrata che, una volta considerato reato, è oggi ammesso solo per fini contrattuali ma continua a configurarsi come inadempimento contrattuale e comportamento antisindacale. Altri importanti diritti sono relativi a: ► orario di lavoro: la durata dell’orario normale di lavoro è fissata per legge in un massimo di 40 ore settimanali (tuttavia i contratti collettivi nazionali, o CCNL, possono prevedere una durata inferiore, ad esempio 38 ore). Le ore di lavoro effettuate in più, sempre fino al limite legale di 40 ore,
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Il diritto di sciopero nei servizi pubblici La legge 146/1990 e la legge 83/2000 hanno disciplinato il diritto di sciopero nell’ambito dei servizi essenziali, cioè quei servizi volti a garantire il godimento dei diritti della persona tutelati costituzionalmente (sanità, scuola, trasporti, informazione medici, insegnanti, ferrovieri, ecc.), allo scopo di «contemperare l’esercizio del diritto di sciopero con il godimento di tali diritti». Totali astensioni contemporanee dal lavoro da parte degli addetti ad uno di questi servizi (pubblici o privati che siano) potrebbero infatti comportare danni non riparabili e non sopportabili dal cittadino; per questo, nei settori ritenuti essenziali, la legge subordina l’esercizio del diritto di sciopero al rispetto di tre condizioni: ► devono essere assicurate le prestazioni indispensabili; ► deve essere dato un preavviso minimo di 10 giorni; ► deve essere indicata la data e la durata massima dello sciopero. Esistono, quindi, dei codici di autoregolamentazione del diritto di sciopero il cui presupposto è non creare, con lo sciopero, un danno che colpisca gravemente, oltre che il datore di lavoro, anche l’utente e la
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collettività. Nel caso in cui non siano garantite, durante lo svolgimento dello sciopero, le prestazioni minime essenziali, la legge prevede e disciplina il ricorso alla precettazione (provvedimento col quale si impone il termine dello sciopero). Il potere di adottare l’ordinanza di precettazione spetta, in caso di conflitto di rilevanza nazionale, al Presidente del Consiglio o a un ministro da lui delegato; al Prefetto negli altri casi. A norma del Codice di autoregolamentazione, la scuola, in quanto servizio essenziale, è tenuta, in caso di sciopero, a garantire: lo svolgimento degli scrutini e degli esami finali; la vigilanza sui minori e quella sugli impianti e le apparecchiature, laddove l’interruzione del funzionamento comporti danni alle persone o alle apparecchiature stesse. Il personale docente, inoltre, non può scioperare per più di 2 giorni consecutivi, dovendosi rispettare una pausa di 7 giorni prima dell’azione successiva; lo sciopero deve essere preavvertito almeno 15 giorni prima. Gli scioperi brevi possono svolgersi solo nella prima e nell’ultima ora. Spetta al Dirigente scolastico informare tempestivamente gli studenti e le loro famiglie, nonché approntare forme sostitutive del servizio scolastico.
saranno considerate lavoro supplementare; diversamente, quelle oltre le 40 ore saranno considerate lavoro straordinario; ► riposo settimanale: il lavoratore ha diritto, ogni 7 giorni, ad un periodo di riposo di almeno 24 ore consecutive, di regola coincidente con la domenica, da cumulare con il riposo giornaliero; ► ferie e festività: stabilite dalla legge e dai CCNL, a ciascun lavoratore deve essere garantito un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a 4 settimane. I contratti collettivi possono stabilire periodi di ferie più lunghi. Per godere delle ferie maturate, tuttavia, il dipendente deve rispettare alcuni obblighi: il godimento delle ferie, infatti, non può andare contro gli interessi aziendali; ► congedo matrimoniale: tutti i lavoratori dipendenti hanno diritto, in occasione di matrimonio, ad un congedo retribuito della durata generalmente stabilita in 15 giorni (non lavorativi); ► diritto allo studio: i lavoratori subordinati, iscritti alla scuole di istruzione legalmente riconosciute o ad un corso di formazione professionale hanno diritto (con qualche eccezione legata al tipo di contratto) a fruire dei permessi-studio retribuiti per un massimo di 150 ore fruibili in 3 anni; ► sicurezza sul lavoro: il datore di lavoro deve attuare le misure necessarie a tutelare la salute e l’integrità fisica del lavoratore, nel rispetto di quanto previsto dal Testo unico sulla sicurezza sul lavoro (D.Lgs. 81/2008, integrato e corretto dal D.Lgs. 106/2009). La salute e la sicurezza sul lavoro devono essere perseguite tramite una cultura della prevenzione da creare, innanzitutto, con la formazione e l’informazione. I lavoratori, infatti, in quanto attori attivi, devono essere consapevoli delle condizioni del proprio ambiente di lavoro e dell’utilizzo dei dispositivi di sicurezza, e devono partecipare alla valutazione dei rischi e alla prevenzione. Nella legislazione vigente è possibile trovare conferma al percorso di affermazione dei diritti cui si è accennato. La legge 300/70, nota come Statuto dei lavoratori , costituisce un punto di riferimento essenziale in quanto definisce il quadro generale delle tutele. Si tratta di un’importante legge che regolamenta, da un lato, i poteri organizzativi, direttivi e disciplinari dei datori di lavoro e, dall’altro, tutela la dignità, la salute, la professionalità e la libertà politica e sindacale dei lavoratori. A questi scopi sono finalizzate le disposizioni che: ► consentono al lavoratore di esprimere il proprio pensiero politico, sindacale e religioso concedendogli di fare propaganda anche nel proprio luogo di lavoro; ► impediscono ogni discriminazione da parte del datore di lavoro nei confronti del lavoratore per le sue idee politiche, sindacali e religiose; ► consentono di costituire rappresentanze sindacali aziendali in ogni realtà con un numero di dipendenti maggiore di 15; permettono ai lavoratori di indire assemblee sindacali in orario di lavoro, per un ammontare massimo di 10 ore l’anno; ► vietano al datore di lavoro un comportamento antisindacale, inteso come limitativo della libertà sindacale dei lavoratori;
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► regolamentano i casi e le modalità di possibile licenziamento individuale dei lavoratori, stabilendo le tipologie possibili, che sono: – licenziamento disciplinare, se motivato dal comportamento del lavoratore; questo tipo di licenziamento può essere per «giusta causa» (quando si verifica una circostanza così grave da non consentire la prosecuzione, nemmeno provvisoria, del rapporto di lavoro) o per «giustificato motivo soggettivo» (in caso di notevole inadempimento degli obblighi contrattuali da parte del lavoratore); – licenziamento economico, se motivato da «giustificato motivo oggettivo», cioè da ragioni inerenti all’«attività produttiva, l’organizzazione del lavoro e il regolare funzionamento di essa». Per esempio, quando una nuova modalità produttiva o una contrazione del mercato impongono all’azienda di ridurre il numero di addetti ad una certa mansione. Il licenziamento è considerato discriminatorio, e quindi illegittimo, se determinato da ragioni di credo politico o fede religiosa; dall’appartenenza a un sindacato o dalla partecipazione a scioperi ed altre attività sindacali; dal sesso, dall’età, dall’appartenenza etnica o dall’orientamento sessuale.
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Le principali organizzazioni sindacali L’attuale livello di garanzia dei lavoratori è frutto di un percorso che ha visto una graduale conquista di diritti. A tale percorso ha contribuito in maniera fondamentale la capacità dei lavoratori di rappresentare collettivamente – attraverso la costituzione di sindacati – le proprie esigenze. I sindacati svolgono tuttora un ruolo fondamentale nel promuovere e tutelare gli interessi dei lavoratori, compito che realizzano attraverso la stipula dei contratti collettivi e con servizi di assistenza individuale ai lavoratori. Il sindacato è un organismo istituito dai rappresentanti del mondo del lavoro. Esistono principalmente due tipologie di sindacato: quello dei lavoratori e quello dei datori di lavoro; è disciplinato dalla Costituzione italiana all’art. 39 che sancisce che «L’organizzazione sindacale è libera. [...] Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce». Sindacati lavoratori dipendenti: ► CGIL (Confederazione generale italiana del lavoro); ► CISL (Confederazione italiana sindacati lavoratori); ► UIL (Unione italiana del lavoro).
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Sindacati lavoratori autonomi: ► Confartigianato (Confederazione generale dell’artigianato italiano); ► Confcommercio (Confederazione generale del commercio); ► Confesercenti (Confederazione degli esercenti attività commerciali e turistiche); ► CNA (Confederazione nazionale dell’artigianato); ► Coldiretti (organizzazione sindacale dei coltivatori diretti, cioè di coloro che coltivano un fondo con il proprio lavoro e con quello delle proprie famiglie). Sindacati datori di lavoro: ► Confindustria (Confederazione generale dell’industria italiana); ► Confagricoltura (Confederazione generale dell’agricoltura italiana); ► Confapi (Confederazione nazionale della piccola industria). In Europa il sindacato è collegato a tre organismi: ► la Confederazione europea dei sindacati (CES); ► la Confédération européenne des syndicats indépendants (CESI); ► la Federazione europea del sindacalismo alternativo (FESAL).
A fianco dello Statuto dei lavoratori, altre norme di garanzia regolamentano particolari aspetti inerenti al lavoro. Tra queste, le leggi sulla maternità, sulla sicurezza sul lavoro, sul lavoro minorile, ecc. Il lavoro minorile, pur se condannato da diverse Convenzioni internazionali (Convenzione di Ginevra del 1924 della Società delle Nazioni; Convenzione sui diritti dell’infanzia del 1989 dell’ONU) è un fenomeno ampiamente diffuso, non solo nelle società dei paesi in via di sviluppo, data la situazione economica e i livelli elevati di povertà, ma anche nei paesi industrializzati, dove vi è la tendenza a nasconderlo, per non incorrere nelle severe sanzioni previste. A livello internazionale, il testo fondamentale in materia è la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, approvata dall’Assemblea generale dell’ONU e in vigore dal 2 novembre 1990 che, in particolare, chiede agli Stati l’utilizzo di almeno tre strumenti minimi di tutela: la fissazione di un’età minima di ammissione al lavoro; la regolamentazione adeguata all’orario di lavoro e alle condizioni di impiego; la previsione di appropriate sanzioni a tutela del diritto del fanciullo di essere preservato dallo sfruttamento economico. In Italia, l’Assemblea Costituente, conscia dell’importanza della materia e pressata dai numerosi impegni assunti a livello internazionale, sanciva nell’art. 37 della Costituzione: «La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione», oltre a definire che «La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato». FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
La tutela dei minori In Italia, per i minori, esiste sia l’obbligo di istruzione fino ai 16 anni (frequenza scolastica per almeno 10 anni), sia l’obbligo formativo fino ai 18 anni che prevede una scelta tra: 1. frequentare una scuola superiore o un corso triennale di istruzione e formazione professionale; 2. inserirsi nel mercato del lavoro con un contratto di apprendistato finalizzato a conseguire una qualifica professionale; 3. frequentare un corso di istruzione per adulti presso un Centro provinciale per l’istruzione degli adulti. Ai minori che rispettano il duplice requisito imposto dalla legge – aver compiuto i 16 anni e assolto all’obbligo scolastico – e intendono accedere al mondo del lavoro, si applica una disciplina speciale, volta a dettare regole per evitare che la crescita fisica ed intellettuale del minore subisca pregiudizi. I minorenni non possono essere impiegati in lavori pericolosi e, di regola, nel lavoro notturno; l’orario di lavoro non può superare le 8 ore al giorno e le 40 ore settimanali; la
prestazione lavorativa dei minorenni non può protrarsi per più di 4 ore e mezza senza subire interruzioni; si ha diritto ad un riposo settimanale di almeno due giorni che debbono essere, se possibile, consecutivi e comprendere la domenica. È possibile svolgere alcune piccole attività lavorative prima dei 16 anni di carattere culturale, artistico, sportivo, pubblicitario e nel mondo dello spettacolo, previa l’assenso scritto dei genitori e con l’autorizzazione della Direzione provinciale del Lavoro. Lo svolgimento di tali attività deve tuttavia avvenire garantendo l’integrità psico-fisica e la frequenza scolastica del minore. Anche i quindicenni, ancora soggetti all’obbligo scolastico, possono essere assunti con un contratto di apprendistato finalizzato al conseguimento della qualifica, del diploma professionale, della specializzazione tecnica e del diploma di istruzione secondaria. È obbligo del datore di lavoro sottoscrivere un protocollo con l’istituzione formativa dove è iscritto il minore.
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VITA QUOTIDIANA
Il lavoro minorile è un fenomeno di dimensioni globali. Dal 2002 l’International Labour Organization (ILO) indice la Giornata mondiale contro il lavoro minorile per richiamare l’attenzione sul fenomeno diffuso, a livello mondiale, dei bambini vittime del lavoro forzato. Ogni anno il 12 giugno la Giornata mondiale unisce Governi, organizzazioni di imprenditori e lavoratori, la società civile e milioni di persone in tutto il mondo per rendere nota la difficile situazione in cui si trovano questi bambini e discutere quali misure debbano essere adottate per poterli aiutare. Secondo le recenti
stime dell’Organizzazione, sono ancora 156 milioni i bambini – 68 milioni di bambine e 88 milioni di bambini – vittime di lavoro minorile. Circa la metà di essi, 73 milioni, sono costretti in attività di lavoro pericolose che mettono a rischio la salute, la sicurezza e il loro sviluppo morale. Il fenomeno del lavoro minorile è concentrato soprattutto nelle aree più povere del pianeta, in quanto sottoprodotto della povertà, che contribuisce anche a riprodurre. Tuttavia, non mancano casi di bambini lavoratori anche nelle aree marginali del Nord del mondo.
Oltre che diritti, i lavoratori hanno anche dei doveri. I doveri dei lavoratori subordinati nei confronti del proprio datore di lavoro specificano le modalità della prestazione lavorativa. In particolare, esiste a carico del lavoratore subordinato: ► il dovere di diligenza, ossia l’accuratezza e l’impegno che il lavoratore deve mettere nella realizzazione della prestazione, fornendo al datore un metro di valutazione oggettivo rispetto al suo operato; ► il dovere di collaborazione, ossia un comportamento tale da garantire al datore di lavoro la possibilità di integrare proficuamente tutti gli apporti dei singoli operatori; ► il dovere di obbedienza, ossia l’obbligo di osservare le disposizioni che il datore impartisce per la corretta esecuzione del lavoro; ► il dovere di fedeltà, ossia l’assunzione di un comportamento fidato rispetto al titolare dell’impresa, tutelandone in qualsiasi modo gli affari. Per questo motivo, egli non deve porsi in concorrenza con l’imprenditore per cui lavora, evitando di creare pregiudizio all’attività in cui egli stesso è cointeressato per mezzo del contratto.
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L’ordinamento del lavoro Il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali è l’istituzione competente per tutte le funzioni spettanti allo Stato in materia di politiche attive del lavoro, sviluppo dell’occupazione, adeguatezza del sistema previdenziale nonché per le politiche sociali volte alla prevenzione e riduzione delle condizioni di bisogno e disagio delle persone e delle famiglie. Dal 2015, sono sotto la vigilanza del Ministero: ► l’Ispettorato nazionale del lavoro, un’agenzia del Governo italiano che si occupa della tutela e della sicurezza del lavoro;
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► l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL), istituita ai sensi del D.Lgs. 150/2015, che si occupa del coordinamento a livello nazionale, insieme alle Regioni, delle politiche attive in materie di lavoro, ossia collocamento dei lavoratori, strumenti di sostegno alla disoccupazione, ricollocamento, ecc. ► gli enti previdenziali – nei cui organi il Governo nomina componenti, revisori o eventualmente commissari – quali l’INPS, l’istituto di previdenza dei lavoratori pubblici o privati subordinati, parasubordinati o autonomi che non abbiano una propria cassa tra quelle sotto elencate, e l’INAIL, l’ente assicurativo per gli infortuni sui luoghi di lavoro, compreso il mare.
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Una misura di politica attiva: il reddito di cittadinanza Il Reddito di cittadinanza (RdC) è una misura di politica attiva, inserita nel D.Lgs. n. 4 del 28 gennaio 2019. Volta a favorire le condizioni che rendono concreto il diritto al lavoro, la misura è un aiuto economico, che permette di integrare il reddito familiare, congiunto ad azioni di politica attiva, come l’attivazione di percorsi formativi o l’inserimento lavorativo. Prende il nome di pensione di cittadinanza in caso di nuclei familiari costituiti unicamente da uno o più componenti di età pari o superiore a 67 anni. ► Requisiti: per accedere al Reddito di cittadinanza, occorre essere in possesso di requisiti relativi a condizione economica, patrimonio e reddito dichiarato. Nel dettaglio: – cittadinanza italiana/europea o possesso di permesso di soggiorno, o residenza in Italia da almeno 10 anni, di cui gli ultimi 2 in modo continuativo; – avere un ISEE (Indicatore di situazione economica equivalente) inferiore a 9.360 euro annui; – patrimonio immobiliare (diverso dalla prima casa) non maggiore di 30.000 euro e un patrimonio finanziario non superiore a 6.000 euro (incrementabile in base al numero dei componenti del nucleo familiare e alla presenza di eventuali disabilità); – reddito familiare inferiore a 6.000 euro annui elevabile a 9.360 euro nei casi in cui il nucleo familiare risieda in un’abitazione in locazione.
► Patti per il lavoro: il Reddito di cittadinanza è associato a un percorso di reinserimento lavorativo e sociale, di cui i beneficiari sono protagonisti sottoscrivendo un Patto per il lavoro o un Patto per l’inclusione sociale. Infatti, in caso di riconoscimento del Reddito di cittadinanza, il beneficiario dovrà sottoscrivere il Patto per il lavoro o per l’inclusione sociale, partecipare alle specifiche iniziative formative previste e non potrà rifiutare le offerte di lavoro proposte dai Centri per l’impiego in base a specifici requisiti di distanza e di durata del periodo di disoccupazione. L’offerta di lavoro viene considerata congrua se la proposta risulta in linea con il curriculum ed è all’interno di un certo raggio chilometrico dalla residenza del beneficiario (100 km o 100 minuti di viaggio per la prima offerta; 250 km per la seconda offerta; tutto il territorio nazionale per la terza offerta). Per le famiglie con persone disabili le offerte di lavoro non potranno mai superare i 250 km di distanza. ► Sanzioni: sono previste la reclusione da 2 a 6 anni, oltre alla decadenza dal beneficio e il recupero di quanto indebitamente percepito, per chi fornisce, con dolo, dati e notizie false. ► Incentivi alle imprese: sono previste diverse tipologie di incentivi per le imprese che assumono i beneficiari del Reddito di cittadinanza a tempo pieno e indeterminato e per i beneficiari del Reddito di cittadinanza che avviano attività imprenditoriali.
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Le riforme del diritto del lavoro Nel tempo, la materia del lavoro è stata oggetto di importanti modifiche, tutte volte a rendere il mercato del lavoro più flessibile e dinamico. La riforma Biagi prende il nome dal professore Marco Biagi, giuslavorista che collaborò alla sua estensione e che, per questo, fu vittima di un attentato terroristico. Realizzata con la legge 30/2003 per migliorare le prospettive occupazionali e l’efficienza complessiva del sistema, la riforma introduce: ► il rafforzamento di figure contrattuali di lavoro flessibile già in essere sul mercato del lavoro (part-time, apprendistato) e l’introduzione di nuove forme contrattuali a tempo determinato (lavoro occasionale; a progetto; job sharing; somministrazione di lavoro; lavoro intermittente). Alcune di queste forme sono state successivamente modificate o eliminate; ► il nuovo sistema di collocamento basato su centri per l’impiego pubblici e agenzie di lavoro, operatori privati che svolgono attività di somministrazione di lavoro, intermediazione, ricerca e selezione, supporto alla ricollocazione del personale. La riforma Fornero, dal nome della ministra del Lavoro e delle politiche sociali del Governo Monti, professoressa Elsa Fornero, si realizza con la legge n. 92 del 28 giugno 2012, volta a conseguire una maggiore flessibilità del mercato del lavoro, favorendo l’occupazione anche attraverso rapporti di lavoro più stabili. La riforma: ► conferma il contratto di lavoro a tempo indeterminato come forma prevalente di lavoro e introduce meccanismi che premiano la stabilizzazione dei contratti a termine e dei contratti di apprendistato; ► riforma il calcolo della pensione che diventa di tipo contributivo (ossia tiene conto dei contributi effettivamente versati dai lavoratori durante tutto il periodo lavorativo e non dell’entità della retribuzione) e innalza l’età pensionistica per tutti i lavoratori; ► istituisce l’Assicurazione sociale per l’impiego (ASPI) come misura di sostegno al reddito in caso di perdita del lavoro. Il Jobs Act rappresenta il piano di riforme del lavoro promosse dal Governo Renzi, tra il 2014 e il 2015, per introdurre nuovi strumenti di sostegno per i lavoratori che perdono involontariamente il lavoro. Le politiche attive del lavoro, cioè le iniziative di riqualificazione messe in campo dal Governo per favorire il reinserimento nel ciclo produttivo di lavoratori che hanno perso la propria occupazione, prevedono: ► ammortizzatori sociali come la nuova assicurazione sociale per l’impiego (NASPI), di sostegno al reddito in caso di perdita del lavoro; ► la creazione di un’Agenzia unica del lavoro che coordini e indirizzi a livello nazionale le politiche attive in grado di favorire l’occupazione; ► il riconoscimento dell’indennità di maternità anche alle lavoratrici prive di contratto a tempo indeterminato;
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► per il solo settore privato, un contratto unico di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti. Entrato in vigore in seguito alla pubblicazione del D.Lgs. 4 marzo 2015, n. 23 (Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 54 del 6 marzo 2015), il contratto si applica ai lavoratori assunti a partire dal 7 marzo 2015.
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Modifica dell’art. 18 dello Statuto dei lavoratori Il Jobs Act stabilisce una nuova disciplina dei licenziamenti per causa economica, modificando in particolare l’applicazione delle tutele del reintegro o del risarcimento nei differenti casi previsti dalla legge, e introduce una nuova conciliazione facoltativa incentivata, allo scopo di diminuire il contenzioso. Con tale riforma – che supera definitivamente l’automatismo tra licenziamento ritenuto illegittimo e possibilità di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro voluto dall’art. 18 dello Statuto dei lavoratori – in caso di licenziamento illegittimo al lavoratore spetta un indennizzo calcolato sulla base di anzianità di servizio e dimensioni dell’azienda (più o meno 15 dipendenti). Nel settembre 2018, la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale il criterio di calcolo
dell’indennizzo previsto dal Jobs Act, ritenendo riduttiva la tutela offerta ai lavoratori in caso di licenziamento illegittimo. In particolare, secondo la Corte costituzionale, il calcolo del numero di mensilità da corrispondere al dipendente in caso di licenziamento illegittimo non può basarsi solo ed esclusivamente sul criterio dell’anzianità di servizio, dovendo – al contrario – stabilire anche la misura del danno subito dallo stesso lavoratore a causa del licenziamento illegittimo, in relazione soprattutto al comportamento delle parti e ai carichi di famiglia. La Corte costituzionale ha quindi cancellato la parte del Jobs Act che prevedeva il meccanismo delle tutele crescenti, lasciando solo i tetti minimo e massimo del numero di mensilità pari ad una forbice che va tra 6 e 36 mensilità.
GUIDAALLOSTUDIO Rispondi oralmente o per iscritto alle domande o individua e sottolinea nel testo la risposta: ► Che cos’è il diritto del lavoro e perché è nato? ► Che cosa tutela la legislazione sociale? ► In cosa consiste il lavoro autonomo? ► Che cos’è il lavoro subordinato? ► Chi è il datore di lavoro? ► Cos’è un contratto individuale di lavoro? ► Cosa sono i contratti collettivi di lavoro? ► Cos’è lo sciopero? ► Quali sono i suoi fini e come può essere esercitato? ► A quali lavoratori è riconosciuto il diritto di sciopero? ► In che modo può essere esercitato lo sciopero? ► Quali condizioni devono esserci per lo sciopero nei servizi pubblici essenziali? ► Cos’è la serrata? Esiste il diritto di serrata? ► Cosa rappresenta lo Statuto dei lavoratori? Quali aspetti disciplina? ► Quali sono i casi di licenziamento? ► Perché il lavoro minorile è rigidamente regolamentato? ► Di cosa si occupa il Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali? ► Qual è la funzione del sistema previdenziale? E delle politiche sociali? ► A cosa mirano i nuovi modelli contrattuali introdotti dalla legge Biagi?
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LEZIONE 2 IL MERCATO DEL LAVORO OGGI
Il mercato del lavoro è definibile come l’insieme dei meccanismi alla base sia dell’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro, sia dei livelli salariali e occupazionali che tali meccanismi determinano. Oggetto di studio multidisciplinare, il mercato del lavoro può essere considerato sia da un punto di vista economico che da un punto di vista sociologico. Il primo approccio si basa prevalentemente sull’analisi del meccanismo di mercato della domanda e dell’offerta che regola lo scambio di lavoro in maniera sostanzialmente analoga a qualsiasi altra merce e, proprio per questo, misurabile con una certa quantità di moneta. L’approccio sociologico, invece, si focalizza sui meccanismi istituzionali che regolano lo scambio di lavoro e considera il lavoro differentemente dalle altre merci per il profondo coinvolgimento che lo stesso ha sugli individui e sulla società. Il lavoro è, nell’approccio sociologico, un meccanismo di distribuzione sociale perché, oltre a redditi e funzioni lavorative, determina per ognuno anche specifiche posizioni sociali. È di Karl Polany, filosofo, sociologo ed economista ungherese del Novecento, l’affermazione che il lavoro è una merce fittizia, soltanto «un altro nome per un’attività umana che si accompagna alla vita stessa, la quale a sua volta non è prodotta per essere venduta, ma per ragioni del tutto diverse, né questo tipo di attività può essere distaccato dal resto della vita, essere accumulato o mobilitato» (La grande trasformazione, 1944).
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Domanda e offerta di lavoro Nella società capitalistica moderna, il lavoro degli uomini è inteso come una merce oggetto di scambio, al pari di altre. Lo scambio – in questo caso – avviene tra lavoratori e imprenditori. All’interno di un meccanismo di mercato, i primi offrono la propria energia fisica e intellettuale e le proprie
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capacità lavorative ai secondi, che le acquistano in cambio di un prezzo, genericamente definito salario . La merce scambiata è, in questo mercato, il servizio lavorativo; si chiama offerta di lavoro quella espressa dai lavoratori che intendono lavorare e domanda di lavoro quella degli imprenditori che vogliono assumere.
VITA QUOTIDIANA
La definizione di domanda e offerta di lavoro può creare una certa confusione in chi inizia a studiare questi argomenti in quanto, nel linguaggio comune una domanda di lavoro è quella del lavoratore che cerca un “posto”, mentre, nel linguaggio economico è un’offerta di lavoro. Per evitare la confusione bisogna ricordare che la domanda, in ogni mercato, è espressa da chi compra, dunque da chi paga. Poiché a pagare, nel mercato del lavoro, sono i datori di lavoro, sono essi che esprimono la domanda,
mentre i lavoratori, vendendo il loro tempo e le loro capacità, esprimono l’offerta. Nel mercato del lavoro privato, per essere assunti occorre rispondere agli annunci di ricerca di lavoro, partecipare alle selezioni, inviare un curriculum vitae all’azienda. Il contratto tra il candidato lavoratore e l’impresa può essere intermediato anche dai Centri per l’impiego o dalle agenzie interinali. Nel mercato del lavoro pubblico, per essere assunti occorre invece superare un concorso pubblico per titoli e per esami.
L’offerta di lavoro è l’insieme delle persone disposte a lavorare, comprendendo sia chi effettivamente lavora (occupati), sia chi è alla ricerca di un lavoro (non occupati). L’offerta di lavoro viene anche chiamata popolazione attiva, o forza-lavoro ed è composta dagli individui, occupati e non, in età lavorativa (15/65 anni). La domanda di lavoro è l’insieme delle richieste di servizi lavorativi da parte degli imprenditori. La domanda di lavoro è, quindi, pari ai posti di lavoro disponibili. Si è soliti distinguere il mercato del lavoro in: ► mercato del lavoro privato, caratterizzato dal lato della domanda di lavoro dalla presenza delle imprese private; ► mercato del lavoro pubblico, caratterizzato dal lato della domanda di lavoro dalla presenza dello Stato, della pubblica amministrazione e di enti pubblici o territoriali dello Stato (es.: Regione, Provincia, Comune). L’incontro tra domanda e offerta di lavoro non è privo di difficoltà, a volte generate da fattori squisitamente economici, altre volte di natura sociale e culturale; tali problematiche sono alla base del fenomeno della disoccupazione. La disoccupazione è la condizione di mancanza di lavoro retribuito per chi – in età da lavoro – lo cerca attivamente, sia perché ha perso il lavoro che svolgeva (disoccupato in senso stretto), sia perché è in cerca della prima occupazione (inoccupato). È la condizione opposta all’occupazione. I disoccupati, pertanto, sono tutti coloro che pur essendo disposti a lavorare,
Lezione 2 Il mercato del lavoro oggi
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non hanno occupazione. Nelle rilevazioni ufficiali che vengono effettuate sulla forza-lavoro, si considerano disoccupate le persone: ► in cerca di lavoro ma precedentemente occupate (disoccupati in senso stretto); ► in cerca di prima occupazione; ► in condizione non professionale, che dichiarano di cercare lavoro.
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
La selezione del personale da parte delle aziende Il processo di selezione del personale da parte delle aziende è generalmente affidato ad agenzie o figure professionali specializzate (psicologi, formatori, grafologi, ecc.) il cui compito è individuare il candidato ideale, ossia la persona con il profilo professionale idoneo a ricoprire al meglio una certa posizione lavorativa. A tale fine, attraverso metodi differenti, ogni candidato è soggetto a una selezione idonea a raccogliere dati e informazioni utili a capire l’adeguatezza o meno rispetto alle esigenze dell’azienda. Le tecniche adoperate dai selezionatori vanno dall’osservazione delle dinamiche di gruppo (discussioni tra 8-10 candidati della durata di 60-90 minuti circa, utilizzate per verificare la capacità di lavorare insieme e far valere la propria opinione) ai test attitudinali e questionari di personalità; dalle prove pratiche e simulazioni ai colloqui individuali (interviste per aumentare la conoscenza reciproca tra candidato e azienda). È buona norma, pertanto, per un candidato capire la propria adeguatezza o meno, rispetto al profilo richiesto dall’azienda, già nella fase iniziale di lettura e risposta all’inserzione, dove sono segnalati sia i requisiti sia i compiti e le mansioni. Nell’era di Internet, per garantire maggiore visibilità agli annunci di lavoro, sempre più spesso si fa ricorso alla Rete; tuttavia, gli annunci di lavoro online sono per lo più fatti da agenzie interinali che hanno il compito di mettere in contatto la domanda e l’offerta di lavoro. Qualunque sia lo strumento adoperato per pubblicizzare una richiesta di lavoro, certo è che quasi sempre il processo d’individuazione di un possibile candidato parte dal curriculum vitae e dalla lettera di presentazione. Per scrivere un curriculum vitae valido, occorre organizzare le seguenti sezioni:
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► le informazioni personali: comprendono i dati anagrafici e sono molto importanti perché permetteranno alle aziende di contattare i candidati; è importante, quindi, fare attenzione ad indicare i recapiti giusti; ► le esperienze formative e lavorative, elencandole a partire dalla più recente, indicando per ognuna la data di inizio e di conclusione e specificando se qualcuna di esse è ancora in corso; ► le conoscenze linguistiche: vanno elencate indicando il grado di conoscenza sia per quanto riguarda lo scritto che il parlato; ► le competenze informatiche: raccolgono le conoscenze di software, applicativi, programmi di posta elettronica e web con l’indicazione del livello di uso di ciascun componente. Il curriculum vitae si conclude di solito con altre informazioni che riguardano interessi e hobby, utili per completare il quadro che il selezionatore si dovrà fare del candidato. Il layout del curriculum vitae è in genere libero, ma è sempre più frequente la richiesta del curriculum europeo. È importante essere sintetici e non eccedere nelle informazioni perché molti enti, che ricevono centinaia di cv al giorno, dedicano alla loro lettura pochi minuti. Altro elemento significativo è la lettera di presentazione che accompagna generalmente il cv; essa deve spiegare perché il candidato è la persona adatta e, per questo, contenere le motivazioni che spingono a candidarsi per una certa posizione di lavoro, i suoi punti forti (capacità, skills, ecc.). Una buona lettera di presentazione deve riuscire a incuriosire chi la legge e – quindi – non deve essere troppo lunga (massimo 15-20 righe) per non annoiare.
Non rientrano, quindi, in questa categoria i non occupati (o non forza-lavoro) cioè coloro che non cercano un lavoro o perché non hanno l’età per farlo (bambini, persone anziane), o perché sono impegnati in attività diverse (studenti, militari di leva, casalinghe), o anche perché si sono ritirati dal mondo del lavoro (pensionati).
VITA QUOTIDIANA
Lavoro, ISTAT: «A giugno disoccupazione al 9,7%, tasso più basso dal 2012. Giù tra i giovani. Crescono ancora i dipendenti stabili». È questo uno dei tanti titoli di giornale che, nel mese di luglio 2019, ha fornito la misura della disoccupazione in Italia. La rilevazione statistica sulle forze di lavoro in Italia viene effettuata dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT) e avviene mediante un sistema di interviste a un campione rappresentativo delle famiglie italiane. Le informazioni rilevate presso la popolazione
costituiscono la principale fonte di informazione statistica sul mercato del lavoro italiano e la base sulla quale vengono derivate le stime ufficiali degli occupati e dei disoccupati, nonché le informazioni sull’offerta di lavoro – professione, settore di attività economica, ore lavorate, tipologia e durata dei contratti, formazione. I risultati dell’indagine vengono diffusi mensilmente o trimestralmente attraverso comunicati stampa, tavole di dati e pubblicazioni annuali.
La disoccupazione, dunque, esiste quando persone che desiderano lavorare non trovano un’occupazione. Gli economisti hanno operato una classificazione dei diversi tipi di disoccupazione, distinguendola in base alle cause. Si parla di: ► disoccupazione involontaria: quando la mancanza di lavoro retribuito è dovuta a cause non legate alla volontà del singolo che sta cercando lavoro. Rientrano in questa categoria sia la disoccupazione di chi è alla ricerca del primo posto di lavoro, sia quella di chi ha perduto il precedente impiego lavorativo; ► disoccupazione volontaria: è lo stato di mancanza di lavoro retribuito dovuto alla decisione di chi non accetta forme di impiego lavorativo considerate inadeguate alle proprie condizioni sociali, fisiche o intellettuali; ► disoccupazione frizionale o naturale: è causata dal lasso di tempo necessario per trovare un posto di lavoro. Ci vuole, infatti, del tempo per
Lezione 2 Il mercato del lavoro oggi
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far coincidere le richieste dei lavoratori con il mercato del lavoro e chi è alla ricerca di lavoro impiega del tempo per trovare una nuova occupazione: deve inviare curriculum alle imprese, analizzare gli annunci di lavoro, partecipare alle selezioni, ecc. Una certa quantità di disoccupazione frizionale è pertanto inevitabile nella stessa misura in cui domanda e offerta sono in evoluzione; normalmente si attesta attorno al 3-4%; ► disoccupazione strutturale: è determinata dalla mancanza di coincidenza tra domanda e offerta di lavoro. In altre parole, è la mancata corrispondenza tra abilità ed esigenze del lavoratore e richieste del datore; ► disoccupazione ciclica: è causata dalle variazioni del ciclo economico. Il tasso di disoccupazione, infatti, aumenta quando l’economia è in fase di recessione, cioè quando i livelli di attività produttiva di un paese sono molto bassi. I problemi posti dalla difficoltà di incontro tra domanda e offerta di lavoro possono essere generati da più fattori, tra i quali anche alcuni di natura sociale e culturale. In particolare: ► l’offerta di lavoro è condizionata dalle aspirazioni professionali dei lavoratori, a loro volta condizionate dai livelli di istruzione e dalla cultura del lavoro; EDUCAZIONE CIVICA E ECONOMIA
Gli indicatori del mercato del lavoro Gli indicatori del mercato del lavoro permettono di misurare fenomeni importanti come lo stato occupazionale della popolazione attiva di un paese e, dunque, la partecipazione alla produzione di reddito. Da queste misure si possono trarre indicazioni sulle tendenze di crescita economica, strumenti necessari per predisporre corrette politiche di intervento. Questi indicatori si rivelano decisivi soprattutto in momenti in cui l’occupazione subisce gli effetti negativi della crisi economica, limitando le possibilità di realizzazione e scelta degli individui. Gli indici per analizzare l’andamento del mercato del lavoro sono: il tasso di disoccupazione, il tasso di attività e il tasso di occupazione. ► Il tasso di disoccupazione è dato da un rapporto percentuale tra la popolazione di 15 anni e più in cerca di occupazione e la forza-lavoro (o popolazione attiva); esso pertanto indica la percentuale di persone che non trova lavoro in relazione non a tutta la popolazione, ma solo alla forza-lavoro. ► La formula per calcolare il tasso di disoccupazione è u = U/P.A. x 100 dove U = disoccupazione/ unemployment = numero totale di disoccupati; P.A. = popolazione attiva = forza-lavoro; u = tasso di disoccupazione
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PARTE 6_CITTADINI E LAVORO oggi
► Il tasso di attività misura l’offerta di lavoro nel breve periodo. Esso è dato dal rapporto percentuale tra la popolazione attiva (somma degli occupati e dei disoccupati) e il totale della popolazione in età lavorativa. Il tasso di attività fornisce una misura della partecipazione della popolazione al mercato del lavoro e rileva, dal punto di vista economico, l’offerta, vale a dire la quota di popolazione che si presenta sul mercato. Nello specifico l’indicatore esprime quanta parte della popolazione residente lavora o cerca un’occupazione in modo attivo (la cosiddetta “popolazione attiva”) sul totale dei residenti di età compresa fra i 15 e i 64 anni. ► Il tasso di attività (t.a.) potrà essere scritto come segue: t.a. = P.A./Pop. x 100, dove Pop. indica la popolazione totale; P.A. è la popolazione attiva data dalla somma del numero totale di occupati/ employement (E) e disoccupati (U): P.A. = E + U. ► Il tasso di occupazione è dato dal rapporto percentuale tra il totale degli occupati e il totale della popolazione. Esso indica quanta parte della popolazione lavora in un determinato momento e, in qualche modo, esprime la capacità dell’economia di creare posti di lavoro. Il tasso di occupazione (e) potrà essere scritto come segue: e = E/Pop. x 100.
Capitale umano Insieme delle capacità delle risorse umane, in particolare conoscenza, istruzione, informazione, capacità tecniche, tutti elementi che danno luogo alla capacità umana di svolgere attività di trasformazione e di creazione. Il capitale umano è incluso nelle risorse economiche insieme all’ambiente e al capitale fisico.
► la domanda di lavoro invece è condizionata dalle caratteristiche delle imprese come il tipo di posizionamento competitivo o le strategie di reclutamento e gestione del personale. Il mismatch occupazionale (presenza contestuale di eccesso di offerta rispetto alla capacità di assorbimento della domanda e viceversa) è quindi influenzato da diversi fenomeni. Tra questi: l’inadeguatezza delle conoscenze, abilità e competenze proprie delle qualifiche professionali; la selettività dell’offerta; la regolazione giuridica del mercato del lavoro; le politiche del lavoro e dell’occupazione (nazionali e/o locali); i sistemi di relazioni industriali; l’intervento di istituzioni di sostegno all’incontro domanda/offerta (centri per l’impiego, agenzie private d’intermediazione, ecc.). Tra i tanti fattori, molto importante è quello relativo alla carenza di competenze specifiche da parte dei potenziali lavoratori. Infatti, in un mondo produttivo caratterizzato sempre più dall’importanza del capitale umano►, è fondamentale avere lavoratori professionalmente preparati e capaci di svolgere attività sempre più complesse; per questa ragione la formazione professionale ha assunto sempre più un ruolo significativo. Altro fattore critico, è quello relativo alle occasioni lavorative in luoghi lontani dalla residenza dei potenziali lavoratori (all’interno di uno stesso paese o a livello internazionale). Di fronte a questo ultimo problema, un ruolo rilevante è svolto dalle politiche occupazionali, volte ad incentivare sia i lavoratori a spostarsi che le imprese a creare posti di lavoro dove risiedono i disoccupati attraverso contributi finanziari e agevolazioni fiscali.
VITA QUOTIDIANA
Può capitare che il lavoratore di un’azienda debba trasferirsi in un’altra unità produttiva dell’azienda, posta in luogo diverso da quello di provenienza. La contrattazione collettiva e individuale del lavoro prevede la cosiddetta indennità (oltre che il rimborso delle spese sostenute), per i lavoratori che, interessati dal trasferimento, devono mutare la propria residenza. Tale diritto è da considerarsi come una partecipazione del datore di lavoro alle spese che il dipendente deve
sostenere ed è riconosciuto ad un lavoratore già assunto e successivamente assegnato, per comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, ad una diversa sede. Inoltre, il datore di lavoro può decidere, all’atto dell’assunzione, di corrispondere un trattamento economico anche nel caso di spostamento del lavoratore dal luogo della propria residenza alla sede di lavoro. In questo caso si parlerà di indennità di prima sistemazione.
Per avere un quadro sufficientemente chiaro di quanto accade nel mercato del lavoro, bisogna tener conto dei tanti fattori che entrano in gioco, non limitandosi solamente alla misurazione del tasso di disoccupazione: bisogna infatti considerare anche i cosiddetti “lavoratori scoraggiati”, i NEET, e il lavoro nero. Se è vero, infatti, che il tasso di disoccupazione è il dato socialmente più preoccupante in quanto indica la presenza di un alto numero di per-
Lezione 2 Il mercato del lavoro oggi
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sone che manifestano direttamente il desiderio di lavorare senza riuscire a trovare un’occupazione, è altrettanto vero che esistono categorie di lavoratori potenziali che all’assenza di lavoro si sono ormai rassegnate, e che dunque si sono dedicate ad altre attività; è il caso di quelle donne che, a causa della difficoltà di trovare un lavoro dignitoso, si ritirano dal mercato del lavoro per fare le casalinghe o, analogamente, di quei giovani che continuano gli studi (spesso con risultati non buoni) solo perché non hanno l’alternativa del lavoro. Tali soggetti sono stati definiti lavoratori scoraggiati , ossia una categoria che non cerca lavoro perché crede che non ce ne sia disponibilità.
VITA QUOTIDIANA
La Commissione europea annualmente promuove un’indagine sulle tendenze sociali e occupazionali più recenti, che riflette sulle sfide future e sulle possibili risposte politiche. Nel 2016 l’indagine ha avuto ad oggetto l’analisi delle varie componenti alla base della disoccupazione nei vari paesi europei, distinguendo fra lavoratori scoraggiati, sotto-occupati, e non disponibili. Sulla base dei dati raccolti, i paesi europei sono stati suddivisi in due grandi aree: quella dei paesi in cui
prevalgono le persone che potrebbero lavorare ma non cercano lavoro e quella dove prevalgono i sotto-occupati. L’Italia è risultata essere fra i paesi con alti numeri di persone potenzialmente attive ma che non cercano lavoro. Complessivamente, infatti, nel 2016 questa quota ha registrato un peso pari al 16% della disoccupazione italiana; all’interno, una gran parte è data dai lavoratori scoraggiati, che superano il 12%, pari cioè al 75% del totale.
L’esistenza di lavoratori scoraggiati può far sì che ad un aumento degli occupati non corrisponda una riduzione della disoccupazione. Infatti, persone che si erano ritirate dal mondo del lavoro tornano a cercare lavoro proprio perché vedono che le cose stanno migliorando e pensano di avere maggiori speranze di trovare un impiego. Per questa ragione è sempre opportuno non limitare l’analisi del mercato del lavoro ai soli disoccupati e al solo tasso di disoccupazione.
VITA QUOTIDIANA
In una città vi sono 80.000 occupati (E) e 20.000 disoccupati (U). Il tasso di disoccupazione (u = U/P.A. x 100) è del 20% (20.000 ÷ 80.000 + 20.000 x 100), dunque molto alto. A causa di ciò, altre 20.000 persone non cercano lavoro, coscienti del fatto che non riuscirebbero a trovarlo. Se nella città si innesca uno sviluppo economico che genera 10.000 nuovi posti di lavoro, gli occupati diverranno 90.000; può accadere, tuttavia, che le 20.000 persone prima ritiratesi dal
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PARTE 6_CITTADINI E LAVORO oggi
mercato del lavoro riprendano a cercare un posto, incoraggiate dal migliore andamento del mercato. I disoccupati diventeranno così 30.000, e il tasso di disoccupazione salirà al 25% (30.000 disoccupati su una popolazione attiva di 120.000 persone). Se si analizzasse il mercato del lavoro di questa città guardando solo al tasso di disoccupazione sembrerebbe che la situazione sia peggiorata, mentre al contrario la novità è rappresentata dall’aumento dell’occupazione.
Sono ricompresi nella categoria dei lavoratori scoraggiati i cosiddetti NEET , ossia coloro che non studiano, non lavorano né si stanno formando (not in employment, education and training). Il fenomeno, che generalmente interessa la fascia di giovani con età compresa fra i 16 e i 35 anni, è molto preoccupante in Italia, dove la loro percentuale è aumentata in misura superiore rispetto agli altri paesi europei. Le ragioni del fenomeno sono diverse: da una parte un basso numero di diplomati e laureati a confronto con la media UE e, dall’altro, un mercato del lavoro che ha difficoltà a investire sulle nuove generazioni.
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Rapporto Eurostat 2018 sui NEET età. Una differenza di genere che si conferma anche per l’Italia, dove i giovani NEET sono al 23,8% tra gli uomini e al 34,2% tra le donne. Secondo le rilevazioni ISTAT, il numero dei NEET in Italia supera i 3 milioni, confermando l’Italia come un paese con pochissime possibilità economiche e occupazionali per i giovani, che negli ultimi anni ha visto aumentare la “fuga” all’estero. Chi rimane è scoraggiato, non studia e non cerca lavoro.
In base ai dati Eurostat per l’anno 2018, i giovani NEET italiani sono il 28,9%, quasi il doppio della media europea. In Europa, infatti, i NEET tra i 20 e i 34 anni sono il 17,2% nei paesi dell’euro (Eurozona) e il 16,5 in tutta l’Unione europea. L’inattività colpisce soprattutto le donne. Nel 2018, a livello europeo, le donne NEET tra i 20 e i 34 anni sono state il 20,9% contro il 12,2% degli uomini della stessa
PERCENTUALE DI GIOVANI DI ETÀ COMPRESA TRA I 20 E I 34 ANNI CHE NON LAVORANO NÉ SEGUONO CORSI DI ISTRUZIONE O FORMAZIONE, 2018 % 40
27.5 6.2
9.3
7.9
8.0 Svezia
9.9 Lussemburgo
8.4
Malta
5
Paesi Bassi
10.6
10.1
Austria
11.1
10.9
Slovenia
Germania
Danimarca
11.9
11.4
Portogallo
13.1
12.7 Lituania
13.6
Finlandia
Regno Unito
14.7
13.6
15.2
15.0 Repubblica Ceca
Estonia
15.5
Polonia
Belgio
16.5
16.4
Unione europea (EU-28)
10
Lettonia
17.4
17.0
Cipro
Ungheria
18.5
17.7
Spagna
Francia
20.0
19.6
Slovacchia
15
Croazia
20.9
20.6
Bulgaria
20
Romania
26.8
25
28.9
30
24.1
33.2
36.3
35
Lezione 2 Il mercato del lavoro oggi
Serbia
Montenegro
Turchia
Macedonia del Nord
Islanda
Svizzera
Norvegia
Irlanda
Italia
Grecia
0
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Le rilevazioni ufficiali sull’occupazione non tengono conto, ovviamente, del cosiddetto lavoro nero , cioè un lavoro svolto senza contribuzione sociale e garanzie assicurative, molto diffuso in Italia. Si tratta a tutti gli effetti di una prestazione di lavoro illegale, attraverso la quale si evita il pagamento di imposte e contributi. Il lavoro irregolare (o sommerso), apparentemente conveniente per le imprese (che risparmiano tasse e contributi) e per i lavoratori (che non vengono tassati sul reddito), è in realtà una situazione rischiosa e poco conveniente: mancati versamenti all’INPS o ad altri istituti di previdenza comportano per il dipendente la perdita di contribuzione sia a fini pensionistici, sia a copertura di eventuali periodi di malattia, invalidità temporanea o permanente; infine, in caso di infortunio sul lavoro, cure e riabilitazione saranno a carico del lavoratore. Le conseguenze negative del lavoro nero non sono solo legate al mancato gettito fiscale per le casse dello Stato, ma anche agli effetti dannosi che smantellano il sistema sano delle aziende che producono rispettando le regole. A rimetterci, infatti, sono le tante imprese artigianali e commerciali che subiscono la concorrenza sleale degli imprenditori che non si fanno scrupoli a utilizzare lavoratori irregolari. Questi ultimi, non essendo sottoposti ai contributi previdenziali, a quelli assicurativi e a quelli fiscali consentono alle imprese dove prestano servizio – o a loro stessi, se operano sul mercato come falsi lavoratori autonomi – di beneficiare di un costo del lavoro molto inferiore e, conseguentemente, di praticare un prezzo finale del prodotto o del servizio molto contenuto. Prestazioni, ovviamente, che chi rispetta le disposizioni previste dalla legge non è in grado di offrire.
VITA QUOTIDIANA
Da un’indagine svolta nel 2018 dalla CGIA di Mestre i lavoratori irregolari in Italia – pari a 3,3 milioni di persone – generano 77,3 miliardi di fatturato in nero all’anno con un danno per il fisco stimabile in circa 43 miliardi di euro, cifra pari a oltre il 40% dell’evasione di imposta annua stimata dai tecnici del Ministero dell’Economia e delle Finanze. La zona del paese ad essere più interessata dal fenomeno del lavoro nero è il Sud. Relativamente al danno fiscale,
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la Campania – con 382.900 irregolari – sottrae 4,4 miliardi di euro all’anno al fisco; seguono la Sicilia, con 312.600 irregolari e imposte e contributi non versati che sfiorano i 3,5 miliardi di euro all’anno, e la Calabria che – con 146.000 irregolari – versa quasi 1,6 miliardi in meno nelle casse dello Stato. Al Nord, invece, il Veneto, con i suoi 199.400 lavoratori in nero, sottrae al fisco quasi 2,9 miliardi di euro.
Teorie economiche sul mercato del lavoro Da sempre gli economisti si sono preoccupati di capire quali sono le ragioni della disoccupazione e di individuare le politiche che possano ridurla. Le due principali teorie che si sono occupate di tale problema risultano influenzate da due diverse e storiche concezioni dell’economia:
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PARTE 6_CITTADINI E LAVORO oggi
► la teoria liberista che, sostenendo l’importanza del libero mercato – in cui i prezzi di beni e servizi sono diretta conseguenza delle dinamiche naturali della domanda e dell’offerta – ritiene importante limitare l’intervento dello Stato alla sola realizzazione di interventi di base a sostegno della società; ► la teoria keynesiana (dal nome dell’economista britannico John Maynard Keynes) che, spostando l’attenzione dell’economia dalla produzione dei beni e dei servizi alla loro richiesta (domanda) da parte dei consumatori, ritiene necessario – soprattutto in periodi di crisi – l’intervento dello Stato a sostegno dei consumi, degli investimenti e dell’occupazione. La teoria liberista del mercato del lavoro parte dall’idea che il lavoro sia una merce e che – in un mercato di libera concorrenza – come tale si comporta; ossia, se vi è un aumento del prezzo, da un lato si vedrà diminuire la domanda ma, dall’altro, si vedrà aumentare l’offerta. Nello specifico, il prezzo del lavoro è rappresentato dal salario che, secondo la teoria liberista, se ridotto genera negli imprenditori la spinta ad assumere di più (aumento della domanda di lavoro), ma con una contrazione del numero di persone disposte a lavorare (diminuzione dell’offerta di lavoro) proprio a causa della riduzione dei salari stessi. In altre parole, se diminuiscono i salari aumenta l’occupazione e, contemporaneamente, diminuiscono le persone in cerca di occupazione, così che, in definitiva, diminuisce la disoccupazione. Secondo tale visione, le soluzioni al problema occupazionale riguardano essenzialmente la possibilità di ridurre il costo del lavoro per le imprese; le proposte, in tal senso, riguardano: ► la riduzione dei salari in ingresso: l’opinione di retribuire i lavoratori neoassunti con salari più bassi nasce dalla convinzione che – essendo un giovane meno produttivo di un lavoratore con esperienza – debba costare meno all’azienda, in attesa di crescere professionalmente, diventare più produttivo, e quindi guadagnare di più; ► la riduzione degli oneri sociali per i neoassunti: il lavoro ha un costo per chi assume, sia per il salario da riconoscere, sia per i diversi contributi da versare allo Stato a fini previdenziali e assicurativi (per il Servizio sanitario, per la pensione, per le indennità in caso di malattia e invalidità del lavoratore, ecc.). La riduzione degli oneri sociali, pertanto, potrebbe rendere convenienti le nuove assunzioni, riducendo il costo del lavoro a salario invariato; ► la flessibilità lavorativa: la possibilità di modificare le politiche sul lavoro, per andare incontro all’esigenza delle imprese di aumentare e ridurre il numero di lavoratori al proprio interno, è definibile flessibilità lavorativa. Presupposto necessario della flessibilità è rendere meno rigida la legislazione di protezione del lavoro, abolendo le limitazioni alla riduzione dei salari (flessibilità dei salari), alle assunzioni, ai licenziamenti e alla mobilità (flessibilità del lavoro), alla durata dell’orario di lavoro (flessibilità dell’orario). Gli economisti che si ispirano alle teorie di Keynes ritengono limitata l’influenza del salario sul mercato del lavoro, ritenendo che il vero dilemma
Lezione 2 Il mercato del lavoro oggi
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sia la capacità di consumo di beni e servizi da parte di famiglie, imprese e Stato (domanda aggregata); è tale capacità a influire e determinare anche la capacità delle imprese di produrre e vendere. La tesi sostenuta da questi economisti ha come presupposto il convincimento che, solo se si vende ciò che si produce le imprese avranno la necessità di assumere personale, indipendentemente dal salario. In questa logica, infatti, anche se un’azienda riesce a retribuire meno i propri operai, nei periodi di crisi economica difficilmente riuscirà a risolvere il problema dell’occupazione poiché, a causa della ridotta quantità di danaro a disposizione delle famiglie dei lavoratori, non aumenteranno i consumi dei beni prodotti e di conseguenza non aumenterà l’attività produttiva delle imprese; quindi, non aumenterà l’occupazione.
EDUCAZIONE CIVICA E ECONOMIA
La domanda aggregata La domanda aggregata (DA) è formata da almeno cinque importanti componenti: ► i consumi privati (C), cioè la domanda di tutti quei beni e servizi che le famiglie acquistano nel corso dell’anno (es.: i vestiti, le auto, i prodotti alimentari che sono richiesti e acquistati per soddisfare i bisogni dei consumatori); ► gli investimenti delle imprese (I), cioè la richiesta di beni e servizi proveniente dalle imprese quando affrontano nuovi investimenti produttivi (es.: l’acquisto di macchinari, fabbricati, computer, mobili, ecc.); ► la spesa pubblica (G), cioè la domanda di beni e servizi espressa dallo Stato (es.: l’acquisto di banchi di scuola, di medicinali per gli ospedali, o le spese affrontate per costruire nuove strade, ecc.); ► le esportazioni (X), cioè i beni e i servizi che le imprese nazionali vendono all’estero per i consumi, gli investimenti e le spese statali degli altri paesi; esse
fanno aumentare la domanda finale per le imprese (es.: un francese che compra un vestito italiano, una scuola tedesca che acquista lavagne prodotte in Italia, un’impresa coreana che acquista un macchinario italiano, ecc.); ► le importazioni (M), cioè i beni e i servizi che si acquistano dall’estero per soddisfare consumi, investimenti o spesa pubblica interni; esse devono essere sottratte perché queste spese non fanno parte della domanda interna, ma vanno ad aumentare quella straniera, specularmente a quanto accade per le esportazioni (es.: una famiglia italiana che acquista un’auto tedesca, o un’impresa che compra un computer americano, o un ospedale che richiede un farmaco svizzero). In conclusione, la domanda aggregata (DA) è così composta: DA = C + I + G + X – M
Secondo la teoria keynesiana in situazioni di crisi economica è necessario l’intervento dello Stato che, aumentando la spesa pubblica, può favorire la ripresa delle attività produttive e innescare un «circuito virtuoso». Per questa ragione, per sostenere l’occupazione – secondo la teoria keynesiana – le misure da realizzare sono: ► il finanziamento di opere pubbliche: l’investimento di denaro pubblico per la costruzione di una qualunque infrastruttura (ponti, reti autostradali, ecc.) procura un aumento dell’occupazione dovuto alla necessità delle imprese coinvolte nei lavori di assumere nuovi lavoratori cui affidare
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PARTE 6_CITTADINI E LAVORO oggi
le mansioni relative. L’aumento dell’occupazione, a sua volta, genererebbe un aumento dei consumi in quanto i lavoratori – grazie a una maggiore disponibilità di danaro – domandano beni e servizi idonei a soddisfare i loro bisogni determinando, di conseguenza, uno stimolo alle imprese a produrre di più e, ancora una volta, ad assumere nuovo personale; ► l’aumento della spesa pubblica: la spesa pubblica indica l’insieme di denaro pubblico che lo Stato utilizza per produrre beni e servizi finalizzati a perseguire fini ritenuti utili per la collettività (istruzione, sanità, giustizia, ecc.). Un maggiore investimento di risorse pubbliche, ad esempio assumendo nuovi docenti nelle scuole, consentirebbe a tale categoria di lavoratori di trovare occupazione; ma ancora, se – sempre nella scuola – lo Stato destinasse risorse pubbliche per acquistare nuovi computer, libri per la biblioteca, nuove attrezzature sportive, ecc. – l’industria elettronica, l’editoria, le imprese di impianti sportivi avrebbero necessità di assumere nuovo personale per far fronte alle nuove richieste; ► l’incentivo ai consumi privati: nei periodi di crisi, gli incentivi ai consumi privati possono servire a stimolare le spese delle famiglie proprio quando esse tenderebbero a risparmiare per la paura del futuro. Gli incentivi alla ristrutturazione delle case adottati in Italia negli ultimi anni sono tipiche misure volte a stimolare i consumi delle famiglie. In questo contesto si inserisce anche la politica di incentivi per l’installazione del fotovoltaico che, in questo caso, è anche legata a un ampio quadro normativo europeo che obbliga l’Italia a stimolare e avvantaggiare un maggior impiego della fonte energetica solare; ► la riduzione dell’orario di lavoro: una politica che può essere collocata tra quelle di ispirazione keynesiana è quella che propone la riduzione dell’orario di lavoro. Essa si basa sul ragionamento seguente: considerato che la domanda di lavoro dipende dalla domanda aggregata, se non è possibile aumentare quest’ultima in modo sufficiente per assorbire tutta la disoccupazione, l’unica cosa da fare, se si vuole far lavorare tutti, è distribuire il lavoro esistente tra più persone, riducendo l’orario di lavoro, così che siano necessari più lavoratori per produrre gli stessi beni e servizi.
GUIDAALLOSTUDIO Rispondi oralmente o per iscritto alle domande o individua e sottolinea nel testo la risposta: ► Cosa definisce il mercato del lavoro? ► Quali soggetti esprimono la domanda di lavoro? E l’offerta? ► Che differenza c’è tra mercato del lavoro privato e pubblico? ► Secondo le rilevazioni ufficiali, chi è considerato disoccupato? ► Quali sono le caratteristiche delle diverse forme di disoccupazione? ► Che cosa si intende per capitale umano? ► Chi sono i lavoratori scoraggiati? E i NEET? ► Quali sono i rischi presenti nel lavoro nero? ► Che differenze esistono tra le teorie economiche del mercato del lavoro?
Lezione 2 Il mercato del lavoro oggi
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VERSOL’ESAMEDISTATO
Analisi e produzione di un testo argomentativo (tipologia B) Considerato tra i sociologi italiani più autorevoli, Luciano Gallino ha fornito contributi autorevoli sulla sociologia dei processi economici e del lavoro, e, più in generale, sulle trasformazioni del mercato del lavoro.
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30
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La flessibilità è stata una grande illusione, cavalcata anche dalle organizzazioni internazionali, da molti politici e da gran parte dei governi degli ultimi decenni, un po’ in tutti i paesi. L’idea di fondo era che rendendo più agevole il licenziamento, o rendendo inutile il dispositivo del licenziamento perché il contratto è di durata a tempo determinato, questo moltiplicasse i posti di lavoro e favorisse lo sviluppo dell‘economia. Questa è stata una drammatica illusione, un elemento ideologico che ha avuto un successo senza precedenti, ma che non ha per nulla migliorato, anzi peggiorato, le sorti dell’economia. Il contratto che ha una data di scadenza, come un qualunque prodotto del supermercato, che è a tempo parziale quando la persona non lo vorrebbe, che è autonomo o a progetto ma in realtà è un rapporto di dipendenza, comporta un costo umano molto rilevante per le persone e per le famiglie, e ormai si parla di una generazione precaria con un lavoro fortemente sottopagato, che non consente di accumulare professionalità e non si sa se consentirà di maturare una pensione. Ma queste forme di lavoro sono un grande danno anche per le imprese. Anche se non per tutte, questa situazione è un danno soprattutto per quelle imprese che fanno un lavoro continuativo, che producono un qualsiasi tipo di oggetto tecnologico, per le quali la stabilità del lavoratore è una condizione fondamentale per la riuscita dell’impresa, e per la sua produttività, intesa non come lavoro sempre più accelerato, ma come capacità di dare più valore alle cose. I contratti di breve durata significano tante cose. In particolare sviluppano una mancanza di attaccamento del lavoratore all’impresa, che è un aspetto particolarmente importante. Se pensiamo ad alcune esperienze significative nella storia delle imprese del nostro paese, quali ad esempio quella dell’Olivetti e della Fiat, vediamo che l’attaccamento all’impresa ha sempre costituito un aspetto di fondamentale importanza. Anche da parte di persone che subivano la durezza del lavoro da fare vi era l’orgoglio di poter dire che quell’oggetto, quella macchina, l’avevano fatta loro, l’avevano costruita loro. Rimanere in ufficio o in fabbrica per uno o due mesi, prima lavorare su un oggetto poi su un altro, non crea nessun attaccamento all’azienda. In questo modo viene a cadere anche un altro fattore importantissimo, sul quale l’Italia è già particolarmente debole, quello dell’incentivo alla formazione sul luogo di lavoro. L’imprenditore non ha nessun interesse in questo caso ad investire su persone che in poco tempo non saranno più in quell‘azienda. Inoltre, una persona che ha un contratto di tre mesi, di sei mesi, un contratto part-time, pensa soprattutto a fare in modo che il suo contratto venga rinnovato. Se in un certo periodo ha lavorato su un prodotto e poi è passata ad un altro, poi ad un altro ancora, si sente poco incentivata ad imparare un mestiere. Sostanzialmente ha poca motivazione anche a fare formazione su quel particolare luogo di lavoro; se tutto va bene dopo pochi mesi si troverà a lavorare da un’altra parte. Il basso livello di formazione della nostra manodopera è uno dei principali problemi a livello nazionale. Abbiamo almeno tre anni in meno di formazione rispetto ai lavoratori tedeschi. Il lavoro flessibile e precario comporta quindi un disincentivo alla formazione e nello stesso tempo anche meno attenzione alla sicurezza. La sicurezza sul lavoro, con tutti i suoi aspetti, non riguardanti solo il grave incidente ma anche la malattia e l’esposizione al rischio, ha come componente fondamentale la consapevolezza, l’abitudine, la conoscenza del modo in cui si muovono gli altri e in cui mi muovo io. Perché se non ci intendiamo sul luogo di lavoro, se non si sviluppa una conoscenza tacita, implicita, aumenta il livello dei rischi. Il lavoratore a tempo determinato, con un contratto per un breve periodo, non riesce a conoscere tutte le
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particolarità del luogo di lavoro, non sviluppa quella conoscenza che riduce la possibilità di correre dei rischi. Nell’insieme la flessibilità é stata quindi un forte danno anche per le aziende, riconosciuto recentemente anche dalle stesse aziende. Una flessibilità che è stata intesa come libertà di licenziamento, o anche non necessariamente come necessità di licenziare in quanto il contratto dura pochi mesi e quindi significa non riassunzione. [Testo tratto da Il lavoro oggi: merce o valore di Luciano Gallino, «Atti del Premio Benfenati 2012-13», Istituto De Gasperi, Bologna 2014]
► COMPRENSIONE E ANALISI
1. Nel testo viene sottolineato come i contratti di lavoro atipici, che negli ultimi anni caratterizzano il mercato del lavoro in tutto il mondo, siano nati su un’illusione di fondo: la flessibilità. Quali argomenti vengono addotti per sostenere questa tesi? 2. L’autore, nel corso del saggio, afferma che «queste forme di lavoro sono un grande danno anche per le imprese» (righe 12-13). Cosa intende? Quale condizione viene a mancare a un’impresa con il lavoro flessibile? 3. Nel perseguire l’obiettivo della flessibilità del lavoro, si sono create anche le condizioni per disincentivare, negli imprenditori, l’opportunità di ricorrere a importanti investimenti quali quelli per la formazione e per la sicurezza dei lavoratori. Perché? 4. Nel testo si afferma che l’esposizione al rischio nei luoghi di lavoro (incidenti, malattie), è direttamente proporzionale alla possibilità che il lavoratore possa sviluppare consapevolezza di tutti gli elementi di pericolo presenti nel proprio lavoro. Secondo Gallino, quali criticità presenta il lavoro a tempo determinato, e quindi flessibile, proprio rispetto al tema della sicurezza sul luogo di lavoro? ► PRODUZIONE
Condividi le considerazioni di Luciano Gallino in merito alla flessibilità lavorativa quale elemento ideologico responsabile del peggioramento della qualità della vita delle persone e delle famiglie? In base alle tue conoscenze, dirette o indirette, è corretto parlare della generazione di lavoratori attuali come generazione precaria con un lavoro fortemente sottopagato, che non consente di accumulare professionalità e non si sa se consentirà di maturare una pensione? ► Argomenta i tuoi giudizi con riferimenti alla tua esperienza e alle tue conoscenze e scrivi un testo in cui tesi e
argomenti siano organizzati in un discorso coerente e coeso.
Simulazione di colloquio Finalità specifica del colloquio dell’Esame di Stato è consentire alla Commissione di verificare l’acquisizione dei contenuti e dei metodi delle discipline, nonché la capacità, critica e personale, di argomentare del candidato. È importante curare la capacità di esposizione e la coerenza delle argomentazioni esposte. L’esercizio da fare è, quindi, costruire una mappa concettuale, preferibilmente interdisciplinare, che consenta di fare collegamenti coerenti con il tema proposto.
VERSO L’ESAME DI STATO
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► ESEMPIO
Per avviare il colloquio, il materiale scelto dalla Commissione è il grafico in cui sono rappresentati i dati Eurostat per l’anno 2018, relativi ai giovani NEET in Europa. L’analisi del grafico evidenzia come – in tutta l’Unione europea – i NEET tra i 20 e i 34 anni siano pari al 16,5%. Il documento scelto dalla Commissione rappresenta, pertanto, uno spunto per consentire al candidato di esporre le conoscenze sul tema della disoccupazione.
PERCENTUALE DI GIOVANI DI ETÀ COMPRESA TRA I 20 E I 34 ANNI CHE NON LAVORANO NÉ SEGUONO CORSI DI ISTRUZIONE O FORMAZIONE, 2018 % 40
27.5 6.2
9.3
7.9
8.0 Svezia
9.9 Lussemburgo
8.4
Malta
5
Paesi Bassi
10.6
10.1
Austria
11.1
10.9
Germania
Slovenia
11.9
11.4
Portogallo
Danimarca
13.1
12.7 Lituania
13.6
Finlandia
Regno Unito
14.7
13.6
15.2
15.0 Repubblica Ceca
Estonia
15.5
Polonia
Belgio
16.5
16.4
Unione europea (EU-28)
10
Lettonia
17.4
17.0
Cipro
Ungheria
18.5
17.7
Spagna
Francia
20.0
19.6
Slovacchia
15
Croazia
20.9
20.6
Bulgaria
20
Romania
26.8
25
28.9
30
24.1
33.2
36.3
35
Serbia
Montenegro
Turchia
Macedonia del Nord
Islanda
Svizzera
Norvegia
Irlanda
Italia
Grecia
0
Di seguito la scaletta dei contenuti, trattati nel corso della lezione 2, cui fare riferimento per affrontare il tema: ► I fattori (economici, sociali e culturali) alla base del fenomeno della disoccupazione, intesa come condizione di
mancanza di lavoro retribuito per chi – in età da lavoro – lo cerca attivamente. ► La condizione di disoccupato secondo le rilevazioni ufficiali e la differenza con quella di non occupato. ► I diversi tipi di disoccupazione e le cause. ► Misurazione del tasso di disoccupazione: il caso dei lavoratori scoraggiati e dei lavoratori in nero. ► Le politiche per ridurre la disoccupazione: teorie a confronto.
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PARTE 6_CITTADINI E LAVORO oggi
«Trasformare il nostro mondo.» L’agenda per lo sviluppo sostenibile Lezione 2. La tutela giuridica dell’ambiente Lezione 1.
Verso l’Esame di Stato
7
PARTE
CITTADINI E AMBIENTE
LEZIONE 1 «TRASFORMARE IL NOSTRO MONDO.» L’AGENDA PER LO SVILUPPO SOSTENIBILE Nell’era della globalizzazione – termine con il quale si è soliti indicare l’insieme dei fenomeni connessi con la crescita dell’integrazione economica, sociale e culturale tra le diverse aree del mondo – molte condotte economiche, politiche, ambientali determinano effetti sociali in grado di travalicare i confini nazionali. Il mito della crescita economica, considerato per troppo tempo il solo obiettivo da perseguire, ha determinato – di fatto – importanti conseguenze negative sia sull’ambiente che sulla distribuzione della ricchezza, sia sulla salute. Il paradigma di sviluppo basato su criteri meramente economici, sostenuto dalle stesse istituzioni internazionali (Banca mondiale, Fondo monetario, Organizzazione mondiale del commercio), tuttavia, ha incominciato ad apparire inadeguato solo a partire dalla metà del Novecento quando la comunità internazionale – iniziando a prendere atto delle conseguenze di questo modello di crescita in termini sia di ineguaglianza, sia di danni all’ambiente – ha riconosciuto l’importanza di promuovere un’idea di sviluppo sostenibile, in grado cioè di “soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri”. «Trasformare il nostro mondo» è la finalità dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile dell’ONU che, attraverso l’individuazione di 17 obiettivi (Sustainable Development Goals, SDGs), traccia la strada da percorrere entro il 2030 per i paesi firmatari.
1
Gli obiettivi dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile Nel 2015, in occasione di un summit sullo sviluppo sostenibile, l’ONU elabora un documento, l’Agenda per lo sviluppo sostenibile, con cui individua 17 obiettivi (Sustainable Development Goals, SDGs), da raggiungere entro il 2030. Il documento è il risultato di un processo preparatorio complesso, durato quasi tre anni, che ha preso avvio in occasione della Conferenza ONU RIO+20 del 2012. Gli SDGs hanno carattere universale – si rivolgono cioè tanto ai paesi in via di sviluppo quanto ai paesi avanzati – e sono fondati sull’integrazione fra le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile (ambientale, sociale ed economica), quale presupposto per sradicare la povertà in tutte le sue forme. L’Agen-
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PARTE 7_cittaDini e ambiente
da tocca diversi ambiti, tra loro interconnessi, fondamentali per assicurare il benessere dell’umanità e del pianeta: dalla lotta alla fame all’eliminazione delle disuguaglianze, dalla tutela delle risorse naturali allo sviluppo urbano, dall’agricoltura ai modelli di consumo. I 17 obiettivi sono riassunti nel manifesto dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile (https://unric.org/it/agenda-2030). Gli obiettivi, di carattere universale, sono fondati sull’integrazione fra le tre dimensioni dello sviluppo sostenibile (ambientale, sociale ed economica), quale presupposto per sradicare la povertà in tutte le sue forme.
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Gli obiettivi dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile I 17 obiettivi, riassunti graficamente nel manifesto dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile, sono: Obiettivo 1: Porre fine ad ogni forma di povertà nel mondo. Obiettivo 2: Porre fine alla fame, raggiungere la sicurezza alimentare, migliorare la nutrizione e promuovere un’agricoltura sostenibile. Obiettivo 3: Assicurare la salute e il benessere per tutti e per tutte le età. Obiettivo 4: Fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti. Obiettivo 5: Raggiungere l’uguaglianza di genere ed emancipare tutte le donne e le ragazze. Obiettivo 6: Garantire a tutti la disponibilità e la gestione sostenibile dell’acqua e delle strutture igienico-sanitarie. Obiettivo 7: Assicurare a tutti l’accesso a sistemi di energia economici, affidabili, sostenibili e moderni. Obiettivo 8: Incentivare una crescita economica duratura, inclusiva e sostenibile, un’occupazione piena e
produttiva ed un lavoro dignitoso per tutti. Obiettivo 9: Costruire un’infrastruttura resiliente e promuovere l’innovazione ed una industrializzazione equa, responsabile e sostenibile. Obiettivo 10: Ridurre l’ineguaglianza all’interno delle e fra le nazioni. Obiettivo 11: Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili. Obiettivo 12: Garantire modelli sostenibili di produzione e di consumo. Obiettivo 13: Promuovere azioni, a tutti i livelli, per combattere il cambiamento climatico. Obiettivo 14: Conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile. Obiettivo 15: Proteggere, ripristinare e favorire un uso sostenibile dell’ecosistema terrestre. Obiettivo 16: Pace, giustizia e istituzioni forti. Obiettivo 17: Rafforzare i mezzi di attuazione e rinnovare il partenariato mondiale per lo sviluppo sostenibile.
Lezione 1 «Trasformare il nostro mondo.» L’Agenda per lo sviluppo sostenibile
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2
Sviluppo tradizionale e sviluppo sostenibile Nella storia economica esistono due importanti paradigmi di sviluppo, quello dello sviluppo tradizionale e quello dello sviluppo sostenibile. Secondo il modello di sviluppo tradizionale – che caratterizza la storia dell’uomo dalle prime civiltà a oggi – la natura è una risorsa da modificare o sfruttare per migliorare la vita degli uomini; diversamente, per un modello di sviluppo sostenibile, paradigma ideato nel XX secolo per affrontare i grandi problemi ambientali del mondo e la scarsità delle risorse naturali, è necessario contemplare il benessere delle persone e quindi anche la qualità ambientale. Se lo sviluppo tradizionale si occupa soltanto di economia, lo sviluppo sostenibile contempla anche l’ambiente e l’equità sociale (secondo la regola delle tre E: economics, environment, equity). Lo sviluppo è, infatti, considerato sostenibile solo se in grado di fornire opportunità economiche, sociali ed ambientali a tutti gli abitanti di una comunità, senza diventare, per questo, una minaccia alla stessa vitalità del sistema naturale, urbano e sociale. L’idea di sviluppo sostenibile come sviluppo capace di soddisfare i bisogni del presente, senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i propri, necessita sempre più di politiche volte ad armonizzare tre elementi fondamentali: la crescita economica, l’inclusione sociale e la tutela dell’ambiente. Quest’ultima, grazie a una sempre mag-
EDUCAZIONE CIVICA E BIOLOGIA
I fattori ecologici e l’equilibrio ambientale In genere l’ambiente definisce l’insieme di elementi che costituiscono la cornice della vita dell’uomo determinandone alcune delle condizioni essenziali. Il riferimento è, evidentemente, alle componenti dell’ambiente fisico-naturale in rapporto di equilibrio tra loro (ecosistema). L’ambiente, quindi, è un sistema aperto in cui i fattori ecologici vengono continuamente irradiati dall’energia solare in grado di influenzare la vita e l’evoluzione delle specie viventi nel corso del tempo. I fattori ecologici influenzano l’evoluzione delle specie, la distribuzione e lo sviluppo degli organismi viventi nello spazio. Così, ad esempio, dall’emissione dei raggi solari dipendono i fenomeni atmosferici, l’evaporazione e il ciclo dell’acqua, la fotosintesi clorofilliana delle piante, ecc. L’interazione tra i fattori ecologici e l’energia definisce l’ambiente.
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PARTE 7_cittaDini e ambiente
L’insieme dei fattori ecologici è composto da fattori biotici (materia vivente) e abiotici (materia inorganica). ► All’insieme dei fattori abiotici appartiene la materia inorganica inanimata. Gli elementi abiotici dell’ambiente sono classificati in fattori fisici e chimici. Appartengono alla categoria dei fattori abiotici fisici alcuni fenomeni fisici naturali come l’umidità, la temperatura, la tipologia delle rocce e del terreno, il vento, la luce solare, la forza di gravità, la pressione atmosferica, ecc. Diversamente, nella categoria dei fattori abiotici chimici si trovano tutti gli elementi chimici (ossigeno, azoto, ecc.) e i fenomeni di natura chimica che si verificano nell’ambiente (il grado di salinità, il pH, l’acqua, ecc). ► All’insieme dei fattori biotici appartengono gli organismi viventi nell’ambiente e i fenomeni che li
giore e più diffusa coscienza ambientalista, è all’origine di alcuni interventi che i paesi industrializzati hanno realizzato per affrontare le problematiche relative al suo degrado; più grave – invece – è la situazione in quei paesi dove la povertà non permette di sostenere gli alti costi che il disinquinamento e la salvaguardia della natura impongono. I progressi sino a questo momento realizzati nel mondo sono sicuramente positivi, anche se molto di più occorre fare rispetto alle dimensioni del problema. Alcune emergenze ambientali hanno un carattere globale e riguardano l’intera umanità; altre, ugualmente importanti, hanno rilevanza locale. Lo scopo rimane, comunque, quello di contribuire a modificare tutti i comportamenti ritenuti complici del degrado. Lo sviluppo economico non può infatti più ignorare la necessità di porre dei limiti allo sfruttamento dell’ambiente. Lo sviluppo, dunque, deve orientarsi verso una nuova fase in cui si privilegi un utilizzo razionale ed equilibrato delle risorse. Il benessere della collettività, infatti, non può essere più misurato unicamente con il possesso materiale e abbondante di beni, quanto, piuttosto, deve basarsi sulla capacità di realizzare un complesso di condizioni che rivedano il rapporto non
riguardano (ciclo vitale, riproduzione, migrazioni, catena alimentare, competizione tra specie, ecc.). Tra i fattori biotici e quelli abiotici esistono interazioni in cui i primi contribuiscono a modificare i secondi attraverso una relazione di retroazione. Così, ad esempio, un elemento biotico come un bosco riduce l’intensità della luce solare al suolo, contribuendo all’aumento dell’umidità del terreno che è un elemento abiotico. Grazie a tale interazione, il bosco modifica l’ambiente e crea un habitat ideale per altri organismi viventi come i funghi. Anche l’uomo e le sue attività sono ricompresi tra i fattori biotici che causano un impatto notevole sugli elementi abiotici dell’ambiente; basti pensare ai fenomeni come la desertificazione, l’effetto serra, il buco nell’ozono, l’urbanizzazione, ecc. È fondamentale, quindi, che le relazioni tra settore abiotico e biotico si possano svolgere in condizione
di equilibrio ambientale. L’equilibrio ambientale – se può essere considerato stabile nel breve periodo – nel lungo periodo è soggetto a cambiamenti le cui cause sono sia naturali che antropiche: ► Cause naturali: sono tali sia tutti quei grandi eventi (un’eruzione di un vulcano, un terremoto, ecc.) in grado di modificare radicalmente l’equilibrio ambientale, la biosfera e l’habitat, sia le piccole variazioni naturali che si verificano nel tempo nella quantità della materia biotica e abiotica (una mutazione genetica casuale che dà luogo all’evoluzione della specie tramite la selezione naturale, migliorando la capacità di adattamento all’ambiente dell’organismo). ► Cause antropiche: sono tali le conseguenze delle scelte e delle attività umane che impattano in modo sempre più netto sull’equilibrio ambientale sia in modo locale che globale (ad esempio, l’inquinamento causato dalle attività umane e lo sfruttamento delle risorse naturali).
Lezione 1 «Trasformare il nostro mondo.» L’Agenda per lo sviluppo sostenibile
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solo con le risorse naturali ma anche, per esempio, con il lavoro, il tempo libero, l’istruzione, la salute (qualità della vita). In questo contesto, l’obiettivo di promuovere uno sviluppo economico qualitativo deve diventare parte integrante di tutte le scelte politiche ed economiche degli Stati; essendo, infatti, un problema mondiale, occorre che sia affrontato a livello internazionale mediante politiche interdipendenti tra paesi, che tengono conto delle tre dimensioni dello sviluppo sostenibile (che, ricordiamo, sono quelle economica, sociale e ambientale), tra loro strettamente correlate e, per questo, da considerare come un Cultura insieme in ogni intervento di programmazione. In continua evoluzione, il concetto di sviluppo sostenibile si è via via ampliato sino a riconoscere piena cittadinanza Ambiente Società anche alla diversità culturale, «necessaria per l’umanità quanto la biodiversità per la natura [...], una delle radici Economia dello sviluppo inteso non solo come crescita economica, ma anche come un mezzo per condurre una esistenza più soddisfacente sul piano intellettuale, emozionale, morale e EDUCAZIONE CIVICA E ECONOMIA
I limiti dello sviluppo Le prime riflessioni sulla necessità di un modello di crescita economica in grado di non consumare tutte le risorse ambientali, rendendole disponibili anche per il futuro, si hanno nella prima metà degli anni Settanta del secolo scorso. A partire dalla Conferenza ONU sull’Ambiente umano e dallo studio sui Limiti dello sviluppo del Massachusetts Institute of Technology (1972) che aveva evidenziato – mediante simulazione sulle interazioni fra popolazione mondiale, industrializzazione, inquinamento, produzione alimentare e consumo di risorse – come la crescita produttiva illimitata avrebbe portato inesorabilmente al consumo delle risorse energetiche e ambientali, scienziati e politici di tutto il mondo hanno iniziato a ragionare attorno a un’idea di crescita economica in grado di non consumare totalmente le risorse del pianeta. La stessa crisi petrolifera del 1973 – conseguente alla diminuzione delle esportazioni di petrolio e al relativo aumento dei prezzi – induce diversi paesi, impegnati ad affrontare un aumento dei costi dell’energia e le conseguenti politiche di austerità volte a limitarne il consumo, a riflettere sulla problematicità del rapporto tra civiltà industriale e risorse limitate del pianeta e sull’opportunità di promuovere l’uso delle fonti
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PARTE 7_cittaDini e ambiente
rinnovabili in alternativa ai combustibili fossili come il petrolio. La prima definizione di sviluppo sostenibile, come «sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri», viene ricondotta al Rapporto Brundtland (1987), dal nome del presidente della Commissione mondiale sull’ambiente. Successivamente, grazie all’affermazione di un Framework di sviluppo sostenibile strategico fondato sulle condizioni di sistema per la sopravvivenza della Sviluppo
La crisi dello sviluppo tradizionale [da www.ecoage.it]
CRISI
OGGI MEDIOEVO CIVILTÀ ANTICHE
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Ambiente
spirituale» (Dichiarazione universale sulla diversità culturale, UNESCO, 2001). In questa visione, la diversità culturale è quindi diventata la quarta dimensione dello sviluppo sostenibile, accanto a quella economica, sociale e ambientale.
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L’ambiente come risorsa In genere l’ambiente si definisce come l’insieme di elementi che costituiscono la cornice della vita dell’uomo determinandone alcune delle condizioni essenziali. Il riferimento è, evidentemente, all’ambiente fisico-naturale, costituito dall’insieme degli organismi viventi e delle sostanze non viventi in rapporto di equilibrio tra loro (ecosistema). L’errata convinzione che le risorse naturali fossero inesauribili, perché riproducibili all’infinito, ha comportato il loro sfruttamento indiscriminato come fattori produttivi. In questo modo, l’ambiente è stato adoperato, al pari di un qualunque bene
specie umana sul pianeta, molte organizzazioni nel mondo (la prima azienda fu IKEA) muovono i primi passi verso un’idea di economia in cui il consumo di una determinata risorsa non deve superare la sua produzione nello stesso periodo. In questa nuova concezione di sviluppo sostenibile: ► il benessere delle persone e la qualità ambientale diventano riferimenti essenziali, strettamente correlati al principio etico della responsabilità da parte delle generazioni d’oggi nei confronti delle generazioni future; ► la crescita economica, solo se in rapporto diretto con la tutela ambientale, permette di affrontare al meglio il problema della scarsità delle risorse e dell’inquinamento autosostenendosi nel tempo. Allo stato attuale, occorrono decisioni in grado di aumentare lo sviluppo senza intaccare ulteriormente l’ambiente (A) attraverso azioni volte a ripristinare il capitale naturale come, ad esempio, il rimboschimento (C) o anche mediante politiche miste (B). Concretamente, esempi di crescita sostenibile sono: ► il ricorso a fonti di energia rinnovabile (energia solare, eolica, geotermica, idrica, ecc.) che – grazie al basso impatto ambientale in termini di inquinamento – consentono di produrre elettricità senza consumare
lo stock delle risorse energetiche esauribili (petrolio, carbone, gas); ► il riciclaggio dei rifiuti e dei prodotti a fine del loro ciclo vitale, per riutilizzare le materie prime in un nuovo ciclo produttivo. Praticare uno sviluppo sostenibile, per l’ambiente, la natura e gli uomini che ne sono impegnati non è solo un ideale o un proposito posto da molti governi occidentali. Lo sviluppo sostenibile oggi è soprattutto un insieme di tecniche, metodi e tecnologie in grado di far crescere il sistema produttivo senza consumare l’ambiente circostante, utilizzando energia pulita e rinnovabile e rispettando le persone impiegate in tutti i processi. Sviluppo A
Lo sviluppo sostenibile [da www.ecoage.it]
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CRISI OGGI
minimo
C
Ambiente
Lezione 1 «Trasformare il nostro mondo.» L’Agenda per lo sviluppo sostenibile
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intermedio o di consumo, come un bene d’uso personale e privato. Ma cosa sono le risorse naturali? È considerata risorsa naturale ogni materia fisica non prodotta dall’uomo in grado di generare utilità economica. Le risorse naturali non devono essere confuse con le materie prime di cui sono la fonte. Utilità e valore economico sono caratteristiche fondamentali di qualsiasi risorsa naturale in ogni epoca. Ad esempio, i prati dell’antichità, il carbone delle grandi fabbriche ottocentesche e il petrolio della nostra epoca sono identificabili per possedere queste qualità, unitamente al fatto che esse non sono state prodotte dall’uomo. L’uomo, infatti, non crea il petrolio, una miscela liquida di vari idrocarburi che si trova in giacimenti negli strati superiori della crosta terrestre, ma lo estrae per trasformarlo e quindi utilizzarlo. Il petrolio è ad oggi considerato la primaria fonte energetica dell’umanità. Le risorse naturali si distinguono in risorse rinnovabili o non rinnovabili. Le prime si rinnovano mediante un ciclo biologico breve, mentre le seconde sono presenti in quantità predeterminate e si formano solo dopo lunghi cicli geologici. Sono risorse rinnovabili quelle che – entro certi limiti di sfruttamento – non diminuiscono con l’uso da parte dell’uomo. Questo genere di risorse può essere permanente (energia solare o eolica) o non permanente. È il caso della foresta sfruttata per produrre legname mediante le attività di taglio che ne riducono la quantità di alberi presenti. Col passare del tempo, la foresta tende a rinnovarsi grazie alla nascita naturale o alla piantagione di nuovi alberi perché è una risorsa rinnovabile; tuttavia, se l’uomo dovesse tagliare più alberi di quanti ne crescono di nuovi, prima o poi la foresta scomparirebbe perché – pur se risorsa rinnovabile – non è permanente. Lo sfruttamento o il semplice uso di una risorsa naturale rinnovabile riduce
VITA QUOTIDIANA
Le foreste, oggi, coprono meno del 30% della superficie terrestre, mentre quelle tropicali, che costituiscono l’ecosistema più ricco della Terra, solo l’8%. Immagini di degrado e devastazione di aree forestali come quelle dell’Amazzonia (territorio pari a venti volte quello italiano) sono tristemente note a tutti. A causa della deforestazione, infatti, la Foresta amazzonica, uno dei pilastri degli equilibri climatici, sta perdendo una superficie equivalente a oltre tre campi da calcio al minuto Le ragioni di tali scempi sono economiche e legate alla produzione e al consumo. La distruzione delle foreste produce effetti negativi sull’equilibrio climatico dell’intera Terra, in
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PARTE 7_cittaDini e ambiente
quanto incide sulla quantità di anidride carbonica presente nell’atmosfera.
le scorte disponibili della risorsa stessa. In conclusione, lo sfruttamento eccessivo e senza limiti di una qualsiasi risorsa naturale può farla estinguere anche se la risorsa è rinnovabile. Sono risorse non rinnovabili quelle che – esistendo in quantità prefissata – non aumentano per via naturale nonostante abbiano un proprio processo di ricrescita. Il petrolio, così come le altre fonti di energia fossile (gas, carbone, ecc.) impiegano, infatti, milioni di anni per formarsi; ecco perché queste risorse sono considerate in quantità fissa. Nel loro insieme le fonti non rinnovabili coprono la quasi totalità dei consumi mondiali d’energia e, proprio a causa della rapidità con cui sono utilizzate, sono soggette a esaurirsi in un tempo relativamente breve, calcolato nel complesso intorno ai 150 anni. Si tratta perciò di risorse strategiche, il cui controllo condiziona le vicende politiche ed economiche del pianeta. Ma i costi che l’ambiente ha dovuto pagare si misurano, oggi, non solo con l’esaurimento delle risorse naturali, ma anche con l’inquinamento. Infatti l’ambiente, sfruttato per la capacità di fornire risorse produttive, è anche stato usato come contenitore di rifiuti, subendo gli effetti degli scarti dei processi produttivi o di quelli derivanti dal consumo, individuale e collettivo, dei beni. Si definisce inquinamento ogni alterazione dell’ambiente naturale, cagionata dall’azione dell’uomo. In concreto, esso consiste in immissioni di natura diversa (gassosa, liquida, solida, radiazioni, vibrazioni, ecc.) nell’aria, nell’acqua o nel suolo, che alterano le proprietà e l’equilibrio dell’ambiente. Gli effetti causati dall’inquinamento sono spesso incontrollabili e non sempre prevedibili. VITA QUOTIDIANA
Il petrolio, dopo il processo di estrazione, attraverso la costruzione di apposite torri di perforazione o trivellazione, viene trasportato alle cosiddette raffinerie, stabilimenti dove avvengono le operazioni di trasformazione che permettono di produrre una serie di prodotti di uso comune. Le operazioni attraverso le quali il grezzo petrolifero viene trasformato sono molteplici e di diversa natura. L‘industria petrolifera, tuttavia, ha significativi impatti sociali e ambientali derivanti sia da incidenti, che dalle attività di esplorazione e perforazione della crosta terrestre e dagli scarti inquinanti. Le operazioni di estrazione di petrolio alla lunga danneggiano il fondo marino; il greggio e il petrolio che fuoriescono da navi petroliere incidentate hanno deteriorato importanti ecosistemi; la combustione del petrolio, infine, risulta essere tra i maggiori responsabili dell’incremento di anidride carbonica e di altri gas nell’atmosfera, incidendo sull’aumento dell’effetto serra. È del 2010 il disastro
ambientale della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon che ha causato un massiccio sversamento di greggio nelle acque del Golfo del Messico con gravi conseguenze sulla salute della popolazione locale e sulla flora e fauna.
Lezione 1 «Trasformare il nostro mondo.» L’Agenda per lo sviluppo sostenibile
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4
Il consumo responsabile Nelle cosiddette “società dei consumi”, il modello economico si basa sulla crescente produzione e sull’incessante acquisto di merci; per tale ragione, le scelte di acquisto e di consumo sono di fondamentale importanza per la sostenibilità, sia sotto il profilo della tutela dell’ambiente, sia sotto il profilo sociale relativo alla tutela dei diritti e del benessere delle persone. Il degrado ambientale, infatti, non può essere attribuito solo al comportamento dei produttori ma, piuttosto, a un processo lento cui tutti hanno contribuito. Infatti, se da un lato le fabbriche sono tra le prime responsabili dell’inquinamento, dall’altro anche le azioni di consumo dei singoli individui si sono rivelate dannose per l’ambiente. A pesare maggiormente sull’ecosistema sono soprattutto i consumi in generi alimentari, quelli legati all’edilizia e quelli dovuti alla mobilità.
EDUCAZIONE CIVICA E SCIENZA
L’inquinamento atmosferico I progressi della tecnica e le attività produttive sono stati per lungo tempo fattori di aggressione dell’ambiente. L’inquinamento atmosferico è causato dalla presenza nell’aria di più sostanze indesiderabili o estranee, in quantità e per una durata tali da alterare la salubrità dell’aria e da costituire un pericolo per la salute umana. Il buco nell’Ozono Nell’atmosfera terrestre è presente – in quantità scarsa – l’ozono, un tipo di gas la cui funzione di schermo è fondamentale per fornire un riparo dai raggi ultravioletti del sole. Questo strato di ozono si sta da tempo assottigliando, tanto che gli scienziati hanno denunciato l’apertura, dapprima sopra l’Antartide, di un buco che, con il tempo, si è esteso causando l’apertura di un altro buco sopra l’Artico. L’assottigliamento avviene sia per effetto di fenomeni naturali, sia per la dispersione nell’atmosfera di agenti inquinanti, composti chimici chiamati ODS (Odzone Depleting Substances, cioè sostanze che distruggono l’ozono), da imputare principalmente ai CFC, ovvero composti chimici contenenti cloro-fluoro-carburi, in passato presenti nei gas contenuti nei frigoriferi, nei condizionatori, nelle bombolette spray e nella produzione di espansi (gomme,
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PARTE 7_cittaDini e ambiente
poliolefine e poliuretani utilizzati per produrre guarnizioni e materiali da imballaggio) che per essere smaltiti impiegano dai 50 ai 70 anni. La formazione del buco dell’Ozono rappresenta un grosso problema in quanto i raggi UV sono molto pericolosi per la salute umana: aumentano il rischio di cancro della pelle e di mutazioni del DNA. I raggi ultravioletti, inoltre, inibiscono la fotosintesi clorofilliana, minando quindi lo stesso ecosistema. Il surriscaldamento globale è anche determinato da altri fenomeni, come ad esempio l’effetto serra. L’effetto serra L’effetto serra è quel fenomeno atmosferico-climatico dovuto alla presenza nell’aria dei cosiddetti “gas serra” (tra i quali l’anidride carbonica, il metano, l’ozono ed il vapore acqueo) che permettono ai raggi solari di oltrepassare l’atmosfera e di scaldare la Terra che, diversamente, avrebbe una temperatura eccessivamente bassa. Questi gas inoltre lasciano passare i raggi solari attraverso l’atmosfera, ma non solo: bloccano la radiazione IR (chiamata IR termico) emessa dalla Terra. La Terra assorbe la radiazione emessa dal sole per circa il 50% e la riemette in atmosfera. Questo IR termico emesso
A livello internazionale sempre più attenzione viene rivolta al consumo responsabile, come attesta l’obiettivo numero 12 dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile dell’ONU volto a garantire, entro il 2030, modelli sostenibili di produzione e di consumo grazie anche ad azioni idonee a consentire che tutte le persone, in ogni parte del mondo, abbiano «informazioni rilevanti e la giusta consapevolezza dello sviluppo sostenibile e di uno stile di vita in armonia con la natura». Il “sistema Terra”, infatti, non è più in grado di reggere lo sfruttamento indiscriminato delle risorse fatto oggi dall’uomo: occorre ristabilire l’equilibrio tra produzione e consumo in modo che, ogni anno, il pianeta possa offrire ai suoi abitanti la stessa quantità di risorse dell’anno precedente. È una richiesta forte di passare dall’indifferenza all’assunzione di responsabilità; è la sveglia per ricordare che occorre il contributo di tutti. Le modalità di consumo sono fra i fattori decisivi in grado di indirizzare equilibri economici, ambientali, sviluppo sociale e tendenze culturali.
dalla Terra e trattenuto dai gas serra mitiga il clima sul nostro pianeta. In pratica, se non ci fossero i gas serra il calore dei raggi solari rimarrebbe bloccato dall’atmosfera e non potrebbe arrivare sulla Terra, impedendo la sopravvivenza di tutte le specie. Questo sistema attualmente non è più in perfetto equilibrio a causa dell’eccesso di produzione di anidride carbonica (CO2) presente nelle emissioni di gas serra ritenute responsabili del fenomeno del surriscaldamento globale. Nell’ultimo secolo, infatti, la temperatura media del nostro pianeta è aumentata di 0,76° ed è destinata – secondo le stime – a un ulteriore aumento (da 1,1 a 6,4°). Ovviamente, se le temperature si alzeranno in modo eccessivo, le conseguenze saranno pesanti per agricoltura e coltivazioni, per la tutela della biodiversità, per la disponibilità di acqua. Per non parlare, poi, del fenomeno del climate change e dell’accentuarsi di fenomeni quali inondazioni, uragani e così via. I cambiamenti climatici Ad essere sotto accusa, secondo l’agenzia delle Nazioni Unite FAO, oltre all’emissione dei gas serra (34%), ci sono l’industria (22%), i trasporti (14%), l’agricoltura intensiva (13%), l’edilizia non sostenibile (8%), lo sfruttamento delle foreste (4%) e lo smaltimento dei rifiuti (3%).
Ogni anno circa 40 milioni di tonnellate di CO2 vengono immesse in atmosfera da attività umane ove permangono per centinaia di anni. Per centinaia di migliaia di anni la concentrazione di CO2 nell’atmosfera ha oscillato tra i valori di 180 e 280 parti per milione (ppm). Nel 2019, secondo i calcoli della NASA, il valore della CO2 ha superato 410 ppm. Nelle regioni polari, da sempre considerate una sorta di “luogo sentinella” in quanto dotato di capacità di regolazione termica del clima globale, il riscaldamento è maggiore e la calotta polare sta scomparendo a ritmi più veloci di quelli previsti dai modelli. In soli 20 anni si è persa un’estensione di ghiacci pari a 17 volte la superficie dell’Italia. Lo scioglimento dei ghiacciai procede a un ritmo del 13,2% a decade. Una riduzione sia in estensione che in spessore del ghiaccio. Secondo molti scienziati il ghiaccio marino estivo potrebbe svanire totalmente entro il 2030. La contrazione anno dopo anno della calotta polare artica apre anche nuove enormi opportunità commerciali che già muovono gli interessi delle maggiori potenze mondiali: Cina, Russia, Stati Uniti. In Artico, infatti, c’è una grande riserva di petrolio; per questo, una risoluzione del Parlamento europeo chiede che vengano vietate trivellazioni in Artico, per non mettere a repentaglio gli ecosistemi polari già duramente colpiti dal riscaldamento globale.
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VITA QUOTIDIANA
Se si effettua l’analisi del ciclo di vita dei prodotti che ogni giorno troviamo sulla nostra tavola, se ne comprende meglio l’incidenza sull’inquinamento ambientale. L‘Agenzia europea dell’ambiente (EEA) rileva come il consumo di cibo e bevande è responsabile del 15% delle emissioni di gas serra contribuendo al 20-30% dell’inquinamento ambientale in Europa.
La produzione agricola è la fase che pesa in misura maggiore, seguita poi dai processi industriali. Altri fattori che incidono sull’ambiente sono il dispendioso uso di acqua in regioni che soffrono di siccità, il sovrasfruttamento della pesca e l’elevata quantità di alimenti che ogni giorno finiscono nella spazzatura, perché scaduti o non consumati.
Consumare in modo responsabile significa avere consapevolezza del vero costo dei prodotti che si acquistano, riconoscendo che tutto ciò che si compra è frutto del lavoro di una catena di persone che può avere effetto sulla salute e il benessere della popolazione e del pianeta. In questo senso, non è necessario rinunciare o opporsi a forme di consumo, quanto piuttosto orientarsi verso quelle meno dispendiose in termini energetici e capaci di rispettare e preservare le risorse naturali, specie quelle non rinnovabili. Concretamente, il “consumatore critico” orienta i propri acquisti in base a criteri ambientali e sociali, che prendono in considerazione le modalità di produzione del bene, il suo trasporto, le sue modalità di smaltimento e le caratteristiche del soggetto che lo produce. Tale atteggiamento nasce dalla considerazione che qualsiasi bene o servizio ha un “peso” sociale e ambientale in quanto per produrlo e farlo arrivare sul luogo in cui viene utilizzato sono state utilizzate delle materie prime, sono stati messi in atto dei processi produttivi che hanno delle conseguenze sull’ambiente, è stata consumata dell’energia, e sono stati impiegati dei lavoratori. Lo scopo del consumo critico è quello di ridurre al minimo questo peso, attraverso un’azione che si muove su due livelli: da una parte riducendo l’impatto ambientale e sociale della propria spesa e dall’altro contribuendo con le proprie scelte a indirizzare le politiche dei soggetti protagonisti del mercato. Se per molti il consumo critico è solo una modalità di acquisto, per una fetta crescente di consumatori si sta trasformando in un vero e proprio stile di vita.
VITA QUOTIDIANA
I dati dell’ONU sono sconfortanti, soprattutto in relazione agli sprechi alimentari. Secondo le Nazioni Unite: un terzo del cibo prodotto finisce nei rifiuti senza essere riciclato; l’eccessivo utilizzo di acqua contribuisce allo stress idrico mondiale, mentre oltre un miliardo di persone sono ancora prive di accesso all’acqua potabile; l’utilizzo di energia cresce sempre
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più rapidamente, ma solo un quinto deriva da fonti rinnovabili. Nonostante tutti questi sprechi, circa 1 miliardo di persone soffre ancora di denutrizione e un altro miliardo la fame, mentre 2 miliardi di persone sono sovrappeso. Intanto, l’inquinamento e lo sfruttamento eccessivo di suolo, acqua e pesca sta riducendo la capacità dell’ambiente di fornire alimenti.
Per ridurre l’impatto ambientale dei consumi, occorre sempre più che si stabiliscano limiti ambientali sia all’incremento della produzione sia a quello dei consumi. Solo un’innovazione che guardi simultaneamente alla dimensione tecnologica, all’aumento di produttività e alla riduzione del consumo di risorse naturali è in grado di rimettere in moto uno sviluppo economico di dimensioni adeguate.
VITA QUOTIDIANA
L’esercizio del consumo critico si è arricchito negli ultimi anni di strumenti e di informazioni a disposizione del consumatore allo scopo di consentire la scelta di prodotti e aziende in base a criteri di qualità, sostenibilità sociale e ambientale, rispetto dei diritti dei lavoratori. Ad esempio, i Gruppi di acquisto solidale (GAS) sono nuclei di consumatori che si organizzano per fare acquisti
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all’ingrosso, ottenendo dei prezzi più favorevoli di quelli che si trovano sul mercato al dettaglio; anche le certificazioni come, ad esempio, quelle relative al commercio equo e solidale, la certificazione biologica e quella biodinamica, tendono a dare al consumatore la garanzia che il prodotto e il suo ciclo produttivo abbiano determinate caratteristiche di sostenibilità ambientale e/o sociale.
L’economia circolare Il mondo produttivo sta finalmente comprendendo l’importanza del passaggio all’economia circolare – che riduce i costi di produzione, assicura la sostenibilità dei processi produttivi e favorisce lo sviluppo di nuovi
Lezione 1 «Trasformare il nostro mondo.» L’Agenda per lo sviluppo sostenibile
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prodotti – più in linea con la sensibilità ambientale delle nuove generazioni. Precedentemente alla rivoluzione industriale, le economie agricole recuperavano qualsiasi cosa che potesse essere riutilizzato. Basti pensare alla capacità delle nonne di riutilizzare oggetti di uso quotidiano per farne di nuovi utili per la casa (i vecchi pantaloni o le stoffe inutilizzate diventavano presine o borse, l’olio d’oliva veniva adoperato per fare il sapone, il vino per fare l’aceto). È con l’avvento di un sistema economico fondato sullo sfruttamento immediato che il ciclo di vita dei beni si è accorciato ed è diventato lineare basato, cioè, su parole chiave quali “prendi, produci, usa e getta”. L’ economia circolare è un nuovo modello di business e un nuovo modo di vedere i prodotti e i servizi che replica il ciclo vitale naturale: ogni fine è un nuovo inizio. Nell’economia circolare, i prodotti sono pensati per avere una nuova vita grazie alla riparazione e alla ricostruzione. Possono addirittura essere trasformati in nuove cose o utilizzati come nuove risorse per altri prodotti. Inoltre, circolarità significa essere consapevoli del consumo di acqua e di energia richiesti nella produzione. L’economia circolare definisce, quindi, un sistema economico pensato per potersi rigenerare da solo garantendo la propria ecosostenibilità. Uno degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’ONU stabilisce anche gli obiettivi sullo spreco, ovvero riciclare il 65% dei rifiuti urbani e il 75% dei rifiuti da imballaggio, insieme all’obiettivo vincolante di ridurre la produzione dei rifiuti che finiscono in discarica, fino a un tetto massimo del 10%. Cogliendo l’importanza per la sostenibilità, l’Unione europea sta dando forma alla sua idea di economia circolare attraverso direttive sui rifiuti e sull’uso di fertilizzanti biologici.
VITA QUOTIDIANA
Il settore dell’edilizia è tra quelli con il più alto impatto a carico dell’ambiente. Uno studio di architettura sostenibile ha dimostrato come costruire case e edifici a basso impatto con materiali naturali sia possibile. È auspicabile costruire in legno, paglia, terra cruda, bambù e pietra per diminuire l’impatto ambientale degli edifici, avere una qualità abitativa migliore e un impatto energetico quasi nullo perché una casa passiva ha consumi bassissimi. L’architettura sostenibile ha un valore di circolarità ambientale perché i materiali impiegati provengono dalla terra e alla terra tornano a fine ciclo di vita; ha anche un valore di circolarità sociale perché preserva antiche tecniche di costruzione, saperi di
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pochi artigiani, e le tramanda a nuove generazioni di architetti, trasformando il cantiere in un momento di creazione di comunità.
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Lo smaltimento dei rifiuti e la raccolta differenziata
Nei paesi occidentali, tutto quello che viene consumato si trasforma in rifiuti di tutti i tipi, urbani e industriali, che possono danneggiare l’ambiente. Ogni anno un cittadino dell’Unione europea genera in media 4,5 tonnellate di rifiuti, di cui circa la metà viene smaltita in discariche, aree in cui vengono ammassati in modo indifferenziato i rifiuti solidi urbani. Queste possono essere molto pericolose e insicure, non solo perché deturpano il paesaggio, ma anche perché, se non realizzate in modo idoneo (ad esempio su terreni non impermeabili) possono inquinare le falde sottostanti. Un’altra soluzione è quella degli inceneritori (impianti di piccole dimensioni che bruciano grandi quantità di rifiuti); anch’essa non è priva di controindicazioni quali, ad esempio, la produzione di gas di scarico, scorie e ceneri altamente tossici. Sono gli effetti collaterali della cosiddetta economia lineare, costruita sulla produzione di un bene, sul suo consumo e sul consequenziale smaltimento. Se l’obiettivo è aumentare il riciclaggio, ridurre lo smaltimento in discarica e i rifiuti alimentari, è necessario costruire un modello di economia circolare capace di superare il concetto di fine vita della materia e, quindi, di rifiuto. Solo l’azione congiunta di vari soggetti consentirà di raggiungere un obiettivo così complesso: dal legislatore ai produttori, dalle istituzioni alle associazioni ambientaliste, dalle infrastrutture per la gestione dei rifiuti ai cittadini, tutti dovranno promuovere e seguire un modello di vita e di consumi ecosostenibile capace di ridurre al minimo l’impronta ecologica►. In un nuovo modello di economia, la circolarità ha come punto cardine l’idea che se tutto ciò che si produce ha uno scopo, tutto ciò che diviene Impronta ecologica Indicatore utilizzato scarto deve trasformarsi in nuova risorsa; superando il modello produzioper valutare il consumo ne-consumo-smaltimento, il prodotto di scarto finale viene re-immesso in umano di risorse naturali rispetto alla capacità della circolo diventando così materia prima seconda, pronta per una nuova vita. Terra di rigenerarle. Dopo il consumo e prima dell’eventuale smaltimento, è quindi necessario
VITA QUOTIDIANA
La diffusione della plastica nella nostra vita quotidiana deriva dalla capacità di questo materiale di ammorbidirsi con il calore e di adattarsi ad uno stampo nel quale, indurendosi, assume la forma definitiva degli oggetti. Le problematiche ambientali impongono di ridurre drasticamente l’uso di plastica ed in particolar modo del PET, materiale utilizzato soprattutto per produrre bottiglie molto leggere e infrangibili destinate a contenere bibite e acqua minerale. Oggi, 8 bevande su 10 vengono vendute in bottiglie di plastica. La plastica, tuttavia, è un materiale non biodegradabile e – presente in alcune materie plastiche – il cloro produce diossina se bruciato.
Per questa ragione, la plastica non deve essere dispera nell’ambiente, ma recuperata e possibilmente riciclata. Dal recupero e dal riciclo delle materie plastiche è infatti possibile ottenere nuovi contenitori e moltissimi oggetti utili per uso quotidiano. Bottiglie e flaconi di PET, per esempio, possono ridiventare fibre tessili e nuovi flaconi, risparmiando così materie prime ed energia. Gli imballaggi di plastica possono essere riciclati e tornare a nuova vita, ad esclusione di quelli destinati ad uso strettamente alimentare e quindi contaminati. Con il PET riciclato si ottengono così fibre per imbottiture, maglioni, pile, moquette, interni per auto, lastre per imballaggi vari.
Lezione 1 «Trasformare il nostro mondo.» L’Agenda per lo sviluppo sostenibile
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attivare dei processi virtuosi come la riparazione, il riutilizzo, il riciclo. Dal punto di vista ecologico, il riciclaggio, ovvero il processo di trasformazione dei rifiuti in materiali riutilizzabili, costituisce l’alternativa più vantaggiosa ai sistemi convenzionali di smaltimento dei rifiuti. In un modello di economia circolare, il rifiuto più che un problema diventa una risorsa. Una società dei consumi come quella in cui viviamo è strettamente legata ad alti volumi di produzione di prodotti e conseguentemente di scarti; per questo essere civicamente sensibili alla raccolta differenziata è importante per cambiare il futuro delle generazioni. Il primo passo per un futuro ecosostenibile passa attraverso la conoscenza dei rifiuti e del sistema di conferimento per la raccolta differenziata , procedimento complesso basato sulla separazione di tutti i rifiuti riciclabili (es. vetro, carta e metalli). Oltre ai rifiuti cumulabili è necessario ricordare che esiste la categoria dei rifiuti speciali, come le batterie scariche, inquinanti e altamente pericolose in quanto possono contaminare il terreno e le falde acquifere, provocando malattie. Per questi è necessario uno smaltimento solo negli appositi punti di raccolta. Allo stesso modo l’olio che, se buttato nel lavandino, genera danni enormi compromettendo la potabilità dell’acqua. Qualsiasi attività produttiva, inoltre, produce rifiuti speciali, alcuni dei quali sono considerati pericolosi perché nocivi per l’uomo e l’ambiente.
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Le ecomafie In Italia, le organizzazioni mafiose si inseriscono ovunque c’è “profumo“ di affari, tanto da aver trovato conveniente entrare anche nel business della gestione dei rifiuti tossici il cui giro d’affari è incalcolabile. Caratteristica identificativa di tutte le mafie è, da sempre, quella di esercitare il controllo su attività economiche e traffici illeciti (dagli appalti pubblici agli stupefacenti), condizionando la libertà dei cittadini e il regolare andamento delle funzioni pubbliche; rette dalla legge dell’omertà e del silenzio, le mafie si servono di metodi di intimidazione e repressione violenta e spietata per ottenere i propri scopi. Diverse organizzazioni e gruppi ambientalisti hanno spesso denunciato la gestione inadeguata o disonesta dei rifiuti tossici, rivelando le frequenti collusioni della mafia e della camorra con le grandi e piccole imprese industriali. I reati ambientali, infatti, spesso sono conseguenza di un sistema di corruzione tra imprese private, vincitori di appalti per la depurazione, gestione
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e messa in sicurezza dei rifiuti tossici o delle scorie nucleari, amministratori locali e organi di controllo. Lo smaltimento illegale dei rifiuti tossici risulta particolarmente lucroso per le mafie tradizionali. Sono definite ecomafie le associazioni criminali che da molti anni si dedicano agli affari dello smaltimento illegale dei rifiuti nocivi per l’ambiente e la salute umana, invece di rispettare le procedure di smaltimento previste da leggi nazionali e internazionali. La maggior parte di questi rifiuti va a finire nel Sud d’Italia, in particolare in Puglia, Campania e Calabria. Oltre che essere scaricati in mare, parte dei rifiuti viene sotterrata anche in cave abusive, già oggetto di reati ambientali di escavazione. È ciò che è accaduto, ad esempio, nella cosiddetta Terra dei Fuochi, una vasta area a cavallo tra il territorio delle province di Napoli e Caserta, dove è avvenuto, ad opera della camorra, l’interramento di rifiuti tossici e rifiuti speciali che – a seguito anche di numerosi roghi – hanno
Tra i rifiuti speciali, una categoria altamente pericolosa è quella dei rifiuti tossici , materiali di scarto che possono determinare morte, lesioni o difetti di nascita in creature viventi; se dispersi nel terreno o nei mari, causano contaminazioni che mettono a rischio l’ambiente stesso, inquinando
determinato un potenziale impatto nocivo sulla salute della popolazione locale. Il Nord Italia è invece interessato dallo smaltimento dei fanghi tossici, adoperati come fertilizzanti in campi coltivati. È il caso dello scandalo di Porto Marghera, in Veneto, dove nel 1984 venne alla luce che milioni di tonnellate di fanghi tossici provenienti dalle fabbriche venivano scaricate in Laguna e in Alto Adriatico. Vengono definite navi dei veleni, quelle usate illecitamente come mezzo per smaltire in mare rifiuti tossici e sostanze pericolose prodotte dall’uomo come diossine, mercurio, metalli pesanti, sostanze radioattive. L’Italia, inoltre, è anche crocevia di traffici internazionali di rifiuti, provenienti dai paesi europei e destinati a paesi quali Nigeria, Mozambico, Somalia, Romania. Altre attività spesso ascritte a tali organizzazioni, oltre quelle concernenti lo smaltimento dei rifiuti, sono anche l’escavazione abusiva, il traffico di animali esotici, il saccheggio di beni archeologici, l’abusivismo edilizio su larga scala e l’allevamento di animali da combattimento. La ’ndrangheta, organizzazione mafiosa calabrese con
interessi di miliardi di euro diffusi in ogni angolo del pianeta, da sempre si interessa anche di rifiuti tossici. Sin dagli anni Settanta del secolo scorso, quando i reati ambientali non erano considerati ancora preoccupanti, camion gestiti direttamente o indirettamente da famiglie della mafia calabrese trasportavano quotidianamente, dal Nord al Sud, rifiuti di tutti i generi. Lo smaltimento dei rifiuti tossici ha così rappresentato un ricchissimo business per la ’ndrangheta che, in quegli anni, era svolto senza rischio. Da alcune inchieste giudiziarie è emerso anche che molto denaro proveniente dai sequestri di persona operati negli anni Settanta sull’Aspromonte, veniva poi “ripulito” nell’acquisto di flotte di camion da utilizzare sia per il trasporto di calcestruzzo, attività da sempre in odore di ’ndrangheta, che di sostanze tossiche. Un grande affare che ha permesso, in realtà, alla ’ndrangheta di finanziare quello che è ritenuto il più grande affare fra tutti: il controllo e lo spaccio di grandi quantità di stupefacenti, settore nel quale la ’ndrangheta da anni ha conquistato – in campo internazionale – il monopolio.
Lezione 1 «Trasformare il nostro mondo.» L’Agenda per lo sviluppo sostenibile
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il suolo, l’acqua o l’aria. In genere, si considerano nocivi i materiali di scarto dell’industria (amianto, cloro, sostanze radioattive, piombo, ecc.), dell’agricoltura (fertilizzanti chimici, pesticidi), dei sistemi di depurazione urbani, dell’edilizia (calcinacci e materiali di demolizione), dei garage per veicoli, di laboratori, ospedali (medicine, cateteri, guanti monouso, provette, camici monouso, materiale per medicazioni, aghi, ecc.). I rifiuti possono essere liquidi, solidi o liquami e contenere sostanze chimiche, metalli pesanti, radiazioni, patogeni pericolosi e altre tossine. Questi fattori inquinanti possono trovarsi ovunque: sotto terra, nei corsi d’acqua, nelle falde da cui si attinge l’acqua potabile, pregiudicando la salute di uomini, animali e piante. Alcuni elementi tossici, come il mercurio, non si degradano e si accumulano nell’ambiente e, spesso, uomini ed animali li assorbono mangiando pesce.
GUIDAALLOSTUDIO Rispondi oralmente o per iscritto alle domande o individua e sottolinea nel testo la risposta: ► A cosa mira l’Agenda 2030? ► Quali sono le differenze fondamentali tra lo sviluppo tradizionale e quello sostenibile? ► Cosa sottintenda il concetto di qualità della vita? ► Cos’è l’ambiente? ► Quali sono le risorse rinnovabili e quali quelle non rinnovabili? ► In cosa consiste il consumo responsabile? Perché è necessario? ► Qual è la finalità dell’economia circolare? E quella della raccolta differenziata dei rifiuti?
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LEZIONE 2 LA TUTELA GIURIDICA DELL’AMBIENTE
Oggi l’ambiente è percepito sempre più come valore da tutelare, importante anche perché il mantenimento della salute e il benessere di tutti passano attraverso la salubrità dell’habitat in cui si vive. Lo sviluppo di un adeguato sistema di tutela, capace di fronteggiare le criticità ambientali e le emergenze, è tuttavia correlato anche all’aumentata presa di coscienza della gravità dei rischi derivanti da uno sviluppo tecnologico e scientifico indiscriminato e senza regole. L’attuale clima di dialogo e di forte interesse nei confronti delle problematiche ambientali emergenti e di salute ad esse correlate è frutto anche di una nuova presa di coscienza e della voglia di cambiamento sempre più forte nei cittadini. In questo quadro di nuove sensibilità, ognuno è chiamato a fare la propria parte, in un clima di collaborazione e di coesione. Viene quindi da chiedersi se l’aumento di questa consapevolezza procede in parallelo con l’adeguamento normativo, interno e internazionale. Il diritto all’ambiente, come diritto fondamentale al fine dello sviluppo della persona, necessita ovviamente di iniziative di tutela da parte dei soggetti predisposti alla gestione delle risorse ambientali.
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La tutela dell’ambiente e del paesaggio nell’ordinamento italiano Il ritardo con cui in Italia si è sviluppata un’adeguata coscienza ecologica, sia da parte dei singoli cittadini che degli organi dello Stato, è alla base della lentezza con cui ha preso avvio il processo di regolamentazione dell’uso della risorsa ambiente nel nostro paese. Per poter inquadrare la tutela dell’ambiente nell’ordinamento italiano è, infatti, necessario sottolineare come esso non sia oggetto di una specifica disciplina costituzionale quanto, piuttosto, normato indirettamente e implicitamente da altre disposizioni costituzionali (artt. 2, 9 e 32). La Costituzione, infatti, in materia di tutela ambientale, non è stata esplicita. Secondo gli interpreti del testo costituzionale, invero, la Costituzione ha voluto abbracciare l’ambiente in una dimensione onnicomprensiva più che come valore fine a se stesso. Del resto, nel 1948, anno della sua emanazione, si era lontani dall’immaginare lo scempio che
Lezione 2 La tutela giuridica dell’ambiente
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Art. 9 La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
Art. 32 La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività.
sarebbe stato fatto dell’ambiente negli anni successivi. Tuttavia, nonostante la genericità dei contenuti, importanti indicazioni provengono da due articoli, il 9 e il 32, che indirettamente segnano la strada da seguire. I riferimenti costituzionali contenuti nell’art. 9, seppur generici, permettono di evidenziare l’importanza attribuita al paesaggio e alle risorse del territorio italiano: risorse naturali (flora e fauna), storiche (monumenti, reperti, tradizioni), artistiche (palazzi, dipinti, sculture). Inoltre, nell’assegnare il compito di tutela allo Stato, la Costituzione ha voluto mettere in evidenza l’importanza di leggi che valorizzino, conservino e vietino di distruggere o disperdere tali risorse, oggi considerate complessivamente beni ambientali. A questa norma si è spesso richiamata la Corte costituzionale per costituzionalizzare il valore dell’ambiente, da intendersi come bene primario e valore assoluto cui si ricollegano interessi non solo naturalistici e sanitari, ma anche culturali, educativi e ricreativi. Il paesaggio identifica il cosiddetto “ambiente visibile”, vale a dire gli aspetti del rapporto fra uomo e natura che si estrinsecano nella forma del territorio. Infine, i beni culturali, che compongono il patrimonio storico e artistico nazionale, sono tutti quei beni mobili e immobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico, etnoantropologico, archivistico e bibliografico, e gli altri beni individuati dalla legge o in base alla legge quali testimonianze aventi valore di civiltà. Un’altra importante indicazione costituzionale proviene dal diritto alla salute sancito dall’art. 32. Questo, in quanto diritto fondamentale per ognu-
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
La tutela del patrimonio storico-artistico e paesaggistico Attraverso l’art. 9 della Costituzione, i padri costituenti hanno rimarcato che la protezione del bello è uno dei valori fondanti il nostro sistema costituzionale. Si tratta di una disposizione dal “carattere dinamico” che rappresenta un “ponte tra passato e futuro”. Il patrimonio, infatti, rappresenta l’eredità del passato che occorre trasmettere alle generazioni future. In merito al patrimonio artistico, in Italia questo è tutelato dallo Stato, da associazioni private e dalle Nazioni Unite. Relativamente al ruolo dello Stato, la struttura preposta alla tutela e alla conservazione del patrimonio artistico-culturale e paesaggistico è il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MiBACT) che esercita le proprie funzioni direttamente o ne può conferire l’esercizio alle regioni, tramite forme di intesa e coordinamento. Spettano al Ministero anche
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la definizione delle politiche di tutela e valorizzazione del paesaggio e la funzione di vigilanza sui beni paesaggistici tutelati. Al MiBACT è affidato anche il compito di favorire la ricerca e la diffusione delle conoscenze riguardanti il patrimonio culturale italiano custodito nei musei e rappresentato nei luoghi della cultura, al fine di condividerne valori e originalità con il resto del mondo. Le organizzazioni che si occupano della tutela e della valorizzazione del patrimonio artistico, storico e culturale, della promozione dell’attività culturale e dell’arte (ad esempio attraverso eventi, esposizioni,
no, va garantito e tutelato anche attraverso il mantenimento di un ambiente sano, condizione necessaria a realizzare il benessere della collettività. Per molto tempo, le disposizioni costituzionali evidenziate sono servite ad attuare solo forme di tutela dell’ambiente per lo più rivolte a proteggere il paesaggio come se fosse un monumento: un “oggetto” da contemplare. Principali disposizioni in materia ambientale • 1939: legge 1089/1939 sui vincoli culturali e legge 1497/1939 sui vincoli paesaggistici (leggi Bottai) • 1966: legge 615 sull’inquinamento atmosferico • 1976: legge 319 sulla tutela delle acque (legge Merli) • 1982: D.P.R. 912 sui rifiuti • 1986: legge 349 di istituzione del Ministero dell’Ambiente, e norme sul danno ambientale e Valutazione di Impatto Ambientale • 1988: D.P.R. 203 (aria) • 1989: legge 183 sulla difesa del suolo
• 1994: legge 36 sulla risorsa acqua • 1995: legge 447 sul rumore • 1997: D.Lgs. 22 sui rifiuti (decreto Ronchi) • 1999: legge 152 sulla tutela dell’acqua; D.Lgs. 334 sul rischio di incidente rilevante; D.M. 471 sulla bonifica di siti contaminati • 2003: D.Lgs. 224 sugli OGM • 2004: legge 36 sull’elettrosmog; D.Lgs. 42 su beni culturali e paesaggio
• 1991: legge 394 sulle aree protette
• 2005: D.Lgs. 52 sull’Autorizzazione integrata ambientale
• 1992: legge 150 su flora e fauna; legge 157 sulla caccia
• 2006: D.Lgs. 152 del 3 aprile
visite guidate, ecc.) operano nell’ambito sociale. Tra queste il FAI (Fondo ambiente italiano) è una fondazione nata nel 1975 con lo scopo di agire, senza scopo di lucro, per la tutela, la salvaguardia e valorizzazione del patrimonio artistico e naturale italiano attraverso il restauro e l’apertura al pubblico dei beni storici, artistici o naturalistici ricevuti per donazione, eredità o comodato. Promuove l’educazione e la sensibilizzazione della collettività alla conoscenza, al rispetto e alla cura dell’arte e della natura e l’intervento sul territorio in difesa del paesaggio e dei beni culturali italiani. All’identificazione, la protezione, la tutela e la trasmissione alle generazioni future del patrimonio culturale e naturale di tutto il mondo rientrano tra le missioni principali dell’UNESCO (United Nations
Educational, Scientific and Cultural Organization), organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura fondata nel 1945. Quella di sito Patrimonio dell’Umanità è la denominazione ufficiale di quei siti che rappresentano delle particolarità di eccezionale importanza da un punto di vista culturale o naturale. In base alla Convenzione sulla protezione del patrimonio culturale e naturale, adottata dall’UNESCO nel 1972, fino ad oggi sono stati riconosciuti un totale di 1121 siti presenti in 167 paesi del mondo. Attualmente l’Italia è la nazione a detenere il maggior numero di siti (51) nella lista dei patrimoni dell’umanità, seguita dalla Cina (50) e dalla Spagna (45). Anche la Francia e la Germania hanno più di 40 patrimoni, con rispettivamente 42 e 41 siti riconosciuti.
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Questa interpretazione, negli anni, ha dimostrato di non essere adeguata così che oggi la nozione di ambiente consente di qualificare in termini unitari discipline settoriali quali la gestione dei rifiuti, la tutela delle acque dall’inquinamento e la gestione delle risorse idriche, la difesa del suolo, la tutela dell’aria e la riduzione delle emissioni in atmosfera, gli strumenti rivolti alla tutela degli equilibri ecologici quali la valutazione di impatto ambientale o il risarcimento del danno ambientale. A garanzia della tutela del bene ambiente, sia il Codice penale che altre leggi speciali prevedono precise fattispecie di reato e illeciti amministrativi, cui di recente si sono aggiunte altre specifiche previsioni ed aggravanti. L’inserimento della materia ambientale nella Costituzione si deve alla Riforma del Titolo V, avvenuta con l’adozione della legge costituzionale n. 3 del 2001, che – dopo molti anni di dibattiti e di proposte – ha avuto il merito di aver inserito nel nuovo art. 117 la parola “ambiente”. Infatti, tra le materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato, viene specificato nell’elenco di cui al comma 2 del citato articolo: «la tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali»; mentre alle Regioni viene riconosciuta una competenza legislativa concorrente, cioè insieme allo Stato, nell’ambito della «valorizzazione dei beni ambientali e culturali». In generale, le leggi italiane per la protezione ambientale sono state fortemente influenzate dai princìpi contenuti nelle varie direttive dell’attuale Unione europea, in tema di inquinamento acustico, atmosferico e di rifiuti. Questi princìpi tendono a valutare ogni effetto delle attività produttive o di trasformazione sul territorio e sullo stesso ambiente. Considerato l’ambiente come bene pubblico, le risorse collettive (beni ambientali) da tutelare sono: la flora, la fauna; l’aria, l’acqua e il suolo; il paesaggio (bellezze naturali, parchi e riserve); i beni storico-artistici; la salubrità ambientale (salute pubblica, qualità dell’acqua e dell’aria). Punto conclusivo di questo percorso è stata l’adozione del D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (cosiddetto Codice dell’ambiente). Oggi l’ambiente è al centro della politica nazionale e internazionale; per tale ragione è al vaglio del Parlamento italiano un progetto di riforma per introdurre esplicitamente la tutela dell’ambiente nella Costituzione così che la protezione dell’ambiente, della biodiversità e lo sviluppo sostenibile possano essere tra i princìpi fondamentali del nostro sistema costituzionale.
VITA QUOTIDIANA
Accanto ai reati previsti dal Codice penale – quali, ad esempio, incendio boschivo (423 bis); avvelenamento di acque e di sostanze alimentari (439); diffusione di una malattia delle piante o degli animali (500); uccisione e maltrattamento di animali (544 bis); divieto di combattimenti tra animali (544 quinquies);
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danneggiamento al patrimonio archeologico, storico o artistico nazionale (733); distruzione o deturpamento di bellezze naturali (734) –, la legge 68/2015, recante la riforma dei reati ambientali, ha introdotto nel Codice penale stesso il titolo VI bis intitolato Dei delitti contro l’ambiente.
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La politica ambientale dell’Unione europea L’Unione europea [ LEZIONE 1, p. 134] dispone delle competenze per intervenire in tutti gli ambiti della politica ambientale, come l’inquinamento dell’aria e dell’acqua, la gestione dei rifiuti e i cambiamenti climatici. Sin dal 1972, a Parigi, il Consiglio europeo si espresse verso la necessità di un’espansione economica affiancata da una politica comunitaria in materia di ambiente, ma è solo nel 1986, con l’Atto unico europeo, che venne costituita la prima base giuridica per una politica ambientale comune indirizzata a tutelare la qualità dell’ambiente e della salute umana e a garantire un uso razionale delle risorse naturali; da allora numerose azioni a difesa dell’ambiente hanno spaziato dalla lotta contro le emissioni inquinanti alla protezione della fauna e della flora. In seguito, tutte le revisioni dei trattati hanno rafforzato la tutela ambientale e il ruolo del Parlamento europeo nello sviluppo di una politica in materia tanto che, con il Trattato di Maastricht (1993), l’ambiente è divenuto un settore ufficiale della politica dell’UE; al fine di promuovere lo sviluppo sostenibile, il Trattato di Amsterdam (1999) ha poi stabilito l’obbligo della tutela ambientale in tutte le politiche dell’Unione. Quello di «combattere i cambiamenti climatici» è divenuto un obiettivo specifico con il Trattato di Lisbona (2009), così come il perseguimento dello sviluppo sostenibile nelle relazioni con i paesi terzi. L‘Unione europea in materia di ambiente si avvale sia del principio della precauzione, cioè dell’azione preventiva e della correzione alla fonte dei danni causati dall’inquinamento, sia del principio “chi inquina paga”; lo strumento con cui l’Unione europea attua la sua politica ambientale è la direttiva che vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, restando salva la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi.
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Il principio di precauzione è uno strumento di gestione dei rischi cui è possibile ricorrere in caso di un rischio presunto per la salute umana o per l’ambiente. Così, in caso di dubbi circa la pericolosità derivante dall’uso di un prodotto, può essere impartita l’istruzione di bloccare la distribuzione di tale prodotto o di ritirarlo dal mercato. Tali misure, prese anche a seguito di una valutazione scientifica obiettiva che consente il permanere di una situazione di dubbio, non devono essere discriminatorie e vanno riviste non appena si rendano disponibili maggiori informazioni scientifiche.
VITA QUOTIDIANA
Nel 2015, numerosi prodotti quali giocattoli, abbigliamento, prodotti tessili e articoli di moda sono stati richiamati dal mercato attraverso un sistema di allarme che permette di coordinare una rapida risposta da parte delle autorità di protezione dei consumatori e ritirare prontamente i prodotti
pericolosi dal mercato europeo. In particolare, a provocare l’allarme, sono stati i prodotti di bigiotteria – provenienti per lo più dalla Cina – contenenti metalli pesanti nocivi come il nichel e il piombo, e giocattoli contenenti ftalati (plastificanti che possono causare problemi di infertilità).
Il principio “chi inquina paga” è finalizzato a prevenire o altrimenti riparare il danno ambientale alle specie e agli habitat naturali protetti, all’acqua e al suolo. Gli operatori che esercitano talune attività professionali quali il trasporto di sostanze pericolose, o attività che comportano lo scarico in acqua, sono tenuti ad adottare misure preventive in caso di minaccia imminente per l’ambiente. Qualora il danno si sia già verificato, i paesi in cui sono avvenute le infrazioni sono obbligati ad adottare le misure del caso per porvi rimedio e sostenere i costi per la violazione delle norme in materia. Per definire gli obiettivi di politica ambientale europea, l’Unione si avvale di programmi di azione per l’ambiente (PAA) pluriennali. Nel 2013 è stato adottato il 7o PAA per il periodo fino al 2020, dal titolo Vivere bene entro i limiti del nostro pianeta, che fissa 9 obiettivi prioritari, tra cui: la protezione della natura, una maggiore resilienza ecologica, una crescita sostenibile, nonché la lotta contro le minacce alla salute legate all’ambiente.
VITA QUOTIDIANA
Nella battaglia per l’ambiente, sono 17 le procedure d’infrazione dell’Ue a carico dell’Italia e 43 le istruttorie aperte per sospetta violazione delle norme ambientali (al primo posto in Europa). Al 31 dicembre 2018 l’Italia ha pagato oltre 548 milioni di euro di multe per il mancato rispetto della normativa comunitaria, dei quali più di 204 milioni solo per le
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discariche abusive, oltre 151 milioni per la gestione dei rifiuti in Campania e 25 milioni per il mancato trattamento delle acque urbane. I maggiori problemi continuano ad essere, oltre la gestione dei rifiuti, anche la mancata protezione delle acque interne e marine, la qualità dell’aria e la migliore tutela degli ecosistemi.
La strategia per lo sviluppo sostenibile (SSS) europea è tesa al costante miglioramento della qualità della vita tramite la promozione della prosperità, la tutela dell’ambiente e la coesione sociale. Nell’ambito di tale strategia, la via da seguire per garantire una crescita sostenibile è quella di: ► sostenere il passaggio a un’economia efficiente nell’utilizzo delle risorse e a basse emissioni di carbonio; ► arrestare la perdita di biodiversità e il degrado dei servizi ecosistemici entro il 2020. L’UE ha svolto sempre un ruolo essenziale nei negoziati internazionali in materia di ambiente, che hanno nel tempo portato ad accordi sulla protezione della natura e la biodiversità, sui cambiamenti climatici e l’inquinamento transfrontaliero dell’aria e dell’acqua. VITA QUOTIDIANA
Importanti contributi dell’UE in materia ambientale sono quelli forniti alla definizione della strategia globale per arrestare la perdita di biodiversità entro il 2020 (Conferenza sulla diversità biologica, 2010, Nagoya); allo stesso modo, nel 2015, l’Unione europea ha contributo alla definizione dei 17 obiettivi globali di sviluppo sostenibile (OSS)
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dell’Agenda 2030 dell’ONU; all’Accordo di Parigi sui cambiamenti climatici e al Quadro di riferimento di Sendai per la riduzione del rischio di catastrofi. Nello stesso anno l’UE ha aderito alla Convenzione sul commercio internazionale per la protezione delle specie di flora e di fauna selvatiche minacciate di estinzione (CITES).
La tutela internazionale dell’ambiente Da tempo l’ordinamento internazionale è impegnato a realizzare un sistema di regole in grado di garantire un interesse considerato comune all’umanità, quello della tutela ambientale. I problemi connessi all’ambiente (sia in termini di protezione e prevenzione che di conservazione e tutela, come anche di valorizzazione e recupero), oggi non più confinabili ai soli aspetti tecnici, si pongono sempre più come espressione di rapporti politici, economici e giuridici tra i membri della comunità internazionale; per questa ragione, nei paesi sviluppati, e in parte anche nei paesi in via di sviluppo, la tutela dell’ambiente è oggi ritenuta una responsabilità dei governi. La maggior parte dei paesi sviluppati ha destinato alla tutela ambientale una notevole quantità di strumenti giuridici e organizzativi; ciò nonostante, raggiungere la sostenibilità ambientale non si è dimostrata una via facile e veloce da percorrere. Il cambiamento, infatti, sebbene iniziato molti anni fa, non può prescindere da uno sforzo collettivo che vede impegnati sia i responsabili politici – nazionali e internazionali – che le aziende e i cittadini. I programmi di regolamentazione ambientale si basano prevalentemente su norme giuridiche e disposizioni per controllare la condotta dei privati, ma la tutela dell’ambiente oggi non può essere considerata più solo sotto
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l’aspetto giuridico; piuttosto è un problema politico, sociale e scientifico in cui un ruolo fondamentale deve essere svolto dalla consapevolezza collettiva circa l’impatto delle attività umane sull’ambiente naturale; eppure, numerosi problemi di interesse globale, fra cui l’aumento di anidride carbonica nell’atmosfera e la distruzione delle foreste pluviali, continuano ad attirare l’attenzione solo di un numero relativamente scarso di persone, se si eccettuano scienziati e gruppi ambientalisti. Molti, infatti, continuano ad ignorare le conseguenze del cambiamento climatico in chiave “globale” sul pianeta ignorando come queste colpiscano innanzitutto le popolazioni
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Le tappe internazionali per la tutela dell’ambiente e per la promozione dello sviluppo sostenibile Gli aspetti transnazionali e internazionali della tutela dell’ambiente hanno via via portato a iniziative bilaterali o multilaterali per affrontare una serie di problemi ambientali di portata regionale o mondiale. ► La prima occasione per affrontare il problema dell’ambiente a livello internazionale è stata la Conferenza di Stoccolma delle Nazioni Unite del 1972, nel corso della quale venne affrontato in modo organico il tema dell’utilizzo sostenibile delle risorse naturali decidendo di istituire l’UNEP, United Nations Environment Programme, con sede a Nairobi, cui affidare il mandato di mantenere sotto controllo la situazione ambientale globale, promuovendo l’azione e la cooperazione internazionale. ► Il concetto di sviluppo sostenibile trova spazio, per la prima volta, nella Risoluzione dell’ONU del 1974, nota come Carta dei diritti e doveri economici degli Stati. In essa si afferma che «la protezione, la conservazione e la valorizzazione dell’ambiente per le attuali e future generazioni è responsabilità di tutti gli Stati». ► Da allora, molte occasioni di confronto internazionale si sono occupate di ambiente, ma è solo con la Conferenza mondiale sull’ambiente e lo sviluppo di Rio, nel 1992, che si afferma la necessità di intraprendere un processo di sviluppo sostenibile attraverso la modifica dei modelli di produzione e di consumo. Tra le
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novità più significative i due trattati sull’effetto serra e sulla biodiversità, ma anche l’impegno di una solidarietà internazionale per l’ambiente. Il summit della Terra è stato la prima conferenza mondiale dei Capi di Stato sull’ambiente, un evento senza precedenti anche in termini di impatto mediatico e di scelte politiche e di sviluppo conseguenti: – l’Agenda 21, un piano d’azione per lo sviluppo sostenibile; – la Dichiarazione di Rio sull’ambiente e lo sviluppo; – la Dichiarazione sui princìpi concernenti le foreste; – la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico; – la Convenzione delle Nazioni Unite sulla diversità biologica; – la Convenzione delle Nazioni Unite per la lotta alla desertificazione. ► Successivamente, con il Protocollo di Kyoto (1997), gli Stati stabiliscono politiche e misure per la riduzione di emissioni di gas serra da parte dei paesi industrializzati, la promozione della ricerca scientifica sulle energie alternative ed incentivi alle forme di economia sostenibile, sollecitando gli Stati industrializzati alla cooperazione con i paesi in via di sviluppo. Con l’avvio del nuovo millennio, si aprono importanti iniziative volte a incoraggiare la realizzazione degli obiettivi fissati a Rio de Janeiro: ► Nel 2000, una Dichiarazione delle Nazioni Unite impegna tutti gli Stati membri dell’ONU a raggiungere entro il 2015 una serie di obiettivi di sviluppo quali
del Sud del mondo, provviste di minori risorse per affrontare le conseguenze del surriscaldamento, come la siccità o le inondazioni, e più dipendenti dall’agricoltura, attività che maggiormente risente dei cambiamenti del clima. I cambiamenti climatici acuiscono, inoltre, il divario fra ricchi e poveri, anche perché sono più intensi proprio lì dove ecosistemi fragili si sovrappongono a società fragili, con alcune aree dell’Africa come caso emblematico, laddove il riscaldamento globale è percepito come un rischio per la sicurezza alimentare dei più deboli perché rende incerte le stagioni e inaridisce le terre.
sradicare la povertà estrema e la fame nel mondo, ma anche garantire la sostenibilità ambientale. ► Nel 2001, il Piano d’azione ambientale dell’Unione europea ruota attorno a quattro aspetti fondamentali: cambiamento climatico, ambiente e salute, natura e biodiversità, gestione delle risorse naturali, sottolineando l’importanza di nuove forme di partecipazione di cittadini e imprese. ► Nel 2002, una nuova Conferenza ONU, detta RIO+10, svoltasi a Johannesburg, definisce nuovi impegni politici nel cammino verso lo sviluppo sostenibile. ► Nel 2010 si svolge a Nagoya, in Giappone, la Conferenza sulla biodiversità con l’adozione di un Protocollo volto a intraprendere azioni idonee a fermare la perdita di biodiversità entro il 2020. ► Nel 2011 a Durban, in Sudafrica si svolge la Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici con la finalità di stabilire un nuovo trattato per limitare le emissioni di carbonio (CO2) entro il 2020. ► Nel 2012, a vent’anni esatti dallo storico vertice di Rio, si svolge la Conferenza ONU RIO+20, che pone in
cima all’agenda dei lavori la cosiddetta economia verde (green economy) e la governance globale in materia di ambiente. Il quarto vertice della Terra rappresenta un’altra pietra miliare negli sforzi messi in campo dalla comunità internazionale per la realizzazione dello sviluppo sostenibile. ► Nel 2015, l’Accordo di Parigi impegna gli Stati membri della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) a contenere l’aumento della temperatura media globale al di sotto della soglia di 2° C, poiché questo ridurrebbe sostanzialmente i rischi e gli effetti dei cambiamenti climatici. ► A tre anni dall’avvio nel 2015 dei 17 obiettivi dell’Agenda per lo sviluppo sostenibile, la comunità internazionale sembra essere in ritardo rispetto al conseguimento dei traguardi posti dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Nel mese di luglio 2019, infatti, il Rapporto di monitoraggio di GCAP Italia, la coalizione italiana contro la povertà che appartiene al Global Call to Action Against Poverty, realizzato a sua volta all’interno del progetto europeo Make Europe Sustainable for All, ha posto il focus su dilemmi e contraddizioni in seno al modo in cui l’Agenda 2030 è stata accolta dalla politica italiana e internazionale. Si evince dal rapporto come sia fondamentale partire da due presupposti essenziali: bisogna coinvolgere la società civile, che è la base del cambiamento quotidiano globale, così come è fondamentale considerare i 17 obiettivi dell’Agenda 2030 in maniera sinergica e complementare, e non come compartimenti separati. Il tutto senza prescindere mai dal rispetto dei diritti umani.
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VITA QUOTIDIANA
Le vittime dei disastri naturali sono in aumento. Scappano da terremoti, siccità, inondazioni. I dati dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati rivelano che su 68,5 milioni di persone costrette a fuggire dal proprio paese nel 2017, solo poco più di 113.000 sono arrivate in Europa. Vi sono flussi migratori interni ai paesi di tutt’altra portata. Basti
pensare che l’anno scorso gli sfollati interni sono stati 30,6 milioni. Di questi, più della metà, il 61%, a causa di calamità naturali. L’incidenza maggiore si rileva in casi di eventi climatici estremi, come alluvioni e cicloni. In Asia orientale e nel Pacifico, in Asia meridionale e centrale, in America e in Europa milioni di persone fuggono da disastri naturali più che da guerre e conflitti.
L’interdipendenza fra il benessere dell’umanità e la qualità dell’ambiente sono al centro dell’ecologia integrale e al centro dell’Agenda 2030: perché degrado ambientale, povertà e fenomeni migratori di massa non sono sfide distinte. Ecco perché, allo stato attuale, il concetto di tutela ambientale perseguito dalle varie organizzazioni e istituzioni internazionali non è più circoscritto alla sola funzione di salvaguardia delle risorse del pianeta (peraltro fondamentale) ma si è via via trasformato in un vero e proprio strumento per combattere anche la povertà. Ciò significa soprattutto che salvaguardia ambientale e lotta alla povertà rappresentano due obiettivi intimamente correlati. VITA QUOTIDIANA
Greta Thunberg è una giovane attivista svedese che ha dato il via ai #FridaysForFuture in tutto il mondo. A partire dall’agosto 2018, Greta protesta ogni venerdì davanti al Parlamento svedese – prima da sola e poi con chi ha deciso di seguire la sua protesta – affinché il suo governo tagli le emissioni di CO2 del 15% ogni anno. Divenuta popolare proprio grazie a queste denunce sul cambiamento climatico, Greta con le sue azioni sta stimolando nuove riflessioni tra i paesi e, ancor più, tra gli studenti: nel mondo sono tanti i ragazzi e le ragazze che, reclamando il proprio diritto al futuro, hanno deciso di seguire il suo esempio scioperando il venerdì e chiedendo a gran voce azioni concrete contro i cambiamenti climatici conseguenti
all’Antropocene – termine coniato dal biologo Eugene F. Stoermer per definire l’era in cui l’uomo determina lo stato e l’evoluzione dell’intero pianeta.
GUIDAALLOSTUDIO Rispondi oralmente o per iscritto alle domande o individua e sottolinea nel testo la risposta: ► Qual è la tutela che la nostra Costituzione riserva all’ambiente? ► Quale relazione esiste tra tutela dell’ambiente e protezione della salute? ► In cosa consiste il principio della precauzione stabilito dalla UE? ► Quale finalità persegue il principio secondo cui “chi inquina paga”? ► Qual è l’importanza “globale” di alcuni cambiamenti climatici?
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VERSOL’ESAMEDISTATO
Analisi e produzione di un testo argomentativo (tipologia B) Grammenos Mastrojeni è vice Segretario generale per l’Energia e l’Azione climatica dell’Unione del Mediterraneo. Diplomatico italiano, è stato coordinatore per l’eco-sostenibilità della Cooperazione allo Sviluppo e delegato alle Nazioni Unite. Da una ventina d’anni concentra la sua attenzione sui cambiamenti climatici.
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Anche se si raggiungessero i migliori accordi possibili sui cambiamenti climatici e la legislazione più avanzata sull’ambiente, se si adottassero le più nobili dichiarazioni sulla giustizia, e se l’industria si convertisse da sola a un’economia sostenibile, ma il pubblico rispondesse che non ha voglia di cambiare, la battaglia è persa. Tocca a noi, siamo noi la vera potenza e l’unica speranza per noi stessi. Ciascun individuo, tuttavia, dovendo scegliere se abbracciare una causa o starsene comodamente rifugiato nelle proprie abitudini di sempre, vorrà sapere cosa ci perde e cosa ci guadagna, qual è il sacrificio che gli si chiede e in cambio di cosa, e soprattutto con quali possibilità di vittoria. Ma qui c’è una strana sorpresa: il prezzo che ci si chiede di pagare è anomalo, consiste in un immediato aumento della qualità delle nostre vite. Ma non è una chiamata alla rinuncia. È un appello a un “uomo economico” diverso da quello che perseguiva solo il profitto anche contro la propria soddisfazione: l’autore delle derive catastrofiche cui andiamo incontro. La natura chiede semplicemente un uomo ragionevole al posto di quello “economico” veramente razionale, che sa come fare per massimizzare la propria soddisfazione. Perché la vera soddisfazione dei veri bisogni dell’essere umano è sempre sostenibile. In pratica, non c’è nessuna azione utile per ristabilire l’equilibrio umano e naturale che richieda un vero sacrificio mentre tutte, al contrario, comportano un miglioramento della qualità della vita. L’umanità sarà pronta a pagare un prezzo così alto – vivere meglio – per salvare il pianeta? Chi è dunque quest’uomo ragionevole che deve combattere l’uomo economico? [...] È un vero “agente razionale” perché cerca il conforto materiale che realmente gli giova, ma sa scovare e identifica la sovrabbondanza che danneggia la sua quotidianità. Capisce che questa è una scelta che assicura una migliore qualità della vita, per motivi molto banali e quotidiani. È un uomo concretamente più libero, che potrà usare razionalmente le proprie risorse per se stesso senza sacrificarle ai suadenti imperativi dei consumi da ostentare, così facili da inculcare dall’esterno. Egli beneficia immediatamente di una migliore qualità della vita perché puntando sull’essere, invece che sull’avere, non cade nella trappola dell’inversione fra fine e mezzo che invece regolarmente inquina le vite degli schiavi del mostrare. Compra la macchina che gli serve, non quella che è condannato a sopportare dalla servitù delle apparenze. Questo paradigma, che pare un po’ astratto in generale, diventa invece un orizzonte tangibile e comprensibile nei singoli problemi che dobbiamo affrontare ogni giorno. Vedremo come questa libertà concreta si traduce in puntuali vantaggi nella quotidianità, mentre ricostruisce l’equilibrio dell’umanità e della biosfera. E vedremo che non è una libertà eroica e fatta di scelte talmente complesse che solo pochi possono afferrarle; è fatta di piccoli gesti e attenzioni alla portata di tutti, ciascuno nel proprio contesto. Ecco, né più e né meno che quest’uomo ragionevole – come proveremo con solidi riscontri scientifici nei prossimi post – è sufficiente per invertire la rotta entro il decennio che ci è concesso. E può forse far riflettere che la natura non esiga un altruista sacrificato, un martire pronto a dare la vita al fronte, bensì qualcuno che realmente sa farsi bene gli affari suoi e realizza durevolmente e al massimo i propri interessi. E questo qualcuno infine, se vede con chiarezza i propri interessi, è consapevole del proprio grande potere: nessuno si illuda di sfuggire alle proprie responsabilità con la scusa che è solo “una goccia nell’oceano”. [Testo tratto da Il prezzo per salvare il pianeta di Grammenos Mastrojeni, in «Changes» del 18 luglio 2019, https://changes.unipol.it/environment/Pagine/strano-prezzo.aspx]
► COMPRENSIONE E ANALISI
1. Nel testo viene sottolineata l’importanza del ruolo dei comportamenti individuali nelle azioni di difesa del pianeta? Quali argomenti vengono addotti per sostenere la tesi principale?
VERSO L’ESAME DI STATO
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2. L’autore, nel corso dell’articolo, afferma che «la natura chiede semplicemente un uomo ragionevole al posto di quello “economico” veramente razionale» (righe 11-12). Cosa intende? Qual è l’obiettivo finale da raggiungere? 3. Nel perseguire la sostenibilità, il consumo consapevole svolge un grande ruolo. Quale? 4. Nel testo si afferma che la soddisfazione dei bisogni dell’essere umano è sempre sostenibile e che nessuna azione utile a ristabilire l’equilibrio umano e naturale richieda un vero sacrificio. Secondo l’autore, quali caratteristiche dovrà avere, l’«uomo ragionevole che deve combattere l’uomo economico» per essere veramente libero? ► PRODUZIONE
Condividi le considerazioni di Grammenos Mastrojeni relativamente alla necessità di dover essere disponibili, in quanto persone e consumatori, a scendere direttamente in campo e difendere – con le nostre scelte – il futuro nostro, dei nostri figli e del nostro pianeta? Alla luce delle tue conoscenze e delle tue esperienze dirette, ritieni che questa “battaglia” si debba combattere o credi sia un compito che spetti interamente allo Stato, al mondo dell’industria e alle organizzazioni internazionali? ► Argomenta i tuoi giudizi con riferimenti alla tua esperienza e alle tue conoscenze e scrivi un testo in cui tesi e argomenti siano organizzati in un discorso coerente e coeso.
Simulazione di colloquio Finalità specifica del colloquio dell’Esame di Stato è consentire alla Commissione di verificare l’acquisizione dei contenuti e dei metodi delle discipline, nonché la capacità, critica e personale, di argomentare del candidato. È importante curare la capacità di esposizione e la coerenza delle argomentazioni esposte. L’esercizio da fare è, quindi, costruire una mappa concettuale, preferibilmente interdisciplinare, che consenta di fare collegamenti coerenti con il tema proposto. ► ESEMPIO
Per avviare il colloquio, il materiale scelto dalla Commissione è il grafico in cui sono rappresentate le tre dimensioni (economica, sociale e ambientale) dello sviluppo sostenibile. L’analisi del grafico evidenzia come uno sviluppo sostenibile necessita sempre più di politiche volte ad armonizzare tre elementi fondamentali: la crescita economica, l’inclusione sociale e la tutela dell’ambiente. Il documento scelto dalla Commissione rappresenta, pertanto, uno spunto per consentire al candidato di esporre le conoscenze sul tema dello sviluppo sostenibile, laddove possibile in chiave interdisciplinare.
Cultura
Ambiente
Società
Economia
Di seguito la scaletta dei contenuti, trattati nel corso della lezione, cui fare riferimento per affrontare il tema dello sviluppo sostenibile: ► Conseguenze e limiti del mito della crescita economica sull’ambiente, sulla sperequazione sociale e sulla salute. ► L’origine dello sviluppo sostenibile come sviluppo capace di soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle future generazioni di soddisfare i propri. ► Emergenze ambientali a carattere globale e quelle di rilevanza locale e l’importanza dell’economia circolare. ► Le ragioni del riconoscimento della diversità culturale, quale quarta dimensione dello sviluppo sostenibile, accanto a quella economica, sociale e ambientale. ► Le tappe della protezione internazionale dell’ambiente e l’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile dell’ONU.
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PARTE
CITTADINI E MONDO DIGITALE
Le competenze chiave nella società della conoscenza e dell’informazione Lezione 2. La competenza digitale Lezione 3. L’identità digitale Lezione 1.
Verso l’Esame di Stato
LEZIONE 1 LE COMPETENZE CHIAVE NELLA SOCIETÀ DELLA CONOSCENZA E DELL’INFORMAZIONE A fronte dei continui cambiamenti sociali, politici, economici, tecnici e tecnologici del tempo attuale è inevitabile, per ogni membro di una comunità che voglia essere parte attiva di essa, un costante aggiornamento delle conoscenze. Difficile dire quale sarà la forma che prenderà la società del futuro; di certo, lo sviluppo sempre più veloce della tecnologia e delle reti sociali ed economiche globali porterà a modelli di comunità diverse dalle città e dagli Stati che noi oggi conosciamo. Le nuove piattaforme di comunicazione globale, che tendono a eliminare gli ostacoli alla diffusione delle idee, incideranno sul potere politico e sulle sue forme di rappresentanza, così come su quello economico, sempre più caratterizzato da processi decisionali autonomi.
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Società della conoscenza e dell’informazione Negli ultimi anni molte sono state le descrizioni elaborate per definire i caratteri della società attuale. Il concetto di società della conoscenza (o knowledge society) mette a fuoco la tendenza pervasiva della conoscenza, dei saperi e delle competenze in tutte le dimensioni della vita associata e individuale; generando, condividendo e mettendo a disposizione di tutti la conoscenza, questo modello di società stimola i propri membri, favorendo in essi la capacità di apprendere e rielaborare nuove informazioni e nuovi saperi nel lavoro, nell’economia, nelle politiche di sviluppo. L’enorme aumento della creazione di dati e della diffusione delle informazioni derivante dall’innovazione tecnologica è alla base dell’idea della società attuale quale società della conoscenza. Tutto questo dinamismo, che combina tra loro saperi individuali e collettivi, formali, informali e non formali, mette in evidenza come le conoscenze siano diventate la prima fonte di sviluppo delle società attuali, che devono sempre più offrire strumenti affinché il soggetto possa essere il reale protagonista dei processi di rielaborazione dell’informazione per l’acquisizione di nuove conoscenze.
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Il concetto di società dell’informazione sottolinea il ruolo assunto dall’informatica e dalle telecomunicazioni nella vita individuale e delle società in cui i rapporti interpersonali e l’assetto socio-produttivo sono fondati sull’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC o ICT, Information and Communication Technology). Nel mondo moderno tutte le informazioni possono essere trasformate in formato digitale, cioè in una serie di numeri binari (0, 1), e divenire così molto più facilmente trasportabili attraverso le linee di telecomunicazioni in fibre ottiche o satellitari. L’integrazione tra l’informatica (cioè la disciplina che tratta dell’informazione
EDUCAZIONE CIVICA E TIC
La rivoluzione di Internet L’origine di Internet risale agli anni della guerra fredda del secolo scorso nell’ambito del sistema di difesa e di controspionaggio messo a punto dagli Stati Uniti d’America. L’idea di una rete informatica in grado di far comunicare tra loro utenti di differenti computer è passata attraverso molte tappe prima di arrivare, grazie al lancio del World Wide Web (più semplicemente web), a ciò che noi conosciamo oggi come Internet. Internet è oggi una rete che consente di connettere dispositivi o terminali in tutto il mondo, offrendo agli utenti contenuti informativi e servizi; l’interconnessione globale tra le reti informatiche si basa su “protocolli di comunicazione” (il più noto è l’IP, Internet Protocol) che stabiliscono una sorta di linguaggio comune grazie al quale è possibile trasmettere dati in tutto il mondo. Considerato tra i più potenti mezzi di comunicazione di massa, Internet tuttavia si differenzia da stampa, radio e televisione sotto diversi aspetti: per la multimedialità, cioè la possibilità di scambiare dati e informazioni
di varia natura (testi, immagini, video, suoni); per la libertà di scelta dei tempi e dei modi di fruizione delle informazioni, potendo scegliere – ad esempio – quando collegarsi e quale percorso seguire nella navigazione; per l’opportunità di fare operazioni di natura diversa come ascoltare musica, vedere la TV, fare acquisti online, dialogare con gli uffici della pubblica amministrazione. L’avvento e la diffusione di Internet e dei suoi servizi hanno rappresentato una vera e propria rivoluzione tecnologica e socioculturale che – a partire dagli anni Novanta del secolo scorso – ha progressivamente unito tra loro dapprima i paesi sviluppati e poi questi con quelli in via di sviluppo. Insieme all’invenzione dei telefoni cellulari e del GPS, l’espansione di Internet è da ritenere uno dei principali motori dello sviluppo economico mondiale; tuttavia, la possibilità di accesso all’informazione in qualsiasi paese, seppure abbia contribuito all’espansione di un’economia globale, non ha di certo annullato il divario digitale tra paesi ricchi e paesi poveri.
Lezione 1 Le Competenze chiave nella società della conoscenza e dell’informazione
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automatizzata) e le telecomunicazioni ha dato vita alle reti telematiche, la più nota e diffusa delle quali è Internet. La società della conoscenza si differenzia dalla società dell’informazione per il fatto che la prima serve a trasformare l’informazione in risorse che consentono alla società di agire efficacemente, mentre la seconda si limita a creare e diffondere i dati grezzi; pur rappresentando mutamenti diversi, esse risultano comunque tra loro interconnesse, sia per i nuovi modelli sociali che la conoscenza stabilisce con la società, sia per le nuove modalità di produzione, organizzazione, e socializzazione dell’informazione e della comunicazione che, attraverso le nuove tecnologie TIC sono sempre più globali. Il risultato è una società che si regge sulla diffusione e sull’utilizzo di informazioni, conoscenze e saperi tecnologicamente avanzati, in modo capillare e trasversale nell’intero tessuto sociale.
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Nuovi saperi e nuove competenze È un luogo comune dire che molte delle attuali professioni scompariranno nel giro di qualche anno; più difficile è invece indicare il mix di saperi e competenze del futuro. Il concetto di competenza è oggi fondamentale, FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Le competenze chiave per l’apprendimento permanente della UE La prima Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio europeo sulle competenze chiave per l’apprendimento permanente, ovvero «le competenze chiave che i cittadini devono possedere per la propria realizzazione personale, l’inclusione sociale, la cittadinanza attiva e l’occupabilità nella nostra società basata sulla conoscenza», e che devono sviluppare e alimentare «in tutto l’arco della vita» è del 18 dicembre 2006. Il 22 maggio 2018 il Consiglio dell’Unione europea ha varato una nuova Raccomandazione e un nuovo Quadro di riferimento europeo, che pongono l’accento sul valore della complessità e sullo sviluppo sostenibile. Ecco le 8 competenze chiave: 1. Competenza alfabetica funzionale: capacità di individuare, comprendere, esprimere, creare e interpretare concetti, sentimenti, fatti e opinioni, in forma sia orale sia scritta, utilizzando materiali
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PARTE 8_Cittadini e mondo digitale
visivi, sonori e digitali attingendo a varie discipline e contesti. Implica l’abilità di comunicare e relazionarsi efficacemente con gli altri in modo opportuno e creativo. 2. Competenza multilinguistica: capacità di utilizzare diverse lingue in modo appropriato ed efficace allo scopo di comunicare. Comprende una dimensione storica e competenze interculturali, ovvero il rispetto per il profilo linguistico individuale di ogni persona, incluso il rispetto per la lingua materna di chi appartiene a minoranze e/o proviene da un contesto migratorio. 3. Competenza matematica e competenza in scienze, tecnologie e ingegneria: la competenza matematica è la capacità di sviluppare e applicare il pensiero e la comprensione matematici per risolvere una serie di problemi in situazioni quotidiane. La competenza in scienze si riferisce alla capacità di spiegare il mondo che ci circonda usando l’insieme delle conoscenze
soprattutto nell’ambito del lavoro, dove lo scenario è in grande evoluzione vista l’obsolescenza delle competenze impressa dall’accelerazione tecnologica e dai processi produttivi. Il termine competenza fa riferimento alla capacità delle persone di utilizzare conoscenze, abilità e, in genere, tutto il proprio sapere, in situazioni reali di vita e lavoro; con il termine anglosassone skills si è invece soliti indicare il mix di competenze possedute da un individuo quali le conoscenze o saperi, cioè il possesso di specifiche nozioni (un dato, un fatto, una teoria o una procedura), le abilità che identificano la capacità di applicare le conoscenze per svolgere compiti e risolvere problemi e i comportamenti relazionali, cioè il saper essere. Se la conoscenza e l’informazione sono i due elementi chiave che contraddistinguono la società attuale, la capacità degli individui e dei media di produrre e utilizzare dati su scala globale, tuttavia, da sola non crea automaticamente conoscenza. La nuova complessità, infatti, richiede individui capaci di ristrutturare e riorganizzare le proprie conoscenze, esprimendo autonomia cognitiva. Secondo il Rapporto OCSE 2017 sulle competenze, la società del futuro avrà bisogno, accanto agli economisti, ai tecnici e agli scienziati, anche di competenze umanistiche, cioè di letterati, giornalisti, filosofi, psicologi e sociologi in grado di produrre idee e contenuti capaci di dialogare con la tecnica attraverso un approccio creativo. La creatività è infatti la com-
e delle metodologie. Le competenze in tecnologie e ingegneria sono applicazioni di tali conoscenze e metodologie per dare risposta ai desideri o ai bisogni avvertiti dagli esseri umani. Si precisa inoltre che la competenza in scienze, tecnologie e ingegneria implica la comprensione dei cambiamenti determinati dall’attività umana e della responsabilità individuale del cittadino. 4. Competenza digitale: comprende l’alfabetizzazione informatica e digitale, la comunicazione e la collaborazione, l’alfabetizzazione mediatica, la creazione di contenuti digitali (inclusa la programmazione), la sicurezza (compreso l’essere a proprio agio nel mondo digitale e possedere competenze relative alla cybersicurezza), le questioni legate alla proprietà intellettuale, la risoluzione di problemi e il pensiero critico. Si specifica che le persone dovrebbero essere in grado di utilizzare le tecnologie digitali come ausilio per la cittadinanza attiva e l’inclusione sociale, la collaborazione con gli altri e la creatività nel raggiungimento di obiettivi personali, sociali o commerciali.
5. Competenza personale, sociale e capacità di imparare a imparare: consiste nella capacità di riflettere su se stessi, di gestire efficacemente il tempo e le informazioni, di lavorare con gli altri in maniera costruttiva, e di gestire il proprio apprendimento e la propria carriera. 6. Competenza in materia di cittadinanza: capacità di agire da cittadini responsabili e di partecipare pienamente alla vita civica e sociale, in base alla comprensione delle strutture e dei concetti sociali, economici, giuridici e politici oltre che dell’evoluzione a livello globale e della sostenibilità. 7. Competenza imprenditoriale: capacità di agire sulla base di idee e opportunità e di trasformarle in valori per gli altri, di lavorare in modalità collaborativa al fine di programmare e gestire progetti che hanno un valore culturale, sociale o finanziario. 8. Competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali: implica la comprensione e il rispetto di come le idee e i significati vengono espressi creativamente e comunicati in diverse culture e tramite tutta una serie di arti e altre forme culturali.
Lezione 1 Le Competenze chiave nella società della conoscenza e dell’informazione
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petenza in grande ascesa, unitamente al pensiero critico e alla capacità di risolvere problemi complessi. Affinché la creazione della conoscenza avvenga, è quindi necessaria una riflessione che crei consapevolezza, significato e comprensione; ed è proprio sulla capacità o meno di accedere ai saperi e alle competenze che gli individui si giocano diversi gradi di libertà, autorealizzazione e autonomia.
GUIDAALLOSTUDIO Rispondi oralmente o per iscritto alle domande o individua e sottolinea nel testo la risposta: ► Cosa si intende per società della conoscenza? E cosa per società dell’informazione? ► Quali sono le connessioni e le differenze tra i due concetti? ► A cosa fa riferimento il termine “competenza”? ► Cosa sono le skills?
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PARTE 8_Cittadini e mondo digitale
LEZIONE 2 LA COMPETENZA DIGITALE
In un’ottica che cerca di promuovere la partecipazione attiva dei cittadini nella società, le competenze digitali riguardano non solo la conoscenza e l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC), ma anche la capacità di rintracciare le informazioni e di valutare la veridicità delle fonti per farne un uso consapevole ed etico.
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Globalizzazione e divario digitale La rivoluzione digitale non è solo un evento tecnologico; essa ha, infatti, mutato enormemente l’approccio alla cultura, al lavoro e al tempo libero ed è considerata indispensabile, in tutti gli ambiti della vita sociale. Con la digitalizzazione dell’informazione è cambiato sia il rapporto tra le persone, sia la comunicazione tra lo Stato e i cittadini. L’influenza sull’economia è tangibile: la ricchezza di un paese, infatti, non è più misurata dal solo possesso delle risorse naturali o dal volume della produzione quanto, piuttosto, da come i prodotti e i servizi sono progettati e immessi sul mercato. I settori industriali e dei servizi basati sulla conoscenza, caratterizzati da un alto grado di ricerca e sviluppo e che impiegano manodopera con un livello di qualificazione superiore alla media, hanno superato i settori più tradizionali in termini di crescita di valore, di occupazione e capacità di esportazione. Oggi, infatti, lo scambio delle informazioni
La tecnologia digitale secondo la Commissione europea «La tecnologia digitale sta trasformando la nostra vita sotto tutti i punti di vista... Il commercio, i viaggi e le comunicazioni su scala planetaria allargano gli orizzonti culturali di ciascuno di noi e sconvolgono le regole della concorrenza tra le economie. La vita moderna offre al singolo maggiori opportunità e
prospettive, ma presenta anche maggiori rischi e incertezze. Le persone sono al contempo libere di decidere tra diversi stili di vita e responsabili di gestire la propria vita. Sono sempre più numerosi coloro che protraggono gli studi, ma aumenta lo scarto tra coloro che hanno qualifiche sufficienti per sopravvivere sul mercato del lavoro e quelli che ne sono irrimediabilmente esclusi». [Commissione della Comunità europea, Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente, Bruxelles 2000]
Lezione 2 La Competenza Digitale
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economiche che sono alla base di ogni scelta di mercato avviene in modo semplice, veloce e senza limiti fisici, consentendo di ridurre costi e tempi di spostamento di tutti i beni “senza peso” (immagini, musica, dati, voce, ecc.). L’immediata circolazione delle informazioni ha contribuito a rendere globali tutti (o quasi) i mercati rendendo la concorrenza aperta al mondo intero e non più a territori limitati. Lo sviluppo della società dell’informazione, grazie alla costituzione di reti digitali globali che collegano fra loro una moltitudine di soggetti, stimolando la creazione di una nuova economia globale basata sulle reti e su fattori immateriali, è spesso sintetizzata con l’espressione “villaggio globale”, coniata proprio per indicare un mondo unico, senza frontiere, dove tutto e tutti sono sempre raggiungibili. Se le tecnologie dell’informazione e della comunicazione sono state finora il cuore della nuova economia della conoscenza, bisogna riconoscere che il ritmo di diffusione delle nuove tecnologie non è stato, però, sinora uniforme. Il digital divide o divario digitale è il divario esistente tra chi ha accesso effettivo alle tecnologie dell’informazione (in particolare personal computer e Internet) e chi ne è escluso, in modo parziale o totale, per condizioni economiche, livello d’istruzione, qualità delle infrastrutture, differenze di età o di sesso, appartenenza a diversi gruppi etnici, provenienza geografica. Tale divario è, ad oggi, notevole, soprattutto tra paesi sviluppati e paesi
EDUCAZIONE CIVICA E SOCIOLOGIA
Il villaggio globale di McLuhan La locuzione villaggio globale è stata usata per la prima volta nel 1964 dal sociologo Marshall McLuhan, studioso delle comunicazioni di massa, nel suo saggio Gli strumenti del comunicare. Oggi la locuzione è molto diffusa tanto da essere sovrapponibile al fenomeno della diffusione delle tecnologie di Internet, responsabile della facilitazione delle comunicazioni umane. Spesso senza riferimenti all’originario senso filosofico, la locuzione si applica sia per definire come il mondo si sia ridotto a un ambito facilmente esplorabile al pari di un villaggio, sia per affermare che (almeno per la comunicazione) ciascun villaggio che lo compone abbia oggi abbattuto i suoi confini finendo per coincidere con il mondo stesso. Con il suo saggio, McLuhan sembra predire Internet e i meccanismi del suo funzionamento: «Il prossimo medium, qualunque esso sia – potrebbe essere l’estensione della coscienza –
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includerà la televisione come contenuto, non come ambiente». McLuhan è ricordato anche per la frase «il medium è il messaggio», a significare che è il modo in cui qualcuno riceve informazioni che conta più delle informazioni stesse, riflessione che sembra anticipare la problematica relativa al modo in cui i media possono plasmare la nostra comprensione. Scrive McLuhan: «Una volta che abbiamo ceduto i nostri sensi e i nostri sistemi nervosi alla manipolazione privata di coloro che proverebbero a trarre beneficio dal prendere in affitto i nostri occhi, orecchie e nervi, non abbiamo davvero alcun diritto». Sembra un avvertimento premonitore sui modi in cui le peculiarità più potenti di Internet – la capacità di riunire le persone in comunità e alterare il modo in cui vediamo il mondo – sarebbero sfruttate dalle compagnie private, che sarebbero in grado di cambiare il nostro mondo solo così profondamente.
Connessioni Interne 0-10 10-30
in via di sviluppo; se protratto, le conseguenze potrebbero contribuire ad aumentare le diseguaglianze economiche già esistenti, innescando così un circolo vizioso che porterebbe i paesi in via di sviluppo a impoverirsi ulteriormente, perché esclusi dalle nuove forme di produzione di ricchezza, basate sui beni immateriali dell’informazione. Anche tra i paesi sviluppati si registrano delle differenze: alcuni sono a livelli superiori di tecnologia (in primo luogo Stati Uniti e paesi nordici dell’Europa) rispetto agli altri paesi dell’area mediterranea.
VITA QUOTIDIANA
Nell’edizione 2017 del Global Information Technology Report, si evidenzia come nei paesi meno sviluppati solo 4 persone su 10 sono connesse a Internet. Lo studio analizza l’impatto delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione sullo sviluppo economico, sulla competitività e sull’occupazione AMERICA utilizzando un campione di 139 Stati. Nelle ultime 10SETTENTRIONALE posizioni della classifica sono presenti 8 paesi africani, più Nicaragua e Haiti, che hanno valori molto ridotti relativamente all’ambiente e alle infrastrutture TIC. Questa lacuna costituisce un
OCEANO PACIFICO
serio ostacolo allo sviluppo dell’economia digitale e al coinvolgimento nell’adozione e nell’utilizzo delle nuove tecnologie. Il report indica anche che Internet raggiunge EUROPA l’81% delle persone nei paesi sviluppati, il 40% nei paesi in via di sviluppo e solo il 15% in quelli meno sviluppati. Nei paesi più poveri dell’Africa solo 1 persona su 10 è online, ma anche in quelli più avanzati del continente africano esistono ancora numerose barriere che impediscono ai residenti di connettersi alla Rete. Il digital divide continua a schiacciare l’Africa.
AS
AFRICA
AMERICA CENTRALE AMERICA MERIDIONALE OCEANO ATLANTICO
EUROPA
OCEANO INDIANO ASIA
AMERICA SETTENTRIONALE
OCEANO PACIFICO
AFRICA
AMERICA CENTRALE
OCEANO PACIFICO
OCEANIA AMERICA MERIDIONALE OCEANO ATLANTICO
OCEANO INDIANO
Il digital divide a livello globale Connessioni Internet ogni 100 abitanti
et ogni 100 abitanti
0-10 10-30 30-50 50+ Dati non disponibili
Lezione 2 La Competenza Digitale
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2
I diritti del cittadino digitale L’esistenza della cittadinanza digitale determina per ogni cittadino sia il diritto di accesso e di utilizzo del web, sia il rispetto di norme in grado di regolamentare gli spazi digitali. Essere cittadini dotati di competenza digitale significa infatti avere la consapevolezza dei diritti e doveri propri della società online e la capacità di utilizzare gli strumenti tecnologici in modo autonomo e consapevole, assumendo un approccio critico, etico, sicuro e responsabile a tali strumenti. Il diritto di accesso a Internet è volto a garantire che tutti possano usufruire dei vantaggi delle società digitale, esercitando online i propri diritti e le proprie libertà fondamentali. Attribuendo la responsabilità di tale garanzia agli Stati, il diritto di accesso a Internet si configura come diritto positivo, così che gli Stati hanno l’onere di garantire la più ampia disponibilità di connessione, intesa quale complesso di infrastrutture (hardware, software, wireless, ecc.) necessarie per accedere al contenuto della Rete, attuando allo stesso tempo un processo di educazione digitale volto a migliorare le competenze digitali dei cittadini.
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Le competenze del DigComp 2.1 Le competenze digitali o digital skills sono abilità trasversali che riguardano l’uso degli strumenti informatici e di comunicazione e tutto ciò che gira intorno ad essi. L’Unione europea ha definito le competenze digitali come «abilità di base nelle tecnologie dell’informazione e della comunicazione: l’uso del computer per reperire, valutare, conservare, produrre, presentare e scambiare informazioni nonché per comunicare e partecipare a reti collaborative tramite Internet». In particolare, il focus delle competenze digitali si concentra sulle tecnologie necessarie nel lavoro e nella vita di tutti i giorni. In futuro, le richieste di lavoratori con competenze digitali saranno sempre più numerose. Per questo, le digital skills sono un’abilità fondamentale per trovare lavoro in qualsiasi campo. Il quadro di riferimento per le competenze digitali dei cittadini europei è il DigComp (Digital Competence), uno strumento che fornisce il quadro comune di riferimento per le competenze digitali indicando gli obiettivi, stabiliti a livello europeo, che ogni Stato membro deve
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PARTE 8_Cittadini e mondo digitale
prefiggersi per ottenere la piena alfabetizzazione digitale. Le competenze digitali sono divise nei seguenti settori: ► elaborazione delle informazioni: riguarda l’abilità di cercare informazioni sul web tramite motori di ricerca, salvandole ed elaborandole, e valutandone anche l’attendibilità; ► creazione di contenuti: questa abilità riguarda non solo la scrittura, ma la produzione, l’elaborazione e la modifica di tutti i contenuti web, come ad esempio tabelle, immagini, file audio; ► comunicazione: tutto ciò che riguarda la conoscenza e l’utilizzo degli strumenti di comunicazione digitali e online, come e-mail, chat, Voice over IP, SMS; ► risoluzione di problemi: l’utente sa gestire e riconoscere problemi che si presentano, ad esempio riavviare il computer, installare o disinstallare un programma, verificare la connessione Internet; ► sicurezza: tutto ciò che concerne il corretto uso degli strumenti informatici, ad esempio l’utilizzo di nome utente e password, le norme sulla privacy, la consapevolezza dei danni dovuti a un eccessivo uso.
Non poter usare Internet, oggi, vuol dire essere tagliati fuori dal mondo, dal lavoro, dall’economia, dai rapporti personali e della cultura; riconoscerne l’accesso come diritto vuol dire dare a tutti le stesse possibilità di crescita personale e professionale. Oggi, nel secolo della Rete, non avere accesso a Internet, significa vedersi precluso l’esercizio di buona parte dei diritti di cittadinanza. Il diritto di accesso ad Internet può quindi essere qualificato come un diritto strumentale, cioè funzionale all’esercizio di altri diritti fondamentali in quanto ne rafforza le facoltà di godimento. È in quest’ottica che lo Stato ne deve riconoscere e garantire l’accesso. Considerato un diritto dalle leggi di diversi Stati, sempre più proclamato da dichiarazioni di princìpi, report e documenti di enti sovranazionali come l’Unione europea, l’accesso a Internet è da collocare nella categoria dei cosiddetti diritti di quarta generazione, quelli in via di formulazione e affermazione.
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Il diritto di accesso ad Internet In Italia, già nel 2010, si propose che il diritto di accesso ad Internet fosse inserito direttamente nella Costituzione perché in stretto legame con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 e con un legame particolare alla libertà di espressione dell’art. 21: «Tutti hanno eguale diritto di accedere alla rete Internet, in condizione di parità, con modalità tecnologicamente adeguate e che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire le violazioni dei diritti di cui al Titolo I della parte I». Tale proposta, mai concretizzatasi, divise gli addetti ai lavori non tanto in relazione alla possibilità di considerare il diritto all’accesso a Internet come un diritto fondamentale del cittadino, quanto piuttosto sull’opportunità e la necessità di farlo attraverso un’integrazione della Costituzione. Successivamente, nel 2015, il diritto di accesso ad Internet è stato inserito all’interno della cosiddetta Dichiarazione dei diritti di Internet, elaborata dalla Commissione per i diritti e i doveri in Internet della Camera dei deputati, che all’art. 2 afferma: «1. L’accesso ad Internet è diritto fondamentale della persona e condizione per il suo pieno sviluppo individuale e sociale. 2. Ogni persona ha eguale diritto di accedere a Internet in condizioni di parità, con modalità tecnologicamente
adeguate e aggiornate che rimuovano ogni ostacolo di ordine economico e sociale. 3. Il diritto fondamentale di accesso a Internet deve essere assicurato nei suoi presupposti sostanziali e non solo come possibilità di collegamento alla Rete. 4. L’accesso comprende la libertà di scelta per quanto riguarda dispositivi, sistemi operativi e applicazioni anche distribuite. 5. Le Istituzioni pubbliche garantiscono i necessari interventi per il superamento di ogni forma di divario digitale tra cui quelli determinati dal genere, dalle condizioni economiche oltre che da situazioni di vulnerabilità personale e disabilità». In quanto dichiarazione, e non testo normativo, il documento è stato concepito per essere un contributo al pubblico dibattito con una direzione per possibili sviluppi a tutti i livelli, da quello nazionale ai trattati internazionali. È del 2016, il Regolamento UE del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce – all’art. 3 – «il diritto di accedere a informazioni [...] tramite il servizio di accesso a Internet», definendo «norme comuni per garantire un trattamento equo e non discriminatorio del traffico nella fornitura di servizi di accesso a Internet e tutelare i relativi diritti degli utenti finali».
Lezione 2 La Competenza Digitale
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Per quanto riguarda il tema della regolamentazione del web, Internet è uno strumento tecnologico che, per sua natura, supera i confini territoriali degli Stati: la sua essenza transnazionale rende inefficace qualsiasi normativa statale volta a limitarlo. È difficile, infatti, immaginare legislazioni nazionali senza che queste corrano il rischio di essere disattese grazie alla possibilità di accedere a contenuti disponibili in Rete mediante connessioni a server lontani. Le natura tecnologica del sistema consente di aggirare più o meno facilmente qualsiasi limitazione che possa essere introdotta da un singolo paese. Detto questo, Internet non è un mondo senza regole dove vige la legge del più forte; al contrario, Internet esiste proprio grazie a un sistema di regole sia di natura strettamente tecnica (i protocolli), sia di tipo tecnico-amministrativo (come la struttura degli indirizzi di Rete), sia anche di definizione di comportamenti (la cosiddetta netiquette, una sorta di galateo della Rete). Tutto nell’ambito del principio generale della libertà di espressione e dell’adesione volontaria di ogni soggetto all’insieme delle regole stesse. Non si può far parte di Internet e non accettarne le regole: questo, detto in altri termini, è il fondamento dell’autoregolamentazione. La caratteristica del sistema di regole che governa Internet è che esso non fa riferimento ad alcun sistema giuridico riconosciuto da convenzioni internazionali; non esistono, cioè, norme che regolino Internet al di sopra di quelle propriamente interne, a meno di non scadere esplicitamente nell’illecito. È vero che in ogni paese in cui operano soggetti collegati alla Rete esistono leggi che i soggetti stessi devono rispettare, ma nella maggior parte dei casi si tratta di norme generali, non dettate in funzione delle attività di Internet. Laddove, invece, le normative statali limitano l’uso della Rete, si è in presenza di nazioni il cui ordinamento non può essere definito democratico. In Italia, alla stregua di tutti i più grandi paesi europei, non esiste la censura online e la regolamentazione della Rete Internet è rivolta soltanto a specifici aspetti della materia. È il caso del CAD, un atto normativo volto a promuovere e rendere effettivi i diritti di cittadinanza digitale; esso riu nisce e organizza le norme riguardanti l’informatizzazione della pubblica amministrazione nei rapporti con i cittadini e le imprese. Essendo un testo
VITA QUOTIDIANA
Nell’edizione 2013, il Rapporto Freedom on the Net mostra la censura applicata alle reti telematiche nei vari paesi del mondo. L’indagine evidenzia come, fra i 60 paesi considerati: 1. solamente 17 possono vantare una totale libertà per quanto riguarda i servizi online; tra questi: America, Italia, Germania e Regno Unito; 2. in quasi la metà dei paesi, fra cui Cina, Iran e Arabia Saudita, le autorità hanno bloccato alcuni contenuti di
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tipo politico e sociale; 3. in 5 paesi si sono verificati episodi di torture o attacchi fisici a seguito della pubblicazione di contenuti sugli abusi dei diritti umani. Decine di giornalisti sono stati uccisi in Siria e molti altri anche in Messico. In Egitto amministratori di gruppi di Facebook sono stati rapiti e torturati, così come giornalisti sono stati presi di mira durante le proteste dalle forze di sicurezza.
normativo relativo a una materia soggetta a continua evoluzione tecnologica, è stato periodicamente aggiornato (istituito con un decreto legislativo nel 2005, è stato successivamente modificato e integrato sino ad arrivare al decreto legislativo del 2017). Il codice ha reso obbligatoria l’innovazione nella PA, riconoscendo ai cittadini il diritto di interagire con qualsiasi amministrazione attraverso Internet, posta elettronica, reti. In sostanza, il codice dà attuazione alla digitalizzazione della PA e, introducendo nuovi diritti per i cittadini e le imprese, disegna anche una pubblica amministrazione più efficiente e meno onerosa per i contribuenti.
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
PA digitale e nuovi diritti Per ottemperare a quanto previsto dal Codice dell’amministrazione digitale e dare “sostanza” ai princìpi della cittadinanza digitale, il legislatore ha operato per creare strumenti e servizi utili per avvicinare cittadini, imprese e pubblica amministrazione. Vediamo quali: ► Domicilio digitale: i cittadini e le imprese hanno diritto di usare le tecnologie informatiche nei rapporti con le amministrazioni dello Stato. Non è più necessario recarsi agli sportelli per presentare documenti cartacei, firmare, fornire chiarimenti: per tutto questo deve essere sempre e dovunque disponibile un canale digitale sicuro, certificato e con piena validità giuridica che permetta di dialogare con la PA dal proprio computer. Il domicilio digitale è un indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) che, al pari del domicilio “fisico”, può essere utilizzato per ricevere le comunicazioni da parte della pubblica amministrazione; ► Pagamenti digitali: i cittadini e le imprese hanno il diritto di effettuare qualsiasi pagamento verso
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le pubbliche amministrazioni centrali attraverso le tecnologie informatiche e telematiche in modo sicuro. La possibilità di effettuare versamenti e pagamenti alla PA in forma digitale è oggi possibile grazie al portale PagoPA e agli Istituti di credito aderenti, che consente di pagare online con accredito su carta di credito o conto corrente; ► Carta d’identità digitale (CIE): è una tessera di plastica dotata di chip all’interno del quale sono conservati, in maniera crittografata e sicura, i dati personali del possessore (oltre alla foto e alla firma del titolare, all’interno sono presenti l’impronta digitale, il codice fiscale, estremi dell’atto di nascita, il consenso alla donazione degli organi e il proprio domicilio elettronico); ► SPID: acronimo di Sistema pubblico di identità digitale, lo SPID rappresenta un sistema di credenziali che consente di accedere a tutti i servizi online della pubblica amministrazione; ► Firma digitale: è un protocollo per l’identificazione e la sottoscrizione digitale di documenti.
I doveri del cittadino digitale Al diritto di accesso alla Rete corrisponde il dovere di assumere comportamenti responsabili ed etici basati sui princìpi del rispetto e della collaborazione con gli altri utenti. In Internet, come già detto, non esiste una autorità centrale che regolamenti cosa si può fare e cosa no, né esistono organi di vigilanza. È infatti demandato alla responsabilità individuale il buon fun-
Lezione 2 La Competenza Digitale
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zionamento delle cose. Si può pertanto decidere di entrare in Internet come persone civili o, al contrario, si può utilizzare la Rete comportandosi da predatori o vandali saccheggiando le risorse presenti in essa. Sta a ciascuno decidere come comportarsi. Risulta comunque chiaro che le cose potranno continuare a funzionare solo in presenza di una autodisciplina dei singoli e che incombe il rischio di una autodistruzione di tutta la struttura nel caso di comportamenti incivili di massa. La netiquette (dal vocabolo inglese network, che indica la Rete, e quello di lingua francese étiquette, che vuol dire buona educazione) è un insieme di regole che disciplinano il comportamento di un utente di Internet nel rapportarsi agli altri utenti attraverso risorse quali newsgroup, mailing list, forum, blog, social, e-mail. Il rispetto della netiquette non è imposto da alcuna legge. Sotto un aspetto giuridico, la netiquette è spesso richiamata nei contratti di fornitura di servizi di accesso da parte delle società che offrono l’accesso alla Rete (provider). Il mancato rispetto di queste regole comporta una generale disapprovazione da parte degli altri utenti della Rete, solitamente seguita da un isolamento del soggetto “maleducato” e talvolta dalla richiesta di sospensione di alcuni servizi utilizzati per compiere atti contrari a essa. In casi di gravi e recidive violazioni l’utente trasgressore è punibile col ban , termine adoperato per indicare un meccanismo che consente di vietare l’accesso e/o l’interazione con gli altri a un determinato utente (in italiano “bandire” o “interdire”). Oltre la netiquette, esiste il rischio di pratiche non corrette come quelle – spesso rintracciabili nei social network – degli hate speeches (“discorsi d’odio”, ossia espressioni violente e discriminatorie verso altre persone o gruppi di persone che possono essere anche denunciati grazie alle segnala-
COMPORTAMENTI CONTRARI ALLA NETIQUETTE ► Invio massivo di messaggi di spam senza il consenso del destinatario ► Attacco informatico mirato a violare/danneggiare un sistema ► Invio volontario o involontario di virus ► Minacce per e-mail o violazione della netiquette ► Divulgazione di materiale protetto da copyright ► Divulgazione di materiale pedopornografico ► Phishing, cioè raggiri tramite e-mail
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PARTE 8_Cittadini e mondo digitale
zioni degli utenti); dei trolls (individui con falsi profili creati per lanciare in un gruppo di discussione dei messaggi provocatori al fine di creare disordine); delle fake news (notizie false e ingannevoli – create volutamente per le ragioni più diverse – che diventano virali per la leggerezza con la quale l’utente medio dei social legge e condivide).
VITA QUOTIDIANA
Molte persone famose hanno chiuso i profili social per colpa degli haters, persone per lo più comuni che, in nome della libertà di espressione, odiano e urlano il loro pensiero come se la Rete fosse il luogo dove poter dare sfogo alle pulsioni più negative, che altrove verrebbero censurate. In Italia, gli haters sono milioni e non c’è distinzione tra uomini e donne, giovani e meno giovani; spesso si nascondono dietro un alias virtuale e, col favore dell’anonimato, utilizzano sul web un linguaggio violento. Per dare una dimensione al fenomeno, l’Osservatorio italiano sui diritti, VOX – assieme alle Università di Milano, Bari, e La Sapienza
di Roma – ha analizzato, nel 2017, oltre 2,6 milioni di tweet riferiti alle categorie più bersagliate dai messaggi offensivi. Da questo lavoro di ricerca è nata la prima mappa italiana dell’intolleranza che descrive i bersagli dell’odio via web: le donne, vittime del 63% dei tweet negativi analizzati, seguite dagli omosessuali, 10,8%, dai migranti, 10%, e poi da diversamente abili (6,4%) ed ebrei (2,2%). Lo strumento preferito degli haters è la bufala. Condividere bufale farcite di qualunquismo e luoghi comuni attiva il meccanismo dell’odio generalizzato verso le categorie deboli, oggetto dell’insulto dell’hater.
GUIDAALLOSTUDIO Rispondi oralmente o per iscritto alle domande o individua e sottolinea nel testo la risposta: ► Cosa si intende per rivoluzione digitale? ► A cosa fa riferimento l’espressione “villaggio globale”? ► Quali sono le conseguenze del digital divide? ► Perché l’accesso a Internet è considerato un diritto? ► Quali sono i doveri del cittadino digitale? ► Cos’è la netiquette?
Lezione 2 La Competenza Digitale
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LEZIONE 3 L’IDENTITÀ DIGITALE
Occorre difendere le proprie identità digitali e i dati che come utenti Internet quotidianamente diffondiamo, per metterci al sicuro da potenziali rischi di violazione di diritti quali l’immagine, l’onore, la reputazione e la riservatezza.
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Proteggere i propri dati personali La Rete mette a disposizione dei propri utenti servizi gratuiti (mailing list, newsgroup, personal web site, wiki, blog, social network); i gestori delle piattaforme sociali chiedono però in cambio i dati personali al fine di tracciare le identità digitali► degli stessi utenti. L’obiettivo è la profilazione degli utenti, cioè la raccolta ed elaborazione dei dati degli utenti di servizi on line al fine di segmentare l’utenza in gruppi di comportamento a vantaggio delle aziende. A gestire i social network sono generalmente aziende che si finanziano vendendo pubblicità mirate; il loro valore di mercato dipende anche dalla loro capacità di analizzare in dettaglio il profilo, le abitudini e gli interessi dei propri utenti, per poi rivendere le informazioni a chi ne ha bisogno.
Identità digitale È l’insieme dei dati e delle informazioni che individuano un utente che interagisce con un sistema informatico (un sito, un’app, ecc.).
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Le interazioni che avvengono all’interno dell’ambiente digitale durante la navigazione lasciano numerose tracce di dati – e quindi informazioni – che si disperdono nella Rete, concorrendo a definire la digital footprint di ognuno, ossia la propria impronta digitale. La dispersione dei dati personali si manifesta sia nel corso della navigazione in Internet mediante browser (si pensi ai cookies, tecnica utilizzata dalle applicazioni web per archiviare e recuperare informazioni relative agli utenti), sia nell’utilizzo delle piattaforme di social networking. I social network, infatti, sono “piazze virtuali”, cioè luoghi d’incontro e scambio (fotografie, filmati, pensieri, indirizzi di amici, ecc.) degli utenti della Rete; essi rappresentano uno straordinario strumento di condivisione e comunicazione, non privo – tuttavia – di rischi per la sfera personale degli individui. L’impressione di servirsi di uno spazio personale spinge di fatto gli utenti a esporre
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troppo la propria vita privata, rivelando dati e informazioni strettamente personali, azione con effetti da non sottovalutare. Le informazioni che si possono reperire online possono riguardare sia i caratteri personali (le cosiddette informazioni primarie), sia le abitudini sociali e i gusti commerciali (informazioni secondarie). Questi due tipi di informazioni, elaborate tra loro, formano il profilo-utente. La pubblicità comportamentale, fondata sul tracciamento delle informazioni rilasciate dagli utenti nel corso della navigazione in Internet, di per sé non è vietata, ma quando si inseriscono dati personali su un sito di social network si perde il controllo degli stessi; i dati possono essere registrati da tutti i propri contatti e dai componenti dei gruppi cui si è aderito, rielaborati, diffusi, anche a distanza di anni. Spesso, inoltre, gli utenti non hanno a disposizione né gli strumenti necessari per capire quanto possano essere potenti le tracce digitali che lasciano, né quanto danno potrebbero causare, né tantomeno sanno quali dati vengono raccolti e da chi. Inoltre, i dati degli utenti valgono miliardi e c’è poco interesse alla trasparenza proprio perché, attraverso un utilizzo opaco dei dati degli utenti, molte aziende vendono pubblicità sulle proprie piattaforme. Per comprendere i rischi, occorre aver consapevolezza che tutti i dati presenti nella Rete sono in mano a due tipologie di entità e, più precisamente: chi (persona o società) riceve i dati degli utenti (ad esempio Facebook o Google) e chi (persona o società), partendo da dati grezzi, genera informazioni (esempio le compagnie che producono giochi o ap-
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Facebook è un social media a scopo commerciale lanciato nel 2004 che, ad oggi, risulta essere il terzo sito più visitato al mondo dopo Google e YouTube. Ogni volta che un utente accede a Facebook – o a qualunque piattaforma – il sistema recupera e considera, dapprima, tutte le attività svolte (notizie cercate, foto pubblicate, ecc.); successivamente, sulla base di alcuni “segnali” registrati (orario, luogo di accesso, dispositivo, tipologia di contenuto, commenti, reazioni suscitate, ecc.), l’algoritmo di Facebook – espressione che fa riferimento a un procedimento di calcolo adoperato per la risoluzione di problemi – fa delle previsioni d’interesse personalizzate per ogni utente dando ad ognuna un punteggio di rilevanza: saranno queste, in base ai punti ottenuti, le notizie mostrate prioritariamente nella “Sezione Notizie” dell’utente (news feed) nei collegamenti successivi. Le aziende
che utilizzano Facebook useranno poi tutte queste informazioni; così, ad esempio, analizzando con un apposito algoritmo, il “mi piace” di Facebook, è possibile profilare tutti gli utenti del servizio, raffinandone le identità digitali. Il like, infatti, per Facebook è un’interazione di gradimento da cui dedurre gli interessi dell’utente. Anche Google memorizza tutto: conosce dove è stato l’utente, quello che ha cercato in Rete, ciò che ha cancellato e – sulla base di queste informazioni – ha un profilo pubblicitario di ognuno. I dati che Google ha su ogni utente sono infatti tantissimi (segnalibri, e-mail, contatti, file di Google Drive, video di YouTube, foto sul telefono, prodotti acquistati, dati del calendario, gruppi di Google cui si è iscritti, siti web creati, pagine condivise, quanti passi vengono fatti in un giorno, ecc.).
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plicazioni per i social come Candy Crush). Questi soggetti sono di fatto aziende che cercano di estrarre quante più informazioni possibili dai dati al fine di venderle a terzi, molte volte all’insaputa dell’utente. Questo meccanismo, nelle mani sbagliate, può portare anche a manipolare o polarizzare opinioni; per questo, nel tempo, si è reso necessario un sistema di protezione dei dati. Proteggere i dati personali degli utenti da utilizzi illeciti o che vadano a violare la privacy degli stessi è fondamentale. Il dato personale rappresenta lo strumento attraverso il quale i legislatori, nazionali e comunitari, tutelano l’insieme dei diritti collegati all’identità personale. Dato personale è qualsiasi informazione riguardante una persona fisica identificata o identificabile, anche indirettamente, mediante informazioni supplementari; in particolare: dati anagrafici (nome, indirizzo e-mail, indirizzo di residenza, ecc.); finanziari (codice fiscale, conto corrente, ecc.); identificativi (video, foto, ecc.); sensibili (informazioni su opinioni politiche, religione, ecc.); giudiziari (processi, denunce, ecc.). Il diritto alla protezione dei dati personali è sancito da numerose norme internazionali, dell’Unione europea e dei singoli Stati membri dell’Unione. A livello europeo, dal maggio 2018 è entrato in vigore un Regolamento, noto come GDPR (General Data Protection Regulation), che chiarisce come debbano essere trattati i dati personali degli utenti, introducendo regole più chiare su informativa e consenso e definendo i limiti al trattamento automatizzato dei dati personali; esso – inoltre – fissa norme rigorose per i casi di violazione dei dati. In Italia, in materia di diritto alla riservatezza informatica legato alla diffusione nel web dei dati personali degli utenti, la Corte costituzionale ha affermato l’esistenza di «un vero e proprio diritto anche al di fuori delle ipotesi espressamente previste dalla legge ordinaria» in considerazione delle disposizioni costituzionali degli articoli 15 (riservatezza e segretezza delle comunicazioni) e 21 (tutela della libertà di pensiero e di
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Nel marzo 2018, un’azienda di consulenza per il marketing online – la Cambridge Analytica – è stata al centro di un grosso scandalo per l’uso scorretto di un’enorme quantità di dati prelevati da Facebook durante la campagna presidenziale americana del 2016, che ha visto la vittoria di Donald Trump. L’accusa si è basata sull’uso scorretto delle informazioni raccolte dalla società: elaborate mediante algoritmi in grado di creare profili psicometrici degli utenti in termini di abilità,
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comportamenti e caratteristiche della personalità, oltre ad essere utilizzate per creare pubblicità altamente personalizzate su gusti ed emozioni degli utenti, sono servite anche a manipolare le preferenze degli elettori a favore di Trump, grazie alla diffusione di post e notizie false contro la candidata Hillary Clinton. Un’accusa simile è stata mossa alla stessa società in merito all’uso dei dati degli utenti per favorire l’uscita del Regno Unito dalla UE, in occasione del referendum del 2016.
parola). Secondo la Corte, nella disposizione costituzionale dell’articolo 15 «trovano protezione due distinti interessi: quello inerente alla libertà e alla segretezza delle comunicazioni riconosciuto come connaturale ai diritti della personalità definiti inviolabili dall’articolo 2 della Carta costituzionale, e quello connesso all’esigenza di prevenire e reprimere reati, vale a dire ad un bene anch’esso oggetto di protezione costituzionale». Tale diritto ha trovato ampia tutela nella legge 675 del 1996, confluita poi nel Codice privacy.
FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Privacy e protezione dei dati personali La privacy, tradizionalmente, è intesa come diritto alla riservatezza, cioè come diritto della persona al controllo delle informazioni che la riguardano. In Italia, i fondamenti costituzionali sono ravvisabili negli artt. 14,15 e 21, rispettivamente riguardanti il domicilio, la corrispondenza e la libertà di manifestazione del pensiero; ma si può fare anche riferimento all’art. 2, incorporando la riservatezza nei diritti inviolabili dell’uomo. L’art. 2 è una vera e propria norma di apertura, che consente di attribuire i connotati di diritto fondamentale anche ad altre libertà e valori personali non espressamente tutelati dalla Costituzione, che, per i mutati costumi sociali, richiedono un riconoscimento pari a quello dei diritti espressamente delineati, come ad esempio il diritto alla riservatezza informatica. La tutela dei dati personali è un allargamento del concetto di privacy che – basandosi sulla dignità di ogni persona – indica il diritto ad esercitare controllo sui propri dati personali (data protection). La dignità della persona umana, infatti, oltre che essere un valore dominante sia nella Convenzione europea dei diritti del 1950 (art. 8), che nel Trattato sul funzionamento dell’UE (art.16), nel costituire un diritto fondamentale dell’individuo, è anche un diritto autonomo rispetto al più generale diritto alla riservatezza (privacy).
Differenza tra privacy e diritto alla protezione dei dati personali: ► Il diritto alla riservatezza ha un’accezione più che altro negativa: non essendo un diritto a se stante, si pone come limite alla libertà di espressione e al diritto all’informazione. In questo senso, è il diritto a far sì che la stampa, o i media, non diffondano informazioni personali senza aver ricevuto preliminarmente il consenso dalla persona interessata (a meno che la notizia ad essa riferita sia di pubblico interesse); il diritto alla riservatezza rappresenta la facoltà di opporsi ad ogni ingerenza degli estranei nella vita privata di un individuo. ► Se la privacy rappresenta una tutela individuale, il diritto alla protezione dei dati personali, invece, va oltre la sfera della vita privata per includere, in particolare, le relazioni sociali e assicurare autonomia decisionale e controllo sulla circolazione dei propri dati. Il diritto alla protezione dei dati personali garantisce perciò la libertà personale, intesa non solo come libertà fisica ma anche come libertà da ogni controllo e intrusione altrui. Raffigura pertanto una tutela degli individui sia dalla diffusione impropria di informazioni da parte di giornali e media, sia – soprattutto – dai rischi di ingerenza nella propria sfera di libertà da parte di Stati autoritari. In base a tale diritto ogni individuo ha la facoltà di esigere che i propri dati personali vengano raccolti e trattati da terzi nel rispetto delle leggi in materia, sia dell’Unione europea che dei singoli Stati nazionali.
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Proteggersi dalle insidie della Rete
Phishing È una truffa effettuata tramite la Rete Internet, che prevede l’invio di messaggi o e-mail che imitano per aspetto o contenuto le comunicazioni ufficiali di forniture di servizi (rete elettrica, banche, ecc.) per richiedere informazioni riservate (dati finanziari, codici di accesso, ecc.).
Navigare su Internet può essere utile e divertente, ma nella Rete si possono celare delle insidie. In Rete, gli imbrogli possono nascondersi sia nelle e-mail (phishing►), sia sulle piattaforme di vendita online e persino sui social network. L’obiettivo di queste frodi, raggiri finalizzati al conseguimento di illeciti profitti, è rubare dati personali e quindi estorcere dei soldi con l’inganno. Ad essere esposti ai rischi presenti in Rete sono tutti, ma proprio i cosiddetti nativi digitali – espressione che indica la generazione di chi è nato e cresciuto con la diffusione delle nuove tecnologie informatiche – pur mostrando di avere capacità operative circa l’uso del web, tuttavia, risultano essere spesso carenti di consapevolezza critica e quindi incapaci di valutare le informazioni della Rete o di prevedere le conseguenze delle pratiche online. La cyberdipendenza , nota anche come Internet addiction disorder (in acronimo IAD) – espressione coniata dal medico Ivan Goldberg nel 1995 –, descrive il disturbo legato ad utilizzo intensivo e ossessivo del web: dalla navigazione sui social, alla visualizzazione di filmati, al gioco online. La “sindrome” di dipendenza dalla Rete presenta segni e sintomi paragonabili alla dipendenza da alcool, droga e gioco d’azzardo patologico. Si parla di dipendenza (e non di sola abitudine) quando l’alterazione del comportamento è accompagnata da sintomi quali disturbi del sonno, aggressività, deconcentrazione, difficoltà a relazionarsi, isolamento, depressione, ansia, instabilità emotiva. La dipendenza da Internet ha varie sfumature. Una è la nomofobia – termine formato da un prefisso inglese, abbreviazione di no-mobile, e il suffisso -fobia – per indicare la paura incontrollata di essere sconnessi dalla Rete di telefonia mobile e non poter, dunque, chattare con amici e parenti. La paura di essere disconnessi può portare a vivere momenti di ansia, malessere, irrequietezza e aggressività. La nomofobia, così come gli altri disturbi legati alla Rete, tende a minare non poco la vita di relazione; nel corso degli ultimi anni, anche in Italia è
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«Together for a better Internet» è il motto del Safer Internet Day (SID), evento annuale, organizzato a livello internazionale con il supporto della Commissione europea. Nato nel 2004 per promuovere un uso più sicuro e responsabile del web e delle nuove tecnologie tra i bambini e i giovani di tutto il mondo, l’evento è finalizzato a far riflettere i ragazzi non solo sull’uso consapevole della Rete, ma sul ruolo attivo e responsabile di ciascuno nella realizzazione di
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Internet come luogo positivo e sicuro. L’obiettivo non è contrastare le nuove tecnologie, bensì sfruttare a pieno le grandissime possibilità che le stesse offrono, ma con consapevolezza e considerando anche i rischi. Lo spirito di fondo è quello di credere che insegnare le dinamiche delle app o dei social network non sia molto diverso dall’educazione stradale: apprendere le potenzialità e i pericoli della Rete è semplice e indispensabile come imparare ad attraversare la strada.
esploso il fenomeno dei ritirati sociali, espressione che traduce il termine giapponese hikikomori usato per indicare gli adolescenti che respingono il contatto con gli altri preferendo vivere isolati nelle loro camere. I “ritirati sociali” sono spesso giovani dipendenti dalla Rete e nomofobici, a volte anche vittime di bullismo. La cyberdipendenza non riguarda solo il mondo dei giovani, ma investe anche gli adulti, tanto che l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha consigliato di non superare le 2 ore giornaliere davanti allo schermo per non avere conseguenze cerebrali. Gli adolescenti in Rete, secondo i dati di una ricerca italiana svolta nel 2016 dal MIUR insieme ai principali atenei e il portale Skuola.net ► 7 giovani su 10 hanno un profilo attivo sui social network ► solo 1 giovane ogni 16 non accede mai ad Internet ► 8 giovani su 10 usano abitualmente WhatsApp per comunicare coi genitori e persino scambiarsi compiti e appunti coi compagni di scuola ► 4 giovani su 10 dicono di non conoscere di persona almeno la metà dei loro amici su Facebook ► 7 giovani su 10, quando vanno a scorrere la lista dei loro follower su Instagram, scoprono numerosi profili falsi ► 1 giovane su 4 confessa di non essersi mai preoccupato più di tanto di come vengano diffuse le sue informazioni personali sul web ► 9 giovani su 10 usano Internet senza alcun controllo da parte dei genitori, e circa la metà di loro vi ha libero accesso fino a tarda notte
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La nostra vita privata e pubblica è indubbiamente mutata con l’avvento di Internet, tanto che il numero delle famiglie italiane che possono accedere alla Rete da casa è in costante aumento (secondo recenti stime l’89% accede al web da casa). L’utilizzo di Internet coincide però soprattutto con quello dei social network da parte dei giovani (Facebook, Instagram, Twitter, YouTube). Secondo una ricerca del 2018 dell’Associazione nazionale sulle dipendenze tecnologiche, DiTe, il 51% dei giovani tra i 15 e i 20 anni controlla mediamente lo smartphone 75 volte al giorno. Non solo: il 7% lo fa fino a 110 volte. Il 79% di essi ammette di non riuscire a starne alla larga per
almeno 3 ore. Il bisogno di inviare messaggi e chattare si sente anche di notte. Il 13% degli intervistati (23.000 giovani tra gli 11 e i 26 anni) trascorrono online più di 10 ore al giorno, con un costo sulla vita di relazione e sulla salute. Sempre più frequentemente la cronaca riporta episodi con ragazzini colpiti da crisi epilettiche per aver trascorso fino a 20 ore al giorno di fronte a uno schermo; donne che si innamorano di foto rubate; uomini che hanno rinunciato al proprio benessere per investire tutto nel gioco; bambini a rischio, se affidati alla baby-sitter digitale, di avere delle aree compromesse del cervello deputate allo sviluppo della concentrazione e della memoria.
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Cyberbullismo Il cyberbullismo, all’art. 1 comma 2 della legge n. 71 del 2017, è stato definito come «qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti online aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo».
Offendere un soggetto ritenuto più debole e incapace di difendersi è l’espressione caratterizzante ogni fenomeno di bullismo che, se attuato mediante gli strumenti della Rete (e-mail, telefono, blog, chat, ecc.) diventa cyberbullismo►. Se nel bullismo tradizionale l’atteggiamento aggressivo ripetitivo implica un rapporto faccia a faccia tra il bullo e la vittima, nel cyberbullismo gli atti di molestia sistematici vengono attuati da un bullo che ha l’occasione di rimanere anonimo sollecitando il coinvolgimento di altri “amici” anonimi, in modo che la vittima spesso non è neanche a conoscenza dell’identità di coloro con i quali sta interagendo. Il cyberbullismo rispetto al bullismo è molto più infido in quanto la presa in giro o l’insulto entra all’interno del vasto mondo della Rete dove sono presenti tantissime persone ed è difficile che un messaggio passi inosservato: foto, video e commenti, infatti, possono permanere in Rete anche dopo essere stati eliminati dal diretto interessato. Grazie ad una connessione sempre attiva è possibile attaccare persone più deboli e delicate come possono essere proprio i giovani adolescenti che non hanno ancora sviluppato una personalità forte e definita per difendersi nella giusta maniera. Conoscere i pericoli del web e i meccanismi scorretti che si celano dietro la Rete è un primo modo per riuscire a difendersi dal cyberbullismo; allo stesso modo – è importante conoscere i tratti distintivi del cyberbullismo rispetto al bullismo.
LE PRINCIPALI CATEGORIE DEL CYBERBULLISMO ► Flaming (dall’inglese: flame, ‘fiamma’): caratterizzato da messaggi online violenti e volgari ai danni del soggetto ► Molestie (harassment): insulti gratuiti ai danni di un soggetto ► Denigrazione: sparlare per ledere la reputazione altrui. La denigrazione è la forma di cyberbullismo più comunemente utilizzata dagli studenti contro i loro docenti ► Esclusione: escludere deliberatamente una persona da un gruppo online provocando la sua emarginazione volontaria ► Sostituzione di persona (impersonation): passare per un’altra persona e creare confusione ► Inganno (trickery): ottenere la fiducia di qualcuno con l’inganno e poi pubblicare del materiale che non ci appartiene ► Doxing: diffusione pubblica di dati personali e sensibili, tramite il web ► Minacce di morte: la più crudele, perpetrata a danni di soggetti terzi, sempre via web
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Il cyberbullismo è un reato, cioè un comportamento ritenuto socialmen te pericoloso e perciò punito con una sanzione. La legge n. 71 del 2017 – contenente Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo – dispone non solo un sistema di repressione ma anche di prevenzione ed educazione con il coinvolgimento della scuola. Il provvedimento, infatti, intende contrastare il fenomeno con azioni a carattere preventivo e con una strategia di cura, tutela ed educazione nei confronti dei minori coinvolti, puntando sulla formazione specifica degli insegnanti allo scopo di prevenire e sensibilizzare i minori, nonché incoraggiando un percorso di responsabilizzazione nell’uso dei sistemi informatici e di Rete (educazione digitale). Al fine di rispondere alle indicazioni della legge, in ogni istituto scolastico viene individuato, tra il corpo docente, un referente con il compito di coordinare le varie iniziative, con la collaborazione anche della Polizia postale e dei servizi presenti sul territorio; se il dirigente scolastico viene a conoscenza di atti di cyberbullismo deve immediatamente informare i genitori dei minori coinvolti con previsione di sanzioni disciplinari commisurate alle gravità degli atti compiuti. BULLISMO
CYBERBULLISMO
I bulli sono persone conosciute dalla vittima (compagni di scuola o di Istituto)
I cyberbulli possono essere perfetti sconosciuti
Le azioni sono generalmente raccontate ad altri studenti della scuola e perciò restano circoscritte nello spazio
Il materiale cyberbullistico può essere diffuso in tutto il mondo
La disinibizione è media, incalzata dalle dinamiche del gruppo e dai meccanismi di disimpegno morale
La disinibizione è alta e i cyberbulli tendono a fare online ciò che non farebbero nella vita reale; chiunque, anche chi è vittima nella vita reale o ha un basso potere sociale, potrebbe diventare un cyberbullo
Il bisogno di dominare nelle relazioni interpersonali è correlato alla visibilità del bullo
Il cyberbullo usa la presunta invisibilità per esprimere potere e dominio
Il bullo non presta sufficientemente attenzione ai feedback tangibili da parte della vittima
La mancanza di feedback frena la comprensione empatica della sofferenza provata dalla vittima
Nel bullismo c’è sempre deresponsabilizzazione (“Stiamo scherzando”, “Non è colpa mia”)
Nel cyberbullismo è possibile la depersonalizzazione mediante avatar (alter ego virtuale) appositamente creati
Gli spettatori sono sempre presenti e osservano i comportamenti prevaricatori dei bulli nei confronti di una vittima che conoscono
Gli spettatori possono essere assenti, presenti, conoscere la vittima o ignorare la sua identità. Quando presenti, possono, assumere una funzione passiva (se si limitano a rilevare, nelle proprie e-mail, SMS, chat, atti di cyberbullismo diretti ad altri) o attiva (se scaricano il materiale, lo segnalano ad altri amici, lo commentano e lo votano, diffondendolo). Il contributo attivo può essere fornito su sollecitazione del cyberbullo (reclutamento volontario) oppure su spinta autonoma, senza, cioè, aver ricevuto specifiche ed espresse richieste (reclutamento involontario)
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La legge citata, in caso di azioni di cyberbullismo tra ultraquattordicenni, attribuisce al Questore massima autorità di pubblica sicurezza, l’onere di ammonire, con avvertimento verbale, l’autore dei comportamenti affinché non li possa mettere più in atto, nonché accertare e reprimere tutti i comportamenti illeciti commessi al fine di proteggere le vittime. La procedura di ammonimento del minore – alla presenza di uno dei genitori o ad altra persona esercente la responsabilità genitoriale – è possibile solo se non viene presentata una querela o denuncia da parte della vittima. Successivamente all’ammonimento si inizia un percorso di riabilitazione presso uno dei Centri per la promozione della mediazione presenti sul territorio italiano al fine di gestire pacificamente i conflitti. L’ammonimento rende la normativa poco “repressiva” e molto “educativa”. Non è sempre facile tracciare una linea di demarcazione tra le molestie in Rete che spesso assumono declinazioni differenti ma con il comune obiettivo di perseguitare il soggetto preso di mira. Tra le molestie in Rete, segnaliamo anche le seguenti. Il cyberstalking : si verifica quando la persecuzione online incessante punta a spaventare la vittima con minacce, anche di violenza fisica. In questo caso, il cyberstalker, oltre a minacciare la vittima di aggressioni fisiche, può diffondere materiale riservato in suo possesso (fotografie sessualmente esplicite, videoclip intimi, manoscritti personali) nella Rete. Lo stalker è in genere una persona che agisce sulla spinta di sentimenti ossessivi e per desiderio di controllo e possesso; per questo il fenomeno si presenta tipicamente in relazioni fortemente conflittuali tra coetanei o nel caso di rapporti sentimentali interrotti. Le persecuzioni possono avvenire attraverso un accesso illegale ai dispositivi elettronici delle vittime, ad esempio con invio di e-mail contenenti codici malevoli o mediante il bluetooth, per installare software spyware il cui scopo è raccogliere informazioni al fine di controllare il registro delle chiamate o la lettura dei messaggi, l’agenda degli impegni, ecc. La tecnologia, però, ha anche sviluppato strumenti di contrasto per arginare il fenomeno del cyberstalking, con programmi di difesa che permettono di bloccare i software spyware progettati per monitorare senza permesso le attività in Rete degli utenti. Il revenge porn – per ripicca e ritorsione nei confronti della persona coinvolta – è la condivisione pubblica tramite il web di immagini intime esplicite, senza alcun consenso del protagonista delle stesse. Vera e propria molestia online,
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In base ai dati presentati in occasione del Safer Internet Day 2018, ovvero la Giornata mondiale per la sicurezza in Rete, è stato possibile evidenziare l’aumento del numero di denunce da parte dei minori; queste, infatti, dalle 236 del 2016 sono passate a oltre 350 nel 2017. Inoltre, delle 354 denunce trattate dalla Polizia postale, 13 sono denunce di minori per stalking, 87 per diffamazione online e 79 per furto
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d’identità su social network. I minori denunciati come responsabili di azioni di cyberbullismo sono stati 39, di cui: 13 per diffusione di materiale pedopornografico, 12 per diffamazione online e 11 per ingiurie, minacce e molestie. Tutto ciò significa che se – da un lato – le angherie, le aggressioni, le molestie sui minori sono aumentate, è aumentato anche il numero di coloro che hanno avuto la forza di denunciare.
questo tipo di aggressione ha conseguenze devastanti per le vittime, tanto da aver indotto il legislatore italiano ad introdurre un’apposita norma all’interno della sezione del Codice penale, dedicata a punire questo tipo di reato al pari degli altri delitti contro la libertà morale e di autodeterminazione dell’individuo. La norma – nel tutelare altresì l’onore, il decoro, la reputazione e la privacy di una persona – inasprisce le sanzioni nel caso in cui l’autore del reato sia il coniuge, anche separato o divorziato, della persona offesa o soggetto che è o è stato ad essa legato da relazione affettiva, o se i fatti sono commessi mediante strumenti informatici o telematici (cosiddetta aggravante social). FOCUS DIRITTO (E DIRITTI)
Molestie online: i consigli della Internet Society Le molestie online sono in aumento. La forma di tutela più efficace è sicuramente l’autotutela, cioè la gestione attenta dei propri dati personali, ma l’Internet Society, un’organizzazione internazionale nata per promuovere lo sviluppo aperto, l’evoluzione e l’uso di Internet per il bene della popolazione di tutto il mondo, ha emanato i seguenti consigli: 1. Conoscere il mezzo. Il web è un potente strumento per la comunicazione. È importante imparare come utilizzarlo, tenendo bene gli occhi aperti per sfruttare al meglio ciò che offre. 2. Mantenere privata la propria vita. Tenere le informazioni personali separate dal ruolo professionale, usando profili diversi per ruoli diversi. 3. Proteggere le comunicazioni. È importante utilizzare la crittografia (sistema pensato per rendere incomprensibile un messaggio a chi non possiede la soluzione per decodificarlo) e l’access control (meccanismo di autorizzazioni per controllare l’accesso ai dati e prevenire eventuali fughe di informazioni o accessi non autorizzati). 4. Oscurare la posizione. È importante rimuovere i dati sulla posizione da immagini e video prima di pubblicare.
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Disattivare la geolocalizzazione dei post e non rivelare la propria posizione nei post pubblici. 5. Proteggere i dispositivi. È importante proteggere i dispositivi da manomissioni fisiche e digitali utilizzando la crittografia, password forti e mailbox sicure. 6. Tutelarsi da un possibile attacco. È importante trovare alleati e preparare un piano per affrontare le molestie online, il doxing (dossieraggio) e altre forme di abuso. 7. Non lasciare spazio al cyberbullismo. È importante mostrare coraggio e non aver paura chiedendo anche un eventuale aiuto agli altri. 8. Attenzione ai virus, alle e-mail di phishing e ai documenti consultati. È importante controllare prima di connettersi con qualcuno che non si conosce. Se qualcosa sembra troppo bello per essere vero, probabilmente non lo è. 9. Condividere la propria esperienza con gli altri. È importante far sapere alla gente la propria disponibilità ad aiutare. 10. Proteggere gli altri. È importante, se si ospitano contenuti generati dagli utenti, impedire di pubblicare messaggi offensivi. Rimuovere le informazioni personali che sono state esposte per ferire qualcuno e segnalare i trasgressori.
Gestire le informazioni reperibili in Rete La quantità di dati in Rete (foto, immagini, musica, testi, ecc.) espone l’utente al rischio di un utilizzo illecito delle stesse perché erroneamente considerate libere di essere usate senza rispettare i diritti dei legittimi proprietari che, al contrario, godono di una particolare tutela, quella del diritto d’autore.
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Nell’ordinamento giuridico italiano il diritto d’autore – conosciuto anche con il termine anglosassone copyright e abbreviato con il simbolo © – è in generale ammesso per qualunque opera dell’ingegno che sia contraddistinta da creatività. Chi crea un’opera intellettuale, pertanto, è titolare sia del diritto di essere riconosciuto autore dell’opera, sia del diritto di utilizzare l’opera in ogni forma e modo e di sfruttarla economicamente. Quest’ultimo diritto ha una natura patrimoniale e dura non solo per tutta la vita dell’autore, ma anche per 70 anni dopo la sua morte a favore degli eredi; dopo tale periodo l’opera può essere utilizzata da chiunque. Si configura la violazione del diritto d’autore se l’opera è sottoposta a plagio (cioè riprodotta, in tutto o in parte, senza riconoscere la paternità all’autore), o riprodotta a fini commerciali (cioè duplicata e venduta senza l’autorizzazione dell’autore), o modificata senza autorizzazione (cioè ritoccata senza il permesso dell’autore). Con l’avvento della Rete, è possibile creare, pubblicare e diffondere in forma digitale un’opera tutelata dal copyright, così che la tutela del diritto d’autore si è estesa e non è più limitata alla sola materialità dell’opera (ad esempio, il divieto di fotocopiare testi). Chiunque componga una canzone, scatti una foto, scriva un testo, pubblicando il frutto della propria attività in Rete, se associa un copyright alla propria opera è quindi tutelato dal diritto di autore; utilizzare tali opere, senza il permesso dell’autore è una violazione. La pirateria online è un atto illecito adoperato per identificare una serie di condotte. Secondo la legge sul diritto d’autore, il download illegale di un prodotto protetto da copyright è punibile con una sanzione economica; qualora al download di materiale protetto segua la condivisione dello stesso a scopo di lucro, il pirata online rischia la sanzione penale. Le norme italiane, infatti, considerano un illecito la condivisione di opere coperte da copy right attraverso attività di file sharing che, se a scopo di lucro, sono punite con sanzioni pesanti: dalla multa alla detenzione dai 6 mesi ai 3 anni. La ragione sta nel fatto che il download illegale non solo danneggia l’autore dell’opera, ma – se condiviso al fine di trarre profitto – arreca un danno patrimoniale senz’altro maggiore. Non sono i programmi di file sharing ad essere illegali, ma l’utilizzo che di essi viene fatto. Sarebbe infatti illegale anche la diffusione di copie di un prodotto acquistato regolarmente. Lo streaming (dall’inglese to stream, ovvero ‘far fluire’) è una tecnologia per la trasmissione via Internet di dati, in genere segnali audio e video; grazie a questo sistema i dati possono essere riprodotti progressivamente (su computer, tablet o smartphone) senza necessità di essere scaricati. Lo streaming però non è consentito se non è proveniente da chi è autorizzato a detenere e trasmettere quei dati; bisogna pertanto distinguere tra l’utente che si limita ad usufruire del servizio guardando il contenuto offerto e colui che, al contrario, è titolare del sito streaming. Nel caso in cui il filmato è protetto da copyright e non si hanno le licenze per trasmetterlo, l’internauta che si limita a guardare il video non commette alcun illecito, mentre colui che offre il servizio, al contrario, incorre nelle sanzioni sopra viste per il file
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sharing, con le differenze di pena dovute dalla presenza o meno del fine di lucro. Lo streaming di opere protette, qualora non autorizzato, costituisce quindi una violazione dei diritti d’autore, al pari del download illecito.
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Negli ultimi anni, la Guardia di Finanza, a seguito di apposite autorizzazioni giudiziarie, è sempre più frequentemente chiamata a intervenire per oscurare i siti illegali che offrono contenuti in streaming e download. In tutte queste operazioni, le forze dell’ordine si sono concentrate prevalentemente nell’individuazione di coloro che offrivano questi servizi e non sull’utente finale. Tentare di perseguire migliaia di utenti sarebbe stato del resto veramente
complicato, a meno di non trovarsi di fronte a soggetti che, a loro volta, condividono in Internet i contenuti scaricati illegalmente. Nel 2018 il Parlamento italiano ha emanato una nuova legge che autorizza l’AGCOM, cioè l’Autorità per le garanzie nelle telecomunicazioni, a intervenire in modo più tempestivo contro le violazioni del diritto d’autore online, oscurando in modo autonomo i domìni che ospitano portali di streaming illegali.
Il diritto d’autore ha, come già detto, una natura patrimoniale; l’eventuale cessione di questi diritti può avvenire solo tramite un contratto, detto licenza, che specifica la modalità e i limiti di utilizzazione. Queste regole valgono anche per i software che, trattati come un qualunque bene, ne vietano l’uso senza il consenso dell’autore. Per poter guadagnare sul programma, infatti, l’autore può cedere a terzi il suo utilizzo sotto particolari condizioni. Per alcuni produttori, invece, il software è da considerarsi un bene pubblico e – in quanto strumento capace di contribuire all’evoluzione culturale e sociale della società – deve essere libero e gratuito; è questo il caso del cosiddetto open source. VITA QUOTIDIANA
La Corte di Cassazione, nel 2012, ha confermato la sentenza di condanna per un imprenditore che aveva duplicato dei software di cui aveva acquistato regolare licenza. La duplicazione dei programmi utilizzati su vari
e differenti personal computer ha, secondo la Corte di Cassazione, violato la norma del diritto d’autore perché l’imprenditore doveva acquistare licenze diverse per ogni singolo computer e non utilizzare la stessa licenza per tutti.
GUIDAALLOSTUDIO Rispondi oralmente o per iscritto alle domande o individua e sottolinea nel testo la risposta: ► Cos’è l’identità digitale? Perché occorre difenderla? ► Cosa determina il digital footprint? ► Quali sono le norme che tutelano i dati personali? Perché? ► Quali sono le principali insidie presenti nella Rete? ► Cosa differenzia e caratterizza il cyberbullismo dal bullismo? ► Come gestire le informazioni presenti in Rete?
Lezione 3 L’Identità Digitale
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VERSOL’ESAMEDISTATO
Analisi e produzione di un testo argomentativo (tipologia B)
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L’essere connessi, ovvero sviluppare e mantenere relazioni positive tra pari, rappresenta un aspetto cruciale per gli adolescenti nel formare la propria identità, contribuendo al loro benessere psicologico. Nel lento e faticoso percorso di costruzione della propria identità, gli adolescenti hanno bisogno di svincolarsi dall’influenza dei genitori e le relazioni con gli amici diventano un ‘utero sociale’ in cui essere accolti e rassicurati [...]. Ai nostri giorni questo bisogno di essere connessi e in relazione con i pari si declina anche attraverso l’uso delle tecnologie, essere connessi diventa quindi partecipare a social network e a gruppi WhatsApp. [...] Le relazioni, sia quelle reali che quelle virtuali, sono il luogo dove gli adolescenti raccontano e svelano qualcosa di sé (self-disclosure) [...]. Raccontare qualcosa di sé è una dimensione positiva e necessaria per sviluppare relazioni più intime e più vere e per mantenere queste relazioni nel tempo. L’utilizzo della rete può in alcuni casi essere positivo, come nel caso di ragazzi che attraverso blog o brevi video su YouTube esprimono i loro desideri e i loro talenti. Tuttavia, se in passato l’adolescente sperimentava gruppi allargati (ad esempio tifoserie, movimenti giovanili), gruppi più piccoli (amici più stretti con rapporti più intimi) e rapporti diadici [...] in cui poter esercitare a livelli diversi la possibilità di aprirsi e di confidarsi, oggi con le tecnologie questi diversi gruppi si sovrappongono e si contaminano e agli adolescenti vengono richieste competenze sociali nuove, che prima non erano necessarie con piccoli gruppi di amici [...]. Raccontare qualcosa di sé agli altri attraverso la rete può diventare molto pericoloso, ad esempio quando gli adolescenti utilizzano le loro bacheche e i loro profili come diari segreti. I segreti intimi, i pensieri ancora non elaborati e le difficoltà possono diventare pubblici per reti amplissime di persone, rendendo vulnerabile l’adolescente. Questo meccanismo viene definito disinibizione on line [...]. Al chiuso della propria stanza gli adolescenti non sono consapevoli di chi leggerà il proprio post, non vedono volti e persone, ma solo uno smartphone o un computer con la percezione di parlare con se stessi. [...] [Un altro aspetto] ci porta a riflettere sul ruolo delle tecnologie e delle informazioni veicolate dai social network nel formare la mente degli adolescenti; sappiamo infatti che in adolescenza la struttura e il funzionamento del cervello vanno incontro a numerosi cambiamenti [...]. L’utilizzo delle tecnologie e della rete ha dei vantaggi importanti per gli adolescenti perché permette loro di cercare informazioni sugli ultimi avvenimenti, svolgere ricerche per la scuola, cercare notizie che riguardano la salute [...]. Accanto a questi vantaggi, emergono tuttavia alcuni rischi. Il primo rischio è quello della non veridicità delle informazioni. Soprattutto in riferimento alla salute, alcune informazioni legate al controllo del peso o legate alla sessualità possono essere sbagliate, inducendo l’adolescente a comportamenti pericolosi [...]. Il secondo rischio è quello dell’omologazione del pensiero. Il pensiero morale dell’adolescente può formarsi a partire da informazioni diffuse attraverso social network, ma anche attraverso video divulgati in rete, creando false credenze, diminuendo la capacità di discernimento e modificando le norme sociali. L’insieme di queste riflessioni indica la necessità che gli adulti si riapproprino della loro funzione educativa nell’accompagnare gli adolescenti nella vita on line, promuovendo al massimo le potenzialità della rete e riducendone i rischi. L’utilizzo della rete e dei social network è parte dell’esperienza di socializzazione dell’adolescente che gli adulti hanno il compito di conoscere e comprendere. [Testo tratto da Essere connessi in adolescenza tra nuove possibilità e rischi: il ruolo degli adulti di Annalisa Guarini, Antonella Brighi, Alessandra Sansavini, in «Studi e Documenti», n. 16, Rivista online dell’Ufficio Scolastico Regionale per l’Emilia-Romagna, marzo 2017]
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PARTE 8_Cittadini e mondo digitale
► COMPRENSIONE E ANALISI
1. Nel testo viene sottolineato come le relazioni positive negli adolescenti sono importanti per lo sviluppo della propria identità anche quando queste avvengono attraverso l’uso delle nuove tecnologie. Quali argomenti vengono addotti per sostenere questa tesi? 2. Le autrici, nel corso del saggio, affermano che – per gli adolescenti – raccontare qualcosa di sé è una dimensione positiva e necessaria, ma «raccontare qualcosa di sé agli altri attraverso la rete può diventare molto pericoloso» (riga 17). Perché? Quale condizione viene a mancare in Rete? 3. Seppur complessivamente positivo, il ruolo delle tecnologie e delle informazioni veicolate dai social per gli adolescenti presenta delle criticità. Quali sono? Perché? 4. Nel testo si afferma che l’utilizzo della Rete e dei social network è parte dell’esperienza di socializzazione dell’adolescente. Secondo le autrici, gli adulti hanno il compito di conoscere e comprendere quale compito spetta agli adulti? ► PRODUZIONE
Condividi le considerazioni espresse nel saggio relativamente alla positività dei social nella vita degli adolescenti? In base alle tue esperienze, dirette o indirette, è corretto sostenere che informarsi solo attraverso Internet ha, per un adolescente, il rischio dell’omologazione del pensiero, cioè il rischio di uniformarsi alle tendenze dominanti senza alcuna capacità di critica? ► Argomenta i tuoi giudizi con riferimenti alla tua esperienza e alle tue conoscenze e scrivi un testo in cui tesi e
argomenti siano organizzati in un discorso coerente e coeso.
Simulazione di colloquio Finalità specifica del colloquio dell’Esame di Stato è consentire alla Commissione di verificare l’acquisizione dei contenuti e dei metodi delle discipline, nonché la capacità, critica e personale, di argomentare del candidato. È importante curare la capacità di esposizione e la coerenza delle argomentazioni esposte. L’esercizio da fare è, quindi, costruire una mappa concettuale, preferibilmente interdisciplinare, che consenta di fare collegamenti coerenti con il tema proposto. ► ESEMPIO A
Per avviare il colloquio, il materiale scelto dalla Commissione è una delle immagini di copertina del romanzo 1984 di George Orwell, pubblicato nel 1949. Il romanzo descrive – in un futuro dispotico caratterizzato da un permanente stato di guerra – il controllo da parte di un’entità nascosta che non appare mai (il Grande Fratello), ma che controlla azione e pensiero di ogni abitante in qualsiasi momento e in ogni luogo attraverso teleschermi posti in tutto il paese, e l’alterazione della realtà mediante un meccanismo di manipolazione della mente, Il romanzo di Orwell è spesso citato come metafora di ciò che la società di oggi punta a diventare utilizzando metodi sottili e subdoli
VERSO L’ESAME DI STATO
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con i quali imporre la volontà di poche persone in maniera assolutistica. 1984 è un romanzo spesso accostato al problema del controllo dei mezzi di informazione nella realtà moderna. «La guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è la forza», sostiene il regime del Grande Fratello. Oggi, la diffusione delle fake news, e della cosiddetta post verità, sono il segno che Orwell aveva previsto tutto. La scelta della Commissione è uno spunto per consentire al candidato di esporre le sue conoscenze sull’importanza delle competenze nella società dell’informazione. Di seguito la scaletta dei contenuti, trattati nel corso della lezione, cui fare riferimento per affrontare il tema: ► L’avvento di Internet e la diffusione e l’utilizzo di informazioni, conoscenze e saperi tecnologicamente avanzati. ► McLuhan, il villaggio globale e la problematica relativa al modo in cui i media possono plasmare la nostra com-
prensione («il medium è il messaggio»). ► L’importanza della competenza digitale per un approccio critico, etico, sicuro e responsabile nell’utilizzo della
Rete come fonte di conoscenze e informazioni. ► I pericoli della Rete e la necessità di proteggersi dalle sue insidie. ► Il problema degli hate speaches, dei trolls e delle fake news. ► ESEMPIO B
Per avviare il colloquio, il materiale scelto dalla Commissione è l’immagine di un occhio all’interno dei principali widget che rappresentano i diversi social. La scelta della Commissione è uno spunto per consentire al candidato di esporre le conoscenze sul tema della dispersione dei dati personali durante la navigazione in Rete e loro protezione.
Di seguito la scaletta dei contenuti, trattati nel corso della lezione, cui fare riferimento per affrontare il tema: ► Nozione di identità digitale. ► Il valore della profilazione degli utenti per i gestori dei social network. ► Relazione tra digital footprint e pubblicità comportamentale. ► Nozione di dato personale e sistemi di protezione della privacy. ► Il Regolamento europeo GDPR.
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PARTE 8_Cittadini e mondo digitale
APPENDICE
COSTITUZIONE DELLA REPUBBLICA ITALIANA
La Costituzione della Repubblica italiana Gazzetta Ufficiale 27 dicembre 1947, n. 298
IL CAPO PROVVISORIO DELLO STATO Vista la deliberazione dell’Assemblea Costituente, che nella seduta del 22 dicembre 1947 ha approvato la Costituzione della Repubblica Italiana; Vista la XVIII disposizione finale della Costituzione; PROMULGA La Costituzione della Repubblica Italiana nel seguente testo:
PRINCIPÎ FONDAMENTALI Art. 1. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Art. 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
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APPENDICE
Art. 4. La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. Art. 5. La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principî ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento. Art. 6. La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche. Art. 7. Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.
Art. 8. Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze. Art. 9. La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Art. 10. L’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute. La condizione giuridica dello straniero è regolata dalla legge in conformità delle norme e dei trattati internazionali. Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica secondo le condizioni stabilite dalla legge. Non è ammes-
sa l’estradizione dello straniero per reati politici. Art. 11. L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie inter-
nazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Art. 12. La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni.
PARTE I DIRITTI E DOVERI DEI CITTADINI TITOLO I RAPPORTI CIVILI La libertà personale è inviolabile. Art. 13. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell’autorità giudiziaria e nei soli casi e modi previsti dalla legge. In casi eccezionali di necessità ed urgenza, indicati tassativamente dalla legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori, che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria e, se questa non li convalida nelle successive quarantotto ore, si intendono revocati e restano privi di ogni effetto. È punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà. La legge stabilisce i limiti massimi della carcerazione preventiva. Art. 14. Il domicilio è inviolabile. Non vi si possono eseguire ispezioni o perquisizioni o sequestri se non nei casi e modi stabiliti dalla legge secondo le garanzie prescritte per la tutela della libertà personale.
Gli accertamenti e le ispezioni per motivi di sanità e di incolumità pubblica o a fini economici e fiscali sono regolati da leggi speciali. Art. 15. La libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili. La loro limitazione può avvenire soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge. Art. 16. Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche. Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvo gli obblighi di legge. Art. 17. I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica.
Art. 18. I cittadini hanno diritto di associarsi liberamente, senza autorizzazione, per fini che non sono vietati ai singoli dalla legge penale. Sono proibite le associazioni segrete e quelle che perseguono, anche indirettamente, scopi politici mediante organizzazioni di carattere militare. Art. 19. Tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purché non si tratti di riti contrari al buon costume. Art. 20. Il carattere ecclesiastico e il fine di religione o di culto d’una associazione od istituzione non possono essere causa di speciali limitazioni legislative né di speciali gravami fiscali per la sua costituzione, capacità giuridica e ogni forma di attività. Art. 21. Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure. Si può procedere a sequestro
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soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili. In tali casi, quando vi sia assoluta urgenza e non sia possibile il tempestivo intervento dell’autorità giudiziaria, il sequestro della stampa periodica può essere eseguito da ufficiali di polizia giudiziaria, che devono immediatamente, e non mai oltre ventiquattro ore, fare denunzia all’autorità giudiziaria. Se questa non lo convalida nelle ventiquattro ore successive, il sequestro s’intende revocato e privo d’ogni effetto. La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica. Sono vietate le pubblicazioni a stampa, gli spettacoli e tutte le altre manifestazioni contrarie al buon costume. La legge stabilisce provvedimenti adeguati a prevenire e a reprimere le violazioni. Art. 22. Nessuno può essere privato, per motivi politici, della capacità giuridica, della cittadinanza, del nome. Art. 23. Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge. Art. 24. Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento. Sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione.
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APPENDICE
La legge determina le condizioni e i modi per la riparazione degli errori giudiziari.
guaglianza morale e giuridica dei coniugi, con i limiti stabiliti dalla legge a garanzia dell’unità familiare.
Art. 25. Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge. Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso. Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge.
Art. 30. È dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio. Nei casi di incapacità dei genitori, la legge provvede a che siano assolti i loro compiti. La legge assicura ai figli nati fuori del matrimonio ogni tutela giuridica e sociale compatibile con i diritti dei membri della famiglia legittima. La legge detta le norme e i limiti per la ricerca della paternità.
Art. 26. L’estradizione del cittadino può essere consentita soltanto ove sia espressamente prevista dalle convenzioni internazionali. Non può in alcun caso essere ammessa per reati politici. Art. 27. La responsabilità penale è personale. L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Non è ammessa la pena di morte. Art. 28. I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici. TITOLO II RAPPORTI ETICOSOCIALI Art. 29. La Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio. Il matrimonio è ordinato sull’e-
Art. 31. La Repubblica agevola con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose. Protegge la maternità, l’infanzia e la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo. Art. 32. La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana. Art. 33. L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato. La legge, nel fissare i diritti e gli obblighi delle scuole non statali che chiedono la parità, deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni di scuole statali. È prescritto un esame di Stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole o per la conclusione di essi e per l’abilitazione all’esercizio professionale. Le istituzioni di alta cultura, università ed accademie, hanno il diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato. Art. 34. La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso. TITOLO III RAPPORTI ECONOMICI Art. 35. La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti
L’assistenza privata è libera.
dalla legge nell’interesse generale, e tutela il lavoro italiano all’estero. Art. 36. Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa. La durata massima della giornata lavorativa è stabilita dalla legge. Il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie annuali retribuite, e non può rinunziarvi. Art. 37. La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione. Art. 38. Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato.
Art. 39. L’organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme stabilite dalla legge. È condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica. Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce. Art. 40. Il diritto di sciopero si esercita nell’ambito delle leggi che lo regolano. Art. 41. L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali. Art. 42. La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati. La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.
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La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale. La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità. Art. 43. A fini di utilità generale la legge può riservare originariamente o trasferire, mediante espropriazione e salvo indennizzo, allo Stato, ad enti pubblici o a comunità di lavoratori o di utenti determinate imprese o categorie di imprese, che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio ed abbiano carattere di preminente interesse generale. Art. 44. Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata, fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie, promuove ed impone la bonifica delle terre, la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e la media proprietà. La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane. Art. 45. La Repubblica riconosce la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata. La legge ne promuove e favorisce l’incremento con i mezzi più idonei e ne assicura, con gli opportuni controlli, il carattere e le finalità. La legge provvede alla tutela e allo sviluppo dell’artigianato. Art. 46. Ai fini della elevazione economica e sociale del lavoro e in armonia con le esigenze della produzione, la
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APPENDICE
Repubblica riconosce il diritto dei lavoratori a collaborare, nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi, alla gestione delle aziende. Art. 47. La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta coltivatrice e al diretto e indiretto investimento azionario nei grandi complessi produttivi del paese. TITOLO IV RAPPORTI POLITICI Art. 48. Sono elettori tutti i cittadini, uomini e donne, che hanno raggiunto la maggiore età. Il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico. La legge stabilisce requisiti e modalità per l’esercizio del diritto di voto dei cittadini residenti all’estero e ne assicura l’effettività. A tale fine è istituita una circoscrizione Estero per l’elezione delle Camere, alla quale sono assegnati seggi nel numero stabilito da norma costituzionale e secondo criteri determinati dalla legge. Il diritto di voto non può essere limitato se non per incapacità civile o per effetto di sentenza penale irrevocabile o nei casi di indegnità morale indicati dalla legge. Art. 49. Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Art. 50. Tutti i cittadini possono rivolgere petizioni alle Camere per chiedere
provvedimenti legislativi o esporre comuni necessità. Art. 51. Tutti i cittadini dell’uno o dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge. A tale fine la Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini. La legge può, per l’ammissione ai pubblici uffici e alle cariche elettive, parificare ai cittadini gli italiani non appartenenti alla Repubblica. Chi è chiamato a funzioni pubbliche elettive ha diritto di disporre del tempo necessario al loro adempimento e di conservare il suo posto di lavoro. Art. 52. La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. Il suo adempimento non pregiudica la posizione di lavoro del cittadino, né l’esercizio dei diritti politici. L’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica. Art. 53. Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività. Art. 54. Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi. I cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina ed onore, prestando giuramento nei casi stabiliti dalla legge.
PARTE II ORDINAMENTO DELLA REPUBBLICA TITOLO I IL PARLAMENTO SEZIONE I. Le Camere. Art. 55. Il Parlamento si compone della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. Il Parlamento si riunisce in seduta comune dei membri delle due Camere nei soli casi stabiliti dalla Costituzione. Art. 56. La Camera dei deputati è eletta a suffragio universale e diretto. Il numero dei deputati è di seicentotrenta, dodici dei quali eletti nella circoscrizione Estero. Sono eleggibili a deputati tutti gli elettori che nel giorno delle elezioni hanno compiuto i venticinque anni di età. La ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, si effettua dividendo il numero degli abitanti della Repubblica, quale risulta dall’ultimo censimento generale della popolazione, per seicentodiciotto e distribuendo i seggi in proporzione alla popolazione di ogni circoscrizione, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti. Art. 57. Il Senato della Repubblica è eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero. Il numero dei senatori elettivi è di trecentoquindici, sei dei quali eletti nella circoscrizione Estero. Nessuna Regione può avere un numero di senatori inferiore a sette; il Molise ne ha due, la Valle d’Aosta uno.
La ripartizione dei seggi tra le Regioni, fatto salvo il numero dei seggi assegnati alla circoscrizione Estero, previa applicazione delle disposizioni del precedente comma, si effettua in proporzione alla popolazione delle Regioni, quale risulta dall’ultimo censimento generale, sulla base dei quozienti interi e dei più alti resti. Art. 58. I senatori sono eletti a suffragio universale e diretto dagli elettori che hanno superato il venticinquesimo anno di età. Sono eleggibili a senatori gli elettori che hanno compiuto il quarantesimo anno. Art. 59. È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica. Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario. Art. 60. La Camera dei deputati e il Senato della Repubblica sono eletti per cinque anni. La durata di ciascuna Camera non può essere prorogata se non per legge e soltanto in caso di guerra. Art. 61. Le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro settanta giorni dalla fine delle precedenti. La prima riunione ha luogo non oltre il ventesimo giorno dalle elezioni. Finché non siano riunite le nuove
Camere sono prorogati i poteri delle precedenti. Art. 62. Le Camere si riuniscono di diritto il primo giorno non festivo di febbraio e di ottobre. Ciascuna Camera può essere convocata in via straordinaria per iniziativa del suo Presidente o del Presidente della Repubblica o di un terzo dei suoi componenti. Quando si riunisce in via straordinaria una Camera, è convocata di diritto anche l’altra. Art. 63. Ciascuna Camera elegge fra i suoi componenti il Presidente e l’Ufficio di presidenza. Quando il Parlamento si riunisce in seduta comune, il Presidente e l’Ufficio di presidenza sono quelli della Camera dei deputati. Art. 64. Ciascuna Camera adotta il proprio regolamento a maggioranza assoluta dei suoi componenti. Le sedute sono pubbliche; tuttavia ciascuna delle due Camere e il Parlamento a Camere riunite possono deliberare di adunarsi in seduta segreta. Le deliberazioni di ciascuna Camera e del Parlamento non sono valide se non è presente la maggioranza dei loro componenti, e se non sono adottate a maggioranza dei presenti, salvo che la Costituzione prescriva una maggioranza speciale. I membri del Governo, anche se non fanno parte delle Camere, hanno diritto, e se richiesti obbligo, di assistere alle sedute. Devono essere sentiti ogni volta che lo richiedono.
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Art. 65. La legge determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l’ufficio di deputato o di senatore. Nessuno può appartenere contemporaneamente alle due Camere. Art. 66. Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti e delle cause sopraggiunte di ineleggibilità e di incompatibilità. Art. 67. Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato. Art. 68. I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza. Art. 69. I membri del Parlamento ricevono una indennità stabilita dalla legge.
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SEZIONE II. La formazione delle leggi. Art. 70. La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere. Art. 71. L’iniziativa delle leggi appartiene al Governo, a ciascun membro delle Camere ed agli organi ed enti ai quali sia conferita da legge costituzionale. Il popolo esercita l’iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli. Art. 72. Ogni disegno di legge, presentato ad una Camera è, secondo le norme del suo regolamento, esaminato da una commissione e poi dalla Camera stessa, che l’approva articolo per articolo e con votazione finale. Il regolamento stabilisce procedimenti abbreviati per i disegni di legge dei quali è dichiarata l’urgenza. Può altresì stabilire in quali casi e forme l’esame e l’approvazione dei disegni di legge sono deferiti a commissioni, anche permanenti, composte in modo da rispecchiare la proporzione dei gruppi parlamentari. Anche in tali casi, fino al momento della sua approvazione definitiva, il disegno di legge è rimesso alla Camera, se il Governo o un decimo dei componenti della Camera o un quinto della commissione richiedono che sia discusso e votato dalla Camera stessa oppure che sia sottoposto alla sua approvazione finale con sole dichiarazioni di voto. Il regolamento determina le forme di pubblicità dei lavori delle commissioni. La procedura normale di esame e di approvazione diretta da parte
della Camera è sempre adottata per i disegni di legge in materia costituzionale ed elettorale e per quelli di delegazione legislativa, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali, di approvazione di bilanci e consuntivi. Art. 73. Le leggi sono promulgate dal Presidente della Repubblica entro un mese dall’approvazione. Se le Camere, ciascuna a maggioranza assoluta dei propri componenti, ne dichiarano l’urgenza, la legge è promulgata nel termine da essa stabilito. Le leggi sono pubblicate subito dopo la promulgazione ed entrano in vigore il quindicesimo giorno successivo alla loro pubblicazione, salvo che le leggi stesse stabiliscano un termine diverso. Art. 74. Il Presidente della Repubblica, prima di promulgare la legge, può con messaggio motivato alle Camere chiedere una nuova deliberazione. Se le Camere approvano nuovamente la legge, questa deve essere promulgata. Art. 75. È indetto referendum popolare per deliberare l’abrogazione, totale o parziale, di una legge o di un atto avente valore di legge, quando lo richiedono cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. Non è ammesso il referendum per le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia e di indulto, di autorizzazione a ratificare trattati internazionali. Hanno diritto di partecipare al referendum tutti i cittadini chiamati ad eleggere la Camera dei deputati. La proposta soggetta a referen-
dum è approvata se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente espressi. La legge determina le modalità di attuazione del referendum. Art. 76. L’esercizio della funzione legislativa non può essere delegato al Governo se non con determinazione di principî e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti. Art. 77. Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria. Quando, in casi straordinari di necessità e d’urgenza, il Governo adotta, sotto la sua responsabilità, provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si riuniscono entro cinque giorni. I decreti perdono efficacia sin dall’inizio, se non sono convertiti in legge entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti non convertiti. Art. 78. Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari. Art. 79. L’amnistia e l’indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale. La legge che concede l’amnistia
o l’indulto stabilisce il termine per la loro applicazione. In ogni caso l’amnistia e l’indulto non possono applicarsi ai reati commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge. Art. 80. Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio od oneri alle finanze o modificazioni di leggi. Art. 81. Lo Stato assicura l’equilibrio tra le entrate e le spese del proprio bilancio, tenendo conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico. Il ricorso all’indebitamento è consentito solo al fine di considerare gli effetti del ciclo economico e, previa autorizzazione delle Camere adottata a maggioranza assoluta dei rispettivi componenti, al verificarsi di eventi eccezionali. Ogni legge che importi nuovi o maggiori oneri provvede ai mezzi per farvi fronte. Le Camere ogni anno approvano con legge il bilancio e il rendiconto consuntivo presentati dal Governo. L’esercizio provvisorio del bilancio non può essere concesso se non per legge e per periodi non superiori complessivamente a quattro mesi. Il contenuto della legge di bilancio, le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l’equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni sono stabiliti con legge approvata a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera, nel rispetto dei principi definiti con legge costituzionale.
Art. 82. Ciascuna Camera può disporre inchieste su materie di pubblico interesse. A tale scopo nomina fra i propri componenti una commissione formata in modo da rispecchiare la proporzione dei vari gruppi. La commissione d’inchiesta procede alle indagini e agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria. TITOLO II IL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA Art. 83. Il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune dei suoi membri. All’elezione partecipano tre delegati per ogni Regione eletti dal Consiglio regionale in modo che sia assicurata la rappresentanza delle minoranze. La Valle d’Aosta ha un solo delegato. L’elezione del Presidente della Repubblica ha luogo per scrutinio segreto a maggioranza di due terzi della assemblea. Dopo il terzo scrutinio è sufficiente la maggioranza assoluta. Art. 84. Può essere eletto Presidente della Repubblica ogni cittadino che abbia compiuto cinquanta anni d’età e goda dei diritti civili e politici. L’ufficio di Presidente della Repubblica è incompatibile con qualsiasi altra carica. L’assegno e la dotazione del Presidente sono determinati per legge. Art. 85. Il Presidente della Repubblica è eletto per sette anni. Trenta giorni prima che scada il
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termine, il Presidente della Camera dei deputati convoca in seduta comune il Parlamento e i delegati regionali, per eleggere il nuovo Presidente della Repubblica. Se le Camere sono sciolte, o manca meno di tre mesi alla loro cessazione, la elezione ha luogo entro quindici giorni dalla riunione delle Camere nuove. Nel frattempo sono prorogati i poteri del Presidente in carica. Art. 86. Le funzioni del Presidente della Repubblica, in ogni caso che egli non possa adempierle, sono esercitate dal Presidente del Senato. In caso di impedimento permanente o di morte o di dimissioni del Presidente della Repubblica, il Presidente della Camera dei deputati indice la elezione del nuovo Presidente della Repubblica entro quindici giorni, salvo il maggior termine previsto se le Camere sono sciolte o manca meno di tre mesi alla loro cessazione. Art. 87. Il Presidente della Repubblica è il capo dello Stato e rappresenta l’unità nazionale. Può inviare messaggi alle Camere. Indice le elezioni delle nuove Camere e ne fissa la prima riunione. Autorizza la presentazione alle Camere dei disegni di legge di iniziativa del Governo. Promulga le leggi ed emana i decreti aventi valore di legge e i regolamenti. Indice il referendum popolare nei casi previsti dalla Costituzione. Nomina, nei casi indicati dalla legge, i funzionari dello Stato. Accredita e riceve i rappresentanti diplomatici, ratifica i trattati internazionali, previa, quando occorra, l’autorizzazione delle Camere.
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Ha il comando delle Forze armate, presiede il Consiglio supremo di difesa costituito secondo la legge, dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere. Presiede il Consiglio superiore della magistratura. Può concedere grazia e commutare le pene. Conferisce le onorificenze della Repubblica. Art. 88. Il Presidente della Repubblica può, sentiti i loro Presidenti, sciogliere le Camere o anche una sola di esse. Non può esercitare tale facoltà negli ultimi sei mesi del suo mandato, salvo che essi coincidano in tutto o in parte con gli ultimi sei mesi della legislatura. Art. 89. Nessun atto del Presidente della Repubblica è valido se non è controfirmato dai ministri proponenti, che ne assumono la responsabilità. Gli atti che hanno valore legislativo e gli altri indicati dalla legge sono controfirmati anche dal Presidente del Consiglio dei ministri. Art. 90. Il Presidente della Repubblica non è responsabile degli atti compiuti nel l’esercizio delle sue funzioni, tranne che per alto tradimento o per attentato alla Costituzione. In tali casi è messo in stato di accusa dal Parlamento in seduta comune, a maggioranza assoluta dei suoi membri. Art. 91. Il Presidente della Repubblica, prima di assumere le sue funzioni, presta giuramento di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione dinanzi al Parlamento in seduta comune.
TITOLO III IL GOVERNO SEZIONE I. Il Consiglio dei ministri. Art. 92. Il Governo della Repubblica è composto del Presidente del Consiglio e dei ministri, che costituiscono insieme il Consiglio dei ministri. Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei ministri e, su proposta di questo, i ministri. Art. 93. Il Presidente del Consiglio dei ministri e i ministri, prima di assumere le funzioni, prestano giuramento nelle mani del Presidente della Repubblica. Art. 94. Il Governo deve avere la fiducia delle due Camere. Ciascuna Camera accorda o revoca la fiducia mediante mozione motivata e votata per appello nominale. Entro dieci giorni dalla sua formazione il Governo si presenta alle Camere per ottenerne la fiducia. Il voto contrario di una o d’entrambe le Camere su una proposta del Governo non importa obbligo di dimissioni. La mozione di sfiducia deve essere firmata da almeno un decimo dei componenti della Camera e non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla sua presentazione. Art. 95. Il Presidente del Consiglio dei ministri dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico
ed amministrativo, promovendo e coordinando l’attività dei ministri. I ministri sono responsabili collegialmente degli atti del Consiglio dei ministri, e individualmente degli atti dei loro dicasteri. La legge provvede all’ordinamento della Presidenza del Consiglio e determina il numero, le attribuzioni e l’organizzazione dei ministeri. Art. 96. Il Presidente del Consiglio dei ministri e i ministri, anche se cessati dalla carica, sono sottoposti, per i reati commessi nell’esercizio delle loro funzioni, alla giurisdizione ordinaria, previa autorizzazione del Senato della Repubblica o della Camera dei Deputati, secondo le norme stabilite con legge costituzionale. SEZIONE II. La Pubblica Amministrazione. Art. 97. Le pubbliche amministrazioni, in coerenza con l’ordinamento dell’Unione europea, assicurano l’equilibrio dei bilanci e la sostenibilità del debito pubblico. I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge. Art. 98. I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione. Se sono membri del Parlamento,
non possono conseguire promozioni se non per anzianità. Si possono con legge stabilire limitazioni al diritto d’iscriversi ai partiti politici per i magistrati, i militari di carriera in servizio attivo, i funzionari ed agenti di polizia, i rappresentanti diplomatici e consolari all’estero. SEZIONE III. Gli organi ausiliari. Art. 99. Il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro è composto, nei modi stabiliti dalla legge, di esperti e di rappresentanti delle categorie produttive, in misura che tenga conto della loro importanza numerica e qualitativa. È organo di consulenza delle Camere e del Governo per le materie e secondo le funzioni che gli sono attribuite dalla legge. Ha l’iniziativa legislativa e può contribuire alla elaborazione della legislazione economica e sociale secondo i principî ed entro i limiti stabiliti dalla legge. Art. 100. Il Consiglio di Stato è organo di consulenza giuridico-amministrativa e di tutela della giustizia nell’amministrazione. La Corte dei conti esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo, e anche quello successivo sulla gestione del bilancio dello Stato. Partecipa, nei casi e nelle forme stabiliti dalla legge, al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria. Riferisce direttamente alle Camere sul risultato del riscontro eseguito. La legge assicura l’indipendenza dei due istituti e dei loro componenti di fronte al Governo.
TITOLO IV LA MAGISTRATURA SEZIONE I. Ordinamento giurisdizionale. Art. 101. La giustizia è amministrata in nome del popolo. I giudici sono soggetti soltanto alla legge. Art. 102. La funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario. Non possono essere istituiti giudici straordinari o giudici speciali. Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziari ordinari sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura. La legge regola i casi e le forme della partecipazione diretta del popolo all’amministrazione della giustizia. Art. 103. Il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa hanno giurisdizione per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi. La Corte dei conti ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge. I tribunali militari in tempo di guerra hanno la giurisdizione stabilita dalla legge. In tempo di pace hanno giurisdizione soltanto per i reati militari commessi da appartenenti alle forze armate. Art. 104. La magistratura costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni altro potere.
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Il Consiglio superiore della magistratura è presieduto dal Presidente della Repubblica. Ne fanno parte di diritto il primo presidente e il procuratore generale della Corte di cassazione. Gli altri componenti sono eletti per due terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle varie categorie, e per un terzo dal Parlamento in seduta comune tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio. Il Consiglio elegge un vicepresidente fra i componenti designati dal Parlamento. I membri elettivi del Consiglio durano in carica quattro anni e non sono immediatamente rieleggibili. Non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali, né far parte del Parlamento o di un Consiglio regionale. Art. 105. Spettano al Consiglio superiore della magistratura, secondo le norme dell’ordinamento giudiziario, le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati. Art. 106. Le nomine dei magistrati hanno luogo per concorso. La legge sull’ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli. Su designazione del Consiglio superiore della magistratura possono essere chiamati all’ufficio di consiglieri di cassazione, per meriti insigni, professori ordinari di università in materie giuridiche e avvocati che abbiano quindici anni d’esercizio e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori.
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Art. 107. I magistrati sono inamovibili. Non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della magistratura, adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall’ordinamento giudiziario o con il loro consenso. Il Ministro della giustizia ha facoltà di promuovere l’azione disciplinare. I magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni. Il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull’ordinamento giudiziario. Art. 108. Le norme sull’ordinamento giudiziario e su ogni magistratura sono stabilite con legge. La legge assicura l’indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, del pubblico ministero presso di esse, e degli estranei che partecipano all’amministrazione della giustizia. Art. 109. L’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria. Art. 110. Ferme le competenze del Consiglio superiore della magistratura, spettano al Ministro della giustizia l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia. SEZIONE II. Norme sulla giurisdizione. Art. 111. La giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge. Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condi-
zioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata. Nel processo penale, la legge assicura che la persona accusata di un reato sia, nel più breve tempo possibile, informata riservatamente della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico; disponga del tempo e delle condizioni necessari per preparare la sua difesa; abbia la facoltà, davanti al giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico, di ottenere la convocazione e l’interrogatorio di persone a sua difesa nelle stesse condizioni dell’accusa e l’acquisizione di ogni altro mezzo di prova a suo favore; sia assistita da un interprete se non comprende o non parla la lingua impiegata nel processo. Il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova. La colpevolezza dell’imputato non può essere provata sulla base di dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto all’interrogatorio da parte dell’imputato o del suo difensore. La legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell’imputato o per accertata impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita. Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati. Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale, pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in cassazione per violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di guerra. Contro le decisioni del Consiglio
di Stato e della Corte dei conti il ricorso in cassazione è ammesso per i soli motivi inerenti alla giurisdizione. Art. 112. Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale. Art. 113. Contro gli atti della pubblica amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa. Tale tutela giurisdizionale non può essere esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti. La legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione nei casi e con gli effetti previsti dalla legge stessa. TITOLO V LE REGIONI, LE PROVINCIE, I COMUNI Art. 114. La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondo i princìpi fissati dalla Costituzione. Roma è la capitale della Repubblica. La legge dello Stato disciplina il suo ordinamento. Art. 115. Abrogato Art. 116. Il Friuli-Venezia Giulia, la Sardegna, la Sicilia, il Trentino-Alto Adige/
Südtirol e la Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste dispongono di forme e condizioni particolari di autonomia, secondo i rispettivi statuti speciali adottati con legge costituzionale. La Regione Trentino-Alto Adige/ Südtirol è costituita dalle Province autonome di Trento e di Bolzano. Ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere l), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei principi di cui all’articolo 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata. Art. 117. La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: a) politica estera e rapporti internazionali dello Stato; rapporti dello Stato con l’Unione europea; diritto di asilo e condizione giuridica dei cittadini di Stati non appartenenti all’Unione europea; b) immigrazione; c) rapporti tra la Repubblica e le confessioni religiose; d) difesa e Forze armate; sicurezza dello Stato; armi, munizioni ed esplosivi; e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; si-
stema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; perequazione delle risorse finanziarie; f) organi dello Stato e relative leggi elettorali; referendum statali; elezione del Parlamento europeo; g) ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali; h) ordine pubblico e sicurezza, ad esclusione della polizia amministrativa locale; i) cittadinanza, stato civile e anagrafi; l) giurisdizione e norme processuali; ordinamento civile e penale; giustizia amministrativa; m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale; n) norme generali sull’istruzione; o) previdenza sociale; p) legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane; q) dogane, protezione dei confini nazionali e profilassi internazionale; r) pesi, misure e determinazione del tempo; coordinamento informativo statistico e informatico dei dati dell’amministrazione statale, regionale e locale; opere dell’ingegno; s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali. Sono materie di legislazione concorrente quelle relative a: rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni; commercio con l’estero; tutela e sicurezza del lavoro; istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale; professioni; ricerca scientifica e tecnologica e
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sostegno all’innovazione per i settori produttivi; tutela della salute; alimentazione; ordinamento sportivo; protezione civile; governo del territorio; porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; ordinamento della comunicazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia; previdenza complementare e integrativa; coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario; valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali; casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale; enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale. Nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato. Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza. La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello
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svolgimento delle funzioni loro attribuite. Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive. La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni. Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato. Art. 118. Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l’esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. I Comuni, le Province e le Città metropolitane sono titolari di funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze. La legge statale disciplina forme di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie di cui alle lettere b) e h) del secondo comma dell’articolo 117, e disciplina inoltre forme di intesa e coordinamento nella materia della tutela dei beni culturali. Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà.
Art. 119. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite. Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione di piani di
ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio. È esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti dagli stessi contratti. Art. 120. La Regione non può istituire dazi di importazione o esportazione o transito tra le Regioni, né adottare provvedimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni, né limitare l’esercizio del diritto al lavoro in qualunque parte del territorio nazionale. Il Governo può sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di pericolo grave per l’incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero quando lo richiedono la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai confini territoriali dei governi locali. La legge definisce le procedure atte a garantire che i poteri sostitutivi siano esercitati nel rispetto del principio di sussidiarietà e del principio di leale collaborazione. Art. 121. Sono organi della Regione: il Consiglio regionale, la Giunta e il suo Presidente. Il Consiglio regionale esercita le potestà legislative attribuite alla Regione e le altre funzioni conferitegli dalla Costituzione e dalle leggi. Può fare proposte di legge alle Camere. La Giunta regionale è l’organo esecutivo delle Regioni. Il Presidente della Giunta rappresenta la Regione; dirige la poli-
tica della Giunta e ne è responsabile; promulga le leggi ed emana i regolamenti regionali; dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione, conformandosi alle istruzioni del Governo della Repubblica. Art. 122. Il sistema di elezione e i casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale nonché dei consiglieri regionali sono disciplinati con legge della Regione nei limiti dei principi fondamentali stabiliti con legge della Repubblica, che stabilisce anche la durata degli organi elettivi. Nessuno può appartenere contemporaneamente a un Consiglio o a una Giunta regionale e ad una delle Camere del Parlamento, ad un altro Consiglio o ad altra Giunta regionale, ovvero al Parlamento europeo. Il Consiglio elegge tra i suoi componenti un Presidente e un ufficio di presidenza. I consiglieri regionali non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni. Il Presidente della Giunta regionale, salvo che lo statuto regionale disponga diversamente, è eletto a suffragio universale e diretto. Il Presidente eletto nomina e revoca i componenti della Giunta. Art. 123. Ciascuna Regione ha uno statuto che, in armonia con la Costituzione, ne determina la forma di governo e i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento. Lo statuto regola l’esercizio del diritto di iniziativa e del referendum su leggi e provvedimenti amministrativi della Regione e la pubblicazione delle leggi e dei regolamenti regionali.
Lo statuto è approvato e modificato dal Consiglio regionale con legge approvata a maggioranza assoluta dei suoi componenti, con due deliberazioni successive adottate ad intervallo non minore di due mesi. Per tale legge non è richiesta l’apposizione del visto da parte del Commissario del Governo. Il Governo della Repubblica può promuovere la questione di legittimità costituzionale sugli statuti regionali dinanzi alla Corte costituzionale entro trenta giorni dalla loro pubblicazione. Lo statuto è sottoposto a referendum popolare qualora entro tre mesi dalla sua pubblicazione ne faccia richiesta un cinquantesimo degli elettori della Regione o un quinto dei componenti il Consiglio regionale. Lo statuto sottoposto a referendum non è promulgato se non è approvato dalla maggioranza dei voti validi. In ogni Regione, lo statuto disciplina il Consiglio delle autonomie locali, quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali. Art. 124. Abrogato Art. 125. Nella Regione sono istituiti organi di giustizia amministrativa di primo grado, secondo l’ordinamento stabilito da legge della Repubblica. Possono istituirsi sezioni con sede diversa dal capoluogo della Regione. Art. 126. Con decreto motivato del Presidente della Repubblica sono disposti lo scioglimento del Consiglio regionale e la rimozione del Presidente della Giunta che abbiano compiuto atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge. Lo scioglimento e la rimozione possono altresì esse-
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re disposti per ragioni di sicurezza nazionale. Il decreto è adottato sentita una Commissione di deputati e senatori costituita, per le questioni regionali, nei modi stabiliti con legge della Repubblica. Il Consiglio regionale può esprimere la sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta mediante mozione motivata, sottoscritta da almeno un quinto dei suoi componenti e approvata per appello nominale a maggioranza assoluta dei componenti. La mozione non può essere messa in discussione prima di tre giorni dalla presentazione. L’approvazione della mozione di sfiducia nei confronti del Presidente della Giunta eletto a suffragio universale e diretto, nonché la rimozione, l’impedimento permanente, la morte o le dimissioni volontarie dello stesso comportano le dimissioni della Giunta e lo scioglimento del Consiglio. In ogni caso i medesimi effetti conseguono alle dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti il Consiglio. Art. 127. Il Governo, quando ritenga che una legge regionale ecceda la competenza della Regione, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla sua pubblicazione. La Regione, quando ritenga che una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di un’altra Regione leda la sua sfera di competenza, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell’atto avente valore di legge. Art. 128. Abrogato
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Art. 129. Abrogato Art. 130. Abrogato Art. 131. Sono costituite le seguenti Regioni: Piemonte; Valle d’Aosta; Lombardia; Trentino-Alto Adige; Veneto; Friuli-Venezia Giulia; Liguria; Emilia-Romagna; Toscana; Umbria; Marche; Lazio; Abruzzi; Molise; Campania; Puglia; Basilicata; Calabria; Sicilia; Sardegna. Art. 132. Si può con legge costituzionale, sentiti i Consigli regionali, disporre la fusione di Regioni esistenti o la creazione di nuove Regioni con un minimo di un milione d’abitanti, quando ne facciano richiesta tanti Consigli comunali che rappresentino almeno un terzo delle popolazioni interessate, e la proposta sia approvata con referendum dalla maggioranza delle popolazioni stesse. Si può, con l’approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Provincie e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un’altra. Art. 133. Il mutamento delle circoscrizioni provinciali e la istituzione di nuove Provincie nell’ambito d’una Regione sono stabiliti con legge della Repubblica, su iniziative dei Comuni, sentita la stessa Regione. La Regione, sentite le popola-
zioni interessate, può con sue leggi istituire nel proprio territorio nuovi Comuni e modificare le loro circoscrizioni e denominazioni. TITOLO VI GARANZIE COSTITUZIONALI SEZIONE I. La Corte Costituzionale. Art. 134. La Corte costituzionale giudica: sulle controversie relative alla legittimità costituzionale delle leggi e degli atti, aventi forza di legge, dello Stato e delle Regioni; sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato, e su quelli tra lo Stato e le Regioni, e tra le Regioni; sulle accuse promosse contro il Presidente della Repubblica, a norma della Costituzione. Art. 135. La Corte costituzionale è composta di quindici giudici nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative. I giudici della Corte costituzionale sono scelti tra i magistrati anche a riposo delle giurisdizioni superiori ordinaria ed amministrative, i professori ordinari di università in materie giuridiche e gli avvocati dopo venti anni d’esercizio. I giudici della Corte costituzionale sono nominati per nove anni, decorrenti per ciascuno di essi dal giorno del giuramento, e non possono essere nuovamente nominati. Alla scadenza del termine il giudice costituzionale cessa dalla carica e dall’esercizio delle funzioni. La Corte elegge tra i suoi componenti, secondo le norme stabilite dalla legge, il Presidente, che rimane in ca-
rica per un triennio, ed è rieleggibile, fermi in ogni caso i termini di scadenza dall’ufficio di giudice. L’ufficio di giudice della Corte è incompatibile con quello di membro del Parlamento, di un Consiglio regionale, con l’esercizio della professione di avvocato e con ogni carica ed ufficio indicati dalla legge. Nei giudizi d’accusa contro il Presidente della Repubblica, intervengono, oltre i giudici ordinari della Corte, sedici membri tratti a sorte da un elenco di cittadini aventi i requisiti per l’eleggibilità a senatore, che il Parlamento compila ogni nove anni mediante elezione con le stesse modalità stabilite per la nomina dei giudici ordinari. Art. 136. Quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge, la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.
La decisione della Corte è pubblicata e comunicata alle Camere ed ai Consigli regionali interessati, affinché, ove lo ritengano necessario, provvedano nelle forme costituzionali. Art. 137. Una legge costituzionale stabilisce le condizioni, le forme, i termini di proponibilità dei giudizi di legittimità costituzionale, e le garanzie d’indipendenza dei giudici della Corte. Con legge ordinaria sono stabilite le altre norme necessarie per la costituzione e il funzionamento della Corte. Contro le decisioni della Corte costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione. SEZIONE II. Revisione della Costituzione Leggi costituzionali. Art. 138. Le leggi di revisione della Costi-
tuzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti. Art. 139. La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale.
DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI I. Con l’entrata in vigore della Costituzione il Capo provvisorio dello Stato esercita le attribuzioni di Presidente della Repubblica e ne assume il titolo. II. Se alla data della elezione del Presidente della Repubblica non sono costituiti tutti i Consigli regionali, partecipano alla elezione soltanto i componenti delle due Camere. III. Per la prima composizione del Senato della Repubblica sono nominati senatori, con decreto del
Presidente della Repubblica, i deputati dell’Assemblea Costituente che posseggono i requisiti di legge per essere senatori e che: – sono stati presidenti del Consiglio dei Ministri o di Assemblee legislative; hanno fatto parte del disciolto Senato; – hanno avuto almeno tre elezioni, compresa quella all’Assemblea Costituente; – sono stati dichiarati decaduti nella seduta della Camera dei deputati del 9 novembre 1926; – hanno scontato la pena della reclusione non inferiore a cinque anni in seguito a condanna del tribunale speciale fascista per la difesa
dello Stato. Sono nominati altresì senatori, con decreto del Presidente della Repubblica, i membri del disciolto Senato che hanno fatto parte della Consulta Nazionale. Al diritto di essere nominati senatori si può rinunciare prima della firma del decreto di nomina. L’accettazione della candidatura alle elezioni politiche implica rinuncia al diritto di nomina a senatore. IV. Per la prima elezione del Senato il Molise è considerato come Regione a sé stante, con il numero dei senatori che gli compete in base alla sua popolazione.
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V. La disposizione dell’articolo 80 della Costituzione, per quanto concerne i trattati internazionali che importano oneri alle finanze o modificazioni di legge, ha effetto dalla data di convocazione delle Camere. VI. Entro cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione degli organi speciali di giurisdizione attualmente esistenti, salvo le giurisdizioni del Consiglio di Stato, della Corte dei conti e dei tribunali militari. Entro un anno dalla stessa data si provvede con legge al riordinamento del Tribunale supremo militare in relazione all’articolo 111. VII. Fino a quando non sia emanata la nuova legge sull’ordinamento giudiziario in conformità con la Costituzione, continuano ad osservarsi le norme dell’ordinamento vigente. Fino a quando non entri in funzione la Corte costituzionale, la decisione delle controversie indicate nell’articolo 134 ha luogo nelle forme e nei limiti delle norme preesistenti all’entrata in vigore della Costituzione. VIII. Le elezioni dei Consigli regionali e degli organi elettivi delle amministrazioni provinciali sono indette entro un anno dall’entrata in vigore della Costituzione. Leggi della Repubblica regolano per ogni ramo della pubblica amministrazione il passaggio delle funzioni statali attribuite alle Regioni. Fino a quando non sia provveduto al riordinamento e alla distribuzione delle funzioni amministrative fra gli enti locali, restano alle Provincie ed ai Comuni le
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funzioni che esercitano attualmente e le altre di cui le Regioni deleghino loro l’esercizio. Leggi della Repubblica regolano il passaggio alle Regioni di funzionari e dipendenti dello Stato, anche delle amministrazioni centrali, che sia reso necessario dal nuovo ordinamento. Per la formazione dei loro uffici le Regioni devono, tranne che in casi di necessità, trarre il proprio personale da quello dello Stato e degli enti locali. IX. La Repubblica, entro tre anni dall’entrata in vigore della Costituzione, adegua le sue leggi alle esigenze delle autonomie locali e alla competenza legislativa attribuita alle Regioni. X. Alla Regione del Friuli-Venezia Giulia, di cui all’articolo 116, si applicano provvisoriamente le norme generali del Titolo V della parte seconda, ferma restando la tutela delle minoranze linguistiche in conformità con l’articolo 6. XI. Fino a cinque anni dall’entrata in vigore della Costituzione si possono, con leggi costituzionali, formare altre Regioni, a modificazione dell’elenco di cui all’articolo 131, anche senza il concorso delle condizioni richieste dal primo comma dell’articolo 132, fermo rimanendo tuttavia l’obbligo di sentire le popolazioni interessate. XII. È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. In deroga all’articolo 48, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dall’entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista.
XIII. I beni, esistenti nel territorio nazionale, degli ex re di Casa Savoia, delle loro consorti e dei loro discendenti maschi, sono avocati allo Stato. I trasferimenti e le costituzioni di diritti reali sui beni stessi, che siano avvenuti dopo il 2 giugno 1946, sono nulli. XIV. I titoli nobiliari non sono riconosciuti. I predicati di quelli esistenti prima del 28 ottobre 1922 valgono come parte del nome. L’Ordine mauriziano è conservato come ente ospedaliero e funziona nei modi stabiliti dalla legge. La legge regola la soppressione della Consulta araldica. XV. Con l’entrata in vigore della Costituzione si ha per convertito in legge il decreto legislativo luogotenenziale 25 giugno 1944, n. 151, sull’ordinamento provvisorio dello Stato. XVI. Entro un anno dall’entrata in vigore della Costituzione si procede alla revisione e al coordinamento con essa delle precedenti leggi costituzionali che non siano state finora esplicitamente o implicitamente abrogate. XVII. L’Assemblea Costituente sarà convocata dal suo Presidente per deliberare, entro il 31 gennaio 1948, sulla legge per la elezione del Senato della Repubblica, sugli statuti regionali speciali e sulla legge per la stampa. Fino al giorno delle elezioni delle nuove Camere, l’Assemblea Costituente può essere convocata, quan-
do vi sia necessità di deliberare nelle materie attribuite alla sua competenza dagli articoli 2, primo e secondo comma, e 3, comma primo e secondo, del decreto legislativo 16 marzo 1946, n. 98. In tale periodo le Commissioni permanenti restano in funzione. Quelle legislative rinviano al Governo i disegni di legge, ad esse trasmessi, con eventuali osservazioni e proposte di emendamenti. I deputati possono presentare al Governo interrogazioni con richiesta di risposta scritta.
L’Assemblea Costituente, agli effetti di cui al secondo comma del presente articolo, è convocata dal suo Presidente su richiesta motivata del Governo o di almeno duecento deputati. XVIII. La presente Costituzione è promulgata dal Capo provvisorio dello Stato entro cinque giorni dalla sua approvazione da parte dell’Assemblea Costituente, ed entra in vigore il 1° gennaio 1948. Il testo della Costituzione è
depositato nella sala comunale di ciascun Comune della Repubblica per rimanervi esposto, durante tutto l’anno 1948, affinché ogni cittadino possa prenderne cognizione. La Costituzione, munita del sigillo dello Stato, sarà inserita nella raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti della Repubblica. La Costituzione dovrà essere fedelmente osservata come Legge fondamentale della Repubblica da tutti i cittadini e dagli organi dello Stato.
Data a Roma, addì 27 dicembre 1947 ENRICO DE NICOLA Controfirmano: Il Presidente dell’Assemblea Costituente UMBERTO TERRACINI Il Presidente del Consiglio dei Ministri ALCIDE DE GASPERI Visto, il Guardasigilli GIUSEPPE GRASSI
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